La sua paura di LadyRealgar (/viewuser.php?uid=783442)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dov'è casa? ***
Capitolo 2: *** Incubi ***
Capitolo 3: *** Sapone e forbici da sarta ***
Capitolo 4: *** Mjolnir ***
Capitolo 5: *** Arrosto di maiale e patate al forno ***
Capitolo 6: *** My fault ***
Capitolo 7: *** Grazie, Heimdall ***
Capitolo 8: *** Il nome è Fandral e l'indirizzo è il 221B di Ásaheimr Street ***
Capitolo 9: *** Stelle estranee ***
Capitolo 10: *** Il ritorno del principe ***
Capitolo 11: *** The Chamber of the Secrets ***
Capitolo 12: *** Il ritratto ***
Capitolo 13: *** Complice ***
Capitolo 14: *** Ferro e fuoco ***
Capitolo 15: *** Aspettative ***
Capitolo 16: *** A long expected party ***
Capitolo 17: *** Il Vincolo Sacro ***
Capitolo 18: *** Pedina ***
Capitolo 19: *** La speranza che sconfigge l'odio ***
Capitolo 20: *** E guerra fu ***
Capitolo 21: *** Non finché sarò vivo ***
Capitolo 22: *** Phoneus ***
Capitolo 23: *** Power, Duty and Memories ***
Capitolo 24: *** Un prezzo da pagare ***
Capitolo 25: *** Gotta Wake Up! ***
Capitolo 26: *** Eitur Myri ***
Capitolo 27: *** Old friends ***
Capitolo 28: *** Ti fidi di me? ***
Capitolo 29: *** Non oggi ***
Capitolo 30: *** Promise me that this is not the end ***
Capitolo 1 *** Dov'è casa? ***
-Merda!
Fu la prima parola che la ragazza, svegliandosi da un lungo sonno, riuscì a sibilare attraverso le labbra screpolate.
La testa le girava vorticosamente e un dolore acuto le si diffondeva nel cranio e nelle spalle a partire dalla nuca.
D’istinto andò a toccarsi con le dita il punto dolente e sui polpastrelli sentì qualcosa di viscido e appiccicoso che, una volta osservato attentamente (e a fatica), si rivelò essere sangue in fase di coagulazione.
-Merda…- sibilò di nuovo la fanciulla. Se ci fosse stato suo padre, l’avrebbe rimproverata severamente per quel linguaggio scurrile, per nulla adatto ad una fanciulla di vent’anni, ma a Chiara non importò: imprecare entrava nel meccanismo di reazione al dolore, perciò che facesse pure, le sarebbe stato solo d’aiuto.
Era distesa sulla schiena e l’intorpidimento alle gambe e alle braccia le fecero capire che doveva trovarsi in quella posizione su una superficie rigida da molto tempo.
Anche troppo per i suoi gusti.
Gli occhi facevano ancora fatica a mettere a fuoco l’ambiente che la circondava, ma suppose che fosse caduta dal letto nel sonno e si fosse così procurata la ferita alla nuca.
Placata da quel pensiero, socchiuse le palpebre per permettere alle pupille di adattarsi meglio alla luce della stanza e cominciò a muovere i piedi e le mani per riattivare la circolazione e togliersi di dosso quel fastidioso formicolio.
Mentre eseguiva quell’esercizio si chiese come mai né i suoi genitori né suo fratello fossero venuti a prestarle soccorso, ma poi si ricordò che, sebbene lei avesse già concluso la sua sessione primaverile di esami all’università, per loro non erano ancora giunte le tanto agognate vacanze. Veniva dunque da sé che, vedendo la porta della stanza chiusa, avessero pensato che stesse semplicemente dormendo e non l’avessero voluta disturbare.
Molto premuroso, certo, ma a Chiara non sarebbe dispiaciuto ricevere un po’ di cure.
Nel frattempo gli occhi incominciavano ad adattarsi meglio alla luce e la ragazza poté scorgere il bianco dell’intonaco del soffitto; il suo sguardo cadde, poi, verso il suo corpo disteso e notò che non indossava il suo solito pigiama, bensì un paio di jeans e una maglietta.
“Non sarò mica tornata a casa ubriaca?” si domandò: in effetti, non riusciva a ricordare cosa le fosse successo o cosa avesse fatto prima di addormentarsi.
“Devo essere stata a qualche festa” continuò, mentre i suoi arti cominciavano lentamente a riprendere la loro funzione, “ Evidentemente devo essermi bevuta qualche Gin Lemon di troppo e, tornata a casa, devo essermi messa a dormire vestita e … un momento! Che fine ha fatto il lampadario?”
La sua vista era tornata perfettamente funzionante e, concentrandosi sul soffitto, si era messa alla ricerca di quell’oggetto familiare, ma senza trovarlo.
La mancanza di quel fondamentale dettaglio allarmò profondamente la ragazza, che scattò a sedere, quasi fosse stata caricata a molla. La preoccupazione le fece dimenticare per un attimo il dolore alla testa e tutta la sua concentrazione si focalizzò nell’osservare l’ambiente intorno a sé.
La scrivania, l’armadio, la libreria, le mensole, il letto e lo specchio, che arredavano solitamente la sua camera da letto, erano scomparsi, dissolti nel nulla e sostituiti da una brandina di legno imbottita di paglia, un basso sgabello a tre piedi, un catino e una brocca, il tutto contenuto in una stanza priva di finestre e delimitata da un soffitto, un pavimento e tre pareti completamente bianchi. Esatto, solo tre, in quanto la quarta era composta da un unico pannello trasparente di un vago color giallo.
-Dove sono andate a finire tutte le mie cose?- bisbigliò, tenendosi la testa dolorante con una mano.
Sebbene cercasse disperatamente di spiegarsi il motivo della scomparsa dei suoi mobili e dei suoi libri, Chiara non riusciva assolutamente a venirne a capo; poi per un folle, assurdo momento una vocina nella sua testa le sussurrò: “E se non ci fossero mai stati?”. Fu una tremenda rivelazione, ma tutto le apparve chiaro: non mancava nulla in quella stanza, anzi, c’era qualcosa in più: lei.
Non era nella sua camera, ma in un posto completamente diverso. Il punto era: dove?
Chiara si alzò faticosamente dal pavimento, ma le sue gambe erano ancora troppo deboli per reggere adeguatamente il peso del corpo e così, barcollante, si avvicinò a lenti passi verso il pannello.
-Maledizione…- il dolore era intenso, come se qualcuno le avesse colpito la nuca con un bastone, rendendo il suo equilibrio estremamente precario sicché, ad un tratto, inciampò nei propri piedi, finendo con il braccio sinistro contro il pannello. La sensazione fu quella di una forte e dolorosa scossa elettrica che dalla spalla la percorse per tutto il corpo, dandole la spinta per allontanarsi dal pannello e facendola tornare sul pavimento.
Seduta al suolo, con il braccio che le bruciava per la scossa ricevuta, alle orecchie le giunse un rumore roco e gorgogliante. Le ci volle una manciata di secondi per comprendere da dove provenisse, ma quando lo scoprì il suo cuore perse un battito: oltre il vetro, dentro una stanza simile alla sua, un energumeno dalla pelle grigia come l’acciaio, costellata di cicatrici e tatuaggi, e dai capelli e gli occhi rossi come il sangue la stava osservando. Non solo, stava ridendo.
La paura prese il sopravvento e Chiara iniziò a tremare incontrollatamente, fomentando ancora di più l’ilarità di quella creatura.
La ragazza non poteva credere ai propri occhi: che cos’era quell’essere? Ma, soprattutto, le si poteva avvicinare?
Sperò con tutto il cuore che quel pannello fosse abbastanza resistente da tenerla al sicuro.
Era spaventata, disorientata e il dolore fisico stava aumentando di intensità. Senza che lo desiderasse, sui suoi occhi si depose un liquido velo di lacrime, offuscandole la vista. Subito si strofinò le palpebre con il pugno chiuso per nascondere quel segno di debolezza, ma non riuscì a impedire ad una goccia di scivolare sulla sua guancia sinistra.
-Dannazione!- singhiozzò la ragazza, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo di ricacciare indietro quelle fastidiose gocce salate, ma la cosa non sfuggì al mostro, che continuò a ridere di gusto.
-Oh, sta zitto!- gli rispose, alzandosi con fatica sulle gambe, che in quel momento le sembravano essere fatte di burro.
Si avvicinò nuovamente al pannello, mantenendo una discreta distanza di sicurezza, e si diede uno sguardo intorno: ai lati si estendeva un corridoio, lungo il quale si distribuivano numerose altre celle simili alla sua; buona parte di esse ospitavano uno o più individui. Il fatto che ognuno dei detenuti sembrava essere uscito da un macabro negozio di costumi di fantascienza non la sorprese.
Qualcosa, però, diede nuova speranza alla fanciulla: in fondo al corridoio a destra, infatti, vi era una grande porta di ferro, ai cui lati stavano, ben ritte e con le lance in mostra, quelle che sembravano essere due guardie.
“Un’uscita!”
Ignorando il penetrante sguardo del suo dirimpettaio, Chiara cercò di richiamare la loro attenzione.
-Scusate … - disse, ma il suo tono di voce era troppo basso e debole e non vi fu alcuna risposta.
Sul volto del mostro si disegnò un sorriso beffardo: quello spettacolo doveva rappresentare per lui un gran divertimento! Aggiunse anche qualche verso gutturale, probabilmente un commento sarcastico, che Chiara ringraziò di non aver capito.
Si fece coraggio, prese un bel respiro e urlò: -Ehi voi!
Questa volta era stata sentita e le due guardie, dopo essersi scambiate uno sguardo perplesso, si avvicinarono alla sua cella con passo pesante.
Quando se le trovò davanti, per un attimo Chiara si pentì di averle chiamate: erano alte e possenti, vestite di placche di metallo lucente e le punte delle loro lance scintillavano orgogliose del filo appena fatto.
La spaventavano, ma almeno sembravano meno crudeli del mostro della cella di fronte, che intanto si era seduto sulla sua branda per ammirare comodamente la scena.
-Cosa vuoi?- chiese bruscamente uno dei due uomini.
-Dove mi trovo?- domandò la ragazza con un filo di voce.
Le due guardie si scambiarono uno sguardo e un ghigno canzonatorio, finché una rispose: - Sei in una cella!
A quella frase i due uomini scoppiarono in grasse risate in una cacofonia di gorgoglii e ruggiti.
-Lo so di trovarmi in una cella! Ma dove?- domandò la ragazza, questa volta con rabbia.
-In una prigione!
Altro scroscio di risate.
Chiara strinse i pugni, desiderando di essere più alta dei suoi 156 cm e di avere un qualunque oggetto da lanciare su quei mascalzoni, cancellando i sorrisi idioti dalle loro brutte facce. Sentiva la rabbia e la vergogna crescere nel cuore e salirle fino alla gola, finché non esplose in un grido: -DOVE DIAVOLO MI TROVO?
-Ad Asgard!- rispose una voce maschile in lontananza, molto più calda e ferma di quelle delle due guardie, al cui suono erano balzate sull’attenti e (finalmente) si erano zittite.
Incerta sulla risposta appena ricevuta, Chiara volse lo sguardo in direzione della voce e vide un giovane uomo dal portamento nobile avvicinarsi a passi veloci e cadenzati.
Era alto e massiccio, con una robusta mascella squadrata e il naso leggermente schiacciato, ma dai lineamenti, nel complesso, simmetrici e armoniosi, i suoi capelli, del colore del grano, erano raccolti in una coda e le spalle erano avvolte da un lungo mantello rosso. Sembrava un atleta o un uomo d’armi, ma di sicuro, vista la reazione che avevano avuto le guardie, doveva essere un pezzo grosso.
L’uomo le si pose esattamente di fronte e la osservò dall’alto della sua statura, che, nonostante il suolo della cella fosse rialzato di una decina di centimetri rispetto al corridoio, risultava comunque molto imponente.
Ora che poteva vederlo chiaramente, si rese conto di quanto fosse attraente il suo interlocutore e, istintivamente, si portò una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio, mentre domandava: -Chi sei?
Un sorriso spuntò sul volto dell’uomo, che rispose -Il mio nome è Thor, figlio di Odino e principe di Asgard. Qual è il vostro, fanciulla?
“Cosa sta dicendo questo?” si domandò Chiara “Il principe di cosa?”, poi si accorse che Thor stava ancora aspettando una risposta e si affrettò a dire: -Mi chiamo Chiara e vorrei sapere dove mi trovo e per quale ragione… per favore.
“Ma come per favore? Svegliati, Chiara! Sei in gattabuia! Cerca di essere più determinata!”
-Molto bene... Chiara. Come ho già detto, ti trovi ad Asgard, il Regno degli Dei, e sul perché ti trovi qui sarà compito di mio padre illustrartelo- aggiunse poi, facendo un cenno alle guardie:- Infatti egli desidera averti a colloquio e io sono qui per condurti da lui.
In un attimo il pannello si dissolse e una guardia oltrepassò la soglia della cella. Il suo volto era diventato impassibile e i suoi gesti quasi meccanici.
“Non fai più tanto lo sbruffone ora che il capo è qui a guardarti, vero?” si trovò a pensare la ragazza, mentre le ammanettavano i polsi. Il freddo contatto del metallo sulla pelle la riportò alla realtà: era sola e in manette contro tre energumeni armati. Doveva risparmiarsi i commenti e le battutine se voleva uscirne incolume.
Venne condotta, o meglio, trascinata come un cane al guinzaglio, attraverso il corridoio. Thor apriva il corteo e le guardie le stavano ai lati, mentre altri due uomini armati prendevano il loro posto a guardia dei detenuti.
Intanto, il mostro osservava avidamente la scena, seguendo con lo sguardo il cordoglio finché non vennero chiuse le pesanti porte di ferro e il gruppo cominciò a percorrere una lunga scalinata.
Man mano che si allontanavano dalla prigione, l’aria sembrava farsi più pulita e leggera e le gambe della ragazza iniziarono a riprendere la loro funzione.
Al termine dell’ascesa, che parve infinita per la ragazza allo stremo delle forze, vi era una seconda porta, che, una volta aperta, lasciò entrare un fascio di luce. I suoi occhi, abituati all’oscurità, rimasero abbagliati da quella fonte luminosa così improvvisa e per qualche secondo non furono in grado di scorgere nulla di ciò che avevano intorno.
Ma non appena le pupille si furono ristrette, quello che vide la ragazza la lasciò senza fiato: intorno a lei si estendeva un’enorme sala, tappezzata di meravigliosi arazzi e illuminata dalla luce del tramonto, che entrava attraverso i vetri di grandi finestre bifore.
Sotto ai suoi piedi riluceva la superficie lucidata del marmo nero, liscia e splendente al punto da poter vedere il riflesso di Thor, che, avanti di un paio di passi, con il suo lungo mantello svolazzante, sembrava una di quelle nuvole del tramonto che si intravedevano attraverso le finestre.
Alla stanza degli arazzi seguì un ballatoio che dava verso l’esterno e Chiara riuscì a sbirciare il paesaggio: una grande città si estendeva sotto si loro, ricca di case e di fermento e bagnata dal mare, sulle cui acque, arancioni per il crepuscolo, flottavano pigramente delle buffe imbarcazioni.
Non riusciva a riconoscere nulla di quello che vedeva, non un edificio o una strada che potesse darle un qualche suggerimento sulla sua ubicazione.
Il senso di smarrimento cresceva esponenzialmente ad ogni nuovo tetto che riusciva a scorgere, ma dovette ammettere a se stessa che quello che aveva davanti era uno spettacolo meraviglioso: le lunghe ombre della sera delineavano con maggiore profondità le forme degli edifici e delle abitazioni, i cui tetti scintillavano di mille colori, come se fossero stati fatti di madreperla. Poteva sentire le voci dei mercanti che gridavano le ultime offerte della giornata e i bambini che cantavano e giocavano nella polvere delle strade.
Il tutto trasmetteva un senso di pace e di tranquillità che non si sarebbe mai aspettata di trovare in una situazione tanto drammatica.
Tra una colonna e l’altra, mentre attraversavano il ballatoio, Chiara scorse un ponte che si estendeva per centinaia di metri in direzione del mare, ma senza condurre apparentemente da nessuna parte: terminava, infatti, in quello che sembrava una sorta di osservatorio astronomico di forma semi sferica con un lungo spuntone piramidale che si ergeva verso l’alto. Era uno strano edificio, ma non era quello l’aspetto più bizzarro: secondo chissà quale gioco di luce, quel ponte brillava dei sette colori dello spettro del visibile. Sembrava un arcobaleno!
“Forse c’è un qualche sistema di illuminazione artificiale che da questa distanza non riesco a vedere…”.
-È uno spettacolo magnifico, non è vero?- le chiese il principe.
Chiara, colta di sorpresa, sobbalzò e si accorse di star osservando il ponte a bocca aperta (“Come un’ebete” si rimproverò).
-È bellissimo, certo- rispose -Ma avrei preferito vedere qualcosa di più familiare.
Si morse il labbro: non riusciva proprio a tacere? Già si aspettava che l'uomo saltasse su tutte le furie e la rispedisse a marcire in cella, ma ciò, fortunatamente, non accadde: egli si limitò ad osservarla per qualche secondo, poi fece dietrofront e il gruppo riprese a camminare.
I passi rimbombavano lungo le diverse stanze che la compagnia attraversò, una più bella e fastosa dell’altra, finché Thor non si fermò di fronte a una porta chiusa, imitato dalle guardie.
Si voltò verso la ragazza e disse, facendo un breve sorriso di incoraggiamento: -Oltre questa porta si trova Odino. Sii rispettosa e rispondi a tutte le sue domande.
A Chiara non restò altro che fare un breve cenno di assenso con la testa, che sembrò soddisfare l’uomo, sicché le porte si spalancarono e la prigioniera venne condotta nella sala del trono.
La grande sala era illuminata dal fuoco di decine di torce, facendo sfavillare di mille luci il pavimento di pietra levigata e finemente intarsiata. Lungo le pareti scendevano armoniosamente dei drappi purpurei, che ondeggiavano alla brezza della sera, ma, in tutto quello sfarzo e in quella opulenza, era il maestoso trono a rifulgere in tutto il suo splendore sopra ogni cosa, emanando bagliori dorati.
Tuttavia, ciò che attrasse maggiormente l’attenzione della ragazza non fu lo sfarzo, né la maestosità della sala, e neppure lo sguardo di disapprovazione della servitù disposta lungo le pareti, quanto l’anziano uomo che sedeva, gambe larghe e la schiena leggermente inclinata verso sinistra, sul possente scranno.
Sembrava trovarsi perfettamente a suo agio in quell’ambiente e su quel trono, come se a costruirli fosse stato lui stesso a proprio uso e consumo, e nel suo occhio destro (l’altro, cieco, era coperto da una benda) si intravedeva una mente arguta e piena di conoscenza.
La sensazione di vulnerabilità che quell’unico occhio era in grado di procurarle la fece rabbrividire.
Pochi metri la distanziavano da Odino e, a quel punto, Thor prese parola: -Padre, come richiesto, ti ho portato la ragazza affinché tu possa interrogarla.
Il vecchio fece un breve cenno con il capo e Thor e le guardie si allontanarono da dalla prigioniera, rimasta sola ad affrontare il Padre degli Dei.
-Ragazza- cominciò l’uomo, con voce calma ma ferma - qual è il tuo nome e da dove vieni?
-Mi chiamo Chiara- rispose, cercando di celare il timore che quell’uomo le incuteva - e vengo da Siena.
Il Dio rifletté per qualche secondo sulla risposta ricevuta, poi, con un piglio ancora più severo e una voce ancora più grave, riprese a parlare: -Vieni dunque da Midgard?
-Da dove?- domandò la ragazza, incredula.
-Da quel cumulo di roccia e fango che voi chiamate Terra- rispose spazientito il Padre degli Dei.
La bocca della ragazza si aprì e si richiuse senza emettere un suono. Non riusciva a credere a quello che aveva appena udito.
-Co…come sarebbe a dire “dalla Terra”?- balbettò Chiara, il cui tentativo di dimostrarsi spavalda era andato totalmente in frantumi -Non siamo sulla Terra in questo momento?
Le labbra di Odino si contrassero in un ghigno divertito, poi aggiunse: -No, siamo ad Asgard, un regno ben diverso e ben lontano da Midgard; talmente lontano che, se utilizzassi uno di quei ridicoli macchinari che voi umani adoperate per fare i vostri “viaggi nello spazio”, non ti basterebbero cinquecento vite per tornarvi.
Per un attimo le ginocchia della ragazza cedettero sotto il peso della notizia e si ritrovò a contatto con il freddo pavimento a contare i battiti del proprio cuore per calmarsi.
“Uno … due … tre … quattro …”.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Odino riprese a parlare: - Ora basta con questa commedia, come hai fatto a raggiungere Asgard da sola?
Lo sguardo di Chiara si alzò di scatto sul volto del dio: cosa stava dicendo? Come avrebbe mai potuto lei raggiungere un altro pianeta? Era un pensiero ridicolo! Eppure … lei era pur sempre lì, sul pavimento di una sala del trono di un posto chiamato Asgard. Com’era possibile?
Si rimise in piedi, le braccia appesantite dalle catene, e disse: -Non ho idea di come sia potuto accadere. Non ne avevo intenzione né conosco qualcuno che abbia le capacità o l’intento di venire qui. Non ero nemmeno a conoscenza di altri pianeti abitati oltre al mio.
Vi fu di nuovo silenzio, interrotto ogni tanto da un debole bisbigliare in fondo alla sala. “Sto dando spettacolo” pensò la ragazza, mentre cercava di decifrare il viso di Odino, nel tentativo di comprendere i suoi pensieri.
Il Padre degli Dei, alla fine, si alzò in piedi, osservandola con diffidenza, poi diede una voce alle guardie, che le si affiancarono e ne raccolsero le catene.
-Portate la ragazza nella sua cella- decretò il sovrano -lasciamo che un giorno di prigionia le schiarisca le idee e i ricordi.
Chiara venne strattonata da una guardia, mentre l’altra la spronava con la base della sua lancia.
-Non ho mentito!- urlo la ragazza -Non so davvero come sia potuto succedere! Lasciatemi andare!
Le sue richieste non vennero ascoltate e Chiara, dopo un iniziale e ridicolo tentativo di opporre resistenza, venne ricondotta nella prigione, nella stessa cella da cui era stata prelevata.
A nulla valse urlare e chiedere ascolto: nessuna risposta vi fu alle sue grida.
Stanca e stremata, ma soprattutto sconfitta, si sdraiò sulla sua branda, sforzandosi di ricordare cosa le fosse successo prima di svegliarsi in quell’incubo.
Non era forse questo quello che Odino desiderava? Se ricordare l’avrebbe fatta uscire da quell’inferno, avrebbe concentrato ogni energia, ogni sforzo, pur di riuscirci.
Rimase per ore sulla paglia, analizzando ogni momento che riusciva a ricostruire nella sua mente prima del blackout, prima di svenire e di risvegliarsi sul pavimento di quella cella.
Pensò a quello che aveva fatto quel giorno (ma quale giorno? Da quanto tempo era richiusa lì dentro?), ai percorsi che aveva intrapreso, alle persone che aveva visto e da lì la sua mente volò alla sua casa e alla sua famiglia.
Chissà come stavano i suoi genitori e suo fratello? Sarebbero stati in pensiero per lei? L’avrebbero cercata? Ma, soprattutto, sarebbe mai tornata da loro?
A quel pensiero la sua forza di volontà svanì come neve sotto il sole di marzo e le lacrime cominciarono a scendere copiose lungo il suo viso, bagnandole il collo e i capelli.
Si sforzò inutilmente di nascondere i singhiozzi, ma un altro suono le giunse alle orecchie.
Una voce: -Non ho mai sopportato i piagnistei!
Angolo dell'autrice: Bene, eccoci qui. Confesso di essere un po' emozionata: non mi era mai capitato di pubblicare su internet un mio racconto e spero di essere riuscita a esprimermi nella maniera più chiara e comprensibile possibile, riuscendo però anche a trasmettere qualche emozione. Chi sarà la voce che Chiara sente nella sua cella? Dai, che l'avete già capito ;)
Vorrei ringraziare calorosamente Francesca, aka Kinnabaris, che mi sopporta ogni volta che mi viene un'idea su una storia, che le ascolta tutte con intelligenza e pazienza e che sa sempre consigliarmi al meglio.
Alla prossima,
LadyRealgar |
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Capitolo 2 *** Incubi ***
Chiara
si alzò di scatto a sedere, quasi fosse stata punta da una
vespa, e si voltò in
direzione della voce.
Quello
che vide fu un uomo, molto alto e magro, con capelli corvini lunghi
fino alle
spalle, accuratamente spazzolati all’indietro, e grandi occhi
verdi, freddi
come il ghiaccio.
Se
ne stava lì, a poco più di tre metri da lei, in
piedi, con le mani dietro la
schiena e un mezzo sorriso disegnato sulle labbra sottili. Sembrava essere piuttosto
giovane, ma dal suo
sguardo traspariva un’intelligenza e un acume che andavano
ben al di là della
giovane età.
-Come
hai fatto ad entrare?- domandò Chiara.
-Domanda
intelligente- rispose lui - perché ti aspetti che, da dove
sono entrato io, tu
possa uscire, ma temo di doverti deludere. Sono entrato
nell’esatto momento in
cui sei entrata tu e nello stesso identico modo.
-Cosa
significa?- chiese Chiara – ero da sola quando mi hanno
riportata qui. Non
c’era nessun altro.
L’uomo
non rispose, ma si limitò ad osservarla come un oggetto
interessante trovato su
una bancarella del mercato, analizzando ogni suo aspetto e valutandone
il
prezzo.
A
Chiara non piacque per niente il silenzio che si era venuto a creare,
così
riprese la conversazione chiedendo: -Chi sei?
-Oh,
dovresti saperlo!- rispose l’uomo, beffardo – In
fondo, io sono parte
di te.
Chiara
rimase senza parole, quella giornata stava diventando davvero troppo
insostenibile
per lei ed era stufa degli indovinelli di quell’individuo.
-Dimmi
chi sei e senza giri di parole!- esplose alla fine.
-Io
sono la tua paura- ribatté l’uomo, accompagnando
quelle parole con un agghiacciante
sorriso a denti scoperti.
-Ok,
ora basta con questa storia!- sbottò la ragazza infuriata,
alzandosi e avvicinandosi
all’individuo, finché non l’ebbe a pochi
centimetri da sé.
-Non
so chi tu sia né perché mi stai dicendo questo,
ma se sei venuto per
infastidirmi è meglio che ti levi dalle … - non
riuscì a finire la frase
perché, nel tentativo di dare uno spintone allo sconosciuto,
si accorse che le
sue mani non solo non riuscivano a toccarlo, ma addirittura gli
attraversavano
il petto da parte a parte.
Sorpresa
e disgustata, le ritrasse subito e si allontanò dallo strano
uomo, che sbuffò
impaziente.
-Visto?-
disse alla fine con un velo di impazienza -Niente tatto. Sono
un’immagine della
tua testa, non puoi scacciarmi così facilmente.
Chiara
rimase per un attimo in silenzio, cercando di darsi una spiegazione
logica a
quello che era appena successo, ma invano. Decise, dunque, che avrebbe
mantenuto
quel minimo di dignità che le rimaneva: non si sarebbe fatta
mettere i piedi in
testa, stavolta.
-Come
fai a dire di essere la mia paura? Sei inquietante, questo è
vero, ma non mi
spaventi!- lo sfidò, cercando di assumere
un’espressione risoluta in viso.
-Oh,
tu dici?- il sorriso dell’uomo si fece più ampio
-Eppure stai tremando!
Era
vero: le caviglie e i polsi di Chiara erano in preda a dei tremori
incontrollati, così la ragazza dovette sedersi sulla branda,
cercando di
placare o, almeno, di celare quell’involontaria reazione.
Poi
l’uomo riprese: -Conosco tutte le tue paure, quelle che ti
hanno accompagnata
per la tua intera vita, dall’infanzia fino ad oggi. La paura
del buio, quando i
tuoi genitori ti mettevano a dormire e chiudevano la porta della tua
stanza; la
paura di annegare, quando andavi al mare in vacanza con la tua
famiglia; la
paura di perdere le attenzioni dei tuoi parenti quando è
nato tuo fratello. Oh,
quanto mi sono divertito con quest’ultima!
La
ragazza cercò di ribattere qualcosa, ma lui glielo
impedì, proseguendo
implacabile il suo elenco: - Poi sei cresciuta e hai cominciato ad
avere paura
di non essere abbastanza bella, intelligente e spiritosa per piacere a
qualcuno
e da qui nacque la tua paura del rifiuto e della solitudine. Glorioso
nutrimento per me, che mi sono saziato per vent’anni! Ed
eccoti qui, oggi,
tutta sola, così lontana da casa, con la paura di morire
dentro questa
insignificante cella, sprecando la tua vita nel nulla. Ora dimmi, mi
temi?
Chiara
alzò lo sguardo sull’uomo e provò
l’impulso di picchiarlo, di cancellargli quel
sorriso malevolo dalla faccia, ma sapeva che non avrebbe portato a
niente, così
rispose: -No! Non ho paura di te! Mi spaventa di più la
possibilità di essere
impazzita e di avere le visioni, ma TU non mi fai paura!
Il
sorriso dell’uomo svanì e al suo posto comparve
un’espressione incuriosita,
come se non si fosse aspettato una simile risposta. Chiara si
sentì soddisfatta
e ricambiò il suo sguardo, con aria di sfida.
-Sciocca
ragazza- l’apostrofò l’uomo - Non
immagini nemmeno con chi hai a che fare.
-Hai
detto di essere la mia paura, giusto?- rispose Chiara, offesa da
quell’insulto -Ho
convissuto tutta la vita con le mie paure e posso farlo anche con te! E
comunque non fai più paura di quanto non me ne faccia lo
stare rinchiusa qua
dentro.
Gli
occhi verdi dell’uomo si contrassero a fessura e le ombre
sugli zigomi
sporgenti si fecero più marcate. L’aveva fatto
arrabbiare, ma ormai era fatta e
Chiara non aveva intenzione di farsi sottomettere da
un’immagine creata dalla
sua testa.
Alla
fine l’uomo scoppiò in una risata tale da farle
congelare il sangue nelle vene
e svanì, esattamente come era comparso: nel nulla.
Chiara
trasse un sospiro e, coricatasi sulla branda, pensò che, se
avesse continuato a
suscitare così assiduamente l’ilarità
della gente, ben presto l’avrebbero
assunta come giullare di corte.
-Sempre
meglio che starmene rinchiusa in gabbia- sussurrò la ragazza
prima di
addormentarsi.
La
notte che seguì fu agitata: forse a causa degli eventi della
giornata o forse
perché quella brandina era maledettamente scomoda, i suoi
sogni furono
movimentati.
Sognò
la propria casa nella campagna silenziosa che per anni aveva odiato, ma
che, in
quel momento, rappresentava l’unico posto in cui avrebbe
desiderato trovarsi.
Era
davanti alla porta d’ingresso
socchiusa e si domandò se all’interno ci fosse
qualcuno, così allungò la mano e
la spalancò.
Oltre
la soglia l’ingresso, il
salotto e la cucina, solitamente in perfetto ordine, erano stati messi
a
soqquadro: i cuscini del divano erano stati strappati, le ante dei
mobili erano
state sfondate, la televisione giaceva al suolo in mille pezzi e
l’imbottitura
del divano era sparsa in ogni dove. La cucina non era messa meglio: il
tavolo
di legno era ridotto ad un ammasso di schegge, i cocci dei piatti
coprivano il
pavimento come un tappeto e i fornelli erano accesi a fiamma alta,
mentre dal
lavandino schizzava un forte getto d’acqua.
Perché
era tutto sottosopra?
Cos’era successo? Mamma e papà
dov’erano? Sapevano di tutto ciò?
Corse
verso le scale per verificare
se la situazione fosse la stessa anche nelle camere da letto, ma,
sull’ultimo
gradino, vi trovò una figura scura. In un primo momento a
Chiara sembrò che
fosse un bambino, ma, osservandolo meglio, vide che era troppo alto per
essere
in età puerile e in una mano stringeva uno scettro dorato.
Le sembrò anche di
scorgere un paio di lunghe corna arcuate, ma furono i suoi occhi ad
atterrirla:
il sinistro brillava di un’intensa luce verde, mentre il
destro aveva un
profondo colore scarlatto.
Le
sembrò di sentire una risata,
mentre da una stanza una donna urlò.
-Mamma!-
gridò la ragazza, salendo
le scale il più velocemente possibile, ma inutilmente:
sebbene corresse alla
maggiore velocità consentitale dalle sue gambe, era come se
non si muovesse di
un solo passo. La figura era sempre alla stessa distanza e continuava a
fissarla, ridendo di gusto.
All’improvviso
lo scenario cambiò e
la ragazza si ritrovò in un ambiente freddo e ostile. Il
vento soffiava forte,
ululando attraverso le complicate architetture create dal ghiaccio.
Tutto
intorno era gelo e oscurità, ma il freddo non sembrava
lambirle la pelle, né il
vento toccarla.
Chiara
si guardò intorno, cercando
di scorgere qualcuno che potesse aiutarla a tornare a casa, ma non vide
alcun
segno di vita. Solo tanto ghiaccio e tanta oscurità.
Ad
un tratto sentì delle voci in
lontananza e scorse del movimento in un punto lontano
dell’orizzonte.
Cominciò
ad avvicinarsi e, ad ogni
passo, le parve di distinguere più chiaramente i suoni, che
ora non erano solo
voci, ma anche ruggiti, rumori metallici e tonfi di colluttazione.
Non
riusciva a distinguere bene le
forme, ma le sembrò che fosse in corso una battaglia, poi,
all’improvviso, una
colonna di luce scese dal cielo e, in pochi minuti, il movimento e i
rumori
svanirono.
Non
le interessava nulla di quello
che era capitato, tra chi fosse avvenuto lo scontro, né
tantomeno da dove
venisse quella strana colonna di luce. Voleva tornare a casa: sentiva
che era
successo qualcosa di terribile e voleva sapere che cosa.
Continuò
a vagare nel ghiaccio,
cercando disperatamente una strada, un cartello o qualunque cosa che
avrebbe
potuto riportarla a casa sua.
Fu
una ricerca vana.
Non
vi era alcun segno di civiltà
tra i ghiacci e il corpo della ragazza si stava facendo stanco e
pesante.
Decise di fermarsi e riposare un po’, ma temeva che,
così facendo, qualcuno
l’avrebbe trovata e difficilmente sarebbe stato ben disposto
nei suoi
confronti. Però era così stanca …
Poi
il vento trasportò un suono,
come una sorta di lamento.
-Dimmelo!-
urlava la voce, svanendo
poi come un’eco nel vento.
-Cosa
devo dirti?- chiese la
ragazza, accucciandosi nella neve, stremata. -Cosa vuoi che dica?-
continuò a
domandare Chiara, la cui voce ora era poco più di un
sussurro.
Un
rumore improvviso la fece svegliare di soprassalto: una delle guardie
aveva
battuto la propria lancia contro il pannello, mentre l’altra
si apprestava ad
aprire la cella.
Chiara
si strofinò gli occhi stanchi e si alzò in piedi,
cercando di riprendersi dal
torpore del sonno.
Il
pannello scomparve e la guardia pose sul pavimento della cella un
catino
d’acqua e un sacchetto di stoffa lurida. Dal rumore che
produsse nell’entrare a
contatto con il suolo, Chiara capì che conteneva qualcosa,
ma l’espressione minacciosa
sul viso della guardia le fece capire che avrebbe dovuto aspettare la
chiusura
della cella prima di poterne scoprire il contenuto.
Così
attese pazientemente che l’uomo avesse finito il suo compito
e avesse
fatto riapparire il pannello, poi si avvicinò al sacchetto e
lo aprì: al
suo interno vi erano un tozzo di pane, un bicchiere di peltro, un
cucchiaio di stagno e
un barattolo sigillato
accuratamente.
Chiara
diede uno sguardo alle altre celle e notò che anche gli
altri detenuti avevano
ricevuto lo stesso sacchetto con il medesimo contenuto e il catino.
“Evidentemente
è l’ora della distribuzione del pasto”
pensò Chiara, rendendosi improvvisamente
conto di avere una gran fame.
Spezzò,
dunque, il pane e ne mangiò un primo boccone, mentre con
l’altra mano svitava
il tappo del barattolo. L’odore che ne uscì le
fece chiudere improvvisamente la
bocca dello stomaco: era una misto di cavolo rancido, uova marce e un
altro
odore (per niente gradevole) che Chiara non riuscì,
né volle, distinguere.
In
preda alla nausea, si affrettò a chiudere il barattolo e ad
allontanarlo il più
possibile da sé.
-Maledizione!-
imprecò tra i denti la ragazza -Siamo in un cavolo di
palazzo reale con sala
del trono tappezzata d’oro e non riescono a fare un pasto
commestibile?!
Finì
di mangiare il suo pezzo di pane e, per nulla soddisfatta della
colazione, andò
al catino per riempire il bicchiere e placare, se non la fame, almeno
la sete.
Immerse
il bicchiere nell’acqua limpida e lasciò che il
liquido le rinfrescasse la
gola.
Quando
si fu dissetata, il suo sguardo cadde sui jeans e sulla maglietta che
indossava
e notò che erano molto impolverati e sporchi di terra,
inoltre all’altezza del
ginocchio sinistro, il tessuto era stato squarciato e vi si poteva
vedere attraverso
la pelle chiara sopra la rotula.
“Direi
che sia il caso di darmi una sistemata o, oltre ad essere una galeotta,
avrò
pure l’aspetto di un senzatetto” pensò
Chiara e si sporse sul catino per
raccogliere un po’ d’acqua per il viso.
La
superficie dell’acqua le restituì il suo riflesso
e un sospiro uscì dalle
labbra della ragazza: i capelli castani erano tremendamente
scompigliati, il
viso tondo era impolverato e sudicio e, all’altezza dello
zigomo destro, vi era
un piccolo taglio con del sangue raggrumato.
-Grandioso!-
bisbigliò la ragazza, prendendo nel palmo delle mani un
po’ d’acqua e
sfregandosi energicamente il viso.
Quando
riportò lo sguardo sul catino, per poco non le venne un
infarto: le sembrò,
infatti, che l’immagine riflessa sulla superficie del liquido
non fosse la sua,
ma piuttosto quella, ghignante, dello strano uomo della sera precedente.
Fu
un lampo e poi l’acqua tornò a riflettere il suo
solito viso (sebbene con
un’espressione piuttosto sconcertata).
Si
guardò nervosamente intorno, ma non le parve di scorgere
nulla di insolito
all’interno della piccola cella.
-Stai
cercando di farmi prendere un colpo?- domandò Chiara ad alta
voce, ma senza
ricevere alcuna risposta, se non un grugnito da parte del mostro
dagli occhi cremisi nella cella di fronte.
-Buongiorno
anche a te, caro vicino- gli si rivolse Chiara, che ricevette, in tutta
risposta, un altro grugnito accompagnato da uno sguardo torvo.
-Disgustoso,
il pasto, non è vero?- continuò la ragazza
–Spero non siano tutti così. Sai,
quand’ero a casa mia avevo la fortuna di avere una famiglia
di cuochi provetti
e ogni giorno sulla tavola c’era qualcosa di buono. Mia madre
cucinava dell’ottimo
tacchino accompagnato da una purea di carote, mentre mio nonno era
favoloso nel
preparare la pasta fatta in casa. Dal canto mio, come cuoca ho sempre
fatto
pena, ma nessuno sapeva mangiare come me!
Molto
probabilmente quella creatura non capiva una parola di quello che stava
dicendo, ma sembrava ascoltarla, in qualche modo: si era seduto sulla
sua
branda e la osservava, mangiando lentamente la brodaglia nel barattolo.
Incoraggiata
da quell’inaspettato pubblico, Chiara continuò a
parlare: -Ora invece mi trovo
come Dantes nel Conte di Montecristo: sono in prigione senza sapere
come sia
potuto accadere e, per di più, non vedo da dove potrebbe
sbucare un
provvidenziale abate Faria per aiutarmi.
Le
guardie, terminata la distribuzione della colazione ai detenuti,
stavano
tornando a passi pesanti alle loro postazioni e, passando davanti alla
cella
della ragazza, una di loro colpì con la propria lancia il
pannello giallo,
urlando: -Silenzio!
A
Chiara, così, non restò che tacere e sedersi
sulla sua branda, sotto lo sguardo
attento della creatura.
Trascorse
il mattino alternando momenti di riposo a camminate nervose nel
ristretto
spazio della sua cella, sforzandosi di cavare qualcosa di utile dalla
sua
memoria.
Riusciva
a ricordarsi praticamente ogni dettaglio della sua ultima giornata
sulla Terra:
il colore della camicia che aveva indossato sua madre quella mattina,
l’ansia
provata nell’attesa di dare l’ultimo esame del
semestre, la gioia di averlo
superato, il suono del motore della sua macchina mentre tornava a
casa…
insomma, ricordava ogni cosa, tranne che per un dettaglio, un qualcosa
che le
sfuggiva e che sapeva essere di fondamentale importanza. Cosa poteva
mai
essere?
Per
quanto si sforzasse, le sembrava di trovarsi sempre davanti a un vicolo
cieco,
ad un punto morto.
Le
ore passavano e, ad un tratto, una guardia, con un nuovo sacchetto di
stoffa in
mano, aprì la cella e vi si introdusse per lasciare la cena.
Quando,
però, prese in mano il barattolo del mattino, contenente
ancora tutta la
sbobba, si rivolse alla detenuta, canzonandola: -La colazione non
è stata di
vostro gradimento, principessa?
Chiara,
sebbene dentro di sé provasse il desiderio di rompergli in
testa quel maledetto
barattolo, si limitò a ignorare l’uomo, evitando
accuratamente di raccogliere
la sua provocazione.
La
guardia, però, non fu soddisfatta di quella reazione e
proseguì: -eppure
è stata preparata apposta per
voi dal migliore cuoco delle cucine reali, secondo una ricetta vecchia
di
generazioni. Non è carino, da parte vostra, rifiutare il
frutto del suo lavoro.
Nel
corridoio, la seconda guardia sghignazzava di gusto alle battute del
collega,
che, non ancora contento, continuò il suo motteggio: -Cosa
c’è? A casa tua la
mammina ti preparava lauti pasti e ora non mangi nemmeno quello che ti
viene
così gentilmente offerto? I tuoi parenti sarebbero
così delusi se sapessero di
avere una figlia tanto ingrata!
Era
troppo. Non poteva permettere che quel disgraziato prendesse in causa
la sua
famiglia per deriderla!
Si
alzò di scatto e si avvicinò all’uomo,
che, con nonchalance, le puntò la punta della picca alla
gola.
-Hai
qualcosa da dire, mocciosa?- le chiese, in tono provocatorio.
-Sì-
rispose Chiara –Visto che questo pasto pare essere
così di tuo gusto, perché
non lo mangi tu e mi dai quello che ti riempie il piatto di solito? O
vuoi
forse essere tu a deludere la tua famiglia? Lo sa tua madre che suo
figlio è un
vigliacco che minaccia con una lancia una ragazza indifesa, mentre lui
è tutto
ben protetto da un’armatura?
Aveva
esagerato e non era solo il suo buon senso a suggerirglielo, ma
soprattutto lo
sguardo rabbioso e il digrignare dei denti della guardia. La lancia
era ancora puntata contro la sua gola e sarebbe bastata avvicinarla di
pochi
centimetri per attraversarle la laringe.
Le
narici dell'uomo si dilatarono e il suo viso si fece paonazzo.
“Ora
questo mi ammazza” pensò la ragazza, aspettandosi
da un momento all’altro di
sentire il freddo metallo lacerarle le carni, ma un boato ruppe quel
momento di
tensione e la guardia si voltò in direzione del rumore.
Dietro
di essa, infatti, la creatura dai capelli cremisi stava colpendo a
pugni il
pannello, che sotto quella forza brutale sembrò, per un
momento, cedere.
I
due soldati si affrettarono ad intervenire, puntando le armi verso il
detenuto
e aumentando la potenza del pannello, che scaricò sulla
creatura un’energia tale
da ridurlo in ginocchio.
Chiara
era rimasta lì, imbambolata e incredula: quel mostro
l’aveva davvero salvata?
Non
riusciva a credere ai suoi occhi, ma dovette rimandare ad un altro
momento
quella riflessione: le guardie erano impegnate e la cella era rimasta
aperta.
Era la sua occasione.
Silenziosamente,
la ragazza oltrepassò la soglia della stanza e
iniziò a correre verso l’uscita.
In
quel momento sentì il mostro riprendere a urlare e a battere
i pugni contro il
muro: le stava coprendo la fuga, ma la fame e la stanchezza non
condussero
molto lontano la ragazza, che si ritrovò a nascondersi
dietro un pilastro, a
pochi metri dall’uscita, per riprendere fiato.
Era
sfinita, ma doveva provarci, così si buttò verso
la porta di metallo e iniziò a
tirare la maniglia con tutte le sue forze.
Per
quanto si sforzasse, per quanto tirasse, la pesante porta non si mosse
di un
millimetro.
-Andiamo,
apriti!- sussurrò la ragazza, lanciando veloci occhiate alle
sue spalle, con la
paura che, da un momento all’altro, le guardie sarebbero
arrivate a prenderla.
-Ti
prego, apriti.
Ed
essa si aprì, ma a muoverla non era stata la ragazza,
bensì la mano poderosa
del principe, che sbucò da dietro il metallo e
osservò, sorpreso, la scena che
si trovava di fronte.
Poi
si accorse della presenza di Chiara, ancora attaccata alla maniglia di
ferro, e
richiamò le guardie.
A
quel richiamo, i due uomini lasciarono perdere il prigioniero, che,
sfinito, si
acquietò, e corsero in direzione del loro signore.
“Ma
che bravi cagnolini” pensò sarcastica la ragazza,
lasciando la presa sulla
maniglia e dirigendosi, lentamente, verso l’uscita, ma venne
bloccata da un
uomo corpulento, il cui viso era incorniciato da una folta criniera di
barba e
capelli fulvi.
-Penso
che questo sia il motivo per cui siamo qui- disse l’uomo a
Thor, che rispose
con un cenno di assenso per poi rivolgersi alle guardie: -Odino
desidera
conferire con la prigioniera. La scorteremo io e Volstagg, voi rimanete
ai
vostri posti e prestate più attenzione ai carcerati su cui
dovete fare la
guardia.
A
Chiara parve che il principe, nel pronunciare quell’ultima
frase, avesse
lanciato una breve occhiata nella sua direzione, ma non ebbe il tempo
di
appurarlo con certezza perché, in un lampo, le due guardie
si erano avventate
su di lei e la stavano ammanettando.
“Oh
no, non di nuovo!”
Il
principe, però, fermò i due uomini e, indicando
le manette con un dito, disse
semplicemente: -Quelle non sono necessarie.
Le
guardie, sorprese da quell’insolito ordine, obbedirono e
liberarono i polsi
della ragazza, sui cui, una volta rimosso il ferro, comparirono delle
piccole
piaghe rosse, che Chiara non
aveva ancora
notato.
Condividendo
la sorpresa delle guardie, non sapeva se ringraziare per quel gesto di
comprensione o sottolineare nuovamente la sua innocenza dalle accuse
che le
erano state rivolte, ma pensò che, in entrambi i casi, la
sua situazione non
sarebbe migliorata, perciò si limitò a chiedere:
-Hai capito che sono
inoffensiva?
-Penso
solo che a una fanciulla si addicano ornamenti di ben altro genere-
rispose
l’uomo, che aggiunse: -Ora andiamo, mio padre desidera
parlarti di nuovo.
-Non
credo di poter fornire informazioni diverse da quelle che ho
già dato ieri-
ammise Chiara.
-Ad
ogni modo, egli vuole porgerti le sue domande- intervenne Volstagg.
Thor
congedò i soldati con un gesto della mano e, riferendosi al
corpulento
compagno, disse: -Volstagg, ti affido la ragazza, tienila
d’occhio.
-Non
penso ce ne sarà bisogno- si intromise Chiara, ripensando al
suo ridicolo
tentativo di fuga di pochi attimi prima -anche senza bracciali di
ferro, non
ho né le forze né la possibilità di
scappare. Dove volete che vada?
Gli
occhi azzurri del Dio del Tuono e quelli castani del guerriero si
concentrarono
su di lei, osservandola come se fosse stata un animale esotico.
In
quel momento Chiara pensò che, per quanto le piccole
accortezze di Thor fossero
state mosse da un nobile sentimento di cavalleria, si fosse reso conto
per la
prima volta solo allora di avere a che fare con una comunissima ragazza
e non con un
criminale come quelli con cui era abituato a trattare.
Ma
fu solo un attimo e il principe diede l’ordine di procedere,
così i tre si
avviarono verso la sala del trono.
Durante
il percorso, nella mente di Chiara affiorò il ricordo di
quell’inaspettata
visita della notte precedente e si domandò se fosse davvero
possibile che si
fosse creata un’immagine così nitida e viva a
rappresentazione della propria paura.
Era un pensiero assurdo e ridicolo, ma da quando si era risvegliata, il
giorno
addietro, di cose assurde ne erano capitate molte e l’idea di
essere diventata
pazza le sembrava il più plausibile tra i fatti avvenuti.
“Forse
è stata la prigionia o la fame” pensò
tra sé la ragazza “Insomma, chi non
impazzirebbe in gattabuia?”.
-Quanti
anni hai, ragazza?-
La
domanda interruppe il filo dei suoi pensieri e Chiara si volse verso
Volstagg,
che le stava sul fianco sinistro, mentre Thor la controllava sul lato
destro.
-Ne
ho venti- rispose lei.
-Venti?-
domandò incredulo lui, lanciando un’eloquente
occhiata al compagno, che lo
ignorò senza dire una parola.
-Dannazione,
Thor- riprese l’uomo, che evidentemente non ammetteva di
essere trascurato -è
una bambina! Come si fa a tenere una bambina in prigione?
-Non
è una bambina, Volstagg, e in ogni caso non è
compito nostro decidere- rispose
seccato il principe di Asgard -Sta a Padre decretare cosa fare e non
credo che
tu voglia opporti a una sua decisione.
-Oh,
andiamo!- riprese il guerriero, per niente soddisfatto della risposta
ricevuta -Guarda questa ragazza: è evidente che non ha
cattive intenzioni! Insomma, non è mica
Loki!
A
quel nome i pugni di Thor si strinsero e un lampo di rabbia
balenò sul suo
viso, facendo zittire completamente il guerriero.
-Basta
così, Volstagg- decretò il principe -La decisione
non spetta a noi e non
voglio più discuterne.
Il
resto del tragitto venne trascorso in silenzio, rotto solo dai pesanti
passi di
Volstagg.
Giunsero,
infine, alle porte della sala del trono, che si aprirono al loro
passaggio, lasciando
che i tre entrassero tra le mura dorate.
Angolo dell'autrice: e
siamo a due! Ringrazio con affetto coloro che hanno iniziato a leggere
La sua paura; spero che questa seconda parte sia all'altezza della
prima e che possa stuzzicare la vostra curiosità. Ho
approfittato di un momento di libertà per
pubblicare questo capitolo, ma per me si avvicina il tempo degli esami
e temo che nei prossimi giorni non avrò molte
occasioni da dedicare alla scrittura. Pubblicherò il terzo
capitolo quanto prima, croce sul cuore.
Alla
prossima e statemi bene!
Lady
Realgar
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Capitolo 3 *** Sapone e forbici da sarta ***
Odino
era lì, seduto comodamente sul
suo scranno, mangiando con voluttà alcuni acini
d’uva che una serva gli porgeva
in una capiente coppa dorata. All’arrivo della compagnia,
congedò la donna e si
alzò in piedi, avvicinandosi ai tre venuti.
-Mi
auguro che tu abbia avuto modo
di pensare durante la notte- cominciò il sovrano, ponendosi
di fronte alla
ragazza.
Chiara
non sapeva cosa dire: sentiva
gli occhi di tutti puntati su di sé e sapeva di non avere
nulla di nuovo da
riferire a quell’uomo, ma non voleva nemmeno tornare in cella
o, ne era certa,
sarebbe diventata matta.
-Ho
pensato a lungo- disse infine,
scegliendo con cura le parole -e non posso fare altro che ribadire
quello che
ho già detto ieri. Non ho davvero idea di come sia potuto
accadere e, lo
assicuro, se avessi avuto la possibilità di scegliere, me ne
sarei rimasta nel
mio paese.
Lo
sguardo di Odino si fece
spaventosamente cupo e sospettoso e la ragazza, temendo che
l’avrebbe rispedita
in prigione, si affrettò ad aggiungere: -Ad ogni modo non
è mia intenzione
ostacolare la ricerca delle risposte che desiderate, anzi, mi offro di
dare il
mio contributo in ogni modo che mi sarà possibile. Chiedo
solo che mi venga
data la possibilità di integrarmi in questa
comunità, lavorando e dandomi da
fare, finché i ricordi non riaffioreranno e potrò
condividerli con voi.
Vi
fu silenzio.
Sui
volti degli astanti si era disegnata
la sorpresa e Chiara, sbalordita a sua volta dalla propria audacia,
sperò con
ogni cellula del suo corpo di aver usato le frasi e il tono
più adeguati: non
voleva finire nei guai per aver infranto una qualche stupida etichetta
del
luogo.
-Mai
nessun detenuto- cominciò il
Padre di Tutti- ha mai osato fare una richiesta simile, mai nessuno ha
barattato la propria libertà con il lavoro…
-
E per questo la sua richiesta
dovrebbe essere esaudita!
“Cosa?”
A
parlare era stato nientemeno che
il principe Thor, la cui voce era rimbombata possente e risoluta in
tutta la
sala.
Il
principe riprese a parlare:
-Padre, una richiesta così nobile e onorevole penso sia
giusto, se non
addirittura doveroso che venga ascoltata ed esaudita. Io stesso mi
offro di
prendere la ragazza come mia serva personale e concederle la
possibilità di
guadagnarsi una vita rispettabile.
Di
nuovo la bocca di Chiara si aprì
in una grande O di stupore: “Cosa crede di fare questo mr.
Muscolo biondo? Che
ragioni avrebbe di aiutarmi?”
Erano
domande condivise, sebbene in
termini leggermente diversi, da tutti nella grande stanza dorata, ma
nessuno
osava proferire verbo: era una situazione che non era mai avvenuta in
precedenza e la tensione era palpabile nell’aria.
Nonostante
ciò, il Dio del Tuono sembrava
non percepire la pesante atmosfera che si era venuta a creare e
continuava a
mantenere la sua solita espressione determinata e ferma.
“Razza
di stupido. Odino lo farà a
pezzetti!”
Ma,
a dispetto di quello che la
ragazza si aspettava, il sovrano si limitò ad avvicinarsi al
figlio,
squadrandolo dalla testa ai piedi, e a dirgli con voce calma: -Molto
bene, sia
così se desideri tanto ardentemente portare questa fanciulla
sulla strada della
rettitudine, ma ricorda, ella rimane comunque una prigioniera di Asgard
e, in
quanto tale, verrà costantemente tenuta sotto
sorveglianza. Se farà un
passo falso, la responsabilità delle sue azioni
cadrà su di te con tutto il suo
peso. Sei disposto a farti carico di un simile fardello?
Gli
occhi del giovane principe si
soffermarono per un momento su Chiara, pietrificata dalla tensione del
momento, poi si volsero di nuovo verso il sovrano e il capo di Thor si
chinò in
un breve cenno di assenso.
-E
sia- concluse Odino -Che l’umana
venga preparata perché possa servire adeguatamente un
principe.
Il
brusio crebbe di intensità e
dalla folla emerse un’anziana donna, che, inchinatasi con
riverenza davanti al
dio sovrano, afferrò per il polso la ragazza e la
trascinò dall’altra parte
della stanza e poi attraverso una porta di servizio. Alle loro spalle
un
piccolo gruppo di servette seguiva i loro passi, mentre nelle orecchie
di
Chiara, il vociare della sala andava affievolendosi sempre di
più.
Era
tutto così confuso, tutto così
strano e, ora che si stava allontanando dalla sala del trono e che il
suo corpo
stava cominciando a non produrre più adrenalina, Chiara si
rese conto di essere
esausta.
La
sua vita, fino a un paio di
giorni fa, era sempre stata la stessa, sempre così
prevedibile e monotona:
niente di quello che le succedeva, ad esclusione di poche, eccezionali
situazioni, accadeva se non era stata lei stessa a programmarlo. Ora
tutto il
suo mondo le era stato portato via e il suo bagaglio di certezze,
costruito in
venti anni e creduto la migliore delle fortezze, si stava rivelando
null’altro
che un misero, traballante castello di carte.
Traballante
quanto le sue gambe,
mentre veniva trascinata da una stanza all’altra, fino a
raggiungere un piccolo
ambiente, carico di umidità e di vapore, nel cui centro vi
era una grossa vasca
di pietra scavata nel pavimento e riempita di acqua fumante.
Le
ancelle svestirono Chiara dei
suoi logori abiti e la condussero all’interno della vasca,
sorreggendola per le
braccia.
Non
oppose alcuna resistenza: da una
parte la stanchezza, dall’altra la piacevole sensazione
dell’acqua calda sulla
pelle fecero svanire in lei ogni desiderio di fuga o di ribellione,
così lasciò
che le ancelle le lavassero il corpo e i capelli e si godette quel
momento di
tranquillità.
Dopo
qualche minuto nella stanza entrò,
sbattendo rumorosamente la porta, un’altra donna,
più grassoccia e gioviale
dell’anziana serva (che, al contrario, aveva
un’aria burbera e severa disegnata
tra le rughe del suo viso sottile), portando tra le braccia una grossa
cesta
piena di stoffe colorate, gomitoli di filo, aghi e altri strumenti da
cucito.
La
nuova arrivata fece un breve
cenno di saluto all’anziana donna, pose la cesta su
un tavolo in un
angolo della stanza e osservò attentamente Chiara, che,
sempre premurosamente
aiutata dalle servette, era appena uscita dalla vasca e si stava
asciugando con
degli asciugamani che una bambina dai grandi occhi color caramello le
porgeva.
La
donna, immersa nei suoi pensieri,
fece schioccare la lingua, poi estrasse repentina un nastro da una
tasca del
suo grembiule e cominciò ad avvolgerlo lungo i fianchi, le
spalle e il seno di
Chiara.
-Tu
sei una sarta?- domandò Chiara,
piuttosto indispettita dal fatto che una completa estranea le stesse
prendendo
le misure.
La
donna, impegnata a misurarle il
girovita, alzò appena lo sguardo e rispose: -Io sono LA
sarta di corte. Ogni
individuo che abita o lavora presso il palazzo indossa abiti che ho
confezionato io, persino il principe. Tra poco anche tu, mia cara,
avrai un abito
degno di questa corte, invece di quegli insulsi stracci che indossavi.
“Quegli
stracci li ho pagati ben
50€!” avrebbe voluto ribattere la ragazza, ma
l’anziana serva si intromise
nella discussione, impedendole di parlare: -Basta così,
Angnis, l’ultima cosa
che voglio è fomentare ulteriormente la vanità di
questa sciocca ragazza con
frivoli discorsi sull’abbigliamento- poi, rivolgendosi a
Chiara, a cui le
ancelle stavano acconciando i capelli con nastri di raso -È
ora che tu apprenda
quali saranno le tue mansioni dal momento in cui comincerai a servire
il
principe Thor: per prima cosa ti rivolgerai a chiunque sia di rango
sociale
superiore al tuo con il termine “Signore” o
“Signora”, nel caso della famiglia
reale, in particolare, dovrai usare l’appellativo
“Maestà” o
“Altezza”. Chiaro?
Chiara
cercò di dire qualcosa, ma
quella non le lasciò tempo di rispondere e
proseguì: -Seconda cosa, dovrai
essere rispettosa e obbedire a qualunque ordine ti venga dato, ammesso
che esso
non vada a infrangere le precedenti direttive impartite da un
rappresentante di
una classe superiore. Il volere di Thor è un ordine, quello
di Odino è la
legge. Terzo: dovrai occuparti di tutte le esigenze del principe,
obbedire ai
suoi ordini e anticipare i suoi bisogni. Ma soprattutto: quello che
Thor dice,
tu lo fai senza obiettare.
Un
campanello d’allarme risuonò
nella testa di Chiara: “Quali bisogni?”
Era
un pensiero orrendo, ma per
quale altra ragione avrebbe richiesto proprio lei? Lei, una perfetta
sconosciuta, una prigioniera senza alcun legame in tutta Asgard?
Sperava di
sbagliarsi, ma il rischio era troppo grande e lei, di certo, non
sarebbe stata
colta impreparata.
Mentre
Angnis le faceva scivolare
intorno al corpo un delicato vestito lilla appena confezionato e le
stringeva
una cintura di cuoio intorno alla vita, Chiara, assicurandosi di non
essere
vista, afferrò velocemente un paio di grosse forbici da
sarta che emergevano
dalla cesta e le nascose sotto la cinta, coprendole con le pieghe
dell’abito.
-Hai
già fatto un abito in così poco
tempo?- chiese poi la ragazza con nonchalance -Sono impressionata!
Angnis
le sorrise e, aggiustandole
una spallina, disse: -Non tutti ottengono un incarico del genere. Fu la
regina
in persona, quando ero appena un’apprendista, a capire il mio
potenziale e a
darmi la possibilità di sfruttarlo. Quando anche la mia
anima volerà per
raggiungere la mia sovrana, sarò orgogliosa di confezionarle
abiti regali anche
nel Valhalla.
A
quelle parole il viso della donna
si era fatto malinconico e a Chiara parve di vedere l’ombra
di una lacrima,
mentre si voltava per prendere la cesta ed andarsene, così,
prima che potesse
sparire nuovamente oltre la porta, disse svelta:-Grazie.
Sulla
soglia Angnis le lanciò
dapprima uno sguardo sorpreso, poi un sorriso imbarazzato.
Quando
la sarta se ne fu andata,
l’anziana serva squadrò Chiara dalla testa ai
piedi e sibilò a denti stretti
qualcosa che Chiara non capì, poi schioccò le
dita e le ancelle si apprestarono
a pulire la stanza da bagno e a riporre gli asciugamani e le lozioni
per il
corpo ai loro posti, mentre lei prendeva da parte Chiara e le diceva,
stringendola per un braccio: - Ora ti porterò alle stanze di
Thor, ma ti
mostrerò la strada una volta soltanto, poi non voglio
più averti tra i piedi,
se non per eseguire gli ordini del principe.
La
sua presa era incredibilmente
salda, nonostante l’età che la donna dimostrava di
avere, per di più i polsi di
Chiara non erano ancora guariti dalle piaghe, così la
ragazza ritrasse
velocemente il braccio, liberandolo dalle dita ossute della serva. La
donna la
fulminò con lo sguardo, ma quando Chiara,
massaggiandosi i polsi, disse
di essere perfettamente in grado di camminare da sola, si
limitò a girare sui
tacchi e riprendere a camminare.
I
loro passi rimbombavano nei
corridoi, o almeno quelli della serva: con estremo disappunto, Chiara
si rese
finalmente conto di non indossare scarpe.
“Cos’è?”
si chiese la ragazza
“Un’ulteriore segno di sottomissione?”,
ma un fruscio attirò all’improvviso la
sua attenzione e, in un corridoio parallelo a quello che stava
attraversando,
intravide un gruppetto di ragazze che trasportavano dei cesti di panni
sporchi.
Si soffermò per un attimo ad osservarle: erano tutte
piuttosto graziose e
chiacchieravano allegramente tra di loro, poi una la scorse e si
bloccò,
imitata dalle altre. Rimasero ferme, come imbambolate, a osservarla.
Chiara
sentì il volto andarle in
fiamme e, istintivamente, scappò via, finché non
fu di nuovo dietro l’anziana
serva, che aveva continuato la sua camminata, senza minimamente
preoccuparsi
della sua mancanza.
Alla
fine giunsero di fronte ad una
porta, a cui la serva bussò. Qualche attimo dopo la porta
girò sui suoi
cardini, mostrando il massiccio corpo di Thor, privato della sua
armatura e del
mantello e avvolto in leggeri pantaloni e blusa di lino. Alle sue
spalle Chiara
poteva intravedere una luminosa e lussuosa stanza.
“Hai
capito il principino! Si tratta
bene!”
-Maestà-
cominciò la serva, non
appena ebbe Thor di fronte a sé -Vi porto la vostra ancella,
come ordinato. Mi
sono già preoccupata di darle istruzioni circa la condotta
che dovrà tenere, ma
se dovesse mancarvi di rispetto o non obbedire ai vostri comandi, vi
prego di
mandarla da me. So io come placare gli spiriti ribelli dei giovani.
Thor
sogghignò divertito, poi,
ridacchiando, aggiunse:- Oh non ne dubito! Ricordo bene come, da
bambini,
riusciva a terrorizzare me e i miei amici semplicemente mostrando un
battipanni.
-Maestà,
siete stato un bambino
difficile - riprese la donna, sospirando -Sempre in giro per il palazzo
e i
boschi nei dintorni a combinare guai. La metà dei miei
capelli bianchi me li
avete procurati voi e vostro...
Si
interruppe bruscamente, con
un'espressione pentita e affranta sul volto. Chiara non capiva: cosa
stava per
dire? E perché anche sul viso di Thor era calato un velo di
tristezza?
Decise
di rimandare le domande ad un
momento più adeguato, prima di suscitare il malumore di chi,
per chissà quale
ragione, l'aveva presa sotto la sua custodia e sottratta alla
prigionia.
Thor
si schiarì la gola con un finto
colpo di tosse, poi riprese a parlare: -Sì, sono stato un
bambino vivace, ad
ogni modo, la ringrazio, madama Thyia, per il suo prezioso aiuto, ma
sono
sicuro che la ragazza seguirà i suoi dettami alla lettera e
che non creerà
alcun tipo di problema.
Ciò
detto, il giovane dio sorrise a
Chiara e le ammiccò.
La
ragazza abbozzò un mezzo sorriso
di circostanza, cercando di assumere la sua migliore espressione da
"brava
ragazza". I suoi sforzi, però, non sembrarono convincere la
diffidente
madama Thyia, che, dopo averle lanciato un ultimo sguardo in cagnesco,
prese
congedo, lasciando i due ragazzi da soli.
Chiara
non osava muoversi di un
millimetro: ogni fibra del suo corpo urlava a squarciagola di darsela a
gambe,
di allontanarsi il più possibile e nascondersi da qualche
parte, ma una fuga
ingiustificata non avrebbe di certo migliorato la sua situazione.
Rimase,
perciò, statica, in attesa che fosse il dio a fare la prima
mossa.
-Hai
intenzione di rimanere lì in
piedi tutta la notte?- le domandò Thor, incrociando le
braccia sul petto e
appoggiandosi con una spalla sullo stipite dell'ingresso.
"Se
l'alternativa fosse
starsene a scaldare il tuo letto, potrei starci per una settimana
intera."
-No...
Maestà- rispose alla
fine Chiara, incrociando le braccia dietro alla schiena e portando le
mani alla
cintura per assicurarsi di avere le forbici a portata -Sono solo in
attesa di
direttive.
-Vuoi
davvero degli ordini?-
ridacchiò l'uomo.
-Dato
che sono in una sorta di
libertà vigilata, intendo attenermi il più
possibile all'etichetta del posto,
prima di ritrovarmi con un biglietto di sola andata per le prigioni.
-Ah
se tutti i detenuti fossero così
collaborativi!- sospirò il principe, sollevandosi dallo
stipite della porta e
avvicinandosi alla ragazza, tanto che Chiara poté sentire il
rumore del suo
respiro.
-Il
bagno ha decisamente migliorato
il tuo aspetto- continuò Thor -Ma hai comunque una pessima
cera! Avanti, entra.
Sarai affamata.
Ciò
detto l'uomo entrò nella vasta
stanza, seguito dalla ragazza riluttante: Chiara sapeva di entrare
nella tana
del lupo, ma il suo stomaco vuoto le faceva male per la fame e le gambe
le
tremavano per la mancanza di zuccheri nel sangue.
La
stanza che si aprì davanti a lei
era enorme e riccamente decorata con arazzi colorati e diversi
comò di legno
scuro finemente lavorato e rifinito affinché sulla
superficie si diramasse una
complessa e fitta trama di rami frondosi intrecciati tra loro.
Di
giorno la camera doveva essere
illuminata dalle ampie finestre che si aprivano sul cortile interno del
castello, ma la notte era calata su Asgard e l'illuminazione era
garantita da
un gran numero di lanterne e candele.
Al
centro si ergeva un grande letto,
ricoperto di candide lenzuola di soffice seta e di cuscini color
porpora,
decorati con fili d'oro.
A
fianco del talamo, su un basso
tavolino di marmo, stava una scodella piena di pane e frutta fresca,
accanto a
una coppa colma di vino scarlatto.
-Coraggio-
la incitò l'uomo -Mangia,
poi ti riposerai.
"Ok,
Chiara" pensò tra sé
e sé la ragazza "Prima vedi di ricaricare un po' la
batteria, poi affronti
il problema Energumeno". Si sedette sul bordo del
letto, prese
quella che sembrava una succulenta pesca nettarina e la
addentò, il tutto senza
perdere di vista il Dio del Tuono, che, affacciato alla finestra,
sembrava
concentrare tutta la sua attenzione sulle stelle.
Quando
il dolce succo del frutto le
scese nella gola, la ragazza dovette fare appello a tutte le sue forze
per non
farsi sfuggire dei gemiti di soddisfazione: dopo quella brodaglia
disgustosa
che le avevano propinato, quel frutto succulento era una melodia per il
suo
palato e una festa di zuccheri per il suo corpo. Forse era troppo
ottimista, ma
con pochi morsi a Chiara parve riacquisire già una parte
delle energie perdute.
Terminata
la pesca, la ragazza
addentò una spessa fetta di pane fragrante, ma si tenne ben
lontana dal vino.
"Se
ti aspetti che ti renda il
gioco più facile bevendo alcolici, hai capito proprio male!"
-Va
meglio ora?- chiese l'uomo
premurosamente, continuando a darle le spalle.
Chiara
si strofinò la bocca con il
dorso della mano per rimuovere le briciole del pane che vi erano
rimaste
attaccate e, dopo un attimo di silenzio, rispose: -Molto, grazie...Maestà
-Ti
è così difficile usare quella parola?-
domandò Thor, a cui non era sfuggito il fastidio della
ragazza nel dargli
quell'appellativo.
-Da
dove vengo io non ci sono
sovrani, né re, né tantomeno schiavi. Questo
è per me un mondo nuovo sotto
tutti i punti di vista.
-Sai-
disse lui, voltandosi e facendole cenno di avvicinarsi -Quando sono arrivato per la prima
volta a
Midgard mi sentivo esattamente come te.
Chiara
dovette obbedire all'invito,
pur mantenendo una buona distanza di sicurezza, mentre lui proseguiva
nel suo
racconto: -Mio padre mi aveva bandito e privato dei miei poteri,
così mi
ritrovai sulla Terra praticamente inerme, ma ho avuto la fortuna di
trovare
degli amici che mi hanno sostenuto e di averne altri che mi hanno
aiutato a
tornare.
"Bella
storia, ma a che gioco
stai giocando?"
-È
per questa ragione, Chiara, che
ho deciso di prenderti come mia serva personale. Io avuto l'onore di
una
seconda occasione ed è giusto che l'abbia anche tu.
"E
il tuo concetto di seconda
occasione sarebbe schiavizzare la gente?"
Cosa
avrebbe dovuto rispondere? Si
aspettava che lo ringraziasse? Oppure tutto quel discorso serviva solo
a
mettergli a posto la coscienza?
Chiara
non aveva idea di come
comportarsi in un simile frangente e sentiva che, se avesse provato a
mentire,
in quel momento sarebbe stata smascherata subito: la stanchezza e la
preoccupazione non le avrebbero permesso di sostenere una menzogna.
Poi
una lampadina le si accese nella
mente: -Sei stato sulla Terra?- domandò -E come hai fatto ad
arrivarci?
Thor,
visibilmente lieto di aver
attirato l'interesse della sua interlocutrice, accennò un
mezzo sorriso e
riprese: -Abbiamo i nostri mezzi, attraverso i quali siamo in grado di
viaggiare in tutto l'Universo, ma l'attenzione di Asgard è
concentrata sul
mantenere la pace tra i Nove Regni, di cui Midgard e la stessa Asgard
fanno
parte.
"I
Nove Regni? Che
assurdità è mai questa?"
-Davvero?-
chiese Chiara in tono
conciliante -E come fate? Dite una formula magica? Avete una qualche
nave
spaziale?
-Oh,
niente di tutto questo, ma non
ora non è il momento di parlare di queste cose.
Poi
Thor si voltò di nuovo verso la
finestra ad osservare il cielo e a Chiara parve di scorgere una
sfumatura di
malinconia nei suoi occhi blu, ma il buio della notte e il disappunto
per non
aver ancora scoperto come tornare a casa non le permisero di verificare
la cosa
(anche perché, in quel momento, non le importava).
Pensò
per un attimo di minacciarlo,
di costringerlo a rivelarle quello che le stava nascondendo,
così mise la mano
destra dietro la schiena e, pur riconoscendo la follia di quel gesto,
l’avvicinò alle forbici, ma Thor si
voltò verso di lei e, guardandola nel
profondo dei suoi occhi scuri, le disse: -Ti avviso, anche se fossi
armata
della più tagliente e resistente tra tutte le spade, non
potresti procurarmi
nemmeno un graffio.
Poi
il allungò un braccio e lo portò
alla schiena della ragazza, che istintivamente strinse le dita sulla
sua arma
con tutta la forza che poté, temendo che volesse farle del
male, ma,
inaspettatamente, egli non fece altro che avvolgere la sua grande mano
intorno
a quella della fanciulla e a condurla, delicatamente ma con fermezza,
allo
scoperto.
Chiara,
pur colta con le mani nel
sacco, non aveva la minima intenzione di mollare la presa; al
contrario,
puntava l'estremità acuminata verso il ventre del dio.
-La
leggiadra farfalla si è rivelata
essere un'ape armata di pungiglione- disse Thor, sorridendole -Non devi
avere
paura di me, non ti farò del male. Hai la mia parola.
-Ah
sì? E chi mi dice che posso
fidarmi? Sei molto più grosso e forte di me, non oso nemmeno
immaginare cosa tu
possa farmi.
-Allora,
coraggio!- la esortò lui -
Colpiscimi. Hai la mia parola che non reagirò nè
chiamerò le guardie.
Colpiscimi!
Chiara
lo guardò esterrefatta: quel
tizio le stava chiedendo di accoltellarlo?
"Avanti,
Chiara, te lo sta
chiedendo lui. Colpiscilo al cuore e dattela a gambe!"
La
ragazza osservò attentamente il
torace dell'uomo e nella sua testa riaffiorarono i ricordi delle tavole
anatomiche che da bambina le piaceva osservare e studiare: cuore,
polmoni,
diaframma, laringe, faringe... sapeva esattamente dove si trovavano.
Si
domandò se, pur essendo in tutto
e per tutto uguale a un uomo, Thor non avesse qualche stranezza o
differenza
rispetto all'anatomia umana.
"Allora
lo colpirò al collo e
lo lascerò morire dissanguato".
Era
la scelta più logica e, di
sicuro, la più efficace.
Si
preparò a fendere il colpo, uno
solo, alla giugulare.
Inspirò
profondamente e alzò il
braccio, ma si bloccò.
"Merda..."
Mordendosi
nervosamente il labbro
inferiore, Chiara abbassò l'arma e la pose sul davanzale.
Desiderava
piangere: si era
dimostrata debole e incapace di combattere e per questo si odiava. Ora
era in
balia dello stesso uomo che le aveva chiesto di colpirlo e che non era
riuscita
a ferire.
"Sei
una stupida, Chiara. Una
completa idiota! Spera soltanto di essere abbastanza veloce a scappare."
-Sapevo
che non mi avresti colpito-
le disse Thor -Ho combattuto in molte battaglie e ho imparato a
riconoscere lo
sguardo di chi è disposto a uccidere e tu, Chiara di
Midgard, non sei
un'assassina.
-Dovrei
sentirmi più sollevata? Che
razza di persona è quella che non è in grado di
difendere nemmeno se stessa?
-Non
hai bisogno di difenderti da
me- disse Thor e, in risposta allo sguardo dubbioso delle ragazza,
aggiunse -
Non ho intenzione di farti alcun male, hai la mia parola. Il tuo
pianeta mi è
caro e con esso i suoi abitanti, che ho giurato di proteggere.
-Quale
immensa fortuna,
allora, provenire dalla Terra!- rispose sarcastica Chiara, per nulla
convinta
da tutta quella storia. Ci fu una pausa, in cui la ragazza trasse un
profondo
respiro, poi proseguì: -Cosa ti aspetti che faccia, ora?
Si
sentiva sconfitta, amareggiata e
inerme come mai prima di allora.
Il
pensiero della sua famiglia a
anni luce di distanza per poco non la fecero scoppiare in lacrime e la
cosa non
sfuggì a Thor, che, con delicatezza, le pose una mano su una
spalla e la
condusse ad un lato della stanza.
Chiara
non oppose nessuna
resistenza, nemmeno quando l'uomo la fece sedere su una sorta di
triclinio
ricoperto di pelliccia d'orso e le fece bere un sorso di vino.
-Desidero-
disse Thor, posando il
calice a terra e stringendole la mano destra nelle sue -che tu dorma,
riprenda
le forze e inizi a lavorare domani mattina, come stabilito. Andrai
nelle cucine
e porterai la colazione che i cuochi avranno preparato, poi ti
darò nuove
istruzioni.
"Ora
che farai?" si
domandò la ragazza "Mi darai un bacino sulla fronte e mi
rimboccherai le
coperte?". Sogghignò e, evidentemente, Thor
scambiò quel ghigno
stiracchiato per un sorriso di assenso, perché sorrise a sua
volta e tornò alla
finestra, dove prese a giocherellare distrattamente con le forbici,
osservando
il cielo.
Chiara,
distrutta e sfinita per le
emozioni della giornata, si distese sul triclinio e osservò,
attraverso le
palpebre appesantite dal sonno, la silhouette del dio alla luce delle
torce.
"Almeno
sei gentile..."
pensò, cadendo in un sonno profondo.
Angolo
dell’autrice: ecco
a voi il terzo capitolo de La
sua paura. Spero vi sia piaciuto e abbia soddisfatto la
vostra sete di
lettura. Ringrazio tantissimo coloro che hanno cominciato a seguire
questa mia
storiella senza pretese e chi addirittura l’ha messa tra le
preferite (Wow!!!).
Mi auguro di continuare a suscitare il vostro interesse e di regalarvi
delle
belle emozioni.
Statemi
bene,
Lady
Realgar
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Capitolo 4 *** Mjolnir ***
L'alba
era giunta decisamente troppo presto quella mattina e Chiara, al suo
risveglio,
desiderò ardentemente poter dormire per almeno una
settimana: nonostante la
maggior comodità del triclinio rispetto alla branda della
cella, non si sentiva
per nulla riposata. Mentre si strofinava gli occhi ed emetteva un lungo
sbadiglio, la ragazza ripensò ai fatti della sera precedente.
"Nonostante
tutto me la sono cavata piuttosto bene: meglio cameriera che carcerata!"
Thor,
avvolto nelle lenzuola di seta, dormiva beato sul fianco, dando le
spalle alle
finestre.
"Sua
Maestà è ancora impegnato nel regale sonno, a
quanto pare. Sarà il caso di
andare a prendere la sua colazione ed evitare di combinare guai
già al primo
giorno di lavoro."
Alla
leggera luce del sole nascente, uscì dalla stanza in punta
di piedi e richiuse
delicatamente la porta alle sue spalle, appena prima che il suo stomaco
emettesse un gorgoglio di disapprovazione per il poco vitto ricevuto
negli
ultimi giorni.
"È
ora anche per me di mettere un po' di carburante nel serbatoio o
sverrò dalla
fame in qualche angolo del palazzo! Ok, ma... dove sono le cucine?"
-E
ti pareva!- sospirò la ragazza, incamminandosi lungo il
corridoio e tentando di
ripercorrere i passi che aveva fatto la sera precedente con madama
Thyia.
Proseguì
per la sua strada per qualche minuto, ma si ritrovò ben
presto davanti a un
bivio di cui non ricordava l'esistenza, così decise di
affidarsi alla sorte e
cominciò a fare una conta, cantilenando:
-Ambarabà ciccì coccò, tre civette sul
comò...
Alla
fine della filastrocca, il suo indice puntava verso destra, ma qualcosa
dentro
di lei le suggerì che era la strada sbagliata,
così ignorò il responso della
conta e imboccò il corridoio a sinistra.
Qualche
metro più avanti trovò una rampa di scale che
scendeva verso il basso e, una
volta percorsa, la ragazza si ritrovò in un ampio cortile
interno, con tanto di
giardino, fontana e ampio spazio sterrato con bersagli per il tiro con
l'arco e
fantocci di paglia per la scherma.
Gli
uccellini si bagnavano nelle limpide acque zampillanti della fonte e,
tra i
cespugli di rose, le api ronzavano allegramente succhiando il dolce
nettare dei
fiori.
Tutt'intorno
si respirava un'aria di pace e di tranquillità e il sole
cominciava a
riscaldare l'atmosfera. Chiara allargò le braccia e chiuse
gli occhi,
lasciandosi avvolgere dai tiepidi raggi solari, ma quando
riaprì le palpebre
per poco non finì nella fontana per lo spavento: una lunga
ombra scura si
innalzava davanti a lei, poi una voce familiare le
attraversò i timpani: -
Buongiorno, mia cara.
Era
di nuovo lui, era tornato!
-Non
conosci un modo per apparire senza farmi venire un attacco di cuore?-
lo rimproverò
Chiara, infuriata.
-E
perdermi così lo spettacolo della tua faccia spaventata?-
rispose l'uomo,
canzonandola. -Vedo che la sorte ti è stata propizia nelle
ultime ore-
aggiunse, poi, osservando il leggero abito lilla che avvolgeva la
ragazza
-Dalla cella di una squallida prigione alle stanze di un principe, non
ci hai
impiegato molto a diventare la concubina del rampollo reale!
Le
mani di Chiara fremevano dal desiderio di mollargli un sonoro ceffone e
fargli
rimpiangere quell'insolenza, ma la consapevolezza
dell'inutilità di quel gesto
la trattenne.
-Non
sono la sua concubina- rispose alla fine -Sono la sua serva e in questo
momento
non ho tempo da perdere con te: è il mio primo giorno di
lavoro e devo
ingraziarmi il capo se voglio tornare a casa.
Ciò
detto lo oltrepassò e cominciò ad attraversare il
cortile, fingendo di sapere
esattamente dove stesse andando.
In
un primo momento credette di essersi liberata di quel fastidioso
prodotto della
sua mente, ma in un battito di ciglia quello apparve di nuovo al suo
fianco.
-Sei
davvero convinta di questo tuo piano?- le domandò l'uomo
-Credi davvero che
basti fare la brava ragazza per un po' perché ti venga
concessa la libertà?
Pensi sul serio che ti verrà mai permesso di ritornare su
Midgard? Non vedi che
non ne hanno la minima intenzione? Non capisci che è tutta
una messinscena per
tenerti qui come schiava, come trofeo di guerra a perenne monito della
loro
superiorità sul tuo pianeta?
-Sta'
zitto!- lo ammonì Chiara, stringendo i pugni dalla rabbia
così forte da sentire
le unghie conficcarsi nei palmi delle mani -Sta’ zitto! Cosa
credi? Che sia
un'idiota? Lo so benissimo anch'io che non è la soluzione,
ma cosa potrei fare
per il momento? E comunque come proiezione della mia mente sei troppo
invadente
per i miei gusti! Vedi di abbassare la cresta, galletto!
L'uomo
spalancò i grandi occhi verdi, come colto alla sprovvista da
quell'appellativo
insolito, poi un freddo sorriso si estese sul suo volto.
Rimase
in silenzio ad osservarla mentre Chiara si aggirava, completamente
sperduta,
nel grande cortile. Sembrava divertito nel vederla girare a vuoto,
trovando ad
ogni angolo un vicolo cieco o una porta chiusa.
Alla
fine le chiese: -Hai una vaga idea di dove stai andando?
Lei
non rispose, ma alzò in uno scatto la mano aperta in segno
di silenzio, poi,
dopo qualche secondo, riprese a camminare con sicurezza.
-Si
può sapere cosa combini ora?- domandò di nuovo
l'uomo.
-Nelle
cucine, fino a prova contraria- rispose la ragazza -si cucina e quando
si
cucina si producono degli odori, perciò, se le mie narici
non mi ingannano,
qualcuno sta arrostendo della carne in quella direzione.
Attraversò
un portico e imboccò un vialetto a destra finché
non si trovò davanti a una
porta di legno, oltre la quale riusciva a sentire un gran rumore di
stoviglie e
di voci che si sovrapponevano.
Stava
per lanciare un "Alla faccia tua!" al suo accompagnatore, quando si
accorse che era svanito nel nulla.
"E
figurati se quello restava a sentirmi gongolare!"
Diede
una piccola spinta alla porta e davanti a lei si aprì un
brulicante viavai di cuochi
ai fornelli e servi tra piatti e stoviglie da lavare, verdure da
sbucciare e
affettare e polli da spennare, il tutto immerso in un forte odore di
fumo.
Chiara,
mentre prendeva da un paniere lì vicino una grossa fetta di
pane e l’addentava,
attese per qualche secondo che qualcuno si accorgesse di lei, ma erano
tutti
troppo impegnati nelle loro faccende, così si
avvicinò a una donna, intenta a
pelare un gran numero di patate, e le domandò dove potesse
prendere la
colazione del principe.
Quella,
evidentemente infastidita per l'interruzione, e le indicò
con il coltello un
vassoio su un gran tavolo di legno, poi abbassò di nuovo lo
sguardo sulle sue
patate e riprese il lavoro.
-Grazie- disse Chiara con sarcasmo,
afferrando il vassoio per i manici e imboccando l'uscita, accompagnata
dalla
sgradevole sensazione di avere un bel po' di occhi puntati addosso.
Il
vassoio le risultava piuttosto pesante e fece non poca fatica a
trasportarlo
nelle stanze del principe, ma alla fine riuscì a porlo
delicatamente sul tavolino
di marmo a fianco del letto.
Thor
dormiva ancora profondamente.
"Missione
compiuta! Ora non resta che svegliare il bell'addormentato".
Diede
un leggero colpo di tosse, sperando che fosse sufficiente a destarlo,
ma l'uomo
non si mosse di un millimetro.
Nemmeno
la luce, notò la ragazza, sembrava influire minimamente sul
suo sonno: pur
essendo la stanza completamente illuminata dai raggi solari, lui
riusciva a
dormire come se nulla fosse.
Provò,
allora, punzecchiarlo con un dito su una spalla, ma quello
grugnì e rotolò
dall'altra parte del letto.
"Questa
situazione si sta facendo ridicola!"
-È
ora di alzarsi- disse, infine -Avanti, raggio di sole, sorgi e splendi.
Thor
sbuffò e bofonchiò qualcosa di incomprensibile,
poi, stropicciandosi gli occhi
assonnati, chiese: -Che ora è?
-L'ora
di alzarsi. Ti ho portato la colazione- rispose, indicando il vassoio
con i
piatti traboccanti di leccornie fumanti.
Ciò
detto si avvicinò alle finestre, in attesa che Thor finisse
di mangiare per
riportare poi le stoviglie in cucina.
L'aria
fresca del mattino le accarezzava il volto e per le strade si poteva
vedere la
città risvegliarsi.
-Vorrei
che ti sedessi qui con me e mi facessi compagnia- le disse Thor.
Non
poté fare altro che accettare, così si
avvicinò al tavolino e, intimata da un
gesto del principe, si sedette per terra su una pelliccia d'orso.
-Dunque-
iniziò l'uomo, afferrando una coscia di pollo e portandosela
alla bocca - da
quale parte di Midgard provieni?
-Dall'Italia-
rispose Chiara, piuttosto sorpresa da quella domanda.
-Hai
famiglia?- continuò lui, bevendo un ricco e schiumoso
boccale di birra.
"Colazione
leggera, vedo!"
-Sì:
un padre, una madre e un fratello minore.
Thor
abbassò il boccale e chiese: -Come si chiama tuo fratello?
-Francesco.
Cadde
il silenzio e, dopo un minuto, Chiara si domandò se non
fosse il caso ritornare
alla finestra, in attesa che il principe finisse di mangiare, ma Thor
riprese
con le sue domande.
-Di
cosa ti occupavi su Midgard?
-Sono
una studentessa. Scusa, ma mi stai facendo il terzo grado?
A
quella domanda l'uomo parve offendersi, perché rispose, con
un tono di voce
risentito: -Sto solo cercando di conversare.
-Ah…-
Chiara si sentì addosso un certo imbarazzo e il senso di
colpa si fece strada
dentro di lei- … Scusami.
Il
volto di Thor tornò a distendersi e il cuore di Chiara si
alleggerì: in fondo,
lui era stato l’unico, tra tutti quelli che aveva incontrato
fino a quel
momento, a mostrare un po’ di comprensione nei suoi confronti.
-Posso
farti io una domanda?- chiese la ragazza, che, senza aspettare una
risposta,
riprese: -Ieri sera hai parlato dei Nove Regni, di cosa si tratta,
esattamente?
L’uomo
si pulì la bocca con il dorso della mano, ripose il boccale
sul vassoio e, dopo
un attimo di riflessione, iniziò a spiegare:
-Come ben saprai, l’universo è
estremamente vasto ed eterogeneo ed è
praticamente impossibile enumerare le civiltà e le specie di
creature che lo
compongono, tuttavia vi sono nove regni che, dalla notte dei tempi, si
sono
presi la responsabilità di vegliare e proteggere la pace e
l’armonia tra i
popoli. All’inizio sembrò che la cosa funzionasse,
ma ad un certo punto alcuni
regni decisero di imporsi sugli altri e usare la propria forza per
dominare. Fu
così che Jotunheim, il Regno dei Giganti di Ghiaccio,
attaccò Midgard. Asgard combatté
a fianco della Terra e l’invasione fu scongiurata, ma si
creò un enorme divario
tra Asgard e Jotunheim; Midgard, dall’altra parte,
dimenticò il suo compito,
attribuendo a forze divine la salvezza della specie umana. Nel corso
della storia
vi furono numerose battaglie anche con altri regni, come, ad esempio,
contro
Svartalfheim, la terra degli Elfi Oscuri, e Asgard si trovò
con ben pochi
alleati nel difficile compito di difensori della pace ed è
questo il mio dovere:
combattere chiunque attenti alla pace nei Nove Regni.
Chiara
rifletté per qualche momento su quella storia incredibile,
poi fu come
l’accendersi di una lampadina nella sua mente e, con gli
occhi sbarrati per
l'incredulità, disse: -Aspetta un momento! Mi stai dicendo
che tu saresti Thor?
QUEL Thor? Il dio dei fulmini della mitologia nordica? E che tuo padre
è
QUELL’Odino? Oh… mio… Dio…
oh mio dio, oh mio dio, oh mio dio! Tutto questo è
assurdo! Voglio dire, la mitologia è solo … beh,
una raccolta di miti e di
leggende, un modo fantasioso degli antichi per spiegare fenomeni che
non
comprendevano! Non è possibile! Non ci credo!
Il
principe di Asgard la guardò esterrefatto per quella
reazione, poi si alzò e le
disse: -Aspetta qui.
Ancora
sconvolta dalla rivelazione appena avuta, Chiara vide l’uomo
andare in una
sezione della grande stanza, separata dal resto dell’ambiente
da tende
scarlatte, e sparire alla sua vista. Sentì dei rumori
metallici e, dopo qualche
minuto, lo vide riapparire dentro la sua armatura.
-Seguimi-
la invitò e Chiara obbedì. Uscirono dalla stanza
e raggiunsero il cortile
esterno, in cui alcuni uomini stavano già facendo pratica di
tiro con l’arco e
lotta libera.
Alla
vista del principe, gli uomini interruppero le loro
attività, appoggiarono il
pugno destro sul petto all'altezza del cuore e si inginocchiarono.
-Buongiorno
anche a voi, soldati- li salutò Thor, raggiante.
-Buongiorno
a te, maestà- disse una giovane donna, dai lunghi capelli
corvini.
Era
una delle ragazze più belle che Chiara avesse mai visto in
vita sua: elegante e
selvaggia, il suo corpo snello era avvolto da un'armatura leggera e si
muoveva
con una grazia fuori dal comune. Sul suo viso erano dipinti la gioia e
il
calore, che mutarono in freddezza e odio quando si accorse della
presenza della
ragazza.
-Cosa
ci fa LEI qui?- domandò aspra, squadrando da cima a fondo
Chiara, come se fosse
stata uno scarafaggio trovato nell'insalata.
Thor
le rivolse un ampio sorriso e le rispose: -Buongiorno Lady Sif! Radiosa
come al
solito.
Lady
Sif lo fulminò con lo sguardo: -Cosa ci fa lei qui?-
ripeté -Non dovrebbe
pulire le stalle o lavare i panni?
"Ok,
è ufficiale: ti odio"
-Ho
portato Chiara per farle dare un'occhiata in giro- rispose Thor, sempre
con un
bel sorriso a trentadue denti (che Chiara trovò un po'
stupido e fuori luogo).
-Chiara?-
la voce di Sif, sebbene cercasse di modularla per farla sembrare
più calma
possibile, preannunciava inequivocabilmente una tempesta imminente.
"Attacco
isterico in arrivo! Nascondete donne e bambini!"
La
ragazza si stava già preparando all'esplosione, quando tre
uomini si
avvicinarono: un omone corpulento e fulvo, che inequivocabilmente era
Volstagg,
un guerriero dai tratti del viso che ricordavano quelli orientali e uno
spadaccino dalla bionda chioma mossa e il pizzetto curato al millimetro.
I
tre uomini ripeterono il saluto militare al principe e lui
ricambiò con un
caloroso abbraccio.
-Amici-
disse Thor una volta che l'abbraccio fu sciolto -è sempre un
piacere rivedervi!
Come è andato il sopralluogo nel Vanaheim?
Il
guerriero orientale rispose: -Ci sono stati degli attacchi da parte di
alcune
tribù di banditi, ma sono stati fermate e consegnate alla
giustizia di Asgard,
il Padre degli Dei se ne sta occupando in questo momento.
-Ottimo
lavoro Hogun!- l'apostrofò il principe, accompagnando le
parole con una sonora
pacca ben assestata sulla spalla dell'amico -Fandral- aggiunse
rivolgendosi
allo spadaccino -Avrai sicuramente molto da raccontare questa sera al
banchetto: la tua lama sembra vogliosa di mostrare le proprie cicatrici
a un
pubblico numeroso.
Fandral
sorrise e si passò una mano tra i capelli: -Oh, niente di
particolare, questa
volta in effetti è stata un po' noiosa, ma meglio
così. Piuttosto, questa è la
famosa fanciulla terrestre?
Lo
spadaccino fece un accenno di inchino a Chiara, poi le prese
elegantemente la
mano e l'avvicinò alle labbra.
Il
contatto con il viso dello sconosciuto la infastidì
terribilmente e ritrasse la
mano, ma l'uomo non si scompose, anzi, il suo sorriso divenne ancora
più ampio
e amichevole.
-Che
razza di selvaggia- commentò acida Lady Sif -Hai la
più pallida idea di chi hai
di fronte? Sei al cospetto dei Tre Guerrieri!
La
perplessità di Chiara doveva trasparire piuttosto
evidentemente, perché Sif
riprese subito, inquisitoria: -Hai qualcosa da dire?
-Qui
intorno è pieno di guerrieri- rispose secca Chiara, stufa di
essere il
bersaglio di quell'arpia -Perché mai dovrei essere
impressionata?
Il
volto di Sif cominciò ad assumere un’allarmante
tonalità rossa e Chiara si
morse la lingua, rimproverandosi per la sua solita sfacciataggine, ma
fortunatamente Fandral, ridendo sotto i baffi, intervenne: -Ha ragione:
qui
siamo tutti guerrieri con il medesimo scopo e in battaglia siamo tutti
uguali
di fronte alla morte. Amico mio- aggiunse rivolgendosi a Thor -Hai
trovato una
fanciulla saggia, ora però dobbiamo iniziare allenamento di
oggi e, inoltre, ci
sono le nuove reclute in attesa dell'addestramento.
I
tre uomini si congedarono e, dopo aver lanciato un'ultima, velenosa
occhiata in
direzione di Chiara, anche Sif si unì agli altri soldati.
-Credo
di starle simpatica- disse ironica Chiara, mentre la donna, estraendo
la spada
dal fodero, si allontanava.
-È
uno dei migliori guerrieri di Asgard- rispose Thor, riprendendo a
camminare in
direzione di un largo spiazzo vuoto del cortile - è nella
sua natura
essere inflessibile
e sospettosa.
"Sospettosa?
Direi piuttosto che la sua natura è essere stronza!"
-Perché
mi hai portata qui?
-Non
credi che quello che ti ho detto sia vero, giusto?- domandò
Thor tendendo il
braccio destro verso l’alto -Voglio farti ricredere.
Ci
fu un sibilo nell'aria, come una sorta di fischio, poi in lontananza
apparve
una macchia nera, che crebbe sempre di più, fino a
raggiungere la forma di un
grosso martello nella mano del dio.
-Questo-
riprese Thor, palleggiando il martello con la stessa
facilità con cui avrebbe
fatto saltellare una pallina da tennis -è Mjolnir.
Delle
piccole scariche elettriche uscivano dal metallo decorato della testa
di
Mjolnir, come se stesse chiedendo al suo padrone di adoperarlo, di
liberare la
sua potenza.
Fu
questione di un attimo: il martello venne sollevato verso il cielo e
una
violenta scarica elettrica si sprigionò dal metallo e
raggiunse le nuvole, dove
diffuse la sua luce producendo un gran tuono.
Chiara
si rese conto di essere rimasta a bocca a aperta (con grande
soddisfazione di
Thor) e si affrettò a chiuderla: -Te l'hanno mai detto che
sei un
esibizionista?
Scoppiarono
entrambi in una risata: era la cosa più pazzesca e
incredibile che le fosse mai
capitata, ma non era spaventata, anzi, la tensione che aveva accumulato
fino a
quel momento stava scomparendo tra le risa. Era finita
chissà come nel regno
degli dei nordici e davanti a lei c'era Thor che brandiva il suo
martello
magico. Era folle, ma meraviglioso. Era assurdo, ma era a che la cosa
più
emozionante che le fosse mai capitata in tutta la sua vita.
-Allora-
riprese Thor, dopo essersi calmato da quell'attacco di ridarella -Credi
ancora
che non sia reale?
-Ora
più che mai!- rispose la ragazza -È la cosa
più pazzesca e assurda che mi sia
mai capitata e mi sembra troppo incredibile per essere vera!
Thor
stava per dire qualcosa, ma venne interrotto da una voce:
-Maestà- urlò un
paggio, correndo a perdifiato nella loro direzione -il Padre degli Dei
desidera
vederla!
Il
principe fece un segno di approvazione con il capo e si
avviò verso l'interno
del palazzo, ma venne bloccato da Chiara, che gli si parò
davanti: -Cosa dovrei
fare io intanto?
-Tu
vieni con me.
I
due si avviarono a grandi passi verso la sala del trono (o meglio, Thor
camminava e Chiara correva per stare al suo passo) e lungo il tragitto
a
ragazza poté ammirare una serie di splendidi arazzi e
sculture monumentali di
pregevole fattura.
Oltrepassato
l'ingresso della sala, a Chiara balzò subito all'occhio un
gruppo di uomini
dagli abiti di pelle grezza, sporca di fango e sangue.
Erano
in ginocchio e, di fronte a loro, Odino parlava in una lingua
gutturale,
brandendo la sua lancia dorata.
Non
appena si fu accorto della loro presenza, il Padre di Tutti
ordinò alle guardie
di riportare i prigionieri nelle rispettive celle e squadrò
i nuovi venuti con
il suo unico occhio.
-Non
è necessario che la ragazza rimanga- sentenziò
Odino, così a Chiara non rimase
che uscire dalla sala, chiudendosi le grandi porte alle sue spalle.
Tuttavia,
appoggiando l'orecchio contro il legno delle porte, riusciva a sentire
le voci
dei due uomini, che rimbombavano nella grande stanza.
Dopo
essersi assicurata di non essere vista da nessuno, si mise ad origliare.
-Padre...-
iniziò il principe, ma venne subito interrotto dal sovrano.
-Thor,
nessuno più di me apprezza le tue qualità
belliche, ma non ti è stato affidato
Mjolnir perché ci giocassi- lo rimproverò Odino.
Chiara
dovette fare un enorme sforzo di autocontrollo per non scoppiare a
ridere,
sopratutto perché sarebbe stato sconveniente farsi scoprire
in
quell'atteggiamento così compromettente.
-È
necessario prendere dei provvedimenti per questi continui saccheggi nel
Vanaheim- riprese il dio sovrano -Sembra che il numero dei banditi stia
aumentando ogni giorno che passa e voglio arrivare alla fonte di questi
fenomeni criminali e fermarli. È mio desiderio che domani
mattina ti rechi nel
Vanaheim con alcuni uomini e vada alla ricerca dei quartier generali di
questi
barbari. I prigionieri non hanno confessato dove si trovino
esattamente, ma ben
presto cederanno. Cedono tutti, alla fine.
Chiara
ebbe l'inquietante sospetto che quell'ultima frase, sottolineata da un
tono di
voce molto grave, fosse indirizzata proprio a lei, ma, ovviamente, non
poteva
vedere come fossero le loro espressioni, né tantomeno i loro
gesti.
-A
proposito- continuò Odino -hai saputo nulla dalla ragazza?
Le
orecchie di Chiara si drizzarono nell'ascolto, ma un rumore di passi la
mise in
allerta. In un lampo si allontanò dalla porta e si nascose
dietro dei grandi
tendaggi, trattenendo il respiro per non fare rumore.
I
passi si avvicinarono e con essi anche delle voci femminili.
-Sei
sicura di aver preso tutte le lenzuola?- chiese una fanciulla.
-Certamente!-
rispose una seconda ragazza -Tu, piuttosto, stai attenta quando
attraversi il
cortile: per un pelo non ti cadeva la cesta, mentre eri impegnata a
fare gli
occhi dolci a sir Fandral. Ti ho vista, sai?
Le
due ragazze ridacchiarono civettuole, ma una terza voce si intromise:
-Tenetevi
pure il vostro piccolo guerriero, io ho ben altre mire!
Le
due ragazze smisero di ridere e la seconda fanciulla rispose: -Sappiamo
tutte
che i tuoi sogni sono colmi del principe, Kalista, ma guardiamo in
faccia alla
realtà: in primo luogo non siamo nobili e in secondo luogo
è risaputo che Sua
Maestà ha un debole per le donne di Midgard, guarda cosa ha
fatto con quella
ragazza ieri.
Chiara
sentì la terza ragazza fare un verso di disapprovazione:
-Bah, si potranno mai
definire donne, quelle? Questa è pure peggio di quella
sgualdrina che ha
portato l'ultima volta! Ma l'avete vista? Potrà anche
tenersela ai piedi del
letto come animale da compagnia, ma di certo saprei io come passare da
sopra al
pavimento a sotto le lenzuola.
Ci
fu uno scroscio di risatine maliziose e il gruppetto si
allontanò, lasciando
alle sue spalle il silenzio.
"Sto
guadagnando una certa popolarità" pensò Chiara
uscendo dal suo
nascondiglio e avvicinandosi di nuovo alle porte.
Ormai
aveva perso il filo del discorso e il rischio che Thor uscisse dalla
sala
trono, cogliendola sul fatto, era troppo alto, così si
avvicinò a un finestrone
e si mise ad osservare il paesaggio.
Il
sole era alto in cielo e la città, sotto all'immenso
palazzo, era nel pieno
delle sue attività. In lontananza lo strano osservatorio
sembrava essere immune
a quella frenetica vita che riempiva le strade: immobile e silenzioso,
l'edificio si stagliava pigramente sulla superficie del mare, come un
qualche
strambo cetaceo, in fondo al ponte arcobaleno.
Sotto
la finestra un grande sferragliare accompagnava lo svolgersi
dell'addestramento: nel cortile era tutta una danza di lame che si
scontravano
tra loro in un volteggiare di movimenti armoniosi e letali. Tra tutti,
ovviamente, lady Sif spiccava per leggiadria e furia omicida.
Chiara
rimase ipnoticamente incantata da quella figura snella e letale che
volteggiava
brandendo una spada corta, mentre combatteva contro tre avversari, su
cui
riusciva a tenere testa con facilità.
Ad
un tratto una voce la distrasse da quello spettacolo e Chiara vide,
proprio
sotto di lei, Fandral che la salutava con un leggero inchino e un
grande
sorriso. Imbarazzata, la ragazza rispose al saluto con un timido cenno
della
mano.
In
quel momento cinque soldati si allontanarono dal resto del gruppo e si
avvicinarono a Fandral, che estrasse da sotto il mantello il fioretto e
cominciò il combattimento.
Chiara
capì perché le servette che erano passate pochi
minuti prima, si emozionavano
al pensiero di sir Fandral: era il miglior spadaccino che si potesse
immaginare, elegante e veloce, non sbagliava un affondo o una stoccata,
in più
emanava un'affascinante aura di galanteria d'altri tempi.
Eppure,
dopo qualche minuto, Chiara si stancò di osservare il
combattimento e si
allontanò dalla finestra.
Le
porte erano ancora chiuse e la ragazza si chiese di cosa stessero
parlando i
due dei, ma, temendo che riprovare ad origliare si sarebbe rivelato un
pericoloso azzardo, decise di darsi da fare e guadagnarsi il pane.
L’angolo
dell’autrice:
quarto capitolo de La sua paura,
molto
meno drammatico dei precedenti. Spero sia stato di vostro gradimento.
Ringrazio
calorosamente chi ha cominciato a seguire questa mia piccola storia: la
gioia nello
scoprire che vi è qualcuno che trae piacere nel leggere le
parole che scrivo è la
fonte dell’ispirazione che mi porta a proseguire. Grazie di
cuore
Statemi
bene,
Lady
Realgar
|
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Capitolo 5 *** Arrosto di maiale e patate al forno ***
5.
Si
diresse, così, verso le stanze del principe, ripensando alle
conversazioni che
aveva ascoltato: aveva scoperto di non essere la prima donna terrestre
a camminare
per quelle sale e che Thor l'indomani sarebbe partito per una missione.
Doveva
saperne di più, doveva capire cosa stava succedendo, ma
essere cauta allo
stesso tempo: ogni dettaglio poteva essere essenziale per aiutarla a
tornare a
casa, ma la minima imprudenza l'avrebbe rispedita in prigione.
Trascorse
la mattina a svolgere il suo ruolo di serva, rassettando le stanze di
Thor e,
dopo aver trovato (con una certa difficoltà) i locali della
lavanderia, pulendo
le lenzuola e gli abiti del principe. Cercò di non attirare
l'attenzione delle
altre cameriere, ma le voci circolavano veloci per le sale e i corridoi
della
reggia degli Aesir e, per quanto fingesse di essere invisibile, Chiara continuava
ad avere
la spiacevole sensazione di decine di occhi puntati su di lei.
Arrivò
l'ora di pranzo e, non sapendo cosa fare, Chiara seguì un
discreto numero di
cameriere nelle cucine, in cui i cuochi e i garzoni lavoravano
freneticamente
per preparare il pasto a nobili e a soldati.
Una
donna paffuta e dalle braccia robuste le mise in mano, con una certa
malagrazia, una grossa pentola di zuppa fumante, da cui fuoriusciva il
manico
di un mestolo. La ragazza cercò di spiegarle che non sapeva
assolutamente dove
portare il pentolone, ma la donna sembrava essere sorda alle sue
parole; per
fortuna vide un'altra serva e una bambina dagli occhi color caramello
trasportare una pentola identica alla sua e si affrettò a
seguirle.
Finì,
così, in un grande salone vicino al campo d'addestramento
arredato con cinque
grandi tavolate piene di soldati affamati e rumorosi. Per quello che
riusciva a
capire in mezzo a quella babele di voci, buona parte delle
conversazioni
vertevano sul rendimento nella scherma, nel tiro con l'arco e nella
lotta
libera; ogni tanto qualcuna delle reclute più giovani
borbottava un
"grazie" quando vedeva il mestolo pieno di zuppa versare il proprio
contenuto nella sua scodella, ma, a parte questo, nessuno sembrava
notarla.
"Evidentemente
i soldati da queste parti non si occupano di gossip reale."
-Ecco
che fine avevi fatto.
Una
voce familiare la distolse dai suoi pensieri e Chiara si accorse di
star
riempiendo proprio la scodella di Thor.
-Non
ti ho più trovata quando sono uscito dalla sala del trono,
mi domandavo dove
fossi andata a finire- proseguì il principe, sorridendole
cordiale.
Accanto
a lui sedevano i Tre Guerrieri e Lady Sif, imbronciata.
-Ho
semplicemente fatto il mio lavoro- rispose Chiara, sforzandosi di
ignorare lo
sguardo di disprezzo della guerriera -D'altro canto sono qui per questo.
Ciò
detto, riprese a servire i commensali e ritornò in cucina,
dove, tra una
portata e l'altra, anche i cuochi e le cameriere riuscivano a mangiare
qualcosa.
I
pasti che la servitù consumava erano estremamente frugali,
non più di un po' di
pane e un pezzo di formaggio, ma tanto bastò per ricordare
alla ragazza di
avere un grande buco nello stomaco, così si sedette al
tavolo presso il quale
stavano mangiando altre tre cameriere e si servì la sua
porzione, attingendo da
un grande paniere messo a disposizione del personale.
Inutile
dire che, anche quella volta, gli occhi dei presenti erano puntati su
di lei.
Chiara
si sforzò di ignorarli e, non appena la seconda portata fu
pronta per essere
servita, fu la prima ad alzarsi per portarla nella sala da pranzo.
Riprese
a distribuire i pasti, lanciando qualche veloce occhiata verso il
tavolo dove
Thor e i suoi amici pranzavano e chiacchieravano allegramente.
Se
se ne fosse partito per quella missione, lei sarebbe dovuta andare con
lui nel
Vanaheim (qualunque cosa fosse)?
Si
ripromise di parlarne con lui in serata e continuò il suo
lavoro.
Almeno
tra i soldati nessuno la osservava in cagnesco.
"In
effetti, ora che ci penso, perché mai sembra che tutti mi
odino? È solo la
componente femminile o è esteso anche agli altri? La ragione
può essere davvero
solo la gelosia come per quella serva davanti alla sala del trono?"
Doveva
esserci una spiegazione: lei, in fondo, non aveva fatto nulla per
attirare il
malumore delle persone ad Asgard, eppure perché Odino era
cosi preoccupato di
sapere come avesse fatto ad arrivare lì? Certo, era una
domanda lecita a cui
nemmeno lei era in grado di dare una risposta, ma aveva avuto una
reazione
esagerata, soprattutto una volta capito che
era totalmente inoffensiva.
C'era
qualcosa che non quadrava... Ad esempio, perché Thor si era
rifiutato di
spiegare il modo degli asgardiani di passare da un pianeta all'altro?
Voleva
solo evitare che tentasse la fuga o c'era qualcos'altro?
Nel
bel mezzo di quel pensiero, distratta nel tentativo di risolvere quel
puzzle,
mancò il piatto di una recluta e la bistecca di maiale, che
poco prima
penzolava da un forchettone, finì rovente sulle ginocchia
del malcapitato, che
guaì di dolore.
-Oh
mio dio! Scusami! Non volevo!- si scusò Chiara, togliendo la
bistecca dalle
gambe del ragazzo -Ti ha fatto tanto male?
La
recluta la guardò con un velo di rabbia negli occhi, ma alla
fine sembrò
lasciar perdere e la liquidò con un secco "Non ti
preoccupare".
Per
farsi perdonare, Chiara gli servì (questa volta centrando il
piatto) una doppia
porzione di carne con patate e proseguì il servizio,
sentendosi le guance
avvampare per la vergogna.
"Complimenti,
genio, perché non gli chiedi se vuole anche il dolce sulla
camicia, già che ci
sei?"
Alla
fine del pranzo (che giunse alla conclusione senza altre vittime),
Chiara aiutò
a sparecchiare le grandi tavolate e a lavare i piatti.
Durante
la giornata scoprì, inoltre, che la stiratura degli abiti
era svolta da un
reparto specializzato di cameriere, in grado di maneggiare con
disinvoltura dei
pesanti ferri caricati a brace. A gestire il reparto vi era Angnis,
che,
intenta a cucire chissà quale meraviglia della sartoria,
vigilava sulle ragazze
lanciando fugaci occhiate a destra e a manca.
Quando
vide Chiara, il volto di Angnis si illuminò e la donna le
fece gesto con la
mano di avvicinarsi.
-Come
va il primo giorno di lavoro?- le chiese non appena fu abbastanza
vicina.
-Mi
sono inimicata Lady Sif e ho ustionato un soldato con una bistecca-
rispose
Chiara -Direi che potrebbe andare meglio.
-Oh,
non ti preoccupare- continuò Angnis, tutta concentrata sul
suo lavoro -A Sif
non piace qualunque ragazza si avvicini a Thor e per quanto riguarda il
soldato, spero bene che lo addestrino a dovere perché in
futuro rimpiangerà
dolori come quelli provocati da una bistecca.
-Immagino
che Thor riscuota un certo successo tra le ragazze- esordì
Chiara cercando di
trasmettere noncuranza con il suo tono di voce -Sembra che qualunque
fanciulla
gli si avvicini ne rimanga infatuata.
-Oh-
sospirò Angnis -il principe è sempre stato molto
affascinante, sin da quando
era piccolo! Avresti dovuto vedere sua madre il giorno che lo mise al
mondo:
piangeva dalla gioia e continuava a ripetere quanto fosse stata
fortunata ad
avere un bambino così bello e in salute. Alcuni dicono che
persino Odino si commosse
quel giorno! Le serve facevano a gara a farlo ridere quando era nella
culla e,
quando divenne un ometto, riusciva sempre a convincerne qualcuna a
dargli un
dolcetto. Era davvero un tesoro! Emetteva una propria luce e
risplendeva come
il sole, soprattutto a fianco del fratellino, che invece cresceva
gracile e
debole. Pensa, io c'ero quando ha mosso i primi passi e quando ha fatto
centro
per la prima volta al tiro con l'arco! Il giorno il cui
guadagnò Mijolnir tutto
il paese era in festa e lui sembrava il più grande dei re!
Poi però...
A
questo punto del racconto, Angnis si bloccò.
-Però
cosa?- domandò incuriosita Chiara.
-Non
fare caso alle sciocchezze che dice questo povera vecchia. I panni che
hai
portato saranno pronti prima di cena.
Con
questo, capì la ragazza, la conversazione era chiusa. Era
evidente che ad
Angnis piaceva parlare, ma, a quanto pare, aveva ritenuto di aver detto
troppo
e l'aveva scaricata con una scusa.
Si
sistemò in un angolo della stanza, in attesa si ricevere i
panni da portare a
Thor prima della cena.
Era
uno spettacolo davvero particolare: immerse in una nebbia vaporosa
creata dal
fumo delle braci e dal vapore dei calderoni in cui venivano fatti
bollire i
panni, alcune serve facevano scivolare su lenzuola e abiti multicolore
grossi
ferri da stiro in ghisa, mentre altre, con le maniche dei vestiti
arrotolate
fino ai gomiti, facevano vorticare con lunghi mestoli di legno i panni
nei
pentoloni fumanti.
"Ambiente
interessante la lavanderia".
Ad
un tratto, nella nebbia, Chiara si accorse che la bambina con gli occhi
color
caramello, nascosta dietro un'enorme pila di lenzuola sporche, la stava
fissando.
Chiara
accennò un lieve saluto con la mano e, in tutta risposta,
quella scappò via
senza dire una parola, lasciando la ragazza di sasso.
-Ma...ma...-
balbettò spiazzata, ma in quel momento una donna dai biondi
capelli ispidi le
si piazzò davanti, porgendole la sua pila di panni
perfettamente stirati e
piegati.
-Però!-
disse Chiara, con sincera ammirazione -Sarebbe fantastico se mi
insegnaste a
stirare così! Sai, mia madre si lamenta sempre che lascio le
pieghe...
Una
fitta al cuore le smorzò le parole in gola e rimase in
silenzio a fissarsi i
piedi. Era da quando si trovava dentro la sua cella che non sentiva
quella
forte nostalgia di casa e in quel momento era emersa in tutta la sua
forza,
schiacciandola sotto il suo peso.
Un
colpo di tosse la destò dai suoi pensieri, alzò
gli occhi e si trovò la donna
dai capelli crespi con un'aria impaziente stampata sul viso.
-Giusto-
sospirò, prendendo i panni stirati dalle mani della donna
-Sono solo una
straniera... Non ha importanza quello che dico.
Uscì
dalla lavanderia con il cuore stretto in una morsa e gli occhi che
bruciavano.
Cercò di convincersi che fosse colpa del vapore, ma non
riusciva a mentire così
spudoratamente a se stessa: voleva piangere, voleva sfogare quella
nostalgia
nelle lacrime e nei singhiozzi, ma non poteva, non lì dove
tutti potevano
osservarla.
Continuò
a camminare, nascondendo il volto nelle lenzuola pulite,
finché non arrivò alle
stanze del principe.
Chiuse
le porte dietro di sé, mise le lenzuola in una cassapanca e
trasse un profondo
respiro.
"Calmati
Chiara, ce la farai. Tornerai a casa."
Ma
per quanto si sforzasse, le lacrime ebbero la meglio e cominciarono a
scorrere
sul suo viso.
Thor
sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro, non poteva farsi
vedere in
quelle condizioni. Prese la brocca dal tavolo da toeletta e
versò nel catino
d'argento un po' d'acqua, con cui si lavò il viso. Quando si
fu asciugata gli
occhi con un asciugamano appeso lì vicino,
osservò la sua immagine allo
specchio: a parte per gli occhi leggermente gonfi e lo sguardo triste
come non
mai, era sempre la stessa.
Poi
la memoria tornò alla prigione ed ebbe come un
de-ja-vù: -Beh, adesso non ti
fai vedere?- disse ad alta voce.
Non
successe niente.
-Non
riesco a credere di essere arrivata al punto da chiamarlo!-
sospirò la ragazza,
pettinandosi i capelli con le dita e cercando di riordinarli un po'.
Dopo
qualche momento, rinunciò all'impresa, aprì le
finestre per far arieggiare
l'ambiente e si mise a sostituire le lenzuola del principe con quelle
appena
lavate.
Non
appena ebbe finito il lavoro, le porte si aprirono di nuovo e Thor,
sudato come
un cavallo, attraversò la soglia.
-Eccoti
qui!- le disse il principe, buttando per terra la pezza fradicia con
cui si era
asciugato il collo.
-Eccomi
qui...- ripeté la ragazza, osservando disgustata il
miserevole straccio
abbandonato al suolo, poi aggiunse -Vuoi un po' d'acqua? Mi sembri
accaldato.
Il
principe mugugnò un "Sì grazie" e la ragazza
andò ad attingere del
liquido dalla brocca, versandolo nel calice del vino della colazione
(opportunamente
svuotato e ripulito), ma quando si voltò per porgere la
bevanda al principe,
ebbe un sobbalzo: davanti a lei Thor si era tolto la parte superiore
dell'armatura e, a petto nudo, stava armeggiando con quella inferiore.
-Cosa
stai combinando, di grazia?- chiese lei, irritata, mentre il principe
le
toglieva di mano il calice e se lo portava alle labbra.
L'uomo
smise di bere emettendo un verso di soddisfazione e rispose: -Mi
preparo per il
bagno, è ovvio!
-È
devi farlo davanti a me?
Lui
la guardò sorpreso, poi la sorpresa divenne imbarazzo e,
bofonchiando uno
"Scusami" appena percepibile, si riallacciò la cintura dei
pantaloni.
-Ho
assistito al tuo piccolo incidente a pranzo- riprese il principe
-è stato molto
buffo vedere quella recluta trattenersi dall'urlare di dolore per la
scottatura.
-Non
si ripeterà- rispose Chiara, riprendendo la coppa e
appoggiandola sul tavolino
di marmo.
-Peccato,
è stato divertente- un sospiro sfuggì dalle
labbra del principe -Negli ultimi
tempi non ci sono state molte occasioni per divertirsi.
Cadde
il silenzio. Quell'aria di malinconia cominciava a risultarle
insopportabile:
come si permetteva di fare il cucciolo triste, quando in
realtà era circondato
da amici e parenti in un gran palazzo dorato, mentre lei era lontana
anni luce
dalla sua casa e dalla sua famiglia?
Non
potendo più tollerare l'atmosfera che si era venuta a
creare, Chiara sfoggiò il
suo miglior sorriso di circostanza e si congedò augurandogli
un buon bagno.
"Non
potrò sopportarlo ancora a lungo"
Attraversò
i corridoi e si rifugiò sotto un portico del giardino,
godendosi gli ultimi
raggi del sole e la brezza fresca della sera che avanzava.
Nel
cortile dell'addestramento non vi era più nessuno, se non un
paio di servi
impegnati a riordinare l'area, raccogliendo frecce e sostituendo i
bersagli
troppo consunti in vista di un nuovo giorno.
-Sai-
le disse una calda voce familiare -Penso proprio che dovresti
chiederglielo. Bruci dalla voglia
di domandarlo
direttamente a lui.
Seduto
accanto a lei, l'uomo dai glaciali occhi verdi le sorrideva.
-Ti
ho chiamato prima- rispose la ragazza -Perché non sei venuto?
-Mi
lusinghi! Non immaginavo che potessi addirittura desiderare la mia
presenza.
-Ti
prendi gioco di me?
-Giusto
un po'.
Si
scambiarono un'occhiata e una contenuta risata scivolò dai
denti della ragazza.
-Quale
sarebbe la domanda che dovrei porgli?- chiese alla fine.
-Lo
sai molto bene. Stai bruciando dalla curiosità e sai anche
che chiedere a terzi
non la soddisferebbe. Fatti coraggio e chiediglielo.
-L’unica
cosa che vorrei chiedergli in questo momento è se non sia in
grado di lavarsi
da solo i suoi panni sudici, ma, evidentemente, creerei un problema
diplomatico
se lo facessi.
Dopo
qualche attimo di silenzio, Chiara riprese: -Sai, si vede che non sono
più una bambina.
-Cosa
intendi dire?- domandò l’uomo, incuriosito.
-Beh-
esordì quella con una risatina -Quando ero piccola il mio
amico immaginario era
un cucciolo di Golden Retriver di nome Annibale e ora, non solo non ho
perso
l’abitudine di crearmi amici immaginari, ma quello di adesso
è persino un
affascinante "bel tenebroso"! Sono chiari sintomi di invecchiamento.
Sul
viso dell’uomo, notò Chiara, si era delineata
un’espressione indecifrabile, a
metà tra l’irritazione e il disagio, ma non vi
diede peso: erano passati quasi
due giorni da quando aveva ripreso conoscenza e non era ancora riuscita
a
capire come tornare sulla Terra. Forse era quella la domanda a cui si
riferiva
prima l’uomo dagli occhi di ghiaccio? A proposito…
-Scusa-
esordì Chiara, voltandosi per guardare il faccia
l’uomo -Tu come ti chiami?
Ma
l’uomo era già sparito, sostituito dal rumore dei
passi di Fandral, Volstagg,
Hogun e lady Sif, che in pochi secondi apparvero, vestiti di tutto
punto per la
cena, da dietro una colonna e imboccarono una rampa di scale alla fine
del
portico.
“Ma
certo!” si disse Chiara, battendosi la fronte con il palmo
della mano “Se il
pranzo viene condiviso con i soldati, la cena deve essere svolta in
presenza di
Odino. Deve essere in un’altra sala.”
Seguì,
così, a ragionevole distanza, il quartetto fino
all’ingresso della sala da
pranzo “ufficiale”, ma venne intercettata da madama
Thyia, che la spedì in malo
modo alle cucine.
Tra
gli aromi delle pietanze e il frastuono delle pentole, Chiara prese il
manico
di un grosso pentolone contenete stufato d’agnello e, con
l’aiuto di un’altra
serva, cominciò a trasportarla attraverso una scala di
servizio verso la sala
da pranzo, dove regnava un gran vociare di persone che parlavano
animatamente
tra loro.
Non
appena furono entrate nella sala, davanti a loro si parò una
ragazza con una
lunga treccia bionda e, notò Chiara, una scollatura
piuttosto profonda che
lasciava intravedere i grossi seni. Brandendo un mestolo come se fosse
stata
una spada, disse loro: -Siete qui finalmente! Devo assolutamente
servire il
tavolo reale, perciò datevi una mossa!
Poi
gli occhi viola della donna si posarono su Chiara, con uno sguardo
simile a
quello che Lady Sif, quella mattina, le aveva rivolto. Sulle sue labbra
carnose
spuntò un sorrisetto malevolo e disse, velenosa: -Augurati
che le tue gambette
da piccola midgardiana stiano al passo con me e cerca di non rovesciare
niente
questa volta!
-E
tu cerca di non chinarti troppo sui piatti o le tue tette scivoleranno
sulle
pietanze!
La
ragazza a fianco di Chiara trattenne il respiro, spaventata, mentre gli
occhi di
Kalista (Chiara l’aveva riconosciuta dalla voce) si
riducevano a sottili
fessure e le mani stringevano pericolosamente il mestolo.
In
uno scatto Kalista le afferrò i capelli dietro la nuca e le
avvicinò il viso
fino ad averlo a pochi centimetri dal suo: -Non osare-
sibilò rabbiosa -Rivolgerti
a me con questo tono. Io posso fare della tua miserabile vita un
inferno e
farti rimpiangere il giorno in cui sei nata. Ti do un consiglio: stai
alla
larga da Thor. Lui è MIO!
Lasciò
la presa, permettendo a Chiara di riprendere l’equilibrio, si
voltò e,
ancheggiando vistosamente, si diresse verso il tavolo presso il quale
sedevano
Odino, Thor, i Tre Guerrieri, Lady Sif e altre persone che Chiara non
conosceva.
Mentre
camminava tra i numerosi tavoli della sala gremita di gente, Kalista
attirava gli
sguardi dei presenti e ne era consapevole, ma come avrebbe potuto
essere
diversamente? Era bella, di una bellezza quasi irreale, accompagnata da
un
atteggiamento spavaldo e fiero. Se non l’avesse vista con un
mestolo in mano,
Chiara non avrebbe mai saputo distinguerla da una dama di corte.
-Maestà-
miagolò Kalista inchinandosi al Padre degli Dei -la vostra
magnificenza è
sempre un conforto per me: con voi sul trono di Asgard ogni abitante si
sente
più che mai protetto e al sicuro.
-Grazie,
Kalista- rispose Odino svogliatamente, fissando Chiara con il suo unico
occhio.
Kalista
se ne accorse e cercò di riportare l’attenzione su
di sé, continuando la sua
sviolinata: -Vi porto il vostro pasto serale, affinché
possiate recuperare le
forze dopo un’intensa giornata di governo e dedicarvi a una
notte di dolce
riposo.
-Kalista,
poche chiacchere e servimi da mangiare- concluse bruscamente il re, dando un colpetto
al suo piatto per
sottolineare l’ordine impartito.
Chiara
si trattenne dal non riderle in faccia, mentre Kalista immergeva il
lungo
mestolo nel pentolone e lo svuotava nel piatto dorato del sovrano.
La
ragazza che reggeva l’altro manico della pentola tremava.
Fu
poi il turno di Thor e gli occhi di Kalista divennero incredibilmente
più
luminosi di quanto non fossero prima, ma al tempo stesso più
inquietanti:
emanavano un desiderio quasi maniacale.
-Mio
principe- esordì -A voi il pasto. Ho visto parte del vostro
allenamento
pomeridiano e vi posso assicurare che le vostre abilità
migliorano sempre di
più ogni giorno che passa, anche se ammetto che mi dispiace
che abbiate quasi
completamente abbandonato l’uso della spada. Eravate
così veloce e letale che
al solo pensiero mi viene ancora la pelle d’oca.
Così
dicendo, Kalista si sporse in avanti, come per mostrare la reazione
della
propria pelle a quel ricordo, ma Thor le rispose pronto: -Come principe
ereditario
e portatore del Mijolnir è mio dovere apprendere e
migliorare la tecnica che la
mia arma consente. Non c’è più tempo
per altre armi.
Kalista
esibì un meraviglioso sorriso e una risatina e
riempì anche il suo piatto.
Vennero
serviti anche gli altri commensali e per ciascuno sembrava assumere un
atteggiamento diverso: cordiale con Fandral, distaccato con Hogun e
Volstagg,
indifferente con tutti gli altri, ma quando arrivò il turno
di Lady Sif la
tensione divenne palpabile e l’aria sembrò
caricarsi di elettricità.
Nonostante
questo, Sif rimase impassibile e non la degnò di uno
sguardo, mantenendo la
dignità che il suo ruolo le imponeva, ma, Chiara era pronta
a scommetterlo,
avrebbe dato chissà cosa per darle una bella lezione. Dal
canto suo Kalista si
limitò a guardarla con odio e a versare con poca grazia lo
stufato nel suo
piatto. Evidentemente anche lei era ben consapevole della sua posizione
sociale.
Quando
la pentola fu vuota, Chiara e l’altra ragazza tornarono alle
cucine, mentre
Kalista cambiava mestolo e accompagnava un altro paio di serve per
distribuire
una nuova portata.
A
metà strada, Chiara si arrestò e
obbligò la ragazza, ancora tremante, a
fermarsi e riprendere fiato.
-Non
devi preoccuparti delle insulse minacce di quella sgualdrina- le disse,
tenendole
le mani tra le sue nel tentativo di confortarla -Non ce l’ha
con te e, anche se
fosse, non puoi permettere che ti spaventi così!
La
ragazza la guardò con gli occhi velati di lacrime e rispose:
-Tu non lo sai,
non puoi saperlo! Kalista è sorella di una delle guardie
della prigione e
comanda il fratello a bacchetta. Noi tutte abbiamo paura di lui!
È un violento
e uno sconsiderato e minaccia sempre di… di…- non
finì la frase, perché scoppiò
in un pianto disperato.
Chiara,
mossa a compassione, le avvolse le braccia intorno al collo,
stringendola in un
amichevole abbraccio. Quel gesto era pensato per consolare la fanciulla
in
lacrime, ma, sotto sotto, sentì di aver bisogno anche lei di
quel contatto, di
quel calore e di quel conforto.
Rimasero
in quella posizione per qualche secondo, finché un rumore di
passi non suggerì
loro di spostarsi per non intralciare la strada.
La
cena passò senza ulteriori difficoltà, anche
perché, tra una portata e l’altra,
Kalista ebbe modo di parlare a lungo con Thor, cosa che le infuse una
grande
gioia, al punto da farle dimenticare di Chiara. O, almeno, per quella
sera.
Venne
il momento di pulire l’enorme quantità di
stoviglie e, con suo grande
disappunto, Chiara notò che i commensali avevano lasciato
numerosi avanzi,
alcuni in perfetto stato, come se non fossero stati toccati.
Approfittando
della distrazione degli altri servi, avvolse in un panno del pane,
della carne
e della frutta, che nascose nella veste.
Non
si era dimenticata, infatti, dell’aiuto che quella creatura
dalla pelle cinerea
e i capelli scarlatti le aveva offerto, né del pessimo vitto
che veniva servito
ai detenuti. Era suo desiderio ripagarlo portandogli di contrabbando
dei viveri
più dignitosi, ma per poter svolgere le sue nobili
intenzioni dovette prima
sgobbare per tirare a lucido le cucine e la sala da pranzo, sul cui
pavimento
giacevano numerosi frammenti di vetro e residui di cibo.
L’angolo
dell’autrice:
eccoci qui. Grazie per aver letto questo capitolo, spero vi sia
piaciuto! Un altro
piccolo cammeo sulla vita della servitù di palazzo, si
conoscono nuovi personaggi
e Chiara comincia a imparare due o tre cose della corte reale di Asgard.
Purtroppo per
me stanno arrivando i giorni più bui degli esami e temo che
non riuscirò a proseguire
tanto presto con la storia. Ad ogni modo, mi auguro di aver soddisfatto
la vostra
sete di lettura. Ringrazio calorosamente coloro che hanno cominciato a
seguire questa
storia e chi ha lasciato una recensione a riguardo: grazie delle vostre
belle parole,
spero di continuare a meritarmele e di avere di nuovo occasione di
sentire le vostre
opinioni!
Alla
prossima, statemi bene
Lady
Realgar
|
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Capitolo 6 *** My fault ***
Quando,
finalmente, fu libera di andare, Chiara raggiunse l’entrata
delle prigioni e,
senza farsi vedere da nessuno, vi si intrufolò, scese la
rampa di scale e passò
attraverso le porte lasciate (fortunatamente) socchiuse, arrivando,
così, alle
celle.
Un
brivido le percorse la schiena al pensiero della sua reclusione di
solamente un
giorno prima, l’odore di chiuso e la penombra che riempivano
l’ambiente fecero
riaffiorare le sue paure, ma dovette farsi coraggio: era stata vista e
una
guardia, intenta a fare un giro di controllo tra le celle, avanzava
nella sua
direzione.
“Coraggio,
Chiara, schiena dritta e respiri regolari.”
-Cosa
ci fai qui, serva?- l’apostrofò l'uomo.
-Sono
venuta a fare una visita- tutta l’attenzione di Chiara era
concentrata nel
modulare la propria voce per non farla tremare.
-Ah
sì?- chiese la guardia, piuttosto divertita -E chi vorresti
vedere?
-Il
detenuto della quinta cella sulla destra.
-Ooh,
capisco. Prego, da questa parte.-
La
guardia scortò Chiara alla cella che aveva richiesto, ma
quando arrivarono
dietro al pannello giallo non vi era la creatura che la ragazza
cercava, bensì
alcuni tra i prigionieri che aveva visto nella sala del trono quella
mattina.
Alle sue spalle, in quella che era la sua vecchia
“camera”, stavano altri
briganti.
Al
suo arrivo, i detenuti ebbero come un sussulto e iniziarono a
parlottare tra di
loro.
-SILENZIO!-
urlò la guardia, sbattendo la propria lancia contro il
pavimento.
I
briganti tacquero, ma continuarono a fissarla con
un’espressione strana, come
se fossero spaventati.
“Chi
non lo sarebbe in gattabuia?”
-
Dov’è l’uomo che stava qui dentro prima
di loro?- chiese la ragazza, quando la
guardia fece silenzio.
-L’uomo?
Vorrai dire il mostro.
-
Dov’è?- ripeté secca Chiara.
Con
una scrollata di spalle, quello rispose: -È stato
giustiziato.
Fu
come se qualcuno le avesse rovesciato addosso un secchio
d’acqua fredda e il suo
muro di autocontrollo crollò: -COSA???
-Era
già stato condannato alla detenzione a vita- rispose
impassibile la guardia,
sebbene sembrasse godere della reazione della ragazza -Ma la sua
condotta irrequieta
lo ha portato alla soluzione estrema. Il suo ultimo atto di ribellione
lo ha condotto
alla morte.
Chiara
sentì una scossa pervaderle le membra, poi un pensiero si
insinuò nella sua
mente.
“È
colpa mia”
Quello
che successe dopo avvenne troppo in fretta perché il suo
cervello potesse
registrarlo come ricordo: a Chiara parve che i suoi occhi e le sue
gambe
andassero a fuoco, una leggera brezza le accarezzava il volto mentre
correva,
senza sapere esattamente dove. Alla fine si ritrovò, stanca
e con il respiro
affannoso, sotto un albero, rannicchiata e in lacrime.
Il
senso si colpa era una lama sottile che le perforava i polmoni e
pungeva le
pareti del suo cuore. Ogni battito, ogni respiro le provocavano un
forte
dolore. Gli occhi le bruciavano e sentiva la pelle delle guance e del
mento completamente
bagnata.
Tre
parole rimbombavano nella sua testa, come un’eco
interminabile: “È colpa mia…
È
colpa mia… È colpa mia… È
colpa mia…”
Per
un attimo le parve che una seconda voce, più calma e ferma,
rispondesse a
quell’eco: -No.
Poi
il silenzio. L’eco era sparita e, sebbene il senso di colpa
fosse ancora lì a
punzecchiarla, le sue gambe erano tornate normali, così come
il suo respiro.
Chiara
si asciugò le lacrime nel vestito e, tenendosi alla
corteccia dell’albero con
entrambe le mani, si sollevò.
Si
guardò intorno: ormai era calata la notte e in
città avevano acceso le luci
nelle case e per le strade; il ponte arcobaleno brillava dei sette
colori.
Davanti a lei, le mura del palazzo.
“Ne
ho fatta di strada…”
Si
incamminò verso le porte di ingresso, dove due guardie le
bloccarono il
passaggio.
-Identificati!
Con
un filo di voce, resa roca dal gran pianto, la ragazza
esordì: -Io sono…
-Chiara!
Alle
spalle dei soldati apparve Thor, brandendo Mjolnir: -Dov’eri
finita? È dalla
fine della cena che ti cerco! Avanti, rientriamo e non sparire mai
più in
questo modo!
Thor
le afferrò la mano e la condusse oltre le mura, poi, dopo
qualche minuto, lasciò
la presa e si diresse a lunghi passi fino alle sue stanze, seguito, a
qualche metro
di distanza, da Chiara.
Quando
le porte della stanza si chiusero dietro di loro, Thor la
afferrò di nuovo per
il braccio e la trascinò vicino a sé. Il suo
sguardo la spaventò: era su tutte
le furie.
-Cosa
credevi di fare?- domandò bruscamente l’uomo,
tenendola saldamente -Pensavi di
poter scappare? Sei forse impazzita? Io mi sono preso la
responsabilità delle
tue azioni confidando di avere a che fare con una persona responsabile
e
consapevole della sua posizione e non con una completa idiota! Non
capisci che
la fuga è considerata tradimento? Tu ora sei parte della
corte e fuggire ti
farebbe diventare una traditrice. Non ti basta essere già
sul filo del rasoio?
Chiara
non riusciva a dire una parola, la notizia della morte del suo
salvatore era
stata semplicemente troppo, si sentiva annullata e quello che Thor
aveva da
dire non aveva alcuna importanza per lei.
Finalmente
il dio parve accorgersi dello stato in cui si trovava la creatura che
teneva
stretta nella sua mano: sembrava così piccola e fragile, in
quelle condizioni,
che avrebbe potuto schiacciarla con ridicola facilità.
Allentò
la presa, lasciando che l’arto gli scivolasse tra le dita,
fece un passo
indietro e, inspirando profondamente, riprese, con calma:- Ascoltami,
per
favore, io so che è difficile e capisco come ti senti, ma
non è il caso di fare
azioni avventate.
-Tu
non sai niente.
Fu
come un sussurro, ma rimbombò nel silenzio che si venne a
creare subito dopo.
-Cosa
hai detto?- la voce del Dio del Tuono era di nuovo incrinata dalla
rabbia.
Ormai
il danno era fatto, così Chiara riprese: -Tu non sai niente.
Dici di sapere
cosa provo solo perché hai fatto una vacanza sulla Terra, ma
non hai idea di
quello che significhi sentirsi impotenti e soli. Mi chiedi della mia
famiglia
come se te ne importasse qualcosa, ma è solo ipocrisia. Ti
atteggi come se
anche tu provassi dolore, ma guardati! Sei nel tuo palazzo con tutti
gli onori,
con i tuoi amici e la tua famiglia…
-NON
OSARE PARLARE DELLA MIA FAMIGLIA!- ruggì Thor, sbattendo un
pugno contro il
tavolo da toeletta di marmo, rompendolo in due pezzi.
-ALLORA
PERCHÉ NON NE PARLI TU, INVECE DI STARE LÌ A
PIANGERTI ADDOSSO?- urlò a sua
volta la ragazza.
La
domanda colse il dio di sorpresa, che ammutolì.
La
sorpresa, però, non placò la sua ira, che
trapelava vistosamente dalla
contrazione quasi innaturale della mascella e dalla pulsazione di una
vena
sulla tempia sinistra.
-Ho
commesso un errore- disse alla fine l’uomo, la sua voce era
spaventosamente
calma -Ti sollevo dal tuo incarico. Domani mattina, dopo la mia
partenza,
verrai ricondotta nelle prigioni.
-Bene-
rispose Chiara -vuole una mano a preparare i bagagli, Maestà?
L’uomo
non rispose, ma aprì una cassapanca e ne estrasse un paio di
sacche da viaggio,
poi uscì dalla stanza, chiudendola a chiave
dall’esterno.
Angolo
dell’autrice:
rieccoci! Scusate l’andazzo tragico del capitolo, ma stava
andando tutto troppo
bene per i miei gusti ed era il momento di alzare il livello del
dramma. Ora scappo,
scusate la toccata la fuga, ma purtroppo sono oberata di cose. Non vedo
l’ora di
pubblicare un nuovo capitolo quando sarò libera da ogni
impegno. Grazie mille per
la vostra attenzione e il vostro tempo!
Statemi
bene, mi raccomando!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 7 *** Grazie, Heimdall ***
La
mattina dopo Chiara venne destata dalla luce del sole, ma, sebbene
avesse
dormito a sufficienza, si sentiva addosso una grande stanchezza. Quello
era
stato uno dei sonni più tormentati che avesse mai avuto in
vita sua: la
litigata con il Dio del Tuono e il pensiero che sarebbe tornata in
prigione da
lì a poche ore l’avevano innervosita al punto da
farle avere di nuovo quello
strano incubo che di aveva avuto due notti prima.
Strofinandosi
le palpebre riusciva ancora a vedere quegli strani occhi, uno rosso e
uno verde,
che la fissavano, mentre quella risata agghiacciante le rimbombava
nelle
orecchie.
Il
grande letto a pochi metri da lei era sfatto e vuoto.
Nessuna
traccia di Thor.
“Chissà
se è già partito?” si chiese la
ragazza, stiracchiandosi, ma non fece in tempo
a formulare un altro pensiero che una luce violenta e un forte boato
entrarono nella
stanza attraverso le finestre.
Chiara
accorse subito al davanzale per scoprirne la causa e vide che, alla
fine del
ponte color arcobaleno, l’osservatorio circolare stava
…
“Ruotando!
Quel maledetto osservatorio sta ruotando come una trottola!”
La
luce e il rumore erano completamente dissolti nell’aria e la
cupola
dell’edificio (che oramai Chiara non riusciva più
a considerare come un
osservatorio astronomico) stava lentamente perdendo velocità
fino a ritornare
alla sua solita posizione, come se non si fosse mai mosso di un
millimetro.
Chiara
corse verso la porta e la tirò, inaspettatamente quella si
aprì con uno scatto.
“Non
si aspettano che vada lontano” pensò la ragazza
con un sorriso amaro sulle
labbra “Bene, il danno è fatto, andiamo a vedere
cos’è in realtà
quell’osservatorio fasullo!”
Si
voltò e aprì una cassapanca, da cui estrasse una
casacca e dei pantaloni e li
indossò, poi prese un cappello scuro, in cui nascose i
capelli, e si calò la
tesa sugli occhi.
I
pantaloni e le maniche della maglia erano ben più lunghe dei
suoi arti e le
rendevano difficile il movimento, ma il gioco valeva la candela e
Chiara, in
punta di piedi, aspettandosi di veder sbucare da un momento
all’altro un
manipolo di soldati alla sua ricerca, scivolò fuori dalla
stanza e si incamminò,
cercando di stare il più possibile negli angoli bui dei
corridoi e delle sale
che attraversava.
Più
di una volta dovette nascondersi per evitare di esser vista dalla
servitù e da
un paio di guardie, fortunatamente troppo impegnate a conversare e a
ridere con
delle servette per accorgersi della sua presenza.
Giunta
al cortile si mimetizzò tra alcuni garzoni che sostituivano
i bersagli per il
tiro con l’arco, riuscendo così ad attraversare
l’area senza essere notata.
Continuò
a camminare, tenendo gli occhi bassi e pregando che nessuno la
fermasse, il
cuore le batteva a mille e le orecchie le fischiavano per il flusso di
sangue
eccezionalmente consistente.
Qualcuno
ascoltò le sue preghiere perché riuscì
ad arrivare alle mura senza incontrare
nessuno, ma un nuovo problema le si pose davanti: oltrepassare le porte
senza
farsi notare dalle guardie. Doveva farsi venire in mente
un’idea prima che
qualcuno la scoprisse.
“Avanti,
Chiara! Pensa!”
Si
guardò nervosamente intorno, in cerca di qualcosa che
potesse suggerirle una
via di fuga; ovviamente le mura erano troppo altre per poter essere
scalate, nemmeno
se Chiara avesse avuto le forze per tentare una simile impresa.
L’unica cosa a
portata di mano erano delle fiaccole rimaste accese dalla notte
precedente.
Finalmente
un’idea: Chiara prese una delle torce e la lanciò
contro un mucchio di bersagli
e manichini in fieno; non appena cominciarono a sprigionare delle belle
fiamme
arancioni gridò, falsando la voce perché fosse
più grave: -Al fuoco! Al fuoco!-
per poi nascondersi vicino alle porte.
Funzionò.
Prontamente le guardie corsero verso l’incendio, sbraitando a
destra e a manca
di prendere dell’acqua, mentre battevano le fiamme con i loro
mantelli. In
quella confusione la ragazza riuscì a sgattaiolare fuori
dalle mura e ad allontanarsi
lungo la strada.
Attraversò
una piazza, cercando di sembrare impassibile e di confondersi tra la
folla che
si accalcava presso le bancarelle del mercato, discutendo di prezzi e
di merce
varia.
Finalmente,
dopo qualche minuto in cui dovette aprirsi un varco in mezzo alla ressa
di
persone che tentavano di acquistare il pane, riuscì a
imboccare una via poco
affollata, lungo la quale si alternavano abitazioni private e botteghe
di artigiani.
Dalla
strada riusciva a sentire le voci degli abitanti all’interno
delle loro case,
il battere di un martello sul ferro proveniente dal laboratorio di un
fabbro e
il rumore cadenzato di una sega su un’asse di legno dalla
bottega di un
falegname, ma quello che attrasse maggiormente la sua attenzione fu una
vetreria.
All’interno
di quell’ambiente, reso piccolo e scomodo dalla presenza di
un grande forno, un
uomo grande quanto un armadio a tre ante con grosse mani callose
soffiava
dentro un lungo tubo, da cui, all’estremità
opposta, usciva una bolla
incandescente, che un secondo uomo, più basso e minuto,
lavorò fino ad ottenere
una lastra per finestre, al cui centro si estendeva un segno
tondeggiante,
simile ad un grosso occhio spalancato, dovuto al distacco dal tubo.
Era
uno spettacolo affascinante, soprattutto perché, a dispetto
dell’ambiente
angusto, gli artigiani si muovevano con un’agilità
e una confidenza
sorprendente.
Il
chiacchiericcio di alcune donne la distrasse dalla contemplazione dei
vetrai e riprese
a camminare per le vie tortuose, cercando di seguire la linea
immaginaria che
collegava il castello al ponte.
Dopo
circa una mezz’ora Chiara uscì dalla zona abitata,
per sbucare nel porto;
l’accesso al ponte sopraelevato era a poche decine di metri
alla sua sinistra.
Salì
per una lunga rampa di scale e il suo piede entrò in
contatto, finalmente, con
la superficie fredda del ponte multicolore, che emanò una
pallida luce dorata
non appena venne toccato dalla pelle della ragazza.
Ogni
passo provocava quel bizzarro fenomeno, come se, camminando, i suoi
piedi
lasciassero una leggera impronta luminosa in mezzo a quei colori
sfavillanti.
Fu
sorprendente per Chiara scoprire quanto lunga fosse la distanza che il
ponte
copriva, ma finalmente raggiunse l’ingresso
dell’enorme sfera di metallo.
-Alla
fine ce l’hai fatta ad arrivare, ma la prossima volta evita
di usare il fuoco come
diversivo: potresti provocare un incendio.
Una
voce profonda l’accolse da dentro l’edificio,
facendola sobbalzare per la
sorpresa: in effetti non aveva considerato che avrebbe potuto trovare
qualcuno
all’interno.
-Togliti
quel cappello e lascia che il tuo viso goda del calore del giorno-
proseguì la
voce e Chiara, sbigottita, obbedì, lasciando scivolare i
capelli arruffati
sulle spalle.
Titubante,
avanzò finché non ebbe superato la soglia
d’ingresso dell’edificio, al cui
interno un intricato disegno di ingranaggi metallici scintillava sopra
un uomo,
eretto su un piedistallo al centro.
-Non
aver paura- proseguì l’uomo
-Non intendo
farti del male.
Era
alto e possente e la sua armatura dorata emanava bagliori dello stesso
colore
sulla sua pelle scura. Le mani erano strette sull’elsa di una
grossa spada e i
suoi occhi, grandi e color dell’ambra, sembravano persi nel
vuoto.
-Chi
sei?- domandò infine Chiara.
-Mi
chiamo Heimdall e sono il guardiano del Bifrost- rispose calmo.
-Il
Bifrost sarebbe questo ponte? Ma a cosa fai la guardia? Qui non
c’è niente.
-Mia
cara, scoprirai che non è dall’apparenza che si
può giudicare il valore di
qualcosa: vi sono cose futili alla vista, ma per cui ci si scopre
disposti a
combattere.
-Non
ho intenzione di combattere contro nessuno- ribatté la
ragazza di rimando -ad
ogni modo, cos’è questo posto?
-Questo
è quello che, immagino, stavi cercando: il Bifrost
è il ponte che collega
Asgard ai Nove Regni, ma non ti farò passare e se proverai a
costringermi io ti
attaccherò.
Le
speranze di Chiara si dissolsero come una bolla di sapone: non avrebbe
mai
potuto contrastare quell’energumeno e, anche se fosse
riuscita a sottometterlo,
non aveva idea di come funzionasse il Bifrost.
Rimase
in silenzio, indecisa tra il provare a convincere Heimdall della
propria
innocenza e il tornare a palazzo prima che qualcuno si accorgesse della
sua
mancanza.
L’uomo,
dopo un minuto di silenzio, riprese a parlare: -Quale mistero
può mai nascondersi
dietro una fanciulla midgardiana? Come è stato possibile che
per la seconda
volta in migliaia di anni qualcuno sia riuscito a oltrepassare la mia
sorveglianza e a introdursi ad Asgard? Qual è il tuo
mistero, Chiara di
Midgard?
“La
seconda volta?”
Avrebbe
voluto chiedere quale era stata la volta precedente a cui si riferiva
il
Guardiano, ma quello la anticipò dicendo: -Il nostro tempo
è scaduto, stanno
venendo a prenderti.
“Maledizione!”
L’avevano
scoperta, ma come avevano fatto a sapere che si trovasse lì?
Forse immaginavano
che avrebbe cercato di scappare attraverso il Bifrost?
Si
stava facendo prendere dal
panico: non
c’erano posti in cui nascondersi e buttarsi in mare da
quell’altezza sarebbe stato
come schiantarsi contro un muro di cemento armato.
L’avrebbero trovata,
l’avrebbero presa e l’avrebbero messa in cella,
dove avrebbe fatto di sicuro una
brutta fine.
-Non
temere- la voce rassicurante di Heimdall sembrava provenire da una
galassia
lontana -Non hanno cattive intenzioni.
Un
rumore di zoccoli contro la superficie vetrosa del ponte si fece sempre
più
chiaro e distinto finché, giunto fino all’ingresso
della cupola, si estinse,
sostituito da un nitrito e una voce: -Buongiorno Heimdall! Come sta
l’Universo?
Fandral,
vestito di azzurro cielo, con baffi e pizzetto perfettamente curati e
un grande
sorriso sulle labbra, fece il suo ingresso nell’edificio.
-Le
stelle brillano e si spengono, i pianeti ruotano e la vita prosegue il
suo
ciclo.
-Molto
bene- rispose il guerriero e, accorgendosi della presenza di Chiara,
aggiunse:
-Vedo che hai trovato quello che stavo cercando.
-Stavamo
facendo conoscenza- ribatté impassibile Heimdall -
È piuttosto smarrita in
questo momento, cerca di essere gentile.
-Io
sono sempre gentile con le donne!- rispose offeso Fandral, puntellando
i pugni
sui fianchi, in segno di disapprovazione. -Ad ogni modo- riprese,
rivolgendosi
a Chiara -Dobbiamo tornare a Palazzo, ordini del principe.
-Lo
so- sospirò la ragazza, seguendo l’uomo verso
l’uscita, poi la curiosità ebbe
il sopravvento e, prima che lui la sollevasse su uno stupendo cavallo
bianco,
bardato con finimenti di cuoio rifiniti in oro, chiese:
-Perché gli hai chiesto
dell’universo?
Colto
alla sprovvista da quella domanda, Fandral rispose: -Si dice che
Heimdall possa
vedere un filo d’erba muoversi al vento su pianeta
dall’altra parte della
galassia e sentire il suono delle stelle che bruciano e dei pianeti che
si
muovono, ma ultimamente penso stia perdendo il suo smalto.
Fu
come una folgorazione e Chiara corse di nuovo verso
l’edificio; non appena si
trovò di fronte il Guardiano, chiese in un fiato: -Puoi vedere
quello che succede
sulla Terra?
L’uomo
le sorrise e, con il suo solito tono tranquillo, rispose: -Certamente.
-Puoi
vedere i miei genitori?
-Sai
dirmi dove si trovano?- chiese gentilmente.
-Conosci
la città di Siena? È in Toscana, nel centro
Italia, la penisola a forma di
stivale nel mar Mediterraneo, però non verso est, ma ad
ovest, tra le colline.
A sud di Firenze, ma a nord di Roma. È una città
dal centro medievale… cioè
piena di case antiche fatte di pietra e di laterizi e… nel centro
storico ci sono una
grande piazza, con il Palazzo Comunale e la Torre del
Mangia… insomma, una
torre molto alta, e all’opposto della piazza, proprio davanti
al palazzo, c’è una
grande fontana di marmo con sculture di persone e di lupi…
sì! Ci sono dei
lupi! La mia casa si trova poco fuori quella città, nella
campagna a sud, è
piuttosto isolata ed è esattamente a fianco di un boschetto
di olmi centenari.
Dovrebbero trovarsi lì1.
Sperò
di aver dato delle indicazioni adeguate: come si faceva a spiegare a un
alieno
dove si trovasse una città all’interno di un
continente su un altro pianeta?
Ci
fu il silenzio, interrotto solo dai passi di Fandral che si avvicinava.
Chiara
temette che l’avrebbe trascinata fuori a forza, ma
l’uomo si mise al suo fianco
e rimase in silenzio, in attesa.
Heimdall
estrasse la spada dal lungo fodero che gli pendeva su un fianco, la
sollevò e
la conficcò in una sporgenza sopra il piedistallo. Un rumore
di ingranaggi
accompagnò il movimento della cupola sopra di loro, che si
arrestò solo quando
si fu aperto un varco nell’edificio. Oltre quel varco,
l’universo si estendeva
infinito.
Era
uno spettacolo meraviglioso, ricco di luce e di colore, simile a un
enorme
caleidoscopio.
Ci
fu qualche secondo di silenzio, in cui la ragazza fu divisa tra
l’emozione di
trovarsi di fronte a uno spettacolo così straordinario e
l’ansia nell’attesa
che Heimdall dicesse qualcosa.
Alla
fine, il Guardiano parlò: -Li vedo. Un uomo e una donna. Lei
piange,
sconsolata, mentre lui parla con un uomo in uniforme. Sta dicendo
“Non abbiamo
trovato niente, cercheremo ancora”. Assieme a loro
c’è un ragazzo, avrà più o
meno una quindicina d’anni. Ha gli occhi rossi e abbraccia la
donna.
-Ti
sembrano in salute?- lo interruppe Chiara.
-Sì-
rispose l’uomo -Disperati, ma in salute.
-Puoi
parlare con loro?
-No.
-Posso
farlo io?
-No.
-Grazie,
Heimdall- concluse, alla fine, la ragazza, dopo un profondo sospiro, e
seguì
Fandral senza proferire verbo o opporre resistenza.
Si
lasciò placidamente mettere in groppa al cavallo e
osservò il paesaggio mentre
tornavano al galoppo verso il palazzo reale. Durante il percorso
scoprì che il
Bifrost era collegato direttamente al palazzo e che lei doveva essere
uscita da
una porta secondaria: l’ingresso principale, infatti, era
molto più imponente e
sfarzoso, progettato per trasmettere a chi vi accedeva il potere e la
ricchezza
che custodiva.
Oltrepassate
le mura, Fandral fermò il cavallo, aiutò la
ragazza a scendere e affidò
l’animale a uno stalliere che prontamente era accorso al loro
arrivo per
prendere il destriero sotto le proprie cure.
-Bene-
esordì il guerriero non appena lo stalliere sparì
dentro alle stalle -Immagino
che in cucina abbiano bisogno di te, è quasi ora di pranzo.
-Cosa?
-Dovrai
servire ai tavoli, possibilmente senza ustionare nessuno.
-Intendo
dire, Thor mi ha licenziata, ha detto che sarei finita di nuovo in
prigione.
-Ed
è per questo che sei scappata anche stamattina?
-Non
sono scappata!- rispose inviperita la ragazza -Ho sentito un rumore
assordante
e volevo capire da dove provenisse! E comunque, per tua informazione,
non sono
scappata neanche ieri sera. C’è stato un malinteso!
L’uomo
sembrò rifletterci, valutando le parole della sua
interlocutrice, poi riprese:
-Farò sapere la tua versione dei fatti a Thor, ma ritieniti
fortunata: dopo gli
ultimi arresti nel Vanaheim la prigione trabocca di gente e Thor ha
saggiamente
preferito non metterti in cella con quei poco di buono, così
ti ha affidata
alla mia custodia fino al suo ritorno. Penso voglia prendersi del tempo
per
decidere cosa fare di te.
L’aveva
scampata ancora una volta! Chiara ringraziò la sua buona
stella.
-Comunque-
riprese Fandral -Eccoti le direttive: le guardie sono state avvisate
della tua
tendenza all’evasione, perciò ti sconsiglio
caldamente di seguire altri rumori
fuori dal palazzo; dovrai continuare a comportarti come se nulla di
tutto
quello che è accaduto nelle ultime ore sia successo: se Thor
è incline al perdono,
non si può dire altrettanto di Odino e, se sapesse che sei
uscita dalle mura
del castello non ti riserverebbe lo stesso trattamento che hai ricevuto
da suo
figlio. Al momento ne siamo al corrente noi due, Thor, ovviamente,
Volstagg,
Hogun e Sif, ma non temere: in quanto amici più cari del
principe non saremo
certo noi a spifferare i suoi segreti; per quanto riguarda la ragazza
che ha mi
ha dato la notizia della tua scampagnata mattutina, ho provveduto
personalmente
a dissuaderla dal raccontare il fatto ad altri.
-Aspetta
un momento!- lo interruppe Chiara -Qualcuno mi ha denunciata?
-Beh,
non potevi davvero credere di essere irriconoscibile solo indossando un
paio di
pantaloni, e comunque ti preferisco con l’abito lilla!
Inoltre, a fine
giornata, prima di andare a dormire, dovrai venire da me: se durante il
giorno
avessi ricevuto lamentele circa il tuo comportamento, ho
l’ordine di chiuderti
nelle stanze di Thor fino al suo ritorno. Sono stato chiaro?
Chiara,
pensando che la conversazione fosse finita e domandandosi chi avrebbe
potuto
riconoscerla in mezzo alla folla, fece un cenno del capo e prese
congedo, ma il
guerriero alle sue spalle aggiunse: -Un’ultima cosa, credo
che tu piaccia a
Thor, vedi di non deluderlo di nuovo.
“Ne
dubito fortemente” pensò la ragazza mentre
attraversava l’edificio per
raggiungere le cucine. A parte i soliti sguardi incuriositi e i
bisbigli che si
scambiava la servitù al suo passaggio, nulla sembrava essere
cambiato. Tutti
sapevano che il giorno prima aveva ustionato per sbaglio una recluta,
ma
nessuno era al corrente del suo “tentativo di
evasione”?
“Però…
Bisogna riconoscere che Thor sa ottenere quello che vuole quando ci si
mette!”
Persino
Kalista, troppo impegnata a essere triste per la mancanza del suo
amato, non
ebbe nulla da dirle nelle cucine, se non qualche sprezzante commento
sul suo
abbigliamento.
“Che
sia stata lei?” si chiese Chiara mentre serviva ai soldati il
pranzo “Sembra la
persona più adatta per commettere una bassezza del genere,
senza considerare
che mi odia palesemente.”
1
Chiedo scusa a tutti coloro che vivono a Siena per il mio modo
impacciato di
collocarla nella geografia nazionale, ma, in mia difesa, vorrei dire
che è
dannatamente complicato tentare di spiegare a qualcuno, che non conosce
minimamente la geografia di un pianeta, l’ubicazione di un
punto così specifico
come una città all’interno di uno stato.
Personalmente avrei difficoltà anche a
spiegare dove si trova casa mia. Abbiate pazienza, per favore, e tenete
conto
che ho anche cercato di creare un momento tragicomico in quel punto
della
narrazione. Godetevi la storia e pensate che a Natale siamo tutti
più buoni ;)
Angolo
dell’autrice:
dopo aver fatto ammenda dei miei peccati, eccomi di nuovo a proporre un
nuovo
capitolo della storia. Temevate che la povera Chiara si ritrovasse di
nuovo
dietro le sbarre, vero? Ma sotto sotto lo sappiamo tutte che Thor
è un bravo
ragazzo e che non avrebbe messo davvero una fanciulla indifesa in
pericolo.
Sarà sempre così? Come saranno i loro rapporti
una volta che il Dio del Tuono
sarà tornato dal Vanaheim?
Ringrazio
tantissimo coloro che hanno cominciato a seguire questa mia storiella e
coloro
che hanno lasciato i loro commenti e le loro opinioni: lo apprezzo
davvero
molto e (estendo questo pensiero a tutti), se avete dei commenti,
positivi o
negativi che siano, non temete
di esprimerli
(sempre che siano delle critiche costruttive).
Non
sapendo se aggiornerò prima delle feste, vi faccio i miei
più sinceri e calorosi
auguri di buon Natale, che possa essere per tutti un giorno di gioia in
compagnia
delle persone a cui volete bene.
Alla
prossima e statemi bene,
Lady
Realgar
|
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Capitolo 8 *** Il nome è Fandral e l'indirizzo è il 221B di Ásaheimr Street ***
Cercò
tutto il giorno, tra i piatti da lavare, i panni da stendere e le sale
da
ripulire, di cogliere nella sua sospettata numero uno un qualche
comportamento
che tradisse la sua colpevolezza, ma non ottenne nulla, se non delle
occhiatacce
in cagnesco e delle battute acide.
Abbandonato
il tentativo di smascherare Kalista, dedicò il resto del
giorno e lavorare sodo
e cercare di avere un comportamento impeccabile; finalmente,
arrivò la sera: la
cena era stata servita (Chiara notò che, oltre a Thor,
mancavano diverse
persone e anche i posti di Volstagg e di Hogun erano vuoti), i piatti
erano
stati lavati e l’unico impegno rimasto era vedere Fandral.
“Sì,
bene, ma dove lo trovo?”
Vagò
per qualche minuto nel labirinto di stanze, scale e corridoi del
castello,
senza sapere esattamente dove andare e sperando, ma invano, di
incrociarlo, finché,
fortunatamente, non scorse in lontananza Angnis.
La
donna trasportava delle lenzuola appena lavate dentro una grande cesta
di
vimini, seguita da alcuni bambini, che a loro volta portavano delle
ceste e
giocavano a tenerle in equilibrio sulla testa e a rubare vestiti dalla
cesta
del vicino.
-Buonasera
Angnis- esordì Chiara, correndole incontro.
-Buonasera
a te, Chiara!- rispose quella con un gran sorriso, poi, aggiunse,
notando le
facce incuriosite e un po’ spaventate dei bambini: -E voi?
Non si saluta?
Alcuni
accennarono un “ciao”, la maggior parte di loro non
disse una parola.
-Devi
perdonarli- si affrettò a dire Angnis, lanciando uno sguardo
di rimprovero al
gruppetto -Sono piuttosto vivaci quando si trovano in compagnia di
gente che
conoscono, ma sono molto timidi con gli sconosciuti, piuttosto che
cos’è questo
nuovo abito? È un modo sottile per dirmi che hai bisogno di
vestiti?
Chiara
fece una risatina imbarazzata e rispose: -Ammetto che mi sarebbero
molto utili dei
vestiti un po’ più comodi, ovviamente se non sei
troppo impegnata. E anche
delle scarpe.
-Sì,
riconosco che ti farebbero un gran bene- ammise Angnis, notando i piedi
sporchi
di terra e polvere della ragazza, che avvampò di vergogna.
-Vorrei
chiederti un’altra cosa- riprese Chiara -Sai dove posso
trovare Fandral?
-Sir Fandral- la corresse la donna -Ha le
sue stanze al piano di sopra, la prima porta sulla sinistra.
-Grazie
mille, Agnis! Ciao ragazzi!- salutò rivolgendosi ai bambini
e facendo un
buffetto sulla guancia a un ragazzino particolarmente in carne, che si
irrigidì
a quel contatto.
La
ragazza, di fronte a quella reazione, ritrasse mortificata la mano e si
allontanò, seguendo le indicazioni ricevute fino al
raggiungimento della meta.
La
porta era socchiusa e lasciava filtrare un filo di luce,
così Chiara alzò il
pugno per bussare ma…
-Fidati,
c’è dietro il suo zampino!
La
voce, molto adirata, di Lady Sif arrivò alle sue orecchie,
poi fu il turno di
Fandral: -E io ti ripeto che non è possibile, i morti non
possono farlo.
“Di
cosa stanno parlando?” si domandò Chiara,
abbassando la mano e rizzando le
orecchie.
-Fandral,
non sarebbe la prima volta che lo crediamo morto.
-Sì,
ma questa volta Thor l’ha visto spirare. È morto
tra le sue braccia, Sif! Non
ricordi il giorno che ce l’ha raccontato? Non ricordi in che
stato si trovasse?
Sif, Thor ha visto suo fratello morire!
-Loki
non è suo fratello e rimane comunque il Principe degli
Inganni. Non può essere
una coincidenza: quella ragazza è apparsa dal nulla senza
che Heimdall la
vedesse e senza che le guardie la notassero è riuscita ad
uscire dalle mura!
Tutto ciò è estremamente sospetto: come
può una straniera che non ha mai visto
il palazzo prima d’ora riuscire a fare una cosa del genere?
Soltanto una
persona riusciva a sbucare da ogni angolo senza che nessuno sapesse da
dove
fosse arrivata, solo una persona conosceva il palazzo come le proprie
tasche,
solo una persona ha dimostrato di saper passare da un regno
all’altro senza
usare il Bifrost e quello era Loki! Per quello che sappiamo potrebbe
essere lui
travestito.
-Ora
esageri, Sif, Thor ha raccontato che quando l’ha trovata nel
bosco era
sconvolta e a mala pena riusciva a parlare. Di certo non poteva tramare
qualcosa contro il trono in quelle condizioni. Inoltre Heimdall ha
visto i suoi
genitori su Midgard. Lei gli ha detto dove guardare e lui li ha visti.
-Come
faceva a trovarsi al Bifrost?- nella sua voce si sentiva crescere il
sospetto.
Fandral
esitò prima di rispondere, poi, con un tono che tradiva il
rimorso per essersi
lasciato scappare quell’informazione, proseguì:
-L’hanno vista aggirarsi per la
città e salire sul ponte. Quando sono arrivato,
l’ho trovata che parlava con
Heimdall.
-Lo
sapevo!- disse la donna, sbattendo un pugno sul tavolo presso il quale
sedeva lo
spadaccino -È fuggita di nuovo! Ascoltami, Fandral, dobbiamo
avvisare Odino
prima che quella scellerata metta in atto i suoi piani!
L’uomo
si alzò di scatto, facendo cadere la sedia con un tonfo: -Tu
non dirai proprio
un bel niente! Abbiamo dato la nostra parola a Thor e lo metteremmo nei
guai
con suo padre se Odino venisse a sapere l’accaduto e,
inoltre, non possiamo
denunciare una persona solo perché tu hai dei sospetti o
perché non ti piace.
-Hai
ragione, quella ragazza non mi piace, ha la stessa sfacciataggine e la
stessa
arroganza di quel mostro, ma non è per questo motivo che
insisto nel voler prendere
provvedimenti. Forse la tua memoria è arrugginita, ma io mi
ricordo molto bene
la sofferenza e la distruzione che Loki ha portato ovunque andasse, ma
soprattutto ricordo i suoi raggiri e i suoi inganni; ricordo quando
fece
credere a Thor di essere stato bandito da Asgard o quando
tentò di fermarci dal
riportarlo a casa; ricordo quando cadde nell'abisso e tornò
con un esercito di
Chitauri e il Tesseract!
-Loki
ha compiuto delle azioni imperdonabili nel corso della sua vita, non
credere
che non lo sappia! C’ero anch’io quando ha usato il
Distruttore contro di noi,
ma è morto combattendo a fianco di Thor per salvare i Nove
Regni ed è caduto
con onore. Riapriresti solo vecchie ferite a persone che già
soffrono per la
morte dei propri cari. Finché non avrai prove certe della
sua colpevolezza,
lascia in pace quella povera ragazza e tieni la bocca chiusa.
La
conversazione era conclusa e Chiara sentì i passi di Sif
avvicinarsi alla
porta; con uno scatto riuscì appena in tempo a raggiungere
le scale e a scendere
di qualche gradino, per poi risalire, fingendo di arrivare in quel
momento.
Si
trovò di fronte lo sguardo gelido di Sif puntato su di lei:
-Cosa ci fai tu
qui?- le chiese scorbutica la donna, aspettandosi di averla colta nel
mezzo di
qualche losco affare.
-Lei
è qui per vedere me, Sif- rispose al posto suo Fandral dalla
porta della
stanza.
La
guerriera lanciò un’ultima occhiataccia alla
ragazza e se ne andò, mentre
Fandral accoglieva Chiara nelle sue stanze.
-Scusala-
disse il guerriero -Fa tanto la dura, ma quando la conosci è
gentile e
simpatica.
-E
quando comincia ad essere simpatica?- domandò Chiara,
strappando un sorriso
all’uomo, mentre si chinava per raccogliere la sedia.
-Ha
dovuto passare le pene dell’inferno per dimostrare a tutti
che fosse adatta a
diventare soldato e lo è diventata eccome! Uno dei migliori,
ma il suo
carattere ne ha un po’ risentito, quando poi ha scoperto che
Thor si era
trovato una donna su Midgard è stata intrattabile per un
mese. Ad ogni modo, tu
sei qui perché te l’ho ordinato e mi fa piacere
vedere che sei stata
disciplinata, inoltre le guardie mi hanno riferito che hai lavorato
tutto il
giorno e non sei uscita dai confini del palazzo. Ne sono compiaciuto.
-Mi
hai fatta pedinare?- chiese scandalizzata la ragazza.
-Ordini
del principe, mia cara. A conti fatti anch’io sono un
sottoposto e devo
eseguire gli ordini.
Scese
il silenzio, sembrava che entrambi volessero dire qualcosa, ma non
fossero
sicuri se fosse saggio o meno farlo, poi Fandral riprese a parlare: -Mi
dispiace
per i tuoi genitori, davvero.
-Stanno
bene, è l’unica cosa che conta.
A
quella risposta Fandral fece un ampio sorriso e continuò:
-Per quanto possa
dire Sif, credo che Thor abbia ragione: sei una brava ragazza e,
modestamente,
ho una certa esperienza in fatto di donne.
Chiara
si sentì bruciare le guance: -Ti ha parlato di
me?
-Da
quando sei arrivata non si è praticamente discusso
d’altro! Anche quando eri in
cella andava a controllare piuttosto frequentemente se ti fossi
svegliata
oppure no. Un paio di volte ha creduto che fossi morta.
-Quanto
tempo sono rimasta nelle prigioni?
L’uomo
fece un rapido calcolo nella mente, poi rispose: -Quattro notti e tre
giorni,
più o meno. Ti hanno trovata sulla spiaggia ferita e priva
di sensi e non ci è
voluto molto per capire che non eri di queste parti. I Guaritori ti
hanno
controllata e per fortuna non avevi niente di grave, solo una leggera
ferita
alla testa e qualche graffio. Davvero non ricordi quello che ti
è capitato?
Chiara
annuì con la testa e Fandral sospirò: -Sei
davvero un bell’enigma, mia cara.
-Tra
noi due sei tu quello che dice di essere un esperto di donne; da quello
che
affermi dovresti essere in grado di svelare l’enigma.
“Avanti,
fammi vedere se sei un pallone gonfiato o uno che ci sa fare!”
L’uomo,
comodamente seduto alla scrivania, tenendo le mani congiunte per i
polpastrelli, la fissò divertito e Chiara sostenne lo
sguardo, sfidandolo
apertamente.
-Non
sei una schiava- cominciò l’uomo, continuando ad
osservarla -E nemmeno sei
abituata a fare lavori pesanti o manuali: la prima volta che ci siamo
visti ti
ho preso la mano e non ho sentito nemmeno un callo, ma al contrario la
tua
pelle è morbida, segno che non sei avvezza a fare lavori che
richiedano un
particolare uso delle mani; l’anello che porti al dito e il
ciondolo d’oro a
forma di piccola chiave che indossi al collo confermano la teoria per
cui tu
non sia una schiava, dato che difficilmente un servo può
permettersi dei
gioielli, e mi dicono anche che sei fidanzata: la pelle sotto di essi
è più
chiara rispetto al resto, a indicare che vengono portati gelosamente da
molto
tempo, inoltre l’anello è stato inciso con due
iniziali, una C, che
evidentemente è quella del tuo nome, e una M, probabilmente
il nostro uomo
fatale. Hai leggeri problemi di vista quando si tratta di vedere le
cose vicine
e hai avuto tempo fa un trauma al ginocchio, ma non si tratta dei
graffi che ti
sei procurata venendo qui: quelli si sono già rimarginati.
È qualcosa di più
vecchio, ma ne risenti ancora oggi, infatti zoppichi quasi
impercettibilmente quando
cammini.
-Oh…-
fu l’unica cosa che Chiara, rimasta completamente senza
parole, riuscì a dire,
con estrema compiacenza del suo interlocutore, che si
accarezzò soddisfatto il
pizzetto.
-Sei
libera di andare, ora. Non ho altro da dire- la congedò
Fandral,
accompagnandola alla porta.
“Porca
miseria!”
Tornò
alle stanze di Thor ripensando alla strana conversazione che aveva
appena avuto
con il guerriero; una volta che ebbe chiuso alle spalle la porta, si
osservò le
mani alla luce delle candele che qualche servo aveva portato e acceso
nella
stanza e, in effetti, la pelle sotto l’anello era
più chiara e il ginocchio che
aveva fratturato l’anno prima al corso di arti marziali ogni
tanto le faceva
male, ma nessuno le aveva mai detto che zoppicava.
-Wow!-
sussurrò mentre spegneva le candele e si buttava con un
tuffo sull’ampio letto
di Thor. Le lenzuola erano appena state cambiate e profumavano di
pulito.
“Occhio
non vede, cuore non duole” si disse la ragazza mentre
affondava la faccia nel
morbido cuscino, addormentandosi.
L’angolo
dell’autrice:
eccoci qui, all’ottavo capitolo della storia. Spero che
abbiate trascorso un
buon Natale e che questo ultimo capitolo possa essere annoverato tra le
belle
cose che questa festività ha portato con sé. Sif
e Fandral la fanno praticamente
da padrone in questo capitolo, spero di averli caratterizzati bene
(soprattutto
il momento alla Sherlock dello
spadaccino,
infatti il titolo del capitolo è una citazione adattata da
una famosa battuta del
primo episodio Uno studio in rosa
della
serie della BBC. Se non avete avuto ancora modo di vederla, vi
suggerisco caldamente
di guardarla: è geniale sotto ogni punto di vista!).
Ci
vediamo alla prossima, statemi bene!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 9 *** Stelle estranee ***
Intorno
a lei tutto era buio e silenzioso,
quasi innaturalmente; in quell’oscurità non
avrebbe nemmeno saputo dire se i
suoi piedi poggiassero sul suolo o se stesse fluttuando nel vuoto, poi
un boato
squarciò l’aria e davanti a lei si aprì
un varco, le cui pareti roteavano a
gran velocità. Oltre quell’apertura,
l’universo in tutta la sua bellezza di
forme, luci e colori riluceva orgoglioso. Non fece in tempo a dire
nulla, che
sentì il suo corpo venire trascinato verso il varco e in un
lampo si ritrovò a
volare tra le galassie. Si sentiva libera e leggera, ma in lontananza
vide
avvicinarsi, sempre più velocemente, un pianeta grigio e
freddo.
Ebbe
paura: non sarebbe riuscita ad
evitarlo in tempo e sperò con tutto il cuore che la guardia
avesse avvisato suo
padre di quello che stavano facendo.
Chiuse
gli occhi, preparandosi
all’impatto, ma non sentì dolore, bensì
una sensazione di tepore. Aprì
timidamente una palpebra e scoprì di non si trovarsi
più in mezzo ai cieli e
nemmeno su quel pianeta grigio, bensì in una sala dorata,
molto simile a quella
del trono, ma più piccola e nel mezzo, invece di esserci lo
scranno reale, vi
era una sorta di letto d’oro (che a Chiara ricordò
molto la bara di cristallo
di Biancaneve) dentro cui un uomo, disteso sotto una coperta candida,
riposava.
Sembrava
quasi una reliquia, così
vecchio e immobile avvolto da tutto quello sfavillio dorato.
Così fragile.
Per
qualche ragione Chiara sapeva
che quello era l’unico momento di vera fragilità
di quel vecchio.
Si
avvicinò per osservare meglio il
suo viso e vide suo padre. No, non era suo padre, lei lo sapeva bene,
eppure
non riusciva a convincersene del tutto. Provò un sentimento
di profondo affetto
per quella vetusta creatura e desiderò proteggerla fino al
suo risveglio, ma
all’improvviso una gran rabbia le esplose nel petto: puro
odio e desiderio di
vendetta.
Un
movimento oltre il letto attirò
la sua attenzione, oltre tutto quell’oro, oltre tutto quel
ridicolo sfarzo vi
era la cosa più preziosa dell’universo, la
più bella e la più cara. Una donna
bellissima con lunghi capelli biondi e grandi occhi tristi, seduta
dall’altra
parte della reliquia, le sorrise affettuosa.
In
lei tornò la calma, quel sorriso
era quanto di più bello avesse mai visto e
desiderò che non si spegnesse mai,
poi l’ambiente cambiò: non si trovava
più nella stanza dorata, ma in una più
piccola e bianca.
Quella
donna stupenda era ancora
davanti a lei, ma era in piedi e indossava un vestito diverso e le
stava
parlando. Chiara non riusciva a sentire che cosa stesse dicendo, ma la
cosa più
importante era che fosse lì con lei. Eppure…
perché si sentiva così triste?
Aveva bisogno di toccarla, di sentirla più vicina. Anche
Chiara disse qualcosa,
ma il bisogno di stringere a sé la donna era troppo forte
per ascoltare persino
le sue stesse parole. Distinse solo una frase, l’ultima: -No,
non lo sei- e
l’incantesimo si ruppe: quel sorriso meraviglioso era svanito
e un profondo
senso di colpa la pervase. Doveva trovare il modo di scusarsi, di farle
capire
che le dispiaceva, ma quando cercò di toccarla, quella
svanì nella sua
tristezza.
Intorno
a lei tornò di nuovo il
buio e, nell’oscurità, una voce urlava:
-Io… io sono il mostro di cui i
genitori raccontano ai figli prima di addormentarsi? … Avrei
dovuto salire sul
trono, come era mio diritto dalla nascita.
Poi
un’altra voce, più forte e
furiosa: -Il tuo diritto di nascita era di morire!
Si
svegliò di soprassalto, sudata e ansimante, sopra le
lenzuola del letto su cui
si era addormentata. Fuori dalla stanza era ancora buio e riusciva a
intravedere
il cielo stellato attraverso le finestre.
“Grazie
al cielo era un sogno”, pensò Chiara strofinandosi
gli occhi. Una lacrima le
bagnò la pelle della mano destra.
Il
tavolo da toeletta, notò la ragazza afferrando
l’elegante manico d’argento
della brocca, era stato sostituito, ma, al posto del marmo, era fatto
in legno.
“Devono
esserselo procurato in fretta e alla bell’e meglio”
Travasò
un po’ d’acqua dalla brocca al catino e si
sciacquò la faccia più e più volte:
non riusciva a togliersi dalla mente il viso di quella donna, chiunque
fosse, e
quelle voci.
Ripensò
ai suoi genitori e alla creatura che era morta, punita per averla
salvata.
-Devo
tornare a casa- sibilò tra i denti, mentre si asciugava il
viso -Devo farlo per
loro.
“Sì,
ma come? Heimdall non mi permetterà di usare il Bifrost e di
certo da sola non
potrò costringerlo a violare gli ordini.”
Dalla
finestra si vedeva la città dormiente, illuminata dalla
pallida luce del ponte
arcobaleno, mentre nel cielo brillavano migliaia di stelle. Per quando
ci
provasse, non riusciva a riconoscere nessuna delle costellazioni che
era
abituata a vedere sulla Terra.
“Capisci
di essere davvero lontana da casa quando anche le stelle ti sono
estranee.”
Ormai
il sonno era completamente svanito e l’idea di tornarsene
sotto le lenzuola non
rappresentava alcuna attrattiva per la ragazza, così si mise
a osservare il
paesaggio fuori dalle finestre, cercando di non pensare a nulla, di
liberare la
mente da tutte le preoccupazioni e di godersi semplicemente il
meraviglioso
spettacolo di luci e oscurità danzanti che aveva davanti
agli occhi.
Si
svegliò qualche ora dopo per via di un merlo che, ispirato
dal pallido sole
dell’alba, aveva deciso di mettersi a cantare proprio alla
finestra dove Chiara
si era addormentata.
L’angolo
dell’autrice:
carissime (e carissimi se c’è qualche ragazzo
là fuori) scusate la brevità del
capitolo: era pensato per completare quello precedente, ma poi ho
ritenuto che meritasse
un’attenzione particolare visto che mi è sembrato
piuttosto ricco di emozioni e
di informazioni. Spero di aver fatto la scelta giusta e che possa
essere di
vostro gradimento. Grazie mille per il tempo che dedicate alla lettura
della
mia storiella!
Alla
prossima e statemi bene
Lady
Realgar
|
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Capitolo 10 *** Il ritorno del principe ***
Con
il passare dei giorni era riuscita a crearsi una sorta di routine: dava
il
massimo in quel che faceva, cercava di non cedere alle provocazioni di
Kalista
e si dimostrava disponibile e affabile con tutti, insomma manteneva una
condotta impeccabile e la sera, quando si recava nelle stanze di
Fandral per fare
il resoconto della sua giornata, non riceveva mai rimproveri o
lamentele.
Riuscì
addirittura a ricevere un permesso speciale (eccezionalmente conferito
per
buona condotta) per andare a trovare, rigorosamente sotto scorta,
Heimdall e
ricevere notizie da casa.
L’unica
nota stonata di quel periodo fu l’irreperibilità
di Angnis, chiusa nella
lavanderia a lavorare a chissà quale progetto di cui era
stata incaricata,
perciò Chiara dovette attendere più a lungo di
quanto avesse sperato per avere
un proprio guardaroba, indossando a periodi alterni il vestito lilla e
gli
abiti di Thor.
Un
altro aspetto positivo, che la compiacque oltremodo, fu il rapido
miglioramento
del suo senso dell'orientamento all'interno del labirintico palazzo
asgardiano:
cominciava a conoscere a mena dito tutte le stanze, i corridoi, i
terrazzi e
persino gli sgabuzzini; scoprì addirittura alcune utili
scorciatoie per
raggiungere più velocemente alcuni ambienti che frequentava,
come le cucine e
il cortile.
La
mattina del settimo giorno dalla partenza di Thor, stava dormendo
placidamente
sul soffice materasso di piume nelle stanze del principe, quando un
rumore,
molto simile a un colpo di tosse, la destò.
Nella
debole luce della mattina appena sorta le ci vollero alcuni secondi per
mettere
a fuoco la figura che si trovava di fronte, ma quando la vista
tornò nitida,
fece un balzo che la portò fuori dal letto: Thor era tornato
e, braccia
incrociate sul petto, la stava guardando con piglio severo.
-Ehm...
ecco, io... bentornato!- balbettò la ragazza, assumendo una
colorazione
paonazza in viso e sentendosi le mani bagnarsi di sudore: aveva pensato
e
ripensato mille volte alle parole da riferirgli per riappacificarsi ed
era
quasi riuscita a preparare un discorso convincente, ma in quel momento,
colta
così alla sprovvista e
persino in
“flagrante”, non riusciva a farsi venire in mente
una frase di senso compiuto.
-Grazie-
rispose il dio e, notando l'abbigliamento della ragazza, aggiunse:
-Quella è la
mia camicia?
"Oh
cavolo!"
-A
dire il vero...sì.
Avrebbe
voluto che il pavimento sotto di lei si aprisse, lasciandola
sprofondare nel
sottosuolo.
"Addio
riconciliazione!"
-Ho
chiesto ad Angnis di confezionarmi degli abiti- spiegò con
un filo di voce la
ragazza -Ma è stata molto impegnata in questi giorni...
così mi sono ... ehm...
arrangiata.
-Non
ha importanza- concluse secco il dio -Ho parlato con Fandral. Mi ha
raccontato
della tua visita al Bifrost.
"Grandioso!
Per fortuna che non ho abiti o mi toccava fare pure i bagagli per
tornare in
cella!"
-Mi
ha anche riferito- riprese l'uomo -Che dal momento in cui sei venuta a
conoscenza dei miei ordini hai dimostrato un comportamento adeguato al
tuo
ruolo, nonché una discreta disciplina.
"Lo
credo! Mi sono consumata le mani a furia di lavare lenzuola e pulire
pavimenti!"
-Ci
ho riflettuto e penso che il tuo impegno debba essere ripagato,
perciò
considerati di nuovo assunta.
Non
ci credeva: aveva fatto tutto da solo; avevano fatto pace senza che lei
dicesse
una parola! Eppure... c'era ancora qualcosa che doveva chiarire.
-Anch'io
vorrei dirti una cosa- esordì la ragazza.
-Ti
ascolto.
-Ecco,
io... vorrei chiederti scusa per la sfuriata della sera prima che
partissi. Ti
ho accusato senza conoscere la tua versione dei fatti e mi sono
intromessa
nelle tue questioni personali senza averne alcun diritto. Mi dispiace.
Ho
abusato della tua disponibilità e ne sono sinceramente
dispiaciuta.
Calò
il silenzio, mentre dalla finestra entrava, ovattato, il rumore della
città che
si risvegliava.
-No-
disse infine Thor -Sono io a dovermi scusare: ero troppo concentrato
sui miei
pensieri per poter capire in che condizione ti trovassi e ho avuto una
reazione
esagerata quando hai cercato di spiegarti. Ero troppo accecato dal mio
orgoglio
per accogliere le tue accuse, che, in effetti, non erano del tutto
infondate.
Sono io quello che deve farsi perdonare.
-Però,
il viaggio fuori porta ti ha fatto bene!- commentò la Chiara
con una risatina,
ma la reazione del principe non fu quella che si aspettava: invece di
ridere,
l’uomo si era rabbuiato e fissava il pavimento.
-Ehi-
riprese la ragazza, preoccupata -Tutto bene?
Thor
si abbandonò pesantemente sul letto, mettendosi a sedere e
massaggiandosi la
sella del naso con le dita. Dopo qualche secondo rispose: -Abbiamo
cercato per
tre giorni e tre notti l'accampamento di una tribù di
banditi seguendo le
indicazioni degli indigeni e quello che abbiamo trovato è
stata una distesa di
cadaveri. Donne e uomini, un'intera tribù sterminata e i
corvi che
banchettavano sui corpi maciullati. Abbiamo proseguito, alla ricerca
degli
altri nomadi e, dovunque cercassimo, lo spettacolo era sempre lo
stesso.
Quattro tribù di un centinaio di persone ciascuna
cancellate, distrutte. Un
genocidio.
-Cosa
può essere successo?- domandò Chiara.
-Rivalità:
si sono combattuti tra loro fino a distruggersi. Nei villaggi del
Vanaheim
hanno raccontato che un grande odio serpeggiava tra loro e non si sono
sorpresi
quando hanno saputo quello che avevamo visto.
Il
principe emise in profondo sospiro e riprese: -Combatti guerre per
tutta la
vita, ma non sei mai abbastanza addestrato per sopportare la vista di
centinaia
di cadaveri, di cui la metà di innocenti incapaci di
difendersi.
-È
orribile! Odino cosa ne pensa?
-Mio
Padre ritiene che la questione sia chiusa e che la piaga dei banditi
sia stata
debellata. Metterà i prigionieri ai lavori forzati nelle
miniere e la storia si
concluderà così.
Era
strano: quell'uomo così forte, spavaldo e temerario, in quel
momento sembrava
aver perso tutta la sua sicurezza. A Chiara ricordò quasi un
ragazzino
spaventato.
Gli
mise delicatamente una mano sul braccio e disse, compassionevole: -Non
è colpa
tua, non potevi fare niente per loro.
-Se
fossi partito prima forse avrei potuto impedire quello scempio.
La
sua voce era rotta.
-Non
potevi saperlo!- riprese Chiara, stringendo la presa -Non addossarti le
colpe
degli altri. Avevano la mente offuscata dall'odio e all'odio si sono
abbandonati.
È stata una loro scelta e non potevi impedirlo.
La
tensione sembrò alleviarsi e Thor, insperato successo per la
ragazza, le
rivolse un mezzo sorriso, poi si alzò e, sollevando Mjolnir,
bofonchiò qualcosa
sull'andare ad allenarsi.
Uscì
dalla stanza e lasciò Chiara da sola.
Trascorse
il resto della giornata a pensare a quello che era accaduto, anche
quando
Volstagg la incrociò nel cortile e le fece una lavata di
capo sul fatto che una
ragazza così giovane, e per di più straniera, non
dovrebbe andarsene in giro da
sola, specie quando si sapeva che fosse riuscita a sfuggire alla
sorveglianza
di Heimdall e altre raccomandazioni e rimproveri che la Chiara non
ascoltò.
Nel
pomeriggio, mentre stava spolverando dei grossi vasi decorati con scene
di
battaglia tra asgardiani e giganti dalla pelle blu, le apparve di nuovo
il suo
amico immaginario: era seduto sopra uno dei vasi che aveva appena
finito di
pulire e la fissava con il suo solito ghigno beffardo stampato in
faccia.
-Giusto
tu!- esclamò Chiara, sventolandogli sotto al naso lo
straccio impolverato
-Spero sia soddisfatto! Grazie al tuo consiglio ho litigato con Thor e
ho rischiato
di finire di nuovo in prigione. Per fortuna che ha cambiato idea o a
quest'ora
sarei già dietro le sbarre!
-La
colpa è solo tua- rispose quello, divertito -Io ho solo dato
voce ai tuoi
pensieri. Non posso farci nulla se sei un'inguaribile pettegola.
-Non
ti permettere!- lo rimproverò la ragazza -Avevo capito
subito che c'era
qualcosa che non andava con la sua famiglia e volevo scoprire se avrei
potuto
ottenere qualche informazione utile da quella faccenda! Quando Angnis
mi ha
parlato della regina era evidente che si trattava di un grave lutto, ma
non
potevo immaginare che avesse avuto problemi anche con il fratello o
quello che
è questo Loki. E inoltre volevo dare una spiegazione a quel
suo irritante modo
di comportarsi da reginetta del dramma, ma ho sbagliato momento per
porre la
questione.
-Però
hai fatto in fretta a tornare nelle sue grazie!
-Ci
sono riuscita perché mi sono impegnata e ho lavorato sodo.
-Tu
credi? E allora quella patetica scenetta? Com'era? Ah, sì: Non addossarti le colpe degli altri. Avevano la
mente offuscata
dall'odio e altre fesserie del genere. Non ti vergogni a
comportarti come
una qualunque sgualdrinella, tutta intenta a fare la carina per
mendicare la
sua benevolenza?
Il
viso dell’uomo aveva assunto una tonalità paonazza
e il suo tono di voce era
rabbioso, seppur contenuto.
-Credi
che sussurrare due parole dolci al suo orecchio possa giovarti in
qualche modo?
Lui vuole solo tenerti sotto il suo controllo perché il
popolo ha paura di te.
Esatto- continuò alla vista dell’espressione
turbata dalla ragazza -Tu sei
diversa da loro e, per quanto cercherai di stringere legami, di farteli
amici, tu sarai sempre l'intrusa, il
mostro che ha oltrepassato le loro difese e che mangia e dorme insieme
a loro.
-Smettila!
Smettila!- urlò Chiara, infuriata.
-
Cos'hai da gridare?- le chiese Angnis alle sue spalle.
Chiara
si voltò di scatto, colta di sorpresa, e, cercando di darsi
un contegno,
rispose: -È per colpa di questa macchia- indicò
un punto casuale sul vaso che
teneva tra le mani, a dimostrazione della sua spiegazione -Non vuole
proprio
andarsene.
-Beh,
ti conviene litigarci in silenzio: madama Thyia è qua in
giro e non
apprezzerebbe le tue urla.
L’uomo,
come la ragazza si aspettava, era di nuovo scomparso.
-Hai
ragione, scusami.- rispose Chiara, poi aggiunse, mostrando la
superficie
dipinta dell’oggetto: -Cosa sono queste creature blu?
-Quelli
sono i Giganti di Ghiaccio, che abitano nello Jotunheim. Quella
rappresentata è
la guerra di Midgard.
-Ah,
giusto. Thor me ne ha parlato.
-Davvero?
Che cosa bizzarra! Di solito non parla degli Jotun…
-Perché?-
domandò la ragazza, poi, dopo un attimo di esitazione,
aggiunse: -Ha a che fare
con suo fratello?
A
quella domanda la donna rimase come pietrificata, come se Chiara avesse
appena
detto un’orrenda bestemmia, poi, non appena si fu ripresa,
chiese: -Come fai a
sapere di suo fratello?
-Thor
mi ha accennato qualcosa- mentì Chiara, affrettandosi ad
aggiungere: -Ma mi è
sembrato che l’argomento lo turbasse, così non ho
indagato oltre.
Angnis
non sembrava particolarmente convinta di quella spiegazione, ma alla
fine la
sua naturale propensione al pettegolezzo ebbe la meglio e, osservandosi
intorno
guardinga, disse sottovoce: -Quella creatura, Loki, in
realtà non era affatto
suo fratello, ma un Gigante di Ghiaccio che Odino aveva portato dallo
Jotunheim!
-No!-
esclamò Chiara, enfatizzando la sua sorpresa per invogliare
la donna a
proseguire il suo racconto.
-Te
l’assicuro! Pensa che per un periodo è stato
persino sul trono di Asgard: Odino
aveva bandito il figlio per aver tentato da solo una spedizione
punitiva contro
i Giganti, ma poi era caduto nel Sonno di Odino e, con
l’erede al trono
bloccato in un altro regno, fu Loki ad assumere il comando. Abbiamo
temuto
tutti il peggio, perché Loki è sempre stato un
bugiardo dal cuore crudele, ma
ormai i giochi erano fatti e non potevamo opporci. Grazie al cielo Thor
è
riuscito a scoprire le sue losche trame e a sconfiggerlo!
“Piano
piano tutti i pezzi del puzzle si ricompongono!”
-Perdona
la mia ignoranza- la interruppe Chiara -Ma cos’è
il “riposo di Odino”.
-Il
Sonno di Odino- la corresse la
donna
-È il periodo in cui il sovrano entra in uno stato di sonno
vigile in cui recupera
le forze, ma, pur non muovendosi, è in grado di percepire il
mondo attorno a
sé. È di fondamentale importanza per lui,
perché altrimenti sarebbe debole e
non potrebbe difendere Asgard.
-Capisco…
Beh, di certo non era uno stupido questo Loki!
-Affatto!
È sempre stato molto astuto e ha approfittato del buon cuore
della regina per
apprendere da lei le arti magiche! Pensa che il suo primo incantesimo
impediva
a chiunque di entrare nelle sue stanze senza il suo permesso o di
uscirvi. Una
volta, per dispetto, vi ha rinchiuso delle serve ed è dovuto
intervenire Odino
in persona prima che si decidesse a farle uscire!
-Non
mi dire!- esclamò Chiara, trattenendo una risata al pensiero
di quella
marachella infantile -E quale sarebbe questa stanza impenetrabile?
-È
quella in fondo al corridoio- rispose indicando una porta di legno
scuro con i
cardini e la maniglia in argento -Ma sono anni che non vi entra
nessuno. Dopo
la sua morte, Odino lo ha ripudiato e ha vietato categoricamente di
avvicinarsi
alle sue stanze. Nemmeno Thor, che voleva onorare la memoria del
fratello
dedicandogli un piccolo rito funebre, è riuscito a
convincerlo.
-Molto
nobile da parte sua- commentò Chiara, ma la sua attenzione
era concentrata su
quella misteriosa porta: quello era l’accesso alla sancta
sanctorum dell’unico
in tutta Asgard in grado di muoversi senza usare il Bifrost e forse
là dentro
ci sarebbe stato qualcosa che avrebbe potuto spiegarle come fare.
Nel
frattempo Angnis stava continuando a parlare, raccontando tutte le
mirabolanti
prodezze che Thor aveva compiuto, dando prova di grande
nobiltà e coraggio, ma
Chiara non aveva voglia di stare ad ascoltare altri discorsi su quanto
Thor
fosse bravo, bello e coraggioso: doveva trovare un modo per entrare in
quella
stanza.
-Per
quanto riguarda i tuoi vestiti- disse Angnis ad un certo punto,
riacquistando
nuovamente l’attenzione della ragazza -Ho quasi completato
alcuni abiti più
simili al tipo di abbigliamento che avevi quando sei arrivata, ma per
le scarpe
devo recuperare del cuoio e dei chiodi da calzolaio e per quelli dovrai
pagarmi
le spese d’acquisto.
-Io
non ricevo uno stipendio, purtroppo. Non saprei come pagarteli- disse
Chiara,
sentendo svanire la possibilità di avere i piedi coperti da
comode calzature,
lontani dal freddo e dalle pietre taglienti.
-Oh,
lo so bene, ma non è il denaro che desidero,
piuttosto…- abbassò la voce e si
avvicinò alla ragazza per farsi sentire unicamente da lei
-Tu sai leggere? E
anche scrivere?
-Certo
che so farlo- rispose lei, domandandosi se la donna non la stesse
prendendo in
giro -Perché tu no?- ma l’espressione imbarazzata
di Angnis, nel sentirsi
rivolgere quella domanda, la convinse a credere che fosse
più seria di quanto
immaginasse.
-È
una capacità che non viene richiesta alla
servitù- rispose quella, cercando di
assumere un tono vago, poi aggiunse: -Ma vorrei che mia nipote
imparasse. Io
non ho più l’età per imparare cose
nuove, ma lei è ancora una bambina ed è molto
sveglia. Questa è la mia richiesta di pagamento, sei
disposta ad accettarla?
Non
se lo aspettava. Non se lo aspettava per davvero! Tutto avrebbe
immaginato di
fare su un altro pianeta, tranne l’insegnante delle
elementari, ma, a ben
vedere, era una richiesta molto toccante e, per una paio di scarpe,
valeva la
pena insegnare a una bambina a leggere. L’avrebbe fatto anche
senza chiedere
nulla in cambio.
-Va
bene- rispose Chiara e Angnis parve illuminarsi: le rivolse un grande
sorriso e
le strinse calorosamente la mano nelle sue, poi, dopo aver concordato
la data e
l’ora della prima lezione (mezzogiorno
dell’indomani) se ne andò, ma non prima
di averla ringraziata con trasporto.
“Forse,
in fondo, non faccio così tanta paura” si disse la
ragazza, ma ad un tratto le
sorse un dubbio: come faceva Angnis a sapere che sapeva leggere e
scrivere, se
l’analfabetismo era così diffuso tra la
servitù e se da quando era ad Asgard
non aveva letto nemmeno un cartello?
-Brutto
figlio di puttana!- esclamò Chiara, correndo verso il
cortile d’addestramento.
Ora
ricordava: il giorno in cui era avvenuto il suo blackout stava tornando
dall’università, ma si era anche fermata
dall’ortopedico per ritirare i risultati
della radiografia al ginocchio e aveva messo il tutto (ricetta medica,
appunti,
occhiali, documenti etc.) in uno zaino!
Dovevano
averlo trovato e aperto, altrimenti Fandral come avrebbe potuto sapere
tutte
quelle cose su di lei? Chiara era disposta anche credere che
l’avesse vista
zoppicare, ma come poteva sapere del suo difetto di vista? Solamente
trovando
gli occhiali.
L’aveva
presa in giro, ma, soprattutto, le aveva tenuto nascosto il fatto che
avessero
recuperato i suoi oggetti personali e la cosa la faceva imbestialire.
Attraversò
il cortile come una furia, incurante delle reclute che, costrette a
interrompere l’allenamento al suo passaggio, le urlavano
appellativi e frasi
poco educate, e raggiunse Fandral, impegnato a conversare con un gruppo
di giovani
servette sghignazzanti.
-Ti
devo parlare!- gli disse la ragazza, fulminandolo con lo sguardo.
-Ai
tuoi ordini, mia signora!- esclamò plateale
l’uomo, poi, rivolgendosi alle
fanciulle, aggiunse: -Scusatemi, ragazze, ma sono ardentemente
richiesto
altrove.
Fandral
la condusse sotto al portico e le domandò gioviale: -Cosa
c’è di così urgente?
-So
che avete il mio zaino con tutte le mie cose e pretendo di riaverlo. Mi
appartiene e non avete alcun diritto di tenerlo voi!
-Al
momento è sotto sequestro- rispose calmo l’uomo
-È stato ordinato di studiarne
il contenuto per controllare che non ci siano armi o altri congegni
strani al
suo interno.
-È
lo zaino di una studentessa universitaria!-esclamò
esasperata la ragazza -Ci
sono solo libri e fogli di appunti, nulla che rappresenti una minaccia
per voi!
E comunque mi hai mentito: sapevi tutte quelle cose su di me solo
perché hai
visto il contenuto del mio zaino. Altro che detective, sei solo un
bugiardo!
Quell’accusa
andò a segno e il sorriso svanì dalle labbra
dello spadaccino: -È mio dovere
scoprire il più possibile su chi entra nel palazzo del mio
re e ho combinato
insieme le informazioni che ho tratto dai tuoi oggetti e quelle che ho
dedotto
osservandoti. E comunque, sì, tu zoppichi!
“Che
stronzo!”
Chiara
stava per cantargliene quattro quando quello riprese a parlare con un
tono più
pacato: -Di una cosa puoi star certa però, il tuo
fidanzamento l’ho capito solo
guardandoti il primo giorno che ci siamo incontrati. Certo,
l’anello ha
confermato la mia tesi, ma è stato quando hai ritratto la
mano che ho capito
davvero che tipo di donna sei. Ammetto di avere un certo successo con
il gentil
sesso e non mi era mai capitato che qualcuna rifiutasse una mia avance,
ma tu
sei una donna fedele e il tuo fidanzato è un uomo davvero
molto fortunato.
“Scusa,
non ti seguo, prima mi insulti e poi mi dici che il mio uomo
è fortunato?”
-Non
tentare di cambiare argomento, Casanova. Rivoglio le mie cose!
-E
sia- rispose l’uomo, sconfitto -Ne parlerò con
Thor e vedrò cosa posso fare.
-Potrei
esultare dalla gioia!- disse la ragazza vittoriosa, sostituendo alla
rabbia un
grande sorriso di gratitudine.
-Fallo
dunque, adoro vedere una donna soddisfatta.- rise Fandral
maliziosamente,
soprattutto quando vide dipingersi sul volto di Chiara
un’espressione piuttosto
sconcertata.
-Oh,
ci vuole ben altro per soddisfarmi!- rispose alla fine quella,
ammiccando allo
spadaccino prima di girare sui tacchi e tornare da dove era venuta.
L’angolo
dell’autrice:
buon anno a tutti, ladies and gentlemen, e benvenuti alla fine del
decimo
capitolo de La sua paura! Come al
solito,
spero vi sia piaciuto e che vi invogli a proseguire la lettura della
storia.
Thor
è tornato e con esso anche il ragnetto ha deciso di degnarci
di una sua fugace apparizione
(che drama queen! XD), ma ben presto comincerà a giocare la sua partita.
Spero
di leggere le vostre opinioni, che sono sempre delle graditissime fonti
di riflessione
e di ispirazione e, se vorrete esprimerle, sarò ben lieta di
accoglierle.
Alla
prossima e statemi bene,
Lady
Realgar
|
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Capitolo 11 *** The Chamber of the Secrets ***
Anche
quella giornata passò e Chiara stava ancora pensando a come
entrare nelle
stanze di Loki, quando Thor aprì la porta della sua camera,
dove la ragazza
aveva appena finito di sostituire le lenzuola e lo stava aspettando
seduta sul
suo triclinio.
Fu
troppo impaziente per aspettare che fosse lui a parlare per primo,
così, non
appena l’uomo ebbe oltrepassato la soglia, gli si
parò davanti: -Allora?-
chiese diretta.
-Padre
non ha concesso la completa restituzione del tuo bagaglio- rispose
l’uomo,
togliendosi il mantello dalle spalle e lasciandolo cadere sul letto
-Ma, dopo
averli analizzati attentamente, mi ha dato il permesso di restituirti
questi.
Estrasse
da una tasca dei pantaloni un paio di occhiali da vista incrostati di
salsedine
e li porse alla ragazza.
“Poteva
dargli almeno una pulita, già che c’era.”
Mentre
Thor si cambiava per la notte, Chiara inumidì un lembo del
suo abito con
dell’acqua pulita e cominciò a strofinare le
lenti, riducendo notevolmente la
patina di sale che vi si era depositata, poi li inforcò.
“Le
stecche sono piuttosto rigide, ma niente di rotto. Grazie al cielo la
montatura
è di plastica!”
-Hai
un aspetto buffo con quelli addosso! Sembri un gufo!- rise Thor,
lasciandosi
cadere sul letto.
La
ragazza ignorò la sua battuta e, sedendosi nuovamente sul
triclinio, disse:
-Hai idea di quando potrò riavere anche il resto delle mie
cose?
-No-
rispose Thor, sdraiandosi sul materasso e osservando il soffitto -Credo
che
Padre sospetti che ci sia qualcosa dentro il tuo zaino che possa
giustificare
la tua apparizione.
-Sono
solo sciocchezze! Potrei farti l’elenco del suo contenuto e
ti assicuro che, a
parte libri e penne, non c’è nulla.
-Beh, se non altro un
aspetto positivo c’è-
disse il dio mettendosi su un fianco per guardare meglio la ragazza.
-E
sarebbe?- domandò quella.
-Stai
cominciando a ricordare.
Dovette
aspettare a lungo prima che Thor si addormentasse profondamente: quella
sera
era particolarmente in vena di chiacchere e volle farsi raccontare per
filo e per
segno tutto quello che la ragazza riusciva a ricordare
della sua vita di tutti i giorni, prima che
venisse catapultata ad Asgard; così Chiara parlò
della sua famiglia,
dell’università, degli amici, dei suoi libri
preferiti e Thor sembrava
divertirsi un mondo ad ascoltare del Signore degli Anelli, di Harry
Potter, di
Shakespeare, dell’Iliade e dell’Odissea e,
soprattutto, volle sapere come mai
Gandalf non avesse proposto di utilizzare subito le Aquile per arrivare
al
Monte Fato.
Alla
fine, il sonno ebbe la meglio e il russare del dio fu il solo suono a
riempire
l’aria all’interno della stanza.
La
ragazza afferrò una candela rimasta accesa e di soppiatto
scivolò attraverso la
porta, ritrovandosi nell’oscurità dei corridoi.
Nel
silenzio della notte il rumore dei suoi passi era amplificato
dall’eco che i
grandi ambienti del palazzo le restituivano e più volte
Chiara temette di veder
sbucare da qualche angolo una guardia, messa in allarme da quel
frastuono.
Fortunatamente
non incontrò nessuno lungo la via e in una decina di minuti
si ritrovò di
fronte alla fatidica porta, i cui cardini scintillavano alla luce della
candela.
“Ok,
sono qui e adesso?”
Ripensò
alla conversazione avuta con Angnis: quello era stato il primo
incantesimo di
Loki e, a rigor di logica (qualora potesse esserci della logica in
tutta quella
storia), ogni incantesimo poteva essere spezzato da un contro
incantesimo o
aggirato con un’altra magia.
“Sì,
ma io che ne so di magia?”
Tentò
allora con le prime frasi che le vennero in testa: -Alohmora1!
Mellon2! Apriti sesamo! Abracadabra! Expelliarmus3!
Expecto Patronum4!
Come
c’era da immaginarsi, non accade proprio nulla, tranne la
fastidiosa sensazione
di stupidità che Chiara si sentì crescere addosso.
Non
sapendo più cosa fare, si sedette a terra a osservare il
legno liscio e scuro
della porta, giocherellando distrattamente con la collana tra le dita.
Passarono
i muniti senza che nulla cambiasse, mentre la candela lentamente si
consumava,
raggiungendo le dimensioni di un moccolo.
“Tra
poco si spegnerà” pensò Chiara,
osservando quello che rimaneva della sua fonte
di luce, poi, all’improvviso, un altro bagliore
entrò nella sua visuale,
attirando la sua attenzione.
Tra
le venature del legno della porta, poco al di sotto della maniglia, un
piccolo
tondo d’argento luccicava timidamente alla luce della
fiammella.
Chiara
si alzò e, avvicinando la candela, osservò meglio
il tondino: era davvero molto
piccolo e al centro aveva un foro. Sembrava quasi…
“Una
toppa!”
Ma
il suo entusiasmo svanì in fretta: dove avrebbe potuto
trovare, in un castello
così grande, una chiave così piccola da poter
passare attraverso quella
minuscola serratura?
-Aspetta
un momento!- sussurrò Chiara.
Si
toccò il collo e sui polpastrelli sentì il freddo
della catenina che indossava
e, attaccato ad essa, penzolava un ciondolo a forma di piccola chiave
dorata.
“È
impossibile” si disse, mentre sganciava la collana e
introduceva il ciondolo
nella serratura.
CLACK.
Con
uno scatto, la porta si aprì davanti a Chiara, imbambolata e
incredula dell’enorme
fortuna che le era capitata.
Fu
solo quando un rivolo di cera bollente le scottò le dita,
che finalmente si
decise ad attraversare la soglia.
La
stanza era buia e l’atmosfera era pregna di aria viziata, ma
grazie alla
flebile luce della candela Chiara riuscì ad aprire le
finestre, ossigenando
l’ambiente.
Riuscì
persino a trovare un candelabro e ad accendere ben sei candele
praticamente
nuove e, quando le fiamme cominciarono a rifulgere allegramente,
finalmente
poté osservare l’interno della stanza.
“Diamo
un’occhiata alla Camera dei Segreti5!”
Elegante.
Fu la prima parola che alla ragazza venne in mente per descrivere
quell’ambiente: sebbene non fosse ampia come la stanza di
Thor, era molto
ordinata ed era arredata con ricercatezza e buon gusto a partire dal
letto a
baldacchino di ferro battuto, da cui ondeggiavano, come fantasmi
silenziosi,
leggere tende bianche. Al posto degli arazzi raffiguranti scene
belliche, una
fila di librerie colmi di volumi tappezzava le pareti, assieme a grandi
armadi
di legno intarsiato e a un alto specchio di argento, incorniciato
d’oro. Le
finestre ad arco a sesto acuto erano separate tra loro da colonnine
tortili di
marmo scintillante e in un angolo, poco distante da una scrivania di
legno di
ciliegio con sedia abbinata foderata in velluto verde, un tavolino da
toeletta
con brocca e catino d’argento (l’unica cosa che
richiamasse lo stile delle
stanze di Thor).
Affascinata
da quella grande quantità di libri, si avvicinò
allo scaffale più vicino e
sbirciò i titoli impressi sulle copertine impolverate: per
buona parte
sembravano saggi di storia di Asgard, Jotunheim, Vanaheim e persino un
tomo
sulla storia midgardiana, gli altri erano per lo più volumi
sulle proprietà di
erbe, minerali e varie sostanze naturali, raccolte di storie e miti dei
Nove
Regni e testi di grammatica di chissà quali lingue.
Tra
tutti quei volumi dalle copertine sontuose ce n’era uno in
particolare, molto
più piccolo e modesto e con il dorso molto più
rovinato e consumato degli
altri, come se fosse stato rimosso dallo scaffale e consultato
più e più volte.
Facendo
attenzione a non strappare la copertina, Chiara fece scivolare il libro
fuori dalla
sua sede e lo avvicinò alla luce delle candele per
osservarlo meglio: era
scritto a lettere grandi, con frasi piuttosto corte ed era arricchito
di
colorate illustrazioni.
“È
un libro per bambini, ma non riesco a leggere il titolo.”
Il
canto del gallo attraversò la stanza e, per paura che di
lì a poco i corridoi avrebbero
brulicato di vita, nascose il libro sotto la camicia e uscì
chiudendo a chiave
la porta.
“Ce
l’ho fatta!” esultò interiormente,
mentre si incamminava in direzione delle
cucine “Sicuramente tra quei libri c’è
scritto il modo per andarsene da qui e
io lo scoprirò!”
Prese
dalle cucine il solito vassoio con la colazione e ritornò
nelle stanze del
principe, l’emozione di essere riuscita nella sua impresa
notturna non le
faceva neppure sentire la stanchezza, il suo corpo era pura adrenalina.
Note:
1
Rowling J.K., Harry Potter e la Pietra
Filosofale, Milano, Salani Editore, 1998
2Tolkien
J.R.R, Il Signore degli Anelli, La
Compagnia dell’Anello, Milano, Bompiani, 2000
3Rowling
J.K., Harry Potter e la Camera dei
Segreti, Milano, Salani Editore, 1999
4Rowling
J.K., Harry Potter e il Prigioniero di
Azkaban, Milano, Salani Editore, 2000
5vedi
nota 3
Angolo
dell’autrice:
Bonjour! Fine del capitolo 11 de La sua
paura ( Oh Loki divino, siamo arrivati a 11! Wow!), spero vi
sia risultato
gradito. Ringrazio affettuosamente le nuove arrivate che hanno iniziato
a seguire
la storia e non posso che augurarmi che non abbiano di che pentirsene XD
Questo
capitolo è stato piuttosto infarcito di citazioni, da cui si
evince un certo
lato nerd della nostra protagonista e che permette di alleggerire un
po’ la
narrazione ;)
Ahimè,
il tempo delle vacanze natalizie volge al termine e ben presto
sarò di nuovo
sommersa dalle incombenze universitarie, quindi ho ritenuto saggio
pubblicare
un nuovo capitolo prima che ciò accadesse.
Spero
che vi sia piaciuto e che vorrete continuare a scoprire quello che
accadrà a
Chiara & co.
Come
sempre, se vorrete lasciare un commento, esprimendo la vostra opinione
e/o le
vostre curiosità, farete la mia felicità e
sarà un piacere rispondervi.
Alla
prossima e statemi bene!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 12 *** Il ritratto ***
Per
la lezione, disse Chiara ad Angnis quando la incontrò quella
mattina, sarebbe
stato necessario un
luogo tranquillo e
riservato, lontano dai rumori e dal frastuono degli ambienti
solitamente
frequentati nel palazzo e in cui non
ci
sarebbero state distrazioni per la giovane studentessa; così
Angnis le diede il
permesso di sistemare un piccolo tavolo di fortuna tra grandi rotoli di
lana,
seta e lino colorati nel magazzino delle stoffe, che veniva rifornito
una volta
al mese e a cui aveva accesso solo la sarta.
Si
trovava lì quel pomeriggio, sfogliando distrattamente il
piccolo libricino
preso dalle stanze di Loki e progettando un sistema metodico per
cercare (e
soprattutto trovare) un qualche indizio che le avrebbe spiegato come
scappare
da Asgard senza usufruire del Bifrost, quando la porta del magazzino si
aprì lasciando
entrare, piuttosto intimidita e guardinga, la bambina bionda con gli
occhi
color caramello che Chiara aveva spesso visto aggirarsi per il palazzo.
-Ciao!-
la salutò la ragazza, rivolgendole il più ampio e
rassicurante dei suoi
sorrisi.
-Ciao…-
rispose la bambina guardandosi i piedi.
-Sei
la nipote di Angnis?- riprese Chiara -Come ti chiami?
-Myria.
Chiara
le chiese di avvicinarsi e, quando la bambina si fu accomodata al suo
fianco,
iniziarono la lezione: sfruttando degli scarti di stoffa bianca, del
nero di
seppia rubato alle cucine e dei bastoncini che Angnis le aveva
procurato,
Chiara mostrò alla bambina come scrivere il suo nome e la
fece esercitare
finché non riuscì a scarabocchiare un Myria
piuttosto incerto, ma corretto.
Per
farle prendere confidenza con le lettere, Chiara le mostrò
il libro che aveva
preso, facendole cercare nel testo le lettere che componevano il suo
nome e
indicandogliene di nuove; per la ragazza fu una grande soddisfazione
vedere la
timidezza di Myria svanire di fronte alle illustrazioni colorate e
divenire
entusiasmo per quel gioco che avevano chiamato “Trova
e leggi”.
Scoprì,
inoltre, che quel libro era una raccolta di racconti, molto popolari
tra i
bambini di Asgard, che narravano la nascita dei Nove Regni e che Myria
sapeva
praticamente a memoria.
Trascorsero
un paio d’ore insieme, nella cui ultima mezz’ora
Chiara lasciò che la bambina
disegnasse gli oggetti a cui si riferivano le parole imparate come albero, vaso e
sedia; Myria, notò
la ragazza, aveva un ottimo senso della proporzione e i suoi disegni,
seppur
semplici, risultavano sorprendentemente chiari.
Nel
frattempo Chiara leggeva incuriosita alcuni brani del libricino,
finché la sua
attenzione non venne attratta da un’illustrazione molto
simile ai dipinti dei
vasi che il giorno prima aveva maneggiato.
Il
racconto si intitolava L’avanzata
degli
Jotun:
Quando
i regni vennero separati e distribuiti
nei cieli, il più freddo, tetro e inospitale tra tutti era
Jotunheim, il regno
dei Giganti di Ghiaccio. Queste creature vivevano lontane dalle stelle,
nel
freddo e nell’oscurità di un perenne cielo nero e,
con il passare degli anni,
freddi e oscuri divennero i loro cuori e la loro pelle, che
mutò diventando blu
come i ghiacci più antichi.
Invidiosi
della luce e del calore,
in loro nacque un odio rancoroso nei confronti degli altri regni e di tutti i loro abitanti
al punto che il
loro signore Laufey, bramoso di vendetta e di conquista,
attaccò la primitiva
Midgard, ignara e indifesa contro una simile potenza.
Laufey,
crudele e smanioso di
distruzione, aveva scoperto un modo per centuplicare il suo potere: nel
cuore
della montagna più fredda e inaccessibile, egli aveva
estratto del ghiaccio
dalle magiche proprietà e lo aveva posto
all’interno di uno scrigno, che solo
nelle mani di uno Jotun era in grado di sprigionare la sua forza
devastante,
incatenando nel freddo anche il più potente dei guerrieri.
Grazie
ad esso, al solo tocco dei
giganti, qualunque cosa mutava in ghiaccio: le persone, gli animali e
le case
divennero statue gelate; al loro passaggio rimanevano solo morte e
distruzione
perché ai giganti è precluso l’amore e
la bellezza e solo l’odio, la rabbia e
la crudeltà può crescere all’interno di
quei cuori raggrinziti dal freddo.
Per
giorni interi Midgard subì la
furia di quei mostri, finché, a capo delle sue coraggiose
truppe, Odino, il
Padre di Tutti, affrontò il re dei giganti, brandendo
Gungnir l’invincibile.
Fu
una lotta lunga e difficile, ma
alla fine Asgard trionfò su Jotunheim, rispedendo il nemico
da dove era venuto
e sottraendogli lo scrigno magico, da allora custodito come reliquia
nella sala
delle armi, a perenne monito di superiorità contro i mostri
dell’oscurità,
condannati a vivere nella loro desolazione e nel loro odio per sempre.
-Ma
è terribile…- si
lasciò scappare Chiara
in un sussurro, che non sfuggì a Myria, la quale,
mortificata, rispose: -Sì lo
so, gli alberi non mi riescono molto bene.
-No,
tesoro- rispose in fretta Chiara -Non è per quello, il tuo
albero è bellissimo!
È la storia che ho appena letto ad essere terribile.
-Quale?-
chiese sollevata la bambina.
-Quella
sui Giganti di Ghiaccio.
-Sì,
anche a me fanno molta paura, ma ci sono il re e il principe a
proteggerci,
così sono meno spaventata.
Chiara
le sorrise, accompagnandola alla porta: il tempo per la lezione era
terminato
ed entrambe dovevano tornare al lavoro.
“Non
mi spaventano i Giganti” pensò la ragazza, mentre
raccoglieva l’inchiostro e i
bastoncini e li metteva nell’angolo di uno scaffale semi
vuoto, “Mi spaventa
molto di più la reazione che deve aver avuto Loki scoprendo
di essere uno di
loro.”
Per
qualche ragione Kalista era particolarmente nervosa quel giorno e
continuava ad
osservarsi su qualunque superficie liscia e lucida che le capitava a
tiro,
sistemandosi i capelli in vari modi e non sembrando mai soddisfatta.
Ogni
tanto ordinava a una servetta di sorreggere una padella, mentre lei la
adoperava come specchio, poi, imbronciata e scontenta, riprendeva le
sue
mansioni, sbuffando e borbottando come una teiera sul fuoco.
Vedendola
in quello stato, Chiara fece ben attenzione a starle alla larga e a non
importunarla: tutto stava andando per il meglio e non ci teneva a
macchiare la
sua fedina penale per aver preso a sberle quella sciocca presuntuosa.
Con
il succedersi dei giorni, il comportamento di Kalista non
migliorò, ma, al
contrario, sembrava diventare sempre più suscettibile sul
suo aspetto; cosa
ancora più strana, Kalista non era la sola a dimostrare un
particolare riguardo nei
confronti della propria immagine: più di una volta Chiara,
che ancora non era
riuscita a farsi completamente accettare dal resto della
servitù, aveva sentito
di sfuggita alcune ragazze scambiarsi dei commenti su capelli e vestiti.
Decise
semplicemente di non dar peso a quei fatti e di concentrarsi nella
ricerca di
una soluzione ai suoi problemi: le sue ricerche non stavano andando nel
modo
che aveva sperato e, per di più, Myria aveva preso
l’abitudine di portare qualche
amico durante le sue lezioni, aumentando giorno dopo giorno il numero
di
componenti della sua classe, con il risultato che la ragazza,
trovandosi a
gestire una scolaresca di vivaci bambini asgardiani, arrivava sfinita a
fine
giornata.
Inoltre,
pur avendo continuato ogni notte a sgattaiolare fuori dalle stanze di
Thor e a
intrufolarsi in quelle di Loki per leggere e informarsi, sembrava non
fosse mai
stata scritta nemmeno una riga su come viaggiare da un regno
all’altro.
“Eppure
è già successo!” continuava a ripetersi
Chiara una sera, sfogliando
convulsamente l’ennesimo inutile libro, finché la
rabbia e la delusione ebbero
il sopravvento sul suo autocontrollo, sfogandosi
sull’oggetto, che venne
scagliato contro un muro per poi rimbalzare sotto ad un armadio.
Frustrata
e pentita di essersela presa con il libro, tra l’altro non di
sua proprietà, si
sdraiò sul pavimento e allungò il braccio sotto
al mobile per recuperare la sua
vittima.
Finalmente
le sue dita afferrarono qualcosa di rigido e squadrato e lo fecero
scivolare
sulla pietra finché non emerse completamente, rivelandosi
più grosso e pesante
dell’oggetto che stavano cercando.
Non
era un libro, bensì una tavoletta di legno e sembrava
dipinta.
Incuriosita,
la ragazza portò il ritrovato alla luce della candela e lo
studiò: vi erano
rappresentate quattro persone, messe in posa per il ritratto. La benda
sull’occhio dell’uomo a sinistra lo distinse subito
come Odino; a fianco del
sovrano vi era un giovane ragazzo, biondo e sorridente, che teneva
saldamente nella
mano una spada, mentre sulla destra una donna dai lunghi capelli color
dell’oro
gli poneva dolcemente una mano sulla spalla.
Chiara
rimase per diversi secondi a fissare quella figura, come inebetita, ma
alla
fine dovette ammettere a se stessa di riconoscerla: era la stupenda
donna dagli
occhi tristi che aveva visto nel suo sogno qualche tempo prima.
Com’era
possibile? Non l’aveva mai vista prima, come poteva essere
una persona vera?
“Chi
è l’altro ragazzo alla sua sinistra?” si
chiese poi Chiara, che oramai si stava
facendo il callo alle sorprese.
Sotto
la mano sinistra della donna (che evidentemente si trattava della
defunta
regina), un ragazzino pallido e anemico se ne stava, ben ritto sulla
schiena,
sul lato destro della tavola: sul suo viso sottile non vi era alcuna
traccia
del sorriso aperto del Thor ragazzo, ma un’espressione seria
e dignitosa era
incorniciata dai capelli neri accuratamente pettinati
all’indietro. Fra le mani
non stringeva una spada, bensì un libro e i suoi pungenti
occhi verdi
sembravano essere in grado di trafiggere lo spettatore e di scrutarne
ogni più
recondito pensiero.
“Quegli
occhi…”
Come
attraversate da una scossa, le ginocchia della ragazza quasi cedettero
e Chiara
dovette sedersi sul letto per non cadere al suolo, mentre nella sua
testa
rimbombava un’unica parola o, meglio, un unico nome:
“Loki”.
Era
lui, non c’erano dubbi! Il ragazzino serio del ritratto e
l’uomo che le era
apparso per la prima volta in cella erano la stessa persona
… e quella persona
era Loki.
L’unico
difetto della sua teoria stava nel fatto che si supponeva che il Dio
degli
Inganni fosse morto, ma poi si ricordò di quel giorno in cui
aveva origliato
per sbaglio la conversazione tra Sif e Fandral e ammise che, in
effetti, la
guerriera non sembrava essere tanto distante dal vero.
“Ma
anche ammettendo che Loki sia ancora vivo, perché mai
dovrebbe apparirmi come
un fantasma?”
-Perché
tu rappresenti una minaccia- disse una voce alle sue spalle.
Chiara
scattò in piedi come una molla e si voltò in
direzione della voce: Loki la
stava fissando dall’altra parte del letto, nascondendo le
mani dietro la
schiena.
-Mi
stavo domandando quanto tempo avresti impiegato per capire- riprese
lui, senza
toglierle gli occhi di dosso -Ti facevo più sveglia.
-E
io ti facevo più morto!- rispose Chiara, irritata da
quell’insulto lanciato
gratuitamente.
-Evidentemente
ci sbagliavamo entrambi.
-In
che modo rappresenterei una minaccia?
-Immagino
che tu abbia appreso, stando qui, che qualunque cosa entri o esca dai
confini
di Asgard senza che Heimdall lo veda porti guai.
-Te
compreso?- lo interruppe la ragazza, in tono di sfida.
-Ma
nel tuo caso- riprese Loki, ignorandola -C’è un
aggravante: tu sai qualcosa che
non avresti dovuto sapere e ti ha spaventata al punto da occultarla
nella tua
mente, bloccando una sezione della tua stessa memoria, con lo scopo di
proteggerti da quel ricordo. Niente accade per caso e se tu sei qui,
quello che
hai visto ha qualcosa a che fare con Asgard e io devo sapere di cosa si
tratta.
-Aspetta
un momento! Quindi è questo quello che hai fatto per tutto
questo tempo: ti
saresti intrufolato della mia mente e ci avresti sbirciato a tuo
piacimento? E
visto che quello che cercavi non era a disposizione, ti sei presentato
a me
come la mia paura? Tu volevi
spaventarmi con il pensiero della follia per renderti accessibile quel
ricordo!
In pratica, se avessi temuto di più te, il blocco sarebbe
stato vinto e tu
avresti potuto vedere di cosa si trattava.
-Molto
brava- disse Loki freddamente, accompagnando le sue parole ad un lento
e
costruito applauso -Vedo che finalmente cominci ad usare il cervello.
-Capisco
anche che non ci sei riuscito- riprese Chiara -Perché
altrimenti a quest’ora
non sarei qui a parlarti. Non sei riuscito a spaventare una fanciulla
indifesa.
Si
morse la lingua: ancora una volta aveva esagerato.
Con
i freddi occhi verdi ridotti a due fessure, il dio aggirò il
letto e in un
lampo le fu a pochi centimetri di distanza, sovrastando la ragazza con tutta la sua altezza.
-Tu
non sei reale!- riprese Chiara, cercando di mostrarsi risoluta -Sei
solo
un’immagine che trasmetti alla mia testa da chissà
dove.
In
un lampo l’uomo le afferrò la mano e se la pose
sul petto, sibilando: -Non ti
sembro reale?
A
quel contatto inaspettato Chiara sobbalzò
all’indietro, urtando un vaso di
terracotta decorata, che cadde al suolo e si ruppe sul pavimento in
tanti
frammenti.
-Il
rumore avrà attirato le guardie- disse la ragazza,
mantenendo lo sguardo fisso
sull’uomo e cercando di assumere un atteggiamento impavido
-Ti troveranno e ti
metteranno in prigione.
-Ma
davvero?- domandò Loki divertito, poi schioccò le
dita e i frammenti del vaso
si ricomposero, finché l’oggetto non fu di nuovo
al suo posto, perfettamente
integro e intatto.
-C’è
un incantesimo su questa stanza- spiegò l’uomo
-Per cui nulla di quello che
accade qua dentro può essere in qualche modo percepito
dall’esterno. L’ho
sviluppato nel corso degli anni, da quando sono riuscito a incantare la
porta
di ingresso.
-Ecco-
esordì la ragazza, non appena fu riuscita a mettere un
metro di distanza tra sé e il
dio -Visto che hai introdotto l’argomento, come diamine
è possibile che la
porta si apra con la mia collana?
-La
porta si apre solo se sono io a volerlo- rispose -Evidentemente deve
averti
confuso con me, visto che sono nella tua testa e il tuo desiderio di
accedere alla
stanza ha fatto il resto, vedendo nella chiave che porti al collo come
il modo
più logico per aprire una serratura. È un
incantesimo che ho fatto da piccolo,
non mi sorprende che sia difettoso.
“Prendi
tempo, Chiara, e cerca una via di fuga”.
-Puoi
andartene quando ti pare- riprese calmo Loki -Non
c’è luogo in Asgard o in
tutti i Nove Regni in cui tu possa nasconderti da me. Per quante miglia
di
distanza tu possa mettere tra noi, io saprò sempre,
esattamente, dove ti trovi.
-Hai
intenzione di farmi del male?- domandò, a quel punto, la
ragazza: se non poteva
fuggire o nascondersi, tanto valeva capire le intenzioni del suo
avversario.
-No,
a meno che non ne tragga qualche vantaggio- rispose calmo il dio.
-Allora
perché sei qui?
-Per
compiere un’analisi più approfondita.
-Cosa
vorresti dire?
Ignorando
la domanda, l’uomo in un battito di ciglia le fu di nuovo di
fronte e le pose
delicatamente i polpastrelli delle lunghe dita sulle tempie. A quel
contatto, i
muscoli della ragazza si irrigidirono di colpo, facendole cadere in un
tonfo
sordo la tavoletta dipinta (che fino a quel momento aveva continuato a
stringere nervosamente tra le mani).
Il
suo corpo aveva smesso di obbedire ai comandi che gli impartiva,
divenendo come una bambola di pezza tra le mani del Dio degli Inganni;
per
quanto si sforzasse non riusciva nemmeno a sbattere le palpebre o a
muovere
gli occhi, sicché l’unica cosa che rientrava nel
suo campo visivo era il volto
affilato e serio di Loki.
All’improvviso
fu come se qualcuno avesse premuto il tasto rewind
della sua memoria e stesse passando in rassegna tutti i suoi ricordi.
Una
sequenza di immagini, suoni e odori le attraversarono il cervello ad
altissima
velocità, quasi trafiggendola. Non era un processo doloroso,
ma le causava un
incontrollabile e repentino cambio di sensazioni e umori, che la fecero
sentire
nuda e indifesa.
Gioia,
paura, rabbia, amore, emozione, vergogna, dolore la pervasero
contemporaneamente in pochi secondi.
“N-no!”
tentò di ribellarsi Chiara, ma era tutto inutile e
né il suo corpo, né la sua
mente riuscivano a infrangere le catene che il tocco delle dita del dio
le
aveva imposto.
Il
suo sguardo era ancora fisso sul volto di Loki, impercettibilmente
contratto
nella concentrazione del momento, impassibile e impenetrabile.
Poi
un’immagine, flebile e sfuocata, nel verde
dell’iride del dio.
Angolo
dell’autrice:
ciao a tutti e ben ritrovati J
Finalmente, dopo una lunga attesa, la
nostra super diva si è mostrata in tutta la sua
beltà e freddezza! “Era ora!”
mi direte voi e avete ragione, ma speravo di riuscire a scrivere
qualcosa di
buono e interessante pur mettendo un personaggio tanto amato e
intrigante come
Loki un po’ in secondo piano. Insomma, una piccola sfida con
me stessa per mettere
alla prova le mie (poche) capacità di autrice. Spero di
essere riuscita nel mio
intento e di avervi regalato qualche bella emozione nel corso di questi
dodici
capitoli (se sì, spero di riuscire a fare altrettanto, se
non di più, nei
capitoli futuri!).
Come
sempre, vi ringrazio per il tempo che dedicate alla lettura della mia
storiella
e, se vorrete lasciare un commento su quanto avete letto,
sarà per me un graditissimo
piacere accogliere la vostra opinione e rispondervi.
Statemi
bene e alla prossima!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 13 *** Complice ***
Un
bambino, piccolo, gracile e dal
volto affilato, immerso nella lettura di un grosso libro, sedeva
comodamente tra
le radici di un albero, quando ad un tratto una piccola mano
afferrò il tomo e
lo scagliò lontano, tra l’erba umida del prato; di
scatto il bambino si alzò, i
pugni serrati nell'ira, per affrontare la persona che aveva compiuto
quel
gesto, ma venne spinto e inciampò tra le radici.
Una
risata acuta, femminile, riempì
l'aria: -Cosa c’è?- domandò una bambina
dai lunghi capelli scuri e
gli occhi di ghiaccio -Non sei capace di
attaccare se l’avversario non sta dormendo?-.
Il
ragazzino si alzò e, imponendosi
la calma, si scrollò via dalla giacca le foglie autunnali,
poi con un ghigno
sul viso, disse gelido: -Dimmi, Sif, conservi ancora i tuoi bei capelli
biondi?
Scommetto di sì, ma per quanto riguarda l'estetica, non ti
preoccupare: non
saresti comunque potuta diventare più brutta. Ma in fondo a
Thor non fa
differenza il colore dei capelli, se non gli interessavi bionda, di
certo non
cambierà opinione ora che sei corvina.
Sif
smise improvvisamente di ridere
e i suoi occhi si caricarono d'odio: le sue mani, strette saldamente in
due
pugni minacciosi, fremevano, mentre la rabbia cominciava ad arrossarle
il
volto.
Un
battito di ciglia e l'ambiente cambiò:
il ragazzino era ancora lì, di nuovo seduto, questa volta,
però, di fronte a un
camino dal fuoco scoppiettante, e si teneva una borsa del ghiaccio
sull'occhio
sinistro. Alle sue spalle comparve una figura più grande e
robusta, che si
sedette accanto a lui e, sospirando, disse: -Padre è ancora
arrabbiato, dice
che non è stata una situazione degna di un principe
asgardiano.
-Tu
non c'eri, Thor- gli rispose
l'altro -Quella ragazza è una furia! Ha osato attaccarmi
come una forsennata.
-Andiamo,
Loki, so che Sif può
essere un po' impulsiva, ma non è certo così
fuori di testa!
Adirato,
Loki si tolse la borsa
dall'occhio tumefatto per mostrarlo al fratello e replicò:
-Questo non me lo
sono certo fatto da solo! Non riesco a capire come puoi anche solo
sopportare
di avercela intorno!
-Lei
è una mia cara amica e
comunque anche tu l'hai ridotta maluccio: ho sentito dire dai Guaritori
che
aveva la pelle delle braccia tutta piena di ustioni. Che razza di magia
le hai
fatto?
-Non
le ho fatto proprio niente, mi
sono solo difeso- rispose Loki avvicinandosi al fuoco, poi riprese:
-Quale
punizione mi attende per quello che è successo oggi?
-Padre
ha ordinato di chiudere a
chiave la biblioteca e di non farti entrare finché non
avrà cambiato idea.
Senza
dire una parola, il ragazzo
scagliò la borsa del ghiaccio, oramai vuota, dentro alle
fiamme e l'osservò
bruciare tra i tizzoni ardenti.
-Maledizione!-
sibilo tra i denti.
-Io
non capisco, fratello- esordì
Thor -Cosa c'è di così importante in quei vecchi
libri polverosi? Voglio dire,
dovresti dedicare il tuo tempo ad allenarti alla spada e al
combattimento e
invece ti rinchiudi tutto il giorno tra gli scaffali della biblioteca.
Talvolta
non ti presenti nemmeno per i pasti! Non potrai mai difendere il tuo
popolo se
non ti nutri e non ti alleni!
Loki,
in un sospiro, si alzò e si
avvicinò al camino, dove lasciò che il suo corpo
venisse pervaso da quel
piacevole calore, poi, senza staccare gli occhi dalle fiamme, rispose:
-Thor,
tu lo sai l'affetto che provo per te, ma alle volte, quando mi fai
domande del
genere, mi chiedo se siamo davvero fratelli: qui ad Asgard, ogni uomo o
donna
impara a combattere prima ancora che a camminare, ma molti muoiono
senza aver
mai imparato a leggere o, peggio ancora, a pensare. È in
quei "libri
polverosi", come li chiami tu, che ci sono le vere armi di un re, ma
nessuno sembra capirlo. Persino Padre si aspetta che passi il mio tempo
a
ingozzarmi e a fare a pugni con altri uomini, ma io sento di essere
destinato
ad altro! Chi altro è mai riuscito a praticare la magia
presto tanto quanto me?
Padre non capisce quale immensa risorsa siano le mie
capacità, ma quando sarò
re le cose cambieranno: prova a pensare a quale splendore
rifulgerà su Asgard
una volta che tutti i Nove Regni saranno sotto il suo dominio! Non ci
saranno
più guerre nè distruzione perché tutti
saranno sotto un solo vessillo, il
nostro.
Si
volse, poi, verso Thor e gli
tese la mano: -Tu sarai con me, quando questo accadrà, non
è vero fratello?
-Quel
giorno e fino alla fine dei
giorni- rispose Thor, afferrandogli la mano e stringendola con forza.
La
situazione cambiò di nuovo, ma
questa volta non vi era Loki al centro della scena, bensì
Thor: divenuto uomo,
il dio stava attraversando baldanzoso la sala del trono gremita di
gente
acclamante, che entrava in visibilio quando quello lanciava Mjolnir in
aria,
facendolo roteare.
Pavoneggiandosi,
Thor giunse al
cospetto del Padre di tutti gli dei e si inginocchiò.
Mentre
Odino, dopo aver ottenuto il
silenzio dalla folla, parlava, l'attenzione della ragazza venne
catturata dalla
piccola corte di persone intorno al trono: vi erano i Tre guerrieri e
Sif,
vestiti di tutto punto con le armature delle grandi occasioni
perfettamente
tirate a lucido, la bellissima donna che aveva imparato a riconoscere
come
regina, sorridente e radiosa come il sole di mezzogiorno, e, infine, il
minimo
comune denominatore di quella serie di visioni, ossia Loki.
L'uomo
era elegantemente vestito di
una leggera armatura dorata, sopra la quale indossava una giacca di
pelle che
metteva in risalto, con la sua tonalità verde smeraldo, uno
splendido elmo
d’oro da cui si ergevano due corna arricciate, simili a
quelle di uno
stambecco.
Eppure,
nonostante la meticolosa
cura nel vestiario, appositamente scelto per quella che doveva essere
un'occasione eccezionale, sul volto del dio c'era un'espressione
strana: i suoi
lineamenti erano contratti in un’impercettibile smorfia di
invidia e
risentimento, ma nei suoi occhi brillava, al contempo, una luce
completamente
diversa. Una luce che emanava soddisfazione.
Chiara
si stava giusto chiedendo
cosa potesse passare per la mente del dio, quando la sala del trono, la
folla,
Odino e tutti gli altri sparirono e al loro posto comparve il ponte
dell'arcobaleno.
Stupendo
come sempre, il Bifrost
rifulgeva dei sette colori dello spettro del visibile
nell'oscurità del cielo
notturno.
La
ragazza si guardò intorno, alla
ricerca di Loki, ma tutto era calmo e non c'era anima viva, fatta
eccezione per
un anziano signore dai capelli bianchi che si sporgeva dal ponte con
tutto il
busto, come intento ad osservare qualcosa al di sotto di esso.
Incuriosita
si avvicinò,
domandandosi cosa potesse mai esserci di così interessante
da vedere nel vuoto,
poi, non appena la distanza fu ridotta a sufficienza, capì:
il ponte era stato
spezzato e l'uomo, che altri era se non il Re degli Dei, tratteneva i
figli da
una spaventosa caduta nell'abisso.
In
fondo alla catena umana,
precariamente aggrappato a Gungnir, Loki dondolava nel nulla. Dal suo
viso erano
scomparse l'invidia e la soddisfazione, per fare posto alla paura e al
dolore.
-Ci
sarei riuscito, Padre!- urlò
Loki con tutto il fiato che aveva in gola -Per te, per tutti noi!-, ma
la
risposta di Odino fu solo un sommesso, irrevocabile e perentorio:-No.
Sconvolto
da quella parola,
pronunciata come una condanna, il Dio degli Inganni allentò
la presa dall'asta
dorata e si lasciò cadere nell’abisso, tra le
inutili urla disperate di Thor.
Il
cuore della ragazza perse un
battito davanti a quella scena raccapricciante e, d'istinto, si
guardò
nervosamente intorno in cerca di una corda o di qualunque cosa avrebbe
potuto
essere utile per fermare la caduta del dio, il cui corpo si faceva
sempre più
piccolo e lontano.
Serrò
le palpebre, non potendo sopportare ulteriormente quella vista, e,
quando le
riaprì, il volto di Loki era di nuovo di fronte a lei.
Sentiva
di aver riacquisito il controllo del suo corpo, ma, quando il Dio degli
Inganni
tolse le mani dalla sua fronte, non si mosse di un millimetro.
Non
sapeva cosa dire: quell'uomo le aveva fatto forse il lavaggio del
cervello?
Perché, altrimenti, non avrebbe saputo spiegarsi quella
paura che l'aveva presa
nel momento in cui l'aveva visto sprofondare nel nulla.
-Trovato
nulla di interessante?- si sforzò di chiedere la ragazza,
percependo
l'eccessiva durata di quel silenzio.
-Il
blocco è ancora troppo forte- rispose l'uomo, voltandole le
spalle e
accarezzando i dorsi dei libri sugli scaffali, poi aggiunse: -Sei
libera di andare,
oramai è quasi l'alba.
-Hai
intenzione di ripetere questa...cosa che hai fatto?
-La
lettura del pensiero è un processo delicato che richiede
grande concentrazione
e molta energia- rispose l'uomo, continuando a darle la schiena -Si
è rivelata
infruttuosa perciò, a meno che non si riesca a trovare un
modo per accedere a
quella particolare sezione della tua memoria, ritengo che sia
completamente
inutile ripetere l'operazione.
"Meno
male!" pensò sollevata la ragazza, ringraziando dentro di
sé la sua buona
stella per non dover subire una seconda volta quel terribile
trattamento.
-Il
sole è sorto- disse Loki, notando un caldo raggio di sole
che filtrava
attraverso le finestre -E tu hai del lavoro da fare. Va' pure, Chiara.
Non
aspettava altro: senza perdere di vista quella figura alta e sottile,
Chiara
aprì la porta, lanciò una fugace occhiata al
corridoio per assicurarsi che
nessuno la vedesse e uscì.
Per
una manciata di secondi rimase aggrappata alla maniglia argentata, a
metà tra
il desiderio di riaprirla per verificare se Loki fosse ancora nella
stanza e
l'istinto di scappare e mettere più distanza possibile tra
lei e il Dio della
Menzogna.
Fu
un rimbombo lontano di passi a riportarla alla realtà e a
convincerla ad
allontanarsi e cominciare a lavorare, come ci si aspettava che facesse.
Si
incamminò il più velocemente possibile, cercando
di distanziare i suoi passi al
massimo della lunghezza che le sue gambe permettevano, ma ben presto si
accorse
di attirare la curiosità delle guardie che terminavano la
ronda notturna, così
rallentò.
Cambiò
tattica: iniziò misurare i propri passi, tentando di
assumere un atteggiamento
disinvolto, ma più si sforzava di apparire calma e
tranquilla, più i suoi
muscoli si irrigidivano. All'improvviso, la piccola, fragile routine
che era
riuscita a crearsi stava crollando, di nuovo.
Non
riusciva a capirci nulla e, per un’altra volta ancora, si
sentì smarrita e
spaesata. Certo, quello che le era capitato dal momento in cui si era
risvegliata sul pavimento della cella bianca, non si poteva definire la
cosa
più normale del mondo, ma stava iniziando a prendere il
ritmo, sopratutto
perché sapeva che avrebbe trovato il modo per fuggire, prima
o poi.
Ora,
invece, aveva perso anche quella piccola speranza perché
temeva che, se fosse
di nuovo entrata in quella stanza, lo avrebbe rivisto, ma non come
fantasma,
come evanescente immagine nella sua mente, bensì come
persona reale. Aveva
persino il timore di formulare pensieri nella propria testa, sapendo
che lui li
avrebbe scoperti. Si sentiva nuda e vulnerabile, una marionetta nelle
mani di
qualcuno che era ritenuto uno dei più pericolosi criminali
dei Nove Regni.
Mentre
entrava nelle cucine e prendeva il solito vassoio della colazione, le
sue
orecchie rimbombavano e non sentì l'usuale commento acido
mattutino di Kalista.
Attraversò
il cortile e iniziò a salire le scale, ma qualcosa le
sbarrò la strada e per un
pelo il boccale di birra non finì per terra.
-Sta'
attento a dove metti i piedi, idiota!- ruggì inviperita.
Hogun,
sorpreso, la squadrò da cima a fondo, poi disse calmo: -Ti
chiedo perdono.
La
ragazza, che non si aspettava da se stessa una reazione così
aggressiva, avvampò,
ma all'improvviso provò una gran rabbia salirle in corpo,
bramosa di uscire. Sentendo
odore di guai, si aggrappò a tutto il suo buonsenso e si
mise a correre su per
le scale, finché non fu sparita dalla vista del guerriero.
"Cosa
diamine mi è preso?" si domandò sconcertata. Si
appoggiò al muro e inspirò
profondamente: per quella mattina aveva avuto abbastanza emozioni e
doveva
imporsi un contegno.
Quando
fu finalmente entrata nella stanza di Thor, il Dio del Tuono era
già sveglio e
stava terminando di vestirsi.
-Buongiorno!-
l'accolse quello sorridente, poi, alla vista del suo volto sconvolto,
chiese
preoccupato: - Stai bene? Sembri molto affaticata.
-Sto
benissimo- mentì quella, posando il vassoio sul tavolino e
prendendo le
stoviglie sporche della cena della sera precedente per portarle in
cucina, poi il
suo sguardo cadde sul triclinio
-Sono
arrivata in un momento inopportuno?- domandò: sul mobile,
infatti, vi erano
degli abiti inequivocabilmente femminili, che di certo non potevano
appartenere
al dio.
Thor
rispose, sedendosi al tavolo e agguantando un grosso pezzo di carne di
montone:
-Li ha portati Angnis, sono i tuoi abiti nuovi e laggiù ci
sono anche le
scarpe.
Chiara,
che aveva completamente dimenticato quella faccenda, dovette
riconoscere la straordinaria
bravura della sarta di corte: Angnis le aveva confezionato una blusa di
lino
leggero ricamata con fiorellini azzurri lungo i bordi delle maniche,
una casacca
più pesante di lana, una sottile cinta di cuoio con borchie
metalliche incise
con motivi decorativi a spirale, un paio di pantaloni che, dopo attenta
analisi, risultarono essere stati ricavati dal tessuto dei suoi vecchi
jeans,
un paio di camicie color crema e un lungo abito color pervinca.
In
un primo momento ritenne che fosse uno degli abiti tipici delle ancelle
di
corte, ma la delicatezza del tessuto e la cura per i dettagli (le
maniche
lunghe erano state fatte di un tessuto semitrasparente simile al raso,
mentre
sulla vita dell'abito brillava una cintura di satin bianco dalla fibbia
d'ottone lavorato con motivi floreali) le suggerirono che quello non
fosse un comune
abito da schiava, bensì qualcosa di particolare,
probabilmente per un'occasione
altrettanto particolare. A prova di ciò notò che,
oltre a un paio di bassi
stivaletti di pelle, vi erano anche dei sandali composti da delle
fettucce
dello stesso colore blu dell'abito, intrecciate e fissate a delle suole
di
cuoio morbido.
-È
bellissimo!- disse piano la ragazza, ammirando alla luce del mattino
quel
magnifico capolavoro di sartoria.
-Sì-
intervenne il dio -Scommetto che sarai incantevole con quello addosso
alla
Festa d'Estate.
-Come,
scusa?- domandò Chiara, che non aveva mai sentito parlare di
quella ricorrenza.
-La
Festa d'Estate- ripeté Thor, finendo di bere la birra dal
grosso boccale di
peltro -Sono sicuro che ti piacerà! L'anno scorso nello
Âlfheimr hanno
organizzato danze e spettacoli musicali per tre giorni e tre notti
senza
interruzioni. Dubito che Padre possa tollerare dei festeggiamenti
così
prolungati quest'anno, ma sono sicuro che Asgard riuscirà ad
essere all'altezza
della situazione.
Una
lampadina si accese nella testa di Chiara, che, al nome di
Âlfheimr, ricordò il
capitolo di un libro di storia che aveva sfogliato un paio di notti
prima: il
Regno degli Elfi Chiari.
Riusciva
già a immaginarseli: alti, biondi, vestiti di bianco e,
sopratutto, con le
orecchie a punta, proprio come in tutte le fiabe e i racconti fantasy
che aveva
letto su Midgard.
-Stai
dicendo che andremo nel regno degli Elfi?- chiese emozionata.
-Non
esattamente- rispose Thor -Saranno loro a venire qui. I due regni
ospitano le
casate reali e le loro corti ad anni alterni, ma non ti preoccupare-
aggiunse
il dio, notando l'espressione delusa della ragazza -È meglio
così; Âlfheimr non
è esattamente il luogo più adatto per accogliere
forestieri: ricordo l'enorme
spavento che si presero Padre e Madre quando una volta, durante la
Festa, Loki
si era allontanato e smarrito nelle foreste. Lo ritrovarono il giorno
dopo in
una grotta, mentre cercava di accendere un fuoco senza l’uso
della magia.
"È
la prima volta che mi parli della tua famiglia" pensò Chiara
tra sé e sé.
Il
senso di colpa le morse lo stomaco: sapeva quanto Thor, nonostante
tutto quello
che era capitato in passato, fosse legato al fratellastro e, ne era
certa,
scoprire che in realtà Loki era ancora in vita lo avrebbe
reso incredibilmente
felice, ma non poteva dire una sola parola riguardo quello che era
accaduto
durante la notte.
Se
l'avesse raccontato, avrebbe dovuto spiegare perché si
trovava nella stanza e
come aveva fatto a entrarci, o, peggio, l'avrebbero presa per pazza o
per
bugiarda, poiché
non poteva dimostrare
in alcun modo quello che affermava.
Dovette
mordersi le labbra per costringersi a tacere, ma si sentì
uno schifo: avrebbe
potuto rendere felice l’unico individuo che l’aveva
difesa e protetta dal primo
momento in cui era finita su Asgard e tutto quello che era in grado di
fare era
pensare a se stessa, a non finire nei guai.
Provò
un tale senso di vergogna, che per poco non scoppiò in
lacrime.
“Sono una
complice”.
Distratta
da quel pensiero, non si era accorta che Thor aveva continuato a
parlarle e ora
la stava osservando, in attesa che dicesse qualcosa.
-Ehm,
sì, certo!- si affrettò a rispondere
-Sarà sicuramente molto divertente.
-Molto
bene!- convenne l’uomo -Ci vediamo stasera. Oggi mi aspettano
delle questioni
piuttosto spinose.
-Prima
di andare- lo fermò Chiara con un filo di voce -Vorrei
ringraziarti di tutto
quello che hai fatto e stai facendo per me. Se non fossi intervenuto, a
quest’ora sarei ancora in quel buco di cella. Lo apprezzo
molto, davvero.
Il
dio, pensò la ragazza, inizialmente sembrò un
po’ sorpreso, ma poi le rivolse
un sorriso imbarazzato e, mugugnando un saluto, uscì dalla
stanza.
Quella mattina, mentre
raccoglieva i panni e le lenzuola sporchi, Chiara
continuò a pensare
a Loki.
Angolo
dell’autrice: ciao
a tutte e un caloroso benvenuto alla new entry che ha iniziato a
seguire la storia!
Grazie mille di cuore! Dunque, piccola rettifica per chi non conoscesse
l’episodio
della mitologia nordica citato nel testo: tra le varie marachelle che
Loki combina,
un bel giorno gli viene in mente di tagliare la bionda chioma a Sif,
che da allora
le crebbe corvina. Il motivo per cui abbia subito una tinta permanente
in seguito
a un cambio di taglio di capelli mi è ignoto e, siccome sono
sicura che siete molto
più ferrate di me sull’argomento, se qualcuna
volesse svelarmi l’arcano o anche
solo avanzare un’ipotesi, gliene sarei molto grata.
Ciò
detto, spero che il capitolo sia valso il tempo che avete speso a
leggerlo.
Un
abbraccio e statemi bene!
Alla
prossima
Lady
Realgar
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Capitolo 14 *** Ferro e fuoco ***
Quel
giorno, durante la lezione, tra i bambini c’era un insolito
fermento che, sommato
all’agitazione di Chiara per il suo incontro notturno, era
sfociato
nell’anarchia più assoluta.
Dopo
la prima mezz’ora passata nel vano tentativo di stabilire
l’ordine, la ragazza
si era arresa e si era persa nei suoi pensieri. Fu
distratta da una leggera pressione al fianco: -Chiara?- la
chiamò Myria.
-Dimmi,
piccola- rispose la ragazza, sforzandosi di sorriderle nel modo
più naturale
possibile.
-Ti
ho fatto un disegno- disse la bambina, porgendole un pezzo di stoffa
bianca
stropicciata e impastata di nero di seppia.
-Ma
davvero? Vediamo!
Chiara
afferrò la bambina sotto le ascelle e se la pose in grembo,
accarezzandole
leggermente i capelli, mentre quella le mostrava tutta orgogliosa il
frutto del
suo lavoro.
-Qui
ci sono io- spiegò Myria, indicando una piccola figura al
centro della stoffa -Qui
c’è la zia Angnis e qui ci sei tu.
-Caspita!-
esclamò Chiara, enfatizzando quell’espressione con
il tono della voce -Ti sei
disegnata proprio bene! E la zia sembra proprio felice in questo
disegno, ma
chi è quell’altra figura vicino a me?
-Quello
è il principe- rispose allegra la bambina -È il
vostro matrimonio.
-Il
nostro cosa?- domandò Chiara sconcertata.
-Il
vostro matrimonio- ripeté infastidita Myria, come scocciata
dalla lentezza della
sua interlocutrice -Tanto voi vi sposerete.
“Questa
bambina mi sta shippando con Thor?!”
-Ma
Myria, tesoro- si affrettò a dire -Io e Thor non ci vogliamo
sposare.
-Perché
no?- chiese delusa la piccola.
-Perché
io sono già fidanzata.
“E
perché Thor puzza come un cavallo quando torna dagli
allenamenti”
-Sì,
ma lui ti ha invitata al ballo!- insistette Myria, fermamente convinta
della
ragionevolezza di quel pensiero.
-Chi
ti ha detto una cosa del genere?
-Ne
parlano tutti a palazzo e poi io voglio che diventi regina,
così poi ci insegni
ancora più cose, non solo a me, ma anche alla zia e agli
altri!
Chiara,
commossa da quella fiducia così spontanea,
abbracciò quella piccola creatura
con calore, ma nella sua testa un ulteriore, preoccupante, pensiero
cominciò a
ronzare fastidioso.
Aveva
imparato che attirare su di sé le attenzioni della gente, da
quelle parti, non
portava altro che guai e, conoscendo la già poca simpatia
che la componente
femminile del palazzo provava per lei per essere la serva personale del
rampollo reale, ben presto avrebbe potuto avere dei problemi se quello
che
Myria diceva era vero.
“E
che palle, però!”
Quando
il tempo della lezione fu terminato, Chiara accompagnò i
bambini da Angnis,
lasciandoli alle sue cure, e si diresse verso la stanza di Thor.
Mentre
attraversava il palazzo, prestò attenzione
all’espressione delle ragazze che
incontrava, ma non riuscì a scorgere nulla più
della solita indifferenza mista
a disprezzo che le rivolgevano di solito.
Passò
di fronte alle finestre che davano sul cortile
d’addestramento e si soffermò a
guardare i soldati, cercando tra essi il principe.
Come
si aspettava, Thor non era lì con loro: prima di uscire
dalla stanza quella
mattina aveva accennato ad alcune questioni spinose, probabilmente
qualcosa a
che fare con la politica di Asgard. Era naturale che non avesse tempo
di
allenarsi.
In
compenso i Tre Guerrieri e Sif erano lì, come ogni giorno, a
guidare
l’addestramento e a insegnare le tecniche belliche ai soldati.
Sif
era meravigliosa quel giorno, avvolta dallo scintillio della sua
armatura; in
una società guerriera e fondamentalmente maschilista come
quella asgardiana,
Chiara riteneva che fosse davvero una donna formidabile, con un
carattere e una
determinazione fuori dal comune
“Peccato
che sia una stronza”.
“Una
stronza maledettamente bella” pensò poi,
immaginandosela in un favoloso abito
da sera nel bel mezzo di un elegante ballo di gala.
Lo
sapeva: anche vestendo il più brutto e povero degli abiti,
Sif l’avrebbe sempre
superata di una spanna in qualunque qualità.
Con
una morsa all’orgoglio, la ragazza tornò sui suoi
passi e recuperò la solita
pila di panni sporchi dalle camere principesche.
Non
appena fu entrata negli ambienti della lavanderia qualcosa la
colpì alla
schiena, facendola stramazzare al suolo, fortunatamente cadde sulla
cesta dei
panni e si procurò solo qualche ammaccatura.
-Tutte
fuori!- ordinò perentoria una voce familiare al di sopra di
lei.
Chiara
si voltò di scatto e vide Kalista indicare la porta alle
altre serve, che obbedirono
terrorizzate, lanciando dei piccoli gridolini di paura. Non fu
difficile
scoprire cosa le avesse intimorite: alle spalle di Kalista vi era un
energumeno
di due metri per 120 kg di muscoli che lanciava occhiatacce torve a
destra e a
manca.
Quando
tutte furono uscite dalla lavanderia, l’uomo
afferrò Chiara per un braccio,
costringendola a sollevarsi.
“Oh
merda!” imprecò interiormente la ragazza:
quell’uomo, che doveva essere il
famigerato fratello di Kalista, era la stessa guardia che
l’aveva minacciata
nelle prigioni il primo giorno dopo il suo risveglio.
-Molto
bene, piccolo scarafaggio- esordì Kalista rivolgendosi a lei
-Un uccellino mi
ha riferito una notizia a dir poco spiacevole.
-E
sarebbe?- domandò Chiara, senza riuscire a staccare gli
occhi di dosso
all’energumeno.
-Non
far finta di non sapere nulla, razza di sgualdrina!- urlò
Kalista con un tono
di voce pericolosamente acuto -Da tutto il giorno non si parla
d’altro che
dell’invito che Thor ti ha fatto per il ballo della Festa
d’Estate! Non era mai
successo che il principe facesse un invito formale a qualcuna,
soprattutto a
una sporca puttana midgardiana.
-Non
vedo cosa possa c’entrare io in tutto questo!-
esclamò Chiara, stufa marcia di
riceve insulti da quella matta.
-Oh
sì, che c’entri, puttana! Devi avergli fatto
qualche sorta di maleficio per
poterlo sedurre. Tutto torna: tu aspiri al trono di Asgard e per farlo
sei
disposta anche ad avvelenare la mente del mio dolce amore. Io te lo
impedirò!
Poi,
rivolgendosi all’uomo, disse: -Tu che ne dici, fratello? Qual
è il modo migliore
per punire una losca strega come questa? Preferisci ustionarle la
faccia con un
ferro incandescente oppure tagliarle un piede, così non
potrà ballare mai più?
L’uomo,
che non aveva minimamente accennato a voler allentare la presa sul
braccio
della malcapitata, rispose freddo: -Perché non tutte e due
le cose?
Kalista
sorrise maligna: -Oh, mio caro fratello, hai sempre la risposta giusta
per
tutto. Tienila ferma!
L’energumeno
serrò ancor di più la presa su Chiara, mentre
Kalista prendeva dalla brace un
ferro da stiro rovente.
Chiara
sentì l’adrenalina entrarle in circolo, ogni
campanello d’allarme nel suo corpo
stava suonando all’impazzata: doveva trovare un modo per
scappare!
Tentò
di divincolarsi, di urlare, di tirare via le braccia dalle dita serrate
dell’uomo,
ma non servì a nulla e, intanto, Kalista era così
vicina che riusciva già a
sentire il calore del ferro sul volto.
“Aiuto!”
Dal
braciere al centro della sala si alzarono, all’improvviso,
delle grandi
fiammate verdi e un forte scoppio fece finire a terra sia Kalista che
il
fratello, trascinando bruscamente Chiara sulla pietra del pavimento.
Approfittando
di quel momento di confusione, la ragazza tentò di nuovo di
liberarsi, ma
quello continuava a stringere la presa. Disperata, sferrò un
calcio sui genitali
della guardia con tutta la forza che aveva nella gambe, quello
urlò dal dolore
e Chiara, finalmente libera, cominciò a correre
più veloce che poté.
In
un lampo si lanciò verso l’uscita, spinse la porta
con tutte le sue forze e
cominciò a correre lungo il corridoio, mentre alle sue
spalle sentiva già le
urla di Kalista e del fratello che la rincorrevano.
Salì
d’un fiato una rampa di scale e percorse un altro corridoio,
senza badare a
dove stesse andando, né a cosa si trovasse davanti in quella
corsa disperata.
Le
voci dei suoi inseguitori non cessavano e Chiara, che non era mai stata
una
corritrice, sapeva bene che ben presto il vantaggio che aveva le
sarebbe
servito a poco e che i due fratelli l’avrebbero raggiunta.
Il
panico cominciò a impossessarsi di lei quando, svoltato un
angolo, il ginocchio
le cedette, facendola cadere rovinosamente sul freddo pavimento di
pietra.
Cercò
di rialzarsi, ma quel maledetto ginocchio le faceva troppo male e non
riusciva
a reggere il peso del suo corpo; intanto il rumore dei passi alle sue
spalle si
stava facendo sempre più forte e vicino.
“Mi
uccideranno!” pensò disperata, ma,
inaspettatamente, i suoi occhi notarono
l’arazzo accanto a lei, che un colpo di vento aveva fatto
ondeggiare, rivelando
un corridoio secondario stretto e buio.
Senza
rifletterci un attimo, vi si lanciò all’interno e
ne nascose l’accesso con il
drappeggio, giusto in tempo per non essere vista da Kalista, che,
seguita dalla
guardia (ancora piegata per il dolore), la oltrepassò.
Trattenendo
il respiro per paura di far rumore, Chiara attese finché non
ci fu silenzio assoluto,
poi riprese a respirare affannosamente, maledicendo sottovoce Thor,
Kalista, il
suo ginocchio e la Festa d’Estate.
Per
qualche minuto si concentrò solo sul suo respiro e sul suo
battito cardiaco, in
attesa che entrambi tornassero alla normalità, mentre il
dolore al ginocchio
molto lentamente cominciava a scemare.
Quando
si fu calmata abbastanza da poter ragionare con lucidità si
impose, per il
futuro, di ascoltare quello che le altre persone gli dicevano
(immaginò che il
famoso invito fosse avvenuto quella mattina, quando aveva smesso di
prestare
attenzione a Thor e che con la sua frase di circostanza avesse
accettato
inconsapevolmente), domandandosi come fosse stato possibile che quella
notizia
fosse trapelata così in fretta.
In
un primo momento pensò a Loki: sembrava il tipo di persona
capace di fare
dispetti simili, ma non riusciva proprio a immaginare come quella
situazione
avrebbe potuto avvantaggiarlo. Forse era una ripicca per quello che gli
aveva
detto la notte precedente? Ma allora quelle fiamme verdi? Non potevano
essere
un caso, con quel colore così particolare e innaturale.
Che
l’avesse aiutata? E se era davvero così, chi si
nascondeva dietro quella
(quasi) fatale fuga di notizie?
Non
riusciva a venirne a capo e, per il momento, non lo ritenne il problema
principale: Kalista poteva essere ancora lì fuori a cercarla
e lei doveva
trovare un modo per uscire senza farsi vedere.
Si
alzò a fatica e cominciò a percorrere il tunnel
nella direzione opposta all’entrata.
“Da
qualche parte dovrà pur portare” pensò,
aggrappandosi alle pareti umide, mentre
zoppicava nel buio.
Proseguì
per un tempo che non riuscì a percepire con chiarezza,
finché il suono distinto
di due voci non le attraversò i timpani.
-…bisognerà
raddoppiare la sorveglianza e preparare i soldati ad ogni
evenienza…- disse la
prima voce nell’eco del tunnel.
-Padre,
quale minaccia incombe su di noi, tanto da richiedere tali
precauzioni?- chiese
la seconda.
-Tu
sei giovane, figliolo, e non sai ancora distinguere i segnali che il
pericolo
manda a chi li sa leggere. Fa quello che ti ho detto: voglio una coppia
di
soldati ad ogni angolo della città, in ogni strada, in ogni
piazza. Dobbiamo
essere pronti a tutto e non farci cogliere assolutamente impreparati.
La
voce si interruppe e Chiara udì un tonfo sordo, come di
qualcosa che si
abbandonava a peso morto su una superficie dura.
-Padre-
riprese la seconda voce (inequivocabilmente quella di Thor) -State
bene? Sono
giorni che vi vedo così affaticato, è
già il momento del Sonno di Odino?
-Non
dire sciocchezze Thor!- rispose secco il re di Asgard -Io sto
benissimo!
Piuttosto, ho sentito delle voci stamattina, dai servi che di solito mi
portano
la colazione: dicono che hai fatto un invito piuttosto particolare, o
sbaglio?
“Ancora
con questa storia?” sbuffò Chiara.
-Non
sbagliate, Padre. Ho chiesto a Chiara di essere la mia accompagnatrice
ufficiale per la Festa d’Estate. È una ricorrenza
molto particolare, che non ha
mai visto, e credo di essere cresciuto abbastanza da poter invitare a
una festa
chi desidero, senza dare giustificazioni.
La
ragazza, che intanto era avanzata di qualche passo per ascoltare
meglio, drizzò
le antenne interessata.
-Non
ti sto chiedendo giustificazioni- ribatté Odino -Non sei
più il bambino a cui
ho insegnato a cavalcare, questo lo so molto bene, ma come re di Asgard
e,
soprattutto, come tuo padre vorrei capire quanto è forte il
tuo attaccamento
nei confronti di questa mortale. Hai forse dimenticato la donna
chiamata Jane
Foster?
-No,
Padre!- rispose secco il principe -Non potrei mai dimenticarmi di Jane
e Chiara
non la sostituisce nel mio cuore, ma ugualmente ritengo che sia una
ragazza
buona e gentile, da cui non abbiamo nulla da temere, nonostante la
situazione
in cui si è ritrovata.
-E
cosa più di questo?
Ci
fu silenzio, nel quale Chiara si chiese se non fosse il caso di tornare
sui
suoi passi, ma poi Thor disse: -Quella ragazza mi ricorda Loki.
“Cosa?”
-Intendo
dire- riprese il dio -Tra loro c’è
un’immensa differenza: in Chiara non vi è
quel piacere recondito nel fare del male agli altri e nemmeno quella
malizia che
era così profondamente radicata in mio fratello, eppure
entrambi sono testardi
e orgogliosi, ma capaci, al contempo, di atti di gentilezza
inaspettata. So che
non ami che si parli di Loki in tua presenza, ma, anche se egli non
aveva la
mia stessa origine, l’ho sempre considerato mio fratello e
non sono stato in
grado di proteggerlo e aiutarlo quando ne avrebbe avuto bisogno. Ci
siamo
allontanati finché la distanza tra noi non è
diventata incolmabile e ora l’ho
perso. Non intendo commettere lo stesso errore con lei. Per tutto il
tempo in
cui è stata qui ha dato il massimo per dimostrare le sue
buone intenzioni e …
mi sono affezionato a lei. Voglio che possa trascorrere una sera come
mia pari,
come mia sorella e amica e che possa divertirsi e dimenticare per un
po’ di
tempo le sue angosce.
Calò
nuovamente il silenzio.
Chiara,
commossa da quel discorso così accorato, avrebbe pagato
volentieri qualunque
cifra pur di vedere l’espressione di Thor (e, soprattutto,
quella di Odino)
dopo quella rivelazione, ma dovette attendere ancora prima di poter
uscire dal
suo nascondiglio, infatti udì il sovrano borbottare
qualcosa, poi il rumore di
pesanti passi attraversare la sala e sparire dietro lo scatto metallico
della
porta.
Quando
vi fu totale silenzio, Chiara riprese a camminare, finché i
suoi occhi non
vennero trafitti da una lama di luce dorata che filtrava attraverso la
congiunzione di due lastre di pietra.
Fece
pressione su una di esse e quella lentamente girò di qualche
centimetro su dei
cardini nascosti, abbastanza da farla
entrare nell’opulenta sala del trono.
Nella
testa della ragazza risuonava ancora il monologo di Thor; era la prima
volta da
quando era arrivata ad Asgard che qualcuno le riconosceva i suoi
meriti, ma
anche la prima volta che sentiva qualcuno dire qualcosa di positivo nei
confronti di Loki.
“Che
dolce!” pensò la ragazza, mentre schiudeva la
porta e lanciava fugaci occhiate
in tutte le direzioni per assicurarsi che non passasse nessuno. Attese
che un
servo e un soldato, che passavano di lì, svoltassero
l’angolo e uscì dalla sala
del trono, dirigendosi a passi incerti verso la stanza di Thor.
Aveva
ancora il terrore di incontrare nuovamente quella coppia di pazzi, ma
se fosse
riuscita a raggiungere la stanza del dio, ne era certa, nessuno avrebbe
potuto
torcerle un capello.
Ora
vedeva Thor sotto una luce diversa: non era più solo il
ragazzo scostante,
ingordo e viziato che pensava, ma una persona sensibile e amichevole,
tutt’altra storia rispetto a Loki.
Già,
Loki… Da quella mattina Chiara non era riuscita a pensare ad
altro e quello che
aveva appena sentito non aveva certo aiutato a rimuovere il pensiero
del dio
dalla sua testa.
Essere
paragonata a lui da Thor aveva avuto un sapore del tutto inaspettato:
data la
fama che quel tipo si era costruito, avrebbe dovuto percepire quel
paragone
come un insulto, ma da come l’aveva messa il Dio del Tuono
era suonato come il migliore
dei complimenti.
Forse
Thor non aveva tutti i torti: in fondo Loki, pur ritenendola una
minaccia, non
l’aveva uccisa (certo, non l’aveva trattata
benissimo, ma nemmeno le aveva
fatto del male) e, se le supposizioni di Chiara erano giuste,
l’aveva
addirittura salvata dalle grinfie di quei due matti.
Oppure,
forse, il dolore al ginocchio e la paura la stavano semplicemente
facendo
sragionare e tutti quei pensieri sulla bontà nascosta del
Dio degli Inganni
erano solo il frutto di un ristagno di adrenalina nel suo sistema
circolatorio.
Aveva
bisogno di cure e di riposo, tanto riposo. Era sfinita.
Arrivata
a metà di una rampa di scale, dovette sedersi e massaggiarsi
la gamba dolente,
ma un improvviso rumore di passi la mise sul chi vive: che fossero di
nuovo
quei due all’assalto?
Fortunatamente
sulla scala non comparve né Kalista, né tantomeno
il suo gigantesco fratello,
bensì sir Fandral che sembrò molto sorpreso di
trovarla lì.
-Chiara!-
esclamò -Grazie al cielo stai bene! Abbiamo saputo quello
che è successo e, non
trovandoti da nessuna parte, abbiamo temuto il peggio!
-Che
cosa?
-Non
ti preoccupare, capisco che tu sia sconvolta- disse l’uomo
chinandosi e caricandosi
la ragazza sulle braccia -Ora ti porto nelle stanze di Thor e ti faccio
mandare
un Guaritore, va bene?
-Sì
certo…- rispose sbigottita.
-Non
riesco ancora a crederci: una serva è venuta ad avvisarci di
quello che stava
succedendo e abbiamo trovato i due fratelli con ancora i ferri roventi
in mano,
mentre ti cercavano per tutto il palazzo. Sospettavo che Kalista fosse
una
squilibrata, ma non potevo immaginare che sarebbe stata in grado di
arrivare a
tanto!
-Certo
che da queste parti le voci corrono in fretta- scherzò la
ragazza, godendosi il
sollievo e la tranquillità di quel momento: ora che quei due
erano stati denunciati
non aveva più paura. Thor si sarebbe occupato di loro.
-Ringrazia
il cielo che sia così- rispose lo spadaccino -O avresti
potuto lasciarci il tuo
bel faccino.
Era
troppo stanca per continuare a parlare, così
lasciò che l’uomo la portasse
nella stanza e l’adagiasse sul suo triclinio, poi Fandral
uscì, promettendole
che sarebbe tornato presto in compagnia di un Guaritore, e la
lasciò nel
silenzio della stanza.
Chiara,
nonostante la gamba fosse tornata a farle male, non riusciva a
percepire il
dolore, ma, al contrario, dentro di sé sentiva un piacevole
calore diffondersi
dal petto ed estendersi per tutto il suo corpo.
Lo
spadaccino si fece di nuovo vivo in pochi minuti, seguito da un uomo e
una
donna, entrambi vestiti con delle tuniche bianche come la neve a
maniche
larghe.
La
donna, una bella signora dai capelli rosso fuoco e il naso spruzzato di
lentiggini, le si avvicinò e con dolcezza le chiese di
raccontare come si fosse
ferita e quale fosse l’intensità del dolore.
La
ragazza spiegò, dunque, dei suoi problemi al ginocchio e
della botta ricevuta
durante la fuga, mentre i due Guaritori l’ascoltavano
impassibili, per poi
chiederle di togliere i pantaloni e lasciare che esaminassero la zona.
Pronunciando
quell’ordine, la Guaritrice lanciò
un’occhiata eloquente al soldato, che,
recepito il messaggio, si dileguò.
Chiara
si fece esaminare e, dopo un’attenta analisi, le venne
fasciato il ginocchio e le
vennero prescritti il riposo e una medicina maleodorante
dall’inquietante
colore verde acido.
Rimase
lì per il resto della giornata, a pensare e ad osservare il
meraviglioso
paesaggio del tramonto che si poteva ammirare dalle finestre.
L’aria era
frizzante e profumata e dall’esterno arrivava il rumore
confuso della città.
Qualcuno
bussò alla porta.
-Avanti!-
incitò Chiara e nella stanza entrò un ragazzo.
Era alto, dinoccolato e non
dimostrava più di quattordici anni; tra le mani sorreggeva
un vassoio, su cui
vi era una bella scodella di minestra fumante
Non
le rivolse la parola e lei non cercò di conversare: sembrava
piuttosto imbarazzato
alla vista di una ragazza con le gambe scoperte e Chiara non voleva
metterlo
ancora più a disagio, così lo
ringraziò quando mise il vassoio accanto al letto
e lo salutò con cortesia quando uscì.
Tornò
di nuovo la quiete, ma lei, nonostante gli sforzi della giornata e il
grosso
spavento, non aveva nessuna voglia di mangiare: desiderava vedere Thor,
voleva
sentirlo ripetere quelle parole, ma questa volta avrebbe dovuto
guardarla in
faccia e lei avrebbe dovuto vedere la sua. Desiderò che lui
potesse vedere il
suo vero volto e che lei potesse spiegargli le ragioni delle sue azioni
e poi…
-Ma
che cavolo sto dicendo?- si domandò la ragazza, non capendo
perché mai quel
pensiero così strano gli fosse passato per la mente.
-Non
lo so! Non ti ho nemmeno sentita fiatare- disse una voce alle sue
spalle.
-Thor!-
esclamò quella con trasporto, vedendo l’amico
entrare nella stanza.
-Come
ti senti?- chiese il principe premurosamente, sedendosi sul triclinio.
-Abbastanza
bene.
Calò
il silenzio: ora che l’aveva davanti non sapeva
più cosa dire.
Fu
il dio, notando la gamba fasciata della fanciulla, a riprendere la
conversazione: -Mi dispiace per quello che è successo. Non
potevo immaginare
che potesse accadere una cosa del genere per una ragione tanto futile.
Chiara,
notando la profonda preoccupazione dipinta sul volto del principe,
avrebbe
voluto trovare le parole giuste per rassicurarlo, ma non riusciva a
pensare a
una frase che non suonasse troppo scontata o addirittura falsa: era
stato uno
dei momenti più spaventosi della sua vita e aveva davvero
temuto che non ne
sarebbe uscita incolume. In fondo, il dolore al ginocchio era nulla in
confronto a quello in cui avrebbe potuto incorrere .
Gli
prese delicatamente la mano destra tra le sue e disse: -Non
è stata colpa tua.
Esattamente
come quel giorno di alcune settimane prima, Chiara si ritrovava a dover
consolare quell’uomo grande e grosso, ma questa volta Thor
non sembrava per
nulla convinto della propria innocenza.
-No,
invece- rispose -Sapevo bene quello che Kalista provava per me e in
passato era
già capitato che facesse dei piccoli dispetti ad altre
ragazze con cui mi sono
accompagnato, ma mai prima d’ora aveva raggiunto un simile
livello di follia e,
francamente, non ne capisco il motivo.
-Forse
è perché sono solo un’umana-
sospirò la ragazza, dando voce a quello che aveva
pensato dal primo momento in cui aveva messo piede nel palazzo: come
aveva
detto anche Loki, lei era quella diversa, l’estranea e, per
quanto fosse
riuscita a farsi accettare da un piccolo gruppo di persone
all’interno della
corte asgardiana, non era nulla in confronto al numero di coloro che
ogni
giorno la trattavano con disprezzo, allontanandosi il più
possibile da lei
quando la incrociavano nel palazzo e, talvolta, apostrofandola con
frasi e
appellativi offensivi. Lei era il mostro.
-Non
dire mai più una cosa del genere- esclamò Thor
-Tra le migliori persone che
abbia mai conosciuto vi è un gran numero di midgardiani,
uomini e donne
disposti a sacrificare tutto per il loro pianeta, persone leali e
coraggiose
che hanno combattuto al mio fianco e che hanno vinto grazie alla loro
forza
d’animo e alla loro determinazione. Io ho conosciuto la forza
degli umani ed è
la stessa forza che vedo in te ogni giorno. Non permettere a nessuno di
farti sentire
inferiore solo perché è troppo superficiale per
sforzarsi di conoscerti.
Prima
che la ragazza potesse ribattere alcunché, il dio
notò il piatto di
minestra fredda abbandonato sul tavolino ed esclamò:
-Così però non va bene!
Hai bisogno di mangiare se vuoi rimetterti in forze ed essere pronta a
festeggiare domani.
Ciò
detto andò alla porta e chiamò un servo
attraverso il corridoio, ordinandogli
di portare un altro piatto di minestra calda e della carne arrosto.
Chiara
fu costretta a mangiare, nonostante il nodo che le si era formato alla
gola: le
parole di Thor, se possibile, erano riuscite a farla sentire ancora
più sollevata,
ma al contempo le causavano un profondo senso di disagio; il senso di
colpa che
si era manifestato quella mattina era tornato a farsi sentire e sapeva
che non
sarebbe stato facile liberarsene.
Quando
ebbe augurato la buona notte al principe e si fu coricata, promise a se
stessa
che dopo la Festa d’Estate gli avrebbe raccontato tutto, al
diavolo Loki e i
suoi maledetti inganni.
L’angolo
dell’autrice: ciao
a tutte e grazie per essere arrivate alla fine di questo capitolo!
Inizio
subito con il salutare le nuove arrivate che hanno aggiunto La sua paura tra le storie seguite: vi
ringrazio di cuore per la vostra attenzione e il tempo che spendete a
leggere
questo mio piccolo testo e non posso che augurarmi di riuscire a darvi
qualche
bella emozione J
La
nostra protagonista ha decisamente passato un brutto quarto
d’ora, ma per
fortuna tutto si è risolto al meglio, ma per quanto
durerà questa quiete? ;)
Il
dialogo tra i due reali ha scatenato in Chiara un grande moto di
affetto nei
confronti di Thor, che, me ne sto rendendo conto solo ora, si sta
facendo
sempre più carino e coccoloso ad ogni capitolo, ancora
più di Stitch con Lilo
XD (ma sarà sempre così? *risatina malvagia*)
Il
fantasma di Loki aleggia sempre nell’aria, come un profumo
che ti sembra di
conoscere e che continui a sentire, anche se non sai da dove provenga;
Chiara,
alla fine della Festa, svuoterà il sacco con il Dio del
Tuono?
Come
di consueto, se vorrete lasciare un piccolo commento al testo, positivo
o
negativo che sia (se non vi è piaciuto quello che ho scritto
e avete dei
suggerimenti, sarò lieta di accoglierli), farete la mia
felicità e sarà per me
un grande piacere rispondervi.
Statemi bene e alla prossima!
Lady
Realgar
P.S.
Probabilmente non ne avrete bisogno perché è un
termine che si è diffuso a
macchia d’olio negli ultimi tempi, ma, per chi non lo
conoscesse, shippare (italianizzazione
del verbo inglese to ship) significa ritenere che due persone, di
solito personaggi di film/serie televisive/libri, possano costruire
insieme una
relazione sentimentale oppure la vivano anche se non in maniera
ufficiale o se
i due personaggi in questione non ne sono a conoscenza.
Es.
Nel mondo di Sherlock
(popolare serie televisiva inglese prodotta da BBC) vi è
ampio spazio alla Johnlock (crasi
tra John e Sherlock) che
vede la ship tra i due protagonisti
della serie (sebbene Sherlock si definisca sposato con il suo lavoro e
John, ad
oggi, sia effettivamente sposato con Mary).
Per
un maggiore approfondimento, basterà fare una
ricerca sulla rete e vi si aprirà un mondo nuovo e
vastissimo, come neanche per
Jasmine e Aladdin sul tappeto volante. Attenzione: una volta che entri
in una ship, è difficile
uscirne.
Siete
avvisate.
|
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Capitolo 15 *** Aspettative ***
La
mattina seguente il dolore al ginocchio era completamente svanito, ma
Thor,
nonostante l'insistenza della ragazza, le aveva categoricamente vietato
di
alzarsi dal letto.
Si
ritrovò, così, ad annoiarsi sul suo triclinio,
mangiando svogliatamente quando
un inserviente le portava il pasto e ammirando dalla finestra il mutare
del
cielo durante il giorno.
-Avrebbero
potuto almeno portarmi un libro!- si lamentò Chiara ad alta
voce.
Era
come stare seduta sui carboni ardenti: quella sera tutta Asgard avrebbe
festeggiato la Festa d’Estate e lei voleva assolutamente
avere un’anteprima dei
preparativi; dall’esterno arrivava il suono delle prove dei
musicisti e delle
risate emozionate delle serve, intente ad appendere festoni e ad
abbellire il
palazzo.
Si
mise a sedere e, molto delicatamente, appoggiò al suolo
prima un piede e poi
l’altro, quando si sentì pronta, si diede una
spinta e fu di nuovo in piedi:
non sentiva nessun dolore, né alcuna pressione
sull’arto, ma non si fidava
ancora a sciogliere le bende.
Lentamente,
misurando con attenzione i passi, raggiunse la finestra e
sbirciò la città
sotto di lei: le strade erano costellate di lanterne dorate e, tra una
casa e
l’altra, penzolavano allegri festoni fatti di fiori
multicolori.
In
alcuni punti della città e, soprattutto,
all’interno del cortile del palazzo,
erano state disposte delle cucine mobili e dei lunghi tavoli che,
Chiara
riusciva già a immaginarlo, sarebbero stati riempiti di
gente allegra, intenta
a divorare le più disparate prelibatezze.
Era
così emozionata! Per una sera, da quanto era arrivata ad
Asgard, si sarebbe
divertita e sarebbe stata addirittura il “più
uno” del rampollo reale. Avrebbe
assistito alle danze e ai giochi e, per quella sera, nessuno si sarebbe
azzardato a trattarla male; si sarebbe divertita un mondo, avrebbe
mangiato e
bevuto a sazietà, ma soprattutto avrebbe visto gli elfi.
Con
passo più sicuro, Chiara si avvicinò ad una
cassapanca e ne estrasse il vestito
color pervinca, immaginandosi all’interno di quel
meraviglioso tessuto mentre
passeggiava per le strade della città illuminata, godendosi
la musica e, magari,
anche la compagnia di un elfo.
Voleva
uscire, voleva vedere la bellezza del palazzo addobbato a festa,
così ripose
con cura l’abito sopra il coperchio della cassapanca e si
avvicinò alla porta.
“Una
sbirciatina non potrà far male a nessuno”
pensò tra sé e sé, mentre lentamente
apriva la porta quel tanto da permetterle di mettere la testa fuori
dalla
stanza.
-Altolà!-
urlò una voce dal corridoio.
Per
un pelo Chiara, colta alla sprovvista, non si sbilanciò,
rischiando di cadere
di faccia sul pavimento di pietra, poi una risata famigliare le
arrivò alle
orecchie.
-Fandral,
per la miseria!- lo rimproverò la ragazza, mentre lo
spadaccino l’aiutava a
rimettersi in equilibrio -Ti sembra il caso di farmi venire un infarto?
-Thor
mi ha chiesto di tenerti d’occhio- rispose l’uomo
alzandola di peso e
riportandola sul triclinio -Sapeva che avresti disobbedito al suo
ordine. Devi
stare a letto e lasciare che la medicina finisca di fare effetto o non
potrai
ballare questa sera.
-Io
non ballo- disse Chiara, scocciata.
-Spiacente,
mia cara- rispose l’uomo -Ma in quanto accompagnatrice
ufficiale del principe
non puoi esimerti dal farlo. È anche una questione
d’onore per il nostro caro
Thor: che figura farebbe davanti agli ospiti se la sua damigella non
accettasse
di ballare con lui?
Chiara
alzò gli occhi al cielo, ma non ribatté: sapeva
che non avrebbe portato a nulla
discuterne con lo spadaccino; avrebbe riferito le sue intenzioni al
diretto
interessato e tutto si sarebbe risolto.
-La
tradizione- spiegò Fandral -Vuole che un rappresentante
della corte asgardiana
apra le danze con un rappresentate di quella âlfheimreniana
in segno di
fratellanza; si comincia con un ballo tradizionale del paese ospite e
poi si
continua con uno del regno ospitante, sicché vi è
uno scambio di doni e poi il
primo banchetto, in cui ogni regno offre cibo della propria terra. Da
lì in avanti
inizia la vera festa, dove ci sono danze ad ogni angolo della
città e i
distillatori offrono le loro birre e il loro idromele migliori. Una
volta
Volstagg si era talmente riempito di birra da collassare in un angolo
della
strada e alcuni bambini avevano iniziato a giocare intorno a lui,
tirandosi una
palla da un lato all’altro del povero Volstagg.
Chiara
rise fragorosamente all’immagine del gigantesco guerriero
fulvo adoperato come
campo da gioco; si sentiva leggera e spensierata: ormai il ricordo
dell’incidente
del giorno prima era quasi svanito e, se lo sentiva, il peggio di
quell’avventura era passato.
Incuriosita
dalle tradizioni che quella festa portava con sé, chiese
allo spadaccino: -C’è
un’etichetta per cui si decide quale sarà il
rappresentate dei due regni ad
aprire le danze?
-Solitamente
si sceglie tra i membri della famiglia reale- rispose Fandral,
sedendosi sul
davanzale della finestra -La società
dell’Âlfheimr ha un’impostazione
matriarcale, perciò capita spesso che sia proprio la regina
Jarosit a danzare
per prima. Essendo la dama, a lei tocca scegliere con quale cavaliere
accompagnarsi: fintanto che Thor era bambino, Jarosit ha sempre ballato
con
Odino, poi è capitato qualche volta che aprisse le danze
anche con lui, sebbene
durante il loro primo ballo le abbia pestato così tante
volte i piedi, che
quella povera donna non si poté più alzare dalla
sedia per tutto il tempo della
Festa. Una volta è capitato che chiedesse anche a Loki di
danzare, ma Odino si
era opposto e aveva chiesto a Thor di sostituirlo. Con quello che si
è scoperto
in seguito non mi sorprende: gli Elfi Chiari hanno un brutto passato
con i
Giganti di Ghiaccio e l’avrebbero ritenuta una grave offesa
se gli asgardiani
avessero fatto danzare la loro regina con uno Jotun.
-Quindi
quest’anno sarà Odino o Thor a ballare?
-Probabilmente
Thor: Odino porta ancora il lutto per la povera regina Frigga e, con
Loki
all’inferno, l’unico reale disponibile è
il principe. Speriamo che abbia pietà
dei piedi di Jarosit, questa volta.
Lo
sguardo del soldato cadde sulla cassapanca a fianco a lui e
notò l’abito, lo
prese tra le mani e iniziò a studiarlo.
-Questa
volta Angnis si è proprio superata, ma forse
l’avrei fatto più scollato-
commentò Fandral, ammiccando malizioso alla ragazza -E
questo mi fa ricordare
che tu devi prepararti per stasera.
Ciò
detto si affacciò al corridoio e diede una voce a delle
servette, che, in pochi
minuti, entrarono di corsa nella stanza armate di spazzola, nastri per
capelli,
boccette di profumo e una misteriosa scatola di legno smaltata.
-Vi
lascio alle vostre faccende- si congedò Fandral -Io
starò di guardia alla
porta, casomai ti venisse ancora voglia di scappare.
Chiara
non riuscì a dire nemmeno mezza parola, che già
le ragazze si erano avventate
su di lei e, probabilmente rancorose per il ruolo di accompagnatrice
del
principe che la loro vittima ricopriva, avevano cominciato a
spazzolarle e
acconciarle i capelli con eccessiva foga.
Bloccata
sul triclinio, non poté far altro che subire quel
trattamento, lasciando che le
ancelle le intrecciassero i capelli in una complicata acconciatura e
che la cospargessero
di acqua di rose.
Fu
quando una delle ragazze aprì la scatola, mostrando al suo
interno una serie di
boccette piene di sostanze colorate, che Chiara si impose, rifiutando
categoricamente
di farsi truccare: ignorava quali fossero le sostanze che componevano
quei
cosmetici, ma aveva letto molto tempo prima che,
nell’antichità, le donne si
applicavano sulla faccia pigmenti fatti col piombo e
l’arsenico e tra quelle
boccette ce n’erano due contenenti un bianco e un rosso
estremamente sospetti.
“Potrebbero
anche essere tutt’altro” pensò la
ragazza “ma di certo non intendo correre il
rischio!”
Quando
le ragazze ebbero concluso e le ebbero rimosso i bendaggi dalla gamba,
l’accompagnarono allo specchio, mostrandole il frutto del
loro lavoro.
Chiara
non riusciva a riconoscersi nell’immagine che quella
superficie metallica le
restituiva: di fronte a lei c’era una ragazza della sua
stessa altezza e
corporatura, ma valorizzate da quel meraviglioso abito blu, che le
donava
un’eleganza quasi regale; i suoi capelli erano
dell’usuale sfumatura castana,
ma non erano gonfi e arruffati come di solito, anzi, erano
perfettamente
ordinati e impreziositi da dei nastri di seta della stessa
tonalità dell’abito.
Più
di ogni altra cosa, però, era diversa nello sguardo:
l’ultima volta che la
ragazza si era vista allo specchio era in lacrime e il suo volto era
teso e
contratto dalla tristezza; la fanciulla riflessa quel giorno, invece,
aveva uno
sguardo luminoso e gioioso e un largo sorriso carico di speranza le
attraversava il viso.
“Stasera
nulla può andare storto” pensò tra
sé la ragazza, ammirandosi allo specchio; ma
non fece in tempo a concludere quel pensiero, che la voce di Fandral le
arrivò
da dietro la porta.
-Che
storia è mai questa?- domandò irato
l’uomo -La ragazza è l’accompagnatrice
ufficiale del principe e voi non avete alcun diritto su di lei
e… Fermi! Non
potete entrare!
Ma
la porta si spalancò in un tonfo, lasciando che due guardie
armate fino ai
denti entrassero nella stanza, da cui le ancelle, emettendo dei
gridolini
spaventati, si affrettarono ad uscire, lasciando così Chiara
da sola in balia
dei due energumeni.
-Cosa
volete?- domandò secca la ragazza, mentre Fandral le si
poneva di fronte,
pronto a farle da scudo.
-Portiamo
un messaggio da parte di Sua Maestà il re- rispose uno dei
due soldati -Egli ti
proibisce di partecipare alla Festa d’Estate e ci ha
incaricato di sorvegliarti.
Fino alla conclusione dei festeggiamenti dovrai rimanere in queste
stanze; non
potrai uscire per nessuna ragione fino a nuovo avviso. Pena:
l’immediata
carcerazione.
-Per
quale motivo mi viene negata la Festa d’Estate?- chiese.
-Gli
ordini del Padre di Tutti non si discutono- rispose l’altra
guardia -E ha
ordinato l’estensione della pena a tutti coloro che si
opporranno
all’applicazione di quest’ordine.
Quest’ultima
frase, evidentemente, era indirizzata direttamente a Fandral, il quale
però non
diede il minimo segno di cedimento, ma, al contrario, disse: -Allora
rimarrò in
compagnia della signora per la durata della Festa.
-L’umana
non ha diritto ad avere visite durante la permanenza nelle stanze
principesche-
rispose bruscamente una guardia, mentre afferrava per un braccio lo
spadaccino
e lo trascinava fino alla soglia dell’entrata.
Fandral
diede uno strattone e si liberò dalla presa, poi, prima di
uscire, disse in
direzione della ragazza: -Proverò a parlare con Odino,
vedrai che risolveremo
ogni cosa.
“Ne
dubito” pensò Chiara, mentre la porta veniva
chiusa con forza davanti ai suoi
occhi, facendo completamente svanire tutte le belle promesse che erano
sorte
per quella serata.
-Maledizione!-
urlò la ragazza, lanciando la brocca d’argento
contro un muro e facendo
schizzare acqua in ogni dove.
“Fandral
avrebbe dovuto imporsi e combattere! Le sue parole non valgono
nulla!”
Era
infuriata e dentro di sé continuava a rimproverare lo
spadaccino per la sua
mancanza di determinazione nel difenderla. Lo ritenne un vile e un
incapace,
ma, dopo qualche minuto, la rabbia scemò e Chiara
provò vergogna per quello che
aveva pensato: Fandral non era certo nella posizione di poter opporsi a
un
comando del sovrano, anzi, aveva rischiato molto già solo
frapponendosi tra lei
e le guardie.
“Cosa
mi sta succedendo?” si domandò la ragazza,
lasciandosi cadere sulla morbida
superficie del letto: non era la prima volta che in lei scoppiava una
furia
tanto impetuosa e, non essendo per natura una persona iraconda, non
riusciva a
capire cosa la portasse ad avere quegli sfoghi rabbiosi.
Rimase
distesa sul letto per almeno un’ora, mentre
all’esterno l’oscurità della notte
stava calando su Asgard e cominciava a diffondersi per le strade il
fermento
per l’inizio della tanto attesa Festa d’Estate.
L’aria
venne squarciata da un boato e una luce improvvisa illuminò
a giorno la città
per la durata di un lampo, poi cominciò una musica allegra a
segno dell’inizio
dei festeggiamenti.
“Gli
elfi sono arrivati” pensò la ragazza, alzando
appena la testa in direzione
della finestra.
Non
si sarebbe lasciata abbattere così: quale vantaggio
c’era nello stare su un
altro pianeta se poi non vi era la possibilità di conoscere
nuove civiltà?
Sarebbe andata a quella festa a tutti i costi e avrebbe visto gli Elfi
Chiari
in barba a Odino!
Colma
di una nuova risolutezza, Chiara si alzò dal letto e si
avvicinò alla porta per
sbirciare attraverso il buco della serratura: le due guardie erano
ancora lì a
bloccare l’uscita.
“Da
qui non si passa”
Si allontanò
dalla porta e cominciò a
camminare per la stanza, scostando ogni tenda, ogni mobile, cercando un
qualche
passaggio segreto o un’area della camera che non aveva ancora
trovato.
Non
rilevò nulla di particolare.
“Concentrati,
Chiara. Concentrati!”
Si
ricordò, all’improvviso, che, quando aveva
scagliato la brocca d’argento contro
il muro, quest’ultimo aveva prodotto un tonfo, come se fosse
stato vuoto.
Corse
verso alla parete e cominciò a bussare con le nocche in
più punti.
“Pieno…pieno…pieno…vuot…no,
pieno”
Ripeté
quell’operazione su ogni superficie verticale, ma, anche in
quel caso, fu un
buco nell’acqua.
Nel
frattempo, dalla finestra cominciavano ad arrivare le voci festose
degli
abitanti e i profumi delle carni cotte sulla fiamma.
Chiara
sentì il proprio stomaco brontolare e, attratta da quegli
odori invitanti, si
affacciò alla finestra, osservando avidamente ogni dettaglio
della festa che
poteva carpire da quella visuale; poi una lampadina le si accese in
testa: la
finestra!
La
finestra era l’unico accesso all’esterno che non
era stato messo sotto
sorveglianza, avrebbe potuto uscire da lì!
Si
affacciò e cercò di valutare l’altezza
del muro fino al suolo erboso: “Saranno
più o meno una ventina di metri, se annodo le lenzuola
potrei anche farcela”.
Ciò
detto, aprì tutte le cassapanche e tutti gli armadi e ne
estrasse ogni
lenzuolo, ogni pezzo di stoffa abbastanza lungo e resistente che
potesse
servire allo scopo.
Quando
ebbe raccolto abbastanza materiale, compose una lunga fune di lenzuola
e ne
legò un’estremità ai piedi del letto,
sperando che fosse abbastanza pesante da
sorreggere il suo peso.
Con
delle camicie si realizzò una pettorina e
l’assicurò alla fune, poi si sedette
sul davanzale e guardò giù.
Ora
che si trovava lì, quell’altezza sembrava ben
più elevata di quanto avesse
immaginato.
“Coraggio,
Chiara. Sei uscita di prigione e sei sopravvissuta a due pazzi armati
di ferri
roventi; questa è solo una passeggiata in
verticale”.
Fece
scivolare la fune oltre la finestra, sporse le gambe verso il vuoto e,
senza
guardare giù né pensarci troppo, si spinse con il
bacino verso l’esterno,
tenendosi saldamente alle lenzuola con le mani.
Ci
fu uno strattone improvviso che fece sobbalzare il cuore della ragazza
dalla
paura, ma, dopo qualche secondo di panico, la corda fai-da-te
sembrò reggere.
“Sono
fuori!” esultò Chiara dentro di sé.
Cautamente
e lentamente, la ragazza iniziò a scendere puntellandosi con
i piedi sulla
parete e appoggiandoli ad ogni sporgenza e irregolarità che
trovava lungo il
suo cammino.
I
minuti passavo lenti come ore e i metri sembravano centimetri, ma
all’improvviso un rumore spaventoso attirò
l’attenzione della ragazza.
Sopra
di lei, il lenzuolo che sfregava contro lo spigolo di pietra del
davanzale si
stava, lentamente e inesorabilmente, strappando.
Il
panico cominciò a impossessarsi della ragazza: non era nemmeno arrivata a
metà strada e
l’altezza era ancora troppo gravosa per lasciarsi cadere
senza rompersi le ossa,
mentre la risalita sarebbe stata ugualmente impraticabile
perché non sarebbe
riuscita ad anticipare la rottura del lenzuolo.
“Perché
mi caccio sempre in situazioni simili?” pensò
disperata la ragazza, sentendo il
tessuto cedere sempre di più sotto le sue mani.
Poi
all’improvviso una visione: Volstagg, con le braccia cariche
di cibo e boccali
di birra, stava passando proprio da quella parte.
-Volstagg!
Volstagg!- urlò la ragazza con tutta la forza dei propri
polmoni -Al volo!
Sentì
il lenzuolo cedere completamente sotto il suo peso e il suo corpo
fluttuare per
una frazione di secondo, per poi cadere nel vuoto.
“Volstagg,
ti prego!”
Pochi
secondi la separavano dal suolo e già riusciva a sentire il
rumore delle
proprie ossa spezzarsi all’impatto, ma, fortunatamente, non
fu contro la terra
che la ragazza andò a cadere, bensì contro le
braccia del corpulento guerriero,
che prontamente era accorso.
-Per
tutti gli astri, Chiara!- urlò l’uomo -Che diamine
stavi combinando?
“Sono
viva!”
Per
poco non scoppiò in lacrime dalla gioia: avvolse le braccia
intorno al collo
dell’uomo e lo strinse con forza, sussurrandogli
all’orecchio -Grazie!
Volstagg
attese che la ragazza si fu calmata, poi la fece scendere e riprese le
sue
domande: -Cosa stavi combinando appesa come un salame alla finestra?
-Stavo
stendendo i panni!- rispose di getto Chiara -Dalle mie parti si usa
metterli
tutti in fila e per poi appenderli alla finestra, ma mi sono sporta
troppo e
sono scivolata.
Era
una bugia poco convincente, ma tant’era: ormai
l’aveva detta e non sapeva
davvero cos’altro inventarsi per giustificare quella caduta.
-Beh,
panni o meno- rispose quello con un gran sorriso di sollievo -Sia lode
ad Odino
che mi ha ordinato di tenere d’occhio questa zona o a
quest’ora saresti
diventata una frittata.
Chiara
rise di gusto: avrebbe dato chissà cosa per vedere la faccia
di Odino se avesse
saputo che, per un suo ordine, non solo non era riuscito a liberarsi
una volta
per tutte della sua scomoda presenza, ma, anzi, le aveva addirittura
salvato la
vita!
Inoltre
la consapevolezza di essere appena scampata alla morte le dava una
nuova
vitalità: salutò il guerriero promettendogli una
birra come forma di
ringraziamento per il suo salvataggio e si mise a correre perdi-fiato
verso la
città.
Alla
faccia di Odino, di Loki e di Kalista quella sera si sarebbe divertita.
Angolo
dell’autrice
Ciao
a tutte e benvenute alla fine del capitolo 15 de La
sua Paura! Per cominciare vorrei, come sempre, ringraziare
con tutto
il cuore le lettrici della storia: chi passa e dà uno
sguardo e chi mi onora di
una recensione. Davvero grazie: siete il motore che muove la mia
creatività! ^-^
Chiara
è convalescente e viene preparata per la festa imminente,
sia dal punto di vista
intellettuale, sia da quello estetico, ma, come al solito, sopraggiunge
qualcosa
che si frappone tra lei e la buona riuscita dei suoi piani; stavolta,
però, se l’è
davvero vista brutta! Magari, dopo questa esperienza,
imparerà la prudenza XD
Spero
vi sia piaciuto e che le sue continue sfighe non comincino a darvi
noia. Se vorrete
lasciare un’opinione… beh, ormai lo sapete: io
sono qui, pronta a leggere qualunque
cosa avrete voglia di scrivermi.
Grazie
ancora per il vostro tempo e al vostra dedizione!
Alla
prossima,
Lady
Realgar
|
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Capitolo 16 *** A long expected party ***
Le
stelle del crepuscolo brillavano gloriose sopra la città
addobbata a festa di
mille luci dorate, di profumi invitanti di cibo e di alcolici e di
suoni di
strumenti che sapevano di ricordi.
Ogni
strada che Chiara percorreva era gremita di donne, uomini e bambini,
vestiti
con i loro abiti migliori, che parlavano allegramente tra loro,
mangiavano,
bevevano, cantavano e, talvolta, danzavano al suono di allegre ballate,
magistralmente
eseguite da bardi e menestrelli; ogni tanto si trovava persino
un’orchestrina
con tanto di tamburi, cetre e strumenti a fiato fabbricati
affinché
rappresentassero teste di lupi, draghi e serpenti marini.
In
tutte le piazze erano state allestite delle cucine mobili, alle cui
fiamme
degli uomini sudati cuocevano quarti di bue, maiali, pernici e pesci
multicolore, mentre delle fanciulle servivano da bere ai chiassosi
commensali.
I
bambini, troppo presi dall’euforia per mangiare seduti alle
lunghe tavolate,
scorrazzavo in ogni dove, cantando e ridendo a squarciagola.
Chiara
notò, in particolare, che un ragazzino si era nascosto sotto
uno dei tavoli
sopra il quale venivano posate le carni appena cotte e pronte per
essere
servite, e, ogni qualvolta una leccornia veniva adagiata sopra di esso,
quello
allungava la mano e ne sgraffignava un pezzo, dividendolo poi con altri
amici
che, a turno, gli davano il cambio in quell’innocente serie
di furti.
Inutile
dire, però, che l’attrazione principale della
serata erano, senza alcun dubbio,
gli elfi: alti e slanciati, la loro pelle aveva una colorazione verde
smeraldo
e sembrava composta di squame, che rilucevano di caldi bagliori alla
luce delle
torce; i loro visi erano sottili e dai tratti delicati e i capelli
erano di un
nero talmente scuro e freddo da raggiungere tonalità
bluastre.
Erano
delle figure molto diverse dagli abitanti di Asgard, non solo
nell’aspetto
fisico, ma anche nel modo di vestire e di comportarsi: i loro corpi
erano
avvolti da appariscenti abiti fatti di tessuti che Chiara non aveva mai
visto e
di piume dalle mille forme e colori, erano aggraziati e molto composti,
quasi
controllati nel modo di agire (in netto contrasto con
l’esuberanza e la
vivacità degli asgardiani); ma furono i loro occhi ad
attrarre la ragazza.
Grandi
e dalle pupille strette, avevano tonalità vivacissime, quasi
innaturali: blu
elettrico, rosso cadmio, verde acido e viola ametista.
Con
suo estremo disappunto, però, non riuscì a notare
nessun’orecchia a punta,
anzi, non riusciva proprio a vederle, le loro orecchie, visto che erano
coperte
dalle folte chiome scure, impreziosite da sfarzosi ornamenti dorati.
Stava
giusto pensando a come chiedere di mostrarle senza sembrare invadente,
quando
un tocco delicato sulla spalla richiamò la sua attenzione;
si voltò e, di
fronte a lei, trovò una fanciulla elfica che le sorrideva
gentilmente.
-Salute-
disse la fanciulla, sbattendo le palpebre sui suoi grandi occhi blu
-Non vorrei
sembrare sfacciata, ma mi stavo domandando a cosa servisse quella
“cosa” che indossate.
-Quale
cosa?- domandò Chiara.
-Quella-
ripeté gentilmente l’elfa, indicando con il dito
affusolato la pettorina di
camicie che Chiara indossava ancora sopra il vestito.
Quando
se ne accorse, la ragazza avvampò di vergogna e, balbettando
una frase
incomprensibile, si affrettò a rimuoverla, mentre la risata
sommessa dell’elfa
le penetrava i timpani.
“Bel
modo di cominciare!”
-Ehm,
è un gilet di mia invenzione- riprese la ragazza, cercando
di apparire
disinvolta -Serve a scaldare il petto nelle sere fredde, ma in effetti
stasera
si sta abbastanza bene e non mi serve.
-È
un indumento molto originale- proseguì quella, interessata
-Il mio nome è Ahzurit,
qual è il vostro?
-Mi
chiamo Chiara, piacere di conoscerti.
-Perdonate
la mia curiosità, ma non avevo mai visto una midgardiana
prima d’ora e volevo
trovare una scusa per rivolgervi la parola- disse Ahzurit con un
sorriso
imbarazzato mentre, notò Chiara, alcune squame del volto si
erano sollevate
leggermente.
-Se
ti può consolare, Ahzurit- rispose la ragazza, alleggerita
da quella
confessione -Nemmeno io avevo visto un Elfo Chiaro prima di oggi.
-Non
è cosa comune che vi siano rappresentanti di Midgard alla
Festa d’Estate,
solitamente il Regno degli Umani non partecipa alle questioni dei Nove
Regni.
-Stiamo
cercando di rinnovarci- disse
Chiara, poi aggiunse -Perdona la mia ignoranza, ma è
così evidente la mia
appartenenza a Midgard?
-Certamente,
voi midgardiani avete un
ciclo vitale molto più breve di quello degli asgardiani,
siete più fragili
nelle ossa e nei muscoli, persino il vostro battito cardiaco
è più lieve.
Sul
viso di Chiara si delineò una tale
sorpresa che Ahzurit si avvicinò al tavolo di una bancarella
e con le dita
tamburellò leggermente sul legno, dicendo: -Questo
è, più o
meno, il suono del vostro cuore- poi,
cambiando ritmo e intensità, aggiunse -Questo invece
è il battito di un
asgardiano.
-Posso
chiedere come hai fatto a sentire
il battito del mio cuore a due metri di distanza?
Ahzurit
sembrò piuttosto sorpresa da quella
domanda, come se fosse stata una cosa ovvia sapere come gli Elfi Chiari
percepissero il mondo attorno a loro, ma alla fine rispose: -Ho
ascoltato.
Ciò
detto, ritrasse leggermente i
capelli dalla tempia sinistra, mostrando una superficie liscia e
completamente
priva di padiglione auricolare.
“Non
hanno le orecchie?!”
-Gli
Elfi Chiari sviluppano nell’età
adulta una membrana esterna molto sensibile alle vibrazioni, sono pochi
i suoni
che non riusciamo a percepire. Tutti gli umani emettono delle lunghezze
d’onda
così particolari?
Chiara
avrebbe voluto chiedere a quali
onde si stesse riferendo la giovane elfa, ma un forte squillo di trombe
sovrastò il caos della folla, richiamando
l’attenzione di tutti.
Ci
fu un gran fermento e in pochi minuti
una gran quantità di persone, tra cui moltissimi giovani,
abbandonarono il loro
pasto per dirigersi verso il palazzo reale.
-È
il momento delle danze!- esclamò
Ahzurit eccitata -Andiamo, Lady Chiara: è uno spettacolo che
non potete
perdere.
L’elfa
avvolse le sue lunghe dita
intorno al braccio della ragazza e la trascinò attraverso la
folla,
avvicinandosi sempre di più alle mura del palazzo.
Chiara
cercò di opporsi, di spiegare che
non aveva alcuna intenzione di andare alla corte di Odino, ma quella
non volle
sentire ragioni e la portò all’interno del cortile
reale, appositamente
addobbato e arredato per la festa e illuminato da un grosso
falò al centro,
attorno al quale erano stati disposti lunghi tavoli di legno massiccio.
Su di
essi scintillavano vettovaglie dorate, alternate a splendide
decorazioni e
ghirlande floreali.
Appesi
in ogni dove, svolazzavano
splendidi stendardi colorati recanti immagini di feste, caccia e stemmi
dei due
regni. Era evidente la mano di Angnis in quei meravigliosi drappeggi.
Nel
punto più in vista del cortile era
stato allestito un baldacchino, sotto al quale Odino, Thor e
un’elfa vestita di
rosso, probabilmente la regina Jarosit, mangiavano e conversavano. Poco
distante vi erano anche i Tre Guerrieri (Fandral, notò
Chiara, sembrava
particolarmente nervoso) e Sif, avvolta in un delicato vestito bianco,
che
metteva in risalto le sue forme sinuose.
Al
centro dell’area, poco distante dal
falò, un’orchestra stava terminando di concordare
gli ultimi dettagli per i
brani da eseguire e, quando il pubblico si fu radunato, la musica
partì.
Alle
prime note della melodia, la regina
Jarosit si alzò, raggiunse l’orchestra e
cominciò a danzare, ancheggiando a
ritmo di musica e avvicinandosi al tavolo dei reali; a quel punto,
quando si fu
accostata abbastanza, fece un leggero inchino verso il sovrano, poi si
avvicinò
a Thor e gli tese la mano.
Quello
si alzò a sua volta, ricambiò
l’inchino, prese la mano della regina nella sua e i due
iniziarono a danzare.
I
passi della tradizionale danza di Âlfheimr
erano molto veloci e leggeri e Thor, pur tentando di non guardarsi
continuamente i piedi e al contempo star dietro al ritmo instancabile
di
Jarosit, sembrava un pesce fuor d’acqua.
Nell’ultimo
volteggio, a conclusione del
ballo, per poco il Dio del Tuono non inciampò sulla povera
Jarosit, che ebbe,
però, la prontezza di riflessi di allontanarsi quel tanto da
non collidere con
il massiccio principe.
Vi
fu una grande ovazione da parte del
pubblico e Ahzurit, in particolare, estremamente entusiasta della
performance
della sua sovrana, lo mostrò gridando e sbracciandosi.
Jarosit
se ne accorse e le sorrise
affettuosamente, ma la sua espressione cambiò radicalmente
quando i suoi occhi
dorati incrociarono lo sguardo di Chiara: fu una frazione di secondo,
ma la
ragazza riuscì a notare distintamente
l’espressione preoccupata della regina,
che in lampo distolse lo sguardo e continuò a sorridere e a
ringraziare la
folla.
Dopo
qualche minuto, fu il turno delle
danze tradizionali asgardiane e in quel campo Thor riuscì
decisamente a destreggiarsi
meglio. Sulle note di tamburi e trombe, i piedi del principe si
muovevano molto
più sicuri e in armonia con la musica, ma oramai nessuno
avrebbe più tolto
dalla testa di Chiara l’immagine ridicola del principe
impacciato.
Finalmente
la musica cessò e i due
ballerini ritornarono ai loro posti sotto al baldacchino reale; fu poi
Odino a
prendere parola: -Figli di Asgard, figli di Âlfheimr,
benvenuti alla Festa
d’Estate. È una gioia per questo mio cuore vedere
due regni così diversi e così
lontani che, a discapito delle differenze e della lontananza, vivono in
pace e
armonia tra loro. Sono secoli, oramai, che una lunga e fruttuosa pace
scorre
tra noi e questo evento è l’occasione per
rinnovare la fratellanza e l’amicizia
che legano i nostri popoli. Amici miei, io vi dico: rimaniamo uniti nei
tempi
di pace e ancor più saldi nei tempi di difficoltà
e che l’alleanza tra Âlfheimr
e Asgard venga rinsaldata ogni giorno di più, come due
metalli che insieme
formano la più forte delle leghe. Che l’affetto
che ci unisce sia benedetto ora
e per tutta l’eternità da noi viventi, dalle
generazioni passate e da quelle
che verranno!
A
quel punto il re sollevò il suo calice
di vino e brindò in onore di Jarosit la Fiera, imitato da
tutti gli altri
partecipanti al banchetto.
Vi
fu, poi, la solenne cerimonia dello
scambio dei doni, in cui Asgard presentò ad
Âlfheimr una meravigliosa spada con
incastonato nell’elsa d’oro un frammento di stella,
mentre gli elfi offrirono
in dono agli dei un fiore di Yggdrasil, che sarebbe appassito solo
qualora il
Ragnarök fosse giunto alle porte di Asgard.
Come
aveva anticipato Fandral,
finalmente la festa poté entrare nel suo culmine ed enormi
quantità di cibo
vennero offerte ai commensali e le danze vennero ufficialmente aperte.
Ben
presto Ahzurit venne invitata a
ballare da un giovanotto asgardiano e, dopo aver inizialmente opposto
resistenza, reticente a lasciare la nuova amica midgardiana da sola,
venne
convinta da Chiara a lasciarsi andare e a divertirsi.
La
ragazza si soffermò per qualche
istante a osservare la fanciulla elfica volteggiare come una libellula
tra le
braccia del giovane, poi lanciò una rapida occhiata nella
direzione del
baldacchino reale: Odino era scomparso e con lui anche Jarosit non era
più
seduta al tavolo.
Temendo
che l’avesse scoperta, Chiara
iniziò a cercare con lo sguardo l’imponente
immagine del sovrano, aspettandosi
di vederlo sbucare dal nulla con un biglietto di sola andata per la
cella
d’isolamento indirizzato a lei.
Per
un attimo sentì un brivido percorrerle
la schiena quando alle sue spalle sentì una voce dire: -Ti
ho trovata
finalmente!
Si
voltò di scatto, tentando di
inventarsi nel minor tempo possibile una giustificazione plausibile al
suo atto
di insubordinazione, ma una grossa mano le si appoggiò
amichevolmente sulla
spalla e il sorriso del principe le acquietò lo spirito: -Ho
temuto che avessi
deciso di darmi buca, come dite voi su Midgard- rise il Dio del Tuono.
-Come
avrei potuto rifiutare l’invito di
un reale?- domandò Chiara, ricambiando il sorriso.
-Non
ti ho invitata in quanto rampollo
reale, ma come amico- rispose Thor, offrendole il braccio, al quale
ragazza
avvolse il proprio -Saresti stata libera di rifiutarti se avessi voluto.
-E
perdermi lo spettacolo di te che
balli come una scimmia con il singhiozzo? Mai!
-Non
sono stato tanto male!- disse
piccato l’uomo, mentre passeggiavano per il cortile.
-Credimi,
ho visto pezzi di legno
muoversi con più grazia.
-Ah
sì?- disse lui, con uno sguardo che
fece presagire a Chiara un pericolo imminente -Allora mostrami tu come
si fa!
-Cos…
No! No! No! No Thor! Cuccia! Sitz!
Sitz!- urlò la ragazza, puntando i piedi nel vano tentativo
di opporsi al dio
che la stava trascinando sulla pista da ballo.
Chiara
sapeva di non essere aggraziata e
per lei ballare con qualcuno aveva un significato intimo e prezioso, ma
ovviamente Thor ignorava completamente la teoria della ragazza riguardo
la
danza e cominciò a farla piroettare a ritmo di musica,
muovendole le braccia e
conducendola durante quel ballo disarticolato, mentre
tutt’intorno la gente si
accalcava per assistere alla scena e batteva ritmicamente le mani e i
piedi .
La
ragazza avrebbe voluto sprofondare
nel sottosuolo per l’imbarazzo, ma alla fine, incoraggiata
dagli applausi dei
presenti e dall’entusiasmo del dio, si lasciò
travolgere dal momento e, senza
neanche rendersene conto, stava ridendo e ballando spontaneamente a
fianco del
principe.
La
musica terminò e uno scroscio di
applausi accompagnò i due ballerini, mentre, ringraziando e
accennando qualche
lieve inchino, si allontanavano dal centro della pista, dirigendosi al
tavolo
reale.
D'un
tratto, prima ancora che avessero
raggiunto il baldacchino, una forte fitta al fianco colpì la
ragazza,
mozzandole il respiro e costringendola a fermarsi.
Il
Dio del Tuono se ne accorse e chiese
preoccupato: -Stai bene?
-Sì,
sì- mentì Chiara, tenendosi il
fianco con la mano -È solo una leggera fitta per la
stanchezza. Non sono mica
un soldato allenato come te!
-Hai
bisogno di qualcosa?
-Solo
di riprendere un po’ di fiato e,
magari, mettermi addosso qualcosa di più pesante- in effetti
una scarica di
brividi freddi le stava attraversando le braccia e le gambe, facendola
tremare
-Tu, intanto, perché non balli un po’ con Sif?
Scommetto che apprezzerebbe
molto.
“Cosa
accidenti sta succedendo?” si
chiese la ragazza, mentre lasciava solo il principe e si dirigeva
lentamente
verso l'd'ingresso del palazzo.
Il
fiato si era fatto corto e sentiva la
mano appoggiata sul fianco bagnarsi di un denso liquido caldo, ma,
quando la
osservò, su di essa non vi era nulla.
Angolo
dell’autrice: ciao
a tutte e ben trovate alla fine del capitolo 16 de La
sua paura! Ragazze, sono davvero emozionatissima
perché questa
storia sta crescendo ben oltre a quelle che erano le mie aspettative,
soprattutto per quanto riguarda l’attenzione che sta
ricevendo! Vi ringrazio
davvero di cuore per il tempo che vi dedicate e un abbraccio alla nuova
arrivata che l’ha aggiunta alle seguite! J
Dunque,
il titolo è una citazione da Il
Signore
degli Anelli: il primo capitolo della Compagnia
dell’Anello è, infatti, intitolato
“Una festa a lungo attesa” (A Long
Expected Party, in lingua originale); piccolissimo e assolutamente
senza
pretese tributo al mio autore prediletto e alla sua magnifica
produzione, con
cui ha riempito di magia la mia vita a partire dall’infanzia.
Proprio
una festa a lungo attesa, anche perché sto benedetto ballo
la povera Chiara se
l’è proprio sudato ma, tanto per fare una cosa
nuova, quando pensa che tutto
stia andando per il meglio, ecco che arriva la sfiga a infastidirla.
Sarà solo la
milza a dolerle o sotto c’è qualcosa di
più? Voi che ne dite? ;)
Vi
è piaciuto il nostro principino tonante in versione prima
ballerina di Asgard? Spero
di avervi strappato una risata!
E
gli Elfi? Che ne dite? Li avete graditi o ritenete che mi sia
discostata troppo
dall’immagine tradizionale di queste creature?
Se
vorrete farmi sapere cosa avete pensato di questo piccolo capitolo,
farete la mia
gioia e sarò lieta di rispondervi al meglio delle mie
capacità!
Statemi
bene e alla prossima!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 17 *** Il Vincolo Sacro ***
-Chiara!-
le corse incontro Fandral, con
il viso pallido come un cencio -Come diamine hai fatto a uscire dalla
stanza di
Thor?
La
fanciulla, cercando di stare eretta e
di non lasciar trasparire il dolore dall’espressione del
volto, tentò di
rispondere, ma quello, afferrandola per le spalle, cominciò
a spingerla lungo
il corridoio d’ingresso: -Sei ammattita? Non è
prudente disobbedire ad un
ordine di Odino! Potrebbe vederti se resti ancora qua fuori! Corri
immediatamente nelle mie stanze e aspettami lì: al termine
dei festeggiamenti
troveremo un modo per riportarti negli alloggi del principe senza che
nessuno
se ne accorga, ma non devi assolutamente farti vedere, chiaro?
Le
fitte al fianco si facevano sempre
più dolorose e le toglievano il respiro; riuscì
solo ad accennare un debole
“Sì” con la testa, mentre lo spadaccino
le prometteva che sarebbe andato alla
ricerca di Odino per tenerlo occupato il tempo necessario per
permetterle di
nascondersi.
Il
tempo di un lampo e Fandral era
svanito nella folla, mentre lei, dolorante, camminava guardinga nel
palazzo.
Forse sarebbe stato meglio, per quella volta, ascoltare le parole dello
spadaccino e obbedire: si sarebbe riposata e avrebbe atteso che quello
strano
dolore passasse, nelle calde e comode stanze di Fandral.
Si
appoggiò per un momento al muro: il fianco le doleva
moltissimo e la testa le
girava. Sentiva il proprio respiro farsi sempre più
affannoso e, continuando a
percepire la presenza di un fluido caldo sul palmo della mano, se la
controllò
di nuovo alla luce di una torcia, ma come prima non vi trovò
nulla di strano o
di insolito.
I
corridoi del palazzo erano completamente vuoti: tutti infatti, guardie
comprese, erano distratti dalla festa e, se fosse svenuta o se avesse
cominciato
a peggiorare, nessuno si sarebbe accorto di lei prima della fine delle
celebrazioni.
Era
probabile che Fandral avesse considerato la mancanza di
attività nel castello
come la migliore delle opportunità per lei di mettersi al
sicuro indisturbata,
ma Chiara, spaventata dal continuo peggioramento della sua condizione,
per un
attimo pensò di tornare indietro e di avvertire Thor;
qualcosa in un angolo
recondito della sua mente, però, la fermò e le
suggerì di continuare a
camminare, di non fermarsi proprio ora e, con la ragione totalmente
annebbiata
dal dolore, ubbidì a quell’istinto.
Fu
un rumore a riaccendere la sua attenzione, un suono metallico
proveniente dalla
sala del trono.
“C’è
qualcuno laggiù!”
Sperando
di trovare aiuto, si trascinò fino all' ingresso della sala
dorata e,
attraverso una feritoia tra le pesanti porte, al suo interno intravide
Odino,
disteso per terra in una pozza di sangue, che, rantolando, cercava di
raggiungere Gungnir con il braccio teso. Di
fronte a lui un elfo più basso degli altri, brandendo una
daga macchiata di
rosso, si godeva lo spettacolo di quel vecchio che agonizzava ai suoi
piedi.
Inorridita
dalla scena, con uno sforzo sovrumano la ragazza afferrò una
lampada ad olio da
un gancio della parete e, avvicinatasi di soppiatto alle spalle
dell’elfo, lo
colpì alla testa con la superficie metallica e rovente
dell’oggetto, mandandolo
temporaneamente al tappeto.
-Maestà!-
urlò Chiara, accorrendo dal sovrano: una profonda ferita al
fianco, inflitta
dalla daga dell’elfo, faceva fuoriuscire una copiosa
quantità di sangue sul
pavimento, allargando sempre di più la pozza che si era
venuta a creare attorno
all’uomo.
Imponendosi
di non farsi impressionare da quella vista orribile, la ragazza si
strappò un
lembo del vestito e lo premette contro la ferita nel tentativo di
ridurre
l’emorragia.
A
quel contatto la testa dell’uomo si voltò ad
osservarla e un barlume in fondo
all’occhio del sovrano si accese: -Chiara…-
esordì, ma, all’improvviso, in uno
scatto l'uomo si lanciò in avanti, brandendo Gungnir e colpendo
qualcosa alle spalle
della ragazza.
Chiara
sentì il rumore della daga rimbalzare sul pavimento di marmo
e si voltò per
capire cosa stesse accadendo: il re si reggeva malamente in piedi,
aggrappato
al fusto della lancia dorata, mentre di fronte a lui il piccolo elfo
(che, ora
che la ragazza lo guardava meglio, sembrava essere poco più
di un bambino) si
massaggiava il polso e gli lanciava occhiate di odio, imprecando tra i
denti.
L’elfo
si lanciò di nuovo verso il re, ma quello lo
evitò e lo colpì alla schiena con
il fondo della lancia, facendolo cadere di nuovo, poi, in preda alla
furia, il
dio sollevò Gungnir e gliela puntò contro, pronto
a scagliare un fulmine e
incenerirlo.
Anticipando
le intenzioni del sovrano, in uno slancio disperato Chiara si frappose
tra i
due, urlando: -No, Maestà! È solo un bambino!
Inaspettatamente,
Odino si bloccò e tanto bastò al ragazzo per
svanire in una nuvola di fumo.
Rimasti oramai da soli nel luccichio della sala dorata, Chiara vide il
corpo
dell’anziano sovrano, spossato per l’ultimo sforzo
compiuto, dondolare
pericolosamente all'indietro e accorse giusto in tempo per sostenerlo
prima che
cadesse di peso a terra.
-Maestà,
vi prego- disse Chiara, mentre lo deponeva delicatamente sul pavimento
-Aspettate qui, cercherò dei Guaritori che si prenderanno
cura di voi e…
-No!-
ordinò il dio, stringendole con forza il braccio nella
grossa mano callosa, ma
la ragazza se ne accorse a mala pena perché tutta la sua
attenzione era stata
attratta da un piccolo fascio di luce color smeraldo che dai piedi
percorreva,
salendo, il corpo di Odino, mutandone l’aspetto.
I
piedi si fecero più affusolati, le caviglie più
sottili, le gambe si
allungarono e la vita si strinse; l’armatura
svanì, lasciando il posto a
pantaloni e giacca di pelle nera con foderatura verde bottiglia attorno
a un
torso sottile e slanciato. Le
braccia si fecero più lunghe e le dita delle mani
più affusolate, mentre la
benda sull’occhio svaniva, rivelando un’iride color
dello smeraldo, la barba si
ritirava sugli zigomi pronunciati e i capelli si allungavano, mutando
da canuti
a corvini.
-Loki!-
boccheggiò la ragazza, incredula -Non ci capisco
più nulla!
-Sorpresa…-
bisbigliò tra i denti il Dio degli Inganni, tenendosi il
fianco insanguinato
con la mano.
Il
frammento di stoffa era completamente zuppo, così la ragazza
si affrettò a
strapparne un altro e a sostituirlo.
-Morirai
dissanguato se non ti fai visitare- disse alla fine la ragazza,
continuando a
tamponare la ferita -Se non vuoi dei Guaritori, dimmi almeno cosa devo
fare per
aiutarti.
-Non
puoi aiutarmi- rispose il dio, mentre il suo viso diventava sempre
più pallido
-Le armi degli elfi sono avvelenate con la linfa di una pianta che
cresce nello
Âlfheimr. Non esiste un antidoto.
-Non
lascerò che tu muoia! Deve esserci un modo!- gli occhi
iniziarono a bruciarle,
mentre una solitaria goccia salata scendeva pigra lungo la guancia
sinistra.
-Tu
vuoi davvero salvarmi?- chiese Loki incredulo, seguendo con lo sguardo
la lenta
discesa della lacrima.
-Sì,
per la miseria!- rispose Chiara, cercando di ricacciare indietro il
groppo alla
gola che stava prepotentemente salendo lungo la laringe.
-Se
è quello che vuoi davvero, forse c’è un
modo, ma devi desiderarlo sinceramente,
devi volerlo più di ogni altra cosa o non
funzionerà.
-Sta
zitto e fa’ quello che devi fare prima che mi ritorni il buon
senso e cambi
idea!- rispose di getto la ragazza, inorridita dalla pozza di sangue
che le
bagnava i piedi.
-Esiste
un incantesimo, ma è molto delicato e non possiamo farlo
qui: Heimdall potrebbe
vederci e allora sarebbe un grave problema per entrambi. Ricordati che
stai
aiutando un pericoloso criminale.
Chiara
prese il dio sotto il braccio e l’aiutò a
sollevarsi, allontanandosi poi dalla
pozza e cercando di non scivolare sul liquido.
-Io
sto solo aiutando una persona in difficoltà-
ribatté, poi aggiunse -Dove
dobbiamo andare?
-Alle
mie stanze, lì saremo fuori dalla vista del guardiano. Ora
farò un incantesimo
di occultamento per nasconderci lungo il tragitto, ma non devi
allontanarti da
me o sarai vista, chiaro?
-A
mala pena ti reggi in piedi: se non ci fossi io a sorreggerti avresti
la
mobilità di un sacco di patate! Direi che è
difficile che mi allontani da te.
Loki
in tutta risposta borbottò una formula magica in una lingua
antica e i due
iniziarono a camminare; uscirono dalla sala del trono, attraversarono
con
fatica diversi corridoi e salirono lentamente una rampa di scale.
Ad
ogni passo che Loki faceva, Chiara sentiva sempre di più
sulle proprie spalle
il peso del suo corpo che, lentamente e inesorabilmente, perdeva le
forze; ad
un tratto temette che, a metà della rampa di scale, sarebbe
svenuto, ma dopo un
iniziale tentennamento, il dio fece appello alle proprie forze e
riuscì a
mantenere l’equilibrio e a proseguire.
Ormai
la ragazza non percepiva più nulla: non la fatica,
né il dolore, non il fiato
corto, né il sudore che le scendeva freddo lungo il collo;
tutte le sue energie
e tutti i suoi pensieri erano concentrati su quella creatura in fin di
vita,
che si appoggiava così disperatamente a lei in quel momento
di debolezza.
Pensò
alla prima volta che l’aveva incontrato nella luce
artificiale e fastidiosa di
quella cella, ricordò la freddezza delle sue parole e la
rabbia nei suoi occhi
quando l’aveva rimproverata per aver consolato Thor;
ripensò a quando l’aveva
seguita nel cortile, ridendo alla scena di lei sperduta e il momento in cui le aveva
osservato i
ricordi e lei aveva scrutato i suoi. Aveva provato dei sentimenti
contrastanti
per quell’uomo, sentimenti che, ritenendoli poco importanti
nel contesto della
situazione in cui si trovava, non si era mai preoccupata di indagare,
ma che
ora le urlavano all’unisono di aiutarlo.
Lui
era il "cattivo" di quella storia: aveva sentito da Fandral, Sif e
Angnis parole di odio e di disprezzo nei suoi confronti, da loro aveva
appreso
una parte delle azioni riprovevoli che aveva compiuto e lei stessa
aveva
assaggiato la sua meschinità; eppure, sentirsi paragonata a
lui da Thor appena
il giorno prima, le era sembrata una cosa positiva, anzi magnifica.
Loki
era sadico e spietato, ma in quel momento non era altro che un uomo che
stava
morendo e Chiara non riuscì a impedirsi di provare una gran
pena per le sue
sofferenze e un inspiegabile istinto di protezione per quella figura
fragile e
piegata sopra di lei.
Dopo
un tempo che a entrambi parve infinito, finalmente si trovarono di
fronte alla
porta dai cardini d’argento, Chiara si strappò la
catenina dal collo e infilò
la chiave nella toppa, facendo scattare la serratura.
Attraversata
la soglia, i due non ressero più lo sforzo e finirono
entrambi al suolo, con il
fiato corto e la fronte imperlata di sudore.
-Loki-
disse angosciata la ragazza osservando il dio accanto a lei, il cui
colore
della pelle aveva assunto un’inquietante colorazione cobalto
e i suoi occhi
lampeggiavano di rosso -Sei
diventato
blu… è una cosa normale o devo preoccuparmi?
-È
il mio aspetto Jotun- rispose il dio in un filo di voce tra un respiro
e
l’altro -Il veleno sta agendo più in fretta di
quello che pensassi e non ho
abbastanza forze per mantenere le mie solite sembianze.
-Quindi
è una cosa normale, va bene- riprese Chiara -Ora dimmi cosa
devo fare!
-Dammi
la mano- rispose Loki, tendendo appena il braccio blu verso di lei
-Potrebbe
bruciare un po’- aggiunse, ma quella, prontamente, avvolse le
piccole dita tra
quelle lunghe e sottili del dio e le strinse forte.
-E
ora?- chiese.
-Ora
cerca di rilassarti.
Obbedì e alle orecchie le arrivò il caldo suono
della voce di Loki, mentre
pronunciava un’altra formula magica.
Attese.
In
un primo momento sembrò che non accadesse nulla e
già temeva che il dio sarebbe
morto di lì a poco al suo fianco, ma poi sentì un
forte calore diffondersi
dalla spalla e scendere lungo il bicipite, fino a sfociare in un
piccolo
tubicino argentato che attraversava la pelle dell’incavo del
gomito e usciva
dal suo braccio, avvolgendosi intorno all’arto fino a
raggiungere la mano.
Un
altro tubicino identico emerse dal braccio di Loki e si
attorcigliò intorno ad
esso, per poi collegarsi a quello di Chiara.
Attraverso
di essi un flusso di liquido dorato cominciò a scorrere dalla ragazza al dio,
illuminando di una delicata luce l’azzurra pelle del Dio
degli Inganni.
Chiara si sentì improvvisamente addosso una profonda
stanchezza e le orecchie
iniziarono a fischiarle, poi una voce cavernosa le rimbombò
in testa: “Lascia andare la sua mano.”
“Non
voglio” pensò la ragazza.
“Lasciala andare”
ripeté la voce.
“Non
lo farò.”
“Questo è lo stesso uomo che si
è nascosto
negli antri più bui della tua mente per tutto questo tempo,
ha fatto di te la
sua marionetta e ti ha impedito di tornare a casa. Egli è
Loki e Odino insieme,
i tuoi carcerieri. Lo hai visto tu stessa! Lascialo morire e nessuno si
opporrà
più al tuo ritorno, dalla tua famiglia e dai tuoi cari.”
“Ha
commesso delle azioni deprecabili, ma questo non autorizza la sua
morte.”
“Questo è il mostro che ha aperto le
porte
del male e della distruzione al tuo mondo” riprese
la voce, assumendo un
tono più vibrante e minaccioso
“È
l’assassino che ha ucciso a sangue freddo decine di innocenti
senza mai
chiedere perdono; ha mentito e raggirato, ha ingannato e ha tradito e
lo farà
anche con te se non lo fermi, se non poni fine alla sua pericolosa
esistenza.”
“Sono
già morte troppe persone per colpa mia”
replicò Chiara “Non lascerò che
nessun’altro perisca e Loki può ancora fare
ammenda per i suoi sbagli, se
gliene si dà l’opportunità.”
“Stupida, quest’uomo annienta tutto
ciò che
tocca e distruggerà anche te. Lascialo morire!”
-No!-
urlò la ragazza, spazientita dall’insistenza
fastidiosa di quella voce -Io lo
salverò perché è mio desiderio farlo e
né tu, né nessun altro me lo impedirà!
Lui vivrà!
La
voce non disse più nulla e le orecchie cessarono di
fischiare, così Chiara
voltò il capo in direzione di Loki e notò, con
suo grande sollievo, che il
colore della sua pelle e dei suoi occhi erano tornati quelli di sempre
e che il
petto si alzava e si abbassava ritmicamente, scandendo i suoi respiri
non più
affannosi, ma ora calmi e regolari. Anche la ferita era rimarginata e
solo una
chiazza scura sul tessuto degli abiti rimaneva a ricordo del pericolo
scampato.
-Come
stai?- chiese in un filo di voce.
-Molto
meglio- rispose quello -Sono impressionato.
-Un gioco da ragazzi-
ridacchiò la ragazza,
poi chiese -Cos’è successo?
-L’incantesimo
consiste nel condividere con un’altra persona la propria
energia vitale, ma può
avvenire solo se il donatore è perfettamente e totalmente
consapevole di quello
che sta facendo e con chi sta condividendo la propria energia, da qui
quello
che è accaduto: immagino avrai visto o sentito qualcosa
riguardo i miei
trascorsi passati e ti sia stata data la scelta se accettare o meno
questa
transizione. Si chiama Heilagt Skuldabréf, il Vincolo
Sacro. Sono molto sorpreso che tu l'abbia accettato,
dopotutto, forse non hai il grande buon senso che dici di avere.
-Non
ho potuto fare nulla per colui che mi ha salvato la vita in cella e non
permetterò
a nessun altro di morire, se potrò impedirlo.
Loki
non disse nulla, ma a Chiara sembrò che, per un momento,
stringesse la presa
sulla sua mano; fu un attimo talmente breve che la ragazza suppose
fosse stato
solo frutto della la sua immaginazione.
Decise
di non lasciare quell’arto insolitamente e piacevolmente
freddo, a meno che non
fosse stato inevitabile: temeva ancora che, se l’avesse
fatto, la vita di
quell’uomo così misterioso ed enigmatico le
sarebbe scivolata come fumo tra le
dita e lei non voleva. Aveva appena lottato e vinto per quella vita e
l’avrebbe
tenuta stretta.
-Ah,
a proposito!- riprese la ragazza -Il blu ti dona.
Lo
vide sorridere a quella sua battuta scema e allora pensò,
prima di cadere in un
sonno profondo, che avrebbe potuto stringere quella mano per
l’eternità se
fosse servito a tenerlo in vita.
Angolo
dell’autrice: un saluto a tutte,
benvenute alla fine del
capitolo 17 e un abbraccio alla nuova arrivata che ha aggiunto alla
storia tra le
seguite! È un immenso piacere per me aver pubblicato questo
capitolo perché,
finalmente, la storia subirà un significativo giro di vite
e, se pensavate che
Chiara le avesse già passate tutte, sappiate che non avete
ancora visto niente *risata
malvagia*
Ma
andiamo per ordine: in primo luogo, che ne pensate
dell’accaduto? Cosa
si nasconde dietro questo subdolo attentato?
E cosa accadrà a questo punto? Sono curiosa di sentire un
po’ di teorie! ^-^
In
secondo luogo: il Vincolo Sacro
come vi
è parso? Vi è piaciuto o ho ecceduto un
po’ troppo?
E
riguardo al cuoricino di Chiara? Dite che sta cominciando a cambiare
idea sul nostro
principe dagli occhi di ghiaccio? E lui cosa ne pensa?
Vorrei
fare un grandissimo ringraziamento a tutte voi, che leggete e,
talvolta, lasciate
un commento alla mia piccola storia: il tempo e l’interesse
che dedicate allo scritto
è la fonte da cui traggo l’ispirazione per
scrivere, perciò grazie, mie muse, spero
di riuscire a ripagare la vostra curiosità con una storia
che meriti di essere letta.
Un
abbraccio forte a tutte e alla prossima!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 18 *** Pedina ***
Un
raggio di sole si posò sugli occhi chiusi di Chiara, che,
mugugnando
infastidita, si svegliò da quello che era stato il primo
vero sonno ristoratore
da quando aveva messo piede su Asgard.
Stropicciandosi
le palpebre appesantite dalla lunga dormita, si alzò a
sedere e sentì scivolare
le coperte del letto sopra la propria pelle: “Che
strano…” pensò tra sé e
sé,
accarezzando le morbide lenzuola di seta color smeraldo “Non
ricordo di essermi
messa a letto”, poi un flash le balenò nella mente
e si sporse di lato per
verificare se Loki fosse ancora sul pavimento.
Non
vide nessuno, se non una chiazza scura sul tappeto, a testimonianza del
sangue
perduto dal dio dopo lo scontro con il giovane elfo.
Da
quanto tempo si era addormentata? E che cosa era successo nel frattempo?
Saltò
giù dal letto e uscì di corsa fuori dalla stanza,
desiderosa di scoprire la verità
su quello che era accaduto la sera prima: perché un elfo,
con la cui terra
Asgard aveva stretto da generazioni una profonda e salda alleanza,
avrebbe
dovuto attentare alla vita del sovrano? Il suo regno non era forse in
pace con
quello degli Æsir? Era stato un gesto isolato oppure, dietro
quell’attacco così
diretto, c’era qualcosa di più
dell’avventatezza e della follia di un giovane?
E perché Loki quella sera stava ricoprendo il ruolo di
Odino? Era sempre stato
lui a regnare al posto del vero sovrano? E, se sì, che fine
aveva fatto il vero
Odino?
Con
la testa piena di domande, Chiara corse per i corridoi del palazzo
illuminati
dalla luce della mattina inoltrata, finché non
arrivò alle porte della sala del
trono; ignorando completamente gli ordini delle guardie, che tentarono
inutilmente
di arrestare la sua avanzata, entrò nell’ambiente
dorato, interrompendo una
riunione in corso tra il sovrano, Thor, Sif, i Tre guerrieri e alcuni
altri
militari.
Vedendola
arrivare così irruentemente nella stanza, Thor le corse
incontro con
un’espressione di profondo sollievo sul viso: -Chiara, grazie
al cielo sei
qui!- disse in un soffio il Dio del Tuono.
Le
accarezzò il volto con le sue grosse mani, studiandone la
pelle in cerca di
ferite o di tumefazioni: -Dopo quello che è accaduto ieri
sera, non ti abbiamo
più trovata da nessuna parte! Temevo che gli elfi ti
avessero rapita! Stai
bene? Cosa ti è accaduto?
-Io
sto bene, non ti preoccupare- gli rispose la ragazza con un sorriso
intenerito:
la premura di quel gigante buono la commuoveva ogni volta; poi chiese:
-Che
cos’è successo ieri sera? Io non
capisco…
-Gli
elfi hanno attentato alla mia vita- disse Odino, dall’alto
del suo scranno -E
poi sono fuggiti via come conigli, ma tu lo sai meglio di tutti, non
è vero,
midgardiana?
Sul
volto dei presenti, e in particolare su quello di Chiara, si
disegnò
un’espressione sorpresa: -Cosa volete dire?-
domandò la ragazza, chiedendosi
chi fosse veramente l’uomo con cui stava parlando in quel
momento.
-Mi
domando cosa ti abbiano promesso per convincerti ad affrontare una
missione
così disperata, ma mi congratulo per le tue
abilità: sei davvero una grande
attrice!
Tutti
gli occhi erano puntati su di lei e il clima era diventato pesante
all’interno
della sala: l’accusa che Odino le stava rivolgendo era
gravissima e Chiara non
riusciva davvero a capire cosa l’avesse portato a formulare
quell’insinuazione.
-Maestà-
disse la ragazza, misurando attentamente le parole e sforzandosi di non
prestare attenzione allo sguardo costernato di Thor -Io non capisco a
cosa vi
stiate riferendo: non avevo mai visto un elfo prima di ieri e non avrei
mai
attentato alla vita di nessuno in alcun modo. Vi prego di credermi.
-NON
MENTIRMI!- urlò il sovrano battendo violentemente Gungnir
sul pavimento -Hai
permesso al sicario di scappare! Questo è un atto di
tradimento nella mia
corte!
-Era
solo un ragazzino!- gridò la ragazza, tentando di sovrastare
la voce del
sovrano, ma quello la ignorò e continuò
imperterrito nella sua accusa: -Ora mi è
tutto molto chiaro: gli elfi tramano alle mie spalle e usano una
sciocca
ragazzina asgardiana per intrufolarsi nel mio palazzo e avere un aiuto
interno
nel momento dell’attacco. Hai recitato molto bene la tua
parte, umana: così
fragile e spaventata, sei persino riuscita a ingannare il cuore di mio
figlio e
hai sfruttato la sua bontà per avvicinarti a me! Avrei
dovuto lasciarti marcire
in eterno nelle prigioni!
Il
volto di Thor era sconvolto da quella rivelazione e Chiara
sentì il cuore
stringersi in una morsa: -Thor, ti prego…- gli disse,
cercando di non piangere
per la vergogna -Non è vero niente! Non crederci! Io non ho
nulla a che fare
con quello che è successo.
-Mi
fidavo di te- rispose il dio, lanciandole uno sguardo carico di
disprezzo e
allontanandosi da lei quasi fosse stata una lebbrosa.
Fu
un colpo terribile, doloroso come una pugnalata al petto e le lacrime
cominciarono a scendere sul volto della fanciulla, rigandole le guance
e il
collo.
A
quel punto Odino si alzò e, avvicinandosi a lei a passi
calmi e cadenzati,
proseguì: -Ora che sei stata scoperta, non hai
più alcun valore per gli elfi e
forse loro si aspettano che ti faccia giustiziare per quello che hai
fatto, ma
a questo punto tu non sei più nulla: solo
un’inutile pedina su una scacchiera
troppo grande. Sei davanti al pezzo più importante, mia
cara, piccola,
sacrificabile pedina e ora che il tuo gioco è stato svelato,
non servi più a
niente. Non vale nemmeno la pena sporcare con il tuo sangue immondo la
lama
della più vecchia e arrugginita delle spade del mio regno,
perciò ritieniti
fortunata: sono un re magnanimo e ti condanno all’esilio,
mentre per i tuoi
amici elfi la pena sarà la guerra.
Era
di fronte a lei, a un palmo dal suo viso, e Chiara avrebbe persino
potuto
contare i peli della sua barba che cresceva sul mento squadrato, ma non
fu
quelli che osservò, bensì l’occhio
sano, puntato inquisitorio su di lei: era
diventato verde.
-Perché
lo stai facendo?- chiese in un sussurro la ragazza, affinché
solo il suo
interlocutore potesse sentirla
Lui
non disse nulla, ma le prese il viso tra le mani e poggiò le
labbra sulla sua
fronte, lasciandovi quello che sarebbe stato facilmente confuso con un
bacio,
ma non appena il contatto tra i loro volti venne interrotto, Chiara
sentì la
testa alleggerirsi, le palpebre farsi sempre più pesanti e,
alla fine, la sala
del trono e i suoi occupanti svanirono alla sua vista, sostituiti solo
da buio
e silenzio.
Dopo
un tempo che non riuscì a definire con certezza, la ragazza
riuscì ad aprire
appena gli occhi: la sua vista non era ancora nitida ma riusciva a
distinguere
due figure imponenti davanti a sé.
Poi
la voce di Odino: -Riportala a casa, Heimdall.
-N…No…-
cercò di dire la ragazza, ancora intontita -Per favore,
Heimdall, aspetta….
Ma
era troppo tardi e l'incantesimo con cui il Dio degli Inganni l'aveva
colpita
era ancora attivo, così i suoi occhi tornarono a chiudersi
mentre il suo corpo
veniva risucchiato nel vortice del Bifrost.
Di
nuovo il buio. Di nuovo il
silenzio.
Bip…Bip…Bip…Bip…
Un
cicalio fastidioso perforò i timpani della ragazza,
facendole quasi male; cercò
di muoversi, ma il suo corpo era troppo pesante e l’incavo
del gomito destro le
bruciava.
Aprì
lentamente gli occhi e le sue pupille si strinsero alla forte luce
artificiale
che illuminava l’ambiente; dopo qualche secondo
riuscì a distinguere sopra di
lei un soffitto bianco a pannelli quadrati, mentre un forte odore di
disinfettante si insinuò nelle sue narici.
Inclinò
leggermente la testa verso destra e vide un grosso parallelepipedo
scuro con
uno schermo, su cui correva una linea verde a zig zag; a fianco del
parallelepipedo, un’asta argentata sorreggeva un sacchettino
trasparente
collegato con un tubo al suo braccio.
“Sono
in ospedale?”
-Sei
sveglia?- chiese una voce emozionata alla sua sinistra -Mamma,
papà! Si è svegliata!-
urlò, poi, la voce, seguita da un rumore di passi e dal
tocco delicato di una
mano sulla spalla della ragazza.
-Chiara?-
sussurrò una voce femminile -Come ti senti?
Voltò
a fatica il capo indolenzito a sinistra e vide sua madre, suo padre e
suo fratello
minore; i loro volti erano segnati dalla stanchezza e
dall’apprensione dei
giorni interminabili trascorsi nella sua ricerca, ma per lei non erano
mai
stati tanto belli.
-Mi
siete mancati- disse, allungando appena le braccia nella loro direzione
e ricevendo
un caldo abbraccio dalla sua famiglia. L’emozione era
palpabile nell’aria e gli
occhi di tutti erano inumiditi dalla gioia; si strinsero per qualche
minuto,
finché non vennero interrotti da un’infermiera che
entrò nella stanza e chiese
di poter dare un’occhiata alla ragazza.
La
donna segnò i valori riportati sul monitor,
controllò la funzionalità della
flebo e prese la temperatura della paziente, poi chiese: -Allora, mia
cara, mi
sai dire come ti chiami?
-Chiara-
rispose quella, con la testa ancora un po’ indolenzita.
-Bravissima,
e mi sai dire chi è quell’uomo?-
domandò l’infermiera indicandole suo padre.
-Quello
è il mio babbo.
-Ottimo,
molto bene. Mi sai dire quello che ti è successo?
-Mi
dica lei cosa crede che mi sia successo- rispose Chiara, inquisitoria:
non le
piaceva il tono che quella donna le rivolgeva.
-Ti
hanno trovata in mezzo ai campi che farfugliavi delle frasi senza
senso,
urlando parole incomprensibili. Temiamo che tu possa aver avuto una
forma di shock.
Tra poco dovremmo avere i risultati delle analisi del sangue,
così cerchiamo di
capirne la causa.
-Credete
forse che mi sia drogata o che abbia bevuto?- domandò
ancora, aspra: per una
qualche ragione, quella donna la faceva innervosire.
-Tesoro-
disse sua madre -Sei sparita per quasi due mesi. I tuoi rapitori
potrebbero
averti drogata o peggio! Potrebbe esserti accaduto di tutto.
“Non
immagini fino a che punto!” pensò tra
sé la ragazza, poi si rivolse di nuovo
all’infermiera: -Finora avete trovato qualcosa di strano?
-I
valori vitali sono nella norma e sul tuo corpo non sono state trovate
tracce di
violenza. Anche dalla visita ginecologica non è emerso
niente di insolito. Al
momento ti stiamo idratando e aspettiamo i risultati delle analisi.
-Tu
non ti ricordi nulla?- domandò suo padre, accarezzandole una
guancia; nel suo
sguardo si riusciva a leggere distintamente l’apprensione e
la paura che quella
domanda portava con sé.
-Ecco
io…- esordì la ragazza, ma le parole si spensero
in gola: come avrebbe potuto
spiegare quello che aveva visto, le cose che aveva vissuto e le persone
che
aveva incontrato? Una fitta al cuore la colse al ricordo
dell’amico, che la
credeva una traditrice, e di Loki, che l’aveva diffamata
ingiustamente davanti
a tutti, accusandola di tradimento solo poche ore dopo che lei gli
aveva
salvato la vita.
-Io
desidero che questa questione venga affrontata solo tra i membri della
famiglia- riprese Chiara, squadrando l’infermiera, che
prontamente si alzò e
uscì dalla stanza.
-Dicci
tutto, tesoro- disse sua madre, stringendole la mano tra le sue.
-Non
so come sia potuto accadere- incominciò la ragazza -E per
tutto il tempo in cui
sono stata via mi sono interrogata sul motivo e sulla
modalità della mia
scomparsa, ma vorrei che prendesse per autentiche le mie parole e che
capiste che
quello che sto per dire è dettato dalla migliore
lucidità mentale di cui sono
capace, va bene?
Preoccupati,
i suoi famigliari annuirono leggermente con la testa e si misero ad
ascoltare
attentamente; Chiara raccontò del suo risveglio nelle
prigioni del palazzo,
della creatura che le aveva salvato la vita, di Thor, di Odino, della
sua
schiavitù, delle persone che aveva incontrato e delle azioni
che aveva
compiuto; descrisse gli elfi e raccontò
dell’attentato al Padre di Tutti, ma
non accennò minimamente a Loki e al ruolo che aveva
interpretato in quella
storia.
Alla
fine del racconto, suo padre e sua madre si scambiarono uno sguardo
ricco di
significati che Chiara non riuscì a cogliere e, dopo averle
dato un bacio sulla
guancia, uscirono dalla stanza, lasciandola sola con il fratello.
-Hai
incontrato davvero gli dei nordici?- chiese incredulo Francesco -E
com’era il
martello di Thor? Era forte?
-È
piuttosto piccolo rispetto a quello che ci si
potrebbe aspettare- rispose Chiara -Ma scaglia dei gran fulmini!
-Forte!-
esclamò emozionato il ragazzo e Chiara
rispose a quell’entusiasmo con un sorriso: le era mancato
tantissimo quello
scemo del suo fratellino e poterlo rivedere sembrava un piacere quasi
impossibile, come se le fosse in qualche modo proibito e che presto le
sarebbe
stato di nuovo sottratto.
Dopo
qualche altra domanda che Francesco,
incuriosito e affascinato dalle avventure della sorella, continuava a
porle, la
porta della camera si aprì di nuovo, facendo entrare una
donna sulla
cinquantina, con un lungo camice bianco e i capelli biondi raccolti in
uno
chignon, seguita dai genitori.
-Ciao
Chiara- disse la signora -Sono la dottoressa
Augusti e sono il medico che ti ha tenuto sotto controllo in queste ore.
-Piacere…-
rispose la ragazza, studiando perplessa
la sua interlocutrice.
-Ho
appena dato un’occhiata alle tue analisi e ai
tuoi parametri vitali e ti posso dire che sei sana come pesce, mia
cara, ma
vorrei comunque che ti facessi vedere nei prossimi giorni e, magari,
facessi
una chiacchierata con il dottor Di Stefano, così gli spieghi
un po’ quello che
ti è capitato, che ne dici?
-Mi
faccia indovinare, dottoressa, questo signor Di
Stefano è per caso uno psicologo?
-Veramente
è uno psichiatra, mia cara.
Senza
aggiungere altro, la ragazza si tolse l’ago dal
braccio e il sensore per il battito cardiaco dal dito e si
alzò dal lettino.
-Dove
credi di andare?- domandò sorpresa la
dottoressa.
-Me
ne torno a casa, cara signora,
perché non ho alcuna intenzione di perdere il mio
tempo con chi ha già deciso di sottopormi a
un’inutile terapia perché è troppo
ottuso per capire la veridicità delle mie parole. Non ho alcun disturbo mentale,
né mi sono
inventata quello che ho raccontato per dissimulare un qualche trauma:
quello
che ho detto mi è accaduto veramente e io non
vedrò nessuno psichiatra o
psicologo o chiunque altro!
-È
per il tuo bene, pensa ai tuoi genitori!-
insistette la donna, cercando di riportare a letto la sua paziente.
-I
miei genitori sono già fortunati ad avermi di
nuovo con loro; sono maggiorenne e sono libera di rifiutare la cura, se
ne ho
voglia, quindi datemi dei vestiti e lasciatemi tornare a casa mia.
Ciò
detto, si avvicinò verso un angolo della stanza,
dove giaceva la borsa che i suoi le avevano preparato per la permanenza
in
ospedale, la aprì, ne estrasse degli indumenti ed
entrò nel bagno per
cambiarsi, il tutto sotto lo sguardo attonito dei suoi parenti e del
medico.
Una
volta che si fu chiusa la porta alle spalle, la
ragazza si guardò allo specchio: la fanciulla calma e
allegra di solo un giorno
prima era svanita, al suo posto vi era una sconosciuta dallo sguardo
freddo.
Cercando
di ignorare quel volto che la osservava
attraverso lo specchio, Chiara si lavò alla bell’e
meglio al lavandino dello
stretto bagno e indossò i suoi vecchi abiti, jeans e
maglietta, ritornando ad
essere, in apparenza, la solita studentessa di due mesi prima.
Esalò
un profondo sospiro ed uscì, tornando nella
stanza dove la sua famiglia l’aspettava per il rientro a casa.
Senza
scambiarsi una parola (Chiara poteva immaginare
in che stato si trovassero i suoi genitori in quel momento e non
cercò di
sforzarli a fare conversazione: quando se la sarebbero sentita di
riaffrontare
l’argomento, avrebbero parlato), scesero le scale e si
avviarono all’uscita
dell’ospedale, dove un ragazzo dai capelli scuri e dalla
corporatura robusta,
aspettava ansioso appoggiato al corrimano di metallo.
Chiara,
alla vista del ragazzo, si bloccò, come
pietrificata, finché egli si accorse del loro arrivo e
le corse incontro.
-Marco…-
esordì la ragazza, quando quello le si fu
parato davanti, ma non riuscì ad aggiungere altro
perché Marco l’avvolse in un
abbraccio commosso, sussurrandole felice all’orecchio: -Sei
tornata!
Dopo
un primo momento di rigidità, Chiara rispose
all’abbraccio del fidanzato, stringendolo forte a
sé e respirando a pieni
polmoni il suo profumo così familiare.
Prendendola,
poi, delicatamente per la mano, come se
temesse che potesse andare in frantumi da un momento
all’altro, Marco la
condusse verso la propria auto parcheggiata poco distante
dall’ingresso
dell’ospedale e l’aiutò a salire.
Quando
tutti si furono accomodati all’interno
dell’abitacolo, il ragazzo diede gas e l’auto
uscì dal parcheggio, dirigendosi
verso le campagne senesi sotto al caldo sole di agosto.
Durante
tutto il viaggio, Chiara continuò a pensare
alle parole del re di Asgard e allo sguardo deluso e ferito di Thor,
ma,
soprattutto, si domandò se la guerra tra Asgard e
Âlfheimr avrebbe nuociuto ad
Angnis, a Myria e agli altri bambini del palazzo che aveva conosciuto.
Avrebbe
dato chissà cosa per poter tornare ad Asgard e assicurarsi
che non accadesse
loro del male: si sentiva addosso il peso di quella guerra assurda.
Anche
se sapeva di non esserne responsabile, sentiva
che avrebbe dovuto essere lì per aiutarli. In fondo ora
aveva degli affetti
anche ad Asgard ed erano in pericolo.
Il
tempo, trascorso in mezzo a quei pensieri, volò
in un lampo e presto la macchina imboccò il sentiero
sterrato che conduceva
alla villetta dove Chiara e la sua famiglia vivevano da sempre.
Nulla,
notò la ragazza, era cambiato in quell’abitazione,
tranne forse le piante del giardino, che apparivano meno rigogliose e
curate
del solito.
Ad
attenderli, i nonni di Chiara, padre e madre di
suo padre, stavano sotto al portico, aspettando ansiosamente che
l’auto si
fermasse e permettesse alla loro adorata nipotina di raggiungerli.
Non
appena li vide, la ragazza scese dall’auto e
corse loro incontro, stringendoli poi in un abbraccio ricco
dell’affetto più
profondo e sincero: erano le persone con cui era cresciuta e con cui
aveva
costruito la propria personalità giorno dopo giorno; ai suoi
nonni Chiara
doveva tutti i migliori ricordi della sua infanzia ed erano le due
persone che
più amava al mondo, sicché le strinse a
sé come se potesse svanire di nuovo
lontano da loro in un battito di ciglia.
-Bentornata-
la voce della nonna era rotta
dall’emozione mentre le accarezzava dolcemente i capelli
scompigliati con le
sue mani nodose; suo nonno, invece, non disse niente, ma le sorrise e
ricambiò con
entusiasmo l’abbraccio: non erano necessarie le parole
affinché si capissero,
tra loro due c’era sempre stata un’intesa unica e
speciale, che Chiara non
aveva con nessun’altro.
Quando
la famiglia si fu riunita, si sedettero tutti
assieme nel salotto e, mentre la nonna preparava il the, Chiara
ripeteva il suo
racconto, cercando di spiegare al meglio delle sue capacità
oratorie i fatti
incredibili che le erano capitati nel regno di Asgard.
Cercò
di decifrare le espressioni dei suoi parenti
man mano che gli avvenimenti venivano snocciolati: i suoi genitori
avevano
delle facce preoccupate e continuavano a lanciarsi occhiate eloquenti;
Francesco pendeva dalle sue labbra, osservandola con i suoi grandi
occhi
castani, avido di apprendere tutti i dettagli di
quell’incredibile avventura;
Marco era seduto sulla sedia a fianco del tavolo e appoggiava la testa
sul
pugno chiuso, sembrava incredulo e, notò Chiara, il suo viso
si accigliava ogni
volta che ella parlava del Dio del Tuono; sua nonna la osservava
stringendo tra
le dita la tazza di the fumante e, talvolta, lanciava uno sguardo
preoccupato
in direzione dei suoi genitori. L’unico che sembrava prendere
sul serio il suo
racconto era, come la ragazza si aspettava, suo nonno, il quale,
sorseggiando
lentamente la sua bevanda calda, la osservava interessato e concentrato.
Alla
fine del suo racconto, cadde il silenzio e,
dopo qualche minuto passato senza che nessuno dicesse nulla, Chiara
annunciò
che sarebbe andata nella sua stanza a riposare.
Non
appena ebbe varcato la soglia della sua camera,
si lasciò cadere a peso morto sul letto e si mise a fissare
il soffitto: la sua
memoria volò alle prigioni e alla vana ricerca del suo
lampadario. Ora
quell’oggetto era lì, esattamente dove ci si
aspettava che fosse, ma Chiara
continuava a non sentirsi nel posto giusto, nel luogo dove avrebbe
dovuto
essere in quel momento.
Ad
Asgard, probabilmente, stava già imperversando la
guerra e lei era lì, su un altro pianeta, ad osservare il
soffitto. Aveva
ragione Loki: era solo un’inutile pedina in una scacchiera
troppo, troppo
grande per lei.
Qualcuno
bussò alla porta, interrompendo il filo dei
suoi pensieri, e Chiara andò ad aprire, trovandosi di fronte
suo nonno con
in mano due grosse
tazze colorate.
-Ciao-
disse l’uomo, con un grande sorriso -Ho pensato
che potesse essere il momento giusto per un buon gelato.
-Nocciola
e stracciatella?
-Nocciola
e stracciatella!
-Tu
sì che mi capisci!- disse la ragazza ricambiando
il sorriso e facendolo accomodare sul divanetto vicino alla finestra.
Quando
l’uomo si fu adagiato sui cuscini della
poltrona, disse, porgendo alla nipote una delle due tazze:
-È stata davvero
un’esperienza particolare su Asgard, non è vero?
-Già…-
rispose la ragazza, mettendosi in bocca una
grossa cucchiaiata di gelato -Cosa ne pensi di quello che ho
raccontato?-
aggiunse poi.
-Penso
che tu non ci abbia detto tutto- rispose
quello, guardandola profondamente negli occhi attraverso le spesse
lenti degli
occhiali da vista -Ti conosco da quando sei nata e ti ho vista
crescere, perciò
posso dire di saper capire quando mi nascondi qualcosa. Ho ragione?
Chiara
sorrise e, affondando il cucchiaino nel
gelato, rispose: -Come sempre.
-Allora
cos’è che hai omesso? Qual è il
problema che
ti turba?
A
quel punto a Chiara non rimase che rispiegare, per
filo e per segno, tutta la storia con l’aggiunta di Loki e
delle sue trame:
dall’iniziale tentativo di spaventarla presentandosi a lei
come la sua paura,
al Vincolo Sacro fino alla serie di
accuse con annessa condanna all’esilio.
Quando
la ragazza ebbe terminato, il nonno rimase
per una manciata di secondi in silenzio, valutando attentamente quello
che gli
era stato appena narrato, poi, dopo aver mangiato l’ultima
cucchiaiata di
gelato, disse: -Chiunque sia questo Loki e qualunque cosa egli abbia
combinato
nella sua vita, non posso che essergli grato.
-Cosa
intendi dire?- domandò la ragazza, sorpresa da
quell’affermazione inaspettata.
-Gli
sono grato perché, non appena ha fiutato il
pericolo di una guerra, il suo primo pensiero è stato quello
di metterti in salvo,
di rimandarti a casa dalla tua famiglia. Ha dovuto mettere assieme
tutta quella
messinscena per far sembrare il tuo allontanamento un fatto plausibile,
visto
che fino a quel momento aveva insistito per tenerti ad Asgard, ma il
suo scopo
era portarti al sicuro, dove non avresti corso alcun rischio.
Quell’uomo mi ha
rimandato indietro la mia nipotina e non potrei essergli più
riconoscente.
Chiara
non sapeva cosa dire: non aveva considerato
la cosa sotto quel punto di vista, ma le sembrava piuttosto
inverosimile che
una creatura come Loki potesse interessarsi
all’incolumità di qualcuno
all’infuori di se stesso.
Aprì
bocca per ribattere, quando un’altra voce
femminile alle sue spalle l’anticipò: -I miei
complimenti, nobile vegliardo,
lei è un uomo molto saggio.
Angolo
dell’autrice:
salve a tutte quante e bienvenidas alla fine del capitolo 18! Un
caloroso
abbraccio alla nuova arrivata che ha aggiunto la storia tra le seguite J
Dunque,
eccoci qua: Chiara è stata rispedita piuttosto malamente a
casa, dove deve
confrontarsi con una realtà che fatica ad accettare gli
eventi da lei vissuti.
La sua famiglia e la sua casa erano ciò che la ragazza
desiderava, ma li ha
riavuti in circostanze che non si aspettava ed ora si trova divisa a
metà tra
la tranquillità offertale dalla sua vecchia vita e la
minaccia della guerra che
incombe su chi le è divenuto caro.
Che
ne dite? Il nonnino c’ha visto giusto? O forse Loki voleva
solo liberarsi di
Chiara, magari, già che c’era, dando anche un
dolore a Thor?
E
di chi sarà la voce alle sue spalle? Scommetto che ci siete
già arrivate ;)
Vi
mando un grandissimo abbraccio e vi ringrazio con tutto il cuore per
essere
qui, capitolo dopo capitolo, ad onorare il mio lavoro con la vostra
attenzione
e il vostro interesse.
Un
abbraccione e alla prossima :)
Lady
Realgar
|
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Capitolo 19 *** La speranza che sconfigge l'odio ***
Sul
volto del nonno Chiara lesse un’espressione di
terrore e quella fu sufficiente per capire a chi appartenesse la voce.
-Che
cosa vuoi da me, Jarosit?- domandò.
-Voglio
parlare con voi, Lady Chiara.
-Non
ho alcuna intenzione di parlare con te.
-Sono
desolata, Lady, ma devo insistere.
Ciò
detto la regina degli Elfi Chiari schioccò le
dita e due soldati elfici entrarono nella stanza, stringendo tra le
lunghe mani
rapaci le braccia della madre e della nonna di Chiara, che, piangendo,
chiedevano pietà agli energumeni squamati.
Al
suono dei loro lamenti la ragazza si alzò di
scatto e si voltò, guardando direttamente negli occhi dorati
la sua avversaria:
-Loro non c’entrano nulla- sibilò minacciosa tra i
denti, stringendo i pugni
dalla rabbia fino a conficcarsi le unghie nella carne -Lasciale stare.
-Mi
dispiace dover ricorrere a questi mezzi, Lady,
ma non saprei come attirare la vostra attenzione nel poco tempo che
abbiamo a
disposizione.
-Farò
quello che vorrai, ma lascia stare la mia
famiglia.
-Lieta
di sentirvelo dire, Lady- sorrise la regina,
facendole cenno di avvicinarsi -Questioni molto importanti richiedono
la vostra
presenza e indugiare ulteriormente causerebbe una sciagura nei Nove
Regni.
-Tu
hai cercato di uccidere Odino- rispose Chiara,
avvicinandosi e rivolgendo una carezza rassicurante sul volto di sua
nonna,
mentre questa veniva rilasciata dal militare elfico -Sei la causa delle
sciagure di cui parli. Perché mai avresti bisogno di me?
Odino mi ha bandita e
Thor mi crede una traditrice al tuo soldo, non ho alcun valore per la
casa
reale di Asgard.
-Suvvia,
Lady Chiara- ridacchiò la regina degli Elfi
Chiari -Mi offendete continuando a ripetere il nome di Odino, ben
sapendo che
del Padre di Tutti non vi è nemmeno l’ombra in
tutta questa storia.
-Non
so di cosa stai parlando.
-Dite
di non aver più alcun legame con Asgard eppure
continuate a proteggerne i segreti; magari nella mia corte avessi
un’amica
preziosa come voi, Lady Chiara! Ma ora non c’è
tempo per le chiacchere e devo
chiedervi di seguirmi.
Jarosit
fece un cenno di saluto e sparì oltre la
porta, lasciando ai soldati il compito di condurre la ragazza fuori
dall’abitazione. Prima di uscire dal nido in cui era appena
tornata, Chiara
lanciò un’occhiata alla sua famiglia, non sapendo
cosa fare per rincuorarli:
lei stessa non sapeva se avrebbe avuto di nuovo la fortuna di
rivederli.
Leggeva sulle loro facce l’orrore e la paura per quello che
stava accadendo, ma
come avrebbe potuto biasimarli? Probabilmente la sua espressione quando
si era
svegliata nelle prigioni asgardiane non era stata molto dissimile dalla
loro.
Ammiccò
al fratello minore per salutarlo e
attraversò la soglia della villetta, lasciandosi riscaldare
dagli ultimi raggi
solari del tramonto.
-Allora,
Jarosit- esordì Chiara -Quali mezzi hanno
gli elfi per muoversi per i Nove Regni?
-A
Odino piace tanto credere che l’unico modo per
viaggiare sia il suo sfavillante Bifrost, ma con un po’ di
fantasia e di
ingegno ci si può muovere altrettanto comodamente, anche se
in maniera meno
appariscente. E poi dicono che siamo noi elfi ad essere eccentrici.
Allungò
il braccio affusolato in direzione di uno
dei soldati e quello le porse un sacchetto di stoffa damascata, da cui
la donna
estrasse una manciata di polvere scura e se la fece passare tra le dita.
-Cos’è?
Polvere di stelle?- chiese Chiara, scettica.
-Se
gradite chiamarla così, Lady- rispose la donna,
senza degnarla di uno sguardo e continuando a farsi passare la polvere
tra le
mani -Nella nostra lingua la chiamiamo Røyk Port, la Porta
di Fumo.
Jarosit
trasse un profondo respiro per poi soffiare
via la polvere, che rimase sospesa a mezz’aria lanciando
freddi bagliori ai
raggi obliqui del tramonto; la regina si voltò e, con un
leggero inchino,
disse: -Dopo di voi, Lady.
Incuriosita
da quello strano fenomeno, Chiara si
avvicinò alla polvere e rimase per qualche secondo a
studiarne i singoli
granuli che volteggiavano nell’aria ferma: erano bellissimi
e, in qualche modo,
si sentiva attratta da quell’oscura e ineffabile bellezza,
così, senza
pensarci, allungò la mano e ne toccò un
granellino.
In
un lampo la campagna, la sua casa e il tramonto
che fino a poco prima la circondavano svanirono, lasciando posto a un
clima
caldo e umido, a un giungla di alberi dalla forma bizzarra, ricoperti
da una
strana mucillaggine arancione, e a un ronzio di insetti.
-Oh
cavolo!- sbuffò la ragazza -Speriamo non abbiano
le zanzare giganti nello Âlfheimr.
-Mi
dispiace Lady, ma non capisco a cosa vi
riferiate- rispose la regina, appena apparsa alle sue spalle in
compagnia dei
due soldati.
-Su
Midgard esistono insetti che hanno la fastidiosa
abitudine di succhiare il sangue e lasciare sostanze urticanti
sottopelle. Sono
creaturine che amano gli ambienti caldo-umidi e scommetto che da queste
parti
ne avrete a bizzeffe.
-Non
mi preoccuperei delle creaturine, se fossi in voi,
Lady Chiara.- rispose la regina, anticipandola lungo un sentiero
tracciato
attraverso la fitta vegetazione -L’ambiente del mio regno
può risultare
piuttosto ostile per chi non lo conosce, quindi, per la vostra
incolumità, devo
chiedervi di non allontanarvi dal sentiero e dai miei soldati.
Camminarono
per qualche minuto nel mezzo di quella varietà
che la flora di Âlfheimr offriva, permettendo a Chiara di
ammirare la
complessità delle architetture che quel groviglio di
tronchi, rami, liane,
foglie e fiori multicolore creava sopra le loro teste,
finché non sbucarono in un’immensa
radura. Al centro di essa sorgeva, maestosamente protratto verso il
cielo, un
enorme albero, largo come una cittadina e alto come un grattacielo e
dal fitto
fogliame rosso sangue; tra quei grossi rami si estendevano quelli che
sembravano edifici dalle forme e dimensioni più varie,
collegati tra loro da
una ragnatela lunghi e sottili ponti di legno e corda.
Vennero
accolti da una piccola truppa di soldati,
che scortarono le due donne fino alla base del grosso tronco, dove un
sistema
di piattaforme mobili, carrucole e contrappesi, le condusse fino alla
cima
dell’albero. Durante l’ascesa Chiara non
poté fare a meno di ammirare la
complessa diramazione della città che si estendeva tra i
rami e le foglie color
del sangue: tutt’intorno era un brulicare di elfi che
praticavano le faccende
più disparate, dall’allenamento dei soldati, alla
composizione di brani
musicali in onore della regina, dalle faccende domestiche,
all’artigianato. Era
un ambiente così pieno di vita e di armonia che a Chiara
sembrava assurdo che
potesse essere un nido di freddi e spietati traditori, eppure
l’aveva visto con
i suoi stessi occhi e quella, seppur triste, era una realtà
inconfutabile.
La
piattaforma arrestò la propria ascesa di fronte ad
un’ampia cupola di legno scuro, avvolta da costoloni dorati e
incastonati di
gemme preziose, che scintillavano orgogliosi alla luce del giorno.
Jarosit invitò
la sua ospite a scendere dal piano mobile e, non appena le guardie
ebbero aperto
le porte dell’edificio, la condusse all’interno di
quella che era la sala del
trono di Âlfheimr.
Le
porte si chiusero alle loro spalle, lasciandole
sole e isolate dal resto della vita al di fuori dell’edificio.
-Perché
sono qui?- chiese Chiara, impaziente di
comprendere per quale maledetto motivo, dopo tutto quello che era
capitato,
dopo tutte le difficoltà e i pericoli che aveva dovuto
passare e dopo essere
stata cacciata dalla stessa persona che l’aveva tenuta
prigioniera per due mesi,
era stata di nuovo allontanata dalla sua famiglia. Desiderava solo
mettere la
parola fine a tutta quella storia
e,
per quello che le sarebbe stato possibile, dimenticare.
-Vi
ho portata qui, Lady Chiara- esordì Jarosit
-Perché anch’io, come Loki, voglio capire quello
che sta accadendo nei Nove
Regni e fermarlo.
-Sai
di Loki?- domandò spaventata la ragazza.
-Ovviamente.
Vi siete chiesta come mai vi sia stato
vietato di partecipare alla Festa d’Estate? Loki conosce
molto bene le mie
capacità e sa che possiedo delle conoscenze molto, molto
più approfondite delle
sue nel campo degli incantesimi mentali e della lettura del pensiero.
Egli
sapeva di avere tra le mani qualcosa di grosso e, non avendo ancora
scoperto di
cosa si trattasse e non potendo al contempo esimersi dal portare a
compimento
l’usanza tradizionale, ha tentato di impedirmi di venire a
conoscenza della
vostra presenza, nascondendovi alla mia vista e lanciando un debole e
altrettanto
inutile incantesimo di protezione.
-Come
fai a sapere tutto questo?
-Mia
cara, se il re è il pezzo più importante della
scacchiera, è la regina a determinare la vittoria di una
partita. Quando vi ho
vista in mezzo alla folla, ho percepito i vostri pensieri, i vostri
ricordi e
le vostre paure e tutto mi è stato chiaro. Avevo
già riconosciuto Loki dietro
l’apparenza del legittimo re di Asgard, ma sapevo che doveva
esserci anche
qualcos’altro. E quel qualcosa siete voi.
-È
per questo che hai mandato quel ragazzino a fare
il lavoro sporco? A uccidere Loki? Volevi riportare Odino sul trono?
Jarosit
fulminò la ragazza con i suoi occhi gialli e
rispose, stizzita: -Quello che è accaduto non è
stato opera mia! Agli elfi non
interessa chi è a capo dei regni all’infuori di
Âlfheimr, a noi importa solo
mantenere la pace nel nostro regno e non ci riguarda chi si occupa di
preservarla. Loki non ha mosso battaglia contro il mio popolo e tanto
mi basta
per accettarlo come sovrano di Asgard.
-Ma
qualcuno ha attentato alla sua vita ed era un
elfo chiaro!- insistette Chiara.
Tra
le due donne scese il silenzio e sul volto di
Jarosit, le cui mani erano contratte in pugni serrati, apparve
un’espressione
di dolore.
-Quel
ragazzo era
un elfo chiaro, ora non è altro che un burattino di carne,
un fantoccio senza
più uno spirito.
-Cosa
intendi dire?
-Voglio
dire che una tremenda piaga si sta
estendendo sui Nove Regni e che è partita da coloro che meno
sono in grado di
difendersi dal male. Sto parlando dei bambini- continuò la
regina, notando
l’incomprensione della ragazza -Sono stati loro le prime
vittime, ma lui sta
diventando sempre più forte e ben presto riuscirà
a governare anche un corpo
adulto e allora fermarlo sarà pressoché
impossibile.
-Io
non capisco…- ammise Chiara.
-È
un essere spietato e perverso, capace di creare
la propria tana all’interno dell’animo di altri
esseri, nutrendosi della loro
volontà e governandoli come pupazzi senza vita. Pensavamo
che fosse stato
sconfitto quando Odino l’aveva fronteggiato in battaglia,
duemila anni fa; a
quei tempi regnava mia madre e lei stessa aveva condotto le truppe
contro il
suo esercito di mostri senz’anima. All’epoca ero
solo una bambina, ma ancora
ricordo le atrocità che quell’orrore ha compiuto;
poi finalmente un giorno giunse
la notizia che Phoneus era stato sconfitto. Eravamo salvi e
l’alleanza tra
Asgard e Âlfheimr venne benedetta da quella pace appena
conquistata. Dopo
duemila anni, Phoneus è tornato e… ha preso mia
figlia!
Chiara
vide la regina piegarsi su se stessa e cadere
in ginocchio sul pavimento, sconvolta dai forti singhiozzi e dalle
lacrime che
le scendevano copiose sul viso.
Istintivamente
le si avvicinò e le pose
delicatamente una mano sulla spalla: non sapeva cosa fare. Doveva
crederle?
Oppure era solo una recita costruita su misura per lei, per ingannarla?
-La
mia piccola Orpimen- continuò a singhiozzare la
regina -È stata tra i primi a sparire, poi, uno ad uno,
centinaia di altri
bambini sono scomparsi. Anche la prima volta che Phoneus aveva fatto la
sua
comparsa erano stati rapiti dei bambini, povere creature: sono
più facili da
controllare e per questo quel mostro comincia da loro. Ora teniamo gli
ultimi
rimasti qui a palazzo, osservati giorno e notte dalle guardie, ma degli
altri
solo le Norne sanno cosa ne è stato! La mia
Orpimen…
Le
lacrime continuavano a scendere copiose dai
grandi occhi dorati della regina, ridotti ora a globi arrossati e privi
della
loro luce, mentre la voce era spezzata dai singhiozzi. Il cuore della
ragazza
si contrasse di pietà.
-La
Festa d’Estate doveva essere l’occasione per
chiedere soccorso a Odino e illuminarlo riguardo ai nostri sospetti, ma
quando
vidi che ad accogliermi non vi era lui, bensì lo Jotun
rinnegato, le mie
speranze svanirono e alla prima occasione andai alla ricerca del vero
sovrano,
ma venni a sapere dell’attentato e io e la mia corte dovemmo
fuggire, per
evitare di venire massacrati dal popolo di Asgard; ma c’eri
tu e questo mi ha
donato nuova fiducia.
-Cosa
c’entro io?- domandò Chiara, ma quella non
disse nulla; la regina la guardò in volto e le
toccò la fronte con la punta
delle dita.
In
un attimo l’immagine di Jarosit svanì dal suo
campo visivo, per lasciare il
posto a un ambiente scuro e stretto, in cui erano stipate un centinaio
di
persone di diversa età ed etnia. La ragazza, sconvolta e
disorientata, sentì la
paura crescerle in
corpo, per
trasformarsi in puro terrore quando una fredda e spessa catena di ferro
le si
avvolse come un serpente intorno alle caviglie e ai polsi,
immobilizzandola a
ridosso di una parete di dura roccia. Intorno a lei, anche gli altri
stavano
subendo lo stesso trattamento, molti piangevano, altri invocavano aiuto
in una
Babele di lingue differenti; per quanto riguardava Chiara, era
paralizzata per
la paura e dalla sua bocca non riuscì ad uscire alcun suono.
All’improvviso una
porta si aprì, lasciando entrare nella stanza un fascio di
luce che le bruciò
gli occhi per qualche secondo, ma quando le pupille si furono adattate
alla
nuova condizione luminosa, la silhouette di una creatura spaventosa si
delineò
nel chiarore della luce.
-Iniziamo
con il primo- sibilò l’essere attraverso le fauci
sbavanti.
Un
uomo in fondo alla parete urlò, mentre un tentacolo lo
afferrava per la gola;
un pungiglione, simile a quello di uno scorpione, emerse
dall’esoscheletro
della creatura e si conficcò nella
nuca
del poveretto.
L’uomo
strabuzzò gli occhi e dalla bocca iniziò ad
uscire una schiumosa bava rossa,
che iniziò a colargli sul collo, mentre la pelle assumeva
una tonalità sempre
più scura, fino a diventare violacea. Il malcapitato divenne
preda di un forte
attacco epilettico, che lo scosse fino all’ultimo, pesante
sospiro; poi non
mosse più un muscolo.
La
creatura sollevò l’uomo, ormai privo di vita, e lo
studiò attentamente per
qualche secondo, poi, insoddisfatto, lo scagliò contro la
parete,
fracassandogli il cranio su una roccia appuntita, e lo
lasciò lì, come una
bambola rotta con cui il mostro non aveva più intenzione di
giocare.
La
seconda vittima fu una donna anziana, che cercò di
difendersi sferrando pugni a
destra e a sinistra, ma, nonostante la sua coraggiosa resistenza,
subì lo
stesso trattamento del primo.
Quel
supplizio andò avanti, cogliendo uno ad uno tutti i
prigionieri dentro la
stanza e sottoponendoli alla stessa iniezione dietro la testa. Fu
un’ecatombe e
per tutto il tempo Chiara pianse impotente e in silenzio,
finché non venne il
suo turno: sentì il tentacolo avvolgersi attorno al suo
collo, stretto fino
quasi a strangolarla, e la punta del pungiglione entrare tra il cranio
e la
prima vertebra della spina dorsale. Un tremendo bruciore si diffuse
nella sua
testa quando il mostro iniettò il veleno e già si
preparava all’attacco epilettico, quando sentì,
inaspettatamente, il dolore
scemare progressivamente, fino a sparire del tutto.
Rimasero
lì, lei e il mostro, gli occhi dell’uno
nell’anima dell’altra, per una manciata
di secondi, poi un sorriso crudele sorse sulla bocca della creatura,
che
lentamente depose Chiara al suolo e rimase in attesa, gli occhi gialli
carichi
di aspettative.
Il
tempo passava e il sorriso del mostro iniziò a mutare forma,
sostituito da un
ringhio minaccioso e da uno spaventoso schioccare di fauci. Le gambe di
Chiara
iniziarono a tremare: era scampata alla morte, ma ora un nuovo pericolo
si stava
minacciosamente avvicinando! Non sapeva cosa fare e il panico stava per
prenderla, quando nella stanza sentì rimbombare eterea una
voce, calda e
rassicurante, che le suggerì tranquilla: -Scappa.
E
così fece; si lanciò in direzione della porta,
evitando per un soffio il
pungiglione del mostro, e lasciò che la luce oltre la soglia
della stanza la
avvolgesse. Non riusciva più a distinguere le forme,
né un suono arrivò alle
sue orecchie, ma percepì distintamente il tocco freddo del
vento sulla pelle
della braccia e del viso, poi i vestiti le si appiccicarono addosso e
per un
attimo il respiro le mancò, mentre sulla lingua
percepì un forte sapore di
sale.
Si
ritrovò sul pavimento della sala reale in
lacrime, trattenendosi dal vomitare di fronte alla regina, che,
ripresasi dal
suo momento di debolezza, la osservava compassionevole
dall’alto della sua
statura.
-Che
cos’era quello?- domandò la ragazza, cercando
di controllare gli spasmi del pianto.
-Lo
sapete bene, Lady.
Era
vero: Chiara sapeva quello che aveva appena
visto, ma non riusciva nella propria coscienza a riconoscerlo.
-Come
posso accettare- urlò la ragazza fuori di sé
-Di essere stata l’unica, tra tutte quelle persone, a
salvarsi? Che diritto ne
avevo io? Perché io sono scappata e loro no? Cosa mi rende
degna di
sopravvivere rispetto alle donne e agli uomini che erano lì
con me? Avrei
dovuto morire con loro!
-Non
dite così, Lady- la esortò la regina, avvolgendo
le sue dita affusolate sulla
spalla della ragazza, ma quella la scacciò e si
alzò da terra, asciugandosi le
lacrime con il dorso della mano.
-Voi
portate la speranza- riprese Jarosit -La vostra
razza è debole e non riesce ad accogliere il veleno di
Phoneus, per questo quel
mostro stava facendo dei tentativi su alcuni di voi. Egli mira a
infettare i
Nove Regni con la sua stirpe immonda, ma ha bisogno di seguaci, di altre
creature
che possano diffondere la sua malattia; evidentemente egli stava
progettando di
invadere Midgard quando vi ha presa, ma voi non solo avete resistito al
suo
veleno, ma vi siete opposta anche al suo controllo. Voi, un esserino
così
piccolo e fragile, vi siete opposta alla forza un mostro millenario!
Non
riuscite a capire quale importanza avete in questa partita? Voi siete
la
speranza, la pace che sconfigge l’odio, e la portate con voi
ovunque andiate,
ovunque indirizzate i vostri passi. Vi ricordate del vostro salvatore
nelle
prigioni di Asgard?
-Ma
come…-
-L’ho
visto nella vostra memoria, quella sera alla
Festa, ho visto il suo volto e le sue ultime gesta: voi
l’avete portato a riscattare
il suo nome alla fine della sua vita.
-Qual era
il suo nome?- domandò la ragazza in un
filo di voce.
-Egli
era conosciuto come Reicknar il Crudele, un
mercenario spietato, e anche qui a Âlfheimr abbiamo avuto
occasione di
verificare la veridicità del suo soprannome, ma in voi ha
visto qualcosa di
grande per il quale ha accettato di morire. Allo stesso modo per Loki.
Chiara
sentì il viso bruciarle al suono di quel
nome: cosa c’entrava lui? Loki l’aveva lasciata in
vita solo per indagare la
sua memoria, come si potevano paragonare due situazioni così
dissimili?
-Io
non sono nulla di tutto questo- sibilò la
ragazza -Io non redimo la gente, non ho poteri taumaturgici,
né posso sperare
di cambiare qualcosa di immutabile come un cuore di pietra. Hai
commesso un
errore Jarosit, mi dispiace, ma ti ringrazio di avermi detto il nome
del mio
salvatore: almeno così potrò associare a
un’identità il volto di colui a cui
devo la vita.
-Voi non
capite, Lady Chiara…- esordì la regina, ma venne
interrotta dalle urla ragazza:
-No, sei tu che non capisci!
Poi
un boato e una forte luce spaventosamente
familiari entrarono nella stanza: -Asgard ci attacca-
esclamò Jarosit,
dirigendosi verso una rastrelliera addossata al muro ed estraendone una
lunga
scimitarra -Ma noi siamo pronti.
Angolo
dell’autrice:
salve salve a tutte e ben trovate!
Eccoci qui, anche questo week-end, a raccogliere i pezzetti del puzzle
e
cercare di capire che accidenti è capitato alla povera
Chiara J
Viene
introdotto un nuovo personaggio: il vero villain
della storia, che ne pensate?
Francamente io devo ancora capire se questo capitolo mi piace oppure
no, ma
spero che almeno da parte vostra sia stato gradito.
La
guerra tra i due regni si avvicina pericolosamente,
mentre la minaccia di Phoneus grava implacabile sui Nove Regni. Che
cosa succederà?
Cosa accadrà ai nostri personaggi?
L’ultima
volta mi sono dimenticata di spiegarvi un
po’ la scelta dei nomi negli ultimi due capitoli: Heilagt
Skuldabréf e Røyk
Port sono termini islandesi (visto che la mitologia da cui provengono i
personaggi principali ha avuto origine lì), mentre Phoneus
è greco e significa
“assassino” (così come Thanos deriva da
Thanaos, ossia “morte”). Sono solo
piccole precisazioni che, forse, renderanno la vostra lettura un
po’ più
piacevole ^-^
Ad
ogni modo, vi ringrazio calorosamente per il vostro
tempo e spero di avervi fatto passare una mezzoretta del vostro tempo
libero in
serenità.
Se
vorrete lasciare un commento farete di me l’autrice
più felice del mondo e sarò lieta di rispondervi
^-^
Un
abbraccio e alla prossima J
Lady
Realgar
|
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Capitolo 20 *** E guerra fu ***
Chiara
si lanciò in direzione della finestra e
osservò la radura sotto il grande albero:
tutt’intorno era uno scintillio di
armature dorate e spade sguainate. Di fronte al plotone di guerrieri
asgardiani
piazzati in assetto da battaglia, Odino, a cavallo di un mastodontico
equino a
otto zampe, guidava l’armata, affiancato dal Dio del Tuono,
dai Tre Guerrieri e
da Sif.
-Organizzate
le truppe e richiamate i guerrieri dalle
città nelle foreste!- ordinò Jarosit alle guardie
piazzate all’ingresso della
sala del trono -Non dobbiamo farci trovare impreparati. Chiamate i
consiglieri
e fatemeli trovare sul campo di battaglia, io li precederò.
-Cos’hai
intenzione di fare?- domandò Chiara, anticipando
la regina sulla porta, piazzandosi sulla soglia e bloccando
l’uscita.
-Per
il momento cercherò di passare per la via della
diplomazia, ma credo che Loki sia già passato alla fase
successiva o non
avrebbe scomodato il suo esercito. Maledetti guerrafondai megalomani!
-Voglio
venire con te- disse Chiara, afferrando il
braccio della regina -Devo fare qualcosa!
-Non
è adeguato, Lady Chiara- rispose la donna,
sfuggendo alla presa della ragazza -In questo momento Loki vi crede al
sicuro
su Midgard, se si accorgesse della vostra presenza la
guerra scoppierebbe in un lampo.
-Lui
ha creato una sorta di legame psichico, o
quello che è, tra noi due, è in grado di
percepire dove mi trovo. L’ha detto
lui stesso. Saprà sicuramente che sono qui.-
ribatté Chiara, in tono di sfida.
-Non
se qualcuno deviasse il legame, bloccandolo
temporaneamente e dirottandolo sul vostro pianeta per ingannare il Dio
degli
Inganni, Lady. Ve l’ho detto: è la regina che
decide le sorti della partita. Vi
chiedo di rimanere qui per la vostra incolumità e non
cercate di scappare: qui
non siamo ad Asgard, la sorveglianza funziona molto bene e gli accessi
alla
sala sono tutti controllati dalle mie guardie personali. Abbiate
fiducia, Lady,
arriverà il vostro momento.
Ciò
detto la regina uscì dalla sala del trono e
ordinò ai soldati di bloccare le porte, poi salì
sul piano mobile e iniziò la
sua discesa, spada sguainata e saldamente impugnata nella mano sinistra.
Chiara
si lanciò alla finestra e vide dopo pochi
minuti Jarosit su un destriero avvicinarsi a gran galoppo in direzione
di
Odino, che l’accolse alzando Gungnir al cielo, poi i due si
avvicinarono e
iniziarono a conversare. Chiara avrebbe dato qualunque cosa per poterli
sentire
e appoggiò il ginocchio sul davanzale, pronta a scavalcarlo
e a fuggire, ma un
energumeno armato di lancia le si piazzò davanti,
ostacolandole l’uscita.
-Senti
un po’ razza di armadio, sono stufa di fare
la reclusa per tutti i Nove Regni! Là sotto sta per
scoppiare una guerra e io
devo fare qualcosa per impedirlo. Fammi passare e lasciami dare una
mano!
-Non
posso, Lady, ordini della matriarca- rispose
quello impassibile.
A
quel punto la ragazza
si allontanò dalla finestra, imprecando tra i denti, e si
mise a studiare le
armi appese alla rastrelliera: tra essi c’era un piccolo
coltello dalla lama
leggermente curva e con l’impugnatura in avorio; lo prese e
se lo rigirò tra le
mani, affascinata dalla bellezza pericolosa di quell’oggetto.
Erano
giunti nello Âlfheimr e un intenso profumo
dolciastro gli arrivò nelle narici attraverso
l’aria calda e umida; Thor si
ricordava molto bene la prima volta che vi aveva messo piede e della
meraviglia
che aveva provato di fronte a quella cultura così diversa
dalla propria, a quei
riti così misteriosi e antichi e a quegli ambienti
così selvaggi e fieri, ma
anche dell’enorme paura quando suo fratello si era
avventurato da solo nella
foresta per provare che anche lui poteva essere un vero guerriero
asgardiano.
L’aveva cercato per ore, finché Padre e Madre non
si erano accorti della loro
assenza: prima avevano trovato il primogenito, che vagava in una palude
impantanato di fango e mucillaggine fino ai gomiti, poi, al calare
della sera,
avevano scoperto in una grotta anche Loki, che aveva raccolto della
frutta e
cercava di accendere un fuoco con dei rametti secchi.
-Va
tutto bene?- gli chiese premurosamente Sif,
scudo e spada sguainata, al suo fianco.
-Sì
sto bene- rispose il principe, scrollando il
capo per allontanare dalla mente quel ricordo. Doveva concentrarsi: suo
Padre
aveva ordinato l’offensiva contro gli Elfi Chiari e gli aveva
dato il comando
di gran parte delle truppe; era una grande responsabilità e
doveva dimostrarsi
all’altezza della situazione.
-Mi
dispiace per la tua amica, Thor- gli disse
Fandral in un sussurro -È riuscita a ingannare anche me.
Perché
continuavano a consolarlo? Aveva una faccia
così sconvolta?
-A
me dispiace solo di non essermene accorto prima:
avrei potuto risparmiare a mio padre un brutto quarto d’ora.
“Sei
sempre il solito ingenuo, Thor!” si ripeté per
l’ennesima volta il principe di Asgard, con lo stesso tono
scorbutico che il
fratello era solito usare per rimproverarlo. Avrebbe dovuto capirlo sin
dal
primo momento, ma la sua inettitudine aveva quasi portato suo padre
alla tomba
e non poteva perdonarselo. Avrebbe dato il massimo in quella battaglia
per
scusarsi con lui, per dimostrare che era all’altezza della
sua fiducia e di
quella del suo popolo. Lui era il protettore di Asgard e come tale si
sarebbe
comportato.
-Sta
arrivando qualcuno- sentenziò Hogun, indicando
con il dito un punto vicino alla base dell’Albero.
Ben
presto fu visibile la forma di un cavallo, con in
groppa la sottile figura di un cavaliere, che arrivava a gran
velocità verso di
loro.
-È
Jarosit, senza dubbio- disse Odino, innalzando
nervosamente la sua lancia e sistemandosi più comodamente
sulla sella di
Sleipnir, che scalpitava impaziente di andare alla carica -Che
impudenza da
parte sua, presentarsi al mio cospetto da sola dopo aver ordinato la
mia morte.
-Salute,
nobile Odino- esordì la regina non appena
fu giunta al cospetto del sovrano asgardiano e del suo esercito.
-Con
che coraggio mi augurate la salute, quando tu
stessa hai cercato di uccidermi?- ringhiò il dio, puntandole
contro l’indice
accusatorio.
-Se
le mie parole, dopo anni di fedele e amichevole
alleanza, hanno ancora suono alle vostre orecchie, nobile Odino,
ascoltatele
bene: io non sono coinvolta nell’increscioso avvenimento
della sera della Festa
d’Estate.
-Eppure
hai coinvolto una ragazza midgardiana per
favorire il tuo piano e proteggere il tuo sicario, Jarosit!- la
interruppe
bruscamente Thor, stringendo Mjolnir nella mano callosa.
-Io
non ho ingaggiato alcuna ragazza midgardiana, ma
sono lieta di apprendere che abbia salvato la vita di uno dei miei
sudditi,
nonostante il deplorevole atto compiuto.
-Allora
ammette che il sicario fosse uno dei
vostri?- domandò il sovrano, mentre alle loro spalle i
soldati iniziavano a
borbottare tra loro; qualcuno lanciò degli insulti alla
regina.
-Purtroppo
Âlfheimr è stato vittima di una serie di
eventi preoccupanti, di cui avrei voluto discutere con voi durante la
festa, ma
non mi siete sembrato voi stesso in
quel momento e ho preferito rimandare.
A
quelle parole, Odino si irrigidì e Thor, notando
la difficoltà del padre, si intromise nuovamente nella
discussione: -Direi che hai
trovato altro modo per risolvere il vostri problemi!
-Voi
già mi condannate colpevole, principe- rispose
la regina squadrandolo da capo a piede -Accettate un consiglio da chi
già porta
sulle proprie spalle il peso di un regno: non fidatevi solamente di
quello che
gli occhi possono vedere, ma andate a cercare anche sotto
l’apparenza e alle
illusioni delle cose. Coloro che vi sono vicino possono rivelarsi
velenosi
serpi nel vostro seno, mentre chi allontanate potrebbe essere animato
delle
migliori intenzioni. Siate accorto principe Thor.
-Non
intendiamo subire ulteriori offese, Jarosit-
disse Odino, trattenendo per le redini Sleipnir, che innervosito
sbuffava e
scalpitava, battendo i suoi otto zoccoli sul terreno erboso -Ammetti la
tua
colpa e arrendetevi, altrimenti preparatevi alla battaglia.
-Nessuna
offesa vi è mai stata recata da parte mia,
ma se è la guerra quello a cui ambite, la guerra avrete.
Venderemo cara la
nostra pelle e non lasceremo che Âlfheimr diventi una colonia
di Asgard. Non
oggi, né mai!
Sottolineò
l’ultima frase alzando la scimitarra al
cielo e, lanciando un grido di guerra, girò il cavallo e
ritornò al galoppo
verso l’Albero.
-Preparate
le postazioni di attacco- urlò Odino ai
suoi soldati -Voglio delle formazioni compatte e uno squadrone pronto a
dare la
carica sulla pianura. Tenete alti gli scudi per proteggervi dalle
frecce! Siamo
in una postazione sfavorevole all’interno della radura:
rinforzi del nemico
potrebbero arrivare dalle foreste, ma abbiamo il fulmine dalla nostra
parte.
Thor- disse i sovrano rivolgendosi al principe -Desidero che tu ti
ponga in
alto e conquisti la postazione più alta
dell’Albero, il tuo compito sarà
scagliare saette contro la foresta, laddove riconosci la presenza di
arcieri e
soldati nascosti nella vegetazione. Difendi la tua postazione e cerca
di
impadronirti dell’Albero, se conquistiamo il cuore del regno,
conquistiamo
anche il suo popolo. I Tre Guerrieri ti daranno man forte dal basso,
mentre io
condurrò lo scontro sul campo con l’esercito di
Jarosit, tenendola impegnata
qua sotto. È tutto chiaro?
-Sì,
Padre- tuonò il principe, risoluto, lanciando
poi sguardi di complicità ai compagni.
-Maestà-
si intromise Sif, avvicinandosi al sovrano
-Permettetemi di partecipare all’assalto
dell’Albero!
-La
tua devozione è commovente, Sif- rispose Odino
con un sorriso paterno -Ma l’abilità della tua
spada è richiesta qui sul campo
di battaglia: ho bisogno di qualcuno di fidato che mi guardi le spalle.
-Sarò
la vostra ombra, mio re- rispose quella,
battendosi il petto con il pugno chiuso.
-Brava
ragazza. Avanti, soldati, ognuno nella
propria postazione di attacco, Jarosit starà già
preparando il suo esercito
alla battaglia, cerchiamo di non darle troppo vantaggio. Voi- aggiunse
poi,
indicando un gruppo di giovani reclute -Preparate dei fuochi e tenete
pronti i
barili di olio che abbiamo portato: che la foresta diventi
l’inferno dei nostri
nemici!
Il
momento si stava avvicinando e Thor percepiva la
tensione che serpeggiava tra i suoi soldati, ma come poteva biasimarli?
Lui
stesso, che aveva sempre trovato divertente battersi, quel giorno era
angosciato al pensiero di affrontare gli Elfi Chiari: famosi per la
loro
abilità bellica, non solo conoscevano perfettamente il loro
territorio, ma
erano anche guidati da un capo sveglio e impavido come Jarosit; senza
contare
che, da quando se lo ricordava, erano sempre stati forti alleati di
Asgard ed
era già capitato che lui e la regina combattessero fianco a
fianco.
Jarosit
era pericolosa, ma loro erano arrivati
preparati: Odino sapeva che il primo corso d’acqua era a
parecchie miglia
dall’Albero e aveva portato grandi quantità di
olio per lanterne, pronto per
essere sparso nella foresta e intrappolare gli avversari nella loro
stessa
dimora. Era un piano crudele, ma ben congegnato e in guerra, aveva
imparato il
principe, bisognava saper rispondere all’attacco del nemico e
il fuoco sarebbe
stata la loro contromossa al veleno delle loro lame.
Aveva
avuto modo, una volta, di assistere da vicino
agli effetti di quel veleno portentoso e il pensiero di poterlo avere
in corpo
lo fece rabbrividire.
Odino
aveva pensato anche a quell’inconveniente e
aveva fatto avvolgere, sotto all’armatura, ogni soldato con
numerosi strati di
lino, sfruttando la resistenza del tessuto a favore delle sue reclute.
-Gli
Elfi si stanno radunando- fece notare Fandral,
mentre alle loro spalle i soldati avevano assunto la formazione
d’attacco.
-Approfittate
della confusione della mischia per
avvicinarvi all’Albero- disse Thor ai suoi amici -Io
cercherò di aprirvi la
strada.
-Sta
attento alle frecce!- lo avvisò Sif -Mentre
sarai in volo sarai più vulnerabile, devi essere
più veloce di loro.
-Non
temere, Sif.- le rispose il Dio del Tuono, poi,
afferrandola per il braccio e avvicinandola a sé, aggiunse:
-Sta attenta a mio
padre, te ne prego. Il Sonno di Odino potrebbe essere alle porte ed
è da giorni
che lo vedo affaticato.
La
guerriera annuì con il capo e indirizzò il suo
cavallo verso il suo sovrano, mentre Thor scendeva dal proprio e lo
affidava a
una giovanissima recluta.
-Quanti
anni hai, ragazzo?- chiese al soldato.
-Ne
ho quindici, signore- rispose quello, gonfiando
il petto sotto l’armatura per sembrare più grosso.
Thor
si massaggiò la sella del naso con le dita,
imprecando tra i denti, poi disse: -Prendi il mio cavallo e cerca di
stare
vicino a Lady Sif, è forte e se sarai in
difficoltà ti darà una mano.
-Mio
signore, sono stato addestrato alla guerra,
sono in grado di difendermi e di dare la vita per il mio re- rispose il
soldato, quasi offeso dalla mancanza di fiducia del suo principe.
-Il
mio è un ordine, soldato, e non sono disposto ad
accettare lamentele.
Un
lampo di rabbia balenò negli occhi del dio, terrorizzando
il ragazzo, che senza proferire verbo annuì con il capo e
saltò in sella al destriero,
per poi indirizzare l’animale dove gli era stato ordinato.
“Razza
di idiota” pensò il principe, stringendo la
mascella “Li reclutano sempre più giovani,
maledizione.”
-Thor- lo
richiamò il Padre di Tutti -Preparati a decollare,
l’esercito di Jarosit è in
posizione.
Il
principe si voltò e lo vide, l’allineamento
nemico: la fanteria era in posizione e, non ne dubitava, gli arcieri
erano
nascosti dietro di essa, pronti ad anticiparli nella carica con le loro
frecce
dalle cuspidi avvelenate. Davanti a loro, in prima linea a cavallo del
suo
stallone nero, Jarosit incitava le truppe, lanciando grida di guerra e
fendendo
l’aria con la sua scimitarra.
Poi
un suono di corno si propagò nel vento e gli
elfi iniziarono la loro corsa; -Carica!- urlò il Padre degli
Dei, spronando
Sleipnir e lanciandosi contro l’esercito nemico, seguito
dalla cavalleria e
dalla fanteria.
-Sei
pronto?- gli chiese Fandral, con il suo solito
sorriso fintamente disinvolto che sfoggiava all’inizio di
ogni battaglia.
-Sono
nato pronto- gli rispose di rimando il
principe ammiccandogli.
-Insieme
fino alla morte- sussurrò Volstagg,
stringendo la mazza tra le mani.
-Insieme
anche dopo- rispose Hogun e i quattro
uomini partirono all’assalto.
Thor
fece roteare il martello e si sollevò in volo,
anticipando i Tre Guerrieri e abbattendo ogni elfo che si trovasse
lungo il suo
cammino, aprendo così un varco nell’esercito
nemico in cui i suoi amici
poterono passare al galoppo sui loro destrieri.
Chiara
aveva visto Jarosit tornare a gran galoppo verso
il palazzo e urlare ordini a destra e a manca, comandando di mettere al
sicuro
donne e bambini, di radunare le truppe e di preparare le armi. Non ci
voleva un
genio per capire che la
diplomazia non
aveva portato da nessuna parte.
Aveva
visto molti elfi dirigersi verso le foreste e
nascondersi tra la vegetazione, mentre altri, molto più
numerosi, si radunavano
ai piedi dell’Albero, armati dalla testa ai piedi di daghe,
spade lunghe, archi
e frecce.
Dall’altra
parte della radura l’esercito di Asgard
si stava preparando a sua volta: Chiara poteva vedere i diversi
squadroni
organizzarsi in unità compatte, la fanteria davanti, la
cavalleria ai lati e
gli arcieri (molto meno numerosi rispetto a quelli elfici) in fondo. La
ragazza
notò anche diverse piccole truppe dividersi lungo il confine
con la foresta,
trasportando degli oggetti tondeggianti che non riuscì a
distinguere a quella
distanza.
La
battaglia sarebbe scoppiata di lì a poco e lei
non poteva rimanere lì a guardare; strinse forte il coltello
nella mano e si
diresse in un angolo della sala, diametralmente opposto
all’ingresso, e si mise
a colpire il legno della parete attorno a un nodo con la piccola lama
ricurva.
Sarebbe
uscita da lì a qualunque costo e avrebbe
cercato di fermarli, in qualche modo.
La
parete era spessa e il legno maledettamente duro
e, anche in un punto fragile come quello che stava colpendo, sembrava
che la
lama non scalfisse minimamente la superficie.
Alle
orecchie le arrivò improvviso il suono del
corno, poi le urla dei soldati: avevano cominciato.
Doveva
sbrigarsi, doveva uscire e trovare Loki;
parlargli, raccontargli quello che aveva visto e fermare quella follia,
ma si
sarebbe fidato di lei? E lei avrebbe dovuto fidarsi del Dio degli
Inganni? Non
aveva scelta: Thor la credeva una voltafaccia e non avrebbe ascoltato
le sue
parole, inoltre non sapeva niente del blocco della sua memoria. Se
c’era
qualcuno che poteva capire, in quel momento, era Loki e lei doveva
raggiungerlo.
Diede
un altro colpo alla parete, ma non la intaccò
minimamente, allora si mise l’arma in tasca e corse verso la
rastrelliera, dove
vi era appesa una daga dalla lama spessa e robusta;
l’afferrò e si avventò di
nuovo sulla parete, cercando di non fare troppo rumore. Finalmente,
dopo
diversi tentativi, il legno iniziò a cedere e la ragazza
riuscì a estrarre il
nodo dalla sede, aprendosi uno spiraglio verso l’esterno.
Iniziò così a colpire
le pareti intorno al vuoto del nodo, allargando sempre di
più il buco, finché
non riuscì a farci passare un braccio intero.
Un
nuovo rumore le arrivò alle orecchie, come il
fischio di qualcosa che si muove velocemente nell’aria, poi
il rombo di un
tuono.
“Thor!”
Abbandonò
il buco nel muro e corse immediatamente
alla finestra per osservare l’accaduto: i soldati che prima
sorvegliavano
l’uscita erano al suolo, tramortiti, e il Dio del Tuono stava
combattendo con
altri guerrieri elfici a colpi di Mjolnir.
Ad
un tratto il dio alzò il martello e scagliò una
serie di fulmini che costrinse i soldati a ritirarsi momentaneamente,
lasciandogli il tempo di sollevarsi sopra l’Albero e
controllare l’andamento
della battaglia.
Chiara
corse verso le porte e tentò di aprirle, ma
quelle, nonostante tirasse e spingesse con tutte le sue forze, non si
mossero
di un millimetro: erano state chiuse dall’esterno.
-Maledizione!-
urlò la ragazza colpendo
violentemente la porta con un pugno. Le fece male, ma non ci
badò: sotto di lei
stava infuriando una guerra stupida e assurda, che lei avrebbe potuto
fermare,
e l’unica cosa che le impediva di riuscirvi era una porta
chiusa.
Aveva
bisogno di parlare con Loki, lui doveva sapere
quello che stava succedendo e il rischio che incombeva su tutti loro e
una
stupida, maledetta porta le impediva di raggiungerlo.
-THOR!-
urlò la ragazza con quanto fiato aveva in
corpo -THOR!- ripeté, battendo i pugni sul legno.
Non
l’avrebbe sentita, lo sapeva: i rumori della
battaglia, le urla dei soldati, e lo sferragliare delle lame erano
troppo forti
e coprivano la sua voce.
Per
un attimo nella sua mente si materializzò
l’immagine del principe trafitto da una freccia elfica,
riverso sui rami
dell’Albero, aggiungendo al rosso delle foglie il rosso del
suo sangue.
Entrò
nel panico: non poteva essere, non poteva
accadere! Continuò a battere i pugni sulla porta, sempre
più forte, sempre più disperatamente;
se il Dio del Tuono fosse morto in quella battaglia Chiara non se lo
sarebbe
mai perdonata.
Lo
chiamò di nuovo e già la voce cominciava ad
abbandonarla, finché, affranta dalla mancanza di una
risposta, non si
rannicchiò in se stessa, singhiozzando. Si sentì
debole e impotente; era stanca
di quella storia, era stanca di venire coinvolta in trame
più grandi e
complicate di lei, era stanca di aver paura, era stanca di perdere i
suoi cari.
Poi
accadde l’insperato: il meccanismo di chiusura
dall’altra parte del legno scattò e la porta venne
aperta, mostrando il Dio del
Tuono in tutta la sua possanza.
Thor
aprì la porta della sala del trono, pur sapendo
che quello non fosse il momento più adatto per distrarsi
dalla battaglia, ma
non poteva ignorare quello che aveva sentito: una voce lo aveva
chiamato e
proveniva proprio da quella stanza.
In
un primo momento non vide nessuno, la sala
appariva completamente deserta, ma allora perché aveva
dovuto combattere con
sei soldati che vi facevano la guardia? Che senso avrebbe avuto
sorvegliare una
stanza vuota?
Poi
un rumore di singhiozzi arrivò al suo orecchio e
a fianco della porta vide una minuta figura rannicchiata.
Sentì lo stomaco
stringersi in un nodo: -Chiara?- chiese esitante.
La
ragazza alzò il capo, gli occhi rossi e lucidi di
lacrime, lo vide e sorrise, un sorriso sollevato e amichevole che
contribuì a
fomentare la sensazione di disagio che gli stava crescendo in corpo.
-Cosa
ci fai qui? Dovresti essere su Midgard!-
sentenziò brusco, troppo brusco, ma vedere quella ragazza
era come spargere
sale su una ferita appena aperta.
-Mi
hanno costretta a venire qui- rispose la
ragazza, alzandosi da terra e strofinandosi gli occhi.
-Avevano
ancora bisogno dei tuoi servigi?- domandò
aspro il principe -Di cosa ti hanno incaricata questa volta?
-Non
ho mai lavorato per loro, Thor- rispose Chiara
-Ti prego, devi credermi!
Era
straziante al punto da fargli quasi male; aveva
provato affetto per quella fanciulla così piccola e
così coraggiosa, ma la
scoperta del suo tradimento era un ricordo ancora troppo forte per
poter cedere
alle sue suppliche, anche se i suoi occhi sembravano disperatamente
sinceri.
“Non
essere ingenuo, Thor” si disse il principe
“Ricordati quello che è accaduto. Non
cedere!”
-Ti
ho creduto una volta e tu ti sei rivoltata
contro chi ti proteggeva, non commetterò due volte lo stesso
errore!
La
stava ferendo, lo vedeva nei suoi occhi, nella
piega della bocca, nelle sottili rughe della fronte e nei pugni
stretti; la
stava colpendo una parola dopo l’altra, ma non era reale, lo
sapeva, stava solo
recitando.
Era
solo una messinscena, lo era sempre stato.
-Thor,
io capisco la tua diffidenza, credimi, e ti
vorrei dire che, nonostante il tuo timore, ti considero un amico e ti
voglio
bene, oggi come il primo giorno che ci siamo incontrati, quando hai
chiesto a
Odino di potermi prendere come tua ancella; ma adesso ci sono questioni
molto
più importanti da affrontare e ti supplico, in nome di
quell’affetto che hai
provato per me, di condurmi da tuo padre. Ti prego!
Come
osava continuare a mentirgli, a negare
l’evidenza dei fatti tanto spudoratamente? Con che coraggio
osava dire di volergli bene?
Proprio lei, che aveva
permesso al sicario di suo padre di fuggire! Proprio lei che lo aveva
tradito!
-Quali
sono queste questioni molto più importanti a
cui ti riferisci?- sibilò tra i denti il principe, in tono
di scherno.
-Ho
visto quello che non riuscivo a ricordare! Ho
visto come sono arrivata ad Asgard e cosa mi è accaduto
prima di finire in
cella. Siamo tutti in pericolo, Thor, e Odino deve essere avvisato!
-Non
hai già fatto abbastanza male a mio padre?-
urlò rabbiosamente il Dio del Tuono, facendo scoppiare delle
scintille da
Mjolnir.
A
quella reazione inaspettata il principe vide
Chiara indietreggiare e l’espressione sul suo viso mutare
drasticamente: non
era più disperazione, ma paura, un terrore doloroso che non
le aveva mai visto
in faccia. E la causa di quella paura era lui.
Si
sentì un mostro.
Nessuno
dei due osò parlare, l’una per timore di
scatenare di nuovo l’ira del dio, l’altro per il
rimorso; alla fine Chiara, a
testa bassa, si incamminò verso l’uscita, evitando
il suo sguardo e stando il
più lontana possibile da lui.
-Dove
stai andando?- chiese il principe.
-Non
posso costringerti a credermi, né tantomeno ad
aiutarmi, ma non posso permettere che questa guerra si protragga
ulteriormente,
quando un’altra minaccia incombe. Andrò da sola da
Odino- rispose la ragazza
alle sue spalle.
“Piccola
testarda!”
Un
sorriso sfuggì alle labbra di Thor: -Ti farai
ammazzare se andrai laggiù.
-Sono
disposta a correre il rischio.
Il
principe si voltò, incerto su cosa rispondere a
quella ragazzina cocciuta, quando una colonna di luce si
abbatté sul suolo
erboso della radura, sparendo poi in un battito di ciglia. Al suo
posto, una
piccola figura scura giaceva sul prato macchiato di sangue.
C’era
qualcosa che non andava: non aspettavano
rinforzi da Asgard e quello era un solo uomo. Che fosse un messaggero?
Thor
alzò il martello e iniziò a farlo ruotare,
quando sentì il mantello tirargli sulle spalle: -Portami con
te- lo implorò
Chiara, stringendo il tessuto cremisi tra le mani.
Imponendosi
di non rifletterci troppo, il dio
avvolse la vita della ragazza con il braccio e si alzò in
volo; non appena ebbe
sollevato i piedi da terra, sentì Chiara stringere la presa
sulla sua persona
e, per un momento, si sentì più tranquillo.
Il
vento gli fischiava fastidioso nelle orecchie, ma
non poteva rallentare o avrebbe dato il tempo agli arcieri di prendere
la mira
e questa volta non era da solo; era una traditrice, ma non avrebbe
messo a
rischio la sua vita.
Finalmente
raggiunsero terra e vennero raggiunti a
gran galoppo da Odino: -Che sta succedendo qui?- urlò il
sovrano, sovrastando
con la sua voce il fracasso intorno a loro, ma quando un colpo di vento
scostò
il mantello del principe, mostrando la presenza di Chiara, le parole
gli
morirono in bocca e rimase bloccato, il suo occhio sgranato per la
sorpresa e
puntato su di lei.
Thor
non rispose, ma corse in direzione dell’uomo
che era appena apparso sul campo di battaglia: non si reggeva in piedi,
riportava diverse ferite su tutto il corpo, alcune delle quali erano
ustioni e
respirava a fatica. Se non si fosse trovato in mezzo ai segni che il
Bifrost
lasciava sul terreno al suo passaggio, il principe non avrebbe saputo
distinguerlo da qualunque altro soldato impegnato nella battaglia.
Gli
prese il busto tra le braccia, sollevandolo
affinché riuscisse a respirare più facilmente:
-Coraggio soldato- gli disse,
cercando di essere convincente -Te la caverai! Tornerai a casa dalla
tua
famiglia, vedrai, ma ora dimmi, cosa ti è accaduto?
Thor
vide le labbra dell’uomo muoversi, ma non sentì
alcun suono provenire da esse, così avvicinò
l’orecchio e concentrò tutta la
sua attenzione nell’ascolto: -A…Asgard
… brucia.
Gli
occhi dell’uomo rotearono all’indietro e il suo
respiro si fermò. Era trapassato.
Angolo
dell’autrice: salve
a tutte fanciulle e tanti auguri
per questo 8 marzo J
un grosso abbraccio alla nuova arrivata
che ha messo la storia tra le preferite (grazie! ^-^)
Alla
fine, nonostante lo sforzo di Jarosit di
trovare una via diplomatica, la guerra tra i due regni è
scoppiata, con tutta
la drammaticità del caso.
Abbiamo
fatto anche un salto nella testa di Thor,
che ve n’è parso? Spero vi sia piaciuto
perché cercherò nei prossimi capitoli
di farvi vivere le vicende attraverso altri punti di vista oltre a
quello di
Chiara.
Già
che siamo in tema: cosa pensate della ritrosia
del nostro biondino fulminante nei confronti della giovane senese?
Mi
è stato fatto notare che nel capitolo precedente
ogni tanto apparivano delle “j” a fine di frase;
qualora ne trovaste vi chiedo,
cortesemente, di segnalarmele in maniera che possa capire la fonte di
questo
problema (d’altro canto il mio computer è talmente
vecchio che credo che abbia
visto i triceratopi camminare su questa terra e non mi sorprenderebbe
se, dopo
tanti anni di onorato servizio, cominciasse a subire gli effetti del tempo
XD).
Ad
ogni modo, spero davvero che il capitolo vi sia
piaciuto e, se vorrete lasciarmi un’opinione a riguardo,
sarò lieta di
rispondervi J
Un
abbraccio a tutte!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 21 *** Non finché sarò vivo ***
Attention,
please:
scusate se posticipo la vostra lettura, ma a
quanto pare la maledizione delle consonanti vaganti è
più coriacea di quella
della Mummia, perciò mi scuso per quelle che avete trovato
nei capitoli
passati, presenti e futuri (un po’ come i tre fantasmi del
Natale di Dickens).
Spero vorrete perdonare questa svista e che riusciate a godervi
comunque la
storia. Sto lavorando ad una soluzione, ma temo che alla base ci sia
l’anzianità del mio vegliardo computer. Abbiate
pazienza ^-^”
Ora
mi dileguo e vi lascio ai personaggi e alla storia.
Buona
lettura!
Lady
Realgar
-Non
dovresti essere qui!- le disse severo Loki -Io
percepisco la tua presenza su Midgard, com’è
possibile che tu sia nello Âlfheimr?
-È
stata Jarosit- rispose Chiara, osservando il
principe sorreggere il corpo, ormai senza vita, del povero soldato -Ha
detto di
aver dirottato in qualche modo il nostro legame. È un
cavallo a otto zampe,
quello?- domandò poi, indicando incredula Sleipnir.
-Quella
maledetta strega!- imprecò il sovrano.
-Mi
ha aiutata a ricordare, ho visto quello che mi è
capitato e siamo tutti in pericolo!- riprese Chiara -Si tratta di una
sorta di
mostro millenario, qualcuno contro cui Odino ha già
combattuto.
-Ti
ha detto come si chiama questa creatura?-
domandò cupo il sovrano.
-Ha
detto… Phoneus.
Il
volto del re sbiancò a quel nome e spronò
Sleipnir in direzione di Thor, che aveva deposto il cadavere del
soldato al
suolo e stava recitando una preghiera di addio per la sua anima.
-Richiama
immediatamente le truppe e facciamo
cessare questa follia!- ordinò il dio al principe -Dobbiamo
tornare
immediatamente ad Asgard!
Thor
annuì e ordinò che venisse suonata la ritirata,
poi si librò in volo e corse ad aiutare i suoi compagni ad
allontanarsi
dall’Albero.
-Avanti-
disse Loki alla ragazza, porgendole la mano
-Sali in sella, prima che ti trasformino in un punta-spilli.
Obbediente,
Chiara afferrò la grossa mano del dio e
si lascò sollevare, accomodandosi all’amazzone di
fronte a lui sul singolare
destriero.
Intorno
a loro la fanteria stava indietreggiando,
mentre la cavalleria teneva a distanza gli elfi. Il terreno era
cosparso di
chiazze rosse come papaveri e di corpi maciullati di entrambe le
fazioni,
abbandonati sul prato, accolti solo dalle tenere carezze
dell’erba.
Solo
in quel momento Chiara se ne rese conto, fino
ad allora troppo impegnata a pensare come fermare quella ridicola
battaglia per
accorgersi che per alcuni era già troppo tardi.
Pensò alle famiglie che non
avrebbero mai visto i loro figli, fratelli, mariti e padri tornare a
casa e il
cuore nel petto le provocò dolore, un male sordo che le
impose di osservare
quello che era successo e di imprimerselo nella memoria. Non avrebbe
permesso
che altro sangue irrigasse la terra.
-Che
cosa succede, mio re? Gli stiamo tenendo testa,
perché ci ritiriamo?- urlò Sif, accorrendo al
galoppo sul suo cavallo baio e,
notando Chiara, aggiunse aspra: -Cosa ci fa lei qui?
-Asgard
corre un pericolo maggiore in questo momento
e se ne siamo a conoscenza è grazie a Chiara, quindi vedi di
portarle il
rispetto che merita, Sif!- rispose
secco
il sovrano di Asgard, con un tono che non ammetteva repliche e che fece
tacere
definitivamente la guerriera, ma nei suoi occhi Chiara vide qualcosa di
diverso
dal disprezzo e dalla diffidenza a cui era abituata. Era forse sorpresa?
Gli
uomini ancora in grado di reggersi in piedi
erano, finalmente, radunati attorno al loro sovrano, assieme ad essi vi
erano
anche, con grande sollievo da parte di Chiara, Thor e i Tre Guerrieri,
miracolosamente senza un graffio.
Alla
ragazza non sfuggì lo sguardo perplesso di
Fandral quando la vide tra le braccia del dio e vi rispose con un
occhiolino,
condito con un largo sorriso, che l’uomo ricambiò
con un cenno del capo.
-Heimdall!-
urlò a gran voce Odino verso il cielo
-Riportaci ad Asgard!
Rimasero
in attesa per qualche secondo, senza che
nulla accadesse; allora il sovrano ripeté il comando ma
niente cambiò.
Erano
in balia degli elfi, mentre Asgard bruciava.
Un
brivido percorse la schiena di Chiara, facendola
tremare; si sorprese molto quando sentì la mano
dell’uomo dietro di lei
porsi delicatamente sopra la sua spalla
sinistra, ma si sorprese ancora di più quando si accorse di
trovare quel tocco
rassicurante, capace di farle acquisire nuova fiducia.
-Quanto
inutile sangue è stato versato prima che vi
rendeste conto di stare combattendo con degli amici, anziché
dei nemici?-
domandò Jarosit, avvicinandosi al passo verso gli invasori
asgardiani.
Loki
non rispose, ma Chiara percepì distintamente il
rimorso che stava provando per quell’assalto tanto avventato;
istintivamente gli
strinse il braccio per confortarlo e sentì il muscolo
rilassarsi sotto la sua
mano.
-Se
Asgard è stata attaccata- proseguì la regina -E
i suoi guerrieri sono qui ad Âlfheimr, i pochi uomini rimasti
staranno
combattendo per difenderla e Heimdall con essi. È naturale
che egli non possa
ricondurvi a casa se è impegnato a proteggerla.
-Sei
venuta qui solo per gongolare, Jarosit?-
domandò Loki in tono di sfida.
-Dovrei
farvi uccidere dal primo all’ultimo per il
crimine di cui vi siete macchiati!- sbraitò furiosa la
regina -Ma il pericolo
che pende sulla testa di Asgard, incombe anche sul mio regno e deve
essere
eliminato a qualunque costo. Vi rimanderò ad Asgard e i miei
soldati
parteciperanno alla lotta, ma, quando tutto sarà concluso,
l’alleanza che univa
i nostri regni verrà spezzata e con essa i legami
commerciali.
-Così
sia- rispose il re, cercando di mantenere la
propria dignità di fronte a quelle condizioni imposte, ma
era evidente che
quella situazione aveva causato una profonda ferita nel suo orgoglio.
Il
volto di Jarosit sembrava fatto di marmo talmente
era freddo e distaccato, mentre estraeva dall’armatura il
sacchetto damascato,
versandone poi il contenuto nella mano.
Si
fece scorrere la polvere tra le mani, sussurrando
vecchie formule magiche, poi la scagliò nel mezzo della
radura, dove iniziò a
fluttuare a mezz’aria.
La
Porta di
Fumo era stata aperta e Jarosit indirizzò il
proprio cavallo verso di essa,
sparendo alla loro vista di lì a pochi secondi; prontamente
Loki spronò
Sleipnir sulle orme della regina degli Elfi Chiari, facendo segno ai
suoi di
seguirlo.
Ai
soldati asgardiani si unirono anche quelli alfheimeniani,
di nuovo alleati per l’ultima volta.
In
un lampo la foresta, la radura e l’Albero
scomparvero, per fare posto al Bifrost, scintillante e colorato come
sempre,
sotto agli zoccoli di Sleipnir e a un intenso odore di fumo: in fondo
alla luce
del ponte arcobaleno la città bruciava, avvolta da alte
fiamme rosse che
tingevano dello stesso inquietante colore il cielo.
-Guarda,
Odino!- disse Jarosit, avvicinandosi
-Osserva cosa ha portato la tua sete di guerra: la guerra è
venuta da te.
Stava
esagerando, Chiara non poteva più sopportare
quel suo modo di fare arrogante e le sue parole taglienti: -Basta! Non
è questo
il momento di discutere: laggiù ci sono delle vite che
possono essere ancora
salvate!- urlò alla regina, che rimase di stucco davanti a
tanta foga.
-Ha
ragione- disse poi il sovrano, mentre alle sue
spalle cominciavano ad arrivare i primi soldati -Avanziamo verso la
città,
mentre una truppa si diriga verso il palazzo: Heimdall avrà
fatto rifugiare
donne e bambini al suo interno e deve essere difeso. Thor, tu guiderai
una
truppa verso la città, mentre Fandral e Sif comanderanno la
difesa del palazzo;
difendiamo la nostra casa, asgardiani!
I
soldati risposero con un urlo di incitamento e
seguirono il principe verso la città, accompagnati da uno
squadrone di arcieri
elfici.
-Va’
con Fandral a palazzo- ordinò alla
ragazza, dopo aver fatto gesto allo spadaccino di avvicinarsi
-Fa’ esattamente quello
ti dice di fare e cerca di stare lontana dai guai. Quando
sarà tutto finito
tornerai a casa.
Chiara
annuì leggermente con il capo e, mentre veniva
afferrata per la vita da Fandral e posta sul suo cavallo bianco, disse,
in tono
di supplica: -Fa’ attenzione!
Il
dio non rispose e partì al galoppo assieme a
Jarosit sulla vetrosa superficie del ponte, allontanandosi sempre di
più;
Chiara lo vide rimpicciolirsi fino a scomparire, mentre Fandral urlava
ordini
ai soldati appena arrivati attraverso la Porta
di Fumo e li guidava verso la fortezza reale.
Un
sorriso freddo comparì sulle labbra del dio: quella
sciocca umana avrebbe fatto meglio a preoccuparsi per se stessa e non
per lui,
il Dio degli Inganni, che era stato addestrato per tutta la vita a
combattere e
aveva sviluppato un’arguzia unica nel suo genere.
“Peccato
che tu non sia riuscito ad anticipare una
mossa banale come quella!” gli disse una vocina dentro di
sé, facendogli
tremare i polsi dalla rabbia: era stato uno stupido! Farli combattere
uno
contro l’altro: un inganno astuto, semplice ed efficace, lui
era un esperto in
materia. Eppure non l’aveva previsto.
E
ora Asgard bruciava davanti ai suoi occhi. Il suo
regno, la sua casa stava bruciando e non aveva fatto nulla per
impedirlo.
“Ti
sei fatto distrarre” continuò quella fastidiosa
vocina, mentre Sleipnir sotto di lui galoppava fluido sullo splendido
ponte.
Adorava
il Bifrost: così nobile e silenzioso, ma
allo stesso tempo pregno di una magia antica che lo faceva emozionare
ogni
volta che vi metteva piede.
Doveva
concentrarsi, nulla sarebbe sfuggito al suo
controllo questa volta. Era un re e come tale doveva comportarsi: non
era
quello il suo destino? Il trono, il potere; era quello che voleva e
quello che
adesso doveva difendere.
Quella
era l’unica cosa che contava.
Inclinò
il capo alla sua sinistra, quel tanto da
poter osservare Jarosit senza che lei se ne accorgesse. La odiava,
quella
strega, ma ora poteva sfruttare le sue capacità e lo avrebbe
fatto, eccome;
l’avrebbe usata fino all’ultima risorsa, fino
all’ultimo, doloroso respiro e
alla fine le avrebbe fatto pagare i suoi insulti, la sua arroganza e la
sua
impudenza. Avrebbe pagato per averlo sbeffeggiato davanti alle sue
truppe, per
aver rotto l’alleanza millenaria con il suo paese e per aver
sequestrato
Chiara.
Scacciò
il pensiero della ragazza con fermezza e si
concentrò unicamente sulla corsa; oramai il ponte stava
finendo e ben presto
avrebbero raggiunto la città.
La
cenere aleggiava nell’aria secca, bruciandogli la
gola e gli occhi, mentre le grida degli uomini in battaglia gli
perforavano i
timpani.
-Voi!-
gridò ad un gruppo di soldati -Andate a dare
una mano a spegnere l’incendio! Usate i vostri mantelli,
l’acqua del mare,
qualunque cosa, ma, per gli Antichi, ponete fine a questo inferno!
Voialtri-
continuò rivolgendosi ad una truppa di elfi -Trovate delle
postazioni di
avvistamento e preparatevi a scoccare le vostre frecce.
-Non
conosciamo la faccia del nostro nemico- lo
interruppe Jarosit -Potrebbe essere chiunque!
-Phoneus
parassita i corpi di altre creature con le
uova immerse nel suo veleno, non è così?- le
disse Loki -Adoperate il vostro
famoso udito e cercate le creature che possiedono due metabolismi:
cuore,
digestione, quello che vi pare, ma trovatele!
Il
Dio degli Inganni provò un piacere sottile nel
vedere Jarosit rimanere senza parole di fronte alla sua intuizione, ma
fu solo
per un attimo, perché quella si rivolse ai suoi uomini,
urlando: -Quelle
creature sono vittime della malvagità di Phoneus, non usate
su di loro le
nostre frecce, ma lanciate pietre o legni e solo per stordire. Non
colpite per
uccidere!
Loki
digrignò i denti dalla rabbia: come si
permetteva quella donna di ribattere continuamente ai suoi ordini?
E
comunque, stordire unicamente le vittime di
Phoneus non avrebbe portato a nulla: chiunque venisse infettato dal suo
veleno
diveniva l’ospite di una delle sue schifose uova, che
attaccavano il sistema
nervoso centrale, neutralizzando la volontà della vittima;
l’unico modo di
fermare la loro diffusione era uccidere l’organismo
ospitante. Quell’ingenua di
Jarosit con la sua controproducente misericordia avrebbe semplicemente
rallentato la loro avanzata, non l’avrebbe arrestata. Un
palliativo e nulla
più.
Diresse
il destriero ottopode verso la piazza del
mercato, intorno alla quale le botteghe e gli edifici erano avvolte
dalle
fiamme, seguito dalla regina (evidentemente intenzionata a non perderlo
di
vista) e dal resto dei suoi soldati, che iniziarono a disperdersi in
piccoli
gruppi per le vie della città.
-Riesco
a sentirli- gli disse Jarosit -Sono ovunque.
-Sai
che non basterà metterli al tappeto per
fermarli, non è vero?- domandò Loki, lanciandole
uno sguardo sprezzante.
-Sì,
ma ci darà il tempo di concludere una volta per
tutte questa storia!
-Cosa
vuoi dire?- il suo atteggiamento da seccante
saputella lo infastidiva profondamente. Si stava prendendo gioco di lui
e non
poteva tollerarlo.
-Che
solo eliminando Phoneus potremmo considerare
scampato il pericolo.
Un
urlo squarciò l’aria e un grosso uomo barbuto,
vestito di pelle di vacca grezza e armato di mazza chiodata,
sbucò da un angolo
della piazza, correndo nella loro direzione.
Prontamente
Loki scese da cavalo e l’affrontò,
colpendolo al viso con la cuspide di Gungnir; quello grugnì
e barcollò per
qualche momento sulle sue gambe nerborute, ma presto
riacquisì il controllo e
si avventò sulla sua persona, colpendogli lo stomaco con la
mazza.
Fortunatamente
l’armatura attutì il colpo, ma la
potenza dell’impatto tolse il fiato al Dio
dell’Inganno. Lo scontro diretto non
era mai stato il suo forte, ma usare la magia contro quella montagna di
carne
di fronte agli occhi di Jarosit avrebbe mandato a monte la sua
copertura. Riteneva
che la regina degli Elfi Chiari sospettasse qualcosa e non poteva
permettersi
di rischiare.
Quando
il mostro tornò alla carica, lo evitò per un
soffio, andandogli alle spalle e conficcandogli un coltello tra le
vertebre. Lo
sentì gorgogliare e poi cadere ai suoi piedi.
Loki
recuperò la sua arma e la pulì dal sangue sui
pantaloni dell’energumeno, studiandone attentamente il
cadavere: era coperto di
ustioni e profonde ferite sulle braccia e sulle gambe. Dolorose, certo,
maledettamente dolorose, ma non mortali.
Si
ricordò di quella sera di molti anni prima, in
cui aveva origliato la conversazione tra Odino e Frigga, una di quelle
rare
occasioni in cui il sovrano trascorreva del tempo in compagnia della
famiglia:
parlando di Phoneus le aveva detto che alle sue vittime veniva
annullata la
percezione del dolore, cosicché non potessero accorgersi
della creatura che si
impossessava del loro sistema nervoso.
Delle
ferite come quelle avrebbero arrestato anche
un orso, ma quell’uomo aveva proseguito nella lotta come se
nulla fosse stato.
Altro che stordirli! Quegli abomini andavano eliminati dal primo
all’ultimo.
-Un
colpo alla testa ben assestato sarebbe stato
sufficiente- sentenziò Jarosit dall’alto del suo
destriero.
-Guardagli
le ferite, donna!- sbraitò il dio -Questi
non soffrono, non sentono il dolore. Non è possibile
stordirli.
-Ma per farlo
è possibile colpire il punto dove viene
iniettato l’uovo, esattamente dietro alla nuca,
all’attaccatura tra il cranio e
le vertebre della schiena- ribatté la regina -Placa la tua
sete di sangue, Dio
degli Inganni, e impara a dare valore alla vita.
Lei
sapeva! Lei se n’era accorta! Ma allora perché
non l’aveva smascherato quella sera, di fronte a tutta
Asgard? Quella sera,
quando non avrebbe avuto scampo?
Avrebbe
dovuto ucciderla e subito. Sarebbe bastato
colpirla con l’energia di Gungnir e inventarsi una storia
credibile su come
fosse morta in combattimento e lui avesse inutilmente cercato di
salvarle la
vita. Era bravo in questo e, se avesse giocato bene le sue carte,
avrebbe
potuto ridefinire l’alleanza tra i loro regni.
Avrebbe
dovuto, ma al momento la sua abilità e la
sua conoscenza del nemico la rendevano ancora utile, se non
indispensabile:
aveva lasciato intendere di sapere qualcosa su Phoneus che lui ignorava
e
questo gli impediva di puntarle contro l’arma; inoltre se non
l’aveva già
smascherato quando ne aveva avuto l’occasione, era evidente
anche lei aveva
bisogno di lui, cosa che l’avrebbe resa sicuramente
più malleabile.
Era
una giocatrice straordinaria, riconobbe il
sovrano di Asgard, e non lo sorprendeva che Odino desiderasse tanto
averla come
alleata.
-Mio
re, grazie alle Norne siete qui! Ho temuto che
il messaggio non vi fosse pervenuto- il Guardiano del ponte,
l’armatura dorata
imporporata di sangue, era inginocchiato alle sue spalle.
-Heimdall-
iniziò Loki -Qual è la situazione?
-Siamo
stati attaccati non appena siete partito per
Âlfheimr, hanno incendiato le case con ancora gli abitanti al
loro interno. Le donne
e i bambini superstiti sono stati mandati a palazzo e rinchiusi al suo
interno,
mentre gli uomini hanno cercato di fermare la loro avanzata: vi sono
nemici di
tutte le razze, mio re; elfi, barbari, nani, Vanir… sono qui
e hanno messo a
ferro e fuoco il nostro regno.
-Sei stato un
soldato valoroso, Heimdall- disse il sovrano, poggiando una mano sulla
spalla
del Guardiano -Ma ora devo chiederti di lasciare questo campo di
battaglia: va’
a palazzo e aiuta la truppa a proteggere il nostro popolo. Temo che il
nemico cercherà
di attaccarli.
-Sì,
mio signore- rispose Heimdall, alzandosi e
correndo verso il palazzo, dopo aver lanciato una penetrante occhiata
alla
regina degli Elfi.
-Hai
ragione a temere per lei- disse la
regina, quando Heimdall fu sparito tra il fumo delle fiamme -Ho paura
che possa essere in pericolo.
-Non
finché sarò re di Asgard- rispose Loki,
risalendo su Sleipnir.
“Non
finché sarò vivo”.
Angolo
dell’autrice: salve
a tutte, belle dame! Benvenute alla fine del 21esimo capitolo (spero
senza j
clandestine lungo la via)!
Lo
scontro si sposta su un nuovo campo di battaglia e i sovrani cercano
una soluzione
e, novità delle novità, siamo entrate nella mente
del nostro dio norreno
preferito ;) Spero vi sia piaciuto e di non essermi allontanata troppo
dal suo
personaggio! Che ne dite? Ogni consiglio sarà ben accetto ^-^
E
Jarosit? Cosa pensate della nostra super regina elfica?
Spero
davvero che il capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto trascorrere un
po’ di tempo
in serenità! Grazie mille per il tempo e
l’entusiasmo che dedicate a questa storiella!
Siete delle lettrici straordinarie e le vostre parole sono un balsamo
per questo
mio cuore ^-^
Un
abbraccio a tutte quante!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 22 *** Phoneus ***
-Aprite
le porte- urlò Fandral, la schiena
perfettamente dritta e il portamento fiero sul suo cavallo bianco,
quando il
gruppo fu all’ombra delle mura -Sono Fandral, dei Tre
Guerrieri, e mi manda
Odino in vostro soccorso!
In
uno stridente rumore metallico, i cancelli si
aprirono abbastanza da far entrare uno alla volta i soldati appena
arrivati,
mentre sugli alti bastioni alcune donne preparavano dei grossi
pentoloni di
acqua bollente, pronte a usarli in caso di assalto.
All’interno
dei cortili e dei giardini, solo poche
ore prima allegri e addobbati sfarzosamente per la Festa
d’Estate, erano stati
allestiti dei campi di accoglienza di fortuna, mentre tutti gli
accessi,
principali e secondari, erano stati chiusi e rinforzati
dall’interno adoperando
i più svariati oggetti: dal mobilio alle pentole della
cucina, tutto quello che
non era attaccato al suolo era stato preso e accumulato davanti alle
porte.
Fandral
arrestò il cavallo, balzò con grazia a terra
e, afferrando Chiara per la vita, l’aiutò a
scendere a sua volta: -Resta dove
posso vederti- le disse l’uomo con il suo solito sorriso,
prodotto di una
miscela tra dolcezza e malizia che gli erano caratteristiche -Non
vorrei che
sparissi di nuovo.
Chiara,
i cui occhi saettavano veloci, intenti a
cercare i suoi alunni tra i sopravvissuti, annuì leggermente
con il capo e a
mala pena si accorse della dipartita dello spadaccino: in quella bolgia
di
gente, infatti, era finalmente riuscita a intravedere Angnis che,
accompagnata
dalla piccola Myria e da altri bambini della sua classe, distribuiva
coperte e
acqua fresca; poco
distante da loro
Madama Thyia, le cui braccia erano arrossate di sangue fino ai gomiti,
assisteva i feriti.
Prontamente
si mise a correre nella loro direzione
e, colma di gioia, prese in braccio Myria e la strinse tra le braccia,
nascondendo nell’incavo del collo della sua piccola alunna il
volto rigato di
lacrime. Non era mai stata tanto felice come in quel momento: i suoi
bambini
erano salvi!
-Chiara!-
esclamò Angnis, guardando la ragazza come
se fosse stata una bestia esotica -Che cosa ci fai qui? Odino ti aveva
mandata
su Midgard!
-Sono
qui per aiutare!- rispose quella, mentre Myria
rispondeva al suo abbraccio stringendola ancora più forte,
come temendo che
potessero portarle via di nuovo la sua insegnante -Dimmi quello che
posso fare!
-Continua
a distribuire queste coperte- le ordinò la
sarta, facendo scendere (a fatica) Myria e buttando tra le braccia di
Chiara la
pila di stoffe colorate -Io andrò a dare una mano a Madama
Thyia.
Vi
erano molti feriti tra i rifugiati, molti
piangevano la morte dei loro cari, altri semplicemente tacevano,
osservando il
vuoto davanti a loro. Nell’aria aleggiava un forte odore di
fumo, ferite
cauterizzate e paura, eppure nei visi degli asgardiani, notò
Chiara mentre
consegnava ad un vecchio una coperta di lana, vi era rimasta una
scintilla
dell’orgoglio che solitamente bruciava dentro di loro: come
un fuoco che in
apparenza sembra spento, sarebbe bastato muovere appena le braci per
far di
nuovo ardere la loro fierezza. Non tutti gli asgardiani, aveva appreso
la
ragazza, erano soldati, ma ognuno di loro, nessuna eccezione, era un
guerriero
pronto a lottare per difendere ciò che gli era caro.
Ad
un tratto Chiara, persa nelle sue considerazioni,
sentì qualcuno tirarle debolmente la manica dietro al gomito
destro e, pensando
che le stessero chiedendo una coperta, si voltò: di fronte a
lei, con il capo
chino e gli occhi bassi, la ragazza che aveva consolato durante il suo
primo
giorno di lavoro se ne stava lì, a guardarsi i piedi senza
dire una parola.
-Vuoi
una coperta?- domandò Chiara, sorridendole nel
tentativo di rincuorarla.
Per
tutta risposta quella scrollò il capo e, in un
sussurro, disse: -Ti devo delle scuse…
-Come
dici?
-Mi
dispiace di aver detto a Sir Fandral che eri
uscita dalle mura del palazzo.
-Che
cosa?- domandò sconvolta Chiara.
-Sono
stata io- continuò quella, senza alzare lo
sguardo -Eri stata così gentile con me che non volevo che te
ne andassi, così
l’ho avvertito della tua fuga, e quando ho sentito attraverso
le porte della
camera del principe che avresti ballato con lui, ero così
contenta per te che
non ho potuto fare a meno di raccontarlo a tutti- si morse nervosamente
il
labbro e corrugò la fronte -Mi dispiace per quello che ha
fatto Kalista e ho
avvisato le guardie non appena ho saputo che si era chiusa nella
lavanderia con
te e suo fratello. Sono mortificata! Potrai perdonarmi?
Chiara
era rimasta senza parole: la notizia era
giunta come un fulmine a ciel sereno, cogliendola del tutto
impreparata; così
rimase a fissarla, boccheggiando dalla sorpresa, finché,
inaspettatamente, lo
stridio dei cancelli accolse Heimdall che entrava tra le mura del
palazzo,
accolto poi da Sif e Fandral; i tre iniziarono a parlare fittamente e
sommessamente
tra loro.
“Staranno
pianificando un piano di difesa” pensò tra
sé Chiara, ma come era possibile difendere tutte quelle
persone con solamente
tre guerrieri e una manciata di soldati?
Ebbe
come un’illuminazione e, una volta cedute le
coperte alla ragazza, corse prontamente verso il Guardiano, lasciando
la sua
interlocutrice senza una risposta; prima ancora che quello potesse
esprimere la
sua sorpresa nel trovarla lì, disse: -Devi portarli tutti su
Midgard!
-Cosa?-
domandò Fandral sbigottito.
-Esattamente
quello che ho detto. Heimdall- la
ragazza si rivolse direttamente al Guardiano -Guardali! Non possono
stare qui a
fare la fine del topo dentro a queste mura. Portali su Midgard, nella
mia
campagna! C’è abbastanza posto per tutti ed
è tranquillo, lì potranno curare i
feriti e non correranno alcun pericolo!
Tra
i guerrieri cadde il silenzio: Odino aveva ordinato
di fortificare il palazzo e proteggere i civili, non aveva mai parlato
di un
trasferimento. Era un grave rischio disobbedire ai suoi ordini.
-Datele
retta- intervenne inaspettatamente Sif -È la
cosa migliore da fare: non dovendoci preoccupare di proteggere il
popolo
possiamo contribuire a salvare il nostro paese.
-Va
bene- cedette Fandral, dopo un attimo di
esitazione, poi dissipato dalla risolutezza dipinta sul volto della
guerriera
-Facciamolo. Heimdall, tu ci anticiperai, aprendo il Bifrost e
indirizzandolo
verso Midgard, mentre io, Sif e gli altri soldati controlleremo che le
donne e
i bambini attraversino il ponte in sicurezza, assicurandoci che nessuno
al di
fuori di loro si avvicini al Bifrost.
-Avanti,
diamoci una mossa- li esortò la guerriera -Non
dobbiamo perdere tempo! Chiara, vieni con me! Aiutami a trasmettere il
messaggio e a radunare i feriti.
-Perché
mi hai dato ascolto?- le domandò Chiara, non
appena si furono allontanate -Pensavo di non piacerti.
-È
così, infatti- rispose Sif -Ma sono in grado di
riconoscere un consiglio intelligente, quando ne sento uno.
Ciò
detto la guerriera saltò sopra un cumulo di
mobili, sguainò la spada e disse a gran voce: -Ascoltatemi,
popolo di Asgard!
Non ho intenzione di mentirvi, il momento è difficile e
dobbiamo comportarci di
conseguenza. Qui ci sono ottimi soldati che combatteranno fino
all’ultimo
respiro per proteggere il nostro regno, ma non possiamo farlo se non
sappiamo
che voi siete al sicuro; per questo motivo vi manderemo su Midgard il
tempo
necessario per rispedire gli invasori da dove sono venuti. Abbiate
fiducia in noi
e dirigetevi verso il Bifrost. Chi non può camminare
verrà aiutato, ma, vi
prego, fidatevi di noi e dirigetevi verso il Ponte
dell’Arcobaleno.
Sul
cortile calò un silenzio gelido, interrotto solo
da qualche sommesso bisbigliare di alcuni anziani; negli occhi di chi
aveva
appena visto la propria casa bruciare, il pensiero di abbandonarla al
suo
destino era inconcepibile e disarmante. Era chiaro che nessuno voleva
lasciare
Asgard.
-Avete
sentito, Lady Sif!- urlò Chiara -Se non
volete morire tutti quanti oggi, ma volete avere la
possibilità di raccontare
ai vostri nipoti di come un giorno Asgard venne salvata da un pugno di
coraggiosi guerrieri, fate esattamente quello che vi dice!
A
quel punto Angnis, Myria e gli altri bambini
cominciarono ad avvicinarsi ai cancelli, aiutando gli anziani a
sollevarsi e a
camminare, imitati poi, dopo un’iniziale riluttanza, dalle
altre persone, che,
pian piano, si diressero al ponte, scortate dai soldati. In testa alla
carovana, Fandral guidava i suoi uomini, sorreggendo per le spalle un
anziano
signore piegato dall’età; sebbene fossero
piuttosto lontani, Chiara riuscì a
cogliere una forte somiglianza tra i due, soprattutto nel profilo e nel
modo di
camminare, e desunse che fosse il padre.
La
ragazza rimase molto meravigliata da come le sue
parole fossero riuscite a convincere quella gente, ma ancora di
più quando Sif,
senza degnarla da uno sguardo, le disse in un sussurro: -Ottimo lavoro.
-Come?-
domandò sconcertata.
-Non
ho intenzione di ripetermi- rispose la
guerriera, saltando in un balzo giù dal cumulo di mobili e
andando ad aiutare
un gruppo di feriti a salire su un carretto.
I
cancelli vennero aperti e la carovana iniziò a
percorrere lentamente il ponte, che Heimdall, dall’altra
parte, aveva aperto e
indirizzato su Midgard.
Il
tempo su quella superficie colorata sembrava non
voler passare mai e i passi degli abitanti di Asgard parevano farsi
sempre più
lenti e faticosi. La posizione rialzata del ponte non offriva alcuna
protezione
per quella gente, che al contrario era scoperta e ben visibile dalla
città;
avrebbero potuto essere attaccati da un momento all’altro. La
loro salvezza
dipendeva dalla velocità con cui avrebbero raggiunto
Heimdall.
La
tensione era palpabile nell’aria e, sebbene i
soldati si fossero distribuiti nelle retrovie e lungo il bordo che dava
verso
il centro abitato, pronte a intervenire in caso di attacco, Chiara
riusciva a
vedere nitidamente le gocce di sudore nervoso scendere lento sul collo
e sul
viso dei guerrieri.
Erano
arrivati circa a metà strada, quando si sentì
un forte boato, seguito dal fischio di uno sciame di frecce che si
avvicinavano
a grande velocità verso di loro.
I
soldati serrarono prontamente i ranghi e alzarono
gli scudi, mentre, tra le urla disperate, i profughi si accalcavano gli
uni
contro gli altri, chi nel tentativo di ripararsi, chi cercando di
raggiungere
il prima possibile la fine del ponte.
Erano
un bersaglio facile per quel gruppo eterogeneo
di creature che dalla città scagliavano contro di loro
qualunque tipo di
proiettile che trovavano alla loro portata: non solo frecce, ma anche
lance,
asce, pietre, coltelli; qualunque cosa servisse allo scopo di
abbatterli.
In
quella confusione Chiara vide Myria, terrorizzata,
buttarsi a terra in lacrime e allora prese una decisione.
Girò
sui tacchi e corse a perdifiato verso il
palazzo, pregando di non essere colpita. Non ancora.
Il
fumo gli bruciava gli occhi, impedendogli di
vedere chiaramente la città intorno a sé, e a
nulla serviva ruotare Mjolnir per
smuovere l’aria: fumo e cenere avevano saturato
l’atmosfera e, per una manciata
di polvere che riusciva a spostare, il doppio arrivava al suo posto,
ingrigendo
ancora di più quello che rimaneva delle strade e dei palazzi
della capitale.
“La
mia Asgard” pensò malinconico il principe:
vedere quel luogo tanto amato ridotto a un inferno di fuliggine e
fiamme gli
procurava una dolorosa fitta allo stomaco. Se Madre l’avesse
vista in quello
stato ne avrebbe sofferto più di chiunque altro.
Ma
lei non era lì e, se lo stava guardando dalle
vaste aule del Valhalla, lui le avrebbe dato modo di essere orgogliosa
di suo
figlio.
Continuò
a camminare per quella strada deserta,
rimanendo in completo silenzio e sperando che, se la vista non poteva
condurlo
dal nemico, l’udito la potesse compensare.
Aveva
ordinato ai suoi soldati di dividersi in
piccoli gruppi e di sparpagliarsi per le strade, mentre lui perlustrava
quella
zona da solo. Gli era sembrata la soluzione più logica: se
avesse dovuto usare
Mjolnir lì, dove non poteva vedere a un palmo dal suo naso, sarebbe stato meglio
non avere intorno
i suoi uomini.
In
quel momento, pensò il dio, la presenza di suo
fratello sarebbe stata di grande aiuto; lui di certo avrebbe saputo
cosa fare.
Un
sorriso amaro spuntò sulle labbra di Thor: Loki
era sempre stato quello sveglio tra loro due, quello che aveva sempre
un asso
nella manica, pronto per essere sfoderato al momento buono e risolvere
la
situazione.
Se
fosse stato con lui in quel momento, forse
avrebbe evocato un forte vento o avrebbe trasformato la cenere in neve,
ripulendo così l’aria e permettendogli di vedere
il nemico contro cui
scagliarsi; poi l’avrebbe preso in giro per i suoi modi brutali e avrebbero
riso insieme.
Esattamente
come facevano quando erano ragazzini e
si cimentavano nelle loro prime avventure. Per le Norne, quanto gli
mancavano
quei tempi!
Gli
mancava dannatamente avere quella presenza
rassicurante alle sue spalle, sempre pronta a tirarlo fuori dai guai e
poi
lanciargli una frase velenosa a pericolo scampato.
Se
c’era qualcuno che avrebbe voluto avere al suo
fianco in quel momento, quello era Loki, il bambino che gli raccontava
quelle
meravigliose avventure nelle notti in cui faticava a prendere sonno, il
ragazzo
che gli mostrava orgoglioso i suoi progressi nello studio delle arti
magiche,
l’uomo che aveva combattuto al suo fianco e che in
più occasioni gli aveva
salvato la vita.
Il
fratello che aveva tanto amato e che ora riposava
abbandonato nel suolo sterile di Svartalfaheimr.
Sebbene
l’avesse amata di un amore possessivo e
malato, Asgard era stata, un tempo, la terra di Loki e Thor
l’avrebbe salvata
anche nel suo nome.
Un
movimento alla sua destra attirò la sua
attenzione e in uno scatto vi si avvicinò, stringendo
Mjolnir tra le dita,
pronto ad adoperarlo se necessario; ma l’ombra che aveva
visto si rivelò essere
nulla più di un drappeggio mosso da un colpo di vento e
allora il dio si impose
la calma e abbassò il martello.
In
quel momento qualcosa lo colpì alla testa, scagliandolo
contro il muro di una conceria.
Il
puzzo dei liquami acidi che proveniva da
quell’edificio lo stordì più di quanto
avesse fatto la botta in sé, ma ebbe la
prontezza di riflessi necessaria per
evitare una strana lama nera lanciata verso la sua faccia.
La
lama si conficcò nel suolo a pochi centimetri dal
suo orecchio e poi ritornò da dove era venuta, attaccata a
quello che sembrava
essere un lunghissimo e flessibile braccio nero.
-Ma
che cavolo…?
La
lama tornò all’assalto e questa volta il Dio del
Tuono riuscì a deviarla con il suo martello, ma quella
svanì di nuovo nella
densa aria satura di fumo, sparendo alla sua vista.
-Fatti
vedere!- urlò Thor a squarciagola verso il
nulla.
Il
silenzio intorno a lui si era fatto
inquietantemente innaturale e a mala pena riusciva a sentire il battito
forsennato del suo cuore. Spaziò con lo sguardo
l’ambiente intorno a sé, ma non
riuscì a vedere nulla, nessun movimento.
Poi
un rumore e un’ombra nella nebbia scura;
prontamente il dio ci si avventò brandendo Mjolnir, ma
quando sentì di avere
tra le mani delle ossa piccole e una corporatura fragile, dovette fare
appello
a tutte le sue forze per fermare la sua furia: quello che aveva preso
era il
corpicino di un bambino.
I
vestiti grezzi, la pelle olivastra e i capelli
ispidi del piccolo lo portarono a desumere che appartenesse alla razza
dei
barbari predoni che aveva incontrato nel Vanaheim, ma cosa diavolo ci
faceva un
bambino delle tribù barbare ad Asgard?
E
perché i suoi occhi, apparentemente puntati su di
lui, erano così vacui e vuoti?
Una
fitta di dolore al braccio e la sensazione di un
liquido caldo corrergli sulla pelle lo distrassero da quelle domande:
il
bambino aveva estratto dai vestiti un coltello e ne aveva conficcato
l’intera
lama nel bicipite del dio.
Inorridito
e sconvolto, Thor si allontanò dal
ragazzino ed estrasse il pugnale dalle proprie carni, per poi lanciarlo
lontano.
-Perché
l’hai fatto?- domandò al piccolo, che
osservava il nulla con un’espressione assente.
-Perché
lo hai fatto?- ripeté il dio dandogli una
leggera scrollata, ma quello non diede nemmeno segno di averlo sentito.
Poi una
risata, bassa e roca, nella nebbia scura di fuliggine.
-Perché
gliel’ho detto io- ripose una voce.
Thor
si voltò di scatto, pronto a scagliare il suo
martello contro chiunque avesse proferito quelle parole, ma per quanto
si
sforzasse di cogliere il minimo mutamento della nebbia, non
riuscì a scorgere
alcunché.
Un
nuovo scroscio di risate macabre si diffuse
nell’aere, ma il dio, nonostante concentrasse ogni suo sforzo
nel percepire
l’origine di quel suono, non riusciva a comprendere da quale
direzione
provenisse.
-Chi
sei? Fatti vedere!- ordinò Thor, la cui rabbia
faceva sprizzare della scintille rosse dalla testa metallica di Mjolnir.
-Il
mio nome è Phoneus, figlio di Odino.
Un
nuovo colpo scaraventò il principe a terra,
facendo volare lontano il martello, sfuggito alla sua presa e ora
adagiato
nella polvere della strada diversi metri più in
là. Thor era caduto malamente
sulla schiena, che sentì scricchiolare spaventosamente, e il
suo respiro venne
mozzato dal dolore di quella botta; in bocca sentì il
ferroso sapore del suo
sangue.
Dalla
cenere sopra di lui, vide un’ombra scura
avvicinarsi e sporgersi sul suo corpo, come un leone pronto a divorare
la preda
ferita, poi un tentacolo viscido gli si strinse intorno al collo e alle
mani,
immobilizzandolo, e, infine, distinse due grossi occhi gialli che, nel
grigiore
della cenere, lo fissavano feroci.
La
forza di quella creatura, agevolata dal dolore
che provava, era incredibile e il principe, pur lottando con disperata
tenacia,
non riusciva nemmeno a distendere la mano per richiamare Mjolnir;
già si
preparava a ricevere quella strana lama scura nelle sue carni quando
una voce,
limpida e acuta, squarciò il silenzio con la forza di un
tuono.
-Phoenus-
urlò la voce -Tu sei qui per me, vieni a
prendermi!
-Che
diamine sta facendo?- domandò Loki, ma non
perse tempo ad aspettare una risposta da Jarosit, pietrificata da
quello che
aveva appena udito, e diresse Sleipnir al galoppo verso il castello.
Cosa
voleva fare quella stupida? Le aveva detto di
non cacciarsi nei guai, perché stava attirando Phoneus? E
cosa voleva dire che
quel mostro era lì per lei?
Con
un pessimo presentimento in corpo, spronò il
cavallo lungo le strade della città, evitando per un pelo
una grossa trave in
fiamme che si era staccata dal soffitto di un edificio. Il cuore gli
rimbalzava
folle nel petto, più veloce degli otto zoccoli di Sleipnir
che battevano con
forza il suolo polveroso, e ogni nervo sotto la sua pelle fremeva, come
a
volersi fondere con il cavallo per comandarlo meglio e farlo galoppare
più
veloce. Perché quella sciocca ragazza non gli dava mai
retta? Che cosa sperava
di fare da sola contro Phoneus? Se le fosse accaduto
qualcosa…
Loki
non finì quel pensiero perché in pochi minuti,
che a lui parvero un’eternità, l’ombra
delle alte mura lo sovrastarono e fu
allora che lo vide: grosso e disgustoso, esattamente come le leggende
lo
descrivevano, Phoneus era lì, frustando l’aria con
la sua coda e schioccando le
mascelle, e osservava il torrione da dove Chiara, in quel momento
paralizzata
dalla paura, l’aveva chiamato.
Sentendo
l’odore di quell’abominio, Sleipnir si
imbizzarrì, disarcionando il suo fantino e dileguandosi poi
nel fumo della
città.
Il
colpo subito nella caduta gli provocò un forte
dolore alla spalla e, quando Loki riuscì ad alzarsi, quel
mostro si stava già
arrampicando lungo la parete rocciosa delle mura ad una
velocità
impressionante; i suoi movimenti era veloci e ipnotici come quelli di
un ragno.
Quella creatura era sempre più vicina a Chiara e una scarica
di adrenalina
percorse il corpo del dio: non poteva permettere che la raggiungesse!
Avvicinò
la mano al fianco in cerca della sua arma,
ma essa non afferrò altro che il vuoto e allora si
ricordò: Gungnir era agganciata
alla sella e, ora che Sleipnir era fuggito, era completamente
disarmato; una
goccia di sudore freddo gli scese lungo la tempia.
“Maledizione!”
imprecò dentro di sé il dio.
Non
sapendo cos’altro fare, scagliò un anatema
contro il mostro, che lo evitò con uno scatto e
l’incantesimo mandò in mille
pezzi l’area del muro dove poco prima quella creatura si
stava arrampicando; fu
allora che Phoneus si voltò a guardarlo, puntandogli contro
i suoi freddi occhi
gialli, e scoprì le zanne in quello che doveva essere un
sorriso maligno, poi
riprese ad arrampicarsi, ancora più velocemente di prima.
Metro
dopo metro era sempre più vicino e Loki sentì
la rabbia crescergli nel petto: lo stava provocando e lui gli avrebbe
cancellato quell’abominevole ghigno dalla faccia; prese un
respiro profondo e
si preparò a scagliare un nuovo incantesimo, ma quello era
già riuscito a
raggiungere Chiara e la stava stringendo per la vita con la sua coda
disgustosa; una voce dentro il dio gli impose di fermarsi.
Se
avesse scagliato un altro incantesimo, anche
Chiara sarebbe stata coinvolta, così lasciò che
quel mostro sparisse davanti ai
suoi occhi in una Porta di Fumo, portandosi via la ragazza.
Abbassò
la mano e si morse il labbro inferiore finché
non sentì sulla lingua il ferroso sapore del sangue: aveva
fallito.
Angolo
dell’autrice:
salve salvino a tutte quante! XD Un
caldo benvenuto a tutte voi e un abbraccio fortissimo alle deliziose
fanciulle
che hanno aggiunto La sua paura
alle
storie seguite (una persino alle preferite! Grande!) ^-^
Siete
delle lettrici straordinarie e non posso che
essere grata della vostra attenzione e del vostro tempo, che
così carinamente
donate al mio lavoro! ^-^
Dunque,
dunque, che ne pensate? Vi aspettavate un simile
gesto da parte della nostra Chiara? Cosa c’è nel
cuore della ragazza? Coraggio o
pazzia?
Thor
e Loki combattono a loro volta contro Phoneus, ma
né la forza del Dio del Tuono, né la magia del
Dio degli Inganni sembrano avere
alcun effetto sul mostro. Riusciranno i nostri eroi a sconfiggerlo? E
cosa accadrà
a Chiara?
Spero
che la piaga delle j sia stata debellata che
non ne abbiate incontrate durante la lettura;
in caso contrario, vi chiedo perdono per il disagio.
Mi
è stato chiesto di dedicare più spazio alle
descrizioni
e mi scuso per non aver soddisfatto, in questo capitolo, tale
richiesta, ma, avendolo
già scritto e avendovi trovato, secondo il mio gusto, un
equilibrio, ho preferito
non dilungarmi ulteriormente. Cercherò, però,
più avanti di esaudire questa richiesta
al meglio delle mie capacità ^-^
Grazie
per i vostri consigli e i suggerimenti: il vostro
parere è per me una grande fonte di miglioramento e
sarò sempre molto lieta di accoglierlo
J
Un
abbraccio a tutte e alla prossima!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 23 *** Power, Duty and Memories ***
Non
si sarebbe fatto vedere da alcun Guaritore, non
era di quello che aveva bisogno, ma di riparare ad un torto fatto: non
avrebbe
dovuto prendersela in quel modo con Chiara, ma come al solito aveva
permesso
alle sue emozioni di sopraffarlo, senza soffermarsi a riflettere sulla
gravità
delle parole che aveva pronunciato e ora la stessa ragazza contro cui
aveva
inveito, accusandola di tradimento, aveva scambiato la propria vita per
quella
di centinaia di asgardiani.
Non
avrebbe avuto alcun motivo per farlo: Asgard non
era la sua casa e non aveva alcun obbligo nei confronti dei suoi
abitanti,
eppure non aveva esitato ad attirare Phoneus verso di sé per
permettere agli
altri di fuggire.
E
lui le aveva dato della traditrice.
Thor
maledisse la propria avventatezza e la facilità
con cui aveva mutato giudizio nei confronti di un’amica che,
nonostante le sue
accuse e le sue parole di fuoco, le era rimasta fedele, arrivando al
punto da
sacrificarsi per il suo popolo, che sin dal primo momento le aveva
riservato
null’altro che disprezzo e ostilità.
Ogni
muscolo del suo corpo bruciava di dolore e un
sottile rivolo di sangue gli colava da una ferita sulla tempia
sinistra,
ricordandogli con la sua traccia tiepida sulla pelle lo scontro avuto
tra le
strade della città; ma non si sarebbe fatto visitare da un
Guaritore, come suo
padre gli aveva ordinato, non c’era tempo. Non prima di aver
trovato Chiara e
averla riportata sana e salva a casa.
Il
suo cavallo arrestò la propria corsa a pochi
metri dall’inizio della foresta, da dove Heimdall avrebbe
dovuto fare ritorno di
lì a poco.
Il
Dio del Tuono lasciò che il profumo di resina e pino
silvestre gli solleticasse delicatamente il naso, riportandogli alla
mente
ricordi d’infanzia da tempo sepolti sotto cumuli di polvere:
quando lui e Loki
erano bambini amavano aggirarsi tra quegli alberi, immaginando di
esplorare
regni nuovi e sconosciuti.
Era
stato proprio in quella foresta che Loki aveva
scoperto di possedere doti magiche; dove Thor aveva dato il suo primo
bacio a
Sif, scoprendo la dolcezza dei primi caldi sentimenti adolescenziali; e
dove aveva cacciato
a mani nude il suo primo
cinghiale nella speranza di rendere orgoglioso suo Padre.
L’immagine
del possente guardiano che emergeva dalla
fitta vegetazione distolse il dio dal suo fiume di ricordi e lo
riportò alla
realtà; si passò velocemente la mano sulla tempia
per pulirla dal sangue, spronò
lievemente il cavallo e gli si avvicinò al passo: -Heimdall,
cosa avete
trovato?- domandò il principe.
-Nulla,
mio signore- rispose il guardiano,
rivolgendogli un inchino di saluto -Tutti gli uomini di Phoneus sono
svaniti e
anche dei bambini rapiti non vi è traccia. Sono spariti come
fumo tra le dita.
Thor
strinse le dita sulle redini di cuoio al
pensiero della vigliaccheria di quel mostro disgustoso: come poteva
farsi scudo
con dei bambini? Come poteva esistere qualcuno di tanto vile e
spregevole da
poter piegare le menti di creature innocenti e nascondersi dietro di
esse
durante uno scontro?
-Pagherà,
Heimdall- sibilò il principe, mentre le
nocche delle sue dita diventavano bianche per la forza della stretta
-Pagherà
per ogni singola vita che ha preso.
-Strani
scherzi gioca il destino- rispose sibillino
il Guardiano del Ponte, affiancandosi al suo principe mentre
indirizzavano i
loro passi verso la città.
-Cosa
intendi dire, Heimdall?
-Le
ho già sentite queste parole- rispose l’uomo in
un sospiro -Molto, molto tempo fa da vostro Padre.
“Mio
Padre?”
-Non
vi ha mai raccontato la storia di Phoneus?-
domandò il Guardiano, leggendo lo sconcerto nel volto del
suo principe.
-No-
disse sommessamente il dio -Era mia madre
quella che raccontava le storie e Loki quello che le leggeva; dal canto
mio,
ogni tanto mi limitavo ad ascoltarli, ma non ho mai sentito parlare di
Phoneus
prima d’oggi.
-Dovete
sapere, mio sire- riprese a spiegare il
Guardiano -Che Phoneus, prima di diventare l’abominio che
è oggi, è stato uno
dei più affezionati amici del nostro re e, visto quello che
è accaduto in
seguito, non mi sorprende che Odino non abbia voluto divulgare
ulteriormente la
notizia della sua amicizia con il mostro, né riportare alla
memoria dolori che
tanto difficilmente è possibile sopportare.
-Allora
raccontamela tu, Heimdall!- ordinò Thor,
sistemandosi sulla sella: il dolore alla schiena non sembrava voler
cessare e
gli era difficoltoso rimanere ritto sul cavallo -Sono stufo dei segreti.
-Sì,
mio principe. Come vi dicevo, Odino e Phoneus
in gioventù sono stati cresciuti assieme: Phoneus era il
rampollo di una
potente casata nobiliare di una ricca provincia asgardiana e venne
mandato alla
corte di vostro nonno affinché ricevesse la migliore
istruzione bellica e
politica. Avevano all’incirca la stessa età ed
erano entrambi giovani ragazzi
incoscienti e scapestrati; in poco tempo tra loro nacque una fervida
amicizia
che li legò fino all’età adulta, quando
iniziarono ad affrontare le prime
battaglie, combattendo fianco a fianco. Si dice che fu proprio durante
una
campagna nel Múspellheimr1 che
Phoneus venne a conoscenza della
magia nera e dei devastanti effetti che essa porta seco;
c’è chi dice che sia
stato maledetto da Surtr2, con cui si
scontrò faccia a faccia, ma io
credo che l’abbia cercato lui stesso: da molto tempo avevo
scorto nei suoi
occhi l’invidia per le regali ascendenze di Odino e la brama
del trono. La
campagna terminò e Phoneus chiese congedo a re Borr3
per tornare
dalla sua famiglia; non era una richiesta inusuale e Phoneus aveva
ricevuto
numerose ferite in battaglia, così il sovrano gli concesse
il congedo e quello
partì. Dopo pochi giorni, ricevemmo un messaggero che ci
riferì che molte città
di provincia e le campagne intorno ad esse erano state completamente
devastate
e gli abitanti scomparsi. Prontamente Borr e Odino partirono per
comprendere
cosa fosse accaduto e, quando raggiunsero la meta, non trovarono altro
che un
deserto di cenere. In quella landa desolata vennero attaccati dalle
donne e dai
bambini ritenuti dispersi, controllati, invece, dalla magia oscura di
Phoneus.
Il vigliacco aveva testato il suo maleficio sulla sua stessa gente,
trasformando il suo popolo e la sua famiglia in marionette da adoperare
in
battaglia, mentre lui si godeva con comodo lo spettacolo. Io
c’ero quel giorno,
Thor, e ho visto gli effetti della crudeltà di quel mostro.
Quel giorno fuggì e
iniziò a
diffondere paura e distruzione
per i Nove Regni, radunando sempre più seguaci. Con gli Elfi
Chiari come
alleati, Odino dedicò ogni suo giorno, ogni suo sforzo e
ogni suo potere per
trovarlo e punirlo; passarono diversi mesi prima che, finalmente,
l’abominio venisse
catturato, ma quando se lo trovarono davanti, né Borr
né Odino, memori
dell’affetto provato, furono in grado di pronunciare la
sentenza definitiva,
così Phoneus venne lasciato a marcire in cella, fino al
giorno
dell’incoronazione di Odino. Fu allora che, approfittando del
caos dei
festeggiamenti, Phoneus usò la sua magia per fuggire e,
quando se ne accorsero,
era ormai troppo tardi: il mostro era svanito.
-Pensi
che sia tornato per vendicarsi di mio Padre?-
domandò cupo il Dio del Tuono.
-È
un’eventualità possibile, mio signore- rispose il
Guardiano mentre iniziavano a percorrere il Bifrost -Ma non credo che
sia
l’unico scopo che ha portato Phoneus a muoversi di nuovo.
Egli è sempre stato
bramoso di potere, una brama insaziabile che ne ha corroso la mente e
le carni,
perciò credo che sia questo ciò che cerca: un
trono su cui sedersi e sentirsi
un dio.
Proseguirono
in silenzio l’attraversata del ponte, mentre
cupi pensieri occupavano la mente del Dio del Tuono.
Il
potere: era quella la maledizione che da sempre
aveva colpito la sua famiglia, tenendo Odino lontano da sua moglie e
dai suoi
figli, corrompendo la mente di Loki e portandolo a compiere crimini
orribili, e
quella piaga prima o poi sarebbe ricaduta sulle sue spalle.
Già la prima volta
che aveva impugnato Mjolnir aveva sentito quell'inebriante sensazione
di
onnipotenza, avvolgente e penetrante al punto da convincerlo che da
solo
sarebbe riuscito a sconfiggere ogni singolo Gigante di Ghiaccio nello
Jotunheim. Ora che ci ripensava, non poteva biasimare la decisione di
suo Padre
di esiliarlo su Midgard: che sciocco insensato era stato!
Aveva
dovuto imparare suo malgrado a gestire
l'adrenalina che quell'arma sacra era in grado di instillare nel suo
corpo e un
giorno avrebbe dovuto imbracciare Gungnir e cedere Mjolnir ad un erede,
così
come era sempre accaduto in Asgard dai tempi della creazione dei Nove
Regni.
C'erano
stati giorni, quando lui e Loki erano ancora
dei ragazzini, in cui aveva trascorso le ore a immaginare come sarebbe
stato
governare quel regno così ricco e potente, la punta di
diamante dei Nove Regni,
e a desiderare che ciò accadesse
presto;
ma dopo tutti gli eventi avvenuti dal giorno della sua "quasi
incoronazione", non aveva desiderato altro che lasciare la sua casa e
trascorrere il resto dei suoi giorni tra le braccia di Jane.
Più
di ogni altra cosa avrebbe voluto spogliarsi del
suo ruolo e dei suoi poteri per andare su Midgard e vivere da mortale
con la
sua donna, costruire con lei una famiglia, invecchiare insieme vedendo
crescere
i loro figli e morire al suo fianco, ma non poteva abbandonare suo
padre: Odino
aveva perso prima Frigga, poi Loki; Thor era tutto quello che gli era
rimasto
della sua famiglia.
Inoltre
il Dio del Tuono aveva un dovere nei
confronti del suo popolo e di tutti i Nove Regni in quanto portatore di
Mjolnir, un dovere che avrebbe portato a termine a dispetto dei suoi
desideri.
Una
morsa al petto gli strinse il cuore al pensiero
della sua piccola Jane tra le braccia di un altro uomo, qualcuno in
grado di
starle accanto, di farla sentire amata e protetta. Qualcuno migliore di
lui.
Jane,
in fondo, aveva tutto il diritto di avere al
suo fianco qualcuno che la rendesse felice e chi era lui per
impedirglielo? Per
costringerla a non donarsi a nessuno, nella vana speranza che lui
tornasse? Per
quanto l'idea che un altro uomo potesse portargliela via, quello che
Thor
desiderava per Jane era la felicità e, se lui non fosse
stato in grado di
offrirgliela, allora che fosse qualcun altro a colmare le sue mancanze;
purché
Jane fosse felice.
-Credo
che tu abbia visite Heimdall- disse il
principe, imponendosi di porre fine a quel deprimente flusso di
considerazioni
sulla propria vita.
In
fondo al ponte, infatti, una ragazza elfica li
attendeva, braccia incrociate sul petto,
in apparenza piuttosto nervosa.
-Credo
si tratti di uno dei guerrieri di Jarosit-
rispose il Guardiano aumentando il passo e raggiungendo in breve la
ragazza.
-Cosa
vi porta qui, nobile fanciulla? - chiese
cortese Heimdall alla sua ospite.
-Vengo
per conto della mia regina- rispose Ahzurit
-Ho bisogno che venga aperto il Bifrost: posso trovare Lady Chiara!
A
quelle parole Thor scese di getto dal cavallo e,
incurante della scossa di dolore che lo attraversò non
appena ebbe toccato
terra, corse verso l’arciera e la prese per le spalle: -Sei
sicura di poterlo
fare?- domandò fissandola direttamente nei suoi grandi occhi
blu.
-Sì
mio signore- rispose Ahzurit imbarazzata -Posso
percepire la sua frequenza, ma ho bisogno che mi venga aperto il varco
per i
Nove Regni.
-Esegui,
Heimdall- ordinò il principe al Guardiano
-Presto!
Heimdall
non se lo fece ripetere e, prontamente,
estrasse la spada dal fodero e la introdusse nella sede scavata nel
piedistallo. I meccanismi girarono, muovendo la cupola sopra di loro e
lasciando che la vista delle galassie si aprisse davanti ai loro occhi.
-Permettetemi-
esordì timidamente Ahzurit poggiando
la mano sul braccio del Guardiano -Sfrutterò anche la vostra
leggendaria
sensibilità per ampliare il mio campo d'azione.
-Prego-
rispose Heimdall, rivolgendole un caldo
sorriso -Non avete ancora detto il vostro nome, nobile fanciulla.
-Mi
chiamo Ahzurit, mio signore- rispose la fanciulla, le scaglie delle
guance
leggermente sollevate per l'imbarazzo.
Salutò
Marco davanti alla sua macchina,
abbracciandolo e stampandogli un sonoro bacio sulla guancia, poi
aprì la
vettura e si diresse verso casa, ascoltando distrattamente la radio
mentre
affrontava il solito traffico delle cinque del pomeriggio. Si era
attardata più
del dovuto, ma non aveva smesso un attimo di pensare a quel vecchio e a
quegli
occhi verdi riflessi nella vetrina, perdendo così la
cognizione del tempo; era
come se ci fosse stata una sorta di relazione tra di essi, ma,
più cercava di
capirla, più quella le sfuggiva.
-Non
ho mai sopportato i piagnistei- gracchiò la
voce metallica della radio, il cui segnale disturbato riproduceva
frammenti
incomprensibili di una conversazione -Hai
una vaga idea di dove stai andando?...
Non ti vergogni a comportarti come una
qualunque sgualdrinella?... Non
ti sembro reale? Un’analisi più
approfondita… Sorpresa!... Sono impressionato…
Infastidita
da quel gracchiare
incomprensibile, Chiara diede un colpo all’autoradio e
quella, per protesta, si
ammutolì del tutto, lasciandola da sola con il traffico dei
pendolari e i suoi
pensieri.
Forse,
si disse, sua madre aveva ragione e avrebbe
dovuto sforzarsi di dormire di più, piuttosto che
trascorrere le ore a guardare
film d'azione. Doveva essere stata la mancanza di sonno a renderla
così
impressionabile, dopotutto a lei non accadeva mai nulla: la sua vita
era piatta
e prevedibile fino al più minimo dettaglio. Come sarebbe
stato possibile che un
evento così irrilevante potesse in qualche modo mutare
quella condizione
immutabile?
Parcheggiò
l'auto di fianco alla villetta e,
attraversando il portico, salutò calorosamente suo nonno,
intento a potare il
suo roseto preferito: il giorno in cui era nata Chiara, aveva piantato
in onore
di quel lieto evento la prima rosa, che con gli anni era cresciuta e
aveva
diffuso i suoi semi, diventando un rigoglioso cespuglio di fiori
bianchi dai
bordi scarlatti.
Chiara
non aveva mai visto suo nonno dedicare tanto
tempo e cura a nessun'altra pianta in tutto il loro giardino.
Salutò
velocemente il resto della famiglia, lanciò
lo zaino sul divano e si precipitò a preparare la vasca da
bagno: immergersi
per una mezzoretta nell'acqua bollente l'avrebbe aiutata a rilassarsi e
a
schiarirsi le idee prima di uscire per la caccia.
Quando
la schiuma del sapone al gelsomino cominciò a
galleggiare sulla superficie fluida dell'acqua, Chiara si
spogliò e si immerse
lentamente nel liquido, concedendo al suo corpo tutto il tempo
necessario per
abituarsi a quel cambio di temperatura. Era ancora presto, non c'era
nessuna
fretta.
Chiuse
gli occhi godendosi la quiete che il contatto
rassicurante e accogliente con l'acqua profumata le offriva, svuotando
la mente
da tutti i pensieri e le preoccupazioni, ma inaspettatamente il buio
del retro
delle palpebre venne riempito dall'immagine di due grosse e fredde
iridi gialle
e di una coda nera dalla punta acuminata, che la fece sobbalzare.
Doveva
smetterla di agitarsi per nulla e di lasciare
che la fantasia corresse senza controllo, o si sarebbe beccata un
infarto! Ma
oramai la quiete che tanto bramava era andata a farsi benedire,
sostituita da
un opprimente senso di inquietudine, così la ragazza si
lavò i capelli alla
svelta e uscì dalla vasca, avvolgendosi con un accappatoio
di spugna
previdentemente lasciato a scaldare
sul
termosifone.
Strofinandosi
i capelli con un asciugamano, Chiara
si soffermò a osservare la propria immagine allo specchio:
sul suo volto si era
delineata un’espressione affaticata e preoccupata che non le
piaceva per
niente, così si sforzò di sorridere nel tentativo
di migliorarla, ma dentro di sé
si stava diffondendo una sensazione di incompletezza circa
quell’immagine, come
se fosse stata mancante di qualcosa di molto importante, smorzandole
così il
sorriso sul nascere. Eppure, cos’altro avrebbe dovuto
mostrarle quel vetro se
non il suo riflesso? Non c’era nessun’altro nel
bagno oltre a lei.
Dall’occhio
sinistro sfuggì una lacrima, che iniziò
a scendere lenta e calda sulla guancia; in un lampo Chiara la
asciugò ed
estrasse dal cassetto l’asciugacapelli.
-L’ho
trovata!- esclamò
all’improvviso Ahzurit, stringendo la spalla del Guardiano
nella sua mano -Ho
trovato Lady Chiara!
Note:
1
Regno dei Giganti di Fuoco
secondo la mitologia norrena (fonte:
http://it.wikipedia.org/wiki/M%C3%BAspellsheimr)
2
Sovrano dei Giganti di Fuoco,
secondo la mitologia norrena (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Surtr)
3
Sovrano di Asgard prima di
Odino, di cui è padre (fonte:
http://it.wikipedia.org/wiki/Borr)
Angolo
dell’autrice:
salve a tutte e buona Pasqua (anche se in ritardo)! Benvenute alla
fine del capitolo :) Vorrei ringraziare con tutto il cuore le nuove
arrivate
che hanno cominciato a seguire la storia! Spero possa continuare a
piacervi
anche in futuro ;)
Capitolo
lampo, ma
emotivamente piuttosto intenso: ho voluto concentrare, questa volta,
l’attenzione sul nostro caro Thor, che da un po’
è rimasto nelle retrovie,
portando alla luce i suoi sentimenti, le sue insicurezze e i suoi
rimpianti. È
un personaggio che amo molto e che spesso tende ad essere visto come un
balbettante bamboccione babbuino (cit. Minerva McGranitt alias
l’Immensa XD),
quando in realtà, a mio avviso, è molto
più complicato e intelligente di quanto
ci si aspetti da lui. Spero abbiate gradito :)
Dall’altra
parte, ecco la
nostra Chiara che continua a vivere la sua solita vita, ma qualcosa in
lei non
va: sente che le manca qualcosa, ma non riesce a capire di cosa si
tratti. Riuscirà
ad arrivare alla risposta?
Da
domani fino a domenica
sarò via e senza pc, perciò mi sarà
impossibile pubblicare questa settimana un
nuovo capitolo :/ Non preoccupatevi, però,
continuerò a scrivere indefessa e presto
tornerò a importunarvi XD
Nel
frattempo, spero che abbiate
gradito questo capitolo, seppur breve, e che vorrete lasciarmi la
vostra graditissima
opinione a riguardo :)
Vi
mando un abbraccio lungo
una settimana! XD
Alla
prossima :)
Lady
Realgar
|
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Capitolo 24 *** Un prezzo da pagare ***
La
regina degli elfi chiari camminava nervosamente
sui mosaici perfettamente eseguiti con frammenti di marmi policromi a
rappresentazione di una scena campestre, in cui i cervi pascolavano
calmi in
mezzo a prati verdi e rigogliosi e una lepre saltava allegramente da
una
macchia di ranuncoli all’altra; le colonne che si innalzavano
a sorreggere il
soffitto dipinto erano state istoriate affinché sembrassero
degli alberi di una
foresta, tra le cui fronde passeri, merli, fringuelli e cinciallegre
avevano
nidificato e portavano dei succulenti vermi ritorti ai loro piccoli. La
preziosa pietra luccicava sotto ai suoi piedi, quasi implorandole
attenzione
sui delicati dettagli e sulla lavorazione sapiente, ma Jarosit era
sorda a
quella richiesta: aspettava impazientemente notizie dalla sua guardia e
la sua
mentre era troppo appesantita da quel pensiero per potersi concentrare
sulla
bellezza che la circondava.
Torceva
le dita affusolate, impreziosite da anelli
d’oro e di smeraldi, e camminava, continuando a pensare a
quello che era
accaduto: la midgardiana si era sacrificata per il popolo di Asgard e
ora era
in mano a Phoneus, così come sua figlia e molti altri
bambini di Âlfheimr.
Doveva assolutamente conferire in privato con Loki e comprendere se, in
quel
momento di comune difficoltà, avrebbe potuto fidarsi di lui:
come chiunque
altro nei Nove Regni conosceva la fama che il Dio degli Inganni era
andato
costruendosi negli ultimi tempi e, saggiamente, diffidava della sua
parola e
della sua lealtà, ma non poteva non tenere in considerazione
quello che aveva
visto nei ricordi di Lady Chiara.
Attraverso
di lei aveva scoperto qualcosa che non si
sarebbe mai aspettata di trovare nell’animo dello Jotun
rinnegato e, data la
situazione, non avrebbe potuto esserci momento meno opportuno per un
simile
cambiamento. Ma se si fosse ingannata? Se quello che aveva visto fosse
stato
solo un abbaglio e, in realtà, il cuore dello Jotun fosse
ancora freddo e
impenetrabile come l’acciaio? Aveva bisogno di parlare con
lui a quattr’occhi e
scrutare direttamente nel suo animo, come prima, distratta dalla
battaglia, non
era riuscita a fare.
Un
metallico rumore di passi in avvicinamento la
distrasse dalle sue preoccupazioni e, alle sue spalle, trovò
gli occhi rosso
rubino di Alkanna, fidato capitano della sua guardia personale, che la
osservavano con affettuosa reverenza.
-Avete
recuperato tutti i bambini?- domandò
apprensiva Jarosit al capitano, appena tornato dalla città.
-Per
il momento siamo riusciti a trovarne solo una
trentina- rispose Alkanna, abbassando lo sguardo per non incrociare gli
occhi delusi
della sua amata sovrana -Riteniamo che fossero in possesso di frammenti
della Porta
di Fumo e che siano scappati insieme agli altri guerrieri di Phoneus.
-Nessuna
traccia della principessa?- domandò la regina
in un filo di voce.
-No,
mia signora. Ne sono dolente.
-Continuate
a cercare e portate tutti i
sopravvissuti nelle stanze del castello, esattamente come ha ordinato
Odino.
Cercheremo di trovare un modo per disintossicarli- ordinò la
donna, congedandolo.
Quando
l’uomo se ne fu andato, accompagnato dallo
sferragliare della sua armatura, Jarosit si diresse a lunghi passi
verso la
sala del trono, dove era attesa, ma lungo il corridoio la sua
attenzione venne
attratta dall’immagine di Asgard che le grandi finestre
incorniciate di marmo
bianco le offrivano: tutta la bellezza e l’armonia che
avevano da sempre
caratterizzato quel luogo leggendario erano state devastate dalle
fiamme e
nascoste dalla cenere impietosa; gli edifici e le case più
piccoli e poveri erano
stati completamente distrutti, mentre quelle strutture più
ricche, composte da
candide e sfavillanti pietre delle cave nelle montagne, erano state
annerite
dai fumi e dai prodotti della combustione, ridotte a fragili scheletri
di una
ricchezza deturpata dalla guerra. Indifferente alle vicende che avevano
colpito
la città, il Bifrost continuava a rifulgere dei suoi sette
colori, quasi a
volerla schernire.
“Anche
Asgard ha pagato un prezzo caro in questa battaglia”
pensò la donna, mentre due guardie le aprivano le porte
della sala del trono,
dove il re, Thor e i Tre Guerrieri tenevano consiglio.
-I
fuochi sono stati spenti e i civili mandati su
Midgard- stava dicendo Hogun al suo sovrano, quand’ella fece
il suo ingresso
-Abbiamo trovato cadaveri di diversa provenienza, mentre i prigionieri
sono
stati rinchiusi nelle celle e nelle stanze dell’ultimo piano
del palazzo. Al
momento a sorvegliarli vi sono una dozzina di quei pochi soldati che
non sono
stati feriti nello scontro, ma speriamo che i Guaritori possano
rimettere
presto in sesto i guerrieri che hanno subito ferite lievi.
-Molto
bene, Hogun- rispose Loki, che si rivolse poi
a Volstagg -Avete mandato dei cercatori nelle foreste?
-Sì
mio signore- rispose prontamente il guerriero
fulvo -In parte asgardiani e in parte elfi. Stanno pattugliando la zona
intorno
alla città in cerca di altri sopravvissuti.
Finalmente
Loki sembrò notare la presenza della
regina e congedò gli altri uomini, affinché
potesse colloquiare in privato con
lei, ma Thor, il cui braccio ferito era stato fasciato alla
bell’e meglio, non
sembrava intenzionato ad andarsene: -Che ne sarà di Chiara?-
domandò secco, un’ombra
si era deposta sui suoi occhi celesti e sul suo viso squadrato.
-La
troveremo, figlio mio, vedrai- rispose il
sovrano ponendogli rassicurante una mano sulla spalla forzuta -Ora devi
farti
visitare da un Guaritore: per tua fortuna la lama che ti ha colpito non
era di
origine elfica, ma hai bisogno di cure o non sarai in grado di
combattere la
prossima battaglia.
Quel
consiglio era stato pronunciato come un ordine
irrevocabile e il Dio del Tuono non poté che obbedire,
lanciando un’ultima,
rovente, occhiata alla regina Jarosit, prima di sparire dietro le porte
dorate.
I
due sovrani attesero che intorno a loro calasse il
completo silenzio, poi Jarosit disse: -Non hai bisogno di nasconderti a
me,
Loki, mostrami il tuo volto senza timore: Heimdall è stato
mandato nelle
foreste, non rivolgerà qui il suo sguardo.
In
un lampo smeraldino il Dio degli Inganni si
liberò delle fattezze di Odino e si avvicinò alla
regina, stringendo
nervosamente Gungnir tra le dita affusolate: -Strega-
l’apostrofò -Ristabilisci
il vincolo che hai spezzato tra me e la mortale!
-Non
mi è possibile- rispose la donna freddamente
-Non conosco la sua ubicazione, perciò non posso
riallacciare i fili tagliati,
ma, te lo assicuro, se fosse morta te ne accorgeresti.
-Non
mi importa della sua vita!- ringhiò il dio,
sbattendo la base di Gungnir sul pavimento marmoreo -Voglio trovare
Phoneus e
punirlo con la più dolorosa delle morti per quello che ha
fatto al mio regno!
-Allora
pregate gli Antichi che non sia ancora
riuscito nel suo intento- ribatté la donna.
-Cosa
intendi dire?
-Nei
ricordi di Lady Chiara- spiegò Jarosit -Phoneus
stava cercando di instillare negli umani il suo veleno e in lei esso
non ha
causato la morte.
-È
impossibile!- la interruppe Loki -I terrestri
sono creature troppo deboli, verrebbero bruciati dall’interno.
-Lei
no!- riprese la donna -E non solo non è morta,
ma non ne è nemmeno stata soggiogata. È riuscita
a fuggire prima che Phoneus
potesse indagare il perché, ma ora che è nelle
sue mani potrebbe scoprirlo.
-Che
cosa potrebbe avere quella mortale di tanto
potente?- domandò interessato il dio, accarezzando con la
mano la fredda
superficie di Gungnir.
-Io
non lo so- ammise la regina in un soffio -Ma
qualunque cosa sia non deve cadere nelle mani di Phoneus!
-Quindi è per
questo che la stava cercando…- rifletté ad alta
voce Loki, misurando il
pavimento a lunghi passi -Ora il problema è: come la
troviamo e quanto tempo ci
rimane prima che sia troppo tardi?
Il
silenzio scese tra i due sovrani, pesante come
una cappa di piombo sulle loro teste; avevano scampato per il momento
il
pericolo, ma una minaccia ben peggiore gravava sui loro mondi e loro
erano lì,
rinchiusi in una sala tappezzata d’oro, a non fare nulla. A
non sapere cosa
fare.
Loki
si morse nervosamente il labbro inferiore: non
avrebbe mai dovuto far uscire quella ragazza dalle prigioni, avrebbe
dovuto
tenerla reclusa, dove avrebbe potuto controllarla in tutto e per tutto,
ma
aveva fatto il grave errore di sottovalutare la sua
caparbietà, la sua
perspicacia e il suo coraggio.
Non
era riuscito a penetrare gli antri più reconditi
della sua mente e, avido di informazioni, aveva permesso che lei
vedesse nei
suoi ricordi.
Non
era così che funzionava la lettura del pensiero?
Una volta aperta una porta è possibile vedere in entrambe le
direzioni e lei lo
aveva ricambiato con la sua stessa moneta, perfino nel sonno, quando
l’inconscio prende il sopravvento e ci restituisce le ansie e
le paure sotto
forma di incubi. Persino in quel frangente quella piccola stupida era
riuscita
a infrangere le sue difese, facendolo sentire vulnerabile.
Aveva
avuto persino l’ardire di salvargli la vita,
legandolo a sé con un debito indissolubile, che lui prima o
poi avrebbe dovuto
pagare e, ora che quella mortale si era fatta prendere da quel mostro,
lui non
sapeva come salvarla.
La
cosa peggiore, però, era il fatto che saperla in
pericolo gli causava un’insopportabile agitazione in petto.
Doveva trovare il
modo di liberarsene.
Qualcuno
bussò alle porte e in un lampo Loki tornò
ad avere le sembianze del Padre degli Dei. Quel maledetto incantesimo
richiedeva una quantità spropositata di energia, forse era
la stanchezza a
farlo sentire così agitato.
Una
porta si aprì lentamente, facendo apparire il
volto di una giovane elfa dagli occhi blu, che chiese timidamente: -Mia
signora, posso conferire con voi?
-Certamente,
Ahzurit!- rispose la regina, correndole
incontro -Avete trovato Orpimen?
A
quella domanda, la ragazza abbassò tristemente lo
sguardo e, in un filo di voce, rispose: -No, mia signora, non ancora,
ma
abbiamo trovato molti altri bambini, che ora dormono sotto incantesimo.
-Va
bene, Ahzurit- disse Jarosit, emettendo un doloroso
sospiro -Non speravo di trovarla così presto: Phoneus
probabilmente starà
usando lei per tenermi in pugno.
-Conducete
le vostre ancelle alla guerra e poi vi
sorprendete che vengano rapite dal nemico?- domandò
canzonatorio il re di
Asgard con un sorriso malevolo sulle labbra.
A
quelle parole di veleno, le due donne si voltarono
all’unisono verso di lui, fulminandolo con lo sguardo:
-Orpimen è mia figlia-
sibilò tra i denti Jarosit -E la fanciulla accanto a me
è Ahzurit, la migliore
arciera dei Nove Regni, dotata di una velocità e di un udito
sopraffino che
persino voi, Maestà, rimarreste…
Ma
la regina non finì mai quella frase, perché
rimase bloccata per qualche secondo a bocca aperta, come folgorata da
una
rivelazione che le si era appena manifestata nella mente; poi,
finalmente, la
sua bocca sembrò tornare alla sua funzione e Jarosit chiese
alla sua fidata
arciera: -Mia cara, tu hai conosciuto Lady Chiara alla Festa
d’Estate, nevvero?
Sorpresa
da quell’inaspettata domanda, la ragazza
rispose incerta: -Sì, mia regina, ho avuto modo di parlare
con lei. Perché me
lo chiedete?
-Perché
il destino dei Nove Regni potrebbe dipendere
dalle tue straordinarie capacità uditive, Ahzurit.
Un
forte assolo di chitarra elettrica le attraversò
fastidiosamente i timpani,
costringendola ad allungare svogliatamente la mano verso il comodino
per porre
fine a quella straziante tortura mattutina: la sveglia.
Quando
finalmente nella stanza tornò il silenzio, mugugnando Chiara
fece appello a
tutta la forza di volontà di cui era provvista e si impose
di sollevarsi dal
caldo materasso e dalle accoglienti coperte; il contatto del suo piede
con la
fredda superficie del pavimento fu uno shock.
Il
quadrante a cristalli liquidi della sveglia accanto al letto segnava le
6.45:
era ora di alzarsi o avrebbe fatto tardi a lezione, dando
così un pretesto alla
prof Pintocchi, che già dal primo semestre l’aveva
presa di mira, per farle
qualche domanda infida all’esame.
Terrorizzata
dall’immagine del sorrisino compiaciuto e vittorioso sul
volto rubicondo della
Pintocchi, Chiara si affrettò a scendere in cucina, dove
venne accolta da un
invitante profumino di caffè e torta al limone.
-Buongiorno
a tutti!- salutò raggiante, stampando un sonoro bacio sulla
guancia di sua
nonna, che per la sorpresa per poco non rovesciò la tazza di
tè bollente sulle
ginocchia di Francesco.
-Come
mai tutta questa allegria?- domandò sospettoso il ragazzo,
rigirando il
cucchiaio nella tazza colma di latte e cereali davanti a lui -Di solito
a
quest’ora sei scontrosa come un cane con la rabbia!
-Ero
solo felice di vedervi, ma ora mi è passato, grazie France!-
rispose Chiara
facendogli la linguaccia e servendosi una generosa porzione di torta.
-Non
immaginerete mai che cosa ho sognato!- riprese dopo aver addentato il
dolce e bevuto
qualche sorso di caffè -Ero finita nel mondo degli dei
norreni, avevo
conosciuto Thor e Odino e poi c’è stata una sorta
di guerra, ma non mi ricordo
molto bene. Però Loki era davvero un gran figo,anche se
antipatico come il
ricino.
-Dovresti
smetterla di mangiare schifezze la sera e fare le ore piccole a
guardare film-
la rimproverò la madre, sedendosi con loro al tavolo -Se
dedicassi allo studio
il tempo che passi davanti allo schermo, probabilmente a
quest’ora saresti la
prima del tuo corso.
Chiara
alzò gli occhi al cielo e finse di prestare attenzione al
giornale che suo
nonno stava leggendo: in prima pagina c’era un articolo su un
presunto attacco
alieno a New York; vi erano perfino delle fotografie raffiguranti delle
strane
creature a cavallo di monopattini volanti.
“Poveri
noi, persino i giornali ora si mettono a pubblicare notizie assurde;
scommetto
che la prossima breaking news sarà la scoperta
dell’esistenza di Narnia con relativa
intervista ad Aslan”
-Loki
non era quello che si era fatto montare da un cavallo?-
domandò ad un tratto
Francesco, ridacchiando.
-Cielo,
non saprei proprio!- rispose Chiara, stranamente imbarazzata da quella
domanda
a bruciapelo.
-Ma
sì!- continuò il ragazzo -Poi era rimasto incinto
di un cavallo a otto zampe!
-Mi
sembra di ricordare di aver visto nel sogno un cavallo a otto zampe, ma
non gli
ho chiesto di descrivermi il suo albero genealogico. La prossima volta
me ne
ricorderò e ti farò sapere.
L’orologio
a pendolo in salotto batté le sette e Chiara si
affrettò a terminare la
colazione per poi correre in bagno a lavarsi e a vestirsi; in dieci
minuti fu
di nuovo al pianterreno, salutò i parenti e si
infilò in auto, diretta verso la
città.
Quel
giorno le strade erano insolitamente prive del loro tipico traffico
mattutino e
ci mise poco arrivare a destinazione, ma, mentre parcheggiava il
veicolo al suo
posto abituale, poco distante dal vecchio edificio che ospitava la sua
facoltà,
la ragazza notò che dentro ad un bar un anziano signore,
elegantemente vestito,
con la barba ben curata e una benda sull’occhio sinistro, la
stava fissando
insistentemente, sorseggiando un cappuccino e giocherellando con un
bastone da
passeggio di legno scuro dall’impugnatura d’ottone
a forma di testa d’ariete.
Chiara
distolse infastidita lo sguardo: non sopportava d’essere
osservata con
insistenza (soprattutto se si trattava di sconosciuti) e non voleva
dare la
soddisfazione a quel vecchio di vederla alterata per il suo
comportamento, così
lo ignorò e si diresse a passi veloci verso
l’ingresso dell’università, dove ad
aspettarla vi era un gruppetto di ciancianti fanciulle.
-Ciao
ragazze- le salutò cordiale.
-Chiara,
meno male che sei arrivata!- l’accolse una ragazza dai
capelli color sabbia e
le orecchie leggermente a sventola -Antonella è uscita di
nuovo con quel
bamboccio di Guido e insiste nel sostenere che sia una persona
interessante.
-Ma
lo è!- la interruppe una seconda ragazza, piuttosto alta e
con la coda di
cavallo -Ha solo il vizio di fare battute stupide a sproposito, ma
quando ci
passi un po’ di tempo assieme rivela lati nascosti
inaspettati.
-Sì,
certo- si intromise la terza, sbattendo i suoi grandi occhi azzurro
cielo -Ad
esempio il fatto che passa in palestra metà delle sue
giornate e l’ultimo libro
che ha letto è stato un numero di Topolino ai tempi delle
elementari.
-Ragazze,
si può sapere cosa c’entro io con tutto questo?-
domandò Chiara spazientita.
-Ti
prego, dille che Guido è un pessimo partito e che per il suo
bene è meglio se
lo evita come la peste!- rispose la ragazza dai capelli color sabbia,
enfatizzando la frase con un tono studiatamente drammatico.
-Per
l’amor del Cielo, Gabri, che autorità avrei io per
dirle chi deve frequentare?
Se le piace quell’idiota di Guido, cosa posso farci? Insomma,
è evidente che a
lei piace il tipo di uomo che venera la propria immagine e vi dedica
tutto il
suo tempo e le sue risorse, perciò non vedo
perché mai dovrei mettermi in
mezzo.
L’inizio
delle lezioni si avvicinava, così le quattro amiche
dovettero interrompere la
loro discussione, ma, salendo le scale, Gabriella le lanciò
un fugace
occhiolino: sapevano bene entrambe che le loro parole sarebbero andate
a segno
e che Antonella avrebbe presto cambiato idea su quel ragazzo
così immaturo ed
egocentrico, con la malsana abitudine di vantarsi in
mensa delle proprie prestazioni sessuali
con fantomatiche fanciulle da una notte e via.
D’altro
canto, le amiche servono anche a questo.
La
mattina trascorse lenta come un supplizio: la Pintocchi era la
professoressa
più noiosa e prolissa che Chiara avesse mai avuto e sentirla
parlare per ore e
ore sempre con lo stesso tono era una tortura al pari di quelle
praticate dagli
Aztechi alle loro vittime di guerra.
Un
bigliettino volò sul banco di Chiara, rompendo la monotonia
di quella lezione;
lentamente la ragazza lo aprì e vi lesse: INCONTRO STASERA
AL PUB, OBIETTIVO:
TROVARE UN BUON PARTITO PER ANTO.
Sotto
al messaggio vi erano le firme di Gabriella e di Valentina (la ragazza
con gli
occhi azzurri) a significare che entrambe avrebbero aderito
all’iniziativa.
Chiara
avrebbe voluto trascorrere la serata a leggere un buon libro e a
mangiare una
pizza consegnata a domicilio, ma non poteva disertare o avrebbe dovuto
pagare
pegno: era una tradizione che si trascinavano dai tempi del liceo,
quando
veniva organizzata una serata-missione, finalizzata a trovare un
ragazzo a una
di loro, tutte quante dovevano partecipare, affinché il
candidato venisse
scelto democraticamente; chi non si presentava doveva subire una
punizione,
solitamente poco piacevole.
Chiara
e Marco si erano conosciuti per la prima volta proprio durante una di
quelle
serate e oramai era da più di un anno che stavano insieme;
quindi, in qualche
modo, il loro metodo funzionava.
La
ragazza non poté, dunque, fare altro che firmare il foglio
di carta e rimandarlo
al mittente; Antonella, ovviamente, non avrebbe dovuto sapere lo scopo
della
serata e sarebbe stata condotta al locale con una qualche scusa, poi la
caccia
sarebbe stata aperta e non si sarebbe conclusa senza prima aver
catturato una
preda accettabile.
Finalmente
le quattro interminabili ore di lezione terminarono e le ragazze furono
libere
di uscire dall’aula e tornarsene a casa; prima di sparire
dentro a un autobus,
Gabriella ammiccò di nuovo a Chiara, sussurrandole
all’orecchio un veloce ed
entusiasta “A stasera”.
A
pranzo quel giorno Chiara aveva appuntamento con Marco in una
rosticceria
piuttosto famosa tra gli studenti della zona, ma aveva ancora qualche
minuto
libero prima dell’orario concordato, così decise
di passeggiare un po’ per il
centro e di osservare le vetrine, nella speranza di trovare qualche
bell’indumento a poco prezzo.
Fu
una ricerca vana: visitò tre diversi negozi di moda e non
trovò nemmeno una
canottiera che non costasse un capitale; aveva persino adocchiato un
meraviglioso abito da sera color pervinca con tanto di sandali
abbinati, ma,
inutile dirlo, non l’aveva trovato della sua taglia.
Stava
guardando assorta l’ennesima vetrina, quando vide, riflesso
nel vetro, un paio
di freddi occhi verdi che le fece balzare il cuore e raggelare il
sangue; si
voltò di scatto, decisa a scoprire a chi appartenessero, e
alle sue spalle
trovò l’anziano uomo che aveva scorto in un bar
quella stessa mattina.
La
stava scrutando con piglio severo attraverso il suo unico occhio e
impugnava il
bastone da passeggio come se fosse stato uno scettro.
Chiara
si chiese se non fosse stato il caso di dirgli qualcosa, di chiedergli
di
lasciarla in pace, magari minacciando di chiamare la polizia qualora
l’avesse
di nuovo sorpreso a fissarla, ma non voleva rischiare di mettere nei
guai un
anziano solo perché lei quel giorno era vittima di manie di
persecuzione.
Magari era stato solo un caso se l’aveva incontrato due volte
nella stessa
giornata, poteva capitare, no? Inoltre quell’uomo la metteva
in soggezione:
aveva un’aria tanto nobile e distinta da farla sentire
piccola e
insignificante, smorzandole le parole in gola.
Fortunatamente
arrivò Marco a salvarla da quella situazione imbarazzante e,
dopo averle
lasciato un bacio sulle labbra, la condusse per mano alla rosticceria,
dove
iniziò a raccontarle del cadavere che avevano dissezionato a
lezione il giorno
prima per studiare meglio la conformazione dell’intestino
tenue e le differenze
con quello crasso.
Dopo
un anno di relazione, Chiara si era abituata a sentirlo parlare di
organi,
malattie e operazioni e riuscì a mangiare il suo kebab senza
alcuna difficoltà,
anche quando quello iniziò a descriverle minuziosamente il
momento in cui
avevano inciso il peritoneo e avevano iniziato ad esplorare
l’interno
dell’organo.
A
pasto concluso i due decisero di passeggiare per il centro storico e,
mentre
Marco continuava a narrare ininterrottamente le sue avventure con il
bisturi,
nella mente di Chiara si era cristallizzata l’immagine di quei due grandi occhi verdi
riflessi nel
vetro.
Sapeva
che era assurdo, ma per un fugace momento le era parso di averli
già visti.
E
così Chiara emanava delle frequenze
particolari, o almeno questo era quello che affermava
quella tediosa elfa dagli occhi blu.
In
un primo momento aveva creduto che si stessero
prendendo gioco di lui: come poteva quell’umana emettere
frequenze? Non era
mica uno di quei rumorosi oggetti midgardiani chiamati radio!
Poi, però, qualcosa nei visi delle due donne lo aveva
convinto del fatto che ci credessero per davvero e allora aveva
iniziato ad
ascoltarle.
Jarosit
non era il tipo di persona che si faceva
convincere da delle assurde favolette, questo il Dio degli Inganni lo
sapeva
bene, ed era determinata a ritrovare la figlia, perciò, se
per lei tutta quella
storia era verosimile, si poteva supporre che effettivamente
c’era la
possibilità che quella Ahzurit potesse per davvero sentire
Chiara.
Inoltre
quella, per quanto incredibile potesse
essere, era l’unica idea che avevano.
-Maestà-
gli si rivolse Jarosit mentre attraversavano
il palazzo, diretti al Bifrost -Vorrei conferire ancora qualche minuto
con voi,
se me lo consentite.
-Il
tempo a nostra disposizione- rispose il dio -È
poco, come voi stessa non avete mancato di far notare,
perché mai dovremmo
sprecarlo ancora in inutili chiacchere, mentre Phoneus tiene tra le sue
grinfie
vostra figlia?
-Perché
Ahzurit sa perfettamente come raggiungere da
sola il Bifrost e perché noi non potremmo fare nulla mentre
lei cerca di trovare
Lady Chiara, perciò tanto vale ingannare l’attesa
con una conversazione tra
sovrani.
Afferrata
l’antifona, Ahzurit accennò un veloce
inchino e si dileguò fuori dai cancelli del palazzo,
diventando velocemente una
piccola figura scura sulla superficie iridescente del ponte.
-Cos’altro
vuoi, Jarosit?- ringhiò tra i denti il
Dio degli Inganni.
-Voglio
capire fino a che punto siete disposto a
pagare in questa guerra- rispose la donna, scrutandolo da capo a piede
con i
suoi grandi occhi dorati.
-A
cosa ti riferisci?
-Sto
parlando di Lady Chiara.
Lo
stomaco del dio si contrasse a quel nome, innervosendolo
ancora di più: -Te l’ho già detto: non
mi interessa della sua vita!
-E
della sua morte?
Quella
domanda lo colse di sorpresa, ammutolendolo.
-Vi
definite il Dio della Menzogna, ma non potete
mentire a chi è capace di leggere la mente e i cuori come le
pagine di un
libro. Ho veduto nei ricordi di Lady Chiara quello che le è
accaduto nei giorni
trascorsi qui ad Asgard e nel vostro comportamento nei suoi confronti,
seppur
controverso e complicato, ho letto un desiderio di legame, piuttosto
che di
timorosa reverenza. Perché stringere un vincolo mentale con
lei, pagando la
conoscenza della sua ubicazione con la visibilità dei vostri
ricordi? Perché
sollevarla del logorante senso di colpa per la morte del detenuto?
Perché
concederle l’uso dei suoi strumenti di lettura e permetterle
di accedere alle
vostre stanze private? Perché distrarre i suoi aggressori e
porre uno dei Tre
Guerrieri sotto la sua finestra la sera in cui l’avete
reclusa, se non avete
alcun interesse per la sua vita?
-Ora
basta!- sibilò minaccioso Loki, le fredde iridi
verdi strette in due fessure -Non addentrarti in argomenti di cui
potresti
pentirti.
-Quello
che voglio dire- riprese la regina,
sorvolando sulla minaccia -È che Lady Chiara ha assunto per
voi un qualche
valore ed è per questo che vi chiedo se è un
prezzo che siete disposto a pagare
per fermare Phoneus una volta per tutte.
-Quale
prezzo?
-La
vita di Lady Chiara- rispose cupa la donna -Ho
timore che sarà solo con la sua morte che il nemico
sarà abbattuto.
-Io
ho un debito- disse piano il Dio degli Inganni,
apparentemente calmo e ricomposto -Un debito che ho intenzione di
estinguere e
questo è quanto. Sarà il solo prezzo che
pagherò.
“E
Loki paga sempre i propri debiti”.
Senza
aggiungere altro, il dio si incamminò verso il
ponte, seguito poco dopo dalla regina degli Elfi Chiari; silenziosa e
pensierosa, a mala pena si curava di celare la preoccupazione che
quella
discussione le aveva instillato in corpo, mentre alle loro spalle
lasciavano
una città piegata dalla crudeltà di un mostro, la
prima di quella che avrebbe
potuto essere una lunga lista nera di regni, civiltà e
popoli devastati dalla
sua brama di sangue.
La
vita di una ragazza per la salvezza di milioni di
miliardi di altre vite innocenti: un prezzo tutto sommato misero, ma
sarebbe
stato pagato quel fio impietoso?
Quella
la domanda che assillava la regina degli Elfi
Chiari, mentre attraversava il ponte dell’arcobaleno in
compagnia del Dio degli
Inganni.
Angolo
dell’autrice:
salve ragazze e benvenute alla fine
del ventitreesimo capitolo de La sua
paura! Un abbraccio alla fanciulla che ha aggiunto la storia
tra le
preferite (prometto che, a storia conclusa, farò dei
ringraziamenti fatti per
benino a tutte quelle meravigliose creature che stanno supportando -e
anche
sopportando XD- il mio lavoro).
Dunque
dunque, Jarosit ha l’occhio lungo e vede
laddove i più non riescono a scorgere alcunché,
ma stavolta i suoi sospetti
sono particolarmente gravosi. Che accadrà? E Loki come
pagherà il suo debito?
Giusto
per semplificare le cose (sono una persona
sadica, se non si fosse notato) la nostra Chiara sembra essere tornata
alla sua
solita vita… che cosa sta succedendo? L’autrice
è stata forse contagiata dal
veleno di Phoneus ed è diventata improvvisamente matta? Chi
può dirlo? ;)
Ad
ogni modo, voglio fare un gioco con voi, mie
care: in questo capitolo, come sicuramente avrete notato, ci sono due
citazioni, una grande come un elefante, l’altra leggermente
più nascosta.
Vediamo chi riesce a indovinarle!
Piccolo
aiuto: entrambe provengono da serie
televisive molto popolari, una relativamente recente e
un’altra che vanta ben
cinquant’anni di storia; una citazione proviene da una
famiglia di “leoni” ;)
l’altra da una ragazza che un giorno è stata
salvata da un mostro sotto al
letto.
Vi
ho aiutate? Non molto temo, ma sono sicura che ci
arriverete ;) in palio ci sono punti della vostra casa ad Hogwarts, 5
per una
sola citazione individuata, 10 per due, 15 se sapete dirmi addirittura
l’episodio da cui è stata tratta la citazione
difficile ;)
Se
sapete la risposta, dichiarate la vostra casa e
alla fine della storia, quella che avrà raggiunto
più punti vincerà la Coppa
delle Case!
Se
questo giochino vi piace, cercherò di riproporlo
anche nei prossimi capitoli ^-^ sennò… nulla,
niente giochino e amici come
prima!
Un
abbraccio a tutte quante e alla prossima!
Lady
Realgar
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Capitolo 25 *** Gotta Wake Up! ***
Si
lasciò cadere sulle coperte del suo letto e,
ancora avvolta dall’accappatoio, si soffermò ad
osservare i giochi di luce e
ombre che il tramonto disegnava sul suo soffitto, attraversando le
semplici
geometrie del lampadario.
Non
riusciva a togliersi di dosso quella stramba
sensazione di inquietudine, come se avesse dovuto fare qualcosa di
importante e
se ne fosse dimenticata; provò a ricordare tutti i suoi
impegni scolastici, ma
non riusciva a capire cosa avesse scordato di fare: tutti gli appunti
erano
stati ricopiati, le dispense scaricate e la relazione conclusa e
inviata. Cosa
poteva aver dimenticato?
Il
cellulare sul comodino trillò e Chiara lesse sul
display:
Da
Gabry: Incontro confermato per le 8 al Pub.
Passo a prenderti per le 7.30. A dopo.
La
sveglia accanto a lei segnava le 18.30, così si
alzò e iniziò a cercare nell’armadio
qualcosa da indossare per la serata: quella
sera Antonella avrebbe dovuto essere, ovviamente, la più
graziosa del gruppo,
ma Chiara non aveva alcuna intenzione di uscire di casa senza un
abbigliamento
adeguato.
Estrasse
dall'armadio praticamente ogni pezzo di
stoffa che era contenuto al suo interno, ma alla fine optò
per una minigonna
nera e una camicetta turchese con un bel paio di stivali neri di pelle;
si
osservò allo specchio e, nel complesso soddisfatta del
risultato, passò alla
titanica impresa di dare una piega ordinata ai suoi capelli. Mentre
passava la
spazzola tra quei fili ribelli, per un attimo le parve di vedere con la
coda
dell’occhio una brocca argentata sulla scrivania accanto a
lei, ma, quando si
voltò, l’unica cosa che vide fu la lampada da
lettura.
I
denti della spazzola si bloccarono su un nodo,
provocandole una scossa di dolore: -Maledizione!- si lamentò
la ragazza,
cercando di sbrogliare la matassa di capelli senza farsi lo scalpo;
sconfitta,
decise di inforcare un paio di forcine e risolvere il problema con uno
chignon.
Sembrava
una segretaria appena uscita dall’ufficio,
ma oramai si erano fatte le 19.15 e Gabriella sarebbe passata da
lì a poco.
Scese
in cucina, dove sua madre e sua nonna stavano
allestendo la tavola per la cena: -Stai uscendo?- domandò la
nonna, osservando il
suo abbigliamento poco casalingo.
-Sì-
rispose la ragazza -Stasera
siamo a caccia per Anto.
-Cerca
di non fare troppo tardi, per favore- le
raccomandò la madre -E controlla che Gabriella non beva!
-Sono
anni che passa a prendermi per far serata-
ribatté Chiara, rubando dalla fruttiera una mela e
addentandola -E non ha mai
bevuto nemmeno un goccio di birra. È molto affidabile!
-Comunque
sia, sta’ attenta, ok?- insistette la
donna -Se succede qualcosa, chiamami!
-Va
bene, va bene.
“La
mamma è sempre la mamma” ridacchiò tra
sé la
ragazza, finendo di mangiare la sua mela, poi un rumore di clacson
annunciò
l’arrivo dell’amica, così prese il
cappotto e, dopo aver velocemente salutato
la sua famiglia, uscì di corsa verso la vecchia Toyota di
Gabri, che l’accolse
domandandole: -Stai andando a un colloquio di lavoro?
-Piantala!-
la zittì Chiara, chiudendo la portiera
alla sua destra -Stasera non ero in vena di tacchi a spillo e
scollature, ma
vedo che tu, invece, sei ben equipaggiata- aggiunse poi, notando il
vestito
rosso dallo spacco vertiginoso che l’amica indossava.
-Non
dovrebbe essere Antonella quella più
appariscente?- domandò Chiara, mentre la ragazza metteva in
moto e dirigeva
l’auto verso la strada.
-Anto
è una ragazza stupenda e dalla conversazione
piacevole, anche se con un pessimo gusto in fatto di ragazzi- rispose
Gabriella
-Non ha bisogno di bei vestiti per piacere, al contrario di me, quindi
sono
sicura che non le ruberò affatto la scena.
-Gabri…-
sospirò Chiara -Non essere ridicola! Anche
tu sei una ragazza splendida e chi si avvicina a te solo
perché indossi un
vestito provocante è un completo idiota!
Gabriella
le rispose con un sorriso imbarazzato e
Chiara seppe di averla rassicurata: la ragazza aveva sempre avuto, da
quando la
conosceva, un brutto complesso di inferiorità nei confronti
delle altre persone
ed era stata soggetta più volte a fenomeni di bullismo, che
l’avevano portata a
isolarsi e, nei suoi momenti peggiori, a smettere di mangiare.
Chiara
l’aveva conosciuta nei bagni femminili al
primo anno del liceo, trovandola in lacrime seduta su un gabinetto; da
allora
avevano affrontato insieme sia le cattiverie dettate dalla
stupidità di coloro
che traevano piacere nel ferirla, sia il poco amore che Gabriella
nutriva per
se stessa e che Chiara cercava in tutti i modi di trasmetterle con la
sua
amicizia.
Dopo
tutto quel tempo, finalmente Gabriella era una
ragazza nuova e, anche se aveva mantenuto la brutta abitudine di
vedersi sempre
in difetto rispetto alle altre persone, aveva imparato che ognuno, a
modo
proprio, è unico e importante; dopo gli esami di
maturità aveva deciso, così,
di trasmettere questa lezione anche agli altri, facendo volontariato
presso una clinica dedicata agli adolescenti affetti da depressione e disturbi alimentari e dedicando ogni momento a sua disposizione
per
impedire che altri ragazzi e ragazze cadessero nella stessa trappola in
cui lei
era rimasta invischiata qualche anno prima.
E
Chiara era fiera di lei.
Davanti
ai cancelli del
palazzo, il re di Asgard urlava ordini a destra e a manca ai suoi
soldati per
organizzare la difesa della città nel caso in cui Phoneus
avesse deciso di
attaccare nuovamente; in realtà dubitava che ciò
sarebbe accaduto: egli aveva
Chiara tra le sue disgustose grinfie e di certo non avrebbe perso tempo
nel
tentativo di riprendersi le marionette che aveva perduto, ma Asgard non
era mai
stata tanto vulnerabile e le sue stanze nascondevano reliquie e armi
che
avrebbero potuto far gola a un mostro dello stampo di Phoneus. Loki non
poteva
permettere che prendesse anche quelle.
Cercava
di convincersi
che le parole di Jarosit non l’avessero colpito, ma, sebbene
esercitare il
proprio potere lo facesse sentire più calmo e padrone di se
stesso, non
riusciva a togliersi dalla mente la macabra immagine di Chiara riversa
al
suolo, con la gola aperta da un taglio profondo, e Phoneus in preda al
riso,
intento a leccarsi le dita bagnate del suo sangue.
Al
suo fianco la regina
degli Elfi Chiari aspettava in silenzio che la sua arciera le facesse
segno dal
fondo al ponte della buona riuscita della sua ricerca. In faccia, per
quanto
tentasse di apparire impassibile come la pietra, le si leggeva
distintamente la
tensione dell’attesa.
Poi
accadde: Ahzurit
emerse dalla cupola bronzea del Bifrost e agitò il braccio a
destra e a
sinistra. L’aveva trovata.
-È
ora di muoversi- gli
disse la donna -Non possiamo perdere altro tempo. Come intendete
procedere?
-Fandral!
Sif! Volstagg!
Hogun!- chiamò il sovrano e in un lampo i guerrieri gli si affiancarono,
pronti a ricevere
comandi.
Per
gli astri, quando gli
piaceva vederli scattare sull’attenti al suo comando!
-Chiara
è stata
individuata e ora è tempo di andare a regolare un paio di
conti con Phoneus: dovremo
agire veloci e nel silenzio, voi e Thor terrete impegnati gli uomini di
Phoneus, anche qualora si trattassero di bambini. Non voglio altre
morti,
dovete solo tenerli impegnati il tempo necessario per permettermi di
eliminare
una volta per tutte quel mostro.
-Non
mi escluderete da
questa spedizione!- si impose Jarosit, mentre la compagnia iniziava
l’attraversata del ponte -Phoneus ha ancora mia figlia e non
resterò con le
mani in mano!
-E
sia- concesse il re di
Asgard -L’abilità degli Elfi potrebbe tornarci
utile.
Raggiunsero
in fretta la
fine del ponte e trovarono il varco del Bifrost già pronto
per la partenza,
indirizzato verso il punto che Ahzurit aveva individuato.
-Padre…-
esordì Thor
quando vide arrivare il gruppo di guerrieri, ma il sovrano non disse
nulla e si
affrettò a oltrepassare la soglia del varco.
-Coraggio,
Thor- disse
Fandral all’amico, rivolgendogli un largo sorriso e dandogli
una pacca ben
assestata sulla spalla -Andiamo a riprenderci Chiara!
Il
pub dove Chiara e le sue amiche erano solite
andare a caccia era un locale famoso per la sua musica e per i cocktail
a buon
prezzo, sicché ogni venerdì e sabato sera era
colmo di ragazzi e ragazze, indigeni
e stranieri, pronti a consumare la pista da ballo e a svuotare il
portafogli
per riempirsi lo stomaco di alcolici.
Le
due ragazze trovarono Antonella e Valentina già
sedute ad un tavolo, impegnate a sorseggiare dei cocktail di un
brillante color
arancio.
-Ciao!-
le salutò raggiante Valentina -Chiara, hai
trovato lavoro come maestra?- domandò poi ridacchiando.
-Molto
divertente!- rispose la ragazza, emettendo
una risata sarcastica, poi, notando l’abbigliamento di
Antonella, aggiunse:
-Anto, lasciatelo dire: sei splendida!
La
ragazza ridacchiò imbarazzata, stringendosi
nell’attillato vestito nero di satin che metteva in risalto
le sue forme e
rifletteva al contempo le luci al neon del locale, emettendo bagliori
multicolori dall’effetto quasi ipnotico.
-Molto
bene, ragazze!- esordì
Valentina, mandando i capelli dietro
le spalle e estraendo un’agendina rossa dalla borsetta: -Ho
fatto una veloce
ricerca sui social per assicurarmi di conoscere le nostre prede di
stasera e…
-Aspetta
un attimo!- la interruppe Antonella -Mi
avete portato qui per la questione di Guido?
-Esatto!-
rispose Valentina, imitando un famoso
conduttore televisivo -Grazie per aver partecipato a questo gioco! Come
premio
vinci il prossimo drink! Ora, tornando agli affari- riprese seria,
sfogliando
la sua agendina sotto gli occhi smarriti e ammiranti delle amiche -Ho
selezionato tra le varie possibilità quattro candidati: uno
studente di legge,
uno di medicina, un geologo e un filosofo. Il filosofo, dagli ultimi
messaggi
che ha lasciato sui social, pare si sia appena lasciato con la
fidanzata
storica e voglia trovare qualcun’altra con cui discutere di
Kant e Hegel; il
geologo, invece, è al compleanno di un amico ed è
in città solo per stasera,
praticamente il tipo da una serata di fuochi artificiali e poi
relazione a
distanza; l’avvocato è quasi una presenza fissa in
questa zona, più adatto ad
una relazione stabile, ama il tennis e la musica country, ma pare che
abbia una
certa predilezione per le donne più vecchie di lui; infine,
last but not least,
lo studente di medicina è anche un violoncellista,
è iscritto al WWF come socio
attivo, viene da un’ottima famiglia e ha fama di essere un
vero gentleman.
-Io
punterei direttamente al medico!- disse
Gabriella, bevendo un sorso
di cola da
un bicchiere che il barista le aveva appena servito.
-C’è
da chiedersi come faccia ad essere ancora
single, viste le sue credenziali…- aggiunse Antonella,
giocherellando con la
cannuccia dentro al suo cocktail.
-Beh,
avrai il tempo di chiederglielo tu stessa-
disse Valentina indicando la porta del locale con l’indice
-Il dottore è appena
arrivato e non dubito che voglia conoscere nuove
“pazienti”, non so se mi
spiego.
Antonella
arrossì violentemente, diventando di un
vivace color pomodoro, poi, incoraggiata dai sorrisi delle sue amiche,
bevve
l’ultimo sorso del drink e si diresse verso la sua preda,
mentre Chiara,
Valentina e Gabriella rimanevano al tavolo in attesa.
-Lasciatelo
dire, Vale- esordì Chiara lanciando
un’occhiata veloce all’agenda dell’amica
-Quando fai così mi metti i brividi!
-Non
mi sembra che ti sia lamentata dei miei metodi
quando abbiamo trovato Marco- rispose quella, facendo scivolare
l’agenda
all’interno della sua borsa.
-Dico
solo che è piuttosto inquietante che in un
solo pomeriggio tu sia riuscita a trovare tutte queste informazioni su
dei
perfetti sconosciuti.
-Si
chiama efficienza, tesoro, e poi sono loro che
mettono i fatti loro sui social, a me non resta che leggere uno
schermo, ma mi
basta dare anche solo un’occhiata in giro per capire chi
è appetibile e chi no,
per esempio quel tipo in fondo alla sala non ha smesso un attimo di
guardarti e
ora si sta avvicinando al tavolo.
In
meno di un
minuto, Chiara sentì un leggero colpo di tosse
alle sue spalle e si
trovò un ragazzone con una matassa di capelli castani ricci
e gli occhiali da
vista a lente rettangolare sugli occhi azzurri: -Ciao, scusa se ti
disturbo
mentre sei qui con le tue amiche, ma mi stavo chiedendo se avessi
voglia di
ballare.
-Mi
dispiace, caro, ma io non ballo- rispose quella,
sforzandosi di apparire gentile e rammaricata, quando, in
realtà, avrebbe
voluto semplicemente mollare tutti lì dov’erano e
tornarsene a casa seduta
stante.
-Potrei
offrirti da bere, allora- insistette il
ragazzo.
-Io
ho un’idea migliore: visto che in tutta questa
conversazione non mi hai nemmeno chiesto come mi chiamo, IO mi
offrirò da bere
e tu tornerai da dove sei venuto, possibilmente evitando di infastidire
altre
ragazze. Cortesemente.
Quello
rimase di sasso e, visibilmente irritato,
fece dietrofront e ritornò in fondo alla sala senza nemmeno
salutare.
-Si
può sapere che cosa ti è preso?-
domandò
sconcertata Valentina, mentre Gabriella se la rideva sotto ai baffi -Ti
ha solo
chiesto di ballare!
-Tu
non conosci la teoria di Chiara sul ballo!-
ridacchiò Gabriella -Per lei il ballo una sorta di
affermazione di affetto e di
completa fiducia.
-Esatto!-
rettificò Chiara -Ballare per me è
affidarmi a qualcuno completamente, visto che non sono capace di
mettere un
piede davanti all’altro a ritmo di musica senza sembrare una
papera; è lasciare
che sia un altro a guidarmi a tempo di una melodia e impedirmi di fare
una
figuraccia. Potrei anche accettare di ballare con un caro amico, ma
addirittura
desiderare di ballare con qualcuno… beh, in quel caso,
potrei chiederlo solo
alla persona che riterrò la più importante della
mia vita.
-Allora
ballerai solo con tuo nonno!- ridacchiò
Gabriella, lanciandole un occhiolino di complicità.
-Che
teoria assurda!- sbuffò, invece, Valentina..
-Si
chiama “dare valore a qualcosa”, tesoro- rispose
inviperita Chiara, che, stufa della piega che il discorso aveva preso,
si alzò
dal tavolo e, borbottando una scusa, si allontanò dalle
amiche per andare al
bancone del bar.
Si
sedette ad uno sgabello e chiese a Matt, un
ragazzo lentigginoso coperto di tatuaggi e piercing e benedetto dal
sacro dono
di fare dei cocktail da favola, di servirle una birra piccola.
Mentre
Matt spillava dal distributore la fresca
bevanda al luppolo, Chiara si soffermò a giocare con i
sottobicchieri di
cartone malamente impilati sul banco.
Sapeva
che non sarebbe dovuta uscire di casa quella
sera: non era dell’umore giusto per sopportare Valentina
mentre faceva l’agente
matrimoniale, né tantomeno per filosofeggiare sulla sua idea
riguardo al ballo.
Avrebbe
voluto essere a casa sua a leggere un buon
libro e, magari, approfondire la sua conoscenza della mitologia nordica
(aveva
ancora in testa qualche breve frammento del sogno di quella notte e
desiderava
saperne di più riguardo quel mondo così
affascinante).
Ad
un tratto sentì una mano poggiarsi sulla sua
spalla sinistra e stringerla, mentre una voce diceva: -Comunque sei
stata
scortese prima, io volevo solo fare la tua conoscenza.
“Di
nuovo quel tipo, è esasperante!”
-Senti,
bello- esordì Chiara irritata
dall’insistenza dell’individuo e, soprattutto, da
quel contatto indesiderato e
impostole -Se non levi immediatamente quella mano, il mio pugno
farà la
conoscenza del tuo naso!
-Piccola
impertinente!- rise quello, stringendo di
più la presa sulla sua spalla, fino a farle quasi male -Mi
piacciono da morire
le ragazze con il pepe tra le gambe!
Con
quella volgare provocazione aveva oltrepassato
ogni limite! Chiara stava per fratturargli il setto nasale con le
nocche, ma
venne anticipata da una piccola testa d’ariete in ottone, che
caricò decisa
sulla mano del ragazzo.
L’avventore
gemette di dolore e di sorpresa e, fuori
di sé dalla rabbia, si voltò nella direzione del
suo aggressore.
-La
signorina non gradisce la tua presenza- disse
calmo l’anziano signore con la benda sull’occhio,
brandendo il suo bastone da
passeggio -Ti suggerirei di non importunarla ulteriormente.
-Razza
di vecchio bastardo!- imprecò il ragazzo. Fu
come un lampo, Chiara vide le mani del giovane avventarsi sulla giacca
dell’uomo, ma quello non si scompose, anzi,
afferrò il ragazzo per il colletto
e, con la stessa nonchalance con cui avrebbe sollevato un bambolotto di
pezza,
lo alzò di peso da terra.
Gli
occhi del giovane si spalancarono per la
sorpresa e la paura, poi, dimenando le gambe nel tentativo di
raggiungere il
suolo, balbettò pietosamente: -Ok, ok, nonno, scusami!
Scusami! Fammi scendere
e non mi vedrai più!
Quando
l’uomo fu soddisfatto dell’apologia
balbettante e patetica dell’individuo, lo depose malamente a
terra e lo osservò
andarsene quasi strisciando fuori dal locale. Nel suo occhio si
percepiva una
malcelata soddisfazione.
Chiara,
in tutto questo, era rimasta ad osservare la
scena a bocca aperta, sconvolta e allo stesso tempo attratta dalla
forza e
dalla fredda determinazione che si nascondevano dietro quel corpo
anziano e
apparentemente stanco.
“Doveva
essere un militare” pensò tra sé,
mentre
sorseggiava la sua birra.
-Sono
desolato per questo increscioso spettacolo- si
scusò l’uomo, sedendosi accanto a lei al bar -Se
non altro la prossima volta
quel mascalzone ci penserà due volte prima di importunare
una fanciulla.
-La
ringrazio- disse Chiara -Ma non era necessario che intervenisse: me la
sarei
potuta sbrigare benissimo anche da sola.
-Non
lo metto in dubbio, ma volevo avere il piacere
di insegnare personalmente una lezione a quel mascanzoncello.
-Come
crede... Posso offrirle qualcosa?
-Gradirei
volentieri della cervogia fresca, grazie
molte.
"Della
cervogia? Ma da che secolo sbuca fuori
questo?"
-Matt-
chiamò la ragazza -Dà per favore una bionda
al signore e mettila sul mio conto- poi, rivolgendosi di nuovo al suo
accompagnatore, chiese -Mi perdoni, ma oggi è già
la terza volta che la
incontro e dubito che si tratti di una coincidenza: la conosco per caso?
"Brava,
Chiara, sii diplomatica!"
-Non
di persona- rispose l'uomo -Ma io conosco te e
ho bisogno di parlarti urgentemente.
-Prego?-
domandò sconcertata.
-Devi
svegliarti!- l'uomo la scrutò con il suo cupo
occhio azzurro, stringendo saldamente le dita squadrate sulla testa
d'ariete.
-Matt,
lascia stare la birra- urlò la ragazza al
barista -Un'aranciata al signore, che per stasera ha già
bevuto abbastanza.
-È
una questione di vitale importanza!- insistette
l'uomo, battendo con violenza la mano sul banco e facendo sobbalzare
Chiara,
che si alzò di scatto dallo sgabello e si
allontanò di un passo dal vecchio
-Devi svegliarti! Quello che vedi non è reale!
-Matt,
chiama un taxi al signore, per favore: sta
cominciando a delirare.
-Ascoltami,
Chiara, devi prestare ascolto! Non è
reale!- le gridò il vecchio mentre Chiara si allontanava a
grandi passi da lui
in direzione delle amiche, interdette da quella scena insolita.
-Chi
era quel tipo?- chiese Gabri, quand'ella le
ebbe raggiunte al tavolo.
-Non
ne ho idea, un ubriaco, probabilmente- rispose
Chiara, poi prese il cappotto dalla sedia e se lo infilò.
-Allora
come faceva a conoscere il tuo nome?-
domandò Valentina, sospettosa.
-Come
prima, non ne ho idea. Scusate, ma non posso
tollerare un altro minuto qua dentro. Me ne torno a casa.
-Vuoi
un passaggio?- il volto di Chiara, per quanto
la ragazza cercasse di dimostrarsi calma e tranquilla, rispecchiava
anche
troppo nitidamente il suo disagio, e Garbiella cominciava a
preoccuparsi.
-No,
stai tranquilla Gabri- rispose Chiara all'amica,
sforzandosi di usare un tono rassicurante -Prenderò un taxi.
Ciò
detto, salutò velocemente le amiche e uscì in
fretta dal locale, godendosi la frescura della brezza serale.
L'aria
frizzante la calmò un poco e, quando si
sedette sul sedile posteriore del primo taxi che riuscì a
trovare, si convinse
che quella brutta esperienza si era definitivamente conclusa.
Angolo
dell’autrice:
¡Hola chicas! Ben
ritrovate a tutte quante e un grande, grandissimo abbraccio alle
deliziose
fanciulle che hanno iniziato a seguire la storia! Siete favolose e
spero di
ripagare la vostra fiducia con dei bei momenti e una bella storia con
cui
passare il vostro tempo libero J
Come
promesso, sono tornata carica di un glorioso proposito ;) quello
di pubblicare un nuovo capitolo XD
Avrei
dovuto farlo stasera, ma non riuscivo a studiare nulla con questo
pensiero in testa e così ho anticipato un po’
^-^”
Ad
ogni modo, rieccoci qui e la domanda sorge spontanea: che ne pensate
del capitolo 25? ^-^
Ad
Asgard ci si prepara ad affrontare la missione di recupero di
Chiara, che nel suo mondo fa un incontro piuttosto singolare, che cosa
significano quelle parole? E cosa farà ora?
Lo scoprirete settimana
prossima
;) *risata malvagia*
Vorrei
portare alla vostra attenzione una bellissima immagine che MARS88
ha realizzato ispirandosi a La sua paura :D questo
è il link: http://s7.postimg.org/sqqgu5aez/Your_fear.jpg
I
miei più sentiti complimenti
vanno a questa cara ragazza per la sua creatività e, con
essi, i miei ringraziamenti
per aver realizzato una così bella immagine basata sul mio
testo!
Tantissimi
ringraziamenti
vanno anche a tutte le lettrici che
continuano a seguire
la mia storia e a omaggiarmi delle loro recensioni, che sono sempre
fonte di immensa
gioia ^-^
Un
abbraccio a tutte quante
e alla prossima! J
Lady
Realgar
Ps.
5 punti a Serpeverde
per il giochino di due capitoli fa, grazie a sefoev che ha indovinato e
ha dichiarato
la sua casa. Se avete indovinato ma vi siete dimenticati di specificare
la vostra
casa, siete sempre in tempo per rimediare ;)
Un
bacio a tutte
|
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Capitolo 26 *** Eitur Myri ***
Jarosit
aveva ragione: il
tempo era un fattore fondamentale e loro non ne avevano da perdere, ma
fu
quando si ritrovò a viaggiare alla velocità della
luce tra gli astri, avvolto
dai caldi bagliori del Bifrost, che Loki si rese davvero conto
dell'avventatezza del suo gesto. Non era da lui lanciarsi verso
l'ignoto in
quel modo, ignorando completamente dove stesse andando e senza aver
prima
pianificato nel dettaglio come agire. Un simile tuffo nel vuoto era
più tipico
di quello sconsiderato di Thor, a cui piaceva tanto cacciarsi nei guai;
persino
quando si era lasciato cadere dal Bifrost, anni prima, Loki sapeva dove
sarebbe
andato a finire e quali rischi avrebbe potuto incontrare. Lui non
lasciava mai
nulla al caso.
Questa
volta, invece,
complice la fretta o, forse, anche quella fastidiosa sensazione che gli
si era
annidata nella bocca del suo stomaco, si era lanciato senza pensarci,
senza
chiedere dove stesse per andare.
D'altra
parte, non ce
n'era il tempo.
Si
ritrovò, così, immerso
una poltiglia fangosa fino alla vita, viscida e fredda, coperta da una
fitta
coltre di nebbia densa e lattiginosa.
Qualche
secondo più
tardi, un sonoro splash
alle
sue spalle gli fece intuire che anche gli alti
erano arrivati; -Dove diamine siamo finiti?- imprecò
sottovoce Fandral, che era
caduto malamente nella torbiera e si era ritrovato interamente coperto
di
fango.
-Nella
regione di Eitur Myri, nello Âlfheimr-
disse cupa Jarosit, mentre al suo fianco Ahzurit si copriva la bocca
con la
mano.
-Mi
state dicendo che avete avuto Phoneus sotto al naso per tutto questo
tempo?-
domandò basito Thor: aveva sempre creduto che gli Elfi
Chiari fossero delle
invincibili macchine da guerra, letali e infallibili, dotati di sensi
acutissimi che
gli permettevano di
individuare qualunque nemico e ora veniva a sapere che Phoneus era
sempre stato
nel loro regno senza che nessuno se ne accorgesse.
-Agli
Elfi non è concesso stare ad Eitur Myri!-
tossì rabbiosa Ahzurit, strappandosi un lembo di veste e
porgendolo alla sua
sovrana, che se lo legò intorno al volto per coprire il naso
e la bocca; l'arciera
fece poi altrettanto con un altro pezzo di abito.
-Ma
certo...- sussurrò il re di Asgard, dando voce
ai suoi pensieri -Quale luogo migliore per nascondersi se non proprio
dove è
impossibile per i nemici accedere?
-Perché
non potete venire qui?- chiese Sif alle due
elfe, estraendo la spada dal fodero e puntandola verso la nebbia.
-Perché
per gli elfi- rispose il re ad alta voce
-L'acqua di questo luogo è tossica, di conseguenza anche la
nebbia che stiamo
respirando ora. Li indebolisce e attenua i loro sensi. Se ne assumono
grandi
quantità essa può provocare persino...
-La
morte- concluse funerea Jarosit -Dobbiamo
sbrigarci a trovare Phoneus, se nasconde qui anche i bambini...
Non
riuscì a concludere la frase, interrotta da un
singhiozzo di pianto che cercò con tutte le sue forze si
sopprimere: sua figlia
era stata la prima a sparire, se Phoneus l'avesse trattenuta ad Eitur
Myri per
tutto quel tempo, forse per la piccola Orpimen non ci sarebbe stato
più nulla
da fare.
-Arciera-
chiamò il sovrano di Asgard -Prima che tu
perda i sensi, sei in grado di percepire la presenza di Chiara?
-La
frequenza è debole- rispose la donna, avanzando
di qualche passo nel fango -Ma sembra provenire da quella direzione.
Così
Ahzurit li anticipò nella marcia
esasperatamente lenta e faticosa in mezzo alla palude: il fango era
denso e
appiccicoso, si attaccava ai vestiti e alle armature, appesantendoli e
rendendo
i movimenti difficoltosi e macchinosi.
Pur
non subendo l'azione venefica della nebbia,
l'aria calda e umida penetrava pesante nella bocca e nei polmoni dei
guerrieri
asgardiani, intorpidendo le loro menti e offuscandone la vista.
Phoneus
sapeva dove nascondersi, non vi era alcun
dubbio a riguardo, ma Loki, dopo circa mezzora di cammino, era ancora
lucido,
al contrario della maggior parte dei suoi compagni; lui, in fondo, era
uno
Jotun, il che lo rendeva particolarmente tenace e coriaceo.
Ahzurit,
invece, sembrava subire l'effetto della
nebbia più di chiunque altro; era determinata e impavida e
una grande forza
d'animo pulsava dentro di lei, ma le ginocchia le tremavano
visibilmente e ogni
passo era più corto e lento del precedente.
Fandral,
prontamente, le si affiancò e la sorresse
un momento prima che cadesse nel fango completamente priva di forze:
-Te la
senti di continuare?- le chiese preoccupato.
-Sono
il primo arciere di Jarosit la Fiera- rispose
quella, sforzandosi di proseguire con le proprie forze -Devo avanzare
con la
mia regina!
Spronata
dalle sue stesse parole, Ahzurit si lanciò
in avanti, decisa a non arrendersi, ma le gambe non ressero il suo peso
e cadde
nel fango.
-Mi
dispiace- singhiozzò affranta l'arciera alla
propria regina -Mi dispiace, Maestà, di non essere
abbastanza forte da servirvi
degnamente.
-Mia
cara- le disse la donna con dolcezza, mentre
l'aiutava ad alzarsi -Non vi è nessuno in tutta Âlfheimr
che
abbia dimostrato il tuo coraggio e la tua determinazione, non
vergognarti di
una debolezza che non ti appartiene.
-Volstagg!-
tuonò il sovrano, interrompendo quello che per lui era
null'altro che un
fastidioso e patetico teatrino -Prendi in spalla l'arciera e
proseguiamo.
Questa maledetta palude non può durare per sempre!
Il
corpulento guerriero fulvo, con una delicatezza inaspettata per la sua
stazza,
obbedì all'ordine, caricando l'esile corpo della fanciulla
âlfheimreniana sulle
proprie spalle, e il gruppo proseguì l'avanzata,
finché, finalmente, non
sentirono il terreno sotto i piedi salire, dapprima leggermente e in
maniera
appena percettibile, poi sempre più nitidamente,
ritrovandosi a scalare un vero
e proprio altopiano.
Mentre
camminava, la fronte del Dio del Tuono era imperlata di sudore e la
benda sul
braccio, volutamente nascosto sotto al mantello, era impregnata di
sangue; il
principe si affrettò a detergersi la fronte con il dorso
della mano non appena
vide il padre avvicinarsi a lui.
-Mi
hai disobbedito- esordì il re di Asgard -Non ti sei fatto
visitare da nessun
Guaritore, non è vero?
-È
così, Padre- rispose il principe.
-Non
ti ho forse insegnato l’obbedienza e la prudenza?
-Non
ho dimenticato i vostri insegnamenti- disse Thor, cercando di reprimere
l’affanno del suo respiro -Ma per questa volta ho preferito
lasciarli da parte.
-Solo
questa volta?- i due uomini ridacchiarono: conoscevano benissimo
entrambi la
naturale propensione del principe a ignorare gli ordini, anche quelli
dettati
dal buon senso.
-Posso
farcela- riprese Thor -È solo un graffio.
-Cerca
di non strafare: siamo venuti per salvare Chiara, non mettermi nella
condizione
di dover salvare anche te.
Man
mano che ascendevano lungo il versante
dell'altura, la nebbia intorno a loro si faceva sempre più
rada e l'aria più
pulita e fresca.
Fu
un sollievo per tutti, in particolare per
Jarosit, la cui fronte era imperlata di grosse gocce di sudore freddo e
le
squame del viso si erano fatte di un pallido verde oliva. Nemmeno la
regina
degli Elfi Chiari poteva tollerare una passeggiata ad Eitur Myri.
La
pendenza tornò a diminuire e in breve la
compagnia si ritrovò sulla cima dell'altopiano, dove,
immersi nella leggera
foschia, si ergevano i ruderi di un'antica costruzione di pietra, il
cui stile
architettonico elaborato, per quello che si riusciva a percepire da
quei resti,
permetteva di attribuirne la paternità agli elfi.
-Come
fa ad esserci traccia di una civiltà elfica se
qui per voi anche la nebbia è veleno?- chiese Sif,
esaminando le decorazioni
cosmatesche su quelle vecchie pietre macchiate di muschio.
-I
paesaggi cambiano con il tempo- rispose la regina
degli Elfi Chiari, mentre accarezzava malinconica la fredda superficie
lapidea
di un arco spezzato a metà -I fiumi si prosciugano, i monti
si consumano e il
terreno diventa sterile; tutto con il trascorrere delle ere conosce il
mutamento, ma qui non fu il susseguirsi inesorabile degli attimi a
cambiare un
ridente e fertile territorio in questa palude venefica e desolata. Fu
il veleno
di Jordmungand1, prima che venisse catturato e
recluso nelle
profondità del mare, a infettare la terra. Avvenne quando i
Nove Regni erano
poco più che neonati tra le fronde di Yggdrasil e quella
creatura immonda era
stata appena generata, ma già bramava spandere il proprio
veleno sulle terre rigogliose.
Il suo strisciare lo condusse ad Âlfheimr,
dove trovò la
prima grande città che gli Elfi Chiari ebbero mai costruito
e l’attaccò; come sapete,
venne sconfitto a fatica e catturato, ma quello schifoso serpente fece
in tempo
a spruzzare le sue bave disgustose nel fiume, trasformandolo in
… beh, questo-
disse la donna, allargando le braccia verso la palude -Da allora noi
elfi non
abitiamo più questa zona, proprio per via
dell’acutezza dei nostri sensi: sono
passati milioni di anni da quando Jordmungand trascinò il
suo ventre viscido
sui prati di Eitur Myri, ma ancora la traccia del suo veleno per noi
è letale.
-Gran
bel posto per nascondersi- commentò Fandral, colpendo con il
piede un frammento
di colonna -Ma qui ci sono solo ruderi: dove potrebbe tenere Phoneus
tutta la
gente che ha avvelenato?
-Potrebbero
essere ovunque...- rispose pensierosa la regina di Âlfheimr
-Eitur Myri è una
regione piuttosto vasta...
-A
voi non sembra strano- la interruppe Hogun, intento a scrutare il
paesaggio su
cui stava tornando a salire la nebbia -Che da quando siamo arrivati non
abbiamo
ancora incontrato anima viva? È come se stessero aspettando
il momento giusto
per tenderci un'...
-IMBOSCATA!-
urlò Vostagg, evitando per un pelo una freccia, che si
conficcò a gran velocità
nel terreno accanto ai suoi piedi.
In
un battito di ciglia l'altopiano iniziò a brulicare di
guerrieri di tutte le
razze, che apparivano dalla nebbia come cupi fantasmi, muovendosi
pesantemente
e imbracciando lame dai bagliori minacciosi alla flebile luce del sole
di Eitur
Myri.
Prontamente
i Guerrieri si misero in posizione da combattimento, formando un
cerchio
intorno ad Ahzurit, ancora indebolita e priva di sensi, Jarosit
sfoderò la sua
fedele scimitarra e Sif le si affiancò.
-Thor-
ordinò il sovrano al principe -Fa' roteare il tuo martello e
rimanda questa
disgustosa nebbia giù dall'altopiano!
Il
Dio del Tuono eseguì l'ordine e un forte vento si
abbatté sugli assalitori,
rallentandone l'avanzata e deviandone le frecce; approfittando del
vantaggio,
le due donne partirono alla carica e, con elegante e feroce maestria,
iniziarono a fendere colpi precisi sulle nuche degli avversari, che,
uno dopo
l'altro, iniziarono a cadere privi di sensi.
In
risposta, un'orda di nani, completamente ricoperti di ferro dalla testa
ai
piedi, corse all'assalto brandendo grosse spade a due mani e asce
bipenni,
scuotendo la terra come un terremoto tanto era il loro peso.
Le
loro armature erano così spesse e robuste che nemmeno i
colpi poderosi della
mazza di Volstagg sembravano riuscire minimamente a scalfirle,
sicché le uniche
armi che i guerrieri asgardiani avevano a loro disposizione erano la
velocità e
l'agilità nell'evitare i loro colpi, ma Volstagg, che tra
tutti era il più
grosso e lento, se la vide brutta quando un soldato nanico si
avventò su di lui.
Per
fortuna del guerriero fulvo, Ahzurit, grazie al cambio d'aria dato del
movimento di Mjolnir, aveva cominciato a riprendersi ed era riuscita a
scoccare
una freccia nell'unica feritoia dell'armatura del nano, appena un
attimo prima
che quello vibrasse il colpo.
La
battaglia infuriava sull'altopiano, mettendo a dura prova la compagnia,
ma la
mente del Dio degli Inganni era altrove: sebbene il suo corpo danzasse
sul
suolo umido, evitando il ferro delle lami nemiche e sferrando colpi
perfettamente calibrati con Gungnir, la sua mente e la sua attenzione
erano
tutte concentrate nella ricerca dell'umana.
Cercava
tra i ruderi un segno di lei, del suo passaggio, come un lupo annusa
nel
terreno le tracce del piccolo coniglio in fuga, ma nulla lì
attorno sembrava
aver mai conosciuto la presenza di Chiara; poi nella nebbia, veloce
come un
lampo, vide il volto di Phoneus sorridergli e svanire dietro i resti di
un
torrione di vedetta.
Era
una sfida? Un'ulteriore trappola? O forse solo il frutto della sua
immaginazione?
Colpì
al capo un Vanir, lasciandolo tramortito al suolo, e accorse in
direzione del
torrione; dove aveva visto Phoneus svanire, tra le pietre
dell'edificio, vi era
un'apertura nel terreno, che conduceva con scale di granito verso il
cuore
dell'altura.
Lanciò
una veloce occhiata ai suoi compagni e capì: Phoneus voleva
che scendesse là
sotto da solo e l'imboscata era stata tesa solo per tenere impegnati
gli altri
guerrieri.
Quello
era un vero e proprio invito e di certo Loki non avrebbe fatto
aspettare
Phoneus, dato che si dimostrava così desideroso di
accogliere la sua lancia nel
petto.
Strinse
Gungnir nella mano e scese, cauto e in allerta, gli stretti gradini di
pietra,
addentrandosi lentamente nell'oscurità del tunnel
sotterraneo.
Quando
intorno a sé vide solo il buio e i rumori della battaglia
giunsero attenuati
alle sue orecchie, Loki fece comparire dal palmo della mano una fiamma
verde,
che con la sua luce rivelò al dio l'ambiente circostante: il
lungo tunnel,
dapprima stretto e angusto, si apriva ampio di fornite a lui, rivelando
un'anticamera, le cui pareti erano tappezzate da strani globi ingrigiti
e
polverosi.
Ad
uno sguardo più attento, quei globi si rivelarono essere
teschi, centinaia di
crani perfettamente ordinati e accumulati sulle pareti fino a toccare
il
soffitto; la luce della fiamma creava macabri giochi di ombre sulla
superficie
delle ossa, mostrando al dio che ognuno di quei teschi presentava una
grossa
frattura sulla parete frontale.
"Giustiziati"
pensò Loki mentre attraversava l'anticamera: per gli elfi,
aveva letto una
volta, l'anima risiedeva nella testa, perciò colpire al capo
un âlfheimreniano
equivaleva a sottrargliela nella maniera più diretta e
brutale; tutti i teschi
presenti nella stanza presentavano la stessa ferita, il che faceva
supporre che
fosse stata inflitta in maniera metodica. Quella in cui il dio stava
camminando
non poteva essere altro che una tomba di condannati a morte, un luogo
in cui
Phoneus poteva sentirsi del tutto a proprio agio.
In
fondo all'anticamera, un architrave segnava il passaggio ad un nuovo
corridoio
e lì trovò una bambina elfica ad attenderlo; era
minuta e vestita di un
pregiato abito di seta e fili d'oro, dell'identico colore dei suoi
grandi occhi
persi nel vuoto.
-Scommetto
che tu sei Orpimen...- disse il dio alla bambina -Tua madre
è di sopra che ti
aspetta, dovresti raggiungerla.
-Il
mio signore mi ha chiesto di accompagnarti da lui- rispose la
principessina
elfica con voce atona.
-Ma
davvero? Allora
guidami!
L’alba
del sabato giunse presto a
splendere sulle colline senesi, destando Chiara da un sonno agitato: le
parole
di quello strano vecchio incontrato al pub avevano continuato a
rimbombarle
nella testa per tutta la notte, provocandole incubi in cui una creatura
dalla
pelle blu e gli occhi rossi cercava di prenderla per mano.
Si
alzò svogliatamente dal letto e,
pur scoprendo dalla sveglia che era ancora molto presto, decise
comunque di
scendere in cucina e iniziare a preparare la colazione.
Dalla
finestra della sala da pranzo
giungevano i primi tiepidi raggi dell'alba e, mentre avvitava la
caffettiera e
metteva il pane a tostare, la ragazza sentì addirittura un
tordo cantare in
lode al nuovo giorno.
Prese
le posate dalla cassettiera a
fianco del lavello e le pose ordinatamente sul tavolo, ma, quando si
avvicinò
alla vetrinetta per prendere le tazze e vide il proprio riflesso,
percepì di
nuovo quella triste sensazione di incompletezza in quell'immagine
sfocata e
sbiadita.
Vedeva
il suo volto, ma era come se
non fosse abbastanza, come se fosse solo la metà di qualcosa
che non riusciva a
comprendere. Cos'altro avrebbe dovuto mostrarle quel vetro smerigliato?
Un
sottile puzzo di bruciato le
fece capire di essersi persa nel proprio riflesso per troppo tempo e
accorse al
tostapane nel tentativo di salvare le povere fette di pane dal rogo, ma
inutilmente: quello che estrasse dalla macchina non fu altro che due
pezzi di
carbone fumanti.
-Maledizione-
imprecò sottovoce,
buttando i pezzi di pane bruciati e sostituendoli con due nuovi.
-Buongiorno
anche a te, mia cara!-
ridacchiò suo nonno dietro di lei, mentre si accomodava al
tavolo.
-Ciao
nonno!- lo salutò raggiante
Chiara, porgendogli una tazza di caffellatte e stampandogli un sonoro e
affettuoso bacio sulla guancia fresca di rasatura.
Il
profumo familiare del suo
dopobarba dissipò in Chiara ogni tristezza e, allegra come
al solito, la
ragazza iniziò a imburrare il pane, questa volta
opportunamente estratto dal
tostapane e perfettamente dorato, e a chiacchierare, mentre l'anziano
uomo
beveva la sua bevanda calda.
-Ti
è mai capitato di non sentirti
a tuo agio in un posto? Voglio dire, tu sai che è dove
vorresti trovati, ma è
come se ci fosse qualcosa di sbagliato... come se in realtà
non dovessi affatto
essere lì, ma da tutt'altra parte...- chiese ad un tratto la
ragazza, dando
finalmente voce alle preoccupazioni che l'avevano assillata nella notte.
-Mia
cara- rispose l'uomo,
poggiando la tazza sul piattino -Non dovresti fare così
tardi la sera: ti mette
in testa idee strane. Dove altro dovresti essere? Sei a casa tua, con i
tuoi
parenti! Non è quello che volevi?
-Quello
che volevo?- domandò
confusa la ragazza, ma l'uomo non sentì la sua domanda,
perché proprio in quel
momento la cucina si riempì degli altri membri della
famiglia, che iniziarono a
parlare e ad armeggiare con tazze e bicchieri, facendo un chiasso
assordante.
Infastidita
da quel rumore, Chiara
si affrettò a finire la colazione e, dopo aver salutato la
sua famiglia, corse
di nuovo nella sua stanza a prepararsi: il sole mattutino prometteva
una
splendida giornata e lei di certo non sarebbe rimasta in casa a fare la
muffa.
Era
il tempo ideale per andare a
fare un giro in centro!
Di
lì a pochi minuti la ragazza si
ritrovò nella propria automobile, fischiettando sulle note
di una famosa
canzone che la radio stava passando; il segnale era tornato
perfettamente
funzionante e a quell'ora le strade erano quasi del tutto sgombre dal
traffico,
perciò la ragazza raggiunse il centro con calma e
parcheggiò l'auto senza
alcuna difficoltà.
Finalmente
qualcosa stava andando
per il verso giusto!
Era
tutto così tranquillo quella
mattina e, mentre passeggiava per le strette strade medievali del
centro
storico, Chiara si soffermò ad ammirare quel pezzetto di
storia preservato
quasi perfettamente intatto dal trascorrere inesorabile e crudele del
tempo;
quelle pietre avevano visto il succedersi delle generazioni e lo
svolgersi
degli eventi, rimanendo sempre al loro posto, pronte a raccontare la
loro
storia a chiunque avesse avuto voglia di ascoltarla.
Accarezzò
delicatamente una di
quelle rocce e pensò che proprio in quel punto, qualche
secolo prima, un'altra
persona vi aveva probabilmente appoggiato la mano; chissà
che cosa aveva fatto
nella sua vita quell'uomo o quella donna con cui ora Chiara stava
condividendo
la sensazione fredda e dura della roccia sotto ai polpastrelli?
Immersa
in quei pensieri, la
ragazza continuò a camminare finché non raggiunse
Piazza del Campo e poté
ammirare il cielo limpido sulla Torre del Mangia. Nell'aria vi era un
invitante
odore di caffè e così, attratta da quel profumino
delizioso, acquistò al primo
bar una tazza di cappuccino fumante d'asporto e si mise a sorseggiarlo
placidamente accanto alla Fonte Gaia, dilettandosi ad osservare lo
zampillare e
lo scintillare dell'acqua nella sua culla di marmo.
Dopo
gli ultimi eventi della
serata, un momento di placida tranquillità come quello era
l'ideale, ma aveva
esultato troppo presto perché ad un tratto, alle sue spalle,
sentì una voce
familiare dire: -Mi dispiace di averti spaventata, ma purtroppo la
situazione
in cui ci troviamo è spaventosa e l'unica che può
fare qualcosa sei tu.
Chiara
si voltò in un sobbalzo e di
fronte a lei trovò, come temeva, proprio lo stesso uomo
della sera precedente,
calmo e distinto nel suo completo grigio perla e il bastone da
passeggio
stretto nella mano; ebbe un brivido di paura: perché
continuava a tormentarla?
-Che
cosa vuoi da me?- chiese
esasperata, cercando di imporsi la calma -Lasciami stare o chiamo la
polizia!
-Chiara,
ascoltami- insistette
l'uomo, avvicinandosi di un passo -Devi darmi ascolto! Sei la sola che
può
salvare i Nove Regni! Devi riuscire ad opporti a Phoneus!
-Smettila!
Smettila!- urlò la
ragazza -Lasciami in pace, maledetto pazzo!
-Devi
ribellarti- proseguì calmo
l'uomo, mantenendo la sua nobile freddezza nonostante la reazione di
Chiara
-Loki non può vincere da solo Phoneus, se non ti sveglierai
lui perirà.
Note:
1Serpente
marino, figlio di Loki e della gigantessa Angrboða
(ovviamente,
ai fini della trama, non viene presentato come prole del Dio degli
Inganni)
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Mi%C3%B0gar%C3%B0sormr
Angolo
dell’autrice:
salve a tutte e ben trovate! ^-^ permettetemi di ringraziare
affettuosamente la
nuova lettrice che ha aggiunto la storia tra le preferite :D
Dunque,
eccoci qui alla fine del capitolo 26, vi è piaciuto? Spero
tanto di sì! ^-^ Phoneus
non è certo uno stupido e si è cercato proprio un
bel posto per rintanarsi, che
ne dite?
Ora
il suo intento è quello di affrontare Loki faccia a faccia,
se la caverà il
nostro bel tenebroso contro quel mostro?
E
che accadrà a Chiara? Riuscirà a svegliarsi?
Spero
di avervi messo addosso un po’ di curiosità e che
vorrete condividere con me la
vostra opinione su questo capitolo :)
Giunge
tosto il tempo di parlar di date: se ne avessi modo, non farei altro
che
scrivere, ma, ahimè, si avvicinano le settimane nere degli
esami e devo impormi
di dedicarmi unicamente allo studio, perciò ho stilato un
piccolo programma per
le prossime settimane riguardo alla pubblicazione dei prossimi capitoli.
Capitolo
27:
1.05.15 Capitolo
28: 8.05.15 (Settimane
d’esami) Capitolo 29:
30.05.15 Capitolo 30: 6.06.15
Lo
so, tra il capitolo 28 e il 29 passeranno
ben tre settimane e, credetemi, mi dispiace un sacco, ma purtroppo non
posso fare
diversamente. Cercherò di attenermi il più
possibile a queste date, ma se ci saranno
cambi di programma ve lo farò sapere.
Spero
che, al momento della pubblicazione
del capitolo 29, riterrete l’attesa ripagata.
Grazie
per la comprensione :)
vi mando un abbraccio!
Alla
prossima!
Lady
Realgar
Ps. Un particolare ringraziamento va a Ragdoll_Cat per aver candidato la storia tra le scelte! Grazie davvero con tutto il cuore per questa fantastica sorpresa! ^-^
|
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Capitolo 27 *** Old friends ***
La
camminata attraverso le catacombe si stava facendo più lunga
del previsto: la
principessa lo stava guidando in un intricato labirinto di camere
mortuarie e
corridoi infestati dai ratti, che tra le ossa avevano trovato il luogo
ideale
per fare la loro tana.
Quello
che però più di tutto teneva in allerta il dio, i
cui sensi continuavano a
cercare furiosamente una traccia della terrestre, era
quell'oscurità
impenetrabile: come aveva già potuto constatare dai
precedenti attacchi ad
Asgard e ad Eitur Myri, Phoneus amava agire nell'ombra, cercando campi
di
battaglia in cui il nemico avesse difficoltà a trovarlo e
possibilmente
facendolo combattere contro consanguinei o guerrieri formidabili
precedentemente soggiogati.
Aveva
fatto presto Phoneus ad acquisire la forza necessaria per sottomettere
persino
i nani e, Loki ne era sicuro, quegli assalti tra le tribù
barbare del Vanaheim
erano serviti proprio a quello scopo, a testare il controllo che quel
mostro
poteva esercitare su delle creature adulte.
Eppure,
si chiedeva il Dio degli Inganni mentre attraversava l'ennesima stanza
puzzolente di muffa e polvere, perché un essere cosi
potente, avvolto da una
simile aura di terrore guadagnata nei secoli, avesse bisogno di
infestare i
corpi e piegare le menti di altri individui per combattere?
Perché un simile
mostro agiva solo se poteva nascondersi agli occhi del nemico?
Stufo
di camminare al buio e con la sgradevole sensazione di essere
osservato, il dio
creò numerose altre fiamme magiche, illuminando a giorno
l'ambiente intorno a
sé. Dapprima pensò che quel lento movimento nel
buio fosse dovuto a bizzarri
giochi di luce sulle pareti scabrose della stanza, ma quando le fiamme
iniziarono a risplendere fulgide attorno a sé vide
chiaramente decine di
bambini elfici, barbari, nanici e Vanir, alcuni anche piuttosto
piccoli,
sdraiati nella polvere e nel sudicio; alcuni dormivano, altri, invece,
lo
osservavano con occhi vuoti, al pari di tanti animali tenuti in
cattività.
"Ecco
la corte di Phoneus" pensò amaro Loki osservando quello
spettacolo
impietoso; quella creatura lo disgustava: lui in prima persona sapeva
cosa
significava strappare la vita ad un uomo, diffondere il terrore su una
terra e
creare il panico, ma i bambini... loro erano intoccabili e Phoneus,
prendendosi
anche loro, aveva oltrepassato ogni limite.
"Da
quando mi faccio scrupoli di questo genere?" si chiese Loki.
Un
sogghigno gli sfuggì dalle labbra sottili: forse aveva
passato troppo tempo a
indagare nella mente di quella sciocca ragazza e aveva preso da lei
più di
quanto avesse voluto, così come Chiara, in qualche modo,
aveva avuto da lui più
di quanto avesse potuto immaginare.
Giocare
con la mente degli altri era un’operazione rischiosa;
deviarla, soggiogarla,
condurla a proprio piacere con l'uso delle parole per Loki era
diventato col
tempo un'arte (in cui lui, ovviamente, eccelleva), ma entrarvi era
tutta
un'altra storia, perché per quanto si possa cercare di non
rimanere coinvolti,
il punto di non ritorno è facile da oltrepassare e, allora,
si rischia di non
riuscire più ad uscirne.
Loki
aveva trascorso le ultime due lune a cercare, scavare e indagare in
quei
pensieri così estranei ai suoi, condividendo con lei e in
lei ogni esperienza
che la ragazza aveva vissuto, anche a costo di lasciare aperte delle
porte, da
cui la fanciulla avrebbe potuto facilmente
sbirciare. E così era stato.
Le
stava dando di nuovo troppa importanza: gli umani erano creature
fragili, era
nella loro natura essere facilmente suggestionabili e influenzabili e
quella
ragazza non era certo diversa da qualunque altro ottuso e debole
midgardiano.
Lei era nata per essere governata, come tutti gli altri, e la sua
misera
volontà non avrebbe mai potuto opporsi alla forza dell'animo
e della mente di
un dio.
Lei
aveva subito e assorbito l'ira di Loki, facendola propria nei momenti
di
difficoltà, ma lui era forte, lui era migliore e non avrebbe
mai potuto essere
influenzato da una mente tanto fragile.
Ma
quanto quella ragazza era simile a tutte le altre creature che
popolavano
Midgard? Per quanto Loki cercasse di negarlo, era rimasto colpito dal
modo di
agire della terrestre: ella, infatti, non lo aveva mai respinto.
Sia
conoscendolo come la sua paura, sia come il Dio degli Inganni, sia come
Jotun,
Chiara non aveva mai cercato di allontanarlo, ma al contrario, lo aveva
accettato arrivando al punto di salvargli la vita.
Ma
alla fine cosa importava? Lei era come tutti gli altri e quando avrebbe
compreso davvero chi lui fosse e cosa avesse fatto
su Midgard, avrebbe
visto un mostro. Esattamente come tutti gli altri.
Ora
lui camminava in quelle catacombe solo per pagare il suo debito,
salvare la
vita a chi gli aveva donato una parte della propria, e poi sarebbe
tornato
tutto come prima.
Poi
sarebbe tornato a regnare su Asgard, come era sempre stato suo diritto.
Immerso
in quei pensieri, Loki non si era accorto che Orpimen si era arrestata
e lo
stava fissando con i suoi grandi occhi dorati.
-Dov'è
Phoneus?- chiese impaziente il dio alla bambina.
-Devi
prima pagare- rispose quella, completamente assorta.
"Pagare?"
-Spiegati
mocciosa!- ordinò imperioso, presagendo già
quello che lo aspettava.
-Sangue-
disse la piccola principessina elfica, indicando con il dito sottile
uno
spunzone acuminato della roccia.
Loki
osservò la cuspide di quella roccia sporgente, affilata come
la punta di una
freccia, e la sfiorò appena con il dito; percepì
una potente forza magica e
allora capì qual era il gioco di Phoneus: chiunque quel
mostro credesse che lui
fosse, lo temeva, soprattutto dopo essere sopravvissuto al veleno di
Âlfheimr,
e, prima di incontrarlo, voleva assicurarsi che fosse indebolito
abbastanza da
non risultare una minaccia. Chissà quale veleno o
maledizione avrebbe colpito
chiunque si fosse ferito con quella pietra?
Se
non avesse attaccato Asgard, quella creatura astuta avrebbe potuto
addirittura
piacergli! Se non avesse coinvolto anche Chiara...
Loki
allontanò la mano e meditò su come agire; in un
primo momento pensò di lasciare
che fosse la mocciosetta elfica a pungersi con quella roccia, ma
scartò subito
l'idea: non si sarebbe abbassato al livello di quel mostro.
Estrasse,
così, un pugnale dall'armatura e ne fece scorrere la lama
sul palmo della mano
in un unico, preciso e rapido gesto. Fu un taglio netto e pulito, ma
d'altronde
nessuno sapeva maneggiare i coltelli come lui.
Non
appena dalla ferita cominciò ad uscire un sottile, ma deciso
fiotto di sangue,
allungò la mano sulla pietra e lasciò che il
liquido ne bagnasse la superficie,
finché non ne fu coperta; allora, nel crepitio delle rocce
che sfregavano le
une contro le altre, l'intera parete si ritirò e
svanì nel nulla, mostrando
un'enorme sala illuminata dal fuoco di numerose fiaccole, che si
alternavano ai
loculi scavati nelle pareti.
In
fondo alla sala, intento ad osservare l'interno di una vasca di pietra,
la
figura scura di Phoneus gli dava le spalle, frustando l'aria con la
coda.
-Finalmente
sei arrivato, vecchio amico- sibilò la creatura attraverso
le zanne -Cominciavo
a diventare impaziente. Dimmi, ti è piaciuto il mio regalo
per la Festa
d’Estate?
"Mi
crede Odino, lo stolto"
-Come
osi chiamarmi ancora amico dopo quello che hai
fatto e me e al mio
regno?- domandò Loki.
-Non
sei cambiato per niente, figlio di Börr- continuò
Phoneus, ignorando la sua
domanda -Sempre così orgoglioso e pieno di te, ma anche
così stupido. Dimmi,
Odino, credevi davvero che non avrei riconosciuto la tua voce? Che non
avrei
cercato la ragazza dopo che me l'avevi sottratta con il tuo ridicolo
trucchetto
di magia?
Si
voltò ad a osservare in volto il suo interlocutore, gli
occhi che lampeggiavano
di folle odio.
-Solo
questo mi chiedo: se avevi percepito la mia presenza, perché
non sei venuto a
cercarmi subito? Perché rubarmi il mio giocattolo e
nasconderlo ad Asgard per
tutto questo tempo? La vecchiaia ti ha forse reso folle? O sei
così sicuro
della tua misera forza da credere davvero di potermi sconfiggere
stavolta?
Di
cosa stava parlando Phoneus? A quale trucchetto si riferiva? Quale voce?
Doveva
saperne di più, così il Dio degli Inganni decise
di rimanere coerente con il
suo titolo e di continuare a rivestire, da eccelso attore quale era, il
ruolo
del Padre di Tutti: -Avevo compreso le tue trame, Phoneus, ma ho atteso
prima
di agire, ti ho lasciato il tempo di riflettere su quello che stavi per
fare e,
in nome di quella vecchia amicizia che tu stesso hai declamato
poc’anzi, ti ho
concesso l’opportunità di arrenderti. Non
è un privilegio che molti possono
vantare di aver ricevuto.
Dalle
fauci di Phoneus scivolò un sibilo, qualcosa che avrebbe
dovuto essere una
risata, ma che suonava ben più minaccioso: -Un privilegio,
tu dici? Ma quale
onore, nobile Odino, essere un tuo privilegiato, esattamente come
quando
eravamo giovani: il benedetto da Odino, mi chiamavano. Lo sapervi
questo? Come
se avessi avuto bisogno della tua benedizione per essere qualcosa di
grande.
Ebbene, vecchio pazzo, guarda cosa ha portato la tua benedizione.
Ciò
detto, Phoneus indicò l’interno di quella strana
vasca di pietra, i cui lati
erano stati scolpiti per raffigurare a bassorilievo una danza macabra,
e Loki,
guardingo, si avvicinò per osservarne il contenuto: dentro
un liquido
giallastro era immersa Chiara, gli occhi chiusi e la bocca semi aperta.
Spaventosamente immobile.
Per
un attimo il dio trattenne il respiro e spalancò gli occhi,
incredulo: era
forse morta? Eppure un legame tra loro c’era ancora, avrebbe
dovuto
accorgersene… ma se non fosse stato cosi?
Allungò
la mano, intenzionato a toccarle la giugulare e scoprire se in lei vi
era
ancora vita, ma gli artigli di Phoneus si frapposero tra lui e la
ragazza: -Non
puoi toccarla- disse la creatura, un ghigno sghembo disegnato sul volto.
-Tu
l’hai uccisa…- sibilò rabbioso il dio,
stringendo le dita lungo il fusto di
Gungnir fino a farle sbiancare.
-Non
sono stato io- ridacchiò Phoneus, divertito dalla rabbia
del’anziano sovrano -È
stata lei.
-Cosa
vuoi dire?- abbaiò Loki, nella cui voce sfociava tutta la
furia che gli stava
crescendo in petto.
-Si
è tagliata di proposito con una lama elfica- rispose calmo
il mostro, godendosi
voluttuosamente la vista del volto dell’uomo sbiancare quando
si accorse del
piccolo taglio che si intravedeva sulla coscia di Chiara, poco sotto a
uno
strappo dei suoi jeans.
-Sperava
che il veleno sarebbe stato più veloce di me-
continuò quello, lanciando ogni
singola parola come un coltello nelle carni del dio -Ma non mi sarebbe
servita
a nulla da morta, così ho adoperato le acque di Eitur Myri
per posticipare il
suo trapasso. È affascinante, non è vero? Il
veleno di Jordmungand
che contrasta quello di Âlfheimr;
riesci a cogliere l’ironia che il destino si diverte a creare
tra le sue
creature? Ora nel collo di questa stupida ragazza
c’è un uovo che porta non
solo la mia natura, ma anche la sua e, quando si schiuderà
avrà quella forza
che prima si opponeva al mio controllo. Sarà invincibile e
totalmente al mio
comando. Âlfheimr sarà la prima a cadere, poi
toccherà ad Asgard.
Le
parole di Phoneus a mala pena raggiunsero le orecchie di Loki, la cui
mente
correva all’impazzata, mentre i suoi pensieri si susseguivano
veloci, intenti
ad analizzare la situazione: il veleno di Jordmungand
agiva sul sistema circolatorio, atrofizzando le arterie e riducendo il
battito
cardiaco, e sul sistema nervoso, bloccando la comunicazione tra i
nervi; Chiara
ne era immersa, il che significava che tutto il suo metabolismo stava
rallentando, aumentando i tempi d’effetto del veleno elfico, ma non stava vivendo,
stava solo morendo più
lentamente: se fosse rimasta dentro a quel liquido giallo, sarebbe
stata uccisa
da un infarto, se fosse uscita, sarebbe morta per effetto del veleno di
Âlfheimr.
Non
si sarebbe salvata in ogni caso, l’unica variabile era: quando.
-Tu,
mostro- la voce fremeva folle dalla
rabbia che gli scorreva come ferro fuso nelle vene -Non avresti mai
dovuto
uscire dall’oscurità in cui ti eri nascosto.
Avresti potuto continuare a vivere
da larva quale sei, ora hai varcato l’ingresso della tua
sorte e, quindi,
guarda in faccia l’uomo che ti ucciderà.
Ciò
detto batté Gungnir al suolo e riacquisì le sue
sembianze.
-E
adesso- riprese Loki, puntando la lancia alla gola di Phoneus,
visibilmente
sorpreso -Inchinati a Loki, Dio degli Inganni e legittimo re di Asgard.
“Loki”
Fu
solo quando lo strano vecchio
ebbe pronunciato quel nome che Chiara smise di urlare e di agitarsi:
quelle
quattro lettere erano state in grado di attirare completamente la sua
attenzione e convincerla, almeno in parte, che quell’uomo,
per quanto assurda
fosse tutta quella storia, non parlasse in preda alla demenza.
-Chi
è Loki?- domandò la ragazza.
-Mio
figlio- rispose l’uomo,
avvicinandosi a lei -E, ti prego, aiutami a salvarlo.
L’espressione
sul volto del vecchio
si era fatta dolorosa e affranta, disegnandogli nuove rughe che lo
facevano
apparire ancora più anziano e, anche se Chiara sapeva che
non lo fosse affatto,
debole. Era il volto di un padre disperato e avrebbe voluto aiutarlo,
ma come
poteva fidarsi di lui?
-Come
faccio a sapere che non stai
mentendo?
-Perché
tu l’hai visto- rispose il
vecchio, un leggero sorriso gli incurvava le labbra sottili -Nonostante
quello
che Phoneus ti ha fatto, tu lo stai cercando. Phoneus sta provando ad
annullare
la tua volontà e privare la tua testa di ogni pensiero, ma
la tua mente si
oppone, aggrappandosi ad ogni più piccolo ricordo che hai di
lui. I sogni che hai
fatto, le voci che hai sentito, le sensazioni che hai
provato… tutto ciò è
dovuto al tuo desiderio di non dimenticarlo.
-Non
è possibile…- sussurrò
smarrita la ragazza: come poteva quell’uomo sapere delle
stranezze che le erano
capitate nelle ultime ore? E perché, cosa ancora
più inquietante, qualcosa
dentro di lei le suggeriva che avesse ragione?
-Sei
una fanciulla incredibile, mia
cara- riprese l’uomo, sorridendole cordiale -Ho visto in
passato quanto le tue
doti possano essere uniche e straordinarie e so che puoi opporti al
controllo
di Phoneus, ma devi prestare ascolto.
-Io
ti sto ascoltando…- esordì la
ragazza, domandandosi cosa volesse dire quell’uomo bizzarro.
-Non
me, bambina mia- disse l’uomo,
scuotendo leggermente il capo e poggiandole una grossa mano sulla
spalla,
mentre con l’altra le faceva gesto di rimanere in silenzio
-Ascolta.
Restarono
in silenzio per un po’,
tempo in cui la ragazza si chiese se non fosse stato meglio
allontanarsi da
quello strano tipo con una scusa e tornarsene a casa, ma
all’improvviso un’eco
le arrivò alle orecchie: -Inchinati a Loki, Dio degli
Inganni e legittimo re di
Asgard.
Totalmente
spiazzata, rimase a
bocca aperta, cercando con lo sguardo chi avesse potuto pronunciare
quelle
parole, ma la piazza attorno a lei era completamente vuota, persino
quelle persone
che poco prima facevano colazione nei Caffè erano scomparse;
rimanevano solo
lei, il vecchio e la fontana zampillante in cui si riflettevano le loro
immagini.
Non
poteva esserci altra
spiegazione: quell’uomo la stava prendendo in giro e, di
sicuro, nella giacca
del completo nascondeva un cellulare, che aveva usato per farle sentire
quella
voce.
Ma
allora, perché le sembrava di
averla già udita?
L’uomo
sembrò comprendere le
domande che si affollavano nella testa della ragazza, così
le strinse
amichevolmente la presa sulla spalla e disse piano: -Mi dispiace molto,
bambina
mia, ma quello che vedi, per quanto tu possa averlo desiderato durante
tutta la
tua permanenza ad Asgard, non è reale.
-E
adesso mi offrirai di scegliere
tra una pillola blu e una rossa?- chiese sarcastica Chiara, liberandosi
dalla
mano dell’uomo -Sono stata una stupida a darti retta. Ora
lasciami in pace.
“Che
assurdità!” si disse la
ragazza mentre si allontanava dal vecchio, ma in quel mentre
sentì un’altra
voce, più cavernosa e minacciosa, ridere in una maniera
tanto brutale e crudele
da farle accapponare la pelle, poi la frase: -Io che temevo di dover
affrontare
il Caprone, mi trovo davanti un gattino inerme.
Si
voltò di scatto in direzione
dell’uomo, il cui viso aveva assunto la stessa espressione
preoccupata di poco
prima: -Stanno per affrontarsi- disse egli, osservando il cielo -Loki
non può
vincere da solo contro un nemico del genere.
Che
cosa voleva dire con quella
frase? Questo fantomatico Loki era in pericolo? Era tutta una
messinscena e non
doveva lasciarsi condizionare dai vaneggiamenti di un pazzo... ma
allora perché
si sentiva così agitata? Perché il cuore le
batteva freneticamente nel petto,
fino a farle quasi male, e la fronte le si stava bagnando di sudore
freddo?
Perché
stava provando paura? Che
cosa avrebbe mai dovuto temere? Era nella sua città, con la
sua famiglia e i
suoi amici. Era tornata alla sua solita vita.
“Tornata
da dove?”
Era
tutto così strano e confuso e,
sebbene cercasse di trovare una soluzione logica e razionale a tutta
quella
situazione, non riusciva a impedire ai suoi polsi di tremare; poi
sentì di
nuovo la prima voce urlare a squarciagola, un grido doloroso e
straziante e
allora non ebbe più dubbi: -Dimmi cosa devo fare per porre
fine a tutto questo.
Angolo
dell’autrice: salve
a tutte ragazze e ben trovate alla fine del capitolo 27 J
un abbraccio fortissimo alla nuova arrivata che ha aggiunto la storia
tra le preferite
^-^
Finalmente
si è scoperto cosa accidenti è capitato alla
nostra Chiara, ve lo aspettavate? E cosa ne dite dei pensieri di Loki?
Qualcosa
in lui sta cambiando?
E
Phoneus? La sua crudeltà sopraffarà il Dio degli
Inganni?
Cosa
accadrà adesso?
Spero
davvero che questo capitolo vi sia piaciuto e abbia
da un lato soddisfatto le vostre curiosità e,
dall’altro, ne abbia create di nuove
;)
Come
sempre, se vorrete lasciarmi un’opinione e/o qualche
suggerimento per migliorare il mio stile di scrittura, sarò
lieta di leggere tutto
quello che avrete da dirmi ^-^
Vi
mando un forte abbraccio e ringrazio tutte coloro che continuano a seguire la mia storia, silenziosamente o facendomi sentire la loro voce nelle recensioni! :)
Alla
prossima!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 28 *** Ti fidi di me? ***
Il
colpo era stato sferzato con una velocità e una potenza tali
che Loki non era
riuscito in alcun modo ad anticiparlo; Phoneus, pur avendo un corpo
grosso,
pesante e avvolto da una rigida corazza nera, possedeva una coda
spaventosamente veloce e flessibile, che era in grado di direzionare
ovunque
volesse con una precisione millimetrica.
Quell'arto
gli era giunto allo stomaco in un lampo e lo aveva scaraventato contro
la
parete di roccia; non si era nemmeno accorto di gridare dal dolore
finché
l'impatto con la pietra non gli aveva mozzato il respiro, spegnendo
così le sue
urla.
Loki
sentì la schiena bruciare e, dopo qualche secondo, bagnarsi,
mentre il tessuto
della maglia gli si appiccicava sulla pelle; stava sanguinando e
intanto Phoneus
rideva, avvicinandosi lentamente a lui un passo dopo l'altro.
-Nemmeno
quell'energumeno di Thor è riuscito a sconfiggermi in
battaglia, credevi di
poterci riuscire tu, piccolo Jotun? Anche nella mia
oscurità, come l'hai
chiamata tu, mi è giunta voce delle tue azioni: il principe
che ha quasi regnato su Asgard, lo
Jotun che ha
quasi ucciso il Dio del Tuono, il pazzo ambizioso
che ha quasi soggiogato
Midgard. Si diceva perfino che fossi morto durante lo scontro con quel
folle di
Malekith. Ma ora arriva la parte divertente: Thanos ti sta cercando, lo
sapevi?
Io l'ho visto. Egli non ha mai creduto alla tua morte e anela di
incontrarti di
nuovo per saldare il vostro conto in sospeso. Scommetto che sarebbe
molto generoso
con chi gli porterà la testa del traditore.
Loki
non fiatava, non proferiva verbo e non dava alcun segno di cedimento di
fronte
a quella cascata di invettive e minacce, ma non appena Phoneus si fu
avvicinato
abbastanza, in uno scatto imbracciò Gungnir e
scagliò un lampo di energia
contro il mostro, mandandolo a terra.
Per
qualche secondo credette di averlo battuto, ma Phoneus si
rialzò, leccandosi
gli orli della bocca con la sua lingua grondante di bava: -Tutto qui? -
riprese
-Quando era Odino a brandirla, Gungnir aveva una potenza devastante, in
grado
di tagliare in due parti le montagne e spaccare il cielo; ora con te
è poco più
di un grosso giocattolo luccicante che non sei nemmeno in grado di
maneggiare.
La verità è che non ne sei degno, come non lo sei
per il trono e non lo sei
stato per Mjolnir. Che sensazione ti ha dato stringere quel manico di
cuoio e
tirare con tutte le tue forze senza che si muovesse di un millimetro?
Provare
quell'inebriante sensazione di potere, desiderarne ancora e ancora ma
non
riuscire a sollevare quello stupido martello?
-La
stessa che avrai provato anche tu, suppongo- sibilò Loki,
mentre un sottile
rivolo di sangue scendeva dalle sue labbra sul mento appuntito.
Gli
occhi gialli di Phoneus si strinsero in due fessure e la bocca si
aprì
minacciosamente, scoprendo le zanne: -Tu, patetica creatura...-
ringhiò il
mostro in preda alla furia, mentre il suo aculeo si librava nell'aria e
si
scagliava contro il corpo inerme di Loki.
Quando,
però, l'ebbe raggiunto, non andò a conficcarsi
nelle sue carni, bensì nella
dura roccia, squarciandola con gran fracasso, mentre l'immagine del dio
svaniva
in un lampo smeraldino e l'originale compariva alle spalle di Phoneus,
colpendolo alla schiena con un'altra scarica di energia.
Phoneus
subì il colpo e si voltò, pronto a
contrattaccare, ma quando vide Loki non poté
trattenere un altro scroscio di risa.
-Che
cosa ci trovi di tanto divertente?- chiese il Dio degli Inganni,
irritato da
quel continuo sbeffeggiamento, mentre le sue mani tremavano per il
dolore che
lo colpiva alla schiena e alle spalle.
-La
tua paura- rispose quello, sorridendogli malevolo -Ne sei pieno al
punto che
riesco a sentirne l'inebriante profumo, ma non è per te che
temi. Sarebbe una
cosa troppo dozzinale per il nobile e altero Loki preoccuparsi per la
propria
vita. Tu temi per la sua- proseguì indicando con un cenno
del capo il sarcofago
di pietra -Sai che è già condannata e la cosa ti
terrorizza. Sei davvero
patetico.
Loki
digrignò i denti, percependo sulla lingua il sapore ferroso
del proprio sangue,
e lanciò una rapida occhiata alla vasca di pietra, poi
sorrise amaro: eccola,
la vera ironia in tutta quella storia. Per due mesi aveva fatto credere
alla
terrestre di essere la sua paura e ora era proprio lui, nelle catacombe
di
Eitur Myri, a provarne. La paura di essere la causa della morte di
quella
creatura di cui aveva imparato a conoscere la mente e il cuore. Alla
fine i
ruoli si erano invertiti.
Pensò
alla prima volta in cui si era manifestato a Chiara, spacciandosi per
quello
che non era e indossando una maschera che si adattava perfettamente al
suo
volto, eppure la ragazza non aveva fatto una piega: "Ho convissuto
tutta
la vita con le mie paure" gli aveva detto "Posso farlo anche con
te". Era stata coraggiosa, forse in una maniera di cui neppure lei si
era
resa conto appieno: non aveva rinnegato le sue paure, ma le aveva
accettate e
le aveva affrontate, esattamente come aveva fatto con lui.
Non
sarebbe stato da meno, si disse il Dio degli Inganni asciugandosi il
sangue alla
bocca con il palmo della mano, avrebbe fermato Phoneus e l'avrebbe
salvata.
Avrebbe rivisto quella luce orgogliosa brillare nei suoi occhi e
avrebbe udito
di nuovo la sua voce delicata perché aveva un debito nei
suoi confronti. E poi
sarebbe tornato tutto come prima.
Si
scagliò di nuovo contro il mostro, riuscendo ad evitare un
tentacolo che era
uscito dall'esoscheletro e aveva tentato di afferrarlo per le caviglie;
colpì
Phoneus più e più volte con Gungnir, scansando
sempre all'ultimo la coda e gli
artigli, ma quello non cedeva, anzi, sembrava che l'energia e la lama
dell'arma
sacra non avessero alcun effetto su di lui.
Sfinito
dallo sforzo e rallentato da una fitta di dolore alla schiena, Loki si
fermò
per un istante a riprendere fiato e Phoneus ne approfittò
prontamente per
colpirlo e scagliarlo di nuovo contro le rocce, lussandogli una spalla.
All'impatto
Gungnir, quando le dita del proprietario allentarono la loro presa
sulla sua
asta, volò contro le pareti del sarcofago e cadde al suolo
lì vicino, troppo
distante da Loki perché potesse recuperarla.
Era
bastato quel breve
attimo di esitazione per far sì che il Dio degli Inganni si
ritrovasse,
disarmato e agonizzante, ad osservare il viso trionfante del mostro e a
scoprire di desiderare quello di Chiara.
Alla
fine si era arresa agli eventi e aveva lasciato che il suo cuore la
guidasse,
scegliendo di dare retta a quello strano vecchio: -Cosa devo fare?-
ripeté
impaziente.
-In
questo momento il tuo corpo si trova immerso in un liquido- rispose
l'uomo, puntellando
il bastone sul lastricato della piazza -Se vogliamo che la tua mente
riprenda
il controllo, dobbiamo fornirle una condizione che si avvicini a quella
del tuo
corpo, in maniera che possano di nuovo comunicare tra loro.
Si
guardò intorno pensieroso, poi il lampo di un'idea gli
illuminò il viso e
indicò la Fonte Gaia con la punta del suo bastone:
-Immergiti lì- disse.
-Cosa?-
chiese la ragazza scandalizzata -È un monumento storico,
mica posso farci il
bagno!
-Proprio
l'importanza che le dai la rende la migliore delle soluzioni:
intensificherà la
tua attività celebrale, rendendoti più recettiva.
Coraggio!
Perplessa,
Chiara si avvicinò lentamente alla fonte e ne
osservò il pelo dell'acqua,
increspata dal movimento, si tolse le scarpe (si trattava pur sempre di
un'opera d'arte e bisognava portarle il dovuto rispetto) e si
arrampicò sul
bordo.
-Spero
che tu abbia ragione- disse al vecchio -Perché l'ultima cosa
che vorrei è
macchiare la mia fedina penale per atti vandalici!
Si
soffermò ad osservare il proprio riflesso nelle acque
increspate della fontana
e, ancora una volta, percepì un malinconico senso di
irrisolto; ripensando al
grido che aveva udito poco prima per darsi coraggio, si calò
lentamente dal
bordo e lasciò che il suo corpo si acclimatasse alla fredda
temperatura.
Rimase
lì, immersa fino alla vita in silenzio ad aspettare per una
manciata di
secondi, ma non successe nulla; si voltò per chiedere
spiegazioni al vecchio,
ma quando diresse lo sguardo dove pochi secondi prima si trovava,
l'uomo era
scomparso.
Era
rimasta da sola in Piazza del Campo, bagnata fino al sedere di acqua
gelata.
"Maledizione!"
imprecò internamente la ragazza "Quel maledetto vecchiaccio
mi ha preso in
giro!"
Fece
per arrampicarsi sul bordo della vasca e uscire, prima che qualche
poliziotto
le facesse una multa, quando le parve che dal fondo della fontana
emergessero
dei rumori, come di una colluttazione.
Erano
suoni molto deboli, ma le sembrava di poter percepire distintamente lo
sferragliare di un oggetto di metallo, dei colpi e dei lamenti.
Avrebbe
dovuto uscire alla svelta e dare retta al suo buon senso, ma la
curiosità alzò
la voce, sovrastando i più accorti consigli che la prudenza
suggeriva e, così,
desiderosa di scoprire cosa stesse accadendo, la ragazza si immerse
completamente
nelle acque della fonte, ritrovandosi a nuotare in uno spazio
sterminato.
Intorno
a lei le pareti marmoree della fontana erano svanite, lasciando il
posto ad un
mare di un intenso blu, che volgeva al nero mano a mano Chiara
abbassava lo
sguardo.
Il
rombo di un altro impatto le arrivò nitido alle orecchie e,
sentendosi mancare
l'aria, iniziò a nuotare verso l'alto, ritrovandosi ben
presto circondata non
più da cristalline acque azzurre ma da un viscoso liquido
giallastro.
Quel
liquido la
disgustava e non voleva passarci dentro un minuto di più,
così aumentò la
velocità della bracciate e, quando credette che sarebbe
annegata, uscì
dall'acqua, sorreggendosi con le mani a dei bordi di pietra e
riempiendo,
finalmente, d'aria i polmoni.
Inspirò
profondamente, incamerando quanto più
ossigeno possibile, come se stesse respirando per la prima, vera volta
in vita
sua.
Gli
occhi le bruciavano per il veleno giallo e
denso che le colava dai capelli sulla fronte e le narici erano pregne
della
puzza acida che emanava.
Si
strofinò le palpebre chiuse alla bell’e meglio con
le mani e, sforzandosi di non dare di stomaco per l’odore
acre e penetrante, si
guardò intorno, in cerca di lui, Loki, la persona per la
quale era riuscita a
sfuggire alla magia di Phoneus.
Nonostante
la vista appannata e il bruciore, li
scorse entrambi: il Dio degli Inganni giaceva al suolo, ansimante e
indebolito,
mentre il mostro lo sovrastava con la sua mole, agitando minacciosamente nell’aria la sua
coda, pronto a vibrare
l’ultimo, fatale colpo e porre fine all’esistenza
dell’arrogante Jotun che
aveva avuto l’ardire di sfidarlo da solo.
Era
una questione di pochi attimi e ben presto lo sforzo
della ragazza non sarebbe servito a nulla, se non fosse stata veloce ad
agire e
a impedire a Phoneus di prendersi quella vita che solo pochi giorni
prima aveva
sottratto all’oblio di Hela; doveva pensare in fretta,
escogitare qualcosa, ma
il veleno di Âlfheimr,
non incontrando più alcun ostacolo, aveva iniziato
a circolare nel sangue e a diffondersi nel corpo, annebbiandole i sensi
e
indebolendole gli arti.
Un
bagliore dorato a pochi metri da lei le diede la soluzione: abbandonata
sulla
fredda pietra, Gungnir giaceva al suolo e brillava, come invitandola ad impugnarla.
Come
un marinaio attratto dal suadente canto delle sirene che sugli aspri
scogli in
mezzo al mare intonano le loro dolci melodie, incurante delle forze che
iniziavano a mancarle, della vista appannata e del respiro faticoso,
Chiara si
sollevò oltre il bordo del sarcofago e, trascinandosi
carponi, afferrò la
lancia sacra, che percepì quasi bollente al tocco della sua
mano.
“Brandiscimi”
sembrava implorarla l’arma affusolata, quand’ella
la strinse tra le dita “Sfoga
la mia furia sull’assassino”, così
Chiara lasciò semplicemente che fosse Gungnir
a guidarla e, alzandosi malamente in piedi, ne puntò la
cuspide in direzione di
Phoneus; la lancia iniziò a vibrare e in un lampo di luce
emanò un poderoso
fascio di energia, che colpì in pieno la coda del mostro,
recidendola appena
prima che Phoneus potesse usarla per trafiggere Loki.
-Beccati
questa, Matrix!- sussurrò la ragazza, prima di perdere
totalmente le forze e
cadere al suolo come una bambola di pezza.
L’urlo
di dolore di Phoneus squarciò l’aria e, folle di
odio e di rabbia, si voltò ad
osservare la causa della sua mutilazione; con gli occhi che
strabuzzavano di
ferocia, si sarebbe scagliato contro Chiara, distesa sulla roccia priva
di
sensi, se non fosse stato per la lama del coltello di Loki conficcata
tra le
placche dell’esoscheletro, perforandogli il cuore.
-Quando
raggiungerai l’inferno- gli sussurrò
all’orecchio il Dio degli Inganni -Porta i
miei omaggi a Malekith e alla sua stirpe, che tremino ancora al nome di
Loki,
figlio di Frigga.
Lo
guardò rantolare e gorgogliare, tenendosi il petto con gli
artigli, mentre un
fluido scuro sgorgava dalla ferita attraverso le dita nodose: -Ti
aspetterò lì-
tossì Phoneus, prima di accasciarsi al suolo, immobile e
silente.
Il
Dio degli Inganni attese che la creatura spirasse definitivamente poi,
quando fu
sicuro che non si sarebbe più rialzato, lasciò
cadere il coltello e corse (per
quanto le sue gambe potevano permettergli) verso Chiara, sollevandole
il busto
e reggendole la testa con le braccia.
A
quel contatto la ragazza, il cui volto aveva assunto un pallore
cadaverico,
aprì gli occhi e sorrise: -Ciao Trinity…-
ridacchiò, ma non riuscì a dire altro
perché un
violento attacco di tosse
sospese le sue parole.
Quel
sorriso spiazzò per un momento il Dio della Menzogna, il
quale, davanti a
quell’inattesa serenità, non seppe cosa dire. Come
faceva a scherzare in un
momento del genere? Come riusciva a sorridere proprio a lui, che per
tutto quel
tempo era stato la causa delle sue sofferenze?
-Mi
dispiace per quello che hai dovuto passare…-
riuscì a dire alla fine, aumentando
leggermente la stretta sulle sue spalle, frenato dalla paura che
potesse
spezzarsi in due.
-Non
è stata colpa tua… no, un po’
sì, ma va bene così- sorrise di nuovo Chiara,
stringendo delicatamente nella mano il braccio che
l’avvolgeva.
-Sei
stata una stupida a tagliarti con quella lama: nessuno ti aveva chiesto
di
farlo!- la rimproverò Loki, lanciando uno sguardo verso
quella ferita
ridicolmente piccola e mostruosamente letale che Chiara, in un atto di
insano e
altruistico coraggio, si era inferta.
Chiara
avrebbe voluto rispondere, ma un forte dolore le mozzò il
respiro: era come se
un fuoco incontrollato le stesse bruciando le carni
dall’interno, corrodendo
gli organi e diffondendo le fiamme per mezzo delle vene. Era quello che
Loki
aveva provato alla Festa d’Estate? Era quel dolore che aveva
dovuto sopportare
quella sera, quando l’aveva trovato in mezzo al proprio
sangue?
Lui
aveva combattuto contro quel veleno, celando al meglio delle sue
possibilità i
devastanti effetti che quell’orrore aveva avuto sul suo corpo
e lei non sarebbe
stata da meno. Sarebbe morta con dignità,
però…
-Resta
con me- riuscì a implorare la ragazza in un sussurro, mentre
nella bocca
iniziava a percepire il metallico sapore del sangue -Resta con me
finché non è
finita. Non voglio… essere da sola quando accadrà.
-Ti
fidi di me?- domandò il dio, un mezzo sorriso disegnato
sulle labbra.
-Mi
fido.
Un
sussulto colse il corpo della ragazza, i cui occhi volsero
all’indietro e il
collo reclinò, non riuscendo più a sostenere il
peso della testa, che andò a
deporsi, delicatamente e in silenzio, sul braccio del Dio degli Inganni.
Angolo
dell’autrice:
*entra timidamente in scena l’autrice, indossa
l’armatura di Iron Man e si
nasconde dietro lo scudo di Capitan America (entrambi gentilmente
prestati per
l’occasione); in un angolo nascosto, l’agente
Barton tende l’arco, pronto a
intercettare qualunque tipo di oggetto che le lettrici infuriate
potrebbero
lanciare contro l’autrice*
Salve
e tutte e benvenute alla fine del capitolo 28 del La
sua paura, permettetemi di mandare un forte abbraccio alle
lettrici che hanno aggiunto la storia alle seguite e alle preferite.
Premetto
che mi dispiace molto che questo capitolo sia stato pubblicato in
concomitanza
con l’inizio dei miei esami e che non avrò modo di
pubblicare il prossimo prima
della fine dei suddetti, vi assicuro che sono la prima a dispiacersene.
Spero
che non mi odierete per come è finito questo capitolo e per
l’attesa che
dovrete sopportare per il prossimo, cercherò di farmi
perdonare più avanti.
Nel
frattempo, mi auguro che, nonostante tutto, il capitolo sia stato di
vostro
gradimento e che sia riuscito a trasmettervi qualche bella emozione J
Vorrei
portare alla vostra attenzione un’altra splendida fanart
creata da MARS88 dedicata
alla storia e intitolata Dream,
questo
è il link: http://s27.postimg.org/a55iyuzb7/Dream.jpg
Tanti,
tantissimi complimenti all’artista e un forte abbraccio a
tutte voi! Ci vediamo
alla prossima!
Lady
Realgar
|
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Capitolo 29 *** Non oggi ***
Una
forte luce filtrò attraverso la debole barriera delle sue
palpebre, bruciandole
gli occhi e destandola dal suo sonno; con un forte senso di
intorpidimento in
tutto il corpo e di pesantezza alla testa, Chiara sentì la
propria voce
mugugnare infastidita: era quella la sensazione
dell'Aldilià? E cosa ci sarebbe
stato dall'altra parte dei suoi occhi chiusi?
In
un primo momento pensò al Paradiso, quel luogo magico e
ricco di pace di cui
sua nonna le raccontava quando si preparava per andare a messa la
domenica.
"Forse
avrei dovuto entrare in chiesa più spesso"
ridacchiò tra sé e sé "Ma,
visto che sono morta nel contesto della mitologia nordica, magari sono
finita
nel Valhalla. Si può considerare una morte in battaglia la
mia?"
-Coraggio,
dormigliona- rise una voce alla sua sinistra -È ora di
alzarsi o a Thor verrà
un esaurimento nervoso a furia di aspettare che tu ti desti.
"Aspetta
un momento...conosco questa voce!"
Aprì
timidamente un occhio, aspettando con impazienza che la pupilla si
adattasse a
quella fastidiosa condizione di luce, e vide al suo capezzale la figura
di un
uomo, seduto su una sedia a gambe accavallate e braccia incrociate, che
le
sorrideva sotto a un paio di arricciati baffetti biondi.
-Fandral?-
chiese preoccupata Chiara -Ti prego, dimmi che non sei morto anche tu!
Lo
spadaccino rise fragorosamente e le strinse la mano attraverso il
guanto di
pelle decorato a borchie dorate: -No, mia cara, non sono morto, ma ti
ringrazio
per la premura- disse poi dolcemente -E sono oltremodo felice di
annunciarti
che non lo sei nemmeno tu, anche se hanno dovuto amputarti la gamba
ferita.
A
quelle parole, il livello di adrenalina salì repentinamente
nel corpo di
Chiara, che scattò a sedere come una molla e si
guardò gli arti inferiori,
preparandosi al peggio: fortunatamente, però, erano presenti
entrambi e, dopo
aver mosso le dita dei piedi, si convinse anche che fossero funzionanti.
-Fandral,
sei un idiota!- disse la ragazza, guardando l'uomo con tutto il
risentimento di
cui era capace, ma ben presto la rabbia provocata da quello scherzo
scemò,
svanendo come la neve al sole, ed entrambi scoppiarono in una risata.
-Come
ti senti, mia cara?- domandò lo spadaccino, non riuscendo a
celare del tutto
nella voce un sottile velo di preoccupazione.
-Bene-
rispose Chiara, che per la gioia non riusciva a trattenere dei larghi
sorrisi
-Ma cos'è successo? Pensavo di essere andata all'altro mondo!
L’uomo
si sollevò dalla sedia e si accomodò sul
materasso accanto a lei, scostando
leggermente le lenzuola di seta dorate, appositamente messe sul letto
del
principe per accogliere la convalescenza di quell'inaspettata eroina:
-La prima
arciera di Jarosit ci ha condotto presso la regione di Eitur Myri, dove
aveva
percepito la tua presenza, ma siamo stati attaccati sull'altopiano e
soltanto
Odino è riuscito a scoprire l'accesso al nascondiglio di
Phoneus, l'ha
affrontato ed è emerso dalle catacombe con te in fin di vita.
-E
come sta adesso Lo... ehm, l'onnipotente
Odino?- si corresse, tentando di nascondere l'apprensione per quella
domanda:
l'ultima volta che l'aveva visto, Loki era ferito e allo stremo delle
forze e
nella sua memoria Chiara aveva impresso il suo volto, rigato da
numerosi tagli
e rivoli di sangue.
-È
stato curato e ora ha soltanto qualche benda qua e là, nulla di preoccupante.
È pur sempre il Padre
degli Dei e, nonostante l'età, non mi sorprenderebbe se
assistesse ai funerali
di tutti noi.
Chiara
si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: Loki era vivo e
stava bene.
-E
tutti i soggiogati da Phoneus? Che ne è stato di loro?
-Alla
morte del mostro la magia che permeava le uova è stata
spezzata, ora i
Guaritori stanno lavorando sodo per rimuoverle tutte dal collo di quei
poveretti, prima che si infettino. I bambini sono stati tutti liberati
per
primi e ricongiunti alle loro famiglie.
-È
meraviglioso!- esultò la ragazza, mentre un sottile velo
liquido si posava sui
suoi occhi scuri.
Lacrime
di gioia iniziarono a scorrerle sul viso, liberandola dalla tensione di
quell'interminabile serie di tristi eventi; era un pianto sommesso e
contenuto,
che Fandral rispettò, aspettando garbatamente che Chiara
sfogasse quel
travolgente fiume di emozioni.
-Sei
stata favolosa- le sussurrò l'uomo, rivolgendole il
più caldo dei suoi sorrisi
-Hai compiuto delle gesta che nemmeno i più grandi tra i
soldati e i guerrieri
di Asgard possono vantare tra le loro imprese. Nelle strade della
città già si
compongono canti in onore della Salvatrice di Asgard e i bambini
acclamano il
tuo nome. Questo giorno è tuo, mia cara.
Si
interruppe per un attimo, soffermandosi ad osservare la ragazza,
intenta ad
asciugarsi le gote imporporate dal pianto e dalla felicità.
-Ma
guardati: la fanciulla di Midgard sperduta nel dorato regno degli
Æsir, odiata
da chi la temeva, desiderosa solo di riabbracciare i suoi cari lontani;
hai
fatto così tanti miracoli in questi pochi giorni…
-Ma
smettila!- rise Chiara, dandogli un colpetto sulla casacca -Scommetto
che è
quello che dici a tutte le ragazze per rimorchiare, ma io non cedo alle
lusinghe!
Si
scambiarono un'occhiata d'intesa, poi lo spadaccino aiutò la
ragazza a
sollevarsi dal letto e, sorreggendola con un braccio avvolto attorno
alla vita,
l'accompagnò fuori dalle camere del principe.
Sebbene
i Guaritori gli avessero categoricamente vietato di compiere sforzi per
evitare
che i punti al braccio saltassero, come di consueto Thor aveva deciso
di fare a
modo proprio e, nella polvere del cortile, stava aiutando degli operai
a
sgomberare l'area dal mobilio per poter allestire il cantiere:
l'assalto alla
città aveva danneggiato profondamente anche le mura del
palazzo, che ora
necessitavano di essere risanate, assieme a gran parte degli edifici
popolari.
Poco
distanti da carpentieri, falegnami, scultori e muratori, alcuni
Guaritori
assistevano i soldati feriti all'interno di tendoni innalzati
appositamente;
dato il gran numero di pazienti bisognosi di cure rapide, era stato
stabilito
che coloro che non necessitassero di un intervento chirurgico venissero
accolti
all'esterno, per permettere agli altri di essere assistiti in un
ambiente più
pulito.
Cupi
pensieri occupavano la mente del principe, che cercava di tenere a bada
distraendosi con il lavoro: le parole dei Guaritori, quando gli avevano
assicurato che Chiara era oramai fuori pericolo, non gli erano sembrate
convincenti e il timore di perdere l'amica era un peso ben
più gravoso di
quello dell'armadio di massiccio legno di quercia che stava
trasportando sulle
spalle.
Quando,
sull'altopiano di Eitur Myri, il suo braccio aveva iniziato a non
muoversi più
e i nani li avevano accerchiati, aveva seriamente temuto per la sua
vita e per
quella dei suoi amici, in particolar modo dopo essersi accorto della
scomparsa
di suo padre. Le elfe erano allo stremo delle forze per via dei vapori
venefici
e i Tre Guerrieri e Sif, pur continuando a combattere valorosamente,
erano
evidentemente esausti e sarebbero stati sconfitti di certo se,
all'improvviso,
i loro assalitori non si fossero fermati.
Dopo
qualche momento di smarrimento generale, suo padre era, poi, emerso
dalla
terra, gravemente ferito e quasi privo di forze, seguito da una schiera
di
bambini; tra le braccia portava il corpo immobile di Chiara.
Il
principe mugugnò al ricordo dello spavento che la vista di
quel piccolo corpo
freddo gli aveva provocato, ma quando Odino gli aveva spiegato
l’accaduto, il
suo cuore aveva finalmente ripreso a battere.
Depose
l’armadio all’ingresso del palazzo, dove una
guardia se lo caricò sulle spalle
e lo trasportò all’interno
dell’edificio; il principe si asciugò il sudore
dalla fronte con il dorso della mano, spaziando il cortile con lo
sguardo: dopo
la liberazione dal controllo di Phoneus, tra le razze dei Nove Regni si
era
venuto a creare un insolito spirito di collaborazione, portando tutti,
tra
elfi, nani, Vanir e barbari a lavorare fianco a fianco per ricostruire
Asgard e
aiutare chi aveva subito la forza dell’assalto. In un angolo
del cortile,
alcuni bambini giocavano a mosca cieca, riempiendo l’aria di
risate
cristalline.
Era
uno spettacolo insolito, quello che Thor stava ammirando in quel
momento, e
ricco di prospettive favorevoli per il futuro dei Nove Regni, appena
scampati a
un pericolo comune; eppure in quel quadro quasi idilliaco mancava un
elemento
fondamentale, colei che aveva partecipato in prima linea alla creazione
di
quell’immagine, la rappresentante di Midgard, la ragazza che
Thor, in quel
momento, bramava più di ogni altra cosa veder sorridere di
nuovo.
Ad
un tratto una bambina dai capelli biondi e gli occhi color caramello
urlò a
gran voce: -Chiara!- per poi correre attraverso tutto il cortile, in
direzione
del porticato.
Con
il cuore in gola, Thor seguì con lo sguardo la piccola
figura della bambina,
che in breve tempo raggiunse la terrestre e la strinse in un abbraccio,
imitata
poi dagli altri bambini, che le si accalcarono intorno.
Il
Dio del Tuono vide la ragazza sorridere e ne sentì la
risata, ma dentro di sé
era reticente ad andare da lei; sulla sua coscienza pesavano ancora le
parole
di disprezzo che le aveva rivolto, credendola una traditrice, e nella
testa
l’immagine del suo viso sconvolto era una tortura.
No,
forse sarebbe stato meglio evitarla e attendere il più
possibile finché
incontrarla non sarebbe stato inevitabile; cercò, dunque, di
svignarsela alla
chetichella, quando sentì il proprio nome venire pronunciato
da colei che
tentava di evitare.
Sconfitto,
prese un profondo sospiro e si voltò, pronto ad affrontare
il meritato disdegno
che Chiara le avrebbe rivolto, ma si sorprese nel vedere che sui
lineamenti di
quel viso tondo e delicato non vi era alcuna traccia di disprezzo o di
odio,
nemmeno di rimprovero, bensì sollievo e gioia. E un largo
sorriso rivolto
inequivocabilmente a lui.
-Sono
contento di vederti…- disse il principe.
-Lo
sono anch’io- rispose la terrestre, il cui sguardo cadde
sulla sua ferita -Ti
fa tanto male?- domandò visibilmente dispiaciuta.
Thor
sorrise: quella ragazza avrebbe avuto tutto il diritto di arrabbiarsi
con lui,
rimproverarlo e, magari, insultarlo, eppure il suo primo pensiero era
stato
preoccuparsi per la sua salute.
-Mi
dispiace per quello che ti ho detto- ammise alla fine, liberandosi di
quell’opprimente peso sulla coscienza -Hai rischiato la vita
per salvare quella
del mio popolo e le ultime parole che ti avrei rivolto, se fossi morta,
sarebbero state quelle di un’accusa infondata. Me ne
rammarico.
-Non
devi- ribatté quella, continuando a fissare i diversi punti
che percorrevano il
taglio sul braccio del dio -Fandral mi ha detto che siete venuti a
cercarmi, mi
basta questo. Mi dispiace che, nel farlo, ti sia procurato quella
ferita.
-Non
è nulla, sono i rischi del mestiere. E comunque anche tu te
ne sei procurata
una.
-Bene!-
rispose Chiara -Così potremo vantarci delle nostre cicatrici
di guerra davanti
a un bel boccale di idromele!
Ridendo,
Thor le avvolse le spalle con il braccio sano: -Ne avremo presto
occasione-
disse -Padre ha disposto che stasera si festeggi in maniera appropriata
la fine
della guerra; ovviamente tu sarai l’ospite d’onore.
-A
tal proposito- lo interruppe Chiara -Dov’è Odino
ora?
-Al
momento si trova con Jarosit nella sala del trono- disse Fandral -Dopo
quello
che è successo nello Âlfheimr, credo stiano
ridefinendo i termini
dell’alleanza.
-Vorrei
avere un colloquio con lui- continuò la ragazza, scivolando
da sotto il braccio
del principe.
-Temo
che dovrai attendere, mia cara- rispose lo spadaccino -Nel frattempo
potrai
dedicarti al riposo e ai preparativi per stasera, sono piuttosto sicuro
che
Odino abbia in serbo qualcosa di speciale per l’occasione.
-E
sia- sospirò Chiara -Ma prima devo fare una cosa.
Ciò
detto, si allontanò dai due guerrieri, avvicinandosi a un
gruppo di operai, e
Thor la vide parlare fittamente con uno di loro, ma non
riuscì a comprendere
cosa gli stesse dicendo.
Dalle
grandi finestre che illuminavano la sala giungevano i rumori dei
cantieri
avviati in giro per la città ferita, mentre i drappeggi
color porpora
ondeggiavano lentamente alla brezza del mattino, riflettendo sul
pavimento di
marmo lo scintillio dei ricami dorati.
Loki,
prudentemente trasformato in Odino, sedeva sullo scranno reale da ore e
si
massaggiava la sella del naso, mentre Jarosit, davanti a lui, elencava
le sue
condizioni per il rinnovo dei legami commerciali.
-Il
sangue che è stato versato sotto i rami
dell’Albero deve essere ripagato: le
vedove di quella battaglia dovranno percepire un vitalizio che copra le
spese
del loro benessere e di quello dei loro figli- stava dicendo la regina
degli
elfi, camminando avanti e indietro di fronte al trono -Verranno anche
riparati
i danni subiti dall’Albero e dagli edifici; per quello
servirà materiale e
manodopera che si occuperà Asgard di fornire.
-Vivete
in una foresta- sibilò il dio, innervosito da
quell’interminabile pioggia di
richieste -Avete sia il materiale che la manodopera, perché
mai Asgard dovrebbe
darvi quello che possedete già?
-Perché
siete stato voi a muovere guerra contro il mio regno- rispose Jarosit,
perentoria -Il vostro arrogante orgoglio ha portato morte su un popolo
già
piegato dall’orrore di Phoneus.
-Proprio
tu parli di orgoglio?- sbottò Loki, alzandosi in piedi di
scatto -Se gli elfi
avessero fatto richiesta del mio intervento sin da subito, molte vite
sarebbero
state risparmiate!
-Non
ho bisogno di giustificare con voi le scelte del mio popolo! Ogni
azione
compiuta da parte di Âlfheimr è stata eseguita al
meglio delle possibilità. Io
vi avevo dato l’occasione di ritirarvi prima della battaglia,
ma non avete
prestato alcuna attenzione alle mie parole.
-E
che ne sarà delle vedove che piangono qui ad Asgard la
perdita dei loro mariti?
Âlfheimr non provvederà a un vitalizio per loro?
-Siete
stato voi a condurre quegli uomini nel mio territorio- Jarosit fece
ondeggiare
nervosamente la chioma corvina, impreziosita da piccole perle di mare
-Se vi è
qualcuno che le vedove devono biasimare, quello siete voi.
-Non
siamo qui per scaricarci le colpe l’uno con
l’altra, Jarosit- riprese il Dio
degli Inganni, imponendosi la calma, sebbene una vocina dentro di lui
gli
suggerisse di trapassare quell’arrogante elfa da parte a
parte con la sua
lancia -Ma per trovare un accordo soddisfacente per entrambi i nostri
regni. Tu
desideri che le tue vedove vivano a spese di donne aggravate ugualmente
dalla
vedovanza, ma non sei disposta a rinnovare gli accordi commerciali.
Asgard non
necessita di quello che Âlfheimr ha da offrire; guarda fuori
dalla finestra: Svartálfaheim
e Vanaheim inneggiano il nome di Asgard, che ha salvato le loro genti
dalla
minaccia di Phoneus. Nuove prospettive commerciali si aprono ai miei
piedi e
Âlfheimr verrà lasciata da parte se non
acconsentirà a sottostare alle condizioni
che Asgard imporrà.
-Mi
domando quanti vorranno ancora stringere rapporti di qualunque genere
con voi
se venissero a conoscenza del vostro “carattere”
nascosto- ribatté prontamente
la regina di Âlfheimr.
“Questa
insulsa elfa sta forse osando ricattarmi?”
-Presta
bene attenzione alle mie parole- disse piano Loki, dalla cui voce
traspariva la
ferocia che covava dentro di sé -Se mai fossi tanto folle da
credere che
bastasse diffamare il mio nome per avermi in pugno, ricordati che non
sono noto
nei Nove Regni per la mia indulgenza: ho visto la debolezza di voi elfi
e,
credimi Jarosit, se mai mi trovassi costretto a darvi di nuovo
battaglia non
esiterei ad adoperare ogni mezzo
per
sconfiggervi. Non costringermi a finire il lavoro che ho cominciato
nell’ultima
battaglia, perché, te lo assicuro, nessun elfo verrebbe
risparmiato e allora la
colpa sarebbe solo della tua lingua biforcuta.
Questa
volta era riuscito ad ammutolirla e un caldo senso di vittoria si
diffuse nel
petto del Dio degli Inganni: Jarosit aveva capito che si stava
riferendo a
Eitur Myri e alla loro sensibilità a quelle acque; sarebbe
bastato riversarne
un po’ nei fiumi intorno all’Albero per metterli
sotto scacco.
Loki
si gustò fino in fondo la sconfitta della regina di
Âlfheimr e la sua vendetta
per le parole che gli aveva rivolto ai piedi dell’Albero;
finalmente l’aveva in
pugno.
-Direi
che abbiamo raggiunto un accordo soddisfacente- disse trionfante,
scendendo i
gradini che sopraelevavano il trono -Âlfheimr
manterrà i termini e le
condizioni della precedente alleanza, giurando fedeltà
assoluta e
incondizionata al re di Asgard e fornendo sostegno militare ed
economico ogni
qualvolta verrà richiesto; in cambio, Âlfheimr
riceverà gli aiuti necessari per
risollevarsi dalla melma in cui si trova. Le tue vedove non avranno
alcun
vitalizio, ma riceveranno una cifra sussidiaria in base al numero e
all'età dei
figli che possiedono, in maniera che possano aprire
un'attività lavorativa con
cui mantenersi. Tua figlia, inoltre, trascorrerà ogni
autunno, inverno e
primavera qui ad Asgard. Se vorrà, l'estate potrà
passarla ad Âlfheimr.
Jarosit
gli lanciò uno sguardo di fuoco, mentre le sue mani si
stringevano in
minacciosi pugni frementi di rabbia: -Tieni Orpimen fuori dagli
intrighi di
potere.
-Tu
non hai esitato a prendere una creatura indifesa e a sfruttarla per i
tuoi
scopi, io sono molto più accorto e generoso: tua figlia
verrà trattata con
tutti gli onori che il suo rango impone, conoscerà Asgard,
le sue tradizioni e
la sua cultura e imparerà ad amarla. Lei sarà la
garanzia che quest'alleanza
venga perpetrata anche dopo la tua morte.
-E
in che modo questo gesto sarebbe differente da quando Loki venne
strappato dai
ghiacci di Jotunheim?- domandò velenosa la donna alle spalle
del sovrano, che
oramai aveva quasi attraversato la porta d'ingresso della sala.
-Taci,
strega- sibilò rabbioso Loki -Non sai di cosa stai parlando.
Non risvegliare il
mostro che giace sotto quest'armatura dorata- dopo un momento di
silenzio,
riprese a gran voce -Che la sala venga preparata per accogliere i
festeggiamenti! E in quanto a te, Jarosit, confido che manterrai una
condotta
adeguata, soprattutto perché l'autunno è alle
porte.
Uscì
dalla sala, tronfio della sua vittoria, e attraversò i
corridoi di marmo
colorato e lucente del palazzo; era per quello che era nato: governare
e, per
le Norne, quanto gli piaceva!
La
sua memoria volò a quel giorno nell'armeria, quando Odino
aveva mostrato a lui
e a Thor lo Scrigno degli Jotun: "Entrambi siete nati per governare, ma
solo uno di voi diventerà re" aveva detto, tenendoli per
mano.
"Ecco,
dunque, vecchio pazzo, la tua profezia che si avvera: io, il figlio
indesiderato, siedo sul trono, per troppi anni scaldato dal tuo regale
deretano. Nemmeno tu avresti saputo gestire una questione tanto
delicata così
magistralmente, come ho fatto io. Se fosse stato per te o per
quell'ottuso di
tuo figlio, i regni sarebbero ancora in guerra e Phoneus farebbe il
bello e il
cattivo tempo. Io sono il migliore dei re che Asgard abbia mai
conosciuto e
verrà il giorno in cui il mio popolo conoscerà il
vero volto del loro sovrano e
imparerà ad amarlo".
Senza
che se ne accorgesse, completamente immerso nei suoi pensieri, i suoi
passi lo
condussero di fronte alle stanze di Thor, dove sapeva che Chiara,
finalmente
ripresasi dalla convalescenza, riposava.
Quando
le aveva applicato il Vincolo Sacro, aveva ristabilito anche il legame
mentale
che Jarosit aveva deviato e ora era in grado di conoscere la sua
ubicazione.
"Come
se il Vincolo Sacro non fosse già di per sé un
legame potente..."
sogghignò amaramente il dio; istintivamente
drizzò le orecchie per captare
anche il più piccolo rumore attraverso il legno della porta,
ma non percepì
nulla, così pose la mano sulla maniglia dorata e la
girò lentamente, prestando
attenzione a non farla cigolare.
Attraversò
lentamente la soglia e si guardò intorno, mentre chiudeva la
porta dietro di
sé: la stanza era rimasta pressoché immutata
dall'ultima volta che ci aveva
messo piede, diversi anni prima e anche nella penombra, creata da
pesanti tende
scure disposte davanti alle finestre, avrebbe saputo descrivere con
esattezza
tutto il mobilio che l'arredava.
Il
rumore sommesso di un respiro lo distrasse da quelle considerazioni e
la vide:
rannicchiata sull'alto materasso del letto e coperta fino al petto
dalle
lenzuola dorate, Chiara dormiva e sognava.
Il
dio riusciva a percepire le immagini che percorrevano in quel momento
il retro
delle sue palpebre ed erano colme di Phoneus, di paura e di lui, Loki.
Si
avvicinò al letto e studiò per qualche secondo il
volto della ragazza,
leggermente contratto per l'incubo che stava vivendo nel sonno: i
capelli erano
sparsi sul cuscino, scompigliati come al solito, e le labbra erano
leggermente
dischiuse e avevano un'invitante sfumatura rosa camelia.
Si
impose di distogliere lo sguardo da quel dettaglio e si
soffermò sulla fronte
leggermente corrugata e sul profilo del naso, piccolo e regolare.
La
ragazza emise un piccolo lamento, per poi girarsi sull'altro fianco,
facendo
scivolare le lenzuola e mostrando le natiche, avvolte solo dall'intimo,
e le
gambe nude.
Leggendo
la mente di Chiara, Loki aveva visto diverse volte l'immagine del suo
corpo
nudo, riflesso nello specchio quando usciva dalla vasca da bagno o
dalla
doccia, ma in quel momento, davanti a quella pelle chiara e a quelle
curve
morbide, il dio ebbe un'accelerazione al cuore.
Allungò
la mano sulle lenzuola e le tirò per coprirla, poi
appoggiò appena le dita sulla
testa della fanciulla e sussurrò alcune parole magiche, che
subito calmarono il
suo sonno. Avrebbe dormito serenamente e i suoi sogni sarebbero stati
di pace.
-Maledizione!-
imprecò rabbiosamente il dio, uscendo dalla stanza e
dirigendosi verso la
propria: la stanchezza lo stava rammollendo e anche lui aveva bisogno
di
riposo, o non sarebbe stato in grado di assumere l'apparenza di Odino,
né di
mantenere quel freddo distacco che meglio si addiceva al suo ruolo e
alla sua
natura.
Angolo
dell’autrice:
I’m back, baby! :D
Ciao
a tutte quante e ben ritrovate! Che gioia essere di nuovo qui, come
state? Vi
sono mancata almeno un pochino? ;)
Dunque,
dunque, Chiara non è morta, ma, al contrario, è
viva e vegeta e la tempesta
sembra essere passata (evviva!) anche se Asgard ancora ne porta i segni.
Vi
aspettavate che Loki avrebbe applicato il Vincolo alla ragazza per
salvarle la
vita? Secondo me sì ;)
Il
rapporto tra Jarosit e Loki è piuttosto complicato e il Dio
degli Inganni ha
mantenuto fede alla sua parola: alla fine le ha fatto pagare ogni
insulto e il
rapimento di Chiara. Che ne pensate del comportamento del dio nei
confronti
della regina? Troppo severo o l’elfa se
l’è meritato?
E
per quanto riguarda il nostro LabraThor spaziale?
XD Come autrice non vedevo l’ora di porre fine alle sue
sofferenze emotive e di
farlo riappacificare con Chiara ^-^
Grazie
davvero per la vostra pazienza in queste ultime settimane,
è stata
una tortura non poter dedicare tempo alla storia, ma ora pubblico
questo capitolo
con cuore allegro e leggero :)
Mando
a tutte quante voi un fortissimo abbraccio (mi siete mancate una
sacco!) e ci rivedremo
la settimana prossima con l’ultimo capitolo de La
sua paura.
Alla
prossima!
Lady
Realgar
Ps. Piccola citazione in questo capitolo, il giochino riparte! ;) |
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Capitolo 30 *** Promise me that this is not the end ***
Un
leggero knock knock sulla porta della stanza la
destò, poi una voce
squillante dall'altra
parte del legno
chiese: -Chiara, stai dormendo?
Riconoscendo
la voce, la ragazza si tirò subito a sedere e, sbadigliando
sommessamente (che
splendida dormita aveva appena fatto!), rispose: -No, entra pure Angnis.
La
figura massiccia della donna oltrepassò la soglia e, con un
largo sorriso sul
volto gioviale, si avvicinò al letto: -Non immagini quale
gioia sia per questo
mio vecchio cuore rivederti sana e salva, mia cara.
-Lo
è anche per me, Angnis- rispose Chiara, ricambiando il
sorriso e andando a
scostare le tende dalle finestre, cosicché la luce di quel
giorno meraviglioso
riempisse la camera.
-Quale
buon vento ti porta da queste parti?- chiese poi, versando in due coppe
della
fresca acqua cristallina dalla brocca d'argento e porgendone una alla
donna.
-Oltre
che ritrovare una cara amica creduta perduta?- rise quella, bevendo a
grandi
sorsi dalla coppa -Grandi preparativi si stanno svolgendo ora per il
palazzo e
Odino mi ha ordinato di preparare anche te adeguatamente.
Ciò
detto estrasse da un cesto di vimini che portava sottobraccio un lungo
telo
rosso, che, quando lo spiegò per bene sulle lenzuola, si
rivelò essere un
meraviglioso abito color porpora, dai sottili e intricati ricami dorati
che
riproducevano dei boccioli di rosa.
-È
meraviglioso...- disse un soffio la ragazza, saggiando con la punta
delle dita
la morbidezza di quella seta leggera -Sei sicura che debba indossarlo
proprio
io? È troppo bello per potermi stare bene addosso!
-Odino
ha richiesto espressamente il tessuto più prezioso con
questi esatti colori: il
rosso e l'oro sono i colori di Asgard- spiegò Angnis.
-E
le rose?- chiese Chiara.
-Solo
un piccolo tocco femminile- ammiccò la sarta -Lo stemma di
Asgard riporta un
montone dorato su campo rosso e ho pensato che per una fanciulla
sarebbero
stati più appropriati dei fiori.
Lo
sguardo della ragazza si soffermò per qualche istante a
osservare quel
capolavoro della sartoria, sulle cui onde sinuose il sole disegnava
morbide
scie di luce, che rilucevano con particolare intensità nei
punti in cui
andavano a incontrare l'oro dei ricami. Sebbene il taglio della gonna
fosse
molto simile a quello pervinca della Festa d'Estate, il corpetto era
più
attillato e lasciava le spalle scoperte, mentre le braccia sarebbero
state
avvolte da uno scialle del medesimo colore, che doveva essere indossato
affinché passasse dietro la schiena e cadesse davanti
all'altezza dei gomiti.
Elegante,
sexy e al contempo dignitoso: Fandral avrebbe approvato di sicuro al
100%
questa volta.
Una
risatina sommessa sfuggì dalle labbra di Chiara,
immaginandosi già quali
commenti avrebbe sfoderato lo spadaccino vedendola camminare per le
sale del
castello con quel vestito addosso.
D'improvviso
la porta si aprì di nuovo e Madama Thyia fece i suo ingresso
nella stanza reale
accompagnata da un paio di servette di circa diciassette anni;
l'anziana donna
lanciò uno sguardo di disappunto alla ragazza e, senza
nemmeno salutare, disse
esasperata: -Non sei ancora pronta? Per le Norne, la cerimonia comincia
tra
meno di tre ore e la ragazza è ancora in queste condizioni!
Chiara
arrossì leggermente, accorgendosi di essere ancora in
maglietta e mutande, ma
Madama Thyia prontamente schiocco le dita e le servette si apprestarono
leste a
preparare il bagno per la terrestre, riempiendo la vasca principesca,
solitamente adoperata da Thor e collocata in una sezione separata della
stanza,
di acqua calda e unguenti dai profumi delicati.
In
un lampo la vasca fu colma e Chiara venne spogliata e "buttata" in
acqua dalle ancelle, che le frizionarono con cura la pelle e i capelli
con
spugne di mare.
Mentre
la ragazza si godeva quel trattamento, Madama Thyia aveva iniziato un
interminabile monologo esplicativo sul comportamento che avrebbe dovuto
tenere
durante la cerimonia in quanto ospite d'onore.
-Odino
è molto attento all'etichetta- diceva la donna,
supervisionando con piglio severo
le sue sottoposte, che mestamente compivano il loro lavoro -E non
tollera le
insubordinazioni, pertanto ricorda di rivolgerti agli ospiti con i
dovuti
titoli, non guardare direttamente negli occhi nessun invitato di sesso
maschile
di rango superiore al tuo (nella fattispecie, tutti); non camminare
come un
contadino nel campo: tieni le braccia adese al corpo o, eventualmente,
davanti
allo stomaco con le mani congiunte; mantieni la schiena dritta e
ricordati di
fare passi piccoli. Inchinati sempre quando incontri qualcuno e non
cominciare
mai una conversazione, ma aspetta che siano gli altri invitati a
rivolgerti la
parola per primi. Non sorridere in maniera troppo marcata e, per gli
Antichi,
non mostrare i denti: lasciamo che siano gli animali nel bosco a
ringhiare.
E
così continuò per tutto il tempo del bagno, ma
Chiara non ascoltò nemmeno uno
dei suoi consigli, troppo intenta a rilassarsi per prestare attenzione
a quelle
stupide regole del Galateo asgardiano. Si sarebbe comportata come
sempre e al
diavolo tutto il resto!
Finalmente
le abluzioni terminarono e le ancelle l'aiutarono ad emergere dalla
vasca e ad
asciugarsi, prestando, poi, particolare cura e tempo per i capelli, che
vennero
trattati con balsami, asciugati e intrecciati.
Fu
dunque il turno del vestito, da cui la ragazza si lasciò
avvolgere, mentre una
delle serve le abbottonava il corpetto dietro la schiena; a lavoro
terminato,
venne condotta davanti allo specchio, in maniera che potesse ammirare
il
risultato di quel lungo processo.
Chiara
rimase per qualche istante a contemplare l'immagine di quel
meraviglioso abito,
incantata dai riflessi che le piccole rose d'oro emanavano alla luce
del sole:
"Con questi colori sembro appena uscita dalla Sala Comune dei
Grifondoro"
si divertì a pensare, mentre si voltava per osservarsi anche
da dietro, dove il
vestito lasciava maliziosamente scoperta parte della schiena "E pensare
che ho sempre simpatizzato per Tassorosso!"
Madama
Thyia entrò inaspettatamente nel suo campo visivo,
interrompendo i suoi
pensieri, e le porse una piccola scatola di legno di ciliegio, il cui
coperchio
era stato inciso con un delicato motivo arboreo.
Interdetta,
Chiara allungò le mani e prese la scatola dalle dita di
Madama Thyia, che la
osservò severa mentre sollevava il coperchio, portando alla
luce un
meraviglioso fermaglio per capelli in madreperla rosa.
-Che
cos'è?- chiese perplessa, studiando l'oggetto alla luce del
sole.
-Questo
fermaglio- spiegò Madama Thyia -È un oggetto di
pregiatissima fattura,
realizzato dai migliori gioiellieri di Asgard. La regina Frigga era
solita
indossarlo durante le feste e i ricevimenti ufficiali e...
-Aspetta!-
la interruppe Chiara, riponendo l'oggetto nella sua custodia e
porgendolo di
nuovo all'anziana serva -Apparteneva alla regina, non posso metterlo.
-Non
ti verrebbe offerto se non fosse stato Odino in persona a ordinarlo-
ribatté
Madama Thyia, visibilmente contrariata e indispettita dall'interruzione
-E la
regina si sarebbe offesa in maniera indicibile se ti fossi rifiutata in
sua
presenza di indossarlo.
Rigirò
la scatola tra le mani, non sapendo come comportarsi: Loki voleva che
indossasse quel gioiello, ma l'appartenenza alla defunta regina le
impediva di
farlo con serenità, come se, sfoggiando quel meraviglioso
ornamento durante una
festa, mancasse di rispetto alla memoria di una sovrana tanto amata dal
suo
popolo.
Siccome
Madama Thyia non sembrava in alcun modo intenzionata a retrocedere,
Chiara si
arrese e appuntò il fermaglio all'acconciatura.
Non
appena l'ebbe fissato ai capelli, la ragazza notò, con la
coda dell'occhio, che
il lampo di un sorriso era passato veloce sull'austero volto di Madama
Thyia.
Se quello era l'effetto che quel gioiello avrebbe provocato alla
cerimonia,
allora sarebbe stata ben lieta di indossarlo.
-Molto
bene- esordì Angnis -Direi che sei pronta. Le scarpe sono
dentro il cesto. Ci
vediamo dopo.
Detto
ciò, le donne si avviarono verso la porta, ma Chiara, che
avrebbe gradito
ancora la loro compagnia, le fermò chiedendo: -Andate
già?
-Sì,
mia cara- disse Angnis sulla porta -Serve l’aiuto di tutta la
servitù per
completare i preparativi della cerimonia di stasera. Tu sei pronta,
perciò il
nostro lavoro è terminato. Cerca di passare il tempo che
resta senza rovinarti
vestito e capelli.
-Sai
già che non lo farò- ammiccò la
ragazza, mentre la donna, ridacchiando,
chiudeva la porta alle proprie spalle.
Si
ritrovò di nuova da sola, nel silenzio di quelle grandi
stanze vuote, a
guardare la città dalla finestra, a contarne le cicatrici e
ad udirne i canti
di speranza, che dalle strade salivano con il vento verso il cielo.
Era
tutto finito. Ancora non riusciva a rendersene pienamente conto:
Phoneus, la
guerra, la minaccia sui Nove Regni, la sua prigionia, la sua
morte… tutto era
finito e ora lei era lì, vestita come una regina, ad
osservare un regno pronto
a risorgere.
Già,
la sua morte. In quei mesi ad Asgard aveva rischiato più
volte la pelle, ma mai
come in quel momento, stretta tra le braccia di Loki, aveva creduto di
aver
raggiunto il punto di non ritorno: aveva sentito il veleno bruciarle il
sangue
e aveva visto negli occhi verdi del dio (non si era mai accorta prima
di quanto
verdi e brillanti fossero) la conferma che quello fosse il suo momento;
persino
il suo spirito era pronto: si era sacrificata per impedire a Phoneus di
realizzare le sue trame, non c’era ragione più
nobile per morire? Inoltre, in
quel momento non lo stava facendo da sola, ma Loki era lì
per sostenerla, per
alleviare con la sua presenza la paura che, inevitabilmente,
l’aveva colta.
Eppure,
quella mattina si era svegliata nel soffice letto di Thor, sana e
salva. Come
era stato possibile?
Istintivamente
il suo sguardo andò a posarsi sul palmo della mano e la
memoria volò alla sera
della Festa d’Estate, quando l’aveva stretta
intorno alle dita fresche e lunghe
del Dio degli Inganni. Che l’evento si fosse ripetuto, nelle
catacombe di Eitur
Myri?
“No,
dai” si disse la ragazza, ripensando a quello che le aveva
detto Loki riguardo
il Vincolo Sacro: chi lo eseguiva doveva esserne pienamente consapevole
e,
soprattutto, doveva desiderarlo più di ogni altra cosa.
Il
solo pensiero che Loki desiderasse fino a quel punto che lei vivesse la
fece
avvampare vistosamente; “No” si ripeté
“Non è possibile”.
Eppure
era viva.
Un
irrefrenabile desiderio di incontrare di nuovo quello sguardo color
dello
smeraldo la colse improvviso, conducendola attraverso la porta e i
corridoi del
palazzo, dove le capitò di incontrare qualcuno degli ospiti
che Asgard
accoglieva. Mentre camminava, chi la incontrava, che fosse un nano o un
elfo o
un asgardiano, la salutava rivolgendole un inchino, che la ragazza
maldestramente ricambiava, piena di imbarazzo.
"Questo
vestito deve proprio darmi un'aria nobile" pensò tra
sé quando l'ennesimo
straniero chinò il busto al suo passaggio.
Finalmente,
dopo essere stata costretta a passare per un corridoio secondario per
evitare
di essere vista dalla servitù, raggiunse l'ingresso delle
stanze del Dio
dell'Inganno.
"A
quest'ora dovrebbe aver finito di discutere con Jarosit" si disse
"Probabilmente sarà qua dentro". Portò,
così, la mano al collo, ma
quella toccò solo la pelle sopra le scapole, ricordando alla
ragazza che la
collana con il ciondolo a forma di chiave era andata perduta quando
l'aveva
adoperata la sera della Festa d'Estate.
"E
ora cosa faccio? Busso?"
Avvicinò
le nocche al legno liscio e scuro della porta, ma non fece nemmeno in
tempo a
sfiorarla che quella in uno scatto si aprì leggermente,
permettendole di
entrare in quell'ambiente divenuto oramai familiare.
Riluttante,
Chiara oltrepassò la soglia e, chiudendo la porta,
notò che Loki era proprio
lì, di spalle e affacciato alla finestra a contemplare il
paesaggio.
Davanti
a quella silhouette scura, delineata nella luce della sera che
avanzava, il
cuore della ragazza accelerò di colpo: era arrivata fin
lì e ora non aveva idea
di cosa dirgli. Che idiota era stata!
Sentì
le guance divenire bollenti e le mani bagnarsi di sudore, ma
fortunatamente fu
il dio a sollervarla dal gravoso compito di spezzare il silenzio: - Da
che ho
memoria- disse -Non ricordo di aver mai visto la mia città
ridotta ad un simile
cumulo di macerie, ma ora ho l'occasione di ricostruirla:
diverrà ancora più
potente e florida e le sue attività commerciali
rifioriranno, portando nuovo
benessere per il mio popolo.
-Non
dubito che sarà così- sorrise Chiara, poi, dopo
un attimo di silenzio,
aggiunse: -Non avresti dovuto darmi il gioiello di Frigga. Non ho il
diritto di
indossarlo.
-Tutto
quello che indossi è finalizzato a uno scopo politico ben
preciso, perciò non è
per diritto che porti quel monile, né tantomeno per un mio
capriccio. Sei
venuta qui per dirmi questo?
-Non
solo- ammise la ragazza -Volevo ringraziarti per avermi salvato la vita.
A
quelle parole il dio si voltò, guardando negli occhi la sua
interlocutrice (sì,
aveva davvero degli stupendi occhi verdi!): -Non devi ringraziarmi, io
ho
lasciato che morissi.
-Nemmeno
tu eri messo troppo bene, quando ti ho visto in quella grotta, eppure
siamo
entrambi qui a parlare- ribatté Chiara.
-Cosa
ti fa pensare che sia stata opera mia?
-Perché
eri il solo presente là sotto e l'unico in grado di eseguire
un Vincolo Sacro:
non dubito che Thor sia un bravo ragazzo, ma ho i miei dubbi che abbia
le
conoscenze e le capacità per fare una magia del genere.
Un
sorriso increspò le labbra sottili del dio, che ammise: -Non
posso darti tutti
i torti, ma ciò non toglie il fatto che tu sia morta: lo sei
stata il tempo
necessario per uccidere anche il parassita dentro di te, altrimenti la
sconfitta di Phoneus non avrebbe fatto alcuna differenza.
-Ma
una volta morto lui, anche le uova avrebbero dovuto perdere il
controllo sugli
esseri ospitanti- ribatté la ragazza.
-Certamente-
continuò Loki, avvicinandosi -Ma non quello che ti aveva
impiantato nel collo:
durante il nostro scontro mi ha riferito che quel particolare uovo
racchiudeva
al suo interno non solo la sua natura, ma anche la tua, il che
l'avrebbe
salvato anche dopo la sua dipartita. Eppure non capisco una cosa: stavi
morendo
e sapevi che avrei potuto salvarti, perché non me lo hai
chiesto?
La
ragazza rimase dapprima sorpresa da quella domanda, poi rispose
semplicemente:
-Se vuoi salvare qualcuno non aspetti che te lo chieda, lo fai e basta.
E poi
nemmeno tu me lo avevi chiesto alla Festa d'Estate. È
successo e basta.
Calò
di nuovo il silenzio tra loro due, mentre gli occhi indagatori del dio
carpivano con avidità ogni dettaglio della ragazza, intenta,
per l'imbarazzo, a
fissarsi i piedi.
-Cosa
farai ora?- chiesa alla fine Chiara, non riuscendo a sopportare
ulteriormente
quel silenzio -Come impegnerai il tuo tempo quando non ci
sarà più una
midgardiana da tormentare?
-Continuando
a regnare su Asgard, mi sembra ovvio- rispose il dio -Ma mi resta
sempre quello
stupido di Thor da torturare, anche se non sarà divertente
come infastidire te.
Chiara
rise, ma quando si sentì di nuovo addosso lo sguardo del
dio, sfuggì
velocemente verso la finestra, fingendo di osservare il paesaggio.
-La
mia presenza ti mette a disagio?- chiese calmo Loki, raggiungendola e
appoggiandosi con la spalla sul muro accanto a lei.
-No,
non è quello- rispose Chiara in un soffio -È che
non riesco ad abituarmi
all'idea che tu abbia visto tutto di me, mentre la mia conoscenza della
tua
vita rimane estremamente limitata. C'è un bello squilibrio
tra noi due!
Dopo
un attimo di esitazione, il dio chiese: -Vorresti davvero conoscere la
mia
storia?
Chiara
non rispose subito, ma si concesse un momento per riflettere: -Non ne
ho
bisogno- disse infine -non mi è servito alla sera della
Festa d'Estate, perciò
non mi interessa quello che hai fatto prima di incontrarci. Sei la
persona che
mi ha salvato la vita e tanto mi basta; ma se sarai tu a volermene
parlare, le
tue parole troveranno tutto l'ascolto e l'attenzione di cui sono capace.
Dopo
aver pronunciato quelle parole, la ragazza rimase in attesa di
scoprirne
l'effetto, piuttosto timorosa, in realtà, di aver sbagliato
a pronunciarle:
avrebbe potuto risuonare rude e maleducata, però era quello
che sentiva in quel
momento e mentirgli sarebbe stato inutile; sapeva che Loki aveva
compiuto degli
atti orribili, eppure si era dimostrato un sovrano saggio e premuroso
nei
confronti del suo popolo. Di qualunque crimine si fosse macchiato,
nulla gli
avrebbe tolto il pregio di essere un re eccellente, nonché
colui che l'aveva
strappata alla morte e alla soggiogazione di Phoneus.
Era
divenuto il suo eroe e non era del suo passato che si preoccupava, ma
del suo
futuro.
Intanto
Loki non smetteva di osservarla, un'espressione imperscrutabile si era
dipinta
sul suo volto e Chiara avrebbe pagato chissà cosa per
scoprire quali pensieri
gli stessero passando per la testa. Che le stesse leggendo di nuovo la
mente? E
perché il cuore le batteva così forte, come se
volesse uscire dal suo petto?
Un
forte rullo di tamburi nel cortile sotto la finestra la fece
sobbalzare,
provocando il riso del dio: -Sono solo i tamburi di inizio delle
celebrazioni,
è ora per me di andare alla sala del trono a fare gli onori
di casa.
Ciò
detto, prese le sembianze del Padre di Tutti, offrì il
braccio alla ragazza e
insieme uscirono dalla stanza per dirigersi verso la sala del trono.
Ora
che erano così vicini, Chiara notò che Loki aveva
davvero un buon odore.
Il
dio l'accompagnò attraverso il castello, fino a raggiungere
un ingresso
secondario della sala reale, dove le disse di attendere lo squillo
delle trombe
prima di oltrepassare delle lunghe e pesanti tende di velluto rosso.
Dall'altra
parte del tessuto un forte brusio di centinaia di voci diverse
rimbombava sulle
pareti d'oro dell'ampia sala.
Non
le aveva spiegato con esattezza quello che l'avrebbe aspettata una
volta
oltrepassati i tendaggi, ma a Chiara parve quasi di ritrovarsi dietro
le quinte
di un palcoscenico, agitata come un'attrice alla sua prima esibizione.
Dopo
qualche minuto le voci si affievolirono e nell'aria rimbombò
il limpido suono
delle trombe, mentre le tende si scostavano leggermente mostrando agli
ospiti
la celebrità della serata.
A
Chiara partì quasi un colpo quando vide che la sala del
trono era gremita di
gente, non solo asgardiani, ma anche elfi, uomini e donne con le
fattezze
simili a quelle di Hogun e persino nani; tra questi ultimi la ragazza
ne notò
uno particolarmente grosso e coperto d'oro dalla testa ai piedi,
persino i
riccioli della sua folta barba sale e pepe erano ornati da svariati
anellini
del prezioso metallo.
La
cosa peggiore di quella situazione, però, non era la
spaventosa quantità di
gente presente, ma il fatto che gli occhi di ogni singolo invitato
erano
rivolti verso di lei facendola irrigidire come un pezzo di granito.
"Mannaggia
a me che non ho ascoltato una parola di quello che ha detto Madama
Thyia!"
si maledisse Chiara, cercando disperatamente con lo sguardo una faccia
nota.
Finalmente
la trovò: in fondo alla sala, infatti, nascosto dalla folla
e seduto sul suo
trono, il volto di Odino la fissava, come a volerla invitare a
raggiungerlo.
Cominciò,
così, ad avanzare lentamente, sorprendendosi molto nel
vedere che la folla si
ritirava al suo passaggio, aprendole progressivamente un varco verso il
Padre
di Tutti; man mano che camminava, Chiara tentò di
concentrarsi nel mantenere la
schiena dritta e il portamento solenne, anche quando per un attimo
l'emozione
le fece tremare il ginocchio, sbilanciandola a sinistra.
"Cavolo,
che figura!"
Finalmente
raggiunse lo scranno reale, ai cui lati Thor, i Tre Guerrieri, Sif,
Jarosit e
Ahzurit, vestiti di tutto punto, presenziavano orgogliosi e fieri,
incrementando
il senso di goffaggine della ragazza.
Vide
Fandral farle maliziosamente l'occhiolino, strappandole così
un sorriso
imbarazzato: evidentemente il vestito gli piaceva. Anche Thor le stava
sorridendo, ma quando notò il fermaglio di madreperla
brillare tra la chioma
castana di lei il suo viso si contrasse; non c’era rabbia in
quell’espressione,
nemmeno rimprovero. Solo malinconia.
Il
sovrano batté Gungnir sul pavimento, richiamando
così l’attenzione di tutti, e
il silenzio scese sulla sala.
-In
questo giorno di fine estate- iniziò il dio, spaziando con
lo sguardo la
moltitudine dei presenti -Asgard festeggia, in compagnia dei popoli
suoi
alleati, una nuova pace strappata dagli artigli di un mostro, famoso
nella
storia per la sua crudeltà e la sua efferatezza.
Già una volta i nostri regni
ne avevano affrontato la minaccia, pagando con il sangue dei loro
soldati una
pace durata per millenni, ma infranta in silenzio e
nell’ombra a spese di
innocenti. Ebbene, Chiara di Midgard- si rivolse alla ragazza -Oggi non
staremmo festeggiando se non fosse stato per te. Sebbene Midgard sia
recentemente tornata all’interno dello scenario dei Nove
Regni, mai prima d’ora
ha avuto un ruolo così importante. È giusto,
dunque, riconoscere al Regno degli
Uomini il merito delle azioni della sua rappresentante.
Si
alzò in piedi e indicò con l’indice il
pavimento: -In ginocchio- ordinò.
Confusa,
Chiara obbedì, mentre il re riprendeva il suo discorso: -Sei
giunta qua come
schiava di Asgard, sei tornata come salvatrice dei Nove Regni. Oggi ti
inginocchi come Chiara di Midgard, la ragazza che ha dimostrato
fedeltà ai suoi
princípi, ai suoi amici e al suo re. Rialzati, ora, come
Sigyn, la Vittoriosa. Siederai
al Consiglio dei Re come loro pari e Asgard sarà sempre la
tua casa. Che il
nome della Salvatrice dei Nove Regni possa risuonare in eterno nelle
case e
nelle strade di Asgard, Âlfheimr, Svartálfaheim e
Vanaheim!
Ciò
detto, depose delicatamente la cuspide di Gungnir sulle spalle della
ragazza
per sancire quella nomina, poi l'aiutò ad alzarsi, mentre un
boato di applausi
faceva tremare le pareti della sala del trono.
-Sigyn!-
urlò a pieni polmoni Fandral, imitato poi da Volstagg,
Hogun, Thor e, ben
presto, anche dagli altri invitati, che scandirono a piedi polmoni il
nuovo
nome di Chiara, facendolo risuonare in tutto il palazzo.
Persino
Lady Sif applaudì le gesta della ragazza, che, in preda
all'emozione, non
poteva impedirsi di arrossire e sorridere allo stesso tempo.
Ad
un tratto la musica partì e la festa incominciò,
mentre la servitù posava su
lunghe tavolate ai lati della sala grossi piatti colmi di tutte le
meravigliose
leccornie che i cuochi asgardiani erano in grado di preparare.
Gli
invitati cominciarono a distribuirsi intorno ai tavoli imbanditi,
chiacchierando allegramente tra loro, così Loki porse il
braccio alla ragazza e
la condusse nella discesa dei gradini.
-Allora-
sussurrò il dio alla sua accompagnatrice -Come è
stato essere al centro della
scena?
-Oserei
dire illuminante- rispose Chiara -Dal momento che ho compreso il
perché del mio
attuale abbigliamento. Mi hai allestita come un cartellone
pubblicitario per il
tuo regno! Scommetto che tutto quel bel discorso su Sigyn e il resto
sia
servito solo a sottolineare come la distruzione di Phoneus sia stata
dovuta ad
Asgard.
-Molto
bene- sorrise il dio -Noto con piacere che le tue capacità
intellettive non
hanno subito alcun danno.
-Nota
anche questo, allora- riprese, fredda, Chiara -Io non sono il trofeo di
nessuno.
Ciò
detto, sciolse il braccio da quello del re e, senza nemmeno degnarlo di
uno
sguardo, si allontanò in direzione del banchetto: stava
morendo di fame!
Gli
occhi di tutti erano puntati su di lei, ma Chiara si impose di non
farci caso o
non sarebbe riuscita a mandar giù un solo boccone per
l'imbarazzo.
Si
diresse, dunque, verso un piatto colmo di una succulenta torta alla
frutta e ne
prese una generosa fetta che addentò con voluttà.
Stava
per attaccare la seconda fetta, quando un leggero colpo di tosse
attirò la sua
attenzione dietro di sé, dove il nano particolarmente
appariscente di prima le
sorrideva.
Persino
in bocca quel tipo nascondeva l'oro, infatti più di
metà dei suoi denti erano
fatti di metallo.
-Lady
Sigyn- esordì il nano, facendo un profondo inchino -Che
incresciosa mancanza da
parte mia non essermi ancora presentato! Permettetemi di rimediare: il
mio nome
è Regalrex e sono il sovrano di Svartálfaheim.
-Piacere
di conoscervi- rispose Chiara, passandosi velocemente la mano intorno
alla
bocca per rimuovere le briciole del dolce.
-A
nome del mio popolo- proseguì Regalrex -Vorrei porvi i
più accorati
ringraziamenti per il vostro eccelso lavoro. Chi mai si sarebbe
immaginato che
dietro l'apparenza di un'affascinante fanciulla si nascondesse un prode
guerriero?
A
Chiara non piacque il tono che il nano le rivolgeva, né
tantomeno lo sguardo
lascivo con cui la fissava, così, evitando magistralmente la
mano del sovrano
che tentava di carpire la sua, lanciò con lo sguardo una
richiesta di aiuto a
Fandral, che prontamente accorse in suo soccorso.
-Che
splendida festa, non è vero Regalrex?- disse lo spadaccino.
-Per
te sono Vostra Maestà,
soldato-
rispose il nano, visibilmente innervosito da quell'intromissione.
-Suvvia,
Altezza!- continuò l'uomo, divertito
dalla reazione del nano -Prendete
un bicchiere di vino e brindate con me alla salute di questa splendida
creatura!
Fandral
spinse nella mano del re nanico un grosso calice e sollevò
in direzione di Chiara
il proprio, per poi berne il contenuto a grandi sorsi: -Molto bene!-
riprese
quando ebbe vuotato il bicchiere -Lady Sigyn è richiesta
urgentemente dal
principe; immagino dovranno concordare gli ultimi dettagli del loro
matrimonio.
A
quelle parole Regalrex (e anche Chiara) rimase di sale, facendo quasi
cadere il
suo calice, ancora colmo di vino scarlatto; approfittando di quel
momento,
Fandral prese Chiara per la vita e la condusse attraverso la folla
dall'altra
parte del salone.
-Ti
prego, dimmi che stavi bluffando!- lo implorò la ragazza
quando furono svaniti
alla vista del nano.
-Ovviamente-
rispose lo spadaccino, un largo sorriso disegnato sotto i baffi biondi
-Ma
questo Regalrex non lo sa! Quel nano ha la fama di essere un cacciatore
di
mogli: ne avrà almeno una decina nel suo palazzo. Hai fatto
bene a chiamarmi!
Stanne certa che ancora qualche minuto di conversazione e ti avrebbe
chiesto di
sposarlo!
-Mi
disgusta anche solo l'idea!- rabbrividì la ragazza.
-Posso
avere l'ardire di chiederti un ballo?- domandò lo
spadaccino, sorridendole
cordiale -Per farti dimenticare questa brutta esperienza!- aggiunse
poi, quando
notò che sul viso di Chiara si era dipinta un'espressione
contrariata.
-Perdonami
Fandral- rispose, ricambiando la gentilezza con il suo sorriso
più dolce -Ma
rischierei solo di pestarti i piedi.
Lo
spadaccino non diede segno di essersela presa, ma al contrario, le
avvolse la
mano nella propria e la condusse presso l'angolo della sala dove si
trovavano
Thor e i suoi amici, raccontandole con enfasi alcuni aneddoti sulle
loro
avventure in giro per i Nove Regni.
Trascorsero
insieme delle ore piacevoli, in cui i Tre Guerrieri narrarono, con
un’enfasi
che andava crescendo mano a mano che i loro bicchieri si svuotavano,
mirabolanti storie di battaglie, mostri abbattuti e fanciulle salvate,
suscitando l’ilarità del principe e della
guerriera.
Giunse
il tempo delle danze e i compagni si separarono, ognuno con
un’incantevole
fanciulla al braccio, lasciando Thor, Chiara e Sif da soli. Dopo
qualche momento,
anche Sif si allontanò, dicendo di volersi assicurare che il
cambio della
guardia fosse stato eseguito.
-Ho
riconosciuto il fermaglio di mia madre- esordì alla fine il
Dio del Tuono, che
evidentemente non riusciva a tacere ulteriormente
l’argomento, ma venne
prontamente interrotto da Chiara: -Non avrei voluto indossarlo.
È stato Odino a
volerlo.
-Ti
dona molto- concluse il principe; le sorrideva, ma Chiara riusciva a
cogliere
distintamente la sfumatura di tristezza che si celava dietro la piega
dei suoi
occhi blu cielo.
-Non
ti dispiace che lo indossi?- chiese timidamente.
-No,
affatto- la rassicurò il Dio del Tuono -È sempre
stato sul capo di una donna
meravigliosa, non riuscirei a immaginare nessun’altra degna
di portarlo.
-Mi
sarebbe piaciuto conoscerla- ammise Chiara, fingendo di concentrarsi
sulle
danze.
-Ti
sarebbe piaciuta molto. E sono convinto che anche lei ti avrebbe
apprezzata: ha
sempre ammirato il coraggio e la bontà nelle persone.
Scese
il silenzio tra i due, mentre nella sala rimbombava il suono delle
risate e
della musica.
Alla
fine Chiara non riuscì a trattenersi: -Come fate?- chiese
-Come riuscite voi
Æsir a sopravvivere al dolore che si accumula nelle vostre
vite eterne di
divinità?
Si
morse la lingua per essersi lasciata sfuggire quella
curiosità nel bel mezzo di
una simile conversazione, ma era da quando aveva iniziato a conoscere
meglio
Thor e Loki che se lo domandava: la vita di un dio, si dice,
è eterna, ma con
essa anche la sofferenza e il dolore delle perdite e delle sconfitte
diventano
bagagli che si è costretti a trascinare per sempre. Come si
faceva a non
impazzire?
-Noi
non siamo propriamente delle divinità- rispose Thor
pacatamente -Ma sì, la
nostra vita può essere anche molto, molto lunga. Il dolore
che proviamo molto
spesso non viene mitigato dal tempo, sebbene a noi ce ne sia concesso
di più
rispetto a voi midgardiani; ma come la sofferenza può essere
eterna, anche
l’amore può conoscere la durata della vita di un
Æsir. Perdere una persona non
significa smettere di amarla ed è proprio il ricordo che si
ha di lei che rende
la sua mancanza meno gravosa. Le persone che ci circondano, che
combattono e
festeggiano al nostro fianco sono coloro che ameremo per sempre e il
cui
ricordo ci accompagnerà nelle notti in cui saremo soli. Sono
i nostri amici, i
nostri familiari e i nostri amanti che ci rendono divinità,
non la vita lunga o
le armi magiche.
Chiara
rimase a bocca aperta: aveva davvero sentito quelle parole venire
pronunciate
da Thor? Probabilmente il Dio del Tuono comprese la sua
perplessità, perché
proseguì dicendo: -Sebbene la mia attività
principale sia far roteare un
martello, alcune cose sono arrivato anch’io a comprenderle e
potrei
sorprenderti se ti svelassi tutte le profonde riflessioni di cui sono
capace.
Un
sorriso nacque silenzioso sui loro volti, a riempire il vuoto che le
parole non
sarebbero state in grado di colmare, poi, dopo aver lasciato una
carezza sul
braccio ferito dell’amico, Chiara si allontanò,
assicurandosi di non essere
notata da nessuno, e uscì dalla sala del trono per
intrufolarsi nel giardino;
da un’aiuola colse alcuni fiori, per poi svanire in pochi
passi nell’oscurità
di un campo seminascosto dietro al fastoso palazzo.
Non
un filo d’erba cresceva su quel suolo polveroso e
l’unico legno che si innalzava
era quello del patibolo, presso il quale i condannati a morte
salutavano per
l’ultima volta la luce del sole. In quel terreno, dopo la
decapitazione, i
corpi dei criminali venivano sotterrati senza che una scritta venisse
apposta
sulle loro tombe.
Quella
notte, però, la luna brillò per la prima volta su
una piccola e modesta lapide
di marmo, appena uscita dalla bottega di uno scultore e ancora
scintillante
sotto i suoi pallidi raggi. Su di essa vi era stato inciso, molto
semplicemente: “A memoria di
Reicknar il
Redento, che della pietà fece il suo valore”.
Fu
lì che Chiara arrestò la sua passeggiata
notturna, soffermandosi ad osservare
quella piccola e fredda lastra di pietra; vi depose accanto i suoi
fiori e,
prestando attenzione a non sgualcire il vestito, si sedette sulla
polvere,
stringendo le ginocchia vicino al petto.
Sotto
ai suoi piedi, il diverso colore che aveva la terra rivelava che fosse
stata
smossa da poche settimane per accogliere le spoglie del suo salvatore.
Si
ritrovò a ricordare i visi di coloro che si erano spenti da
quando era arrivata
ad Asgad, chi sotto la scure del boia, chi per il veleno di Phoneus,
chi per
una freccia o una spada nemica. Si sforzò di ricordarli
tutti, ma più si
concentrava e più quelle flebili immagini sfuggivano alla
sua memoria. Si sentì
un’ingrata.
Di
Reicknar, però, ricordava ogni lineamento, ogni tatuaggio e
ogni cicatrice che
il suo corpo muscoloso accoglieva e mostrava con orgoglio. Se non fosse
stato
per lui, la sua gola sarebbe stata trafitta dalla lancia del fratello
di
Kalista, Loki sarebbe morto avvelenato e Phoneus non sarebbe stato mai
sconfitto; Reicknar, con il suo ultimo gesto, non aveva salvato solo
una comune
ragazza, ma tutti i Nove Regni e nessuno si sarebbe ricordato di lui.
Nessuno
avrebbe pianto la sua morte né avrebbe acclamato il suo nome.
Solo
lei, Loki e Jarosit avrebbero saputo quanto importate fosse stato il
suo ruolo
in quella vicenda; Chiara non poté impedire ad una lacrima
di scendere sulla
sua guancia.
Un
rumore di passi alle sue spalle la mise in allerta; si voltò
di scatto e vide
nell'oscurità la figura di un ragazzo della
servitù. Cosa ci faceva lì? Che
fosse venuto a richiamarla?
Un
sospetto attraversò la sua mente e, titubante, chiese: -Sei
Trinity?
Quello
abbassò leggermente il capo in segno di assenso e rispose:
-Sì.
Loki
rimase in attesa per qualche secondo che la ragazza dicesse qualcosa,
ma dato
che Chiara non sembrava intenzionata a proferire verbo, si sedette
accanto a
lei e osservò la lapide.
-La
pietà non è stata esattamente una
virtù appartenuta a Reicknar il Crudele-
disse vago il Dio degli Inganni.
-Io
ho conosciuto questo suo aspetto- rispose indispettita la ragazza
-Vorrei che
venisse ricordato per il bene che ha fatto.
-Una
buona azione non basta a redimere un uomo da
un'intera vita di scelleratezze.
-Ma
è pur sempre un atto di bontà in più.
Scese
di nuovo il silenzio, inquinato appena dal frinire delle cicale in
lontananza e
dalla musica proveniente dall'interno del palazzo.
-Non
sei un trofeo- disse Loki, fissando i bagliori bianchi che la lapide
emanava
-Un sovrano ha il dovere di promuovere il proprio regno e creare legami
con gli
altri territori, ma non fare l'errore di credere di essere il mezzo con
cui
questi legami verranno saldati. Ti è stata conferita
quell'onorificenza non per
un interesse politico, ma per il tuo merito. La fedeltà
è una virtù rara da
trovare.
-Credi
che dovremmo tornare alla festa?- chiese la ragazza, sorridendo, mentre
un
calore avvolgente le attraversava il petto.
-Non
c'è fretta: è la tua festa e puoi fare quello che
vuoi. Nel frattempo, questo
ti appartiene: non voglio avere inutili gingilli midgardiani.
Loki
le prese la mano e vi fece cadere una catenina dorata, che Chiara
riconobbe
come la sua collana perduta; studiandola alla luce della luna, si
accorse che
non solo vi era ancora attaccato il ciondolo a forma di chiave, ma
anche che
l'aggancio, strappato per la disperazione alla Festa d'Estate, era
stato
aggiustato.
Chiara
strinse nel pugno quel piccolo oggetto, carico, dopo quell'incredibile
avventura, di nuovi ricordi e significati; il cuore colmo di una gioia
nuova.
Inclinò
il capo e lo appoggiò sulla spalla del dio, che,
inaspettatamente, non si
ritrasse, ma, al contrario, rimase immobile e, dopo un primo momento di
rigidità, rilassò la schiena, inclinandosi appena
per rendere alla ragazza più
confortevole l'appoggio.
Per
quella sera, si disse il Dio degli Inganni, avrebbe potuto tollerare il
contatto con la midgardiana e non si sarebbe allontanato, ma non
avrebbe mai
ammesso, neppure a se stesso, che in fondo, in un angolo remoto e
inascoltato
del suo cuore, la sensazione che quella vicinanza gli dava era
piacevole.
-Promettimi
che verrai a trovarmi- sussurrò Chiara -Quando
sarò tornata su Midgard,
promettimi che verrai a farmi visita.
-Lo
prometto- rispose il dio, chiudendo le palpebre e godendosi la fresca
brezza di
quella sera di fine estate, preludio silenzioso dell'autunno imminente.
Per
quella sera poteva permettersi di fare promesse. Per quella sera
soltanto.
-Scusa
una domanda-
sussurrò Chiara, interrompendo così i suoi
pensieri -Quanto ti piacciono i
cavalli da 1 a 10?
Il
Dio degli Inganni fece ritorno dal Bifrost che oramai il sole stava
nascendo
sul nuovo giorno; il cielo pallido dell'alba era striato di sottili e
stiracchiate
nuvole rosa, immobili guardiane su Asgard che ancora dormiva.
Nel
palazzo la festa si era conclusa da ore e i vari invitati erano
progressivamente tornati nei loro regni, lasciando alle loro spalle il
consueto
disordine post-cerimonia che i servi si affaccendavano a ripulire.
Durante
il banchetto Loki era riuscito persino a far firmare a Regalrex un
patto
commerciale che avrebbe assicurato ad Asgard una buona percentuale del
metallo
estratto annualmente nelle miniere dello Svartálfaheim e di
lì a pochi giorni
la figlia di Jarosit si sarebbe trasferita nel suo palazzo; si riteneva
soddisfatto dei frutti raccolti durante quella serata, eppure dentro di
sé non
riusciva a gioire pienamente di quei successi.
Certo,
la soddisfazione non faceva parte della sua natura, ma sentiva che
c'era
qualcosa di più di quello, una ragione ben precisa per cui
non riusciva a
godersi quella vittoria.
Per
un attimo nella sua memoria emerse il volto di Chiara prima che il
vortice del
Bifrost la inghiottisse per rimandarla sulla Terra: aveva assunto una
sfumatura
insolita, composta da gioia e malinconia miscelate tra gli occhi scuri
e la
bocca aperta in un sorriso.
Li
aveva salutati uno ad uno i suoi compagni di avventure, distribuendo
abbracci e
parole cariche di speranza in un nuovo incontro. Un piccolo crampo allo
stomaco
colse il dio al ricordo del bacio che Fandral aveva lasciato sulla
guancia
rosea della fanciulla, quand'ella si era avvicinata per salutarlo.
Attraversò
i cancelli di ingresso al palazzo da solo: non appena il Bifrost aveva
smesso
di girare e Heimdall aveva estratto la spada dal meccanismo, lui era
stato il
primo ad andarsene, lasciando Thor, i Tre Guerrieri e Sif ai loro
soliti e
monotoni discorsi di cui non si era mai interessato.
I
passi veloci sulla liscia superficie del pavimento di marmo
rimbombarono negli
alti corridoi, accompagnando i pensieri del re, mentre dalle stanze
provenivano
i rumori della servitù all'opera.
Nelle
orecchie ancora sentiva risuonare le parole udite quando, ad Eitur
Myri, le
aveva applicato il Vincolo Sacro e la sua memoria volò a
quell'evento.
Attese
che il respiro della ragazza si fosse fermato e che il suo cuore avesse
taciuto
definitivamente i suoi battiti, poi iniziò a contare
mentalmente
"Dieci...nove...otto", mentre ne deponeva il corpo al suolo
"Sette...sei...cinque" e avvolgeva la sua piccola mano immobile con
la propria "Quattro...tre...due".
Pronunciò
le parole magiche e lasciò che i due tubicini argentati si
unissero tra loro.
"Uno"
"Non
era mai capitato che due persone si scambiassero il Vincolo Sacro"
disse
la voce nelle sue orecchie.
"Lo
so" rispose calmo.
"Sai
anche cosa implica un fenomeno del genere?"
"Sì"
"E
sei disposto ad accettarlo?"
"Io
ho un debito da pagare"
"Lo
estingueresti completamente, ma ne vale la pena, mi chiedo? Vale la
pena
vincolare la propria anima ad una comune mortale?"
"Lei
non ha esitato a farlo"
"Lei
non sapeva di farlo: per eseguire il Vincolo basta desiderarlo
più di ogni
altra cosa, non è necessario conoscere tutte le clausole"
"Era
l'unico modo per salvarmi la vita e lei lo ha fatto; ora questo
è l'unico modo
che conosco per salvare la sua"
"Ascolta
bene le mie parole, figlio di Laufey: questa è la sua ora,
così come è scritto
nella trama dei Nove Regni, se oggi accetti di salvare la vita di
questa
mortale, il destino di molti subirà un grande mutamento, il
tuo prima di tutti.
La tua storia verrà riscritta a partire da questo momento,
cancellando quello
che le Norne avevano predisposto per te. Sei disposto a rinunciarvi?"
A
quelle parole il volto di Loki si contrasse: che cosa significavano?
"Tu
esiti, figlio di Laufey... forse dopotutto non ci si può
aspettare un simile
sacrificio dal Dio degli Inganni. Tu sai come chiudere la faccenda:
basta
allentare la presa, lasciare che il contatto si spezzi e raccontare a
tutti
quanto i tuoi sforzi non siano serviti a salvarla. Una semplice bugia e
lei
sarà soltanto una delle tante vittime del cui sangue ti sei
macchiato da quando
prendesti possesso del Tesseract"
Il
dio strinse la mano con rabbia e sibilò tra i denti: -Non
sottovalutarmi.
Ora
Chiara era sana e salva, al sicuro tra le mura
domestiche in compagnia della sua famiglia, mentre lui, dopo aver
deviato dal
percorso per raggiungere le sue stanze, stava scendendo a passi veloci
e
silenziosi una ripida scalinata di pietra grigia.
Al
progredire della discesa la luce dell'ambiente
si affievoliva, sostituita dalla silenziosa penombra della sala delle
reliquie;
là era dove le spie Jotun si erano intrufolate, su suo
suggerimento, per
carpire lo scrigno magico.
Lo
sguardo del dio si soffermò per qualche istante
sul piedistallo vuoto, rivivendo dentro di sé la
conversazione che aveva avuto
con Odino in quelle sale il giorno in cui aveva scoperto la propria
identità.
Ma
non era sceso là sotto per cadere nello stagno
dei ricordi: il suo interesse era rivolto alla griglia di ferro dietro
il
piedistallo, dalla cui trama filtrava una limpida luce bianca.
Quella
gabbia era stata un tempo la tana del
Distruttore, creato dai nani su commissione di Odino per proteggere i
tesori
custoditi nella stanza delle reliquie; quella creatura di metallo era
stata
abbattuta tempo addietro da Thor sulla Terra e Odino non si era
più preoccupato
di farne costruire uno nuovo, ora che il suo figlio prediletto si era
dimostrato degno di Mjolnir, così quella gabbia era rimasta
vuota. O almeno,
così credevano i più.
Loki
batté Gungnir sul pavimento, facendone
risuonare l'asta della metallica vibrazione, e la griglia di ferro
davanti a
lui scomparve, permettendogli di attraversare la soglia.
Là,
avvolto da una lattiginosa luce diffusa e densa
come la nebbia, un sarcofago dorato si ergeva dal pavimento. Al suo
interno, il vero
Odino giaceva,
completamente immerso nel suo Riposo.
Da
quando lo aveva vincolato a quel sarcofago,
imprimendogli un incantesimo di impenetrabilità, Loki non
era mai sceso fin là
sotto per andare a trovare il suo prigioniero, troppo sicuro della
buona
riuscita del suo piano; ma le parole di Phoneus avevano lasciato un
marchio
indelebile nella sua mente, insinuandogli un dubbio spaventoso.
Quando
Chiara era fuggita, il mostro aveva sentito
la voce del vecchio e Loki, conoscendo l'acuta intelligenza di Phoneus,
sapeva
che non poteva essersi sbagliato.
Quello
che gli premeva comprendere, a questo punto,
era il come. Come era stato possibile che la voce di quel maledetto
vecchio
fosse stata udita ad Âlfheimr?
Si
avvicinò ancora di qualche passo e comprese:
attorno al Padre di Tutti, che dal primo giorno del Riposo di Odino
aveva
iniziato ad accumulare energia, riusciva a percepire distintamente una
forte
aura magica, talmente potente che il suo incantesimo di
impenetrabilità riusciva
a mala pena a contenerla.
Si
affrettò, dunque, ad applicarne un altro, ma la
battaglia e l’uso prolungato dell’immagine di Odino
avevano prosciugato le sue
energie e l’incantesimo non riuscì.
-Sei
sempre stato tu- sibilò il dio, osservandosi
furente le mani -L’hai portata su Asgard perché
capissimo la minaccia che incombeva;
molto bravo, ma non credere che ti basterà startene qui in
panciolle per riuscire
a infrangere il mio incantesimo! Sono sicuro che tu abbia visto la mia
forza e
la mia abilità; non vorrai metterti contro di me! Tutto il
tuo potere non sarà
mai sufficiente per sconfiggere il vero re di
Asgard.
Girò
sui tacchi e riattraversò la sala, mentre alle
sue spalle la gabbia si chiudeva, nascondendo nuovamente alla vista il
capezzale del Padre di Tutti.
Da
quando aveva concluso gli studi non gli era mai
capitato di non riuscire ad eseguire un incantesimo e questa cosa,
oltre far
fremere Loki di rabbia, lo preoccupava profondamente: gli ultimi eventi
lo
avevano provato parecchio e ad ogni passo che faceva gli sembrava di
rivivere
il momento in cui Phoneus lo aveva colpito. Era stanco, dolorante e
provato, ma
allo stesso tempo vigile e la sua mente pesava accuratamente la
gravità della
situazione: se non si fosse ripreso al più presto, Odino,
fresco e riposato,
avrebbe potuto spezzare l’incantesimo che lo vincolava al suo
Sonno e
riprendere possesso del trono e, a quel punto, nulla
l’avrebbe salvato da una
condanna a morte.
D’altro
canto, non c’era più nessuno in grado di
parlare al cuore di Odino e mitigarne la furia.
Raggiunse
con il fiato corto le sue stanze e,
riprendendo la sua forma originaria, si lasciò cadere a peso
morto sulle
lenzuola.
-Temo
che non ci rivedremo tanto presto- sussurrò
Loki nel silenzio della stanza -Mi dispiace.
When
the days
are cold
And
the cards
all fall
And
the saints
we see
Are all made of gold
When
your dreams
all fail
And
the ones we
hail
Are
the worst of
all
And
the blood
runs stail.
I
want to hide
the truth
I
want to
shelter you,
But
with the
beast inside
There's
no where
we can hide.
No
matter what
we breed,
We
still are
made of greed.
This
is my
kingdom, come!
This
is my
kingdom, come!
When
you feel my
heat
Look into my eyes
It's
where my
demons hide
It's
where my
demons hide
Don't
get too
close, it's dark inside
It's
where my
demons hide
It's
where my
demons hide
At
the
courtain's call
It's the last of all
When
the lights
fade out
All
the sinners
crawl
So
they dug tour
grave
And
the
masquerade
Will
come
calling out
At
mess you made
Don't
want to
let you down
But
I am hell
bound
Though this is all for you
Don't
want to
hide the truth
No
matter what
we breed
We
still are
made of greed
This
is my kingdom,
come!
This
is my
kingdom, come!
When
you feel my
heat
Look into my eyes
It's
where my
demons hide
It's
where my
demons hide
Don't
get too
close, it's dark inside
It's
where my
demons hide
It's
where my
demons hide
They
say it's
what you make
I
say it's up to
fade
It's
woven in my
soul
I
need to let
you go
Your
eyes they
shine so bright
I
want to save
that light
I
can't escape
this now
Unless
you show
me show
When
you feel my
heat
Look into my eyes
It's
where my
demons hide
It's
where my
demons hide
Don't
get too
close, it's dark inside
It's
where my
demons hide
It's
where my
demons hide
Demons, Imagine Dragons
https://www.youtube.com/watch?v=LqI78S14Wgg
Angolo
dell’autrice:
ebbene, eccoci qui. Siamo giunte alla fine di
quest’avventura, mie care, e io
per prima sono sorpresa di esserci arrivata e di non aver mollato
prima. Se non
fosse stato per voi, per il vostro interesse, il vostro affetto e il
vostro
incoraggiamento non sarei riuscita a scrivere fino all’ultimo
capitolo, perciò
grazie.
Grazie
di avermi accompagnata in questa bella esperienza e di avermi dato il
coraggio
di andare avanti a scrivere. Grazie di cuore, davvero!
Dunque,
arrivate a questo punto diventa necessario dare delle piccole
spiegazioni:
quando ho iniziato a scrivere La sua
paura, l’idea era quella di concludere con la
separazione dei protagonisti
e attendere che la Marvel (che è l’unico
possessore dei personaggi adoperati
nella storia, ad eccezione, ovviamente, di quelli inventati da me)
girasse e
distribuisse il terzo capitolo della saga di Thor.
Questa l’idea di partenza, ma poi, andando avanti a scrivere,
mi sono affezionata ai personaggi e alle loro vicende e davanti ai miei
occhi
si è dipinta una storia più ampia e complessa.
È
per questa ragione che vorrei chiedervi lo sforzo di sopportare un
piccolo
prequel, che introdurrà il seguito de La
sua
paura e permetterà di addentrarci di
più (nei limiti della mia capacità)
all’interno dei personaggi, anche quelli secondari a cui ho
lasciato poco
spazio in questa storia.
Spero
vogliate accompagnarmi lungo questo cammino che, se si
riuscirà a raggiungerne
la fine, comprenderà (almeno) tre parti e, come sempre, mi
auguro di riuscire a
trasmettervi delle belle emozioni e di regalarvi un po’ di
tempo libero
trascorso piacevolmente.
Vorrei
ringraziare, nello specifico:
Alice_Lea,
Ally I Holmes, c16b, Calliope82, Chiara_BarianForce, Darknesslight,
DarthGreta92,
dracarys_, emanuela_20, esi_chan, gaerel92, Isis_Ithil_Morwen,
itsMegiPary,
jess chan, Just another writer, kiki820, LoreleydeWinter, MARS88,
Mars_,
orihime02, sefoev, Silvermoon00, Sofy_Candy, Sweetnesss,
Valar_Morghulis,
wings1873 per aver seguito questa storia;
AlessiaOUAT96,
Angel27, annina_76, Black Firework, Brina89, Chandra1620, Elisaneth
Dragneel, Feds_95,
fera_JD, JackieSleaze, MamW, Piccola Me, quen_under_mountain,
Ragdoll_Cat, UntilTheVeryEnd1998,
_Rachel Elisabeth Dare_ per
averla preferita;
Clio93
e KaterinaVipera per averla ricordata.
Un
grosso abbraccio a tutte voi e a coloro che sono passate solo per dare
un’occhiata,
non sono in grado di esprimere a parole quanto sono vi grata per il
vostro supporto,
in ogni modo esso sia stato espresso, perciò
cercherò di ripagarvi dando il massimo
per realizzare una storia che possa risultare piacevole e che possa
essere all’altezza
dell’attenzione che avete donato al mio lavoro.
Ci
rivediamo presto con il prequel dal titolo Giochiamo
insieme?
Grazie
ancora di cuore! :)
Lady
Realgar
Ps.
Altra piccola citazione nascosta, giusto per concludere in bellezza ;)
besos!
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