Feeling your breath

di Marti90210
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Benvenuta ***
Capitolo 2: *** CONGELARE ***
Capitolo 3: *** UN SEMPLICE CAFFE' ***
Capitolo 4: *** QUALCOSA DI SPONTANEO ***
Capitolo 5: *** SGUARDI SPENTI ***
Capitolo 6: *** BRIVIDI ***



Capitolo 1
*** Benvenuta ***


“Bella città, vero?” , volti il capo velocemente, vedi un dolce signore sulla sessantina, con un folto mucchio di capelli ricci grigi piuttosto spettinati, di cui un ribelle ciuffo gli cade sulle fronte rugosa, finendo sul grosso naso a patata arrossita, che sembrava dare inizio a dei folti baffi poco curati. “Molto, davvero stupenda.” rispondi con tono dolce ed estasiato. il viso dell’anziano si fa sorridente, “Beh, benvenuta a New York, buona giornata” e lentamente svanisce nella folla della metropoli. Sei arrivata solamente da una decina di minuti, eppure il tuo cuore non vuole placare il proprio battito, ne sei già innamorata, innamorata davvero. Pur non sapendo come e, soprattutto dove muoverti, ti guardi attorno confusa, poi ti accorgi dell’indicazione posizionata all’angolo della via fronte stante a te. Ti incammini lentamente, per poter ammirare ancora qualche secondo tutte quelle insegne luminose e confuse, ‘ E’ il tuo posto, il tuo posto ’ ti ripeti insistentemente. E’ un edificio piuttosto antico e parecchio nascosto, lontano dal traffico cittadino, l’ideale. Tiri la grossa maniglia in ferro, puntellata da ruggine bronzea che si confonde col color rossiccio del legno del portone d’accesso. E’ fin troppo faticoso per te, dato che sei ancora stanca dopo il lungo viaggio dall’ Inghilterra, che ti lasci scappare qualche gemito di debolezza. Non appena richiudi la porta alle tue spalle, una calda atmosfera di accoglienza ti avvolge, facendoti sentire al sicuro. E’ un loft piuttosto grande, di sicuro maggiore rispetto alle tue aspettative, arredato tipicamente nello stile “Retrò-urban degli anni ‘90”, non troppo luminoso, con una fioca luce soffusa, così come piace a te. La spaziosa sala è comunicante con la cucina, vi sono tre divani in tessuto blu scuro disposti a ferro di cavallo all’angolo della stanza. Al centro dei tre sofà c’è un tavolino di cristallo con armatura in acciaio nero, antistante ad un grande mobile di legno scuro, probabilmente acero, su cui poggia il grande televisore a schermo piatto. Tutt’intorno vi sono mensole contenenti libri e CD. Sulle pareti, con mattoni in terra cotta, tipicamente in vista sono appese decine di copertine di EP di diverse punk rock band degli anni ’70. La trama a vista viene interrotta per lasciar spazio al rustico camino in pietra. Il fuoco non è acceso, lo puoi sentire dalla pelle d’oca che cosparge le tue braccia, tutta colpa del freddo, in autonno ed inverno New York è stupenda, ma è gelida. Decidi di accenderlo per riscaldarti e far svanire quel colorito roseo dalle guance e dalla punta del naso. Nel frattempo curiosi a lungo per tutto l’appartamento. Pensi che la camera, sia la camera da letto migliore che tu abbia mai visto. Si apre sopra ad un vasto soppalco, pavimentato in parquet, così come tutto il monolocale. In fondo al soppalco, c’è un grande materasso matrimoniale rivestito con trapunte scure, a lato due comodini in legno, dipinti di nero. Il soffitto è puntellato da un interrotta catena di lampadine a luce soffusa, che paiono stelle luminose, ma non accecanti. Vorresti riposarti, ma non vedi l’ora di rendere l’appartamento ancora più tuo, unico. Alle pareti della camera cominci ad appendere diversi tendaggi rappresentanti paesaggi marini alternati a tipici paesaggi urbani. Spargi CD e cassette mangianastri per tutta la stanza, poggi la tua lavalamp azzurra sul comodino scuro, a fianco dello stereo che ti aveva regalato tua sorella gemella per il tuo quindicesimo compleanno. Per il resto del loft appendi e spargi i tuoi quadri, le tue sculture e le tue migliori fotografie, quelle che più ti emozionano. Tutto è pronto, tutto è perfetto. Prima di dormire decidi di viziarti, ordinando Italiano dal ristorante distante pochi isolati da lì e guardando il tuo film preferito “Mean Girls”. Poi ti addormenti sul divano, con i resti della pizza sul tavolo di cristallo e la TV ancora accesa, sopraffatta dalla stanchezza, relativamente pronta per il tuo primo vero giorno da “Newyorkese”.

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Capitolo 2
*** CONGELARE ***


“Manhattan non era mai stata così gelida. Il più rigido autunno degli ultimi vent’ anni” un perfetto buongiorno annunciato dal notiziario locale. Spegni la TV per non sentirti congelare pure l’anima, talmente fa freddo. L’ unica cosa che ti spinge ad uscire dall’appartamento è il tuo primo giorno ai “Real Fiction Studio”, avevi sognato quel posto di lavoro fin dall’età precedente all’adolescenza, nulla ti aveva fermato e ormai lo possedevi, stretto fra le dita della tua mano, se chiudevi gli occhi lo potevi sentir scorrere lentamente, come sangue caldo fra le vene. Indossi il tuo giubbotto preferito, quello di jeans colorito, internamente rivestito di pelliccia sintetica, ti infondeva lo stesso calore di un profondo abbraccio di consolazione. Il tuo cappello a bombetta delicatamente posato sui tuoi mossi capelli biondi, che riflettono colpiti dal pallido e debole chiarore del lampadario nell’entrata, tutto è pronto, forse, sei così insicura. Afferrì la tua reflex, la leghi attorno al collo, come fosse la cosa più cara per te, in effetti lo è. Non appena metti piede fuori dalla soglia ghiacciata di casa, un brivido di gelo ti accappona la pelle, pervasa da un tremolio inaspettato. Ogni respiro si fa sempre più affannoso, di questo passo ti beccherai una brutta polmonite, ma che ti importa?! E’ molto presto e se non fosse per la voce irritante dell’altoparlante della metropolitana, neanche ti accorgi che la metro di fronte a te sta partendo. Dopo 4 fermate scendi, 6th Avenue era proprio dietro l’angolo. Guardi l’orologio, erano già le sette e mezza eppure c’era un buio pesto che ti impediva di vedere dove mettevi i piedi, ma ovviamente devi sempre andartene di fretta. Svoltato l’angolo ti prende un colpo, cadi a terra battendo il sedere sull’asfalto gelido ed umido per la pioggia della serata precedente. “Mi dispiace, è che sono di fretta e non ho idea di dove mi trovi esattamente, dato che m i sono appena trasferita” ti scusi velocemente, alzando il viso verso una dolcissima ragazza dai capelli rossicci, riesci a distinguerne il colore grazie al titillante lampione sopra di voi. “Tranquilla, ti capisco, pure io ero così appena mi trasferii, comunque piacere sono Emily” il sorriso imbarazzato e raggiante della ragazza di fronte a te sembra illuminare tutto il vicolo, mentre ti allunga la gelida mano che si è appena pulita nei jeans strappati. “Naomi, piacere” rispondi frastornata, “Comunque, stavi dicendo che ti sei all’incirca persa, giusto? Dove stai andando?” ti chiede con quel dolcissimo sorriso permanente sul suo viso elegante, “Beh sto cercando i “Real Fiction Studios””rispondi velocemente “Oh, perfetto, ci sto uscendo proprio ora, se vuoi t’accompagno” non fai a tempo a risponderle che già ti ha afferrato la mano per portarti con sé. “Eccoci arrivate, io devo lasciarti poiché devo portare queste scartoffie alla redazione” sbuffa indicando con lo sguardo la pila di documenti che teneva stretti al petto, “suppongo tu sia qui per il lavoro di art-photographer, giusto?”. Annuisci imbarazzata, poiché ancora non vi siete lasciate andare le mani. Deve averlo dedotto dato che improvvisamente lascia la presa, guardando verso il basso, nascondendo a sua volta l’imbarazzo. “Beh io vado” annuncia frettolosamente, come per rompere l’aria di tensione che si era venuta a creare e precipitandosi verso le scale dell’ala destra dell’edificio. “Beh, lascia almeno che mi scusi con un caffè e non accetto un rifiuto!” sbotti improvvisamente, alzando il tono della voce in modo che potesse sentirti dalla cima delle scale, che aveva raggiunto con un velocità incredibile. “Okay, facciamo oggi pomeriggio per le due fuori dal portone d’accesso allora!”. Non fai in tempo a risponderle che già era scomparsa dietro la parete delle scale. “Perfetto, è il mio primo giorno e ho già fatto una delle mie stronzate” pensi sarcasticamente, avviandoti verso la sala conferenze, che si trova proprio in fondo al corridoio.

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Capitolo 3
*** UN SEMPLICE CAFFE' ***


Eccola, spuntare tutta affannata, probabilmente aveva appena smesso di correre, delle piccole gocce di sudore gli colano dalla fronte pallida, ogni suo sbuffo si trasforma in nuvola di fumo, a causa del freddo. “Scusa per il ritardo, è che mi trovavo dall’altra parte della città per un lavoro e ho dovuto correre” ansima per la stanchezza, lasciandosi scappare profondi sospiri di lamento. “Figurati”rispondi pacamente, lasciando che un lieve sorriso spunti sul tuo viso. Nonostante il freddo decidete di non prendere la metro, ma di camminare per arrivare al “Sapore di mondo”, uno dei bar migliori del quartiere. Finalmente siete arrivate, Naomi apre immediatamente la porta, ma lasciandoti entrare per prima. Un leggero profumo di brioches e focacce appena sfornate ti avvolge, e subito il gelo che provi svanisce, per lasciar posto al dolce calore di un bar poco affollato. E’ un posto piuttosto carino, piuttosto rustico. Subito all’entrata si trova un piccolo bancone su cui si trova la cassa, e un piccolo vassoio contenente quelle dolcissime caramelle al miele che rendono tutti più affettuosi. Proprio di fronte al bancone vi sono degli eleganti tavolini in legno di pioppo, chiaro e leggero, così come le quattro sedie disposte attorno ad ognuno. Rinchiuso fra le pareti c’è un grande armadio, diviso in mensole cubiche, ognuna contenenti un dolce diverso, caramelle, bastoncini di zucchero, cioccolatini, torte, muffin, tutte cose che ti fanno sentire al sicuro ed amata. Ma la dolcezza e la bellezza che saltavano alla vista di tutti venivano interrotte da una grande tenda di velluto color rosso vermiglio, passionale e profondo, probabilmente si trattava di una sorta di separé. Ordiniamo due caffè, ginseng per me ed espresso per lei. Dopo poco sono pronti e ci vengono serviti, provi una sensazione di relax e di sicurezza indescrivibile non appena afferri la tazza bollente di caffè. Una volta preso l’ordine servito andate dall’altra parte della stanza, quella nascosta dal separé vermiglieo. E’ una sorta di area appartata, quasi isolata. Sul pavimento sono disposti diversi materassi e cuscini sulle tonalità dei colori autunnali, tutt’intorno circondato da tendaggi con trame orientali ed araibiche. La luce rassicurante, pacata e soffusa, quella che ti fa sentire a casa e al sicuro in ogni istante, in ogni luogo, al centro un basso tavolo di legno scuro e rossiccio, per non distaccare con i colori di toni caldi di tutto l’arredamento. Vi sedete contro la parete soffice, vicino alla finestra oscurata, in modo che la luce del giorno non interrompesse quella sensazione di riposo. “E così ti occupi di fotografie,ah? Sono sempre stata attratta dalla fotografia, sai sono una sorta d’artista!”esordisce col suo tono d’imbarazzo, che pare essere la sua caratteristica per eccellenza, lo si deduce dall’arrossirsi delle sue guance leggermente segnate e puntellate da chiare lentiggini. “Beh si, amo la fotografia, non sapevo fossi un’artista, che fai? Dipingi, scolpisci?”chiedi, incuriosita, come sempre “Beh in realtà mi occupo di arte in generale, dipingo, scolpisco, creo, ballo e soprattutto ascolto” ti risponde velocemente, non sai perché ma quella risposta ti colpisce, ti attraversa l’anima, lasciando segno del suo passaggio, eppure non fai domande, non chiedi di più, ascolti e basta. Passavano i secondi, i minuti, e soprattutto le parole. Ogni suo racconto, ogni sua affermazione ti rapiva e ti faceva scattare qualcosa di profondo e travolgente, nella tua mente e nella tua anima. Ogni sua parola sembrava possederti e colpirti sempre più, per un istante credi che tutto sia scomparso e che ci siete solo tu e lei, come quando nei film parte una dolce canzone indie e si intravedo due persone parlare, ma non senti la voce, solo la musica che scorre ora lenta, ora veloce, ora debole, ora sempre più potente, che ti trascina nel suo vortice di emozioni e ti senti trasportata dal vento. Non ti eri mai sentita così, con nessuno, solo quando scappavi dal mondo e correvi forte ne vento e ti isolavi per scattare qualche foto al cielo, la cosa che più amavi al mondo.

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Capitolo 4
*** QUALCOSA DI SPONTANEO ***


Sono già le tre, devi tornare al lavoro, raccogli le tue cose di fretta e ti precipiti a dire “Scusami, s’è fatto tardi, devo andare” raggiante, come sempre da quel che avevi potuto notare Emily si offrì di accompagnarti, nonostante non dovesse andare agli Studios. Quindi partite, ma nel’uscire dal bar vi accorgete che ha iniziato a piovere e nessuna delle due ha un ombrello con sé. Cosa potevate fare, se non correre?! Una pozza dopo l’altra, che v’importa di dove mettere i piedi se nel frattempo state affogando nella pioggia battente e nelle risate?! In meno di una decina di minuti siete arrivate davanti al portone, vi precipitate immediatamente all’interno dell’edificio, senza badare al pavimento in marmo bagnato. Inutile dire che stavi per combinare un’altra delle tue solite stronzate, scivoli per terra, come se avessero cosparso il piano di cera e senti diverse risate rimbombare nella sala d’ingresso. Se troppo imbarazzata, ti alzi sbattendo le mani sui tuoi pantaloni strappati, massaggiandole lievemente l’una contro l’altra. Emily ti saluta dandoti una pacca leggera sulle spalle “Attenta a non cadere la prossima volta” esclama con tono ironico, ma dolce allo stesso tempo, strizzandoti l’occhio destro e indirizzandosi verso il corridoio opposto al tuo. Ti scappa una lieve risatina, che rimbomba nella tua mente e sembra non uscirti più, come se un’invisibile barriera si fosse creata e impedisse al tuo imbarazzo e compiacimento di uscirne fuori. Ancora con la testa fra le nuvole, ti indirizzi nello studio, con quello stupido sorriso ancora stampato in faccia. Il buio cominciava a pervadere l’intera sala, non riesci a distinguere nulla, nemmeno l’interruttore e t’incammini alla cieca per la stanza oscurata. “Ahia!”esclama una voce maschile, nell’esatto istante in cui si accende la luce. “Oddio scusami”ti precipiti a rispondere, la tua sbadataggine aveva colpito ancora. Apri gli occhi, davanti a te c’è un ragazzo sul metro ottanta, capelli castano chiaro, lentiggini che gli cospargono entrambe gli zigomi calcati, così come la mascella ben definita. Labbra leggermente carnose che si trasformano in sorriso non appena i suoi occhi si incontrano coi tuoi. “Oh ma una bella ragazza come te non deve nemmeno scusarsi, comunque piacere, sono Jackson e tu?” ti domanda curioso allungandoti la mano piuttosto grande e venosa. Dio, quelle vene ti fanno impazzire. “Naomi” abbassi lo sguardo imbarazzata e compiaciuta dal complimento, senti le guance andarti a fuoco e il cuore battere più forte del solito. Il sorriso del ragazzo si fa sempre più malizioso “Ti conviene fare in fretta, non dovresti essere qui, è tardi stan per chiudere”ti raccomanda con un tono sicuro e deciso, una caratteristica che non ti apparteneva per nulla al mondo. “B-beh si, o-ora vado scusa..”balbetti abbassando sempre di più lo sguardo verso il pavimento in pietra. Prendi un bel respiro e tenti di farti coraggio “Beh, pure tu dovresti andare” sbotti mantenendo gli occhi chiusi per non arrossire. “Tranquilla, io sto qua tutta la notte e beh sai, mi ero fermato per pensare, per stare un po’ da solo, per suonare in tranquillità” risponde avvicinandosi lentamente con lo sguardo. Noti la custodia di una chitarra sulle sue spalle “Suoni ah?” chiedi precipitosamente, il ragazzo ti sorride e annuisce col capo, ripetendoti che è tardi e stan per chiudere. Ti accompagna per il corridoio. “Troppo tardi Naomi, ti toccherà rimanere qua per stanotte” avverte con un falso fare rammaricato. Riuscivi a percepire la malizia e la felicità nel suo sguardo. “Andiamo, non ti farà male ascoltare un po’ di buona musica” ti afferra la gracile e gelida mano e ti porta con sé nello studio in cui vi trovavate prima. Prova ad accendere la luce, in vano, poiché sembra non dare segni d’esistenza. Si accende all’improvviso quella d’emergenza, molto più fioca di quella ormai fuori uso. Vi sedete su due sgabelli posti al centro della stanza. Il suo definito viso era illuminato dall’argenteo raggio di luna penetrante la finestra. ‘E’ stupendo’ pensi. Prendi il respiro e due accordi di chitarra risuonano nella stanza che pare avere un’acustica perfetta. La conosci, conosci la canzone e ne sei davvero felice, arrossisci ma non sai il perché. “La conosci vero?”interrompe il suo canto per chiedertelo. Annuisci abbassando lo sguardo, come se fossi un bambino che era appena stato richiamato. “Canta con me, so che la conosci, si è illuminato il tuo splendido viso non appena ho iniziato a suonare” “Blow out the candles, blow out the candles.. You’re too old to be so shY.. He said to me so many times” cantata perfettamente all’unisono, le vostre voci sono una cosa sola, all’improvviso lui si ferma. Afferra la tua mano inerme, stai tremando cazzo, stai tremando. Afferra le dita e le posiziona su corde diverse. “Suona con me” ti sospira all’orecchio facendoti rabbrividire. Sposta delicatamente le tue dita su corde diverse mentre nel frattempo fa scivolare delicatamente le sue dita forti e venose sopra la cassa della chitarra, producendo un suono magico. Senza interrompere la musica che pare cullarvi, sposta il suo viso verso di te, comincia a baciare insistentemente la tua guancia, che arde sempre di più al suo contatto. Le sue rosee labbra si posano sulle tue, gelide e incapaci di muoversi. Così come le vostre voci, il vostro respiro, pure le labbra diventano una cosa sola. Rabbrividisci, ma ti lasci trasportare, non ti eri mai sentita così debole e vulnerabile, ma sicura e decisa allo stesso tempo. Era una sensazione stupenda, talmente magnifica che quando le vostre labbra si staccarono per lasciar spazio a dei sorrisi compiaciuti e pieni d’affanno, qualcosa ti travolge il cuore. Una stretta forte ed amara, ma piena di passione.

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Capitolo 5
*** SGUARDI SPENTI ***


La prima luce del mattino riveste ormai interamente tutta la stanza, ti svegli, apri lentamente gli occhi. Senti calore fra le tue dita, la tua mano è intrecciata con quella di Jackson. Un suo respiro, affanni, si alza e ti accarezza delicatamente la pelle del tuo braccio, hai la pelle d’oca, ti abbraccia, ancora più pelle d’oca, alternata ad improvvisi brividi a cui ormai eri troppo abituata. Vedi i suoi dolcissimi occhi illuminarsi, così come il suo semplice sorriso “Buongiorno” ti sussurra sulla pelle. Ancora brividi, sorridi dolcemente e vi guardate, non uno sguardo semplice, uno di quelli profondi e intensi, che non appena l’interrompi sembrano lasciare un grande vuoto in te stessa. Sorridete, ancora. Per un istante pensi d’essere ubriaca, ma non lo sei, almeno credi. Lui s’alza d’improvviso, si siete accanto a te e stringe più forte la mano che non ti aveva ancora lasciato andare. “Beh, mi dispiace per ieri sera, non dovevo. Solo che sei così bella, d’una bellezza particolare e impressionante e non son riuscito a controllarmi, volevo solamente averti, stretta fra le mie braccia e nient’ altro”. Sorridi amaramente perché non sai cosa dire, deglutisci velocemente cercando di non far notare l’imbarazzo che stai provando “ M-ma no, fi-figurati. E poi i-io non mi sono r-rifiut” non finisci la frase, le sue labbra erano sopra le tue ma si sfiorano solamente. “Mi piaci davvero, okay? Mi piaci davvero troppo e non è da me sentirmi così vulnerabile con una ragazza.” Continui a sorridere, ti senti una sciocca, chissà cosa sta pensando in questo istante del tuo stupido sorriso, arrossisci. “Ti va di vederci?” te lo chiede sottovoce, per una volta non sei tu quella imbarazzata. Lo senti arrossire sotto il ciuffo di capelli mossi che gli copre il viso. Si alza di fretta, come se non riuscisse a resistere un secondo in più con te in quella stanza, che in quell’istante sembra restringersi. Ormai stava per uscirne. “Si”la bocca si è mossa al posto tuo, la voce si è liberata dal tuo corpo che in quell’istante voleva imprigionarla. Si gira, il suo sguardo si fa luminoso e raggiante, ti abbraccia, le sue braccia leggermente muscolose sembrano l’unica cosa a farti sentire al sicuro. Ti stampa un bacio sulla fronte e se ne va. “Ci vediamo oggi Naomi, proprio qua,per le sei se ti va bene”. Annuisci e sorridi un’ultima volta prima d’incamminarti per l’aula magna dell’edificio. 2 settimane dopo… Ormai si avvicina l'inverno e quindi il freddo, la neve, Manhattan è così bella imbiancata. Erano ben due settimane che ti vedevi tutti giorni con Jackson, avevi legato molto anche con Emily, la tua dolcissima Em, che trova sempre un modo per farti sorridere, per impressionarti, per farti sentire al settimo cielo. Nonostante tutto non le hai ancora detto nulla di Jackson, ma non ne sapevi nemmeno tu il motivo, c’era qualcosa dentro di te che voleva impedirti di fare cazzate, ma ti decidi. “Oggi glielo presento,oggi.” Pensi, forse ad alta voce, dato che il signore accanto a te sulla metro ti guarda incuriosito. Sbuffi e scendi, le scale sembrano essere troppe per te e per la tua stanchezza, ma oggi è l’ultimo giorno di lavoro prima della pausa natalizia. Una volta in piazza Jackson ti arriva in contro, vestito bene, come sempre. Ti abbraccia forte e avvolge la sua lunga e morbida sciarpa di lana nera attorno al tuo collo, ti porta vicino a sé e ti bacia lentamente. Non importa che ci siano ben tre gradi sotto lo zero, lui riesce a riscaldarti anche con un semplice bacio. “Oggi devo presentarti la mia amica Em, quella di cui ti ho parlato tanto” annunci orgogliosa, ma impaurita allo stesso tempo. “Perfetto, allora a oggi. Stessa ora, giusto Campbell?” odi quando qualcuno ti chiama per cognome, ma quando lo fa lui arrossisci e lo adori, perfino per quello. Alle sei stai fuori dall’edificio, abbracciata ad Em, state congelando e vi riscaldate a vicenda. Senti un rumore di passi avvicinarsi, lo distingui, distingui il suo profumo. Guardi negli occhi Emily, che sta tremando fra le tue braccia. “Tesoro, lui è Jackson” ti guarda incuriosita e sorridendo”il mio ragazzo”. Noti il suo sguardo rattristarsi, il suo sorriso e i suoi occhioni spegnersi, che le prendeva? Allunga la sua gelida e delicata mano verso lui, che ricambia immediatamente, sorridente come sempre, non puoi dir lo stesso di lei. E’ la prima volta che la vedi così preoccupata e la cosa non ti piace affatto. Ti accompagnano insieme a casa ed entrambi se ne vanno non appena metti piede sulla soglia d’accesso. “Em?Tutto bene?”chiedi preoccupata. Lei annuiscie a testa bassa, percepisci la tristezza nel suo sguardo spento. Corri ad abbracciarla e le stampi un delicato bacio sulla guancia “Ti voglio davvero bene Em,dav”ero"

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Capitolo 6
*** BRIVIDI ***


Le serate tu e Jackson le passate tranquillamente, un filM e una cioccolata calda per poi coccolarvi il resto della serata. Raramente provava a toccarti in quel modo, indugiando a quel qualcosa in più, ma ogni volta ti allontanavi e rifiutavi, pur non sapendo perché. Lui era dolcissimo, ti capiva e cercava il più possibile di evitarlo, perfino di parlarne. L’amavi per questo, lo amavi per il fatto che ogni vostro incontro era rilassante, romantico e tranquillo. Ogni tanto però, uscivate per vagare da locale a locale, come nomadi insaziabili, senza meta, senza aspettative. Ma per una volta decidete di cambiare, Jackson deve incontrare un caro amico al “Mad World” la discoteca nella periferia della “Grande Mela”. Non amavi molto quel posto, soprattutto la zona, ma decidi che per quella sera va bene, per Jackson lo fai pure. Sono le undici passate, ormai erano già quasi più di cinque ore che la città era avvolta dal manto oscuro e gelido della notte, tutte le luci ormai erano accese, anche se, dove vi trovavate, andavano ad intermittenza, accecandoti di tanto in tanto. Uno strano ed odioso odore di chiuso ti invade le narici, ma decidi di entrare lo stesso,stretta a braccetto col tuo lui, affettuoso e amorevole come sempre. E’ un locale piuttosto piccolo, ci sono circa un centinaio di persone, ovviamente ci state alla ristretta. Jackson abbandona la presa dalla tua mano solamente per salutare il suo amico. “Piacere Shawn” annuncia ammiccandoti, Jackson deve averlo fulminato con lo sguardo poiché hai visto lo sguardo dell’amico tingersi di vergogna e scuse. Ti manca il respiro, fa troppo caldo, affanni. Apri lievemente le palpebre, appesantite dalle pesanti luci colorate che ti rimbombano sul viso, non stai per niente bene. Ti incammini lentamente verso Jackson che ti scruta preoccupato, “Io me ne torno a casa, non sto affatto bene, mi dispiace tesoro” gli stampi un lieve bacio sulle labbra e ti volti, in direzione dell’uscita. Jackson ti rincorre, ti osserva con uno sguardo piuttosto preoccupato, uno sguardo di quelli che si sentono in colpa per aver fatto qualcosa, senza sapere cosa. “Tranquillo, prendo la metro, divertiti”lo tranquillizzi sorridendo e le vostre mani si lasciano andare. Pensi di star congelando, se in qualsiasi istante cadessi, probabilmente ti scomporresti in tanti piccoli frantumi. Ogni tuo respiro si fa sempre più faticoso e le nuvole di vapore che ne escono ogni volta son sempre più grandi e intense. Sbuffi, sbuffi ancora. La metropolitana non ti era mai sembrata così distante, la più faticosa “passeggiata” di tutti i tuoi diciannove anni. Guardi attorno per distrarti e passare il tempo, lo scenario è simile a quello di un film ambientato nel bronx: nuvole di calore escono dai lati della strada, probabilmente provenienti da locali illegali,nascosti al di sotto del livello stradale. Da tombini, o meglio da quel che rimane dei tombini, esce un fastidioso odor di spazzatura e fognature. Le luci rossastre dei lampioni, paiono sul punto di morte. Ti blocchi per un’istante, qualcos’altro pare aver interrotto qualsiasi cosa tu stessi facendo per far scorrere il tempo più velocemente. Delle grida di donna, le sue. Ti volti, e ti rincammini per la strada da cui eri appena passata, erano le grida di Em, ne sei sicura. Svolti in un vicolo piuttosto oscurato, totalmente avvolto nel buio notturno se non fosse per quel fastidioso lume proveniente da una delicata lampada ad olio, appesa ad un muro in pietra, piuttosto decadente. Ancora grida, grida d dolore e soffocate, talmente soffocate da farti rabbrividire, da farti congelare il sangue, come se non facesse già abbastanza freddo. Dalla porta sottostante alla lampada ad olio cade a terra un corpo esile di donna, era lei, Em. La riconosci dalla sottigliezza dei polsi e delle caviglie, era scalza e ti chiedi il perché. Un uomo piuttosto robusto la guardava con disprezzo, ora le sputa addosso. Bastardo. Borbotta qualcosa a poca distanza dal viso di Em. “Un aumento?!”risate di disprezzo e irriverenza riecheggiano nell’aria fredda e pesante della notte. “Apri ancor di più le tue gambe la prossima volta e vedrai che l’aumento l’avrai dai nostri amati clienti. Ti avevo avvisato Fitch! Domani sera vedi d’essere obbediente!”altre urla soffocate, altri affanni, altri rimproveri, ancora sputi. Ti precipiti da lei, l’uomo se ne rientra da dove era uscito, guardandoti con aria di superiorità, quasi fosse schifato. Ti chini sul suo lieve corpo, ricoperto di lividi e graffi. La prendi fra le braccia, le afferri la mano, per la prima volta avverti un brivido, un brivido un po’ diverso dai tuoi soliti. Un brivido di stupore o qualcos’ altro di simile, non lo sai, non ne hai idea. Non fai domande, ti limiti a toglierti il giubbotto e la sciarpa nonostante non stai affatto bene e le poggi sulle spalle violacee di Em. Vorresti farle tante domande, troppe da sopportare perfino per te, figurati per lei. Decidi di chiamare il taxi e tornartene a piedi. Arrivate a casa l’adagi lentamente sul letto, le togli i vestiti stracciati e mal ridotti. Erano fradici e puzzavano d’alcool e fumo, l’aiuti a vestirsi con uno dei tuoi pigiami che non usavi mai. Ti siedi al suo fianco, sei stanca e stai male, ma non vuoi dormire, non se Em è in pericolo.

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