Clarity

di Stephanie86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Clarity ***
Capitolo 2: *** Wedding ***
Capitolo 3: *** Another Journey ***
Capitolo 4: *** The Queen of Amazons ***
Capitolo 5: *** The Seelie Court ***
Capitolo 6: *** Choices ***
Capitolo 7: *** A Gift or a Curse ***
Capitolo 8: *** Blackrose ***
Capitolo 9: *** A World so Cold ***
Capitolo 10: *** The White Witch ***
Capitolo 11: *** Together ***
Capitolo 12: *** Love is Just a Word ***
Capitolo 13: *** The Most Powerful Magic ***
Capitolo 14: *** The Battle ***
Capitolo 15: *** Going Home ***
Capitolo 16: *** Pirates ***
Capitolo 17: *** Secretly ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Clarity ***


DISCLAIMER

'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà dei creatori della serie tv “Once Upon a Time” e di “Frozen – Il Regno di Ghiaccio”, nonché di C.S. Lewis e, nel caso di un personaggio, di Licia Troisi; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'. 

 

 

 Clarity

 

 

 
“If our love’s insanity, why are you my clarity?”

[Clarity, Zedd]

 

 

 
Quella sera Elsa stentò a prendere sonno e quando ci riuscì ebbe un incubo.

Nel sogno era buio. Lei correva nel bosco, seguendo la voce di sua sorella, che la chiamava e le chiedeva aiuto.

“Elsa, aiutami, ti prego”.

- Anna?

“Elsa, aiutami!”.

- Anna, dove sei?

La vedeva. Vedeva Anna pochi metri più avanti rispetto a lei, ma tutte le volte che le sembrava di averla raggiunta si allontanava ancora, veniva trascinata nell’ombra da mani invisibili. Elsa continuava a correre, seguitava a chiamarla e sentiva la sua stessa voce frammentarsi in una moltitudine di echi. Costruì la scalinata di ghiaccio con i suoi poteri per attraversare il baratro che la separava da Anna, ma quando fu a metà strada sua sorella svanì di nuovo, preda delle tenebre.

Andò avanti così per un tempo che le parve infinito. Il bosco era un labirinto e le ombre la circondavano, si allungavano per acciuffarla, si ritraevano e poi si rifacevano avanti.

- Anna!

“Elsa! Elsa, ti prego, aiutami!”

Aiutami.

Aiutami.

Aiutami.

Aiutami.

Aiut-

Poi dal nulla apparvero le catene. E le catene le serrarono i polsi.

- Tua sorella non è qui, Elsa. Stai inseguendo il nulla. Non la troverai mai – Non c’era nessuno intorno a lei, ma la voce che udiva era paurosamente simile a quella della Regina delle Nevi. Calma, pacata, fredda. – E poi guardati: c’è così tanta paura in te. Così tanta. Se solo sapessi controllarla...

- La controllo. Sì. Io non ho paura.

- Elsa – le disse un’altra voce, incalzante, all’orecchio. Era sempre Anna, ma stavolta era molto vicina. – Elsa, stai sognando. Svegliati. Elsa!

Anna la scuoteva per le spalle ed Elsa sollevò di colpo le palpebre, riconoscendo all’istante la sua stanza nel palazzo di Arendelle. Era senza fiato, con le lenzuola aggrovigliate intorno al corpo e una moltitudine di fiocchi di neve che svolazzavano sopra di lei e pian piano cadevano. La sua pelle era gelata. E non solo la pelle. Anche il cuore, lo stomaco, le ossa, il sangue nelle vene. Tutto sembrava essersi ghiacciato. Vedeva ancora il bosco intricato, il buio, Anna trascinata lontano da forze superiori. Vedeva le catene. Le sentiva ai polsi. Udiva la voce della Regina delle Nevi. La rivedeva inginocchiata davanti a lei, la rivedeva mentre si faceva beffe di lei, con quell’espressione imperturbabile e quel tono assolutamente blando, privo di inflessioni. Quel suo modo di muoversi... come se non conoscesse la fretta, come se niente potesse fermarla o scalfirla. Come la neve che cade, senza essere sospinta dal vento e non è impaziente di posarsi al suolo. E Anna prigioniera dell’incantesimo malvagio di Ingrid. Anna che le diceva tutte quelle cose e poi apriva l’urna...

“Fai quello che vuoi, ma sappi che qualsiasi cosa accada, Anna... ti voglio bene”.

- Anna... era un sogno. Sembrava molto reale – Si interruppe e la guardò.

Sua sorella indossava ancora gli abiti della cena, un po’ spiegazzati, come se si fosse messa a letto senza cambiarsi per la notte, e alcune ciocche di capelli rossi erano sfuggiti alle trecce. Le sue mani indugiarono sulle spalle di Elsa. – Non era reale. Era un incubo e adesso è finito. Cos’hai sognato?

Elsa distolse gli occhi, fissandoli sulla finestra e sul cielo di Arendelle, punteggiato di stelle. Erano tornate a casa solo da qualche settimana, ma c’erano ancora notti in cui, in un modo o nell’altro, riviveva la perdita di Anna o le disavventure con Ingrid.

Regina di Panna, come l’aveva chiamata Emma.

- Non è necessario che tu lo sappia – rispose Elsa.

- Invece sì. Voglio saperlo. Lo sai che puoi dirmi qualsiasi cosa, no? – Anna allungò una mano e le toccò la treccia, facendola scorrere tra le dita. Si era addormentata senza disfarsela e ora anche i suoi capelli erano un po’ arruffati.

Elsa protese le dita verso il suo viso, in una carezza leggerissima. Voleva assicurarsi che fosse davvero reale, che non fosse quello il sogno. – Ho sognato che ti avevo persa di nuovo... e che ti stavo cercando. Nel bosco, a Storybrooke e... non riuscivo a raggiungerti.

- Elsa...

- Sono solo sogni. E passeranno, lo so. – Era turbata e il suo stesso turbamento era la linfa per il suo potere. I fiocchi di neve si erano fatti più densi e roteavano più veloci. Alcuni finirono tra i capelli di Anna e sulle spalle, coperte dalla mantella rossa. Lei rabbrividì a causa del freddo.

Allora Elsa si costrinse a ricacciare la sua paura in qualche angolo del suo animo. Strinse i pugni, sui quali si era formato uno strato di ghiaccio e chiuse gli occhi.

Non ho paura. Posso controllarlo. Posso controllarlo.

Anna osservava sua sorella. I suoi occhi si erano abituati all’oscurità della stanza; nel buio, la pelle di Elsa aveva assunto un candore quasi innaturale e i suoi capelli erano argentei. Vide i fiocchi dissolversi pian piano, la patina bianca che aveva ricoperto le sue mani evaporare e il freddo che le aveva circondate trasformarsi lentamente in un confortevole tepore. Il viso di Elsa si rilassò e, alla fine, riaprì gli occhi.

- Scusami, io ero... sono...

- Bella – concluse Anna per lei. Ed era seria. – Cioè, voglio dire... sì, volevo dire questo. Sei bella.

Bella.

C’era qualcosa di strano, qualcosa di... incredibilmente dolce e intenso in quella parola. Sembrò librarsi tra loro, mentre esitavano.

Elsa si schiarì la gola. – Dove... dove sei stata? Perché sei ancora vestita?

- Oh, sono stata fuori. Volevo fare una passeggiata.

- Di notte? Da sola?

- Kristoff dorme, non mi andava di svegliarlo. Ed io, invece, ho cercato di dormire ma non ci sono riuscita. Quindi ho pensato che una passeggiata notturna mi avrebbe aiutata. Ho fatto anch’io un brutto sogno, sai? Davvero brutto. – Anna parlava a raffica, come al solito, facendo vagare lo sguardo da tutte le parti. – Sono stata nelle stalle, ma Sven non è di molte parole. Mugugnava qualcosa e non vedeva l’ora che me ne andassi per mettersi a dormire, anche lui. Non che mi sorprenda. E i soldati... beh, nemmeno loro avevano voglia di chiacchierare. Mai pensato di addestrare soldati un po’ più loquaci?

- No, mai.

- Peccato. Uno dormiva. Era molto carino, ma ho dovuto svegliarlo.

- Cos’hai qui? – Elsa le sfiorò l’angolo delle labbra con la punta dell’indice.

- Ah, qui. Credo sia... cioccolata?

Elsa si accigliò.

- Sono andata anche a fare un giro nelle cucine. Non ho svegliato nessuno. Sono stata attenta. Ne è avanzata ancora un po’, nonostante tu mi abbia preparato un banchetto degno di un esercito. Ancora mi chiedo come ho fatto a non scoppiare.

Sapeva di cioccolata, in effetti, il respiro di Anna. Il respiro di Anna sul suo viso.

Elsa si chiese come fosse possibile che si fossero avvicinate così tanto e senza quasi accorgersene. Si chiese se fosse stata lei ad essere proiettata in avanti o se l’avesse fatto Anna per prima. E si chiese anche perché le sue, di labbra, tremassero.

Elsa si scostò un po’, sbattendo le palpebre. – É... è meglio che tu vada a dormire. È molto tardi.

- Sì. Va bene. Tu riuscirai a dormire?

Le sorrise. – Certo. Ora sì. Non preoccuparti per me.

- Mi preoccupo sempre per te. Sono tua sorella.

 

***

 

- Cosa stai facendo? – domandò Anna.

Aveva cercato Elsa per tutta la mattinata, ma aveva trovato solo servi nervosi e indaffarati nei preparativi del matrimonio. Vagavano di qui e di là per le sale del palazzo, scambiandosi commenti, ordini e infondendo agitazione in chiunque fosse nei paraggi.

Quando la trovò, vide che Elsa era china su delle carte ingiallite, sulle quali erano stampati simboli incomprensibili.

- Mi hanno portato queste. Non ho idea di cosa dicano, esattamente, ma la lingua è la stessa del messaggio riportato... sull’urna – Lo sguardo di Elsa si adombrava sempre, quando parlava dell’urna in cui era stata rinchiusa. – Forse riuscirò a capirci qualcosa.

- E cos’hai capito? Fino ad ora, intendo.

- Quasi niente. Solo alcune parole.

Anna si accostò e osservò l’intreccio di frasi, appoggiando le mani sulla carta vecchia e ruvida dispiegata sul tavolo. – Per esempio...?

- Per esempio... qui, vedi? – Elsa indicò una parola. – C’è scritto: Wunjō.

- Ossia?

- Credo voglia dire “gioia”. – Nel dirlo girò la testa verso Anna, mentre le sue dita si soffermavano sul dorso della mano della sorella.

- Bene, allora è una bella parola. La gioia che dovrei vedere qui dentro, quando invece percepisco solo confusione, agitazione, nervosismo...

- Perché voglio che sia tutto pronto per il tuo matrimonio.

- Uh. Quindi sei stata prepotente.

- Non sono prepotente. Sono la regina.

- Certo. Appunto. Tanto, per quanto tu possa fare la prepotente, sappiamo tutti che hai un cuore tenero. Lo pensa anche Kristoff.

- Kristoff... e cos’altro ti ha detto l’uomo delle renne?

- Oh, niente. Mi ha raccontato di nuovo quello che è successo con Hans quando avete trovato l’urna con nostra zia dentro. Parola per parola. Mi ha detto di come l’abbia spiato anche se tu gli aveva chiesto... ordinato, non chiesto... di non farlo. E mi ha detto che ti sei sempre sentita sola anche se avevi una sorella, perché io non sono come te, non ho la magia, mentre tu...

Elsa la fissava, improvvisamente seria.

- No, non è che Kristoff abbia detto proprio così... – si corresse Anna, sfuggendo il suo sguardo. - O meglio, sì, l’ha detto...

- Anna...

- Non ce n’è bisogno. Ho capito. Davvero... so che hai sempre voluto trovare qualcuno che fosse simile a te.

Il tono di Anna era tranquillizzante, ma in Elsa c’era qualcosa che non poteva essere tranquillizzato facilmente.

- Non ho mai avuto intenzione di ferirti.

- Elsa, tu non mi hai ferita. Non devi...

- Pensavo di essere l’unica... l’unica con questi poteri. Trovare qualcuno come me sarebbe stato... Credevo mi avrebbe fatta stare meglio. – La voce di Elsa tremò. - Mi sono lasciata ingannare come una sciocca solo perché possedeva i miei stessi poteri.

Anna non disse niente.

- Avrei dovuto capirlo subito, che c’era dell’altro.

- Beh, consolati: io mi sono fidata subito di Hans e ho accettato di sposarlo esattamente dieci minuti dopo averlo incontrato. Sì, posso dire a mia discolpa che ero più giovane e ingenua... ma se ci ripenso... ancora non posso credere che fosse in quell’armadio, congelato...

Elsa accennò un sorriso. Ma tornò subito seria. – Tu sei la mia famiglia, Anna. Sei l’unica famiglia che ho. Non importa se non sei come me... perché sei parte di me.

Stavano l’una di fronte all’altra, adesso. Il fiato di Elsa le agitava leggermente una ciocca di capelli.

- Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti – continuò Elsa.

- Questo suona tanto come un finché morte non ci separi – disse, quasi senza riflettere.

- Sì, è...

Anna vide con una strana chiarezza la luce soffusa del salone riflettersi negli occhi di lei, scivolare sui capelli e sulla pelle del collo. Vide con una strana chiarezza la sua gola palpitare, il petto che si alzava e si abbassava al ritmo del respiro.

Voleva abbracciarla. Avrebbe voluto sollevare le braccia e stringerla, lasciando che la sua testa riposasse nella curva della sua spalla. Elsa, invece, le strinse la mano nella sua e le mise l’altra sulla guancia, passandole delicatamente il pollice sullo zigomo.

Questo suona tanto come un ‘finché morte non ci separi’

- Ma non credo che andrò da qualche parte, sai? Ne ho abbastanza di viaggi, per il momento. E poi non è facile liberarsi di me. Mi avrai tra i piedi per parecchio tempo.

Elsa non rispose. Aveva... la stessa sensazione della notte precedente, quando Anna era entrata nella sua camera, sentendola gridare nel sonno. La sensazione che fossero molto vicine. Più vicine che in qualsiasi altra occasione. Incrociando gli occhi di Anna vi si immerse. Erano a pochi centimetri dai suoi. Erano grandi e sinceri, sembravano in attesa di qualcosa. Le labbra rosse erano curvate in un sorriso. Ad Elsa sembrò quasi naturale soffermarsi un attimo su di esse, mentre le dita di Anna si intrecciavano alle sue. La mano di Elsa si spostò dal viso al collo e da lì alla nuca, sempre toccandola senza fare pressione, solo accarezzando la pelle, in modo incerto.

Proprio quando udì i passi in corridoio, Elsa si rese anche conto che il suo cuore batteva un po’ troppo veloce, che il suo respiro era accelerato e che le formicolavano le dita con le quali la stava toccando. Si scostò bruscamente da Anna, mentre un membro della servitù si fermava sulla soglia.

- Maestà...

- Sì... cosa? – biascicò Elsa, confusa.

- Ci sono delle missive per Voi. Ve le ho portate. – Il giovane reggeva un piatto d’argento, sul quale c’erano delle lettere chiuse con sigilli di ceralacca.

- Sì, certo. Grazie.

Le guance di Anna si erano colorate di rosso. Sorrideva ancora, ma sembrava vagamente perplessa, gli occhi grandi che fissavano le scritte incomprensibili sulla carta ingiallita.

 

***

 

Che cosa sta succedendo?

Elsa si era rifugiata nei giardini di Arendelle, vicino al palazzo, dopo essersi distrattamente occupata delle missive. Si era seduta sulla stessa roccia sulla quale si era fermata dopo aver scoperto il diario di sua madre in soffitta, quel diario che le aveva fatto pensare che la morte dei suoi genitori fosse solo colpa sua, perché era per lei che avevano lasciato il regno e si erano recati a Misthaven.

Come quel giorno, come la notte appena trascorsa dopo essersi svegliata di soprassalto, intorno a lei fluttuavano i fiocchi di neve. Ingrid le aveva insegnato a controllarsi, ma in quel preciso momento non voleva concentrarsi quel tanto che sarebbe bastato per evitare quella piccola nevicata.

“Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti”.

“Questo suona tanto come un finché morte non ci separi”.

Più di una volta era stata molto vicina ad Anna, così vicina che avrebbe desiderato non separarsene mai. E quando erano state separate, quando era stata rinchiusa nell’urna e poi era finita a Storybrooke, avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederla, per sapere che stava bene. Aveva costruito una barricata di ghiaccio con il suo potere, dicendosi che nessuno avrebbe lasciato la città fino a che lei ed Anna non sarebbero state di nuovo insieme. Aveva temuto di non ritrovarla, aveva dubitato e creduto, per qualche istante, che sua sorella l’avesse davvero intrappolata nell’urna e che non volesse essere trovata. E si era sentita morire dentro. Era vero che l’aveva intrappolata, ma la colpa non era di Anna. Era di Ingrid. E sua, perché aveva sottovalutato la zia quando aveva elaborato il piano contro di lei. Si era sentita... come se stesse perdendo i pezzi. Aveva trovato Emma, un’amica che non avrebbe mai smesso di ringraziare e alla quale pensava spesso, ma c’era sempre quella parte mancante. Quel vuoto. Poi era finito tutto e l’aveva rivista. L’aveva stretta forte a sé, quasi volesse inglobarla e i pezzi erano tornati al loro posto.

Ma nel salone, così come quella notte, quella strana sensazione si era fatta più pressante. L’aveva toccata in un modo... diverso. Adorando la delicatezza e il tepore della sua pelle. Adorando la fitta che l’aveva colta nell’incrociare i suoi occhi.

Non avrebbe dovuto toccarla così. Non era giusto. Era...

- Elsa!

Sollevò la testa. Vide Anna precipitarsi lungo il sentiero, verso di lei. La vide inciampare in una radice sporgente. Rischiò di finire lunga distesa sul prato, lanciò un’esclamazione di sorpresa, ma miracolosamente recuperò l’equilibrio e la raggiunse.

- Elsa, finalmente! Dov’eri finita?

- Volevo stare un po’ qui, da sola – Con un gesto della mano fece sparire i fiocchi bianchi.

- Cos’è successo?

- Non è... non è successo niente.

- Deve per forza essere successo qualcosa. L’ultima volta che ti sei rifugiata qui avevi appena trovato il diario di nostra madre.

Elsa esitò. – Stavo solo... pensando.

- Pensando a cosa?

- A tutto quello che è successo. Ci penso spesso.

- Allora possiamo pensarci insieme! Sono tua sorella, il che vuol dire che se pensiamo insieme è molto meglio!

- Stai per sposarti. Per davvero, stavolta. Dovresti occuparti solo del matrimonio, non di... di cose che intristiscono.

- Beh, se mia sorella è triste non ho altra scelta.

Elsa si sforzò di sorridere. Quello di Anna, di sorriso, era vivace e luminoso, come sempre. Un sorriso che ti spingeva a concederle una fiducia incondizionata. Che ti spingeva a raccontarle ogni frammento della giornata. Che ti spingeva ad essere ottimista e ti faceva credere che nulla potesse andare male.

Non se esisteva un sorriso simile nel mondo.

- Non è niente, Anna. Mi passerà – concluse Elsa. Non poteva proprio dirle che il modo in cui l’aveva toccata in salone l’aveva turbata nel profondo.

Ma poi Anna aveva percepito qualcosa di diverso nell’atteggiamento della sorella, mentre l’accarezzava?

- Piuttosto, che cos’hai lì? – chiese, anticipando qualsiasi altra domanda.

Anna sembrò ricordarsi solo in quel momento del libro che aveva in mano. – Oh! Me l’ha dato Belle prima che ce ne andassimo. Mi ha portato in quella libreria e mi ha detto di scegliere quello che volevo, in realtà. Un po’ complicato, dato che non conoscevo nessuna di quelle storie!

- E per quale motivo hai scelto questa?

- Perché il titolo è bello: Grandi Speranze. Non so chi sia questo Dickons… cioè, no, aspetta... Dickens. Charles Dickens. Però era bravo a raccontare storie. – disse, aprendolo sulla prima pagina. C’era una dedica, poco sotto il titolo.

 

Ad un’amica che non dimenticherò e che ha saputo perdonarmi.

Belle.

 

- E cosa c’è di divertente? – domandò Elsa. – Ti ho vista altre volte mentre lo leggevi e ridevi.

- I nomi dei personaggi. Pip, Joe Gargery, Bentley Drummle... non ti sembrano assurdi? Te ne leggo un pezzo? – Anna non aspettò che Elsa rispondesse. Si sedette di fronte a lei e aprì il libro al punto in cui era arrivata. – “L’amavo a dispetto della ragione, a dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto della speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni possibile scoraggiamento”. Come ti sembra? Deve essere vero amore.

Elsa avrebbe voluto risponderle che le sembrava bello. Le stava cercando, le parole giuste. Le stava cercando, ma non riusciva ad afferrarle. Le uniche cose che capiva erano il sorriso di Anna, la sua voce che ancora sembrava aleggiare tutt’intorno, quella voce chiara e limpida che diceva: L’amavo a dispetto della ragione, a dispetto di ogni promessa...”

“Questo suona tanto come un finché morte non ci separi”.

Elsa si alzò di scatto e si allontanò di qualche passo, voltandole le spalle.

- Elsa, dove vai?

Si fermò. Anna la seguì e allungò una mano, stringendole il polso. La costrinse a girarsi di nuovo. Nel tentativo di liberarsi dalla sua stretta Elsa l’attirò ancora più vicina a sé. Il viso di sua sorella fu a pochi centimetri dal suo. Avvertì ancora il suo fiato sulla pelle, il fiato che improvvisamente si spezzava. E il profumo dei suoi capelli. E quel sorriso che vacillava, restando sospeso tra la perplessità e la sorpresa.

Non le venivano in mente più parole. Neanche una. Per lo meno nessuna che avesse senso.

C’era solo lo sguardo di Anna, che si incatenò al suo, paralizzandola.

Elsa non si era mai sentita tanto calamitata verso qualcosa... qualcuno. Ed Anna non le era mai sembrata così bella.

Il mondo parve crepitare e poi dissolversi, diventare improvvisamente bianco e scintillante, mentre Elsa si piegava in avanti e toccava le labbra di Anna con le proprie. Le dischiuse appena, portando le dita sulla sua nuca come per trattenerla, serrando le palpebre e udendo soltanto un costante ronzio nelle orecchie, nonché il potere che si agitava dentro di lei. Anna mugugnò qualcosa contro la bocca della sorella e, all’inizio, si irrigidì per l’incredulità. Il libro cadde con un tonfo.

È una follia, ebbe il tempo di pensare la regina di Arendelle.

Poi Anna appoggiò una mano sul braccio di Elsa e l’altra sulla sua schiena, stringendo il tessuto azzurro dell’abito. Mosse le labbra, piano ma premendole di più sulle sue. Inclinò leggermente la testa di lato.

Elsa si separò un istante da lei e sollevò le palpebre. Anna le sollevò nel medesimo istante, mostrandole occhi che erano appannati, confusi... non identici ai suoi, possedevano una sfumatura verde leggermente diversa. Ma erano simili ai suoi.  

Elsa l’allontanò bruscamente da sé, lasciandosi sfuggire un rantolo e indietreggiando di qualche passo. – No... Anna, no. Mi dispiace...

Fiocchi di neve ricominciarono a volteggiare intorno a lei. Barcollò. Allungò una mano per mantenere l’equilibrio e trovò la corteccia di un albero alle sue spalle. Vi fu un sinistro scricchiolio, poi il tronco ghiacciò e il gelo salì rapidamente fino ad intaccare il ramo più basso, che si spezzò, precipitando rovinosamente.

- Elsa!

- Stai lontana da me, Anna... stai lontana, ti prego! – Elsa capì di non avere più il controllo di niente, tanto era sconvolta. Due fasci biancoazzurri esplosero dalle sue mani e congelarono parte del prato.

Controllalo, impose una voce interiore. Controllalo. Puoi farlo.

Elsa chiuse gli occhi, come aveva fatto quella notte. Strinse le dita a pugno e inspirò. Inspirò una volta, due, tre. La magia si agitò vorticosamente, spinse per uscire, ma lei non glielo permise.

Quando li riaprì, il cuore batteva ancora forte, ma sentiva di aver recuperato il controllo sul suo potere. Non aveva fatto altri danni. Anna la fissava. Sorrise quando si rese conto che Elsa stava meglio e fece per avvicinarsi.

- Non... – cominciò sua sorella, alzando una mano per fermarla. – No, devo... non posso. Perdonami.

Scappò via, ignorando la voce di Anna che le urlava di aspettarla.

 

***

 

Riuscì ad evitarla per il resto della giornata e per buona parte del giorno seguente.

Anna la cercò, la seguì e ovviamente la trovò, ma Elsa fece in modo di essere sempre impegnata, o con le vecchie pergamene in futhark antico oppure in altre faccende che avrebbero anche potuto aspettare, ma che diventarono improvvisamente molto urgenti. Soprattutto,  evitò di farsi trovare da sola. Alcuni ambasciatori provenienti dalle Isole del Nord, in questo, le diedero una mano.

Indossò i guanti magici per sicurezza. Non si sentiva padrona di se stessa e preferì non rischiare di commettere qualche disastro, come congelare una guardia o, peggio, un’intera sala.

Non ci furono incubi quella notte, anche perché non dormì quasi per niente. Continuò a rimuginare su ciò che era successo nei giardini. Su un bacio che non aveva nulla di fraterno, su un bacio che le aveva lasciato il sapore delicato di Anna sulle labbra.

Forse sto diventando pazza.

Era possibile. Forse era colpa di tutto quello che era accaduto negli ultimi tempi. Ingrid era rimasta intrappolata nell’urna per anni e la sua mente e il suo cuore ne avevano indubbiamente risentito. Stava capitando la stessa cosa anche a lei?

Il punto era che, per quanto si rendesse conto che era sbagliato, se ci ripensava la pervadeva una sensazione dolcissima e appagante; avvertiva ancora la pressione della mano di Anna sulla schiena, le dita che stringevano il tessuto, il sangue che scorreva più rapido nelle vene, il fiato della sorella nella sua bocca... e non riusciva a non pensare che fosse stato qualcosa di bello. Da una parte, comprendeva l’assurdità del suo gesto, temeva di aver in qualche modo sporcato l’innocenza di Anna con quel bacio e l’idea ancora la turbava nel profondo, ma se ci rifletteva, si accorgeva che quella sensazione era qualcosa che aveva cercato e che non aveva trovato in nessun altro.

Ma Anna avrebbe sposato Kristoff.

Ecco. Quello era giusto. Sua sorella amava Kristoff. Ed Elsa era felice che lui l’amasse nello stesso modo. Oh, l’aveva messo alla prova, l’aveva fatto sudare... perché nessuno poteva avere il cuore di Anna senza prima affrontare lei. Però l’uomo delle renne, quelle prove, le aveva superate. Kristoff non aveva nulla che non andasse... certo, non le dava retta, si prendeva gioco dei suoi ordini, ma era anche vero che grazie a lui aveva saputo di Hans e dell’urna e che lei, a sua volta, non gli aveva dato retta quando l’aveva messa in guardia riguardo al magico contenitore nel quale il principe delle Isole del Sud avrebbe tanto voluto imprigionarla.

Elsa richiuse le porte delle sue stanze con un colpo secco e si lasciò cadere sul letto. Era stanca. La notte insonne iniziava a farsi sentire.

“L’amavo a dispetto della ragione, a dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto della speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni possibile scoraggiamento”.

“Questo suona tanto come un ‘finché morte non ci separi’.

“Fai quello che vuoi, ma sappi che qualsiasi cosa accada, Anna... io ti voglio bene”.

Le molle del letto cigolarono. Elsa aggrottò la fronte e alzò la testa di scatto. Prima che potesse muoversi o dire qualsiasi cosa Anna le fu addosso e si mise proprio sopra di lei, con le mani posizionate ai lati della sua testa. Il ciondolo che aveva al collo dondolò per qualche istante, mandando barbagli argentei nella penombra.

- Anna, ma cosa...?

- Ti ho presa – disse lei, con diverse ciocche di capelli che le ricadevano malamente sul viso e le guance rosse. – Ti prego, non dirmi di andare via, perché tanto non me ne vado. Non puoi continuare ad evitarmi. E detesto quando mi sbatti le porte in faccia.

- Io non ti ho... – Elsa s’interruppe. – Da dove sei venuta fuori?

- Da sotto il letto. E no, magari non mi hai sbattuto la porta in faccia, ma è vero che mi hai evitata.

- Sono la regina, ho molte cose a cui pensare.

- Sono solo scuse.

- Anna...

- Sei arrabbiata con me? – Anna aveva assunto un’aria tra il preoccupato e l’imbronciato, che la rese terribilmente adorabile.

Ma Elsa distolse lo sguardo. – No. Certo che no.

- Allora guardami.

- No.

- Cosa sono tutti questi no? Basta con i no, Elsa. Guardami.

Elsa teneva il viso girato verso la parete. Chiuse un attimo gli occhi. Ed Anna si chiese che cosa vedesse sua sorella dietro le palpebre. Che cosa stesse guardando, in tutto quel nero.

- Elsa... per favore. Non chiudermi fuori – mormorò Anna.

Riaprì gli occhi e la guardò. Anna si scostò, mettendosi a sedere sul letto e guardando Elsa fare lo stesso, guardandola mentre si sporgeva verso di lei, senza toccarla, solo stando incredibilmente vicina. Sollevò una mano per toccare il viso di Anna, che le prese il polso e poi le sfilò il guanto azzurro.

- Che cosa fai?

- Ti tolgo i guanti. Non che ti stiano male, ma non ti servono, adesso.

Elsa la lasciò fare. Anna gettò i guanti per terra senza troppi complimenti e afferrò le sue mani, stringendole forte.

- Sono io che dovrei chiederti se sei arrabbiata con me.

- Per cosa?

- Per cosa? Anna, quello che ho fatto...

- Non è successo niente. Cioè... sì, qualcosa è successo, ma non era niente di male. E di sicuro non sono arrabbiata con te. Come potrei? È stato... bello.

Elsa rimase in silenzio per un lungo momento, fissandola nel minuscolo spazio che le separava. Le sarebbe bastato sporgersi un poco per toccare le sue labbra. Di nuovo. – Non dovresti dire così.

- Ma lo è stato. Insomma, lo so che è strano... e forse dovrei dirti che è sbagliato. Ma mentre stava succedendo mi è sembrato tutto fuorché... sbagliato. Non ero nemmeno così sorpresa...

- Non lo eri?

Scosse la testa.

Elsa sospirò. - Tu sei mia sorella. Il mio sangue. La mia famiglia. Dovrei volerti bene e proteggerti. – Le scostò le ciocche di capelli che le ricadevano sugli occhi. – Non pensare di...

Anna deglutì. – Di fare cosa?

Un trasalimento nel respiro di Elsa. Fece scorrere le dita dalla guancia alle labbra di Anna, ne tracciò il profilo. Nei suoi occhi c’era una luce diversa, più tormentata, come se stesse lottando contro se stessa.

Poi Elsa si chinò, posò le labbra sulla sua guancia, la sfiorò leggermente. La baciò vicino all’orecchio e sotto l’occhio sinistro.

- Elsa...

- Sì, devo fermarmi...

Ma Anna non glielo disse; la prese e spostò il viso quel tanto che bastava perché qualsiasi cosa lei stesse dicendo si perdesse sulle sue labbra. Elsa la baciò con delicatezza, con attenzione, quasi temesse di farle del male. Gemette piano, in fondo alla gola, quando Anna le circondò il collo con le braccia e non poté che avvolgerla a sua volta, protraendo quel bacio. Elsa se la strinse ancora di più contro. Socchiuse leggermente le labbra, approfondendo un po’ il contatto. Le sembrava che il mondo si fosse annullato; percepiva solo Anna. Tutto ciò che, in quel momento, sentiva, vedeva, desiderava... era Anna. Nient’altro contava. Il suo corpo era incredibilmente vivo, il suo cuore batteva incredibilmente forte e il respiro di Anna nella sua bocca le faceva perdere il controllo. Qualsiasi cosa avesse pensato riguardo a quella situazione totalmente sbagliata era scivolato via, come acqua. Era evaporato. Non riusciva ad essere lucida.

- Uhm... Elsa...

- C-Cosa? Ti... ti sto facendo male? – chiese, allarmata, le labbra ancora incollate alle sue.

- No. Non... non respiro.

- Oh!

Anna scoppiò a ridere, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Elsa le accarezzò le schiena e, quando lei si scostò, seguì con le dita la catenina d’argento fino al ciondolo, tracciandone il contorno con la punta dell’indice. Le appoggiò quella stessa mano all’altezza del cuore, sentendolo palpitare forte come il suo. Anna vi posò sopra la sua, di mano, coprendogliela.

Ed Elsa vide baluginare l’anello che le aveva regalato Kristoff.

Tornò improvvisamente seria e distolse lo sguardo, abbassando la testa. Anche la sorella sembrava essersi accorta del cambiamento repentino e aveva smesso di sorridere.

Rimasero in silenzio per un po’. Forse ci sarebbero state molte cose da dire, ma ciò che avevano fatto andava ben al di là della normale capacità di comprensione.

- Posso restare qui con te, stanotte? Per favore – le chiese Anna, sfiorandole il naso con il suo.

Elsa si sporse per darle un bacio sull’angolo delle labbra. – Sì. Certo che puoi.

 

 

***

 

 

Anna si sistemò meglio l’abito da sposa, lisciando pieghe inesistenti e chiedendosi quanto ci sarebbe voluto prima che, durante il ricevimento, ci versasse sopra qualcosa. Avrebbe cercato di fare attenzione, di ricordarsi che quello che indossava non era solo il suo abito da sposa, ma anche l’abito di sua madre. Avrebbe cercato di ricordarsi del gran numero di invitati presenti. E forse non sarebbe servito comunque.

“Sei arrabbiata con me?”.

“No. Certo che no”.

“Allora guardami”.

“No”.

Rimirò il suo riflesso nello specchio e vide Elsa giusto dietro di lei, che la osservava.

- Ti sta d’incanto – le disse, avvicinandosi. – La scorsa volta non ho avuto modo di dirtelo.

- Beh, meglio tardi che mai. E non hai ancora visto l’abito di Sven.

- Non oso nemmeno immaginare come possa essere vestita una renna. Già il solo fatto che io debba andare fino all’altare con Sven...

- Sarà divertente. Cioè... con divertente non intendo dire che sembreresti ridicola vicino ad una renna. Divertente. In senso buono. E poi Sven sa benissimo come comportarsi. Kristoff gli ha insegnato tutto.

- Questo mi preoccupa più del resto. L’uomo cresciuto dai troll che insegna ad una renna come comportarsi durante un matrimonio...

- Andrà tutto bene. L’abito è perfetto. Sven sarà perfetto. Kristoff anche. Ci saranno un sacco di dolci al cioccolato e tu... beh, tu sarai bella come il resto.

Elsa aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse. Anna faticava a concentrarsi davvero sul matrimonio dato che la sua testa era piena del ricordo di quei baci.

“Tu sei mia sorella. Il mio sangue. La mia famiglia. Dovrei volerti bene e proteggerti...”

Quando alzò di nuovo lo sguardo vide che Elsa era molto vicina a lei. Le sue dita indugiarono su una spallina del vestito per sistemargliela, anche se non aveva bisogno di essere sistemata.

Anna si rese conto di quanto le sarebbe sembrato naturale se Elsa si fosse chinata per darle un bacio sul collo o nel punto in cui esso si congiungeva con la spalla. Il solo pensiero la fece rabbrividire. E, per un attimo, pensò che la sorella l’avrebbe fatto davvero, perché accostò le labbra al suo orecchio, come per sussurrarle qualcosa. Poi, però, si allontanò di qualche passo.

C’era... c’erano molte emozioni, riflesse negli occhi della regina di Arendelle. C’era commozione e felicità di vederla in abito da sposa, ma c’era anche tristezza, rassegnazione, titubanza e...

Desiderio.

Anna arrossì violentemente, pensandoci. Pensando al modo in cui era stata baciata, alla leggera carezza della sua lingua, alle mani che la toccavano, risvegliandole i nervi e coprendola di brividi. Alle sue parole prima di baciarla...

“Sì, dovrei fermarmi”.

- Sì... – disse Elsa, quasi un’eco delle sue riflessioni. La sua voce non era affatto ferma. – Andrà tutto bene.

 

 

***

 

 
Angolo autrice:

Salve a tutti ^_^

 
La citazione tratta dal romanzo di Charles Dickens, Grandi Speranze, è presente anche in un’altra serie televisiva che sto seguendo, Pretty Little Liars. Chi la segue saprà che è una citazione importante, che sta alla base della storia di una delle coppie più gettonate, le Emison (Alison & Emily). Non c’entra niente con OUAT, ma il pezzo in sé mi sembrava adatto alla situazione, quindi l’ho inserito nella fic.

La canzone citata all’inizio della One Shot è “Clarity” dei Zedd. Vi consiglio di ascoltarla.


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Capitolo 2
*** Wedding ***


2

 

 

 
“Ma ora sei divisa, sei spaccata in due,
Carne della sua carne, ma cuore del mio cuore;
E profonda per l’una è la radice amara,
E dolce per l’altro il fiore eterno”

[Algernon C. Swinburne, Il Trionfo del Tempo]

 

 

 
Sì, il matrimonio andò davvero bene.

Vi furono una serie di interessanti miracoli.

Prima di tutto Anna riuscì a camminare fino all’altare, lungo il corridoio centrale della sala del trono gremita di invitati, fino a Kristoff che l’aspettava, senza inciampare né dare l’impressione di essere troppo goffa. E riuscì a dire tutto ciò che doveva dire senza dimenticarsi niente.

Anche Sven si comportò bene. Avanzò, impettito e fiero, di fianco ad Elsa, lanciando qualche occhiata alla gente che fissava la scena, a volte attonita, a volte incuriosita o perplessa. Di sicuro nessuno di loro aveva mai visto una renna accompagnare una regina, il giorno del matrimonio di sua sorella. Una renna che, tra l’altro, era amica dello sposo.

Il secondo miracolo fu che, durante il ricevimento, il vestito da sposa rimase immacolato. Incredibile. Anna era convinta che ci avrebbe rovesciato sopra qualcosa. Invece non accadde. Ed Elsa si era persino ricordata di servire soprattutto bevande chiare, anche se c’erano dolci al cioccolato in gran quantità e che avrebbero potuto causare danni inimmaginabili.

Era tutto come doveva essere. E dopo ciò che avevano passato ancora se ne stupiva. Prima il diario della madre che Elsa aveva trovato in soffitta, poi il suo viaggio a Misthaven che aveva portato ad un rinvio delle nozze, poi tutta la faccenda di Ingrid, Elsa intrappolata in quell’urna, Storybrooke, la maledizione... per non parlare di quando, tornate ad Arendelle, erano state costrette a vedersela con Hans e con i suoi dodici fratelli, che avevano occupato il trono. Era stato un vero spasso guardare l’espressione di Hans, quando aveva posato gli occhi su Elsa.

“Tu?! Non è possibile! L’urna... come hai fatto ad uscirne?”

“Pensavi di esserti liberato di me?”

“No, forse si riferisce anche a me, visto che mi ha chiusa in un baule. Ma certo che lo pensava. È un idiota, quindi non poteva che pensarlo. E scommetto che non conosce nemmeno la differenza fra un’urna ed un baule. Ma davvero intendevo sposarti? Se ci penso mi vengono i brividi. Te l’avevo detto che Elsa te l’avrebbe fatta pagare...”

Aveva detto un mucchio di altre cose.

E ovviamente era stato uno spasso anche avere la meglio su di lui.

Sì, era tutto perfetto.

Anche se...

Si sporcò la punta del naso e Kristoff le diede un bacio per tirarle via lo sbuffo di cioccolato.

- Sbaglio o il vestito è ancora bianco? – le disse Kristoff, mentre Anna si portava alle labbra un’altra cucchiaiata di gelato.

- Oh, sì! Ma la giornata non è ancora finita e c’è così tanto da mangiare. Sento che questa volta scoppierò. Oppure starò male. Oppure starò male e poi scoppierò. Hai visto Elsa?

- No. È da un po’ che non la vedo. Sarà stata risucchiata da tutta questa gente. Chi ha invitato così tante persone? Tua sorella?

- Credo di sì. Io di sicuro non l’ho fatto. Elsa non mi ha lasciato fare niente.

- Tipico delle regine. Vogliono avere la situazione in pugno. In questo caso il matrimonio in pugno.

Anna sbirciò in mezzo alla folla per cercare la sorella e non la vide.

 

***

 

Elsa appoggiò le mani alla ringhiera della terrazza, osservando le luci di Arendelle sparse sotto di lei. Dall’interno venivano il chiacchiericcio rumoroso degli invitati, le risate, il tintinnio di piatti e bicchieri e il suono della musica.

Anche lei pensava che il matrimonio fosse davvero riuscito.

“Non posso andare all’altare se non sei felice come lo sono io”.

“Anna, io sono... molto felice”.

E lo era.

Felice per sua sorella, per quel matrimonio. Felice che tutto si fosse concluso per il meglio.

Eppure c’era anche qualcos’altro.

Qualcosa che non era tristezza, ma le andava vicino. Qualcosa che l’aveva portata ad allontanarsi un attimo da tutta quella confusione. Qualcosa che premeva, ma non usciva. Come...

- Anna si stava appunto chiedendo dove fossi finita... – La voce di Kristoff la colse alla sprovvista.

- Ero solo... uscita a prendere una boccata d’aria.

Kristoff si avvicinò, mettendosi vicino a lei. – Devo farti i complimenti per l’organizzazione. Non c’è niente che non vada in questo matrimonio.

- Pensavi che ci sarebbe stato?

- No. Sei la regina. E anche se hai un cuore tenero, la tua prepotenza riesce a fare miracoli.

- Anche i sarti fanno miracoli. Non l’avrei mai detto, ma stai molto bene.

Kristoff si lisciò pieghe inesistenti sulla giacca scura con i bottoni dorati. – Sono felice di averti sorpreso. E vogliamo parlare di Sven?

- Di Sven che sfila vicino a me oppure di Sven con un abito da cerimonia?

- Entrambe le cose. Ma la prima è la più divertente.

Elsa sollevò un sopracciglio, lanciandogli un’occhiata.

- In senso positivo, intendo – si corresse lui, in fretta.

- Certo.

- E hai preso il bouquet al volo! Vuol dire che presto organizzerai il tuo, di matrimonio?

- Non penso che succederà tanto presto.

- E perché no? Ci sarà pur qualche principe prepotente e dal cuore tenero disposto a sfidare la sorte e a portarti all’altare.

- Sfidare la sorte?

- Sfidare la sorte. O sfidare la prepotenza. Non sarà difficile. C’è così tanta gente a questa festa. A proposito, da dove sono sbucati tutti?

- Li ho invitati. Sono amici di famiglia... anche se alcuni non li vedo da un po’.

- Oh! Trent’anni sono sicuramente parecchi. Solo che noi li portiamo... molto bene. Ma vogliamo tornare al punto di partenza?

- Quale sarebbe?

- Perché hai lasciato la festa? – Kristoff si sporse leggermente verso Elsa.

- Te l’ho detto. Avevo bisogno di una boccata d’aria.

- Chissà perché, credo che ci sia qualcos’altro. Non sei molto brava a nascondere le cose.

- Vedo che ricominci ad essere impertinente, uomo delle renne.

- E io vedo che voi, Maestà, state evitando l’argomento. Forse non volete raccontare così vi preoccupa all’uomo delle renne?

No, pensò Elsa. Non posso. Non questo.

Non avrebbe mai potuto raccontarlo a nessuno. Non avrebbe mai potuto parlare apertamente di ciò che sentiva senza causare sgomento. Non avrebbe potuto parlarne nemmeno con un’amica come Emma, se fosse stata lì. O forse, se gliene avesse parlato, l’avrebbe sconvolta per sempre.

Non avrebbe mai potuto parlare di quanto fosse stato bello baciare Anna nei giardini di Arendelle. Di quanto fosse stato bello stringerla a sé e respirare il suo fiato. Di quanto fosse stato assurdamente bello. Di quanto avesse desiderato poter trovare la forza di distogliere lo sguardo da lei che raggiungeva Kristoff all’altare. Di come si fosse sentita cedere le ginocchia quando l’aveva vista con il vestito bianco che era appartenuto a Gerda.

“Non è successo niente. Cioè... sì, qualcosa è successo, ma non era niente di male. E di sicuro non sono arrabbiata con te. Come potrei? È stato... bello”.

- Non c’è niente che mi preoccupa. Sta tranquillo. Torna dentro. Anna starà cercando anche a te, a questo punto. Arrivo tra un attimo.

Kristoff non insistette, le posò una mano sulla spalla come per rassicurarla e la lasciò sulla terrazza.

 

***

 

Più tardi Anna notò uno strano individuo occupato a parlare con sua sorella.

Era molto alto, vestito di verde, calzava un paio di lucidi stivali di cuoio, aveva i lineamenti del viso un po’ affilati e le orecchie lievemente a punta. I lunghi capelli scuri gli ricadevano sulle spalle. Non avrebbe saputo dire se fosse attraente o meno, sapeva solo che era strano. Non per via delle orecchie. E che i suoi occhi azzurri avevano qualcosa di magnetico e di... innaturale. Qualcosa di non umano. Qualcosa di malizioso, anche.

Beh, certo, non è umano. Se lo fosse non avrebbe le orecchie a punta.

Aveva anche la carnagione chiarissima e la pelle sembrava sottile come carta.

Vicino a lui c’era una creatura minuta, con il mento aguzzo, un cappello calcato sul capo e... e aveva anche lui le orecchie a punta, più lunghe rispetto a quelle del suo compare. Spuntavano in mezzo a ciuffi castani e scompigliati.

Aspetta, che? Non posso crederci.

- Oh, ecco la sposa – disse l’individuo, porgendo la mano piena di anelli ad Anna, che la prese, perplessa. Lui le sfiorò il dorso con le labbra. – Sono lieto di conoscervi. Il mio nome è Oberon.

- Oberon, il sovrano delle fate? – domandò Kristoff.

L’uomo sorrise, compiaciuto. – Re degli elfi, prima di tutto. Ma sì. Colto sul fatto.

- Elsa, abbiamo invitato il sovrano delle fate?

Elsa aprì la bocca per rispondere, ma Oberon la precedette. Non sembrava per niente irritato dal tono di Anna. Anzi, era più che altro divertito. - Siete davvero incantevole, Anna. Mi ricordate molto vostra madre.

Kristoff roteò gli occhi.

Sven, che ruminava poco distante, sbuffò.

- Aspettate... che? Voi conoscevate mia madre?

- Oh, sì. Ho assistito alla sua incoronazione e anche al suo matrimonio. Conoscevo anche le sue sorelle, a dire il vero. Beh, conoscevo la sorella minore. La maggiore non la si vedeva in giro tanto spesso. Per questo mi sono permesso di presentarmi. Erano anni che non presenziavo ad un matrimonio. Mi piacciono i matrimoni, sapete? E questo è così... perfetto. Come chi l’ha organizzato, del resto. – Si voltò di nuovo verso Elsa. Il folletto accanto a lui borbottava qualcosa di incomprensibile e ogni tanto allungava una mano per sgraffignare cibo dai piatti. – Mia cara regina... quello che si dice su di voi è vero: ve l’hanno mai detto che l’appellativo Vostra Maestà è troppo poco? Dovrebbero chiamarvi Vostro Splendore. O Vostra Magnificenza.

Anna lo guardò di sottecchi. Era un borioso. Non lo sopportava. Il semplice fatto che guardasse Elsa in un certo modo e che le stesse un po’ troppo vicino era già di per sé sufficiente a renderglielo antipatico.

- Credo che stiate esagerando – rispose Elsa, nel frattempo, allontanandosi di un passo dall’elfo che troneggiava accanto a lei. – Dove avete lasciato vostra moglie?

- Titania avrebbe tanto voluto essere presente, ma ha preferito occuparsi di una noiosa riunione con altre fate. E mi ha rifilato questo dannato folletto, solo perché non vuole che gli rovini la seduta, combinando qualche pasticcio. Cosa in cui Puck è molto bravo, non è vero?

- Sì, mio signore. Come volete voi – rispose Puck, sgranocchiando delle noccioline. Aveva occhi grandi, verde bosco, nei quali scintillava l’astuzia.

- Ancora mi chiedo perché mi sono lasciato convincere. E smettila di mangiare, ingordo!

- Titania... è proprio una fata, vero? – chiese Anna, incuriosita sua malgrado.

- Sì, lo è, mia cara.

- Credevo che le fate non si innamorassero.

- Non lo fanno, infatti. E nemmeno mentono, principessa. Non che non esistano le eccezioni...

- E lei è un’eccezione?

- No. Non direi.

- Perché vi ha sposato, allora?

- Essere sposati non significa amare follemente il proprio o la propria consorte. Oh, non fraintendetemi... provo affetto per Titania. Quando non mi fa uscire dai gangheri. E credo che lei ne provi per me.

Anna lo fissò, con la fronte aggrottata.

- C’è altro che desiderate sapere? – chiese Oberon.

- Perché non gli raccontate di quando Titania si è invaghita del somaro? – disse Puck. La sua voce era stridula. Anna sobbalzò nel sentirla.

- Invaghita di un somaro? – Kristoff cominciava a chiedersi, a sua volta, che cosa stesse succedendo. Era stato catapultato in mezzo a due individui assurdi, sbucati dal nulla.

- É una storia interessante – disse Oberon. – Avete tempo?

- Avete appena detto che le fate non si innamorano – replicò Anna.

- Infatti Puck ha detto invaghita. Non innamorata. Quella parte lasciatela alla fata rosa. Come si chiamava, a proposito?

- Nova, mio signore – rispose Puck.

- Già, Nova. Mia moglie si è invaghita di un somaro e Nova di un nano. Non so cosa sia peggio.

- Il somaro, mio signore.

- Non esserne tanto sicuro, Puck. Ma consideriamo anche il fatto che, nel caso di Titania, si trattava di un incantesimo...

- E poi era colpa vostra. È stata una vostra idea.

- Era solo uno scherzo.

Anna non riusciva a raccapezzarsi. – Quindi voi avete fatto invaghire vostra moglie di un somaro? E come?

- Succo del fiore vermiglio di Cupido. Dovreste provarlo. È molto efficace. Basta spremerlo sugli occhi di una persona addormentata e quella s’innamora del primo che vede, al risveglio.

- É orribile.

- No, mia dolce Anna, è stato divertente.

- E Titania ha visto un... somaro?

- In realtà ha visto Nick Bottom, un tessitore. Un comune essere umano, al quale Puck ha dato una testa d’asino, perché è un folletto maligno. Mi sbaglio?

Non ci furono repliche da parte del folletto.

Anche perché Puck era sparito.

 

***

 

Puck si era infilato sotto una delle tavolate senza farsi vedere dal suo signore, Oberon. Tutto il cibo e le chiacchiere l’avevano stufato. Aveva voglia di divertirsi un po’ e aveva approfittato di un momento di distrazione del re degli elfi per defilarsi.

“Non combinare guai, al matrimonio, dannato folletto”, aveva raccomandato la sua signora, Titania.

Ma era più forte di lui. C’erano delle... pulsioni proibite in quella sala. Le percepiva. A lui piacevano le pulsioni proibite, ma non gli piaceva per niente il fatto che non venissero espresse come meritavano.

Le due sorelle, per esempio.

La regina di Arendelle e la principessa che si era sposata con quell’essere umano cresciuto dai troll... aveva scordato il nome del marito. Pazienza. Aveva scordato anche il nome della renna. Comunque... tra le due sorelle c’erano delle... pulsioni interessanti. Vibrazioni. C’era una tensione inusuale, molto inusuale proprio perché avevano lo stesso sangue. Ma a Puck non dava fastidio. Lui proprio non vedeva la fonte del problema.

Spaccate in due. Sono spaccate in due.

Eccola, la fonte del problema.

Si infilò una mano nella tasca della giubba e ne estrasse una fiala, che brillava di una vaga luce verdognola.

Non succo del fiore vermiglio di Cupido. Qualcosa di meglio.

Svitò il tappo e si apprestò a fare quello che doveva.

 

***

 

Alcuni invitati avevano già iniziato a lasciare il palazzo.

Di Puck nessuna traccia, nonostante Oberon si fosse impegnato a cercarlo insieme a due guardie che Elsa aveva messo a sua disposizione.

- Quando possiamo cacciarlo? – domandò Anna alla sorella.

- Il folletto o Oberon?

- Tutti e due. Ma prima Oberon.

Elsa sospirò. - Non posso permettermi di cacciarlo, Anna. È il sovrano delle fate.

- Beh, il sovrano delle fate è... irritante. E pieno di sé. E non è nemmeno stato invitato. Ed è irritante.

- L’hai già detto, irritante.

- E Puck si è mangiato tutte le palline di cioccolato.

Elsa sorrise, intenerita. Era anche per questo che adorava sua sorella. Perché a volte sembrava una bambina. Una bambina che potevi rendere felice con poco.

- Te ne faccio portare delle altre, se vuoi.

- No, Elsa... è meglio di no. Scoppierò.

- É una sorpresa che non sia ancora accaduto.

Anna afferrò il bicchiere pieno di limonata e se lo portò alla labbra, bevendone qualche sorso. – Cos’è questa roba?

- Limonata?

- Ha uno strano sapore, per essere solo limonata.

 

***

 

- Dove ti eri cacciato, folletto dei miei stivali?! – esclamò Oberon, quando Puck sbucò dal nulla per mettersi di nuovo al suo fianco.

- Scusatemi, mio signore.

- Ti ho fatto una domanda.

- Ho mangiato molto, mio signore. Tutto delizioso. Tutto! – Si sistemò meglio il berretto sulla testa e intrecciò le dita delle mani. – Ma stava per scapparmi un gigantesco rutto, quindi mi sono nascosto. Non è educato. Siamo in presenza di una regina.

- Bugiardo! So benissimo che non ti sei nascosto solo per questo. Cos’hai fatto? Dimmelo subito! – Gli occhi azzurri di Oberon lampeggiavano d’ira. Lo prese per un orecchio e glielo torse.

- Oh! Mio signore, il mio povero orecchio!

- Non avrai più un orecchio se non mi dici che cos’hai combinato!

 

***

 

Anna si sentiva terribilmente accaldata, per questo si allontanò dal salone per uscire all’aperto. Alcune ciocche di capelli rossi erano sfuggite all’acconciatura. Si fece aria con entrambe le mani. Guardandosi intorno, si rese conto che i colori del giardino sembravano più brillanti. Che il bianco del suo stesso abito sembrava ancora più bianco. Il sole stava tramontando e il suo arancione era particolarmente intenso.

Anna inspirò profondamente.

“Mia cara regina... quello che si dice su di voi è vero: ve l’hanno mai detto che l’appellativo Vostra Maestà è troppo poco? Dovrebbero chiamarvi Vostro Splendore. O Vostra Magnificenza”.

Quanto lo detestava. Erano bastate poche parole. Anna l’aveva già inquadrato. Che razza d’uomo era... anzi, che razza d’elfo, nel suo caso... colui che si portava un folletto ad un matrimonio e permetteva che la moglie si invaghisse di un poveretto trasformato in un somaro? Aveva voglia di tornare dentro e cantargliele.

Sì, ecco. Sarebbe rientrata e gliene avrebbe dette quattro. Poco importava che fosse il sovrano delle fate!

Lui era il sovrano delle fate, ma lei era Anna di Arendelle e quello era il suo matrimonio!

Si girò di scatto per tornare su suoi passi e finì addosso ad Elsa.

- Anna...

- Ah, sei... sei tu.

Persino Elsa sembrava accaldata. Un effetto strano e bellissimo. Il lieve rossore sugli zigomi, gli occhi nei quali le sembrava di specchiarsi perfettamente, i capelli argentei nella penombra. La curva della bocca le appariva pura e perfetta. Era come guardare un dipinto.

- Stavo... stavo per rientrare, sai... volevo... – iniziò Anna. Ma si rese subito conto di essersi scordata il motivo per cui voleva rientrare. Si era scordata di Oberon, del folletto, degli invitati. Di tutto. Non voleva affatto rientrare.

Voleva restare lì, con Elsa china su di lei, dolorosamente vicina.

Anna rimase immobile per un istante, poi si liberò dei guanti bianchi, gettandoli via, le allacciò le braccia intorno alle spalle e premette il viso contro il suo collo. Chiuse gli occhi, per escludere il mondo con le sue sfumature troppo accese, per escludere la luce al di là delle finestre, lo scintillio del cielo, il chiacchiericcio distante. Respirò l’odore di Elsa, sentendo il battito del suo cuore contro il proprio.

- Anna. – ripeté lei.

Alzò gli occhi sui suoi, adagio, sperando di non trovarvi un rifiuto.

E avrebbe dovuto trovarlo, il rifiuto. Sarebbe stato meglio. Sarebbe stato giusto.

Non lo trovò. Lo sguardo di Elsa era fisso nel suo ed era uno sguardo chiaro, trasparente come vetro, pieno di desiderio. La regina di Arendelle sollevò una mano e cominciò a toglierle le forcine dai capelli, lasciando che le ciocche ricadessero sulle spalle scoperte.

È una follia, si disse Anna, senza sapere che Elsa aveva pensato la stessa cosa quando l’aveva baciata per la prima volta, nei giardini, non molto lontano da dove si trovavano in quel momento.

Ma a lei piacevano le follie. Le piaceva quella follia.

Elsa accostò la guancia alla sua. Il respiro contro il suo orecchio la fece rabbrividire. – Anna... sei così bella. Sei assolutamente perfetta.

Anna cercò di parlare, ma emise soltanto un gemito.

- Volevo farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a smettere di guardarti... – Le parole uscivano dalla bocca di Elsa senza alcun freno. Se faceva una pausa tra una frase e l’altra era solo perché aveva il respiro corto, affannato. – Ma lo sai già, vero?

- So... che?

Elsa la baciò. L’aveva già baciata, ma sempre con molta attenzione, in modo incerto, prudente, come se temesse di farle del male.

Questo bacio era diverso. Era più profondo, più frenetico. Ad Anna bruciavano le labbra e le bruciava anche il sangue nelle vene. Il piacere era intenso ed era anche struggente, una sensazione spaventosamente pressante che dilagava e la sommergeva.

 

***

 

Oberon diede a Puck un bel calcio nel sedere, colpendolo proprio con la punta dello stivale. – Imbecille! Cosa ti è saltato in mente? Non riesci a renderti conto di quello che hai fatto, vero?!

- Mio signore, siate magnanimo – implorò Puck, rialzandosi in piedi e incassando la testa nelle spalle. – Volevo solo aiutare.

- Aiutare? Nessuno te l’ha chiesto!

- Ma non ce n’era bisogno, mio signore. Non avete visto anche voi...

- Ho visto molto chiaramente, Puck! E ti avevo raccomandato di non combinare pasticci!

- Posso... posso porvi rimedio, se il mio signore lo desidera.

- Certo che lo desidero! Ma ci penso io a porvi rimedio. Sei capace di complicare ancora di più le cose. E non sia mai che qualcuno si accorga di quello che sta succedendo. Maledetta Titania! Mi sentirà, te lo assicuro.

- Che cosa sta succedendo?

Oberon si voltò, con i grandi occhi azzurri dilatati. – Ah, salve, Christopher.

- Veramente il mio nome è Kristoff – lo corresse lui.

- Certo, naturalmente.

- Mi è sembrato di capire che avete dei problemi.

- No, è tutto a posto. Questo maledetto essere mi era sfuggito e ha rischiato di combinare un guaio. Ma non vi preoccupate. L’ho riacciuffato.

- Vedo.

Ci fu silenzio. Poco più in là la renna di nome Sven ciondolava, con l’aria assonnata.

- Se state cercando vostra moglie, credo che... sia di sopra – disse Oberon.

Puck osservò Kristoff, sbirciando da dietro la schiena del re.

- Di sopra?

- L’ho vista salire le scale. Starà ancora cercando Puck insieme alla regina. Ho chiesto loro di aiutarmi. Vi prego, informatele che è tutto sotto controllo e che me ne sto andando. Non ho intenzione di permettere a questo folletto di... combinare qualche pasticcio ben più serio. Titania me la pagherà, oh se me la pagherà! È stata un’idea sua.

Kristoff non vedeva l’ora che se ne andasse, in effetti. – Bene, allora...

- Ah! Non disturbatevi ad accompagnarmi, Krusoff. Conosco la strada.

- Non intendevo affatto accompagnarvi. – Evitò di correggerlo di nuovo. Aveva l’impressione che il sovrano delle fate avesse capito benissimo il suo nome, ma lo sbagliasse di proposito.  

 

***

 

- Aspetta... che? Cos’è successo? Cos’ho fatto ai capelli? Lo sapevo che avrei dovuto farmi le trecce. E dove ho messo i guanti? Perché non ho più i guanti? – Anna parlava a raffica. Aveva la testa leggera, come se avesse bevuto troppo.

Elsa scosse il capo. Si chiese immediatamente per quale motivo fosse in giardino, sdraiata sul prato vicino a sua sorella, la cui acconciatura si era disfatta. Ora i capelli ricadevano liberi sulle spalle. Inoltre il vestito da sposa non era più così immacolato.

- Che cosa ci facciamo qui fuori? – chiese la regina di Arendelle, frastornata. Aveva avuto l’impressione di udire uno scampanio nelle orecchie prima di rendersi conto di non essere più in salone. L’ultima cosa che ricordava era Anna che le diceva che il folletto di Oberon si era mangiato tutte le palline di cioccolato. Dopo... il vuoto. Un buco nero.

- Oh, signore mie... è colpa di Puck e sono davvero rammaricato – Oberon porse la mano ad Elsa per aiutarla ad alzarsi e fece lo stesso con Anna. Sorrideva, mettendo in mostra denti lucenti e perfetti. – Avete bevuto quella limonata, vero? Questo essere ci ha messo dentro un po’ di polvere elfica. Una di quelle polveri che... vi fa fare cose che altrimenti non fareste di certo. Tipo... tipo danzare. Stavate danzando al chiaro di luna.

- Danzando? – Elsa si sforzò di scacciare la confusione. Si portò le dita alle labbra. Non seppe nemmeno dire perché lo fece. Le toccò e basta. – Anna, stai bene?

- Credo... credo di sì. Ho trovato i guanti. Davvero stavamo ballando?

- Sì, sì – rispose Oberon, in fretta e annuendo vigorosamente. Persino Puck annuiva, stringendo il suo berretto fra le mani. – Stavate danzando ed era un bellissimo spettacolo, ma non avrei mai voluto che qualcuno vi vedesse... così.

Anche Anna si portò le dita alle labbra dopo essersi rimessa i guanti. Notandola, Elsa si chiese se Oberon stesse dicendo loro la verità o se stesse tralasciando qualcosa di proposito.

Ma cosa?

I pensieri che le attraversarono la mente veloci come lampi la riempirono di sgomento. Spalancò gli occhi, fissando quelli azzurri del sovrano delle fate. Fiocchi bianchi comparvero intorno a lei.

- Tutto bene – rispose Oberon. – Sarà meglio che io... me ne vada. E alla svelta. Vi ringrazio per l’ospitalità, Vostro Splendore. È stato un matrimonio... con i fiocchi. Le fate non avrebbero saputo fare di meglio. Lo dirò a Titania. E con te, stupido folletto, facciamo i conti dopo. – Rifilò un altro calcio nel sedere a Puck, costringendolo a mettersi in moto.

- Pensavo che avessimo già fatto i conti, mio signore.

- Ti sbagli di grosso. Non abbiamo neppure incominciato. Cammina!

Quando non ci fu più alcuna traccia di Oberon, Anna guardò Elsa, che fece sparire i fiocchi con un gesto seccato della mano.

- Wow... beh... fortuna che nessuno ci ha viste... ballare. Penso che sarebbe stato davvero imbarazzante. Avevo capito subito che quel... come si chiama... Oberon avrebbe portato solo guai. Lui e il suo folletto. Voglio dire, non che abbia qualcosa contro i folletti. Figurati, perché dovrei? Sono solo folletti... – Il tono di Anna non era per niente convinto. L’ultima cosa che ricordava era se stessa intenta a bere un bicchiere di limonata e a dire ad Elsa che quella bevanda aveva un sapore strano. – Tu... ricordi qualcosa?

Elsa frugò nella sua mente, ma fu inutile. Non c’era niente.

Osservò Anna; aveva gli occhi scintillanti, le guance arrossate, i capelli disordinati, quasi qualcuno vi avesse infilato le mani. Si passava la lingua sulle labbra, come se, su di esse, fosse rimasto qualcosa... la traccia di un sapore. Un...

“Cos’è questa roba?”.

“Limonata?”.

“Ha uno strano sapore, per essere solo limonata”.

- Elsa? Stai bene?

Non ne era sicura.

- Sì...

- Forse dovremmo...

- Rientrare... certo.

- Mai più elfi e folletti alle feste, ti prego. Mai più elfi e folletti ai matrimoni. Anzi, che ne dici di: mai più elfi e folletti ad Arendelle?

“Ma lo sai già, vero?”.

“So... che?”.

Elsa si chiese da dove venisse quello stralcio di conversazione. Dal buco nero, forse. Dal vuoto che si era creato nella sua mente a causa della polvere elfica. Cos’altro c’era in quel vuoto? Cos’aveva fatto? Cos’avevano fatto? Forse si stava preoccupando inutilmente e Oberon aveva detto la verità? Non sembrava... sconvolto. Sembrava rammaricato e, al tempo stesso, divertito, anche se aveva preso a calci il suo folletto.

Si girò verso la sorella e le tese la mano. Anna gliela strinse.

- Sì, mai più elfi e folletti ad Arendelle. D’accordo.

 

***

 

 

Angolo autrice:

 

La citazione all’inizio del capitolo è presente anche in Shadowhunters: Il principe di Cassandra Clare, così come il riferimento alla polvere magica che scioglie le inibizioni è ispirato ad un episodio del romanzo. In quel caso si trattava di polvere stregonesca e non di polvere elfica.

Oberon e Puck, così come anche Titania, sono personaggi di Sogno di una Notte di Mezza Estate di Shakespeare. Nel capitolo ci sono diversi riferimenti all’opera originale (per esempio, il succo del fiore di Cupido che ha fatto invaghire Titania di Nick Bottom, trasformato in un somaro da Puck).

 
E niente. Spero che la storia vi piaccia e che continuerete a seguirla.


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Capitolo 3
*** Another Journey ***


3

 

  

 
“Se queste ombre vi hanno offeso, pensate
(e cada ogni malinteso)
Di aver soltanto sonnecchiato
Mentre queste visioni vi hanno allietato.
E questo tema ozioso e futile
Non più di un sogno vi sarà utile”

(William Shakespeare, Sogno di una Notte di Mezza Estate)

 

 
“Avete bevuto quella limonata, vero? Questo essere ci ha messo dentro un po’ di polvere elfica. Una di quelle polveri che... vi fa fare cose che altrimenti non fareste di certo. Tipo... tipo danzare. Stavate danzando al chiaro di luna”.

Elsa ricordava l’esitazione nelle parole e nello sguardo azzurro di Oberon. All’inizio non ci aveva badato, era troppo concentrata a cercare di ricordare cosa fosse successo in quel giardino. Era troppo concentrata sul timore di aver fatto qualcosa di... sbagliato. Ma c’era stata un’esitazione.

“Vi fa fare cose che altrimenti non fareste di certo”.

Elsa fissava le pergamene in futhark antico dispiegate sul tavolo del salone. Era riuscita a tradurre qualche parola in più e iniziava ad intuire che potesse trattarsi del resoconto di una battaglia avvenuta centinaia di anni prima. Tuttavia non era proprio in grado di studiare quelle pergamene. Erano trascorsi già alcuni giorni dalla sera del matrimonio ed Elsa non poteva levarsi dalla testa la faccenda della polvere elfica nella limonata.

“Credevo che le fate non si innamorassero”.

“Non lo fanno, infatti. E nemmeno mentono, principessa. Non che non esistano le eccezioni...”

Le fate non potevano mentire. E gli elfi? Oberon era il sovrano delle fate, ma era un elfo. Elsa non aveva mai sentito nulla riguardo alla capacità degli elfi di mentire. Potevano farlo? A lei sembrava che Oberon ne fosse capace. O forse era una delle eccezioni di cui lui stesso aveva parlato.

“Ma lo sai già, vero?”.

Quello stralcio di conversazione... quello stralcio che veniva dal buco nero nella sua memoria. La sensazione che aveva percepito quando era tornata in sé. La sensazione... che qualcuno l’avesse baciata. Quel qualcuno le aveva anche morso le labbra. E dato che c’era solo sua sorella lì con lei...

Anna aveva tutti i capelli in disordine, le guance arrossate e gli occhi brillanti.

“Ma lo sai già, vero?”.

Perché aveva chiesto ad Anna una cosa simile? Che cosa sapeva?

“Stavate danzando ed era un bellissimo spettacolo, ma non avrei mai voluto che qualcuno vi vedesse... così”.

...che qualcuno vi vedesse così.

 

***

 

Il soldato finì gambe all’aria e perse anche l’elmo, che rotolò sui ciottoli del cortile, fino ai piedi di un’altra guardia, che sorrideva.

Anna strinse l’elsa della spada. – Siete stanco?

- No, principessa – rispose il soldato, alzandosi e scuotendo il capo. – Non sono stanco, ma voi siete troppo brava per uno come me.

- Ma non potete arrendervi! Abbiamo appena cominciato!

- In realtà abbiamo cominciato mezz’ora fa. Perdonatemi se ve lo faccio notare. – Si rimise l’elmo, calcandoselo sul capo.

- Oh! Davvero?

- Sì, davvero – intervenne Kristoff, avvicinandosi a sua moglie. – Anche perché sono qui da quando hai iniziato. Il tuo soldato ha ragione.

Sollevato, l’uomo raggiunse il suo compagno e insieme tornarono sui bastioni del palazzo.

- Gli hai dato una bella lezione. È stato... divertente – disse Kristoff, circondandole la vita con le braccia e posandole un bacio sulle labbra.

- Lo so. E mi hanno insegnato loro ad usare la spada. Credo che serva anche ai soldati scaldarsi un po’ i muscoli. Sai che alcuni dormono durante il turno di guardia? Elsa non vuole assumere nuovi soldati. Non che questi siano così male, però... forse hanno bisogno di qualche distrazione per non mettersi a dormire.

- Rimarranno svegli a lungo dopo questa batosta. Come te, stanotte. Sbaglio o non hai fatto altro che rigirarti?

- Sì... mi dispiace, ti ho disturbato?

- No. Ma dove sei andata? Ad un certo punto mi sono svegliato e non c’eri...

- Da Sven.

- Sven?

- Da Sven. Abbiamo... parlato un po’. Voglio dire, io ho parlato, Sven è rimasto ad ascoltare. Spero di non averlo annoiato troppo. Forse voleva dormire.

- Quindi preferisci la compagnia di Sven alla mia. Devo essere geloso?

- Credo che Sven preferisca la tua compagnia.

- Farò due chiacchiere con lui. In fondo possiede un certo fascino. Un fascino da renna.

La verità era che non aveva fatto altro che rigirarsi perché si era permessa di ripensare alla sera del matrimonio. A quel borioso di Oberon e al suo folletto. Sarebbe stato tutto perfetto se non fosse stato per quei due.

Le scocciava moltissimo non ricordare che cosa fosse accaduto. Si era detta che non era importante, che se nessuno l’aveva vista fare qualcosa di imbarazzante come ballare al chiaro di luna allora poteva lasciar perdere. Se con lei, in giardino, ci fosse stato qualcun altro, qualcuno che non aveva mai visto in vita sua, avrebbe potuto, se non fingere che non fosse successo, almeno convincersi che non c’era nulla di cui preoccuparsi, nulla per cui tormentarsi. Avrebbe potuto dirsi che si era trattato di un sogno e niente di più. Uno sogno che, come molti sogni, al mattino era svanito, risucchiato dalla luce intensa del giorno.

Ma si trattava di sua sorella. E non era sicura di aver solo ballato al chiaro di luna. Nemmeno Elsa lo era. Tutte le volte che i loro sguardi s’incontravano anche solo casualmente, Anna aveva l’impressione che sua sorella avesse dei sospetti, che condividesse i suoi stessi pensieri e le sue stesse preoccupazioni.

Prima di tutto avrei dovuto farmi le trecce. Poi mi chiedo perché il re delle fate si sia dovuto presentare al mio matrimonio. Terzo, mia madre, oltre a conoscere un pirata, conosceva anche un elfo irritante e borioso. Quarto, non berrò mai più limonate in vita mia.

 

***

 

- Elsa!

La regina di Arendelle distolse lo sguardo dalle pergamene. Anna entrò in salone, correndo e con un foglio ingiallito arrotolato e stretto nella mano destra.

- Anna, cos’è successo?

- Elsa... sei ancora su quelle pergamene?

- Ehm, sì.

- Sono stata da Gran Papà. Gli ho parlato della polvere elfica e...

Elsa la fissò con gli occhi sgranati. – Hai parlato a Gran Papà di quello che... è successo al matrimonio?

- No, certo che no... cioè, sì, gliene ho parlato, ma non gli ho raccontato tutto. Gli ho solo detto che qualcuno ha messo della polvere elfica nella mia limonata e che, a causa di quella polvere, mi sono comportata... in modo strano, ma non ricordo cosa sia successo esattamente. Volevo che mi aiutasse a ricordare.

- E... hai ricordato?

- No. Gran Papà ci ha provato, ma ha detto che la magia elfica può essere annullata solo da un elfo. Quindi da Oberon. Non possiamo ricordare, ma... abbiamo ottenuto qualcosa. È pur sempre un inizio.

- Non abbiamo ottenuto niente, Anna.

- Invece sì. Sappiamo che solo un elfo può annullare l’incantesimo sulle nostre menti. Un elfo o una fata. Ma non hai ancora sentito la parte migliore... Gran Papà mi ha detto anche come trovare Oberon. Mi ha dato una mappa.

- So anch’io dove vive Oberon. Alla Corte Seelie.

- Già. E Gran Papà mi ha anche detto come entrare, anche se mi ha sconsigliato di andarci. Conosce Oberon e lo giudica una persona... irritante e poco affidabile. E ha ragione. Ma se non ci andiamo non sapremo mai cos’è successo. – Anna era entusiasta. Sembrava che non stesse parlando di un viaggio in chissà quale regno sconosciuto, ma di qualcosa di emozionante, che non comportava pericoli di alcun genere. – É a Misthaven.

- Oh... Misthaven!

- In realtà la nave dovrebbe approdare più a est rispetto al punto in cui sono approdata la scorsa volta.

- Non posso, Anna. Sono la regina. Mi è impossibile abbandonare il regno.

- Non è vero, è solo una scusa.

- Una scusa? Abbiamo sconfitto Hans, ma prima o poi potrebbe anche riprovarci. Lui o uno dei suoi fratelli...

- Non ci riproverà. Non ora. Sono sicura che si sta ancora leccando le ferite. E il suo occhio nero non sarà neppure guarito. Te lo ricordi, il suo occhio, no? Insomma, io ho ancora i lividi!

- Anna...

- Hai anche mandato delle spie nelle Isole del Sud. Puoi sempre rivolgerti a loro per sapere che cosa sta combinando.

- E Kristoff? Cos’hai intenzione di raccontare a Kristoff?

- Gli ho già detto che il folletto di Oberon ha fatto qualcosa alla mia mente. Vorrebbe venire con me ma l’ho convinto a non farlo. Qualcuno deve pur rimanere qui.

“E quanto ci metterai a tornare indietro, stavolta?”.

“Poco. Davvero. Dammi due... no, due settimane no. Facciamo un mese”.

“Un mese?”.

“Tre settimane? Questa volta la situazione è diversa”.

“Ma il posto è lo stesso, se non sbaglio. Misthaven. E questa... come si chiama...”

“Corte Seelie. E il re si chiama Oberon. E la regina Titania”.

“D’accordo, lasciamo perdere i loro nomi. Potrebbe essere pericoloso”.

“Sai che me la caverò. E poi la scorsa volta sono tornata sana e salva. Ho persino... dato una lezione a quel mago malvagio con problemi alla pelle, perché, al contrario di lui, io sono molto più carina e gentile”.

“Ah, su questo non c’è dubbio. Penso che tutti sarebbero d’accordo”.

“Non Belle, probabilmente. Lei proprio no. Scommetto che a lei non danno fastidio i suoi problemi alla pelle. Devo andare laggiù, Kristoff. So che mi capisci”.

“É davvero così importante? Cosa pensi che sia successo?”.

 “Sì che lo è. Insomma, è frustrante avere dei vuoti di memoria. Potrei aver fatto qualcosa di cui... dovrei pentirmi. Mi rende nervosa e mi irrita. Come mi irrita Oberon. E il suo folletto, anche. Un folletto non mi ha mai irritato tanto quanto Puck. Non che io abbia spesso a che fare con dei folletti... beh, a parte Tremotino. Sai, lui ha qualcosa dei folletti. Gli occhi, forse. Anche la statura. Non è molto alto”.

- Se non vuoi venire con me, posso andarci da sola. Tornerò con i miei ricordi e anche con i tuoi – disse Anna.

- Non andrai da sola. Toglitelo dalla testa! – La voce di Elsa salì di tono. Risuonò secca e dura. Le ricordò quando era venuta a trovarla nella cella in cui Ingrid l’aveva rinchiusa. Allora era una finta, solo un tranello per ingannare la Regina delle Nevi, ma Anna aveva avuto paura che Elsa non le credesse, che fosse realmente arrabbiata con lei. Erano stati minuti terribili.

Anna la fissò, senza dire niente.

- Non voglio che tu parta da sola – continuò sua sorella.

- Hai solo paura di scoprire che cos’è successo davvero quella sera!

Fu Elsa a rimanere in silenzio, stavolta.

- Scusa... non volevo dire... – iniziò Anna, arrossendo. – Anzi, sì. Volevo dirlo. Perché è quello che penso. Forse non avrei dovuto dirlo in quel modo, ma l’ho detto, quindi... e se è così, lo capisco. Me lo puoi dire. Perché sono tua sorella e puoi dirmi qualsiasi cosa, ma anche perché anch’io ho paura. Per me non è diverso.

Elsa la guardò per un lungo istante, continuando a tacere. I suoi occhi scrutarono intensamente il viso di Anna. Grazie alla luce del sole che giocava con le ombre del salone lo sguardo della regina sembrava possedere una sfumatura più azzurra.

Per qualche istante parve lottare contro se stessa. Poi colmò la distanza che la separava da Anna e le prese entrambe le mani.

- Sì, io... – iniziò Elsa. Le sfuggì, distogliendo lo sguardo. – Sento che è tutto qui, nella mia mente. Ma non sono sicura di volerlo sapere. Ho paura di aver fatto... di averti fatto qualcosa di male.

- Perché sei convinta di essere l’unica colpevole? Qui nessuno è colpevole, a parte quella maledetta polvere elfica. E Puck. E Oberon, naturalmente. Non sai quanto vorrei prenderlo per le orecchie a punta e sbatterlo giù dal suo trono... Oberon, intendo.

- E Puck no?

- Anche. Ma prima Oberon. Sia per la polvere elfica che per il modo in cui si è rivolto a te.

- Come si sarebbe rivolto a me?

- Non l’hai sentito? Tutti quei... Vostro Splendore. Vostra Magnificenza. È un borioso.

Elsa si concesse un sorriso. – Non so bene quante volte l’hai già ripetuto.

- Non lo consideri un borioso?

- Credo che volesse solo essere cordiale.

Anna aggrottò la fronte. – Cordiale? Voleva essere tutt’altro che cordiale, infatti ti stava sempre appiccato. E non era stato invitato. Ricordami di dirglielo quando lo vedrò. Cioè, quando lo vedremo.

Elsa posò le dita sulla sua nuca e l’attirò più vicina a sé. Appoggiò la fronte contro quella della sorella. Anna chiuse gli occhi e trattenne il respiro, destabilizzata dall’improvvisa vicinanza.

- Va bene – disse Elsa.

- C-Cosa?

- Verrò con te a Misthaven. Alla Corte Seelie.

- Sul serio? – Anna si scostò leggermente e guardò Elsa con occhi grandi e pieni d’entusiasmo.

- Ti ho detto che non saresti più andata in nessun posto in cui io non possa raggiungerti. Credevi che scherzassi?

- No... una regina come te non scherzerebbe mai su una cosa del genere.

 

***

 

Partirono tre giorni dopo.

Le spie di Elsa inviate nelle Isole del Sud dopo la sconfitta di Hans non portarono notizie preoccupanti. Il principe si stava ancora leccando le ferite, come aveva sperato Anna, e i suoi dodici fratelli erano occupati fra taverne, bordelli o erano intenti a rimuginare su quanto era accaduto. Si diceva che alcuni di loro si sarebbero rifiutati di seguire Hans in un’altra impresa suicida come quella che li aveva quasi condotti alla morte.

Quasi nessuno seppe che la regina stava lasciando il regno. La mattina della partenza si imbarcarono su una nave mercantile piccola e anonima, usando due nomi falsi. Anna si presentò come Joan e scelse per sua sorella il nome Eiry.

- Eiry? – esclamò Elsa, dopo che furono salite sulla nave.

- Stavo improvvisando e ho detto il primo nome che mi è venuto in mente. O forse l’ho letto in qualche storia. Ti sta benissimo, Eiry.

- Oh... sì?

- Preferivi qualcos’altro? Qualcosa tipo... Christine... o Henrietta?

- Henrietta? Che nome sarebbe?

- Non lo so. Un nome orribile. Voglio dire, un nome orribile da dare a te. Chi ha il coraggio di chiamare la propria sorella Henrietta?

Elsa sorrise.

- Forse preferivi che ti chiamassi Emma.

Un attimo di silenzio.

- Perché mi dici questo? – volle sapere Elsa, guardandola con il sopracciglio aggrottato.

- Beh, perché Emma è un nome da Salvatrice. È un bel nome. Sono sicura che tu lo consideri un bel nome. E lo è. È mille volte meglio di Henrietta. Poi visto che ti fidavi tanto di Emma...

- Tu no?

Ad Anna occorse qualche secondo per rispondere. – Certo. È stata così gentile con te. L’ho ringraziata, sai?

- E allora?

- Niente. Cioè, no, è che... non ho potuto fare a meno di notare quanto foste legate. Non che questa sia una brutta cosa. Trovo sia molto bello. Eri da sola, in un mondo che non conoscevi e, per fortuna, c’era qualcuno disposto ad aiutarti. Scommetto che hai lasciato un gran vuoto nel cuore di Emma... o meglio, se io fossi Emma sentirei un gran vuoto perché non ci sei più. Magari avrebbe voluto tenerti con sé a Storybrooke...

- Anna.

- Sì?

- Respira.

- Lo sto facendo.

Elsa abbassò il cappuccio della mantella che aveva indossato quella mattina, prima di lasciare il palazzo. – Non pensavo che ti desse fastidio.

- Non mi dà fastidio! – si affrettò a dire Anna. Poi roteò gli occhi. – Okay, va bene. Forse un po’ sì. Ma non devi spiegarmi niente.

- Emma era un’amica. La sentivo molto vicina perché eravamo... siamo molto simili. Mi ha aiutata quando ho usato i miei poteri per intrappolare la città. Avrebbe potuto non farlo, ma si è fidata di me. È per questo che tra noi si è creato un legame.

- É la stessa cosa che ha detto Kristoff.

- Kristoff?

- Beh, anche lui l’ha notato. E credo abbia notato che io l’avevo notato. Insomma, hai capito, no?

Elsa aveva capito benissimo, per questo l’aveva abbracciata

 

***

 

La nave fece rotta verso Misthaven e vi approdò una mattina soleggiata, due giorni dopo aver levato l’ancora ad Arendelle. Il capitano, un uomo di poche parole e che era abituato a non fare domande, aveva detto loro che c’era la possibilità di attacchi da parte di navi pirata durante la traversata.

- Non vi voglio indorare la pillola. Abbiamo avuto seri problemi mentre ci dirigevamo verso Arendelle. Siamo riusciti a respingerli perché i miei uomini sono tutti addestrati e perché erano in pochi. Ma non so come sarà, nel tornare indietro.

- Oh, pirati! – aveva esclamato Anna. – Vi supplico, no. I pirati no. L’ultimo pirata che ho conosciuto mi ha chiusa in un baule. Con l’aiuto di... beh, di qualcun altro. Non era l’ultimo che ho conosciuto, in realtà. Ne ho conosciuto un altro, dopo, solo che...

Il capitano aveva aggrottato le folte sopracciglia scure.

- Sì. In un baule. Ci credereste? Volevano che morissi annegata. Anzi, che morissimo. C’era anche Krist... ehm, voglio dire... un mio amico.

- Oh.

Elsa aveva interrotto la sorella prima che potesse parlare troppo. – É una storia complicata.

Non ci furono attacchi da parte di navi pirata, comunque.

Anna consultava spesso la mappa che le aveva fornito Gran Papà, borbottando frasi sconnesse fra sé e sé.

Quando giunsero a Misthaven tenne sempre la mappa sott’occhio, soprattutto quando la foresta si chiuse su di loro e si ritrovarono a camminare fra sassi, rovi, sentieri coperti di erbacce, alberi secolari e a tendere le orecchie ogni qualvolta udivano un rumore provenire dal folto della boscaglia.

- Quanto dovrebbe mancare? – chiese Elsa, ad un certo punto, mentre osservavano un enorme tronco caduto, che sbarrava loro il passaggio.

- Non molto. Almeno, non molto secondo la mappa. Il lago dovrebbe essere vicino.

- Il lago?

- Giusto. Non ti ho detto come si entra alla Corte Seelie. Dal lago. Dobbiamo attendere che cali la notte e quando la luna piena si rifletterà sulle acque del lago... beh, allora potremo entrare.

- Nel senso che vedremo una porta magica?

- No. Si entra attraverso il riflesso della luna. Insomma, sì, il riflesso sulle acque è una porta.

- Dobbiamo tuffarci nel lago?

- Ehm... lo so che non è un’idea grandiosa. L’acqua sarà sicuramente fredda – Anna, dopo aver cercato di aggirare il tronco caduto, decise di provare a scavalcarlo. – E quindi sarà spiacevole. Per me, voglio dire. Non per te. Ma non c’è un altro modo per entrare, Gran Papà è stato molto chiaro.

Anna stava per aggiungere qualcos’altro riguardo alla Corte, al riflesso che diventava una porta al momento giusto e riguardo a quanto le dispiacesse doversi immergere nell’acqua gelata, ma scivolò sul muschio che ricopriva il tronco e cadde dall’altra parte, accompagnando la caduta con un gridolino di sorpresa e uno svolazzo di gonne blu e mantella rossa.

- Anna! Ti sei fatta male? – domandò Elsa, allarmata, raggiungendola e scivolando a sua volta.

Lei si sollevò, portandosi una mano alla testa. – Ouch. No. Credo di no.

Elsa la prese per mano e l’aiutò a rialzarsi. Un lungo ciuffo di capelli rossi le pendeva davanti al viso, scompostamente. Le sarebbe di sicuro uscito un livido sul fianco e si era sbucciata un po’ le nocche.

- Sei ferita – le fece notare sua sorella.

- Oh. Non è niente. Sono abituata alle cadute. Avresti dovuto vedere quella dal ciglio della montagna.

Elsa non commentò. Anna alzò la testa per guardarla e vide che la sua espressione era tesa.

- Va bene. Forse è meglio non parlare di cadute. Soprattutto di cadute come... come quella. Ogni tanto, di notte, sogno ancora di cadere, sai? Qualche notte prima del matrimonio ho sognato di essere di nuovo sul ciglio della montagna. Sapevo che sarei caduta, ma continuavo a camminare. È stato la notte in cui anche tu hai avuto quell’incubo ed io sono venuta nella tua stanza a svegliarti.

Elsa sfiorò le sbucciature sulle nocche con la punta delle dita, poi si portò la sua mano alle labbra e vi depositò un bacio. Un bacio leggero, ma stranamente prolungato.

Anna rimase là, a guardarla, con la bocca semiaperta. E gli occhi incollati a quelli di Elsa. Così... simili ai suoi.

Incollati alle sue labbra.

Desiderò ardentemente che Elsa la baciasse. Voleva che l’attirasse a sé e la baciasse, come aveva fatto quel giorno, nei giardini di Arendelle. Un bacio. Anzi, no. Più di uno. Sulla bocca, sul collo, sulla guancia. Doveva baciarla e basta.

E rendendosi conto che Elsa, forse, non l’avrebbe fatto, si sporse per farlo lei stessa. La sorella non si ritrasse, emise solo un sospiro. Un sospiro che sapeva di rassegnazione, di sconfitta. E di attesa.

Un ramo si spezzò con uno schiocco secco.

Risuonò un TUMP.

Udirono entrambe dei passi in avvicinamento.

Elsa si girò di scatto, portando subito una mano avanti, pronta a scagliare il suo potere contro chiunque avesse tentato di far loro del male, mentre con l’altro braccio spingeva Anna più indietro.

- Elsa! – iniziò Anna.

C’erano tre persone davanti a loro, sbucate dal nulla.

Erano donne ed erano armate. Due impugnavano le lance, la terza aveva un’ascia appesa alla cintura, l’arco e la faretra piena di frecce agganciate alla schiena. A giudicare dagli abiti, erano delle guerriere. Avevano braccia forti e fisici atletici, nonché l’aria di chi non si lasciava intimorire facilmente.

Aspetta, che?

Non credeva ai suoi occhi. Per la seconda volta in pochi giorni Anna non credeva ai suoi occhi.

- Chi siete? – domandò la donna con l’ascia, venendo avanti di un passo.

Le sorelle restarono un attimo interdette.

Chi siamo noi?, pensò Anna. No, chi siete VOI?

- Ho chiesto chi siete – E questa volta non era più una domanda. Gli occhi neri le scrutavano, aspettandosi qualcosa e subito.

- Oh. Beh, dunque... mi chiamo Joan. E questa è mia sorella Eiry – rispose Anna, venendo avanti di un passo, mentre stringeva il braccio di Elsa. Arrotolò la mappa e offrì loro un sorriso che avrebbe dovuto risultare incoraggiante.

- Joan, eh? Che strano nome. Non sembrate del posto – le fece notare la donna con l’ascia, guardinga.

Le due compari abbassarono un po’ le lance.

- Infatti non lo siamo. Noi veniamo da Ar... – Anna si interruppe appena in tempo. – Da nord.

- Da nord? Ci sono molte cose a nord.

- Ci dispiace molto – intervenne Elsa. – Non volevamo entrare senza permesso nel vostro territorio. Siamo dirette a...

- Nel loro territorio? – disse Anna.

La guerriera con l’ascia allungò una mano, fulminea, e strappò la mappa dalle mani di Anna.

- Ehi! Ma che...?

Con un fruscio la mappa venne srotolata.

- Che cos’è, Varja? – chiese una delle due guerriere bionde che reggevano le lance.

- Una mappa. La Corte Seelie! – Varja alzò gli occhi. Sembrava molto divertita. – E cosa c’è di così importante per voi alla Corte Seelie?

- Beh, i nostri... – cominciò Anna. Sbatté le palpebre. – Qualcosa che ci appartiene e che... dobbiamo riprenderci. Quindi, se volete scusarci... noi andremmo.

Alle loro spalle vi furono dei movimenti. Tramestii, passi, foglie secche schiacciate dalle suole degli stivali. Le tre guerriere non erano venute da sole.

Presumibilmente erano circondate.

Nel girarsi, Elsa colse il balenio di una punta di lancia che le parve un po’ troppo vicina al corpo di sua sorella.

- Ferma! – gridò. Le sue dita sfiorarono l’arma della guerriera.

Anna ebbe il tempo di contare altre sei donne, tutte con abiti in pelle o in cuoio, tutte con le armi in pugno e tutte in atteggiamenti poco amichevoli.

Poi la punta della lancia cominciò a ghiacciare. Il gelo si diffuse lungo l’asta in legno, minacciando le mani della guerriera, che lanciò un’imprecazione e gettò via la sua arma.

- Che cosa sta succedendo? – gridò Varja.

Fiocchi di neve presero a turbinare intorno ad Elsa.

Le voci si sovrapposero, in una cacofonia che si fece subito preoccupante.

- Varja!

- É magia!

- State indietro!

- É un mostro!

- Non date del mostro a mia sorella!

Una freccia sbucò dal folto degli alberi, seguita subito da una seconda. Sibilarono, tagliando l’aria e dirigendosi verso il bersaglio.

Elsa sollevò entrambe le mani. Esplose un fascio di luce biancoazzurra e le frecce congelarono all’istante, precipitando sull’erba.

Altre guerriere uscirono allo scoperto. Puntarono asce, lance, spade e incoccarono altre frecce. 

- Dì a tua sorella di fermarsi – ordinò Varja, rivolta ad Anna. – Qualsiasi cosa stia facendo, dille di smettere o le mie compagne vi attaccheranno. Non credo che possa affrontarle tutte e, anche se potesse... non glielo consiglio. Dovrà combatterci e, allo stesso tempo, proteggere te. E non ha l’aria di una donna che uccide senza farsi problemi.

- Io non voglio farvi del male. Mi dispiace... – iniziò Elsa, sconvolta da ciò che stava accadendo. I fiocchi continuavano a roteare intorno a lei. Le guerriere la fissavano con gli occhi sbarrati, ma non indietreggiavano. Anzi avanzavano, un passo alla volta, pronte a colpire.

- Silenzio! – gridò Varja.

Anna afferrò saldamente la mano della sorella, intrecciando le proprie dita alle sue. Le rivolse un’occhiata. Voleva rassicurare Elsa, ma era convinta che i suoi occhi trasmettessero angoscia e non sicurezza.

Tuttavia Elsa agitò una mano e i fiocchi scomparvero.

Le guerriere si avvicinarono ancora, formando un cerchio intorno a loro.

- Adesso venite con noi – annunciò Varja, freddamente.

- Venire con voi... dove? – chiese Anna.

- Dalla regina. Legate bene le mani della bionda. Non voglio sorprese.

- Non potete legare mia sorella! Non voleva farvi male! E se legate mia sorella allora dovrete legare anche me. Pensate che io non possa darvi una lezione se...

- Avete sentito cos’ha detto Joan, se è davvero questo il suo nome? Vuole essere legata!

Alcune ridacchiarono.

- Accontentiamola. Asteria, Agave... legate anche lei. Abbiamo un po’ di strada da fare, ma credo che la regina avrà molte domande per voi.

- Ma quale regina? – chiese Anna, osservando le due guerriere che erano apparse con Varja armate di lance unire i polsi di Elsa per potervi passare la corda intorno.

- Ippolita – Varja parlò come se si stesse rivolgendo ad una povera stupida. – La Regina della Amazzoni. Camminate!

 

***

 

 

Angolo autrice:

 

Ciao a tutti e buon anno, cari lettori!

Primo capitolo di questo 2015. Urge qualche spiegazione:

La citazione iniziale, tratta da Sogno di Una Notte di Mezza Estate, appartiene al folletto Puck ed è parte della battuta che chiude l’ultimissimo atto della commedia.

Asteria e Agave sono nomi di Amazzoni e pure Ippolita, che è, come Oberon, Titania e Puck, un personaggio di Sogno di Una Notte di Mezza Estate. Varja, invece, è un nome che mi sono inventata di sana pianta. Non ha un significato particolare, o almeno non credo. Mi piaceva semplicemente il suono.

Eiry, il falso nome di Elsa, è di origina nordica e significa “neve”. Me l’ha suggerito un amico. Mentre Christine ed Henrietta non sono messi lì a caso. Sono i nomi di personaggi interpretati da Georgina Haig in altre serie/film.

L’idea del riflesso della luna sulle acque del lago come porta per accedere alla Corte Seelie è presente anche in ShadowhuntersThe Mortal Instruments.

 
E niente. Penso sia tutto. Mi auguro che la storia sia di vostro gradimento. Ovviamente ogni critica, anche la peggiore, è gradita. ^_^


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Capitolo 4
*** The Queen of Amazons ***


4

 

 

 

 «A volte non sono le risposte, che si cercano»
«E cosa si cerca?»
«Qualunque cosa ci faccia sentire meglio»

[Once Upon a Time, Family Business, Anna e Belle]

 

 

Camminarono.

Camminarono per un bel pezzo.

Anna venne legata proprio come Elsa ed entrambe furono affiancate da due Amazzoni, che stringevano loro un braccio, spingendole in avanti quando inciampavano o rimanevano indietro. Varja era accanto ad Elsa, mentre l’Amazzone chiamata Asteria teneva d’occhio Anna. Altre guerriere procedevano stando davanti e dietro di loro, tra sentieri invasi dalle erbacce e cespugli pieni di spine.

Le guerriere si muovevano con sicurezza, conoscevano la foresta palmo a palmo e non parlavano molto. Anna borbottava continuamente e si lamentava, ma veniva zittita dalla voce grossa di Varja o da qualche Amazzone che la pungolava con la lancia.

- Si può sapere dove ci state portando? – chiese Anna, forse per la decima volta da quando erano state fatte prigioniere.

- Siamo quasi arrivate – rispose Varja.

- Questo l’avete già detto parecchio tempo fa. Ore fa, credo!

- Sì e allora?

- E allora, se fossimo quasi arrivate dovremmo...

- Intendi tenere la bocca chiusa per più di due passi, Joan, oppure vuoi essere imbavagliata?

Ad Elsa non piacevano affatto gli sviluppi della situazione. Lanciava occhiate allarmate a sua sorella ed Anna la ricambiava con sguardi altrettanto preoccupati, sebbene cercasse di tenere testa a Varja e alle sue compagne.

È colpa mia se siamo in questa situazione, pensava la regina di Arendelle, muovendo i polsi tenuti uniti dalle corde. Se non avessi usato il potere, ci avrebbero lasciate andare.

Quando aveva visto le guerriere aveva capito subito che si trattava di Amazzoni. Aveva letto storie incentrate su di loro nella biblioteca di famiglia e le aveva riconosciute per via delle armi e degli abiti che indossavano. Tuttavia non sapeva che cosa aspettarsi dalla regina. Ippolita.

Giunsero sul ciglio di un burrone. Varja ordinò a tutte di fermarsi. Per attraversare il baratro occorreva usare il ponte sospeso che univa le due sponde. Un ponte fatto di assi marce, stretto e lungo, che dondolava sopra quel vuoto terrificante.

- Dobbiamo attraversarlo? – domandò Anna, fissando il ponte con gli occhi sgranati.

- Naturalmente. O preferisci volare, Joan? – le chiese Varja, osservandola con il sopracciglio aggrottato.

- Potrebbe non reggere – le fece notare Elsa.

- L’abbiamo attraversato molte volte. Reggerà, se camminate con calma e se lo attraversiamo due alla volta.

Vi fu una breve pausa.

Elsa deglutì.

- Joan, visto che hai tanta voglia di chiacchierare, perché non chiacchieri attraversando per prima il ponte? Asteria, vai con lei.

L’Amazzone bionda le diede una spintarella. Anna vide il ponte ballare, colpito da una folata di vento e udì lo scricchiolio delle vecchie assi.

- No! – esclamò Elsa. – Posso creare un altro ponte. Più resistente. Lasciate che lo faccia, è...

- Non ci provare – Varja sganciò l’ascia dalla cintura e la puntò contro di lei. – Non mi fido del tuo potere. Prima hai rischiato di uccidere le mie sorelle.

Anna stava per intervenire, stava per dire a quell’antipatica di togliere l’ascia da sotto il naso di Elsa, ma Asteria aumentò la stretta sul suo braccio e la costrinse a voltarsi verso il ponte.

- Non volevo farvi del male.

- Sì, beh, questo lo dici tu, mia cara... Eiry. – Varja mise via l’ascia.

- El... Eiry. – disse Anna, sforzandosi di ricordarsi il falso nome di sua sorella. Non era per niente facile con una guerriera che la minacciava e un burrone che l’aspettava a braccia aperte. - Non preoccuparti. Non sarà poi così difficile. Camminare con calma, avete detto? Sì, camminare con calma. Io non sono così pesante. Reggerà.

- Muoviti, Jane – la interruppe Varja.

- Mi chiamo... Joan.

- Qualunque sia il tuo nome, datti una mossa. La regina ci aspetta.

Le fronde degli alberi frusciarono sopra le loro teste. Anna avanzò di qualche passo e mise un piede sul ponte.

Non guardare in basso. Non guardare in basso. Tanto non è così alto. Non lo è. È solo...

Guardò in basso.

Non era alto, infatti.

Era altissimo. Un abisso di roccia che sembrava non avere fondo.

Anna udiva lo scrosciare delle acque di un fiume, ma lontano. Lontanissimo. In confronto la sua caduta dal ciglio della montagna, quando era andata a far visita a Gran Papà insieme a Belle, non era niente. Era un salto da poco.

Asteria le mise una mano sulla spalla, pronta a darle un’altra spintarella. Anna salì sul ponte.

Scricchiolii sinistri. Un mulinello di vento che saliva dal basso le scompigliò qualche ciocca di capelli. I ciuffi le finirono davanti agli occhi, ma non li sistemò. Era troppo impegnata a mantenere l’equilibrio. Avrebbe tanto desiderato non avere i polsi legati, almeno avrebbe potuto aggrapparsi alle corde. O forse era meglio non aggrapparsi a niente. Forse, se si fosse aggrappata, avrebbe solo peggiorato la situazione.

Due passi in avanti. Asteria la seguiva e lei aveva l’impressione che l’Amazzone sogghignasse. Non poteva voltarsi per vederla, ma lo percepiva.

L’altra sponda del burrone sembrava distante miglia e miglia. Come se il ponte si fosse allungato per magia.

Altri due passi.

Elsa seguiva la traversata di Anna con il cuore in gola. Cercava anche di controllare il proprio potere per non innervosire ulteriormente le Amazzoni, ma lo sentiva agitarsi e premere per uscire.

Controllalo. Puoi farlo.

Anna mise un piede su un’asse di legno pericolante. Essa si spezzò con uno schiocco secco. Il ponte vacillò.

- Anna!

Lei barcollò. Vide una metà dell’asse che penzolava nel vuoto e poi si staccava, precipitando nell’abisso. Rimase là, ipnotizzata, a fissare il baratro, colta da una terribile ondata di vertigini.

- Vai avanti – le intimò Asteria. La sua voce era ferma, come se non fosse accaduto niente.

- Avanti... sì, vado avanti, certo – rispose Anna, raddrizzandosi. Chiuse un attimo gli occhi e prese un bel respiro prima di continuare.

Fiocchi di neve avevano ricominciato a volteggiare intorno ad Elsa.

Un passo. Poi un altro. E un altro ancora.

Quando arrivò dall’altra parte fu travolta dal sollievo e le ginocchia cedettero. Finì lunga distesa. Davanti a lei c’era un sentiero che si snodava nella foresta, improvvisamente più ombrosa e fitta.

- Tocca a te, Eiry – disse Varja, spingendo Elsa verso il ponte. – Non sei ansiosa di raggiungere la tua sorellina?

Elsa deglutì a vuoto, ignorando la forza di attrazione sprigionata dal baratro che voleva costringerla a guardare giù, come aveva fatto Anna.

- Sempre che si tratti di tua sorella – sussurrò Varja. – Ho i miei dubbi anche su questo.

Da quanto tempo le stavano seguendo, prima di uscire allo scoperto? Da quanto tempo le Amazzoni le osservavano?

Si sentì affluire il sangue alle guance. Se erano là da molto, era possibile che si fossero accorte di quella che stava per succedere fra lei e Anna. Anzi, a giudicare dal tono divertito di Varja, immaginava che avessero assistito all’intera scena.

- Avanti. Non possiamo restare qui tutto il giorno – disse Varja, pungolandola con il manico della sua ascia.

Elsa iniziò la traversata. Le assi crepitavano sotto i suoi piedi e il ponte dondolava, mandandole in subbuglio lo stomaco. Si rifiutò di abbassare lo sguardo e lo rivolse alla sorella, che si era rialzata in piedi faticosamente.

Tutto ciò le ricordava molto il suo sogno. Il suo incubo. Quello in cui si ritrovava a cercare Anna nei boschi di Storybrooke. Sentiva la sua voce che la supplicava di aiutarla, ma non riusciva mai a raggiungerla.

“Elsa, aiutami, ti prego!”

“Anna, dove sei?”

“Aiutami!”

E le ricordava anche il momento in cui aveva creato la scalinata di ghiaccio con i suoi poteri, mentre la visione che Ingrid aveva plasmato con la magia per farle credere che sua sorella fosse veramente là continuava a chiamarla. Aveva quella stessa espressione spaventata, tesa. Elsa si aspettava quasi che Asteria trascinasse Anna nel folto della boscaglia. Si aspettava che forze invisibili l’afferrassero e la portassero via, lontano da lei.

Si riscosse e continuò a camminare, prima che Varja le intimasse di darsi una mossa.

Ci mise un’eternità. O almeno a lei parve un’eternità. E anche ad Anna. Ma alla fine toccò l’altra sponda del burrone. Aveva il fiato corto, come se fosse reduce da una lunga corsa.

- Non è stato poi così terribile, no? Ora andiamo. Siamo vicine. Dico sul serio, stavolta – disse Varja.

 

***

 

Poco dopo, infatti, il villaggio amazzone si aprì davanti a loro.

Nell’aria aleggiavano l’odore del fumo, che proveniva da un focolare ormai spento, e di carne cotta. Qualcuno batteva sui tamburi.

Era un villaggio piccolo, ma affollato e, tra le Amazzoni che si spostavano a cavallo e quelle occupate a lucidare le armi o ad affilare spade, asce e punte di lancia, il luogo ferveva di vita. C’erano anche dei bambini. Bambine, a dire il vero. Erano tutte femmine. Mentre Anna ed Elsa venivano scortate verso la tenda della regina, seguite dagli sguardi delle altre guerriere, una di quelle bambine si staccò da un gruppetto e raggiunse Varja. Aveva i capelli biondi lunghi fino alla vita, ma gli occhi erano nerissimi. Varja la prese in braccio e, per la prima volta da quando Anna ed Elsa l’avevano incontrata, quella scontrosa guerriera sorrise.

Doveva essere sua figlia.

Anna approfittò del momento di distrazione per guardarsi in giro.

Non c’erano molte vie di fuga. Non c’era una di quelle guerriere che non girasse armata. Inoltre era probabile che ci fossero molte sentinelle ai confini del villaggio.

C’era anche una gabbia. Una grande gabbia di forma quadrata, appesa al tronco robusto di una quercia. E nella gabbia c’era uno scheletro. Anna ebbe la netta impressione che quelle orbite vuote e nere la stessero fissando, quindi girò la testa dall’altra parte.

Ci vogliono mettere in quella gabbia insieme a... a lui?, si chiese.

Non le misero nella gabbia per il momento, ma le portarono davanti alla tenda della regina Ippolita. Varja si introdusse all’interno.

- Ecco. Tenete – L’Amazzone di nome Agave porse una borraccia piena d’acqua ad Anna.

- Oh, beh... grazie.

- Aspetta! – intervenne Elsa. – Non berla.

- Non è avvelenata, fanciulla. – rispose Agave. Sollevò l’indice e indicò la gabbia. – Non avveleniamo i prigionieri. Troppo facile. Se hai dato un’occhiata lassù capirai che cosa intendo.

- Che bello. Questo dovrebbe farci stare più... tranquille? – domandò Anna. Restituì l’acqua alla guerriera. – Non ho sete. O meglio, ce l’avevo, ma adesso mi è passata. E mi è passata anche la fame.

- Badate a quello che dite. Non me la farei nemica, se fossi in voi. – Parlava a voce bassa, come se le stesse rivelando un segreto.

- Chi? Varja? – chiese Anna.

- No. Ippolita.

- Non siamo qui per farci dei nemici – rispose Elsa.

- Sempre meglio mettere le cose in chiaro.

- Avete qualche altro consiglio da darci, magari? – chiese Anna. Non che se lo aspettasse, ovviamente.

- Parla. È la cosa che sai fare meglio, mi sembra.

Varja uscì dalla tenda pochi istanti dopo, seguita dalla regina delle Amazzoni.

Me l’aspettavo più alta, pensò Anna.

Ippolita non era alta. Anzi, era più bassa di lei e di sua sorella, ma aveva un fisico scattante e asciutto. La frusta arrotolata e legata alla cintura, i pugnali infilati negli stivali e i suoi penetranti occhi verdi le conferivano una certa autorità. Aveva anche diversi tatuaggi; due farfalle sul braccio destro e, quando si girò rivolgendo loro un cenno del capo per “invitarle” ad entrare, videro un uccello rosso sulla spalla e un altro disegno in mezzo alle scapole, in parte coperto dai capelli scuri.

- Puoi slegarle, Varja – disse, non appena furono all’interno. – E poi vai.

 

***

 

Non appena Varja le ebbe lasciate sole con Ippolita, quest’ultima prese la mappa sottratta ad Anna, la srotolò e la studiò per qualche momento, aggrottando le sopracciglia.

- La Corte Seelie – disse. – Siete state invitate dalla regina Titania?

- In-Invitate? – chiese Anna. Non appena la guerriera che le aveva scortate fino al villaggio aveva tagliato le corde che legavano loro i polsi, le sorelle si erano istintivamente prese per mano, intrecciando le dita.

- Serve un invito per entrare alla Corte Seelie, Joan. – spiegò Ippolita, come se fosse una cosa ovvia e loro fossero le idiote che non ci avevano pensato.

- Beh, ecco... noi non abbiamo nessun invito. Il sovrano delle fate si è presentato al mio matrimonio senza essere invitato e ha... combinato un pasticcio. È colpa sua se adesso siamo qui. Sono sicura che ci stanno aspettando.

In realtà non ne era sicura. Per niente.

- Oberon è il re delle fate, va dove vuole, non ha bisogno di inviti. Voi sì, però. – Ippolita arrotolò di nuovo la mappa. Spostò lo sguardo su Elsa. – Ma forse... sarete in grado di entrare comunque. Stando a quanto mi hanno detto le mie sorelle, una di voi due ha qualcosa di... speciale. Un potere magico. Il potere del ghiaccio.

Nessuno parlò. Anna strinse di più la mano di Elsa.

- Ho sentito alcune storie. Una regina con un potere straordinario. Un regno congelato per vent’anni. – Ippolita parlava lentamente, ma non staccava mai gli occhi da loro. E non avrebbero saputo dire che cosa pensasse. La sua espressione era impassibile.

- Veramente gli anni erano trenta... – intervenne Anna.

- Ma davvero? Eravate là?

- Certo... che no. Naturalmente no. Ma si sa che le storie girano in fretta.

Ippolita sorrise. Sembrava si stesse prendendo gioco delle sue parole. Girò loro le spalle. In un angolo c’era una faretra piena di frecce e un arco. Ma c’era anche un vecchio baule che, probabilmente, conteneva altre armi.

- Non vi chiamate Joan. E vostra sorella non si chiama Eiry.

Le sorelle tentennarono. Negare sarebbe stato inutile.

- Siamo... in incognito. Ma i nostri nomi non sono così importanti – disse Anna.

- Chi può dirlo.

- Noi...

Poi, all’improvviso, più veloce di quanto lo era stata Varja quando aveva strappato la mappa dalla mani di Anna, la regina si abbassò, afferrò l’elsa di uno dei pugnali che teneva negli stivali e si voltò, scagliandolo nella loro direzione.

Anna non ebbe nemmeno il tempo di gridare.

Elsa la spinse più indietro e lanciò il suo potere. Un fascio di luce biancoazzurra esplose e avvolse il pugnale. Ippolita si fece da parte, prima che la magia potesse investirla.

L’arma cadde a terra, congelata. Il gelo rapì anche il baule e una buona fetta di pavimento.

- E a quanto pare le storie sono vere – osservò Ippolita, con un sorrisetto.

- Ma... perché avete cercato di ucciderci? – gridò Elsa.

- Il mio sai non vi avrebbe uccise. Vi avrebbe solo sfiorate. Non uccido le persone se non ho un valido motivo. Chiedetelo all’uomo nella gabbia.

In effetti l’arma di Ippolita non era un pugnale. Il sai era dotato di un lungo bastone arrotondato e appuntito e da due sottili proiezioni attaccate al manico. Anna aveva già visto quel tipo di oggetto nell’armeria del palazzo. Tuttavia aveva sempre preferito maneggiare una spada.

- L’avete... l’avete messo voi là dentro? – chiese Anna, guardando Ippolita, sbalordita. Poi si riscosse. – Voglio dire, certo che l’avete messo voi là dentro, altrimenti non avreste detto ciò che avete appena detto...

- Ce l’ho messo io perché ha ucciso una delle mie sorelle, a tradimento. L’ha colpita alle spalle. – Ippolita si chinò e sfiorò il sai con la punta delle dita. Aveva uno sguardo duro, adesso. I suoi occhi verdi sembravano più scuri. Erano occhi da leader. Gli occhi di una regina guerriera che era disposta a tutto pur di difendere la sua gente. Anche ad essere crudele.

Silenzio.

- Ho dei sai di riserva – concluse Ippolita. – Avete attaccato le altre Amazzoni, nella foresta?

- Non intendevo far loro del male – disse Elsa. La sua voce tremava visibilmente e il suo corpo era in tensione. – Pensavo che volessero ferire mia sorella.

- Loro non feriscono né attaccano se non hanno un valido motivo, ve l’ho detto.

- Non potevo saperlo! – Elsa cercò lo sguardo di Anna. - Ho agito d’istinto.

- Come riesci a farlo? Pronunci degli incantesimi nella tua mente? O sei stata maledetta?

- Io non pronuncio incantesimi. E non sono stata maledetta. Sono... sono sempre stata così.

- La tua famiglia ha lo stesso potere?

- No. Non i miei genitori e nemmeno mia sorella. Solo... mia zia.

- Chi ha congelato il regno? Tu?

- In realtà no. È stata nostra zia a congelare il regno per trent’anni. – intervenne Anna, parlando in fretta. – E non ha congelato solo il regno, ma anche me... e Kristoff. Voglio dire... ovvio, se ha congelato l’intero regno non può che avere congelato anche noi, ma il punto non è questo. Noi dobbiamo andare alla Corte Seelie. È molto importante. Hanno qualcosa che ci appartiene. E abbiamo bisogno della mappa. Gran Papà ha detto che...

- Gran Papà? Chi sarebbe? Tuo padre?

Anna avrebbe trovato quella domanda davvero divertente, se non fosse stato per la situazione in cui erano finite. – No! Gran Papà è un troll.

- Oh! Un troll?

- Non un troll del ponte! – si affrettò a rispondere Anna. - Troll di pietra. Gran Papà è un troll di pietra. I troll di pietra sono... molto più gentili. E più piccoli, anche. E decisamente più carini.

- Trovo difficile credere che dei troll possano essere carini. Ma d’accordo. Lasciamo perdere le vostre amicizie... dubbie. – tagliò corto Ippolita. – Cosa cercate alla Corte Seelie?

Anna stava per rispondere, ma poi ci pensò un istante e lei ed Elsa si scambiarono un’occhiata.

- Allora?

- I nostri ricordi – rispose Elsa, infine.

- Oberon vi ha rubato dei ricordi? Non sembra un atteggiamento da elfo. Ma forse c’è anche lo zampino di un certo folletto?

- Aspettate... quindi conoscete Puck? – chiese Anna.

- Tutti lo conoscono. Ha combinato un sacco di pasticci e Oberon ha dovuto metterci una pezza. Se non lui, la regina Titania. Polvere elfica, vero? Quale delle tante?

- Oh, quella che... non lo sappiamo. Non ne abbiamo la minima idea. Anche perché non ricordiamo niente. Per questo stiamo andando là.

- Capisco. – concluse Ippolita. Si avvicinò di più a loro. – Devono essere dei ricordi importanti, se avete fatto tutta questa strada per recuperarli.

“Ma lo sai già, vero?”

“So... che?”

Oh, certo che erano ricordi importanti. Ma non avrebbero mai potuto spiegarlo ad una regina come Ippolita. Non avrebbero potuto spiegarlo a nessuno, a dire il vero. Perché nessuno avrebbe capito. Nessuno avrebbe capito qualcosa che loro stesse stentavano a comprendere.

- State cercando davvero i vostri ricordi o cercate qualcosa che vi faccia sentire meglio? – domandò Ippolita.

Elsa si chiese se l’Amazzone avesse letto i loro pensieri.

- Beh... di solito è proprio questo che si cerca – disse Anna. – Qualcosa che ci faccia sentire meglio.

- Quello che troverete potrebbe anche farvi stare molto peggio. Ci avete pensato?

- Sì... – mormorò Elsa, così, senza rifletterci.

Ippolita raccolse il sai ghiacciato, scrutandolo per qualche momento. Poi lo gettò in un angolo, vicino alla faretra e all’arco.

- Varja! – gridò.

- No, aspettate... – iniziò Elsa, sicura che l’Amazzone volesse rinchiuderle da qualche parte o punirle.

Varja scostò i lembi della tenda ed entrò. Doveva essere sempre stata là fuori di guardia oppure nei paraggi. Spalancò gli occhi, vedendo il ghiaccio. – Cos’è accaduto, qui dentro? Hanno cercato di ucciderti?

- Nessuno ha cercato di uccidermi, Varja, non preoccuparti. Ho solo perso uno dei miei sai. – rispose Ippolita, con un sorriso. – Chiama Agave e Asteria. Dì loro di accompagnare... Joan e sua sorella fuori dal villaggio.

- Accompagnarle fuori? – Sembrava che Ippolita avesse appena detto un’assurdità. – Ma...

- Accompagnarle fuori. Sì.

- Entrambe?

- Ho forse detto accompagnarla, Varja? – Nonostante tutto, il tono di Ippolita non suonava come un rimprovero. – Ho detto accompagnarle. Hanno ancora un po’ di strada da fare.

- Certo... un po’ di strada. – borbottò Varja, poco convinta. – Vado, mia regina.

- Lo state facendo davvero? Quindi non ci metterete in gabbia come quell’uomo? – domandò Anna, incapace di controllarsi.

- Perché dovrei? La prossima volta seguite la mappa, Joan... o qualunque sia il vostro nome.

- L’ho seguita.

- No, per niente. Avreste dovuto costeggiare il fiume e quindi aggirare il nostro territorio. Invece avete sbagliato strada.

Anna arrossì.

- Grazie – disse Elsa.

- Non vi conviene ringraziarmi. Se fosse per me vi tratterrei e vi impedirei di entrare alla Corte Seelie con o senza invito. – Ippolita strinse le labbra, osservandole con i suoi strani, magnetici occhi verdi. – Ma questi non sono affari che mi riguardano. Se è vero che Oberon vi aspetta, allora conviene che troviate quello che state cercando e che io vi permetta di trovarlo. Non voglio avere problemi con il popolo fatato. Ne abbiamo avuti già abbastanza in passato.

- Problemi? Che problemi? – chiese Anna, incuriosita suo malgrado.

- Problemi – tagliò corto Ippolita. – Non mangiate il cibo delle fate. Mi raccomando. E se doveste udire dei suoni mentre raggiungete il lago... non badateci.

- Suoni? – Elsa non capiva.

- Suoni. Rumori di cose che strisciano nella foresta. Non fateci caso. È normale. Non molto lontano dal lago c’è l’altra entrata.

- Un’altra entrata? Credevo ci fosse una sola entrata. – osservò Anna.

- L’altra entrata, Joan. – L’Amazzone aveva un’aria cupa e severa. - L’ingresso della Corte Unseelie.

 

***

 

Agave e Asteria le scortarono ai confini del villaggio, seguite dagli sguardi perplessi delle altre Amazzoni, che avevano assistito al loro arrivo. Alcune di loro sedevano intorno al fuoco. Varja, con la figlia in braccio, le guardò fino a quando non se ne furono andate. Qualcuno continuava a battere sui tamburi, mantenendo sempre lo stesso ritmo.

Ormai il sole era tramontato, le ombre avanzavano nel bosco e il cielo si stava facendo scuro. Tra le nuvole faceva capolino la luna piena.

“Non mangiate il cibo delle fate, mi raccomando”.

Questa era una cosa che Gran Papà aveva detto. Non mangiare il cibo delle fate per nessuna ragione, a meno che non desiderassero restare bloccate alla Corte Seelie. Anna sperava che le fate non servissero cioccolata e sandwitches o sarebbe stato assai complicato rifiutare. Per una come lei, soprattutto.

“Serve un invito per entrare alla Corte Seelie, Joan”.

Invito. No, niente inviti. Ma sarebbero entrate comunque.

- Da qui non vi ci vorrà molto per raggiungere il lago. Sono pochi minuti di cammino – disse Agave, indicando il sentiero che si inoltrava nel bosco. La sua voce suonava blanda e del tutto ermetica.

Le Amazzoni restarono là a guardarle mentre si allontanavano.

“E se doveste udire dei suoni mentre raggiungete il lago... non badateci”.

Sentivano i suoni della notte. Il vento che faceva frusciare le fronde degli alberi. Grilli che frinivano. Le foglie secche che crepitavano sotto i loro piedi. Il richiamo dei gufi.

Ma dopo essersi lasciate le guerriere alle spalle e aver messo i piedi sopra un bel po’ di zolle erbose, si accorsero che i loro piedi, i polpacci e le ginocchia sparivano in una nebbia grigia e densa che aderiva al terreno. L’aria era diversa. Sembrava più... luminosa, anche se ormai era buio. E più calda. Chissà da dove veniva quella nebbia? Era apparsa all’improvviso. Un attimo prima non c’era assolutamente niente.

Elsa camminava molto vicina ad Anna e la teneva sempre per mano. Aveva i nervi tesi come corde di violino. Il potere si agitò dentro di lei, come uno stormo di uccelli che si preparava ad alzarsi in volo al primo segnale di pericolo.

“E se doveste udire dei suoni mentre raggiungete il lago...”

La coltre di nebbia diventò meno fitta, ma ancora non potevano vedersi le scarpe.

- Siamo quasi arrivate. Là in fondo sembra che gli alberi siano più distanti l’uno dall’altro. E mi sembra di vedere qualcosa che... scintilla. Forse è il lago – disse Anna. Dopo tutto ciò che era capitato le pareva impossibile esserci arrivata. – È una bella notizia, no? Finalmente...

Allora udirono degli scricchiolii nel sottobosco e uno spezzarsi di rami. Nel buio qualcosa si stava muovendo.

Elsa piegò la testa di lato e si mise in ascolto, le mani appoggiate alle spalle di Anna, che si era fermata per ascoltare, a sua volta.

Il rumore parve, dapprima, molto distante. Poi più vicino. Minacciosamente vicino. Infine si allontanò di nuovo fin quasi a scomparire.

- Elsa? Cos’è?

- Non lo so.

- Un orso? O magari non è un orso. Magari è qualcosa di più piccolo. – sentenziò Anna. - Per esempio... un cucciolo di orso. O un cucciolo di lupo. Potrebbe persino essere un... un... un tasso. Una renna. No, okay, le renne no. Non credo ci siano renne, da queste parti. Un alce! Ci saranno alci in questa foresta?

Ora la cosa che si spostava da quelle parti si era avvicinata. Era talmente vicina che Elsa si aspettava di vederla sbucare fuori dall’oscurità. Le parve... le parve che fosse giusto a pochi passi da loro.

Davanti a loro.

Elsa spinse la sorella dietro al tronco di un enorme albero.

Non stava pensando ad un orso.

Aveva pensato a molte cose. Alle Amazzoni che potevano averle seguite per tenerle d’occhio, ma era sicura che non si sarebbero fatte notare, se fossero state loro.

Anche ad un lupo, certo. Era possibile. Oppure un licantropo. Tra le tante storie che Anna aveva sentito durante il suo primo viaggio a Misthaven, c’era anche quella di uomini che si trasformavano in lupi nelle notti di luna piena e si muovevano in branco.

Ma qualcosa le diceva che non si trattava nemmeno di lupi.

“Non fateci caso. È normale. Non molto lontano dal lago c’è l’altra entrata”.

Non aveva idea di come fossero le fate maligne che abitavano la Corte Unseelie. Alcune leggende dicevano che l’aspetto di quelle creature era terribile, brutto, appassito e che nascondevano il loro stato dietro potenti fascinazioni.

“Non fateci caso. È normale”.

Una risata stridula sgusciò dalla tenebre, levandosi e ricadendo, forte e isterica.

Elsa strinse di più la sorella contro di sé. Aveva l’impressione che ogni parte del suo corpo avesse acquistato peso. Se avesse tentato di scappare era sicura che non sarebbe nemmeno riuscita a muoversi.

La cosa rise di nuovo. Una risatina agghiacciante che salì, diventò simile ad un urlo e ricadde, mutando in una specie di gorgoglio inumano. Il gorgoglio divenne un singhiozzo. Poi si spense del tutto e così anche i rumori che avevano accompagnato l’avvicinarsi della creatura.

Elsa chiuse gli occhi, abbandonandosi contro l’albero. Anna si sporse per guardare il sentiero. Non c’era niente. Intorno a loro era calato il silenzio.

- Non so cosa fosse, ma... non c’è più. – disse, pur non essendone certa.

Elsa non rispose.

Anna sollevò un po’ la testa, guardando la sorella negli occhi. Sentiva anche il suo fiato caldo, il respiro accelerato sulla pelle.

Provava una strana sensazione di deja vu. Era qualcosa che veniva dal buco nella sua memoria. L’impressione di essere già stata così vicina a lei, prima di quel momento. Nella stessa posizione, forse. La sera del matrimonio. Elsa portava i capelli raccolti e non la treccia come ora...

“Ma lo sai già, vero?”

“So... che?”

- È meglio andare – disse Elsa, sfiorando il profilo del suo volto con l’indice.

- Che? – Anna si riscosse. – Uh. Sì. Giusto.

 

***

 

C’era un pendio poco più avanti. Un pendio nel quale erano intagliati una ventina di gradini molto stretti che conducevano fino alle rive del lago. Il terreno sfuggiva via. Qui e là le loro scarpe slittavano sull’erba. Nel guardare in su, vedevano una moltitudine di stelle, la luna sospesa in mezzo a quel nero, simile ad un enorme occhio che le fissava e non più intralciata dalle nuvole.

- Chissà chi ha fatto questi scalini? Le fate? Oppure gli elfi? – domandò Anna, più a se stessa che a qualcuno in particolare.

Elsa stava ancora pensando alla cosa che avevano sentito muoversi nei boschi. Così vicina, eppure non l’avevano neppure intravista. Pensava alla risata agghiacciante della creatura.

E pensava allo sguardo intenso di sua sorella. Alla voglia altrettanto intensa di baciarla, nonostante il pericolo che avevano appena corso o forse proprio per quello. Era ansiosa di riavere i suoi ricordi, ma li temeva anche. Aveva ragione Ippolita; avrebbero potuto scoprire qualcosa che le avrebbe fatte stare peggio. Eppure dovevano scoprirlo. Elsa era convinta che non avrebbe trovato pace se non avesse saputo.

Alla fine dei gradini vi era un piccolo tratto erboso e, infine, il lago. Le acque erano scure e immobili. Il riflesso della luna piena scintillava.

- Adesso... dobbiamo entrare nel lago? – chiese Elsa.

- Sì, dobbiamo entrarci e andare verso il riflesso della luna. Non so bene quello che succederà. O di come succederà. Ma so che, in un modo o nell’altro, ci ritroveremo alla Corte Seelie.

- Senza invito.

- Oh. Non credo che faccia differenza. – Anna ci penso su qualche istante. – Va bene, forse sì. Ma quel... Oberon... non può non sapere che saremmo venute. Può aver deciso di cancellare i nostri ricordi per rimediare al pasticcio combinato dal suo folletto. E magari pensava che fosse la cosa migliore...

Elsa non commentò.

- Ma credo sappia che stiamo arrivando. Sì, penso di sì. – concluse Anna.

- E come puoi esserne certa?

- Non saprei... istinto?

Elsa sorrise.

- Non è molto, come spiegazione, ma non ne ho un’altra al momento. – Anna tese la mano alla sorella. – Spero che l’acqua non sia troppo fredda né troppo alta, ma sento che sarà sia fredda che alta, quindi... vogliamo andare?

 

***

 

 

 
Angolo autrice:

Allora... Spieghiamo alcune cose.

Quando ho pensato ad Ippolita e all’incontro tra lei e le sorelle, mi è venuta in mente un’unica attrice che poteva fare da modello per la regina Amazzone ed è Lena Headey. Quindi mi sono basata su di lei.

 
Il fatto che non si debba mangiare il cibo delle fate se non si vuole restare bloccati alla Corte Seelie è un’altra informazione che ho preso da Shadowhunters: The Mortal Instruments.

 
La Corte Unseelie è il luogo in cui vivono le fate cattive.


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Capitolo 5
*** The Seelie Court ***


5

 

 

 

“Alcune persone sono nate per essere regine”

(Merlin, La chiamata del Drago, Gwen)

 

 

 

- Perbacco, se è fredda! – disse Anna, non appena l’acqua del lago le arrivò alle caviglie. Si fermò, rabbrividendo violentemente.

Elsa si mosse con grazia controllata, increspando appena la superficie. Ovviamente lei non aveva freddo. Ben presto fu immersa fino alla vita, mentre sua sorella sguazzava in un profluvio di lamentele ed esclamazioni. Teneva le braccia strette intorno al corpo e tremava da capo a piedi.

- Dobbiamo... dobbiamo r-raggiungere il riflesso. A-abbiamo t-tempo fino a c-che la l-luna rimane immobile. – spiegò Anna, battendo i denti. Si chiese se ce l’avrebbe fatta ad arrivare al riflesso della luna o se avrebbe finito col morire di freddo.

- Anna, stai bene?

- S-sì, c-certo. V-voglio dire... p-potrebbe andare m-molto meglio di c-così e v-v-vorrei tanto c-che ci f-fosse un’altra... entrata. Non s-sopporto gli elfi e le f-fate. È t-tutta c-colpa di... Oberon e del suo f-f-folletto. – In quel momento avrebbe tanto voluto possedere un potere come quello di Elsa per essere insensibile al gelo come lo era lei. Continuò a camminare, fino a quando l’acqua del lago non le arrivò al petto. Alla luce delle stelle scorse le scure sagome di alcuni pesci che si muovevano sotto la superficie.

Il riflesso della luna era sempre là, immobile. Anna sapeva che di solito non funzionava così. La luna avrebbe dovuto ritrarsi a mano a mano che loro si avvicinavano. Ma non succedeva. Tuttavia non scorgeva niente che assomigliasse ad un passaggio.

- Bene. Vado io per prima – disse Anna.

- No. Andiamo insieme. – Elsa allungò una mano verso di lei, mettendogliela sulla spalla e fermandola prima che potesse proseguire.

Riecheggiò nuovamente quell’orribile, isterica risata. Più lontana stavolta, nel cuore del bosco. Entrambe si voltarono di scatto, aspettandosi di scorgere la cosa che era stata così vicina a loro mentre camminavano verso il lago.

Non videro niente. Solo ombre. E la risata si spense.

Anna non perse altro tempo e trascinò Elsa in avanti, verso la luna. Per un istante non accadde nulla. Fu come se si trovassero in bilico su un gradino. Il freddo si intensificò e uno sbuffo d’aria le colpì in pieno viso.

Poi qualcosa le tirò verso il basso. Anna si lasciò sfuggire un grido e si aggrappò ad Elsa.

Scesero giù e tutto divenne ovattato. Per qualche istante intorno non vi fu altro che oscurità. Oscurità densa, spaventosa. Sfiorano una massa di ombre informi e vaghe che avrebbero potuto essere tutto e nulla. Poi videro una luce verde che si avvicinava sempre di più.

Precipitarono su una superficie piatta e pavimentata. Erano entrambe bagnate fradice.

- Anna? – chiese Elsa, aiutandola ad alzarsi.

- Tutto bene. Almeno credo. – disse. In realtà stava tremando e avrebbe tanto voluto essere in un posto più caldo, magari a casa sua, ad Arendelle, davanti al fuoco scoppiettante con una bella tazza di cioccolata tra le mani. Non sottoterra, con i vestiti zuppi che sembravano pesare una tonnellata.

Erano in una stanza illuminata da una luce debole, ma calda ed accogliente. Le circondavano pareti di roccia ricoperte di muschio e sulle quali scorrevano rivoli d’acqua. C’era anche un ingresso ad arco, protetto da lunghi tralci verdi che andavano a formare una sorta di tenda.

- Non sembra un brutto posto. Se non facesse così freddo... certo, fa freddo per me, non per te. – puntualizzò Anna.

I capelli biondi di Elsa erano quasi incolori nei punti in cui le ciocche si erano incollate alla pelle. Goccioline d’acqua le solcavano il viso e il collo. La strana luce della Corte Seelie giocava con il colore dei suoi occhi, rendendoli più azzurri.

Anna batté le palpebre e si affrettò a distogliere lo sguardo. – Beh, adesso...

Una figura piccola scosse i viticci dell’ingresso e piombò nella stanza, borbottando e rotolando. Le sorelle si fecero da parte, mentre Puck si rimetteva in piedi, la chioma castana tutta arruffata.

- Il mio cappello... – prese a dire. Iniziò a girare su se stesso. – Dov’è il cappello? Dov’è? L’avete visto?

- È questo? – chiese Elsa, porgendogli un berretto rosso.

- Sì! Proprio questo, grazie! Mio signore, sono qui. Sono arrivate! – Puck si schiacciò il cappello sulla testa, coprendo una delle sue orecchie a punta e lasciando fuori l’altra.

Una mano spostò i viticci e Oberon comparve, sorridente e sereno, come se non aspettasse altro che un annuncio da parte del suo folletto. – Mia cara Anna e... Vostro Splendore. Avevo percepito il vostro potere. Che piacere. Devo ammettere che non vi aspettavo così presto.

- E quando ci aspettavate? – chiese Anna, guardandolo di sottecchi.

- Non così presto – ribadì Oberon. I suoi occhi azzurri scintillavano, maliziosi. Indossava una camicia verde con le maniche larghe e a sbuffo, un paio di pantaloni attillati, in pelle nera e stivali alti fino al ginocchio. – Pensavo avreste necessitato di più tempo per riflettere. Ma sono lieto di avervi qui, alla Corte Seelie.

- Quindi possiamo entrare? – domandò Elsa.

- Vostro Splendore... voi non avete bisogno di un invito. Siete una regina, proprio come mia moglie.

- Non entro senza mia sorella – precisò, quasi ce ne fosse bisogno.

- Non avevo dubbi a riguardo, Vostro Splendore. Come vi stavo dicendo un attimo fa, vi aspettavo. Entrambe. Naturalmente anche Anna può entrare. Se non vi stessi aspettando non vi avrei nemmeno permesso di trovare l’ingresso attraverso il riflesso della luna. Vogliamo andare? Puck, hai perso anche una scarpa oltre al cappello. – Oberon voltò le spalle e si diresse verso l’ingresso ad arco, mentre Puck raccoglieva la scarpa perduta. Erano scarpe rosse con la punta arricciata. Gli conferivano un’aria ancora più ridicola.

Anna, dal canto suo, era già stufa di tutti quei Vostro Splendore.

Le due sorelle seguirono il re degli elfi al di là dei viticci. Si inoltrarono in un breve corridoio, dove l’aria era più luminosa e densa di profumi. Qualcuno, forse un elfo oppure una fata, pizzicava le corde di un’arpa, spandendo una musica dolce.

- Ricordate: fate le domande giuste, altrimenti non avrete le risposte che cercate – disse Oberon all’improvviso, mentre il corridoio terminava, aprendosi su una sala grande, sorretta da possenti colonne di marmo alle quali erano avviluppati tralci di fiori colorati.

- Che cosa? – chiese Anna.

- Le fate non possono mentire. Certo, le eccezioni esistono sempre, ma Titania non è un’eccezione. Non sa mentire, ma se non ponete le domande giuste non vi risponderà. O meglio, vi risponderà, ma non come volete voi.

Tutto intorno a loro era luminoso e verdeggiante. E nell’aria danzavano una miriade di luci bianche, gialle, azzurre, blu e scarlatte. Seguivano il ritmo della musica e... tintinnavano come campanelle.

In realtà le luci erano fate. Fate che vagavano per la corte. I tintinnii erano le loro risate. Quando una passò davanti al suo viso, Elsa vide le piccole ali trasparenti che sbattevano, vivaci. Alcune svolazzarono intorno alla testa di Puck, gli rubarono il cappello, che lui cercò di riprendersi tra mille imprecazioni e gesticolando furiosamente, e poi lo lasciarono cadere. Puck lo prese al volo.

- Bentornato, mio signore. Bentornato. – disse una voce sopra di loro. – E benvenute vicine!

Appeso ad una liana che pendeva dal soffitto c’era un essere dalle fattezze umane, ma piccolo e tozzo, senza capelli, con la pelle scura e un gran sorrisone stampato in faccia.

- Non sono tue vicine. Vengono da un regno lontano. – comunicò Oberon, passando oltre.

L’essere si aggrappò alla colonna e si arrampicò fino in cima.

- Che cos’è? – domandò Anna.

- Lui e quelli della sua specie si chiamano Brownies. Sono simili agli esseri umani, ma hanno un po’ di sangue elfico.

- Ma solo un po’, mio signore. Sono esserini antipatici. – aggiunse Puck.

- Così come tu sai essere uno spiritello malefico! – lo punzecchiò il Brownie, con una vocetta acuta.

- E parlano troppo – continuò il folletto.

- Loro parlano troppo mentre tu combini troppi pasticci. – gli ricordò Oberon.

Elsa ed Anna vennero condotte dinanzi ad una massiccia porta di legno, sulle quale crescevano altri fiori e foglie. La serratura scattò e il chiavistello si spostò senza che nessuno toccasse niente.

- Puck, rimani fuori – ordinò Oberon.

- Oh, mio signore! Non lasciatemi qui. È così noioso aspettare fuori!

- Non lamentarti. Ti ricordo che è colpa tua se le signore sono state costrette a venire fino a qui.

- Mio signore, lo so! Ma io volevo soltanto aiutare.

- Ed io ti avevo raccomandato di starmi vicino e non combinare guai. Quindi ora rimani fuori. Tanto so che per te non è un problema: cercherai di origliare. – Oberon oltrepassò le porte e le sorelle lo seguirono. Esse si richiusero subito dietro di loro.

I servitori presenti levarono le tende non appena il sovrano delle fate condusse Elsa ed Anna al centro del salone. Erano tutti elfi o fate, ma c’era anche qualche altro Brownie.

I troni su cui sedevano lui e Titania erano in legno di quercia, ricoperti di fiori. Avevano radici che affondavano nel terreno levigato, come alberi.

- Mia moglie ci farà attendere ancora un po’, a quanto sembra – disse Oberon, gettandosi i capelli scuri dietro le spalle. – Intanto vi ho fatto preparare qualcosa da mangiare. Volete favorire? Sarete sicuramente affamate.

Una giovane fata bionda, vestita di azzurro, apparve accanto ad Anna preceduta da un sfavillio. Reggeva un vassoio con un buon numero di leccornie e due tazze piene di uno strano liquido rossastro.

- No, grazie. – disse Elsa. – Non vogliamo mangiare.

I profumi e la musica della Corte Seelie l’avevano inebriata a tal punto, che per qualche istante Anna si era completamente dimenticata dell’avvertimento di Gran Papà e della regina delle Amazzoni.

- No? Davvero non ne volete? Pensavo vi piacessero queste cose. – disse Oberon. E sembrava sinceramente sorpreso.

Anna gettò un’altra occhiata a ciò che c’era sul vassoio. Proprio quello che temeva: un piatto di sandwitches, palline di cioccolato identiche a quelle che Puck si era mangiato senza troppi complimenti al suo matrimonio, frutta, dolci alla crema e quella bevanda non meglio identificata.

Deglutì a fatica. Era anche peggio di ciò che si immaginava. Resistere, quando ci si trovava alla Corte Seelie, era veramente difficile. Gli odori erano più intensi.

Le venne l’acquolina in bocca.

- Anna, guardami. – le disse Elsa, afferrandola saldamente per il polso.

Lei si voltò di scatto verso la sorella, incrociandone lo sguardo ansioso, ma risoluto.

- Oh! Già, giusto – si affrettò a rispondere, cercando di scrollarsi di dosso quelle sensazioni. – Non... non abbiamo fame. Voglio dire, è tutto buonissimo, io adoro i sandwitches e anche quei... dolci al cioccolato. Ma sto bene così. Sì, non potrei stare meglio!

Oberon sorrise. – Beh, che peccato.

- Sappiamo cosa potrebbe succederci se li mangiamo, sapete? – continuò Anna, stringendo di più la mano di Elsa. – Ce l’hanno detto. Rimarremmo intrappolate qui per sempre.

- Ah! Immaginavo che vi avessero avvertito, ma io sono un elfo cortese. Soprattutto se si tratta di ospiti importanti come voi.

- Un elfo cortese? Offrite del cibo sapendo bene che se lo mangiassimo non potremmo lasciare la Corte! – esclamò Elsa.

- Io non costringo nessuno a mangiare ciò che offro. È solo cortesia, come vi ho detto. Sono abituato a far sentire a loro agio gli invitati. Certo, molti sono persone accorte e non cedono alle... tentazioni. – Oberon fece un cenno alla fata, che se ne andò senza dire una parola. – Altri lo fanno e devono rimanere qui. Ma ‘per sempre’ non è esatto. Non sarebbe per sempre. Solo per un po’. Fino a quando non sono disposti a dare qualcosa in cambio a Titania.

- Questo mi ricorda un uomo che ho incontrato molto tempo fa. Un uomo... con dei brutti problemi alla pelle. – disse Anna. – Si chiamava...

- Tremotino – lo interruppe Oberon, roteando gli occhi. – Lo conosco benissimo, mia dolce Anna. Tutti conoscono l’Oscuro, del resto. Ringraziamo che la maledizione ce l’abbia portato via... beh, a voler essere precisi era tornato, ma qualcuno l’ha chiuso in gabbia e l’ha reso incapace di nuocere a chicchessia.

- Chiuso in gabbia?

- Oh, Anna, è una storia abbastanza lunga. E comunque, è tutto finito.

- Dove sono i nostri ricordi? – domandò Elsa, facendo un passo avanti.

- Calma, Vostro Splendore. Eccoli, sono qui. – Oberon chiuse la mano a pugno e, quando la riaprì, sul palmo teneva due pietre viola, identiche a quelle in cui Ingrid aveva racchiuso alcuni ricordi di Elsa e di Emma.

- Sono lì dentro? – chiese Anna.

- Li ho conservati con cura. Me ne rammarico. Volevo rimediare al disastro che aveva combinato quel maledetto folletto. Pensavo di farvi un favore.

Elsa fissò le pietre. Per un attimo, il suo cuore tremò al solo pensiero di ciò che potevano contenere. Era già abbastanza difficile gestire quei sentimenti inspiegabili che provavano...

- Ma forse ho peggiorato la situazione. – concluse Oberon.

In quel momento una nuova luce più intensa delle altre entrò nel salone. Era una luce bianca e quasi accecante, che procedette verso l’alto e poi scese in picchiata su Oberon, ronzandogli intorno al capo e infastidendolo. Il sovrano agitò una mano come se stesse scacciando una mosca. La fata che si muoveva in quella luce evitò gli schiaffi e si diresse rapidamente verso uno dei due troni, quello di destra. La luce si espanse, quasi fosse sul punto di esplodere e la fata assunse la forma umana, adagiandosi elegantemente sul trono a lei riservato.

- Titania! Finalmente ci hai degnati della tua presenza. Ti davamo per dispersa. – asserì Oberon, sedendosi sul trono accanto a lei.

- Ti piacerebbe! – rispose la regina delle fate. – Spero che tu non abbia cominciato senza di me.

- Stavo appunto dicendo alle nostre ospiti che i loro ricordi sono al sicuro. In realtà mi stavo anche scusando.

Titania osservò le due sorelle con un certo interesse.

Elsa si ritrovò a pensare che gli occhi della sovrana fossero gli occhi dei veggenti. Gli occhi di chi aveva vissuto talmente a lungo da possedere, ormai, il potere di vedere qualsiasi cosa. Erano occhi grandi e di un verde molto chiaro, un verde che possedeva sfumature azzurrate. La pelle altrettanto chiara sembrava sottile come carta, come quella di Oberon ed era in netto contrasto con i capelli neri e ondulati sistemati su una spalla e con le labbra rosse. Indossava un abito violetto con una sopravveste azzurra. Le maniche trasparenti erano strette, all’altezza dei gomiti, da due grossi bracciali.

- Fai bene a scusarti, considerando che è colpa tua. – continuò la regina. – Non sai nemmeno tenere a bada un maledetto folletto.

- Colpa mia? Ti devo ricordare che è stata tua l’idea di affidarmi quel folletto.

- Io avevo una riunione importante con altre fate, non potevo permettere che Puck rovinasse tutto con una delle sue trovate.

- Certo, quindi hai pensato bene di scaricarmelo! Che idea geniale, mia adorata Titania.

Titania si girò lentamente verso Oberon. - Sicuramente più geniale della tua idea di versarmi il succo magico sugli occhi per farmi invaghire di un somaro.

- Ancora con questa storia! Era soltanto uno scherzo. Non sarebbe successo niente se fossi stata più ragionevole.

- Io ragionevole? Ti avevo detto di stare alla larga da quel paggio, perché era il figlio di un’amica e avevo promesso di proteggerlo.

- Volevo solo farne un guerriero, un combattente. Del resto era un elfo, proprio come me. Non un semplice paggio di corte!

- Un mezzelfo. Forse saresti dovuto essere tu quello ragionevole. Invece no, hai dovuto prendere iniziative avventate solo per un capriccio.

- Capriccio? Lo chiami capriccio? I capricci li lascio a te, mia cara.

Titania gli rivolse un sorriso sarcastico. - Io proteggevo il figlio di un’amica. Questo è tutto fuorché un capriccio. Mentre il tuo... non ero a conoscenza della tua predilezione per i paggi giovani. Buona a sapersi. Lo terrò presente, nel caso decidessi di usare un po’ di quel succo mentre dormi.

- Titania, vergogna! Come osi insinuare, in presenza delle nostre ospiti per giunta, che io volessi approfittarmi in quel modo del tuo paggio!

- Non ho bisogno di insinuare niente. Credo che le nostre ospiti sappiano già con chi hanno a che fare.

Anna ed Elsa si chiedevano quanto sarebbero andati avanti con quel battibecco.

- I loro ricordi, Oberon. – disse Titania. – Fammi vedere che cos’hai portato via loro.

Le pietre comparvero nella mano della regina prima che avesse finito di parlare. Oberon scosse il capo, seccato. Titania toccò le pietre magiche con la punta delle dita e, per qualche momento, il suo sguardo si perse nel vuoto.

- Ehi, aspettate un secondo... quelli sono i nostri ricordi! – esclamò Anna. Ma naturalmente la regina delle fate non la stava nemmeno ascoltando.

- È così divertente – disse Titania, sorridendo, quando ebbe finito di sbirciare. – Comprendo, in parte, perché mio marito abbia deciso di cancellare queste cose dalla vostra mente. Ma d’altra parte non avrebbe dovuto farlo senza il vostro permesso.

- Ecco che mi contraddice di nuovo. Lo fa apposta! – intervenne Oberon.

- Perché non prendi i ricordi della principessa, mia caro marito, e non esci da questa sala? Lasciami sola con la regina Elsa. – Una delle due pietre tornò sul palmo della mano di Oberon. Titania si alzò.

- Aspettate... che? – Anna non capiva che cosa stesse succedendo. - Sola con mia sorella? Non se ne parla, non vedo perché dobbiate restare da sola con mia sorella. Io non ho intenzione di andarmene.

- Invece lo farete.

- Non... non me ne vado. Dovrete trascinarmi.

- Oberon, dammi una mano.

Oberon si spostò così velocemente che Anna nemmeno lo vide. Il re delle fate l’afferrò e se la caricò in spalla.

- Che cosa state facendo?! Lasciatemi subito! – gridò Anna, dimenandosi e scalciando.

- No! Che cosa volete fare? – domandò Elsa, tendendo le mani verso la sorella.

- Vi devo comunicare, Elsa, che i vostri eccezionali poteri sono stati inibiti nel momento in cui avete messo piede nella mia Corte. – la informò Titania. – Quindi non sforzatevi troppo. Non che mi dispiacerebbe vedere Oberon trasformato in una statua di ghiaccio... deve essere uno spettacolo interessante.

Oberon non rispose, ma levò gli occhi al cielo, mentre trasportava Anna fuori dalla sala. Lei continuava a prendere a pugni la schiena dell’elfo, ma senza successo. Rivolse un’occhiata preoccupata ad Elsa.

- Nessuno farà del male alla vostra amata sorella. – la rassicurò Titania. – Tranquillizzatevi.

Le porte si chiusero tra le mille proteste di Anna. Elsa udì anche Puck che berciava qualcosa.

- Quel folletto meriterebbe una lezione – commentò la regina delle fate, voltandole le spalle. Giocherellò con la pietra che conteneva i suoi ricordi. – Oberon non ha voluto dirmi che cos’ha visto quella sera, al matrimonio di Anna. Ha detto che l’avrei scoperto presto, perché sareste venute a cercare le vostre memorie perdute. Lui era convinto che ci avreste messo un po’ di tempo... ma a quanto pare su questo avevo ragione io.

Elsa non rispose.

- Una polvere elfica che toglie ogni inibizione... sempre meglio che il succo del fiore vermiglio di Cupido. – asserì Titania, inarcando le sopracciglia. Inclinò la testa di lato. Adesso tutta la sua attenzione era rivolta ad Elsa. – Vorresti non sentire più quello che senti, vero?

- Io... vorrei solo riavere i miei ricordi. – disse Elsa, evitando di guardare Titania direttamente negli occhi.

- Risposte. Ecco quello che desideri. Non solo i tuoi ricordi. Gli esseri umani sono sempre alla ricerca di risposte. – Titania fece il gesto di porgerle la pietra e, mentre Elsa allungava una mano per prenderla, da essa scaturì un fascio di luce magica.

I ricordi la travolsero come una marea.

 

Anna rimase immobile per un istante, poi si liberò dei guanti bianchi, gettandoli via, le allacciò le braccia intorno alle spalle e premette il viso contro il suo collo. Chiuse gli occhi per escludere il mondo con le sue sfumature troppo accese, per escludere la luce al di là delle finestre, lo scintillio del cielo, il chiacchiericcio distante. Respirò l’odore di Elsa, sentendo il battito del suo cuore contro il proprio.

“Anna.”, ripeté lei.

La sorella levò lo sguardo per incontrare il suo. E... oh, i suoi occhi erano splendidi. Anna era splendida. Così bella e pura ed innocente. Così desiderabile che Elsa si chiese come avesse fatto a resisterle fino a quel momento.

La regina di Arendelle sollevò una mano e cominciò a toglierle le forcine dai capelli, lasciando che le ciocche ricadessero sulle spalle scoperte.

“Volevo farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a smettere di guardarti...” Le parole uscivano dalla bocca di Elsa senza alcun freno. Se faceva una pausa tra una frase e l’altra era solo perché aveva il respiro corto, affannato. “Ma lo sai già, vero?”

“So... che?”

Elsa la baciò. L’aveva già baciata, ma sempre con molta attenzione, in modo incerto, prudente, come se temesse di farle del male.

Questo bacio era diverso. Era ansioso ed era profondo. E Anna le rispose con la stessa intensità, aggrappandosi di più a lei, gemendo contro la sua bocca quando Elsa si staccò per riprendere fiato.

“Se volevi farlo da quando mi hai vista in abito da sposa... allora non smettere”, le disse Anna, con il respiro affannato e le labbra vicine alle sue.

Elsa le affondò una mano nei capelli e ricominciò a baciarla. Improvvisamente non contava più il fatto che fossero sorelle, che quello fosse il matrimonio di Anna, che qualcuno avrebbe potuto venire a cercarle e quindi scoprirle. Non contava più niente.

“Non sopportavo più... tutto quei ‘Vostro Splendore’, ‘Vostra Magnificenza’. Chi pensa... chi si crede di essere?” Anna parlava in modo strano, come se avesse bevuto troppo, interrotta dai baci di Elsa.

“Ssh”, le disse sua sorella, mettendole una mano sulla bocca. “Non parlare”

Anna disse qualcos’altro, ma si perse sulle labbra di Elsa, che le scostò le ribelli ciocche rosse per baciarle il collo e le spalle scoperte. Anna la tirò di più verso di sé, come se non fossero già abbastanza vicine e, nel farlo, perse l’equilibrio, trascinandola sul prato. Elsa cadde sopra di lei, ma non smise di baciarla. Presa dalla foga, Anna le morse il labbro superiore e glielo succhiò più volte. Le sue mani si mossero senza controllo e cercarono di slacciare il vestito di Elsa. La sorella continuava a ripetere il suo nome, come se non potesse farne a meno e ad Anna piaceva il modo in cui lo pronunciava, sfiorandole l’orecchio con la bocca, il fiato corto. Dicendolo come se non esistesse nient’altro al mondo che desiderasse di più.

Lontano, molto lontano, una portafinestra si aprì. Rumore di passi.

“Hai sentito qualcosa?”, chiese Elsa, sollevando la testa.

“Non me ne importa niente”, rispose Anna, appoggiandole una mano sulla nuca e costringendola a concentrarsi ancora su di lei.

I passi si avvicinarono.

“Ecco, Puck, folletto malefico! È tutta colpa tua. Guarda cos’hai fatto!”. La voce di Oberon sembrava stridere con tutto il resto. Era una voce arrabbiata.

Elsa si separò di scatto dalla sorella. Non riuscì ad alzarsi in piedi perché le cedettero le ginocchia e finì di nuovo sul prato.

“Adesso mi tocca usare la magia elfica! Ah, ma questa me la paghi”.

“Mio signore, non vedo proprio la fonte del problema, perdonatemi. Io volevo solo aiutare”.

“Tu volevi aiutare! Volevi combinare pasticci, come al solito, non aiutare! Ora togliti dai piedi e lascia che mi occupi di... di... di questo”.

 

Anna riemerse dal mare di ricordi, inspirando una boccata d’aria, come se fosse rimasta troppo tempo sott’acqua e fosse sul punto di soffocare.

Oberon sedeva di fronte a lei, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la pietra magica che, ormai, non era che un innocuo sasso senza valore. La gettò via. Puck, che sedeva in un angolo, la prese al volo e iniziò a giocherellarci.

- Io... non... voi... – farfugliò Anna, cercando di raccapezzarsi.

- Sono i vostri ricordi, mia cara Anna. Non era ciò che desideravate? – domandò il re elfico, sorridendo, divertito.

- I ricordi che mi avete rubato! E mi avete anche... anche... rubato mia sorella. Mi avete portata via, caricandomi in spalla come se fossi un... sacco di patate!

- Oh, siete assai più leggera di un sacco di patate. E nessuno vi ha rubato vostra sorella. Titania è una fata che trova interessanti le persone come Elsa. Non posso dire che trovi interessante anche voi, mi dispiace molto.

- Voglio andare da Elsa!

- Non siate impaziente, Titania non avrà ancora finito.

- Di fare cosa?

- Qualsiasi cosa abbia in mente di fare. Non preoccupatevi. Vostra sorella uscirà sulle sue gambe da quella sala. Titania sa essere assai dura con i suoi nemici. Ma voi non siete sue nemiche. – Oberon si alzò in piedi. L’aveva condotta in un’altra parte della Corte Seelie, un piccolo giardino sotterraneo pieno di piante coperte di fiori, con una cascatella che sgorgava da un punto sopraelevato di una parete di roccia, formando un laghetto dove galleggiavano le ninfee. – Spero che il posto vi piaccia. È un luogo tranquillo, non trovate?

- Non mi interessa quanto è tranquillo questo posto. Sì, lo è, ma io voglio vedere Elsa. Non potete trattarmi così. E sono sicura che sapete che cos’ha in mente di fare vostra moglie. Immagino che siate sposati da molto tempo, non potete non saperlo!

- Duecento anni. Quindi sì, è molto tempo. Ma vi assicuro che la mente di Titania, a volte, è ancora un mistero per me. Però so che non ucciderebbe mai senza un motivo valido.

Questo le ricordò Ippolita, la regina delle Amazzoni. E lo scheletro nella gabbia.

- E comunque avete mai pensato di contare le volte in cui pronunciate il nome di vostra sorella o vi riferite a lei?

- Contare?

- Contare, sì. Ma torniamo ai vostri ricordi, mia dolce Anna. Ora capite perché ve li ho portati via? Sono rammaricato, credetemi, ma sulle prime ho pensato che fosse la cosa più giusta da fare. – Oberon non le aveva concesso il tempo per replicare. – Pensavo che... fosse più saggio dimenticare. Un rapporto come il vostro... nessuno lo comprenderebbe. Scommetto che non lo comprendete nemmeno voi. Siete sorelle. Lo stesso sangue. La stessa madre e lo stesso padre.

- Non c’è bisogno che me lo ricordiate! Lo so già. – La mente di Anna continuava a vagare dietro ai quei ricordi che aveva appena recuperato. La sconvolgeva la sola idea di dove sarebbero potute arrivare se Oberon non le avesse trovate. Eppure il ricordo era incredibilmente dolce e intenso, le metteva i brividi. – E in ogni caso non potete tenermi qui. Non è giusto.

- Davvero non vi piace la Corte Seelie, Anna?

- Beh... non ho detto che non mi piace, ho solo detto che... che non potete tenermi qui mentre mia sorella deve vedersela da sola con Titania. – In realtà trovava che la Corte Seelie avesse un certo fascino. Potere, soprattutto. I profumi e l’atmosfera fatata le annebbiavano un po’ la mente.

Oberon si sedette di nuovo. – Ho qualcosa da dirvi, mia cara. Qualcosa da chiedervi, a dire il vero.

- E che cosa sarebbe? – Anna lo guardò di sottecchi, guardinga. – L’ultima volta che ho firmato un accordo, l’ho firmato con Tremotino e non è stato affatto divertente.

- So di cosa parlate. Anche mia moglie si è fatta aiutare da Tremotino, in passato. E...

- Che? Vostra moglie? Perché?

- Niente di importante, Anna. Un piccolo aiuto. È tutto a posto. Ci è andata ben peggio con Magnus e Amadan.  

- Chi sono Magnus e Amadan?

- Non ne sapete niente? Non avete mai sentito parlare di re Magnus? Nella biblioteca della vostra famiglia non c’è proprio nulla...?

- Ho letto tutto quello che c’è là dentro e vi assicuro che non ho mai sentito parlare di... personaggi simili.

- Che peccato. Neanche in certe pergamene in futhark antico?

Anna sbatté le palpebre.

“Mi hanno portato queste. Non ho idea di cosa dicano, esattamente, ma la lingua è la stessa del messaggio riportato... sull’urna”.

“E cos’hai capito? Fino ad ora, intendo”.

“Quasi niente. Solo alcune parole”.

- Aspettate... che? Le pergamene che Elsa stava cercando di tradurre... quelle pergamene...

- Sì, proprio quelle. Quando riuscirete a venirne a capo, vi renderete conto che è di me e di Titania che parlano. Nonché dei nostri nemici, Magnus, il re che mi ha preceduto, e suo figlio Amadan. Due intriganti manipolatori... non vi sarebbe piaciuto conoscerli. Abbiamo avuto un sacco di problemi a causa loro.

- Avete letto le pergamene?!

- Conosco molte lingue, mia dolce Anna. Compreso il futhark antico. Avrei voluto parlarne con la regina Elsa, ma non ne ho avuto il tempo.

- Futhark! Anch’io lo conosco, mio signore! – intervenne Puck, rimasto in silenzio fino a quel momento.

- Lo so bene, folletto dei miei stivali. Te l’ho insegnato io!

Quindi, oltre ad essersi intrufolato al suo matrimonio senza essere invitato con un folletto che aveva combinato un disastro e oltre ad aver passato buona parte del tempo a fare gli occhi dolci a sua sorella, si era anche permesso di sbirciare nelle altre stanze del palazzo, fino a trovare le pergamene che Elsa stava cercando di tradurre. Avrebbe tanto voluto acchiapparlo e dargli una lezione!

- Ora veniamo al dunque. Come vi ho detto, c’è qualcosa che voglio chiedervi. E mi auguro che vi piaccia.

 

***

 

Elsa era riemersa dalle memorie che Titania le aveva ridato con la sensazione di aver vissuto per la seconda volta tutto ciò che era accaduto con Anna quella sera. Aveva l’impressione che sulle labbra le fosse rimasto il sapore della sua bocca, di quei baci così caldi e profondi... e sulla pelle la sensazione pressante delle sue carezze.

“Volevo farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a smettere di guardarti...”

“Se volevi farlo da quando mi hai visto in abito da sposa... allora non smettere”.

Elsa chiuse gli occhi, serrando le palpebre e inspirando profondamente. Quando li riaprì, Titania la stava fissando.

- È tipico degli essere umani desiderare qualcosa che non è possibile avere. – commentò la regina delle fate, muovendosi con grazia verso di lei. – Anche di certe fate, certo. Del resto, nella nostra specie ci sono eccezioni. Poche, ma ce ne sono.

- Io... so benissimo che è sbagliato.

- Ma è quello che volete. E vi piace.

- Ciò non significa che sia giusto.

- Forse no. Le cose che si amano non sempre sono giuste. – Titania prese a girarle intorno.

Elsa avvertiva la forza di quello sguardo su di sé. Le sembrava che tutto tendesse verso la sovrana della Corte Seelie, come se fosse stata lei a creare quel luogo perché fosse un riflesso della sua bellezza e del suo potere. Come se non fosse stata la Corte a dare la vita a Titania, ma l’esatto contrario.

- Voi... cosa sapete dell’amore? Siete una fata – disse Elsa, colmando il silenzio che si era venuto a creare.

- Il fatto che io non possa innamorarmi non mi impedisce di riconoscere l’amore, se lo vedo. – le rispose prontamente Titania. – E onestamente sono viva da parecchio tempo, se non l’avete ancora capito. Da molto più tempo di voi. Ho vissuto anche in mezzo agli uomini. Quindi conosco i sentimenti.

Elsa tacque.

- E voi, invece, che cosa ne sapete dell’amore? L’avevate mai conosciuto, prima d’ora? E parlo del vero amore. Dell’amore carnale. Avete mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?

“Avete mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”

- No.

- No, certo. Siete vissuta in isolamento per anni. Come potete averlo conosciuto?

- Come sapete che...?

- Io so molte cose. Ve l’ho detto, sono viva da molto tempo. E alle orecchie delle fate giungono sempre un sacco di storie interessanti. 

“Avete mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”

Titania le si parò dinanzi. Era più bassa di Elsa, eppure, al tempo stesso, appariva più imponente. – Oberon era convinto che dimenticando avreste risolto i vostri problemi. Ha annullato l’effetto della polvere elfica e vi ha cancellato i ricordi perché sapeva che eravate ad un passo da quella linea di confine che due persone come voi non dovrebbero mai superare. Non che non vi siate già spinte oltre, ma quella sera, se mio marito non vi avesse trovate...

Elsa non commentò. Sentì che il sangue le affluiva alle guance, impetuoso. Il suo cuore batteva un po’ più veloce del normale.

- Vorresti non provare quello che provi, vero? – disse Titania, ripetendo la domanda che le aveva già fatto. – Vorresti... che fosse tutto più semplice. Una parte di te vorrebbe non aver mai imboccato questa strada, perché adesso è difficile tornare indietro.

Elsa continuò a restare in silenzio. Non era sicura di poter controllare la propria voce se avesse parlato. Era furiosa con la regina della Corte Seelie perché l’aveva separata da sua sorella. Era preoccupata per Anna. Ed era spaventata. Spaventata perché non sapeva che cosa le aspettava e spaventata dalle parole e dagli occhi di quella fata.

- Dimenticare non è la soluzione. Non serve a niente. Voi avete dimenticato grazie ad un incantesimo, ma avete continuato a ripensarci e a tormentarvi. Cosa che vi ha spinte in questo luogo. Il segreto... non è nella mente.

- Non lo posso dimenticare. – riuscì a dire Elsa, con la voce ridotta a un sussurro. – Come posso dimenticare qualcosa di... qualcosa di simile? Anche se è sbagliato... non saprei come fare.

Titania sembrò annoiata da questa considerazione.

“Avete mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”

“Se volevi farlo da quando mi hai vista in abito da sposa... non smettere”.

La regina delle fate le sorrise, angelica.

E prima che Elsa potesse anche solo rendersi conto di ciò che stava succedendo, lei affondò una mano nel suo petto e le strappò il cuore.

 

___________________________

 

 

 

Angolo autrice:

Buonasera e rieccomi.

Anche questo capitolo necessita di qualche spiegazione.

Dunque, come avrete capitolo, la citazione all’inizio viene da Merlin, precisamente è una battuta di Gwen e, in questo caso, si riferisce soprattutto alla regina Titania, ma anche ad Elsa.

 

Anna ed Elsa entrano nella Corte Seelie così come ci sono entrati Clary, Jace e gli altri personaggi di Shadowhunters – The Mortal Instruments, ovvero attraverso il riflesso della luna.

I riferimenti a Re Magnus e suo figlio Amadan vengono direttamente da The Books of Magic, una miniserie a fumetti in lingua inglese scritta da Neal Gaiman.


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Capitolo 6
*** Choices ***


6

 

 

«Tu che ne sai del vero amore?»
«Senza dubbio ne so meno di te, cionondimeno ne so più di quanto tu possa credere»
«Tu? Tu hai amato qualcuno?»
«È stata una breve e fugace scintilla in un oceano di oscurità»

[Once Upon a Time, Una terra senza magia, Azzurro e Tremotino]

 

 
- Che cosa volete chiedermi? – domandò Anna al sovrano delle fate, che era rimasto in silenzio per un po’, come se stesse riflettendo.

- Ci ho pensato a lungo, mentre vi aspettavo. Non ho messo ancora al corrente Titania, ma penso che sappia che sto tramando qualcosa. – Sorrise, divertito.

Anna lo fissava, guardinga.

- Perché non restate? – suggerì Oberon, candidamente.

- Restare?

- Restare, sì. Qui alla Corte Seelie. Voi e vostra sorella. Non mi fraintendete – disse Oberon, alzando entrambe le mani. – Non vi chiedo di restare per sempre, ma solo per un po’. Anche se... non mi darebbe fastidio se decideste di restare per sempre.

Anna sgranò gli occhi. Non credeva alle sue orecchie. Per qualche istante pensò che il re elfico stesse scherzando. Non poteva essere altrimenti perché la sua era una richiesta assurda.

- Voi... voi... – prese a dire Anna. Scosse il capo per scacciare la confusione. – Non dite sul serio. Insomma, certo... non potete dire sul serio.

- Non sono mai stato più serio di così, mia dolce Anna.

- No, beh... non può essere. Questa è la Corte Seelie. Non accettereste mai degli umani alla Corte Seelie.

- E perché no? Lo abbiamo già fatto in passato. Abbiamo nascosto degli umani in fuga. Li abbiamo curati se erano feriti. Abbiamo fatto dei regali agli umani, a quelli che li meritavano, per lo meno. Quindi perché non dovremmo accettarvi? – Oberon usava un tono benevolo, accondiscendente. – Non credo che Titania avrebbe qualcosa da ridire. Soprattutto se consideriamo il potere di vostra sorella. Che adesso è inibito, ma solo momentaneamente. E il popolo fatato... non farebbe nemmeno caso a voi due. Loro fanno ciò che io e mia moglie comandiamo.

- Perché mi state chiedendo una cosa... una cosa simile? – domandò Anna.

Da un angolo della stanza venne un lieve russare. Puck si era addormentato con la schiena appoggiata alle rocce e le mani abbandonate in grembo. La sua testa ciondolava di qui e di là.

- Anna, lo faccio per aiutarvi.

- Certo, come il vostro folletto.

- Io sono un po’ più saggio di Puck. – Lanciò un’occhiata alla creatura dormiente. – Anna, quello che c’è tra voi e vostra sorella... è qualcosa che il mondo là fuori non sarebbe mai in grado di comprendere. Se tornerete ad Arendelle dovrete tornare alla vita che avete sempre vissuto. Voi avrete un marito a cui pensare. Sareste costrette a nascondere ciò che provate per sempre! E prima o poi... commettereste un errore irreparabile. Non si possono soffocare i sentimenti, Anna.

Anna aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono.

- Vedo che, per una volta, siete rimasta senza parole. Mi fa piacere. Vuol dire che la mia idea non vi dispiace.

- No, io... non posso. Non possiamo lasciare Arendelle. È assurdo! Sì, è un’idea assolutamente assurda. Sono sicura che si tratta di una trappola, come il cibo che ci avete offerto prima. Voglio andare da mia sorella! – Anna parlò a raffica e la voce le uscì traballante e nervosa, oltre che più acuta del solito.

- Ci andrete, tra poco. E questa non è una trappola. Se lo fosse, non ve lo avrei neppure chiesto. Vi avrei attirate in un altro modo. Conosco una moltitudine di incantesimi, mia cara. Incantesimi che vi farebbero dimenticare vostro marito, che vi annebbierebbero la mente al punto tale che non ricordereste nemmeno il motivo che vi ha spinte qui, né ricordereste per quale ragione dovreste tornare ad Arendelle. – Oberon era serio, adesso. E sapeva essere molto persuasivo. Di sicuro, era nato per essere un re, proprio come sua moglie era nata per essere regina. – Anna, qui alla Corte Seelie nessuno vi giudicherebbe.

- Non credo che sia così facile.

- Titania è troppo vecchia e ha visto troppe cose per potersi sorprendere. E lo stesso vale per me. Anche se cinquecento anni nella vita di un elfo non sono poi molti. Un battito di ciglia. – Sbatté le palpebre come per sottolineare quel concetto.

- Cinquecento anni?

- Qualcosa di più, ad essere onesti. Ma non importa. Sono ancora giovane. Cinquecento anni sono tanti per voi, Anna. E mia moglie è assai più vecchia di me. – Oberon si avvicinò a lei, si chinò, guardandola dritta negli occhi. – Quello che vi sto offrendo dovrebbe stuzzicarvi. Qui sareste libere, ve lo assicuro. Non dovreste nascondere ciò che provate.

Anna vacillò. Oberon si portava dietro un odore di fiori appena sbocciati. Di rose. Il suo sguardo sembrava più azzurro che mai.

- Ci volete qui... perché avete messo gli occhi su mia sorella, vero? – disse la principessa di Arendelle, scostandosi un poco. – Se credete che non me ne sia accorta...

- Oh, certo che ve ne siete accorta! – Oberon rise. – Chi non metterebbe gli occhi su vostra sorella, del resto? Una regina così bella... scommetto che, nonostante il suo potere, quando vi bacia vi incendia il sangue.

Anna si sentì infiammare le guance e riportò alla mente ciò che era accaduto la sera del matrimonio. I baci di Elsa, la vicinanza del suo corpo, il suo profumo... era vero, tutto le aveva incendiato il sangue. – Beh, voi... io... questo è solo... non potete comunque chiedermi di abbandonare Arendelle. È casa mia ed Elsa non lascerà mai il suo regno incustodito. È l’unica che può governare Arendelle. Senza di lei sarebbe tutto in balia di Hans, quel... quell’idiota che ha avuto la faccia tosta di rinchiudermi in un baule... e poi Kristoff... lui verrebbe a cercarmi! Ed io non intendo abbandonarlo. L’ho appena sposato e lo amo.

- Non ho mai detto che non lo amate. Ma ammetterete che i sentimenti che vi legano a vostra sorella siano molto forti. – L’elfo roteò gli occhi. - E in ogni caso... Klaus non entrerebbe mai in casa mia. Non è invitato. Non troverebbe neppure l’ingresso attraverso il riflesso della luna. Per non parlare degli uomini che, immagino, si porterà dietro. Le fate della Corte Unseelie si divertiranno un mondo a spaventarli! Sempre che venga con degli uomini. Conoscendolo, potrebbe portare un branco di renne o di troll di roccia.

- Si chiama Kristoff, non Klaus.

- Quello che è. Voglio rassicurarvi anche su un’altra cosa. Quel principe... Hans. Lui e i suoi fratelli non metteranno piede ad Arendelle. Ci penserò io a tenerlo a bada. Vedete? Sono molto generoso. Non lascio niente al caso.

Anna lo fissava, sbalordita.

In quel momento Puck si svegliò di soprassalto, biascicando qualcosa. Si sistemò meglio il berretto in testa. – Oh... mio signore. Che offerta generosa! Proprio generosa, sì! Io accetterei. Accetterei subito, così su due piedi.

Oberon non gli disse di chiudere il becco.

 

***

 

Quando Titania aveva affondato la mano nel suo petto per estrarre il cuore, Elsa aveva provato un dolore terribile. Aveva aperto la bocca per urlare, ma l’unico suono che era riuscita ad emettere era stato un rantolo strozzato, agonizzante.

Caduta in ginocchio, si portò una mano al petto e sollevò lo sguardo sulla regina delle fate, che teneva l’organo pulsante nella mano destra. Il suo cuore era rosso e palpitante, con una lieve sfumatura nera al centro.

Nel petto Elsa non sentiva più niente, se non un vuoto strano, inquietante.

- Che cosa state facendo? Perché...? - disse a Titania.

- Ecco. Vedete? Il segreto non è nella mente. È qui. In questo spazio così ristretto. – Si portò il cuore davanti al viso e lo osservò con attenzione, come se lo stesse studiando, come se volesse penetrarlo con i suoi grandi occhi di quel verde sfuggente. – Basterebbe veramente poco per mettere fine ad una vita umana. Basterebbe... stringere un po’.

Elsa si aspettava che Titania stringesse il cuore in una morsa, facendole del male.

Invece si limitò a voltarle le spalle e a dirigersi verso il trono. Si sedette, accavallando le gambe, quasi non fosse accaduto nulla di particolare.

- Avete mai sentito parlare della leggenda dei Gentiluomini? – le chiese Titania, cambiando improvvisamente argomento.

Non ottenne risposta. Elsa era troppo sconvolta per capire di cosa stesse parlando. Non aveva più il suo cuore, non sapeva dove Oberon avesse portato Anna né tantomeno se Titania avesse intenzione di liberarsi di lei.

“Già. I tuoi timori e la tua paura sono quello che le serve, in questo momento”.

La voce nella sua testa era ovviamente simile alla voce di Ingrid. Elsa guardò la regina Titania.

- Demoni. I Gentiluomini sono demoni che strappano i cuori agli uomini. Prima di farlo, però, tolgono loro la voce. Non possono agire altrimenti, perché le urla li ucciderebbero. – Sfiorò il cuore con la punta delle dita dell’altra mano. Aveva l’aria distratta, pensosa. – E poi... arriva l’eroina che li sconfigge proprio con un grido.

Elsa non conosceva nessuna leggenda simile. Si alzò in piedi. – Cosa volete fare? Volete... uccidermi?

“I tuoi timori e la tua paura sono quello che le serve, in questo momento. Sono quello che vuole vedere. Si sta divertendo”.

- Uccidervi? L’avrei già fatto, non credete?

- Scommetto che vi state divertendo.

- Oh! Sì, in effetti mi sto divertendo molto. Non pensavate mica di potervene andare così, con i vostri ricordi, come se niente fosse accaduto! Mi piace conoscere meglio i miei ospiti... soprattutto ospiti come voi. Ho sentito parlare talmente tanto di Arendelle e della regina con il potere di controllare il ghiaccio, che quando mio marito è tornato dal matrimonio dicendomi che Puck aveva combinato uno dei suoi pasticci... ne sono stata persino felice. In parte.

Elsa sostenne lo sguardo della regina delle fate.

- Certo, a volte mi chiedevo se le voci parlassero di voi o di vostra zia. Che fine ha fatto la Regina delle Nevi?

- È morta.

- Che peccato! – Titania non sembrava particolarmente sorpresa. Curiosa, sì. – Sono sempre i più interessanti ad andarsene. E com’è morta? Perché non è successo in questo mondo, altrimenti lo saprei.

Elsa tacque. I suoi occhi vagarono per la grande sala del trono, ai viticci che si arrampicavano sulle possenti colonne di marmo, ai fiori che emanavano quel profumo intenso, inebriante, per poi rivolgersi di nuovo al viso di Titania, all’espressione accigliata, in attesa di una risposta. Al cuore. Al suo cuore che pulsava.

- Ho fatto una domanda. Gradirei ricevere una risposta – disse la regina delle fate, in tono calmo.

- Cosa importa? – chiese Elsa, cercando di controllare il tremito nella sua voce.

“Fate le domande giuste o non otterrete mai le risposte che volete”.

- La conoscevate?

- Purtroppo no – ammise Titania. Schioccò le dita e, dove prima non c’era assolutamente nulla, comparve un altro di quegli sfavillii. Una fata, la stessa che aveva offerto loro il cibo, porse un vassoio alla regina, un vassoio sul quale faceva bella mostra di sé un calice ripieno di un liquido ambrato. Titania lo prese e congedò la fata, che sparì. – Ma mi interessa saperlo. Mi interessano molte cose.

Elsa la fissò. – Molte cose... come i cuori della gente?

Lei le rivolse un blando sorriso. Poi bevve un sorso dal suo bicchiere. – A volte mi piace scoprire ciò che contengono. Intendete rispondermi? Magari così potrete ritornare dalla vostra amata sorella e riavere il vostro cuore.

Elsa rifletté ancora qualche istante. Pensieri, sospetti e subitanee impressioni si agitavano nella sua testa, tumultuosi, cozzando l’uno contro l’altro. Chiuse brevemente gli occhi, poi li riaprì di scatto.

Titania si dimostrò realmente interessata a tutta la storia di sua zia Ingrid, della maledizione del riflesso infranto, di com’era stata scagliata, di quello che era successo agli abitanti di Storybrooke, di come l’incantesimo avesse tirato fuori la parte peggiore di loro. E di come tutto si era concluso.

- Avrei tanto voluto assistere – rispose Titania. Mise giù il calice e si sporse in avanti. – Non alla morte di vostra zia, non fraintendetemi. Ma alle zuffe causate da quell’incantesimo sì. Oh, eccome se avrei voluto esserci! E questa storia è così... sentimentale. Ci sono sempre i legami famigliari di mezzo. C’è sempre il cuore di mezzo.

Elsa osservò ancora il proprio, di cuore, nella mano della sovrana. Rosseggiante, vivo.

- E proprio perché c’è sempre il cuore di mezzo, anche voi dovreste fare una scelta. – riprese il bicchiere e si alzò per tornare da Elsa. Sollevò la coppa in un brindisi e bevve quel che restava del liquido gorgogliante, che le lasciò una tenue macchia sull’angolo delle labbra. Se la tolse, passandovi sopra la lingua.

- Che scelta?

Titania scoppiò a ridere. - Pensavo l’aveste già capito. Perché credete che abbia preso questo cuore?  Perché, volendo, potete rinunciarvi per sempre.  

Elsa la fissò con gli occhi spalancati. - Avete detto... avevate detto che l’avrei riavuto, se avessi risposto alle vostre domande.

- Oh. Certe risposte sono assai utili. Hanno il valore delle rarità, mia cara. Meritano, in cambio, un buon prezzo. E comunque io ho detto magari. Se lo riavrete, sta a voi decidere. – Un diadema che aveva fra i capelli e le ricadeva sulla fronte mandò un barbaglio luminoso, colpito dalla luce della Corte. La pietra era dello stesso colore del suo sguardo. – Quello che provate nessuno lo capirà mai. Non c’è libertà là fuori per voi. Se tenete il vostro cuore, questi sentimenti vi accompagneranno per molto tempo. Forse per sempre. Pensate di poterlo nascondere per sempre, Elsa? Credete di esserne capace? Scommetto di no. Nessuno ne è capace.

Elsa indietreggiò di un passo, vedendola sopraggiungere. – Io... così non sentirei più niente.

- No, è vero. – Titania si avvicinò ulteriormente, puntando gli occhi nei suoi. – Non sentireste più niente. E può sembrare una vera tragedia, ma se considerate la vostra situazione direi che non lo è, cara. Non vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata. Per una donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un uomo che si fida di voi... Oberon mi ha parlato del marito di Anna... quel... credo che sbagli di proposito il suo nome. Mi ha detto che tutto sommato è un uomo gentile e che ama molto vostra sorella. Li avrete sotto gli occhi tutto il tempo. Direi che la situazione non potrebbe essere più miserevole, Elsa.

“Lui è mio amico”, aveva detto ad Ingrid, quando lei aveva puntato il dito contro Kristoff per congelarlo come aveva fatto con Hans.

E poi...

“Io devo seguirla”.

“No”.

“Stai dicendo di no alla tua regina?”

“Sto dicendo di no alla mia futura sorella... cognata. E per un buon motivo. Amiamo Anna tutti e due e sappiamo che se la caverà”.

“Perché non sei andato tu con lei?!”

“Perché non ha voluto. Pensava che servissi qui”.

“Per cosa?”

“Non voleva che tu restassi sola”.

- Non solo questo – continuò Titania. – È vostra sorella la persona coinvolta. Non vi capirebbero mai, neanche tra mille anni, se vi scoprissero. Qual è la pena nel vostro regno per due persone accusate di intrattenere... rapporti non consoni al legame di parentela che le lega? L’esilio? O peggio?

Elsa non rispose. Si sentiva cedere le ginocchia. Lo sguardo della sovrana delle fate si era fatto più penetrante. Aveva un potere. Un vero potere, perché le sue gambe cedettero sul serio e lei si ritrovò in ginocchio ai suoi piedi, come un attimo prima, quando le aveva strappato il cuore dal petto.

- Voi pensate che questi sentimenti siano sbagliati. Ne siete certa. E allora liberatevene. – Titania si piegò sulle ginocchia.

- Pensate davvero che sia così... facile liberarsi dei propri sentimenti? – disse Elsa, guardando il suo cuore.

- Non ho mai detto questo. Ma vi sto offrendo una scelta.

- E... cosa ne sarà del mio cuore?

Titania inclinò la testa. – Resterà qui. A meno che non desideriate portarlo con voi, ma non credo che sia una buona idea. Lo nasconderei. Qui sarebbe al sicuro.

- Potreste usarlo contro di me.

- E perché mai? Non sono così interessata al regno di Arendelle da volerlo controllare attraverso di voi. Troppo lontano, troppo freddo. Ho già la Corte Seelie a cui pensare e vi assicuro che non è affatto semplice. - Lo sguardo si perse per qualche istante, come se stesse ricordando qualcosa e l’espressione del suo viso divenne meno arrogante, meno regale, persino. Quasi umana. Poi si riscosse. - Allora, che cosa ve ne pare della mia offerta?

 

***

 

- Aspettate, Anna! – gridò Oberon.

- No, non aspetto. Voglio andare da mia sorella.

Puck allungò una mano dalle unghie lunghe e l’afferrò per la gonna, costringendola a voltarsi di scatto. Il folletto sorrideva, furbescamente, muovendo la punta delle orecchie.

- Non è da quella parte. Siamo arrivati di là. – Il re indicò con il pollice il passaggio alle sue spalle. – E Titania potrebbe non avere ancora finito.

Anna fece dietrofront, tenendo d’occhio la creatura che seguiva Oberon a ruota. - Non mi importa di vostra moglie. Come avete fatto a sposarla, piuttosto? Perché vedete lei è... bella, piena di sé, insopportabile... e strana. Dimenticavo strana. Ed è anche inquietante.

- Oh, il nostro matrimonio è un’alleanza importante.

- Vi siete sposato solo per stringere un’alleanza? È orribile. – Anna camminava in fretta tra le possenti colonne di marmo e il profumo che impregnava l’aria. Oberon non faticava a starle dietro.

Intorno a loro svolazzavano tante fate, nelle loro bolle di luce colorata. C’erano anche alcuni di quei Brownies, per lo più impegnati in faccende domestiche, e le guardie, tutti elfi o fate maschio in forma umana, che indossavano armature d’argento o dorate.

- A dire il vero apprezzo molto la bellezza di mia moglie. Se avesse anche un buon carattere sarebbe meglio. Ma non è sempre stata così.

- Ah, no?

- No. La guerra contro Magnus e Amadan è stata molto dura. Titania ha perso molte persone a lei care.

Anna stava per rispondere ma Oberon spalancò le porte della sala del trono.

Con sgomento Anna assistette ad una scena che non si sarebbe mai aspettata di vedere; Titania che spingeva il cuore rosso e pulsante nel petto di Elsa, che boccheggiò in cerca d’aria e rantolò.

- Elsa!

- Titania, hai forse perso il senno? – Il sovrano delle fate sembrava realmente incredulo, adesso. Aveva gli occhi sbarrati. Se avessero potuto sprizzare lampi l’avrebbero fatto.

- Perso il senno? Non sono mai stata più lucida, mio caro. Stavo facendo una proposta alla regina di Arendelle.

- Immaginavo volessi farle una proposta. Ma una proposta che prevede cuori strappati?

- Di sicuro una proposta migliore della tua. E come puoi vedere è stata comunque rifiutata.

- Come sai qual è stata la mia proposta? Non ti ho messa al corrente, se non sbaglio.

- Conosco il genere di proposte che fai ai nostri ospiti, sta tranquillo.

Puck si ritirò in un angolo. Era evidente che in presenza della regina cercava di tenere un basso profilo. Temeva molto di più Titania che Oberon.

Anna corse dalla sorella e la strinse forte a sé, circondandole le spalle e serrando le palpebre mentre appoggiava il viso contro il suo collo.

- Che cos’ha fatto al tuo cuore? – chiese, staccandosi da lei. Le mise una mano sul petto di Elsa e lo sentì battere un po’ più veloce del normale. – Sembra tutto a posto. Batte ed è nel tuo petto, quindi è tutto a posto, no? Oppure ha usato qualche strana magia? Forse ha usato una polvere elfica o qualche polvere fatata?

- Anna... – cominciò Elsa.

- Cosa volevate fare con il cuore di mia sorella? – esclamò, voltandosi e facendo un passo verso Titania, come se si stesse apprestando ad attaccarla. – Il suo cuore deve... deve restare dov’è. Non vi appartiene. Oppure siete una di quelle... inquietanti collezioniste di oggetti macabri? Collezionate i cuori dei vostri ospiti, per caso? Voi e vostro marito avete qualche armadio che contiene i cuori degli esseri umani che sono stati tanto sprovveduti da mangiare il vostro cibo? Perché sapete, c’è chi ha scheletri nell’armadio e chi... colleziona cuori, suppongo. E sono entrambe cose davvero poco igieniche... e orribili. Mia zia aveva dei brutti scheletri nell’armadio e ne aveva anche uno... vero. Beh, Hans era congelato, ma il suo corpo conteneva uno scheletro, perciò...

Elsa allungò una mano e la prese per un braccio. – Anna.

Lei si voltò a guardarla.

- Non ho cuori in nessun armadio e a quello di vostra sorella non ho fatto niente. – rispose tranquillamente Titania, sedendosi di nuovo sul suo trono. – Ma Elsa sarà molto felice di raccontarvi tutto, immagino. Domandateglielo. E avete ragione sul fatto che non mi appartenga... appartiene a voi.

Anna arrossì fino alla punta delle orecchie. Sbirciò il viso di sua sorella, i cui occhi guizzavano, irrequieti. I dorsi delle loro mani si sfioravano.

- Beh – disse Oberon, dopo qualche istante di silenzio. – Cuori non ne abbiamo. Ma abbiamo qualche scheletro. Solo che non vi piacerebbe vederlo.

 

***

 

Oberon, seguito come sempre da Puck, le accompagnò nel punto in cui si erano incontrati quando erano precipitate attraverso le acque del lago.

- C’è una cosa che vorrei sapere – disse Anna, osservando il re elfico.

- E cosa?

- Perché vi segue sempre. Puck, intendo. Vi sta sempre... appiccicato. E voi non lo trattate certo bene. Anzi. E non siete neanche capace di tenerlo a bada.

Oberon rise. Sembrava che non ci fosse niente che potesse dargli fastidio. Forse solo la moglie era in grado di offenderlo. – Oh, Anna. Vi ammiro, sapete? Siete dotata di una franchezza che è una cosa assai rara!

- Sono molto grato al mio signore. Sì! Per questo gli sto sempre vicino e sono pronto a fare ciò che mi domanda. – disse Puck, annuendo ripetutamente e levandosi il cappello per poi rimetterselo subito, storto.

- Gli ho salvato la vita molto tempo fa. – spiegò Oberon. – A volte mi chiedo perché, visto che non è affatto vero che fai ciò che ti domando. Altrimenti loro non sarebbero venute qui, folletto dei miei stivali!

- Perché avete un cuore generoso, mio signore. Ecco perché l’avete fatto – suggerì Puck, stirando le labbra all’insù, in un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

Oberon roteò gli occhi. Poi si rivolse alle due sorelle. – Beh, che peccato che per voi sia giunto il momento di tornare indietro. Mi sarebbe piaciuto che foste rimaste ancora un po’. Ma comprendo che Arendelle abbia bisogno di voi. Ha bisogno... della sua regina. Spero che vi ricorderete di me.

- Non credo sarà possibile dimenticare tutto questo – disse Elsa.

- Io certamente non mi dimenticherò del giorno in cui vi ho conosciuta, Vostro Splendore – rispose Oberon, regalandole un sorriso insinuante. Poi le prese una mano e si chinò per sfiorarla con le labbra.

Anna pensò che quello poteva essere il momento buono per appioppargli un bel calcio nel sedere. Poi, magari, avrebbe dato un calcio nel sedere anche a Puck che se la rideva sotto i baffi.

- Nauthannen i ned ôl reniannen... – disse Oberon, in una lingua che doveva essere elfico.

Ovviamente Elsa non capì cosa le stesse dicendo.

 

***

 

La risalita fu molto peggio della discesa. L’acqua del lago le avvolse e si fece silenzio, un silenzio denso di ombre informi che danzavano. Nessuna luce venne loro incontro.

Anna cercò le dita della sorella e le trovò. Vi si aggrappò letteralmente, temendo di essere risucchiata dal buio.

Quando emersero era ancora notte, il cielo blu era punteggiato di stelle e... faceva molto freddo. O almeno Anna aveva freddo e abbracciò se stessa, rabbrividendo, mentre si dirigeva verso la riva. Cadde sull’erba, sputacchiando acqua, ed Elsa si inginocchiò vicino a lei.

- Oh... oh, perbacco, è freddissima! È l’acqua più fredda che abbia mai provato. Nemmeno ad Arendelle l’acqua è così fredda. Elsa, ti prego, dimmi che non ci entreremo mai più. Voglio dire... io di sicuro non ci entrerò mai più.

Elsa avrebbe voluto scaldarla in qualche modo, ma non potendo farlo prese il suo viso fra le mani e le posò un bacio sulla fronte, indugiando sulla sua pelle. E sentendosi felice di essere uscita dalla Corte Seelie. Le sembrava di essere rimasta là sotto per un’eternità.

Quando si staccò dalla sorella, Anna le sorrise. I suoi occhi brillavano, mentre rivoli d’acqua le scorrevano lungo le guance. Poi le afferrò la nuca e le restituì il bacio. Solo che glielo diede sulle labbra, cogliendola di sorpresa.

- Il tuo cuore sta davvero bene, vero? – disse Anna, ansiosa e tornando a metterle una mano sul petto. – Titania non mentiva quando diceva che... che non ha fatto niente? A parte strappartelo, il che è già abbastanza orribile. Su questo Oberon aveva ragione: doveva aver perso la testa.

Elsa, ancora stordita dal bacio, scosse la testa e appoggiò la sua, di mano, su quella di Anna. – No... non mentiva. È una fata, non può mentire. E ti assicuro... che non ha perso la testa.

In quel momento, dalla foresta che circondava il lago, sbucarono delle figure armate e che si muovevano silenziosamente, con le armi in pugno e le torce per illuminare il cammino.

Le Amazzoni.

Videro Ippolita con l’arco e la faretra piena di frecce sulle spalle guidare il gruppetto di cinque o sei guerriere, tra le quali anche Agave, l’Amazzone che aveva offerto l’acqua ad Anna quando erano giunte al villaggio.

- Eccovi, finalmente – disse la regina. Sembrava quasi sorpresa di vederle. – Pensavo non sareste riemerse mai più. Vi aspettiamo da una settimana.

- Una settimana? – Elsa si alzò in piedi, fissandola incredula. – Non è possibile. Dobbiamo essere state via solo qualche ora...

- È trascorsa una settimana – ripeté Ippolita. – Il tempo alla Corte Seelie scorre in modo diverso.

Elsa teneva stretta a sé la sorella, che tremava di freddo.

- Forse sarà il caso di accompagnarvi al villaggio. Avete bisogno di un posto caldo.

Anna aggrottò la fronte. – Sul serio?

- Sì. Sul serio. – Ippolita guardò le sue compagne, che stavano perlustrando la zona con i loro sguardi attenti e guardinghi.

- Un posto caldo... sì. E non solo un posto caldo, ma anche del cibo caldo non sarebbe una cattiva idea. – disse Anna. – È stato estremamente difficile non accettare il cibo delle fate. Ci hanno offerto dei sandwitches, capite? Sandwitches e dolci al cioccolato. Ed io li adoro. I dolci, ma anche sandwitches. Non so come ho fatto a resistere.

- Sono felice che abbiate dato retta ai miei avvertimenti e a quelli del vostro amico troll – commentò Ippolita. – E per quanto mi riguarda... non posso offrirvi dei dolci al cioccolato, ma una cena calda sì. Forza, seguitemi.

 

***

 

 

Angolo autrice:

 

Salve, salvino. ^_^

Come al solito aggiungo qualche piccola nota per spiegare alcune cose:

 
I Gentiluomini sono personaggi della serie Buffy, L’ammazzavampiri. Precisamente compaiono nell’episodio Hush (L’urlo che uccide, in italiano) e sono creature demoniache che strappano i cuori agli umani dopo aver rubato loro la voce in modo che non possano gridare.

Nauthannen i ned ôl reniannen. La battuta di Oberon significa: “credevo di essermi smarrito in un sogno”. Appartiene ad Aragorn, personaggio de Il Signore degli Anelli. Qui sotto il dialogo originale tra lui ed Arwen:

 

arwen: Renich i lú i erui govannem?

aragorn: Nauthannen i ned ôl reniannen.

 
arwen: “Ti ricordi la prima volta che ci incontrammo?”

aragorn: “Pensavo di essermi smarrito in un sogno”


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Capitolo 7
*** A Gift or a Curse ***


7

 

 

 "Devi imparare a controllarlo. La paura sarà tua nemica”

[Frozen – Il Regno di Ghiaccio, Granpapà]

 

 
- Avete detto che ci stavate aspettando. Perché? – Elsa parlò alla regina delle Amazzoni che guidava il gruppo verso il villaggio, continuando però a perlustrare il bosco intorno con lo sguardo, attenta a qualsiasi cosa.

- Non siete anche voi una regina? – rispose Ippolita, abbassando la voce per non farsi sentire dalle altre.

- È solo questo il motivo?

- No – Ippolita spostò lo sguardo su di lei per qualche momento, sorridendole. – L’ho fatto perché pensavo che fosse giusto. Così ho chiesto alle mie compagne di tenere d’occhio il lago, dopo il tramonto. Chi riemerge, riemerge sempre di notte. E onestamente credevo che non sareste tornate tanto presto. O che non sareste tornate affatto.

- Pensavate che... ci avrebbero trattenute laggiù con la forza?

- Non con la forza. Ma avrebbero potuto trattenervi in qualche modo. Facendovi mangiare il loro cibo, offrendovi... qualcosa in cambio. Le offerte della Corte Seelie sono molto generose e molti, in passato, ne hanno approfittato, finendo col perdersi nel mondo delle fate.

Anna, che camminava vicino alla sorella, continuava a rabbrividire, a lamentarsi del freddo e degli abiti bagnati e a sproloquiare proprio per non pensare al fatto che stesse congelando.

Beh, non si stava trasformando in una statua di ghiaccio come le era capitato una volta, ma batteva i denti e sognava un bel fuoco, nonché un’enorme tazza di cioccolata calda. Si ripromise che, una volta tornata ad Arendelle, la prima cosa che avrebbe chiesto sarebbe stata la tazza di cioccolata. Tante tazze di cioccolata.

Giunte al villaggio Ippolita fece accendere un fuoco per loro e fece portare il cervo che aveva cacciato quella mattina. Era un bellissimo maschio, robusto e con delle corna maestose. La freccia di Ippolita l’aveva colpito dritto al cuore.

Dritto al cuore, pensò Elsa.

Credeva che non avrebbe mai dimenticato il momento in cui Titania le aveva strappato il cuore dal petto, tenendo la sua vita nelle proprie mani.

“Pensavo l’aveste già capito. Perché credete che abbia preso questo cuore? Perché, volendo, potete rinunciarvi per sempre”.

Elsa guardò sua sorella, infagottata nei mantelli di pelliccia che le avevano dato per scaldarsi. Uno era stato dato a lei, ma non avendone bisogno l’aveva ceduto ad Anna, sistemandoglielo intorno al corpo. Si era disfatta le trecce e i suoi capelli erano una massa rossa e scompigliata che le ricadeva sulle spalle e sulla schiena.

“Se tenete il vostro cuore, questi sentimenti vi accompagneranno per molto tempo. Forse per sempre. Pensate di poterlo nascondere per sempre, Elsa? Credete di esserne capace? Scommetto di no. Nessuno ne è capace”.

Non sapeva se ne era capace. Ma se avesse rinunciato al suo cuore avrebbe perso tutto. Non avrebbe sentito più niente e sarebbe stato peggio.

Elsa alzò la testa e colse lo sguardo di Varja, la scontrosa Amazzone che le aveva spinte ad attraversare quel ponte pericolante sospeso sull’abisso. Non perdeva occasione di fissarle, anche se non aveva mai rivolto loro la parola da quando erano tornate al villaggio e nemmeno si era avvicinata. Il che andava più che bene.

 

***

 

Quella notte Anna sognò di essere ancora sul ciglio della montagna.

Quando essa tremò lei cadde e riuscì ad aggrapparsi alle rocce, ma sapeva che non avrebbe resistito a lungo. Sentiva i muscoli delle braccia in tensione, le dita che scivolavano sulla pietra e l’aria che crepitava, come se la magia stesse assumendo una forma concreta intorno a lei.

Sarebbe caduta e ad aspettarla ci sarebbe stata Ingrid.

Si svegliava sempre nel momento in cui precipitava e prima di colpire il suolo, per questo fu molto sorpresa di vedere una mano che si allungava verso di lei e afferrava la sua, stringendo forte e poi tirando.

Belle era arrivata in tempo, stavolta. Era arrivata in tempo e la stava salvando. Con i capelli castani e la mantella verde che svolazzavano, preda del vento, Belle l’aiutò ad issarsi e lo fece come se Anna pesasse quanto una piuma.

- Oh... Belle – disse Anna, fissando la ragazza che aveva accompagnato dai troll perché potessero aiutarla a recuperare i ricordi che riguardavano la morte della madre. – Ce l’hai fatta. Sei... riuscita a salvarmi. Ma tu... tu non sei veramente qui, vero? Certo, è ovvio, non puoi essere qui. Questo è un sogno e tu sei a Storybrooke... o forse era la Corte Seelie, il sogno?

- No, Anna, io non sono qui – disse Belle, sorridendole e prendendole la mano. – E non sono riuscita a salvarti. Non sono arrivata in tempo.

- E allora perché...? È successo qualcosa a Storybrooke? Sì, qualcosa deve essere successo. Insomma, avrai saputo che l’uomo con cui ti sei sposata ha mentito. Su di me, intendo. Ci conoscevamo, Belle. Ci siamo conosciuti... molto tempo fa. Non posso credere che tu l’abbia davvero sposato, sai?

- Non devi preoccuparti per me. Io sto bene.

- Faccio fatica a crederlo. Pensavo che l’uomo che ci aveva aiutati a tornare ad Arendelle fosse una specie di... fata padrino. Uno disposto ad aiutare. Ho persino detto ad Emma che avrei tanto voluto conoscerlo di persona... e poi David ha detto che si trattava di Tremotino!

- Anna – disse Belle, interrompendola. – Un tempo ho sbagliato. Avrei dovuto essere qui per aiutarti invece di pensare solo a me stessa.

- Si trattava dei tuoi ricordi. Io so cosa significa perderli. E avevi bisogno di risposte. Me l’hai detto anche a Storybrooke e lo sai che ti ho perdonata. Non sono mai stata arrabbiata con te, ad essere sincera. Se avessi avuto un po’ più di tempo ti avrei anche detto che Tremotino è...

- Le risposte non sono sempre ciò che cerchiamo. Sei stata tu a farmelo notare. Cerchiamo qualcosa che ci faccia sentire meglio.

- Sì...

- E quello che hai cercato anche tu alla Corte Seelie. Non i tuoi ricordi. Non solo. Ma qualcosa che ti facesse stare meglio. L’hai trovato?

Anna non seppe che cosa rispondere. Rivolse lo sguardo al cielo scuro sopra di lei, poi di nuovo a Belle. – So che cos’è successo la sera del matrimonio...

- Hai trovato una risposta, allora. Ti fa stare meglio?

- So che cosa mi fa stare meglio. Elsa. Elsa mi fa stare meglio. Sapere che è qui con me mi fa stare meglio. Se fossi partita da sola... credo che sarebbe stato più difficile. L’ultima volta che sono partita da sola non è andata molto bene e non sono tornata con delle buone notizie. E c’è qualcos’altro che mi fa stare bene e non dovrebbe. È sbagliato, vero?

Non ottenne una risposta.

Gli occhi di Belle erano azzurri come lapislazzuli e Anna vide l’azzurro allargarsi a dismisura, inondare il mondo del suo sogno fino a ricoprirlo interamente, come un mare che avanzava, placido ma deciso, inghiottendo tutto.

 

***

 

Elsa si svegliò la mattina seguente quando il sole era già alto.

Le occorse qualche istante per fare mente locale e rendersi conto che non si trovava ad Arendelle, ma al villaggio Amazzone. Dall’esterno della tenda che Ippolita aveva riservato per loro udiva le voci delle guerriere, il rumore degli zoccoli dei cavalli in movimento, di sassi che affilavano le lame delle spade o le punte di lancia.

Spostò lo sguardo sul giaciglio della sorella e vide che Anna dormiva profondamente. Si era agitata un po’ quella notte, forse in preda a qualche strano sogno, ma adesso il suo viso era rilassato. Un braccio e un piede spuntavano da sotto la coperta. I capelli rossi le ricadevano sul volto, scomposti.

Elsa si avvicinò piano, inginocchiandosi accanto a lei e le sistemò meglio la coperta, scostandole anche qualche ciocca. Anna mugugnò qualcosa, ma non si svegliò.

“È vostra sorella la persona coinvolta. Non vi capirebbero mai, neanche tra mille anni, se vi scoprissero. Qual è la pena nel vostro regno per due persone accusate di intrattenere... rapporti non consoni al legame di parentela che le lega? L’esilio? O peggio?”

Elsa strinse le labbra, riandando con la mente al momento in cui aveva baciato sua sorella per la prima volta, nei giardini di Arendelle. E ricordò anche l’ultima. Il bacio di Anna in riva al lago. Così improvviso da lasciarla stordita.

Appoggiò una mano sulla testa di Anna, piano, avvertendo il tepore della sua pelle. Fu presa dal forte impulso di stringerla fra le braccia, come avrebbe potuto fare con una bambina.

Solo che non voleva svegliarla. Aveva bisogno di riposare, quindi Elsa si rialzò e uscì all’aperto.

Il villaggio ferveva di vita, come sempre. Alcune Amazzoni stavano strigliando dei cavalli, altre affilavano le armi, saggiavano le corde dei propri archi o fabbricavano frecce, pronte per uscire a caccia. Qualche guerriera, passandole accanto, le rivolse un rapido e cordiale cenno del capo. Ippolita non si vedeva da nessuna parte. Elsa notò anche che lo scheletro all’interno della grande gabbia appesa al ramo dell’albero non c’era più. Un vero sollievo. Aveva avuto l’impressione che le orbite vuote di quello che una volta era stato un uomo la fissassero.

E qualcuno la stava effettivamente fissando.

Elsa abbassò lo sguardo e vide una bambina di forse quattro anni che la osservava. La osservava con i suoi grandi occhi neri che potevano essere solo gli occhi di Varja e aveva i capelli biondi tutti intrecciati. L’aveva già vista in braccio a sua madre, quando lei ed Anna erano arrivate al villaggio come prigioniere.

Elsa le sorrise.

- È vero che sai fare magie con la neve? – le chiese la bambina a bruciapelo e come se fosse la cosa più normale del mondo.

Batté le palpebre, sorpresa. – C-come?

- Mia madre ha detto che sai fare magie con la neve. Che controlli il ghiaccio. E Ippolita ha anche detto che sei una regina, come lei. Le ho sentite.

Elsa deglutì. Poi si inginocchiò di fronte alla bambina. – Come ti chiami?

- Pentesilea. È il nome di una regina amazzone – disse, raddrizzando le spalle esili.

- È un bel nome.

- Quindi lo sai fare?

Era sicura che non avrebbe mollato fino a che non avesse ottenuto una risposta.

- Sì, lo so fare. – ammise Elsa, riluttante.

- E anche tua sorella?

- No. No, mia sorella no.

- E chi te lo ha insegnato?

- Non me l’hanno insegnato.

Pentesilea rifletté qualche istante. – Posso vedere?

- Vedere?

- Come controlli il ghiaccio. Me lo fai vedere?

Elsa restò interdetta. La bambina glielo aveva domandato senza alcuna traccia di imbarazzo. La sua sembrava la pura e semplice curiosità di chi aveva solo sentito parlare della magia, ma non aveva mai visto nulla di magico prima d’ora.

- Oh, beh... credo che non sia una buona idea. – rispose Elsa.

- Ma io non ho paura. Un giorno diventerò un’Amazzone come mia madre e lei non ha mai paura.

Avrebbe dovuto dirle di no. Avrebbe dovuto dirle che non poteva farlo. Aveva imparato a controllare i suoi poteri anche grazie ad Ingrid, ma era comunque restia a mostrarli ad una bambina così piccola.

Una bambina che la guardava con grandi occhi pieni di speranza e interesse. Come se già la trovasse speciale.

- Va bene – acconsentì Elsa.

Gli occhi di Pentesilea scintillarono e il sorriso le illuminò il volto rendendola ancora più dolce e adorabile.

Elsa aprì la mano, rivolgendo il palmo all’insù.

Per qualche momento non accadde niente. Poi vi fu uno sfavillio biancoazzurro e comparve un grande cristallo di ghiaccio che fluttuò sospeso sulla mano della regina di Arendelle.

- Oh... – fece la bambina, stupita. Non provò nemmeno a toccare il cristallo, ma avvicinò il viso ad esso e lo scrutò affascinata, inclinando la testa di lato. – È... così bello.

Il cristallo ruotava, ammiccando. Si rifletteva negli occhi di Pentesilea, conferendo loro una nuova lucentezza.

- Come riesci a farlo? Pronunci una formula magica? – domandò la bambina, continuando a fissare il risultato di quella magia.

- No... io non...

- CHE COSA STAI FACENDO? STAI LONTANA DA MIA FIGLIA! – L’urlo che spezzò la sua risposta fu seguito da una feroce imprecazione e, un attimo dopo, Varja piombò su di loro come un uccello del malaugurio. Afferrò la figlia, prendendola in braccio e ignorando le sue proteste e rivolse ad Elsa uno sguardo pieno di furia. Il nero dei suoi occhi bruciava. Teneva la mano libera sull’impugnatura della sua ascia.

Altre Amazzoni, attirate dalle grida di Varja, si misero ad osservare la scena, mormorando.

- Mi... mi dispiace. Non volevo farle del male... – farfugliò Elsa.

- Questo lo dici tu – Varja si fece più vicina. – Ho visto che non sai controllare bene questo tuo... potere. Avresti potuto ferire mia figlia!

- Non è vero, non avrei mai ferito la bambina.

- Mamma, mi ha fatto vedere il cristallo di neve. Era bello! – intervenne Pentesilea.

Varja la consegnò all’Amazzone Asteria, una delle guerriere che avevano scortato le sorelle al villaggio, e quest’ultima si allontanò con Pentesilea che ancora scalciava e agitava i pugni. 

- Non avvicinarti mai più a mia figlia. – sibilò Varja, puntando un dito contro di lei. – Posso accettare che tu rimanga qui con... tua sorella... perché Ippolita ha deciso così. Ma mia figlia... non devi nemmeno provare ad alzare un dito su di lei o la pagherai cara.

Anna, svegliata dal trambusto, uscì per vedere che cosa stesse succedendo. I capelli formavano una matassa rossa e disordinata che ricadeva sulle spalle e negli occhi. Se li scostò dal viso. Aveva ancora la mente annebbiata dal sonno, ma non appena guardò Elsa e notò gli innumerevoli fiocchi bianchi che le danzavano attorno batté le palpebre e tornò ad essere più che lucida.

- Elsa... cosa succede? – Lanciò un’occhiata di sottecchi a Varja.

Sua sorella aprì la bocca per rispondere, ma lo sguardo accusatore dell’Amazzone, uno sguardo che aveva già visto altre volte su altre facce, glielo impedì ed Elsa corse via.

- Elsa! Aspetta! – gridò Anna.

- Ecco, seguila – disse Varja, togliendo la mano dall’ascia. – Seguila e dille di tenere a bada il suo potere. Lo stava usando davanti a mia figlia. Non so cos’avesse in mente, ma...

Anna si voltò, fissando i suoi occhi sbarrati sull’Amazzone. – Elsa non avrebbe mai fatto niente di male a tua figlia! Non so che cosa tu pensi che lei avesse in mente, ma... beh, dimenticatelo!

- Non credo di potermi dimenticare che già una volta ha tentato di ridurci a tante statue ghiaccio.

- Perché pensava che ci steste attaccando! Voleva proteggere me. Lei non usa il suo potere per fare del male! Di certo non l’avrebbe mai usato contro una bambina.

- Non sa controllarlo. Me ne sono resa conto! – Varja aveva quasi annullato lo spazio che la separava da Anna. Era più alta di lei. Il viso aguzzo, con le guance leggermente incavate, era atteggiato in un’espressione di sfida mescolata allo scherno e al disprezzo. Gli occhi erano due buchi scurissimi e risucchianti, minacciosi come tenebre incombenti.

- Sa controllarlo, invece! È più brava di quello che pensi.   

- Tu sei sua sorella – osservò Varja. – O almeno... è quello che continui a ripetere. Avrai vissuto a lungo con lei e avrai imparato ad accettare il suo... il suo essere contro natura. Ippolita ha anche detto che Eiry è una regina. Qui non lo è. Qui c’è già una regina e lei non può permettersi di...

...il suo essere contro natura.

Anna aveva smesso di ascoltarla a questo punto. Il sangue le affluì alle guance. Le andò alla testa. Dimenticò di usare il falso nome della sorella quando parlò di nuovo. – Elsa non è contro natura! Se vuoi proprio saperlo, sì sono sempre vissuta con lei e non ho mai voluto una sorella diversa! E a ben pensarci, se qui c’è qualcuno contro natura quella non è certo Elsa!

Le Amazzoni che stava assistendo alla scena smisero di borbottare. L’aria si fece ancora più tesa, pesante, densa di cattive intenzioni.

Varja non le staccò lo sguardo di dosso, uno sguardo ridotto a due fessure nere. Quando parlò la sua voce suonò bassa e fredda. – Se sapessi usare un’arma ti darei una lezione, Joan. O forse dovrei dire Anna. Ti farei capire che non ti conviene rivolgerti a me così.

- Io la so usare un’arma! So usare la spada. Me l’hanno insegnato i miei soldati. Vuoi che te lo dimostri? Dicono che io sia abbastanza brava. – Comprese di essersi messa nei guai nel preciso istante in cui pronunciò queste parole. Ma era troppo tardi.

- Tu sapresti usare la spada... ma davvero? – Varja sorrise. – Sentito che cos’ha detto questa ragazzina? Sa usare una spada! Dategliene una, forza!

Le guerriere schiamazzarono un po’. Poi qualcuno lanciò una spada che cadde a pochi passi da Anna.

- Prendi quell’arma e fammi vedere quanto sei brava – disse Varja, facendosi consegnare una spada dalla lama corta che impugnò e mulinò sopra la testa con estrema destrezza. I muscoli delle sue braccia guizzarono.

- Varja... io credo che non dovresti – disse Agave, mettendole una mano sul braccio. – Ippolita non approverà.

- Ippolita non è qui. E la fanciulla è stata così poco astuta da sfidarmi. Che si faccia avanti.

In effetti Ippolita era uscita a caccia quella mattina e non era ancora tornata.

Anna prese la sua spada e la strinse saldamente. Il cuore batteva come una grancassa. – Va bene. Anch’io voglio vedere che cosa sai fare.

- Non montarti troppo la testa. Ero molto più giovane di te quando ho preso in mano la mia prima arma.

- Che ne sai di quanti anni avevo io quando ho imparato?

Varja si scagliò con forza contro di lei, ringhiando come un lupo che si getta contro l’ambita preda. Anna arretrò di un passo, rispose all’assalto e assestò un fendente a due mani. L’Amazzone lo parò e rispose con un colpo ben assestato. L’urto la fece barcollare per un momento e Anna sentì una potente scossa risalire su per il braccio.

Se si aspettava che Varja fosse soprattutto molto aggressiva e che ciò l’avrebbe portata a stancarsi presto, si sbagliava. La sua rapidità fu una spiacevole sorpresa.

Girarono l’una intorno all’altra, scambiandosi una serie di colpi. Entrambe restituivano quello che ricevevano. All’inizio le guerriere che assistevano allo scontro incitavano la loro compagna, ma pian piano si zittirono tutte.

Anna bloccò un altro fendente così forte da strapparle un gemito e intorpidirle il braccio. Puntò alle gambe dell’Amazzone che si tirò indietro agilmente. Allora tentò un colpo al polpaccio, ma Varja evitò la lama e provò un affondo che costrinse Anna ad arretrare ancora.

Oh, perbacco, pensò, avvertendo il freddo morso della lama.

L’Amazzone la pressò. Era troppo forte e troppo veloce, ma Anna non cedette. Continuò a combattere, continuò a sferrare colpi e a parare quelli della guerriera. Era stanca, ormai. Varja aveva il respiro affannato a sua volta, ma non sembrava affatto intenzionata a mollare.

Un ultimo colpo di rovescio di Varja la disarmò. La guerriera, invece di mettere fine al duello puntandole contro la spada, si lanciò in avanti e addosso all’avversaria. Caddero insieme, con le gambe intrecciate, rotolando per un breve tratto. Varja la colpì al mento, un manrovescio che le fece vedere tutte le stelle del firmamento. Anna cercò di divincolarsi e pestò il proprio pugno chiuso contro la sua spalla. In tutti quei movimenti furibondi Varja, che aveva perso la spada, finì sopra di lei e le serrò il colletto della camicia, spingendola contro il terreno.

- Tutto sommato non combatti poi così male – osservò l’Amazzone, respirando a fatica. – Ma non è abbastanza. Fossimo in battaglia a quest’ora saresti morta, perché ti avrei tagliato la gola.

Anna avrebbe voluto risponderle, ma le ronzava la testa e aveva la bocca piena di sangue. Anche il mento le faceva male, nel punto in cui Varja l’aveva colpita.

L’Amazzone si alzò, guardandola dall’alto, mentre Anna si girava a fatica su un fianco e si sollevava.

- Avrei voluto che cadessi di faccia, così avresti assaggiato la polvere. Sarebbe stato più divertente. – continuò Varja.

E stava per aggiungere qualcos’altro quando una mano l’afferrò per i capelli, tirandole indietro la testa. Varja lanciò un grido, colta alla sprovvista e alzò le braccia per difendersi.

Ma incrociò lo sguardo severo della regina Ippolita.

Se gli occhi di Varja erano neri e furenti, quelli di Ippolita parevano di un verde più acceso ed intenso del solito. Teneva le labbra strette, la bocca ridotta ad una linea piatta. Le dita stringevano le ciocche scure della compagna, che si era zittita e la fissava, in attesa.

- Ippolita... – cominciò Varja.

La regina la lasciò andare all’improvviso e poi la schiaffeggiò brutalmente. – Ti avevo chiesto di controllarti e mi avevi detto che l’avresti fatto.

- Sua sorella si è avvicinata a mia figlia. Ha usato il suo potere davanti a lei. Poteva farle del male!

- Avresti dovuto portare via Pentesilea e basta, non metterti a combattere. Loro non sono nostre nemiche! – Prese Varja per la mascella, avvicinando il viso al suo. – Adesso sparisci!

- Anna!

Anna pensò che la voce di Elsa fosse soltanto nella sua testa. Le sembrava che si frammentasse, disperdendosi nella mente confusa dai colpi ricevuti come una lunga eco.

Varja gridò di nuovo. Anna ebbe il tempo di vedere i piedi della guerriera che rimanevano intrappolati nel ghiaccio, ghiaccio che le morse le caviglie. Imprecò, spingendo e strattonando nel disperato tentativo di liberarsi. Ippolita guardò la scena, incredula. Le altre Amazzoni indietreggiarono precipitosamente, forse credendo che il gelo si sarebbe allargato, espandendosi per acchiappare anche loro.

Poi Elsa fu accanto di lei e la strinse in un abbraccio protettivo.

- Elsa... – mormorò Anna, appoggiando la testa contro il suo petto.

- Tranquilla, Anna... ci sono io.

- Liberami subito! – ordinò Varja.

Elsa non le diede retta. Si formò del ghiaccio anche sotto i suoi piedi. Avrebbe potuto trattenere il potere, ma era troppo angosciata per riuscirci. Era scappata in fretta e furia, con le parole di Varja che le rimbombavano dentro. Scappata per non sentire altre accuse. Scappata com’era scappata quando aveva scoperto cosa conteneva il diario di sua madre. E quando aveva udito il trambusto e le grida furiose di Varja aveva capito che stava succedendo qualcosa di brutto.

- Va tutto bene – ripeté.

- Elsa – disse Ippolita, con una voce più calma. – Elsa, liberala.

La regina di Arendelle alzò la testa.

- Liberala – ripeté Ippolita. – Ci penso io.

Elsa chiuse gli occhi per qualche istante. Poi allungò una mano verso Varja. Sprizzò un fascio di luce azzurra che costrinse l’Amazzone a serrare le palpebre. Il ghiaccio si ruppe e Varja barcollò in avanti.

 

***

 

- Uscirà un livido, secondo te? – domandò Anna, toccandosi il mento dolorante. – Beh... voglio dire, sì, ovvio che uscirà un livido, mi ha dato un pugno in faccia. Sarà di certo un livido molto evidente. Un altro. Ho perso il conto dei lividi, ormai.

Elsa non rispose. Aveva preso un panno bagnato e glielo aveva passato sul viso, indugiando nel punto in cui Varja l’aveva colpita, non senza chiederle continuamente se stesse bene o se sentisse dolore da qualche parte.

Adesso stava semplicemente in piedi davanti a lei, abbracciando se stessa, l’espressione tesa.

- Credi che Ippolita darà una lezione a Varja? Perché se lo meriterebbe. Varja, intendo. Sai, ha una di quelle facce che sembrano dirti: ti prego, dammi un pugno perché me lo merito.

Elsa restò in silenzio.

- Elsa? Per favore, puoi dire qualcosa? Anche che sono stupida, ma almeno parla. 

- Non avresti dovuto farlo – le rispose di getto, senza guardarla.

- Sì... forse è vero.

- Oh, forse?

- Elsa, tu non hai sentito che cosa mi ha detto.

Elsa sorrise, amaramente. – Posso immaginarlo.

“Tu sei sua sorella. O almeno è quello che continui a ripetere. Avrai vissuto a lungo con lei e avrai imparato ad accettare il suo... il suo essere contro natura”.

- Beh, era troppo... e poi mi considerava un’incapace. Adesso credo che sappia che non lo sono. Le ho dato una lezione, no? D’accordo, mi ha disarmata, è più veloce di me ed è più forte, ma si aspettava di battermi subito. Non mi ha creduto quando le ho detto che sapevo usare la spada.

Elsa abbassò lo sguardo sulle proprie mani. – Mi dispiace così tanto...

- Ti... cosa? Ti dispiace per cosa?

Sua sorella sembrò farsi avanti come per toccarla, poi sembrò ripensarci. Si comportava come se non avesse idea di come lei avrebbe reagito a ciò che stava per dire. – Per averti ferita. È colpa mia.

Anna era sinceramente sconcertata. – Che? C’è... qualcosa che mi sfugge, perché è stata Varja a ferirmi, non tu.

- È colpa mia. – ripeté. Le si spezzò il fiato. – Non avrei dovuto mostrare il mio potere a quella bambina. Me l’ha chiesto lei ed io... io non dovevo.

- Non hai fatto niente di male, Elsa. Niente. – Anna allungò le mani e prese le sue, attirandola più vicina a sé. - Non volevi ferire nessuno. Io ne sono sicura e sono anche sicura che lo pensino tutti. Tutto il villaggio. Beh... a parte Varja, ma lei non conta.

- Non credo sia così, Anna.

- Se anche non lo pensano tutti, Ippolita lo pensa e lei è la regina! Lo farà capire alle altre. E in ogni caso ti assicuro che non hai nulla di cui rimproverarti.

Elsa sciolse una mano dalla stretta e gliela mise sulla guancia. – Sono fortunata ad avere una sorella così fiduciosa.

- Dovresti esserlo anche tu.

- Così fiduciosa... e così folle.

Appoggiò la mano sulla sua. - Mi piacciono le follie. E poi nessuno può permettersi di insultare mia sorella e di passarla liscia.

Elsa l’abbracciò, stringendola forte. Anna le posò qualche istante il viso contro la spalla, crogiolandosi in quella stretta.

- Ho pensato di farlo, sai? – mormorò Elsa, ad un certo punto, senza staccarsi da lei.

- Che cosa?

La sorella fece una pausa tanto lunga da farle pensare che non avesse neppure parlato. Stava per chiederle di nuovo che cosa intendesse, quando sentì le sue dita spostarsi dalla schiena alla nuca, sotto i capelli, accarezzandola in modo incerto. Anna deglutì. Le formicolava la pelle nel punto in cui la stava toccando e le batteva un po’ più forte il cuore.

- Rinunciare al mio cuore – rispose Elsa. La lasciò andare e le braccia ricaddero lungo i fianchi. – Titania... voleva che rinunciassi al mio cuore.

- Sì, l’avevo immaginato. Quello che ho visto quando sono rientrata in quel salone mi è bastato.

- Mi ha detto... che sarebbe stata una soluzione. Così avrei smesso di sentire... quello che sento.

- E che fine avrebbe fatto il tuo cuore, nel frattempo?

- Sarebbe rimasto alla Corte Seelie. Titania diceva che sarebbe stato al sicuro. Ma il punto è che... che io ci ho pensato. Ho pensato di rinunciare al mio cuore. Per un attimo ho creduto... che fosse giusto.  Così non avrei più...

Non avrei più provato queste cose per la mia stessa sorella. Ma non c’era bisogno che finisse la frase.

- Ma non hai rinunciato. È questa la cosa più importante. Non l’hai fatto. – Anna le premette una mano all’altezza del cuore, sentendolo battere. – È ancora qui, dove dovrebbe essere. E dove resterà.

- Non avrei potuto rinunciarvi. Non avrei più sentito niente, per nessuno. Nemmeno per te. Perdere tutto sarebbe stato peggio.

- Oh, sì, molto peggio. Sono d’accordo.

- Sarei diventata una persona orribile.

- No. – Anna scosse il capo. – Non saresti diventata orribile. Tu non puoi essere orribile. Saresti stata solo... diversa, magari. Non so quanto diversa né in che modo. Saresti... cambiata. Con Kristoff, con me, persino con Sven... ma orribile no. La cosa orribile sarebbe stata... non vedere più quello che vedo adesso. Il modo in cui mi guardi... non sarebbe più stato lo stesso. E non credo che mi sarebbe piaciuto.

Elsa sorrise. Sorrise anche se era in preda ad un’emozione quasi troppo violenta per lei.

“Il modo in cui mi guardi... non sarebbe più stato lo stesso”.

- E comunque anch’io ci ho pensato. – aggiunse Anna, di getto.

Le rispose cercando di controllare il tremito della voce. - Oberon voleva che tu rinunciassi a qualcosa? Al tuo cuore?

- No. Oberon voleva che io... che noi rimanessimo alla Corte Seelie. Per un po’ o per sempre, ma voleva che restassimo. Capisci? Mi ha chiesto di non tornare ad Arendelle. Il che è assolutamente folle... va bene, mi piacciono le follie, ma questo è troppo... troppo folle e basta. E poi so perché voleva questo. Ha parlato tanto di aiutarci, di generose offerte... ma in realtà era per te. Così avrebbe potuto averti sotto gli occhi tutti i giorni per chissà quanto tempo!

Elsa parve sorpresa. – E tu...?

- Beh, sono qui. Però credo di averci pensato. Solo per qualche secondo. Per pochissimo! Ma ci ho pensato. E non avrei dovuto, è orribile pensare ad una cosa del genere. Non possiamo abbandonare Arendelle. Tu sei la regina e il regno ha bisogno di te. Ed io...

“... e poi Kristoff... lui verrebbe a cercarmi! Ed io non intendo abbandonarlo. L’ho appena sposato e lo amo”.

“Non ho mai detto che non lo amate. Ma ammetterete che i sentimenti che vi legano a vostra sorella siano molto forti”.

- Io sono tua sorella, Arendelle è casa mia e non potrei abbandonare Kristoff. E nemmeno Sven. Anche se è solo una renna penso che sentirebbe la mia mancanza. E anche la tua! – precisò Anna. – E non sopporterei di vedere Oberon e quel suo folletto tutti i giorni. Scommetto che Puck avrebbe combinato un sacco di pasticci. Ci avrebbe fatto finire in qualche guaio.

Era stata molto più che tentata dalla proposta di Oberon, in realtà. Per qualche momento il profumo di rose emanato dal re degli elfi, la strana lucentezza dei suoi occhi azzurri e il potere contenuto nelle sue parole le avevano annebbiato la mente. Si era immaginata con Elsa alla Corte Seelie, immersa in quell’atmosfera magica, fatata, circondata da quelle creature svolazzanti e dalla risata tintinnante e da quegli esseri piccoli e scuri che Oberon aveva chiamato Brownies. Si era immaginata tra le braccia di Elsa senza nessuno che le guardasse in modo strano, come se ciò che le legava non fosse stato un sentimento totalmente sbagliato, ma qualcosa che potevano vivere liberamente.

Ed era tornata bruscamente in sé. Non potevano farlo. Non potevano... e basta.

- Penso che Oberon ti abbia detto qualcosa come... sei bella come un sogno – disse Anna.

- Quando?

- Prima che ce ne andassimo. Quella frase in elfico... ho riconosciuto la parola sogno. Sai, ho letto praticamente tutto ciò che c’è nella biblioteca del palazzo e mi è capitato di trovare delle parole elfiche... alcune me le ricordo. La parola ôl... dovrebbe voler dire sogno. Quindi conoscendolo potrebbe averti detto che sei bella come un sogno. – Anna aveva assunto un cipiglio seccato. E aveva ancora la mano appoggiata al suo petto.

Elsa incrociò i suoi occhi. - Non importa quello che ha detto Oberon.

- Davvero non importa? – Batté le palpebre e rifletté. - Cioè... a me non importa. Però se nemmeno a te importa... beh, mi fa piacere, ecco.

Sorrise, divertita. – No. Non mi importa.

 

***

 

Dopo il tramonto le fiaccole si accesero lungo i confini del villaggio. Alcune Amazzoni si prepararono a montare la guardia, altre invece si ritirarono o sedettero intorno al fuoco.

Ippolita era nella sua tenda, impegnata ad affilare la punta dei suoi sai con una pietra e a pensare a quello che era accaduto quel giorno, quando Varja entrò senza essere annunciata. Aveva l’aria avvilita, la fronte aggrottata ed era senza armi, fatta eccezione per la frusta che teneva in mano.

- Cosa vuoi? – domandò Ippolita, senza nemmeno alzare gli occhi e senza interrompere ciò che stava facendo.

Varja rimase in silenzio.

- Se sei venuta per recriminare o per chiedermi di punire Anna o sua sorella, sappi che non accadrà. Sei tu quella che merita un castigo.

- Lo so. È per questo che sono qui. – Avanzò di qualche passo e le porse la frusta dalla parte del manico.

Ippolita la fissò. – Che cosa fai?

- Tu sei la regina ed io non ti ho ascoltata. È giusto che tu mi punisca. – Le tremava la voce, mentre lo diceva. Era molto orgogliosa, Varja, oltre che molto impetuosa. Lo era sempre stata, fin da ragazzina. Una ragazzina che era consapevole di essere stata abbandonata dalla propria madre nel bosco quando era ancora in fasce. Una ragazzina con molta rabbia in corpo. Forse la rabbia veniva dal pensiero di essere stata rifiutata. O forse era solo qualcosa che apparteneva a Varja. Aveva contestato gli ordini altre volte, sebbene non avesse mai davvero disobbedito né messo in discussione l’autorità della sua regina.

- Giusto? La mia collera non ti basta? – domandò Ippolita, alzandosi e afferrando la frusta. La soppesò qualche istante e poi la srotolò.

- La tua collera è già molto, il modo in cui mi guardi mi ferisce... ma se io fossi la regina punirei me stessa. Anche se... io non posso pentirmi. Sono sicura che se tornassi indietro rifarei ciò che ho fatto.

- Non ne dubito.

- Credevo che quella... Eiry, Elsa o in qualunque modo si chiami... fosse pericolosa. Penso ancora che lo sia. Il suo potere... a volte non è in grado di controllarlo. L’ho visto. E non avrebbe dovuto mostrarlo a mia figlia.

- Non voleva farle del male. E credo che per lei sia difficile controllare il proprio potere quando ha paura. Quando ha paura per qualcuno, soprattutto. – Non guardava Varja. Osservava la frusta. La esaminò, come se volesse accertarsi che fosse l’arma giusta da usare per punire una giovane Amazzone troppo impulsiva e aggressiva come lei.

- E Anna mi ha provocata.

- E tu hai provocato Anna. – Ippolita spostò gli occhi su Varja. – Si vede che non sa resistere alle provocazioni. Proprio come te.

- Ho cercato di stare alla larga da quelle due, va bene? Ho provato ad ignorarla. Ma quando l’ho vista usare quel potere davanti a Pentesilea... ho temuto per mia figlia. Ippolita, non è una cosa normale. Non riesco a vederla come una cosa normale.

- No, non lo è. Ma Elsa non ha chiesto di nascere con quel potere.

- Può essere stata maledetta.

- Non è una maledizione. Lei è così. Me l’ha detto.

- Ti fidi davvero così tanto di quello che dice?

- Sì. Non mente. Può aver mentito sul suo nome e su quello della sorella, ma non sul suo... dono.

Varja era allibita. - Adesso lo chiami dono?

- Immagino che molti lo considerino un dono. Altri una maledizione. Forse è entrambe le cose. – Ippolita avanzò di un passo. – Quando l’hai scortata fino al villaggio e mi hai parlato del suo potere ho pensato che lei fosse... la Regina delle Nevi. La donna che aveva congelato un intero regno per trent’anni. Ma parlandole ho capito che non poteva trattarsi della stessa persona. La Regina delle Nevi lo fece di proposito e avrebbe fatto la stessa cosa a questo posto. Avrebbe ridotto tutte noi all’impotenza. Elsa ha solo un potere identico al suo.

- Sì, ma...

Ippolita fece schioccare la frusta.

I primi due colpi sfiorarono Varja, smuovendo l’aria e agitandole qualche ciocca di capelli. Il terzo colpo schioccò sopra la sua testa e il successivo quasi la raggiunse al viso, tanto che Varja chiuse gli occhi, preparandosi al dolore. Invece non arrivò. Poi la frusta si avvinghiò alle sue gambe. Ippolita tirò verso di sé e Varja cadde, con un grugnito.

Silenzio.

Varja si sollevò sui gomiti, guardando la regina con gli occhi sgranati, il respiro affannoso, quasi fosse reduce da un altro combattimento.

Ippolita gettò via la frusta. – Avrei potuto riempirti la schiena di frustate. Ne avevo molta voglia. Ma non desidero che tua figlia veda i segni. E non penso tu abbia bisogno delle mie frustate. Domani porterò qualcun altro a caccia con me. Anche nei giorni a venire, fino a quando non deciderò che ti voglio ancora intorno.

- Sono la più abile, a caccia. – osò protestare Varja.

- Sei la più abile in molte cose. – Le offrì la mano e l’aiuto ad alzarsi. Ma la spinse subito lontano da sé. – Adesso fuori.

 

***

 

 

Angolo autrice:

 
Ecco qua un nuovo capitolo. Mi ha fatto sudare abbastanza quindi spero che il risultato sia soddisfacente.

Ci tengo a precisare che ci sono dei riferimenti a Frozen. La battuta di Elsa, “Tranquilla, Anna. Ci sono io”, viene dal cartone animato e anche il modo in cui Elsa abbraccia la sorella.

Come scritto precedentemente, Oberon ha detto ad Elsa: pensavo di essermi smarrito in un sogno. Ma Anna ha ragione. La parola ôl significa proprio “sogno” in elfico. Me l’ha insegnato Tolkien.


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Capitolo 8
*** Blackrose ***


8

 

 

 
“Ahimè, da quanto ho potuto leggere o udire di racconti e storie vissute,
la strada del vero amore non è mai piana”

[William Shakespeare, Sogno di una Notte di Mezza Estate]

 

 

 Elsa ed Anna lasciarono il villaggio Amazzone il giorno seguente, poco dopo il sorgere del sole.

Ippolita le condusse presso il fiume e disse loro di costeggiarlo, seguendone il corso verso sud per raggiungere il villaggio più vicino e quindi il porto, dove si sarebbero imbarcate per tornare a casa. Nessuno accennò a ciò che era accaduto con Varja, che non si era vista da nessuna parte. Ippolita era affiancata da due giovani guerriere che non dicevano una parola, ma stavano ben attente a non abbassare mai la guardia.

- Grazie per tutto ciò che avete fatto – disse Elsa alla regina, prima che si congedassero.

- Non dovete ringraziarmi. Avrei voluto evitarvi qualche... fastidio. Ma sono lieta che abbiate trovato quello che stavate cercando.

Anna pensava che Varja non fosse un semplice fastidio. Ovviamente le era uscito un bel livido sul mento, un livido che adesso era di un interessante tonalità violacea.

- Mi dispiace per quello che è successo con la mia mamma. Non volevo che si arrabbiasse. – aveva detto Pentesilea quella mattina, quando le aveva viste andarsene con Ippolita.

- Non importa. Non è stata colpa tua. – le aveva risposto Elsa, sorridendole.

- Mi ricorderò della magia che mi hai fatto vedere. Del cristallo di neve. Era bello...

Elsa le aveva posato una mano sulla testa.

- Se seguirete il corso del fiume come vi ho detto entro la fine della giornata sarete al villaggio. Non deviate per nessuna ragione. Potreste finire nel territorio dei troll.

- Troll? Da queste parti ci sono dei troll? – domandò Anna.

- Ce ne sono. E non dei simpatici troll di roccia come quelli che dite di conoscere. – Ippolita sollevò le spalle. – Fate come vi ho detto e non avrete problemi.

Non ne ebbero, in effetti. Proseguirono per diverse ore accompagnate dal rumore delle scroscianti acque del fiume e da fruscii provenienti dal sottobosco. Anna camminava accanto ad Elsa, a volte tenendola per mano, a volte consultando la mappa che le aveva dato Gran Papà. Naturalmente  chiacchierava a ruota libera per sopprimere la solitudine che le circondava, anche se badava a non accennare al suo scontro con Varja o alla Corte Seelie. Elsa l’ascoltava, però i suoi pensieri tendevano a perdersi. La mente vagava dietro ai ricordi ritrovati e legati alla sera del matrimonio, nonché a ciò che si erano dette dopo il combattimento contro l’Amazzone.

“Beh, sono qui. Però credo di averci pensato. Per pochissimo! Ma ci ho pensato. E non avrei dovuto, è orribile pensare ad una cosa del genere. Non possiamo abbandonare Arendelle”.

No. Lei era una regina e non poteva abbandonare il regno. E Anna non poteva abbandonare Kristoff.

“Oberon mi ha parlato del marito di Anna... quel... credo che sbagli di proposito il suo nome. Mi ha detto che tutto sommato è un uomo gentile e che ama molto vostra sorella. Li avrete sotto gli occhi tutto il tempo. Direi che la situazione non potrebbe essere più miserevole, Elsa”.

Chissà per quanto tempo avrebbe ricordato gli occhi penetranti e antichi della regina Titania. Per quanto tempo avrebbe continuato a pensare al proprio cuore pulsante nella sua mano. Alla sua offerta. Non aveva rinunciato al suo cuore ed era sicura che, tornando indietro, avrebbe rifatto la medesima scelta. Ma era inevitabile pensarci.

“La cosa orribile sarebbe stata... non vedere più quello che vedo adesso. Il modo in cui mi guardi... non sarebbe più stato lo stesso. E non credo che mi sarebbe piaciuto”.

Non riusciva ad immaginare di poter guardare sua sorella in un modo diverso da come la guardava. Magari non sarebbe diventata una persona orribile, ma sarebbe stato orribile non provare più niente per nessuno.

Sarebbe stato orribile non provare più niente per Anna

 

***

 

Verso il tramonto gli alberi iniziarono a diradarsi, comparve un sentiero, che si allargò a mano a mano che procedevano, mentre il fiume curvava verso sinistra. Presto il sentiero sbucò sul villaggio attaccato al porto dov’erano approdate giorni prima. Il posto brulicava di vita, sembrava un formicaio in piena attività. Il mare era un’immensa distesa azzurra che si perdeva in lontananza, fino a fondersi con il cielo sulla linea dell’orizzonte.

Al molo erano ancorate molte navi e sulle passerelle una fiumana di gente si dava da fare per spostare, caricare e scaricare casse molto pesanti, lanciando ogni tanto colorite imprecazioni. Risuonavano ordini impartiti a gran voce, grida di incoraggiamento e regnava ovunque una notevole frenesia.

Anna non si aspettava di trovare il mercantile che le aveva portate a Misthaven. Il capitano aveva detto loro che avrebbe potuto aspettarle per alcuni giorni, ma era passata oltre una settimana. Tuttavia chiese comunque qualche informazione per capire se la nave fosse effettivamente partita.

- È partita due giorni fa – disse loro l’uomo al quale si rivolsero. Anna immaginava che fosse il capitano del vascello che stava osservando con grande orgoglio, le mani piantate sui fianchi, prima che lei gli rivolgesse la parola. – Ho avuto l’impressione che stesse aspettando qualcuno, a dire il vero. Siete arrivate un po’ tardi.

- Già – ammise Anna. – E che voi sappiate non c’è nessuna nave diretta... beh, a nord?

- Quanto a nord, dolcezza? – chiese l’uomo, squadrandola con i suoi occhi grigi. Aveva le spalle larghe, braccia forti e i capelli lunghi, neri come l’ala di un corvo, legati con un laccio. Doveva aver superato da poco i quaranta inverni.

Vi fu una breve esitazione.

- Ad Arendelle – disse Elsa, alla fine. Non potevano rivelare chi erano, ma non pensava che non dovessero rivelare anche da dove provenivano. La parte più rischiosa del loro viaggio ormai era dietro di loro. – Veniamo da Arendelle.

- Un posto freddo. E molto a nord. Beh, a parte il mio vascello, direi che non c’è nessuna nave che fa rotta verso Arendelle o verso nord.

- Bene! – esclamò Anna. – Allora potete darci un passaggio?

- Un... cosa?

- Un passaggio. Avete appena detto che la vostra nave è diretta ad Arendelle.

- Non è diretta ad Arendelle, carissima. Approda alcune leghe più a est di Arendelle. Avreste comunque bisogno di un cavallo una volta giunte laggiù... o di una renna. Sarà più facile per voi trovare una renna, credo.

- Abbiamo anche dei cavalli ad Arendelle. E lo troveremo, se ci servirà. Anche se le renne non sono affatto male. Io conosco una renna...

- Non vi do nessun passaggio. – L’uomo incrociò le braccia al petto, lanciando un’occhiata alla sua imbarcazione. Era un grande e robusto vascello con tre alberi e le vele legate da funi. A prua faceva bella mostra di sé una figura femminile intagliata nel legno, con la chioma al vento e le braccia allargate, quasi volesse abbracciare tutto il mondo.

- Perché mai?

- Beh, perché siete donne. Non accetto donne a bordo. Portano sfortuna e non ho la minima intenzione di mandare in malora il mio viaggio! E il mio vascello non trasporta passeggeri.

- Sfortuna? – Anna diventò rossa per l’indignazione. – Le donne non portano sfortuna affatto! Noi...

- Anna – Sua sorella le mise una mano sulla spalla.

- No. Se questa nave va a nord, allora può benissimo darci un passaggio. Trovo assurda questa... questa... superstizione.

- Trasportiamo merci, non persone, tesoro – Il puzzo di liquore che uscì dalla sua bocca le investì in pieno, dato che l’uomo si era fatto più vicino.

Anna represse un gesto di disgusto ed Elsa girò il viso dall’altra parte per riprendere fiato.

- Senza contare che non potreste pagarlo, un simile viaggio.

- Ah, no? Che cosa ne dite di questi? – Anna infilò una mano in una tasca interna della mantella ed estrasse un sacchetto. Lo aprì, porgendolo al capitano perché vi guardasse dentro.

Lui si chinò in avanti, incuriosito. Sbarrò gli occhi e aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito. Allungò una mano e la infilò nel sacchetto, estraendone una moneta d’argento. La morse per saggiarne la consistenza e assicurarsi che fosse autentica. - Dico che... sono veri, sì. Sono proprio monete d’argento con lo stemma di Arendelle. Dove... no, aspettate, non è la domanda giusta. Non penso siate delle ladre, a giudicare dalla stoffa dei vostri abiti. Venite da qualche famiglia importante?

- Noi... può darsi – si affrettò a rispondere Anna. – E ce n’è ancora. Ancora denaro, intendo. Sia per voi che per i vostri uomini. Potrete avere il resto quando la nave attraccherà a nord.

Sul volto dell’uomo comparve un sorrisetto compiaciuto, incorniciato dalla barba corta. – Sei brava a trattare, tesoro.

- Non chiamatemi tesoro – lo rimbeccò Anna. – E... sì, diciamo che lo sono. Brava a trattare, intendo.

- Va bene – concluse, alla fine, il capitano. – Va bene, la mia nave parte tra meno di un’ora. Prima parlerò con i miei uomini e poi potrete salire. Nel frattempo levatevi da qui perché rischiate di intralciare i lavori.

Quando lui se ne andò per salire sul vascello, Elsa si rivolse alla sorella. Sollevò un sopracciglio. – Non pensavo che avessi con te tutto quel denaro.

- Neanch’io – ammise Anna. Roteò gli occhi. – Cioè, sì, sapevo di avere del denaro, ma non ricordavo di averne preso così tanto. Immaginavo che ci sarebbe servito, ecco. È una vera fortuna.

 

***

 

I marinai le guardarono salire sul ponte della nave, guidate dal capitano.

Alcuni di loro erano incuriositi, altri palesemente diffidenti, altri ancora ammiccavano, divertiti. Erano tutti uomini di mare, con visi cotti dal sole, in maniche di camicia e con la capigliatura arruffata dal vento. Certe facce erano davvero poco raccomandabili, ma dal canto loro si limitarono a seguire l’uomo che comandava, evitando di badare alle espressioni della ciurma.

- Ecco qua le nostre ospiti. – annunciò. – Vi raccomando ancora una volta di non importunarle più del dovuto. Trattatele con rispetto oppure non avrete il denaro promesso. Vi butterò in mare.

Cenni d’assenso e borbottii.

Il capitano le condusse su per una breve scaletta che portava al piano rialzato sul quale si trovava il timone.

- Voglio mettere in chiaro alcune cose, dolcezze – cominciò, lisciandosi la barba e assumendo un’aria severa. – Su questa nave comando io. Punto. Nel caso in cui io non possa comandare perché ferito o ammalato, il comando passa al nostromo. Ci sono delle regole e vanno seguite alla lettera. Se avete qualcosa da ridire, vi converrà tenerlo per voi. È chiaro?

- Si tratta della vostra nave – rispose Elsa, con calma. – Io e mia sorella non abbiamo motivo di intralciarvi.

Lui sorrise. – Siete sorelle. Ma che carine. Ne sono lieto. Vi ho fatto preparare una cabina. È vuota e non la usa mai nessuno. È un po’ stretta, ma a voi non dispiacerà stringervi, giusto?

Nessuna delle due disse niente.

- Bene. Ovviamente tutti hanno diritto alla stessa dose di cibo, acqua e liquori, se ne vogliono. Chi viene sorpreso a rubare subisce l’amputazione delle mani. Di entrambe le mani. Se qualcuno dovesse importunarvi, il che lo escludo dato che conosco i miei uomini, non avrete che da dirmelo e me ne occuperò personalmente. Finirà in pasto agli squali.

- Davvero? – chiese Anna.

- Sì, davvero, mia cara. Io non scherzo su queste cose. A proposito, non conosco i vostri nomi.

- Joan. E mia sorella si chiama Eiry.

- Andranno bene. Immagino che quelli veri siano altri, ma non mi interessano. Bel livido. Sei brava a menare le mani oltre che a trattare?

Anna si sfiorò il mento. – Sì, ho... sono... caduta. Sono caduta.

- Caduta... certo. Come vuoi. Ecco, tenete. – Il capitano diede loro una chiave. – Per la vostra cabina. Conservatela. E chiudetevi dentro. Come ho detto, mi fido dei miei uomini e so che mi obbediranno, ma le precauzioni non sono mai troppe. Del resto loro non hanno donne fisse e non hanno nemmeno la possibilità di vederla, una donna, quando navighiamo...

Istintivamente Elsa strinse la mano di Anna, mentre con l’altra prendeva la chiave. Lui le condusse sottocoperta, in un’angusta stanza che, minuscola già di suo, risultava ancora più stretta perché vi era stato aggiunto un letto. Il mobilio era costituito da un paio di bauli e da uno scrittoio inchiodato alle assi del pavimento per resistere al rollare della nave.

- Mi spiace che siano stanze fatte per accogliere un’unica persona. Non avevo nulla di meglio, ma in fin dei conti immagino che per voi l’importante sia arrivare a casa, no? Non siete le regine di Misthaven, quindi vi dovrà bastare.

Anna resistette a stento all’impulso di controbattere.

- Avete fatto molto. Grazie – rispose Elsa.

Rifiutò il ringraziamento con un cenno della mano. – Venite sul ponte, così assisterete alla partenza. È sempre una bella sensazione.

I marinai erano indaffarati. La marea cresceva e la nave rollava sotto i loro piedi, mentre il sole al tramonto faceva luccicare lo specchio d’acqua. Una vedetta scrutava l’orizzonte, una mano a schermarsi gli occhi, l’altra appoggiata alla balaustra.

- Bene, gente! È giunto il momento di darsi da fare! Lasciamo queste noiose coste e abbracciamo il mare! Issate l’ancora! – gridò il capitano. Anna ed Elsa, vicino a lui, sobbalzarono, colte alla sprovvista dal suo vocione.

Urla entusiaste accolsero l’ordine e due giovani uomini azionarono l’argano. La catena cominciò a scorrere, sollevando la pesante ancora.

- Alzate le vele!

Soffiava una piacevole brezza, quindi quando le vele vennero srotolate, esse si gonfiarono subito e il vascello prese ad avanzare, aumentando pian piano l’andatura.

- E adesso, issate quella bandiera! Voglio che tutti si rendano conto che il capitano Samuel è di nuovo in mare con la sua Blackrose!

Blackrose?, pensò Anna, aggrottando la fronte. Non che fosse un brutto nome, ma... suonava molto strano. Suonava... inquietante.

Altre grida di giubilo e battere di mani. Un marinaio tirò la fune e sul pennone della nave salì un vessillo svolazzante che il capitano osservava, tronfio e orgoglioso.

- Aspetta... che?! – esclamò Anna, non credendo ai suoi occhi.

Anche Elsa non riusciva a staccare lo sguardo dalla bandiera che sventolava.

La bandiera che esibiva uno stemma fin troppo noto. Il teschio con due spade incrociate al di sotto su sfondo nero.

Lo stemma dei pirati.

- Cosa? Non siate così sorprese, suvvia! Non mi avete fatto domande quando mi avete chiesto il passaggio, perciò a che pro dirvi su che tipo di nave vi stavate imbarcando? – domandò il capitano Samuel. Il sorriso sul suo volto era enorme. Aveva un dente d’oro, che brillò nel bel mezzo della barba scura. – Benvenute a bordo della Blackrose, belle fanciulle! Io sono il capitano Samuel, per voi, ma potete chiamarmi... Black Sam!

 

***

 

La Blackrose procedette placidamente sulle acque calme durante quella prima sera di navigazione. Il sole, tramontando, aveva dipinto il mare di un bellissimo color cremisi che, un po’ alla volta, l’oscurità aveva inghiottito, ammantando il mondo con il suo velo nero.

Nero come il nome di quel vascello. Nero come lo sfondo della bandiera che il vento sbatacchiava in cima al pennone.

La Blackrose era immersa nel silenzio assoluto. Lanterne appese a qualche palo rischiaravano il ponte dell’imbarcazione. I pirati si erano ritirati sottocoperta, anche il capitano. Il nostromo, un ragazzo snello, con i capelli castani e molti anelli alle dita e nelle orecchie che Black Sam chiamava Koral, era in piedi davanti al timone di prua. Manteneva la rotta senza mai perdere di vista la Stella del Nord, quella più luminosa. Era stato gentile con le sorelle. Aveva chiesto loro se avevano bisogno di qualcosa e le aveva trattate con rispetto. Anche gli altri pirati si erano dimostrati rispettosi, pur mantenendo le distanze. Evidentemente Black Sam faceva rigare dritto tutti quanti.

Anna se ne stava appoggiata con la schiena al parapetto, a poppa. Guardava il vessillo piratesco di sottecchi. Elsa era accanto a lei.

- Va bene, lo so, non è stata un’idea molto saggia imbarcarsi su questa nave. Ma non sembrava una nave pirata! – disse Anna, all’improvviso.

- No. È vero. Non potevi immaginarlo, Anna. Stavi solo cercando di... trovare il modo per tornare a casa.

- Pirati. Ti rendi conto? Pirati. Di nuovo. Non avranno intenzione di rinchiuderci in qualche baule e di buttarci in mare, vero? Perché mi ribellerò. Non gli permetterò di mettermi ancora in un posto così stretto!

Elsa allungò una mano e le posò l’indice sulle labbra per intimarle di fare silenzio. – Non credo che lo faranno. Hai dato molti soldi al capitano Samuel.

- Black Sam. – la corresse Anna, abbassando un po’ la voce. Strinse il polso della sorella e prese la mano nella sua. – Chiamalo Black Sam. Gli si addice, non pensi? E poi vuole essere chiamato così. Non lo trovi... sgarbato? E non solo sgarbato, anche rozzo. E ha l’alito puzzolente, una cosa orribile. Ed è sgarbato.

- Sì, l’hai già detto che è sgarbato. Ma non credo sia... un uomo crudele. È solo un po’...

- Sgarbato. E rozzo.

Elsa sorrise.

- Posso essere perdonata, allora? – chiese Anna.

- Perdonata?

- Per averti fatta finire su una nave pirata. Insomma, prima la Corte Seelie... anzi, prima le Amazzoni che ci costringono ad attraversare quel ponte sospeso. Varja ci ha costrette ad attraversare il ponte sospeso, veramente... poi Oberon, Titania... lei ti ha strappato il cuore! E ora la nave pirata. Non credo che questo viaggio sia andato secondo i piani.

- Non è colpa tua, Anna. – Elsa accarezzò il livido sul mento della sorella. – Ti fa ancora male?

- Non così tanto. Non mi sono guardata quindi non so quanto sia grande e viola il livido. Ma aspetta, non me lo dire. Preferisco non saperlo.

Le dita di Elsa indugiarono sul viso della sorella. Anna non disse niente. Il suo sguardo si perse per qualche istante in lontananza, dove fino a poche ore prima c’era la linea della costa di Misthaven, mentre ora non c’è più nulla. Solo l’acqua le circondava.

Quando spostò di nuovo gli occhi su Elsa, vide che anche lei osservava il mare e l’orizzonte, l’espressione un po’ tesa. Ad Anna sembrò quasi una creatura eterea, con i capelli resi argentei dal buio, il profilo chiarissimo contro il cielo notturno.

Non appena tornò a voltarsi, Elsa si rese conto di essere molto più vicina ad Anna di quello che immaginava.

- Beh, forse questo viaggio è, in parte, andato secondo i piani. – Anna si schiarì la voce. – Abbiamo... sai, abbiamo riavuto i nostri ricordi.

- Già... – Elsa esitò.

“Non sopportavo più... tutto quei ‘Vostro Splendore’, ‘Vostra Magnificenza’. Chi pensa... chi si crede di essere?” Anna parlava in modo strano, come se avesse bevuto troppo, interrotta dai baci di Elsa.

“Ssh”, le disse sua sorella, mettendole una mano sulla bocca. “Non parlare”

Anna disse qualcos’altro, ma si perse sulle labbra di Elsa, che le scostò le ribelli ciocche rosse per baciarle il collo e le spalle scoperte.

Anna deglutì, portandosi istintivamente una mano al collo. – È stato strano... ricordare, intendo. Non so bene che cosa mi aspettassi... forse niente. Insomma, è stato un sollievo poter colmare quel buco nella memoria... non è affatto una bella sensazione, avere un buco nella memoria. È frustrante. È come... come quando ti prude da qualche parte e non riesci a grattarti.

Elsa le posò una mano sul collo, nel punto in cui lei si stava toccando fino ad un attimo prima. – Non credevo...

- Cosa, non credevi?

- Non credevo di poter provare qualcosa di simile. Ho ricordato tutto ed è stato... è stato terribile e, al tempo stesso... non avrei mai pensato di potermi sentire così. Così viva. – Si interruppe, rendendosi conto di ciò che aveva detto. – Mi dispiace, non dovrei dire queste cose... non è giusto.

- Puoi dirmi qualsiasi cosa.

Presa dalla foga, Anna le morse il labbro superiore e glielo succhiò più volte. Le sue mani si mossero senza controllo e cercarono di slacciare il vestito di Elsa...

Aveva davvero cercato di toglierle il vestito? Anna ancora stentava a crederci.

“Volevo farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a smettere di guardarti...”

Anche adesso Elsa non smetteva di guardarla. Aveva ancora la mano appoggiata al suo collo.

Un odore fresco e aria fredda le aleggiava intorno quando Anna posò il viso contro la sua spalla ed inspirò.

- Anna – La voce di Elsa era un mormorio stentato e anche un avvertimento. Esprimeva il suo desiderio di starle vicina e di essere toccata, di starle vicina molto più del dovuto.

Anna si ritrasse e le mise una mano sul petto: il cuore di Elsa batteva più forte, un frullio di ali in trappola. Anna si avvicinò per sfiorarle l’angolo delle labbra con le proprie.

Per lo meno l’intenzione era quella. Voleva toccarla e voleva cercare di farlo in modo leggero, in un modo che potesse essere... consono. Elsa, invece, si sporse in avanti e i suoi movimenti cambiarono la situazione. Anna aderì al suo corpo con più intensità del previsto e le labbra non toccarono l’angolo della bocca, ma il centro. Elsa espirò per la sorpresa e un attimo dopo si stavano baciando. Si baciavano con lentezza e con trasporto, Elsa con una mano contro la base della sua schiena, come a volerla trattenere il più a lungo possibile, e Anna con le dita dietro la sua nuca. La pelle era diventata ipersensibile. Elsa avvertiva anche il proprio potere agitarsi, muoversi dentro di lei.

Quando si separarono, avvenne con calma e solo perché non avevano più fiato. Anna ansimava come se avesse corso ed Elsa sentiva il cuore persino nella testa. Strinse la sorella tra le braccia, non riuscendo a dire o fare nient’altro.  

 

***

 

Nonostante gli avvenimenti di quella giornata e le cose che aveva detto ad Anna, la regina di Arendelle non ci mise molto ad addormentarsi. E si ritrovò in uno strano sogno.

Era nei boschi di Storybrooke, ma non cercava Anna, non c’era nessuna voce che la chiamava e le chiedeva aiuto, né catene che le mordevano i polsi.

C’era Emma. Emma che indossava una delle sue strane giacche e le dava le spalle.

Erano strani, quei boschi. Gli alberi erano completamente spogli, tutte le foglie giacevano a terra, formando un mando rosso e arancione che frusciava sotto i piedi e il vestito di Elsa. L’aria era tetra, pesante e aveva l’impressione che una tremenda oscurità stesse per avvinghiarle. Poteva percepirla ai margini del suo campo visivo. Le tenebre che si allungavano come braccia.

- Emma?

Non ci fu risposta. A parte una risata malefica che non veniva da Emma. Ma lì non c’era nessun altro. O forse non erano in grado di vederlo.

Poi Emma si girò e le lanciò qualcosa.

- Che...? – cominciò Elsa.

Il qualcosa rotolò sulle foglie e si fermò vicino alla punta delle sue scarpe.

Elsa si accorse che era una mela. Una mela matura, rossa... e marcia.

Corrotta.

- Emma? – chiamò di nuovo, con la voce resa quasi stridula dalla paura. L’oscurità opprimente sembrava essersi fatta più vicina. Più palpabile.

Allora vide il suo viso. La guardò davvero.

Le stava sorridendo, Emma. Le sorrideva, ma non era più il suo solito sorriso, quello puro e luminoso che spingeva anche lei a sorridere. Era malvagio, come la risata che aveva udito un attimo prima. I suoi occhi verdazzurri erano orlati di rosso e la fissavano come se lei fosse stata una preda caduta nel suo tranello, una preda che avrebbe anche potuto mettersi a correre ma non sarebbe andata tanto lontano.

Elsa intravide anche altre cose. Il lungo tentacolo di qualche mostro marino dietro ad Emma. L’abbaiare furioso di alcuni cani. Due corna da drago, nere come le tenebre incipienti.

Elsa gridò il nome di Emma, poi il buio la prese e la inghiottì.

 

***

 

- Vascello a tribordo! Vascello a tribordo, capitano!

Elsa spalancò gli occhi, ritrovandosi nella stretta cabina che il capitano Black Sam aveva riservato loro. Tanti fiocchi bianchi aleggiavano intorno a lei e si affrettò a farli sparire. Anna si agitò un poco, disturbata dalle grida che provenivano dal ponte della nave.

Non ricordava quasi più niente del sogno. Niente, a parte una mela marcia, rami spogli che si libravano verso il cielo e una sensazione cupa, opprimente. Era sicura di non aver sognato di inseguire sua sorella come le altre volte, ma qualunque cosa fosse le era già sfuggita.

- Avanti tutta! Preparatevi, voialtri!

Black Sam stava urlando ordini a destra e a manca. I pirati che si erano destati da poco uscirono dalle loro cabine, sbattendo le porte, correndo lungo il corridoio e poi su per la scaletta che conduceva al ponte.

La confusione e il baccano provocato dalla ciurma svegliarono Anna, che sbatté le palpebre e borbottò qualche protesta.

- Insomma, datevi una mossa! Scrollatevi di dosso il sonno, idioti! – Il vocione del capitano era capace di oltrepassare il frastuono. La nave virò improvvisamente ed Elsa barcollò.

- Che cosa sta succedendo? – chiese Anna, tirandosi via i capelli dagli occhi.

- Non lo so – rispose sua sorella.

Quando arrivarono sul ponte si ritrovarono immerse nel marasma più totale. Gli uomini correvano da una parte all’altra, gridando in preda all’eccitazione e al nervosismo. Alcuni si diressero verso i bauli posizionati a prua, li aprirono ed estrassero le armi: sciabole, spade corte, pugnali di vario genere, che baluginarono colpiti dai raggi del sole ancora basso all’orizzonte. Le vele vennero liberate e subito si gonfiarono, spingendo la Blackrose in avanti. Il capitano Samuel girava il timone, con i denti stretti e l’espressione concentrata. Indossava una giacca di pelle lunga e rossa che lo faceva sembrare più grosso di quanto già non fosse. Koral, il nostromo, gli stava vicino, con la sciabola in pugno, gli occhi che saettavano e i capelli ritti sulla testa.

- Capitano, cosa succede? Stiamo per subire un attacco? – volle sapere Elsa, una volta che ebbe raggiunto Black Sam.

- Attacco? No, tesoro. Vedi laggiù? Vedi quella bella nave? – le domandò, senza degnarla di un’occhiata.

Le sorelle seguirono la direzione del suo sguardo e videro un’imbarcazione, ancora lontana. La Blackrose le stava andando incontro.

- Sì, la vediamo – disse Anna, osservandolo di sottecchi. – Vi prego, non ditemi che sono altri pirati come voi!

- Non sono pirati. È un vascello mercantile. Con tanta bella roba a bordo, se siamo fortunati. – Black Sam ghignò. Poi si rivolse al nostromo. – Koral, alza la maledetta bandiera e avvisiamo quella gentaglia che la Blackrose sta per abbattersi sulla loro barchetta!

- Intendete attaccarli? – domandò Anna, sbarrando gli occhi. – Ma non potete fare una cosa simile!

- Possiamo e la faremo, bellezza.

- Non chiamatemi ‘bellezza’!

- Come preferisci. Adesso levatevi dai piedi tutte e due. Questo non è uno spettacolo adatto a voi. – Ovviamente si trattava di un ordine.

La nave presa di mira dai pirati si avvicinava sempre di più.

- È solo una piccola nave – commentò Anna. – Non potete ucciderli. È orribile.

- Sarà anche piccola, ma a bordo mi aspetto che ci sia un po’ d’oro. Armi, magari. E qualche altra meraviglia. E non intendo uccidere nessuno, a meno che non mi trovi costretto a farlo. Adesso sciò! E non mi voglio ripetere. Io odio ripetermi!

Gli uomini erano armati di tutto punto e aspettavano solo il momento dell’attacco. Koral controllò i grappini, legati saldamente alle funi, a loro volta fermate a grossi anelli.

Elsa afferrò Anna per la mano e la condusse di sotto.

- Non posso credere che vogliano attaccare quella nave! Li deruberanno – esclamò Anna, indignata.

- Sì, lo faranno. E potrei anche impedirglielo, ma non posso usare i miei poteri davanti a loro.

- Lo so. Ed io non ho una spada quindi non posso fare niente. Però voglio vedere.

 

***

 

TUMP! CRUNCH!

Un tonfo sordo fu seguito dalla scricchiolio delle assi della Blackrose nel momento in cui le navi entrarono in collisione. Il contraccolpo spinse Anna, acquattata sulla scaletta che portava sottocoperta, contro la parete opposta.

- Anna!

- Sto bene.

Il silenzio innaturale che aveva invaso il ponte mentre la nave di Black Sam filava verso il vascello si ruppe e i pirati gettarono grida di battaglia.

- Lanciate i rampini! – ordinò il capitano.

Molte funi volarono sul vascello attaccato. Non tutte centrarono il bersaglio, ma vennero prontamente recuperate e rilanciate. I marinai del vascello cercarono di tagliare le corde che reggevano gli strumenti di abbordaggio, ma erano in inferiorità numerica ed evidentemente impreparati all’attacco pirata.

- Le assi! Muoviti, Koral!

- Ci sto provando, capitano – rispose il nostromo.

Assi di legno con ganci alle estremità vennero usate per facilitare l’attraversamento. Dagli alberi nei quali erano state ammainate le vele, alcuni uomini si gettarono sull’altra nave, aggrappandosi a delle funi, con i coltelli fra i denti e gli occhi fuori dalle orbite.

Nel giro di pochi minuti il vascello mercantile venne invaso. Vi furono imprecazioni, grida di panico, cozzare di lame e ordini impartiti bruscamente, conditi con qualche gemito di dolore. Black Sam maneggiava la sciabola con grande abilità, incalzando chiunque gli si parasse dinanzi. I poveri marinai ebbero la peggio e ben presto i pirati della Blackrose li fecero prigionieri e li tennero d’occhio puntando le lame contro di loro.

- Bene, bene – disse Black Sam, sudato e tronfio. – Cos’abbiamo su questa bella nave?

Un uomo trattenuto da due pirati si dimenò. Non rispose. Aveva riportato una ferita al braccio che sanguinava copiosamente.

- Vi conviene darmi una risposta, oppure ordinerò ai miei uomini di buttare in mare tutti i vostri marinai... con una pietra legata al collo!

L’uomo smise di dibattersi. – Beh... noi...

- Sì?

- A bordo ci sono stoffe... abiti... molto cibo e anche casse di pietre preziose... spezie. – ammise, tenendo lo sguardo basso.

- Oh, che bella notizia! Speravo in qualcosa in più, ma me lo farò bastare. Koral! Prendi un paio di uomini con te e va di sotto a controllare che abbia detto la verità. Vanno bene anche le stoffe, se sono pregiate. Magari c’è qualcosa per le nostre due amiche, che pensano di non essere state notate!

Il nostromo eseguì. Ben presto gli uomini di Black Sam iniziarono a spostare le casse da una nave all’altra. Alcune casse vennero lasciate sul ponte in attesa di essere trasportate nella stiva. Qualche pirata le aprì per rovistarci dentro. Sete pregiate e gioielli brillarono nelle mani della ciurma, che ridacchiava e si passava il bottino di mano in mano.

- Se pensavate che non vi avrei viste vi sbagliavate di grosso. Quella testolina rossa non può credere davvero di passare inosservata. – disse il capitano, raggiungendo Anna e sua sorella.

- Non ci stavamo nascondendo... stavamo... – prese a dire Anna. – Sì, d’accordo, stavamo guardando. E forse anche nascondendo. C’è qualcosa di male?

- No. Ma credevo non voleste assistere. – Black Sam sorrise, compiaciuto. Poi si mise a gridare contro i suoi uomini. – Fate attenzione con quella roba! Tanto ce n’è per tutti.

Quando Koral gli comunicò che le operazioni di carico erano terminate il capitano si avvicinò al parapetto.

- Grazie di tutto – disse ai marinai del vascello. – È stato un incontro molto piacevole. Prendete la vostra barchetta e andate a portare i miei omaggi al proprietario della merce. Dove stavate andando di bello?

- Ad Arendelle.

Anna ed Elsa si scambiarono un’occhiata.

- Allora dite alla regina di Arendelle che la sua merce è in buone mani e che magari un giorno ci incontreremo! Dicono che sia una donna bella e assai giusta. Non vi farà niente. Ho sentito anche  dire che controlla il ghiaccio. Ma scommetto che neppure vi rimprovererà quando saprà che è stato Black Sam ad alleggerirvi del carico. Che potevate fare voi, del resto? – Gettò indietro la testa e rise di gusto.

Se avesse saputo che la regina di Arendelle era a pochi passi da lui forse avrebbe evitato di sghignazzare. Anna avrebbe voluto replicare, ma Elsa le mise una mano sulla spalla, stringendo.

Con movimenti lenti e precisi il nostromo fece girare la nave, che si allontanò dal vascello conquistato e riprese la sua rotta.

Black Sam bevve un sorso di rum dalla fiaschetta che portava sempre con sé. – Ne gradite un poco?

- No, grazie – rispose Elsa, fissandolo duramente.

- Suvvia, non rammaricatevi. Siete più affascinante quando sorridete. Credo che verrò a dare un’occhiata ad Arendelle... a giudicare dalla roba che trasportava la nave, casa vostra deve essere un posto freddo ma interessante.

- I pirati non sono ben accetti ad Arendelle – intervenne Anna. – Io ci penserei due volte prima di mettervi piede... la regina potrebbe decidere di punire voi, anziché quei poveri marinai. Voi non la conoscete.

- Perché voi sì?

Silenzio.

I pirati stavano ancora frugando nelle casse. Uno di loro aprì delle piccole sacche, tirando fuori altri gioielli, pietre verdi e azzurre indubbiamente di grande valore.

- Avrei potuto prendermi anche le spezie, adesso che ci penso. Le avrei vendute ad un buon prezzo. Ma quello che abbiamo è più che sufficiente.

La ciurma levò le sciabole e le spade verso l’alto, lanciando un altro urlo di approvazione ed entusiasmo.

Un pirata nerboruto rivoltò alcuni sacchettini in cuoio per controllare il contenuto. Da uno di essi sgusciarono fuori dei piccoli anelli, che caddero sulle assi del ponte, tintinnando e rotolando fino ai piedi di Anna.

- Vi ho detto di fare attenzione, per tutti i mari! – lo rimbrottò Black Sam.

- Non senti niente? – domandò Anna.

- Sentire cosa? – chiese Elsa.

- Un... come un ronzio.

Sulle prime Elsa non sentì niente, a parte le risate della ciurma e il mare che si scontrava con il legno della nave. Poi si accorse del ronzio. Basso, molto basso, come se una mosca fosse rimasta intrappolata sotto una campana di vetro.

Anna si chinò istintivamente per raccogliere gli anelli. Erano quattro. Due gialli e due verdi. E sembravano anelli comuni, niente che potesse essere venduto per guadagnarci qualcosa.

- Scusatemi, capitano. Stavo solo... – iniziò il pirata che aveva lasciato cadere gli strani gingilli.

Anna toccò uno degli anelli gialli.

Non vi fu alcun avvertimento. Non vi furono lampi di luce. Il ronzio si fece solo un po’ più forte mentre lei si stava chinando per prenderli.

Un attimo dopo Anna scomparve nel nulla.

 

***

 

 

Angolo autrice:

Buon sabato!

Come per ogni altro capitolo, anche per questo è necessaria qualche spiegazione ^_^

Samuel Bellamy, detto Black Sam, è un pirata britannico realmente esistito, anche se la sua carriera nella pirateria è stata veramente corta, durò solo un anno. Però è un pirata famoso e conquistò parecchie navi. Il nome mi piaceva, quindi l’ho usato per il personaggio che compare in questo capitolo.

La citazione iniziale, tratta da Sogno di una Notte di Mezza Estate, penso si adatti anche a Once Upon a Time. Anzi, non lo penso. Ne sono certa! Nell’opera di Shakespeare la battuta è pronunciata da Lisandro, uno dei personaggi che subiscono l’incantesimo di Oberon e Puck. Credo che vada bene anche per le due sorelle, indipendentemente dal modo in cui uno le shippa.


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Capitolo 9
*** A World so Cold ***


9

 

 

“Non preoccuparti, Anna. Io ti troverò”

[Once Upon a Time, Storia di due sorelle, Elsa]

 

 

 
Nulla di così improvviso e così orribile era mai capitato ad Elsa, nemmeno nei peggiori incubi in cui inseguiva Anna nei boschi di Storybrooke e poi veniva intrappolata dalle catene della Regina delle Nevi.

- A-Anna...? – mormorò, la gola chiusa e il cuore che minacciava di uscirle dal petto. I suoi occhi sbarrati fissavano il punto in cui la sorella era scomparsa. Allungò una mano, come se sperasse che fosse ancora lì, come se sperasse che fosse solo un’illusione e che Anna fosse ancora presente...

Le dita toccarono solo l’aria. Anna non c’era. Sul ponte c’erano solo gli anelli, due gialli e due verdi.

Era calato un silenzio di tomba.

- Ma dove... dov’è andata? – chiese Koral, il nostromo.

- È sparita – osservò un altro membro della ciurma.

- Magia... questa è magia.

- Sono gli anelli.

Il capitano Black Sam avrebbe voluto dire qualcosa che assomigliasse ad un ordine, ma gli costava fatica recuperare le redini della situazione. Aveva appena visto Joan... o Anna, come l’aveva chiamata sua sorella, sparire nel nulla dopo essersi chinata a raccogliere quegli affari. Lui era un uomo di mare, il mare era casa sua, quella nave era casa sua... di magia non se ne intendeva. Certo, aveva sentito parlare del Signore Oscuro, di creature che la magia la sapevano usare molto bene, come la regina di Misthaven, che aveva lanciato la prima maledizione, alla quale lui era scampato solo perché la sua nave in quel momento navigava nella zona protetta di quel mondo. Ricordava ancora quell’enorme, divorante nuvola viola che saliva sopra di lui, oscurando il cielo e la terra, gettando un’ombra malvagia su tutto. Ma non conosceva incantesimi. Non conosceva né gli interessava conoscere da vicino persone che erano in grado di praticare le arti magiche.

E adesso... la magia aveva fatto sparire Anna.

- Ascoltatemi... – iniziò Black Sam, cercando di controllare la propria voce.

Poi si accorse che nevicava. Il che era impossibile, perché il cielo era azzurro, senza nemmeno una nuvola. Splendeva il sole.

I fiocchi bianchi cadevano solo intorno ad Eiry.

Non solo. Sotto i suoi piedi si allargava il ghiaccio. Ghiaccio che fece scricchiolare le assi del ponte. L’aria si fece più fredda.

I pirati si ritrassero precipitosamente, come un solo uomo e qualcuno sguainò le sciabole. Intorno a lei si formò il vuoto. Black Sam fu l’unico a non muovere un muscolo, ma solo perché era troppo incredulo. Un goccia di sudore gelido gli scivolò dalla fronte alla guancia. Gli occhi grigi gli sporgevano dalle orbite.

“Allora dite alla regina di Arendelle che la sua merce è in buone mani e che magari un giorno ci incontreremo! Dicono che sia una donna bella e assai giusta”

Bella lo era di certo, notò Black Sam, avvolto da un’invisibile nube di sgomento e fascino. Bella e lì di fronte a lui. La regina di Arendelle che controllava il ghiaccio.

Elsa non si accorgeva di niente. Né dello sgomento di Black Sam, né tantomeno sentiva ciò che dicevano i suoi uomini. Era tutto confuso. L’unica cosa che vedeva era lo spazio vuoto dove un attimo prima c’era Anna.

Gli anelli.

Elsa si protese verso gli anelli verdi. Era sicura che Anna avesse toccato quelli.  

- No, ferma... non toccateli! – esclamò Black Sam, di nuovo padrone di sé.

Non gli diede retta. Le dita sfiorarono gli anelli e anche Elsa scomparve.

 

***

 

Quando era sprofondata nel lago insieme a sua sorella, Anna si era sentita tirare verso il basso ed era stata sfiorata da ombre nere e forme vaghe nell’oscurità, prima di vedere la luce e precipitare direttamente nella Corte Seelie.

Stavolta era diverso. C’erano tenebre, intorno a lei. Buio totale. Aveva toccato uno degli anelli e il mondo era subito scivolato via, precipitandola nel nulla.

“Non senti niente?”, aveva domandato ad Elsa

“Sentire cosa?”

“Un... come un ronzio”.

Aprì gli occhi.

La prima cosa che vide fu il cielo. Un cielo blu e una bella luna piena che pareva osservarla. Non un cielo alieno... semplicemente un cielo punteggiato di stelle, con qualche straccio di nuvola qui e là.  

La seconda cosa di cui si rese conto fu che faceva molto freddo. E la terza... che di certo non si trovava più sulla Blackrose, perché non avvertiva il rollio della nave né tantomeno il rumore delle onde. Tutto era immobile e immerso nel silenzio più profondo. Profondo e strano. Inquietante, persino. Uno di quei silenzi che sembrano più il preludio di qualcosa di brutto.

- Ahi! – borbottò Anna, portandosi una mano alla testa e alzandosi lentamente. – Elsa?

Non ottenne risposta. Ovviamente.

Neve.

Per terra c’era molta neve. Neve fresca che doveva aver attutito la caduta. C’era neve per terra e anche sulle... sulle statue di pietra che la circondavano.

Statue?

Scattò in piedi. Il mondo vorticò ed Anna si ritrovò a barcollare e poi a scivolare sul manto bianco. Mantenne l’equilibrio e rivolse lo sguardo alle statue. A pochi passi da lei c’era un grosso leone di pietra, immortalato nell’atto di saltare addosso ad una preda. Aveva le fauci spalancate e le zampe protese davanti a sé. Sulla criniera e sul naso c’era della neve gelata.

- È di pietra. – osservò Anna, sentendosi subito molto stupida per aver constatato l’ovvio ad alta voce.

E ce n’erano decine, di quelle statue, disseminate per il cortile senza un ordine apparente. C’erano due lupi che ringhiavano, un orso, ragazze graziose che forse erano ninfe dei boschi, ghepardi, volpi... persino un cavallo alato e un uomo altissimo, armato di mazza, che era certamente un gigante. Tutti immobili. Naturali e terribili, ma immobili.

- Sono tutti di pietra... – ripeté Anna. La verità era che stava parlando solo per colmare lo strano silenzio che ammantava il luogo.

Dov’era Elsa? Dov’erano i pirati della Blackrose? Se sua sorella l’aveva seguita toccando uno degli anelli di sicuro non era arrivata dov’era arrivata lei, altrimenti sarebbe stata lì. O forse era finita in un altro punto di quel mondo? E soprattutto... quel mondo che razza di mondo era? Era ancora il suo mondo?

Subito dopo Anna vide che il cortile apparteneva ad un castello dall’aspetto austero e oscuro. Un castello con molte torri, ognuna delle quali terminava con una cuspide lunga e sottile che le ricordò il cappello appuntito delle streghe. Sembrava disabitato, ma di sicuro c’era qualcuno in casa. Qualcuno che forse la stava spiando proprio in quel momento.

Anna rabbrividì, stringendosi nella mantella rossa. Si mosse tra le statue, incerta, chiedendosi perché capitassero tutte a lei e ad Elsa, chiedendosi perché le fosse venuta la brillante idea di recarsi a Misthaven per recuperare i loro ricordi. Ma tanto sapeva benissimo che, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, avrebbe fatto la stessa cosa. Vivere senza ricordi era veramente frustrante.

Incrociò gli occhi di una delle ninfe. Occhi di pietra come tutti gli altri... eppure avevano qualcosa che le impose di fermarsi. Cosa, non avrebbe saputo dirlo.

Come se... in un certo senso, fossero vivi.

- Vecchio scemo di un leone, come ti senti ad essere di pietra? Ti credevi invincibile, vero?

La voce la sorprese talmente tanto che Anna spiccò un balzo e si lasciò sfuggire un gridolino, voltandosi.

Anche il ragazzino fermo davanti al leone di pietra la fissò, sgranando gli occhi e poi arretrando di un passo. – Chi sei?

Anna si avvicinò con cautela. – Beh... potrei farla anch’io questa domanda. Anche se forse la prima domanda da fare dovrebbe essere un’altra... mi chiamo Joan.

- Sei una... una ragazza anche tu, vero?

- Sì, penso proprio di esserlo. Perché, non sembro una ragazza?

- Certo. Ma qui... pare che qui non ci siano molti esseri umani.

Una pessima notizia.

Anna si soffermò ad osservarlo. Era più giovane di lei, forse non aveva più di dodici o tredici anni, e vestiva abiti troppo leggeri per la temperatura di quel posto. Non faceva che sollevare il bavero della giacca nel vano tentativo di coprirsi di più la gola. Aveva occhi scuri e sospettosi, un’aria ribelle ed aggressiva, accentuata dalle sopracciglia aggrottate. Era pallido e non particolarmente felice di trovarsi dove si trovava, eppure sembrava totalmente umano e anche intimorito, sebbene fingesse il contrario.

- E tu chi sei? – domandò Anna, sempre mantenendo le distanze.

- Non sono tenuto a dirti il mio nome. – rispose, seccamente. Si scostò qualche ciuffo di capelli dalla fronte.

- D’accordo. Di solito quando due persone si incontrano in un posto freddo e in cui non c’è nessuno dovrebbero presentarsi... beh, in generale due persone che si incontrano per la prima volta si presentano. Ma sarebbe bello se mi dicessi almeno dove siamo.

- Non lo sai?

Anna si accorse in quel momento che qualcuno aveva disegnato un paio di baffi da bellimbusto al leone e un paio di occhiali a cavallo del naso. – L’hai fatto tu?

- Sì. Non fa così paura, giusto? Tutti parlano del grande leone come se fosse una creatura terribile, ma la verità è che ormai è di pietra. – Il ragazzo raddrizzò le spalle.

- Grande leone... tutti chi? Hai appena detto che non ci sono altri esseri umani, o almeno non così tanti. E per rispondere alla tua domanda precedente... ho avuto una giornata difficile. Una serie di giornate difficili, tra pirati, fate e guerriere – Si toccò il livido sul mento.

- Pirati?

- Pirati. Lunga storia.

Lui batté le palpebre. Poi scosse il capo. - Siamo al castello della Regina, ecco dove siamo. E lei mi sta aspettando, quindi devo andare.

- Ehi, no, aspetta! Quale Regina?

Il ragazzo le rivolse un’occhiata che era un miscuglio di diffidenza e curiosità. – Non sei passata anche tu dal guardaroba, vero? No, altrimenti mi ricorderei di te. In casa dello zio Digory c’eravamo solo io e i miei fratelli. A meno che tu non sia una di quelli che sono venuti a visitare la casa.

Anna faticava a seguire il discorso. Ciò che era accaduto fino a quel momento era assurdo. – Non ho visto nessun guardaroba. E nessuna casa. Ce l’ho, una casa, ma è molto lontana da qui... credo. E vengo da una nave. Come si chiama questo posto, tu lo sai? Ce l’ha, un nome?

- Questo posto si chiama Cair Paravel. È la casa della Regina – disse il ragazzo. Allargò le braccia come a voler stringere il mondo intero. – E tutto questo è il suo regno: è Narnia.

 

***

 

Il suolo era coperto di neve fresca. I rami spogli degli alberi si protendevano verso il cielo notturno, verso la luna che gettava una luce pallida sul paesaggio invernale, creando strani giochi di ombre. Sicuramente faceva molto freddo, ma ovviamente non lo percepiva.

- Anna? – chiamò Elsa, anche se non sperava di ottenere una risposta. Non c’era nessuno. Udiva dei fruscii, sentiva il vento sulla pelle... e nient’altro.

Pochi passi più indietro c’era uno di quegli aggeggi che aveva visto anche a Storybrooke; si accendevano di sera e illuminavano le strade.

Lampioni, ecco come si chiamavano. Un unico lampione in mezzo al bosco. Elsa si chiese per quale motivo si trovasse lì.

E si chiese anche se dovesse seguire il sentiero che si inoltrava tra gli alberi. Non c’erano orme che potevano far pensare che da là fosse già passato qualcuno, ma era sicura che Anna fosse da qualche parte in quel mondo.

Elsa si guardò le mani e vide che erano coperte da una gelida patina bianca. Le strinse a pugno e si concentrò per trattenere il proprio potere. Inspirò profondamente, cercando di calmare il proprio respiro e i battiti del suo cuore.

Lo so che sei qui, Anna. Ti troverò.

Qualcuno veniva dalla sua parte.

Il rumore dei passi era attutito dalla neve, ma ora che era vicino Elsa li sentì. Si girò ed estese il braccio in avanti, preparandosi a difendere se stessa ma sperando che si trattasse di sua sorella.

Invece, tra gli alberi e in piena luce del lampione, apparve una figura piccola. Pensò che si trattasse di un bambino, ma quando si mosse verso di lei, Elsa vide le sue gambe. Dalla cintola in su sembrava un uomo come tutti gli altri, ma le gambe erano coperte di peli neri e terminavano con un paio di zoccoli. Aveva i capelli rossi e ondulati, tra i quali spuntavano due piccole corna. Il viso era aguzzo, giovane, con la barba corta e a punta.

Era un fauno. Elsa non ne aveva mai visto uno, se non nei libri della biblioteca del suo palazzo, ma non le fu difficile riconoscerlo.

- Un’altra figlia di Eva. Credevo fossero già arrivati tutti – osservò il fauno, avvicinandosi.

- Come?

- Sei una ragazza, giusto? Un essere umano, insomma. – Ormai era davanti a lei ed Elsa vide che la sua testa arrivava al suo petto.

- Beh, io... sì. Dove sono? Che posto è questo?

- Narnia – rispose subito il fauno. – E tu come ci sei arrivata qui? Forse vieni dai boschi selvaggi? Oppure vieni dalle terre al di là dell’Oceano, le terre di Aslan?

Aslan?

Non capiva di che cosa stesse parlando. – Io... vengo da Arendelle. Mi chiamo Elsa e sto cercando mia sorella.

- Arendelle... non sono molto afferrato in geografia, però di certo non è una città di Narnia.

Elsa non rispose. Rifletté qualche istante.

- Hai detto di chiamarti Elsa? – domandò la creatura.

- Sì.

- È uno strano nome. Il mio è Tasch.

Anche Tasch era uno strano nome e se ci fosse stata Anna gliel’avrebbe fatto certamente notare.

- Hai detto che sono arrivate altre persone, oltre a me, vero? – riprese Elsa.

Il fauno sembrava stupito. Roteò gli occhi e si grattò il capo, scompigliandosi la massa di capelli pel di carota. – Beh, ne sono arrivati quattro, come diceva la profezia. Due figli di Adamo e due figlie di Eva. Tu sembri proprio una figlia di Eva, ma se non stai cercando loro...

- Non so chi siano queste persone, mi dispiace. Mia sorella si chiama Anna. Dovrebbe essere arrivata subito prima di me. Devo trovarla.

Tutta quella situazione le ricordava molto Storybrooke. Storybrooke e la prima maledizione, che poteva essere spezzata solo dalla Salvatrice, come diceva una certa profezia. Emma gliel’aveva raccontato.

- Non credo sia passata di qui. Se così fosse, me la ricorderei. Non è che si vedano molti figli di Adamo e di Eva a Narnia. E poi è un po’ che giro da queste parti. Stavo cercando Tumnus, ma ho visto l’avviso a casa sua. L’hanno già portato via.

- Chi l’ha portato via? – Teneva ancora la mano protesa in avanti, anche se non pensava che Tasch fosse una minaccia.

“L’hanno già portato via”. C’era qualcosa, nelle parole di quella creatura, che le aveva messo i brividi. Quel luogo era molto pericoloso, lo sentiva. E se Anna si trovava lì, allora poteva già essere in pericolo.

- Le guardie della Strega Bianca. Quella che ha scagliato la maledizione su Narnia.

- Maledizione?! C’è una maledizione in corso?

- Da tantissimo tempo. – Il fauno assunse un’aria triste. – È sempre inverno a Narnia. Sempre inverno e mai Natale.

 

***

 

In fondo al cortile c’era una luce che veniva da una porta aperta. Per raggiungerla, Anna e il ragazzo dovettero salire una breve scalinata.

Sulla soglia era sdraiato un lupo dal pelo grigio e spelacchiato che aprì gli occhi non appena avvertì le presenze che incombevano su di lui. Occhi gialli e cisposi. Occhi crudeli. Mostrò i denti e ringhiò sommessamente. Anna avrebbe tanto voluto avere una spada, una qualsiasi arma con cui affrontarlo, perché era chiaro che non aveva buone intenzioni.

- Chi va là? Voi chi siete? Cosa volete?

Sulle prime Anna fu certa che la voce appartenesse ad una guardia che se ne stava nascosta oltre la soglia.

- Pre-prego, signor lupo – rispose, invece, il ragazzo, tremando come una foglia. – Mi dispiace molto disturbare il vostro sonno. Il mio nome è... Edmund. Edmund Pevensie. Sono un figlio di Adamo e Sua Maestà mi sta aspettando. Ci siamo conosciuti nel bosco alcuni giorni fa.

- Il mio nome è Maugrim, non ‘signor lupo’.

- Non sta parlando – commentò Anna, non riuscendo a trattenersi. Era impossibile, certo. Gli animali non parlavano. Sven non parlava. I cavalli nelle sue stalle non avevano mai parlato. – Non sta parlando veramente.

- Certo che parlo, figlia di Eva. Parlo eccome! Sono Maugrim, capo della polizia segreta di Sua Maestà, come potrei non parlare?

- Io non sono... – iniziò Anna.

- Ripeto la domanda: cosa volete? – la interruppe il lupo, drizzando i peli della schiena.

- Sua Maestà mi sta aspettando – riprese Edmund. – Mio fratello e le mie due sorelle sono arrivati. Le avevo detto che li avrei portati con me, ma...

- Beh, ne hai portata una, di sorella, vedo. – fece Maugrim, squadrando Anna e annusando l’aria. – Non muovetevi. Riferisco a Sua Maestà. Farete bene a non oltrepassare quella porta fino a quando non sarò di ritorno.

Maugrim scomparve oltre la soglia.

Edmund affondò le mani nelle tasche dei pantaloni, infreddolito. Strascicava i piedi come se si aspettasse di essere condotto al patibolo. Tuttavia sembrava ancora deciso ad entrare, se Sua Maestà, chiunque fosse, l’avesse invitato.

- Sai, non mi piace. Questo posto è inquietante. E inospitale. – disse Anna. – Quel lupo... non solo parlava, ma era anche... beh, cattivo. Inquietante.

- Inquietante l’hai già detto. Perché ripeti le cose? – chiese Edmund.

- Perché sembra che tu non te ne renda conto. Noi non dovremmo essere qui. Io non dovrei essere qui. Ho una sorella, sai? Potrebbe avermi seguita, anche se non so se sia un bene.

- Anche tu hai una sorella?

- Sì. Perché tu non sei con i tuoi fratelli? Cos’hai promesso a questa Regina? Come fai a sapere che non ti ucciderà o torturerà oppure che non ti torturerà per poi ucciderti?

- Mi ha detto che mi avrebbe... che mi avrebbe dato delle cose. – Edmund arrossì, abbassando gli occhi.

- Cioè cosa?

Un’esitazione. Breve.

- Diventerò un re. Mio fratello invece sarà solo un conte o qualcosa del genere... e dovrà prendere ordini da me! E così anche le mie due sorelle. – Strinse la bocca in una smorfia. – La Regina non ha figli e ne vorrebbe uno come me per educarlo come un principe e farlo diventare re una volta che lei non ci sarà più.

Anna lo fissò, trasecolata. – Consegni le tue sorelle e tuo fratello... per un titolo? È orribile.

- Tu non hai visto la Regina. Non è affatto orribile. Mi ha aiutato. È stata gentile con me.

- Anche il mio primo promesso sposo è stato gentile con me, sai? La prima volta che ci siamo incontrati pensavo fosse l’uomo della mia vita e credevo che per lui fosse lo stesso. Invece ha cercato di uccidere mia sorella. E di uccidermi! Mi ha fatto rinchiudere in un baule e mi ha gettata in mare! E voleva prendersi il... casa mia. Non potrei mai vendere mia sorella così, come se...

Edmund la osservava, accigliato. – Beh, tua sorella deve essere... molto meglio dei miei fratelli, se le vuoi così bene. Mio fratello Peter dice che sono cattivo.

- Oh... che? Non ti sembra di esagerare, Edmund?

- Non lo conosci! E la Regina... lei mi ha dato una delle sue pellicce perché si è accorta che avevo freddo. Mi ha fatto salire sulla sua slitta e mi ha offerto da mangiare e da bere. Mi ha detto che tutti parlano male di lei qui... tutti. Ma non sono cose vere. La verità è... la verità è che la creatura mostruosa è Aslan, non la Regina!

- Perché ho l’impressione che nemmeno tu ci creda, chiunque sia questo Aslan?

Edmund non rispose, anche perché in quel momento tornò Maugrim. Il lupo si fermò davanti a loro, scodinzolando.

- Siete fortunati. La Regina vuole ricevervi. Entrate. Pensandoci bene, non sono sicuro che sia una fortuna...

Anna non ebbe altra scelta se non seguire Edmund e il lupo parlante all’interno del castello. Attraversarono corridoi e stanze, guidate dal fedele servo della Regina. Il ragazzo era sempre più impaurito e non riusciva neanche a nasconderlo.

“Beh, tua sorella deve essere... molto meglio dei miei fratelli, se le vuoi così bene. Mio fratello Peter dice che sono cattivo”.

Elsa. Doveva trovare Elsa. Sempre che Elsa fosse a Narnia.

Avrebbe dovuto svignarsela quando ancora poteva farlo, ma non poteva lasciare che Edmund affrontasse da solo la Regina, chiunque fosse. Qualcosa le diceva che non era affatto la donna gentile di cui lui parlava. Era stata gentile per ottenere qualcosa e quel qualcosa erano il fratello e le sorelle di Edmund. Aveva fatto breccia perché il giovane era molto arrabbiato e ferito. Una parte di Edmund si rendeva conto che erano promesse vuote, ma andava contro la sua stessa ragione perché ce l’aveva con la sua famiglia.

Tutto ciò le ricordava Ingrid. Ingrid e il suo desiderio di avere due sorelle che fossero come lei, Ingrid disposta a lanciare una maledizione per fare in modo che gli abitanti di un’intera cittadina si ammazzassero fra di loro, così da poter avere Emma ed Elsa tutte per sé.

Ma in quella Regina c’era qualcosa di molto più sottile. Qualcosa di molto più inquietante. La Regina voleva Edmund per arrivare anche ai suoi fratelli. E per farci cosa? Per crescerli come futuri sovrani di Narnia? O per renderli schiavi? Se non peggio... per ucciderli? C’era davvero la possibilità che Edmund avesse ragione e che la Regina volesse solo qualcuno per colmare la solitudine, qualcuno che prendesse il suo posto sul trono, un giorno?

“Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti”.

Aveva un groppo in gola.

Maugrim li condusse dentro ad un salone molto grande, circondato da molte colonne e da un gran numero di statue, una delle quali faceva bella mostra di sé vicino all’ingresso: un fauno di pietra. La sua espressione pareva immensamente depressa. Una sola lampada illuminava il salone. E vicino alla lampada c’era una donna avvolta in pellicce bianche.

La Regina di Narnia.

- Maestà... – disse il lupo, in tono deferente e abbassando gli occhi.

- Lasciaci, Maugrim. – disse la Regina, imperiosamente.

Il lupo uscì in fretta.

- Sono... sono tornato, Maestà. Eccomi. Sono... sono desolato se vi ho fatta aspettare. – bofonchiò Edmund, muovendo due passi avanti, ma non di più. Teneva il capo chino e si tormentava le unghie. Ciocche di capelli scuri gli erano ricadute sulla fronte.

- Non avevi detto di avere un fratello e due sorelle? Perché ne hai portata solamente una? – La Regina era adirata. Si alzò in piedi ed Anna si rese conto che era altissima. Molto più alta di qualsiasi donna lei avesse mai visto. Doveva superare i due metri. Portava una corona d’oro sulla testa e d’oro era anche la bacchetta che stringeva nella mano destra. Aveva la pelle bianca. Bianca come le pellicce che indossava e come la neve. Il suo volto pareva scolpito nel marmo.

- Maestà... mi dispiace. Ho fatto del mio meglio... sono vicini. Si trovano nella casa del signor Castoro, in cima alla diga.

Il signor Castoro?, Anna si chiese se anche lui parlasse come il lupo. Se aveva ospitato la famiglia di Edmund evidentemente ne era capace.

La Regina spostò gli occhi su Anna. Erano occhi chiari, ma freddi e duri. In essi lei vide solo cose tremende. – È vero?

- Direi di sì – rispose prontamente Anna.

- E io direi che sei proprio... una figlia di Eva.

Io sono figlia di Gerda di Arendelle. Non so chi sia questa Eva.

- Veramente lei... – iniziò Edmund, ma Anna gli lanciò un’occhiataccia.

- Povera ragazza, devi avere molto freddo – disse la sovrana, con una voce del tutto diversa. Calma, pacata... persino dolce. – E magari sei anche affamata.

- Affamata? No... in realtà no. Io...

- È questo il modo di parlare ad una Regina?

- Chiedo scusa, Maestà. No, non ho fame, ma vi ringrazio per l’offerta. – Non aveva intenzione di accettare del cibo da quella donna.

- A proposito di cibo, Maestà... scusate se mi permetto – disse Edmund, mordendosi il labbro. – Non è che potrei avere... qualche altra gelatina di frutta?

Gelatine di frutta?

- Tra poco, quando mi avrai condotto dagli altri. E dimmi, figlia di Eva... ti piace questo posto? Casa mia ti piace?

- Sì, Maestà... voglio dire, fuori fa un po’ troppo freddo e credo che in cortile ci siano troppe statue. Cioè, non che non mi piacciano le statue, ma ecco... ah, gli animali parlano. Da dove vengo io... da dove veniamo noi non ci sono animali parlanti.

- Già. Che seccatura possono essere gli animali con il dono della parola. E le statue ti fanno paura, lo capisco. – Sollevò la bacchetta e, per un attimo, Anna pensò che stesse per tramutarla in una statua solo perché si era permessa di farle notare che erano troppe.

Invece quando scosse la bacchetta davanti a lei apparve una coppa tempestata di gemme e contenente un liquido fumante. Sembrava cremoso e con tanta schiuma in superficie. Qualsiasi cosa fosse le fece venire l’acquolina in bocca. Si rese conto di avere molta sete, proprio come alla Corte Seelie.

- Se non vuoi niente da mangiare, accetta almeno qualcosa da bere. – disse la Regina.

Anna guardò la coppia, incerta. Non era alla Corte Seelie, dove non avrebbe mai potuto né mangiare né bere niente. Ma non sapeva quali fossero le regole di quel mondo. Forse, bevendo quella roba, si sarebbe trasformata in un animale parlante. Forse sarebbe morta.

Spostò gli occhi su Edmund, intento ad ammirare la coppa. Il ragazzo deglutì e non si curò di nascondere quanto desiderasse un po’ di quella bevanda.

- E... Edmund? Forse anche lui ne vuole. Ha molto freddo. – replicò Anna.

- Ha già avuto molte gelatine di frutta e una bella coppa come la tua. Bevi, ti dico.

Anna si rendeva anche conto che se non avesse accettato il dono avrebbe potuto finire nei guai in ogni caso. Prese la coppa e bevve un lungo sorso. La sostanza cremosa era calda e molto dolce. Scese in gola e la riscaldò dalla punta dei capelli alle dita dei piedi.

Aspettò che accadesse qualcosa. Qualsiasi cosa. Si guardò le mani, preparandosi a vederle cambiare. Si guardò anche i piedi. Ma non accadde niente.

La Regina agitò la bacchetta e la coppa sparì. Poi l’enorme donna si chinò su di lei e le posò una mano sulla testa.

- Oh... beh, grazie. – disse Anna, stupita.

- Ora ditemi: sono solo queste le novità? Oppure c’è dell’altro? – La Regina ritrasse la mano e si voltò verso Edmund.

- Sì, Maestà. Qualcosa ci sarebbe. – Ed Edmund raccontò del grande leone di cui già aveva parlato, un grande leone di nome Aslan che stava arrivando. Di una profezia che parlava “dei Figli d’Adamo e del suo costato” e che avrebbero posto fino al tempo del male.

Il tempo del male.

La Regina era il male. Non era affatto come Ingrid. Forse c’era qualcosa nel suo modo di muoversi, qualcosa in certi suoi gesti... che ricordavano sua zia. Ma la sovrana di Narnia era ben diversa. Il suo sguardo parlava di crudeltà, di incapacità totale di provare pietà o compassione. La sua espressione era sempre dura e altezzosa.

L’espressione della Regina si era fatta ancora più gelida, per quanto ciò potesse sembrare impossibile. I suoi occhi fiammeggiavano. Le pellicce si aprirono sul davanti rivelando un elegante vestito argentato. - Aslan? – gridò. - Hai detto Aslan? Mi stai forse mentendo? Perché se è così potrei anche...

- No, no! Non vi sto mentendo, ve lo giuro. Io ripeto quello che hanno detto – farfugliò Edmund, facendosi piccolo.

La Regina urlò un ordine e batté le mani. Subito comparve un uomo piccolo e tozzo, con la barba lunga, imbacuccato in un pelliccia d’orso e con un buffo cappello rosso calcato sul capo. Un nano. Si inginocchiò, rischiando di finire con la faccia sul pavimento.

- Preparami subito la slitta! – gli disse la donna. Si sistemò meglio le pellicce. – Ma non usare i finimenti con i campanelli. Non voglio che mi sentano arrivare.

- Vado, Maestà – disse il nano. Si alzò e corse fuori su gambe corte e traballanti.

- Edmund, tu vieni con me. In quanto a te... Maugrim!

Pochi secondi e il lupaccio che li aveva condotti nel salone ricomparve. E stavolta non era solo. Dietro di lui venne una schiera di lupi. Lupi neri, rossicci, marroni. Lupi bianchi come la pelle e le pellicce della Regina. Lupi decisamente più grossi del normale. Lupi che avevano un’aria tutt’altro che amichevole. Il salone si riempì di ringhi e respiri affannosi. Di occhi luccicanti e di denti che bramavano di affondare nella carne.

- Maugrim, qualcuno si diverte a prendermi in giro. Sbatti questa ragazzina che si crede tanto furba in una delle prigioni sotterranee. – declamò la Regina.

- Aspettate... che?! – gridò Anna. – Le prigioni? Ma non potete mettermi in prigione, non ho fatto niente!

Edmund era diventato bianco come ricotta.

- Ah, no? Io direi proprio di sì, invece. Sono una che fiuta le menzogne, ragazzina. Una delle cose che so fare meglio è fiutare le menzogne! E tu hai mentito dal primo istante! Scommetto che non sei la sorella di Edmund. Adesso non ho tempo per un interrogatorio approfondito, devo occuparmi degli altri. – La Regina ghignò, soddisfatta. – Di solito non faccio prigionieri. Non mi interessano. I miei nemici muoiono. Chi trama alle mie spalle muore o diventa una statua di pietra. Tu morirai. Ma più lentamente. Morirai di fame e di sete, nelle mie prigioni. Non si può uscire dalle mie prigioni, mia cara. La magia le protegge. Chi cerca di liberarti, rimane intrappolato insieme a te! Portatela via!

 

***

 

 
Angolo autrice:

 

Salve, salve! Ebbene sì, questa storia è diventata un crossover.

 
Quando ho iniziato a scriverla non ci avevo pensato, è una cosa che è venuta dopo. Spero che vi piaccia l’idea.

Se non conoscete Le Cronache di Narnia, non preoccupatevi. Potete comunque seguire questa storia. E in ogni caso, pur essendo un crossover, vi anticipo che non si addentrerà moltissimo nella storia di Narnia. Nel senso che non ripeterò tutto quello che accade nel secondo libro o nel film. Ci saranno delle variazioni, alcune cose non saranno mostrate, eccetera... Andando avanti capirete meglio.


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Capitolo 10
*** The White Witch ***


10

 

 

 
“Vivere in eterno con il cuore corroso dal male e dalla cattiveria
significa vivere nella disperazione e nel dolore”

[C.S. Lewis, Le Cronache di Narnia: il nipote del mago, Aslan]

 

 

 Anna non fece altro che lamentarsi, lanciare occhiate furiose e blaterare cose senza senso mentre Maugrim e i suoi compari, lupi che mostravano sempre i denti e minacciavano di azzannarla se non chiudeva il becco, la spingevano giù per una rampa di scale che conduceva nei sotterranei del castello di quella Strega. La Strega che, come se tutto ciò che stava accadendo non bastasse, le aveva strappato la collana con un gesto secco, prima di ordinare al suo scagnozzo lupesco di “accompagnarla” nei sotterranei.

La collana. La collana e anche l’anello di Kristoff.

Non era la prima volta che le strappavano la collana e avrebbe tanto voluto essere forte abbastanza per portarla via alla sovrana di Narnia e riprendersi anche l’anello.

Ora doveva guardare dove metteva i piedi, perché a mano a mano che scendevano si faceva sempre più buio. L’unica luce veniva dalla porta in cima alle scale, lasciata aperta da Maugrim.

- Smettetela di spingere, sto camminando... e poi per quanto dobbiamo ancora scendere? Ce l’ha un fondo questo castello?

- Ti ho già detto di chiudere quella boccaccia, figlia di Eva – la rimbeccò Maugrim. I suoi occhi scintillavano nella semioscurità, feroci e cattivi.

Gli amici che lo seguivano ringhiarono in risposta.

- Loro non sanno parlare? Sei l’unico lupo che parla? – ricominciò Anna, mentre le scale finivano e iniziava un lungo corridoio. Le pareti erano di pietra nera, circondate da una vaga, magica luminescenza.

- Fai troppe domande. E no, non sanno parlare. Non tutti gli animali a Narnia hanno il dono della parola, figlia di Eva. – rispose Maugrim.

- Si può sapere perché continui a chiamarmi “figlia di Eva”? Mia madre si chiamava Gerda, non Eva! Mio padre, invece, si chiamava Kay e... – Stava per dire il nome di sua sorella, ma si trattenne. Lì nessuno poteva sapere chi fosse Elsa, ma non voleva far sapere a quelle belve che poteva esserci qualcun altro come lei nei paraggi.  

Maugrim svoltò a destra. – Non sai chi è Eva? Non ti hanno insegnato niente, i tuoi istruttori, se ne hai avuti?

Anna aveva avuto diversi istruttori, da piccola, che avevano insegnato a lei e a sua sorella a leggere e a scrivere. Avevano anche insegnato loro la storia di Arendelle, dalle origini fino alla salita al trono di sua madre, a riconoscere le stelle e a chiamarle con il giusto nome... ma non aveva mai sentito parlare di una certa Eva. Né di Eva né di Adamo, visto che Edmund, quando si era presentato a Maugrim, si era definito “figlio di Adamo”.

- Assurdo. Non sai da dove proviene la tua dannata specie? – Il lupo sembrava alquanto sorpreso. – Eva, la prima donna. La moglie di Adamo. La madre di tutti gli uomini...

- Beh, mi dispiace, ma non so chi sia e...

Maugrim si fermò di colpo, davanti ad una cella. Che non era propriamente una cella perché non aveva sbarre. In apparenza era aperta.

E in realtà era solo apparenza, perché guardando meglio Anna notò i contorni di una barriera magica appena visibile che emanava la stessa luminescenza delle pareti del corridoio.  

I lupi avanzarono, compatti, con i denti scoperti e gli occhi pieni di furia, costringendola a fare qualche passo verso la barriera.

- Non so se Sua Maestà vorrà parlare ancora con te. Potrebbe succedere, ma in ogni caso non sarà piacevole. Non ti verrà portato né da mangiare né da bere. – declamò Maugrim. Sembrava stesse recitando qualcosa che aveva già ripetuto molte altre volte. – Questa cella sarà la tua casa, d’ora in avanti e fino a quando... beh, fino a quando non sarà finita, per te. Questa è la punizione per aver mentito a Sua Maestà Imperiale Jadis, Regina di Narnia, Castellana di Cair Paravel, Imperatrice delle Isole Solitarie...

- Basta con tutti questi inutili titoli! Cercavo di aiutare quel ragazzino, Edmund. Era solo ed era... arrabbiato. E comunque non ho mentito, sapete? Non proprio. Non ho mai detto di essere sua sorella. Questa è una cosa che hai detto tu quando siamo arrivati...

- Non hai nemmeno detto di non esserlo. Hai evitato di dire la verità e questo è sufficiente. Non so che cosa ci fai qui a Narnia, figlia di Eva, dato che la profezia parlava solo di quattro presunti... Salvatori. O Liberatori. Ma sai una cosa? È troppo tardi, ormai. Sia per te che per Edmund.

I lupi avanzarono ancora, compatti. Anna fu costretta ad indietreggiare e dopo qualche passo il suo corpo passò attraverso la barriera magica. Ebbe la netta impressione che le mancasse l’aria, che i suoi polmoni venissero strizzati. Una sensazione raggelante le strisciò sotto la pelle. Pensò a quando si era destata a Narnia, sdraiata sul manto di neve fresca nel cortile del castello, con il vento freddo che soffiava intorno a lei e penetrava i suoi abiti. In confronto, quella era una sensazione davvero gradevole.

Anna cadde dentro la cella e allungò subito una mano per cercare un punto di appoggio. Trovò la parete, rocce nere come quelle dei muri del corridoio che aveva percorso. Sollevando lo sguardo si rese conto che al di là della barriera non c’era più nessuno. O meglio, lei non vedeva nessuno.

- Buona permanenza – disse Maugrim, invisibile dietro la magica entrata.

Anna lo sentì allontanarsi con suoi fedeli compagni.

 

***

 

- Eccolo laggiù, lo vedi? – Il fauno indicò un punto tra le colline innevate con il lungo dito indice.

Elsa guardò. C’era la luna piena che, brillando sul candore della neve, illuminava la valle come se fosse giorno.

La valle, ad un certo punto, si apriva su una piana fiancheggiata dalle colline e là c’era il castello della Strega Bianca. Visto da dove si trovavano lei e Tasch, la dimora della sovrana di Narnia appariva come una casa in miniatura e sembrava fatta esclusivamente di torri che svettavano verso il cielo.

- Sì, lo vedo. – disse Elsa. – Mia sorella... potrebbe essere là dentro?

- Non so dov’è tua sorella, purtroppo. Potrebbe già essere al sicuro. Sai, con i figli di Eva e di Adamo... ma potrebbe anche essere caduta nelle mani della Regina. Tumnus sicuramente è là.

Elsa osservò il fauno. Aveva un’aria abbattuta. Si tormentava la punta della barba rossiccia. – Tumnus era... è un tuo amico?

- Sì, siamo cresciuti insieme. Ero andato a trovarlo perché non si era fatto più vedere in giro e... e pensavo stesse male, o qualcosa del genere. Sai, col fatto che è sempre inverno e fa sempre così freddo è facile ammalarsi. Anche per i fauni.

- Certo...

- Ma non è malato. Maugrim è venuto a prenderlo. L’avviso diceva che ha commesso un crimine contro Sua Maestà.

- Chi è Maugrim?

- Il capo della polizia segreta. Quando la Strega Bianca non c’è, lui sta di guardia al castello con i suoi lupacci.

- L’avviso diceva anche che genere di crimine avrebbe commesso?

- Alto tradimento. Ma Tumnus non ha commesso crimini. Semplicemente non ha fatto quello che la Strega gli ha ordinato di fare. – Tasch alzò gli occhi, incrociando i suoi. – La Strega ha paura della profezia. E ha chiesto a Tumnus di... tenere gli occhi aperti. Di... denunciare a lei la presenza dei figli di Eva e di Adamo, se li avesse visti. Ha avuto paura e le ha detto... che l’avrebbe fatto. Che avrebbe portato i ragazzi da lei.

Elsa rabbrividì.

- Ma non ha potuto, è evidente. Altrimenti Maugrim non sarebbe venuto ad arrestarlo. Tumnus non è cattivo.

- No – disse Elsa, anche se non aveva mai visto Tumnus in vita sua. Tasch ne era convinto e a lei sembrava che il fauno fosse assolutamente sincero.

Si voltò verso la valle e la scrutò attentamente. Era rocciosa, piena di arbusti, di tronchi caduti e, in parte, coperti dalla neve. Fece spaziare lo sguardo lungo il fiume ghiacciato che l’attraversava, scorse qualche casetta qui e là, vide delle figure minute che si muovevano in mezzo a tutto quel bianco, ma a giudicare dalla forma nessuna di quelle creature era umana. Il suo cuore palpitava.

- Vedi qualcosa? – chiese Tasch.

- No... niente.

- La troverai. Non hai freddo? I tuoi vestiti sono... molto leggeri. – Le sfiorò la manica dell’abito azzurro.

- Il freddo non è mai stato un problema, per me.

- Sei fortunata, allora.

Elsa non si riteneva affatto fortunata. Aveva perso di nuovo sua sorella. L’aveva seguita, ma non aveva la minima idea di come trovarla. Non conosceva minimamente quel mondo. E stavolta non aveva la sua collana a guidarla. Per un attimo il panico la invase. La invase come quando si era ritrovata a Storybrooke e non riconosceva niente del luogo che la circondava. Avvertì chiaramente un’ondata di potere che minacciava di sgorgare, ma serrò le palpebre, forte e si conficcò le unghie nei palmi, trattenendolo. Concentrandosi per non lasciarsi sopraffare dal terrore.

Ti troverò, Anna. Ti troverò anche stavolta. Dovessi perlustrare questo regno in lungo e in largo.

- Ti senti male? – domandò Tasch, preoccupato.

- Sto... sto bene. Mi dispiace. Stavo... stavo pensando che devo arrivare a quel castello. Mia sorella potrebbe essere là e... e se non è là la cercherò altrove.

- La cercheremo. Io vengo con te.

Elsa lo fissò, stupita. – Vuoi venire con me?

- Anche Tumnus è laggiù, nel castello. La Strega Bianca l’avrà trasformato in una statua di pietra... e potrebbe averlo messo nel cortile... con le altre statue. O in una delle sue stanze. Devo trovarlo, proprio come tu devi trovare Anna. E dopo cercheremo i quattro Salvatori. Andrà bene, lo so. Perché Aslan sta arrivando. 

Quando Tasch pronunciò quel nome, Aslan, qualcosa intorno a loro sembrò cambiare. L’aria parve farsi più densa, il vento soffiò, i rami degli alberi scricchiolarono ed Elsa notò che si tendevano verso il fauno, in ascolto.

- Che cosa succede? – chiese Elsa, guardinga.

- Narnia è stata creata da Aslan, tantissimo tempo fa. La natura risponde quando sente il suo nome. Anche questo vuol dire che è molto vicino.

- Aslan ha... creato questo regno?

- Sì. Lui è un grande leone, il figlio dell’Imperatore d’Oltremare. È da molto che non si fa vedere in giro, ma c’è. Esiste. Ora che i figli di Eva e di Adamo sono arrivati, verrà anche lui.

Un grande leone.

- Un grande leone? Intendi dire che è molto valoroso? – Elsa seppe che la domanda era inutile non appena la pronunciò.

Non è un uomo.

- Beh, sì. È molto valoroso. E saggio. Così dicono, almeno... – Tasch sembrò imbarazzato. Si grattò la barba. – Ma è quello che ho detto: un leone. Sconfiggerà la Strega Bianca, perché lei non può sedere sul trono di Cair Paravel. Non è la regina legittima. Solo i quattro esseri umani possono diventare sovrani di Narnia. Il regno è sempre appartenuto a loro: ai figli di Eva e di Adamo. A quelli come te, insomma...

Ed Elsa, per Tasch, aveva proprio l’aspetto di una regina. Perché era elegante nel suo abito azzurro, anche se non capiva come facesse a non soffrire il freddo. Era elegante anche quando si muoveva. Era gentile, aveva un viso dolce e giusto, il viso che avrebbe dovuto avere una regina. Tasch si sorprese ad ammirare i suoi tratti.

- Hai detto... hai detto che il regno appartiene agli esseri umani. Questa... Strega Bianca... non è una donna? Non è un essere umano anche lei? – domandò Elsa.

- Le piacerebbe! – esclamò il fauno, dandosi una manata sulla fronte. – No, certo che no. Lei dice di essere una figlia di Eva ed è su questo che basa la sua pretesa al trono. In realtà ha preso questo luogo con la forza e l’ha imprigionato con la maledizione. Non è umana. È figlia di Lilith.

Vi fu un breve silenzio.

- Non... mi dispiace, non capisco, Tasch.

- Lilith... la prima moglie di Adamo. Era un demone. Una creatura del male. Ed è la madre della Strega Bianca.

Quando aveva sentito parlare di quella maledizione, Elsa si era istintivamente chiesta se la Regina di Narnia fosse davvero così spaventosa o se non avesse perso il controllo dei suoi poteri, magari. Si era chiesta se quell’inverno perenne non fosse... un errore. Ma Tasch appariva davvero troppo terrorizzato quando parlava della donna... o meglio, della creatura che aveva scagliato il sortilegio.

- E... Lilith è malvagia. Quindi lo è anche la Strega Bianca?

- Certo! Certo che Jadis è malvagia! Non è umana, Elsa. In nessun senso. Io l’ho vista, sai? – Tasch rivolse gli occhi chiari alla valle che li aspettava. Il suo tono era basso e grave. La sua voce tremava, come quella di chi si era appena trovato davanti ad uno dei suoi peggiori incubi. - È terribile.

 

***

 

Anna si ingegnò per trovare una soluzione e uscire da quella maledetta cella.

Era una cella semplice, senza nessuna finestra, non così fredda come se la sarebbe aspettata, ma spoglia. C’era una tavola di pietra nera che certamente fungeva da letto e una coperta sporca e sgualcita, gettata in un angolo. La vaga luminescenza prodotta dalla barriera magica le permetteva di scorgere i particolari. Uno scarafaggio nero e ripugnante si arrampicò lungo la parete e si infilò in una crepa tra le rocce.

Anna arricciò il naso.

Si mosse rapidamente lungo i muri della prigione, cercando una qualsiasi via d’uscita. Non che sperasse di scovare una parete mobile, un passaggio segreto che l’avrebbe magicamente condotta fuori dal castello... oh, beh, forse sì. Lo sperava. Non avendo armi e non potendo superare la barriera, poteva solo affidarsi alla fortuna oppure sperare che le venisse in mente qualche piano geniale.

Sono stata in una situazione peggiore di questa, si ripeteva.

Forse non peggiore, ma ci andava vicino. Era stata rinchiusa in un baule da Hans e da quel pirata, insieme a Kristoff. Il baule si riempiva d’acqua e lei era sicura che sarebbero annegati, che non avrebbe potuto avere il matrimonio che desiderava, quindi aveva ben pensato di celebrarlo in qualche modo mentre affogava, e che non sarebbe riuscita a salvare sua sorella, rinchiusa nell’urna.

- Una situazione molto brutta, sì. Anche questa è brutta, ma anche questa avrà una soluzione – borbottò.

Se non avesse seguito il ragazzino di nome Edmund dentro il castello, probabilmente non si sarebbe ritrovata imprigionata sotto terra. Ma che cos’altro avrebbe potuto fare? Edmund era poco più che un bambino e stava andando incontro ad una donna che ad Anna era sembrata subito terribile e quando l’aveva vista si era accorta che era molto più che terribile. Edmund... era arrabbiato e ferito. Doveva aver litigato con i suoi fratelli e quindi... si era lasciato incantare dalla Regina. Le aveva ricordato... se stessa. Se stessa quando era sotto l’incantesimo di Ingrid. Quell’incantesimo aveva estratto la parte peggiore di lei e l’aveva messa contro Elsa. La Regina di Narnia non aveva fatto nessun incantesimo, aveva usato le parole e qualche dono, tuttavia... le aveva ricordato anche quando lei era stata arrabbiata con Elsa, perché la sorella le sbatteva le porte in faccia, perché le diceva di andarsene quando bussava alla sua porta. Lo faceva tutti i giorni, non si era mai data per vinta...

La collana.

L’anello di Kristoff.

Improvvisamente il fatto di non averli più sembrò pesare come un macigno sulle spalle. Non aveva elaborato subito la perdita perché era troppo furiosa con Maugrim e con la Regina che, non solo l’aveva privata di due cose a cui teneva, ma l’aveva anche spedita in prigione.

Con la punta delle dita sfiorò la mano che aveva portato l’anello.

“So che ce la farai anche stavolta”, le aveva detto Kristoff il giorno in cui era partita. “Tornerai... anzi, tornerete con quello che state cercando. Credo in te, anche se sono preoccupato. Posso permettermi di esserlo?”.

Le aveva stretto quella stessa mano, sfiorando l’anello con il pollice.

“Immagino che lo sarei anch’io se tu partissi”.

Poi la mano di Anna salì al collo.

“Manca una cosa importante. Qualcosa di nuovo con qualcosa di vecchio”.

Pensò a Kristoff da solo ad Arendelle, magari intento a guardare fuori da una delle finestre del palazzo, sperando di vedere una nave all’orizzonte. Oppure nella stalla mentre parlava con Sven e gli dava da mangiare.

Pensò ad Elsa, che forse la stava cercando in quel mondo come l’aveva cercata a Storybrooke. Elsa che stavolta non aveva nessuna collana ad aiutarla. Nessun desiderio da esprimere.

Pensò... al momento in cui Elsa l’aveva baciata nei giardini di Arendelle. Al momento in cui l’aveva baciata a bordo della Blackrose. Il mondo, allora, era sembrato perfetto. Tutti i guai in cui erano finite le erano sembrati di poco conto. Niente le era parso sbagliato, anche se lo era in ogni caso.

Anna si sentì cedere le ginocchia. Barcollò e cadde vicino alla lastra di pietra nera.

“Di solito non faccio prigionieri. Non mi interessano. I miei nemici muoiono. Chi trama alle mie spalle muore o diventa una statua di pietra. Tu morirai. Ma più lentamente. Morirai di fame e di sete, nelle mie prigioni”.

Anna appoggiò la fronte contro la pietra fredda. Il cuore pulsava forte nel suo petto.

Elsa, dove sei?

Chiuse gli occhi.

 

***

 

- Oh, no... – mormorò Tasch all’improvviso, fermandosi in mezzo alla neve e spalancando gli occhi.

Elsa si fermò a sua volta.

Stavano camminando da un po’ diretti al castello della Regina di Narnia, avvolto da una leggera nebbiolina e da ombre scure. Non aveva ripreso a nevicare. Anzi, sembrava che in alcuni punti la neve si stesse persino sciogliendo. Cadeva dagli alberi a blocchi, con tonfi sordi e pesanti. Il cielo andava pian piano schiarendosi, segno che non mancava molto all’alba.

- Che cosa c’è? – domandò Elsa.

Un rumore. Un rumore aveva attratto l’attenzione di Tasch. Il fauno si era messo in ascolto e adesso anche Elsa poteva udirlo. Qualcosa che filava svelto sul manto bianco che ricopriva tutto. Una voce che sembrava intenta ad incitare dei cavalli.

Tasch spinse Elsa al riparo, dietro una formazione rocciosa, a pochi passi da un enorme tronco caduto. Il fauno le fece segno di tacere. Le ciocche della sua chioma rossa sparavano in varie direzioni.

- La Strega Bianca... – bisbigliò, con voce tremante.

Elsa vide la slitta comparire dietro una curva, diversi metri più a sinistra rispetto al punto in cui erano nascosti. Una slitta argentea e trainata da due grandi renne bianche, munite di corna ramificate e color dell’oro. Le briglie erano di cuoio scarlatto ed erano nelle mani del cocchiere, un nano dall’aspetto burbero, con una barba molto lunga e folta che scendeva a coprirgli le gambe e un cappuccio rosso con la punta lunga e sottile calcato in testa. Frustava gli animali senza alcuna pietà.

Dietro di lui c’era una donna imponente, vestita di pellicce dal collo ai piedi. Nella mano destra teneva un oggetto lungo, che scintillava: certamente la sua bacchetta magica. Gli occhi fissavano l’orizzonte e il viso era teso in un’espressione concentrata e dura.

- Ferma! – ordinò Jadis.

Il nano, colto alla sprovvista, tirò le redini con molta forza e le renne si bloccarono di colpo, sbandando e roteando gli occhi.

Sulla slitta c’era qualcun altro. Per qualche assurdo secondo, Elsa fu sul punto di credere che si trattasse di Anna e il suo cuore perse un battito.

Ma non era Anna, naturalmente. Era un ragazzo. Un ragazzino con i capelli scuri tutti arruffati dal vento, il viso pallidissimo e l’aria terribilmente infelice.

- Mia Regina... – iniziò il nano, voltandosi verso di lei.

Jadis scrutava la zona intorno a lei. I suoi occhi perlustrarono il sentiero che la slitta stava percorrendo. Perlustrarono le rive del fiume, le colline, i tronchi caduti, il bosco... si girarono per osservare il castello.

Elsa si era abbassata ancora di più dietro le rocce. Tasch la fissava, terrorizzato. La regina di Arendelle strinse un pugno ed avvertì il potere che formava uno strato di ghiaccio sulla pelle. Il suo respiro era accelerato, incontrollabile. Jadis era... proprio come Tasch l’aveva descritta. Aveva un aspetto umano, eppure non era affatto umana. La sua figura appariva innaturale e non solo per via dell’altezza spropositata. Il suo sguardo era innaturale. La piega della sua bocca, che spiccava rossa in mezzo al biancore della carnagione, era innaturale. Il modo in cui si muoveva era innaturale.

Jadis scese dalla slitta. Elsa sentì i passi attutiti dalla neve.

- Sento che c’è qualcosa qui... – disse la Regina.

- Che cosa, Maestà? – domandò il nano.

- Qualcosa. Non so bene cosa, ma è... è potente.

- Pensate che sia...

- No, idiota. Non è Aslan! È un potere ben diverso... Aslan non si nasconderebbe. Non se si trova già qui a Narnia. Anzi, fosse qui non vedrebbe l’ora di mostrarsi!

Tasch aveva raccolto una pietra e l’aveva stretta tra le dita. Non sarebbe mai riuscito a fermare quell’essere con un semplice sasso, ma era sempre meglio che restare lì senza far niente. Era meglio prepararsi. Magari sarebbe riuscito a farle un po’ male prima di essere tramutato in una statua.

Elsa stava per scagliare un’ondata della sua magia contro Jadis. Il suo corpo fremeva. Non sarebbe riuscita a trattenerla ancora per molto...

- Allora forse sono... gli altri? I fratelli del vostro prigioniero? – tornò a chiedere il nano.

Il ragazzo emise un verso basso simile ad un singhiozzo.

- Taci – sibilò la Strega Bianca.

Elsa la udì avvicinarsi ancora.

Poi ci fu un movimento alla sua destra, un fruscio e una figura a quattro zampe sbucò da sotto un cumulo di neve. Una figura dello stesso colore dei capelli del fauno. Rossa, con una lunga coda che si mosse nervosamente.

- Strega Bianca! – disse la volpe, spaventata dall’apparizione. Forse stava dormendo e non aveva udito la slitta.

Strega Bianca.

Elsa riuscì appena a registrare il fatto che l’animale sapesse parlare. Poi...

- Oh, maledetta... – cominciò Jadis, irritata.

- No, per favore! No! – gridò il ragazzo.

Non aveva ancora finito la frase che già la volpe non era più una volpe, ma una statua. Una creatura di pietra, con una bocca di pietra socchiusa a mostrare i denti aguzzi e piccoli occhi di pietra che fissavano la sovrana di Narnia. E una coda di pietra. E zampe di pietra.

Elsa la vide dalla sua posizione, la schiena premuta contro le rocce e non poté fare a meno di inorridire. Riuscì a soffocare il gemito di sorpresa che le artigliava la gola.

- Questo è un regalo per te! – esclamò Jadis. Non stava guardando, ma Elsa sapeva che si stava rivolgendo al ragazzo. – Non osare mai più chiedere pietà per delle creature come quella! Sono spie e traditori!

Silenzio. Elsa trattenne il respiro.

- Maestà... – disse il nano.

- Cosa?

- Credo sia meglio andare. Non so che cosa abbiate sentito, ma... la neve si sta sciogliendo e se si scioglie la slitta non potrà andare avanti perché il terreno sarà un pantano. E poi i fratelli del prigioniero potrebbero essere già lontani...

- Sciocchezze, imbecille! La neve non si scioglie mai a Narnia!

- Ma sta succedendo, Maestà. Guardatevi intorno.

Ancora silenzio. Più lungo, stavolta.

- Basta idiozie! – esclamò Jadis. I suoi passi si mossero di nuovo verso la slitta. – Forza, andiamocene! Qualsiasi cosa fosse me ne occuperò quando avrò finito con i figli di Eva e di Adamo. E con Aslan! Perché su una cosa non hai torto, nano: non voglio che vadano troppo lontano.

 

***

 

Edmund Pevensie non era solo infelice, ma anche addolorato. Addolorato per se stesso e per le povere creature come la volpe, ridotte a statue di pietra. Per quelle povere creature che aveva visto in cortile, compreso il leone al quale aveva donato un paio di baffi e di occhiali. L’aveva fatto per prendersi gioco di lui, ma anche per sentirsi forte e coraggioso. Era tristissimo vedere gli animali trasformati in figurine di pietra e pensare che sarebbero rimaste in quello stato di immobilità, nella luce del sole o nell’oscurità della notte, per anni e anni, mentre la terribile sovrana di Narnia mieteva altre vittime.

È colpa mia.

Certo che lo era. Lui era stato stupido e ingenuo. Era arrabbiato con Peter e questo l’aveva portato a comportarsi come un idiota. A fidarsi di una donna senza scrupoli che lo aveva incantato con gelatine di frutta e bevande calde e succose. Ma la cosa peggiore era che aveva ingannato anche se stesso e non solo gli altri. Edmund sapeva... oh, sì, lo sapeva benissimo che la Strega Bianca era crudele. Lo sapeva benissimo che era pericolosa. Lo sentiva che la sua gentilezza celava qualcosa di veramente terribile.

“Il tempo del male”.

Mi puniranno. Aslan, se verrà davvero, mi punirà. Non può non farlo. Glielo chiederanno tutti e dovrà punirmi. Sono un traditore e i traditori non la passano mai liscia. O forse sarà Peter a punirmi, perché è il più grande.

Anche ciò che era accaduto a quella ragazza... Joan... era solo colpa sua. L’avevano sbattuta in prigione oppure Maugrim l’aveva divorata con l’aiuto dei suoi compari. Insomma, Jadis la voleva morta e qualcosa gli diceva che sarebbe stata capace di mentire, dicendole che sarebbe morta di fame, per poi farla uccidere dai lupi.

“Consegni le tue sorelle e tuo fratello... per un titolo? È orribile”.

Mentre la slitta correva sulla neve, Edmund rimuginava. E sperava di sopravvivere abbastanza a lungo da poter dire a qualcuno che Joan era prigioniera al castello della Regina.

 

***

 

- Siamo arrivati – annunciò Tasch, come se ce ne fosse bisogno.

Non avevano parlato da quando era scampati per un soffio a Jadis e alla sua bacchetta magica. Elsa continuava a ripensare a quella figura maestosa e gelida, al modo in cui la volpe si era trasformata in un essere di pietra e a quel ragazzino che moriva di freddo a bordo della slitta.

E se avesse fatto una cosa simile anche ad Anna?

Fecero il giro del castello, fino a quando non trovarono l’ingresso, un’arcata immensa con un cancello di ferro appena socchiuso.

- La Strega Bianca se n’è andata ma potrebbe comunque esserci qualcuno. Maugrim, magari. Lui sta sempre di guardia o così dicono... beh, non ci sono mai venuto. È la prima volta anche per me. – disse Tasch.

- Devo entrare.

- Anch’io... Tumnus potrebbe essere qui.

Elsa si voltò, osservando il fauno, che ricambiò l’occhiata con gli occhi sgranati e pieni di paura. – Tasch... puoi andare via. Non c’è bisogno che tu rimanga con me.

- C-come? No. Non posso andarmene adesso – esclamò Tasch, scuotendo il capo con decisione.

- Certo che puoi. Ti ringrazio per aver guidata fin qui, ma...

- Sono venuto anche per Tumnus. Probabilmente sarà una statua ed io non saprò come aiutarlo, ma almeno devo provare a cercarlo. – Il fauno si tolse alcune ciocche di capelli dalla fronte. – E poi là dentro è pericoloso.

- Posso farcela. Sono stata in situazioni peggiori di questa.

- Preferisco rimanere... – Non le diede il tempo di aggiungere altro. Avanzò di qualche passo, appoggiandosi all’arco per guardare all’interno. – Hai visto quell’umano sulla slitta, vero? La Strega Bianca ha trovato uno dei Salvatori. Adesso starà andando a prendere gli altri. Speriamo solo che Aslan arrivi presto e che loro si nascondano bene...

Tasch spiccò un balzo improvviso quando scorse il leone di pietra, lo stesso a cui Edmund aveva disegnato i baffi e gli occhiali. Era nella stessa posizione della belva che si prepara a saltare addosso ad una preda.

- Oh, perbacco... è di pietra, certo. – mormorò Tasch.

Elsa fissò con il cuore in gola tutte le statue nel cortile del castello. Non solo il leone, ma anche le ninfe dei boschi, il cavallo alato, il gigante... tutte pietrificate dalla magia di Jadis. Elsa le passò in rassegna una ad una, chiedendosi che cosa avrebbe fatto se avesse riconosciuto Anna in una di quelle statue. Si chiese che cosa avrebbe fatto se avesse scorto i suoi occhi che la guardavano senza più vederla.

- Tumnus qui non c’è. E tua sorella? – si arrischiò a chiedere Tasch, mentre sfiorava la criniera del leone con la punta delle dita, guardingo, come se si aspettasse un attacco da parte sua.

- Non... non la vedo – disse Elsa. I suoi sensi erano all’erta. Aveva l’impressione che qualcuno li stesse spiando.

- Dovremmo... entrare. Credo.

- Tasch...

- Cosa?

- Forse è meglio...

Un ringhio basso e cupo spezzò a metà la frase di Elsa. Tasch si irrigidì. Alzò la testa giusto in tempo per vedere un grande lupo nero proprio sulla groppa del leone, un lupo nero con una macchia bianca sul muso e gli occhi di ghiaccio. Scrutava i nuovi venuti, famelico, mentre un filo di bava scivolava dalla sua bocca.

- Bene – disse il lupo, appoggiando una zampa sulla testa di pietra. – Sono lieto di vedere che è già arrivata la nostra cena.

Parlava anche il lupo, proprio come la volpe. Ma ad Elsa non importava. Dal cancello alle loro spalle e da una porta aperta in fondo al cortile sbucarono altri lupi, con il pelo ritto e le zanne scoperte. Nel giro di un istante furono circondati.

Tasch indietreggiò, raggiungendola.

- Maugrim ci aveva avvertiti: ‘fate la guardia perché, a quanto pare, la profezia non dice tutta la verità. Ci sono più di quattro umani a Narnia’ – proseguì il lupo nero. Scese dalla schiena del leone, atterrando silenziosamente e annusando l’aria.

I suoi compari strinsero il cerchio intorno alla “cena”. Alcuni di quei lupi erano magri, evidentemente affamati e avevano occhi iniettati di sangue.

- Aveva ragione. Un’altra figlia di Eva e un fauno. I fauni hanno un pessimo sapore, ma andrà bene, per una volta.

 

***

 

 

Angolo autrice:

 

Salve!

Ci tengo a precisare alcune cose, come al solito:

 
Il fauno Tasch non esiste nei libri di C.S. Lewis. L’ho inventato io, perché mi sembrava giusto che Elsa avesse una sorta di... accompagnatore. Tutti gli altri personaggi nominati, invece (Maugrim, Tumnus, ovviamente Edmund e i suoi fratelli, Jadis, Aslan...) sono di Lewis. Insomma, per farla breve, Tasch è l’unico personaggio inventato.

Anche la parte delle prigioni sotterranee con un’entrata protetta da una barriera magica è una mia idea.

Spero che vi sia piaciuto. Fatemi sapere.


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Capitolo 11
*** Together ***


11

 

 

“There is no sweeter innocence than our gentle sin”

[Hozier, Take Me To Church]

 

 


I lupi si assieparono intorno ad Elsa e a Tasch, strinsero sempre di più il cerchio. I loro occhi lampeggiavano, furiosi e affamati.

- Elsa? – iniziò il fauno, deglutendo a fatica. – Che cosa possiamo fare?

Lei sapeva che cosa fare. I predatori erano in tanti, ma forse sarebbe riuscita a tenerli a bada.

- Sono io che farò qualcosa, Tasch. Tu scappa. – disse Elsa, allungano una mano verso i due lupi più vicini. Uno di loro spinse il muso in avanti e chiuse le fauci sull’aria. Sentì l’alito caldo sulle dita.

- Cosa? No... no, sai che non posso andarmene – balbettò Tasch, mordendosi il labbro. – Insomma, vorrei poterti aiutare.

- Non puoi. Sono in troppi. Ma io... io posso. Vai a cercare aiuto.

- Tu puoi? Che vuol dire che puoi? – Tasch la guardava sbalordito. – Sono in tanti anche per te. Saresti da sola e sei... beh, sei una figlia di Eva e...

- No, non sono solo questo. Fidati di me, Tasch. Corri. Vai a cercare qualcuno che possa aiutarci. Ti copro le spalle. Troverò mia sorella e troverò anche Tumnus.

- Ma...

Uno dei lupi, un maschio dal pelo grigio e con occhi rossi come braci ardenti, spiccò un balzo con gli artigli sguainati, pronto a dilaniare, a lacerare la carne.

Elsa lo vide muoversi come a rallentatore. Vide baluginare le zanne. Vide il guizzo folle nel suo sguardo. Vide la folta pelliccia mossa dal vento.

Liberò il suo potere. Un fascio di gelida magia azzurra esplose dalla sua mano protesa e raggiunse il lupo in pieno petto. L’animale lanciò un guaito di dolore e precipitò al suolo. Si contorse nella neve per qualche istante, poi si rialzò, barcollò finendo addosso ad uno dei suoi compari e prese a girare su se stesso, mentre nel pelo grigio comparivano delle ciocche bianche. Sul petto si formò prima della brina e poi del ghiaccio.

Gli altri lupi si ritrassero, ringhiando e raspando. Quello che aveva rivolto loro la parola fece qualche passo indietro, scrutando Elsa, malevolo, ma anche guardingo.

- Corri, Tasch!

Il fauno, troppo sbigottito per poter ribattere, con gli occhi che sporgevano dalle orbite, corse. Approfittò del varco che si era formato quando i due lupi si erano scontrati fra di loro e corse verso il cancello aperto come se avesse avuto le ali ai piedi, proprio nel momento in cui Elsa sprigionava di nuovo la magia. 

Grossi spuntoni di ghiaccio emersero all’improvviso dal manto bianco che ricopriva i ciottoli del cortile. Le punte acuminate ferirono il fianco di un lupo, che lanciò un gemito di dolore. Sprizzò sangue e le goccioline rosse macchiarono la neve. Quello scappò a gambe levate, comprendendo che le cose si stavano mettendo male. Altri due lo seguirono.

- Dove andate, codardi?! – urlò il loro capo.

I predatori rimasti indietreggiarono ancora, indecisi se imitare i loro compagni o ascoltare la voce grossa del lupo con gli occhi azzurri.

Restarono, ma non osarono avvicinarsi. Ripresero a girarle intorno.

“Maugrim ci aveva avvertiti... fate la guardia perché, a quanto pare, la profezia non dice tutta la verità. Ci sono più di quattro umani a Narnia”.

Era a questo che Elsa pensava.

“Ci sono più di quattro umani a Narnia”.

Dubitava che quel Maugrim sapesse della sua presenza. Però era possibile che il suo compagno avesse visto o sentito parlare di Anna. Era possibile che Maugrim si riferisse proprio a lei e che quindi Anna fossì lì, da qualche all’interno del castello.

“Ci sono più di quattro umani a Narnia”.

E sapeva anche che quei lupi non l’avrebbero lasciata passare a meno che non li avesse sconfitti definitivamente. La tenevano d’occhio, si muovevano intorno alla preda perché speravano che prima o poi si stancasse, perché speravano che la sua magia avesse un limite e che le risucchiasse le energie, privandola delle forze. O speravano che abbassasse la guardia.

Elsa strinse forte i pugni.

Un paio di lupi avanzarono, cauti, giusto un paio di passi.

Fiocchi bianchi iniziarono a cadere intorno alla regina di Arendelle. La neve che ricopriva le statue di pietra e i ciottoli iniziò a sollevarsi, formando un turbine che andò rapidamente espandendosi.

I lupi si ritrassero, guaendo, ululando. Alcuni fecero ciò che i loro compagni avevano fatto un attimo prima: se la diedero a gambe.

“Ci sono più di quattro umani a Narnia”.

Il turbine di neve crebbe d’intensità. Si trasformò in una bufera. Il vento soffiò forte, vorticoso. La neve accecò i predatori, che finirono l’uno contro l’altro. Un lupo saltò alla cieca in mezzo alla tormenta ed Elsa scagliò contro di lui un fascio della sua magia, che lo colpì al collo. Un altro guaito doloroso.

Fuggirono tutti. Tutti, eccetto il lupo con gli occhi di azzurri che aveva parlato a lei e a Tasch. Quanto la tormenta si placò, anche lui cercò di scappare ma Elsa lo intrappolò. Gli spuntoni di ghiaccio lo accerchiarono e le punte acuminate minacciarono i suoi fianchi e il collo.

- Lasciami andare, qualunque cosa tu sia! – gridò il lupo, inferocito. – Non sei una figlia di Eva... avrei dovuto capirlo subito.

- No, non lo sono! – gli rispose Elsa, guardandolo con gli occhi sbarrati e pieni di rabbia. – Sto cercando mia sorella. Si chiama Anna. Voglio sapere dov’è!

- Non c’è nessuna Anna qui a Narnia.

Uno spuntone di ghiaccio premette contro il fianco del lupo.

- Ti ripeto che non ne so niente! Dannazione, non c’è nessuno con quel nome!

- Poco fa hai detto che... questo Maugrim, il tuo capo...

- Il capo della polizia segreta di Sua Maestà – precisò lui, con lo stesso tono di chi ha imparato le cose a memoria e non può fare a meno di ripeterle.

- Hai detto che lui ti aveva avvertito. Che la profezia di cui tanto si parla non dice il vero... che ci sono più di quattro essere umani, qui – Elsa teneva la mano protesa davanti a sé. La sua espressione era dura e determinata. Non l’avrebbe lasciato andare fino a quando non le avesse rivelato tutta la verità.

- C’è... c’è un altro essere umano, sì. – ammise il lupo. – Nelle segrete. Ha mancato di rispetto alla Regina Jadis, per questo si trova laggiù. Ma il suo nome è Joan, non Anna.

Joan.

Elsa si sentì quasi venir meno. – È... è qui? Qui in questo castello?

- Sì, giù nelle segrete, te l’ho detto.

- Dov’è l’ingresso delle segrete?

Il lupo glielo spiegò. Ovviamente lei non pensò affatto di liberarlo. Non intendeva rischiare che lui la fermasse in qualche modo o che andasse ad avvertire la sua Regina. Ed Elsa non sapeva neppure quanto tempo avesse prima che Jadis facesse ritorno al castello. Doveva sbrigarsi.

- Non puoi lasciarmi qui, maledetta! Dove credi di andare?

- A salvare mia sorella – Elsa gli voltò le spalle, ignorando le sue imprecazioni e i suoi lamenti.

 

***

 

Proseguì fino alla base di una delle torri che svettavano verso il cielo. Sentiva ancora i ringhi furiosi del lupo, la sua voce che si alzava in mezzo alle statue di pietra, chiamandola non più “figlia di Eva”, ma “mostro” oppure “creatura maledetta”.

“Maugrim ci aveva avvertiti... fate la guardia perché, a quanto pare, la profezia non dice tutta la verità. Ci sono più di quattro umani a Narnia”.

“Ha mancato di rispetto alla Regina Jadis, per questo si trova laggiù. Ma il suo nome è Joan, non Anna”.

Elsa non riusciva a pensare ad altro. Non poteva pensare ad altro mentre ghiacciava la serratura della grande e vecchia porta di legno come a suo tempo aveva fatto con la porta del negozio di Tremotino, a Storybrooke. Nel mentre, un corvo appollaiato sulle mura che circondavano la dimora della Strega Bianca lanciò un gracchio e si levò in volo.

La porta si aprì ed Elsa rischiò subito di ruzzolare giù per una ripida rampa di scale. Una rampa di scale che si perdeva nell’oscurità e sembrava scendere fino al centro della Terra.

“Ha mancato di rispetto alla Regina Jadis, per questo si trova laggiù”.

Cominciò a scendere.

Percorse la rampa per un tempo che le parve infinito, tanto da iniziare a chiedersi se davvero ci fosse una fine, se ci fosse un fondo.

“Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti”.

E raggiunse il fondo, ad un certo punto. Si accorse che le pareti in pietra nera emanavano uno strano bagliore, come se contenessero un residuo di qualche potente magia.

- Anna? – La sua voce riecheggiò nel corridoio che aveva davanti sé.

Non ottenne risposta e quindi avanzò, immergendosi nella semioscurità delle segrete.

“Questo suona tanto come un finché morte non ci separi”.

Avanzò più spedita, sperando che Anna stesse bene, pregando che non fosse ferita. Pensò anche a Tasch. Si chiese se il fauno sarebbe tornato al castello con dei rinforzi, con qualcuno che avrebbe potuto aiutarle.

Il corridoio curvò bruscamente. Si fermò, perlustrando le tenebre con lo sguardo. Il suo cuore batteva un po’ più forte.

“Questo suona tanto come un finché morte non ci separi”.

 

***


- Anna?

Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era crollata accanto alla lastra di pietra. Anna aveva l’impressione che la sua coscienza si trovasse alla fine di un lungo, interminabile tunnel e che lei stesse camminando verso di essa lentamente, ciondolando, incespicando ogni tanto.

Aveva ancora la fronte appoggiata al braccio e gli occhi chiusi quando udì qualcuno che chiamava il suo nome.

Sto certamente sognando. Sì, ne sono sicura.

Non poteva essere altrimenti. Era sola, là sotto.

Era sola e non aveva più né la collana né l’anello. Non aveva più niente. Solo se stessa e non sapeva come avrebbe fatto ad uscire da quella prigione.

- Anna?

Di nuovo quel richiamo. Quella voce. Più vicina. Più distinta.

Sollevò di scatto la testa, cercando di scacciare la confusione e lo stordimento.

- Non... chi... Elsa? – mormorò.

Si ricordò di una cosa importante. Una cosa estremamente importante. Nessuno doveva entrare in quella cella, perché una volta entrati non era più possibile uscirne. La barriera magica non l’avrebbe permesso.

- Anna... sei qui... – La voce di Elsa ora era vicinissima.

- No, Elsa... Elsa, aspetta...

Prima che potesse aggiungere qualsiasi altra cosa, sua sorella oltrepassò la barriera invisibile e barcollò dentro la prigione.

Anna la vide. Ciocche di capelli biondi che erano sfuggite alla treccia, gli occhi spalancati, dapprima pieni di sorpresa e curiosità, poi di consapevolezza.

Fu come se una serratura fosse scattata, nella mente di entrambe, e le avesse liberate. Un attimo dopo Anna era tra le sue braccia e la forza con cui Elsa la strinse fu tale che le spinse entrambe a terra. Anna teneva le braccia intorno alle sue spalle e sussurrava il suo nome. Lei l’abbracciò ancora più stretta e le affondò il viso nel collo. In quel momento il terrore di non rivederla mai più, di trovarla ridotta ad una statua di pietra dalla magia di Jadis, un terrore che l’aveva accompagnata lungo il tragitto che l’aveva condotta al castello, allentò la presa e le permise di respirare di nuovo.

- Elsa... – disse Anna, scostandosi per poterla guardare. Le sue dita le percorsero il volto, come se volesse assicurarsi che fosse vera, che fosse davvero lì con lei.

- Stai bene? Sei ferita?

Scosse la testa. Cominciò a parlare a raffica. – No. No, io... sto bene. Non sapevo che cosa pensare... non sapevo se mi avessi seguita... non... non sapevo nemmeno se desiderassi davvero che mi avessi seguita... cioè, sì, lo volevo, ma adesso siamo intrappolate qui ed io non ho più la collana... e nemmeno l’anello! Me li ha portati via lei... sai, la Regina. Quella strega... è orribile.

- Lo so, l’ho vista.

- L’hai vista? Dove?

- Mentre venivo qui. Mi sono nascosta. Ma ho visto che cosa sa fare... con quella bacchetta magica.

- Le statue... hai visto quelle statue?

Elsa annuì.

Gli occhi di Anna erano sempre fissi nei suoi. – Elsa... non so come tu abbia fatto ad arrivare fino a qui... voglio dire, so che c’entrano quegli anelli, ma non ho idea di come...

- Mi ha aiutato un fauno. Stava cercando anche lui qualcuno.

- Un fauno?

Elsa le spiegò di Tasch, di tutto ciò che le aveva detto riguardo a Tumnus e alla Strega Bianca. Le parlò anche della profezia, della maledizione scagliata su Narnia e dei presunti Salvatori.

- Edmund... quindi Edmund è uno di loro. Oh, Edmund è un ragazzino che ho incontrato appena arrivata qui. È anche per questo che mi trovo in prigione. Cercavo di aiutarlo. Si era ficcato in un bel pasticcio.

- L’ho notato. Sulla slitta della Regina. Stava certamente andando a cercare gli altri.

- Perciò è ancora vivo.

- Sì. Lo è.

- C’è un altro problema, Elsa.

- Quale?

- Questa cella... non è una comune cella. C’è una barriera magica. Sembra aperta ma c’è una barriera.

- Credo di aver sentito qualcosa entrando...

- Si può solo entrare, ma non uscire. Siamo bloccate qui tutte e due. – Anna si morse il labbro, nel dirle questo.

Elsa si alzò e andò verso la barriera. Quando la toccò con la punta della dita, l’aria si increspò leggermente, ma era molto solida, dura come il fiume ghiacciato che attraversava la valle di Narnia. Vi sbatté contro il palmo aperto della mano e sulla barriera si diramò una serie di linee bianche. Il potere di Elsa sembrò sul punto di ghiacciare quel muro che impediva loro di uscire, ma subito dopo il ghiaccio si ritirò e scomparve.

- Non ci posso credere... – sussurrò Elsa. – Mi... mi dispiace tanto, Anna. Avrei dovuto saperlo... mi dispiace.

Anna le afferrò un braccio. – Non dire che ti dispiace. Non è stata colpa tua. Non hai idea di che cosa... di cosa significhi per me averti qui, adesso. Quando mi hanno strappato la collana... lo sai, è stato come se mi avessero strappato via anche te. Non avevo più niente, Elsa... non sapevo che cosa fare. E adesso...

- Adesso ho intrappolato entrambe. – Elsa evitò di guardarla.

- No. Cioè, sì, in effetti siamo in trappola, ma hai detto di non essere venuta da sola. Forse quel fauno troverà qualcuno e verranno qui a cercarci. Magari troverà proprio quei ragazzi e questo... leone... chiunque sia.

- Gli avevo promesso che avrei trovato anche il suo amico...

L’espressione di Elsa era così addolorata che Anna non poté fare a meno di allungare una mano per appoggiargliela sulla guancia. Le era mancato toccarla. Le era mancato tutto di lei. Si chiese come avesse potuto pensare che non l’avrebbe più rivista. Elsa la trovava sempre, in qualsiasi posto fosse. Gliel’aveva detto, una volta, che non sarebbe andata più in nessun luogo in cui lei non potesse raggiungerla.

- C’è un fauno di pietra nel salone della Regina. L’ho notato quando ci sono arrivata. Aveva un’aria molto triste. Potrebbe essere lui, no?

- Forse. Ma dovremmo uscire di qui, prima. E non intendo starmene qui con le mani in mano.

- Elsa...?

Elsa diresse il suo potere contro la barriera magica. L’esplosione di luce biancoazzurra fu così intensa che Anna dovette schermarsi gli occhi con un braccio.

 

***

 

Il cocchiere della Strega Bianca aveva perfettamente ragione. L’incantesimo stava svanendo.

Edmund, sebbene legato, depresso e pieno di sensi di colpa, con i capelli scompigliati dalla corsa sulla slitta, non aveva più freddo come quando aveva messo piede a Narnia passando dall’armadio e non poteva impedirsi di vedere ciò che stava succedendo. La neve che si scioglieva, rendendo difficoltoso, per le renne bianche, trainare il mezzo di trasporto della Regina... e poi l’erba verde che spuntava in mezzo al bianco. Passarono davanti ad un boschetto di betulle e là il terreno era cosparso di fiori gialli.

- Mia signora! – Il nano tirò le redini. – Non possiamo più proseguire con questa slitta. Il terreno è un pantano. Ci metteremo il doppio del tempo.

Parlava in tono agitato, tormentandosi la lunga barba. Scuoteva il capo. Le renne sembravano felici di aver ottenuto quel momento di pausa. La corsa, per loro, doveva essere stata a dir poco estenuante.

- Lasciamo qui la slitta e proseguiamo a piedi – annunciò Jadis, scendendo.

- Ma così non li raggiungeremo mai, mia Regina – protestò il nano.

- Poche chiacchiere! Non sei il mio consigliere quindi mettiti in moto! Prendi la frusta, lega le mani del ragazzo... ma legale molto strette... e poi cammina. Ah, non dimenticare di tagliare le redini. Le renne sapranno tornare da sole al castello.

E così la Strega Bianca costrinse Edmund ad una marcia forzata. Lui avrebbe voluto fermarsi e accarezzare quelle povere renne che erano state frustate così a lungo. Avrebbe voluto toccare le loro maestose corna dorate e sussurrare parole di conforto. Parole di conforto per loro e per se stesso.

Correte. Corri, Peter. Porta in salvo Susan e Lucy. Correte. Vi prego, correte, pensava, sempre più angosciato. Aslan, se sei arrivato, per favore aiutali. E aiuta anche Joan.

Fu proprio durante questa corsa per raggiungere i fratelli del ragazzo e i castori che li avevano aiutati a scappare che i segnali divennero palesi. Ora non si trattava solo di notare i fiori, le chiazze d’erba e i germogli sugli alberi. Vennero i suoni; lo scrosciare delle acque del fiume, un uccellino che cinguettava su un ramo e un altro che rispondeva al richiamo, trilli, gorgheggi, dapprima sommessi, quasi avessero paura di rompere il silenzio che a lungo aveva regnato su quel luogo, poi sempre più sicuri, sempre più allegri e vitali. La nebbia era sparita e, quando era sorto il sole, il cielo si era rivelato di uno splendido azzurro. Il vento era leggero, fresco e profumato.

- Cammina più in fretta o il mio nano userà la frusta! – lo incitò Jadis.

Un’ape attraversò il sentiero, ronzando. Il cocchiere la scacciò con una manata. Poi si fermò di colpo, paonazzo.

- Cosa stai facendo? Perché ti sei fermato?

- È la primavera – disse. – Non il disgelo... la primavera! Mia Regina, l’incantesimo sta svanendo. È opera di Aslan!

La Regina afferrò il nano. O meglio, Edmund non poteva dire che l’avesse afferrato. La mano della Strega era sollevata e stringeva come se fosse stata intorno al collo dello sventurato cocchiere, che agitava i piedi sospeso a mezz’aria. Diventò rosso per un principio di asfissia.

- Non pronunciare mai più quel nome – sentenziò lei, lo sguardo furente, reso ancora più duro dalle parole del suo servo. La corona risplendeva sul suo capo colpita dai raggi del sole ancora basso. Il suo viso era una maschera di odio che costrinse Edmund a voltarsi dall’altra parte. Gli riusciva difficile persino guardarla. – Se lo pronunci un’altra volta... giuro che ti uccido!

Il nano cadde a terra. Si affrettò ad alzarsi e a tenere la testa china. – Sì... sì, Maestà. Perdonatemi.

- Lui ti sconfiggerà – disse Edmund, riferendosi ad Aslan.

- Come dici, figlio di Adamo? – Jadis puntò la bacchetta contro di lui.

- Dico... che lui ti sconfiggerà. I cattivi come te fanno sempre una brutta fine.

Jadis lo afferrò per il colletto della camicia, attirandolo più vicino. I suoi occhi erano affilati come coltelli. – Anche i traditori, caro ragazzo. E tu sei un traditore, per Narnia. Aslan dovrà occuparsi di te. Dovrà punirti, perché se non lo farà... questo bellissimo posto sparirà per sempre.

- S-sparire? Narnia? – balbettò Edmund, confuso.

Jadis lo lasciò andare e rise. Rise mentre lo spingeva a riprendere la marcia. Rise anche se l’incantesimo stava svanendo.

Rise in un modo che gli fece accapponare la pelle.

 

***

 

Elsa aveva tentato a lungo di infrangere la barriera, per così tanto tempo che Anna si era chiesta se non fosse sul punto di farsi del male. Alcune ciocche di capelli biondi erano sfuggite alla treccia e danzavano intorno al suo volto, un volto teso, concentrato e persino rabbioso, illuminato dal bagliore dell’ondata di potere che aveva riversato contro ciò che le teneva segregate là dentro. E per qualche momento aveva addirittura pensato che la barriera si sarebbe infranta, che avrebbe ceduto sotto il peso del dono di Elsa.

Non era successo. Con un gemito di frustrazione, Elsa si era ritratta e il gelo era svanito.

- Elsa... – cominciò Anna.

- Non posso farcela – disse, sconsolata. – Mi dispiace.

- Per favore, non ricominciare a scusarti. Non ricominciare a chiedere scusa per cose che non dipendono da te. Troveremo un altro modo. O ci troveranno. Edmund è ancora là fuori... sono sicura che non è... che è meglio di ciò che sembra. È solo un ragazzino arrabbiato che avrà di certo capito di aver combinato un guaio... ma la cosa che conta è che lui sa che sono qui. C’era quando la Regina mi ha spedita in prigione...

- Ma adesso anche lui è suo prigioniero, Anna. – Elsa si portò una mano alla testa, massaggiandosi la tempia.

- Sì, ma è vivo. È vivo, perché quella Strega ha bisogno di lui per arrivare agli altri. Forse vuole... vuole usarlo per prenderli tutti. E finché non li avrà trovati non lo ucciderà.

- È molto potente.

- Lo so. Ma non è molto saggia. Me ne sono accorta, sai Elsa? L’ho sentita parlare con Edmund e poi ha parlato anche con me. Non è per niente saggia! È... piena di odio e di cattiveria e di... desiderio di possesso. È una tiranna. Ed è inquietante... e trasforma la gente in statue di pietra! Ma non è saggia – tornò a ripetere.

Elsa non sembrava affatto convinta. Continuava a rivedere la volpe trasformarsi in roccia, continuava a vedere quella figura altissima con la bacchetta in pugno e lo sguardo più duro e freddo che avesse mai conosciuto. Continuava a vedere quel ragazzino rannicchiato sulla slitta, debole e scoraggiato. E vedeva Tasch che scappava dai lupi. Scappava per chiedere aiuto. Ma avrebbe davvero trovato qualcuno? Oppure avrebbe incontrato Jadis, diventando di pietra anche lui?

- Elsa – disse Anna, stringendo la sua mano e avvicinandosi così tanto che lei si vide riflessa nei suoi occhi. – Ti fidi di me, vero? Voglio dire... lo so che non è facile avere fiducia perché siamo in una prigione, sottoterra, in un mondo che non conosciamo, un modo in cui gli animali parlano. Parlano, capisci? E non possiamo uscire perché c’è... quella cosa che ce lo impedisce. E so che io sono stata la prima a scoraggiarmi... insomma, quando mi hai trovata ero...

Elsa le mise due dita sulle labbra. – Sì. Certo che mi fido di te.

Anna si sporse in avanti e impulsivamente la baciò sulle labbra, socchiudendo appena le sue e portando la mano libera dietro la sua nuca, per trattenerla.

- Anna... – mormorò Elsa, contro la sua bocca, chiudendo gli occhi. Come quando erano sul ponte della Blackrose... appena un sussurro. Un avvertimento. Quel genere di contatto... era così bello da essere quasi doloroso.

Anna non ascoltò. La baciò di nuovo, con più intensità. Avvertì il calore del suo respiro, il suo fiato spezzato, un gemito strozzato che non riuscì a trattenere. Elsa era contro di lei. E sembrava forte e fragile al tempo stesso.

“Volevo farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a smettere di guardarti...”

- Era vero? – mormorò Anna, respirando con affanno, senza riaprire gli occhi.

- Che... che cosa? – chiese Elsa.

- La sera del matrimonio... mi hai detto che non sei più riuscita a smettere di guardarmi. Era vero?

Elsa le sorrise. La fissò tanto a lungo prima di risponderle che Anna si sentì cedere le ginocchia. – Lo era. Ci ho provato... a non guardarti. Ho fatto il possibile. Ma non ho potuto...

Anna si avvicinò ancora, come se volesse ricominciare a baciarla, invece le strofinò il naso contro la guancia, le premette le labbra sull’angolo della bocca, poi sul mento... e giù sulla gola, spedendole una serie di brividi lungo il corpo. Quando si scostò per guardarla, Elsa non ebbe alcuna esitazione. Le aprì la bocca con la propria, trascinandola in un bacio che non aveva più niente di cauto.

“Scommetto che, nonostante il suo potere, quando vi bacia vi incendia il sangue”.

Anna sapeva che avrebbero dovuto fermarsi. Avrebbero dovuto fermarsi ora prima di spingersi troppo oltre.

“Se tornerete ad Arendelle dovrete tornare alla vita che avete sempre vissuto. Voi avrete un marito a cui pensare. Sareste costrette a nascondere ciò che provate per sempre! E prima o poi... commettereste un errore irreparabile. Non si possono soffocare i sentimenti, Anna”.

Non si fermò. Nessuna delle due si fermò.

Anna le slegò il laccio e le sciolse i capelli. Passò le dita tra le sue ciocche biondissime, vi immerse il viso e respirò il suo profumo.  

 

***

 

 
Angolo autrice:

Salve, salve!

Dunque, questo capitolo è un po’ più corto (mi pare) rispetto ai precedenti, ma è anche uno di quelli che mi hanno fatta più dannare. Spero vi piacerà leggerlo, tanto quanto a me è piaciuto scriverlo.

Take Me To Church di Hozier è una canzone che conoscerete tutti, immagino. Trovo sia adatta ai sentimenti che Anna ed Elsa provano l’una per l’altra.


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Capitolo 12
*** Love is Just a Word ***


12

 

 

 

“Parole, parole, parole. L’amore è solo un’inutile parola.
E, mi dispiace dirtelo, ma le parole non significano nulla per me”

[Once Upon a Time, Cuore di Tenebra, Biancaneve]

 

 

“Pensate di poterlo nascondere per sempre, Elsa? Credete di esserne capace? Scommetto di no. Nessuno ne è capace”.

Elsa aprì gli occhi. La voce della sovrana della Corte Seelie, Titania, le era sembrata fin troppo reale, come se la fata le stesse sibilando quelle parole in un orecchio. Era sicura di aver sognato qualcosa che la riguardava... solo che non ricordava più che cosa.

“Pensate di poterlo nascondere per sempre, Elsa?”.

Anna era proprio accanto a lei. Dormiva. Era imprigionata nel sogno immoto di chi è completamento sfinito e tuttavia sembrava stare bene, sembrava in pace. Un vago rossore aleggiava sulle sue guance, le ciglia tremolavano un po’, forse perché anche lei stava sognando, e il suo respiro era regolare, calmo. Si era addormentata con la testa sul suo braccio, rannicchiata come una bambina in cerca di protezione. Elsa aveva usato l’unica coperta disponibile in quella prigione per coprirla, dopo... beh, dopo.

Dopo ciò che avevano fatto.

Elsa deglutì a vuoto. Aveva la gola secca e quando si portò una mano alla fronte per scostarsi una ciocca di capelli le sue dita tremavano visibilmente. Anna sembrava una bambina in quel momento, ma non lo era sembrata affatto mentre la baciava, mentre cercava la sua pelle sotto il vestito, mentre permetteva ad Elsa di sbottonarle la camicia...

“La sera del matrimonio... mi hai detto che non sei più riuscita a smettere di guardarmi. Era vero?”

Era vero, così come era vero che non riusciva a smettere di guardarla nemmeno ora. Soprattutto ora. Ora che si erano spinte ben oltre quella linea di confine che non avrebbero mai dovuto oltrepassare.  

“Non vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata. Per una donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un uomo che si fida di voi...”

Che cosa aveva fatto? Cos’avevano fatto? Com’era potuto succedere?

“Voi pensate che questi sentimenti siano sbagliati. Ne siete certa. E allora liberatevene”.

Ma Elsa sapeva che era inutile porsi quelle domande. Si era lasciata trascinare da ciò che provava. Non c’erano state barriere, stavolta. Non c’erano stati ostacoli. C’erano solo loro due e il desiderio di essere vicine, più vicine che mai.

Ed era sbagliato. Eppure era stato così naturale e intenso...

Elsa chiuse gli occhi. Le parve di sentire qualcuno muoversi ai piani superiori del castello. Erano rumori lontani, non distinguibili e lei pensò che forse Jadis era tornata a casa, con gli altri Salvatori oppure a mani vuote. O i rumori erano prodotti dai servitori della Regina che si aggiravano per la dimora. Forse i lupi che avevano attaccato lei e Tasch erano rientrati.

Anna mormorò qualcosa e poco dopo si svegliò. Si mise seduta di scatto, gettando in là la coperta e fissando la sorella con gli occhi sbarrati.

- Elsa...

- Stai bene? – le chiese, guardandola appena.

- Sì... ho sognato qualcosa di strano... animali parlanti. Molti animali parlanti. Persino un leone.

Elsa si alzò e non le rispose. Prese a fissare con insistenza la luminescenza emanata dalla barriera e dalla pareti di roccia nera.

- Che cosa fai? – le domandò Anna.

Lei seguitò a non rispondere.

- Elsa, potresti voltarti, per favore?

Non lo fece subito. Ma poi Anna la raggiunse, mettendole una mano sul braccio e costringendola a girarsi. Elsa incrociò i suoi occhi.

- Vuoi... vuoi parlare? Parlare di quello che è successo, intendo. – chiese Anna. – Cioè, so che forse non dovremmo parlarne adesso. Siamo ancora rinchiuse in questa prigione e...

- Cosa pretendi che ti dica? – la interruppe Elsa, più brusca di quanto avesse voluto.

- Guarda che mi sento proprio come te. Quindi sono... confusa, frastornata, strana e... mi sento in colpa. E mi sento... bene. Come se non aspettassi altro che questo. E confusa.

- L’hai già detto, confusa.

- Era per farti capire quanto mi senta confusa. Ma non è soltanto questo. È...

Lo udirono entrambe. Rumore di passi. Passi che si avvicinavano di corsa e anche il suono di alcune voci.

- C’è una barriera magica. State indietro. Ci penso io – disse una di quelle voci. Una voce maschile, molto profonda e sicura di sé. Non assomigliava né alla voce di Maugrim, il lupo che aveva condotto Anna nei sotterranei, né tantomeno di Edmund o una qualsiasi altra voce conosciuta.

Elsa si mise davanti alla sorella.

- Chi c’è là fuori? – domandò Anna.

- Non ne ho idea.

- So che ci siete. Non intendiamo farvi del male. Siamo venuti a liberarvi. Sto per infrangere questa barriera. Fate attenzione. Allontanatevi – disse la stessa voce.

Siamo venuti a liberarvi.

Anna trascinò la sorella più lontano, contro la parete in fondo alla cella. Giusto un attimo prima che la barriera magica andasse in frantumi.

Non fu una cosa graduale. La luminescenza che emanava parve intensificarsi, pulsare come un cuore per alcuni istanti, l’aria si fece più densa... e poi la barriera esplose verso l’interno della prigione, scagliando frammenti ovunque ed emettendo lo stesso rumore di una lastra di vetro molto spessa che cede dopo una lunga pressione. Quei frammenti si polverizzarono non appena toccarono il suolo. Anna si lasciò sfuggire un grido, prima di rivolgere lo sguardo all’entrata della prigione.

C’era un leone, sulla soglia. Grande, irsuto e solenne, con occhi splendenti dall’espressione grave e una folta criniera dorata. Sembrava... un sole. Un sole ridente che rischiarò la cella.

- Ehm... uh. Wow... cioè... – balbettò Anna, scuotendo il capo e sbattendo le palpebre. Fissò la creatura per qualche momento, ma poi qualcosa la spinse ad abbassare gli occhi, intimidita.

Persino Elsa era sbalordita, anche se aveva sentito parlare di Aslan e sapeva benissimo che non era un essere umano.

Il leone portava sulla sua groppa una bambina di forse nove o dieci anni e una ragazzina con i capelli scuri raccolti in una crocchia, l’arco e una faretra piena di frecce a tracolla. Ad Anna ricordò molto Edmund, sebbene la sua espressione fosse decisamente meno aggressiva. C’era anche un giovane alto e biondo, di bell’aspetto, che stringeva una spada nella mano destra e si guardava intorno, come studiando l’ambiente, accigliato.

E poi c’erano i due fauni. Uno di loro corse subito verso Elsa e l’abbracciò, la testa rossa che arrivava a malapena al suo petto.

- Elsa... ho trovato Tumnus. Aslan l’ha liberato dall’incantesimo. E non c’è stato bisogno che gli dicessi che eri qui... lo sapeva già. – disse Tasch, in fretta. L’altro fauno sorrise timidamente. Come Tasch aveva la barbetta a punta, una folta massa di capelli castano scuri tra i quali spuntavano due piccole corna ed era giusto una spanna più alto dell’amico.

- Lo... lo sapeva?

- Elsa, Anna... sono lieto di constatare che stiate bene. – disse il leone. La sua voce era dolce e calma. Abbozzò anche un sorriso, sebbene quel sorriso non raggiungesse gli occhi. Ed ovviamente erano occhi antichi, così antichi che potevano appartenere solo ad una creatura ultramillenaria. Non ci fu bisogno di chiedere come facesse a conoscere i loro nomi. Ad Aslan bastava forse uno sguardo per carpire tutte le informazioni necessarie.

- E Edmund? Edmund sta bene? Voi siete i suoi fratelli, vero? – chiese Anna.

- Sì. Io sono suo fratello, Peter. Queste sono le mie sorelle, Susan e Lucy. Edmund sta bene, ma era troppo debole per venire con noi. – rispose il giovane biondo, fissandola a lungo.

- Aslan ha mandato una pattuglia contro la regina. – spiegò Tasch. – Stava per uccidere il figlio di Adamo. Voleva... aveva deciso di sacrificarlo. Voleva tagliargli la gola.

- È ferito? – domandò Anna.

- No, la pattuglia è arrivata giusto in tempo.

- E la Regina? – chiese Elsa.

- Venite – Aslan si voltò, uscendo dalla prigione. Il tono era sempre tranquillo, benevolo, come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi. – Vi spiegheremo tutto strada facendo.

Peter continuava a fissare Anna.

- Anna? – intervenne Elsa.

Lei cercò di riscuotersi dallo sbalordimento. - Sì?

- Credo... dovresti abbottonarti la camicetta.

Anna abbassò lo sguardo, rendendosi conto di avere ben quattro bottoni aperti. – Oh? Uh, sì, giusto. Certo, io...

Peter si girò dall’altra parte, arrossendo violentemente, e si affrettò a seguire Aslan.

 

***

 

Il leone li condusse nuovamente all’aperto, dove le accolse un cielo così azzurro da essere abbagliante. Il sole era alto e la neve si stava sciogliendo.

- Faceva molto più freddo, ieri – disse Elsa. Ma era davvero il giorno prima, poi? Pareva trascorsa un’eternità da quando avevano messo piede a Narnia.

- L’incantesimo sta svanendo – disse Tumnus, sorridendo. – Ora che Aslan e tutti i figli di Adamo sono qui, la maledizione si spezzerà.

Il cortile del castello era una vera baraonda. Quelle che una volta non erano che statue di pietra trasformate dalla Regina, adesso erano creature reali, in carne ed ossa. Il leone al quale Edmund aveva disegnato i baffi da bellimbusto e gli occhiali scuoteva la criniera. Aprì la bocca per fare un potente sbadiglio, poi alzò una zampa e la riabbassò, come per accertarsi che fosse tutto a posto. In quella festa di colori spiccavano anche il corno color indaco di un unicorno, il rossiccio della pelliccia di alcune volpi, il bruno della groppa di un centauro, il rosso dei cappelli dei nani, che erano decisamente più simpatici e socievoli del cocchiere di Jadis, il bianco candido delle vesti indossate dalle ninfe dei boschi, donne alte e sottili, che si muovevano leggiadre e silenziose. Il gigante che era stato un’enorme statua come tutti gli altri aveva sfondato il cancello con un colpo di mazza.

Anna ed Elsa seguivano lo spettacolo con gli occhi sbarrati

- Dov’è andata a ficcarsi quella piccola strega? – domandò il gigante. – Ce l’avevo proprio tra i piedi prima che usasse la stramaledetta bacchetta magica. Dove si è nascosta?

Qualcuno gli spiegò che la Strega Bianca non era lì in quel momento. Nessuno sapeva dove si trovasse esattamente.

- Lui è il gigante Fracassone – spiegò Tumnus, con il naso all’insù. – Viene dalla famiglia Fracassa. Gente per bene, sapete. Non è molto intelligente, ma è buono.

- Fracassone? Che nome è Fracassone? – chiese Anna.

- Ascoltatemi tutti! – esclamò Aslan, imponendo il silenzio. – L’incantesimo sta svanendo, ma la Strega Bianca non è ancora stata sconfitta. Ho avuto modo di parlare con lei. E non ha la minima intenzione di abbandonare la battaglia. Presto attaccherà e noi abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti.

- Possiamo combattere anche noi, quindi? – chiese il centauro.

Anna non aveva mai visto un essere del genere, se non nei libri custoditi nella biblioteca del palazzo ad Arendelle. Era una creatura imponente; umano fino all’ombelico, lasciava poi il posto al corpo di un cavallo massiccio e scuro, con i muscoli guizzanti e una folta coda nera.

- Certo che combatterete. – rispose Aslan, risoluto. - Se siete disposti a farlo. Ora, andiamocene dal castello. Coloro che non possono reggere il passo degli animali più grandi, montino loro in groppa. Coloro che possiedono un ottimo fiuto, vadano avanti e aprano la strada a tutti gli altri. Io sarò dietro di voi, con i figli di Adamo ed Eva... e con le nostre due ospiti speciali.

- Che posto divertente – sussurrò Anna ad Elsa. - Beh, forse... non proprio così divertente, ma è pieno di creature divertenti. E parlanti. Te lo immagini Sven con il dono della parola?

Elsa le rivolse un sorriso.

 

***

 

Tutti fecero come Aslan aveva ordinato. Erano diretti al Guardo di Beruna, dove l’esercito del leone si era accampato in seguito al primo attacco dei lupi della Regina Jadis. Peter spiegò loro che Maugrim, il capo della polizia segreta della Strega, aveva seguito le loro tracce fino all’accampamento di Aslan e aveva tentato un attacco a sorpresa; i lupi avevano puntato dritto su di lui e sulle sue sorelle. Molti erano rimasti feriti, ma i lupi erano stati comunque allontanati e decimati.

- Peter ha ucciso Maugrim per salvare me – disse Susan, osservando il fratello maggiore con orgoglio. – È stato molto coraggioso.

- Non... non mi sentivo particolarmente coraggioso. – confessò Peter, arrossendo di nuovo. Aveva l’aria stanca e provata. I capelli biondi erano tutti arruffati. – E ho dimenticato di ripulire la spada... dopo aver ucciso il lupo. Un cavaliere deve ripulire la propria spada...

- Non importa. – disse Susan. – Non lo dimenticherai più.

- Ed ora lo chiamano tutti Peter Flagello dei Lupi – aggiunse Lucy, la più piccola.

- Flagello dei Lupi suona bene. È un bel nome – commentò Anna. Camminava vicino al leone e stringeva sempre la mano di Elsa.

- Credi? Ti piace davvero? – chiese Peter.

- Certo. E mi chiedevo se potessi avere anch’io una spada.

- Anna... – cominciò Elsa, preoccupata.

- L’avrai – rispose Aslan, senza esitazioni. Girò la testa per guardarla ed Anna si sentì nuovamente intimidita da quegli occhi penetranti. – Abbiamo molte armi con noi. Potrai scegliere la spada che preferisci.

- Oh, io... grazie.

- Sai combattere? – Peter sembrava sorpreso. – Intendo dire, mia sorella Susan è bravissima con l’arco. Ma non avevo mai sentito parlare di una ragazza che sa usare una spada. E... cioè, non si tratta di un’offesa, naturalmente.

- Me l’hanno insegnato i miei soldati – rispose Anna. Si chiese quanti anni potesse avere Peter. Le era sembrato più grande quando era entrato nella cella. Ora pareva poco più che un bambino. Doveva avere al massimo quindici anni.

- I tuoi... i tuoi soldati?

Aslan sorrise. – Anna è una principessa. E sua sorella Elsa una regina. Anche se vengono da un altro mondo.

Tutti tacquero.

- Beh, ecco... – iniziò a dire Elsa. Non aveva detto una parola da quando avevano lasciato il castello. Appariva seria e pensierosa, distante. Anna sentiva la sua stretta allentarsi ogni tanto per poi tornare a stringere. Il suo sguardo si perdeva spesso e lei immaginava benissimo a cosa stesse pensando.

“La sera del matrimonio... mi hai detto che non sei più riuscita a smettere di guardarmi. Era vero?” .

“Lo era. Ci ho provato, a non guardarti... ma non ho potuto”.

Se Aslan sapeva davvero tutto di loro senza bisogno di fare domande, era possibile che sapesse... anche il resto. Anna lo fissò di sottecchi. Sentì di avere il viso in fiamme per l’imbarazzo e anche per il fastidio. Era davvero... fastidioso che qualcuno fosse a conoscenza di ciò che passava loro per la testa senza che fosse necessario parlarne apertamente.

- Una regina? Una vera regina? – Lucy guardava Elsa con occhi grandi ed increduli.

- Come voi – rispose Aslan. – Voi siete re e regine di Narnia. Elsa è la regina di Arendelle.

- Come siete arrivate a Narnia? – chiese Peter, sempre più curioso.

Anna le spiegò la faccenda della nave pirata e degli anelli magici. Raccontò anche del suo incontro con Edmund e con Jadis, senza tralasciare la parte in cui i lupi la trascinavano nelle prigioni, mentre Maugrim le ricordava che sarebbe morta presto di fame e di sete.

- Gli anelli, già – commentò Aslan. – Non ne sentivo parlare dalla notte dei tempi. Tutti si chiedevano dove fossero finiti. Il primo figlio di Adamo e la prima figlia di Eva sono giunti a Narnia tramite quegli anelli. Li fabbricò un mago di nome Andrew. Anche Jadis è qui a causa degli anelli.

- Jadis...? Credevo fosse... voglio dire, pensavo fosse nata in questo mondo. – disse Anna.

- È stato il figlio di Adamo a portare Jadis a Narnia. Non l’ha fatto di proposito, naturalmente. – Aslan rallentò il passo, sollevando la testa e rimirando l’orizzonte. – Jadis è nata nel regno di Charn. Un altro mondo. Molto diverso da questo e dal vostro. Molto più antico. Un mondo ormai in rovina per colpa della Strega Bianca e della sua sete di potere. La sorella di Jadis regnava a Charn, ma ovviamente la Strega voleva il trono solo per sé. Scoppiò una guerra e quando anche l’ultimo soldato di Jadis cadde... lei usò la parola deplorevole per ridurre in cenere i suoi nemici e il suo mondo.

- Parola deplorevole? – Anna sollevò un sopracciglio, perplessa.

- Una parola magica di enorme potenza. Distrusse ogni cosa e polverizzò la sorella di Jadis, nonché tutto il suo esercito e la popolazione di Charn. Preferì agire in questo modo piuttosto che arrendersi.

- E se la usasse di nuovo? Potrebbe farlo? – domandò Elsa, immaginandosi Narnia rasa al suolo da un’unica, terrificante parola magica.

- No. Non può farlo. La parola deplorevole può essere usata una sola volta.

- Cos’è accaduto dopo? – volle sapere Anna.

- Rimasta l’unica persona vivente, Jadis pronunciò un nuovo incantesimo e cadde in un sonno incantato. Si trasformò in una statua e sedette accanto agli antenati, i re e le regine venuti prima di lei. Si sarebbe risvegliata solo al suono di una campana. Fu il figlio di Adamo di nome Digory a suonarla. Ovviamente il figlio di Adamo cercò di sfuggirle, ma il risultato fu che se la portò dietro attraverso i mondi, fino a Narnia.

- Il professor Digory! – esclamò Lucy. – Ci ha ospitati in casa sua quest’estate.

- Credevo che tutto ciò fosse accaduto molto tempo fa. – osservò Anna.

- Infatti, è così. – rispose Aslan. – Ma il tempo a Narnia è ben diverso dal tempo dei vostri mondi. Per Narnia sono passati secoli. Per i vostri mondi... forse solo qualche decennio.

Anna restò in silenzio per qualche momento. Alzò gli occhi, fissando Elsa. – Ha polverizzato sua sorella... è orribile.

- Terrificante – fu il commento del fauno Tasch.

- Deplorevole. Come la parola che ha usato – aggiunse Tumnus.

Proseguirono senza parlare per un breve tratto. Peter aveva assunto un’aria grave come Aslan. Susan si mordeva il labbro.

- E Edmund? Come siete riusciti a salvarlo? – tornò a chiedere Anna.

Peter raccontò ad Anna che dopo l’attacco a sorpresa di Maugrim e dei suoi lupi Aslan aveva mandato avanti una pattuglia di salvataggio, formata da  centauri, cervi e unicorni, in cerca del ragazzino. L’avevano trovato proprio pochi attimi prima che Jadis gli tagliasse la gola con un coltello. Nel trambusto che era seguito, Edmund era stato liberato e la Strega Bianca era svanita nel nulla insieme al suo nano cocchiere, lasciando dietro di sé un paio di creature pietrificate.

- E dove pensate che sia andata? Insomma, al castello non c’era – osservò Anna.

- È tornata poco dopo. Ha inviato un messaggero per chiedere udienza ad Aslan. – rispose Peter, passandosi una mano nei capelli.

Il leone aveva un’aria sempre più seria, meditabonda.

- Udienza? Davvero voleva... solo parlare? – chiese Elsa.

- No... – fu Susan a rispondere, stavolta. Aveva occhi azzurrissimi. Azzurrissimi e molto acuti. Adulti, persino, sebbene lei fosse più giovane del fratello Peter. - Non si può dire che volesse solo parlare. Voleva Edmund, naturalmente. Lo voleva ad ogni costo.

 

Nel giro di pochi minuti la Strega Bianca apparve in cima alla collina, lasciò la sua bacchetta magica sotto la quercia, così come Aslan aveva chiesto di fare, attraversò il grande prato e raggiunse il leone.

Dalla folla che circondava il luogo dell’incontro si levarono sussurri e brontolii. Anche se splendeva il sole tutti provarono un strano senso di freddo improvviso.

- Figlia di Lilith – esordì Aslan.

- Figlio dell’Imperatore d’Oltremare – rispose la Strega, regalandogli un sorrisetto sprezzante. Eppure il suo sguardo non incontrava mai direttamente quello del leone. O se gli occhi si incrociavano, Jadis li distoglieva quasi subito. Era a conoscenza del potere di Aslan. Per quanto lo schernisse, sapeva benissimo che avrebbe potuto distruggerla. – C’è un traditore, qui. Devi consegnarmelo.

Edmund, che sedeva pallido e silenzioso vicino ai suoi fratelli, capì che alludeva a lui ma non si scompose. Aslan l’aveva perdonato e così anche Peter, Susan e Lucy. Gli bastava quello.

- Edmund non ti ha offesa in alcun modo – rispose il leone. – A meno che tu non consideri un’offesa aver tentato di riempire il suo cuore di oscurità e non esserci riuscita.

La Strega Bianca sollevò un sopracciglio, irritata. – È un traditore. Mi ha detto dove si nascondevano i suoi fratelli. Quindi, a voler essere precisi, ci sono riuscita.

- Ma Edmund si è pentito. Ed è stato perdonato. Lui sa riconoscere i propri errori, al contrario di te. Tu non hai nemmeno idea di cosa significhi pentirsi.

- E di cosa dovrei pentirmi, io? – chiese, come se avesse davvero il diritto di porre quella domanda. Venne avanti di un passo.

Aslan non si mosse. Lui e la Regina formavano un incredibile contrasto. Aslan sembrava luminoso con la sua folta criniera dorata, la sua regalità e la sua aria solenne e saggia. Jadis, invece, possedeva il pallore di un cadavere, la durezza del ghiaccio e della roccia. Non indossava più le pellicce bianche, ma una cotta di maglia e i calzari argentati. Era abbigliata come chi sta per dare battaglia. La corona sul suo capo mandò un barbaglio, colpita dai raggi del sole.

- Consegnami il traditore, Aslan. Devi farlo. O hai dimenticato la Grande Magia?

Peter aveva messo mano all’elsa della spada. Susan era pronta ad afferrare una freccia se fosse stato necessario.

- Cos’è la Grande Magia? – mormorò Lucy.

- Perché non glielo spieghi, Aslan? – disse la Strega Bianca, che l’aveva sentita, nonostante fosse distante.

- Parlamene tu, Jadis – rispose il leone, seriamente.

- Oh, io? Sul serio? – La sua voce era improvvisamente stridula. – Mi stai facendo perdere tempo, Aslan. Devo davvero ripeterti le parole incise sulla Tavola di Pietra, che è proprio là, alle tue spalle? Devo ripeterti quelle parole che sono incise anche sullo scettro dell’Imperatore d’Oltremare? Vuoi che ti parli dell’incantesimo che il tuo adorato padre ha lanciato su Narnia all’inizio dei tempi, quando tu stesso l’hai creata? Ogni traditore mi appartiene. Edmund è un traditore. In quanto tale, va consegnato a me ed io potrò farne ciò che voglio!

- Divertente – commentò un castoro, in tono ironico. – Lei pensa di essere la legittima sovrana di Narnia e quindi che ogni criminale o presunto tale sia suo. Le piace fare la parte del boia. Certo... come no. Come se il suo fondoschiena meriti di piazzarsi su uno di quei troni. Non hai un briciolo di sangue umano nelle vene! Lilith era tua madre. E tuo padre era un orribile gigante!

Jadis rise. – Oh, povero imbecille! Credi che questo cambi qualcosa? Io sono la Regina da centinaia di anni. Ho regnato da sola per un tempo lunghissimo. E Lilith fu la prima moglie di Adamo. È una regina, a sua volta.

- Prima moglie di Adamo! Oh, sì, ripudiata e cacciata. Maledetta fin dal principio! Partorita dalla Notte stessa! – gridò un toro. La sua voce pareva un profondo, lugubre muggito. – Ella è una regina nella sua dimensione demoniaca. Non qui a Narnia! Se vuoi essere regina, Strega Bianca... allora invoca tua madre! Invocala e se siamo fortunati la Terra si aprirà per accoglierti!

- Basta così – ordinò Aslan, mettendolo subito a tacere.

- Sono d’accordo, per una volta, Aslan. Basta con queste chiacchiere. Consegnami il ragazzo. Tu sai cosa stabilisce la Grande Magia: se non mi darai il traditore, Narnia sarà distrutta dall’acqua e dal fuoco!

- Questo non è possibile – commentò Peter. – Certamente sta mentendo.

- I figli di Lilith sono bugiardi per natura e hanno una bella faccia tosta, in effetti – Il castoro che l’aveva apostrofata rincarò la dose.

- Lo neghi, Aslan? – disse Jadis, allargando le braccia.

- Non lo nego – rispose il leone. – È vero.

Calò un silenzio di tomba.

- Oh, Aslan! – esclamò Susan, sconvolta. – Non può essere! Non lo permetteremo! Tu non lo permetterai.

Edmund si alzò. Vacillò su gambe malferme. – Se è vero, allora è giusto che io vada...

- No, Edmund! – gridò Lucy, aggrappandosi a lui e affondando il viso nel suo petto.

Jadis sorrideva, soddisfatta. Estasiata, persino.

- Aslan... – mormorò Peter, venendo avanti.

- Vi prego. Ritiratevi. Lasciatemi solo con la Strega. – ribatté il leone.

 

- Non... non avete intenzione di consegnare Edmund, vero? – chiese Anna, allarmata. – Perché lui non ha... no, non è vero che non ha fatto nulla di male. Ha commesso un errore, ma non è cattivo. Non c’è niente che si possa fare contro questo... incantesimo o qualunque cosa sia? Perché c’è sempre una soluzione, lo so. Anche quando sembra impossibile, c’è.

- Sei molto fiduciosa, Anna – rispose Aslan, sorridendo vagamente. – Ed è vero. Hai ragione. Per questo ti dico che non devi preoccuparti. Ho raggiunto un accordo con la Strega.

 

***

 

Occorsero diverse ore per giungere al Guardo di Beruna, un punto in cui la valle si allargava parecchio e il fiume, ghiacciato fino a poco prima, si faceva più ampio. Ovviamente l’esercito di Aslan era formato da animali e creature straordinarie, che circondarono le due ospiti inaspettate, accogliendole con entusiasmo e profondendosi in una serie di inchini, sapendo che erano di sangue reale; volpi, lupi dall’aria mansueta, roditori, aquile, unicorni, centauri, castori, fauni e ninfe dei boschi erano accampati in quel luogo in attesa della battaglia.

- E se lei ci attaccasse stanotte? – disse Peter. – Forse è meglio spostare l’esercito sull’altra sponda del fiume.

Aslan non rispose subito. Sembrava immerso in tutt’altri pensieri. Poi scosse la criniera e batté le palpebre. – Come? Come dici, Peter?

- Dicevo... la Strega potrebbe attaccarci stanotte. Dovremmo spostare l’esercito sull’altra sponda.

- La tua idea è buona, Peter. È un’idea degna di un vero cavaliere. Ma la Strega non ci attaccherà stanotte. Fidati di me. Ora vorrei che preparaste qualcosa da mangiare per gli umani e anche per Elsa ed Anna.

- Loro non sono umane? Perdonami se lo chiedo, Aslan – disse Tumnus, timoroso. – Pensavo che lo fossero.

- Sono umane. Ma non sono figlie di Eva. – tagliò corto il leone.

Nessuno fece altre domande.

- Elsa sa fare una cosa bellissima con il ghiaccio e la neve – disse Tasch, seduto a gambe incrociate davanti al fuoco acceso. – L’ho visto. Cioè, non bene perché dovevo scappare... ma l’ho visto.

Elsa gli sorrise. Chissà che cosa avrebbero pensato quelle creature se avesse raccontato loro che una volta aveva causato un inverno perenne, perdendo il controllo di quel potere bellissimo di cui parlava il fauno. Un inverno perenne come quello provocato da Jadis. Era convinta che fosse meglio non approfondire la questione del potere, per ora.

- Non c’è più ghiaccio né neve a Narnia. Una vera fortuna – osservò uno dei lupi.

Tasch stava per aggiungere qualcosa, ma Aslan intervenne. – Un bellissimo potere, sì. Un grande dono.

E una maledizione, anche. Questo il leone non lo disse, ma quando la guardò Elsa ebbe come l’impressione di percepire il pensiero. Quasi lui l’avesse appena depositato nella sua mente.

Mentre la famiglia di castori che aveva aiutato Peter e le sue sorelle a fuggire preparavano la cena, Aslan disse ad Anna di scegliere un’arma. Le mostrò tutte le spade che avevano e anche le lance, le mazze e i coltelli. Lei ne scelse una con la lama lunga e sottile, maneggevole e con l’impugnatura argentata.

Poi Edmund venne da lei. Anna l’aveva già notato in mezzo alla folla, ma non si era avvicinata perché immaginava che prima o poi l’avrebbe fatto di sua spontanea volontà.

- Ehm... ciao – esordì il ragazzino. Si torceva le mani e teneva lo sguardo basso, occhieggiandola ogni tanto, come chi si prepara a ricevere una punizione.

Anna non rispose. Elsa lo guardò severamente.

- Volevo... io volevo dirti che... sono felice di sapere che stai bene. Sì, molto. E... volevo dirti che mi dispiace. Sono stato stupido. Sapevo che mi stava mentendo... ma le ho dato retta perché ero arrabbiato... non... non volevo che accadesse niente di male... – Edmund avanzò di un passo. Avevano dato una spada anche a lui. La teneva nel fodero appeso alla cintura. Nel complesso sembrava in forma, solo gli occhi erano un po’ segnati e arrossati.

- Sì, in effetti, sei stato stupido – rispose Anna, di getto.

Edmund diventò rosso e strascicò i piedi. Non c’era più traccia dell’aggressività che aveva scorto sul suo viso quando si erano incontrati. Rimaneva sempre quel cipiglio un po’ ribelle, ma il suo turbamento era evidente.

- Voglio dire... sì, ecco, voglio dire proprio questo. Sei stato stupido, ma hai capito di esserlo stato e... non volevi fare del male a nessuno, lo so.

- Poteva andare molto peggio, lo sai questo? – chiese Elsa, rivolgendosi al ragazzo.

- Sì, io... sì. Me ne rendo conto. E sono pentito. Sul serio. Ho cercato di dire ad Aslan che eri al castello, ma ero... troppo debole. Credo di aver solo farfugliato.

- Non importa. Lui è... Aslan. Sa tutto quello che c’è da sapere su Narnia, immagino. – osservò Anna.

- Oh, sì. Tutto! – confermò Edmund, ammirato. – Anche se stasera è molto strano. Parla poco e sembra triste.

Era così.

Servirono una cena deliziosa, ma essa si svolse in un silenzio quasi completo. L’umore del leone, sdraiato in disparte, solo, impressionò più o meno tutti. Peter gli lanciava occhiate preoccupate. Lui stesso avanzò parte della cena e prese a girare per l’accampamento, forse tormentato dall’idea che qualche inviato della Strega Bianca potesse attaccarli. Immaginava che Aslan non si sbagliasse quando gli aveva assicurato che non sarebbe successo, ma la sua tetraggine lo agitava. Susan si ritirò presto nella sua tenda con la sorella più piccola e con Edmund, ma nessuno di loro era allegro.

- Peter mi ha detto di darti queste. Li hanno trovati nella pelliccia della Strega – disse Elsa, raggiungendola fuori dalla tenda che Aslan aveva riservato per loro.

- Che cosa?

Elsa aprì la mano ed Anna, incredula, vide la propria collana e l’anello di Kristoff.

- Ma... – iniziò.

- Voleva darteli lui, ma ha pensato che... toccasse a me.

Anna prese l’anello, rimettendoselo al dito. Lo fissò per qualche momento, sentendolo freddo contro la pelle, ma anche incredibilmente famigliare. Pensò a Kristoff e si chiese che cosa stesse facendo, quanto fosse preoccupato per lei, quanto avrebbe aspettato prima di andare a cercarle, senza sapere che non poteva trovarle nel suo mondo...

Poi alzò gli occhi e scrutò il viso di Elsa. Lei seguitò a fissarla anche mentre le agganciava la collana dietro al collo. Anna avvertì il leggero tocco delle sue dita sulla nuca.

- Grazie – disse, con la bocca improvvisamente asciutta.

Elsa scosse il capo come a dire che non doveva ringraziarla. Le sue mani indugiarono sul collo della sorella, per poi spostarsi sul suo viso. – Credo che tu l’abbia conquistato.

- Chi?

- Peter.

- Oh, davvero? - Il tocco di Elsa era assolutamente delicato. Eppure Anna lo avvertiva come se lei stesse cercando di penetrarle la pelle, per raggiungere le ossa. Per raggiungere il suo cuore, forse. – È perché avevo la camicetta aperta? Mi dispiace, sai, non me ne ero accorta...

- Lo so.

Anna chiuse gli occhi, spostò un po’ il viso, strusciando il naso contro il palmo della sua mano e depositandovi un bacio.

La notte era straordinariamente silenziosa, fatta eccezione per il tranquillo mormorio del fiume. L’esercito del leone dormiva, chi nella propria tenda e chi per terra, infagottato nelle coperte. Quindi Anna non si preoccupò del fatto che qualcuno potesse vederle. Sollevò il viso e le diede un bacio sulle labbra. Elsa le lasciò scivolare un braccio intorno alla vita, attirandola ancora più vicino. Le restituì il bacio, socchiudendo appena la bocca.

Anna sospirò e si lasciò stringere. Appoggiò il mento sulla spalla di Elsa, crogiolandosi in quella stretta e desiderando che durasse per sempre.

Poi, però, aprì gli occhi e notò qualcosa. In lontananza, dove finiva il grande prato su cui erano montate le tende e iniziava il bosco, due figure si muovevano, alla spicciolata. Stavano per inoltrarsi nel folto della boscaglia. Si spostavano sicure, come se stessero cercando qualcosa. O seguendo qualcuno.

Susan e Lucy.

- Elsa...

- Mmm? – La sorella si scostò da lei, gli occhi ancora annebbiati.

- Guarda.

Elsa si voltò e le vide proprio nel momento in cui si inoltravano nel bosco. Susan aveva con sé la faretra piena di frecce.

- Dove stanno andando? È notte fonda. Se lei è qui intorno... potrebbe essere pericoloso – osservò Anna.

- Lo è.

- Non c’è nemmeno Aslan. Era proprio là, vicino a Peter. – Anna indicò le braci del fuoco, che illuminavano vagamente la notte. Peter era sdraiato accanto ad Edmund. Dormivano entrambi.

- Sta succedendo qualcosa – disse Elsa.

- Non ne dubito. Edmund ha detto che Aslan oggi era molto strano. Voglio dire, è già strano perché è un leone che sa parlare... ma a quanto pare è ancora più strano del solito, ultimamente. E dato che ha parlato con Jadis di qualcosa di cui nessuno è al corrente... temo che quel qualcosa stia per accadere.

- Forse dovremmo seguirle.

- Sì. Dobbiamo. Ma prima prendo la spada.

 

***

 

- Il pazzo è venuto davvero! – Per un attimo persino la Strega Bianca era sembrata sbalordita. Ma poi scoppiò in una risata gelida e selvaggia. Mostruosa. – Prendetelo e legatelo!

Anna ed Elsa erano nascoste dietro ad un folto ammasso di cespugli. Avevano seguito il leone per un lungo tratto, nel bosco e poi in radure rischiarate dal chiaro di luna, fino al luogo in cui si era incontrato con la Strega Bianca. Aslan aveva percorso quel tragitto camminando lentamente, come se tutto il peso del mondo fosse piombato di colpo sulle sue spalle. Teneva la testa bassa, trascinava la coda per terra e ogni tanto emetteva strani, lugubri lamenti. Susan e Lucy l’avevano accompagnato, le mani affondate nella sua splendida criniera dorata per trasmettergli un po’ di conforto. Poco prima del grande spiazzo in cima alla collina dove sorgeva la Tavola di Pietra, che aveva tutta l’aria di essere un altare sacrificale, il leone si era congedato dalle due Salvatrici, che l’avevano abbracciato un’ultima volta e poi erano corse a nascondersi.

- Cosa state aspettando, imbecilli? Legatelo! – urlò Jadis.

Intorno alla Tavola di Pietra c’erano creature di ogni tipo: uomini con la testa di toro che reggevano le torce, arpie, folletti dall’aria maligna che ad Anna ricordarono Puck (solo che Puck, sebbene fosse un pasticcione e avesse gli occhi piena di malizia, non aveva un aspetto così sinistro), orchi muniti di lunghe zanne, serpenti alati e altri incubi sbucati da chissà quale oscuro regno.

Alcune di essi si mossero timorosi verso Aslan. Lui non reagì quando le mani artigliate delle arpie lo afferrarono per ghermirlo e così anche gli altri si mossero per aiutare. Rovesciarono il leone sul dorso, legarono le zampe anteriori e quelle posteriori e poi, su ordine della Strega, gli tagliarono la criniera.

- Non possono fare una cosa simile! Perché non reagisce? – sussurrò Anna, piena di sgomento.

Elsa si sporse un po’. Il cuore nel petto batteva velocissimo. Deglutì, scoprendo di avere la gola secca. – Forse ha un piano...

Ma non era affatto convinta. Avrebbe potuto sbarazzarsi di tutti quei mostri con poche zampate, eppure era mansueto e arrendevole. Un nemico che era stato sconfitto e accettava il suo destino.

L’orco che si era messo a tagliare la criniera di Aslan con un grosso paio di forbici lanciò una volgare risataccia, seguito a ruota dai suoi compari.

- Un gatto, ecco che cos’è – commentò la Strega. – Nient’altro che un gattone.

Lo sbeffeggiarono a lungo, con frasi idiote e offensive. Infine gli legarono anche il muso con le corde. Un uomo con la testa di toro sferrò un calcio, colpendolo ad un fianco. Un altro gli affondò il tacco in una coscia. Lo issarono sulla Tavola di Pietra.

- Facciamo qualcosa... facciamo... – prese a dire Anna. Era paralizzata. Non aveva mai visto una simile brutalità.

- No... – Susan comparve vicino a loro. Camminava a quattro zampe per non farsi vedere dalle creature della Regina. – No, Aslan ci ha detto di non intervenire, per nessuna ragione...

- Ma vuole ucciderlo! – esclamò Elsa, fuori di sé.

Lucy piangeva sommessamente.

- Aslan ha detto... – Susan si morse il labbra, anche i suoi occhi erano pieni di lacrime. - Ha detto di non aiutarlo. Ha detto che... che non ha scelta. La Grande Magia...

- Ci deve essere un’altra soluzione. – commentò Anna.

- Non c’è. Lui... non ci ha permesso di dargli una mano. Non ci ha permesso di trovare un’altra soluzione.

Jadis si tolse il mantello che indossava, rimanendo con le braccia nude e posando anche la sua bacchetta. Prese un coltello. – La Grande Magia sarà rispettata con la tua morte, Aslan. Povero pazzo. Sei venuto, sì. Hai mantenuto la promessa. Morirai al posto del ragazzo. E dopo... dopo io mi prenderò il tuo regno. Per sempre questa volta! Credi che sacrificarti servirà a qualcosa? È tutto inutile. Questo amore non serve. L’amore... è solo una parola!

Poi la Strega Bianca sollevò il pugnale e vibrò un unico, mortale colpo, affondando la lama nella carne di Aslan...

 

***

 

 
Angolo autrice:

Ecco il nuovo capitolo. Scusate se ci metto tanto, non odiatemi.

Ovviamente, essendo la storia un crossover con Le Cronache di Narnia, ci sono scene riprese dal libro di Lewis. L’incontro tra Aslan e la Regina avviene anche nei libri più o meno nelle stesse circostanze, ma ho cambiato il contenuto dei dialoghi.

La battuta della Strega Bianca, “L’amore è solo una parola”, mi ha ricordato quella di Biancaneve in quell’episodio di Once Upon a Time, per questo l’ho citata in questo capitolo.

Ah e... come forse avrete capito io sono molto affascinata da Lilith, per questo ho insistito, se così si può dire, su di lei.


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Capitolo 13
*** The Most Powerful Magic ***


13

 

 

“Il vero amore non è facile, ma vale le nostre battaglie
Perché quando finalmente lo troviamo, nulla può sostituirlo”

[Once Upon a Time, Che cos’è successo a Frederick?, Azzurro]

 

 

- No! – gridò Elsa, non appena Jadis affondò la sua arma nel corpo di Aslan. Si alzò in piedi, uscendo allo scoperto, seguita da Anna che strinse saldamente l’impugnatura della sua spada.

- Aspettate! – urlò Susan, dietro di loro.

Colte alla sprovvista dall’apparizione improvvisa, le creature da incubo che circondavano la Tavola di Pietra smisero di colpo di sghignazzare e guardarono le due sorelle di Arendelle con gli occhi sgranati. Elsa sprigionò la sua magia e il fascio azzurro si diresse verso due minotauri che le sbarravano la strada, centrandoli e scaraventandoli addosso ad altri due esseri dalle fattezze strane.

- Idioti, quella è la mia prigioniera! Fermatele, tutte e due! – gridò Jadis, osservando gli uomini con la testa di toro che si contorcevano, il ghiaccio che si allargava sui loro toraci.

I lupi ulularono, ma non osarono avvicinarsi ad Elsa. Molti di loro conoscevano quel potere e ne avevano subìto le conseguenze quando l’avevano attaccata nel cortile del castello. Indietreggiarono, ringhiando e rizzando i peli, le teste basse e gli occhi che guizzavano in ogni direzione. I folletti si nascosero dietro la Tavola di Pietra. Le arpie planarono sulla regina di Arendelle con gli artigli protesi e le bocche spalancate. Dalle mani di Elsa esplosero altri fasci di magia gelida e quei mostri alati piombarono al suolo, lanciando strida furiose e piene di dolore.

- Elsa! – urlò Anna. Mulinò la spada per liberarsi di un orco che aveva sollevato la mazza, pronto a schiacciarla sotto di essa. Aprì un squarciò nella sua enorme gamba. L’orco lanciò un ruggito. Gli si rivoltarono gli occhi nelle orbite.

Elsa si diresse verso la Strega Bianca, scagliando via chiunque cercasse di ostacolarla. Fiocchi bianchi turbinavano intorno a lei. Jadis la fissava, trasecolata, ma anche evidentemente colpita da tutto quel potere.

Anna girò su se stessa per evitare lo spadone impugnato da uno dei minotauri. Ci mettevano molta forza, eppure erano goffi e lenti.

Regnava il caos.

Susan Pevensie incoccava una freccia dopo l’altra e, senza quasi prendere la mira, colpiva ogni bersaglio in movimento. Tentò di raggiungere Jadis un paio di volte, ma le creature diaboliche si mettevano sempre fra lei e la Strega che aveva pugnalato così brutalmente Aslan. Sua sorella Lucy era rimasta indietro. Susan le aveva intimato di restarsene nascosta. Era troppo piccola e non aveva nessun’arma con sé. Riusciva a vedere, in mezzo alla baraonda, le trecce rosse di Anna, che usava la spada come se non avesse mai fatto altro nella vita, e il biondo chiarissimo dei capelli di sua sorella.

Che razza di magia è, la sua?, si chiese, mentre puntava un altro nemico con una delle sue frecce decorate con piume rosse.

Anna, dal canto suo, stava quasi per raggiungere Elsa, quando le si parò dinanzi un grosso lupo grigio simile a Maugrim, un lupo ringhioso e con i peli della schiena ritti come fili di ferro, che aprì le fauci per azzannarla. Anna si tirò indietro e vibrò un colpo con la spada. Il lupo si spostò, velocissimo, gli occhi che fiammeggiavano d’ira, e poi si lanciò nuovamente in avanti per addentarla. Anna tornò all’attacco e con il manrovescio successivo raggiunse il fianco della belva. Il lupo guaì, ma non si diede per vinto. Il sangue iniziò a scorrere, copioso. L’animale balzò su di lei, così accecato dalla furia che non si preoccupava neanche più del fatto che Anna avesse una spada e che sapesse usarla bene.

Seguì un momento che a lei parve un incubo. Istintivamente vibrò un affondo, mettendoci tutta la forza che aveva nel braccio. La lama penetrò nel petto della bestia, tra le zampe anteriori.

In quel momento Elsa si preparò a scagliare ancora la sua magia contro la Strega Bianca.

- Sapevo... ti ho sentita, piccola sciocca. – sibilò Jadis, lasciando cadere il coltello con cui aveva pugnalato Aslan. Il leone giaceva sulla Tavola di Pietra, su un fianco, sporco di sangue, legato e privo di vita. I suoi occhi erano chiusi. Il vento scompigliava ciò che restava della maestosa criniera. – Sapevo che a Narnia si nascondeva un essere... magico. L’ho avvertito, mentre cercavo quei ragazzini. Finalmente ti vedo. Che peccato, speravo in qualcosa di meglio.

Elsa guardò Aslan e poi ancora la Regina di Narnia.

- Oh, il grande leone non può più aiutarvi. La Grande Magia doveva essere rispettata e lui si è offerto. Prendetevela con lui. Il suo sacrificio è vano. E con Edmund. Il figlio di Adamo è un codardo, oltre che un traditore. – Sollevò la bacchetta magica, il viso indurito dalla collera e dalla determinazione.

Elsa, invece, sollevò le mani e liberò il potere. Lo sentì defluire da dentro come una gigantesca onda, pronta ad abbattersi su Jadis. La Strega Bianca spostò la bacchetta e da essa si sprigionò un vago scintillio nerastro. L’onda gelida restò sospesa ad un metro dalla Regina, sospesa e immobile come a suo tempo lo erano state le statue del suo cortile. Non pietrificata, ma semplicemente immobile.

Tutto attorno a loro due era immobile. Susan con una freccia appena incoccata, Anna con la spada affondata nel petto del suo aggressore, un lupo grigio con la bocca spalancata e gli occhi in procinto di scoppiare nelle orbite, l’esercito demoniaco di Jadis. Orchi, folletti, arpie, mostri alati, minotauri... tutti immobili. Ma non di pietra. L’impressione era che Jadis avesse appena fermato lo scorrere del tempo.

Solo Elsa poteva muoversi.

Jadis rise di gusto. – Che ne pensi di questo trucchetto, piccola principessina dei ghiacci? Scommetto che non è nulla che tu sia in grado di fare. Vedo quanto è... limitato il tuo potere.

- Che cos’hai fatto? – gridò Elsa, sbalordita.

- A loro niente. Il peggio è quello che sta per accadere a te – Jadis puntò la bacchetta contro di lei.

Elsa fece per sollevare di nuovo le braccia, ma la magia della Strega fu molto più rapida.

Vide chiaramente le proprie dita diventare di pietra. Pietra dura e fredda. Prima le dita, poi le mani e poi le braccia...

Anna, pensò, capendo di non poter fare niente per fermare quell’incantesimo.

Il tempo si sbloccò.

Anna si ritrovò a battere le palpebre, confusa. Il lupo fece scattare le zanne, un ultimo, immane sforzo per acciuffarla. Infine i suoi occhi divennero vitrei. Vuoti. Lei tirò a sé la spada con forza per estrarla dal corpo dell’animale. Le sembrava che il mondo fosse inondato di sangue. La sua vista era appannata. I capelli scomposti le ricadevano sul viso e sugli occhi, aveva la fronte imperlata di sudore e il cuore che rimbombava nel petto. Guardò l’arma con cui aveva ucciso il lupo. Non aveva mai avuto tra le mani una spada bagnata di sangue. Quella vista le fece venire la nausea. Barcollò.

E aveva la sensazione... di essersi persa qualcosa. Come se, per un brevissimo istante, non fosse stata in sé.

Le frecce di Susan sibilavano da tutte le parti. Una di esse centrò la bacchetta di Jadis. La Strega Bianca buttò fuori un’imprecazione virulenta, prima di recuperarla.

- Andiamo via! – urlò la Strega Bianca. – Andiamocene subito! Il leone è morto e ho sistemato anche questa... principessina dei ghiacci. Ritiriamoci e prepariamoci a sistemare gli strascichi di questa guerra. Ti ucciderò, piccola figlia di Eva! Ucciderò te, tua sorella e i tuoi fratelli, stanne certa! Aslan non può più proteggervi. Vi ucciderò come ho fatto con lui. Tutti insieme!

Principessina dei ghiacci.

Anna inquadrò Elsa vicino alla Tavola di Pietra, mentre la vile marmaglia seguiva la Regina, buttandosi giù per la collina, passando a pochi passi dal nascondiglio di Lucy e riempiendo l’aria di grida selvagge. La terra pulsava, scossa dal galoppo dei minotauri rimasti.

Elsa?

Quello che vide non poteva essere vero. Non poteva essere successo. Era totalmente impossibile.

- Lucy, aspetta... – stava dicendo Susan. – Non guardare.

Anna non sentiva niente. Vedeva solo Elsa. Quello che Elsa era diventata. Una statua di pietra vicino al corpo senza vita del leone.

- Oh, perché? Perché ha fatto una cosa del genere? Guarda. Guarda, cosa... – disse Lucy, da qualche parte, in un mondo che ad Anna sembrava non essere nemmeno quello, ma un mondo a parte.

I suoi piedi si mossero meccanicamente e la sua mano lasciò cadere la spada. Era come camminare sott’acqua. Come camminare in un incubo, un incubo che ti faceva essere lenta. Incredibilmente lenta. Udiva il pianto sommesso di Lucy, che accarezzava dolcemente la testa di Aslan e vi posava qualche bacio... udiva i singhiozzi di Susan... eppure tutto ciò non la riguardava. Lo viveva come se non stesse davvero succedendo.

Raggiunse Elsa e guardò i suoi occhi... occhi di pietra. La osservavano, dilatati, ma senza più vederla. Viso di pietra. Labbra di pietra appena socchiuse. Braccia di pietra protese in avanti.

- Cos’è successo ad Elsa? È una... oh, Susan, è una statua! – gridò Lucy.

Non ci fu risposta da parte di Susan.

È una statua.

Anna, con il cuore che batteva con colpi forti e pesanti, allungò le mani verso il volto della sorella e gliele posò sulle guance. Delicatamente, temendo di sbriciolarla anche solo sfiorandola.

La pietra di cui era fatta era fredda, come il ghiaccio che si piegava al suo volere.

- Elsa... – mormorò, con la bocca asciutta. Le lacrime le offuscarono la vista.

Il cielo a oriente era più chiaro. Le stelle si stavano spegnendo ad una ad una, tranne quella più fulgida, che brillava all’orizzonte. Nel bosco un uccello lanciò un breve, timido richiamo. Sparsi qui e là c’erano i cadaveri delle creature della Strega. Alcuni si muovevano ancora, gemevano, supplicavano, chiedevano la misericordia, ma nessuno era in grado di rialzarsi.  

Anna continuava a non sentire niente, se non il freddo della pietra.

 

***

 

Passò del tempo. Forse pochissimo o forse un’eternità. Anna non avrebbe mai saputo dirlo.

- Susan! Che orrore... ci sono dei topi! Camminano sopra il corpo di Aslan! - stava dicendo Lucy, con la voce rotta dal pianto.

- Lucy, no... non è come sembra. Guarda. Non vogliono fargli del male. Sembra stiano... rosicchiando le corde.

- Vogliono liberarlo.

Sollevò leggermente il capo. Aveva appoggiato la fronte contro la spalla di Elsa e le sue braccia circondavano il corpo di pietra. Socchiuse le palpebre e le sembrò che il mondo fosse più chiaro. Non era più inondato di sangue. Ma era gelido. E il gelo pareva essersi infiltrato tra i vestiti, sotto la pelle fino a raggiungere le ossa.

Avvertì le dita di una mano che la sfioravano. – Anna?

Non si mosse. La voce di Susan cercava di essere delicata, di aprire una breccia senza essere invasiva.

- Anna... io, ecco...

Anna sollevò la testa e osò posare lo sguardo sul viso di pietra di sua sorella. Si scostò quel tanto che bastava per vederla bene.

“Tu sei la mia famiglia, Anna. Sei l’unica famiglia che ho. Non importa se non sei come me... Perché sei parte di me”.

Sembrava che glielo avesse detto almeno un’eternità prima.

“La sera del matrimonio... mi hai detto che non sei più riuscita a smettere di guardarmi. Era vero?” .

“Lo era. Ci ho provato, a non guardarti... ma non ho potuto”.

Adesso udiva anche il suono di voci in avvicinamento. Molte voci. Probabilmente l’esercito di Aslan accampato lungo la riva del fiume si era reso conto che era accaduto qualcosa.

- Fa... molto freddo – commentò Lucy. Era ancora presso la Tavola di Pietra e osservava il corpo del leone. Le corde che legavano le zampe e quelle che gli chiudevano le fauci erano state... rosicchiate. La bambina le prese e le gettò a terra. Con rabbia. Poi posò una mano sul corpo di Aslan.

- Gli altri stanno arrivando – mormorò Susan, volgendo lo sguardo verso il bosco.

- Aslan... Aslan potrebbe aiutare Elsa, se solo... se solo non fosse...

Morto. Aslan era morto, quindi non poteva aiutare più nessuno.

Allora Anna, con il viso bagnato di lacrime, si avvicinò di più al volto di Elsa e le posò un bacio sull’angolo delle labbra. Un bacio leggero.

Per un secondo non accadde niente.

Per un secondo Elsa le parve sempre uguale.

Poi apparve una striscia dorata lungo il braccio destro. Una striscia dorata che si allargò e allungò, guizzando sul corpo di pietra. La luce si espanse e investì in pieno Susan, che alzò un braccio per proteggersi gli occhi e, indietreggiando, perse l’equilibrio.

Lucy si lasciò sfuggire un gridolino di sorpresa. – Cos’è successo, Susan?!

- Non ne ho idea!

Anche Anna aveva chiuso gli occhi quando la luce era esplosa e non appena li riaprì si rese conto di cosa fosse successo.

- Elsa?

Sua sorella batté le palpebre alcune volte. Qualche ciocca di capelli biondi dondolava ancora ai lati del suo viso. Elsa si guardò le mani. Si guardò intorno come chi non ha idea di dove si trova né di cosa sia accaduto. L’ultimo ricordo che aveva erano le sue dita che diventavano di pietra. E il ghigno sprezzante della Regina Jadis. La grande folla demoniaca.

Poi i suoi occhi trovarono quelli di Anna.

- Elsa! Sei... sei di nuovo... beh, sei di nuovo Elsa! In carne ed ossa... tu... – iniziò a farfugliare. E le gettò le braccia al collo.

- Che cosa... che cosa hai fatto? – chiese Elsa, sbalordita. Nel separarsi da lei, osservò il suo viso bagnato di lacrime. Le toccò anche le braccia e le spalle, come se volesse assicurarsi subito che non fosse ferita.

- Ha fatto una magia – intervenne Lucy. Anche la bambina aveva pianto. I suoi occhi scuri erano arrossati e gonfi. – Come Aslan al castello con le statue! Ha fatto una magia! Le hai dato un bacio magico!

- Io credo fosse... – cominciò Anna, senza staccare lo sguardo dal volto di Elsa.

In quel momento parte dell’esercito di Aslan, guidato da Peter, uscì dal bosco entrando nella radura. Peter impugnava la sua spada e correva davanti a tutti, chiamando a gran voce Susan e Lucy. Dietro di lui veniva Edmund. Poi fauni, ninfe dei boschi, nani e lupi. Tumnus, l’amico di Tasch, vide Aslan disteso sulla Tavola di Pietra e gettò a terra la sua arma, mettendosi le mani nei capelli. Tasch lo seguiva; aveva con sé un piccolo scudo, una spada corta e il suo petto era protetto dalla cotta di maglia.

Le voci ruppero il silenzio che precedeva l’alba e si scatenò il caos.

- Cos’era quella luce? – domandò Edmund.

- Susan, Lucy... state bene? Cos’è accaduto ad Aslan? – Peter aiutò Susan ad alzarsi in piedi. Atterrito, fissò il corpo del leone. Poi spostò gli occhi sui vari corpi sparsi sul prato. Il lupo trafitto da Anna, diversi uomini con la testa di toro colpiti dalle frecce di Susan, persino un orco con la boccaccia spalancata a mostrare le lunghe zanne.

- Lui... lui ha... – prese a dire Susan.

- La Strega! La maledetta Strega! – urlò un nano.

- Dov’è? Dov’è andata?

- Cos’è questa barbarie? Come ha osato?

- La Strega ha tradito Aslan! L’ha attirato qui e poi l’ha ucciso!

- Vendetta! Inseguiamola!

- No! – Susan cercò di fermare quel tafferuglio. – No, non è andata così. Faceva parte... dell’accordo.

- Quale accordo? – mormorò Peter. – Aslan e la Strega avevano un accordo? Cioè, io... sapevo che avevano discusso a lungo quando lei ha chiesto udienza...

- Ditemi che non l’ha fatto per salvarmi – Edmund afferrò il fratello per un braccio. Era improvvisamente paonazzo. Sembrava invecchiato di colpo. – Ditemi che non l’ha fatto per...

- Edmund... lui non aveva scelta – intervenne Susan. – Non poteva lasciare che tu morissi. Né che Narnia venisse distrutta dalla Grande Magia.

Mentre Susan spiegava ciò che era accaduto, Elsa continuava a stringeva a sé la sorella. Quando aveva capito che l’incantesimo di Jadis si era abbattuto su di lei e che non avrebbe potuto sfuggirgli, il suo ultimo pensiero era stato per Anna. Era sicura che, una volta trasformata in una statua di pietra, non ci sarebbe stato modo di tornare indietro. Aslan avrebbe potuto aiutarla, ma era morto.

Si era dimenticata della magia più potente di tutte.

- Elsa... io credevo davvero che tu non saresti... no, forse no. Voglio dire, forse non ho mai pensato che non ne saresti uscita... ecco, in realtà non ricordo più bene cos’ho pensato, è successo tutto troppo in fretta.

Elsa l’attirò ancora più vicina e le posò un bacio sulla fronte. Anna chiuse gli occhi, stringendole i polsi.

- Ho... ho combinato un disastro. – ricominciò Anna. – Ho lasciato la spada da qualche parte e ho... ucciso uno di quei lupi. L’ho proprio trafitto. Voleva mangiarmi ed io l’ho trafitto. Non ho mai fatto niente di simile ad un lupo. In realtà non ho mai fatto nulla di simile a nessuno. È stato orribile. La spada era tutta sporca di sangue...

- Anna – la interruppe Elsa. – Non importa. Lui ti avrebbe uccisa.

- Oh... sì, l’avrebbe fatto di certo. E anche gli orchi.

- Sei sicura di non essere ferita?

C’era del sangue sui vestiti di Anna, ma non era suo. Apparteneva tutto al lupo. Si sentiva solo un po’ indolenzita. Le sorrise, scuotendo la testa.

La striscia rosa che già tingeva l’orizzonte diventò color dell’oro e dove mare e cielo si incontravano apparve il bordo del sole. I primi raggi sfiorarono la collana di Anna e la stella d’argento mandò un barbaglio lucente.

Elsa stava per aggiungere qualcosa, ma un rumore fortissimo spezzò le sue parole e zittì il vociare concitato che aveva riempito il luogo. Un crack fragoroso, come di un lastrone che si spacca in due costrinse Peter e le creature arrivate con lui a voltarsi verso la Tavola di Pietra. Edmund era inginocchiato a terra, borbottava fra sé e sé con la testa fra le mani, ma quando sentì il fracasso sollevò il capo di scatto. Elsa ed Anna si girarono con tutti gli altri.

- Che sta succedendo? – domandò Anna. – Non riesco a vedere.

Nella luce dell’alba sembrava tutto molto diverso. I raggi del sole scintillavano sulle lame delle spade e sulle armature, le ombre si erano ritirate, i colori erano mutati, il gelo maligno portato dalla presenza della Strega Bianca si era dissolto; quindi occorse un istante a tutti quanti per rendersi conto di ciò che era accaduto.

La Tavola di Pietra si era spezzata in due. E il corpo del leone era sparito.

- Dov’è... dove diavolo è finito? – esclamò Peter, impallidendo. Stringeva ancora la sorella Susan, mentre Lucy si aggrappava al suo mantello, nascondendovi il viso.

- L’hanno portato via! – gridò un nano dell’esercito. – Hanno rubato il corpo!

- Chi ha rubato il corpo? – chiese Tasch. I suoi capelli rossi sparavano in varie direzioni. – Io non ho visto nessuno!

- Una magia... – mormorò Susan. – Questa deve essere un’altra magia.

- Lo è – confermò una voce calma alle loro spalle. – È una grande magia, mia cara.

Era proprio là, luminoso nella luce nascente.

Aslan sembrava anche più grande di come lo ricordavano, più maestoso, più nobile. Agitava la coda e scuoteva la folta criniera dorata. Piegò le zampe e spiccò un balzo, atterrando su ciò che restava della Tavola di Pietra e osservando i presenti con i suoi occhi lucenti.

- Aslan! – gridò Lucy, fissando il leone impaurita e felice al tempo stesso. – Ma...

- Com’è possibile? – esclamò Anna. – Non... era morto. Io l’ho visto. L’abbiamo visto. Insomma, era là... voglio dire, non che desiderassi che restasse morto, ma... lo era!

- Era forse un’illusione? – domandò Elsa, stringendo la mano della sorella e guardando Aslan come se fosse un’allucinazione.

- Nessuna illusione – spiegò Aslan, riportando il silenzio. I membri del suo esercito avevano iniziato a mormorare, a lanciare esclamazioni di sorpresa e paura. Ora si raggrupparono intorno alla Tavola di Pietra. – Si tratta di qualcosa che nemmeno Jadis conosceva. Lei sapeva della Grande Magia, che risale all’alba dei tempi. Ma non sapeva di ciò che si celava dietro di essa, nelle tenebre più profonde.

- Cioè? – volle sapere Anna, sentendosi molto confusa.

- Esiste una magia più grande, che risale a prima dell’alba dei tempi. Se qualcuno si offre al posto del traditore, una vittima volontaria e innocente, allora la Tavola di Pietra si spezza al sorgere del sole e chiunque si sia sacrificato ritorna indietro.

- È bellissimo... sì, è bellissimo, Aslan! – disse Lucy, meravigliata.

Ad Elsa non parve solo bellissimo, ma anche inquietante. Aveva sentito dire che c’erano cose che nemmeno la magia poteva fare. Come riportare in vita i morti. Cambiare il passato. Forzare qualcuno ad innamorarsi. Aveva già assistito alla rottura di una di quelle regole. Lei era venuta dal passato. L’urna in cui era rinchiusa si trovava nella stanza sotterranea del castello di Tremotino, prima che Emma e il pirata, caduti in un vortice temporale, la portassero nel loro presente, a Storybrooke, insieme alla donna che Emma aveva salvato. E sapeva che Tremotino stesso era tornato indietro, ma il prezzo era stato la vita del suo unico figlio.

- Questa magia... – cominciò Elsa. – Avrà delle conseguenze? So che la magia ha sempre prezzo, Aslan.

- Quello che dici è vero – ammise il leone. – La magia ha un prezzo. Questo incantesimo viene da prima dell’alba dei tempi. È un incantesimo che contrasta la Grande Magia. Ma come tutte le magie potrebbe avere delle conseguenze, per questo dobbiamo uccidere la Strega.

- Perché è colei che ti ha ucciso?

- Per questo. E perché non abbiamo scelta. Se sopravvive e ci sfugge, getterà una nuova maledizione prima o poi. O finirà col distruggere Narnia.

Tutti i membri dell’esercito si inginocchiarono al cospetto del leone e di quella magia così antica. Anche Peter e le sue sorelle si inginocchiarono. Edmund, che era già in ginocchio, fissava Aslan come se ancora non potesse credere ai suoi occhi.

- Aslan... quello che hai fatto per me è... è... – Non trovava il termine adatto. Annaspò, ma alla fine tacque.

- Non preoccupartene, figlio di Adamo. Tutto è finito. O meglio, è finita questa parte. Il resto... quello che ci aspetta finirà presto, ma dobbiamo muoverci.

Molti levarono le armi in aria e si dichiararono disposti a fare qualsiasi cosa fosse il loro potere per ritrovare la Strega.

- I lupi e i cani da caccia troveranno le tracce lasciate da Jadis e noi le seguiremo. Chiamate il resto dell’esercito. – disse Aslan. – Peter...

- Vado Aslan.

- Anna...

Sorpresa che Aslan stesse rivolgendo la parola proprio a lei, Anna sussultò. – Sì?

- Prendi la tua spada. E ripuliscila. Un cavaliere deve farlo sempre – La voce del leone era più severa, ora.

Anna arrossì d’imbarazzo, vedendo la lama lucente così sporca di sangue. Tuttavia il tono di Aslan la stizzì e non poco. – Beh, io... sapete, non avevo tempo di ripulire la spada. Mia sorella era appena stata trasformata in una statua! Non ho pensato a quanto fosse sporca la spada né ho pensato... non ho pensato e basta, ecco.

Alcuni aggrottarono le sopracciglia, guardandola come si guarda chi ha appena commesso una grave imprudenza. Forse si era rivolta ad Aslan con un tono un po’ troppo brusco.

- Lo so, Anna – rispose il leone. – E lo comprendo. Ma non te ne dimenticare più. Oggi hai dimostrato molto coraggio. Il coraggio di un cavaliere. Hai salvato anche tua sorella, usando una delle magie più antiche del mondo. Il vero amore.

- Sì, ecco, io... – Anna, con la fronte aggrottata, si diresse verso il punto in cui aveva lasciato la spada e la raccolse.

Edmund strappò parte della stoffa del suo mantello perché lei potesse ripulire l’arma.

 

***

 

Poco dopo Aslan e Peter disposero l’esercito e si prepararono a marciare contro la Strega Bianca.

I segugi, le volpi e i lupi erano davanti a tutti e si davano da fare con i nasi per trovare le tracce di Jadis e delle sue creature demoniache. Inizialmente non riuscirono a mettersi d’accordo. Annusavano il terreno in varie direzioni, camminavano per un breve tratto e poi tornavano indietro. Discutevano fra di loro, a volte ringhiavano l’uno contro l’altro.

Infine un grosso segugio mandò un latrato e invitò i compagni a seguirlo. Gli altri annusarono la pista e poi si lanciarono dietro al compagno. Gli animali più veloci corsero a più non posso, mentre il resto dell’esercito cercava di star loro dietro come meglio poteva.

Il gigante Fracassone, che aveva sfondato il cancello nel cortile della Regina, chiudeva il gruppo, girando la testa enorme da una parte e dall’altra; si portava una mano alla fronte per scrutare meglio l’orizzonte. La terra tremava ogni volta che faceva un passo avanti.

- Mi raccomando – disse Aslan, ad un certo punto. Portava Susan e Lucy sulla sua groppa. Aveva riacquistato in pieno le forze e la sua espressione era dura, concentrata. Gli occhi scintillavano mentre osservava i volti degli umani. – Non avvicinatevi troppo alla Strega finché ha ancora la sua bacchetta. Non affrontatela direttamente o vi ridurrà ad un mucchio di inutili statue. Lasciatela a me. Ci penserò io. Al momento giusto saprò colpirla.

Nessuno ebbe niente da ridire.

- Elsa... dovrai aiutarci con il tuo potere. Ma stai attenta a restare lontana dalla Strega.

- Sì, lo farò – rispose Elsa. In realtà non aveva nemmeno bisogno che Aslan sottolineasse quel fatto. Era stato imprudente da parte sua cercare di affrontare Jadis alla Tavola di Pietra. Si era avvicinata troppo, pensando di poter essere più veloce della sua bacchetta magica, ma l’aveva pagata cara.

- Ehm... – prese a dire Anna. – So che forse non dovrei chiederlo adesso... insomma, stiamo per affrontare un gruppo di creature mostruose e una Strega che si diverte a trasformare le persone in pietra e con la quale sono già molto arrabbiata per quello che ha fatto a mia sorella...

- Chiedi pure, Anna – la interruppe Aslan.

- Beh, grazie. Mi stavo domandando se c’è un modo per... lasciare questo posto. Per tornare a casa nostra, ad Arendelle. Perché io e mia sorella dovremo tornare... dopo questa battaglia e se saremo ancora vive... ma lo saremo, certo.

- C’è, Anna. Ci ho già pensato.

- L’armadio? – chiese Lucy. – Noi siamo venuti da lì. Dall’armadio.

- No, Lucy. L’armadio non va bene – rispose Aslan. – Porterebbe Elsa ed Anna nel vostro mondo e non è là che devono andare. Ma c’è un altro posto. Un altro passaggio. Grazie ad esso potrete tornare nel vostro mondo. – Aslan sembrava molto rassicurante. Come se non stesse per dichiarare guerra alla Regina Jadis, ma stesse considerando una questione di ordinaria amministrazione. Una cosa che aveva già fatto e che era molto semplice per lui.

- Mi piace ricevere belle notizie prima di una battaglia – commentò Anna, guardando la sorella. – Mi aiuteranno a concentrarmi meglio.

- Li vedo! – tuonò il gigante, dietro di loro. – Vedo un sacco di... un sacco di gente in una valle poco più avanti. Vedo anche... strane cose alate. Vengono da questa parte!

Udivano un rumore, infatti. Sbattere di ali. Ma non solo. Si sentivano anche grida feroci, urla stridenti. Dapprima sembrarono distanti. Però a mano a mano che proseguivano si facevano sempre più forti.

Le strane cose alate erano le arpie di Jadis. Arrivarono lanciando strepiti assordanti e si gettarono direttamente sul gigante Fracassone. Lui sollevò la mazza per colpirle.

- A terra! – gridò Aslan.

Susan e Lucy si gettarono sul prato. Anna fece la stessa cosa, mentre Elsa si preparò a scagliare il suo potere contro le arpie.

La mazza del gigante ruppe l’ala di una di quelle creature mostruose. L’essere con la testa di una donna e il corpo di un uccello precipitò rovinosamente, la bocca aperta in un grido, l’ala rimastale che si agitava, frenetica, le zampe che cercavano di afferrarsi a qualcosa.

Nel frattempo l’altra arpia tentò un nuovo attacco, questa volta contro l’esercito di Aslan. Peter si scansò, gettandosi a terra con gli altri e trascinando Edmund con sé. Anna avvertì chiaramente lo spostamento d’aria causato dalle sue ali.

Elsa si alzò in piedi e liberò un’ondata di potere che investì in pieno la creatura. Quella mandò un urlo da spaccare i timpani e cadde, il gelo che già si propagava sul suo petto. Non appena toccò il suolo alcuni nani, armati di asce da taglialegna, si avventarono sul corpo e lo fecero a pezzi. Anna vide il sangue impiastricciare le loro facce barbute.

- Dannato essere malefico, eccoti accontentata – disse uno di loro, dando un ultimo colpo d’ascia.

Peter era bianco come ricotta. Anna non vedeva ciò che restava del corpo dell’arpia ed era meglio così.

- Toglietela da lì. – ordinò Aslan. - Lucy, tu non guardare.

Un centauro andato in avanscoperta tornò indietro al galoppo, con la spada in pugno. – Aslan... Peter, mio signore... la Strega Bianca ha un esercito molto, molto numeroso. Sono stanziati nella valle e ci stanno aspettando. I nostri lupi sono già schierati sulla collina. Si preparano ad attaccare.

- Porta con te i centauri e gli unicorni. Prepara la prima carica. Noi saremo dietro di te. Peter, Edmund... andate con loro. Ricordatevi ciò che vi ho detto: non avvicinatevi troppo alla Strega.

Peter annuì. Edmund aveva un’aria risoluta, ma ad Elsa sembrò più che mai un ragazzino inesperto, allo sbaraglio.

- Aslan... sei sicuro che...? – cominciò a dire Elsa. Stava per dire ad Aslan di lasciarla andare avanti. Quei ragazzi le sembravano assurdamente giovani. Non avrebbero dovuti trovarsi lì. Erano più piccoli di Anna. Per non parlare di Susan che, per quanto fosse brava con arco e frecce, doveva avere al massimo tredici anni.

- Peter è il re supremo. Come tale deve essere in prima linea, a guidare l’avanzata – spiegò Aslan. – Ma se lui non vorrà andare...

- No – intervenne Peter, immediatamente. Estrasse la spada dal fodero. Suo fratello lo imitò. – No, ci vado.

 

***

 

 

Angolo autrice:

Buongiorno e... chiedo umilmente perdono per averci impiegato così tanto ad aggiornare. Purtroppo c’è stata una scena che mi ha dato del filo da torcere quindi ci ho messo un po’.

Qualche precisazione, come sempre:

Ovviamente, rispetto al romanzo, alcune cose sono cambiate, per esempio la battaglia davanti alla Tavola di Pietra dopo il sacrificio di Aslan. Nel romanzo non avviene niente del genere, ma la presenza di Anna ed Elsa rimescola le carte, diciamo così.

 
La scena in cui Elsa rimane pietrificata ed Anna la salva con il bacio del vero amore è un rimando a Frozen. Solo al contrario.


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Capitolo 14
*** The Battle ***


14

 

 

“It’s funny how some distance
Makes everything seems small
And the fears than once controlled me
Can’t get to me at all”

[Frozen, Let it Go]

 

 

Non appena i seguaci di Aslan uscirono dalla stretta valle sinuosa, videro l’esercito della Strega Bianca.

Peter ed Edmund avevano guidato il primo attacco ed ora erano in mezzo alla mischia infernale, a combattere. Anna scorse la chioma bionda del maggiore dei fratelli Pevensie, impegnato in una lotta contro un minotauro, mentre Edmund era qualche metro più avanti, alla prese con uno degli orchi dalle zanne lunghe. Qui e là si vedevano centauri, lupi e unicorni che si facevano largo in mezzo ai nemici. Alla luce del sole le creature di Jadis sembravano molto più numerose dell’esercito del leone, più terribili e anche più orrende.

Urla. Grida di rabbia e di dolore. Clangore di spade contro scudi e di corpi che entravano in collisione. A terra c’erano già molti cadaveri, mentre altri che non erano caduti erano stati trasformati in statue dalla Strega, che sostava in mezzo al campo di battaglia, difendendosi con la bacchetta tutte le volte che si sentiva in pericolo.

Susan estrasse il suo corno e vi soffiò dentro, producendo una lunga, lugubre nota, che si espanse per il campo di battaglia.

- Lucy, rimani qui con la scorta che ti ho affidato – disse Aslan, accucciandosi perché la bambina potesse scendere dalla sua groppa. – Alla fine della battaglia ci sarà bisogno di te. Hai ancora ciò che ti ho dato?

- Sì, Aslan – Lucy mostrò una bottiglietta trasparente. – Eccola qui.

- Che cos’è? – volle sapere Anna.

- Cordiale. Un liquore estratto dai fiori di fuoco che crescono su quelle che noi chiamiamo Montagne del Sole. Un dono importante. Poche gocce bastano a guarire le ferite.

Tasch aveva detto ad Elsa che Aslan aveva donato qualcosa ad ognuno dei Salvatori. Uno scudo, sul quale era impressa l’immagine di un leone, e una spada per Peter. L’arco e la faretra piena di frecce per Susan, più il corno che aveva usato un attimo prima. Per Edmund la spada con l’impugnatura d’argento. La bottiglietta di cristallo per Lucy, che aveva con sé anche un pugnale.

- Hai dato un pugnale a Lucy? – domandò Elsa, vedendo l’arma agganciata alla cintura della bambina.

- Lucy non combatterà – intervenne Aslan, con aria grave. – Ma nel caso in cui avesse bisogno di difendersi... potrà usarlo.

- Potrei combattere anch’io – osservò Lucy. – Credo che... beh... sarei coraggiosa.

- Le battaglie diventano ignobili quando combattono bambini così piccoli – commentò il fauno Tumnus, mettendo una mano sulla spalla della piccola Lucy. Le sorrise. Era terreo in volto. Aveva molta paura e non riusciva a nasconderla. Il suo amico Tasch era già sceso in battaglia. Faceva parte della prima ondata guidata da Peter.

Tutti tacquero.

- Elsa, Anna... seguiteci. E ricordate tutti quello che vi ho detto: non avvicinatevi troppo alla Strega almeno finché avrà con sé la bacchetta. – disse Aslan. – Gigante Fracassone, tu chiuderai il gruppo.

- Sì, signore – tuonò il gigante. Nel muovere un passo in avanti sradicò una macchia di cespugli.

- I giganti non sono molto intelligenti. È sicuro farlo scendere in battaglia? – chiese un nano.

- Guarda che ti ho sentito, maledetto nano! – esclamò gigante. – Potrei schiacciarti come un lombrico.

- Ed io ti sfuggirei facilmente visto che sono piccolo e più veloce.

- Basta chiacchiere. – lo interruppe Aslan, severo. – Andate!

I nani lanciarono grida di guerra e si buttarono giù per la china, brandendo asce e mazze, seguiti da un gruppo di centauri. Susan incoccò la prima freccia.

- Non ho mai visto tanti mostri in una volta sola – commentò Anna, con la netta sensazione che lo stomaco le fosse appena finito in gola.

- Anna, puoi ancora restare qui, con Lucy e la scorta di Aslan – le disse Elsa, avvicinandosi. – Saresti al sicuro. Questa è... è una follia.

- Restare qui? – Anna fissò la sorella, con gli occhi sgranati. – Non ci penso nemmeno. Io vado laggiù con gli altri. Ho una spada, la so usare... e ho anche infilzato un lupo di recente, o te ne sei già dimenticata? Mi piacciono le follie.

Elsa non si era dimenticata niente. Né il lupo, né gli occhi di Anna immersi nei suoi dopo che l’aveva ritrasformata in una persona in carne ed ossa con il suo bacio.

- Anna...

Lei la prese per la nuca, avvicinandola quanto bastava perché potesse poggiare le labbra contro il suo orecchio. – Qualsiasi cosa succeda, non ti dimenticare che... ti amo.

 

***

 

La battaglia era come un vortice. Un vortice fatto di facce mostruose e facce umane, di facce infuriate e facce risolute. Facce di pietra, anche. Le facce di chi era già stato trasformato dalla Strega Bianca. Era un vortice fatto di occhi spiritati, del rumore delle lame e delle armature che cozzavano, dell’odore metallico del sangue che già impregnava l’erba della valle, delle urla delle arpie e di altre creature alate che planavano per acciuffare e dilaniare i loro nemici con le zampe munite di artigli.

“Qualsiasi cosa succeda non ti dimenticare che... ti amo”.

Dopo averle detto quelle cose Anna si era buttata nella mischia con la spada sguainata. Elsa l’aveva seguita dopo un attimo di esitazione ed ora si faceva largo in mezzo a quegli esseri diabolici usando il suo potere. Alcune di quelle creature giacevano già a terra e si contorcevano mentre il ghiaccio iniziava a torturarli da dentro. Un orco allungò una mano, afferrandola per la caviglia, ma l’ascia di un nano gli mozzò di netto il braccio.

“Qualsiasi cosa succeda...”

Cercava Anna in mezzo alla calca. Vide Peter, impegnato in un duello contro un altro minotauro, che lo incalzava con il suo spadone. Vide Edmund parare il fendente di un orco con il suo scudo, anche se fu costretto a piegarsi sulle ginocchia. Una freccia di Susan si piantò nella fronte dell’orco che lo minacciava e quello cadde all’indietro, con gli occhi sbarrati. Vide il fauno Tasch che combatteva contro un folletto dall’aria maligna. Vide la criniera dorata di Aslan e udì il suo ruggito. Vide le sue fauci aprirsi e chiudersi, scagliando il lupo che aveva acciuffato molto lontano. Vide Jadis che muoveva la sua bacchetta a destra e a sinistra, mentre nell’altra mano teneva il coltello con il quale aveva assassinato Aslan. Intorno a lei si era creato il vuoto. Sulla testa brillava la corona. Vide il gigante Fracassone abbassare la sua clava ai margini del campo. Altre frecce di Susan che colpivano i bersagli.

Elsa scagliò un’ondata del suo potere contro un minotauro che si era avventato contro Tumnus. Lo colpì alla testa, ma quello continuò ad agitare il suo spadone, fino a quando non si ritrovò con il corno bianco di uno degli unicorni conficcato al centro del petto.

- Oh, ma guarda! È appena stato impalato. – gridò uno dei centauri di Aslan, con una luce folle e divertita negli occhi scuri.

Elsa distolse lo sguardo. Era senza fiato. L’odore del sangue la nauseava. Notò che molti dei nemici di Aslan la evitavano, esattamente come loro evitavano la Strega Bianca.

Vide Anna. La vide mentre sollevava la spada per parare il colpo che un orco voleva infliggerle con la mazza. Elsa cercò di aprirsi un varco per raggiungerla ed aiutarla, ma Anna ebbe il tempo di sgusciare via prima che l’essere potesse calare nuovamente la sua arma.

Poi una mano l’afferrò per la treccia ed Elsa si sentì strattonare all’indietro. Lanciò un grido e allungò le mani, ma prima che potesse sprigionare il suo potere avvertì il morso freddo della lama sulla gola. Sentì il fiato pestilenziale della creatura sul collo. La mano che stringeva l’impugnatura della spada era verde, squamosa come quella di un serpente.

- Ho visto la Regina trasformarti in pietra. Evidentemente non hai imparato la lezione – disse una voce scura e sibilante.

Sentì la lama penetrarle leggermente nel collo. Poi dalle sue spalle venne un suono carnoso. La creatura emise un gorgoglio, allentò la presa sull’arma, che cadde a terra, e lentamente si afflosciò. Elsa si girò di scatto, notando che l’essere aveva un aspetto vagamente umano, ma la pelle era ricoperta di squame verdi e gli occhi erano grandi e dorati, ormai vuoti.

Peter l’aveva trafitto con la sua spada. Il ragazzo era paonazzo. Era anche ferito, ma non sembravano ferite gravi: graffi sul viso e sulle braccia, per lo più. Un labbro spaccato, un taglio sul sopracciglio. Vacillò su gambe malferme. Elsa annientò con il suo potere l’arpia che si era gettata nella mischia per acciuffarlo.

- Peter – mormorò, chinandosi su di lui.

- Sto bene – rispose il ragazzo, togliendosi ciuffi di capelli biondi dalla fronte sudata. – E sono... molto stanco.

Una delle frecce di Susan sfrecciò sopra di loro e colpì Jadis. La colpì al collo, anche se solo di striscio. La Strega Bianca lanciò un grido furibondo e quando un centauro si fece sotto per ucciderla, approfittando del suo momento di distrazione, lei lo trafisse con il pugnale. Ridusse in pietra tre nani che avevano commesso l’errore di avvicinarsi troppo al suo raggio d’azione nella foga della battaglia.  

Ovunque infuriavano i combattimenti.

Il nano cocchiere che aveva guidato le renne bianche della slitta della sovrana le stava sempre vicino, con uno spadone in pugno. Era rosso in viso ed evidentemente spaventato, ma sembrava intenzionato a rimanere attaccato alle sottane della Regina fino alla fine.

- Nano traditore! – urlò un altro nano. – Sei una vergogna per la nostra razza!

Le frecce di Susan continuava a sibilare intorno a loro. Elsa non sapeva più dove volgere lo sguardo, perché ovunque guardasse vedeva cose orribili. E non riusciva più a scorgere Anna.

- Via tutti! – urlò Aslan, scavalcando con un balzo i corpi di alcune creature morenti. – Andate via, presto!

- Aslan, maledetto! Dovresti essere morto! – strillò Jadis.

Il leone spiccò un altro balzo, con le fauci spalancate.

Per qualche momento nessuno capì cosa stesse accadendo. Ad Elsa parve che fossero in gioco almeno tre bacchette, due coltelli e due giganteschi leoni identici ad Aslan. Non avrebbe saputo dire se fosse un’illusione magica di Jadis o se fosse opera della confusione che si era creata, ma vide chiaramente Edmund alla spalle della Regina. Era incredibilmente piccolo rispetto a lei, incredibilmente pallido e fragile, eppure calò la spada con forza, tranciando la bacchetta della Strega a metà. Lei lanciò un nuovo grido di rabbia, mentre Edmund crollava al suolo, lasciando cadere la spada.

Poi Aslan piombò su Jadis, ruggendo.

Elsa non poté più vedere niente, ma udì. Udì le urla agonizzanti della Strega Bianca. Il rumore dei denti che strappavano e laceravano.

Vi prego, basta, pensò la regina di Arendelle.

- Edmund! – Susan comparve con l’arco in mano e la faretra ormai quasi vuota. Si diresse verso il fratello. Nessuno cercò di fermarla. I nemici erano stati presi dal panico quando avevano visto Aslan scagliarsi contro la sovrana.

Il grande leone sollevò la testa dopo un tempo che parve lunghissimo. Le urla di Jadis erano cessate. Aslan aveva il muso sporco di sangue, eppure non perse nemmeno un briciolo della sua regalità. Spalancò la bocca ed emise un nuovo, roboante ruggito.

 

***

 

Nel giro di poco la battaglia si concluse. I nemici, non appena si resero conto che la loro Regina era morta, fatta a pezzi dal leone, avevano cominciato a guardarsi intorno, confusi e disorientati. Alcuni si erano arresi, gettando le armi e buttandosi in ginocchio ai piedi dei loro avversari. Altri cercarono di darsela a gambe. Certi ci riuscirono, sebbene avessero i centauri e gli unicorni alle calcagna, ma non tutti. Quelli che vennero catturati furono subito ridotti all’impotenza, legati e imbavagliati. Il cocchiere di Jadis era tra questi. I nani che lo legarono come un salame gli inflissero anche una serie di pizzicotti. Lo pungolarono con le asce e risero delle sue imprecazioni.

- Statemi lontani! Dannati, andate via! Via!

- Cocchiere, questo è solo l’inizio. Sei fortunato a non essere stato ridotto in poltiglia come la tua amata sovrana. – rispose un nano, colpendolo con il manico dell’ascia.

- La mia Regina mi ha dato tutto. Tutto quello che voi della mia razza non mi avete mai dato.

- Ovvero?

- Cibo. Un posto dove stare! Un lavoro onorevole...

- Quindi frustare le renne della Regina era onorevole?

- Mi ha scelto come suo cocchiere. Io fra tanti!

- Avrei preferito essere messo in catene piuttosto che diventare il suo cocchiere!

La discussione si protrasse per un bel po’.

- Elsa! – Anna venne verso di lei, mentre Peter e Susan erano chini su Edmund.

Elsa si accorse subito che la sorella zoppicava vistosamente. Non aveva più la spada con sé e zoppicava. E perdeva sangue. Molto sangue. La ferita alla gamba le parve molto seria.

Anna le cadde addosso. Sollevò appena le palpebre, osservandola con occhi velati dal dolore. – Ti ho trovata, finalmente...

- Anna... che cosa ti hanno fatto?

- Non l’ho visto arrivare, mi dispiace...

- Non devi preoccuparti, adesso. Ci sono io. Andrà tutto bene. Guarirai. – Elsa la strinse tra le braccia, premendo le labbra contro la sua fronte. La strinse come l’aveva stretta al villaggio amazzone, dopo il combattimento contro Varja. La strinse così come l’aveva stretta quando erano bambine e lei l’aveva ferita accidentalmente.

E ad Anna, sua sorella sembrava persino più bella del solito. Sapeva che la luce che vedeva intorno a lei era dovuta al fatto che stava per perdere conoscenza. Sapeva che era colpa del dolore terribile che le trafiggeva la gamba e la testa. Però allungò una mano con le ultime forze che le rimanevano e con la punta delle dita le toccò la guancia. Fiocchi di neve cadevano, posandosi sui suoi capelli rossi.

- Elsa? – Era Peter. Titubante.

Lei non rispose.

- Elsa, credo che dovremmo portare Anna nelle retrovie. Stiamo portando là tutti i feriti. Anche Edmund...

Elsa si rannicchiò su se stessa per proteggere la sorella. Il cuore le batteva forte nel petto, le orecchie fischiavano e l’unica cosa che contava era tenere stretta a sé Anna, inglobarla se necessario. Nessuno le avrebbe più fatto del male. Non avrebbe dovuto permettere che uno di quei mostri la riducesse in quello stato.

“Qualsiasi cosa succeda, non ti dimenticare che... ti amo”.

Anna aveva già perso i sensi.

- Elsa – La voce di Aslan la costrinse ad alzare la testa. Il leone era molto vicino. Non c’erano più tracce di sangue sul suo muso. Non sembrava nemmeno vagamente provato dalla battaglia. – Peter vuole aiutarti a portare Anna nelle retrovie. Laggiù c’è Lucy. Ricordi? Lei ha il cordiale. Con esso potrà guarire la ferita di tua sorella e quelle di tutti gli altri.

Elsa guardò Peter. Sembrava molto cambiato. Pallido, grave, la bocca ridotta ad una linea piatta, decisamente più adulto, anche se il viso era pur sempre quello di un ragazzino.

“Un liquore estratto dai fiori di fuoco che crescono su quelle che noi chiamiamo Montagne del Sole. Un dono importante. Poche gocce bastano a guarire le ferite”.

- Sì... – mormorò Elsa. – Sì, ti prego. Aiutami, Peter.

In quel momento la terra tremò. Si scosse, come percossa dai piedi di una decina di giganti. Un albero si piegò e si schiantò al suolo. La valle si riempì di gridolini di sorpresa e paura.

Aslan girò la testa di lato, mettendosi in ascolto.

- Che sta succedendo? – domandò un nano. – È un’altra magia?

- No – rispose Aslan. – Nessuna magia. È Lilith. Il demone piange la morte di uno dei suoi figli. Così come ha pianto la morte delle migliaia di figli che sono spirati non appena hanno visto la luce. 

 

***

 

Nelle retrovie c’era un gran viavai. I feriti erano sistemati su barelle di fortuna, fatte di funi, foglie e rami, oppure sedevano contro le rocce o i tronchi degli alberi, stringendosi gli arti o le teste fasciate in qualche modo. Alcuni animali avevano portato delle coperte e si prodigavano per aiutare. Susan correva da una parte all’altra con una borraccia piena d’acqua e un panno bagnato.

Anna venne adagiata con cura da Peter ed Elsa le prese subito la mano, chiudendola nelle sue. Era in preda all’angoscia e le riusciva difficile controllare il suo potere. I cristalli di ghiaccio le svolazzavano intorno come tanti piccoli moscerini.

Le palpebre di Anna tremolarono e si sollevarono un poco. Il suo sguardo era distante. La guardava, ma non sembrava che vedesse davvero. – Elsa... sta nevicando.

- No. Non nevica, Anna. Scusami, sono io, non riesco...

- Vuoi costruire un pupazzo di neve?

Elsa le sorrise e baciò le nocche della sua mano. – Sì. Certo. Faremo tanti pupazzi di neve. Li farò io per te.

- E uno lo chiameremo Olaf. O magari Sven. Potremmo farne uno... a forma di renna... e chiamarlo Sven.

- Tutto quello che vuoi, Anna. Adesso non parlare più. Tra poco starai bene.

Edmund era lì vicino. Letteralmente coperto di sangue, con il viso di un brutto colore verdognolo, le labbra socchiuse e il respiro affaticato.

- Il cordiale, Lucy. Presto! – esclamò Aslan.

- Sì! Sì, Aslan. Ecco... – A Lucy tremavano talmente tanto le mani che sulle prime non riuscì ad aprire la bottiglietta di cristallo.

- Aspetta, ti aiuto io – si offrì Peter.

- Ce la faccio – Lucy svitò il tappo e si chinò subito sul fratello, versandogli qualche goccia di cordiale sulla bocca.

Stettero tutti a fissare l’espressione di Edmund, aspettando un cambiamento. Aspettando che aprisse gli occhi e parlasse. Ma il ragazzo non si mosse.

- Aslan... non funziona – mormorò la bambina.

- Certo che funziona, Lucy – rispose il leone. – Abbi pazienza. Edmund starà bene. Ora tocca ad Anna e agli altri feriti.

Lucy si riscosse e si avvicinò ad Anna, facendo la stessa cosa che aveva fatto con Edmund. Alzò la testa, osservando Elsa, e poi si allontanò, seguendo Aslan.

 

***

 

Sulle prime non accadde niente. Anna non si muoveva, a parte gli occhi che si agitavano sotto le palpebre. La ferita le pareva sempre uguale. Il suo viso era sempre pallido e la mano che stringeva era fredda. Lo stesso valeva per Edmund, accudito da sua sorella Susan.

Dopo una buona mezz’ora, mentre Lucy era ancora impegnata a curare chi ne aveva bisogno e Aslan ridava vita alle statue di pietra con il suo soffio magico, Elsa vide che i graffi sul viso della sorella erano spariti e che lo squarcio nella gamba si stava rimarginando davanti ai suoi occhi.

- Funziona – mormorò, sentendosi inondare dal sollievo.

Edmund si destò di soprassalto e si mise a sedere. Si guardò intorno, disorientato. – Dove sono? Dov’è la Strega?

- La Strega è morta – gli rispose Susan, offrendogli la borraccia perché potesse bere un sorso. – Aslan l’ha uccisa.

- E Peter? Lucy? Loro sono vivi? Stanno bene, vero?

- Sì, nessuno di loro è ferito. Ed è merito tuo.

- Mio? Io ho combinato solo pasticci.

- Niente affatto. Sei stato coraggioso. Ho visto cos’hai fatto. Se non fosse stato per te, la Strega avrebbe trasformato tutti in statue! Tu l’hai disarmata.

Edmund arrossì. – Credo sia... credo sia stata fortuna. Era distratta. È Aslan che l’ha sconfitta.

- Grazie a te. – insistette la sorella.

Edmund volle a tutti i costi alzarsi in piedi. Era decisamente in buona salute. Non solo non era più ferito, ma aveva un’aria diversa, più dolce e serena. – E... Anna? Si riprenderà?

- Sta già meglio. – rispose Elsa.

- Edmund! – strillò Lucy, correndo dal fratello e abbracciandolo stretto. Lui le scompigliò i capelli e rise. – Edmund, sei tornato...

- A quanto pare sì.

Aslan si avvicinò con Peter. Anche il leone sorrideva. – Sono lieto di vederti di nuovo in forze, figlio di Adamo. Peter mi ha detto che in battaglia sei stato molto coraggioso. Anche se non ce n’era bisogno. Lo sapevo già.

Elsa era felice di vedere i quattro fratelli uniti. Erano giovani, ma era sicura che sarebbero stati degli ottimi sovrani per Narnia.

E pensò a casa sua. Ad Arendelle. Al suo regno così lontano. A Kristoff che aspettava il loro ritorno. Aslan aveva detto che esisteva un passaggio, in quel mondo, che avrebbe permesso a lei e ad Anna di tornare a casa.

- Il passaggio esiste – disse Aslan. Ovviamente non c’era bisogno di esprimere i propri pensieri ad alta voce quando era nei paraggi. – Non preoccuparti, Elsa. Farò in modo che raggiungiate presto il luogo di cui vi ho parlato, così che possiate fare ritorno nel vostro mondo.

- Presto? – domandò Peter. Sembrava dispiaciuto.

- Elsa ha un regno che l’aspetta, caro Peter. Come Narnia ha aspettato voi – precisò Aslan.

- Beh, sì... certo, naturalmente.

- Scusalo, Aslan. Credo volesse conoscerle meglio. Soprattutto vorrebbe conoscere meglio Anna. – Susan sollevò un sopracciglio, rimirando il fratello maggiore.

Elsa sorrise.

- No, non è questo! – esclamò Peter, diventando rosso. – Pensavo solo... che... beh, pensavo che sarebbero rimaste ancora un po’... almeno per l’incoronazione e la festa. E pensavo...

-  L’incoronazione avverrà domani, Peter. – annunciò Aslan, quasi fosse la normale routine.

- Domani?

- Ho già preparato tutto. Così anche Elsa ed Anna potranno assistere quando siederete sui troni che vi spettano.

In quel momento alcuni nani trasportarono delle barelle sui quali erano adagiati i corpi senza vita di alcuni membri dell’esercito di Aslan. I morti erano tanti e quella sera i roghi avrebbero illuminato a giorno la valle in cui si era svolta la battaglia contro Jadis.

Prima Elsa vide Tumnus, il fauno amico di Tasch. Aveva i capelli tutti arruffati, zoppicava e aveva il viso bagnato di lacrime. Poi vide un nano afferrare il lembo di una coperta per coprire il volto di uno dei caduti. Elsa intravide appena quella faccia. Ma quello che notò fu sufficiente.

- Aspettate! – gridò.

Quando si era accorta che Tasch non era nei paraggi dopo la fine dei combattimenti, si era detta che probabilmente era rimasto ferito ed era stato trasportato nelle retrovie. Si era detta che probabilmente era tra le persone che Lucy aveva curato con il suo cordiale. Era troppo preoccupata per Anna e non si era fermata a riflettere sul fatto che potesse anche essere...

“Hai detto di chiamarti Elsa?”.

“Sì”.

“È uno strano nome. Il mio è Tasch”.

A prima vista sembrava che il giovane fauno stesse solo dormendo. Il suo viso era bianco come carta ma rilassato. I suoi capelli erano una zazzera rossa e scompigliata, ma non c’erano tracce di sangue. Però era evidente che non c’era più traccia di vita in quel corpo. Il petto era immobile. Le membra non erano semplicemente rilassate ma rigide.

- È morto per salvarmi. – mormorò Tumnus, mordendosi il labbro inferiore. – Un orco mi aveva disarmato e stava per uccidermi... lui... lui è intervenuto. Non avrebbe dovuto. Era troppo grande e troppo forte per Tasch...

Elsa non disse niente. Aveva la gola serrata. Le sue dita sfiorarono gentilmente il viso del fauno, la prima faccia amica che aveva incontrato quando aveva messo piede a Narnia. L’aveva seguita anche se non aveva la minima idea di chi fosse. L’aveva aiutata a raggiungere il castello della Regina e a ritrovare Anna. Si erano dati una mano a vicenda...

- È... morto quasi subito... Lucy non ha potuto aiutarlo... – continuò Tumnus. Aveva ricominciato a piangere.

- Oh, signor Tumnus! – esclamò la bambina, stringendo la mano del fauno tra le sue. – Mi dispiace così tanto!

Per un attimo restarono tutti così, immobili. Lucy con la mano in quella di Tumnus. Elsa con gli occhi spalancati che fissavano Tasch. Anna ancora priva di sensi dietro di lei. Peter, Susan ed Edmund vicini. Il leone che agitava la coda.

- Preparate le pire – annunciò Aslan, rompendo il silenzio.

 

***

 

Elsa cercò di non pensare al corpo senza vita di Tasch, mentre intorno a lei chi era in grado di farlo, si prodigava per eseguire al meglio l’ordine di Aslan. Peter ed Edmund davano una mano, in silenzio, mentre Susan si distraeva affilando la punta delle frecce che le erano rimaste, seduta su un tronco caduto.

Anna continuava a dormire. La ferita era ormai completamente rimarginata.

Elsa giocherellò con una ciocca dei suoi capelli rossi. Si chinò per sfiorare la sua fronte con le labbra, leggermente, senza fare pressione.

- Sai cosa mi ricorda tutto questo? – le disse Elsa, rimanendo piegata su di lei, parlandole come se potesse sentirla. – Mi ricorda... quella volta in cui ti sei ammalata e non sei venuta a bussare alla mia porta.

Le palpebre di Anna tremolarono. Accanto a loro un giovane satiro con degli strani capelli ritti come gli aculei di un porcospino si rigirò sotto la coperta che gli avevano dato, senza destarsi.

- Ero così... abituata a sentirti bussare... ti fermavi sempre davanti alla porta della mia stanza, bussavi, mi chiedevi di uscire a giocare con te, mi chiedevi... se volevo costruire un pupazzo di neve... e ovviamente io ti rispondevo di andartene. Pensavo fosse troppo pericoloso per te. – Si interruppe qualche istante. – Però il giorno in cui non ti ho sentita bussare alla mia porta... ho capito che poteva esserti successo qualcosa. Tu non ti arrendi mai, Anna. Non ti sei mai arresa. Ero... ero preoccupata... e la mamma mi ha detto che ti eri ammalata.

Per lei era difficile ricordare quei momenti. I momenti in cui non faceva altro che scacciare la sorella, quando avrebbe solo voluto aprire quella porta e abbracciarla forte. I momenti in cui le diceva di andarsene, quando invece avrebbe voluto uscire in giardino e costruire quel maledetto pupazzo. Vederla sorridere. Vedere i suoi occhi brillare come quando giocavano da bambine, prima dell’incidente.

- Ho chiesto se potevo vederti. Non ci ho nemmeno riflettuto. Dovevo assicurarmi che stessi bene. – continuò Elsa, toccandole la fronte e accarezzandola piano. – E la mamma mi ha lasciato entrare nella tua stanza. Eri... eri buffa. Dormivi in una posizione assurda... ed eri molto calda. Quando ti ho toccata... eri molto calda. Ma hai sorriso. Perché mi hai sentita... e il freddo della mia pelle ti ha dato un po’ di sollievo.

“Vuoi che ti lasci da sola con lei?”, le aveva chiesto sua madre.

Probabilmente Gerda si era domandata se fosse la cosa giusta da fare, lasciare la figlia da sola con la sorella, pur sapendo di quel potere, pur sapendo che era rischioso. Forse aveva ripensato alla sua, di sorella. Ad Ingrid che uccideva involontariamente Helga.

Elsa ricordava anche la sua paura. La paura di farle del male anche solo sfiorandola.

Ma quella volta aveva cercato di non avere paura.

- Mi sono avvicinata al tuo letto e ti ho dato un bacio... non te lo puoi ricordare, ma io sì. Io me lo ricordo. Ti ho dato un bacio anche se avevo paura. E ti ho detto che ti volevo bene. Poteva essere la mia ultima occasione...

L’aveva fatto con il cuore in gola e poi era scappata via.

Si chinò di nuovo per baciarla in mezzo agli occhi e poi scese più in basso, appoggiando le labbra sulla sua guancia, vicino alla bocca.

 

***

 

 

Angolo autrice:

Buonsalve a tutti!

Come al solito mi scuso per i tempi biblici con cui aggiorno e preciso alcune cose che riguardano questo capitolo:

Nel romanzo di Lewis non è Aslan a donare quegli oggetti ai fratelli Pevensie, ma Babbo Natale. Dato che non mi sembrava proprio il caso di inserire Babbo Natale in questa storia (niente contro Babbo Natale ovviamente ^^ solo che mi sarebbe parso un po’ ridicolo, ecco), ho cambiato questo particolare.

Devo ringraziare un mio amico Oncer che, tempo fa, scrisse una piccola storia su Elsa ed Anna, in cui Anna, appunto, si era ammalata e la sorella le faceva visita anche se aveva paura di farle del male. Il mio amico mi ha permesso di inserire la sua idea nella mia storia.

La one shot si chiama “Oggi per l’ultima volta”.

Il bacio che Elsa dà ad Anna è un piccolo rimando a La Regina delle Nevi, fiaba di Andersen, in cui Kay viene incantato dalla Regina delle Nevi con un bacio.


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Capitolo 15
*** Going Home ***


15

 

 

“In her eyes, the sadness sings -
of one who was destined, for better things”

[Lang Leav, Love & Misadventure]

 

 
- Quando si è re e regine di Narnia, si è re e regine per sempre – proclamò Aslan, non appena i quattro fratelli Pevensie vennero incoronati e si sedettero sui quattro troni nella grande sala del castello di Cair Paravel. Era un ambiente immenso, luminoso, con il soffitto d’avorio e la parete est che si apriva sul mare, mentre la parete ovest era tappezzata di piume di pavone. Dietro i troni capeggiava un grande arazzo sul quale era rappresentata una battaglia come quella che si era da poco conclusa.

Squillarono le trombe. Gli amici e alleati del leone acclamarono a gran voce i nuovi sovrani, che elargirono ringraziamenti e decretarono ricompense ed onori per coloro che si erano dimostrati coraggiosi nella valle contro la Strega Bianca. Ovviamente Aslan aveva organizzato un grande banchetto per celebrare la vittoria e non aveva permesso che mancasse qualcosa; Anna fu assai felice di trovare un sacco di dolci al cioccolato, persino quelle buonissime praline che l’odioso folletto di Oberon si era spazzolato la sera del suo matrimonio. Vi furono anche danze, vino che scorreva a fiumi e musica senza sosta.

- Ti sembra davvero giusto tutto questo? – domandò Anna a sua sorella, osservando fauni, nani e altre creature impegnate a ballare o a invitare Susan e Lucy. – Voglio dire, non il banchetto... quello lo trovo... beh, perfetto. Ci sono un sacco di dolci al cioccolato e persino i sandwitches! Intendo l’incoronazione. Aslan ha detto che saranno re e regine per sempre. Ma non dovrebbero tornare a casa loro? Avranno un mondo a cui tornare, dei genitori...

- Credo che Aslan pensi che per ora sia giusto così – le rispose Elsa.

- E siamo sicure che quello che dice Aslan sia sempre giusto? A proposito, dov’è finito Aslan?

- Se n’è andato – Il fauno Tumnus, seduto in disparte con una coppa di sidro in mano aveva ancora l’aria abbattuta ed era già alticcio. Le pire accese da Peter, Edmund e da altri volontari avevano bruciato a lungo. Le fiamme si erano levate alte e il vento si era portato via le ceneri dei caduti. Tumnus aveva dato fuoco alla pira sulla quale era stato depositato il corpo di Tasch.

- Come... andato? – domandò Anna, sorpresa.

- Lui è così. Va e viene all’improvviso. Un attimo prima c’è e l’attimo dopo è già sparito. E torna quando meno te l’aspetti. Non gli piace sentirsi legato ad un posto. Vuole essere libero.

- Credevo ci avrebbe accompagnate al portale... – osservò Elsa.

- Ha preparato tutto. Una scorta... questo ho sentito dire almeno... una scorta vi porterà nel luogo in cui troverete la porta... il portale... o qualunque cosa sia. E ha organizzato anche un gran bel banchetto. Non fosse per questa musica continuerei a pensare... e credo che non mi farebbe bene. – Guardò il fondo della sua coppa.

- Tasch... lui non vorrebbe vederti triste. Né che tu ti senta in colpa per ciò che gli è accaduto. – disse Elsa, avvicinandosi un poco al fauno.

- Già, lo so. Me l’ha detto anche Lucy. Lei è... sarà un’ottima regina. Eppure è morto per difendere me...

- L’ha fatto perché ti voleva bene. Tumnus, so che cosa significa perdere qualcuno... anche Anna lo sa. E so che cosa vuol dire sentirsi in colpa perché quel qualcuno non c’è più.

Il fauno sollevò gli occhi arrossati. – Davvero?

Anna non intervenne, ma lanciò un’occhiata ad Elsa.

Lei rivolse a Tumnus un sorriso triste. – Sì. Pensavo che... una volta pensavo che i miei genitori fossero morti per colpa mia.

- Come...? Intendo, come sono morti?

- La loro nave è affondata.

- Mi... mi dispiace molto. Ma se una nave affonda non è colpa di nessuno... o meglio, può essere colpa di una tempesta. O dei pirati, ecco.

- Fu una tempesta, ma erano partiti per me. Ero io la ragione del loro viaggio. Il mio potere li spaventava.

- Il suo potere li preoccupava, ma erano preoccupati per lei, non di lei – si affrettò ad aggiungere Anna. – Ne sono convinta.

- In ogni caso partirono per me. E quando scoprii la vera ragione della partenza... mi sentii in colpa. Perché se non fossero partiti... non sarebbe successo niente. Ho anche pensato che... se non fossi stata così... non sarebbe accaduto niente.

- E lo pensi ancora?

Elsa si voltò, incrociando lo sguardo di sua sorella. Si ricordò di quella volta, dopo la scoperta del diario, quando era fuggita e si era rifugiata nei giardini. Si ricordò di tutto ciò che Anna le aveva detto. Che lei non era un mostro. Che i suoi genitori non pensavano che lo fosse. Che avrebbe dimostrato che ciò che era stato scritto in quel diario non era ciò che sembrava. Si ricordò di quando aveva detto ad Emma che i suoi genitori erano davvero meravigliosi.

- Ci sono dei momenti in cui... in cui penso che se non fossero partiti per trovare una soluzione che mi aiutasse... sarebbero ancora qui. – rispose Elsa. Poi allungò una mano, cercando e trovando quella di Anna. – Ma so che tutto quello che hanno fatto... l’hanno fatto per me. Perché mi volevano bene. Proprio come Tasch. Era tuo amico. Era la tua famiglia. Si è sacrificato per te e tu avresti fatto la stessa cosa per lui.

Tumnus scrutò ancora il fondo della sua coppa. – Sì, credo... l’avrei fatto. Sì.

- Ne sono sicura.

- Anche i miei genitori sono morti. Ma loro sono stati uccisi dal freddo. – Non appena lo disse, si chiese se fosse stata la cosa giusta, visto che era in presenza di una regina che controllava il ghiaccio e per la quale il freddo non era certo un problema. O meglio, lo era stato per i genitori, a giudicare da quello che gli aveva appena raccontato. Anzi, aveva usato il ghiaccio per liberarsi di alcune delle creature mostruose di Jadis. Concluse che non avrebbe dovuto dirlo. – Cioè, quello che intendevo... è che li ha uccisi l’inverno... sapete, la maledizione di Jadis.

Maledetta sia la mia linguaccia, piuttosto.

Quando Tumnus aveva incontrato Lucy, la prima dei quattro fratelli a mettere piede a Narnia, era più che convinto di essere un pessimo fauno, un fauno cattivo, perché aveva pensato di consegnare la figlia di Eva a Jadis, così come stabiliva l’accordo che avevano stipulato tempo addietro. Tumnus aveva avuto troppa paura della Strega e così, per non essere trasformato in una statua, aveva promesso che avrebbe consegnato a lei gli esseri umani, se mai fossero apparsi.

Adesso non pensava più di essere cattivo, ma certamente era un gran pasticcione.  

- Ho capito. – Elsa non sembrava offesa dalle sue parole. Gli sorrise di nuovo e a Tumnus parve il sorriso più dolce che avesse mai visto.

 

***

 

La festa si trasformò presto in una baldoria estremamente chiassosa ed Elsa approfittò della confusione per uscire dal castello.

La dimora di Cair Paravel si ergeva sugli scogli. Quando ci era arrivata per la prima volta, alla ricerca di sua sorella, non aveva notato che il posto dava proprio sul mare. Ci era arrivata passando dalla valle allora innevata. Non aveva udito il fragore delle onde, né tantomeno si era fermata a pensare a dove potesse trovarsi esattamente. Voleva solo rivedere sua sorella. A destra e a sinistra del castello una distesa di sabbia bianca e fine, disseminata di piccole rocce e poi, fino all’orizzonte estremo, il mare scuro. Il rumore delle onde che si frangevano sulla spiaggia la rilassava. Il vento era fresco e piacevole sul viso.

Si sedette sugli scogli.

Parlare con Tumnus aveva riportato a galla molti ricordi dei suoi genitori. Vedere il senso di colpa negli occhi scuri del fauno l’aveva spinta a ripensare a quando aveva trovato il diario e aveva scoperto la verità sul loro viaggio.

“Ma so che tutto quello che hanno fatto... l’hanno fatto per me. Perché mi volevano bene. Proprio come Tasch. Era tuo amico. Era la tua famiglia”.

- Sapevo che ti avrei trovata qui – disse Anna, raggiungendola e sedendosi sugli scogli, accanto a lei.

- Ed io sapevo che saresti venuta. Ti stavo aspettando.

- Sarei venuta anche prima, ma Peter ha voluto a tutti i costi invitarmi a ballare. E poi anche Edmund. Volevo dir loro che non avevo tempo di ballare, ma non credo si possa dire di no a due re... sarebbe scortese. Non importa se i re sono ragazzini, giusto? Cioè, dovrebbe essere importante, ma non importa.

- Credo che, se Peter potesse, non ti chiederebbe solo un ballo, ma anche di... fare una passeggiata sulla spiaggia con lui. E di sposarlo, magari.

- Oh, non credo che pensi già a cose così serie. E sa che sono sposata. Gliel’ho detto. – Distese la mano e osservò l’anello di Kristoff scintillare nell’oscurità. Poi si riscosse, rivolgendosi a sua sorella. – Sei triste?

- No – Elsa spostò lo sguardo sul mare. Il mare che aveva inghiottito la nave sulla quale viaggiavano Gerda e Kay. Il mare che aveva restituito la bottiglia con la lettera di Gerda, la lettera che Anna aveva letto e che aveva salvato tutti. Quello non era lo stesso mare, ma non contava, in quel momento. – Stavo solo pensando a mamma e papà.

- Quindi sei triste.

- No, non lo sono. È che... parlarne con Tumnus mi ha fatto pensare a loro. Mi mancano.

Anna allungò una mano e intrecciò le dita con quelle di Elsa. – Lo so. Anche a me. Sempre.

Restarono in silenzio, a lungo. La musica della festa giungeva fino a loro, ma ovattata, distante, come se si fosse aperta una breccia in un altro mondo e la breccia stesse lasciando passare delle note. Delle tracce di quella dimensione.

- Dov’è andato Aslan, secondo te? – chiese Anna.

Elsa non seppe che cosa rispondere.

- Poteva almeno salutarci. Insomma, non ti sembra scortese, non salutarci? Credo sia scortese quanto rifiutare l’invito di un re che vuole ballare. Noi l’abbiamo aiutato. Ed io lo aiuterei ancora, davvero. Ma lui... se ne va così, come se niente fosse...

- Forse non poteva restare. Forse ci sono altri posti... altre persone che hanno bisogno di lui.

Poi Anna sentì la mano di Elsa sciogliere la stretta e accarezzarle i capelli.

- Non ti sei rifatta le trecce – disse, lasciandosi scivolare una ciocca fra le dita.

- No... me le farò domani. – rispose Anna, godendosi la carezza della sorella. Si voltò a guardarla. – Perché? Avrei dovuto farmi le trecce? I capelli sciolti mi stanno male? Mi invecchiano?

Elsa rise. – No... per niente. Stanno benissimo.

Anna arrossì. Non perché le aveva appena detto che stava bene con i capelli sciolti, ma per il modo in cui Elsa la stava guardando. Avvertivi i suoi occhi su di sé, non pressanti, ma delicati, come la mano che le accarezzava i capelli.

Ad un certo punto il suo sguardo sfuggì e si fissò sul mare scuro. Sembrava che stesse lottando per trovare la parole. - Mi hai detto una cosa prima... prima della battaglia.

“Qualsiasi cosa succeda, non ti dimenticare che... ti amo”.

- Sì, l’ho detto... voglio dire, ho detto molte cose, ero nervosa. – Anna accennò un sorriso, cercando di sembrare disinvolta.

Elsa seguitò a fissarla.

- Ho detto che ti amo. E l’ho detto perché lo pensavo. Beh, è ovvio che lo penso ancora.

- Non devi dire queste cose.

“Non vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata. Per una donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un uomo che si fida di voi... Oberon mi ha parlato del marito di Anna”. La voce di Titania la sorprese. Suonava come la voce della coscienza, molto severa e arrogante, ma veritiera.

“Lui è mio amico”.

- È sempre meglio dirle, certe cose. Soprattutto se sono vere. Quando le dici, ti senti un po’ meglio. Almeno di solito è così. Cioè, non so se io mi sento meglio, però... – Parlava in fretta, incapace di controllare il fluire delle sue parole. Anche quando si era destata dopo essere stata curata da Lucy non aveva fatto altro che parlare. Elsa le diceva di stare giù, di riposare ancora un po’, di non stancarsi, ma Anna si sentiva in forma e quindi non aveva potuto fare a meno di parlare di come quel mostro l’avesse sorpresa, ferendola. Di quanto fosse felice che fosse tutto finito, che la Strega fosse morta e che potessero tornare a casa.

Elsa percorse dolcemente i suoi lineamenti con la punta delle dita, scorrendo poi tra i capelli e lungo la curva del collo. – Tu ami Kristoff.

Anna inclinò la testa per seguire il tocco della sorella. – Sì, certo che lo amo. Ma è anche vero che... so che cosa provo per te. Ed ora penserai anche... che sono folle, perché non si possono amare due persone contemporaneamente. Hai mai sentito parlare di un cuore spaccato in due?

- No.

- Nemmeno io.

Elsa si sporse verso di lei. Dapprima le sfiorò l’angolo delle labbra, prudentemente, poi premette la bocca sulla sua. – Ti amo.

Anna trattenne il fiato.

“Pensate di poterlo nascondere per sempre, Elsa? Credete di esserne capace? Scommetto di no. Nessuno ne è capace”.

- Anche se questo non sarà mai possibile... non cambia quello che provo per te. – aggiunse Elsa, parlando a voce bassa, quasi stesse confessando il più terribile dei segreti.

E per molti... per chiunque lo sarebbe stato. Un terribile segreto.

Anna ricominciò a baciarla. Lo fece con trasporto, appoggiando una mano sulla sua nuca e premendo per attirarla ancora di più vicino a sé. Elsa rispose nello stesso modo, senza curarsi di essere prudente come un attimo prima e infilandole una mano in quella folta chioma rossa. Quando le mancò il respiro si separò lentamente da Anna e lei le abbandonò la testa sulla sua spalla. Il tepore del corpo della sorella era una bella sensazione, la cullava come avrebbero potuto fare le onde del mare di Narnia.

- Grazie per avermi raccontato di quella volta che sei entrata in camera mia... quando ero ammalata – le sussurrò.

Elsa batté le palpebre. – Mi stavi ascoltando? Eri sveglia?

- Beh, non proprio. Diciamo che ero quasi sveglia. E ti ho sentita.

- Oh.

- Non è stata la tua ultima occasione, come pensavi. Ne hai avute tantissime altre.

- Già. Per fortuna. – Elsa prese una delle mani di Anna e ne accarezzò il dorso con il pollice. – Solo perché tu non ti sei data per vinta.

- Non mi do mai per vinta. Soprattutto quando si tratta di mia sorella. E comunque... sei stata fortunata anche per un’altra ragione. Se mi fossi svegliata, quella volta che sei venuta nella mia stanza per vedere come stavo, sarebbe stato peggio per te. Non ti avrei più lasciata in pace. Non ti avrei proprio dato tregua...

- Lo so. Per questo ho fatto attenzione. Eri... eri così...

- Così? – Anna sollevò un po’ la testa. Si sentiva inebriata dal profumo di Elsa, dalla sua parole e dalla sua semplice presenza. I loro corpi sembravano cercarsi e combaciare perfettamente. Come se fosse una cosa assolutamente naturale e non sbagliata come appariva agli occhi del mondo.

- Beh... fragile. Indifesa. – rispose Elsa. – Così piccola eppure anche così... adulta. Ero sorpresa perché non immaginavo che fossi cresciuta tanto.

- Non immaginavi che sarei diventata più alta di te, vero?

Elsa sorrise, divertita. Strusciò il proprio viso fra i capelli di Anna, inspirando profondamente. – Non sei poi tanto più alta di me.

- Non tanto... ma un po’ sì.

 

***

 

Il mattino seguente Anna ed Elsa, accompagnate da Peter, Susan e da due centauri, vennero scortate fino al Guado di Beruna, il luogo in cui Aslan aveva radunato il suo esercito prima della battaglia finale contro la Strega. Poco distante da lì c’era l’ingresso ad alcune grotte. Secondo quello che avevano detto loro, la grotta nascondeva il passaggio per tornare al loro mondo.

Ma la verità era che il passaggio non era dentro ad una delle grotte, bensì all’esterno.

- Che? Dite sul serio? Io non vedo niente! – esclamò Anna. – Davvero. Io vedo solo... niente, appunto.

- Non è vero che non c’è niente – disse uno dei centauri. Con la punta della lancia indicò un punto davanti a lei. – Laggiù. Guardate. Tra i pali.

All’esterno delle grotte c’erano due lunghi bastoni di legno conficcati nel terreno, ad una distanza di circa tre metri l’uno dall’altro. Un palo più sottile e leggero era stato sistemato sopra agli altri due, in orizzontale, inquadrando una specie di porta.

Elsa strinse gli occhi. In mezzo ai pali vedeva l’erba, gli alberi e il cielo limpido di Narnia... e qualcos’altro. Niente di concreto, solo un vago tremolio, come se l’aria si fosse concentrata solo in alcuni punti e vibrasse.

- Aslan ha detto che, oltrepassandola, potrete tornare a casa – assicurò Peter, quasi l’avesse provata di persona e potesse confermarglielo. Lui e Susan risplendevano, forse un po’ troppo, nei loro abiti pregiati, di seta e con finimenti dorati. Susan, a parte la sua faretra e l’arco, portava un diadema che le ricadeva in mezzo alla fronte e qualcuno le aveva acconciato i capelli scuri in una treccia. Peter, invece, indossava la cotta di maglia argentata, l’elmo e la sua spada era infilata in un fodero tempestato di gemme.

- Come pensavate di tornare indietro? Attraverso un armadio? – domandò l’altro centauro che le aveva accompagnate.

- Beh, no. Attraverso... una porta. L’ultima volta che siamo tornate a casa da un altro mondo c’era... una vera porta. – disse Anna. Poi scosse la testa. – D’accordo, forse è meglio questa porta rispetto al vortice che ha trascinato me e Kristoff a Storybrooke.

Nessuno capì a cosa si stesse riferendo, ma Peter le condusse presso la strana soglia. Allungò una mano, esitante. La punta delle sue dita toccò il... il niente fra i due stipiti. Le dita affondarono e scomparvero brevemente. Peter ritrasse subito la mano, come se l’avesse appena piazzata sulle braci ardenti.

- Peter? – Susan lo guardò, interrogativa.

- C’è qualcosa. Sì. Direi proprio di sì. – Il Re Supremo annuì più volte. Si schiarì la voce. – Avanti. Tocca a voi.

- Quindi voi... rimarrete in questo mondo? – chiese Anna, dubbiosa.

- Rimarremo, sì. Sentiamo di dover rimanere – rispose Peter. Lanciò un’occhiata alla sorella. – Sono sicuro che Narnia ha bisogno di noi, adesso.

Ci fu silenzio. Anna avrebbe voluto dire qualcos’altro, molte altre cose, a dire il vero. Per esempio avrebbe voluto chiedere ai due fratelli: E il vostro mondo? Casa vostra? Non vi mancherà casa vostra? E i vostri genitori? Non vi staranno cercando, se li avete?

Ma Elsa le prese la mano, sapendo che era giunto il momento di andare e quindi lei si morse la lingua. Il ragazzo salutò entrambe, sfiorando i palmi delle loro mani con un bacio leggero, ma trattenne un po’ di più quella di Anna.

Non vi furono altre parole di congedo. Peter le guardò mentre oltrepassavano la soglia magica. I centauri erano rimasti più indietro e osservavano, pazientemente, un po’ dubbiosi, con le folte sopracciglia aggrottate.

Raggiunta la soglia accadde qualcosa di strano. Elsa ed Anna videro tre cose contemporaneamente: la prima era la radura di Narnia, le facce di alcuni animali venuti a vedere che cosa stesse succedendo e il barbaglio del sole alto nel cielo. La seconda era l’antro di una caverna che si affacciava su una spiaggia bianca e sul mare blu. E la terza era senza dubbio il ponte di una nave.

Anna si aggrappò al braccio di Elsa.

 

Peter e Susan videro le due sorelle ferme fra i due stipiti. Le videro scambiarsi un’occhiata.

Un istante più tardi erano svanite nel nulla. Era bastato un battito di palpebre e non erano più lì.

- Dove sono finite? Sono passate? Sono... sono davvero passate dall’altra parte... qualunque sia quella parte? – farfugliò uno dei due centauri, confuso.

- Siete sicuri che siano andate nel posto giusto, vero? Perché... non si vede nessun nuovo mondo attraverso quei bastoni. Mi era sembrato di vedere qualcosa, ma ora non sono più tanto sicuro. Scusate se mi permetto, sire.

- Sono tornate a casa loro – disse Peter. – Sì. Aslan non si sbaglia mai.

- Certo – gli fece eco Susan. – E comunque sei tutto rosso in faccia.

- Io? Non sono rosso. Sarà... l’elmo. Dovrei toglierlo, adesso. Fa molto caldo.

- Caldo, sì. Si sta benissimo, invece. Chissà quanto ti dispiace che non faranno mai più ritorno a Narnia...

Peter diventò ancora più rosso. - Beh, mi dispiace eccome! Perché, a te no?

- A te molto di più. Soprattutto per Anna...

 

***

 

L’atterraggio non fu dei migliori.

Elsa cadde malamente sul ponte della Blackrose, più o meno nello stesso punto in cui Black Sam e i suoi uomini l’avevano vista per l’ultima volta. Non ebbe il tempo di rialzarsi e Anna le piombò addosso, schiacciandola quasi.

- Uh! – esclamò Anna, fissando il viso di sua sorella a pochi centimetri dal suo. – Ops.

- Capitano! – gridò una voce maschile. Molto alta e sbigottita. – Capitano, correte! Sono qui!

Anna cercò di raccapezzarsi e si alzò, aiutando Elsa.

Non erano tornate ad Arendelle ma direttamente al punto di... partenza. Ovvero la Blackrose. La bandiera pirata era ancora issata in cima al pennone, sbatacchiata dal vento. Il cielo era tinto dei colori del tramonto.

Koral, il nostromo, si fiondò giù per i tre scalini di legno che conducevano al ponte, con i capelli castani che gli ricadevano sulla fronte e sulle orecchie. – Capitano!

- Non sono sordo, Koral! Eccomi – Black Sam, vestito con la stessa giubba rossa e gli stessi pantaloni di pelle nera del giorno dell’assalto alla nave diretta ad Arendelle, apparve da sottocoperta, guardando entrambe come se fossero appena precipitate dal cielo.

- Sono apparse dal nulla, capitano. Dal nulla!

La ciurma di Black Sam lo seguì sul ponte. Alcuni avevano già una mano sull’impugnatura della sciabola. Diverse paia di occhi le scrutarono, sospettosi, perplessi, curiosi e guardinghi. Sembrava che non sapessero decidere quale fosse il modo giusto di comportarsi.

- Dove siete andate a cacciarvi, per tutti i mari?! È da questa mattina che vi sto facendo cercare come un povero idiota! Come se mi aspettassi di trovarvi da qualche parte sulla nave o in mare. Che stregoneria è mai questa? – Il corpo robusto del pirata era teso e rigido come le assi di legno del ponte.

Impiegarono del tempo per assimilare la domanda e formulare la risposta. Solo un attimo prima erano a Narnia, una Narnia non più fredda ma immersa nella primavera. Erano a Narnia con un re, una regina e due centauri come scorta. Ora erano di nuovo nel loro mondo, sulla Blackrose. Circondate da pirati che avevano tutta l’aria di non trovare affatto divertente ciò che era accaduto.

- Beh, ci dispiace molto, capitano – intervenne Anna. – Ma sapete... non è stata propriamente colpa nostra. E sul dove siamo finite... ci sarebbe molto da dire.

- Aye? – domandò.

- Già... Aye – rispose Anna, replicando il suo modo di parlare.

- Avete detto... da questa mattina? – chiese Elsa. – Ci state cercando da questa mattina?

- Sì! Che altro potevo fare dato che siete sparite sulla mia nave? E non sono sparite due persone a caso. Stiamo parlando di una regina con tanto di sorella al seguito!

“È da questa mattina che vi sto facendo cercare...”

A Narnia erano trascorsi diversi giorni, invece nel loro mondo non ne era passato nemmeno uno.

- Dove sono gli anelli? – lo interrogò Elsa.

- Li ho raccolti e rimessi a posto. Sono in una delle casse giù nella stiva. E vi assicuro che nessuno metterà le mani su quella cassa!

- Raccolti?

Dopo la scomparsa delle sue due ospiti, Black Sam non aveva fatto altro che scervellarsi per capire che cosa potesse essere accaduto. Magia, certamente. Qualcosa di cui lui non sapeva niente. Magia che aveva trasportato le due sorelle da qualche parte, dove non era possibile raggiungerle. O peggio. Aveva anche pensato che gli anelli fossero delle armi terribili, che avevano polverizzato sia Elsa che Anna. Per questo nessuno si era azzardato a toccarli. Tranne lui.

- Capitano, non fatelo – l’aveva implorato Koral.

Black Sam aveva indossato un paio di guanti, non molto sicuro che fossero sufficienti contro quegli affari. – Non possiamo lasciarli qui, Koral.

- Potreste sparire anche voi.

- Se succederà, tu prenderai il comando di questa nave.

La ciurma era rimasta a guardare mentre Black Sam si chinava e allungava una mano verso gli anelli. La punta delle dita li aveva sfiorati. Il ronzio proveniente dagli oggetti magici si era fatto di colpo più forte.

Quando li aveva stretti nel pugno i suoi uomini avevano trattenuto il fiato.

Non era accaduto niente. C’era solo quel costante, fastidioso ronzio. Resosi conto di non essersi volatilizzato, Black Sam si era affrettato a rimettere gli anelli nella sacchetta dalla quale erano sbucati e poi di nuovo nella cassa, una delle tante sottratte alla nave che avevano assaltato.

- Non ci sono, capitano. Da nessuna parte – gli aveva detto la sua vedetta.

Non si era aspettato nulla di diverso.

- Non per fare il guastafeste, capitano – era intervenuto uno dei suoi uomini. – Forse è meglio che siano sparite. Soprattutto la regina.

- Erano sulla mia nave, idiota. Probabilmente ad Arendelle si staranno chiedendo che fine hanno fatto. – Black Sam si era messo a masticare tabacco, con forza e a camminare lungo il ponte della nave, quasi lo stesse misurando. Notando le occhiate stranite dei suoi uomini si era fermato. – E di certo se le avessimo riconsegnate noi stessi avremmo fatto una bella figura. Ci avrebbero ricompensati, non credete? Vi assicuro che non me ne sarei andato senza una ricompensa adeguata.

- Sono d’accordo, capitano. Ma quei poteri... ecco, non so se conoscete la storia del regno di Arendelle, congelato per trent’anni...

- Tutti la conoscono, razza di testa vuota! Ed io so anche che a congelare il regno per trent’anni è stata... la regina delle nevi.

- Sono la stessa persona, capitano... almeno questo è quello che si dice.

- Sono due persone diverse. Anche questo si dice. – Black Sam contrasse brevemente la bocca. – Se la regina Elsa avesse voluto trasformarci tutti in statue di ghiaccio l’avrebbe fatto ben prima della scomparsa di sua sorella, non pensate? L’avrebbe fatto non appena saputo che si trovava su una nave pirata. Le sarebbe occorso ben poco tempo per darci una bella lezione.

Nessuno aveva osato obiettare.

- Stava cercando di tornare a casa sua. Non so che cosa ci facesse lontana dal suo regno. Ma è una regina, suppongo che possa fare ciò che vuole. – aveva concluso il capitano della Blackrose.

 “Allora dite alla regina di Arendelle che la sua merce è in buone mani e che magari un giorno ci incontreremo! Dicono che sia una donna bella e assai giusta. Non vi farà niente. Ho sentito anche  dire che controlla il ghiaccio”. Questo era quello che sapeva della sovrana di Arendelle. Di certo non combaciava con il ritratto della donna che aveva intrappolato il regno in una morsa gelida per trent’anni. Eiry... Elsa... non gli era sembrata poi così pericolosa. Quando aveva accolto lei ed Anna sulla nave aveva pensato che fossero due ricercate in fuga da Misthaven. Avevano parecchio oro con loro, il che poteva significare che fossero di nobile lignaggio, ma anche che fossero delle ladre. Tuttavia non le aveva giudicate pericolose. La rossa era una ragazzina sproloquiante e che sapeva il fatto suo. Eiry era... più taciturna, più riflessiva, cercava di passare inosservata ma era troppo di bella presenza per riuscirci. Black Sam si era solo ripromesso di tenerle d’occhio. Koral l’aveva fatto insieme a lui.

- Io dubito persino che siano sorelle – aveva commentato il nostromo, poco prima dell’assalto al mercantile.

- Dubiti? Aye. In effetti non si somigliano molto.

- Non è solo questo, capitano. Ho... ieri sera ero qui sul ponte e ho assistito ad una strana scena. Non volevo spiare, ma mi avete chiesto di tenerle d’occhio, quindi l’ho fatto.

La scena a cui aveva assistito Koral era ben più che strana. Se davvero quelle due erano sorelle, allora avevano un’idea sbagliata di ciò che volesse dire essere sorelle.

- Ma forse a nord funziona così, se davvero stanno andando a nord perché vivono là. Non conosco quel posto, potrebbe... beh, le loro tradizioni potrebbero essere diverse. – aveva continuato Koral. Aveva scrutato il mare, pensoso. – Presso i Valyriani non sarebbe stato... strano. Le pratiche dell’impero di Valyria prevedevano il matrimonio incestuoso. Per mantenere pura la linea di sangue.

- Valyria non esiste più da centinaia di anni, Koral.

Adesso era certo che sul loro legame famigliare non avevano mentito.

- Oh – disse Anna, quando Black Sam ebbe finito di raccontare che cos’era accaduto con gli anelli dopo la loro scomparsa. – Quindi eravate preoccupato per noi? Che pensiero carino.

- Preoccupato? Bah. – Il pirata scosse il capo e rivolse loro un gesto noncurante. - Avevo capito che c’era sotto qualcosa fin da quando avete messo piede sulla mia nave. Sapevo che non eravate chi dicevate di essere... e immaginavo che prima o poi avreste combinato un pasticcio, sebbene vi avessi avvisate di stare al vostro posto.

- Il pasticcio non l’abbiamo combinato noi, ma gli anelli – replicò Anna, irritata.

- Certo. E vostra sorella ha quasi scatenato su di sé i miei uomini.

- Mi dispiace molto – disse Elsa, osservando i membri dell’equipaggio. – Ero sconvolta. Quando lo sono è più difficile... controllare il potere. Non era mia intenzione farvi del male.

Calò il silenzio. I pirati tentennarono. Black Sam si grattò la barba.

- Penso che vogliate cenare – disse il capitano, cambiando improvvisamente argomento. – Le storie si raccontano sempre davanti ad una cena fumante. Non possiamo offrirvi un banchetto da regine, naturalmente. Perciò dovrà bastarvi quello che vi daremo.

- Basterà – commentò Elsa, sorridendo a Black Sam, riconoscente.

- Ehm sì, certo – disse Anna. – Ma se ci fossero dei sandwitches di qualsiasi tipo... sarei molto felice.

***

 

 

Angolo autrice:

Sì, questa volta ci ho messo veramente tanto per aggiornare. Perdonatemi. ^_^

Qualche precisazione, come al solito:

 
Valyria è un riferimento alla serie tv (e alla saga fantasy) Il Trono di Spade. È una città in rovina del Continente Orientale ed era la capitale di un grande impero, distrutto da un cataclisma. Da lì provengono alcune grandi casate, tra le quali quella dei Targaryen. I matrimoni incestuosi erano una pratica diffusa a Valyria e i Targaryen si sposavano fra di loro per mantenere pura la linea di sangue, come spiegato in questo capitolo.


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Capitolo 16
*** Pirates ***


16

 

 

“Yo ho ho!”

[Espressione piratesca]

 

 

- Per la barba di Barbossa! – esclamò Black Sam, schiantando il boccale ancora pieno di sidro sul massiccio tavolo di legno. – Ho visto e sentito molte cose nella mia vita, ma non mi aspettavo una simile stregoneria. Come hanno fatto ad arrivare qui, quei dannati anelli, se non appartengono a questo mondo?

- Non lo sappiamo. Ma credo sia meglio che... ve ne liberiate in qualche modo – osservò Anna.

- Di questo potete starne certe! Un viaggio tra i mondi non è quello che ho in mente per me e per i miei uomini. – Black Sam si grattò la barba scura. – Come non è ciò che avete in mente voi, con un regno da mandare avanti.

La sala in cui i pirati della Blackrose erano soliti consumare i loro pasti era stretta, un po’ angusta, illuminata da alcune lanterne appese alle pareti. Nell’aria aleggiava l’odore del rum mischiato a quello del tabacco e della carne bruciata. In quel momento era abbastanza affollata. Gli uomini del capitano parlottavano tra di loro, concitatamente; ogni tanto osservavano le loro ospiti appena ricomparse da chissà dove. Alcuni si erano seduti nei tavoli accanto al loro per ascoltare la storia. Sul ponte erano rimasti solo la vedetta, un paio di mozzi e Koral, al timone.

- Non è la prima volta che affrontiamo questo genere di cose – rispose Elsa, pensierosa.

- Ma davvero? – disse il capitano, sollevando un folto sopracciglio nero. – Beh, immagino vi riferiate alla prima maledizione... l’ho vista arrivare. So che ha portato un bel po’ di gente in un altro posto, certamente lontano da Misthaven. Mi sono salvato solo perché mi trovavo... dalla parte giusta. Quella protetta.  

- No, non si tratta della prima maledizione. Ma... essere trasformati in statue di ghiaccio e rimanere congelati per trent’anni è... una maledizione altrettanto seccante, non trovate? – disse Anna, rabbrividendo, quasi il solo nominare il tempo trascorso sotto la magia di Ingrid le facesse provare le medesime sensazioni.

- Oh. Beh, suppongo che lo sia – rispose Black Sam, osservandole attentamente. – I miei uomini hanno chiacchierato parecchio sul vostro... strano potere. E su ciò che è accaduto ad Arendelle con questa misteriosa... Regina delle Nevi.

- Ingrid è... era nostra zia – spiegò Elsa. – Aveva il mio stesso potere.

Era tua zia così come Anna è tua sorella?, si ritrovò a pensare Black Sam, sorseggiando il sidro. Non lo disse a voce alta, perché non aveva la minima intenzione di offendere la sovrana di Arendelle né voleva immergersi più del dovuto in faccende complicate e che non lo riguardavano. O che era sicuro di non poter capire. Siete tutti così strani in questa famiglia... che non so come prendere quello che mi raccontate.

In un angolo un paio di pirati decisamente alticci facevano baccano. Uno, con i capelli che sparavano in varie direzioni e la benda che copriva un occhio, stava usando un piccolo barile come tamburo, battendovi sopra le mani piene di anelli e inseguendo un ritmo che non aveva nulla di sensato. L’altro cantava a voce alta, sguaiatamente.

- Invece di minacciare le mie orecchie, perché non andate a cantare sul ponte? Koral non se la prenderà... magari spaventerete i mostri marini e le sirene che non vedono l’ora di mandare la Blackrose a schiantarsi contro gli scogli. – commentò Black Sam.

Due uomini afferrarono i pirati ubriachi e li trascinarono su per una scaletta, sghignazzando.

- Domani avvisteremo le coste del nord. – riprese il capitano, finendo il suo boccale di sidro. – Come vi ho detto all’inizio, la mia nave approda qualche lega più a est di Arendelle.

- Troveremo un passaggio – disse Anna.

- Non ho dubbi in proposito, considerando quanto sei brava a trattare... e a parlare, soprattutto. Li stordirai con le chiacchiere, così saranno costretti ad aiutarti. – Black Sam sorrise, mettendo in mostra il dente d’oro. Poi si allontanò, lasciandole sole al tavolo.

- Sai, stavo per dirti che non è così male come pensavo all’inizio, a parte il suo alito, ovviamente... ma credo che non lo dirò. - disse Anna, stizzita.

Elsa le mise una mano sulla spalla. – Credo fosse il suo modo di farti un complimento.

- Davvero stordisco le persone a furia di chiacchiere?

- Beh, credo che tu abbia stordito lui.

- Oh! Dovevamo guadagnarci un passaggio su questa nave. Almeno l’ho convinto. Forse non è stata la migliore delle mie idee, ma... stiamo tornando a casa e questa è la cosa importante. E in ogni caso questi pirati hanno preparato degli ottimi sandwitches.

- Spero solo che non ci siano stati problemi ad Arendelle, nel frattempo.

 

***

 

Il giorno seguente, a metà mattinata, la vedetta avvistò la costa, come aveva predetto Black Sam.

La bandiera in cima al pennone scese. Il capitano voleva entrare in porto senza far notare che quella nave apparteneva ad una ciurma di pirati. Tutto ciò avrebbe causato agitazione a terra e lui voleva rivendere la merce sottratta al mercantile ad un buon prezzo, parlando con le persone giuste e che non facevano troppe domande. Avrebbe anche scambiato le cose che non sarebbe riuscito a piazzare con dei rifornimenti. Cibo, vino e rum, in modo particolare.

- Le mie scorte stanno terminando – disse Black Sam, mostrando la propria fiaschetta. – E su quel mercantile non c’era niente che assomigliasse a del rum di buona qualità. I pirati diventano nervosi senza il rum.

- Vi farebbe bene all’alito, invece. – commentò Anna, guardandolo di sottecchi. – E magari anche alla mente.

- Ti preoccupi per il mio alito, dolcezza? Ho baciato molte donne e non si sono mai lamentate.

- Forse sono morte dopo avervi baciato.

Black Sam rise fragorosamente. – Sono vive e vegete, fidatevi, dolcezza. Stanno anche meglio di prima.

Quando approdarono e alcuni uomini azionarono l’argano per gettare l’ancora, il porto era in fermento. C’erano molte navi, piccole e grandi, vascelli mercantili come quello che Black Sam aveva attaccato, navi con lo stemma di Arendelle, imbarcazioni che non mostravano alcun segno di riconoscimento. A terra i marinai scaricavano e caricavano, osservavano i lavori, arrotolavano funi, controllavano la merce e chiacchieravano tra di loro. Nessuno badò alla Blackrose. Alcuni uomini  passarono davanti alla nave pirata mentre trasportavano delle casse che davano l’impressione di essere notevolmente pesanti; lanciarono solo un’occhiata di apprezzamento e poi proseguirono, bofonchiando imprecazioni, con i muscoli che si gonfiavano sotto le camicie.

- Vediamo di sbrigarci. Koral, vai giù nella stiva con qualcuno e porta su le casse con le stoffe e i gioielli. Mi raccomando, fate attenzione...

Black Sam diede ordini a destra e a manca. Elsa e Anna, dal canto loro, si prepararono a scendere e a trovare il passaggio di cui avevano bisogno per tornare ad Arendelle. L’aria era più fredda da quelle parti e alcuni membri della ciurma del capitano indossarono delle giacche prima di andare ad aiutare il nostromo con le casse.

- Decisamente fa troppo freddo per i miei gusti – commentò Koral, sfregandosi le mani.

- Se non batti la fiacca ce ne andremo presto. – rispose Black Sam. Storse il naso e poi sputò in mare un pezzo di tabacco masticato. Infine alzò la testa, osservando le due sorelle. – Sì, immagino che questo non sia molto elegante, signore mie. Non guardatemi con quelle facce, suvvia! Del resto, dovreste provare un po’ di tabacco.

- No, grazie – rispose Elsa.

- Giusto. Siete una regina e siete certamente più raffinata. È che ogni tanto me ne dimentico. Non capita tutti i giorni di avere donne a bordo. Così come non capita tutti i giorni di avere a bordo... donne di una certa importanza. – Stava per aggiungere qualcos’altro, quando la nave che era appena entrata in porto accostandosi alla Blackrose attirò la sua attenzione. Scrutò il ponte, con le mani sui fianchi e gli occhi ridotti a due fessure.

- Che succede? – volle sapere Anna.

- Non ditemi che è davvero ciò che penso... – mormorò il capitano, parlando tra sé e sé.

L’altra imbarcazione era più piccola rispetto a quella di Black Sam e non sfoggiava nessuno stemma particolare. Aveva la chiglia affusolata, la murata non molto alta ed era costruita in legno scuro, una tonalità che la rendeva vagamente minacciosa. Una nave velata di mistero e fatta per ghermire le prede, rapida e agile. E aveva anche passato dei brutti momenti; una delle tre vele (vele rosse, un colore davvero insolito) era stracciata, la fiancata sinistra era rovinata in più punti, come se si fosse scontrata ripetutamente con un’altra nave. Gli uomini che camminavano sul ponte lungo e spazioso avevano camicie lacere, sguardi furiosi, alcuni mostravano bendaggi di fortuna alle braccia o alle gambe.

- Ma tu guarda che bella sorpresa! Dolcezza, non mi sarei mai aspettato di trovarti da queste parti – esclamò Black Sam, facendo sobbalzare sia Elsa che Anna.

- È una bella sorpresa solo per te, dolcezza – rispose, piccata, la donna a cui il capitano aveva rivolto la parola.

- Vedo che ringhiamo più del solito. Mi fa piacere. La tua nave se l’è vista brutta, eh?

- Una tempesta mi ha mandata fuori rotta. – La donna si ravviò i lunghi capelli neri e lisci che le arrivavano alla vita. Era giovane, anche se non avrebbero saputo dire quanti anni avesse. Ed era indubbiamente il capitano della nave. Il capitano e un pirata proprio come Black Sam. Indossava un paio di pantaloni di cuoio, gli stivali e teneva un pugnale infilato nel fodero appeso alla cintura. Il seno era stretto in un corpetto di velluto. Metteva in mostra una generosa scollatura. – E tu, invece? Hai rapito due giovani fanciulle innocenti, vero?

- Sono mie ospiti – replicò Black Sam, che era tuttavia molto divertito. – E non credo che sia stata solo una tempesta a ridurre così la tua barchetta, Aires.

- La mia barchetta stava benissimo fino a quando non ha incontrato un’altra barchetta con cui ha dovuto fare i conti. - Aires roteò gli occhi. Aveva un piccolo taglio sul mento e un’altra ferita recente sulla fronte. - Ti dice niente il nome Jolly Roger, tu che conosci così bene i mari?

- Non dirmi che Uncino ti ha dato del filo da torcere!

Non può essere stato Uncino perché non è qui. È a Storybrooke, pensò Elsa. Però ebbe la vaga sensazione di sapere che cosa stesse per dire Aires. Non era niente che le sarebbe piaciuto. Come non le piaceva la creatura che decorava la prua di quella nave, una figura mostruosa con serpenti al posto dei capelli e le fauci spalancate a mostrare i denti acuminati.

- Non so chi sia questo Uncino; l’uomo diceva di chiamarsi in un altro modo: Barbanera. – Era decisamente seccata. Ad Anna i suoi occhi neri come la pece ricordarono quelli di Varja, l’amazzone con cui aveva combattuto al villaggio. Solo che quelli di Aires parevano ancora più neri.

Barbanera!, si disse, poi, costernata. Lo sapevo.

I ricordi di lei e Kristoff chiusi in un baule riaffiorarono tutti in una volta sola, insieme alle facce di quel pendaglio da forca di nome Barbanera e di quell’idiota di Hans. Anna stava per dire qualcosa, ma Elsa le strinse una mano e scosse impercettibilmente la testa. Fu costretta a mordersi la lingua.

- Edward Tench! Quella canaglia! Si aggira da queste parti? – Black Sam aveva raddrizzato le spalle e aggrottato le sopracciglia.

- Lungo le coste di Arendelle, non molto lontano da qui. Quindi lo conosci? Sarà uno tuo caro amico, suppongo.

- Amico! Giammai. Ci ho avuto a che fare e mi è bastato. – Tornò a sorridere. – Ti ha lasciato un bel po’ di ammaccature, dolcezza. Non che questo rovini il tuo fascino...

- Ed io gliene ho lasciate altrettante, fidati.

- Non lo metto in dubbio. Tu mordi sempre. E Barbanera è un pirata senza onore... e senza un briciolo di cervello.

Aires aveva tutta l’aria di chi non si limitava a mordere, ma anche a farti cose ben peggiori se osavi superare una certa linea.

- Elsa, è quello che mi ha rinchiusa nel dannato baule! Io e Kristoff siamo quasi morti per colpa sua! – disse Anna, non riuscendo più a trattenersi e afferrando Elsa per il braccio.

- Che cosa stanno dicendo le tue ospiti, Sam? – interrogò Aires.

- Dicono che è una vera sfortuna, ciò che è capitato, dolcezza. Arendelle è casa loro. Stavano appunto andando a cercare un passaggio. – rispose Black Sam, senza esitazioni.

- Se Arendelle è casa loro, è meglio che ci vadano via terra. I mari non sono sicuri. Se Barbanera non ha ancora saccheggiato tutte le navi della regina, chiunque ella sia, manca davvero poco.

E noi che speravamo che fosse tutto a posto ad Arendelle, pensò Anna.

- E da quando, poi, accetti delle donne a bordo? Credevo le considerassi portatrici di sventure. Cosa ti hanno offerto in cambio? – continuò la donna, sarcastica.

- Mi hanno pagato bene. Un buon affare, certamente. Spero di fare qualche altro buon affare in questo luogo così freddo... ho bisogno di rum! Le mie scorte hanno proprio toccato il fondo.

Aires sorrise e infilò una mano nella tasca del mantello che portava sulle spalle. – Forse ho qualcosa per te, passerotto.

- Ovvero?

Lei gli lanciò una fiaschetta. – Serviti pure. Io ne ho in gran quantità.

Black Sam la prese al volo, nonostante fosse stato colto alla sprovvista. Esaminò l’oggetto per qualche istante, poi tolse il tappo, avvicinando il naso. – Che roba è? Viene dalla tua terra in culo al mondo?

Aires rise, ma non rispose alla sua domanda. Si rivolse ad alcuni dei suoi uomini, ordinando loro di occuparsi della vela distrutta, poi tornò a rivolgersi al pirata. – Bevi, Sam. Male non ti farà di certo. Non è veleno. È Squalo.

Dettò questo si ritirò sottocoperta.

- Cosa intende con ‘è Squalo’? – domandò Anna, stupita. – Hanno sciolto uno squalo per metterlo nella fiaschetta? E comunque non mi piace per niente questa storia. Elsa, dobbiamo tornare a casa alla svelta, prima che Barbanera rinchiuda qualcun altro in un baule. Spero solo che non ci sia anche Hans... altrimenti dovremo fargli un altro occhio nero!

Elsa era preoccupata quanto lei, tanto che alcuni fiocchi bianchi avevano iniziato a danzarle intorno. Si affrettò a farli sparire.

Black Sam bevve un sorso della strana bevanda. Fece una smorfia e poi sputò tutto, infradiciandosi anche la punta di uno stivale. – Corpo di mille balene, che schifo!

 

***

 

Riuscirono a trovare un cavallo. Anna fu abile nella trattativa con il mercante, che passò la maggior parte del tempo a mugugnare, a saggiare con i denti le monete con lo stemma di Arendelle e ad adocchiare sospettoso Koral, che seguiva la scena, in disparte. Alla fine cedette un cavallo alla principessa, un bell’esemplare bruno, con una folta criniera nera. Avrebbe dovuto cavalcare senza sella, ma Anna disse che non sarebbe stato un problema. O meglio, forse lo sarebbe stato, ma decise di non fare obiezioni.

- È una bella bestia – commentò il nostromo, accarezzando il collo del cavallo. Black Sam le aveva salutate senza troppe cerimonie, anche se era sembrato sinceramente dispiaciuto di vederle andare via. Aveva mandato Koral con loro per un tratto perché controllasse che la trattativa si svolgesse senza intoppi. – Non il migliore che ha, ma vi porterà fino a casa. E fareste meglio ad arrivarci in fretta. Se quello che dice Aires è vero... le vostre navi non se la passano molto bene.

- Anche Barbanera non se la passerà bene quando lo troveremo. – rispose Anna, indispettita, mentre  montava in sella. Si era allacciata la mantella rossa alla base del collo e aveva indossato i guanti. – Se pensa che io mi sia scordata di quando mi ha rinchiusa in quel baule, si sbaglia. Ho già sistemato Hans e spero davvero che non sia con lui anche stavolta... in ogni caso non intendo finire di nuovo in qualche baule.

- Non ci finirai – disse Elsa, risoluta. Anche lei aveva indossato un mantello e aveva sollevato il cappuccio per coprirsi il capo. – Prima che questo succeda l’avrò già congelato.

- Chi è Hans? – chiese Koral.

- Il mio promesso sposo. Lo era, voglio dire.

- Fortuna che non l’avete sposato, allora!

- Ero solo un’ingenua. Adesso sono... cresciuta. Ho un marito mille volte migliore di lui...

E una sorella come amante, aggiunse il nostromo, scostandosi i capelli castani dalla fronte. Anche se era ancora giovane, aveva sentito e visto molte cose nella sua vita, soprattutto da quando Black Sam l’aveva accettato a bordo della sua nave. Prima non era altro che un mozzo; peggio, anzi... uno schiavo trattato a pesci in faccia dal capitano di un mercantile. Essere un pirata significava rischiare spesso la vita, ma Koral non avrebbe mai smesso di ringraziare Black Sam per averlo accolto sulla Blackrose. Tuttavia... due sorelle che avevano un simile rapporto erano una novità anche per lui. Le leggende che riguardavano il continente perduto chiamato Valyria, in cui si praticavano matrimoni incestuosi, erano sempre state solo storie, niente di più.

- E ancora mi chiedo perché ho accettato di sposarlo... ha le basette lunghe! – stava dicendo Anna.

- Fosse quello il suo unico problema! – commentò Elsa.

- Beh, ne ha di peggiori. Ma quelle basette sono terrificanti, come avrò fatto a non notarle?

Koral sorrise, divertito. – Ne avete di storie da raccontare. Sarei curioso di ascoltarle tutte.

Elsa salì in groppa al cavallo dietro alla sorella e allacciò le braccia intorno alla sua vita. – Ma non so se vi piacerebbero tutte.

- Oh. Credo di sì.

- Un’ultima cosa: chi era quella donna, Arya...?

- Aires, in realtà. Un pirata, naturalmente. E quella era la Demone Nero, la nave di suo padre, Rool. Ma è come se fosse già sua. – Koral aveva abbassato la voce per non farsi sentire. – Sam l’ha conosciuta qualche anno fa in una taverna... in un posto abbastanza lontano dal vostro regno. A dire il vero ci siamo azzuffati con i suoi uomini. Black Sam e Aires si sono accordati per... evitare un eccessivo spargimento di sangue.

- Anche voi avete molte storie da raccontare, nostromo – gli fece notare Elsa, sorridendogli.

Koral si allontanò dal cavallo e si portò due dita alla fronte in segno di saluto. - Senza dubbio.

 

***

 

- Speravo proprio che oggi fosse una bella giornata... e infatti lo è! – esclamò Kristoff, non appena vide Anna scendere da cavallo insieme alla sorella. Andò loro incontro e prese la moglie fra le braccia. – Hai rispettato i patti, stavolta. Sei tornata dopo... due settimane. E sembrate illese tutte e due.

I soldati di guardia nel cortile del palazzo sembravano altrettanto felici di rivedere la regina. Tolsero gli elmi e si inchinarono rispettosamente. Sven sbuffò e scosse la testa. Anna si chinò per grattagli il muso. Il viaggio a cavallo era durato diverse ore e lei si sentiva indolenzita, ma era felice di essere di nuovo a casa.

- Siamo illese. – confermò, sollevandosi sulle punte per baciare Kristoff. – E anche tu sembri... illeso.

- Lo sono. – Poi Kristoff sorrise ad Elsa e allargò le braccia. – Non vieni ad abbracciare l’uomo delle renne? Ti assicuro che sono profumato, sorella. Ho fatto un bagno questa mattina.

- Come hai detto, scusa? – domandò Elsa, aggrottando un sopracciglio.

Sven girò la testa per guardare Kristoff.

- Cognata? – si corresse lui. – Così va meglio?

Elsa accettò l’abbraccio.

“Non vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata. Per una donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un uomo che si fida di voi... Oberon mi ha parlato del marito di Anna... quel... credo che sbagli di proposito il suo nome. Mi ha detto che tutto sommato è un uomo gentile e che ama molto vostra sorella”. Si chiedeva per quanto tempo la voce di Titania l’avrebbe accompagnata.

Si scostò dall’abbraccio.

- Mi sembri un po’ rigida – commentò Kristoff. – Non mi dire che non ti sono mancato neanche un po’.

Anna incrociò gli occhi della sorella, che esitò per qualche istante.

- Non è questo. So che abbiamo un problema. Barbanera. – disse Elsa.

Lui ridivenne serio. - Vedo che siete già informate.

- Ci ha informate il pirata che abbiamo incontrato dove siamo approdate. La sua nave si chiamava Demone Nero, ci crederesti? – spiegò Anna. – Beh, se ti parlassi del pirata che ci ha accompagnate, invece...

- Pirata? Un pirata vi ha portate ad Arendelle? – Kristoff era sorpreso e fissava Anna in attesa di spiegazioni. Persino Sven drizzò le orecchie.

- Ti spiegherò tutto quando avremo risolto questo problema. – tagliò corto Anna.

- Quante navi sono state attaccate? – volle sapere Elsa, rivolgendo lo sguardo verso il mare.

- Sei, da quando ve ne siete andate. – Kristoff assunse un’aria cupa. - La buona notizia è che Barbanera è... da solo. Nel senso che quel tizio non è con lui.

- Hans?

- Hans, sì. È rimasto a casa sua a leccarsi le ferite. Le spie che hai mandato laggiù me l’hanno confermato.

- Qualcuno si è accorto che non ero qui?

Kristoff era felice di vedere che la regina di Arendelle aveva di nuovo assunto il comando. Gli erano mancati la prepotenza e il tono risoluto di Elsa. – No. Me ne sono assicurato. Non l’ha saputo nessuno a parte la servitù e loro non hanno parlato. Ho detto che avevi lasciato il regno per risolvere una questione di vitale importanza. Avete trovato ciò che cercavate, piuttosto?

Anna si sentì infiammare le guance. – Sì. Alla fine, sì. Quella parte si è rivelata... un po’ complicata, ma l’abbiamo superata.

- C’è una seconda parte, quindi?

- Eccome.

Elsa stava riflettendo. - Posso fermare Barbanera prima che si avvicini troppo alla costa. Se necessario lo congelerò.

- Mi sembra un’ottima idea, ma ne ho una forse migliore – Kristoff estrasse una pergamena arrotolata dalla tasca. – Sono stato da Gran Papà e gli ho chiesto se ci fosse una soluzione definitiva per sistemare Barbanera, in mancanza... sai, del tuo potere.

- Che cos’è? – Elsa prese la pergamena e la srotolò.

- Un incantesimo. Magia dei troll di roccia.

- Lo farà sparire? – chiese Anna, adocchiando le parole scritte sulla carta ingiallita.

L’incantesimo era trascritto in una calligrafia minuta e arzigogolata. Elsa osservò quelle poche frasi con attenzione.

- Lo imprigionerà. – rispose Kristoff. - Con i suoi uomini e la sua nave. Non so dove né come, ma Gran Papà mi ha assicurato che è molto efficace.

 

***

 

 

Angolo autrice:

Aires è un personaggio de Le Cronache del Mondo Emerso, di Licia Troisi. Compare per la prima volta nel secondo libro, La missione di Sennar.


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Capitolo 17
*** Secretly ***


17

 

 

“T’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima”

[Pablo Neruda, XVII Sonetto]

 

 

- Devo dire che è stato molto divertente – ammise Anna. – Sei sicura di aver sistemato la nave, vero? Voglio dire... Barbanera non la ritroverà tanto facilmente.

-  No, Anna. La nave è stata imprigionata da qualche parte. Non potrà mai ritrovarla. A meno che qualcuno non sciolga l’incantesimo. – rispose Elsa, osservando il porto di Arendelle dai bastioni del palazzo.  

Il gorgo magico che si era aperto non appena Elsa aveva pronunciato l’incantesimo aveva afferrato la nave, trascinandola con sé in una danza frenetica. Era un gorgo maestoso, inquietante, bello come potevano esserlo solo certe cose terribili, un cerchio perfetto avvolto da una luminosa luce verde e azzurra, che si tingeva di nero nel punto in cui sembrava tuffarsi in un abisso senza fondo. Dal luogo in cui si trovavano, erano riusciti a vedere la Jolly Roger che spariva pian piano, diventando sempre  più piccola ai loro occhi. Barbanera e i suoi uomini l’avevano abbandonata quando si erano resi conto che non potevano fare nulla contro quella magia.

- Un pirata senza nave non ha molto da fare se non darsela a gambe. – aveva commentato Kristoff, quando il gorgo si era richiuso e il mare era tornato ad essere una distesa piatta e tranquilla.

Un vero peccato che non fossero riusciti ad imprigionare anche Barbanera. Anna si era immaginata Black Sam che assisteva a quello spettacolo. Certamente avrebbe riso. Avrebbe riso lui e anche Koral, il nostromo. Nonché Aires a bordo della sua Demone Nero.

- E nessuno scioglierà quell’incantesimo – concluse Anna.

- Io non lo farò di certo. – rispose Elsa.

Era sera. Tra le nuvole che coprivano il cielo si intravedevano le stelle. Arendelle era silenziosa. Solo alcune luci brillavano qui e là.

Anche i camminamenti del palazzo erano silenziosi, a dire il vero. Una delle guardie si era addormentata con la schiena contro una delle torrette. Anna l’aveva scosso poco prima, inducendolo a svegliarsi e il soldato si era profuso in scuse, ma non aveva recepito il messaggio, evidentemente.

- Continuo a pensare che dovremmo prendere delle altre guardie. Perché per quanto siano carini, si addormentano troppo facilmente. – commentò Anna, lanciando un’occhiata alla guardia dormiente. L’elmo gli era cascato sugli occhi. - E hanno il sonno pesante! Se sparassero delle cannonate contro il palazzo non le sentirebbero!

- Forse hai ragione – rispose Elsa, prendendola per mano. – Ma non avrebbero il tempo di sparare cannonate. Congelerei i cannoni ben prima. E fortunatamente non tutte le guardie dormono.

- E ci sono le spie.

Elsa sollevò un sopracciglio. - Una regina deve avere qualche spia.

Anna le sorrise. Mentre camminavano in silenzio, osservò la sorella. Il suo viso, ogni tanto illuminato dalle fiaccole, sembrava marmo cesellato, non freddo, ma assolutamente delicato, con i lineamenti armonici. Le labbra parevano più rosse per via del pallore lunare che la sua pelle aveva assunto al buio.

Anna si sorprese ad ammirare quei tratti come se non l’avesse mai fatto prima. Come se ciò che era accaduto tra di loro in quella cella nei sotterranei del castello della Strega Bianca l’avesse cambiata in qualche modo. Come se quel sentimento che condividevano l’avesse resa ancora più bella.

- Cosa c’è? – domandò Elsa, fermandosi.

Non rispose, ma si lasciò andare contro di lei, tra le sue braccia, che la strinsero subito mentre lei posava il volto sul suo collo.

Elsa sospirò, appoggiando il naso fra i suoi capelli.

- Possiamo restare così per sempre? – domandò Anna. Poi si corresse in fretta. – Cioè, non... non proprio per sempre, ecco. Magari per un po’.

- Oh, Anna... se fosse per sempre, penso che non potrei mai chiedere di più. Eppure non sarebbe giusto. Né tantomeno saggio.

- E a me piacciono troppo le follie.

- Questa è ben più di una follia. – Elsa si scostò da lei e le posò le dita sulle labbra. Gli occhi ora possedevano l’azzurro intenso di un cielo tempestoso.

Anna le cinse la vita con un braccio. Si sentiva la testa leggera e aveva l’impressione che le gambe non la reggessero più. Elsa si chinò un po’ in avanti e nel buio le loro bocche si incontrarono prima che una delle due potesse ripensarci. Ad Anna sfuggì un ansito. Chiuse gli occhi. Serrò le palpebre, concentrandosi solo sulle labbra di Elsa, sulla sua pelle sotto le dita.

La regina credeva di soffocare, di essere trascinata nell’inesistenza. Era incapace di pensare. Tuttavia, dopo un lasso di tempo che le sembrò lungo ma anche fin troppo breve, si scostò, raddrizzandosi e umettandosi le labbra, ricercando il sapore di Anna. Sua sorella era diventata tutta rossa e respirava con affanno.

- Non so... non so bene che cosa c’è oltre la follia – disse Anna, con la voce roca. – O meglio sì... credo di saperlo, ormai. Tutto ciò è oltre la follia, l’hai detto tu. Ma può esserci qualcos’altro ancora...

- Forse qualche sortilegio. Se questo lo fosse dovrei chiedere che ce ne liberino.

Non capì se quella di Elsa fosse una domanda. Anna incominciò a ridacchiare senza riuscire a trattenersi. – So come ci si sente quando si è colpiti da un incantesimo ed è ovvio che questo non lo è. Hai dimenticato la polvere elfica?

Anche lei tornò a sorridere. - Non potrei mai.

- Già, nemmeno io. Non mi dimentico né della polvere elfica né tantomeno di quel folletto. Ancor di meno mi dimenticherò di Oberon. E di Titania. Ma soprattutto di Oberon, visto che non faceva altro che ronzarti intorno! – Anna roteò gli occhi, stizzita.

- Questo te lo puoi anche dimenticare – osservò Elsa, prendendola di nuovo tra le braccia, ma con dolcezza, come se temesse di romperla.

- Non ci riesco – Scosse il capo. – È impossibile. Sarà che non ho mai visto nessuno guardarti in quel modo e con tanta insistenza. Tantomeno un elfo. O forse... beh, forse l’ho visto, ma non ci ho fatto molto caso. O non erano così sfacciati come lui! E comunque non è piacevole. Fortuna che non lo rivedremo e se lo rivedremo mi ricorderò di non perderlo di vista. Metterò un guinzaglio al suo folletto se lo porterà con sé. Non ci sono altri matrimoni in programma, vero? E...

Avrebbe voluto fermare quel fiume in piena baciandola ancora, ma si trattenne.

- E se penso al fatto che un giorno potrebbero presentarsi dei pretendenti pronti a chiedere la tua mano...

Elsa rise. – Non credo che succederà tanto presto, Anna.

Immaginava che, se anche ci fossero stati dei pretendenti, il suo potere li avrebbe intimiditi abbastanza da non provarci neppure. Ed Elsa non desiderava alcun pretendente.

- Oh, ma sono sicura che prima o poi succederà. Alla regine succede sempre. Magari troverai qualcuno che ti piace. E io lo odierò, chiunque sia. Li odierò tutti.

Pensava fosse davvero adorabile. La sua sorellina.

Il suo unico vero amore. La sua famiglia.

Non riusciva nemmeno a figurarsi un momento nel futuro in cui avrebbe amato qualcuno più di quanto amava Anna.

- Magari troverai qualcuno di tuo gradimento tra i miei... pretendenti – commentò Elsa.

- Ne dubito. A meno che... a meno che non sia perfetto, ecco! – Si morse il labbro e alzò gli occhi al cielo. – D’accordo, magari non perfetto, perché nessuno lo è. Diciamo... alla tua altezza, sì. A meno che non sia alla tua altezza. Allora potrei evitare di odiarlo.

- Bene.

- Avrei potuto accettare Emma, per esempio. – Lo disse come se fosse solo un frase casuale.

Elsa aggrottò la fronte. – Credevo ti desse fastidio.

- Infatti. Ma lei è... alla tua altezza. La accetterei perché so che ti proteggerebbe, come farebbe un cavaliere con la sua regina.

- Anna...

- È vero, lo farebbe, ne sono convinta.

- Emma è solo una mia amica, te l’ho già detto. – Elsa sollevò lo sguardo per qualche istante, pensierosa. Chiedendosi che cosa stesse facendo Emma in quel momento, dove fosse, se stesse bene. Immaginandosi gli occhi verdazzurri corrucciati, impegnati a scrutare qualcosa o qualcuno con attenzione, per decifrarlo. Ricordandosi del modo in cui l’avevano guardata, quegli occhi verdazzurri, durante il loro primo, turbolento incontro in mezzo al ghiaccio...

“Chi sei tu?”

“Il mio nome è Elsa!”

“Okay, Elsa. Va tutto bene. Sono Emma”.

...A come l’avevano guardata quando Elsa era arrivata in quella casa e l’aveva convinta ad accettarsi per ciò che era. Non c’era mai stato il sospetto, negli occhi di Emma. Non c’era mai stata la paura verso il suo potere freddo e difficile da controllare, nemmeno quando Elsa aveva rischiato di ucciderla imprigionandola nella grotta. Non ce l’aveva mai avuta con lei. L’aveva sempre aiutata. Emma l’aveva capita fin da subito. Si erano capite fin da subito.

- Però lo farebbe – continuò Anna. – Ricordati che sono brava a giudicare le persone.

- Sì, diciamo che sei diventata brava... recentemente. Non lo eri quando hai sposato Hans. – le ricordò Elsa, accigliandosi.

- Perché ero più ingenua.

- Certo. E il giorno dopo hai incontrato Kristoff.

Anna sospirò. – Dimmi una cosa, tu e lui vi siete messi d’accordo, vero? Kristoff mi ha detto la stessa cosa.

- Qualche volta la pensiamo allo stesso modo. So che sembra strano, ma è così. E in ogni caso, per quanto riguarda Emma... lei appartiene a qualcun altro.

“Non vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata. Per una donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un uomo che si fida di voi”.

Ci aveva pensato fino allo sfinimento.

Kristoff non dovrebbe fidarsi di me. Lui non lo sa e non lo saprà mai. Ma non dovrebbe fidarsi di me. Io non merito affatto la sua fiducia.

Aveva girato la testa, quasi senza accorgersene, sfuggendo agli occhi di Anna. Ma la sorella le posò una mano sul viso, costringendola a voltarsi di nuovo.

- Sei infelice? – le domandò, a bruciapelo, Anna.

- Cosa?

- Voglio saperlo davvero. Al mio matrimonio hai detto che eri felice per me. E tu lo sai che non posso essere felice se tu non lo sei.

Elsa aveva le labbra così vicine a quella di Anna che sarebbe bastato un minimo movimento per incontrarle un’altra volta. Posò gli occhi su di esse, guardandole schiudersi. – Io... non sono infelice, Anna. La mia felicità dipende anche dalla tua e so che con Kristoff sei felice. Lui ti ama ed io sono contenta che sia così.

- Ma?

- Non devo più toccarti. Lui non è solo tuo marito. È mio amico. Non dovrei più farlo.

Anna non disse niente. Anche lei ci aveva pensato fino alla nausea. E per quanto sapesse che Elsa aveva ragione, che non avrebbe più dovuto permetterle, né permettersi, di toccarla in quel modo... sapeva anche che non poteva prometterglielo.

“Sareste costrette a nascondere ciò che provate per sempre! E prima o poi... commettereste un errore irreparabile. Non si possono soffocare i sentimenti, Anna”.

Anna aprì la bocca per parlare, ma alla fine non disse niente. Si strinse di nuovo a lei ed Elsa l’abbracciò stretta.

“Se tenete il vostro cuore, questi sentimenti vi accompagneranno per molto tempo. Forse per sempre. Pensate di poterlo nascondere per sempre, Elsa?”.

Ho scelta?, si chiese Elsa.

“Credete di esserne capace? Scommetto di no. Nessuno ne è capace”.

Eppure doveva esserlo. Amava Anna in un modo che non era affatto lecito. L’amava  profondamente, più di quanto avrebbe dovuto fare una sorella. Ed era consapevole che, se le avesse chiesto di seguirla, in quel momento non sarebbe stata in grado di resisterle.

“Volevo farlo quando ti ho vista in abito da sposa. E anche dopo. Non sono più riuscita a smettere di guardarti...”

“Se volevi farlo da quando mi hai visto in abito da sposa, allora non smettere”.

- Anna... – cominciò Elsa, sottovoce. Ma s’interruppe.

- Sì. Cosa?

- Io... credo... – rispose lei, sopraffatta dallo stupore. – Volevo soltanto dire il tuo nome.

 

***

 

 

Angolo autrice:

Ebbene, ormai siamo alla fine. Manca soltanto l’epilogo. Sigh.

 

La poesia di Neruda citata all’inizio del capitolo:

 

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.


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Capitolo 18
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

“Il tuo sorriso dolce è così trasparente
Che dopo non c’è niente.
È così semplice e così profondo
Che azzera tutto il resto e fa finire il mondo”

(Tiziano Ferro, L’ultima notte al mondo)

 

 

- Elsa, non voglio farlo mai più! Ricordami di non farlo mai più, ti prego!

Lei le scostò qualche ciocca di capelli dalla fronte. – Non preoccuparti, Anna. Presto sarà tutto finito.

- Questo l’hai detto anche un’ora fa! – le rispose Anna, a voce alta.

- No, l’ho detto dieci minuti fa.

- Beh, io credo... – Un’espressione stupita le passò sul viso. Si morse il labbro a sangue e poi si lasciò sfuggire un grido. L’ennesimo. – Io credo che morirò.

- Andrà tutto bene. Ormai non dovrebbe mancare molto.

- Anche questo l’hai già detto! Stai diventando come me. Ripeti le cose più volte! – Gli occhi di Anna erano stanchi e arrossati.

Elsa lasciò che le stringesse forte la mano. Era vero, l’aveva già detto e ormai non poteva quasi più nascondere la sua preoccupazione. La levatrice non sembrava in ansia, anche se il travaglio durava da parecchie ore. La sua aiutante andò a mettere un recipiente d’acqua sopra il fuoco e nella stanza del parto si diffuse l’odore delle erbe medicinali che vi gettò. La finestra era aperta e i tendaggi erano scossi da una leggera brezza.

- Vostra sorella ha ragione, principessa. Tra poco sarà tutto finito. Dovete prepararvi a spingere – disse la donna che si era aggirata a lungo intorno al letto.

- Non ho la forza per farlo – commentò Anna, adagiando la testa sul cuscino e respirando affannosamente.

Elsa le tirò via qualche altra ciocca dalla viso sudato. – Sì che ne hai, Anna. E se pensi davvero di non averne abbastanza allora prendi un po’ della mia, di forza.

Anna riuscì a sorridere.

Un’altra ragazza arrivata con la levatrice aveva portato con sé un’arpa e si era seduta in un angolo a strimpellare un motivo rasserenante. E che sembrava rasserenante solo per lei.

- La musica, l’incenso... sembra una festa, sapete? – ricominciò Anna. – Un divertimento per chiunque, tranne che per la diretta interessata, cioè io!

- Non è incenso, principessa. Sono erbe. Ve le daremo quando avrete dato alla luce vostro figlio. Vi aiuteranno a rilassarvi... – cercò di spiegarle la levatrice, pazientemente.

Lei non le diede retta. Seguitò a parlare a ruota libera. – Perché non chiamate anche qualche acrobata e delle danzatrici, già che ci siete? Ah, trovate anche qualcuno che esibisca una renna con due teste, un mangiatore di fuoco e un ingoiatore di spade... ma poi abbiamo ingoiatori di spade ad Arendelle? Di certo sarà difficile trovare un mangiatore di fuoco...

- Magari lo troveremo, Anna – rispose Elsa, per calmarla.

- Lo domanderò anche a Kristoff...

- Sì, sono sicura che se scendessi a domandarglielo te ne manderebbe uno.

- E chi vi dice che sarà un maschio? Potrebbe anche essere una femmina. Voglio dire, se fosse uno maschio andrebbe benissimo... andrebbe bene in ogni caso, ecco!

- Naturalmente, principessa – rispose la levatrice.

- Elsa, come ha fatto nostra madre a partorire due figlie...? – L’ultima parola finì in un grido quando l’ennesima contrazione colpì. – Questa è stata davvero forte...

Alla fine, poco dopo il tramonto, Anna diede alla luce una bambina che dimostrò subito di essere forte e sana strillando a pieni polmoni. La levatrice l’avvolse in un velo e la posò tra le braccia della madre.

- È una splendida bambina, principessa. Ed è anche grande! – osservò la donna, sorridendo. Poi invitò le due aiutanti a seguirla fuori dalla stanza. Sarebbe tornata tra poco per dare ad Anna quell’intruglio di erbe che avrebbe dovuto aiutarla a rilassarsi, come aveva detto.

- A me non sembra grande. – commentò Anna, stringendo delicatamente la creatura e sfiorandole la guancia con la punta dell’indice. – Sembra piccola e indifesa.

Elsa le avrebbe anche risposto, se non fosse stata così abbagliata dalla bambina e così emozionata per ciò che stava vedendo. La figlia di Anna singhiozzava ancora. Teneva gli occhi strizzati e il suo viso era rosso e un po’ grinzoso, ma era una meraviglia. Elsa pensava che questo fosse un altro regalo. Uno di quei regali che fino a qualche tempo prima non si sarebbe aspettata di ricevere, isolata com’era all’interno del palazzo, incapace di controllare il suo potere e di avvicinare la sorella come avrebbe voluto.

Mentre ora...

- Vuoi tenerla? – chiese Anna, rivolgendosi a lei e costringendola ad abbandonare le sue riflessioni. Ora era molto più rilassata, anche se esausta.

Elsa esitò. Anna, invece, le diede la bambina, mettendogliela tra le braccia.

La levatrice aveva ragione; era piuttosto grande per essere appena nata. Dischiuse lievemente le palpebre, per poi riabbassarle subito. Le dita minuscole si liberarono del velo che le copriva e la mano si sollevò, afferrando l’aria. Elsa si protese per posarle un bacio sulla fronte e la bambina spostò la mano quel tanto che bastava per appoggiarla sul suo naso. Emise un versetto gorgogliante.

Anna sorrise. Notò quanto gli occhi della sorella maggiore brillassero nel guardare la bambina. Entrambe parevano brillare, spandendo in quella stanza una nuova luce.

Poi Elsa si riscosse e sollevò lo sguardo. – Oh... dovrei... dovresti riposare, Anna. Vado da Kristoff, a dirgli che stai bene. Non oso immaginare quanto sia preoccupato.

- Mmm... – rispose lei. Il peso del mondo doveva esserle ricaduto sulle spalle, perché si sentiva pesante e assonnata. Non aveva bisogno di quelle orribili erbe.

Prima di andarsene Elsa si chinò e le diede un bacio leggero sull’angolo delle labbra. Anna vide il suo viso da molto vicino e si accorse che una lacrima le era scivolata sulla guancia.

- Elsa... stai piangendo? – le domandò, con la voce roca e assonnata.

- Sto bene. – Guardò ancora la nuova vita che respirava contro il suo petto, fra il suo corpo e quello di Anna. – Sono molto felice.

Ed era vero. Non avrebbe mai potuto chiedere di più.

 

***

 

 

Angolo autrice:

Ebbene sì! Anche questa storia è giunta al termine. Sono un po’ triste, come sempre quando finisco una storia, ma sono anche contenta.

Ringrazio tutti coloro che l’hanno letta. Spero amiate questo epilogo fluffoso... e probabilmente un po’ ambiguo.

Ho voluto inserire un piccolo parallelo con una scena Rumple/Baelfire (quanto Elsa prende in braccio la bambina di Anna e lei gli tocca il naso).

E niente. Grazie ancora!


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