Lost And Found

di Impossible Prince
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 - Dream ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 - Fiumi d'Alcol ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 - L'Intervista ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 - Umiltà ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 - Vera Birch ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 - Insediamento ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07 - Ricordi Lontani ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08 - Umbreon ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09 - Mewtwo ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - In Faccia ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Michael Butt ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Desideri ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Il Saggio ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - L'Inizio ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Déjà vu ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Tutto Muore ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Sospetti e Verità ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Fama Capitale ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Il Campione ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - «Tutto e niente» ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01 - Dream ***



Prefazione
Casa mia, Dicembre 2014
Lost And Found è quello che io stesso ho definito come un “progetto un po’ sperimentale”, perché partendo da un’idea, questa si è lentamente trasformata in tutt’altro, come una sorta di reazione chimica di cui non ho studiato bene i componenti all’inizio.
Questo racconto è stato scritto dopo moltissimo tempo che non scrivevo. La mia ultima fan fiction sui Pokémon risale al 2010, "Big Toon" e non venne neanche terminata dato lo scarso successo di pubblico - cosa a cui ai tempi tenevo particolarmente - mentre il mio ultimo racconto originale era stato pubblicato nella primavera del 2013 per la partecipazione ad un contesto di scrittura su un Forum, "La strada da percorrere".
Tutto questo per darvi una misura della fatica e del brivido che ho provato nel tornare a scrivere, sensazioni che avevo perso e che un po’ mi erano mancate. In uno dei momenti più difficili della mia vita ho persino temuto di non esserne più capace. Ma non siamo qui a parlare di questo.
Sin dai primi capitoli di Lost And Found noterete argomenti che difficilmente vengono trattati nelle altre fan fiction di Pokémon, per lo meno di quelle che ho avuto il piacere di leggere e per il responso di pubblico che ho avuto.
Io non propongo una visione del mondo. Io non sottoscrivo le idee di cui racconto, io semplicemente faccio vivere determinati personaggi. Si può essere d’accordo con quanto scritto o non lo si può essere, ma questa non significa necessariamente che essa sia la MIA visione delle cose.
Con Lost And Found non mi pongo la funzione di “sveglia delle folle”, anche perché non mi trovo nella posizione di poterlo e volerlo fare.
Parlo di politica, di vita e di morte e di altri temi sensibili, in qualche modo. Ma non è che siccome i personaggi sono re-inventati da me allora rispecchiano le mie idee, la mia cultura o i miei ideali.
Quando ho pubblicato questo lavoro per la prima volta, nell'estate del 2014, mi è stato imputato di aver contaminato il “fantastico mondo dei Pokémon con la politica”, implicando che un mondo così vasto e così ideologizzato come quello dei pokémon potesse essere avulso da un argomento comune è necessario come la Politica.
Non era il mio obiettivo offendere qualcuno e tantomeno farlo arrabbiare. Se vi potreste sentire feriti, perciò scusate, non è mia intenzione. Ma non sarà MAI e poi MAI mia intenzione modificare la mia storia se i suoi contenuti non vi piacciono.
Non starò qui a spiegare come è nata l’idea e che cosa volessi esprimere, dubito che a qualcuno interessi tanto da scriverlo in questa prefazione, ma nel caso sarò ben lieto di rispondere. Quello è che ci tengo a fare è dichiarare in maniera inequivocabile a quali opere mi sono ispirato per la sua scrittura. Lost And Found non sarebbe L&F se non ci fosse una fusione di diversi elementi della televisione e del cinema. E' Pokémon incontra La Grande Bellezza, La Dolce Vita, American Horror Story e la musica pop degli ultimi cinquant’anni, passando peer David Bowie e arrivando a Lana Del Rey, toccando con forza Madonna.
Detto questo, spero che Lost And Found sia di vostro gradimento
,
Dream.


Dedicata a te, che non ci sei più

Capitolo 01 - Dream
«Stiamo per atterrare all’aeroporto di Fiordoropoli, si prega di allacciare le cinture di sicurezza» disse una voce maschile proveniente dall’interfono. Nello stesso istante, una spia rossa, raffigurante la cintura di sicurezza allacciata, si accese.
Dream sbuffò ed eseguì l’ordine scocciato, appoggiando la testa allo schienale, combattendo quella sensazione di esser spinto in avanti che si faceva via via sempre più forte.
Il volo in aereo era sempre stato abbastanza problematico, sin da quando era un bambino; aveva sempre cercato delle alternative utili come volare su un Pidgeot o un Altaria, anche per delle distanze considerevoli.
Ma Unima era troppo distante dalla regione di Johto per esser affrontata da un pokémon e inoltre, a causa di una legge regionale, contestata ampiamente dal Parlamento Federale, si impediva di “importare specie pokémon non presenti negli ambienti della Regione di Unima salvo i casi in cui l’allenatore dimostri di possedere le otto medaglie e di aver partecipato alla Lega Pokémon di Unima”. Affrontò il viaggio ad Unima completamente da solo, senza alcun pokémon al seguito, per la prima volta da quando aveva cominciato il suo viaggio di allenatore.
Superò le porte scorrevoli e iniziò ad osservare le facce dei presenti, sperando di riconoscere il volto del suo amico; non perché fosse particolarmente ansioso di rivederlo, ma quanto perché era incredibilmente impaziente di tornare a casa. Si fece strada, seguito da un pesante trolley azzurro tra la folla, che ogni tanto lo guardava stupita e sorpresa, per poi uscire dal grosso edificio irritato per il ritardo che il suo conoscente stava facendo.
Uscì così dall’ “Aeroporto Internazionale Samuel Oak” di Fiordoropoli. Una struttura imponente e vasta, costruita sulla costa di Fiordoropoli. Venne costruito nel decennio precedente, come sostituto del più piccolo “Aeroporto di Fiordoropoli Orientale” per sostenere il grande traffico aereo che subì un incremento a seguito dell’annessione della regione di Hoenn all’interno della Repubblica Federale di Pokémon. L’Aereoporto fu dedicato al Professor Pokémon nel 2014, a seguito della sua scomparsa avvenuta per mezzo di un infarto.
Raggiunse il parcheggio e si sedette su uno dei mattoni che fungeva da divisore, accendendosi poi una sigaretta. Controllava a tempo irregolare l’ora, sul suo Pokégear, l’orologio da polso multi-funzione che la madre gli regalò poco prima di partire per il viaggio di allenatore, quando aveva dieci anni.
Sullo schermo dell’orologio intravide il suo riflesso. Capelli castano scuro, rasati leggermente ai lati e lunghi sopra. Anche i suoi occhi erano castani e le affascinanti labbra di un tenero rosa. Quando partì da Borgo Foglianova, quel lontano 1 Settembre 2001, era un ragazzino magrolino e neanche molto alto. Dopo quindici anni di viaggio e di esplorazione il suo fisico si era modificato radicalmente, acquisendo i muscoli di chi frequenta con costanza una palestra. Ma per quanto questo potesse aiutarlo a far colpo sulle ragazze, non gli interessava esibire e mostrare al mondo gli addominali piuttosto che i bicipiti. Nel tempo libero, quando non era occupato dal suo lavoro, vestiva sempre con felpe ispirate ai college americani, un paio di jeans e scarpe da ginnastica.
Lanciò un’altra occhiata al Pokégear e cominciò a maledire se stesso per aver chiesto a Rosso, l’amico, un passaggio dall’aeroporto a casa. Per Rosso il tempo era una sorta di unità particolare, non definita o precisa: “cinque minuti” a volte consistevano in quaranta minuti del mondo normale.
I due si conoscevano ormai da molto tempo, si erano incontrati per la prima volta sul famoso Monte Argento dove si sfidarono in una battaglia lunga e intensa che vide però il più piccolo dei due, Dream, perdere.
Anche Rosso, come Dream, aveva i capelli e occhi castani, ma a differenza dell’amico, il suo volto era coperto da una corta barba che ne copriva i lineamenti della mascella e parte delle guance.
Rosso proveniva da Kanto, dalla città di Biancavilla ed era diventato Campione della Lega Pokémon della regione di Kanto tre anni prima che Dream partisse per il suo viaggio.
Dream diede un’altra occhiata all’ora e constatò che l’allenatore era in ritardo di quindici minuti. Dopo aver spento la seconda sigaretta e aver avuto una mezza intenzione di accendersene una terza, il suo telefono cellulare vibrò con un messaggio del suo amico che gli comunicava di esser arrivato e di raggiungerlo poco distante da dove si trovava lui in quel momento.
 
«Com’è andato il viaggio?» chiese Rosso osservando con particolare attenzione la portiera della sua macchina.
«Bene, per quanto possa andare bene un viaggio in aereo» rispose il ragazzo chiudendo il bagagliaio della macchina, dove aveva messo il trolley
«Hai ancora paura dell’aereo?»
«Ho paura di ogni cosa che non posso controllare, lo sai».
«Ma smettila di darti un tono – disse Rosso alzando il braccio destro facendo cenno al ragazzo di andar via - muoviamoci che non voglio trovare traffico» disse tirando un leggero schiaffo sulla parte del collo di Dream compresa tra i capelli e il colletto della maglietta.
Dream abitava nel cuore di Fiordoropoli, la capitale della Repubblica. Viveva all’interno di un grattacielo in quella che era la zona più prestigiosa con grandi loft e una visuale che permetteva sia la visione del centro finanziario della città sia sul mare. Per raggiungere il quartiere dovettero prendere l’autostrada che costeggiava dapprima la costa e poi si immetteva all’interno della città tramite un tunnel sotterraneo che gli permetteva di raggiungere i quartieri settentrionali.
«Beh, allora? Non racconti nulla? Com’è Austropoli?» chiese Rosso.
Austropoli era la più grande città di Unima ed era anche il Capoluogo di Regione. Al suo interno si concentravano tutti gli affari finanziari e politici che la riguardavano. Fu l’unica regione repubblicana ad aver avuto la possibilità di mantenere una propria borsa finanziaria indipendente da quella di Fiordoropoli e questo fu possibile solo perché l’allora Governo nazionale di Unima accettò l’annessione solo in cambio di ampie libertà in campo legislativo ed economico.
«Bella, bella, molto bella» rispose Dream continuando a fissare l’oceano e il gran numero di ombrelloni che alla sua destra si muovevano riuscendo a formare un mosaico di colori dinamico, «Sai, è talmente bella che non c’è praticamente niente. Neanche la Kanto dei migliori tempi, la nostra, era così priva di anima. E’ una città che riesce a farti apprezzare tante cose… di altri posti. Dovresti andarci, potrebbe essere uno svago differente dal classico Monte Argento. Il livello del nulla è piuttosto equivalente, anche se Austropoli è pieno di persone…».
Rosso sbuffò in segno di disappunto. Era diventato famoso come "L’allenatore del Monte Argento" e su di lui si raccontavano varie storie, sulla sua squadra e sulle sue incredibili capacità di allenatore. Dream non aveva mai approvato questa sua scelta di entrare in uno stato di eremita e ogni volta che poteva glielo rinfacciava simpaticamente e provocatoriamente.
Due stili di vita completamente diversi i loro. Rosso dopo la grande vittoria alla Lega Pokémon di Kanto, avvenuta nell’Epoca del Rosso e del Blu, decise di ritirarsi sulle pendici del Monte Argento per potenziare la sua squadra ai massimi livelli. Non gli interessava esplorare il mondo, incontrare tutte le specie di Pokémon e catturarle. Dream invece per gran parte della sua vita non fece altro che sfidare palestre, allenatori e ambire a raggiungere i titoli di Campione di tutte le Leghe facenti parte la Repubblica.
Anche caratterialmente erano differenti, il primo era più schivo, timido, meno esuberante, l’esatto contrario di Dream che in più di una volta, nel passato più o meno recente aveva dimostrato di possedere una discreta dose di arroganza, supponenza e una capacità di farsi odiare dalle persone fuori dal comune.
«Dico davvero, Rosso. Non sbuffare… Austropoli è piena di gente buffa… Mangiano sempre nei fast food, anche i pokémon, lo sapevi?»
«Ma dai, è solo un luogo comune…»
«Oh, no, assolutamente. Una volta, ho visto un Pikachu talmente grasso che rotolava per strada piuttosto che camminare, non ce la faceva proprio! Era così carino… gli ho fatto anche un video!»
«Sei semplicemente crudele, lo sai questo?»
«Ma no, caro. Sono semplicemente annoiato». Gli occhi di Dream caddero su una targhetta di metallo attaccata con delle viti al cruscotto, recitava: “Autonoleggio Fratelli Tauros, Olivinopoli”.
 
«A proposito, Rosso, come stanno andando le elezioni?» chiese Dream, abbassando il finestrino ed accendendosi una sigaretta.
Le elezioni politiche avrebbero eletto il nuovo Parlamento e Governo federale. Le urne si erano chiuse prima che il ragazzo prendesse il suo aereo per tornare a casa ed era rimasto completamente all’oscuro dello spoglio.
«Lasciamo perdere, dai», Dream notò una certa rabbia nella voce di Rosso.
«Chi sta vincendo?» insistette Dream.
«Giovanni» rispose in maniera seccata.
«No! Ancora?!»
«Eh...»
«Con quanto questa volta?» chiese Dream incredulo.
«Il 48% circa» concluse Rosso scuotendo la testa in segno di profonda disapprovazione.
Dream sgranò gli occhi. Giovanni, stava per esser riconfermato per la terza volta alla guida del Governo Federale. In passato, Rosso, lo aveva affrontato come capo di un’organizzazione criminale, il Team Rocket, che aveva come principale obiettivo il furto e la vendita sul mercato nero di numerosi pokémon. Quando nel 2001 lo scandalo giudiziario lo aveva quasi colpito, Giovanni decise di entrare in politica attraverso un partito da lui fondato, Repubblica Nuova, totalizzando un buon numero di voti arrivando come il principale partito di minoranza e principale esponente dell’opposizione, rendendosi sostanzialmente immune da un qualsiasi provvedimento cautelare nei suoi confronti. Dal 2001 la sua carriera politica fu una costante ascesa, merito delle sue capacità carismatiche, capaci di manipolare al meglio il linguaggio.
 Sul suo volto, Dream aveva uno sorriso spento, amareggiato: «Tu chi hai votato?».
«Mah, i democratici, te?».
«Meh - inarcò le sopracciglia - non ho votato e se lo avessi fatto avrei votato quelli lì, come si chiamano... i Pokémon 5 Stelle...»
«Meglio allora che non hai votato» sogghignò Rosso.
«Ma sai - Dream tornò a guardare nuovamente fuori dal finestrino cominciando a gesticolare con la mano destra - giusto per portare un po' di casino in Parlamento; sai, farsi quattro risate...»
«Non basta la banda di criminali che abbiamo al Governo?» rispose Rosso, inarcando le sopracciglia e sorridendo incredulo.
«Non è mai sufficiente il divertimento. E poi, coraggio, pensaci: ci poteva andar peggio!»
«Dici?»
«Beh, pensaci… Potevamo esser Europei».
 
Alcuni giri di chiave e la porta blindata si aprì. I due entrarono, e il proprietario dell’abitazione posò il trolley ad una delle colonne, si sgranchì le braccia e poi attivò l’interruttore per alzare le serrande e, con un gesto delicato aprì la porta finestra scorrevole ed uscì sul grande balcone.
Sulla sinistra l’oceano, con il Sole che stava per tuffarsi dentro e riposarsi; a destra le colline che separavano Fiordoropoli dalle Rovine D’Alfa; davanti e sotto di lui una città che lentamente si accendeva, come se non volesse mai scomparire, come se volesse mostrare sempre la sua bellezza.
Un rumore secco, poi vide sfrecciare davanti a sé uno Swellow e uno Staraptor, con a bordo due allenatori che stavano facendo una gara di volo. Respirò a pieni polmoni. L'aria di Fiordoropoli era unica nel suo genere, non c'era nessun posto al mondo che lo faceva sentire così bene, non c'era nessun'altra città capace di farlo sentire a casa così come faceva lei, neanche Borgo Foglianova, dove era nato, mosso i primi passi e cresciuto.
No, era anche merito delle persone. La sua città natale era troppi piena di “paesanotti”, come amava definirli lui, sempre troppo stanchi per una qualsiasi azione che fuoriusciva dalla loro routine. Fiordoropoli era viva, invece. I party abbondavano, così come le persone con cui parlare e conversare amabilmente, condite con sorrisi, falsi complimenti e qualche battuta leggermente acida che lasciava intendere la vera opinione che Dream aveva su determinati individui. Erano poche le persone con cui Dream apriva la propria mente lasciando trapelare i propri giudizi crudeli, e probabilmente era questa sua caratteristica a renderlo simpatico agli occhi solo di determinate persone.
Si sentì improvvisamente punzecchiare alle spalle e si girò con fare scocciato notando, con sua grande sorpresa che la sua squadra al completo era apparsa dietro di lui. Feraligatr, sorridente, era in prima fila, dietro di lui, in maniera piuttosto sparsa comparivano Typhlosion, Meganium, Pidgeot, Espeon e perfino Dragonite.
«Ho pensato che avrebbero voluto vederti dopo un mese di assenza» sorrise Rosso appoggiato alla porta finestra, mentre spiegazzava tra le mani il suo cappello rosso e bianco.
Dream lo ringraziò con lo sguardo.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 02 - Fiumi d'Alcol ***


Capitolo 02 - Fiumi d'Alcol
 
La Luna splendeva alta su quello sfondo blu scuro che era il cielo. Non c’erano nuvole, solo numerosi puntini luminosi che osservavano la frenesia di una città irrequieta, sveglia, fresca.
L’estate era nel suo vivo, lo si vedeva dai numerosi falò sulla spiaggia con i vari ragazzi, universitari, delle scuole superiori, che bevevano e flirtavano tra loro.
Lo si vedeva dai bambini, svegli fino a tardi che correvano e si rincorrevano tra le vie della città, facendo slalom tra i giornalisti di varie nazionalità e le loro telecamere, tutti pronti e sorpresi nel raccontare l’incredibile successo elettorale della forza politica di Giovanni, ex Capopalestra di Smeraldopoli, che aveva vinto per la terza volta le elezioni:
 
«Per il Partito Democratico non è stato sufficiente candidare un poco più che trentenne per raccogliere nuovi voti. Non sono bastati neanche i sondaggi che li davano in leggero vantaggio e non lo è stato neanche ricordare i guai giudiziari di Giovanni per sconfiggerlo. Anzi, il contrario: Repubblica Nuova ha totalizzato il 48,5% dei consensi, un risultato impensabile in un sistema che non è bipartitico. Un dato che fa riflettere, insieme a quello della scarsa affluenza registrata su scala Nazionale.» Diceva una cronista tenendo in mano un microfono e un piccolo foglietto di carta su cui aveva scritto i vari dati da citare durante la diretta.
 
«Dai, muoviti Samuele, non voglio esser sgridato» gridò un bambino con la testa lievemente girata verso destra.
«Uffa, Daniele, aspettami! Son stanco – disse Samuele con voce fortemente affaticata. Si fermò e lo stesso fece il suo Munchalax – Non possiamo fermarci cinque minuti? Ho fame!» piagnucolò chiudendo le mani come per pregare i suoi due amici.
«No!» risposero in coro i due bambini che si erano fermati ad una decina di metri davanti Samuele. Il loro amico cominciò ad incamminarsi lentamente, con un’espressione sofferente. Gli occhi di Daniele e Filippo, fissi sul loro amico si spostarono lentamente alla loro destra, finendo per osservare degli strani movimenti all’interno di un vicolo illuminato giusto da un piccolo lampione da muro che emanava una luce pallida.
Nella viottola erano presenti tre figure umane che brandivano in mano un oggetto nero dalla forma stretta e lunga e lo utilizzavano per colpire in maniera violenta quella che pareva essere un’altra persona, accasciata senza forze per terra.
«Puttana, vediamo se hai ancora la voglia di scrivere merda su di noi» disse qualcuno. Aveva una voce maschile, rauca, piena di livore.
La persona per terra si lamentava e con le ultime forze che aveva in corpo allungò la mano in direzione dei tre bambini, sussurrando un «Aiutatemi». Gli uomini si girarono verso la strada e notarono di esser osservati da quel trio. «Prendeteli!» gridò uno degli aggressori e Samuele, Filippo e Daniele, all’unisono, cominciarono a correre e gridare con tutto il terrore che ebbero in corpo, tanto da far spaventare Espeon di Dream, sdraiato sul terrazzo a decine di metri sopra le loro teste.
Il pokémon si alzò sulle zampe posteriori e posò quelle anteriori sulla ringhiera, curioso di vedere chi lo aveva fatto sobbalzare.
Dream, con la schiena appoggiata al parapetto, gli accarezzò delicatamente la testa, passando le dita della mano sinistra tra il pelo lilla e con lo sguardo fissava, disinteressato, le immagini in televisione che mostravano il discorso che Giovanni stava facendo nella piazza principale della città. Il palco, di medie dimensioni, aveva uno sfondo bianco dove campeggiava il numero “48,5%” scritto con una bomboletta spray di color azzurro. La piazza era gremita di persone che sventolavano in aria la bandiera con il simbolo del partito, mentre i dirigenti si stringevano tra di loro continuando un tripudio di complimenti e congratulazioni per il risultato ottenuto.
Il clou della serata venne raggiunto quando cominciò a parlare Giovanni, Presidente del Consiglio uscente e riconfermato da quelle elezioni. Nessuno, nella storia della Repubblica, era riuscito a venir confermato per più di due elezioni in maniera consecutiva. Quando la figura del Presidente comparì sul palco, un enorme boato con cori da stadio si fece largo tra la piazza:
 
«Ci hanno offeso e insultato. Hanno tentato di ferirci chiamandoci criminali e ora dovranno sopperire sotto il peso di una sconfitta di dimensioni titaniche. Potranno anche dire che sono soddisfatti del risultato, ma saranno solo fandonie, perché gli unici vincitori di questa tornata siamo noi di Repubblica Nuova.
Posso giurare che sarò il Presidente di tutti, e non solo di una fazione della popolazione. Posso garantire che non ci sono preclusioni e che ogni tema, con noi, verrà trattato.
Perciò mi permetto di porgere una mano all’opposizione: o sarete con noi o contro di noi. E come avete visto, esserci contro comporterà solo una scomparsa dolorosa dal radar politico!».
 
«Rosso, Rosso, ricordami un po’, perché non siamo entrati nel Team Rocket?» chiese Dream lasciando il balcone e camminando verso il tavolo dove i due avevano cenato poco prima.
«Perché… non so. Perché erano criminali?» rispose l’amico che aveva lo sguardo fisso sulla bacheca dei trofei di Dream.
«Erano? E che cosa sono ora?» domandò con un sorriso beffardo sul volto, mentre si accingeva a prendere due bicchieri di vetro e una bottiglia di grappa da una vetrina proprio posizionata nella parete opposta a quella della bacheca.
«Beh, ora sono fascisti! Ah, per me niente, parto stanotte, voglio essere lucido».
«Ma sai – disse mentre mise a posto uno dei due bicchieri – fascisti, criminali, che differenza fa? Non sono della stessa stirpe? Dovevamo accettare quando ce lo proposero, ora saremmo lì, su quel palco. Io Ministro della Giustizia, tu degli interni. O io Ministro della Verità e tu dell’Amore, saremmo pieni di soldi! A proposito, cosa stai fissando?» Dream portò il bicchiere alla bocca e cominciò a sorseggiare il drink.
«Perché, adesso sei povero?» chiese Rosso sorridente.
Dream sorrise, appoggiò il bicchiere sul tavolo e si sedette su una delle sedie. Agguantò il coperchio di un oggetto metallico di forma cilindrica e lo sollevò, mostrando un porta-sigarette che ne conteneva almeno una sessantina. Ne prese una, la infilò tra le labbra e poi si allungò sul tavolo, afferrando l’accendino; infine si avvicinò la bottiglia di grappa e il posacenere.
«Ah, non te l’ho raccontato questo. Anche Unima ha la sua banda criminale che va in giro vestita con abiti di cattivo gusto assaltando le persone meglio vestite, il Team Plasma.» disse Dream alzando il bicchiere verso l’amico.
«E tu lo hai incontrato?»
«Oh, avanti, Dunsparce è un pokémon inutile?».
 
Dream camminava in Via della Moda ad Austropoli, osservando curioso le vetrine illuminate e addobbate per la notte bianca.
In quell’insieme di luci, le stelle nel cielo erano invisibili e la Luna si nascondeva dietro qualche immenso grattacielo che inghiottiva porzioni della volta celeste. Le strade erano gremite di persone che camminavano lentamente, osservando e talvolta entrando nei negozi, mettendo mani ai portafogli e lasciando scorrere il candido denaro da una mano all’altra. Nonostante la forte crisi che attanagliava le altre regioni, Unima era quella più ricca e queste serate incrementavano di molto le entrate dei negozi della città.
Dream si soffermò osservando un collier di diamanti e zaffiri in una piccola boutique che vendeva vestiti e accessori di lusso. Era incantato dalla magnificenza di quell’oggetto quando sentì qualcuno che da dietro si strinse a lui e gli chiuse la bocca con una mano. Aveva le braccia ricoperte da un guanto rigido di color grigio che terminava a metà avambraccio, lasciando intravedere una sorta di maglia, di pelle lucida.
Gli venne puntato un coltello alla tempia e sentì la persona avvicinarsi lentamente all’orecchio e sussurrare: «Non fare stronzate e forse andrà tutto bene».
Lo tirò verso l’entrata nel negozio dove altri due uomini stavano tenendo il personale sotto tiro con pesanti fucili. Appena Dream e il tizio che lo teneva in ostaggio entrarono, le serrande della boutique si chiusero impedendo ai passanti di osservare cosa stava succedendo al suo interno.
Fu solo con uno specchio davanti, che Dream riuscì a intravedere il suo rapitore. Indossavano tutti e tre stivali  e una sorta di armatura che proteggeva il capo e la nuca dello stesso colore dei guanti, e anche il materiale pareva essere il medesimo.
Infine, una sorta di tunica bianca, stretta alla vita con una cintura elastica, con uno scudo ricamato al centro con le lettere “P” e “Z” colorate di blu.
«Okay gente – disse l’uomo al centro del salone – io sono Gabrius e il compagno alla mia sinistra è Darius. Quello invece che sta tenendo quel ragazzo stretto a sé si chiama Giovannius.»
Dream inarcò le sopracciglia perplesso per i nomi dei tre rapitori, tentando, a fatica, di osservare meglio cosa stava accadendo attorno a lui.
C’erano un uomo anziano e due signorine, tutti e tre molto ben vestiti, sdraiati con le braccia aperte sul pavimento che tremavano palesemente dalla paura.
«Noi – proseguì Gabrius – Non siamo qui per rapinarvi o uccidervi. Noi siamo qui per rubare i vostri pokémon. Quindi, uno ad uno ci darete i vostri compagni.
Prima tu, vecchio!»
Con un lieve calcio, Darius fece alzare l’anziano signore, proprietario del negozio e gli strappo dalla sua cintura le due Pokéball che possedeva. Fece la medesima cosa con le due giovani commesse che scoppiarono a piangere quando le sfere poké finirono all’interno del sacco di stoffa che Darius stringeva nella mano sinistra.
«Giovannius, pensa al tuo amico ora» ordinò Gabrius continuando a puntare l’arma da fuoco contro i lavoratori.
L’uomo prima annuì poi si avvicinò nuovamente all’orecchio destro di Dream, sussurrando: «Hai sentito? Dammi tutti i tuoi pokémon…».
Dream cominciò a parlare, riuscendo ad emettere solo qualche verso incomprensibile a causa della mano che gli bloccava la via orale.
«Giovannius, coraggio. Lasciagli la bocca e sentiamo che cosa vuole!» disse con un filo di esasperazione nella voce Gabrius.
Immediatamente l’uomo liberò Dream dalla presa che fece un paio di passi in avanti guardando con puro terrore colui che lo aveva tenuto stretto fino a quel momento.
«Io non ho pokémon, cretini!» gridò Dream fuori di sé.
«Tutti hanno dei pokémon, quindi dacci i tuoi» pronunciò Giovannius, con uno sguardo che lo rendeva più simile ad uno stupratore seriale che ad un ladro di pokémon.
«Io non ne ho dietro. Non sono un allenatore e non sono neanche di questa regione, a dirla tutta. I miei pokémon sono a Johto e non posso importarli qui»
«E per quale motivo non puoi?»
«Perché c’è una legge regionale che impedisce di importare i pokémon dalle altre regioni a meno che non si è partecipato alla Lega Pokémon di Unima. E non essendo un allenatore, i miei sono rimasti a casa».
«Ha ragione» disse il proprietario del locale, chiudendo gli occhi temendo una qualche conseguenza per aver osato proferire parola.
«E quindi che cosa facciamo di lui?» chiese Giovannius preoccupato per lo sconvolgimento del piano.
«Lo facciamo fuori!» suggerì Darius puntandogli contro il fucile.
«Ma non rompetemi il cazzo!» disse Dream lanciando in aria le mani, riabbassandole poco dopo «A me fa pure cagare questa città. E’ quanto di più brutto che l’uomo potesse concepire. Dopo le vostre vesti, s’intende». I tre si guardarono negli occhi, con espressioni piuttosto sorprese per la reazione di quel ragazzo. Non avevano alcuna idea di come agire e quale piano d’azione fosse meglio seguire. Notata l’incertezza, Dream riprese la parola: «Facciamo un patto e lo facciamo alle spalle di questi poveri tizi a terra il cui unico scopo è portare a casa la pagnotta a carico di quelli che sono pieni di soldi.
Voi mi lasciate andare e ve ne andate non torcendo un capello a nessuno di noi. Io, in cambio, manderò un articolo alla mia direttrice. Sono un giornalista, scrivo per “Il Corriere di Fiordoropoli”. Ditemi per che cosa combattete e domani o dopo sarete in prima pagina sul giornale. Avrete ottenuto i pokémon e la fama. E in questi tempi che cosa è più importante dell’essere famosi?» disse Dream con un lieve sorriso, schioccando le dita della mano destra. Il suo carisma, e la sua spiccata capacità di prendere iniziative nascondeva un ben più profondo terrore di poter essere ucciso. Voleva uscire al più presto dalla boutique e voleva farlo sulle sue gambe. Il piano del giornale gli sembrò il più congeniale, considerando che mai, nella regione di Johto aveva sentito parlare di questi strambi tizi.
I tre criminali si consultarono, poi Darius aprì le serrande del negozio, e Giovannius aprì la porta, uscendo. Darius lo seguì e l’ultimo a lasciare la boutique fu Gabrius: «Noi siamo il Team Plasma, un’organizzazione benefica che vuole liberare i pokémon perché gli esseri umani non ne sono degni. Combatteremo e vinceremo questa guerra, costi quel che costi!». La porta si chiuse e i tre si amalgamarono nella folla.
 
«Non avevi nessun pokémon dietro?» domandò Rosso aggrottando la fronte, «Quante medaglie hai preso ad Unima?»
«Mmh, nessuna» rispose Dream indifferente, versandosi nel bicchiere ancora un po’ di alcool.
«Cosa?! Perché? Pensavo che saresti tornato lì per la Lega!”
«Ma no, ma no, assolutamente… Chi me lo fa fare» in un solo sorso mandò giù il drink, poi proseguì: «Nettare degli dei… Sei sicuro di non volerne?».
Rosso fece finta di nulla, proseguendo il suo terzo grado nei confronti del pluri-Campione: «Ma perché?! Già che c’eri… tanto quanto ci avresti impiegato? Un mesetto? Hai passato un mese ad Austropoli, lo avresti dovuto impiegare per girare la regione! Voglio dire, non sei nuovo a questo genere di cose.»
Dream scosse la testa, cercando di trovare dentro di sé le parole giuste per spiegarsi. I drink avevano cominciato a fare effetto e la mente stava iniziando ad esser un po’ confusa. Era un mese che non posava le labbra su qualcosa di alcolico: «Rosso, vedi, il punto fondamentale è che mi sono accorto di essere un allenatore mediocre, tutto qui. Non sono niente di eccezionale. Ho delle capacità piuttosto comuni, piuttosto normali. Niente di incredibile, niente di introvabile. C’è un sacco di gente lì fuori più capace di me, più brava e non hanno certo paura a rinfacciartelo o a dimostrartelo».
«Allenatore mediocre? Scusa?! Ma l’hai vista? – Rosso indicò la bacheca con un’espressione di pura incredulità – Giusto per ricordarti che cos’hai qui dentro:
 
Campione Lega Pokémon di Johto – 2001, Epoca dell’Argento e dell’Oro
Campione Lega Pokémon di Kanto – 2001
Campione Lega Pokémon di Johto – 2002, Epoca del Cristallo
Campione Lega Pokémon di Hoenn – 2003, Epoca dello Zaffiro e del Rubino
Campione Torre Colossale della Regione di Auros – 2004, Epoca del Colosseum
Campione Lega Pokémon di Kanto – 2004, Epoca della VerdeFoglia e del RossoFuoco
Campione Lega Pokémon di Hoenn – 2005, Epoca dello Smeraldo
Campione Lega Pokémon di Sinnoh – 2007, Epoca del Diamante e della Perla
Campione Lega Pokémon di Johto – 2010, Epoca del SoulSilver e dell’HeartGold
 
Inoltre, “Certificato per aver conseguito alla registrazione e alla cattura di tutte le specie pokémon presenti sul territorio della Regione di Hoenn” e per non dimenticare il “Attestato per la pubblica utilità per aver aiutato lo scioglimento della cellula criminale nota come Team Rocket sul suolo della Regione di Johto” e senza dimenticare che hai partecipato attivamente a sgominare il Team Idro, Magma e Galassia. Dream, tu sei un allenatore valido.»
Il ragazzo, sentita la lista di premi sbuffò scuotendo la testa: «Il Trofeo di Kanto del 2001 non vale poi così tanto, lo sai come funziona : il premio più prestigioso è quello…»
«…quello che ti consegnano quando viene dichiarata aperta un’epoca, lo so. Sono stato anche io campione della Lega Pokémon, una volta. Tu però hai sempre vinto la Lega Pokémon quando l’epoca veniva inaugurata. Sempre e non una sola volta, ben otto volte. Quindi, caro Dream, di che cosa stai parlando?».
Un “Epoca” era un evento che riguardava una determinata regione per un periodo di tempo generalmente non superiore ad un anno. Scelta dal Governo federale, durante tale periodo un gran numero di allenatori, specie i più forti, si recavano nella regione prescelta per partecipare alla Lega Pokémon. Le Palestre venivano ristrutturate fornendo nuove esperienze agli allenatori e anche le città subivano grandi cambiamenti. Proprio per il gran numero di partecipanti era consuetudine considerare la Lega Pokémon di una specifica epoca un premio superiore rispetto a quelli che invece si conseguivano normalmente. Quell’anno, ad esempio, era stata inaugurata l’Epoca del Bianco e del Nero e avrebbe riguardato la regione di Unima. Non a caso, ad Austropoli, Dream incontrò molti allenatori che sfidò in altre occasioni.
 
Ci fu un po’ di silenzio, Dream guardava il bicchiere vuoto sconsolato, Rosso lo osservava come se stesse interrogando un importante criminale e lui era il detective a capo dell’operazione.
«Non mi guardare così – sussurrò il padrone di casa sbiascicando leggermente – lo sai che non lo sopporto. Comunque, parlando d’altro, domani indovina chi devo intervistare» disse cominciando a tamburellare le mani sul tavolo.
«Ancora con la storia del giornale? Non l’hai ancora finita?»
«E’ un lavoro serio, importante e mi da delle grandi soddisfazioni».
Rosso scosse la testa: «Vabbeh, chi devi intervistare?».
«Il Campione della Lega di Johto, quello che ha vinto due giorni fa».
«Oh… Alexei Know?»
«Sì, mi pare…» disse Dream inclinando la testa un po’ a destra e un po’ a sinistra.
«Come ti pare?» chiese incredulo Rosso.
«Sì, sai, proprio non lo ricordo. Ho visto le sue battaglie in aereo, mentre tornavo a casa, sul tablet. E’ stato così noioso... Io sarò anche mediocre, eh, ma lui mi batte alla grande.» disse continuando ad ondeggiare da un lato e l’altro della sedia.
«Se ti annoia perché lo intervisti?» fece Rosso, incrociando le braccia e osservando curioso l’amico brillo.
«Perché la direttrice mi ha detto: o intervisti lui o intervisti Giovanni e sai, Rosso, ho 25 anni, non ho alcun interesse di finire in carcere… ho preso il meno peggio » e alzò le spalle in segno di indifferenza.
«Una volta…» ma fu immediatamente interrotto,
«Una volta era una volta, ora non ho proprio voglia di assumermi rischi inutilmente. Non mi prenderei il rischio di catturare neanche un Rattata, figurati. – controllò l’ora sull’orologio a muro a forma di Noctowl shiny – Si è fatta una certa, andrei a dormire… - battè due volte le mani e poi si mise a parlare ad alta voce – Belli, è ora di dormire! Su in stanza, coraggio.»
I due ragazzi osservarono compiaciuti i sei pokémon che in fila indiana si misero a salire le scale a chiocciola sul lato destro dell’appartamento che portava alla grande stanza adibita a camera da letto per loro.
Dream poi alzò la mano in segno di saluto nei confronti di Rosso: «Lì c’è il divano, lì c’è il pc nel caso volessi cambiare, prelevare o depositare qualche pokémon o strumento, fai pure come se fossi a casa tua e chiudi la porta, mi raccomando» e si avviò verso la porta della camera.
«Hey, Dream, aspetta un attimo» pronunciò l’amico alzando la mano destra per attirare l’attenzione.
«Cosa c’è?» si girò scocciato Dream, appoggiando la testa al muro.
«Lo sai che cosa ha detto Alexei Know ai cronisti, appena finita la Lega?»
«Mi deve interessare?» rispose sottovoce.
«Gli hanno chiesto: “Il Corriere di Fiordoropoli ha già fatto sapere che intervisterà il Campione, cioè te. Sei emozionato dall’incontrare un grande Campione del passato, Dream?”. Lui, candidamente, ha risposto: “Dream? Non conosco questo Dream. E’ per caso l’uomo delle pulizie del campo di battaglia?” ».
Dream si fermò, si grattò con la mano destra la nuca e lentamente la lasciò scorrere sul collo, arrivando poi a toccarsi il mento.
«Ha detto davvero questo?» chiese serio.
«Mai stato così sincero…» rispose Rosso, conscio del fatto di aver svegliato il leone all’interno dell’amico. Il cuore di Dream cominciò a pulsare e i suoi muscoli, specie quelli del collo, diventarono più rigidi per la tensione.
«Domani, Rosso, il mondo intero assisterà al suicidio del neo-Campione di Johto. Una morte lenta, dolorosa, quasi agonizzante. Tutti questi giovanotti senza capo né coda capiranno che l’unica cosa di cui devono avere paura è di me. Non del Governo, non della polizia, ma del sottoscritto… Io sarò anche poco capace, ma nessuno, dicasi nessuno, si può permettere di sbeffeggiare il mio lavoro.», girò sui talloni e aprì la porta della sua stanza, venendo ancora chiamato dal suo amico.
«Le chiavi, vero?».
«Già, se devo uscire presto domani devo avere la possibilità di chiudere la porta…».
Dream strizzò gli occhi, schioccò le dita della mano destra e si frugò nelle tasche dei pantaloni: «Giusto, giusto, ecco, tieni – e le lanciò in mano all’amico – poi mettile pure nella cassetta della posta o lasciale pure al maggiordomo, quello che sta al piano terra.»
«Il maggiordomo? Intendi il custode?» chiese inarcando le sopracciglia con voce perplessa
«Sì, sì, il custode, notte!» disse senza neanche voltarsi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 03 - L'Intervista ***


Capitolo 03 - L'Intervista
 
«Oh, accidenti!» imprecò Dream sottovoce. Per quanto stesse mettendo sottosopra le tasche dei suoi pantaloni il suo accendino non si faceva trovare. Disperso, scomparso nel nulla o più semplicemente lasciato a casa.
«Typhlosion, da bravo, accendi» disse portando davanti la bocca del proprio pokémon la sigaretta che teneva poco prima stretta tra le labbra. Il Vulcano aprì leggermente la cavità orale e fece uscire una piccola fiammella che illuminò la cicca.
Inspirò il fumo chiudendo gli occhi e poi li riaprì facendolo uscire dalla bocca, osservando il grande viale davanti a sé, completamente svogliato per il lavoro che avrebbe dovuto svolgere di lì a poco.
Mano sinistra nella tasca dei pantaloni, indice e pollice della destra reggevano la sigaretta che teneva in bocca, dietro di lui Typhlosion lo seguiva fedelmente.
Il quartiere meridionale di Fiordoropoli, chiamato comunemente “Il Mercato”, era una zona dove le lancette del tempo non si erano mai mosse, l’industrializzazione della seconda metà del Novecento e l’innovazione finanziaria non avevano interessato la zona. Era un sobborgo popolare, lontano culturalmente dalla Fiordoropoli dei party notturni, grandi loft, yuppies e auto di lusso. Il Mercato era il quartiere più antico della Capitale, qui i primi cittadini, duemila anni prima, avevano messo le radici per la grande città e proprio per questo era una zona dove i luoghi di culto erano numerosi e di grande importanza storica.
Le vie principali avevano la caratteristica di esser larghe e al posto del grigio asfalto, erano composte di grandi lastre di marmo lucido, quasi pericoloso per l’equilibrio dei passanti. Non mancavano però vicoletti, illuminati alla bell'e meglio e costruiti tra una palazzina e l’altra.
Abitazioni non più alte di tre piani costruite con la pietra, di colore chiaro.
Quando il Sole brillava alto nel cielo, proprio come quella mattina, era impossibile non farsi pervadere da un senso di ottimismo, allegria, oltre a subire una qualche strana influenza che portava anche la più nervosa delle persone ad esser tranquilla.
 
«Typhlosion, lo senti l’odore del pane appena cotto?» chiese Dream camminando lentamente.
Il pokémon si fermò per qualche istante, annusò l’aria e annuì, poi recuperò la distanza con il suo allenatore, «Vedi Typhlosion, quando io ero piccolo e abitavo a Borgo Foglianova, la mattina quando raggiungevo la fermata dell’autobus, passavo per il centro storico, e in una delle piccole vie, molto più piccole di questo viale, c’era una panetteria che con il pane  appena cotto inondava la piazza del paese con il suo odore. Bastava annusarlo per esserne soddisfatti.».
Non era una persona particolarmente nostalgica dei posti della sua infanzia. Nella sua lista delle cose che gli mancavano di quando era piccolo, Dream inseriva giusto qualche festeggiamento natalizio o compleanno, niente di più. Dopo aver intrapreso il suo viaggio di allenatore, i suoi rapporti con la sua famiglia, genitori esclusi, si erano quasi del tutto estinti. Non li aveva mai sopportati tanto, essendo il più piccolo era bersaglio delle battute più squallide di tutti gli zii e zie. “Io sorrido, ma in realtà le odio queste persone” scrisse come didascalia sul retro di una vecchia foto di gruppo con i parenti paterni.
L’odore del pane cotto era forse l’unica cosa che gli mancava davvero di Borgo Foglianova. Non la Scuola per Allenatori e neanche i vecchi amici con cui passava i pomeriggi a giocare.  Una nostalgia forse provocata dalla rarità nel poter sentire un odore così particolare, difficilmente apprezzabile nelle altre parti di Fiordoropoli.
 
I due camminarono per un’altra manciata di minuti, poi si fermarono ad una panchina, posta sotto un grande albero dentro un parco.
Un verso di un Altaria squarciò il cielo e il silenzio tombale. Una figura nera cominciò a volteggiare per aria, con grazia e classe. Atterrò a pochi metri dal ragazzo, che si alzò dalla panchina per raggiungerlo. Nel becco teneva il manico di una piccola valigetta rossa laccata. Lo riconobbe subito, era Altaria di Christian, un collega a cui aveva chiesto un favore quella mattina stessa.
Aprì la piccola valigetta e ne estrasse un plico di fogli contenuti in una cartelletta di plastica azzurra.
 
Ho fatto del mio meglio, dopotutto non avevo molto tempo. Mi raccomando, non esser troppo crudele, non serbare rancore :* “ recitava il primo foglio. Quelli successivi erano ricolmi di informazioni personali su Alexei Know e sulla sua famiglia.
«Altaria caro, porta i miei più grandi ringraziamenti al tuo allenatore».
Il Pokémon Drago-Volante abbassò la testa simulando un inchino e poi con un paio di balzi in avanti, spiccò il volo perdendosi nell’azzurro del cielo.
 
«Alcuni lo chiameranno “dossieraggio”, Typhlosion, io la chiamo “preparazione su chi andremo ad intervistare”» disse sorridendo mentre leggeva determinate informazioni private sul neo-Campione.
«Il padre si trova attualmente nel carcere di massima sicurezza dell’Isola Cannella per essere stato affiliato e sorpreso in flagrante mentre preparava un attentato alla Motonave Anna.
La madre è stata processata e condannata ai lavori socialmente utili per resistenza a pubblico ufficiale mentre la polizia arrestava il marito e invece... interessante, il fratello maggiore è attualmente a processo per diffamazione. Ha accusato alcuni politici e imprenditori di far parte della setta degli Illuminati. Non male come quadretto familiare. Mi piace questo Alexei Know, sarà interessante intervistarlo».
Rimasero in silenzio ad ascoltare il vento che dolcemente muoveva le foglie degli alberi e ad osservare un paio di Pichu che correvano da una parte all’altra ridendo tra loro.
«Typhlosion – disse Dream controllando quante sigarette erano rimanenti nel pacchetto – ma dimmi un po’, hai dormito bene questa notte?», il pokémon annuì, «E sei stanco?» il Typhlosion fece di no con la testa.
«Beato te – rispose ponendo il pacchetto di sigarette nel taschino in alto a sinistra della camicia bianca - io sono stanco assai, me la farei una bella dormita qui sopra» e sorrise amaramente.
Lanciò in aria le mani per sgranchirsele, poi fece altrettanto con le gambe. Mandò la testa indietro, chiuse gli occhi. Era stanco, nonostante fosse solo mattina e non era neanche colpa del troppo alcool della mattina prima. Erano giorni che si sentiva senza forze, con la testa pesante.
Si abbandonò alle forze della natura, in balia di una leggera brezza che agitava le foglie degli alberi.
Aveva forse esagerato con Rosso, la sera prima? Gli altri allenatori dovevano davvero aver paura di lui? Non allenava la sua squadra da due anni minimo, tantomeno non combatteva una battaglia da ancora più tempo. Però lui aveva la cultura e l’esperienza sul campo necessaria per riconoscere un buon allenatore da uno che sostanzialmente fingeva di avere capacità che non gli appartenevano realmente. E ancora prima di intervistare Alexei, ancora prima di poterci parlare a quattr’occhi, già aveva un’idea su chi si trovasse davanti. Una persona capace non aveva bisogno di insultare o fare battutine acide chiamando gli altri Campioni «uomo delle pulizie del campo di battaglia», dimostrando uno scarso rispetto per lui e per le imprese di pulizie in generale. Il tipo di intervista da condurre l’avrebbe decisa sul momento, su come si sarebbe comportato con Alexei aveva già deciso.
 
 Il flusso di pensieri fu interrotto da una gran folla che braccava e circondava qualcuno. Aprì gli occhi e notò che il baccano proveniva da un gran numero di fotografi e giornalisti, con telecamere e microfoni in mano che facevano una serie di domande a gran velocità.
«Allora, è contento del risultato elettorale?» chiese una donna.
«Nessuno ha mai preso un risultato così importante alla prima tornata elettorale, come interpreta questo dato?» disse un’altra.
«Alcuni dei Parlamentari hanno gridato ai brogli, un'accusa pesante, lei cosa ne pensa?» si fece avanti un uomo.
Dream portò in avanti leggermente la schiena e mise le mani, unite fra loro, tra le ginocchia e osservò attentamente il circo mediatico.
«Siete fantastici, voi giornalisti siete fantastici» ripeteva in continuazione l’uomo al centro palesemente scocciato.
Quella voce, il ragazzo, l’aveva già sentita da qualche parte, aveva un accento particolare, non era di Fiordoropoli, quello era chiaro, ma neanche di Johto, sembrava tanto un accento di Hoenn centrale.
«Dai, Shiftry, allontana un po’ sta gente» annunciò con lo stesso tono di prima.
Si sentì un rumore secco e poi tutti i giornalisti si allontanarono comprendone gli occhi, il pokémon aveva cominciato a lanciare raffiche di vento contro i giornalisti.
Fu in quel momento che Dream riuscì a vederlo: Walter, Capopalestra della città di Ciclamipoli, Hoenn, attualmente leader del partito politico “Pokémon 5 Stelle”, arrivato secondo alle elezioni che si erano tenute il giorno prima.
L’uomo indossava occhiali da sole ed era ben vestito, con abiti di eleganti e pregiati. Alle sue spalle due uomini in giacca e cravatta, muscolosi, indossanti un paio di occhiali da sole, i suoi bodyguard.
«Osservalo, Typhlosion, quello è un uomo che vive in povertà assoluta». Il pokémon Fuoco osservò il proprio allenatore perplesso, «Eh, già. Non sei l’unico ad esser così stupito...».
Quando il pokémon Erba-Buio smise di agitare i propri arti superiori, permettendo al Capopalestra di proseguire con il proprio cammino, gran parte dei giornalisti tornarono a porgli domande insistendo per ottenere delle risposte, che l’uomo diede a spizzichi e bocconi.
«Non abbiamo perso, noi abbiamo assolutamente vinto» disse Walter mostrando un sorriso a trentadue denti.
«Ma come, Walter, avete preso meno di Repubblica Nuova!» fece notare un giornalista con un registratore in mano.
«In realtà abbiamo aumentato i nostri voti su base federale del venti percento, giornalaio!» fece notare il politico leggermente stizzito.
«Certo, ma è anche la prima volta che vi presentavate alle politiche. E’ abbastanza fuorviante fare paragoni con dati inesistenti in precedenza».
«Ma sai cosa ti dico? Ma vaffanculo!» cominciò a gridare Walter, chiedendo alle sue guardie del corpo di allontanare il giornalista con un cenno della mano.
Gli uomini si avventarono sul giornalista acciuffandolo per le spalle e spingendolo con forza in mezzo alla strada.
 
L’ex allenatore e il suo pokémon attesero che il circo si spostasse del tutto, poi raggiunsero, sempre con molta calma, la Piazza del Mercato, dove, seduto ad uno dei tavolini del bar, li stava aspettando Alexei Know, il campione della lega di Johto.
«Buongiorno – disse Dream sedendosi al piccolo tavolino del bar – io sono Dr...»
«Oh, non importa chi lei sia» interruppe prepotentemente Alexei. Non lo guardava neanche in faccia, i suoi occhi erano posati sull’accendino e la sigaretta che si stava accendendo.
Dream si sedette sorpreso e irritato, ma provò in tutti i modi a reprimere la rabbia, «Il mio quotidiano, “Il Corriere di Fiordoropoli”, le manda i più sinceri auguri per la sua vittoria e si dice molto entusiasta che lei abbia scelto noi come prima vera intervista.» disse sorridente Dream, «E anche io mi dico felice per avere la possibilità di intervistare il Campione della Lega di Johto» mentì spudoratamente.
Alexei inspirò il fumo della sigaretta e lo buttò fuori facendolo finire in faccia al giornalista. Alexei lo guardava come se bramasse una sfida, mentre Dream era piuttosto indifferente. Prese dal taschino dei suoi pantaloni un taccuino e una penna e incominciò a segnare alcuni appunti.
«Io ho diciassette anni, non posso fumare, lo sa?».
«E quindi...?» chiese Dream alzando il sopracciglio destro.
«Pensa di scrivere che sto infrangendo la legge?».
«Stia tranquillo, alle persone non interessano queste sciocchezzuole. La prima volta che mi intervistò un quotidiano non sportivo tentarono di puntare l’attenzione sulle mie abitudini sregolate. Inutile dire che fu un intervista tutt’altro che esaltante, ma piuttosto mediocre. Quindi direi di concentrarci su cose più interessanti...».
Sul volto di Alexei si formò una piccola smorfia, a malapena impercettibile, «Ha visto in diretta le battaglie della Lega Pokémon?» chiese.
«Mmh, no, a dire il vero no» rispose Dream osservando distrattamente il cielo, «Anzi, sarò proprio sincero, non guardo la Lega Pokémon da molti anni».
«Quindi non ha visto le vittorie di Alexei Know?»
Dream lo osservò nuovamente perplesso. Questo suo continuare a parlare in terza persona non solo lo rendeva più fastidioso ai suoi occhi, ma anche più ridicolo. Senza distogliere lo sguardo dal suo interlocutore le mani cominciarono a sfogliare il blocco notes, alla ricerca di una determinata pagina su cui aveva già scritto alcuni appunti. Abbassò lo sguardo controllando di aver selezionato il foglio corretto e cominciò a leggerlo tra sé e sé, mentre contemporaneamente continuava a parlare con Alexei: «No, in realtà le ho viste le sue battaglie, in aereo, mentre tornavo a casa ieri. Me le sono registrate...
Quindi… quindi lei ha parte…»
Alexei lo interruppe nuovamente, in maniera brusca: «E le sono piaciute le vittorie di Alexei?» chiese socchiudendo gli occhi e pronunciando la bocca.
Dream lo scrutò per un momento. Bandana azzurra con un teschio bianco disegnato sopra, sullo stile di quelle indossate dai membri del Team Idro, un’organizzazione criminale che operò nella regione di Hoenn tra il 2003 e il 2005 e sconfitta grazie alla partecipazione di Dream e di altri allenatori.
Un ciuffo di capelli rossi che scendevano sulla fronte, pelle molto curata e liscia, un naso dalla forma aggraziata e tendente leggermente verso l’alto, occhi chiari.
«A tratti.» rispose seccamente il giornalista. In realtà aveva trovato lo stile di battaglia di Alexei piuttosto mediocre, costruito a tavolino.  Secondo il suo parere, Alexei aveva guadagnato la vittoria solamente perché era meno scarso degli altri, non perché fosse davvero capace.
«Dicevo, lei ha partecipato con…» tentò di parlare Dream con un tono piuttosto professionale.
«Due sweeper quali Gyrados e Lucario, uno spiker, Frolass, un pokémon defog, Scizor, un revenge killer quale Jolteon e infine un filler ovvero Swellow» rispose interrompendo nuovamente, finendo poi con un arrogante sorriso sul volto.
«Oh, quanti paroloni! Era da molto, moltissimo tempo che non sentivo parlare con un tale tecnicismo e mi creda – continuò Dream con un sorriso sorpreso – è sempre bello trovare qualcuno che ne capisca di queste cose.
Ma purtroppo io scrivo per una rubrica che possiamo definire popolare, no? Quindi, potrebbe spiegare ai nostri lettori che cos’è esattamente un pokémon... un pokémon “Defog”? Quale è la sua funzione?». Dream incrociò le gambe e si preparò con la penna sul taccuino pronto a descrivere nei minimi dettagli la reazione del ragazzo a tale domanda.
 «Sta cercando di testare la mia preparazione?» il sorriso sul volto era scomparso, c’era invece una smorfia di disappunto e la voce era diventata leggermente nervosa.
«Ma no, niente affatto! Io credo che il principale problema di questo Paese sia che ci sono determinate elite che utilizzano un certo linguaggio incomprensibile ai più. Rompiamo questi tabù, apriamoci al mondo! Apriamoci alla signora settantenne che compra il quotidiano assieme ad un litro di latte! Quindi, io glielo sto semplicemente chiedendo, che cos’è un pokémon “Defog”?».
Lo sguardo di Alexei cominciò ad attraversare in maniera irregolare vari punti del locale. Dream fece finta di nulla, notando che l’aria era diventata elettrica. Il Neo-Campione spense la sigaretta con la mano che tremava e la infilò tra le gambe accavallate.
«Perché non parliamo di come io abbia subito dei traumi, quali l’abbandono di mio padre, arrestato ingiustamente?».
«Ingiustamente? Suo padre è stato colto in flagranza di reato mentre piazzava bombe al Porto di Aranciopoli, non è esatto il termine ingiusto, in questo contesto, signor Alexei. E comunque di disgraziati ne è davvero pieno il mondo, gente che ha subito le peggio tragedie e che poi ambisce a diventare qualcuno... Questo non è Glee o un qualsiasi musical di serie B di Broadway, questa è la vita reale e dei miracolati ci interessa davvero, davvero poco. Quindi, perché ammorbare i nostri lettori con storie trite e ritrite, con tutto il rispetto parlando, e non ci mettiamo a definire il termine “Defog”?».
«Dovreste testare la preparazione dei politici, non di Alexei, Campione della Lega Pokémon!» rispose gridando e picchiando il pugno sul tavolo.
«Certo – ribatté pacatamente Dream – sono assolutamente d’accordo con lei. D’altro canto non ero io, ieri, sul palco assieme al Presidente del Consiglio, ma lei. Quindi queste sparate populiste le lasciamo alle trasmissioni televisive dove magari riesce a strappare qualche applauso facile-facile. Inoltre, io, non sono il corrispondente politico del giornale presso cui lavoro, ma mi duole ripeterle che io mi occupo di cultura e le persone che leggono i miei articoli adorano conoscere cose nuove. Quindi, che funzionalità ha quel tipo di pokémon?».
«Alexei è il Campione e Alexei non deve spiegare proprio nulla».
Dream inarcò le sopracciglia e guardò per qualche istante Typhlosion, impegnato a guardare sorpreso l’acqua che usciva dalla fontana. Gli venne in mente una canzone di Lana del Rey, “Brooklyn Baby” nel momento in cui diceva:
«You never liked the way I said it
If you don't get it, then forget it
Cause I don't have to fucking explain it».
Cominciò a cantarla distrattamente sottovoce, mentre desiderava, come mai fino a quel momento, di potersi trasformare in un pokémon e cominciare a correre felice tra i prati o nel volare libero nel cielo azzurro, piuttosto che continuare a condurre quello strazio di intervista.
«Che cosa significa per lei essere un Campione?» chiese Dream. Non sapeva esattamente dove sarebbe riuscito ad andare a parare. Era una domanda inaspettata, neanche studiata, ma l’istinto gli disse di prendere quella via. E lo fece.
«Per me essere Campione è il coronamento di una vita fatta di grandi sofferenze. E’ il raggiungimento di tutti quegli obiettivi che mi ero prefissato quando sono uscito dalla Scuola per Allenatori», rispose con uno sguardo quasi sognante.
«E che cosa pensa degli altri Campioni?».
«Sinceramente mi interessano poco. Io vivo nella mia luce, non in quella degli altri.».
«Quindi insomma, il suo comportamento strafottente nei confronti del sottoscritto non è perché si sente superiore in quanto Campione ma si sente superiore in quanto Alexei Know, è corretto?» il giornalista sorrideva provocatoriamente.
«Beh credo che i Campioni siano effettivamente superiori alle altre persone, in un certo senso..» rispose vago.
«E questo senso di superiorità è tale da non poter spiegare alle persone che ci leggono un concetto alquanto banale come quello che le sto chiedendo da ben dieci minuti? Non crede che forse questo comportamento da vera e propria casta è il motivo principale per cui le persone di questa nazione si stiano disaffezionando dalle istituzioni, Parlamento e Lega Pokémon in primis?».
«Mi sembra che le battaglie della Lega Pokémon, specie quelle di Alexei, siano molto seguite invece».
«Sì, certo, ma quante persone si sono fermate quest’oggi a parlare con lei? E quante altre persone, invece, crede che si ricorderanno di lei nei prossimi sei mesi?».
«Beh... Il mio obiettivo non era quello di voler essere ricordato...» rispose confuso Alexei.
«Ah no? Beh, non voler essere ricordati è un po’ un magro coronamento per una vita di sofferenze come la sua, non trova? Perché non dimostra di essere diverso dagli altri e non ci spiega quindi che cosa significa pokémon “Defog”?»
«Non glielo dirò perché ritengo che parlare dell’abbandono di mio padre possa essere incredibilmente più interessante!» rispose strabuzzando gli occhi. Il suo cuore palpitava a mille, si sentiva ad un passo dall’aver convinto il giornalista a parlare del suo passato.
 «Senta, vorrei essere molto educato ma davvero, la mia pazienza sta giungendo al limite. Le domande gliele faccio io, non se le fa lei. Se vuole che il giornalista faccia le domande da lei preparate vada in Italia o in qualche Paese del Sud America. Qui i giornalisti fanno le domande e le persone che intervistano, rispondono. Lei si limiti a rispondere.  Gliel’ho già ripetuto poco fa, le persone con tragedie non vanno più di moda da quando Eva Peron è arrivata sostanzialmente alla presidenza dell’Argentina.
Quindi, dato che vuole mostrarsi così umile, così buono, così semplice, perché non ci spiega, e glielo sto per chiedere per l’ultima volta, che cosa significa pokémon “Defog”?».
Alexei si coprì il volto con le mani e cominciò a singhiozzare: «Non lo so che cos’è un defog, lei è un cazzo di stronzo, bastardo e psicolabile!
L’ho letto su un manuale e Scizor era citato come esempio. E ha funzionato! Io ho battuto la Lega Pokémon con questi pokémon! Lei può dire di aver fatto lo stesso?» disse togliendosi le mani dal volto e mostrando gli occhi rossi che lacrimavano, mentre gridava con voce aggressiva ma al contempo rotta.
Dream mise via il blocchetto, sui cui aveva disegnato degli schizzi che raccontavano l’intervista, fingendo invece di prendere appunti, e lo fece con un grande sorriso sul volto. Tentò in tutti i modi di farlo andare via, di apparire serio, ma proprio non ci riusciva. Doveva svuotare il sacco, non riusciva a trattenersi: «In realtà direi di sì, posso dire di aver fatto lo stesso, anzi, l’ho fatto ben nove volte. Ma lei effettivamente è troppo superiore, troppo preso dal suo ego per poter anche solo semplicemente informarsi, come normale che sia, su chi la viene ad intervistare.
Perciò forse la dovrei informare che io sono Dream, lo stesso Dream che nel 2001 ha sconfitto la Lega Pokémon con un solo Feraligatr; ma lei è troppo superiore e sicuramente avrà conseguito un risultato simile al mio... e invece no. Detto questo, direi che ho sufficiente materiale per dichiarare conclusa l’intervista e scriverò  su un piccolo box sul fondo che cosa significa pokémon “Defog”, compri il giornale e lo leggerà, così può approfittare di fare un ripasso... la saluto» Dream si alzò facendo un cenno con la mano.
Chiamò a sé Typhlosion che si avvicinò correndo sulle quattro zampe e poi si alzò su quelle posteriori una volta raggiunto il proprio allenatore. I due cominciarono a incamminarsi, lasciandosi alle spalle il bar quando la voce di Alexei raggiunse le loro orecchie: «Scizor, Metaltestata!».
Dream riuscì a girarsi giusto in tempo per osservare il pokémon Acciaio andare contro al proprio pokémon con l’obiettivo di attaccare alle spalle.
«Typhlosion, Eruzione!» gridò Dream allibito per quello che il Campione aveva appena osato fare.
Dalla bocca del pokémon Fuoco uscirono una serie di massi infiammati che colpirono in pieno Scizor che venne respinto ad una velocità tale da colpire in pieno il proprio allenatore senza che questi ebbe avuto il tempo di scansarsi.
Dream chiese al suo pokémon di aspettarlo lì e con una camminata sicura si avvicinò lentamente al suo sfidante, ancora dolorante e steso per terra per il colpo subito.
«Me la pagherai...» disse Alexei con voce sofferente e un occhio chiuso.
«Oh, no invece Alexei, niente affatto. Io sono un allenatore mediocre, con scarse capacità e abilità, questo lo so. Ma stai tranquillo, non serve un carro armato per schiacciare gli scarafaggi. A volte una ciabatta rotta è più che sufficiente.
Mi permetto di darti un avvertimento: io ho sempre vinto contro chi si presentava in maniera presuntuosa e sicura delle proprie doti e con te non intendo esserne da meno.
Ma a me non interessa distruggere la tua squadra e farti tornare a casa da mamma piangendo. Un tempo forse lo avrei fatto, ma ora no. Sono piuttosto insensibile alle battaglie, Alexei, non sono insensibile ai codardi. Ma per questo io ti perdono e anzi, mi permetto di darti anche un consiglio: la bandana del Team Idro non è ‘sta gran provocazione, anzi, è proprio di una tristezza disarmante. Cioè, voglio dire: già hai vinto per pura fortuna, poi ti metti a fare il gradasso parlando in terza persona, indossi certi simboli e attacchi alle spalle. Se ci si chiede per quale motivo i Campioni della Lega Pokémon non godano più di alcun rispetto è anche per colpa di persone come te». Lo guardò poi sorridendo, esprimendo una sincera e profonda soddisfazione e lo salutò con un cenno della mano, aggiungendo, prima di girarsi, un candido e gentile «Arrividerci!».
Lasciò la piazza seguito dal suo fedele pokémon Fuoco, mentre i presenti corsero tutti dal Neo-Campione per aiutarlo a risollevarsi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 04 - Umiltà ***


Capitolo 04 - Umiltà
 
«Coraggio, come fai a dire che Madonna è una cantante mediocre. Al contrario, E’ una grandissima artista» disse Dream divertito. Era seduto sulla scrivania, mentre parlava con una bambina di circa dodici anni, con i capelli biondi e ricci e due occhi azzurri sempre curiosi per il mondo che la circondava. Si chiamava Federica ed era figlia della direttrice del giornale e come la madre condivideva una continua sensazione di sorpresa ogni qualvolta l’ex allenatore apriva la bocca per parlare.
«Ma è vecchia!» rispose stupita.
«Prima cosa: si dice anziana. Seconda cosa, ammesso e non concesso che sia vecchia o anziana, per quale motivo le tue sgallettate preferite continuano ad ispirarsi a lei? Ci mancava poco qualche anno fa che Lady Gaga cambiasse nome in Madodda!»
«Hey, ha ragione lei: meglio Lady Gaga» intervenne un uomo, alzandosi e apparendo da dietro il separé che divideva ogni scrivania dall’altra. Aveva capelli neri corti e una folta barba e un forte accento di Primisola. Leggermente in sovrappeso, con un grosso naso rosso. Si chiamava Christian, era il collega che nella mattinata gli inviò il plico con tutte le informazioni su Alexei Know. Lavorava nel settore della cronaca nera occupandosi di omicidi e scomparse.
«Stai zitto, Christian. Torna pure ad ascoltare gli Abcd» ordinò Dream con un cenno della mano che esprimeva indifferenza.
«Cosa?! Sono gli AC/DC! Stai praticamente offendendo la musica!» disse sbalordito Christian.
«Ha ragione Christian, Dream» intervenne Federica con un tono di voce basso.
«E tu che ne vuoi sapere?» chiese sorpreso Dream alla ragazzina.
«Beh, Lady Gaga ne è fan...»
«Oh, ma per favore, cara. Intano plagia Madonna, non gli Abcd, mettiamo le cose in chiaro!» continuò Dream assumendo un’espressione tra il saccente e l’ironico.
«Ma smettila, rosicone. Dici così solo perché quella povera ragazzina vende più della tua nonnetta... Come faceva? “L-U-V Matusa”?» fece Christian mimando delle ragazze cheerleader.
«Basta – disse Dream scendendo dalla scrivania e allontanandosi – dopo cotanta ignoranza non posso far altro che andarmene!»
«Vai, vai pure! Non solo aggredisci gli allenatori, ma ascolti pure musica di merda!» puntualizzò Christian facendo ridere tutti i presenti, Dream compreso.
 
La porta di legno presente nell’ufficio si aprì e ne uscì una donna alta, capelli biondi legati e uno sguardo austero. Brandiva in mano qualche foglio: «Dream, nel mio ufficio, ora» disse con voce sicura.
Il clima cambiò radicalmente. Era difficile vedere Elvira, la direttrice, così furiosa e piena di disappunto.
Dream sbuffò e si diresse nell’ufficio, chiudendo la porta dietro di sé e sedendosi sulla sedia davanti alla scrivania.
La stanza era arredata in maniera impersonale, una scrivania di legno chiaro, una sedia per il capo del giornale e due sedie per gli ospiti, un divano di pelle rosso, qualche pianta e poi una serie di grandi librerie alte e piene di libri.
«Dream, per quale motivo non mi hai consegnato un registratore?» cominciò la donna unendo le dita delle mani tra di loro. Teneva appoggiati i gomiti sulla scrivania.
«Perché non ho registrato l’intervista» rispose il ragazzo candidamente, mettendosi le mani dietro la nuca.
«E per quale motivo?».
«Credo che mi sia sfuggito, ma ho comunque preso gli appunti di tutto ciò che è successo» fece notare il ragazzo indicando il plico di fogli che aveva consegnato.
«Sì, Dream, dimentichi di dire che i tuoi appunti sono semplicemente dei disegnini con due omini stilizzati che parlano attraverso dei fumetti...».
«Non trovi che sia tutto così rivoluzionario questo nuovo modo di preparare gli articoli?» fece Dream sorridendo.
«No, Dream, no. Non lo penso e anzi, ti dirò di più, sono anche indecisa se pubblicare questa intervista – disse prendendo in mano i fogli e sbattendoli sul tavolo con fare di sufficienza - o piuttosto scrivere una lettera di scuse a tuo nome dove spieghiamo che a causa della tua incapacità di condurre questo lavoro non siamo riusciti a fare quello che avevamo annunciato, ovvero intervistare il Campione della Lega Pokémon».
«Cosa?» Dream divenne tutto di colpo meno rilassato, «Io non mi scuso di niente. Sono stato incaricato di intervistare Ciccio Pasticcio e così ho fatto. Non puoi non pubblicare il mio lavoro solo perché non mi sono portato dietro un Chatot o perché non ho preso appunti in una forma... canonica» disse il ragazzo continuando a puntare il dito indice sulla superficie della scrivania.
«Il problema non sono gli appunti, Dream. Il problema è che tu dovresti essere più umile quando intervisti qualcuno, specie se questo qualcuno è il Campione della Lega Pokémon. Non è la prima volta che te lo dico e sono stanca, ripeto, stanca di dirtelo.  Quest’intervista non va bene, non è buona.
L’hai costruita con l’intento esplicito di volerlo demolire, e perché mai?».
«Io non sono andato lì con l’intento specifico di distruggerlo» mentì il ragazzo, «E’ capitato, ho dimostrato casualmente che è un ignorante e cafone e amen. Ho raccontato quello che è successo davvero, fine».
«E per quale motivo hai chiesto a Christian di cercarti informazioni sulla sua famiglia?».
«Volevo semplicemente sapere qualcosa di più sulla persona che stavo andando ad intervistare. Non mi sembra poi così strano o così malvagio. E comunque la maggior parte delle informazioni non le ho mai utilizzate...».
«Quello che forse non ti è chiaro è che non possiamo prenderci il rischio e la responsabilità di denigrare il Campione della Lega. Non ce lo possiamo proprio permettere! E’ un assalto ad una delle più importanti istituzioni del Paese, specie in questo momento di incertezza politica! La Lega Pokémon oggi è l’unico spiraglio di stabilità per questo Paese. Persino il Presidente della Repubblica è stato trascinato nel caos politico» gridò la donna.
«E quindi? Pensi che io non lo sappia? Ma i cittadini devono sapere chi è il loro Campione. Il loro Campione è uno che parla senza sapere le cose e l’ho anche scritto nel sottotitolo: “Intervista ad Alexei Know, il Campione che parla di pokémon senza sapere cosa siano”. Mi sembra piuttosto inequivocabile che questa persona sia inadatta a ricoprire tale carica.»
«Come se tu invece ne sia mai stato degno...».
Dream strabuzzò prima gli occhi e poi li socchiuse leggermente quando elaborò quanto sentito. Inclinò leggermente la testa a destra e chiese trattenendo la rabbia: «Cosa scusa?».
«Beh, insomma Dream, non ricordi? Quando ti ho intervistato tu eri diventato Campione per la nona volta e passavi le tue serate a ubriacarti e a scopare con le sconosciute. Eri forse più degno di lui?».
«Dimentichi di dire che io non sono andato alla Lega tentando la fortuna, ma con un piano ben studiato, Elvira. Non sono diventato Campione perché i miei compagni erano più scarsi di me. E guarda un po’, a fine articolo ho inserito un box in cui spiego che cos’è un “defogger”. Apri una qualsiasi enciclopedia e ti confermerà quanto ti ho detto.
E lo so che covi risentimento nei miei confronti perché l’intervista che mi hai fatto anni fa ti ha portato più critiche che plausi, ma se l’avessi condotta più sulla mia vita da Campione che sulla mia sfera sessuale, magari avresti ottenuto qualche rimprovero in meno da parte dell’universo mondo».
«Non ci posso credere... – disse la donna scuotendo la testa – senti, vai pure. Ti faccio sapere più tardi che cosa ne penso e se la pubblicherò. Ci sentiamo nei prossimi giorni» finì indicando con la mano destra la porta e portando il suo sguardo verso il lavoro svolto da Dream.
Dream si alzò dalla sedia e raggiunse la porta, aprendola. Prima di uscire si girò e guardò Elvira: «Il giornalismo anglosassone a cui tanto dici di ispirarti non si crea problemi ad alzare polveroni». Il ragazzo si infilò una mano nei pantaloni, ne estrasse un pacchetto di sigarette da cui ne prese una e la accese. Ispirò e poi gettò il fumo in aria, alzando lievemente la testa.
«Il tuo è più giornalismo all’italiana...» terminò voltandosi e si lasciò l’ufficio alle proprie spalle, mentre la direttrice dalla propria scrivania cominciò a gridare al ragazzo di spegnere la cicca.
Camminava con un sorriso beffardo sul volto, seguito dallo sguardo dei suoi colleghi sbalorditi per la scena. Fischiò lievemente e si fece raggiungere da Espeon e insieme presero l'ascensore per tornare a casa.
Quello che più preoccupava Elvira Toddi era il polverone che si sarebbe inequivocabilmente sollevato dalla dimostrazione piuttosto evidente che Alexei Know era un ignorante immeritevole del titolo che aveva conseguito.
Nonostante la campagna elettorale fosse finita e le urne avessero decretato un vincitore senza beneficio del dubbio, gli schieramenti politici non avevano ancora compreso e accettato questo dato, continuando le loro lotte nel fango per accaparrarsi un eventuale leggero incremento nei sondaggi politici effettuati dai vari talkshow.  
Una bordata di questo tipo alla Lega Pokémon avrebbe sicuramente trascinato “Il Corriere di Fiordoropoli” all’interno della mischia politica, tra chi avrebbe protetto e garantito la libertà di parola del più importante quotidiano del Paese e chi ne avrebbe criticato la direzione approfittandone per spingere e proporre un cambio della guardia, magari ponendo a capo una persona con idee filo-governative. Era già capitato che alcuni quotidiani finissero nelle mani di persone affiliate in maniera più o meno diretta a Repubblica Nuova. La direzione del giornale si trovava fondamentalmente di fronte ad un bivio: incominciare una guerra puramente politica sperando che i membri del board e i giornalisti tutti si unissero per fare scudo per l’indipendenza del quotidiano, oppure fingere che Dream avesse scritto un testo pieno di bestemmie e parole sacrileghe, tanto da non poter esser pubblicato, macchiandosi, in ogni caso, di una cattiva gestione. In ogni caso, una tempesta di avvistava all’orizzonte.
 
“Inetta”. Era l’unica idea che aveva Dream in testa quando abbandonò la sede del giornale.
Essere giornalista, secondo l’ex allenatore, non voleva dire raccontare solo il lato bello delle cose, essere giornalista voleva dire raccontare la realtà a 360 gradi, a prescindere dal contenuto positivo o negativo.
Insomma, non era raro che Elvira fornisse quelli che Dream considerava “consigli stilistici non richiesti” su come trattare certi articoli.
Era già accaduto qualche mese prima, con un film drammatico, “Il Cobra”, un’opera che tentava di descrivere in maniera piuttosto faziosa e superficiale la vita degli allenatori di pokémon. Dream non lesinò critiche sull’intero lavoro, dicendosi inorridito per le tecniche cinematografiche, la sceneggiatura e anche la trama, arrivando a dire: «Una trama scritta da un bambino di cinque anni con difficoltà di apprendimento e di comunicazione avrebbe certamente aiutato e migliorato il lavoro che è stato invece trasmesso nelle sale cinematografiche. Un insulto alla nostra storia e alla nostra cultura, nonché una feroce offesa all’intelligenza umana.».
Se il Campione della Lega era un incompetente, andava rivelato e comunicato al mondo, a prescindere dalle reazioni, ingiustificate, che si sarebbero sollevate. Era questo il pensiero di Dream e non intendeva arretrare neanche di un millimetro in quella battaglia tutta giornalistica che si sarebbe consumata all’interno delle mura della redazione.
E quell’altra parola, “Umiltà”, da sempre inserita in contesti che sottolineavano la troppa presunzione del ragazzo. Quante volte lo avevano descritto così e quante volte lui aveva risposto con un sorriso beffardo, convinto di esser assolutamente il contrario di quello che dicevano. Ma nessun sorriso apparve sul volto di Dream quando la direttrice pronunciò quella parola. Anzi, rispose con una mascella serrata e sguardo teso, fisso, impassibile che gli rimase anche dopo la fine del colloquio.
Camminava velocemente per le strade ormai illuminate d’arancione della Capitale, continuando a riflettere su quella parola, considerandola come un’offesa, più che una critica giustificata.
 
Il semaforo da rosso diventò verde e prese ad attraversare la strada quando fu superato da un bambino, maglietta gialla, cappello e pantaloncini corti di colore blu elettrico, seguito da un Totodile.
Fu un flash, la sua mente lo portò a molti anni prima, quando frequentava l’ultimo anno della Scuola per Allenatori di Borgo Foglianova.
 
Era il cambio dell’ora, i bambini erano in piedi, parlando tra loro, aspettando l’arrivo del professore per l’ultima lezione della giornata.
La scuola di Borgo Foglianova era di piccole dimensioni, si trattava di una succursale della più grande Scuola per Allenatori della città di Violapoli. Negli ultimi anni si era capito che l’elevato numero di ragazzini che riuscirono ad accedere alle lezioni era troppo elevato per poter essere contenuto in quella di Violapoli.
L’edificio di Borgo Foglianova, più piccolo di quello dell’altra città, aveva aule di dimensioni contenute e lo erano anche le classi, che non superavano mai i venti bambini.
Michele entrò in classe brandendo un giornale in mano che sventolava in aria, cercando di farsi ascoltare. Era il ragazzino più alto della classe. Una persona tranquilla, buona, che stava sempre nel suo. Portava un paio di occhiali e capelli biondo cenere di media lunghezza.
«Hey, avete sentito? Hanno cambiato il Capopalestra di Smeraldopoli!» e sbatté con fare deciso il giornale sulla cattedra, attirando l’attenzione di tutti i compagni che si affrettarono ad avvicinarsi.
Il bambino cominciò a leggere ad alta voce: «Il Ministero della Lega Pokémon, venuto a conoscenza delle dichiarazioni del Campione della Lega, Rosso, dalla città di Biancavilla, ha deciso di sospendere e di sostituire con effetto immediato il Capopalestra della città di Smeraldopoli, Giovanni con l’allenatore Blue, anch’egli proveniente dalla città di Pallet Town e distintosi per le sue grandi capacità dimostrate all’interno della competizione nazionale.
La decisione è stata presa in seguito della testimonianza del Campione resa durante il processo (penale) ad alcuni esponenti dell’organizzazione criminale del Team Rocket.
Durante il dibattimento, infatti, il ragazzo ha dichiarato senza esitazioni come a capo ci fosse proprio l’ottavo Capopalestra. I due ebbero una discussione proprio inerente al ruolo che lo stesso imprenditore avesse all’interno del Team Rocket. Il confronto tra i due avvenne durante gli eventi che hanno avuto luogo nella sede centrale della Silph Spa.
Giovanni non ha rilasciato alcuna dichiarazione, gli inquirenti hanno comunque aperto un fascicolo sulla sua possibile partecipazione.”
 
Una voce maschile, nasale ma al contempo squillante si fece sentire proprio quando la lettura dell’articolo finì: «Leggete cose da adulti voi?» e terminò la domanda con quella risata che tutti gli alunni della scuola, con il tempo, avevano cominciato a conoscere bene: «Ehehe!».
Corsero tutti ai loro banchi, quasi per non farsi trovare impreparati all’arrivo del Professor Blaine.
Blaine era un uomo alto, pelato, il suo viso aveva lineamenti tutt’altro che dolci: le sue guance erano scavate e possedeva un sorriso inquietante. Il colore dei suoi occhi era sconosciuto ai più, Blaine infatti era sempre stato visto con un paio di occhiali da sole, a prescindere che ci fosse davvero bel tempo o che stesse nevicando. Era un altro dei suoi tratti distintivi, assieme alla risata che accompagnava ogni frase o domanda e ai suoi indovinelli, che poneva a chiunque gli capitasse a tiro. Secondo alcuni studenti, l’eventuale risposta al giochino influenzava di molto il voto che poi il docente assegnava alla fine di verifiche e interrogazioni.
Prima che approdasse a Borgo Foglianova, occupava l’incarico di Capopalestra dell’Isola Cannella, una grande isola situata a Sud-Est della regione di Kanto. La voglia di insegnare nacque sul finire degli anni ’90, quando la magistratura scoprì che la nota Villa Pokémon, una casa in stile vittoriano costruita su una piccola collina da cui si poteva ammirare l’intera isola, era in realtà sede di un laboratorio segreto dove venivano effettuati indicibili esperimenti sui pokémon.
Gli inquirenti, pur non riuscendo mai a dimostrarlo davanti un giudice, pensarono sempre che i finanziamenti arrivassero direttamente dal Team Rocket e quindi da Giovanni, collegamento che avrebbe permesso di portare l’organizzazione a processo per “crimini contro la natura”, eppure i denari venivano in qualche modo ripuliti.
Nonostante le moltissime perquisizioni, i livelli più inferiori del laboratorio non vennero mai scoperti e rimasero operativi fino a che una feroce esplosione non fece saltare in aria gran parte dell’abitazione uccidendo tutti i professori che si trovavano al suo interno. Pochi seppero che la detonazione era stata causata da Mewtwo che aveva deciso di ribellarsi alle cure che tutto il team medico continuava a perpetragli dopo la sua creazione. Nonostante del pokémon Genetico venne confermata l’esistenza solo anni dopo, la scoperta di altri laboratori incrementò lo scandalo a dismisura portando il circo mediatico nazionale ed internazionale in ogni angolo della città insulare. Fu a seguito di questa situazione che decise di allontanarsi da una città così corrotta e così cattiva e crudele nei confronti dei pokémon. Sebbene non lo desse particolarmente a vedere, era un uomo profondamente molto attaccato ai propri compagni di squadra e l’aver scoperto un posto marcio sotto i suoi piedi  lo sconvolse al punto di voler entrare in aspettativa ed entrare e intraprendere per un certo periodo la carriera di professore nella Scuola per Allenatori, venendo assunto nella regione di Johto.
 
Blaine era seduto alla cattedra e stava rileggendo alcuni fogli da lui scritti, ponendoli in aria, in controluce e sforzando ulteriormente gli occhi. Nessuno aveva mai scoperto cosa ci fosse scritto su quei pezzi di carta, il professore utilizzava una grafia tanto brutta quanto illeggibile, confusa e disordinata. Impiegava i primi dieci minuti di ogni lezione per riordinare le idee e le varie carte che puntualmente poneva sul tavolo una volta entrato nell’aula.
Prese poi il suo registro di classe, rilegato con una copertina in plastica di color blu e incominciò a scorrere con l’indice destro i nomi, sussurrando sottovoce «Vediamo chi interrogare, ehehe», quando uno dei ragazzini, spinto e incoraggiato dagli altri chiese: «Prof, che cosa ne pensa della rimozione di Giovanni?». Non che la classe fosse realmente interessata alle questioni giudiziarie o delle Palestre delle altre regioni, ma solitamente pur di evitare un’interrogazione erano pronti a giocarsi il tutto per tutto.
Il professore sorrise, fece la sua solita risata e infine aggiunse: «Ma niente, gli stava sulle balle e lo han cacciato, è sempre così!
La magistratura ce l’ha sempre avuta con gli uomini di successo, perché sono tutti socialisti comunistoidi, sapete. E la Lega Pokémon, per evitare di finire sotto inchiesta anche lei, obbedisce agli ordini dei giudici, ehehe».
«Mio padre dice che Giovanni è un criminale» disse sicuro di sé Dream.
Blaine sbuffò. Capitava spesso quando Dream interveniva a gamba tesa su dibattiti di questo tipo. «Criminale, dai, non esageriamo. E’ solo un imprenditore che ha fatto un po’ il furbo, ehehehe».
«Ha occupato un’azienda per prenderne il controllo amministrativo...» rispose Dream sempre serio.
«Dream, quello che ti manca è un po’ di umiltà. Dovresti sapere che sono cose da grandi. Che ne vuoi sapere di occupazioni….
Negli anni ’60 era normale occupare. Tutti quanti occupavano le aziende, lavoratori, presidenti, politici, banchieri, amministratori delegati… – batté il palmo della mano sinistra sulla cattedra e spinse in avanti la schiena osservando meglio il bambino – lo sai qual è il colmo per un Pikachu?»
«No, prof…»
«Avere il raffreddore, ehehehehe, fuori! Interrogato! Ehehehe».
«Ma prof! Non ha senso – protestò il bambino – E poi sono stato interrogato settimana scorsa!».
«Come non ha senso? Pi-ka-ecciù, ehehehe. Fuori fuori, interrogato».
Le interrogazioni di Blaine erano le più temute dalla classe: non solo non era molto capace di spiegare ma  durante il test orale disturbava i suoi studenti interrompendoli per chiedere quali fossero i colmi di alcuni pokémon o per raccontare barzellette che capiva solo lui.
 
Dream si posizionò in piedi davanti la lavagna, con le mani incrociate e il cuore che pulsava come un tamburo, sebbene non avesse mai avuto grossi problemi con il docente e avesse sempre preso voti considerevolmente alti.
«Spiegami, esattamente, qual è la particolarità della mossa “Comete”» chiese il docente, con gli occhi puntati come fucili verso il resto della classe, assicurandosi che nessuno suggerisse.
«Beh la mossa è particolare perché ha la tendenza a non fallire mai» rispose socchiudendo leggermente gli occhi.
«Perché questo accade?» continuò l’uomo, facendo cenno al ragazzo di continuare a parlare, mentre il suo sguardo era fisso verso il resto della classe.
«Perché il raggio di azione della mossa è esteso a tutto il campo di battaglia».
«Esatto, ehehehe! E sentiamo, qual è il colmo per uno Squirtle?» chiese voltandosi verso il ragazzino facendo un sorriso alquanto inquietante.
Dream scosse la testa in evidente imbarazzo.
«Non trovare la strada per tornare a casa! Ehehehe!».
 
Dream si accorse di aver raggiunto casa sua in maniera automatica, non fece caso a chi incontrò e quali macchine vide.
Entrò nell’atrio e si diresse verso il bancone d’ottone dove era presente Ambrogio, il custode e portinaio del condominio.
«Ambrogio, buonasera» salutò Dream sorridendo cortesemente.
«Signor Dream, buonasera, giornata lunga quella di oggi?» rispose l’uomo alzandosi in piedi e mettendo le mani dietro la schiena.
«Giornata lunga e inconcludente, roba da matti. C’è per caso posta per me?»
«Sì, sì, è arrivato poco fa un Pidgey per lei...» e il custode si girò per cercare la busta tra le varie lettere che aveva alle sue spalle, «Ho saputo che ha aggredito il Campione, Alexei Know, è vero?»
«Oh, ma si figuri» rispose Dream facendo un cenno con la mano, «La realtà è che il carissimo Campione ha provato ad attaccarmi alle spalle. E io ho risposto. Se è incapace di gestire i suoi pokémon e questi gli finiscono addosso, mi duole dirlo, io non ci posso fare proprio nulla».
L’uomo si girò e gli consegnò una bustina di color azzurro, profumata alla lavanda: «Ecco a lei».
«Sa Ambrogio, avverto un leggero languorino, lei no?» chiese Dream sorridendo, avviandosi verso l’ascensore.
«Se posso proprio esser sincero, in effetti sì...» rispose l’uomo leggermente imbarazzato.
«Le manderò Typhlosion con un paio di baci di dama che arrivano direttamente da una pasticceria di Austropoli, non faccia troppi complimenti» disse Dream girandosi per un attimo e facendo l’occhiolino, e poi sparì nella cabina dell’ascensore.
 
Fu solo dopo che Typhlosion tornò dalla commissione che si tolse le scarpe e si sedette sul divano. Ripensò al discorso sull’umiltà che gli fece la direttrice, si accorse che sebbene non era certamente la prima volta che qualcuno gli dicesse cose di questo genere, fece male. Ma per Dream non era l’umiltà ad essere il vero problema. Il punto della questione era semplicemente che aveva smascherato una persona che aveva tutte le carte in regola per essere considerato un impostore. Non c’era supponenza nel farlo, c’era solo una sorta di giustizia morale di cui volle a tutti i costi farsi portavoce. E se l’intervista non fosse stata pubblicata, avrebbe cercato in tutti i modi di dimostrare che non c’era alcuna aggressione da parte sua ma bensì era una sorta di legittima difesa.
A prescindere dalla pubblicazione, la battaglia nel fango era destinata ad accendersi.
Prese la busta che appoggiò affianco a sé e la aprì. La lettera era in una carta pregiata. La grafia era signorile, delicata e curata:
Ci ho pensato molto sopra e alla fine mi hai convinto.
Pur senza appunti o registrazioni, hai prodotto un ottimo articolo e un’ottima intervista.
Compra il giornale domani, la prima pagina è tua.
Elvira”.

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Capitolo 5
*** Capitolo 05 - Vera Birch ***


Capitolo 05 - Vera Birch

Passò una settimana dalla pubblicazione sul quotidiano di Dream dell’intervista al Campione della Lega Pokémon di Johto, Alexei Know, e “Che cos’è un pokémon defog?” diventò in brevissimo tempo una frase ricorrente nel gergo giovanile, così come parlare di sé in terza persona. L’idea venne ripresa anche in alcuni spettacoli comici, dove venivano raffigurate scenette in cui si intervistavano allenatori tanto ignoranti quanto ubriachi del proprio ego.
Alexei venne investito da una pioggia di critiche su tutti i fronti, sia per come si era comportato durante l’intervista e sia successivamente, accusando Dream di averlo aggredito ingiustamente, quando gli eventi raccontati ai media dalla sua stanza d’ospedale erano totalmente distorti.
La Lega Pokémon di Johto riunì quindi tutti i Capopalestra e i Superquattro e cominciarono a pensare sulla possibilità di cancellare Alexei dalla lista dei Campioni per la sua condotta tutt’altro che esemplare.
I talkshow nazionali si scatenarono sull’argomento e cominciarono ad incontrare i parenti del Campione come la madre, il papdre, zii, i vicini di casa e i primi cugini, commentando poi le interviste invitando psicologi che davano ogni giorno pareri differenti. Molti di questi show televisivi cominciarono a chiedere a Dream di presenziare e spiegare il perché di un’intervista così cattiva, ma il ragazzo dal canto suo si rifiutò sempre di apparire sul piccolo schermo, venendo accusato di avere la puzza sotto il naso da parte di diversi conduttori.
Come previsto da Elvira però, si scatenò un polverone anche politico, sul giornale e sulle varie Leghe.
A dar via alle danze fu proprio il Capopalestra di Ciclamipoli che dal proprio yacht dichiarò ai microfoni di alcuni telegiornali: «Ma lo avete visto il nuovo campione della Lega di Johto? No, dico lo avete visto?
Un incapace, han fatto vincere un incapace! Lo han messo lì loro, i poteri forti, le banche, il governo dei mafiosi!
E chi sarà il prossimo Campione di Unima? Un altro incapace, che metteranno lì loro, gente!».
A questa si aggiunsero le dichiarazioni di Giovanni, che accusò il leader di Pokémon 5 Stelle di essere un «Sempliciotto rosicone», geloso che un allenatore della qualità morale del Campione abbia avuto la sfortuna di incontrare «Quella persona cattiva, maligna e perfida come il carissimo Dream. E anzi, mi pare piuttosto inconveniente che una tanto capace quanto rispettabile come Elvira Toddi lasci che questi mascalzoni vadano in giro a distruggere la reputazione di poveri ragazzi che non si sono ancora abituati al peso che la vittoria della Lega inevitabilmente porta. Se la direttrice in questione non è capace di tenerli a bada forse sarebbe meglio un cambio della guardia sul Corriere... e sono abbastanza sicuro che la maggior parte della popolazione sia concorde con me».
Walter accese quindi i riflettori su una reale preoccupazione sull’Epoca del Bianco e del Nero della Lega Pokémon della regione di Unima. La possibilità che la vittoria finisse nelle mani di un altro allenatore incapace preoccupava tutti, sia l’opinione pubblica sia l’Associazione Nazionale della Lega Pokémon, sebbene non lo desse a vedere ufficialmente. Una situazione di questo tipo avrebbe sancito inevitabilmente che anche la più grande istituzione del Paese era persa definitivamente.

Ma non era solo il clima politico ad esser rovente, anche il tempo meteorologico era particolarmente caldo; i grattacieli finanziari erano meno affollati quando non direttamente chiusi e le spiagge, libere o private che fossero, si erano rapidamente gremite di persone.
L’acqua del mare a Fiordoropoli era solitamente sporca, torbida e di un inquietante color verde. Le varie imprese che avevano sede lungo tutto il Percorso 35, che avevano costituito l’ossatura industriale della regione dagli anni ’50 fino alla fine degli anni ’70, avevano versato i propri liquami inquinanti nell’oceano, ignorando l’impatto ambientale che le loro azioni stavano compiendo. Sebbene l’allora governo nazionale di Johto, negli anni ’90 fece grandi opere di bonifica dei fondali e delle zone circostanti l’intera regione, migliorando la situazione a tal punto da notare un incremento della popolazione marina, Fiordoropoli aveva ancora acque la cui limpidezza dipendeva moltissimo dalle correnti marine che quel giorno furono particolarmente generose. L’acqua era chiara, fresca e limpida, attirando una notevole quantità di persone a cercare un alleato contro l’afa.
I più irriducibili invece affrontarono il Sol leone e l’aria pregna di birra e altre bevande fresche e dolciastre, decidendo di resistere a quel fastidioso effetto che la pelle sudata aveva sulle sedie e sui tavolini di plastica dei bar da spiaggia. I loro sguardi erano tutti diretti verso le loro televisioni che trasmettevano l’inizio della Lega Pokémon di Unima. Grandi e piccini, indifferentemente dal sesso e dall’età sognavano o portavano alla memoria quell’ambizione che molti avrebbero voluto toccare con mano senza magari riuscirci davvero.

Dream era sdraiato a pancia in giù sul suo telo mare, sorseggiando con una cannuccia una birra e osservando attentamente, da dietro gli occhiali, che i suoi pokémon, giocando, non dessero fastidio ad altri bagnanti.
L’interesse per la competizione di Unima non lo aveva neanche lontanamente sfiorato, per lui quella era una giornata come le altre, non c’erano ambizioni da reprimere o tifo sportivo da fare nei confronti di un qualche specifico allenatore. Nonostante questo, apprezzava la Lega Pokémon, specie quando questo si teneva d’estate: «La gente, Rosso, quando c’è la Lega, sta più tempo nei bar del lido piuttosto che in spiaggia. E questo significa che i bambini non occupano il loro tempo a gridare, a correre e farsi gavettoni. E quando vado in spiaggia è per rilassarmi, non per ricevere la sabbia sollevata dai mocciosi».
Fu mentre Dream guardava davanti a sé che qualcuno si piazzò proprio davanti a lui, posizionando i piedi nella sabbia a pochi centimetri dal suo volto.
«Ma tu guarda, il grande Dream che non partecipa alla Lega di Unima... troppa paura della concorrenza?» disse una voce femminile, calma ma al contempo leggermente emozionata.
«E tu guarda, Vera Birch è uscita dal Laboratorio di Albanova e ha scoperto il mondo!» disse Dream impassibile, senza alzare gli occhi, continuando ad osservare i suoi pokémon dallo spazio che Vera aveva lasciato tra le due gambe.
«La mia voce ti è così rimasta impressa?» chiese divertita Vera.
«No, mi è bastato vedere le tue gambe. C’è solo una ragazza al mondo che ha dei polpacci così grossi, da camionista» rispose imperturbabile il ragazzo.
Dream alzò poi lo sguardo e vide che una smorfia di disappunto sul volto della ragazza. Non era cambiata molto dalla ultima volta che si erano visti, sul finire del 2006. I capelli castani, le cadevano ancora sulle spalle, il volto rimaneva liscio, anche se qualche piccola ruga era comparsa e gli occhi blu erano leggermente più stanchi.
Dream si alzò, lanciò gli occhiali da sole sul telo e le porse la mano destra sorridendo: «Non ti sarai mica offesa?».
Vera gliela strinse, rispondendo però con un sorriso un po’ beffardo: «No, lo sai che non mi offendo mai, non ricordi?».
«Già…».
«Non è per questo che ci siamo mollati?».
Il ragazzo la osservò sbigottito. La ragazza si era finalmente creata un carattere, pensò. Sorrise sinceramente per poi tornare all’attacco: «No, Vera, era perché tu dovevi fare la scienziata pazza nel laboratorio di papà. Non ricordi?».
«Sì, credo di ricordare qualcosa…» disse sollevando lo sguardo al cielo fingendosi spensierata.

I due cominciarono a camminare lungo la spiaggia, parlando di tutto quello che era successo nel frattempo, degli studi che aveva portato avanti la ragazza e delle vittorie che invece aveva conseguito Dream nelle varie regioni.
«E perché non sei alla Lega di Unima? Mi aspettavo di trovarti a combattere i Superquattro» chiese dopo qualche secondo di silenzio la studiosa.
«Mah, sai, storia lunga. Non c’è un vero motivo, a dire il vero… ho semplicemente rivisto le mie priorità. E ho pensato di dedicarmi ad altro».
Il telefonino che Vera portava al collo improvvisamente squillò. Era una responsabile del catering che richiedeva la sua presenza a Porto Alghepoli per gli ultimi dettagli di un party che stava organizzando: «Una vuole prendersi una giornata di riposo e invece no... Senti, so che è un po’ improvviso, ma sto organizzando una festa di crowfounding per questa sera a casa mia, a Porto Alghepoli. Non sentirti costretto, ma almeno parliamo e riesco a sopportare tutti quegli ospiti noiosi che devono venire. Quindi, non so, accetti l’invito?».
Il ragazzo accettò, anche se lo fece solo per educazione. In realtà Dream odiava i party, odiava partecipare a noiose discussioni sull’ “incredibile statura morale” di alcuni Capopalestra, odiava sentire grandi discussioni sull’ “incredibile azione pragmatica del Governo” presieduto da Giovanni e degli “incredibili benefici che la sua attività aveva portato al Paese”; poi si assisteva a qualche lotta e tutti quanti, fingendosi intenditori, commentavano “una battaglia incredibile” utilizzando tecnicismi e parole fuori luogo.
Ne sapeva ormai qualcosa, aveva partecipato a diverse feste nell’ultimo periodo per motivi di lavoro e le aveva trovate tutte uguali, tutte frequentate da persone che cercavano di incarnare un personaggio interessante finendo per diventare delle semplici macchiette.
Ma tra lo stare da solo, facendo la figura del maleducato e partecipare ad una festa, decise di puntare su quest’ultima. Tornò rapidamente a casa e si fece una doccia veloce, poi indossò uno smoking e salì in groppa al suo Pidgeot, partendo alla volta di Porto Alghepoli.

«Oh, ma insomma! A me pare piuttosto ridicolo continuare con questa scenata dei matrimoni omosessuali. Il matrimonio è solo tra uomo e donna e sono assolutamente d’accordo con la proposta del governo di emanare una legge che ribadisca questo concetto» disse una donna anziana. La sua pelle era pallida e cadente sul collo. Le sue rughe segnavano pesantemente il contorno occhi e neanche i piccoli ritocchi di chirurgia estetica sulle labbra sembrarono riuscire a fermare lo scorrere del tempo. Vestiva un leggero abito nero fatto con pizzo e pailette, che terminava a metà coscia.
«Ma no, cara Vittoria, in questo caso il governo ha assolutamente sbagliato. Siamo liberali, non comunisti, ritengo che l’individuo debba essere libero di far quel che vuole» rispose un uomo. Giacca e cravatta, con un papillon nero. Era meno anziano di Vittoria e si chiamava Armando, Presidente Onorario del Pokémon Fan Club di Porto Selcepoli.
«Armando, suvvia, ti sei forse rammollito? L’omosessualità è una turba psichica, mentale, una malattia. E il governo fa bene a proibire che queste persone possano contagiare il mondo! Guarda qua, il signor Dream! E’ una persona di successo, in gamba, capace e soprattutto con una passione per le belle ragazze, non è vero?».
Dream sorrise sollevando il bicchiere di cristallo verso l’anziana donna e ne bevve un sorso, «In realtà, Vittoria, con tutto il rispetto parlando, io non sono assolutamente d’accordo. L’omosessualità è una turba quanto l’eterosessualità, i capelli biondi o gli occhi azzurri. E’ assolutamente normale... – Dream cominciò a guardare la signora dall’alto in basso, senza dare eccessivamente nell’occhio, concentrandosi sulle rughe e sull’abito succinto. – Vittoria, lei la conosce la poetica di Pirandello?».
«No... Non mi piace la letteratura Italiana...» rispose la donna sorpresa.
«Oh, lo adorerà. Pirandello si mise a spiegare cosa intende per umorismo, come lo esprimeva e lo fece attraverso la figura di una donna anziana imbellita in maniera piuttosto grezza, quasi ridicola a mio parere.
Pirandello vede una signora vecchia, con i capelli tinti e unti di non si sa quale orribile crema, vestita in maniera goffa, come vestita con abiti giovanili. Pirandello... Pirandello la guarda e si mette a ridere. Si rende conto che quella signora è il contrario di quello che una donna rispettabile dovrebbe essere, superficialmente si ferma a quest’impressione che lui definisce comica.
Poi però comincia a riflettere e pensare che magari quella signora anziana non prova forse nessun piacere a conciarsi in quella maniera rozza, forse ne soffre e lo fa solo perché il suo partner è magari più giovane di lei o lo fa per ingannarsi in maniera piuttosto pietosa. E quindi non riesce più a ridere di questa cosa perché riflettendo riesce ad andare oltre.
Ecco, signora Vittoria, lei potrebbe tranquillamente essere il soggetto di questa poetica Pirandelliana, ha poco da insultare e sentirsi superiore, perché altre persone, vedendola conciata in questa maniera la potrebbero... criticare o magari considerare una poco di buono. E invece lei vuole solo sentirsi più giovane!
Cosa succederebbe se qualcuno la criticasse per questo suo modo di vivere? Le piacerebbe? Io non credo. E figuriamoci se qualcuno la criticasse per lo strabismo del suo occhio destro. Lei è nata così, che diritto hanno le persone di insultare la sua natura? Ecco signora, è proprio quello a cui mi sto riferendo.
Gli omosessuali sono nati così, perché, come diceva una certa cantante “God makes no mistakes” ossia: Dio non fa errori. Ma sicuramente qualcuno l’avrà ferita per il suo bellissimo occhio sbilenco e se improvvisamente il Governo volesse bandire e uccidere tutti gli strabici? Lei ne sarebbe soddisfatta? No, io non credo...
Insomma, guardi il lato curioso della storia – disse sorridendo in maniera gentile – lei, Vittoria, ha molte più cose in comune con gli omosessuali di quanto lei possa augurarsi».
Il gruppo dove era presente Dream cadde nel silenzio più assoluto, che implodeva di imbarazzo. Le parole di Dream avevano ferito e tagliuzzato l’anziana signora che abbassò lo sguardo continuando a fissare il proprio bicchiere malinconica per quanto aveva appena sentito. Fu in quel momento che intervenne Vera, passata da quelle parti e percepito l’evidente disagio.
«Allora, come procede il party?» chiese con un sorriso piuttosto sforzato.
«Cara Vera, stavo appunto pensando, non è il caso di mettere un po’ di musica cantata invece di questi ragazzi che muovono i dischi con questi suoni fastidiosi» esordì Ambrogio.
«Oh, sapete, Dream ha una bellissima voce» rispose Vera prendendo la palla al balzo.
«Davvero, Dream? Perché non ci canta qualcosa?» continuò l’uomo sorpreso.
Dream scosse la testa, ma Armando continuò ad insistere: «Insomma, insisto. Guarda, chieda al ragazzo di metterle un disco che conosce e ci canti qualche bella canzone!».
«Ma signor Armando, Vera è un’abile bugiarda. Io non so cantare» rispose Dream mentre Armando lo prese sottobraccio accompagnandolo vicino al Dj.
«Ma non si preoccupi, suvvia! Lei sarà sicuramente migliore di quel ragazzino e i suoi suoni meccanici!».
Dream salì la piccola pedana, lievemente sollevata da terra e comunicò nell’orecchio del ragazzo il brano che aveva intenzione di cantare.
Si avvicinò al microfono e sorrise timidamente: «Spero che vi piaccia. E’ un brano particolare... uno dei miei preferiti!».
Comincio una canzone dal ritmo tenebroso, lento. La voce di Dream splendeva al chiaro di Luna, dimostrandosi un grandioso interprete.
Aprì le braccia ai lati e cominciò a cantare: «In the land of gods and monsters, I was an angel
Looking to get fucked hard» disse portando la mano destra sul cavallo, creando stupore tra il pubblico. Alcune persone si voltarono per osservare Vera, che condivideva con loro il palese imbarazzo per il gesto inconsulto del ragazzo. Portò poi la mano in aria, assumendo una posa plastica: «Like a groupie, incognito, posing as a real... Pokémon Trainer
Life imitates art».
Portò la mano in avanti, tentando di acciuffare l’aria: «You got that medicine I need» e poi, si tirò pugni sul petto, con espressione sofferente: «Dope, shoot it up, straight to the heart, please
I don't really wanna know what's good for me
God's dead, I said, "Baby that's alright with me."»
Il suo volto poi si fece timido, quasi sull’orlo di un pianto e si portò le mani ai lati del volto: « When you talk, it's like a movie and you're makin' me crazy
Cause life imitates art
If I get a little prettier, can I be your baby?
You tell me, "Life isn't that hard."».
Caricò tutta la scena, portò le mani in aria formando una “v” e concluse l’esibizione con il ritornello finale:
«No one’s gonna take my soul away
I'm living like Jim Morrison
Headed towards a fucked up holiday
Hotel sprees, sprees
And I’m singing
"Fuck yeah give it to me, this is Heaven, what I truly want."
It's innocence lost, innocence lost».

Terminò l’esibizione sotto lo sguardo stupito del pubblico. “Gods & Monsters”, di Lana del Rey era certamente un brano crudo, forse abbastanza incompreso ai più che ancora erano rimasti stupiti e sorpresi dai gesti poco ortodossi che il ragazzo aveva eseguito durante l’esibizione.
Scese dalla pedana, seguito da un tiepido applauso e si unì al flusso di gente che si stava dirigendo verso un’altra zona della terrazza dove si stava per tenere la battaglia pokémon della serata.
Charizard e Blastoise si osservavano al centro del grande terrazzo, circondati da una serie di divani neri, occupati da persone che con aria impegnata non volevano perdersi alcuna azione, volevano arrivare a captare anche il più impercettibile respiro.

I due si guardavano intensamente, pronti ad attaccare appena l’altro lo faceva.
«Charizard, Attacco d’Ala!»
Il Pokémon Fiamma si alzò in volo e cominciò a planare rapidamente verso Blastoise che si piegò leggermente in avanti pronto a sferrare Indrondata.
Charizard lo evitò all’ultimo, piombando alle spalle di Blastoise e attaccando con Dragofuria.
Fu dopo questi due turni che Dream sbuffò allontanandosi dalla massa, andandosi a sedere su un piccolo divanetto in pelle posto vicino alla ringhiera che affacciava sul mare, venendo raggiunto immediatamente da Vera: «Ti stava annoiando?».
«Che cosa?» rispose distrattamente il ragazzo mentre stava accendendosi una sigaretta.
«La battaglia…».
«Ah, sì, molto carina, molto… - si portò la sigaretta alla bocca, inspirò e poi espirò, cacciando fuori dal corpo tutto il fumo ingerito – ho avuto un fremito lungo la schiena per tutto il tempo, ho dovuto andarmene per evitare una paralisi» rispose in maniera secca.
«Dai, Dream, non prendermi in giro».
Il ragazzo la guardò divertito.
Vera si mise in piedi, batté le mani e gli fece cenno di alzarsi: «Facciamo quattro passi, coraggio».

«Allora, dimmi, che cosa ha portato il più grande allenatore della storia ad essere indifferente ad una battaglia così bella?».
«Eh, il più grande allenatore della storia. Sono un allenatore mediocre, Vera. Uno abbastanza comune…».
La ragazza mandò gli occhi al cielo, stufa di un’altra risposta vaga, «Vabbè, senti, allenatore mediocre, si può sapere che cosa ti è preso?».
«Vera, ma guarda questi allenatori – disse indicando la zona dove si teneva la battaglia, da cui provenne un leggero coro di sorpresa – Uno vincerà e l’altro perderà, ok.
Quello che vincerà che cosa ottiene? Una soddisfazione, certo, ma temporanea. Fra dieci minuti penserà a tutt’altro. Che cosa ti rimane quando vinci una lotta? Nulla.
Noi allenatori siamo destinati ad esser vuoti. Ci riempiamo di emozioni che sono per loro natura temporanee, e quindi cerchiamo altre sfide e altre vittorie per nascondere e combattere questo vuoto. E che cosa ottieni poi? Ancora vuoto. – Dream si appoggiò alla ringhiera del terrazzo, osservando il mare che sembrava una grande massa scura senza vita – Io mi sono stancato di sentirmi vuoto. La vita corre troppo velocemente per essere in balia di un nulla interiore. Un giorno ci sei e il giorno dopo non ci sei più, rincorrere un tipo di soddisfazione che non sarà mai perpetua, Vera, è solo una perdita di tempo.
E io ho venticinque anni, non ho più voglia di perdere tempo».
«Ma il tuo discorso non ha senso, Dream. Tutte le emozioni sono temporanee, anche i sentimenti a volte.
Quindi cosa facciamo? Smettiamo di vivere per paura di sentirci vuoti? Vivere nella paura non è vivere. Hai venticinque anni, hai detto bene. Hai una vita lunghissima davanti a te, è abbastanza presto per parlare di buttar via la propria esistenza, non trovi? Quindi smettila di piangerti addosso, smettila di vivere nel terrore e torna a fare quello che sai fare meglio: allenare i pokémon e vincere…».
«Quanto sei superficiale – disse gettando davanti a sé la cicca – vivi di luoghi comuni, Vera. Io non voglio allenare e non tornerò certamente a farlo. Voglio dedicarmi ad altro, voglio dedicarmi a qualcosa di più duraturo e non penso che questo io lo possa trovare rimanendo un allenatore.
Non è una ricerca di fama la mia. E’ ricerca di stabilità. Io voglio una vita stabile e la pretendo» concluse il ragazzo.
«Sei diventato vecchio, Dream».
«Può darsi...».
I due fissarono in silenzio il mare per un momento che pareva interminabile.
Poi Vera ricominciò a parlare: «Dream… ho una cosa da chiederti…» disse con tono serio.
«Dimmi» rispose lui mascherando la scocciatura.
Ci fu un altro istante di silenzio, poi aprì la bocca, parlando tutto ad un fiato e tentando di trattenere le risate: «Ma esattamente, che cos’è un pokémon “Defog”?».

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Capitolo 6
*** Capitolo 06 - Insediamento ***


Capitolo 6 - Insediamento
 
Una maschera bianca, decorata semplicemente da una linea nera, posta sul basso e curvata verso l’alto che simboleggiava una bocca, e due linee, più brevi, poste poco più in alto, curvate verso il basso, che simboleggiavano gli occhi.
La donna che la indossava si alzò in aria, rimanendo ferma, immobile. La luce che la illuminava cambiò colore, passando dal giallo ad un rosso intenso, creando un piccolo shock visivo. Il lungo abito rosa, il cui orlo toccava la superficie del palco, si sollevò delicatamente da terra, facendo uscire due guerrieri che indossavano un’armatura in stile giapponese armati di katana. Dopo un breve e quasi impercettibile inchino, i due cominciarono a combattere con grazia e maestria. Le spade si scontravano e strisciavano l’una contro l’altra, emanando scintille luminose in contemporanea ad quel rumore secco tipico del metallo che incontra un’altra superficie metallica.
La ragazza, ancora fluttuante sopra le loro teste, cominciò a roteare, in maniera silenziosa, sul suo posto, fino a quando un suono secco non fece cambiare nuovamente la luce della scena e la donna cominciò ad alzare lentamente le braccia ai lati. Era come se ci fossero dei fili che le tenevano in aria gli arti. Erano perfettamente immobili, non vibravano neanche a causa del respiro. Quando queste furono completamente aperte si sentii un boato e l’intero ambiente cadde nel buio, mentre una leggera brezza fresca inebriò la zona.
Un barlume chiaro si accese illuminando la donna che sostava in piedi su i due guerrieri, atterrati e sdraiati l’uno sull’altro. Indossava un top verde e un paio di pantaloni a zampa di elefante della stessa colorazione, i capelli, di colore rosso, non erano più saldamente legati ma erano sciolti lungo tutta la schiena. Sopra di loro la maschera ancora roteava, con l’espressione mutata, non più sorridente ma triste.
Dopo alcuni secondi di silenzio partì la musica, uno stile particolare: elettronica e dance con l’ausilio di strumenti presi da un’orchestra.
Lei era Giuly Lukio, una cantante originaria di Biancavilla, specializzata in performance sperimentali dall’alto contenuto scenografico. Attiva da diversi anni, solo nel Gennaio del 2016 aveva raggiunto una discreta popolarità che l’aveva portata a permettersi di esibirsi in uno dei più importanti teatri di Fiordoropoli, “Anfiteatro Kirlia”  chiamato così perché sorgeva dove una volta era presente un anfiteatro di epoca classica, che venne distrutto dalle incredibili piogge causate dal risveglio di Kyogre che attanagliarono l’intero Oceano Atlantico.
Dream e Giuly si erano conosciuti, per caso, alle Rovine Floraberto di Settimisola l’anno seguente, nel 2004. Il ragazzo era sul sito archeologico per eseguire delle ricerche per conto del Professor Oak. Secondo alcune voci, le rovine racchiudevano poteri oscuri capaci di svegliare pokémon altrettanto oscuri. Dream si aggirava per la zona con picconi, pale, fotocamere e torce per eseguire eventuali scavi e fotografare i reperti. Il lavoro era stato autorizzato dalla Lega Pokémon di Kanto, fornendo un pass di autorizzazione da mostrare ad eventuali forze di polizia.
Era un periodo particolare per il Settipelago: la mano nera del Team Rocket aveva cominciato ad estendersi per l’arcipelago con piccoli colpi che furono però sufficienti a gettare nel panico la popolazione locale, abituata a situazioni di relativa tranquillità e ad un tasso di criminalità pressoché nullo.
Giuly non era un’allenatrice capace ed esperta. Era finita a Settimisola per puro errore, sbagliando traghetto e si era accorta del suo errore solo una volta giunta alle Rovine Floraberto dove aveva visto un ragazzo preso ad osservare con eccessiva attenzione le mura delle grotte. Voleva avere la sua occasione di diventare qualcuno, di fare del bene e di assicurarsi un posto tra gli allenatori e allenatrici degne di nota. Aveva assalito Dream dapprima alle spalle e quando era riuscito a liberarsene, gettandola a terra, la ragazzina lo ha sfidato per una battaglia Pokémon, facendogli promettere che se avesse vinto lei si sarebbe consegnato alle forze dell’ordine. Dream aveva accettato particolarmente divertito per l’atteggiamento della ragazzina sicura di avere tra le mani un pericoloso criminale.
La battaglia vedeva da un lato Umbreon ed Espeon di Dream e Vulpix e Golem della giovane e durò poco meno di una decina di minuti, con Dream che prevalse su Giuly senza particolari difficoltà. Solo a battaglia conclusa aveva deciso di rivelare alla ragazzina la ragione della sua presenza, mostrandole poi il certificato proveniente dalla Lega.
Fu da quel momento che i due svilupparono un’amicizia quasi fraterna che sopravvisse per più di dieci anni, anche se i due presero strade differenti. Quando Elvira propose a Dream di recensire le prove dello show della ragazza, l’Ex Campione accettò senza storie causando un tripudio di soddisfazione in tutta la redazione del giornale.
 
Giuly si muoveva sinuosamente assieme ai suoi due ballerini, i guerrieri, la sua voce entrava in testa delicatamente, un flusso di parole in lingua orientale che sembrava assuefare il cervello e ridurlo in una situazione di dipendenza. Era come essere vittime di un’ipnosi senza alcuna via d’uscita.
Un rumore secco e la luce venne a mancare, all’improvviso. Dream dapprima pensò ad un altro colpo di scena, fino a che sul palco comparvero tre piccoli Charmender che illuminarono la zona con la fiammella sulla loro coda, gli pareva chiaro che ci fosse qualcosa che non tornava.
«Filippo… Filippo ci sei?» gridò la ragazza che non nascose la rabbia all’interno della propria voce.
Non pervenne alcuna risposta.
«E’ possibile sapere dov’è finito il tecnico delle luci?» continuò la ragazza.
«Mmh, era quello con una maglietta con scritto “V’illumino d’immenso” sulla schiena?» chiese Dream avvicinandosi al palco mentre Espeon illuminava la sala con i suoi occhi.
«Sì, è lui. L’hai visto, Dream?»
«Sì, l’ho visto che usciva dal teatro. Era al telefono, parlava della parata…».
La ragazza lanciò in aria le mani e gridò qualcosa in coreano, dal tono quella che sembrava un’imprecazione, poi aggiunse guardando Dream con gli occhi che sembravano uscirle fuori dalle orbite per la rabbia: «La parata! E’ andato alla parata! Ma si può essere così idioti, Dream? Dimmelo, si può essere?».
«Eh… la parata. – le porse una mano, con uno stile che ricordava molto i gentiluomini del ‘700 – Signorina, sarebbe così cortese da accompagnarmi ad osservare il trionfo del trash nazionalpopolare?».
Giuly si girò attorno. Ormai, oltre ai tre piccoli Charmender e Espeon, Dream e Giuly erano gli unici due umani nell’edificio. I guerrieri erano scappati proprio quando la luce venne a mancare, diretti anche loro alla manifestazione.
 «Non c’è più nessuno qui, vero?» chiese la ragazza sconsolata.
Il ragazzo alzò le sopracciglia e scosse la testa.
«Mi piace lavorare con i professionisti. Andiamo, dai» disse prendendo la mano di Dream.
 
La parata era stata organizzata dal partito di Giovanni, “Repubblica Nuova” per celebrare la grande vittoria alle elezioni che si erano tenute qualche settimana prima.
Tutti i simpatizzanti che volevano partecipare, dovevano vestirsi di nero e fare altrettanto con i propri pokémon e sfilare trionfalmente, fino a Piazza del Governo, il grande piazzale dove erano costruiti la sede del Parlamento e del Governo.
Una volta giunti lì, sarebbe cominciata un’altra manifestazione portata avanti dai membri ufficiali del partito.
Dream e Giuly volarono in groppa a Pidgeot, osservando quella massa di color nero che come un fiume in piena inghiottiva e faceva suo ogni centimetro di strada. Dagli altoparlanti e megafoni uscivano cori che inneggiavano alla grande figura del Presidente Giovanni e suonavano l’inno scelto per le elezioni politiche.
«La vuoi sapere la cosa divertente, Dream?» gridò la ragazza, per far udire la propria voce al compagno.
«Dimmi».
«Il Parlamento ha emanato una legge che impedisce di licenziare i dipendenti se questi si assentano per partecipare a questa manifestazione. Non posso far volare teste per quello che è accaduto prima...».
«Frustrante, vero?» chiese Dream sorridente.
«Tu non sai quanto...».
Alcuni allenatori lasciarono liberi i propri pokémon Drago e Volanti che cominciarono a volare per il cielo azzurro di Fiordoropoli, portando i simboli politici fino sopra le nuvole.
Pidgeot lentamente calò di quota, per allontanarsi da alcuni Salamence che avevano cominciato a scagliare nell’aria dei Dragospiro per creare ulteriore coreografia.
I due ragazzi cominciarono così a viaggiare all’interno di alcune piccole viottole dove poterono notare che alcune famiglie avevano tinteggiato le tende degli interni, mentre altre avevano preferito decorare le porte d’ingresso dei condomini con fiori o bandiere di grandi dimensioni con il colore ufficiale del partito. Nero, nero e ancora nero. Sembrava che tutti gli altri colori fossero stati vietati, proibiti, cancellati dalla memoria.
La scena cambiò una volta giunti nella piazza dove aveva inizio l’altra manifestazione.
Il grande spazio era occupato da quattro gruppi di persone composte da centinaia di persone ciascuno.
Pidgeot atterrò sul palazzo posto di fronte a quello del Governo.
«Saruman sarebbe così fiero di loro» commentò Dream sorridente, mentre tirava fuori un sigaro dalla tasca accendendolo e portandoselo poi alla bocca.
«Ma fumi sempre, tu? Non hai paura del cancro?» chiese la ragazza perplessa.
«Quanto sei ingenua, ragazza. – disse togliendolo dalle labbra – Lo stile richiede sacrifici. Questo... questo è un sigaro cubano. Hasta la victoria siempre» disse portando in alto il pugno sinistro.
«Non ti facevo comunista, sai».
Dream la squadrò con uno sguardo che le fece gelare il sangue.
«Ricorda, Giuly: “c'è un luogo e un momento per ogni cosa ma non ora”, diceva un caro professore. Ma quale momento migliore di fumarsi un sigaro di contrabbando cubano davanti a questa banda di squadristi». Si portò il sigaro alla bocca per appropriarsi del fumo del tabacco che venne poi immesso nell’aria.
Continuò ad osservare con attenzione la scena che si presentava davanti a sé, cominciando a provare un profondo disagio e la sensazione che una forza invisibile, una mano, gli stesse stringendo un cappio al collo. Era un’immagine soffocante. La fine della democrazia, della libertà e dell’individuo. Mai avrebbe pensato di ritrovarsi uno spettacolo del genere davanti ai suoi occhi, che era roba da libri di storia, roba da prima metà del Novecento. Invece ora era tutto reale, concreto. Poteva addirittura toccare con mano quello pseudo-totalitarismo che si era concretizzato sotto i suoi occhi.
«Pensaci Giuly, pensaci bene...».
«A cosa?» chiese lei perplessa.
«Te lo saresti immaginato tre, quattro anni fa, uno spettacolo di questo tipo?».
«No».
 
21 Dicembre 2012
Per molti, il 2012 doveva essere l’anno della fine del mondo. Registi di tutto il mondo si sbizzarrirono, creando film su improbabili sconvolgimenti naturali. Il successo al botteghino era assicurato, bastava far capire nella locandina che lo spettacolo in qualche modo avrebbe previsto la distruzione del mondo e la gente ne acquistava prontamente il biglietto.
Quando alle 21:00, i suoi collaboratori gli comunicarono che era in diretta nazionale, il Presidente del Consiglio in quel momento si augurò davvero che quello che aveva visto in uno di quei film si potesse avverare da un momento all’altro. Il suo volto era teso, pallido e tirato.
Era raro vederlo con fogli in mano, avendo abituato il pubblico a discorsi a braccio, con giusto qualche appunto utile per tenere a mente gli argomenti di cui parlare. Questa volta era diverso. I suoi occhi erano stanchi, le rughe ben evidenti.
«Ma guardalo, è stanco» commentò ironico Dream, con il telecomando in mano pronto ad alzare il volume.
Il discorso venne annunciato quel pomeriggio stesso, dopo che nella mattinata le voci su un presunto default economico del Paese si erano fatte ancora più insistenti. I tassi di interesse sui titoli di stato decennali avevano quasi raggiunto gli otto punti percentuale, fermandosi ad un passo dal punto di non ritorno, oltre il quale la bancarotta è assicurata. Sui giornali nazionali e internazionali non si parlava d’altro e anche alcuni grandi esperti provenienti dal Fondo Monetario Internazionale avevano cominciato a parlare di possibili aiuti economici in cambio di porzioni di sovranità politica.
Non c’erano scuse o colpe da dare ai precedenti governi. Sarebbe stato facile dopotutto, ma era impossibile da attuare come strategia: Giovanni governava ininterrottamente dal 2005 e tutte le regioni della Repubblica erano in mano a Repubblica Nuova, tranne Hoenn; che non versava comunque in una situazione di dissesto tale da poter ricevere la colpa del buco di bilancio.
Il bilancio, sì. Sostanzialmente, il Governo per tenere bassi gli interessi sul debito, aveva con gli anni cominciato a falsificarlo, tenendolo più basso di quanto fosse realmente. I soldi in realtà erano spariti per le clientele e per assumere, nella cosa pubblica gli amici di amici che oliavano gli ingranaggi delle urne. Nel settembre del 2012, il responsabile economico dei tecnici del Parlamento venne a mancare per un infarto e ad ottobre gli succedette tale David Teynes. David era completamente estraneo ai meccanismi di corruzione e pressione politica. Seguì il proprio istinto e decise, nell’Ottobre dello stesso anno, di mettere sottosopra l’intera legge finanziaria per l’anno successivo, controllando e prendendo in considerazione anche tutte le leggi economiche approvate dall’inizio dell’insediamento di Giovanni. Sentiva puzza di bruciato, come se il governo fosse sempre troppo ottimista nei confronti dei conti pubblici... L’effetto domino fu inevitabile.
«E’ inutile cercare colpevoli o scuse, è inutile farlo a quest’ora della notte, cittadini. La situazione è molto più grave di quanto qualcuno possa augurarsi. Ma come Capitano della nave, quando ho accettato l’onere di governare, l’ho fatto ben consapevole dei rischi che si possono incontrare sedendo su questa sedia.
E’ perciò con la voce rotta che vi annuncio che ci aspetta un periodo buio, un periodo in cui tutti noi dobbiamo stringere la cinghia e farci coraggio per tornare a splendere come e più di prima».
Giovanni cominciò a snocciolare uno ad uno i dati macroeconomici, spiegando con parole semplici cosa questi volessero dire, per poi passare ad illustrare nel merito le misure di austerità che il Governo aveva intenzione di varare.
Il crollo di popolarità fu immediato. Molti pensarono che il Governo avesse sostanzialmente nascosto la polvere sotto il tappeto per troppo tempo, ma ora un colpo di vento lo aveva sollevato mostrando il marciume fino a quel momento invisibile agli occhi dei più. Con l’esecutivo più debole, molte persone che avevano chiesto favori illeciti ai ministri in passato, cominciarono a fare ulteriori pressioni per ottenere maggiori benefici, che stentarono ad arrivare per la chiusura dei cordoni della borsa. Così, cominciò una lunga e apparentemente inarrestabile sequenza di dimostrazione di quanto la corruzione avesse posto le radici all’interno dello stato.
La crisi economica mondiale scoppiata nel 2008 aveva colpito in pieno la Repubblica che però era riuscita a difendersi con misure che tutti gli organismi internazionali definivano “pericolose e inefficaci sul lungo periodo”.
 
13 Febbraio 2013
«Signor Giovanni, abbiamo effettuato un sondaggio tra gli elettori» disse il conduttore del talk show, Alfredo Monti. Capelli corti, neri, un paio di occhiali. In mano teneva la classica cartelletta di plastica con il nome del programma sul retro e una serie di appunti sui fogli.
«Ma sa, a me non piacciono molto i sondaggi» tentò di interromperlo Giovanni, seduto su una sedia. In quel momento il suo cuore cominciò a pulsare. Il suo team da tempo aveva smesso di consegnarli i sondaggi e i quotidiani per le troppe notizie negative che pubblicavano.
«Prego, mostrate il cartello sul teleschermo – continuò il conduttore non ascoltando il Presidente – ecco, abbiamo fatto una misura campione e risulta che solo il 20% dei suoi votanti, alle precedenti elezioni, confermerebbe il proprio voto al suo partito oggi...».
Giovanni lo interruppe prepotentemente: «Ma guardi, questi dati sono assolutamente da prendere con le pinze».
«Ma aiutano a fornire una fotografia del Paese. Una fotografia molto più veritiera di quella che l’esecutivo continua a fornire. Secondo l’istituto nazionale di statistica, dove i vertici vengono scelti dal Parlamento, il tasso di disoccupazione è del 12%. Secondo gli organi internazionali in realtà è vicina allo sfiorare il 30%».
«Francamente, Alfredo, mi sento di essere nella posizione di dire che il resto del mondo non è nella posizione di conoscere la nostra economia» tagliò corto il Presidente con un ampio sorriso.
«Però avevano previsto che le misure da lei adottate in passato avrebbero portato un tracollo completo. Non vorrei lanciare accuse pesanti, ma c’è una manifestazione a settimana. I supermercati chiudono in massa, così come i centri commerciali e non parliamo dei piccoli negozietti, che sono spariti tutti. Il tessuto imprenditoriale che aveva reso forte la regione di Kanto e Johto è un ricordo del passato.
Paragonando Scuola per Allenatori di Johto e Kanto di oggi, le iscrizioni sono diminuite del 45% rispetto allo stesso periodo del 2001. E questo dato si può riscontrare in tutte le altre regioni, nessuna esclusa. Le persone preferiscono dare ai loro figli un titolo di studio spendibile all’estero. La fuga dei cervelli è ricominciata.
Inoltre la Banca centrale sembra completamentefuori uso. La deflazione sta facendo fuori le imprese, mettendo in ulteriore difficoltà le famiglie e questo non potrà far altro che peggiorare la situazione delle banche già complessa e delicata di suo.
Signor Presidente del Consiglio, non si sente neanche un pochino responsabile della situazione del Paese?».
L’intervista di quella sera gli avrebbe fatto perdere anche quel pugno di voti che gli rimaneva, ne era certo. Ma fu proprio guardando quel “20%” che la soluzione al grande problema si formò nella sua mente. Bastava poco alla fine. Era come se il soffitto dello studio fosse stato fatto a pezzi, e dal cielo blu apparve la mano di Dio, tesa a fornirgli un aiuto: non sarebbe sopravvissuto solo alle elezioni del 2016, le avrebbe vinte.
Quella stessa sera, tornato a casa, chiamò a sé i vecchi vertici del Team Rocket, la cui maggior parte occupava i posti più alti della piramide del partito. Il piano era semplice e di vecchio stile: creare una situazione di tensione perenne all’interno dello Stato in modo tale che il Governo ne uscisse rafforzato.
Ma bisognava agire in fretta, il Presidente della Repubblica aveva espresso una certa sofferenza nei confronti del Primo Ministro ed era intenzionato a sostituirlo con l’aiuto di alcuni parlamentari della maggioranza pronti a formare correnti, una vera e propria rivoluzione per quello che era il partito dal pensiero unico.
Nella primavera del 2013, con l’inizio della bella stagione, il treno ad alta velocità proveniente da Nevepoli e diretto a Arenipoli, venne fatto esplodere nel centro della città meridionale, ferendo gravemente la comunità marittima. Centinaia di vittime, tra morti e feriti. Quello fu il primo della scia di sangue, che toccò il poi il “Grande Centro Commerciale” di Fiordoropoli, fatto esplodere nel periodo Natalizio.
Venne il turno poi della Gara Federale di Pokémon, a Porto Selcepoli, questa volta le vittime caddero sotto i colpi di ferocissimi Salamance e Tyranitar che piombarono sulla folla sbranando e colpendo chiunque gli capitasse a tiro. Infine, l’ultimo attentato, colpì la M/N Anna che rischiò l’affondamento a pochi chilometri da Aranciopoli, da dove era salpata.
A seguito di ogni attentato, il Governo si dimostrava forte e mostrava un pugno di ferro nei confronti dei criminali, prefiggendosi l’obiettivo di trovarli e incarcerarli, risultati che venivano ottenuti accusando e processando persone che in realtà si sacrificavano, ottenendo in cambio benefici economici per le proprie famiglie. Ad ogni attentato corrispondeva una passerella mediatica di Giovanni che andava a trovare le vittime, nelle camere degli ospedali, o mandava i propri parlamentari ai funerali dei deceduti, portando parole di cordoglio da parte del Presidente stesso.
Capitò anche che un paio di colpevoli cambiarono idea e si dissero pronti a trattare la loro colpevolezza, ma misteriosamente finirono entrambi morti per suicidio nelle loro camere.
“Il Terrore”, come venne chiamato nel gergo giornalistico, terminò nel 2015, in contemporanea a dati macroeconomici in miglioramento.
 
Le bandiere cominciarono a sventolare una alla volta in piazza. Rigorosamente di color nero e con il simbolo di Repubblica Nuova ricamato con il colore bianco. Le persone nella piazza marciavano tutte sul posto in maniera ordinata. La forza nei piedi era tale da indurre il tetto sotto i piedi di Dream e Giuly a tremare.
Poi il movimento militare si interruppe, di colpo.
Passarono alcuni istanti di silenzio e cominciarono a suonare dei tamburi con un ritmo lento, ma capace comunque di metter ansia a chiunque davanti a quell’esibizione.
Gli uomini e le donne della piazza cominciarono poi a fare una strana coreografia: il braccio sinistro era sempre teso verso il basso ma muovevano, con movimenti particolari e insoliti, quello destro che venne prima elevato verso l’alto, l’avambraccio venne così piegato a sinistra e il braccio poi venne così riportato in basso.
Giuly, lanciando una fugace occhiata al suo amico, chiese: «Quanti Paesi fanno cose di questo genere?».
«Penso solo la Corea del Nord. Persino i Sovietici erano più sobri quando marciavano sulla Piazza Rossa».
Seguirono poi altri movimenti eseguiti con un ritmo sempre più veloce, sostenuti dagli strumenti a percussione. Quando i battiti raggiunsero una frequenza elevata, tanto da non essere quasi più distinguibili questi cessarono e si fermarono anche coloro che stavano eseguendo quelle strane movenze.
Una voce potente, forte, che rimbombò in tutta la piazza e per le vie ad essa adiacenti, disse: «Attenti! Saluto a Giovanni!».
Con un gesto quasi automatico, coloro che si erano mossi fino a poco prima, misero la mano destra, posta poco sopra al cuore, in modo perpendicolare rispetto al petto.
Da una delle finestre del palazzo del Governo uscì lui, Giovanni, seguito da un boato dalla piazza. L’uomo sporse leggermente e cominciò a salutare la folla con ambo le mani.
 
Dream percepì un tonfo e si guardò affianco. Rosso era appena arrivato a bordo di un Charizard. «Cosa mi sono perso, ragazzi? Già finito lo spettacolo?» chiese mentre si sistemava i capelli scompigliati a causa del volo.
«Non lo so, certo è che siamo al discorso del grande Duce» rispose Dream senza toglier gli occhi dalla piazza.
Fu un discorso molto simile a quello che tenne la sera dell’election day. D’altra parte, non si erano susseguiti particolari eventi da mutare il panorama politico. Toccò i temi a lui cari: la giustizia che anni prima aveva «osato indagare sui membri dell’opposizione, uno scenario da paese sovietico!» tuonò nel microfono, mentre Dream faceva notare che ai tempi dell’indagine, Giovanni non si era lanciato in politica. Parlò della grande rivoluzione riformatrice che stava applicando allo Stato e la grande attrattiva che le azioni del Governo avevano verso l’estero: «La nazione di Kalos ci ha chiesto mesi fa di poter accedere allo status di “Stato Osservatore” perché vuole entrare nella Repubblica. Se ci fosse stato un governo dalle personalità deboli come i democratici o quelli schizzati dei cinque stelle, non avrebbero mai, dico mai, proposto una partnership di questo tipo. Ma questa piazza dimostra che le persone in questo Paese sanno scegliere bene, perché se noi siamo al Governo è perché la gente ha buon gusto!» disse sorridente.
Dream mise mano al suo pokégear ed effettuò l’accesso a Twitter, il social network che gli permetteva di comunicare con messaggi di massimo centoquaranta caratteri. Il suo account era particolarmente seguito e lo utilizzava per commentare in breve i fatti della giornata, con uno stile che i giornalisti più maligni gli invidiavano.
«Indovinate un po’ quale Campione populista è appena apparso in una delle finestre del palazzo governativo? Alexei Know, proprio lui!».
Il Campione era effettivamente ad una delle finestre del Palazzo dove Giovanni stava parlando, un fatto che Dream trovò curioso poiché l’autorizzazione per entrarvi poteva essere concessa solo dal Primo Ministro.
Il volto di Giovanni si fece scuro, serio, tirato. La voce si fece arrabbiata, aggressiva: «I nostri oppositori, politici e non, sappiano che verranno schiacciati dal potente braccio della democrazia. Il popolo ha deciso e votato, il 48% dei cittadini ha votato per Repubblica Nuova. Scegliete bene da che parte stare, se non volete esser travolti dal grande fiume dell’anti-consenso popolare.
Essere di sinistra equivale ad essere fan del fallimento. Il 20% non vi porterà da nessuna parte, solo a casa!». Un fragore riempì la piazza, un misto di grida di persone galvanizzate e di versi di pokémon che volevano mostrare a tutti i costi la loro incredibile potenza e unione a quello che molti avevano rinominato “Leader Maximo”.
 
«E’ così che muore la libertà: sotto scroscianti applausi» disse Dream, allungando in aria le braccia che si erano leggermente intorpidite.
«Gandhi?» chiese Rosso.
«No, Padmé Amidala, Star Wars. Vedi perché ti fa male stare sul Monte Argento? Neanche i fondamentali mi riconosci più, Rosso» disse con un espressione divertita sul volto.
«Io invece ho paura, ragazzi» disse Giuly, con voce tremolante e uno sguardo perso nel vuoto.
Dream si fermò ad osservarla. Stava davvero sottovalutando gli eventi?
«Cara – proseguì Dream  – tu fa il tuo spettacolo come al solito e vedi che non ti toccano. E se lo fanno chiama il sottoscritto e il nonno di Heidi qui presente che li mettiamo in fuga e scappiamo verso nuovi orizzonti. Saremo i nuovi Bonnie e Clyde o le nuove Thelma e Louise. Anche se quelle erano coppie e noi saremo un trio. Ma ci possiamo adattare, no?».
Rosso si mise a ridere: «Son tutti personaggi che muoiono, lo sapevi, no?».
Dream lo guardò in maniera cupa: «Devi sempre essere così pessimista, tu? E soprattutto, non conosci Star Wars e vuoi darmi lezioni di cinema? Dai, Giuly, andiamo. Lasciamo quest’uccello del malaugurio da solo».
I due si posizionarono sopra a Pidgeot, Dream lanciò un’occhiata al suo amico: «Buon inizio di totalitarismo, Rosso. E mi raccomando, cambia nome in “Nero”, è il colore che andrà di moda da oggi».
«Grazie, comincerò domani le pratiche di cambio-nome» rispose salutando con la mano i due amici.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 07 - Ricordi Lontani ***


Capitolo 07 - Ricordi Lontani
 
La luce lunare filtrava a fatica tra le foglie dell’edera che cresceva attorno al gazebo presente sul terrazzo di Vera.
In lontananza, prestando attenzione, si poteva udire il rumore dell’acqua del mare del Percorso 124 infrangersi contro gli scogli posti vicino alla costa. Portando lo sguardo alla destra si poteva osservare il profilo della M/N Marea completamente illuminata da grossi fari, con due fumaioli gialli accesi. Mancavano pochi minuti alla sua partenza che da Porto Alghepoli l’avrebbe fatta attraccare a Porto Selcepoli il mattino successivo. Le volte in cui Dream aveva usufruito di quel traghetto non si potevano contare sulle dita di centinaia di mani. Hoenn era la regione in cui aveva passato più tempo in mare, sotto il caldo sole e circondato solo da un’immensa distesa d’acqua e qualche scoglio che faceva capolino tra la cresta delle onde dell’oceano. Ogni tanto si chiedeva quanti Tentacool avevano tentato di imbrigliare le pinne di Kyogre per poi venire spazzati via dalla sua immensa potenza.
 
La casa di Vera era un appartamento di medie dimensioni. Dal terrazzo si accedeva al salotto, una stanza non particolarmente piccola, con le pareti color rosa salmone. Il mobilio di noce chiaro era in stile moderno, mentre una grande televisione, alle spalle della scienziata, era sintonizzata su uno show comico.
Dream e Vera erano seduti al tavolo, osservavano entrambi Giuly, seduta su una sedia leggermente allontanata dal tavolo e Rosso, in piedi davanti a lei. Si erano riuniti per la prima volta dopo molti anni, sotto invito di Vera. Dopo la cena avevano cominciato a giocare a “Tabù”, ridendo e scherzando, come se le lancette del tempo non si fossero mai mosse dal 2005.
«Oh, Rosso, ora voglio proprio vedere come fai a fargli indovinare questa parola» cominciò Vera divertita.
«Giuly, sei pronta?» cominciò Rosso carico.
La ragazza annuì tesa.
«Bene, vediamo... “Dream”!» disse Rosso con gli occhi pieni di speranza.
«”Stronzo”!» gridò Giuly
«Esatto!» esclamò il suo compagno di squadra battendo i pugni sul tavolo.
«Cosa?! – si fece avanti Dream perplesso – Il suggerimento ero io? E soprattutto non ci sono le parolacce in ‘sto gioco».
«E’ la versione vietata ai minori, Dream» spiegò Vera prendendo in mano la scatola che giaceva affianco ai piedi della sedia su cui era seduta e mostrandola al ragazzo.
«E il suggerimento dovevo essere io?»
«Forza, Dream – rispose Giuly – lo sappiamo tutti che sei il re degli stronzi, è inutile fingere. Ed è un ruolo che sai impersonare molto, molto bene».
Dream lanciò occhiate di sfida a tutti i presenti, mentre dal taschino della camicia prendeva sigaretta e accendino.
«Dream, non puoi fumare in casa» fece notare Vera.
«Puniscimi».
La ragazza prese con delicatezza una pokéball dal tavolo e la fece cadere delicatamente a terra facendo uscire un Chimecho.
«Chimecho, usa Avvolgibotta su Dream» disse con una freddezza inusuale.
Il pokémon Psico allungò la coda nastriforme e la adoperò per legare Dream alla sedia, prima che potesse alzarsi in piedi per protestare.
«Vera! Slegami subito» cominciò a gridare il ragazzo furente, mentre Giuly e Rosso cominciarono a ridere di gusto, come se fossero due spettatori di una scena teatrale.
«Hai detto di punirti e lo sto facendo. Non avevo intenzione di prendere te come soggetto... ma visto che ci siamo...» rispose con un sorriso inquietante.
Vera si alzò in piedi e mise a posto la sedia su cui era seduta poco prima. Si sfregò le mani, come se questo la aiutasse a formulare meglio un discorso da pronunciare ai suoi ospiti. Poi, con una certa dose di incertezza a cui gli aveva abituati, cominciò a parlare: «Vi ho chiamati per un semplice motivo, volevo rendervi partecipi di un esperimento».
«Che genere di esperimento?» chiese Rosso aggrottando la fronte.
«Ottima domanda, Rosso - continuò la padrona di casa indicando Rosso con entrambi gli indici – è un esperimento per nulla pericoloso o nocivo. Tramite Gardevoir farò addormentare la cavia - disse indicando Dream - in modo tale da poter avere un completo accesso alla memoria e con l’aiuto di un Rotom, i ricordi lì contenuti verranno proiettati sul televisore in modo da poterli osservare».
«E perché hai cercato noi? – chiese Dream tentando di divincolarsi dalla morsa di Chimecho – E poi son cose da psicologi, tu non studi i pokémon? Le mosse, evoluzioni, i tipi…».
«Appunto. Stiamo elaborando un nuovo metodo per lo studio della mente umana attraverso l’uso dei pokémon. E’ un progetto praticamente ultimato, volevo mostrarvi i risultati, prendetelo come un ramoscello di ulivo per una pace duratura tra di noi. Non pensi di poter essere fortunato a testare queste frontiere del domani?» chiese Vera con un gioco delle mani che la facevano assomigliare più ad una maga del circo che ad una delle più importanti donne scienziato della nazione.
“No.” Rispose seccamente Dream.
“Beh, peccato... - Vera batté delicatamente le mani sul tavolo e si avvicinò con tutto il busto al viso di Dream, che sedeva di fronte a lei – Gardevoir, usa Ipnosi!».
Gardevoir apparve dal buio delle altre stanze, seguita da Rotom che fluttuava energico. Ogni passo che il pokémon Abbraccio compieva, Dream tentava di allentare la presa di Chimecho senza alcun successo. Appena Gardevoir entrò nel salotto, un delicato odore di fragola e vaniglia cominciò a farsi strada nel naso di Dream che cadde addormentato con la testa in avanti.
«Non è tanto caro quando dorme?» chiese Giuly utilizzando una voce palesemente goffa, quasi per deridere il ragazzo anestetizzato.
 «Giuly, tu metteresti mai la mano in bocca ad uno Sharpedo che dorme?» chiese Rosso inclinando leggermente la testa e osservando l’amico.
«Certo che no...».
«Ecco: Dream, addormentato o no, è comunque letale» concluse divertito.
 
Gardevoir posò prima la zampa sinistra sulla spalla destra di Dream e successivamente, con una grazia non indifferente, mise la zampa destra sulla testa di Rotom. Il pokémon Psico, per incrementare la concentrazione, chiuse delicatamente gli occhi, mentre Rotom cominciava a mandare impulsi elettrici nei confronti del televisore.
Apparve prima l’immagine del monoscopio a cui seguì poi quella delle barre colore.
Passarono pochi minuti e poi si incominciò a vedere un allenatore giovane all’aria aperta, davanti ad un edificio. In sovraimpressione la scritta “Data ricordo: 01/08/2007”.
«Chimecho, ora puoi liberarlo» disse Vera con un cenno, con gli occhi sempre puntati sullo schermo televisivo.
 
Era una giornata afosa quella. Il sole era alto nel cielo, la temperatura era decisamente sopra la media e l’ambiente era umido. Le zanzare tigre avevano più volte posato le loro zampe sulla cute di Dream, tentando di appropriarsi del sangue, mentre numerosi storni di Yanma erano stati avvistati attorno a Rupepoli.
Dream si accingeva a toccare la maniglia della porta dell’edificio della guardia ranger che controllava gli accessi in entrata e in uscita dal Percorso 214. La strinse in mano, pronto a schiacciarla, quando una voce femminile che conosceva molto bene lo fermò giusto in tempo.
«Hey, Dream».
Il ragazzo si voltò indietro, notando che gli stava venendo incontro una ragazza con un cappello di lana bianco, lunghi capelli lisci neri e una pelle particolarmente chiara. Indossava un foulard rosso legato al collo e un vestito che si interrompeva a metà coscia di colore nero e rosa pastello, poi un paio di stivali pelosi della medesima tonalità di rosa.
«Hey, Dream, dove stavi andando?» chiese con il fiatone.
«Sul Percorso 214, ho battuta la palestra» disse lui con un tono di voce piatto, tra il seccato e l’annoiato.
«E’ stata dura battere Marzia, vero?».
La ragazza era palesemente agitata. Fondamentalmente, era come se stesse cercando un qualsiasi argomento per cominciare una discussione.
Dream la osservò inclinando leggermente la testa verso sinistra. Il suo volto non era animato da alcuna espressione, «In realtà no. Non ho avuto alcuna difficoltà. Staraptor ha fatto un ottimo lavoro...».
La ragazza strabuzzò gli occhi sorpresa: «Io ho rischiato di venir sconfitta!».
«Mi spiace» rispose Dream seccato. In realtà non gli dispiaceva per nulla e anzi, in fondo un po’ se lo aspettava che Lucinda avrebbe avuto difficoltà, tutte causate dall’emotività più che dalla reale complessità della sfida.
Dream e Lucinda si erano uniti in viaggio nella grande città di Giubilopoli, entrambi avevano sedici anni. Dream aveva accettato la compagnia della ragazza in maniera passiva. Alla fine, Lucinda, non aveva mai chiesto se avrebbe gradito della compagnia.
Lungo la strada per raggiungere la città di Rupepoli, avevano incontrato un allenatore disperato che piangeva tra l’erba alta. Aveva confidato ai due che erano mesi che la sua squadra veniva sconfitta da Marzia e che un qualsiasi tipo di allenamento che applicava ai suoi compagni non era sufficiente per ottenere l’agognato riconoscimento metallico. Lucinda era entrata così in città vittima di un’incredibile ansia per la notizia, al contrario di Dream che aveva ringraziato il ragazzino salvo pensare che fosse un completo buono a nulla.
Si mise a riflettere sulla difficoltà che Lucinda ebbe nell’affrontare la Palestra e l’unica ragione era che anche lei, in fondo, non era capace e si trattava, inevitabilmente, di una palla al piede da rimuovere il prima possibile. L’occasione gli si presentò per caso, tra le mani.
«Dream mi stavi per caso lasciando qui?» chiese la ragazza dopo alcuni istanti di interminabile silenzio, con un’espressione preoccupata per quella che sarebbe potuta essere la risposta.
«Beh, alla fine... – indugiò il ragazzo per un momento – non abbiamo mai detto che avremmo viaggiato assieme per tutto il tempo, Lucinda».
«Ma potevi dirmelo invece che scappare via come un Rattata!».
«Ti ho salutato dicendo “ci vedremo”, non “ci vediamo fuori”. E poi te ne parlai qualche giorno fa che avevo bisogno del tempo per me stesso...».
La ragazza cominciò a fare un’espressione ricolma di tristezza e malinconia, che non riusciva proprio a nascondere per quanto ci stesse provando.
«Quindi per te era solo sesso? Non ci tenevi neanche un pochino a me?» sbottò la ragazzina, con le guance ormai rigate dalle lacrime.
«Ma no, non fare così – si avvicinò il ragazzo, asciugandole una lacrima che scorreva sulla la guancia sinistra – raccontavi anche delle graziosissime barzellette, Lucinda».
«Sei solo un porco!» gridò tirando un ceffone in pieno volto al ragazzo, che si massaggiò la zona colpita, «Cosa c’è di sbagliato in te, Dream? Perché tratti le persone come se fossero miseri oggetti?».
Dream sbuffò e si girò, prendendo saldamente in mano maniglia e ruotandola, aprendo la porta dell’edificio della guardia ranger, ma una mano lo tirò per il colletto della maglia, facendogli quasi perdere l’equilibrio.
«Dove pensi di andare?! Non abbiamo ancora finito...».
Dream si voltò per guardare la ragazza dritta negli occhi. Erano diventati scuri, arrabbiati: «Non abbiamo ancora finito, Lucinda? Io credo di sì, invece». La voce. La voce di Dream era improvvisamente diventata quasi minacciosa. Era fredda, tagliente. Nulla paragonabile al tono, seccato, che aveva tenuto fino a qualche secondo prima.
«Ci stiamo mollando, Dream? E’ finita?» continuò lei in lacrime.
«Lucinda, non è mai cominciato niente tra di noi, te lo sei forse sognata tu! Hai sedici anni ed è forse tempo di smettere di credere nelle favole che ci raccontiamo prima di andare a dormire».
Si girò e si lasciò alle spalle Rupepoli e la voce di Lucinda, rotta dalle lacrime. L’unica cosa che aveva deciso di portarsi dietro erano le parole di Marzia, che prevedeva la sua incoronazione alla Sala D’Onore.
 
«Bop, bop, bop,
Straight to the top
Going for the glory
We’ll keep stepping up
And we just won’t stop
Untill we reach the top».
Canticchiava annoiato il ragazzo, mentre continuava a percorrere la strada erbosa su cui si trovava già da un’oretta.
Staraptor volava alta nel cielo, sicura di sé, alla ricerca di una qualche preda con cui combattere e aggiungere alla collezione del Pokedex che Dream voleva e doveva riempire. La fronte cominciava ad essere umida dall’eccessivo caldo che attanagliava la strada. Decise di prendersi una pausa, cercò una zona d’ombra sotto un albero e ci si sedette, con la schiena posata contro il tronco.
Le leggere brezze che gli accarezzavano la pelle lo cullarono al punto di farlo addormentare, fino a quando la sensazione di esser osservato non lo riportò allo stato di veglia.
«Hey, tu» disse una voce bassa, maschile, virile.
Non pervenne nessuna risposta da parte di Dream, che con gli occhi chiusi fingeva ancora di essere tra le braccia di Morfeo.
«Hey, tu, pivello. Sto parlando con te».
Dream nella stessa posizione, rispondendo sottovoce: «Non lo vedi? Sto dormendo».
«E allora perché mi rispondi, cretino?» continuò l’uomo con tono beffardo.
«Perché io sono il demone Pazuzu, principe delle tenebre. E tu stai disturbando il sogno del mio padrone» rispose il giovane con una voce che improvvisamente divenne rauca e profonda, come se fosse stato impossessato realmente da un qualche spirito malvagio.
L’uomo indietreggiò di qualche passo fino a ché Dream non aprì gli occhi osservandolo con sincera curiosità: «Parlavi con me?».
«Chi sei tu?» continuò l’uomo guardandolo con sospetto.
Il ragazzo scattò in piedi, facendo indietreggiare ancora l’uomo. Posò le mani ai fianchi decidendo poi di togliersi la canottiera nera che cominciava ad appiccicarsi al petto per il troppo calore. Osservò curioso a sinistra e poi a destra, osservando il Percorso completamente desolato, senza persone o pokémon in vista.
«Io? Io sono uno che ha caldo».
«E chi è Pazuzu?».
«Santo cielo – disse lanciando le mani in aria – come siete problematici voi abitanti di Sinnoh. Era una battuta, non lo hai mai visto “L’Esorcista”? Oh, certo che no. La gente guarda quella serie che parla di quella famiglia con tanti figli da poter formare uno stato indipendente, con il padre che ha quel locale nei sobborghi di Fiordoropoli. Come si chiama? “Gli Allenatori”?» continuò Dream, posando il suo sguardo sulla zona che si presentava davanti a lui.
«Sì, si chiama così» rispose l’uomo, perplesso.
«Beata ignoranza... Io sono Dream, comunque».
«Dream? Ma che nome è? Che cosa si sono fumati i tuoi genitori quando lo hanno scelto? E’ un nome così femminile...» lo guardò schifato l’uomo. Dream fece finta di niente, alzando le spalle indifferente: «Tu come ti chiami?».
«Enea» rispose l’uomo fiero.
«Enea?» rispose il Campione sorridendo. Si schiarì la voce, chiuse gli occhi e con tono solenne cominciò a ripetere: «“Oppresso dalla guerra d´un popolo fiero e dalle armi,
esule dai territori, strappato dall´abbraccio di Iulo
implori aiuto e veda le indegne morti dei suoi;
né, consegnatosi sotto leggi di iniqua pace, goda
del regno o della luce desiderata, ma cada
prima del tempo ed insepolto in mezzo alla sabbia.” » alzando sempre più l’indice all’inizio di ogni verso citato.
«Cosa?»
«Enea è il protagonista de “Eneide”, conosci, no?».
«Ne ho sentito parlare» rispose Enea aggrottando le sopracciglia.
«Quando Enea decide di partire, in realtà è costretto ma sono dettagli, Didone lancia questa maledizione al popolo che verrà fondato dall’amato. I Romani. Essendo Didone regina dei Cartaginesi, Virgilio trova una spiegazione alla base delle Guerre Puniche.
E’ una figura affascinante quella di Didone, una donna forte che perde la testa per amore fino a suicidarsi. Io non credo più nell’amore... amore romantico, quello che ti fa dire “Ti amo”. No, credo sia qualcosa gestito dalle multinazionali per rendere meno carnale il fatto di dover far figli. Ma trovo affascinante il potere che questo “amore” abbia sulle persone. Tu no?».
L’uomo non rispose, continuando a guardare Dream pieno di dubbi.
«Beh, come mai mi hai svegliato?» chiese il Campione, tentando di dare uno scossone ad Enea.
L’uomo sembrò trovare all’improvviso tutta la carica che aveva perso quando la conversazione con Dream era cominciata.
«Voglio sfidarti!».
 «Ma dici a me?» chiese Dream candidamente, voltandosi all’indietro, cercando altri allenatori.
«Sì, dico a te, hai per caso paura?». Alla pronuncia della parola “Paura” uno sputo arrivò sullo zigomo destro di Dream, che si pulì il volto con la mano destra asciugandosela poi sui pantaloncini. Cominciò ad osservare attentamente chi aveva di fronte, non riuscendo a non essere disgustato da chi aveva davanti. Alto, grosso, viso e capelli completamente sporchi di terra e anche i suoi abiti erano completamente trasandati, strappati e rovinati.
«Paura?» rispose impassibile il ragazzo.
«Sì, tu hai paura di combattere contro di me» ribatté con un inquietante ghigno sul viso.
«E perché dovrei averne?»
«Perché se vinco io, mi dai tutti i tuoi soldi, intesi?»
«Oh, ma è davvero impossibile che tu possa vincere». Il tono gentile che Dream aveva tenuto fino a quel momento sparì. Divenne freddo, proprio come con Lucinda qualche ora prima. Le parole stavano per riassumere la forma di lame affilate con l’unico obiettivo di tagliare e fare a pezzi l’interlocutore. Contemporaneamente, la sua faccia non assunse alcuna espressione come se non volesse permettere al suo avversario di capire che emozioni provasse per mezzo del suo sguardo o della sua voce. Dentro di sé, però, esplodeva dalla voglia di massacrare quell’uomo che lo aveva definito “Pivello”, voleva fargli vedere di che cosa fosse capace, voleva mostrargli la sua abilità.
«E perché sarebbe impossibile per me vincere? Eh?! Sentiamo?!» Enea era furente in volto.
«Perché io sono bravo».
«Quante medaglie hai?» disse stringendo gli occhi in segno di sfida.
«Tre medaglie... La terza l’ho presa circa due ore fa».
Il suo sfidante cominciò a ridere nervosamente: «Tre medaglie! Io ne ho cinque! Sono più forte io!».
«Fai anche conto che io sono, in ordine sparso s’intende: Campione della Lega di Hoenn per ben due volte, Campione della lega di Kanto, per ben due volte, Campione della Lega di Johto per ben due volte, Campione della Torre Colossale della regione di Auros e spero di non aver dimenticato nulla. – Il volto di Dream mutò radicalmente. Sorrideva in maniera scontrosa, mentre i suoi occhi bramavano la battaglia. Voleva lottare ora. Voleva vincere. – Tu invece? Che titolo hai?».
L’uomo non rispose, prese una Pokéball dalla sua tasca e la lanciò in campo: uscì un Onix.
«Vediamo cosa sa fare il tuo piccione contro il mio Onix», disse riferendosi a Staraptor che stava osservando l’intera scena da un ramo dell’albero su cui Dream si era riposato fino a poco prima.
«E chi ti ha detto che Staraptor fosse in campo? – Dream prese la prima sfera poké sulla sua cintura e la lanciò – Empoleon, Acquagetto» La sua voce era gelida. Fredda. Controllata.
Il pokémon Acqua si materializzò sul campo e si lanciò a tutta velocità verso il pokémon avversario. Ogni passo che compieva, trasformava il terreno in una gigantesca pozza d’acqua che ne incrementava la velocità, portando il liquido a schizzare ai suoi fianchi, proprio come succede quando un'auto, a tutta velocità, passa sopra una pozza. Onix venne così catapultato in aria, cadendo rovinosamente a terra producendo un gran tonfo. L’uomo dovette ritirarlo.
«La vuoi sapere una cosa curiosa, Enea?».
«Dimmi, Sogno» disse l’uomo con un espressione di piena superiorità.
«Il popolo di Enea vinse contro il popolo di Didone. Guerre Puniche, due a uno per i romani, touchdown! - disse roteando in aria il braccio destro come se stesse festeggiando - Ma stai pur sicuro che quest’oggi nessun Enea vincerà».
Contemporaneamente, Enea e Dream chiamarono in campo i loro pokémon. Il primo scelse Machamp, il secondo Staraptor.
«Machamp, vai! Sottomissione!».
«Non così in fretta. Staraptor, è il tuo turno: Aeroassalto!».
«Hey, non è un po’ troppo semplice che tu scegli un pokémon sempre superefficace contro il mio?».
Dream fermò il suo pokémon dall’imminente attacco. Si grattò i capelli e poi mise mani dietro la testa, con le dita unite tra loro.
Inspirò ed espirò a pieni polmoni.
«Sei un coglione, posso dirlo?» chiese Dream.
L’uomo mutò espressione e anche posizione, sembrava quasi intenzionato ad andare ad acciuffare Dream e massacrarlo di botte; ma in qualche modo la voce di Dream lo trattenne. «Non mi è mai capitato, mai, che mi dessero del veggente. Perché è esattamente quello che hai fatto, caro il mio Enea. Come farei, altrimenti, a mandare in campo un pokémon superefficace se i pokémon sono scelti in contemporanea?».
L’uomo si fermò per riflettere. In effetti si accorse che Dream aveva ragione.
«Ma non ti preoccupare. La fortuna sarebbe dalla mia anche se io lasciassi in campo Staraptor e tu scegliessi un pokémon che teoricamente dovrebbe prevalere su di lui. E sai perché? Perché sono superiore a te. Non sei paragonabile minimamente a me perché sei ad un livello infimo, fottutamente infimo. Neanche con l’ausilio di uno sgabello riusciresti a toccarmi le caviglie.
Staraptor sarebbe capace di sconfiggere anche un pokémon Ghiaccio se questo fosse comandato da te».
«Dici sul serio? Machamp, rientra! Probopass, fai vedere chi siamo! - disse lanciando con violenza una sfera sul campo - Volante è debole a Roccia, non lo sapevi forse?».
«Staraptor, Zuffa» disse Dream scandendo bene le sillabe.
Il pokémon volante si lanciò in picchiata verso il pokémon Bussola, che venne mandato KO con quel solo colpo.
«Visto? Cosa ti dicevo?» chiese soddisfatto Dream, «E ora la mia ricompensa... A meno che non vuoi essere umiliato dall’allenatore con tre medaglie, con il nome femminile e un piccione».
«Non avevi chiesto nulla...» cominciò ad indietreggiare l’uomo, preparando una fuga.
«Nell’Inferno dantesco, i dannati sono imprigionati in alcuni gironi con pene uguali e contrarie a quelle che avevano compiuto su gli altri in vita. Diciamo che puoi pure darmi tutti i tuoi soldi» concluse Dream sorridendo.
 
La trasmissione si interruppe. Sullo schermo apparvero le bande colore per diversi istanti, disturbate e distorte da un susseguirsi di immagini incomprensibili. Si intravide forse la Vetta Lancia, un Pokémon blu o uno bianco, non era chiaro. Poi si videro delle luci fosforescenti, un deserto.
Dream cominciò ad avere una sorta di convulsioni sulla sedia, tanto da costringere Rosso a correre in suo aiuto e tenergli la testa all’indietro, ma quando provò ad inserire la mano all’interno della bocca per tirare fuori la lingua, ecco che serrò la mascella.
«Vera, che cazzo succede?» gridò il ragazzo che tentava di tener fermo l’amico da quei movimenti così violenti e improvvisi.
«Non lo so... Gardevoir, riduci lentamente l’effetto dell’ipnosi e sveglialo» gridò lei correndo a misurargli i battiti cardiaci tramite il polso; il pokémon annuì e le convulsioni diminuirono fino a cessare del tutto.
Dream aprì gli occhi e fece un grido per poi tornare a respirare, come se gli fosse mancata l’aria per tutto tempo.
«Piove, fa freddo ed è buio, Umbreon, Umbreon!» gridò l’allenatore, slanciandosi dallo schienale della sedia in avanti, battendo i pugni sul tavolo, ancora completamente incosciente. Era come se una molla, all’interno della sua schiena fosse stata caricata fino a quel momento. Era un movimento quasi inumano.
Sullo schermo della televisione apparve la foto di Umbreon che sparì poco dopo, giusto in tempo perché Dream la guardasse, questa volta con piena coscienza di sé.
Si massaggiò le tempie e poi batté nervoso i pugni sul tavolo. Si voltò verso Vera, guardandola in cagnesco e indicandola: «Tu! Tu, volevi per caso uccidermi?!».
«No, Dream, davvero, non so cosa sia successo» rispose lei profondamente mortificata.
«Certo che non lo sai – disse balzando in piedi, tirando un calcio alla sedia e cominciando ad avvicinarsi alla ragazza in maniera quasi pericolosa – perché tu non sai nulla di quello che fai, Vera, nulla. Sei solo una ragazzina che si diverte a fare la scienziata nel laboratorio di papà, riempiendo le provette di acqua e olio, divertendosi nel vedere gli strati che si toccano senza... mischiarsi. Sei patetica, ridicola, oltre che ad una grandissima impicciona. Con quale diritto ti ripresenti dopo dieci anni nella mia vita e ti metti a ficcanasare in giro, come se tutto questo ti riguardasse ancora?».
Dream si voltò e cominciò a camminare verso la porta finestra, non ascoltando le richieste di Vera di fermarsi a parlare dell’accaduto. Prese in mano una pokéball e fece uscire, creando una forte ondata di vento all’interno dell’abitazione, Salamance. Ci salì sopra, in silenzio, e il Drago partì alla volta di Fiordoropoli.
 
«Ma è impazzito per caso? Si droga? Che malattia ha?!» gridò la ragazza osservando ancora il punto da cui era partito, «Tutti sanno che ha Umbreon in squadra, che motivo ha di incazzarsi così tanto?».
Rosso e Giuly si scambiarono un paio di occhiate imbarazzate, che non sfuggirono agli occhi della scienziata.
«Ragazzi – continuò lei – c’è qualcosa che dovrei sapere?».
Giuly incrociò le braccia e sorrise in maniera gentile ma al contempo malinconica.
«Ragazzi... cosa è successo a Umbreon?» insistette Vera.

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Capitolo 8
*** Capitolo 08 - Umbreon ***


Capitolo 08 - Umbreon
 
Dream inserì le cuffie nel jack audio e con il mouse fece partire la chiamata. Lo schermo davanti a lui sembrò spegnersi per qualche istante, trasformandosi poi in una schermata blu con una scritta bianca “Chiamata in corso...”.
Poi, un volto apparve sul monitor mostrando il Professor Birch con il viso sporco di terra.
«Buongiorno, Dream... Già sveglio a quest’ora della mattina?» chiese accennando un timido sorriso.
«Buongiorno a te... In effetti sì. Qui a Porto Selcepoli c’è un caldo asfissiante per essere solo il mese di Maggio. Inoltre al Centro Medico non funziona neanche l’aria condizionata... o ti svegli dandoti una rinfrescata nelle docce o ti squagli nel letto...». L’uomo sorrise, poi molto gentilmente chiese, infilandosi gli occhiali da vista sicuro della risposta: «Bene Dream, mi hai chiamato per farmi valutare il Pokédex?».
«No, doc. Tutt’altro, sarei curioso di sapere che cosa ne pensi di Auros».
«Auros? La regione di Auros?».
Dream annuì, aggiungendo successivamente un sorriso. L’incredulità nello sguardo del professore era esattamente quello che si aspettava: «Almeno sai che è una regione... – Dream abbassò per qualche secondo la testa cercando qualcosa che la videocamera non riprendeva. Sollevò una pagina di un quotidiano che recava la scritta “Il 60% degli intervistati pensa che Auros sia un pokémon leggendario” – Ora capisci perché sono riuscito ad acquistare il biglietto per il viaggio inaugurale di oggi? Non è sold out, e mi sembrava strano fino a che non ho letto la prima pagina di questo giornale.
E sai cosa c’è di più? Questo articolo non dice nulla su Auros. Nessuna informazione sulla geografia o la storia del posto. Niente di niente. Sembra una terra di nessuno. Ecco perché l’ho chiamata, per sperare che potessi darmi un briciolo di indicazione».
L’uomo scosse la testa sconsolato: «Purtroppo non so molto a riguardo, non mi ha mai interessato come regione e non conosco nessun professore che potrebbe aver studiato il posto. So solo che c’è un deserto, suppongo di piccole dimensioni... sarebbe il colmo se avessero annesso una regione completamente desertica, non trovi?».
Il giornale di Dream non mentiva e non si aggrappava a numeri distorti per fare della propaganda contro il Governo, guidato allora da una coalizione di centrosinistra.
Se Hoenn e Sinnoh erano luoghi in cui venivano ambientati poemi antichi, molto importanti per la cultura della Repubblica, nessuno scritto davvero notevole prendeva in considerazione la nuova arrivata. L’ignoranza delle persone non era quindi una colpa attribuibile al loro scarso interesse per gli affari politici, ma un fattore a cui non potevano porre rimedio in alcun modo.
Come ammesso anche da molti politici bipartisan, le trattative per l’ingresso di Auros nella compagine repubblicana vennero condotte sotto il più totale silenzio, e molti parlamentari che premettero il tasto “favorevole” quando il Parlamento votò l’annessione erano all’oscuro di cosa nascondeva questa terra al suo interno. Per il Governo nazionale di Auros, entrare nella Repubblica, avrebbe portato solo benefici e per questo motivo non oppose particolari veti o richieste come fecero anni dopo Sinnoh o più prepotentemente Unima, per questo motivo le trattative procedettero in maniera piuttosto spedita e senza grossi intoppi. Questo perché non aveva diritti acquisiti da difendere, posizioni di rendita che sarebbero state erose con l’arrivo di una legislazione federale. Anzi, più probabilmente il Parlamento federale avrebbe dovuto spiegare successivamente come mai si era accettato un ente territoriale che rispettava con molta fatica alcune norme di umane. “Auros è l’incarnazione dell’inciviltà, della criminalità e del disprezzo per quello che c’è di buono a questo mondo” avrebbe tuonato Walter, il Capopalestra, nel 2016 durante la campagna elettorale per le elezioni federali.
 
Un tempo caratterizzata da una fauna che cresceva florida e rigogliosa, si era lentamente trasformata in un arido deserto quando le antiche popolazioni locali avevano utilizzato le foreste per la costruzione di grandi armate ed eserciti imponenti per combattere guerre il cui ricordo è ormai esclusivamente contenuto nella grande biblioteca del Villaggio Sofo, una piccola comunità montanara nel nord-ovest della regione, l’unica zona in cui la pratica del disboscamento selvaggio non venne mai praticata e la vegetazione cresceva ancora rigogliosa.
Ma il vero motivo per cui le trattative per la sua aggregazione vennero tenute segrete era per la sua complicata situazione sociale. Auros aveva un parlamento e un governo eletti democraticamente. Il disinteresse per la politica portava solo il 21% degli aventi diritto di voto a partecipare alle elezioni. L’intero potere politico però era succube o convivente di due organizzazioni criminali che prendevano il nome di Team Clepto e Team Cripto. I due Team trovavano profitto dal furto e dalla vendita su mercato nero di pokémon e dopo la loro fusione nel Gennaio del 2003, parte dei profitti veniva investito per studi e ricerche per la creazione di pokémon cosiddetti “Ombra”, ovvero esemplari pokémon le cui statistiche erano aumentate a fronte di una personalità perennemente aggressiva e priva della ragione che invece caratterizzava tutti gli altri esemplari. Il crimine era così potente che venne addirittura creata una città sotterranea, Ipogea, senza che il debole potere giudiziario prendesse in considerazione la possibilità di intervenire e arrestare i diretti colpevoli. Per non citare l’incredibile Torre Colossale, una costruzione alta 600metri, completamente abusiva e considerata alla stregua della Lega Pokémon di Auros, riconosciuta dall’Associazione nazionale della Lega Pokémon solo un decennio dopo.
Pochi, inizialmente, capirono per quale motivo destra e sinistra fossero così benevoli nell’intavolare una trattativa con un Governo controllato dalla malavita, ma inchieste di giornali esteri, censurate in tutti i modi dal Governo di Fiordoropoli, dimostrarono che i bilanci dei partiti si erano incredibilmente gonfiati dal 2005 in avanti, segno che il Team Clepto e il Team Cripto rifornivano direttamente di liquidità i loro benefattori grazie a complessi giri di riciclaggio di denaro che la magistratura federale non riuscì mai a scoprire e svelare del tutto, ostracizzata in varie forme anche dal Parlamento.
 
Dream entrò nella sua cabina, la numero 606, lasciandosi un pesante odore di marijuana alle spalle. Era piuttosto sorpreso di vedere un gran numero di persone con facce poco rassicuranti su un unico traghetto.
La stanza era piuttosto spoglia e poco accogliente. Le mura erano di color bianco panna, mentre il pavimento era ricoperto da una moquette rosso magenta che dava l’aria di aver vissuto giorni migliori. C’era poi una piccola scrivania di legno chiaro, con alcuni libri. Il suo sguardo cadde su due volumi in particolare. Il primo era un libro di pelle nera, con una scritta dorata che recitava: “La Sacra Bibbia”. L’altro libro aveva una copertina plastificata di colore blu e arancione. Il titolo, in bianco, diceva:“HIV e altre malattie venere”. Alla scrivania era poi presente una piccola sedia con lo schienale scheggiato in più punti e con varie incisioni e scritte fatte con pennarelli indelebili.
Si assicurò di aver chiuso con più mandate la porta e poi si gettò sul letto per cercare di recuperare quelle ore di sonno perdute a causa dell’afa, notando un quadro raffigurante un Lapras. Una targhetta di ferro recitava “Lapras, protettore dei marinai”.
La Motonave Libra avrebbe impiegato circa quattro ore per arrivare alla piccola località di Porto Pontipoli, una cittadina a occidente di Auros.
Chiuse gli occhi con il cuore ricolmo di speranza di potersi addormentare come uno Snorlax nei momenti migliori, desiderio che andò in frantumi quando nella stanza adiacente alla sua cominciarono a provenire insistenti rumori molesti. Era come se due persone stessero picchiando qualcosa contro la parete gridando al contempo. Il baccano cessò dopo circa mezz’ora, un lasso di tempo che pareva essere una vita, in cui le grida e il caos avevano raggiunto livelli insopportabili, tanto da indurre il ragazzo a girarsi su un lato e coprirsi l’orecchio esterno con il cuscino.
Sentì la porta della cabina affianco chiudersi e poco dopo qualcuno bussò a quella della camera di Dream.
«Chi è?» chiese con voce stufa Dream, togliendosi il cuscino da sopra l’orecchio.
«Servizio in camera...» disse una donna facendo seguire una risata maliziosa.
«Non ho ordinato nulla, mi spiace» continuò il ragazzo scocciato.
«Uh, su, coraggio. Ho solo roba buona» rispose lei facendo seguire la stessa risata di qualche istante prima.
Dream si alzò di colpo, camminando pesantemente verso l’ingresso e aprendo adirato la porta. C’era una donna con i capelli biondi completamente spettinati. Il trucco, sul viso, completamente sbavato. Una maglietta leggera di pizzo nero da cui trasbordava un seno prosperoso e in un paio di blue jeans che mettevano in risalto tutte le curve. Sorrise, lasciando intravedere un profondo diastema.
«Oh, santo cielo» esclamò Dream stupito per la visione che si presentava davanti.
«Uh, un ragazzino...carne fresca! – disse facendo seguire un occhiolino -  50 la bocca, 100 l’amore».
«Ti prego...» rispose lui sorpreso e schifato allo stesso tempo.
«Dai, non ti spiacerebbe provare l’ebbrezza di essere un uomo?», e quando pronunciò la parola “ebbrezza”, una goccia di saliva arrivò a colpire lo zigomo destro del ragazzino.
Dream scoppiò in una fragorosa risata, scuotendo leggermente la testa e provando a chiudere la porta che però venne bloccata dal piede della ragazza.
«Hey, piccino, io ci campo con ‘sto lavoro. Quindi vedi di non rompere troppo i coglioni, intesi? Ti interessa il servizio sì o no?» disse con uno sguardo che faceva trasparire una sorta di disprezzo nei confronti del Campione.
Dream smise di ridere, inarcando le sopracciglia stupito: «Senti tesoro, ti sei divertita a sufficienza con il mio dirimpettaio, non lasciandomi neanche dormire, tra l’altro. Dopo una performance del genere dovresti essere esausta; quindi, di grazia, perché non te ne vai a riposare trascinandoti dietro quell’enorme culone inchiavabile che ti ritrovi e vai lontano da me e tutto ciò che mi circonda?».
La donna si sollevò con forza la maglietta, tentando di coprire il decolté mostrato provocatoriamente fino a quel momento. Fece per girarsi quando si fermò un attimo e alzò il dito indice della mano destra verso il viso di Dream: «Io ti posso causare degli enormi problemi» e pronunciata la minaccia cominciò ad incamminarsi per l’angusto corridoio su cui erano presenti tutte le altre cabine. Dream fece un cenno per salutarla, gridando: « If you're having girl problems I feel bad for you, son
I've got 99 problems but a bitch ain't one!» e chiuse poi la porta con un grande tonfo, gettandosi finalmente sul letto e addormentandosi.
 
Appena sceso dalla motonave, Dream venne investito da un pesante odore di carburante. La zona portuale di Porto Pontipoli era il l’unico punto di accesso per la regione e da lì giungevano tutte le merci importate e partivano le poche merci che invece Auros esportava all’estero.
Il Campione non poté neanche far a meno di notare una notevole dose di diffidenza che la gente nutriva nei suoi confronti. Quando si fermava a chiedere informazioni su eventuali negozi o Centri Pokémon, la gente non rispondeva, spesso cambiando strada o girandosi di spalle, o più semplicemente rispondeva che non sapeva di cosa stesse parlando.
Lasciò la piccola cittadina senza poter esser sicuro di aver dietro tutto il necessario, poiché l’unico negozietto ad uso commerciale che trovò disse di essere completamente a corto di strumenti.
Prese la strada che conduceva all’uscita della città, trovandosi davanti ad un imponente deserto. Sorpreso, si infilò il paio di occhialoni regalatogli da Vera un anno prima per attraversare il Percorso 111 di Hoenn e si incamminò per la distesa di sabbia. Dentro di sé era convinto che la zona desertica era delimitata proprio come era per proprio per la regione di Hoenn.
 
Erano ormai diverse ore che i piedi del ragazzo affondavano nella sabbia e il caldo infernale lo stava completamente disidratando. La sua maglietta era ormai impregnata di sudore, mentre il sole gli stava cominciando ad ustionare il viso, con la plastica degli occhiali che stava cuocendo il naso.
Cadde a terra esausto, senza alcuna forza in corpo. Si era spinto troppo oltre il limite, come mai aveva fatto. Dove era finita la sua capacità di giudizio? La capacità di calcolare i costi e il profitto davanti ad un bivio? Per quale motivo, continuava ad interrogarsi, aveva voluto proseguire davanti a sé e non tornare in quella fogna che gli era sembrata Porto Pontipoli? O più semplicemente, per quale motivo aveva voluto lasciare quella perla di Hoenn per il tugurio di Auros?
Chiuse gli occhi senza più energie, per riposarsi «giusto cinque minuti» mugugnò quasi per giustificare a se stesso la sua totale mancanza di forze.
 
L’amaca dondolava lentamente aiutata da una leggera brezza fresca che rendeva piacevole il sole estivo. Dream era sdraiato indossando un paio di occhiali da sole e un costume da bagno di color nero, tenendo nella mano sinistra un bicchiere contenente un liquido rosso e una cannuccia a righe bianche e rosse, con un ombrellino di legno posato sul bordo del vetro.
Aprì leggermente gli occhi e cominciò a guardare due Marill che giocavano a rincorrersi schizzandosi con lievi colpi di Pistolacqua.
Vera cominciò a correre verso di lui, fermandosi a pochi centimetri dall’amaca, colpendolo con un po’ di sabbia.
«Tesoro, andiamo a farci il bagno? L’acqua è calda» chiese lei, chiudendo la bocca a culo di gallina.
Il ragazzo sbuffò e cominciò a sorseggiare la bevanda mediante la cannuccia, non rispondendo.
«Oh, Dream, andiamo!» insistette lei, cominciando a saltare sul posto.
Lui continuò a bere, scuotendo la testa. Allontanò lentamente le labbra dalla cannuccia e sollevò gli occhiali guardando sorpreso Vera: «Ma Vera, siamo nel deserto! Dove vuoi farti il bagno?».
La ragazza si voltò di spalle notando che il Percorso 109 era completamente mutato. Il mare era scomparso, così come tutti gli ombrelloni e tutte le altre forme di vita.
«Tu! Stronzo! Sei stato tu!» gridò adirata la ragazza, gettandosi al collo di Dream, tentando di soffocarlo.
«Vera! – la supplicò lui – Vera, cosa stai facendo!» disse con un filo di voce.
La ragazza si fermò di colpo. Dei lampi avevano squarciato il cielo e i tuoni avevano fatto tremare il terreno. Una dopo l’altra, gocce d’acqua gelata cominciarono a riversarsi sui due ragazzi che, divertiti, presero frettolosamente gli abiti e usarli per coprirsi e cominciare a correre verso l’ignoto.
 
Dream si svegliò di colpo, gridando leggermente. Il sogno era irreale, ma solo per metà: aveva davvero cominciato a piovere. Si sentì in qualche modo rinvigorito da quella sensazione di freschezza sulla pelle. Si alzò in piedi e si voltò attorno, notando che il cielo azzurro era stato coperto, divorato dalle nubi grigie cariche d’acqua. Non c’era più possibilità di lanciare in aria Altaria per volare indietro o in avanscoperta: l’acqua avrebbe appesantito le sua ali di cotone, facendolo inevitabilmente precipitare a terra. Bisogna proseguire a piedi, aiutato anche dalla pioggia.
Si scrollò la sabbia dai capelli e dagli abiti e ricominciò a camminare nel deserto. Curiosamente, gli venne in mente che meno di un anno prima aveva salvato il mondo dal diluvio universale fermando e catturando Kyogre, mentre qualche istante prima avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di avere il pokémon leggendario con sé.
Continuò a camminare fino a ché non notò che il terreno si faceva sempre meno soffice e compatto, segno che si stava avvicinando a qualcosa di differente dalle classiche dune che aveva affrontato fino a quel momento. Prese a muoversi più rapidamente cercando di non perdere la strada che aveva finalmente trovato e cadde sulle ginocchia, alzando le mani al cielo quando trovò davanti a sé una cava: la sua intuizione era corretta.
Se c’era una cava significava che attualmente o in passato c’era stata attività umana e quindi un qualche luogo dove riposarsi e recuperare completamente le forze.
Con gli occhi cominciò a ispezionare ogni centimetro della circonferenza, notando, sulla destra, una piccola baracca. Si mise a correre nella direzione, ormai insensibile alla pioggia a causa dell’euforia, fermandosi poco davanti alla porta d’ingresso; il legno era marcio, mentre i vetri erano sporchi di sabbia.
Bussò alla porta, aspettando in religioso silenzio una qualsiasi risposta che però non arrivò. Bussò una seconda volta e neanche questa volta ottenne alcun riscontro. Provò a sbirciare dalle finestre e poté notare che all’interno della piccola casetta non c’era nessuno.
Si avvicinò all’ingresso e provò a girare la maniglia senza che questa si aprì, fece un piccolo passo indietro e poi sferrò un calcio alla serratura, riuscendo ad entrare all’interno dell’edificio.
Si trattava di un monolocale, probabilmente utilizzato da chi gestiva i lavori del posto: ai muri erano rimaste alcune piantine sgualcite con alcuni commenti scritti in matita o in penna su quali attrezzi utilizzare o su quali uomini chiamare. La grafia era imprecisa a tratti rozza, ma era quantomeno evidente che proveniva dalla stessa persona.
La polvere era abbondante sul pavimento e sulle poche sedie presenti, con grandi ragnatele negli angoli. Il soffitto era basso, e appesa c’era una piccola lanterna completamente inutilizzabile.
Per riscaldare e illuminare l’ambiente, Dream chiamò Blaziken che si sedette per terra con le spalle al muro, a cui vennero affidati anche gli indumenti che l’allenatore si tolse di dosso per asciugarli. Si accasciò su una delle due sedie poste al centro della stanza e appoggiò la testa sul tavolo. Le ore di sonno guadagnate sulla nave erano state cancellate e se non avesse chiuso occhio in quel momento sentiva che sarebbe impazzito.
 
Blaziken gli tirò una piccola pacca sulla spalla.
Fuori era notte, pioveva ancora, ma in misura minore rispetto a prima. Il cielo non era più un’unica distesa grigia di nuvole, ma addirittura, ogni tanto, era possibile intravedere la Luna.
«Che c’è Blaziken?» chiese Dream stropicciandosi la faccia con un tono di voce goffo, rauco.
Il Pokémon rimase fisso ad osservare la porta.
«C’è qualcuno fuori?», il pokémon annuì.
Fu proprio in quel momento che si sentì qualcosa grattare sul legno dell’ingresso.
Dream si avvicinò in punta di piedi, la aprì lentamente e dal piccolo spiraglio vide del pelo nero sul bordo dell'uscio. Con fare sicuro decise di aprirla, e vide un Umbreon che lanciò un’occhiata disperata e poi svenire ai suoi piedi.
«Blaziken, presto, prendilo e poggialo sul tavolo, poi chiudi la porta», ordinò il ragazzo mentre si stava fiondando a recuperare i suoi abiti e lo zaino. Il pokémon obbedì e in poco tempo Dream si trovò a medicare il pokémon Buio.
Umbreon presentava una zampa fratturata, delle escoriazioni e ferite sanguinanti.
Il ragazzo fece così delle medicazioni di primo soccorso per fermare le emorragie. Svolse il lavoro con tutta la calma e la precisione che questo richiedeva, osservato dal pokémon Vampe che illuminava il tavolo con delle fiammelle che fuoriuscivano dai suoi polsi.
Fu solo quando il Sole tornò a penetrare nella stanza che Dream decise di tornare in marcia. Caricò Umbreon, addormentato, sulla spalla destra, lanciò Altaria in cielo e gli chiese di visualizzare un qualsiasi rifugio utile, e s’incamminò nuovamente per quel deserto che sembrava essere eterno.
Dopo circa un paio d’ore di viaggio, trovarono una locomotiva dei primi del Novecento riutilizzata come bar. Un cartello appeso grossolanamente sopra alla porta d’ingresso che recitava “Chiosco Sperduto”.
Appena Dream mise piede all’interno del locale, cadde il silenzio e gli occhi di tutti i presenti, una decina di uomini,  vennero puntati su di lui. L’unica cosa che si udiva era un brano alla radio:
 
«You are my sunshine, my only sunshine
You make me happy when skies are gray
You'll never know dear, how much I love you
Please don't take my sunshine away».
 
«Buongiorno» cominciò Dream imbarazzato per quanta attenzione stesse ricevendo.
«Che hai fatto a quel pokémon?» indicò l’uomo al banco, indicando Umbreon.
«Io, niente. Qualcuno ha deciso di massacrarlo. Non sono di Auros e non so dove mi trovo. Speravo che qui dentro ci fosse qualcosa di simile ad un Centro Pokémon per provare a salvare questo piccolino».
«Come facciamo a sapere che non sei stato tu a ridurlo in quella maniera?» chiese un uomo, con un cappotto di pelle e la testa completamente priva di capelli. Si stava avvicinando minacciosamente a Dream, quando un altro ragazzo, con i capelli bianchi e una cicatrice posta a metà naso e lunga quasi come tutta la larghezza del viso, si mise davanti respingendo con forza fino a farlo sedere.
«Sapevo che eri un cretino, ma non immaginavo fino a questo punto, Richard».
«Che cazzo vuoi, Diego, stai sempre in mezzo ai coglioni, un giorno di questi ti ritrovi sotto terra se non la pianti» ruggì l’uomo spinto.
«Sei una testa di minchia – ribatté Diego – Se fosse stato lui a ridurlo in questa maniera di certo non si sarebbe messo a percorrere l’intero deserto sperando che qui dentro potesse trovare un Centro Pokémon!».
«E tu cosa ne sai che ha percorso l’intero deserto?!».
«Minchia! Ma non vedi che ha gli abiti completamente insabbiati? Guarda i capelli» disse Diego indicando Dream.
Dream osservava perplesso la scena, scambiandosi qualche fugace occhiata con il padrone del locale che scosse la testa facendo intendere che le litigate tra i due erano pura e semplice routine.
«Piuttosto ragazzo – disse l’uomo al bancone avvicinandosi a Dream con il tono di voce basso - sei sincero quando dici di non esser stato tu ad averlo ridotto in quello stato? Siamo piuttosto silenziosi qui, non verranno allertate le forze di polizia...».
«No, mi creda, non sono stato io. Non so neanche come abbiano fatto a ridurlo in questa maniera, ad esser sincero. Speravo solo di trovare qualcuno che ci potesse aiutare» concluse Dream con un sorriso amaro sul volto.
Il proprietario annuì, prese due vassoi di alluminio in mano e cominciò a sbatterli tra di loro, creando un gran baccano e facendo tacere i i due uomini che avevano continuato a litigare e scambiarsi epiteti poco gentili fino a quel momento.
«Diego, tu hai la moto, no?».
«Sì, perché?»
«Accompagneresti questo poveretto a Diamantopoli? E’ il Centro Medico più vicino».
Aiutati che Dio ti aiuta”, diceva un vecchio proverbio; e in quel momento all’interno del cuore di Dream si accese una speranza per la prima volta da quando era sbarcato ad Auros.
 
Una volta messo a piede a Diamantopoli si accorse di esser probabilmente arrivato in quella che poteva esser considerata la Paese dei Balocchi. Era una città dall’aspetto irreale se paragonato a quello che Dream aveva visto fino a quel momento nella regione: le piante crescevano rigogliose sui tetti delle palazzine e numerose erano le aiuole nei marciapiedi. Numerose erano anche le fontane da cui scorreva acqua che veniva poi fatta convergere all’interno di piccoli canaletti costruiti all’interno dei marciapiedi. Una Babilonia lontana dalla Mesopotamia.
Il Sindaco aveva progettato e costruito la città su un’oasi e ne aveva utilizzato le risorse idriche per rendere meno arida possibile la zona e adeguarla alla vita umana.
Il Centro Pokémon si preoccupò subito di aiutare il Campione e il pokémon ch’egli aveva soccorso.
La situazione apparve subito critica e solo un miracolo avrebbe potuto salvare Umbreon dalla morte. Le ferite erano troppo gravi e le lesioni erano troppo estese perché potesse sopravvivere, le cure che fece Dream furono dei semplici palliativi che non avevano avuto alcun effetto sostanziale.
Affittò una camera al Centro e passò lì la notte poiché non aveva il coraggio di abbandonare il mostriciattolo Lucelunare. Secondo il database consultato dall’infermiera Joy, Umbreon apparteneva ad un certo Jim che lo aveva liberato una settimana prima. «Liberare pokémon ad Auros è una cattiveria inimmaginabile» commentò la dottoressa quando scoprì la notizia. «Qui ad Auros abbiamo un traffico di pokémon portato avanti dal Team Clepto e Cripto, il Team Rocket nostrano per intenderci. Su quel tavolo laggiù – disse indicando un tavolino basso di vetro – trovi moltissimi articoli di giornale che descrivono in che stato troviamo i pokémon, le denuncie di scomparsa e i necrologi che poi noi dobbiamo scrivere.
Quello che nessuno mi toglierà mai dalla testa è che questi pokémon vengano utilizzati come cavie da laboratorio. Stanno conducendo strani esperimenti nel deserto, mi ci gioco la carriera!».
 
I giorni passarono però, e il miracolo si compì.
Umbreon sopravvisse a quella notte e a quelle successive. Una settimana dopo venne dimesso.
Zoppicava, aveva la zampa fratturata fasciata, il pelo era tornato quasi uniforme e gli occhi esprimevano gratitudine nei confronti del ragazzo che lo vide uscire dal reparto seguito dall’infermiera.
«Non mi sembra il caso di lasciarlo libero di nuovo, ti pare?» chiese Joy, Dream aveva capito benissimo dove voleva arrivare.
«Quindi, mi chiedevo – proseguì la donna – perché non lo prendi con te? Gli Umbreon sono pokémon fedeli, riconoscenti e un allenatore come te sicuramente sa apprezzare queste doti. Quindi adottalo!».
Non se lo fece ripetere due volte, Umbreon entrò a far parte della squadra di Dream come membro fisso.
Con il passare degli anni, riflettendoci sopra, capì che la passeggiata nel deserto non era stata poi così malvagia, ma che anzi, quell’imprevisto aveva fornito un’opportunità non indifferente.

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Capitolo 9
*** Capitolo 09 - Mewtwo ***


Capitolo 09 - Mewtwo
 
Brezza estiva leggera e fresca, cielo azzurro e senza alcuna nuvola, un prato immenso e Dream sdraiato con una spiga di grano in bocca. I suoi occhi erano chiusi e il volto riverso verso l’oceano celeste che gli si stagliava sopra.
Era curiosamente l’unico esser umano nei paragi. Le colline che si estendevano tra Fiordoropoli e le Rovine D’Alfa erano la meta ideale per coloro che volevano riposarsi, svagarsi e rilassarsi. Da quella zona era possibile godersi l’impressionante skyline della Capitale, con i suoi imponenti palazzi che occupavano importanti porzioni di cielo, e dalla parte opposta, il sito archeologico casa degli Unown, i pokémon la cui forma ricordava chiaramente le lettere dell’alfabeto e che l’allenatore passò molto tempo a studiare e catalogare quando era più giovane. Come ogni luogo dalla visuale impressionante, le colline erano solitamente visitate da moltissimi individui.
«Sono fortunato», pensò tra sé e sé. Per quanto ostentasse tranquillità e pacatezza, al suo interno covava e ribolliva di rabbia feroce. Non avrebbe tollerato alla lunga la presenza di persone che parlavano, ma anche semplicemente intente a camminare o passare per un tempo breve nei suoi paragi. Era ormai quasi una settimana che bramava la solitudine, tanto da chiedere di lavorare da casa pur di ridurre al minimo i contatti umani. Una richiesta insolita, inusuale ma considerando che Dream era il membro della redazione più eccentrico, irriverente ed incontrollabile, Elvira fu ben lieta di concedere tale permesso. Non aveva neanche fatto molte domande la donna, intuendo una situazione di tensione all’interno della voce di Dream, ma mai avrebbe anche solo pensato che il ragazzo stesse contenendo una furia quasi omicida.
Aveva sempre mal sopportato le domande e le curiosità di persone che oltrepassassero i limiti da lui imposti tacitamente. Considerava che ci doveva esser un limite entro cui muoversi e che le persone dotate di una minima maturità avrebbero dovuto comprendere; quando capitava che questo limite venisse superato, Dream aveva sempre tagliato corto con risposte pungenti e sarcastiche. Ma il superare di margine il confine era un fattore che poteva anche tollerare stringendo i denti, ma mai gli era mai capitato che qualcuno potesse indagare con tale violenza su di lui. Fu proprio per questo motivo che decise di interrompere i rapporti con Vera la sera stessa dell’ipnosi quando, chiamando Salamence, era volato via da Hoenn diretto a Fiordoropoli. Una sorte leggermente differente era invece toccata a Giuly e Rosso: con loro le comunicazioni erano ridotte al minimo indispensabile dopo che Dream gli ruggì contro dicendosi piuttosto deluso dal non averli visti intervenire e proteggerlo dall’ossessione del gossip di Vera.Sosteneva che fosse un modo per sindacare e emttere in discussione la sua scelta di abbandonare la carriera di allenaore. Tutto ciò che riguardava Umbreon non era più affare di nessuno. A nulla valsero i tentativi dei due amici di spiegare che ci fu un malfunzionamento della tecnica usata da Vera, questo non fece altro che peggiorare la situazione. Esser usato come cavia di un esperimento, non solo malriuscito, ma che permetteva di mostrare una parte di lui che voleva celare a chiunque, portò la sua rabbia a livelli così elevati che lo fece propendere per intraprendere uno stato di eremita. Giusto qualche settimana, per far sbollire il tutto.
Nonostante alle recite della Scuola per Allenatori avesse sempre ricevuto moltissimi complimenti, non era mai stato capace di celare la rabbia nella vita di tutti giorni. Non avrebbe sopportato una serie di domande e considerazioni sulla sua mascella serrata, indice più chiaro che l’ira era ai massimi livelli. E soprattutto, che cosa avrebbe dovuto rispondere? «Gente che non si fa gli affari propri»? Oppure: «Soggetti che fanno domande su cose che non gli riguardano»? No, assolutamente. Qualsiasi risposta avrebbe dato avrebbe generato ulteriori domande e solo una risposta gridata avrebbe fermato quell’insaziabile voglia di sapere che le persone avevano, salvo poi far iniziare commenti acidi sulla facile irritabilità del carattere di Dream.
La sua mente vagava e rifletteva su tutti questi aspetti, arrivando saltuariamente a lambire le materie lavorative, argomento che gli donava dei tiepidi ma pur sempre sinceri sorrisi. I suoi ultimi due articoli, inviati durante la vacanza, avevano sollevato polveroni mediatico-politici che gli causarono anche una querela. Il capogruppo della maggioranza, Milas, non aveva apprezzato l’ironia, il sarcasmo e la satira fatta da Dream in merito alla sua ospitata ad uno dei talk show serali, commentata dapprima il programma tramite il suo account Twitter e poi la mattina dopo con un editoriale intitolato “Milas, il capogruppo rampante ”. Al centro dell’articolo c’erano gli strambi metodi comunicativi dell’uomo, tanto strambi da «portarmi a credere, ad un certo momento della trasmissione, che quello non fosse davvero il presidente dei parlamentari del partito di maggioranza, ma una simpatica parodia di un comico sconosciuto. Ho seriamente temuto (o sperato, chissà) che quelle mani si staccassero da un momento all’altro. La forza con cui le agitava non era umana. No, signori, ne sono certo, quelle mani hanno vita proprio all’interno del suo corpo. Siamo davanti ad un parassita... alla fine il suo look era molto simile a quello di un qualsiasi Parasect. Non tanto per la capigliatura (fonti mi dicono che abbia lo stesso parrucchiere di Maria Antonietta), ma per gli strambi occhiali che indossava per darsi un tono. Secondo me li ha rubati dal set di un qualche Harry Potter.
Io vorrei conoscerlo il suo addetto alla comunicazione, dico davvero. Gli stringerei la mano e gli direi un sincero “grazie”. Un grazie per le grosse risate che mi ha donato! E non sarebbe neanche l’unica persona che ringrazierei, assolutamente. Un grazie va al nostro grandissimo, illustrissimo, potentissimo e democratissimo  Presidente del Consiglio, che lo ha scelto come presidente dei suoi parlamentari». Un’indiscrezione fatta uscire da una non ben chiara fonte vicina al politico disse che la mattina della pubblicazione chiamò il suo avvocato chiedendogli, con forza, che l’annuncio del provvedimento legale nei confronti del Campione fosse annunciato da tutti i quotidiani e che avrebbe sporto querela anche verso i direttori che non pubblicassero tale comunicato. Negli stessi giorni, approfittando della tempesta sollevata contro Dream, Alexei Know chiese pubblicamente l’arresto dell’ex allenatore e la sua condanna ai lavori forzati; richiesta che fece scatenare Dream e lo portò a rispondere in maniera tutt’altro  che seria con una lettera contenente un “Atto di Dolore” con tutti i peccati di cui diceva di pentirsi, la maggior parte dei quali il soggetto era proprio il Campione di Johto che il giornalista aveva fatto sprofondare nella vergogna.
 
Erano ormai ore che Dream si trovava in balia dei suoi pensieri. Feraligatr, poco distante da lui, era impegnato a rincorrere i banchi di hoppip che si sollevavano per aria quando una leggera brezza d'aria fresca li sfiorava.
Fu proprio una folata di vento leggermente più intensa ad alzare bruscamente il cappellino di Dream, posato sul volto per evitare che la luce solare gli desse fastidio agli occhi. Il copricapo cadde prima a terra e poi cominciò a rotolare allontanandosi sempre di più dal proprietario.
Dream si alzò in piedi e cominciò a rincorrerlo, chiamando il pokémon d’Acqua e chiedendogli di fare la stessa cosa.
Curiosamente, nonostante la folata di vento si fosse fermata, il cappello era ancora in movimento, continuando la sua corsa verso l’ignoto.
Il pokémon Mascellone superò in breve tempo Dream e aprì la mascella pronto ad afferrare con i denti il berretto quando questo, improvvisamente, cominciò a fluttuare per aria, come in preda ad un incantesimo. Volava con una traiettoria non ben definita, compiendo notevoli acrobazie per poi cominciare a ripetere un movimento rendendo chiaro che stava disegnando qualcosa di preciso.
«Un cuore?» chiese Dream allibito, eppure aveva visto talmente tante cose da non doversi più sorprendere di nulla.
Fu proprio dopo la domanda che l’oggetto si mosse in direzione del proprietario volandogli attorno in maniera irregolare. Quando questo gli passò vicino, Dream alzò il braccio per acciuffarlo e un verso a lui noto lo fece ridere di gusto.
«Mew!» ripeté il pokémon, comparendo con indosso il cappellino.
«Mew! Sei tu allora!» disse il ragazzo, non trattenendo una nota di contentezza. Il pokémon annuì divertito.
«Ti sta davvero bene il cappellino al contrario, lo sai?» continuò lui divertito e la stessa espressione assunse il pokémon Psico inclinando la testa.
 
Era l’Epoca dello Smeraldo quando Dream acquistò, per pochi spiccioli, una vecchia mappa al mercato di Porto Selcepoli. La carta era ingiallita e rovinata sui bordi. Sembrava fosse stata esposta sia a dell’acqua sia ad una fonte di calore che ne aveva bruciato alcune parti. Sul retro era presente una scritta illeggibile, di cui era possibile solo intuire una lettera del firmatario, una “J” all’interno del nome.
Il venditore gli disse che gli era stata regalata da uno strano soggetto incontrato su una nave presso l’Isola Cannella: si trattava di un ragazzo piuttosto preoccupato e agitato, che sembrava volersi sbarazzare di quelle mappe più di ogni altra cosa al mondo.
Non fece mai caso a quello che la vecchia mappa indicasse, continuò a raccontare il commerciante, soprattutto dopo che venne a scoprire durante il viaggio che il ragazzo aveva truffato una coppia di anziani con il gioco dei dadi.
Sulla mappa era presente una grossa X su un’isola posta a sud della comunità di Orocea, una conformazione che solitamente non veniva raffigurata nelle varie mappe che illustravano i dintorni di Hoenn.
Spinto dalla curiosità del misterioso tesoro, Dream volò immediatamente nella zona e qualche minuto dopo aver messo piede nella misteriosa terra, intravide un piccolo pokémon rosa volare e nascondersi tra gli alberi.
Non ci fu alcuna battaglia: Mew rubò una delle pokeball di Dream dopo che i due ebbero giocato a nascondino tutto il giorno. Ma, come accadde con tutti gli altri leggendari catturati, chiese loro di essergli fedele ma di rimanere liberi per il mondo, poiché la loro potenza era troppa per esser concentrata nelle mani di un unico uomo.
Capitava spesso, quindi, che Mew andasse a trovare Dream quando questi si incamminava nei vari percorsi.
 
«Allora, Mew, che cosa mi racconti?» domandò l’allenatore sedendosi a terra, osservando incuriosito il pokémon Novaspecie, fece lo stesso Feraligatr, che lo guardava a bocca aperta.
Mew cominciò a fluttuare in aria muovendo le zampine superiori e raccontando una storia tramite i suoi versi. Grazie ai poteri psichici del pokémon, il ragazzo riceveva una sorta di traduzione simultanea di quello che stava ascoltando. Erano sempre storie simpatiche, buffe, frammenti di vita quotidiana che andavano dall’incontrare un qualche pokémon, all’aver causato involontariamente la caduta di qualche albero o al litigio con qualche altro pokémon catturato da Dream.
«Sì, trovo anche io che Heatran sia molto difficile, mi chiedo per quale motivo insisti nel voler giocare con lui!»
Mew si bussò sulla testa con la zampa destra e poi indicò il ragazzo.
«Io non ho la testa dura, Mew!»
Feraligatr annuì e lo stesso fece il piccolo leggendario che nel frattempo strabuzzò gli occhi, come se si fosse ricordato un qualcosa di importante.
«No, vi sbagliate. Io non sono una testa dura. Al massimo qualche mio pokémon lo è, ma non io... ed è una caratteristica che certamente non hanno ereditato dal sottoscritto... Piuttosto Mew, qualcosa mi dice che tu sia tornato a frequentarle... certe teste dure.».
Il pokémon Psico scosse la testa e poi prese a volare attorno al proprio allenatore roteando sulla sua testa ed emanando quella che sembrava essere polvere dai molti colori. Il terreno perse consistenza e il cielo diventò grigio. Sentì una serie di tentacoli afferrargli la testa e le caviglie, provando la sensazione di esser strizzato, in maniera indolore, da quelle braccia invisibili. Si stavano teletrasportando.
Dentro di sé, Dream, sapeva chi avrebbe incontrato. Esisteva un solo pokémon definito “testa dura”, l’unico con cui l’allenatore ebbe grosse e notevoli discussioni in passato. Litigate che una volta han visto Dream chiamare al suo fianco Darkrai per contrastarlo. Capì immediatamente che Mew, quella volta, non lo aveva raggiunto per caso, aveva un compito speciale, portarlo al suo cospetto, perché lui non si sarebbe mai abbassato a tanto.
Era forse l’unico pokémon a metterlo in soggezione, probabilmente perché era quello che nonostante la cattura obbediva meno, dimostrandosi aggressivo anche nei confronti del suo allenatore. Ma mostrarsi teso, in dubbio e incerto sul da farsi avrebbe peggiorato la situazione, rendendola ancora più esplosiva di quanto sarebbe stata già in partenza.
 
Dream si materializzò in un ambiente scuro, tetro, cupo e freddo.
Diede uno sguardo al soffitto, grandi arcate da cui partivano delle catene nere a cui erano appese delle basi di ferro con appoggiate sopra moltissime candele, accese. L’odore di incenso era forte, come se fosse stato bruciato di recente. Le mura erano di color marroncino chiaro, colore della pietra utilizzata nella costruzione, mentre le vetrate erano decorate con immagini colorati che raffiguravano vari simboli religiosi.
Si trovava all’interno di una chiesa, la grande Cattedrale di Cuoripoli. Costruita sul finire del XIX Secolo, era la sede della cattedra del Arcivescovo della Repubblica. La chiesa, il più importante luogo di culto per la chiesa Cattolica nella Repubblica, era dedicata a Santa Margaret da Sinnoh, donna vissuta nella regione nel Medioevo e beatificata e santificata dal Vaticano a metà ‘900.
Dream si trovava in piedi al centro del corridoio, dietro di lui il portone di pietra color smeraldo, con incisioni in lingua latina, davanti a lui l’altare con di fronte un essere. Era in piedi, eretto su quelle che a prima vista sembravano gambe umane, ma che poi, osservando con più attenzione, prendevano la forma di zampe possenti e muscolose. Il suo corpo era di color violaceo e tra i due arti inferiori era presente una lunga coda, di colore viola scuro, che veniva sbattuta con forza sul pavimento. La vita aveva una circonferenza piccola, mentre, parallelo al collo, era presente una sorta di tubo che collegava le spalle al cranio, che vedeva due piccole protuberanze che sembravano delle piccole corna.
«Allenatore, non ti avvicini?», pronunciò una voce profonda, rimbombava in tutta la cattedrale. Aveva la caratteristica di riuscire a comunicare senza utilizzare la bocca. La sua voce veniva emanata nello spazio circostante tramite l’ausilio dei suoi poteri psichici.
Il ragazzo tentennò per un momento, guardandosi attorno per assicurarsi che Mew e Feraligatr non lo avevano seguito. Cominciò ad avanzare verso di lui, percorrendo silenziosamente la navata, tastando, con i polpastrelli della mano sinistra, le panche di legno presenti lungo tutto il corridoio e utilizzate dai fedeli per sedersi e inginocchiarsi.
Il cuore palpitava ben sapendo che doveva esser pronto a tutto da quel momento in avanti.
Dream si fermò a pochi metri da lui, che si girò. Si sentì trafitto dai grandi e minacciosi occhi viola che ora lo stavano scrutando attentamente.
«Cuoripoli, giusto Mewtwo?» chiese Dream ricominciando a guardarsi attorno.
Mewtwo, il pokémon creato in laboratorio adoperando il DNA di Mew, era stato catturato da Dream durante il primo viaggio nella regione di Kanto, dove era stato rinchiuso nella Grotta Ignota, una caverna situata nella zona nord-occidentale della città di Celestopoli.
«Esattamente, allenatore. Trovo che sia un posto magnifico per pensare, riflettere e capire».
«La Vetta Lancia, la Cattedrale di Cuoripoli... e poi dicono che i pokémon siano senza gusto... Quelli degli altri, forse. Ma tu hai un senso scenografico da far impallidire i neo-registi» disse Dream con un pizzico di sarcasmo nella voce.
«Allenatore, non parlarmi con questo tono» lo rimproverò lui, stringendo leggermente gli occhi, facendogli assumere un’aria ancora più minacciosa.
«Sentiamo, Mewtwo – disse Dream infilandosi le mani in tasca – volevi vedermi?».
«E’ corretto. Ho mandato Mew a chiamarti perché… perché ho un dubbio...», Dream aggrottò le sopracciglia.
«Allenatore… - continuò il pokémon abbassando lo sguardo – Io chi sono?
 Perché sono in vita?
Qual è il mio scopo?
Mi sono sempre posto queste domande, lo sai. Ho ricercato come una sorta di ossessione una risposta, l’ho cercata nella profondità della miseria umana e nella povertà di spirito di quegli esseri che si chiamano pokémon. Ma posso dirlo: finalmente ho trovato qualcosa».
Il pokémon Psico non era nuovo a questo genere di pensieri e più di una volta, infatti, aveva posto a Dream domande simili. Domande a cui il ragazzo aveva provato a dare risposte che non vennero mai ritenute soddisfacenti o veritiere. Il fatto di essere un pokémon creato dal nulla e di esser stato un esperimento aveva creato una sorta di interrogazione continua e perpetua su quale fosse il suo reale obiettivo nella vita, «Perché quando si viene creati per uno scopo preciso e questo scopo viene meno, il tuo obiettivo nella vita diventa trovarne un altro» aveva dichiarato una volta il pokémon Genetico.
«E che cosa hai trovato, Mewtwo?» chiese Dream sedendosi su una delle panche di legno, incrociando le braccia.
«Il vuoto».
Fu come se una freccia si fosse infilata nel petto di Dream colpendogli il cuore.
Inaspettata. Precisa. Spietata.
«Il vuoto?».
«Lo hai mai visto il vuoto allenatore?! Lo hai mai sentito?!» gli occhi di Mewtwo fissavano in maniera gelida ma al contempo pieni di ira il ragazzo.
«Io credo che…», ma Dream venne bruscamente interrotto dal pokémon.
«Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma. Ti assorbe la linfa vitale, ti indebolisce, ti mangia. Ti distrugge».
«Mewtwo… il vuoto non è uno scopo, il vuoto è uno... status».
«E allora ho trovato cosa sono! – gridò il pokémon aprendo le zampe superiori, attorno alle quali si formò un alone azzurro chiaro – Io sono convinto di non esistere più. Io chi sono, allenatore?!».
Dream si alzò e cominciò ad avvicinarsi al suo pokémon, ma ogni passo in avanti richiedeva sempre più sforza fisico, Mewtwo stava ergendo una barriera psichica attorno a lui.
«Mewtwo, ti ordino di finirla» gridò Dream con voce sicura, abbassando leggermente la testa e assumendo un’espressione severa e al contempo arrabbiata.
«Tu non puoi ordinarmi nulla. Io non sono nulla! Come puoi comandare il nulla, allenatore!» esclamò spezzante il pokémon.
Dream indietreggiò indietro, spinto da un potente vento che il Pokémon Genetico stava generando: «Mewtwo, sono il tuo allenatore e ti ordino di fermarti ora. E’ un ordine!» gridò con tutta la forza che aveva in corpo.
«No!» e dalla zampa sinistra di Mewtwo si formò un raggio dai molti colori che colpì in pieno Dream facendolo sbalzare al centro della navata della Cattedrale.
Dream pose le mani a terra, affianco alla nuca e spingendosi con le braccia, saltò in piedi. Il colpo non era forte, lo Psicoraggio era al minimo della sua potenza, ma nonostante doveva dare una lezione al pokémon. Il ragazzo cominciò a correre verso il pokémon psico tenendo in aria il braccio destro, che cominciò a colorarsi di nero e venir circondato da un’aspirale di color rosso e bianco.
Si fermò proprio davanti a lui, dove nasceva la sua barriera.
«Mewtwo, sai che non ho paura a chiamare Darkrai, quindi ti ordino di smetterla immediatamente» disse freddamente Dream.
Il pokémon abbassò le zampe e cominciò ad osservare l’allenatore con uno sguardo perso; Dream abbassò la mano, facendo tornare normale il suo braccio.
«Sentirsi persi, Mewtwo, è normale, ma bisogna avere il coraggio di andare avanti, di continuare. Tu non ti sei perso, sai chi sei, sai per cosa sei stato creato ma sai anche che non è più quello il tuo scopo. Il passato è il passato, devi vivere il presente e guardare al futuro, solo in questo modo potrai andare avanti».
Mewtwo puntò nuovamente la zampa sinistra verso Dream e lo guardò con fare minaccioso: «Con che coraggio tu dici certe cose, allenatore.
Sei proprio come tutti gli altri, tutti pronti a dire che bisogna guardare avanti e superare i drammi, ma sei il primo che non va avanti. Sei il primo che non supera i problemi. Tu... tu sei ipocrita. Ti descrivi come sincero e onesto, ma sei peggio di tutti gli altri, allenatore. Vattene via, vai a casa. Non mi serve la gente vuota come te».
«Ipocrita? Io?» chiese incredulo Dream, con un sorriso beffardo.
«Da quando è morto Umbreon hai perso te stesso. Non mi puoi dare lezioni, nessuno può darmene. La società è corrotta, la società è vuota, la società è il vuoto… Ho cercato disperatamente di avere un posto, un ruolo, ma come fai ad avere un ruolo quando tutto ciò che ti circonda è rappresentato dalle macerie?».
Umbreon. Un nome che fu come un pugno ricevuto in pieno stomaco. Le viscere cominciarono a contorcersi, mentre sentì il cuore spezzarsi e frantumarsi. Il dolore portato alla luce, come se il tempo non fosse mai passato da quell’evento. Il coltello aveva riaperto prepotentemente una ferita che non aveva neanche cominciato a cicatrizzarsi.
Mewtwo lesse all’interno della testa di Dream, in preda alla più totale confusione. Non c’erano le risposte che lui cercava. Scosse la testa, sconsolato, furente e deluso. Dream venne spinto indietro da una forza misteriosa; gli mancò il respiro, la vista si fece annebbiata e gli occhi si chiusero automaticamente, quando li riaprì era sul prato disteso, Feraligatr seduto al suo fianco affianco e Mew che volteggiava in aria, allegro e spensierato. Il sole scaldava la sua pelle, mentre la brezza estiva muoveva e spostava i capelli e i fili d’erba presenti a milioni e milioni su tutte le colline della zona. Uno stormo di Pidgey passò sopra la sua testa, oscurando leggermente il sole per qualche istante e riempiendo il silenzio del loro canto. Nonostante l’atmosfera serena e di assoluta pace che lo circondava, Dream era profondamente scosso al suo interno: nessuno lo aveva mai chiamato ipocrita. Osservò attentamente Feraligatr tornare a giocare con gli Hoppip e Mew continuare a volare.
Un vortice di domande prese piede all’interno della sua testa: se Mewtwo avesse ragione? Se anche lui era esattamente come tutti gli altri?
E soprattutto, se Dream avesse davvero interiorizzato il vuoto?

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - In Faccia ***


Capitolo 10 - In Faccia
 
«It's a god-awful small affair
To the girl with the mousy hair».
La sera aveva inghiottito la Capitale. Il novilunio aveva privato Fiordoropoli della vista della Luna, che giaceva nascosta e dormiente nei meandri dell’Universo.
Piazza del Parlamento era debolmente illuminata da luci arancioni provenienti da vecchi lampioni di ferro battuto verniciati di nero. La piazza era occupata da un centinaio di persone con gli occhi tutti puntati sulle porte di vetro che custodivano l’accesso alla sede dell’assemblea legislativa Repubblicana, situata all’intero di un palazzo in stile barocco.
Alcune braccia sventolavano in maniera fiera bandiere rosse con ricamate sopra la falce e il martello; mentre altre persone si erano attaccate dello scotch di carta sulla bocca in simbolo di protesta.
A far loro compagnia, alcuni pokémon vestiti con magliette rosse che richiamavano la simbologia del comunismo e con dello scotch posto sopra le labbra.
La folla era arringata da una ragazza con un impermeabile giallo che camminava nervosamente lungo le transenne posizionate dalle forze di polizia e utilizzando il megafono che teneva in mano per gridare il più possibile parole rivolte contro il Governo: «La propria opinione non può essere un reato! Quello che il Parlamento vuole approvare è un atto fascista e liberticida. Respingiamo con forza questi provvedimenti, compagni!». Quest’ultima parola fece scatenare tutti coloro che non avevano la bocca occlusa, che cominciarono a fischiare, mentre chi aveva le mani libere le utilizzava per sbattere pentole e coperchi, generando quel rumore metallico che cominciò a tormentare le orecchie dei Carabinieri che dovevano presidiare la zona.
«But her mummy is yelling, "No!"
And her daddy has told her to go».
Il telefono cominciò a suonare e la conseguente vibrazione del telefonino iniziò a far spostare lo smartphone sulla superficie del comodino bianco su cui era posato.
Giovanni si stropicciò gli occhi, afferrò alla cieca il cellulare e rispose con la sua solita voce profonda, amplificata dalla tipica rauchezza di chi ha dormito per molte ore di seguito.
«Pronto?».
«Presidente, sono Adelaide – rispose con una voce squillante, la sua segretaria – mi dispiace disturbarla a quest’ora della mattina, ma il Ministro dell’Interno mi ha chiesto di chiamarla per una comunicazione di estrema importanza che non può essere rinviata».
«Le ha detto di che cosa si tratta?» chiese l’uomo, ormai con la schiena appoggiata allo schienale del letto, mentre con una mano si toccava sconsolato la faccia.
«No, ma glielo passo subito sulla linea 3».
Giovanni allontanò il telefono dall’orecchio, portandolo davanti al viso. Strinse gli occhi per poter mettere a meglio la tastiera virtuale e poi, individuato il numero “3”, lo premette; dopo una frazione di secondo, poté udire chiaramente la timida voce del Ministro dell’Interno, Mondo.
Mondo era un giovane ragazzo, ex recluta del Team Rocket. Portava un curato taglio di capelli, né particolarmente lunghi o particolarmente corti, di color castano chiaro. Un viso che non aveva mai visto alcuna espressione oltre a quella dell’imbarazzo. Occhi castani, un naso con la gobba e delle labbra sottili. Fisicamente era piuttosto magro, la sua prestanza fisica era tutt’altra che eccelsa. Non aveva mai svolto missioni importanti nel corso della sua carriera nell’organizzazione criminale poiché ritenuto non adatto a causa della sua totale mancanza di autocontrollo nelle situazioni più complesse e concitate. Questa sua caratteristica lo aveva trasformato in breve tempo nello zimbello del Team, portandolo vicino ad una situazione di mobbing; ma in qualche modo questo non era sufficiente per scalfire la tua totale fedeltà al Team e in particolar modo la lealtà nei confronti di Giovanni.
Fu questo tratto distintivo, di totale dedizione per il capo, che lo fece salire alla ribalta al termine delle elezioni. Il precedente Ministro dell’Interno aveva dimostrato un certo grado di autonomia decisionale che spesso si era scontrata con le esigenze di Giovanni.  Al Presidente non serviva qualcuno di capace, avrebbe gestito tranquillamente il dicastero da sé. Gli serviva, piuttosto, qualcuno che fosse sempre d’accordo con lui, che non opponesse la ragion di stato alla ragion politica. Un passacarte. Mondo rispettava esattamente l’identikit del burattino ideale. A nulla erano serviti i veti posti dal Presidente della Repubblica Federale, in totale disaccordo con l’apporre una persona di così scarsa competenza in un dicastero delicato come quello degli interni. Anzi, la timida opposizione era stata sufficiente affinché i quotidiani nazionali, tutti ormai vicini alla linea governativa, sposassero una feroce campagna denigratoria nei confronti della più alta carica dello Stato che dovette quindi confermare Mondo come Ministro dell’Interno nel neonato Governo Giovanni III.
«Dimmi, Mondo» cominciò Giovanni.
«Kalos si è tirata indietro» disse il giovane tutto d’un fiato, chiudendo gli occhi come se non volesse vedere, più che sentire, la reazione del suo capo.
«Cosa intendi?» chiese Giovanni sgranando gli occhi.
«Un comunicato stampa rilasciato questa notte e appena ricevuto qui, agli interni. Vuole che glielo legga?».
«Per cortesia, non importunarmi con domande inutili. Cosa dice quel comunicato?».
«Il titolo dice: “La Repubblica di Kalos ritira la sua candidatura di stato osservatore”. Poi, poco dopo, c’è scritto: “La Presidenza del Consiglio annuncia la volontà di interrompere le trattative per l’annessione della Repubblica di Kalos alla Repubblica Federale di Pokémon dopo che il Parlamento all’unanimità, ha comunicato al Governo di non esser più favorevole all’entrata della Repubblica di Kalos nella Repubblica Federale di Pokémon. Alla base di questa decisione ci sono ragioni di carattere politico ed economico che da sempre il nostro Governo ha apposto come fattori problematici per una possibile unificazione.
Consci di poter mantenere degli ottimi rapporti diplomatici, chiudiamo qui ogni ulteriore spazio di dialogo sul fronte della già citata annessione alla Repubblica Federale.
La Presidenza del Consiglio,
Kalos"».
Mondo lo lesse tutto ad un fiato, tornado poi a chiudere gli occhi come se temesse di ricevere un ceffone in pieno volto dal suo Capo.
Giovanni si morsicò il labbro inferiore, non rispondendo al suo interlocutore. Si era chiuso in se stesso, mentre la sua mente cominciava ad elaborare un piano per uscire da quest’ennesima situazione di pantano. Kalos era ormai andata, non aveva più alcuna possibilità di aggiungere l’annessione della regione alla lunga lista dei suoi successi politici. Dall’altra parte, però, era anche vero che qualcuno avrebbe dovuto prendersi la responsabilità di quanto accaduto. Apparire subito debole qualche settimana dopo le elezioni avrebbe minato la forza del Governo per tutto il resto della legislatura, e Governo debole significava maggioranza libera, portando magari anche alla creazione di una di quelle vituperate correnti all’interno di Repubblica Nuova che magari avrebbero potuto mettere in dubbio anche la leadership del leader maximo. Lo stratega che era in lui doveva elaborare una via di uscita alla svelta, muoversi velocemente tra gli intrighi del potere e spostare la colpa su qualcun altro, non importava se questi potesse essere anche innocente. Serviva qualcosa di potente, pesante, da poter schiacciare senza possibilità d’appello la vittima sacrificale di questo disegno.
E il lampo di genio arrivò. Il piano era lì, dentro la sua testa, e doveva essere iniziato e concluso in quella stessa giornata, prima che i “giornalisti nemici” avrebbero potuto sbeffeggiare il Presidente con l’accaduto. Le lancette dell’orologio avevano ormai preso la forma delle lame tipiche della ghigliottina pronte ad assaggiare il sangue della sua credibilità politica.
«Mondo, comunica ad Adelaide che ci sarà una riunione al Palazzo del Governo alle 10 di questa mattina. Dille di annullare tutti i miei appuntamenti. Annulla i tuoi, ci devi essere anche tu. Poi dille di avvertire il Ministro della Giustizia, dev’esserci anche lui alla riunione. E mi raccomando, avvisa Milas. Se non ci sarà lui saremo nella merda» disse mettendo rapidamente giù il telefono.
Giovanni si alzò e cominciò a camminare lentamente, i piedi scalzi assaporavano il soffice tappeto persiano bianco. Prese con le mani la corda e tirò le tende, aprendo poi la finestra e venendo baciato dalla luce del Sole. Il Sole, ecco che lo toccava ancora. Era il segnale che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Ancora una volta. Allungò la mano destra aperta, con il palmo rivolto verso il basso, verso l’orizzonte visivo che la finestra gli offriva. L’intera Fiordoropoli si disegnava sotto il suo arto. Poi, con un atto rapido, chiuse la mano. Poco male se Kalos si era tirata indietro, era l’assist perfetto per attuare una delle ambizioni più grandi. Era il momento perfetto per avere in pugno l’intera Repubblica.
«But her friend is nowhere to be seen
Now she walks through her sunken dream
To the seat with the clearest view
And she's hooked to the silver screen».
Kalos si trovava all’interno di una penisola ad oriente di Kanto. A ovest e settentrione si affacciava sull’Oceano Atlantico, mentre a sud e ad est era circondata da delle catene montuose che ne segnavano anche i confini politici della Nazione con altri Stati.
Kalos venne conquistata e resa una colonia della Francia nei primi anni del ‘600 e rimase sotto il controllo di Parigi fino al 1913, pochi mesi prima dell’inizio della Grande Guerra. Per questa ragione la cultura europea, e in particolare quella francese, erano così importanti e ben radicalizzate all’interno del territorio. Durante la Seconda Guerra Mondiale, quando parte della Francia era sotto il controllo diretto del Reich e l’altra parte era sotto il controllo del generale Pétain, Kalos decise di cambiare lingua di stato per allontanarsi il più possibile da possibili similitudine con il Paese Europeo e discostarsi il più possibile le somiglianze con il Vecchio Continente in preda al suo più grande sconvolgimento auto-distruttivo portato avanti dalle scellerate politiche nazionaliste.
Venne così adottata la lingua Inglese, che de facto aveva sostituito quella ufficiale. Non ci furono sollevazioni popolari e proteste da parte dei cittadini, erano tutti concordi nel volersi allontanare dalle ombre naziste; negli anni ’40, ormai, solo una piccola parte della popolazione continuava ad adoperare la lingua francese e fu salutato da molti come un segno di modernizzazione del Paese.
Nonostante il cambio di lingua, però, la maggior parte dei nomi e cognomi era di derivazione francese e in tutta la Nazione erano rimasti ben evidenti i segni della passata colonizzazione grazie ad edifici che più o meno somigliavano a quelli della Patria madre. Era il caso del Reggia Aurea, ideato ed edificato per somigliare il più possibile al Palazzo di Versailles o ancora la Torre Prisma, nel centro di Luminopoli, costruita agli inizi del ‘900, ispirata inequivocabilmente alla Torre Eiffel e sede di una delle Palestre della Lega di Kalos.
 
Proprio per il loro carattere così legato al motto “Liberté, Égalité, Fraternité”, la popolazione di Kalos aveva espresso un certo disappunto nei confronti della Repubblica Federale che negli ultimi tempi aveva cominciato ad attuare delle politiche discriminatorie nei confronti della libertà di pensiero e di espressione. All’estero, a differenza di quanto accadesse all’interno, le notizie dell’entrata dei quotidiani da parte di persone vicino al Presidente del Consiglio, erano state accolte con stupore e forti critiche, che però non erano state lasciate circolare tra i repubblicani.
Fu per questo che il governo di Kalos aveva espresso una certa sofferenza nei confronti della Repubblica, dichiarandosi piuttosto spaventato dalle manifestazioni di piazza che avevano preceduto prima e seguito poi l’insediamento del terzo Governo Giovanni.
Il ritiro delle trattative era richiesto soprattutto dalla popolazione che non aveva intenzione di buttarsi nelle braccia di un esecutivo definito sempre più come “fascista e liberticida”. La votazione che il Parlamento aveva portato avanti era semplicemente una ratifica di tale umore, senza che i partiti di centro-destra che sostenevano il governo i partiti di centro-sinistra, seduti all’opposizione, potessero, o anche solo volessero, dirsi contrari.
«But the film is a saddening bore
For she's lived it ten times or more».
La porta di legno recava la scritta “COMMISSIONE XVI - IUSTITIA” mediante dei caratteri in rilievo colorati d’oro. Dietro il piccolo ingresso, si poteva accedere alla sedicesima commissione parlamentare che si era riunita in seduta straordinaria per discutere di provvedimenti penali da attuare nei confronti di tutte quelle personale che, a causa della loro posizione di rilievo internazionale, avevano, secondo il Governo, rovinato irrimediabilmente la reputazione della Repubblica Federale.
«Questa è la più grande cazzata che Milas potesse mai chiederci», commentò con un sorriso imbarazzato un parlamentare della maggioranza ad un collega di partito prima di ottenere la parola ed alzarsi in piedi di conseguenza: «Onorevoli colleghi, quello che Kalos ha annunciato è un atto di una gravità inaudita mai, dico mai, accaduta prima d’ora. Nessuna Nazione, prima di questo momento, aveva deliberato un simile affronto nei confronti di uno Stato che ha una storia millenaria e così importante come la nostra. Quello che il Governo vuole è un provvedimento sacrosanto e mi stupiscono le voci dell’opposizione che ritengono questa commissione costituisca una sorta di tribunale speciale.
Onorevoli colleghi dell’opposizione, “Fascismo”? Stiamo davvero parlando di questo? No, no, assolutamente. Stiamo parlando del diritto di questo Paese a difendersi dalle accuse lanciate da intellettuali e di mantenere un’immagine decorosa nei confronti dell’estero. Chiedere che fantomatici giornalisti o allenatori vengano condotti in carcere per le loro dichiarazioni, che hanno un eco mondiale, è quanto di più giusto, corretto e sensato che il Paese, oggi, può chiederci!» concluse l’uomo, sedendosi e facendo partire proteste dai banchi dell’opposizione che aveva cominciato a gridare e lanciare grosse palle di carta nei confronti del deputato.
«Colleghi! Colleghi, fermatevi o pongo la questione immediatamente ai voti!» gridò nel microfono il Presidente della Commissione, parlamentare per Repubblica Nuova. Nel suo profondo, desiderava che le opposizioni continuassero il loro circo, in modo da poter mettere in votazione la lista di nomi da far arrestare e tornare immediatamente a casa per vedere la partita di calcio sulla televisione pubblica. «Chiede la parola il parlamentare Ivan Mazzogna di Pokémon 5 Stelle. Ne ha diritto» continuò, spegnendo poi il microfono e osservando attentamente il parlamentare del Partito di Walter alzarsi in piedi.
«Presidente, Presidente trovo ridicolo che lei, esponente di questo partito fascista possa riconoscere che ho il diritto a parlare, perché quello che si sta sancendo in quest’aula è proprio il non diritto alla parola e all’espressione.
Volete mettere in arresto chi non la pensa come voi e allora sappiate che tutte le celle di questo Paese non vi basteranno perché la protesta monterà e dovrete arrestarci tutti, arrivando al punto in cui governerete una Repubblica vuota e deserta. Ma noi impediremo che voi possiate condurci a questo sfacelo e vi diremo di più, noi di Pokémon 5 Stelle impediremo che voi Repubblica Nuova e i vostri colleghi inciucisti del Partito Democratico possiate continuare a danneggiare questo Paese facendo i vostri sporchi interessi sulle spalle dei poveri cittadini.
Già, qualcuno qui perché non ha mai preso in considerazione i cittadini? La gente muore di fame e voi state pensando a un branco di professoroni che guadagna duemila dollari al mese mentre la gente non arriva alla fine del mese. E’ per questo motivo che Pokémon 5 Stelle lascia l’aula in segno di dissenso contro le priorità di questo Parlamento di criminali e collusi! Fuori da qui siete niente, niente, niente!».
Il deputato Mazzogna si sedette, sbattendo il microfono sul tavolo scatenando i fischi da parte degli altri partiti mentre arrivarono gli applausi da parte del suo gruppo parlamentare.
«Ricordo all’onorevole Mazzogna che quest’aula non è il bar sport e prego lei e tutti i suoi colleghi di moderare i termini degli interventi. Non costringetemi a prendere provvedimenti già citati in precedenza» disse il Presidente della Commissione con voce chiara all’interno del microfono.
«Avete già deciso tutto, quest’aula è solo una mera scenetta per legalizzare il tutto» gridò un membro del Partito Democratico a cui seguirono le urla da parte della maggioranza.
«Servi del potere, servi schifosi del potere» urlò un membro di Pokémon 5 Stelle, mentre i piedi di tutti i parlamentari delle opposizioni cominciarono a battere furiosamente a terra e una pioggia di palline di carta cominciò a colpire i banchi della maggioranza che immediatamente risposero al fuoco rilanciando quello che ricevevano, mentre l’aula  e i corridoi adiacenti si riempivano di «Fascisti, fascisti!» strillati tra i vari membri della Commissione.
«Silenzio! Silenzio in aula! Ora basta, metto la questione ai voti!» gridò il Presidente tirando pugni al bancone tentando di far calare il silenzio all’interno della stanza riuscendo ad ottenere l’effetto voluto solo dopo la pronuncia della parola “voti”.
I membri di Pokémon 5 Stelle si alzarono in fretta e furia, lasciando di corsa l’aula, mentre Repubblica Nuova e il Partito Democratico si accingeva a votare.
«She could spit in the eyes of fools
As they ask her to focus on»
«Sì, Enrico, sì. Ti chiedevo la linea perché sono proprio ora usciti i risultati della votazione della Commissione Giustizia. Votanti: ventiquattro, maggioranza richiesta: tredici voti. Voti a favore: diciotto,  voti contrari: sei e sei assenti.
Non abbiamo ancora la lista dei dichiarati in arresto, è stata un’impresa già riuscire ad avere questi numeri, ma si sa che le forze di polizia sono già state chiamate a prendere in custodia le persone e condurle al carcere più vicino la propria residenza». Disse una donna con i capelli lunghi neri, occhi costantemente stralunati, un naso leggermente storto e delle labbra molto strette.
«Alessandra, non si ha nessuna idea degli arrestati? Nessuna voce?» chiese il direttore del telegiornale, un uomo sulla quarantina, capelli ricci, brizzolati e un paio di occhiali che spesso erano finiti a terra durante le interminabili dirette che portava avanti con incredibile forza.
«Sì, circola solo un nome, quello del Campione Rosso».
 
«Sailors fighting in the dance hall
Oh man! Look at those cavemen go
It's the freakiest show».
Giuly roteò su se stessa, con la schiena spostata in avanti e le mani tenute all’interno dei pantaloni celesti che indossava. Lentamente, le mani, vennero fatte uscire e la ragazza aprì i pugni rilasciando delicatamente nell’aria decine e decine di origami a forma di Beautifly che in brevissimo tempo sovrastarono la testa del pubblico. Poi riprese a cantare: «Take a look at the lawman
Beating up the wrong guy
Oh man! Wonder if he'll ever know
He's in the best selling show
Is there life on Mars?»
Tutte le luci del terrazzo si riaccesero e le persone presenti si alzarono tutte in piedi per applaudire la perfomance di Giuly che aveva eseguito una cover di “Life On Mars?” di David Bowie, riproponendo gli abiti indossati dal cantante inglese nel video.
La ragazza scese dal palco, si sbottonò la giacca azzurra che le stava stringendo troppo la vita e incominciò ad intrattenersi con i vari ospiti da lei invitati in quel party di fine estate su una delle terrazze più esclusive e invidiate della Capitale.
«Hai lasciato finalmente da parte il mediocre mondo del K-Pop per dedicarti finalmente alla musica seria?» chiese Dream, che sbucò alle spalle della ragazza, cogliendola di sorpresa.
«Dream! Sei venuto?».
«Suvvia, non potevo affatto perdermi questo gigantesco party in cui è stata invitata tutta l’aristocrazia della nostra città» rispose il ragazzo, cominciando ad osservare i vari invitati. Li conosceva ormai tutti, talmente ormai era un habitué delle feste mondane. E oltre a conoscere i loro nomi, conosceva anche tutti i loro vizi, rigorosamente tirati fuori quando qualcuno faceva osservazioni poco gradite o poco educate.
 
«Signor Dream, che piacere vederla» esordì Glauco Nicittini, noto imprenditore a capo di una delle aziende agro-alimentari del Paese. Aveva 65 anni, una delle persone più viscide e mal sopportate da Dream.
«E’ un piacere anche per me vederla, signor Nicittini» rispose Dream, simulando benissimo un’espressione di felicità nel vedere l’uomo.
«Allora, signor Dream, quante cose si dicono di lei... E’ vero che ha la fila di donne che entra ed esce dal suo letto? Li ha fatti i controlli per le malattie veneree?».
Il ragazzo inarcò leggermente le sopracciglia e rise imbarazzato e altrettanto fecero le persone attorno a lui in quel momento.
«Beh, signor Nicittini, è chiaro che seguirò il suo consiglio... dopotutto lei è un esperto di fila di donne che esce ed entra nel suo letto, no?» chiese il Campione con un’espressione di candida innocenza, inclinando la testa leggermente verso sinistra.
«Come scusi?». Glauco era in palese imbarazzo. Le guance già paonazze dell’uomo diventarono ulteriormente rosse, mentre gli occhi cominciavano a vagare nella sala alla rocerca di una qualche ancora di salvezza.
«Beh, sua moglie, stanca dei continui tradimenti, le ha chiesto il divorzio e ha intenzione di dare una battaglia legale per gli alimenti che non sembra abbia precedenti nella storia. Per caso si verrà a sapere che lei ha contratto una malattia sessualmente trasmissibile? Spero di no, sarebbe un brutto colpo per la sua incredibile statura morale».
«E non c’è solo l’aristocrazia, Dream» disse Giuly, voltandosi di spalle e assicurandosi che solo l’amico potesse vederla in faccia. «Ho dovuto invitare anche alcuni iscritti di Repubblica Nuova. Sai, ho bisogno di non attirarmi antipatie se voglio continuare a cantare...».
«Proprio la crème de la crème...».
La cantante cominciò ad incamminarsi lentamente e Dream la seguì.
«Dream, spero che tu possa perdonarmi per quello che è accaduto a casa di Vera.  – cominciò a parlare la ragazza, non guardando negli occhi il suo interlocutore per timore che potesse incombere in uno dei suoi sguardi raggelanti - Sono davvero, davvero mort…» venne interrotta da un cenno della mano di Dream, che non voleva sentire ulteriori richieste di perdono.
«Posso immaginare, Giuly. Tu e Rosso pensavate che la situazione fosse divertente, e probabilmente se mi fossi trovato anche io al vostro posto avrei agito alla stessa maniera. La mia reazione nei vostri confronti è stata esagerata e per questo chiedo io scusa a te. Piuttosto, devi spiegarmi alcune cose… l’altra volta ti libravi per aria, ora fai apparire origami di Beautifly dalle mani. Qual è esattamente il trucco?».
Giuly sorrise: «Un Alakazam. Lo abbiamo addestrato alle arti sceniche ed i risultati sono strabilianti, a mio parere. E’ stata un’idea del coreografo!».
«E allora tanti complimenti al coreografo!» esclamò Dream, prendendo due bicchieri dal vassoio di un cameriere e porgendone uno in mano alla ragazza.
«Oh, Giuly, hai fatto un’ottima performance. I miei più sentiti complimenti» disse una voce profonda, provenire dalla sinistra della cantante.
«Andrew, ma che piacere vederti» rispose lei, stampando un bacio prima sulla guancia destra e poi sulla guancia sinistra dell’uomo.
«Dream, ti presento Andrew Fisher, il miglior scrittore del periodo».
«Molto lieto di fare la sua conoscenza» si fece avanti Fisher.
Era un uomo magro, capelli castano chiari lunghi fino alle spalle. Occhi castani e la pelle leggermente abbronzata.
«Vale lo stesso anche per me» rispose Dream aggiungendo un sorriso di circostanza.
«Ragazzi, vi lascio, ci vediamo più tardi. Vado ad assicurarmi che il catering faccia bene il suo mestiere».
 
«Sa, sono una allenatore anche io, sono di Sinnoh» cominciò Andrew, sperando di trovare un argomento valido per intavolare una discussione con Dream.
«Ah, sì? Ci siamo mai sfidati?» chiese simulando interesse l’ex allenatore.
«No, no, me lo ricorderei. Dicono che lei fosse un allenatore formidabile. Le sue sconfitte si possono contare sulle dita di una mano».
Dream cominciò ad osservare con discreto interesse il suo interlocutore. Pensò che fosse semplicemente patetico oltre che discretamente viscido. Tentava di rendersi simpatico agli occhi delle persone riempiendoli di complimenti. Di persone così ne aveva incontrate tante, fin troppe, specie da quando aveva intrapreso la carriera di giornalista a Fiordoropoli. Tutti sono gentili quando puoi renderti utile per le loro cause, giuste o sbagliate che siano. E Andrew Fisher non sembrava da meno. Un rampante scrittore che voleva a tutti i costi parlare con un giornalista. Quello che voleva ottenere era molto probabilmente una pubblicità. Quanti prima di lui avevano tentato di scalare “il colosso Dream”, come era stato definito da Elvira in una riunione di redazione plaudendo alle capacità del ragazzo di non farsi comprare da qualche parolina ben spesa. Tanti, forse anche troppi. Ma il fatto che erano disposti a tutto pur di compiacerlo era una di quei fattori che lo inducevano a umiliare il proprio interlocutore solo per il gusto di divertirsi un po’ e combattere la noia.
«Dicono tante cose, non so quante queste siano vere, alla fine. Ma devo dire che ero piuttosto bravo con la mia squadra… ma non ho mai contato le vittorie e tantomeno le sconfitte…». Mentiva. Mentiva spudoratamente. “Tre” non era solo il numero perfetto o il numero della trinità. “Tre” era anche il numero delle sue sconfitte conseguite in tutta la sua carriera. La prima, con Rosso sul Monte Argento. La seconda, con un ragazzino che si chiamava Lino, all’uscita della Via Vittoria per la Lega Pokémon di Hoenn. E infine, la sua ultima sconfitta avvenne al Parco Lotta di Hoenn, nell’epoca dello Smeraldo. Tre smacchi che non aveva mai particolarmente nascosto, ma che non amava neanche sbandierare in giro.
«Lei come mai ha optato per la carriera di scrittore? Allenare i pokémon non la soddisfava?» chiese Dream.
«Oh, affatto. Mi piaceva molto allenare i pokémon ma la carriera di cui lei è il massimo esponente è lastricata con il sangue dei perdenti. Lei non può essere Campione se non distrugge gli avversari. E io ero quello che la gente distruggeva.
Non aveva senso continuare a perdermi d’animo e deprimermi. Quindi… quindi mi sono dato alla scrittura, ho incanalato lì, la mia ambizione».
«E ce l’ha fatta? Vendono molto i suoi libri?».
«Posso ritenermi fortunato, in qualche modo. Il mio ultimo libro ha venduto circa diecimila copie la prima settimana. E secondo le stime di vendita, dovremmo subire una lieve flessione, toccare le novemila copie anche questa. Tutto sommato, converrà che non si tratta di pessime vendite>>.
Dream annuì mentre al suo interno rifletteva su quando lo scrittore avrebbe sferrato il suo colpo. Doveva sferrare lui il primo colpo, fare la prima mossa, tanto sarebbe sembrato tutto così naturale.
«E di che cosa parla la sua ultima fatica?» chiese Dream con un leggero ghigno.
«E’ un romanzo romantico. Quasi rosa, lo definirei. Ho creato dei presunti Campioni della Lega o dei presunti Capopalestra e li ho inseriti in quest’ottica romantico-erotica.»
Dream strabuzzò gli occhi. Un libro con tracce di erotismo aveva venduto un numero considerevole di copie all’interno di un Paese così bigotto e ipocrita come la Repubblica. Un Paese dove un conduttore televisivo veniva fatto dimettere perché aveva rivelato che qualche anno prima aveva avuto una relazione extra-coniugale con una delle soubrette della trasmissione. Uno Stato in cui si era sfiorata la possibilità di emanare una legge che dichiarasse che la sfera sessuale dei parlamentari era una sfera privata e come tale non poteva esser trattata da inchieste, giornalistiche o della magistratura, salvo poi dover esser cancellata quando, tramite intercettazioni telefoniche la vigilia dell’approvazione, si scoprì che alcuni parlamentari si stavano già sfregando le mani per i guadagni provenienti dallo sfruttamento della prostituzione che avrebbero potuto, tranquillamente, far entrare in quest’ambito.
«Non pensavo che dopo “50 Sfumature di” un libro erotico potesse essere un caso letterario…»
«Non mi fraintenda. Le scene erotiche sono limitate e molto poetiche, azzarderei a dire sensuali. Vuole un esempio?».
Bingo. Andrew era come tutti gli scrittori, impaziente di far leggere la propria opera a qualcun altro. Il ratto aveva mangiato il formaggio e la trappola era scattata, zac.
«Molto volentieri» rispose sorridente Dream.
L’uomo aprì la sua borsa a tracolla da dove estrasse un grande libro dalla copertina rosa, con una scritta in corsivo “Andrew Fisher” E poco sotto, con un carattere più grande ma con lo stesso stile “Il cuore e la passione” Sotto, a forma circolare, un ruscello con una principessa e un principe stretti tra loro che si scambiavano un tenero bacio.
«Posso aprirlo?» chiese Dream trattenendo all’interno della sua testa le risate per quel volume così stereotipato e privo di una benché minima originalità. Non vedeva l’ora di aprirlo, di scoprire quali altri cliché avrebbe potuto inserire al suo interno. Fremeva, li bramava.
«Certo, certo. Le consiglio la pagina trecentosessantasei, c’è un ottimo esempio di erotismo elegante e sensuale».
Dream obbedì, aprendo il volume alla pagina indicata.
«Legga, legga pure ad alta voce l’inizio della pagina».
«“Achille prese Deborah e la strinse a sé, le sue mani cominciarono a scivolare lungo la schiena della Campionessa, slacciandole dapprima il reggiseno e poi infilandosi tra la sua biancheria intima, afferrandole le carni con la stessa determinazione con cui un idraulico afferra con le mani, unte di grasso, un sifone”».
Dream era allibito. Con una fatica immensa nascosta all’interno le risate per quello che aveva appena potuto leggere. Non si aspettava di trovare una figura retorica così poco sensuale in un libro erotico. In breve tempo si chiese anche come aveva fatto quel libro a vendere così tanto. Doveva essere un errore di battitura, un errore nella stampa.
«Un idraulico che afferra un sifone?» chiese perplesso il giornalista.
«Sì, esatto! Trovo che dia un’aria sensuale ma al contempo grezza.  – Andrew cominciò a stringere gli occhi, mise la mano destra sulla spalla destra di Dream e mentre cominciò ad indicare il cielo con l’altra mano – “Paradosso”. E’ questa la parola chiave della nostra società. Ho cercato il paradosso anche negli aspetti sensuali e sessuali della nostra vita. Mi dica lei se ci sono riuscito!».
Dream lo osservò, fisso, vagliando la possibilità di tirargli un pugno in pieno viso sperando che questo potesse riaccendergli le sinapsi cerebrali.
«E’ senz’altro… curioso» terminò l’ex-Campione.
«Se gli regalo questa copia farà un articolo sul quotidiano?».
Dream sorrise, soddisfatto di aver trovato conferma alle sue idee. Fisher era esattamente come tutti gli altri scrittori da strapazzo. Incapace, con una scrittura mediocre, idee banali e già viste, ma che vendeva tanto. Dopotutto la meritocrazia non era certamente una delle qualità su cui si basava la Repubblica.
«Ci posso pensare, dopotutto non sono io a scegliere gli articoli da scrivere. Ma le posso garantire che proporrò l’idea alla mia direttrice».
«Spero in buone notizie, allora. La copia è già autografata e dedicata a lei».
«Che caro…» rispose Dream con un sorriso falso, per poi congedarsi e perdersi tra la folla che aveva cominciato a fare un trenino sulle note di “Disco Samba”.
Dream raggiunse la ringhiera che si affacciava su una delle grandi arterie stradali della Capitale. La maggior parte dei grattacieli visibili, che circondavano la terrazza come se la volessero inghiottire, erano in gran parte spenti, con l’eccezione di qualche finestra con i neon bianchi accesi che aiutavano a definire meglio l’imponente forma delle giganti costruzioni.
«Signora Vittoria, che piacere vederla qua» esclamò Dream, salutando con un evidente cenno della mano la signora che sembrava esser completamente assorta nei suoi pensieri. Indossava un elegante abito blu oceano, con i capelli, color rossi, legati. Il ragazzo si mise in piedi al suo fianco, appoggiando la schiena alla ringhiera, prendendo il pacchetto di sigarette dalla tasca sinistra dei pantaloni e l’accendino da quella destra.
«Dream, mio caro! Non potevo perdermi una festa di questo tipo! Non quando ho saputo che lei era tra gli invitati!».
«Addirittura? Devo per caso preoccuparmi di qualcosa?» domandò il ragazzo, inarcando le sopracciglia. Nonostante anni e anni di esperienza sapeva sì che cosa attendersi dagli artisti che frequentavano certi salotti solo per la promozione, ma non aveva mai capito come prevedere le intenzioni degli “animali da party”, come li amava definire Dream.
Gli animali da party, sì. Quelle persone che non si vedevano mai in giro per la città nelle ore diurne e le uniche volte che affrontavano la luce del sole era durante il periodo invernale, nelle località più esclusive del Percorso 216 e solo coperti da grandi occhiali da sole e pellicce di visone coordinate con pesanti e giganteschi colbacchi.
«Oh, non sia sciocco! – disse dandoli una delicata pacca sulla spalla sinistra – Lo sa, ho cominciato a leggere Pirandello!».
«Dopo la nostra chiacchierata dell’altra sera?».
«Esattamente, è così geniale e pazzo! Ma in qualche modo mi ha indotto a riflettere su tante cose...».
«Ad esempio?».
«Non vede? Ho ridotto la quantità di makeup questa sera!».
Dream si girò di scatto osservando il volto dell’anziana signora. Era vero. La pelle non era più coperta da strati di trucco volti a coprire lo scorrere del tempo. Anche il look era meno giovanile e più adatto alla sua età.
«E sa – continuò Vittoria – ho anche cancellato ogni impegno con... il chirurgo».
«Estetico?» chiese Dream, con un accenno di sorriso.
«Ecco... circa».
«Suvvia, Vittoria, non siamo bigotti. Non c’è nulla di male nel ricorrere alla chirurgia estetica,anche io spesso ne faccio uso» concluse Dream facendo un fugace occhiolino.
«Davvero? E dove, se posso chiedere?» chiese lei avvicinando lievemente il viso verso Dream, per cercare le tracce del bisturi.
«No, stavo scherzando. Ma solitamente son frasi di questo genere che fan sentire a proprio agio le persone».
Vittoria, con la stessa eleganza con cui si avvicinò, tornò indietro, sospirando per la delusione. Osservò un po’ le sue mani, con la pelle raggrinzita e macchiata, per poi riprendere la parola: «Ah, mi sono iscritta ad un’organizzazione per i diritti degli omosessuali».
Dream strabuzzò gli occhi e ancora una volta si girò di scatto verso la signora.
«Cosa? Dice sul serio?».
«Certamente. Il suo discorso mi ha così sconvolto che ho chiesto al mio autista di portarmi alla prima organizzazione gay che avremmo incontrato. Non credeva alle sue orecchie, voleva addirittura portarmi ad un istituto psichiatrico...».
«E poi?» continuo lui, trattenendo a fatica le risate, senza però nascondersi questa volta.
«E poi gli ho ricordato che lo stipendio glielo pago io. E che ha moglie e due figli da mantenere, e che se voleva continuare a farlo avrebbe fatto bene a portarmi immediatamente a quell’organizzazione, nel minor tempo possibile».
«Quando si dice il pugno di ferro...».
«Beh, bisogna averlo.
In ogni caso, sono entrata in questa piccola saletta, sembrava un po’ le riunioni degli alcolisti anonimi, e in un primo momento pensavo che fosse meglio esser un’alcolizzata che una gaia, ma poi... ma poi ho cominciato a parlare con loro, a sentire le loro storie.
Quanta sofferenza, quanto dramma, quanto buon gusto nel vestire e nel consigliare i migliori stilisti della stagione.
Mi ero completamente sbagliata su di loro. Avevo giudicato un universo senza neanche conoscerlo. Io non ho niente contro i gay e da oggi, posso finalmente dirlo: ho tanti amici gay».
«Eh già, chiunque vorrebbe degli amici gay...» terminò Dream, con una punta di ironia.
Poco dopo Vittoria si congedò e la festa continuò fino a che non rimasero meno di una decina di persone.
 
Dream, Giuly e altri quattro ragazzi erano ormai seduti su dei divanetti di vimini attorno ad un piccolo e basso tavolino di vetro.
I quattro ragazzi erano gli iscritti a Repubblica Nuova invitati, anche se non aveva indicato al suo amico chi fossero esattamente. Si erano fermati fino all’ultimo sperando che Dream, la loro preda, facesse lo stesso. Ora erano lì, a fissarlo in cagnesco, mentre lui si dimostrava tutt’altro che intimorito e timoroso di incontrare i loro sguardi.
 
«Che poi io tutta questa moda per l’Inghilterra da parte degli alternativi proprio non la capisco... non la capisco proprio! Insomma, è uno dei Paesi più conservatori del mondo, hanno avuto la Thatcher e checché ne dicano votano sempre chi gliela ricordi» continuò Dream alzando gesticolando con la mano sinistra, sicuro di quello che diceva.
«Hanno avuto Blair» fece notare uno dei ragazzi. Era rasato, sopracciglia a forma di ali di gabbiano, occhi azzurri e un naso a punta. Gli altri lo avevano chiamato Friedrich.
«Appunto, e che ho detto? O la Thatcher o chi gliela ricordava. Poco importa se fosse un laburista, Blair era di destra come lo era lei, come lo era Reagan, come lo è Angela Merkel o Matteo Renzi».
«Si vede che lei si intende di cultura... – proseguì l’altro – Se non sbaglio ha intervistato anche Alexei Know, no?».
«Certo, non ti ricordi di quell’intervista infamante che ha fatto?» rispose il ragazzo alla destra di Friedrich. Lui era Andrea, capelli a spazzola, azzurri, pizzetto nero e occhi grigi.
Dream lanciò una fugace occhiata a Giuly e poi scosse la testa, prendendo una sigaretta dal pacchetto che era stato appoggiato sul tavolino. Se la accese con tutta calma, riempiendosi di fumo che buttò per aria poco dopo, aveva intenzione di rispondere alla critica, ma non senza aver ucciso i suoi oppositori di ansia.
«Infamante, capelli-blu, suvvia. Diciamo le cose come stanno. Alexei Know era un ignorante di dimensioni gargantuesche, ha voluto fare il furbo con me ma non gli è riuscito. E’ stato stanato, anzi, si è fatto stanare, io non ho fatto nulla che chiedergli conto di quel che diceva», concluse Dream soffiando il fumo nella direzione dei ragazzi, terminando il tutto con un sorriso provocatorio.
«Non gli hai lasciato approfondire il dramma della mancanza del padre nella sua crescita!» tuonò un ragazzo posto su una poltrona, anch’essa in vimini, alla sinistra del tavolino. Capelli biondi con una frangia che copriva la sua fronte arrivando a coprire parte delle sue sopracciglia. I suoi occhi, azzurri, volevano risultare minacciosi riuscendo ad ottenere l’effetto opposto.
«Approfondire? Suvvia. Non c’è nulla di approfondire. Suo padre è stato arrestato in flagranza di reato, stava preparando un attentato terroristico volto a far saltare in aria una nave. Sua madre è denunciata per resistenza a pubblico ufficiale, suo fratello è sotto querela. Uno dei suoi cugini è in carcere per traffico di stupefacenti e si ipotizza anche lo sfruttamento della prostituzione. Per piacere... evitiamo di glorificare il crimine, anche se... Che partito avete votato?».
«Repubblica Nuova» risposero in coro i quattro giovani.
«Ma che cari... – rispose con un sorriso falso a trentadue denti nei confronti dei suoi interlocutori – ma in ogni caso, ho fatto una battuta: ho detto di non glorificare il crimine e poi voi segnate il suo simbolo elettorale nella cabina» finì Dream agitando lievemente la sigaretta per togliere la cenere.
«Che hai contro Giovanni?» si fece avanti socchiudendo leggermente gli occhi.
«Chi? Io? Oh, assolutamente nulla, ci mancherebbe. Come posso avere qualcosa contro un Governo che fa dimettere i direttori dei giornali quando questi sono politicamente avversi e li sostituisce con persone iscritte al partito?
Cosa posso avere contro un Governo che ha cambiato la legge elettorale per assegnarsi il 60% dei seggi prendendo anche un voto in più degli altri?
Cosa posso avere contro un Governo che ha intenzione di modificare la storia della Seconda Guerra Mondiale? Nelle scuole, ora, la Kanto nazionalista non ha mai bombardato Johto e non l’ha mai conquistata. E i campi di concentramento? Ci sono, non possiamo distruggerli. Ma possiamo tagliare i fondi per il loro mantenimento.
E per non parlare delle Università, dove i rettori hanno bandito i vari gruppetti di sinistra e vengono eletti ai vari Senati Accademici solo persone iscritte a Repubblica Nuova, perché solo loro possono ormai presentarsi. E’ un progetto, in un micro-universo, di quello che avete intenzione di fare su scala Nazionale, ne sono piuttosto sicuro.
E insomma, chi se ne frega se tutto questo viene visto all’estero come uno stato in preda ad un masochista sentimento fascista e Repubblica Nuova viene vista come il Fascismo. Sì, perché insomma, fate parte di un partito che vi fa credere di essere fondamentali, ma in realtà non è così. Siete utili solo per il numero. Se le pecore potessero votare, sarebbe un partito pieno di pecore. Non apportate niente al gruppo. Non cambia se c'è Dean, o James, O Philippe o Dio in persona. Siete membri di un partito che è un partito di membri.
Siete un branco di idioti, mi chiedo per quale motivo lo vogliate nascondere. Il fatto che siate rimasti fino a quest’ora, per potermi sferrare un debolissimo attacco sul vostro Campione beniamino, che durante l’intervista faceva tanto il populista, salvo poi girarsi per le camere del Palazzo del Governo durante il discorso d’insediamento, da addito a questa tesi.
Ma sapete, in un certo senso vi invidio, voi sì che riuscite a credere ancora in qualcosa. A sognare.
E' curioso non sognare quando il tuo nome è Dream, che in inglese significa sogno. Ma è curioso, perché il suo anagramma è "Merda" che in Italiano significa cacca, proprio come la vita. Sogni, sogni e sogni e ti ritrovi in una vita di merda. Non a caso, nel Sud Italia vige un getto "Chi vive sperando muore cagando".
Sapete, quando ero piccolo avevo un Pidgeot in casa. Sapete, lo avevo desiderato così tanto e un giorno...».
Un colpo. Quando Dream riaprì gli occhi si ritrovò a guardare Giuly quando un secondo prima il suo sguardo era posato sul tavolino basso. La mascella stava cominciando a diventare dolorante.
Aveva ricevuto un pugno.
Si voltò e trovò il ragazzo biondo in piedi, davanti a lui, che lo guardava in cagnesco. O così almeno credeva di fare.
«Kevin!» gridò Giuly balzando in piedi e lo stesso fecero gli altri ragazzi, tentando di far accomodare il loro amico.
La terrazza crollò nel più assoluto silenzio, disturbato solo dalla donna delle pulizie che stava raccogliendo d aterra, con la scopa, i vari tovaglioli che gli ospiti avevano lasciato sul pavimento.
Dream si infilò la sigaretta tra le labbra, si alzò in piedi e si sistemò la maglietta bianca che aveva indosso.
«Posso parlargli un attimo?» chiese con voce gentile Dream.
I ragazzi, che stavano facendo muro all’amico, si spostarono rapidamente. Era seduto, tremava, con gli occhi rossi.
Dream tirò via la sigaretta dalla bocca e con un rapido gesto gliela spense in fronte al biondo, lasciando cadere il mozzicone sulle gambe del ragazzo. Non aveva lasciato il tempo di capire la situazione, che in breve tempo si stava dirigendo verso l’esterno, sussurrando un feroce: «E ora denunciatemi per questo».
 
«Signor Dream, non ho potuto fermarli» pronunciò l’uomo appena Dream ebbe varcato il portone d’ingresso del suo palazzo. Ambrogio, il custode, era allarmato e seriamente preoccupato.
«Scusi? Di chi sta parlando?».
«Della polizia. Sono venuti in tutta fretta e hanno voluto sapere quale fosse il suo appartamento».
Dream strabuzzò lo sguardo, fece cenno al custode di seguirlo e si piombò all’interno dell’ascensore. Quando raggiunse l’appartamento non poté far a meno di notare che la porta d’ingresso era spalancata con una bustina di plastica attaccata sopra con lo scotch.
«Ambrogio, la prenda per cortesia» disse il ragazzo indicando il foglio e entrando nell’appartamento, completamente messo sottosopra.
«Cosa stavano cercando? Gliel’hanno detto?».
«Rosso, il fuggitivo. Temevano che si nascondesse da lei».
Fu come prendere un forte colpo in testa, si sentiva spaesato. Ma forse erano solo i troppi drink bevuti che non gli avevano fatto sentire bene.
«Scusi? Fuggitivo?». 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Michael Butt ***


Capitolo 11 - Michael Butt
 
«Mi creda signor commissario, ciò che avete fatto viola la legge e pretendo assolutamente che venga rispettata» tuonò Dream al microfono degli auricolari. Era al telefono con il commissario capo della città di Fiordoropoli. Il giorno prima una pattuglia della polizia di stato, autorizzata dal giudice Francisco Giuliotti, aveva fatto irruzione nell’abitazione di Dream sicuri di riuscire a catturare Rosso, dichiarato in arresto ma in stato di “latitante” poiché di lui si erano perse le tracce.
«Signor Dream, abbiamo avuto l’assenso del giudice, pertanto le sue lamentele sono tutto fuorché fondate, mi creda», la voce del poliziotto era calma rispetto a quella del giornalista.
«Non mi interessa se avete avuto l’assenso del giudice o del Presidente del Consiglio in persona. La legge è chiara: le perquisizioni presso il domicilio o la residenza fatte ad un Campione della Lega Pokémon possono esser effettuate assicurandosi di non creare disagio al Campione stesso!».
«Sì, ma...» provo a giustificarsi il commissario, venendo interrotto da Dream.
«Nessun “ma”, commissario. La legge è chiara, io voglio che casa mia venga rimessa in ordine dagli stessi agenti che han avuto la brillante idea di venire e comportarsi come dei barbari. Sono un Campione della Lega Pokémon, pertanto il trattamento che mi spetta è quello dettato dal codice penale che lei dovrebbe conoscere e rispettare».
«Non si aspetterà di certo che io obblighi i miei agenti a comportarsi come delle donne delle pulizie?» chiese ironico il poliziotto.
«Come se fosse un lavoro meno dignitoso dell’indossare la divisa. Voglio che vengano in casa mia a rimettere a posto tutto. E se non intende adempiere a questo ruolo, mi creda, non avrò alcun problema a fare una denuncia contro i suoi uomini e contro di lei perché si rifiuta di collaborare».
«Non le sembra un po’ di esagerare?».
«Oh, no, non lo sono e mi può credere. Per non parlare dell’inchiesta giornalistica che ho intenzione di far scoppiare se questa faccenda non si risolve. E credo che lei conosca il mio giornalismo: non ci saranno sopravvissuti».
Camminava spedito sul marciapiede, incurante della pioggerellina che cadeva leggera sulla città. Il suo sguardo era concentrato solo sulla strada che gli si presentava davanti. Non gli importava se la gente si girava a fissarlo impressionata per il tono di voce usato al telefono. La sua rabbia era talmente elevata da creargli una sorta di paraocchi.
«Mi sta per caso minacciando?». La voce del poliziotto si era fatta d’un tratto meno calma e tranquilla, diventando leggermente irritata dal comportamento dell’interlocutore.
«Non è una minaccia, commissario. Le sto illustrando cosa dovrò fare se lei non intende rispettare la legge» chiosò Dream.
Il capo della polizia tentennò per qualche secondo, sprofondando in un imbarazzante silenzio. Le inchieste giornalistiche avevano permesso a lui stesso di arrivare a quel ruolo. Un articolo del Corriere di Fiordoropoli riuscì a far dimettere il suo predecessore reo di non aver vigilato su alcuni poliziotti che non avrebbero rispettato le procedure stabilite durante una delle missioni a loro assegnate. Il precedente c’era e la sua poltrona sarebbe stata rischio se non avesse preso la decisione di soccombere all’ex allenatore.
«Chiamerò i miei uomini e dirò loro di andar a metter a posto casa sua... glielo prometto».
«Mi sta bene... le spese del fabbro ovviamente sono a carico del commissariato» concluse Dream, soddisfatto di aver raggiunto il suo obiettivo.
«Io credo che...» ma Dream interruppe ancora il suo interlocutore: «Sono davvero contento che lei sia d’accordo con me. La saluto che ho un impegno imminente, la ringrazio per la disponibilità concessami» e chiuse la telefonata senza dar tempo al poliziotto di salutare.
Secondo le motivazioni rilasciate dalla commissione parlamentare, Rosso era stato dichiarato in arresto per le sue dichiarazioni fornite nei primi mesi del 2001 nel processo a carico dell’allora Capopalestra di Smeraldopoli, Giovanni. Il Campione aveva infatti dichiarato che il politico gli aveva confidato di esser a capo dell’organizzazione criminale del Team Rocket. Nonostante gli oltre dieci anni da quel processo, conclusosi con una sentenza di prescrizione dettata dall’impossibilità a procedere poiché Giovanni era entrato in Parlamento, le frasi di Rosso avevano continuato a perseguitare il capo del Governo e la sua reputazione all’estero e poiché le opinioni di un Campione erano sempre ritenute credibili; si trattava sostanzialmente di uno sgarbo indelebile.
Rosso non si trovava nella sua abitazione di Biancavilla al momento dell’arresto e immediatamente, la polizia federale si mosse in direzione della casa di Dream essendo pubblico il rapporto di amicizia che univa i due ragazzi. Solo nella notte, a irruzione avvenuta, l’ambasciata kalosiana con sede a Fiordoropoli aveva fatto pervenire al Governo federale l’avviso di aver concesso l’asilo politico a Rosso e con un comunicato stampa si disse disponibile a concedere l’asilo politico a chiunque venisse posto in arresto da «da un tribunale politico camuffato da parlamento», come disse un parlamentare dell’ex colonia francese, commentando ai cronisti la decisione del suo governo.
 
Dream posò le mani alla ringhiera del Ponte Grande, verniciata di blu scuro. Ponte Grande era il più grande e più antico ponte di Canalipoli, una delle città portuali della regione di Sinnoh.
Sullo sfondo si stagliava la figura di una nave mercantile che salutava la città con il verso tipico delle navi, potente e profondo.
Canalipoli doveva il suo nome al fiume che lo tagliava esattamente a metà, il Canalino, un corso d’acqua di grandi dimensioni e dalle acque torbide e inquinate sin dalla sua fonte, posta in una dei rilievi montuosi a sud-ovest della città.
Proprio per il particolare sviluppo urbanistico e bacino idrico, nella zona meridionale della città era stato costruito un importante porto che con gli anni divenne il principale polo industriale e mercantile dell’allora nazione di Sinnoh ricevendo poi forti investimenti una volta che la regione entrò a far parte della Repubblica Federale Di Pokémon. Se le città di Aranciopoli, Olivonopoli, Porto Selcepoli o Alghepoli erano meta di viaggi turistici; le navi da crociera che facevano sosta a Canalipoli si potevano contare sulle dita di una mano. La città era non solo completamente sprovvista punti balneari, ma il suo centro era privo di monumenti di interesse storico e artistico e i pochi musei aperti erano tutti incentrati sul mercantilismo navale. L’unico polo culturale era costituito dalla Biblioteca Federale di Canalipoli, un imponente edificio barocco che al suo interno conteneva opere d’arte e libri di inestimabile valore sui miti e leggende sulla storia di Sinnoh; ma a causa dei continui straripamenti delle fogne, dovute alle loro pessime condizioni, la giunta regionale la spostò in un edificio chiuso al pubblico nella città di Arenipoli. A questo si aggiungeva un immaginario collettivo che voleva Canalipoli avere un clima del tutto simile a quello della capitale del Regno Unito: pioggia leggera e costante, nebbia e umidità, altro elemento che teneva lontani i turisti.
Le dita picchiettavano nervose sul parapetto. Non era stato sufficiente sfogarsi con il capo della polizia per lo sgarbo ricevuto. C’era tutta la discussione con Mewtwo che ancora lo perseguitava. Il party di Giuly a cui aveva partecipato per distrarsi non era servito fondamentalmente a nulla. Le parole del pokémon Genetico pesavano come macigni: «Ipocrita», «Peggio di tutti gli altri», senza dimenticare le considerazioni sulla «società è corrotta, la società è vuota, la società è il vuoto…». La mente di Dream non si schiodava da quel punto fisso. Continuava a giustificare nei confronti di se stesso quello che da anni era il proprio atteggiamento e comportamento, come se contemporaneamente si sentisse colpevole per le accuse che gli erano state rivolte.
E ad appesantire il suo umore c’era il lavoro: l’intervista al Campione della Lega di Unima. Quando Elvira lo obbligò ad intervistare Michael Butt, Dream pensò immediatamente alla tempesta di merda che si sarebbe sollevata nei giorni immediatamente successivi, al contrario della sua direttrice che già si gongolava della massiccia quantità di copie vendute sull’onda di quanto successo con Alexei Know.
 
Ricominciò a camminare, dirigendosi verso “Locanda del Marinaio”, un locale nel centro della città. Un bar con ampie vetrate ma comunque poco illuminato, tutto accentuato dalle nuvole scure che sovrastavano il cielo di Canalipoli quel giorno.
Il bar era arredato con mobili di legno scuro che richiamavano la navigazione come timoni, foto di pirati e reti di corda utilizzate una volta per arrampicarsi sugli alberi delle navi. Dal soffitto pendevano delle piccole lanterne con i vetri molto impolverati che emanavano una flebile luce. Il pavimento era di marmo, sporcato con della segatura per assorbire l’acqua portata dentro con ombrelli e scarpe.
Trovò all’interno il proprietario, un uomo alto, in carne e sudaticcio. I capelli erano ricci e grassi, mentre la barba era tagliata in maniera grossolana.
Al tavolino, posto qualche metro davanti al bancone, era seduto un ragazzino di sedici anni, biondo, occhi azzurri, labbra fini e pelle liscia. Aveva una corporatura molto magra, un viso tondo ma asciutto, definirlo efebico sarebbe stato un eufemismo.
Dream salutò il proprietario con un cenno e poi con passo deciso si diresse verso il Campione, che strabuzzò lo sguardo non appena vide il giornalista.
«Piacere, io sono Dream, il corrispondente del Corriere» disse porgendo la mano destra verso di lui.
Michael sorrise timidamente e rispose alla stretta di mano.
«Io sono Michael, Michael Butt».
Dream si sedette su una delle sedie libere, poi fece un cenno al barista, chiedendo del caffè.
«Non comincio mai a lavorare se non ho bevuto un caffè» pronunciò sorridendo.
Michael annuì, abbassando poi lo sguardo e cominciando a stropicciarsi l’orlo della maglietta con le mani.
«Suvvia, non sia così agitato… è un’intervista, non ho mica intenzione di ucciderla» disse il giornalista continuando ad avere un accenno di sorriso. Poi posò nuovamente le labbra sulla tazzina mentre gli occhi virarono sulle barche ormeggiate che dondolavano mosse dalle acque agitate.
«E’... che… ho letto l’intervista che ha fatto ad Alexei Know… - Michael alzò lo sguardo, guardando Dream per la seconda volta negli occhi – lo sa che è caduto in depressione?».
«Signor Butt, Alexei Know era un buffone, un montato, un bluff. Io l’ho semplicemente mostrato, messo in mostra. Se è caduto in depressione è perché si è guardato allo specchio».
Il Campione di Unima sorrise divertito.
«Non le devo dire io cosa fa un giornalista, credo. Vede… fare interviste è molto, molto semplice. Io porgo le domande e le persone rispondono. E non è come un’interrogazione, io non faccio domande su cose che necessitano lo studio di un concetto, di una formula matematica o conoscere l’applicazione di un teorema. Io porgo domande sulla vita degli intervistati – Dream posò la tazzina sul tavolo, asciugandosi poi le labbra con un tovagliolino di carta accuratamente piegato su se stesso – la risposta la sai per forza… e per carità di Dio, mangi qualcosa, è pallido». Immediatamente, si voltò verso il barista e ordinò cappuccio e brioche per il ragazzo ed aspettò che Michael finisse la colazione prima di ritornare a parlargli.
«Senta, per metterla a proprio agio pensavo di darci del “tu”, è d’accordo?», Michael annuì.
Dream fece uscire Dragonite dalla sua Sfera Poké. Il pokémon si sedette a terra, tenendo sulle ginocchia una macchina da scrivere su cui posò le zampe pronto a digitare ogni parola pronunciata dai due uomini, al contempo, Dream, prese il taccuino dalla tasca dei suoi pantaloni e una penna nera.
«L’altra volta mi hanno fatto storie perché non avevo preso appunti in forma canonica… e quindi mi sono reso conto di aver un pokémon che capisce perfettamente il linguaggio umano ed era forse il caso di adoperarlo in qualche modo…» cominciò Dream sorridendo. «Ma veniamo a noi. Michael Butt nasce a Giubilopoli il 20 Aprile del 2000, ma cresce a Canalipoli. Il suo viaggio di allenatore comincia all’età di dodici anni. Compete per diventare Campione della Lega di Sinnoh ma viene eliminato nella fase a gironi. L’anno successivo, la Lega Pokémon di Hoenn lo vede cadere nella stessa maniera. Per due anni sparisce dai radar sportivi su cui era timidamente. Tutto cambia quest’anno: a Unima non era certamente dato tra i preferiti, eppure, magistralmente, contro tutte le aspettative arriva davanti ai Superquattro e li fa fuori tutti, arrivando alla Sala D’Onore. Ti posso garantire che ne ho conosciuta di gente che ha abbandonato la propria carriera davanti a pesanti sconfitte, ma tu, invece, hai continuato, hai tenuto duro. Perché? Che cosa ti ha spinto?».
Il ragazzino fece un gran respiro, poi cominciò a rispondere. La sua voce era a tratti tremante, talvolta imprecisa sulla pronuncia di alcune parole: «Beh… arrendersi avrebbe chiuso tante porte che invece sono rimaste aperte con questa scelta. Dopo la perdita alla Lega di Hoenn ho capito che il lavoro da fare era molto, d’altronde Roma non l’hanno costruita in un solo giorno. Ho studiato, affinato le tecniche di combattimento e costruito una strategia; così quando hanno aperto l’epoca del Nero e del Bianco ho deciso di provarci. Insomma, mi è andata bene, se mi fossi arreso non avrei vinto!».
Dream pronunciò le labbra, deluso dalla risposta. Una risposta politicamente corretta, pure troppo. Per un momento la sua testa andò a quando aveva intervistato un ex parlamentare che aveva fatto politica in un partito di centro esistito fino al crollo del muro di Berlino. Le risposte dell’uomo erano sempre pacate, le parole pesate e non andavano mai al di là della correttezza istituzionale, anche se il politico non sedeva più sugli scranni del Parlamento. Non era possibile neanche fare congetture sul tono della sua voce, sostanzialmente monocorde, quasi da rendere una tortura sentirlo parlare per oltre un’ora. La considerava la sua intervista peggiore, il suo più evidente fallimento e il solo pronunciare il nome del politico gli aveva sempre causato dell’isteria.
In quel momento gli si presentò immediatamente un dubbio: utilizzare quel lato aggressivo tanto mostrato durante l’intervista di Alexei Know, che la rese così celebre, oppure sondare il terreno e abbassare lentamente le armi? Si prese cinque secondi per riflettere, poi aprì la bocca per parlare: «Sì, questo è senz’altro vero ed è in un certo senso ammirevole, ma, permettimi di chiederti: che cos’è la vittoria?».
Michael annuì, come se si fosse preparato la risposta per una domanda di questo tipo: «La vittoria è la soddisfazione per il riconoscimento di un proprio sforzo».
Niente, ancora una risposta pacata, posata. Per un momento pensò che Michael era la copia più giovane di quel dannato politico centrista.
«Sì, certo, ma mi aspettavo qualcosa di più… concreto», disse Dream mettendosi la penna tra le labbra.
«Mettiamola in questi termini: la vittoria è vedere realizzato qualcosa in cui si è creduto fino in fondo, qualcosa che si è studiato nei minimi dettagli».
«Michael, però stai parlando solo di vittoria. Vittoria come soddisfazione, vittoria come riconoscimento, vittoria a seguito dello studio. Insomma, credo che tu stia dando davvero eccessiva importanza a qualcosa che alla fine è solo… temporaneo».
«Temporanea? – Michael strabuzzò gli occhi – E hai dovuto ottenere il titolo di Campione nove volte per capirlo?».
Il ragazzo biondo tutto timido si era improvvisamente in una iena assetata di sangue, del sangue di Dream.
«Credo di non seguirti» rispose il giornalista piccato, inarcando le sopracciglia.
«Non voglio sminuire il tuo passato, sia chiaro, Dream. Ma tu stai cercando di analizzare la vittoria, in questo caso mia, da un punto di vista temporale tentando però di evidenziarne degli elementi che la possano rendere... perenne?».
Lo sguardo di Dream mutò. Da accigliato, quasi irritato, divenne interessato.
«Vai avanti…» lo spronò il giornalista.
«Il nostro mondo è per forza temporaneo. La stessa Terra ha una data di scadenza grossa così – disse ponendo in aria le mani in parallelo tra loro – sul suo didietro. Nulla è eterno, rincorrere l’eternità è ridicolo, dopo un po’si rischia di diventare come certe attrici statunitensi che per apparire sempre giovani si inondano il viso di botulino fino a paralizzarselo. Mi sembra quindi una discussione un po’… cieca, superficiale».
Dentro di sé, Dream tremava. Le sue certezze, già tormentate da un pokémon ora erano attaccate da quelle di un sedicenne che aveva da poco messo piede nella Sala D’Onore. Si aspettava forse di incontrare un Alexei Know II, qualcuno facile da mettere in difficoltà, un ragazzo pronto a fare qualche frase infelice che gli avrebbe permesso di concludere rapidamente il lavoro e tornare a Fiordoropoli, dove sarebbe andato in spiaggia a prendere gli ultimi raggi di Sole di quell’estate ormai pronta ad imboccare il viale del tramonto. E invece si trovava in una città piovosa, davanti ad una persona che teneva in mano un martello pneumatico che stava frantumando la sua filosofia in piccoli frammenti, osservandolo in maniera sadica e compiaciuto per l’opera che stava compiendo.
Sentiva un terremoto nel profondo delle sue viscere, e lo aveva provocato un ragazzino appena conosciuto, un’opera che neanche i suoi vecchi amici erano riusciti a fare quando si parlava di quest’argomento. C’era qualcosa negli occhi di Michael e nella sua voce di magnetico; non solo, c’era qualcosa nelle sue idee e di come venivano messe sul piatto che fungeva da grimaldello per il lucchetto che Dream mise attorno alla sua carriera di allenatore.
Si rese conto di essere stremato ed erano bastate poche frasi per ridurlo in quello stato. Michael non era semplicemente una persona che si stava contrapponendo a lui. Oh, no, di quelli ne aveva incontrati a iosa. Michael era qualcosa di molto più fine, molto più letale.
Con un ultimo guizzo intellettuale, dettato dalle ultime forze in corpo, trovò il coraggio di fare una domanda, che più che come questione da porre sembrava la confessione di un’ossessione per quello che aveva sentito e provato da due anni a quella parte: «Sì, ma il vuoto? La soddisfazione finisce e dà spazio al vuoto, non ha forse paura di questo?».
«Il vuoto è stato creato perché noi potessimo riempirlo. Prendi una pokéball ad esempio, - disse tenendo in mano una delle sue pokéball - è stata costruita con una forma precisa. Cava al suo interno per poter contenere qualcosa. Catturiamo il pokémon e viene riempita. Lo mandiamo in campo? La svuotiamo e finita la battaglia ritorna dentro, insomma, si riempie.
Noi stessi veniamo al mondo per evitare un eventuale vuoto intergenerazionale; eppure quando nasciamo è un momento di vera festa, non trattiamo questo evento come un qualcosa di second’ordine perché lo hanno fatto solo per coprire un vuoto.
Michael era così genuino, sincero. Forse quel martello pneumatico neanche si rendeva conto di tenerlo in mano. E forse non era sadismo quello che il distruttore filosofico aveva nello sguardo. Forse era semplicemente genuinità, un qualcosa di alieno, di extraterrestre e di estraneo ala storia passata e attuale del giornalista.
Dream rimase fermo a fissare il Campione, tenendo in bocca la penna, mentre il locale cadde in un silenzio quasi tombale. L’ex allenatore cominciò ad osservare un anziano e un bambino che utilizzarono i portici del bar come rifugio dalla pioggia che aveva cominciato a battere in maniera più insistente.
«Abbiamo finito?» chiese Michael incerto.
«Come mai allenatore?».
«Mi piaceva l’idea di vivere delle avventure, di conoscere persone nuove e entrare a contatto con delle altre culture. Non ho partecipato alla Lega di Johto o di Kanto, ma ho visitato quelle regioni, sono posti stupendi, con allenatori e storie eccezionali. Quella di allenatore è un’attività che forma in tutto e per tutto e credo inoltre che questa sia la motivazione principale che spinge tutti gli allenatori a partire, no?».
No, non era la motivazione principale. Quante persone avevano inseguito la fama ed erano cadute sotto gli attacchi di Dream? Tante, moltissime. Se tu fai un lavoro solo per il successo, il successo sguscia via tra le mani, come quando stai facendo un bagno in mare e tenti di acchiappare i piccoli pesciolini di vario colore che ti piombano casualmente davanti gli occhi.
E di sé, che dire? Tutte le volte che se lo era chiesto sapeva almeno di essere sincero: non era per vincere. Era partito perché sapeva di essere superiore, voleva essere il migliore. E se per dimostrarlo avrebbe dovuto sotterrare le altre persone, allora le avrebbe sotterrate tutte. Se avesse mai parlato con uno psicanalista, probabilmente questi gli avrebbe fatto notare come in realtà fosse una persona incredibilmente insicura e che utilizzasse la dialettica tagliente, supponente e la sua squadra come uno scudo. Sarebbe bastato un evento non grave per far implodere il bozzolo o renderlo una camera asfissiante. E accadde qualcosa di dimensioni gigantesche. La morte di Umbreon. Da quel momento il mondo ai suoi occhi era mutato. Il modo in cui avvenne il cambiamento era così violento e improvviso che era paragonabile a dover saltare da un aereo in fiamme senza avere il tempo di prendere il paracadute.
«Michael, un’ultima domanda, poi ti prometto che abbiamo finito: quanti anni hai?».
«Sedici, perché?» chiese il giovane allenatore inarcando le sopracciglia.
Dream mise via il blocchetto e richiamò Dragonite nella sua sfera prima di aprire la bocca per rispondere. Non ci voleva credere minimamente. Non ci poteva credere.
«Perché sei più maturo tu della gente della mia età che mi circonda».
 
I due si salutarono e Dream cominciò a camminare lungo la sponda sinistra del fiume, tenendo nella mano destra il manico di un grosso ombrello nero comprato in un negozietto poco distante dal bar. Gli occhi seguivano un piccolo peschereccio che si dirigeva verso il porto. Era diretto a Giubilopoli, nella sede regionale del quotidiano, dove avrebbe dapprima scritto l’articolo e poi lo avrebbe inviato ad Elvira.
Era immerso nei suoi pensieri eppure, improvvisamente, si destò da questi e si rese conto che qualcuno dietro di lui stava correndo. L’incedere dei passi si faceva sempre più vicino e Dream si voltò, notando che Michael lo voleva raggiungere. I capelli erano ormai schiacciati sulla fronte bagnati e fradici erano anche i suoi abiti.
«Tu perché lo sei diventato?» chiese una volta fermatosi, posando le mani sulle ginocchia e piegandosi in avanti, tentando di riprendere fiato.
«Cosa?» pronunciò gelido Dream.
«Allenatore – specificò il ragazzo, mettendosi le mani sui fianchi e facendo ampi respiri – perché lo sei diventato?».
«Credo… per il brivido dell’avventura, il fascino dell’ignoto» mentì Dream. Non gli andava di rivelare così tanto di se stesso ad un estraneo, o meglio, non gli andava di rivelare così tanto di se stesso ad una persona.
«E perché hai smesso?».
Dream sbuffò, si girò di spalle e ricominciò a camminare con passo svelto, sperando ingenuamente che questo avrebbe tenuto lontano il ragazzo che però cominciò anche lui a camminare affianco a Dream, mettendosi le mani in tasca: «Hey, rispondi».
«Ho perso qualcuno» rispose con lo stesso tono l’ex Campione.
«Chi? Un pokémon?».
«E’ corretto». Dover portare alla memoria i fatti accaduti due anni prima avevano creato un nodo in gola al giornalista. Perché Michael insisteva tanto? Aveva avuto la sua intervista, aveva fatto un’ottima figura, cos’altro poteva volere?
«Anche io persi un pokémon quando ero a Hoenn, poco dopo la fine della Lega. Era uno Staraptor, fu il secondo pokémon che catturai, sai? Si ammalò un inverno, tentammo il possibile ma praticamente non ci fu niente da fare. Era condannato… - Michael si fermò esausto, non riusciva a tenere il passo con Dream – ti prego, vuoi fermarti?».
Dream interruppe la sua camminata e guardò scocciato il ragazzino.
«Grazie… Beh, è successa la stessa cosa che succede a te ora. Non avevo voglia di lottare, avevo perso ogni interesse. Poi sai cosa è successo?».
Dream non rispose, continuando a osservarlo in maniera gelida.
«Martin, il famoso Campione, mi ha voluto incontrare. Abbiamo passato una giornata assieme, parlando e riflettendo su quanto la vita sia un bene prezioso. Poi mi ha sfidato ufficialmente e sai come funziona, non puoi rifiutare».
La “Sfida ufficiale” è una richiesta di combattimento che solo i Campioni della Lega Pokémon possono inoltrare. Se si rifiuta la battaglia, si perde automaticamente la propria scheda allenatore oltre a vedere annullato qualsiasi diritto nei confronti dei propri pokémon. Era una regola sancita dall’Articolo 11 della Costituzione, ideata nell’immediato secondo dopoguerra, quando molte persone si fingevano allenatori per poter utilizzare i pokémon per compiere furti e saccheggi. I Campioni, che si pensava vivessero in una situazione economica agiata da non aver necessità di rubare, dovevano appunto vigilare su questo fattore e da qui nacque la norma costituzionale.
«Tu però non credo che abbia bisogno di una sfida ufficiale, no? Sei andato ad Unima questa primavera…». Michael era fiducioso di poter abbattere il muro di cinta che circondava Dream. Si sentiva vicinissimo dal poterlo toccare.
«Michael, sono andato ad Unima per evitare che le persone mi chiedessero perché non ero andato ad Unima. Non ho mai avuto intenzione di battere la Lega Pokémon. Ci tenevo semplicemente a non farmi rompere i coglioni da nessuno».
Lo sguardo di Michael si fece cupo, quasi deluso dalla risposta. Doveva forse puntare sulla provocazione?
«Lo sai cosa dicono i miei amici di te?» pronunciò terminando la domanda con un ghigno provocatorio.
«E dovrebbe interessarmi perché?» chiese Dream, tentando di prendere in contropiede il giovane allenatore.
«Dicono che sei un buono a nulla. E che, fondamentalmente, conscio della tua situazione di allenatore in decadenza, attacchi i neo-Campioni per poterti sentire migliore di loro».
Dream ricominciò a camminare, assicurandosi con la coda dell’occhio, che Michael facesse altrettanto: «La gente può dire e pensare quello che vuole. Non devo spiegare come mi sento quando intervisto qualcuno né i motivi che mi spingono a fare determinate domande. E caro Michael, dì pure ai tuoi amici che non accetto lezioni o prediche su come combatto da personcine che se fossero finite sulla mia strada sarebbero state asfaltate».
Un fuoco si era riacceso dentro Dream, come quando Rosso gli aveva detto che Alexei Know lo aveva in qualche modo soprannominato uomo delle pulizie.
«Così offendi i miei amici, però…», anche la voce di Michael si era fatta più aggressiva rispetto a prima.
«Tra poco mi scuserò» pronunciò sarcastico.
«Lo sai che un cane ferito prima o poi morde?» continuò Michael, con un tono di voce che diventava sempre più di sfida.
«Certo, ma io sono il re leone e posso attaccare quando voglio chi voglio» concluse Dream sorridendo beffardamente.
Michael si fermò. Per un attimo, solo per un attimo, Dream pensò che era riuscito a toglierselo di torno. Ma sapeva che non era così e forse, nel profondo della sua anima, se lo augurava anche.
«Dimostramelo che sei il re leone, Dream. Io, Michael Butt, Campione della Lega Pokémon di Unima, ti sfido ufficialmente in una battaglia di pokémon».
Dream cominciò a ridere nervosamente: «Non combatto più da molto tempo e non intendo ricominciare oggi, caro».
«Possiedi ancora la tua scheda allenatore?».
Dream si fermò, definitivamente. Chiuse l’ombrello, permettendo che la cascata d’acqua che stava flagellando Canalipoli lo bagnasse completamente. Si passò la mano destra tra i capelli, sorridendo ancora in maniera nervosa: «Cosa vuoi fare? Ritirarmela?».
«E’ nei miei doveri di Campione… D’altro canto a te non interessa più essere allenatore, non ti scoccerà quindi che i tuoi titoli vengano cancellati». Lo sguardo del biondo era acceso. Voleva la battaglia, voleva sfidare colui che la storia l’aveva scritta. Dream si trovava ora con le spalle al muro. Michael non avrebbe accettato un “no” come risposta, come quelle che aveva rifilato a Rosso ogni qual volta aveva provato a parlare di sfida ufficiale. Michael si sarebbe davvero spinto fino al punto di cancellare il passato di Dream, di rendere i suoi ricordi vani, come i titoli da lui vinti da quando aveva dieci anni. Il mondo sarebbe mutato un’altra volta, troppo velocemente per preparare il paracadute, con la differenza che questa volta poteva evitarlo. Doveva evitarlo. Voleva evitarlo.
«Tre pokémon a testa, Michael» annunciò Dream arrendendosi.
«Mi sta bene!».
Dream osservò la sua cintura con le sei sfere poké. Conosceva abbastanza bene la squadra del suo avversario, ma non abbastanza bene da immaginare con certezza quali pokémon avrebbe scelto.
Era agitato come non lo era da tempo, stava per fare qualcosa che non faceva da moltissimo, gli pareva fosse passata un secolo ed era in un certo senso anche divertito dalla sfrontatezza del suo sfidante, una mancanza di discrezione positiva, che si prendeva gioco del grigiore che lui invece aveva abbracciato e fatto suo.
Prese la prima sfera che aveva nella cintura, era il primo pokémon ricevuto, quello forse con cui strinse il miglior rapporto ed anche colui che più soffrì della scelta di abbandonare la carriera di allenatore. Dream gli doveva il piacere della lotta, doveva mandarlo in campo per primo e doveva farlo vincere.


«Vai, Feraligatr» gridò Dream, nello stesso momento, Michael lanciò in campo Volcarona. Un pokémon di tipo Acqua contro uno di Coleottero e Fuoco. La partita si aprì facilmente per Dream.
«Volcarona, Gigassorbimento».
«Feraligatr, evitalo con Acquagetto!».
Il pokémon d’Acqua si mise su quattro zampe e cominciò a correre rapidamente verso il suo avversario, mentre una leggera ma resistente coltre d’acqua gli si formò attorno, arrivando ad evitare con maestria l’attacco nemico ma, al contempo, colpendo Volcarona sul fianco, facendolo piroettare all’indietro.
«Volcarona, approfittane e usa ancora Sanguisuga!» gridò il Campione.
Volcarona si fermò e con un solo battito d’ali piombò sul volto di Feraligatr cominciando a succhiarne l’energia.
Feraligatr si alzò sulle due zampe inferiori, mentre con le zampe superiori tentava di togliere il pokémon Coleottero dal proprio volto.
«Che mossa ridicola, e tu saresti un campione? Feraligatr, coraggio, Idropompa!».
Era notoriamente conosciuto che una delle parti più potenti del pokémon d’Acqua era la sua mascella. Il pokémon di Dream aprì a fatica la bocca, ostruita dal nemico, ma fu sufficiente per creare il flusso d’acqua che riversò violentemente sul pokémon nemico che venne buttato a terra a poca distanza.
«E ora, Feraligatr, finiscilo con Sgranocchio», e così, tornato a quattro zampe, raggiunse il pokémon Sole e lo strinse tra la mascella, scuotendo la testa come una belva selvaggia.
Volcarona era KO.
 
«Bene Feraligatr, rientra. Espeon, è il tuo turno!», mentre Michael lanciò in campo un esemplare di Archeops.
«Espeon, Doppioteam, coraggio» gridò Dream.
«Archeops, anticipalo, Acrobazia!» controbatté l’avversario.
Rapidamente, l’intero campo di battaglia si riempì di Espeon seduti, che osservavano magnetici il pokémon Roccia-Volante. Archeops, era già volato in aria e stava colpendo uno dei tanti cloni quando il suo allenatore lo fermò: «Archeops, fermo! – poi osservò il suo avversario - Non ho mai visto un Espeon così veloce».
«Modestamente – sorrise Dream – so allenare i miei pokémon! Espeon, Calmamente!».
Il pokémon Psico e tutte le sue copie chiusero gli occhi e cominciarono a battere delicatamente la coda sul terreno, mentre l’aria diventò pesante, quasi densa.
«Sarebbe un problema se tutti i tuoi cloni venissero distrutti, vero?».
«Cosa?» domandò spaventato il ragazzo.
«Archeops, Terremoto!».
Archeops planò delicatamente sul terreno e cominciò a calpestare il terreno sotto di sé creando un violento terremoto che colpì in pieno Espeon.
Tutte le sue copie sparirono e il pokémon Psico si mise a camminare per il terreno sbandando, come se fosse confuso.
«Archeops, finiscilo! Acrobazia!».
Il pokémon Volante volò in alto e poi prese a colpire più e più volte Espeon che finì sfinito a terra.
«Oh, Espeon, torna qui». disse Dream con disappunto e dispiacere. Aveva ancora un pokémon a disposizione. Prese in considerazione l’ultima aggiunta al team, la più recente e forse anche la più potente.
Dragonite venne aggiunto al team immediatamente dopo la morte di Umbreon, nel settembre del 2014 per la partecipazione di un evento della Lega Pokémon a cui non poteva presentarsi con una squadra incompleta. Il suggerimento gli venne dato da Rosso, che considerava grave l’assenza di un tipo Drago nella squadra del suo amico.
«Dragonite, tocca a te, vai».
«Druddigon – gridò contemporaneamente Michael – è il tuo turno!».
«Due pokémon drago! Quale lotta leggendaria!» disse Dream sarcastico, «Dragonite… Bora».
Il Pokémon di Dream aprì le ali e cominciò a sbatterle violentemente, portando la pioggia a sbattere contro Druddigon e il suo allenatore. Il vento fece così congelare l’acqua trasformandola in una micidiale tempesta di ghiaccio contro il pokémon di Michael che venne gravemente ferito dalla mossa.
«Druddigon, rispondi con Vendetta!».
Il Pokémon del Campione si alzò in volo e muovendosi rasoterra, arrivò ad afferrare Dragonite e lo portò in aria.
«Dragonite, Oltraggio!».
Il Drago di Dream cominciò ad agitarsi colpendo lievemente Druddigon, che nel mentre aveva invertito la rotta del suo volo, dirigendosi precipitosamente verso terra.
Mancavano pochi metri allo schianto, Dragonite difficilmente sarebbe sopravvissuto al colpo, ma a quella velocità anche Druddigon ne sarebbe stato coinvolto.
Allo stesso istante, sia Dream che Michael pensarono che era inutile continuare a lottare. Michael aveva raggiunto il suo obiettivo, oltrepassare il muro di cinta e scatenare una reazione in Dream che si comportava come se avesse perso i freni inibitori. Non aveva davvero più senso continuare a lottare.
All’unisono, i due ordinarono ai propri Draghi di fermarsi e di tornare davanti a loro.
 
Il Pokégear aveva cominciato a vibrare, facendo intendere che era appena arrivato un messaggio. E dal numero di vibrazioni, capì anche che la persona che lo aveva cercato era Elvira.
«Orbene?» chiese Dream divertito.
«Direi che può bastare, non male per “Il re leone”! Ora cosa farai? Torni a scrivere articoli attirandoti l’odio del mondo oppure riprendi ad essere un allenatore?» chiese il sedicenne mettendosi le mani ai fianchi.
«Oh, non lo so… E l’odio del mondo me lo attiro anche combattendo, non solo scrivendo...». Alzò gli occhi e indicò l’oggetto che teneva al polso. «L’unica cosa certa è il lavoro, mi aspettano a Johto per un servizio». Il suo sguardo era perplesso, dubbioso e tornò a posarsi sul telefono cellulare.
«E’ successo qualcosa?» chiese Michael inclinando la testa leggermente verso destra.
«E’ che... Al Bosco di Lecci stanno dando di matto, dicono di aver visto un pokémon leggendario».
«Davvero? Dove?!» Michael era eccitato, il contrario di Dream che non era minimamente solleticato dall’idea di trovarsi immischiato in una stupida leggenda metropolitana.
«Sali su Dragonite, voglio farti capire da che gente devi stare lontano» poi osservò nuovamente il telefono cellulare e quel messaggio dal contenuto eccitato: “Corri subito! Delirio al Bosco di Lecci, hanno avvistato Jirachi!”.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Desideri ***


Capitolo 12 - Desideri
 
«Siamo qui in collegamento con il bambino che ha detto di aver visto il pokémon Jirachi», disse un uomo sulla quarantina. Vestiva un pesante abito elegante, la sua fronte era completamente bagnata dal sudore e la stessa situazione si presentava sulle parti del proprio corpo che non erano visibili per merito dei vestiti. Azalina era la città più afosa di Johto e dell’intera Repubblica. Il vicinissimo Bosco di Lecci, sito tutelato dall’UNESCO, era il polmone verde della regione. E come ogni bosco, era una fonte inesauribile di umidità per l’ambiente circostante e questo includeva anche la cittadina dove aveva sede la seconda Palestra della Lega Pokémon di Johto. L’aria, ad Azalina, era carica d’acqua anche per la presenza dei Pozzi Slowpoke, una serie di aperture del terreno adoperate, in epoca antica, per l’estrazione dell’acqua  e re-inventate, durante il secondo conflitto mondiale come luogo dove eliminare gli oppositori del governo militare che si era imposto a Johto.
Il giornalista teneva in mano un microfono e guardava, con non poca fatica dettata dal caldo asfissiante, un piccolo bambino. La sua gamba sinistra era posata per terra, mentre quella destra era usata come appoggio per il braccio che teneva in mano il microfono.
«Allora, ti chiami Daniel?» chiese l’uomo, porgendo poi il gelato verso il bambino, che lo osservava con gli occhi strabuzzati e la bocca semi aperta. Le mani erano nascoste dietro la schiena ed era vestito con una maglietta azzurra e dei pantaloncini blu scuro. Annuì silenziosamente, come se fosse oggetto di un’ipnosi di un Hypno.
«E quanti anni hai? Vuoi dirlo?» fece il giornalista, porgendo ancora una volta il microfono.
Il bambino annuì nuovamente con la testa e poi, con gli occhi fissi sulla telecamera senza che battesse ciglio, rispose: «Ne ho dieci». La voce era stridula.
Il giornalista mutò espressione, era ora contento, sorrideva. Il bambino non solo aveva risposto, ma così aveva fugato ogni dubbio nella sua testa e contemporaneamente in quella dei suoi collaboratori e dello staff del telegiornale che quel bambino parlava ed era quindi normale. Ogni accusa di strumentalizzare un minore sarebbe caduta davanti alla facoltà di intendere e volere testimoniata dalle riprese televisive. «Daniel – disse muovendo dolcemente verso il basso la mano sinistra per ogni parola che pronunciava, come se in questo modo la domanda fosse resa più chiara – è vero che hai visto il pokémon Jirachi?».
«Sì che è vero».
«E hai per caso espresso un desiderio al pokémon?» continuava l’uomo con un sorriso che diventava sempre più inquietante. Non importava se il sudore aveva cominciato a gocciolare in maniera grottesca, aveva in mano lo scoop del secolo.
«Sì! Gli ho chiesto di ricevere un pokémon iniziale questo Settembre, quando comincerò il mio viaggio da Allenatore!».
Il tono del piccolo non cambiava mai, era sempre uguale a se stesso, un po’ come quegli orrendi attori che vengono assunti per delle serie tv viste abitualmente da casalinghe annoiate.
«E dicci – proseguì il giornalista, sempre con quel gesto della mano – che aspetto aveva il piccolo pokémon? Anzi, era piccolo?».
Daniel annuì nuovamente, sempre con quell’espressione che qualche commentatore maligno, qualche ora dopo, avrebbe definito “da pesce lesso”.
«Aveva una corona gialla con tre piccoli cartellini blu appesi, delle lunghe ali gialle mentre per il resto era tutto bianco e sorridente!» concluse il bambino, cercando di assicurarsi di non aver dimenticato nulla della descrizione.
«Ed è vero che Jirachi ti ha dato un messaggio da comunicarci?».
Ancora un sì fatto con la testa, ancora gli occhi strabuzzati quasi come se volessero uscire e scappare dalla testa del bambino: «Ha detto che questa sera comparirà al Bosco di Lecci e si impegnerà ad esaudire i desideri di tutti i presenti, m-ma si renderà visibile solo a me!».
L’intervista era ormai trasmessa in continuazione dal canale all-news, “Johto24” e in città, nei locali, nei supermercati, non si parlava d’altro; sempre più persone avevano deciso di prendersi un giorno di riposo per correre nei pressi del bosco e provare ad esprimere un desiderio. E non solo gli abitanti delle vicine Fiordoropoli e Azalina erano propensi a dirigersi nella selva cercando di accaparrarsi i posti migliori per la visione di un qualcosa che era fondamentalmente invisibile. In centinaia continuavano ad arrivare anche dalle regioni più distanti come Sinnoh, Fiore, Almia e persino qualche giovane e temerario allenatore di Unima.
 
«Che puttanata» pronunciò gelido Dream, rientrando dal balcone sistemandosi la maglietta diretto verso il tavolo dove era stato posato il telecomando, con cui spense la televisione. «Elvira, credimi. E’ stata una giornata pesante, non ho intenzione di fare il burattino dei genitori di quel bambino» continuò l’ex allenatore, prendendo una sigaretta dal contenitore cilindrico presente sul mobile del suo soggiorno, accendendola con l’accendino posto lì affianco.
«E come al solito Dream elabora elabora e ancora elabora e si ritrova in mano con una conclusione totalmente sbagliata, complimenti!» commentò sarcastica Elvira tamburellando le mani sul tavolo, «A noi non interessa la verità, Dream. Per quella ci sono gli scienziati. Se voglio un rapporto scientifico chiamo il Professor Elm, non te. Se chiamo te è perché sei il mio esperto di cultura popolare e voglio un articolo su quanto sta succedendo al Bosco di Lecci ora. Significherà pur qualcosa il fatto che la gente stia correndo lì in fretta e furia, pure se l’appuntamento è questa sera».
«Siamo un popolo alla frutta, ecco cosa significa – disse mandando indietro la sua testa ed emettendo il fumo dalla bocca - E non ho intenzione di fare la figura del criticone per poi dire “ve lo avevo detto”, cosa che negli ultimi tempi si verifica alquanto ciclicamente. No, niente articolo sul presunto Jirachi, non voglio dar seguito a questa fandonia colossale».
«Ma poi che ne sai che è una fandonia?» chiese scocciata la donna.
«Ma sì, nel 2004 un allenatore di Hoenn si fece pagare centinaia e centinaia di dollari perché diceva di possedere Jirachi e di poter esprimere qualsiasi desiderio la gente chiedesse. Sai com’è finita? Che questa persona sta scontando vent’anni di carcere per truffa aggravata. La storia si ripete, Elvira, sempre».
«Questo non significa che questa sera non apparirà Jirachi. Nel 2004 era una balla, e ora?».
«Michael, tu che sei Campione, spiega alla nostra direttrice qui perché è una balla».
Michael strabuzzò gli occhi sorpreso di esser stato tirato in ballo dopo che era stato in silenzio ad osservare la discussione tra i due giornalisti.
«Beh, Dream, noi non possiamo sapere a priori se il bambino dice il vero o no...» pronunciò il giovane con lo stesso tono di voce timido che aveva mantenuto per la prima parte dell’intervista.
«Oh, ma tu sei un allenatore, fratello. Anzi, sei un Campione, siamo doppiamente fratelli! Dovresti appoggiarmi, non darmi contro!» proruppe sarcastico Dream.
«Vedi, anche il Campione di Unima mi da ragione, Dream. E ripeto, non voglio un reportage sulla validità scientifica dell’accaduto, voglio un resoconto sull’importanza sociale e culturale di quello che sta avvenendo. Togliti i paraocchi e cerca di venirmi incontro. Oltretutto questo è il tuo mestiere, sai criticare bene gli atteggiamenti popolari delle persone». Dalla borsa che teneva sul pavimento, appoggiata ad una delle gambe destre della sedia, Elvira tirò fuori due pass e li posò sul tavolo, indicando i due ragazzi. «C’è una zona transennata, è la zona dedicata alla stampa. Sapevo che c’eri anche tu, Michael, così vedi il tuo aguzzino nel suo ambiente naturale».
«Rimango dell’idea che se Jirachi non sia apparso quando Beyoncé ha fatto i suoi primi vagiti, allora questo Jirachi potrebbe tranquillamente non esistere» disse sottovoce Dream, tirando verso di sé uno dei pass ammettendo così la sconfitta.
«A proposito, Dream, mi puoi far vedere gli appunti dell’intervista?» chiese Elvira gridando, pronta a fare una lavata di capo al suo dipendente davanti a Michael sul modo in cui aveva preso appunti.
Dream tirò fuori una pokéball da cui uscì Dragonite, che fece un profondo inchino nei confronti dei presenti.
«Dragonite, da bravo, dai pure i fogli che hai scritto a Elvira».
Il pokémon Drago estrasse diversi fogli bianchi da una piccola borsa tracolla che portava al collo, li consegnò in mano alla donna e poi si inchinò nuovamente, tornando poi affianco al suo allenatore.
«Hai fatto prendere appunti al tuo pokémon?» chiese Elvira, pronta ad esplodere di ira.
«Ti prego, sei a casa mia, mantieni un tono di voce adeguato. – pronunciò il ragazzo schiacciando con decisione la sigaretta nel posacenere, spegnendola - Ad essere sincero ho preso anche io appunti, ma poi ti saresti lamentata che i disegnini non vanno bene e quindi niente, ho chiesto a Dragonite di farmi un favore... E per dirla tutta avevo anche intenzione di prelevare Chatot e utilizzare la sua funzione di registrazione delle voci per registrare quanto detto, ma poi ho considerato che ai pokémon della mia squadra non sarebbe dispiaciuta una passeggiata in quel di Canalipoli e quindi ne ho approfittato».
«Sì, ma l’ha scritta un pokémon!» continuò la donna che non voleva arrendersi.
«E si dia il caso che questo pokémon, che si chiama Dragonite, sia una delle specie più intelligenti e capace di comprendere alla perfezione il linguaggio umano. Oltretutto, non è carino sminuirlo in questi termini, specie quando è qui davanti a te».
«Su questo concordo con Dream» esordì Michael attirandosi lo sguardo cagnesco di Elvira, messa per la prima volta in minoranza. Gli occhi della donna andarono a posarsi con una certa dose di insoddisfazione nel doversi piegare all’evidenza che Dragonite aveva davvero scritto bene e correttamente. Per non parlare dell’intervista: misurata e pacata che dimostrava un grande buon senso da parte di Michael e una maturità decisamente marcata per essere un sedicenne. Non avrebbe forse venduto le copie come con Alexei, ma per lo meno avrebbe fornito ai cittadini un buon motivo per tornare a credere nella Lega Pokémon, dopo che ne aveva contribuito ad affossarne la credibilità.
«Voglio l’articolo su Jirachi sulla scrivania il prima possibile. Anzi, facciamo di meglio: rimaniamo in costante contatto, tu mi mandi le tue impressioni via sms e io cerco di fare un lavoro organico. Poi l’articolo con la tua firma lo facciamo uscire il giorno dopo e così pubblichiamo anche l’intervista a Michael. Ci siamo intesi?».
 
Dream e Michael lasciarono così Fiordoropoli e si diressero al Bosco di Lecci costeggiando la costa lungo il Percorso 34.
«Chi comanda tra voi due? Dico... tra te ed Elvira» chiese Michael, cercando di rompere quel silenzio tanto temuto quanto imbarazzante per la maggioranza delle persone, tanto da convincere Tarantino a dedicarci una scena in “Pulp Fiction”.
«Michael... Io sono Dream – rispose sorridente l’uomo, fissando la strada davanti a sé – io comando ovunque».
I suoi occhi si spostarono poi alla sua destra, dove una donna dalla pelle bianca, lunghi capelli biondi e un vestito color nero era in piedi nel mare. Girava su se stessa contenta, sorridente. Poi si girò verso la spiaggia e gridò: «Marcello! Come here!» ad un uomo seduto con un gessato grigio mentre fumava una sigaretta.
«Ho già visto questa scena da qualche parte» pensò Dream, accorgendosi di aver pronunciato una ad una le parole e averle comunicate al mondo.
«Cosa?».
«Niente, niente. Pensavo...» rispose imbarazzato. Era forse un’occasione più unica che rara che Dream si lasciasse sfuggire un pensiero ad alta voce. Era curioso da un certo punto di vista, deprimente dall’altro che in quella situazione ci si trovasse proprio lui, la persona che non aveva mai un’uscita scomoda per se stesso ma sempre pronta a far sentire le altre persone come se non fossero sufficientemente degne di reggere il confronto con lui. Aveva conosciuto Michael da meno di dodici ore ed era già la seconda volta che si sentiva vulnerabile in sua presenza. Cosa era quel ragazzo? O meglio, che cosa rappresentava per lui?
«Ah, ti volevo chiedere, conosci per caso qualche albergo economico? Se stiamo fino a questa sera in giro, non avrei il tempo di raggiungere Violapoli oggi... Il tempo ce lo avrei, in realtà, ma sarei troppo distrutto per farlo, hai qualche posto da consigliarmi?».
«Dream?» chiamo Michael cercando di attirare l’attenzione del giornalista.
«Sì, scusa. Cosa stavi dicendo?».
«Conosci un albergo economico dove passare la notte? Domani devo andare a Violapoli e vorrei arrivarci riposato...».
«C’è un hotel vicino casa. Segnatelo, si chiama “Hotel Ada”.Sebbene siamo nel centro finanziario posso dirti che è abbastanza economico. Poi il proprietario mi conosce, ti farà un piccolo sconto.
Che cosa vai a fare a Violapoli comunque?» chiese Dream curioso.
«Nulla di che, ho delle faccende da sbrigare» rispose vago il ragazzino.
 
Il luogo di ritrovo per l’apparizione di Jirachi era una piccola casetta sollevata da terra costruita con legno e pietre benedetti e rappresentava il Santuario di Celebi, costruito al centro del Bosco di Lecci. Ai piedi della costruzione era stata posta una lastra di marmo bianco su cui era stata incise lettere, riempite poi di oro, che andavano a formare una preghiera al guardiano delle foreste.
I due si salutarono appena entrati nel bosco, rimanendo d’accordo di ritrovarsi all’interno dell’area riservata alla stampa attorno alle nove e mezza di quella sera.
Con grande sorpresa, la polizia in un secondo momento, decise di far accedere in quella zona transennata i parenti del bambino e tutti coloro che dimostravano di essere infermi, mentre sempre più tende da campeggio e impalcature di ferro utilizzate dai giornalisti non accreditati, campeggio venivano montate attorno alla recinzione.
Le persone, nel frattempo, avevano cominciato a stringere amicizia tra di loro e a riunirsi in preghiere sempre lunghe e con toni di voce sempre più elevati; altri fissavano il Santuario del Guardiano della Foresta senza battere ciglio, tenendo in mano un rosario formato da tante Pokéball e muovendo meccanicamente la bocca senza emettere alcun suono, sembravano come se le loro menti fossero sotto il sortilegio di qualche pokémon Psico.
Altre ancora, invece, avevano con loro le chitarre e cominciarono a cantare alcune canzoni, trasformando l’area in una sorta di campeggio estivo. L’attenzione di Dream ricadde proprio su uno di questi gruppetti. Il ragazzo più grande sedeva sulla sedie, aveva i dreadlocks mentre era circondato di bambini vestiti tutti uguali, con maglia azzurra e pantaloni a righe bianche e neri:
Children waiting for the day they feel good
Happy birthday, happy birthday

Went to school and I was very nervous
No one knew me, no one knew me
”.
 
E in quel momento un brivido percorse la sua schiena. Dove era finito? Covava compassione e paura. La paura di finire come quelle persone, individui che avevano riposto le loro speranze nell’apparizione di un pokémon leggendario annunciata da un bambino di appena dieci anni. Un bambino che aveva anche affermato all’intero mondo che lui e solo lui avrebbe potuto comunicare con il pokémon Desiderio. E aveva paura di diventare come i suoi colleghi, pronti a sbranare e a cannibalizzare, sbattendo in prima pagina questi disperati per raccontarne l’eventuale vittoria nella scala sociale o invece tutta la delusione provocata dall’assenza del pokémon. Ma in fin dei conti non era già diventato così? Non si trovava anche lui ad essere un cacciatore? Controvoglia, ma forse neanche tanto, costretto da una direttrice.
Aveva mentito a Michael, lui è sicuramente Dream, ma non è vero che comanda ovunque, non comandava neanche la sua vita, che ormai era come se fosse in balia della marea dell’oceano.
«Hey, Dream, ciao!» disse una voce femminile con tono spigliato. Dream si voltò vedendo Annabelle, una dei più famosi mezzibusti televisivi.
«Annabelle, ciao! Anche tu qui?» salutò Dream sorridendo.
Annabelle era una donna di circa trent’anni. Aveva lunghi capelli castani, all’apparenza morbidi, che le cadevano sulle spalle. Labbra sottili e un naso appuntito. Dream conosceva bene quegli occhi neri che ora lo osservavano, avevano mietuto diverse vittime nel corso del tempo: Annabelle era una delle giornaliste più temute e quindi insultate. Molti erano i politici crollati sotto le sue domande, tanto che nel giro era rinominata “La Macellaia” a causa del modo in cui faceva roteare la penna tra le dita quando la persona da lei intervistata cominciava ad essere in seria difficoltà. La metafora di una mannaia per molti.
«Beh, quando il lavoro chiama non posso non rispondere... tu piuttosto, come mai qui? Non avevi l’intervista al Campione?».
Dream annuì tentando di nascondere una certa aria da sconfitto per come si era conclusa l’intervista: «L’ho intervistato e poi sono corso qua appena mi ha chiamato la direttrice. Secondo te... è vera questa storia?».
«No, affatto... – poi si avvicinò al ragazzo assicurandosi che nessuno potesse sentirla – è una montatura, è tutta fuffa, credimi. Vogliono spingere quel bimbo a ricevere un Chikorita, i genitori sono pronti a tutto. E guarda caso, c’è l’intero mondo collegato e noi dobbiamo piegarci come delle prostitute. Beato te che sei Campione, Dream... chi te lo fa fare di metterti con i piedi nella merda».
Dream sorrise, per poi tirar fuori dalla tasca il blocco notes con la penna, «Cara, il lavoro mi chiama» disse sventolando poi il blocco degli appunti.
« Ti consiglio la signora con i capelli neri legati e la maglia rossa. Quella in carne, alle tue spalle».
L’uomo si girò per osservarla, tornando dopo pochi secondi a guardare la collega: «Perché? E’ alla ricerca della fama?».
«No, macché, è una poveretta ed è disperata. Cerca il figlio, uno che a suo dire ha fatto debiti su debiti, con il fisco e il Team Cripto. Improvvisamente è sparito e lei si è tirata su le maniche e ha ripagato tutto quello che c’era da ripagare. Ma il figlio non torna a casa, teme che sia morto ma in fondo ci spera ancora, ha detto».
«E tu hai fatto un servizio su di lei?» nel suo profondo Dream si augurava che la collega rispondesse dicendo di no.
«Sì… e come lei ci sono altre storie simili. Sperano che Jirachi possa aiutarli… poverini».
Dream fece per andarsene, poi ci ripensò e tornò ad osservare la collega: «Hai pensato a cosa succederebbe se Jirachi non apparisse? Tutta questa gente…».
«…Sarà disperata, sì. Dobbiamo prepararci anche a questo, e raccontarlo anche se attorno a noi scorrono lacrime e sangue», disse la donna annuendo leggermente con la testa.
«Diventiamo dei mostri così, è orrendo».
«Beh, Dream, dopo quello che hai fatto a Alexei Know, non mi immaginavo ti facessi ancora scrupoli» disse sorridendo caldamente La Macellaia.
 
La notte calò lenta, il clima divenne umido e la tensione crebbe esponenzialmente con il passare delle ore.
Anche Dream era teso, non si immaginava che cosa sarebbe potuto accadere; non credeva all’apparizione di Jirachi ma temeva più l’effetto della rabbia della gente, della loro delusione. Era una scena a cui non voleva assistere, ma era tenuto lì per forza maggiore, tenuto in quel prato come se fosse bloccato da Malosguardo o Avvolgibotta.
I fari televisivi cominciarono ad accendersi uno dopo l’altro, illuminando prepotentemente il bosco. I giornalisti accreditati e non, cominciarono a descrivere la situazione davanti alle telecamere, a parlare di quello che avevano visto e sentito e tentavano in tutti i modi di portare nelle case dei cittadini l’ansia e l’incredibile attesa che attagliavano la zona.
Michael sbucò improvvisamente affianco a Dream. I suoi occhi vagavano velocemente, guardavano prima le persone dietro le transenne, il volto di Dream e poi i cameramen. Non riuscivano a stare fermi, la sua voglia di azione, di vedere Jirachi e magari catturarlo erano incontenibili.
«Michael, la vedi tutta questa gente?» chiese Dream con gli occhi fissi nel vuoto.
«Sì…».
«Aspettano tutti un miracolo, possono aggrapparsi solo a queste cose: alla speranza che qualcuno possa esaudire i loro desideri… desideri umili. Arrivare alla fine del mese senza troppe difficoltà, tornare a camminare, tornare a stringere un proprio caro…».
«Come fai a dirlo, Dream… magari è gente che sta bene e vuole solo provare a catturare Jirachi» ribatté Michael, sicuro di sé.
«No, vedi… Quando dai enfasi al fatto che il pokémon esprima i desideri, il fatto di volerlo catturare passa in secondo piano. Nessuno qui ha intenzione di catturare Jirachi e se qualcuno ci volesse provare, verrebbe linciato e ucciso da questa folla.
Ecco cosa siamo, Michael, un popolo alla canna del gas, la nostra ultima speranza è riposta in un bimbo di dieci anni che renderà meno difficili i nostri giorni. Il nostro problema è che crediamo a chi ci offre soluzioni facili, siamo un popolo che non accetta il lavoro ma vuole il guadagno; è una nazione che è prossima alla deflagrazione e sai qual è la cosa più triste? In mezzo a queste persone c’è pure qualcuno che si vuole sporcare le mani e la fronte con il sudore, ma non possono per varie ragioni: vuoi il lavoro, vuoi i problemi di salute, vuoi problemi in famiglia. Sono qui per risolvere un qualche problema e finalmente tornare a fare quello che vogliono di più. E’ un guado. Per queste persone esistere equivale a resistere e resistere equivale a sopravvivere.
Non se ne esce vivi, Michael. Non se ne esce vivi».
La conversazione venne interrotta in quel momento da delle grida: «E’ arrivato! E’ arrivato».
Le persone quel giorno avevano cominciato a soprannominarlo “il bambino del miracolo”, e chissà a quale miracolo si riferivano, si chiese Dream, poiché il suo unico compito in quella che lui supponeva fosse una gigantesca truffa era di indicare la presenza di un pokémon invisibile.
Camminava con un’andatura fiera, spocchiosa e arrogante. I capelli erano stat ingellati e portati all’indietro. Vestiva un paio di occhiali da sole anche se era completamente sera. Portava una camicia nera a quadri grigi, una giacca nera e pantaloni grigio scuro. Era scortato da i suoi due genitori, anche loro vestiti in maniera elegante che sembravano più due guardie del corpo che parenti amorevoli di un bambino. I loro volti osservavano torvi tutte le persone che provavano ad avvicinarsi e baciare le mani del piccolo, che invece sorrideva a tutti in maniera soddisfatta.
Daniel si portò, non senza fatica, davanti al Santuario di Celebi e si mise in ginocchio, unendo le mani tra loro e chiudendo gli occhi.
L’intero bosco rimase in silenzio, l’unica cosa che si poteva udire erano il rumore delle macchine fotografiche e le ali che sbattevano di qualche Yanma che sorvolava la zona.
Daniel all’improvviso aprì gli occhi e guardando un albero posto dietro il Santuario, lo indicò con il braccio destro particolarmente teso: «Jirachi! Jirachi è su quell’albero! Arrampicatevi ed esaudirà i vostri desideri!».
La folla impazzì. Come dei tori alla visione del colore rosso, si misero in marcia e cominciarono a correre verso l’albero designato. Travolsero dapprima le transenne, poi i poliziotti, poi cominciarono a travolgersi tra loro, aggrappandosi alla bene e meglio sulla corteccia della pianta prescelta e di quelle vicine, graffiandosi le mani, rompendosele, acciuffando per le caviglie chi stava sopra di loro e tentando di sbatterlo giù per poter esser sicuri di poter vedere esaudito il loro desiderio.
Era un massacro.
A Dream parve pure di vedere un ragazzo con un ginocchio completamente lussato, tanto da decidere di prendere Michael per il colletto della maglietta e mettersi al sicuro su una delle impalcature montate qualche ora prima.
Daniel, protetto dalla folla da una barriera messa in piedi dall’Alakazam della madre, utilizzò i poteri Psico del pokémon per amplificare la sua voce e comunicare che Jirachi si era ora spostato su un altro albero e la stessa scena si ripeté per tre volte nei quindici minuti successivi, poi l’ultima volta che il bambino parlò era per comunicare che: «Jirachi ora vi saluta e va a dormire per i prossimi mille anni! Nei prossimi giorni i vostri desideri desiderati verranno tutti avverati! Buonanotte a tutti!» liquidandosi rapidamente e correndo via dal bosco inseguito dai suoi genitori, mentre nel Bosco permaneva un’aria elettrica, mista di incredulità e insoddisfazione. Ma non era il tempo della rabbia, oh, no. I desideri sarebbero stati avverani nei prossimi giorni secondo Daniel, «Jirachi – commentò maliziosamente un collega di Dream – si è appuntato tutto sul suo taccuino e nei prossimi giorni lavorerà, spuntando una ad una le richieste».
 
«Ora passeranno mille anni, giusto?» chiese Michael sconsolato. Aveva perso la sua occasione di catturare il pokémon leggendario che era praticamente nelle sue mani.
«Ma no, anche meno. Può capitare che un altro bambino si possa inventare di averlo visto in un certo bosco e tutti quanti ci crederanno e correranno ad accoglierlo» concluse Dream con un tono ferocemente sarcastico.
«Sai che sei cinico? E anche un po’ crudele, lo sai?».
«Ma piantala, piuttosto che cosa vai a fare a Violapoli domani?» chiese cercando di virare argomento dalla critica mossa nei suoi confronti.
«Non cambiare discorso, lo sai di essere stronzo?».
Dream sbuffò, sorridendo poco dopo: «Ah, quindi sarei stronzo perché non credo alle puttanate raccontate da un bambino, magari convinto dai suoi genitori per i suoi quindici minuti di fama warholiana?».
«Tu sei prevenuto, Dream. Non hai mai creduto a questa vicenda. L’hai sempre bollata come falsa, farlocca. Hai i paraocchi!» esclamò Michael gettando in aria le mani.
«Tu lo hai visto?» chiese stufo Dream.
«No, non l’ho visto, ma – fece, interrompendo il ragazzo che stava aprendo bocca per ribattere – questo non vuole dire che non ci fosse. Insomma, magari ha il potere di rendersi invisibile!».
«No, non ce l’ha il potere di rendersi invisibile, credimi».
«E come fai ad esserne certo?» domandò Michael stanco per l’atteggiamento supponente del suo interlocutore. Si fermò e lo guardò con uno sguardo ormai prossimo alla rabbia.
Con un rapido gesto, Dream, tirò Michael per il braccio sinistro e lo condusse all’interno della boscaglia che costituiva il limite del Percorso 34. Alzò la maglietta, mostrando la sua cintura e prese in mano una Premier Ball che poi lanciò in aria.
Un piccolo pokémon con una corona gialla e pennacchi arancioni uscì allo scoperto. Il suo corpo era bianco, mentre dalla sua schiena partivano quelle che sembravano essere due piccole e strette ali gialli.
«Lo so perché io sono il legittimo proprietario di Jirachi, Michael. Quando questa mattina ho ricevuto il messaggio di Elvira mi sono preoccupato che lo avessero catturato. E invece no, tornato a casa sono andato sul balcone e l’ho chiamato a me, era libero. E mentre era vicino a me, il bambino continuava a blaterale di averlo visto nel Bosco di Lecci, quando Jirachi era sporco di fuliggine, segno inequivocabile che si trovava nei pressi del Monte Cammino fino a qualche momento prima. E poi è rimasto con me, tutto il tempo, nella sua Premier Ball. Ed era nella sfera anche quando Daniel diceva che Jirachi era su un determinato albero piuttosto che su un altro, sempre lì. Era lì quando la gente giocava a chi gridava più forte per veder esaudito il proprio desiderio. Era lì quando chi era più in alto sulle piante veniva tirato giù con forza e finiva a terra, battendo violentemente la testa».
Dream avvicinò il proprio viso a quello di Michael. La sua voce divenne profonda, pronta ad esplodere in un grido di rabbia: «Oh, sì, Michael. Io non credo ai miracoli, non credo a quello che dicono i bambini. Sì, sono stronzo, sì sono cinico. Me lo dicono sempre e non me n’è mai fottuto un cazzo e sai cos’altro ti dico? Che sono soddisfatto. Mi soddisfa da matti vedere che la gente è così cieca e imbecille da rischiare la vita perché incapace di affrontare di petto le situazioni e mi soddisfa da matti vedere la delusione nel tuo volto perché Jirachi appartiene al sottoscritto e non è più catturabile, oh no, non potrai aggiungerlo al tuo prezioso Pokédex. E sai perché mi soddisfa? Sai perché sto godendo da matti? Perché affidate le vostre speranze ad un bambino compromesso dalla voglia di diventare famoso, un bambino che pensa di poter cambiare il suo triste destino da allenatore con un Rattata ad allenatore con un Chikorita.
Godo perché non vi rendete conto quando la gente vi piglia per il culo, anzi, vi mettete a novanta, allargate le gambe con le vostre stesse mani e supplicate di volerne ancora.
Voi state pure piegati sulla scrivania del capo per poi rimanere delusi e affranti dalle conseguenze. Fatevi pure i complimenti per la vostra empatia, per la vostra gentilezza quando siete piegati su quel tavolo, sorridendovi e scambiando complimenti per la bravura con cui aprite le gambe, invidiandovi anche. Io, no».
Il giornalista richiamò Jirachi nella sua Premier Ball, la mise all’interno della sua cintura e superò Michael, ancora scosso per il discorso che aveva appena sentito.
«Domani passo a prenderti alle sette con Dragonite... Oppure preferisci chiedere ad Daniel se verrà prenderti qualche pokémon leggendario?».

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Il Saggio ***


Capitolo 13 - Il Saggio
 
Il cielo era di quella curiosa tonalità di azzurro pallido che porta a domandarti se sia nuvoloso o se la sveglia sia suonata troppo presto. Il Sole non era ancora sorto del tutto e i suoi raggi avevano da poco cominciato a illuminare debolmente la volta celeste.
Gli Hoothoot chiudevano i loro occhi appesi a testa in giù sugli alberi sulle colline poste a est di Fiordoropoli mentre lentamente, i Ledyba, cominciavano a svegliarsi per iniziare a volare con il loro moto instabile che li contraddistingueva. Uno di loro, urtò dapprima un albero e poi, ripresa una traiettoria normale, andò dritto la schiena di un Heracross che venne strappato dalle braccia di Morfeo. Il pokémon Monocorno, furioso, si librò in volo e cominciò ad inseguire l’esemplare di Pentastra che si fiondò per le strade della Capitale, che a quell’ora conoscevano il significato della parola tranquillità. L’inseguimento durò poco, Heracross venne bloccato da un allenatore mattutino che lo volle sfidare utilizzando il proprio Vulpix e Ledyba si fermò sulla ringhiera di un balcone di un grattacielo.
Espeon aprì gli occhi e fissò il pokémon rosso che come d’incanto si paralizzò e cadde sulla sua sinistra, precipitando, totalmente incapace di muoversi. Solo a pochi metri da terra le sue ali ricominciarono a funzionare e ne approfittò per salvarsi e volare via da Fiordoropoli.
 
Dream accarezzò con la mano sinistra il pelo lilla del pokémon Psico che era seduto sul tavolo, sorridendo divertito per quello che il pokémon Sole aveva fatto a Ledyba.
«Sei un cane da guardia, pochi cazzi».
Tornò a guardare il computer, posto davanti ad Espeon, su cui stava scrivendo prendendo con la sinistra la sigaretta che aveva temporaneamente appoggiato nel posacenere e afferrò con la destra la tazza fumante di caffè bianca di ceramica decorata con un’immagine raffigurante Kyogre e Jirachi.
Rilesse attentamente nella mente quello che aveva digitato fino a qualche istante prima e terminata la sigaretta e il caffè, ricominciò a scrivere, pronunciando ad alta voce quello che elaborava.
Una grande frase in grassetto a caratteri cubitali capeggiava sull’intestazione del foglio, “Dream intervista Dream”  e si trattava di botta e risposta con se stesso riguardo l’incontro con Michael che tanto pensare gli diede quella notte, tanto da fargliela passare insonne. Era una sorta di riflessione, un flusso di coscienza, ma trovava che denominarlo “intervista” rendesse il tutto meno interessante dal punto di vista della medicina psichiatrica.
In questo modo avrebbe dovuto inchiodare se stesso alle proprie responsabilità, affrontare il tormento che lo stava portando a perdere anche il controllo di se stesso in un certo momento della giornata precedente.
«E poi apparve qualcosa davanti ai miei occhi».
«Cosa?».
«Era un ragazzo di sedici anni. Con gli occhi azzurri, i capelli biondi, il naso alla francese. Uno sguardo timido, docile. Sembra il personaggio di una qualsiasi serie tv americana adolescenziale, e invece non aveva nulla che potesse renderlo un personaggio da piccolo schermo. Sì, insomma, i biondi-occhi-azzurri sono sempre i bulli che se la prendono con il protagonista o con gli amici dei protagonisti, uomini e donne che essi siano. Lui... lui no. Tutt’altro, mi ricordava un gattino abbandonato.
Ma vedi, come disse Kevin Spacey in “House Of Cards”, “ogni gattino cresce per diventare gatto. Sembrano così indifesi all’inizio, piccoli, tranquilli, è bello vedere quando prendono il latte, ma una volta che imparano a graffiare fanno sanguinare, a volte, la stessa mano che li nutre”. Ecco, si tratta proprio di questo: di attaccare. E come dice Frank Underwood, la regola è una e una sola “O caccia o verrai cacciato”. Questo vale anche per noi allenatori, dobbiamo esser pronti a non abbassare mai la guardia, perché il pericolo è sempre all’orizzonte e quel pericolo, caro Dream, siamo noi stessi e per “noi stessi” intendo noi allenatori.
Quel gattino non era un gattino abbandonato, oh no. Era un leone assetato di sangue travestito da gattino. E io ero la sua gazzella.
Mi ero rifiutato di riconoscerlo sin dall’inizio. Quando lo vidi seduto a quel tavolino del bar venni investito da un profondo disagio. Improvvisamente i miei artigli erano stati tranciati, i miei canini limati per essere il meno letali possibile.
La sua lingua biforcuta feriva la mia cute, ha cominciato a tagliarmi, a ferirmi, ad assestarmi colpo su colpo, fino a che sono dovuto scappare».
Dream sorrise, poi fece la sua domanda: «Un leone con la lingua biforcuta? Il mondo dei punk ha colpito anche la savana?».
«O magari non era un leone…» pronunciò sollevando le sopracciglia.
«E quindi? Hai parlato di leone travestito da gattino. C’era qualcosa che si travestiva da leone che si travestiva da gattino? E soprattutto, non aveva caldo sotto quel travestimento?».
«Il caldo è il suo ambiente, non a caso si parla di “caldo infernale”, oh, sì, perché quel ragazzino era il Diavolo che con la sua retorica mi ha fatto perdere la testa, mi ha confuso per piegarmi e spezzarmi.
Sono stato uno stupido perché avrei dovuto ripiegare sin da subito, avrei dovuto aiutarmi con i miei artigli, con le mie fauci per quanto quasi innocue e invece no, son rimasto sull’altare come un agnello sacrificato a Satana dalle sue bestie.
E una volta che mi sono sacrificato, involontariamente s’intende, ecco che il Diavolo assunse potenza e si rivelò possedere sette teste, come aveva predetto l’Apostolo Giovanni nel libro della “Rilevazione”. La sua e quella dei sei pokémon che possedeva e con cui decise di sfidarmi.»
«E accettasti la sfida?».
«Certo, non c’erano alternative. Perché il Diavolo è pericoloso, è insidioso. Conosce le leggi, e sai perché? Perché si è fatto uomo e le ha subite. Comprende e adopera i regolamenti degli allenatori a suo favore, e in quanto allenatore, o per meglio dire, in quanto Campione, ha lanciato al sottoscritto una sfida ufficiale che io non potevo rifiutare. E ho dovuto accettare».
Il ragazzo scosse la testa in senso di pieno dissenso con quanto detto da lui stesso qualche secondo prima.
« A me pare comunque esagerato parlare di Diavolo, e anche abbastanza offensivo, ecco...».
«Oh, insomma, come se ci sia mai importato di ferire le altre persone.
Stai diventando debole, Dream».
La verità servita su un vassoio d’argento. Lo aveva finalmente ammesso, stava diventando debole. Aveva cominciato a preoccuparsi del parere delle persone, lui che aveva scaricato senza troppe preoccupazioni una ragazza sulla soglia della guarda ranger, lui che aveva preso in giro il capogruppo della maggioranza sul quotidiano e aver criticato Repubblica Nuova ad un party ricevendo un pugno in faccia. E inutile dire come detestava cordialmente le altre persone quando gli altri sottolineavano la propria indipendenza di pensiero dalle influenze della massa e ora, proprio in quel momento, stava analizzando quel cavillo sulla sua di persona.
La sveglia impostata sul Pokégear cominciò a suonare segno che doveva cominciare a prepararsi per andare a prendere Michael all’hotel e accompagnarlo a Violapoli.
I due si salutarono freddamente e il volo tra le due città fu affrontato nel più assoluto silenzio interrotto solo una volta arrivati nel centro cittadino.
«Dream... ho bisogno che tu mi accompagni» cominciò timidamente Michael, rompendo quel muro che si era creato la sera prima dopo lo sfogo dell’ex Campione dopo esser stato criticato per il suo scetticismo nei confronti dell’affaire Jirachi.
La testa di Dream si voltò verso Michael, osservandolo curioso da dietro gli occhiali da sole a mascherina, con montatura oro: «E dove dovresti andare, di grazia?».
«Alla Torre Sprout».
Dream inarcò le sopracciglia sorpreso, la Torre Sprout era sicuramente l’ultimo posto in cui si aspettava di dover tornare. Sorrise facendo cenno a Michael di seguirlo.
«A proposito di quello che è successo ieri sera, com’è che il tuo Jirachi ha alcune colorazioni differenti da quelle con cui è stato rappresentato nella Grotta dei Tempi di Ceneride?».
Dream increspò leggermente le labbra, indeciso in un primo momento se rispondere alla domanda oppure no, convinto nel profondo che era l’ennesimo modo del ragazzo di interrogarlo maliziosamente sugli eventi accaduti la sera precedente. Contò mentalmente fino a dieci, il tempo necessario per far sbollire la voglia di sbranarlo e poi rispose pacatamente: «La leggenda vuole che fossero finiti i colori...».
«Cosa? Scherzi?»
«No, affatto. L’Imperatore di Hoenn aveva minacciato che se il lavoro non fosse finito entro un preciso periodo di tempo avrebbe ucciso il pittore e la famiglia. Preso dal panico, perché non c’erano i colore e procurarseli avrebbe richiesto troppo tempo, utilizzò l’azzurrino al posto del rosso.
Ora, quella della Grotta dei Tempi è la prima raffigurazione di Jirachi. Quelle successive le hanno fatte utilizzando come base il ritratto voluto dall’Imperatore. Ecco spiegato l’arcano».
«E tu come hai fatto ad ottenerlo?»
«Diciamo che ci ha presentati Mew...».
Michael strabuzzò gli occhi e gridò: «Hai Mew?!».
«Bitch, I’m Dream» rispose lui ironico.
«Ma è impossibile! Non si è neanche sicuri della sua esistenza, tu... Tu non sei umano!» continuò Michael gridando.
«Vuoi abbassare la voce, di grazia? Ti stanno osservando tutti» fece Dream continuando ad osservare la strada davanti a sé.
«Hai catturato Mew!» esclamò il ragazzino soffocando la propria voce.
«Se per questo bevo vini e non so come si pronunciano, nessuno ha mai fatto un caso di stato per questo...».
E mentre Michael spiegava per quale motivo non era normale aver catturato il piccolo pokémon Rosa, la Torre Sprout cominciava a stagliarsi all’orizzonte.
La torre, la più alta costruzione di Violapoli, venne eretta nel 1200. Era una pagoda di tre piani, alta trenta metri costruita nella zona nord della città, raggiungibile dopo aver superato il Lago Sprout, un piccolo laghetto poco profondo attraversabile grazie ad un ponte in legno. Al centro dell’edificio era stato costruito un grande pilastro di legno mobile per bilanciare la torre in caso di forti terremoti o violente lotte di pokémon nei piani superiori. Fu costruita in onore di una famiglia di origini giapponesi, gli Sprout, che aveva migrato a Johto nel sesto secolo dopo Cristo. Si trattava di artigiani che nel tempo libero insegnavano ai giovani di Violapoli definiti “puri di cuore” la loro dottrina che consisteva nell’imparare la “nobile arte del entrare in contatto con la profondità dello spirito dei pokémon”. La durata del percorso spirituale non era fissata, poteva durare pochi giorni o interi mesi, dipendeva tutto dalle capacità dell’allenatore di apprendere gli insegnamenti del Maestro Vico. Tutte le più grandi personalità della storia erano stati allievi della Torre Sprout: Dream, Rosso, Giovanni, persino Lance poteva vantarsi in qualche modo di aver frequentato quella speciale scuola; la leggenda narra che l’allenatore di Ebanopoli si era recato dal Maestro Vico per chiedere di ricevere l’addestramento, ma questi si rifiutò quando percepì che il ragazzo possedeva tutta la conoscenza che poteva trasmettergli.
I saggi della Torre Sprout erano così importanti per la formazione degli allenatori che tutti gli insegnanti della Scuola per Allenatori di Violapoli erano stati loro allievi. Da qui nacque un importante e duratura collaborazione tra i due istituti nata nei primi del Novecento e continuata senza mai interrompersi. Gli allievi della Torre avevano a disposizione delle camere all’interno della Scuola per Allenatori per seguire meglio l’addestramento.
 
Dream aspettò che Michael finì di fotografare il panorama con il proprio Interpoké per poi cominciare ad incamminarsi sul ponte per accedere alla Torre Sprout.
«L’anziano Vico è una persona molto attaccata alle tradizioni ed è intransigente, parecchio. Non parlare se non ti ha posto domande e quando te le pone, rispondi in maniera rapida, circoscritta. Risposte eccessivamente lunghe gli permetteranno di instaurare il dubbio dentro di te, è un mago nel farlo. E una volta che instaura il dubbio, ti spezza, ti mastica e ti sputa dall’ultimo piano della torre... quasi letteralmente».
Michael rimase con la bocca semi aperta, sconvolto da quello che aveva sentito.
«Come letteralmente?!» chiese spaventato Michael.
«Ho detto quasi...» tentò di minimizzare Dream con un sorriso sadico sulla faccia.
«Perché la cosa non mi tranquillizza?».
«Perché non hai una mente libera, perché hai i paraocchi. Vico non ha mai ucciso nessuno, al massimo mandava le persone in vacanza sul cornicione della torre...».
«Bene...» rispose Michael con un passo che si faceva via-via più incerto ogni qual volta che Dream aprisse bocca per spiegare meglio la situazione all’interno della Torre Sprout.
«Prima del test di ammissione ci sarà un colloquio per valutare se sei all’altezza del tutto. Se supererai il colloquio potrai provare la prova pratica, che consiste nello sfidare diversi saggi e se ci riuscirai, potrai accedere all’agognato addestramento. Poche persone riescono a convincere Vico a provare la sfida dei saggi, quindi vedi di non mandare tutto a monte».
I due ragazzi arrivarono davanti al grande portone d’ingresso dell’edificio. Era massiccio sebbene fosse completamente di legno scuro.
«Come mi devo rivolgere a lui?» chiese Michael con voce tremante.
«“Maestro” durante il colloquio. Se ti concederà il test dovrai chiamarlo “Sensei”, è un termine giapponese che significa insegnante. Qui sono molto legati alle tradizioni giapponesi, parlano la nostra lingua, ma utilizzano comunque i suffissi tipici del loro Paese di origine. Ah, soprattutto, devi dargli del Voi».
«Tu che grado hai?».
«L’ultima volta che sono stato qui mi chiamava Dream-kun, ma mi ha promesso che se avessi fatto grandi cose sarei stato onorificato del suffisso “dono”. “Kun” è il suffisso che utilizza nei confronti degli allievi, se sarai accettato tu sarai Michael-kun, “dono”, da quello che ho capito, viene utilizzato quando si nutre un gran rispetto per una determinata persona».
«E per te nutre un gran rispetto?»
«Sono un suo allievo e come tale si aspettava grandi cose da me e di certo non sono rimasto con le mani in mano, a differenza di Rosso» pronunciò Dream con una certa soddisfazione nella voce.
«Rosso? Il ricercato?»
«Proprio lui» disse Dream, ponendo la mano sulla maniglia e aprendo la grande porta.
Michael si incamminò verso l’interno dell’edificio e quando il suo piede destro superò l’uscio si girò indietro, cercando uno sguardo rassicurante nel volto di Dream che invece rimaneva freddo.
«Pensi che ce la possa fare?»
Dream alzò lo sguardo al cielo, spinse con forza Michael in avanti e si chiuse la porta alle spalle: «Se ce l’ha fatta Giovanni a venir preso sul serio ce la puoi riuscire a fare qualsiasi cosa».
Il piano terra della Torre si presentava come un enorme salone formato da numerose colonne in legno e due statue di Bellsprout poste ai lati del grande pilastro mobile al centro della stanza.
Non vi erano finestre e la luce prodotta proveniva esclusivamente dai numerosi ma piccoli candelabri appesi ai muri.
Dream fece strada, e cominciò a dirigersi sicuro di sé verso le scale.
Il percorso per raggiungere il terzo piano non era certamente banale, bisognava salire e scendere numerosi scalini sparsi tra i piani, passando sia per corridoi stretti ma anche per enormi saloni, sempre  con la sensazione di esser seguiti da una misteriosa aura, come se qualcuno li stesse osservando costantemente.
La sensazione sparì non appena raggiunsero l’ultimo piano.
Si trovarono in una piccola stanza con le pareti chiare, illuminate dalla luce solare che filtrava attraverso dei pannelli bianchi posti sui muri e sul soffitto. A terra, posati contro il muro, erano presenti tre cuscini fucsia di forma quadrata, mentre, sul lato opposto era invece presente una scrivania di legno chiaro con un computer sopra. Alla scrivania era presente una donna, con i capelli castani legati dietro, vestiva un kimono di color viola.
Si chiamava Cristina, una quarant’enne che non dimostrava più di vent’anni. . Aveva un viso tondo e il naso a punta, verso l’insù. Nonostante gli abiti, tipicamente orientali, Cristina non proveniva da una famiglia del Sol Levante, era nata e cresciuta a Violapoli, nel piccolo quartiere dove la famiglia Sprout si era insediata da generazioni. Le due famiglie furono da sempre in contatto e fu solo per questo l’unico motivo per cui il Maestro Vico accettò che una persona occidentale potesse prendere il ruolo di gestione della Torre.
Michael e Dream si sedettero nella sala d’attesa e aspettarono silenziosamente che la donna diede loro il permesso di accedere nell’altra stanza.
«Ah, un’ultima cosa Michael» pronunciò Dream sottovoce, per assicurarsi che Vico, nella stanza affianco non li sentisse, «I saggi utilizzano Bellsprout e Hoothoot. Ma questo non significa che siano persone facili da battere. Non commettere questo errore di valutazione, hai davanti a te alcuni degli allenatori più forti che tu possa mai incontrare. Non prenderli sottogamba».
Quando la porta si aprì, Michael balzò in piedi improvvisamente al contrario di Dream che lo fece molto tranquillamente, osservarono due uomini calvi, vestiti con un kimono nero uscire a testa bassa e poi aspettarono un cenno della donna per entrare nella stanza.
Il salone che si apriva davanti ai loro occhi era totalmente differente da quelli visti in precedenza. Era pulito, curato, con un ampio soffitto e illuminato, come la stanza precedente, dalla luce solare.
Sul fondo era presente un uomo calvo, seduto sulle ginocchia con una lunga barba bianca che partendo dal viso scorreva lungo tutto l’addome arrivando a toccare il pavimento. Vestiva una tunica color giallo canarino con gli orli color viola. I suoi occhi erano chiusi e non si aprirono neanche quando i due ragazzi cominciarono ad avvicinarsi.
Dream e Michael si sedettero, in ginocchio anche loro, sui due cuscini davanti all’anziano e lo osservarono in silenzio per parecchi minuti, con il biondo che cominciò a guardarsi attorno con il suo fare frenetico, mentre Dream rimaneva fisso nell’osservare il suo Maestro.
«Sento… sento una forte agitazione. La percepisco come fonte di disturbo» disse Vico. Aveva una voce profonda e forte, tanto da rimbombare in tutto il locale. «Tu! - i suoi occhi si aprirono di colpo ed erano fissi su Michael - Tu! Perché sei venuto qui per disturbarmi?».
Il campione di Unima puntò i suoi occhi su Dream che invece inarcò le sopracciglia che lo invitò a rispondere, portando lievemente la testa verso il Maestro.
«Maestro, il mio nome è Michael e provengo da...».
«Non ti ho chiesto la storia della tua vita – lo interruppe gridando Vico. I suoi occhi erano quasi fuori dalle orbite e la sua voce aveva fatto tremare il pavimento di legno pregiato – ti ho chiesto per quale motivo sei venuto a disturbarmi nella mia casa. Capisci la nostra lingua? Preferisci per caso che parli giapponese?» chiese l’uomo senza diminuire il tono della voce.
«No».
«E allora per quale motivo sei venuto qui a disturbarmi?!» chiese l’uomo, tornando poi a chiudere gli occhi.
«Maestro, io sono venuto qui per chiedere, umilmente alla vostra persona, di concedermi l’addestramento».
Una risata fragorosa partì dalle fauci di Vico che aveva riaperto gli occhi: «Chiedere? Tu hai dignità per chiedere? E cosa sei?!».
«Non volevo offendervi, Maestro» pronunciò il ragazzo abbassando la testa.
«Uno scarafaggio non potrà mai offendere una montagna, anche se questa è sacra. Tu lo sai di essere uno scarafaggio?».
«Sì».
«E tu lo sai che io sono la montagna?».
«Sì!» esclamò Michael con le mani che tremavano.
«Hai paura?» pronunciò con uno sguardo sadico.
«Sì».
«E fai bene...» Vico si alzò in piedi con uno scatto e cominciò a camminare attorno ai due ragazzi. Dream lo seguiva con lo sguardo, Michael rimaneva con la testa bassa.
«Con un cenno della mano potrei romperti l’osso del collo, se lo volessi. O aprirti lo sterno, se solo lo volessi. O spaccarti la spina dorsale. Vuoi che lo faccia?» chiese l’anziano avvicinandosi con il volto al ragazzo.
«No!».
«Da dove vieni?» ricominciò l’uomo, tornando a camminare attorno ai due giovani.
«Dalla regione di Sinnoh».
«E cosa hai fatto di importante nella tua vita da scarafaggio?».
«Sono Campione della Lega di Unima» pronunciò alzando la testa e cominciando ad osservare negli occhi Vico, che sorrise impercettibilmente per qualche secondo.
«Sei Campione e hai paura di uno stupido vecchio come me?» chiese con un tono di voce volto a sbeffeggiarlo.
«Sì».
«Mi stai dando dello stupido vecchio?».
«No!»
Vico ricominciò a ridere divertito, i suoi occhi si posarono brevemente su Dream,  poi tornarono sul Neo-Campione: «Sei confuso, scarafaggio?».
Michael annuì e poi rispose di sì.
«Una mente confusa è una mente che assorbe troppo ma è troppo pigra per capire. Una mente confusa è una mente viva. Io entrerò nella tua mente, la aprirò ai più grandi precetti della nobile arte del entrare in contatto con la profondità dello spirito dei pokémon e te la restituirò. Sarai capace di volare, sarai capace di pensare e sarai capace di vincere laddove perderai.
Io non ti renderò uomo, io non ti renderò un buon allenatore. Io ti renderò un guerriero. Difenderai i debole dall’infamia del mondo e dall’ipocrisia che lo compongono e come arma non avrai una spada, ma avrai i tuoi pokémon.
Essere un membro della Torre Sprout è un compito importante, ne accetti tutti gli obblighi e le responsabilità che ne derivano?» l’anziano apparve improvvisamente più calmo ma non meno deciso di quanto fosse in precedenza.
«Sì, Maestro!» rispose Michael sicuro di sé.
«Da oggi, per te, io sono “sensei”. I miei antenati non hanno sopportato secoli di discriminazione perché la nostra Torre venisse sporcata con la vostra cultura occidentale. Dream-dono, saluta il tuo amico, lo rivedrai a fine allenamento» gridò l’uomo facendo un gesto che tagliò l’aria.
Dream annuì, poi si alzò in piedi e porse la mano destra verso Michael che si era rimesso in piedi, «Buona fortuna, Michael. Sono sicuro che farai un grandissimo lavoro».
«Grazie, Dream».
«Michael-kun, il test per verificare il tuo addestramento comincerà alle sei di mattina. Dovrai sfidare sei saggi senza poter ricorrere all’aiuto di Centri Pokémon. Se riuscirai a batterli, io sarò qui ad aspettarti.
Mangerai quando te lo dirò io, respirerai quando te lo dirò io e andrai a dormire quando io te lo dirò. Se sarà necessario, dovrai morire anche per me. Sono stato chiaro?».
Michael guardò perplesso Dream, deglutì e poi rispose affermativamente alla domanda, Vico gli diede l’ordine di lasciare immediatamente l’edificio.
«Dream-dono, seguimi – disse l’anziano mettendosi in piedi – è l’ora del the nel Giardino», l’uomo raggiunse la porta scorrevole dietro di lui e la aprì con un gesto semplice, mostrando un enorme giardino.
Dream lo raggiunse rapidamente e cominciarono a scendere la lunga rampa di scale che dal terzo piano conduceva fino all’esterno dell’edificio.
«Dream-dono, è stata una sorpresa la tua visita».
«Spero che non vi siate offeso sensei se non sono passato per tutto questo tempo…» pronunciò Dream con evidenti sensi di colpa per la sua lunga assenza.
«Dream-dono, la Torre Sprout è un luogo di disciplina e di cultura, non di cortesia. Noi non ci aspettiamo che la gente venga a trovarci, noi ci aspettiamo che i nostri allievi portino avanti quello per cui hanno studiato».
I due arrivarono davanti ad un piccolo ponticello costruito per attraversare uno stagno di color verde scuro. Camminandoci sopra, Dream osservò per un momento l’acqua e gli parve di vedere al suo interno un Mudkip che nuotava.
«Non soffro di déjà vu, Dream-dono, ma parlando con quel ragazzo ho avuto una sensazione di già visto, di già vissuto. Ho capito perché hai voluto accompagnarlo qui e sono sicuro che parlandoci hai avuto la stessa sensazione che ho avuto io, vero?»
Il ragazzo tentennò un po’ prima di rispondere: «Vi riferite al fatto che…»
«Mi riferisco al fatto che ti ritrovi chiaramente in lui. La stessa inesperienza correlata ad una grandiosa sete di conoscenza. Non lo avrei mai accettato come allievo se non avessi riscontrato queste caratteristiche. Però... – l’uomo indugiò per un momento e per la prima volta davanti ad un estraneo – però non riesco a togliermi da dosso quella sensazione che tu provi dell’odio nei confronti di quel giovane. Oh, la percepisco chiaramente».
«Quel ragazzo... non ha alcun rispetto per le situazioni passate, per le situazioni personali. E’ un cazzo di mostro, entra dentro di te, fa tabula rasa di quello che hai, di quello che hai ottenuto, ti annichilisce e poi se ne va chiedendo ringraziamenti o aiuti. Mi creda, sense, l’altra sera c’è mancato davvero poco che gli fracassasi la testa con l’utilizzo di un masso».
«Paura delle critiche, Dream-dono?» fece l’uomo alzando perplesso il sopracciglio.
«No... cioè, non credo...».
«Sai, Dream-dono, non sono più molti i ragazzi che ci vengono a chiedere insegnamento» l’uomo posò le mani sulla ringhiera in legno del ponte, si mise ad osservare il panorama.
«Come mai, sensei?»
«Stanno facendo una campagna denigratoria nei nostri confronti. Vogliono farci chiudere. Dicono che siamo un luogo dove insegniamo la sovversione nei confronti dello Stato. Ho deciso di non accettare più tanti studenti come una volta, solo persone che so che non mi deluderanno...” chiuse gli occhi e fece un ampio respiro: «Archer!  - e tirò un colpo sul legno fino a creparlo – Atena! Maxus! Milas! Giovanni!» ripeté il gesto per ogni nome pronunciato, poi, ruotò sul posto rapidamente e camminò verso il gazebo dove era presente un piccolo tavolino con due tazze di the caldo.
Dream lo seguì rapidamente e si sedette di fronte il suo Maestro.
Archer, Atena, Maxus e Milas erano gli uomini di punta del Team Rocket prima e del Governo dopo. Alcuni di loro andarono a ricoprire la carica di Governatore delle regioni federate, altri rimasero a gestire il Partito.
«Sensei, non so se lo ha saputo, ma io ho abbandonato la carriera di allenatore di pokémon» disse Dream osservando molto attentamente Vico, cercando di captare una qualsiasi reazione sul suo volto che però non apparve.
«Tu non hai lasciato la carriera da allenatore. Hai semplicemente preso una pausa, che è totalmente differente. Prima che Rosso partisse per l’esilio, è passato a trovarmi. Avrei voluto cavargli gli occhi per esser rimasto sul Monte Argento per molti anni, ma mi ha voluto avvisare che il mio allievo prediletto, di cui non avevo notizie per molto tempo, ha delle strane idee in mente, diceva che ti sentivi mediocre.
Io – gridò l’uomo agitando la mano destra in aria - non ti permetterò di venire qui ad infestare questo posto con questa ipocrisia che ti porti dietro dicendo che ti senti un allenatore mediocre. Non ti senti un allenatore scarso, perché sai di non esserlo! Quel ragazzo ha risvegliato in te una voglia di rimetterti in gioco senza precedenti, ecco perché l’ho accettato, perché è riuscito a schiodarti dal tua comoda poltrona in pelle e a portarti qui. I mediocri non riconoscono l’importanza di un buon colloquio. Tu sei ancora qui, invece, quindi non sei mediocre. Non devi lasciar sfuggire la voglia di rimetterti in gioco o invece che essere uno dei miei migliori allievi sarai la mia più grande delusione. E adesso bevi il the, è un ordine!».
Dream portò la tazzina alla bocca, soffiò delicatamente e poi lo assaggiò, la temperatura era ottima, cominciò a berlo lentamente.
«Lo so come ti senti  - ricominciò l’uomo pacatamente - pensi che ti accuserebbero di incoerenza, non sai come affrontare il pensiero delle persone se torni a fare quello che facevi una volta. Sono tutte sciocchezze! – Vico batté con forza il pugno sul tavolo – Sei un allenatore, è il tuo destino, mi sono spiegato?».
«Il punto, sensei, è che temo di non avere più la forza…».
«Forza! E’ di questo che si tratta allora? Non ti ho insegnato ad esser forte. Ti ho insegnato ad esser coraggioso, abile e saggio.
Quello che ti manca è la gioia di fare il tuo mestiere, ma sono pronto a fornire una terapia rigenerante per far sì che tu possa tornare ad essere il grande allenatore che vidi anni fa alla Conferenza Argento.
Il primo settembre ti recherai a Borgo Foglianova, nella tua città natale. Assisterai alla consegna dei diplomi ai nuovi allenatori, così ti ricorderai del passato e accetterai il tuo futuro.
C’è stato un tempo, molti anni fa, in cui decisi di prendermi una pausa dal mio incarico. Decisi di girare per il mondo, di conoscere nuove città. In dieci anni di viaggio ho imparato meno di quanto potessi imparare in due mesi da anziano della torre, e sai perché? Perché non era il mio compito quello del viaggiatore. Avevo dimenticato le mie origini e senza radici l’albero cade».
Dream non rispose, continuando a bere il the.
«Pensi che sia un discorso conservatore?» chiese l’anziano continuando ad osservare Dream.
«In tutta sincerità – rispose il ragazzo, ponendo la tazza sul tavolo – sì, sensei».
«E hai ragione, io sono un conservatore e non me ne vergogno. Perché cambiare le cose quando funzionano?
Vedi, nonostante teniamo alle tradizioni, non siamo insensibili al progresso tecnologico. Quando si ferma un certo oggetto, prima di buttiamo capiamo se possono essere le batterie ad essere scariche, le cambiamo, e questo comincia di nuovo a funzionare. Alla tua carriera si sono scaricate le batterie, ora gliele ricarichiamo o non mi chiamo più Vico.
In tutta onestà, sei un giornalista piuttosto mediocre, fai interviste cattive, pretenziose. Lo stesso non si può dire di te allenatore. Se non sapessi chi sei, mesi fa avrei scritto una lettera alla tua direttrice chiedendo il tuo licenziamento, ma non l’ho fatto perché capii che avevi bisogno del tuo tempo. Ma lo vedo nei tuoi occhi che è tutto finito. Non hai più bisogno di una pausa, ora devi solo ricominciare e hai paura di farlo. E’ normale, ma se ti aspetti che io rimanga inerme nel leggerti insultare ragazzini, ti sbagli di grosso. Mi sono spiegato?».
Dream lo osservò per qualche istante in silenzio, poi rispose affermativamente.
La seconda bomba in due giorni sulle certezze che Dream aveva. Ormai la diga era stata rotta e l’acqua stava scendendo a valle, distruggendo tutti i villaggi. Simulò di stare bene, mentre dentro di sé sentiva l’aria venire meno, soffocare e la bombola dell’ossigeno era lì, a pochi passi davanti a sé.
E avvenne la scissione dell’anima. Se un Dream era agonizzante a terra, cercando disperatamente di avvicinarsi all’ossigeno, un altro Dream lo osservava soddisfatto tenendo in mano una Pokéball che lanciava in aria saltuariamente, riacciuffandola in mano con sicurezza.
Gli tornò in mente quando il giorno dopo della sua nona vittoria alla Lega si trovava in solitaria sulla spiaggia di Olivinopoli, osservando il tramonto. Un giovane gli si avvicinò e cominciò ad insultarlo e a dirgli che doveva lasciare posto agli altri. Dream non lo guardò mai negli occhi, ma prima di volare via su Pidgeot pronunciò a bassa voce: «La verità è che non vi libererete mai di me, fatevene una ragione» ed ora, una parte di sé, voleva tornare ad uscite di quel tipo.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - L'Inizio ***


Capitolo 14 – L’inizio
 
Blaine entrò in classe scuro in volto. Posò i pesanti faldoni sulla cattedra, batté con forza la mano destra sul piano poi e indicò Dream con una ferocia fuori dal comune: «Tu, dal preside, ora!». Era così furioso che per un momento gli occhi sembrarono uscire dalle orbite. Per Dream fu come ricevere una scarica di proiettili addosso. Se c’era uno studente che poteva vantare di non venir mai richiamato all’ordine, quello era proprio lui, sebbene più di una volta avesse avuto comportamenti sopra le righe e non propriamente corretti. Eppure, nelle ultime due settimane, per lo meno, era sicuro di non aver commesso infrazioni di qualche tipo, aveva smesso anche di parlare con persone al di fuori del gruppo classe. Che cosa aveva combinato, quindi, per dover esser chiamato dal preside? La sua voce gli si bloccò in gola. In un’altra situazione avrebbe fronteggiato il docente, gli avrebbe chiesto perché. Ma quella volta fu così preso alla sprovvista che fu come se qualcuno gli rubò la voce o la capacità di parlare. Il volto impallidì e le mani diventarono di ghiaccio.
L’intera classe cadde nel silenzio più profondo e tutti gli occhi si posarono sul compagno che aveva cominciato a dirigersi verso l’uscita della classe. Nonostante la tensione aveva cominciato a bombardargli la testa di una serie di pensieri che lo portarono mentalmente lontano dall’aula, riuscì a sentire alcuni compagni che bisbigliavano tra loro: «Chissà che cos’ha combinato» che vennero messi immediatamente a tacere dallo sguardo congiunto di Blaine e di Dream.
Era insolito che un alunno fosse mandato dal preside: la Scuola Per Allenatori era infatti nota per la sua rigida disciplina impartita a tutti i suoi studenti. Non era semplice partecipare alle lezioni dell’istituto e che fosse un privilegio veniva ricordato quasi quotidianamente.
Per diventarne studenti, gli alunni alla tenera età di cinque anni dovevano sostenere un esame di logica con l’ausilio di piccoli giocattoli. Se si superava il test, durante il corso del primo anno i bambini dovevano dimostrarsi educati e attenti alle regole, viceversa sarebbero stati espulsi. Moltissime erano le famiglie che si vedevano la richiesta respinta; per loro l’alternativa era la scuola dell’obbligo sul modello statunitense.
Era Giugno 2001, l’anno scolastico era quasi terminato, mancavano una manciata di giorni, utili esclusivamente a passare gli ultimi momenti con i propri compagni di classe prima di incamminarsi ciascuno per il proprio viaggio di allenatore di pokémon.
Dream percorse il breve corridoio dalle mura gialline e arrivò nel grande atrio della scuola. Procedette di qualche passo avanti e poi imboccò le scale a chiocciola alla sua sinistra, che portavano agli uffici burocratici. Percorse lo stretto corridoio che si presentava una volta superata la segreteria osservato dagli adulti, curiosi per la visita di quel ragazzino; arrivò davanti ad una porta in legno con scritto “Presidenza – Bruno Fogli”, fece un gran respiro e poi bussò.
«Avanti» disse una voce al suo interno.
Dream aprì la porta e se la chiuse dietro.
C’era un piccolo stanzino, poco illuminato adiacente ad una stanza molto più grande, il ragazzo vi entrò e alla sua destra vide la grande scrivania in mogano con il preside seduto.
Era un uomo quasi completamente calvo, i pochi capelli che aveva sul capo erano sul fondo della nuca, grigi. Vestiva molto elegantemente, con una camicia bianca, una cravatta nera e una giacca, nera anch’essa. Sul naso portava dei piccoli occhiali da vista, quasi invisibili.
«Dream, giusto?» chiese con un sorriso caldo, volto a mettere il ragazzino a proprio agio.
 Dream annuì.
«Siediti prego» disse indicando un cenno la sedia davanti alla sua scrivania. La sua pronuncia era imperfetta, la “s” veniva emessa come se fosse sempre una “sh”.
Il ragazzo si sedette su una delle due sedie. Era pronto a sentirsi una ramanzina su un qualche comportamento scorretto tenuto con qualche compagno, come aver ricordato ad alcune persone che la loro famiglia era invischiata nelle vicende giudiziarie del Team Rocket, su cui la magistratura stava investigando in quel periodo.
«Allora Dream, ho ricevuto oggi questa busta dalla Lega Pokémon – disse prendendo in mano una busta gialla aperta - Ogni anno, la Lega Pokémon, regala a tutti voi studenti delle classi finali un Pokémon con cui iniziare la propria avventura. In genere si tratta di un Rattata, un Sentret, un Pidgey o un Hoothoot. Quindi pokémon di tipo Normale o Normale-Volante.
Però, c’è un però. Per tre studenti non è così... Oh no, no, no, no – disse scuotendo la testa con fare buffo, somigliando più ad un Growlithe che tentava di asciugarsi dopo essersi bagnato con dell’acqua piuttosto che ad un adulto serio – per tre studenti, i più meritevoli, i più bravi, quelli che si sono distinti meglio, ci sono alcuni pokémon che mi viene da definire... “speciali”. Il loro tipo non è né Normale né Volante e ne tantomeno una loro combinazione, ma di tipo Acqua, Fuoco o Erba. Questo tipo di pokémon vengono propriamente definiti pokémon iniziali e ti starai chiedendo: “Ma come? Gli altri non sono iniziali?” Ma certo che lo sono, certo che lo sono. Ma questi sono più iniziali degli altri, già, già. D’altro canto bisogna premiare i più meritevoli, eh già – disse annuendo leggermente, con gli occhi sempre bassi e un sorriso di auto-compiacimento per quello che stava pronunciando – e ogni regione ha i propri pokémon iniziali. Noi a Johto abbiamo Totodile, Cyndaquil e Chikorita. Tutto chiaro?».
Dream annuì con un’espressione assente. Aveva forse capito dove il preside volesse arrivare, ma improvvisamente si era ritrovato a diventare dipendente dalla voce e dalle parole dell’uomo. Pendeva dalle sue labbra.
«Bene, è un mio grandissimo piacere annunciarti – disse il presidente con un ampio sorriso sulle labbra – che sei stato valutato come il migliore studente della nostra sede e uno dei tre migliori della Scuola per Allenatori di Johto! Per decidere quale pokémon dovessi tu ottenere i vostri tre nomi sono stati inseriti in un’urna e poi sono stati pescati. L’ordine di assegnamento è stato quello del Pokédex numerico, ovvero il primo ha preso lo starter d’erba, il secondo quello di fuoco e il terzo quello d’acqua. E tu otterrai un esemplare di Totodile!».
Dream spalancò leggermente la bocca, strabuzzando gli occhi. La voce faceva fatica ad uscire dalle sue corde vocali, tentennava, era insicura.
«D-dice davvero?! Io?!».
L’uomo annuì contento, poi si sporse in avanti e fece cenno al ragazzo di avvicinarsi, che obbedì: «Gliel’abbiamo fatta a quelle bestie di Violapoli. Volevano primeggiare anche quest’anno, portare tre loro studenti ma no, niente da fare. Volevano sbeffeggiarmi dicendo che sono un pessimo preside incapace di sfornare allenatori in gamba, e invece, ecco qui, il migliore dei tre viene dalla mia scuola. Avrei voluto vedere quel loro sorrisetto sui loro volti quando hanno visto che la loro busta conteneva solo due nomi!
Che sia di lezione a quelle bestie! Pensa, sono uscite delle registrazioni della videosorveglianza sul telegiornale di alcuni ragazzi, appartenenti alle scuole superiori di Violapoli, che hanno utilizzato lo scivolo dei disabili della Scuola per Allenatori per fare le gare con i motorini. Ma ci rendiamo conto di come è lasciato allo stato brado quell’istituto?! E il loro preside non ha detto nulla, pure di fronte alle registrazioni, ha negato che ci siano falle di sicurezza! Certo, è colpa delle bestie, degli animali, mentre il loro preside era e per sempre sarà un cafone, sempre con quel sorrisetto sul volto...
Per non parlare del graffito apparso su uno delle mura del loro istituto?» Bruno alzò alcuni fogli alla ricerca di una fotografia che tirò su facendola vedere a Dream, come se Dream fosse un giornalista e il preside fosse un politico che faceva campagna elettorale attaccando lo schieramento avversario. La fotografia mostrava un muro con una gigantesca Pokéball disegnata con della vernice, «Ma guarda qua cosa hanno fatto Dream! Questa è stata una ragazza! Sempre delle scuole superiori, una bestia! Una animala! Questa signora finirà poi nelle strade della prostituzione! E il preside? Non fa niente, non la mette una recinzione, non rilascia qualche intervista parlando della bomba sociale che è sotto ai loro piedi, un cafone, Dream, un cafone. Se potessi incontrarlo, lo accompagnerei nelle fogne di Violapoli, gli infilerei di nascosto del formaggio nelle tasche dei pantaloni e poi aspetterei che i Raticate corrano ad attaccarlo.
Prima che io diventassi Preside di questa scuola, in uno dei corridoi del primo piano, quello che conduce ai laboratori c’era una finestra rotta che si apriva da fuori e alcuni criminali entravano e rubavano le Pokéball. Io… IO ho fatto risparmiare soldi ai contribuenti, mentre quell’imbecille poco ci manca che favorisca lo sfruttamento della prostituzione.
Non ti fidanzare con una ragazza di Violapoli, Dream, ti attaccherà tutte le malattie che con il tempo imparerai a conoscere».

Lo sguardo di Dream si fece perplesso e cominciò ad osservare l’orologio sperando che l’uomo si potesse accorgere che quel colloquio era andato anche fin troppo oltre, non solo nelle tempistiche, ma anche nei contenuti.
«Bene, bene mio caro, puoi tornare in classe. Ma mi devi promettere che arrivi alla Lega Pokémon, così gliela faccio vedere a quell’imbecille di Violapoli! “Quello” perché definirlo essere umano è uno sfregio alla biologia, è un insulto a noi due. Non conosce l’utilizzo della grammatica, non è a conoscenza della differenza tra una Ultra Ball e una Poké Ball, i suoi pokémon quando vengono chiamati in campo corrono via sapendo che verranno distrutti. Ma puoi mai mettere un ignorante così formidabile, un ignorante... sia chiaro, ignorante perché ignora, di tali proporzioni a capo di una scuola? Ma è un imbecille...».
«Perché imbelle?» interruppe Dream scherzoso, sorridendo.
Il preside si fermò un attimo turbato, poi cominciò a sorridere: «Anche tu hai l’ironia, il sarcasmo nel sangue e bravo, bravo. Attento però al sorrisetto, prima che ti si paralizzi e diventi come gli animali di Violapoli! Dai, torna in classe, e mi raccomando Dream, mi raccomando, facciamogliela vedere...» provò a finire Bruno venendo interrotto ancora da Dream: «A quell’imbecille di Violapoli».
«Così mi piaci» disse ridendo, salutando il giovane con un cenno.
 
La sveglia suonò e Dream la spense tirando una pacca sulla testa del piccolo oggetto a forma di Hoothoot. Si alzò dal letto e osservo il cielo attraverso le tende della finestra sulla sua sinistra. Scostò leggermente la tenda per osservare il tempo e il paesaggio. Borgo Foglianova era soleggiata come sempre. La città natia di Dream diventava una meta obbligatoria nei primi giorni di settembre quando una serie di tempeste tropicali si abbattevano sull’intera costa Ovest causando grandissimi disagi e danni di vario tipo. Le strade di città come Fiordoropoli si tramutavano in piccoli torrenti, mentre il cielo veniva costantemente ferito da squarci luminosi seguiti da tuoni potenti come i motori di un aereo militare. Il trasporto metropolitano veniva sistematicamente chiuso, a causa dell’allagamento della metropolitana e il traffico aereo veniva dirottato tra il piccolo aeroporto di Ebanopoli e il più grande polo di Zafferanopoli.
Dream, che ne aveva la possibilità, approfittava sempre della casa dei genitori per lasciare la Capitale per quei giorni e tornarci una volta che gli uragani avevano fatto i loro corso.
Scese le scale rapidamente e trovò solo sua madre, seduta sul divano a giocare al tablet. Era curioso, si potevano contare sulle dita di una mano le volte che trovava qualcuno in casa quando si svegliava.
«Ciao...» salutò andando in cucina, guardando la madre.
«Ciao... a che ora sei arrivato ieri?» chiese lei non distogliendo gli occhi dall’aggeggio elettronico.
«Alle undici, dormivate tutti».
Dream aprì la credenza di legno con un vetro smerigliato color smeraldo, tirò fuori una piccola tazza con dentro dello zucchero e un cucchiaino d’argento e una piccola bustina di English Breakfast.
Raggiunse poi un’altra credenza dove tirò fuori un piccolo pentolino che riempì d’acqua e posò sul gas.
«Come va?» chiese il ragazzo sedendosi e osservando la donna.
«Bene, bene, ma il lavoro...» rispose la donna con voce sconsolata.
«Neanche colloqui?»
«No, niente» scosse lei la testa.
«Ma li mandi in giro i curricula?» chiese il ragazzo alquanto dubbioso su quanto stesse affermando la madre.
Erano ormai due anni che si trovava disoccupata e sebbene l’economia e l’occupazione fossero ripartiti con dati consistenti, lei rimaneva ancora senza un posto di lavoro. I due genitori campavano con il solo stipendio del padre, che aveva rinunciato ad andare in pensione a causa della mancanza di lavoro della donna.
«No, beh, sono iscritta alle agenzie di collocamento, ma niente, non c’è niente...» continuò lei con un tono sconsolato.
«Pensa un po’ – ricominciò a parlare la donna con una incredibile dose di ritrovata allegria e gioia – sono su questa chat e ci sono due che stanno litigando... – aprì la bocca sorpresa – oh sono arrivati alle parole grosse! Vieni a guardare, vieni a guardare...».
Dream si alzò e andò verso i fornelli a prendere il pentolino con l’acqua che stava bollendo, versandolo all’interno di una tazza bianca. Poi prese la bustina di the e la immerse nell’acqua fumante.
«Perché non la smetti di stare dietro a quelle puttanate e non ti trovi un hobby, se proprio non riesci a trovare un lavoro?» disse Dream con un filo di rabbia nella voce.
«Oh, che palle, non fare come tuo padre che sta sempre a lamentarsi ogni volta che uso l’iPad» rispose la donna seccata.
«E avrà ragione, ogni volta che vengo qui sei sempre attaccata o al telefono o quel coso. Avessi mai visto un curriculum per ‘sta casa».
La donna per la prima volta guardò il figlio e poi, alzando la voce disse: «Oh ma se non si trova lavoro, cosa ci posso fare?».
«Tutti trovano lavoro tranne te. E tutti queste persone non passano la propria esistenza davanti ad un computer o davanti un telefono o un tablet. Fattele un paio di domande, mamma».
«Ma vieni qui per rompere? Non hai un impegno? Smammare, coraggio, fai tardi!» gridò lei con voce strozzata.
 
Camminando per le vie della cittadina non poté non venir investito da quello che in un primo momento pensò trattarsi della nostalgia. Ogni centimetro della strada era stato marchiato dai ricordi della sua infanzia; e questo non faceva altro che amplificare le parole di Vico di qualche settimana prima. I bombardamenti di Michael e dell’anziano avevano sortito i loro effetti e la memoria non faceva altro che andare alle ore passate saltellando sui muretti e tra l’erba del parco nei pressi di casa sua, quando, con gli amici, giocava a far combattere pokémon immaginari. Lui che trionfante annunciava di poter far combattere Mewtwo per combattere i cattivi del Team Rocket impersonati dai suoi compagni. Ed è curioso pensare che anni dopo combatté per davvero il Team Rocket e catturò realmente Mewtwo.
Però poi cominciò a riflettere e si rese conto che non aveva nostalgia di quando era piccolo e viveva a Borgo Foglianova. Aveva nostalgia delle cose che faceva quando era partito dalla sua città natale. Non gli era mai andato a genio vivere nella città confinante con Kanto. L’aveva sempre trovata opprimente, piccola per lui e accettabile solo nei casi d’emergenza, come quando l’estate terminava. Odiava Borgo Foglianova e odiava tornare a casa dai propri genitori, che per quanto provarono, mai riuscirono a capire il proprio figlio, anche a causa dell’eccentricità del ragazzo stesso.
 
Arrivò con leggero anticipo davanti al teatro, dove sostavano numerosi giornalisti e fotografi.
«Hey Dream!» gridò una voce femminile familiare.
Dream si girò in direzione della persona che aveva parlato e trovò, con sua enorme sorpresa, Annabelle assieme al suo fedelissimo cameraman.
«Oh, Annabelle, che ci fai qui?» chiese Dream avvicinandosi alla collega.
«Pieno di politici oggi. Dopo il caos con Kalos sarebbe carino se si facessero avvicinare per qualche domanda. Ma niente, non mi fanno entrare nel teatro» concluse la giornalista seccata, «Tu hai il pass?».
Dream si infilò una sigaretta in bocca e annuì con il capo. Se la accese, respirò a pieni polmoni e poi buttò fuori tutto il fumo: «Sì, me lo han dato. Cioè, sono stati obbligati a darmelo, ma non per mia scelta e non sono qui neanche come giornalista... Chi dev’esserci?».
«Giovanni e Archer» disse sicura di sé.
«Uh, la merde de la merde».
«Pensi di avvicinarli?».
«No, guarda, stai tranquilla che non ho intenzione di rubarti il lavoro... preferirei iniettarmi del plutonio in endovena piuttosto» disse gettando a terra il mozzicone, poi si congedò, raggiungendo l’edificio.
 
Dream si presentò all’ingresso del salone e mostrò il pass ricevuto qualche giorno prima: «Categoria?»
«Allenatore pokémon» rispose prontamente il ragazzo.
Il poliziotto diede una rapida occhiata al foglio che teneva in mano, poi sorrise aggiungendo: «Prego. Per voi allenatori la file sono la 8 e 9».
Il teatro non era di grosse dimensioni, conteneva meno di cinquecento posti, ecco perché la selezione delle persone all’ingresso fu resa necessaria e obbligatoria. Non possedeva fronzoli decorativi di alcun tipo, era piuttosto sobrio, così come lo era il palco. Un leggio, con microfono e alcune sedie di plastica sul fondo. Tre per gli allenatori che avrebbero ricevuto Chikorita, Cyndaquil e Totodile e altre sedie per il Presidente del Consiglio, Giovanni, Il Governatore di Johto, Archer, il Professor Elm e dirigenti delle scuole di Violapoli e Borgo Foglianova.
Le prime file, invece, erano occupate dai ragazzini non sufficientemente bravi da ottenere uno di quei tre pokémon e sarebbero stati chiamati tutti assieme sul palco.
Le poltrone erano di color rosso, molto comode e soffici. Dream si sedette e cominciò a osservare nervosamente il telefono in attesa che le ore nove arrivassero, ogni tanto lanciò anche qualche occhiata attorno, alla ricerca di un volto familiare, qualche vecchio compagno di classe con cui parlare, ma non riconobbe nessuno.
Era inquieto, sì, e non si sapeva spiegare il perché. Era forse la paura di ricordare arrivato in quel momento così delicato in cui stava combattendo una guerra senza quartiere contro il suo Io?
Il teatro lentamente si riempì e alle nove precise, sul palco apparvero i tre ragazzini, le autorità e il Professor Elm.
Ci fu un lungo applauso e poi il Professore raggiunse il microfono pronto per il suo discorso che teneva annualmente: «E’ sempre un onore per me presenziare a questo evento.
Pochi, ogni anno, si rendono conto della portata storica di questo evento, qui non solo diamo la licenza ai nostri ragazzi di essere degli allenatori di pokémon, no. Noi, in questo giorno riconosciamo al futuro un ruolo cruciale per la nostra esistenza e lo sviluppo della nostra nazione! E lo riconosciamo in maniera così forte che in questo stesso momento nelle altre regioni, i miei colleghi Professori stanno consegnando a voi giovani promesse gli strumenti per affrontare l’avvenire. Una parola che contiene un qualcosa di mistico ma al contempo di misterioso e come ogni cosa misteriosa, incute un po’ di timore.
Ma non dovete aver paura fino a che i vostri pokémon sono con voi al vostro fianco.
E’ una sfida per voi, lo so bene, ma è una sfida anche per noi. Nelle aule scolastiche, noi formiamo la classe dirigente del futuro. E oggi abbiamo qui persone che ne sono la testimonianza vera e propria, il Presidente del Consiglio, Giovanni, a cui dedicherei un grande applauso – tutto il pubblico in sala si alzò in piedi ad applaudire eccetto Dream che osservò nauseato la scena – è stato alunno della Scuola per Allenatori della città di Smeraldopoli, e anche il nostro Governatore Archer, alunno della scuola di Violapoli.
Quindi, miei ragazzi, che voi riceviate un Totodile o un Rattata non pensiate che questo sia un atto di puro formalismo, noi vi consegniamo oggi il futuro della nostra Repubblica.
E ora, accogliete con un grande applauso il primo studente, Max, che riceverà oggi il pokémon Chikorita!».
 
Dream muoveva nervosamente la gamba in maniera vistosa.
Non apprezzava esser al centro dell’attenzione ed essere su quel palco illuminato dai fari lo metteva non poco a disagio.
«Dai, stai tranquillo, andrà tutto bene» gli disse sottovoce il suo vicino. Si chiamava Oro, aveva uno sguardo vispo e sembrava molto tranquillo, a differenza di Dream. Indossava un cappellino da baseball color giallo e nero, con un piccolo ciuffo capelli che scendeva sulla fronte.
Gli occhi erano color nocciola e aveva un naso alla francese di piccole dimensioni.
«Accogliete ora con un grande applauso la prima studentessa, Kristy, che riceverà oggi il pokémon Chikorita!» disse il professor Elm.
La ragazzina seduta affianco ad Oro si alzò in piedi. Aveva i capelli sciolti di color azzurro. Dream la notò solo in quel momento, non ci aveva fatto caso prima.
Era anche lei molto emozionata, impacciata, rischiò di cadere quando si avvicinò al leggio, scatenando l’ilarità del pubblico. Il suo Chikorita sembrava piuttosto estroverso e rimase a guardare il pubblico in maniera estasiata, non ascoltando la sua allenatrice che lo richiamava. Dovette prenderlo in braccio per far proseguire la cerimonia.
«E ora è il turno di Oro, con il suo pokémon, Cyndaquil!» annunciò il Professor Pokémon.
Oro si alzò in piedi e sicuro di sé e andò verso il professore. Gli diede in mano la pokéball e lo invitò a lanciarla. Un piccolo Cyndaquil shiny uscì dalla sfera. Rimasero tutti sorpresi dall’insolita colorazione del pokémon che tendeva più al marrone che al nero. Ma l’attenzione di Dream ricadde più che sul pokémon Fuoco, sulla scioltezza che il giovane allenatore mostrava già avere. Lo invidiava, in un qualche senso. Ne era anche forse un po’ geloso, perché era pienamente cosciente di non poter fare una grande figura come la stava facendo lui.
«Ultimo ma non per importanza Dream, con il suo Totodile!».
Per un attimo il ragazzino pensò di aver sentito il proprio cuore smettere di battere. Fece un respiro profondo e poi si alzò in piedi e lentamente raggiunse il microfono.
Sentiva il collo completamente irrigidito e faceva fatica anche a muovere le braccia verso il professore che gli stava porgendo la sua pokeball. Sembrava come se fosse immerso nel cemento a presa rapida e lentamente stava perdendo la capacità motoria.
«Ecco a te! Coraggio, lanciala!».
Rimase per un attimo fermo sul palco, in silenzio e immobile. Non si ricordava quello che doveva fare e poco ci mancava che dimenticasse anche il suo nome e chi fossero i propri genitori.
Dal pubblico si sollevò qualche brusio, mentre il Professor Elm cominciò ad osservare dubbioso i suoi assistenti, interrogandoli con lo sguardo sul da farsi.
Dream guardava in maniera spenta la pokéball. La testa era leggera, i pensieri altrove, lontani. D’improvviso, la sfera poké si destò da sola e il ragazzino tornò a ragionare.
Non poteva fallire ora. Non poteva fallire proprio nel momento della sua prima incoronazione dopo che aveva passato cinque difficili e lunghi anni a dare il meglio di sé. Non poteva e non voleva fare la figura del miracolato, di quello promosso solo perché altrimenti nessuno avrebbe ricevuto il terzo pokémon iniziale. Sarebbe stata un’onta troppo grave anche a 10 anni.
L’irrigidimento terminò di colpo, gli occhi brillarono e cominciò a sorridere e poi, lanciò la sfera gridando: «Vai, Totodile!».
Il pokémon Mascellone uscì dalla sua sfera e rimase un attimo stordito dalla rumore degli applausi. Si girò verso Dream e i due cominciarono a guardarsi attentamente. La coda del pokémon Acqua sbatteva delicatamente sul legno del palco, scandendo involontariamente la fine degli applausi. In un attimo, Totodile cominciò a correre verso il proprio allenatore con uno sguardo entusiasta e arrivato abbastanza vicino gli saltò addosso venendo abbracciato da Dream.
 
La cerimonia terminò un’ora e mezzo dopo. La maggior parte dei ragazzini rimase assieme ai propri parenti in inusuali abbracci continui e costanti, coscienti che di lì a poco si sarebbero dovuti dividere.
Erano pochi coloro che partirono subito, ed erano ancora di meno quelli che non sarebbero tornati a casa prima di una settimana.
Dream fu uno di quelli. Non importava quante scuse provò ad utilizzare la madre, quante promesse di regalo gli arrivarono se si fosse fermato a casa per un’ultima notte. Non c’era modo di fargli cambiare idea.
Erano passati quindici interminabili anni da quel momento eppure dentro di sé tutto era scolpito in maniera indelebile, come se fossero passati solo pochissimi giorni.
Si guardò attorno uscendo dal teatro e seguì la massa che si dirigeva nel giardino sul retro dell’edificio. Si sentì un pesce fuor d’acqua: lui, l’allenatore più titolato della storia trasformato nell’incarnazione umana dell’indifferenza nei confronti della stessa carriera di allenatore in mezzo ad un party di giovani promesse che sognavano almeno segretamente di poter diventare proprio come lui, conosciuto come un simbolo, non come una persona.
Erano ammassati nella coda quando qualcuno lo chiamò.
«Tu sei Dream, vero?» chiese un bambino affianco a lui, osservandolo con due occhi sgranati e una voce tremante.
«Riccardo, non parlare agli sconosciuti» lo riprese il padre davanti a lui, osservando con sospetto Dream, che gli sorrise imbarazzato.
«Ma papà! E’ Dream, l’ex allenatore! – fece notare il piccolo, che si voltò poi nei confronti del ragazzo – ci possiamo fare un selfie?». Non appena la domanda fu terminata, si ritrovarono in un immenso giardino gremito di persone.
«Che cosa vorresti, scusa?» chiese Dream avvicinandosi lievemente al bambino, osservando con la coda dell’occhio lo sguardo del genitore.
«Un selfie, posso papà? E’ Dream, dai!».
Il genitore sorrise accondiscendente, e poi, imbarazzato a sua volta, con un tono di scusa, si rivolse al Campione: «E’ così ossessionato dai Campioni, conosce persino la squadra con cui hai battuto la prima Lega...».
«Beh, alla fine non è molto difficile, ho usato...» tentò di far presente Dream venendo interrotto dal neo-allenatore: «Hai usato un solo Feraligatr, possiamo farci la foto?».
«E va bene, facciamoci il selfie come un Matteo Renzi qualsiasi».
Il padre del piccolo prese in mano il suo smartphone bianco e scattò la foto, aprendo poi Facebook pronto a caricarla, scandendo ad alta voce la didascalia che si sarebbe apprestato a scrivere «Riccardo e l’ex allenatore Dream».
Ex allenatore”, per la seconda volta. Tante volte si era definito in quel modo, tante volte si era sentito chiamare in quel modo, ma mai, come in quel momento, qualcosa si mosse dentro. Una sensazione di fastidio misto a paura e terrore. La paura di esser dimenticato, il fastidio non vedere riconosciuto il proprio sudore, il terrore di quel mistero chiamato “oblio”.
E pensare che c’è chi ha fatto una battaglia legale per finire nel dimenticatoio, Google lo chiamava “diritto all’oblio”. Un diritto che come tale può esser esercitato. Ma che in questo caso non è stato voluto, è arrivato, è piombato in una mattina di Settembre e ha bussato alla porta presentandosi e inghiottendo Dream.
Sorrise mentre ci pensava. Il tempo bussa alla porta di tutti, chi prima e chi dopo. Ma quando arriva all’uscio, l’oblio è una condizione apparentemente irreversibile e Dream ci era piombato dentro senza neanche rendersene conto.
Era forse questo il prezzo da pagare per aver frequentato persone, essersi finto loro amico mentre nel profondo i commenti sprezzanti si sprecavano? Non bastava aver pubblicato un libro per essere definito uno scrittore, non bastava possedere una telecamera per esser un regista e non era sufficiente avere un bel corpo e indossare abiti di buon gusto per poter esser ricordata come la più grande top model. Ma la gola era serrata e il sorriso sempre mostrato. E via a via era sempre più facile farlo, ma al contempo diveniva sempre più difficile.
Era questo il prezzo da pagare per aver contribuito all’accrescimento dell’ego di persone  già sull’orlo del baratro che ormai vivevano per partecipare a party di dubbio divertimento?
E dunque, era il prezzo per aver reso Fiordoropoli quanto di più vicino ad una moderna Babilonia?
 
«Cosa farai questa sera, tu?» chiese il bambino osservando con un’immensa curiosità una volta che lui si girò per allontanarsi. Dream che ricambiò lo sguardo curioso.
«Andrò ad un party con gli amici e berremo tanti drink, Riccardo, tanti. Così tanti da dimenticare lo squallore delle nostre vite, così tanti che riusciremo a nascondere le nostre vuote vite con racconti al limite del vacuo. Nascondiamo così la nostra squallida esistenza. E poi, quando il Sole fa capolino dalle Rovine D’Alfa, illuminandoci con i suoi accecanti raggi, ci diciamo che ci siamo trovati bene, che ci siamo divertiti e torniamo a casa a dormire. Una bugia per proteggerci dagli altri. E per proteggerci da noi stessi.
No Riccardo, non salverò il mondo dai criminali, non più per lo meno. Non riesco neanche a salvare me stesso...» e ricominciò ad allontanarsi.
Pensò a quello che aveva detto al bambino poco prima, trangugiando il drink che si era fatto versare nel bicchiere di cristallo.
Non poteva finire così, lui che aveva combattuto tanto per essere il migliore ora era un “ex”. Ecco, la realtà gli si era rappresentata sotto gli occhi, tutti quei discorsi sul vuoto, sulla volontà di combatterlo scappando da esso non avevano fatto altro che condurlo tra le braccia dell’oblio. E l’oblio non solo della fama, di cui in poco tempo si dimenticò non facendoci neanche più molto caso, ma quello interiore.
Si sedette, mettendo la testa tra le ginocchia, non stava capendo più nulla. Se fosse stato un pokémon si sarebbe colpito da solo per la confusione che aveva in testa.
Si domandò cosa volesse fare della sua vita e rispose che voleva allenare, perché solo la grinta da utilizzare nelle lotte pokémon lo soddisfaceva appieno. E quando la battaglia sarebbe finita? Come avrebbe colmato il vuoto che tanto aveva combattuto e condannato?
Si tirò uno schiaffo sulla nuca, stanco ed esasperato.
Se come diceva Michael il vuoto era nell’ordine naturale delle cose, allora non aveva senso continuare su quella via, tanto valeva colmarlo con una carezza, una buona parola. Era stanco di scappare da una parte del suo passato. Non erano le sue gesta ad esser pesanti per la sua persona, era proprio lui. E per quanto detestasse ammetterlo in quel momento, i grandi party sulle terrazze della Capitale gli lasciavano lo stesso vuoto che riscontrava terminando e vincendo una battaglia.
 
Si rialzò da terra e tornò in mezzo alle altre persone.
Con la coda dell’occhio intravide anche il preside Bruno Foglio che parlava con il preside della scuola di Violapoli. Da tutt’altra parte invece il Professor Elm, con i suoi occhi carichi di speranza nonostante di allenatori che avevano raggiunto l’apice per poi crollare miseramente ne aveva visti  e benedetti parecchi.
Si avvicinò al buffet, facendosi dare un piattino di ceramica bianca con alcuni quadratini di pizza e poi nuovamente si allontanò leggermente dalla ressa limitandosi ad osservarla piuttosto che ad interagire con loro.
«Dream, giusto?» chiese una voce maschile alla sua sinistra. Mandò giù il boccone e poi si voltò, sorridendo sorpreso: «Esattamente Archer, non mi riconosce più?».
Archer era un uomo dai capelli color platino e gli occhi azzurri. Il suo sguardo era glaciale, anche grazie ad un’espressione che definire inquietante era un eufemismo. Il modo in cui ti osservava ti suggeriva che da un momento all’altro le tue interiora sarebbero fuoriuscite dal tuo corpo e utilizzate per qualche bizzarro rito voodoo mentre la tua testa sarebbe stata infilzata all’interno del muro di cinta di un campo per marcare meglio il territorio.
Dal 2005 era diventato Governatore della Regione di Johto e la comandava ininterrottamente con maggioranze che divenivano sempre più solide elezioni dopo elezioni. Era l’uomo fidato di Giovanni, il suo braccio destro.
«Ci siamo già conosciuti?» chiese l’uomo con arroganza, fingendo di non ricordare.
«Oh, qualche anno fa... se non sbaglio lei stava tentando un colpo di stato occupando alcuni punti strategici della Capitale tra cui la torre radio per mettersi in contatto con un certo Giovanni e se non sbaglio, ma non vorrei fare una gaffe, aveva una divisa con una bizzarra “R” scritta in rosso, ricorda?».
«Temo di no, sono spiacente….» rispose risoluto l’uomo.
«Eppure ero convinto che la faccia da culo fosse la medesima... – disse Dream simulando un’espressione dispiaciuta. Poi si ricompose e guardo provocatoriamente il politico – allora, di che cosa voleva parlarmi Signor Governatore?».
«Per prima cosa le ricordo che le accuse mosse a mio carico per gli avvenimenti del 2001 si sono dimostrati una clamorosa montatura da parte delle forze dell’ordine dato che ne sono uscito assolto con formula piena».
«Certo, ma non vorrei essere io a ricordare che il giudice che in primo e secondo grado l’ha assolta era stato poi accusato di esser stato corrotto da un mai ben chiarito politico di grandissima importanza».
«Le accuse a suo carico si sono dimostrate infondate...» tentò di precisare l’uomo.
«Certo, perché il Consiglio Superiore della Magistratura Giudicante ha posto il veto delle indagini nei confronti del giudice»
«Quindi ho ragione...» rispose Archer sorridente.
«...Quindi dimentica di sottolineare che una parte di quei giudici era stato scelto dal Governo e una parte di quei giudici era stata scelta dal Presidente della Repubblica eletto dalla forza di maggioranza, e quindi di Governo. E indovini un po’ chi aveva la maggioranza in Parlamento nel 2005?».
L’uomo serrò la mascella e chiuse leggermente gli occhi, che diventarono due fessure.
«Mi dispiace che la sua poca intelligenza la porti a fare considerazioni di questo tipo, ma non sono certamente qui per dibattere con lei della mia fedina penale, che ricordo è essere intonsa.
Anzi, sono qui per farle un favore, perché a differenza di come mi ha appena dipinto, io sono una persona gentile e premurosa nei confronti dei cittadini della mia regione».
«E sentiamo allora, Governatore» pronunciò Dream non nascondendo una forte dose di curiosità.
Archer si avvicinò all’orecchio sinistro del ragazzo, cominciando a sussurrare: «Alcune voci di corridoio che mi sono giunte all’orecchio, le ricordo che sono indiscrezioni di cui non conosco l’ufficialità, mi dicono che la commissione d’inchiesta parlamentare abbia puntato gli occhi su di lei... le consiglio di mantenere un profilo basso, non vorrei mai che uno dei miei più illustri cittadini potesse venir arrestato».
«E’ per caso una minaccia?».
«Ma no, ma no, si figuri – disse allontanandosi e parlando con un tono di voce normale – la prenda come una semplice indiscrezione! Tragga lei le dovute considerazioni!».
Dream sorrise e fece un cenno all’uomo di avvicinarsi. Questa volta fu lui a parlare sottovoce: «Allora mi permetta di restituirle il favore, Archer.
Prenda come “semplici indiscrezioni” il fatto che il governo degli Stati Uniti abbia puntato gli occhi su di voi in maniera più che sospetta. E anzi, le dirò di più, lo stesso Presidente si è detto propenso a tagliare i rapporti diplomatici e di chiudere l’ambasciata americana che ha sede nella nostra Repubblica a causa degli evidenti tribunali politici e delle palesi violazioni dei diritti umani che state mandando avanti, ma ripeto, questa è una “semplice indiscrezione”. E prenda come “semplice indiscrezione” il fatto che il Governo americano, la NATO, il Regno Unito e l’intera Unione Europea non hanno affatto gradito le dichiarazioni di alcuni parlamentari di Repubblica Nuova che hanno suggerito l’utilizzo della forza militare se Kalos non estradasse in tempi brevi tutte le persone che quella famosa commissione parlamentare ha messo in arresto e che voi siete riusciti a farvi scappare da sotto il naso.
Ma prenda tutto questo come “semplice indiscrezione”, si figuri. Non è stato mica emanato un comunicato stampa della NATO che tutto il mondo ha riportato tranne i giornali del nostro Paese perché assoggettati al partito Repubblica Nuova di cui lei è rappresentante.
Ma sa, ci conosciamo da così tanto tempo che mi permetto di farle una confidenza. Sarei curioso, davvero curioso, di vederla all’opera mentre tenta di frenare un’invasione statunitense dopo che si è fatto battere da un ragazzino di dieci anni quando lei aveva almeno il doppio dell’età ed era a capo della più importante organizzazione criminale che questo Paese abbia conosciuto dopo il partito di cui lei fa parte... sebbene siano l’una la conseguenza dell’altra» Dream infilò il piattino nelle mani dell’uomo e si girò per imboccare l’uscita.
Poi si voltò nuovamente e gridò per farsi sentire dalla persona verso cui si era appena congedato: «Ah, Archer. Dica a Giovanni che Mewtwo lo saluta!».

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Déjà vu ***


Capitolo 15 – Déjà vu
 
«Pokémon 5 Stelle si conferma una forza anti-sistema: nella serata di ieri ha confermato la volontà di bloccare l’accesso al Parlamento per impedire il raggiungimento del numero legale e far saltare così la votazione sulla Legge Milas, che prevede l’immunità da inchieste della magistratura sui membri del governo.
Il Capogruppo della maggioranza ha portato la questione nell’Ufficio di Presidenza riuscendo ad ottenere il consenso del Presidente della Camera all’autorizzazione per far intervenire le forze di polizia e permettere così una votazione corretta.

“Non accettiamo alcuna dittatura della minoranza – ha dichiarato Giovanni – le inutili forze d’opposizione, democratici e Pokémon 5 Stelle, dovrebbero stare attenti a come si pongono nei confronti del governo poiché certi loro atteggiamenti hanno un sapore vagamente fascista! Non sono capaci di far fuori il Presidente Giovanni tramite una lotta politica e lo vogliono fare bloccando una sacrosanta legge che mette fuori uso una magistratura politicizzata!”. Non si è fatta attendere la risposta del Capopalestra di Ciclamipoli, capo dei 5Stelle: “Sono tutti morti politicamente, destra e sinistra. Giovanni si aggrappa a queste leggi vergogna e le fa approvare dal suo scagnozzo messo come Presidente della Camera che fa solo quello che gli viene espressamente ordinato dal nuovo duce. Noi lo spazzeremo via questo sistema e lo ricostruiremo da zero, potete starne certi” ha concluso Walter» lesse Dream ad alta voce, chiudendo il giornale e ponendolo su un lato del piccolo tavolino davanti a sé.
Osservò sorridente il barista che gli stava portando il cappuccino e brioche che aveva ordinato e poi gli fece cenno di sedersi.
«Allora, è vero che hai lasciato il Corriere?» chiese l’uomo osservando Dream che immergeva la brioche all’interno della bevanda calda.
«Da quando esistono i gossip sui giornalisti?» disse ironico Dream dopo aver ingurgitato un pezzo della sua colazione.
«Giornalista? Tu al massimo scrivevi qualche reportage simpatico perché non avevi peli sulla lingua, ma fidati Dream, tu stai al giornalismo come io sto ai pokémon di tipo Acqua... e ho solo pokémon Fuoco, sappilo».
«Non ti facevo così critico nei miei confronti, Pietro» sorrise Dream.
Pietro possedeva un piccolo bar poco distante il cuore finanziario di Fiordoropoli. Era una persona socievole, sapeva intrattenere bene i clienti non risultando mai invadente. Cinquantenne, capelli rasati a zero, pizzetto grigio e occhi verdi, con il volto scolpite dalle rughe, a causa del tempo e del troppo sole preso.
«E tu ti sorprendi sempre quando ti dico queste cose, bello. Hai la memoria corta. Lo lasci o no il giornale?».
«Ti dico che ho davvero cominciato a riflettere sull’opportunità di lasciare la redazione, sì...».
«E ti butti in politica? Vedo che ci stai dietro ai giochi di Palazzo».
«Avevo pensato anche a questa cosa, ma non fa per me. Anzi quando nei videogame c’è da scegliere tra l’approccio silenzioso e quello à la Terminator, io opto sempre per quest’ultimo. Vai in Parlamento e ti devi adeguare ai protocolli, alle regole, al loro “buoncostume”... E poi guarda, finché i Pokémon 5 Stelle non superano il 20%, trovo abbastanza difficile pensare che ci sia posto per me in quel Parlamento».
«Dream, ci sono poche certezze nella mia vita – disse l’uomo alzandosi e mettendosi lo straccio bianco posato fino a quel momento sulle ginocchia sulla spalla sinistra – ma posso garantirti che una certezza è il mio voto al Partito Democratico».
«Sai Pietro, per lavoro qualche mese fa sono entrato nella loro sede e improvvisamente è diventato tutto bianco e nero...» affermò sarcasticamente il giovane, mentre terminava ormai la sua colazione.
«Io invece non ho mai conosciuto nessuno, dico nessuno, che mi ha dato un motivo valido per votare Walter. E mi sorprende che una persona con una cultura elevata come la tua vada a votare un gruppetto di populisti come quelli. Quindi hai un buona ragione per farlo?» chiese l’uomo con un sorriso provocatorio.
«Pietro, il periodo in cui gli intellettuali votavano a sinistra credo che sia finito negli anni ’70. Siamo nel 2016, le ideologie sono dei bellissimi feticci con cui si esercitano i ragazzini nelle università. Certo che ho dei buoni motivi! Le buone motivazioni sono l’unica cosa decente rimasta in questo Paese, e per quanto sia scorretto fare processi alle intenzioni, non ci troviamo in nessun’altra posizione se non quella di dar loro fiducia. E ti spiego perché: l’annessione di Auros non l’ha fatta Walter, l’han fatta i democratici, con l’accordo di Giovanni. Il buco di bilancio l’ha fatto Repubblica Nuova, mentre i democratici nascondevano la testa sotto la sabbia. Il mio voto ai Pokémon 5 Stelle non è una scelta casuale, ma è esattamente ciò di cui questo Paese ha bisogno come valvola di sfogo per sfuggire dal vuoto che rappresentano a sinistra i tuoi democratici e dalla statalizzazione che presentano i nuovi fascisti che abbiamo invece a destra. Credo che definirli “anti-sistema” sia l’ideale nel contesto storico in cui stiamo vivendo, assumono una posizione contraria alla nostra organizzazione politica perché fanno loro i fondamenti su cui si basa la nostra Costituzione: ovvero la libertà degli individui. La libertà è quella che il governo ci ha tolto oggi, Pietro. La libertà di scegliere cosa essere e cosa pensare».
«Guarda che i fascisti, come i 5Stelle, si dichiarano “anti-sistema” e volevano fare pulizia».
«Anche mia zia fa le pulizie, Pietro, ma non per questo ha il busto di Mussolini sul comodino della camera da letto».
«Lasciamo perdere dai – terminò l’uomo sorridendo, cominciando a sciacquare alcuni bicchieri nel lavandino e mettendoli poi uno dietro l’altro – allora, se è vero che lasci il giornale, cosa farai?».
«Penso che tornerò ad allenare» rispose glaciale Dream, alzando leggermente la maglietta e mostrando sei Pokéball alla cintura.
Neanche lui, il giorno prima si sarebbe aspettato di prendere una simile decisione e invece quella mattina, dopo essersi lavato, ha chiamato a raccolta i suoi pokémon, li ha fatti entrare nelle rispettive sfere e poi è uscito di casa, colazione da Pietro e poi allenamento in un percorso poco lontano da Fiordoropoli.
«Quindi torni a fare il tuo vecchio mestiere, eh? Perché hai lasciato?».
«Mi annoiavo...» rispose lui, riprendendo in mano il quotidiano e aprendolo alla parte dedicata agli spettacoli.
«Beato te che hai il lusso di poterti annoiare, caro ragazzo» rispose l’uomo, scomparendo sotto il bancone. Aprì la lavastoviglie e ne estrasse il cestello in plastica grigia dove inserì accuratamente i bicchieri e le tazzine precedentemente sciacquate.
Alla radio veniva prodotta una melodia malinconica, solo con l’utilizzo di un pianoforte. Poi partì una voce graffiante, da donna:
«I had given up
I didn’t know who to trust
So I designed a shell
Kept me from heaven and hell».
«Da quando annoiarsi è un lusso, Pietro? Io farei di tutto pur di non annoiarmi» continuò Dream osservando il giornale, leggendo disinteressato la recensione di un collega di un concerto pop.
«Quando hai delle preoccupazioni non trovi il tempo di annoiarti. Rimane troppo mese a fine stipendio».
Dream osservò il proprietario del locale sorpreso per la risposta, sentendosi in palese imbarazzo per la piega che aveva preso la conversazione a quel punto.
La porta di vetro del bar si aprì con un lieve suono di campanello e apparve un bambino di circa dodici anni. Aveva capelli castani scompigliati, gli occhi arrossati così come la pelle del naso vicina alle narici. Le guancie erano solcate dalle lacrime. Si avvicinò al bancone tirando su con il naso, tirando fuori un foglio di carta piegato più e più volte e ponendolo davanti al proprietario del locale.
«Posso lasciare una copia di questo volantino anche qui, per favore?» la voce era docile, tremante.
«Di che cosa si tratta?» chiese in maniera burbera Pietro, poco avverso a volantini pubblicitari.
«Ho perso il mio Umbreon c’è una sua foto e tutti i recapiti dove posso esser contattato nel caso lo avvistiate». Nel sentire quelle parole Dream cominciò a scuotere la testa tra il divertito e l’incredulo. Se c’era qualcosa al mondo che non sopportava era quella che veniva abitualmente definita “l’ironia della sorte”. Il ricordo del pokémon di cui si era liberato da poco irrompeva improvvisamente, come uno scherzo del destino, proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto ricominciare ad allenare.
Pietro scrutò attentamente il volantino e poi esclamò: «Un altro pokémon smarrito? Ma che cos’è, una moda?», il bambino lo osservò spaventato, mentre un brivido percorse la schiena di Dream. «Ne sono scomparsi altri?» chiese il piccolo, Pietro annuì con la testa, cinque pokémon in tre giorni, tutti nei dintorni della Capitale. La mente di Dream tornò ad Auros, quando i pokémon rapiti e abbandonati finivano in un laboratorio sotterraneo come cavie di esperimenti indicibili e considerati alla stregua di un genocidio.
Dream chiuse il quotidiano e si sistemò il cappello con la visiera sul capo. Si assicurò di avere i guanti ben aderenti alle mani e poi si alzò camminando in direzione del ragazzino.
«Me ne puoi dare una copia?» chiese con voce sicura.
Il ragazzino lo osservò un attimo turbato e poi, con un mano tremante glielo consegnò nelle mani.
«Quando è successo?» continuò Dream osservando attentamente il volantino.
«Ieri , mentre stavo camminando per il Percorso 34. All’improvviso ha cominciato a correre e non voleva tornare indietro. Lo chiamavo, lo chiamavo e non si fermava, sembrava ipnotizzato da qualcosa. Ha raggiunto l’erba alta e non l’ho più visto…».
«Va bene... Se non ti dispiace questo volantino lo tengo. Sto per andare al Percorso 37, se vedo qualcosa ti chiamo; ti consiglio di portare i volantini anche ai ranger del Parco Nazionale e a quelli del Bosco di Lecci. Se non lo hai già fatto, avvisa anche la polizia… Ha qualche segno particolare?».
«Ha un piccolo taglietto all’orecchio sinistro».
 
Dopo circa dieci minuti Dream lasciò il locale. Tirò fuori dalle pokéball tutti e sei i suoi compagni e cominciò a correre a ritmo sostenuto, venendo seguito fedelmente.
Era inusuale vedere una sola persona seguita da così tanti pokémon, dato che solitamente si vedevano al massimo persone seguite da un solo elemento della propria squadra.
Correva osservando attentamente tutte le persone per strada a che incrociava. Controllava se avessero auricolari o telefoni cellulari visibili. Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di esser osservato, l’idea che qualcuno stesse tenendo traccia di tutti i suoi movimenti. Non capiva se era un’impressione dettata dalla conversazione avuta con Archer qualche giorno prima oppure era davvero tenuto sottocontrollo.
 
Gli allenamenti di Dream erano particolarmente duri per sé e per la propria squadra. Mandava in campo due pokémon alla volta: uno con il compito esclusivo di attaccare l’altro invece doveva esclusivamente difendersi. Una volta che riteneva sufficiente quanto fatto, i due pokémon si invertivano i ruoli, bilanciando così l’allenamento.
Prima di ogni addestramento, era tradizione fermarsi presso il Pokémon Market per l’acquisto di tutti gli strumenti utili alla salute del pokémon. Non badava a spese e acquistava le migliori marche delle iperpozioni e di tutti gli strumenti che potevano curare i problemi di stato, come gli antidoti, le sveglie, gli antiparalisi, revitalizzanti massimi e anche e anche creme come le cure totali. Dream era un volto familiare anche presso l’Erboristeria “Fratelli Capelli”, dove comperava erbe come la Polvocura, Vitalerba e la Radicenergia, medicazioni poco apprezzate dai pokémon ma con cui la squadra di Dream aveva cominciato a convivere ritrovandosi costretta ad apprezzarle.
Arrivato sul Percorso 37 mandò in campo i due pokémon che nella battaglia con Michael non avevano avuto una performance brillante. Bisognava rafforzare gli anelli deboli e metterli in paro con il resto della squadra. Il perfezionismo quasi maniacale del Dream allenatore lo spinse a chiedersi che cosa aveva sbagliato nella sua prima lotta. Scarsa esercitazione? Strategia errata o un allenatore effettivamente troppo bravo? Ogni opzione andava sondata, analizzata e bisognava trovare la risposta poiché da quel momento in avanti niente doveva esser lasciato al caso.
Dream lanciò le due pokéball e fece uscire Espeon e Dragonite contemporaneamente.
«Dragonite, usa Tifone, Espeon, Schermoluce!» gridò con tutta la voce che aveva in corpo.
Dragonite, che era in piedi davanti il pokémon Psico, si alzò orgoglioso in volo e cominciò a sbattere con forza le ali. Espeon, come ordinato dal suo allenatore, creò davanti a sé un vetro appena visibile che doveva resistere agli attacchi di Dragonite. La quantità di polvere, foglie e terra alzata era incredibile, il Drago aveva generato una serie di veri e propri turbini che si stavano dirigendo con moderata velocità nei confronti del pokémon avversario, che cominciò a indietreggiare sospinto dal vento.
«No, Espeon, così non ci siamo. Più concentrato o verrai spazzato via!» incitò il ragazzo da bordo campo.
Espeon divaricò le zampe anteriori, spinse la testa leggermente in avanti abbassandola di poco e poi incrementò la resistenza della mossa.
«Ok, Espeon, ora arriva. Tieniti pronto, ci sei?» chiese l’allenatore.
Il primo tifone colpì Espeon che indietreggiò leggermente, abbassando involontariamente la guardia. Fu sufficiente il secondo colpo per far volare in aria il pokémon Psico e lanciarlo diversi metri indietro.
«Stop, Dragonite. Scendi» ordinò il ragazzo mentre correva verso il pokémon colpito tenendo in mano delle piccole bacche: «Ecco, tieni Espeon».
Espeon mangiò la Baccarancia e subito si alzò sulle quattro zampe, venendo ritirato assieme alla sua controparte, lanciando in campo Meganium e Pidgeot seguiti poi da Feraligatr e Typhlosion.
Fu dopo la fine della prima parte dell’allenamento che decise di fare una pausa pranzo per recuperare le energie.
Il ragazzo cadde così a terra provato. Strinse tra le mani la terra umida, la sbriciolò fino a sporcarsi completamente i palmi di ambo le mani. Non era più abituato a ritmi così serrati e non lo erano neanche i suoi compagni che si godevano quel sole pallido di inizio autunno. Ma d’altronde sapeva che non sarebbe stato facile e forse la cosa lo affascinava ancora di più.
Osservò uno stormo di Butterfree volare verso nord, verso Amarantopoli, seguiti da un gruppo di ragazzini che parevano essere degli allenatori. Due di loro avevano dei pokémon che li seguivano, un Primeape e un Arcanine.
 
Quando l’orologio da polso segnò le due di pomeriggio precise, l’addestramento ricominciò.
«Dragonite, non dovrai mai alzarti in volo, ma utilizzerai Doppioteam per eludere l’avversario. Espeon, a te il compito di attaccare. Individua Dragonite e usa Psicoraggio…. Tre, due, uno, via!».
Rapidamente, una decina di Dragonite apparvero in maniera sparsa sul campo di lotta, mentre Espeon socchiuse lentamente gli occhi, lasciandosi solo un piccolo spiraglio d’osservazione. Rapidamente gli riaprì e corse in direzione del vero Dragonite e con un movimento secco della testa eseguì lo Psicoraggio.
«Bene così, Espeon. Dragonite, coraggio, contrattacca con Extrarapido!».
Dragonite sferrò così un pugno in direzione dell’attacco di Espeon. Il raggio del pokémon Psico impattava, senza danni, sul pugno destro del Drago. Una situazione di stallo assoluto, nessuno riusciva ad avanzare e al contempo nessuno dava spazio per retrocedere. Dragonite cominciò a gridare mettendo ulteriore forze nel suo attacco mentre Espeon socchiuse gli occhi tentando di potenziare il suo attacco speciale.
Poi, un flash, nero. In pochi secondi una figura nera proveniente dall’erba alla destra del Drago lo assalì, mordendogli la zampa con cui stava sferrando l’attacco. Dragonite urlò di dolore e cominciò a vacillare mentre i suoi occhi sgranati erano fissi sul misterioso attaccante. Extrarapido perse potenza permettendo allo Psicoraggio di Espeon di colpire dritto nel petto Dragonite, che volò all’indietro roteando su se stesso e finendo a terra.
Fu solo quando la polvere si alzò dal punto in cui era caduto il pokémon che Dream e Espeon si resero conto di quanto era accaduto.
Il pokémon Psico corse immediatamente verso il compagno osservando con fare minaccioso colui che aveva attaccato deliberatamente Dragonite. Dream lo superò dalle spalle, osservando l’avversario solo dopo essersi accertato che il proprio pokémon stesse bene.
Un quadrupede dal pelo nero, con alcune zone in cui il pelo diventava giallo luminoso. Due occhi rossi e due lunghe orecchie nere a punta, di cui quella sinistra caratterizzata da un piccolo taglio, un Umbreon.
«Espeon mantieni alta la guardia e non farti problemi ad attaccare» gridò Dream mentre stava inserendo nella bocca di Dragonite una Radicenergia.
Quando gli occhi di Dream tornarono ad osservare il pokémon Buio, ecco che questi cadde a terra esausto, «Déjà vu» sussurrò il ragazzo avvicinandosi lentamente all’esemplare di Umbreon. Presentava delle ferite su tutto il corpo e l’orecchio sinistro era tagliato. Non vi erano dubbi che il ragazzino incontrato al bar di Pietro era il suo proprietario. Si mise ad osservare le ferite, fresche, non imputabili a dei semplici graffi provocati dai rami degli alberi. Erano ferite da maltrattamento ed erano troppo profonde per poter esser state infierite da un bambino di appena dodici anni. No, c’era qualcuno che aveva voluto volutamente far male a questo pokémon, qualcuno di adulto e un brivido corse lungo la schiena pensando agli altri pokémon scomparsi nei giorni precedenti.
Dream si guardò nuovamente attorno, osservò attentamente gli alberi cercando di capire se ci fosse qualcuno pronto ad attaccarlo di sorpresa, ma non vide nessuno. Eppure quella sgradevole sensazione di esser osservato si fece nuovamente sentire. Per un momento gli passò anche tra la testa l’idea di far abbattere a Espeon ogni arbusto nelle vicinanze e scovare chi lo stesse osservando con così tanta insistenza e chiedergli come mai non ha fermato un pokémon ferito da un’aggressione immotivata. Poi gli venne in mente che avrebbe dovuto spiegare il perché di un gesto così sconsiderato e rispondere, anche penalmente, dell’eventuale ferimento di qualche passante e considerando i moniti di Archer qualche giorno prima era meglio evitare qualche gesto avventato.
Con un gesto lento ritirò Espeon nella propria ball e contemporaneamente fece avvicinare Dragonite a sé, mettendogli il corpo privo di conoscenza di Umbreon sulle zampe anteriori.
«Hai l’ordine tassativo di portare questo pokémon al Centro Medico di Fiordoropoli. Se qualcuno prova ad attaccarti con ogni mezzo hai il dovere, ripeto il dovere, di abbatterlo con tutti gli attacchi che conosci. Ci siamo intesi?».
Dreagonite annuì.
«Bene, ora vai» e il Drago si librò rapidamente in cielo, dirigendosi verso la Capitale, seguito da Dream a bordo del proprio Pidgeot.
 
Le porte di vetro scorrevoli si aprirono e Dream entrò all’interno del Centro Medico seguito da Dragonite.
Joy strabuzzò gli occhi tanto era sorpresa dal vedere il ragazzo.
«Dream, che sorpresa vederti, che ci fai qui?» chiese, poi i suoi occhi andarono a posarsi sul pokémon portato in braccio dal Drago, il suo sguardo si incupì e la sua voce ebbe una flessione malinconica e preoccupata: «Cosa succede?».
«Ha attaccato Dragonite e poco dopo, senza che lo toccassimo, è caduto a terra svenuto. Ha ferite da... da... da non lo so. E non credo di volerlo sapere, in tutta sincerità» concluse Dream.
L’infermiera uscì dal bancone, fece cenno ad un paio di Chansey di portare un lettino ospedaliero e poi si avvicinò ad Umbreon osservando con attenzione il pokémon. Poi guardò l’orecchio sinistro, tagliato e si mise la mano sinistra sul cuore, come se gli mancasse l’aria: «Questo pokémon è scomparso ieri. Non era scappato, era stato rapito!» disse con voce piena di terrore, poi sparì nei meandri del Centro seguita dai suoi assistenti di laboratorio.
Dream raggiunse velocemente il telefono e contattò il ragazzino, Adam, comunicandogli la notizia e chiedendogli di raggiungerlo il prima possibile all’ospedale. Rimise la cornetta a posto e poi cominciò a guardarsi attorno.
La grande sala d’attesa che coincideva con il salone dell’ingresso era completamente vuota. Il sienzio era interrotto dallo sfarfallio continuo di una qualche lampada a neon.
Si sedette su una delle poltrone rosse poco distanti dal telefono e continuò ad osservarlo, muovendo nervosamente la gamba destra.
Si alzò di corsa e agguantò con forza il ricevitore, premendo i numeri della tastiera con rabbia e rapidità.
«Pronto?» pronunciò una voce femminile.
«Vera, sono io, Dream» disse il ragazzo con un tono di voce basso.
Si doveva arrendere al nemico, ingoiare l’orgoglio e consegnarsi.
«Ah... che vuoi?» fece la ragazza seccata.
«Vera se ti presto uno dei miei pokémon mi raggiungeresti al Centro Medico per pokémon di Fiordoropoli? Ho bisogno urgentemente di parlarti».
«Beh, non puoi farlo al telefono?».
«No, Vera, non posso, non è un argomento di cui non si può parlare di persona» insistette il ragazzo.
«Si dia il caso che ora sia molto occupata...».
«Vera, non ti chiamerei se non fosse dannatamente importante e se tu non fossi l’unica persona al mondo in grado di aiutarmi».
«Dream, ho da fare» continuò la ragazza, che non voleva cedere di un millimetro nei confronti di Dream.
«Ti prego di ascoltarmi, non si tratta di me, si tratta dei miei pokémon, del loro futuro e della loro vita, probabilmente. Sei l’unica che può fare qualcosa, che può salvarli, quindi ti prego, puoi venire qui?».
Passarono alcuni istanti di assoluto silenzio che sembravano ore. La tensione era così forte e presente che era possibile tagliarla con un coltello.
«Spediscimi Salamence – riprese a parlare la donna, provocando una sensazione di forte sollievo nel cuore del ragazzo – sarò lì il prima possibile».

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Tutto Muore ***


Capitolo 16 – Tutto muore
 
«Giuly, ma tu lo sai di cosa parla “Born To Die”?» chiese Dream osservando sorridente l’amica, come se non riuscisse a trattenere le risate per quello che aveva in mente.
Era una giornata soleggiata e i due ragazzi erano seduti comodamente su un grande telo posato sul prato del Parco Nazionale. La primavera era ufficialmente iniziata un paio di mesi prima, ma solo in quel primo giorno di Maggio il caldo aveva bussato alle porte della Capitale.
«La canzone di Lana del Rey?» chiese lei, sorpresa dalla domanda ricevuta.
«Esattamente, hai mai analizzato il testo?», la ragazza fece di no con la testa.
«Peccato, è davvero bello. Parla di due ragazzi, fidanzati, che non fanno altro che scopare. Scopano, scopano e scopano. E lo fanno alla grande, tant’è che poi muoiono».
«Muoiono?» chiese accigliata la ragazza.
«Sì – annuì – di infarto. Lo sforzo è talmente grande che il cuore non regge e muoiono. Non trovi che sia ironico?». Dream aveva un sorriso divertito sul volto. I suoi occhi erano allegri, brillavano di vita, curiosi nel sentire cosa pensava la sua amica della sua interpretazione.
«Credo di non seguirti…» continuò la ragazza, rimanendo poco convinta di quanto diceva il suo amico.
«Sì! E’ una fantastica metafora della vita. Quando raggiungi la felicità, quella vera… ZAC! – la mano destra piombò rapidamente sul palmo della mano sinistra, fingendo di tagliarla, proprio come la ghigliottina taglia la testa di una persona – ecco che muori. Perché nulla potrà essere bello come prima».
«Ma chi è?» chiese lei osservando attentamente l’amico.
«“Chi è” chi?» rispose Dream curioso.
«Chi è il tuo pusher, Dream. A me puoi dirlo» e si misero a ridere.
«No, in realtà ieri ho visto “Le Iene” di Tarantino e spiegano all’inizio del film la nascita della canzone “Like a Virgin” di Madonna e non so... mi è venuta in mente Lana Del Rey. Cosa significa “nati per morire”? Nulla, ma poi vai a leggere il testo e niente, questi due vogliono stare assieme e quindi figliano, o almeno, fanno l’atto del figliare e poi muoiono. Muoiono per il troppo sforzo e per la troppa felicità.
Dovresti fare canzoni simili, sai quanto venderesti?» concluse facendole l’occhiolino e prendendosi sigaretta e accendino dal taschino dei pantaloni.
Passarono alcuni istanti di silenzio, lo sguardo di Dream si posò su tutti i suoi pokémon, fermandosi poi su Umbreon: il pokémon Buio riposava con la testa appoggiata alle zampe anteriori.
«Giuly, non ti sembra che Umbreon sia... sia un po’ strano?».
La ragazza lo osservò attentamente, inclinando leggermente la testa verso destra: «In effetti... mi sembra un po’ dimagrito».
 «Ah, ecco, non sono solo io allora. Mangia meno di prima e mi pare che abbia pure il respiro affanoso...».
«Credo che tu debba portarlo a farlo una visita di controllo» sentenziò la ragazza sdraiandosi sulla schiena e ponendo le braccia dietro la testa, con gli occhi rivolti verso le alte nuvole bianche.
«Sì, sì, hai ragione. Più tardi passo dal Centro Medico e vediamo che mi dicono» concluse lui.
 
Dream si sedette sul divano, posando le braccia sulle sue ginocchia.
Erano passati  molti anni da quando passò così tanto tempo in un Centro Medico per Pokémon.
Si guardò attorno, il grande salone dalle pareti gialline era completamente vuoto. Si alzò dal sofà e si avvicinò, camminando lentamente, alla finestra, osservando l’esterno.
C’erano dei bambini che giocavano a palla assieme ad alcuni esemplari di Sentret e Snubbul. Quelli che parevano essere i genitori erano a poca distanza da loro, seduti e sdraiati su un largo telo. Facevano un picnic.
Le porte del Centro si aprirono ed entrò Vera.
Aveva i capelli sciolti, che scendevano sulle spalle assieme ad una borsa di pelle color marrone con dentro materiale medico di vario tipo.
Dream la raggiunse rapidamente e le fece un cenno di stare in silenzio. Poi suonò il campanello sul bancone, per attirare l’attenzione dell’infermiera Joy, che apparve dal corridoio dietro al bancone, mentre indossava una mascherina che le lasciava liberi solo gli occhi.
«Avete bisogno, ragazzi?»
«Joy – fece Dream a bassissima voce – ho bisogno di un favore: mi serve uno stanzino, buio, senza finestre in cui posso parlare con lei».
Joy lo guardò un attimo stupita e perplessa e lo stesso sguardo si formò sul volto di Vera.
«Dream tutto bene?» chiese la dottoressa percependo una forte preoccupazione nel comportamento del ragazzo.
«No, mi trovo in guai grossi» rispose lui lasciando la bocca socchiusa con uno sguardo inquietante. Nessuno delle due ragazze che eppure lo conoscevano da molto tempo, lo avevano visto in quella condizione.
«Quanto grossi, Dream?» domandò Vera.
«Enormi» rispose freddo, poi tornò a guardare l’infermiera «Ho bisogno di un posto dove poter parlare con lei nel massimo riserbo».
Joy annuì con la testa dubbiosa, si girò di spalle e cominciò ad incamminarsi nel corridoio da cui era venuta, facendo un cenno ai due ragazzi di seguirla.
Era un passaggio dai muri bianchi e dal pavimento in marmo lucido, che rifletteva ogni immagine. Era stretto a tal punto che giusto due persone riuscivano a camminarci contemporaneamente. Bianche erano anche le porte su cui erano appese le targhette blu con caratteri bianchi che indicavano la sala che chiudevano: “Sala Operatoria”, “Sala Rianimazione” o ancora “Sala Toelettatura”.
«Joy – proseguì Dream – per il tuo bene e per il bene di Vera, nel caso tu fossi portata in un interrogatorio dalle forze di polizia, dovresti dire che hai chiamato la dottoressa Birch per un consulto medico non dipeso dalla mia persona».
«Dream cominci a farmi paura» rispose il medico.
«Immagino, ma se non ci fosse in ballo la salute e il destino di centinaia di pokémon non vi avrei disturbato».
Raggiunsero la fine del corridoio e Joy aprì la porta del magazzino, uno stanzino illuminato da una piccola lampadina con le pareti ricoperte da enormi scaffali con materiale medico accuratamente posto all’interno di cellophane con grosse etichette con delle misteriose sigle.
Prima che la porta si chiuse alle spalle della dottoressa, Dream riuscì a leggere la targhetta posta sopra alla porta di fronte al magazzino, “Sala radiografie” e il suo cuore ebbe un sussulto.
 
«Ecco Dream, entra» disse con voce tremolante l’infermiera Joy, facendo accomodare il ragazzo nella sala delle radiografie.
Umbreon era sdraiato su un piano di quello che sembrava essere alluminio, dietro di lui, posto qualche centimetro più alto era presente uno schermo che mostrava una radiografia. Dream si avvicinò al proprio pokémon e cominciò ad accarezzarne il pelo della nuca, mentre il pokémon lo osservava contento e soddisfatto. Gli occhi della dottoressa, al contrario, erano preoccupati, tesi. Vagavano da una parte all’altra della stanza, mentre si toccava nervosamente l’anulare destro.
«Quindi, cosa è risultato?» chiese l’allenatore.
«Dream, è meglio se richiami Umbreon nella Sfera per qualche istante».
Il ragazzo, nonostante l’iniziale sorpresa, obbedì e richiamò il pokémon Buio nella sua pokéball.
«Dream» improvvisamente il tono di voce della donna diventò serio, fermo, professionale, «Sarò chiara: la situazione è gravissima, forse irreversibile». Non lasciava trasparire nessun’emozione, e altrettanto facevano i suoi occhi azzurri.
Dream trattenne il respiro, sentì l’intero suo corpo cedere all’udire quelle parole. Fece un mezzo passo indietro, e poi torno stabile sul suo posto.
“C-che intendi?” chiese il ragazzo.
La mano dell’infermiera si posò delicatamente sullo schermo, indicando i polmoni del pokémon Buio: “I polmoni di Umbreon non funzionano come dovrebbero. C’è un problema che la radiografia evidenzia in maniera piuttosto chiara e inequivocabile: sono pieni d’acqua” la mano si spostò affianco ai polmoni, questa volta indicavano quella che sembrava essere una massa di forma circolare: «E se ti starai chiedendo, come è possibile che i polmoni di un pokémon, o di un qualsiasi essere vivente, si riempiano d’acqua, la risposta, in questa caso, può essere una ed una sola, Dream. Questa massa che sto indicando. Da questa radiografia non posso capire di cosa si tratta, se di un tumore maligno o benigno, ma di tumore si parla. Direi di fare degli esami del sangue, estrarre il liquido nei polmoni ed analizzarlo e se non si trovano cellule che possano aiutarci a capire cosa succede, direi di fare un ecografia. Lì non ci sono scappatoie, posso procedere?».
Il ragazzo annuì forse influenzato dalla convinzione dal pragmatismo che l’infermiera stava dimostrando in quel momento, sebbene il suo cervello si fosse spento alla pronuncia delle parole “tumore maligno o benigno”.
 
«Allora, Dream, che cos’è questa segretezza?» chiese Vera con tono sospetto, accigliando il sopracciglio destro.
«Vera, in nome dei tempi andati, ho bisogno che tu mi possa aiutare a trasferire tutti i miei pokémon all’estero. Hai conoscenze nella regione di Kalos?».
«Cosa? E perché mai?!» chiese ulteriormente accigliata la ragazza.
«Ho avuto una piacevole discussione con il Governatore di Johto e mi ha confidato che presto verrà emanata una richiesta d’arresto nei miei confronti. Seguirò l’esempio di Rosso, scapperò a Kalos e chiederò asilo politico, lo danno a tutti coloro che provengono da qui. Ma non posso lasciare i miei pokémon in questa gabbia di matti, verrebbero posti sotto sequestro e chissà che altro gli potrebbe capitare. Quindi, se avessi qualche contatto con un professore estero, con la scusa di uno studio, potremmo trasferirli in massa…».
Vera abbassò lo sguardo, mettendosi a fissare per un po’ le mattonelle. La sua mente si mise in moto alla ricerca di una soluzione efficace, rapida e funzionale.
Effettivamente, aveva contatti con diversi laboratori sparsi in giro per il mondo, con cui si scambiavano informazioni, Giappone, Stati Uniti, anche l’Europa, tutti posti in cui la richiesta di estradizione sarebbe potuta esser accettata, almeno in via teorica, dato che negli ultimi i tempi i rapporti tra la Repubblica e il resto del mondo si erano raffreddati parecchio. Dream in ogni caso si sarebbe trovato punto e a capo.
L’unica alternativa era Kalos, ma conosceva qualcuno lì?
«Effettivamente – disse Vera socchiudendo gli occhi e gesticolando con la mano destra nervosamente, cercando di pronunciare tutta la matassa che aveva nella testa – ho ricevuto un dossier proprio la scorsa settimana da un laboratorio di Luminopoli. Stanno testando un nuovo tipo di evoluzione e trovavano interessante il territorio di Hoenn per i loro studi.
Dato che chiedevano una risposta entro fine mese, non mi sono occupata subito della faccenda, tale Professor Zlatan, possibile?».
Un lieve sorriso si formò sul volto di Dream al sentire la notizia, Vera poi continuò il ragionamento: «Posso mettermi in contatto con lui domattina, leggere rapidamente il documento e trasferire già qualche pokémon…»
«Oh, sarebbe fantastico!» esclamò Dream abbracciando d’istinto Vera, che rimase impietrita da quel gesto da parte del ragazzo.
Vera e Dream uscirono così dal magazzino, e percorsero all’indietro il corridoio per raggiungere la sala d’aspetto.
Fu proprio quando passarono davanti la “Sala Rianimazione” che incrociarono un dottore che era arrivato da poco.
«Signor Dream, buonasera! Come sta?», fece lui. Era un uomo calvo, con un paio di occhiali tondi e una voce profonda. I suoi occhi erano grigi, la sua fronte rugosa e il suo naso, costantemente rosso, era di grosse dimensioni.
«Dottor… Dottor Unter, quanto tempo! Io sto bene, e lei?» rispose Dream.
«Non mi lamento… E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti... Quanti anni sono passati?».
Dream riprese a camminare, scuotendo la testa e sorridendo nervosamente: «Due anni, dottore» si voltò verso l’uomo e fece un tiepido saluto con la mano destra e riprese a camminare. Gli occhi di Dream continuarono a scrutare il pavimento, aggiungendo sotto voce: «Due interminabili anni, dottore».
Si trattava di un medico esterno al Centro di Fiordoropoli, si occupava delle radiografie. Veniva chiamato ogni qual volta ce ne fosse bisogno e si spostava in giro per Kanto e Johto a bordo di un Pidgeot, ottenuto quando era solo un Pidgey all’inizio della sua carriera di allenatore.
 
Il ventre di Umbreon era stato appena rasato del tutto con una macchinetta da toelettatura. Gli esami del sangue non avevano fornito alcuna spiegazione su quello che stava accadendo all’interno del corpo del pokémon Buio e neanche le analisi del liquido estratto dai polmoni li aveva aiutati. L’ecografia non era solo la loro ultima spiaggia ma era anche lo step definitivo per comprendere il tutto.
Quando Dream e Umbreon arrivarono al Centro Medico, il dottor Unter indossava già il camice ed era pronto per visitare il pokémon. L’atmosfera era pesante, ancor prima di cominciare l’esame. Sembrava come se Unter, anche solo osservando la radiografia eseguita qualche giorno prima, avesse già avvertito a che cosa si stava andando incontro, peccato, che l’unico a non saperlo era Dream stesso.
Il medico spalmò così del gel sulla zona rasata, facendolo aderire bene al corpo del pokémon Buio, poi cominciò a passarci sopra quello che Dream pensò sempre essere una sorta di lettore, con la punta ovale che mostrava le immagini sullo schermo a tubo catodico.
Bastarono cinque minuti affinché Unter e Joy si guardarono terrorizzati. «Okay... possiamo terminare qui» disse la donna con voce tremante e il volto pallido.
I due si misero a pulire il ventre del pokémon con delle salviette umide, mentre Dream cercava il loro sguardo per cercare di capire cosa stesse succedendo, ma entrambi lo stavano con tutto lo sforzo possibile. Anche tra di loro i contatti erano ridotti al minimo, giusto qualche occhiata fugace che comunicava un’insostenibile imbarazzo nel trovarsi in quella situazione. Sì, quei momenti in cui tu hai nelle mani una potenziale bomba e hai talmente ansia che non hai idea di come disinnescarla, quando la prima cosa da fare è rimuovere delicatamente lo sportellino e cominciare a seguire alla lettera il corso che ti hanno fatto all’accademia per artificieri.
«Dream – disse candidamente Joy – puoi far rientrare Umbreon nella sua sfera?», Dream obbedì subito, il pokémon venne ripreso e chiuso nella sua sfera, “Direi che è il caso di andare nel mio ufficio” disse titubante la donna osservando Unter, che sottovoce disse un paio di «sì» e annuendo leggermente con il capo.
Usciti dalla “Sala Ecografie” tornarono nella sala d’aspetto e la percorsero svoltando a destra una volta usciti dal corridoio e Joy aprì la porta con scritto “Divieto d’accesso” inserendo un codice nel pannello al muro.
L’infermiera si sedette dietro la scrivania, facendo accomodare Dream davanti a lei, Unter si posizionò con le spalle appoggiate alla libreria.
Era un ufficio piuttosto grande, con delle vetrate poste dietro la sedia dell’infermiera che davano su un grande prato con un piccolo laghetto. La scrivania di legno scuro, aveva giusto una foto e una statuetta di un Blissey, era completamente sgombera e priva di polvere. Le immensi librerie, ricolme di libri medici, erano del medesimo colore del tavolo e coprivano tutti i muri dell’ufficio.
«Dream… - cominciò Joy  con le mani entrambe appoggiate al tavolo – la situazione è peggiore di quella che potevamo prevedere. Il Dottor Unter, già visionando la radiografia, con il suo occhio esperto, mi disse che la situazione non sarebbe stata piacevole, ma è ovvio che neanche lui si aspettava questo tipo di situazione e la situazione è che non c’è proprio nulla, assolutamente nulla, da fare. Il tumore è di tipo maligno e da quello che ho visto si è ulteriormente esteso da quando ci siamo visti una settimana fa».
Fu come se un pugnale si fosse infilato dritto nel cuore di Dream, impegnandosi poi ad utilizzare quella ferita per separare nella maniera più cruenta possibile le carni dalle ossa del ragazzo.
Gli occhi divennero lucidi, riuscì a trattenere le lacrime, ma non la voce rotta: «E quindi? Quanto gli manca?».
Intervenne il dottor Unter che sollevò l’infermiera dalla responsabilità della risposta. Si tolse gli occhiali cominciando a pulirsi con il camice: «E’ impossibile da definire. Ma sono abbastanza sicuro da poter dire che manca davvero poco, non più di un mese».
«Ma non si può provare una chemio? Erbe, medicinali? I soldi non sono un problema, santo cielo!».
«Sì, ma non in questo caso. E in tutta sincerità, anche se avremmo riscontrato il tumore a quando era poco più di una cellula, non ci sarebbe stato comunque nulla da fare. Nemici di questo tipo non possono esser combattuti, bisogna conviverci assieme il più lungo possibile, finché si ha la dignità di farlo. Poi bisogna capire che bisogna staccare la spina. In ogni caso, lei è nelle mani della signorina Joy, sono sicuro che saprà cosa consigliarle meglio» concluse l’uomo.
 
Due giri di chiave e la porta si aprì. Entrò prima Umbreon seguito da Dream, che chiuse la porta dietro di sé.
«Allora? Come è andata?» chiese Rosso, che badò ai pokémon dell’amico mentre questi era impegnato con la visita.
Dream non rispose, si lasciò andare, finalmente. Fiumi di lacrime solcavano il viso del ragazzo che singhiozzava silenziosamente, quasi per non farsi sentire dai suoi compagni di avventura che in realtà erano lì, fissi e inermi ad osservarlo.
Rosso lanciò in aria le mani, poi se le mise tra i capelli cominciando ad alternare una serie di “no” a delle imprecazioni.
Da quel momento tutto sarebbe cambiato, da quel momento, ogni giorno passato con Umbreon sarebbe potuto esser l’ultimo.
Maggio passò lentamente e altrettanto fece Giugno, e Umbreon, contro ogni previsione, resisteva al tumore. Sebbene Dream non volesse farlo allenare, il pokémon Buio faceva intendere in più modi di essere intenzionato a continuare a voler essere della squadra e non voler essere sostituito. Capiva, era cosciente della situazione? Decisamente sì. Sembrava volersi più prendere cura lui del proprio allenatore che viceversa, come a dimostrare che era forte e che le preoccupazioni sulla malattia erano solo pensieri inutili, passeggeri.
Quando il 25 Luglio, Dream si presentò al Centro Medico per far aspirare ulteriore liquido da Umbreon, Joy rimase piacevolmente stupita nel vedere il pokémon così in forma e lo fu ancora di più nel sapere che non aveva smesso di allenarsi. Era “miracoloso” che qualcuno, affetto da un tumore di tali dimensioni, potesse avere quella forza, sembrava quasi che non ci fosse nessun male.
 
Dream e Vera tornarono nella sala d’aspetto, venendo poi raggiunti dal ragazzino che smarrì il pokémon Buio.
«Come è successo?» chiese Vera, con gli occhi puntati su Adam.
«Cosa?» chiese distrattamente il Campione.
«Come è successo… come è morto Umbreon?», continuò a chiedere la ragazza.
«Perché lo chiedi?» chiese Dream, guardandola.
«Trovi un Umbreon maltratto, lo trovi e poi muore. Smetti di allenare e quando ricominci ad allenare ne trovi uno maltrattato e lo porti al Centro Medico e mentre sei lì riconosci un dottore “itinerante”.
Tu vivi di ricordi Dream. Tutta questa situazione ti sta lacerando dentro, te lo leggo negli occhi».
Dream non rispose subito, stette in silenzio per qualche minuto. Quel dolore non fu mai esorcizzato del tutto, era una ferita aperta, infetta, che spesso sanguinava.
«Era l’otto Agosto, lo ricordo bene.
Qualche giorno prima a Fiordoropoli c’era stata una manifestazione e la città venne riempita di ortensie. Ortensie in tutte le strade, ortensie su tutti i balconi, sui pianerottoli, alle feste. L’aria ne era pregna. Ricordo il tramonto di quella sera, il Sole era così acceso mentre affogava nel mare. Sembrava non voler morire.
Mi vestii di tutto punto, una camicia a maniche lunghe con una cravatta blu scuro, una giacca blu scuro e anche i pantaloni erano della stessa tonalità.
Andai ad un party. Mi ero già prefissato l’idea che avrei portato qui Umbreon il giorno successivo. Aveva subito un tracollo nelle quarantotto ore precedenti ma non ne aveva voluto sapere di lasciare casa.
Vado alla festa, comincio a trangugiare drink su drink, alcol su alcol e rimorchio una tale che si chiama Valentina, quando...
Quando Pidgeot incombe in cielo e comincia chiamarmi, mi faccio strada tra la folla e mi guarda con le lacrime agli occhi. Capisco che c’è qualcosa che non va, voliamo a casa e atterro sul balcone. Sono tutti attorno a lui.
Prova ad alzarsi sulle quattro zampe, ma niente, cade a terra e comincia a piangere. E piange Feraligatr, piange Typhlosion, piange Meganium, piange Espeon, dio quanto piangeva Espeon, piange anche Pidgeot.
Mi metto sulle ginocchia e lo prendo tra le mie braccia, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene.
Ha chiuso gli occhi.
Fine. Andato. Non so dove, non so perché. Andato. E’ morto tra le mie braccia, circondato dai suoi amici.
E quella sera se ne andò anche una parte di me. Sarei voluto scappare, fuggire da tutti e tutto, ma non l’ho fatto. E allora è scappata una parte di me. Il “fortissimo allenatore di Johto” se n’era andato. La mia forza, la mia arroganza, la mia caparbietà andarono in esilio come un processo lento ma costante».
 
Dream osservava Fiordopoli dall’altro del suo balcone. Le braccia erano appoggiate alla ringhiera, mentre la mano destra teneva in mano una sigaretta la cui cenere stava per cadere e frantumarsi al suolo.
Gli occhi erano lucidi, il respiro tremante. Vera lo raggiunse, tenendo in mano due bicchieri pieni di acqua fresca.
«Tieni, non so se sei abituato a questa sostanza» disse ironica, tentando di smorzare la tensione.
Dream sorrise di rimando, bevendo in un solo sorso il bicchiere.
«Stai un po’ meglio?».
Dream fece un tiro alla sigaretta, alzando poi la testa verso l’alto ed emanando fuori il fumo con forza, come un vulcano che sta eruttando: «Tantissimo, sto da Dio».
«Mi spiace che tu abbia dovuto rivivere certe cose, davvero, io...» Dream la interruppe, come se non la stesse ascoltando davvero: « Parole come “fulminante”, “irreversibile” e “non c’è nulla da fare” assumono tutto un significato diverso quando vengono dette a te.
Il terreno sotto i tuoi piedi si sbriciola e le mura della stanza accanto sembrano volerti inghiottire. Ho provato a resistere. Abbiamo provato. Abbiamo cercato anche delle soluzioni. Ma quelle parole, quelle dannate parole, hanno un significato preciso: il tuo destino è segnato e non c’è nulla che tu possa fare perché venga cambiato.
Puoi anche battere mille allenatori nella tua vita, ma la morte non la puoi combattere. Devi sottometterti e sperare che giunga in fretta, per evitare che possa far ancora più danni di quelli ch deve fare a prescindere.
Diventano tue amiche quelle parole. “Irreversibile”diventa un mantra e vivi ogni giorno con l’ansia che possa essere l’ultimo.
Ma paradossalmente non è mai l’ultimo e quindi cominci a pensare che accadrà domani, non oggi. La settimana prossima, non questa. Il mese prossimo. Forse anche l’anno prossimo. Hai tutte le carte in regola per sopravvivere, no?
Sciocchezze. Gli amici spesso ti deludono, ti pugnalano alle spalle e anche questi tre amici lo fanno.
In un colpo la tua schiena ha tre bellissime ferite sanguinanti e quello che pensavi accadesse domani, il mese dopo e l’anno prossimo accade oggi. Tra le tue braccia, senza che tu possa davvero capirci qualcosa.
Mi ha sempre fatto pensare molto quel dialogo tra una bambina e un adulto, dove la bambina, piccola, tendenzialmente dell’asilo, chiede come mai in cielo vadano sempre le persone migliori e l’adulto, ricolmo di saggezza risponde chiedendo se quando lei andasse in un prato strappasse i fiori più belli o più brutti.
Mi fa pensare sai perché?
Perché Dio non vede il mondo con gli occhi di un bambino. Dio è Padre, è un adulto responsabile che sa fare il suo lavoro.
E se Dio fosse un giardiniere? Pensaci bene. I giardinieri non strappano via i fiori belli, ma portano via con sé le erbacce. Siamo sicuri che siano sempre i migliori ad andarsene? Siamo sicuri che non abbiamo sbagliato tutti quanti stile di vita?» chiese sul finale Dream, con gli occhi rossi e un paio di lacrime che scendevano lungo le guance, mentre Vera rimase impietrita da quanto sentito, priva di una risposta da poter dare all’amico.
 
Sei Salamence atterrarono in un piccolo spiazzo di terra poco distante dal grande specchio d’acqua su cui si affacciava Ceneride.
Ogni Drago era ricoperto di un’imbracatura di cuoio a cui era legata una corda agganciata ad una piccola bara nera con delle striature d’oro.
La grande porta di pietra marrone che delimitava l’ingresso alla Grotta dei Tempi, si aprì e uscirono sei Machoke che staccarono delicatamente la bara dalle corde e la presero in spalla e rimasero fermi, in silenzio.
Dream e Rocco atterrarono proprio in quel momento, arrivati davanti alla Grotta grazie a Dragonite, che venne prontamente ritirato dall’allenatore di Johto.
Dream vestiva uno smoking nero, con un paio di occhiali da sole per non lasciar vedere agli altri i suoi occhi rossi e ancora lacrimanti.
Diede una piccola pacca sulla spalla a Rocco, in segno di ringraziamento per avergli lasciato utilizzare la speciale grotta. Il Governatore di Hoenn si mise in coda al piccolo corteo funebre, mentre Dream si mise davanti ai pokémon Lotta e cominciò a camminare, venendo seguito.
Raggiunsero il posto dove era stata scavata la buca e i Machoke lasciarono scorrere la bara al suo interno, lentamente. L’unico suono che si poteva udire era quello delle corde che sfregavano contro la roccia mentre la cassa scorreva verso il basso.
Quando il feretro fu completamente deposto, Dream si avvicinò al mucchietto di terra sollevato per lo scavo e lo prese in mano. La strinse forte tra le dita e poi lo lancio sulla piccola bara.
«Il silenzio cala su di noi, per sempre».
Fece un passo indietro, segno che poteva iniziare l’ultimo passo della sepoltura.
 
Un silenzio irreale era piombato nella casa.
Un silenzio freddo, di quei silenzi che ti tagliano la pelle, ti strappano l’anima di dosso. Quella sensazione assurda in cui ti senti accoltellato una, dieci, trenta, cinquanta volte di fila, senza che il tuo aguzzino mostri la minima intenzione a fermarsi.
No, no, era tutto in preda ad un feroce silenzio, che rendeva ogni angolo della casa un posto quasi estraneo, quasi irriconoscibile. Non sentirsi a casa propria nella propria casa, nella propria dimora. Sentirsi un forestiero.
Dream non piangeva. Seduto sulla punta del divano, con i palmi delle mani sulle ginocchia e la schiena dritta. Non batteva neanche le palpebre, forse non respirava neanche.
Era tutto finito.
Giorni, mesi, anni di avventure se n’erano andate per sempre, avevano lasciato il mondo terreno e avevano varcato le soglie del dopo.
Umbreon non c’era più, aveva esalato l’ultimo respiro tra le braccia del suo allenatore ed era passato avanti. Aveva smesso di soffrire, aveva finalmente terminato la sua battaglia contro il male, uscendone in qualche modo vincitore, perché lo aveva fatto silenziosamente, senza dare troppe preoccupazioni ai propri amici, ai propri cari.
“E’ morto.” sarebbe stato il messaggio che la mattina dopo avrebbero letto Rosso, Giuly e i genitori di Dream. Due parole, un passato prossimo che rendeva bene l’idea, che conteneva al suo interno tutta la tristezza e la solitudine che una persona poteva comunicare.
Già, “è morto” continuava a ripetersi Dream nella testa, quasi per auto-convincersi che quello che stava vivendo era frutto della realtà, non era semplicemente un brutto sogno da cui si sarebbe svegliato e avrebbe riabbracciato i suoi pokémon.
No, le cose brutte non avvengono mai per finta. Le cose brutte accadono sempre, nella realtà, le percepiamo su di noi come una sorta di condanna, di punizione per qualcosa di fatto o di non fatto. E te lo chiedi, e te lo domandi e quasi ti vorresti punire, provi la sensazione di volerti strappare l’anima dal corpo pur di non avere quella sensazione.
Che cosa devi fare per tenere al sicuro i tuoi cari? Che cosa devi fare per tenerli al sicuro dal mondo, quando il mondo li getta in mezzo ad un deserto? Che cosa devi fare per dimostrargli il tuo amore, stringendogli forte e mostrandogli terre nuove e facendogli assaporare il significato di quella parola?
Che cosa devi fare per tenerli al sicuro da loro stessi?
Potevi fare tutto, ma il tutto si riduce sempre a niente. Non si può fare niente, non si può fare sempre qualcosa. E allora lasci che gli eventi della vita ti scorrano addosso come l’acqua del mare quando sei sdraiato sul bagnasciuga, fermando il respiro quando l’acqua copre il tuo viso e tentando di resistere. Non hai molta scelta, alla fine. Perché hai la necessità di resistere, perché lo devi far vedere a chi ti sta attorno che tu ci sei sempre per loro.
Ma arriva un momento in cui l’acciaio si fonde e il grattacielo crolla. E lo fa dopo che è stato in tensione, che ha sopportato elementi fisici che lo hanno consumato fino al midollo. Si frantuma, si piega su se stesso e crolla, portandosi dietro tutto. E per quanto il grattacielo voglia resistere, per quanto non voglia finire a terra, per quanto abbia fatto il possibile, alla fine crolla, senza che se ne sia davvero reso conto. Smette di essere un imponente costruzione ammirata e si trasforma in un cumulo di macerie su cui piangere.
E quando la prima lacrima solcò il viso inespressivo di Dream, lo fece senza qualcuno la fermasse.
Il crollo era iniziato.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Sospetti e Verità ***


Capitolo 17 – Sospetti e Verità
La mano della donna si posò sulla porta, bussò rapidamente e senza dar tempo all’uomo di rispondere entrò con passo deciso all’interno dell’ufficio.
Adelaide indossava un tailleur in tweed color verde smeraldo e camminava sicura su quelle scarpe nere lucide con il tacco di qualche centimetro.
Era molto magra e alta. Le rughe solcavano il suo viso, il suo collo e i capelli, biondi color cenere, si posavano ordinati sulle spalle. Gli occhi, castani, incutevano una sorta di terrore nell’interlocutore, era una donna ferma, rigida e fredda, non lasciava trasparire alcuna emozione. L’ideale per essere la segretaria del Presidente del Consiglio.
L’ufficio di Giovanni aveva una grande finestra ricoperta da delle tende bianche, grandi librerie in legno lucido nero riempite per la maggior parte di cornici con sue foto all’interno. Sul pavimento era possibile trovare qualche pianta e anche qualche statua o trofeo ottenuto nel corso della sua carriera da allenatore o politica.
Quando Adelaide entrò nella stanza, Giovanni fece un cenno al Ministro dell’Istruzione, Atena, chiedendole di fermare il discorso che stava portando avanti.
Atena riunì tutti i fogli sparsi sul tavolo e li rimise, ordinatamente, all’interno di una cartella di cartone su cui era stata posata un’etichetta: “DDL 14/2016”.
«Presidente», disse la segretaria sporgendo verso Giovanni una serie di fogli pinzati accuratamente tra loro, «La lista delle persone di cui questa sera la commissione delibererà l’arresto. Necessito della sua firma sull’ultimo foglio per l’autorizzazione finale» disse la donna con espressione severa. Giovanni prese gli occhiali da vista presenti sulla scrivania a cui era seduto, prese i fogli dalle mani di Adelaide che chiuse le mani tra di loro appena sotto la vita.
«Lui c’è?» chiese cominciando a leggere la relazione appena consegnatali.
«Ho chiesto espressamente al Presidente della Commissione se il nome compariva all’interno dell’elenco, mi ha comunicato che lo può trovare alla pagina sei» rispose la donna.
Giovanni saltò tutte le pagine e scorse la pagina alla ricerca di quel nome, il suo viso si illuminò con un piacevole sorriso; aveva trovato quello che cercava.
«E’ incredibile cosa si debba fare per avere un po’ di controllo all’interno dell’Associazione della Lega Pokémon» commentò l’uomo mentre andava all’ultima pagina pronto a firmare la lista dei nomi. Riconsegnò poi il plico ad Adelaide: «Inviaglielo immediatamente e congratulati con il Presidente della Commissione per l’ottimo lavoro svolto».
L’uomo si tolse gli occhiali pronto a tornare a discutere con Atena della riforma della scuola, quando Adelaide, abbassando lievemente lo sguardo e tossendo delicatamente attirò nuovamente l’attenzione su di sé: «In realtà, Presidente, ci sarebbe un’altra cosa…».
L’uomo la guardò perplesso: «Ovvero?».
«Il vice-presidente della Regione di Hoenn, Max, la vorrebbe incontrare».
«Ma non aveva un appuntamento… Non lo aveva, vero?» disse Giovanni con una leggera smorfia che camuffò malamente.
«No, Presidente, non lo aveva. Ma ha insistito in maniera tutt’altro che delicata affinché io la informassi che si trova qui fuori. E…, in totale libertà, mi sento in dovere di comunicarle che è piuttosto agitato… direi quasi spaventato».
«Atena, ci daresti cinque minuti?», il Ministro annuì seneramente, posò la propria cartella di pelle sul tavolo e si alzò dalla poltrona, uscendo dalla stanza seguita da Adelaide che annunciò a Max la possibilità di incontrare il Capo del Governo.
Max sbatté dietro di sé la porta dell’ufficio e camminò piuttosto rapidamente verso la scrivania dove l’ex capo del Team Rocket era seduto e lo stava osservando in maniera piuttosto severa.
Capelli rossi, occhi neri e un passato nel Team Magna, associazione criminale che prevedeva la distruzione dei mari e il risveglio del pokémon leggendario Groudon.
Dopo la discesa in politica di Giovanni, il Team Rocket e il Team Magma, assieme ad altre associazioni criminali come il Team Idro o il Team Clepto e Cripto della regione di Auros, strinsero un’alleanza creando un unico organismo politico chiamato Repubblica Nuova.
Alle elezioni regionali del 2015, tenutesi poco prima della terza vittoria di Giovanni, però, Repubblica Nuova venne sconfitta dal Partito Democratico, un partito di Centro-sinistra che portò alla poltrona più alta della Regione il Campione della Lega di Hoenn, Rocco Petri.
Max, candidato ufficiale di Repubblica Nuova, venne eletto vice-presidente del consiglio regionale come rappresentante delle minoranze.
Era un uomo calcolatore, freddo, l’opposto del suo vecchio nemico, ora collaboratore, Ivan. Se c’era un problema politico, Max lo risolveva senza che i media o l’opinione pubblica lo venisse a sapere. Pur essendo Hoenn l’unica regione non in mano al Partito, per Giovanni non era un problema poiché c’era un uomo come l’ex comandante Magma a coordinare la situazione. Vederlo così sconvolto, sudato e nervoso, mentre brandiva un pezzo di carta ormai completamente sgualcito, fu di gran effetto per gli occhi del Presidente del Consiglio.
«Si può sapere che cosa ti prende? Vieni qui senza appuntamento e pretendi pure di vedermi, ti è dato di volta il cervello?!» chiese Giovanni adirato.
Max passò sulla scrivania il foglietto: «Lo abbiamo ricevuto questa mattina dalla polizia. Ho convinto il Governatore che era il caso di informarti prima di divulgare la notizia. Siamo nella merda, nella merda più totale».
Giovanni si infilò nuovamente gli occhiali da vista, sollevo leggermente il foglietto con la mano destra e lanciò un’occhiata gelida verso Max. Fu in quel preciso istante che il suo cuore cominciò a battere a ritmo sempre più sostenuto.
 
Ciclamipoli era una delle principali città di Hoenn insieme a Ferruggipoli, Porto Alghepoli, Porto Selcepoli e Verdeazzupoli. Era parte fondamentale per l’economia regionale e nazionale.
Il motore economico non si basava sulle industrie e il relativo indotto creato all’interno della conglomerato urbano, Ciclamipoli diventò ricca perché nella seconda metà del ventesimo secolo furono tolti tutti i vincoli al gioco d’azzardo vedendo una fioritura di casinò che miravano a renderla una sosia di Las Vegas.
La sua posizione strategica, crocevia di Hoenn, costringeva migliaia di allenatori a passare tra le sue strade quotidianamente, portando ingenti somme di denaro ad oliare costantemente e continuamente ogni genere di negozio cittadino. Se c’era una cosa su cui tutti gli economisti erano d’accordo, riguardava proprio Ciclamipoli: non avrebbe mai potuto fallire.
Di fronte però ad un lusso sfrenato e ostentato della città, l’altro lato della medaglia non era certamente indifferente, e non si trattava delle migliaia di persone che mensilmente finivano sul lastrico attratte dalle luci scintillante che le slot machine e i casinò offrivano. Il settore pubblico della regione di Hoenn era forse uno dei più arretrati della Repubblica e da più parti giungevano continue critiche su come i fondi regionali e federali venivano spesi dal governo locale, più attento alle lobby delle slot che alle necessità dei cittadini.
Un esempio erano i treni, utilizzati solitamente dai pendolari. Erano tristemente noti per essere malconci, vecchi e la società dei trasporti, la Trenn, forniva servizi di qualità precaria, con continui ritardi e cancellazioni. L’intera infrastruttura necessitava di un restauro complessivo, ma i fondi, promessi sempre durante le campagne elettorali, non venivano mai stanziati.
Dream osservò il cartellone con tutti gli orari dei treni in partenza da Porto Selcepoli. Erano le 8:01 e il treno diretto a Brunifoglia, che avrebbe dovuto prendere lui, era in ritardo di dieci minuti pur essendo quella la stazione di partenza.
Sarebbe sceso a Ciclamipoli alle 9:15, ritardi permettendo, mentre il treno avrebbe proseguito il suo viaggio prima fermandosi a Cuordilava e poi infine raggiungendo la fredda Brunifoglia poco prima di mezzogiorno.
Il ragazzo salì sul treno e girò immediatamente a sinistra, scendendo degli scalini posti sul lato delle scale che conducevano allo scompartimento superiore, che tendenzialmente somigliava più ad una sauna che ad un vagone di un treno regionale. Le pareti del vagone erano di color “giallo Pikachu cadaverico”, come disse una volta Vera. Non si capiva se quello era il reale colore del legno oppure, più semplicemente, era stato lo scorrere del tempo a rendere il bianco meno intenso. I sedili erano formati da delle panche in ferro imbottite e ricoperte con della pelle sintetica di color blu. In estate, il tessuto, era solito appiccicarsi alle gambe dei passeggeri e considerando che la pulizia dei treni avveniva una volta ogni due mesi, gli effetti non erano certamente piacevoli. I finestrini godevano della caratteristica di esser ricoperti di muffa o, per esempio di poter fungere da acquario involontario: il sistema per evitare la condensa non funzionava mai come doveva, facendo accumulare tra i doppi vetri una quantità assurda di acqua.
Il viaggio in treno, fu tutto sommato tranquillo e arrivò nella stazione ferroviaria sotterranea di Ciclamipoli. Per tutta la durata del viaggio tornò a percepire quella sgradevole sensazione che aveva avuto qualche giorno prima quando ritrovò Umbreon. La sensazione di avere degli occhi costantemente addosso. Di essere osservato, monitorato.
Salì le due rampe di scale mobili evitando accuratamente le pozzanghere causate dalle perdite dai tubi e poi raggiunse la metropolitana per arrivare alla fermata “Palestra Pokémon”.
 
La Palestra di Ciclamipoli era un edificio a tre piani di color giallo decorato con saette, sempre del medesimo colore, che confluivano tutte in una sfera poké posta sopra la porta d’accesso.
Raggiunto l’interno dell’edificio, Dream venne scortato fino all’ultimo piano e fatto entrare all’interno del piccolo ufficio in cui Walter, negli ultimi tempi, aveva cominciato a discutere di affari politici. Prima di allora, era raro che ricevesse qualcuno in quel posto, motivo per cui la stanza era piuttosto spoglia.
Quando Dream mise piede nello studio non poté non fare a meno di sentire un pesante tanfo di sudore. Camuffò il disgusto con un sorriso e si sedette sulla scomoda poltrona posta di fronte alla scrivania.
«Signor Dream, mi ha incuriosito la sua richiesta di un incontro – cominciò il Capopalestra seduto alla scrivania – ma siccome non le voglio far perdere tempo, deve sapere che da me non riceverà alcun’intervista. Quindi, possiamo definire conclusa la nostra conversazione» disse l’uomo allungando delicatamente la mano sinistra in avanti, come se volesse cacciare Dream nel breve tempo possibile.
Il Campione, di rimando, gli sorrise: «Mi spiace che ci sia stato un disguido, ma io non sono qui in veste di giornalista, non è un’intervista quella che voglio ottenere. Sono qui come allenatore e come cittadino» disse con un espressione fiera sul volto.
«Bene, ma accetto sfide solo il martedì e il merc…», Dream interruppe Walter. Era nel suo ufficio da neanche cinque minuti e quella era la seconda volta che lo stava cacciando. Era un atteggiamento che lo stava rendendo parecchio nervoso.
«Walter, io non sono qui per chiederle una sfida. Sono qui per chiederle una specie di... favore».
Walter rimase spiazzato all’udire quelle parole. Fece cenno al ragazzo di proseguire.
«Ho intenzione di scrivere un libro, un romanzo…».
«Se vuole soldi, mi spiace, ma non abbiamo la possibilità di finanziare lavori di un qualsiasi genere» si portò avanti il Capopalestra.
«Non sono qui per chiedere finanziamenti, non ho bisogno di soldi – Dream notò il posacenere sulla scrivania con alcune cicche al suo interno. Prese dal taschino della camicia il pacchetto di sigarette, ne estrasse una – Le spiace se fumo?».
Walter, di risposta, gli avvicinò il posacenere, «Quello che vorrei io – riprese l’allenatore – è... come dire… protezione».
«Protezione? Che intende?».
«Il libro che voglio andare a girare è la storia di un allenatore che per un certo periodo perde la propria strada. Un evento lo porta in questa direzione. I suoi amici non sembrano comprendere questa sua scelta e sullo sfondo abbiamo uno stato illiberale che accentua giorno dopo giorno la sua morsa nei confronti dei cittadini».
Dream accese la sigaretta, aspirò a pieni polmoni e poi sollevò delicatamente la testa buttando il fumo fuori dalla bocca, come se fosse una ciminiera industriale.
«E la mia protezione a cosa servirebbe esattamente?» chiese l’uomo accigliato.
«Beh, l’ambiente politico avrà la sua importanza nel romanzo, e tutti noi sappiamo quanto il governo negli ultimi tempi stia portando avanti operazioni stringenti che ne possano minare la sua immagine all’estero…».
Walter si alzò dalla sedia e si diresse alla finestra, posta alla sua sinistra. Scostò delicatamente la tenda fatta con bande verticali di plastica e osservò la città dall’alto: «Come intende chiamare questo… film?».
«E’ un libro, non un film. Comunque, stavo pensando a “Lost and Found”»  rispose Dream. Al sentire il titolo, Walter sorrise in maniera impercettebile.
«Quindi… insomma, lei vuole che il mio movimento si prenda la responsabilità politica e perché no, magari anche legale di tutte le nefandezze che lei vuole inserire nel suo film?».
Dream rimase un attimo perplesso dal tono utilizzato dall’uomo.
«Non ho ancora scritto nulla e già si parla di nefandezze? E’ un po’ prevenuto nei miei confronti» rispose Dream irritato.
Walter fece un cenno con la mano destra di non far caso a quanto detto, il Campione allora proseguì: «In ogni caso, non ho bisogno di soldi, il mio conto in banca è sufficientemente messo bene da ristrutturare l’intera linea ferroviaria di questa regione.
Quello che voglio dire è che... sarebbe un bellissimo gesto per l’opinione pubblica sapere che esiste un partito politico che si interessa ancora ai cittadini e alle loro libertà fondamentali. Quello che chiedo è protezione politica dagli attacchi che sicuramente i membri del partito di maggioranza o addirittura i membri del Governo potrebbero perpetrare nei confronti del mio lavoro».
«A ragione, direi» disse lapidale l’uomo.
Dream sgranò gli occhi, inarcò il sopracciglio destro e chiese chiarimenti: «Che cosa intende dire?»
«Io credo che, con tutto il rispetto parlando – disse l’uomo sedendosi nuovamente alla scrivania – gli allenatori debbano fare gli allenatori e non i cineasti; e se proprio non riescono a trattenere questa voglia di scrivere o dirigere un film, lo facciano pure, ma lascino la politica fuori».
Dream rimase basito all’udire quelle parole. Il capo del principale partito di opposizione, che in Parlamento si era sempre battuto affinché i cittadini potessero fare liberamente politica, gli stava sostanzialmente dicendo di non parlare di determinate cose. Era completamente esterrefatto che non si accorse che la cenere della sua sigaretta pendeva vistosamente, cadendo in milioni di particelle sui suoi pantaloni.
«Non è stato forse lei, durante la campagna elettorale a dire che tutti i cittadini debbano fare politica? E’ previsto persino dal programma del suo movimento! Inoltre, io non farò politica con il mio racconto, assolutamente. Descriverò l’ambiente, un preciso momento storico, e la politica avrà la sua importanza. Come mai quest’inversione di tendenza?».
«Senta, faccia poco il giornalista con me. Ci sono questioni che difficilmente un allenatore di… media statura può comprendere. Figuriamoci un qualsiasi cittadino il cui obiettivo è sbarcare il lunario. Piuttosto, perché non scrive un romanzo rosa? Vendono un sacco e sono molto apprezzati dall’uomo medio» continuò il Capopalestra senza osservare in faccia Dream.
«Ma è lei che teorizzava che “uno vale uno”! Santo cielo, questa è pura ipocrisia! Lei è un ipocrita! – gridò Dream con tutta la voce che aveva in corpo - Per non parlare di “allenatore di media statura” quando io l’ho asfaltata decine di volte negli incontri ufficiali e non, punto primo.
Punto secondo, io non credo che il cittadino medio sia un deficiente, anzi, penso che le sue facoltà cognitive siano state fin troppo tenute a riposo da una politica governativa che ha voluto creare una sorta di pascolo di pecore e capre, piuttosto che persone formate da ogni punto di vista culturale».
«Non si scaldi – riprese Walter – sto solo dicendo che probabilmente il governo ha le sue buone ragioni nel portare avanti determinati programmi. Non è tutto oro ciò che luccica, ma non è neanche tutta merda ciò che è di color marrone».
Dream rimase schifato dalla metafora fatta dal Capopalestra, la sua vena giornalistica era però tornata pienamente in funzione.
«E della rivoluzione che avrebbe portato avanti se avesse vinto alle precedenti elezioni? Cosa ha da dire al riguardo?».
L’uomo ebbe per un momento un’espressione visibilmente perplessa sul suo volto, poi assunse il classico tono che utilizzò durante i comizi nelle piazze durante la campagna elettorale: «La rivoluzione avrebbe spazzato tutti i poteri forti che comandano in questo Stato. I giornali, i sindacati questi politici incapaci di gestire la cosa pubblica!».
«Insomma, avrebbe creato un nuovo ordine…»
«In un certo senso, è corretto. “Un nuovo ordine” guidato e governato dai noi semplici portavoce! Perché noi sappiamo cosa è meglio per la gente comune, perché noi siamo comuni».
Era fatta. Disilluso prima e vendicativo ora, Dream non poteva lasciar correre alla delusione di aver creduto in un movimento politico che parlava di rivoluzione ma che sostanzialmente mirava a cambiare tutto perché nulla cambiasse. Persino nei vari discorsi elettorali di Giovanni, che ne aiutarono il successo nel 2006, annunciava di voler mandare a casa l’elite che dominava la Repubblica e costituire un nuovo ordine funzionante, con tutte le conseguenze del caso. Repubblica Nuova vinse e lentamente cominciò ad occupare tutti i posti decisionali e di garanzia dello Stato.
Dream voleva dimostrare al mondo che Walter mirava solo al potere. Si trattava di uno scoop giornalistico di grandissima importanza, l’ultimo su cui avrebbe probabilmente messo la firma, anche se la lettera di dimissioni era già stata accettata e convalidata. Ma ormai non poteva tornare indietro, ai tecnicismi burocratici ci avrebbe pensato dopo; il topo Walter era caduto nella trappola, ora bisogna semplicemente indurlo in una lenta agonia che lo avrebbe lasciato asfissiato sul campo.
«E all’ordine segue inevitabilmente una nuova disciplina» rispose Dream sorridendo in maniera beffarda.
«Beh – disse Walter ponendo entrambe le mani in avanti come per farsi scudo – io non ho detto questo, ma…».
«Ma, chiunque parli di un nuovo ordine puntualmente mira alla creazione di un ordine sociale che sostanzialmente si traduce in una sudditanza dei cittadini. Lo Stato che soffoca il suo popolo» Disse Dream interrompendo il politico. La tigre era balzata sulla sua preda e ogni frase sarebbe dovuta esser affilata e distruttiva.
«Io non ho mai detto che avrei voluto creare un nuovo ordine…»
«Ma ha detto “in un certo senso” che significa che approva la mia definizione» rispose Dream interrompendo nuovamente; «Sa chi teorizzava una rivoluzione per creare un nuovo ordine mondiale? Il Fascismo, quello vero però, quello Italiano degli anni ’20.
Sa chi è a favore della disciplina portata avanti anche con la forza? Non solo Mussolini, ma anche i piccoli teppistelli che fanno capo a Repubblica Nuova che la sera delle elezioni hanno preso a manganellate i simpatizzanti del Partito Democratico e qualche esponente del suo partito. E lei, con chi se l’è presa? Non con questi soggetti che vanno in giro per le strade ad incutere terrore per chi non la pensa come loro, no. Lei, la sera delle elezioni ha fatto un discorso che sbeffeggiava i Democratici.
Non capivo per quale motivo non parlasse di Giovanni e del suo risultato elettorale. Ma ora mi è tutto più chiaro: perché lei supporta l’azione di governo e la sua opposizione, in Parlamento, è semplicemente un’attività di propaganda politica fine a se stessa. A lei conviene di più che Repubblica Nuova sia al Governo perché porta avanti idee più simili alle vostre, rispetto a quelle che il Partito Democratico ha sempre difeso nel corso degli anni, e tutto questo lo fa alle spese e alle spalle del suo partito che si professa, un movimento che va oltre le ideologie novecentesche e che vuole fare esclusivamente gli interessi dei cittadini. Ebbene, signor Walter, da ex elettore di Pokémon 5 Stelle le dico che i cittadini non sono interessati al potere.
Alla gente comune, a cui lei dice di riferirsi durante i suoi monologhi nelle piazze, interessa sbarcare al lunario. Il vostro motto “non siamo né di destra, né di sinistra” significa che siete sempre e comunque a destra e mai, e poi mai a sinistra. Ora si capisce il motivo per cui lasciate la commissione giustizia quando si tratta di far fuori gli intellettuali, perché gli intellettuali sono una spina nel fianco tanto a Repubblica Nuova quanto a questo Partito “sfascista” che lei governa.
Se mai arriverete al Governo, e Dio non voglia, vi consiglio di rendere illegali i manganelli e sostituirli con dei più simbolici cazzi di plastica, per far capire a tutti i vostri elettori quanto li avete presi per il culo nel corso del tempo».
Walter, si scattò in piedi e urlando a pieni polmoni incitò Dream a lasciare lo studio immediatamente.
«Non c’è bisogno che si scaldi, non ho intenzione di rimanere qui un secondo di più – disse spegnendo la sigaretta sulla superficie della scrivania, lasciando una piccola bruciatura sul mobile – e come dissero in una serie tv: “Non la biasimo di fare il doppio gioco, è buona politica finché non si viene scoperti”. Non si preoccupi, Walter, Gesù la perdona!».
Dream prese la borsa che aveva appoggiato ai piedi della poltrona, si infilò la giacca e la allacciò, poi si avvicinò alla porta, la aprì e estrasse dalla tasca un piccolo registratore, lo mostrò a Walter.
«Ah, sì, ho registrato l’intera conversazione. Lo feci per dimostrare che lei era dalla mia parte… mi sbagliavo. Ma in un certo senso ho ottenuto qualcosa di meglio. Domani sarà sul principale quotidiano del Paese… buon divertimento» concluse il ragazzo facendo un cenno di saluto.
«E io la denuncerò! E’ illegale registrare le conversazioni senza che vi sia dato l’esplicito consenso!».
Walter era su tutte le furie, aveva tirato un pugno talmente forte sulla scrivania da far tremare i vetri.
«Oh, ma suvvia. Stasera io sarò dichiarato in arresto e prima che possano infilarmi le manette ai polsi mi starò godendo un cocktail osservando la Torre Prisma a Luminopoli. Con le sue denunce mi ci pulisco il culo» disse Dream uscendo dall’ufficio e sbattendo la porta.
Uscì rapidamente dalla Palestra e si infilò tra la folla, Mew uscì di soppiatto dalla sua pokéball e lo teletrasporto a Fiordoropoli; in questo modo nessuno avrebbe potuto tener traccia dei suoi movimenti, non più di quanto avessero fatto fino a quel momento.
 
La sera era calata e quella si preannunciava essere una notte bollente per il giornalismo della Repubblica. Elvira era rinchiusa nel suo ufficio, con un avvocato e altri due colleghi che prendevano appunti ascoltando la registrazione inviatagli da Dream, quando il suo telefono cellulare squillò:
«Hey, Elvira, hai accesa la tv?» disse una voce maschile dall’altro capo del telefono.
«No, caro. Perché?» chiese la donna stupita per la chiamata ricevuta.
«Accendila e metti sul primo canale. Buon divertimento» e riattaccò immediatamente.
«Chi era?» chiese l’avvocato.
«Petri, ha detto di accendere la televisione sul primo canale... e di divertirmi» annunciò lei confusa. Poi schioccò le dita e si fece passare il telecomando, con cui accese la televisione.
La telecamera mostrava una signora bionda era in diretta davanti al Parlamento mentre reggeva in mano una serie di fogli: «Sì, eccoci, siamo davanti la Camera dei Rappresentanti che ha appena approvato a maggioranza la nuova delibera della Commissione Giustizia.
Tra le personalità che la Commissione ha chiesto di arrestare, quest’oggi, risaltano Paul Jofrey, de “Il Corriere di Fiordoropoli”, John Wilson, analista politico de “Il Pigdey” e poi anche il pluri-Campione della Lega Pokémon, Dream. Ecco, posso dire che è un po’ una sorpresa trovare Dream in questa lista, le motivazioni sul suo arresto dicono che sia per la sua attività giornalistica tutt’altro che conforme alla dignità della carriera. Curiosamente, è il secondo Campione dopo Rosso, che risulta tutt’ora ricercato ma….».
La donna fu interrotta dal conduttore del telegiornale, un uomo sulla quarantina, calvo, vestito molto elegantemente: “Scusa Raffaella se ti interrompo, scusami tanto ma c’è un ultim’ora proveniente dalla regione di Hoenn. Un comunicato appena emesso, che ora leggo in diretta:
Il Governatore della regione di Hoenn, Rocco Petri, ha comunicato che nella mattinata di oggi sono state trovate, un gran numero di schede elettorali utilizzate nei pressi del Monte Cammino. Dopo aver avvertito il Presidente del Consiglio Federale per mezzo del vice-Governatore Max e nonostante le richieste da parte della Presidenza stessa di archiviare il caso, il Governatore ha avvertito la Corte Costituzionale che ha fatto sapere che si riunirà a breve, in sessione d’emergenza, per discutere del caso.
La Presidenza della Regione ha inoltre disposto ordinato immediate indagini nei Percorsi di Hoenn per verificare la presenza di ulteriori schede elettorali chiedendo aiuto anche alla polizia federale e alla Guardia Nazionale dei Ranger”».
Il conduttore guardò un attimo la telecamera allibito di quello che aveva appena letto. Con grazia e classe, tentò di ricordare i dati della precedente tornata elettorale per fare un commento a caldo: «Se quello che ho appena letto venisse confermato e se queste schede elettorali si rivelassero vere, sulle precedenti elezioni si potrebbe dire che aggirerebbe lo spettro dei brogli.
C’è anche da sottolineare una bruttissima coincidenza, alquanto inquietante mi verrebbe da dire, poiché Hoenn, assieme alle altre regioni federali, registrò una scarsa affluenza alle urne proprio in occasione delle politiche di quest’estate. Se i dubbi venissero confermati, insomma, si prospetta un tenebroso futuro sulle sorti del Governo. Vi terremo aggiornati».

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Fama Capitale ***


Capitolo 18 – Fama Capitale
 
16 Agosto 2011
«Posso darti del tu?» chiese la donna con un sorriso dolce, volto a mettere l’allenatore a proprio agio.
Si trovavano sulla grande terrazza del Centro Commerciale di Fiordoropoli, lei era Elvira, la vice-direttrice de “Il Corriere di Fiordoropoli”. Una donna alta, occhi azzurri e lunghi capelli biondi.
«No problem, assolutamente..» rispose Dream con voce roca, mentre si toglieva gli occhiali da sole con una piccola smorfia per la forte luce solare che gli infastidiva le pupille.
«Ore piccole?» chiese Elvira sorridente, mentre posava il registratore sul tavolo e tirava fuori da una piccola borsetta decorata con le immagini di un Bellossom un taccuino.
«Ormai sarebbe strano per me farle “grandi”, le ore» fece ironico, mentre sollevava delicatamente il viso al cielo dove il Sole aveva già cominciato a scaldare pur essendo solo le nove di mattina.
«Allora, Dream, questa è la tua prima intervista per un quotidiano che non sia sportivo. Prima di pubblicare l’intervista, sono solita a scrivere la biografia del mio intervistato. Ma bene o male scrivo informazioni che conoscono tutti. Con te vorrei fare una cosa differente, perché non ti presenti tu?».
Dream sorrise, abbassò la testa, si grattò per un secondo il naso e poi cominciò ad osservare Elvira negli occhi: «Sono Dream, ho vent’anni e tutti vogliono uccidermi. I miei amici mi hanno condannato ad essere una macchietta, i miei genitori non mi hanno mai capito e il mio lavoro... mi sta facendo perdere la fiamma.
Poi mi guardo allo specchio e vedo esattamente ciò che sono...».
«E cosa sei?» chiese la giornalista dando una fugace occhiata e segnando tutto rapidamente sul blocco note.
«L’incarnazione umana della noia».
«E’ una definizione davvero interessante, ma ci tornerei dopo su questo punto. Perché sarebbe carino sapere com’è tutto cominciato. Com’era il Campione prima di diventare Campione».
«Vengo da Borgo Foglianova, penso che lo sappiano tutti questo.
Tutti parlano di quanto la nostra società sia cambiata dopo la crisi, dopo il buco nei conti, la disoccupazione, la miseria, la paura, gli attentati. Nessuno però parla di come eravamo prima che tutto questo succedesse.
Già, come eravamo prima? Beh, Elvira, io me lo ricordo. Io ricordo da dove vengo.
Vengo da una città in cui le sveglie suonano tutte la stessa condanna. Non è stata sufficiente la Scuola per Allenatori per arginare i fenomeni di degrado sociale e per quanto Bruno Fogli abbia fatto uno splendido, grandioso lavoro, purtroppo anche lui ha dei mezzi limitati.
Quando tornavo a casa dal parco, dopo un pomeriggio passato a studiare e giocare con gli amici, non potevo non passare da dei vicoletti appena illuminati in cui si appostavano spacciatori con chili di droga e i loro clienti, con più buchi sulle braccia che anima. Ricordo i loro sguardi sul mio corpo, le loro occhiaie viola, i loro denti marci, il tanfo che emanavano. Uscivano come ratti appena sentivano qualche passo sull’asfalto, pensando che fosse il loro amico con altra “roba” da condividere.
Ora la situazione è molto migliorata – volle precisare Dream per evitare polemiche sterili con il sindaco di Borgo Foglianova – certe situazioni non le vedo più nei miei soggiorni. Ma posso garantire che quello ha sicuramente inciso sulla mia vita».
«Hai avuto quindi un’infanzia difficile?» chiese la donna, con un tono di compassione.
«Oh, per carità, assolutamente no. La mia vita non è stata difficile. I miei genitori conducevano una vita agiata e hanno permesso anche a me di viverla. Non sono cresciuto in una situazione di degrado economico o sociale. Dico solo che bisognava stare attenti, molto attenti, a dove si andava, con chi si andava e le ore in cui si usciva.
Era una sorta di... stato sovietico quello di Borgo Foglianova di quando ero giovane. Ad una certa ora scattava il coprifuoco. E se non lo rispettavi potevi venire aggredito da questi pazzi eroinomani scatenati».
«Ma ci sarà stato anche qualche lato divertente in tutto ciò, no?».
«Oh, sicuro!
Ricordo che era usanza, durante l’ultimo anno di scuola, salutarmi con “Mi raccomando, Dream, fai il bravo!”. Non ricordo come nacque quel modo di dire, probabilmente non lo sapeva nessuno, ad esser onesto. Non sapevamo neanche chi fu la prima persona ad idearlo o quale evento lo avesse scatenato. Forse non c’era davvero nessuna storia dietro, era nato come un semplice saluto differente...
In ogni caso, io rispondevo con “Sempre”...».
«E tutto questo è curioso, in un certo senso. Nell’ultimo anno possiamo dire che la tua vita non è stata esattamente quella da “bravo ragazzo”». Elvira puntò immediatamente l’attenzione sulle abitudini sregolate che l’allenatore aveva assunto dopo la nona vittoria alla Lega Pokémon.
«Beh, posso ammettere che effettivamente non sono mai stato lontano dai guai... alla fine ho aiutato a sgominare il Team Rocket agli albori della mia vita da allenatore, ho aiutato a sconfiggere il Team Idro e il Team Magma, assieme a tanti altri ragazzi e ragazze come me, sono stato chiamato dalla Polizia Federale per la guerra contro il Team Galassia. Quindi sì, in qualche modo ho sempre giocato con il pericolo, anche a scuola». Dream sgusciò dalla domanda con gran saggezza. Non voleva che gli si andasse a dire che certe cose non si fanno, che è un pessimo esempio. Non voleva sentire ramanzine dalla giornalista e non ne voleva dall’opinione pubblica nei giorni successivi. L’ordine era “evitare”, o al massimo concedere solo nel momento in cui si avrebbe avuto il coltello dalla parte del manico.
«Cos’altro ricordi della tua vita scolastica?». Elvira non tornò immediatamente all’attacco. Sembrò andare in ritirata, magari per colpire successivamente.
«Ricordo che non ero uno studente molto popolare... Per molti ero un semplice miracolato, senza alcuna abilità e capacità da poter sfruttare nel mondo esterno ma che all’interno dell’istituto godevo della simpatia dei professori.
Per altri, invece, avevo la puzza sotto il naso, ingiustificatamente. Si sentivano migliori di me e quando la notizia che avrei ricevuto un pokémon iniziale direttamente dalle mani del Professor Elm, questi soggettoni sono stati i primi a schiumare d’invidia. E’ stato tutto molto divertente ai tempi» concluse il ragazzo sorridendo.
«Questa situazione di invidia, ti ha mai messo in una condizione di pericolo ai tempi?».
«In un certo senso...
Ricordo che un giorno, durante un intervallo, stavo camminando per i corridoi. Mi dicevano sempre “tu cammini con un’impeccabile postura: sempre la schiena dritta e un passo così rapido che puoi consumare il pavimento!” – disse mimando la voce di un’altra persona – Ad un certo punto mi sono sentito un paio di mani posate sulle mie spalle che mi hanno spinto contro il muro facendomi colpire con la nuca lievemente la parete.
Ricordo i suoi occhi azzurri... si chiamava Lorenzo mi pare, e ricordo che mi fissava intensamente, riuscivo a sentire il suo respiro sulla pelle.
Le mani passarono dalle spalle al colletto della mia maglia e potevo vedere i suoi occhi che si avvicinavano minacciosamente.
Mi disse: «Rivolgiti ancora a me in quel modo e ti giuro che…» ma io lo interruppi immediatamente e come un giornalista che si intende di criminalità organizzata o politica, mi son messo a sviscerare tutti i guai della sua famiglia. E provocatoriamente gli faccio: «Cosa fai? Chiami papino? Mi pare che sia in carcere perché si è invischiato nel Team Rocket. Tuo fratello? Pure…  Credi di essere davvero di essere nella posizione di poter minacciare qualcuno?».
Per un momento tale Lorenzo sembrò allontanarsi per poi tornare alla carica mostrando un pugno che si è fermato a pochi centimetri dal mio volto perché grazie a Dio un professore era giunto giusto in tempo!».
In quel momento avrebbe voluto anche dire come si sentiva alla giornalista in quel periodo, ma pensò che era meglio evitare per non dargli troppe informazioni sulla sia vita passata e privata.
Ad esempio, perché ammettere che lui non si sentiva come gli altri? No, lui si sentiva superiore agli altri. Stimava i suoi amici, ma non troppo, li trovava comunque troppo apatici o semplicemente troppo ignoranti rispetto a quello che era lui. Capitava anche che dubitava della bravura di alcuni compagni, solitamente non brillanti, quando prendevano un voto simile al suo nelle varie prove ed esami.
Quando verso la fine dell’ultimo anno di scuola, il professor Blaine, in un momento di inusuale gentilezza, gli chiese «Con chi partirai per il viaggio?» fu l’unico a rispondere con un secco «Nessuno».
Dream era l’unico allenatore a partire da solo. I suoi compagni o i suoi coetanei partirono tutti in coppia o in gruppi da tre, per farsi compagnia durante la notte negli umidi percorsi di Johto, «La notte non è pericolosa se hai un buon pokémon allenato, mamma. La gente scansafatiche è pericolosa» disse a sua madre quando questa tentava di persuaderlo a partire con qualche conoscente. Ma Dream fu irremovibile e partì subito dopo la premiazione di settembre.
 
Giuly si tappò la bocca con le due mani, mimando di soffocare un urlo. La notizia che Dream era in stato di arresto l’aveva sconvolta tanto da farla piangere.
Il ragazzo la strinse forte a sé, poi si avvicinò all’orecchio e sussurrando disse: «Non mi succederà nulla, Giuly. Non accadrà proprio nulla».
«Sì... ma i tuoi pokémon?» chiese lei allontanandosi un attimo, continuando a singhiozzare.
«Sono già stati tutti trasportati a Kalos. Io e Vera li abbiamo spediti un po’ alla volta nelle scorse settimane. Rimane con me un solo pokémon – disse mostrando la sfera poké – ed è talmente bravo che poi raggiungerà gli altri da solo» concluse lui con un certo orgoglio.
«Ma casa tua?».
«Casa mia è svuotata. Totalmente. Son rimasti solo i muri e il pavimento. Quei cretini rimarranno di stucco quando sfonderanno la porta e migliaia di coriandoli li travolgeranno con un fantastico botto!».
«E tu? Che fine farai?».
«Oh, Giuly cara, quante domande mi fai! – Disse il ragazzo allentando la presa e dirigendosi verso l’appendiabiti, dove aveva appeso il proprio giubbotto di pelle – Mew mi porterà a Ponentopoli, da lì prenderò un volo diretto a Luminopoli. Abbiamo fatto i calcoli su quanto tempo ci mette la Commissione a trasmettere i dati alle prefetture e ho tutto il tempo di imbarcarmi e partire. Specie se ho documenti falsi, come nel mio caso. Per questo viaggio mi chiamerò Luca Silbioni – disse tirando fuori dal portafogli la nuova carta d’identità – me l’ha fatta avere Vera».
«Sicuro di non venire scoperto?» chiese Giuly avvicinandosi all’amico e prendendo in mano il documento contraffatto.
«Sicurissimo! I laboratori di quella regione socialista sono più funzionali di quanto tu possa pensare... la cosa ha sorpreso anche me. Avranno i treni con più ruggine che ossigeno, ma per le cose criminali su Hoenn puoi contare».
Dream allargò le braccia per salutare definitivamente la ragazza, che ricambiò l’abbraccio ricominciando a piangere nuovamente.
«Su, tranquilla! Ci rivedremo presto! Lo hai sentito il telegiornale, no? Presto questo governo verrà dichiarato illegale in tutto l’universo e abrogheranno tutti gli atti perpetrati da questi ratti fascisti e potrò tornare a casa, presto presto!».
«Hai ragione – disse lei tirando su con il naso – ci vediamo presto» e sorrise delicatamente.
Dream lasciò scivolare Mew fuori dalla Pokéball che cominciò a librarsi in aria con i suoi soliti movimenti irregolari.
«Mew, tocca a te, coraggio».
Il pokémon creò una bolla che lo racchiudeva assieme al suo allenatore, poi la bolla schizzò in aria attraversando tutti gli appartamenti posti sopra quelli di Giuly finché non superarono il tetto del grattacielo. Erano invisibili e avevano lasciato ogni principio fisico entrati in quella speciale sfera che il Novaspecie aveva creato.
Dream ammirò per l’ultima volta Fiordoropoli illuminata da un miliardo di luci che la formavano. Sì, quella Fiordoropoli che l’aveva visto crescere, quella Fiordoropoli che lui ha visto crescere, ampliarsi, diventare una delle città più importanti del mondo. Quella Fiordoropoli che l’ha stretto tra le braccia come una madre e gli ha insegnato tutto quello che sapeva per sopravvivere in quel mondo. Quella Fiordoropoli che tanto gli aveva dato e che tutto gli aveva tolto.
I suoi occhi furono invasi da una forte luce bianca, Mew aveva utilizzato Teletrasporto.
Chissà che cosa avrebbero pensato Davide, Daniele, Alessio di Dream ora. Loro che erano soliti augurarsi che Dream non facesse il cattivo ragazzo, come lo avrebbero considerato ora che era un fuorilegge?
 
18 Settembre 2001
«Croconaw… Croconaw stai fermò! Muoviti! Vieni qua!» gridò a voce soffocata Dream. Il pokémon, impegnato a lottare contro uno Spearow, guardò intensamente Dream, aprì sufficientemente la mascella per permettere al pokémon Uccellino di fuggire e poi corse all’interno della tenda che il suo allenatore aveva montato per passare la notte.
All’interno dell’installazione, oltre a Dream, c’era Cyndaquil. Il piccolo pokémon Fuoco si era addormentato mentre scaldava l’ambiente per la notte.
Il ragazzo rientrò e si sedette a gambe incrociate, tornando a leggere le informazioni sul suo Pokégear.
«Allora, Croconaw – proseguì sotto voce il ragazzino – la prossima città che incroceremo sarà la capitale, Fiordoropoli. Attualmente, sono riusciti a battere Chiara esattamente… zero allenatori della nostra annata».
Era incredibile che nessuno dei suoi compagni fosse riuscito a superare la terza Capopalestra, questo destò in lui non poca preoccupazione sulla preparazione che gli sarebbe servita per superare la sfida. Per un attimo si allontanò con la mente e cominciò a ricordare chi furono gli allenatori sfidati fino a quel momento, tentando di capire come mai loro non erano riuscii ancora a sconfiggere Chiara. Capì che il loro problema era l’allenamento che avevano riservato alla propria squadra. Gli altri ragazzi erano più concentrati a camminare a passo spedito piuttosto che occuparsi della loro squadra. E così una volta sconfitto il primo pokémon mandato in campo, che si trattava sempre del primo pokémon ricevuto, il resto della squadra era completamente impreparato ad affrontare altri pokémon. Dream invece procedeva più lentamente, allenando l’intera squadra in maniera equilibrata, ecco perché il suo Pidgey si era evoluto in Pidgeotto, il suo Ekans in Arbok e Totodile era passato al suo secondo stadio evolutivo, Croconaw.
«Chiara è esperta in pokémon di tipo normale – continuò il ragazzo, leggendo “Introduzione alle Palestre di Johto” – l’interno della palestra è formato da un complesso labirinto di fiori e piante che forma un Clefairy e… blablabla… la capo palestra si trova al centro. Beh, Croconaw, domani saremo i primi allenatori a sconfiggere Chiara» concluse sorridendo Dream, prima di coricarsi e addormentarsi profondamente.
 
Fiordoropoli era stata  scelta come capitale della neonata Repubblica Federale di Pokémon, uno stato di tipo federale fondato ufficialmente il primo gennaio del 2000.
La Repubblica venne fondata da tre stati precedentemente indipendenti: Johto, Kanto e L’Arcipelago Orange. Inizialmente i rapporti tra i vari Paesi erano esclusivamente di natura economica, nel corso degli anni le politiche di integrazione si fecero via-via sempre più profonde arrivando prima ad un’integrazione monetaria, bancaria e infine politica, che ha raggiunto il suo apice più alto con la creazione di un unico Stato formato da una Costituzione, un Parlamento Federale, un Presidente della Repubblica Federale e altri organi federali come la Corte Costituzionale o quelli utili al coordinamento della Magistratura.
Ma proprio perché lo Stato nacque come frutto di un compromesso, tra stati portatori di interessi lievemente differenti, per evitare la creazione di una fusione a freddo, si decise di siglare accordi al ribasso. E così, la legge fondamentale dello stato era stata creata in maniera molto flessibile con i principi fondamentali facilmente aggirabili per permettere al Parlamento – e al Governo Federale – con una ridottissima possibilità di incorrere nelle sanzioni della Corte Costituzionale.
La scelta della Capitale fu frutto di un compromesso politico ben congeniato. Le città candidate erano Fiordoropoli per Johto e Zafferanopoli per Kanto. L’Arcipelago Orange, non possedendo città sufficientemente grandi da poter utilizzare come Capitale della Repubblica si autoeliminò immediatamente dalla questione diventando una bacinella di voti utili per la votazione finale.
L’accordo su Fiordoropoli venne raggiunto solo quando il governo di Johto autorizzò la chiusura dei casinò cittadino rendendoli legali solo nell’area di Azzurropoli; esclusività che perse anni dopo con l’annessione dello Stato di Hoenn che, con la sua Ciclamipoli, ridusse notevolmente l’importanza del Casinò della città di Kanto. Numerose furono le proteste da parte dei cittadini di Zafferanopoli che vedevano la loro città perdere grado passando da capitale di uno stato indipendente a capitale di uno stato federato.
Non era la prima che Dream visitava Fiordoropoli. Aveva visitato la Capitale già altre volte, per accompagnare i genitori nello svolgere diverse commissioni. Il 19 Settembre 2001 era però la prima volta che camminava per quella giunga di cemento solo con la sua squadra.
Incontrò prima il quartiere de “Il Mercato”, posto a meridione, che gli diede un’immagine abbastanza controversa della città. Mai aveva visitato quella zona ferma nel tempo, in un primo momento pensò addirittura di essersi perso ed esser giunto in qualche paesino non segnato sulla “Mappa Città” del Pokégear. Fu solo continuando per la strada che riconobbe alcune vie che aveva già percorso con i genitori e in breve tempo si trovò all’incrocio tra “Corso della vittoria” e “Corso dell’onore”, le due vie più grandi di Fiordoropoli che si univano in una grande piazza di forma circolare su cui era costruita una fontana che emetteva una grossa fiamma rossa.
Provava una particolare emozione dentro di sé, qualcosa mai sentito prima di quel momento. Né Violapoli, per quanto fosse stata la prima città con una Palestra e neanche Azalina, gli avevano fornito quella sensazione così particolare. Saranno forse stati i grandi palazzi, sarà stato l’incredibile dinamismo, così lontano dalla tranquillità di Borgo Foglianova o sarà stata anche l’emozione di poter essere il primo sfidante che sarebbe uscito vittorioso dalla battaglia con Chiara, mai lo capì esattamente. Ma sentiva dentro di sé che ogni passo che faceva, quella città gli rubava una parte di sé e che presto lo avrebbe inglobato completamente. Voleva esser parte di quel luogo dove venivano raccontate quotidianamente più di sette milioni di storie. Voleva essere la sette milionesima e una storia.
Voleva guardare la città dal basso. Voleva carpirne i segreti, conoscere le persone. Per la prima volta capì cosa significava volere l’amicizia di qualcuno, anche se non sapeva ancora di chi, ma tutto il dinamismo visto sino a quel momento gli fece pensare che non avrebbe trovato persone prive di voglia di vivere come invece le aveva conosciute nella sua città natale.
Il suo cuore pulsava e i suoi occhi erano lucidi. Che cos’era quella sensazione? Era la stessa cosa che si provava quando si aveva sei, sette anni e a Natale si apriva il grande pacco incartato dai propri genitori.
La felicità.
Per l’ora di pranzo arrivò davanti alla Palestra di Fiordoropoli, ma non soddisfatto pensò di ricominciare a camminare e di tornare più tardi. Voleva esplorare ogni angolo della città.
Entrò in un piccolo bar, nella zona nord orientale della città, poco distante da un piccolo negozio di biciclette. Si sedette in un piccolo tavolino afferrando il quotidiano da quello affianco e ordinando un paio di toast e una Coca-Cola. Nel addentare il panino, nel sorseggiare con una cannuccia di plastica il contenuto della lattina, non aveva sentito alcuna voce che commentava le sue azioni. Una pace per le orecchie.
Nessun «Uh, guarda Dream che beve», nessun «Guarda come mangia Dream» e nessun altro commento tipico dei compagni di scuola di Borgo Foglianova, che aveva anche incontrato nella più piccola Azalina o Violapoli. Il silenzio di un bar poco frequentato nella calura di un’estate che non ne voleva sapere di finire mentre la radio trasmetteva “It’s Raining Men” di Geri Halliwell.
Tornò davanti alla Palestra e in quel momento le porte si aprirono, permettendogli di vederlo.
Il ciuffo nero usciva ancora dal cappellino, rigorosamente oro e nero, esattamente lo stesso che indossava il giorno del primo incontro. Indossava una felpa rossa e un paio di pantaloncini lunghi fino al ginocchio dello stesso colore del cappello.
Dream fece un cenno con la mano sinistra, sorridendo, ma dall’altra parte non arrivò nulla. Lo osservò attentamente, alla sua visione, Oro aveva mosso in maniera quasi impercettibile il labbro superiore. I suoi occhi non erano vuoti, come quelli di una persona distratta. Tutt’altro, erano pieni, ricolmi di rabbia, pronta ad esplodere.
Venne a sapere qualche ora più tardi, dalla temibile Capopalestra, che anche lui era stato sconfitto, informazione che Dream riuscì ad ottenere solo perché era riuscito a battere Chiara e il suo Miltank.
Oro venne rivisto solo quasi un anno più tardi, durante il tentato colpo di Stato da parte dell’allora Generale Rocket Archer divenuto poi Governatore di Johto.
Ma nel non venire salutato, Dream trovò qualcosa di poetico. Fiordoropoli si rivelava essere la città in cui le persone gentili, alla mano, disponibili diventavano l’esatto opposto, indifferenti, incuranti, quasi aggressive. Mostravano la loro vera faccia, la loro vera essenza. Si spogliavano delle ipocrisie, dei vestiti messi per compiacere e indossavano la loro vera pelle. Capii in quel preciso momento perché stava amando quella città: perché a Fiordoropoli tutti diventavano Dream.
Il resto della giornata venne passato in un piccolo parco, all’ombra della Torre Radio, assieme ad un compagno di classe incontrato per caso. Il giorno dopo partì, alla volta della storica Amarantopoli, ma in cuor suo lo sapeva che ci sarebbe tornato a Fiordoropoli, perché lui sarebbe arrivato a possederla. Il suo divenne un pensiero fisso, quasi maniacale, al pari di diventare il miglior allenatore della storia.
E così, dopo aver battuto la Lega, il suo primo pensiero fu quello di comprare un appartamento nella Capitale. E una volta messi da parti soldi sufficienti, il primo appartamento venne venduto e acquistato il loft dove abitò a lungo, fino alla sua condanna da parte della Commissione Giustizia del Parlamento Federale.
 
15 Agosto 2011
«You make me this,
Bring me up,
Bring me down,
Play it sweet,
Make me move like a freak
Mr.Saxo beat»
La musica pompava dalle casse ad un volume esageratamente alto. Il pavimento tremava a causa dei bassi e le luci stroboscopiche illuminavano quell’insieme di volti, quel mucchio di corpi che si muovevano sinuosamente tra loro, mentre le illuminazioni arrivando a lambire anche il cielo senza fermarsi un attimo.
«Chissà come ci si sente a diventare Campioni» gridò nell’orecchio un ragazzo dai capelli rossi, lentiggini sul viso e occhi azzurri. Si rivolse al suo amico di fronte a lui, mentre con gli occhi osservava Dream saltare sulle spalle di quello che gli sembrava essere il Campione Rosso. Si chiamava Dereck.
«Lessi l’intervista di un Campione qualche giorno fa in cui disse che quando riuscì a battere il Lance gli bruciavano gli occhi e sentiva la testa vicina all’esplosione» rispose l’amico. Capelli rasati, sopracciglio destro con un taglio e occhi castani, il suo nome era Pablo.
La musica si abbassò e si unì al duo un terzo ragazzo, carnagione scura, occhi neri, capelli ricci: «Parlavate di Campioni?».
Pablo annuì, andando a tempo di musica: «Sì, Christian, stavamo parlando di che sensazione si prova quando si vince».
«Beh – fece Christian alzando le spalle con spavalderia – vi manderò un messaggio con scritto cosa ho provato» concluse lui cominciando a muoversi anche lui con il ritmo della canzone.
«Sempre se riuscirai a battere Dream... dicono che vogliano farlo Campione Reggente della Lega di Johto» fece notare Dereck mentre con lo sguardo cercava di guardare Dream che sembrava essersi volatilizzato.
«Dereck, in tutta onestà, il mio obiettivo è batterlo, uguagliarlo e superarlo. Arriverò a vincere il titolo di Campione non per nove volte, ma per dieci e vi dirò come ci si sente».
«In realtà, se proprio lo volete sapere, la prima volta che divenni Campione, non capii assolutamente nulla» disse una voce alle spalle dei tre ragazzi. I loro sangue si raggelò sul momento e il cuore cominciò a pulsare in maniera forsennata, «Lo ricordo come se fosse ieri, la voce al megafono continuava a ripetere “Incredibile, Dream è il nuovo Campione! Dream è il nuovo Campione!” ma io non mi rendevo conto di nulla, e quando Lance è venuto ad abbracciarmi, per me era come se fosse un amico che mi stesse salutando come se stessi partendo per un lungo viaggio...
Le altre otto volte, invece... provavo delle vertigini. Sì, delle vertigini, perdevo quasi l’equilibrio» si prese un momento di pausa, bevve dal bicchiere di cristallo che aveva in mano e diede il tempo ai tre ragazzi di girarsi e osservare con sguardo imbarazzato che colui che avevano alle spalle era Dream.
«Tu poi, hai detto che vuoi superarmi – disse osservando attentamente negli occhi Christian – prego fai pure. Ma io alla tua età venivo chiamato dalla polizia federale per salvare il mondo, tu invece utilizzi il cognome del tuo paparino per imbucarti ai miei party. Alla tua età ero già diventato Campione otto volte... tu? “Bip bip” nessun titolo rilevato, ritenta, sarai più fortunato.
La verità che molti, come te, non hanno accettato, è che io sono il Campione e lo sarò per sempre. Anzi, ti dirò di più – disse avvicinandosi all’orecchio di Christian e abbassando la voce, fino a sussurrargli – io sono il Campione dei Campioni. Neanche nei tuoi sogni potrai raggiungermi» Dream si congedò con un cenno della mano.
«Ma cos’è che stiamo festeggiando esattamente?» pronunciò una voce femminile, rauca, lenta, emessa come se si stesse pronunciando una preghiera alla Madonna.
«Cosa stiamo festeggiando...» disse Dream sorridente alla ragazza, osservando dapprima gli occhi arrossati, l’iride azzurra, le ampie occhiaie sotto le palpebre della giovane donna. «A Settembre di dieci anni fa, cominciavo il mio viaggio di allenatore».
«Ma non sei un po’ in anticipo?» chiese lei, lasciando la bocca aperta come se fosse sconvolta.
«Ma poi a settembre siete tutti occupati e stanchi per il lavoro, io non sono superstizioso, cara... Come ti chiami?».
«Alexandra».
«Io non sono superstizioso, cara Alexandra… Alexandra come?» chiese il ragazzo per capire chi avesse davanti.
«Alexandra Del Vino».
Il nome non gli diceva niente.
La ragazza riprese a parlare: «Grazie per l’invito, Dream».
«Di niente – fece nascondendo l’imbarazzo per non sapere chi avesse di fronte – ci ha pensato l’organizzatore della festa a mandarli».
«Oh… – pronunciò, distogliendo lo sguardo e sentendosi mortificata – Fai bene comunque, neanche io sono superstiziosa, infatti non passo mai sotto le scale aperte e non lascio mai il cappello sul letto, non si sa mai che uno Zubat possa afferrarmi per i capelli».
Dream la osservò per un attimo perplesso, ricordandosi poi che quella probabilmente non sarebbe stata neanche la più grande assurdità che avrebbe sentito quella sera.
«Ma tu non alleni più?» continuò lei, proprio quando Dream si stava staccando per salutare una giovane ragazza che gli aveva appena fatto l’occhiolino.
Il ragazzo lanciò gli occhi al cielo, poi tornò sorridente a osservare la sua interlocutrice.
«A dire il vero sono in pausa... è come se mi avessero tolto la voglia di lavorare».
«E chi te l’ha tolta?» chiese lei, allargando gli occhi e socchiudendo la bocca.
«Le scimmie».
«Le scimmie?».
«Questi animali» disse lui, indicando tutti i presenti alla festa, che continuavano a ballare e strusciarsi tra loro, senza fermarsi, mentre il sudore grondava dalle loro fronti, dalle loro ascelle, bagnando il collo, la maglietta e venendo poi lanciato inconsciamente e involontariamente sulle altre persone. Contemporaneamente, la mano sinistra si posò sui capelli biondi di Alexandra, osservandola con un sorriso paterno e poi si allontanò, lasciando la giovane da sola, con in mano un bicchiere di Martini e niente più.
 
16 Agosto 2011
«Scimmie? Che cosa intendi per “Scimmie”, Dream?» domandò Elvira, mentre il Sole continuava ad illuminare la terrazza del Cetro Commerciale di Fiordoropoli.
«Queste persone senza cultura, senza uno scopo, senza idee, senza personalità. Persone che vivono perché morire è troppo faticoso. Vanno quindi alle feste, ogni festa, nessuna esclusa, bevono drink su drink, tirano su le strisce ideate da Pollon e continuano a fare quello che fanno solitamente: niente».
«Mi sta dicendo che gira della droga alle feste?» chiese la donna come se avesse tra le mani uno scoop bollente.
«Avanti, il Papa è cattolico?».
«Deduco di sì».
«Non ho mai aspirato coca, e neanche me l’hanno mai proposta, ad esser onesti. Ma quando dici ad una persona che non sei superstiziosa e questa ti risponde che neanche lei lo, accertandosi sempre di non passare sotto le scale, di non posare il cappello sul letto...».
«Non può essere semplice... ignoranza?».
«Oh certo, ma quando le assurdità arrivano in compagnia di occhi arrossati, vuoti, e occhiaie lunghe come la ferrovia Ferruggipoli-Lavandonia, un paio di domande se sia effettivamente ignoranza, me le pongo».
«Quindi non si diverte con i trenini dei party? Mi han detto che anche alla sua festa di ieri ce ne sono stati parecchi».
Dream sorrise amaramente, alzando la mano e schioccando le dita, chiamando il barista del piccolo baracchino posto a qualche metro da lui.
«Oh, ti dirò. Quando allenavo, dovevo viaggiare molto, ovvio, no? E tra me e i viaggi c’era una sorta di rapporto conflittuale, una specie di bipolarismo: amavo viaggiare, amavo consumare le suole delle mie scarpe sul terreno, oh, come se lo adoravo. Dio solo sa quante volte sono passato nel deserto di Hoenn, o quanto ho usato Surf tra Fiorlisopoli e le Isole Vorticose...
Però poi arrivavo a destinazione, no? E quella è la parte che odio. Quando le porte del Centro Pokémon si aprono e mi siedo in attesa che i miei pokémon si riposino. Quando poso o bagagli nel piano di sopra e passo la notte lì. Ecco, quella è la parte che apprezzo meno. Amo il viaggio, odio arrivare a destinazione».
Al tavolo arrivò un ragazzino che aveva forse 16 anni, con un grembiule bianco e una camicia nera a maniche lunghe, arrotolate fino al gomito sotto cui stava patendo un caldo infernale. Dream ordinò una bottiglia di acqua naturale fresca, mentre Elvira un succo di frutta ai frutti di bosco.
«Sì, ma questo cosa c’entra con i trenini?» lo incalzò Elvira.
«Giusto – fece Dream ponendo gli indici in direzione della giornalista – a me quei trenini piacciono un sacco, e sai perché?».
«No, sono qui ad aspettare la tua risposta, perché?».
«Perché nessuna di quelle scimmie andrà da qualche parte. Rimangono nella loro giungla. Nessuno di loro andrà mai da nessuna parte, nessuna». Dream cominciò a ridere di gusto mentre la giornalista lo fissò gelida, mentre la penna si piegò di lato sorpresa dalla risposta data.
«Quindi tu non arriverà da nessuna parte?».
«Io non so più dove andare, Elvira. Dove devo andare, di grazia? Ho frequentato più party nell’ultimo anno che catturato pokémon. Gli allenatori che all’inizio si mettevano in mezzo nel mio percorso per incrociare il mio sguardo, ora si nascondono al mio passaggio e un allenatore che non combatte con altri allenatori è un allenatore a metà. E che noia, essere a metà, che noia».
«Neanche il suo amico Rosso arriverà mai da qualche parte?».
«Rosso ha deciso, di sua spontanea volontà, di non arrivare da nessuna parte. E’ diventato Campione, si è impiantato sul Monte Argento e non si schioda da lì. Certo, è divenuto una leggenda, “L’Allenatore del Monte Argento” lo chiamano. Ha tirato forse il più grande colpo da maestri alla più grande associazione criminale di questo Paese, bisogna dargliene atto, ma poi? Una volta finita l’epoca del Rosso, una volta finita la guerra al Team Rocket, Rosso cosa ha fatto? Niente».
«E’ sempre così critico nei confronti dei suoi amici?».
«Oh – Dream sbuffò sarcastico – sono tanto critico con me stesso, mi potrò permettere il lusso di esserlo nei confronti degli altri?».
«Sì, ma quest’intervista verrà pubblicata su un giornale nazionale. Non ha paura che possa sentirsi offeso?» chiese lei, incerta sul da farsi.
«Ma no, assolutamente. Sono tutte cose dette tante volte. Tutti sanno quanto io adori Rosso, ma tutti sanno anche che non approvo certe scelte».
La giornalista rimase muta, immobile davanti a quella risposta. Dream era un fiume in piena, si aspettava un’intervista pacata nei contenuti, e invece era un tornado, una diga fratturata che avrebbe travolto l’intera città.
Avrebbe potuto chiedergli di una qualsiasi persona e avrebbe trovato materiale che avrebbe fatto vendere il giornale comunque.
«C’era la Capopalestra di Fiordoropoli, Chiara, alla sua festa. Anche lei non andrà più da nessuna parte?».
Dream sorrise sentendo la domanda.
«Dieci anni non c’era Palestra più temuta di quella di Chiara. Incuteva paura anche solo pronunciare il suo nome. Siamo usciti dalla Scuola per Allenatori, nel 2001, con il terrore della terza Palestra. “Chiara è impossibile da battere se non allenate come vi abbiamo insegnato”, o ancora “Poi allenate la vostra squadra con i piedi e ci pensa Chiara a darvi una lezione”.
Per me non fu un problema, ma quell’anno la metà dei diplomati lasciò perdere la Lega Pokémon a causa sua. Poi vai a vedere i dati di quest’anno, emanati dall’Associazione Nazionale della Lega Pokémon e cosa risulta? Risulta che praticamente tutti gli allenatori che hanno sfidato Chiara sono riusciti ad ottenere quella medaglia. Tutti, nessuno escluso. Mentre per le altre Palestre la media rimane sempre quella.
Direi che la signorina Chiara forse dovrebbe lasciare il posto a qualcun altro di più competente, perché il suo treno ha terminato la sua corsa cinque anni fa, forse. E ora sta aspettando che il treno riparta, ma il “ciuf ciuf” sta per essere rottamato».
«E’ un ritratto interessante quello che si può fare di te, Dream – pronunciò Elvira osservando le note prese – perché ecco, parli tranquillamente, non hai peli sulla lingua, attacchi te stesso, gli amici, i tuoi “colleghi”, eppure non posso scrollarmi di dosso la sensazione che io sia insoddisfatta, che di te manca qualcosa che non ho sottolineato.
Parlami di questa noia, parlami delle scimmie. In che modo queste persone hanno contribuito a farti perdere la voglia di allenare?».
«Ma vedi... ‘ste scimmie sono sostanzialmente persone che si reputano superiori, dei... radical chic. convinti di avere la ragione l’esperienza dalla loro, anche se al massimo hanno sfidato e conquistato una sola medaglia. Sono davvero pochi gli allenatori che mi lasciano un sorriso a fine battaglia, sono molti di più quelli che mi lasciano con l’amaro in bocca. E’ davvero difficile al giorno d’oggi incontrare qualcuno che lotta con una squadra con cui ha un reale legame affettivo. Se gli chiedi perché sono diventati allenatori non ti rispondono, rimangono lì a respirare inermi, senza saperti dire uno straccio di parola».
«E tu perché sei diventato allenatore?».
«Per dimostrare qualcosa a me, più che altro. Vedi, sono sempre cresciuto con il dramma di non essere bravo, di essere inferiore. Volevo dimostrare di non esserlo. Ma non a qualche persona in particolare, a me più che altro».
«Ne sei assolutamente certo?» chiese la giornalista alazando il sopracciglio destro.
«No, di certo al mondo c’è solo la morte, nient’altro».
«Ma parliamo un attimo di gossip».
«Sono tre ore che mi stai intervistando, dove vuoi arrivare, Elvira?» tentò di interromperla Dream, senza successo.
«Dicono che dal suo appartamento ci sia un via vai di donne. Non pensa che forse questo possa in qualche modo essere un cattivo esempio per tutti i giovani ragazzini per cui tu sei un modello?».
«Ma io non voglio essere un modello per nessuno, proprio per nessuno, manco per me stesso, figurati! Chi vuole diventare come me?».
«Il Nove volte Campione? Tutti, direi!»
«Come siamo superficiali. Comunque, son tutte maggiorenni, consenzienti e uso sempre il profilattico. E’ sufficiente come risposta?».
«La sua ex ragazza, la figlia del Professor Birch, l’anno scorso, dopo la vittoria alla Lega di Johto ti ha definito “Il Campione puttaniere”, come rispondi?».
Dream sorrise, prese una sigaretta dalla tasca del pantalone e ne offrì una alla donna porgendole il pacchetto, che scosse con la testa.
Con tutta la calma del mondo l’accese e fece suo il fumo, per poi ributtarlo nell’aria.
«Mi piacciono queste allenatrici fallite che allora si buttano nella “scienza” per rimanere a galla. Evidentemente il suo ultimo progetto ha bisogno di notorietà e si butta in queste battute infelici. Peccato che se non me ne avessi parlato tu io non avrei mai saputo di quella dichiarazione, quindi fallisce pure nel fare scandalo la cara Vera».
«Ma non ha paura che Dio possa giudicarti in maniera... negativa?».
«Io e Dio… non andiamo d’accordo. Secondo alcuni io vorrei prendere il suo posto…»
«E’ un po’ azzardata come affermazione» chiosò la donna.
«Ma almeno lei ha la sua frase infelice con cui titolare la mia intervista e mi lascerà andare».
Dream aveva ragione. «Dream – Il Rottamatore: “Secondo alcuni sarò il prossimo Dio”» fu il titolo dell’intervista di Dream sbattuta in prima pagina su “Il Corriere di Fiordoropoli”.
Un fiume di commenti e di parole venne versato sul ragazzo criticato da più parti di esser troppo supponente o saccente nei confronti dei suoi coetanei, altri invece ne plaudevano la sua comicità pungente. L’intervista fece vendere moltissime copie al quotidiano e spinse Elvira a chiedere a Dream di lavorare a tempo perso con loro. Dream accettò e il suo primo grande articolo fu la recensione del Parco Lotta di Johto che venne inaugurato nel mese di Settembre 2012.
A sorpresa di molti poi, e forse dello stesso Dream, decise di partecipare a tutte le sfide che il Parco offriva, uscendone vincitore in tutti i casi e guadagnando il Trofeo d’Oro, che poi vendette all’asta e con quei soldi finanziò la ricostruzione di Primisola, distrutta parzialmente a seguito di una fortissima eruzione vulcanica e del conseguente tsunami che colpì l’isola nel Dicembre dello stesso anno.
 
13 Aprile 2014
Le grandi porte di legno si aprirono davanti a Dream che ricominciò a camminare con passo spedito, prendendo le scale di pietra e raggiungendo il primo piano. Al bivio, prese la strada di sinistra, girò rapidamente a destra e prese la prima porta a destra, girando rapidamente la maniglia in ottone.
Sorrise leggermente guardando i presenti ed entrò nella stanza, sedendosi nella prima sedia che incrociava, quello a capotavola.
La stanza era illuminata da un piccolo camino di pietra, acceso, su i lati erano poste due grandi statue che raffiguravano un Dragonite e un Salamence.
Dall’altro lato del tavolo, fatto di roccia liscia e lungo forse una decina di metri, sedeva Lance, al suo fianco una ragazza dai capelli rosa con un acconciatura molto di moda negli anni ’60 e un paio di occhiali da sole con grandi lenti tonde e la montatura bianca, sebbene non ci fosse molta luce all’interno della stanza.
«E’ sempre bello poter tornare alla Conferenza Argento. Queste mura sono cariche di... ricordi. Quasi mi commuovo» disse scherzando Dream osservando la stanza in cui era entrato. «Dunque, mi avete chiamato per...».
«Ciao anche a te, Dream» disse Lance con un sorriso ironico, «Lo sai bene perché siamo qui, no?».
«Visto anche gli ospiti, deduco di sì...» pronunciò Dream osservando Chiara, che però non si voltò verso il ragazzo. «Suvvia Chiara, non sarai ancora arrabbiata con me per l’intervista di anni fa...» fece Dream simulando una voce triste.
«Dream, lascia stare Chiara. E’ qui solo per ragioni burocratiche» lo ammonì Lance, come se fosse il maestro tra due compagni di classe litigiosi. «Allora, Chiara ha deciso di dare le dimissioni e noi dobbiamo cercare un nuovo Capopalestra per Fiordoropoli. In accordo con Chiara, la scelta è ricaduta su di te, anche nonostante quell’intervista».
«Ma ancora ve la ricordate?» chiese Dream, accendendosi una sigaretta.
«Quando dobbiamo formulare la proposta alla Lega Pokémon Regionale, dobbiamo studiare tutti i documenti, pubblici e privati su un allenatore ed esporli. Ecco perché ce ne ricordiamo».
«E perché proprio me? Non sto quasi più allenando» disse Dream rapidamente, con un guizzo di soddisfazione negli occhi.
«Dream, parliamoci chiaro – pronunciò Chiara, togliendosi gli occhiali e osservando per la prima volta il Campione – sei l’unico allenatore valido di prendere il mio posto. E soprattutto si parla di Fiordoropoli. Chi meglio di te può prendere il posto di Capopalestra? E’ uno sfregio, ripeto, uno SFRE-GIO, che una persona come te passi il tempo tra i party a girarsi i pollici, piuttosto che a mostrare il tuo talento. Quell’intervista, per quanto orrida, mostra una terribile realtà: quella che tu che stai solo buttando via il talento. E non me ne frega niente se mi hai insultato e praticamente costretto alle dimissioni, dopo che ho resistito per anni. Io voglio che tu prenda il mio posto. Di allenatori falliti ne è pieno il mondo, non ne sarà piena anche questa stanza».
Ci fu qualche istante di silenzio.
«Non so se posso accettare, Lance» pronunciò Dream a labbra strette.
«Che problemi hai, Dream?» chiese Chiara.
«Già Dream, che problemi hai?» continuò Lance.
«Le Palestre hanno tutte una tematica. Coleottero, Erba, Volante... Vedi, io non sono esperto in nessun tipo».
«Avevo pensato anche a quest’eventualità». Il Campione dei Draghi prese in mano una cartellina giallina e la posò sul tavolo, facendola poi scivolare fino a farla arrivare a Dream.
«Ho ottenuto il permesso preventivo dall’Associazione Nazionale di poter accordare la creazione di una Palestra multi-tipo. Puoi utilizzare i tuoi pokémon Acqua, Fuoco, Erba, Psico, Buio e Volante».
«E per quale motivo hanno fatto questa concessione?».
«Ritengono che sia ora di alzare l’asticella della Lega Pokémon di Johto, giudicata negli ultimi tempi fin troppo semplice. Una palestra di questo tipo è un interessante esperimento» dichiarò Lance con la sua voce sempre precisa e puntuale.
«Lance ma io non so perdere...».
Chiara tossì dolcemente, per poi riprendere la parola: «L’obiettivo di un Capopalestra è quello di valutare gli altri allenatori, non quello di perdere per dare la medaglia. Puoi anche dare la medaglia nel caso vinci, e sappiamo tutti che sarà così, nel caso tu ritenga che l’allenatore abbia un ottimo modo di allenare la squadra».
Ancora silenzio. Dream osservò le carte e cominciò a riflettere sull’opportunità. Lance e Chiara avevano ragione. Poteva creare la sua Palestra. Aveva rifiutato il posto di Campione Reggente perché non lo ispirava come compito, ma quello di Capopalestra sarebbe stato adatto a lui.
Sorrise di gusto: «Chi altro è stato proposto?».
«Il primo nome spetta alla Capopalestra dimissionaria e io ho deciso di appoggiarla immediatamente. Poi ogni Capopalestra può fare un nome, mentre è obbligatorio per i Superquattro. Quindi tu vieni proposto per ben due volte, da Chiara e da me. In ogni caso, se le voci di corridoio che ho sentito nei colloqui informali venissero confermati, non hai possibilità di esser battuto. Allora, ci stai?».
«Sapete cosa disse una volta un politico italiano?».
Chiara e Lance si guardarono perplessi e poi, contemporaneamente, fecero di no con il capo.
«“So di essere di media statura, ma non vedo giganti attorno a me”».
«E’ un “sì”?» chiese il ragazzo
«Sì, Lance. Accetto ufficialmente la candidatura a Capopalestra di Fiordoropoli» disse sorridendo Dream.
Lo sentiva tra le dita il più alto riconoscimento della città. Lo teneva quasi stretto, a pochi centimetri da lui. Finalmente poteva dirlo, era riuscito a conquistare la città, come desiderava fare da bambino.
Ma poi un colpo di cannone lo investì e un mese dopo comunicò ufficialmente che intendeva ritirare la candidatura pur “ringraziando sentitamente la Capopalestra Chiara e il Campione Lance”.
Era precipitato indietro, lontano e ora il riconoscimento era scomparso.
Al suo posto venne eletto “un incapace” come lo definì lui, Pietro Boschelli che mantenne la Palestra di tipo Normale.
E la palla di cannone si chiamava “Cancro” e più che Dream aveva colpito Umbreon. Aprire una palestra con una squadra che necessitava di più cure e più attenzioni. La motivazione ufficiale parlava di “Problemi personali”.
Quando ad un evento della Lega di Johto, nell’ottobre del 2014, Dream si presentò senza Umbreon ma con un Dragonite, le speculazioni sulla vera ragione della rinuncia si fecero via-via sempre più insistenti, e in quel momento Lance capì il perché del ritiro e un nodo gli si formò in gola per averlo giudicato un “coglione senza ritegno”.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Il Campione ***


Capitolo 19 – Il Campione
 
C’era un’aria fredda quella sera in mare. Rigida, quel tipo di vento che ti entra tra le ossa e ti fa tremare. E infatti tremava Chanson, un pilota seduto con le gambe a penzoloni in una delle cabine della Portaerei Kyogre in attesa di istruzioni.
Lo avevano chiamato quella mattina presto, mentre stava dormendo con accanto la sua ragazza. La voce dura del colonnello non lasciava alcuno scampo: doveva farsi trovare alle undici al molo di Aranciopoli, doveva partire in missione immediatamente. E come lui altri piloti, altri soldati, altri marine tutti a Kanto per imbarcarsi su due portaerei, ordini dal Governo Federale.
E così a poche decine di miglia di distanza, la Portaerei Suicune inseguiva, navigando in quella massa scura dirigendosi a est, verso Kalos.
Una missione militare pensata e messa in pratica nella notte precedente, senza andare ad interpellare l’intera piramide militare.
Giovanni necessitava di una prova di forza, doveva mostrare i muscoli alla Repubblica, dimostrare che nessuno avrebbe potuto mettere i bastoni tra le ruote al suo Governo. Doveva dimostrare che non sarebbe stato fermato dalla Repubblica di Kalos e i suoi asili politici donati a pioggia, non sarebbe stato fermato dalla Corte Costituzionale, che aveva cominciato il processo in cui Repubblica Nuova apparve sin da subito invischiata, e soprattutto voleva mostrare all’opinione pubblica che lui i muscoli li aveva e che poteva utilizzarli quando e quanto voleva.
Ma nel privato, dietro le porte delle stanze dei bottoni, il dramma si consumava. I nervi nella compagine governativa erano a fior di pelle, e la stessa cosa all’interno del Partito. L’influenza di Giovanni, la stella polare, aveva in pochi giorni perso luminosità e alle sue orecchie erano giunte voci di corridoio che parlavano di creazione di “correnti” all’interno dell’organizzazione politica. Sì, quelle “correnti” che rischiavano di mettere a rischio la disciplina ferrea mantenuta fino a quel momento, il partito dal pensiero unico si stava cominciando a sgretolare, con la stessa resistenza che ha un castello di sabbia davanti ad un’onda marina.
Qualcuno nei piani alti aveva parlato. Gli aggettivi si sprecavano. C’è chi lo definiva “una spia”, chi “un Giuda”, chi invece “un comunista traditore al soldo degli Stati Uniti”, come lo definì Archer. E cominciò il caso nel caso, perché questo qualcuno aveva aperto bocca e la partita processuale stava finendo in una brutta direzione. I PM che si occupavano del caso, una bella mattina di novembre, ricevettero una grossa scatola con all’interno fotocopie di documenti privati e nastri con registrazioni telefoniche. Materiale che scotta, bollente, incandescente, più caldo del nucleo terrestre, più caldo della superficie del Sole.
Registrazioni di conversazioni di Giovanni e i suoi sottoposti, con l’ausilio di cimici, in cui si descrivevano nei minimi dettagli come rendere il risultato elettorale più vicino ai loro bisogni.
E così l’avvocatura di Stato già all’inizio del processo si era trovata a dover gestire uno tsunami, con decine e decide di prove schiaccianti messe agli atti e poco importavano le minacce di Giovanni che li ammoniva di staccare loro la testa e di appenderla ai cancelli delle loro abitazioni per spronarli a far meglio. Sin da subito lo scandalo raggiunse dimensioni incredibili e mai come in quel momento Parlamento e Governo cominciarono a tremare.
E così, le due portaerei cariche di Jet-Latios e Jet-Latias vennero fatte partire per tentare di contenere la situazione, che in realtà divenne ancora più calda.
Non appena venne comunicato al Ministero della Difesa kalosiano che parte della flotta navale e aerea era in viaggio per le loro coste e che avrebbero utilizzato la forza militare se non avessero consegnato i rifugiati politici, il Presidente del Consiglio dello stato indipendente si mise immediatamente in contatto con gli alleati della NATO che fecero sapere di essere disponibili a mandare rinforzi.
E così, dopo un’ora dalla minaccia proveniente dalla repubblica, una decina di jet di Kalos cominciarono a sorvolare lo stato, mentre tre cacciatorpediniere di classe “DDG” venivano rilasciate a largo di Petroglifari e Altoripoli.
Il Segretario di Stato degli Stati Uniti ammonì immediatamente il governo della Repubblica di cessare le loro operazioni o avrebbero fatto di tutto pur di impedire che un membro NATO potesse venire attaccato da questo atto di guerra, e altrettanto fecero gli altri Paesi aderenti al Patto Atlantico.
L’iniziativa di Giovanni si era mutata rapidamente in un boomerang, lui che non sbagliava neanche un colpo dalla fretta di organizzare una contromossa mediatica si era ritrovato una guerra alle porte.
 
«Avete cercato anche in casa sua?» gridò Giovanni a pochi centrimetri dal volto di Mondo, il Ministro dell’Interno. Poi si voltò e si diresse verso la finestra, scostando la tenda e osservando la città, mentre a qualche metro sotto di lui stava andando in onda una violenta manifestazione contro il Governo. Il cielo era nuvoloso, non c’era alcuna stella che brillasse.
«Sì, Presidente, abbiamo anche sequestrato tutti i suoi beni... quelli che sono rimasti, ma dei pokémon non ce n’è neanche l’ombra» pronunciò lui con gli occhi chiusi.
«Come sarebbe a dire “quelli che sono rimasti”?» chiese il Presidente voltandosi e rendendo i suoi occhi come delle fessure minacciose, che da un momento all’altro si sarebbero trasformate in un lanciafiamme.
«Nel senso che... la casa di Dream è stata trovata completamente... vuota».
«E i mobili? Non si possono essere volatilizzati i mobili. Dove cazzo sono finiti i suoi fottuti mobili?». Gridava. Gridava così tanto che per un momento sembrava vicino all’implosione. Le vene lungo il collo si gonfiarono, i suoi occhi si aprirono e la sua bocca sembrava poter inghiottire Mondo.
«Sono spariti. Nel nulla, nell’appartamento sono stati trovati soltanto alcuni petardi che sono scoppiati una volta che la polizia ha fatto irruzione».
«Sì ma al diavolo i mobili, i suoi cazzo di pokémon, dove sono finiti? C’erano più pokémon nei suoi box che in tutta la Repubblica. Dove sono quei fottuti pokémon?».
Mondo sorrise imbarazzato.
«Cos’hai da sorridere, si può sapere?».
«I pokémon sono... scomparsi anche loro, Presidente».
Giovanni si riavvicinò alla faccia del suo Ministro. Delicatamente, con voce bassa, pronunciò, scandendo bene le parole: «Cosa significa che “sono scomparsi anche loro”, Mondo?».
«I box sono stati completamente svuotati».
«Nessuno sparisce nel nulla, Mondo, nessuno. I registri? Te lo devo dire io di guardare i registri?» continuò Giovanni sempre sottovoce.
«Li... li abbiamo controllati i registri, signore. I pokémon sono stati portati fuori dalla Repubblica nelle settimane o giornate precedenti all’arresto».
Giovanni scoppiò a ridere, si sedette sulla poltrona che abitualmente occupava nel suo ufficio e rise. Rise tantissimo, si mise le mani in faccia, poi sui capelli.
«Alzati in piedi, Mondo, alzati in piedi».
Il Ministro dell’Interno obbedì, e si alzò in piedi, sistemandosi l’abito ormai completamente bagnato di sudore.
«Contro la parte, Mondo. Contro. La. Parete».
Osservando per un istante in maniera turbata il suo capo, Mondo si mise davanti alla parete, ricoperta da una grande libreria in legno massiccio.
Giovanni con un salto, balzò sul tavolino basso, afferrò il posacenere di vetro e lo scaraventò in direzione di Mondo, colpendo lo scaffale qualche centimetro più a destra di dove si trovava il ragazzo.
«Sei un coglione, uno scarafaggio, un incapace. Lo sapevate che stava per essere arrestato, vi ho detto di monitorare i suoi movimenti e voi gli permettete di svuotare non solo il suo appartamento, ma anche i suoi box pokémon.
E non so se te ne rendi conto, ma io... noi abbiamo bisogno di quel dannatissimo Mewtwo per distruggere quei cazzo di... socialisti che rompono i coglioni.
Trovami Mewtwo o ti prometto che le prossime pokéball che userai saranno i tuoi coglioni. E ora togliti di torno, prima che cambi idea e la prossima cosa che ti lancerò non ti mancherà».
 
La Torre Prisma illuminava l’intera Luminopoli con i suoi mille fari e con il grande fascio di luce montato sulla sua cima, che si muoveva in maniera circolare, arrivando a lambire la gran parte dei tetti.
Con i suoi 350metri di altezza, la Torre Prisma era il simbolo di Luminopoli e di tutta Kalos, un altro monumento lasciato in eredità dalla sua colonizzazione francese.
Dream rimaneva in piedi, con le mani posate alla ringhiera ad osservarla, tra l’incantato e il demoralizzato. La vista, per quanto romantica, non ricordava minimamente quella della grane Fiordoropoli, e anzi, sembrava più una piccola cittadina di periferia, ai suoi occhi, piuttosto che una Capitale. Non c’erano grattacieli che inghiottivano intere porzioni di cielo, le case erano alte massimo sei piani, e nessuna terrazza in cui scatenarsi ai ritmi delle canzoni più in voga del momento. O se i party c’erano, lui non era invitato. Sì, insomma, quando i telegiornali parlarono del suo arrivo a Luminopoli, nessuno di loro citò la sua vita mondana sui tetti della Capitale della Repubblica. Piuttosto snocciolarono le sue capacità di allenatore, che apparvero ancora più sensazionali in uno Stato in via di decadimento come quello di Kalos.
La crescita demografica era negativa e questo si ripercuoteva inevitabilmente sull’economia, con uno bilancio statale da finanziare pressato per l’elevato ammontare delle pensioni, mentre i consumi non decollavano e il welfare veniva costantemente tagliato.
Una via d’uscita per trovare un po’ di respiro era unirsi, economicamente e politicamente alla Repubblica Federale di Pokémon, ma piuttosto che aggregarsi ad uno “Stato fascista” preferirono una lenta agonia.
E così la Lega Pokémon di Kalos aveva un’importanza quasi nulla e tutte le prospettive di divenire un interessante polo per gli allenatori si erano frantumate quel giorno d’agosto in cui si uscì dallo status di osservatore.
 
Il fascio di luce emesso della Torre Prisma, durante il suo roteare, illuminò per un attimo un’ombra alta nel cielo, che mosse le ali. Dopo qualche istante, la luce colpì ancora la sagoma che sembrava essersi avvicinata ulteriormente. E ancora, ancora e ancora.
Senza dare il tempo a Dream di capire di che cosa si trattava, un paio di artigli color marrone, con tre unghie nere si posarono sulla ringhiera del balcone.
Erano unite al resto di un corpo dalla forma ovale con due possenti zampe e due ali di media grandezza. La punta delle ali era nera, così come erano nere le piume che formavano la coda. Il resto del piumaggio era rosso e grigio, grigio e rosso. Il suo becco affilato era nero, i suoi occhi erano circondati da della pelle gialla, la sua espressione era inespressiva.
Non sembrava neanche fosse vero. Non respirava. Era un Talonflame, un pokémon Volante e Fuoco, molto comune a Kalos.
Il Governo se ne serviva per mandare comunicazioni. Un detto degli ultimi tempi recitava “E’ più facile bucare il sistema informatico del Pentagono che abbattere un Talonflame”. Avevano un attacco formidabile, una difesa non da meno e una grandissima velocità. Chiunque cercasse di attaccarli non solo era destinato a fallire, ma era destinato a perire.
Al collo del pokémon era stata messa una collanina di metallo, con una molletta piatta e larga, sempre di metallo. C’era una lettera. Carta pregiata, l’apertura era stata chiusa con della cera lacca colore viola e il simbolo della Repubblica di Kalos sopra. Poco più in alto, spostata leggermente verso destra, una scrittura delicata, elegante, in corsivo comunicata “Indirizzata all’Egregio Signor Dream”.
Dream la afferrò e chiamò Rosso.
«E ora? Che gli dico?» disse imbarazzato, indicando il pokémon Volante, che non sembrava voler lasciare casa.
Rosso osservò la lettera nelle mani di Dream e sorrise: «Penso che se ne andrà solo nel momento in cui tu gli consegni una lettera. Fallo entrare, prima che gli caschi una bomba addosso» concluse osservando un jet militare che stava sorvolando le loro teste in quell’istante.
Dream indicò il salotto dell’abitazione al pokémon sussurrandogli «Prego» e il pokémon balzò dapprima sul pavimento e poi entrò all’interno della casa. Il ragazzo aprì così la busta che aveva in mano e ne lesse ad alta voce il contenuto:
«“Il Governo di Kalos vuole rassicurare i presenti Dream e Rosso, rifugiati politici dalla Repubblica Federale di Pokémon che l'asilo non verrà revocato a causa delle tensioni militari che si stanno consumando tra i due Paesi. Fiduciosi che le relazioni possano stabilizzarsi presto, rinnoviamo gli auguri di buon soggiorno all'interno della Repubblica di Kalos.
Il Ministero degli Interni si augura, inoltre, che l’abitazione concessa sia di vostro gradimento, parallelamente, il Ministero dell’Economia, concede l’autorizzazione per il pagamento del fitto passivo come richiesto.
Il Ministro dell’Interno inoltre comunica al Signor Dream che la sua richiesta di porre il pokémon Mewtwo in un posto segreto è stata accettata e già messa in esecuzione e verrà comunicata all'allenatore dal Ministro in persona in un colloquio da fissare presso la segreteria del Ministero stesso, porgendo la seguente lettera.
 
Distinti saluti,
Il Governo della Repubblica di Kalos"».
 
Era passata ormai una settimana da quando Dream approdò a Luminopoli e dopo un colloquio con i Ministri dell'Interno e della Giustizia, ottenne l'asilo politico poiché proveniente da una nazione che non rispettava i canoni di libertà individuali e di democrazia. Per ringraziare ed evitare di attirarsi l'odio da parte dell'opinione pubblica si offrì di non farsi pagare le spese di mantenimento, ma anzi di utilizzare parte della somma di danaro trasferito a Kalos con l’aiuto di Rosso che stava preparando da settimane l’arrivo di Dream con l’aiuto delle forze governative del Paese.
«Che cari... sembra tipo il comitato di benvenuto di quei resort turistici che paghi con due polmoni, un rene e una porzione del pancreas» disse Dream posando la lettera sul tavolo e dirigendosi verso la scrivania posta affianco alla televisione per prendere un foglio di carta, una busta delle lettere e una penna, in cui scrivere i ringraziamenti da consegnare a Talonflame.
«Sei sempre così critico verso tutti, non ti stanchi mai di non farti mai andare bene?» chiese Rosso facendo zapping alla televisione.
Dream non rispose. Diede la lettera a Talonflame e poi si sedette sul piccolo divanetto a due posti osservando in maniera disinteressata la televisione.
«Rosso... io non credo di averti mai fatto un regalo, sai».
«Ma no, cosa dici. Sputtanarmi nelle interviste lo ritengo un buon regalo, invece».
«Mediocre nella mediocrità» pronunciò con voce fredda, calma, bassa.
«Ma vaffanculo!» esclamò Rosso, guardandolo infastidito.
«Era il mio regalo, non mi hai neanche ringraziato».
«Beh, gran bel regalo di merda, te lo posso dire?» continuò l’amico, sempre più infastidito, ricominciando ad osservare un programma sportivo.
«Ma te lo puoi far incidere come epitaffio sulla lapide. Nessun amico regala cose di questo genere».
«Ti ho già detto dove voglio mandarti?» chiese alzandosi e dirigendosi verso il bagno.
Dream ricambiò lo sguardo con un sorriso, poi i suoi occhi si posarono sulla televisione.
La telecamera cominciò a riprendere i due anchorman seduti in maniera elegante alla scrivania dello studio televisivo, dopo che il servizio sulla Palestra di Romantopoli terminò.
«E’ ormai notizia di una settimana fa che il Campione Dream è rifugiato politico del nostro stato. Ebbene, siamo entrati in possesso delle riprese televisive che mostrano la battaglia che lo ha incoronato per la prima volta Campione, aveva dieci anni e combatteva contro un ragazzo di vent’anni, Lance, attuale Campione reggente della Lega di Johto.
Dream, dopo la sua prima battaglia, diverrà Campione altre otto volte, rifiuterà nel 2013 l’incarico di Campione reggente della Lega di Johto e inizialmente accetterà la candidatura come Capopalestra di Fiordoropoli, da cui si ritirerà per questioni mai ben definite.
Ma ecco qui, il filmato, noi, come di consueto, ci salutiamo e ci rivedremo settimana prossima, sempre in onda su questa rete».
«Oh!» esclamò lui, sorridendo immediatamente.
Quanti anni che non vedeva il filmato della sua prima vittoria, ma il ricordo era fresco dentro la sua testa, come se non fosse passato molto tempo.
Si alzò, raggiunse il divano e alzò il volume. Rimanendo in piedi, come incantato da quelle immagini e pensò infondo che la battaglia era l’unica cosa conosciuta di quella storia, ma nessuno raccontava mai la tensione che provava nel corridoio di pietra adiacente al campo di gioco. Si sentiva bloccato lì, in preda ad un qualche maleficio e nessuno ne parlava perché fu una di quelle cose che tenne per sempre per sé, così come quando sottovoce maledì l’idea di esser diventato allenatore ed essere partito per quel viaggio. L’ansia lo aveva fatto impazzire.
 
La gamba tremava nervosamente e la testa era appoggiata al muro, faceva ampi respiri per tentare di allentare il nervosismo che secondo lui lo avrebbe annientato.
Non era mai stato così ansioso, nervoso o timoroso, mai. Aveva sconfitto senza troppe difficoltà le otto Palestre di Johto, aveva collaborato con un grande allenatore, Lance, per sgominare una rete criminale che voleva estendersi sull’intera Repubblica, eppure sentiva di essere incapace di affrontare quella che si presentava come la sfida più grande della sua vita, la sua prima Lega Pokémon.
I Superquattro e il Campione lo avrebbero messo alla prova, ne avrebbero testato le capacità e spremuto come mai nessuno prima d’ora.
«Hey, Dream» disse un ragazzo avvicinandosi.
Dream aprì gli occhi mentre con la bocca soffiava fuori l’aria da poco inalata. Era Michele uno dei suoi compagni di classe. Il compagno di classe più alto era diventato ancora più alto. E i suoi capelli, biondo cenere, erano stati fatti crescere così tanto da esser legati in una lunga coda.
«Ciao, Michele» lo saluto Dream sforzando un sorriso. Non era entusiasta di vederlo, non aveva voglia di vedere nessuno. Voleva solo che la lotta cominciasse il prima possibile, perché dentro di sé percepiva la sensazione che la sconfitta e il suo più grande fallimento erano imminenti e quindi meglio finire il tutto il prima possibile per tornare a casa e non uscire mai più, piuttosto che rimanere in quel corridoio a soffrire per l’ansia.
«Allora, ce l’hai fatta!» si congratulò il suo compagno. La sua gioia era costruita, finta. Nascondeva a fatica la sofferenza di non trovarsi nei panni di Dream.
«Fidati, vorrei essere al tuo posto in questo momento…».
«Ma non dire così – disse mentre si sedette affianco a Dream – lo sapevo che saresti stato tu ad accedere al girone finale» e gli posò la mano destra sulla spalla, per rassicurarlo.
Dream non rispose, continuò a fare ampi respiri, come quando le donne sono al corso pre-parto e si immaginano sdraiate sul lettino a gridare per i dolori.
Passò un minuto di silenzio tra i due, mentre fuori, sugli spalti, i tifosi davano il loro meglio tra cori e ole messicane.
«Tu lo hai sempre saputo, non è vero?» disse Michele togliendoli la mano dalla spalla e cominciando ad osservare il vuoto davanti a lui.
Dream si alzò in piedi con uno scatto, si sgranchì le gambe e diede una fugace occhiata al suo Pokégear, per controllare l’orario. Mancavano solo cinque minuti. Completamente disinteressato chiese: «Cosa?».
«Saresti arrivato qui. Tu lo hai sempre saputo» il tono della voce di Michele diventò dichiaratamente malinconico e affranto, «E poi a te non te ne è mai fregato nulla, degli altri intendo. Hai sempre seguito l’ambizione, la voglia di vincere e il successo. O forse non li hai mai seguiti, sono loro che sono nati con te. Ecco perché tu non avevi bisogno di nessuno per il viaggio, ti bastava il tuo ego».
Dream guardò stupito, provò a trovare una frase convincente all’interno della sua testa. Aveva sempre saputo che Michele era un ragazzino particolare, un po’ sensibile e complesso, ma mai si aspettava che potesse dire quelle cose a lui, specie in quel momento: «Michele, so che sei dispiaciuto, ma sono sicuro che non si misura la grandezza o la bravura di un allenatore da una sconfitta, anche se questa avviene alla Conferenza Argento. Un buon allenatore, prima di tutto, pensa ai suoi pokémon e a come vengono cresciuti. Poi, solo in seguito, pensa alla vittoria e a tutte le cose che la costruiscono come la strategia e un buon set di mosse da utilizzare. Se la vita fosse una guerra, tu hai perso solo una battaglia, non l’intero conflitto».
«Io… io credo di odiarti» pronunciò con voce rotta Michele, come se tutto quello che Dream avesse detto non fu minimamente ascoltato. «Tu sei più bravo di me e diventerai anche Campione, io che cosa ho combinato nella vita? Nulla! I miei genitori non sono fieri di me!» le lacrime cominciarono a solcare il suo viso mentre i singhiozzi si fecero via-via più frequenti.
«Oh no», Dream alzò gli occhi al cielo e si mise in ginocchio, prendendo con forza la faccia di Michele e ordinandogli di guardarlo dritto negli occhi: «Ora voglio che mi ascolti bene. Hai sconfitto otto Capopalestra, otto allenatori eccezionali. Sei partito per un viaggio con un altro ragazzo che a metà strada ha deciso di tornare a casa e sei andato avanti da solo, ma sei andato avanti. E questo perché? Perché volevi anche tu arrivare qui, Michele. E ce l’hai fatta. Sei arrivato al girone degli allenatori… va bene, hai perso. Ma preferivi forse tornare a casa con quattro medaglie? No! Ne hai otto! Hai costruito una buona squadra su cui devi passare più tempo, questo è vero. Ma non conta il punto di arrivo, conta il percorso che hai fatto. Guarda indietro di un anno. Guardati alla premiazione: ti sentivi forse pronto per tutto quello che hai affrontato? Ti sentivi pronto per passare una settimana all’interno della Via Vittoria? Io no! Eppure ce l’abbiamo fatta, eppure abbiamo superato quella grotta orrenda e siamo arrivati qua!
Non sarai forse il più grande allenatore della storia, ma quello neanche io, suvvia. Ma sarai comunque una bellissima persona, ed è questo che conta. Sono sicuro che i tuoi genitori saranno fieri di te. Mi hai capito bene? – Dream aspettò che il ragazzo annuì con la testa. I suoi singhiozzi si erano placati e le lacrime erano finite - Fra pochi minuti io sarò chiamato e dovrò affrontare i Superquattro, mi segui? Voglio che torni sugli spalti, cerchi un posto vicino ai miei genitori e guardi la battaglia. Ho bisogno che tu creda in me e faccia il tifo per me».
Dream si alzò in piedi e diede un’ultima occhiata al ragazzo. Con la coda dell’occhio vide un uomo, con una giacca rossa avvicinarsi a lui, «Signor Dream, siamo pronti per accoglierla», indicando l’uscita dal corridoio, che portava al campo di battaglia in terra rossa dove avrebbe affrontato gli ultimi allenatori.
Si girò, mise la mano destra sulla pokéball di Feraligatr e cominciò ad incamminarsi teso verso la luce.
Appena la figura di Dream si rese visibile agli occhi del pubblico, un enorme boato si alzò. E proprio quando Dream mise piede sul terreno, il Sole sbucò fuori dalle nuvole. Forte, intenso, illuminava l’intero Monte Argento e la regione di Johto. Era una bellissima giornata di inizio agosto.
«Sembra quasi che anche il Sole voglia vedere l’ascesa di un nuovo allenatore, Jimmy» disse il noto cronista sportivo David Friedrich al suo inseparabile collega, Jimmy Tennel.
Le televisioni a Borgo Foglianova erano tutte sintonizzate sulla Conferenza Argento, tutti facevano il tifo per il piccolo Dream, allenatore di 11 anni che era partito quasi un anno prima premiato dal Professor Elm, che sedeva proprio affianco ai genitori di Dream.
 
I Superquattro Pino, Koga, Bruno e Karen caddero tutti uno dopo l’altro senza grosse difficoltà. Feraligatr non sembrava un pokémon qualsiasi, sembrava essere un carro armato inarrestabile con l’unica capacità di mietere vittime.
«Incredibile, David! E’ la prima volta nella storia della Lega che un allenatore arriva al Campione avendo utilizzato un solo pokémon!».
«A prescindere dal risultato con Lance, possiamo già dire senza alcun problema che questo ragazzo è la storia, Jimmy».
I Pokégear e le linee telefoniche diventarono bollenti: il passaparola su quello che aveva realizzato Dream diventò incessante e continuo. Il numero di ascolti che la rete sportiva totalizzò per la sfida diventò uno dei programmi più seguiti dell’anno. Persino chi non era un fan della Lega Pokémon accese il suo televisore.
Lance entrò allo stadio, seguito anche lui da cori di benvenuto oltre che di una bellissima coreografia presente sul settore posto alle sue spalle. Il Campione era caratterizzato da una grande popolarità e un gran numero di fan. Indossava un abito nero, con un grande mantello con l’interno rosso e un paio di stivali in pelle nera. I suoi capelli a spazzola, di color rosso, erano il suo marchio di fabbrica.
«Benvenuto, Dream. Ero sicuro che ti avrei incontrato qui, per questo grandioso evento. Devo farti i complimenti: non ho mai visto nessuno gestire con grande maestria i pokémon. Ma non basterà questo, credimi, per sconfiggermi e non ti farò  sconti di sorta. Perciò… - Lance prese in mano una sfera poké e la lanciò in aria – Vai Gyrados!».
«Feraligatr, andiamo!» gridò Dream.
Feraligatr e Gyrados si osservarono al centro del campo per qualche secondo, poi i due allenatori diedero inizio alle dance.
«Speravo nel tuo Typhlosion! – commentò ironico il Campione – Solo un pazzo manderebbe in campo un pokémon che ha già combattuto quattro battaglie. Gyrados, non dargli scampo, Iper Raggio!».
«Feraligatr, corri verso di lui».
Il pokémon Mascellone si mise sulle quattro zampe e cominciò a correre verso il pokémon Atroce, mentre questi cominciava a formare all’interno della propria cavità orale un fascio di luce rossa che dopo pochi secondi cominciò a lanciare in maniera continua verso Feraligatr. La corsa di Feraligatr era irregolare e i colpi di Gyrados non andavano a segno. Poi Feraligatr lo raggiunse la coda di Gyrados e la superò con un balzo. Gyrados, completamente concentrato solo sul seguire il pokémon avversario, sparò l’Iper Raggio che venne schivato dal pokémon di Dream e anzi, colpì la propria coda, alzando la testa al cielo gridando di dolore.
«Feraligatr, finiscilo: Morso!» gridò Dream.
Feraligatr, si girò rapidamente su se stesso, corse verso Gyrados e con balzo gli saltò al collo, mordendolo più forte che poteva. Ci vollero pochi secondi prima che il pokémon del Campione cadde a terra esausto.
«Allora, Lance, cosa dicevi a proposito del mio Feraligatr?» chiese ironicamente Dream, poi ordinò al suo pokémon di tornare vicino a lui.
«Dragonite, vai!» gridò il ragazzo dai capelli rossi lanciando in campo il suo pokémon Drago.
Dragonite uscì fuori dalla Pokéball e fece un grosso inchino a Dream, che ricambiò divertito e onorato.
«Dragonite, paralizzalo con Tuononda» disse pacatamente Lance, indicando il pokémon avversario.
Dragonite fece uscire dalle antenne poste sulla sua nuca delle scosse elettriche che cominciarono a viaggiare verso il pokémon acqua. «Feraligatr – ordinò Dream – ribatti con Geloraggio!».
Se il proprio pokémon fosse stato colpito dal Tuononda sarebbe stato paralizzato ed era una situazione da evitare, pur avendo nella borsa diversi strumenti di cura, come l’Antiparalisi o la Cura Totale. Perdere tempo somministrando medicine al suo pokémon poteva rivelarsi fatale.
Feraligatr, prontamente, rispose all’attacco del Drago con il suo attacco Ghiaccio.
Il Tuononda e il Geloraggio si scontrarono al centro del campo e ci rimasero, senza che nessuno dei due attacchi potesse prevalere sull’altro.
«Dragonite, più deciso!» gridò Lance, e il pokémon Drago si concentrò ulteriormente e spinse il Tuononda alla massima potenza. Il Geloraggio cominciò a retrocedere spinto dall’attacco Elettro, ma Dream non diede ordine di incrementare la forza o la potenza. Aspettò che le onde elettriche fossero a pochi centimetri dal colpire il suo pokémon quando gli ordinò di correre verso il suo avversario.
Feraligatr si posizionò sulle quattro zampee interruppe improvvisamente l’attacco, saltando sul lato destro ed esattamente come prima cominciò a correre in tutta fretta verso il pokémon di Lance, che si librò in aria lanciando con le proprie ali l’attacco Tornando.
Il pokémon Acqua, preso di sorpresa, venne colpito in pieno, volando fino poi a cadere facendo un gran tonfo.
La polvere si alzò disturbando la visuale dei due allenatori, «Feraligatr sarà ancora in grado di combattere?» domandò uno dei due cronisti.
Con un salto in avanti, il pokémon di Dream si rialzò in piedi pronto per tornare ad affrontare l’avversario e Dream cominciò a sorridere.
«Feraligatr, usa Gelopugno!»
«Dragonite, colpiscilo ancora con Tornado».
Feraligatr ricominciò la corsa verso Dragonite, che, esattamente come prima lanciò verso l’avversario alcuni turbini. Questa volta però, il pokémon Mascellone osservò dapprima l’arrivo dei tornado e li evitò frenando e cambiando direzione in maniera irregolare, ma ben precisa. Si prese tutto il tempo necessario per procedere evitando i turbini per arrivare davanto Dragonite; spiccò un salto in avanti, caricò il pugno destro e colpì in pieno stomaco l’avversario con il suo Gelopugno.
L’attacco fu super-efficace, tanto da far perdere l’equilibrio e farlo precipitare a terra.
Feraligatr distava pochi metri dal pokémon di Lance e lo osservava con uno sguardo pieno di sfida.
«Dragonite, presto, rialzati!» incitò Lance, ma Dragonite fece fatica a tornare sulle due zampe.
«Feraligatr, finiscilo con Lacerazione!».
Dragonite non fece in tempo a tornare sulle zampe posteriori, ancora confuso dal colpo ricevuto che venne ferito, definitivamente, da Lacerazione.
«Oh, Dream. E’ solo l’inizio dei giochi questo. La battaglia è appena cominciata…», Lance prese in mano un'altra pokéball, premette il pulsante al centro, la ingrandì sul palmo della mano e fece uscire il pokémon che aveva al suo interno, un altro Dragonite.
Dentro di sé Dream urlava dal terrore. Se il primo Dragonite era stato un osso duro, tanto da riuscire ad infliggere un danno piuttosto consistente, questo sarebbe riuscito a mandare KO il suo pokémon; decise così di richiamarlo, gli diede una Ricarica Totale, dando il tempo a Lance di attaccare.
«Sono stufo. Dragon, termina Feraligatr con un gran Tuono!».
Dragonite si alzò in volo e a gran velocità si diresse verso il pokémon Acqua, sollevando una gran polvere. Quando fu a pochi metri dall’avversario, le sue antenne generarono un’altra scossa, questa volta per la mossa Tuono.
«Feraligatr, evitalo e contrattacca con Gelodenti» gridò Dream, correndo alla sua sinistra, per evitare che il Drago colpisse anche lui.
Feraligatr attese che il colpo fu lanciato da Dragonite per fare una capriola sulla sinistra, correre di un metro in avanti dando il tempo a Dragonite di superarlo e poi cominciò a correre nel senso opposto, prendendo di mira l’ala destra del Drago.
Con un balzo improvviso e inaspettato, le fauci del pokémon Acqua stringevano forti Dragon che urlava di dolore e batteva le ali furiosamente, tentando di liberarsi in tutti modi della presa del pokémon Mascellone. Decise, quindi di attaccare con Tornado, ma più si muoveva e più provava dolore poiché i denti affilatissimi di Feraligatr penetravano ulteriormente nella sua carne. Fu così che Lance gli ordinò di alzarsi in volo e raggiunta una certa quota voltarsi e quasi schiantarsi al suolo con tutta la forza necessaria, ma quando la salita venne invertita e il suolo incominciò ad avvicinarsi sempre più, ecco che Feraligatr mollò la presa e utilizzò Idropompa sia come forza propulsiva per non cadere violentemente al suolo, sia per colpire senza pietà Dragon che perse il controllo del volo e cadde a terra privo di forze.
 
Fine del primo round.
Quando metà della squadra del Campione o del suo sfidante veniva sconfitta, si aveva un quarto d’ora di tempo per preparare gli altri pokémon. Era vietato però dare strumenti curativi o cambiare gli oggetti tenuti dai pokémon all’inizio della battaglia.
«Feraligatr, credo che tu debba fermarti e lasciar combattere gli altri» disse Dream in maniera scocciata.
Gli ultimi due pokémon erano stati degli ossi troppo duri e un pokémon sconfitto era quello che voleva evitare.
Feraligatr simulò quella che era una risata, strappò la cintura con le pokéball dai pantaloni di Dream e si mise a dormirci sopra. Non aveva intenzione di fermarsi, voleva solo riposare per tutta la pausa prima di ricominciare la battaglia. Dream non poté far altro che sedersi affianco a lui e guardarsi attorno.
Lance, nel frattempo, aveva lasciato il campo di battaglia.
I suoi stivali creavano un eco particolare all’interno di uno dei corridoi che si potevano raggiungere dal terreno di gioco. Arrivò davanti ad una grande porta di metallo, la accarezzò delicatamente con le mani e spinse all’interno della serratura una grossa chiave che aveva tirato fuori dalla sua cintura. Sui ambo i lati, scritto in verticale, era stato inciso a caratteri cubitali “SALA D’ONORE”. Girò la chiave per tre volte e poi la porta si aprì.
Il pavimento era di marmo nero lucido e dello stesso materiale erano le mattonelle che coprivano i muri. Schioccò le dita di entrambe le mani e i candelabri appesi alle parete si illuminarono, mostrando quello che sembrava un tavolo d’oro al centro della stanza. Si avvicinò lentamente e posò il proprio indice destro in una concavità che immediatamente si illuminò di verde e fece accendere il grande bancone d’orato.
Posò la schiena su uno dei lati del tavolo, si mise le mani sul volto e cominciò a ridere di gusto. Non aveva dubbi al riguardo, Dream era il nuovo Campione della Lega di Johto. Il secondo round, per quanto necessario, era pura e semplice formalità.
Charizard, Aerodactyl e il suo primo Dragonite, non sarebbero riusciti a sconfiggere il giovane allenatore di Borgo Foglianova. Decise di chiamarli a sé, gli disse che non sarebbe stato facile, ma che anche in caso di sconfitta lui sarebbe stato fiero di loro. Poi fece tornare il pokémon Fossile e il Drago all’interno della sfera e tornò sul campo di battaglia seguito dal pokémon di Fuoco.
 
La trasmissione si interruppe di colpo. Al suo posto apparve una signorina dai capelli biondi legati, vestita con un tailleur color beige chiaro, da cui si intravedeva una camicetta bianca. Nonostante il fiatone, tentava di rimanere composta davanti la telecamera, mentre si infilava l’auricolare con tutta la classe necessaria.
In sovraimpressione, in alto a sinistra, il logo del canale all-news.
«Interrompiamo la normale programmazione per un importante aggiornamento che ci giunge dalla città di Fiordoropoli, nella Repubblica Federale di Pokémon. Alle ore ventuno e cinquanta, un ordigno è esploso distruggendo gran parte del Grand Hotel posto sulle colline nella zona est della città. Ecco, ci giungono ora le immagini».
Il Grand Hotel di Fiordoropoli era una grattacielo di circa quaranta piani costruito con uno stile chiaramente riconducibile al Chrysler Building di New York e all’Art Déco. Oltre ad essere un hotel a cinque stelle rinomato in tutto il mondo, al suo interno aveva più volte ospitato le conferenze e i congressi dei partiti conservatori, tra cui Repubblica Nuova.
Una telecamera riprendeva senza che si muovesse di un solo centimetro le altissime fiamme che coprivano tutti i piani compresi tra il ventinovesimo e il trentasettesimo, mentre frammenti di quelli che sembravano tende o mobili schizzavano a velocità impressionanti fuori dalla struttura.
Dai piani superiori si vedevano delle ombre che si agitavano verso l’alto «Ecco, mi pare di capire che ci siano delle persone intrappolate nei piani superiori a dove è avvenuta l’esplosione. Siamo in collegamento da Fiordoropoli con il nostro corrispondente, Alberto, ci sei?»
Si sentì un chiaro rumore di sirene e poco dopo la voce dell’uomo si fece strada nelle televisioni di Kalos.
«Sì, eccomi. La situazione qui a Fiordoropoli è davvero caotica. Si tratta senza dubbio di un attentato terroristico, poiché come mi stavano spiegando alcune lavoratrici dell’albergo, a quei piani non sono presenti zone da cui possa nascere un incendio di così ampie dimensioni»
«La polizia ha già un’idea di chi possa essere l’artefice?»
«No, assolutamente no. Ma ho avuto modo di intervistare un membro del Governo e secondo lui può trattarsi del Team Galassia, viste le recenti rivendicazioni di questi giorni per altri attentati».
Il Team Galassia era rimasta l’unica organizzazione criminale a rimaner fuori dalla fondazione di Repubblica Nuova, e anzi, i colloqui che Cyrus, il capo dell’organizzazione, aveva avuto con Giovanni, Max e Ivan non avevano fatto altro che incrementare una sorta di odio e a spingere l’ideazione di attacchi terroristici contro la Repubblica rea di aver inglobato Sinnoh all’interno dello Stato.
Il Governo allora aveva messo in atto una serie di provvedimenti efficaci per combattere la criminalità organizzata che per la prima volta non erano di matrice governativa, ma di origine esterna.
Dream si alzò lentamente, raggiunse la scrivania e scelse una sigaretta dal suo pacchetto. La posò delicatamente tra le sue labbra, e poi, con l’accendino in mano, la accese, sedendosi sul divano.
Il telegiornale continuava a descrivere la situazione, cominciando a supporre un numero di vittime in base a quante persone lavoravano nell’albergo o in base ai registri, quanti avevano affittato una stanza all’interno di quei piani.
Il fumo proveniente dalla sua bocca si fermò per un attimo davanti ai suoi occhi.
«Poi vedi queste cose e ti vengono a dire di credere in Dio... ma dimmi tu come fai a crederci!» pronunciò sottovoce Rosso, come se non volesse disturbare la visione di quelle inquietanti immagini.
Dream alzò la testa verso il soffitto, soffiò fuori tutto il fumo e rimase fermo, in silenzio.
«Dio... Dio... Dio è morto» disse il Campione di Johto, «Ma non ti preoccupare, con me sei al sicuro».
Poi aspirò ancora i fumi della sigaretta, rigettandoli dopo poco in aria, creando una leggera nuvola. Chiuse gli occhi e tornò con la memoria a quel giorno di molti anni prima quando le preoccupazioni su Dio, gli attentati, e i morti erano conversazioni da adulti.
 
Sudava freddo Dream. Feraligatr era in piedi al centro del campo che respirava faticosamente. Era stanco e necessitava di riposarsi, ma non ne voleva sapere di entrare nella pokéball e lasciare il posto a Typhlosion.
Il risultato della battaglia era ormai scontato, Lance poteva usufruire solo di un solo pokémon, un altro Dragonite, il terzo della sua squadra ma evoluzione di quel Dratini che ottenne dai saggi di Ebanopoli all’età di dieci anni.
Il Campione non lo annunciò nemmeno, lanciò la sfera e Dragonite si presentò sul campo. La situazione era surreale, lo stadio, che fino ad un momento prima era nel pieno di cori, con la sconfitta di Aerodactyl cadde nel silenzio più profondo, assurdo, irreale. A Borgo Foglianova la situazione non era differente.
Per un momento, Dream pensò che anche i suoi pensieri e i battiti del suo cuore potessero esser percepiti e ascoltati da tutto il pubblico.
«Dragonite, diamo il tutto per tutto. Oltraggio!».
Il Pokémon non diede il tempo di terminare la frase, che si alzò immediatamente in volo e veloce, come un razzo, si diresse verso il pokémon Acqua. Dragonite stava già caricando il suo pugno sinistro verso Feraligatr quando Dream gli ordinò di controbattere con Gelopugno.
Proprio quando Dragonite era in procinto di impattare sul corpo di Feraligatr, il campo si riempì di cloni del Drago a causa del suo Doppioteam e tutti le copie cominciarono a colpire il pokémon di Dream, ma solo una lo stava ferendo davvero, il problema era capire quale. Feraligatr era confuso, tanto da cominciare a barcollare sul campo.
«Feraligatr, distruggi quelle copie con Surf!», il pokémon obbedì e creò una gigantesca onda d’acqua che invase l’intero campo di battaglia, solo un Dragonite si librò in volo tanto da oscurare il sole.
«Fuocobomba, Dragonite!» una pioggia di palloni di fuoco piombarono sul terreno, esplodendo all’impatto. Per quanto potesse correre cercando di immaginare dove il Fuocobomba avrebbe colpito, non riuscì mai ad esserne sicuro, tanto da venire colpito da un paio di essi.
«Bene, usa Tuono!» gridò Lance. La partita sembrava essersi sbloccata. Sembrava che finalmente aveva la chiave per sconfiggere Feraligatr. Dentro di Dream incominciò a riformarsi quella reale paura di esser sconfitto. Prima Feraligatr, poi Typhlosion, poi Meganium, poi Arbok, poi Espeon e poi Pidgeot.
No, era fuori discussione. Non aveva fatto fuori cinque dannatissimi Drago per poi perdere all’ultimo. Tutti quelli sforzi per arrivare fino a lì non sarebbero stati resi vani da quel ragazzo con i capelli rossi e il mantello nero.
Non avrebbe fatto la fine di Michele, di Davide, Alessio o Daniele. Non sarebbe stato sconfitto.
Ed eccolo che il fuoco della passione, che si era spento con l’entrata in campo di quell’ultimo dannato Dragonite, si era riacceso.
Osservò la situazione da un punto di vista oggettivo. Non c’era possibilità che Dragonite si posasse a terra. Da lassù aveva la situazione in pugno. Bisognava quindi portare in alto Feraligatr. Ma come? E la risposta venne da sé, “forza propulsiva”, quella che aveva utilizzato per abbattere uno dei due Dragonite utilizzati nel primo round.
«Feraligatr, Idropompa».
«Stolto! Dragonite, evitalo!»
«Ma non è per voi l’attacco» sogghignò maliziosamente Dream, «Feraligatr, usa l’attacco per lanciarti in aria» e il pokémon rivolse il suo sguardo al terreno, chiuse gli occhi e aprì le fauci, facendo uscire un getto d’acqua che dalla potenza lo scaraventò in aria.
Feraligatr aprì gli occhi in tempo per osservare che si era lanciato più in alto del Pokémon Drago, che distava pochi centimetri sotto di lui.
«Vai con Geloraggio!», fu una questione di pochi secondi. Feraligatr cominciò a colpire furiosamente Dragonite con l’attacco Ghiaccio che non poté far altro che piombare a terra, inerme.
L’attacco superefficace unito con un impatto di una decina di metri lo avevano finito.
Lance ritirò nella pokéball Dragonite, poi cominciò ad attraversare a piedi il terreno, godendosi ogni singolo passo. Dream chiamò nella propria sfera Feraligatr prima che questo potesse precipitare e si avvicinò al suo sfidante.
Non si rendeva conto ancora di quello che era successo, non capiva per quale motivo l’intera Nazione era scoppiata in un unico boato e non capiva per quale motivo Lance lo stesse abbracciando con tanta forza: «…È finita. E’ una sensazione così strana. Non sono arrabbiato per aver perso. Al contrario, sono felice. Felice di annunciare l'ascesa di un nuovo Campione!».
Dream aveva vinto e non solo era il nuovo Campione della Lega Pokémon di Johto, ma anzi, era entrato nella storia per la sua incredibile battaglia.
L’intero stadio venne ricoperto di petali rosa e blu, mentre da Fiordoropoli a Ebanopoli, da Mogania ad Azalina si festeggiava la nascita di un Campione.
Passò la notte a piangere tenendo stretto a sé un cuscino. In quelle lacrime era presente tutta la sua felicità, la commozione ma anche paura e terrore di non farcela. Stava buttando fuori con forza tutta la paura di deludere. E fra tutte le persone che temeva di deludere una spiccava in particolare: se stesso.
 
Giovanni entrò nella stanza, davanti a sé, alla scrivania, il Presidente della Repubblica, Antonio Darco, era impegnato nella lettura attenta di un foglio illuminato dalla luce della lampada da tavolo.
«Presidente, sono giunto appena mi hanno comunicato che voleva vedermi».
Gli occhi azzurri del Presidente si alzarono dalla carta e cominciarono a squadrare Giovanni da dietro gli occhiali. Se li tolse e fece un cenno al Presidente del Consiglio di sedersi davanti a lui.
Quando Giovanni fu seduto comodamente, Darco lo guardò sorridendo. Le rughe sui lati della bocca si fecero ancora più profonde.
«Sì, la volevo vedere perché... – si piegò sul lato destro, aprendo un cassetto e tirando fuori un foglio – ecco, si è dimenticato di apporre la sua firma sulla sua lettera di dimissioni».
Giovanni strabuzzò gli occhi, poi sorrise imbarazzato: «Quale lettera, Presidente? Non ho firmato nessuna lettera di dimissioni».
«Oh, al contrario invece, lei ha intenzione di dimettersi quest’oggi».
La situazione gli stava sfuggendo di mano. Il mite Antonio Darco, uomo che non aveva mai messo i bastoni tra le ruote, promulgando ogni qualsiasi legge che il Governo faceva approvare, aveva deciso di non mettere un semplice bastone, ma di infilare tra i raggi della bicicletta di Giovanni l’intera foresta amazzonica.
«Mi spiace, Presidente, ma debbo insistere, non ho alcuna intenzione di dimettermi da Presidente del Consiglio Federale. Sono stato eletto con un mandato e durerò altri cinque anni».
«Giusto – rispose con un sorriso sincero l’uomo – perché prima di dimettersi deve firmare quest’atto, me ne stavo quasi dimenticando».
Si piegò ancora sul lato, riaprì il cassetto e tirò fuori un altro foglio, che fece passare sul tavolo.
«Si è dimenticato di firmare anche questo foglio, Presidente Giovanni. L’ordine per il ritiro delle forze armate a largo di Kalos».
Giovanni prese in mano entrambi i fogli, li guardò e li strappò.
«Io non vado da nessuna parte, le è chiaro?».
Il Presidente si alzò in piedi, fece il giro del tavolo, si passò una mano tra i folti capelli bianchi e poi posò il bacino alla scrivania, osservando dall’alto Giovanni, che sedeva affianco a lui.
«Allora, le spiego come stanno le cose, Presidente Giovanni. Io sono il Presidente della Repubblica, lei è il Presidente del Consiglio. Io decido il Presidente del Consiglio, il Parlamento gli da la fiducia e io firmo quello che mi passano.
Tutto molto semplice, no? L’ho spiegato al mio piccolo nipotino di sette anni – disse con gli occhi che brillavano – non è riuscito ad entrare alla Scuola per Allenatori e fa la seconda elementare. L’ha capito anche lui, quanto è sveglio...
Comunque, dicevo, ecco. Sì, lo so che sarebbe una forzatura farle firmare delle dimissioni che lei non vuole, ma sinceramente sotto la mia Presidenza non ci sarà un Governo condannato per aver manomesso le elezioni. Ed ecco che qui entra in scena lei. Perché le sto offrendo di salvare la faccia e di dimettersi».
Ritornò a sedersi al suo posto, sulla grande poltrona con il legno colorato d’oro e il tessuto rosso scuro.
Riprese i due fogli dal cassetto e li passò nuovamente a Giovanni, «Firmi».
«Io non ho alcuna intenzione di dim...» ma Giovanni venne interrotto. Il Presidente batté i pugni sul tavolo, si alzò in piedi e cominciò a fissare Giovanni con lo sguardo che definire furioso era un eufemismo.
«No, Giovanni, non ci siamo capiti. Tu non hai più alcun potere contrattuale. Tu ora firmi questi fogli e darai la fiducia al prossimo governo che devo formare per permettere che questa Repubblica abbia un minimo di dignità che tu e i tuoi amici con i vostri giochi criminali avete tolto. E non mi interessa se il prossimo Presidente del Consiglio è di tuo gradimento. Io voglio che il tuo partito, compatto, voti la fiducia a quel dannato Governo o quanto è vero Iddio, renderò impossibile la vita al tuo Governo. Firma questi dannati fogli».
«Antonio, se tu ora sei nella posizione di parlarmi in questo modo è perché io ti ho dato i miei voti per realizzare la tua ambizione».
«Bravo, ti sono molto riconoscente. E dovresti esserne anche tu visto il guaio dove ti sei cacciato, Giovanni. Proprio perché ti sono riconoscente ti sto facendo questo regalo. Firma quei fogli, è un ordine dal Presidente della Repubblica».
Giovanni si sedette, prese la biro e siglò prima l’ordine di ritiro delle forze armate e poi la lettera di dimissioni.
«Questa non è la fine, sappilo» ringhiò Giovanni alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la porta d’uscita.
«Giovanni, fermo. Sul tavolino davanti al divano c’è una busta. C’è un biglietto aereo, sola andata, per il Venezuela. Prendilo» disse sorridendo Il Presidente della Repubblica.
Giovanni lo afferrò e senza prestare molta attenzione uscì dalla stanza, lasciando il Palazzo della Repubblica senza lasciarsi avvicinare dai giornalisti.
Antonio Darco vide l’ormai ex Presidente del Consiglio abbandonare il cortile a bordo della sua macchina: «Già, Giovanni. Questo è solo l’inizio».

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - «Tutto e niente» ***


Capitolo 20 – «Tutto e niente»
 
«Chiede la parola il giudice Judy Martin, ne ha facoltà» pronunciò all’interno del microfono una voce lenta, bassa, stanca, quasi esausta, come se si volesse trovare in un qualsiasi altro posto piuttosto che esser lì. Con la difficoltà con cui pronunciò quella frase, sembrava che avesse dentro una gran quantità di saliva che gli rendeva difficile scandire correttamente le parole. Era il Presidente della Corte Costituzionale, e sedeva esattamente al centro degli altri giudici.
Si alzò in piedi una donna sulla sessantina, il volto scavato dalle rughe e lunghi capelli biondi mossi che scendevano fino alle spalle. Aveva degli zigomi pronunciati e delle labbra sottili.
«Vorrei che il teste descrivesse esattamente come ha rinvenuto le schede elettorali nei pressi del Monte Cammino».
Palazzo Kingdra, ore 10:55 del 1 Dicembre 2016. La sede della Corte Costituzionale era assediata di giornalisti per il processo che vedeva come imputati alcuni membri dell’Ex Governo Federale e gli esponenti di punta di Repubblica Nuova.
Giovanni, Mondo, Maxus, Atena, Milas, Max e Ivan, assieme ad altri membri meno noti alle cronache politiche, finirono tutti sul banco degli imputati. Il materiale consegnato ai PM da una fonte misteriosa era composta da una serie di bombe che una dietro l’altra esplodevano ad ogni processo. E prima veniva colpito uno, poi l’altro, e poi entrambi, e poi un altro ancora, uno dopo l’altro. Era una gigantesca frana che aveva colpito una diga e ora un muro d’acqua si stava dirigendo a valle.
Il Partito Democratico, improvvisamente rinvigorito dallo scandalo, vide il suo consenso salire del 45% mentre Repubblica Nuova e i Pokémon 5 Stelle, assieme, non arrivavano al 20%.
I consensi sulle singole personalità politiche vedevano Giovanni al 10%, il Presidente della Repubblica, Antonio Darco, al 55%, Walter al 5% e Federico Mattei, il giovane trentenne che perse le elezioni per i democratici, aveva raggiunto la vetta del 30% degli intervistati. Dieci punti in più rispetto alla fine delle elezioni.
«Sono stato contattato da una voce robotica che mi ha detto che nei pressi del Passo Selvaggio era presente una gran quantità di pepite.  – Cominciò a parlare un ragazzino dell’età di circa dieci anni. Magro, piuttosto alto per la propria età, occhi verdi e capelli castani pettinati e completamente laccati – Ne ho così approfittato per allenare il mio pokémon, un Poochyena, quando questi, correndo tra gli alberi è incappato in una piccola buca, precipitandoci dentro. Pensavo di aver finalmente trovato le pepite, così mi sono avvicinato, per assicurarmi che stesse bene e notai che il terreno era stato smosso di recente. Ho cominciato a scavare quando mi sono travato davanti a dei sacchetti di plastica recanti, all’interno, le schede elettorali. Sapete, le avevo visto alla televisione prima delle elezioni... Mi sono immediatamente rivolto alla polizia» disse il giovane in uno stato di evidente emozione.
«La ringrazio per la testimonianza» concluse la donna sedendosi.
La stanza dove si teneva il processo era un grande salone spoglio, senza particolari decorazioni di sorta. I giudici della corte costituzionale sedevano in fila, uno affianco all’altro vestiti con toghe di color rosso accesso con i pennacchi di color d’oro che pendevano dalle spalle. «Prende la parola l’avvocato del Presidente Giovanni» disse il Presidente della Corte.
«La ringrazio Presidente, giusto un intervento rapido, una domanda da porre ai pubblici ministeri. La mia domanda è: se il mio cliente fosse davvero a capo di una piramide criminale volta a sovvertire l’esercizio della democrazia all’interno del nostro Stato, e se fosse davvero pieno di risorse, umane e tecnologiche, come detto fino a questo momento del processo,  queste schede elettorali non sarebbero state distrutte piuttosto che venire seppellite in maniera... mi verrebbe da definire quasi “comica”. Ecco, signori della corte ed è un quesito che pongo ai pubblici ministeri qui presenti. Vi ringrazio per l’attenzione».
La voce lenta e impastata di saliva del Presidente della Corte tornò a farsi sentire, annunciando che il PM Gabriella Fuocante aveva chiesto di prendere la parola.
«Chiamo a deporre Pierre Torris, indicato come test» disse con voce gelida la donna, cominciando a camminare verso il banco della deposizione e aspettando che un uomo basso, senza capelli e grassottello si sedesse.
«Allora, signor Torris, lei ha ammesso di esser stato incaricato di liberarsi dei sacchi di immondizia in cui sono state trovate le schede elettorali. Conferma che ha riconosciuto i sacchi?».
«Sì, confermo» disse l’uomo intimorito dalla figura femminile. Capelli rossi ricci,  un rossetto della medesima tonalità, occhi azzurri.
«Conferma inoltre di non sapere che all’interno vi fossero le schede elettorali?».
«Sì, confermo».
«Ci può spiegare come è entrato in possesso dei sacchi?».
«Quel giorno, il giorno delle elezioni, ero di turno io alla discarica di Ciclamipoli. Io vengo chiamato dai cittadini nel caso debbano rimuovere oggetti di grosse dimensioni che non gli servono più e li portiamo all’impianto di Ciclamipoli. Quel pomeriggio, poco prima delle ore diciotto ho ricevuto una chiamata e mi sono diretto alla Scuola Elementare di Via Machoke, lì c’era un uomo ad attendermi.
Vestiva con occhiali neri, cappellino di lana, guanti, giubbotto di pelle nero e un paio di jeans, neri anche questi.
Mi ha intimato a salire su un camioncino colore beige, puntandomi una pistola ai fianchi. Sono salito e mi ha indicato la strada, temevo che mi volesse far fuori.
Arrivati al Passo Selvaggio mi ha fatto scavare una buca di medie dimensioni e mi ha fatto buttare all’interno i sacchi. Gli feci notare che sembrava che qualcuno avesse scavato di recente, che non andava bene se stavano cercando di nascondere qualcosa, mi disse che andava benissimo così.
Mi ha fatto tornare indietro a Via Machoke, mi ha dato cinquantamila DollariPoké».
«Grazie signor Torris – pronunciò la donna voltandosi e tornando a sedersi al suo banco – l’uomo in questione è stato identificato, si tratta di Nate Nickleden ed è attualmente a Cuba» pronunciò la donna prendendo in mano varie foto che ritraevano l’uomo e le portò davanti al Presidente della Corte.
 
Nel frattempo, fuori dal palazzo, la rivolte popolari erano scoppiate gettando la Repubblica nel caos più totale. Dall’inizio delle indagini, vennero organizzate moltissime manifestazioni nelle principali città che spesso terminarono in violenti scontri. Fu proprio questa la giustificazione che venne utilizzata per spiegare il ritiro della flotta militare da Kalos, perché erano necessari uomini a sedare le rivolte.
Il Presidente della Repubblica si rifiutò categoricamente di sciogliere il Parlamento con una crisi di fiducia generalizzata nei confronti dei partiti e una crisi diplomatica con metà del mondo occidentale e dopo meno di quarantotto’ore che Giovanni si dimise da Presidente del Consiglio, un nuovo Governo viene formato presieduto dal quello che era rimasto fino a quel momento Governatore di Johto, Archer.
Repubblica Nuova aveva infatti accettato la formazione di un governo di transizione con un programma scelto da Antonio Darco solo nel momento in cui il Presidente del Consiglio sarebbe stato un loro membro. La scelta ricadde sul Governatore perché era l’unico esponente di spicco ad essere rimasto fuori dai processi. Alla guida della regione venne posto un funzionario del Ministero degli Interni, uno di quelle persone inamovibili, a prescindere dal colore dell’esecutivo e del Parlamento.
Contemporaneamente alla formazione del nuovo Governo, Giovanni organizzò delle contro-manifestazioni per dimostrare quanto fosse ancora ampio il consenso attorno a lui e che il partito era ancora unito e privo delle correnti di cui i giornali avevano cominciato a parlare. Ma sempre più inchieste svelavano come molti dei partecipanti erano in realtà pagati dalla segreteria del partito e magari non sapevano neanche esattamente per cosa erano in piazza o che cosa stesse succedendo in quel momento presso la sede della Corte Costituzionale.
Non era esplosa solo la pancia del Paese, ma anche tutte le forze intellettuali che fino a qualche momento prima avevano sorretto e incoraggiato il Governo di Giovanni, improvvisamente fecero dietrofront. L’effetto fu quello di un Electrode a cui si fa del solletico, l’implosione del sistema.
Persino in televisione, i comici dapprima tenuti a guinzaglio, liberarono la loro pungente satira contro l’esecutivo e in particolare contro il Presidente del Consiglio: «Quanti Giovanni ci vogliono per cambiare una lampadina? Nessuno, la dichiara in arresto e la fa scappare a Kalos». Il silenzio imposto con la forza nell’ultimo decennio era un ricordo passato e ora i principali volti televisivi intendevano restituire quello che avevano subito con gli interessi.
L’8 Dicembre durante la seduta del processo venne spiegato come vennero fatte trafugare le schede. Il Governo cominciò ad ascoltare le chiamate telefoniche, gli sms, i messaggi in internet di tutti i cittadini. Coloro che ammettevano di non voler votare per Repubblica Nuova venivano poi tenuti d’occhio all’interno del seggio e tre schede su dieci venivano teletrasportate all’interno del sacco nero con l’ausilio di un Alakazam o un Gothielle presente in ogni seggio che controllava dove fosse stata posta la “x” che indicava il voto. Il nome e il cognome poi del soggetto analizzato veniva poi cancellato telepaticamente dai registri per far non creare differenza tra il numero dei votanti e il numero dei voti presenti nelle urne.
Il 10 Dicembre ci fu un sciopero generale a Fiordoropoli per protestare massicciamente contro la figura di Giovanni e alle tre del pomeriggio, quando la piazza tra “Corso della Vittoria” e “Corso dell’Onore” era gremita da un milione di persone, una falange armata con le bandiere di Repubblica Nuova attaccò la folla provocando dieci morti e duecento feriti.
Avevano la faccia fasciata, un giubbotto di pelle marrone, pantaloni di pelle nera, anfibi dello stesso colore. Lanciavano molotov, brandivano manganelli e davano ordini a diversi Salamance di attaccare a vista.
Era un messaggio chiaro, pazzo, violento, di un uomo che aveva ormai perso il senno. Giovanni dopo aver fallito le dimostrazioni mandando l’esercito a Kalos ora voleva sancire che nessuno aveva diritto di manifestare contro lui. Era la sua vendetta a caldo, distruggere fisicamente tutti gli oppositori o la maggior parte di questi, e non importa se questo fece cadere ancora di più Repubblica Nuova nei sondaggi, no. Il tutto era finalizzato a far vedere che lui aveva ancora i muscoli, nonostante la caduta. Le sue nuove mire non erano più le urne, i voti, la simpatia del popolo. Le sue nuove mire riguardavano l’esercito. Non c’era più traccia dello statista Giovanni, quello che calcolava ogni mossa nei minimi dettagli, quello che se il vento gli soffiava contro, lui faceva cambiare direzione al vento. Quello che se tutto andava malissimo tutto gli sarebbe andato benissimo. Quello che fece piazzare bombe e riuscì a vincere le elezioni sulla base di una rientrata emergenza sicurezza da lui causata e da lui risolta.
«Presidente Giovanni, non credo che sia stata una buona idea quella di vederci».
Il Capo di stato maggiore dell’esercito, Bryan Wids era un uomo con i capelli corti, biondi, occhi azzurri, la pelle rossastra, come se avesse preso sempre tratto troppo sole. Un naso grosso e il volto scavato. Due spalle massicce nascoste dall’uniforme a macchie di leopardo grigio chiaro-grigio scuro.
«Oh, non si preoccupi, sarà un colloquio molto breve» disse Giovanni strigendogli la mano e facendogli poi cenno di sedersi.
Erano in una delle case dell’ex capo Rocket. Una di quelle usate per la villeggiatura, sulla costa est di Kanto, lungo il Percorso 12. Dal balcone nella sala da pranzo si poteva osservare l’azzurro male e il lungo pontile di legno che univa le estremità di Lavandonia con il Percorso 13.
Bryan si sedette e aspettò con una discreta impazienza la comunicazione di “estrema importanza” che Giovanni volle comunicargli di persona.
«Sa, la situazione nel Paese è davvero instabile, preoccupante. Sento che siamo davvero sull’orlo di una guerra civile. La Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica si sono accordati con gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali per fare un colpo di stato e rimuovermi da Presidente del Consiglio. Bene, Capo di stato maggiore, sarò molto breve.
Io ci tengo a questa Nazione e lei ci tiene, altrimenti non l’avrei messa dove è ora. E dato che siamo entrambi due uomini di buona volontà dobbiamo rimuovere dal potere quei venduti e preoccuparci noi del Paese».
«Quello che mi sta chiedendo rasenta l’alto tradimento, Presidente». Lo sguardo duro di Bryan Wids divenne, paradossalmente, ancora più duro, cupo, arrabbiato. Le mani poste sopra le ginocchia si trasformarono in pugni.
«Sicuramente, in linea teorica questo rasenta l’alto tradimento, sono perfettamente concorde con lei, ma in linea pratica...».
«E’ fuori discussione –interruppe grezzamente il militare – Non posso credere che lei mi abbia convocato qui per ordire un complotto contro il mio Paese».
Bryan Wids si alzò dalla sedia e con passo veloce raggiunse la porta d’ingresso, la aprì e trovò davanti a sé due uomini vestiti completamente di nero. Colsero di sorpresa il Capo di stato maggiore e lo spinsero all’interno dell’abitazione, facendolo sedere con forza sulla poltrona.
«Già, mi ero dimenticato di dirle che possiamo discutere delle clausole di questo contratto, ma che venga firmato oggi è assolutamente fuori da ogni qualsiasi discussione. Ora, per incentivare la sua disponibilità a trattare, sappia che ho mandato alcuni dei miei uomini fuori casa sua, dove mi risulta che abita la bambina Wids e anche la Signora Wids con un lanciarazzi pronto a sparare al mio minimo cenno. Quindi...» Giovanni si alzò e andò a prendere una bottiglia di vetro con dentro un liquido tra il marrone chiaro e l’arancione, e poi due bicchieri di cristallo.
«Lei ha le redini dell’esercito in mano, io ho le sue redini. Quindi possiamo dire che io controllo l’esercito, ci siamo?».
«In un certo senso...» rispose sottovoce l’uomo come se stesse ammettendo una sconfitta.
«Bene. Di conseguenza – si formò un inquietante ghigno sul volto dell’ex Presidente – io gradirei molto che lei desse il prima possibile l’ordine ai suoi sottoposti di destituire il Parlamento, il Governo, al Corte Costituzionale e di mandarli tutti a casa UNO AD UNO» cominciò a gridare Giovanni, componendosi successivamente e cominciando a versare il prezioso liquore all’interno dei bicchieri.
«In cambio, per i suoi... servigi, la porrò come Vicepresidente del mio futuro governo e i ministri del nostro esecutivo saranno assolutamente scelti tra le file dell’esercito e come principale punto del nostro programma avremo l’incremento della spesa militare. Nuove portaerei, più uomini, elicotteri, aerei».
«Lei sta tentando di comprarmi, Signor Giovanni?».
Giovanni sbuffò, alzò gli occhi al cielo, mandò indietro la testa e poi estrasse una pistola dalla tasca destra dei pantaloni, senza prender la mira puntò al gamba destra e sparò.
Un colpo secco, le finestre vibrarono, i bicchieri tremarono, il pavimento quasi sussultò sotto quel rumore così forte.
Bryan Wids cadde a terra, tenendosi il ginocchio e cominciando a imprecare contro l’uomo che aveva di fronte.
«Adesso, lei prende la sua radiolina da Pokémon Ranger, chiama chi deve chiamare e farà fuori quel dannato Parlamento e quella dannata Corte. Ci siamo intesi?» disse Giovanni avvicinandosi con una voce bassa, inquietante.
«Se lo scordi» rispose il militare sofferente.
«Oh, dannazione!». Prese di nuovo la pistola e sparò di nuovo, questa volta colpendo il piede sinistro.
 
«Finalmente si sono svegliati» pronunciò Rosso, sdraiato sul divano mentre la televisione mostrava le immagini di alcuni scontri tra polizia e manifestanti avvenuti a Fiordoropoli. Moltissime erano le persone con il viso imbrattato di sangue o che si trascinavano arti privi di vita oppure giacevano a terra implorando aiuto. Molti erano i pokémon utilizzati dalla falange armata per avventarsi contro i Growlithe e gli Arcanine delle forze di polizia. Nella stessa giornata degli scontri, gruppi di cittadini irruppero nelle sedi dei Governi Regionali di Kanto, Sinnoh, Isole Orange, Unima, Almia, Fiore, Oblivia, del Settipelago, Isole Cristalline e Auros e riecco che in ogni regione si ripresentarono gli uomini dal volto fasciato che facevano schizzare il sangue sulle mura.
Ci fu un colpo di vento e la portafinestra che conduceva sul balcone venne spalancata. Dream attraversò il salotto e uscì sul terrazzo. Il cielo era nuvoloso, di quel grigiore che alla lunga da fastidio agli occhi. Respirò a pieni polmoni, l’aria era intrisa della classica umidità invernale, mischiata con l’odore del fieno. Si ricordò di quando attraversava Giardinofiorito o quando entrò nell’antica Memoride, un piccolo borgo nella Sinnoh nord-orientale alle pendici del Monte Corona, dove era alla ricerca di informazioni sui leggendari Dialga e Palkia.
«Oh, chiudi che fa freddo» gridò Rosso da dentro l’abitazione, Dream sbuffò e ritornò all’interno dell’appartamento, poi chiuse la portafinestra assicurandosi che non si sarebbe aperta con un altro colpo di vento.
«Pensi che dovremmo tornare a casa? Siamo Campioni, potrebbero aver bisogno di noi».
«No, Rosso. Non penso che abbiano bisogno di noi.
Ho smesso di farmi il fegato marcio per questo popolino di idioti. Ora combattono contro il governo perché ha taroccato le elezioni, ma cinque anni fa non è stato così, dieci anni fa neanche. Hanno scelto di votare il cancro e ora se ne prendono le conseguenze. Da che mondo e mondo la chemioterapia per una malattia è una medicina amara, che per certi versi ti fa preferire la morte, però poi ti cura. Questo è il loro processo di cura, questa è la loro chemio.
E sai perché non possono aver bisogno di noi, Rosso? Perché noi siamo diversi da loro, noi in qualche modo, ci siamo dimostrati superiori. Noi il cancro lo abbiamo visto proliferare non abbiamo mai voluto convivere con lui, anzi, lo abbiamo riconosciuto ancora prima che potesse diventare più grande di un atomo e lo abbiamo combattuto.
E il ringraziamento quale è stato? Una dichiarazione di arresto! E qualcuno ha mosso un dito? Certo che no! E io non muoverò un dito per loro, e non comanderò un singolo attacco di un pokémon per la loro causa, per quanto giusta possa essere. E sai perché? Perché arriva fuori tempo massimo. Il treno è partito, ciuff ciuff».
Rosso si mise seduto e osservò con espressione di rimprovero Dream. Il suo cuore cominciò a palpitare velocemente, tanto rapidamente come quello del suo amico. Mai, fino a quel momento, erano stati così profondamente in disaccordo: «E quindi di che cosa si tratta esattamente? Di una vendetta?! Non li aiuti perché loro non hanno saputo aiutare te?».
«Suvvia, Rosso, non esser stupido. Non ho mai chiesto l’aiuto di nessuno in vita mia…».
«E quindi? – Lo interruppe Rosso – E quindi siccome tu non hai avuto mai bisogno di aiuto credi che nessun altro essere al mondo possa necessitare di una mano? Non siamo tutti come te, Dream, fattene una ragione».
«Non si tratta di questo, Rosso. Dico solo che se avessero voluto il nostro supporto, avrebbero detto una parola quando siamo stati messi in stato d’arresto, e invece niente, nulla! Se avessero avuto bisogno di me, di te o di chissà quale altra persona, non dico che sarebbero scesi in piazza ma per lo meno, dico per lo meno, qualche persona si sarebbe indignata in televisione».
Rosso balzò in piedi in preda alla furia: «Erano spaventati! Ti è così difficile capirlo?!».
Dream strabuzzò gli occhi vedendo il suo amico alzarsi e automaticamente alzò la voce: «Spaventati da cosa?! Sono i governi che devono aver paura delle persone, non il contrario».
«Oh – gridò Rosso – riecco il rivoluzionario Dream, quello che supportava Walter, l’anti-casta. Dimmi, Dream, dopo tutto quello che hai scoperto, non pensi che sia necessaria una parvenza di realismo?».
Dream aprì leggermente la bocca, stupito da quello che gli era stato detto. Si avvicinò all’amico, puntò l’indice destro sulla sua spalla e cominciò a pungolarlo incessantemente: «Tu pensi di essere necessario per una rivoluzione popolare e mi vieni a dire me che ho bisogno di realismo? E dimmi, caro il mio “Allenatore del Monte Argento”, come pensi di poter aiutare? Dispensando consigli su come si resiste sui pendii di una montagna? O su come alimentare la propria fama non concludendo assolutamente nulla nella vita?».
Bastò un secondo, pochi istanti. Un colpo secco, forte, che fece vibrare la pelle della guancia destra di Dream fino a fargli voltare la testa a sinistra. Rosso lo aveva colpito, con un ceffone in pieno volto. I due si guardarono, fissi negli occhi, senza proferire alcuna parola. Sul volto di Dream apparve un sorriso malizioso, con uno sguardo di sfida, si voltò e si diresse verso la sua camera, inseguito dalla voce dell’amico: «Oh, sei forse migliore tu che per anni non hai combinato assolutamente nulla preferendo scopare dalla mattina alla sera, vero? Tu sì che potresti aiutare meglio di me, non è forse così?».
Il ragazzo tornò ad osservare Rosso, gesticolando nervosamente e continuando a gridare: «Era morto Umbreon, era così difficile capire che non me la sentivo di tornare ad allenare? Oh, ma sicuro che è difficile, mi pare alquanto ovvio che ti pare complesso da capire. A te basta giudicarmi solo per il numero di donne che mi portavo a letto. Ma d’altronde mi hai sempre e solo giudicato, Rosso. Sempre e solo. E facevo quello e non andavo bene. E facevo quest’altra cosa e ancora non andava bene. Ti sei sempre ritenuto migliore di me, in qualsiasi campo. Ma fattene una ragione, sei inferiore a me, sei meno realistico di me. Sei quanto di più mediocre ci possa essere al mondo».
Rosso fece un respiro profondo, poi indicò minacciosamente il suo interlocutore: «Se non la smetti di comportarti come un deficiente e un cretino, ti giuro, ti faccio saltare tutti i denti».
«Oh, ma che paura – Dream cominciò ad camminare lentamente, avanzando verso Rosso. Ondeggiava nel farlo, come se fosse stato ipnotizzato tutto d’un tratto – ma sai, credo che riusciresti ad esser mediocre anche nella boxe» e strizzò l’occhio sinistro compiaciuto, poi riprese con una faccia esausta: «Ora, so che vuoi ancora giocare a chi ce lo ha più lungo e duro, ma mi dispiace per te, ho da fare. Devo andare in città. Voglio tornare ad allenare davvero, sui Percorsi. Dovresti farlo anche tu».
Era una scelta che meditava da diversi giorni. Voleva partire per un viaggio, senza i suoi vecchi compagni, proprio come quando incominciava una nuova epoca. Voleva sfidare i Capopalestra, guadagnare le medaglie e dirigersi alla Lega Pokémon, con l’obiettivo di diventare il nuovo Campione di Kalos.
 
La struttura di Luminopoli era composta da quattro cerchi concentrici collegati tra di loro per mezzo di otto grandi vialoni. Nessuna strada era stata cperta d’asfalto. Dal tardo ‘800 in poi solo i sanpietrini venivano utilizzati nell’edificazione delle strade, tentando di lasciare nella Capitale un aspetto storico.
Il Laboratorio del Professor Platan si trovava nella zona occidentale della città, nel settore più esterno.  Era una piccola villetta su due piani, costruita tra due palazzi di una decina di piani. Il muro di cinta, che delimitava il suolo di proprietà del professore, era stato adornato con piante e fiori, così come il giardino, davanti la porta di ingresso, era stato abbellito con un grande albero.
La porta d’ingresso era piuttosto semplice, una struttura in legno chiaro, poco pregiato, con quattro vetri decorati con immagini petali di rosa che cadevano. Dream bussò delicatamente.
«Avanti, avanti» disse una voce maschile all’interno.
Dream girò la maniglia e si addentrò nell’ingresso del laboratorio, chiuse la porta alle spalle e trovò ad aspettarlo un uomo piuttosto alto, vestito con un camice bianco, una camicia blu, pantaloni neri e mocassini marroni. Si fece avanti, allungando la mano per presentarsi al ragazzo. I suoi capelli avevano un taglio particolare, di media lunghezza sui lati della testa e piuttosto lunghi sulla parte superiore, con la riga di lato, che faceva cadere la lunga chioma sul suo lato sinistro.
«Oh, buongiorno Dream, si accomodi pure, prego» disse il padrone di casa, voltando immediatamente a destra ed entrando in uno degli uffici che componevano la struttura. Platan era un uomo francese trasferitosi con la famiglia a Kalos agli inizi degli anni ‘90, quando aveva poco più di dieci anni. La sua pronuncia, nonostante i molti anni passati a Luminopoli era lontana dall’essere perfetta e continuava ad includere quegli elementi tipici della lingua francese che lo rendevano il tipico cliché che i paesi esteri hanno della Francia.
C’erano circa una decina di persone tra personale del laboratorio, vestiti in maniera piuttosto rigorosa e formale, con tanto di camici e penne che uscivano da ogni tasca, e ragazzini.
Mentre Dream s’incamminava all’interno del grande stanzone si guardò attorno, non potendo far a meno di notare come l’ordine e il profumo di pulito regnassero sovrani. Era già stato in quella stanza qualche settimana prima, ma pensò ingenuamente che si trattava di pulizie eccezionali per accogliere i Ministri della Giustizia e dell’Interno. Tutti i laboratori che aveva visitato erano pieni di scatoloni con all’interno documenti, fogli sparsi e polvere che copriva ogni superficie. Eppure anche in quel giorno apparentemente normale, la scrivania del professore era completamente sgombra di oggetti di ogni tipo. C’era solo una lampada da tavolo al lato. Sotto la finestra, alla destra di Dream, una piccola radio accesa che riproduceva “The Name Game” di Shirley Ellis:
«Shirley! Shirley, Shirley
Bo-ber-ley, bo-na-na fanna
Fo-fer-ley. fee fi mo-mer-ley, Shirley!»
«Allora, messèr Dream, che cosa possiamo fare per lei quest’oggi?».
Dream sorrise per l’appellativo, si guardò attorno e provò un sincero imbarazzo poiché gli occhi erano puntati tutti su di lui: «Vorrei iscrivermi alla lista che mi permetterà di ottenere un pokémon iniziale. Vorrei partecipare alla Lega Pokémon di Kalos».
«Oh, bene, interessante scelta, davvero interessante» commentò l’uomo tirando fuori un foglio dal cassetto alla sua sinistra. Aveva delle domande precompilate sopra. Prese una penna e cominciò ad osservare sorridente Dream.
«Ho sentito dire che chiunque faccia richiesta di ottenere un pokémon iniziale lo ottiene, è vero?».
«Oh, sì. Vede, qui a Kalos Froakie, Chespin o Fennekin non sono dei privilegi come ad esempio lo sono un Bulbasaur o un Torchic nella sua Repubblica. Noi qui vogliamo dare a tutti gli stessi mezzi... non a caso c’è una sua conoscenza che ci ha definiti socialisti» disse sorridendo maliziosamente, «Ma prima di concedere il via libera alla sua avventura di Allenatore, le devo porre alcune domande – disse indicando con la mano destra il foglio – allora... lei è un terrorista?».
Dream strabuzzò gli occhi e scoppiò a ridere: «No».
«La prego di rimanere serio e di rispondermi sinceramente. E’ molto importante per il buon esito del test. Quindi... dicevo... Sicuro di non essere un terrorista?».
«Sicuro, non sono terrorista».
«Non è un terrorista – pronunciò lentamente mentre scriveva la risposta – ha mai fabbricato ordigni nucleari?».
«Direi di no, mai costruito ordigni nucleari».
«Non ha costruito ordigni nucleari... Ha mai commesso reati di qualche tipo?».
«Beh... – disse con un leggera smorfia divertita – secondo il mio Paese essere giornalisti è un reato. Non so come lo consideriate qui a Kalos».
Platan alzò gli occhi e ricambiò il sorriso: «No, qui i giornalisti fanno il loro lavoro, quelli iscritti all’albo intendo. Ma deduco che questo tipo di informazione non si possa considerare reato in un qualsiasi Paese civile. Nessun reato quindi».
La penna in mano al professore ricominciò a scivolare rapidamente e delicatamente sul foglio, annotando di nuovo quello che Dream aveva comunicato.
«Segni particolari?».
«Dicono che io sia il miglior allenatore della storia».
Platan inclinò la testa, pronunciò le labbra e osservò attentamente Dream. Dopo pochi secondi riprese a scrivere, segnando “La modestia”.
«Siamo quasi alla fine del test, Dream... ecco, passiamo appunto alla sua carriera di allenatore. Quante Leghe Pokémon ha vinto nel suo Paese?».
«Nove», disse annoiato Dream.
«Nove? Un numero davvero notevole» disse l’uomo stupito, «E’ per caso nei Guinness?».
«Così pare...».
«E così vuole concorrere anche per la Lega Pokémon di Kalos, giusto?».
«Sì, esatto».
«E con quale pokémon vorrebbe iniziare?».
La loro attenzione venne attirata dalla radio. Una volta finita la canzone in onda, una voce femminile prese la parola.
«Nuove notizie dalla Repubblica Federale di Pokémon. Pochi istanti fa, con un comunicato mandato in onda in tutti i canali radio e televisivi, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha informato le forze militari che non risponderanno più al Governo e al Parlamento ma che anzi è necessario destituire i due organi.
Il Presidente Archer, pochi istanti dopo, ha immediatamente sospeso e richiesto il giudizio immediato della Corte Marziale nei confronti del Capo di Stato Maggiore nel frattempo sostituito con Eliot Getry che ha subito ribadito come l’Esercito non complotterà l’ordine dello Stato, ma già si sono registrate numerose defezioni. Diversi tenenti, colonnelli, hanno annunciato la loro volontà di seguire Bryan Wids. Nel frattempo, fonti di agenzie, comunicano che in alcune zone non specificate del Paese sono già cominciati i primi scontri armati».
«Una scissione dell’esercito?» domandò Platan a Dream, che lo guardava con sguardo dopo aver udito la notizia.
«A quanto pare...» rispose.
«Avete mai avuto problemi con l’esercito? Tentativi di sommosse sedate prima che potessero creare veri e propri disordini?».
Dream scosse la testa: «No, né prima della mia nascita, né dopo. Stanno tutti impazzendo, uno dietro l’altro».
«Qualcuno potrebbe dire lo stesso di lei, non trova?».
Lo sguardo di Dream improvvisamente si riaccese e osservò l’uomo: «Che intende dire?».
«Intendo dire che nonostante i suoi proclami su come non volesse più allenare eccola qui, a chiedere di ricevere un pokémon iniziale. E per carità, a me fa piacere. Ma per qualcuno, forse, anche lei sta impazzendo. Diranno “il vecchio allenatore è tornato alla sua carriera perché non è capace di far altro dopo che ha provato a far altro. Un pazzo, non ha più niente da dare”, non è vero?».
Dream sorrise, «Hanno già cominciato a darmi del pazzo?».
«Oh, no. Ma lo faranno. Non è forse quello che si fa sempre, alla fine? Giudicare, intendo. E non è sempre quello che subiamo sempre? Il giudizio. E’ sicuro messer Dream di volerlo fare? Di voler tornare ad allenare?».
«Dicevano che non allenavo più perché non ero capace... diranno che alleno perché sono pazzo. E’ un po’ un’estremizzazione non trova?».
Platan socchiuse leggermente gli occhi, annuì leggermente con la testa e poi tornò a guardare disinteressato il foglio: «Già, ma nonostante noi vogliamo trovare la moderazione, la vita ruota così tanto su se stessa che ci porta agli estremi. Lei è pronto agli estremi?».
«“Lo avevano ricoverato per curarlo della sua follia, ma secondo me non era pazzo, aveva soltanto terribilmente sofferto”» pronunciò lento Dream, sempre sorridente.
«Dostoevskij... Bene, bene. Se lei è pronto a subire il parere delle male lingue faccia pure, d’altra parte lei è stato nove volte Campione, non ha bisogno dei miei consigli di sopravvivenza. – Poi si avvicinò, il volto era serio, gli occhi improvvisamente freddi – Kalos non è il Paese dei Balocchi, sebbene così possa sembrare. Si guardi alle spalle, sorrida a tutti, non dia confidenza a nessuno. Un Ekans, prima di strangolare la sua vittima, si sdraia affianco. Prende le misure, e nei giorni successivi, tutto d’un tratto si attorciglia al collo della sua vittima e comincia a stringere, stringere, stringere, finché l’ultimo respiro viene esaltato. Kalos è così».
«Kalos?» domandò Dream ironico, «A me questa sembra la descrizione de La Dolce Vita di Fiordoropoli!».
«Oh, vedo che ci intendiamo – pronunciò con un caldo sorriso. Forse il più caldo e sincero da quando conobbe Michael – ma prego, messèr Dream, vada sulla terrazza, la raggiungo tra poco.  Giusto il tempo di inviare il fax».
L’aria fredda investì il viso di Dream che chiuse infastidito gli occhi, riaprendogli poi lentamente, appoggiandosi poi alla ringhiera dopo essersi acceso una sigaretta.
«E’ vero che è stato ad Austropoli?» chiese Platan raggiungendo il ragazzo.
«Già, vero. Quest’estate, qualche settimana prima che cominciasse la Lega Pokémon di Unima».
Platan si appoggiò anche lui alla ringhiera e insieme, i due, scrutarono la stessa vista: «Non ci sono mai andato... Ho visto New York, Parigi, Roma, Madrid, Fiordoropoli, ma Austropoli mi manca. Serena – disse voltandosi e indicando una bambina con i capelli castani chiari molto lunghi, occhi verdi. Piuttosto magra e alta, con un naso alla francese – ci è andata. Dice che è molto bella, la città più bella di tutte. E a lei, messèr Dream? E’ piaciuta?».
Dream scosse la testa, togliendosi la sigaretta dalla bocca «No, Professore. L’ho trovata una città... morta».
Platan strabuzzò gli occhi e guardò l’interlocutore stupito: «Austropoli è per caso un deserto?».
«No, no, macché, è piena di strade, acqua, parchi, alberi, non è un deserto».
«E perché “morta” allora?».
«Perché io non ho proprio vissuto durante quel periodo. Mi sono sentito aperto in due, ho visto le mie viscere uscire lentamente e venire osservate».
«La osservavano mentre espletava i suoi bisogni? La importunavano?» chiese sempre più stupito l’uomo, come se non riuscisse proprio a capire.
Dream sorrise, «Io mi osservavo. Lo stavo facendo nelle vetrine di una gioielleria e mi son reso conto che non ero più io. A stare in mezzo a quella folla... mi sono sentito soffocare. E non ce n’era ragione, non c’era una dannatissima ragione perché mi sentissi così.
Ma poi ho capito, ed ecco che sono scappato da Fiordoropoli. La richiesta d’arresto è stata una fantastica scusa, l’alibi perfetto. Sono scappato dalle scimmie, sì, ma soprattutto da me stesso».
«E cos’ha capito esattamente? Perché sa, non lo ha mica detto».
«Ero a metà. E lo sono ancora, ma per lo meno la cerco qui, tra queste campagne. Ma vede, mi sono sentito proprio incompleto ad Austropoli. Come se non riuscissi a ragionare un attimo senza trovarmi all’interno di una spirale di dramma e sofferenza interno. Improvvisamente avevo paura di vivere».
«Curioso, da un punto di vista antropologico questo è molto interessante. Le persone si sentono incomplete senza la persona che amano al loro fianco, lei no.
E quanto trovo affascinante questo discorso. Siamo tutti così uguali, noi esseri umani, eppure tutti così diversi».
I due si salutarono, Dream fece un passo all’interno del salone dove aveva risposto alle domande quando Platan lo fermò: «Certo che lei non ha e non avrà vita facile, messèr Dream».
Dream lo osservò perplesso: «Come mai dice questo?».
«Oh, perché lei è così giovane e pure ha già visto e fatto tutto. Cosa la potrà elettrizzare ora? Cosa? Au revoir, Dream, au revoir!».
 
Rientrò a casa quel pomeriggio. Girò il chiavistello fino a che la porta blindata non gli si aprì sotto gli occhi.
«Rosso, sono tornato» gridò, lasciando il mazzo di chiavi sulla scrivania bianca posta nel corridoio d’ingresso e iniziando a cercare l’amico nelle varie stanze.
Arrivò in sala. La portafinestra era chiusa, le tapparelle abbassate. Si avvicinò alla corda e cominciò a tirarla verso il basso. Le nuvole grigie sovrastavano Luminopoli, rendendola una città triste e spenta. Neanche la visione della Torre Prisma rendeva lo spettacolo più affascinante.
Si voltò e osservò il tavolo. C’era un libro con un bigliettino attaccato.
Io vado a Fiordoropoli. Il mio Paese mi chiama. Non m’importa se mi seguirai, sii felice,
Rosso”.
Il libro era “Niente e Così Sia”, di Oriana Fallaci. All’interno era presente un segnalibro. Dream aprì alla pagina indicata, alcune frasi erano sottolineate, cominciò a leggerle.
«“Lessi quel libro, L’ammutinamento del Caine. Mi fregò. Ricorda il processo che il comandante subisce dinanzi alla Corte Marziale, quando lo fanno a pezzi e dimostrano che è un uomo mediocre? Bè, vinto il processo, il suo accusatore si ubriaca e dice qualcosa. Dice: d’accordo, era un uomo mediocre, non valeva Proust, però al momento in cui dovemmo andar contro Hitler ci servimmo di questi mediocri: non di Proust. E io mi dissi, giusto, resto con i mediocri. Anche se non sono un mediocre, e chi ha detto che un soldato debba essere un uomo mediocre. E lo proverò.”».
La guerra civile. Rosso era partito alla volta della Capitale, doveva aver sentito anche lui la radio. Partito verso l’orrore. Quello vero questa volta. Non un orrore sociale, fatto di persone vuote e ignoranti, ma fatto di morte e di distruzione fisica.
 
Per questioni di sicurezza, a Fiordoropoli, venne impostato il coprifuoco per i civili. Alle ore 18:00 le sirene della città suonavano e tutti dovevano chiudersi in casa, al buio.
I ribelli, coloro che uscirono dall’esercito rubando armi e mezzi, avevano abbattuto tralicci, rotto i tubi del gas e dell’acqua. L’acqua arrivava con il contagocce, il gas bastava giusto il tempo di cuocersi un piatto di pasta, poi la fiammella spariva. E l’elettricità era completamente assente.
In poche ore si passò da essere una Nazione pseudo-normale all’aver imboccato il sentiero che conduceva ad una crisi umanitaria.
Rosso atterrò così in Viale dell’Onore completamente deserto. Per un momento gli parve di essere all’interno di quei film apocalittici, dove il mostro appare fuori all’improvviso dopo che il regista ha giocato sapientemente con la colonna sonora. Era forse questa la guerra?
Si aggirava in un silenzio di tomba. Alcuni vicoli erano stati ostruiti con i cassonetti dell’immondizia. In alcune stradine, la pattumiera bruciava, riempiendo di fumo nero, denso, tossico, che si innalzava verso l’alto. Era forse questa la guerra?
Sulle colline a est della città invece si combatteva. Si vedevano lampi gialli, si udivano esplosioni, si notavano figure volanti che si alzavano e cominciavano ad emanare dei raggi rossi, gialli, blu. Era forse questa la guerra?
Sulle colline i ribelli si erano appostati per scendere a Fiordoropoli e conquistarla. Miravano subito alla Capitale e poi al resto della Nazione. La loro unica base erano le Rovine D’Alfa. Avevano fatto saltare tutta la vegetazione che circondava i lati nord e sud, per poter guardare meglio i nemici e colpirli prima di farli avvicinare troppo. Oltre ad aver fatto crollare buona parte della Grotta di Mezzo per impedire l’accesso dalle entrate secondarie. Poi, sui templi, avevano installato l’artiglieria anti-aereo, anche se alla fine sarebbe stata inutile. Nessuno si sarebbe mai sognato di bombardare il sito patrimonio dell’UNESCO.
Rosso trovò una stanza in un piccolo albergo nel Mercato. La sua sveglia fu una tremenda esplosione che fece tremare le mura, il letto e per poco non ruppe i vetri. Era forse questa la guerra?
Pochi istanti dopo, due jet militari cominciarono a volare bassi sulla città, mentre dal mare si vedevano due cacciatorpediniere che si bombardavano tra loro, mentre di volta in volta i jet militari le bombardavano. Una volta l’una, una volta l’altra e le colonne di fumo si alzavano, ma nessuna delle due affondava.
Poi un’altra esplosione e ancora le mura tremarono, e ancora il letto vibrò, e ancora per poco i vetri non si ruppero.
Scese per strada indossando rapidamente qualche vestito e lavandosi in maniera frettolosa. La preoccupazione per la sua igiene personale era totalmente sparita in mezzo a quelle continue bombe che esplodevano.
Uscì dall’albergo e notò che tutto, in una notte, era cambiato. Per strada era apparso il filo spinato. Chilometri e chilometri di filo spinato che delimitava la strada dai marciapiedi. Questi ultimi dovevano essere utilizzati dai civili, il resto dai militari che avevano bisogno di spazio sia per potersi muovere liberamente, sia per i potenti mezzi militari che stavano giungendo in città. Ed eccole che sfrecciavano uno dietro l’altra, camionette a macchia di leopardo con a bordo decine di uomini e anche un carro armato che con il suo rumore assordante camminava sopra quelle lastre lucide che costituivano la pavimentazione dell’antico quartiere. Era questa la guerra?
Ai lati delle strade alcuni militari distribuivano giubbotti antiproiettili e caschi di protezione, altri, invece, ponevano sulle finestre che davano sugli scantinati i sacchi di sabbia per renderli più sicuri in caso di bombardamenti aerei.
Rosso si avvicinò ad un ragazzino. Aveva forse vent’anni e poneva i pesanti sacchi di sabbia e si assicurava che fossero aderenti. I suoi gesti sembravano automatici, comandati da un software. Prendeva il sacco, lo metteva vicino ad un altro, lo pressava lievemente e ne tirava giù un altro dal camion. E ancora, ancora, ancora.
«Cosa succede?» chiese Rosso.
«Non si preoccupi, la situazione è sottocontrollo» pronunciò senza guardare chi aveva davanti. Sembrava come una voce registrata.
«Sono un Campione della Lega Pokémon». Udite quelle parole il ragazzino si fermò, si mise sull’attenti e fece il saluto militare.
«Mettiamo in sicurezza gli scantinati in caso di bombardamenti aerei, Campione. Le truppe ribelli hanno comunicato di avere bombe e jet sufficienti per farlo.
Ci è stato inoltre comunicato che i Campioni devono dirigersi immediatamente dal Tenente per ricevere ordini».
«E dove si trova il Tenente?».
Il soldato ruppe la posizione e indicò con braccio fisso un piccolo bar: «Da quella parte, Campione».
Rosso ringraziò il militare e cominciò a camminare in direzione del locale, superò il palazzo e poté notare che le verdi colline di Fiordoropoli erano completamente andate a fuoco. Dei verdi prati in cui Dream si era rotolato qualche mese prima, con Feraligatr e Mew erano completamente scomparse. Soltanto terra arida. Era questa la guerra?
Quando Rosso entrò nel locale, una piccola radio a batterie posta sul tavolo del Tenente Rogers stava comunicando che Canalipoli era caduta perché completamente senza difese e le forze armate ribelli ora erano in viaggio verso Giubilopoli. Il sindaco di Canalipoli era stato arrestato e con esso tutta la giunta comunale. Sarebbero stati scortati al Carcere di Mineropoli. L’esercito di istanza in Unima stava resistendo alle forze nemiche che attaccavano da sud e da est senza troppe difficoltà e presto avrebbero cominciato ad attaccare.
Nessuna notizia invece perveniva da Hoenn, dove diversi ripetitori erano stati distrutti da un attacco mirato di Hydreigon mentre a Kanto una bomba era scoppiata nella metropolitana di Lavandonia uccidendo trenta persone.
Era questa la guerra?
 
A centinaia di chilometri di distanza, in un appartamento al terzo piano di Luminopoli, Dream si assicurò di avere in tasca il portafogli e il lettore mp3 nell’altra. Aprì la porta d’ingresso e una luce intensa e dell’aria bollente lo avvolse. Si mise una mano sugli occhi e riuscì a capire dove si trovava, in un deserto.
Davanti a lui, pochi metri più in là, una piccola casetta con vetri oscurati dalla troppa polvere e il legno completamente marcio. Sembrava disabitata. Dietro di lei una grande cava.
Si sentiva dentro un déjà-vu, sembrava conoscere quel posto. Si avvicinò lentamente, guardandosi attorno. Come aveva fatto a raggiungere quel posto mettendo semplicemente un piede fuori da casa? Era forse una trappola ordita da Giovanni o chi per lui?
Poi prese coraggio, avanzò rapidamente e bussò alla porta, che si aprì da sola davanti a lui.
La luce del sole entrò all’interno della piccola stanza, mostrando una figura nera seduta in maniera composta sul tavolo.
Quattro zampe, con un pelo nero che in alcuni punti faceva spazio a delle figure ovali dorate. Gli occhi, rossi, erano puntati sull’ingresso.
«Ti stavo aspettando, Dream» disse la figura in maniera solenne.
Dream sgranò gli occhi, la bocca si aprì leggermente per lo stupore mentre gli occhi divennero immediatamente lucidi. Corse verso il tavolo e strinse a sé chi c’era sopra, «Umbreon! Umbreon!» ripete il ragazzo con voce strozzata, mentre le lacrime, che scendevano dal viso, bagnavano il pelo del pokémon. Il ragazzo lentamente si staccò, asciugandosi gli occhi con le dita, approfittandone per stropicciarsi gli occhi e verificare che effettivamente stava vedendo giusto.
«E’ passato un po’ di tempo...», Dream annuì.
Non si accorse immediatamente che il pokémon potesse parlare.
«Sei reale?» chiese Dream.
«Dream non abbiamo tempo per queste domande. L’importante è che io sia Umbreon è che tu sia tu.
Per parlare ho dovuto aspettare che tu fossi libero. Libero da me, libero da te stesso. E ora forse ci sei, altrimenti non saremmo qui. Ma vedi, nonostante tutto, ci sono delle domande di cui non trovo risposta sebbene la sento vicina, ma non ci arrivo. E quindi a chi porle se non al mio allenatore?».
«Non credo di essere ancora il tuo allenatore, Umbreon...» fece notare Dream, parlando e raschiando la gola.
«Non è la morte fisica a tranciare definitivamente i rapporti. E’ la memoria».
Dream sorrise amaramente.
«Ebbene Dream, permettimi di essere brusco. Permettimi di rivolgerti le domande perché non ho molto tempo. Perché ci sono cose che mi sono successe e che proprio non capisco. Che cos’è questa morte di cui parli spesso in riferimento a me?».
Dream rimase sbigottito. Rimase in silenzio, guardando il suo amico in maniera turbata.
«La morte... la morte è la fine dell’essere. E’ quando la vita finisce... tu sai cos’è la vita?».
«La vita è un labirinto. Così mi dissero una volta. Un labirinto fatto di milioni di strade, di milioni di vicoli cechi. E ti puoi perdere cercando la tua strada. E ti senti chiuso in una gabbia tra quelle tre mura, perché nulla è come vorresti. Però poi ecco che la ritrovi, e riesci a proseguire lungo il labirinto. Questa è la vita, un labirinto».
Dream rimase impressionato. Non era sua la metafora del labirinto. Forse il pokémon l’aveva sentita prima del loro incontro ad Auros nel 2004.
«Non lo so cosa sia la morte, Umbreon.
E’ sempre stata qualcosa lontano da me. Una massa oscura che al massimo lambiva i confini della mia vita e acciuffava persone che sì, conoscevo, ma erano semplici comparse di scarsa importanza per me, e venivo a sapere della loro dipartita solo qualche mese dopo. E dicevi “ohibò, se n’è andato”, un sospiro di sollievo e poi tornavi a fare quello che stavi facendo.
Però non l’ho mai vista con i miei occhi, non si era mai messa sul mio cammino. Fino a che non è successo quello che è successo. E ti ha strappato da noi.
E allora, se la vita è un labirinto, la morte è la fine di quel labirinto. E quando superi la siepe e l’arco su cui c’è scritto un falso “Arrivederci”, trovi una barchettina che ti porta a destinazione...
Io credo che sia una cascata. Una enorme e gigantesca cascata. Perché tutto precipita, viene risucchiato. A quel punto muori».
«E non puoi usare la Macchina Nascosta Cascata?».
«No, Umbreon – scosse la testa sorridendo – no. In quel momento sei solo, anche se circondato dagli amici. Loro sono sulla terra che circonda parte della cascata, ma non ti posso afferrare. In quel momento tu diventi intoccabile, inafferrabile. E poi vai, cadi, precipiti».
Passarono alcuni istanti di silenzio. Lo sguardo di Dream fissava le travi di legno sul pavimento, mentre Umbreon continuava a osservare Dream.
«Sono quindi precipitato?» chiese timidamente il Buio.
«In un certo senso. Oppure sei volato in alto, ma mi viene difficile immaginare di perdere qualcuno perché vola per aria».
«E una volta che si precipita cosa succede?».
«Ti liberi dal male, dal dolore, da tutto ciò che c’è di brutto. La tua anima si affranca, si purifica, ed è più leggera. E puoi raggiungere l’infinito, superarlo. Puoi volare nell’oceano, nuotare nel cielo. Conoscere l’inizio e mai la fine. Io l’ho sempre vista così, Umbreon. Io non sono mai morto...».
Il pokémon annuì, chiudendo gli occhi: «E per chi rimane?».
«Per chi rimane la situazione è più complessa, perché vedi, noi questa liberazione non la percepiamo. Percepiamo il dolore, un immenso e gigantesco dolore.
Ti rimane un pugno di ricordi, mentre il vuoto si forma dentro e fuori di te. E non lo puoi combattere il vuoto, non puoi combattere qualcosa che non esiste.
E quindi rimani lì, inerme, sotto questa tortura, che è la peggiore delle torture; perché negli altri casi dai al nemico l'informazione che vuole e ti sbatte in una cella con i ratti, prendi fiato e poi al massimo ti da un proiettile in testa e finisci di soffrire il male fisico, capisci? Ma qui invece è diverso, totalmente diverso.
Qui il nemico è silenzioso, viscido. Si muove sinuosamente, dentro e fuori di te, ogni suo movimento è un sussulto, e ogni suo passo è puro orrore, orrore perché ti ricorda il vuoto lasciato da chi non c'è più.
Non ti puoi neanche alzare e dargli un ceffone. Chi o cosa vuoi colpire? Puoi farlo, certo, puoi sentire l’aria entrare tra le tue dita, accarezzare il palmo della mano, ma cosa hai ottenuto?
Ecco, la morte comporta il vuoto per chi rimane. Un incredibile, atroce vuoto che fa male. Una ferita che non si rimargina mai, ma da cui continua a sgorgare il sangue ogni qual volta viene sfiorata. E allora te ne prendi cura di questa ferita, ti assicuri sempre di averla coperta e di non lasciarla sbattere, di non lasciarla in balia di persone che vogliono solo farti del male».
E rieccolo il silenzio che cadde nella stanza ma fu Dream ad interromperlo questa volta.
«Non trovi che sia curioso che un morto chieda cosa sia e come sia la morte ad un vivo?».
«La vita è tutta una cosa curiosa, Dream. Non trovi che sia curioso che tu stia parlando con un morto?».
Dream sentì dentro di sé l’obbligo di alzarsi dalla sedia su cui si era seduto e dirigersi verso la porta. La aprì, il deserto riapparve sotto i suoi occhi.
«Dream, un’ultima domanda. Per me la vita è un labirinto. Ma per te? Che cos’è?».
«La vita... – un piccolo sorriso si formò sul suo volto – Per me la vita è tutto e niente.
Tutto perché è una continua scoperta, un ciclo continuo di illusione e disillusione, un’insieme di lacrime e pianti, gioia, dolore, paura, terrore, amore, felicità, nascita e morte.
La vita è sperare nella bontà degli sconosciuti e nella presenza attorno a noi delle persone che noi reputiamo essere nostre amiche. Ed è vita scoprire che gli sconosciuti non siano poi così spesso buoni e gli amici non siano poi così presenti.
La vita è scoprire che le principesse di cui ci raccontavano le fiabe quando eravamo piccoli non esistono, mentre i principi invece che combattere le streghe cattive per l’amore della loro vita, fanno le guerre per amore del potere.
La vita è scoprire che le farfalle così belle e affascinanti vivono solo per un paio di giorni, che i nani non sono gli aiutanti di Biancaneve ma sono persone affette da una malattia e che se perdi una scarpa di cristallo nessuno farà il giro del regno per cercarti, restituirtela e chiederti di sposarti. Al massimo la terranno da parte per farne una copia e così avranno due scarpe al prezzo di una.
La vita è anche capire che “per sempre” significa “fino a domani”.
La vita è accettare che le persone che noi amiamo possano non provare la stessa cosa nei nostri confronti.
La vita è dover stringere i denti quando sappiamo che questa persona è con qualcun altro.
La vita è anche sapersi arrendere prima di perdere la dignità, ma è anche una trincea dove combatti per ciò in cui credi, dove puoi alzarti e raggiungere le linee nemiche e beccarti un proiettile in fronte, ma è comunque grandioso perché sei caduto combattendo.
Ma la vita può essere anche un fiume, dove al posto dell’acqua ci sono le persone che ti trasportano, e tu ti fai trascinare, lasciando decidere agli altri cosa devi fare.
Vedi, la vita è tutto questo.
Ma è anche niente. Perché una volta che muori non rimane niente».
«Siamo destinati ad essere niente, Dream?».
Il ragazzo alzò le spalle come se volesse confermare l’ipotesi del suo pokémon: «D’altra parte, prima di vivere che cosa siamo? Niente. E nel niente torniamo quando moriamo».
 
Poi un gridò e un sobbalzo. Le coperte che lo stavano soffocando vennero fatte alzare con un calcio. Era sudato, con la testa sul cuscino pronta a scoppiare da un momento all’altro.
Era solo un incubo, un sogno. Qualcosa di non reale eppure così realistico. Quei dialoghi, quella voce. Tutto così vicino alla realtà ma mai così lontano.
Fu il suo pensiero per tutta la giornata mentre con sguardo vuoto fissava il canale all-news di Kalos che continuava a fornire informazioni sul caos della Repubblica.
Trovò il coraggio di uscire di casa solo la sera.
Si fiondò in un locale e cominciò a bere, uno dietro l’altro. Grappa, vodka e scotch.
«Bevi per dimenticare?» chiese una voce maschile.
Dream si voltò e osservò il ragazzo. Strinse gli occhi per mettere meglio a fuoco. Capelli biondi, viso efebico e pelle liscia.
«Michael, sei tu?» sbiascicò Dream completamente ubriaco.
«Non ti ho mai visto ubriaco» disse Michael ridendo. Alzò la mano destra e ordinò dell’acqua tonica.
«Ma tu sei morto, ti sei tagliato la gola quando il meteorite è caduto sul Himalaya! Me lo ha detto il vecchio angelo all’angolo che vende le pasticche blu!».
Il barista portò un bicchiere con dell’acqua a Michael. Guardò Dream, lo indicò e chiese in maniera burbera: «Ti sta importunando?».
«Oh, no, è un amico».
«Offre la casa se te lo porti via» concluse l’uomo tornando a parlare con altri clienti, dalla parte opposta del bancone.
«Sei vivo?» continuò a chiedere insistentemente Dream, portando le mani sulla faccia di Michael che era impegnato a bere quello che aveva ordinato.
«Sì, sono vivo» rispose mentre con un gesto brusco allontanò il Campione.
«Festeggiamo, Michele, festeggiamo!» Dream si alzò in piedi, arrotolò un tovagliolo, lo strinse forte in mano simulando che fosse un microfono e poi gridò, attirando l’attenzione di tutti i presenti: «Tutti insieme, coraggio!
“I'm a Barbie girl, in the Barbie world
Life in plastic, it's fantastic
You can brush my hair, undress me everywhere
Imagination, life is your creation”».
Michael lasciò scivolare una pokéball dalla sua tasca sinistra del giubbotto, fece uscire Dragonite e sottovoce ordinò al pokémon di usare Avvolgibotta su Dream, portandolo fuori dal locale.
Piazza Rosa era una delle sei principali piazze che componevano Luminopoli. Aveva un parco di medie dimensioni al centro e le strade lo circondavano, fungendo come mezzo di collegamento tra le varie cerchie che componevano la città.
Dream era in ginocchio, con le mani posate a terra che rimetteva tutto quello che aveva mangiato per cena, con Michael che gli teneva la testa e gli batteva una mano sulla schiena per compassione. Quando finì di vomitare si sedette con le gambe incrociate, posando la schiena contro la parte bassa di una panchina in ferro e portando la testa completamente all’indietro, osservando le stelle.
«Non ti piaceva quella canzone, Michele? Me lo potevi dire… Conosco molte canzoni. Mi piacciono le canzoni. Sono così musicali…» incominciò ad alzare le mani verso l’aria, facendo degli strani gesti, come quelli di una strega quando vuole lanciare un potente incantesimo.
«Il problema non sono le canzoni che canti, Dream. Il problema è il tuo tasso alcolemico… E poi io sono Michael, non Michele».
«Michele, Michael, Francesco, che cambia. Nulla! Non cambia nulla» gridò, lasciando la bocca semi aperta, come se volesse continuare a parlare ma non trovasse le parole. Strinse gli occhi e portò le mani sui lati della testa. «Non cambia mai nulla, Michele. Tutto cambi affinché nulla cambi...» chiuse le mani e si diede dei leggeri colpetti ai lati della testa.
«Non ho mai parlato con un ubriaco, non so quanto possano essere lucidi…».
Dream cominciò a ridere sguaiatamente, con una risata forte, eccessiva, finta. Sputò alla sua sinistra e poi fece cenno con la mano destra di sedersi affianco a lui.
«E’ un mondo crudele questo, Michael. Un mondo crudele. Non ti puoi fidare di nessuno, neanche dei morti… Pensa, il mio pokémon Umbreon mi ha parlato, voleva farmi delle domande. Mi ha chiesto cosa fosse la morte. La memoria del mio pokémon mi perseguita, anche da morto!» Dream ricominciò a ridere, esattamente come prima, poi posò la testa sulla spalla sinistra di Michael e stette in silenzio. I secondi passavano come minuti e il ragazzino era piuttosto imbarazzato per la scena.
«Quando gli hai parlato?».
«Prima, in sogno… Mi aspettava. Diceva che poteva parlarmi solo perché ero libero. Ma libero da cosa? Libero da me stesso, ha detto, libero da lui. Forse ho superato il lutto. Quel lutto – e con la mano sinistra indicò il vuoto davanti a lui – ed era lì che mi aspettava. Sapeva parlare. Non ha mai saputo parlare prima di quel momento. Però parlava. Soggetto, predicato e complemento, come una persona, meglio di una persona!».
«Ah…».
«Credi forse che io sia pazzo?» chiese Dream con voce sconsolata.  Si tirò su dalla spalla dell’amico, non gli diede il tempo di rispondere e portò le mani davanti al viso, chiudendole tra di loro con le dita ben aperte
«Non sono pazzo, Michele. Io sono l’allenatore più potente di questo mondo. Ho catturato ogni specie di pokémon esistente e persino quella di cui si dubitava l’esistenza.
Umbreon non dovrebbe essere contento dell’allenatore che ha avuto. Avrei potuto riportarlo in vita, forse. Ma non l’ho fatto, non me lo sono chiesto, non mi sono preoccupato, troppo impegnato a rotolarmi in una valle di lacrime e dolore.
Eppure io ho catturato Arceus, Michael, io – indicandosi e poi chiudendo la mano rapidamente, come se volesse catturare un insetto volante – io ho catturato Arceus. Io ho trovato il modo di evocarlo e solo io ho avuto il coraggio di metterlo all’interno di una Ultra Ball. Forse dovrei finire al’inferno per quello che ho fatto e sicuramente ci andrò. Potrei distruggere questo mondo, se solo volessi. Eppure no, eppure non lo faccio. E sai perché?».
Michael scosse la testa.
«Perché sono un debole, capace solo di allenare. Ed ecco, diventerò Campione della Lega di Palos, ci puoi contare. Se torturassi metà popolazione mondiale e l’altra metà la condannerei alla fame perpetua a nessuno importerebbe  niente. Se invece vincessi un'altra Lega… lì sono tutti pronti a-a dirmi che ho fatto bene. Perché se non lo faccio non faranno altro che lamentarsi, Michael. Lamentele, lamentele, lamentele. Ma io sono stanco delle lamentele, Michael. Sono profondamente stanco.
Le lamentele mi hanno reso debole perché non avevo niente con cui rispondere.
Non volevo rispondere.
Non volevo dirgli che ero devastato dal dolore. Non volevo crollare sotto i loro occhi, mostrarmi debole. Ma se non ti mostri debole, la debolezza poi ti inghiotte. Esattamente come il vuoto, perché vedi, il vuoto è una conseguenza della debolezza dell’anima.
Ma son stanco di esser debole, ed è per questo che scriverò un libro. Tra una battaglia e l’altra, Rosso, tra una battaglia e l’altra».
«Mi chiamo Michael...».
«Ho già in mente la trama – continuò Dream non badando alla correzione -  triste, violenta, cruda. Anche l’ambientazione, il clima in cui i protagonisti si muovevano.
Poi magari trarre una riproduzione cinematografica. Come attore protagonista volevo Brandon Walsh, che mi piaceva tanto quando recitava in Beverly Hills. Con un po’ di trucco e qualche effetto speciale lo avremmo fatto tornare alla bellezza di quel periodo.
Ma poi mi rendo conto che tutto questo andrà in secondo piano perché voglio allenare. E allenerò e poi, se ho tempo scriverò.
E sai cosa provo dentro di me? Paura.
Come la paura che provi quando ti innamori, perché hai paura che quella persona verso cui provi amore possa ferirti. Quella paura mista a felicità.
Io ho paura che la mia carriera possa ferirmi, uccidermi. Ma son troppo felice per lasciarla andare. Io non voglio neanche lasciarla andare, perché forse è la mia metà».
Poi d’incanto non parlò più. La testa cadde leggera in avanti. Michael si abbassò e guardò il volto dell’amico. Completamente addormentato.
 
Il 21 Dicembre la Corte Costituzionale si disse pronta ad emettere la sentenza. Nel frattempo, l’intera Sinnoh era in mano di Giovanni. A nulla valse lo spostamento delle truppe per la regione. La stessa sorte toccò ad Auros, Fiore, Almia e Oblivia.
Johto era divisa a metà e il confine era stato creato lungo Fiordoropoli. Giovanni ne aveva conquistato la parte settentrionale e anche conquistato anche la parte occidentale di Kanto.
Nelle città non controllate continuavano gli attentati terroristici mentre i bombardamenti aerei avevano cominciato a colpire il blocco navale che il governatore di Hoenn, Rocco Petri, aveva fatto installare a largo delle acque della sua regione. I ribelli all’interno del suo territorio vennero arrestati immediatamente e tutti i voli diretti alla regione venivano scortati a terra dai caccia militari e i velivoli non riconosciuti abbattuti.
Il Parlamento e il Governo Federale vennero messi in esilio e portati a Ceneride ormai sorvegliata a vista da pokémon Drago che la sorvolavano in continuazione.
Fu proprio quando la Corte si disse pronta ad emettere la sentenza che il Presidente Archer chiese l’intervento dell’ONU, dell’Unione Europea, della NATO e degli Stati Uniti per far fronte al golpe militare in atto.
Gli esiti statistici e le testimonianze durante il processo dimostrarono che Repubblica Nuova era invischiata a tutti i livelli nel processo di manomissione per permettere al Presidente Giovanni di ottenere la maggioranza dei due terzi del parlamento in modo da promulgare rapidamente una qualsiasi legge e aggirare così la Costituzione, se non modificarla direttamente.
La notte di Natale, poco dopo la mezzanotte, la polizia venne informata che Giovanni era in procinto di lasciare il Paese a bordo di un aereo dall’Aeroporto di Fiordoropoli, diretto in Venezuela. La chiamata proveniva dal Palazzo della Repubblica.
E proprio mentre Giovanni veniva condotto in carcere e la battaglia per l’assedio di Fiordoropoli si faceva più critica, il Governo Archer diede la grazia a Nate Nickleden. Colui che non fece distruggere le schede elettorali, ma che le aveva fatte sotterrare alla ben e meglio. Colui che permise ad Archer di raggiungere la Presidenza del Consiglio federale e che condusse il Paese alla guerra civile.
La mattina del primo gennaio, mentre in tutto il mondo si festeggiava ancora l’arrivo del Capodanno con l’uso dei botti, i ribelli ruppero le frontiere nemiche e cominciarono a conquistare il sud di Johto.
Nel pomeriggio anche Zafferanopoli cadde mentre Lavandonia venne sottoposta a devastanti bombardamenti che ne distrussero ogni sorta di costruzione umana. Le migliaia di profughi trovarono l’unico rifugio nel Tunnel Roccioso, dove le loro uniche fonti di luce e calore erano i pokémon non mandati al fronte.
Bombardamenti, questa volta navali, riguardarono l’Isola Cannella, il Settipelago e le Isole Orange, già ridotte ad un ammasso di sabbia.
E mentre i botti a New York salutavano l’anno nuovo, centinaia di soldati dell’esercito NATO salivano sui loro mezzi per porre fine a quella guerra civile tanto veloce e rapida quanto dolorosa e atroce.
Atroce come la morte di un Dragonite, con il collo spezzato a causa di un Iper Raggio ricevuto proprio dietro la nuca.
Atroce come il crollo della Torre Pokémon, che si sgretola in mille pezzi dopo che un razzo l’ha colpita.
Atroce come le persone senza cibo, senza gas per scaldarsi in un inverno gelido e terribile.
Atroce come l’abbattimento di un aereo civile che sorvolava il tratto di mare tra Sinnoh e Fiore da un missile lanciato dai ribelli.
Atroce perché il tutto è nato da una follia di un uomo e continua per la follia di altri.
Atroce quanto il mondo attorno continua a vivere come se nulla fosse.
Atroce come quando sono i pokémon civili ad esser bombardati da quelli militari, di un colore piuttosto che un altro, che volavano verso Kalos.
Atroce quanto il proiettile di un fucile che esce fuori dalla canna ed entra nello stomaco di un ragazzo, che crolla a terra, agonizzando. E tutto l’asfalto della Capitale di tinge di rosso come il suo nome.
Era questa la guerra? Sì, era questa la guerra, ma più che guerra questa era follia.
Le navi dell’Occidente si dirigevano a gran velocità mentre il Presidente della Repubblica, arrestato nel suo palazzo in quello che restava della Capitale della Repubblica per poco non si vedeva la testa saltare per aria perché aveva implorato con un devastante “Fate presto” gli Stati Uniti a velocizzare le operazioni.
Sì, cosa restava della Repubblica? Percorsi messi a fuoco, grotte crollate, palazzi con crateri grossi come quelli lunari. E poi macerie. E poi cadaveri. E poi gli orfani. E poi violenze sessuali. E poi i suicidi.
Ma restava la civiltà. Anzi, quella si svegliò quasi di colpo dopo un sonno durato quasi dieci anni.
Quando le forze NATO approdarono a Nevepoli, tutta la cittadinanza gli diede man forte. Ed eccoli che gli davano dove dormire, gli davano da mangiare.
La chemioterapia era cominciata, la gente voleva eliminare il cancro. E la chemioterapia cominciò da quella che veniva descritta come “Città dal paesaggio invernale in cui i solidi alberi e edifici sono imbiancati dalla neve”. La stessa neve candida che lentamente cominciò a sporcarsi di rosso quando i nervi dei dissidenti cominciarono a frantumarsi e cominciarono a puntare i fucili contro chiunque aiutasse l’esercito estero.
«E voi gli avete aiutati?!» e non importava quale fosse la risposta, il proiettile partiva e si infilava nel corpo umano.
«Dove stanno?!» e se non parlavano, e non lo facevano, tutti in fila davanti al muro ed ecco che la scarica di colpi partiva. Chi aveva bussolotti che frantumavano la spina dorsale, chi il cranio, chi invece veniva colpito agli organi interni, che si spappolavano diventando poltiglia a terra.
I ribelli non erano più semplici soldati, si erano trasformati nelle bestie che una volta erano travestiti con le divise delle SS.
Ma ecco, in queste piccole cose stava il profumo della democrazia. Ed ecco che entrava nelle narici, influenzava il bulbo olfattivo e si faceva strada sino al cervello. E il sangue ribolliva, il cuore pulsava sempre più forte. Era come se una sostanza esterna si fosse infilata nel corpo. Una sostanza stupefacente, una droga. Ed ecco che questa sostanza ha diversi nomi: jiyuu in giapponese, eleutherìa in greco, frelsi in islandese, freedom in inglese, libertad in spagnolo, liberté in francese, libertà in Italiano.
E non esiste libertà che si possa considerare tale senza un prezzo da pagare. Un pagamento che avviene con il sangue, con i feriti, con i morti.
E giù allora con i corpi crivellati, con i muri bucati, le strade minati e sminate, il filo spinato e la neve bianca colorata di rosso, come un bambino che dipinge un foglio bianco. Tutto per la libertà.
Non ci volle neanche una settimana, i ribelli vennero cacciati e incastrati dentro al Monte Corona, mentre Hoenn smise di esser chiusa in se stessa e le navi posizionate a occidente vennero fatte partire verso Sinnoh alla volta di Arenipoli. E la stessa cosa fece Unima, che invece cominciò a liberare da Canalipoli.
E poi arrivò l’ONU, e poi Emergency, e poi la Croce Rossa. E le persone bloccate dentro al Tunnel Roccioso tornarono ad essere persone e non più animali in gabbia. E tornarono a respirare l’aria dopo che gli era stato impedito di uscire perché non si volevano piegare alla follia dell’Uomo.
Ed ecco l’aria di libertà che accarezzava i loro volti. Ecco l’aria che si infilava tra i loro capelli e solleticava la polvere sotto il naso.
E l’aria viaggiava, faceva i chilometri, sorvolava l’oceano e arrivò a cullare i fili d’erba mentre le dita delle mani assaporavano la terra a cui erano appoggiate.
Froakie osservava Dream seduto sulla pancia, mentre gli occhi del ragazzo erano fissi sul timido sole di inizio Gennaio.
«Gennaio? La Lega Pokémon comincia a Gennaio a Kalos?».
«Sì, utilizziamo delle tempistiche diverse rispetto alla Repubblica. Il sette gennaio vengono distribuiti i pokémon a tutti coloro che ne fanno richiesta e poi a Novembre si ha la Lega Pokémon» rispose Platan, che poi osservando lo smarrimento del ragazzo, aggiunse: «Non si sente pronto per Gennaio? Vuole provare l’anno prossimo?».
Michael era seduto a gambe incrociate mentre osservava l’acqua del torrente del Percorso 2 scorrere lento davanti a suoi occhi.
«Hai sentito? Ieri hanno cominciato a liberare Sinnoh» disse Michael, con voce malinconica.
«Già...».
«Dicono che i civili stiano aiutando gli esercito a cacciare gli uomini di Giovanni...».
«Ho sentito anche questo...».
«Cosa ne pensi?».
Dream rimase in silenzio, continuando a contemplare il cielo, finché Michael si girò osservandolo, capendo che voleva una risposta.
«Fino a qualche giorno fa non ne avevo idea, Michael. Ma ecco, forse provo un po’ di orgoglio nei loro confronti. Combattono per la libertà, la loro. Così come ho fatto anche io, venendo qui».
Michael si alzò, lanciò le mani in aria per stirarsele.
«Come mai mi hai mandato da Platan a fare la richiesta? Volevi la mia compagnia?» chiese ritornando a volgere lo sguardo al torrente.
«Sì, volevo un po’ di compagnia. Sei in gamba, non mi farai perdere tempo...».
«Dillo che mi vedi come il tuo erede! Ammettilo».
Dream si coprì gli occhi con il braccio, poi rispose con un vago «Probabile».
Ancora il vento che li abbracciava. Dream si alzò e si sedette, mentre Froakie si allontanò avvicinandosi al Chespin di Michael.
«I lived my life like a masochist
Hearing my father say
"Told you so, told you so
Why can't you be like the other girls?"
I said, "Oh no, that's not me
And I don't think that it'll ever be" ».
Michael si girò di scatto, come se fosse distratto fino a quel momento: «Hai detto qualcosa?».
«No, niente».
Michael si sedette per terra, con uno sguardo sognante. Si morsicava le labbra, come se non avesse il coraggio di parlare. Ma poi lo trovò: «Me lo dai un consiglio?».
«Un consiglio per cosa?» chiese perplesso Dream.
«Per affrontare meglio quest’avventura».
Dream rimase in silenzio, incerto sul dire. Pensò agli ultimi due anni, pensò a quanto successo alla sua persona, all’evoluzione che ebbe nel corso della sua vita, da quando era uno studente timido i primi anni a quando diventò arrogante poco prima della premiazione del 1 Settembre 2001. Pensò quando era un allenatore alla ricerca dei pokémon, che insultava e sbeffeggiava chi lo voleva affrontare e all’amore che nutriva per i suoi compagni di viaggio. Pensò a Umbreon e al feroce lutto che lo aveva portato ancora più in fondo in quella spirale di dramma che era cominciata con una semplice “noia” nata dalle persone conosciute a Fiordoropoli.
Pensò a quella situazione in cui sentiva soffocare ma da cui non voleva liberarsi, come se fosse stato stregato.
Sì, pensò a tutte queste cose.
«Attento alla Sindrome di Stoccolma, Michael» disse Dream con una voce seria.
Michael strabuzzò gli occhi e domandava di che costa stesse parlando.
«La Sindrome di Stoccolma è quel disturbo che ti porta a provare emozioni positive nei confronti del tuo aguzzino».
«Ok… e chi è il mio aguzzino?» chiese insistente il ragazzino, curioso di sapere dove Dream voleva andare a parare.
«Il vuoto. Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma. Ti assorbe la linfa vitale, ti indebolisce, ti mangia. Ti distrugge. Ma tu non ne puoi far a meno, perché non te ne rendi conto».
Dream si alzò in piedi, si voltò verso la città. Si era illuso fino all’ultimo che Rosso sarebbe corso da lui con la sfera poké in mano.
«E’ sicuro che non ci sia alcun Rosso iscritto fino a questo momento?» chiese con faccia scocciata.
«Mi dispiace, Signor Dream. Nessun Rosso... ma le iscrizioni sono aperte fino alle ventitré e cinquantanove del sei Gennaio...» rispose Platan amareggiato nel comunicare quella notizia.
«Che dici, partiamo?» chiese Dream ritirando Froakie.
Michael annuì, ritirò Chespin e si mise vicino a Dream.
«Pronti...» pronunciò quest’ultimo.
«...partenza...».
«Via! Chi arriva per ultimo a Novartopoli è un figlio di Giovanni!» gridava Dream mentre cominciò a correre, diretto all’ingresso di Bosco Novartopoli.
«Dai, Dream, canta una canzone!» fece Michael che correva dietro di lui.
«So I took the road less travelled by
And I barely made it out alive
Through the darkness somehow I survived
Tough love, I knew it from the start
Deep down in the depth of my rebel heart».
«Sei un cuore ribelle?» domandò sarcastico Michael.
«No, Michael, no. Io sono solo Dream».



Postfazione
 
Dream ora andrà nel cassetto dei miei ricordi, e ci rimarrà per un po’. Certo, ci sarà il capitolo 21, ma diamo tempo al tempo, l’allenatore ha bisogno di essere lasciato da solo e di vivere per un po’.
E chissà se, 21 a parte, Dream tornerà, magari quando capiterà qualcosa di talmente strano e incredibile che solo uno come lui potrà raccontare. Mi ci sono forse affezionato a questo personaggio, come se fosse un amico a cui son successe un sacco di cose.
Non mi mancherà Lost and Found. E non per le polemiche, gli haters, le minacce e gli avvertimenti «Ti stai facendo nemici nel fandom» e chi se ne frega.
Non mi mancherà perché mai avrei pensato che un racconto potesse entrare così dentro di me, coinvolgermi e sconvolgermi a tal punto. Era partito come un racconto semplice, che doveva essere più un amarcord, per ricordarmi le sensazioni di quando a sei, sette anni giocavo con il mio Game Boy Color (la scena di Violapoli del Capitolo 13, prima scena ideata della storia, è nata proprio per questo motivo) ed è nata una fan fiction che ho assurdamente e con discreto azzardo definito neo-neorealista.
Un racconto che ad un certo punto non sapevo neanche dove stesse finendo e fino all’ultimo ho lasciato che la mia testa andasse per conto suo, e le mie dita scrivessero quello che mi sentivo.
Sono soddisfatto? “Nì”, potevo fare di meglio. Alcuni capitoli o frammenti di essi continuano a non soddisfarmi per quanto io ci abbia lavorato sopra e riflettuto per intere settimane.
Ma il lavoro perfetto non esiste e forse, la lezione più grande che questo racconto può insegnare, la insegna esattamente a me. I limiti esistono e mi circondano.
D’altra parte, ho migliorato tutto quello che sentivo e pensavo di poter migliorare, e ora che finalmente questo Capitolo 20 è terminato, mi sento quasi svuotato.
Ecco, i “Brandelli di anima” che la Fallaci lasciava su ogni rapporto umano, io li ho lasciati qui, su questo racconto lungo 20-21 Capitoli, perché seppur è vero che non ho mai posseduto un pokémon, è anche vero che sarei autobiografico anche parlando di una sogliola, come disse una volta il caro Fellini.
E allora teneteli da parte questi brandelli, io ve li regalo.
Grazie di cuore a chiunque sia arrivato fin qui.
 
Dream.

 

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