Gli Eredi

di Eneri_Mess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (parte prima) - L'Erede ***
Capitolo 2: *** Prologo (parte seconda) - L'Erede ***
Capitolo 3: *** Capitolo I - Incubo ***
Capitolo 4: *** Capitolo II - Figlia del Mare ***
Capitolo 5: *** Capitolo III - Minacce ***
Capitolo 6: *** Capitolo IV - Incontri Notturni ***
Capitolo 7: *** Capitolo V - Madame ***
Capitolo 8: *** Capitolo VI - Tracce ***
Capitolo 9: *** Capitolo VII - Paura del buio ***
Capitolo 10: *** Capitolo VIII - Navi all'orizzonte ***
Capitolo 11: *** Capitolo IX - Conqueror ***
Capitolo 12: *** Capitolo X - Tori Rossi ***
Capitolo 13: *** Capitolo XI - Reverie ***
Capitolo 14: *** Capitolo XII - Kameoshi e Kazuka ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIII - Sconfitta ***
Capitolo 16: *** Capitolo XIV - Piani ***
Capitolo 17: *** Capitolo XV - Arrembaggio ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVI - Il Bacio della Sirena ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVII - Conseguenze ***
Capitolo 20: *** Capitolo XVIII - Verso San Faldo ***
Capitolo 21: *** Capitolo XIX - L'Asta (Prima Parte) ***
Capitolo 22: *** Capitolo XX - L'Asta (Seconda Parte) ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXI - Fiabe ***



Capitolo 1
*** Prologo (parte prima) - L'Erede ***


Nota introduttiva: questa storia venne pubblicata per la prima volta nel 2006, sempre sotto il titolo “Heavenly Eve”. Da qualche tempo l’ho ripresa e riscritta da capo, soprattutto aggiungendo personaggi ed eventi accaduti negli anni nel manga di One Piece.
Alcuni vecchi capitoli sono stati riadattati, altri scritti ex novo. Spero che la nuova forma vi piaccia.
Buona lettura!

 
 
 
 
 

 
Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
-  Prologo -
(Parte prima)
 
[L’Erede]
 
 
 
 
 
I am the son and the heir
Of nothing in particular
 
[How soon is now? – The Smiths]
 
 
 
 

 
North Blue. Isola di Salmoa, città di Isca.
Quattro anni prima dell’inizio di questa storia.
 
 
 
 
 
 
 
 
« È stata proprio una sciagura… anni fa il padre, ora la madre… »
« Eeh… la vita di mare è dura… »
« Dicono sia stato un incidente! Qualcosa non ha funzionato sulla nave e un tifone li ha spazzati via… »
« Che tragedia lasciare tre ragazzini a loro stessi! »
« Aspetta… sai, solo il moretto era suo, gli altri due sono orfani di cui si occupava… »
« Davvero? Oh, poverini… »
 
La conversazione delle comari fu interrotta dal rumore secco e brusco delle persiane chiuse con violenza. Quella sola azione non bastò a far smettere di tremare le mani del ragazzo, che assestò un calcio al muro sottostante, sfogando la rabbia in un gesto doloroso che gli fece digrignare i denti. Ribolliva dentro, gli sembrava di sentire la collera serpeggiargli sotto pelle, come un impulso irrefrenabile. Ma niente scenate, basta si era detto.
« Bryan! »
La voce rotta e senza fiato arrivò dal fondo della stanza, sulla porta, dove si era affacciata una giovane alta e slanciata, bionda come il sole ma con le occhiaie buie e gli occhi stanchi di chi non ha più lacrime da versare.
Egli, voltatosi a guardare la sorella, strinse ancora di più la mascella, impedendo alle urla che aveva in gola di sfociare, sapendole inutili. Iniziò tuttavia a tremare e si sfogò assestando un secondo colpo alla parete col pugno serrato. La casa tremò per un istante; dal pavimento, nel punto in cui si trovava, una scossa vibrò sottoterra, irradiandosi come un richiamo lontano.
« Bryan! »
Irrigidita un attimo dallo spavento, la ragazza si slanciò in avanti. Lo raggiunse, bloccandolo in un abbraccio in cui cercò di infondere tutta la propria forza per renderlo saldo e rassicurante, nonostante la stanchezza accumulata nei giorni. Una mano affondò nei capelli color grano del fratello, guidando il suo viso nell’incavo del proprio collo e in poco qualsiasi tremolio, del corpo o del pavimento, cessò.
Avrebbe voluto dire qualcosa, sentendo le dita di lui afferrarle le spalle, ma non aveva più parole che anche alle sue orecchie risultassero consolatrici.
« Non è giusto… » sussurrò soffocato Bryan, la bocca impastata da un groppo amaro che continuava a risalirgli dallo stomaco ogni volta che il peso di quei giorni si riaffacciava nella sua mente. « Perché le persone a cui voglio bene muoiono? Prima la mamma… ora Giulya… perché Bonnie?! »
La sua presa tornò solida, quasi ferrea, per non sentire se stessa vacillare nell’aggrapparsi anch’essa a  quella domanda, avvertendo come i suoi soli sedici anni, e i quattordici del fratello, fossero troppo pochi per aiutarli in una risposta. Nuove lacrime le invasero gli occhi celesti, mentre si mordeva il labbro per impedire a tre inutili parole come “Non lo so” di essere l’unico responso che riuscisse a formulare.
« Io non ti lascerò » disse in fine, stirando le labbra in un sorriso umido ma sincero, scostando un po’ il fratello da sé per guardarlo dritto nelle sue iridi dorate. Annuirono a vicenda e, come se fossero tornati entrambi ad avere poco più di sei anni, si asciugarono le gote arrossate tirando su col naso, per poi stringersi le mani a vicenda.
« Ehi… »
Un terzo ragazzo fece capolino dalla porta della stanza. Alto come gli altri due, magro e con una zazzera di capelli neri scompigliati, fissò fratello e sorella con uno sguardo vagante, spento, il viso pallido e tirato sugli zigomi e le labbra secche.
« Lewis… » accennò Bonnie, giratasi verso l’uscio con ancora le dita intrecciate a quelle di Bryan.
« Usciamo di qua, mi sento soffocare. Voglio andare da lei » la interruppe il nuovo arrivato in tono piatto. Senza attendere risposta, tornò sui suoi passi, presto seguito dagli altri due.
 
 
 
 

 
Nord di Salmoa.
Limitare della città di Isca.
 
 
 
« C’è un rapporto da parte di Anago, Irwin-senchou »
La donna-pesce con la carnagione arancione si avvicinò con quanto più silenzio potesse tra l’erba alta, scostando il mantello quel tanto che bastava per porgere il piccolo Den Den Mushi rosa all’uomo appostato al muretto che li separava dall’ingresso della città.
Questi scostò lo sguardo dalle strade che stava controllando per ritirarsi un po’ indietro, occhieggiando seria l’altra.
« Non chiamarmi senchou, Estella. Ne abbiamo già parlato » ribadì calmo, per poi prendere il lumacofono e rispondere. « Sono Irwin. Parlate »
« Senchou-sama, dovete agire! Abbiamo avvistato navi in avvicinamento da sud! »
Stancamente, sia per l’appellativo sia per la situazione, nuova e dai contorni nefasti, il primo tornò a parlare:
« Che bandiera battono? » chiese.
Ci fu un fruscio di fondo, un bisbiglio secco e altri a seguire.
« Marina! Quarta divisione! »
Irwin rimase a fissare il ricevitore, una smorfia a piegargli le labbra che non si trattennero dal sibilare un nome.
« … Armstrong »
« Come dice, Senchou-sama? »
Lasciò perdere il pensiero, scoccando uno sguardo al panorama di case bianche che aveva davanti, oltre il muretto e gli alberi che coprivano sé e il resto degli uomini-pesce alla vista degli abitanti sereni di Isca.
« Osservate la situazione senza muovervi. Attraccheranno al primo o al secondo molo di Isca. Non date nell’occhio e contattateci sui loro spostamenti »
« Ricevuto »
Lo Snail tornò a riposo, riconsegnato nelle mani di Estella.
« Irwin-sama... » lo richiamò lei, ma il suo capitano la ignorò, vagando con lo sguardo sui tetti rosa e oltre questi, verso il mare cristallino che si intravedeva a perdita d’occhio fino all’orizzonte sgombro, dove si ricongiungeva con un cielo altrettanto limpido.
Erano rare giornate come quelle, lì a Salmoa. Era un’isola con un clima prettamente autunnale, sempre con qualche nuvola pronta a congiungersi ad altre per un temporale improvviso. Quel dì sembrava invece una bella giornata di primavera, quasi con un calore confortevole a solleticare la pelle e un piacevole soffio del vento a frusciare tra le foglie. Un tempo beffardo, sia per quello che era successo in quei giorni, sia per quello che sarebbe avvenuto di lì a poco e di cui non andava fiero.
Dopo quasi tre anni li avrebbe rivisti… e li avrebbe strappati via a quella pace apparente, dando loro un assaggio di mondo reale che non gli avrebbero mai perdonato.  
“Perdonami tu, Maryn…”
« Irwin-sama! » ripeté Estella, riportandolo coi piedi per terra. Quando egli si volse, si ritrovò a fissare i volti dei quattro uomini-pesce che erano con lui, le espressioni tirate e preoccupate sulle pelli squamate di colori diversi. Sarebbe stato ironico dire di sentirsi “un pesce fuor d’acqua”, ma la battuta non si scostava troppo dal reale. Bastava un’occhiata a distinguerli, loro con le fattezze tipiche delle creature senzienti marine, lui che, invece, sembrava in tutto e per tutto un essere umano. E questo lo avrebbe aiutato a scivolare non visto tra la gente del luogo, sperando che nessuno di loro rammentasse la sua chioma color corallo. E oltre l’aspetto fisico, a dividerli c’era anche quell’opinione che avevano di lui: continuavano a chiamarlo “Senchou”, o appellarlo in maniera onorifica, e aveva la vaga sensazione che quel giorno avrebbero dato la vita per la riuscita del piano e la sua incolumità, senza nemmeno conoscerlo minimamente.
A lui questo proprio non andava giù. Non avrebbe voluto avere niente a che fare con loro, coinvolgerli in un’impresa di cui già vedeva i primi spiragli di difficoltà con l’arrivo della Marina, ma da solo non ce l’avrebbe fatta. Sapeva che se non fosse stato per le sue occhiatacce eloquenti lo avrebbero appellato “Wakasama”, visto come erano bastate tre sole parole - “È mio figlio” - perché una ventina di quegli uomini-pesce si inginocchiassero di fronte a lui pronti a qualsiasi suo ordine. Quei gesti erano gli stessi da cui era fuggito per tutta la sua giovinezza. Ma ora non poteva permettersi di fare lo schizzinoso e, per come poteva, secondo come si sarebbero messe le cose, avrebbe cercato di ricambiare quella cieca fiducia in lui tentando di farli uscire tutti vivi da lì.
« Chiama Maguro, chiedigli conferma della situazione » ordinò rivolto alla donna-pesce che ormai era diventata la sua vice. « Voi altri preparatevi a muovervi » aggiunse, rivolto al resto del gruppo. Ma l’occhiata che tutti gli rimandarono gli fece aggrottare la fronte.
« Abbiamo un problema, Irwin-sama » iniziò Estella, tirando fuori dal mantello un secondo lumacofono giallo, attivo ma statico. Il brusio di un’interferenza continua riempì il breve silenzio. Sulla fronte di lei vi erano impresse rughe di seria preoccupazione.
L’uomo dai capelli rossi vagliò velocemente la situazione. Il gruppo di Maguro si trovava sul lato Sud-Est dell’isola, ai moli esterni alla baia, nella zona periferica del mercato e delle bettole. Era forse il luogo meno raccomandabile di Salmoa, ma quella che si poteva appellare come gentaglia del posto erano si e no pescatori che versavano in miseria o chi aveva avuto la giornata storta. L’isola era troppo tranquilla e benestante in generale per permettersi delinquenti come pirati o simili, nessuno così sciocco da mettersi contro un uomo-pesce. E un intero gruppo di cinque di questi, con addestramento militare delle profondità, era strano che sparisse o lasciasse aperta una comunicazione, o si perdesse una trasmittente.
« Fugu » chiamò, mettendo sull’attenti l’interessato dalla pelle beige a macchie. « Va a vedere cosa è successo e riferisci »
« Senchou-sama è sicuro che dividersi sia una buona idea? » intervenne Estella.
« Meno siamo a muoverci verso l’obiettivo, meno daremo nell’occhio. E tre di voi saranno più che sufficienti » puntualizzò Irwin, forse con tono troppo secco. Non voleva darlo a vedere, ma per quanto i suoi ordini potessero essere decisi la preoccupazione lo stava divorando, e il dubbio era sempre più presente in lui. Non era tagliato per quel genere di situazioni, anzi, era una delle ultime in cui avrebbe mai voluto trovarsi. Una vena di fretta iniziò a pulsare in lui.
« Andiamo » disse infine, alzandosi e calandosi il cappuccio sul capo.
Si cominciava.
 
 
 
 

 
Promontorio ovest di Salmoa.
Cimitero.
 
 
 
Il soffio del vento si stava intensificando, agitando le chiome degli alberi sulla parte bassa del promontorio, dove la strada di ciottoli bianchi si snodava da Isca attraverso il bosco rigoglioso, fino al cimitero. L’odore di salsedine onnipresente si mescolava a quello più umido tipico della pioggia, anche se le nuvole tardavano ad arrivare.
I tre ragazzi si strinsero tra loro, seduti a terra, più che per le folate fresche per un senso di ignoto che inumidiva le loro guance con nuove lacrime. Trattenerle era davvero impossibile lì davanti alla pietra liscia e bianca che occupava la loro vista, rendendo qualsiasi cosa circostante superflua, qualsiasi pensiero negativo.
Sulla lapide erano state incise eleganti lettere che ognuno di loro avrebbe voluto cancellare in qualsiasi maniera, se fosse servito a non renderle tanto tangibili e reali.
 
Giulya Ottavia Armstrong
Madre affettuosa, Marine coraggiosa.
 
« Quando  il nonno tornerà per riprendermi gli dirò che voi venite con noi » esordì Lewis, alla sinistra di Bryan, le gambe cinte al petto mentre tirava su col naso cercando di assumere un’espressione caparbia tra i residui di lacrime e le gote arrosate. « Anche la mamma avrebbe voluto così » puntualizzò con decisione, come se la cosa non potesse che risultare ovvia.
Di fianco a lui, il biondino continuò a giocherellare con l’erba del prato, strappandone steli con distrazione e nervosismo, la fronte aggrottata.
« Non sapeva neanche che lei si occupasse di noi. Hai visto la sua faccia sorpresa. Non ci ha rivolto una parola » gli fece presente senza alzare lo sguardo dal verde sottostante.
Rammentò tra sé la scena di una settimana prima, quando due marines, di una divisione che non avevano mai visto, si erano presentati alla porta per comunicargli che Giulya Armstrong era morta in un tragico incidente mentre prestava servizio. In un primo momento l’aveva preso per uno scherzo, non aveva minimamente ricollegato le parole tra loro, soprattutto col tono piatto e disinteressato con cui quei due avevano messo la notizia. Poi però, quella che per lui era sembrata la barzelletta più brutta di sempre, era proseguita: i due avevano continuato dicendo che la salma della sua madre adottiva sarebbe arrivata l’indomani per i funerali insieme al Vice Ammiraglio Ottavio Augustus Armstrong, padre della deceduta. Terminato il rapporto con un “Condoglianze” incerto, i due si erano ritirati, chiudendosi dietro la porta con uno schiocco che aveva riportato alla realtà i tre ragazzi, precipitandoli subito in un vuoto di consapevolezza che si era realizzato sul serio solo la mattina seguente, quando una bara color ciliegio era stata sotterrata davanti ai loro occhi e una lapide di marmo posta simbolicamente su di essa. E Bryan riusciva a stento a ricordare le ultime parole che Giulya gli aveva detto prima di partire per il suo servizio settimanale, le sue raccomandazioni e il suo sorriso, che quella pietra nivea non riusciva a imitare.
« Non mi importa! » lo riscosse dal torpore dei pensieri Lewis, voltandosi verso i due fratelli. « Non vado da nessuna parte senza di voi! Noi siamo una famiglia! E lui dovrà accettarlo! » affermò con rabbia e una risolutezza un po’ incerta. Non riusciva ad accettare che sua madre fosse morta, e meno che mai che di lì a breve la sua vita sarebbe cambiata ulteriormente.
Il giorno del funerale aveva conosciuto quello che diceva di essere suo nonno. Non ricordava di averlo mai visto, anche se sua madre di tanto in tanto gliene aveva parlato come un tipo dedito al dovere e all’onore, ma il discorso era sempre caduto nel dimenticatoio, visto che lui in prima persona non si era mai presentato a casa loro, nemmeno per le festività. Ora, di punto in bianco, era piombato nella sua vita nel momento più difficile, cercando di spiegargli con logica che sarebbe diventato il suo tutore e aggiungendo, in un discorso che solo il vecchio riusciva a seguire, che presto sarebbe diventato un marine di cui la stirpe Armstrong sarebbe stata fiera. Tutte parole che la mente del ragazzino moro aveva faticato a registrare. « E poi quel vecchio non mi piace… continua a chiamarmi Giulius » aggiunse in fine, tornando a serrare le ginocchia con le braccia, sbuffando.
« E’ il tuo nome… » rincarò sovrappensiero Bryan, senza rivolgergli attenzione, lasciandosi risuonare dentro la parola “famiglia” cercando di capire che significato potesse avere ora.
« Non mi piace! Io sono Lewis! »
« Resta il fatto… che probabilmente a tuo nonno noi non interessiamo. E avrebbe anche ragione… perché dovrebbe farsi carico di altri due orfani? » disse tristemente Bonnie, rimasta fino a quel momento in silenzio a osservare i fiori carezzati dal vento che davano colore a quel posto fatto solo di solidi ricordi grigi.
La sua mente provava ad andare avanti, a pensare a cosa sarebbe stato di lei e del fratello da lì a poche ore se Lewis fosse partito davvero senza di loro, ma tutto ciò che riusciva a vedere era solo il volto rassicurante di Giulya sparire nelle ombre cupe dei suoi ricordi. In quanto sorella maggiore avrebbe dovuto riflettere su come sarebbero sopravvissuti, non avendo con loro se non pochi averi di nessun valore e una casa vuota dell’infanzia dove però né lei né Bryan avrebbero mai più voluto rimettere piede. Le fredde e dubbie fondamenta di un futuro poco roseo si insinuavano tra i suoi pensieri, aumentando solo l’angoscia che da una settimana non l’aveva mai abbandonata.
« Se non venite anche voi, io non andrò proprio da nessuna parte! »
Quest’ultima affermazione fu un grido risoluto che scosse anche gli altri due, facendoli alzare gli occhi sul fratellastro, scattato in piedi a fissarli con gli occhi grigi contratti da rabbia, sconforto e un senso di impotenza con cui lottava strenuamente. Si morse il labbro inferiore, iniziando a tremare. « Non voglio perdere anche voi! Questo posto è casa mia! E non indosserò nessuna stupida divisa della marina per fare contento un vecchio che non sa un accidenti di me! »
Davanti a quello sfogo Bryan e Bonnie riuscirono solo a fissarlo e a condividere le sue parole come una profonda ingiustizia. Purtroppo, quello che per loro al momento sembrava un baratro buio e senza uscita, presto sarebbe divenuto l’inferno.
 
 
Fu una folata di vento a portare le parole che cambiarono radicalmente il loro mondo. In realtà, furono due semplici nomi, i loro, e poche altre sillabe che li trafissero come frecce alla schiena, inaspettate e sleali, pronunciate dall’ultima persona al mondo che pensavano avrebbero più rivisto.
« Bryan, Bonnie » li chiamò l’uomo apparso all’ingresso del cimitero, scostando dai capelli color corallo il cappuccio che fino ad allora lo aveva nascosto alla vista. Fissò i due ragazzi con sguardo indecifrabile, nascondendo le mani serrate sotto la cappa, pensieri contrastanti a sfrecciargli per la testa. « Dovete venire con me »
La ragazza non riuscì a muoversi, gli occhi sgranati da un misto di emozioni contrastanti che le bloccarono qualsiasi parola in gola, secca e pulsante di un cuore che batteva all’impazzata nel tentativo di aiutarla a registrare l’apparizione inaspettata.
« O… otousa- » quell’unica parola le scivolò dalle labbra involontaria, ma troncata sul finire da un ruggito gutturale alla sua sinistra e un tremito che la riportò alla realtà, facendole sbarrare ancora di più gli occhi, questa volta, di paura.
Bryan, scattato in piedi, immobile, fissava il nuovo arrivato con un odio che gli trasfigurava il viso e gli sbiancava le nocche per la tensione nel tenerle serrate. L’aria fremette, e Bonnie registrò in una frazione di secondo quello che sarebbe avvenuto di lì a poco, ma non fece in tempo a reagire.
La terra tremò sotto i loro piedi e lei non vide più nulla.
 
 
 
 

 
Città di Isca.
Casa di Giulya Armstrong.
 
 
 
Il calcio del fucile si abbatté sullo zigomo dell’uomo-pesce senza pietà, buttandolo a terra come un sacco e facendogli sputare sangue sul pavimento di marmo rosa. Maguro tentò per l’ennesima volta di rompere le catene che lo legavano con tutta la forza di cui disponeva, ma invano. Imprecò e apostrofò gli uomini in completo nero che lo rimisero seduto di fronte all’aguzzino che gli aveva appena spaccato la faccia.
« Precisiamo che per voi rifiuti dell’evoluzione le buone maniere non sono contemplate »
A fare quella precisazione con tono indifferente fu un ufficiale, che si distingueva dagli altri solo per il giaccone poggiato sulle spalle, dove i kanji di giustizia spiccavano come uno schiaffo ricamati oro su bianco. Era seduto sul tavolo della cucina, rigirandosi una spada sguainata tra le mani, lo sguardo nascosto da un paio di occhiali da sole nonostante la penombra della casa. Non era particolarmente prestante, ma nessuno sarebbe stato in grado di azzeccarne l’età senza sbagliare di molto. Aveva i capelli brizzolati, e qualche ruga a solcargli il viso, ma gli occhi erano vigili e perforanti, calcolatori e spietati.
« Cosa ci fa un gruppo di uomini-pesce, che tenta malamente di passare inosservati sotto ridicoli mantelli, a Salmoa? Cercate vostri simili tra i banchi del mercato? » riprese beffardo con un sogghigno, sebbene il tono non sembrasse voler essere ilare.
Maguro lo guardò con profondo disprezzo, serrando i denti macchiati e non proferendo parola.
L’ufficiale fece un cenno ai suoi uomini, che ripresero a picchiare il prigioniero, mentre lui dava una seconda occhiata all’ambiente circostante. Una casa discreta per un Capitano di Vascello la cui famiglia vantava fama e ricchezza. Era arredata in maniera luminosa, quasi giocosa con i colori pastello, anche se ora che i suoi l’avevano rivoltata da cima a fondo sembrava più la stanza disordinata di un bambino.
« Vice Ammiraglio! Guardi! » uno dei sottoposti richiamò la sua attenzione sul loro ospite squamato. L’uomo brizzolato assottigliò lo sguardo di fronte al tatuaggio che l’uomo-pesce aveva sul pettorale sinistro, prima nascosto dalla casacca strappatasi nella colluttazione. Il disegno tondeggiante, impresso nero sulla pelle grigiastra, rappresentava una sirena stilizzata che nuotava intorno a una corona. Un lampo passò negli occhi del più alto in grado, una cupa e sgradita consapevolezza in testa.
Si alzò da dove era rimasto seduto fino a poco prima, avvicinandosi al prigioniero. Levò la spada che aveva rimirato fino a quel momento puntandogliela al petto al centro del tatoo, la mano ferma, nonostante un antico ribollire lo avesse colto in un primo momento.
« Sto cercando un uomo, si chiama Irwin. Dove si trova adesso? » chiese, e l’ambiente cadde in un silenzio carico di tensione.
« Va all’inferno » furono le ultime parole di Maguro, un invito alla lama a trafiggergli il petto, che scivolò in un solo fendente verso il simbolo della sirena, penetrandolo a metà. Presto, il sangue zampillò, cancellandolo quasi del tutto in una macchia cremisi, tra gli spasmi che colsero il malcapitato.
« E tu vai ad aprire la strada alla tua Regina Coralia, uomo-pesce » gli rise all’orecchio il Vice Ammiraglio, prima che la luce svanisse dai suoi occhi. I pezzi del puzzle si stavano ricomponendo in maniera sorprendentemente veloce quel giorno, e lui già sentiva addosso un piacevole senso di vittoria.  
« Shirami-chuujou… » a richiamarlo ancora fu un altro dei suoi uomini, appena rientrato dalla porta principale. L’ufficiale gli fece cenno di parlare, mentre estraeva la spada dal cadavere ai suoi piedi. « Al molo due sta attraccando una nave della quarta divisione. Si tratta del Vice Ammiraglio Armstrong »
« Ah sì… giusto » rispose sovrappensiero, guardandosi intorno e valutando rapidamente la notizia. « Ascoltatemi. L’Operazione Kinshi passa al protocollo tre. Trattate qualsiasi uomo-pesce che incontrerete come un pirata di livello rosso. Se la popolazione fa domande, dite che sono stati attaccati ed è meglio che si rifugino in casa. Riguardo ad Armstrong, lasciate che ci parli io » ordinò, grattandosi la tempia infastidito.
Gli era già bastata la figlia di quel pomposo di Ottavio a fare troppe domande, sperava che il vecchio non si rivelasse un’altrettanta spina nel fianco. Se avesse giocato le sue carte al meglio, entro quella sera, un re, un fante e una dama sarebbero finiti in mano sua, e forse, finalmente dopo più di quindici anni, la sua preda ultima non sarebbe stata poi così inarrivabile.
Ma a scuoterlo dai suoi pensieri su un’improvvisa scossa di terremoto che fece tremare l’abitazione, cogliendo tutti di sorpresa. Fu un tremore secco e repentino, del tutto inaspettato a cui seguì un ruggito che aveva solo vagamente qualcosa di umano, seguito dalle urla della gente di Isca.
Gli uomini in giacca e cravatta accorsero al fianco del loro capo per assicurarsi che stesse bene, ma quest’ultimo non fece in tempo a chiedersi che diavolo fosse successo, che un altro sottoposto rientro nella casa trafelato e visibilmente spaventato.
« Chuujou! Deve venire a vedere! La terra…! » cercò di spiegare, ma fu incapace a trovare delle parole che potessero descrivere quanto visto.
Shirami non perse tempo, uscendo all’aria, tra gli affanni e le grida spaventate dei cittadini.
Da dove si trovava poteva guardare quasi nella sua interezza l’isola di Salmoa, a forma di uncino, ma fu un punto in particolare ad attirarne l’attenzione.
Una nube di polvere si addensava al capo ovest, sul promontorio. Acuì la vista da dietro le lenti scure, prima di intravedere, tra l’ammasso di pulviscolo che andava a diradarsi… un picco. Una conformazione che, ci avrebbe giurato, prima non ci fosse, vista l’innaturalezza con cui si ergeva tra quello che intuì essere il cimitero dell’isola e la foresta retrostante.
« Vice… » iniziò uno dei suoi, senza fiato.
« Raduna tutti e muoviamoci » fu l’ordine secco che impartì, una goccia di sudore che gli scivolò sul lato della fronte. « E manda a prendere le munizioni di agalmatolite che abbiamo di scorta »
La questione si stava facendo delicata.

 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Salmoa e Isca: rispettivamente “salmone” e “amo/uncino” in portoghese, giusto per sottolineare il settore economico in cui l’isola eccelle e la sua conformazione…!
- Anago, Fugu, Maguro, Estella…: sono tutti nomi giapponesi di tipi di pesce, come “anguilla”, “pesce palla”, “tonno rosso”, a parte Estella che significa stella. Che fantasia eh?
- Otousan: giap. “papà”
- Senchou: giap. “capitano”
- Chuujou: giap. “Vice Ammiraglio”
- Wakasama: giap. “signorino” (modo rispettoso per riferirsi al figlio di una persona di alto rango)
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Si riparte per una vecchia/nuova avventura!
Grazie per chi si è arrivato fino a qui e per chi spenderà cinque minuti in più a leggere queste note atte a comprendere meglio in che tipo di lettura vi state imbarcando…!
Nel lontano 2006 iniziai a pubblicare questa storia, con un sacco di idee e buoni propositi. Dopo otto anni, rieccoci qui di nuovo, con il doppio delle idee e il triplo dei propositi! Non so se tra di voi ci siano i vecchi lettori della storia, ma ho smantellato e riadattato buona parte dei capitoli dell’epoca, eliminandone in tronco alcuni e aggiungendone di nuovi, come questo Prologo, diviso in due parti perché davvero lunghetto.
Il riadattamento della fanfic è stato necessario perché quando la iniziai i nostri della ciurma non avevano tra loro Franky e Brook, e soprattutto navigavano ancora sulla Merry. Oltre al fatto che Oda ha tirato fuori personaggi nuovi a cui non ho saputo resistere e che ho voluto introdurre (Rayleigh, Trafalgar e Kidd, per citarne qualcuno).
 
Passiamo alle note serie:
 
- TEMPO/LUOGO: la storia si svolge PRIMA del Time Skip del Manga, ossia in un periodo/luogo imprecisato tra Thriller Bark e Sabaody. Potrebbero esserci delle imprecisioni e dei riadattamenti da parte mia perché la storia era concepita per seguire binari diversi, ma spero che il tutto vi piaccia comunque =)
 
- Sottotitolo: l’ho adottato perché, per come ho concepito la storia finora, la fanfic conterà quattro saghe (ah ah), di cui questa è la prima =)
 
- Personaggi OC: mettetevi l’anima in pace. Ci saranno talmente tanti personaggi di mia invenzione che potrebbero quasi concorrere con quelli canonici… ma ci tengo a precisare che i PROTAGONISTI rimarranno sempre i Mugiwara. Tutti gli OC ruoteranno intorno ad essi, anche avendo capitoli dedicati come questo.
Di volta in volta vi elencherò chi si aggiungerà alle file della storia, per non perdere il filo!
 
- Rating: Arancione nel generale, ma non escludo che più avanti si arrivi a quello Rosso. Avviserò di volta in volta!
 
 
Queste sono le precisazioni iniziali che volevo fare =)
Le note vere e proprie su personaggi/spiegazioni le riporterò nella seconda parte del Prologo!
 
Come per qualsiasi autore, sapere che qualcuno spenderà due minuti per lasciare un commento mi riempirà di immenso gaudio e buon umore. Io incrocio le dita nel sperare che gradiate l’opera!
Nene
 
 
Ps: per chi fosse interessato, dato che sono una maniaca delle mie storie (!), su questo blog (http://heavenlyeve.tumblr.com/ ) pubblicherò oltre i capitoli, anche eventuali disegni di ispirazione! O altro… curiosità, ecc..!!
Per ora, ecco la Mappa di Salmoa: http://heavenlyeve.tumblr.com/image/100571157816

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Capitolo 2
*** Prologo (parte seconda) - L'Erede ***


Nota introduttiva: questa storia venne pubblicata per la prima volta nel 2006, sempre sotto il titolo “Heavenly Eve”. Da qualche tempo l’ho ripresa e riscritta da capo, soprattutto aggiungendo personaggi ed eventi accaduti negli anni nel manga di One Piece.
Alcuni vecchi capitoli sono stati riadattati, altri scritti ex novo. Spero che la nuova forma vi piaccia.
Buona lettura!

 
 
 
 
 
 
Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Prologo -
(Parte seconda)
 
[L’Erede]
 
 
 
Into your eyes
Hopeless and taken
We stole our new lives
Through blood and name
In defense of our dreams
In defense of our dreams
 
[30 Seconds To Mars - Kings And Queens]
 
 
 
 
 
 
 
Promontorio ovest di Salmoa.
Cimitero.
 
 
 
L’aria era immobile.
Il garrito dei gabbiani era l’unico rumore che si udiva lontano, ora che il frastuono della terra in movimento era cessato. Granelli di polvere aleggiavano ancora nell’aria e piccoli detriti rotolavano giù dall’imponente picco sorto in mezzo al promontorio. Cespugli e arbusti erano stati sradicati al limitare del bosco. Il tratto di strada che dall’ingresso del cimitero portava a quest’ultimo era solo un ricordo, come parte del muretto. Tutto era stato così fulmineo che nessuno dei presenti sembrava capacitarsi davvero di quanto accaduto.
Deglutendo a fatica per tornare a respirare, Bonnie fu la prima a riscuotersi, spostando gli occhi celesti dalla cima, che capeggiava davanti a loro, a Bryan. Il fratello aveva il respiro pesante, affannato, e la fronte madida di sudore, le spalle incurvate in avanti come se avesse terminato una lunga corsa. Lo sguardo sembrava ancora lontano e vago. Dopo un attimo di esitazione, gli afferrò la mano, chiamando il suo nome.
Questo sembrò riscuotere il biondino dal torpore. Mise prima a fuoco la sorella e solo dopo ciò che aveva fatto. Una strana sensazione lo invase. Sentì di aver dato sfogo a buona parte della rabbia che era cresciuta in lui in quegli anni dalla morte della madre e che, negli ultimi giorni, si era rinnovata con la scomparsa di Giulya. Vedere suo padre, l’uomo che odiava di più al mondo, aveva fatto scattare qualcosa dentro di lui.
Per la prima volta aveva avvertito quel risentimento fluire e diventare di più. Trasformarsi in una carica, in potenza. L’aveva solo immaginato, nella sua testa, quel picco di terra. Aveva immaginato di sollevare la massa sotto i suoi piedi e far sparire quel volto che detestava. E il suo desiderio era diventato reale. Aveva manipolato… la terra.
« Sei… sei stato tu Bryan? »
La voce di Lewis alla sua destra suonò spaventata, mentre con un medesimo sentimento negli occhi lo squadrava come se non riuscisse a riconoscerlo.
Ma la risposta rimase in sospeso, mentre un rumore ai piedi della piccola montagna riportò la loro attenzione al diradarsi della nube di pulviscolo. Sentirono qualche colpo di tosse, prima di scorgere la figura di Irwin emergere, illeso, da alcuni cumuli di terra.
Bryan serrò la mascella, alzando istintivamente il braccio destro, di nuovo un bagliore fugace negli occhi, ma fu bloccato da Bonnie che si frappose tra i due.
« Aspetta! Per favore, calmati! » si appellò con veemenza, guardandolo dritto in faccia. Il problema era che nemmeno lei sapeva cosa dirgli per giustificare il suo gesto. Non condivideva l’odio di Bryan per il padre, ma non riusciva neanche a provare per lui quell’affetto sincero che si ha nei confronti di un genitore. Ciò in cui credeva fermamente era che, odio o meno, non avrebbe lasciato che suo fratello si scagliasse di nuovo contro di lui, non con tutta quella rabbia e ora quel potere che sicuramente avrebbero portato a una fine tragica. « Lascialo perdere, andiamocene… » cercò di dire, sperando che, visto quello che era appena successo, anche il padre desistesse da qualsiasi intento l’avesse portato di nuovo a Salmoa e a incontrarli.
« Bonnie lasciami andare! Come puoi difenderlo!? » gli urlò in risposta il fratello, strattonando il braccio, ma lei si incaponì e non lo lasciò.
« Andiamo via! » insistette, cercando con lo sguardo Lewis nella speranza la aiutasse. Ma il moretto era ancora fermo dov’era, il viso pallido e spaventato.
Le speranze della giovane si infransero miseramente quando sentì parlare alle sue spalle.
« Hai mangiato un Frutto del Diavolo, Bryan? » il tono era di sincera sorpresa e con una vena di preoccupazione a sfumarlo. Irwin li guardava fissi, una mano al petto a stringere qualcosa che i tre ragazzi non potevano vedere. Un cristallo di agalmatolite. L’uomo constatò che se non fosse stato per quello, sarebbe stato seppellito vivo. Il portarli via da lì si stava rivelando più complicato del previsto.
La terra riprese a tremare.
« Cosa ti importa!? » sbottò il figlio, tentando un passo in avanti nonostante la sorella stesse ancora in mezzo, non intenzionata a cedere di un centimetro dal trattenerlo. Il sentire il terreno fremere di nuovo la spinse a rendere la sua presa ancora più salda, ripetendogli di fermarsi. Ma il biondino sembrava inarrestabile nella sua collera traboccante. « Tu per me hai ucciso la mamma! L’hai portata via da noi! E poi ci hai abbandonati come se non fossimo nulla! IO TI ODIO! »
Il suo sfogo fu seguito da una nuova scossa che fece scricchiolare le lapidi del cimitero e incassare la testa nelle spalle a Irwin.
Non poteva dargli torto. Aveva immaginato più e più volte di sentirsi urlare addosso quelle parole e a pensare come trattarle. Se ne avesse avuto il diritto. Si rendeva conto che l’unico diritto che aveva era solo quello di chiedere perdono per l’essere stato un pessimo padre, non avendo voluto vedere che oltre a soffrire lui per la perdita della moglie c’erano due bambini che avevano un disperato bisogno di conforto.   
Ci sarebbe voluto del tempo, ma non ne avevano. Quello che più temeva si stava realizzando; anni trascorsi nella pace e nella tranquillità di un passato che, lui per primo, avrebbe voluto seppellire, stavano per essere rovesciati. Se poteva fare qualcosa per impedire che la vita dei suoi figli fosse ulteriormente scossa l’avrebbe fatto, anche se questo significava aggiungere ulteriore odio nei suoi confronti.
Tuttavia, trovare le parole per far indorare una pillola come quella era il vero ostacolo.
« Devo portarvi via di qui subito. Siete in pericolo, ma vi potrò spiegare tutto una volta che saremo al… » la frase si interruppe quando, troppo tardi, sentì lo spunzone di terra lacerargli la pelle del braccio, costringendolo a indietreggiare. Strinse i denti, sentendo il sangue colare tra le dita e sembrò finalmente realizzare la reale gravità della situazione. Con le sole parole non si sarebbero mossi di un passo. Tanto era l’odio nei suoi confronti e, per la prima volta, avvertì un biasimo per se stesso che lo fece vacillare.
« Fermati Bryan… ti prego… basta! » gridò Bonnie, le lacrime agli occhi mentre le forze le venivano meno dalla presa sul fratello. Non lo riconosceva, c’era un’ombra nel suo sguardo che la stava spaventando. Era come se quel rancore di cui lo sapeva colmo avesse assunto una coscienza e preso il posto di lui. Possibile che non avesse mai compreso a fondo i suoi sentimenti? O era la consapevolezza di avere un potere così forte tra le mani che lo stava lasciando scivolare in una direzione tanto sanguinaria?
« Bryan non fargli del male, ti prego… » si ritrovò a supplicare con voce rotta e le lacrime che le segnavano le gote. Non bastava che avessero appena detto addio alla loro madre adottiva? Ora doveva assistere anche alla morte del proprio padre e perdere per sempre la coscienza di suo fratello?
Il suolo tremava ormai da minuti interminabili, come un ribollire fremente di azione, quando risuonò uno schiocco e tutto cessò all’improvviso. Il proiettile sibilò nell’aria tesa, colpendo il biondino di striscio sulla guancia e conficcandosi nella lapide di Giulya. I tre ragazzini sgranarono gli occhi sentendo i cuori fermarsi. Irwin si volse indietro, la mascella serrata.
Avevano finito il tempo.
 
 
« Facciamo delle presentazioni rapide. Io sono la Giustizia, voi la feccia. Venite con me senza fare storie e la nostra mira rimarrà quella che avete appena provato »
Le parole di Shirami furono forse più raccapriccianti dello sparo appena vibrato. Un dispiegamento di una trentina di uomini in abiti scuri prese posto al lato del picco, spianando i fucili.
L’aria si congelò, come il sudore di Irwin e le lacrime di Bonnie e Lewis. A tremare, invece del terreno, fu Bryan, con la guancia a bruciargli dolorosamente. Nell’istante in cui era stato sfiorato aveva avvertito la spiacevole sensazione di tutta quella potenza arrestarsi di colpo. Si sentì ricatapultato nel proprio corpo, vedendo non più solo suo padre, ma tutto l’ambiente circostante tornò ad avere forma e consistenza, come le mani della sorella sulle sue spalle, il respiro troncato dai singulti di Lewis poco dietro di lui, e ora quel plotone di esecuzione in giacca e cravatta nel cui mirino era focalizzato lui.
« Mi auguro che questo silenzio sia la vostra risposta. Voi due biondini, mani in alto e venite da questa parte. La stessa cosa vale per te, Seaheart D. Irwin »
Bonnie non sapeva più chi guardare o cosa pensare. Il nuovo arrivato aveva appena chiamato suo padre con un nome che lei non conosceva. L’espressione di quest’ultimo tradiva una preoccupazione tangibile. Lo vide arretrare di un passo, cercando di lanciare uno sguardo oltre il picco di terra, e poi verso di loro, la mascella serrata e la fronte tesa di chi è in cerca di una soluzione.
« Niente vie di fughe, Irwin » dedusse per lui l’uomo della marina. « Se speri nell’intervento dei tuoi uomini-pesce, credo che ormai siano diventati sashimi » aggiunse, ma per quanto potessero sembrare ilari le sue battute, il suo tono era quello divertito di chi sapeva di aver tarpato le ali a un uccellino.
« Tu sei… Shirami » disse freddo l’uomo dai capelli rossi, muovendo impercettibilmente la mano sotto il mantello. Doveva guadagnare tempo per riuscire a escogitare qualcosa. « Mi hanno parlato di te »
« Non sprecarti in lusinghe. Coralia non ne avrà usata mezza » tagliò corto il Vice Ammiraglio, una vena gonfia sulla tempia destra. « E stavo pensando che per quanto ti riguarda, mi serve solo che tu risponda a una domanda, poi puoi morire » chiarì, sottolineando la minaccia puntandogli contro la propria pistola. Un gemito soffocato giunse dalla parte di Bonnie, ma tutti lo ignorarono ora che l’aria si era fatta così tirata da essere tagliata con un coltello.
« Come si raggiunge il One Piece, Figlio del Re? »
Un brivido comune accompagnò quella domanda, sia tra i marines che tra i ragazzi. Ci fu chi ricevette la conferma di alcune voci di corridoio e chi restò senza fiato, senza riuscire a rimettere insieme i pezzi del discorso. Irwin rimase immobile, i pugni stretti sotto il mantello sgualcito, mentre sentiva la condanna di quelle parole piombargli addosso come un macigno. Il rumore del calcio della pistola di Shirami che veniva caricato non aiutò a stemperare la tensione.
« Rispond- »
Ma la frase del Vice Ammiraglio fu troncata sul nascere da alcune grida provenienti dalla foresta. Gli uomini in completo nero persero la concentrazione, voltandosi a guardare cosa stesse succedendo alle loro spalle. Irwin approfittò del momento. Lanciò ai piedi del plotone una piccola ampolla di vetro che, frantumatasi contro il terreno, esplose in una nuvola color ciclamino, creando una nube densa e fitta che lo nascose alla vista.
« SPARATE! » fu l’ordine irritato che giunse oltre il gas da Shirami.
Irwin fece in tempo a buttarsi a terra sopra i ragazzini prima che i colpi di proiettile iniziassero a saettare sopra le loro teste. Lewis e Bonnie gridarono spaventati, ma l’uomo dai capelli rossi ordinò loro di strisciare oltre le lapidi del cimitero e cercare riparo, mentre lui trascinava un recalcitrante Bryan.
Ci furono urla anche dalla parte nemica. Poi un nuovo comando intimò di cessare il fuoco. La nebbia violacea non parve dare segni di diradarsi e il quartetto nascosto nel cimitero ebbe un attimo per riprendere fiato.
« Lasciami! Lasciami! » sibilò il biondino, bloccato dalle mani del padre che cercava di capire cosa stesse succedendo tra le file della marina, ma non c’era tempo: qualsiasi cosa fosse, aveva fatto guadagnare loro tempo.
« Non ti lascio Bryan. Ascoltami! Anche tu Bonnie » gli ingiunse, mentre riusciva a mettergli al collo il proprio cristallo di agalmatolite, facendogli perdere in un attimo gran parte delle energie. « Siete in pericolo. Quella gente vi braccherà finché non vi avrà messi in ginocchio. Non avranno pietà. Sono venuto per portarvi in un posto sicuro »
« Lasciami! » gli ingiunse ancora Bryan, che sembrava incapace di dargli retta.
« Otousan… perché quell’uomo ti ha chiamato Figlio del Re? » gli occhi azzurri di Bonnie, sgranati dalla paura, fissavano il genitore con una cupa consapevolezza ad aleggiarvi. Aveva il respiro irregolare, i capelli leggermente arruffati e la pelle sporca e graffiata per la caduta di poco prima tra le sepolture.
« Adesso non c’è tempo di spiegarvi » fu tutto ciò che riuscì a dire Irwin, senza trovare il coraggio di guardarla in viso. « C’è una nave ormeggiata a nord di- »
Altri colpi di fucile esplosero a pochi centimetri dalle loro teste, sbeccando le pietre tombali dietro cui si riparavano.
« SENCHOU-SAMA! » strillò una voce di donna dalla parte opposta, nel mezzo della lotta che infuriava. « SCAPPI! »
« Uccideteli! » sbottò furente Shirami, mentre un gruppo di cinque uomini-pesce malconci cercava di sfoltire le file dei marines.
Irwin colse il momento. Strattonò Bryan e agguantò per un braccio Bonnie, issandoli entrambi in piedi e puntando verso il limitare sinistro del cimitero che si affacciava sullo strapiombo del promontorio. A intralciare la via di fuga fu la ragazza, che puntellò i piedi voltandosi indietro verso la lapide dove era accovacciato uno scioccato Lewis.
« Non possiamo lasciarlo qui! Lo uccideranno! » protestò, cercando con le dita di arrivare all’amico, ma un proiettile la raggiunse, lacerandole la pelle della spalla. Gridò dal dolore, mentre una mano la spingeva di nuovo sul terreno, trascinandola al riparo.
« Bonnie! » strepitarono all’unisono padre e figlio senza fiato. Lewis balbettò il suo nome, risvegliatosi improvvisamente dalla trance di paura nel vederla contorcersi dal dolore per aver provato a salvarlo.
Le cose stavano precipitando, constatò Irwin, mentre con uno sguardo vedeva la lotta che si consumava tra i residui della nube che aveva usato come diversivo. I marines stavano avendo la meglio, ma il suo sguardo si incrociò con quello di Shirami, avanzato di qualche passo nella sua direzione, due pistole strette nelle mani. Quattro file di lapidi, incrinate dai proiettili, tra cui quella di Giulya, li dividevano.
« Riprendiamo da dove eravamo rimasti… Dimmi come raggiungere Raftel Island, Kinshi, e riserverò ai tuoi figli due celle vicine a Impel Down » intimò con lo stesso tono poco divertito.
Una rabbia, troppo a lungo soffocata, sfociò nell’uomo dai capelli rossi, che strinse a sé la figlia ferita, mentre ancora teneva salda una mano sulla collottola del minore.
« Noi non sappiamo niente di quel maledetto tesoro! I segreti di mio padre sono morti con lui! Perché te la vuoi prendere con loro!? »
Il sorriso falso che si aprì sul viso di Shirami non lasciò dubbi a Irwin.
« Non trovi giusto far sapere al mondo che in giro per il mare c’è ancora il sangue marcio del Re dei Pirati? Qualcuno che si prenda la responsabilità delle continue morti ingiuste, dei saccheggi, dell’odio verso questa generazione? »
La dolcezza velenosa di cui fu sfumata la frase gli fece contorcere lo stomaco, sentendo ognuna di quelle parole come una bugia ben progettata. Un luccicante specchietto per le allodole sistemato a dovere di cui lui intuì il secondo fine con disgusto.
« Sei solo un bugiardo… e non ti permetterò di sfruttare i miei figli per i tuoi scopi! » gli urlò contro, sentendo anni di ingiustizia e menzogne traboccargli dentro con prepotenza, tutto per un legame che lui non aveva mai né voluto né ricercato, ma che, come una catena, anno dopo anno, l’aveva avvinto, trascinandolo di fronte a una realtà non più ignorabile.
Il Vice Ammiraglio non rispose subito, rimanendo per un secondo sorpreso dalla risposta ricevuta.
« … sembra che tu non sia così inutile quanto pensassi, Seaheart D. Irwin. L’hai conosciuta, non è vero? Sai dove si nasconda!? » il tono cambiò radicalmente. Se prima voleva essere quasi canzonatorio, ora c’era una punta di folle avidità nella voce e nel sorriso maniacale con cui accompagnò colpi di pistola d’avvertimento nella loro direzione.
« E’ un pazzo… » biascicò Lewis, tenendosi la testa tra le mani mentre detriti degli spari alla pietra sovrastante gli rotolavano addosso.
« CHUUJOU! ALLE SUE SPAL- »
Il richiamo arrivò tardi. Le pistole di Shirami smisero di scaricare proiettili all’impazzata quando un manrovescio lo prese in piena guancia, proiettandolo in aria e mandandolo a sbattere lontano.
« Estella! » chiamò con sollievo Irwin verso la donna-pesce che aveva appena sistemato il Vice Ammiraglio, immobile contro le pietre frantumate. Gli uomini di Shirami erano tutti a terra, disarmati e pesti, ma dell’equipaggio che l’aveva seguito erano rimasti in piedi solo lei e Saba, feriti e al limite delle forze.
« Senchou-sama, dobbiamo andarcene, ne stanno arrivando altri » avvertì Estella con voce soffocata dal dolore. Perdeva sangue in più punti, i lividi addosso non le si contavano più e il tatuaggio della sirena con la corona che spiccava sulla sua spalla era stato sfigurato da più fendenti.
Con la poca grazia dettata dalla fretta, afferrò di peso Bonnie, rimettendola in piedi. Lei cacciò un gemito di dolore per la spalla, non avendo mai provato prima una fitta simile, e si accasciò contro la donna-pesce, alta quasi due metri.
« Ehi! Stai attenta, è ferita! E tu lasciami! » strillò il fratello lottando a vuoto, strattonato su e messo in spalla da Saba, che, senza fiatare, seguì Irwin nella direzione in cui avevano puntato prima che la loro fuga fosse stroncata. 
« Bryan! Bonnie! Aspettatemi! »
Lewis si era rialzato sulle ginocchia vacillanti e li stava guardando andare via con orrore. « Non lasciatemi qui! »
« Non possiamo occuparci di te » le parole di Irwin furono secche, sebbene un nuovo senso di colpa gli avvinghiò la bocca dello stomaco mentre lanciava uno sguardo alla lapide semi crollata di Giulya. La lista delle cose per cui avrebbe dovuto chiedere perdono si allungava sempre di più. « Faresti meglio a tornare verso la città, Lewis. Tuo nonno sta venendo a prenderti. Con lui sarai al sicuro. E dimenticati di Bryan e Bonnie »
« Otousan… per favore… » implorò la maggiore, il viso appoggiato sulla spalla di Estella.
« Maledetto! Lasciami andare mezzo pesce! Io non ci vengo con voi! Lewis! LEWIS! » si agitò il biondino ancora una volta, esausto.
Aveva capito che quella pietra azzurra che aveva al collo lo stava indebolendo, ma quando la toccava per cercare di togliersela si sentiva svenire. Tutto il potere che aveva avvertito scorrergli dentro inizialmente era sparito. Era come se la terra non lo chiamasse più, come se quel legame tra di loro fosse stato reciso.
La sensazione di impotenza, mentre vedeva Lewis ricadere seduto a terra senza parole, fissandoli con le lacrime agli occhi mentre venivano portati via di peso, era l’unica cosa che avvertiva, nitida alla stregua di una pugnalata. Allungò la mano verso l’amico, urlando e scalpitando, ma la presa che lo teneva sembrava fatta di acciaio.
A nulla valsero le sue lamentele. Il fratellastro divenne una figura rannicchiata e piangente in una desolazione di pietre e sepolture vandalizzate, con un picco a spezzare il paesaggio una volta sereno e di quieto riposo e corpi esanime di marine a costellare il terreno. Sentì alle proprie spalle il placido rimescolio del mare, e un attimo dopo la sensazione dello stomaco che gli saliva in gola, mentre il suo carceriere spiccava un salto dalla scogliera. Non aveva più neanche la forza di gridare. Tra i capelli scompigliati dalla caduta, vide il cielo aprirsi sopra di lui, alcune nuvole cineree ad oscurarlo.
E poi fu solo acqua, tanta, troppa acqua salata che lo trascinò nell’oblio.
 
 
 
 
 
Nord di Salmoa.
Piccola baia tra le scogliere.
 
 
 
Bryan riprese i sensi con una forte nausea. Un sapore salmastro gli bruciò sulla lingua e lungo tutto l’esofago, provocandogli un conato di vomito che rigurgitò sulla sabbia sopra cui era stato disteso.
Una mano gli batté qualche colpetto tra le scapole per aiutarlo, e una flebile voce lo richiamò. Quando rialzò lo sguardo annebbiato, sua sorella aveva un sorriso mesto a incurvarle le labbra screpolate. Si guardò intorno, la testa rintronata come dopo una lunga dormita, non riconoscendo nulla della piccola baia. Il suo sguardo tornò sulla sorella, mettendola bene a fuoco, e recependo la fine di un discorso di cui non aveva colto l’inizio.
« … sei svenuto in acqua. Ecco… otousan dice che è stato per colpa del Frutto del Diavolo che hai mangiato. Non sei più in grado di nuotare »
Di colpo, tutto gli tornò in mente. Il cimitero, la comparsa di suo padre, le vibrazioni della terra, lo scontro con i marines, Lewis che implorava di non lasciarlo…
« Dove siamo!? E la tua ferita!? » sbottò, cercando le forze per rimettersi in piedi, ma senza successo.
« A nord di Salmoa, stiamo per salpare… io sto bene… » sussurrò lei, esausta nel fisico e nell’anima.
Durante i minuti nei quali il fratello era rimasto incosciente, e che i due uomini-pesce avevano impiegato per sistemare la nave, suo padre l’aveva medicata, riempiendo il silenzio di anni con avvertimenti e istruzioni.
Parola dopo parola aveva iniziato ad afferrare la gravità della situazione, ma si ritrovava ancora incapace di prendere per vero tutto. Ammettere gli sproloqui di quel Vice Ammiraglio significava affermare che suo padre – che lei aveva conosciuto da sempre come Horner Irwin – in realtà si chiamasse Seaheart D. Irwin, e fosse figlio del Re dei Pirati, Gold Roger.
Questo legame faceva di lei e di Bryan i nipoti dello stesso. Il che, alla sua mente stanca e scombussolata dagli eventi dell’ultima settimana, suonava ancora come una macabra storiella.
La fase in cui pensava si sarebbe svegliata da quel sogno le cui radici affondavano nell’incubo era finita nel momento del tuffo in acqua, in cui il dolore per il proiettile alla spalla era diventato più vivido e bruciante che mai. Giunti alla baia, suo padre aveva iniziato con delle scuse, ma queste erano state presto sostituite da spiegazioni su cosa avrebbero fatto da quel momento in poi. Solo che per lei era come ascoltare il brusio di una radio non sintonizzata. Riusciva solo ad annuire di tanto in tanto, e a lasciarsi scappare gemiti di dolore durante la medicazione.
« Dobbiamo tornare da Lewis! » strepitò Bryan, nell’ennesimo tentativo di tirarsi su. Ma questa volta fu lei che, afferrandolo per un polso, lo trattenne. Calde lacrime le riempirono gli occhi al pensiero del loro fratellastro, ma il peso di tutto aveva iniziato a schiacciarla.
« Non possiamo andare da lui » mormorò con una voce così affranta che il biondino rimase a fissarla stupito. « È in pericolo con noi. Noi siamo in pericolo »
« Bonnie ha capito. Ed è ora che lo faccia anche tu, Bryan »
Irwin apparve alle spalle del ragazzo, guardandolo dall’alto in basso con espressione tesa e seria.
« Speravo avessimo più tempo per le spiegazioni e meno imprevisti. Il piano era lasciare illesi e senza tracce Salmoa, ma ci sono state delle complicazioni e non è ancora finita » nel mentre del discorso, aiutò i due ragazzi ad alzarsi. Sentiva lo sguardo bruciante d’odio del figlio addosso, ma sembrava che la mano della sorella stretta nella sua lo stesse dissuadendo dal riprendere a sbraitare. « Questa – e indicò l’imbarcazione alle sue spalle – è la Mermaids’ Melody. È una nave particolare, non dovrete fare nulla, vi guiderà lei. La rotta è già impostata. Ci aspetterete a Yoyone. Noi vi raggiungeremo quanto prima. Tutto chiaro? »
I segni di assenso furono vaghi. Bonnie annuì, i capelli biondi quasi ormai asciutti si erano arricciati per via dell’acqua marina, nascondendole il volto segnato dalla fuga. Al suo fianco il fratello sembrava stesse dando fondo a tutto l’affetto che provava per lei, riuscendo così a non saltare al collo dell’uomo che aveva dinanzi. Gli regalò tuttavia uno sguardo bieco e carico di rancore.
« Bene… » convenne atono Irwin, la mente proiettata altrove.
Per tanto tempo aveva creduto che il giorno più brutto della sua vita fosse stato quello in cui aveva perso sua moglie Maryn. Una perdita che l’aveva lasciato senza nessuna voglia di vivere, il cui dolore l’aveva portato lontano dai suoi figli, non riuscendo a guardarli in viso, a trovare un modo per confortarli e dire loro che sarebbe andato tutto bene, quando lui stesso non vedeva che il barato. Ora aveva davanti quei volti cresciuti, segnati da una fuga che non sarebbe mai dovuta avvenire.
Non riusciva neanche a capire dove avesse sbagliato. Come quell’uomo, Shirami, di cui sua madre un tempo gli aveva parlato con il calore che si usa per un amico, fosse riuscito a stanarlo, a sapere di lui e dei suoi figli. Questo nonostante gli accorgimenti, gli anni passati a seppellire quel legame con Gol D. Roger per poter vivere senza una minaccia costante sulla testa.
Shirami l’aveva chiamata giustizia il dichiarare al mondo l’esistenza di una discendenza del Re dei Pirati e dare così alla gente un capro espiatorio su cui sfogare l’angoscia e la rabbia dell’era della pirateria.
Semplice carne da macello, ecco cosa rischiavano di diventare Bryan e Bonnie. Trofei messi in mostra perché il Vice Ammiraglio potesse continuare con la sua opera. Opera di cui lui iniziava a vedere i contorni più nitidi, dopo il loro breve scambio di battute nel cimitero.
L’orribile sensazione che quanto successo quel giorno sarebbe stato solo l’inizio di qualcosa di molto più grande e sanguinario lo dissuase dai suoi pensieri, riportandolo a vedere la dura realtà che si rispecchiava negli occhi dei due ragazzi che aveva dinanzi. Per la prima volta dopo quattro anni erano stati gli eventi a strapparlo dal limbo in cui era vissuto fino a quel momento, e il sentore di pericolo gli aveva aperto la mente su quanto avesse lasciato ad aspettare due bambini ignari della propria sorte. Pensò che quella stessa sorte li stava riavvicinando e in modo o nell’altro avrebbero ricominciato.
« Senchou-sama… » la voce di Estella lo riscosse del tutto, mentre la donna-pesce gli si avvicinava, lasciando ai suoi piedi una sacca di stoffa grezza da cui si intravedevano delle micce. Irwin annuì, rammentando che mancasse ancora un’ultima cosa da fare. Ancora un ultimo taglio netto col passato.
« Allora… ci rivediamo tra circa due giorni » disse, squadrando i figli e ricevendo un secondo assenso altrettanto approssimato. Ripeté per l’ennesima volta ciò che avrebbero dovuto fare – essenzialmente lasciare che la nave li portasse a destinazione. « Saba aiutali a salire a bordo » furono le ultime parole che Bryan e Bonnie udirono da Irwin prima di ritrovarsi di nuovo da soli sul piccolo veliero.
Questo, di un insolito blu oceano, con le sue tre sirene scolpite a prua immortalate nell’intento di cantare, scivolò placido nei residui di bel tempo che sovrastava Salmoa. Il vento si era intensificato, ma le vele della Mermaids’ Melody rimasero raccolte sui pennoni, non avendo bisogno di esso per muoversi.
« Staranno bene, Senchou-sama? » chiese Estella.
« Non lo so… in realtà, so molto poco di loro » gli rispose sovrappensiero Irwin, per poi voltarsi con la sacca in spalla, incamminandosi verso la zona boschiva che li avrebbe riportati a Isca.
 
 
 
 
 
Un punto imprecisato nel North Blue.
La mattina seguente.
 
 
 
Era la prima volta che Bryan osservava l’alba dal parapetto di una nave in navigazione. Quando era piccolo ricordava di essere salito su alcuni pescherecci di Salmoa, ma non era mai andato così lontano da non vedere più il profilo della sua isola natale. Ora, ovunque si voltasse, c’era solo mare a perdita d’occhio, e un sole pallido che si alzava dal confine tra l’acqua e il cielo.
Non era riuscito a dormire quella notte. Si erano allontanati dall’isola a forma di uncino in breve tempo, ma non abbastanza da non scorgere in lontananza che qualcosa non andasse. Un’esplosione attutita e del fumo nero si era alzato dal profilo della città di Isca, lambendo il cielo con pennacchi foschi. Il vento, che spirava nella loro direzione, aveva presto portato l’odore acre dell’incendio, e i due ragazzi avevano assistito atterriti alla distruzione del luogo dove erano cresciuti.
Bryan aveva di nuovo sentito una rabbia accecante divampargli dentro, di nuovo la consapevolezza di non poter fare nulla, di essere stato catapultato in una situazione di cui non aveva afferrato la gravità ma il cui peso l’aveva travolto.
E poi era sopraggiunta la sensazione che più odiava. Il vuoto, il sapere di essere stato abbandonato di nuovo. La stessa sensazione che aveva provato quando suo padre gli aveva detto che sua madre era morta e poi si era voltato, andandosene e lasciandolo lì con mille domande e un male al petto insostenibile.
Mentre si allontanavano sempre di più da Salmoa aveva iniziato a prendere a pugni il parapetto della Mermaids’ Melody finché non si era sbucciato le nocche e sua sorella gli si era letteralmente lanciata addosso per fermarlo. Erano ruzzolati entrambi sul ponte, dove si erano ritrovati a piangere senza nessun pensiero di conforto.
Giulya era morta e avevano abbandonato Lewis; l’uomo che avrebbero dovuto chiamare “padre” più che salvarli li aveva aperti a verità inaccettabili mentre la loro isola si consumava tra le fiamme.
C’era voluta la stanchezza accumulata durante la giornata, e il dolore fisico della fuga, perché almeno Bonnie cedesse al sonno e si riposasse. Il fratello invece sentiva ancora troppe energie, troppi ronzii nella testa.
Aveva girato la nave con scarso interesse, più guidato dal bisogno di fare qualcosa e non pensare. Era sceso nella cambusa e aveva trovato un coltello con cui si era liberato del ciondolo bluastro che Irwin gli aveva cacciato a forza al collo. Era così tornata ad agitarsi in lui la sensazione di forza e potere che l’aveva dominato la mattina al cimitero. Ma per quanto la sentisse, avvertiva anche che questa energia fosse sopita, carica ma incapace di fuoriuscire.
Non ne sapeva molto sui Frutti del Diavolo – non ricordava nemmeno di averne mangiato uno – solo qualche chiacchiera scambiata con Giulya, ma intuì che se poteva manipolare la terra, forse avrebbe avuto bisogno di poggiare i piedi su di essa per sfruttarla.
Il resto della notte era trascorso cupo, silenzioso e freddo. Mille e più pensieri e sensazioni gli avevano fatto compagnia, spingendolo a ripensare alle parole udite al cimitero. Si rendeva conto di avervi prestato scarsa attenzione. La sua mente riusciva solo a incanalare tutto sulla figura di Irwin e a scolpire senza sosta l’odio nei suoi confronti. Si sentiva esplodere, e sapeva che l’avrebbe fatto di lì a due giorni.
L’alba aveva smorzato un po’ quello che era diventato un caos silente nella sua testa, facendolo quasi scivolare in una sorta di trance in cui la confusione di immagini e parole era tale che il suo essere vigile stava per venire meno, quando un grido acuto lo fece scattare di soprassalto.
« Bonnie! » urlò istintivamente, raggiungendo di volata il ponte della nave dove l’aveva lasciata a dormire.
La ragazza, ancora raggomitolata nella coperta che il fratello le aveva messo addosso, fissava terrorizzata qualcosa che stringeva tra le mani.
« Bryan… guarda… » sussurrò, porgendogli il giornale appena cadutole vicino.
Il biondino, perplesso, prese i fogli di carta e impallidì. Forse per la stanchezza, ma riusciva a cogliere solo alcune delle parole che il quotidiano sembrava strillare a gran voce.
Il ritorno del flagello dei mari”, “i discendenti del demonio”, “colpevoli della distruzione di Salmoa”. Era tutto così insensato che quando scorse i due avvisi di taglie, stentò a riconoscersi.
Eppure, in quei manifesti, erano proprio lui e la sorella:
 
“Gol D. Bonnie – Viva o Morta – 30.000.000 Berry”
“Gol D. Bryan  – Vivo o Morto – 90.000.000 Berry”
 
« Siamo… siamo ricercati… » mormorò senza fiato Bonnie, stringendosi tremante nella coperta.
Bryan non la sentì. Vedeva soltanto il giornale di fronte a sé, le assurdità e le bugie che costellavano la sua vita. Strinse la presa così forte che i fogli si strapparono, ma nulla gli importava. Ancora una volta, qualcuno aveva scelto per loro, qualcuno si era preso la briga di rovesciargli la vita e rendergliela impossibile.
Batté i pugni sul legno del pavimento, digrignando i denti.
Si era già detto di smetterla con le scenate. Niente lacrime. Era ora che prendesse in mano quel che gli rimaneva e che fosse lui stesso a dominare sulla propria esistenza.
« Vogliono un erede del Re dei Pirati? Lo avranno! » giurò, non avendo mai sentito un misto di emozioni tali dentro di sé. « Non permetterò più a nessun altro di decidere della mia vita! »
La sorella lo guardò a occhi sgranati, la mano premuta su una bocca incapace di esprimersi.
« E ti prometto che ti proteggerò Bonnie! Non mi lascerò portare via ciò che rimane della mia famiglia! Diventerò così forte che chiunque ci penserà due volte prima di mettersi sulla mia strada! »
Non si era accorto di aver alzato la voce, rimanendo a fiato corto, parlando e fissando la pagina di giornale dove lo strappo aveva diviso a metà la foto della sua taglia.
Credeva in quello che diceva, ora che tutti i tasselli della sua breve esistenza erano sparsi e impossibili da risistemare secondo una qualsiasi sua volontà. In realtà, non aveva mai pensato al futuro, a cosa avrebbe fatto, ma il tempo delle chiacchiere si era concluso.
Il mondo voleva trascinarlo in quella competizione per chi era il più forte a sopravvivere?
Non si sarebbe tirato indietro. Avrebbe preso a calci chi si sarebbe preso la briga di dargli ancora noie, chi pensava di mettere le mani su sua sorella o osasse sfidarlo.
Ben presto il suo nome, così urlato su quel giornale, sarebbe diventato presto un sussurro, una parola che in molti avrebbero temuto solo pronunciare.
 
 
 
 
 
North Blue, a largo di Yoyone.
Due giorni dopo gli eventi di Salmoa.
 
 
 
« Non ci sono tracce dei due ragazzi, Senchou-sama. Ho circumnavigato tutta l’isola ma nulla… » affermò la voce costernata di Saba, appena risalito a bordo della Syren.
Irwin si portò un mano alla tempia, sospirando pesantemente e serrando la mascella.
« Quell’incosciente di Bryan… » mormorò tra sé, intuendo cosa gli fosse passato per la testa. Con la mano libera, stringeva i volantini delle due taglie arrivate il giorno prima col giornale, il compiersi di ciò che più temeva. E anche i suoi figli dovevano aver letto la notizia.
Il mondo era venuto a conoscenza della loro esistenza, che la linea di sangue più temuta era sopravvissuta all’esecuzione di Rogue Town ed era tornata. Ci sarebbe stato parecchio scompiglio. Quanti avrebbero creduto alla notizia, quanti no. E poi sarebbe seguito un feroce pandemonio: rincorrere due ragazzini che insieme facevano una cospicua taglia sarebbe risultato per molti cacciatori un passatempo piacevole, soprattutto se ci si poteva poi gustare la fama che ne sarebbe derivata dal mettere le mani sui nipoti del Re dei Pirati.
« Dobbiamo trovarli prima che lo faccia qualcun altro » sentenziò, sentendo un senso di angoscia pervaderlo per la prima volta dopo così tanto tempo. L’angosciante sensazione di essersi lasciato scivolare tra le dita di nuovo un pezzo della propria vita. Aver rivisto Bryan e Bonnie dopo quattro anni aveva scosso qualcosa dentro di lui, quel qualcosa che avrebbe dovuto essere il suo orgoglio di padre, il suo volerli proteggere da un mondo per cui non erano pronti.
Per la prima volta sapeva di dover porre rimedio a ciò che troppo a lungo aveva ignorato.
 
 
 
 
 
Cielo. Regno di Heaven Ville.
Qualche giorno dopo gli eventi di Salmoa.
 
 
 
« Ma chérie, sembri un po’ sconvolta »
« A me pare invece che a te la notizia diverta »
L’uomo alzò le spalle, tornando a girare il cucchiaino nella tazzina del caffè.
« Più affari per me, mon trésor » rispose placido, assaporando l’aroma che impregnava l’aria con un sorriso sdolcinato.
La donna seduta all’altro lato del tavolo bianco lo ignorò, rileggendo la prima pagina del giornale per l’ennesima volta. Era raro che i quotidiani del Mare Blue giungessero fin lassù, ma la notizia era di proporzioni così sconvolgenti che scommetteva perfino i sassi ne stessero parlando.
« Io direi, mon amie, che ce ne possiamo preoccupare quando riscenderemo, che dici? » bisbigliò con voce carezzevole l’uomo all’orecchio della compagna. Lei trasalì, non essendosi accorta di avercelo alle spalle tanto era intenta a vagliare le cavolate del giornale nella speranza di trovare qualcosa di sensato nascosto tra le righe. Le mani di lui le scivolarono sulle braccia lisce, risalendo poi sulle spalle, dove le dita scostarono vezzosamente le spalline della mise da notte, scoprendo parte del seno. Ma il gioco durò poco, poiché lei non riuscì a distogliere lo sguardo dalle foto segnaletiche stampate sul foglio.
« Anticipiamo a stasera » stabilì, reclinando la testa indietro e lanciandogli una lunga occhiata seria. « Sono sicura che a Dante farà piacere sapere che sei celere sul lavoro » aggiunse, con un sorriso pieno che fece sospirare l’uomo con una rassegnazione che tanto rassegnata non sembrava, visti i cuoricini innamorati che sprizzò verso la bella mora.

 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Saba: sempre dal giapponese, è lo “sgombro”.
- Kinshi: ho accostato la pronuncia di due kanji giapponesi, rispettivamente “oro” [kin] e “figlio” [shi] (o “erede”, poiché hanno la stessa pronuncia). Da qui “figlio dell’oro”, che è sia il nome dell’operazione di Shirami, sia il soprannome con cui chiama Irwin, figlio appunto di “Gold” Roger. In più, la pronuncia di Kinshi può significare anche qualcosa di “proibito”.
- Ma chérie, mon trésor, mon amie: dal francese “mia cara, mio tesoro, amica mia”.
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Sono riuscita a suscitare in voi un po’ di interesse in più? Spero di sì!
Cominciamo con qualche nota fondamentale: sì, ho sconvolto qualsiasi cosa ci sia nel manga di One Piece legato a Gold Roger. Quando iniziai a scrivere questa storia di lui, e di Ace, non si sapeva proprio un accidenti… e in questa fanfic siamo solo all’inizio delle rivelazioni.
Fatta questa premessa, ecco le note che reputo importanti da tenere a mente:
 
Personaggi nuovi:
- Gol D. Bryan e Gol D. Bonnie: fratello (14) e sorella (16), figli di Seaheart D. Irwin e Blodwen Maryn.
- Seaheart D. Irwin: figlio di Gol D. Roger e… Coralia. Nominata nel capitolo, più avanti vi dirò anche di lei, chu.
- Giulius Lewis Armstrong: (14) amico d’infanzia di Bryan e Bonnie, figlio di Giulya Ottavia Armstrong, marine. 
- Shirami: ecco… lui è il mio “cattivo”. Il suo nome significa “pidocchio, persona spregevole”. Non gli voglio particolarmente bene, ma mi impegnerò per renderlo un degno antagonista u.u!
 
- Gold Roger: durante la fanfic vedrete che userò parecchio questo modo di chiamare Roger, ossia storpiando il suo cognome. Un po’ perché è impossibile far dire sempre al personaggio “Gol D. …”, non suona. Un po’ perché mi immagino che i più siano cresciuti con questo mito del “Gold”, come dice anche Rayleigh, se non sbaglio.
 
- Frutti del Diavolo: è apparso il primo (quello che io, da romana doc, chiamo “Tera Tera” XD) di molti altri… vi dirò man mano di ognuno di loro. Il Frutto della Terra è di tipo Rogia, ma non è utilizzabile lontano da questa.
 
-  Mermaids’ Melody: non ridete, vi prego. All’epoca quando nominai così questa nave ancora non era arrivato in Italia l’omonima serie televisiva… ora io stessa, ogni volta che la rileggo, mi metto a ridere… ma non la cambierei mai!
Particolarità di questa nave: non ha bisogno del vento per muoversi e fa parte delle navi della “Triade del Mare”, insieme alla Syren di Irwin. I dettagli a tempo debito!
 
- Incendio: non so se è intuibile, ma Irwin alla fine è tornato a Isca e ha fatto saltare in aria la sua vecchia casa e quella di Giulya per tentare di nascondere altre eventuali tracce.
 
- Heaven Ville: ultimo pezzettino finale, giusto per infittire ancora di più la trama. Un Regno nel Cielo ~
 
A volte le note sono più lunghe del capitolo, in proporzione XD Non vogliatemene!
So che gestire personaggi originali, soprattutto così tanti, è difficile. Cerco sempre di risistemare i capitoli per rendere tutto il più chiaro possibile, ma se avete dubbi, chiedete pure!
 
Grazie mille per i commenti! Grazie a mlegasy, Keyra Hanako D Hono e jillianlughnasad! Ricevere i vostri pareri mi ha riempito non solo di gioia e di autostima, ma mi ha proprio risollevato la giornata! Spero che la mia storia continuerà a piacervi e incuriosirvi!
 
Ultimissime note: sul mio blog di Tumblr [ http://heavenlyeve.tumblr.com/ ] troverete qualche disegno e qualche curiosità in più per la storia, solo perché quando mi incaponisco con qualcosa divento una maniaca… ! No in realtà ci tengo davvero a questa fanfic =)
 
Per concludere, mi spiace aver aggiornato dopo due settimane, ma i preparativi di lavoro per il Lucca Comics mi hanno totalmente assorbito e non sono riuscita a postare prima! Cercherò di non farvi attendere di nuovo così tanto!
 
Bacioni!
Nene

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Capitolo 3
*** Capitolo I - Incubo ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo I -
[Incubo]
 
 
 
Welcome to your life
There's no turning back
Even while we sleep
We will find you
 
[Everybody wants to rule the world – Lorde]
 
 
 
 
 
 
Grand Line.
Quattro anni dopo l’incidente di Salmoa.
 
 
 
C’era finalmente pace.
Le onde del mare la cullavano, carezzandole la pelle livida e ferita, divenuta ormai insensibile al dolore. I suoi occhi stanchi vedevano solo una volta color indaco priva ancora di luna ma con qualche timida e tremula stella qua e là, mentre gli ultimi residui di forze stavano scemando da lei, insieme alla coscienza. Tutto nella sua mente sfumava e la voce del mare, come una nenia senza tempo, la confortava, lasciando che quegli incubi, quelle figure nere, il fumo, le fiamme, i corpi, tutti scivolassero nel buio dei sensi.
L’ultimo pensiero fu rivolto a lui, e, per un istante, il dolore si trasformò in rimorso.
Non l’aveva trovato, non l’aveva salvato… forse era morto.
Le parve di sentire un grido lontano mentre le palpebre calavano, ma lei non desiderava altro che abbandonarsi.
 
« UOMO IN MARE! »
 
 
 
 
 
Grand Line, isola di Tsuri Fish.
Qualche ora prima.
 
 
 
Era un inferno di fiamme e di grida e di cadaveri e di orrori.
Gli alberi bruciavano, i corpi bruciavano e quei demoni ridevano, fendevano e trucidavano.
« Matt! »
Un richiamo alto ed eguale ad altri, destinato a non essere ascoltato.
« Matt! MATT! »
Fu scossa da un susseguirsi di battiti scoordinati, di affanni e di colpi di tosse. Il fumo avvolgeva l’intera spiaggia, creando una cortina densa di figure grottesche e indistinte. Lo scricchiolio del legno che ardeva le stava dietro ad ogni passo, col suo cadenzato ritmo distruttore. La fuliggine le arrossò gli occhi, facendoglieli pizzicare dolorosamente.
Ma non aveva tempo di fermarsi, di avere paura: l’adrenalina scorreva in lei come una scarica e non poteva sprecare quei pochi attimi di irrealtà che ancora vacillavano in lei.
Com’era potuto accadere?
« Matt! »
Perché di nuovo?
« Matt! Mat-cough »
Si era allontanata di poco quel giorno e non aveva sentito niente, non aveva avuto alcun sentore.
« Matt! »
Un corpo esanime emerse all’improvviso dalla nebbia grigia e spessa, crollandole addosso. Strillò, tentando di sottrarsi a quell’abbraccio mortale, ma finì anche lei in terra sulla sabbia calda e raggrumata di sangue. Urlò di nuovo, rotolando via da sotto la massa di carne morente e sfigurata. Subito, qualcuno le afferrò il polso con poca forza e lei si voltò di scatto, fissando il viso martoriato di un altro che non riconobbe e tentava di trascinarsi via dalla morte che già aleggiava nelle sue pupille dilatate. Strattonò il braccio in preda al panico,  tirandosi in piedi così velocemente che quasi inciampò nella sua stessa tunica.
Dai suoi occhi sgorgavano copiose lacrime di orrore e smarrimento, mentre teneva le mani serrate al petto e le labbra si muovevano continuando a pronunciare un unico nome.
« Matt… »
La sua voce era ormai rauca e la sua gola bruciava dei vapori dell’incendio. Si guardò intorno senza capire dove si trovasse. Il piccolo villaggio dove abitava, e che aveva salutato poche ore prima, non esisteva più. Non c’era più un contorno famigliare, una casa che non fosse arsa dalle fiamme, una strada senza sangue a macchiarla.
E qualcuno stava avanzando nel fumo davanti a lei. Qualcuno con una spada.
Si voltò, correndo senza guardare dove andasse. Sbatté contro l’ennesimo sconosciuto, ma non lo degnò di un’occhiata, come con il successivo e quello dopo, che però l’afferrò saldamente per un braccio, bloccandole la fuga. La strattonò verso di sé e il cappuccio di tela le scivolò, rivelando i corti capelli blu di Prussia che le cinsero le guance in ciocche disordinate. L’uomo sogghignò.
« Tu da dove spunti? » le sorrise malignamente, gli occhi colmi di cupidigia.
Il terrore si impossessò della sfortunata, trafitta da quello sguardo, da quell’intenzione spudoratamente visibile, riaprendo in lei una vecchia ferita che credeva rimarginata da tempo.
Fu un altro scatto, dettato dal sangue che le pulsava vertiginosamente nelle vene e da una paura che stava sfociando nel panico, a farle strattonare così forte il polso che entrambi finirono a terra, lei sbattendo in malo modo la schiena contro i resti di qualcosa e il suo aguzzino carponi ai suoi piedi.
« Che diavolo credi di fare!? » urlò furioso l’uomo, ma lei sgusciò via dalla sua stretta, assestandogli un calcio alla spalla; un calcio forse troppo debole, perché il pirata non perse tempo e la colpì all’altezza della vita con la spada già tinta di cremisi.
Il dolore fu inatteso e la mente le si annebbiò per un attimo, ma non gli avrebbe permesso di metterle le mani addosso. Si tenne il fianco e annaspò sulla sabbia, il caldo liquido vermiglio che le scorreva tra le dita e la testa che pulsava.
« Matt… »
Fuggì, ma ovunque guardasse c’era soltanto distruzione e sfacelo.
« Matt… »
Inciampò e cadde a terra, una fitta di dolore dalla caviglia destra. Non riuscì a controllare i gemiti di dolore che la scossero, seguiti dalla nausea e da un improvviso conato di vomito che la fece crollare definitivamente; la realtà prese a vorticarle davanti agli occhi stanchi.
Le ci volle del tempo, tra gli affanni e i colpi di tosse, a rialzarsi e trascinarsi fuori dalle volute di fumo, sul bagnasciuga, il mare placido che si stendeva davanti a lei in tutta la sua bellezza eterea. Solo due profili interrompevano la vastità di quello splendore: due navi erano ancorate poco lontane, il Jolly Roger dallo sfondo cremisi che svettava su ognuno degli alberi maestri, con il nero teschio ridente munito di un paio di corna da toro.
Il suo incubo, come sei anni prima.
« MATT! » urlò con il poco fiato rimastole e le forze che progressivamente la abbandonavano. I suoni e le immagini stavano diventando un tutt’uno insensato. Il corpo e la mente desideravano che si lasciasse andare alla stanchezza, che si abbandonasse per non sentire il pulsare delle lesioni. Eppure qualcosa la stava trattenendo dall’oblio, qualcosa che la incoraggiava a non arrendersi.  
Alzò di scatto la testa, guardando proprio di fronte a sé. Non lo vedeva, ma lo sentiva. Era certa che lì, in mezzo al caos, alle grida scoordinate e le suppliche, ci fosse anche la sua voce.
« Matt » mormorò, tentando di fare appello alle poche forze che le restavano. Si trascinò in acqua, avvertendo il bruciare del liquido salino sul fianco leso, ma allo stesso tempo trovando quel contatto rassicurante.
Nuotò, tentando di sfruttare le sue capacità, ma l’energia era poca, come anche la lucidità.
« Matt… »
Le membra divennero pesanti, insieme al pensiero e alle parole.
« Matt… »
 
 
 
 
 
 
« Si rimetterà presto? »
« Chi l’ha ferita non ha preso punti vitali, ma avrà bisogno di molto riposo »
« Mmmh…  appena si sveglierà dovremmo chiederle cosa le è successo… »
« Ohi, lasciatela dormire e venite ad apparecchiare! »
Voci, odori di cibo, e il cigolio di una porta che veniva socchiusa. La testa le pulsava dolorosa, stanca. Avrebbe voluto scivolare di nuovo nella tranquillità di un sonno senza sogni, di dormire e annullare tutto, ma quel martellare della tempia non riusciva a farla riposare. Si mosse piano, i muscoli tesi e riottosi, prima che una fitta al fianco la percorresse come una scarica elettrica. Gemette appena e aprì gli occhi. Muovendo di poco il viso spaziò con un’occhiata la stanza in penombra, le scaffalature ricolme di boccette e scatole, la scrivania e il piccolo oblò con la tenda tirata da cui entrava uno spiraglio di luce.
Fu come ricevere una seconda scossa lungo la schiena, dritta fino al cervello, e i ricordi si affacciarono in un improvviso teatrino macabro. Ricordò la sua isola avvolta dalle fiamme, l’odore acre, i corpi per strada, il pirata che l’aveva ferita. E poi…
« Matt… »
 
 
 
« Mh? »
Nami abbassò il libro che stava leggendo per lanciare un’occhiata in un punto imprecisato sopra di lei. Distesa su una sdraio sul ponte di coperta della Sunny, si stava rilassando prendendo i raggi del mite sole della tarda mattinata, quando il suo orecchio aveva captato un rumore dalla zona sovrastante, dove stava la cambusa.
“Ci manca che siano loro a combinare qualche guaio…” pensò, rimanendo in attesa di sentire altro, per capire se dargli peso o meno, ma la sua attenzione fu interrotto da un più che sonoro brontolio. 
« Naaaami… » pigolò a poca distanza Rufy, supino sul prato, le gambe incrociate per aria, mentre si teneva lo stomaco. « Saliamo a vedere se è pronto? »
« Non se ne parla. Ci chiamerà Sanji quando sarà ora » tagliò corto la navigatrice, riabbassando lo sguardo sulle righe del libro e soprassedendo su ciò che l’aveva distratta.
« Ma io sto morendo di fame » protestò debole il capitano, trattenendo invano con le mani un secondo borbottio della pancia.
« Ne abbiamo discusso prima. Se aspettassi in cucina coi tuoi modi impazienti faresti troppo casino, e quella ragazza ha bisogno di silenzio per riposare » spiegò secca, senza staccare gli occhi dalla lettura.
« Ma… »
« No »
« Qualcosa di piccolooo… »
La rossa lo ignorò, mentre Rufy prese a borbottare su come la sua navigatrice fosse una spietata dittatrice, confermando però la sua indole poco incline allo stare tranquillo dondolando sulla schiena e finendo quasi addosso a Zoro, che poco più in là dormiva come solo lui sapeva fare.
Il capitano stava per ridare voce al suo stomaco, quando uno strillo che scadeva nell’isterismo stroncò sul nascere qualsiasi lagnanza.
« NON AVVICINATEVI! »
In un batter d’occhio, l’evidente fame del capitano e il sonno dello spadaccino svanirono, i sensi allerta. Nami scattò in piedi, abbandonando il libro sulla sdraio, e si diresse spedita verso la mensa, seguita da Rufy e Zoro.
 
 
 
 
 
All’interno della cucina l’aria era immobile e la tensione palpabile. Una gocciolina di sudore scese lungo i lineamenti del viso di Usopp, gli occhi fissi sulla donna addossata alla scaletta che portava al ponte di poppa. Ai piedi del cecchino stava uno spaventato e confuso Chopper. Alla sua sinistra invece, qualche passo più avanti, c’era Sanji, di cui non poteva vedere l’espressione, ma poteva immaginarsela.
La sconosciuta, quando aveva scorto il cuoco avvicinarsi, gli aveva intimato di stare indietro, minacciandolo col coltello che aveva recuperato dal tavolo con un’agilità che aveva lasciato i tre impreparati.
Sanji non si era però perso d’animo, anche di fronte al gelo dei suoi occhi.
« Non è nostra intenzione farti del male » disse, allargando le braccia come a invitarla a colpirlo se non gli avesse creduto. Lei non si mosse, lo sguardo febbrile che scattava in giro per l’ambiente. Uno sguardo che dietro le gelide stalattiti celava un profondo panico. Se non fosse stato per il fatto che conoscesse le donne meglio di sé, il biondino avrebbe detto che fosse unicamente odio. Azzardò un passo e lei, rapida, levò la mano in cui aveva la corta lama.
Una manciata di minuti prima, la sconosciuta che avevano salvato dal mare la sera precedente aveva fatto capolino dalla porta dell’infermeria, attirando su di sé le attenzioni dei tre presenti. Il suo viso era ancora pallido e i capelli scarmigliati. Si stringeva nella felpa verde prestata da Nami, osservando l’ambiente circostante con sguardo smarrito.
Il cecchino e il medico erano subito accorsi, preoccupati ma contenti di vederla in piedi, riempiendola subito di domande e premure che il cuoco aveva stroncato sul nascere, vista la riottosità con cui lei pareva affrontare il loro entusiasmo. Inutile aggiungere che il biondo fece la voce grossa per poi profondersi in stucchevoli commenti sull’essere felice anche lui di saperla destata.
La ragazza aveva accennato un mezzo sorriso e un cenno affermativo con la testa, mentre la piccola renna le consigliava di sedersi sul divano della cambusa, snocciolando pareri medici sul riposo. Ben presto però la giovane lo aveva interrotto, lo sguardo interrogativo che ancora vagava in giro per la stanza, per chiedergli con voce flebile, data la gola secca, dove si trovasse e chi fossero loro.
La situazione era degenerata in una frazione di secondo alla risposta entusiasta di Chopper.
Sei sulla nostra nave pirata!”
Sanji aveva fatto appena in tempo a registrare il cambiamento di tensione, che la piccola renna era caduta a terra a seguito dello scatto fulmineo della donna verso il tavolo, dove si era armata e aveva allontanato da sé il cecchino.
E ora rimanevano ancora in una situazione di stallo.
« Non stai ancora bene! La tua feri- »
« Stai lontano! » minacciò ancora lei in risposta alla preoccupazione del medico, anche se istintivamente portò una mano al fianco leso, sentendolo pulsare.  Non riusciva a ragionare con lucidità, sia per il dolore sia per la paura.
Pirati, pirati… riusciva a pensare solo a quello e al desiderio di scappare. Trovare Matt era ciò che contava davvero.
Nel mentre la porta si spalancò e l’attenzione di tutti si focalizzò sull’uscio, dove si stagliava la figura di una Nami corrucciata, seguita da un vigile Zoro e dall’immancabile curiosità di Rufy.
« Che diavolo sta succedendo qui? » domandò con cipiglio alterato la navigatrice, fissando prima la sconosciuta e poi i suoi compagni. Ma nessuno dei quattro rispose, troppo intenti a fissare ognuno le mosse dell’altro. La rossa si spazientì. « Allora? »
« Sembra che non apprezzi molto i pirati » azzardò Usopp, ben attento a tenere sottocchio la donna mentre si voltava verso l’amica. Sanji, invece, rimase dov’era, apparentemente studiando la loro ospite.
Nami, comprendendo al volo, rivolse la propria attenzione all’altra, incrociandone lo sguardo con una cupa consapevolezza in testa. Il suo tono fu serio, ma pacato.
« Puoi mettere giù quel coltello, non ti servirà a niente comunque »
Ma le sue parole suscitarono l’effetto contrario e la sconosciuta rafforzò la presa sul manico, mordendosi un labbro, lo sguardo sbarrato dall’agitazione.
L’avevano salvata, ma non poteva fidarsi.
« Lasciatemi andare » soffiò, fissando la navigatrice.
Quella fece spallucce, accennando alla porta.
« Per conto mio puoi andartene quando ti pare »
« No! »
A intervenire, inaspettatamente, fu Chopper, lo sguardo serio e preoccupato. Si girò verso la sua paziente, prendendo un respiro profondo; era rimasto colpito dall’aggressione di lei, che gli aveva lasciato intendere di averle fatto qualcosa di male, ma adesso quella non era la cosa più importante.
« Il tuo corpo è ancora debole per il sangue che hai perso » disse calmo, rientrando in possesso della sua voce professionale e ragionevole. Alzò uno zoccolo, indicandole il fianco. « Se la ferita si riaprisse rischieresti di svenire di nuovo »
« Chopper ha ragione » convenne Nami con un sospiro profondo.
Nello stesso momento, indesiderato e inopportuno, il fracasso provocato dal metallo che cozza in terra rimbombò nell’ambiente. Il rumore fece sobbalzare metà della ciurma, il cuoco in primis, che intuì la scena con uno sgradevole brivido lungo la schiena.
« Ops… » deglutì Rufy, coperchio di una pentola in mano, mentre osservava il disastro per terra. Come se nella stanza non stesse accadendo alcunché, si era avvicinato ai fornelli per sbirciare il pranzo, ma aveva involontariamente urtato il tegame a fianco, provocando il disastro.
« Brutto pezzo di idiota! » sbottarono al contempo Sanji e Nami, rivolgendogli le loro più feroci e aguzze espressioni.
E quello fu l’attimo.
Il coltello roteò su se stesso, cadendo sulle assi del pavimento. Quando fu a terra, la ragazza aveva già superato la renna e il nasone, puntando senza esitazione alla porta. Non aveva però fatto i conti con Zoro che, a differenza degli altri, riuscì a reagire in tempo placcandola per arrestarne la fuga.
Lo spadaccino si rese conto solo tardi di averle fatto male, sentendola gemere per averle premuto involontariamente sulla ferita al fianco.
« Calmati! » le intimò quando quella prese a divincolarsi come una pazza nella sua stretta, tanto che dovette rendere la presa più salda.
Un tremito scosse la donna. Il sangue le parve improvvisamente stagnarsi nelle vene e il terrore la gelò. Con una scarica di ricordi e sensazioni a mozzarle il fiato, mossa dall’irrazionalità, fece l’unica cosa che le riuscì logica: lo morse.
L’imprecazione di dolore del malcapitato si levò alta, come le sue braccia che respinsero malamente la fuggiasca verso la porta, mentre il sangue imbrattava la mano e il collo della maglietta bianca dello spadaccino. Ma le sorprese, o meglio, le sciagure sembravano non aver fine. Con uno stupore che gli fece quasi dimenticare quello che era appena successo, Zoro notò in mano alla donna qualcosa che lo fece seriamente arrabbiare: era riuscita a sfilargli dal fianco una delle sue spade, la Shusui.
« Restituiscimela subito » le ordinò, ma lei si era già voltata per fuggire.
La donna spiccò un salto dal cassero di poppa atterrando sul morbido prato del ponte di coperta, ma per quanto l’atterraggio fosse ben calcolato, avvertì una fitta più dolorosa al fianco e alla caviglia. Non ebbe tempo di fermarsi a riprendere fiato che lo spadaccino le fu subito dietro, quasi agguantandola con la mano mentre le voci dell’equipaggio li richiamavano entrambi a gran voce. Lei scartò con un ultimo scatto di agilità verso il parapetto della Sunny e si tuffò in mare, stringendo la katana rubata come fosse l’unica alleata che avesse.
Zoro, dimentico delle urla dei suoi compagni e della ferita al collo, la seguì in acqua, determinato a riprendersi la spada.
Tra le bollicine provocate dal salto repentino fu sicuro di aver afferrato qualcosa, ma quando riemerse si trovò tra le mani solo la felpa che la donna aveva indosso. Imprecò, prima di spaziare con lo sguardo la superficie per individuare la direzione in cui stava scappando. Ma il pelo dell’acqua era silenzioso e appena increspato, senza alcuna traccia.
Era sparita.
 
 
 
 
 
 
Una smorfia deformò il viso di Zoro, ma non emise un fiato. Chopper, chino su di lui con un batuffolo bagnato di disinfettante e in un silenzio snervante, gli stava pulendo il morso che la loro temporanea ospite gli aveva lasciato sul collo. Il volto dello spadaccino si deformò in un’altra smorfia, questa volta accompagnata da un pugno al tavolo della cucina, che scricchiolò, riscuotendo i presenti dal torpore.
« Modera la tua frustrazione » lo riprese il cuoco, accendendosi l’ennesima sigaretta: in neanche un’ora se ne era fumate una mezza dozzina, appoggiato ai fornelli.
Lo spadaccino si volse verso di lui, ringhiando.
« Taci »
Era così arrabbiato che non aveva neanche voglia di sprecare parole a insultarlo. In sostituzione, si fulminarono con lo sguardo e, se non fosse stato per la tempestiva entrata di Nami, Robin, Franky e Brook, sicuramente se ne sarebbero date come al solito.
« Piantatela di battibeccare » proruppe la rossa, immaginando cosa avesse appena interrotto. Zoro masticò un’imprecazione, mentre Sanji si perse a mandarle tanti cuoricini, per poi tornare serio e attendere il responso a cui erano giunte le due donne.
« Avete capito cos’è successo? » domandò serio Usopp, in piedi a braccia conserte poco distante dall’angolo in cui era stato rilegato un Rufy dall’aria oltremodo depressa, essendosi visto negare il pranzo per quanto accaduto.
La navigatrice sospirò, segno che quel rompicapo non aveva ancora una soluzione.
« La spiegazione più plausibile » iniziò con un’alzata di spalle « è che se ne sia andava via a nuoto »
A quelle parole, Zoro scattò in piedi e per poco Chopper non finì a terra con tutto lo sgabello.
« Non è possibile! » disse a mo’ d’accusa, sbattendo di nuovo la mano sul tavolo.
Nami si trattenne dall’assestargli un pugno in testa ritenendo inutile perdere la pazienza: lo spadaccino aveva i nervi a fior di pelle a causa del furto subito e sapeva che era meglio non infierire e lasciargli sfogare l’umiliazione con quei gesti.
Robin, stringendosi nelle spalle, sostenne le parole della compagna:
« In realtà è possibile. Probabilmente abbiamo a che fare con una sirena »
Seguì un lungo momento di sorpresa, prima che i vari membri maschili della ciurma se ne uscissero con le reazioni più disparate, dall’esaltazione alle domande stupide.
« Ah… » sospirò infine Brook, con aria tristemente trasognante  « Non ho fatto in tempo a chiederle di mostrarmi le mutandine… »
Nami mise presto fine a qualsiasi ulteriore commento, costatando come al solito che i suoi compagni non fossero in grado di produrne uno sensato.
« Ma non aveva la coda! Neanche quando era in acqua e Sanji l’ha salvata! » fece notare Chopper tutto concentrato.
« In effetti, è l’unica cosa che non riesco a spiegarmi » acconsentì Robin pacata, con un sorriso verso il medico che si sciolse. « Tuttavia, questo continua ad avvalorare la mia tesi »
Nel dirlo, depose sul tavolo della cucina un fazzoletto di stoffa al cui interno brillava un pendente blu. A forma di cavalluccio marino, nella parte centrale del corpo era incastonata una pietra di un limpido blu oceano. Quando avevano salvato la ragazza la sera prima, l’attenzione della mora era stata subito attirata dalla collana, motivo per il quale era rimasta chiusa in biblioteca con un Brook curioso tutta la mattinata.
« Si tratta di un Cristallo di Agalmatolite. È molto più potente dell’agalmatolite classica che conosciamo. L’intero pendente è fatto dello stesso materiale, ma questo tipo di cristallo si può trovare solo a SubAquaea » spiegò l’archeologa, ma i punti interrogativi sulle facce dei compagni la spronarono a continuare.
« Parlo del Regno del Mare, il luogo dove dimorano sirene, tritoni e uomini-presce. Hanno leggi molto severe riguardo l’accesso di esseri umani entro i propri confini, e questo tipo di collana si può trovare solo lì. Per questo penso che quella ragazza sia una sirena, o qualcosa del genere » fece per concludere, prima di soppesare un’ultima idea, che sottolineo con un’alzata di spalle: « A meno che non abbia rubato pure questa e sia davvero brava a nuotare. L’agilità non le manca da quello che mi avete riferito »
« Tutto questo però non è d’aiuto per ritrovarla » precisò Zoro con una nota irritata, le dita affondate nelle cosce. Avrebbe voluto tenere le braccia serrate e incrociate al petto, come quando era nero di rabbia, ma la ferita al collo pulsava impedendogli quella posizione e aggiungendo ulteriore frustrazione a quella che già lo macerava.
Riluttante, il resto dell’equipaggio dovette trovarsi d’accordo.
« Be’ » iniziò Sanji, spirando con apparente tranquillità una nuvoletta di fumo « che cosa facciamo? »
Non lo dava molto a vedere, ma era preoccupato per la ragazza, indipendentemente dal suo appartenere al gentil sesso. La sua era stata la reazione di chi era spaventato a morte, quasi si fosse sentita braccata.
Nella stanza scese per un attimo il silenzio, rotto solo dai borbottii insensati di Rufy che stava ancora facendo i cerchietti per terra nel suo angolo e il rimuginare rumoroso di Franky, come se avesse avuto davvero delle rotelle al posto del cervello.
« Chopper » iniziò alla fine Nami, pensierosa. « Che tipo di ferite aveva? »
Se la sua intelligenza non l’aveva abbandonata, partendo dal principio, avrebbe potuto trovare un modo con cui rintracciare la sconosciuta seguendo i pochi indizi che avevano su di lei.
La renna rifletté un attimo.
« Una ferita al fianco, sono sicuro causato da una spada. Oltre questa, alcuni lividi e graffi e un leggero gonfiore alla caviglia » e con gli zoccoletti descrisse a gesti il taglio e la traiettoria che secondo lui doveva avere avuto la presunta lama.
Robin e Nami si scambiarono uno sguardo, concordando entrambe un possibile retroscena.
Mentre gli altri iniziavano a esprimere le loro domande sul « cosa state pensando? », le due si diressero verso l’infermeria, recuperando la tunica indossata dalla donna nel momento in cui l’avevano trovata. Era strappata e bruciacchiata in più punti, oltre che macchiata di sangue. Il mare aveva cancellato la maggior parte delle tracce di fuliggine, ma un odore acre era ancora percepibile.
« È solo una supposizione, ma credo che in qualche isola qua intorno ci sia stato un saccheggio da parte di pirati, e lei ci si sia trovata in mezzo. Probabilmente sta tornando verso casa »
E il fatto che avesse rubato la spada di Zoro non la rassicurava per niente.
« E… come la troviamo? Seguiamo il Logpose? » domandò ingenuamente Chopper.
Lei gli fece l’occhiolino di rimando.
« Useremo il tuo fiuto » rispose.
Il piccoletto rimase perplesso, come gli altri. Lo spadaccino si stava nuovamente spazientendo.
« Taglia corto, Nami » le disse brusco, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del cuoco.
« Devono aver messo a ferro e fuoco la sua isola » chiarì seria, ricevendo il sostegno di Robin e Franky. « L’attacco è sicuramente recente, e forse le tracce dell’incendio sono ancora percepibili nell’aria »
« E la teoria sull’essere una sirena? Se fosse tornata a questo Regno del Mare? » fece notare Usopp, scettico.
« Speriamo che non sia così » fu la sola risposta della navigatrice. « A ogni modo, intanto proviamo così »
« Lasciate fare a me » disse deciso Chopper, battendosi uno zoccolo sul petto, desideroso di potersi rendere utile per cercare quella donna senza nome di cui aveva cara la sorte.
Gli altri assentirono col capo, iniziando a muoversi.
 
 
 
 
 
Il piano di fiutare l’aria alla ricerca di una traccia si dimostrò più complicato e lungo del previsto. Chopper aveva iniziato a girarsi tutta la Sunny, dalla prua alla poppa, fino su alla coffa, saggiando col suo strano nasino blu qualsiasi brezza circostante, concentrandosi come mai aveva fatto prima. A seguirlo c’erano stati Nami, pronta a segnare la rotta con alla mano alcune cartine del mare circostante scovate in un ammuffito atlante, Brook, ancora una volta curioso delle capacità dei suoi compagni, e la presenza affatto cordiale di Zoro, che pareva pedinarli come un mastino mentre ancora masticava collera a palate. Il marimo si era dovuto tuttavia calmare, perché l’aura di impazienza e pessimo umore che emanava avevano prima terrorizzato a morte il piccolo medico, poi l’avevano agitato così tanto per il compito assuntosi che per poco non era caduto in mare.
Dopo estenuanti minuti e la vaga idea che la loro trovata fosse stata una perdita di tempo, Chopper aveva individuato qualcosa di utile.
« Nord-Ovest… » mormorò tra sé la navigatrice, dopo aver osservato la posizione del sole e fatto qualche calcolo, anche se sapeva che era un riferimento approssimativo. Aprì una delle mappe e con sguardo sapiente individuò l’area in cui si trovavano in quel momento. Orientarsi nella Grand Line costituiva sempre un azzardo, ma si fidava del suo intuito e soprattutto delle proprie conoscenze abbastanza da arrischiare una rotta al di fuori del Log Pose. Con una matita iniziò a tratteggiare la direzione indicatale da Chopper, fino a che la punta non arrivò al contorno definito di un arcipelago di piccoli atolli. Il nome sulla cartina indicava “Tsuri Fish”.
« È lì? » domandò Zoro serio.
Nami annuì, anche se sapeva che il tutto poteva risultare un immenso buco nell’acqua.
« Abbiamo una rotta! » comunicò poco dopo al resto della ciurma, mostrando loro la cartina e il punto che il naso della renna aveva individuato.
« Non ci vorrà molto a raggiungerla » e detto ciò i preparativi furono avviati definitivamente.
 
 
 
 
 
 
« Uuuuoooh! » esclamò Rufy dal suo posto di vedetta sulla polena. Sanji non aveva potuto continuare a negargli il pasto oltre, e una volta rimpinzato a dovere il ragazzo di gomma era tornato pieno di energie, forse anche troppo. Il prezioso cappello di paglia gli si agitava sulla schiena mosso dal vento che gonfiava le vele. Al suo fianco, a tenere d’occhio l’orizzonte con ancora le cartine strette al petto, Nami valutava le prossime mosse.
« La rotta è approssimativa, ma se il vento reggerà come credo, dovremmo iniziare a vedere l’isola prima di sera » ragionò, trattenendo con una mano i capelli scompigliati. Il ragazzo le rivolse un sorriso a trentadue denti, la sua inesauribile gaiezza manifestata a pieno sul suo viso.
« Spero ci siano tante cose buone da mangiare dove siamo diretti! » esclamò, guadagnandosi un’occhiata scettica da parte di Nami.
« Mangiare? »
Il capitano annuì con l’entusiasmo che solo lui riusciva a dimostrare parlando ci cibo anche dopo aver finito di pranzare.
« Rufy… stiamo puntando a un’isola che probabilmente è stata razziata da una banda di pirati, come puoi pensare al cibo in un momento così? »
Per tutta risposta, il capitano la fissò come se la vedesse per la prima volta. Si prese il mento tra due dita, inclinando il capo.
« E perché andiamo in un posto del genere? » domandò ingenuamente, senza curarsi delle conseguenze. Conseguenze assai dolorose.
« Ahi! Nami! Fai male! Che ti prende!? » strepitò il poveretto sotto la raffica di pugni che la compagna gli inflisse sulla testa.
« Tu! Stupido uomo di gomma dal cervello nello stomaco! » vociò la navigatrice, preda ancora una volta di quell’istinto omicida che solo il ragazzino dal Cappello di Paglia era capace di scatenare in lei così.
Quando finì di sfogarsi, e Rufy ebbe detto addio ai suoi connotati, decise che poteva concedersi di spiegargli la situazione; era pur sempre il suo capitano.
« Hai almeno presente la donna che abbiamo salvato ieri? » domandò, appoggiandosi con la schiena al parapetto, la nave che ancora tagliava l’acqua placida a piena velocità. Rufy, reggendosi con le mani la faccia dolorante e rimettendosi a sedere sulla polena, annuì concitatamente, avendo paura della compagna. « Bene. Mentre tu combinavi quel casino in cucina ha colto l’occasione per scappare, portandosi via una delle spade di Zoro. Te ne sei accorto? » questa volta la voce della ragazza assomigliava molto a un ringhio.
Il capitano la fissò con la stessa espressione che gli era costata il pestaggio, ma si premurò bene di accennare un indeciso sì con la testa, sebbene Nami avesse compreso che non ci aveva per niente fatto caso. Sospirò, la vena omicida ormai del tutto sopita.
« Comunque sia, siamo riusciti a metterci sulle sue tracce e, come ti ho detto prima, credo che il luogo dove viva sia stato messo a ferro e fuoco, visto come fosse poco incline a fare la nostra conoscenza »
« Quindi… » azzardò Rufy « stiamo andando a riprenderci la spada di Zoro? »
La navigatrice annuì.
« Ma anche a vedere come sta » aggiunse, girandosi e appoggiando i gomiti alla protezione, lo sguardo che spaziava il mare. « Chopper è preoccupato per le sue condizioni »
Passarono qualche attimo in silenzio, entrambi ad osservare l’amata distesa blu.
« Chissà che non porti lo stesso qualcosa di buono » disse il ragazzo, sostenendo con una mano il cappello, nel viso di nuovo un pieno sorriso. Nami sospirò, scuotendo la testa.
Il loro capitano non cambiava mai.
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Tsuri Fish: Tsuri dal giap. “pesca” e Fish dall’ing. “pesce”. *zitto e nuota*
- Mizu: dal giap. “acqua”.
- Marimo: il tipo di alga giapponese a cui Zoro somiglia secondo la modesta opinione di Sanji.
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Un po’ (tantino) mi spiace che la seconda parte del Prologo non abbia suscitato lo stesso interesse della prima ~ Spero di potermi rifare presto e riconquistare la vostra attenzione con i prossimi capitoli =)
Grazie a jillianlughnasad che continua a dimostrarsi una sostenitrice impagabile e dolciosa *love*
 
E ora… sotto con le classiche noticine:
 
- Mizu: se Heavenly Eve è nata è stata tutta colpa/merito suo. Nel lontano 2006 lei fu il primo personaggio che creai, e le cui vicende dovevano andare un po’ diversamente dalla storia che vi racconterò, ma queste sono altre storie ;) La nostra povera malcapitata apre la storyline con la ciurma dei Mugiwara, alla ricerca di “Matt” dopo che la sua isola è stata distrutta come sei anni prima *tu-tum*  
 
- Cristallo di Agalmatolite: già accennato nel Prologo (lo aveva al collo Irwin e lo ha usato per chetare Bryan), è, come spiega Robin, un po’ diverso dall’agalmatolite classica, è molto più “forte” per certi versi ed è ancora più rara del minerale classico.  
 
- SubAquaea: la lettura corretta è “SubAquea”, dove la “ae” si legge alla latina “e” (Rosa, rosae…). È il nome che ho dato al più grande “Regno del Mare”, poiché all’epoca quando inventai questa storia l’Isola degli Uomini Pesce era solo stata accennata ~
 
-  Franky, Brook & la Sunny: perché una nota su di loro… perché nella prima stesura non esistevano x__x man mano che riscrivo e riadatto i capitoli sto cercando di inserirli e farli interagire col gruppo. Spero non ci saranno incongruenze e per ora i loro ruoli non saranno “centrali”. Ma vogliamo loro bene lo stesso.
 
Mentre riadatto i capitoli cerco sempre di unificare lo stile, ma mi rendo conto che sarà un’impresa ardua…! In realtà, non vedo l’ora di superare i capitoli che ho già scritto e correre avanti, molto avanti, perché questa storia crescerà progressivamente e con un sacco di roba ç__ç … e la cosa in realtà mi esalta *w*  
 
Sul blog di Tumblr [ http://heavenlyeve.tumblr.com/ ] posto di tanto in tanto qualche cosina in più… tra un po’ troverete anche qualche “doll” costruita su come immagino alcuni personaggi, così da farsi un’idea! =D *maniac*
 
Bacioni!
Nene
 
 
PS: qui sotto il link allo schizzo che ho fatto del trio Bryan, Bonnie e Lewis =)
[ http://heavenlyeve.tumblr.com/post/102353319841/ecco-il-trio-di-salmoa-bonnie-bryan-e-lewis-3 ]

PPS: oggi è anche il compleanno del nostro Zoro! E come regalo... ha ricevuto un bel morso! *sadic*

 

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Capitolo 4
*** Capitolo II - Figlia del Mare ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo II -
[Figlia del Mare]
 
 
 
 
Stay here and listen to the nightmares of the Sea
And the music plays on, as the bride passes by
Caught by his spell and
the Mariner tells his tale.
 
[The Rime of the Ancient Mariner – Iron Maiden]
 
 
 
 
Come Nami aveva previsto, quando il sole ebbe iniziato il suo rapido cammino verso occidente avvistarono in lontananza il profilo degli isolotti che formavano l’arcipelago di Tsuri Fish.
« Vedi niente da lassù? » gridò Sanji, arrampicatosi sulle sartie per sistemare alcune delle funi delle vele, in direzione di Usopp, appostato invece a coffa e intento ad osservare la scena dal cannocchiale.
« Solo ammassi di vegetazione » rispose quello, senza scollare l’occhio dallo strumento.
« Nessuna traccia della mia bella e adorata sirenetta? Guarda bene! »
Il cecchino perse la pazienza e si sporse dal parapetto.
« Non riesco a distinguere neanche degli edifici, come pensi che possa vedere lei!? » sbraitò, tornando subito a quello che stava facendo, non senza brontolare qualcosa del tipo: « La tua adorata poi! Guarda come ci ha trattati! » e i bisbigli gli costarono una dura scarpata sulla nuca.
Un altro che non staccava lo sguardo dall’orizzonte era Zoro ritto in piedi a prua, le braccia incrociate e l’espressione contratta da un cipiglio irritato. Era lì da diverse ore in attesa che all’orizzonte comparisse l’isola dove presumibilmente si era diretta la donna che gli aveva sottratto la Shusui. Le mani non smettevano di prudergli al pensiero.
« Quanto pensi di andarci pesante con la ragazzina? » domandò una voce alle sue spalle. Lo spadaccino non si voltò neanche, mentre Robin si appoggiava alla balaustra di fronte, i capelli scuri che ondeggiavano al vento.
« Quella ha passato il limite della ragazzina da parecchio » le rispose, senza però prestarle attenzione. La sconosciuta, a cui tutti – Sanji in primis – volevano dare finalmente un nome, non era certo una ragazzina, benché sembrasse molto giovane.
“E’ stata davvero agile” si ritrovò a pensare Zoro, perdendo per un attimo i contatti con la realtà. Anche se ferita, era stata lo stesso in grado di fregarli tutti, lui in testa. Il fatto poi di essere riuscita a sottrargli la katana da sotto il naso non era da sottovalutare: certo, perfino Nami, forse – forse, si ripeté – ne sarebbe stata capace, ma quello che possedevano entrambe erano due tipi di scioltezza nei movimenti diversi. La navigatrice sembrava averci fatto il callo, complice anche il suo passato di ladra; quella donna invece lo aveva come vero e proprio dono di natura. Ciò che però più di tutto gli dava da pensare era scoprire il modo in cui era riuscita a svignarsela in mare in un batter d’occhio.
Riprese a fissare l’agglomerato di atolli che si avvicinava sempre di più e strinse inconsciamente l’elsa della Wado Ichimonji. La cosa basilare, in quel momento, era rientrare in possesso della Shusui, per le domande ci sarebbe stato tempo dopo.
 
 
 
 
 
Una carneficina.
Ciò che li accolse e la parola che meglio descriveva la costa di quel piccolo atollo dai tratti caraibici. Doveva aver ospitato un modesto villaggio di pescatori, ma ora i corpi non si contavano, disseminati ovunque come scarti di carne macellata. Il sangue era un macabro tappeto rosso che copriva l’intera costa, pronto ad accogliere i nuovi arrivati sulla sua tetra superficie. La morte era venuta e se ne era andata nella sua veste più nera, portando via con il fuoco la vita di quella povera gente.
I primi a sbarcare, in quel luogo regno ormai di desolazione, furono Zoro e Rufy, seguiti subito da Chopper, Sanji, Franky e Brook che si guardarono attentamente in giro alla ricerca di qualche sopravvissuto scampato alla falce.
« E’ orribile » sentenziò Usopp con le uniche parole che gli vennero alle labbra, ancora immobile sul bordo della nave, incapace di scollare lo sguardo dallo sterminio avvenuto.
Nami non disse niente. Era passato troppo tempo dall’ultima volta a cui aveva dovuto assistere a uno scempio del genere. La Rotta Maggiore pullulava di gentaglia dai più bassi istinti, che saccheggiava e sterminava per il puro gusto di farlo; ma erano animali con i quali, nel caso, aveva sempre dovuto combattere e mai osservare la scia dei loro passaggi.
« Scendiamo anche noi e diamo una mano con le ricerche » disse Robin più rigida del solito, sebbene mantenesse la sua naturale impassibilità, calandosi a riva. La navigatrice e il cecchino la seguirono con un groppo in gola.
 
 
Chopper, guardandosi intorno, avvertì il dolore stringergli il cuore per tutte quelle vite spezzate. Aveva girato per mezza spiaggia, tra corpi di uomini, anziani e bambini, senza trovare un alito di vita in nessuno di loro. La cosa peggiore fu quella di vedere donne dagli abiti laceri accanto a ragazzini di non più di sei anni o addirittura qualche neonato. Era in ambienti del genere che sentiva tutte le sue conoscenze mediche come quattro carabattole apprese senza uno scopo: non poteva più fare niente per loro, solo sentire una profonda tristezza mista a rabbia, emozioni che gli stavano facendo pizzicare gli occhi.
« Non deprimerti » gli disse fermo Sanji alle sue spalle, rimessosi appena in piedi dopo aver coperto il corpo di una ragazzina che non dimostrava più di quindici anni; era bravo a dissimulare, ma quello che stavano vedendo gli dava il voltastomaco. « Qui da qualche parte c’è ancora qualcuno che ha bisogno di te » continuò con un’occhiata intensa, per poi voltarsi e proseguire, le mani affondate nelle tasche che grattavano la stoffa con rabbia.
La piccola renna si strofinò gli occhi lucidi, cacciando via le lacrime, e seguì il cuoco, gli zoccoli ben stretti alle spalline dello zaino.
 
 
Zoro e Rufy avanzavano in quello che doveva essere stato il fulcro dello scontro. Oltre a uomini indossanti lunghe cappe dalle tonalità azzurre e ancora impugnanti lance e corte spade, i cadaveri abbandonati di alcuni pirati si distinguevano dagli altri. Non li degnarono di più di uno sguardo, se non per cercare tracce di vessilli o cose del genere che potessero ricondurli al loro capitano, ma si rivelarono solo carne morta di nessuna utilità.
Esclusa la brezza serate e le onde del mare calmo, nessun rumore rompeva la quiete del luogo, nessuno era rimasto per piangere o raccogliere qualcosa che potesse testimoniare che fino a un giorno prima qualcuno avesse vissuto, riso, pianto su quella costa. Eppure…
« E’ qui » disse d’un tratto il ragazzo col cappello di paglia, guardandosi intorno come se stesse cercando di vedere qualcosa di invisibile. Anche se non avevano trovato prove che la donna fosse approdata lì, se lo sentiva, sapeva che era tornata sull’isola e che aveva visto ciò che ne era rimasto. Sentì un moto di collera agitarglisi dentro, mentre l’unico pensiero che gli martellava la testa era di trovarla. 
Zoro non rispose, continuando la sua camminata cadenzata e volgendo lo sguardo imperscrutabile a destra e a sinistra, l’animo diviso tra il desiderio di recuperare la sua spada e quello di piantare la stessa nel corpo del responsabile di quella strage. Strage che spiegava tutti i comportamenti della loro sconosciuta e lui non si sentì di biasimarla.
E fu in quel momento, quando entrambi alzarono gli occhi avanti per proseguire, che notarono l’unica persona viva, inginocchiata nella sabbia ai bordi della battaglia, le mani tremanti aggrappate all’elsa della spada conficcata in terra nel vano tentativo di alzarsi.
Non persero tempo e si avvicinarono rapidi.
 
 
 
“Troppo tardi” continuava a ripetersi nella disperazione. Era già troppo tardi quando si era accorta di cosa stesse succedendo in spiaggia, ma quando era tornata, pronta anche a combattere con l’arma che aveva sottratto sulla nave che l’aveva ripescata dal mare, si era definitivamente rassegnata all’idea che non avrebbe più potuto fare niente per nessuno di loro. La sua gente, la sua casa, la sua vita.
“Come hai potuto?!” gridò con rabbia la sua testa, le lacrime che le bruciavano gli occhi. “Non ti è bastato cinque anni fa!?”
Se non fosse stato per l’odio che provava in quel momento, non sarebbe riuscita a rimanere lucida. La ferita si era riaperta, gocciolando lenta e costante rivoli di sangue che l’avevano indebolita sempre di più minuto dopo minuto. Aveva stretto i denti, setacciando l’intera spiaggia alla ricerca di sopravvissuti da aiutare o di demoni da cui avere informazioni.
Ma non era arrivata a niente, se non alla consapevolezza di essere rimasta sola.
“Matt” pianse il suo cuore al solo pensiero. Non era lì sulla spiaggia… anche se non ne era del tutto sicura. Alcuni corpi erano irriconoscibili, carbonizzati dagli incendi, e lei non era riuscita a sopportarne il fetore senza accusare qualche conato di vomito, ma le era bastata la vista per farla allontanare e crollare in lacrime.
Eppure qualcosa dentro le diceva che non era morto, perché l’aveva sentito, aveva udito il suo grido d’aiuto in mezzo ad altri. Si stava attaccando con tutta se stessa a quella speranza. Doveva trovarlo, era la sua priorità, su tutto.
Con quel bruciante proposito in mente, tentò di alzarsi, ma le ginocchia non le risposero. Fece un altro sforzo, appoggiandosi all’elsa della spada piantata nella sabbia davanti a sé. Niente. La testa le girava e faceva male, come ogni fibra del suo corpo. Ma quei dolori non erano nulla in confronto a quello che l’avrebbe tormentata se non fosse andata a cercare Matt.
Provò per l’ennesima volta, ma quando alzò il capo vide con la coda dell’occhio qualcosa che le fermò quasi del tutto i battiti nel petto, emozioni indecifrabili che si scontrarono sotto la pelle. Due figure stavano marciando verso di lei, correndo come furie e affondando ad ogni falcata i piedi in quella fanghiglia cremisi.
Del tutto stordita dal dolore e con la mente dominata dalla confusione totale, cercò con le mani tremanti di sguainare la spada nel disperato intento di difendersi.
Ma l’avevano raggiunta.
 
 
 
« Perché mi avete seguita!? » urlò nella loro direzione, le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi senza sosta. « Qui non c’è più niente per voi! »
Zoro e Rufy si fermarono a un paio di metri da lei. La fissarono senza apparenti emozioni sul viso, i pugni stretti lungo i fianchi che tradivano la loro rabbia, ma la sconosciuta era troppo stravolta per farci caso.
Armeggiò nuovamente con la spada, riuscendo a far scorrere e scoprire qualche centimetro della lama, che brillò chiara alla luce del sole, ma lo spadaccino, gli occhi di pietra, le si avvicinò all’improvviso e con uno schiaffò secco alla mano tremante le fece cadere la Shusui.
Causa anche quell’inaspettata vicinanza, la ragazza si sentì persa del tutto, senza più forze, ma non riuscì neanche a desiderare la morte, perché c’era ancora qualcuno che l’aspettava, qualcuno a cui aveva promesso di esserci sempre.
« Matt » mormorò disperata non accorgendosene. La realtà sfuocò davanti ai suoi occhi, le membra scivolarono lente ed esauste verso il suolo sabbioso.
Capitano e spadaccino, con esclamazioni preoccupate, le furono addosso, ma lei non sentiva più niente, solo un’oscurità crescente che l’avvolgeva.
 
 
 
***
 
 
 
Fu un dolore diffuso per tutto il corpo la prima sensazione che provò riemergendo dall’oscurità.
Si sentiva esausta e debole, ma viva, cosa che non aveva più sperato dopo aver perso i sensi in spiaggia.
A quel pensiero la mente sembrò tornarle prepotentemente lucida e spalancò gli occhi, tentando di muoversi per mettersi seduta. Una mano, con fermezza e delicatezza, la bloccò al materasso.
« Calmati, nessuno ti vuole fare del male » le disse una voce femminile.
Voltando la testa, mise a fuoco la ragazza dai capelli rossi del giorno prima, seduta accanto al letto. Non ebbe il tempo di dire niente, che la navigatrice riattaccò risoluta.
« Prima che tu riprenda ad agitarti, vorrei chiarire un paio di cose. Primo, è vero, siamo pirati, ma non della risma di quelli che hanno attaccato il tuo villaggio » il suo tono era venato di disgusto, ma si contenne. « Secondo, vogliamo aiutarti. Ti conviene credermi perché non voglio altre scenate come quella di ieri » e le dette un’occhiata eloquente. 
« Se le parli così rischi solo di ottenere l’effetto contrario » scherzò una voce alle spalle della navigatrice.
L’inferma, tendendo appena il collo – sembrava che i nervi avessero qualcosa da ridire ad ogni movimento – notò la presenza di un’altra donna, appoggiata alla scrivania dell’infermeria.
« Ben svegliata » la salutò questa con un sorriso, avvicinandosi e tirando fuori dalla tasca dei pantaloni lo stesso fazzoletto di stoffa del giorno prima. « Questo è tuo » disse, depositandole in mano, e facendo attenzione a non toccarlo, il ciondolo a forma di cavalluccio marino. « Mi sono permessa di studiarlo un po’ »
Nami sbuffò.
« Io sono Nami, la navigatrice di questa bagnarola, mentre lei è Robin, la nostra esperta di reliquie e stranezze » le sorrise con calore. « E dopo tutto quello che ci hai fatto passare mi piacerebbe conoscere il tuo nome »
La donna abbassò gli occhi, adagiando meglio la testa sul cuscino morbido e osservando il soffitto, sfinita. Essere stata salvata due volte dalle stesse persone doveva pur voler dire che poteva provare a fidarsi. Inoltre, dolorante com’era, non avrebbe di certo potuto tentare un’altra fuga. Prese un profondo respiro.
« Mizu » mormorò in fine senza guardarla, e la rossa sorrise di nuovo. « Mi chiamo Mizu »
« Benvenuta sulla Sunny, Mizu »
 
 
 
 
 
« E sposta quel naso, devo vederla! »
« Hai guardato fino ad ora, quindi non lamentarti! »
« Ma si è svegliata! »
« Vorrei vederla anch’io… se avessi gli occhi! Yohohoho »
« Anch’io! »
« Ma la volete piantare!? » sbraitò Zoro, accovacciato con le sue tre spade sul divano della cucina osservando i membri più idioti dell’equipaggio che si azzuffavano nella speranza di intravedere qualcosa di ciò che stava avvenendo all’interno dell’infermeria attraverso il piccolo oblò dell’uscio.
Quel trambusto perché Nami era stata categorica nell’affermare che nessuno, nessuno, eccetto lei e Robin, finita la visita di Chopper, si sarebbe dovuto avvicinare alla donna che avevano ri-salvato. Quella decisione aveva tutti scopi mirati, ma alcuni della ciurma sembravano non averli compresi, o neanche presi in esame, a seconda del soggetto.
“Ieri l’avete spaventata a morte, quindi non vi azzardate ad avvicinarvi!
La navigatrice era stata tassativa, chiudendo la porta in faccia a tutti i maschi della compagnia.
Inutile aggiungere che erano subito scoppiate liti tra Sanji, che accusava il cecchino e il suo lungo naso anomalo, Usopp, che rimproverava i modi svenevoli del cuoco, e poi entrambi contro Rufy per il casino combinato il giorno prima, e via dicendo. Solo Chopper, inizialmente, sembrava essersi abbattuto per la decisione dell’amica, ma poi aveva fatto in modo di osservare la scena dalla finestrella seguendo l’esempio di un pacato Brook, attirando subito l’attenzione di tutti gli altri che si erano accalcati al loro seguito, riprendendo a battibeccare.
« Zitto, marimo » gli rispose malamente Sanji, dimenticandosi per un attimo del litigio. « Dovrai prostrarti a terra e chiedere il suo perdono per quello che le hai fatto ». Sebbene il discorso si mostrasse ambiguo non solo per lo spadaccino, il cuoco era paurosamente serio, come ogni volta che era implicata una donna.
« Chiederle perdono per cosa, sopracciglio a ricciolo? » ringhiò di rimando Zoro, una mano sull’elsa della Wado Ichimonji.
« Per averla braccata come un animale anche se era ferita e sconvolta » dicendo ciò, Sanji spense il mozzicone della sigaretta nel posacenere del tavolo, parandosi di fronte l’arrogante spadaccino pronto a iniziare l’ennesima litigata alla “ti concio per le feste”.
Zoro, una vena che pulsava pericolosamente sulla fronte per tutte le idiozie sentite, fece per rispondere, ma la porta si aprì con tale violenza che il quintetto fu scaraventato via davanti i suoi occhi, mentre una furibonda Nami si stagliava sulla porta, la mano ancora stretta sul pomello.
« Voi non avete idea di cosa significhi aspettare, avere pazienza e soprattutto fare SILENZIO, non è vero!? » tuonò, avanzando verso i poveri disgraziati, rialzatisi a fatica, e stendendoli di nuovo a terra a suon di pugni.
Quando, con un pesante sospiro, ebbe del tutto quietato lo spirito, parlò:
« Vuole conoscervi »
 
 
 
Mizu fu aiutata da Robin a varcare la soglia della cucina e ad accomodarsi sul divano ora libero. Il silenzio reverenziale con cui fu accolta, dettato dal timore verso la compagna rossa, la lasciò un po’ perplessa e intimorita, visto come la fissavano. Mentre tutti iniziavano a prendere posto, chi sul tavolo della cucina, chi per terra, e Franky arrivava annunciando che la nave era ancorata senza problemi, Chopper si avvicinò alla ragazza.
« Come ti senti? » domandò alla donna.
Lei lo osservò un attimo, prima di stirare le labbra.
« Meglio… grazie per le tue cure »
Per la prima volta, tutti la videro distendere i lineamenti del viso e, con quel gesto, sembrò crollare del tutto il muro che li aveva divisi fin dal primo incontro, mandando in estasi non solo il cuoco già cotto a puntino, ma anche la renna, il ragazzo di gomma, il cecchino e il musicista. Franky non poté esimersi da uno dei suoi rumorosi “super”.
« Ah ah! L’ho sempre saputo che sarebbe finito tutto bene » sospirò teatralmente Usopp, pavoneggiandosi. Istantanea arrivò l’occhiataccia di Nami e il ragazzo abbassò la cresta. « E’ ovvio che lo sapessero tutti… » pigolò in aggiunta.
Mizu, invece, tornò seria, inumidendosi le labbra secche.
« Vi ringrazio tutti, davvero » iniziò un po’ rauca, gli occhi velati dalla stanchezza e il viso ancora pallido. « Nami-san mi ha spiegato ogni cosa e mi dispiace di avervi creato dei problemi »
« Non devi scusarti di niente » rispose Sanji per gli altri.
« Come ti ho detto prima, è stato solo un malinteso, ognuno ha reagito senza conoscere i dettagli » aggiunse la rossa, sapendo, da quelle poche parole che si erano scambiate prima, che la donna si sentiva davvero in colpa per quanto accaduto.
Dopo qualche attimo di pensieri, Mizu annuì, ricambiando il suo sguardo.
« Grazie ancora »
Tutti sorrisero, mentre Rufy iniziò a ridere gioviale, attirando l’attenzione su di sé.
« Allora come ti chiami? » chiese diretto il capitano con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, mentre restava seduto a gambe incrociate poco distante dalla ragazza.
« Mizu » fece un cenno col capo, non riuscendo ancora a muoversi come voleva.
« Che nome soave! » sospirò Sanji, espirando cuoricini da ogni dove. « Sanji, qui per servirla, mademoiselle » disse con un inchino elegante. « E la scimmia che non si presenta è Rufy » aggiunse, piantando sulla nuca del capitano la scarpa, costringendolo a piegare il capo in avanti.
« Il medico è Chopper – che si premette il cappello in testa, incurvando gli angoli della bocca gioioso – il nasone è Usopp - « Ehi! » - la zucca vuota là in disparte è Zoro. Poi ci sono Franky il pervertito e il terrificante Brook » continuò Nami, presentando il resto della ciurma, che subito vociò lamentele sugli appellativi che la compagna regalava con vispi sorrisi.
Lo spadaccino la fissò trucemente, ma il suo sguardo fu intercettato dal cuoco e ripresero a volare scintille, finché la navigatrice non sedò il nascente scontro sotto gli occhi perplessi della loro ospite.
« Siete peggio dei bambini » mormorò esasperata sedendosi vicino a Mizu. « Non fare caso a questi idioti »
La donna scosse la testa, sorridendo timidamente.
« Vorrei… chiedervi una cosa » riprese, abbassando lo sguardo dai presenti. Il silenzio la indusse a continuare. « Dove siamo attraccati? »
« A largo della tua isola » rispose Nami lentamente, osservandola con attenzione. Questa socchiuse gli occhi, sentendoli bruciare di lacrime, e deglutì respirando a fondo.
« Sai chi vi ha attaccati? » domandò serio Rufy in quella silenziosa tensione tornata tra loro.
Mizu riaprì gli occhi, fissando un punto imprecisato del pavimento.
« Si fanno chiamare i Tori Rossi » rispose flebile, la gola completamente secca. Immagini della battaglia in cui era stata coinvolta presero a scorrerle davanti, sempre più nitide, sempre più strazianti. Con uno sforzo, si costrinse ad ingoiare il groppo che le ostruiva la gola.
« Ne ho sentito parlare » confermò Zoro dopo averci pensato un po’ su. Con quelle inaspettate parole richiamò l’attenzione di ognuno su di sé, mentre si rimetteva in piedi, sistemando le sue tre spade a lato della fusciacca. Fissò la donna, ma quella non ricambiò. « Il loro capitano si chiama Akai Oushiza e su di lui pende una taglia di trecentotrenta milioni di Berry » continuò, lo sguardo immobile.
« TRECENTOTRENTA milioni? » trasecolò Nami, seguita a ruota dal cecchino, subito colpito dal suo tipico allarmismo, con tanto di irrefrenabile tremarella alle gambe, che contagiò in breve anche Chopper e Brook.
« Trecentotrenta milioni… è anche più di Rufy… » piagnucolò in un sussurro Usopp, ma nessuno lo ascoltò. 
« Pare abbia i poteri di un Frutto del Diavolo » proseguì lo spadaccino, infischiandosene degli altri e incrociando le braccia al petto mentre, con nonchalance, faceva scrocchiare i muscoli intorpiditi del collo ancora bendato.
« Sì » confermò piatta la donna « il Frutto Cow Cow modello Toro »
« Cos’altro sai di questo stronzo? » domandò Sanji al compagno con viso impassibile, accendendosi una sigaretta.
Quello ci pensò un attimo, prima di rispondere.
« Era uno dei pirati più temuti nel mare meridionale, finché non si è spostato nella Rotta Maggiore. Mi ricordo che la Marina ci ha sempre pensato due volte a mettergli le mani addosso »
« Non andrebbe preso con tanta leggerezza, ha pur sempre trecentotrenta milioni di berry sulla testa! » ribatté Usopp, ma il cuoco e il marimo lo liquidarono con un’alzata di spalle. Dopo quello che avevano visto a Tsuri Fish non si ponevano alcun problema.
« Sai perché vi hanno attaccati? » chiese Rufy senza dar peso alle discussioni dei compagni, intento a fissare la loro ospite che continuava a non rivolgere loro lo sguardo. Lo stesso fece Zoro, ora che era stato tirato in ballo il pesce grosso: quel pirata doveva avere avuto una ragione precisa per devastare una semplice isola di pescatori che, apparentemente, non sembravano nascondere grandi ricchezze.
A quella domanda Mizu non rispose subito, reprimendo un sussulto involontario. I suoi occhi si chiusero sopra le lacrime imminenti e prese un respiro tremante. Anche se non ne era sicura, credeva di aver capito perché erano stati attaccati. E se ci pensava, il cuore le bruciava di un dolore che sarebbe stato troppo difficile sopire.
Era colpa sua.
« Sei… » deglutì, prima di riprendere con pesantezza. « Sei anni fa vivevo in un isola del mare meridionale che fu razziata dai Tori Rossi. Non rimase vivo quasi nessuno ». La sua voce era appena un sussurro rotto da singhiozzi trattenuti. Nella stanza, tutte le altre discussioni erano cessate e gravava un profondo silenzio. « I pochi superstiti furono divisi: gli uomini portati nelle stive come forza lavoro e le donne… » le parole le vennero meno. Tentò di riprendere ma un singulto la scosse. Non riuscì a guardare in faccia i suoi salvatori, ma solo a nascondere il viso tra le mani in un movimento doloroso: aveva sperato di non dover più versare quelle lacrime amare.
« Oushiza scelse alcune di noi e… ogni notte… » si morse un labbro, ma anche così non trovò la forza di continuare, i ricordi erano ferite che si riaprivano e quel che era appena successo era sale su di esse. « Sono rimasta sua prigioniera per quasi un anno finché non sono riuscita a fuggire… »
 Le reazioni degli altri, benché diverse, partirono tutte da una rabbia inesprimibile. Nami e Robin distolsero lo sguardo, la prima i pugni talmente stretti che le nocche divennero bianche, la seconda socchiuse gli occhi perdendosi nei propri pensieri. Più rigidi furono i ragazzi, che parevano essersi del tutto pietrificati a quelle parole, lo sguardo fisso nel vuoto, i muscoli contratti per la collera.
« Io… » debole ed inaspettata, la tenue voce di Mizu si levò ancora. « Io sono la causa di quello che è successo a Tsuri Fish… - Nami fu sul punto di ribattere qualcosa, ma Sanji la fermò, scuotendo il capo – Oushiza… deve… deve aver saputo di me… e di… Matt… »
Il suo ormai era un pianto convulso, sebbene cercasse ancora di trattenersi.
« Chi è Matt? » domandò piano il capitano, ricordandosi di averla sentita nominarlo prima di svenire sulla spiaggia. I singhiozzi attraversarono la stanza per qualche altro secondo, prima che la donna tornasse a parlare.
« Matt - sembrava costarle molto pronunciare quel nome - … è mio figlio »
Nami la fissò a occhi sbarrati non riuscendo a proferire parola. Si voltò verso gli altri: avevano tutti il viso scuro e la mascella serrata, impotenti di fronte a una tale situazione. E quello era proprio il caso, in parte. Rufy, rialzando gli occhi color ossidiana su di lei, riprese la parola con tono mortalmente serio:
« Credi che volesse lui? »
« E’ l’unica cosa che mi fa sperare che sia ancora vivo… » mormorò tremante Mizu, rialzando il viso rigato per guardarlo. Nei suoi occhi blu oltre oceano, in quel momento arrossati e velati per via del pianto, oltre al dolore c’era il forte desiderio di ritrovare a tutti i costi quel bambino per stringerlo ancora tra le braccia.
Nami, lo sguardo basso, le appoggiò una mano sulla spalla nel tentativo di consolarla.
Il capitano respirò a fondo, prima di alzarsi in piedi e dirigersi verso l’uscita senza dir niente; la porta fu lasciata aperta.
A turno, tutti lo seguirono, meno la navigatrice e il medico, che decisero di rimanere lì a fare compagnia alla loro ospite, provando ad alleviare le sue pene.
 
 
 
 
 
 
 
Il cielo notturno era terso e le stelle, insieme alla loro inseparabile compagna luna, ridotta a un sottile sorriso, si riflettevano sul mare accarezzato da un fresco vento serale. Il profilo di Tsuri Fish era un ammasso di palme che si stagliava buio e tranquillo contro l’orizzonte più chiaro; niente, in quell’oscurità, lasciava intendere cosa fosse successo sui suoi lidi.
Una nenia riempiva il silenzio della notte, eseguita da Brook col suo violino a poppa della Sunny, rivolta verso gli atolli deserti.
« Che ne facciamo di tutti quei corpi? » domandò Franky mentre osservava la costa addossato al parapetto della nave, il volto appena rischiarato dal bagliore delle lanterne della nave. Tutto l’equipaggio - meno Nami, ancora in compagnia di Mizu, e il musicita - era riunito sul ponte mediano, nessuno con la minima voglia di dormire.
« Se li abbandonassimo così potrebbero dare origine a qualche epidemia » rispose atono Chopper, seduto con la schiena contro la balaustra della nave, il cappello a coprirgli parte del musino.
« Sarebbe vergognoso lasciarli marcire in quel modo: hanno combattuto fino all’ultimo per proteggere il proprio villaggio » continuò Usopp con le braccia incrociate e lo sguardo vago rivolto al ponte.
Il silenzio ristagnò nell’aria mentre placide onde lambivano con movimenti lenti le fiancate della Sunny.
Robin si ravviò una ciocca di capelli prima di voltarsi verso Rufy, steso a terra a mo’ di stella marina mentre faceva vagare lo sguardo sul firmamento, senza realmente vederlo, il fedele capello di paglia appoggiato sul petto.
« Cosa facciamo, capitano? »
L’archeologa diede finalmente voce alla domanda che tutti stavano rimuginando in quel silenzio notturno. Più che di una risposta, però, ognuno voleva una conferma ufficiale. L’interessato non distolse lo sguardo, né diede segno di aver sentito o preso in esame la questione: se ne rimase semplicemente lì e nessuno disse niente.
Quasi sfuggevole, il rumore di tacchi che battevano ritmicamente sul ponte di legno giunse alle orecchie di ognuno, subito seguito dal profilo di Nami, rischiarato dalla luce lunare. La ciurma volse la propria attenzione su di lei che aveva lo sguardo basso e si massaggiava i polsi con fare nervoso.
« Come li troviamo? » domandò Rufy diretto, distogliendo lo sguardo dalle stelle e fissando la rossa.
Lei ricambiò smettendola di torcersi le mani, per poi voltare silenziosamente il viso verso il mare circostante e aspirare a pieni polmoni l’aria fresca, come se stesse attendendo qualcosa.
« Il vento ci è sempre stato favorevole da Sud-Est » iniziò, osservando la direzione da cui erano arrivati qualche ora prima. Roteò lo sguardo verso Nord-Ovest, la mani strette ai fianchi. « Hanno sicuramente lasciato l’isola dopo che noi abbiamo trovato Mizu… » mormorò tra sé, osservando di sottecchi il Logpose e la direzione che indicava: la stessa del vento. « A meno che non seguano un Eternalpose, dovrebbero essere diretti verso la prossima isola… ma sono solo supposizioni » concluse infastidita, senza staccare gli occhi dal mare.  
Rufy non disse niente. Si tolse il cappello dal petto, rimettendosi a sedere, e se lo calò di nuovo sulla testa.
« Raggiungiamoli » sentenziò, ricevendo il silenzioso consenso di tutti. Si alzò e si diresse verso il parapetto, osservando l’orizzonte da cui di lì a qualche ora sarebbe sorta l’alba.
« Ho una gran voglia di conciare quel Toro per le feste »
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Timidi raggi tagliavano la penombra della stanza attraverso l’oblò della porta e il rumore di qualcosa che friggeva, insieme ad un intenso odore di cibo, la destò del tutto da quel suo lungo dormiveglia. Sbatté un paio di volte le palpebre, ritrovando l’ormai famigliare soffitto dell’infermeria ad accoglierla.
« Ben svegliata » la salutò qualcuno e lei volse lo sguardo verso sinistra. In piedi sulla porta, con un grembiule rosa a fasciargli la parte anteriore del corpo, c’era Sanji che sorrideva nella sua direzione. « Spero di non averti disturbata » si scusò.
Mizu fece cenno di no e lui gli rispose ammiccando. Il profumino, ammise, era invitante, specialmente per il suo povero stomaco rimasto digiuno per quasi due interi giorni. Sospirò, chiedendosi cosa dovesse aspettarsi da quei pirati che le avevano dimostrato di essere tutto fuorché dei libidinosi barbari assassini.
Appoggiando i gomiti sul materasso e facendo leva su di essi, iniziò ad alzarsi, azione abbastanza dolorosa, tanto che Sanji le fu subito accanto.
« Non devi sforzarti » le disse preoccupato, non sapendo come aiutarla: non intendeva farle qualcosa che non volesse, anche solo toccarla. Lei, al contrario, lo rassicurò scrollando i capelli scuri con un gesto di diniego del capo, riuscendo finalmente a sedersi, la ferita che bruciava un poco e i muscoli tesi.
« Va meglio » lo tranquillizzò. Il cuoco non parve esserne convinto, così lei gli sorrise rassicurante, accennando alla cucina. « Cosa stai cucinando? » domandò cercando un po’ di dialogo con quello che le avevano detto essere il suo salvatore.
Lui sospirò, celando l’apprensione e porgendole il braccio per aiutarla a raggiungere la cambusa.
« Uova e pancetta per cominciare, che ne dici? » sorrise.
Lei annuì col viso ancora molto pallido, sistemandosi su una delle sedie del tavolo e cercando una posizione comoda.
« Ai suoi ordini » schioccò le dita il cuoco, inchinandosi e avviandosi verso il piano cottura, anche se prima di arrivarci fu praticamente scaraventato a terra da un proiettile umano che, scardinata la porta, gli finì a sedere sullo stomaco.
« Hai detto uova e pancetta? »
Ma per risposta, Rufy ottenne solo un pestaggio completo che lo lasciò informe sul pavimento, mentre Sanji, inveendo a bassa voce contro il suo stupido capitano, tornava ai fornelli.
« Ma cos’ho fatto…? » mugolò tristemente il ragazzo di gomma osservando la schiena del cuoco, quando si fu messo a sedere. In quel momento si accorse che Mizu lo stava fissando e si volse allegro verso di lei. « Sei sveglia! Come stai? » rise contento, prendendo posto di fianco a lei.
« Meglio » gli sorrise di rimando, scrutandolo per la prima volta attentamente. Aveva una strana sensazione addosso a guardare il giovane viso del moretto. Un sottile senso di nostalgia la pervase, ma non riuscì ad afferrarne l’origine e fu riportata presto alla realtà dal biondo.
« Vedi di non darle noie » avvertì il cuoco, mentre spostava il contenuto delle padelle nei piatti. L’attenzione del capitano fu attirata immediatamente da essi e Sanji lo minacciò con uno dei suoi mestoli. « Toccali e ti butto in mare »
Rufy fece una faccia sconsolata, mentre iniziavano ad arrivare anche gli altri membri della ciurma, tutti allegri e pimpanti, con un’evidente fame da lupi da soddisfare.
« Finalmente si mangia! » esclamò Usopp, fiondandosi a sedere seguito da Chopper e Brook che urlarono all’unisono « Cibo! »
« Prima le signore! » abbaiò il biondo, per poi invitare sia Robin che Nami a sedersi. Quest’ultima però prese due piatti, fece l’occhiolino a Sanji, che le si sciolse dietro, e si diresse verso Mizu augurandole il buongiorno.
Intanto era scoppiata la solita rissa mattutina: Rufy aveva spazzolato la sua razione senza che gli altri avessero avuto neanche il tempo di cominciare; ciò gli diede il diritto – secondo lui – di iniziare a servirsi il secondo giro, ma il cuoco, che aveva appena finito di versare il caffè all’archeologa, gli tolse la padella di mano, allontanandolo ulteriormente con una scarpa piantata in faccia mentre gli urlava contro.
« Non provare ad ingozzarti come al solito tuo! »
« Ma ho fame! » strepitò l’altro.
« Mangia più lentamente la prossima volta! »
La discussione e i battibecchi continuarono, ma Nami non vi prestò attenzione, abituata com’era, e si rivolse alla loro ospite.
« Dovresti mangiare » le consigliò, vedendola spizzicare appena ciò che aveva nel piatto.
Era buffo, si disse Mizu, osservando le uova e la pancetta: fino a qualche minuto prima il suo stomaco aveva reclamato cibo e ora che ce l’aveva davanti sentiva di non riuscire a mandare giù più di mezzo boccone. Ma l’angoscia l’aveva di nuovo bloccata e improvvisamente le parve che tutto il tumulto che aveva intorno si fosse quietato: l’immagine di Matt in lacrime indebolì ancora di più il suo animo e gli occhi le pizzicarono. Perché si sentiva così arrendevole?
Ma poi un terribile pensiero le attraversò la mente facendola fremere e rispondendo a quella domanda: sapeva di cos’era capace Oushiza, l’aveva provato sulla sua pelle.
« Mizu? »
Nami le appoggiò la mano sul braccio e lei si voltò, incrociando i caldi occhi nocciola che in silenzio le chiesero come stesse. Lei non fece niente per nascondere l’ansia e la paura, ma cambiò discorso.
« Avete detto di essere pirati » cominciò, tagliuzzando il bianco dell’uovo senza però portarselo alle labbra. « E’ tanto che viaggiate? »
« Un po’ » rispose Nami continuando a fissarla. Sospirò, lasciando perdere ogni intenzione: insistere nel chiederle come si sentisse non era la cosa migliore da fare in quel momento. « Siamo piuttosto famosi comunque » proseguì, dando un’occhiata scherzosa ai suoi compagni che si stavano azzuffando alla grande per le ultime briciole. « Mai sentito parlare dei pirati di Cappello di Paglia? »
Mizu la fissò incredula qualche attimo, per poi voltare lo sguardo verso Rufy, che stava litigando un pezzo di bacon con Chopper.
« Allora… lui è Monkey D. Rufy? » domandò.
« Esattamente. Lo conosci? » le chiese di rimando la rossa, aggrottando le sopracciglia nel notare la sua espressione meraviglia e… felice?
« Me ne hanno parlato… » rispose evasiva questa all’occhiata che ricevette, cacciandosi a forza un boccone in bocca e reprimendo tra sé quel fiotto di piacevole sorpresa per quella notizia imprevista: ora capiva quella strana sensazione di malinconia a fissare il viso gioviale di Rufy.
“Sono passati così tanti anni…” pensò, ricordandosi di come avesse conosciuto quel nome quando ancora non era noto a nessuno. “Mi ero quasi dimenticata che avrei potuto incontrarlo…”
Nami, nel frattempo, aveva osservato ogni suo movimento, senza però accennare niente.
« Posso offrirvi del tè? » domandò una voce che riportò entrambe al presente. Sanji era davanti a loro e portava un vassoio con due tazze fumanti in equilibrio su una mano insieme alla solita espressione ebete e adoratrice.
« Grazie » accettò Mizu, sapendo che almeno quello sarebbe riuscito a mandarlo giù. Non fece però in tempo ad assaggiarlo, che si ritrovò a fissare un paio di penetranti occhi scuri. Si irrigidì ricambiando lo sguardo dello spadaccino.
Zoro si era trascinato via dai battibecchi e dalla colazione, prendendo il posto libero del capitano spostatosi a strafogarsi altrove.
« Spiegami come hai fatto a sparire dopo che mi hai rubato la spada » esordì senza preamboli, incurante dell’occhiataccia che Nami gli rivolse.
La donna rimase un attimo interdetta, come se stesse cercando di fare mente locale su quanto le era stato chiesto. Contemporaneamente, nella stanza parve scendere un silenzio irreale e Rufy riuscì ad aggiudicarsi l’ultimo pezzo di pancetta. Tutti si erano voltati verso di loro, ma Mizu non ci fece caso. Poi l’illuminazione.
« Ah… intendi quando mi sono tuffata in acqua… »
Lo spadaccino annuì, senza cambiare espressione. La curiosità si manifestò in breve con l’avvicinarsi dell’intero gruppo, come se stessero per ascoltare una storia fantastica. E non ci andarono molto lontano. La donna si rigirò la tazza calda tra le mani, perdendoci lo sguardo.
« Ho sfruttato le mie capacità… » iniziò, senza guardarli e senza essere sicura che fosse quello l’esordio migliore. Era una cosa un po’ complicata e di solito non andava a raccontarla ai quattro venti: era una sorta di segreto, ma quando guardò nuovamente in viso Rufy si convinse.
« Capacità? » fece eco Usopp interrogativo. Mizu decise di cominciare dal principio, così prese un bel respiro:
« A contatto con l’acqua, il mio corpo può mutare e rendersi più affine ad essa » cominciò a spiegare ma fu subito interrotta dalle domande che non tardarono a giungere dagli ascoltatori increduli.
« Cioè diventi una specie di pesce? » domandò ammirato il cecchino, guadagnandosi però un colpo in testa dal cuoco. « Ahi! Ma che ho detto? » gli chiese offeso, le mani sulla parte lesa.
« Ti pare che una così leggiadra fanciulla si possa trasformare in uno stupido pesce? Sicuramente in una bellissima ninfa del mare! » cinguettò con gli occhi a cuore nella direzione dell’ospite.
Più in là Brook si chiese pensoso se le ninfe marine portassero biancheria intima.
Questa fece un cenno di diniego col capo. « Nessuno dei due... Semplicemente… » cercò le parole adatte « acquisisco caratteristiche come le mani palmate e le squame… ».
Le facce di alcuni – Rufy, Usopp, Chopper e Franky – diedero mostra della loro completa incredulità con le bocche spalancate e gli occhi fuori dalle orbite, immaginandosi collettivamente un pesce. « Vedrò di mostrarvelo quando starò bene » aggiunse, abbozzando un sorriso incerto verso tutto quell’interessamento.
« Ma questa “capacità”, come l’hai ottenuta? » domandò Nami pensierosa, lo sguardo sottile e all’erta. « Sembra simile a quella degli uomini-pesce… » mormorò poi, rivolta più a se stessa.
Mizu, che però non si accorse di quella reazione, scosse la testa. « Non proprio… anche se veniamo tutti dal mare, abbiamo origini diverse »
« Allora, tu cosa…? » continuò la navigatrice, ora con semplice curiosità e malcelato sollievo.
« Un tempo ci chiamavano “Figli del Mare”… » le rispose con amarezza la donna, scostandosi una ciocca di capelli dal viso.
« Figli del Mare hai detto? »
A parlare fu Robin, rimasta in disparte al tavolo fino a quel momento. Tutti si voltarono a fissarla e Mizu annuì nella sua direzione. La mora stirò le labbra in un sorriso che espresse l’inaspettato stupore.
« Pensavo si fossero estinti » disse con una sorta di divertimento nella voce, sembrando contenta per qualcosa.
« In che senso? » domandò Usopp, non raccapezzandoci più.
« Vediamo » iniziò l’archeologa, una mano a sorreggerle il mento. « Per qualcuno ancora oggi è una leggenda » il volto le si distese in una maliziosa espressione misteriosa. « In realtà la loro origine si perde nei fatti del “Secolo Vuoto” »
A quelle parole non pochi rimasero a bocca aperta, gli occhi scintillanti per l’eccitazione, mentre Mizu si fece solo più attenta: erano anni che non riascoltava quella storia, e ora aveva anche l’occasione di sentirla per bocca di una persona normale. Robin continuò:
« Furono denominati Figli del Mare perché uno dei loro genitori era o un tritone o una sirena, dico bene? »
« Sì » affermò la donna « mia madre è una sirena »
Un coro di “oooh” si alzò un po’ ovunque, insieme alle moine del cuoco.
« Ma le sirene non sono per metà umane? » domandò Chopper, guardando prima la compagnia e poi l’altra donna.
« No. Anche se in parte il loro aspetto è quello di un essere umano, in realtà sono creature del mare in tutto » spiegò Mizu, per poi lasciar continuare la mora.
« Qualche secolo fa, questi Figli del Mare erano pellegrini accolti ovunque come “Saggi Portatori della Sapienza degli Abissi”: a chi li ospitava erano soliti raccontare leggende e avventure, anche se raramente queste avevano fondi di verità » rise a fior di labbra, ma l’ospite non si scompose. « Tutto questo finì quando uno di questi Saggi raccontò un duro aneddoto sui pescatori che tentavano di catturare le sirene per mangiarne la carne: si diceva, infatti, che questa potesse donare l’immortalità »
« Dici sul serio? » trasecolò Rufy, gli occhi che scintillavano, come il medico al suo fianco. Ma la loro meraviglia fu stroncata dalle rabbiose parole di Mizu.
« Uccidere una creatura del mare come una sirena è un atto ripugnante » mormorò dura, osservando il tè ormai freddo. « Ma ucciderla per mangiarne la carne è semplicemente imperdonabile. Si diventa solo dei mostri »
« Purtroppo quei pescatori non la pensavano allo stesso modo » continuò Robin, dopo averle lanciato una lunga occhiata nel breve silenzio che era sceso. « Iniziarono a far girare questa diceria sull’immortalità… In definitiva, le “Figlie del Mare” furono cacciate perché avevano la capacità di trasformarsi in acqua e venivano a loro volta ritenute sirene, mentre i “Figli” tentarono in tutti i modi di fermare queste barbarie, senza molto successo. Per il resto, so solo che molti vennero uccisi, altri riuscirono a nascondersi, e che da quel momento raramente sia tritoni che sirene scelsero compagni umani per le proprie creature » concluse con un sospiro profondo, come a rassegnarsi all’idea che l’umanità fosse stupida. Poi, però, tornò a focalizzare il proprio interesse sulla donna. « Sinceramente, credevo che di persone come te non ne esistessero più »
Mizu sorrise mesta, stringendosi nelle spalle. Per un attimo il suo sguardo vagò per poi incrociare quello dubbioso di Rufy, ma lei lo distolse subito.
Nami, alla sua destra, sospirò soddisfatta, stirando le braccia in alto.
« E così abbiamo risolto questo bel mistero » disse occhieggiando Zoro, ancora seduto davanti a loro, che per tutta risposta sbadigliò.
« Io voglio vederla trasformarsi in pesce! » esclamò il ragazzo di gomma, alzando la mano e ricevendo subito un pugno ben assestato da Nami e un calcio da Sanji, con una coppia di « Idiota! » a seguire.
« Per il momento deve solo riposare » dichiarò Chopper, avvicinandosi a Mizu, con ancora le stelline negli occhi per la storia ascoltata.
Il volto di lei si scurì improvvisamente e senza accorgersene strinse la presa sulla tazza di tè. Il suo pensiero, dopo quella lunga digressione, era subito volato a Matt e la sua preoccupazione riprese a crescere.
« Io… vi devo ringraziare, vi state prendendo cura di me… » la sua voce era decisa, sebbene gli occhi sembrassero lasciar trapelare solo un’infinita paura. « Ma devo assolutamente trovare Matt, non posso aspettare ancora… Oushiza… » ma a quel nome qualcosa parve incrinarsi e lei abbassò il capo, lasciando che i capelli le coprissero il viso tirato dalle tremende sensazioni che stava riprovando.
« Smettila di disperarti » mormorò Rufy, sistemandosi meglio il fedele cappello e fissandola con intensità, gli angoli della bocca incurvati in un’espressione rassicurante. Tutta la ciurma socchiuse gli occhi e sorrise tra sé in quel silenzio teso che sapeva di sfida e vittoria al contempo. « Ho intenzione di fare quattro chiacchiere con quel Toro »
Mizu lo guardò con i suoi lapislazzuli spalancati, una raffica di ricordi e pensieri ad affollarle la mente, stralci di conversazioni ormai lontane che le risuonarono nella testa. Accennò un sì col capo, non riuscendo a staccargli lo sguardo di dosso nemmeno quando lui si alzò.
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Mizu: dal giap. “acqua”.
- - san: suffisso onorifico, sta pressappoco per il nostro “signor”.
- Akai Oushiza: dal giap. “akai” rosso e “oushiza” è la costellazione del toro.
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Questo capitolo è un parto, un pianto e una noia. Non me la prenderò (non è vero!) se lo ignorerete… è lungo, con frasi un po’ inutili perché sono un intercalare per le parti di spiegazione… e non ho voluto spezzarlo, nonostante la lunghezza, per non tediarvi ulteriormente la prossima settimana. Ecco, il prossimo capitolo invece mi piace molto di più, e spero piacerà anche a voi (anche se infittisce di più il mistero…).
In questo capitolo si vede uno stile un po’ diverso. Questo risale ai primi tempi quasi nella sua interezza… portate pazienza.
Spero di leggere qualche parere questa volta =) Cercherò di continuare imperterrita, ma ci terrei davvero ad avere le vostre impressioni!
Intanto, grazie a Keyra Hanako D Hono per i suoi commenti, e sempre anche a jillianlughnasad!
 
Note note note:
 
- Mizu: se Heavenly Eve è nata è stata tutta colpa/merito suo. Nel lontano 2006 lei fu il primo personaggio che creai, e le cui vicende dovevano andare un po’ diversamente dalla storia che vi racconterò, ma queste sono altre storie ;) La nostra povera malcapitata apre la storyline con la ciurma dei Mugiwara, alla ricerca di Matt dopo che la sua isola è stata distrutta come sei anni prima *tu-tum* 
 
- Figli del Mare: detta così sembra il nome di una rock band…! Ecco le prime “creature” inventate di questa storia. Come spiega Robin, sono il frutto dell’unione tra un essere umano e una sirena/tritone. Quando iniziai a scrivere questa storia sembrava ci fosse una netta distinzione tra questi e gli “uomini-pesce” (gli unici che si conoscevano erano Arlong&Co.). Mizu ha la capacità di mutare il suo aspetto, acquisendo mani e piedi palmati che le permettono di nuotare meglio in acqua, oltre che branchie e in parte sul corpo delle squame per lo stesso motivo.
Una piccola rappresentazione: http://heavenlyeve.tumblr.com/post/102949038316/di-nuovo-allattacco-ogni-tanto-mi-diletto-con
 
- Akai Oushiza e i Tori Rossi: zan zan zan… ecco un cattivone. Un vero pirata che compie razzie, fa i suoi sporchi comodi, e tante cose brutte. E quanto arriverà, tanta azione e tante botte. Comunque, a parte questo, è uno dei personaggi veterani.    
 
- Abitanti di Tsuri Fish: nel testo non l’ho scritto, per non allungare ulteriormente il brodo, ma i nostri si occupano dei cadaveri. Non so nemmeno io (!) come, se seppellendoli o bruciandoli. Comunque, gli rendono onore, insieme al requiem suonato da Brook.  
 
Continuo a postare il link al blog di tumblr [ http://heavenlyeve.tumblr.com/ ] =)
 
Bacioni!
Nene

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Capitolo 5
*** Capitolo III - Minacce ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo III -
[Minacce]
 
 
 
 
Do what you want ‘cause a pirate is free,
You are a pirate!
 
[You are a pirate – Lazy Town]
 
 
 
 
Grand Line.
Red Jack Island.
Promontorio dominante la città di Fulham.
 
 
 
 
La temperatura dell’aria era un solletico fresco sulla pelle ancora calda di letto. Si strinse nelle spalle, tirando meglio su la vestaglia che si era messa sulla mise leggera da notte. Non che risolvesse molto: i brividi le avevano fatto venire la pelle d’oca, ma veder sorgere il sole dal mare, seduta comodamente al tavolo della terrazza, era uno spettacolo che valeva le poche ore di sonno. La distrazione, per quanto bella, tuttavia non cancellò il senso di irrequietezza che l’aveva privata del riposo. Dopo qualche minuto, con un sospiro, tornò a fissare il giornale – edizione speciale della sera prima – e la prima pagina, su cui capeggiavano due foto.
La prima sulla sinistra era il reportage di quella che doveva essere stata una base della Marina. I resti testimoniavano una sorta di esplosione, come se le gigantesche mani capricciose di un bambino si fossero abbattute sulle pareti e avessero sparpagliato mattoncini ogni dove. Sulla destra della pagina invece, con un’espressione per nulla divertita e che sembrava trafiggere dalla carta stampata, vi era il manifesto aggiornato di Gol D. Bryan, trecentottanta milioni di berry a pendergli sulla testa.
Il titolo accusava “L’Erede distrugge la 74a Divisione – Marines seppelliti vivi”.
Erano passati quattro anni dalla prima volta che aveva visto apparire quel volto segnato dalla rabbia sulle notizie del mondo. In quel lasso di tempo aveva letto di alcune sue imprese che gli erano valse l’aumento graduale della taglia, ma la foto era sempre rimasta invariata, quella di un quattordicenne dietro la cui sorpresa del momento si celava un senso di angoscia.
Questo fino alla sera prima, quando aprendo l’inatteso giornale aveva potuto vedere, prima di mettere a fuoco la notizia in sé, come il ragazzo fosse cresciuto: niente più espressione spaventata, i lineamenti si erano affinati e induriti insieme allo sguardo, i capelli erano un po’ più lunghi e il fisico era maturato. Passò le dita sull’immagine, come se con quel gesto avesse potuto raggiungerlo realmente. C’era qualcosa che non le piaceva per niente e la rattristava: era la foto di una persona intaccata dal risentimento, furiosa, ed era ciò che le aveva dato pensiero tutta la notte. Avrebbe voluto fare qualcosa. Ma, soprattutto, capire.
Perché Bryan, di punto in bianco, aveva cancellato una base della marina con tanta ferocia?
Non lo conosceva direttamente, eppure aveva appreso da più fonti che un’azione del genere non sembrava proprio da lui. Se la sua taglia era maturata nel tempo era dovuta a scontri con altri noti pirati, o alla sopravvivenza a tutti quei pluridecorati marines e famosi cacciatori di taglie che avevano tentato di accaparrarsi la gloria cercando di catturarlo. L’unico fatto fuori dall’ordinario che ricordasse era stato il rapimento di una delle principesse di Arba, ma confidava nel fatto che la storia raccontata dai giornali mancasse di parecchi dettagli.
Tirando le somme, l’Erede si era dimostrato molto diverso dalla minaccia profetizzata dall’opinione pubblica ai tempi di Salmoa, quando il suo nome era risuonato addirittura fino in cielo.
E radere al suolo un quartier generale, lasciando decine di uomini a morire in quel modo, non pareva rientrare minimamente nel suo modus operandi. Eppure le tracce rimaste e le testimonianze – troppe per essere state inventate – puntavano il dito accusatore contro il ragazzo, senza altre soluzioni.
Era una faccenda che doveva cercare di appianare quanto prima. Se c’era qualcosa sotto, come era sicura che fosse, se ne sarebbe occupata. L’ultima cosa che desiderava era vedere il giovane volto trasformarsi in quello di un pirata senza scrupoli, di cui il mondo al momento era in sovrabbondanza. E l’unica cosa in cui sperava – per cui prese un lungo respiro per calmarsi – era non essere, di nuovo, la causa dell’accaduto.
« Per tutte le sirene, si gela! Che ci fai vestita così qui fuori!? »
La quiete della prima mattina fu spezzata dal gracchiare preoccupato dell’anziano proprietario della villa, appoggiato a un nodoso bastone dal pomello a rostro sull’ingresso della terrazza. A differenza della donna, la vestaglia dell’uomo era in lana pesante ma di un colore giallo canarino improponibile.
« Ti assicuro che ho visto aurore molte più fredde di questa » scherzò lei, non senza strofinarsi le braccia dopo aver riposto il giornale sul tavolo.
Il vecchietto le agitò il bastone davanti, ma sembrò indeciso su come rimbrottarla. Piroettò su se stesso e zoppicando – in una maniera così vistosa da essere palesemente finta – sparì nella stanza retrostante, per tornare fuori qualche minuto dopo con un plaid che buttò con poche cerimonie in testa alla sua ospite.
« Se ti buschi qualcosa poi io sentirò i morti lamentarsi per tutta la notte! » proruppe scontroso, sedendosi anche lui al tavolo, battendo il bastone in terra come a sottolineare che il suo dovere l’aveva fatto. Poi la guardò meglio, mentre questa si sistemava la coperta sulle spalle con un piacevole sospiro. Le sue sopracciglia cespugliose si aggrottarono così tanto che gli occhi parvero sparire. « Sciagurata! Non hai neanche dormito! »
Lei stirò le labbra in un sorriso mesto, spingendogli il giornale sotto il naso come miglior spiegazione che potesse fornirgli.
Intanto che lui se ne appropriava, sgridandola su come gli avi di lei avrebbero torturato il suo sonno, dalla stanza sbucò una delle cameriere della villa con il carrello della colazione. Il borbottio dell’anziano andò scemando e venne sostituito dal tintinnio della porcellana posta sul tavolo, insieme ai vasetti di marmellata, il cestino dei croissant, le teiere fumanti e una bottiglia di brandy.
Dopo che la domestica si fu congedata con un inchino, la donna stretta nel plaid attese paziente la reazione dell’anziano alla lettura del giornale, nonostante sentisse lo stomaco brontolare sommessamente al profumino dei cornetti caldi.
« Sante baldracche, ma che gli è preso!? » fu il sospiro di risposta nell’apprendere le azioni disastrose dell’Erede. « Credevo si fosse dato una calmata… »
« C’è gualcosa zotto » spiegò sicura lei, masticando con quanto più contegno potesse una delle brioche, trovando nel dolce un po’ di conforto ai brutti pensieri. Prima di continuare, tuttavia, si liberò la bocca ingoiando. « La 74a divisione non è troppo lontana da raggiungere… » soppesò, versandosi del tè caldo.
« No, ma ricordati che Bryan ha una di quelle navi della Triade del Mare… chissà quante leghe avrà macinato nella notte. E se non è così idiota come dice il giornale… » e nel dirlo, l’anziano si versò nella tazza una generosa quantità di brandy, correggendolo poco dopo con un po’ di caffè « sarà andato a rifugiarsi in una fascia di bonaccia »
« Cosa suggerisci? »
« Vuoi immischiarti!? Ma non impari mai!? »
L’occhiata eloquente e offesa di lei zittirono il vecchietto, che borbottò nella tazza qualche altro rimprovero.
« Spedisci una lettera a Sabaody e lascia fare a chi di dovere. Più stai lontana da questa storia, meno rischierai di finire nella tela del ragno » bofonchiò dopo un po’, pressato dallo sguardo impaziente della sua ospite, sul cui viso si dipinse un’espressione confusa.
« Pensi che sia una trappola per me? »
Il sospiro pesante dell’anziano fu piuttosto serio.
« Ascolta bambina. Bryan può aver scapocciato e deciso che quella base della Marina gli stava sul gozzo, ma sarai d’accordo che come spiegazione è peggio di un colabrodo in mezzo a una sparatoria. Il ragazzo ha dimostrato di aver preso molto bene la vita da pirata. Ogni tanto fa qualche stupidaggine come quella della principessa di Arba, ma per il resto è a posto, no? »
Lei annuì, dando un morso a un altro croissant.
« Concordato questo, sappiamo che non avrebbe distrutto così a cuor leggero quel posto. Dai toni del giornale, per quante panzane scrivano, e dalla nuova foto… beh, direi che c’è un problema sotto, un problema così grave da averlo portato a fare una cosa del genere. E sappiamo che “problema” ed “Erede” insieme significano… »
« … Shirami »
La donna aveva seguito il resto del ragionamento con in mano la tazza calda, osservando sovrappensiero la superficie del tè incresparsi mentre la sua presa si irrigidiva nell’ascoltare ognuna di quelle parole che nella sua testa formarono un’addizione perfetta e per cui la sua mascella si indurì.
Aveva intuito bene dall’inizio. Il problema era lei, di nuovo, perché di mezzo c’era lo zampino di quell’uomo. Se c’era la possibilità di qualche dubbio che le riflessioni dell’anziano potessero essere fuori strada, questi sparirono in breve, mentre nella sua testa molti di quei pezzi di informazioni appresi dal quotidiano cominciarono a formare una cornice nitida.
Non sapevano ancora quale fosse il perché di fondo che avesse posto Bryan di fronte all’unica soluzione di sterminare una base della Marina, ma riconoscere le tracce di quel finto Vice Ammiraglio le bastò per voler scoprire cosa ci fosse dietro, quale ennesima macabra trovata si fosse inventato per dissetare la sua brama.
« … Eve? Ohi, Eve? Ti sei persa!? »
La donna si riscosse, tornando alla realtà e quasi bruciandosi con il tè caldo che colò dalla tazza vacillante tra le sue mani.
« Ahi… scusa Jougen, dicevi? » 
« Che ne devi stare fuori! Stai già pensando a cosa fare, nevvero? Scordatelo! »
« Non posso ignorare questa cosa »
« Oh sì che puoi! Fai i bagagli e te ne torni a Heaven Ville! Io contatterò Rayleigh e se la vedrà lui »
Eve lo ignorò, sorseggiando il tè con un sospiro rapito dal buon sapore della bevanda.
« Sfrontata e impulsiva d’una ragazzina! I morti mi perseguiteranno! Sento già il lamento di tua madre… »
« Dacci un taglio, Jougen. Questa storia deve finire, e non continuare a trascinarsi finché non saremo tutti all’altro mondo e Shirami avrà consumato nel suo odio vite come quella di Bryan… o la mia » il tono era fermo e collerico allo stesso tempo, tanto che il vecchio, nonostante l’età, sentì un brivido percorrergli la schiena, che riuscì a mascherare abilmente. Tuttavia, sostenere lo sguardo color oro di lei fu troppo, e distolse il proprio simulando un colpo di tosse come a schiarirsi la gola. Il senso di colpa di essersi arreso, anni prima, tornò ad affacciarsi, e si sarebbe afflosciato sulla sedia, esausto, se non fosse stato distratto dalla mano di lei che copriva la sua, rugosa e debole.
« So che ti preoccupi, ma ho dimostrato di saper badare a me stessa, non trovi? » il suo sorriso era sincero e, lui non capì il perché, pieno di gratitudine. « Ora però ci sono loro che hanno bisogno che qualcuno vegli affinché realizzino i propri sogni. Non voglio che vivano dovendosi guardare costantemente le spalle dal mondo. L’hai detto anche tu: nonostante tutto, Bryan è sulla buona strada » il suo sorriso si ritrasse gradualmente e il suo sguardo si fece serio. « Però sappiamo che c’è chi gioca sporco. Non voglio diventare una martire se è questo che ti preoccupa. Ho già sacrificato troppo per voler aggiungere altro dolore. Quello che mi preme è che loro non debbano patire altrettanto, mi capisci? »
Jougen aprì e chiuse la bocca diverse volte, cercando di articolare la giusta risposta, nonostante la domanda fosse retorica. Si sentiva in dovere di dire qualcosa, di essere utile.
« Bambina per favore… non cacciarti nei guai, non lo sopporterei » riuscì solo a dire, neanche guardandola in faccia e avvertendo il peso di tutti i propri anni gravargli addosso. Quando sentì la mano di lei stringere salda la sua, dovette rialzare lo sguardo.
Eve sorrideva senza esitazioni, come se le fosse stato fatto un complimento.
« Tranquillo vecchio Lingua Lunga, non lascerò che i morti ti tormentino »
Jougen riuscì a esprimere un mesto sorriso, prima di rimproverarla sull’uso scorretto del suo soprannome.
 
 
 
 
« Eveeeee-saaaan »
Il nome della donna rimbalzò per la stanza fino alla terrazza con tono squillante e vivace, e la proprietaria alzò lo sguardo dalla lettera che stava scrivendo. Voltandosi, vide arrivare una scarmigliata ragazzina di non più di tredici anni che tra le braccia stringeva un pacco di fogli sgualciti.
Il sole era ormai alto, erano probabilmente quasi le undici di mattina. Eve aveva utilizzato le ore dopo la colazione per lavarsi e vestirsi, per poi prendere carta e calamaio e adoperarsi. Jougen, conclusasi la loro chiacchierata, era sparito, tornando diverso tempo dopo anche lui vestito a puntino… ma stavolta di un agghiacciante color pompelmo. E fu proprio lui ad apostrofare la nuova arrivata.
« Sul buon nome di famiglia, Clara! Non girare per casa con quei cosi ai piedi! »
Jougen dimostrava di avere una predisposizione naturale per le perifrasi evocative e molto fantasiose, e soprattutto i toni giusti da abbinarci. I “cosi” così chiamati erano un paio di vecchi, logori e sporchi anfibi che la ragazzina sfoggiava belli slacciati. Non che il resto del vestiario indicasse una cura maggiore: sembrava essersi tuffata nell’armadio, ed essere finita dentro a una gonna a pieghe con tartan rosa shocking e un top giallo a rombi arancioni. Il tutto corredato di borchie a teschio qua e là.
« Sei noioso, nonno! » lo rimbeccò la ragazzina, facendogli la linguaccia e tornando a rivolgersi alla loro ospite con un sorriso così entusiasta che sembrava le brillassero gli occhi.
« Eve-san! Questi me li ha dati Baba per te! » e dicendo ciò, fece scivolare sul tavolo con poca grazia il pacco di volantini che aveva abbracciato fino a poco prima. I fogli della lettera che la donna stava scrivendo finirono dispersi, mentre lei aggrottava la fronte davanti a tutti quei volti di ricercati che la fissavano in maniera poco rassicurante.
« Clara… ne avevo richiesti alcuni specifici… » iniziò, girandosi a guardare la teenager che le rimandò uno sguardo così gioioso neanche stesse fissando l’incarnazione del suo gelato preferito.
« Baba non si ricordava, così me li ha dati tutti » spiegò facendo spallucce.
« A che bicchiere è arrivata quella vecchia ubriacona? » si interessò Jougen, spingendo parte dei volantini verso il centro del tavolo, e gracchiando rimbrotti a caso ad alcuni dei pirati raffigurati.
« Bho? Aveva un boccale in mano! »
La risposta fu più che esaustiva.
Eve iniziò a raccogliere alcuni dei wanted, guardandoli dubbiosa. Ce ne erano di tutti i tipi: alcuni così vecchi e scoloriti che i tratti dei volti si distinguevano malamente, e riconobbe alcuni pirati ormai passati a miglior vita; altri invece parevano freschi di stampa e…
« Clara… hai disegnato tu questi cuori? » la interrogò la donna, non riuscendo a trattenere un risolino alla vista dei tratti rossi su alcuni volantini.
La ragazzina, che si era seduta a uno dei lati del tavolo, annuì imbarazzata, raccogliendo un paio di quei fogli incriminati.
« Il nonno non me li fa appendere in camera… » confessò, lanciando un’occhiata corrucciata al vecchio di fronte, che di nuovo contrasse le sopracciglia così tanto da far sparire gli occhi.
« Non è roba per mocciosette della tua età! » battibeccò, agitando il bastone.
« Io diventerò una piratessa e un vecchietto come te non potrà impedirmelo! » rispose a tono lei, facendogli le boccacce e tirandosi la pelle del viso con le dita come a volerlo insultare.
Eve non riuscì a trattenere le risate, riprendendo i volantini marcati dai cuori di Clara.
« Però te li scegli bene, eh piccola? Portuguese D. Ace, Rudy Fenris, Trafalgar Law, Cavendish, Occhi di falco… » elencò, vedendo come il livello di gradimento si capisse dal numero di cuoricini che ricoprivano la foto.
« Eve-san! Perché non mi porti con te? Così potrei conoscerli! » propose la ragazzina con un tale entusiasmo che nel gesticolare fece volare via alcuni wanted. « Posso esserti d’aiuto! Mi infiltrerò nei covi dei delinquenti e raccoglierò informazioni… » nel dirlo simulò un’aria circospetta e unì le dita a formare una pistola finta. « Sbaraglierò tutti i cattivi che vogliono farti del male… bang bang! »
« Santa sia la pazienza di Nettuno, Clara! Smettila con queste stupidaggini! Finché tirerò a campare scordati pure scemenze simili e piratuncoli da strapazzo! » la redarguì Jougen con le vene del collo pulsanti e il viso paonazzo, sputacchiando saliva. « Pace all’anima dei tuoi genitori, non mi farò perseguitare da loro perché tu farnetichi su questi tipacci imbellettati! »
Clara non sembrò minimamente toccata dal rimprovero, e ricambiò quei rimbrotti con aria annoiata e un sospiro alla “non capisci proprio niente, vecchio!”.
La donna mora, dal canto suo, non riuscì a non scoppiare a ridere, guadagnandosi un’occhiataccia.
« Scusa scusa… è che sentire un rimprovero simile da te – e nel dirlo pescò dal mucchio delle taglie uno dei fogli più vecchi, con un aitante uomo che sorrideva fin troppo pomposo, e lo sventolò in aria – grande Jabber “Lunga Spada” Jougen… è un po’ buffo »
Il silenzio fu breve. Clara, con l’espressione più sorpresa che avesse mai avuto, fece per tendere la mano e vedere meglio la foto, ma il nonno dimostrò una rapidità fulminea nel strappare il wanted alla bruna e infilarselo nelle pieghe del kimono, ancora paonazzo e borbottante come una teiera.
« Tu eri un pirata! » trasecolò la piccola, con una sorta di espressione inorridita in faccia. « Impossibile! »
« Erano altri tempi! I tempi migliori della pirateria, con uomini veri! Non questi bellimbusti che pensano più a cosa mettersi addosso e a creare casini! » gracchiò Jougen, non riuscendo tuttavia a riappropriarsi di un colorito normale. « E comunque non servono altri pirati in famiglia piccola teppistella, quindi basta! »
« Ma sei andato per mare sul serio? Hai trovato dei tesori? Hai combattuto fino all’ultimo sangue? »
Nonno e nipote finirono col parlare della carriera del primo sotto il Jolly Roger. La donna ridacchiò tra sé per la piega presa dalla discussione, soprattutto su come Jougen usasse parole altisonanti e magnifiche nel descrivere le proprie imprese, mentre la teenager ascoltava rapita, dimentica dei suoi modi poco rispettosi e affamata di informazioni. Trovando in quel siparietto un attimo di tranquillità, Eve tornò a sfogliare i vari volantini, prendendo quelli che le interessavano, ma non senza prestare attenzione ad altri.
Conosceva quasi tutti i volti riportati: di molti aveva solo sentito parlare, alcuni aveva avuto modo di trovarcisi faccia a faccia, altri… due in particolare, sempre scarabocchiati da Clara – su uno di questi aveva disegnato una faccina stupita seguita da un “DAVVERO!?”– attirarono la sua attenzione e le strapparono un sorriso malinconico. Li pose a parte, riprendendo a cercare gli altri che le interessavano. Uno strano senso di eccitazione le formicolava addosso, mentre con dita rapide e lo sguardo concentrato analizzava e divideva i fogli. Era parecchio che non si muoveva. Oltre la storia dell’Erede, aveva altre faccende di cui voleva occuparsi e andare a fondo, e dopo qualche mese di inattività l’idea la elettrizzava.
Aveva quasi finito di sistemare in vari mucchi tutti i wanted, continuando a sogghignare nel trovare divertenti gli scarabocchi della piccola peste: Roronoa Zoro e Eustass Kidd sfoggiavano zanne, corna e lingue biforcute; peggio, a suo giudizio, era toccato al vecchio wanted di Donquixote Doflamingo, dove fiocchetti e fronzoli simili adornavano l’uomo già agghindato di suo nel pellicciotto rosa; il volto rovinato di Sanji “Gamba Nera” era stato coperto da scarabocchi incomprensibili mentre a Killer “Il Massacratore” erano toccati tanti punti interrogativi.
Alla fine, l’ultima taglia a cui puntava lì in mezzo non c’era, ironia della sorte.
« Secondo me ti stai inventando tutto, vecchio rimbambito. Tu che combatti al fianco del Re dei Pirati? Non ci crederò mai! » esclamò scettica Clara, gonfiando le guance. Poi si volse e riattaccò con le sue suppliche. « Eve-san, portami con te! Ti prego! »
La donna bruna fu salvata dal rispondere dall’arrivo di una delle cameriere e di un voluminoso pacco. L’espressione della domestica era dubbiosa.
« Jabber-sama, è arrivato questo poco fa, senza destinatario. Baba-san ha… ecco… farfugliato qualcosa a proposito della signorina Eve » spiegò, insicura sui termini da usare.
Il proprietario della villa e la sua ospite si scambiarono uno sguardo. La donna prese il bigliettino che la cameriera le stava porgendo, mentre il vecchio prese il pacco e lo ispezionò con perizia, soppesandolo e scuotendolo appena.
« Cos’è? Cos’è? » si interessò subito Clara, sporgendosi dalla sedia per leggere anche lei il contenuto della missiva:
 
Mon amie,
sai a chi farlo indossare.
S.F. 21+7
D.
 
« Un messaggio in codice! E’ un pirata!?  Che significa monàmie? »
« No tesoro, nessun pirata, peggio… » rise Eve, riconoscendo all’istante il mittente.
« Bah, non sembra contenga roba nociva, o almeno non ticchetta » interloquì Jougen dopo la sua ispezione preliminare, passando il pacco alla donna che slacciò i nastri di raso blu e aprì la scatola.
Per riuscire a vedere bene il contenuto dovette alzarsi in piedi, tirandone fuori un lungo e sgargiante abito blu pavone, rifinito nei dettagli dalle piume dello stesso animale. La scollatura davanti era esageratamente profonda, mentre quella sulla schiena era coperta da un pizzo finissimo degli stessi colori cangianti delle piume. La gonna scendeva morbida con un generoso spacco sul lato sinistro. In fondo al pacco spiccavano una maschera per gli occhi finemente decorata in tono col vestito, e scarpe col tacco anch’esse in pendant.
« Ha proprio pensato a tutto… » fu il commento sbigottito della donna.
« D.? Chi sarebbe? » domandò il vecchio, leggendo il messaggio con cipiglio contrariato.
« Lunga storia… ma mi chiedo come faccia a sapere sempre dove mi trovi » ragionò la mora, continuando a rimirare l’abito. In cuor suo ringraziò che D. non fosse un cacciatore di taglie, perché quella sua assurda capacità di stanarla ogni volta era preoccupante.
« Un ammiratore segreto! » sospirò estasiata Clara, lasciandosi andare sulla sedia con un paio dei wanted che aveva scarabocchiato a cuore, rimirandoli. « Voglio diventare una piratessa bella e coraggiosa come te Eve-san »
A quel complimento la bruna le scompigliò i capelli pel’ di carota, sogghignando.
« Intanto pensa a crescere, poi ne riparliamo »
Jougen bofonchiò qualcosa sul non impicciarsi levando le mani al cielo, arrendendosi a quelle discussioni infantili.
« Sembra che avrò la settimana piena » riassunse in fine tra sé Eve dopo aver risistemato l’abito nel pacco e aver riesumato la lettera che stava scrivendo prima dell’arrivo di Clara.
Aggiunse un paio di righe, firmando con il suo nome completo, per poi prendere un altro foglio e intingere di nuovo la penna d’oca. Sapeva che ciò che stava per scrivere sarebbe stato rischioso, ma quado iniziò a grattare la carta con la punta il pensiero venne accantonato. Trascrisse coordinate, data e ora dal messaggio arrivato a lei senza aggiungere altro se non le sue iniziali. Quando scrisse sulla busta il destinatario, Jougen la guardò con uno sguardo preoccupato, stringendo il pomello a rostro del proprio bastone.
« Sicura bambina? »
Lei annuì, consegnandogli sia l’ultima lettera che quella per Rayleigh.
« Mi fido della tua rete postale. Solo… stavolta manda una delle tue colombelle, che il falco dell’ultima volta ha quasi scatenato una rissa » disse ironica, nonostante lo sguardo fosse serio.
« Che l’anima di Roger vegli su di noi »
Eve ridacchiò un’ultima volta.
« Camperai ancora cent’anni, vecchio Lingua Lunga, fidati »
 
 
 
 
Grand Line.
A confine con una delle Calm Belt.
 
 
 
Il Den Den Mushi riprese la sua cantilena di “blblblbl” nella penombra della sala comune della nave, gli occhietti tondi spalancati e sofferenti.
Era dalla sera prima che suonava a intervalli regolari senza che nessuno rispondesse. Le intenzioni c’erano state e non era difficile indovinare chi potesse essere a cercarli con tanta insistenza. Un gesto del capitano era però stato sufficiente a sedare qualsiasi iniziativa per tutta la giornata, finché dall’altro capo non capirono che nessuno avrebbe dato retta alla telefonata.
Eppure ora eccoli di nuovo lì, con il lumacofano supplicante di attenzioni e la consapevolezza che quella conversazione non potesse essere rimandata oltre.
Il capitano, seduto su una delle poltrone della stanza, quasi totalmente nell’ombra, fece un cenno di assenso col capo e la ragazza sganciò la cornetta, senza tuttavia dire nulla.
L’espressione dello snail mutò improvvisamente in una palesemente alterata.
« BRYAN! » fu l’urlo collerico che rimbalzò per la cabina. « Dove diavolo eri!? »
« Ciao Lewis, sono Gloryanne » rispose piatta la brunetta che aveva il ricevitore stretto tra le dita, lanciando un’occhiata di sottecchi all’Erede, immobile nella sua posizione. Dietro di lei, accucciati sul pavimento, la lupa bianca e il lupo rossiccio sembrarono scambiarsi un’occhiata. Il loro padrone, stravaccato contro il muro, rimase a sguardo basso, le mani fasciate inermi sulle cosce.
Dall’altro lato seguì un attimo di silenzio.
« Ciao Anne. Passami Bryan prima che mi incazzi sul serio »
La minaccia risuonò come un sibilo per la stanza, facendo rizzare le orecchie agli animali.
Non ci furono risposte. Gloryanne guardò il capitano con espressione indecifrabile, aspettando anche lei di sentire la sua voce.
Era rimasto chiuso nella sua cabina tutto il giorno, ordinando che nessuno lo disturbasse, ma era stato insopportabile non intervenire sentendolo accanirsi sugli oggetti della camera, distruggendo ogni cosa gli capitasse a tiro. E intanto il Den Den Mushi aveva squillato ininterrottamente, e lei sapeva essere Lewis fin dall’inizio. Avrebbe voluto che fosse lì, per calmare il suo capitano. Ma si rendeva conto che non sarebbe stato come le altre volte, che due chiacchiere non avrebbero risolto la questione. No, era probabile che quella volta la loro amicizia, già sul filo del rasoio per via dei rispettivi ruoli, sarebbe stata a un bivio.
« Sono qui »
L’inaspettata risposta di Bryan riscosse Anne, malgrado il tono risultasse alla stregua di una lama ghiacciata. Anche Lewis se ne accorse, ma questo non lo fermò dal riprendere a sbraitare. Per quelli che lo sconoscevano bene, si poteva percepire una vena di tormentata preoccupazione nelle sue parole.
« Ti ha dato di volta il cervello!? Che accidenti di scusa hai per quello che hai fatto ieri!? »
Nessuno all’interno della sala rispose. La mano di Gloryanne tremava leggermente nello stringere troppo forte il ricevitore.
« Le squadre di soccorso stanno ancora tirando fuori i marines dalla terra! Li hai seppelliti vivi! VIVI DANNAZIONE! » e nel sottolinearlo seguì un’imprecazione masticata, che parve quietare un po’ il suo tono. « Hai idea del casino che ne sta venendo fuori? Sarai fortunato se non ti metteranno alle costole un Ammiraglio »
Ancora, dall’altra parte, nessuno diede cenno di voler ribattere.
« Bryan vedi di capirlo una volta per tutte. Qui funziona che ogni tua azione viene penalizzata due volte » ricominciò, stavolta calmo e concentrato, sebbene con la mano libera si massaggiasse una tempia. « Tutti temono di vederti diventare un secondo Gold Roger e non vogliono che la faccenda sfugga loro di mano. Finora non hai creato enormi problemi – a parte portare via Gloryanne da Arba – ma questo sta facendo agitare tutte le alte sfere. Per loro è un campanello d’allarme e stanno valutando come affrontare la cosa »
Un risolino per niente divertito scosse le spalle di Rudy Fenris, ancora sbracato a terra vicino ai suoi lupi. Strinse le mani così forte sulla stoffa dei pantaloni che le ferite sulle nocche fasciate si riaprirono. La ragazza sentì una fitta al cuore, trovandosi impotente.
« Ohi Bryan! Stai ascoltando quello che dico!? » strepitò Lewis, perdendo di nuovo la pazienza nel sentire i suoi discorsi vagare nel vuoto.
« Ti sto ascoltando » fu la laconica risposta che ricevette dall’interpellato, le cui dita erano salde sui braccioli della poltrona alla stregua di quelle di Rudy.
« Visto che non hai perso l’uso della parola, spiegami che diavolo è successo! Te lo ripeto se non ti è chiaro: qui tira una pessima aria e non posso aiutarti se non mi racconti nulla »
Lo sguardo ardente con cui l’Erede fissò il pavimento spinse Gloryanne a riprendere la parola.
« La Marina ci ha teso un’imboscata » cominciò, cercando di reprimere la voglia di urlare al ricordo di quello che stava raccontando. « Erano troppi e sono riusciti a metterci alle strette… » e c’erano così tante cose che avrebbe potuto dire, per prolungare l’inevitabile e riportarlo a galla, ma tagliò corto. « Hanno portato via Bonnie »
« … cosa? »
Era inutile girarci intorno.
Anche se avesse raccontato per filo e per segno cosa fosse avvenuto, come la lotta si fosse protratta e avessero impiegato tutte le risorse disponibili, il racconto non sarebbe finito diversamente. Erano stati sconfitti e la sorella del capitano portata via di fronte la loro impotenza. Sentiva che sarebbe scoppiata a piangere, gli occhi che le pizzicavano furiosamente mentre la sua mano stringeva convulsa la cornetta, se suo padre non le avesse insegnato con durezza che una principessa di Arba non poteva permettersi di versare lacrime e mostrarsi debole.
Lewis impiegò quasi un intero minuto per registrare quanto ascoltato. La frustrazione che aveva provato nei vani tentativi di mettersi in contatto con Bryan per capire perché il suo migliore amico avesse compiuto una strage per lui insensata si dissiparono come una bassa marea, lasciandogli un senso di vacua incredulità. Nella sua mente emerse il viso tranquillo e rassicurante della sua sorellastra, accompagnato dall’avvertire qualcosa di profondamente sbagliato in quello che aveva appena udito.
Dall’altra parte del ricevitore il moretto sentì un fruscio e poi un’accusa esplodere rabbiosa.
« Cos’è, non rispondi più!? Che cazzo avete in mente di fare a Bonnie!? »
Lewis riconobbe la voce di Rudy, sentendo un istintivo moto di irritazione coglierlo.
« Frena un attimo! Mi stai accusando!? »
« Sei tu il galoppino della Marina! »
« Fottiti cagnaccio! Se avessi saputo qualcosa del genere vi avrei avvertiti! »
« E perché diavolo dovremmo fidarci di te!? »
« Smettetela subito tutti e due! Non siete d’aiuto! »
Gloryanne allontanò il ricevitore dal volto del compagno e questo sollevò le mani in un gesto esasperato, imprecando. Il malumore e il senso di sconfitta gli stavano macerando i nervi e tutti quei rimbrotti di poco prima erano stati la goccia che aveva fatto traboccare la sua esigua pazienza. Quel Lewis Armstrong poteva anche essere il fratellastro del suo capitano, ma il suo istinto animale non riusciva a farglielo piacere. Puzzava di idiota.
« Anne » il tono stanco del marine cercò di essere il più pacato possibile nell’ignorare il nervosismo imperversante e si rivolse all’unica persona ragionevole su quella nave. « Cosa ricordi dell’attacco? Ho bisogno di avere qualcosa su cui indagare »
La ragazza prese un profondo respiro, grata che finalmente provassero a fare qualcosa di concreto. Non le fu difficile fare mente locale, tanto gli avvenimenti fossero impressi nitidi nella sua mente e nelle ferite ancora doloranti.
« È accaduto due giorni fa. Tre navi ci hanno affrontati da prua e mentre eravamo intenti a difenderci su quel lato, da poppa sono emersi due sottomarini, sempre della Marina anche se camuffati. Ci hanno accerchiati. Erano riusciti a intrappolare Bryan con l’agalmatolite… ma non l’hanno catturato. Hanno aspettato che anche l’ultimo dei nostri non si reggesse più in piedi per portare via Bonnie » raccontò, mentre le immagini scivolavano l’una dietro l’altra vivide e crudeli. Con la coda dell’occhio vide Bryan alzarsi silenzioso dalla poltrona e avvicinarsi, senza proferire parola. Rimase con lo sguardo scuro di fianco a lei, assorto nel guardare il Den Den Mushi la cui espressione si era fatta via via più sconcertata a ogni parola che Lewis udiva.
Il primo pensiero del moro fu un più che ovvio “Qual è il deficiente che riesce a mettere ko l’Erede e poi lo lascia lì!?” ma si rese subito conto che la domanda era già di per sé una risposta: qualcuno che avesse ben altro in mente. Quando parlò, preferì chiedere forse l’informazione più utile.
« Sottomarini della 104a o della 187a divisione? Sei riuscita a vedere il numero? » domandò, pronto a restringere il campo. La marina non era dotata di molti sommergibili - per quanto in realtà potessero ritornare utili - e ciò era dovuto ad alcuni accordi presi col Regno di SubAquaea riguardo all’essere “invasivi”.
« Divisione 92 » rispose sicura Anne. Quel numero era impresso nella sua mente peggio di un qualsiasi Jolly Roger nemico avesse mai potuto odiare.
« Non è possibile »
Il tono sconcertato di Lewis prese alla sprovvista tutti.
« … non esiste nessuna divisione 92 » chiarì, rendendosi conto che più elencava tra sé i reparti che conosceva, più quello mancasse. Non esistevano sezioni della Marina compresi tra il novanta e il novantanove.
« Questo ci sta prendendo per il culo! » esplose Rudy da in fondo la sala, non riuscendo a calmarsi minimamente.
« Piantala di aprire la bocca, cane rabbioso. Questa cosa non ha alcun senso. Siete sicuri che non fossero pirati? » lo rimbeccò il marine, la mascella serrata che faceva difficoltà a non imprecare. Gli sembrava di essere finito nelle sabbie mobili: la situazione lo agitava man mano che i dettagli sfuggivano al suo controllo. Si sentiva affondare, mentre la flebile speranza di risolvere quella situazione in breve tempo si allontanava.
« A differenza di voi subdoli marines, noi pirati le nostre intenzioni le sbandieriamo apertamente! E se lo fossero stati, il capitano non avrebbe ancora la testa sul collo! » tornò a ringhiargli contro l’uomo-lupo, nella cui bocca i canini si erano fatti più acuminati.
« Rudy ha ragione… » convenne Gloryanne, desolata. Se aveva sperato nell’aiuto di Lewis, quel flebile desiderio cominciava a farla dubitare.
« Ok, ok… ora però non mi è chiara una cosa: perché accidenti avete distrutto quella base della marina, la 74a? »
« Stavamo attraccando nel porto della città per riparare i danni e curare i nostri feriti quando- »
« Quando quei coglioni hanno pensato bene di approfittarne e darci il ben servito. Hanno sbagliato giorno per attaccar briga e fare i fenomeni » concluse di nuovo Fenris interrompendo bruscamente Anne, per niente pentito.
Lewis dovette tacere. Quattro anni nella Marina non lo avevano coinvolto sufficientemente a fargli credere ciecamente nell’ideale di “Giustizia” che tutti i suoi colleghi sbandieravano apertamente, dandogli però il significato più consono a seconda della situazione – o del proprio giudizio. Per lui la Giustizia era morta quattro anni prima insieme a sua madre e al giorno in cui era stato separato da Bryan e Bonnie con la forza e la violenza. Si erano ritrovati, era vero, ma nessuno di loro tre avrebbe voluto ricoprire il ruolo che si trovavano a interpretare. Loro due eredi di un Re dei Pirati che non avevano mai conosciuto, lui obbligato a diventare marine per soddisfare i desideri di un nonno per cui contava solo perpetuare le tradizioni e l’onore della famiglia.
Per questo non si sentì di biasimare ulteriormente l’operato del suo fratellastro, ora che conosceva i retroscena. Sapeva che Bryan non avrebbe mai ucciso nessuno per divertimento, ma ricordava anche come stuzzicare la sua collera fosse una chiara dichiarazione di guerra, soprattutto se venivano coinvolti i suoi compagni o quel che rimaneva della sua famiglia.
« Rapire Bonnie a che scopo? Per far leva su Ian? La possibilità di catturarlo l’hanno avuta e l’hanno lasciato andare… » cercò quindi di ragionare il moretto a voce alta, tornando a massaggiarsi le tempie sentendo un mal di testa da stress avanzare. Doveva pensare, pensare, pensare e trovare un collegamento, un indizio, qualcosa che gli dicesse “deficiente, la strada da seguire è questa!”.
E fu Bryan, prendendo la parola seriamente per la prima volta, a trovare quella connessione. O probabile tale.
« Lew, ti ricordi il Vice Ammiraglio di quattro anni fa? »
« Certo. Ho avuto incubi per mesi di quel giorno… » confessò l’amico.
« C’è lui dietro »
L’affermazione fu lapidaria, ogni sillaba pronunciata con un odio denso eppure controllato. Gloryanne e Rudy guardarono il proprio capitano senza capire, ma egli perseverò a fissare lo snail, in attesa.
« Da quando sono in Marina non l’ho mai visto. Chiedendo di lui in giro nessuno è in grado di fornire informazioni precise. Ho dovuto smettere quando ci si è messo di mezzo il nonno intimandomi di lasciarlo perdere. E in questi quattro anni non ho letto alcun rapporto o sentito voci di sue missioni. Però all’epoca… sembrava saperla lunga su di voi »
I primi tempi in Marina, essendo molto più giovane degli altri cadetti e poco incline a tutti quegli allenamenti pesanti, Lewis aveva dedicato la sua attenzione al cercare la verità sul giorno che aveva segnato la sua vita. Il problema era che di quell’operazione a Salmoa nessuno pareva sapere niente, e quei pochi a conoscenza consideravano l’argomento tabù. Per quanto fosse testardo, Lewis si era ritrovato con un pugno di niente e la sensazione di qualcosa di ingiusto, ma aveva dovuto abbandonare le sue ricerche quando qualcuno aveva insinuato che volesse quelle informazioni per aiutare l’Erede. Suo nonno era andato su tutte le furie, facendogli capire che doveva dimenticarsi del suo passato o sarebbe stato accusato di complicità, nonostante la giovane età. Lewis però era sufficientemente ostinato e intelligente da aver trovato altre vie per non perdere almeno i legami con quelli che considerava i suoi fratelli. 
« Voglio sapere dove si trova » Bryan interruppe i suoi pensieri, con lo stesso tono monocorde.
« Scoprirò qualcosa, stanne certo » promise, avendo voglia di poterglielo giurare di persona. Soprattutto per enfatizzare le parole successive. « Tu non fare nient’altro di avventato, rimani tranquillo in qualche posto isolato, ok? Se ti mandano contro uno dei tre Ammiragli, dovrai arrivare in capo al mondo con la Mermaid’s Melody per potergli sfuggire »
Era preoccupato, perché le espressioni e i discorsi dei suoi superiori avevano lasciato ben intendere che stroncare una minaccia sul nascere era meglio che lasciarla libera di maturare e peggiorare in futuro. Ergo, sbarazzarsi delle ultime gocce di sangue di Gold Roger sarebbe stata la soluzione ottimale. E Lewis avrebbe ritardato – e impedito – quella decisione con tutte le sue forze, anche a costo di gettare via quegli anni di carriera.
Poi un pensiero lo fulminò, una porticina rimasta in disparte e socchiusa, a cui non pensava da molto tempo.
« Ian… credo dovresti andare a parlare con tuo padre » iniziò calmo, cercando di dosare un tono ragionevole nella frase. In una risposta istintiva, poteva immaginarsi l’interpellato irrigidirsi sul posto più di quanto potesse esserlo già. « Lo so che lo odi e che lo ammazzeresti volentieri, ma non abbiamo ancora capito perché questa 92a divisione fantasma abbia voluto per forza Bonnie… forse all’epoca non ti disse tutta la verità » finì, deglutendo suo malgrado. Poteva intuire che in una situazione delicata come quella andare alla ricerca del padre fosse l’ultimo pensiero che sarebbe mai passato dalla testa di Bryan. Però Lewis la vide come un percorso che sarebbe stato stupido evitare di sondare: in fondo, tutto a Salmoa era cominciato col comparire di Irwin e lo scoprire da lui il legame con Gol D. Roger. Forse avrebbe potuto trovare qualcosa sul perché la marina potesse aver voluto catturare Bonnie e non il ragazzo di cui tutto il mondo parlava.
Per l’ultima volta, Bryan fu secco nell’interrompere il flusso di pensieri dall’altro capo, come lo fu nell’ultima minaccia che concluse quella telefonata.
« Tu trova Shirami, Lew. E ti avverto. Se qualcuno torcerà un capello a Bonnie, farò sprofondare l’intera Linea Rossa »
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Red Jack: il Jack Rosso. Mi piaceva l’accostamento =D
- Fulham: è un tipo di dado truccato. In questo caso, il nome della città principale di Red Jack.
- Jabber Jougen: dall’inglese jabber “chiacchiericcio, ciarle” e dal giap. jougen “pettegolezzi, dicerie”. Uno a cui piace dare fiato alla bocca XD
- - san: suffisso onorifico, sta pressappoco per il nostro “signor”/”signora”.
- Mon amie: dal francese. “amica mia”.  
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Amo questo capitolo *sbrilluc* Ho adorato scriverlo, perché è un crescendo ed è ricco di pezzettini e dettagli che torneranno più avanti!
Un capitolo tra l’altro interamente dedicato ai personaggi inventati da me…!
La primissima parte è riservata al personaggio che da il nome alla storia: Eve, la mia bella Eve! Spero che la sua descrizione (caratteriale) tra le righe vi sia piaciuta =)
Sul finire invece tornano Bryan, Lewis e Bonnie cresciuti *__* Scusate l’emozione, ma mi sento una mamma orgogliosa di loro e molto sadica *smile
 
Prima delle noticine facoltative sul cap vorrei ringraziare Keyra Hanako D Hono e jillianlughnasad che continuano a seguire e commentare la storia! Spero che presto qualcun altro si aggiunga a loro 0=)  
 
 
Not(e)ce me, senpai:
 
- Jabber Jougen, Clara e Baba: tre nuovi OC! =) Jougen viene direttamente dalla prima pubblicazione della storia. Proprietario di una villa a Fulham, è un vecchio pirata in pensione che ora si occupa della miglior rete postale (losca!) che si possa avere nella Grand Line. Suoi sono i “Falchi” e le “Colombelle” citati da Eve. Come dice il suo nome (ciarle e pettegolezzi) e il suo soprannome storpiato (da Lunga Spada a Lingua Lunga) sa parecchie cose e come usarle. Ha a cuore la sorte di Eve, più avanti verrà spiegato il perché =)
Clara è sua nipote, orfana dei genitori. Tredicenne, ha la passione per i bei pirati, come si capisce dalla scena dei volantini XD È stato un pezzo divertentissimo da scrivere…!
Baba è la cuoca della villa, ubriaca da mane a sera… mi piacerebbe riproporla un po’ più in là con qualche siparietto tra lei, Jougen e la nipote XD
 
- Heavenly Eve: seconda apparizione… perché, per chi ha avuto intuito, compare per la prima volta alla fine del prologo =D La moretta della parte su “Heaven Ville” ;)
 
- Rayleigh: Solo nominarlo mi manda in brodo *love* Come annunciato nelle note del prologo, lui è uno dei personaggi “recenti” del manga che ho deciso di inserire perché, obiettivamente… è troppo figo! Scherzi a parte, si sta costruendo il suo ruolo nella storia, e ne sono davvero lieta. (per la serie… i personaggi si scrivono le parti da soli XD)   
 
- Lettera da D.: non sono molto brava nello scrivere messaggi in codice o simili. Ma vediamo… qualcuno, dai pochi indizi che o dato, ha capito cosa c’è scritto? O almeno… cos’è S.F.? =D Realmente esistente nel manga di OP!
 
- Gloryanne Arbalest e Rudy Fenris: *emozione* vi presento i due membri principali della ciurma di Gol D. Bryan, nonché miei adoratissimi OC *superlove* Gloryanne Arbalest (abbreviata in “Anne”) è la “principessa di Arba” tanto citata nel capitolo. È il Vice-Capitano della Mermaids’ Melody, mentre Rudy Fenris è il Navigatore della Mermaid’s Melody. È di base un lupo mannaro, ma quando sarà scriverò meglio su di lui. Ha con sé due compagni inseparabili, due lupi. Litiga continuamente con Lewis, soprattutto se c’è Bryan di mezzo, perché è geloso della loro amicizia… più avanti vi dirò! =D Trattatemeli bene!
 
- Bryan, Lewis e Bonnie: eccoli cresciuti, a distanza di quattro anni dal prologo che si svolgeva a Salmoa. Bryan è diventato un pirata piuttosto temuto, sempre sfuggevole grazie alla nave sottratta al padre all’epoca, e ugualmente irascibile quando si tratta di pestargli i piedi. Però non è cattivo =) Vedrete *spulciott* Ha messo su una ciurma, i cui membri principali, esclusa la sorella, sono Gloryanne e Rudy di cui si fida ciecamente.
Nel mentre, Lewis dopo l’incidente di Salmoa, è diventato un marine a tutti gli effetti, un Capitano di Vascello. Tuttavia, questo non gli ha impedito di cercare e ritrovare i contatti (in segreto) con Bryan e Bonnie, le uniche due persone che considera “famiglia”. Cerca sempre di coprire loro le spalle come può, come si legge in questo capitolo.
Bonnie… è stata rapita. Non molto da dire *cry
 
Blog su Tumblr: [ http://heavenlyeve.tumblr.com/ ] =)
 
Bacioni!
Nene
 
 
 
Ps: una mia fanart dedicata a Bryan: http://heavenlyeve.tumblr.com/post/103494077341/eccoci-di-nuovo-con-qualche-schizzo-amatoriale

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Capitolo 6
*** Capitolo IV - Incontri Notturni ***


AVVISO: dalla settimana prossima sposterò l’aggiornamento al GIOVEDÌ!
 
 
 
 
 
Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo IV -
[Incontri Notturni]
 
 
 
 
 
 
Dovevano essere quasi le tre di mattina. L’orizzonte era un’infinita distesa di oscurità in cui non si percepiva dove finisse il mare e iniziasse il cielo. Le stelle si rispecchiavano fulgide nell’acqua immobile come unica fonte di luce, dando un non so ché di romantico all’ambiente.
Sanji, con due tazze fumanti in mano, si richiuse la porta della cucina alle spalle sospirando sconsolato. Il panorama era splendido, ma si era trovato a spartire il turno di guardia con la zucca vuota del suo capitano. La giornata era stata lunga ed estenuante per tutti, e per quanto quella notte potesse essere uno spettacolo accattivante, le tre donzelle della Sunny erano andate a riposare presto.
Senza esitare oltre raggiunse l’albero di mezzana, arrampicandovisi agilmente fino alla coffa, dove lo aspettava un tremante Rufy imbacuccato in un vecchio plaid rosso.
« S-S-Sanji » batté i denti il capitano, vedendolo arrivare. Il biondo scosse la testa, prima di mettergli sotto il naso la tazza di cioccolata calda espressamente richiestagli qualche minuto prima. Rufy parve riprendersi, agguantandola rapido e tracannandone subito un sorso bollente che gli fece prendere un colorito rossastro.
« Scotta! » esclamò senza fiato, la lingua di fuori, guardando il contenuto cremoso della tazza.
« Stupido, che ti aspettavi? » sospirò rassegnato Sanji, sedendosi sul parapetto della coffa a osservare il mare placido e saggiando appena il caffè che si era preparato, riflettendo.
La temperatura era vertiginosamente scesa, tanto che avevano dovuto tirare fuori i cappotti invernali, ma niente che li stupisse, avendo ormai fatto l’abitudine a quei cambi repentini del clima. A seguito di un altro sorso caldo, più moderato, Rufy tornò a parlare:
« Siamo tanto lontani dalla prossima isola? » domandò.
Sanji non replicò subito, scrutando l’orizzonte scuro.
« Che vuoi che ne sappia » rispose. Rimuginò un po’, prima di riprendere: « Ma più passa il tempo e più quei vermi potrebbero allontanarsi, e non abbiamo neanche la certezza che la rotta sia quella giusta »
Rufy lo guardò qualche attimo, tornando poi alla sua cioccolata e finendola in un ultimo caldo sorso che gli lasciò la bocca fumante. Poggiò la tazza in terra, alzandosi e stiracchiandosi sotto lo sguardo interrogativo dubbioso del cuoco.
« Appena lo troveremo gliele faremo pagare tutte » dichiarò il capitano, guardando un punto imprecisato del mare.
Sanji sorrise, alzando la tazza come a brindare per poi buttar giù anche lui l’ultima goccia.
Rufy rise, ma un improvviso e del tutto inaspettato scossone fece traballare con violenza la Sunny, facendo quasi cadere dalla coffa i due uomini. Pochi secondi dopo, e come se niente fosse successo, la nave tornò lentamente a stabilizzarsi, sebbene sia cuoco che capitano rimasero in allerta, ben aggrappati al parapetto, scrutando tutt’intorno.
« Che cos’è stato? »
La più che logica domanda del ragazzo di gomma non ottenne risposta. Sanji era troppo occupato a guardare l’orizzonte calmo, innaturalmente calmo, considerando il violento urto che avevano appena subito, per dare fiato ai suoi pensieri confusi: davanti a loro non c’era nulla.
Per altre due volte il brigantino fu scosso con impeto. Sembrava che nel mare circostante si stessero propagandando onde d’urto provocate da cannonate mancate, ma niente lasciava intendere nemici in agguato, ed era troppo buio per distinguere alcunché lì intorno.
In fine, del tutto inatteso, come del resto gli altri, arrivò un terzo feroce colpo alla fiancata di dritta e i due di vedetta sentirono distintamente il legno scricchiolare.
« Ci hanno colpiti! » strepitò allarmato il capitano, tentando di vedere se la Sunny avesse riportato danni.
« Non ci sono navi in giro » soffiò Sanji, scrutando attentamente l’acqua. « E’ qualcosa che viene da sott- »
Il biondino non ebbe tempo di terminare la frase: fu sbalzato all’indietro dall’ennesima, improvvisa scossa e sbatté dolorosamente la schiena, cacciando diverse colorite imprecazioni.
Rufy, al contrario, allungò il braccio fino alla balaustra del ponte sottostante, approdandoci qualche istante dopo per capire cosa stesse succedendo.
Nello stesso momento irruppero sul ponte di corsa Zoro, Chopper, Brook, Franky e Usopp, quest’ultimo ancora in pigiama insieme all’inseparabile fionda in mano.
« Ma che diavolo succede!? » urlò lo spadaccino prima al capitano e poi al cuoco, che stava scendendo dall’albero maestro il più in fretta possibile.
« Ci stanno a-a-attaccando? » balbettò il cecchino, voltandosi a scatti sia a destra sia a sinistra e mirando a nemici invisibili.
Un barrito si levò dal mare a coprire le voci agitate e la Sunny tremò. L’equipaggio si coprì le orecchie, assordato.
« Sembra un animale ferito » urlò Sanji, cercando di farsi sentire dagli altri.
Ma nessuno lo udì. Quando il grido animalesco si interruppe, tutti si voltarono a tribordo a fissare senza fiato quella che sembrava una gigantesca collina nera appena affiorante dall’acqua. Le mascelle della ciurma franarono a terra e gli occhi schizzarono fuori dalle orbite, mentre le poche rotelle nella testa di ognuno cercavano di dare una spiegazione ammissibile – benché buona parte al limite della fantasia – a quell’enorme massa che li sovrastava.
Un nuovo verso si levò alto, investendo i presenti in pieno come un vento travolgente e dal pungente odore di cibo digerito.
« Vuoi combattere!? » gli urlò contro Zoro, tentando di minacciarlo sguainando le spade.
Imprevisto, un secondo barrito si levò a manca e la Sunny vibrò di nuovo, violentemente, mentre dal mare si ergeva un’altra figura, possente quanto la prima e altrettanto scura. La ciurma rimase paralizzata, chi più chi meno sia dalla paura che dalla sorpresa.
« Si salvi chi puòòò! » gridò Usop tentando di andarsi a nascondere, ma Rufy lo acchiappò per la collottola e lo tirò dalla sua parte, vicino al primo presunto mostro.
A differenza del cecchino, il capitano aveva lo sguardo elettrizzato: e ciò non fu un bell’incoraggiamento per il suo vice.
 
 
 
 
Nami si aggrappò alla libreria evitando di rovinare sul pavimento, mentre la nave si riassestava dopo l’ultima scossa.
« Ma che cavolo stanno combinando quegli stupidi!? » sbraitò inferocita la rossa con gli occhi puntati al soffitto.
« Forse dovremmo andare a controllare » suggerì serafica Robin, comodamente seduta su una delle poltrone della loro cabina con un libro in mano per ingannare il tempo, senza apparentemente preoccuparsi di quello che stava succedendo.
« Quegli idioti dovranno bastare, non ho alcuna intenzione di andare là fuori al gelo! » ribatté la navigatrice, prima che una scossa la cogliesse impreparata, facendole perdere l’equilibrio.
Prontamente, una dozzina di braccia le evitarono una brutta caduta, ma la cartografa si rimise in piedi più nera che mai, inveendo a gran voce contro i suoi inutili compagni.
Mizu, sistemata sul letto, rimase sorpresa da ciò che aveva appena visto.
« I poteri del Frutto del Diavolo… » mormorò, voltandosi verso una Robin sorridente, prima che tutte e tre fossero improvvisamente sbalzate via dai rispettivi posti. Alcuni libri caddero dalle mensole colpendo Nami, che imprecò a denti stretti, rimettendosi all’istante in piedi, il pugno bel alzato e minaccioso.
« GIURO CHE LI BUTTO TUTTI IN MARE! » urlò attorniata da sinistre fiamme. Ma non fece in tempo a mettere a punto i suoi propositi marciando verso la porta della stanza per raggiungere il ponte, che dall’uscita sbucò trafelato il medico di bordo, tremolante come una foglia.
Quando Nami lo vide gli fu subito addosso, gli occhi fiammeggianti.
« Che accidenti succede!? » sbraitò sovrastando gli scricchiolii del brigantino e facendo quasi venire un infarto per la fifa a Chopper, già abbastanza tramortito di suo.
« C’è… c’è… » cercò di dire, ma lo sguardo della compagna lo aveva mandato in paranoia.
Magnanima, Robin mosse appena un braccio e dalle spalle della rossa spuntarono subito un paio di mani che liberarono la giovane renna dalla presa stritolatrice della ragazza e lo lasciarono cadere sul letto, ai piedi di Mizu.
« Cosa succede? » chiese quindi più pacata l’archeologa, le labbra stirate in un sorriso indulgente che riuscì a far smettere la tachicardia al medico, facendolo deglutire e ritrovare un filo di voce.
« C-ci sono dei m-mostri marini… » mormorò spaventato, facendo corrugare più di una fronte.
« Mostri marini? » riecheggiarono Mizu e Robin, mentre Nami riprendeva a inveire contro la massa di cerebrolesi che appestavano la nave.
« E’ possibile che quegli idioti non sappiano occuparsi di nullità simili!? Maledizione, non è la prima volta! Si rammolliscono la notte!? »
Le sue imprecazioni non furono pressoché udite, sovrastate dall’ennesimo barrito, anche se questa volta sembrò impregnato di una nota di dolore che zittì tutti nella cabina. Mentre l’archeologa e la cartografa si scambiavano uno sguardo a fronti corrugate, Mizu spalancò gli occhi riconoscendo improvvisamente quel verso. Il cuore le prese a battere forte.
Gettò a lato le coperte e tentò di mettersi in piedi, appoggiandosi a tutto quello che le capitava sotto mano.
« Mizu che fai!? » intervenne preoccupata Nami, andandole a fianco; Chopper fece lo stesso per sorreggerla, ma la ragazza dai capelli blu puntò decisa alla porta.
« Devo andare fuori! Non devono attaccare Seal! » spiegò trafelata, conficcandosi le unghie nei palmi della mano a ogni scossa di dolore che veniva dalla caviglia e dai punti al fianco.
Nuovamente, le due donne della ciurma si scambiarono un’occhiata rapida, assecondando poi i movimenti dell’infortunata che trascinò di fretta il terzetto sul ponte.
 
 
 
 
La situazione sulla coperta non era delle più rosee, ma qualcuno si stava godendo lo spettacolo.
E quel qualcuno non era Usopp. A furia di supplicare il capitano con i suoi gridolini isterici affinché li tirasse fuori dai guai, alla fine si era lasciato andare a terra sul prato, aggrappato alle caviglie dello stesso, continuando a biascicare insistentemente « moriremo tutti… ». Fra i vergognosi piagnucolii del cecchino, a Zoro stava per venire l’emicrania, visto che non riuscivano ad agire a causa di tutti quegli scossoni subiti di riflesso dalla Sunny per la lotta che si consumava tra le due immense creature.
Gli unici che parevano mantenere abbastanza self-control erano il cuoco e il capitano; ognuno, a modo suo, continuava ad assistere impotente allo scontro dei mostri marini. Rufy al posto degli occhi aveva ormai due luminose stelle e, in antitesi col suo cannoniere, esclamava una trafila di « Fantastico! Incredibile! » con tono sempre crescente.
Sanji, dal canto suo, in piedi sul parapetto e aggrappato a una delle sartie per evitare di finire in mare, stava valutando i danni riportati dalla loro povera nave insieme a Brook, oltre che pensare a come togliersi da quel casino. Franky era sceso di volata al piano dei Docks per controllare i danni. Sembrava che una delle botte iniziali avesse bloccato il meccanismo delle porte scorrevoli e dalle maledizioni che salivano dalla stiva Sanji dedusse che fosse il caso di andare a chiamare Nami e forse tirare fuori i remi, visto che non c’era un filo di vento e i motori probabilmente erano inutilizzabili; ma non fece in tempo a imboccare le scale che una voce sconosciuta e inattesa attirò l’attenzione di tutti.
« Idiota di un maschio in calore! Levati dalle pinne e vai ad importunare qualcun’altra! »
Le sgraziate parole riecheggiarono sulla Sunny e i ragazzi alzarono le fronti corrugate verso il mostro di destra, quello che presumibilmente… aveva parlato.
« Ehi, stupida alga… hai sentito anche tu? » domando tranquillo Sanji, accendendosi una sigaretta senza scollare lo sguardo dalla creatura.
« Non sono sordo, idiota di un cuoco » rispose con lo stesso tono flemmatico lo spadaccino, la mano ancora stretta sull’elsa della Shusui. Nessuno dei due si sprecò a esprimere opinioni di sorta.
« Credo mi sia venuta la pelle d’oca… se avessi la pelle! Yohohohoh »
« Sa anche parlare! » esclamò invece il capitano, la bocca spalancata come un bambino di fronte a una scoperta sconvolgente. « Non è incredibile!? » chiese conferma voltandosi verso gli altri e accecandoli con la sua meraviglia. Nello stesso momento, ancorato alle caviglie del capitano, Usop frignava riguardo all’essere troppo giovane per crepare, di avere ancora così tante cose da fare e posti da visitare, senza così prestare attenzione al fatto che il nemico sapesse parlare. O forse, nella sua visione di fine atroce, quel particolare non era rilevante.
« Non so voi, ma io comincio veramente a seccarmi » riprese Zoro, sfoderando di nuovo una delle sue spade e rimanendo ben fermo dov’era, anche quando il mare si ingrossò di nuovo, sbatacchiando la Sunny come una paperella di plastica in una vasca piena di marmocchi. 
« Non fare troppi danni, marimo. Quell’affare potrebbe essere commestibile » disse pacatamente il cuoco, prendendosi dietro un’imprecazione, mentre si avviava per raggiungere la stanza delle ragazze e avvertire le sue donzelle.
Peccato che le stesse sbucarono sul ponte, spalancando l’uscio con una forza tale da mandare al tappeto il povero biondo.
« Nami-san! Robin-chan! Mia dolcissima ninfa del mare! » esclamò con tono stucchevole e la faccia contusa, veleggiando verso di loro senza prestare la minima attenzione al medico, apparso nella sua forma umana per aiutare Mizu a camminare.
E proprio Mizu, guardatasi subito intorno con agitazione, notò prima il mostro marino a babordo, che ancora ruggiva collerico, poi l’altro a tribordo. Il suo cuore prese a battere rapidamente, riconoscendone la fisionomia.
Non fece però in tempo a gridare il nome della creatura, quando si accorse che sotto di essa, fermo sul ponte con la gamba sinistra poggiata al parapetto, Zoro stava per sferrare un attacco con la spada per fermare definitivamente tutto quel ballare nauseante.
 « Tecnica a una spada » mormorò lo spadaccino, chiudendo un attimo gli occhi, estraniandosi dal mondo e dal coro di voci dei compagni, e spostando con lentezza il peso sulla gamba sinistra per lo slancio. Un attimo dopo puntò lo sguardo sulla sua preda e spiccò un balzo, la mano che stringeva saldamente l’elsa e tutta la sua attenzione rivolta unicamente all’obiettivo.
Qualsiasi cosa stesse dicendo non la terminò mai, o forse i pochi pesci rimasti nei paraggi la udirono, insieme a una serie infinita di imprecazioni che salirono in superficie in tante bollicine.
Quello che si era consumato in un pochi istanti, per uno spettatore esterno sarebbe stato quanto mai assurdo, ma sulla nave Mizu si era portato una mano al cuore nel tentativo di controllarne i battiti convulsi a causa dello spavento preso.
« Grazie Robin… » mormorò, girandosi verso la donna con un debole sorriso. Quella fece spallucce, ma gli altri erano rimasti a fissarle con le bocche spalancate ed espressioni che andavano dall’interrogativo allo sconvolto, dimenticandosi per un momento delle scosse, dei barriti e di tutto il resto.
« Robiiin-san! » gracchiò Brook seguito subito da Usopp, rimessosi miracolosamente in piedi, con il viso ancora inondato di lacrime e il dito che puntava verso il mostro di destra. « Perché diavolo hai fermato Zoro!? Era la nostra unica speranza! » continuò il cecchino, riferendosi alla decina di mani che qualche attimo prima erano spuntate dal corpo dello spadaccino, immobilizzando il suo colpo e facendolo, di conseguenza, piombare in acqua in una maniera poco dignitosa.
L’archeologa incrociò le braccia, esibendo un tranquillo e menefreghista sorriso capace di far venire un colpo apoplettico a Usopp.
« Mizu non avrebbe voluto, a quanto ho capito » spiegò semplicemente, come se fosse stata la cosa più normale del mondo.
« Mizu dovrebbe stare a letto! Sta male! » ribatté il compagno in uno dei suoi intervalli di follia pura dove l’importante era unicamente abbattere i nemici – non per mano sua – e salvare la pelle. Non ebbe neanche il tempo di dire al cuoco di sistemare il mostro che la loro ospite intervenne, reggendosi ancora al medico.
« Seal non farà del male a nessuno! Non è pericolosa! » chiarì la giovane donna, ma la veridicità di quelle parole dovette attendere.
La creatura di babordo, vistasi ignorata, si sentì in dovere di scatenare il finimondo. Con un ultimo grido di battaglia, si immerse all’improvviso creando dei cavalloni anomali che sbatacchiarono l’equipaggio a destra e a manca.
Chopper fece in tempo a prendere fra le braccia Mizu che entrambi finirono contro una delle paratie e il medico, con la sua mole, impedì alla ragazza di ferirsi ulteriormente. Sorte analoga ebbero Nami e Robin tra le mani protettrici del cuoco, che si adoperò al meglio per impedire alle due leggiadre fanciulle di riportare il benché minimo graffio sulle loro candide pelli. Rufy, tiratosi da parte il musicista e il cecchino, preda ormai di una crisi di nervi, si aggrappò all’albero maestro, osservando da lì che anche il secondo mostro, Seal, si stava inabissando.
Ci fu qualche sporadico minuto di silenzio, rotto soltanto dagli scricchiolii della Sunny, ancora battuta da onde per nulla delicate, e dagli sproloqui di Zoro che, fradicio fino al midollo, tornò a bordo con maledizioni di tutti i colori per l’archeologa.
Tempo qualche altro secondo e i ragazzi, indistintamente, avvertirono i loro cuori precipitare all’altezza dei talloni. Senza avere neanche la possibilità di realizzare cosa stesse succedendo, il brigantino si ritrovò a svariati metri di altezza, in bilico su quella che doveva essere la testa di uno dei due mostri.
« Voglio morireee… » la supplica di Usopp si perse nel vento.
Improvvisa com’era cominciata, quella ascesa verso il cielo si trasformò in una discesa repentina e vertiginosa, riecheggiante di grida. La Sunny si ritrovò col vuoto sotto la chiglia nello stesso momento in cui l’essere abnorme che l’aveva trascinata in aria si immerse senza tanti problemi. In fondo, non si era neanche accorto delle persone che si stavano consumando le corde vocali a furia di strillare.
La caduta parve durare un’eternità, ma tre secondi dopo il brigantino riapprodò in mare con un suono di legno e vetro rotto non trascurabile; quello, però, fu l’ultimo dei problemi della ciurma di Cappello di Paglia e della sua ospite. Quasi tutti tremanti e cianotici, si guardarono negli occhi per confermare di essere vivi.
« Voglio rifarlo! »
A esclamare l’eresia fu ovviamente il capitano. Si gustò l’adrenalina in circolo per poco, dato che quando i suoi compagni finirono col pestarlo la sua anima faticò a non lasciare l’amorfo corpo gommoso.
« Non ho intenzione di rimanerci secca! » strepitò imbestialita la navigatrice, ergendosi al centro del ponte con la sua aura più minacciosa. « Sanji, va’ a prendere i remi! Zoro, se uno di quei due cosi si fa di nuovo vivo fallo a fette! »
« Aspetta! » tentò Mizu, rimettendosi dolorosamente in piedi con la testa che girava. « Ascoltami, per favore! Seal, la foca bianca, non è pericolosa! Non so cosa voglia quell’altro mostro, ma lei è innocua! »
Non furono proprio le parole appropriate, specialmente quell’”innocuo”, dopo che tutti avevano rischiato l’osso del collo a causa della battaglia che i due esseri avevano ingaggiato.
La navigatrice però quietò un po’ l’animo, fissando la donna. Poteva anche credere che una delle due creature fosse “amica, ma se restavano lì in mezzo senza far niente sarebbero colati a picco: la nave aveva già subito abbastanza danni e le imprecazioni di Franky che si levavano dalla stiva non annunciavano nulla di buono.
Sospirò pesantemente, raccattando il capitano per la collottola e tirandolo in piedi.
« Ehi, Rufy! Sveglia! » lo schiaffeggiò un paio di volte con poca grazia, finché il ragazzo non si riebbe dal mondo dei semi-morti. « Abbiamo un problema »
Il moretto la guardò con i punti interrogativi che gli danzavano sulla testa.
« Mizu, hai detto che Seal è una… foca bianca, giusto? » chiese conferma la rossa.
L’interpellata annuì a conferma.
Nami si volse verso l’intero gruppo che si era rimesso in piedi senza troppe contusioni; il cuoco tornò dalla stiva con una bracciata di lunghi remi.
« Bene. Se sarà necessario, dovremo andarcene da qui alla svelta prima di finire in fondo al mare a fare compagnia ai pesci » cominciò la navigatrice, togliendosi una ciocca bagnata da davanti al viso. « Accendete tutte le lanterne, abbiamo bisogno di luce per individuare i due mostri. Uno è una foca bianca e non deve essere colpita in alcuna maniera, intesi? » e nell’ordinarlo si girò verso Rufy, che annuì più di una volta, iniziando a scroccarsi le nocche.
Qualche minuto dopo le lucerne che i ragazzi accesero stavano irradiando un bagliore rossiccio per tutta la nave, illuminando le acque che sembravano essersi un po’ chetate.
« Speriamo non rispuntino fuori come poco prima » soppesò Brook accanto alla cartografa. Entrambi erano appoggiati al parapetto e fissavano le onde che si infrangevano contro le fiancate della barca.
Attesero in silenzio, ogni membro della ciurma appostato ai diversi angoli della nave. Qualcuno stava già pensando che tutto si era risolto e che i buoni avevano vinto anche quella volta – senza muovere un dito, tra l’altro – quando l’acqua si fece improvvisamente scura.
« STANNO RIEMERGENDO! » urlò Nami. Tutti si tennero ben stretti a qualcosa e, l’attimo seguente, come la prima volta, uno dei due mostri si erse a tribordo della nave, innaffiandola di pioggia salmastra con un barrito da spaccare i timpani.
« Non è Seal! » gridò Mizu cercando di farsi sentire, tenuta saldamente dal medico vicino all’albero maestro.
« Rufy! » chiamò Nami, ma non ce ne fu bisogno.
Il capitano, fermo in mezzo al ponte, aveva già caricato di svariati metri entrambe le braccia, preparandosi all’attacco.
« Gom Gom… BAZOOKA! »
Sotto lo sguardo incredulo dell’inferma, il moretto, un ghigno sul viso, colpì in pieno il mostro marino, facendolo volare per qualche lega, completamente tramortito.
Le braccia protese tornarono con uno schiocco al loro posto e il ragazzo, tutto contento, poté ritenere conclusa la faccenda.
« Avete visto? I brillanti piani di Capitan Usopp funzionano sempre! Come quella volta che mi trovai ad affrontare… » iniziò giulivo Usopp, mani ai fianchi e occhi alla volta, ma per poco non ricevette la stessa caterva di botte rifilate prima a Rufy.
« Adesso dobbiamo aspettare che venga a galla anche l’altro… » sospirò la navigatrice con una mano sulla fronte. Dopo la lunga giornata di navigazione e le varie preoccupazioni per la situazione di Mizu, passare una notte da incubo, con conseguente mal di testa, le fece sperare che non capitassero altre brutte sorprese. Bagnati fradici e in balia dell’aria gelida della notte sarebbe stato un miracolo se non si fossero ammalati tutti di polmonite.
Intanto, vicino all’albero maestro, Sanji si era adoperato a tirare fuori una delle sdraio per far accomodare la sua ninfa del mare, la cui cera non era delle migliori.
« Ma conosci sul serio un mostro marino? » le chiese sbalordito Chopper, ancora nella sua forma umana. Lei sorrise appena, questa volta con una serenità nuova che nessuno aveva mai visto.
« Sì, è un’amica e con lei viaggia una persona a me molto cara » rispose, osservando il mare in attesa che Seal spuntasse di nuovo. Finalmente avrebbe potuto rivedere un volto famigliare e ciò le diede conforto, come se non fosse più sola.
I compagni di scambiarono uno sguardo interrogativo, ma nessuno fiatò. L’importante era non dover sprecare altre forze per sistemare un’altra di quelle creature: anche se non lo davano a vedere, il giro di giostra imprevisto aveva rivoltato lo stomaco a molti. Non al capitano, di certo, che si era accovacciato sulla balaustra della nave, accanto alle due donne della ciurma, in fervida attesa di rivedere quella mitica creatura parlante.
Poco distante, iniziarono a formarsi delle bolle che andarono via via facendosi sempre più consistenti e grandi.
« Ci siamo » sussurrò l’archeologa, per nulla allarmata, a differenza del cecchino che, come il più degno dei compagni, si era appostato dietro alla schiena del medico assicurandogli che gli avrebbe coperto le spalle.
In un nuovo spruzzo di acqua marina la testa della creatura infranse la superficie, troneggiando in mezzo al mare simile a luna troppo liscia.
« Dove accidenti si è inabissato quel pinnipede esaltato!? »
Esattamente come prima, la creatura parlò. O meglio, gracchiò. Quella scoperta mandò a terra il temerario guerriero degli oceani, Usopp, le mani intrecciate in una nuova raffica di preghiere.
Fra gli sbalordimenti, e il menefreghismo generale di chi già aveva appreso quell’insolita rivelazione, Mizu si fece avanti, pallida ma col sorriso sulle labbra.
« Seal! Kamome Obaachan! Sono io! » gridò con il cuore che batteva, lasciando sbigottiti un po’ tutti, foca bianca extra dimensionata inclusa.
« Mizu!? » schiamazzò la voce misteriosa.
« Obaachan? » si chiese qualcuno sul ponte.
« Per tutte le balene viola! Seal giù la testa, giù la testa! »
A seguito di quelle parole, l’immensa foca bianca chinò docilmente il capo emettendo un verso acuto che ricordava un cagnolino in festa, ben diverso dai ruggiti che aveva lanciato fino a poco prima.
I ragazzi dalla Sunny fissarono la scena incuriositi ma vigili; avevano compreso che a parlare non era la bestia e la domanda che sorgeva spontanea era una: chi diavolo poteva esserci a controllare una creatura simile?
La risposta arrivò con un’accecante luce che investì tutti in pieno, ferendo gli occhi: dopo quasi un’ora passata nel buio quasi completo della notte era come fissare il sole allo zenit.
« Mizu? Mizu!? » chiamò la voce, fattasi un po’ più vicina.
« Obaachan, spegni i fari… non si vede nulla… » pregò la donna, parandosi il viso con una mano in direzione della foca.
Pochi minuti dopo, e strani colpi metallici a seguire, l’intensa luminosità si attenuò, lasciando così ai ragazzi la possibilità di osservare il dorso del mostro marino e la persona che vi ci stava tranquillamente sopra. Una persona dalla fisionomia discutibile. Bizzarra.
Quella che si stava facendo loro incontro era una vecchietta, poco più alta di Chopper in versione mignon, con capelli verdognoli e di una consistenza che ricordava, viscidamente, delle alghe. Il viso era una ragnatela di rughe che rendevano ancora più burbera la piega delle due labbra e indosso aveva una sottospecie di tunica smanicata rosa confetto lunga fino ai piedi, infilati in sandali. Ciò che però attirò più di tutto l’attenzione fu il nido di rametti che aveva per cappello. Un nido con dentro un gabbiano barbuto, a prima vista impagliato tanto era immobile. E forse lo era davvero. Forse.
Fra tutte le paia di occhi che la fissavano, l’anziana Obaachan riconobbe quelli più unici che rari di Mizu. La bocca le si spalancò per la sorpresa di trovarla realmente lì.
« Gabbianella mia! » esclamò, andandole incontro con una velocità piuttosto sostenuta per una persona della sua età. Approdò, dopo uno slancio atletico degno di nota, sul ponte della nave di fronte alla presunta nipote. « Che ci fai qui? Quando ti sei imbarcata? E dov’è Matt? »
Ma l’ospite della Sunny non la stava ascoltando. La guardava e basta, con le lacrime che ancora una volta le stavano inondando i bei lapislazzuli. Qualcosa si era spezzato di nuovo dentro di lei. Qualcosa che sembrava ormai irreparabile, sommerso da emozioni così forti e a cui non riusciva a trovare rimedio. Di fronte alla vecchietta che considerava una nonna, che l’aveva allevata fin da piccola insegnandole tutto sulla sua gente, si lasciò andare.
Mizu cadde in ginocchio, le mani che si strinsero al vestito della vecchia in una morsa spasmodica e iniziò a piangere, a urlare tutta la paura che sentiva dentro.
E Kamome, di fronte a quella reazione straziante, poté solo stringerla e rispondere alle proprie domande ascoltando la sofferenza della sua gabbianella.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Grand Line.
Sabaody, Grove 13. Bar Tispenno.
Giorni dopo.
 
 
 
« Ah, Ray, sei tornato. Dove sei stato? Puzzi di pesce »
« Una storia divertente Shakky… perché non mi versi del rum? »
« Prima vuoi la notizia brutta o quella pessima? »
 
 
 
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Kamome: dal giap. “gabbiano”.
- Obaachan: dal giap. “nonnina”.
- Seal: dall’inglese “foca”, sempre la mia spiccata fantasia!
- - chan: suffisso informale che si usa principalmente tra ragazze e amici stretti/intimi. Non ho mai capito perché Sanji, più giovane rispetto a Robin, la chiami così… tipo “bambolina” secondo me X3
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Spero che, almeno dalle letture, il capitolo 3 vi sia piaciuto! =)
Questo quarto capitolo si colloca ancora una volta tra quelli della prima pubblicazione, e dallo stile (almeno a mio avviso) più “fumettistico” (con occhi fuori dalle orbite e fiamme) si differenzia alquanto… ho cercato di ridargli una forma decente, ma non mi sentivo di cambiarlo più del dovuto. Spero non storciate troppo il naso! E so che per ora la storia è molto descrittiva e lenta! *sgrunt*
 
Grazie, grazie e grazie sempre a Keyra Hanako D Hono e jillianlughnasad per i loro commenti!   
 
 
Noteeeeh:
 
- Kamome Obaachan: anche se Mizu la chiama nonna, non sono parenti di sangue. Tuttavia, anche Kamome è una Figlia del Mare e si prende cura della ragazza fin dall’infanzia, insegnandole tutto quello che sa. Kamome è una girovaga dei mari insieme alla sua foca bianca Seal. Non l’ho ancora descritto, ma sul dorso di Seal è montata una gigantesca conchiglia che fa da “cabina di pilotaggio” a Kamome =D
 
- Frutto del Diavolo: Mizu rimane sorpresa dal potere dei Frutti del Diavolo della ciurma perché, essendo una Figlia del Mare, le è stato insegnato tutto sul “Diavolo del Mare”… ehehehe… moooolto più avanti narrerò anche la sua storia *lovelovelove* Per ora vi basti sapere che in questa storia, chi proviene dal mare, non guarda di buon grado, o almeno non con entusiasmo, i Possessori dei Frutti.  
 
- Rayleigh: citato nel capitolo scorso, eccolo sul finire di questo capitolo *___* È solo uno scambio di battute tra lui e Shakky, non mi sono prolungata nella descrizione perché mi sembrava superfluo… però il più figo (e sbav) Vice Comandante di Gold Roger è in azione *.* Spero di tornare a scrivere presto di lui!
 
- Gabbianella: soprannome che Kamome mutua dal suo nome nel chiamare Mizu =D yeeeeh… *runaway
 
Non mi pare di dover aggiungere altro… questo mese è pieno di lavoro, spero di riuscire a portarmi avanti con i capitoli @.@
*Angolo Pubblicità* Se questo fine settimana vi capita di passare da Bastia Umbra per l’EXPO DEL REGALO venite a cercare I Love Pins nel padiglione dedicato al Giappone, anime, manga, videogiochi…! =D Quattro chiacchiere su One Piece fanno sempre piacere!
 
Blog su Tumblr: [ http://heavenlyeve.tumblr.com/ ] =)
 
Bacioni!
Nene
 

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Capitolo 7
*** Capitolo V - Madame ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo V -
[Madame]
 
 
 
Over the hills and far away,
he swears he will return one day.
Far from the mountains and the seas,
back in her arms he swears he'll be.
Over the hills and far away.
[Over the Hills and Far Away – Nightwish]
 
 
 
 
Grand Line.
Red Jack Island, città di Fulham.
 
 
 
Scivolò lungo il vicolo con le spalle al muro, seguendo attentamente lo scoordinato rumore di passi e le parole prive di senso che il vecchio ubriaco stava biascicando.
Era una notte senza luna, una notte perfetta per sfruttare al meglio le ombre dei vicoli e delle case diroccate, cupe sagome sotto un cielo stellato e silente.
Rimase con la schiena incollata alla parete finché l’uomo non si allontanò nella via adiacente. Le era stato raccomandato di usare la massima discrezione e così avrebbe fatto: l’anticipo era stato tra i migliori che avesse mai avuto, quindi perché deludere la sua cliente?
Quando le sembrò che la via fosse libera, sgusciò al di là dell’angolo, percorrendo lesta la strada maleodorante e umida. Il mantello frusciava appena, mentre i suoi passi erano poco più udibili. Per l’occorrenza aveva preferito un paio di stivali da uomo invece dei soliti tacchi, così da passare indisturbata: se in quella parte della città, lontana dalle luci e dalle vie brulicanti e festose del centro, fosse transitata una donna, una come lei poi, sarebbe stato difficile essere discreti.
Arrivò alla fine della strada, voltando a destra per un vicolo che aveva più l’aspetto di un canale di scolo e poi a sinistra, anche se troppo velocemente, tanto che se ne pentì. Dalla direzione opposta venivano tre uomini che agitavano altrettante bottiglie mezze vuote di alcolici, tentando di mettere due parole insieme coerentemente. Lei esitò, prima di passare al loro fianco, nella penombra del palazzo, così silenziosa da non essere sentita ma così vicina da essere percepita. Le fu lanciata solo una occhiata bieca e dubbiosa, prima che uno dei tre ubriaconi sbottasse in un sonoro rutto, facendo ridere gli altri due.
La donna tirò un sospiro di sollievo, appuntandosi di non essere più così frettolosa, nonostante ormai fosse quasi arrivata alla sua meta.
Si fermò ad un’altra svolta, non sentendo alcun rumore. Attraversò la sinuosa via tra le case lugubri e apparentemente disabitate, arrivando all’ennesimo angolo, dove prese a sinistra, fino ad una nera porta scrostata di una casa dalle finestre inchiodate. Si guardò intorno un’ultima volta, quindi spinse con una mano l’uscio che, silenzioso, scivolò sui cardini, rivelandole solo l’oscurità più totale.
Entrò, richiudendosi la porta alle spalle e lasciando fuori quel malsano quartiere.
 
 
 
« Sono contenta di vederti, Maygan » esordì una voce nella tenebra. La donna non si scompose, indirizzando la sua attenzione verso il fondo della stanza. Dalle assi che bloccavano le finestre filtravano solo pochi sprazzi di luce, insufficienti per dare un’occhiata generale all’ambiente. Sembrava ampio, probabilmente una malridotta taverna del tutto sgomberata. Scricchiolii sinistri si udivano dal piano superiore, ma niente che indicasse la presenza di più di qualche topo.
« Ho le informazioni che volevi, Madame » rispose diretta la ragazza, rimanendo immobile. Non aveva paura, perché la paura non era una buona amica nel suo secondo lavoro.
Una scintilla baluginò nell’oscurità e subito dopo si accese una lanterna, appoggiata su un vecchio tavolo scialbo e pericolante. Un seggio fatiscente era posto di fianco, su cui una figura si sistemò accavallando le gambe e facendo scricchiolare la seduta. Madame “La Lebbrosa” sorrise ferina, drappeggiata in una cappa di velluto scuro con riflessi indaco. Le fece un ampio cenno per invitarla ad avvicinarsi, le labbra distese in un sorriso seducente e ipnotizzante.
Le sensazioni che Maygan provava in sua presenza non le erano ancora chiare: c’era una sottile linea di ammirazione intrecciata al sentore di pericolo. Si sentiva una falena attratta dalla luce, consapevole che si sarebbe bruciata, tuttavia troppo invaghita da essa per tirarsi indietro. Ma come le era stato richiesto, si mosse in avanti, all’apparenza sicura, i tacchi degli stivali bassi che riecheggiavano un rumore sordo sul pavimento di pietra.
« Hai fatto presto » continuò la mandante, con il baluginio della luce che le illuminava appena il viso completamente fasciato, nascosto nella penombra del cappuccio.
« Ho avuto fortuna » fece spallucce la donna, prima di rivelare una sgargiante chioma biondo oro pettinata in una rigida treccia e occhi verde acqua. La pelle era serica, il trucco ancora marcato ma impeccabile. Era sgattaiolata via dal bordello alla prima occasione, troppo eccitata per l’incontro.
« Lieta di sentirtelo dire » disse a sua volta l’altra, invitandola a sedersi su un’altra sedia malconcia con un gesto della mano bendata. « Non voglio farti perdere altro tempo, immagino avrai la fila ad attenderti dopo gli sbarchi di oggi » rise leggera, con una punta di sincerità che lasciò la bionda un attimo incerta se prendere la frase come una beffa o un complimento alla sua bellezza.
« Rimango in piedi » disse, sentendo serpeggiarle addosso quel lieve sentore di disagio che tendeva a farla agire di impulso.
Continuava a chiedersi se aver accettato di lavorare per quella donna fosse stato un affare o meno. Madame era famosa lì a Fulham, ma famosa nel senso che se si pronunciava il suo nome voleva dire che c’era qualcosa di grosso in ballo. Molti vociferavano avesse le mani in pasta in vari traffici illegali, nel giro delle informazioni più pericolose da conoscere e perfino nella tratta degli schiavi, anche se i pettegolezzi risultavano discordanti. C’era chi affermava fosse una delle donne più influenti e potenti nella malavita –  seconda probabilmente solo al contrabbandiere di armi Joker nello Shinsekai – che dal giorno alla notte fosse capace di spostarsi da un’isola all’altra della Grand Line senza navi e nel minor tempo immaginabile, che al suo soldo ci fossero centinaia di uomini e che nessuno fosse in grado di metterle le mani addosso o di scoprire la sua identità senza che le ombre lo facessero sparire. Quella storia delle ombre che inghiottivano i curiosi e gli stolti era la parte che ai più faceva cambiare subito idea sul ficcare il naso: qualcuno mormorava di aver visto persone volatilizzarsi nel nulla, urla troncate a metà solo per aver tentato di abbassare il cappuccio di Madame o aver insinuato qualcosa sulla sua identità.
Oltre tutte quelle dicerie da far venire la pelle d’oca, c’erano poi quei pochi che, più in disparte, raccontavano con un sorriso di come Madame in realtà non fosse che una benefattrice, che più di una volta avesse salvato la vita a chi le aveva chiesto aiuto contro pirati o marina, senza distinzioni, e senza troppe domande.
Maygan, lavorando come cameriera e prostituta al Velvet Silk, uno dei bordelli più famosi di Port Red Jack, ne aveva sentite di cotte e di crude sul suo conto, e quando le era arrivata la richiesta di un lavoro per Madame aveva accettato più per la morbosa curiosità di sapere la verità su quella donna potente.
Tre settimane prima l’aveva incontrata, constatando da subito le informazioni sul suo aspetto indecifrabile e chiedendole di getto se avesse veramente la lebbra per via di tutte quelle bende. Madame si era semplicemente messa a ridere di gusto, facendo scattare in Maygan quella prima sensazione di dubbio sul suo conto.
Da allora aveva iniziato a raccogliere tutte le informazione che le venivano richieste, quasi sempre incentrate sugli spostamenti dei pirati di cui lei le forniva i wanted. Diversamente da altri mandanti per cui aveva lavorato e che mettevano da subito in chiaro la clausola “nessuna domanda”, Madame sembrava più alla mano e più volte Maygan si era ritrovata a chiederle « perché? ». Non che avesse mai ottenuto risposte soddisfacenti e al limite del sibilino, ma ogni volta quei sorrisi misteriosi avevano aggiunto nuovi moti di curiosità e una certa dose di confidenza.
Madame si schiarì la voce, e la bionda riprese i contatti con la realtà, frugando con una mano sotto il mantello e rivelando un paio di pantaloni di pelle attillati e una vaporosa camicia da uomo, oltre ad una pistola fissata alla vita. La mano riemerse con il volantino sgualcito di un ricercato che passò alla donna seduta. Questa lo guardò brevemente, prima di riporlo sul tavolo, facendo un cenno col capo all’altra.
« Da quello che ho saputo sembra che vogliano fermare questo pirata a tutti i costi. Sta causando un sacco di “problemi” » iniziò, senza scostare gli occhi da quelli ambra e attenti della sua cliente. « Stanno mettendo in piedi una grossa operazione, navi, uomini scelti, progetti segreti… »
La donna seduta assottigliò lo sguardo, pensierosa.
« Hai saputo di cosa si tratta? » domandò con tono serio.
« Nello specifico no, sembra che non ne sapesse molto neanche l’idiota che ho abbindolato e posso capirne la ragione » rispose con una smorfia la bionda. Madame rise appena, prima di lasciarla continuare. « Pare sia un’operazione pensata non solo per lui – e accennò al volantino – ma anche per molti altri pirati. Una specie di pulizia dei mari… Non sono tranquilla » confessò, tormentandosi involontariamente un labbro. La sua bocca parlò prima che potesse riflettere, come se dar voce al proprio nervosismo con quella donna potesse quietarla. Si ripeteva che non poteva continuare a trattarla come una conoscente di vecchia data, a fidarsi, quando non sapeva nemmeno che volto questa avesse. Eppure, eccola lì di nuovo, ad aspettare un gesto che le confermasse che le sue aspettative non fossero infondate.
« Non lo sono neanch’io » confermò pensierosa la mandante senza guardarla e riprendendo in mano il volantino. « Sanno dove si trova adesso? » continuò a chiedere, osservando il foglio sgualcito.
« Perse le tracce settimane fa » fece spallucce Maygan.
« Capisco » sorrise beffarda la mandante, rimuginando ancora un po’ mentre fissava quel volto stampato, prima di riprendere. « Quando si muoveranno? »
« Non lo sapeva » soffiò l’altra. « Ma da quello che ha detto i preparativi sembrano lunghi e complessi… L’ha chiamata “armata invincibile” » sbuffò con un gesto seccato della mano.
« Gli uomini tendono sempre a fare i gradassi, specialmente se ubriachi » le fu riso in risposta, prima di un nuovo silenzio meditabondo. « Cosa hai saputo degli altri? »
La bionda fece mente locale un attimo. « Del Rosso non molto: l’ultimo avvistamento risale a circa due settimane fa non lontano da qui, a Suna… »
« Suna? » interruppe con una punta di incredulità ben percepibile nella voce.
Maygan annuì con sguardo curioso. Era la prima volta che intravedeva sul volto di Madame un’espressione allertata. Questa abbassò il viso, lanciando ancora una volta un’occhiata al volantino.
« Poi? » tagliò corto, riprendendo un tono fermo.
« Nient’altro su di lui, perse di nuovo le tracce » concluse la bionda con un sorriso divertito « Da come si infervorava a parlarne sembra un tipo interessante » aggiunse, leccandosi le labbra rosse, gli occhi maliziosi.
« Fin troppo » mormorò con un sospiro e una scrollata di capo la mandante. « Novità sull’ultimo? » il suo tono si fece nuovamente serio.
« Ne hanno perse le tracce dalle parti di Water Seven, ma- »
« Perfetto » concluse sbrigativa Madame, senza dare l’impressione di voler sapere altro.
Prese il volantino del ricercato e lo avvicinò alla fiamma della lanterna che, lentamente, iniziò a lambirne i bordi, bruciandolo. Maygan lo osservò, diversi pensieri le frullavano in testa. Sapeva che la curiosità era un’altra cattiva compagnia in quel momento, ma non riuscì a farne a meno.
« Trecento milioni di Berry non sono uno scherzo » sentenziò, mentre la locandina, fatta cadere sul tavolo, si accartocciava su se stessa. « Girano un sacco di voci su di lui, specialmente su ciò che è accaduto ad Alabasta… » aggiunse, fissando la sua cliente che, con il gomito appoggiato al tavolo e la mano a sorreggerle il viso, guardava con sguardo assente ciò che rimaneva del manifesto. Questa si inumidì le labbra, unica parte del volto, insieme agli occhi, a non essere fasciata dalle bende bianche.
« Fidati di quelle voci » mormorò senza fissarla. « Al Governo non piace riconoscere meriti a chi compie azioni a cui dovrebbero provvedere loro, specialmente se pirati » il tono fu piatto, anche se Maygan percepì una sfumatura di disgusto, ma restò in silenzio.
« Tieni » disse d’un tratto la mandante, appoggiando sul tavolo un sacchetto di stoffa tintinnante. La bionda prese la borsa, aprendola e fissandone il contenuto. Rimase a bocca aperta.
« Ma… è più di quanto avevamo pattuito » disse meravigliata, anche se una punta di sospetto la indusse a corrugare la fronte.
Gli angoli della bocca di Madame si piegarono in un sorriso che tuttavia non si estese allo sguardo.
« Sono cinquecento mila Berry » spiegò seria e guardandola con intensità a freddezza, in un modo che la lasciò inchiodata sul posto. « Vorrei che per un po’ lasciassi quest’isola »
Maygan la fissò senza capire, accennando un passo indietro. C’era qualcosa che non le piaceva: la stanza si era fatta improvvisamente troppo silenziosa e angusta per i suoi gusti. Per un attimo le sembrò di percepire qualcosa muoversi nell’ombra e gli scricchiolii diventare più consistenti.
« Perché? » domandò tagliente, i sensi allerta, come un gatto messo all’angolo.
L’altra donna non si scompose, fissandola calma.
« Fa conto che questo sia un nuovo incarico. A breve lascerò quest’isola e mi serve di non lasciare tracce. Nessuno dovrà sapere ciò che hai fatto per me »
« Sono stata attenta, come mi avevi chiesto! » l’accusò, stringendo il denaro. Se doveva scappare, non avrebbe di certo restituito quella somma: il lavoro era stato fatto e lei era l’ultima persona al mondo da chiamare santa. Ma per quanto pensasse ciò, le sue mani tremavano.
Madame sospirò pesantemente.
« Ti ho trovata perché ho sentito parlare di te. Alcuni conoscono la tua seconda attività e io non posso permettermi indiscrezioni »
La sua voce cominciava ad assumere un tono duro, che irrigidì l’interlocutrice, ma Maygan riuscì a ridere a quell’assurdità, anche se sentiva lei stesso un groppo in gola di paura.
« Dovrei sparire nel nulla, senza dire niente a nessuno, vero? Non pensi che dove lavoro si insospettiranno? »
Con la coda dell’occhio adocchiò le finestre ai lati della stanza, che purtroppo non si rivelarono punti di fuga: tutte erano ben inchiodate. Però la porta non era lontana e, abituata com’era a svignarsela, ce l’avrebbe fatta con tranquillità. Sfortunatamente, le successive parole della sua ormai ex cliente la fecero rabbrividire.
« Potrebbero pensare che qualche pirata che hai intrattenuto ti abbia portato via con sé » iniziò a ipotizzare con tono mellifluo l’altra. « O che tu non sia riuscita a soddisfarne qualcuno che ha preferito ucciderti » calzò su quell’ultima parola, così da far intendere meglio il significato alla bionda che aveva di fronte. Con un’espressione tutt’altro che compiaciuta, proseguì:
« In fondo, girano così tante voci sgradevoli su come io faccia sparire chi mi intralcia che credo nessuno ci sprecherà più di un pensiero »
Maygan la fissò per la prima volta con terrore, aprendo e chiudendo la bocca nel tentativo di dire qualcosa. Improvvisamente si sentiva svuotata e ricolma di angoscia, conscia finalmente che quel sussurro nella sua testa, in disaccordo fin dall’inizio nell’accettare il lavoro, ora le stesse gridando a pieni polmoni di darsela a gambe finché poteva.
Madame sospirò.
« Non voglio farti del male, solo allontanarti »
Detto questo non le lasciò il tempo di replicare e si abbassò a soffiare sulla lanterna. Questa si spense e l’almbiente piombò nella completa oscurità.
Maygan si voltò di scatto, tentando di individuare nel buio la porta e ricordandosi troppo tardi della pistola che aveva al fianco. Fece per muoversi e scappare da quell’esito disastroso che aveva preso la vicenda, quando sentì due mani afferrarla per le braccia e la presenza di qualcuno davanti a lei. Un urlo stridulo le sfuggì dalle labbra, avvertendo dita adunche stringerla fino a farle male.
« Te l’affido, Hurui » mormorò da un punto imprecisato Madame, mentre la bionda tentava in tutti i modi di liberarsi, inveendo e agitandosi.
Quei movimenti durarono ancora qualche attimo, prima di cessare improvvisamente in un grido strozzato che si disperse nel buio.
Il silenzio si rinnovò, e qualche attimo dopo una figura incappucciata lasciò la casa.
 
 
 
 
 
 
 
Le ombre degli edifici diroccati si univano in un’unica oscurità impenetrabile, silenziosa e inquietante. La notte era ancora agli inizi e Madame si mosse con passo sicuro, senza bisogno di lucerne, seguendo i piccoli dettagli che le ricordavano dove e quando svoltare, avendo fatto di quelle zone buie la sua dimora da molto tempo. Proseguì per la sua strada per diversi minuti, l’orecchio teso. Evitò le poche pozze di luce, dove sostavano gruppetti di ubriachi con discorsi incomprensibili. Scivolò tra i vicoli, superando case diroccate dove poteva sentire prostitute all’opera e i loro finti gridolini di piacere. Sorrise tra sé, quando svoltò un’ultima volta, sicura di essere giunta in un luogo abbastanza appartato, per fermarsi e… sparire.
Quando la figura incappucciata che la stava seguendo girò l’angolo con passo silente ma deciso, non trovò più traccia di nessuno. Fece per voltarsi repentina, per tornare indietro, un sentore di pericolo a serpeggiarle sotto la pelle, ma due mani grandi e possenti la afferrarono per le braccia, e un pugnale le sfiorò la gola.
Poco più avanti, dall’ombra di una casa, uscì Madame.
« Ti muovi bene » iniziò, camminando verso il suo inseguitore incappucciato tenuto fermo da un omone grande quanto un piccolo elefante e minacciato da un’altra figura sottile nascosta dietro la maschera grottesca di un oni. « Da quant’è che mi segui? »
La persona nascosta sotto la cappa si rilassò un poco nella presa che la teneva ferma, alzando il viso quanto bastava per guardare dritta in faccia Madame.
« Ho tenuto d’occhio la casa fin da quando è entrata Maygan » rispose una voce dal tono femminile, modulato e beffardo.
I due che la tenevano ferma si irrigidirono, la lama del coltello vacillò sotto la lieve luce circostante.
« Dull no ha visto te. Tu menti » ringhiò basso e gutturale l’uomo grande e grosso, guardando accusatorio in direzione del viso della donna ancora nascosto. Nonostante sembrasse non padroneggiare la lingua, i suoi lineamenti, marchiati da tatuaggi e cicatrici, erano contratti e venati di una rabbia mal trattenuta, del tutto ingenua.
« Tranquillo Dull » lo rassicurò Madame, senza tuttavia distogliere gli occhi da quelli della sconosciuta. « Allenta la presa, ma non lasciarla. È scaltra. Sta attento anche tu Ren »
L’aria nel piccolo spiazzo si fece tesa. L’incappucciata si concesse un breve ghigno soddisfatto che all’altra donna bendata non sfuggì.
« Presumo tu sappia chi io sia. Perché mi seguivi? »
« Voglio lavorare per te » fu la risposta secca. Il riflesso nei suoi occhi grigi era fermo e determinato. L’essere bloccata e minacciata non la stava preoccupando più di tanto.
Madame fece un gesto secco con la mano, un ordine, e l’uomo mascherato improvvisamente ritirò il pugnale, fletté le gambe e spiccò un balzo. Atterrò con appena un fruscio sul tetto della casa alle sue spalle, dove si acquattò nella zona più buia, al riparo sotto il diroccato comignolo spento. Parve sparire, vigilando sulla scena.   
« Lavorare per me » soppesò la donna bendata poco dopo, sedendosi su un barile abbandonato senza distogliere lo sguardo dall’incappucciata. « È raro trovare chi mi faccia proposte simili. Non hai sentito le voci che circolano sul mio conto? » scherzò cristallina, ma il suo sguardo era ferino, come un gatto attento ai movimenti del topolino.
« Delle peggiori » confermò la giovane. « Ma poi ho visto il vecchio Ern del Chiodo Fisso prendere a calci tutti quelli che osavano parlar male di te. Hai salvato sua figlia da una tratta di schiavi, non è vero? Solo perché lui te l’ha chiesto »
Se possibile, lo sguardo di Madame si assottigliò ancora di più. Lentamente, un sorriso compiaciuto prese il posto della repentina sorpresa che l’aveva colta nel sentir nominare il proprietario del Chiodo Fisso. Era una storia accaduta almeno tre anni prima, non credeva che il vecchio Ern prendesse ancora le sue difese.
« Mi ha raccontato – anche se “borbottato” è il termine migliore – quello che è successo. L’hai aiutato senza neanche conoscerlo. E si ostina a ripetere che tutte le male voci che girano su di te siano false »
« Te la senti di scommettere? »
Seguì un breve silenzio. Dull, alle spalle della ragazza dagli occhi argentei, sembrava una statua di pietra senza tempo, le mani salde nella stessa posizione di prima attorno alle braccia esili di lei. Di Ren si percepiva a malapena la presenza, lo sguardo attento a possibili scocciatori nei dintorni. La sconosciuta usò il momento per raccogliere i pensieri e un respiro più lungo, senza darlo a vedere.
« Devo lasciare quest’isola. Non voglio morire come puttana qui e tu puoi offrirmi la protezione che mi serve » dichiarò, il tono cadenzato e serio di chi si era ripetuto la frase così tante volte per non sbagliare nel pronunciarla al momento giusto. « Non voglio diventare la donna di qualche pirata per andarmene. Le volte che ci ho provato non sono andate bene. Ho pestato i piedi a un po’ troppi ceffi, e se non me ne vado via da qui al più presto potrei finire male »
« E tu cosa hai da darmi in cambio? » replicò Madame con una smorfia divertita.
Dalla cappa che la nascondeva scivolarono alcune ciocche bionde, mentre la ragazza senza nome piegava la testa di lato, sicura di sé nonostante la posizione scomoda. Sembrava si stesse mettendo a proprio agio, pronta a giocare la sua carta vincente.
« Maygan sa fare il suo lavoro di sgualdrina, ma tra l’essere brava nell’eccitare un uomo e farlo cantare sui propri segreti c’è una bella differenza. Da un paio di settimane ho notato che raccoglieva informazioni su alcuni pirati, tra cui quel ragazzino, Mugiwara. Stanotte dava l’idea di aver fatto pesca grossa con i marines che hanno invaso il Velvet Silk. Io non sono stata da meno » iniziò, sentendo l’attenzione di Madame seguire ogni sua parola. L’espressione, nascosta dalle bende bianche e dal cappuccio, sembrava indecifrabile, eppure la biondina sentiva che stava facendo centro. Riprese a parlare, con calma e reprimendo il senso di vittoria troppo prematuro. « La Marina ha un piano in atto che rovescerà l’attuale assetto di potere tra sé e i pirati. Qualcosa in grado, secondo loro, di “ristabilire la pace e l’onestà di questo mondo marcio” » citò, ricordandosi appena come il commodoro che aveva intrattenuto le avesse detto ciò mentre tracannava birra e le stringeva il seno con la mano su cui spiccava la fede nuziale.
« Non mi racconti nulla di nuovo » replicò breve Madame, con un’alzata di spalle, ma nessuna nota di noia nella voce. Anzi, si percepiva chiaramente una punta di delusione.
Tuttavia, la sconosciuta non parve preoccuparsene, abbassando appena il capo senza distogliere lo sguardo. Quando parlò, fu certa che non avrebbe potuto ricevere un “no” come risposta.
« Il progetto si chiama Cleansing e il Governo Mondiale l’ha approvato in segreto circa due mesi fa. È già in atto »
Le sue parole furono come il fruscio di una freccia che colpisce il bersaglio con un colpo secco, dritta al centro. Una delle cose che aveva detto doveva aver scosso persino la statuaria presenza di Dull, le cui dita forti e grosse tornarono a stringere più forte le braccia della biondina. Questa trattenne il gemito di dolore pur di non far vacillare la sua espressione compiaciuta.
Madame rimase immobile, ma non era sfuggito a nessuno dei presenti lo stupore nei suoi occhi. Si alzò dal barile e si parò di fronte alla sua interlocutrice. Ordinò a Dull di lasciare la presa e farsi indietro.
L’incappucciata si massaggiò i muscoli stretti fino a poco prima, in attesa e con un vago senso di nervosismo per quelle reazioni. L’atmosfera era così tesa da essere palpabile.
« Sai altro? »
« No. Si vantava di aver sentito queste voci di corridoio, nulla di più »
La notizia non incontrò l’approvazione di Madame, il cui sguardo si assottigliò tanto da far scendere un brivido lungo la schiena della giovane; brivido che represse con un sorrisetto di sfida. Sapeva di aver portato un’informazione che aveva sortito l’effetto voluto, e ora era tempo per le contrattazioni. E sì, avrebbe scommesso sulle parole del vecchio scorbutico proprietario del Chiodo Fisso contro tutti i pettegolezzi malevoli che Fulham aveva da offrire su quella donna.
« Come ti chiami? »
« Camelia. Ma puoi chiamarmi Cam »
L’occhiata scettica che ricevette la fece sogghignare. Non avrebbe di certo rivelato il suo vero nome alla donna seconda solo al Joker nel mondo della malavita.  
« Non sei preoccupata di sapere che fine abbia fatto Maygan? »
Cam non rispose subito, ma quando lo fece sembrò non averci dovuto pensare più di tanto.
« Ognuna di noi è responsabile per se stessa. Nessuno vendica le puttane, nemmeno tra di noi. Quello che voglio te l’ho detto e ti ho dato informazioni che non avevi »
« Ma non abbiamo stipulato nessun accordo. E sono certa che se mi hai tenuta d’occhio da quando la tua amica è entrata a parlare con me, l’avrai anche sentita gridare »
Il tono lapidario e privo di emozioni che aveva Madame fece dubitare Cam del proprio sangue freddo. Era armata, e aveva una carta nascosta da giocare in caso di emergenza, anche se con Dull alle spalle, silente e vigile, e quel Ren ancora appostato sul tetto come un falco nascosto, dubitava che la sua abilità avrebbe prodotto più di un senso di sorpresa. Se fosse stata sola con la donna bendata avrebbe potuto cavarsela, ma circondata com’era doveva stare calma e non compiere gesti affrettati. Doveva puntare su se stessa.
« Posso esserti utile » disse, ignorando la sorte di Maygan, ma non seppe cos’altro aggiungere, perché tutto ciò a cui riusciva a pensare le risultava un tentativo pietoso di convincimento. Il sudore freddo le impregnava il collo e la schiena, ma non demorse dal sostenere lo sguardo che la stava giudicando.
Madame fece un altro passo, invadendo il suo spazio personale. Lei non indietreggiò: se la stava mettendo alla prova, avrebbe dovuto fare di meglio. Anni di patimenti, di maltrattamenti e ingiurie su quell’isola erano condensati in un solido muro di ragioni atte a non farla crollare. Non voleva di certo fare una brutta fine, soprattutto dopo che si era cacciata in quell’incontro con le proprie mani, ma il suo istinto le diceva che doveva resistere.
« Mi chiedo chi stia scommettendo ora »
Camelia ci mise qualche istante per registrare le parole e, soprattutto, cogliere l’ironia che sbandierava il raggiungimento del suo scopo. La risposta che stava aspettando. Spalancò gli occhi, trattenendo il respiro, per la prima volta mettendo a nudo le proprie emozioni e la consapevolezza che ce l’avesse fatta.
Improvvisamente, l’ambiente sembrò più concreto e vivo, ora che la tensione si stava sciogliendo.
« Ti porterò via da qui, a patto che tu possa trovare nuove informazioni » chiarì la donna bendata. « Ho delle faccende da sbrigare, hai tre settimane di tempo. Nel caso una delle persone a cui non vai a genio dovesse farsi viva, Ren ti terrà sottocchio e interverrà all’occorrenza. Tutto chiaro? »
Il cappuccio si mosse in assenso.
« Lascio il resto a te, Hurui »
Cam la fissò spaesata, non afferrando a chi si stesse riferendo. Avvertì solo all’ultimo la nuova presenza alle sue spalle, tra lei e la piccola montagna chiamata Dull.
Dita lunghe e nodose si strinsero intorno ai suoi avambracci, trascinandola indietro. La sorpresa che la colse fu così repentina che ebbe appena il tempo di un gemito strozzato, mentre l’ultima cosa che riuscì a vedere fu lo sguardo compiaciuto e ammiccante di Madame sparire ingoiato da un’oscurità improvvisa e totale.  
 
 
 
Camelia riprese i sensi un lasso di tempo dopo che non seppe precisare. Non era stordita, o nauseata, come credeva si sarebbe sentita. Sembrava solo essersi risvegliata da un breve sonno che non aveva lasciato traccia.
Alzando lo sguardo, supina per terra, notò sopra la propria testa l’insegna rossa e viola lampeggiante del Velvet Silk che le fece dubitare per un secondo delle cose successe quella notte.
 
 
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Maygan: dal gallese “perla”
- Shinsekai: è il “Nuovo Mondo” nel manga di One Piece, la seconda parte della Grand Line!
- Velvet Silk: dall’inglese “velluto” e “seta”. Insomma, su due piedi mi è sembrato il nome migliore per un bordello XD
- Dull: dall’ing. “fosco”, uno dei vari significati.
- Ren: dal giap. “loto” (anche se la forma corretta sarebbe renge)
- oni: dalgiap. “demone, orco, spirito di una persona defunta”.
- Camelia: dalla celebre “Signora delle Camelie” =)
- Cleansing: dall’ing. “purificante, pulizia”. È riferito più alla pulizia cosmetica, ma mi piaceva come suonava rispetto al classico “cleaning”.
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Eccoci di Giovedì! Queste settimane non sono riuscita a scrivere, spero di recuperare presto, anche perché ho in serbo un paio di One Shot che non vedo l’ora di finire *-* Ma intanto, eccoci tornati ai “nostri”, anche se dovrei dire ai “miei” visto che anche questo capitolo presenta solo personaggi originali!
Siamo tornati a Port Red Jack e alla città di Fulham (apparse per la prima volta nel Capitolo 3). Ecco un’altra parte di questa isola dedita ai giochi e ai piaceri, una sorta di Las Vegas della Grand Line!
So che per adesso tutte queste presentazioni di personaggi originali rischiano di confondere le idee, ma piano piano tutti i nodi verranno al pettine! Vi lascio con i ringraziamenti e le note, la parte forse più importante di questo angolino =P
 
Vorrei ringraziare anche solo chi legge… ma un commentino mi farebbe ancora più piacere *__*
Intanto grazie a Keyra Hanako D Hono e jillianlughnasad per i loro commenti settimanali e puntuali come orologi svizzeri *love e alla new entry Nic87! Non sapete che carica mi date quando leggo le vostre impressioni! *superlove   
 
 
Tante piccole noteeee:
 
- Maygan e Camelia: entrambe cameriere e prostitute (e bionde!) presso il Velvet Silk, casa di piacere della città. Ho pensato che con tutti i ceffi e i marines che girano per l’isola non sarebbe insolito che qualche prostituta per fare due soldi in più venda le informazioni che ricava. Questo è il caso di entrambe, anche se dal capitolo si è visto chi è più scaltra!
Camelia è uno dei personaggi di cui non vedo l’ora di poter scrivere di più, perché vi assicuro che ci sarà da divertirsi un mondo con lei *kufufufu
Riguardo a Maygan ho ancora un paio di progetti in mente per lei, nulla di definitivo…! Lei è reduce dalla prima pubblicazione e nel tempo il suo ruolo nel mio schema è andato ampliandosi… ma vedremo!
 
- Madame: zan zan zan! Eccola! Lei sarà un altro personaggio abbastanza chiave di tutta la storia! Che ne pensate? Perché a lei ci tengo parecchio! è_é e scoprirete molto più avanti perché XD! L’ho descritta come seconda al Joker, con questa doppia faccia che… chissà!
 
- Dull e Ren: tipico esempio di due personaggi nati per caso a cui mi sono subito affezionata. Nella prima pubblicazione erano solo Maygan e Madame le protagoniste di questo capitolo, ma ripensando ai vari eventi sono nati anche questi due come tirapiedi della nostra lebbrosa.
Dull non parla bene, ma le sue azioni lo fanno per lui! L’ho descritto come molto grosso, ma sa muoversi piuttosto silenziosamente per la sua mole. I tatuaggi e le cicatrici un giorno (forse non lontano!) avranno spiegazione, come la maschera che porta Ren, tipica del teatro Nō giapponese, che è quella del demone femminile Hannya (http://37.media.tumblr.com/tumblr_mblquzicCr1rhg4x8o1_1280.jpg ).
 
- Joker: pseudonimo di Doflamingo nella malavita ~ sto ancora decidendo che parte dare a lui in tutto ciò, visti i casini che sta combinando attualmente in One Piece…
 
- Rosso: non intendo Eustass Kidd eh… ! =D Non per adesso!
 
- Hurui: spero non ci sia nessuno della vecchia pubblicazione perché sennò lo sgamerebbe subito! Un altro “tirapiedi” di Madame… più o meno. Diciamo che, da quello che avete letto, è colui che si occupa di far “sparire” gli indesiderati.
 
- Ern del Chiodo Fisso: “Ernest” un personaggio che è sempre rimasto a metà, un po’ riempitivo un po’ no. Probabilmente tra poco io stesso scoprirò che ruolo avrà se una certa ideuzza che ho andrà in porto XD il “Chiodo Fisso” è il nome del suo locale… e della sua personalità!
 
- Cleansing: ecco che arriva la prima bandierina della trama ufficiale della storia. Il Progetto Cleansing, cooperazione tra Governo e Marina. Li ho sempre intesi come due organi separati, il secondo dipendente dal primo, soprattutto in materia di “roba scottante”. Tra un paio di capitoli svelerò ancora un paio di indizi a riguardo… !
 
 
 
 
Stavolta le note rischiavano davvero di essere più lunghe del capitolo! Non vogliatemene, potete anche saltarle, sono solo dei chiarimenti e dei punti per tenere a mente le cose importanti!
A Giovedì prossimo!
 
 
Blog su Tumblr: [ http://heavenlyeve.tumblr.com/ ] =)
 
Bacioni!
Nene
 

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Capitolo 8
*** Capitolo VI - Tracce ***


AVVISO 1: … scusate se ieri non ho postato, ma la giornata mi ha trascinata da tutt’altra parte e questo capitolo l’ho corretto due volte e mezzo… @.@  
 
AVVISO 2: la prossima settimana è Natale, e dovendo ancora sistemare e scrivere i capitoli successivi credo che l’aggiornamento settimanale slitterà! Spero di riuscire a pubblicare una One-Shot per farvi gli auguri! =)

 
 
 
 
 
 
 
 
Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo VI -
[Tracce]
 
 
 
 
 
 
Nonna Kamome non aveva preso bene la notizia che la sua adorata nipotina stesse viaggiando su una nave pirata. Le apparenze ingannano, ed essendo l’anziana il tipo che prima agisce e poi chiede spiegazioni, i ragazzi passarono un altro brutto quarto d’ora.
Seal, l’immensa foca bianca rimasta tranquilla fino a quel momento, incitata dalla padrona, si erse di nuovo nel mare con la sua mole spropositata e con i suoi barriti da rendere sordi, sballottandoli quasi peggio di prima.
Le urla di tutti per far comprendere alla bisbetica che non avevano rapito Mizu, ma che, anzi, l’avevano salvata e stavano cercando il piccolo Matt, furono vane. Nella confusione provocata dal mostro marino, nessuno sentì nessuno e la notte si fece giorno mentre la Thousand Sunny restava a galla per volere divino.
 
 
***
 
 
La fronte della navigatrice sbatté stancamente sul tavolo della cucina, davanti alla tazza di caffè doppio e forte appena servitole da Sanji. La moribonda ciurma di Cappello di Paglia aveva consumato la colazione in un silenzio irreale, dopo aver passato la notte a impedire a un’invasata di farli colare a picco.
Le condizioni fisiche dell’equipaggio non erano delle migliori a causa di vari graffi, piccoli lividi e passati conati di vomito per il maremoto. Lo stato psichico era ridotto anche peggio: i pensieri di tutti erano fissi sul modo più fantasioso e atroce di uccidere quella vecchia svampita chiamata Kamome.
« Dovresti andare a riposare Nami-san » suggerì Sanji osservando la stanchezza della navigatrice, mentre le si sedeva di fronte con una sigaretta fra le labbra e un maglione a collo alto tirato fuori per via del maltempo.
Quella emise una specie di sbuffo a metà di un sospiro, scrollando le spalle. Aveva un’emicrania allucinante e le pastiglie che le aveva dato Chopper non avevano ancora fatto effetto.
« La nostra cabina è sottosopra… » biascicò, ritirandosi su e portandosi il caffè alle labbra. Ne saggiò un sorso, storcendo la bocca per l’amarezza. « E a breve dovremmo arrivare all’isola indicata dalla cartina… » continuò, spostando la sua attenzione sulla mappa sgualcita che aveva lasciato sul tavolo dopo il summit di quella mattina, e dove aveva cerchiato la loro destinazione: Koujin.
Era stata una decisione del tutto azzardata, poiché tentare di indovinare la rotta dei Tori Rossi era impossibile. Seguire il Log Pose e sperare che anche loro stessero facendo altrettanto era stata la soluzione accolta da tutti. Tuttavia, il puntare alla cieca aveva reso i più nervosi, soprattutto Mizu, più taciturna e meno incline alla compagnia. Con la sua bisbetica nonna e Chopper si erano chiusi tutti e tre in infermeria per ricontrollare le condizioni della Figlia del Mare, e l’unica cosa udibile erano i rimbrotti continui della vecchia su tutto e tutti.
Il resto della ciurma si era sparpagliato in mansioni generali, dalla conta dei danni a quello che avrebbero dovuto ricomprare. Secondo Franky non sarebbero stati in grado di usare i Dock dei motori finché non avessero messo mano a dei pezzi di ricambio. La Sunny aveva resistito più che bene agli sballottolamenti notturni, ma le cose – e le persone – al suo interno un po’ meno: Sanji aveva bisogno di stoviglie nuove, come almeno qualche provvista tra riso, uova e olio finiti sparpagliati per mezza dispensa; alcuni dei medicinali di Chopper avevano subito altrettanta sorte; per ultimo, Usopp strepitava che prima avesse messo piede a terra meglio sarebbe stato.
 
 
 
L’odore dolce della pioggia in arrivo impregnava l’aria.
Nubi bianche e grigie si addensavano con lentezza sopra le loro teste, sospinte dallo stesso vento che gonfiava le vele in direzione del profilo semplice di Koujin. Case con mattoni a vista, comignoli da cui si levavano pennacchi grigiastri e un po’ di vegetazione qua e là davano l’idea di un posto accogliente e tranquillo.
« Anche troppo tranquillo » sottolineò il cuoco quando attraccarono a uno dei moli liberi del porto, scendendo dalla nave e guardandosi intorno. L’ambiente era deserto. Oltre ad alcune sartie buttate scomposte sulle assi di legno del pontile e qualche barile a mollo che sbatteva contro i pali di questo non c’era anima viva o altro rumore. Il vento fischiava a tratti con folate forti e cariche, per quietarsi un attimo dopo, increspando irregolare il mare cinereo.  
« Si staranno preparando per la tempesta in arrivo? » provò Chopper, riferendosi alla totale mancanza di persone, mentre nella sua forma umanoide aiutava Mizu a scendere dalla Sunny con Nonna Kamome sulla spalla. A loro si aggregò pian piano il resto della ciurma, vigili sulla situazione. Nessuno aveva scorto tracce dei Tori Rossi o navi potenzialmente nemiche, tuttavia l’attenzione era alta.
In gruppo, si mossero lungo il molo in direzione dello spiazzo da cui si diradavamo le strade della città. Il silenzio, reso lugubre dal soffio del vento, metteva i brividi.
« Siamo, ecco, sicuri che non sia un’isola fantasma? » tentennò Usopp, meno certo della sua decisione di mettere piede a terra. Camminava in testa al fianco di Rufy e Nami, guardandosi intorno circospetto. Man mano che guadagnavano terreno gli edifici si aprivano di fronte a loro e giunti nella piazza del porto iniziarono a notare quello che non andava.
« Qui è successo qualcosa… » disse sovrappensiero Sanji, accovacciatosi di fronte a quella che doveva essere stata una bancarella di frutta, divelta e con la merce schiacciata a terra. La stessa sorte sembrava toccata a buona parte degli oggetti circostanti. Anche porte e finestre delle case erano state abbattute e frantumate.
« Non una semplice rissa » proseguì Zoro, trovandosi a fissare ai propri piedi diverse tracce scure di sangue rappreso in un altro banco del mercato abbattuto da chiari fendenti di spada.
Un attimo dopo, l’istinto di cuoco e spadaccino li mise allerta. Con il tacco della scarpa e il fodero della Shusui bloccarono due sassi lanciati in direzione di Usopp e Rufy, dietro cui si era subito parata Nami cacciando un urlo. Le pietre caddero a terra e nello stesso momento mani affusolate e nivee sbocciarono addosso agli aggressori, bloccandoli e portandoli allo scoperto. Agitati e colti alla sprovvista, i due ragazzini malcelati presero a strillare dall’altro capo della piazza tra le casse abbandonate e distrutte.
« Che diavolo è!? Aiutami! » gridò il primo, cereo, mentre un terzo giovane sbucava fuori brandendo un pezzo di legno a mo’ di mazza, pronto a colpire le braccia fiorite di Robin e soccorrere l’amico. L’archeologa annullò per tempo il proprio influsso, ridacchiando appena di come il colpo destinato alle sue estensioni prendesse in pieno il primo malcapitato.
« Sono solo dei ragazzini bricconcelli » stabilì Brook, facendo capolino con la sua altezza dalle retrovie del gruppo, inchiodando sul posto e spaventando il trio.
« Ohi! Non è carino attaccarci così! » gridò Rufy imbronciato, pronto a dirigersi verso i tre teppisti, ma un gesto di Zoro lo bloccò.
« Aspetta, non sono soli »
Diverse teste iniziarono a far capolino dal limitare delle case che si affacciavano sulla piazza. Gente di ogni età, anziani, donne, uomini, presero a fissarli. Alcuni degli adulti corsero a strattonare via e rimproverare i tre che li avevano affrontati, portandoli via dalla vista.
Le facce dei presunti cittadini non mostravano alcuna condiscendenza.
« Non credo siamo i benvenuti » disse Sanji nel brusio generale che stava riempiendo la piazza del porto. Sebbene si tenessero a debita distanza, gli abitanti avevano iniziato a parlottare tra loro con sguardi accusatori, non curanti che potessero essere intesi chiaramente i loro “feccia”, “ladri”, “carnefici”.
Schiarendosi la gola, e solo dopo essersi accertato che il pericolo fosse rappresentato solo da un gruppo di residenti furibondi – pane per i propri denti – Usopp si fece avanti.
« Siamo qui per chiedere informazioni, brava gente » disse con un sorriso che voleva essere sincero e un epiteto che fece accigliare la maggior parte, ottenendo l’effetto contrario.
« Crrredo tu li stia facendo incazzare di più » soffiò Franky più dietro, braccia incrociate e occhiali tirati su.
« È come dice lui » sospirò stanca la navigatrice, facendosi avanti. Aveva riconosciuto a pelle la tensione che serpeggiava tra le file dei cittadini, la stessa che per anni aveva conosciuto da bambina. La paura e la rabbia data dall’impotenza di fronte ai pirati. Tentò, nonostante la pessima cera che si sentiva addosso, di essere rassicurante nel continuare.
« Vorremmo solo chied- »
Non finì la frase che Rufy la tirò indietro, insieme al cecchino, mentre Zoro e Sanji paravano nuovi lanci di pietre e oggetti contundenti.
« Non abbiamo nulla da spartire con voi! »
« Siate maledetti! Ci avete già portato via tutto! »
« Siete la rovina del mondo! »
La gente di Koujin sembrò rinvigorita dal vedere la ciurma retrocedere e difendersi senza reagire. Conquistarono terreno facendo gruppo serrato e continuando a scagliare tutto quello che di rotto ci fosse lì intorno.
Cuoco e spadaccino masticarono un paio di imprecazioni, irritati dalla situazione, entrambi consci che non avrebbero mai alzato un dito su quelle persone. Tuttavia di quel passo non avrebbero neanche saputo nulla di ciò che interessava loro.
Un fruscio alle loro spalle e delle esclamazioni sorprese li distrassero per un secondo. Percepirono con la coda dell’occhio un movimento fulmineo e solo quando guardarono avanti, confusi, si ritrovarono a fissare la schiena di Mizu, in piedi e con le braccia protese ai lati.
« Cos- »
« VI PREGO SMETTETELA! » gridò la ragazza a pieni polmoni, abbassando la testa e serrando gli occhi, ferma sul posto, quando gli ultimi oggetti lanciati nella loro direzione furono sul punto di raggiungerla. Con due fendenti di spada anche quelli caddero a terra, inerti. La Figlia del Mare incassò lo sguardo di disapprovazione dello spadaccino, ma tornò subito a rivolgersi alla città, senza ritirare le braccia come se avesse potuto difendere la ciurma che l’aveva salvata. « Non siamo nemici! Per favore, aiutateci! Sindaco Koubito! »
I cittadini di Koujin restarono interdetti e spaesati alla vista della donna. Un nuovo brusio li animò, ma questa volta di incredulità e dubbio. In un punto centrale la folla si diradò un poco, facendo avanzare a piccoli passi un uomo sulla sessantina, affaticato e bendato in più punti, aiutato da un altro robusto uomo, più forte ma anch’esso pesantemente medicato.
« Non può essere… sei tu, Mizu? » domandò il più anziano, guardando da dietro le lenti incrinate degli occhiali la Figlia del Mare. Questa annuì, ritirando piano le braccia al petto, un’espressione mesta negli occhi color oceano.
« Abbiamo saputo di Tsuri Fish… ti pensavamo morta… » continuò rammaricato e incredulo.
« Perché stai con dei pirati!? » intervenne improvviso l’uomo al fianco del sindaco, guardandola accusatorio.
Sanji partì in quarta furibondo, bloccato per tempo da Chopper e Usopp. Mizu sembrò non dargli peso, tenendo alta la testa nonostante le lacrime le pizzicassero gli occhi.
« Mi hanno salvata e mi stanno aiutando. Non sono come i Tori Rossi… »
Al pronunciare quel nome un brivido comune si diffuse tra le file dei cittadini. Le loro espressioni atterrite parlarono meglio di qualsiasi risposta i Mugiwara avrebbero mai potuto ricevere.
« Allora siamo sulla rotta giusta… » mormorò cupa Nami, solo in parte contenta della notizia.
 
 
 
La taverna in cui entrarono aveva passato tempi migliori. Tavoli e sedie ribaltate, cocci di stoviglie e macchie di cibo, bevande e sangue la adornavano disordinatamente.
Facendosi spazio a calci, il proprietario del posto, nonché l’uomo che continuava a sorreggere il sindaco, li guidò verso un largo tavolo rotondo rimasto in piedi. Fece accomodare il primo cittadino e col mento accennò stizzito ai membri della ciurma che li avevano seguiti di trovarsi da soli le proprie sedute, dirigendosi oltre il bancone in cucina.
Rufy, Nami, Mizu e Usopp – che si imputò sui modi poco gradevoli dell’oste, nonostante avessero appurato che i nemici non fossero loro – raccattarono sgabelli e barili ancora integri, prendendo posto e rabbrividendo appena al soffio del vento che penetrava dalle finestre incrinate.
Il resto dell’equipaggio si era sparpagliato per la città, sotto lo sguardo vigile e ancora restio degli abitanti. Franky si era diretto alle officine del porto per trovare i pezzi di ricambio alla Sunny; Chopper, Sanji e Kamome erano in cerca di medicinali e provviste, se ne erano rimaste; Robin si era congedata verso la biblioteca, accennando qualcosa riguardo a “SubAquaea”; Zoro e Brook erano tornati a bordo su ordine indiscutibile della navigatrice: erano i due membri più additati, uno per l’espressione costantemente truce, l’altro per gli ovvi motivi scheletrici, e visto l’animo poco incline dei cittadini erano stati spediti lontani dalla vista.
L’oste tornò al tavolo poco dopo con una bottiglia, due bicchieri e quello che sembrava del cibo raccattato un po’ alla rinfusa. Depositò il tutto davanti al sindaco e alla Figlia del Mare, ignorando volutamente il resto dei presenti. Rufy, a cui le maniere del proprietario non tangevano minimamente, fece per allungare la mano verso le porzioni di Mizu, ma Nami prontamente gliela schiaffeggiò, prendendo la parola con nonchalance.
« Cos’è successo in città? »
Il sindaco Koubito sospirò con pesantezza, mandando giù un sorso di sakè.
« Quei pirati che hai nominato prima… » iniziò, rivolto alla Figlia del Mare, che tentò di nascondere il proprio irrigidimento e una fitta di dolore al fianco ancora in via di guarigione. « Sono gli stessi che hanno distrutto Tsuri Fish? »
Mizu annuì a testa bassa, sentendo lo sguardo dei più fissarla.
L’anziano sospirò con gravità, stringendo la mano sul bicchiere sbeccato.
« I Tori Rossi… hanno attraccato qui l’altro ieri. Essendoci l’Arcipelago Sandan non lontano è raro che bruti del genere circolino in queste zone… pensavamo volessero solo dei rifornimenti, invece hanno iniziato a sparare alla cieca sulla nostra gente, a distruggere e rubare quello che volevano. Ci hanno chiesto un tributo di due milioni di berry per andarsene. Se gliene avessimo dati quattro non avrebbero portato via le nostre donne e non avrebbero ucciso i nostri giovani… » raccontò con sguardo perso e ricolmo di disprezzo, dovendo lasciare la presa sul bicchiere poiché il braccio fasciato iniziò a dolergli.
Nessuno al tavolo disse nulla. Nami e Usopp si scambiarono un’occhiata, consci che l’oste continuasse a squadrarli con malcelato disprezzo come capri espiatori. Sentimento che non scalfì minimamente Rufy, poiché il capitano teneva la testa reclinata di lato, metà del viso nascosto dall’ombra del suo cappello, mentre con un dito giocava pigramente con un frammento di qualcosa trovato sul tavolo. La navigatrice aveva intuito da subito l’estraniamento dovuto a una collera ben trattenuta del moretto, e il fatto che per lui non fosse necessario esprimersi a parole. Aveva già preso la sua decisione riguardo Akai Oushiza.
Tralasciando il proprio capitano, Nami interpretò con la coda dell’occhio l’ansia di Mizu, le cui dita erano serrate sulla stoffa dei pantaloni.
« Se sono passati di qui non saranno lontani… » constatò in fine, piatta, tornando a rivolgere l’attenzione ai due del luogo. « Sapreste indicarci la direzione che hanno preso? »
« Volete inseguirli!? » gridò allarmato e scettico il sindaco, ritrovandosi a tossire subito dopo per lo sforzo.
La rossa attese che si calmasse per continuare.
« Vogliamo aiutare Mizu »
« Allora dovreste lasciarla in pace! Non trascinarla nelle vostre beghe sanguinarie! »
Il commento sgradevole giunse dall’oste, che finalmente sembrò trovare lo spiraglio per esprimere la propria insofferenza, sottolineando la fervenza delle proprie parole colpendo il tavolo con i pugni serrati. I Mugiwara non si scomposero, ma la Figlia del Mare si strinse nelle spalle.
« È colpa mia… hanno mio figlio… »
Le parole uscirono così flebili che pure Usopp, accanto a lei, stentò nel sentirle.
« Cosa ti fa credere che una carogna del genere possa interessarsi alla vita di un bambino!? Lo avrà già ucc- »
La voce dell’oste si interruppe improvvisamente e questi si irrigidì.
Rufy aveva rialzato il viso, fissandolo con intensità, e l’uomo aveva avvertito un brivido scorrergli addosso e mozzargli il fiato. Non riuscì ad abbassare lo sguardo se non quando il moretto stesso lo calò, risistemandosi sul barile in maniera più comoda e tirando un sospiro annoiato, come se nulla fosse.  
Il primo cittadino riprese il discorso, con parole più caute.
« Mizu… che colpa puoi avere tu delle azioni di quel farabutto? »
La domanda, espressa con la premura di un nonno, fece riempire gli occhi della giovane di calde lacrime, ma non riuscì a replicare, combattuta dai ricordi e la paura che il solo pensiero di Oushiza le provocava.
 « Non ne ha » fu la risposta secca di Nami, la cui mano andò a posarsi su quelle di Mizu, sbiancate nello stringersi tanto ai pantaloni. Il cecchino incrociò le braccia e alzò il mento, assentendo a modo suo.
Il flebile singulto che sfuggì alla Figlia del Mare fu coperto dall’aprirsi frettoloso della porta, che rimbalzò sui cardini mentre un ometto con lanosi capelli bianchi e un paio di occhiali che avrebbero fatto invidia a due fondi di bottiglia zampettava nella loro direzione, saltellando tutti gli ostacoli sul percorso.
« Koubito! Ehm- Sindaco! Un procione pirata! Medico! » ansimò arrivando di fronte al primo cittadino, paonazzo sulle gote e ignorando totalmente il resto del gruppo. « Fa il medico! Ma è incredibile? »
« Isha-san calmati… » tentò l’anziano spiazzato dall’arrivo imprevisto, ma si vide prendere le mani dal medico del paese, e si ritrovò i suoi occhiali a pochi centimetri dal viso, un’aria un po’ folle intorno.
« Un dottore procione. Ma fa il pirata. Procione! Sarà incredibile? »
« Isha-san, non è il momento, e forse intendi dire credibile… »
« No, è incredibile sindaco! »
I Mugiwara fissarono il nuovo venuto, così spaesati da non riuscire a correggere l’ometto sulla giusta natura di renna di Chopper.
« Stiamo discutendo di cose importanti, Isha-san, forse potremmo rimandare a più tardi…? » azzardò di nuovo il sindaco, conoscendo a sufficienza l’amico per sapere che quando si metteva in testa qualcosa di strambo era complicato farlo scendere dai propri pensieri.
« Importante? Anche il procione l’ha detto! Dovevo riferire una cosa importante! » e nel dirlo si voltò di scatto, facendo sobbalzare l’altra metà del tavolo per la mossa repentina e l’avvicinarsi a Mizu quasi sdraiandosi su Usopp.
« Ho visitato un bambino » cominciò, l’aria da folle che riuscì a far smettere i singulti della ragazza « Piccolo, capelli come i tuoi, occhi belli come i tuoi. Quel tonno rosso l’ha portato da me mentre i suoi pesci cattivi saccheggiavano la città. Lividi e graffietti, ma sta bene. Sta bene » ripeté in quella confusione di parole, sorridendo alla Figlia del Mare con calore.
Sul viso di Mizu si mescolò un’espressione a metà tra lo stupore e il nascente sollievo. Per la prima volta dal massacro della sua isola aveva notizie di suo figlio. Si sporse in avanti, ignorando il dolore della propria ferita, gli occhi ricolmi di speranza.
« Gli hanno fatto qualcosa? È ferito? »
« Solo spaventato. Sì, credibilmente spaventato » annuì lo strambo medico, l’aria un po’ abbattuta.
La Figlia del Mare sembrò rilassarsi sullo sgabello scomodo per un breve momento.
Matt era vivo, pensò, con la sensazione di conforto più intensa che avesse mai provato.
« Oh cielo… ma cosa possono mai volere da un bambino così piccolo? » domandò sconsolato il sindaco dopo aver ripiegato su un secondo sorso di sakè. Pareva che quella situazione lo stesse scuotendo personalmente. La sua domanda fu accolta con un’intesa di sguardi da parte dei Mugiwara.
In quelle lunghe ore da quando avevano soccorso Mizu si erano chiesti più volte il perché un pirata dipinto in maniera così feroce come Akai Oushiza potesse volere un bambino di appena cinque anni tanto da radere al suolo un villaggio per rapirlo, e il loro legame di sangue non sembrava una motivazione del tutto convincente. Nessuno di loro aveva però avuto il coraggio di affrontare l’argomento delicato con la madre, complice anche il fatto che avessero già deciso di aiutarla, spiegazioni o meno.
Tuttavia, ora che qualcun altro aveva posto il quesito, rimasero in attesa di sapere.
Ma in quel momento la porta della taverna sbatté di nuovo, seguita da una colorita imprecazione.
Sull’uscio, ansimante e appoggiato al legno per riprendere fiato, sostava Sanji, con attaccati addosso come koala, strapazzati dalla corsa, Chopper e Nonna Kamome.
« Maledetto medicastro! A che razza di velocità ti muovi!? » inveii, marciando verso la tavolata mentre si staccava di dosso prima la vecchia e poi la renna, che aveva l’aria di chi aveva sofferto il mal di mare. L’anziana Kamome saltò di malagrazia in grembo ad Usopp, unico spazio disponibile vicino a sua nipote, strappando un gemito soffocato al cecchino che divenne prima paonazzo e poi cianotico. Il gabbiano narcolettico che la vecchietta aveva in testa, continuando a dormire, emise un verso stizzito per tutti quegli sballottolamenti.  
Nel frattempo, trovandosi di fronte Nami e Mizu, l’ira del cuoco sparì lasciando spazio alle sue stucchevoli maniere che fecero nascere ulteriori dubbi al sindaco e all’oste sulla serietà dei Mugiwara.
Quella che era stata una conversazione seria e dolorosa, si trasformò presto in una fiera: Sanji, in una tempesta di zuccherini cuoriformi, stava complimentandosi per la beltade delle due ragazze e allo stesso tempo raccontando di come avessero incontrato il medico della città e saputo da lui di Matt; l’anziana Kamome iniziò a discutere animatamente sul colorito pallido della nipote, accusando a destra e a manca; di fianco a loro, Isha-san aveva tirato su da terra il povero Chopper ancora scombussolato dalla corsa e se lo rigirava come un pupazzo, borbottando frasi insensate con espressione concentratissima.
 
 
 
« Quella carogna! » inveii Nonna Kamome quando le fu fatto il punto della situazione e ribadito che Matt fosse vivo e fisicamente illeso, ma prigioniero. « Che il mare lo inghiotta, lui e tutti i Figli del Diavolo! È questo quel che meritano! »
« Ohi ‘baacchan dacci un taglio, abbiamo capito » l’ammonì Sanji, sedutosi a gambe incrociate su un barile ancora intatto, accendendosi una sigaretta. Chopper aveva trovato un attimo di tranquillità sistemandosi a pancia in giù su una delle cosce di quest’ultimo, mettendosi al riparo dalle mani indagatrici di Isha-san, che nonostante tutto continuava a non staccargli gli occhi di dosso. « Cerchiamo di capire piuttosto perché Oushiza voglia tenere in ostaggio Matt » proseguì il cuoco.
All’osservazione sollevata dal biondo, Mizu e Kamome si scambiarono uno sguardo indecifrabile, riabbassandolo ognuna con aria consapevole e colpevole.
Stringendo nella propria mano quelle della nipote, fu l’anziana che iniziò a spiegare con tono grave e senza i suoi costanti borbottii.
« È raro… ma capita che Discendenti del Mare sviluppino delle capacità straordinarie. Alcuni possono usare una sorta di richiamo verso le creature del mare. Altri, quasi leggendari, si trasformano essi stessi in acqua… » fece una pausa, avvertendo la stretta con cui Mizu teneva le sue mani rugose. « Nel caso di Matt abbiamo iniziato a vedere questa potenzialità solo da qualche mese… »
Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, sorpresi e interdetti.
« Lui è in grado di manipolare l’acqua a suo piacimento »
« Che?! » sbottò Usopp, messosi in piedi per lasciare il suo sgabello all’anziana – e salvarsi dai suoi modi maneschi. « Che intendete con manipolare?! »
« Per adesso crea piccole forme con l’acqua del mare, ispirandosi agli animali e alle cose che conosce… Può plasmarla e farla muovere come se avesse una volontà propria, ma è lui a controllarla. Non è altro che un gioco con cui passa il tempo » riferì Mizu, con la mente lontana ad appena qualche giorno prima che quell’incubo iniziasse.
« Non ho mai sentito una cosa del genere » commentò sovrappensiero la navigatrice, disorientata. Tutta quella situazione sui Figli del Mare, i Discendenti e SubAquaea, per lei che aveva vissuto anni al fianco di Arlong e della sua cricca di Uomini-Pesce, era una storia surreale. Durante l’infanzia aveva sentito più volte racconti e aneddoti dai suoi aguzzini sul luogo da cui provenivano, e per quanto cercasse di ignorare le loro parole per principio, aveva imparato diverse cose. Ma ora si ritrovava con una parte di storia del tutto nuova che le stava lasciando un senso di ignoranza e impotenza che non credeva avrebbe provato.  
Alle sue spalle Rufy aveva gli occhi che brillavano perso nelle sue fantasie con Chopper.
« È davvero molto raro sviluppare questo tipo di poteri » ribadì Kamome, tornando alla sua espressione imbronciata in mezzo alle alghe dei capelli e inveendo nuovamente. « Quel mostro! Siano maledetti i Figli del Demonio! Pregherò che il mare prenda la sua anima! »
« Obaachan per favore… » intervenne Mizu prima che fosse Sanji a redarguirla di nuovo per quelle uscite, infastidito che mettesse sullo stesso piano del Toro Rosso anche i suoi compagni lì presenti.
« Oushiza sapeva delle origini di Mizu? Può essere venuto a conoscenza così delle capacità di Matt? » domandò Nami pratica, non dando peso alle ingiurie sparate a caso della vecchia. Un pessimo presentimento le stava serpeggiando addosso.
La Figlia del Mare annuì gravemente.
« Se un carnefice come lui controllasse questi fantomatici poteri di manipolazione dell’acqua… non avrebbe più da temere altri possessori dei frutti, marines o pirati che siano » rifletté a voce alta la rossa, sorprendendosi lei stessa del brivido che le aveva fatto venire la pelle d’oca al pensiero, irrigidendosi. Si girò verso il suo capitano, la fronte contratta e la voce ferma e seria. « Rufy dobbiamo fermarlo e salvare quel bambino »
Il capitano annuì, ricambiando prima lo sguardo intenso di Nami e poi sorridendo determinato a Mizu.
« Lasciatelo a me! »
« Cosa pensate di fare? »
A parlare, e senza il tono accusatore usato fino a poco prima, fu l’oste. La sua fonte corrugata lasciava intuire la lotta che si stava consumando tra i suoi pensieri, da una parte quello fisso di considerare alla pari dei Tori Rossi la ciurma di ragazzini che dichiaravano apertamente di essere pirati e dall’altra la loro intenzione assodata di aiutare madre e figlio scontrandosi contro un uomo senza pietà di cui neanche conoscevano il volto.
« Avete idea di dove dirigessero? Se qualcuno di loro ha menzionato una destinazione? »
Barista e sindaco si scambiarono un’occhiata alla domanda della navigatrice.
« Vai a chiamare Rashin » dispose l’anziano Koubito rivolgendosi al proprietario del locale, che si avviò all’uscita. « I Tori Rossi hanno razziato il suo negozio di mappe e log pose. Forse potrà esservi utile… »
 
 
 
 
Nico Robin aveva rinunciato da molto tempo a sperare di recuperare le informazioni che le interessavano al primo colpo. Ovunque andasse, le domande a cui voleva porre risposta non si trovavano mai negli scaffali a cui aveva accesso di isola in isola. Superata la frustrazione con un sospiro di routine, il pensiero di quanta conoscenza mancasse tra le fila di libri, e di conseguenza quanta ignoranza imperversasse, la incupì un poco.
Fece scorrere ancora una volta le dita sui dorsetti e le lettere in rilievo dei volumi collocati nella sezione geografica.
Un mondo di Isole; Quattro venti e quattro mari; Rotta Maggiore: isole dalla A alla Z; Dalla Reverse Mountain a Sabaody: resoconti e mappe…” lesse mentalmente l’archeologa, trovandosi suo malgrado a storcere un po’ le labbra. Non poteva aspettarsi molto da una biblioteca di un’isola così piccola, ma almeno l’ordine alfabetico sarebbe stato un inizio. Si conosceva: quando si trattava di libri, era oltremodo pignola. 
Le uniche notizie su SubAquaea che continuava ad avere e a non riuscire ad ampliare rimanevano quelle che aveva scovato nei testi a bordo della Sunny, ossia qualche accenno all’esistenza di un Regno del Mare, di cui erano ignoti i confini, se fosse diviso in regioni, la cultura, le usanze… ciò che era stato in grado di riportare il tomo erano alcune nozioni sulla tipologia di abitanti, sulla forma di governo di tipo monarchico e che l’Agalmatolite proveniva dalle loro miniere, più una sfilza di leggende e racconti favolistici per riempire le due pagine a seguire. Il testo si era concluso dicendo che essendo le leggi di SubAquaea molto ferree in riferimento all’ingresso di esseri umani all’interno del regno era difficile raccogliere ulteriori informazioni. Su quell’ultima affermazione Nico Robin aveva i suoi dubbi, maturati in anni di ricerche conclusisi quasi sempre in vicoli ciechi dettati dal veto ultimo delle alte sfere.
Scrollando appena la testa per scacciare i pensieri, la donna si rimise lo zainetto in spalla, rinunciando a consultare altro. Sarebbe risultato più proficuo provare a parlare con Mizu o la vecchia Kamome, sempre se fosse stata in grado di scendere a patti con quest’ultima che si era impuntata a insultarla chiamandola Figlia del Diavolo.
« Non ha trovato quello che cercava, signorina? Posso aiutarla in altro? » domandò l’anziano curatore della biblioteca, abbassando un poco il quotidiano che stava leggendo e lasciando intravedere come anche lui fosse bendato qua e là alla stregua del resto dei cittadini.
Robin stava per sorridergli cortese, ma le sue labbra si schiusero in un moto di sorpresa, mentre si ritrovò a sgranare i grandi occhi azzurri.
« In effetti sì… le dispiace prestarmi un attimo la prima pagina? » chiese e allungò la mano mentre questo gliela porgeva scuotendo il capo canuto.
« Brutta storia, signorina. Il Governo non dovrebbe lasciare circolare per i mari certi individui… »
Ma la brunetta non lo stava più ascoltando. Con lo sguardo scorse velocemente l’articolo sotto le due foto in primo piano.
L’Erede distrugge la 74a Divisione – Marines seppelliti vivi” lesse, trovando il titolo, e la foto aggiornata del wanted, gli unici due fatti rilevanti dell’intera prima pagina. Non era nessuno per giudicare le azioni di quel ragazzo, soprattutto considerando quelle compiute da se stessa per sopravvivere, ma sapeva riconoscere quando i giornalisti calzavano volutamente la mano per ingigantire un fatto già di per sé altisonante.
« Gol D. Bryan… » mormorò tra sé, indugiando sull’immagine che lo ritraeva in un moto di rabbia gelida e perforante. L’articolo era di qualche giorno prima.
Era molto tempo che non le capitava di leggere notizie sull’Erede. Da quando aveva lasciato la sua vecchia vita accanto a Crocodile, e di conseguenza tutte le informazioni di prima mano che circolavano all’interno della Baroque Works, non ci aveva quasi più nemmeno pensato. Ricordava come di tanto in tanto si era ritrovata a vagliare rapporti di cacciatori di taglie suicidi di Whisky Peak messisi in testa di sfidare il giovane, uscendo vivi da simili imprese più per grazia ricevuta che per l’intervento della dea bendata.
Da quando quattro anni prima il mondo aveva saputo che la linea di sangue del Re dei Pirati era ancora in circolazione, il desiderio di incontrare i due giovani eredi era stato un chiodo fisso nella mente dell’archeologa. Si era stupita relativamente sull’esistenza di una discendenza, ritenendo sciocco non supporre che in tutta la sua vita Gold Roger non si fosse mai legato a una donna, anche solo una volta. E dai dati che aveva raccolto nell’ultimo periodo, Il Re dei Pirati era stata la persona che più si era avvicinata alla verità sui cento anni di vuoto. Ripiegando il giornale, persa nei propri pensieri, si disse che forse peccava di presunzione nel credere che l’Erede, o sua sorella, potessero sapere qualcosa in merito, qualcosa tramandatogli da un nonno che non avevano conosciuto direttamente, ma era un’opzione che avrebbe potuto scartare solo una volta posta la domanda.
E se non fossero stati in grado di risponderle a ciò, forse avrebbero almeno saputo svelarle il mistero dietro la “D.” dei loro nomi – e di quello di Rufy e Sauro.
« Se vuole può tenerla » disse il bibliotecario, riscuotendo la donna dal propri pensieri. « Intendo la pagina »
« Ah… grazie. Molto gentile » sorrise lei, infilando il foglio nello zainetto, per poi congedarsi dal posto.
Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere, ricordando a Robin che ci sarebbe stato tempo per i propri dubbi e ricerche una volta aiutata Mizu.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Grand Line.
Water Seven.
 
 
 
« Sei davvero uscito conciato così? »
La fragorosa risata che accompagnò la frase lasciò interdetto il ragazzo fermo sulla soglia, facendolo arrossire d’imbarazzo, una mano ancora sulla maniglia. Non si aspettava di trovarsi di fronte il compagno al rientro.
« Non dovevi essere al Dock 1!? » sbottò il moro, strappandosi di dosso il berretto di lana e i finti occhiali dalle lenti bianche con attaccati un paio di vistosi baffi neri.
« Sì, due ore fa… ti sei anche perso? » replicò il primo, ancora sdraiato sul letto con le gambe accavallate e le braccia dietro la testa, godendosi i brontolii del minore con un’altra risata.
« C’è troppa acqua in questa città, e queste vie mi confondono »
« Finché non ci finisci dentro va tutto bene. Se racconto all’Oyaji che sei annegato in un canale credo potrebbe veramente ridere fino a restarci secco »  
Quello che Ace bofonchiò in risposta rimase un mistero seppellito nel cuscino dell’altro letto all’interno della stanza, letto su cui il Comandante della Seconda Divisione di Barbabianca si era appena lasciato cadere di pancia.
Girandosi su un fianco, una mano a sostenergli la testa, Marco lo fissò, mutando appena l’espressione. Il suo sorrisetto divertito rimase, ma lo sguardo si assottigliò.
« Ti sei camuffato in quella maniera per andarti a comprare il biglietto per il Treno del Mare? »
Non ricevette risposta. Il moretto rimase con la faccia piantata nel cuscino, apparentemente facendo finta di non sentirlo.
Il biondino dalla testa ad ananas abbassò appena il capo, lanciandogli un’occhiata più penetrante.
« Guarda che anche un cerebroleso ti avrebbe riconosciuto… » buttò lì per stuzzicarlo.
Un mugugno inarticolato e un dito medio furono la risposta che ottenne e che lo fecero sghignazzare. Tuttavia non desistette dal suo intento di sapere.
« Vai a trovare la tua fidanzata? »
Marco notò le spalle del compagno irrigidirsi, ma ancora una volta nessuna replica sensata.
« Ti ha scritto un altro di quei messaggi criptici… avrai bisogno di una maschera per andare a San Faldo » vedendo che continuava a essere ignorato nonostante avesse anche indovinato parte della lettera arrivata qualche giorno prima, e un po’ punto sul vivo, l’uomo fenice seguitò. « A meno che non vi siate programmati solo una scappatella in hotel… »
L’insinuazione fece centro. Ace si tirò su di scatto, di nuovo rosso in viso.  
« Non è- » ma si interruppe subito, quasi mordendosi la lingua. « Pensala come ti pare » concluse, grattandosi la testa e scompigliandosi i capelli.
 Marco capì che non gli avrebbe cavato altro di bocca e desistette, sorridendo. In realtà conosceva abbastanza Ace da sapere che se gli avesse giocato due o tre domande a trabocchetto il ragazzo avrebbe finito con l’essere involontariamente sincero. Ma se non voleva parlarne, avrebbe aspettato che fosse l’altro ad aprirsi.
« Spero almeno che un giorno ce la farai conoscere » concluse e rimase sorpreso nel notare che il moretto, perso nei propri pensieri, gli sorrise con una punta di amarezza, prima di ridestarsi e ributtarsi sul letto di schiena.
« Starò fuori solo una notte. Quanto vi fermerete in città? » chiese, questa volta rivolgendosi direttamente al compagno.
« Una settimana. Il capo cantiere dice che ci vorranno ancora cinque giorni per ultimare i lavori e almeno uno per revisionare che tutto vada bene »
Ace annuì, stiracchiandosi.
Marco al contrario si sedette sul bordo del letto, le braccia appoggiate sulle ginocchia e le dita intrecciate. L’espressione sul suo viso perennemente dall’aria stanca si incupì un po’.
« Tornerai nello Shinsekai con noi? » domandò, mortalmente serio.
Era da quando si erano incrociati per caso qualche giorno prima lì a Water Seven che il biondo si era tenuto quella domanda pronta, aspettando il momento giusto. Avevano fatto baldoria, si erano raccontati vecchie e nuove storie, avevano fatto finta che il tempo trascorso dalla morte di Thatch non fosse mai trascorso. Sperava che in quei mesi l’intento di Ace si fosse un po’ chetato. Il brutto presentimento che il loro vecchio aveva avuto, e che persino il Rosso aveva ribadito parlando della pericolosità di affrontare Barbanera, non era scemato.
La fronte del moretto si corrucciò, ma quando fece per rispondere si trovò la mano del Comandante della Prima Divisione a fargli cenno di tacere.  
« Aspetta. Pensaci su, non rispondermi adesso » gli disse, pacato e conciliante, avendo intuito dalla sua espressione che avrebbero finito col discutere dell’argomento per l’ennesima volta sempre ognuno con i propri motivi. « Mi dirai sì o no quando tornerai dalla tua serata in maschera. Sempre se non deciderai di mollare tutto e tutti e scappare con la tua lei… » celiò, abbassandosi in tempo per evitare il cuscino lanciatogli contro da un Ace avvampato di una violenta sfumatura rosso pomodoro.
Tutto quell’imbarazzo glielo avrebbe dovuto spiegare un giorno.
 
 
 
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini (stavolta sono tanti @.@):
- Koujin: dal giap. kou “bravo” e jin “persona/e”. Ho volutamente mischiato un paio di pronunce giapponesi senza essere davvero certa che possano funzionare… ma visto com’è elastica questa lingua ogni tanto, l’ho fatto comunque! *colpevole
- Koubito: stessa cosa di sopra, solo che questa volta hito/bito è la seconda lettura di jin, sempre “persona”. Insomma, parafrasando, “una brava persona (Koubito) è il sindaco di brava gente (Koujin)” *attende i pomodori*
- Sandan: dal giap. “proiettile, pallettone”.
- Mugiwara: il soprannome di Rufy e della ciurma, “cappello di paglia”.
- Isha-san: dal giap. “signor medico”. In questo caso è proprio il suo nome *fantasiaportamivia
- ‘baacchan: dal giap. contrazione informale di “obaasan”.
- Rashin: dal giap. “ago della bussola”, nome del proprietario del negozio di mappe di Koujin.
- Oyaji: dal giap. riferimento al “padre di qualcuno, al boss di qualcuno o uomo anziano”, è il soprannome che usa la ciurma per chiamare Barbabianca.  
 
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Un altro capitolo-parto ma… c’è Ace! *saltella*
La scena finale è uscita quasi per caso, ma alla fine è utile all’introduzione di un capitolo che verrà più avanti, e poi scrivere di Ace fa sempre troppo piacere!
Senza nulla togliere ai nostri Mugiwara, anche se ancora la stanno tirando per le lunghe… scovare i Tori Rossi ormai è solo questione di tempo!
Questo capitolo, nella versione precedente della storia, era tutt’altra cosa. La vicenda si sviluppava a “Rakuen”, un posto “paradisiaco”, ma alla fine era una parte inutile che ho preferito cestinare.
Mi sono divertita moltissimo a scrivere su Nico Robin: di tanto in tanto mi piacerebbe concentrarmi su personaggi singoli e spiegare, o dare visioni che ho io, del loro passato. Qui la componente Crocodile/Baroque Works si è rivelata utile e interessante: pensare all’archeologa che usufruiva delle informazioni che passavano dall’organizzazione per le sue ricerche o curiosità mi è piaciuto un sacco!
 
Grazie alle lettrici e commentatrici Keyra Hanako D Hono, jillianlughnasad e Nic87 per i loro pareri! *^*   
 
 
Note note note:
 
- Koujin e “brava gente”: come spiegavo nella nota, “Koujin” ha il significato di “brava gente”, epiteto usato maldestramente da Usopp per parlare con gli abitati del luogo. Il cecchino e le sue uscite poco (con)geniali!  
 
- Arcipelago Sandan: per ora è solo accennato, ma è un insieme di isolette con avamposti della Marina.  
 
- Isha-san: personaggio nato dal nulla e incontrollabile! Sanji, Chopper e Kamome lo incontrano in città e vengono a sapere che Oushiza ha portato da lui Matt per fargli dare una controllata (l’ha pur sempre portato via con la forza da Tsuri Fish). Missing moment: appena Isha-san sa che è importante far sapere alla madre del bambino che il figlio sta bene, parte in quarta verso la locanda. Ecco perché la gran corsa di Sanji per stargli dietro! I propositi di Isha-san sono assolutamente buoni, ma la natura di medico-pirata-renna di Chopper alla fine ha avuto la meglio sulla sua curiosità!
Visto che Oda si diverte parecchio a far parlare in maniera strana i suoi personaggi, Isha-san non è da meno, e confonde spesso “credibile” con “incredibile”!  
Ah, e ovviamente usa epiteti tutti suoi, come “tonno rosso” al posto di “Toro Rosso”.
 
- Figli del Diavolo: soprannome che Kamome usa in continuazione per riferirsi ai possessori dei frutti. A lei proprio non vanno giù… e un giorno lontano saprete perché! *kufufufufufu
 
- Discendenti del Mare: qui possono iniziare a sorgere dubbi in merito. I “Discendenti del Mare” sono figli nati da “Figli del Mare”, una sorta di seconda generazione che ha in teoria solo “un quarto” di sangue di sirena/tritone.
 
- “Capacità di manipolare l’acqua”: eccoci a una delle (strambe) idee che ritorneranno in questa storia, anche se in tempi più lunghi, ma intanto volevo accennarvele. Spiegarvi il motivo effettivo del perché alcuni Figli/Discendenti del Mare nascano con capacità extra è spoiler (e se ne occuperà un giorno un certo Chirurgo di nostra conoscenza), tuttavia Kamome è stata sommaria nello spiegare questi poteri, che si possono descrivere anche come:
- Aqua Voco: la capacità di richiamare a sé creature del mare.
- Aqua Vis: la capacità di trasformare il proprio corpo in acqua.
- Aqua Morphos: la capacità di manipolare l’acqua a proprio piacere.
*megalomane*
 
- Ace, Marco, Water Seven e San Faldo: in realtà a parte sprizzare cuoricini da ogni dove per questa scena (dovrei darmi una regolata…), non ho molto da dire. Gli indizi di spiegazione ad alcune parti li trovate rileggendo il [Capitolo III], se no aspettate ancora un po’ *eheheheh
Quello che volevo dire, è che questa parte, probabilmente forzando un po’ il manga perché non ricordo benissimo le tempistiche, si colloca PRIMA dello scontro tra Ace e Barbanera, e dopo che Shanks è andato a parlare con Barbabianca. Insomma, siamo tutti preoccupati per Ace, a buon ragione.
Marco si trova a Water Seven per *rullo di tamburi* esigenze di trama. Ha portato una nave dai migliori carpentieri di sempre, visto che come ricordiamo la Oro Jackson di Gold Roger fu costruita proprio lì, e con la scusa l’ho fatto incontrare con Ace per questa scena =D *correanascondersi
Chi indovina il riferimento a San Faldo? *occhioni*
 
 
 
 
Ancora una volta, WikiNene ha colpito con tutte queste spiegazioni in più! Solo che infilarle nel capitolo lo avrebbe reso forse lungo il doppio…
Avrete capito che io stessa sono *addicted* dalla mia storia, no?
 
Per concludere, dato che ancora non so se la prossima settimana pubblicherò un capitolo di Heavenly Eve o una One Shot per festeggiare il Natale, intanto vi faccio gli auguri di buone feste!
 
 
 
Bacioni!
Nene
 
 
 
Blog su Tumblr: [ http://heavenlyeve.tumblr.com/ ] =) (che dovrei riprendere ad aggiornare…)
 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo VII - Paura del buio ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)



- Capitolo VII -
[Paura del buio]




Hush, child
The darkness will rise from the deep
And carry you down into sleep
Child, the darkness will rise from the deep
And carry you down into sleep
[Mordred’s Lullaby – Heather Dale]


 
Marine Ford.




L’uomo arrestò la sua camminata davanti al caminetto spento, sul viso un’espressione infastidita e riflessiva nel fissare la bandiera della Marina postavi sopra a dominare l’ampia stanza come fosse stata il quadro di un austero antenato.
« ARDELIA! » vociò alterato all’improvviso verso l’immensa porta di legno dello studio. Dall’altra parte si sentì prima il fruscio disordinato di fogli che cadono per terra, una bassa imprecazione seguita subito da uno svelto rumore di tacchi. L’uscio si aprì lentamente e una timorosa segretaria in tailleur verde bottiglia fece capolino.
« Mi ha chiamata, Sovrintendente? » domandò timidamente, rimanendo seminascosta dalla porta.
Quello la guardò scocciato.
« Ti saresti precipitata qui se non l’avessi fatto? »
La bruna scosse la testa, mordendosi il labbro per la domanda stupida. Tentò di rimediare in altro modo.
« Cosa posso fare per lei? » chiese, sottomessa. Quello era l’unico atteggiamento che riuscisse ad avere in presenza dell’uomo che mai, neanche una volta da quand’era arrivata lì circa tre mesi prima, l’aveva trattata bene. Di replicare, ad ogni modo, non se ne parlava: non voleva fare la stessa fine della segretaria prima di lei, licenziata senza tante spiegazioni solo perché aveva avuto l’insolenza di contraddirlo. Si riebbe dai suoi pensieri quando la voce tonante del superiore le giunse di nuovo all’orecchio.
« Va’ a cercare quell’idiota di Nebbish! Doveva essere qui mezzora fa! Muoviti! » ruggì e Ardelia chinò frettolosamente il capo, sparendo dietro l’uscio.
Il Sovrintendnete scosse la testa contrariato, tollerando poco di lavorare con quelli che riteneva un branco di ottusi senza speranza.
Si tolse la giacca bianca ricamata con i kanji di Gustizia, buttandola malamente su uno dei costosissimi divani rossi, e si diresse alla scrivania. Ci si sedette con uno sbuffo, prima di ruotare sulla poltrona girevole e dare un’occhiata fuori dalle alte vetrate che davano su un largo spiazzo: sull’attenti c’erano dozzine di marines concentrati sugli ordini dei propri capitani. Spostando lo sguardo più in là si potevano intravedere i cantieri navali, dai cui molti comignoli salivano volute di fumo nero. Si appuntò di andare a dare uno sguardo ai lavori in corso per verificare che non ci fossero ritardi.
Qualcuno bussò distraendolo e l’uomo si girò contrariato: non era la sua segretaria.
« Avanti »
La porta si aprì quasi del tutto, lasciando sulla soglia un marine vestito nell’uniforme consona ai Vice Ammiragli, un pungente sorriso sul viso a salutarlo. L’ufficiale alla scrivania lo fissò con disgusto, soffermandosi a incrociare quelle due grigie iridi calcolatrici, sicure di sé, che parevano farsi beffe di tutto.
« Shirami » fu tutta l’accoglienza che l’inatteso ospite ricevette.
« Sovrintendente Mouke » si inchinò teatralmente in risposta il nuovo arrivato, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Si squadrarono per qualche secondo, l’espressione falsissima del sottoposto che sembrava far montare una certa rabbia all’altro.
Quel tizio era una grana bella e buona, l’aveva sempre saputo, ma nonostante questo si era spinto a prenderlo sotto la propria protezione, se così si poteva dire, perché il suo lavoro lo sapeva svolgere meglio di chiunque altro: era un bastardo pianificatore della peggior specie.
« Cosa ci fai qui? » chiese duro il superiore, osservandolo avvicinarsi e sedersi su una delle due morbide poltrone davanti a lui. Questi lo fissò con cipiglio falsamente sorpreso.
« Che maniere brusche, Mouke. Non pensavo si accogliessero così gli amici » glissò affettato, appoggiando un gomito sul bracciolo della poltrona e sorreggendo il viso con la mano, una smorfia beffarda sulle labbra.
« E da quando io e te saremmo amici? »
« Suvvia, mi pareva avessimo gli stessi obiettivi » nonostante i suoi modi canzonatori, il suo tono si fece più serio e i suoi occhi penetranti.
« Non ti permetto di fare quello che vuoi solo perché siamo d’accordo su alcune questioni » ringhiò in risposta il Sovrintendente, fissandolo diretto. « Non mi fido completamente di te »
Il Vice Ammiraglio sorrise calmo a quell’affermazione, sebbene il suo sguardo ardesse di una collera ben contenuta.
« Credevo di averti già abbondantemente dimostrato che ho chiuso col passato » replicò piatto, senza tradirsi. La testardaggine di quell’uomo qualche volta riusciva ancora a stupirlo.
« Un pirata sa mentire bene, e tu più di tutti » abbaiò l’altro, assottigliando gli occhi scuri.
« Cominci a parlare come quel paladino della giustizia di Smoker » soffiò irritato Shirami, ma dava l’idea che quelle accuse gli rimbalzassero addosso. Accavallò le gambe, mettendosi a suo agio. « Continuerai a flagellarmi per il resto della vita con questa storia che considero sepolta? »
« Cosa mi dici di Heavenly Eve? » sibilò velenoso il superiore, rilassandosi sulla comoda poltrona e scoccando un’occhiata alla cicatrice bianca che dalla guancia sinistra gli solcava la pelle fino alla giugulare. Essendo le sue iridi così fredde e penetranti da attirare subito l’attenzione, il sottile sfregio passava il più delle volte inosservato.
Shirami fece un gesto vago con la mano, alzando le spalle, e capendo che Mouke, ancora una volta, intendeva solo infastidirlo.
« Il compito più adatto a me » ribatté semplicemente. « Hai visto tu stesso che assegnando la sua cattura ad altri non si è giunti a niente »
« E quanto altro tempo pensi di metterci a stanarla? Quanti anni sono che le stai dietro? »
L’ospite ignorò volutamente di rispondere, lasciando parlare la sua occhiataccia.
Paragonare Mouke “Giro di Chiglia” a un’immensa spina nel fianco era un eufemismo. In che modo avesse conseguito la sua posizione non era un mistero: il suo lavoro lo sapeva fare, amministrativo o sul campo che fosse, il problema era il come riuscisse a portare all’esasperazione chiunque avesse a tiro, rimarcando senza remore l’inefficienza che secondo lui lo circondava.
« Il progetto White Blood è cominciato » si limitò a rispondere, lasciandosi sfuggire un sorrisetto compiaciuto.
Se possibile, l’espressione sgradevole del Sovrintendente si contrasse e si scurì di più.
« Non sarà una pagliacciata? Avevi l’Erede a portata di mano e hai preso sua sorella »
« L’anello debole, Mouke… l’anello debole » cantilenò l’uomo. « Non c’eri quattro anni fa a Salmoa. Bryan è indomabile, ha più geni di suo nonno di quanto possa credere. E farlo sparire dalla circolazione potrebbe sì regalare un lungo giorno di gloria alla Marina, ma non realizzerà il nostro obiettivo. Oltre a far venir meno il suo ruolo da diversivo » disquisì come se si stesse godendo una piacevole conversazione pomeridiana sui cambiamenti del tempo. « Mentre la piccola Bonnie è perfetta. Un po’ di tempo insieme al Sergente Romanov e avvererà i nostri desideri »
Il silenzio di Mouke compiacque segretamente Shirami. Più che incentrato sul riflettere riguardo le eventuali conseguenze di quel discorso, l’ospite aveva notato il brevissimo brivido che il più anziano aveva mascherato accigliandosi. Ma essendo tutto d’un pezzo, il Sovrintendente si riebbe subito.
« Spero per te che questo nuovo progetto porti dei buoni frutti, Shirami. Intercedere affinché Akainu non si scagliasse a sistemare il disastro accaduto alla 74° divisione mi è costato un’intera giornata di discussioni con quella testa calda. E non aveva neanche tutti i torti » ammetterlo sembrava costargli tanto autocontrollo.
« Incidenti di percorso » sorvolò con un’alzata di spalle l’altro. « Ma credo che abbia giovato più a noi di quanto non fosse pianificato »
« Che intendi? »
« Che conoscendo la dolce Eve si sarà già mossa. Non riesce a stare calma quando si toccano i cuccioli, soprattutto se sospetta che dietro ci sia io »
« Sei un bastardo »
Giro di Chiglia avrebbe preferito tenere per sé il pensiero, ma si vedeva dalla tensione del suo corpo che contenere quell’invettiva era troppo. Tutto quello che pensava dell’uomo che aveva di fronte si era condensato in quelle semplici tre parole che dipinsero una smorfia falsamente offesa sul viso del diretto interessato.
Inaspettatamente, qualcuno bussò, interrompendo la discussione.
« Avanti » ordinò Mouke per la seconda volta.
Dalla porta sbucò nuovamente la sua segretaria, una voluminosa cartellina sigillata stretta al petto.
« Il rapporto di Nebbish, signore » disse, avvicinandosi lentamente alla scrivania e consegnando i documenti. Accennò un saluto all’ospite che, con sua somma sorpresa, ricambiò ammiccandole.
« Era ora » sbuffò il Sovrintendente intanto. « Di’ a Nebbish che un altro ritardo del genere gli costerà il grado. E adesso sparisci »
Ardelia strinse le labbra demoralizzata, prodigandosi in un rigido inchino che voleva essere rappresentativo di tutto il suo disappunto. Ma quando fece per voltarsi e uscire a testa bassa, la mano del Vice Ammiraglio la fermò, afferrandola per il polso. La segretaria sobbalzò appena, presa alla sprovvista, ma notando subito che la presa era stata decisa ma non cattiva. Il secondo sorriso che le fu rivolto la fece arrossire e distrarre, persa nell’ammirare lo sguardo chiaro che la fissava.
Con l’indice, Shirami le fece cenno di chinarsi, senza dissipare di un millimetro il sorriso magnetico, e lei, dimenticandosi del tutto di essere ancora in presenza del suo capo, ubbidì docilmente al gesto.
Mouke, intento a sfogliare i documenti appena ricevuti e ignorando volutamente i due, rialzò lo sguardo scocciato, intercettando quello derisorio che il Vice Ammiraglio aveva assunto mentre sussurrava all’orecchio della segretaria qualcosa di incomprensibile. Questa si riebbe un attimo dopo, scuotendo la testa e rialzandosi di scatto. Fissò l’uomo disorientata, prima che le gote le si imporporassero di nuovo come se stesse mettendo a fuoco per la prima volta chi aveva di fronte. Avvertendo alle spalle l’occhiataccia del proprio superiore, Ardelia si affrettò alla porta, chiudendosela alle spalle in uno schiocco secco.
La stessa occhiata di disapprovazione toccò anche a Shirami, che tuttavia si mise semplicemente più comodo sul divano, agitando la mano in aria come se stesse allontanando una mosca fastidiosa.
Mouke sembrò pensare a tutto e a niente, prima di marcare il suo disappunto tornando a ignorare l’ospite e concentrandosi solo sui dati scritti.
« Allora i tuoi modi bruschi non sono rivolti esclusivamente a me » lo canzonò Shirami quando quel silenzio diventò quasi tedioso.
« Non ci vedo niente di buono a usare un tono gentile con delle nullità » fu la risposta distratta.
« Farò finta di non aver sentito » soffiò a denti stretti il Vice Ammiraglio, guardando di sottecchi i documenti che Mouke stava scartabellando. Il suo sguardo si assottigliò quando vide una lunga lista di nomi in cui comparivano sia persone che luoghi. Con noncuranza si allungò e la prese, leggendo le prime righe e increspando le labbra in un sottile ghigno.
« Noto con piacere che gli obiettivi sono stati già tutti stabiliti » interloquì, destando l’attenzione del Sovrintendente. « Il Governo è davvero d’accordo su tutto? » domandò, la voce velata di una macabra vena di divertimento.
« Ti pare che la Marina intraprenda un progetto del genere senza l’appoggio del Governo? » domandò spazientito, lasciando del tutto perdere gli altri documenti.
« E la Flotta dei Sette? » continuò Shirami, senza staccare gli occhi dalla lista.
Mouke sbuffò, palesando ancora di più il suo fastidio riguardo a quelle domande da lui ritenute stupide.
« Non farmi rispondere a ciò che è ovvio »
L’altro uomo sorrise, gli occhi freddi, posando il foglio sulla scrivania.
« Allora non ci resta che attendere la fine delle ricerche. A proposito, come procedono? »
Il superiore non sembrava particolarmente in vena di continuare a parlare, ma osservando come Shirami si mettesse ancora più a suo agio sulla poltrona, accavallando le gambe, capì che non se ne sarebbe liberato di lì a breve.
« La squadra di Sergej è ad Alabasta » rispose in tono apatico, riportando la sua attenzione ai resoconti. « Per ora è l’unico che sia riuscito ad aggirare le scocciature »
« La famiglia reale e il grosso delle guardie sono a Marijoa per il Reverie… Penetrare in segreto dovrebbe risultare abbastanza facile anche per uno come Sergej che non passa inosservato »
« I Romanov sanno come fare il loro lavoro »
« Oh sì, non lo metto in dubbio » concordò il Vice Ammiraglio, inumidendosi le labbra. Il suo pensiero corse all’incontro che avrebbe avuto di lì a breve con la sorella minore del Vice Ammiraglio Sergej, e un moto di compiacimento gli incurvò le labbra sottili.
« Le altre due spedizioni nulla? » tornò a chiedere sovrappensiero.
Con un sospiro scocciato, Mouke sfogliò le pagine redatte che aveva in mano.
« La missione a SubAquaea è stata abortita. Il Governo ha troppi interessi commerciali privati con il Regno del Mare per inimicarseli » spiegò con una nota di sprezzo che per una volta non fu indirizzata al suo ospite.
« Mpfh. Immagino che se la Regina avesse avuto sentore di un’azione del genere ci avrebbe scatenato contro il suo Kraken domestico. Coralia è sempre stata piuttosto permalosa »
Per la prima volta da quando Shirami aveva messo piede nel suo ufficio, il Sovrintendente gli rivolse un’occhiata sempre contrariata, ma anche di malcelata curiosità.
« Conosci la Regina del Regno del Mare, Shirami? Un’altra delle tue conoscenze della vita con cui dici di aver chiuso? »
Lui non si tradì. Lo sguardo si assottigliò freddo, come le sue parole.
« Errori di gioventù » fu tutto ciò che disse con un tono che avrebbe fatto accapponare la pelle, ma a cui Mouke replicò con un’alzata di spalle. Più conosceva quel bastardo calcolatore, più sapeva di dover stare attento. La sensazione di avere dei dubbi era ciò che più al mondo lo disturbava.
« La spedizione a Skypiea? » proseguì Shirami con le domande, come se quella breve interruzione non fosse mai avvenuta.
« È in stallo. Pincers sta incontrando diversi problemi con gli Shandoriani, ma per ora sembrano troppo orgogliosi per chiedere aiuto a Heaven Ville. Finché la famiglia reale non interverrà avremo carta bianca »
« Tenendo conto di quanti pochi credano all’esistenza delle isole nel cielo non ci saranno grossi problemi a insabbiare la faccenda » sorrise sinistro il Vice Ammiraglio, stiracchiandosi appena.
« La cosa ti diverte » constatò con una più che marcata nota di sdegno il superiore, lasciando definitivamente andare il rapporto sulla scrivania.
Riconoscendo che Mouke stava esibendo il brutto muso contrariato di chi stava per iniziare una filippica riguardo la Giustizia e il compito nobile della Marina, Shirami scelse bene le parole con cui difendersi, cercando di limitare la beffa il più possibile.
« Tutto questo è per arginare la dilagante minaccia dei pirati di questa generazione marcia, no? Il fine giustifica i mezzi, e ognuno di noi sta lavorando per rovesciare questo mondo alla deriva, dico bene Mouke? »
Era un discorso che si era ripetuto un sacco di volte, ridendone. Ma sapeva che ribadirlo di tanto in tanto avrebbe reso più docile l’uomo a cui in fondo doveva i propri privilegi. Se non avesse tenuto buono Mouke difficilmente i suoi piani sarebbero andati avanti, e ormai si sentiva impaziente di avere dei risultati.
Studiandolo ancora con la sua aria diffidente, il Sovrintendente strinse le labbra.
« Continua con i tuoi compiti e non ficcanasare più di quanto ti spetti, o ti taglierò le gambe »
La minaccia ricevette un segno di assenso solo vagamente rispettoso, ma il Sovrintendente non aveva voglia di andare avanti con quella pagliacciata.
« Vuoi sapere altro o mi lascerai in pace? » domandò infine, pronto a cacciarlo dall’ufficio definitivamente.
« Gli obiettivi sono in ordine cronologico? »
Il più anziano ricollegò con uno sbuffo la richiesta al foglio con l’elenco dei nomi vagliato prima dal Vice Ammiraglio.
« Ancora una domanda idiota e… » ringhiò il Vice Ammiraglio, ma Shirami fece spallucce, alzandosi.
« Pura curiosità » disse, sistemando le pieghe della lunga giacca bianca. « Mi piacerebbe essere presente alla caduta del primo sfortunato della lista » aggiunse, assaporando il gusto di una vittoria che ancora doveva ancora delinearsi.
Mouke afferrò il rapporto in questione, rileggendolo.
« Chi non lo vorrebbe » fece una smorfia al nome scrittovi.
« La ciurma di Cappello di Paglia mi sembra la migliore per testare le potenzialità del Cleansing » sogghignò Shirami, prima di congedarsi con un saluto svogliato della mano.


 
***



La secchiata d’acqua ridestò Bonnie dall’incoscienza.
Tossì un paio di volte, rabbrividendo per i rivoletti gelidi che le scivolarono su schiena e petto sotto la maglietta strappata e macchiata. Con la testa dolente, tra il poco vero sonno, l’ansia e una botta ricevuta ore prima, impiegò diverso tempo a ritrovare la lucidità per affrontare il sorriso falso che le diede il buongiorno. Fu scossa da un rinnovato moto di frustrazione e il tintinnio degli anelli che la tenevano salda alla sedia riempirono il silenzio della grande stanza spoglia e in penombra.
« Posso offrirti qualcosa da bere? »
L’arrogante insensatezza della richiesta destò una scarica di brividi e la rabbia in Bonnie. In un gesto doloroso strattonò le catene, protendendosi in avanti, nel più vano dei tentativi di liberarsi. Erano giorni che ci provava, giorni in cui i lividi sulla sua pelle andavano aumentando, e il sapore sempre più dolciastro e paralizzante dell’angoscia le scorreva sottopelle, portando con sé un senso di resa che la spaventava più di ogni altra cosa.
Tuttavia, quando l’uomo le si parò di fronte, sentì il sangue in sé tornare vivo, scorrere impetuoso e portare via come una marea qualsiasi di quei sentimenti avvilenti, lasciando dietro di sé piccoli appigli di odio e rancore che non credeva avrebbe mai potuto provare nei confronti di qualcuno, ma a cui si aggrappava per non sprofondare.
Sospirando platealmente come a sottolineare che lui la buona volontà ce la metteva, Shirami fece un passo avanti, tanto vicino da darle l’illusione di poter essere raggiuto, e la bionda provò una nuova scarica di frustrazione.
« Sono passati quattro anni da Salmoa, Bonnie. Sembra che tu e Bryan ci abbiate preso gusto a fare i pirati » iniziò, senza mai abbandonare quel suo tono giocoso che mai coinvolgeva anche lo sguardo.
« È tutta colpa tua se io e mio fratello siamo diventati dei ricercati! » ringhiò, e mai come in quel momento avrebbe voluto colpirlo, cancellare quella beffa, quella tranquillità superba di vittoria già in pugno che ostentava. E poi fuggire, scappare il più lontano le sue gambe avessero potuto portarla e tornare dalla sua famiglia, cancellando quel brutto incubo.
« No bambina » la vezzeggiò, inclinando il capo di lato, con il tono mellifluo di una macabra cantilena. « Ce l’avete nel sangue. Eravate destinati a tutto questo, ad appellarvi anche voi al sogno della libertà, a credere che il mare possa essere il vostro giardino di casa… ad arrogarvi il diritto di decidere chi vive e chi muore. Se non fossi stato io a spingervi l’avreste fatto comunque in futuro »
La ragazza rimase attonita per un istante. Spaventata. Lo sguardo di lui l’aveva inchiodata alla sedia, lasciandola allibita sia per le parole per lei prive di senso, sia per l’odio venato di ribrezzo che le impregnava.
Scuotendosi, Bonnie riprese il controllo di sé.
« Va all’inferno » sussurrò, ma l’ingiuria suonò più debole del previsto, e Shirami lo prese come un invito a continuare, tornando al suo tono leggero.
« Stai per finirci tu, piccola. Io ci sono già passato, e tutto per colpa di tuo nonno. Gli ricambia il favore molto tempo fa, ma non mi sento ancora soddisfatto. Mi spetta una ricompensa per i sacrifici e gli anni in cui ho dovuto patirlo. Voglio il suo tesoro »
« Noi non sappiamo niente! »
Quel che era successo quattro anni prima sulla sua piccola isola natale a forma di uncino si ripresentò vivida nella mente della biondina. Le accuse, lo scontro, la fuga… tutto per colpa della brama di quel Vice Ammiraglio e per un segreto che suo padre aveva sempre taciuto, nella speranza che nessuno ne venisse a conoscenza. Era una specie di tornando per Bonnie. Un tornando a cui non era stata preparata ma che imperversava nella sua vita in una minaccia costante. Suo fratello le aveva fatto voto di proteggerla, come se lui avesse avuto davvero il potere di contrastare quel vortice di follia.
Ma dentro, in cuor suo, lei aveva sempre saputo che prima o poi le cose sarebbero precipitate, e quella quiete, che avevano cercato di costruirsi tra le macerie della loro vita, prima o poi sarebbe stata scardinata di nuovo. E lei dubitava sarebbe mai stata pronta sul serio a sostenere il peso della loro eredità.
Uno sbuffo di scherno la destò dai propri pensieri. Se possibile, la lucida e compassata pazzia nello sguardo chiaro di Shirami tornò a trafiggerla da parte a parte. Bonnie aveva la sensazione che oltre a vedere lei, l’uomo stesse proiettando molto altro davanti a sé.
« Lo so. Oh sì che lo so, principessina » rise, afferrandole d’improvviso il mento con la mano, costringendola a piegare la testa all’indietro. « Dubito persino che Roger abbia mai saputo almeno della tua esistenza, prima di morire. Tuo padre Irwin poi non ha mai avuto alcun interesse nelle sue faccende da quello che so. Quindi come potresti avere la benché minima informazione sul One Piece? »
Bonnie ebbe paura e non riuscì a reprimere come avrebbe voluto una scarica di brividi lungo la schiena. Le dita sul suo viso stringevano senza alcun accenno di delicatezza, nonostante il tono del Vice Ammiraglio continuasse a essere posato come una nenia per bambini.
Sembrò passare un tempo interminabile di silenzio. La ragazza si appellò a qualsiasi residuo di autocontrollo le fosse rimasto per calmarsi, mordendosi un labbro a sangue pur di sostenere le iridi metalliche e conturbanti dell’uomo.
Poi lui rise appena, lasciandola andare, e lei si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento.
Shirami le si era di nuovo parato di fronte, carezzandola con il suo sguardo maniacale e pacato. Lei strattonò le catene, fiaccamente, serrando la mandibola nel disperato tentativo di non piangere. Stava arrivando al limite, era stanca e la paura di quell’uomo si stava radicando in lei, tanto da farle vacillare la ragione. Voleva andarsene, con tutte le sue forze.
« Sai come si stana mamma orsa? »
La biondina lo fissò disorientata.
« Toccandole i piccoli, Bonnie » e alla risposta, le sfiorò i capelli dorati con una mano, ma lei si ritrasse come fosse stata scottata. Il Vice Ammiraglio proseguì. « Mamma orsa sarà così arrabbiata vedendo il cacciatore con i suoi cuccioli che gli andrà incontro con il solo desiderio di proteggerli… »
Rapita e disgustata, la prigioniera non seppe dire quale sentimento la scuotesse di più. Shirami ci credeva veramente in quello che stava dicendo.
« Sarà travolta dal risentimento e non si accorgerà di cosa starà succedendo intorno a lei… e lì scatterà la trappola del cacciatore » finì, con un gesto teatrale delle mani e una smorfia compiaciuta sul volto senza età.
« Ma questo è solo il Piano A » proseguì, incurante dell’occhiata sconvolta e di puro ribrezzo che gli scoccò Bonnie. « Nel caso non dovesse funzionare ci sei tu, giovane Kinshi » assaporò il soprannome come se solo quello avesse potuto regalargli ciò che più voleva. « Andrai tu a catturare Eve per me »
« Mia madre è morta quand’ero piccola » fu l’aspra risposta della ragazza alla similitudine appena ascoltata, per lei totalmente fuori luogo e non capendo a chi lui si riferisse.
Shirami fu come folgorato da quella replica, e ne rise apertamente, spiazzandola.
« Sì… giusto, sì. Tua madre, Blodwen Maryn. Una giovane e innocente ragazza di campagna ammalatasi gravemente nel fiore degli anni » riassunse, come se stesse leggendo un rapporto. « Tuo padre fece di tutto per salvarla dalla malattia, persino portarla via da voi… Almeno lei si è risparmiata la triste sorte che vi è toccata. Chissà se almeno alla moglie Irwin rivelò chi fosse veramente. Lo odi tuo padre? »
Bonnie non rispose, sentendo la rabbia tornare a vibrarle tra i muscoli indolenziti.
« No, sei troppo buona per detestarlo, al contrario di tuo fratello » costatò da sé l’uomo, conscio di tutti i tasti dolenti che stava premendo. Ma sembrava aver accordato quelli giusti, perché lo sguardo azzurro di lei si assottigliò e qualsiasi sentimento avvilente l’avesse attanagliata fino a quel momento sembrò essere eclissato da qualcosa di più profondo.
« Quando mio fratello ti troverà ti seppellirà sotto tanta di quella terra che rinunceranno a tirare fuori le tue ossa » lo minacciò, bassa, stringendo le dita pallide e fredde a pugno, anche se ancora legate.
L’avvertimento incontrò l’apprezzamento di Shirami, anche se dovette rilassare le spalle. Per un solo istante, un barlume di quel sangue che prima aveva tanto canzonato si era palesato più vivo che mai. La verve del Re dei Pirati aveva brillato nel suo sguardo, rendendolo fiero e sicuro, e destando in lui una punta di trepidazione che si era ripromesso non avrebbe mai più provato.
Trasformò tutto ciò in compiacimento personale. Avrebbe domato qualsiasi stilla di volontà di quella ragazza e l’avrebbe usata per portare a termine la propria rivincita.
« Prima che tuo fratello possa trovarti tu starai già realizzando i miei desideri, bambina. Certo, ora sei poco collaborativa, ma ho già pensato a tutto »
Il viso di Bonnie scattò di lato improvvisamente, il suo sesto senso allertato da una percezione di pericolo, gli occhi che scrutarono la poca oscurità della stanza. Per la maggior parte l’ambiente era solo in penombra, ma la ragazza si rese conto che nei punti dove la luce non arriva non era semplicemente buio. Le ombre sembravano macchie solide di inchiostro, impenetrabili e acquose, come se avesse potuto finirci dentro e affogare. E le aveva viste muoversi con la coda dell’occhio.
Shirami rise brevemente, e la giovane fu certa che qualcuno nella porzione di oscurità stesse ricambiando.
« Lei è Kinshi? » domandò una voce, lenta e sensuale, con un marcato accento straniero e una vena divertita. Divertimento che fece solo battere più forte il cuore già provato di Bonnie, la quale fece scattare la testa dal lato opposto, credendo di aver sentito la voce provenire da lì. Ma non c’era nulla, e di nuovo ebbe il sentore che qualcuno la stesse osservando dalla direzione precedente. Cercò di calmarsi, facendo appello agli insegnamenti ricevuti per utilizzare l’haki della percezione, ma si sentì morire dentro quando si accorse troppo tardi che una mano le aveva preso una ciocca di capelli, scorrendoci le dita con una risatina compiaciuta.
Non era Shirami, che ghignava davanti a lei senza celare per niente il proprio compiacimento.
Sentendo qualsiasi residuo di combattività abbandonarla, la pelle d’oca come fosse appena stata esposta al vento gelido di una finestra aperta, Bonnie voltò lentamente il capo, incontrando gli occhi della nuova presenza nella stanza.
« Tu ha l’oro nei capelli, bambina » soffiò la sconosciuta e la ragazza non seppe cosa replicare, incatenata a fissare la donna. Era bella, dalla postura algida e dallo sguardo ferino, come quello di una pantera poco prima di scoprire le zanne letali. I lunghi capelli lisci erano tirati su e le scendevano sinuosi e morbidi sulle spalle, ma erano così neri che nemmeno la luce vi si rifletteva. Le labbra piene e rosse sembravano piegate al contempo in un sorriso e in una smorfia disgustata, mentre gli occhi gialli la scrutavano oltre la montatura squadrata degli occhiali, scendendole nell’animo come artigli.
« Mia cara, lei è il Sergente Katerzyna Romanov »
La biondina registrò a malapena quello che disse Shirami. Lei percepiva solo la presenza di un demone che avrebbe banchettato con lei. E la donna lo sapeva, perché rise roca, lasciandole andare i capelli e portandosi di fianco al Vice Ammiraglio.
« Lei è bella »
« Sono contento che ti piaccia. Non sfigurarla troppo »
Katerzyna rise divertita.
« Lei è forte anche. Dentro »
« Sai cosa voglio. Piegala, spezzala se necessario »
La giovane Erede rimase ad ascoltarli impotente. Probabilmente un pezzo di carne al mercato avrebbe avuto più valore di lei, e loro ne stavano contrattando il prezzo in toni leggeri. Abbassò il capo, sconfitta e senza forze. Nella sua mentre prostrata affiorò il pensiero di Bryan e lei si trovò ad aggrapparsi a lui con tutte le sue residue forze. Sarebbe venuto a prenderla e avrebbe fatto sprofondare nella terra quell’incubo che l’avvolgeva. Avrebbero ripreso il viaggio fianco a fianco, scacciando via tutti quelli che avrebbero voluto approfittare del retaggio che li affliggeva e credere di conquistare fama e gloria mettendo le mani su di loro.
Represse un singulto, convincendosi che presto tutto sarebbe finito.
« Bambina »
La voce del Sergente Romanov la carezzò come un velo d’acqua gelida. La ragazza rialzò il volto più pallido e smarrito che mai, accorgendosi con un sussulto che erano rimaste solo loro due nella stanza. Si guardò intorno, il senso di pericolo le formicolava addosso come tante piccole formichine scalanti la sua pelle irrigidita. L’ombra andò addensandosi in volute sempre più ampie, celando inesorabilmente centimetro dopo centimetro le pareti della stanza.
Bonnie fissò Katerzyna davanti a sé sorriderle con la dolcezza più marcia che avesse mai visto. I suoi occhi divennero rossi e per l’attimo più spietato e spaventoso della sua vita la ragazza fu cerca di aver visto i suoi lineamenti sfigurarsi in qualcosa di orribile. Ma il tutto durò un battito di ciglia, spazzato via dalla risatina roca della donna.
Le fu addosso, a pochi centimetri dal suo naso, una mano a stringerle i capelli biondi, strattonandole la testa all’indietro. Bonnie gemette presa alla sprovvista dal gesto doloroso.
« Io prenderò cura di te » sibilò la sua aguzzina, passandole una mano ghiacciata sulla guancia.
La ragazza boccheggiò, soffocando nel panico che quella donna stava modellando in lei. L’immagine del fratello vacillò nella sua mente, soppiantata da quegli occhi invadenti e crudeli. L’oscurità aveva ormai raggiunto anche loro.
« Tu ha paura del buio? »
Poi furono solo grida.






To be continued









Significato dei termini:
- Mouke: dal giap. “profitto, guadagno”
- Nebbish: dall’inglese… “nullità”. Povero Nebbish!
- White Blood: dal ing. “Sangue Bianco” (sotto la spiegazione).
- Kinshi: ho accostato la pronuncia di due kanji giapponesi, rispettivamente “oro” [kin] e “figlio” [shi] (o “erede”, poiché hanno la stessa pronuncia). Da qui “figlio/erede dell’oro”, soprannome che Shirami&Co. usano per riferirsi alla discendenza di “Gold” Roger. In più, la pronuncia di Kinshi può significare anche qualcosa di “proibito”.
- Haki: nel manga di One Piece fa riferimento all’”Ambizione”, quella specie di sesto senso o “potere” che ogni creatura ha, sviluppata o meno. In questo caso Bonnie si riferisce all’Haki della Percezione.








Note al capitolo & dell’autrice:
Oooohhhh…. Buone feste, vacanze e BUON FINE ANNO (e Inizio^^)! Ecco il nuovo capitolo dopo la pausa di una settimana! Ho scritto un sacco in questi giorni… ma non solo questa storia =) Altre due (brevi giuro!) sono in cantiere! Ma Heavenly Eve avrà sempre la precedenza, anche se da adesso gli aggiornamenti saranno un po’ più diradati che ho finito i capitoli di riserva *cry
Però per adesso questo capitolo è uno dei miei preferiti *__* Si delineano i personaggi di Shirami e Bonnie, mentre fanno la loro comparsa Mouke e Katerzyna (finalmente due della Marina!). Inoltre il capitolo è pieno di spunti, di cattiveria e cattivi propositi per il futuro!
Spero tanto vi sia piaciuto!

Il Capitolo 6, forse perché c’era l’amatissimo Portgas D. Ace ha ricevuto il doppio delle letture dei capitoli precedenti, grazie mille! E grazie ai commenti di jillianlughnasad e Nic87 che mi hanno fatto fare i saltelli di gioia! *^*



Note note note (saranno tantissime, le divido: prima i personaggi poi i fatti/varie):

- Ardelia: cominciamo da lei, povera segretaria bistrattata! Ardelia è un personaggio secondario, ma tornerà prima o poi ~ lei viene dalla prima pubblicazione e il suo nome, nato assolutamente per caso, mi piace un sacco!
Cosa le avrà sussurrato Shirami all’orecchio? Muhahahahahahah

- Sovrintendente Mouke “Giro di Chiglia”: ecco un altro personaggio dalla prima pubblicazione, Mouke detto ufficiosamente anche “Spina nel Fianco”. Scherzi a parte, “Giro di Chiglia” è un soprannome dato da un tipo ti tortura che veniva inflitto sulle navi in cui il malcapitato veniva legato e gli veniva appunto fatto fare il giro della chiglia (lo scafo della nave). Inutile dire che era impossibile sopravvivere… Diciamo che ho scelto questo soprannome perché molti preferirebbero sottoporsi a questo supplizio piuttosto che avere a che fare con lui! E per il fatto che lui è molto rigido e… beh, avete letto del suo caratterino!
Mouke è un “Sovrintendente”, un grado che nella Marina di One Piece in realtà non esiste e che mi sono inventata, che diciamo Mouke ha guadagnato (lui è un ex Vice Ammiraglio) per diritto di anzianità, perché sa svolgere bene il suo lavoro e serviva qualcuno che si occupasse del Cleansing… zan zan zan.

- Shirami: ecco che ritorno il cattivo cattivissimo^^ Mi è piaciuto molto scrivere di lui in questo capitolo perché finalmente viene caratterizzato di più. Un ex pirata, come lo definisce Mouke, che è riuscito tuttavia a fare carriera nella Marina… come avrà fatto? *grin* Si accenna anche al fatto di aver “ripagato” Roger molti anni prima, ma che ancora non è soddisfatto e per questo vuole il suo tesoro… e non tralasciamo che conosce Coralia, Regina di SubAquaea e madre di Irwin… oltre al fatto che voglia mettere le mani su Eve usando Bonnie… insomma, Shirami sta orchestrando per bene le cose, che dite?
Si fa riferimento a una cicatrice che l’uomo ha sul viso, procuratosi a causa proprio di Heavenly Eve ~

- Sergej e Katerzyna Romanov: fratelli marines, Vice Ammiraglio lui e Sergente lei, sono originari di un’isola che si potrebbe considerare la nostra “Russia”, ecco perché Katerzyna parla così, immaginatevela appunto con un pesante accento dell’Est Europa.
Sergej è in missione presso Alabasta per mettere in atto il Cleansing, mentre Katerzyna si prenderà “cura” di Bonnie (e fa quindi parte del progetto “White Blood”)… il potere di Katerzyna lo spiegherò più avanti, non temete!

- Akainu: odiato… odiatissimo *rage ma… sì, potrebbe comparire più avanti. Qui è nominato perché lui, nella Marina, fa parte della fazione che vorrebbe sterminare del tutto la minaccia del sangue di Gold Roger (riferimento al Capitolo 3 dove Lewis mette in guardia Bryan). Qui Mouke, il cui grado di Sovrintendente gli permette di poter avere peso su certe decisioni, dice di aver perso una giornata a farlo desistere ai fini dei progetti di Shirami e del Governo.

- Blodwen Maryn: concludo la parte del personaggi con un altro OC dolciotto ma che non c’è più. Maryn era la moglie di Irwin e la madre di Bryan e Bonnie. Shirami si è documentato su di lei, senza tuttavia trovare nulla di rilevante. In fondo, Maryn e Irwin sono stati tranquilli e felici molti anni, lontani dal trambusto della pirateria. Lei amava veramente molto i suoi figli, ma si ammalò di una malattia ai polmoni che l’ha spenta lentamente.
Il suo cognome significa “Fiori Bianchi” in gallese. Il suo cognome tornerà più avanti ~



- Progetto “White Blood”: ho scelto questo nome per diversi motivi. White è riferito all’innocenza e alla purezza di Bonnie, in quanto Shirami sa bene che è una persona buona; ma è anche riferito al cognome della madre, “Blodwen”, che significa appunto “Fiori Bianchi”. Il termine Blood invece è sia riferito alla discendenza di Bonnie da Gold Roger, sia perché... *spoiler* kufufufufufu…!
Il progetto, nella mente di Shirami, è il “Piano B” per catturare Heavenly Eve. Katerzyna è l’incaricata in capo, dopo Shirami, di realizzarlo.

- Progetto “Cleansing”: ecco che ritorna e qui si svelano altri… misteri!
Il progetto è portato avanti in accordo tra Marina e Governo, come riferì anche Camelia nel Capitolo 5.
Erano previste tre Missioni per portarlo a termine: una ad Alabasta, una a Skypiea/Heaven Ville e una a SubAquaea (missione abortita).
Il primo obiettivo… saranno i nostri Mugiwara *cry

- Reverie (Summit Mondiale): realmente esistente nel manga di One Piece, è il Concilio Mondiale dei Regni che esistono in tutto il globo. Si tiene a Marijoa e tra i partecipanti si contano: Bibi e suo padre Cobra, Wapol di Drum (ora sostituito da Dorton), Doflamingo… Vorrei scrivere un capitolo a riguardo per spiegarlo meglio!

- Haki (Bonnie): Bonnie sa usare l’Haki della Percezione… tra qualche capitolo rivelerò come l’ha appreso^^!






Di nuovo le note sono state quasi più lunghe dell’intero capitolo, ma era farcito di riferimenti e non ho resistito!
E poi mi sono divertita ed entusiasmata troppo a scriverlo!

Il prossimo aggiornamento non so quando avverrà, tra la fine delle feste, la ripresa del lavoro… ma amo questa storia e mi impegnerò meglio che posso!

Vi lascio con un disegno (sono proprio fissata) che avevo fatto di Bonnie: http://heavenlyeve.tumblr.com/post/106698979506/ecco-la-dolce-gol-d-bonnie-ho-preso-come



Bacioni!
Nene

 

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Capitolo 10
*** Capitolo VIII - Navi all'orizzonte ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo VIII -
[Navi all’orizzonte]
 
 
 
 
 
È più complicato sistemare il passato
che scrivere il presente.
 
 
 
 
 
 
 
Grand Line.
In prossimità dell’Arcipelago Sandan.
 
 
 
 
« Non si vede molto! C’è del f- » gridò il cecchino attraverso il cono di rame di comunicazione della coffa, ma il resto della frase fu sovrastato dall’ennesimo rombo di tuono, vibrante per tutta la nave.
« Usopp ripeti! » replicò Sanji dal suo interfono, concentrato per non perdere neanche una sillaba nonostante il tremolio della Sunny in balia delle onde.
« Fumo! Una delle isole è in fiamme! »
Nello stesso momento la porta della cucina fu spalancata bruscamente, lasciando entrare insieme al vento gelido Chopper e Brook, bagnati fradici.
« Ci sono allarmi che risuonano ovunque! »
« Franky-san e Robin-san hanno captato alcune conversazioni con il Black Snail, loro che hanno le orecchie yohohoho! Tutto l’Arcipelago è in fermento, sono stati attaccati » continuò Brook, scrollandosi un po’ di acqua piovana, imitato da Chopper, e lamentando il freddo che gli penetrava nelle ossa.
« Questa non ci voleva » osservò Nami, mordendosi un labbro e scambiando uno sguardo teso con Sanji.
« Facciamo il giro largo, no? » propose Rufy ingenuamente seduto a gambe incrociate sul tavolo, seguendo il dondolio dei cavalloni, non vedendo il problema che cuoco e navigatrice stavano soppesando.
« Non è così facile. Abbiamo i Docks fuori uso. Franky non ha trovato i pezzi che gli servivano quindi niente motori » spiegò il biondino, con l’orecchio ancora teso in caso il cecchino avesse ripreso a parlare dal bocchettone di comunicazione.
« E il vento della tempesta ci sta tenendo comunque sulla rotta, che passa per l’Arcipelago » proseguì Nami.
Davanti a lei facevano mostra un Eternal Pose e la cartina avuta a Koujin, su cui era stato delineato in rosso il tratto di mare per l’isola cui erano diretti i Tori Rossi: Port Red Jack.
Rashin, vecchio marinaio in pensione dallo sguardo avveduto, era stato risoluto nel raccontare ai Mugiwara di come il Vice Capitano di Oushiza avesse messo a soqquadro la sua bottega cercando quell’Eternal Pose in particolare, oltre ai tempi di navigazione e le mappe delle isole che avrebbero incontrato lungo il percorso.  
Dopo essersi accordati con Kamome e Seal di rivedersi una volta attraversato l’Arcipelago Sandan e mentre si preparavano a salpare la sera stessa, la rossa era venuta a sapere quel poco che le serviva riguardo Port Red Jack, meta ambita da pirati e da quanti cercassero divertimento e affari rapidi e illegali. Ossia il posto peggiore dove condurre un bambino di cinque anni dalle straordinarie capacità latenti.
Senza alcuna obiezione, i Mugiwara avevano concordato di seguire il nuovo itinerario, nonostante questo li avrebbe portati fuori da quello del Log Pose e allungato così la strada verso lo Shinsekai. Alle parole di perdono che Mizu mormorò scusandosi per averli coinvolti, il sorriso che la ciurma le rivolse offuscò in lei i brutti pensieri. Come le fece notare Nami, finché c’era una rotta e isole cui approdare, Rufy sarebbe stato contento, quindi nessun problema.
« Dobbiamo superare l’Arcipelago sfruttando il vento, ricongiungerci con Kamome e sperare di intercettare Oushiza prima ch- »
Uno scossone violento alla nave interruppe Nami, sbalzando al contempo tutti gli occupanti della stanza dai rispettivi posti.
« Ci attaccano! Navi della Marina a poppa! » strepitò troppo tardi la voce di Usopp dal cono di rame, mentre in sottofondo si sentiva Zoro imprecare vicino a lui.
Sanji e Rufy furono i primi a guadagnare la porta, uscendo sotto la pioggia battente. Chopper, Brook, Nami e Mizu li seguirono un istante dopo, mentre le parole del cecchino rimbombavano nella cambusa vuota, senza preannunciare nulla di buono.
« Altre navi da babordo! Ci stanno circondando! »
 
 
 
I colori del tramonto si intravedevano in una striscia all’orizzonte sotto il profilo scuro e compatto delle nubi in tempesta. Un cielo di un arancio intenso, meno chiaro di un rosso cremisi, che come un sogno lontano preannunciava tempo sereno.
Ma la Thousand Sunny era molto distante da quel bagliore sereno, lambita dalle onde del temporale, rese più impetuose dagli ininterrotti colpi di cannoni intenzionati ad affondarla.
Con il cuore che batteva forte, Mizu era appostata a prua da quando avevano ingaggiato lo scontro con la Marina, sebbene lei non avesse occhi che per il profilo delle terre verso cui andavano incontro, cercando qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
Una delle isole dell’arcipelago si consumava tra lingue di fuoco e volute di fumo nero che si alzavano nell’aria nonostante la pioggia martellante. L’incendio era vivo, alimentato da continue e piccole esplosioni che addensavano l’atmosfera con odore di bruciato e morte.
Intorno a lei i ragazzi che l’avevano salvata si adoperavano senza sosta per deviare colpi fatali e al contempo mantenere la nave stabile, e la Figlia del Mare si sentì inutile, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dall’orizzonte. Aveva il respiro affannato, una mano stretta al petto intorno al Cristallo di Agalmatolite che premeva contro il suo cuore agitato. Sentiva la paura addosso come una seconda pelle, divisa tra lo sgomento della situazione, per i colpi di ferro tonanti, per il freddo delle gocce che le picchiavano contro e il terrore che suo figlio fosse troppo lontano da raggiungere.
Aveva ascoltato attentamente Rashin a Koujin, e aveva visto l’espressione di Nami irrigidirsi a ogni parola, leggendo in maniera fin troppo ovvia quello che stava pensando: se Oushiza avesse raggiunto Port Red Jack le loro possibilità di recuperare indenne Matt si sarebbero ridotte drasticamente, poiché scatenare uno scontro in un luogo crogiolo di pirati avrebbe elevato le probabilità di incidenti e imprevisti.
Però la navigatrice stessa, forse vedendo l’insicurezza nei suoi occhi o avendo piena fiducia nei suoi compagni, le aveva assicurato che ce l’avrebbero fatta. E lei, per quanto avvertisse intorno a sé solo vicoli ciechi e brutte sensazioni, aveva annuito, sperando avesse ragione.
Non era mai stata una di quelle persone a cui gli aggettivi coraggiosa e forte calzassero nella descrizione, nonostante più volte si fossero rivolte a lei così quando il suo passato riaffiorava. Aver resistito un anno alle sevizie di un uomo del calibro di Oushiza, essere riuscita a scappare in un momento di distrazione dei suoi aguzzini e aver messo al mondo il figlio del mostro che aveva marchiato la sua schiena di cicatrici indelebili, per le persone era motivo sufficiente a ritenerla tale. Lei sorrideva mestamente tutte le volte, e quello che le riusciva di provare era solo un senso di sopravvivenza. Se non fosse stata una Figlia del Mare, se in lei non ci fosse stato quel sangue che chiamava la libertà a gran voce, se fosse stata una ragazza qualsiasi, sapeva che sarebbe morta quell’anno. Questa era la convinzione che le rimbalzava nella mente ogni volta.
Puoi essere fatta di acqua, di nuvole o di fuoco bambina… ma la forza che hai qui, nel cuore, la volontà di andare avanti, non sono cose che derivano da ciò che ci scorre nelle vene. Sei forte Mizu, abbi fiducia in te.
La ragazza si morse un labbro, non riuscendo a non cedere al ricordo di quelle parole, al sorriso sincero e al calore del pensiero che sciolse un po’ della tensione che l’attanagliava.
“Vorrei che fossi qui, Eve…”
« ATTENTA! »
Quando Mizu si volse verso il grido tutto fu troppo rapido e improvviso. Il colpo di cannone strisciò la fiancata, abbastanza da sbilanciare il brigantino. Lo scricchiolio del legno incrinato fu tutto ciò che sentì, prima di rendersi conto che la presa della mano al parapetto non fosse sufficiente a tenerla e il contraccolpo la proiettasse dall’altra parte della prua. Sbatté la schiena e la testa, riversandosi prona sul ponte. Il dolore improvviso le offuscò la mente e ovattò i rumori successivi.
Registrò appena la voce di Nami chiamarla, le dita fredde quanto la pioggia scostarle i capelli dalla fronte. Un’altra voce, più profonda, si accostò e due mani forti la sollevarono dal pavimento fradicio, aiutandola a sedersi.
« Zoro dov’è Chopper!? » chiese isterica la navigatrice, rivolgendosi al compagno mentre la Figlia del Mare riapriva gli occhi e si tastava lentamente la nuca. La pelle chiara era sporca di sangue.
La nave si inclinò pericolosamente un’altra volta, e lo spadaccino si aggrappò di istinto alla paratia, impedendo con le braccia alle due ragazze di essere scagliate via di nuovo. Un secondo dopo imprecò, dandosi una spinta con tutto il corpo, ruotando su se stesso e sguainando le spade, fendendo l’ennesima offensiva nemica.
« Mizu torna in infermeria e aspetta lì! Cerco Chopper e… » disse Nami preoccupata, quando il brigantino parve avere un momento di tregua e la Figlia del Mare tentò di alzarsi.
« Sto bene, è solo un graffio » sussurrò, ingoiando il dolore delle fitte che le avevano tolto il fiato. Si rendeva conto che la situazione andava peggiorando, ma la prospettiva di rintanarsi di nuovo sottocoperta e aspettare le fece trovare l’energia per rimettersi in piedi.
« È pericoloso stare qua! Va dentro! » ordinò bruscamente lo spadaccino dando loro le spalle e sovrastando i rumori di spari, tuoni e pioggia. « Qui fuori non puoi fare nulla! »
La navigatrice, per quanto concorde, si morse un labbro, e annuì. Zoro aveva ragione. Poteva sentire a pelle il desiderio di Mizu di rimanere di vedetta, aspettando che quei maledetti vascelli a cui davano la caccia si palesassero all’orizzonte, perché entrambe sapevano che dovevano essere vicini. Non ci aveva messo molto a realizzare lei stessa che probabilmente erano stati proprio i Tori Rossi ad aver attaccato l’Arcipelago Sandan.
« Se avvistiamo qualcosa sarai la prima a saperlo » si premurò di dirle, ma si accorse che la donna non le stava prestando attenzione, lo sguardo ancora una volta oltre la prora e le dita artigliate alla balaustra.
Forse a causa dello spostamento che la Sunny aveva subito dalla botta di cannone, o perché si stavano avvicinando all’Arcipelago, ma stagliate sul rosso morente della sera, oltre le nuvole di fumo e l’incendio che erodeva una delle basi della Marina, due grandi imbarcazioni si allontanavano indisturbate, ormai lontane dal trambusto. Nami non le aveva mai viste, ma fu certa, dal tremore e dal lamento soffocato della giovane al suo fianco, che li avevano trovati. Nel momento peggiore di tutti.
Le bandiere vermiglie dei Tori Rossi svettavano sugli alberi maestri.
 
 
 
 
« Quelli ci vengono addosso! » urlò un’Usopp isterico appeso a una delle sartie, additando convulsamente le navi della Marina alle loro spalle.
Il vento sferzava l’aria, ma Mizu non sentiva freddo. Né le folate sibilline, né il rombo dei tuoni mescolato a quello delle navi d’assalto retrostanti. Né i ragazzi della Thousand Sunny che stavano facendo di tutto per difendersi. Non sembrò affatto realizzare cosa stesse accadendo.
Nami stava dicendo qualcosa, forse rivolta a lei, ma non la sentiva.
Perché non c’era nient’altro se non ciò che vedeva stagliato sulla linea dell’alba. Le labbra le tremavano, desiderose di pronunciare un nome impigliatosi nelle corde vocali e nel petto.
Era lì. Lo sentiva.
Matt era vicino.
Si sporse leggermente, come chiamata da una voce incorporea ansiosa di essere ascoltata. Ma in un attimo imprevedibile in cui tornò bruscamente alla realtà, la Figlia del Mare fece appena in tempo ad aggrapparsi al parapetto per non venire trascinata in acqua insieme alla polena, inghiottita dalle acque fameliche. Il tumulto di voci della ciurma fu stroncato dall’improvviso sbilanciamento della nave.
L’onda d’urto dell’ultimo sparo mancato insieme alla forza devastante dei cavalloni avevano impennato la parte posteriore del veliero, tanto che la polena leonina era quasi sparita nel mare nella tragica imitazione di una gru giocattolo che si abbevera. 
La chiglia tornò con un tonfo e un forte scricchiolio al suo assetto normale dopo lunghi istanti di grida e tutto durò una manciata di secondi, quanto bastò alla donna per sentire il proprio cuore pompare furiosamente nella cassa toracica, mentre una baraonda di suoni la investì svegliandola dalla trance.
Si chiese disorientata che cosa fosse successo, ma intorno a lei tornarono a danzare lampi e saette; proiettili giganti attraversavano l’aria, minacciandoli di colpirli di nuovo. Ordini, urla e imprecazioni giungevano dall’altra parte della Sunny.
Nami, ricaduta sul ponte di prua poco distante, si scosse dal momento di distrazione che le era quasi costato l’osso del collo. Si sedette dolorante, una mano alla testa pulsante, e fece per parlare, schiudendo le labbra, quando una folata di vento tiepido le solleticò il viso. Ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi che il suo sesto senso prevalse e realizzò cosa stava per accadere.
“No no no!” supplicò, e inorridendo tra sé si prese la testa tra le mani. Era stata una stupida, si disse, restandosene immobile sotto le gocce impietose. Troppo presa da quello che le accadeva intorno per accorgersi del disastro imminente. Non solo erano inseguiti dalla Marina, ma rialzandosi notò quel che temeva: un tifone si stava addensando poco lontano.
Ignorando i lividi che si stavano formando sottopelle per la caduta, si issò in piedi incespicando un attimo. Corse verso la zona del timone, dove Franky stava cercando di governare la ruota, e diede ordine di modificare la rotta.
 
 
 
Rimasta da sola in prossimità della polena, Mizu era seduta scompostamente alla stregua di una bambina sperduta. Si stava rialzando quando comprese che il brigantino aveva deviato direzione, apprestandosi ad allontanarsi dall’Arcipelago Sandan.
Assistette col respiro mozzo alla manovra, senza che il cervello riuscisse a registrarla razionalmente. Le sembrò quasi di sentire il battito cardiaco arrestarsi, mentre osservava disperata le navi all’orizzonte allontanarsi, nascoste dal profilo geografico dell’ostacolo che la Sunny stava evitando. Come se un liquido gelido le si stesse riversato nelle vene, intorpidendola, si pietrificò.
“Matt!”
Stavano puntando dalla parte sbagliata. Cercò Nami con lo sguardo, senza trovarla subito. Quando si accorse che era in prossimità del timone tentò di raggiungerla senza rovinare a terra a causa della danza oscillante delle onde.
Non provò nemmeno a trattenere le lacrime, tanto era agitata, tanta era la tensione che percepiva crescere. Sentì la disperazione toccare il culmine e inspirò profondamente. Doveva dire loro che si stavano allontanando. Dovevano capire che suo figlio era lì, così vicino…
« SONO DAVANTI A NOI! »
Gridò a pieni polmoni, e questi bruciarono come le lacrime che le rendevano difficile guardare avanti. Tirò su convulsamente col naso e singhiozzò. Le parve di sentire il cuore cedere sotto il peso degli eventi, dell’ansia, delle infinità di pensieri pieni del suo bambino. Pianse, ma continuò a fissare la navigatrice. Nami la ricambiava a occhi sbarrati, incapace di risponderle. Franky parve in procinto di dire qualcosa, ma la disperazione sul volto di Mizu lo fecero desistere. Finì di bloccare il timone nella direzione indicatagli dalla compagna e disse loro che raggiungeva gli altri per aiutarli, ma dubitò che avrebbero prestato attenzione alle sue parole.
« I Tori Rossi sono proprio davanti a noi! Nami li hai visti anche tu! » riprese a urlare freneticamente Mizu. « Matt… » mormorò avvicinandosi alla rossa e stringendole le maniche fradice dell’impermeabile. La supplicò con lo sguardo, non importandole nulla se non di trovare suo figlio.
La navigatrice non riuscì a staccare l’attenzione da quelle profonde iridi che la stavano implorando. I Tori Rossi erano all’orizzonte, l’aveva visto, ma non era quello il momento migliore, non quando erano ancora sotto attacco della Marina e con un nubifragio a imperversare sulle loro teste. Inseguirli era troppo rischioso, si sarebbero trovati tra l’incudine e il martello: marines alle spalle, pirati nemici davanti, e la furia del mare pronta a inghiottirli.
« Ehi, voi due! Venite via da lì! »
Il richiamo di Zoro la fece voltare e si ritrovò il compagno a fianco, con il suo autocontrollo appena tradito dalla voce, a verificare con una rapida occhiata che entrambe non avessero contusioni troppo gravi.
« Spostatevi da qui » ingiunse, le mani strette intorno alle else delle spade sguainate. « Quelli non ci vogliono lasciare in pace e con questi cavalloni siamo in svantaggio » continuò serio, mentre sentivano gli echi delle voci del resto della ciurma che difendevano la nave dalla poppa.
Mizu lo guardò come se non lo riconoscesse, il respiro che si condensava nell’aria fredda, sorda alla realtà della situazione.
« Dobbiamo raggiungere i Tori Rossi! Sono davanti a noi! » riprese quindi a urlare, credendo che il ragazzo non avesse inteso le sue parole. Si agitò tra le braccia della navigatrice, che tentò di calmarla con poca convinzione.
Zoro tuttavia non la guardò, e Nami serrò la mascella. La pensavano allo stesso modo.
« Ora che sappiamo dove sono non ci sarà difficile rimetterci sulle loro tracce » cercò di spiegarle la rossa in maniera ragionevole e rassicurante, sapendo benissimo quanto fosse scossa. La Figlia del Mare non volle però ascoltare le sue parole. In quel momento, non riusciva a capirle. Matt aveva bisogno di lei, prigioniero di pirati che non si sarebbero fatti scrupolo a ucciderlo.
Si liberò dalle mani della navigatrice con un gesto brusco, ritraendosi di nuovo verso la balaustra della prora.
Tutto si era annullato di nuovo. Luci e tuoni, vento e bordate, grida e spari. Sembrava quasi che non vedesse neanche più, i suoi occhi si erano fatti vitrei. La mente offuscata, incapace di farle afferrare la gravità di quello che stavano passando.
Tu sei la più bella…
Tremò, impallidendo. Le sue mani scattarono, serrandosi sulle orecchie sotto lo sguardo sbalordito di Nami e quello troppo serio di Zoro che l’avevano seguita.
Non affannarti, non ti lascerò andare…
Scosse la testa. Non voleva sentire quei discorsi scorrerle nella mente come veleno, quelle lame che le avevano sfregiato e sporcato l’anima cinque anni prima. Tutto era un folle incubo, un incubo che era tornato di soppiatto a prenderla e avvinghiarla nelle sue spire.
« Mizu? Mizu!? » si allarmò Nami, tentando di sfiorarla. Ma Mizu si ritrasse ancora, sbattendo contro la paratia. La schiena bruciò, e con essa sembrarono riaprirsi le cicatrice che la trasfiguravano. Si sentiva male. Un sapore amaro le stava invadendo la gola e quelle risate, che solo lei poteva sentire, non volevano cessare.
« Devo raggiungere Matt… »
Neanche si accorse di aver pensato a voce alta. Sì raddrizzò come poté, gli abiti zuppi d’acqua che pesavano il doppio. Scorse appena davanti a sé il profilo della navigatrice e dello spadaccino, ma erano diventate figure indistinte, persone sconosciute.
Loro l’avevano aiutata, ma in quel momento avevano altro a cui pensare. Qualcosa le diceva che avevano rischiato già troppo, nonostante sembrassero disposti a fare anche di più.
Mamma!
Lacrime calde scivolarono sulle sue guance quando chiuse gli occhi e vide il suo bambino.
In un attimo di paura e irrazionalità, all’apice di burrasca e angoscia, l’istinto mosse i suoi passi e la sua corsa. Bastò un semplice salto, un tuffo, e la Figlia del Mare sparì nei flutti color pece.
 
 
 
Nami urlò il nome della ragazza contro il vento feroce che le sferzava il viso, incurante di ogni altra cosa. Non riusciva ancora a credere a ciò che aveva visto e che non era stata in grado di impedire.
Era tutto sbagliato.
« MIZU! »
Fissò il mare, ostile come non mai, senza vedere alcuna traccia della giovane donna.
Perché l’aveva fatto? Perché quel gesto estremo? Si volse, incrociando lo sguardo di Zoro e si accorse di avere gli occhi offuscati di lacrime.
« Dobbiamo fermarla! Sta andando incontro a Oushiza! Da sola! » gridò in preda all’ansia e alla rabbia, scagliandosi contro l’uomo.
Cosa potevano fare? Cosa? Non riusciva a pensare, non riusciva a togliersi dalla mente la scena appena accaduta, e a impedire all’angoscia di salire man mano che realizzava.
Zoro digrignò i denti, senza guardare in faccia la compagna. Gli bastava la sua voce rotta e i pugni che gli stava dando al petto per sforzarsi di più nel cercare una soluzione. Finì col scuotere la testa, inveendo contro di sé per la stupida e unica idea venutagli.
« Al diavolo! » ringhiò, scostando malamente la rossa.
Senza che Nami avesse il tempo o il modo di comprendere il suo gesto, Zoro si tuffò in acqua per seguire la sconsiderata Figlia del Mare, scomparendo anch’egli inghiottito dalla burrasca.
 
 
 
 
 
« Stai scherzando!? » sbraitò Usopp alla notizia appena uscita dalle labbra della rossa. Chopper, di fianco a lui, esausto e seduto a terra per lo scontro che si protendeva ormai da quasi un’ora, la guardò senza riuscire a parlare, troppo sgomentato, come Robin, che poco più in là si teneva una spalla dolorante.
Di fronte a loro, Nami, sebbene non lo desse a vedere, era la più scossa e agitata.
« Dobbiamo seguirli. Subito » replicò con voce atona, senza guardare nessuno. I capelli le si erano appiccicati al viso, che teneva basso, e i compagni non riuscirono a scorgere il suo sguardo e la preoccupazione che lo ombrava.
« I ragazzi a poppa sono riusciti a sistemare due delle navi che ci inseguivano » spiegò l’archeologa, avendo appena controllato la situazione con il suo potere. « Ma il tempo non accenna a cambiare: si sta formando una tromba d’aria » proseguì con tono incerto, notando subito che le sue parole non sortirono alcun effetto.
« Lo so » fu infatti la laconica risposta della navigatrice.
« Eh!? »
Usopp, se possibile, sbiancò ancora di più, le mani premute ai lati della faccia. « Come puoi dire che lo sapevi e non fare nulla, Nami!? » strillò.
La rossa batté un piede in terra, rialzando finalmente la testa e lasciando campo libero alla feroce paura che si dibatteva in lei. Gli occhi nocciola assunsero la pericolosità di dardi infuocati.
« Credi che adesso abbia il tempo di preoccuparmi della tempesta!? MIZU E QUELL’IDIOTA DI ZORO SONO DISPERSI IN MARE! STANNO TENTANDO DI RAGGIUNGERE OUSHIZA! » gridò, gesticolando con furia come se il cecchino non riuscisse a comprendere il suo stato d’animo e il tuo timore. Ma lui, a quell’uscita, deglutì insicuro, facendo un passo indietro e perdendo quasi l’equilibrio su Chopper, ma senza scomporsi del tutto. Nami non stava pensando razionalmente, capì.
« Però » intervenne Robin calma, benché il suo sguardo fosse appena corrugato « se adesso noi coliamo a picco non potremo andare in loro aiuto, non trovi? »
La ragazza reclinò il capo dall’altra parte, rifiutandosi di replicare.
In quell’attimo di pesante silenzio una folata gelida investì i presenti fermi sul ponte erboso, mentre, ansimante e bagnato fradicio, Sanji discendeva le scale del castello di poppa. Fece una rapida panoramica dell’ambiente per fermarsi su Nami.
« Abbiamo una specie di uragano alle spalle! » esclamò con il fiato corto, aspettando istruzioni.
Nella zona sottostante si sentì solo qualche piagnucolio proveniente dal cecchino, già informato della sciagura imminente.
La navigatrice ispirò a fondo, facendo finalmente una scelta che non le piacque neanche un po’. Robin, riconobbe, aveva ragione: prima di occuparsi di Mizu e Zoro dovevano pensare a come cavarsela, o non ci sarebbe stato un dopo per nessuno di loro.
Sperò soltanto che a entrambi non capitasse nulla.
« Spostate il timone di altri trenta gradi » si decise, dando un’occhiata al cielo tenebroso.
Chopper e Usopp annuirono in contemporanea, eseguendo. Il brigantino, con qualche resistenza da parte delle onde in tumulto, seguì il cambio di rotta impostogli e proseguì nella nuova direzione, lasciandosi dietro l’ultima nave della Marina che le arrancava dietro.
Ora, pensò con un brivido Nami sporgendosi un poco dal parapetto per tenere d’occhio i cambiamenti del cielo, dovevano contrastare il ciclone in arrivo. Aveva bisogno di concentrarsi e lasciarsi alle spalle quei pochi frenetici minuti: il fattore tempo era di vitale importanza.
« Ehi, aspettate un attimo » disse Sanji perplesso, interrompendo l’apparente calma scesa sul ponte mediano e occhieggiando le due compagne, dopo essersi guardato intorno, notando finalmente che qualcuno mancava all’appello.
« Dove sono Mizu-chan e il marimo? »
Il silenzio delle due donne non presagì risposte incoraggianti.
 
 
 
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Insomma, dove eravamo rimasti?
Con i discorsi di Shirami, Bonnie prossima a essere torturata, nuovi personaggi a rabbuiare la scena…
Ci sarebbe da fare un bel “Previously on Heavenly Eve…” e qualche musichetta da tachicardia *lol*
Scherzi a parte, scusate per il ritardo, ho un regalo che sta esigendo tutta la mia attenzione e tra l’altro questo è stato un capitolo davvero ostico da sistemare (risalente per tre quarti alla vecchia pubblicazione).
Sono tornati i nostri Mugiwara sulla scena, insieme a Mizu e alle sue brillanti idee, in cui ha appena trascinato anche Zoro. Mi spiace che il capitolo sia breve e mi auguro di non farvi aspettare di nuovo così tanto!
 
Angolino di ringraziamento sempre a jillianlughnasad (prendetevela con lei in parte per il ritardo u.u *love*) e Nic87! *^* Spero che qualcun altro si aggiunga ai commenti =)   
 
 
 
Note:
 
- Arcipelago Sandan: se ne parlava qualche capitolo fa, è interamente composto da basi della marina.
 
- Rashin di Koujin: proprietario del negozio di mappe a Koujin, nominato dal Sindaco Koubito due capitoli fa =)  
 
- Port Red Jack: vediamo chi si ricorda chi c’è su quest’isola… =D Eve? Jougen? Madame? Cam? Eheheheh
Ma la domanda è: perché i Tori Rossi puntano lì? ;) Tenete a mente questo!
 
 
 
Sembra che abbia davvero poco da dire questo giro… sono anche piuttosto stanca… =w=
Ultimissima cosa… mi faccio un po’ di auto-pubblicità! *smile*
Ho scribacchiato una one-shot dedicata a Trafalgar Law dal titolo Hate the White =) In attesa di vederlo apparire anche su questi lidi… nyahhahahaha *love*
 
 
 
Bacioni!
Nene

 

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Capitolo 11
*** Capitolo IX - Conqueror ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo IX -
[Conqueror]
 
 
 
 
 
 
Quando Zoro raggiunse di nuovo il pelo dell’acqua, più alterato che mai e con una sonora imprecazione, si decise a pensare. Combatteva contro la furia del mare da minuti interminabili, venendo trascinato a piacimento dalle correnti e più volte aveva rischiato di diventare cibo per pesci. La sua brillante genialata di seguire la brunetta si stava risolvendo in un suicidio sulla soglia del premeditato, e l’unica idea che gli venne – e che gli sarebbe valsa un appellativo poco piacevole dalla sua compagna rossa – fu di allontanarsi dal maremoto. Cosa semplice e praticabile per uno con la mentalità dello spadaccino. Peccato che l’oceano avesse da muovergli qualche obiezione, che Zoro ignorò.
Il suo immancabile istinto scelte per lui dove andare e lo spadaccino prese a nuotare come se avesse avuto un mostro marino a inseguirlo. Grazie a qualche miracolo riuscì anche a rimanere a galla per un tempo sufficientemente lungo a farsi venire il dubbio di aver optato per la direzione giusta.
Levò allora lo sguardo per cercare tra i flutti almeno la Sunny come punto di riferimento, quando scorse proprio davanti a sé, stagliate in un orizzonte luminoso in cui non imperversavano tuoni e lampi, la poppa di due navi lontane ma ben visibili. Procedevano pigramente, senza fretta, e questo gli permise di distinguere chiaramente sugli alberi maestri i vessilli cremisi: teschi di toro con ghigni diabolici sbeffeggiavano chiunque rivolgesse loro lo sguardo. Zoro non ebbe più dubbi.
“Quella pazza sarà già lì” pensò arrabbiato e snervato, ricordando la rapidità con la quale Mizu si era dileguata durante il loro primo incontro. Per lei doveva essere un gioco da ragazzi muoversi in quel mare turbolento. 
Lo spadaccino ricominciò a sbracciarsi, imprecando mentalmente contro tutto e tutti, quando fu investito da un’altra ondata gonfiatasi di soppiatto alle sue spalle. Fu trascinato sott’acqua senza nemmeno il tempo di riprendere fiato.
Si dimenò in tutti i modi tentando di non lasciarsi portare più a fondo. Gli occhi bruciavano a causa della salsedine mentre circondato da un’oscurità impenetrabile e fredda credette di morire affogato. Sforbiciò con gambe e braccia, i polmoni ormai vuoti, quando sentì finalmente la mano dibattersi all’aria, seguita un istante dopo dalla testa.
Spalancò la bocca, inspirando rumorosamente nel risucchiare tutto l’ossigeno circostante. Era andato maledettamente vicino a rimanerci secco, pensò irritato con le tempie dolenti dallo sforzo. Controllò a tastoni di avere tutte e tre le sue spade prima di rialzare lo sguardo una volta ancora, sperando vivamente di non trovarsi troppo lontano dal suo obiettivo. Si avvide con una certa sorpresa di essersi invece involontariamente avvicinato ai due velieri, imponenti dinanzi a un cielo albeggiante.
Non perse ulteriore tempo, ricominciando a nuotare spinto dal desiderio di dirne quattro a quella sconsiderata cui stava dando la caccia.
Fu così che tra altre brevi e sgradite immersioni e affogamenti mancati raggiunse, quasi sbattendoci il muso, la fiancata di uno dei due velieri.
E lì scorse chi stava cercando.
 
 
 
 
 
Trasformarsi era stato semplice, ma mantenere quello stato un po’ meno.
Mizu si sentiva debole e affaticata, la ferita al fianco le causava fitte silenziose e difficili da ignorare. Tuttavia non era intenzionata a mollare. Continuava a nuotare, aiutata anche da quella corrente sottomarina che la stava accompagnando proprio dove voleva. Da Oushiza.
Mosse le gambe in falcate fluide, sentendo l’acqua gelida scivolarle addosso in una lieve carezza. Le onde si accavallavano tra di loro, ma alla profondità a cui era lei non si preoccupava. Non si preoccupava di niente. Né di quello che aveva fatto, né di quello che stava per fare. La paura che provava veniva arginata dal pensiero di Matt.
Non le ci volle molto per giungere a destinazione. Ora, riemersa, guardava con un’espressione indecifrabile le due navi che aveva innanzi. Se non fosse stato che tremava già abbastanza per il freddo vorticante tutt’intorno, avrebbe sentito i brividi correrle per la schiena più di quanto lo immaginasse.
Era di nuovo lì. Faccia a faccia con il suo incubo più grande.
Si mosse cercando di non pensare, lentamente, dato che anche i due galeoni procedevano piano, con una tranquillità agghiacciante. Scalando con lo sguardo le alte pareti lignee color mogano cercò qualcosa a cui aggrapparsi: doveva trovare il modo di salire a bordo, ma non riuscì a scorgere nulla che potesse venirle in aiuto.
Stava per perdere le speranze e tentare il tutto per tutto arrampicandosi sullo scafo viscido quando, all’altezza della prua, notò del cordame che spenzolava a circa un metro dal mare, battendo indolente contro la paratia.
Gli occhi lapislazzulo della donna si illuminarono, incorniciati dalla pelle squamata blu scuro. Falciò velocemente l’acqua con i piedi palmati, allungando la mano e sfiorando appena l’estremità sfilacciata della cima più vicina. Si morse il labbro e riprovò altre due volte, finché riuscì ad aggrapparcisi. Strinse, cercando di issarsi con il braccio, ma a causa della sua poca forza la corda umida di salsedine le scivolò via dal palmo, facendola ripiombare tra i flutti.
Si sarebbe messa a piangere scioccamente dopo quell’unico tentativo, se all’improvviso non avesse percepito una presenza alle spalle. Non fece in tempo a voltarsi, del tutto disarmata, che avvertì il capo cozzare contro un rigido corpo infreddolito, mentre un braccio forte e fasciato di pelle d’oca afferrava saldamente la corda a lei sfuggita.
Quando alzò gli occhi atterriti incrociò due iridi scure inferocite.
« Se ti viene in mente un altro colpo di genio fattelo passare! » ringhiò alterato Zoro, ignorando l’espressione stordita di fronte alla sua apparizione. Le strinse l’avambraccio mentre la cima si tendeva nel suo palmo saldo e li trascinava quasi dolcemente al passo con la nave sovrastante.
« C-Cosa fai qui? » balbettò Mizu, fissandolo come fosse stato uno scherzo della sua mente.
« COSA FACCIO QUI!? » urlò di rimando lo spadaccino, fumando rabbia da tutti pori. Ma serrando i denti, si diede subito una calmata. Era controproducente infierire sulla giovane già abbondantemente spaventata. In più, sbraitando, rischiava di farsi scoprire dall’equipaggio nemico. « Sono qui perché hai pensato bene a questa furberia. Hai deciso di morire stupidamente!? » puntualizzò quindi brusco, guardandola dritta negli occhi.
Lei non replicò, inclinando di lato il capo. Non riusciva a sentirsi in colpa, non ancora almeno.
« Devo salire » mormorò, rivolta più a se stessa.
« Ti rendi conto di quello che stai dicendo? » disse in un sibilo il ragazzo dai capelli verdi, squadrandola. Fin dove arrivava la sua determinazione?
« Matt è vicino! » esclamò con voce spezzata Mizu, stringendo tra le dita la maglietta fradicia di Zoro. Forse quella specie di sirena possedeva altri poteri, pensò lo spadaccino, non riuscendo a ignorarne le lacrime per quanto ogni fibra di sé per una volta gli stesse facendo presente che fosse un’azione suicida. Se fosse stato lui da solo sarebbe stato diverso.  
Indugiò a contemplarla qualche istante. Era un’altra idea campata per aria quella, non c’era bisogno di essere geni per arrivarci, ma aveva ormai capito che la donna era disposta a tutto. Inoltre, tornare indietro equivaleva a un altro giro di giostra sottomarina che avrebbe evitato volentieri.
Alzò dunque la testa, percorrendo con lo sguardo tutta la lunghezza della corda che teneva ancora stretta. Una follia rimaneva una follia, e per questo un bieco sorriso gli piegò le labbra. D’altro canto, sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a far desistere quella testarda, glielo leggeva negli occhi, quindi tanto valeva fare la conoscenza di Oushiza e testarne la forza. Rufy doveva muoversi, se voleva battersi. 
« Non cacciarti nei guai, o Nami e quel damerino del cuoco mi staccheranno la testa » sibilò infine, lanciandole un’ultima occhiata.
Mizu, stupita, annuì senza riuscire a credere a ciò che aveva sentito.
Stavano per salire a bordo.
 
 
 
Ci volle un semplice colpo di taglio della mano alla nuca e la vedetta sul ponte di prua scivolò stordita a terra con un gemito strozzato.
Zoro si guardò subito intorno, senza abbassare la guardia un attimo. L’unico suono che colse fu il fischio ininterrotto del vento e i passi di Mizu alle sue spalle, stanca e tesa come una corda di violino.
Senza lasciarsi distrarre spaziò con lo sguardo il largo e lungo ponte su cui aleggiava una leggera foschia. Quasi subito corrugò la fronte, poggiando una mano sull’elsa delle spade. Non c’era anima viva, tolta quell’insignificante guardia. La faccenda puzzava. Che si fossero già accorti dell’intrusione? O erano così sicuri di sé da lasciare un solo uomo a controllo della situazione? Lo spadaccino lasciò stare, non avendo intenzione di perdersi in congetture che rischiavano di deconcentrarlo.
« Sai dove può essere tuo figlio? » chiese piano il ragazzo, senza voltarsi.
La donna gli si affiancò, tentando di regolare il respiro affannoso che da qualche minuto la stava consumando.
« Sotto il castello di poppa. Lì ci sono le segrete, ma sono divise in più stanze… » sussurrò con sguardo lontano. Ora che era nuovamente a bordo di quella nave, ogni emozione passata le stava attraversando il corpo alla stessa velocità di una dolorosa scarica elettrica. Represse a fatica la voglia di dare di stomaco e seguì docilmente Zoro, non azzardandosi ad altre azioni sconsiderate.
Eppure, il suo sesto senso le stava urlando di fare attenzione. Aveva come la sensazione di essersi dimenticata qualcosa di davvero importante, ma non le sovvenne cosa. Era troppo agitata per pensare con raziocinio.
Un fruscio, come di un ladro dal passo felpato, allertò lo spadaccino. In una frazione di secondo sfoderò la Wado Ichimonji, roteando su se stesso e sferzando l’aria in guardia; l’altro braccio si tese nello stesso momento per far indietreggiare la donna, rimasta col fiato sospeso.
Zoro assottigliò lo sguardo, non vedendo niente. Ciononostante la sensazione di pericolo gli palpitava addosso più che mai. Avvertì il velato rumore una seconda volta, ma non riuscì a capire da dove provenisse. Era vicino, fin troppo.
A comprendere realmente l’entità del pericolo fu Mizu. Ma tardi. 
Una risatina di sprezzo attraversò l’aria umida e un istante dopo la bianca spada di Zoro cadde con un tonfo sul ponte. La donna al suo fiancò gridò, portandosi le mani alla bocca e arretrando di un passo.
« Che accidenti… » ansimò lo spadaccino piegato all’indietro in una posa alquanto innaturale, le mani al collo serrate intorno a una cosa invisibile e viscida che lo stava soffocando. Tentò di prendere un’altra delle sue lame, ma quelle seguirono la sorte della prima, piombando con un tonfo rumoroso sul ponte. Qualcuno o qualcosa aveva appena tranciato i laccetti che le tenevano alla panciera.
« Fatti vedere! » intimò Zoro, ormai al limite della pazienza e dell’aria. Gli si stava appannando la vista, quando improvvisamente la cosa molle che lo teneva saldamente strisciò via. Lo spadaccino si piegò su se stesso cadendo carponi. Perse secondi preziosi nel recuperare fiato, ma quando cercò di impugnare la Wado Ichimonji senz’altra esitazione fu picchiato alla mascella con la violenza di un calcio e il colpo lo scagliò contro una delle paratie.
Una seconda risatina di scherno risuonò vicina, facendolo imbestialire. Ormai aveva capito che quello con cui stava cercando di battersi doveva essere una specie di uomo invisibile. Tentò ancora una volta di localizzarlo, incurante del labbro spaccato da cui colava copioso il sangue, ma il suo avversario sapeva perfettamente come muoversi senza rumore.
Per ciò non ci fu partita.
Dopo un leggero sibilo Zoro, benché avesse scartato a destra, si ritrovò di nuovo quella roba scivolosa e che non riusciva a vedere intorno alla gola. Irrigidì i muscoli delle braccia e la presa nel tentativo di scansarla, ma un attimo dopo avvertì una presenza alle spalle e un dolore lancinante alla testa lo stordì, lasciandolo privo di forze sul ponte.
Prima di perdere del tutto coscienza, udì il grido di Mizu che chiamava disperata il suo nome.
 
 
 
 
 
Era una giornata da cancellare, pensò Zoro quando la sua mente tornò dal limbo oscuro in cui era precipitata dopo la batosta presa. Botta che si faceva sentire, pulsando dolorosamente. Grugnì infastidito, portandosi una mano sulla parte lesa, e provò ad alzarsi.
Il suo gesto non passò inosservato, ma anzi, accolto con sollievo.
« Zoro! »
La voce tremula di Mizu gli rimbombò nel cervello, facendogli aprire gli occhi. Si trovava su un pavimento sudicio, circondato su un lato dalla parete della nave e per il resto da sbarre incrostate di sporcizia fetida. Un posto davvero accogliente.
« Zoro, come ti senti? »
La ragazza gli si era avvicinata con cautela, una mano sospesa a mezz’aria, indecisa se toccarlo o meno. Lo spadaccino le risparmiò la scelta, mettendosi a sedere con un brontolio inarticolato. Si tastò il fianco destro, già conscio di non trovarci le sue preziose spade. Osservò attentamente i laccetti tranciati di netto. Un taglio preciso e pulito. Il suo avversario sapeva proprio il fatto suo.
« Vuoi rimanere a osservarci ancora a lungo? » sentenziò all’improvviso in un sussurro che il diretto interessato raccolse facilmente.
« Ben svegliato, spadaccino » gorgogliò serafico qualcuno alle loro spalle. La giovane Figlia del Mare si ritrasse all’istante, abbassando lo sguardo e serrando le mani. Zoro, ostentando la sua espressione indecifrabile, voltò appena il capo nella direzione della voce, senza stupirsi di non scorgerci nessuno. Sogghignò appena.
« Non vuoi farti vedere neanche adesso che sono dietro le sbarre, linguone? » domandò Zoro con espressione attenta.
« Coraggioso » lo schernì l’essere invisibile, senza perdere il tono strascicato. « O è tutta stupidità? »
Mentre la frase veniva finita, l’aria dove si trovava l’essere invisibile cominciò a farsi più densa e compatta, acquisendo prima la consistenza di una massa d’acqua trasparente in cui si rifletteva, in maniera distorta, la parete retrostante. Seguirono lentamente i colori.
Pian piano, apparve la figura di un uomo. Alto, due metri almeno, ben piazzato, dai lineamenti del viso strani e rubicondi: aveva un naso adunco e occhi sporgenti molto distanti tra loro che parevano quasi puntare uno a destra e uno a sinistra, invece che avanti. I capelli chiari scendevano ben tagliati ai lati del viso, mentre sulla sommità del capo sembravano formare una specie di bassa cresta. Sulla schiena, Zoro intravide la custodia di una grossa spada con l’elsa stretta in cuoio decorato e i dettagli in oro.
« Tzé » ribatté il ragazzo dai capelli verdi, inclinando appena il capo. « Un potere davvero infido »
L’uomo al di là delle sbarre sghignazzò, prendendo a camminare, ciondolando lentamente, intorno alla gabbia. La sua palandrana viola con pizzi ingialliti accompagnava le falcate calcolate dei piedi, troppo piccoli rispetto al resto del corpo. 
« Salire a bordo senza il permesso del capitano è da maleducati » celiò divertito, continuando a studiare il prigioniero. Zoro non fece una piega, stiracchiandosi il collo intorpidito. « Lascia quindi che ti dia il benvenuto a bordo della Conqueror, spadaccino! »
Mizu, quasi addossata alla parete, sussultò, ma nessuno parve accorgersene.
« Dov’è Oushiza? » tagliò corto il marimo senza troppi giri di parole. Fissò intensamente quello scherzo della natura che aveva di fronte e perseverò nello sfidarlo in silenzio. Aveva bisogno di un altro scontro, di una rivincita, e soprattutto di una via di fuga per la sua compagna di cella.
« Oh » si stupì l’altro. Tuttavia riprese subito la sua espressione vanesia. « Pretendi troppo, ragazzino. Prima del capo ci sono io, suo vice-capitano, Kameoshi »
Roronoa per tutta risposta sorrise così tranquillamente che avrebbe messo la pelle d’oca addosso al diavolo, ma il suo avversario non vi badò, tronfio della sua posizione.
« Non aspettavo altro. Perché non mi ridai le mie spade così riprendiamo da dove abbiamo interrotto? »
La risatina superiore che ricevette in risposta non si fece attendere.
« Troveremo il tempo, vedrai » disse, mentre la sua immagine riprendeva a sfuocare, fino a sparire. « Ma prima… »
Ricomparve accucciato vicino alla paratia di tribordo, il braccio teso a sfiorare Mizu. La donna si ritrasse con un gemito, tenendosi stretta tra le proprie braccia e cercando di reprimere il tremore incontrollabile che le percorreva tutta la pelle, madida di sudore freddo.
L’uomo ghignò, allontanandosi dalle sbarre prima che le mani di Zoro lo agguantassero con uno scatto.
« Oushiza rimarrà deliziato, piccola, quando saprà che sei di nuovo con noi » sussurrò melenso in direzione della donna, ignorando l’occhiataccia dello spadaccino.
Si rialzò, chiamando con un fischio una dozzina di uomini che accorsero rumorosi e sghignazzanti. Appena videro la prigioniera sbottarono in complimenti sconci verso la giovane Figlia del Mare, che si rannicchiò su se stessa, coprendosi la testa con le mani per non udirli.
« Questa sera si farà gran festa, uomini! La nostra sirenetta è tornata! »
All’esclamazione dell’uomo invisibile tutti esultarono con grida e risate sguaiate, che furono presto smorzate dallo sguardo tagliente di Zoro, messosi in piedi a fissare quella feccia beffeggiatrice. Pareva che l sua aura omicida avesse stretto mani impalpabili intorno alle gole dei pirati, smorzando il loro divertimento.
L’unico rimasto indenne da quell’ondata di disprezzo fu il capitano della Conqueror, che non si scompose minimamente, ridando un po’ di grinta ai suoi con lodi gratuite all’indirizzo della povera donna.
« Non ti scaldare, ragazzino. Anche tu avrai la tua parte » promise infine, fissando Zoro.
E tutti ripresero di nuovo a ridere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
Red Line, Marijoa.
 
 
 
Brusii di voci e tintinnii di calici riempivano l’ampia sala del ricevimento, rimbombando appena sulle pareti intonacate di bianco e i dettagli dorati brillanti sotto le luci dei lampadari di cristallo. Tra brevi esclamazioni e il passo calcolato dei camerieri, che volteggiavano offrendo spuntini ai presenti, si stava consumando l’aperitivo di benvenuto al Reverie.
La sua mano candida si alzò a diniego, ringraziando con un cenno l’ossequioso ragazzo che aveva appena inclinato nella sua direzione un vassoio di appetizers. Con un sorriso tirato dalla stanchezza, rivolse di nuovo gli occhi verso la vetrata, desiderando di potersi concentrare solo sul giardino che vi stava oltre, ma la sua mente continuava a vagare. Si rigirò il cristallo che aveva in mano, portandosi distrattamente alle labbra un sorso di sidro dolciastro.
« Hime-sama, qualcosa la preoccupa? »
Lei scosse appena il capo, stirando il piccolo sorriso di circostanza.
« È solo una sensazione. Forse è dovuta al lungo viaggio » cercò di spiegarsi, ma dalla fronte corrugata dell’uomo al suo fianco capì che la sua espressione non era convincente. Non lo erano nemmeno per lei le parole che aveva appena pronunciato.
« Si tratta del Reverie? »
Lei ci pensò un attimo, ma sapeva che non era quello, quindi fece segno di diniego.
L’altro fu combattuto prima di continuare, assumendo un tono serio ma cortese.
« … forse ha preso una decisione troppo… mi perdoni, affrettata, riguardo a… »
Ma vedendo come la giovane gonfiò le guance crucciata, la guardia si interruppe. Non era sua intenzione mancarle di rispetto, ma quel discorso gli premeva e forse lei non se ne rendeva conto.
« Pell » lo ammonì in modo semplice, ma quasi con dolcezza. Se era ancora in piedi lì in quel salone per le feste era solo per una questione di dovere, al contrario sarebbe andata subito a riposarsi. Ma a parte la debolezza fisica, non sentiva la forza per ritornare su certi argomenti e avviare l’ennesima discussione. « Non è neanche quello » dichiarò in fine, certa di ciò che stava dicendo, e continuò prima che le si potesse ribattere altro a riguardo. « Non lo so cos’è e non voglio dargli peso. Non voglio pensare che accadrà qualcosa di… » ma si interruppe, ritrovandosi a fissare le iridi scure del suo interlocutore che la incoraggiavano a proseguire.
Ma Bibi non voleva terminare quella frase, finire con quel “brutto” che le era rimasto incastrato in gola. Si diede della sciocca per quell’allarmismo insensato. Aveva vagliato possibilità su possibilità, ma la conclusione a cui era giunta era che tutto andasse bene. Il regno di Alabasta era in ripresa, i focolai di malcontento si estinguevano giorno dopo giorno, il suo popolo era tornato a vivere e sperare, Pell era scampato alla morte e lei era…
Felice.
Perché era vero. Dopo tanto tempo, dopo lacrime di ingiustizia e il terrore di vedere ciò a cui più teneva venir spazzato via da bugie e inganni, Bibi aveva portato a termine la sua battaglia ed era tornata a respirare. A vivere. E le prospettive, le promesse, che l’aspettavano in un futuro non troppo lontano le scaldavano solo il cuore.
« Hime-sama » la richiamò Pell, i lineamenti del volto, sempre così pallido in contrasto coi tatuaggi, erano un po’ sul rassegnato ma più rilassati. Trasse un respiro profondo.
« Sarò sempre dalla sua parte e al suo fianco. La prego, non si faccia scrupolo a sfogarsi con me, se questo la farà sentire meglio. O a chiedere il mio aiuto. Sappia che farò tutto quello che è mio potere per proteggerla o farla sentire al sicuro » dichiarò, fermo nella postura, il capo chinato in riverenza.
La principessa rimase spiazzata. Poggiò il calice su un tavolino e con le dita libere carezzò delicatamente il volto dell’uomo, invitandolo a rialzarlo per guardarlo negli occhi. Cercò le parole per ringrazio ed esprimere tutto il calore che quelle appena udite le avevano suscitato nel petto. Lui, che quando era piccola era sempre attento che non le succedesse nulla di grave e per la preoccupazione era arrivato perfino a schiaffeggiarla, per poi fare ammenda. Lui che aveva quasi sacrificato la sua vita per il bene del regno che tanto amavano.  
« Sono così felice che tu sia vivo » riuscì solo a dire, sentendo le lacrime pizzicare per uscire. « Sto bene, davvero. Qualunque cosa succederà l’affronterò… sapendo di non essere sola »
Pell assentì. Ci sarebbe stato tempo per altri discorsi.
« Dov’è mio padre? » chiese dopo un po’ Bibi, scrutando la folla variopinta di personalità che gremivano l’immensa stanza. Sebbene si fosse preparata per quel giorno, pensare che in quel momento erano riuniti in un solo palazzo i capi di stato di quasi duecento nazioni le metteva uno strano brivido addosso. Quando era piccola, nell’unica altra volta che era stata a Marijoa, si era resa conto ti quanto poco sarebbe bastato a scatenare una guerra tra paesi.
« Il re e Igaram-san si sono recati dalla responsabile della cerimonia » le spiegò Pell. « Ci raggiungeranno prima del banchetto »
La ragazza annuì, desiderando stiracchiarsi, ma si contenne. Per quanto nessuno le stesse prestando attenzione, non poteva lasciarsi sfuggire comportamenti poco consoni. Uno sbadiglio tuttavia non riuscì a trattenerlo, nascondendosi dietro la schiena del Falco di Alabasta, il quale mascherò una risatina schiarendosi la gola.
« Bibi? »
Sentendosi chiamare in quell’attimo un poco imbarazzante, la principessa rizzò la schiena di scatto, cercando di riassumere un certo contegno nel voltarsi. Ma il sorriso cortese si stirò presto in uno più genuino.
« Dorton-san! » esclamò, superando Pell rimasto interdetto dal nuovo venuto che la giovane dai capelli azzurri abbracciò in uno slancio di gioia. L’uomo ricambiò un po’ goffamente, non aspettandosi tanta confidenza. « Come stai? Come vanno le cose a Drum? E la Dottoressa Kureha? »
L’uomo bisonte fu contagiato da tutto quel fervore, sciogliendo la tensione che il luogo sembrava aver suscitato in lui. Vedere un volto amico dopo un lungo viaggio era un toccasana.
« Stiamo tutti bene. Il vecchio regno di Drum non esiste più » iniziò, notando l’occhiata sconcertata della più giovane. « Il paese è rinato come Sakura Kingdom » spiegò, orgoglioso delle sue stesse parole.  
La futura regina di Alabasta sorrise con calore.
« Sono così contenta! »
La stanchezza di Bibi si trasformò presto in entusiastica energia nel mettere al corrente Pell sulle circostanze in cui aveva conosciuto il neo re della vecchia Drum e dell’avventura che aveva passato nel regno innevato. Dorton non riuscì e non volle fermarla, imbarazzandosi appena di alcuni dei passaggi che lo riguardavano e che la ragazza sembrava intenzionata a tutti i costi sottolineare come segno di stima. Nondimeno fu contento della piega presa dalla serata, avendo passato la totalità della giornata a chiedersi come sarebbe stato il suo primo Summit Mondiale da Re e non da capo delle guardie, se sarebbe stato all’altezza di rappresentare il suo neonato paese.
« Ho letto delle vicende di Alabasta » interruppe dopo un po’, curioso. « Quando ti ho incontrata non avevo idea che il tuo regno natio versasse in un tale stato di caos »
Bibi annuì, senza tuttavia perdere del tutto la propria espressione felice. Si trattava del passato. Non doveva continuare a rimuginarci sopra.
« Sono stati loro a…? » domandò più discretamente. Nonostante il racconto della principessa, nessuno dei due aveva ancora nominato la ciurma a cui entrambi dovevano la vita.
« Sì »
Era una conversazione scomoda, lo sapevano entrambi. Lì tra le mura del governo fare riferimento a Rufy e i suoi avrebbe attirato non poche orecchie indagatrici e bocche maligne.
Durante i preparativi per la partenza, suo padre l’aveva messa in guardia su quanto si sarebbe dovuta aspettare quando l’argomento pirateria sarebbe saltato fuori: Re Cobra, avvezzo ormai da anni alla mentalità dei diversi regnanti, le aveva assicurato che qualcuno avrebbe mosso accuse contro di lei, ritenendola nel peggiore dei casi complice dei Mugiwara.
Per Bibi era una questione ancora calda. Fosse stato per lei, li avrebbe difesi a spada tratta, avrebbe cercato in tutti i modi di far capire a quanti li denigrassero che quei ragazzi erano degli eroi. Tuttavia, qualsiasi parola avesse speso in loro difesa, sarebbe risultata inutile alle orecchie di chi non voleva ascoltare.
Suo padre si era raccomandato di tenere un profilo basso sulla questione e attenersi al resoconto della Marina e del Governo, senza raccogliere provocazioni o dibattiti controproducenti. E lei era conscia che in quanto erede al trono di Alabasta doveva mettere al primo posto il benessere e la stabilità del suo regno.
Sorrise, tornando alla realtà e scacciando tutto quel rimuginare. Se pensava a Rufy e agli altri, loro le avrebbero assicurato che andava bene così, perché avevano affrontato nemici peggiori di qualche fandonia o maldicenza.
 
 
 
Il tempo dell’aperitivo trascorse più piacevolmente. Drappeggiata nel suo comodo ed elegante vestito e stretta in uno scialle ricamato, Bibi rimase ad ascoltare i cambiamenti avvenuti sotto la nuova autorità di Dorton e qualche confidenza sul nervosismo che quella riunione gli stava provocando. Andarono avanti per un po’ finché alcuni uomini abbigliati similmente al neo re di Sakura Kingdom non reclamarono la sua presenza. La principessa stava ancora fissando la sua grande schiena andarsene, persasi con nostalgia nei ricordi del proprio viaggio, quando si sentì nominare poco più in là.
« Papà! » esclamò, seguendolo con lo sguardo mentre si avvicinava in compagnia di Igaram e di una donna che non aveva mai visto. Quest’ultima le sorrise con una sfumatura maliziosa a incresparle gli angoli delle labbra.
« Sei cresciuta parecchio Bibi » esclamò in tono confidenziale, per poi rivolgersi a suo padre. « Per fortuna ha preso tutta la bellezza di sua madre » ridacchiò dando una leggera gomitata a Cobra. Questi la guardò con apparente aria indispettita, ma il tremolio alle labbra lo tradì presto e prese a ridere anche lui.
« È bellissima come la mia Titi… ma fidati che il suo caratterino è merito mio » motteggiò, mentre Igaram alle sue spalle alzò gli occhi al cielo, a metà tra il divertito e l’aver rinunciato a mantenere una parvenza di serietà. Quando intercettò lo sguardo smarrito e un poco imbarazzato della principessa, si schiarì la gola per richiamare l’attenzione del re per le dovute spiegazioni.
« Lei è la responsabile del Reverie e mia vecchia amica, Chamomile. L’hai conosciuta quando eri piccola, ma non so se ti ricordi di lei »
Bibi si inchinò in segno di rispetto, non staccandole gli occhi di dosso. La donna dimostrava una cinquantina d’anni, nonostante lo scintillio negli occhi nocciola le ricordasse quello dei bambini monelli. La montatura spessa degli occhiali si intonava al caschetto di capelli color ciliegia che le incorniciava il viso tondeggiante. Indossava una camicia zaffiro con un raffinato fiocco al colletto, una gonna nera aderente a vita alta ornata di una spessa cintura sulla cui fibbia era cesellata una margherita. A coprirle le spalle aveva il giaccone bianco tipico dei marine e molte onorificenze sul lato anteriore. Ciò che impressionò un po’ la ragazza fu la sua gamba sinistra. Dal ginocchio in giù aveva una protesi in legno finemente modellata, ricca di intarsi a motivi floreali che terminavano in una falsa decolté liscia.
« Se te lo stai chiedendo la risposta è no. Quando compro delle scarpe nuove non mi fanno sconti » rise Chamomile, smorzando un po’ la tensione, anche se Bibi accennò appena un sorriso insicuro. « È successo molti anni fa, non ti crucciare. Quando non sono stata più utile in Marina mi hanno ringraziata regalandomi qualche grado » e nel dirlo si indicò il petto della giacca dove svettava il decoro da Vice Ammiraglio. « Per poi silurarmi a Marijoa a occuparmi di voi teste calde agghindate » ironizzò senza perdere la sua aria gioviale. « Per fortuna ho conosciuto subito un re saggio e serio che mi ha salvata da tutta la puzza sotto il naso che si respira qui » concluse, con quel suo tono a metà tra un complimento e la più grande delle prese in giro.
Bibi finì con l’unirsi alla risata generale. Non si aspettava di incontrare una personalità del genere in quel covo di austerità e compostezza. Chamomile sembrava a suo agio a sghignazzare e a dare del tu indiscriminatamente, infischiandosene delle etichette. Ripresero presto a chiacchierare e la principessa dai capelli azzurri ascoltò con curiosità.
« Preparatevi, quest’anno sarà il più lungo Reverie della storia. Il Governo ha inviato una lista interminabile di argomenti da sottoporvi e farvi approvare che non ne verremo più fuori. Alcuni sono davvero assurdi, come il colore delle divise della servitù qui a Marijoa durante il Summit o il riconoscimento del Light Blue Paradise come allucinogeno. Già le discussioni serie provocano non pochi battibecchi, con inezie simili ne usciremo pazzi »
Cobra, al suo fianco, fu solidale nel suo sospiro paziente.
« C’è speranza di cominciare domani? »
Ma dal tono stesso del re di Alabasta si intuì che conoscesse già la risposta.
« Ci speri sempre, eh? » ribatté l’amica, dopo essersi concessa una risata ironica e priva di brio. « Quest’anno mi sono preparata e ho ingaggiato un paio di comici e qualche saltimbanco a intrattenervi, visto che il sovrano di Dressrosa ci farà penare la sua presenza per almeno i prossimi due giorni. E finché non saranno arrivati tutti i partecipanti non si inizierà un bel niente » spiegò, rivolgendosi di più a Bibi che seguiva dubbiosa.
« Ma non era oggi il giorno ultimo per arrivare? » domandò ingenuamente quest’ultima. Chamomile si profuse in un sospiro di immensa compassione.
« Sì, e anzi, non mi sembra mai vero che il novantanove percento di voi rispetti questa richiesta. Ma il re di Dressrosa prende il Reverie per una pagliacciata. E visto chi è non mi sorprende »
Il solito tono ilare della donna pareva essersi spento, sostituito da uno molto meno cortese. Perfino Cobra si era indispettito, ma si trattenne dal dire qualcosa di offensivo verso terzi.  
Chamomile stava per riprendere la sua invettiva sproloquiale per lasciarsi alle spalle l’ultimo discorso, quando un omone in divisa la distrasse, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Lei annuì, per poi sogghignare visibilmente eccitata.
« Parlando di ritardatari… sembra che uno dei piatti forti di questo Reverie stia per fare il suo ingresso »
L’atmosfera di chiacchiericcio generale della sala fu improvvisamente interrotto da un trillo metallico che richiamò l’attenzione dei presenti verso l’ingresso, dove un uomo vestito da ciambellano si schiarì la voce da soprano. Molti sbuffarono stanchi, ormai abituati a quel cerimoniale che si consumava ogni volta che si palesava un nuovo partecipante.
« Cortesissimi signori e dame, la Sacra Terra di Marijoa accoglie con gioia l’arrivo di sua maestà la Regina Coralia del regno di SubAquaea e sua figlia, la Principessa Neptunia! » gridò stridulo e a pieni polmoni l’incaricato, per poi voltarsi e profondersi in un inchino con cui sbatté quasi la fronte a terra.
Nel salone si levarono bisbigli, ma gli occhi di tutti rimasero fissi sull’uscio. I grandi e pesanti battenti della porta scivolarono sui cardini accompagnati da due attendenti. La luce dei grandi lampadari non arrivava a illuminare adeguatamente oltre la soglia, lasciando l’androne in penombra.
Come se qualcuno avesse appena lanciato un incantesimo, il silenzio calò e si sentì solo un suono regolare di tacchi e dei passi cadenzati a seguire. Le teste dei presenti si tesero e la stessa erede di Alabasta faticò a trovare uno spiraglio da cui seguire la scena. Tuttavia, quando le due nuove venute varcarono la porta, tutti trattennero il fiato.
Un profumo di mare, intenso e travolgente, accompagnò l’ingresso di Coralia Seaheart, la donna più bella e affascinante che Bibi avesse mai visto. Ogni dettaglio in lei denotava un carattere forte e un orgoglio che avrebbe fatto impallidire il più spavaldo degli uomini. I lunghi e setosi capelli corallo erano severamente raccolti in un’acconciatura articolata da intrecci e impreziosita da fili di perle, che le lasciava il volto roseo scoperto e privo di imperfezioni. Le labbra, piene e rosse, dalla forma ammaliante, erano statiche, impercettibilmente arricciate agli angoli in una nota che la ragazza non seppe interpretare se autorevole o infastidita. Più su, il taglio degli occhi, il loro colore e l’autorità dello sguardo dominarono la sala e il respiro di molti dei presenti. Nonostante il turchese di cui brillavano, parevano due braci pronte ad ardere chiunque avesse osato incrociarli.
Per nulla sensibile all’effetto provocato semplicemente dalla sua figura, la Regina di SubAquaea camminò algida e imperiosa fino al centro della sala. Il mantello, il quale dava l’idea di avere vita propria, fluttuando nell’aria come se fosse stato sott’acqua, si aprì ad ogni passo lasciando sfoggiare al corpo scultoreo e provocante l’abito da sera rosso. La profonda scollatura oltrepassava il seno generoso, reso seducente dal pizzo che lo copriva sensuale, mentre uno spacco che partiva appena sotto l’anca lasciò intravedere quanto bastasse delle gambe per far arrossire i dignitari presenti senza alcuna vergogna. Perfino Pell, sempre così ligio e composto, si trovò a disagio.
Rimasta ammaliata lei stessa dalla silhouette superba della donna, Bibi si ricordò solo dopo che insieme alla regina era stata presentata anche la figlia di quest’ultima. Furono in pochi a voltarsi verso il resto del corteo di SubAquaea che avanza adagio e solenne. La ragazza dai capelli azzurri ci mise un po’ a individuare la principessa del regno marino, aspettandosi inconsciamente un’altra figura altera e irraggiungibile. Ma la giovane figlia di Coralia sembrava il suo esatto contrario.
Con lo sguardo basso e le gote arrossite dall’imbarazzo, Neptunia aveva il viso ancora acerbo incorniciato da una nuvola di capelli morbidi e color giada. Gli occhi erano la copia di quelli della madre, ma ingenui e piantati a fissare il pavimento. Era abbigliava in un vestito rosa antico che le lasciava le spalle nivee scoperte, ma ciò che attirò di più l’attenzione di Bibi fu il particolare che fosse portata in braccio da un imponente uomo pesce.
« Ooh » sospirò con trasporto e una nota di pazienza una voce vicino a lei, distraendola dalla scena da cui tutti non sembravano in grado di sottrarsi. Si rese conto che il silenzio era davvero irreale mentre si voltava a fissare chi aveva parlato. Chamomile. « Credo che il dovere di salvare questa situazione di stallo tocchi a me » ridacchiò appena. Ma prima di farsi largo tra la folla e andare a rompere il ghiaccio quasi letteralmente formatosi, si voltò un’ultima volta verso la giovane con fare complice e salutandola con un occhiolino.
« Questo sarà davvero un Riverie da pelle d’oca »
 
 
 
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Conqueror: dall’ing. “conquistatore”
- Hime-sama: dal giap. “hime” è principessa, mentre “-sama” è un onorifico.   
- Chamomile: dall’ing. “camomilla”.
- Light Blue Paradise: dall’ing. “paradiso azzurro”  
 
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Nove pagine in poco più di una settimana! Anche se cinque vengono da vecchi capitoli, quindi ho un po’ barato! *grin*
Prosegue la storia dei Mugiwara, con Zoro protagonista anche se non gli va proprio bene! Il capitano della Conqueror gli da del filo da torcere, mentre la nostra Mizu sta realizzando in che casino si è andata a cacciare.
La seconda parte forse è un po’ lunga e lenta, ma ce l’avevo in mente da un po’! Ritornano Bibi, Pell, Igaram e Cobra! Si presenta una spumeggiante Chamomile (personaggio letteralmente venuto fuori dal nulla!) e fa il suo ingresso la meravigliosa e quasi letale Coralia, insieme a… sua figlia! Mi servirebbe una musica di sottofondo *lol*
Da adesso i capitoli avranno una narrazione divisa tra l’azione e i dibattiti del Reverie. Spero che questi fili di trama vi piacciano, perché ci saranno tante cose da tenere a mente! =)  
 
Come sempre i dovutissimi ringraziamenti a jillianlughnasad e Nic87 per le loro recensioni!    
 
 
 
Note. Stavolta non vi salvate:
 
- Conqueror, Kameoshi, ecc: in un modo non proprio consono, i Mugiwara hanno raggiunto i Tori Rossi. Zoro è a bordo di una delle tre navi di Oushiza, la Conqueror. Ho avuto in mente fin da subito come sarebbero dovuti apparire i Tori Rossi: filibustieri della peggior specie, potenti e feroci. E le loro imbarcazioni non sono da meno!
Kameoshi, come dice, è il braccio destro di Oushiza e capitano della Conqueror. Non vi svelo adesso il suo potere, ma forse dalla descrizione si può intuire ;)
Mi vergogno un po’ a dire che non ricordo perché l’ho chiamato così! Non del tutto almeno…! *spoiler*
 
- Reverie: ecco una delle piccole licenze che mi sono presa. Nel manga, il Reverie è l’assemblea a cui partecipano tutti i regni facenti parte del cosiddetto “Governo Mondiale”. Secondo le info che ci da Oda-sensei, il summit si svolge a Marijoa ogni quattro anni, e in teoria dovrebbe avvenire a breve nel manga.
Qui nella mia storia l’ho anticipato =) Chiedo perdono, esigenze di trama!
NB: quando nella storia cito ogni tanto il “Governo” (senza “Mondiale”) mi riferisco ai Quattro Astri di Saggezza, che da quello che ho capito rappresentano l’oligarchia nel manga di One Piece, coloro a cui spettano le decisioni finali, come l’approvazione del Cleansing. In questo capitolo sono loro che hanno redatto la “lista infinita di argomenti” di cui parla Chamomile.   
 
- Bibi, Pell, Igaram, Re Cobra: chi non muore si rivede, soprattutto il Falco di Alabasta! Ho amato sinceramente Oda-sensei quando ha fatto intendere che fosse ancora vivo!
Mi sono dilungata un po’ in una parte dedicata a Bibi e Pell perché il loro rapporto mi piace un sacco. Bibi sta diventando pian piano un’adulta in tutto, e questo Reverie, il suo primo da rappresentante ufficiale di Alabasta, la metterà alla prova. Spero di averla resa al meglio =) Mi sono risfogliata un po’ i volumetti in cui appare per rifarmi un’idea, come anche degli altri.
Tenete d’occhio Re Cobra… perché ha delle sorprese in serbo!  
 
- Dorton e Sakura Kingdom: Dorton (o Dalton in inglese, ma mi sono attenuta alla versione italiana) era l’ex capo delle guardie di Re Wapol di Drum, ora diventato re del regno che ha dato i natali a Chopper. Non ricordavo che Drum fosse stata ribattezzata Sakura Kingdom, e l’idea di inserirlo al Summit mi è piaciuta moltissimo.
 
- Chamomile: vi presento la signora “Camomilla”, la cui personalità è quasi tutto il contrario del suo nome! Questa simpatica donna di mezza età è nata mentre scrivevo: avevo bisogno di una “paciera” all’interno del Reverie, immaginandomelo turbolento e sempre a rischio catastrofe. È una donnina intelligente, “silurata”, come dice lei, dopo aver perso una gamba (qui l’immagina da cui mi sono ispirata per la protesi: http://heavenlyeve.tumblr.com/post/110433789631/protesi-in-legno-realizzata-dallo-stilista), a gestire il Summit Mondiale. In fondo è molto diplomatica e sa cosa è giusto fare.
Ho voluto che stringesse amicizia con Re Cobra perché lo reputa davvero un regnante capace, oltre che simpatico, e un alleato per superare i giorni di dibattito erano d’obbligo! Ho in mente delle scenette a cui spero di poter dar spazio!
 
- Light Blue Paradise: ah… ecco… qui mi sono autocitata *lol* Nella precedente versione di “Heavenly Eve” c’era un capitolo che ho reputato inutile reinserire e che ho trasformato. Il Light Blue Paradise era un fiore da cui si ricavava una specie di sostanza rilassante e che cresceva sull’isola di Rakuen e, dove i Mugiwara si fermavano alla ricerca di informazione sui Tori Rossi. Ho eliminato tutto, trasformando Rakuen in Koujin… però l’idea iniziare di questo “Fiore del Cielo”, il cui ricavato di poteva o bere o fumare e che come risultato inebriava i sensi e dava un’aria assente, mi piaceva… e qui Chamomile dice che secondo il Governo durante il Reverie si dovrà decidere se ritenere il Light Blue Paradise come un allucinogeno o meno.
*tana per l’autrice*
 
- Sovrano di Dressrosa: mi riferisco al nostro fenicottero (quasi) preferito, Donquixote Doflamingo, per gli amici Mingo. Secondo Chamomile (e secondo me), Doffy prende il Reverie per una pagliacciata, essendo lui un pirata in primis. Ne vedremo forse delle belle… intanto il fenicottero fa attendere la sua presenza, come di routine.  
 
- Coralia e Neptunia Seaheart: vi avverto, potrei scrivere papiri su Coralia, ma mi conterrò. Chi si ricorda di lei? Nominata nel Prologo da Irwin, nel Capitolo 6 da Shirami…
Regina (incontrastata u.u/) di SubAquaea, ha un passato di cui ho menzionato qualche frammento significativo qui e lì, ma che più avanti verrà ampliamente spiegato. L’ho sempre immaginata come nella descrizione qui sopra, fiera e autoritaria, bella da lasciare stecchiti. Più avanti Chamomile spiegherà perché la sua partecipazione al Reverie è tanto importante.
E poi la giovane Neptunia, dal nome molto altisonante. Anche i suoi dettagli li spiegherò a breve, nei prossimi aggiornamenti.
 
 
 
 
 
E anche questo è finito! Sono eccitata, la storia sta entrando pian piano nelle maglie fitte della trama, dell’azione, dei misteri! Vorrei potervi trasmettere quanto tutto questo mi esalti (stupidamente)!
 
Gli aggiornamenti continueranno irregolari purtroppo. Cercherò di dare il meglio che posso!
 
 
 
Bacioni!
Nene

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Capitolo 12
*** Capitolo X - Tori Rossi ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo X -
[Tori Rossi]
 
 
 
 
 
 
Quello che si poteva ammirare dalla Thousand Sunny era un paesaggio surreale e pacifico. Il mare si stendeva piatto come una tavola, brillando sotto il sole del primo pomeriggio, mentre il cielo conservava solo poche tracce della tempesta appena passata. L’Arcipelago Sandan non era più visibile all’orizzonte, il fumo dell’incendio si era dissolto in nuvole bigie lontane e il silenzio recava solo il ricordo dei risonanti allarmi.
A bordo del veliero le condizioni non erano delle più rosee. Le vele sbrindellate pendevano immobili, abbandonate da qualsiasi alito di vento. Delle numerose sartie, solo alcune erano intatte e mantenevano stabile l’albero maestro; le restanti oscillavano appena nel vuoto o si trovavano disseminate per il ponte come tanti serpentelli morti. Il parapetto recava ancora i danni della cannonata e in più punti le paratie erano state rattoppate alla bell’e meglio per evitare allagamenti.
Ciò che sarebbe stato difficile rimettere in sesto era l’umore del gruppo, vacillante tra la rabbia di non poter fare nulla e la preoccupazione.
« Insomma! Tra quanto partiamo!? »
Il tono leggermente alterato e lamentoso di Rufy si levò alto nella cucina. Tra i membri seduti o appoggiati in giro per la stanza mancavano ancora all’appello Mizu e Zoro, e qualsiasi notizia sulla loro situazione: se fossero vivi, dispersi, o in attesa di essere raggiunti chissà dove.
Per questo motivo il resto dell’equipaggio era lì nella cambusa da quasi un’ora a lambiccarsi su come potersi muovere: con la nave in condizioni rovinose era un’impresa pressoché insperabile, principalmente per le vele del tutto inutilizzabili a trattenere anche la più piccola folata di vento. Vento che soffiava fin troppo debolmente, come puntualizzò il cuoco.
« Razza di stupido » rispose al capitano Sanji, i nervi a malapena trattenuti, mentre si accendeva l’ennesima sigaretta buttando di malagrazia il cerino nel lavello. « Hai sentito quello che abbiamo detto finora? La Sunny è troppo malridotta per riuscire a navigare. Tralasciando che senza vento è impensabile muoversi »
Cercava di ostentare una certa pazienza. Impresa straordinaria dopo aver saputo del gesto di Mizu e del folle piano di Zoro, probabilmente morto affogato nella tempesta a cui loro erano sopravvissuti a fatica.
Ma lo dubitava. Come gli altri, d'altronde. Era una delle poche certezze su cui la ciurma tacitamente concordava, e il cuoco si augurava che quello squinternato fosse in grado di proteggere la sua ninfa da qualsiasi pericolo.
Si liberò i polmoni dall’acre fumo della sigaretta, riportando la cicca alle labbra mentre fissava le spire grigiastre dissolversi nell’aria. Si fidava dello spadaccino, in fondo. Sapeva che non si sarebbe fatto ammazzare e avrebbe impedito che alla Figlia del Mare capitasse alcunché. Purtroppo, l’inquietudine rimaneva, e c’era poco da fare. Solo aspettare ed escogitare un piano per raggiungerli.
« Ci sono i remi! » esclamò Rufy nel frattempo, saltando in piedi. « Usiamo quelli! »
La sua testa gommosa scattò a destra e a sinistra in cerca di consensi. Che non giunsero.
Nami rimase ferma dov’era, con i gomiti sul tavolo e le mani affondate nei capelli rossi. Teneva il capo basso, continuando a pensare e ripensare in barba alla dolorosa emicrania che le trapanava le tempie.
« Con i remi avanzeremmo troppo lentamente e non potrete reggere a lungo » mormorò in tono incolore, senza scostarsi di un solo centimetro da quella posa arrendevole. « Ormai le navi dei Tori Rossi saranno lontane » rifletté infine, come un’ultima stoccata, involontaria ma veritiera, da infliggere ai compagni.
« Allora cosa facciamo? » pigolò affranto Chopper, guardando con occhi tristi ognuno di loro nella speranza che qualcuno se ne uscisse con una buon piano. Al suo fianco, immobile come la navigatrice, Usopp se ne stava seduto sul lungo divano con braccia e gambe incrociate, meditando. Poco più in là Brook sorseggiava silenzioso il suo tè. Dalla parte dell’ingresso, in piedi a rimuginare, Franky aveva già aggiustato la nave come poteva, ma il materiale scarseggiava e non avevano vele di ricambio. Cucirle era improponibile, tanto erano ridotte male. E il tempo continuava implacabile a scorrere via.
« Questo non è super per niente » considerò tra sé, le braccia sempre serrate intorno al petto.
« Non possiamo fare niente » sussurrò la rossa, abbassando ancora di più la fronte, sentendosi sconfitta dagli eventi. Un funereo senso di colpa pulsava amaramente in lei assieme al mal di testa.
« Forse sì, invece »
A uscirsene con quel pacato spiraglio di speranza, e ad attirare l’attenzione di tutti, fu Robin. Fissa a osservare l’orizzonte fuori dall’oblò, aveva la tazza di caffè ferma a mezz’aria.
« Ridotti in questo stato possiamo davvero inventarci qualcosa? » domandò di rimando Nami, trattenendo una risatina aspra e stanca.
« Aspettare » fu la semplice risposta, data con un sorrisino calmo e indolente.
L’archeologa non aveva staccato lo sguardo dal panorama nemmeno un secondo, e riprese persino a sorseggiare nella stessa posizione. Gli sguardi scettici da parte della ciurma non mancarono e poco dopo, spinti dalla curiosità, si avvicinarono tutti a un’altra finestrelle della cucina. E finalmente, in parte, compresero.
In lontananza qualcosa solcava il mare a gran velocità. Un puntino quasi insignificante che cominciò ad acquistare una certa consistenza, finché, con gli occhi sbarrati, i ragazzi riconobbero l’enorme silhouette di Seal. Sul suo dorso, legata con un fascio di cinghie, vi era una conchiglia spropositatamente grande sulla cui sommità era seduta una forma umanoide mignon rosa confetto.
« E’ Obacchan! » esclamò per primo Rufy, e fu sempre il primo a schizzare fuori sul cassero, seguito dal resto dei compagni ripresisi in un lampo dal torpore della sconfitta.
La bianca foca extralarge continuò la sua folle corsa verso il semi-relitto del brigantino, senza accennare minimamente a rallentare. Usopp, osservando la massa della creatura farsi ogni metro più voluminosa, deglutì con una piccola perla di sudore freddo a bagnargli la tempia.
« O-ohi… » balbettò, quando ormai il mostro marino era a un passo da quello che lui considerava il punto di non ritorno. Eppure, pareva che Seal mirasse proprio a travolgere la Thousand Sunny.
Le urla che si levarono dalla vecchia sul suo dorso diedero quasi voce a quell’intenzione.
« DISGRAZIATO FIGLIO DEL DIAVOLO! » sbraitò infatti Kamome, quando ormai la si poteva distinguere chiaramente con i suoi capelli verdastri e il gabbiano narcolettico saldamente ancorato a essi. Sembrava davvero furiosa, e a sottolinearlo aveva un lungo bastone nodoso rosso corallo che agitava contro di loro.
« Ehi! Ci sta venendo addosso! FERMATI! » strepitò il cecchino, rivolgendosi prima ai compagni e poi puntando un dito tremante in direzione di Seal. Le sarebbero bastati due poderosi morsi per fare della povera nave distrutta un misero ricordo. Al suo allarmismo si unirono Chopper e Brook, quasi arrampicandosi l’uno sull’altro.
Tuttavia, la smisurata creatura parve ascoltarlo. Si bloccò senza alcun preavviso, come se avesse sbattuto contro un solido muro invisibile, liberando un energico barrito che increspò il mare circostante e assordò chiunque nel raggio di un chilometro. A non fermarsi fu però la sua padrona. Sfruttando l’arresto immediato della sua foca, Kamome si scagliò come un proiettile sul brigantino, un’aria seriamente arrabbiata a contrarle il viso rugoso.
Sulla Sunny l’equipaggio si divise di scatto in due, ma chi non evitò la collisione, troppo preso a fissare quel missile rosa-verdastro avventarglisi contro, fu Rufy. Il bastone dell’Obacchan, proteso come una lancia di una giostra medievale, affondò nel petto gommoso del capitano ed entrambi ruzzolarono via lungo il ponte erboso.
« DOV’E’ MIZU!? » tuonò l’anziana troneggiando sullo stomaco del moretto, steso a terra come svenuto. I suoi compagni si fissarono sconcertati, non riuscendo a comprendere in che modo una semplice caduta – che a persone normali avrebbe rotto l’osso del collo – avesse ridotto a uno straccio il futuro Re dei Pirati.
Rufy non sembrava capace di comporre una frase se non di mugolii e la vecchia Kamome sollevò dal torace del ragazzo la punta del suo bastone quel tanto che bastò a fargli prendere fiato. Un attimo dopo, tuttavia, gli sferzò un colpo in testa con l’estremità nodosa e spessa.
« SCIAGURATO! TI AVEVO AFFIDATO MIA NIPOTE! COSA LE E’ SUCCESSO!? »
La vecchia Obacchan era rossa di rabbia, ma soprattutto preoccupata. Pochi si chiesero come facesse già a sapere della mancanza di Mizu a bordo; gli altri optarono per intervenire e sedarla prima che ammazzasse il capitano. Ma fu proprio quest’ultimo a parlare, senza difendersi.
« Ha deciso di andare da Matt »
Rufy rispose piatto, fissandola dritta in faccia privo di alcuna espressione. La vecchia, passato lo shock iniziale per la notizia, gli rifilò una seconda legnata, ma il ragazzo non emise un gemito.
« E’ così che aiuti la mia gabbanella, maledetto pirata!? » inveii. Non sembrava in grado di trattenersi, perché percosse ripetutamente la testa del moretto insultandolo a ogni colpo.
« Ohi, ‘bacchan, basta così! »
A mettersi in mezzo fu Franky, fermando l’arma dell’anziana prima che calasse ancora. Poco dietro, Nami e il trio Usopp-Chopper-Brook fissavano attoniti la scena, mentre Sanji tradiva il nervosismo tamburellando il piede a terra. Robin era l’unica a osservare il tutto con apparente distacco e pazienza.
Dal canto suo, seppur impossibilitata ad accanirsi ancora sul moretto, la vecchietta non si arrese.
« Come ho potuto fidarmi di voi pirati quando siete stati proprio voi a rovinare la vita di mia nipote! »
Se un fulmine fosse caduto in quel momento sulla Sunny, avrebbe scosso gli animi dell’equipaggio molto meno di quanto fecero le parole ricolme d’odio della vecchia Figlia del Mare. Tutti trattennero il fiato, colpiti alla stregua di uno schiaffo sul viso.
« Adesso si esagera! » ringhiò Sanji, i denti talmente serrati che il mozzicone rimasto della sigaretta sembrò sul punto di cadere a terra spezzato in due.
« Non potevamo fermarla! Diglielo, Nami! » ribatté a sua volta il cecchino, alterato e rosso in volto, cercando sostegno dalla compagna. Ma la navigatrice seguitò nel suo silenzio, tenendo basso lo sguardo.
Con lo stesso silenzio rispose Rufy, gli occhi coperti dalla frangia scompigliata.
« Con Mizu c’è Zoro. Finché non raggiungeremo il toro, ci penserà lui »
Il tono che usò, ancora una volta, non trasmise nessuna preoccupazione, se non una forte fiducia nello spadaccino. Per i compagni, altrettanto, fu un tacito ordine di calmarsi.
Rimasta leggermente confusa, perfino Kamome dovette accettare suo malgrado la sicurezza del moretto, come una freccia il cui unico obiettivo era colpire la consapevolezza altrui e rimanere fissa lì. E non scherzava. Non era mai stato nel suo interesse farlo. Credeva fermamente in ciò che aveva detto.
Per questo, sbuffando come una teiera, scese dal suo stomaco permettendogli di rimettersi in piedi. Ma prima di lasciarlo stare, lo punzecchiò un’ultima volta allo stomaco con l’estremità minore del bastone. Fu un semplice contatto, ma tanto bastò a sbilanciare il ragazzo e a farlo quasi crollare contro il parapetto della nave. Qualcuno intuì di cosa potesse essere fatta la punta di quell’arnese. Agalmatolite.
« Salverai Mizu e suo figlio » sussurrò l’anziana, guardandolo fisso con occhi penetranti.
Rufy ricambiò lo sguardo, annuendo.
Per la ciurma fu come concedersi un sospiro di sollievo vedere la vecchia invasata riconciliare le rughe del viso alla quotidiana austerità, come se uno dei loro interminabili problemi fosse stato cancellato dalla lista delle sciagure. Purtroppo però, la dura realtà si ripresentò più invalicabile che mai.
« Come possiamo muoverci da qui? » pigolò Chopper, guardando dal basso della sua statura i compagni e ridando voce al fulcro dei loro guai.
Sembrava che la cappa di negatività che aveva pesato su di loro dalla fine della tempesta dovesse tornare a prendere vigore. Il cecchino sparò qualche piano strampalato, cercando di tirare su il morale. Nel mentre, Nami, dopo aver scambiato un’occhiata significativa con Robin, che le aveva fatto un cenno sorridente verso il mare, aveva tirato da parte Franky. Le gote della navigatrice abbandonarono il colorito pallido, sfumandosi di una nota di impaziente buon umore.
« Questo è super! » commentò il carpentiere con uno scintillio negli occhi e abbastanza decibel da attirare l’attenzione di tutti.
« Seguite le mie istruzioni e li raggiungeremo prima di sera » fu tutto ciò che disse la rossa come spiegazione, dando loro le spalle, e appoggiandosi alla balaustra della nave. Con un rinnovato sorriso fece l’occhiolino a chi, durante la discussione, aveva atteso in silenzio.
Mezzora più tardi, l’orizzonte in cui erano spariti i velieri dei Tori Rossi si fece all’improvviso molto più vicino.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Non poteva dire che le ore fossero scivolate via, ma che fossero state monotone, spiacevoli e irritanti, sì.
Roronoa Zoro, seduto immobile ai piedi delle sbarre in posizione meditativa, teneva l’orecchio concentrato sui diversi scricchiolii che animavano la Conqueror. Nonostante per i suoi standard l’ambiente in cui era rinchiuso e la situazione fossero perfetti per dormire, non aveva ancora chiuso occhio. Poteva dare l’idea di una cosa assurda rimanersene ad ascoltare, ma con solo quel passatempo aveva capito diverse cose della nave su cui si trovava. Un esempio, e probabilmente la maggiore e sventurata delle sue scoperte, era dato dal ritmico rumore che in più di mezza giornata li aveva assillati. Un motore a vapore.
Quando aveva compreso di cosa si trattasse non aveva potuto che imprecare a denti stretti. E per due buoni motivi. Se quel viscido del vice-capitano Kameoshi era ricorso alle pale motorizzate doveva essere per mancanza di vento. Ciò nondimeno significava che loro stavano avanzando, e anche a velocità sostenuta, mentre la Sunny restava inchiodata da qualche parte.
Fosse stato solo per se stesso, non si sarebbe dato gran pena. Non era la prima volta che si trovava circondato da nemici e disarmato. Qualcosa si sarebbe inventato.
Il problema era un altro, taciturno e singhiozzante in un angolo dalla loro cattura.
Rannicchiata con le gambe serrate al petto, Mizu aveva il viso chino sulle ginocchia e velato dai capelli. Non aveva levato lo sguardo, né proferito parola. Versava lacrime e ingoiava singhiozzi come se avesse potuto disturbare qualcuno. Perfino quando erano passati alcuni scagnozzi dell’uomo invisibile a mollare loro due scodelle di rancio e si erano presi la briga di apostrofarla, lei si era limitata a ripiegarsi di più su se stessa. I pochi tratti di pelle visibile rilucevano pallidi e perlacei contro il legno scuro del veliero, facendola assomigliare a un fantasma corporeo. Pur di sparire da lì avrebbe fatto di tutto.
Un improvviso e penetrante fischio ridestò l’attenzione di Zoro, ancora a capo chino con gli occhi chiusi come stesse schiacciando un sonnellino. Non ci fu però bisogno di molta concentrazione per capire quello che stava succedendo. Il suono acuto e prolungato appena lanciato era stato seguito da una scossa diffusa per tutto lo scafo; nella parte delle celle gli anelli delle catene sparse in giro avevano vibrato e tintinnato tra loro, creando il sottofondo macabro su cui si erano elevate dapprima le voci disordinate dei pirati di bordo e a seguire le urla eccitate che avevano accompagnato il lento rallentare del galeone.
Erano giunti da qualche parte, pensò il prigioniero, alzando la testa nell’udire passi rumorosi venire nella loro direzione. La Figlia del Mare, se possibile, si raggomitolò ancora di più, sussultando.
L’ambiente che li conteneva non era molto spazioso. C’erano, compresa la loro, solo altre due celle vuote. Su due grezze mensole affiancanti la porta erano disposti strumenti di tortura arrugginiti e macchiati, mentre alle pareti erano stati fissati una dozzina di chiodi delle dimensioni di un dito indice: attorno a ognuno di questi pendevano oscillanti altrettante manette ossidate, sferragliando tra loro come il battere ritmico dei secondi in un orologio. L’odore di salsedine e chiuso impregnava l’ambiente sporco di sangue rappreso.
Quando la porta della segreta fu spalancata, quelle stesse catene vibrarono freddamente, accogliendo gli sghembi sorrisi della feccia scesa a infastidirli.
Zoro, continuando a dar le spalle all’uscio, socchiuse appena un occhio gettando uno sguardo obliquo verso i quattro manigoldi ridacchianti che entrarono. Il più robusto del gruppetto, con la testa del tutto incassata nelle spalle muscolose, si sfregò le mani callose e annerite, deformando in un sorriso cattivo e giallognolo la mascella coperta di barba ispida. Si avvicinò alle sbarre non distogliendo un attimo gli occhi piccoli e stretti dalla figurina tremante di Mizu.
« Rieccoti sirenetta! » la schernì, spalleggiato dallo sghignazzare dei compagni.
La donna trasalì, come se avesse riconosciuto la voce. Nel frattempo, lo smilzo del manipolo si profuse in complimenti sconci che fomentarono maggiormente le risa degli altri due. Si unì a loro anche il primo tizio che si era rivolto alla brunetta, per poi zittirli e tornare a rivolgersi a quest’ultima.
« Non sei stata molto carina con me lì sull’isoletta dei pescivendoli. Ricordi, vero? »
La Figlia del Mare non si mosse, non rispose, le nocche ornai sbiancate aggrappate alla felpa. Con un sussulto riconobbe il pirata, lo stesso che l’aveva ferita al fianco a Tsuri Fish.
Questo si mosse ancora più vicino alla cella, osservandola con occhi leggermente appannati e lucidi. Il ghigno sulla sua bocca si sfaldò un solo istante per permettergli di umettarsi le labbra sfigurate.
« Sai bambolina » riprese, mellifluo e minaccioso al contempo « che devi farti perdonare…? »
Fu troppo.
« STAMMI- » strillò Mizu, ritraendosi come un animale percosso. Ma la sua voce si spense quasi subito, sovrastata dalle grida dei pirati, non più gaie e beffardamente espansive. La boria aveva lasciato spazio a ringhi sommessi e intimidazioni. Tutte minacce che Zoro accolse incurvando sinistramente gli angoli della bocca.
Le sue braccia, attraverso le sbarre, al momento erano impegnate intorno al collo del chiacchierone, che troppo preso a perseguitare la brunetta non aveva reagito in tempo al suo attacco fulmineo. Rimanere in disparte aspettando una chance aveva dato i suoi frutti.
« Mollalo! » ordinò uno degli ometti, sguainando uno spadino dalla lama opaca. Al suo vano comando si mescolarono quelli dei compagni, paonazzi e allarmati dal colorito cianotico che il quarto di loro stava acquisendo. Le dita tozze del malcapitato annaspavano sulla presa ferrea del marimo, graffiandolo appena, senza tuttavia sortire alcuna reazione.
« Sta calmo o ti ammazzo subito » sussurrò Zoro all’orecchio dell’ostaggio in un impercettibile movimento delle labbra. « Dove sono le mie spade? » fu la prima domanda che rivolse al resto del gruppetto. La sua espressione era tornata totalmente seria, oscurata da un’ombra di avvertimento che ammutolì i pirati nemici. Questi tre deglutirono, guardandosi incerti. In mancanza di una rapida risposta, il prigioniero sottolineò la sua minaccia premendo con maggior forza il braccio destro contro la trachea del disgraziato. Un mugugno sofferente fu più utile di qualsiasi intimidazione verbale.
« N-Nella cabina del capitano Kameoshi! » strillò lo smilzo come una femminuccia, guadagnandosi le occhiatacce dei compari.
Doveva immaginarlo, pensò Zoro. Non allentò la presa sul pirata, né fece altre domande. Il terzetto davanti a lui aveva iniziato ad accapigliarsi su responsabilità e punizioni, ignorando del tutto lo spadaccino. Egli fece altrettanto. Si concesse di riflettere qualche secondo sulla prossima mossa, prima di tornare al presente e quasi assestare il colpo di grazia al suo ostaggio.
« Datemi le chiavi della cella » intimò, focalizzando il suo sguardo duro sull’uomo dinoccolato, punto debole della combriccola. Come aveva previsto, gli bastò accentuare appena l’espressione diabolica e la pressione sull’omone, ormai svenuto contro le sbarre, per farlo correre. Correre verso la porta della piccola segreta, ripetendo febbrile tra sé “chiave, chiave, chiave” come un invasato.
Era appena sparito, quando risuonò nell’ambiente teso un forte gemito che colse tutti alla sprovvista.
Passò un istante, e il corpo del pirata volò attraverso la stanza da cui era uscito, cozzando contro la seconda cella e scivolando a terra svenuto. I compagni dello smilzo fissarono a occhi sgranati la scena e le armi caddero loro di mano. Impalliditi dalla testa ai piedi, rivolsero lo sguardo all’uscio. Naturalmente vuoto.
Zoro aveva già capito e non si scompose. Abbandonando la presa sul filibustiere svenuto, fu con impassibilità che assistette a ciò che seguì.
Una forza invisibile afferrò i due restanti uomini per la gola, sollevandoli da terra. Questi piagnucolarono senza dibattersi, chiedendo venia, ma con uno scattò finirono entrambi contro l’ultima cella, perdendo i sensi nell’urto. Dal suo angolo, Mizu trattenne a stento un singulto dietro la mano premuta sulla bocca.
Trascorse un lento minuto, prima che una voce parlasse.
« Iniziativa interessante » ponderò la presenza nascosta e Zoro percorse con lo sguardo una porzione precisa della segreta. Sapeva dov’era. Kameoshi stava passeggiando tranquillamente sfruttando il suo potere, mentre a modo suo si divertiva a squadrare i prigionieri. Ben presto riprese la parola. « Ma mi auguro non considererai tutti i miei uomini tali nullità »
E dicendolo, non si fece scrupoli a camminare sulla mano abbandonata a terra dello smilzo; un lamento doloroso si levò dallo sfortunato ancora incosciente. Alle spalle della testa verde, la Figlia del Mare strusciò sul legno del pavimento raggiungendo di nuovo il fondo della cella. Il suo sguardo spalancato restò calamitato sulla scena.
A sbloccare la situazione appena creatasi fu un modesto scossone della nave. Alcune grida di giubilo li raggiungessero dalla coperta e a quelle si accompagnò un risolino da parte del capitano della Conqueror. La sua figura, come quella mattina, iniziò lentamente ad approssimarsi, addensando l’aria circostante.
« Ci siamo » mormorò quando ormai i suoi strani lineamenti stavano perdendo del tutto la trasparenza. Un sorriso melenso si aprì sul viso liscio, senza tuttavia sfiorare i tronfi occhi storti.
Lo sguardo di Zoro si assottigliò, fissando dritto in faccia il pirata. Kameoshi lo ricambiò con un sorriso obliquo.
« Oushiza desidera incontrarvi » disse, avvicinandosi tranquillamente alle sbarre che lo separavano dal prigioniero. « Sembra che il tuo nome abbia destato un po’ di curiosità, spadaccino Roronoa. Ma non ti offendere se il capitano deciderà subito della tua sorte »
Ormai era giunto a sfiorare la cella, senza temere il suo interlocutore, a cui dedicò solo un’ultima, superiore occhiata. Quando parlò di nuovo, le sue parole, seppur sempre dolciastre, calarono come fruste contro la donna.
« Devi sapere che si rammaricò molto per la tua fuga sei anni fa » il suo tono andò in calando, rasentando la cattiveria, come il suo sguardo fisso su di lei. « Ora però sappiamo che un’eventualità simile non si ripeterà. Potrebbe esserci qualcuno a pagare, questa volta »
Colpì nel segno con l’allusione a Matt.
Incapace di smettere di tremare, Mizu si nascose il viso tra le mani e supplicò. Frasi sconnesse, mozzate dai singhiozzi, per far richiesta di desideri irrealizzabili.
Solo suo figlio. Solo lui lontano da lì, libero da quell’inferno in cui lei era scivolata nuovamente. E sarebbe morta, in un modo o nell’altro, piuttosto che rimanerci.
Ma lui… lui doveva essere salvato, portato via. Doveva dimenticare tutto.
« Non sciuparti il visino » fu lo stucchevole consiglio di Kameoshi alle nuove lacrime della moretta.
« Ti suggerisco di goderti la tua lingua perché te la taglierò via »
La gelida stoccata di Zoro paralizzò l’aria. L’attenzione del vice-capitano tornò a focalizzarsi sul marimo, la cui collera statuaria accentuata da un ghigno cominciava a infastidirlo. Socchiuse gli occhi, squadrandolo dalla testa ai piedi come la prima volta. C’era una sicurezza lapidaria nel suo modo di comportarsi e di parlare. Riconosceva in lui soprattutto un’acuta noncuranza per il pericolo, una volontà spropositata di misurarsi con i nemici. Nel suo sguardo quasi diabolico si stagliava intramontabile la necessità di sfidare e battere chiunque gli si parasse di fronte.
A tale comprensione una smorfia si aprì sulle labbra umidicce del capo della Conqueror. Se lo spadaccino voleva morire, non aveva che da chiederlo.
Non ci furono altre velate minacce, frecciate o salamelecchi simili. Solo un ordine pronunciato ad alta voce dall’uomo invisibile, che richiamò così i suoi uomini per preparare i prigionieri.
Dopo interminabili ore chiusi in un’asfissiante stanza della nave, Zoro e Mizu furono accolti sul ponte da un cielo soleggiato e indifferente al loro destino.
 
 
 
 
 
 
 
 
Non si sarebbe aspettato un comitato di benvenuto diverso, constatò lo spadaccino guardandosi intorno senza alcun timore. Chiunque incontrasse il suo sguardo aveva stampato in faccia un riso o una malalingua pronta a sferzare. E di pirati a circondarli ve ne erano almeno duecento solo lì.
Un brusio che era più simile a risate inframmezzate da battutine serpeggiava nelle retrovie, mentre i compagni più vicini, disposti a formare un corridoio in cui lasciar passare i due ostaggi ammanettati, parlavano con toni decisamente più udibili.
« Uh-uh! Avete visto che bocconcino? »
« Di’, ma non te la ricordi? E’ la sgualdrinella di sei anni fa! »
« E quel moccioso? »
« Ho sentito che è un pirata... »
« … e anche uno con una certa taglia »
Zoro non ebbe problemi a fregarsene dei commenti, continuando a mantenere un’espressione truce che in breve smorzò le chiacchiere nei suoi confronti. Ma lo stesso non poteva fare Mizu, che camminava davanti a lui a capo chino, celando il viso dietro la cortina dei capelli arruffati. In realtà, percepiva appena i volgari apprezzamenti rivoltile: l’assordante rimbombo del cuore la stava rendendo totalmente sorda. Era la consapevolezza che se avesse alzato lo sguardo avrebbe visto lui, il mostro dei suoi cupi sogni, a ucciderla davvero. Era inevitabile, non c’era nessuna via di scampo.
E se anche le fosse stato possibile, non si sarebbe mossa da lì.
Lì, dov’era tenuto in ostaggio suo figlio.
Il piccolo drappello alla cui testa stava un tronfio Kameoshi si arrestò a pochi passi dal parapetto di tribordo. La volta sopra le loro teste era appena interrotta da qualche serena nuvoletta, il vento spirava in brezze carezzevoli e due imponenti galeoni ondeggiavano placidi affiancati alla Conqueror.
« Capitano » esordì il vice ossequioso, stirando le labbra sotto gli occhi luccicanti di avara soddisfazione. « Le ho portato la sirenetta e lo spadaccino, come richiesto »
Per un lungo momento la ciurma si mise a ululare sommessamente, imitando il coro di un rito esotico a ritmo di tamburi. La Figlia del Mare non resistette al crescere della tensione e fece un passo indietro, sfiorando il torace dello spadaccino. Al contrario, Zoro attese di vedere finalmente di persona Oushiza, nascosto dalla mole del vice. Ma prima del volto ne udì la voce e la sua risata.
Bassa, roca e strascicata, il tono di qualcuno pronto a vedere il dono inaspettato e in quel momento tanto atteso, ma senza alcuna reale emozione.
« Fatti da parte » ordinò il comandante dei Tori Rossi a Kameoshi e il marimo scorse una schiena, non eccessivamente ampia e coperta da una morbida camicia bianco latte, infilata in pantaloni scuri e aderenti che ne sottolineavano i muscoli delle gambe.
Akai Oushiza, conosciuto come il Toro Rosso per l’inaudita ferocia che era solito dimostrare nelle sue razzie, si volse verso i suoi ospiti, e per un attimo lo spadaccino si lasciò ingannare dal suo viso pulito. Ma il pensiero lo attraversò per una manciata di secondi, il tempo che il capitano impiegò a piegare gli angoli delle labbra in un bieco sorriso.
Sopra la fronte coperta da una bandana bordeaux, ciocche di capelli color mogano scendevano sui lineamenti da trentenne appena, lisci, interrotti da gelide iridi metalliche che dapprima si fissarono sull’uomo detenuto.
Lo squadrò, senza mutare espressione.
« Sulla tua taglia riportano centoventi milioni, Roronoa Zoro » parlò evitando preamboli e avvicinandosi. Gli arrivò ad appena cinque passi, fissandolo dritto in faccia. Tra loro, trascurata quasi in realtà non fosse lì, Mizu seguitò a guardare il legno del ponte, gli occhi spalancati colmi di terrore.
« Li meriti? » riprese il capitano, modulando la voce in modo che non si capisse se intendesse dissimulare delle lodi o velare una minaccia.
Ciononostante lo spadaccino comprese quel che c’era da comprendere.
« Il tuo linguone qui » e accennò con la testa in direzione di Kameoshi « si è preso le mie spade » raccontò, sentendo alle spalle mormorii che sobillavano di ammazzarlo. Ignorandoli, Zoro arricciò le labbra in un ghigno leggero. Ma di divertente, il suo tono, non ebbe nulla. « Rendimele e ti dimostrerò di valere il doppio »
Molti della ciurma urlarono, incitando a un combattimento. Scoppiò in aria persino un colpo di pistola e diversi spavaldi si offrirono di sfidarlo. Ma sembrava come se non esistessero: alle orecchie del marimo erano a malapena delle mosche ronzanti. Medesima cosa pareva pensare il loro capo, scrutando passivamente il prigioniero.
Ma la smorfia in cui si arcuarono le sue labbra, un attimo dopo, non piacque a Zoro.
« Sei pane per i miei uomini, Roronoa » sussurrò, sovrastato dalle acclamazioni crescenti.
L’altro, in un primo momento, credette di non aver capito. Lo stava liquidando, come provasse per lui semplice noia.
Ebbe la conferma di ciò quando Oushiza si rivolse al suo secondo.
« Lo lascio alla tua decisione. Dividilo con la ciurma, se preferisci »
Sul viso deforme dell’uomo invisibile si aprì un ghigno compiaciuto. Ringraziò il capitano e senza tante cerimonie si portò di fronte al regalo appena fattogli. Il gesto che seguì colse di sorpresa molti, tra cui lo stesso spadaccino.
Il braccio destro di Kameoshi scattò veloce come una molla, afferrandolo per la gola in una morsa a tenaglia. Lo sollevò da terra senza sforzo, togliendogli il fiato.
« Zoro! »
Appena velata, la voce di Mizu uscì dalle sue labbra pallide acuta e impaurita. Per la prima volta da quando era salita sulla coperta, alzò il viso e non si preoccupò di chi la circondasse.
Dietro di lei, una risata vibrò minacciosamente serafica, mettendole i brividi.
« Gridi come allora » la schernì Oushiza, fissandola intensamente. « E’ bello vedere che hai ancora l’energia per reagire, Mizu »
Se tutto si fosse annullato in quell’istante, la donna sarebbe riuscita a udire ancora distintamente i battiti feroci nel suo petto, gli ultimi spasmodici rimbombi di un cuore allo stremo.
Era reale ormai. Niente più attese mordaci, illusioni effimere, barlumi di speranze.
Continuava ad avere il viso alto in direzione del compagno, ma era come se fosse sparito. Eppure lo vide reagire, tendere le braccia immobilizzate dalle manette e colpire Kameoshi con un calcio rischiando di rompersi l’osso del collo. Era un tentativo vano, lei lo sapeva. Lei che per mesi ci aveva provato e riprovato a fuggire da quei mostri, ricavandone solo sofferenze e ferite impressesi sulla sua schiena.
I Tori Rossi si avventarono sullo spadaccino come un’unica spietata entità. A niente gli servì difendersi: per ognuno degli avversari che mandava al tappeto, altri tre erano pronti a passare sopra i compagni pur di raggiungerlo.
Zoro finì di nuovo a terra, con una spessa lama che brillava affilata a pochi centimetri dalla sua carotide.
Troneggiando sopra di lui, il vice-capitano rise sprezzante.
« Se ti stanchi subito non c’è divertimento! » ghignò, massaggiandosi indifferente il mento dove era stato colpito poco prima. Intorno ai due si era raggruppato una buona parte dell’equipaggio, chi più chi meno con in mano un’arma e in gola un ruggito da battaglia.
Alle loro spalle, intanto, la Figlia del Mare trattenne un gemito quando le venne strappata dal collo la catenina con il cristallo di agalmatolite, il pendente a cavalluccio marino.
« Buttalo in mare » ordinò in un sibilo Oushiza al sottoposto che stava rimirando curioso la pietruzza. Nello scompiglio creatosi il capitano dei Tori Rossi aveva tentato di toccare la sua vecchia prigioniera, ma il minerale aveva iniziato a brillare, respingendolo.
« Una labile protezione » celiò il capitano, riavvicinandosi a lei.
Mizu non lo guardò, serrando gli occhi brucianti di lacrime. Ma anche non vedendolo, lo sentì. Impietoso, ora che poteva, l’uomo la sfiorò con un pollice, percorrendo la guancia umida fino al mento, che serrò in una morsa del palmo costringendola a levare il capo.
La brunetta non poté resistergli, ricordando dolorosamente quanto fosse forte. Avrebbe potuto ucciderla con quella sola mano, e per un momento lo desiderò dal profondo.
Tuttavia, nel medesimo attimo, la sua mente le ridestò il motivo per cui aveva sfidato il passato poche ore prima, salendo di sua spontanea volontà sulla Conqueror. Un motivo per cui doveva trovare il coraggio di reagire.
« Dov’è Matt? » sussurrò, imponendosi di fissarlo.
Oushiza ne ricambiò lo sguardo, assumendo un’espressione quasi meditabonda. Non rispose subito, godendosi l’espressione di spaventata audacia che la sirenetta stava dimostrando.
« Ci sono volute le maniere forti per farlo smettere di frignare. Continuava a rifiutarsi di collaborare, piangendo e singhiozzando di volere la mamma »
Il cuore della Figlia del Mare cessò di battere a quelle parole. Le sue labbra tremarono irrefrenabili, come ogni centimetro del suo corpo.
Matt
 
 
 
 
Ciò che avvenne dopo fu un succedersi di lunghi e tesi minuti.
Tutto ebbe inizio da un boato lontano. Riecheggiò sopra i pennoni dei tre galeoni con l’eco di un’esplosione e tra gli uomini a bordo della Conqueror ci fu chi si guardò sconcertato intorno, chi borbottò, chi si fece guardingo, ma anche chi, col viso schiacciato sul legno del ponte, sogghignò.
Nessuno poté scorgere alcunché osservando la linea invisibile tra mare e cielo, ma presto l’inarticolato rombare divenne un grido che risuonò tonante sopra le loro teste.
I ranghi si serrarono, e tutti guardarono in alto verso il cielo, come se questo dovesse squarciarsi in due a lasciar discendere il fautore di quella minaccia.
Ma fu una delle sentinelle rimaste nella coffa a individuare finalmente la fonte di quei tremiti nell’aria.
All’orizzonte, malconcio e con le vele sbrindellate, un brigantino sfrecciava nella loro direzione sfiorando il pelo dell’acqua.
Fiero e intatto sull’albero maestro, il Jolly Roger con il cappello di paglia si tese al vento, lanciando la sua sfida sul calar della sera.
 
 
 
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Rieccomi!
Il capitolo è pronto da parecchio, ma tra la pubblicazione di D E A T H (Kidd/Law, per chi volesse *w*) e un po’ di lavoro, ancora tante idee in cantiere e già l’inizio del Capitolo XI di HE che mi chiamava a gran voce, ci ho messo parecchio a rivedere tutto.
Viene interamente dalla vecchia pubblicazione e si nota molto (secondo me XD) dai toni e dalle descrizioni.
I nostri sono sopravvissuti al passaggio dell’Arcipelago Sandan e alla tempesta, la Sunny poveretta un po’ meno. Descrivere Rufy devo dire che è stato un po’ faticoso, non sono sicurissima della sua riuscita caratterialmente. Sanji, invece, è il principe del mio cuore *love*
Il protagonista indiscusso ad ogni modo rimane Zoro, lui e questi suoi modi di fare che mi ricordano troppo Alabasta e Skypiea.
Finalmente, e lo sottolineerei, si mostra Akai Oushiza! Sono ancora un po’ incerta su di lui, perché ho molte idee che spero di riuscire a discernere. Si tratta di un avversario forte, e non solo dal punto di vista fisico. Lui incarna un po’ tutti quei brutti racconti sui pirati, sulla loro cattiveria e nessuna traccia di compassione, come anche Mizu ha ribadito. Dal mio punto di vista è un cattivo “diverso” da quelli di One Piece, che in un modo o nell’altro si conquistano lo stesso il rispetto del lettore. Akai Oushiza nu. (Abbattilo Rufy!!)
Insieme a lui sono apparsi anche i Tori Rossi, una moltitudine di omaccioni brutti e che seguono la linea di pensiero del loro capo. A breve gli scontri…!
 
Questa volta un inchino alle belle parole che mi lasciano jillianlughnasad e Nic87 e che mi danno davvero tanto sprint per continuare!    
 
 
 
Note… questa volta niente!
 
Bacioni!
Nene

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Capitolo 13
*** Capitolo XI - Reverie ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XI -
[Reverie]
 
 
 
Red Line, Marijoa.
Sede del Reverie.
 
 
 
« È inammissibile che un regno del Governo Mondiale scelga per la propria bandiera un simbolo pirata! »
« Ci impegniamo tanto per arginare la minaccia costante di quei manigoldi che questo è un insulto! »
« Benché non ci siano leggi a vietarlo, la sua scelta, Dorton, è vergognosa e priva di buon senso »
Il martelletto di legno in mano a Chamomile, mediatrice delle riunioni nell’anfiteatro, batté così forte sul supporto sottostante che sembrò sul punto di incrinarlo.
« Vi invito a temperare toni e accuse! E vi esorto a rispettare i titoli appropriati. Si tratta di Re Dorton, Re Alim » asserì con voce ferma e stentorea la donna, sovrastando il brusio e riportando il silenzio. Silenzio che sfruttò a proprio vantaggio, passando al vaglio, col suo cipiglio rigoroso ed esigente, le centinaia di teste in quel momento rivolte verso di lei. Un asilo nido sarebbe stato più disciplinato. « Ricordo inoltre a voi tutti che il tema della discussione non verte sulle scelte dei vostri vessilli nazionali. Sulla brochure odierna troverete i punti su cui focalizzare la vostra attenzione »
Qualcuno ebbe da ridire sul tono poco appropriato con cui Chamomile osò rivolgersi loro, ma furono solo altri labili mormorii che si spensero quando la suddetta batté di nuovo col suo martelletto per riprendere la seduta.
Avevano cominciato da circa un’ora e il discorso era precipitato dopo poco. Bibi aveva fatto a malapena in tempo a seguire le varie voci da un capo all’altro dell’immensa sala che in un attimo i toni si erano surriscaldati e scagliati contro l’uomo-bisonte. Quando le prime accuse erano volate, si era trovata inconsciamente a stringere le dita sui braccioli della propria poltrona, la schiena irrigiditasi. La sua mente le aveva ripetuto di stare calma, che gli altri non avrebbero potuto comprendere le circostanze dietro la scelta del neonato regno di Sakura Kingdom, ma vedere Dorton confuso e impacciato di fronte a quelle improvvise offese l’aveva indignata. Non si era nemmeno accorta di essersi sporta così tanto da essere quasi sul punto di alzarsi. Nella sua mente era rimbombato un sonoro e categorico “Basta!”, ma il pensiero fu arrestato prima di diventare parola dalla mano ferma di suo padre sulla sua spalla. Con un gesto di diniego la invitò a riprendere il proprio posto. Per fortuna, un attimo intervenne Chamomile a chetare gli animi.
« Se ti lasci coinvolgere così da subito non sarai in grado di discernere i punti importanti in queste discussioni » la rimproverò Cobra in un sussurro pacato, tenendo l’attenzione fissa su chi aveva appena ripreso la parola. Nonostante sembrasse a suo agio seduto comodamente sullo scranno, la ragazza si accorse del suo nervosismo dalla sottile ruga in mezzo agli occhi.
Si calmò, risistemandosi meglio e riprendendo ad ascoltare, sebbene una punta di tensione rimanesse fissa nella posa rigida delle spalle.
« … l’intimidazione continua in cui viviamo non è debellabile dalle nostre sole forze singole. Ci sono paesi più ricchi che possono permettersi il lusso di eserciti pronti a respingere scorribande improvvise, mentre altri sono costretti a pagare tributi per non vedere le proprie città arse dalle fiamme. La mia proposta è quella di istituire un corpo di guardia neutro, con elementi valenti provenienti da tutte le nazioni del Governo Mondiale e insediare un gruppo di questa élite in ogni paese, pronti a intervenire in caso di bisogno »
Bibi attese di sentire qualche opinione partecipe ed entusiasta dell’idea appena ascoltata, trovandola brillante ed equa, ma tutto ciò che seguì fu un imbarazzante silenzio e sguardi carici di biasimo.
« Mandare uomini addestrati a proteggere qualche isola lontana e perdere così potenza militare? »
« E chi si accollerebbe le spese di questo fantomatico esercito? »
« Se un paese non è in grado di difendere i propri confini da solo può sempre chiedere aiuto alla Marina »
Per la principessa di Alabasta fu come se avessero sintonizzato una Lumaradio sulla stazione sbagliata e stesse ascoltando i discorsi del mercato. Lì, nella Sacra Terra di Marijoa, erano riuniti i regnanti di quasi ogni angolo del mondo, uniti sotto la stessa bandiera del Governo Mondiale, preposti nella sua mente a trovare soluzioni ai problemi lavorando insieme. Non le fu necessario ascoltare altro per rendersi conto che si era fatta un’opinione scontata e affrettata della realtà. Che quelli che aveva davanti probabilmente erano uomini trincerati dietro i propri interessi.
« Sakura Kingdom è un regno in rinascita, ma alle spalle conta una lunga tradizione sia medica che militare. I nostri interessi sono in sviluppo, come anche la popolazione, e potremmo fornire un supporto a questo progetto. Probabilmente all’inizio sarà un po’ esiguo… » le parole di Dorton riecheggiarono in risposta nell’anfiteatro dapprima con forza, per poi attenuare pian piano il rinnovato coraggio. Ma come osservò Bibi, l’uomo non si diede per vinto, rimanendo in piedi a fronteggiare l’ostinazione di quanti lo guardassero con superiorità e disinteresse. Chamomile, dal suo posto centrale nel semicerchio trasversale di sedute, faticò nel trattenere uno sbuffo. Alla ragazza coi capelli azzurri non sfuggì come, con il volto sorretto dalla mano, roteò gli occhi al soffitto. Capì che comportamenti del genere da parte di quella moltitudine di teste agghindate, definite così qualche sera prima dalla marine, non erano una novità.
« Re Elmo, la vostra è una buona proposta. Temo tuttavia che i tempi, tra consensi e realizzazione a livello mondiale, si dimostrerebbero lunghi ed estenuanti. Comprendo la vostra preoccupazione e la condivido, essendo la minaccia della pirateria del tutto imprevedibile nei nostri tratti di mare e trovandosi i nostri regni più vicini di altri. In quanto attuale Re di Alabasta, insieme a Re Dorton, vorrei offrirvi il mio appoggio »
Ci fu di nuovo silenzio, ma questa volta fu più reverenziale che discriminatorio. Bibi seguitò a osservare suo padre, i lineamenti del suo viso così seri come poche volte aveva visto e che dominarono la sala con pacata autorità. Tutti i consigli che le erano stati dati prima della partenza le sembravano riassunti perfettamente in quel breve discorso che aveva appena udito.
Quando nell’assemblea si levarono i primi bisbigli di coloro che iniziarono a valutare ciò che avevano appena ascoltato e ci furono i primi impacciati assensi, la principessa di Alabasta riuscì a sciogliere gli ultimi residui di tensione e a ritrovare un senso di positività. Sembrava davvero che le parole di suo padre – che le regalò un occhiolino complice – avessero riscosso gli animi, soprattutto di quelli più restii a parlare e prendere posizione.
Bibi aveva appena colto il pollice alzato e poco mascherato della mediatrice nei loro confronti, che arrivò l’ennesima stoccata malevola.
« Proprio voi, Re Cobra, appoggiate un’alleanza contro la pirateria quando sia Alabasta che Drum sono state aiutate da quest’ultimi? Non vorrà partecipare a questo progetto per sapere poi come agevolare certi individui? »
Un colpo di pistola probabilmente avrebbe raggelato meno l’ambiente.
Se l’attenzione era stata catalizzata verso i rappresentanti del regno della sabbia, un attimo dopo tutte le teste si voltarono dalla parte opposta, i dubbi che subito si insinuarono sui volti di molti.
Una ruga impercettibile vibrò sotto l’occhio sinistro dell’accusato, che mantenne la stessa espressione calma e diplomatica di poco prima, nonostante le nocche delle mani si tesero nello stringere i braccioli del seggio. Sua figlia si ritrovò impossibilitata a ribattere alcunché, osservata dall’accusatore dritta negli occhi. Si sforzò si sostenerne lo sguardo indagatore senza cedimenti.
Gli era stato ripetuto più volte che probabilmente quella situazione si sarebbe presentata e che l’unico modo in cui reagire sarebbe stato sopportare, ingoiare, e poi attenersi alle versioni ufficiali. Non sapeva nemmeno quanti sospiri sconsolati ci aveva speso su quell’argomento alla vigilia della partenza. Ma come era stata mossa critica alla nuova bandiera del popolo di Sakura Kingdom senza che i più sapessero il perché, la stessa cosa valeva per Alabasta e la sua salvezza.
« Moderate toni e accuse, Gran Cancelliere Rishi! » tuonò Chamomile a seguito dello schiocco secco del suo martelletto che invano richiamò i presenti dal cessare i commenti in sottofondo. « Sia Marina che Governo hanno già fatto luce sulle vicissitudini del Regno di Alabasta e dell’ex Regno di Drum, non c’è altro da aggiungere. E vi esorto di nuovo ad attenervi al tema della discussione »
« La mia domanda era più che in riga con ciò di cui stiamo dibattendo, Vice Ammiraglio » replicò l’uomo con animosità, alzandosi in piedi e puntando apertamente l’indice contro Cobra. « Come possiamo fidarci di un sovrano che non è stato in grado di reprimere una guerra civile senza l’aiuto dei pirati!? » continuò il Gran Cancelliere, guardandosi intorno per raccogliere consensi, alzando il tono e ignorando i nuovi colpi di martello. « E come fidarci di sua figlia che più voci affermano aver visto in compagnia e in rapporti amichevoli con Cappello di Paglia e la sua ciurma!? Lo stesso criminale e poco di buono che meriterebbe la pena di morte seduta stante per aver dichiarato guerra al Governo Mondiale distruggendo Enies Lobby! »
Fu troppo.
La principessa dai capelli azzurri si accorse di essere scattata in piedi solo quando la platea si tacitò di fronte a lei. Aveva sbattuto le mani sulla ringhiera che la separavano dal vuoto dell’anfiteatro sottostante, ricambiando fermamente l’occhiata fredda e torbida di Rishi con una sfumata di collera trattenuta.
Pell, in disparte con le altre guardie sul fondo dell’anfiteatro, assottigliò lo sguardo irrigidendosi.
« Bibi! » la richiamò suo padre in un bisbiglio, ma lei lo ascoltò appena.
« Gran Cancelliere si rimetta seduto! Anche lei, Bibi-hime, per favore » tentò Chamomile, vanamente.
Seguì un teso vuoto di parole in cui nessuno si arrischiò nemmeno a bisbigliare, tutti troppo morbosamente curiosi di sentire e osservare cosa sarebbe accaduto.
« Un uomo malvagio… un uomo malvagio ha ingannato e fatto soffrire il mio popolo, portandolo a credere che fosse lui il salvatore di una terra dove la pioggia è rara e preziosa come il più ambito dei tesori… » iniziò con voce tremante da quanto fosse rigida. « Crocodile della Flotta dei Sette ha macchinato per uccidere mio padre in mezzo alla rivolta da lui stesso creata. Cittadini innocenti, non sapendo più cosa fosse giusto e sbagliato, sono morti per difendere la propria libertà e hanno imbracciato le armi in una guerra inutile guidati dall’amore per il proprio paese … »
Le spalle della giovane si rilassarono, e lei si rimise dritta, il mento alto mentre occhieggiava il suo interlocutore senza battere ciglio.
« Mi sono infiltrata nell’organizzazione della Baroque Works al soldo di Crocodile per riuscire ad avere informazioni e smascherarlo. Sono rimasta sotto copertura per tutto il tempo e ho usato ogni mezzo a mia disposizione per riuscire a tornare ad Alabasta e debellare la minaccia che vi incombeva » il suo tono era fermo e tagliente, e represse la collera di quello che stava per dire serrando le dita tanto da conficcarsi le unghie nei palmi. « Ho fraternizzato col nemico, con cacciatori di taglie, contrabbandieri, mercenari e… pirati, con l’unico scopo di sopravvivere e riportare i piani di combutta ai danni della mia nazione »
L’intera platea pendeva dalle sue labbra. Chamomile si lasciò andare a un sospiro e un mezzo sorriso amaro. Si massaggiò la gamba amputata e si risistemò comoda sulla propria poltrona, osservando come quello scricciolo dagli occhi limpidi e sinceri tenesse a bada meglio di lei centinaia di presuntuosi re saggi e onesti.
« I criminali che voi, Gran Cancelliere Rishi, definite miei amici… sono tra coloro che ho ingannato al fine di tornare al mio paese natio. Sono stata fortunata quando la rivalità tra pirati ha preso il sopravvento e condotto Rufy Cappello di Paglia e i suoi uomini lontani dalla mia strada. È stato poi grazie all’intervento del Commodoro Smoker se la sordida dittatura istaurata da Crocodile è caduta » terminò con tono sempre più modulato e fermo, quasi assente, ma senza mai distogliere la concentrazione dal volto dell’uomo che per primo le aveva mosso accusa. Questi si era riseduto con le braccia conserte e la fronte corrucciata.
La tensione era tangibile e stagnante, ma fu sempre Bibi a spezzarla, più sicura di sé. Quel che temeva di dire, una menzogna, ormai era un’eco quasi morta nella grande sala gremita di curiosi.
« È stato un anno difficile e buio per Alabasta, ma ci stiamo riprendendo. I commerci onesti sono ricominciati, la ricostruzione di città abbandonate in seguito alla siccità e alla guerra sono avviate per il meglio e il nostro popolo riscopre ogni giorno la serenità della pace » continuò con rinnovato vigore, accennando un sorriso con un calore dato dalla realtà di quelle parole. « Vi prego di non considerare la proposta di Re Elmo » e nel nominarlo si volse con entusiasmo verso quest’ultimo, facendolo arrossire « e l’appoggio di due sovrani, come mio padre e Re Dorton, che hanno entrambi attraversato momenti difficili, con insinuazioni così maligne. Hanno rischiato la vita per proteggere ciò che hanno di più caro, il benessere del proprio popolo, e non intendono fermarsi di fronte a nuove difficoltà, ne sono certa »
Il termine del discorso fu accolto da una nuova luce negli occhi dei partecipanti. Iniziali cenni di beneplacito e sorrisi si diffusero rapidamente. Qualcuno stava anche per proporre un applauso, ma fu preceduto dal battito forte, vibrante e ironicamente cadenzato di due mani e da una risatina di scherno. La beffa e un cinico divertimento furono più che palesi sul volto di Donquixote Doflamingo, seduto a suo agio sullo scranno a lui designato, con le gambe accavallate e posate sulla balaustra senza compostezza.
Se per un attimo c’era stato dell’ardore nell’anfiteatro, questo si era trasformato in malcelato sdegno, ma del tutto innocuo. Nessuno sembrava volersi arrischiare anche solo a incrociare lo sguardo dell’uomo rosa-vestito. Nessuno a esclusione di Bibi, confusa e interdetta. Ma a rispondere con un tono coerente all’umore nella sala fu qualcun altro.
« Vuole aggiungere qualcosa, Re Donquixote? »
Chamomile stringeva il suo bastone magico del silenzio – come più tardi fu ribattezzato – in una presa che combaciava pienamente con la sua inflessione fredda e contrariata. Guardò il sovrano di Dressrosa con uno sguardo che sarebbe calzato a pennello a una maestra di scuola, e questi allargò ulteriormente il suo ghigno dissacratore.  
L’uomo non si sprecò nemmeno a rispondere, mantenendo l’irritante ghigno stampato in faccia e facendo un gesto vago, come stesse scacciando una mosca, per lasciar proseguire.
La marine colse l’occasione per sbattere brutalmente il martelletto sulla base in un colpo secco che vibrò alla stregua di un brivido lungo le schiene dei partecipanti, improvvisamente tutti agnellini ammansiti dalla tensione come si trovassero in un mattatoio.
« Dispongo venti minuti di pausa »
 
 
 
 
 
Nell’intermezzo della discussione Bibi non era riuscita del tutto a rilassarsi. Aveva cercato di non darlo a vedere, ma era sfibrata e sconfortata dalla piega che la riunione mattutina aveva preso. Non si era aspettata di doversi difendere così repentinamente e fornire quelle spiegazioni fittizie di fronte a tutti gli sguardi avidi di pettegolezzo. Anche nel tempo di intervallo deciso da Chamomile si era sentita gli occhi addosso, nonostante fosse stata circondata da suo padre, Igaram e Pell, pensierosi riguardo alla posizione che si era assunta.
Qualsiasi fosse stata la sua idea di partenza di Reverie, le sue aspettative e le sue speranze, quella breve oretta le aveva quasi fatte crollare tutte come il più idilliaco dei castelli di carte. Senza contare che lo sguardo – se di sguardo si poteva parlare, oltre gli occhiali da sole – di Donquixote Doflamingo l’aveva raggelata. Le era sembrato di tornare indietro nel tempo alle occhiate di superiorità di Crocodile, ma più cariche di irrisione e compatimento. Come se lei fosse stata una pulce particolarmente divertente con cui dilettarsi prima di essere schiacciata.
Non lo conosceva più delle chiacchiere che aveva sentito su di lui. Ma per esperienza aveva capito che un pirata membro della Flotta dei Sette poteva approfittare dei propri privilegi per calpestare i diritti e la vita altrui. Dressrosa forse era fiorente e attrattiva, ma a lei quel tipo sembrava tutto meno che un sovrano dignitoso.
« Bibi-hime, che ne dice di tornare nella sua stanza per oggi e risposarsi? »
« Grazie Igaram, sto bene, davvero. Mi dispiace di aver avuto quel colpo di testa, padre… » iniziò, ma si accorse che Cobra non le stava prestando attenzione.
Aveva il capo voltato e stava seguendo con gli occhi qualcuno nella folla assiepata nell’androne. Rincorrendo il suo interesse, Bibi si ritrovò a fissare Coralia.
Vestita più sobriamente di quando aveva fatto il suo ingresso a Marijoa, indossava un lungo abito verde scuro cangiante con le spalle scoperte; lunghe maniche aperte riprese sui polsi le lasciavano le braccia nude, ornate di bracciati di corallo. I capelli erano raccolti in una acconciatura meno elaborata, ma sempre impreziosita di perle. Quando camminava dimostrava la stessa sicurezza e alterigia della prima volta, ignorando pressoché chiunque, al contrario di sua figlia.
Neptunia era costantemente malferma sulle gambe, aiutata a muoversi da una donna-pesce al suo fianco. I capelli di giada le nascondevano in parte il viso, ma non abbastanza a celare un profondo imbarazzo. Le indiscrezioni nei suoi confronti erano continuamente espresse a voce troppo bassa per essere udita, ma sempre fin troppo palesi. Nonostante questo, la giovane seguiva imperterrita sua madre ovunque, cercando di mantenere alto il mento.
Quando Bibi si riebbe, accorta di essersi persa nel fissare – e un po’ anche ammirare – la regnante di SubAquaea, tornò con gli occhi su suo padre.
La sua espressione non era rapita e sognante come molti degli uomini presenti, totalmente persi per la bellezza di Coralia. All’opposto, la sua concentrazione era tanta, con la fronte aggrottata nel tentativo di ricordare qualcosa, che la figlia vi lesse un’ombra di malcelato nervosismo.
« … papà? » lo richiamò, sorpresa. Non l’aveva mai visto così per una donna.
Cobra si riscosse, imbattendosi in sei paia d’occhi a contemplarlo interrogativamente. Ma prima che potesse spiegarsi, il lacchè alla porta della sala delle riunioni avvertì che la pausa era finita.
 
 
 
 
 
« … potrebbe essere capace di affondare un’isola! »
« Perché voi della Marina lasciate così a piede libero del sangue marcio? »
« Dobbiamo aspettare che distrugga uno dei nostri regni perché interveniate!? »
I toni della discussione erano cambiati, in peggio. E questa volta a rimetterci fu la stessa Chamomile. Con il suo fedele martelletto in mano fermo a mezzaria, la sua espressione era aggrottata e incredula di fronte a quanti le stavano inveendo contro.
Qualcun altro stava per aggiungere altro per allargare la diatriba, quando la donna ritrovò la parola, oltre che rammentare di avere ancora il suo prezioso strumento per quei casi.
Lo schioccò provocò sbuffi contrariati, ma silenti.
« Vorrei precisare che non sono qui in veste di rappresentante della Marina » chiarì con ancora una nota sorpresa nella voce. « Qualsiasi quesito abbiate a riguardo, dovrete attendere il portavoce dalla Sede Centrale »
Il brusio di mormorii tornò ben presto ad avere corpo.
« Ha polverizzato una delle vostre basi, seppellendo vivi degli uomini! »
« Senza dimenticare che un anno fa ha rapito una delle principesse di Arba… »
L’attenzione si spostò automaticamente verso il seggio dell’isola nominata, dove un uomo sulla cinquantina, col fisico di un guerriero, sedeva in una posa che si sarebbe detta annoiata. Il capo reclinato appoggiato al dorso della grande mano callosa, Leonida Arbalest rispose agli sguardi con uno perforante.
La sua presenza sembrava troppa per il piccolo spazio della balconata. Anche i vestiti, che nonostante lo fasciassero elegantemente e alla perfezione, con camicia, cravatta e gilet intonati su sfumature color creta, non rendevano giustizia alla sua imponenza. I lunghi e foschi capelli ricadevano in onde sulle spalle, mentre la barba e i grossi baffi, che si confondevano in essa, rafforzavano ancora di più la sua aura di dominanza.
Un nuovo basso mormorio di insinuazioni si diffuse per l’ambiente. Palmi andarono a coprire labbra troppo poco benevoli nei commenti, finché un ringhio, come di un orso che minaccia gli intrusi sulla soglia del proprio territorio, non fece rabbrividire la maggior parte. Il re di Arba lanciò occhiate lampeggianti e la platea colse al volo l’antifona.  
« Intanto sembra che nessuno di voi marines abbia capito quanto pericoloso sia l’Erede! » riprese qualcuno, tornando a rivolgersi a Chamomile alla stregua di un capro espiatorio.
« In quattro anni non l’avete arrestato nonostante si tratti di un ragazzino! »
Le critiche continuarono a rimbalzare e il Vice Ammiraglio quasi consumò la base di legno per riportare l’ordine.
Più che una discussione atta a trovare delle soluzioni, ancora una volta dava l’idea di un’assemblea preda dei pensieri e delle opinioni soggettive dei partecipanti. La principessa di Alabasta seguitò ad ascoltare e raccogliere più informazioni tra le righe.
Non poteva dire di non conoscere il nome di Gol D. Bryan. Quando si era infiltrata a Whisky Peak come Miss Wednesday l’aveva sentito nominare da più cacciatori di taglie, temerari nonostante le dicerie che circolassero. Diversi erano stati quelli che l’avevano sfidato per accaparrarsi la taglia e un titolo altisonante per la sua cattura. Nonostante la spavalderia, erano tutti tornati al covo con la coda tra le gambe e molte ossa rotte.
Da quello che aveva capito, il nipote del Re dei Pirati aveva mangiato un Frutto del Diavolo legato alla terra e questo lo rendeva, a detta dei malcapitati, un avversario impari con cui battersi, capace di aprirti una fossa sotto i piedi semplicemente schioccando le dita.
« Piantatela di fare tutto questo baccano da pollaio »
Bibi cercò chi aveva parlato, zittendo burberamente la sala. Un’anziana donna rugosa era seduta in pizzo al proprio scranno, le mani segnate dagli anni appoggiate sull’estremità di un bastone. Il pomo era una scimmia intagliata che si copriva le orecchie con aria sghignazzante.
« Cianciate tanto sulle azioni di quel ragazzino e di suo nonno quando permettiamo al Governo di accordare fiducia a sette manigoldi »
La sala ebbe un attimo di tremito, in cui molti guardarono vacuamente o accigliati in direzione dell’anziana e qualcuno si arrischiò verso le sedute più alte, dove Donquixote Doflamingo se ne stava in silenzio ad ascoltare le chiacchiere. Ci fu un momento di gelida aspettativa in cui l’anziana e l’uomo si fissarono. Il risolino del fenicottero possibilmente si allargò ancora di più in un guizzo di divertita arroganza, mentre la vecchia sovrana sbuffava contrariata dal naso.
« Somma Saimiri » tentennò qualcuno più in basso, deglutendo nel prendere la parola e rendendosi conto che si stava mettendo in mezzo a una silenziosa tempesta di fulmini. « La Flotta dei Sette esiste come ausilio al Governo in momenti di- »
« Tutte sciocchezze, Principe Tarun. Perfino il Vice Ammiraglio Chamomile, anche se non rappresenta apertamente la Marina, potrà assicurarvi che la Flotta dei Sette è una stupida pagliacciata per tenere a bada un equilibrio precario di forze »
Bibi notò l’occhiata non proprio carina che la donna col caschetto rosso ciliegia rivolse all’anziana regnante di nome Saimiri. La responsabile del Reverie si massaggiò con pazienza una tempia, mentre con un gesto di diniego della mano rispondeva alle occhiate che le rivolsero. Doflamingo scoppiò a ridere, costringendo la marine a riprendere in mano il martelletto.
« Vi prego di limitarvi a interventi pertinenti » interloquì stancamente con umore calante. « E di tornare all’argomento della seduta, essendo prossima l’ora del pranzo » aggiunse.
Parole sprecate.
« Saimiri-sama… lei non ha mai fatto mistero della sua simpatia per Gold Roger o sbaglio? »
La vaga domanda che sapeva ancora una volta di accusa, pacata ma velenosa, arrivò dal Gran Cancelliere Rishi.
Come se la platea fosse stata un’unica gigantesca entità, trattenne il respiro, chi più chi meno con un palmo a coprirsi la bocca e due occhi strabuzzati. Perfino Coralia, che per la maggior parte del tempo aveva ignorato le chiacchiere, ora fissava l’anziana sovrana con sguardo indecifrabile.
Saimiri sorrise, quasi sul punto di ridere, e la principessa di Alabasta rimase sconcertata: per un attimo le sembrò di rivedere Rufy in quelle labbra incurvate a sfida.
« Gran Cancelliere Rishi, con tutto il rispetto, quasi nessuno di voi era presente all’epoca » e nel dirlo, l’arzilla donnina si sporse ancora di più in avanti, provocando una sorta di reverenziale terrore nelle file sottostanti che si appiattirono sulle proprie sedute. « Non parlo di vent’anni fa, anno più anno meno, quando Gol D. Roger divenne Re. Quando il suo nome diventò famoso per tutto il mondo in una sola notte, e la Marina e il Governo si spaventarono come conigli di quel potere che sembrava aver acquisito all’improvviso. Ancora mi chiedo che trucco abbiano architettato per riuscire a catturarlo » rise delle proprie parole, come se stesse raccontando una storiella divertente. Il resto della sala sembrava incapace di respirare. La stessa Chamomile aveva la fronte aggrottata, divisa tra il richiamare tutti all’ordine e finire di ascoltare.
« No, non parlo di pochi anni fa… parlo degli inizi di Roger, di quando era appena un novellino pieno di entusiasmo e voglia di scoprire. Non che fosse cambiato col tempo… ma la metà, se non più, di tutte le sciagurate azioni che oggi gli attribuite sono false »
Il tono era cambiato così repentinamente che qualcuno sobbalzò, come se l’accusa fosse mirata. Un lieve tremito aveva scosso il bastone dell’anziana, ma questa rilassò le spalle con un sospiro.
« Siete troppo giovani e siete cresciuti tutti con la favola della buonanotte dove Gol D. Roger è l’uomo nero. E come vedete lui così, non vi sprecate nemmeno a pensarla diversamente su quel ragazzo che ne è il nipote. Non ho idea di che cosa sia successo quattro anni fa nel North Blue perché di punto in bianco spuntasse un discendente del Re, ma per come vanno i tempi non mi stupirei che ci sia altro sotto il mucchio di lagne e sensazionalità dei giornali »
Lo sguardo della donna anziana vagò un po’ sulla folla di teste che si agitavano sotto di lei, bisbigliando tra loro e scuotendosi a diniego, mentre cercava qualcuno. Bibi la seguì nei movimenti senza preoccuparsi di essere scorta nel farlo, il discorso che ancora le rimbalzava dentro con un senso di gravità che la scosse nel profondo.
« Fate di nuovo troppo baccano » sentenziò ancora la vecchia, zittendo sovrani e dame. « Se la minaccia di questo Erede è tanto fatidica mi chiedo come mai sia ancora a zonzo, nonostante la Marina vanti uomini e metodi discutibili… » gorgogliò con un nuovo sorriso sornione che le piegò gli angoli della bocca rugosa. « Questo mi fa tornare in mente che anche all’epoca della cattura di Roger una situazione tanto preoccupante si risolse con un insolito colpo di fortuna »
La principessa di Alabasta si lasciò irretire da quelle parole, per poi accorgersi che l’anziana stava fissando una balconata in particolare. La sala cominciò a fermentare e muoverle contro le prime impacciate accuse di tradimento, a cui la vecchietta fece orecchie da mercante.
Saimiri e Coralia si stavano scambiando uno sguardo enigmatico.
La prima sorrideva ancora, ma più dolcemente, mentre la regina di SubAquaea la ricambiava con un’espressione fin troppo accigliata.
Nel tentare di zittire la platea ed evitare che volassero minacce e dichiarazioni di guerra, Chamomile si sgolò e spaccò definitivamente la base del martelletto a furia di colpirla.  
 
 
 
 
 
Il profumo dei fiori fu un toccasana per la mente stanca di Bibi.
Muovendosi a passo lento per godersi la passeggiata pomeridiana, la principessa si addentrò nel Garden Sky, uno dei tanti giardini che circondavano la sede del Reverie, riempiendosi i polmoni di aromi delicati e riposando le tempie doloranti con le tonalità pervinca dei fiori.
Era appena primo pomeriggio eppure si sentiva come se la mattinata fosse durata due giorni di fila. La seduta relativa alla questione pirateria si era conclusa in maniera burrascosa, tanto che Chamomile aveva decretato che la riunione successiva sarebbe iniziata solo nel pomeriggio inoltrato, se non addirittura il giorno seguente.
Il pranzo si era consumato in un silenzio pieno di borbottii e sbuffi, con una notevole abbondanza di vini pregiati e dolci nel tentativo di placare gli animi. La principessa di Alabasta aveva sbocconcellato il più possibile, ma non era riuscita a nascondere a se stessa un certo nervosismo, nonostante nessuno l’avesse più adocchiata. Anzi, l’attenzione di tutti era stata per Ada Saimiri, l’anziana sovrana di Monky Cove che aveva messo a disagio l’intera seduta esprimendo spassionatamente e poco diplomaticamente i propri pensieri.
Bibi si era sentita sconcertata. Lei faceva parte, anche se in maniera relativa, di quella generazione cresciuta nella convinzione che il Re dei Pirati fosse il “cattivo”. In realtà, né suo padre né Igaram si erano mai dilungati molto su quei racconti quand’era bambina, e per lei era stato un argomento marginale finché non aveva conosciuto Rufy, che desiderava più di ogni altra cosa quel titolo.
La visione che le aveva dato l’anziana donna aveva innescato non pochi dubbi, primi fra tutti quelli riguardati l’Erede e le sue azioni. Non era sicura di poter avallare come menzognera la notizia sul disastro della 74a divisione della Marina, ma, come aveva insinuato Saimiri, probabilmente quella dei giornali non era tutta la verità.
Era stato per quei pensieri senza stallo che alla fine del pasto la ragazza aveva optato per inoltrarsi nella quiete dei giardini e cercare un po’ di riposo. Aveva sottovalutato lo stress del summit, lo doveva ammettere, ma non aveva intenzione di arrendersi e rintanarsi in camera propria.
Continuando a camminare sul sentiero di pietra, avanzò nel basso labirinto di siepi curvilinee, tagliate sapientemente a spirali e curate nei mini dettagli, finché non iniziò a sentire lo scrociare tranquillo dell’acqua. Da dove si trovava, vide poco più avanti la silhouette marmorea di una fontana. Sedersi lì e godersi la pace del posto, lontana da voci brontolanti e occhi indagatori, era diventato il suo attuale obiettivo, così proseguì con passo appena più sollecito e un piccolo sorriso.
« Oh »
L’esclamazione le uscì spontanea, forse un po’ scortese, ma del tutto sorpresa.
Di fronte a lei, la giovane Neptunia diventò rossa in una frazione di secondo, tirandosi in piedi. O almeno, così avrebbe cercato di spiegarlo l’erede di Alabasta, se non fosse stato che la ragazza sfoggiava una cangiante coda da sirena color giada, striata di blu, al posto delle gambe.
Bibi rimase a fissarla, un poco scioccata, essendo la prima volta che si imbatteva in una simile creatura.
Dal canto suo, la figlia di Coralia sembrò sul punto di coprirsi gli occhi con le mani e nello stesso momento tirarsi indietro, cercando inconsciamente un posto dove nascondersi e morire di vergogna. Purtroppo per lei la rapida e repentina successione di gesti la portarono a perdere l’equilibrio contro il bordo della fontana, facendola finire coda all’aria in mezzo a una siepe di margherite blu. Bibi corse ad aiutarla, allarmata.
« Ti sei fatta male? » domandò mortificata, afferrandola per le spalle per farla sedere. Fece appena in tempo a rimanere colpita dalla purezza dei suoi occhi turchese, che questa seppellì definitivamente il viso tra le mani, i capelli arruffati da cui spuntavano diverse corolle rimaste impigliate.
Biascicò qualcosa a mitraglietta che la bella principessa interpretò come un « Mi dispiace mi dispiace, non dovevo farmi trovare nella fontana ». Dopo la stupore iniziale, Bibi sorrise, quasi divertita, ma ridandosi subito un contegno.
« Tutto ok? » domandò alla fine, aspettando di vedere di nuovo lo sguardo da cerbiatta fare capolino tra le dita, sotto le quali la carnagione era di un bel rosso peperone.
« Estella mi sgriderà se lo viene a sapere » mugugnò amareggiata, facendo scivolare i palmi sulle guance fino a congiungerli in grembo. Fissò assorta e affranta la sua coda che ancora gocciolava inarcata sul bordo di marmo della fonte.
Se possibile, Bibi sorrise ancora di più, intenerita dal tono della giovane.
« Tranquilla, non lo dirò a nessuno » promise, facendole l’occhiolino.
Neptunia arrossì.
Il quarto d’ora successivo lo passarono a rifare le presentazioni e a rassettare al meglio la giovane erede del Regno del Mare. Bibi si divertì a toglierle i fiori dai capelli, nonostante a suo dire le stessero bene. Neptunia seguitò a trovare interessanti i ciottoli lì attorno, le mani serrate sulle ginocchia, mentre la sua coda si asciugava e ritornava a dividersi in due gambe dall’aspetto pallido e fragile.
« Non sono abituata a camminare. Per me questa è la prima volta in mezzo agli esseri umani » ammise, guardando di sottecchi l’altra ragazza col timore di offenderla. Si sentiva ancora fuori posto, credendosi incapace di interagire senza sbagliare, come se ci fosse stato un codice di comportamento che lei non era in grado di cogliere.
« È per questo che sei venuta qui alla fontana? » realizzò Bibi senza pensarci, levandole l’ultima margheritina dalla chioma.
La sirenetta divenne quasi viola per il disagio, riprendendosi il viso tra le mani e cercando di farsi piccola piccola.  
« Scusa! Ho parlato troppo! »
« Mi manca il mare » confessò più calma, ma ancora bofonchiando tra le dita. « Mia madre ha deciso quasi all’ultimo di venire qui… fin da quando è regina si è sempre rifiutata, dicendo che era una perdita di tempo… quest’anno invece ha cambiato idea »
Bibi la guardò, non sapendo bene come interpretare il fiume di parole. Rimane in silenzio, aspettando di sentirla continuare.
« Non è che mi trovi male… ma tutti ci scrutano in continuazione… soprattutto fissano mia madre, anche se a lei non importa… ma poi guardano anche Estella o Saba e… sembrano così… » tentennò, sforzandosi di trovare il termine giusto, mordendosi un labbro e lanciando un’occhiata al viso dell’altra principessa. « … così infastiditi » asserì, pentendosi un attimo dopo come se avesse detto qualcosa di maleducato. « Perdonami, mi sto lamentando! Non è consono… » aggiunse in fretta, mortificata.
Bibi scosse energicamente la testa e i lunghi e morbidi capelli azzurri, acconciati sobriamente.
« Non ci pensare » sorrise, un po’ tristemente per le parole che aveva sentito. « Anch’io vedo per la prima volta delle sirene e degli uomini-pesce. Spero di non essere risultata scortese. Nel mio paese il clima è torrido, non penso potremmo mai avervi come ospiti » cercò di scherzare per stemperare l’atmosfera e strapparle un briciole di serenità.
Neptunia sorrise timidamente, e la principessa Nefertari ipotizzò che non dovesse avere più di quattordici o quindici anni.
« Questa mattina… » esordì la minore. « All’assemblea… ti ho ammirata… hai raccontato quello che è successo al tuo regno davanti a tutti… Non hai avuto paura? »
Non aspettandosi una domanda simile, Bibi la guardò sorpresa, per poi distogliere lo sguardo e soppesare la risposta.
« Sì. Ma è stato peggio quando pensavo di non riuscire a salvare il mio paese. A volte ho creduto anche che sarei morta » sussurrò, fissando il chiarore del cielo limpido e lasciando che lo scorrere costante dell’acqua la carezzasse col suo suono rilassante. « Però ho trovato degli amici… loro mi hanno aiutata, sono rimasti al mio fianco anche se non era la loro battaglia »
Il sospiro che accompagnò quelle parole le fece bene e scacciò via buona parte del malumore. Era sciocco fidarsi e rivelare certe cose a una totale sconosciuta, ma Neptunia sembrava troppo innocente per raccontarle una bugia.
La principessa di SubAquaea realizzò che fosse una confessione dopo qualche attimo in cui l’altra fu certa che stesse ripensando al suo discorso della mattinata, ricollegando i pezzi. Bibi esibì un’espressione complice.
« Ora siamo pari » ridacchiò leggera, riferendosi all’episodio della fontana. 
Qualsiasi tentennamento da parte di Neptunia si sciolse nella risata dolce che la colse, mostrando il suo pieno sorriso che mise finalmente il buon umore a Bibi.
Tutto sommato, pensò, quel Reverie aveva i suoi lati positivi.
 
 
 
 
 
« Ouji-sama, Ouji-sama » lamentò il basso uomo, le dita artigliate ai pochi capelli delle tempie che resistevano nonostante il proprietario scuotesse la testa da ormai una decina di minuti, ripetendo sempre la stessa litania. « È stata una pessima, pessima, pessima idea, venire qui… »
Il principe a cui l’ometto si stava rivolgendo continuò chino a fissare rapito il tavolo di fronte, una mano sotto il mento e lo sguardo serissimo oltre la frangia di capelli argentei. La decisione era difficile…
Profitterol, Diplomatica o Montblanc?
« Manca la Mimose… » constatò sovrappensiero il giovane, rimettendosi dritto e guardando un punto imprecisato davanti a sé.
« Koori-ouji! » pianse il suo consigliere, quasi prostrandosi a terra.
Il principe gli dedicò una breve espressione interrogativa, nonostante i suoi occhi di un azzurro trasparente rimasero impassibili.
« Aisu Kingdom verserà nel caos, l’economia crollerà, chiameranno un ammiraglio dal Quartier Generale della Marina per indagare… e lei pensa al dessert? » gemette il piccolo uomo, il volto inondato di lacrime e moccolo.
L’imperturbabilità dei lineamenti lisci e alabastrini del giovane rimase intatta come la più bella scultura di ghiaccio che si potesse realizzare. Fredda e immobile.
« No » disse dopo un po’, serio. « Hai ragione »
Il suo consigliere lo guardò smettendo di frignare e sbattendo un paio di volte le palpebre. Poi allargò le labbra in una sottospecie di sorriso tremolante.
« Sapevo che avrebbe ritrovato il senno, Ouji-sama… potremmo salpare domani mattina! Correrò subito a dare disposizione per la partenza! Discuterò con la Responsabile del Reverie affinché capisca la situazione e… »
Ma il principe si era voltato di nuovo, puntando un altro tavolo dell’immensa sala da pranzo.
« Ho voglia di una cioccolata calda » sospirò con un sorrisino soddisfatto, allontanandosi.
L’ometto crollò definitivamente a terra, mugugnando poco chiaramente qualcosa simile a disonore su di noi, sotto lo sguardo allibito degli altri commensali.
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Lumaradio: non mi pare esista nel mondo di OP, però è intuibile cosa sia!
- Ouji-sama: dal giap. “illustre principe”.
- Koori: dal giap. “ghiaccio”.   
- Aisu: pronuncia giapponese di “ice”, ghiaccio.
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Ne è passato di tempo! Tanti impegni, cose da fare… e confesso, difficoltà nello scrivere questo capitolo. È uno stacco totale dall’azione dei Mugiwara, e tentare di scrivere di politica be’… è “politica for dummies”, diciamo così.
Spero di non avervi annoiato, alcune parti non finivano più, però volevo dare spazio al Reverie, che tornerà anche più avanti per svelarci nuovi misteri…!   
NB: nel manga il Reverie sembra svolgersi con i membri seduti a lunghe tavolate. Ho cambiato in un anfiteatro per comodità ~ Non so perché ma avevo in mente le sedute a cui partecipava Padmé di Star Wars @.@
 
Come sempre i dovutissimi ringraziamenti a jillianlughnasad e Nic87 per le loro recensioni!    
 
 
 
Le tanto amate (?) note:
 
- Re Alim, Gran Cancelliere Rishi, Re Elmo, Principe Tarun…: insomma, un sacco di gente fittizia necessaria alla conversazione!  
 
- Donquixote Doflamingo: come potevo non mettere questo personaggio? Si trova così a suo agio a prendere in giro tutto e tutti che sembrava un peccato escluderlo! Anche se sono tentata di fargli arrivare in testa la gamba di legno di Chamomile per quello che sta combinando nel manga…! Comunque, a parte questo, anche lui tornerà prossimamente. Che dite, l’ho reso abbastanza come il Mingo che conosciamo? E il suo incontro/scontro con Bibi?   
 
- Bibi: non sono molto sicura quando scrivo di lei. Mi ricordo dei punti salienti, ma dovrei andare a rileggermi il manga. Spero che il discorso che ha fatto su Alabasta non sia risultato – oltre che logorroico – troppo campato in aria. Mi sono ricordata all’ultimo che la situazione, secondo la Marina, è stata salvata da Smoker (gli fischieranno le orecchie?).
Detto questo, in realtà il pezzo che mi è piaciuto di più scrivere, oltre quello con Neptunia, sono le quattro righe dei suoi ricordi a Whisky Peak… perché – mia mente malsana – creano una sorta di collegamento con i pensieri di Nico Robin nel Capitolo VI [Tracce]…! Tutte le strade portano a Bryan?
 
- Cobra: mi è piaciuto scrivere di lui! Ma la nota riguarda il suo interesse per Coralia. Voi che ne pensate?  
 
- Leonida Arbalest: padre di Gloryanne Arbalest (chi si ricorda chi è? :D) e Re di Arba… qui è solo accennato. Più avanti, non so ancora quando, parlerò meglio di lui, di Anne, e di tante altre cose legate a loro!
Non vi ricorda un grizzly?
 
- Ada Saimiri di Monky Cove: lei è una di quelle cose che accadono quando non sai che scrivere e improvvisamente il capitolo decide di fare da sé. Non era prevista (deve essere un vizio, visto che è successo lo stesso con Chamomile) eppure eccola qui… e non immaginate nemmeno che background abbia (in parte nemmeno io…!). Però ecco, senza volerlo ho aggiunto un tassello che in realtà mi mancava.
Il suo nome, Saimiri, è quello che designa una specie di scimmie. Monky è la storpiatura di “Monkey”, che insieme a Cove (baia) formano il nome dell’isola da cui proviene. Penso che però la soprannominerò “Monkey Island” in omaggio all’omonimo videogioco :D
È ancora prestissimo… ma tenete a mente che quando si riferisce a Roger, lo chiama Gol D. Roger, sottolineando quella D. malefica… kufufufufufu
 
- Coralia e Neptunia: breve cameo per la prima (avrà il suo palcoscenico più avanti), questa volta la scena se la prende la figlioletta impacciata e tenerissima. Ho avuto l’idea di farle stringere amicizia con Bibi fin da subito, e alla fine la loro scena, per quanto semplice, la trovo molto carina. Dovrà imparare presto un sacco di cose, perché il suo mondo potrebbe ribaltarsi da un momento all’altro…!
 
- Estella e Saba: chi si ricorda di questi due? ;) Un salto a ritroso fino al Prologo…!  
 
- Koori di Aisu Kingdom: una comicità degna dei migliori dei cliché… ma questa scena doveva essere semplice così com’è. Una sorta di anticipazione di eventi futuri. No, Koori non è scemo o primo di senso del dovere… è solo che… più avanti ve lo spiegherò ;)
 
 
 
 
 
Gli aggiornamenti continueranno irregolari, ma il prossimo capitolo sarà pura azione *W*
 
 
Bacioni!
Nene
 

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Capitolo 14
*** Capitolo XII - Kameoshi e Kazuka ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XII -
[Kameoshi e Kazuka]
 
 
 
 
 
 
 
« OUSHIZAAAAAAAAAA! »
I Tori Rossi in prima fila dietro i parapetti osservarono con espressioni accigliate e vagamente spaesate il ragazzo che urlava come un indiavolato in piedi sulla polena leonina della nave in avvicinamento. Pochi sembrarono riconoscerlo, ma in molti adocchiarono il vessillo del brigantino sbrindellato, stirando espressioni divertite davanti a un Jolly Roger così buffo.
Più indietro, Oushiza assottigliò lo sguardo, infastidito dal baccano.
« E’ Cappello di Paglia, capo. Roronoa Zoro è con lui » mormorò uno dei suoi uomini lì accanto, sfogliando un fascio arrotolato di volantini ingialliti. Li controllò tutti, fino a tirare fuori quello che cercava, porgendolo al capitano. Il Toro Rosso indugiò per qualche secondo sui trecento milioni della taglia, prima di tornare a fissare l’orizzonte su cui correva la nave malmessa.
« Kameoshi, Kazuka » chiamò allora, indolente.
Il più vicino, il suo vice, lo raggiunse subito, lasciando lo spadaccino in mano a un gruppetto che non si era distratto. Il secondo ufficiale, invece, si fece strada tra gli uomini accalcati a prua.
Alto su per giù un metro e ottanta, indossava pantaloni sdruciti e una giacca di jeans smanicata sopra una semplice canottiera bianca. I capelli castani erano nascosti da una bandana mimetica, mentre il viso olivastro era macchiato sulle gote da grasso color pece. Entrambi i pugni mostravano fasciature strette, sudice di sangue vecchio. 
« Occupatevene. Non li voglio tra i piedi » sentenziò Oushiza, lanciando uno sguardo alla sua prigioniera. Ma anche gli occhi di Mizu erano incatenati alla Sunny. Sembrava essersi calmata, respirando ancora pesantemente ma in modo regolare, dimenticandosi dell’attenzione quasi esclusiva del suo aguzzino su di sé.
Rufy sta venendo a salvarci, era il pensiero che le faceva battere fiduciosamente il cuore.
Tutto precipitò di nuovo quando sentì una mano afferrarla per il braccio e stringerla tanto da fratturarle quasi le ossa. Si morse un labbro, avvertendo il corpo del Toro Rosso a un passo dal suo.
« Non voglio noie » ripeté l’uomo in un sibilo di avvertimento ai suoi.
Gli ufficiali dinanzi a lui annuirono, il primo volgendosi a controllare la situazione; il secondo, facendo altrettanto, scrocchiò le dita, sputando in terra con un riso da iena stampato in faccia.
 
 
 
 
 
Attorcigliato al legno del pennone come un koala sofferente di vertigini, e con le dita intente a regolare i suoi visori a lunga distanza, Usopp cercava le parole per descrivere il quadro della situazione. Una situazione che si preannunciava un suicidio su tutta la linea.
Deglutì per la ventesima volta di fila, non volendo credere allo spiegamento di pirati che riempivano i tre velieri a ormai poche centinaia di metri di differenza.
« Usopp, vuoi rispondermi!? Cosa accidenti vedi!? »
Non fosse stato che Nami possedeva corde vocali di gran lunga superiori al vento che sferzava loro il viso, il prode Principe Distruttore avrebbe volentieri continuato a ignorarla. Ma quando la compagna rossa minacciò di lanciargli una scarpa optò per scendere, tremolante come una foglia.
« E’ una follia! » gracchiò, a metà tra una risata isterica e un pianto convulso.
La navigatrice fece un gesto stizzito con la mano, imponendogli di smetterla e passare al sodo.
« Ci saranno come minino cinquecento uomini su quei galeoni! » strepitò con le mani nei capelli, iniziando a parlare a mitraglietta. « Ce ne sono di tutte le stazze! Nessuno con l’aria di volerne anche solo parlare! Sono armati fino ai denti! Ci squarteranno e ci useranno come trofei… »
Nami lo fissò con un sopracciglio elegantemente arcuato e ascoltò quella trafila di informazioni e previsioni catastrofiche con una certa curiosità: il cecchino, nonostante il tono, sembrava infatti combattuto tra la consueta tremarella e un fiotto di coraggio che faticava a venire a galla. Almeno si era reso conto della gravità in cui versavano.
A sedare lo sproloquio, che stava raggiungendo livelli davvero macabri con descrizioni di teste affisse su picche, fu un tacco del cuoco sulla capoccia del compagno. Sanji teneva le mani in tasca artigliate alla stoffa per quanto gli prudevano dalla voglia di ridurre quei tori a degli arrosti fumanti.
« Dacci un taglio » digrignò tra i denti che stavano letteralmente masticando la sigaretta accesa. « Hai visto quel cerebro leso di Zoro? E la mia ninfa? Sta bene? »
« Sono troppi e pronti a farci la pelle, volete capirlo!? »
L’ennesimo urlo di Rufy coprì le repliche della ciurma. Da quasi un quarto d’ora il capitano si era appostato ritto sulla polena a gridare il nome del nemico, e di conseguenza a spaccare i timpani agli altri.
Ormai alla soglia della pazienza, la cartografa mise in atto la sua precedente minaccia contro il cecchino, mirando con la scarpa contro il ragazzo di gomma.
« Ahi! »  borbottò questo, girandosi con la fronte aggrottata dopo aver ricevuto il tacco in testa.
« Ahi un paio di scatole! Piantala con questo casino! Quelli ci aspettano e noi siamo decisamente in minoranza! Che cosa pensi di fare!? »
« Riprendermi Zoro, Mizu e Matt » rispose Rufy con la sua cristallina semplicità, non ponderando minimamente la domanda. « E battere il toro » aggiunse, crucciato come un marmocchio.
Robin concordò con un sorrisetto e un’alzata di spalle, mentre Franky al suo fianco alzava i pollici. Sanji, dal canto suo, brontolò qualcosa di incomprensibile su una “cottura a puntino”, allentando il nodo della cravatta. Chopper e Brook, che riuscivano a tenere a bada l’agitazione meglio dell’amico dal naso lungo, si misero sull’attenti.
Mani ai fianchi ed espressione fissa in quella del suo capitano, Nami annuì, i capelli che si agitavano intorno al viso mossi dal soffio veloce dell’aria. Continuavano a marciare spediti verso i velieri e di lì a breve li avrebbero raggiunti. E allora sarebbe stato con probabilità soltanto un gioco di abilità, astuzia e tenacia.
« Non sottovalutateli » si raccomandò, fissando in special modo il moretto e il biondo, già con la mente rivolta alla battaglia. Al suo fianco, impercettibile, si levò uno squittio che nemmeno udì. Si rivolse invece a Kamome, lì in cerchio insieme a loro. « Seal potrà esserci utile contro le navi? » domandò, scostando la mano di Usopp che le aveva preso la manica strattonandola appena.
« Oh… ohi… » pigolò il cecchino, mentre la burbera vecchietta picchiava il suo micidiale bastone in terra, affermando che la sua foca bianca se li sarebbe mangiati, quei ceffi.
« Insomma! » si voltò la navigatrice, stufa di sentirsi tirare dal cecchino che si comportava come un bambino di cinque anni.
« Credo dovresti ascoltarlo » le consigliò seria l’archeologa, accennando col mento a quello che stava avvenendo davanti a loro. Tutto il resto della cricca era già intenta a fissare l’andirivieni che animava i ponti antagonisti con punti interrogativi che saettavano sulle loro teste. Tra il nugolo di pirati urlanti all’arrembaggio, tre sottospecie di pachidermi si muovevano sulla Conqueror facendone tremare la struttura.
« Che accidenti… »
E a breve Nami seppe che diavolo stavano combinando.
Da un cannone, spuntato all’improvviso dietro la barriera umana che scorrazzava per i preparativi, partì un colpo gigantesco, quattro volte un proiettile normale, e a una velocità assurda.
In difesa, il primo a scattare fu Rufy, balzando sulla polena preparando le braccia all’indietro per un bazooka di risposta. Ma non ce ne fu bisogno. O meglio, lo sparo non raggiunse la Thousand Sunny.
Lo scoppio in aria fu accompagnato da un assordante boato. Dai frammenti di metallo si allargò una spessa rete grande quanto il brigantino che gettò sul reale obiettivo un’ombra che non lasciava via di scampo.
« SEAL! »
I pirati di Cappello di Paglia gridarono all’unisono, ma non poterono fare niente se non aggrapparsi saldamente ai parapeti quando il piccolo galeone subì le poderose scosse dell’immensa creatura bianca che si dibatteva cercando di liberarsi dalla trappola. Lanciando acuti barriti, la foca si impennò nell’acqua rischiando di capovolgere la nave a cui era ancora legata dalle robuste cinghie di cuoio.
« Dobbiamo sganciarci subito! » urlò Franky, sentendo il legno della sua opera scricchiolare. A fianco, Rufy teneva un braccio semi arrotolato intorno alla polena e l’altro occupato a reggere la vecchia Kamome, che richiamava a gran voce la sua grande compagna. Ci fu un altro violento scossone, prima che una dozzina di braccia apparissero sulla balaustra della prora e si adoperassero nello sciogliere i legacci di pelle. Tempo un minuto e la Sunny scivolò indietro, sospinta dalle onde che Seal continuava a generare non trovando via d’uscita.
Non si poté tirare il fiato neanche per un momento.
« SPARANO ANCORA! » strepitò Usopp attaccato a ventosa all’albero maestro. La ciurma fece in tempo ad alzare lo sguardo che l’aria fu spezzata da un secondo e terzo scoppio spaccatimpani e due proiettili oblunghi attraversarono il tratto che li separava. Le estremità a rampino, con quelli che scambiarono con cavi di recupero, si abbatterono su Seal, graffiandola e agganciandosi alla rete. Ciò che avvenne nei pochi istanti successivi lasciò tutti col fiato mozzo.
Si avvertì un leggero sfrigolio lontano e qualcosa brillò per un attimo sulla Conqueror. Passò una frazione di secondo e la creatura bianca urlò di dolore. Una violenta scarica elettrica si propagò dagli arpioni a tutto il suo corpo, circondandola di lampi danzanti e mortali.
La ciurma si parò il viso con le mani, accecata dalla luce delle scosse elettriche, ma i ragazzi percepirono ugualmente un fruscio al loro fianco e intravidero una figura spiccare un balzo dalla polena.
Ruggendo, e senza avvertire nemmeno il solletico sulle braccia, Rufy atterrò in quel turbinio di fulmini e districò dalla rete il primo arpione elettrico, gettandolo lontano. Si occupò allo stesso modo del secondo, mettendo fine a quella barbara tortura che aveva riscosso assensi e acclamazioni dai pirati nemici.
Un odore acre addensava ora l’aria respirata dal ragazzo di gomma, in piedi sul dorso arrossato della povera Seal che gemeva dolorante e spossata. Il moretto non spostò un solo attimo gli occhi dal veliero nemico, quello centrale da cui era stata lanciata l’offensiva.
Erano lì.
Zoro, Mizu e Oushiza.
Sentiva a pelle di essere osservato, studiato. Non si trattava di quel branco di gentaglia gasata che agitava le sciabole. No, conosceva la sensazione. Qualcuno lo stava scrutando con l’attenzione di un cacciatore che valuta la selvaggina.
Per questo restò immobile, i pugni serrati e il cappello di paglia scivolato a sfiorargli la schiena, anche dopo che la Sunny fu di nuovo al fianco di Seal, permettendo a Kamome di accorrere dalla sua compagna.
« Che il mare possa divorarli tutti! » sibilò accorata l’anziana, accarezzando l’enorme capo della foca non potendo fare altro se non starle vicino.
Rufy non rispose, ma fece scrocchiare le nocche della dita.
« Robin, Nami, Franky, Brook » chiamò, consapevole che la sua ciurma era appostata sulla nave alle sue spalle ad ascoltarlo. « Pensate a Seal e alla Merry. Gli altri con me »
A ordine impartito, si raccolsero soltanto cenni affermativi.
« Riportatemi Matt e la mia gabbianella » mormorò la vecchia Figlia del Mare a Sanji, Usopp e Chopper che si erano calati con delicatezza al fianco del capitano; il suo viso non era più contrito dalla solita severità, ma piegato dalla preoccupazione. 
« Ce ne occupiamo noi » assicurò Sanji, notando che Rufy era troppo preso dallo scandagliare i Tori Rossi per replicare.
« Andiamo » fu infatti tutto quello che disse, e i suoi, senza fiatare, si strinsero a lui per una traversata in volo del breve tratto di mare che li separava dai tre galeoni.
 
 
 
 
 
L’atterraggio sulla Conqueror portò non poco scompiglio.
Non preparati a quei quattro proiettili umani, gli uomini di Oushiza rimasero imbambolati a fissare le mani del ragazzo di gomma raggiungere la balaustra della loro nave fino a essere investiti in pieno. Con la sua grazia, il moretto iniziò da subito a sfoltire le file.
« Liberiamocene in fretta » sussurrò il cuoco al capitano, accendendosi una sigaretta.
« Sì. Zoro e Mizu sono qui vicino » aggiunse Rufy, facendo una panoramica della banda circostante con sguardo talmente gelido che finalmente qualcuno si fece venire il dubbio che non stessero per fronteggiare quattro incapaci. « Lei e Matt hanno la precedenza » concluse, fissando un punto imprecisato al di là della moltitudine di teste.
« Guarda che non me lo devi ricordare » sbuffò il biondino.
Senza aspettare cenni od ordini, superò il moretto di un passo parandoglisi di fronte.
« Vogliamo cominciare, feccia? »
Il grido offeso che si mescolò a quello di battaglia fu una risposta più che eloquente.
I primi suicidi andarono incontro a calci in faccia che li mandarono al tappeto senza un minimo di gloria. I successivi sembrarono non badare neanche per sbaglio alla sorte dei compagni, ma attaccarono come formiche rosse e affamate.
 
 
 
 
« Uaaah! Fa-fatevi sotto! Il prode Principe Distruttore vi-AAAH! »
Usopp afferrò presto quanto profonda fosse la sordità dei nemici e come non si lasciassero minimamente spaventare dall’improvvisa crescita di Chopper, che si frappose tra loro e il compagno. Con una poderosa spallata il giovane medico se ne levò di dosso tre. Purtroppo, davano l’idea di essere infiniti.
« Dannati insetti » imprecò Sanji, abbassandosi in tempo per evitare una sciabolata lanciata a fargli lo scalpo. Sistemò il piratuncolo assestandogli un rovescio della gamba nel fianco e lo spedì contro altri quattro in avvicinamento. « Dove diavolo è quel fannullone di un marimo quando serve!? »
« ZOOOROOOH? » si unì Rufy, saltando praticamente in testa a uno che si agitava lì intorno per avere maggiore visuale dall’alto. Notò così, poco più in là, uno strano assembramento di Tori Rossi intenti a un placcaggio da manuale di rugby. Il ragazzo di gomma balzò allora sulle spalle di un altro sciagurato, lasciando che i fendenti partiti poco prima per affettarlo si abbattessero sul precedente malcapitato.
La strana catasta di uomini che stava osservando subiva a brevi intervalli dei forti tremiti, neanche fosse stata il cono di un vulcano prossimo all’eruzione. Fu con un grido animalesco che all’improvviso l’ammucchiata fu scaraventata via. Ancora ammanettato, piegato sulle gambe per lo sforzo e con qualche strappo qua e là sulla maglietta macchiata, Roronoa Zoro finì il suo operato con una rumorosa imprecazione, mandando a quel paese la manica di idioti che l’aveva quasi ammazzato sommergendolo.
Gli ci volle un quarto di secondo per sentirsi scrutato da una presenza che ben poco aveva a che fare con il resto. Quando si voltò, vide il suo capitano sistemare un paio di sciocchi cerca guai e stirare un sorriso giulivo.
« Ce ne avete messo di tempo per arrivare » sibilò lo spadaccino, notando tra la folla anche il cuoco, Chopper e il temibilissimo – e neo-ribattezzato – “Generale Usopp”.
« Che vi è successo? » domandò Rufy con tranquillità anche quando vennero di nuovo attaccati su tutti i fronti. Lui si difendeva senza problemi, mandando all’aria i più. Al contrario, il marimo si trovò a lavorare di gambe, avendo i polsi ancora serrati dalle manette. Sembrava che i nemici non avessero fine, così il ragazzo ci mise un po’ a replicare.
« Ci hanno colti di sorpresa » spiegò, stampando una pedata in faccia a uno, schiena contro schiena al moretto. « Non è solo Oushiza ad avere i poteri dei frutti, anche il suo vi- »
E lo percepì.
Nella baraonda in cui erano immersi, fatta di urla e passi pesanti, ne avvertì alcuni fin troppo leggeri, felpati. Di qualcuno che vuole coglierti alle spalle.
Lo spadaccino si mosse rapidamente, ormai conscio delle abilità dell’avversario. Ruotò di centottanta gradi e spazzò le gambe al ragazzo di gomma mandandolo faccia a terra. In un gesto quantomeno insensato, stirò le braccia ammanettate dietro le spalle e attese l’attimo colto dal suo orecchio.
Un secco e freddo clangore metallico precedette il ghigno di compiacimento che si distese sul volto dello spadaccino, di nuovo libero di muovere le braccia. Davanti a lui, ora voltatosi, il nulla.
« Zoroooh! Che accidenti ti piglia… » si lamentò Rufy, massaggiandosi il naso arrossato. Gli ci volle un attimo per accorgersi della strana anomalia che stava interessando una parte dell’aria davanti a loro. Rimase a bocca aperta quando la vide assumere un aspetto solido e la sagoma di una persona.
« Lui è quello di cui ti parlavo, il vice-linguone del Toro Rosso » disse il compagno, schioccando la lingua impaziente. 
« Linguone? » ripeté il futuro Re dei Pirati, sbattendo gli occhi a metà tra lo stupore e lo sbigottimento.
Kameoshi apparve del tutto di fronte a loro tenendo fermamente la sua grande spada. Di fronte a lui, sciogliendo i muscoli intorpiditi delle spalle, il marimo piegò le labbra in una smorfia.  
« Una spada pesante » constatò, osservando bene la lama tirata a lucido e affilatissima nonostante la mole. Era un’arma grossa, lunga quasi quanto il proprietario e molto ben curata. L’aveva capito subito vedendo la destrezza con cui aveva tagliato i laccetti della sua panciera: quell’uomo non era uno sprovveduto, ma, anzi, sapeva il fatto suo.
« Ehi! Come hai fatto a sparire e ricomparire? » chiese Rufy, infischiandosene dell’infuriare del caos e approfittando del tempo che Zoro impiegò nel procurarsi tre spade a modo suo.
Il capitano della Conqueror osservò attentamente il ragazzino, rispondendogli con velata arroganza.
« Ho mangiato il Frutto Rept Rept, modello Camaleonte » ridacchiò, alzando la mano libera e passandola davanti al petto per una dimostrazione. Quella sbiadì all’improvviso, scomparendo.
Gli occhi del moretto si allargarono a palla e mancò poco che se ne uscisse con un’esclamazione ammirata. A impedire l’ennesimo e inutile siparietto fu il compagno, che fendette l’aria a mo’ di preparazione con le spade recuperate. La fida bandana nera nascondeva gli ispidi capelli verdi, gettando ombre sullo sguardo assottigliato.
« Non siamo qui per chiacchierare » sentenziò cupo, lanciando poi un’occhiata al suo capitano. « Io mi occupo di questo qui, tu cerca Oushiza. Ha Mizu »
Rufy annuì, stirandogli un sorrisino di in bocca al lupo.
Lo scontro tra Kameoshi e Zoro ebbe inizio nell’istante esatto in cui le loro lame cozzarono laddove, un attimo prima, si trovava il ragazzo di gomma.
 
 
 
 
 
La Storming era una nave superba.
Un galeone di lucido legno laccato rosso, di costruzione spartana, ma soprattutto veloce, seppur dalla stazza considerevole. Vantava un sistema di ventitre vele sempre spiegate a raccogliere il minimo alito di vento, e se anche queste apparivano leggere come lenzuola stese al sole, facevano della Storming una tempesta rapida e silenziosa, capace di avvicinarsi in modo imprevedibile e di travolgere l’avversario in uno scontro impari, lasciandosi alle spalle solo carcasse e relitti. Era la punta di diamante della flotta di Akai Oushiza.
Ora, poco lontana dalla battaglia che infuriava, abbandonata in disparte, il veliero attendeva paziente di saggiare sul proprio ponte il sangue avversario.
« Stella Fiammeggiante! »
L’urlo gracidato del prode Generale Usopp si alzò da dietro uno dei trenta cannoni che formavano la potenza di fuoco della Conqueror sulla coperta. Rannicchiato con la sua fidata fionda, l’integerrimo cecchino contava febbrilmente tra le dita le munizioni rimastegli, dedicando lo sguardo solo alla schiera di nemici che poco più avanti caricavano senza posa la povera renna umanoide. La situazione si complicava minuto dopo minuto, le loro forze andavano diminuendo mentre sembrava che gli avversari si moltiplicassero.
Con questo pensiero, il nasone si guardò intorno sperando di vedere qualcuno dei suoi compagni. Tra la bolgia schiamazzante, il più lontano era Zoro che – e Usopp credette di avere le traveggole – era intento a combattere contro… il nulla? Masticando un’imprecazione, il cecchino spedì una Stella di Piombo in fronte a un nemico pronto a prendere Chopper alle spalle, tornando a osservare lo spadaccino. Si era forse bevuto il cervello? Che accidenti stava combinando fendendo l’aria neanche si stesse allenando?
Ma non poté indagare oltre sulla bizzarria della scena, poiché evitò per un soffio di essere travolto da due Tori Rossi, tramortiti e lanciati nella sua direzione.
« Provateci di nuovo ad apostrofare così la mia dolce ninfa del mare e vi farò mangiare i vostri stessi denti! » sbottò Sanji, lo sguardo di fuoco, arrivando ad assestare un ultimo calcio nelle gengive ai due malcapitati. Anche avendo la camicia azzurra gessata lacerata sulle maniche, i pantaloni schizzati di sangue scuro e i capelli scomposti, il cuoco non dava l’impressione di essere stanco. Semmai infiammato dal suo “amore ardente”, che gli fece sistemare un’altra breve fiumana di nemici.
« Dobbiamo inventarci qualcosa! Non ce la faremo mai di questo passo! » urlò Usopp, strepitando nell’orecchio del biondino quando ritenne abbastanza sicuro avventurarsi fuori dal suo nascondiglio. Per tutta risposta, questo provò ad accendersi una sigaretta, ma si rese conto di aver perso i cerini.
« Questa non ci voleva » mugugnò tra sé, abbassandosi a frugare nelle tasche dei pirati stesi a terra con la cicca stretta tra le labbra.
« Mi ascolti quando parlo!? »
Al prode bugiardo stava rapidamente salendo la pressione e con essa le sue grida isteriche sul “sono troppi”, “ci ammazzeranno”, “perché non potevo rimanere sulla Sunny anche io!?” e altre stramberie simili. Aveva appena cominciato la sua filippica sui brillanti piani di Rufy nell’andare allo sbaraglio, che in una frazione di secondo si sentì afferrare dal cuoco per il naso e finire lungo disteso sul ponte.
« Detesto chi attacca alle spalle » sibilò Sanji, spezzando la sigaretta nella morsa dei denti. Messosi in piedi di scatto, si manteneva in rigido equilibrio su una gamba sola. L’altra, tremando leggermente, era ancora intenta a parare il pugno che pochi secondi prima avrebbe potuto spaccare il cranio al cecchino.
Il nuovo venuto, capì al volo il cuoco nei pochi istanti in cui si trovò a bloccare altri due colpi, era uno con cui due mosse non sarebbero bastate.
« Vai Sanji! Fagli vedere chi sei! »
Il grido d’appoggio di Usopp venne da almeno quindici metri di distanza, ossia dal cannone più lontano dietro cui si era nuovamente nascosto.
« Simpatico il tuo amico » ghignò l’avversario, increspando la faccia macchiata di grasso militare.
« Non quanto te » replicò Sanji, assottigliando lo sguardo. Si trovavano in un singolare gamba di ferro, entrambi tesi al massimo per non soccombere alla forza dell’altro.
« Sembri bravo stecchino biondo » rise Kazuka, in modo così sicuro che al pirata di Cappello di Paglia non piacque per niente. « Però dovresti sapere che spalle o non spalle, in guerra tutto è lecito! »
Fu un altro, dannatissimo secondo.
Qualcuno lo colpì all’altezza delle reni senza che ebbe il tempo di voltarsi. Perse stabilità in avanti, ma lungi dal darla vinta al baro, si puntellò con le braccia sul ponte, falciando l’aria dove si trovava il secondo avversario spuntato dal nulla. Essendo stagliato contro il sole non poté vederlo, ma i suoi colpi lo raggiunsero, strappandogli un gemito.
« SANJI ATTENTO! »
L’avvertimento del cecchino giunse troppo tardi. O forse totalmente inutile, poiché il cuoco si volse dal lato sbagliato, dove si trovava Kazuka, immobile a braccia incrociate, sogghignante. Il dolore che però gli invase il fianco provenne da un altro avversario ancora. Sanji strinse i denti e tentò di mantenere l’equilibrio, cercando di scorgere i volti degli ultimi due arrivati e di capire quello che stava starnazzando Usopp, ma invano.
« E’ ora di divertirsi un po’! » disse con un sorriso cattivo Kazuka, sferrando un calcio all’addome del cuoco. Un calcio che divennero tre, uniti a quelli dei due sconosciuti. Il biondino non poté resistere e incassò, sputando saliva cremisi.
« SANJI! » urlarono all’unisono Usopp e Chopper, sommersi dagli avversari. Ma era tardi. Il triplice attacco, condotto dal basso verso l’alto, aveva sollevato il biondino da terra come un pallone. E non ebbe un attimo di tregua neanche in quel frangente sospeso. Spiccato un balzo da uno dei cannoni, Kazuka assestò un secondo calcio al cuoco stordito, e questo lo mandò a schiantarsi sul ponte spoglio della Storming ormeggiata lì vicino.
« Dov’è finita la tua insolenza, stecchino? » celiò Kazuka, in attesa a gambe divaricate dalla parte opposta del cumulo di casse dov’era finito Sanji. Ci volle qualche manciata di secondi, prima che una mano graffiata spuntasse tra le assi spaccate e il pirata gentleman si rizzasse a sedere, passandosi una mano tra i capelli coperti di polvere. Il palmo si macchiò di sangue. Noncurante, si frugò in tasca, in cerca del suo fedele pacchetto, ma lo trovò accartocciato e con le sigarette distrutte.
« Tzé » sospirò « questa proprio non ci voleva »
« Stai pensando a come chiedermi pietà!? » gridò l’avversario con tono che voleva essere canzonatorio, ma che fu venato di impaziente eccitazione. Sputò in terra, prima di uscirsene con un ultimatum, ridendo sguaiatamente. « Hai dieci secondi per rimetterti in piedi. O forse sei così malconcio che è meglio venga io da te? »
Ignorando totalmente la spudorata arroganza del Toro Rosso, il cuoco si alzò, chinandosi a spolverare i pantaloni e avvertendo uno spiacevole ‘crick’ allo lo sterno.
« Bel fegato! Non ti è bastato il mio antipasto? »
Un ghignò nacque spontaneo sulle labbra del cuoco.
« Vedrò di ricambiare a breve con l’aggiunta della prima portata » replicò, artigliando con le dita l’interno delle tasche dei pantaloni, avvertendo impellente la voglia di fumare. Ciononostante, non perse la concentrazione. Si guardò un attimo intorno, notando che a bordo c’erano solo loro due. « Non vedo i tuoi tirapiedi a darti man forte… »
Ma non fece in tempo a terminare il suo pensiero, che l’altro scoppiò a ridere fragorosamente. Come qualcuno che sa di aver vinto.
« Non hai prestato la dovuta attenzione, stecchino! Sottovalutare il nemico porta a una sconfitta sicura! »
Di nuovo troppo veloce, imprevedibile.
Una spazzata partì dietro di lui, falciandogli le caviglie; ancora una volta un nemico di cui non poté vedere il volto, ma notò il guizzo degli scarponi pesanti, neri, consunti. Il biondino allungò le mani, attutendo la caduta e flettendo le braccia come fosse in procinto di allenarsi. Al contrario, trovò il giusto appoggio, seppur precario. Sollevò entrambe le gambe con uno sforzo micidiale delle reni, per poi lasciarle calare pesantemente, agganciando le spalle del nemico. In rapida successione, con un secondo scatto che la sua schiena sostenne a fatica, si ribaltò, portando a terra, con la testa incastrata tra i tacchi, anche l’idiota che l’aveva colto alla sprovvista.
« Che diavolo…! »
Aveva le traveggole. L’uomo che aveva appena rovesciato sul ponte…
« Cosa succede, femminuccia? C’è qualcosa che non ti torna? » sbottò Kazuka, ridendo sguaiatamente di fronte all’espressione incredula di Sanji. Ma il cuoco non rispose alla provocazione. Gli bastò osservare come l’uomo – o presunto tale – atterrato si dissolvesse in una nuvola di fumo per capire. Si rimise in piedi.
« Fantastico… » mormorò tra sé, pulendosi con il pollice l’angolo insanguinato della bocca, alzando lo sguardo. « … un altro arrogante con i poteri del Frutto del Diavolo »
« Non ti sento, moscerino! Perché non ti avvicini? »
Sanji lo ignorò. La sua irritazione aveva superato i limiti della sopportazione già da parecchio, ma l’adrenalina si stava stranamente dimostrando un ottimo narcotico. Per questo iniziò a sistemarsi le maniche della camicia, arrotolandole fino ai gomiti, avvertendo nel contempo le risa cattive di Kazuka come fossero un ronzio fastidioso.
« Falla finita » lo inchiodò il biondino quando fu pronto.
L’ilarità del Toro Rosso andò spegnendosi e un silenzio quasi irreale pervase il ponte della Storming. Sulla Conqueror infuriava la battaglia, ma a entrambi non importava. Per la prima volta, ebbero il tempo di studiarsi, di provare a indovinare i punti deboli dell’avversario. Purtroppo per il cuoco, però, la situazione non verteva di certo a suo favore. Come scoprì presto, costatando il reale potenziale dell’ufficiale nemico. Il ponte della nave scricchiolò.
« Perché non inizi a contarli? » fu l’ultimo commento beffardo dell’uomo.
Sanji chiuse per un attimo gli occhi. Cento contro uno. 
Una smorfia si aprì sulle sue labbra.
 
 
 
 
 
 
 
Iniziava a perdere la pazienza, il ché, per un tipo come lui, era una novità.
Partire all’arrembaggio su un veliero nemico era sempre stata una cosa divertente, perché solitamente aveva la fortuna di imbattersi in tipi davvero interessanti, come quel Kamequalcosa in grado di diventare invisibile. Se non era eccezionale una cosa del genere!
Tuttavia la curiosità, quella volta, non era un’emozione per cui entusiasmarsi. Non dopo aver constatato con i propri occhi la ferocia e la crudeltà di quei… pirati. Lo infastidiva anche solo chiamarli tali, ma non era il momento di soffermarsi sulle definizioni. Non con una cinquantina di bruti che caricavano nella sua direzione a spade sguainate. E soprattutto, non quando doveva trovare e liberare Mizu e suo figlio.
« Levatevi di torno! »
Il braccio gommoso si estese rapido, sbaragliando un nugolo di Tori Rossi e aprendo così un varco nella muraglia umana che si era eretta per fronteggiarlo. Il suo gancio, prima di tornare indietro, colpì debolmente la fiancata di legno della Conqueror, facendo alzare gli occhi del moretto sul lato di babordo.
Lì, a pochi metri di distanza, quasi fossero l’una il prolungamento dell’altra, Rufy scorse il ponte di una seconda nave, ampia e maestosa. Come in trance, in pochi istanti ne percorse tutta la lunghezza, dall’imponente albero maestro, grande tre volte quello della Sunny, ai cannoni con le corazze che luccicavano sotto la luce aranciata dell’imminente tramonto.
E per un attimo che parve vibrare, Rufy scorse il suo nemico.
Oushiza. Il Toro Rosso.
I suoi sensi si acutizzarono, e la sua attenzione fu catalizzata unicamente da quell’uomo che gli dava le spalle, stringendo a sé un’inerme Mizu dallo sguardo arrossato e sofferente.
Sarebbe morta. Perché lei, contro Akai Oushiza, non poteva nulla.
Per questo, per quell’impotenza stringente, Rufy dimenticò del tutto il mondo circostante.
Gli uomini che poco prima aveva sbaragliato si erano subito rimessi in piedi, gridando furiosi. Le lame fendevano l’aria, ma il ragazzo col cappello di paglia passò in mezzo a quella moltitudine senza prestar loro alcuna occhiata. Stese chi si frappose tra lui e il suo obiettivo. Probabilmente ruppe ossa, ma l’unico suono che percepiva realmente era quello delle proprie nocche scrocchiate, della suola dei sandali sul ponte macchiato e del risucchio d’aria dei suoi polmoni, più che mai simile a quello della stessa bestia che stava per attaccare.
« OUSHIZA! »
Aveva buttato fuori tutto l’ossigeno appena inspirato. Le vene pulsavano fastidiose ai lati del collo e delle tempie, e le unghie, se fossero state appena più lunghe, avrebbero ferito i palmi.
Il grido era stato una condanna. In molti colsero la sentenza, la sorta di promessa impressa in quell’unico tono, secco e alto.
Ma il Toro Rosso, colui a cui il moretto si era rivolto, si limitò a fissare la mosca molesta.
Si fronteggiarono.
Rufy, accovacciato sul parapetto della nuova nave con un tappeto di corpi tremanti e sconfitti alle spalle, e Oushiza, la cui gelida indifferenza negli occhi aveva iniziato a sciogliersi. Ma si trattava di una leggera impressione, più che di un reale interesse. La sua mano libera si alzò con lentezza, seguita dallo sguardo di tutti i suoi sottoposti per poi mutare quella indolenza in uno scatto secco, in un ordine, i migliori della ciurma.
Attaccare il nemico.
Un nuovo urlo, forse il più feroce fino a quel momento, si levò dalla Supremacy, il galeone personale di Oushiza. Uomini di stazza, dall’aria più intelligenze e crudele di quelli appena affrontati, si fecero avanti, coprendo alla vista di Rufy il capitano e la donna. Il moretto spostò su di loro la propria attenzione, avvertendo chiaramente che non li avrebbe sistemati con calci e pugni vibrati a caso.
 
 


 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Kazuka: dal giap. “molti, numerosi”
- Storming: dall’ing. “tempesta”
- Supremacy: dall’ing. “supremazia, superiorità”  
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Uaaaah quanto tempo! Non era per niente voluto ma nell’ultimo mese sono stata via ogni settimana per lavoro e non riuscivo ad avere un attimo di pace al pc @.@
Questo capitolo è pronto da anni, e non sto scherzando ;D è l’ultimo che scrissi della vecchia pubblicazione, anche se non ha mai visto la luce. E rileggendolo a distanza di anni be’… mi sono innamorata del mio stesso Sanji! Spero sia piaciuto anche a voi *-*
Come avevo annunciato qui c’è sicuramente più azione, l’inizio degli scontri, l’incontro con i pezzi da novanta di Oushiza…!
Si nota tantissimo l’impronta delle prime saghe di One Piece, con Usopp versione Principe Distruttore, o una Nami che si raccomanda coi compagni =)
 
 
A jillianlughnasad e Nic87 che continuano a seguirmi con le recensioni… tanti cuori!   
 
 
 
E alla fine arrivano le note:
 
- Kameoshi e Kazuka: del primo già vi ho in parte parlato. Vice Capitano di Oushiza è al comando della Conqueror. In questo capitolo ho “svelano” il potere del suo frutto, categoria Zoo Zoo, “Rept Rept” (Reptile) modello Camaleonte.
Riguardo Kazuka, assomiglia a una specie di mercenario-soldato a cui piace chiacchierare e fare il gradasso (povero Sanji!). Comanda la terza nave di Oushiza, la Storming, considerata anche la migliore per gli assalti.    
 
- Supremacy, Conqueror, Storming: il nome delle navi di questa piccola flotta mi hanno sempre affascinata! La descrizione di quest’ultima, con le sue ventitré vele, deriva da un libro letto molto tempo fa, “Storia della Pirateria”.   
 
- Tortura a Seal: ci sono andata pesante con lei, povera… però nella scena ho richiamato la capacità di Rufy di resistere senza problemi alla corrente elettrica, essendo di gomma. All’epoca, quando scrivevo, la saga di Skypiea era vivida nei miei pensieri XD
 
- Rufy & l’”Haki”: premessa. La storia, come dicevo nei primi capitoli, prende avvio tra Thriller Bark e Sabaody, pertanto ancora non è saltata fuori tutta la storia legata all’Haki, o meglio, i nostri non lo conoscono per niente. Tuttavia, Rufy nel manga prima di allora ha dimostrato più volte di avere questa predisposizione, sia all’Haki del Re Conquistatore che a quello della Percezione. In questo capitolo ne faccio riferimento più volte (quando si accorge di essere scrutato da Oushiza, quando sa dove andare a cercare Zoro e Mizu…)… ma è ancora lontano il tempo in cui Rufy imparerà a usarli davvero =D
 
 
 
 
 
Ufff…! Il prossimo capitolo è già avviato per fortuna, anche se c’è ancora tanto da lavorarci. Torneranno personaggi, ancora dell’azione… avanti tutta! ^w^
 
 
Bacioni!
Nene



PS: ho cambiato il font di pubblicazione =) Spero che vi piaccia e non vi dia fastidio!

 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo XIII - Sconfitta ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XIII -
[Sconfitta]
 
 
 
 
 
 
 
Il Den Den Mushi trillò nella quiete pomeridiana, mentre il sole calava languido oltre le tende degli oblò a bordo della Nightfall.
Buttato scomposto sul letto con indosso i vestiti del giorno prima, Lewis cercò a tentoni e a occhi ostinatamente chiusi la trasmittente sul comodino, riducendola quasi a una frittata per la malagrazia.
« Yaawn- pronto? »
« Lew »
Il moretto sospirò silenzioso, tirandosi a sedere e abbandonando qualsiasi residuo di torpore. Rivolse uno sguardo alla finestrella della sua cabina, notando che la luce era ancora brillante nonostante l’aranciato. I suoi piani prevedevano di godersi le sue beate ore di sonno fino al tramonto come sempre, ma non poteva dire di no a quella telefonata. Anche se sarebbe stata l’ennesima conversazione priva di novità.
« Ian… dove sei? »
« Ho superato Water 7 da un paio di giorni »
Nel grattarsi la nuca Lewis si scompigliò i capelli già disordinati, ragionando.
« A breve dovresti trovarti in prossimità di Long Ring » constatò, occhieggiando l’immensa cartina che occupava quasi un’intera parete della sua stanza. Ritraeva integralmente e nei minimi dettagli tutta la Rotta Maggiore e le isole conosciute. Con gli occhi seguì pensieroso l’itinerario percorso fino a quel momento dalla Mermaids’ Melody. Dalla 74a Divisione, situata nell’isola di Màldia, fino oltre la Metropoli dell’Acqua. Spostando ancora di più lo sguardo lo focalizzò sulla meta ultima di Bryan: Jaya.
« Ti mancano pochi giorni di navigazione per il porto di Mock Town, anche se ti rimane il tratto più imprevedibile con tutte le correnti improvvise e insensate che hanno da quelle parti. Potresti ritrovarti nelle Isole del Cielo senza preavviso » ridacchiò appena, stirando le gambe intorpidite dal sonno per poi riaccoccolarsi come un gatto sulle lenzuola disordinate.
Dall’altra parte l’Erede non raccolse l’ilarità del fratellastro, restando zitto.
Lewis colse l’antifona e contò mentalmente fino a dieci.
« Ci sto lavorando Ian » replicò stancamente e con una pazienza che si chiedeva da dove gli arrivasse. Ormai erano giorni, se non semplici ore, che ritornavano sempre sullo stesso spinoso argomento. « Ma non è così facile avere certe informazioni senza destare sospetti »
Questa volta il respiro pensante fu di Bryan, che sbuffò nel tentativo di sedare la vena di rabbia.
« Non capisco se per te ha la priorità fare il bravo marine o salvare Bonnie » rispose stizzito e con una punta di veleno che malamente riuscì a reprimere.
Voleva bene a Lewis e aveva ancora un enorme senso di colpa nei suoi confronti per non essere stato capace di restargli vicino come si erano promessi. Gli eventi di Salmoa avevano inevitabilmente incrinato i loro rapporti, nonostante più volte il moretto avesse insistito che non fosse colpa loro se erano stati portati via a forza da Irwin. Eppure Bryan sentiva di averlo abbandonato quella volta, di non essere stato sufficientemente forte da gestire la propria vita. Oltre che ad averlo fatto preoccupare per i tre anni successivi in cui era sparito dalla scena così repentinamente come era diventato in un giorno quasi il ricercato numero uno al mondo. In quei tre anni Lewis, incastrato al guinzaglio dell’unico parente rimastogli, aveva combattuto silenziosamente contro la convinzione di molti di ritenerli morti. Non aveva mai ricevuto una lettera, una telefonata, un accidenti di messaggio in bottiglia, qualsiasi cosa che potesse alleviare la sua angoscia nel sentirsi irrimediabilmente solo. Quel vuoto, soprattutto tra loro due, era ancora una voragine in cui guardavano con cautela e che ogni tanto li portava a tacere piuttosto che affrontare il problema.
Ma nonostante i sensi di colpa che stemperavano un po’ la tensione tra i due, Bryan aveva l’orribile sensazione di dubitare di come il suo fratellastro stesse gestendo la situazione.
Bonnie era stata rapita da giorni e lui continuava a giustificarsi affermando che non era facile trovare informazioni.
La sua rabbia mal trattenuta ebbe un ulteriore cedimento.
« Cos’è più importante, Lew? La vita di Bonnie o le medagliette sul petto? » ripeté nervoso, non riuscendo a trattenersi.
Il giovane Capitano Armstrong osservò il lumacofono e come l’espressione di Bryan si riflettesse in questo. Non sospirò nemmeno, essendosi aspettato quella domanda. Strinse le dita sul ricevitore, sentendo che con una lieve pressione in più lo avrebbe incrinato. Ormai mancava poco al tramonto e quel suo lato si stava risvegliando.
« Bonnie » rispose, in tono apparentemente neutro, ma con un formicolio addosso e qualcosa dentro che gli contrasse lo stomaco. « Bonnie è fottutamente più importante di qualsiasi altra cosa. Ma non meno di te, deficiente. Lo siete entrambi, ficcatelo in testa » ribatté tagliente, sentendo in fondo alla gola l’istinto di ringhiare. « Troverò un modo per capire cosa le è successo ma senza che qualcuno venga a sapere che sono in contatto con te e possa usarmi per farti uscire allo scoperto. Hai capito? »
Non voleva risultare brusco, ma se Bryan iniziava a dar retta solo alla collera, abbandonando del tutto il buon senso, non sarebbero durati molto.
Era preoccupato per sua sorella e lo stava sfibrando che Bryan non lo intuisse, non si fidasse. Ma da un lato, non poteva dargli torto, soprattutto perché una scarsa idea su cosa potesse essere la 92a Divisione se l’era fatta. Prima di saltare alle conclusioni aveva però bisogno di tastare meglio il terreno. Non voleva dare false speranze né a sé, né anzitutto a Bryan. 
Dall’altro capo, a bordo della Mermaids’ Melody, l’Erede era rimasto interdetto a fissare con la fronte corrugata il Den Den Mushi. Per quanto tutta quella faccenda lo stesse consumando dentro, tra preoccupazione e una furia cieca, le parole di Lew lo ridussero al silenzio. Non voleva ammetterlo, ma si era tranquillizzato. Stava per obiettare che non doveva pensare a lui, che se gli avessero mandato contro anche un Ammiraglio non si sarebbe tirato indietro, ma si rese conto che non sarebbe stato giusto.
Conosceva Lewis e sapeva che non gli stava mentendo. Doveva avere qualcosa in mente, e gli bastò sentirsi dire che stava pensando a cercare Bonnie per ingoiare altre invettive.
In quei quattro anni era cambiato, era distaccato, appariva più adulto nonostante avessero la stessa età. Usava spesso toni ponderati o totalmente disinteressati, e aveva visto nei suoi occhi muoversi almeno il doppio dei pensieri che esprimeva a voce. Gli mancava il fratellastro gioioso e un po’ saccente, soprattutto da quando aveva visto in cosa potesse mutare, ma ancora una volta si ripeteva che tutto era colpa di quel dannato giorno a Salmoa e che il passato non poteva essere cambiato. Però Lewis era ancora lì ad aiutarlo, lo avvertiva a pelle, e di quella sensazione non avrebbe mai dubitato.
« Prendo il tuo silenzio per un più che sufficiente “Scusa se ho dubitato di te” » concluse il moretto con una nuova nota scanzonata, ma addolcita.
« Scusa » borbottò l’Erede, trovandosi impacciato di fronte allo Snail.
« Acqua passata » concluse il Capitano di Vascello, riprendendo a scrutare con interesse la cartina e l’isola di Jaya come se avesse potuto estrapolarne il futuro. « Hai già pensato a come sarà rivedere tuo padre dopo quattro anni? » chiese, più sovrappensiero che volontariamente.
« Non mi interessa. Questa volta non sbaglierò a colpirlo se ha taciuto qualcosa su questa faccenda » replicò gelido l’altro, senza ripensamenti.
Lewis non si stupì più di tanto del tono. Quello era un argomento delicato quanto la questione di Bonnie.
« Non ammazzarlo » si premurò di dirgli, ma non perché avesse a cuore Irwin. In realtà già prima dell’incidente di Salmoa si ricordava solo vagamente di lui. Lo disse più perché forse poi un giorno Bryan se ne sarebbe pentito. « Dico sul serio. Anche se non ti saprà dire nulla di rilevante, era una strada da battere, ok? »
Dall’altra parte non giunse risposta se non un brontolio incomprensibile. A volte l’Erede era un libro aperto.
« E Bryan… piantala di chiamarmi ogni sei ore. Quando avrò novità sarai il primo a saperlo, ok? I miei uomini cominciano a pensare che mi sia fatto l’amante con tutte queste telefonate » mugugnò, in uno scarso tentativo di far ridere l’amico.
Gli occhi dello Snail si assottigliarono.
« … va bene, tesoro » bofonchiò l’Erede, sforzandosi di stare al gioco. Ma era troppo difficile. Per quanto si trattasse di Lewis, non riusciva a essere così calmo e misurato come lui. A cercare di pensare positivo e non essere impaziente. C’erano momenti in cui credeva di impazzire senza sapere cosa stesse succedendo a Bonnie, di cedere all’angoscia e distruggere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Avrebbe perfino preferito avere qualche notizia dai giornali, che puntualmente Gloryanne scandagliava da cima a fondo a caccia di indizi, e leggere che avevano fissato un giorno per l’esecuzione o qualcosa del genere. Almeno avrebbe saputo qualcosa e dove dirigere, avrebbe potuto, letteralmente, scuotere le montagne e farla pagare a chi gli aveva teso l’ennesimo affronto. Anche se qualcosa, in fondo, continuava ostinatamente a sostenere che dietro tutto ci fosse il Vice Ammiraglio di quattro anni prima, Shirami. Quell’uomo che sembrava conoscere così bene suo padre e viceversa. Aveva ricordi confusi del giorno al cimitero, ma i suoi gli occhi freddi e folli gli erano rimasti marchiati dentro.
Lewis salutò il fratello e riagganciò il ricevitore, vedendo gli occhietti del Lumacofono chiudersi.
Un istante dopo si tirò in piedi, rapido come un felino, e a piedi nudi raggiunse in due falcate la cartina della stanza. La sua mano stretta a pugno si piantò sulla superficie di tela della mappa, creando un buco nell’esatto punto dell’isola di Màldia. La sua schiena vibrò per il colpo, la testa china in avanti e i capelli nero inchiostro scompigliati sul viso. Non cedette e la parete lignea retrostante scricchiolò, incrinandosi.
Lewis liberò il ringhio frustrato che fino a poco prima aveva trattenuto al telefono con Bryan, sfogandosi.
Ritirò la mano percependo appena le schegge di legno conficcatesi nelle nocche, e guardò con odio il danno alla cartina. Il nome del luogo dove un tempo risiedeva la 74a Divisione, e da dove aveva avuto origine quella pessima situazione, era strappato, ma questo non lo aiutò ad acquietare il nervosismo.
Erano passati una manciata di giorni dal rapimento di Bonnie, eppure lui ancora non aveva avuto indizi se non labili teorie che gli vorticavano in mente senza trovare conferme. A volte avrebbe voluto cedere all’irragionevolezza come faceva Bryan e infischiarsene delle conseguenze, trovando a forza quelle risposte e salvare la sorella.
Poi però si ricordava che il gioco in cui si muovevano era più pericoloso e insidioso di una semplice scaramuccia in mare aperto tra avversari. Ognuno aveva una posizione a gravargli sulle spalle e lui aveva scelto da tempo di poterla sfruttare al meglio per aiutare i suoi fratelli a sopravvivere.
E questo significava essere paziente e tenere i nervi saldi. Il motivo per cui era risultato così odioso persino a se stesso durante la chiamata. Tra loro tre era sempre stata Bonnie quella con la testa sulle spalle, capace di farli ragionare e considerare le situazioni da prospettive diverse, oltre che comprendere la sua situazione in bilico tra la divisa da marine e il loro legame. Ora toccava a lui, se non voleva che Bryan finisse incastrato in qualche subdola trappola architettata alle sue spalle.
Un leggero bussare alla porta della cabina lo fece voltare.
« Sì? » domandò pacato, osservando come le ultime ombre del mobilio stessero morendo sotto i raggi del sole ormai tramontato. La pelle delle braccia e del collo iniziarono a formicolargli in modo famigliare.
« Lewis-senchou… v-volevo avvertirla che siano in prossimità di Marine Ford » avvisò il sottoufficiale, senza azzardarsi ad aprire la porta.
Il moretto piegò le labbra in una smorfia, passandosi le mani nei capelli.
« Avvisate mio nonno che sono di ritorno e occupatevi dei permessi per sbarcare » ordinò.
« Sì signore! » replicò l’uomo e subito dopo il ragazzo lo sentì filare via. Rise, un po’ divertito, un po’ esasperato. Buona parte del suo equipaggio continuava ad avere il terrore di lui appena erano in prossimità del crepuscolo.
Scacciando quel pensiero, tornò a fissare ancora una volta l’enorme mappa rovinata sul muro, questa volta una zona situata nella fascia di bonaccia vicino alla Red Line: Marine Ford, il quartier generale della Marina. Il luogo che più detestava al mondo. Ma anche l’unico che forse poteva fornirgli le risposte che cercava.
Era ora di dare un giro di vite e trovare Bonnie.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Nel tratto di mare
tra Koujin e Port Red Jack.
 
 
 
 
 
« Quanto speri ancora di durare, spadaccino? »
Zoro non rispose, stringendo tra i denti l’elsa dell’ennesima spada che levava contro il suo avversario. Non sapeva da quant’era che stavano incrociando le lame e cosa stesse succedendo intorno a loro di preciso. O dove fossero gli altri. Aveva un brutto presentimento, ma ancora una volta si impose di scacciarlo mantenendo alta la guardia.
Contrasse i muscoli delle braccia, caricando l’attacco ma perdendo istanti utili nell’individuare il suo avversario, reso invisibile dai propri poteri. Kameoshi continuava a farsi beffe di lui usando la propria abilità, forse convinto di poterlo cogliere di sorpresa prima o poi, ma il marimo non gli staccava l’attenzione di dosso, scoprendolo ogni volta.
Fosse stato quello il problema, lo spadaccino dei Mugiwara si sarebbe guadagnato la vittoria con meno sforzo, nonostante l’indiscutibile bravura del suo antagonista.  
Il guaio era un altro.
« Meshishishi » ridacchiò il vice dei Tori Rossi quando il clangore delle lame fu ben udibile. Zoro imprecò, tirandosi indietro con uno scatto che tradì in parte la sua stanchezza.
Con nonchalance il camaleonte ondeggiò di lato, evitando la punta spezzata della sciabola che si conficcò sul ponte. Senza attendere, il biondo, ancora incolore, sollevò e fendette l’aria con un taglio preciso con cui voleva mettere fine allo scontro, aprendo in due l’ex cacciatore di pirati.
Zoro si lasciò sfuggire un verso soffocato, tirandosi indietro e attutendo il colpo con quello che rimaneva dell’arma che aveva in mano. Ma anche il resto della lama si ruppe sotto la pesantezza avversaria. Il sangue gli macchiò la manica della maglia dove la pelle fu lacerata.
« Sei un testardo, spadaccino. È la quarta o la quinta spada che ti spezzo? » lo schernì il vice capitano da un punto imprecisato. 
Il marimo fissò il suddetto punto tenendo a bada l’irritazione, riprendendo fiato e togliendosi l’elsa di bocca. Qualsiasi arma bianca riuscisse a recuperare sembrava troppo fragile contro quella di Kameoshi.
« Restituiscimi le mie spade » ansimò, piegando di lato il collo teso e sentendo la ferita dolere abbastanza da dargli una fitta lungo le tempie. « Così vedrai come ti riduco »
Non giunse risposta. Zoro guardò la porzione d’aria dov’era convinto si celasse il vice capitano, ma un attimo dopo si accorse dell’errore. Flettendo il polso, parò in tempo la mossa improvvisa che l’aveva colto di sorpresa. Uno scricchiolio lo avvertì che l’ennesimo filo si era incrinato, ma ci badò poco. La potenza della botta fu micidiale; data di piatto fu come la spazzata di una mazza, e il Mugiwara sentì il terreno mancargli sotto i piedi. L’urto contro casse e barili poco distanti gli tolse il fiato, oltre che seppellirlo sotto frammenti fastidiosi e taglienti. Un odore dolciastro di birra e frutta schiacciata gli invase le narici, imbrattandogli fastidiosamente i vestiti.
« Meshishishi! Sei ridicolo, Roronoa Zoro, ridicolo! » cantilenò l’avversario. « Non sono uno stupido e dovresti smetterla di sottovalutarci. Per il nostro capo non sei una minaccia, ma questo non significa che io sia uno sprovveduto. So di te, del tuo capitano e di quello che avete combinato finora » chiarì la voce che per la testa tramortita del marimo parve provenire da ogni dove. « Non mi interessa vederti al pieno della tua forza, questa sfida mi sta già divertendo così. E poi non ho intenzione di rovinare delle katane di pregevole fattura che rivendute frutteranno una discreta quantità di berry »
Uno tzé inarticolato fu l’unica risposta. Ignorando le schegge che gli ferivano la pelle, Zoro afferrò le due spade che gli rimanevano, scattando in avanti guidato dai sensi per tenere sott’occhio il nemico. Con la lama ancora sana caricò il colpo d’apertura dall’alto verso il basso, imprimendogli tutta la forza dei muscoli stanchi. Sentì Kameoshi emettere un suono di disapprovazione e puntellarsi meglio sui piedi piccoli, ma inevitabilmente il suo equilibrio divenne precario. Zoro sfruttò l’attimo, preparando il secondo fendente e puntando al collo ora che la difesa era scoperta.
Fulminea, la lingua appiccicosa di Kameoshi stritolò il polso dello spadaccino, bloccandolo. Con una forza che il Mugiwara non aveva previso fu di nuovo rovesciato a terra, incrinando le assi del ponte con un gemito.
Digrignò i denti, ma vide la stoccata avversaria minacciarlo ancora. Rotolando su un fianco evitò la lama invisibile che si conficcò sulle assi della Conqueror, mancandolo di un soffio.
Capì che doveva sfruttare il momento per contrattaccare finché Kameoshi aveva la spada bloccata. Recuperò le due sciabole incrinate e si morse un labbro per tacitare il dolore di ferite e lividi. Doveva riuscire a mettere a segno un fendente che fermasse o rallentasse il vice capitano abbastanza da permettergli di andare a cercare le proprie katane senza avercelo alle calcagna.
Si mosse, tenendo i sensi all’erta per schivare l’eventuale lingua molesta, certo che avrebbe macchiato di sangue le lame, quando un fragore alle sue spalle lo bloccò facendolo sussultare. Il pessimo presentimento che aveva avuto si riaffacciò come un brivido lungo la spina dorsale, ma non poté dargli ascolto quando la Conqueror stessa tremò, oscillando per l’improvviso mare mosso. Molti a bordo persero l’equilibrio cacciando imprecazioni e urla di sorpresa.
Zoro sì appoggiò all’albero maestro per rimanere in piedi, dimenticandosi momentaneamente del proprio scontro. Alzò il capo in alto come molti, come lo stesso ridacchiante Kameoshi, verso l’incredibile visione che aveva seguito l’assordante rumore soprannaturale.
Una colonna d’acqua irregolare si snodava nell’aria poco distante, oltre i parapetti della Supremacy. Il liquido aveva la forma sbozzata di un enorme serpente irrequieto e continuamente sul punto di cedere e ricadere su se stesso.
Ma mentre la maggior parte dei Tori Rossi apostrofò l’innaturale creatura gracchiando superstiziosi, a Zoro si contrasse lo stomaco per il terrore quando riconobbe cosa si agitasse debolmente nella sua bocca. Era una figura dai contorni distorti dall’acqua salmastra, ma il rosso della camicia, i jeans al ginocchio e la zazzera di capelli neri tolsero qualsiasi dubbio allo spadaccino. Soprattutto quando vide le braccia del suo capitano abbandonarsi ai flutti della creatura e tutto il suo profilo essere sballottolato inerte nell’esofago del serpente.
« RUFYYY! » urlò col cuore in gola.
Scattò nella sua direzione, ma nello stesso istante il mostro soprannaturale perse forma e consistenza come il getto di una fontana che viene spenta, precipitando in mare.
 
 
 
 
 
 
Sulla Storming regnava un silenzio rotto soltanto dallo scricchiolio poco rassicurante delle ossa di Sanji.
Ansimante, il cuoco rifilò l’ennesimo giro di calci ai suoi avversari fittizi, facendoli scomparire uno a uno con dei pop che ormai lo irritavano da almeno una venti minuti. Sistemati questi tornò a concentrarsi sul suo reale obiettivo, sbragato a cavalcioni su un cannone con espressione annoiata e beffarda. Il ghigno scolpito in faccia stava minando seriamente i nervi del biondino.
Con lo scatto più rapido che i suoi muscoli chiazzati di lividi avevano da offrirgli, Sanji si preparò a sferrare in testa a Kazuka un calcio che se lo avesse raggiunto avrebbe ribaltato definitivamente la partita. Ma come la parte pessimista del cuoco si aspettava, anche questo attacco venne parato. Due nuove copie dell’uomo sbucarono dal nulla, frapponendosi e facendo indietreggiare il Mugiwara che evitò di pochi centimetri un pugno nello stomaco.
« Hai l’espressione depressa, stecchino! » lo derise l’ufficiale di Oushiza, sventolandosi il palmo della mano davanti per sottolineare il concetto.
Il cuoco sbuffò dalle narici, non sentendosi così incline all’omicidio da molto tempo. Quel tipo l’aveva esasperato, innervosendolo con quel suo atteggiamento altezzoso e senza ancora essersi sporcato davvero le mani nello scontro.
Sanji aveva capito da subito che colpendo le copie con tutta la forza e la rabbia che aveva il danno non si sarebbe trasmesso all’originale. In più quei fantocci comparivano e sparivano a ogni suo cenno, impedendogli di arrivare a cantargliene quattro.
Lo scontro versava quasi totalmente a suo svantaggio. Fino a quel momento era riuscito solo a proteggersi dagli assalti, ma la frustrazione di non essere ancora stato capace di provocargli anche solo un graffio lo stava facendo imbestialire.
Mentre nuove silhouette ghignanti presero a circondarlo e attaccarlo su più fronti, il cuoco cercò di pensare a un modo per ribaltare la situazione e piantare una scarpa in faccia al Toro Rosso.
« Tempo sprecato biondino! » cantilenò Kazuka come se gli avesse letto nel pensiero. « In guerra contano i numeri e tu non li hai! »
« Se ti prendo… » sibilò il Mugiwara.
Ma dovette dargli ragione. Anche se riuscì a evitare la maggior parte degli attacchi, quando si trovò a pararne uno da cui non poteva sfuggire perse secondi preziosi. Due fantocci lo circondarono, assestandogli un pugno ciascuno su entrambi i fianchi. Sanji percepì un sapore disgustoso risalire dallo stomaco mentre sputava di nuovo saliva mista a sangue. Una mano grossa e callosa lo afferrò per i capelli, spaccandogli la faccia sul ponte della nave e togliendogli il fiato.
« Game over » fu quello che il biondo udì fiocamente, con la fronte premuta sul legno. 
Kazuka ghignò, avvicinandosi lui stesso al corpo bloccato e impotente del cuoco. Adorava assestare personalmente il colpo di grazia e pregustò il momento in cui avrebbe sentito il cranio di quel damerino spappolarsi sotto il proprio stivale. Fletté la gamba, gli occhi bramosi, mentre la copia che lo teneva a terra spariva.
Ma la Storming si scosse inaspettatamente, arrestando l’ufficiale dei Tori Rossi. Una vibrazione portata da una spazzata di vento percorse le sartie e gli alberi del galeone, proveniente da oltre la Conqueror e la Supremacy, e fece aggrottare la fronte di Kazuka.
Sanji non ci pensò due volte a sfruttare l’attimo di distrazione. 
Afferrò il nemico per la caviglia e tirò con tutta la forza che poté, sbilanciandolo all’indietro. Mentre questi cadeva confuso, il cuoco si alzò fulmineo, il viso imbrattato di sangue, e senza nemmeno guardalo lo colpì con un calcio al fianco che lo spedì metri lontano.
Malfermo sui piedi per un senso di vertigine che gli rimbombava tra le tempie e la nausea data dagli attacchi di poco prima, Sanji fissò il suo avversario riverso e immobile. Non poteva fidarsi a perderlo d’occhio, ma il suo sesto senso per il pericolo stava richiamando la sua attenzione. 
Guardò verso la Conqueror, ormeggiata tra le altre due navi. Il frastuono che l’aveva animata per tutto il tempo pareva essersi quietato in parte, sostituito da un brusio anomalo. Il cuoco notò come gran parte dei Tori Rossi guardasse verso l’alto, indicando qualcosa che a lui era precluso da vele e alberi.
« … NJI! ALLE SPALLE! »
Istintivamente, e un po’ per l’equilibrio non del tutto ristabilito, Sanji cadde in avanti, attutendo l’impatto con le mani. La gamba tesa di Kazuka spazzò l’aria mancando l’obiettivo, ma nello stesso momento qualcosa esplose vicino a loro, creando una cortina fumogena che invase la Storming.
Il cuoco tossì, cercando di rimettersi in piedi tra le volute che odoravano di spezie, quando due grosse braccia ricoperte di pelo lo agguantarono.
« Sono io! » bisbigliò Chopper nervoso. « Dobbiamo andarcene! »
Preso di peso e senza badare a repliche, il medico portò Sanji oltre il fumogeno e verso il parapetto della nave, mentre alle loro spalle Kazuka sferzava il fumo inveendo nel non riuscire a trovare “lo stecchino”.
Prima che il cuoco potesse chiedere spiegazioni di quel gesto, Chopper mutò forma nel suo Jumping Point e balzò dal bordo della Storming sulla Conqueror, in una zona tra cannoni e casse appartata dalla ciurma ancora col naso all’insù. Usopp li stava aspettando, cereo e agitato.
« Muoviamoci! » strepitò senza fiato il cecchino, ma prima che potessero sgusciare via il cuoco si impuntò. 
« Che sta succedendo!? »
Tutto dell’espressione del Principe Distruttore indicava a chiare lettere “non c’è tempo adesso”, ma qualcosa di molto più grave si rifletteva nei suoi occhi e nelle sue spalle tremanti.
« Oushiza ha vinto e Rufy è finito in mare »
 
 
 
 
 
 
Poco prima…
 
 
Rufy evitò una sciabolata incespicando all’indietro. Due energumeni lo acchiapparono per le braccia e lo spadaccino davanti a lui sogghignò, levando la lama e mirando alla sua giugulare.
I due aguzzini che lo tenevano immobilizzato ringhiarono quando il moretto parò il colpo con la suola dei sandali, usando gli stessi Tori Rossi come appoggio. Prima che qualcuno degli avversari reagisse, il ragazzo di gomma risucchiò l’aria circostante gonfiandosi come un pallone e liberandosi di tutti e tre sfruttando il loro sconcerto.
« Voi non mi interessate » avvertì Rufy, rimettendosi in piedi sul ponte della Supremacy in mezzo ai sottoposti di Oushiza che coprivano quest’ultimo alla vista. Oltre le loro schiene, il capitano era silenzioso ma il moretto era certo lo stesse ancora tenendo d’occhio. Mizu piangeva e si agitava, ma gli scontri circostanti sovrastavano la sua voce.
I Tori Rossi presenti risero, spalleggiandosi nell’apostrofare “l’insetto di gomma”.
L’odore di polvere da sparo era forte e si mescolava a quello ferroso del sangue portato dai lievi sbuffi di vento. I tre grandi velieri dondolavano uno accanto all’altro placidamente sulle acque calme, scricchiolando appena mentre il rumore del sartiame teso faceva da sottofondo alle grida di battaglia.
L’élite di Oushiza caricò di nuovo contro il moretto. Rufy saltò, evitando di essere fatto a dadini, e caricò il suo colpo a frusta con la gamba. Alcuni vennero colpiti, ma nello stesso momento qualcuno lo attaccò alle spalle, sfregiandogli la schiena e aprendo un buco considerevole nella casacca rossa.
Il Mugiwara rotolò via con una capriola, voltandosi per vedere chi lo avesse sorpreso, ma altri tre comparvero ai suoi fianchi, ghignanti. Circondato di nuovo, il moretto tentò di scartare di lato, chiudendo le dita a pugno per il contrattacco, quando finì faccia a terra. Una catena spuntata dal nulla si strinse intorno alla sua caviglia e un fastidioso dolore gli percorse tutta la gamba. Guardando meglio gli anelli metallici, Rufy notò che questi avevano piccoli e affilati spunzoni che gli si stavano conficcando nella carne.
« Non saltelli più in giro come una pulce, eh? » rise il Toro Rosso che teneva la ferraglia. Con le forti braccia diede uno strattone che trascinò Rufy sul ponte alla portata dei compagni. Nel cerchio di esecuzione le sciabole si levarono alte e scintillanti. Il moretto imprecò tra sé, strattonando la gamba imprigionata non badando ai graffi e al dolore.
« Fermi »
L’ordine fu secco e pacato. I Tori Rossi si immobilizzarono come se qualcuno avesse staccato loro la spina, il filo delle spade che catturavano raggi di sole creando giochi di luce sul ponte di legno.
Lo stesso Rufy smise i tentativi di liberarsi, smorzato da un inaspettato senso di inquietudine.
A parlare era stato Oushiza. Il moretto lo intravide tra la giungla di gambe che gli oscuravano la vista. Scorse anche il profilo sottile della Figlia del Mare dimenarsi nella stretta dell’uomo. La udì supplicare, ma il ragazzo di gomma fu distratto dal tremito che percorse la nave. Gli anelli della catena tintinnarono mentre l’odore di salsedine si faceva più pregnante.
« Lascialo stare! È solo un bambino! » implorò Mizu al fianco del Toro Rosso che ancora la teneva stretta a sé, nonostante lei si dimenasse al punto da farsi male.
Mulinelli di vento innaturali le sferzarono il viso e i capelli, facendola rabbrividire non di freddo, ma di terrore.
Poco distante, tanto che le sarebbero bastate appena tre falcate per raggiungerlo, Matt era trattenuto malamente da un sottoposto di Oushiza. Era pallido e spaventato, continue lacrime gli rigavano le guance mentre piagnucolava dei flebili “mamma”, minacciato dal coltellaccio del suo aguzzino che gli intimava di seguire gli ordini del capitano.
« Sei un mostro! » strillò con ribrezzo la donna, colpendo ripetutamente il Toro Rosso che la ignorava. Quando tuttavia cercò di sgusciare via dalla sua presa ferrea sfruttando il proprio potere, questi finalmente si voltò a prestarle attenzione, raggelandola con lo sguardo.
« Tu ora non mi servi » mormorò, occhieggiandola annoiato.
La Figlia del Mare, distratta dalle iridi metalliche e prive di alcuna pietà dell’uomo, si accorse della mano troppo tardi. Un dolore bruciante la colse impreparata. Lo schiaffo vibrò violento contro la sua guancia, mandandola a terra stordita.
Matt singhiozzò più forte, allungando una manina graffiata, ma il pirata lo strattonò, ringhiandogli di stare fermo. E il bambino capitolò quando si ritrovò nell’ombra del capitano. Si fissarono, il piccolo indietreggiando inconsciamente contro le ginocchia di chi lo tratteneva.
« Adesso Matt » iniziò Oushiza, serio e con una calma glaciale che stroncò del tutto le sue lacrime. « Mostrami il tuo potere o farò ancora più male a tua madre »
 
 
Rufy stava strattonando la gamba quando questa quasi gli rimbalzò addosso. Il pirata che teneva la catena la lasciò di botto e si tirò indietro, come i suoi compagni. Quando il moretto fu investito dall’acqua la prima volta non capì cosa stesse succedendo, avvertì soltanto la sgradevole sensazione di perdere energia, oltre che il sapore prepotente di mare invadergli la gola.
Tossì forte, sputando sul legno tutto il liquido che per poco non l’aveva strozzato. Era stata più di una semplice secchiata. Un’onda con la forza di un pugno gigantesco l’aveva preso in pieno e inglobato, per poi implodere su se stessa e lasciarlo cadere carponi sul ponte. Alzando lo sguardo tra la frangia grondante, Rufy trovò il suo avversario in piedi davanti al parapetto. Strinse i pugni quando vide a terra immobile la Figlia del Mare e prigioniero poco più in là un bambino che dedusse essere Matt.
« Non ci siamo » scandì Oushiza, regalando appena un’occhiata a Cappello di Paglia per riportare subito l’attenzione sul figlio. « Hai bisogno di essere motivato? » chiese retorico, increspando sinistramente gli angoli delle labbra e trasfigurando i lineamenti del volto. L’uomo si voltò e, come se si stesse concedendo una passeggiata, raggiunse Mizu, ancora svenuta. La colpì al fianco con un calcio senza che questa potesse difendersi o lamentarsi. Matt urlò e si dimenò per raggiungerla. 
« OUSHIZA! » tuonò Rufy, catalizzando gli sguardi su di sé. Scivolando goffamente sul legno fradicio si rimise in piedi, caricando il pugno.
Il capitano della Supremacy non diede segni di preoccupazione, facendo un cenno con la testa prima di tornare a fissare penetrante Matt. Digrignando i denti, il moretto stava per frantumargli il ghigno quando perse l’equilibrio violentemente, cadendo di nuovo in terra. Uno dei Tori Rossi aveva ripreso in mano l’estremità della catena che ancora gli bloccava la caviglia, frenando il suo attacco.
Sentendo le vene del collo pulsargli per l’irritazione, Rufy si rovesciò schiena sul ponte rivolto verso la schiera di avversarsi che lo stavano intralciando e decidendo di farla finita. Chiuse le dita della mano destra a pugno, portandosi il pollice alle labbra e iniziò a inspirare aria, quando si bloccò.
Un’ombra tremolante e iridescente si stava allargando su di lui. Il suono dello sciabordio dell’acqua era pericolosamente vicino. Il ragazzo di gomma alzò lo sguardo e si trovò il muso enorme e distorto di un serpente senza orbite che lo fissava tremolante. Un brivido gli corse lungo la schiena. Registrò appena il pigolio sfiancato di Matt alle sue spalle e l’apprezzamento di velenoso compiacimento esclamato da Oushiza.
« Fammi vedere come agonizza una scimmia di gomma da trecento milioni, Cappello di Paglia! » rise il Toro Rosso, una luce di vittoria ad alterargli grottescamente la linea fine degli occhi.
Rufy tentò di scappare da quelle fauci, ma la creatura sovrannaturale lo rincorse, sbilanciando pericolosamente la nave che per poco non sbatté contro la vicina Conqueror. Il ponte venne quasi distrutto dal passaggio della mole d’acqua che mandava all’aria botti e cannoni con una facilità raggelante. Gli stessi uomini di Oushiza cacciarono colorite imprecazioni, levandosi dal passaggio.
La corsa del moretto fu breve. Capitombolò per terra quando la catena si incastrò tra i cannoni, strappandogli un verso di dolore per le spine conficcatesi ancora più in profondità. Ma durò tutto pochi istanti. Le fauci del serpente sghembo si chiusero intorno al futuro Re dei Pirati, ingoiandolo tra le acque gelide.
La fiacchezza lo colse subito, invadendogli i muscoli mentre tentava vanamente di trattenere il respiro e si dimenava sentendo gli occhi pizzicare fastidiosamente per il sale. Le figure erano distorte, i rumori, le risate, totalmente ovattate. Preziose bolle gli sfuggirono dalla bocca e i polmoni si tesero, bruciando troppo rapidamente la poca aria.
Tutto si fece brevemente sfuocato e scuro, mentre il pensiero del ragazzo si spense pensando ai suoi compagni.
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
Jaya.
Periferia di Mock Town.
 
 
 
L’aria pesante e umida era gravata dall’afa del tardo pomeriggio e dal frinire delle cicale.
Il cielo era arancione rosato dove il sole si apprestava a calare, mentre a est un assembramento di cumulonembi profetizzavano una notte tutt’altro che silenziosa.  
Voltando le spalle all’orizzonte, Irwin riprese il proprio lavoro. Riaccostò diagonalmente l’asse di legno alla finestra e la bloccò con parte del corpo mentre si frugava nel marsupio laterale alla ricerca dei chiodi. Ciocche di capelli color corallo gli finirono fastidiosamente davanti gli occhi, appiccicate alla fronte sudata. Lo sciabordio del mare non era lontano, ed era un richiamo più che invitante in quelle ultime ore di luce, dove i raggi di sole tagliavano l’atmosfera come lingue di fuoco.
Con un sospiro, quasi si fosse arreso ai propri istinti capricciosi, decise che una volta finito il bricolage di salvaguardia della piccola baracca che gli fungeva da casa sarebbe andato a rilassarsi sulla riva, almeno finché il maltempo non fosse esploso sopra l’isola.
Mirò con precisione ai chiodi, e in pochi colpi secchi l’asse si resse da sola, coprendo quasi interamente il sottile vetro sporco di sabbia e salsedine. Quando l’avrebbe tolta sarebbero rimasti dei brutti segni alla struttura, ma almeno non si sarebbe ritrovato con due centimetri di pioggia a invadergli casa.
« Il vento porta aria di tempesta »
Irwin si irrigidì al suono della voce inattesa, stringendo il manico del martello per evitare di farselo sfuggire. Teso, spostò lo sguardo sulla porzione di finestra ancora visibile. L’angolo di vetro gli restituì il riflesso distorto di un volto che non vedeva da anni.
« … e sarà piuttosto violenta » aggiunse il nuovo venuto con un sorriso enigmatico mentre ricambiava l’occhiata attraverso la superficie trasparente.
« Rayleigh » sibilò duro Irwin, ma lasciandosi sfuggire una nota esitante. Si volse, la mascella contratta.
Nessuno dei due disse altro mentre il vento soffiava piano ma costante, spazzando l’erba incolta e le fronde fruscianti, rinfrescando l’aria.
L’uomo dai capelli rossi rabbrividì senza darlo a vedere. La brezza si insinuò sotto il kimono allentato, gelandogli il sudore addosso. Ma si sentì più irrequieto per lo sguardo con cui Rayleigh lo stava osservando.
Forse non se ne rendeva nemmeno conto, ma lo squadrava come se cercasse qualcosa. Qualcosa che gli ricordasse il suo capitano, il suo migliore amico… Gol D. Roger.
Irwin esibì una smorfia infastidita. Per sua fortuna nulla in lui rammentava il Re dei Pirati; i lineamenti del volto, il colore chiaro della pelle e quello dei capelli corallo, tutto tracciava una marcata somigliava con sua madre Coralia e negli anni ciò era stato un vantaggio: nessuno aveva mai sospettato il suo retaggio di sangue.
Distrattosi un attimo, il più giovane non si accorse che l’ex vice-capitano aveva spostato la propria attenzione direttamente ai suoi occhi, fissandolo senza avvertire o preoccuparsi del fastidio che gli stava provocando. Rayleigh sorrideva costante, con quel suo modo di fare provocatorio.
« Per essere uno che odia i pirati Mock Town non mi sembra il luogo migliore in cui vivere » celiò in tono leggero per spezzare il silenzio.
« Che cosa vuoi? » domandò brusco Irwin.
L’espressione del nuovo venuto si irrigidì nelle rughe intorno agli occhi e nella linea delle labbra, benché la sfumatura nella voce rimanesse la stessa.
« Da quant’è che non senti Bryan? » ribatté dritto al punto, lasciandolo interdetto.
In contropiede, il padre dell’Erede sbatté un attimo le palpebre, disorientato, prima di ritrovare il tono duro, ma venato di amarezza.
« Sai benissimo che non parliamo » replicò con acredine. « Che cosa vuoi? »
Per tutta risposta il vecchio vice-capitano si frugò nel mantello logoro da viaggio, tirandone fuori un giornale sgualcito che lanciò a Irwin.
« È di qualche giorno fa » specificò l’ex pirata.
L’uomo coi capelli rossi distese la prima pagina e le grandi lettere del titolo gli rimbalzarono di prepotenza in testa, facendogli aggrottare la fronte. Si sentì fuori posto quando un nostalgico sentimento di preoccupazione gli strinse la bocca dello stomaco. Lo sguardo di Bryan nella nuova foto segnaletica era furioso, carico di odio, un’occhiata ancora più aspra di quella che gli aveva riservato l’ultima volta che si erano visti, quattro anni prima.
« Cosa c’entra questo con me? » domandò tristemente Irwin dopo una lettura veloce dell’articolo senza trovare altro che accuse su accuse. Per quanto potesse fargli male leggere dei guai combinati da suo figlio, era fuori dalla sua vita, da molto prima dell’incidente di Salmoa. Aveva imparato a reprimere i sensi di colpa dopo tutto il rancore che gli era stato riversato addosso quando aveva maldestramente tentato di salvarlo. Non sentiva di avere nemmeno il diritto di pensare un qualsiasi giudizio nei suoi confronti.
Rayleigh non parlò subito. Guardò a sua volta il giornale con un’espressione abbastanza cupa da tradire il suo senso di irrequietezza.
« Mi ha scritto Eve » iniziò, guardando di sottecchi l’altro uomo e la sua reazione a quel nome. Come previsto, Irwin spalancò gli occhi, serrando la mascella e accartocciando le pagine stampate tra le dita. « Pensa che dietro questo colpo di testa di Bryan ci sia Shirami »
Lontano, il cielo rumoreggiò. La tempesta sembrò più vicina di quanto previsto, eppure nessuno dei due se ne preoccupò.
Il figlio di Coralia non guardava da nessuna parte in particolare, continuando a stringere in una mano il martello e nell’altra il giornale, distinguendo nitidamente in sé un moto di collera attraversalo come non succedeva da tempo.
« Sono fuori da questa storia, Rayleigh » disse poco dopo, fremendo. « E se le cose fossero andate diversamente, anche Bryan e Bonnie lo sarebbero. Nessuno di noi tre meritava questo » e nel sottolineare le sue parole buttò in terra il giornale, guardando le pagine sfogliate dal vento e la prima incriminante volare via. Ma il solo gesto non bastò a dissipare il nervosismo, la consapevolezza di essere impotente. « Eve non avrebbe dovuto trascinarci nei suoi problemi » sputò in fine, regalando a Rayleigh un’occhiata di disgusto e amarezza.
Occhiata che il vecchio vice-capitano non prese bene. In un lampo, neanche fosse stato lui la tempesta in arrivo, l’uomo brizzolato si portò ad appena un palmo di naso dal suo interlocutore, piantandogli addosso uno sguardo che lampeggiava avvertimenti chiari e coincisi.
« Bada a come parli, Irwin » scandì, modulando le sillabe per marcare al meglio la serietà insita in esse. « Né tu, né i tuoi figli, né lei avete colpe di questa situazione »
« Ah sì, Rayleigh? E di chi sarebbe? » l’apostrofò aspramente l’uomo dai capelli corallo, spinto dal risentimento. « Perché non mi pare che qualcuno di voi abbia fatto qualcosa di concreto per riuscire a fermare Shirami in questi vent’anni! » continuò con l’insana voglia di brandire il martello. Odiava i pirati. Portavano solo sciagure, e questo gli rammentò da chi tutto fosse cominciato. « Roger ha scelto di morire – e nonostante un lampo di livore nello sguardo del più anziano non demorse – perché non ci credo che non potesse svignarsela anche quella volta! Invece si è fatto giustiziare per diventare il simbolo di questa era sanguinaria! E ha lasciato che io, Bryan e Bonnie diventassimo dei capri espiatori! »
L’ex vice-capitano tacque, non tanto perché non sapesse cosa rispondere, quanto perché era chiaro che abbattere il muro di convinzioni dietro cui si rintanava Irwin fosse inutile. In tutto quel tempo ancora non era riuscito ad accettare il sangue che gli scorreva nelle vene, prendendolo esclusivamente per una condanna. E purtroppo non spettava a Rayleigh fargli cambiare idea, oltre al fatto che in parte avesse ragione. Ma non era lì per rivangare vecchi discorsi che non avrebbero mutato le cose. Roger non c’era più e lui si era ripromesso di prendersi cura di quelli che aveva lasciato.
« So che in questi quattro anni sei rimasto in contatto con Bonnie » cambiò discorso il poco gradito ospite, rilassando le spalle e lasciando intuire che non sarebbe tornato sulla questione di prima. « È più che probabile che lei sappia la verità dietro quanto accaduto »
Irwin faceva fatica a farsi passare l’arrabbiatura così facilmente come l’uomo brizzolato. Avevano rivangato un discorso che per lui non avrebbe mai trovato una ragione pacifica, non quando si parlava delle sue origini e di come essere il figlio del Re dei Pirati gli pesasse addosso.
Rimase in un silenzio nervoso, sperando di troncare quella conversazione, ma lo sguardo di Rayleigh era penetrante e il cielo sempre più nuvoloso sembrava gli stesse mettendo anch’esso fretta.
Alla fine fu di nuovo l’ex vice-capitano a prendere la parola.
« Bryan e Bonnie stanno venendo qui »
Era maledettamente coreografica la sequenza con cui i tuoni rimbombavano e i fulmini squarciavano il cielo sull’orizzonte. Iriwin sentì un brivido fargli venire la pelle d’oca e la spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco farsi più pressante. Il pomeriggio stava diventando sempre più tetro e stava acquisendo una piega che non gli piaceva.
« Perché da me? » domandò rocamente, sentendosi improvvisamente fiacco. Non sapeva se era pronto a rivedere i suoi figli, gli stessi che aveva abbandonato e deluso più volte e che ora, nonostante le avversità, sembravano aver intrapreso quella stessa strada che lui aveva rifiutato in gioventù, la stessa vita di suo padre… quella che lui detestava e rifuggiva dal profondo.
« Non lo so » ammise Rayleight, apparendo stanco per la prima volta dall’inizio di quella conversazione. « Non sono riuscito a mettermi in contatto con loro, così sono venuto direttamente qui » spiegò, lasciando vagamente sconcertato Irwin sul come fosse riuscito a coprire una così lunga distanza in poche ore. Ma non indagò oltre, non trovando interesse.
Se i suoi figli stavano realmente dirigendo verso Jaya per lui, si sarebbe dovuto preparare a tutto il rancore che era certo non fosse scemato in quegli anni.
Il rombo del nuovo tuono fece vibrare le travi inchiodate alle finestre. Le nuvole erano ormai color del piombo, mentre Irwin poteva sentire lontano l’incresparsi furioso delle onde sotto la scogliera.
« Le tempeste da queste parti sono sempre molto simili » mormorò sovrappensiero l’ex vice-capitano, spaziando con lo sguardo la linea burrascosa dell’orizzonte. « Ma temo che questa volta non ti basteranno delle semplici assi » continuò con un mezzo sorrisetto, bussando con le nocche sul legno trasversale.
Irwin respirò forte, cogliendo l’amara allusione con un’occhiataccia. 
 
 
 
To be continued

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Nightfall: dall’ing. “imbrunire, crepuscolo”
- Màldia: dal portoghese “brutta giornata”. Non è stato un giorno piacevole per la 74° Divisione…!
- Senchou: dal giap. “capitano”  
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Gli aggiornamenti non sono mai regolari, ma continuo a pensare a questa storia tutti i giorni! Giusto nel prossimo capitolo ci saranno delle new entry by Oda…!
Questo è pieno di punti di vista differenti, spero non troppo confusionari! Sono tornati Lewis e Bryan che non si facevano vivi dal terzo capitolo, anche se sull’Erede si è parlato diverse volte. Dura essere famosi! Dopo di loro è di nuovo il turno dei Mugiwara che, nonostante io salti continuamente di palo in frasca, sono i reali protagonisti di questa storia. Zoro, Sanji e Rufy alle prese con i Tori Rossi per eccellenza. Ogni tanto va male anche a loro (credo che fossi ispirata da Water7/Enies Lobby quando l’ho pensato). Il tutto si conclude con Rayleigh e il ritorno di Irwin, con discorsi non proprio felici. La trama della storia è iniziata, ma sottilmente… stay tuned.  
 
 
Grazie a jillianlughnasad, che tiene duro nella lettura, sempre con entusiasmo =)
Ehi, lettori anonimi, spero che la storia vi piaccia #.# O se è il caso di lasciar perdere *cry*
 
 
 
 
Noticine:
 
- Lewis Armstrong e la Nightfall: torna il figlio di Giulya e uno dei personaggi con cui si è aperta questa storia. Il suo ruolo va intensificandosi nei miei progetti, e in questo capitolo ho lasciato in giro qualche altra traccia su di lui, dai ricordi che ha Bryan a quel “qualcosa” in cui si trasforma che terrorizza i suoi uomini. Nulla di preoccupante, tranquilli… ma ho lasciato un po’ di suspance! Qualche indizio, se lavorate di immaginazione, lo trovate nel Capitolo 3!
La Nightfall è la sua nave. La descriverò meglio più avanti. Riguardo alla sua carriera, è un Capitano di Vascello, il più giovane al momento (dato che ha 17/18 anni), e tutti sanno che ha avuto questo grado solo perché suo nonno è molto influente. Lewis non ha detto di no alla promozione: più è alto in grado, più sa che potrà coprire Bryan e Bonnie. Insomma, a lui della Marina non frega nulla.     
 
- Jaya, Mock Town: torna l’isola da cui i nostri partirono per Skypiea. Qui vive Irwin ed è appunto l’isola verso cui si sta dirigendo Bryan dopo il casino a Màldia. Dovrei proprio disegnarla una cartina! Il perché di questo luogo sarà funzionale per un pezzo di trama più avanti ~ per la serie, nessun dettaglio è irrilevante!
 
- Màldia: non avevo ancora nominato il nome dell’isola su cui si trovava la 74° Divisione distrutta da Bryan. Non che sia davvero rilevante…! Si questo è un dettaglio trascurabile *lol*
 
- Mugiwara Vs Tori Rossi: continuano gli scontri. Non sono convinta di tutte le descrizioni che ho fatto, mi risultando tediose… spero di rifarmi meglio più avanti. Zoro senza le sue spade si trova davvero in difficoltà. Sanji idem data l’abilità del suo avversario. Rufy… be’ Rufy ha forse un po’ troppo giocato con gli uomini di Oushiza, finendo male.
 
- Matt & l’Aqua Morphos: avevo parlato dell’abilità di Matt nei capitoli in cui comprare Mizu, ma qui lo si vede in azione creando questa specie di serpente d’acqua che si mangia Rufy. Ci tengo a precisare che nei giorni in cui è stato prigioniero di Oushiza non ha avuto vita facile: il padre lo ha terrorizzato e lo ha spremuto per fargli vedere questa abilità. Ma ne parlerò meglio nel prossimo capitolo in cui si capiranno le intenzioni del Toro Rosso. Intanto la madre non se la passa per niente bene. Ma in generale nessuno se la cava alla grande ‘sto giro. *fugge*
 
 
 
Fine del supplizio anche questa volta. Io mi emoziono, non so voi, ma ogni tanto mi scoraggio anche dopo aver riletto lo stesso capitolo tremila volte per aggiustarlo. Il prossimo non ho davvero idea di quando lo scriverò…
 
 
Bacioni!
Nene
 
 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo XIV - Piani ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XIV -
[Piani]
 
 
 
 
 
 
I minuti seguiti alla sconfitta contro i Tori Rossi erano stati tesi e frenetici. Benché avessero vinto, gli avversarsi non li lasciarono andare via facilmente.
I cannoni della Conqueror presero di mira, più a casaccio e per divertimento, la Sunny. A bordo, Robin e Brook si trovarono in difficoltà a difendere da soli il brigantino dalle palle di cannone sfreccianti, ma guadagnarono tempo sufficiente per permettere a Franky di aprire con la forza la porta dei Docks, ancora incastrata, e far sfrecciare la navigatrice fuori con il Waver, seguita a breve distanza dal cyborg con la Mini Merry. Erano passati pochi minuti e l'SOS di Usopp languiva in un fumo cremisi sopra i tre imponenti galeoni avversari. Quando navigatrice e carpentiere furono a pochi metri dai compagni il tempo sciolse la sua morsa febbrile e andò come al rallentatore.
Nami individuò subito Zoro e Sanji in mezzo ai flutti. In un primo momento credette stessero litigando, si agitavano e sbraitavano, ma un istante a seguire capì dalle loro espressioni tese il problema. Tenevano a galla meglio che potevano Rufy, il cui colorito cianotico la colpì togliendole il fiato. Afferrò la manopola della moto dial mandandola al massimo, zigzagando tra i proiettili senza prestarci attenzione.
Il cuoco fu il primo ad accorgersi della presenza dei compagni in arrivo. Lo sguardo di intesa che scambiò con Nami bastò a farlo agire. Fischiò forte, il viso fradicio di acqua salmastra rivolto verso il parapetto della Conqueror, dove il cecchino e il medico stavano coprendo loro le spalle badando ai Tori Rossi.
« STELLA DI FUMO! » gracchiò il nasone ricevuto il segnale dal biondino. Seguirono diversi versi furibondi e contrariati, oltre al grido acuto della povera renna che veniva afferrata dal compagno e sbalzata – dopo un'abbondante preghiera – oltre le paratie della nave nemica, entrambi dritti in mare.
Nel frattempo il cuoco aveva letteralmente strappato dalle braccia dello spadaccino il corpo ancora incosciente del capitato, buttandolo malamente a bordo del Waver. In due bracciate si era poi portato davanti al cecchino, che annaspando teneva precariamente in testa il medico mignon in modo che non finisse in acqua. Ringhiando a mo’ di scusa, Sanji afferrò la piccola renna e le rifilò lo stesso trattamento del capitano, lanciandola sulla moto d’acqua.
Non ci fu bisogno di alcun “Vai!” perché Nami sfrecciasse via.
Franky nel frattempo riuscì a centrare alcuni dei pirati che stavano tentando di impallinarli mentre il resto dei Mugiwara si trascinava a bordo della Mini Merry.
« Andiamo! » ordinò Zoro, lanciando un’ultima occhiata furiosa verso i parapetti delle navi.
Intanto la rossa ripercorse la strada d’andata aggrappandosi saldamente al manubrio, tentando di non vacillare. L’ultima occhiata che aveva dato oltre le spalle l’aveva fatta rabbrividire e si impose di proseguire più spedita. Chopper stava strepitando qualcosa occupandosi del moretto, ma il rumore del motore a dial, delle onde e dei cannoni nemici che non davano tregua, privarono le sue parole di suoni comprensibili.
« ROBIIIN! » gridò la navigatrice, non riuscendo a celare l’angoscia quando furono sotto il brigantino.
A bordo della Sunny la moretta sentì distintamente la compagna. Facendo apparire una mano gigantesca deviò l’ennesima palla di cannone, per poi sporgersi e constatare la situazione.  
« Ci penso io qui, yohohoho! » cantilenò Brook, con una risata che di divertito non aveva niente, ma che convinse l’archeologa ad agire. Si portò le braccia incrociate al petto e quattro mani fiorirono ai bordi del Weaver, afferrando capitano e medico. Con forza furono scagliati in alto e recuperati da altre dita che sbocciarono dalle balaustre della Sunny, finché i due non atterrarono sul ponte erboso.
Nami infilò di volata la porta mezza aperta del Docks e abbandonò la moto d’acqua, correndo in un lampo sul ponte per aiutare Chopper. La renna umanoide stava praticando un poderoso massaggio cardiaco al moro quando la vide e le strillò di recuperare in infermeria la sua borsa medica.
Mentre la rossa correva con il necessario, il resto della ciurma tornò a bordo, aiutando scheletro e archeologa nel tenere testa agli avversari. Franky disse qualcosa alla vecchia Kamome, che si defilò sul dorso della sua Seal, immergendosi.
« Aggrappatevi a qualcosa! » ingiunse il cyborg, ruotando il timone e impostando il cannone posteriore.
Rufy sputò l’acqua dai polmoni un secondo prima che il Coup De Burst, riparato alla meno peggio, facesse sfrecciare la Sunny lontana miglia e miglia.
 
 
 
 
 
Nami riprese i sensi senza aprire gli occhi. Voci poco attutite oltre l’infermeria la svegliarono dal torpore, ma cercò di escluderle per tornare ad abbandonarsi alla quiete e al tepore del sonno. Non aveva dormito molto, riposato ancora meno. C'erano  troppe cose che le rimbalzavano tra le tempie.
Ma in quel momento, con le braccia incrociate appoggiate al letto e la guancia tra di esse, avrebbe solo voluto restarsene lì a riprendere un po' le forze.
Tornando alla realtà tuttavia si accorse di un piacevole dettaglio.
La mano inerte che qualche ora prima aveva tenuto con preoccupazione tra le proprie, ora stava debolmente ricambiando la sua stretta. Sorrise, schiudendo gli occhi nocciola e inclinando appena il viso in direzione del cuscino.
« Bentornato capitano » mormorò dolcemente, per quanto Rufy stesse ancora dormendo.
A vederlo non sembrava ridotto troppo male. Qualche graffio e solo la caviglia davvero danneggiata dalla catena che Chopper aveva dovuto rimuovere con delicatezza, gli spunzoni ancorati alla carne. Ma il capitano, nella sua vacuità di sensi, non aveva espresso un lamento, facendo solo che preoccupare di più il resto dell’equipaggio. Il piccolo dottore aveva detto che doveva riposare, che era stato troppo in acqua e non avrebbero dovuto forzarne il risveglio. Nami aveva capito che se l’era cavata per un pelo.
Di nuovo, i toni oltre la porta si alzarono un po’ troppo e la navigatrice non poté ignorarli. Sapeva che la tensione era una bomba ticchettante, così si scostò dal moretto e raggiunse il resto dei compagni in cambusa, dove fu investita in pieno dalla litigata in corso.
« È stato da incoscienti buttarsi così a capofitto! Inseguirli adesso è- »
« Vuoi lasciare Mizu ancora con loro!? »
« Rufy ci ha quasi rimesso la pelle! Non possiamo corrergli dietro in questo stato! »
« Stai dicendo che dovremmo abbandonare lei e suo figlio!? »
Prima che il cecchino potesse replicare al cuoco, diverse mani bloccarono i loro movimenti allontanandoli ed evitando che arrivassero a darsele. Due palmi nivei tapparono le bocche di entrambi.
Robin scoccò un’occhiata alla compagna apparsa sulla porta. Come sempre l’archeologa stava attingendo al suo sangue freddo, ma qualcosa nel suo sguardo disse all’amica che fosse grata del suo arrivo. Il nervosismo era una doppia pelle lì.
Spaziando la cucina, tuttavia, la rossa fece l’appello dei presenti. Cuoco e cecchino erano al centro della sala, paonazzi e ancora imbrigliati dal Frutto Hana Hana. Chopper era seduto sul divano vicino a Robin, mogio come se poco prima fosse stato accarezzato in cerca di rassicurazioni. Brook era alla tavola, con la sua tazzina di tè sollevata a mezzaria rimasta sospesa troppo a lungo per essere ancora calda. Le sue orbite vuote erano più fisse e vacue del solito, per una volta davvero ossa e nient’altro.
Franky era probabilmente ancora impegnato a riparare i danni. Zoro non c’era.
« Piantatela » mormorò la navigatrice, rivolta principalmente al biondino e al nasone. Era svuotata dalla maggior parte delle energie, ma doveva farsi bastare il poco sonno. Non potevano aspettare il risveglio di Rufy per calmarsi e prendere una decisione.
Come se non avessero aspettato altro che quell’ammonimento, i due contendenti lasciarono perdere, abbassando le spalle stanche e vedendo le mani sparire. Nessuno dei due era uscito illeso dagli scontri della sera precedente, come gli altri del resto. Il torso di Sanji era ricoperto da diverse fasciature, e dove queste non avvolgevano le contusioni peggiori, lividi violacei gli macchiavano la pelle chiara in più punti. Sembrava scattante e attento come al solito, ma con un’occhiata Nami vide chiaramente la stanchezza nei suoi occhi, semplicemente repressa dalla frustrazione.  
Usopp le aveva fatto il resoconto generale, chi fossero i loro avversari, la loro forza. Erano partiti in svantaggio numerico, ed essere stati precipitosi non li aveva aiutati.
Osservando le condizioni del cuoco, si ricordò di Zoro. Appena Chopper aveva dichiarato Rufy fuori pericolo l’aveva scorto dileguarsi dall’infermeria senza pronunciare una sillaba. Non le era sfuggito che gli mancassero le spade, e la piccola renna aveva dovuto penare un po’ per riuscire a medicarlo.
Un debole barrito, come un lamento soppresso, vibrò lungo le pareti della Sunny, rammentandole che anche Seal non era messa meglio.
« Usopp, Chopper » chiamò Nami, risvegliando i compagni dal torpore. « Andate a chiamare Zoro, Franky e Kamome » disse, fissandoli con i suoi grandi occhi nocciola non arresisi. Quando i due uscirono, con una vena più gentile si rivolse al cuoco, il cui sguardo fisso a un punto imprecisato della sua cucina le aveva fatto stringere il cuore. Si capiva che era angosciato per quello che sarebbe potuto succedere a Mizu. Non stava neanche fumando. « Sanji-kun, ti dispiacerebbe mettere su un po’ di tè e caffè? »
Il biondino si volse annuendo distrattamente, per poi sciogliere i nervi di fronte all’espressione dolce e incoraggiante della navigatrice.
Dieci minuti dopo erano quasi tutti intorno al tavolo. All’appello mancava solo Rufy.
« Per arrivare a Port Red Jack impiegheremo normalmente tre giorni di navigazione » sentenziò Nami, illustrando la tratta sulla cartina. « Qui » e indicò quella che a prima vista sembrava solo una macchietta di inchiostro non lontano dalla loro attuale posizione. « C’è una piccola isoletta disabitata, Nim… » ma non aggiunse altro, mordicchiandosi l’angolo del labbro, pensosa.
« … se li intercettassimo lì sarebbe meglio che a Port Red Jack » completò per lei Robin, seria e con il volto appoggiato al palmo della mano. La rossa annuì.
« Combattere i Tori Rossi a Port Red Jack potrebbe essere rischioso e problematico » iniziò, valutando nella mente possibili e spiacevoli scenari diversi. « Se la sua nomea è anche solo la metà di quella che Rashin ci ha descritto e lasciamo che Oushiza ci arrivi… potrebbe essere troppo tardi per Mizu e Matt » tornò a spiegare lugubremente Nami.
« Raggiungiamoli e basta » tagliente, Zoro espresse la sua opinione a braccia incrociate, occhieggiando con uno sguardo freddo la carta disegnata, senza vederla realmente. La pazienza della rossa vacillò e glielo fece capire ricambiandone l’espressione furibonda.
« Non è così semplice » digrignò, non volendo davvero. Stava sottovalutando i suoi stessi nervi. « Le condizioni della Sunny sono ancora disastrose e – calcò sulla congiunzione, prima che lo spadaccino potesse controbattere – l’unica alternativa è Seal, ma è convalescente quanto voi »
Calò un silenzio pesante, pieno del rimuginare di tutti e di imprecazioni soffocate per reprimere malamente l’umore tetro.
« Dobbiamo studiare una strategia… » intavolò Usopp a braccia conserte, fissando un punto impreciso della tavola. « Sia per recuperare le spade di Zoro che per avere la meglio sulla moltiplicazione di quel Kazuka »
Spadaccino e cuoco, tirati in causa indirettamente, serrarono ancora di più le espressioni e i pugni, avvertendo bruciante la sconfitta. Ma il cecchino li ignorò, proseguendo.
« Il problema principale rimane il potere di Matt. È – deglutì, scoccando un’occhiata alla silenziosa Kamome – devastante… »
Il commento non sembrò impensierire la vecchia, trincerata nel suo mutismo. Pareva combattuta tra il voler abbaiare la propria collera e reprimere il dolore di sapere la sua gabbianella nelle mani di quell’incubo tornato dal passato.
Non giungendo repliche, il cannoniere continuò.
« Potremmo provare a sedarlo…? » si arrischiò, occhieggiando la renna. La proposta fu accolta con visi ancora più cupi. Nessuno di loro avrebbe voluto arrivare a tanto, ma se Oushiza avesse ricorso ancora a Matt, Rufy non sarebbe mai stato in grado di raggiungerlo.
« Non sarà necessario »
La ciurma alzò gli sguardi sgranati l’uno sull’altro, per voltarsi poi all’unisono verso la porta dell’infermeria. Il loro capitano, un po’ pallido ma ritto sulla soglia, guardava verso il tavolo. Sorrise a tutti, con il suo rassicurante luccichio nello sguardo, prima di fissarsi su Kamome e tornare serio.
« Questa volta non mi farò battere » disse, l’espressione sul suo viso volta a promettere e mantenere ognuna di quelle parole.
L’anziana Figlia del Mare non controbatté nulla, né agitò il suo bastone. Ricambiò solo l’occhiata intensa del moretto con una contratta da una preoccupazione imbastita di rabbia. Furono secondi molto intensi, in cui nessuno si azzardò a mettere bocca.
« Non fare promesse che non puoi mantenere » sibilò in fine la vecchia, accorata.
Rufy piegò le labbra in un sorriso che diceva tutto.
« Li salverò »
Kamome scosse la testa, arrendendosi.
Il resto della ciurma poté finalmente tirare un sospiro di sollievo mentre alcuni – Usopp, Chopper e Brook – saltarono quasi in testa al capitano, riversandogli addosso un fiume di parole per quanto li avesse fatti preoccupare. Franky si soffiò il naso nella tovaglia, con sommo disgusto e una pedata da parte di Sanji, anche se questo non scalfì la sua commozione. L’unico che non riuscì davvero ad accantonare i nervi a fior di pelle fu lo spadaccino. Rufy se ne accorse subito tra tutti quelli che gli stavano danzando intorno e scambiò un’intensa occhiata anche con lui. Non ci fu bisogno di altri gesti o spiegazioni.
Nami, al contrario, si sentì la guastafeste della situazione.
« Ragazzi… abbiamo ancora il problema della Sunny » ricordò quando tutti tornarono a sedersi, Rufy sul tavolo con la caviglia fasciata a penzoloni e le braccia incrociate mentre ascoltava il riassunto sulla rotta.
« Non possiamo muoverci? » chiese innocentemente rivolto al suo carpentiere.
« Siamo suuuper incasinati » disse questo, con gli occhiati tirati su sull’onda di capelli azzurri. Si prese il mento tra le mani, riflettendo un attimo per poi scuotere il capo. « Ho bisogno di un cantiere navale attrezzato per sistemare tutto. Abbiamo un ultimo Coup De Burst, ma le vele non sono affidabili, aho! I Docks danno ancora problemi ad aprirsi » elencò per niente contento.
« E Seal? » domandò allo stesso modo verso Kamome.
Questa scrollò le spalle, sbuffando come una teiera.
« Quei maledetti l’hanno conciata male! Il tanuki l’ha medicata… »
« Sono una renna! »
« … ma è ancora molto scossa » concluse con una smorfia.
Rufy sbatté i suoi grandi occhioni con espressione limpida.
« Vado a parlarci » se ne uscì un attimo dopo, saltando giù dal tavolo con una smorfia per via della caviglia e imboccando traballante la porta.
Alcuni non capirono sul momento, altri lasciarono correre sulle stramberie che arrovellavano il cervello del capitano. La vecchia fissò l’uscio spalancato sul cielo scuro con la bocca a “o” totalmente indignata. Robin ridacchiò.
« Che accidenti crede di fare quel Figlio del Diavolo!? » ululò qualche minuto dopo Kamome, fissando Cappello di Paglia dal ballatoio della cambusa insieme alle due donne della cricca. Nami, appoggiata al suo fianco coi gomiti e i palmi a sorreggerle il viso, alzò gli occhi alla volta stellata con un sorriso più convito che esasperato. Scene come quelle non le erano poi più così fuori luogo. Seduto sulla balaustra del ponte mediano, Rufy stava chiacchierando con Seal alle luci delle lanterne come se fosse una cosa normale. E l’enorme foca bianca, con enormi cerottoni qua e là sulla pelle bruciacchiata, dava l’idea di ascoltarlo con attenzione.
« Per voi » disse intanto Sanji, apparendo elegantemente dalla cucina con un vassoio su cui aveva sistemato qualche spuntino e della spremuta d’arancia che tutte e tre gradirono volentieri.
« Prepariamoci… tra poco quello squinternato avrà la meglio » mormorò la rossa dopo un poco, lasciando andare la cannuccia dell’aranciata. Stava ancora tenendo d’occhio il capitano, più infervorato che mai a parlare con Seal. Poi un pensiero la colse, facendole crucciare sovrappensiero l’espressione. « Usopp ha ragione, ci serve una strategia »
« Riguardo a questo… » soffiò il cuoco insieme al fumo della sigaretta, voltandosi verso di lei con un’espressione che la navigatrice gli aveva visto poche volte. Era serio ma con un accenno di sorriso furbetto, mentre soppesava l’idea che aveva in mente.
« Nami-san… ho bisogno del tuo aiuto »
 
 



 
***
 
 



 
« Capo… non l’hai conciata molto bene »
Il commento del medico della Supremacy aveva una vena fin troppo leggera nel tono. Il macellaio, come qualcuno lo apostrofava, finì di strofinarsi le mani insanguinate sul grembiule rattoppato, buttandolo poi malamente in un contenitore metallico in cui aveva già infilato alcuni degli strumenti che aveva appena usato su Mizu.
La donna era incosciente su una branda dell’infermeria di bordo, la maglia arrotolata che mostrava il ventre piatto deturpato dalla ferita di nuovo richiusa con dei punti un po’ azzardati. Era pallida, sull’esangue, la fronte lucida di sudore e il respiro irregolare.
Oushiza rimase a fissarla, a tratti rimirarla. Tra tutte le donne che erano passate sulle sue navi, la mezza sirena rimaneva per lui una delle più belle, probabilmente per quel fascino legato al mare di cui lui non aveva mai saputo nulla. Le prese il mento con la mano, per poterla guardare meglio. Quegli anni l’avevano resa meno ragazza e più donna, per questo sogghignò, lasciandola andare di colpo.
« Che ne facciamo? » domandò il sottoposto con le mani sui fianchi corpulenti, come se stesse fissando un pezzo di carne particolarmente succulento.
« Finché le sue condizioni non migliorano lasciatela riposare » iniziò il capitano con la sua espressione priva di sentimenti se non di un malcelato scherno, nonostante avesse un bagliore negli occhi mentre rivolgeva un ultimo sguardo alla branda. « Non voglio che nessuno la tocchi, sono stato chiaro? » aggiunse mentre usciva dalla stanza. Il suo tono era più che sufficiente a promettere ritorsioni su chi avesse disobbedito.
Ad attenderlo sulla soglia della propria cabina c’era Kameoshi.
« Capitano, ha chiamato poco fa quella donna » spiegò ossequioso. « Ha lasciato il numero a cui ricontattarla » e nel dirlo porse un pezzo di carta scarabocchiato.
Richiusosi la porta alle spalle una volta solo, Oushiza percorse il pavimento ricoperto di tappeti e si sedette comodamente sulla poltrona larga e imbottita oltre la propria scrivania, prendendo il lumacofono poggiato su essa. La luce che filtrava attraverso la vetrata, i cui colori componevano la figura stilizzata di una dea della vittoria tra i flutti, gettò sulla camicia immacolata dell’uomo macchie cromatiche imprecise. Un gioco di bagliori dal rosso al viola contrastante il sorrisetto compiaciuto e sinistro che gli piegava le labbra. Tutto procedeva a gonfie vele.
« … Sì? » rispose una voce strascicata dall’altro capo dello snail.
« Ursula » disse lui, sistemandosi più comodamente. « Dove sei? »
Oltre la cornetta ci fu un momento di raccoglimento in cui si sentì un fruscio di stoffa e lo stridore di un letto a molle.
« Qui a Fulham ad aspettarti naturalmente » mormorò in fine la donna, suadente e miagolante. La sua espressione riflessa sullo snail era tuttavia annoiata. « Non sei in ritardo, Oushiza? Quanto ancora devo stare qui? Questa città puzza » sospirò come se si stesse lamentando di un’unghia smaltata male.
L’uomo sembrò non gradire il modo con cui lo disse, irrigidendo i lineamenti compiaciuti. Ignorò le lagnanze ritenendole inutili e andò al sodo.
« Ho il bambino con me » chiarì, ripensando a quanto accaduto qualche ora prima con quei piratuncoli che l’avevano attaccato e come Matt avesse creato il serpente d’acqua. Spalancò appena lo sguardo, gli occhi folli di una inquietante sensazione di vittoria. « Quello che mi hai raccontato sui suoi poteri era vero »
Ursula tacque di nuovo, soppesando le poche parole udite. Si sentirono di nuovo gli stessi fruscii e cigolii di poco prima, infine una risatina smaliziata riecheggiò dal ricevitore.
« Non essere precipitoso » sussurrò carezzevole. « È solo un cucciolo. Se forzi troppo la mano potrebbe rimanerne traumatizzato e non migliorare » spiegò con lentezza, mentre si stiracchiava. « Ed è pur sempre tuo figlio, no? » aggiunse con scherno.
« Saremo a Port Red Jack tra qualche giorno » tagliò corto il Toro Rosso, neanche minimamente scalfito dalla frase precedente. « Prepara tutto. Non voglio noie »
Ursula fece schioccare la lingua.
« Continua a pagarmi e avrai i miei servigi » replicò lei, velenosamente affettata, ormai annoiata da quelle chiacchiere. Lo stesso valeva per Oushiza, che riagganciò senza aggiungere altro.
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
Continuarono a fissarsi, a studiarsi.
Entrambi avevano la fronte imperlata di sudore, le gote arrossate, il fiato corto. Lui risucchiava aria come se avesse dovuto farne scorta, lei sogghignava furbetta.
Sabo conosceva quell’espressione sul viso di Koala: significava diverse opzioni poco piacevoli, tra cui che di lì a breve si sarebbe ritrovato con qualche osso rotto se avesse abbassato la guardia.  
La vide scattare, leggera e veloce, verso di sé. I suoi piedi nudi e chiari provocarono un lieve scricchiolio sulle assi del ponte della nave, ma il biondino lo registrò appena, conscio che qualsiasi distrazione sarebbe stata fatale. Altrettanto rapido serrò gli avambracci a scudo, domandandosi se sarebbe bastato a proteggersi. Quando la vide prossima a colpirlo, il suo istinto agì per lui: la sua pelle si scurì, irrigidendosi. Il piccolo pugno bianco della ragazza lo picchiò con la forza di una cannonata e l’aria intorno a loro vibrò, propagandandosi a onda d’urto.
Il rivoluzionario, scalzo come lei, scivolò fastidiosamente indietro sul legno della coperta per il contraccolpo. Esibì una smorfia alla “tutto qui?”, nonostante ebbe la sensazione di essersela cavata per poco.
Koala gonfiò buffamente le guance, fissandolo con cipiglio irritato… e distraendosi.
Scostando all’improvviso le braccia, Sabo la colse di sorpresa afferrandola per il braccio e strattonandola con l’intento di ribaltarla a terra. Ripresasi subito, la giovane non lo lasciò fare, bilanciandosi in modo da ruotare su se stessa e ricadere in piedi con un sonoro tonfo e un gemito del legno sottostante. L’occhiata che lanciò al rivoluzionario era quieta e seria, quasi distaccata nella totale concentrazione. Si liberò dalla sua presa, piroettando di centottanta gradi e assestando un calcio all’addome di Sabo. Questi incassò ricorrendo di nuovo all’Haki, evitando il dolore ma perdendo per un attimo l’equilibrio. Inarcò la schiena a ponte e, puntellandosi sui palmi, si allontanò con una rovesciata.
Si squadrarono ancora, per un’ennesima volta di cui avevano perso il conto. Il sole aveva appena accennato a sorgere quando si erano ritrovati sul ponte della Sidero ingaggiando un non-programmato allenamento mattutino. In realtà era una cosa che stava iniziando a capitare spesso da quando avevano preso il largo da Baltigo. Verso l’alba, casualmente, entrambi si ritrovavano ai piedi dell’albero maestro, e dopo aver speso un paio di chiacchiere su una presunta insonnia recidiva iniziavano con il riscaldamento.
Ripresero e la prima mossa fu del biondino. Ingaggiarono una sequenza di pugni e parate a una velocità crescente. Koala era agile, di una rapidità che Sabo talvolta stentava a seguire. Le sue mani, nonostante fossero quasi la metà delle proprie, si muovevano determinate, nascondendo una forza impressionante per una ragazza minuta.
« Non ti distrarre » sibilò la suddetta, cogliendo una finestra di negligenza data dai pensieri. Lesta e poco magnanima, la rossa gli bloccò il braccio col proprio, girando su se stessa e spazzandogli le gambe. Sabo registrò il contatto delle strette spalle di lei contro il proprio torace, ma un attimo dopo si ritrovò steso a terra vedendo le stelle.
« … ho… vinto… Sabo-kun » ansimò la rivoluzionaria, sorridendo chinata in avanti su di lui e affannata dalla stanchezza dell’allenamento.
Quando il biondino con la cicatrice in volto riaprì gli occhi non si pentì molto di aver perso. Dalla posizione in cui si trovava la visione non lo rammaricava minimamente. Nonostante il pensiero che lo sfiorò, si ritrovò comunque ad arrossire, e Koala se ne accorse, ma non fece in tempo a comprendere.
« Non per farmi i fatti vostri e rovinarvi il momento… ma esistono metodi più civili per dimostrare i propri sentimenti »
La voce scanzonata che li raggiunse li fece sobbalzare. La scarica di imbarazzo funzionò come una molla e i due si ritrovarono in piedi, quasi sull’attenti, a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra.
Poco distante, l’uomo sulla trentina che li aveva apostrofati si ricacciò lo spazzolino da denti in bocca. Diede un’ultima rapida spazzolata ai molari con aria di chi si è svegliato da poco e poi sputò tutto oltre il parapetto, dopo un gargarismo che fece tornare alla realtà i due giovani.
« Queste cose potresti farle in bagno… » sbuffò Sabo con aria vagamente irritata. « Amon » aggiunse, ancora più marcatamente aspro.
Per tutta risposta questi sospirò paziente, grattandosi i capelli blu lasciati sciolti sulle spalle coperte dal pregiato kimono prugna, sui cui lembi svettavano aironi bianchi ricamati. Con lo stesso atteggiamento tranquillo, quasi un’aperta provocazione, lasciò sul bordo del parapetto tazza e spazzolino usati poco prima, per poi voltarsi e lanciare a Koala una delle felpe che i ragazzi avevano abbandonato all’inizio del riscaldamento.
« Sarà una mattinata fredda » spiegò all’occhiata interrogativa della giovane, che si infilò l’indumento salvo accorgersi dopo che fosse di Sabo. Amon esibì un piccolo sorriso che esprimeva un chiaro e poco dispiaciuto “ops”, per poi continuare a parlare. « Ci vorrà ancora qualche giorno per arrivare dalle parti di San Faldo, ma la temperatura andrà calando per un po’ »
Sabo, con le braccia serrate al petto, seguitò a fissarlo stizzito, ignorando la maggior parte di quello che stava dicendo. Al suo fianco la rossa, tolta una vena di imbarazzo per indossare la felpa che le stava quasi a vestito e che le arricchiva le gote già porpora per gli sforzi di poco prima, cercò di sciogliere un po’ dell’evidente tensione che il biondino provava di fronte al nuovo venuto.
« Amon-san, faremo in tempo per l’appuntamento? »
Lui le sorrise con la dolcezza che si riserva ai bambini, ma senza prese in giro. Quella ragazza gli piaceva sul serio, nonostante sapesse che fra lui e il braccio destro di Dragon avrebbe sempre scelto di fidarsi ciecamente di quest’ultimo, e non soltanto per una questione sentimentale.  
« Sì » rispose pacato e con una più che sicura nota di rassicurazione. « In caso contrario, il signor Dante o il signor Dominic dovranno trovare il tempo di riceverci ugualmente. Non è una questione su cui possiamo cavillare » e nel dirlo, spostò gli occhi scuri sul viso non più imbronciato di Sabo. I suoi lineamenti si erano serrati, diventando seri e attenti. « Dragon è stato chiaro nell’affidarci questo compito » concluse, quasi più per vedere il biondo perdere di nuovo la calma. Ma quest’ultimo non gli diede soddisfazione. Per quanto sentisse dentro rodergli lo stomaco, il fratello del futuro Re dei Pirati mantenne i nervi saldi di fronte la rinnovata provocazione.
Di contro, Amon sorrise in quel modo misterioso, arrogante e al contempo totalmente noncurante che lo caratterizzava.
Era un uomo che a prima vista si sarebbe detto rilassato e posato nei gesti, ma tutti sulla Sidero, benché non lo avessero mai visto personalmente in azione, avevano il sentore che sotto il kimono si celasse una sorta di demone. Di tanto in tanto, quando sembrava distratto o accaldato, lasciava intravedere lembi di pelle olivastra, memoria di un passato di chi era abituato a essere baciato spesso dal sole: porzioni di petto, spalle e schiena ricoperti di tatuaggi privi di senso. Qualcuno a bordo aveva riconosciuto un tipo di vecchia scrittura in uso nel regno di Alabasta, oltre che alcuni simboli, ma nessuno sembrava sapere cosa significassero. Unita alla cicatrice che gli attraversava il naso da gota a gota, tutto nella sua figura spregiudicata andava ad alimentare dubbi e il senso di reverenziale inquietudine che attorniava la sua posizione misteriosa.
Tra i rivoluzionari – e per coloro che avevano avuto la stella sfortunata di incontrarlo – era conosciuto come il Nadim, o la Mano Sinistra di Dragon. In realtà sul suo conto si sapeva meno di zero. Anzi, fino a poco tempo prima per Sabo stesso, che aveva creduto di conoscere tutti all’interno dell’Armata Rivoluzionaria, quell’uomo e il suo ruolo erano totalmente sconosciuti.
Da quando la questione di cui si stavano occupando era divenuta più di una semplice voce di corridoio, Sabo si era trovato davanti ad aspetti dell’Armata di cui non era stato minimamente messo al corrente. Tra cui l’esistenza di Amon, che si era presentato come fossero stati amici di vecchia data.
“Dragon parla sempre di te con orgoglio” erano state le prime parole che gli aveva sentito dire. Insinuazioni per nulla velate a cui non aveva saputo cosa rispondere, tanto era stato il miscuglio tra confusione e un sottile senso di rovesciamento del proprio mondo. Dragon si era espresso brevemente, dicendogli che ci sarebbe stato tempo dopo per le spiegazioni.
Intanto Sabo, sentitosi una specie di zimbello nell’essere considerato il fidato Braccio Destro del Capo e non sapere che nell’ombra agiva anche una Mano Sinistra, aveva dovuto ingoiare qualsiasi rimbrotto e concentrarsi sulla loro missione.
Ciò non toglieva che in quell’uomo non riponesse la minima confidenza, nonostante dovessero considerarsi compagni.
« … ma possiamo fidarci? »
Sabo tornò al presente alla domanda della giovane al suo fianco, credendo per un attimo stesse parlando con lui e i suoi pensieri.
Amon fece spallucce, prima di risponderle.
« Al momento i Raiders sono gli unici capaci di procurarci le informazioni che ci servono » spiegò con sguardo indecifrabile, come se tra sé soppesasse un’altra questione. « Non lo faranno gratis. Il signor Dominic si è espresso chiaramente sul prezzo… noi cercheremo di contrattare un po’ »
Koala strinse i pugni.
« Qui si parla di un potenziale incubo per tutto il mondo e c’è da discutere il valore delle informazioni!? »
L’uomo dai capelli blu ridacchiò appena, bonario, ma finendo col farla inalberare ancora di più.
« Nel mio villaggio si diceva che chi scava un fosso con cattiveria ci finisce dentro. Al di là dei Raiders, che faranno solo il loro lavoro, chi sta macchinando questa storia dovrà stare ben attento a quello che farà. E poi bambina… chi meglio di te sa quanto marcio ci sia in giro? » sussurrò in tono carezzevole, guardandola da farla arrossire di nuovo mentre reclinava il capo di lato e le passava le dita tra i capelli, sovrappensiero. La giovane si ritrasse appena, incerta, come se il marchio impresso sulla sua schiena avesse ripreso a bruciare.
Sabo si schiarì la voce, gli occhi lampeggianti verso Amon.
« Noi andiamo a farci la doccia » sibilò, afferrando la compagna dalle spalle e spingendola via, con una chiara nota di avvertimento nell’espressione del suo viso rivolto all’uomo. « Tra un’ora riunione in sala comando, vedi di esserci »
Amon gli fece cenno col pollice in su e un ampio sorrisino, ricambiando la sua occhiata velenosa con una maliziosa e insinuante, totalmente fuori luogo.
« Non sarò io a fare tardi » gli sillabò, strappandogli uno sbuffo frustrato.

 
 
 
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Nim: … avete mai visto “Alla ricerca dell’isola di Nim”? Confesso, primo nome che mi è venuto in mente!
- Amon: dal greco, o dall’egizio, o ancora dall’ebraico… può avere vari significati che calzano tutti: “colui che è nascosto”, “segreto” o ancora “leale, fidato”.
- Sidero: dal latino. “ferro” e poi “stella”. 
- Nadim: dall’arabo “compagno di bevute”.
- Raiders: dall’inglese “sciacallo, razziatore”.
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Heilà? Vi siete già squagliati tutti per il caldo? Io credo che a breve mi sublimerò direttamente ~
Dopo più di un mese (o due?) torno con Heavenly Eve…! Confesso di aver usato la pubblicazione de Il Tesoro di Alec Rover per avere il tempo di risistemare questo capitolo e le sue New Entry.
Siamo al Capitolo Quattordici e io ancora ho da presentarvi decine di personaggi che concorreranno nella vicenda, negli inghippi… e non vedo l’ora di arrivare a Kidd e Law (no, niente yaoi qui… solo un sacco di casini ghghgh).
Ma parliamo di adesso.
Spero di aver reso bene la sconfitta dei nostri (ispirata a Water Seven) e la loro fuga. Tutto è caotico e concitato. E poi qualche scena fluff tipo tra Nami e Rufy e poi con Sanji. Adoro scrivere e sbilanciarmi un po’ nei loro rapporti tra compagni *love*
Segue una parte sulla Supremacy… vi dico solo che Ursula non era programmata in questa parte di storia. Ma non ho capito perché da un po’ di tempo i miei personaggi fanno di testa loro e lei si è ritagliata un gran bello spazio. Malandrina. Mizu invece è proprio ko. Quella donnina mi odia, me lo sento.
Finiamo poi con la star di questi ultimi capitoli del manga di One Piece… Sabo! Dovevo mettercelo nella storia. Insomma, è tornato di prepotenza nella storia canon, perché qui no? E sì, lui e Koala sono proprio carini! Amon ci metterà lo zampino? Kufufufu ~
 
 
Grazie a jillianlughnasad, che mi sopporta e si innamora di quegli scapestrati dei miei OC XD
Lettori, so che ci siete ~ vedo il numero delle letture aumentare di volta in volta. Io persevero e spero che teniate duro anche voi…!
 
 
 
 
Not(t)e insonne mode on:
 
- Port Red Jack & Fulham: tenete a mente l’isola e la sua città principale. Sono già apparse nel Capitolo Tre [Minacce] e nel Capitolo Cinque [Madame] e torneranno… oh sì *sadic*     
 
- Ursula: be’, un nome una garanzia. Sì, tipo quella Ursula. Il nome le calza troppo a pennello, e alla fine ho deciso di attenermici. Tra qualche capitolo farà la sua comparsa a tutti gli effetti e… chissà che qualcuna di voi non mi tiri appresso qualcosa u.u pure io sono *gelosa* di lei…!
 
- Sidero: nome della nave su cui stanno viaggiando Sabo, Koala e Amon. È il primo nome che mi è balenato in mente pensandone a uno che si adattasse per un veliero rivoluzionario. “Ferro” perché mi è venuto in mente l’Haki di Sabo, “Stella” perché… adoro le stelle, e stavo pensando che i rivoluzionari si mettano a scrutarle e ammirarle di frequente, tra una magagna e l’altra u.u non sono poi diversi da pirati e sognatori.  
 
- Amon: ecco un altro di quei personaggi che nasce “volutamente”, del tipo “no, voglio un tipo così da qualche parte”. E che poi arriva e praticamente si insinua nella trama come se fosse di casa… Nadim o Mano Sinistra di Dragon. Nella mia concezione, come un po’ lo delinea già Sabo, lui è quello che fa “i lavori sporchi”. Quello che sta nell’ombra e di cui è meglio non sapere, tanto che finché non è un’emergenza, Dragon lo tiene nascosto anche a Sabo u.u insomma, ce ne saranno delle belle su di lui. Il suo primo soprannome, Nadim ossia “Compagno di bevute” è riferito al rapporto quasi fraterno che ho immaginato tra lui e Dragon.
È originario di un villaggio di Alabasta e adora punzecchiare le persone che ha intorno, soprattutto Sabo, facendo leva sia sul fatto di essergli stata taciuta la sua esistenza, sia nei riguardi di Koala per cui prova un sincero affetto. Un tipo sfuggevole e scaltro. Da non perdere di vista.
 
- Raiders e Dominic: ci siamo, ci stiamo avvicinando a un capitolo cruciale per certe cose, ma semplicemente credo la mia nemesi per altre, con diversi figuri che mi faranno sudare sette camicie… e tra questi proprio loro e il Signor Dominic, di cui in realtà avete già letto in un paio di capitoli ~ E la stessa San Faldo verso cui si stanno dirigendo diversi personaggi…! Stay tuned!
 
 
 
Queste note per certi versi sono superflue. Però ecco… ogni tanto io stessa vado a rivederle XD Sopportate!
Il Capitolo Quindici è in cantiere. Nella vecchia pubblicazione mi fermai proprio a questo numero… ma non voglio demordere questa volta! Vorrei stare qui a raccontarvi tante storie, intrecci, casini…! Che spero che la voglia di scrivere continui! Abbiate pietà!
 
 
Bacioni!
Nene
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo XV - Arrembaggio ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XV -
[Arrembaggio]
 
 
 
A Gwyn,
che ci crede davvero.
A Giambo,
che ha letto qualcosa in anteprima
e ha detto la sua.
Ad Alexiel Mihawk,
che con una chiacchierata
ha rispolverato
tempi andati.
 
A me…
perché questa è la linea del traguardo.
 
 
 
 
 
Niente annunciò il loro arrivo.
Il brigantino circumnavigò l’isola disabitata di Nim a una velocità inimmaginabile per una nave normale. Scivolò sulle onde trasparenti oltre il profilo di palme e rocce perlacee come stesse eseguendo dello sci nautico, trainato da una Seal più agguerrita che mai.
Ci siamo… tra poco si accorgeranno di noi, rifletté la navigatrice, rivalutando ancora quel piano messo su in poco meno di mezzora dove non c’era stato tempo di dare peso alle incertezze. Quando avrebbero percorso tutta la costa dell’isoletta si sarebbero trovati a tagliare la strada ai Tori Rossi, e lì sarebbe scattato l’attacco.
« Pronti!? » chiese conferma a voce alta Sanji. Il vento gli frustava il viso, scompigliandogli i capelli biondi. Si trovava in piedi sul parapetto reggendosi alle sartie con Nami al suo fianco, armata del Clima Takt già montato.
Poco distante Usopp si calò gli occhialetti sulla fronte, tremando e deglutendo, e iniziando a votarsi a qualche altissimo protettore. Zoro non si espresse, colpendosi il palmo della mano con il pugno chiuso, ancora freddamente collerico per via della sconfitta e la perdita delle sue spade. Chopper in Jumping Point annuì, scambiando uno sguardo con l’archeologa che ricambiò sorridente e gli fece un cenno affermativo. Dietro di loro Brook batté la propria spada-bastone in terra, schioccando l’osso della mascella con una risatina più macabra del solito.
« Ohi! Ci siamo quasi! » annunciò Franky aggrappato al timone vibrante mentre manteneva fermamente l’equilibrio precario della curva che di lì a breve li avrebbe portati a stringere le tre navi di Oushiza con l’aiuto di Seal.
I Tori Rossi avevano cominciato a sentire uno strano rumore senza capire da dove provenisse, quando Rufy, ritto sulle griselle, si sbilanciò in avanti tenendosi il capello con espressione seria.
« Capitano! » lo richiamò il cuoco sotto di lui, e si scambiarono un’occhiata a cui il moretto annuì silenziosamente.
« Ragazzi questa volta non ci faremo battere! » affermò, squadrandoli rapidamente tutti con un lieve ghigno di sfida. « Oushiza è mio! »
Gli altri furono con lui. Poi il giovane con la cicatrice sotto l’occhio si rivolse alla vecchia Kamome, aggrappata all’albero maestro col fedele gabbiano ancorato in testa nel suo nido e infastidito dalle folate di vento. « Obacchan ci rivediamo stasera! »
« Riportami i miei nipoti! » gracchiò seria, ricevendo un assenso rassicurante prima che il futuro Re dei Pirati tornasse a concentrarsi, sgranchendosi distrattamente la caviglia ferita.
Vinci Figlio del Diavolo… dimostrami che quella D. può meritare ancora fiducia, si disse la vecchia, maledicendosi subito per quel pensiero di speranza.
« Fra dieci secondi! » urlò Franky sovrastando il rumore di onde e vento.
La ciurma era pronta, fremente, ognuno focalizzato sul proprio obiettivo o compito.
Mentre la parabola inclinava lo scafo pericolosamente verso l’interno, la polena della Sunny, per un gioco di luci e ombre, parve perdere quell’aria solare e giocosa per una velatamente inquietante.
Gli attimi scivolarono rapidi. Il brigantino raggiunse il picco della curva, il punto di non ritorno, piegandosi su un fianco quasi dovesse rovesciarsi. Sbucò da dietro Nim così rapidamente che sui tre velieri nemici rimasero inebetiti a fissare la manovra azzardata, dimenticandosi di dare l’allarme. Quando infine giunse loro il grido tonante del capitano dal Cappello di Paglia, fu davvero troppo tardi.
« ALL’ARREMBAGGIO! »
 
 
 
 
 
Usopp sparò con la fionda una trafila di biglie dai contenuti esplosivi più improbabili, cercando al contempo di non perdere di vista Zoro che avanza nella calca nemica come fosse stato lui stesso un toro, mandando i pirati a gambe all’aria con la sola furia della rabbia.
Per il cecchino fu inutile gridargli dietro anche un misero « Aspettami! » poiché lo spadaccino guardava solo avanti, e si rassegnò al proprio errore di calcolo in quel piano arrabattato. Pensare di essere finito con il marimo l’aveva rassicurato all’idea di ritrovarsi nuovamente nella mischia dei Tori Rossi. Col senno di poi aveva capito che Zoro aveva in testa solamente di ritrovare le sue spade e nient’altro.
Fu così che sfoltirono le prime file cercando di raggiungere la sottocoperta e da lì la cabina di Kameoshi. Usopp avrebbe dovuto aiutarlo a non perdersi, così era stato deciso da Nami.
Nami, pensò, e per una volta il nasone non seppe se mandarla a quel paese per come li aveva suddivisi o avere pena per lei. In fondo, la navigatrice probabilmente non se la sarebbe vista meglio, nonostante fosse con Sanji. Usopp ancora rammentava il potere di Kazuka, ma il piano proposto dal cuoco, con l’aiuto della rossa, probabilmente avrebbe funzionato.
Nel frattempo, era di nuovo stato lasciato indietro.
« Zoro! » si sgolò piagnucolante, accelerando con uno scatto ed evitando una sciabolata che gli mise ancora di più la tachicardia addosso, soprattutto quando si accorse che lo spadaccino aveva irrimediabilmente sbagliato direzione. Non c’era speranza, pensò, un attimo prima di sfracellarsi con la fronte a terra strillando. Mugugnò per il dolore al naso, non capendo in cosa fosse inciampato, quando avvertì qualcosa di viscido lasciargli andare la caviglia ed ebbe un brivido. Una di quelle pessime sensazioni che ti portano a congiungere le mani senza voltarti perché sai che ormai è finita ed è inutile guardare realmente in faccia il pericolo. L’ex Principe Distruttore gracchiò sillabe inconcludenti, avendo intuito che dietro di sé doveva esserci il Vice di Oushiza descrittogli da Zoro. Kameoshi… con la sua spada taglia-cavalli.
« Fuori il primo » sibilò seccato e profetico il camaleonte, calando la spada.
Ma Usopp rimase tutto d’un pezzo, più o meno, nonostante fu calciato via da sotto la metaforica ghigliottina. Un clangore forte quasi quanto uno schianto lasciò più di un pirata attonito di fronte alla nuova scena.
Lo spadone di Kameoshi tremava, bloccato da due lame anch’esse pericolosamente instabili. Zoro tese i muscoli delle braccia, il petto bloccato in un respiro stroncato dall’attimo, ma non cedette. Non era in una posizione propriamente comoda, avendo salvato il compagno di volata. La micidiale potenza del suo avversario gli gravava addosso richiedendo ogni briciolo di concentrazione per non soccombere. Le spade non avrebbero retto a un secondo attacco, forse neanche alla prolungata pressione.  
« Ancora tu, Roronoa » sibilò in una smorfia Kameoshi, gli occhi camaleontici fissi su di lui con biasimo. « Siete dei suicidi » commentò con sprezzo, cercando di aumentare il carico della sua taglia-cavalli, ma il ragazzo coi capelli verdi non glielo permise.
Zoro sogghignò appena.
« Forse, Linguone » ringhiò, stringendo le else delle spade sottratte e riuscendo ad allontanarle di un poco, insieme al nemico. « O forse no »
Con un ruggito allargò le braccia, facendo indietreggiare di colpo il vice di Oushiza. La grossa arma dondolò e il proprietario perse in parte l’equilibrio. Il volto di Kameoshi si chiazzò di squame verdi e divenne livido per la sfrontatezza dello spadaccino.
La mascella scattò, spalancando la bocca e il Mugiwara vide saettare verso di sé la lingua appiccicosa. Ma prima che potesse afferrarlo per il collo di nuovo, qualcosa la beccò nello slancio, in più punti, facendola istintivamente ritirare fulminea com’era uscita. Una pessima mossa.
Zoro lo fissò guardingo, senza capire, ma non avvertì più l’aura minacciosa. Il volto dell’uomo-rettile sfumò gradatamente in una tonalità rossa e poi violacea. Si strinse la gola con dita irrigidite come a volersela strappare, cercando di mandare giù un groppo che gli impediva di respirare. Finì con l’eruttare fiamme, spaventando i più di fianco a lui mentre gli lacrimavano gli occhi.
« Corriamo via prima che mi ammazzi davvero! » gemette Usopp afferrando il compagno e filando verso la loro meta intanto che i Tori Rossi sbigottiti facevano capannello intorno al loro capo, riverso sulla schiena con la schiuma alla bocca.
Zoro unì i puntini immaginari dell’accaduto, scoppiando a ridere ignorando il cecchino che scongiurava di non essere inseguiti. Le sue Stelle al Tabasco Triplicato avevano rallentato a dovere il vice di Oushiza, certo, e forse avevano guadagnato abbastanza minuti per trovare le spade del marimo. Ma Usopp era conscio di aver firmato la propria condanna a morte.
« Hai una vaga idea di dove possa essere la stanza di quel camaleonte!? » gracchiò ancora il cannoniere mentre scendevano di volata le scale che portavano all’interno della nave, evitando per un soffio i proiettili dei Tori che si erano ammucchiati all’ingresso, bloccandolo nel litigare su chi avesse la precedenza.
« Nessuna » rispose Zoro ancora sulla scia delle risate e facendo definitivamente deprimere l’amico.
« La prossima volta vado io con Sanji! » gemette quando si ritrovarono davanti un lungo corridoio dove affacciavano almeno una trentina di porte.
La ricerca delle katane ebbe inizio.
 
 
 
 
 
 
Nami scosse appena la testa. Le erano fischiate le orecchie fastidiosamente, ma ignorò la sensazione, rimanendo concentrata. Sanji non le aveva chiesto un favore impossibile, ma non certo facile. Distrarsi avrebbe fatto rischiare il collo a entrambi, così continuò a tenere sotto controllo la bolla climatica che stava pian piano creando a bordo della Storming.
La maggior parte dei Tori Rossi su quel bel veliero erano stati scaraventati fuori bordo dal cuoco che non aveva voglia di perdere tempo. Il restante era stato spedito via dallo stesso Kazuka a dare man forte sulla Conqueror per terminare in pace la sfida del giorno prima.
« Ti sei portato la donna per avere qualcuno che ti pianga, stecchino? » cinguettò il guerrafondaio, sgranchendosi le dita e lanciando una lunga occhiata lasciva a Nami, che ricambiò con cinico sdegno. Lui sogghignò, passandosi la lingua sulle labbra sottili. « Tesoro con te mi ci diverto appena finisco qui » le promise strizzandole l’occhio, ma fece a malapena in tempo a finire la frase che avvertì il pericolo formicolargli addosso. Levò veloce le braccia, parando un calcio del biondino.
« Non osare rivolgerti così alla dolce Nami » sibilò iracondo, aumentando la forza della gamba tesa.
L’ufficiale di Oushiza non si lasciò spaventare, nonostante i polsi indolenziti. Con un paio di pop due copie di sé spuntarono ai lati del cuoco.
« Non hai imparato! Non hai i numeri! » abbaiò, sferrando l’attacco su entrambi i fronti, ma Sanji si ritrasse per un pelo, saltando indietro e mettendo una certa distanza tra di loro, parandosi davanti alla navigatrice. Lo sguardo del biondo si assottigliò, per poi esibire un sorrisetto scaltro al mormorio di Nami dietro di lui. La donna roteò un’ultima volta il Clima Takt, soddisfatta.
Kazuka non apprezzò lo scambio sottovoce tra i due compagni e avvertì un brivido addosso, di freddo. Insieme a quello, per un secondo, le figure dei due pirati di Cappello di Paglia vacillarono e lui perse la pazienza.
« Chiudiamola subito, moscerini! » ringhiò, e cinque delle sue copie li circondarono. Godette delle loro espressioni allarmate, del tentativo del cuoco di frapporsi a proteggere la ragazza, ma non gli lasciò scampo. In un baleno il quintetto picchiò senza esitare… e i colpi li attraversarono.
Deformati per lo spostamento dell’aria, i profili di Sanji e Nami si dissolsero tra le dita chiuse dei fantocci, lasciando confusi loro ma primo fra tutti il possessore del Frutto del Diavolo.
« Sono d’accordo. Passiamo direttamente al dessert… » mormorò sagace il cuoco alle spalle di Kazuka, che tempo di voltarsi si ritrovò una ginocchiata sotto lo sterno senza alcun preavviso. Boccheggiando, l’uomo cadde in ginocchio penosamente, strappando un ghigno al biondino che godette tra sé nell’aver cancellato l’arroganza da voltastomaco su quel volto sporco di grasso militare.
« Non sei abituato a prendercele eh? » lo schernì, accendendosi una sigaretta mentre l’altro era ancora carponi.
« Ti spezzo le gambe stecchino! » ululò il nemico, avvertendo ancora quella carezza fresca che gli fece perdere la testa. Quattro copie di sé spuntarono bloccando tutti i fronti del biondo, ma calci e pugni andarono solo a colpire l’uno l’altro, dissolvendosi in un teatrino di illusioni insieme alla figura in camicia gessata e pantaloni eleganti che se la rideva.
L’arroganza oppressiva del toro rosso fece la stessa fine, trasfigurandosi per un secondo in una maschera di incertezza.
« Magia » bisbigliò sadicamente il cuoco riapparendo e rifilandogli una scarpata in faccia tale da rompergli il naso e spedirlo contro la paratia della Storming. Sanji abbandonò la sua aria divertita per una maschera di serietà e ira repressa, togliendosi la sigaretta tra le dita e puntandola contro l’avversario. « Questo era per ciò che avete fatto alla mia ninfa del mare e al suo villaggio, animali » lo apostrofò, perforandolo con lo sguardo. « Anche se non basterebbe spezzarti tutte le ossa per come avete macchiato la sua anima » aggiunse freddamente.
Kazuka, rimessosi a sedere col sangue che gli colava su bocca e mento, sorrise sghembo cogliendo la palla al balzo, una nuova luce a brillargli nello sguardo.
« Chissà come se ne starà prendendo cura il capo mentre chiacchieriamo » fischiò provocatorio con voce nasale.
Il biondino scattò ancor prima di registrare del tutto.
« Sanji no! » strillò Nami, riapparendo dall’altra parte del ponte, cadendo in trappola. Si accorse subito di essere stata puntata dall’avversario, ma non le fu d’aiuto. Decine di pop la attorniarono, famelici, e lei si posizionò in difesa, staccando uno dei tubi del Clima Takt e ragionando alla svelta.
« Non avvicinatevi » sibilò, sapendo di dover prendere tempo.
« Mi hai fatto passare la voglia di divertirmi, strega » dissero le voci all’unisono, facendola rabbrividire ma senza perdere il sangue freddo. Sanji si era ritrovato imprigionato tra almeno una dozzina di copie, e più ne faceva sparire più queste tornavano triplicate.
La rossa, con una goccia di sudore a scivolarle a lato del viso, si giocò il tutto per tutto. Facendo un passo indietro e guadagnando spazio, finse di essere preda del terrore, balbettando un « Ti prego, risparmiami! » che andò a segno. Kazuka si sentì di nuovo padrone della situazione e abbassò la guardia l’attimo che alla navigatrice servì per ricombinare la sua arma. In un baleno, Nami volteggiò il bastone colpendo quattro sagome e ricondensò a sufficienza l’aria circostante, per bloccarsi il secondo successivo in cui il toro rosso si riebbe e cercò di attaccarla. Ma tornarono in una condizione di stallo quando un pericoloso sfrigolio dorato brillò dall’estremità rotonda del Clima Takt.
L’incredulità e la confusione sul volto di Kazuka fu più sufficiente di qualsiasi parola e Nami lo salutò con la linguaccia, prima di scatenare la sua Thunder Ball. I fantocci rimasti intorno a lei evaporarono, lasciando segni bruciati sul legno della nave.
« Nami-swaaaan, sei stata formidab- » ma il complimento cuoriforme di Sanji fu stroncato dallo stesso bastone menatogli in testa.
« Non farti più provocare così, scemo! Quello parla per distrarti! » gli strillò lei inferocita, mentre tornava a destreggiarsi con i vari segmenti della sua arma. « Se perdi di nuovo la concentrazione la prossima volta aiuto Zoro! » aggiunse con falsa leggerezza.
Colpito nell’orgoglio, il biondastro si incendiò, riempiendo d’insulti a distanza il marimo e giurando di non farla più preoccupare.
A interrompere il teatrino fu il ringhio rancoroso e febbrile di Kazuka, che rimessosi in piedi li fissava trucemente.
« Vi state divertendo con me, eh? Adesso vedrete! » urlò puntandogli contro l’indice.
La Storming vibrò pericolosamente, dondolando appesantita. Il legno gemette e il tonfo dei piedi apparsi fu così forte che Nami esibì una smorfia contrariata. Più di cento paia d’occhi iniettati di sangue li squadrarono, ma nessuno dei due Mugiwara fece una piega.
« Ora gioco io! » gridarono battagliere tutte le voci in una stereofonia dissonante.
« Non penso proprio! » replicò la rossa. « Mirage Tempo: Fata Morgana! »  
Le moltiplicazioni di Kazuka si arrestarono prima ancora di caricare un qualsiasi attacco. Con una leggera brezza simile a seta sulla pelle, di fronte a ognuna delle copie faceva ora mostra un ghigno del cuoco biondo.
In un sincrono agghiacciante, tutti i Sanji sollevarono la sigaretta, spirando il fumo in faccia all’avversario.
« Ora siamo pari, toro arrogante » sentenziò con sussiego, e lo scontro prese il via.
 
 
 
 
 
Chopper e Robin atterrarono sul ponte della Supremacy sulla scia della risata riecheggiante di Brook e le grida superlative di Franky. I pirati sulla nave sguainarono le armi, buttandosi a capofitto su di loro.
« Dov’è Rufy!? » domandò la renna, occupandosi di alcuni con i suoi zoccoli. Il piano prevedeva che tutti e tre si dirigessero sulla nave di Oushiza per salvare i due ostaggi e sistemare il Toro Rosso, ma il capitano si era defilato appena messo piede sul fronte nemico.
L’archeologa si guardò intorno, ma scosse la testa e i lunghi capelli mori, tirati su in una coda per l’occasione, a far intendere che non ne vedeva traccia. Entrambi sospirarono, continuando a sfoltire gli avversari avanzando verso il castello di poppa. Se Rufy si fosse cacciato di nuovo nei guai per via dell’Aqua Morphos di Matt nessuno, dei due sarebbe potuto intervenire, non all’ultimo almeno.
« Quell’incosciente! » si lasciò sfuggire Chopper frustrato, ripensando a quanto accaduto a malapena un giorno prima e alla paura che aveva messo addosso a tutti.
« Isha-san » lo richiamò Robin, liberando la strada per dov’erano diretti. « Proseguiamo col piano e poi torneremo a cercarlo »
Fu più semplice a dirsi che a farsi. Il loro compito consisteva nel mettere al sicuro Mizu e suo figlio Matt. Dopo il resoconto di Rufy, Chopper si era preoccupato delle condizioni in cui doveva versare la mezza-sirena. Se Oushiza si era accanito su di lei pur di ottenere la collaborazione del bambino, la ferita al fianco si era di certo aggravata. E dubitava che su quelle navi qualcuno fosse in grado si prendersene cura adeguatamente.
Guadagnatisi l’ingresso per la sottocoperta a suon di ossa rotte, i due cercarono di orientarsi. Avevano tre possibilità piuttosto varie a cui puntare: le celle, l’infermeria o la cabina persona del capitano.
« Qualche traccia? » chiese Robin, mentre le sue mani erano impegnate a sbarrare la porta con tutto quello che c’era di disponibile, mentre al di là di essa i colpi dei tori rossi erano intervallati da irriverenti imprecazioni.  
Chopper tornò in formato mignon, aggrappandosi allo zaino con l’occorrente medico, e saggiò l’aria, rizzando anche le orecchie. Una smorfia gli si disegnò sul muso. Il sentore di sangue era indelebile, come l’olezzo di sudore e polvere la sparo. Però non demorse, affacciandosi sul corridoio e ritentando. In lontananza avvertì odori più famigliari, tra cui mercurocromo e simili.
Fece un cenno a Robin e si incamminarono svelti, cercando di lasciare meno tracce possibili agli eventuali scocciatori che prima o poi li avrebbero raggiunti.
Zizzagarono nei corridoi, tra casse e barili, difendendosi senza battere ciglio e riuscendo a farsi dire da uno dei pesci piccoli dove si trovasse l’infermeria. Col dubbio che ci fosse da fidarsi, corsero comunque nella direzione indicata, col rimbombo della battaglia tutto intorno a loro. Di tanto in tanto il legno della nave scricchiolava e dondolava, nonostante i galeoni fossero stati fermati dopo l’arrembaggio.
Cadendo accidentalmente per via di uno di questi scossoni, Robin e Chopper evitarono mezza dozzina di piccole lame lanciate contro le loro teste. Ansanti e allerta dopo lo scampato pericolo, tornarono repentinamente indietro nascondendosi nel corridoio.  
« Ojos Fleur » sussurrò l’archeologa, e alcuni dei suoi occhi azzurri si aprirono lungo le pareti per scorgere l’avversario. Ebbe una fugace visione, prima di richiuderli per istinto quando furono minacciati da altre lame che si conficcarono nel muro con uno schiocco secco e vibrante.
« Sono… bisturi » si accorse Chopper con un singulto, fissando le lame usurate e affilatissime.
« Ha un grembiule insanguinato… e dietro c’è la porta dell’infermeria » lo mise al corrente la mora, accostata al limitare del muro e intenta a vagliare la situazione.
« Venite fuori! Vi porterò come trofeo al capo! » berciò il toro rosso ghignante, mentre in sottofondo lo si sentiva affilare una lama più grande di quelle già lanciate.
« Stiamo cercando Mizu » parlò Robin in tono abbastanza alto da sovrastare i rumori di fondo. Chopper la fissò allarmato e confuso, non capendo perché stesse rivelando le loro intenzioni.
Il macellaio si fermò instupidito.
« La mezza-sirena? L’ho ricucita ore fa ma non si sveglia! È un povero bocconcino mal ridotto » commentò con sprezzo, rigirandosi la mannaia affilata tra le mani. « Il capo ha ordinato di lasciarla stare, quindi poche chiacchiere e poco chiasso » sibilò.
I due Mugiwara si scambiarono un cenno di intesa, pronti ad agire. La Figlia del Mare doveva essere lì a pochi passi e Chopper fu preoccupano più che mai dopo quelle parole.
« Allora!? Devo venire io!? Stupida donna e stupido koal- » ma il macellaio dei tori rossi non finì la frase.
Una gigantesca palla di pelo rotolò fuori dal corridoio, rimbalzando su un muro e poi sull’altro. L’uomo rimase interdetto con la mannaia a mezzaria, fissando il cespuglio lanuginoso senza capire nulla.
Affacciatasi appena dal suo riparo quel tanto che bastava per vedere dove fosse il nemico, Robin sfruttò i pochi secondi di disattenzione guadagnati da Chopper per imbrigliare il toro rosso tra le sue mani e piegarlo  all’indietro con un poco pietoso clutch.
Entrati in infermeria e sigillata di nuovo la porta, i due trovarono subito Mizu. Nel sonno si era inconsapevolmente rannicchiata in posizione fetale sotto il lenzuolo, che si alzata e abbassava seguendo il suo respiro irregolare. Muovendosi piano per non allarmarla, medico e archeologa scostarono la stoffa fino a scoprirla. La maglietta che le aveva prestato Nami era macchiata di sangue all’altezza della ferita e la Figlia del Mare ne teneva i lembi abbassati, quasi tirati, anche in quel momento di incoscienza. Sul viso e sulle braccia aveva graffi e lividi, come anche sulle gambe, coperte dalla stoffa dei pantaloncini sotto il ginocchio.
Su richiesta della renna, Robin aprì delicatamente i pugni in cui l’altra serrava la maglia, permettendo al medico di visionare il taglio. Una smorfia di disapprovazione per il lavoro fatto dal macellaio si espresse chiara sul suo musetto.
« Devo fare qualcosa, ma non qui. Ha bisogno di un luogo tranquillo e sterile » spiegò, sentendo sopra di loro e non molto lontane le grida dei sottoposti di Oushiza che li stavano cercando.
Robin annuì, per voltarsi di scatto quando sentì una debole stretta sulle proprie dita.
« V-voi… » balbettò la mezza-sirena, con le palpebre semi chiuse, tentando di metterli a fuoco.
« Mizu! Siamo venuti a salvarti! Dobbiamo portati via alla svelta! » proruppe il piccolo medico tutto d’un fiato, felice che si fosse ripresa.
La giovane annuì appena, fiacca, le labbra secche che si umettò per parlare di nuovo.
« Matt…? »
« Non sappiamo ancora dove sia » ammise Robin.
La presa sulla sua mano si irrigidì mentre Mizu chiudeva gli occhi, traendo due respiri faticosi. Quando lì riaprì, cercò di tirarsi su, aggrappandosi ai due e mordendosi un labbro per soffocare un lamento di dolore.
« Oushiza avrà Matt con sé… » soffiò in un singulto represso, gli occhi color lapislazzuli scuritisi e annebbiati. « Lo userà di nuovo… contro Rufy »
« Allora saranno sul ponte. Ma non possiamo tornarci passando da dove siamo arrivati » constatò la moretta, visto che lo scalpiccio dei pirati era sempre più vicino. Si volse verso la paratia con gli oblò, grandi abbastanza da…
 
 
 
 
 
Un velo d’acqua ricopriva il ponte della Supremacy. Il riverbero del sole prossimo allo zenit gettava riflessi tremolanti sui due principali avversarsi, ritti in silenzio l’uno di fronte l’altro.
La maggior parte dei tori rossi si era fatta indietro; alcuni erano caduti fuori bordo dopo che le fruste gommose di Rufy avevano tentato di raggiungere Oushiza, altri erano troppo esterrefatti per reagire, consapevoli che il loro capo si stava arrabbiando. Se fosse successo sul serio ci sarebbe scappato il morto, indistintamente da quale delle due parti.
Cappello di Paglia strinse di nuovo i pugni, divaricando le gambe e studiando il Toro Rosso. L’acqua gli scivolò tra la pianta del piede e il sandolo, in una leggerissima carezza in cui avvertì subito la pizzicante debolezza.
Matt tremava e piagnucolava sottovoce. Con una mano Akai se lo teneva stretto al petto, per la gola, ordinandogli seccato di ricreare lo stesso serpente d’acqua del giorno prima, ma fino a quel momento il bambino era riuscito a dare vita soltanto a miseri schizzi d’acqua con cui aveva infradiciato il moretto.
La situazione si era bloccata dopo che Rufy aveva tentato di colpire il Toro Rosso ma questi si era fatto scudo col bambino, facendo rotolare il pirata dal Cappello di Paglia a destra e sinistra simile a una trottola impazzita per evitare all’ultimo di coinvolgere chi avrebbe dovuto salvare.
« Vuoi che faccia portare qui tua madre e la prenda a calci di nuovo, stupido ragazzino? Se non fai come ti dico sarà lei a pagarla » sibilò l’uomo dai capelli cremisi nell’orecchio del figlio singhiozzante.
« Matt non dargli retta! La mia ciurma la sta cercando! Il mio medico si prenderà cura di lei! »
Se l’odio aveva un volto, era quello di Oushiza, ma fu un lampo. L’aria si fece ancora più tesa mentre i due capitani si fissavano, il primo con un astio che la diceva lunga su quanto quei dilettanti lo stessero infastidendo, dall’altra una determinazione che più volte aveva avuto la meglio. E alla quale lo stesso piccolo Matt guardò col lacrime e moccio che si mescolavano, senza conoscerlo ma preferendolo alla stretta intorno al proprio collo.
« Mi chiamo Rufy! Ho incontrato la tua mamma e la tua nonnina qualche giorno fa, siamo venuti a salvarti » rispose il Mugiwara alla sua muta domanda, alzando il pugno verso di lui. « Sai che sei davvero forte Matt? Ieri hai fatto prendere un colpo ai miei compagni con quel serpentone d’acqua! Non lo rifare però, perché questa battaglia è tra me e il Toro… » finì, e la sua espressione tranquilla e spensierata tornò seria. I suoi occhi neri si piantarono in quelli di Oushiza in un segno di sfida a cui l’avversario rispose levando il mento con superiorità.
« Cosa ti fa credere che i miei uomini non si siano già liberati dei tuoi? »
« La mia ciurma è più forte della tua »
« … ti senti tanto sicuro Cappello di Paglia? »
« Certo »
E il sorrisetto limpido con cui accompagnò la risposta fece perdere per un attimo il selfcontrol del rosso, che espirò forte dalle narici, la fronte contratta per l’irritazione. Strattonò Matt, quasi artigliandogli la gola, e il lamento del bambino uscì soffocato.
Rufy fece un passo avanti, adesso anche lui con una vena pulsante sulla tempia. Stava per aprire bocca e richiamare il Toro Rosso alla loro battaglia, quando un tafferuglio poco lontano li distrasse entrambi.
Dal parapetto di tribordo due uomini di Oushiza cacciarono imprecazioni, spade sguainate, quando sembrarono tuffarsi volontariamente in mare. Altri accorsero a capire cosa stesse succedendo, e seguirono la stessa sorte, finché gli ultimi ci pensarono due volte prima di avvicinarsi, fissando il punto specifico come se da un momento all’altro dovesse palesarsi una forza maligna.
Qualcosa apparve. Dozzine di mani come lunghe funi spuntarono dal parapetto, ritraendosi poi fino a scomparire quando sul ponte sopraggiunsero Robin, Chopper e Mizu nello sbalordimento generale. L’archeologa usò ancora i suoi poteri per sistemare tutti gli impalati di fronte a loro, decimando definitivamente gli avversari.
« Robin! Chopper! Mizu! Tutto ok? » si sgolò Rufy contento, senza però muoversi dalla sua posizione di attacco.
La moretta annuì, ma la calma apparente fu subito spezzata. Appena la mezza-sirena inquadrò la situazione sul ponte, aggrappata al medico, urlò il nome del figlio, tentando di slanciarsi nella sua direzione. Lo stesso Matt, pallido e con escoriazioni qua e là, si agitò nella presa del suo aguzzino, ricominciando a piangere e farsi imprecare dietro.
Robin colse l’attimo e fece fiorire le sue mani addosso a Oushiza: alcune andarono a liberare il Discendente del Mare, mentre altre chiusero in una morsa l’uomo, boccandogli gambe, braccia e testa. Ricaduto sul legno del ponte, il bambino rotolò di lato, per poi correre via e tuffarsi finalmente tra le braccia della madre, scoppiando in un pianto dirotto e liberatorio.
Sembrava che l’incubo fosse prossimo alla parola fine, ma sia Chopper che Rufy si accorsero che qualcosa non andava.
La compagna si stava mordendo il labbro inferiore e le sue braccia incrociate tremolavano, mentre Oushiza rimaneva immobile nella sua morsa, con la schiena inarcata ma molto lontano dal punto di rottura. In tutta calma, il Toro Rosso riprese la posizione dritta e stabile, scoccando un’occhiata gelida e feroce alla donna. L’archeologa comprese tardi la disparità di forza. Con un movimento secco il rosso liberò dalla morsa le braccia, per poi scattare lui stesso verso una di quelle che tentavano di soffocarlo. Pochi secondi e la moretta si lasciò sfuggire un gemito di dolore, tenendosi il polso sinistro slogato dalla forza di Akai nel liberarsi.
« State indietro! » strepitò Rufy ai suoi per poi voltarsi di nuovo verso il Toro Rosso e bersagliarlo con uno dei suoi pugni.
Oushiza era livido di rabbia. Fermò il colpo, ma dovette retrocedere di qualche passo.
« Muovetevi! Riprendete il bambino e uccidete gli altri! » abbaiò secco verso i pochi rimasti dei suoi.
Furono momenti di confusione.
Anche con il polso lussato stretto al petto, Robin difese Mizu e Matt al meglio affiancata da Chopper che non fece passare nessuno. Mizu si ritrasse dietro alcuni barili, tenendo saldo a sé il figlio, entrambi provati dalla prigionia. Il pensiero di gettarsi dal parapetto e cercare di nuotare via il più lontano possibile sfiorò la Figlia del Mare, ma quando posò lo sguardo sfibrato su Rufy capì di dover rimanere. Oushiza non era più padrone della situazione e il livore sul suo viso andava crescendo. Non sembrava voler prendere sul serio quello scontro, ma il futuro Re dei Pirati non gli dava tregua, continuando a farlo indietreggiare.
Da quando erano cominciati quei giorni bui il cuore della Figlia del Mare non aveva smesso un secondo di battere frenetico per l’ansia, il dolore e la paura. Ora che osservava la figura di Rufy ergersi senza timone contro l’ombra del suo incubo indelebile, il martellare nel suo petto si quietò un po’ e gli occhi le si inumidirono. Strinse a sé Matt, mentre una conversazione di tanto tempo prima le affiorò alla mente.
 “Tua nonna non ha tutti i torti bambina. Siamo gente pericolosa. Ora che stai meglio dovresti pensare a te e al tuo piccolino”
“Obacchan ha detto qualcosa su una tempesta… ma non ho capito cosa intendesse”
“Mettiamola così: in senso stretto si parla di cambiamenti… ma quasi mai indolore. Ecco, le D. hanno questa cattiva abitudine di stravolgere la vita degli altri”
“… Eve-san, voi mi avete salvata”
“Adesso la vedi così, e sono contenta. Ma stai in guardia in futuro se mai ti ricapitasse di incontrare qualcuno con la D. nel nome…. Come le tempeste, possono salvarti dalla sete e lasciare il terreno fertile… oppure spazzare via la tua casa. Non esistono mezze misure. Stai attenta”
Erano passati anni, ma conservava ogni parola come una moneta d’oro. Ora che quell’eventualità era accaduta, ora che un’altra D. era entrata nella sua vita senza preavviso e senza chiedere permesso aveva preso le redini, Mizu avvertì nitido in lei il desiderio di credere, di vedere quella tempesta addensarsi e abbattersi, sradicare qualsiasi cosa fosse rimasta del suo passato. Continuare ad avere paura non avrebbe cambiato la situazione. Così rimase in attesa, semplicemente assistendo al consumarsi dello scontro, e pregò per quel ragazzo dal Cappello di Paglia, quella D., che aveva giurato di salvarli.
 
 
 
 
 
Rufy ansava senza demordere. Si gettava come una furia su Oushiza, ma i suoi muscoli sembravano fatti di metallo e le nocche gli tornavano indietro doloranti. Dalla sua, il Toro Rosso era di umore nero per la pagliacciata che quei nove pirati avevano avuto l’ardire di inscenare ad appena un giorno dalla loro sconfitta. Aveva lasciato loro anche troppo campo libero permettendo di riprendersi i prigionieri. Il ragazzino da trecento milioni non gli dava un attimo di respiro, nonostante la trafila di attacchi gli avrebbe provocato si e no qualche formicolio, lasciandogli però il tempo di meditare sul da farsi. Doveva richiamare dalla Conqueror e dalla Storming Kameoshi, Kazuka e la sua squadra d’élite per liquidare definitivamente quelle seccature e riprendere il viaggio a piena potenza per Port Red Jack.
« Ehi, Toro! Non ignorarmi! » schiamazzò il Mugiwara.
L’uomo dai capelli rossi sentì afferrarsi per le spalle e le gambe del pirata di gomma cingergli la vita. Un secondo dopo le loro fronti cozzarono con un sonoro gong, solide noci di cocco che mancò poco si aprissero in due.
Oushiza serrò la mascella mentre l’irritazione prendeva definitivamente il posto della pazienza, e per un attimo ebbe un capogiro.
Rufy di contro saltò all’indietro ululando dal dolore, portandosi le mani al cranio sentendo il suo cervellino sbatacchiarci dentro a destra e sinistra. E dire che secondo Nami e Sanji non esisteva nessuno che potesse competere con una testa più dura della sua. 
« Di che cosa sei fatto, acciaio!? Credevo fossi un toro… » gemette massaggiandosi il rossore sulla fronte e ignorando l’occhiata glaciale dell’avversario. Poi una lampadina accartocciata gli si accese nella zucca vuota. « Giusto! Si dice essere forti come un toro! Ecco perché! »
Un altro detto era sbuffare come un toro, ed era ciò che stava facendo Oushiza davanti a tutta quella idiozia.
« Sei una seccatura. La lezione di ieri non ti è bastata? Cosa vuoi, i poteri di quel bambino? O la sirena per te? »
« Ho promesso a Mizu che avrei salvato lei e Matt. E tu non mi piaci »
Il Toro Rosso fece una smorfia sdegnata, avendo la conferma di un sospetto che avrebbe preferito ignorare.
« Allora le voci che circolano su di voi riguardo Alabasta sono vere… fate gli eroi » insinuò con un risolino di commiserazione.
« Non siamo degli eroi. Siamo pirati » replicò Rufy piccato.
« Io e te non ci siamo mai visti primi, perché attaccarmi? Perché ti piace giocare al filibustiere e l’emozione dell’arrembaggio ti ha dato alla testa? » lo schernì. « O la piccola Mizu ti ha chiesto aiuto e tu non hai saputo resistere? »
Quando non giunse risposta dal moretto, il ghigno di Oushiza si ampliò. Fece spallucce, sollevando le mani in un gesto di pena.
« Questo non è fare il pirata, scimmietta. Quel cappello che porti in testa dovrebbe dirtelo bene » aggiunse, avvertendo nitido un fremito attraversare il Mugiwara, ma prima che potesse aprire bocca proseguì. « Shanks il Rosso è uno dei Quattro Imperatori nel Nuovo Mondo… sai cosa significa? Che lui non gioca e non fa l’eroe. Non si è conquistato quel titolo aiutando la gente, ma- »
Dovette interrompersi. Fu come se gli fosse mancata l’aria per formulare il resto della frase. Qualcosa di impalpabile l’aveva artigliato, scendendogli lungo la schiena e provocandogli un tremito. Fissò davanti a sé quel ragazzino dalla camicia rossa stazzonata e gli sembrò un’altra persona. I suoi occhi neri erano ridotti a spilli, le vene delle mani e del collo gli pulsavano nervose.
« Tu non sai niente di Shanks. Non parlare di lui » scandì con voce roca, minacciosa.
Gli angoli della bocca di Akai si piegarono all’ingiù.
« Come vuoi Cappello di Paglia. Era la tua ultima opportunità per andartene. Il tuo viaggio finisce qui insieme alla vita dei tuoi uomini »
Il Toro Rosso si sentiva così sicuro nella sua arroganza, che quando un colpetto di tosse interruppe il silenzio ostile tra i due avversari dapprima lo ignorò. Presto però una voce prese la parola.
« Ohi Rufy… noi abbiamo finito »
In piedi sul parapetto della Supremacy, Sanji, Zoro e Nami saltarono sul ponte. La rossa, assolutamente illesa, prestò appena un’occhiata di sprezzo a Oushiza, per poi dirigersi svelta da Mizu e Matt, a cui si erano appena ricongiunti anche Robin e Chopper dopo aver mezzo knock-out con gli ultimi pirati. Cuoco e spadaccino, al contrario, avevano qualche strappo qua e là insieme a macchie di sangue, ma in sostanza interi e con un sogghigno compiaciuto che stentava ad andarsene. Il biondino si accese una sigaretta, esprimendo un ok con le dita, mentre il marimo si assicurava meglio le katane alla pancera.
« Usopp ci raggiungerà con Franky e Brook appena avrà terminato il suo discorso di vittoria ai vitellini che ancora non sono al creatore » aggiunse, soffiando fuori il fumo per poi squadrare il capitano Akai con un’occhiata gelida. Così era lui l’incubo della sua ninfa del mare, pensò. « Con quello come va? »
« Datemi ancora un po’ di tempo » rispose pacato il moretto, chiudendo e aprendo le dita delle mani per farsi passare il lieve indolenzimento.
Oushiza non prese per niente bene la parata di pirati nemici arrivati dalla Conqueror e dalla Storming, ostentando le loro vittorie. Kameoshi e Kazuka erano stati battuti. Dei suoi sottoposti sembrava ne fossero rimasti mucchietti informi, doloranti o del tutto andati. La sfrontatezza poi che il loro capitano continuava a dimostrare nei suoi confronti lo mandò letteralmente in bestia.
Zoro reagì alla minaccia repentina riuscendo a sguainare solo pochi centimetri della Kitetsu a difesa del gruppetto alle sue spalle. Sanji, che si era voltato tralasciando lo scontro per constatare le condizioni di Robin e Mizu, si volse allargando le braccia istintivamente per proteggere le compagne.
Ad un passo da entrambi fu però Rufy ad arrestare l’avanzata di Oushiza, consumando quasi del tutto la suola dei sandali nella scivolata. Le sue mani stringevano in una morsa tremante le corna dell’uomo-toro di fronte a loro. Grandi e appuntite come punte di frecce, minacciavano per meno di una spanna i toraci di entrambi gli alfieri dei Mugiwara, rimasti con le mascelle serrate e gli occhi spalancati davanti a quella furia che avevano sottovalutato.
« Sono… io… il tuo… avversario! » ansò il futuro Re dei Pirati, ricacciando lentamente indietro Akai.
Questo non demorse, emettendo un verso di rabbia molto simile a un muggito. Il suo corpo prese lentamente e del tutto le sembianze di un toro dal pelo fulvo e Rufy si trovò costretto ad retrocedere, perdendo il poco vantaggio.
« Via di qua! » urlò Zoro intuendo la situazione. In pochi secondi l’equipaggio si disperse, saltando via un attimo prima che le braccia del loro capitano cedettero alla pressione di Oushiza. Ci fu un gran fracasso di legno rotto e un polverone si sollevò in aria, impedendo ai ragazzi di scorgere qualcosa.
 Sanji teneva la figlia del mare tra le braccia e Chopper, con la tachicardia per lo spavento, attaccato alla gamba. Poco distante, Nami si stringeva al petto Matt, deglutendo di fronte alla dimostrazione di tanta potenza. Zoro e Robin erano sul fianco opposto, lei con il polso malridotto tenuto saldamente dalla mano buona, lo spadaccino davanti a lei con la spada sfoderata. Tutti e sette trattennero il respiro finché non sentirono tossicchiare qualcuno dal macello di assi spezzate e pulviscolo odorante di farina e spezie. Poco dopo Rufy rotolò fuori, tirandosi in piedi e battendosi le mani sui pantaloni impolverati, commentando con un blando « Wow, c’è mancato un pelo! »
Il Clima Takt di Nami gli arrivò sulla testa, lasciandoci il solco.
« Deficiente! Quello ci ha puntati! Fatti venire un’idea e combina qualcosa di concreto! » sbraitò la navigatrice. E forse la bastonata scosse qualcosa, perché Rufy batté il pugno sul palmo della mano, annunciando che sapeva perfettamente come tenere Oushiza lontano da loro. Qualche istante a seguire ed era a petto nudo, intento a sventolare la propria camicia rossa richiamando l’avversario a gran voce.
Prima che i suoi, con una mano schiaffata in faccia, potessero esprimere in un coro un pensiero comune –  “Deficiente” – Oushiza riemerse dalla distruzione provocata battendo gli zoccoli a terra, furibondo. Scrollò il capo con vigore, tranciando una tavola rimasta incastrata in uno dei corni, per tornare a fissare il moretto sprizzando odio.
« Credi che facendo il buffone allungherai la vita a te e ai tuoi tirapiedi, Cappello di Paglia!? » mugghiò stentoreo iniziando a caricare.
Rufy sogghignò, fermando i movimenti.
« Ehi Zoro! Mi presti una delle tue spade? »
Lo spadaccino lo guardò senza capire.
« Che? »
E il capitano già se la rideva.
« Così taglio la testa al toro, no? »
La pressione dei tuoi “tirapiedi” finì sotto le scarpe per quella battuta da rodeo di serie b, anche se ci fu qualche accenno di risata sommessa da parte di Robin. Tuttavia si limitarono a sospirare – nel caso del marimo a mandarlo a quel paese – e a farsi più indietro, guardinghi ma calmi. Rufy stava scherzando col fuoco, ma sembrava sicuro di quello che faceva. O totalmente folle, come al solito.
Oushiza non si sprecò in nuove minacce per tanta insolenza. L’assalto si trasformò in una corrida, dove Rufy correva a destra e sinistra, a volte facendo capriole, a volte capitombolando, ma sempre scampando per millisecondi e millimetri agli zoccoli neri e lucenti simili a ossidiana ma capaci di spezzare la pavimentazione come fragile terracotta.
Anche se sembrava chiaro che il capitano della Supremacy non li avrebbe più degnati di un’occhiata, la ciurma si ritirò a osservare dall’alto del castello di poppa la situazione.
« Le cose sono due » iniziò Sanji, accovacciato a seguire l’azione. « O coliamo a picco perché finiranno col demolire tutto, o Rufy lo batterà per sfinimento e cavolate »
« Questa cosa è durata anche troppo, e lei » replicò Zoro indicando col mento Mizu, seduta a terra e appoggiata a una spalla di Nami « non ha una bella cera »
Gli occhi di tutto il gruppetto si focalizzarono sulla Figlia del Mare. Il suo respiro era pesante e aritmico, pareva sgretolarsi uscendole dalle labbra. Le gote erao rosse e gli occhi visibilmente affaticati, e tutto questo spinse la navigatrice a tastarle la fronte.
« Scotta e parecchio » riferì, fissando Chopper che stava controllando graffi e contusioni sul corpicino di Matt, restio a parlare ma almeno non più piagnucolante. La renna finì di mettere un cerotto al bambino e tornò a ispezionare la sua paziente. La mezza-sirena si teneva una mano premuta sulla ferita che da giorni la tormentava, e quando il medico scostò la maglietta la sua espressione mutò serissima. Aveva ricominciato a sanguinare dai punti messi malissimo e la temperatura alta poteva essere indizio di infezione.
« Franky ha il lumacofono per contattare la vecchia Obacchan sulla Sunny » spiegò Sanji quando fu chiaro a tutti che la Figlia del Mare non poteva rimanere ancora lì a lungo. « Vado a ripescarli sull’altra nave. Ehi marimo, vedi che non succeda nulla ai miei angeli o ti cucino per cena! »
Zoro grugnì facendogli cenno con la mano di darsi una mossa. Il cuoco aspettò che quel cerebroleso del suo capitano incastrasse Oushiza tra due cannoni per saltare giù dal cassero e correre sulla Conqueror dove il resto dei Mugiwara era ancora alle prese con qualche latitante masochista.
 
 
 
 
Nel frattempo la prima previsione del biondino sullo scontro dei due capitani stava avendo ragione. Più di una volta sia Rufy sia Oushiza erano quasi finiti fuori bordo nella loro disordinata tauromachia, demolendo balaustre e parapetti come mattoncini da costruzione. Il galeone vacillava da una parte all’altra, con il sartiame che si srotolava rischiando di farli inciampare e i tiranti dei cannoni tesi così tanto da essere sul punto di spezzarsi.  
Ogni volta qualche fischio ammirato del moretto alla visione di tanta forza distruttiva non produceva altro che ulteriore collera nel rosso, i cui istinti animali prendevano man mano il sopravvento facendolo più muggire imbufalito che parlare.
In tutto, la scimmia di gomma aveva riportato escoriazioni per le varie scivolate e un paio di graffi più o meno profondi per aver calcolato male alcune distanze dalle corna micidiali del toro. Considerando che ogni volta Akai aveva puntato o allo stomaco o alla spina dorsale, gli era andata di lusso.
Ma la corsa stava diventando sfiancante per entrambi, oltre che vagamente pericolosa per chi era ancora sulla nave, avendo tirato giù l’albero di trinchetto e fatto scricchiolare sinistramente quello maestro.
« Rufy vuoi darti una mossa e piantarla di divertirti!? » gli abbaiò dietro la navigatrice, tenuta dallo spadaccino per la vita ed evitandole di finire di sotto nell’agitare calci e pugni in aria.    
L’ammonimento fu accolto con un commento sardonico da parte dell’uomo taurino.
« Ti fai parlare così dai tuoi sottoposti? O è la rossa che comanda? »
L’aria di allegra scampagnata dipinta sul viso di Rufy perse un po’ di intensità mentre coi denti si toglieva una scheggia di legno dal palmo.
« Sono miei compagni, non sottoposti » rettificò tranquillo.
Oushiza sbuffò sonoramente dal naso finendo col ridere.
« E sei in grado di proteggerli? »
La minaccia andò a segno.
Il ragazzo dal Cappello di Paglia scattò nello stesso momento in cui il toro ripartì in carica contro il castello di poppa. La distanza era poca e l’animale troppo veloce anche per i riflessi dello spadaccino.
Zoro buttò Nami di lato, presa al volo dal Chopper umanoide, ma serrò la mascella quando realizzò che non avrebbe mai fatto in tempo a fermarlo da dove si trovava.
L’impatto provocò un frastuono e una nuova pioggia di schegge e schianti. Tutta la struttura traballò sotto scosse e incrinature del legno. I ragazzi sul tetto strinsero irrazionalmente le palpebre, accostandosi tra di loro sapendo che di lì a poco sarebbero precipitati all’interno.
Ma non avvenne.
Balzando in piedi con un colpo di reni, Zoro si sporse oltre il bordo crepitante, gli orecchini al lobo che catturarono i raggi del sole e tintinnarono nell’anomala quiete.
Quiete percorsa da un basso digrignare di denti a cui il marimo sogghignò di sollievo con una goccia di sudore a cadergli lungo il collo.
Tese come fili d’acciaio, le braccia del futuro Re dei Pirati si erano avvolte intorno alle corna del Toro, arrestando la sua corsa prima che distruggesse personalmente la propria nave coinvolgendo i Mugiwara. Spalmato sull’albero maestro curvo in modo anomalo, Rufy digrignava i denti con una guancia spiaccicata sul legno circolare, come praticamente tutto il corpo e le gambe che abbracciavano infiocchettate la base.
Il Toro Rosso si impuntò con muscoli e zoccoli nell’avanzare oltre, ma non vinse contro la caparbietà del moretto, nonostante l’albero maestro si stesse incurvando ancora.
« Non… ti… lasciooOOH! » boccheggiò per poi urlare mentre tirava via Akai recalcitrante dal cassero mezzo distrutto. Oushiza fu scaraventato a terra, rovesciato di schiena mentre il ragazzo lo mollava e le sue mani si ritiravano con uno schiocco.
Col sangue che colava sul manto rossiccio, il toro si girò su un fianco e si rimise eretto sulle quattro zampe, caricando verso il centro della sua nave. L’incornata prese in pieno l’albero maestro, ferendo al fianco Rufy ancora attaccato. Lo scricchiolio della colonna lignea si trasformò presto in un tonfo sordo accompagnato da decine di colpi di frusta delle sartie spezzate.
La poppa della Supremacy si sollevò sotto il peso dall’albero abbattuto. I Mugiwara si tennero forte a qualsiasi cosa per non scivolare via e Robin creò col braccio sano una sorta di sbarramento per acchiappare Matt che stava ruzzolando via. Con l’equilibrio compromesso del veliero e la posizione più rialzata, il gruppetto vide cos’era successo trattenendo il respiro.
Oushiza era immobile lì dove aveva compiuto l’ennesima demolizione; l’ex albero maestro giaceva per tutta la seconda lunghezza del ponte mediano e della prua, con la coffa oltre il parapetto e la bandiera pirata che pendeva passiva sfiorando la superficie del mare.
Niente si mosse per lunghe decine di secondi, tanto che Zoro avvertì i nervi a fior di pelle incitarlo a saltare giù e sguainare le spade. La mano di Nami gli stringeva l’avambraccio piantandoci le unghie in un’attesa dolorosa, di cui la rossa contava gli attimi ritenendoli troppi perché non fosse successo nulla di troppo grave. Mizu chiuse gli occhi brucianti di stanchezza e lacrime trattenute, deglutendo ma imponendosi di non far scoppiare la bolla di determinazione e speranza che si era gonfiata nel suo petto all’inizio di quello scontro. Non poteva essere finita così.
Sulla tolda, gli zoccoli di Oushiza battevano ritmicamente, come i tamburi di un rito il cui sacrificio era stato offerto, ma dove l’ebbrezza non era ancora scemata.
Un forte refolo di vento spazzò i detriti sul galeone, stirando le vele distese a terra come lenzuola raggrumate. Ci furono diversi rumori di fondo, lamenti della chiglia in equilibrio precario, cannoni ormai fuori dall’assetto che cozzavano appena tra loro con suoni simili a campane.
L’albero maestro subì un tremito. Ancora un altro, finché non rotolò per metà facendo ballare di nuovo tutta la struttura della nave. Se c’era rimasta qualche corda tesa allo spasmo schioccò di netto ai piedi del Toro che fissava immobile l’avversario riemergere dalla tomba in cui credeva di averlo spedito.
Un sogghigno con le labbra macchiate di sangue fu ciò che esibì Rufy rimettendosi in piedi, prima di contrattaccare. Definitivamente.
Le sue mani scattarono sulle corna di Akai serrandole e in un attimo il moretto gli si incollò al muso, pochi centimetri a separare le fronti di entrambi.
« Cos’è che ti spinge a rischiare così tanto la tua vita, Monkey D. Rufy!? » tuonò furente Oushiza, scuotendo il capo ma senza scrollarselo di dosso, lui e il suo sorrisino di vittoria.
« Sapere che sono più forte di te e che non posso morire qui » affermò il futuro Re dei Pirati con una schiettezza tale da intirizzire il pelo del toro. 
Akai Oushiza non ci vide più. Reso idrofobo da un sentore di panico, sentimento non provato da troppo tempo, agitò ferocemente il muso per liberarsi. Quando lo alzò repentinamente verso l’alto Rufy non oppose resistenza, facendosi sbalzare a qualche metro in aria, quasi all’altezza di ciò che rimaneva del castello di poppa.
La metà della sua ciurma riunita lì lo fissò sollevarsi come fosse stato senza peso e lui ricambiò con un sorriso che gli andava da orecchio a orecchio, soprattutto rivolto alla Figlia del Mare e al bambino.
È finita, capì Mizu, affondando il viso nella spalla di Chopper con la linea di un piccolo sorriso sulle labbra secche e pallide. Quell’incubo volgeva alla fine sul calar della sera. La tempesta stava per spazzare via le rovine del suo passato, per sempre.
Il Glatling del ragazzo col Cappello di Paglia aprì una voragine nel ponte mediano. Le assi cedettero sotto l’energia dei colpi e il peso del toro che sprofondò di due piani, mentre gli piovevano addosso casse, barili e cannoni, tutti spaccati o ammaccati dai pugni che si riversavano a sciami infiniti per minuti interminabili.
Quando ormai il corpo incosciente del Toro Rosso arrivò sul fondo ultimo del galeone, minacciando di incrinare anche la carena, Rufy si fermò con un urlo liberatorio lasciandosi cadere anche lui nel macello creato, stanco e soddisfatto.

 
 
 
 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Isha-san: “Signor Dottore”, è il modo che Robin usa ogni tanto per chiamare Chopper.
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
L’estate sta fineeeendo ~
Sgrunt. Benvenuti al capitolo “del travaglio”. Il quindicesimo. La svolta. La linea del traguardo. La linea prima del traguardo. Ho sudato, ho sbattuto la testa, mi sono chiesta “Perché!? Perché mi ostino!?” ma alla fine eccoci qui. È f-i-n-i-t-o. E con questo è praticamente andato anche il primo arco narrativo, la Mizu Arc, come la chiamo io. Roba alla onepiece insomma. Non fregherà a nessuno, ma arrivare qui, pubblicare il Capitolo QUINDICI, che nella scorsa edizione non aveva mai visto la luce, per me significa tanto. Significa che sono riuscita nel mio intento di rivedere e riscrivere una storia da capo, di ampliarla, migliorarla e andare fottutamente oltre. In questo capitolo ci sono tutti i miei appunti delle superiori, scritti durante le assemblee di istituto. Non è eccelso, ma è qui, è reale ed è…
Finito.
E dire che siamo solo a 1/5 della storia *orapuòpartirelaveradisperazione*
 
 
Tornando coi piedi per terra.
I nostri hanno sconfitto i Tori Rossi *bandierine* Non mi sono soffermata troppo sui combattimenti di Zoro e Sanji perché non essendo il manga, le sole parole potevano rendere a metà, e per adesso non ho “nuove tecniche” in cui farli cimentare. Poi ho pensato che dopo il Capitolo XII potesse andare bene così. Essendo una storia scritta, troppa azione descritta alla fine stanca.
Però mi sono divertita a immaginare le varie coppie: Usopp e Zoro, in piena ispirazione/gag dal manga; Sanji e Nami sono stati un piacevolissimo esperimento! Soprattutto la navigatrice! Che ne dite? (dite dite, per favore!)
Ho provato a inserire dei siparietti oltremodo stupidi. Ma proprio tanto. C’è un Rufy dei tempi andati qui in mezzo, mi ricordava Alabasta: forte come un toro, prendere il toro per le corna, tagliare la testa al toro, sbuffare come un toro… sì, mi sono lasciata prendere la mano dalla corrida e dalla libera interpretazione!
 
Per finire il discorso della D. e della tempesta. Con l’ultimo capitolo, il 798, è tornato a essere un tema caldo e nella fanfic ricorrerà parecchio. Seminerò pezzi più o meno “fruttuosi” qua e là (seminare zizzania e raccogliere tempesta, ah ah ah, che ridere!). Poi si vedrà!
 
Concludo con i ringraziamenti a jillianlughnasad, che, davvero, è la madrina di questa storia!
E ai lettori solitari che mi auguro continuino a leggere perché la storia gli piace… battete un colpo! Anche per e-mail se vi va: enerimess@hotmail.it !
Ultima cosa: ho rimodernato il blog di tumblr (http://heavenlyeve.tumblr.com/), ora devo solo aggiornare e aggiornare, tra spoiler e tutte le mie Any Other Business legate alla storia!
 
 
 
 
Bacioni!
Nene


PS: nel prossimo capitolo c'è Shanks. Preparate le ov... coff. Niente. Ne vado solo particolarmente fiera. Ribadisco, c'è Shanks, sappiatelo. 


 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVI - Il Bacio della Sirena ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XVI -
[Il Bacio della Sirena]
 
 
 
 
A Yellow Canadair,
perché aspettiamo entrambe
che Shanks ci prenda e ci porti via.
A Nic87,
che è tornata
e ha dedicato parte del suo tempo
ai miei sogni a occhi aperti!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Port Red Jack,
città di Fulham.
 
 
 
Il sole era per metà sparito oltre la linea dell’orizzonte, ancora accecante nel suo colore rosso brillante, con le nuvole al suo seguito spennellate di vivido arancione e una strada luccicante sul mare che abbracciava tutta la zona costiera di Port Red Jack.
Nonostante la brezza serale che saliva dal mare fino al quartiere dei divertimenti e la terrazza sopraelevata della locanda rispetto alle vie brulicanti, la donna storse di nuovo il fine nasino con aria scocciata, riportandosi il cocktail a base di sherry alle labbra per gustarsi un sapore e un odore più piacevoli del lezzo circostante.
Contrabbandieri, prostitute, trafficanti, masnadieri, corsari…  esseri umani, per farla breve, e delle più varie e peggiori estrazioni sociali. Tutti con quel sentore di stantio dato dalla terra, di sudore, di vane illusioni sull’essere liberi e spregiudicati.
Dell’intero genere bipede gli unici che riuscisse a sopportare erano i pirati. Non che in realtà si differenziassero molto. Da quello che aveva capito negli anni, gli uomini andavano a caccia di due sole cose: la libertà o le proprie radici. Aveva raggiunto l’idea che si trattasse di una questione di razza. Lei di certo non aveva bisogno di angosciarsi a sciogliere immaginarie catene esistenziali, e nemmeno di chiedersi da dove venisse. L’unica risposta a entrambe era il mare.
Ai suoi occhi i pirati erano gli unici degni di nota, con le loro esistenze passate a sfidare la madre di ogni sospiro e sogno nella convinzione di poterla un giorno sottomettere. Suonava così scioccamente sentimentale, sfiorando il patetico, ma era una debolezza che l’attirava abbastanza da divertirla e decidere di dedicare il proprio tempo a sollazzarsi tra loro. In fondo, doveva riconoscere ai pirati il merito di intrigarla con le loro infantili ambizioni molto più dei maschi della sua specie. E sicuramente il sesso con loro era tutt’altra cosa.
Centellinò il suo Adonis, bevendone un altro sorso tediata dall’attesa. Avrebbe dovuto aspettare almeno altri tre giorni l’arrivo di Akai Oushiza a Port Red Jack, spillargli i soldi e liberarsi della seccatura. Aveva avuto tempo per riflettere sull’interesse che provava per lui, concludendo che l’affare non valesse il suo tempo. Lo aveva conosciuto, e sotto quelle maniere provocatorie e arroganti c’era soltanto un altro essere umano viscido e aspirante a un trono immaginario tra quelli della sua specie.
L’unica cosa che aveva sortito in lei della curiosità era il racconto sulla donna che aveva rapito e seviziato anni prima, ma la cui bellezza l’aveva letteralmente ammaliato. Dalla descrizione che ne aveva fatto non le ci era voluto molto per capire che parlasse di una Figlia del Mare; un uomo vanaglorioso che desiderava fare sua la distesa su cui naviga e nemmeno si accorgeva di avere avuto sotto il naso un raro gioiello.
Da quando aveva istillato in lui la consapevolezza di chi fosse stata la povera malcapitata, Oushiza era diventato ancora più infervorato dalle sue ambizioni. Aveva preteso ogni particolare, trovando affascinanti le leggende legate ai poteri che alcuni Discendenti del Mare potevano manifestare. Sembrava di vedere un ragazzino avido a cui veniva raccontata la favola delle favole: mezze-sirene o mezzi-tritoni, o figli di questi, capaci di poter piegare l’acqua al proprio volere, di richiamare a sé le più spaventose creature del mare o diventare essi stessi furia marina e provocare nubifragi.
Come un maiale a caccia di tartufi, in pochi mesi aveva trovato le informazioni che voleva, venendo a sapere dove Mizu avesse trovato rifugio e che, guarda caso, avesse avuto un figlio con gli anni giusti per essere del Toro Rosso. Da quel momento non aveva fatto altro che intestardirsi e smaniare per testare le capacità del bambino. Nonostante più volte gli avesse detto che si trattava di leggende e poteva risolversi tutto semplicemente con una strage, Oushiza non aveva sentito ragioni, anzi, era così ossessionato da essere diventato fastidioso.
Gli aveva promesso che se il moccioso avesse realmente dimostrato di possedere una delle capacità dell’Aqua Voco, Morphos o Vis, sarebbe stata disposta ad aiutarlo a svilupparle per i suoi interessi. Una menzogna per temporeggiare e tenerselo buono e, ovviamente, continuare a farsi pagare, l’unica cosa per cui quel Figlio del Diavolo fosse ancora utile.
Morale della storia, i desideri sfrenati del Toro Rosso erano stati realizzati. Aveva con sé il ragazzino e lei ora li attendeva meditando su come liberarsi dell’impiccio e trovare qualcun altro più appetibile per trastullarsi. Lei delle leggende non se ne faceva nulla, soprattutto se avevano cinque anni scarsi e prima di vedere dei risultati le avrebbe dovute allevare.
Era immersa nei suoi pensieri, voltata di tre quarti sulla poltroncina da esterno in vimini, con lo schienale largo a mezza luna che l’accoglieva comodamente, quando con la coda dell’occhio notò una presenza lasciarsi andare seduta davanti a lei senza alcun invito.
Si scoccarono un duplice sguardo freddo, mantenendo un atteggiamento composto anche quando scorsero particolari rilevanti di entrambi; poi il nuovo venuto fece un cenno a una delle cameriere. Cambiando del tutto espressione, e con tono roco e lusingatore ordinò un Adios Motherfucker. Se non era quello un biglietto da visita poco fraintendibile…
Ursula studiò il giovane uomo senza scomporsi, cercando di ravvisarne tra sé la fisionomia per capire chi fosse. L’occhiata che si erano scambiati la diceva lunga. Lui la conosceva in qualche maniera, e lei no, a parte per il fatto che i suoi ultimi pensieri erano appena stati ribaltati. I Figli del Mare non sembravano poi così rari come credeva. Gli occhi iridescenti e ammalianti del tipo parlavano chiaro.
Il ragazzo si mise più a suo agio sulla poltrona, in bella mostra svaccato e rilassato, disegnandosi un sorrisetto schernitore e attendendo che l’altra tirasse le somme.
Anche da seduto era alto, con un fisico da surfista da rimirare grazie allo smanicato lasciato aperto sul dorso abbronzato, i cui addominali erano levigati con cura come una scalinata di marmo. I capelli avevano lo stesso colore intenso del cocktail appena servitogli, ciano-acqua marina, tenuti in un nodo scompigliato da cui la maggior parte fuggivano via liberi e ribelli e il proprietario sembrava non farci caso, del tutto a proprio agio. Aveva un bel viso, dalla mascella forte, ma ciò che attirava interamente l’attenzione era il tatuaggio esteso su tutta la gola e che scendeva poi sul braccio sinistro fino al polso. Era una complessa mescolanza di dettagli legati al mare, onde, coralli, creature, tutte su uno sfondo primario dei gradienti dell’azzurro che dava l’idea di essere vivo e sgocciolante sul corpo plastico. A parte per una scritta che abbracciava giugulare e trachea: Asherah.
« Ci conosciamo? » chiese in fine, tornando a sorseggiare l’aperitivo allo sherry e distogliendo l’attenzione con fare noncurante.
« Non personalmente. Ho dovuto chiedere un enorme favore al mio capitano per trovarti » spiegò con una smorfia a un pensiero tutto suo.
« Sei un pirata? »
« Un mercante »
« E cosa vuoi? »
« La voce di Nerida Durmstrang »
Ursula tacque fissandolo per la prima volta interessata ma guardinga. Lo squadrò di nuovo, da capo a piedi, e finalmente si sciolse in un sorriso solo esternamente dolciastro, quasi melenso.
« Ma non mi dire… così sei tu il famoso bambino per cui Nerida si tanto è dannata. Quanti anni sono passati? Diciassette? Diciotto? » rise, abbandonando il bicchiere sul tavolino e appoggiando il mento sulle mani intrecciate, ora interessata al suo ospite.
Lui non rispose, i lineamenti che pian piano perdevano espressività, e lei proseguì sfacciatamente zuccherosa.
« Aspetta, ricordo come ti chiami… era un nome breve… ah ecco, Corèl, giusto? »
Un guizzo di irritazione ai lati degli occhi del ragazzo le fece capire che aveva fatto centro.
« Se proprio devi… chiamami Craig »
Ursula si lasciò andare a una risata cristallina perfetta per incantare l’altro sesso.
« Fammi indovinare! È il nome che ti hanno dato prima che Nerida ti ritrovasse, dico bene? Voi Figli del Mare avete questo destino ingrato di essere abbandonati alla nascita, una vera angoscia. Ma in fondo tuo padre ha solo seguito le leggi di SubAquaea, non ci si poteva fare nulla » finì laconica mentre gli occhi violacei le luccicavano maliziosi.
Craig si impose la calma, tradendosi appena nel contrarre i muscoli delle gambe.
« Ingannare una donna, metterla incinta, abbandonarla… poi tornare da lei e strapparle dalle braccia il figlio e giustificandosi ancora con un “deve essere affidato al mare” è proprio degno di una legge. A cosa vi serve, per tutelare la vostra stirpe? »
Ursula fece spallucce allontanando lo schifo contenuto nelle parole come se il problema non la riguardasse.
« È una regola così vecchia che nessuno si chiede più il motivo… è più un’abitudine. Ma l’abbandono ti ha giovato, non mi sembri patire nulla, anzi » gli fece notare con un lungo sguardo d’apprezzamento che minò seriamente il sistema nervoso del più giovane. Era tutta scena. Sembrava andare in sollucchero a trattarlo con lusinghe, come una zia a cui non interessa davvero del nipote ma lo sfoggia alla stregua di un proprio trofeo.
Lo avevano avvertito che non sarebbe stata una conversazione piacevole, e lui stesso non avrebbe voluto renderla tale, ma l’attesa di quel momento era stata lunga e non avrebbe dovuto essere riempita di chiacchiere frivole.
Tirò su la schiena con lentezza, scostando il cocktail e poggiando i palmi sul tavolo.
« Sono qui per la voce di mia madre » ribadì risoluto, facendosi sfuggire appena una sfumatura intimidatoria, il colore dei suoi occhi che si rimescolava come il mare prima della tempesta.
Ursula schioccò la lingua, perdendo appena la propria alterigia.
« Lei me la diede di sua spontanea volontà in cambio del mio aiuto per ritrovarti. Non ho mai accennato al fatto che sia in vendita » specificò dando un altro sorso al proprio Adonis.
Il ragazzo sorrise brevemente, sicuro di sé.
« Mi è stato riferito che per te tutto ha un prezzo… salato, ma non impossibile. Per quanto la voce di un essere umano sia preziosa, penso che troveremo un accordo soddisfacente » continuò tranquillo, come se fosse stato avvezzo a conversazioni del genere, anche se qualcosa le diceva che sembrava più un’imitazione ben riuscita.
Le labbra piene di Ursula, marcate di un rossetto prugna come la sua chioma raccolta, si storsero appena in una smorfia infastidita.
« Sai un sacco di cose » constatò tagliente, squadrandolo di nuovo come se le fosse sfuggito qualcosa. Aveva dei braccialetti di pelle di poco conto al polso non tatuato; il suo abbigliamento era casual, ben lontano dall’essere quello di un mercante. Alla cintura però notò una conchiglia grande quanto un piccolo otre, un dial che non aveva mai visto. « Chi ti ha detto dove trovarmi? »
Craig soppesò per qualche attimo la risposta, convenendo che rivelare la sua fonte generale non avrebbe arrecato danni a nessuno.
« I Raiders »
Ursula strinse le dita affusolate e curatissime sul bicchiere, per la prima volta dall’inizio della conversazione con del marcato disappunto sul bel volto.
« Dante e Dominic, eh? Chi dei due? »
L’alzata di spalle che ricevette in risposta non l’aiutò a dissimulare la stizza, ma sapeva anche lei che era irrilevante.
« Voglio venti milioni di berry » soffiò quindi, assottigliando lo sguardo.
« Va bene »
La donna gorgogliò una risata senza divertimento.
« Va bene? Hai tutti questi soldi da sganciare per tua madre? Le devi volere tanto bene o sentirti molto in debito » considerò senza riuscire a dissimulare l’asprezza.
« Me lo posso permettere » fu la risposta laconica e conciliante, mentre il suo sguardo guizzava di ostentata tranquillità. Dentro stava esultando silenziosamente.
« Allora facciamo trenta milioni » rialzò Ursula, sfidandolo.
Si studiarono, il ghiaccio nel cocktail brillante di lui cricchiò, rimescolandosi.
« … Venticinque » contrattò con la stessa espressione che la stava facendo indispettire. Aveva il coltello dalla parte del manico.
« Ventotto e la metà in anticipo »
Craig si lasciò andare al fremito di una risatina.
« Ventotto. Tutti alla consegna una volta che avrò in mano la voce e mi sarò assicurato che non ci siano fregature »
« Non sei molto bravo a negoziare » commentò l’altra riguardo al loro breve scambio di battute.
« Me lo dice sempre anche il mio capitato, che non sono tagliato per questo lavoro. Accetti? »
I secondi si contarono sospesi nell’aria fresca della sera, nelle chiacchiere sguaiate dei dintorni, negli svariati chiarori eternamente in festa di Fulham.
« Affare fatto, Corel » concluse Ursula alzando gli angoli delle belle labbra insieme al resto del cocktail in un invito a brindare che l’altro non accolse. « Ci vediamo tra cinque giorni alla banchina otto, davanti al Black Seagull. Ho delle questioni da sistemare prima, non ti dispiace aspettare, vero? »
« Mi terrò occupato »
Craig finì il proprio Adios Motherfucker, leccandosi le labbra e andandosene senza un saluto quando l’ultimo chiarore del crepuscolo lasciò l’orizzonte alla notte e alle sue stelle.
 
 
 
 
 
 
Le vie della principale città di Port Red Jack formicolavano di vita. Dalle scalinate del porto fino al centro del quartiere dei piaceri era un continuo via vai di gente, ciance e bestemmie. Le insegne dei locali gettavano bagliori arcobaleno sui sanpietrini; miriadi di lanterne di carta erano appese insieme a banderuole come in un festival perenne. Carretti ambulanti di cibo, di giochi d’azzardo da strada e saltimbanchi attiravano ininterrottamente gli avventori, millantando serate indimenticabili. Stesse serate promesse anche dalle prostitute ai numerosi ingressi dei bordelli e dalle hostess alle porte dei casinò.
Ursula si mosse nella calca di pessimo umore.
L’incontro con Corel – o Craig, come preferiva – Durmstrang l’aveva irritata. Quel ragazzino presuntuoso di ventitré anni scarsi era comparso dal nulla indagando su di lei a proprio piacere. Si ripromise che la prossima volta che si fosse imbattuta in Dante o Dominic dei Raiders gliel’avrebbe fatta pagare a entrambi per averle messo alle costole quella spina nel fianco.
Spina nel fianco pagante, e anche bene. A conti fatti non poteva lamentarsi troppo, avendo lucrato abbastanza nell’affare appena concluso. Ventotto milioni di berry per far tornare a parlare Nerida Durmstrang, come accordo aveva i suoi lati positivi. Peccato che non succedesse tutti i giorni di poter mettere le mani su una voce umana donata spontaneamente, e quindi molto più potente di una sottratta con la forza.
Si pizzicò il labbro inferiore coi denti, riflettendo mentre scivolava tra la folla facendo ben attenzione che nessuno le venisse contro.
Aveva cinque giorni per sbrogliare quell’inconveniente e decidere il da farsi. Prima avrebbe dovuto sistemare le cose con Oushiza, il suo pensiero asfissiante che nemmeno le rispondeva al lumacofono. Quando fosse attraccato a Port Red Jack se ne sarebbe sbarazzata in qualche maniera, assicurandosi prima almeno parte del compenso pattuito, cinquanta milioni, se non di più.
Con le lunghe dita smaltate si solleticò la nuca, continuando a meditarci su.
Avrebbe potuto aizzare Oushiza contro Corel con una scusa, per esempio. Così il lavoro sporco lo avrebbe fatto il Toro Rosso e quel piccolo rompiscatole avrebbe perso la sua vena scherzosa e sicura. Intanto lei avrebbe intascato ciò che le spettava dal primo, e aspettato di servirsi dalle tasche del secondo una volta sistemato. Era ancora un piano acerbo, ma come base andava più che bene. I giorni per pensare ai dettagli non le mancavano, quindi avrebbe potuto rilassarsi e…
Una spallata la fece incespicare, seguita subito dopo da un « Mi dispiace! Non guardavo… » piuttosto sincero, ma a cui lei reagì con uno sbuffo. Detestava il contatto con quelle scimmie evolute, ma quando si volse rimase a occhi sgranati, come il tipo che si era appena scusato.
« Ursula? »
« Shanks! » tubò lei contemporaneamente, tornando sui suoi passi fino a trovarselo davanti e squadrarlo dalla testa ai piedi. Non era cambiato dal loro ultimo incontro, apprezzò con appetito.
Poco più indietro scorse la sua governante, come lo apostrofava lei, Benn Beckman. L’uomo brizzolato le rivolse un’altrettanta occhiata poco lusinghiera, ma senza che il capitano della Red Force si rendesse conto di nulla.
« Che piacere vederti qui » continuò il Rosso, passandole il braccio sano intorno alla vita e tirandola a sé, mentre lei ricambiava con un bacio a stampo e una risata zuccherina.
« Che strano trovarci te, mio Imperatore »
« Lascia perdere certi epiteti » sbuffò annoiato, ritrovando subito il sorriso pieno. « Ti va di andare a bere qualcosa? »
Le iridi ametista di lei scintillarono. La serata stava prendendo una piega molto interessante.
« Certo tesoro » assentì, per poi inclinare il capo e buttare un occhio oltre le sue spalle coperte dal mantello nero, increspando gli angoli della bocca. « Viene anche la tua ombra o si fida a lasciarti andare in giro con me? » insinuò con affettata sufficienza, passandosi le dita sulle labbra, provocatoria.
Shanks alzò gli occhi al cielo, fintamente esasperato dai loro atteggiamenti. La fronte accigliata di Benn la diceva lunga, confermando l’antipatia verso la donna e che quell’incontro fortuito non gli stava andando giù minimamente. Tuttavia il Rosso aveva già deciso, così il suo vice si allontanò con poche parole e un’alzata di spalle, sparendo nella folla in direzione del porto.
Ursula schioccò la lingua, spalmandosi sul braccio del pirata e intrecciando le dita con le sue.
« Vieni con me, conosco un paio di posticini carini »
Dieci minuti dopo erano seduti al bancone dell’enorme locanda Flowers’n’Rouge che affacciava su una delle scogliere dell’isola sovrastante da un lato il porto e il mercato. Era un posto elegante, in legno scuro trattato al naturale, dai tessuti ricamati a fiori esotici e portacandele di vetro rosso, arancio e giallo che davano all’ambiente una componente intima che gli avventori sembravano apprezzare bisbigliando e non urlando come nelle taverne del centro. Di tanto in tanto soffiava la brezza dal mare, facendo tintinnare le tendine a perline e conchiglie che separavano la sala interna dalla veranda.
Sul largo bancone l’oste lasciò le ordinazioni, un Red Sunset per la signorina e un King’s Club per l’imperatore, accostando stuzzichini vari tra cui salatini, olive e datteri. I due si misero sedettero sugli sgabelli imbottiti, il ginocchio di lei mollemente appoggiato alle gambe dell’uomo.
« Che fai da queste parti Shanks? Così lontano dalle tue terre… » favoleggiò la donna, inumidendosi le labbra che sapevano di liquore dolciastro.
« Questa storia ti piace proprio, eh? » scherzò lui con una smorfia.
« Vuoi mettere… conoscere uno degli Yonko? Saprei a chi rivolgermi in caso mi succedesse qualcosa »
« Sei nei guai? » indagò lui serio, lasciando il bicchiere tumbler sul tavolo.
La donna si strinse nelle spalle con aria civettuola, scuotendo infine il capo.
« Nulla che non possa gestire, tranquillo. Lasciamo fuori queste faccende noiose » soffiò languida, rigirando le cannucce dell’aperitivo. « Su, non mi hai risposto, perché sei qui in questo covo di molesti? »
« Sono venuto a trovare un amico » spiegò laconico.
« Un amico molto importante per portare uno come te al di qua della Red Line »
« Un vecchio compagno di tanto tempo fa » chiarì rocamente, mettendole i brividi.
Shanks era l’eccezione che confermava la regola, per Ursula. Lui era l’unico uomo e pirata che esulava dai suoi preconcetti, l’unico per cui avrebbe fatto carte false e giocato fino all’ultimo ogni suo brandello di incanto se fosse servito ad averlo per sé. L’odore della sua pelle era come una droga e non ne aveva mai svelata la ragione. Sapeva di mare, di uomo e di libertà. Come potesse avvertire queste sensazioni era un mistero che andava inevitabilmente a cozzare contro quello che pensava degli esseri umani. Eppure era così, e anche da anni.
Tornò coi piedi per terra quando lui le fece la linguaccia, cogliendola in flagrante nelle sue distrazioni.
« Un compagno di tanto tempo fa? » ripeté. « Di quando stavi col Re dei Pirati? » 
Il Rosso si limitò ad annuire.
« Perché non mi racconti qualche storia di allora? Non se ne sentono molte in giro… almeno, non di veritiere. Se le ascoltassi dalle tue labbra avrebbero sicuramente un altro sapore » aggiunse, accarezzandogli la guancia ispida e percorrendo col pollice la linea della bocca, di cui ridisegnò i contorni con gli occhi. Si scambiarono una lunga occhiata carica di aspettative e propositi, ma per il momento Shanks si concesse di baciarle il polpastrello.
« È passato tanto tempo… » replicò nostalgico, reclinando il capo e distogliendo lo sguardo.
« Siete diventati leggenda. Il tesoro, il One Piece, esiste davvero? » domandò lei bramosa di curiosità.
Shanks emise un verso a metà tra il divertito e l’esasperato, per poi mimare con le labbra la parola segreto.
Di contro, Ursula fece una smorfia adorabile ma che non fregò l’imperatore.
« Almeno è vero che con voi navigava anche lo spadaccino più forte al mondo prima di Occhi di Falco? »
Un lampo attraversò le iridi scure del capitano, troppo veloce per poterne cogliere l’emozione che lui dissimulò con un gesto annoiato della mano, tornando al suo drink.
« Sì, ma era un tipo irritante » rispose tra un sorso e l’altro. « E come dicevo è passato tanto tempo. Certe storie sono più divertenti quando la gente le arricchisce di particolari per tappare i buchi »
« Fai tanto il misterioso… si tratta di qualche tacito segreto tra compagni? O promesse? »
L’uomo ridacchiò.
« Qualcosa del genere… ci sono cose che è meglio rimangano non dette »
« Come l’Erede? Gol D. Bryan? »
« Sei proprio curiosa stasera eh? »
« Mmh… » mugugnò lei sensuale, sciogliendo lo chignon e lasciando che i capelli violacei le cadessero sulle spalle, intessendo un nuovo gioco di sguardi con il capitano. « Devi sapere che circola una voce nel Regno del Mare… » iniziò, sporgendosi verso di lui in confidenza e ravviandosi le ciocche dal decolté. « Si dice che la Regina Coralia e Gold Roger si conoscessero… che in gioventù abbiano navigato insieme. Qualcuno millanta addirittura di un figlio. Il trono non le spettava in realtà, ma il diretto successore è morto prematuramente e lei, da secondo genita, ha ereditato il potere. Da allora però tutte le voci sono state messe a tacere. Ne sai qualcosa? In fondo si trattava del tuo capitano… »
 Shanks non rispose subito. Rimase con lo sguardo a fissare il vuoto, solleticandosi pensieroso la barba rada. La donna lo osservò a sua volta, in parte chiedendosi quali tasselli stessero andando a posto nella sua mente, in parte perdendosi a fissarne la fisionomia con un fremito sottopelle.
Quando alla fine il Rosso parlò, non realizzò le aspettative della donna.
« Non ho idea se queste voci siano vere. Ero giovane quando mi sono imbarcato con lui e ho passato solo tre anni al suo fianco. Le notizie su quei due, Bryan e Bonnie, hanno colto di sorpresa anche me » chiarì, e da quanto lo conosceva, Ursula capì subito che stava parlando con onestà. Eppure… qualcosa, un lievissimo guizzo delle sue iridi avrebbe voluto dire di più. Ma l’imperatore allontanò altre domande sull’argomento mandando giù una lunga sorsata del suo drink, per poi andare a massaggiarsi la spalla sinistra, il cui moncherino era nascosto dalla manica annodata della camicia.
« Sai… » cominciò lei, passeggiando con due dita sulla coscia dell’uomo. « Con qualche incantesimo e un donatore… potrei farti riavere il braccio sinistro »
« Che cosa macabra! » sbottò lui, facendole storcere le labbra con disapprovazione. Poi scosse la testa, fermando i movimenti ma lasciando il palmo dov’era. « Va bene così… l’ho perso scommettendo sul futuro »
Ursula rimase a guardarlo, o meglio, a cercare di decifrare le sue parole e la sua espressione addolcita. Non lo aveva mai visto prima con quel sorriso morbido a ripensare a qualche cosa, o qualcuno, che gli mancava. Ne fu un po’ ingelosita, ma ricacciò la sensazione.
« Che intendi dire? » indagò asciutta, come se la domanda fosse d’obbligo.
L’uomo rimase un attimo a pensare prima di rispondere.
« Non credo che capiresti » disse cauto, aspettandosi un inasprirsi della chiacchierata.
Per un istante qualcosa di poco accondiscendente dardeggiò negli occhi viola della sirena, tuttavia le sue labbra si sciolsero in un lieve sogghigno.
Sporgendosi fino alla punta dello sgabello annullò la distanza che li separava. Lo baciò una prima volta, assaporando il mix alcolico delle loro labbra. Alla seconda, il pirata non si lasciò attendere, ricambiando e approfondendo. Una delle mani di lei passò nei capelli color sangue alla base della nuca, mentre l’altra gli ridisegnava le linee del petto, scostando vezzosamente i lembi della camicia bianca.
« In effetti ci sono cose che capisco meglio » soffiò languidamente Ursula sulla sua bocca, mordendogli il labbro mentre le dita scivolavano carezzevoli fino al cavallo dei pantaloni. « Ma allora sei contento di vedermi » constatò ridacchiando di nuovo, vibrante.
« Sono sempre felice di rivedere una bella amica » mormorò lui con tono avvolgente, facendole scivolare la mano sul fianco fino alla coscia.
Ursula tornò a baciarlo, intensamente, per staccarsi un attimo dopo e fissarlo. Nelle sue iridi pagliuzze di un viola più intenso sfavillarono e lui ne rimase rapito, incantato.
Nella sala il silenzio divenne sovrano e i secondi si fecero più lunghi. Un manto impalpabile era sceso su tutto, ovattando rumori e sfuocando luci. Bisbigli arcani si insinuarono tra i due, sulla pelle, rimbombando echi inafferrabili.
« Vieni via con me » sussurrò la sirena, modulando ogni sillaba con attenzione, come onde del mare che cullano il naufrago a un passo dallo sprofondare. « Lascia tutto e seguimi »
Shanks fissò le sue labbra vacuamente. Reclinò il capo all’indietro, lento, avvertendo un brivido serpeggiargli addosso, avvolgendolo in una sensazione cullante ma che stonava con qualcosa. Qualcosa per cui il suo cuore batté un colpo più forte degli altri, facendolo trasalire. Sbatté le palpebre un paio di volte, riprendendo i contatti con la realtà.
Sorrise, forse un po’ tirato, ma ricambiando l’occhiata intensa con una lucida, quasi bonaria.
« Mi spiace tesoro, ma tornerò nello Shinsekai » replicò tranquillo, come se gli fosse stata fatta una semplice domanda. Nulla lasciò intendere se avesse capito cosa fosse successo o se fosse consapevole che la donna avesse provato a incantarlo. Qualsiasi delle due opzioni sembrava non avere importanza.
Ursula scrollò le spalle con un sospiro, tracciando pigramente cerchietti sulla coscia di lui dove la stoffa dei pantaloni si tendeva sui muscoli.
« Non riesco proprio a farti mio » celiò fintamente avvilita, riavvicinando il viso al suo tanto che i loro respiri tornarono a mescolarsi. L’ambiente si ravvivò, caldo, inebriante, col sapore di qualcosa di piacevole e sensuale nell’aria della notte.
« A meno che tu non debba andar via per altri impegni, » iniziò Shanks accennando un ghigno furbetto « abbiamo tutta la notte… ti va? »
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
Intanto,
nei pressi dell’isola di Nim…
 
 
 
I bagliori delle lanterne sulla Sunny illuminavano poco e niente della notte senza luna. L’acqua era quieta, le onde lambivano le fiancate del brigantino con uno sciabordio cadenzato, come lo scorrere dei minuti.
La maggior parte dei Mugiwara era sparpagliata sul ponte erboso, apparentemente ognuno per i fatti propri. Sanji ingannava il tempo sbucciando frutta sul tavolo che avevano preparato per una cena consumata a metà. Robin, al suo fianco con un polso fasciato, sorbiva lentamente un tè ai fiori di Zagara, occhieggiando di tanto in tanto la porta della cambusa. Zoro stava seduto a braccia incrociate, il mento basso sul petto, addormentato.
Poco in là l’atmosfera aveva toni più all’apparenza vivaci. Usopp, Franky e Brook facevano da ciceroni al piccolo Matt in giro per la nave, inframmezzando il giro turistico di storielle al limite del reale ed esibizioni estemporanee. Il bambino era stanco e provato, ma si era rifiutato di dormire, continuando a chiedere di vedere sua madre. Ma Mizu era chiusa in infermeria da più di un’ora sotto le cure di Chopper e Nami. Le sue condizioni si erano rivelate più gravi del previsto alla fine dello scontro col Toro Rosso, quando si era accasciata contro la renna umanoide, per riprendere coscienza a tratti mentre la febbre andava alzandosi.
Non c’erano ancora stati responsi sulle sue condizioni.
Rufy e Kamome pazientavano in un silenzio teso all’interno della cambusa. Il capitano, bendato alla meglio dal cuoco, sedeva a braccia incrociate e gambe larghe sul divano che correva lungo il muro, il capo reclinato all’indietro e il cappello a coprirgli il viso. L’anziana Figlia del Mare era lì di lato, il bastone che batteva ritmicamente a terra in assenza del più famigliare tic tac di un orologio.
La vecchietta era stata di poche parole, avendo compreso immediatamente la gravità della situazione. Il sollievo iniziale nel vederli tornare a bordo della nave, su cui aveva atteso trepidante notizie, era scemato quando aveva avuto sotto gli occhi sua nipote, terrea e priva di coscienza.
Dopo così tanti minuti di silenzio da diventare sorda e scattare al più piccolo fruscio, i pensieri angosciosi di Kamome sentivano il bisogno di una pausa dal continuare a macerarsi sulla sorte di Mizu.
« Hai mantenuto la tua parola » esordì secca, dando l’idea che fosse un’accusa più che una constatazione.
Il ragazzo dal Cappello di Paglia bofonchiò un assenso, senza muoversi.
« Ma non ci si può fidare dei Figli del Diavolo » continuò sulla stessa linea, burbera nel tono ma con i lineamenti rugosi divisi tra l’ammettere una verità scomoda e rimanere della propria opinione. « Ho sempre saputo che avrei dovuto starvi alla larga… voi siete delle aberrazioni! Esistete per capriccio! Gente capace di spezzare le vite degli altri schioccando le dita! Quei Frutti dovrebbero solo che marcire e scomparire per sempre! »  
La sua voce andava in crescendo, come la presa rigida e tremante sul bastone nodoso, ma la scimmietta di gomma non incassò e Kamome proseguì, più tagliente.
« Poi ci siete voi con quella D. maledetta nel nome… Voi e la tempesta con cui potreste distruggere tutto, spazzare via senza distinzioni amici e nemici » disse, voltandosi a scrutarlo. « Cosa hai in mente, ragazzo? Perché sei per mare? Qual è il tuo obiettivo? »
Rufy sembrò soppesare le domande, ignorando l’inquisizione che aleggiava nella cambusa.
« Ho promesso a una persona che un giorno sarei diventato un uomo di cui sarebbe andato fiero e avrei conquistato il titolo di Re dei Pirati »
« Non potrebbe avvenire sciagura peggiore! » rise l’altra sprezzante, ma le sue parole tremavano.
Si stavano fissando. Per la seconda volta, Cappello di Paglia non replicò di fronte al volto pallido e tirato dell’anziana e al suo sfogo. Alla fine, qualcosa andò incrinandosi nella sua maschera scontrosa, che si sciolse come un fiore che appassisce velocemente.
« Il mare non perdona ragazzo… La prima D. si è macchiata di colpe che un giorno sconterete, che rimpiangerete quando le persone a cui tenete verranno coinvolte… e per quanto la tempesta possa essere forte… » si interruppe, incerta su come proseguire mentre lo sguardo nero e fermo di Rufy tornava a celarsi sotto la falda del cappello, apparentemente disinteressato. « Tu sei diverso… in realtà, non sei il primo che conosco che... be’, che non è quello che si va in giro a dire di voi. Ma non vedo come questo potrà cambiare il vostro destino… »
« ‘Bacchan » la zittì alla fine il futuro Re dei Pirati. « Non mi interessano queste cose. Ho fatto una promessa a me e a Shanks e la porterò avanti insieme ai miei compagni. Non posso prevedere cosa accadrà, ma ora c’è Mizu di là e spero che torni a sorridere »
Per Kamome fu come ricevere una scrollata, perché rimise a fuoco la porta dell’infermeria e la sua presunzione si sgonfiò alla stregua di un palloncino.
« Come credi figliolo… » concluse con un sospiro da nonna, per menargli in testa il bastone un secondo dopo.
« AHIA! Ma perché mi picchi adesso!? »
« Perché sei irritante »
« Obacchan sei una- »
L’uscio dell’infermeria si aprì all’improvviso e si richiuse alle spalle di Nami e Chopper.
Il capitano si voltò con gli occhi carichi di attesa, ma i suoi compagni non portarono buone notizie.
 
 
 
 
« È una decisione da folli! »
« Le alternative sono finite… »
« Ti ascolti Rufy!? »
« Sanji-kun calmati… »
« Nami-san, non puoi essere davvero d’accordo! »
Ma quando il cuoco si volse verso la compagna e vide che lei non distoglieva lo sguardo, nonostante la stanchezza e un senso di mortificazione attanagliante, capì che era seria. Il biondino morse la sigaretta consumata, picchiando i palmi sul tavolo e facendo sobbalzare i più.
Da qualche minuto in cucina si stava ponderando il da farsi. Mizu era in condizioni critiche; secondo Chopper le presunte cure del medico dei Tori Rossi avevano fatto solo che danni e l’infezione non andava migliorando. La possibilità più plausibile sarebbe stata portarla in un ospedale meglio attrezzato. Tuttavia l’isola abitata più vicina era Koujin e non avrebbero fatto in tempo.
Mentre Brook, Robin e Franky tenevano occupato Matt lontano dalla cambusa, il resto della ciurma si era ritrovato tra le mani l’ultima e insensata alternativa per guarire la mezza-sirena.
« ‘Bacchan… con tutto il rispetto per le vostre discutibili tradizioni » iniziò Sanji, passandosi una mano tra i capelli con l’aria di chi sembra essere l’unico a considerare razionalmente la questione. « Ma io non credo che lasciarla in mare le salverà la vita »
« La vostra medicina non ha fatto di meglio! »
« Affogarla invece è ragionevole!? »
« Non annegherà! È una Figlia del Mare! »
« Ma se hai esordito dicendo che non è certo che funzioni! »
« Bisogna avere fede! »
« Vecch- » ma prima che il cuoco finisse di apostrofarla una mano ferma sulla sua spalla lo fece demordere. Il biondino gettò uno sguardo al capitano, scostandosi bruscamente ma senza riprendere a discutere.
« Sono d’accordo con Sanji » intervenne Usopp con un lungo sospiro, guardando tutti. « È da pazzi »
« Chopper non puoi davvero fare nulla? » domandò più calmo Zoro, seduto di tre quarti sul tavolo.
La renna, in braccio alla navigatrice, scosse il capo desolata.
« Secondo quello che avete detto – e si riferì a Kamome, Nami e al ragazzo con la cicatrice sotto l’occhio – lasciandola in mare avrà più possibilità di vivere che restandosene di là ad aspettare di morire » riassunse lo spadaccino con un’inflessione che metteva sulle spine. « Rufy… ti fidi? » continuò, ponendo la domanda fatidica. La decisione finale spettava al capitano, lo sapevano tutti. Per quanto potessero alzare i toni e considerare l’idea come folle, dovevano fare qualcosa.
« Sì »
« Dannazione » imprecò il cuoco, dando un calcio frustrato alla gamba del tavolo.
« Prenderò Mizu e con obacchan scenderemo sulla Mini Merry a pochi metri dalla Sunny… » spiegò il capitano, implicando che si assumeva ogni responsabilità.
« E poi aspetteremo » concluse la vecchia in un mormorio mesto. 
L’atmosfera nella cucina non era mai stata tanto divisa e piena di dubbi. 
 
 
 
 
Mizu riprese i sensi un’ultima volta quando le giunse vicino il rumore dell’oceano. Era una ninna nanna delicata, tanto che per un po’ non diede segni di essersi svegliata. Un limbo narcotizzante riempiva la sua mente, come se si fosse trovata in una stanza piena di morbida ovatta bianca che copriva qualsiasi imperfezione o pensiero. Avrebbe detto che fosse una sensazione rilassante, come non ne provava da giorni, ma poi sentiva anche una pesantezza trascinante verso il basso, una forza che sembrava volerle togliere di nuovo la coscienza, e si chiese perché non glielo concedesse.
Erano state ore lunghe, ore piene di travagli e paura, ore in cui aveva perso la speranza e pianto lacrime che non credeva di avere più. Poi però era arrivato un vento forte – un tifone…? – qualcosa che le aveva asciugato il viso e dato al suo cuore un ritmo diverso, la voglia di credere. Credere che Oushiza quella volta non avrebbe vinto. Che le macerie di sei anni prima sarebbero crollate definitivamente, che non ci sarebbero più state rovine di un passato su cui disperarsi. Avrebbe ricominciato da capo, di nuovo, ma questa volta con la consapevolezza che il suo incubo era stato distrutto dalla tempesta
« … Ru… fy? » domandò con un filo di voce talmente sottile che nemmeno lei riuscì a sentirsi. Schiuse gli occhi, con la sensazione di sollevare due rocce, e non mise subito a fuoco. C’era della penombra, molto scarsa. Era buio, e due lanternine illuminavano debolmente la piccola imbarcazione in mezzo al nulla insieme alla Sunny.
La giovane trovò poco distante da sé il profilo del capitano dal Cappello di Paglia, che finalmente si accorse di lei.
« Mizu! » esclamò, una punta di allegria che le fece tenerezza. Iniziò a distinguere qualcosa di più, anche se scarsamente, e avvertì le braccia del ragazzo intorno al proprio corpo senza energia. Il rumore delle onde ora era più chiaro.
« Che… succede? » chiese, sentendo la testa vorticarle.
« Gabbianella » la chiamò Kamome, col cuore in gola, puntando oltre le spalle del moretto. Le fiorò le mani adagiate senza posa, deglutendo. « Stai male, bambina mia. Hanno provato a curarti ma c’è rimasta solo un’ultima possibilità… » la voce le si spezzò e due lacrime le scesero sulle guance.
« Ehi Mizu » intervenne il futuro Re dei Pirati, assicurandosela meglio addosso. « Chopper ha fatto quello che poteva, non avercela con lui. Però obacchan dice che voi del mare potete guarire standovene in acqua. Sei d’accordo? »
La mezza-sirena annuì, consapevole. Così era ridotta talmente male che l’unica soluzione era riaffidarla alla corrente, come quando era nata. Il ricordo di Matt le soffocò il petto, ma qualsiasi cosa pensasse era inafferrabile. Il suo limbo divenne uno scivolo oscuro.
« Grazie Rufy… » mormorò prima di perdere i sensi.
« Che Nettuno la protegga » pianse la vecchietta, coprendosi il volto con mani tremanti.
La notte era piena di stelle che luccicavano riflettendosi sulla superficie dell’oceano. Dai parapetti della Sunny, tutta la ciurma guardò in un silenzio carico il capitano depositare con attenzione la Figlia del Mare tra i flutti tranquilli.
Dapprima non accadde nulla. Rufy teneva stretta la mano della donna nella sua, evitando che il corpo inerte si allontanasse troppo dalla sponda della Mini Merry. I capelli blu scuri di lei si sparsero a ventaglio nell’acqua, mentre la sua carnagione diafana le dava un aspetto spettrale che i più digerirono male.
Qualcosa si mosse. Se ne accorse per primo Usopp, aguzzando la vista. Sotto il pelo dell’acqua ebbe la certezza di aver visto un guizzo informe.
« Sta arrivando qualcosa… » concordò Zoro a voce alta, che non colse movimenti ma presenze.
« Vi avverto: tra dieci secondi la vado a recuperare » proruppe Sanji con le dita artigliate nelle tasche.
Ne servirono molti di meno per lasciare tutti a occhi sgranati.
La superficie nera dell’oceano fu infranta dall’arrivo di cinque presenze. Chiome dai colori più vari splendettero al bagliore fioco delle lanterne, mentre tre sirene e due tritoni fecero capannello intorno a Mizu.
Nessuno disse nulla nell’incredulità generale. Dei nuovi arrivati, le donne si accostarono alla Figlia del Mare, tastandola delicatamente e sorreggendole il capo. Gli uomini guardarono prima la grande nave e il vessillo pirata, incrociarono lo sguardo minaccioso e attento dei membri della ciurma, per poi finire a fissare Rufy che li ricambiò con un’espressione sbalordita. Non aveva ancora lasciato andare la mano della sventurata, nonostante fosse sbilanciato parecchio in avanti.
« Vi prenderete cura di lei? » la voce di Kamome risultò piccola e reverenziale, quasi timorosa. Non sembrava per nulla lei, tanto che il capitano si voltò a guardarla.
I due tritoni annuirono senza accennare emozioni. Una delle sirene sciolse gentilmente la presa del ragazzo di gomma, scoccandogli un breve sguardo indecifrabile, per poi iniziare a cantare sommessamente. A lei si unirono anche le altre due, cullando con tenerezza Mizu.
Dalla Sunny ci fu chi trattenne il fiato, chi fece per commentare ma le parole uscirono balbettanti. Fu come assistere a un incantesimo indolente, fuori dal tempo. Il canto leggero riempì l’aria e solleticò i sensi, ammansendo gli animi e intorpidendo i muscoli con una sensazione di pace appagante.
Il tutto non durò molto, tanto che quando il quintetto sparì tra le onde con la Figlia del Mare, per tutti fu come svegliarsi da un sonno fugace.
« Starà bene? » domandò Rufy, osservando il punto in cui l’acqua era tornata placida.
« Sì » singhiozzò Kamome, che anche se piangeva lo faceva con sollievo. « Sì, starà bene. Tornerà quando sarà guarita »
Il capitano sorrise, ancora inebriato dal canto ammaliante scivolatogli sulla pelle con un fremito rilassante.
Poi però riaguzzò la vista, sbattendo le palpebre un paio di volte credendo di vedere male.
« Una sirena è tornata! » strepitò, osservando la chioma azzurra emersa dalle onde e i due occhi dello stesso colore che lo fissavano con un’intensità che gli fece aggrottare la fronte. Sembrava che lo stessero accusando di qualcosa e al tempo stesso lo studiassero.
All’esclamazione la vecchia sì pulì le guance rigate riprendendo un contegno e guardando a sua volta, ma senza capire.
La creatura si avvicinò con misurati colpi di coda, fermandosi a poche spanne dal parapetto della Mini Merry con l’attenzione di tutti i presenti su di sé.
La pelle aveva un tono caldo, luccicante, dando l’idea di essere seta. Le ciglia lunghe avevano goccioline d’acqua a impreziosirle come perle; le labbra appena schiuse erano di un morbido rosa, ipnotizzanti.
Dopo lo sbigottimento iniziale, Rufy fece quello che gli risultò più spontaneo. La salutò.
« Cia… »
La sirena lo ignorò. In una frazione di secondo le sue mani si posarono sul limitare della piccola barca e lei si erse con uno slancio fluido, interrompendolo. I suoi capelli fluttuarono fuori dall’acqua come un’onda cangiante privi di gravità.
Il ragazzo dal Cappello di Paglia si sbilanciò all’indietro per la confusione e la meraviglia, ma dita fredde e bagnate lo ripresero dalla nuca, mentre la donna suggellava le sue labbra con le proprie.
Partirono da subito rumorose esclamazioni, ma il capitano non le recepì. Il sapore salato del bacio gli provocò una sensazione strana e piacevole, che contrastava con l’iniziale presentimento sgradevole. La sua bocca era fresca, ma il fremito che gli scese lungo la schiena fu simile all’aver preso un respiro profondo ed essersi gettato tra le onde. Un’emozione che non provava da quando era piccolo e che allo stesso tempo gli smorzò le forze.
Durò poco, o forse tanto. Rufy sentiva solo il ronzio di sottofondo delle lamentele di Sanji e le incitazioni di Franky. La sirena si scostò di poco e il suo sguardo tornò di pietra, sottile e accusatore. Frastornato e vagamente conscio di averla afferrata per la vita, percependo sotto le dita il confine tra pelle e squame, il ragazzo di gomma fece per articolare un wow! che fu ruvidamente interrotto.
La Mini Merry traballò quando la sirena diede di proposito un nuovo colpo di coda, facendo forza sul parapetto col proprio peso. Kamome finì gambe all’aria, mentre Rufy fu agguantato dalla camicia e strattonato in avanti.
Il sonoro splash con cui la creatura lo trascinò in mare coprì il suo verso strozzato che si trasformò presto in tante bollicine sotto la superfice in cui svanirono, lasciando gli spettatori raggelati sul posto.
« RUUUFYYY! »

 
 
 
To be continued
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Asherah: dalla mitologia semitica, può significare “colei che cammina nel mare”, ed è uno dei nomi della Grande Madre. 
- Nerida: dal greco (se non erro) e significa “ninfea”.
- Durmstrang: da Harry Potter (sì!), il nome di una delle scuole di magia. Originariamente veniva dal movimento culturale tedesco Sturm und Drang (Tempesta e impeto).
- Corèl: una variazione di “Coral” (corallo), in questo caso maschile.
- Craig: dal gaelico “roccia”. 
- Yonko: è il nome giapponese con cui ci si riferisce ai “Quattro Imperatori” del Nuovo Mondo.
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Io amo questo capitolo. Ho amato scriverlo, rivederlo, limarlo. So che è pieno zeppo di riferimenti (o “ami”, come dice Nic), ma in realtà il prossimo è peggio. Questo è anche il primo capitolo che esula totalmente dalla vecchia pubblicazione ed è quello di transizione verso la prossima Arc della fanfic. Insomma, tanta roba, e c’è Shanks!
Secondo Yellow Canadair è lui, è IC, e io mi sono elettrizzata da matti, spero sia lo stesso per voi!
Ma passiamo ai fatti, due nuove New Entry: Ursula, che si era “sentita” un paio di capitoli fa al lumacofono con Oushiza, e poi Craig Durmstrang *alza i pon pon da mamma fiera*. Contrattazioni in atto, nuove “categorie” (mercanti) introdotte nella storia… un po’ di rivelazioni e qualcosa che già sapevamo (Coralia, Gold Roger…), ma qui c’è ancora chi brancola nel buio =D
Tornando a Nim, i Mugiwara sono invece alla prese con Mizu MAI’NAGIOIA (nuovo cognome della nostra sventurata, come chiamata da Nic, e credo che siamo tutti d’accordo a riguardo) e le sirene.
E Rufy. Due bagni in uhm due giorni. Potrebbe stabilire un record! Intanto la ciurma sta cercando di non farsi esplodere le coronarie =D
Questa volta le note sotto saranno davvero lunghe!
 
 
Grazie a jillianlughnasad e Nic87 per l’immenso sostegno! Soprattutto perché a entrambe piacciono tanto i miei Original Characters e questo mi rende tutta miele *love* Spero di continuare a regalarvi emozioni!
 
 
 
 
Notone:
 
- Cocktails: massì, cominciamo dalla roba alcolica! Ho scelto nomi di drink specifici e mi sono divertita da matti a cercarli *w* In ordine: l’Adonis, da Adone, il ragazzo di estrema bellezza della mitologia greca che fece impazzire più di un dio, l’ho dato in mano a Ursula perché lei è una buon gustaia, in tutti i sensi: è a base di Sherry, delicato e buono per un aperitivo pre-serale, e poi racchiude un po’ del suo modo di essere.
Subito dopo l’Adios Motherfucker: questo è stato una rivelazione! [FOTO] Ha lo stesso colore di capelli di Craig, è un mix alcolico da paura e il suo messaggio è chiaro: Addio figlio/a di puttana. *scream*    
Gli ultimi due sono il Red Sunset, di nuovo per Ursula, in tono con il suo incontro con Shanks, e il King’s Club per il nostro Rosso preferito. KING’s Club. Sì, sono una minchiona *lol*
Dopo aver scritto questa parte sono uscita a farmi due drinks. Non sto scherzando.
 
- Figli del Mare e Discendenti del Mare: le vicende su di loro stanno prendendo piede. Per adesso vi ho presentato in ordine: Mizu, Kamome, Matt e ora anche Craig. Tutti figli di sirene (come Mizu) o tritoni (come Craig). Con “Discendenti” intendo, per non fare confusione, la prole dei Figli del Mare. I Discendenti però non devono essere necessariamente abbandonati in mare, dato che i loro genitori non fanno parte integrante del Regno del Mare, al contrario di sirene e tritoni. Ok, sì, è confusionaria la cosa. Abbiate fede.
Il perché alcuni Figli/Discendenti del Mare abbiano dei particolari poteri (Aqua Voco, Vis o Morphos) lo spiegherò molto più in là. Un motivo però c’è, non è (totalmente) campato per aria!
 
- Ursula: avete visto quant’è adorabile questa donnina? Così razzista e schifata, che poi si butta tra le braccia di Shanks come una brava signorina di mondo. Lei è uno di quei personaggi che non doveva comparire adesso, ma molto molto più in là. Nella mia mente è sempre stata una delle amanti di Shanks (suvvia, quell’uomo ha dei lati nascosti su cui possiamo solo che fantasticare!) e non nasconde neanche troppo che vorrebbe il Rosso tutto per sé, anche usando l’inganno. Ma la cosa non funziona (e sì, anche a questo c’è un perché!).  
Ha un’età indefinita, ma sa come mantenersi bella e attraente. Sostanzialmente le piace divertirsi ed è molto molto avida. Però è anche una persona intelligente, sa giocare le sue carte.
[QUI] vi lascio un suo prototipo (pinnato).
 
- Craig Durmstrang: il suo nome di battesimo è “Corèl Durmstrang”, figlio di una donna umana (Nerida Durmstrang) e di un tritone. Dopo la nascita, come lui stesso racconta, fu strappato dalle braccia della madre e abbandonato in mare. Le persone che lo trovarono, non sapendo nulla di lui, lo chiamarono Craig. Fu rintracciato dalla madre dopo diverse peripezie e grazie all’aiuto di Ursula, che in cambio ottenne la “voce” di Nerida.
I dettagli della storia li metterò tra qualche capitolo, tra cui anche l’origine del suo tatuaggio sulla gola “Asherah”.
Il signorino è un gran bel pezzo di manzo ed è un mercante. Ha fatto più di un accenno al “suo capitano”. Tenete a mente ♥ Ah, dimenticavo. Ho fatto delle ricerche nelle varie Wikia su One Piece, e Craig possiede un Dial molto particolare! ^.^
 
- Raiders, Dante e Dominic: questa è una nota solo per minare la vostra pazienza! Sì, di nuovo loro! Due capitoli e vi dirò qualcosa di più sostanzioso, promesso! *fugge*
 
- D. & Frutti del Diavolo: Kamome si è scatenata. Ha detto talmente tante cose che mi stava sfuggendo di mano. Ma non ha spiegato un bel niente. Ed essendo Rufy il suo interlocutore, uno che fondamentalmente se ne infischia di roba simile… non ho dovuto svelare nulla =D Sì, se ci fosse stata Robin molta della fanfic sarebbe finita qui XD Kamome dimostra di nuovo e apertamente il suo “astio” verso i Frutti del Diavolo, i Possessori e anche le D. Un gran mix a cui però ora deve allegare dei dubbi perché, ovviamente, Rufy è la classica eccezione. “La prima D. si è macchiata di colpe che un giorno sconterete”. Un po’ profetica, ma sì. Something wicked this way comes, cantavano in Harry Potter.   
 
- Salvare Mizu: ultima fatica. In realtà, confesso, ditele ciao ciao. Perché per come stanno andando le cose non la rivedrete. Non tanto presto almeno. Questa cosa del metterla in acqua per salvarla, una specie di “rito”, viene dalla vecchia pubblicazione. Qualsiasi cosa che provenga dal mare tornerà nel mare, o sarà il mare a decidere se continuerà a vivere o meno. È il principio su cui si basa anche l’abbandono dei neonati Figli del Mare, essendo “creature a metà”, sarà l’oceano a decretare la loro sorte. In questo caso il mare è personificato da sirene e tritoni.
Vi lascio anche [QUI] un'immagine che rappresenta Mizu.
 
- Bacio della Sirena: titolo e piatto forte (dopo Shanks ♥) del capitolo. Ursula prova a usarlo sul Rosso, ma senza successo. La sirena (ora non ha nome) che invece lo prova con Rufy… ci sarà riuscita? Adoro questi parallelismi. Rendono tutto più fosco.
   
 
 
Un sacco di Plot Twist e Rivelazioni nel prossimo capitolo!
 
 
 
Bacioni!
Nene
 

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Capitolo 19
*** Capitolo XVII - Conseguenze ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XVII -
[Conseguenze]
 
 
 
Isola di Port Red Jack,
città di Fulham
 
 
 
 
« Ehi rottame, svegliati »
Nonostante il tono brusco e la manata poco gentile, la giornata sembrava perfetta per prolungare il sonno. Il sole era alto e piacevolmente caldo oltre le tende di organza amaranto a motivi damascati in filo dorato, che si sollevavano a ogni alito di vento. Le candele sui ripiani della stanza si erano consumate nelle loro bugie, lasciando l’ambiente pregno di sandalo e biancospino. Dalle strade dabbasso provenivano pochi chiacchiericci, essendo Fulham una città che viveva prevalentemente di sera e notte.
Poco incline a farsi ammorbidire dall’espressione di pura beatitudine del suo capitano, Benn Beckman lo scrollò senza la minima dolcezza per la spalla sana, attentando alla sua vita nel farlo quasi rovesciare dalla sponda del letto.
Shanks aprì gli occhi con lentezza per poi richiuderli scompigliandosi i capelli cadutigli sulla faccia, sbadigliando nel cuscino e sbiascicando qualcosa di incomprensibile ed ebete. Tempo dieci secondi e si era riaddormentato con il braccio a penzoloni e uno sbuffo di fumo del suo vice.
Delle volte che doveva andare a recuperarlo, quelle nei bordelli o nelle stanze delle locande erano le occasioni che Benn gradiva di meno. L’aria da angioletto soddisfatto con cui lo trovava rimescolava tutti i suoi istinti meno inclini alla benevolenza, soprattutto se sapeva con che tipo di compagnia passava la notte.
Il click del cane del fucile funzionò meglio di qualsiasi scrollata.
« Sono sveglio » ci tenne a dire con un lamento impastato il Rosso, la fronte ancora sprofondata nel cuscino in cui soffocò uno sbadiglio. « Non ci si può neanche riposare… »
« Sono le due di pomeriggio » precisò l’uomo alto e brizzolato, riservandogli uno sguardo di annoiato sdegno. « Forza, andiamo. Ho pagato il vostro conto »
Il Rosso si volse supino nel letto, trascinandosi le lenzuola di raso ingrovigliate tra le sue gambe dall’ombelico in giù. Il materasso al suo fianco era vuoto e freddo al tatto, ma lui chiuse gli occhi con un sorrisetto che la diceva lunga sulla nottata passata con Ursula.
Un paio di pantaloni gli arrivarono in faccia, celando la sua vergognosa espressione appagata.
« Datti una mossa » lo incalzò Benn scandendo le parole come i tic di una bomba.
La parata del capitano, che si alzava, incespicava nella stoffa scivolosa della biancheria da letto e si indirizzava nudo verso il bagno, fu tutto un programma. La sua voce dall’altra stanza arrivava alternata tra lamentele verso ignoti che non sapevano godersi la vita e sproloqui tra sé su come lui certe delizie sapesse coglierle. Quando riemerse dall’uscio e da una doccia rapida, lasciandosi i capelli gocciolanti sulle spalle, trovò il suo vice ad attenderlo appoggiato alla cassettiera demodé della stanza con le braccia al petto e una lunga sigaretta che si fumava da sola.
« Sei vergognoso » disse con una smorfia e la stessa occhiata schifata e tediata di prima. Shanks sorrise serafico.
Lo superò, andando a infilarsi intimo e calzoni con movimenti disinvolti acquisiti nei dieci anni in cui si era dovuto abituare a convivere con un braccio solo. Quando si voltò in cerca della camicia che ricordava vagamente essere finita sul pavimento ore prima, si ritrovò a fissare di nuovo Benn e poi le sue mani che tenevano aperto l’indumento in questione.
« Avanti » lo incalzò, ma stranamente più quieto di prima.
« Vedi che poi Ursula ha ragione a considerarti la mia tata? » ridacchiò il Rosso col tono di un piccolo lord che redarguisce la balia apprensiva. « Sei così premuroso e pensi sempre a tutto! »
« E tu assecondi i capricci di quella donna troppo facilmente »
Al capitano non sfuggì minimamente la nota dura della replica. Conosceva a menadito quel tono come la prima pagina del suo libro preferito. Era preoccupato. Si voltò paziente verso l’uomo molto più alto, inclinando il capo e solleticandosi la pelle con i capelli umidi mentre l’altro iniziava ad abbottonargli la camicia.
« Non puoi negare che sia una bella donna » continuò, fissandolo di sottecchi.
« È una sirena e una strega. Non mi piace. Vuole qualcosa da te » dichiarò senza fronzoli, finendo con l’ultima asola e piantandogli gli occhi nei suoi.
Shanks scrollò le spalle, ridacchiando.
« Lo so » asserì con una tranquillità disarmante che fece aggrottare la fronte al suo vice. « Ma sembra che io non riesca a darle ciò che desidera »
Benn si lasciò andare a un lungo sospiro, massaggiandosi una tempia. C’erano delle volte in cui avrebbe voluto prendere a schiaffi quel suo muso da “ho fatto l’ennesima marachella” che rendeva il capitano della Red Force un Peter Pan senza età. Poi però rammentava che avrebbe sortito l’effetto contrario e si sarebbe ritrovato per tutto il giorno l’imperatore imbronciato che lo fissava con espressione da cucciolo maltrattato. E non poteva reggerlo.
Mentre si lasciavano la locanda alle spalle spuntò mentalmente l’ennesimo trattino sulla parete immaginaria della sua virtuosa pazienza, che ogni giorno da anni gli rammentava della sua scelta di seguire quello scapestrato dalla testa rossa.
 
 
 
 
 
 
 
« … siete pirati? »
La scena era un po’ incerta. Shanks e Benn fissarono interdetti la ragazzina che aveva aperto il grande portone e che ricambiava la loro attenzione con un’occhiata tanto luminosa quanto le luci di Natale. Aveva capelli color carota, tagliati corti e disordinati come chi poltrisce su qualcosa di morbido. Addosso sfoggiava una combinazione di lilla e arancione che facevano a pugni tra maglietta larga e salopette in stoffa, per concludere l’accozzaglia con due anfibi logori e che non vedevano una lavanderia da decenni.
« Sì ragazzina » rispose Benn mentre questa aveva preso a scandagliarli ai raggi infrarossi. « Stiamo cercando Jabber Jougen » continuò, ma lei non lo stava minimamente ascoltando.
« Siete sicuri di essere pirati? Perché sui miei wanted non ci siete » si crucciò lei con sospetto, mettendosi le mani sui fianchi con aria di chi la sa lunga. « Io so tutto sui pirati! Ogni giorno controllo dal giornale i nuovi avvisi dei ricercati… e voi non ci siete! »
Shanks si lasciò andare a un fremito di risata per il soldo di cacio tutto computo.
« Vuoi fare la cacciatrice di taglie da grande? »
La ragazzina lo guardò con orrore.
« MAI! Io diventerò una pirata! Bella e coraggiosa come- »
« CLARA! » tuonò una voce dalla cima della larga scalinata dell’atrio. « Ancora con queste fesserie!? Vuoi farmi rivoltare nella tomba!? »
La pel di carota incassò dapprima la testolina tra le spalle per poi guardare esasperata verso Shanks e Benn come se avessero potuto comprendere il suo dramma.
« Non sei ancora morto, nonno » gli fece presente annoiata.
« Lo sarò a breve se… continui… a… » ma le parole del vecchio Jougen andarono deperendo pian piano insieme alla sua andatura zoppicante. Era sceso di volata agitando in aria il bastone come se avesse potuto colpire le sciocchezze dette dalla nipote, ma a pochi metri dal portone si era accorto della presenza dei due pirati.
« Me la ricordavo più lunga la tua lingua, Jougen-sama » celiò Shanks con una smorfia divertita.
« Mi fulminassero… Rosso! » sbraitò l’anziano alzando le sue cespugliose sopracciglia e squadrando l’uomo con la stessa minuzia usata dalla teenager qualche minuto prima. « Che diavolo… tu non dovresti essere qui! »
Il tono accusatore fece aggrottare la fronte a Shanks.
« Bel modo di salutarmi. Ho interrotto qualcosa? »
Il padrone di casa tacque, soppesando la domanda e calmandosi.
« Clara va in cucina e avverti le cameriere di preparare qualcosa da portare sulla terrazza. Di’ a Baba di cacciare fuori il poco rum buono che non si è ancora scolata »
« Il Rosso? Ma allora sono davvero dei pirati? » ribadì la piccola tutta eccitata, ricominciando a lanciare occhiate luccicanti anche se non sembrava aver afferrato il pieno significato dell’epiteto.
 « Quello è una grana da quando sua madre l’ha svezzato » bofonchiò il vecchio Lingua Lunga, facendo cenno ai due di seguirlo al piano di sopra.
Pochi minuti dopo il giornale della mattina fu poggiato sulla lastra in mosaico del tavolo, una pagina specifica aperta su cui Benn si concesse il primo vero sorriso della giornata.
« Cappello di Paglia abbatte il Toro Rosso » lesse a voce alta per farsi sentire anche da Shanks, accostato alla ringhiera dell’ampio balcone semicircolare a rimirare la vista di Fulham e del mare. « E si trova solo a qualche giorno di distanza da qui » aggiunse, finendo l’articolo e prendendo il wanted allegato, dove le nuove cifre davano l’idea di avere ancora l’inchiostro fresco.
« Sarai fiero » commentò Jougen, stappando la bottiglia di rum e iniziando a servirlo generosamente sentendo la gola secca. « Continua a collezionare vittorie e bestemmie dalla marina come stesse rubando saponette a MarineFord »
« Sta facendo esperienza » replicò asciutto l’imperatore, mascherando bene il proprio compiacimento.
« Fischi e fiaschi! Abbattere due bellimbusti della Flotta dei Sette e dichiarare guerra al mondo per te è gavetta!? Tu alla sua età te lo sognavi di fare cose simili! »
« Ehi! Anche io ho avuto il mio bel da fare! »
« Ma scendi dal trono! Se non avessi trovato questo sant’uomo di Beckman saresti ancora a pelare patate con quella lunatica di Becca Rice! »
Il Rosso lo fissò a bocca spalancata, arrossendo indignato.
« Come… chi diavolo ti ha raccontato…!? Era un segreto! »
Jougen rise così forte e sguaiatamente da far traballare tutto il tavolo, finendo col tossire.
« Non sono arrivato a quest’età facendomi i fatti miei! E poi l’unico segreto che sia mai sopravvissuto sulla Oro Jackson era quello sul One Piece! Pace all’anima di Roger! »
L’ilarità generale andò spegnendosi pian piano mentre un lampo di nostalgia passava nello sguardo del vecchio e del Rosso.
« Be’, comunque, quel Toro Rosso, Akai Oushiza, non mancherà a nessuno » proruppe il padrone di casa levando il suo bicchiere. « Un sadico bastardo in meno che ci farà vivere più serenamente. Alla salute del moccioso! »  
L’imperatore e il suo vice risero, sedendosi e prendendo parte al brindisi.
« Allora, che ci fai da queste parti? Port Red Jack è un covo di piantagrane »
« Si fanno incontri piacevoli » rifletté angelico e in un bisbiglio il Rosso, beccandosi una tallonata dal suo secondo.
« Siamo qui per lui » spiegò Benn, tirando fuori dalla tasca un foglio di giornale ripiegato che stese di fianco a quello con Rufy.
Jougen lo riconobbe subito, perdendo la propria baldanza e scuotendo la testa in un sospiro abbacchiato.
« Questa storia di Bryan ci farà diventare matti »
« Lo conosci? »
Con aria pensierosa l’anziano si grattò il mento, per poi ingollare quel che restava del suo rum e prepararsi a un lungo racconto.
« Di persona non ho mai avuto il piacere, che Poseidone me ne scampi » iniziò, fissandoli seri entrambi, per soffermarsi poi sul Rosso. « Cosa sai di lui? »
« Quello che i giornali scrivono… e qualche chiacchiera da locanda » spiegò il pirata, stringendosi nelle spalle.
« Perché ti interessi adesso? » chiese poi Jougen, calcando sull’ultima parola con un accento più curioso che accusatore.
Shanks si appoggiò allo schienale della sedia in ferro, non riuscendo a dissimulare l’occhiata che lanciò al wanted del ragazzo di gomma.
« Comincia a esserci molta carne sul fuoco » rispose lentamente, ma finendo con una smorfia. Balle, si disse, e che metafora squallida. « È davvero il nipote del capitano Roger? Lui e la sorella » si corresse.
« Lo sono »
La conferma lapidaria gettò il tavolo nel silenzio. Era appena stato scoperchiato un vaso di verità e possibilità che per un istante incrinarono la sicurezza del Rosso. Aveva accantonato quel discorso per quattro anni e ora si diede dello sciocco. Cosa poteva temere di più di quello che già non sapeva? Aveva finto di non interessarsene per troppo tempo, ma in fondo erano anni che si era imposto di vivere libero da consapevolezze che rischiavano di farlo tentennare.
Tuttavia la portata della notizia lo estraniò. Gli occhi vagarono sul mosaico della tavola a seguirne le scanalature come se quei percorsi labirintici avessero potuto dirgli qualcosa. Alla fine Jougen gli venne incontro, riprenderlo a parlare.
« L’unico di noi che conosca abbastanza questa storia è Rayleigh, e anche per puro caso. È successo molto prima che il capitano mettesse su la nostra ciurma… » cominciò il vecchio, dando a intendere subito il proprio disagio. « Come sai era originario di Rogue Town e si imbarcò su un semplice mercantile a diciassette anni in compagnia di una ragazza… una sirena, per essere precisi »
« Coralia… l’attuale Regina di SubAquaea »
La risposta e il tono piatto portarono l’attenzione di Benn e Jabber sull’imperatore, che aveva appena avuto conferma del racconto ascoltato da Ursula la sera precedente.
« Una delle chiacchiere che avevo sentito in giro » tagliò corto alla loro muta domanda.
« Chiacchiere!? Manco quegli squali del Regno del Mare sanno di questa storia! Chi te l’ha detto!? »
« Una bella pesciolina » ghignò poco divertito il Rosso in tono di sfida.
Sfida a cui i lineamenti del vecchio replicarono passando dall’incredulo all’indignato, fino alla disapprovazione mascherata da un fa come ti pare. Frequentare sirene? Per lui significava buttarsi in mare con un masso legato ai piedi. Portavano soltanto disgrazie.
« Cos’è successo dopo? » riprese Benn, interrompendo la tensione che si era creata.
« Roger e Coralia entrarono nella Rotta Maggiore e girovagarono per un paio d’anni, passando di nave in nave non avendone una propria, ma nemmeno Rayleigh conosce tutti i dettagli. Tempo dopo lei rimase incinta e lì le cose si si complicarono » sospirò, versandosi altro rum neanche fosse acqua. « Quando l’anno seguente quella canaglia di Silvers si imbatté in Roger, lui e la sirena avevano appena troncato i rapporti. Mi raccontò che il capitano fu spiccio nei dettagli. Sembrava averci messo una pietra sopra, progettando di cercare uomini per la sua ciurma e ripartire alla volta della Grand Line senza manco una zattera… »
« E il bambino? » domandò il vice della Red Force, ciccando nel posacenere e lanciando un’occhiata di striscio al suo capitano, trincerato nel silenzio.
« Secondo le leggi di SubAquaea fu abbandonato in mare… ma è sopravvissuto. Si chiama Irwin... Seaheart D. Irwin »
Sentire quel nome rese tutto il racconto improvvisamente più vivido e reale alle orecchie dei due ospiti. I pochi rumori provenienti dalla città sottostante si trasformarono in un brusio consistente nel vuoto di parole creatosi e in cui il Rosso incassò suo malgrado le rivelazioni.
Il Re dei Pirati aveva avuto un figlio anni prima di diventare la leggenda che era, prima di riunire la stessa ciurma con cui aveva solcato i mari, e i cui membri si vantavano di conoscere il capitano come le proprie tasche. Shanks non si arrogava un lusso simile, essendo stato uno dei più giovani a bordo… ma che nemmeno Jougen e Rayleigh fossero a conoscenza di tutta la storia gli lasciava una sensazione di sgradevole inquietudine alla bocca dello stomaco.  
« Per tutti questi anni non ho mai sospettato nulla » confessò rocamente alla fine, concedendosi un sorso di liquore per metabolizzare meglio il tutto. Poi tornò pensieroso, vagliando le domande che si stavano affollando nella sua testa. « Irwin… chi è? Intendo, è il padre dei due ragazzi… – non riuscì a non arricciare l’angolo della bocca in una smorfia – ma che altro? Non ha mai cercato il capitano? »
« Irwin detesta i pirati » spiegò Jougen scuotendo il capo. « Ha sempre vissuto una vita ordinaria e appartata, temendo però che un giorno qualcuno potesse scoprire i suoi legami di sangue e dare in pasto al mondo lui e la sua famiglia »
« … l’incidente di Salmoa » si lasciò sfuggire Benn sovrappensiero.
« Già… che tanto incidente non è stato. Sono quattro anni che Irwin ci maledice dal giorno alla notte »
Gli occhi scuri di Shanks si assottigliarono mentre nella sua mente i fili della matassa andavano appianandosi e un sospetto veniva a galla.
« Prima hai detto che tra noi nessuno sapeva di questa storia. Rayleigh si impiccherebbe piuttosto che mettere in pericolo la famiglia del capitano… »
Jougen avrebbe sorriso di compiaciuta ironia, se il punto contro cui stavano andando a parare non gli avesse rivoltato le viscere ogni volta. Il bicchiere nella sua mano scricchiolò, rivelando una forza che dalle sue membra stanche e appesantite dagli anni non traspariva.
« Allora quel tuo cervello annacquato dal saké ogni tanto lo metti in moto »
Il padrone di casa cercò di riprendere la sua aria burbera, ma la battuta si perse nell’atmosfera serpeggiante e velenosa.
Bastò un solo nome.
« Shirami »
Shanks lo pronunciò col fiato sospeso e con un odio che negli anni non era andato affievolendosi. Lo sentì più bruciante che mai, come il peggior schiaffo che avesse mai potuto ricevere e di cui vergognarsi. Vergognarsi di non aver reagito quando era stato il momento. Per essere stato troppo debole, incosciente e accecato dai proprio sogni per notare la vipera che si muoveva tra di loro, irretendoli e conducendoli alla disfatta.
Un tremolio scosse il piano di marmo da cui provenne un basso crik. Benn, ostacolato da un senso di soffocamento all’altezza dello sterno, strinse la mano sul braccio sano del suo capitano, riscuotendolo in parte. L’imperatore si scusò, ma il suo tono fu quasi un ringhio che Jougen accettò suo malgrado.
« Non puoi continuare a roderti il fegato per qualcosa che è accaduto vent’anni fa, Shanks. Non è stata colpa tua »
« No, hai ragione… siamo tutti colpevoli di aver chiuso gli occhi perché ci sentivamo invincibili » sibilò sarcastico e iracondo. Le sue iridi nere vibrarono prive di compassione, tanto che l’anziano non riuscì a reggerne l’intensità.
« Come darci torto… dopo Raftel, il mare era diventato un tappeto rosso di fronte a noi. Non temevamo niente e nessuno… il solo aver toccato le sponde di quell’isola ci dava la sciocca idea di essere immuni da qualsiasi minaccia »
« E Shirami ci ha divisi, indeboliti… e annientati » finì il Rosso sulla scia del racconto, la mano tanto stretta a pugno da rendere le nocche bianche.
« Roger si fidava di lui » disse stancamente Jabber, come una cantilena ripetutasi nel tempo per sentirsi meno in colpa.
Shanks rise acido, tanto che Benn si volse guardingo a osservarlo.
« Bella consolazione… » sbottò, sentendo i muscoli tanto tesi da farsi venire i crampi.
Jougen lo occhieggiò titubante, chiedendosi se ne valesse la pena di alimentare ancora di più l’odio del Rosso con gli ultimi dettagli in suo possesso. Prima o poi ne sarebbe venuto a conoscenza ugualmente. Le carte in gioco si stavano rivelando una dopo l’altra, crollando dal castello che avevano abbandonato senza protezione. Sciocchi, sciocchi e sconsiderati. Avevano perso una battaglia, ma avevano sottovalutato l’ambizione del loro nemico, la cui guerra silenziosa continuava lentamente a guadagnare terreno.
Prese fiato, per svelare l’amara realtà.
« Roger e Shirami erano amici di infanzia fin dai primi anni. Sono cresciuti insieme a Rogue Town… ma secondo un’idea di Rayleigh, col tempo Shirami è diventato invidioso di Roger, sotto diversi aspetti… e forse anche per il legame che aveva con Coralia »
La confessione fu alla stregua di una botta in testa, seguita da una pugnalata alle spalle.
Aveva sentito male, credette l’imperatore. Jougen non poteva aver detto che il loro capitano, senza batter ciglio, avesse accolto sulla nave quello che considerava un amico, forse un fratello… e che per colpa di un astio infantile quasi tutti i loro compagni fossero morti.
« Mi dispiace Shanks… sappiamo che non si sentirono per anni dopo la vicenda di Coralia… forse Roger aveva sottovalutato che anche per Shirami fosse acqua passata, sai com’era fatto… o forse non aveva proprio notato quello che stava accadendo… ma anche- »
« Basta » lo interruppe il più giovane senza fiato con gli occhi ridotti a due pietre nere.
Era scioccato. La memoria l’aveva sbalzato indietro, come se fosse tornato a quel dannato giorno di vent’anni prima. Rivisse emozioni taglianti come scogli affilati, spari, grida, macchie di sangue che si allargavano sul ponte della Oro Jackson mentre lui veniva strattonato via per essere messo in salvo quando ormai era tutto perduto. Ricordò i pochi con cui era riuscito a scappare, la voragine di incertezze che si era aperta sotto i suoi piedi, il sapore illusorio dell’irrealtà e poi il giorno dell’esecuzione, quando il mondo l’aveva assordato acclamando un uomo alla forca. L’uomo che gli aveva aperto l’orizzonte e l’aveva accolto in una famiglia più che in una ciurma. Ma di più ricordò gli occhi spalancati e senza vita delle persone uccise dalle bugie e dalle trame di Shirami.
Con un forte stridore della sedia si alzò, muovendosi boccheggiante verso il limitare della terrazza in cerca di aria. Si rese conto dopo qualche secondo che con dita tremanti stava stringendo il moncherino.
Ripensò a Rufy. Alla loro promessa e a quanto quel bambino gli avesse ricordato il suo capitano, trovando il pensiero soffocante e felice allo stesso tempo. Gli mancava. Gli mancava la sua testardaggine nel voler essere preso a bordo, dandosi a dimostrazioni di coraggio su cui per fortuna avevano potuto solo che riderci su. La sua convinzione nel voler difendere le persone che ammirava, cacciandosi nei guai. Rivide il momento in cui gli aveva calato il cappello di paglia sulla testolina scura, trovando quel gesto così naturale, come se non avesse aspettato altro. Il cappello di paglia che era appartenuto a Roger e che gli era stato regalato in segno di gratitudine e stima tanto tempo prima, quando era poco meno di un adolescente e la sua vita sembrava dover seguire solidi binari insieme alla cricca del Re dei Pirati.
« Shanks » lo chiamò debolmente il proprietario di casa, le cui spalle curve sembravano portare il doppio degli anni che aveva. Si sentiva mortificato, privo della volontà di cambiare le cose. La verità era che ci aveva rinunciato molto tempo prima.
Dopo l’esecuzione di Roger aveva faticato a riprendere il mare, preferendo gestire affari di terra più tranquilli. Poi suo figlio e sua nuora erano stati ammazzati, e lui aveva abbandonato tutto, ritirandosi a vita privata per crescere una nipote troppo piccola e fragile. Negli ultimi anni era riuscito a ottenere una certa armonia con cui schermarsi da un passato che continuava a ribollire come un vulcano quiescente. Ignorare e fingere che certe cose non sarebbero più tornate a galla gli aveva regalato momenti di pace a cui non avrebbe voluto rinunciare. Ma ora a scontare la sua volontaria cecità e a portare pesi ingiusti erano altri.
« Shanks ascoltami. Eve e Rayleigh si sono già mossi per capire cosa stia accadendo. Quattro anni fa Shirami ha smascherato Irwin, ma si è concentrato sui suoi figli, Bryan e Bonnie. Li abbiamo tenuti d’occhio per tutto questo tempo, per assicurarci che… be’, che stessero bene e che non succedesse nulla di irreparabile. Ma dopo quello che Bryan ha combinato – e indicò la pagina di giornale portata da Benn con l’articolo sulla 74a Divisione – abbiamo deciso di andare a fondo perché pensiamo che dietro ci sia Shirami » chiarì tutto d’un fiato, fissando la schiena dell’imperatore.
Shanks si era irrigidito, ma non volle ammetterlo. Scosse la testa per cacciare un pensiero e imporsi di rielaborare tutto quello che aveva sentito senza distrazioni. Le tempie gli dolevano per la cascata di informazioni che lo stavano sommergendo, per la valanga di passato che minacciava di travolgerlo.
« Sono passati vent’anni e nessuno di noi ha fatto niente per fermare il traditore che ci ha mandato alla gogna… e proteggere quelli che non c’entrano niente… Bryan e Bonnie, Irwin, Eve… » esitò un solo istante, umettandosi le labbra e riprendendo con acredine. « Ci siamo separati e forse era davvero inevitabile… ma che vita è continuare a nascondersi? » si volse, incrociando gli sguardi dei due rimasti al tavolo e riprese. « Jougen, se non fosse per la tua rete postale e i segreti che conosci, non te ne staresti a vivere in una villa alla luce del sole… Ray-san che fa il rivestitore a Sabaody… e Crocus alla Reverse Mountain, dentro una balena… Buggy ci ha messo degli anni per riprendere il mare e credo abbia finito per detestarci tutti… un po’ mi manca » rise senza gioia. « E Becca, Gaspar… loro non so neanche se respirino ancora » finì a malincuore e ogni nome per lui aveva il peso di una colpa.
Lui era l’unico che aveva preso la sua vita e si era posto come traguardo la libertà. Non aveva quasi più nessuno da temere, aveva degli uomini che lo seguivano e per cui avrebbe dato la vita, e una promessa che assomigliava terribilmente a una piacevole speranza… e per quattro anni si aveva rifiutato la verità. Una verità a cui si era interessato quanto a una storiella spiritosa.
L’Erede. Gol D. Bryan. All’epoca un quattordicenne che dalla foto segnaletica appariva spaventato e irascibile. Poi sua sorella Bonnie, pallida e arruffata da una fuga. Entrambi biondi, occhi azzurri, lineamenti in cui nulla ravvisava Gold Roger, stanati in un’isoletta del North Blue, lontano da tutto e tutti. Ricordava ancora lo sguardo di Benn addosso quel giorno, in attesa, mentre lui arrivava alla fine della prima pagina del giornale. Aveva scosso la testa con una risata che gli era uscita male. Non poteva essere vero. Lui non ne sapeva niente di quella storia. Probabilmente era una trovata della Marina, qualche capro espiatorio. Aveva buttato via il quotidiano e aveva accantonato la questione, ma senza calmare un senso di fastidio alla bocca dello stomaco.
Un fastidio che si era ripresentato ogni volta che qualche trafiletto era comparso con quei nomi sopra. Nulla di eclatante, anzi, per quasi due anni non si erano avute altre notizie, a conferma che probabilmente erano state solo ciance sensazionali. Solo avvistamenti sporadici di quella nave superba appartenente alla Triade del Mare, la Mermaids’ Melody, su cui si dicevano essere i due Eredi, ma niente che potesse scuoterlo tanto da mettere in dubbio la sua scelta di non approfondire.
A distanza di quattro anni, dopo l’ennesimo articolo, qualcosa si era smosso. Era stato trafitto dallo sguardo rancoroso del nuovo wanted di Bryan, da quella fisionomia ora più adulta che lo aveva colpito come un pugno allo stomaco.
C’era qualcosa. Finalmente l’aveva visto. Una determinazione, un’ambizione che avevano cancellato subitaneamente qualsiasi remora avesse avuto per scartare ancora l’argomento.
I suoi timori erano stati districati, stesi e tirati come una corda su cui era poi inciampato.
E ora c’era dentro.
« Cosa intendete fare? » domandò, tornando a dare le spalle ai due e fissando un orizzonte che gli sembrava troppo lontano. Tutto lo era, come stesse osservando la scena al di fuori del proprio corpo. Ma non aveva tempo di ricamare sui proprio errori. Neanche il presente si fosse riavvolto e l’avesse davvero rispedito a vent’anni prima, con l’urgenza di agire ad assalirlo prepotente.
Jougen, ammonticchiato sulla propria seduta come un cumulo di stracci, versò altre due dita di rum nei bicchieri.
« Rayleigh è andato a Jaya, dove attualmente vive Irwin. Dalle informazioni di Shakky ha saputo che la Mermaids’ Melody sta dirigendo lì e vuole riuscire a parlare con Bryan… o evitare che ammazzi il padre. I rapporti non sono idilliaci » spiegò, rimescolando il liquore nel proprio bicchiere con movimenti assenti. « Io sto controllando tutte le missive della Marina che passano sui percorsi delle mie colombe… ma per adesso nulla. Ci sono state delle mobilitazioni e delle richieste di materiali un po’ sopra gli standard… ma quei rimbambiti con la visiera stanno diventando bravini a crittografare le notizie importanti » finì con uno sbuffo.
Il Rosso sciolse un po’ della propria tensione con un risolino, tornando verso il tavole dove ingollò alla goccia il rum.
« E Eve? » chiese distrattamente, dato che il vecchio non aveva proseguito.
Jougen sbuffò, imprecando e incrociando le braccia nel cacciare improperi indefinibili. Alla fine esibì una smorfia contrariata.
« Si caccerà nei guai »
« Non sarebbe la prima volta… anzi » sogghignò Shanks, inebriato dal sapore dell’alcolico. Benn scosse la testa. « Non è rimasta un po’ troppo calma di recente? »
« Sale spesso a Heaven Ville… anche se da un po’ è mia ospite »
Il vice capitano della Red Force roteò gli occhi al cielo, bagnandosi di nuovo le labbra con il rum nel silenzio che era seguito.
« È qui? » domandò in fine Shanks con un sorriso che non si estendeva allo sguardo.
« No. O meglio, non in questi giorni. È a San Faldo per un ballo in maschera con Ace, Santi Numi, come se trascinarci quello sbarbatello non portasse casini. Il vecchio Newgate deve essersi rimbambito totalmente per averlo preso a bordo… Secondo Comandante poi, Doragon si rivolterebbe nella tomba! » 
Jougen aveva ripreso con le sue ruvide lamentele e invocazioni, ma l’imperatore si era estraniato fissando la porta finestra e la stanza vuota all’interno, attendendo qualcosa di indefinito.
« Non le daranno la caccia quanto Bryan, ma poco ci manca! E lei dove va? A una festa con Ace! Sciagurata! I lamenti dei suoi mi daranno il tormento tutta la notte! »
« Per lui farebbe qualsiasi cosa » mormorò l’uomo coi capelli cremisi, sovrappensiero.
Il proprietario della villa alzò le mani in aria come se avesse potuto liquidare la faccenda così.
« Alla malora! Ecco dove finiremo tutti! » sbraitò, occhieggiando Benn come se lui fosse l’unico sano di mente che avesse potuto dargli ragione. Ma quest’ultimo fece spallucce. Non erano affari suoi. Non da diverso tempo, almeno. « Cosa parlo a fare con voi. Le magagne capitano tutte a me! Quel piantagrane di Gaspar se ne esce un giorno dicendo che ha bisogno di una vacanza… e sparisce! Puf! Capisco che sua figlia abbia passato dei momentacci per colpa di una sirena, ma qui siamo al tracollo! E quell’altra screanzata di Becca! Lo sai che ha messo al mondo la sua progenie!? Quella!? »
La risata di Shanks spezzò qualsiasi residuo di tensione. Abbandonò lo sguardo assente per uno fintamente esasperato, rimettendosi comodo sulla sedia intorno al tavolo, l’angola della bocca inclinato verso l’alto in una smorfia che di sdegnato non aveva neanche l’ombra.
« Potevi dirmelo prima che Gaspar e Becky stanno bene »
« E interrompere il tuo momento melodrammatico!? »
« Sei un bastardo »
« Sciagurato, porta rispetto agli anziani! »
Shanks si appoggiò al tavolino con il gomito e, sorreggendosi il viso con la mano, esibì la linguaccia come usava fare per avere l’ultima parola. Il discorso cadde, e prima che potessero riprenderlo due cameriere arrivarono con un carrello di spuntini che lasciarono sul tavolo senza una parola, congedandosi con un inchino che il rosso commentò fischiando, alzando impressionato le sopracciglia verso Jougen a dirgli “ti tratti bene, vecchio maniaco”.
« Ora che sai tutto… » riprese proprio quest’ultimo. « Intendi rimanere? Eve tornerà domani, o in settimana. In realtà non lo so, fa come gli gira sul momento »
Shanks scosse la testa con emozioni sfuggevoli in volto.
« Sono ancora arrabbiato con lei »
Jabber aggrottò tanto le sopracciglia ingrigite che i suoi occhi scomparvero.
« Prego? Che farnetichi? »
« Queste – il rosso si indicò le cicatrici sull’occhio sinistro – e questo – fu il turno del braccio mancante – sono colpa sua » finì, reclinando il capo sulla spalliera e chiudendo gli occhi senza aspettare la reazione del suo interlocutore.
Reazione che si palesò in una bocca spalancata a “o” perfetta mentre l’anziano rimaneva con le dita a mezzaria strette intorno a un tramezzino.
« Che mi venga… un colpo…! » iniziò, reprimendo malamente una delle sue risate sguaiate, battendo la mano libera sul tavolo in marmo. « Sei proprio un moccioso! Senti le panzane! Spero che quella murena della scogliera di Foosha usi ancora il tuo braccio per pulirsi i denti! » rise apertamente, trascinando anche gli altri due.
« Ehi! Ho dovuto imparare a fare tutto con la destra da allora » ribatté fintamente offeso l’imperatore, ancora comodo nella stessa posizione. « Ero un ottimo spadaccino mancino… e ora Mihawk non mi considera più alla sua altezza »
« Tu e le tue amicizie discutibili » replicò a tono Jougen, strappando un morso allo spuntino e sputacchiando briciole. « Un altro mentecatto a cui non si sa cosa gli dica la testa… tutto suo padre »
« Jougen, un consiglio… certi paragoni col padre di Mihawk tieniteli per te, è un po’… suscettibile sull’argomento » ridacchiò il rosso, afferrando un dattero dalla ciotola vicina e succhiandolo di gusto.
I colori della discussione rimasero allegri per un po’, mentre il sole pomeridiano si faceva più intenso, calando verso ovest. Fulham, sotto l’arco del promontorio su cui era costruita la fastosa villa dell’ex Lingua Lunga, iniziò ad animarsi di cicalecci alti e grossolani, dalle locande fino al porto, dove nuove navi stavano attraccando per l’imminente serata di festa.
« Non mi hai ancora risposto Rosso… che cosa farai adesso? »
Jougen pose di nuovo la domanda dopo che ebbe accompagnato l’imperatore e il suo vice alla porta, sostando nel portico bianco adorno di giare panciute e trasparenti e vasi pieni di margherite gialle. 
« Onestamente? Non lo so » dichiarò l’uomo stancamente, in piedi davanti l’ingresso dove sostava il suo ex compagno di ciurma. Aveva ancora stralci di conversazione a rimbalzargli tra le tempie, troppe cose tutte in una volta. Sentiva di doverci dormire sopra. « Credo che mi fermerò a Sabaody. Puoi avvertire Rayleigh che lo aspetterò lì? »
Jabber annuì, rigirandosi il bastone con il pomo a rostro tra le mani.
« Ray è convinto… » cominciò tentennante, rifiutandosi lui stesso di vagliare l’alternativa nella sua testa. Sospirò, sapendo inutile rimandare l’inevitabile. « Ray è convinto che non sia per niente da Bryan comportarsi così…  distruggere senza spiegazioni, ecco… è successo qualcosa. Silvers lo conosce meglio di chiunque di noi »
« Tutti abbiamo delle giornate no e calchiamo la mano quando c’è di mezzo la Marina »
« Hai visto il nuovo wanted. Anche Eve era preoccupata per quello sguardo, sembrava- »
« Jougen… le congetture non ti aiuteranno a dormire meglio. Aspetta notizie di Ray-san prima di fare il nonno apprensivo » e dicendolo, occhieggiò verso la porta alle spalle del vecchio, dove Clara li spiava curiosissima dallo stipite, gesticolando a Shanks di non sgamarla. Ridacchiò facendole l’occhiolino, sentendo un po’ del peso del pomeriggio alleggerirsi.
« Cosa parlo a fare con te » sbottò il vecchio, scuotendo la testa. « Torna a bighellonare e tieniti alla larga dalle sirene, sono infide! »
« Tutta invidia, voi due » ridacchiò Shanks, beccandosi un’occhiata al vetriolo da Benn.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
Isola di Nim.
 
 
 
« Non avete l’irritante sensazione che capitino tutte a lui le fortune? »
« È un maledetto sculato »
« Siete solo invidiosi »
Usopp e Sanji si voltarono in contemporanea verso Zoro, imbronciatissimi, per poi sospirare tra loro con un palese “dacci torto!”.
Il terzetto tornò a fissare il soggetto in questione, il loro capitano, beatamente ignaro dei discorsi e altrettanto beatamente immerso in acqua, a pancia in su, gambe e braccia larghe a godersi il mare placido e luccicante.
Sì, era proprio Rufy che faceva il morto a galla senza un pensiero per la testa, ma anzi, sospirando soddisfatto come se la cosa gli fosse dovuta. Rufy che non andava a fondo come un pezzo di pietra.
« Ora lo vado ad affogare » proruppe diabolico il cuoco, gettando sulla sabbia la camicia stile hawaiana a mezze maniche che si era messo sopra i bermuda. In poche falcate arrivò dal moretto, buttandosi a pesce su di lui e trascinandolo sott’acqua tra esclamazioni di sorpresa e bollicine.
« Sanji ogni tanto perde proprio la testa » sospirò il cecchino osservando la scena, mani sui fianchi, prima di essere infradiciato dallo spruzzo salmastro del marimo che seguì il biondo nell’andare a torturare il futuro Re dei Pirati.
« Ehi! Non divertitevi senza di me! Io sono l’affascinante Usopp, tutte le sirene mi amano! » e si gettò a bomba negli schiamazzi generali del monster trio. 
Il panico della sera precedente era un labile ricordo rispetto alla sconcertante verità che era, letteralmente, venuta a galla.
Dal bacio della sirena, e dal bagno fuori programma, Rufy Cappello di Paglia ne era riemerso con le proprio forze. Sputacchiando acqua e inveendo contro un punto impreciso della superficie del mare, aveva recuperato il simbolo della sua promessa ed era tornato verso la Mini Merry nello sconvolto generale. Lui stesso non aveva realizzato finché Robin, perplessa ma più lucida degli altri, aveva fatto notare al capitano che non stava affondando. Che aveva appena nuotato. In mare aperto.
La prima preoccupazione del moretto fu di constatare di possedere ancora le proprie capacità elastiche, finendo col tirarsi talmente tanto le guance che, dopo il rilascio, era quasi soffocato nel tentativo di disincastrare i propri connotati. Un istante dopo si era ributtato in mare, ridendo come un ebete e facendo prendere un secondo infarto alla sua ciurma che ancora faticava a concretizzare.
L’unica stringata spiegazione, col tono gracchiante di chi crede di aver visto l’inimmaginabile nella propria vita ma finisce col ricredersi, provenne da un’attonita, quasi inorridita, Kamome. “È stato benedetto dal mare…” fu tutto ciò che balbettò, trincerandosi poi nel suo torvo mutismo, occhieggiando a tratti il moretto con diffidenza, come se le avesse fatto un torto.
A distanza di mezza giornata, i Mugiwara ancora fissavano il proprio capitano senza riuscire a non considerarlo un alieno.
« Aaawh, vorrei baciare anche io una signorina sirena » sospirò Brook, sorbendo il cocktail alla frutta preparatogli prima da Sanji. « Se avessi le labbra, yohohohoh »
« Io voglio nuotare! » piagnucolò al suo fianco Chopper, riempendosi le guance di succo di frutta mentre invidiava terribilmente i ragazzi della ciurma che sguazzavano in una specie di lotta ad affogarsi l’un l’altro.
« Non mettetevici pure voi » li redarguì Nami dalla sdraio lì accanto in uno dei suoi bikini a pois, ripiegando il giornale su cui capeggiava la nuova taglia di Rufy. « Questa pagliacciata non mi convince. Finirà con qualche risvolto macabro »
L’archeologa ridacchiò dell’ultima parola, dando poi un buffetto alla renna che, parole sue, si sentiva esclusa dai divertimenti.
« Robin sei riuscita a parlare con Kamome a proposito? » chiese la rossa, passando il giornale alla compagna. Senza aspettare risposta si calò gli occhiali da sole sul naso e si sistemò meglio per godersi i raggi ancora caldi del sole pomeridiano.
« No ancora. Questa storia del bacio l’ha turbata parecchio » rispose con un’alzata di spalle la mora, scrutando le righe stampate e prendendo un sorso dal suo drink rosato.
« Quella sa tutto e non vuole dirci niente! » sbuffò la navigatrice incrociando le braccia e tamburellando le dita, ostinandosi a tenere il capo reclinato e gli occhi chiusi per non rinunciare alla pace dell’isola nonostante il nuovo grattacapo.
Volenti o nolenti erano stati costretti ad attraccare a Nim per permettere a Franky di sistemare meglio che potesse il brigantino. Avevano recuperato delle vele buone dai galeoni dei Tori Rossi tanto per cominciare, dato che le loro erano ridotte a stracci. Non si poteva ancora fare nulla per il guasto ai Docks, che andavano aperti manualmente, ma bastava assicurarsi il viaggio fino a Port Red Jack. Una volta lì il carpentiere sarebbe riuscito a rimettere a nuovo la Sunny nei cantieri attrezzati di Fulham.
« Secondo le vecchie storie dei marinai, le sirene trascinano in acqua gli uomini di cui si invaghiscono per ucciderli… forse anche Rufy-san ha rischiato tale sorte! » mormorò lo scheletro tutto tremolante, allarmando il piccolo medico che iniziò a scuotere la testa blaterando che in fondo le renne non erano fatte per nuotare. 
« Storielle da marinai, Figlio del Diavolo » abbaiò una voce alle loro spalle.
Il quartetto si voltò verso Kamome, di ritorno dalla sua passeggiata con Matt. Se l’era preso da parte per spiegargli la situazione di sua madre e su come, da brava nonnina, lei si sarebbe occupata di lui fino al ritorno di Mizu. Il bambino aveva il viso arrossato e lo sguardo basso, ma quando sia Nami sia Robin lo invitarono ad andare da loro e gli offrirono un succo di frutto, non disse di no, rannicchiandosi silenzioso sulla sdraio insieme alla navigatrice. La diffidenza era sparita, ma Matt continuava a essere di poche parole, esibendo di tanto in tanto un timido sorriso.
« Dicevi obaasan? Storielle da marinai? » ripeté la rossa, togliendosi gli occhiali scuri.
La vecchia spodestò Chopper dallo sgabello, mandandolo a rifugiarsi tra le braccia dell’archeologa, per poi lanciare uno sguardo e un grugnito verso il baccano che capitano, cuoco, spadaccino e cecchino stavano ancora facendo in acqua.
« Avrà da gioire ben poco » borbottò scuotendo tanto la testa da far garrire contrariato il gabbiano che aveva in testa. « Quella sirena l’ha legato a sé »
« Legato? Che intendi? »
« Che se lei adesso schioccasse le dita dall’altra parte della Rotta Maggiore, a breve vedreste il vostro capitano iniziare a nuotare per raggiungerla » spiegò secca, scatenando un diffuso senso di inquietudine e occhiate che la spinsero a continuare, ammonitrice. « Non potreste fermarlo a meno che non lo leghiate da qualche parte. E non vi assicuro che non proverà a liberarsi, con ogni mezzo. Anche con la forza o attaccandovi. Il richiamo di una sirena è un imperativo categorico a cui il contraente non può opporsi. Se lo facesse rischierebbe di impazzire. Fosse anche in mezzo a una battaglia o a un uragano, farà di tutto per andare da lei »
Il gruppetto cadde in un silenzio scioccato.
« La nota positiva è che, maledetto o meno dal Frutto del Diavolo, ora non ha più da temere di affogare » finì la vecchia molto lontana dall’essere contenta della cosa.
« Perché la sirena ha legato a sé Rufy!? Cosa facciamo!? » domandò Chopper allarmato, rivolgendosi più a Robin che a Kamome, che lo metteva in soggezione. L’archeologa fece segno di diniego, non sapendo cosa rispondere. Non sapendo nemmeno cosa domandare all’anziana.
« Mah, forse aveva bisogno di uno schiavo umano » buttò lì la vecchia con un’alzata di spalle.
« Quella si sbaglia di grosso se crede che le lasceremo soffiarci Rufy » sbottò indignata Nami che stava vedendo realizzarsi i suoi brutti presentimenti. Alzandosi dalla sdraio di volata, e mandando all’aria un piccolo Matt riacchiappato dalle braccia di Robin, la navigatrice marciò sulla battigia come un generale.
« La ricreazione è finita! Portate fuori il capitano immediatamente! » strillò ai temutissimi quattro pirati che sembravano più bambini in gita scolastica, ma che al richiamo della rossa si bloccarono guardandola senza capire. Sanji teneva la testa del moretto sotto il braccio, che di suo tentava di disincastrarsi, mentre Usopp era abbarbicato sulle spalle di Zoro, fermato prima di travolgere gli altri due.
Tra ingiurie verso “quell’arpia di una rossa” e una pioggerella di cuoricini, una volta avvolti negli asciugamani e spiegata loro la questione delicata, la risposta fu di nuovo il mutismo generale. A esclusione dal diretto interessato.
« Ehi! Io non ci sto! » se ne uscì Rufy, incrociando contrariato le braccia al petto.
« Non hai voce in capitolo, ormai è successo » replicò l’anziana brusca, scaricando la questione con un gesto disinteressato della mano. « Se ti chiama, andrai da lei »
« No! »
Kamome saltò in piedi sullo sgabello per essere all’altezza del Mugiwara, puntandogli un dito contro, infervorata da tanta cocciutaggine.
« Sì, invece! Se lei ti chiama, accorrerai! Se ti ordinerà di strisciare per terra, lo farai! Hai capito!? Funziona così, ficcatelo in testa! » lo redarguì, ottenendo solo di farlo crucciare ancora di più, ma prima che potesse ribattere proseguì sprezzante. « In cambio adesso puoi tornare a nuotare in mare! Non hai più nulla da temere nemmeno in un naufragio! Vedi di essere contento! »
« Non farò proprio un bel niente di questo! » si ostinò il ragazzo, tenendosi il cappello con la mano per la foga di ribattere.
Lo sguardo di Kamome sfavillò, improvvisamente giovane nella ragnatela di rughe tra fronte e zigomi.
« Κτμα ς εί! » lo rimbeccò la vecchia Figlia del Mare, picchiettandogli tre volte il petto con l’indice come a volergli incidere sulla pelle la frase ben scandita.
Frase per cui si guadagnò un’espressione stranita e confusa da parte di tutta la ciurma.
« Dai i numeri obacchan? » interloquì Usopp, tampurellandosi provocatorio una tempia ed esibendo un sorrisino con cui avrebbe voluto sdrammatizzare la situazione. Ma tra l'anziana, rubiconda per il fervore di inculcare in testa al capitano la situazione, e il moretto che la guardava indispettito, nessuno rise.
La prima a riprendere la parola fu Robin.
« Possesso… per sempre? » tradusse automaticamente, sovrappensiero e con l'espressione di chi ancora non ha svolto tutti i bandoli della matassa.
« E ora questo che accidenti significa? » sbottò Nami, con la fronte contratta, ancora in piedi, le mani sui fianchi. Aveva scoccato un'occhiata a Kamome e Rufy, ma tra loro c'era una silenziosa battaglia a chi avrebbe ceduto prima.
« Significa che quella sirena ora possiede la volontà del vostro capitano. Per sempre » sibilò la vecchia Figlia del Mare senza distogliere l'attenzione da quella del futuro Re dei Pirati. Tuttavia il suo tono, inconsapevolmente, si era fatto grave, con una nota rassegnata che vibrava stonata mischiata all'atteggiamento avuto fino a quel momento.
« Nessuno può dirmi cosa fare » chiarì Rufy tenace, espirando dal naso.
La sua interlocutrice scosse la testa, arrendendosi.
« Forse » concesse, tornando a sedersi e dandogli le spalle. « Forse la tua ambizione sarà più forte. Ma non credere che il richiamo del mare sia un ordine a cui puoi semplicemente disubbidire. È... oh be', lo scoprirai quando sarà ora » lo liquidò, agitando la testa e il povero pennuto appollaiato sopra che non riusciva a tornare al suo perenne sonnellino. Poi la sua attenzione si concentrò sull'archeologa, a cui dedicò un'occhiata bieca e indagatrice. « Tu sai troppe cose, Figlia del Diavolo… anche una lingua morta che persino nel Regno del Mare conoscono in pochi. Dove hai imparato tutte queste cose? »
« Sono originaria di Ohara » replicò la moretta con uno dei suoi sorrisetti criptici guastato da una punta di malinconia.
Kamome scosse la testa mestamente, rinunciando in partenza ad altri discorsi sfibranti.  
« Quindi... adesso che si fa? » domandò Usopp, mentre il gruppetto era ancora tutto concentrato sul dialogo e le novelle poco liete di quel tardo pomeriggio che di caldo e tranquillo manteneva solo il ricordo. « Cerchiamo questa sirena? » azzardò, scorrendo l'attenzione da capitano, navigatrice, fino a tutti gli altri.
Rufy incrociò le braccia, la pelle umida e i capelli bagnati che profumavano di salsedine. Un sorriso in bilico sul diventare un ghigno si aprì sul suo viso giovane.
« Andiamo avanti » dichiarò sicuro, ignorando il sospiro di Kamome. « Rotta per la prossima isola! »

 
 
 
To be continued
 
 

 
 
 
 
 
 


Significato dei termini:
- Monster Trio: “trio mostruoso” è l’appellativo che si usa per Rufy-Zoro-Sanji.   
- Κτμα ς εί: dal greco antico (traslitterato in maniera spiccia “ktema es aei”), come dice Robin, “Possesso per sempre”. La locuzione è dello storiografo Tucidide il quale si riferiva alla sua “storia del Peloponneso” come a un possesso per l’eternità, a livello didattico. Qui ho ampliamente stravolto il tutto :D  
 
 
 
 
 
 
 
Note al capitolo & dell’autrice:
Dopo il capitolo scorso, questo è una mazzata nei denti per me. Ci sono passaggi che ancora adesso non mi convincono minimamente, ma è denso di informazioni e sentimenti da districare.
Il nostro Imperatore preferito, Shanks, continua a fare la guest star protagonista, prima reduce dalla nottata di fuoco con Ursula, poi a rivangare traumi del passato con un vecchio compagno. Non so come sembri a voi, a me non piace molto in diversi punti, ma l’ho riletto e tentato di sistemare così tanto che ci saranno più errori che cose giuste, sigh.
Tornano Jabber Jougen e sua nipote Clara con un po’ del loro passato che di roseo non ha un bel niente D:
Vengono nominati personaggi a valanga, vecchi e nuovi… piano piano vi racconterò ogni singolo dettaglio, anche il colore delle mutande. I più fantasiosi possono darsi alle congetture *love* (sì, anche sulle mutande)
Per concludere, il mio bel PLOT TWIST con i Mugiwara ;)
Vorrei davvero tanto tanto tanto sapere che ne pensate delle conseguenze di questo bacio tra Rufy e la sirena ^.^
 
 
Grazie come sempre a jillianlughnasad e Nic87 per il continuo sostegno! Spero di ricambiare adeguatamente!
Un grazzissime anche a mlegasy che sembra aver ripreso la lettura *.* 
A voi e a tutti gli anonimi lettori lascio la “fanart” (o collage?) di fine capitolo =D Una mattinata di photoshoppata a perdere XD
 
 
 
 
Note? Note!:
 
- Jabber Jougen, Becca Rice, Gaspar, Doragon…: e compagnia! Vi presento/nomino alcuni dei membri (vivi e morti :°( ) della ciurma di Roger! C’è qualche indizio qui e là, ma per adesso non sono rilevanti. L’intera discussione di Jougen e Shanks verte su Shirami, di cui si scopre qualcosina di consistente. Ex amico di infanzia di Roger a Rougue Town, ha sulla coscienza un po’ di gente… e altrettanta che gli vuole fare la pelle, anche se, per quello che si legge, ho voluto puntare molto sul “trauma” che la morte del Re dei Pirati ha sortito negli animi dei suoi ex compagni. Insomma, certi argomenti fanno maluccio da rivangare. Forza Shanks *love*
 
- Shanks: se nel capitolo scorso era stato un gioco da ragazzi muoverlo, in questo credo di dover capitolare. Non sono sicura di averlo reso bene, non sono sicura che siano chiare (in realtà manca un pezzo più o meno fondamentale) le sue scelte, soprattutto nei riguardi di Bryan e Bonnie. Shanks ha scelto di non sapere, di non approfondire le voci su di loro.
Nella mia visione della storia, anche se sono ex compagni, Shanks non ha tutti questi gran contatti con Rayleigh, Jougen o altri che, come spiega il vecchio Lingua Lunga, tengono sott’occhio la situazione. Ognuno per sé ormai, se capita di incontrarsi, ben venga.
Alla notizia sull’esistenza di una discendenza del Re dei Pirati di cui lui non era minimamente al corrente, il nostro Rosso decide di non credergli, o meglio, di accantonare la notizia. Per una serie di motivi blandi come “le trovate dei giornali”, o il “non riscontrare somiglianze con Roger”… e un altro motivo che per adesso rimarrà taciuto *love*
Detta così sembra molto superficiale come cosa, ma piano piano dipanerò anche questo punto.
 
- Benn Beckman: una nota solo per dire… che pazienza infinita quest’uomo! Non so se avete notato, ma lui in questo capitolo dimostra di saperla piuttosto lunga…! Sì, è proprio un tipo dalla bontà infinita.
 
- Mihawk: il suo momento arriverà molto più avanti (sempre che qualche epifania improvvisa non mi colga), ma della sua famiglia [qui si nomina il padre… oddei, come vorrei farvelo conoscere subito *w*] si parlerà ampliamente già nel prossimo capitolo (o in quello dopo? Sono un po’ confusa stasera).
Sì, capito bene… famiglia. E neanche troppo stretta.  
 
- Bacio della Sirena (parte II): c’entra, in una certa misura, il fatto che con Rufy questo bacio abbia funzionato mentre con Shanks no. C’è un perché ma, guarda caso, non posso dirvelo.
Comunque, torniamo al nostro Mugiwara preferito che ora è tornato a nuotare felice e… stop, perché spensierato lo sarà poco. Kamome è stata chiara: la sirena ha legato Rufy a sé e ora lui potrebbe diventare il suo schiavetto.
*voce stentorea da film* Riuscirà il nostro Cappello di Paglia a resisterle?! Eheheh…
Bando alle ciance. Questa scena di quasi relax mi è piaciuta abbastanza da descrivere, soprattutto i ragazzi ammollo nell’acqua. Mi mancano questi loro momenti!
Robin, infine, da sfoggio delle sue conoscenze… anche nel greco antico. Sì, lei è andata al Classico, non lo sapevate? ;)
Perché nel Regno del Mare alcuni conoscono il greco antico? (che precisiamo, in questa storia non si identifica col greco antico vero e proprio… è solo considerata una “lingua morta"). Ai posteri l’ardua conoscenza.
 
 
Con questo capitolo posso dichiarare conclusa la Mizu Arc de-fi-ni-ti-va-men-te! *sventola bandierina*
Salutate Kamome, salutate Matt… date un in bocca al lupo alla nostra Figlia del Mare, perché ora si passa alla “Port Red Jack Arc”, che in originale… doveva essere una cosina da niente, uno, due capitoli. Ora si è mangiata parte del plot, e ci ha fatto pure il ruttino, sputandone fuori casini e personaggi a cui proprio non riesco a rinunciare!
 
Rotta per la prossima isola! (cit.)
  
 
 
Bacioni!
Nene
 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo XVIII - Verso San Faldo ***


Heavenly Eve
(Gli Eredi)
 
 
 
- Capitolo XVIII -
[Verso San Faldo]
 
 
 
Marijoa,
sede del Reverie.
 
 
 
 
La risata di Ada Saimiri, rappresentante di Monky Cove, si spanse a macchia d'olio per tutta la sala.
Nessuno ne rimase immune, anche se la maggior parte dei nobili commensali dissimulò il proprio sdegno o i propri dubbi tornando alla colazione, ma in un silenzio che amplificò maggiormente l'ilarità dell'anziana.
Chamomile rimase con il cucchiaino del caffé a mezzaria, serrato in mano, tanto che per lunghi istanti alcuni uomini del suo entourage temettero avrebbe usato la piccola posata come arma da lancio. Ma il Vice Ammiraglio riprese presto un contegno, almeno nei gesti del corpo. Con calma ponderata si alzò dal tavolo e si diresse verso Saimiri, calcando volutamente sul tacco della propria gamba di legno nel tentativo di dissipare gli istinti poco magnanimi che le stavano montando dentro.
Si fermò davanti alla vecchia, nascosta dietro la prima pagina del giornale mattutino. Il pomello del suo bastone, con la scimmia che si tappava le orecchie, vibrò e gli occhietti smeraldini dell’animale brillarono per un fugace battito di palpebre. Il suono riecheggiante di una risatina trascendente la bloccò a fissare l’oggetto, ma senza cogliere nulla se non un pezzo di legno.
Il cipiglio della marine si corrugò ulteriormente, come le labbra strette. Si schiarì la gola.
« I quotidiani non sono ammessi durante il periodo del Reverie » riferì pacata, ma ogni parola alludeva alla sua poca pazienza stressata.
« Vi siete fatti fregare di nuovo! Da un ragazzino! » sghignazzò Saimiri da dietro le pagine, spiegazzate dai continui fremiti che animavano le sue mani, ignorando il rimprovero. « Cappello di Paglia abbatte il Toro Rosso! Akai Oushiza non era in lizza per la carica da Shichibukai? Con quel Moria in dubbio dopo la sua sconfitta… Ma anche stavolta ci ha pensato questa… come le chiamate? Supernova… » e attaccò di nuovo a ridere, facendo voltare più di una testa e tendere diverse orecchie sfacciate in attesa della replica dell’intermediaria del Reverie.
Chamomile respirò fremente dalle narici dilatate nel tentativo di non metterle le mani al collo.
La mancanza del caffè rimandato si stava facendo sentire.
« Non sono affari che devono riguardare questa seduta, Saimiri-sama. Mi consegni il quotidiano e non trasgredisca ulteriormente il regolamento »
La risatina della vecchia delle scimmie diminuì in rauchi singhiozzi, senza perdere la gaiezza.
« Infinocchiati da una D., anche piuttosto giovane… » proseguì a mezza voce, spianando sul tavolino la pagina incriminata in un cozzare di posate. Esibì ancora il suo sorrisetto saputo e irritante, ma le rughe della sua fronte si erano aggrottate seriamente. « Non fu per colpa di una D. che perdesti la gamba, mia cara? »
Oltre la rossa montatura squadrata, gli occhi della marine si contrassero di riflesso e un vecchio istinto la portò a stringere i pugni nascosti dai lembi del giaccone bianco. Le sue gote avevano perso un po’ del colorito rosato e la sua voce uscì bassa, come proveniente da un sepolcro.
« Non sono affari tuoi » sibilò, accorata e dimentica dell’etichetta. Qualcosa sembrò poi scattare nella sua mente, perché la sua rigidezza si attenuò, inquinata dal dubbio. « Come diavolo fai a saperlo? »
Le grinze sul viso di Ada Saimiri si stirarono seguendo la piega all’insù delle labbra.
« Mettiamola così… conosco la maggior parte dei possessori della D. e so quello che combinano » rispose in un sussurro enigmatico che solo Chamomile poté cogliere. Si espresse con nonchalance, come se l’argomento fosse un pour parler su amenità, nonostante il suo sguardo stesse perforando quello del Vice Ammiraglio, intendendo molto altro. « Nella famiglia Ada è un compito che si tramanda da… – si soffermò un attimo, falsamente meditabonda – diciamo da circa ottocento anni… »
Per l’intera sala il tintinnio della finissima porcellana Du Rossignol era cessato. Come una schiera di pettegole poco brave a mascherare le proprie intenzioni, regnanti e ambasciatori osservavano la scena cercando senza successo di carpire cosa le due donne si stessero dicendo.
Sul volto di Chamomile era in corso una battaglia di espressioni: indecisa se scadere nell’incredulo e nella curiosità, o semplicemente dare ascolto al buon senso e ritenere Saimiri una spostata. Finì col dare retta alla prudenza e richiamare il proprio sangue freddo, umettandosi le labbra.
« Che cosa stai blaterando? »
Ottenne una nuova cascata di risate dalla vecchia.
Alcuni dei più tesi in sala sobbalzarono; le loro tazzine ferme a mezzaria sparsero liquido bollente provocando imprecazioni di sottofondo e spezzando la tensione generale. Diversi dei presenti arrossirono bofonchiando qualcosa sulle rotelle arrugginite della rappresentate di Monky Cove, tornando al proprio pasto. I più giovani rimasero invece catalizzati dalla scena, senza preoccuparsi di essere sorpresi a fissare.
« Non è il luogo né il momento, troppe orecchie maleducate in ascolto » replicò Saimiri, liquidando la faccenda e allungando il giornale ripiegato verso Chamomile.
La donna non reagì, immobile nel sondare il viso dell’interlocutrice in cerca di risposte. Con uno sbuffò, la vecchia le venne incontro, a modo suo. « Non fare quella faccia, zucchero. Volente o nolente ci sei dentro anche tu e… a tal proposito, la tua D. sta bene. Eccentrico come al solito e poco ligio alle regole. Mi auguro non lo colgano in flagrante »
Il riferimento velato premette i tasti giusti e il Vice Ammiraglio fece un altro passo avanti, urtando quasi il tavolino. Si chinò su di esso, incombendo sull’anziana.
« … mio figlio? » sussurrò. « Stai spiando mio figlio? » riformulò con tono incisivo, strappando di mano all’anziana il giornale.
Saimiri fece spallucce, tornando alla sua macedonia di frutta.
« Rilassati Chamomile » sghignazzò divertita. « Il tuo ometto sa quel che combina e tu hai da badare a questa manica di stoccafissi del Reverie » la redarguì bonaria, offrendole uno spicchio d’ananas, che alla fine si mise in bocca riprendendo a cianciare. « Per esempio: perché non ci liberiamo di quella enorme seccatura del Pomposo Cancelliere Rishi? Ho visto che ci sono diversi sgabuzzini in giro per questo bel palazzo. Una botta in testa, due corde, e vivremo più serenamente il resto di questa pagliacciata »
Capita l’antifona, dopo l’uscita più consona a una adolescente che a un’anziana signora di alto rango, Chamomile prese tre decisioni.
La prima fu di quietare i nervi. O meglio, rinunciare a qualsiasi rappresaglia. Era inutile arrabbiarsi o impensierirsi per le parole di una squinternata.
La seconda fu un appunto mentale: approfittare delle sale benessere messe a disposizione per quegli imbellettati egocentrici e prenotarsi un lungo massaggio terapeutico.
Infine avrebbe chiamato suo figlio, giusto per mettersi l’anima in pace.
 
 
 
 
 
 
Il pigro scroscio della fontana al centro del Garden Sky sormontava di poco il tic nervoso del piede di Bibi sul selciato. La ghiaia scricchiolava sotto la suola dei suoi sandali blu, mentre il resto del suo corpo era bloccato in una posa rigida: le braccia serrate ai lati del corpo, con le dita che stringevano il bordo della panchina in pietra su cui si era seduta.
Era vestita di tutto punto, avendo lasciato la sala delle riunioni appena scattato il termine della seduta. La maggior parte dei partecipanti al Reverie in quel momento era in procinto di sedersi ai tavoli del pranzo, mentre lei era sgattaiolata da una porta finestra nel giardino silenzioso e solitario, attendendo con un certo nervosismo l’arrivo del suo complice.
Stava infrangendo una regola. Aspettava Pell, volato a recuperare una copia del giornale uscito alle luci dell’alba, per leggere con i propri occhi quanto aveva udito a colazione dall’anziana Ada Saimiri.
Era irrequieta, ma un sottile pizzicore di eccitazione stava tenendo a bada i sensi di colpa. Forse la sua esperienza nella Baroque Works aveva lasciato qualche traccia nel suo carattere, ma il pensiero fu accantonato quando sentì dei passi oltre le alte siepi.
Il cuore accelerò i battiti, mentre nella sua mente si ripeteva “Se fosse qualcun altro non stai facendo nulla di male. Sei qui a riposarti. Via quell’aria colpevole!”. Ma sapeva di essere rigida come un ciocco di legno.
Il sollievo la pervase, ma anche un misto di delusione, quando vide sbucare una nuvola di capelli color giada.
« Nia-chan! » esclamò, sciogliendosi in un sorriso un po’ stentato.
« Bibi-chan! Ti ho cercato ovunque! Hai sentito? »
La principessa di Alabasta la guardò senza capire.
Neptunia, ancora poco abituata ai propri piedi, la raggiunse alla panchina, sedendosi e massaggiandosi le ginocchia da sopra il vestito opale. Sembrava che l’affanno per arrivare e i pensieri che aveva per la testa avessero accantonato parte della sua estrema titubanza. Aveva le gote arrossate dallo sforzo a renderla ancora più carina.
« Non volevo… non è un comportamento appropriato… » iniziò esitante e imbarazzata « Ma ho sentito gli altri nobili parlare dei – abbassò di colpo il tono di voce in un sussurro, timorosa – dei pirati di Cappello di Paglia. I pirati che ti hanno aiutata… giusto? » aggiunse, improvvisamente preoccupata di un possibile malinteso.
Bibi annuì, sciogliendosi in un sorriso.
« Sono sul giornale! » continuò Nia infervorata da un senso di complicità totalmente nuovo per lei. « Ma il Vice Ammiraglio Chamomile li sta requisendo tutti per via del regolamento… » aggiunse dispiaciuta, come se fosse dipeso da lei l’eventuale cambio d’umore della amica per tutte quelle notizie.
L’ex Miss Wednesday le strinse le mani tra le sue, rassicurandola.
« Non ti preoccupare, sul serio » sorrise, mostrandosi tranquilla. « Rufy e gli altri sono certa stiano bene! Grazie di esserti interessata »
L’erede di SubAquaea si liberò del suo piccolo groviglio di ansia con un sospiro, ricambiando la stretta dell’amica e ridacchiando appena.
In quel momento, oltre le sue spalle, Bibi notò un movimento. Non si scompose né si allarmò, riconoscendo subito la presenza e facendo finta di niente.
Pell le fece un cenno col capo, silenzioso oltre le siepi. Stretto in una mano, all’altezza del petto, le mostrò il famigerato quotidiano.
Prima che Neptunia potesse accorgersene, la ragazza dai lunghi capelli azzurri tornò a prestarle la sua completa attenzione per ringraziarla.
« Sei stata molto gen- »
« Li conosci bene, vero? »
Neptunia si portò subito un palmo alle labbra, mortificata dalla propria domanda repentina e maleducata nell’interrompere l’altra. Tuttavia il suo sguardo sgranato non era di sorpresa o rammarico. Sembrava sull’orlo di molte, troppe altre domande.
« Perdonami, Bibi-chan! Non volevo essere sgarbata » farfugliò nel tentativo di riparare.
La ragazza scosse la testa.
« Ho viaggiato con loro per diverso tempo. Abbiamo affrontato diversi pericoli e avventure… sono brave persone » ma quando osservò l’espressione e l’assenso di Neptunia, e come si torturasse un labbro, Bibi capì che non era la risposta che la sirena aspettava. « Chiedimi quello che vuoi, Nia-chan » la incoraggiò.
« Ecco… »
Si poteva intuire la lotta interiore tra la sua curiosità e una martellante buona educazione a non impicciarsi.
« C’è qualcosa in Monkey D. Rufy che sta dando pensiero a mia madre » confidò stringendo in una mano le dita dell’amica, nell’altra la stoffa della gonna. « Lei ecco… non è sempre fredda e distaccata, ma è molto inflessibile, e… può dare l’idea che nulla le interessi e sia troppo severa… però – tentennò, fissando di sottecchi Bibi in cerca di un aiuto che non sapeva quale potesse essere – però quando ha visto il suo manifesto da ricercato ho notato qualcosa di molto diverso… sembrava… oh non lo so! » gemette piano, abbassando di colpo il viso e oscurandolo con i capelli. « Mia madre non ha mai guardato nessuno come la foto di Monkey D. Rufy! Era scioccata! Senza parole! Era triste! »
A quello sfogo repentino Bibi si trovò presa in contro piede. Cercò di scrollarla dolcemente per una spalla, per farle rialzare almeno la testa, ma senza successo.
« Nia-chan stai tranquilla… »
« Bibi-chan, non la conosci… c’è qualcosa che non va… »
« Hai… provato a chiederglielo? »
La sirena tornò a fissarla, con un sorriso mesto.
« Non lo ammetterebbe mai… è inutile… rischierei di farla arrabbiare con domande inopportune… »
« Ma sei preoccupata! Lo capirebbe »
Neptunia scosse la testa testarda.
« Scusami Bibi-chan, è stato scortese da parte mia comportarmi così. Sono solo una bambina »
« No! Aspetta! » e la ragazza la fermò accentuando la presa nella sua mano e guardandola così intensamente da farla ritrarre istintivamente. « Non ci conosciamo molto e non posso pretendere nulla, ma vieni da me ogni volta che vuoi parlare di qualcosa » il suo tono si ammorbidì insieme ai lineamenti del volto. « Vorrei diventassimo amiche »
La creatura del mare non seppe cosa replicare. Rimase a fissarla con ancora un velo di amarezza finché non inclinò la testa sulla spalla, guardando l’acciottolato in terra. La fontana d’acqua riempiva il silenzio con uno scroscio continuo e pacifico. Da oltre gli arbusti tagliati ad arte, Pell si congedò con un ultimo cenno in direzione della propria principessa, capendo di essere di troppo.
« Bibi-chan… vorrei chiederti un’altra cosa… se posso » mormorò flebile Nia dopo un po’, tornando a guardarla.
La principessa di Alabasta la incoraggiò a proseguire.
« Tuo padre conosce mia madre? »
La domanda cadde in un vuoto di sorpresa.
« Cosa? »
La sirena scosse appena la testa, ma poi riprese.
« Tuo padre… non fa che fissare in continuazione mia madre. Anche lei se ne è accorta… ma non come la guardano gli altri uomini! » si affrettò ad aggiungere, lasciandole andare con incertezza la mano. « Non so perché siamo qui… il Regno del Mare è sempre rimasto in disparte sulle questioni che riguardano gli uma… – si corresse all’ultimo – la superficie. Non mi sento a mio agio e mia madre… » la frase rimase in sospeso per un lungo istante in cui la sirena colse il peso di ciò che stava per ammettere. Come un punto di non ritorno, un confine che stava per travalicare e che le infondeva un immenso timore.
Fissò un’ultima volta Bibi, smarrita e insicura, prima di concludere con fragili parole.
« Mia madre… nasconde qualcosa »
 
 
 
 
 
***
 
 
San Faldo.
 
 
 
 
L’ennesimo sbuffo e l’ennesimo foglio che finiva svolazzante in terra.
« Nee, Nii-kiki, questa cosa è noiosissima »
« Dakota piantala, la tua voce è irritante »
« Non parlavo con te… e anche tu sei noioso, Baka-kiki »
« Non chiamarmi così! »
La ragazza lo guardò dall’alto verso il basso, seduta sull’angolo della grande e antica tavola in noce adibita a scrivania, arricciando provocatoria le labbra.
« Baka-kiki, Baka-kiki, Baka-kiki ~ » cantilenò in un motivetto crescente, dondolando la testa a destra e a sinistra.
La matita in mano a “Baka-kiki” si spezzò e un ringhio basso anticipò la minaccia incombente, sottolineata dagli occhi rossi oltre le lenti azzurre.
« Dakota – scandì con voce bassa e torva – azzardati a chiamarmi un’altra volta così… »
Lei sbatté gli occhioni dai forti riflessi aranciati, con aria perfidamente innocente, cogliendo l’invito.
« Ti verranno le rughe, Baka-kiki »
La promessa non andò a vuoto.
Il ragazzo biondo scattò in piedi, mandando all’aria le sue carte, le matite e la poltrona imbottita. Questa cadde con un tonfo sordo sul tappeto, mentre Dakota saltò agilmente sulla stessa porzione dov’era stata seduta, accovacciandosi scalza in posizione di difesa, benché il suo ghignetto la dicesse lunga sul dargliela vinta.
Un terzo giovane, stravaccato poco distante dal primo, non mosse un muscolo, continuando a dormire con il capo riverso oltre la spalliera della propria seduta.
« Kikikikiki » ridacchiò lei con scherno.
« Ti fracasso le ossa scimm-! »
La quarta e ultima presenza nella stanza si schiarì la voce, mettendo fine al teatrino.
Dominic Du Rossignol non alzò nemmeno gli occhi dai fogli in pergamena che stava vagliando, sistemandosi più comodo sul proprio scranno in legno dorato e imbottito di velluto blu.
« Rimettetevi seduti e completate le vostre liste, se non volete finire a pulire il salone di sotto » li avvertì con calma, facendo sbuffare entrambi, una per noia e uno per essere stato interrotto.  
Dakota ignorò la propria poltrona e i fogli sparpagliatisi per terra. Saltò e si appollaiò in cima al seggio dell’uomo, riprendendo a lamentarsi.
« Nii-kiki, io ho capito cosa devo fare. Sarò carina con tutti, non ruberò il portafoglio a nessuno – tranne a quelli che allungheranno le mani – e mi assicurerò che Maze non tocchi una goccia di alcool. Posso andare? Posso? » cinguettò speranzosa.
Lui sorrise, ma senza cedimenti alla sua levigata compostezza. Nonostante sul suo volto aristocratico ci fosse del divertimento, era tutto personale.
« Fa la brava e rimettiti al tuo posto. Vale anche per te, Milo. Non voglio intoppi per questa sera, quindi se manca qualcosa o qualcuno su quei fogli, voglio saperlo. Chiaro? »
Dominic non era un uomo che incuteva paura, tutt’altro. Posato nei gesti, calcolati ed eleganti come ci si aspetterebbe dal figlio di una nobile e prestigiosa famiglia, sapeva ribadire le cose con una pacatezza e un accenno così quieti che metteva ugualmente i brividi, anche a due teste calde come Dakota Bloom e Milo Hardy, i migliori tra i Raiders, di cui lui, dietro la facciata, era il Vice Capo.
Fu con nonchalance che diede un buffetto sulla testa alla sua scimmietta dai capelli rosa e poi le indicò la sua poltrona, invitandola un’ultima volta a fare quello che diceva.
Dakota sospirò sconfitta. Balzò al suo posto, mettendosi di traverso e raccogliendo due o tre fogli e la matita.
« A lui però non dici nulla » insistette la ragazza dopo un po’, indicando il terzo membro della combriccola, Maze, ancora dormiente col respiro a tratti pesante. Sembrava più un cadavere sbragato, se non fosse stato per il petto che si muoveva su e giù.
« Maze ha finito stanotte. Non riusciva a prendere sonno » replicò paziente Dominic, dando i primi segni di cedimento a quei discorsi nel massaggiarsi una tempia, ma senza perdere il filo dei suoi elenchi.
« Certo… è sobrio da quasi tre giorni » commentò schifato Milo, rivolgendo uno sguardo pietoso all’amico. « Che diavolo gli è preso? Ha deciso di smettere!? »
« Shiroi » spiegò Dakota con l’ovvietà che si usa con gli ottusi, roteando gli occhi. « Sa che sta venendo qui e non vuole farsi trovare… be’, nelle sue classiche condizioni »
« Che stai blaterando? »
La ragazza sbatté gli occhioni del colore delle fogli d’autunno con un sorriso melenso che diceva un chiaro “sei proprio un povero idiota miope”.
« Sto parlando della sventola dai capelli bianchi e le mèche blu. Quella che abbiamo incontrato con la sorella di Nii-kiki »
« Il Fulmine Bianco!? »
« Ci sei arrivato. Sì, lei. Gli piace. Non hai notato che Maze-kiki si è comprato una giacca nuova? » e nel dirlo, indicò il soggetto dei loro discorsi, che non si poteva definire un campione di moda. Indossava pantaloni in stoffa pesante con una fantasia a rombi rosso scuro e castana, infilati in vecchi scarponi da trekking slacciati. Il busto era coperto da una maglietta sbiadita verde militare sotto alla… Milo ci fece finalmente caso. Era così abituato a prestare poca attenzione all’abbigliamento di Maze, con indosso il solito vetusto bomber stile aviatore, che quella mattina non aveva notato la nuova giacca dal taglio più elegante. Sembrava l’avesse sottratta a qualche vecchio professore, con le toppe sui gomiti e il colletto color crema.
Lo sconvolto nello sguardo di Milo rasentò l’orrore, come se un pezzo di certezza del suo mondo fosse appena stato eradicato e sostituito da qualcosa che era fuori dal suo calcolabile. Capitava raramente che fissasse Dakota in cerca di un’alleata o di una fonte che smentisse la realtà tangibile. Tanto tangibile che le mani gli fomicolarono per la necessità di strappare di dosso quella sottospecie di tweed da tè inglese all’amico.
Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il suo dramma.
Un domestico in livrea nera si palesò sull’uscio, inchinandosi e non prestando attenzione al disordine, tra fogli sparsi e persone poco consone all’antichità e lusso della stanza, fatta eccezione per l’unico gentiluomo a cui si rivolse.
« Padron Dominic, sua sorella e le sue accompagnatrici sono arrivate » annunciò solenne.
Il Vice dei Raiders abbassò finalmente i fogli che lo avevano tenuto occupato fino a quel momento, stirando le labbra in un accenno di sorriso.
 
 
 
 
Palazzo Du Rossignol era costantemente curato e non sembrava dimostrare i suoi quasi cinquecento anni, tra ristrutturazioni e ammodernamenti degli ambienti. Lo sfarzo e il lusso erano le prime regole, seguite da una squisita dose di opulenta e sprezzante eleganza in ogni dettaglio.
Dominic spalancò le porte del soggiorno dove erano state fatte accomodare le sue ospiti. La sua espressione di composta gioia adornava la mascella forte e lo sguardo penetrante. Tuttavia, una sfumatura di disappunto gli increspò labbra.
Una risata ampia e colorata fu la risposta che ricevette alla sua muta domanda da una delle due donne sedute sul divano al centro della stanza.
« Heilà Dom! Se cerchi Fay è andata a cambiarsi nella sua camera. Era piuttosto… Shiroi, come l’avresti definita? » e nel dirlo, la rossa si rivolse alla compagna. Questa si portò le dita alle labbra per dissimulare una risatina priva di voce, per poi mimare con le mani qualcosa di vorticoso e caotico. « Sì, ecco, un uragano. Sembrava un uragano di malumore ed epiteti poco carini. Non ha risparmiato nessuno. Mi fischiano ancora le orecchie » concluse l’odalisca dalla pelle bruna, scoppiando di nuovo a ridere e mettendosi a proprio agio sul sofà.
Il padrone di casa sospirò teatrale lasciando cadere le braccia, per poi avvicinarsi con un rinnovato sorriso cordiale e di benvenuto. Si profuse in un baciamano a entrambe, da vero lord.
« Ziva, Shiroi, siete sempre un incanto » le lusingò e prima che la rossa potesse tornare alla carica, l’uomo si chinò di nuovo e le sfiorò la guancia sinistra, guidato da un istinto totalmente diverso dai precedenti modi distaccati. Le scostò i capelli, scorgendo qualcosa che non gli piacque: un cerottone color carne sullo zigomo.
« Stai bene? » mormorò con lo sguardo lontano e freddo.
Ziva agitò la mano, sbuffando e ridendo.
« Molto meglio di chi mi ha fatto questo. Ma lasciamo perdere le storie noiose! Ho sentito che stasera darai una gran festa! Ce l’hai riservato un invito? »
Dominic rise roco e composto.
« Mi sono permesso di farvi confezionare i costumi. Troverete tutto nelle vostre camere. Se ci fossero problemi non fatevi scrupolo a rivolgervi alle mie sarte, saranno liete di assistervi »
Shiroi, candida come il nome che portava, arrossì lievemente di una sfumatura rosata portandosi i palmi alle guance ed esprimendo un “grazie” con un dolce sorriso.
Ziva sbuffò esasperata, stiracchiandosi in un tintinnio di monili dorati. Era una donna dalla bellezza esotica, traboccante e a cui era difficile staccare gli occhi di dosso. La pelle di un tono caldo, gli occhi nocciola brillanti di malizia e un caschetto di crini cremisi che sembravano solo il primo invito alla sensualità delle sue forme coperte da un bedlah completo. Seni pieni e velati da un top prugna tintinnante di piccole monetine ornamentali; il ventre piatto era scoperto fino sotto l’ombelico, con piercing floreale, dove pantaloni şalvar ricamati con arabeschi in oro si stringevano alle caviglie.
« Aaah ~ servita e riverita. Ma perché non ho conosciuto prima te, Dom, della musona di tua sorella? » gemette buttando il capo all’indietro.
Come risposta alla sua lamentela, dal piano di sopra provenne un tonfo non meglio identificato, seguito da passi da elefante che fecero storcere le labbra truccate a Ziva.
« Quella sa sempre quando si sta parlando di lei. Fa paura »
« Mie affascinanti amiche » esordì Dominic dopo aver dato un’occhiata al dondolio del lampadario sopra le loro teste. I cristalli vibrarono tra loro come le conchiglie di uno scacciaspiriti al vento. « Credo di dovermi congedare dalla vostra squisita compagnia e andare a dare il benvenuto alla mia sorellina… »
« … prima che ti distrugga il palazzo » completò per lui Ziva, soave e gorgogliante. « Ci vediamo per pranzo, sempre che Fay non ti ammazzi due o tre volte a modo suo »
Il padrone di casa assentì divertito, inchinandosi e uscendo dal salone. I suoi lunghi capelli argentati, oscillanti nel nodo elegante sulla nuca, gli carezzarono l’ampia schiena fasciata nella giacca blu riccamente decorata, prima di sparire oltre la porta.
Il piano superiore era quello adibito alle stanze degli ospiti. Una dozzina di porte incastonate in cornici di stucchi e pareti affrescate davano sulla stanza rettangolare, forse la più spoglia ma non la meno sfarzosa. Un divano e una poltrona erano sistemate sotto i grandi finestroni che affacciavano sul Canale delle Perle, uno dei più ampi di San Faldo. La luce della mattina allungava le ombre degli infissi sui tappeti e le porzioni di marmo visibili del pavimento.
Dominic bussò all’unica porta dietro cui venivano rumori e un discorso che si consumava da sé.
Seguì un irritato « Va via! »
L’uomo socchiuse l’uscio, schivò il lancio di un oggetto sconosciuto con un movimento tanto fluido da sembrare normale e sorrise sornione alla donna in piedi in mezzo alla stanza.
« Che piacere rivederti finalmente. Quanto tempo è passato dall’ultima volta, Fayth? »
« Troppo poco » sbottò lei gelida, ma il vice dei Raiders pareva immune alle sue parole taglienti.
Quando Dominic si avvicinò a braccia larghe lei gli piantò un dito sul petto, tenendolo a distanza. Le maniche ampie della sua veste oro e rosso cupo accompagnarono ondeggianti i gesti secchi.
« Non ci provare! Mi hai incastrata! » strillò inviperita, e i suoi occhi topazio scintillarono di rabbia. Il fratello si massaggiò i timpani con pazienza. « Sapevi che non potevo rifiutare! Sei una carogna! »
« Permettimi di rinfrescarti la memoria sorellina: sei tu che mi hai chiesto aiuto »
Lei aprì la bella bocca rossa al limite dell’indignazione.
« Ti ho chiesto un favore! Non di ricattarmi! »
Dominic sorrise ampliamente, confermando senza remore le proprie colpe.
« Mi è sembrato l’unico modo per riuscire finalmente a godere un po’ della tua presenza » spiegò soave, anticipando le manifestazioni d’affetto stile punching ball bloccandole i polsi pima che lo colpisse. « Almeno le mie informazioni sono state utili a Craig? »
Fay tacque, liberandosi e incrociando le braccia in uno sbuffo di fiato e stoffa, fissando torva ma più calma il fratello dal basso, dai suoi poco caritatevoli dodici centimetri di differenza.
« Mi ha chiamata ieri sera » replicò stizzita. « Ha incontrato Ursula – inspirò l’aria neanche la stesse risucchiando con dolenza – tra cinque giorni riavrà la voce di sua madre »
Dominic si illuminò come il miglior principe dell’inferno di fronte a un’anima umana servitagli con dell’ottimo vino d’annata. Fay si sarebbe messa a singhiozzare di fronte a tanta malizia sbattutagli in faccia con quell’atteggiamento da affarista compiaciuto. Al fratello non importavano le beghe di Craig, ma solo i giorni che lei sarebbe stata costretta a fermarsi lì in attesa della fine delle trattative con la sirena.
« Questo è meraviglioso » la dileggiò per l’appunto, riuscendo a incastrare la sorella in un abbraccio in cui lei rimase rigida per dispetto. « Quanto tempo da passare insieme »
« Evviva » soffiò lei tra i denti, scostandoselo di dosso con fastidio. Gli rivolse un’altra occhiataccia perforante, degna della loro famiglia. « A differenza tua che ti dai alle feste e trafughi paccottiglia per i tuoi clienti malati, io ho un lavoro onesto e delle tabelle di marcia da rispettare! »
Dominic colse la palla al balzo, ridacchiando e coprendo la malefatta col dorso della mano.
« Sì, hai ragione, perdonami, non era assolutamente mia intenzione distrarti dai tuoi impieghi mercantili… Morgaine Aguillar. Ti fai chiamare così vero? »
L’ironia colpì la ragazza vergognosamente. Riassumeva in una semplice cadenza di tono quanto lo pseudonimo risultasse candido, sempliciotto, evidenziandone gli aspetti ribelli senza alcuno sforzo. Un incubo. Fay raddrizzò la schiena e racimolò i cocci della propria dignità messa a dura prova.
« Puoi anche smetterla di trovare tutto così divertente » ringhiò rischiando di mordersi la lingua.
« Aguillar? Aquila? Seriamente? »
« Suonava bene » ribatté lei poco convinta, ma riassumendo la sua espressione gelida e cupa come la cinta muraria di un castello. « E poi parli tu… Usignolo? »
L’uomo fece spallucce e allargò le braccia, come a intendere tutto il posto dove si trovavano.
« Touché… ma posso vantare nobili natali a mia discolpa »
« Sì, un’ottima copertura »
« Modestamente »
Il battibecco finì con una nuova rete di sguardi. Lui tranquillo e con il suo distaccato divertimento da gentiluomo e lei che sembrava si stesse trascinando dietro un carico ingombrante imponendosi di mantenere sempre un aplomb da cui non trasparisse nulla. Ma Dominic, anche se da quando sua sorella era nata aveva passato con lei un tempo non sufficiente per quelli che erano i loro legami di sangue, sapeva interpretare i suoi sguardi e i suoi gesti come ne avesse avuto un manuale in tasca. Così attese che fosse Fay a riprendere la parola.
« Non dovrei essere qui » esordì, per la prima volta cauta, ma sempre ammonitrice. Distolse lo sguardo, passando in rassegna il mobilio senza scorgerlo realmente. « Se qualcuno mi scoprisse… » il tono oscillò dal brusco a qualcosa che lei stessa non avrebbe accettato come timore. Così flebile che sembrava impossibile per una donna che all’apparenza emanava una sicurezza reverenziale.
« Non hai nulla per cui impensierirti » la incoraggiò con calore il fratello, stringendole le spalle tra i palmi. « Il massimo che qualche orecchio indiscreto potrebbero venire a sapere è che Dominic Du Rossigol ha tra le proprie conoscenze una splendida donna di nome Morgaine Aguillar – rise ancora, facendola imbronciare – ma non ci vedo nulla di male: i Torni Du Rossignol sfornano ceramiche e una bella mercante le esporta »
« La fai facile! Non hai problemi se qualcuno chiacchiera delle tue altre attività. Nessuno verrebbe a romperti le scatole! »
« Ce n'est rien, sœurette. Bocche maleducate e malevoli saranno tappate prima che notizie spiacevoli trapelino »
Fay lo guardò da oltre la spalla, senza accorgersi dei propri occhi sgranati.
« … ammazzeresti qualcuno? »
Il padrone di casa le si avvicinò, scrutandola con uno sguardo che sembrava andare molto al di là della sua figura.
« Condividiamo un segreto scomodo, piccola Fay. Sia per te sia per me. Anzi, ormai da qualche anno, sono diventati due » si corresse annoiato, massaggiandosi la tempia come aveva fatto un’ora prima per i bisticci di Dakota e Milo. « Entrambi abbiamo i nostri affari e non credo che tu ci vada tanto leggera con i ficcanaso, o sbaglio? È per questo che tieni al tuo fianco Ziva e Shiroi, no? »
La ragazza dai finissimi capelli come l’ala di un corvo era rigida, con la mascella contratta rifiutandosi di assentire alle domande, seppur retoriche, del fratello.
 Dominic fece una smorfia, umettandosi le labbra come se avesse potuto scacciare il saporaccio di quella vicenda.
« Anche se, a dirla tutta… » riprese ironico. « Fayth Mihawk suona molto meglio di Morgaine Aguillar »
« Potevi risparmiartelo » borbottò lei, dirigendosi all’ampia toletta. Si sedette sul pouf, riordinando la dozzina di boccette profumate e scatoline che vi aveva appoggiato sopra alla rinfusa quando, preda dell’irritazione per quella vacanza fuori programma, aveva iniziato a smontare i bagagli con frustrazione.
La prospettiva di rimanere incastrata in compagnia di suo fratello maggiore per cinque giorni le creava emozioni contrastanti.
E poi avrebbe dovuto parlare di fratellastro, visto che avevano iniziato a mettere i puntini sulle i.
Da parte di madre, Dominic era l’ultimo erede dell’aristocratica famiglia Du Rossignol, la più antica di San Faldo, e la cui produzione dell’omonima porcellana era la favorita a Marijoa.
L’unica macchia nera di Dominic, che negli anni egli stesso aveva, oltre che disprezzato, saputo anche celare sotto strati di mezze verità e documenti falsi, era la realtà riguardo al padre che condividevano.
Falco Mihawk. Uomo sfuggevole, pirata al pari di Gol D. Roger ed Edward Newgate ai tempi d’oro delle avventure e scorribande, innamoratosi follemente di Lunette Du Rossignol, giovane, caparbia, ma fragile di costituzione, figlia unica dell’omonima casata. Stroncata nel fiore degli anni, Lunette non aveva più potuto proteggere il figlio illegittimo, escluso dall’eredità e cancellato dall’albero genealogico come un deprecabile errore di giudizio.  
Fayth si fermò dal risistemare i propri cosmetici, guardando nello specchio la figura di suo fratello dritta e composta appostatosi alla finestra, paziente e in attesa di nulla in particolare.
Lei sapeva molto poco del suo passato, di tutti gli anni di differenza a dividerli. Falco era capace di passare ore a ricordare Lunette, decantandone la bellezza più luminosa della Luna con cui condivideva il nome, la dolcezza e la vitalità di un carattere ingabbiato in un corpo tanto delicato. Al contrario, Dominic serbava per sé, senza motivi di condivisione, una malinconia compagna di vita, mascherata e rinchiusa come una recalcitrante fanciulla disperata.
Dominic era il più grande tra loro tre. Se non ci fosse stato quello squinternato del loro genitore comune a ribadirlo, nessuno avrebbe collegato mai lei e Drakul a Dominic. O Dominic all’attuale famiglia Mihawk. Quest’ultimi caratterizzati da capelli bui quanto le ombre più scure al calar della notte e occhi rapaci, di una tonalità che faceva invidia a gatti e civette. Totalmente opposto era il Vice dei Raiders: serici capelli di un argento tale da rasentare il niveo e occhi azzurri, screziati di ghiaccio. Il taglio ferino e penetrante dello sguardo era probabilmente il tratto più distintivo dei Mihawk per cui riconoscerli.
« Qualcosa ti annoia, mia cara? Hai la fronte contratta »
La ripresa bonaria di suo fratello, giuntole alle spalle, la portò a incontrare il suo sorriso da Cheshire che nascondeva degnamente qualcosa. Non si volse a fronteggiarlo, ma continuò a fissarlo attraverso lo specchio, arroccandosi nella sua aria guardinga.
« Che stai combinando Dom? Ho sentito che stasera darai una festa »
« Oui »
Lo incalzò con un’occhiata ma lui fece spallucce.
« È un altro dei tuoi spacci da mercato nero? »
« Non è volgare mercato nero, sorellina. Si tratta di un’Asta »
Lei fece una smorfia.
« Un’Asta in costume? »
« Ho acquirenti che preferiscono l’anonimato, e dopotutto siamo a San Faldo » spiegò, andando verso l’armadietto dei liquori per versarsi del Cognac. Lo centellinò nel calice, prendendone un sorso per poi tornare dalla ragazza e al discorso. « Ammetterai che le maschere renderanno la “festa” più accattivante e godibile. Alcuni dei miei clienti farebbero meglio ad andare sempre in giro con la bautta » concluse esibendo una smorfia.
« Ci sarà anche il tuo capo, quel Dante? »
Qualcosa nel suo sguardo cambiò, ma si rifletté solo nel liquido all’interno del bicchiere, senza che Fay potesse coglierlo.
« No, credo che disgraziatamente si perderà questa occasione. Comincio a pensare che gli eventi mondani non facciano per lui »
« O forse è solo il più furbo di tutti noi e ora si starà godendo un posto tranquillo lontano da questa follia » finì demoralizzata la ragazza, intrecciando le braccia sul piano della toletta e affondandoci il viso con un sospiro avvilito.
« Ti arrendi troppo presto Fay » la rimproverò, offrendole del Cognac che lei rifiutò. « A proposito… gradirei che non facessi uso del tuo potere stasera »
« Vuoi togliermi il mio unico svago? » borbottò rimettendosi seduta normalmente. Una nota di sdegno le increspò l’angolo della bocca. « Ripensandoci, saranno per la maggior parte dei balordi con sogni indecenti »
« O segreti che è meglio rimangano tali » aggiunse lui, per la prima volta con un tono inammissibile di repliche.
Fayth si volse di scatto a fissarlo, sentendo sulla pelle quel cambiamento repentino e non più burlesco. Rispose all’avvertimento con la stessa espressione che Occhi di Falco usava per guardare dall’alto in basso chi osava importunarlo.
« Mi stai per caso mettendo in guardia? »
« Nessuno saprà di te stanotte, sei mia sorella e proteggerò la tua identità e i tuoi interessi a costo della mia attività. Ma promettimi di non incuriosirti dei miei ospiti e di ciò che nascondono. Perché da loro io non potrò difenderti »
Fayth fece per aprire bocca, ma lui la fermò con due dita, immobilizzandola con un’occhiata ancora più affilata della sua, che tuttavia si addolcì subito, come la mano che le andò ad accarezzare la guancia.
« So quello che stavi per dire. Sai badare a te stessa, e non lo metto in dubbio. Ma per stanotte, fidati di me. Ci saranno individui che con uno schiocco di dita potrebbero scatenare una guerra… e vorrei evitare succedesse nel salotto di casa mia. Fai la brava »
Terminò il discorso depositando un bacio sulla fronte contratta della minore dei Mihawk, incamminandosi poi verso l’uscita e raccomandandosi di provare l’abito per l’Asta prima di scendere alle dodici in punto per il pranzo.
Una volta rimasta sola, Fayth imprecò, passandosi una mano sul viso come poche volte le capitava di fare.
« Craig Durmstrang, giuro che ti farò scontare per l’eternità il favore che mi hai fatto chiedere! Maledizione! »  
 
 
 
 
 
***
 
 
Treno del Mare.
 
 
Ace si agitò nella giacca, trovandola scomoda. Con uno sbuffo strusciò la schiena contro il sedile cercando di levarsi la sensazione di prurito datagli dalla stoffa. Marco aveva insistito, ridendosela in quella sua maniera sorniona, che se voleva passare inosservato per prima cosa avrebbe dovuto, tanto per cominciare, nascondere il Jolly Roger del Babbo, o magari andarsene in giro vestito.
Il vecchio giaccone procuratogli dalla fenice era troppo ruvido per i suoi gusti, oltre che largo nei punti sbagliati e strettino sulle braccia. Si sentiva un idiota con i movimenti limitati.
Sbuffò di nuovo, e prima che il suo cervello elaborasse una soluzione, la mise in pratica per istinto: strappò prima una manica, poi l’altra, stiracchiandosi un attimo dopo nella rinnovata libertà dello smanicato.
Molto meglio, disse al se stesso nel riflesso del finestrino, salvo poi accorgersi di come ora spiccasse il suo secondo tatuaggio, ASCE. Ci passò una mano sopra, guardandosi intorno, ma il vagone era quasi deserto. Il controllore – e la sua aria poco convinta che l’aveva etichettato subito come una possibile magagna – era già passato e… niente.
Ributtandosi sul sedile con le braccia dietro la testa, Ace pensò soltanto che sarebbe stato un viaggio lungo e noioso. Cinque ore per coprire una distanza per cui con lo Striker ci avrebbe impiegato il doppio.
“Guarda il lato positivo… arriverai bello riposato per la tua donna!” aveva insistito Marco alle sue lamentele retoriche prima della partenza. Sapeva di averlo guardato con un’espressione passata prima dall’ammutolito poi allo sconvolto, ma il Primo Comandante gli aveva dato una pacca sulle spalle e lasciato perdere con le frecciatine, concludendo solo con un “Presentacela prima o poi! Sono curioso”
Ace ci pensò su, fissando il soffitto ondeggiante del treno, con il rumore cadenzato dello sferragliare, del motore a vapore e del mare in sottofondo. Non sbuffò più, ma sospirò.
Sarebbe stato bello presentare “la sua lei” al resto della famiglia. Gli sarebbe piaciuto portarla sulla Moby Dick e farle incontrare il Babbo e i suoi chiassosi fratelli acquisiti. In realtà, si crucciò, gli sarebbe piaciuto fare un sacco di altre cose, alla luce del giorno, senza nascondersi.
Si mosse di nuovo con fastidio per i pensieri e per l’imbottitura infeltrita a solleticargli la nuca. Poteva rimuginare su quell’argomento per ore, non sarebbe cambiato nulla. Così si piegò in avanti, sul sedile dirimpetto, e recuperò il proprio zaino.
Nel farlo, urtò la busta di carta datagli sempre da Marco e l’occhio gli cadde sul contenuto. Diffidente ma curioso – nonostante sapesse più o meno cosa ci fosse dentro – con una mano tirò uno dei manici per osservare meglio. Fissò l’involto di tessuto simil coccodrillo dei colori del tramonto, con fili dorati e scaglie cangianti della stessa tonalità. Sul lato alto della busta, adagiata sopra il resto, una maschera elaborata a muso di drago, con piume vivaci simulanti una cresta, gli rimandò il suo stesso sguardo curioso dalle proprie orbite vuote. Una strana sensazione gli attraversò la spina dorsale, ma Ace lasciò perdere, concentrandosi sullo zaino.
Rovistandoci dentro trovò quel che cercava e il sorriso gli si aprì più brillante che mai.
Cappello di Paglia abbatte il Toro Rosso, lesse ancor prima di finire di dispiegare il giornale. Lo aveva acchiappato al volo quella mattina dalla sportina di una signora troppo indaffarata col pescivendolo per accorgersi del furtarello, ma appena aveva visto il viso famigliare del fratellino non aveva resistito.
Leggiucchiò l’articolo saltando parole qua e là, cercando qualcosa di interessante su Rufy, ma al solito erano solo un sacco di frasi gonfiate e accusatorie, e finì col tornare ad osservare la foto della taglia. Era passato qualche mese dal loro fortuito incontro ad Alabasta. Da altre notizie scovate in giro, poco tempo prima Rufy era stato anche a Water Seven, sconvolgendo mezza città, oltre all’aver messo a soqquadro Enies Lobby. Si erano mancati per un soffio, il che era un peccato.
Ace era arrivato alla metropoli dell’acqua seguendo alcune misere soffiate su Barbanera. Dopo Alabasta, aveva fatto tappa per Yoga, venendo poi a sapere che Teach era a pochi giorni di viaggio, a Jaya. Tempo di arrivare e l’aveva mancato di poco, insieme di nuovo ai Mugiwara, partiti per il cielo da quello che due scimmie energumene e ubriache fradice gli avevano assicurato in un bar della città. Scettico, era venuto fuori che Rufy era davvero passato di lì e si fosse scontrato con un sottoposto di Doflamingo, Bellamy, lasciando evidenti segni di distruzione.
Tuttavia, l’assassino di Thatch gli era scappato, finché qualcuno non aveva riconosciuto la sua descrizione e l’aveva indirizzato nella zona di Water Seven, non rammentando il nome preciso dell’isola che aveva sentito nominare dalla sua cricca.
La ricerca di Barbanera era poi stata messa da parte nel rivedere Marco, e infine nel ricevere l’invito per una festa in maschera a San Faldo.
Una parte di lui non avrebbe voluto tutte quelle distrazioni; la stessa che ancora, a distanza di mesi, bruciava dal desiderio di vendetta per la morte di Thatch. Ma ad arginare il suo incaponimento, c’era il dubbio. Un dubbio che non gli apparteneva ma che sembrava gli stessero insinuando a forza. Il dubbio che qualcosa non sarebbe andato come prevedeva.
Marco lo aveva messo in guardia. Lui era stato il primo restio a farlo partire, seguito poi da Vista, Fossa, Jozu e persino Izou. Sapeva che era difficile dirgli qualcosa quando si impuntava; riguardo quanto successo a Thatch era già tanto che non avesse dato in escandescenza, letteralmente, ardendo la nave. Era tra i più giovani a bordo, di certo il più giovane tra i capitani, e il senso di ingiustizia era qualcosa con cui combatteva fin da piccolo. Il Babbo non aveva fatto troppe storie quando aveva deciso di partire. Non era convinto, sembrava che nella sua mente stesse combattendo una battaglia di opinioni, ma la prematura sorte toccata a Thatch tacitasse il resto.
Marco di tanto in tanto lo chiamava, per sapere come se la cavasse, per dissuaderlo blandamente dai suoi intenti, tornare e riorganizzare un’altra spedizione alla ricerca di Teach. Non da solo, era il punto. Perché Barbanera era imprevedibile, era scaltro, e la sua prepotenza era proporzionale ai suoi segreti e propositi, ciò che pareva dare più pensiero alla fenice.
”Thatch non era uno sprovveduto”, gli aveva raccontato una delle sere in cui aveva cercato di convincerlo a tornare nello Shinsekai. ”Era un idiota, ma non uno che cogli alle spalle tanto facilmente”, aveva proseguito con voce calma e lenta, come se avesse avuto l’immagine dell’amico davanti a distrarlo.
Il succo del discorso era fargli capire che probabilmente un attacco aperto, un attacco alla Pugno di Fuoco, che non si guardava mai intorno, non avrebbe funzionato.
Ace si era risentito nell’essere criticato, ma la voglia di ribattere era stata soppiantata dalla confusione nel fiutare distintamente il timore di Marco, nonostante la fenice avesse fatto l’intero discorso senza tentennare.
In fine si era intromesso perfino Shanks.
Il treno fuori continuava la marcia serrata, sollevando bordate d’acqua salmastra, mentre Ace stringeva i bordi del giornale, fissando il sorriso del suo fratellino.
Non aveva nulla contro il Rosso, anzi, se la situazione fosse stata diversa – molto molto diversa – avrebbe avuto piacere di rivederlo. Ma venire a sapere da terzi che proprio lui era andato dall’Oyaji a discutere della pericolosità dell’impresa in cui era impegnato… be’, questo lo aveva irritato, e non poco.
Aveva la sensazione di essere trattato come un ragazzino preda di un colpo di testa.
Alcuni della ciurma avevano riferito parti del discorso, sconcertati nel sapere che le tre cicatrici distintive del Rosso fossero state provocate dallo stesso uomo macchiatosi del delitto di Thatch. Shanks non si era dilungato – dall’espressione del Babbo, sempre da quanto riportato, lui ne sembrava al corrente – ma era stato molto serio nel ribadire quanto Ace avrebbe dovuto essere cauto. Che non fosse un’impresa per lui.
Portuguese accartocciò il giornale nervoso, fissando fuori dal finestrino. Non riusciva a stare fermo. A pazientare, a non fremere ai ricordi della mattina in cui Thatch era stato trovato.
Ma quei dubbi, come gocce d’acqua nella pietra, avevano scavato il muro delle sue convinzioni, inquinando la certezza di dare a Marshall Teach l’equa punizione per il suo crimine.
Tentennare in un’impresa non era da lui. Non temeva la morte, ma la preoccupazione altrui come il più fastidioso dei rimorsi. Se all’inizio si era adirato nel subodorare quel “non sei all’altezza”, a lungo andare le parole di Marco lo stavano convincendo alla cautela. E cautela per Ace significava fermarsi e ascoltare il compagno più grande, per cui nutriva un rispetto pari solo al Babbo, e lasciar crescere il dubbio, che da un seme si era radicato abbastanza da avvolgersi intorno alla sua fermezza e fargliela vedere più come un’ostinazione capricciosa.   
Si scompigliò i capelli, buttando fuori l’aria in una mezza parolaccia.
La fenice aveva anche avuto la faccia tosta di dirgli di svagarsi quella sera e lasciarsi alle spalle i pensieri, così che magari la sua bella avrebbe contribuito a dissuaderlo.
Che situazione penosa, i segreti, pensò scivolando mollemente sul sedile e infilandosi le mani in tasca. Con le dita urtò qualcosa di cui non aveva sentito la presenza prima. Estrasse un foglietto ripiegato, vergato da Marco, da cui cadde un quadratino di plastica spesso e morbido.
“Sai come si usa, no? Buon divertimento. Ps: gli altri sono nella busta sotto al costume”
L’ultima imprecazione di Ace risuonò per il treno molto simile a un ululato.  
 
 
 
To be continued?
 

 
 
 
 
 
 
Note rapidissime (prossimamente aggiornate):
Salve, buonanotte, è tipo tardissimo. Dopo parecchio torno ad aggiornare: ho preferito prendermi un bel periodo di pausa, di fuga, e nel frattempo ho scritto 3 capitoli e mezzo, togliendomene tra l’altro due in particolare che be’ mi davano davvero tanto pensiero ma che alla fine mi hanno regalato una discreta soddisfazione.
COMUNQUE! Allora, in questo capitolo sono tornati alcuni personaggi del Reverie (sì, è una barba…!), e ne sono arrivati di nuovi, tra cui i Raiders e finalmente Dominic in persona, per finire con Ace *love*
Ho buttato giù un albero genealogico tutto mio della famiglia Mihawk, che amo: Drakul di per sé è *terminicensurati*, a cui ho aggiunto un fratellastro (Dom) e una sorella (Fayth)… oltre che un padre… Falco Mihawk, una prima compagna e una seconda. Insomma, un sacco di gente!
Detto queste cose inutili e sconclusionate, prossimamente vedrò si risistemare le note come al solito, con le spiegazioni certosine da badilata nei denti.
 
Grazie a Gwyn e a Nic87, vi adoro *love*
 
A presto,
Nene

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Capitolo 21
*** Capitolo XIX - L'Asta (Prima Parte) ***


- Capitolo XIX -
[L’Asta]

 
(Prima Parte)
 
 
 
A Spiga Rose,
che ha donato un volto meraviglioso
a Raven e Lambert,
e fa il tifo per loro
 
 
 
San Faldo,
La Città del Carnevale.
 
 
 
 
La luna era alta nel suo primo spicchio crescente, fulgida oltre le languide nuvole vagabonde nel cielo. Dabbasso, le luci della città color ciliegia, mirtillo e zafferano illuminavano i palazzi, i ponti e le rive dei canali tingendo l’acqua di arcobaleni notturni. I cittadini e gli avventori di San Faldo passeggiava senza fretta nell’abbigliamento tradizionale, mascherati e sfarzosi, in sfumature sgargianti che rendevano la scena vitale e pittoresca; il via vai delle gondole scorreva al loro fianco in un traffico fluido e dal chiasso soffuso.
Dall’alto di un balcone di hotel, un uomo osservò l’atmosfera sottostante senza riuscire a coglierne la bellezza. Indossava anche lui un costume, semplice nell’insieme quasi formale di cravatta, camicia, gilet e giacca lunga di un lanoso color panna. Lo sguardo vagava sui volti sottostanti coperti e agghindati, sui ventagli e i cappelli esagerati, sulle onde cupe sotto i moli e infine sull’enorme Palazzo Du Rossignol.
Una reggia sulla sponda occidentale del Canale delle Perle, davanti a lui, ammirata da tanti che passavano e pronta a sua volta per una festa.
La calma apparente mostrata nell’osservare il panorama si infranse, colpita dall’ennesimo rimuginare come un sasso scagliato contro la superficie di un laghetto. 
« Non dovremmo essere qui! » sbottò in un crogiolo di fastidio, dubbia fermezza e stizza. Rimuginarci tutto il pomeriggio, in attesa, aveva esasperato il suo umore già sulle spine per conto proprio.
Diede le spalle alla mondanità, rientrando dalla porta finestra e i vetri tremolarono al suo calpestio sul cotto. Marciò all’interno della stanza affrescata, fermandosi davanti al letto matrimoniale e ai vestiti buttati sopra alla rinfusa. Un giaccone bianco con ricamato in oro Giustizia spiccava abbandonato tra intimo, vestaglie e altro.
« Se qualcuno lo venisse a sapere passeremmo guai a non finire! » sbraitò di nuovo. « Non è un gioco, dannazione! … MI STAI ASCOLTANDO!? »
Il mh mh venne dall’altra parte del paravento, con tutta la convinzione di chi ha già sentito blaterare lo stesso discorso una dozzina di volta nell’ultima ora.
« Domani dobbiamo presentarci a Marine Ford entro mezzogiorno! Neanche se partissimo adesso faremmo in tempo! Che scusa vuoi inventarti stavolta!? »
« Nessuna ♪ » cantilenò la voce, lanciando un altro indumento sul copriletto. « Domani saremo davanti a Sengoku o chicchessia in tempo per il pranzo »
« Com- »
« Oh andiamo, Kokochan, basta con quest’ansia! Abbi un po’ di fiducia in me ogni tanto! Ho portato Deimos e Phobos, torneremo con loro, non hai nulla di cui preoccuparti. Cerca di goderti la serata! »
Seguì un silenzio da film western.
I due corvi tirati in causa gracidarono un assenso diligente e annoiato, appollaiati su un trespolo a osservare la scena con occhietti che la sapevano lunga.
« Ricordi l’isola di Aska? » chiese dopo un po’ “Kokochan” in tono trattenuto, piantandosi davanti al separé in legno decorato con gli stessi fiori dai petali rossi del mobilio circostante e che lo stavano incitando alla violenza con il loro colore vivido.
« Mmmh… sì »
« E Vira? »
« Certo »
« Partia? »
« Chi se la dimentica quell’isola… ehi, aspetta, tecnicamente quella volta non è stata colpa mia! Kokochan stai rivangando eventi passati e finiti! Non hai ancora imparato a non portare rancore? Ti fa male al fegato! »
« Quella volta- gracchiò il diretto interessato, ignorandolo - è successa due settimane fa! Dici sempre lo stesso: fidati di me! Non ci hanno puniti solo perché con il tuo bel faccino… »
« Grazie del complimento ♥! »
« … fai credere a tutti che tu non c’entri nulla! »
« Insomma! A Partia io non ho fatto nulla! Sono loro che mi han- »
« SIAMO MARINES! E STAI PER TRASCINARCI IN UNO DEI TUOI SOLITI CAPRICCI! »
« Capricci!? » sbottò allora la voce oltre il paravento. Il fruscio della stoffa divenne frettoloso, accompagnato dal tintinnio di perline. Pochi istanti dopo la figura venne fuori in tutto il suo turbinio di chiffon e trine, tenendo la gonna con le braccia per non inciampare a causa della concitata indignazione. « Per te la mia volontà di trovare un modo per liberarsi una volta per sempre dalla minaccia dei pirati è un capriccio!? Se siamo qui è per una giusta causa! »
Kokochan, il cui vero nome era Lambert Kohitsugi, sergente maggiore, rimase senza parole.
Il sapere che stavano per prendere parte a un galà in maschera e che, per evitare di essere scoperti, avrebbero dovuto fare sfoggio loro stessi di costumi appropriati, non lo salvò dall’arrossire furiosamente… dimenticando completamente il discorso.  
La gonna, che lo costrinse a retrocedere fino a sedersi sul letto, era a strati di tulle irregolari di un nero profondissimo. Anche se trattenuta era ingombrante tanto quanto lo sproloquio in atto, ma le sue orecchie non registravano. Fissò la parte superiore dell’abito, fasciante il busto in un pezzo unico lavorato a merletto e impreziosito da perline e paillette che davano luce ed eleganza alla cupezza d’insieme. Il corpetto saliva poi fino ad abbracciare il collo in una collaretta da cui dipartivano veli ricamati, svolazzanti come ali di corvo, poi ripresi ai polsi.
Era uno spettacolo. Uno spettacolo che lo lasciò senza fiato e con la bocca asciutta.
Ma per un unico, fondamentale particolare, su cui tornò con gli occhi.
« … hai un reggiseno imbottito » sindacò sconcertato.
« Ah be’, grazie, Kokochan, è l’unica cosa che riesci a dirmi? Non so, “stai una favola, Raven-chan!”, tipo? »
« Sei indecente »
Raven sbuffò, riavviandosi i capelli lunghi e lisci, facendo ricadere tutti i livelli di stoffa al loro posto. Gli diede le spalle, blaterando cose incomprensibili, e si mosse a proprio agio per raggiungere la specchiera e darsi gli ultimi ritocchi.
« Ci metto tanto a prepararmi per farti piacere e questo è il tuo modo di complimentarti »
« Non te l’ho chiesto io di metterti addosso quella roba da principessa! » rimbeccò il sergente quando si riebbe, punto sul vivo.
« Davvero sembro una principessa ♥ ? »
Ignorando quel belare auto compiacente, un ingranaggio nel cervello di Lambert gli ricordò in che razza di situazione si trovasse. E con chi. « Raven, in nome della decenza! Non puoi andare in giro così! »
« Stasera non sarò Raven, ma mademoiselle Charlotte Crawford – sembra che certi vezzeggiativi piacciano parecchio al Signor Dominic » cincischiò passandosi il fard sulle guance. « Ad ogni modo, cerca di non sbagliarti a chiamarmi, o finiremo nei guai » puntualizzò con un ghigno sadico, voltandosi a lanciare un’occhiata trionfante al ragazzo dai capelli bianchi.
Lambert capitolò nascondendo il volto tra le mani.
Sarebbe finita male.
Molto male, già se lo sentiva.
Li avrebbero scoperti, in quel covo di delinquenti in cui stavano andando a cacciarsi. Nel caso fossero sopravvissuti a pirati e criminali, ci avrebbero pensato i loro superiori a punirli, ed era certo che lo avrebbero degradato a mozzo lava gabinetti a Impel Down, nella migliore delle ipotesi.
Dubitava fortemente che quella volta il visino innocente di Raven avrebbe sistemato la situazione.
Raven che, di nuovo, non badava all’etichetta, ai ruoli e al pudore.
Raven che se ne fregava di essere un maschio e non perdeva occasione per dimostrare quanto la cosa fosse effimera e riduttiva, per lui.
Raven, il cui vero nome era Sage D. Dashiell, Capitano di Vascello della 69a Sezione – e sua croce da anni.
Lambert lo sapeva che quella sarebbe stata la notte in cui avrebbe rimpianto il giorno in cui non aveva dato retta alle voci di corridoio e aveva accettato il trasferimento sotto l’ala di quell’eccentrica, immorale e bisbetica giovane promessa della Marina. O sarebbe stata la notte in cui lo avrebbe strangolato una volta per tutte.
Di certo, le ore che lo separavano dall’alba sarebbero state dense di una lunga agonia.  
 
 
 
 
 
Palazzo Du Rossignol,
loggia posteriore.
 
 
 
Il dondolio della gondola si interruppe quando si accostò al piccolo molo silenzioso e appartato. Il Canale dell’Usignolo era deserto e dall’aspetto dimesso: si trattava di una via privata per il personale di servizio del Palazzo sovrastante, sebbene l’illuminazione fosse fioca, quasi romantica, o – come intuì la donna con un sorriso – adatta ai traffici sottobanco dei Raiders.
Sistemandosi il mantello nell’alzarsi, tirò fuori i berry per il trasporto, ma il gondoliere declinò con un segno del capo basso, indicando poi la figura che la stava aspettando sotto il portico. Lei indugiò, col cappuccio a celare la maggior parte del suo viso. Ringraziò il taciturno barcaiolo, osservandolo mentre se ne andava nella quiete eterea dello stretto canale.
Quando si volse, adocchiò l’uomo al riverbero di una delle torce del portico, in attesa senza alcun segno di fretta. Il suo breve sorriso compiaciuto fu un benvenuto che sentì le fosse mancato.
« È un piacere rivederti, Eve » la salutò Dominic. Senza attendere una risposta, la prese per una mano e l’attirò vicina, mentre l’altra scivolò a sorreggerle la schiena in un casquette che portò i loro visi pericolosamente vicini. Due dita fermarono l’avanzata delle sue labbra.
« Dom! » lo blandì lei, anche di fronte l’espressione crucciata ostentata dall’uomo, che per tutta risposta le baciò le dita con lo stesso trasporto con cui avrebbe catturato la sua bocca.
Eve sospirò, condiscendente.
« Ne abbiamo già parlato »
« Speravo avessi cambiato il tuo pensiero, mon amie. Non ci vediamo da così tanto » sussurrò lui, continuando ad abbracciarla e lasciandole un bacio sulla guancia. « Mi sei mancata » continuò al suo orecchio, ispirando il profumo del suo collo e dei capelli.
« Le tue mani parlano per te – ne pizzicò una che stava sfuggendo oltre la curva della propria schiena – e non ho cambiato idea. Ma grazie per l’invito di stasera »
Dominic si ritrasse, allentando il contatto ma solo per levarle verso l’alto un palmo e accompagnarla in una piroetta. Eve rise divertita e sorpresa dal gesto. Lui la osservò con occhio critico, mentre il mantello leggero si sollevava e lasciava intravedere il costume da pavone.
« Non dirmi che hai trovato un nuovo amante! Sono pronto a sfidarlo! » sindacò riprendendola tra le braccia, intrecciando le dita sulla sua schiena e lasciando ben poco spazio tra i loro corpi agghindati a festa. La donna non perse la leggera ilarità, appoggiando a sua volta i gomiti sulle sue spalle e pettinandogli la lunga coda di capelli argentei in pigre carezze.
« No Dom, nessun nuovo amante, davvero »
« Hai forse incontrato l’uomo che ti ha rubato il cuore, ma petite Eve? »
Con divertimento, la mora rise, le fossette ai lati della propria bocca ben evidenti.
« … non dire sciocchezze » si limitò a mormorare, fuggendo il suo sguardo per osservare i bagliori e i colori che si intravedevano alla loro destra, oltre le ultime arcate della loggia. Il vice dei Raiders le sfiorò la guancia con le labbra, per poi scendere sulla gola. La donna lo lasciò fare.
« Continui a fuggire » le mormorò senza smettere con le effusioni.
Eve non raccolse, abbassando lentamente le palpebre e controllandosi perfettamente. Era storia così vecchia che il suo corpo neanche più si irrigidiva a pensarci. Tuttavia il silenzio bastò a Dominic per capire che le provocazioni le sarebbero rimbalzate addosso, e lui di certo non avrebbe trovato diletto nel continuare a parlare di un altro uomo.
« Torniamo per un po’ a Heaven Ville, che ne pensi? Ho bisogno di una vacanza »
« Che faccia tosta! Ti vuoi approfittare dell’ospitalità dei miei parenti dopo che Skie ti ha pescato a rovistare nei tesori di famiglia!? »
« Il tuo nobile zio non comprende la differenza tra un ladruncolo e un estimatore »
« Sei entrambe le cose »
« Questo mi ferisce »
« Credo stia per accadere qualcosa »
I loro sguardi si incrociarono diagonalmente e l’uomo capì che non avrebbe sortito l’effetto sperato dalle proprie effusioni.
« Parli di quella testa calda dell’Erede? » si informò stancamente, separandosi definitivamente ma prendendole la mano per condurla attraverso il porticato. « Non andrà lontano se combina un altro carnage del genere »
Come un manifesto ormai affisso nella propria testa, Eve rivide il giornale con la notizia che accusava pesantemente Gol D. Bryan della strage alla Marina. La sua mascella si contrasse sotto il flusso di presentimenti che ancora non avevano avuto una conferma.
Avvertì le dita di Dominic stringere le sue appena un po’ di più per richiamarne l’attenzione.
« Hai ragione » assentì la mora vagando ancora tra i pensieri. « C’è di più… c’è qualcosa che mi sfugge… »
« No, no, no Eve » la interruppe vezzoso, prendendole il volto tra le dita. « Le preoccupazioni non si addicono al tuo viso, ma chérie. Se ti venissero le rughe il tuo prezzo di mercato scenderebbe »
Eve storse la bocca, incredula per un secondo di troppo. Con un sospiro esasperato – sotto sotto divertito – si liberò dalla presa, puntandogli gli occhi dorati addosso con quella che sperava fosse indignazione. La verità era che i loro sorrisini giocavano a chi avrebbe ceduto prima. 
« Ora mi ricordo perché ho preferito chiudere la nostra relazione » puntualizzò, incrociando le braccia per mascherare il contegno cedevole. « Per non ritrovarmi dal giorno alla notte venduta a qualche maniaco depravano per colpa tua »
« Kufufufu… mon trésor, sai che non lo farei mai. Come opera d’arte ti considero mia » ridacchiò elegantemente, portandosi la mano chiusa alle labbra per contenere la propria ilarità. « Nessuno – e lo disse in maniera così affilata da sembrare si riferisse a qualcuno in particolare – dovrà mai vantare un diritto simile »
Il brusio delle chiacchiere dalle vie adiacenti i canali aleggiava sotto il portico, mentre si apprestavano al portone secondario di Palazzo Du Rossignol e si lasciavano alle spalle la banchina desolata. Eve, fissando i lineamenti di Dominic, la sua persona, si estraniò tornando con la memoria a quando si erano conosciuti, più di quattro anni prima. Uno strano sentimento le si stava rimescolando tra la gola e lo sterno. Ma quello che la sua mente ricordò davvero fu un altro volto, un volto che cozzata talmente con ciò che la circondava da farla ghignare amaramente. Quella persona avrebbe disdegnato tutto di ciò che lei era diventata, per necessità; non c’era bisogno di farsi illusioni.
Sbatté le palpebre un paio di volte, ricacciando ogni frammento in fondo, negli anni passati che nessuno le avrebbe mai restituito, e tornò  alla sua simulata stizza per essere stata paragonata a un oggetto.
« Non hai perso la tua verve macabra » ribatté leggera, asciutta da qualsiasi incrinatura potesse far sgocciolare pensieri che poco avevano da spartire con la serata. Con la sua vita attuale.
« Così mi offendi » e nel mugugnarlo le offrì il braccio in segno di pace.
Con quell’ultima battuta si lasciarono la notte alle spalle, entrando nella residenza e nei fasti stile Rococò adornanti gli ambienti. L’impressione era quella di addentrarsi in una reggia degli anni d’oro del Re Sole, nonostante si trovassero in un semplice corridoio di servizio, ma arredato tale e quale a qualsiasi altra stanza, non dando minimamente l’impressione del suo reale utilizzo. I tappeti erano morbidi e puliti, gli specchi, i quadri e i candelabri convertiti tirati a lucido senza un’ombra di polvere sull’oro che li impreziosiva.
« Non vedere come una scortesia il mio averti fatto entrare dal retro. Volevo qualche minuto da solo con te »
« È una premura sprecata con me, lo sai. Sarai molto occupato stasera? »
« Temo di sì, mon amie. Ma ho visto che hai aggiunto all’invito un più uno » rammentò, inarcando le sopracciglia. I suoi occhi azzurro e ghiaccio brillarono curiosi.
« Le tue feste sono buone occasioni per incontri clandestini »
« Vive les masques! » esclamò divertito. « A tal proposito… »
Salirono una rampa di scale e si fermarono davanti una porta a doppio battente verniciata in bianco e decorata con foglioline dorate.
Dominic si spostò alle spalle della sua ospite e lei sciolse il nodo che teneva il suo mantello, permettendogli di raccoglierlo e appenderlo a fianco l’uscio. Nel frattempo Eve si sistemò con cura la maschera che completava il suo costume da Pavone, affusolata a formare un piccolo becco dorato sul naso. Morbide piume dell’uccello formavano una corta ruota tutt’intorno, e piccole gemme verdi e blu adoravano i contorni arabescati d’oro.
« Mia Era » disse Dominic con un sospiro soddisfatto nel vedere come il vestito sceltole delineasse il corpo e le forme piene facendola splendere al pari di una dea. Eve cominciò a sentirsi a suo agio col volto coperto.
Da un tavolino al suo fianco prese la maschera candida appoggiatavi sopra, decorata per ricordare il muso di un Ermellino. L’uomo si inchinò, braccia a riposo dietro la schiena, permettendole di annodare i nastri.
« Questa cosa è divertente » ridacchiò Eve, quando entrambi si fissarono nelle loro vesti animalesche.
« Qualcuno che apprezza le mie idee finalmente » sospirò lui ma senza traccia di rammarico. Con gesto sicuro aprì la porta del corridoio e la musica li raggiunse in una carezza sinfonica di archi e fiati.
La donna si mosse guidata dalla curiosità, sotto lo sguardo attento del suo anfitrione, raggiungendo con passi rapidi la ringhiera del ballatoio scarsamente illuminato. Si trovavano nella posizione più alta per osservare il tripudio di colori e luci del salone sottostante. Giganteschi lampadari di cristalli scendevano dal soffitto e sotto di essi gli invitati si muovevano nei loro costumi dalle tinte di piume, pelli e manti ferini, chi danzando, chi intorno ai buffet e chi appartato negli angoli a bisbigliare con occhiate poco fiduciose.
I pirati rimanevano pirati, anche con un costume a festa.
« A quanto ammonta il jackpot della serata? » si interessò Eve, lanciando uno sguardo furbetto a Dominic, che le si era accostato appoggiandosi con un braccio alla balaustra, contemplando anche lui i propri ospiti con occhio più abituato.
« Inclusa la tua vecchia taglia? Credo cinque, sei miliardi di Berry. Di alcuni più uno mi sono arrivate informazioni vaghe » celiò allusivo nei confronti della mora, ma lei non fornì spiegazioni. « Puoi anche aggiungere almeno una dozzina di scandali alla Marina, direi una decina di mani mozzate presso la Compagnia dei Mercanti, sei o sette personaggi di una certa rilevanza che perderebbero la faccia, qualche scagnozzo di Big Mom piuttosto pedante e due rappresentati dei Rivoluzionari che – ops, questo doveva rimanere un segreto » e sorrise amabile, portandosi l’indice alle labbra.
« Tu e Dante vi state dando da fare »
« Da quattro anni gli affari continuano ad andare in crescendo. Forse l’opinione pubblica preferisce tacere, ma da quando gli Eredi sono in circolazione la maggior parte dei miscredenti sul One Piece ha cambiato pensiero. Senza aggiungere che in quest’ultimo anno l’ambiente si sta surriscaldando. Prevedo i fuochi d’artificio a Sabaody molto presto: sembra che finalmente stiano emergendo i pirati di questa nuova generazione. Hanno iniziato a chiamarli Supernove, lo sapevi? »
Eve annuì, fissando vacuamente le macchie di colore che si muovevano a festa. Si voltò verso Dominic, il cui sorriso era congelato in un’espressione scaltra e di lieve provocazione.
« Dom… cosa sai del progetto Cleansing? »
« Ah mon amour, sempre attenta a tutto, eh? Mi sono giunte voci che ultimamente Madame è apparsa a Port Red Jack, è opera sua questa pulce nell’orecchio? »
Eve non raccolse, ma un lampo passò per le sue iridi ambrate dense come oro fuso. Il padrone di casa levò le mani a mo’ di scusa.
« Pardonne-moi… ho davvero cattivo gusto a trovare così seducente il tuo viso alterato »
« E io ci casco ogni volta » borbottò lei imbronciata.
« Parlando seriamente… non sei la prima che mi chiede delucidazioni in merito al Cleansing. Sto cercando di informarmi, ma per una volta pare che la Marina stia facendo le cose per bene. Per adesso sono solo riuscito a mettere mano ad alcuni libri contabili e… ma questo pare che tu lo sappia già »
Eve assentì.
« Materiali per costruire navi in abbondanza… Il progetto è stato approvato due mesi fa dagli Astri »
Dominic scosse la testa alla sua spiegazione, perdendo parte della sua sempiterna espressione di diletto.
« Si è trattata solo di una formalità per tenere buono il Governo Mondiale, ma ufficialmente è partito tutto dalla Marina da almeno otto mesi… e non sono certo che tutte le carte arrivino alla scrivania di Sengoku »
« Se neppure tu riesci a reperire informazioni… c’è da preoccuparsi » tentò di scherzare lei, ma entrambi sapevano che non era una battuta da prendere sottogamba. Se qualcosa non era raggiungibile per i Raiders, e per Dominic in particolare, non c’era da riderci su.
« Comunque, come ti dicevo, anche altri sono interessati al Cleansing, e non è gente che prende le questioni alla leggera. Anzi, il loro interessamento mi rassicura abbastanza » motteggiò. Dominic Du Rossignol non era persona da avere timore di qualcosa, per questo la maggior parte delle cose che uscivano dalla sua bocca erano per lo più commenti ironici.  
« Come se tu non avessi già un piano di fuga. Mi terrai informata? »
« Possiamo concordare un prezzo tesoro »
Si squadrarono, ma questa volta fu Eve ad avvicinarsi tanto da lasciare un filo sottile di ambigue intenzioni tra di loro. Lo fissò dal basso, da dietro la maschera, inclinando il capo e sollevandosi sulle punte, aggrappandosi alle sue maniche. A dividere le loro labbra c’erano solo i loro respiri.
« Pur di sapere cosa combina segretamente la Marina… sei disposta a rivedere la tua decisione su di noi? »
« Ho una brutta sensazione »
« Di nuovo… cosa nascondi Eve? »
« Tante cose Dom… e mi rassicura riuscirci persino con te »
« Mon amie, e se io sapessi già tutti i tuoi segreti? »
« Chi ti dice che io non ti abbia raccontato delle bugie? »
La baciò, perché non resistette di più. La strinse per la vita, abbandonando le burle e i tentativi di seduzione per sfociare in una sensazione di possesso troppo a lungo tenuta da parte. Era passato troppo tempo da quando l’aveva stretta a sé un’ultima volta.
« Mmmh… quando scoprirò qualcosa di nuovo sul Cleansing te lo farò sapere » mugugnò sconfitto.
« Grazie Dom »
Si allontanarono di un passo, lei tornando a contemplare giù, pensierosa, lui a perdersi nel guardarla, da capo a piedi, a tratti a spogliarla con gli occhi adombratisi di desiderio. Riprese il proprio contegno, mitigando senza ripercussioni esterne il groviglio che il bacio gli aveva provocato.
« Sarà un giorno davvero sfortunato quello in cui io e il tuo uomo ci incontreremo » mormorò rocamente, ironico e sovrappensiero, dando fiato a uno dei fili sfuggevoli nella sua testa.
« Spero di essere molto lontana per allora » replicò lei alla stessa maniera, più in automatico che sentitamente.
« Ti ha ferita a tal punto, mon trésor? »
Il suo tono si addolcì, e non gli riuscì di starle lontana. Fece scivolare la mano nella sua, invitandola di nuovo a voltarsi e baciarlo ancora, con una passione che aveva il sapore di voler annullare tutto. Le loro maschere cozzarono, le dita si intrecciarono, ma finì ancora troppo presto, quando lei ritrasse il viso.
« Sono stata io a pugnalarlo alle spalle » confessò con un sorriso di autocommiserazione e sfida negli occhi socchiusi.
Dominic non si scompose, la ammirò ancora di più.
« Ma petite Eve… un uomo che si lascia ferire da una donna come te è un vigliacco che non merita la tua forza e la tua bellezza. Sei un’opera d’arte, e non sono disposto a vedere qualcuno lacerare ulteriormente il tuo cuore »
A lei sfuggì prima un sospiro amaramente divertito, ma poi qualcosa prese il sopravvento irrigidendola. Si allontanò dalla presa dell’uomo, che non fece nulla per trattenerla, e i suoi lineamenti divennero un tutt’uno con la maschera.
Dominic la trovò splendida anche così, ammantata nel suo orgoglio senza parole.
« Di sotto c’è il tuo più uno che ti aspetta » la incoraggiò lui spezzando il silenzio. Sarebbe potuto rimanere a contemplarla per delle ore, ma la lotta emotiva di lei stava diventando palpabile, e trarre delizia anche da quel suo stato caotico non gli sembrava consono.
« Ci vediamo giù »
« Assolutamente » e la lasciò andare, seguendola con gli occhi mentre scendeva le scale del pianerottolo e restò a fissare lo stesso punto anche dopo che fu sparita.
Dall’ombra di una colonna alle sue spalle uscì qualcuno.
« Era di nuovo lei? » borbottò affiancandosi al padrone di casa.
Dominic contò mentalmente fino a dieci, lasciando così il tempo all’altro di proseguire.
« Capo, posso permettermi di darle un consiglio? »
« Grazie Milo, ma credo ne farò a meno »
Fu come non aver parlato: il suo sottoposto non lo stava né ascoltando né calcolando, mentre occhieggiava il serraglio di gente sottostante a braccia conserte, ticchettando con il medio sul braccio.
« Dovrebbe smetterla di provarci » iniziò, per spiegarsi poi meglio. « Dovrebbe smetterla di provarci con le donne »
« Prego? » echeggiò il Vice dei Raiders, incredulo. Ed era un’espressione molto rara per Dominic.
Milo, nella livrea da Gazza Ladra confezionata appositamente per i membri della compagnia, prestò finalmente attenzione al suo superiore, puntandogli addosso le iridi cremisi sotto la fronte aggrottata dalle proprie convinte elucubrazioni.
« Le lasci perdere Capo. Le donne combinano guai e compromettono la salute »
« Mi stai proponendo soluzioni alternative? Perché ti assicuro che non sono interessato » replicò schifato al solo pensiero.
Le sopracciglia del ragazzo biondo si accigliarono ancora di più.
« Le donne sono la rovina dell’uomo. Credono di sapere tutto, abusano della tua pazienza, ti rubano il portafoglio, ti fanno credere quello che vogliono loro... » spiegò con una nota da orgoglio ferito e partito preso. Con un profondo respiro, come un guerriero pugnalato a tradimento, si preparò alla conclusione del suo consiglio. « Con tutto il rispetto Capo… vada a puttane. Meno problemi, meno chiacchiere inutili, nessun obbligo di regali. Può sceglierle more, bionde, rosse a seconda dell’umore. Nessuna noia e può chiedere loro qualsiasi cosa a letto. Dare soddisfazioni è il loro lavoro. Basta scocciature e galanterie per poi ricevere un picche »
Dopo l’iniziale espressione allibita, sul viso di Dominic si aprì un sogghigno come pochi se ne concedeva nel suo eterno contegno.
« Dimmi Milo, ti riferisci a qualcuna in particolare? Tipo Dakota? »
Ricevette come risposta un cenno annoiato del capo, molto esplicito nell’indicare quanto la ragazzina in questione fosse solo un’immensa seccatura, e forse neanche degna di essere considerata “donna”.
« … o forse Sherry? » rincarò il padrone di casa, tornando alla sua aria pacata e insinuante, un’apposita allusione per sondare il terreno.
Il ragazzo si irrigidì nel corpo e nel viso all’istante. Non si sentì semplicemente punto sul vivo, ma del tutto furioso, ancora con lo sguardo che vagava sulla massa di invitati sottostante.
« Capo… io gliel’ho giurato all’epoca e ribadisco ora » faticò a dire trattenendo un ringhio. « Se Sherry mi capita davanti l’ammazzo! Ci ha traditi e quasi fatti ammazzare! »
Dominic sorrise condiscendente, per niente preoccupato di aver aizzato vecchi sentimenti di vendetta.
« Quasi, Milo, hai detto bene. In realtà aveva previsto tutto fin dall’inizio. Le serviva di sparire nell’ombra per un po’ e lavorare con noi era l’ideale. Ma ti assicuro che aveva calcolato il pericolo che avreste corso » precisò morbidamente, tentando di indorare la pillola, ma il biondino ignorò le sue parole.
« Ci ha traditi » ribatté per l’appunto, con le nocche sbiancate. Il Vice dei Raiders lo osservò nel suo tremito trattenuto, studiandolo.
« Sherry è sfuggevole, Milo, e molto intelligente, ma non per questo meno umana »
« Lo dice solo perché è una donna! » ribatté frustrato e collerico. « Ci ha usati e mollati in un’imboscata, tutto per passare dalla parte di quel bellimbusto sabbioso della Flotta! Io l’ammazzo! L’ammazzo! »
« Sei proprio una palla al piede, Baka-kiki… ancora con questa storia poi! »
Dakota apparve alle loro spalle, in pantaloncini, autoreggenti scure, giacca e cravatta della stessa foggia di quella indossate da Milo, sul modello di una Gazza Ladra con ricami che ricordavano il piumaggio dell’uccello. Si levò di malagrazia la maschera a becco, ma i suoi capelli rosa rimasero tirati su in una crocchia disordinata. Gli occhi arancioni, adornati da un filo di trucco, per una volta nascosero la sua aria adolescenziale.
« Nii-kiki di sotto è una noia mortale » iniziò prima che il compagno potesse mangiarsela di insulti. Agile e fluida nei movimenti si sedette sulla balaustra, infischiandosene dell’altezza da cui si sarebbe potuta sfracellare. Accavallò le gambe e reggendosi con le braccia dondolò appena, riprendendo a sbuffare. « Le Farfalline continuano a ridacchiare svenevoli e fare gli occhi dolci a tutti » riferì disgustata, parlando delle escort ingaggiate per allietare la serata ai loro clienti. « I Procioni fanno avanti e indietro dalle cucine con i vassoi sempre carichi, anche se ne ho pizzicati un paio imboscati a sbaciucchiarsi… e lo Zoo qua sotto è un tripudio all’indecenza. Dico, ma li hanno mai visti alcuni animali? C’è uno Struzzo lilla e una Giraffa in bermuda! » e nel dirlo indicò i colpevoli spiccanti nella folla, goffi nel muoversi e piuttosto ridicoli.
Dominic rise appena.
« Notizie della mia sorellina? »
« Si aggira come un’animale in gabbia » borbottò neanche facendo caso alla battuta. « Ha tentato più volte di svignarsela »
Il sorriso dell’uomo sfiorò il divertito, che se la sorellina in questione l’avesse visto gli avrebbe spaccato la faccia.
« In compenso Maze e il Fulmine Bianco sono sulla terrazza da tutta la sera a… » e fece del gesti vaghi, con la fronte aggrottata. « Credo parlino, o almeno, si capiscono, in un modo tutto loro. E ridacchiano. Ma nel completo silenzio! Cioè, davvero, non capisco, da loro non viene un fiato! Però sono davvero carini! »
Milo emise un verso disgustato.
Dominic non li stava più ascoltando. Il suo sguardo stava passando in rassegna ogni centimetro del salone, osservando chi entrava e chi usciva. Qualcosa nel suo cipiglio si contrasse e trasparì nel tono che usò per riprendere a parlare.
« I nostri ospiti sono arrivati tutti? »
« Il Pavone è stato l’ultimo a entrare, come avevi chiesto » assentì Dakota.
« E le Farfalle? »
« Una non stava bene e l’ho fatta sistemare in una delle stanze della servitù. Sa da contratto che fino al termine della serata non può andarsene »
« Procioni? »
« I camerieri sono a posto. In cucina ci sono tutti e venti i cuochi e il resto dei nostri sono presenti e stanno ultimando gli ultimi preparativi per l’asta. Te l’ho detto Nii-kiki, è una noia »
Ma Dominic non replicò. Scrutò un’ultima volta il galà in fermento e la sua aria guardinga non scemò, anche quando stirò un angolo della bocca verso l’alto.
« Ricontrollate da capo i presenti. Avvertite Maze e gli altri, con discrezione… Abbiamo un imbucato. Trovatelo »
 
 
 
To be continued
 
 
 
Da sinistra: Lambert Kohitsugi e Sage D. Dashiell aka Raven.
Disegnati da Spiga Rose.
 
 
 
 
 
Significato dei termini:
- Kohitsugi: dal giap. “agnello”.   
 
 
  
Note al capitolo & dell’autrice:
Una fanwriter a caso, durante il periodo natalizio, si disse “scriviamo più capitoli adesso che ho tempo! Così finalmente li pubblico un po’ uno di seguito all’altro!”.
S’è visto. Ci sono proprio riuscita. Ho tipo, bho, tre capitoli conclusi e tutti bisognosi di correzioni, ancora lì, in giacenza. Mi sento Poste Italiane. Che vergogna.
Eccomi qui dopo qualche secolo. Questa beneamata(odiata) ASTA è iniziata, e ad aprire le danze sono Lambert e Raven/Dashiell. Sul lato Marina ho poca gente, devo ammetterlo, e questi due saranno piuttosto singoli. Già Raven si è dimostrato tale XD Aspettatevi tante cose nonsense da lui ♥
Seguono due personaggi già conosciuti, Eve e Dominic con il loro bislacco rapporto. Mi rendo conto che è una parte un po’ lenta, ma cercherò di rifarmi =) Ci sono diversi contenuti a cui prestare attenzione!
Finiamo con la predica di Milo (insomma, lo adoro, è un idiota XD) e quella scimmietta di Dakota. Più avanti avranno un ruolo maggiore, pazientate ;) E che mi dite di Sherry? ;D
 
 
Grazie a chi segue la storia nonostante i tempi biblici (o alla Oda? Daaai!).
E questa volta un GRAZIE immenso a Spiga Rose, totalmente estranea al fandom ma una maritah adorabile che ha disegnato di sua spontanea volontà Lambert e Dashiell. Mi ha commosso ;;___;; non sono bellissimi?
 
 
 
 
 
Note? Note!:
 
- Lambert & Raven: li volevo in questa storia. A differenza di altri personaggi, sono nati perché avevo necessità di loro. Vedremo che combineranno! Raven adora vestirsi da donna e per adesso posso dichiarare senza indugi che è attratto principalmente dagli uomini, perché non ha ancora trovato una donna che lo interessi davvero. Ma sostanzialmente è molto preso da sé XD È imparentato con un altro personaggio già apparso, avanti le scommesse! È giovane, come Lewis, ma la sua carriera è già ampliamente avviata perché è un ottimo marine, quando ci si mette. Ha due corvi, Deimos e Phobos, che mangiarono in contemporanea un Frutto del Diavolo. Da allora possono mutare le loro dimensioni a richiesta del loro padrone. Alla Marina sono piuttosto temuti per la loro aura macabra.
Lambert è un marine con le più buone intenzioni, puntualmente dirottato verso azioni poco legali dal suo Capitano. Ce la mette tutta, ma Raven ha sempre l’ultima parola. Se all’inizio lo ammirava, ora ha i suoi dubbi, soprattutto da quando ha capito che stargli appresso è come badare a un bambino capriccioso.
NB: le isole citate da Lambert (Aska, Vira, Partia) sono tutte realmente esistenti in One Piece =D
 
- Entourage dell’Asta: come si è capito, ho strutturato l’Asta come se fosse davvero uno Zoo! Dagli invitati alla servitù tutti indossano una maschera/costume. Questioni di anonimato, come aveva spiegato Dominic a Fay nello scorso capitolo. Per riassumere: le Gazze Ladre sono i Raiders, a eccezione di Dominic che è un Ermellino Bianco; i camerieri sono i Procioni; le escort per i pirati le Farfalle. Eve è vestita da Pavone; Lambert da Agnello e Dashiell/Raven da Corvo.
Tanti altri nel prossimo capitolo ♥
 
Vi lascio a un po’ di reference sui vestiti/maschere:
 
- Costumi per le farfalle (nella storia di varie tinte).
- Base della maschera da Pavone di Eve.
- Varie parti del costume di Dashiell/Raven: x . x . x  
 
 
Bacioni!
Nene
 

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Capitolo 22
*** Capitolo XX - L'Asta (Seconda Parte) ***


Storia aggiornata per il Cow-T, prima missione, terza settimana. 
Prompt: Le cose non vanno mai come credi
N° parole: 9726

 
- Capitolo XX -
[L’Asta]
 
(Seconda Parte)
 
 
 
San Faldo,
Palazzo Du Rossigol.
 
 
 
 
L’ambiente permeato di basse chiacchiere era addolcito dalle sinfonie dell’orchestra. Molti degli ospiti del galà vagavano per il salone dando a intendere chiaramente il proprio scarso feeling per tanta eleganza e opulenza. Obbligati a lasciare le armi all’ingresso e costretti in abiti bizzarri, il loro entusiasmo era esattamente quello di un animale in gabbia; la malcelata ironia del padrone di casa iniziava a surriscaldare gli animi in attesa del clou della serata.
Lambert Kohitsugi non registrò di nulla di tutto ciò. Nemmeno il vino che aveva in mano, dal profumo avvolgente, lo distrasse. Teneva il calice serrato in mano, intoccato, rimpiangendo la sua pistola d’ordinanza e avvertendone la disperata mancanza. Più si guardava intorno più si sentiva l’agnello di cui quel fedifrago del suo capitano l’aveva abbigliato. Era circondato da belve, e non solo nel costume. Fiutava il lezzo di pirata da ogni invitato che gli piroettava intorno, fossero stati bradipi o conigli. Per non parlare dei chiacchiericci a mezza voce, dei sorrisini ghignanti e l’attesa pulsante per l’inizio dell’asta: si fosse trovato in una trincea dichiarata sarebbe stato meno preoccupato.
A fargli scendere ulteriormente l’umore sotto i tacchi era il compito morale di tenere d’occhio Dashiell, alias Raven, o, come aveva continuato a ribadirgli nel tragitto tra l’albergo e la festa trapanandogli cervello, mademoiselle Charlotte Crawford. Sentì un nuovo travaso di bile in arrivo, soprattutto a vederlo svolazzare nel suo vestito da corvo, ridacchiante con la sua vocetta che sembrava non aver ancora suscitato dubbi negli altri commensali.
Ammazzarlo quella volta non sarebbe stato sufficiente.
Avrebbe voluto spennarlo, tirargli il collo, buttarlo nel catrame e…
« Tutto solo, agnellino? »
Lambert non rovesciò il bicchiere solo grazie ai nervi saldi sviluppati negli anni. Ma dire che gli era presa una sincope interiore era un eufemismo. Volse rigidamente il capo verso la fonte della voce, ricordandosi di essere mascherato e che doveva darsi una calmata. Fino a prova contraria non aveva scritto “marine” in fronte.  
Tuttavia, nel vedere la proprietaria della voce non riuscì a non deglutire, portandosi il bicchiere alle labbra per la prima volta. Tentò di dissimulare la sorpresa e bagnare la gola secca, ma si strozzò in maniera molto imbarazzante.
Nell’imporsi una necessaria dose di contegno, squadrò da capo a piedi la donna. Era un Ibis Scarlatto, ma non si capacitava di come l’uccello d’ispirazione dell’abito sarebbe potuto risultare altrettanto sexy. Il vestito era composto per la maggior parte da piume aderenti e stoffa morbida sui fianchi, dai cui spacchi facevano capolino un paio di splendide gambe tornite. Nel corpetto il seno sembrava essere stato prepotentemente lasciato al limite dello scoperto, con quelle stesse piume che, Lambert era certo, fossero sul punto di volare via da un momento all’altro.
Il sorrisetto compiaciuto della donna gli ricordò che l’aveva appena spogliata con gli occhi. Cercò di ridarsi un tono e ricomporre l’espressione più seria di cui disponesse; tentativo alquanto scarso data la voce soffocata che gli uscì.
« Buonasera… »
« Disturbo? » la malizia si sprecava nelle curve delle labbra. E non solo in quelle.
« No » e si pentì un attimo dopo quando la vide avvicinarsi, con quel seno che ondeggiava pacioso rubandogli l’attenzione ogni tre decimi di secondo. Quando si avvide di avercela ad appena un paio di spanne, interessata ai suoi sguardi poco velati, deglutì il vuoto. « Non parlo coi pirati »
Lambert diede voce al suo pensiero martellante, e per poco non aggiunse il sonoro sono un idiota che echeggiò nella sua testa come un gong. Se stava cercando di farsi scoprire il risultato era molto vicino.
La donna rise, sinceramente divertita, e con lei si scosse il resto del corpo. Lambert era così vicino – e non poteva andare molto lontano, incastrato tra una colonna e un tavolo da buffet in cui minuti prima credeva di avere trovato rifugio – da sentirne il profumo esotico e affascinante. Se doveva fare una brutta fine, si disse, lo avrebbe fatto con un’altra occhiata a quei due meloni frementi sotto il suo naso – e al diavolo Raven e i suoi capricci da beota.  
« Peccato. Sono tipi interessanti, i pirati » disse lei squadrandolo a sua volta. Lambert si sentì un pezzo di carne sulla griglia. « Ma se ti riferivi a me, non sono un pirata, dolcezza. Viaggio in mare per lavoro… » sussurrò, sospendendo volutamente la frase per avvicinarsi. Con un ultimo passo sinuoso, la donna gli fu di fronte, tanto che il Sergente Kohitsugi dovette allontanare il bicchiere, trovandosi schiena alla colonna.
« … ma la mia vocazione è ballare » finì l’Ibis in un sussurro che certamente era allusivo, che certamente dava adito a un panorama di infinite possibilità in cui il suo prosperoso petto era implicato. Che mandò all’aria qualsiasi self-control di Lambert, accendendogli in testa allarmi e protocolli di emergenza i quali gli si sbrodolarono dentro in fiumi di pensieri disordinati.
Appoggiò la mano libera sulla spalla della donna e la allontanò cercando di essere quanto più delicato le sinapsi ancora in uso riuscissero a comunicargli. Prima di fare altri danni appoggiò il bicchiere sul tavolo e poi tornò a fissare negli occhi la femme fatale. Ritrasse il palmo incriminato neanche scottasse e avvertì addosso uno sguardo ora decisamente interrogativo e contrariato.
La sensazione di affondare nelle sabbie mobili – ricordo ben impresso nella sua memoria grazie a uno dei guai combinati da Raven – fu quasi reale e lo spinse a domandarsi quale comportamento avrebbe dovuto adottare. Quella situazione gli stava succhiando via tutte le energie, neanche stesse facendo uno dei suoi allenamenti massacranti. Erano a quella festa da forse mezzora e lui aveva quasi il fiatone.
Così decise di ricominciare dall’ABC delle buone maniere e cavarsi d’impiccio.
« Mi dispiace signora, ma ha fra- »
« Signora..? » allibì lei, e l’intonazione scadde pericolosamente verso lo sdegno.
Lambert chiuse gli occhi, desiderando evaporare.
Cosa aveva fatto di male per cacciarsi in quella situazione?
Era tutta colpa di Raven.
« Signorina » si corresse, ma il danno era fatto. Lo leggeva negli occhi assottigliatisi della donna. E nel suo seno che non sembrava più così baldanzoso come prima. Si sentì come doppiamente rimproverato. « Io, ecco, mi dispiace di averle dato l’impressione sbagliata ma… »
Qualcosa di svolazzante e nero entrò nel suo campo visivo, sul lato scoperto e libero. Come mai aveva creduto, provò del sollievo nel vederlo.
Allungò il braccio, con la stessa velocità con cui avrebbe voluto svanire da quella disastrosa situazione, e agguantò poco carinamente – e strappandogli un verso meno che mai femminile – la sua disgrazia giornaliera, tirandosela vicina. Praticamente si schiacciò un Raven sbalordito al petto.
« Dicevo, mi dispiace di averla ingannata, ma questa è la mia dama, mademoiselle Crowford » e nel calcare su quel nome fittizio cambiò totalmente tono, raschiandosi la gola con un ringhio, giusto per essere chiari col diretto interessato.
Raven colse la palla al balzo e lo strinse per la vita, affondandogli beato la guancia nell’incavo del collo e regalando un sorriso smagliante alla perfetta sconosciuta davanti a lui.
« E’ una bellissima Ibis Scarlatta » constatò Dashiell stucchevole, con quella voce falsa che tuttavia fece aggrottare le sopracciglia alla donna. « Ma le consiglio di prendere il volo e lasciare in pace il mio agnellino »
Lambert si rese subito conto di non aver fatto una buona scelta. Era passato dalla padella alla brace, non ci voleva molto a capirlo dagli sguardi che le due – si arrese al genere femminile – si lanciarono. Anche se l’occhiata dell’Ibis era più curiosa che offesa. Una curiosità pericolosa a cui era meglio non dare seguito.
Così si scrollò di dosso Dashiell, interrompendo quel duello silenzioso. Fece un cenno di commiato all’Ibis e marciò verso l’altro capo della sala, con un Raven che gli si spalmò sul braccio, ridacchiando e alludendo vago al “dovergli un favore”.
 
 
 
 
Eve osservò il Drago dai toni del tramonto tornare verso la terrazza con un piatto tanto colmo che gli sarebbe servito un vassoio. Si lasciò andare a una risatina mentre si riportava alle labbra il flûte di prosecco.
« Che hai da ridere? » domandò l’interessato ficcandosi in bocca un pugno di tartine miste.
Lo sguardo della donna si addolcì attraverso i fori affusolati della maschera da Pavone.
« Un costume da drago, eh? » ribatté con una sfumatura di malinconia.
Il ragazzo fece spallucce e portò lo sguardo sul panorama della laguna di San Faldo, dando così modo a Eve di osservarne meglio il profilo, col cuore che prese a batterle fedifrago.
« Non l’ho scelto io, ci ha pensato Marco » spiegò alla fine il ragazzo, lasciando sulla balaustra di pietra il piatto e poggiando i palmi per sostenersi. Le luci delle lanterne crearono un gioco di iridescenze sulle scaglie che calamitò e fece ulteriormente vagare lo sguardo della donna.
« Marco… » ripeté tra sé, cercando nella memoria un volto. Sbocciarono altre domande, nel continuare a osservare quel costume che tanto bene stava ad Ace e tanto faceva riaffiorare in lei vecchi ricordi. « Da quant’è che sta con Barbabianca? » domandò sovrappensiero.
Pugno di Fuoco ci meditò su un po’, riacchiappando dal piatto qualche leccornia.
« Non ne ho idea » borbottò alla fine, rendendosi conto di non averglielo mai chiesto. Avrebbe detto da sempre, se il Babbo non fosse stato tanto anziano. Insomma, Marco era il pilastro della ciurma, dopo il vecchio.
Eve gli si affiancò, fregandogli dal piatto un rustico e gustandoselo ancora con quell’aria lontana. Tanti, troppi pensieri quella sera, si disse, centellinando il prosecco da cui Ace, a sua volta, le rubò un sorso.
« È probabile che conoscesse Doragon » sussurrò a nessuno in particolare, ma attirò l’attenzione del ragazzo come se avesse premuto un interruttore. « Mi chiedo se abbia scelto il costume volutamente… »  continuò, ma poi scosse la testa, dandosi della complottista. Quella doveva essere una serata di relax e non una caccia ai fantasmi. « Gli hai parlato di me? » chiese infine, pizzicando altri bocconcini dal piatto.
A quella domanda Ace sbuffò così intensamente da sgonfiarsi e accasciarsi un poco, lasciando andare la testa sconfitto.
« Non ancora…  » mugugnò scocciato, ripensando alla chiacchierata di qualche giorno prima e a quanto si sentisse imbarazzato a trattare l’argomento. « Mi sta facendo il terzo grado… »
« Non ti fidi? »
« Certo che mi fido! » sbottò fissandola come se avesse detto un’eresia, ma lei gli sorrise incoraggiante, finendo col farlo tornare a sospirare. « Ma la situazione è delicata. Non ho mai detto nulla a nessuno, neanche al Babbo… non so come potrebbe reagire… non voglio mettergli strane idee in testa »
Eve gli accarezzò la guancia sotto la maschera e lui chiuse gli occhi, godendosi il momento.
« Ti preoccupi troppo » 
Gli occhi neri di Ace tornarono vigili, piantandosi nei suoi dorati con diverse domande e la voglia di cambiare discorso.
« Ho letto dell’Erede… di quel Bryan »
La donna realizzò di averne abbastanza. Era sfibrata da quella storia, dai dubbi, dalle possibilità, ma non lo diede a vedere. Ingoiò l’angoscia e l’impotenza, ripetendosi di non poter fare nulla finché non avesse avuto tra le mani qualcosa di concreto. E l’ultima cosa che desiderava era vedere Ace caricarsi del peso di quella situazione.
« Io invece ho letto di Rufy… » sviò con un sorriso che per quanto avesse dovuto camuffare i suoi pensieri, fu altrettanto vero e sincero.
Ace non riuscì a nascondere il proprio entusiasmo, ripensando all’articolo e al nuovo wanted.
« Quel cappello di paglia starebbe molto bene in una delle mie aste »
La voce che li interruppe fece voltare entrambi di scatto.
Dominic, nella sua veste nivea da Ermellino, proseguì disinteressato alle occhiatacce dei due.
« È un cappello dalla storia molto interessante… Prima portato da Gold Roger, poi ereditato da Shanks Il Rosso e finito poi sulla testa di un ragazzo venuto fuori dal nulla, Monkey D. Rufy. Girano voci che sia il pegno di una promessa tra i due »
Ace cercò con lo sguardo Eve, ma lei e il Vice dei Raiders stavano avendo un intenso scambio di occhiate affilate.
« Io e lei stavamo parlando » se ne uscì quindi il Secondo Comandante di Barbabianca, senza trattenersi dal dare al tono una nota aspra.
Dominic lo ignorò, accostandosi al Pavone e mascherando con eleganza l’intima vicinanza.
« Mia cara, non mi presenti il tuo più uno? »
La donna, con tono incolore e usando la mano con cui reggeva il calice, fece le presentazioni.
« Dom, lui è Axe – e ignorò l’espressione scettica del ragazzo – Axe, lui è l’anfitrione della festa, Dominic Du Rossignol » 
I due uomini si squadrarono a vicenda, chi guardingo chi senza perdere il proprio aplomb.
« Axe? » echeggiò dubbioso Dominic e con la faccia di uno ben lungi dal credere alla risposta. Ma Eve fece spallucce; non diede segni di aver sparato una bugia e Ace si annotò di chiederle in separata sede il perché di quella pagliacciata. « Nome curioso. Da dove vieni, Axe? » continuò serafico il Vice dei Raiders, con una curiosità supponente ma dedicandogli finalmente un’occhiata.
Era un gioco. La balla era chiara, ma il tutto stava nel non cedere per primi.
« Water Seven » borbottò Ace, cacciandosi le mani in tasca annoiato.
« Carpentiere? » proseguì Dom, accennando ironicamente al suo fisico forte.
Il moretto rincarò con un sogghigno.
« Yep, di quelli addetti alle seccature »
Ci fu un momento di stasi in quell’improbabile triangolo di menzogne. Nessuno aveva il reale timone; ognuno teneva per sé qualcosa stando alle mosse dell’altro. Il padrone di casa non diede a vedere il proprio divertimento, ma cambiò discorso, a modo suo.
« Parlando di Cappello di Paglia, non è passato da Water Seven qualche tempo fa? Nonostante il governo abbia insabbiato tutto. Ho letto della sua vittoria su Akai Oushiza dalle parti di Port Red Jack… mi chiedo cosa potrebbe succedere se sbarcasse sull’isola dopo questo articolo… da quelle parti bazzicano rinomati cacciatori di taglie e malavitosi… »
« Succederebbe che loro non avrebbero vita facile » borbottò acido il Drago, facendo un passo avanti. Un chiaro segno di sfida. Eve gli lanciò un’occhiata guardinga, mentre Dom si voltava del tutto verso di lui, senza più pretendere di considerarlo appena.
« Indubbiamente è uno di quelli più quotati nella Nuova Generazione: non sanguinario come Eustass Kidd e quasi più affidabile di X Drake. Tuttavia potrebbe essere un mero astro nascente. Lo Shinsekai non funziona a colpi di fortuna »
« Rufy è capacissimo di cavarsela e lo farà anche nel Nuovo Mondo »
Dominic sorrise, compiaciuto da tanta verve. La pantomima era stata divertente, soprattutto lo sguardo duro – e avrebbe azzardato infuocato – del ragazzo che lo stava fronteggiando.
« Alla salute di Monkey e dei suoi fan » motteggiò levando il proprio calice e tornando a guardare Eve, che non diede segni di sorta, impassibile nel bere dal proprio flûte. Ace volse il capo di lato, cacciandosi in bocca qualcosa a caso dal piatto per tenere le mandibole occupate. Aveva capito di essersi fatto prendere la mano dal discorso, perché sentiva in testa la tipica risatina sotto i baffi di Marco quando accadevano situazioni del genere.
« Credo che il lavoro ti stia venendo a chiamare, Dom » mormorò Eve pacata, seguendo con gli occhi i movimenti di una delle Gazze Ladre avvicinarsi a loro. Questa sussurrò qualcosa all’orecchio del capo, indicando poi verso l’ingresso della terrazza dove sostavano due invitati in attesa.
« È stato uno scambio piacevole » commentò l’uomo abbigliato da Ermellino, ma Eve alzò una mano, accennando un blando sorriso.
« Non ti scomodare, rientriamo noi. Ho un po’ di appetito »
E detto ciò, la donna afferrò il ragazzo per mano e si incamminò verso la sala interna.
Passarono davanti ai due clienti di Dominic e Ace fu attirato da una risata leggera, da ragazza, e da un bisbiglio di cui colse qualcosa come « … un altro drago! »
Fu una sensazione strana ad attraversare Ace mentre con la coda dell’occhio notò una macchia blu e nera, un costume simile al suo, sfilargli di fianco. Vide solo la schiena dei due che si allontanavano, e un presentimento a cui non sapeva dare nome lo bloccò a fissarli. Un brivido, quasi la pelle d’oca.
« Tesoro tutto bene? »
La voce di Eve lo richiamò nello stesso momento in cui vide quel costume da Drago blu sparire tra gli altri invitati sulla terrazza.
Ace scosse la testa e la realtà tornò a posargli la sua mano di ragionevolezza e infrangibilità sul capo.
« Ho visto un fantasma » affermò con un’alzata di spalle.
 
 
 
 
In una stanza al piano superiore, un’ombra passò sul muro veloce, come avesse avuto vita propria. Nello stesso momento, la donna presente, abbigliata nel vestito a farfalla, cadde a terra con un gemito spaurito. Le imposte a vetri furono spalancate sulla notte e il vento fresco e odoroso di salsedine invase l’ambiente. Un bacio volante alla damigella abbandonata, un occhiolino, e l’uomo scomparve oltre la finestra nello stesso istante in cui la porta venne scardinata con violenza.
Milo, mercenario dei Raiders, si catapultò dov’era sparita l’ombra, gli occhi rossi ardenti di irritazione. Non trovò niente e nessuno; non c’erano tracce, né sotto, nel canale dalle acque placide, né sopra, sui muri del palazzo Du Rossignol.
« Dannazione, è scappato! »
« Ehi, Baka-kiki, vieni qui » lo richiamò Dakota, fermatasi vicino alla Farfalla accasciata in un angolo. La tirarono in piedi, squadrandola tanto da metterla in soggezione.
« L’hai visto!? Chi era!? L’hai fatto entrare tu!? » sbraitò Milo fuori di sé.
La escort scosse il capo iniziando a piangere e pigolare.
« No! No! Non … io… credevo fosse un invitato! Lo giuro! » singhiozzò, indicando un mucchio di vestiti a terra. « Mi ha detto che voleva un posticino appartato per un po’ di intimità… e mi ha portata qui… non so chi fosse! Sotto la maschera ne aveva un’altra! »
Dakota, mentre ascoltava il racconto, si avvicinò agli indumenti abbandonati, ricordanti un Gatto Siamese. Annusandoli inspirò un vago sentore di agrumi e tè.
« Baka-kiki, questo costume è la copia di quello di Duca Rama, il pirata del Mare Meridionale. L’ho visto prima di sotto, stava seguendo l’asta »
Si squadrarono per pochi secondi, in una muta conversazione.
« Come diavolo ha fatto a entrare!? » sbraitò alla fine il biondo, andando a serrare la finestra con una violenza che fece vibrare i vetri. « Anche questa stanza, doveva essere stata chiusa a chiave! »
« Dobbiamo avvertire Nii-kiki e Maze » affermò Dakota, torcendosi un ricciolo rosa intorno al dito e osservando l’uscio con aria seria, mentre la Farfalla scappava via in lacrime.
Milo si dette una calmata, affiancandola.
« Che c’è? » le chiese secco.
Lei arricciò le labbra con aria furbetta.
« È ancora qui »
Il biondo replicò con un silenzio inquietante. In gesti rigidi ma veloci, si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti.
« Quello stronzo ci voleva far credere di essersela filata… »
« … ma non ha capito con chi ha a che fare » terminò Dakota serafica.
 
 
 
 
 
Intanto, nel salone dell’asta.
« … il prossimo articolo all’asta proviene dal misterioso Regno del Mare. Un oggetto raro e impossibile da trovare in commercio, utile a chi desideri tenersi al sicuro dai possessori dei Frutti del Diavolo: un Cristallo di Agalmatolite! Molto più potente del minerale grezzo, ve lo presentiamo forgiato in una deliziosa forma a stella marina; il monile è elaborato interamente nello stesso materiale, catenina inclusa! È indistruttibile! La base d’asta parte da due milioni di berry! »
Il Leopardo delle Nevi osservò senza particolare interesse il riverbero del pendente messo bene in vista dall’assistente del banditore. Un coro di oooh e di mormorii si diffuse dalle prime file, mentre l’uomo abbigliato nella pelliccia maculata dette un altro sorso al buon vino rosso in suo possesso.
L’asta dei Raiders era iniziata da più di un’ora. Le trattative erano andate avanti piuttosto pacificamente, nonostante la maggior parte degli invitati fossero pirati o ricercati. Lo stretto controllo del personale era vigile e pronto a sedare qualsiasi focolaio, anche se, con un sorriso bieco, il Leopardo niveo aveva notato come diversi avventori si stessero dando silenziosi appuntamenti fuori dal palazzo per sistemare i conti.
Ma all’uomo presto vennero a noia pure quelle dimostrazioni di forzate e ridicole buone maniere. Aveva capito che dentro la sala vigesse un rispetto che era impossibile trovare nella quotidianità della filibusta presente. Una mescolanza di timore e blande allusioni al padrone di casa, che il Leopardo delle Nevi non aveva ancora individuato.
La sua conoscenza dei Raiders era ridotta ai minimi particolari di facciata. Le chiacchiere sentite a riguardo lo avevano avvertito di non creare problemi a quella particolare banda di mercenari, adducendo alla loro capacità di scovare anche il più piccolo e riposto segreto della vita di chiunque. Abilità che lui aveva sperimentato a pelle quando gli era arrivato l’invito al gala:
“Al sopravvissuto della Città Bianca”
Avvertiva ancora un seccante misto di fastidio e un non meglio definito senso di incredulità ripensando a quelle righe. Non aveva mai speso più di troppe preoccupazioni sulla possibilità che qualcuno potesse scovare le sue origini, considerando che per tutti Flevance era stata rasa al suolo e i suoi abitanti sterminati dal primo all’ultimo. Non esistevano archivi di necrologi da quel che sapeva, e neanche più un’anagrafe. Nessuno aveva mai pianto le vittime condannate della Città Bianca, ritenute colpevoli di essersi scavate la fossa da sole e tanto egoiste da cercare di diffondere la Sindrome del Piombo Ambrato nel mondo.
Ma leggere quell’intestazione aveva rimescolato in lui sentimenti antichi e velenosi.
Oltre al fargli chiedere come il capo dei Raiders fosse a conoscenza dell’oggetto che stava cercando, motivo per cui gli era arrivato l’invito all’asta.
« … il successivo articolo è un diario » scandì il banditore, riaccendendo l’attenzione di Law.
Levò il mento e scrutò il palco attraverso la maschera. Una delle assistenti fece il suo ingresso dal dietro le quinte, portando tra le mani guantate un robusto libricino in pelle nera, dall’aspetto maneggiato e con angoli di appunti esterni infilati tra le pagine. La platea si era tacitata per il tempo dell’annuncio. Un brusio disinteressato era sorto a seguire, zittito di nuovo quando dal pulpito il banditore descrisse l’oggetto.
« Invitiamo gli ospiti di non farsi ingannare dalla forma umile: il qui presente diario apparteneva al medico di bordo del Re dei Pirati, il Dottor Crocus. Vi sono annotazioni a carattere clinico e di viaggio, segreti sulla salute di Gold Roger in persona. La base d’asta parte da cinquecento mila berry! »
« Cinquecentoventi e una boccetta di aspirine! » gridò qualcuno con scherno, riflettendo l’opinione comune che il libercolo non valesse davvero la pena se non per fare bella mostra.
Law piegò le labbra, compiaciuto.
« Seicento » ribatté pigramente, senza neanche sprecarsi a levare la mano. La sua voce baritona riecheggiò forte, insinuandosi nel chiacchiericcio e giungendo al banditore, che lo indicò nell’indifferenza generale.
Seguirono ampi secondi di disinteresse nonostante le lusinghe del banditore al diario, ma nessuno ne rimase pervaso. Mantenendo un contegno professionale ma capita la perdita di tempo, il mediatore alzò il martelletto per richiamare la formula di rito e assegnare l’oggetto, quando una voce, alta e decisa, rialzò.
« Ottocento »
Il Chirurgo della Morte voltò il capo alla sua sinistra, lo sguardo assottigliato.
« Novecento » scandì, con una chiara allusione predominante nel tono. Osservò la donna e la sua maschera da Pavone, che ricambiò l’occhiata con un sorriso appena accennato, a mo’ di saluto. Levò il flûte e ribatté ancora.
« Un milione »
Arrivarono presto al milione e sei, mentre il serraglio intorno a loro li osservava annoiati, sbuffando per quel tedioso battibecco a cifre. Law era ancora tranquillo, conscio che avrebbe messo le mani su quel diario in un modo o nell’altro, nonostante ormai stesse ignorando il palco e rispondendo tenendo gli occhi color del mercurio allacciati allo sguardo della donna. Era abbastanza distante da fargli dubitare sulla tonalità dell’iride, ma non sulla testardaggine impiegata nel mettergli i bastoni tra le ruote.
Il tono poi non sembrava davvero interessato, quanto più indispettito.
Forzarono la soglia dei due milioni. Il banditore stava spendendo parole di eccitazione per l’agguerrita e inaspettata contesta, quando Trafalgar notò uno dei tanti invitati avvicinarsi alla sua contendente. Abbigliato in un pregiatissimo costume candido ricordante un ermellino, questi si chinò all’orecchio del Pavone, sussurrando qualcosa che a lui dovette risultare dilettevole, ma che alla donna piacque poco. A Law non sfuggì come l’uomo afferrò la mano libera di lei, scorrendovi le dita con gesto intimo, fino al polso. Le sussurrò qualcos’altro, stringendola appena nella presa. La donna sbuffò stizzita, scrollando le spalle, ma senza sottrarsi.
Tornando a fissarlo, a squadrarlo, con un ultimo gesto del capo il Pavone fece intendere a Law che lo lasciava vincere.
Il martelletto sancì l’assegnazione del diario. La folla incalzò per proseguire e quando il capitano degli Heart tornò a fissare la propria avversaria, lei e l’Ermellino erano spariti tra gli altri animali.
 
 
  
 
Fayth Mihawk, alias Morgaine Aguillar nel suo lavoro da mercante, si tolse la maschera di piume brune con fastidio, ravviandosi i capelli neri e setosi. Si appoggiò alla balaustra del ballatoio al piano superiore, osservando con una smorfia il branco di animali invitati alla festa. Più di due ore, tre drinks e una miriade di scocciatori, e non ne poteva già più. Aveva cercato di svignarsela quattro volte, ma ovunque si voltasse si era ritrovata premurose Gazze Ladre, con sorrisi leziosi e catenine di Agalmatolite, a indicarle la strada per tornare alla festa. Se in quello zoo avesse beccato Dominic lo avrebbe scuoiato vivo davanti a tutti.
Con stizza, si era quindi rintanata in bagno, unico posto in cui l’avevano lasciata andare senza venirle dietro. Peccato che le finestre lì fossero state sigillate. Alla fine, per buoni venti minuti, era rimasta nella sontuosa toilette a meditare se riscendere, ubriacarsi definitivamente e mandare tutto al diavolo, o mettersi in un angolo e iniziare a vagliare le torture a cui avrebbe potuto sottoporre suo fratello durante la notte.
Alla fine era uscita sul pianerottolo deserto per osservare gli invitati sottostanti intenti ad accaparrarsi gli articoli dell’asta. Ammise che molti degli oggetti erano davvero interessanti e pregiati, ma il solo pensiero che sarebbero finiti nelle mani di qualche pirata dissacratore la disgustò tanto da farle perdere il trasporto.
Così rimase a cincischiare con la maschera tra le mani, nel vestito stile deco perlinato di velo nero, marrone e oro, che richiamava la figura di un Gufo. Suo fratello aveva proprio gusto quando si trattava di vestire una donna e renderla magnifica, e ammetterlo la fece soffiare esasperata ancora una volta.
Quando si accorse di avere qualcuno a fianco, fu troppo tardi per ricomporre il travestimento e non farsi vedere in volto.
Molto tempo dopo Fay avrebbe ringraziato per quell’incontro.
« Sei tu… »
Voltatasi di scatto, la ragazza fece un passo indietro istintivamente, sentendo un brivido caldo.
Squadrò da capo a piedi l’individuo in costume – un lucente Drago vesperino – ma di nuovo fu lui ad avere la prima parola.
« Fayth! Sei tu! » ripeté con espressione smagliante, levandosi la maschera ingombrante dal volto.
La Mihawk lo fissò incredula e muta. Capelli neri scarmigliati, occhi dello stesso colore, lentiggini e un sorriso che si chiese se ne esistessero di più abbaglianti.
Ma no. Non aveva la minima impressione di conoscerlo. Non come lui desse a intendere di conoscere lei. Un flash le passò davanti, la reminiscenza di un wanted. Un wanted di quelli che gente della sua risma evitava come la peste.
« … il Secondo Comandante di Barbabianca… » deglutì, maledicendosi per il tentennamento nella voce.
« Sono Ace! »
« … Portuguese » replicò prosaica Fay, rifiutandosi di chiamarlo per nome. « Ci conosciamo » aggiunse, dando consistenza all’ovvietà del suo discorso, non riuscendo tuttavia a venirne a capo. Come, dove, quando? Perché?
Lei i pirati non li frequentava. Non poteva, non doveva e, soprattutto, non voleva. Gli erano bastati gli anni con suo padre per capire la loro mentalità bacata e la volontà di non averci a che fare nella vita.  
Il sorriso, la fronte, gli zigomi di Ace ebbero un’incrinatura. Fugace. Il tempo che il giovane impiegò a ritrarre le labbra in un “oh” e poi ridistenderle in un ghignetto. Si mise comodo contro la balaustra.
Aveva intuito che lei… non sapeva.
Fayth in un lampo cancellò l’espressione da dilettante davanti a un trucco di magia e fece appello alla sua espressività invalicabile e altera.
« Ebbene? »
« … non ti ricordi, vero? » replicò Ace, e la pacatezza che voleva dimostrare gli riuscì a metà. Dentro se la stava ridendo e ciò traspariva ben lungi dall’essere dissimulata. « Comprensibile »
Fu imbarazzante a tal punto da farla arrabbiare.
C’era qualcosa, ora che lo passava ai raggi x dopo lo sbigottimento iniziale, che le diceva di averlo per lo meno già visto in carne ed ossa. Ma era una mera e labile sensazione.
« Non vedo cosa dovrei ricordarmi di te, Portuguese. Non tratto coi pirati » sibilò in tono velenoso, avventato, ma non riusciva a domare un pulsante senso di ansia crescente.
Quel tipo sapeva il suo vero nome. Quello che lei tentava di insabbiare da anni, e che se fosse arrivato alle orecchie sbagliate avrebbe provocato troppi casini.
Ciononostante, il pensiero sparì, come vapore, dopo aver sentito la “spiegazione”.
« Mi avevi detto che bacio bene. Pensavo che questo fosse qualcosa di bello da ricordare » dichiarò offeso.
Qualsiasi muraglia di Fay crollò miseramente quando lei sbatté le palpebre tre volte di fila, con lentezza, aspettando che quella situazione surreale svanisse da davanti i suoi occhi.
Aveva sentito fischi per fiaschi.
Non l’aveva detto davvero.
Baciare?
Baciare bene?
« Eravamo sull’isola di Yoga »
Ecco il mal di testa. Fay lo avvertì nitido, una fitta alla tempia al solo sentir nominare il posto e la confidenza che il pirata si stava arrogando.
A Yoga non aveva fatto buoni affari. Per niente. A Yoga aveva avuto una seria crisi di nervi per una partita di merce contraffatta, tre ore di lumacofono con Gustavio per spiegargli la questione e quel decerebrato di Craig Durmstrang si era permesso di redarguirla sul suo essere frigida.
Rammentava in sprazzi vaghi che la mattina dopo Ziva e Shiroi avevano spettegolato su insensati cappelli arancioni e bicipiti di fuoco, mentre lei combatteva con il dopo sbornia.
Aveva bevuto in un locale per farsi passare il malumore. Ma non ricordava altro.
Possibile che…
No.
« Ti stai inventando tutto. Se vuoi dei soldi, se intendi ricattarmi, scordatelo o te ne pentirai »
Stavolta a sbattere gli occhioni fu Ace, certo di aver capito male.
« Eh? »
« Hai sentito. Non tratto coi pirati. Se pensi di farmi paura hai sbagliato persona »
« Frena, frena! » celiò, ironico, ma poco sicuro, alzando le mani. « Ricattarti? Ma di che stai parlando? E guarda che è successo davvero! – e un nuovo sorrisetto, più discreto e sincero, quasi timido, gli piegò la bocca – È stata una serata divertente. Certo, eri ubriaca fradicia e non ti sei fatta problemi con degli sconosciuti… »
Il viso improvvisamente terreo di Fayth gli fece aggiustare il tiro.
« … ma non hai fatto nulla di sconveniente. Hai ballato in mezzo al Blue Beach, cantato cose irripetibili, e tirato bestemmie ai falchi… e ci siamo solo baciati… »
Stavolta la ragazza ebbe l’impressione di scorgere del rossore all’altezza delle orecchie, ma era troppo impegnata a elaborare per accertarsene.
« … e poi mi hai dato il nome della tua nave e ti ho riportata lì. Shiroi e Ziva non ti hanno detto nulla? »
Era tutto vero.
Con quel suo tono naturale, limpido e stramaledettamene onesto.
Conosceva Shiroi e Ziva…
E sapeva il suo nome di battesimo, Fayth.
« Ti stai inventando tutto. Ballare? Cantare? »
Baciare sconosciuti? Io?, aggiunse tra sé, ma nel ripetersi le venne su anche una risatina stridula, incontrollata, che soffocò all’istante, serrando la mascella. « Non significa nulla. Dimenticati di quella serata, ero… ho avuto dei problemi. Se ti ho dato fastidio non era mia intenzione »
« Non mi hai dato fastidio » rincarò lui candido.
E certo, da quello che ho fatto pare di no!, tuonò di nuovo Fayth interiormente, sopprimendo gesti nervosi per non perdere la calma.
« Cosa vuoi? » soffiò sentendosi come un gatto all’angolo e nel frattempo pensando alla velocità di un treno. Poteva addormentarlo, chiuderlo in un bagno a chiave e accendergli il subconscio come un fuoco d’artificio. Ma il solo pensiero di sfiorarlo le fece cambiare idea. Dopo che lui aveva insinuato quel “baciare bene”, la giovane Mihawk si era ritrovata a squadrargli la bocca più di una volta, timorosa e attratta come una falena.
Già, il fuoco. Altra cosa che non poteva dimenticare. Quel tipo era fiamma viva, anche se non l’aveva mai visto accendersi. Ma conoscendo la sua fama e i poteri dei Frutti del Diavolo, dei Rogia, non ci voleva molto a farsi due conti.
Se l’avesse toccato cosa sarebbe successo? Si sarebbe scottata?
Perché l’impressione che provava era proprio quella.
Ace rise, riportandola coi piedi per terra, ma senza mitigare la sua aria oltraggiata.
« Sei proprio strana! Con questo tuo atteggiamento freddo mi stai facendo venire i dubbi! Sembri un’altra persona rispetto a quella del Blue Beach »
Ai pesci la prudenza sulle ustioni, inveì Fayth desiderando mettergli le mani addosso e farlo volare giù dal ballatoio.
« Senti, non mi ricordo niente, ok? E stento davvero a credere di aver fatto quello che vai blaterando! » sbraitò chiaro e tondo, facendo un passo avanti con l’indice puntato. Il suo vestito sinuoso frusciò appena, e a lei non sfuggì la fugace occhiata di apprezzamento che lui si concesse, cosa che la imbestialì ancora di più. « Quindi dimentica tutto, lasciami in pace e va al diavolo! »
Ace fischiò, senza ritrarsi, ma anzi, dando l’idea che avesse recepito la metà delle cose.
« Quanto ti fermi qui a San Faldo? Ho delle questioni da sistemare a Water Seven, non so se ci sei mai stata, ma potremmo- »
« N-O! » scandì lei, gli occhi topazio sbarrati e frementi.
Il Secondo Comandante si imbronciò pestifero, neanche avesse avuto dieci anni.
« Fay stasera sei proprio… come diceva Thatch? Ah sì, frigida »
Parola sbagliata.
Parola sbagliatissima che la fece rimanere impietrita, gelata, con un ruggito di battaglia dentro che, anche a centinaia di leghe di distanza, fece fischiare le orecchie a Craig Drumstrang a Port Red Jack.
Quei due sarebbero morti. Quei due che non si facevano gli affari loro e che sparavano un mucchio di stronzate sarebbero crepati centinaia di volte e nelle maniere più cruente.
Ma quella sera non accadde nulla.
Ci sarebbe voluto ancora molto tempo prima che Ace sperimentasse quanto fosse dolorosa e  terrorizzante l’ira vendicativa di Fayth Mihawk, la Fatal Queen.
Si salvò grazie all’intervento del tutto casuale di qualcun altro che, come lui, quella sera firmò inconsciamente un contratto col destino.
Allo scoccare della mezzanotte, un black out tolse corrente a tutto Palazzo Du Rossignol, dalle cucine ai bagni, e naturalmente al salone principale, dove soltanto le luci esterne rischiararono fiocamente i contorni della sala.
Qualcosa cadde. Qualcos’altro si infranse col suono acuto di vetri e porcellana frantumati. Il brusio provocato dal serraglio degli invitati, guardinghi e brontolanti, fu zittito da una sonora minaccia, seguita da un’imprecazione.
« Scendo a vedere cos’è successo! Ho lasciato giù… » ma le parole di Ace si spensero. Aveva alzato la mano sinistra, le cui dita erano sormontate da piccole fiammelle per rischiarare l’oscurità, quando notò che al suo fianco non c’era più nessuno.
Fayth si era volatilizzata, come dissoltasi nelle ombre incombenti, silenziosa, senza un respiro, un passo.
Il ragazzo sospirò sconsolato, ma senza appannare la bella sensazione di averla rivista.
Rapido, rimettendosi la maschera da drago, discese al piano inferiore per capire cosa stesse succedendo.
 
 
 
Qualche minuto prima l’Asta stava volgendo al termine. L’ultimo articolo messo in mostra era qualcosa che come valore si piazzava tra un reperto archeologico e un libro di favole.
Sistemata in una cornice di legno dorato e vetro, per un’altezza di un metro e una larghezza di tre, una magnifica cartina in fibre di lino, cotone e canapa, ornata di macchie e piccoli strappi dovuti al tempo, faceva mostra di sé sorretta da due Gazze Ladre.
Era una mappa dell’intera Grand Line risalente a quattro secoli prima.
Firmata Montblanc Noland.
Prima che il banditore sancisse l’inizio delle offerte, osservò la sala ammutolitasi di fronte all’oggetto, non un semplice corredo d’arredamento. Aveva un significato più profondo, un’idea di confine che in mezzo alle file di quella nuova generazione si piazzava tra la realtà e il sogno vissuto da molti nel salone a festa.
Noland era ancora per molti, tutti, un avventuriero bugiardo relegato a ruolo di personaggio satirico nei libri per bambini. Ma la bellezza di quella cartina, redatta con mano ferma, con linee e colori precisi, appena sbiaditi, scritte vergate senza tentennamenti, per un attimo realizzò la magia.
La magia di leggere i nomi di diverse isole e trovarli reali, veri, e altri ritenuti ancora favolosi. Come Jaya, sui cui contorni da teschio si soffermarono in molti, prima in silenzio, poi con i primi risolini e parole di scherno che spezzarono l’atmosfera sospesa e trasognata.
Qualcuno additò beffardo anche un’altra isola, dal contorno amorfo e corredata di minuscole righe di appunti, sull’estrema sinistra della cartina, dopo St. Kora e Garden Party.
Raftel Island.
La meta ultima.
Il luogo che aveva mitizzato da Gold Roger.
La tana del tesoro.
Molti contemplarono quella porzione di carta sgualcita con sguardo famelico, eccitato, riflessivo, e perso nel tempo. Chi ci credeva, chi osava superare il bordo della ragione e fissare senza paura il precipizio dei propri desideri apostrofati come vane illusioni.
Leopardi della Neve, Pavoni, Corvi, Agnellini rassegnati, Draghi dai colori della notte che avvertivano le tempie pizzicare, come se pensare al One Piece potesse portare a galla qualcosa in una memoria ottenebrata dall’amnesia. E ancora, un Ermellino, compiaciuto dalle chiacchiere, dall’esaltazione provocata da quel pezzo d’arte, di storia e sogni recuperato dal passato.
Dominic Du Rossignol non credeva al destino. Non a quello scritto da qualcuno.
Lui era uno a cui piaceva tenere in mano le carte della sorte. Uno di quelli che gettava l’amo, conscio dell’esca succulenta nell’acqua infestata di pesci e squali. Non gli importava chi si sarebbe accaparrato l’oggetto in sé. A lui interessava solo che tutti fossero consci, che tutti ammirassero e ammettessero l’ennesimo tassello di quel puzzle che metteva in dubbio realtà e speranza.   
La sala si surriscaldò in breve.
La base d’asta era già stratosferica in sé, diciotto milioni di berry, ma le offerte, i rialzi, le minacce si levarono tonanti, tanto da far scattare più di una volta la sicurezza per ristabilire l’ordine in mezzo agli animali impazziti.
Che prezzo si può assegnare a un sogno?
Un pensiero che passò per le menti di molti. Di molti che rimasero in disparte, silenziosi, senza partecipare perché storditi dall’emozione provocata da un semplice pezzo di carta, perché consapevoli che la sfida non era metterci le mani sopra, non quella sera almeno.
La strada era lunga, come i disegni stessi di Noland raccontavano. San Faldo, su quella cartina, era un puntino poco oltre la metà del Paradiso, e molto lontano anche solo dai cancelli del Nuovo Mondo.
Chi aveva già accolto la sfida tempo prima, in quel momento, nella confusione di voci, la rinnovò davanti a quella cartina. Levando il calice o ghignando divertito, o sospirando, sapendo solo di dover attendere.
L’asta arrivò presto a sfiorare i quarantasei milioni di berry; la folla sembrava uno stadio in piena ovazione per chi si stava contendendo la mappa.
Ma tra il decimo e il dodicesimo rintocco della mezzanotte, passati in sordina tra le grida, la luce si spense. Le lampadine languirono, lasciando calare il buio come un manto carezzevole ma inaspettato per i presenti, primo fra tutti il padrone di casa.
L’Ermellino si mosse senza perdere un attimo, appoggiando il calice che aveva tra i guanti, ma quando sentì i rumori attutiti di una colluttazione provenire da uno dei ballatoi superiori dovette fermarsi. Una voce inveii rabbiosa e Dominic la riconobbe come quella di Milo.
Ci fu un cigolio forte, il cricchiare di cristallo contro cristallo, e tutti levarono i volti mascherati verso i lampadari incombenti nella cavernosa oscurità, vedendone uno dondolare pericolosamente. I più attenti notarono anche una figura saltare agile da una lumiera all’altra.
Il Vice dei Raiders ne seguì i movimenti, con sguardo sottile e attento.
Alle sue spalle, intanto, qualcuno arrivò trafelato e ansante.
« Nii-kiki… mi dispiace… è scappato… » alitò Dakota, scarmigliata e con la livrea sgualcita. « Non abbiamo capito chi sia… ma- »
Dominic la interruppe con un gesto secco e disinteressato, tenendo ancora l’attenzione incatenata a quell’ombra balzante in totale libertà e agio. I lampadari ondeggiavano in fruscii e suoni limpidi da accapponare la pelle, coprendo gli ulteriori spostamenti dell’intruso, che scomparve all’improvviso da chi lo aveva seguito fino a quel momento.
I primi guerrafondai dello zoo iniziarono a sbraitare per l’interruzione e il velato senso di minaccia, ma non andarono avanti per poco.
Il rumore secco del legno rotto, seguito da un forte rumore di vetri in frantumi e dalle strilla acute di donne, portarono l’attenzione al fondo della sala, nell’area del banditore, dove poco prima si stava disputando la contesa per la mappa di Montblanc Noland.
« Signore e signori, pazientate ancora un attimo, tra poco sarà tutto finito »
La voce rimbalzò ovunque, disperdendo nell’atmosfera tesa una nota beffarda e sicura. Ne seguì un nuovo evento del tutto impensabile: una striscia di fuoco si accese, sul tetto del baldacchino costruito per l’occasione sopra il palco e il pulpito del banditore. Le fiamme, di un brillante quanto scenico e fatuo azzurro, si alzarono da prima nefaste, per poi circoscriversi e placarsi, dando però l’effetto desiderato: una figura si erse a pochi passi dalla fonte di luce, ghignante e padrona della situazione.
« Buonasera! » esordì l’intruso in tono pieno, giovanile e maledettamente divertito dinanzi agli avventori ammutoliti e incerti. Non attese che si riprendessero dallo sbalordimento per tornare a parlare:
« So di aver interrotto una festa piacevole, ma vi priverò solo di qualche altro minuto! Vediamo, qui abbiamo… pirati – cadenzò laconico, con una sordida pietà, per proseguire supponente e far scorrere brividi a chi di dovere – e anche marines! Il Gran Capo Sengoku lo sa che siete qui? » ridacchiò. « E sia mai che dimentichi le buone maniere verso alcuni illustri ospiti… come segretari di stato… o consiglieri… e mi pare di aver scorto un qualche principe? »
L’uomo aveva una maschera grottesca, irregolare, formata di pezzi di vetro come uno specchio rotto in cui danzavano le fiammelle cerulee e si annidavano i volti animaleschi degli invitati. Si profuse in un inchino burlone che nella platea, ai diretti interessati, provocò una serie di gesti nervosi e impacciati. 
« … e non ho finito con i saluti. Il nostro Vice Capo dei Raiders ha davvero invitato ospiti illustri. Sapete che qui in giro c’è una splendida regina dei commerci con le sue affascinanti assistenti? » e lo disse scoccando un bacio con le dita. « Per concludere con membri del fronte rivoluzionario: ogni tanto anche a voi piace divertirvi, eh? »
L’irriverenza di quella pagliacciata scatenò ringhi profusi di cui l’imbucato non si preoccupò. Il ghigno che l’intruso esibì fu colto da tutti, come la sicurezza emanata da un solo uomo di fronte a canaglie che insieme arrivavano al complessivo di sei miliardi di berry in taglie.
« Prima che ai signori presenti venga in mente qualche rappresaglia, vi ricordo che le vostre armi sono state requisite all’ingresso. Per quelli di voi, poi, che hanno la fortuna o la sfortuna di vantare poteri legati ai Frutti del Diavolo, faccio notare cosa ho accidentalmente trovato in una delle vostre tasche durante il mio giro perlustrativo stasera » e nel dirlo, fece penzolare davanti al naso dei presenti il Cristallo di Agalmatolite messo all’asta un’ora prima. Senza prestare attenzione all’”Ehi! Quello è mio!” di un qualcheduno degli animali al buio, se lo mise al collo, compiaciuto. « Proprio un bel gioiellino » commentò sagace, per poi battere le mani e tornare ai suoi ospiti.
« Se ancora non siete convinti della mia buona fede, vorrei aggiungere che a ognuno dei magnifici lampadari ho applicato una carica esplosiva, nel caso proprio non riusciate a fare a meno di attaccarmi. Comunque, una esploderà ugualmente tra circa tre minuti. Me ne scuso in anticipo » continuò indifferente, e tanto suonò serafico il tono che in molti non capirono la reale portata della frase.
« Ah! » riprese, come dimentico di qualcosa. « Riguardo la solerte Gazza Ladra che mi stava inseguendo prima, credo che si stia ancora districando dalla breve divergenza di opinioni che abbiamo avuto, signor Vice Capo dei Raiders. Devo ammettere che non mi aspettavo un tipetto tanto bellicoso »
L’ultimo appunto, melenso e distaccato, lo disse puntando gli occhi verso l’Ermellino, rimasto immobile in mezzo alla calca fremente.
Per quanto Dominic Du Rossignol, nella sua implacabile posa, non avesse gradito quell’intermezzo, quell’imprevisto, e soprattutto quel ragazzetto ritto in piedi a parlare con arroganza, non si era ancora mosso. Immobile come fosse stata una delle belle statue classiche che si potevano trovare nel palazzo, era rimasto a fissare l’intruso con una ben chiara consapevolezza in mente. A posteriori avrebbe trovato l’episodio quasi divertente, nonostante gli avesse rovinato la serata. Ma in quel momento, lo stava solo studiando, valutando. Perché sì, dovette ammetterlo, lo aveva sottovalutato.
« Mi sono dimenticato di presentarmi e spiegarvi la mia presenza » parlò di nuovo l’uomo dalla maschera fatta di specchi rotti, senza più burle, senza più giochetti. Si espresse senza fretta, ricatalizzando l’attenzione come un’overture, e in tono flautato, incantatore. « Il chi dietro la maschera è Ruba Nome. So che molti di voi mi conoscono perché ho sottratto loro qualcosa negli anni. Colgo l’occasione per ringraziarvi per avermi permesso di ampliare la mia collezione privata! » e le bestemmie si sprecarono. « Ma ora passiamo alle ragioni che mi hanno spunto qui… ossia dare una risposta al Signor D. dei Raiders, che ha avuto la presunzione e il cattivo gusto di fare ricerche sulla mia persona per poi chiedermi di entrare a far parte del suo gruppo di ladruncoli. Il no, grazie, non sono interessato è deducibile, o almeno spero »
Tutta l’ilarità, l’irriverenza, la presa in giro si dissolsero e rimase sono il silenzio. Breve e teso. 
Ma nessuno diede seguito a quella dichiarazione quando un’esplosione fece balzare il cuore in gola a tutti. Lustrini e stelle filanti, più macabri che mai nel buio che ottenebrava in quel momento il salone settecentesco, seguirono la lenta caduta e lo sfracellarsi di uno dei lampadari. Ne uscirono tutti indenni, salvo pochi graffi, dato che i cristalli si infransero sui tavoli centrali del buffet. Tuttavia la reazione fu quella stimata da Ruba Nome: la folla iniziò a disperdersi disordinatamente.  
Sbraitando maledizioni e invettive, il serraglio cominciò a battersela, a buttarsi verso le uscite chiuse, tentando di sfondarle.
« Nii-kiki… cosa facciamo? » mormorò allibita Dakota alle spalle del suo capo, guardandosi intorno.
Le sorprese non erano ancora finite.
Di punto in bianco, Ruba Nome levò il braccio, armato di pistola, puntando il petto di Dominic. La ragazza dai capelli rosa fece in tempo a cacciare un verso incredulo che uno sparo riecheggiò assordante, ma il rumore acuto dell’impatto fu totalmente innaturale.
A cadere a terra fu un povero sfortunato dal lato opposto della sala, che si tenne la gamba dov’era appena finito il proiettile rimbalzato.
« Fiuu… per fortuna anche la mia ricerca su di lei, signor Vice Capo, era vera » ironizzò l’improvvisato pistolero, che gettò via l’arma scarica.
« Questo potevi risparmiatelo, Ruba Nome » sibilò finalmente Dominic, riprendendo la parola mentre si tastava la giacca irrimediabilmente rovinata all’altezza del torace, dove ora un foro bruciacchiato faceva bella mostra, ma non c’erano tracce di sangue o buchi.
« Scherzi? Sei un fottuto diamante gigante! » esclamò l’altro abbandonando la teatralità e rivelando maniere più colloquiali e gioviali. L’apprezzamento nei suoi occhi aveva un che di maniacale e un sorriso avido sfavillò alla luce delle fiammelle ancora accese ai suoi piedi. « E tanto per la cronaca, questo – riferito al proiettile – era per aver ficcato il naso dove non dovevi! » aggiunse inviperito, neanche fosse stato un adolescente permaloso.
I due si erano completamente dimenticati della baraonda intorno a loro, dei tavoli da buffet rovesciati dagli invitati che tentavano di svignarsela, del vociare concitato. Solo in pochi, i più attenti e i meno suscettibili, erano rimasti a fissare la scena e il battibecco. Che riprese, per la postilla finale.
« Ho solo altre due cose da dirti, Signor D. Da adesso sta in guardia, perché qualsiasi cosa penserai di rubare per una delle tue aste snob, io te la fregherò sotto il naso prima. Sarò la tua ombra » promise, puntandogli il dito contro.
Dominic non parve così colpito, ancora irritato per il vestito.
« E la seconda? »
Il sogghigno di Ruba Nome fu la firma e il pegno che quella sera egli lasciò al destino.
« Malauguratamente devo aver accennato alla divisione della Marina di San Faldo che ci sarebbero stati traffici illeciti questa sera, qui, a Palazzo Du Rossignol » comunicò serafico a voce alta per farsi sentire e facendo a cubetti il sangue nelle vene dei commensali che udirono quell’ultima frase. La filibusta bestemmiò all’unisono; un Agnello in particolare sbiancò, un Gufo maledisse il fratellastro mentre due Rivoluzionari a caso, un Drago blu e un Koala, decisero che era davvero ora di levare le tende. Ruba Nome proseguì. « Non volevano credermi all’inizio, data la buona reputazione della famiglia Du Rossignol, ma quando ho snocciolato qualche nome e ho fatto notare loro alcune navi sospette in porto… »
Il resto venne sormontato da ruggiti e un parapiglia crescente.
Con una risatina e un “Buonanotte!”, l’intruso spense le fiamme sul tetto del palco, facendo ripiombare tutto nella tenebra. Qualcosa esplose, facendo tremare i lampadari ma senza farli precipitare. Nuove nuvole di coriandoli e fumo colorato invasero la stanza.
« Dakota » chiamò Dominic, controllato. « Va’ a liberare quel – roteò gli occhi, lasciando l’aggettivo deficiente per sé – Va’ a liberare Milo. Assicuratevi che tutti gli invitati lascino la festa. Di’ a Maze di mandare giù dello scotch e occuparsi della Marina, li voglio il più lontano possibile »
« E quel tipo? » sbottò lei, fissando il buio del palco in cui non si vedeva più nulla.
« Non discutere » l’ammonì, spedendola via con un gesto mentre si avvicinava al pulpito del banditore, pur sapendo di non trovarci nessuno.
« Bello spettacolo »
La risata veniva da una delle alte finestre che dava sul canale secondario. Anche se la figura era totalmente in ombra, Dominic sospirò avvicinandosi.
« Mon trésor, non ridere delle mie disgrazie, almeno tu »
« Quel ragazzino te l’ha proprio fatta » rise il Pavone con un ghigno che lo fece innamorare di nuovo. « Anche al grande Dominic-so-tutto-di-tutti ogni tanto sfugge qualcosa, o qualcuno »
« Sei proprio perfida stasera, Eve »
« Siamo pari » celiò lei con un sorriso squisito, sotto la maschera. « Non vai a prendere il guastafeste? » aggiunse, toccandogli il buco nel costume da Ermellino.
« Chi? Quel casse-pieds? » sbuffò lui. « Non ho voglia. Dovrò passare la nottata con Monsieur Jesaistout, il Sergente della Marina di stanza qui, e pagarlo profumatamente per farlo stare zitto… perché non mi aspetti in camera? Avrò bisogno di essere consolato » mugugnò falsamente contrito, e assolutamente indifferente al tramestio circostante. 
Dalla penombra, senza che nessuno dei due se ne rendesse conto o intuisse l’intrusione, due braccia sollevarono la donna vestita da Pavone, strappandole un verso sorpreso. La allontanarono dalle grinfie di Dominic, rimasto vagamente interdetto, ma anche in quell’occasione la sua imperturbabilità aristocratica non lo abbandonò, non quando riconobbe il presunto aggressore.
« Ora di andare » ghignò Ace, nel suo costume stazzonato, tenendosi saldamente la donna in braccio, troppo sbalordita per dire qualcosa. « Alla fine è stata una serata divertente. Soprattutto i fuochi d’artificio alla fine » rincarò allegramente e con una punta di malizia, senza staccare gli occhi da quelli chiari dell’Ermellino.
« Oh cielo… » sospirò Dominic con un sarcasmo esasperato. Gli ci mancava solo lui
Ma Pugno di Fuoco, mormorando un divertito “Reggiti forte!” alla sua dama, non restò ad ascoltarlo. Balzò con agilità sul davanzale di una delle finestre rotte dietro di loro, si voltò per un ultimo cenno di saluto e poi saltò giù, ignorando il verso sbigottito della donna.
Dominic si sporse in tempo per vederlo atterrare sul marciapiede in una piccola e fugace vampa di fiamme generata per attutire l’impatto. Se il Vice dei Raiders avesse conservato ancora dei dubbi, la fiammata li incenerì definitivamente.  
« … chi ti credi di essere, Portuguese D. Ace? »
Dominic sospirò morbidamente, levandosi la maschera e assottigliando lo sguardo, intrigato.
« Ti circondi di persone fuori dall’ordinario, eh Eve? Che altro mi nascondi, mon ami? »
 
 
 
 
 
All’alba delle quattro di mattina, il salone delle feste di Palazzo Du Rossignol era vuoto, con poche luci soffuse e un caos infinito.
Dominic era in pantaloni e camicia, arrotolata ai gomiti, i capelli raccolti disordinatamente e lo sguardo che spaziava la povera stanza dove sembravano passati degli elefanti imbizzarriti. Sua nonna gli avrebbe urlato nelle orecchie per tre giorni di fila, maledicendo lui e i suoi hobby illegali.
I marines erano sloggiati dopo tre ore di chiacchiere e deposizioni inutili, buone solo per i giornali del giorno dopo; la servitù se ne era andata da mezzora, come anche Dakota e Maze a seguito degli ultimi aggiornamenti su cosa fosse stato trafugato da Ruba Nome in casa. Milo lo avevano dovuto sedare, letteralmente, avendo bestemmiato per un’ora di fila facendo venire il mal di testa a tutti.
Mal di testa che a Dominic sarebbe rimasto anche il giorno successivo, quando si sarebbe sorbito le ulteriori lamentele e le varie minacce di morte che i suoi invitati gli avrebbero sbraitato per lumacofono per com’erano finite le cose.
E in quel quadro di pessimismo, un piromane di vent’anni gli aveva portato via da sotto il naso la sua bella dea vestita da Pavone, quando lui aveva già programmato di spostare la fine della festa a un tête-à-tête nelle sue stanze con champagne. Non paga, la sua sorellina gli aveva tolto il saluto e si era barricata nelle sue stanze con la minaccia di ammazzarlo ripetutamente nel sonno.
« Lo sa che si è già sparsa voce che sia stata una festa movimentata, Mr Du Rossignol? »
Il commento provenne dalle sue spalle, da qualcuno che entrò nella sala calpestando i vetri rotti dei bicchieri guardandosi in giro falsamente curioso.
Dominic scrollò le spalle, alzando le braccia in segno rassegnato. L’ennesimo imbucato senza invito, ma ormai era inutile lamentarsi.
« Non si possono insegnare le buone maniere a un branco di animali » rispose quindi laconico, per poi voltarsi e squadrare il nuovo venuto, levando un sopracciglio incuriosito. Aveva davanti una persona piuttosto singolare. « Non ha scelto il momento migliore per entrare in casa mia. L’ultimo che si è presentato non in lista ha provocato questo disastro. Sono un po’ suscettibile a riguardo »
L’uomo si fermò a poco meno di tre metri. Sorrideva mite, ma gli occhi stavano analizzando tutto del padrone di casa, dando ragione alle voci sentite.
« Con chi ho il piacere di parlare? » proseguì Dom.
« Devo credere sul serio che non lo sappia? »
Ci fu un breve silenzio, poi un lieve accenno di sorriso dal maggiore dei Mihawk.
« Il Nadim, dico bene? O Amon, la Mano Sinistra di Dragon il Rivoluzionario. È una leggenda che si rivela »
« Amon andrà benissimo, come darmi del tu » assentì quest’ultimo. Abbigliato in un comodo kimono nero a ricami floreali rosso e oro, teneva un braccio scostato dalla manica e appoggiato pigramente nella parte anteriore dell’indumento. I capelli bluastri e lunghi erano trattenuti dietro il capo, mentre la cicatrice orizzontale sul naso riluceva al riverbero dei lumi.
Dominic assentì.
« Vada per Amon allora. Mi scuso per la pessima accoglienza, ma temo non mi sia rimasto nulla di intatto da offrirti da bere »
« Non è necessario » continuò sulla falsa riga della cortesia, nonostante entrambi di squadrassero impazienti di sapere cosa l’uno volesse dall’altro. « Mi attarderò poco e passerò subito al sodo: sono qui per richiedere il lavoro dei Raiders. O meglio, di te in particolare »
Il padrone di casa inclinò la testa e sorrise modesto.
« Ho giusto bisogno di rifarmi delle spese di questo disastro. Come posso aiutare la terza – o la seconda? – persona più importante dell’esercito rivoluzionario? »
« La mia richiesta non ha nulla a che vedere con i rivoluzionari » precisò l’altro, e fu come una clausola di riservatezza. Non c’era più colloquialità nei suoi occhi, induritisi. « Ho bisogno che venga trovata una persona »
Il Vice Capo dei Raiders sospirò sconsolato. Non gliene andava giusta una, quel giorno.
« Preferirei ritrovare oggetti, manufatti, tesori. Con le persone c’è il fattore emotività e libero arbitrio che complica sempre tutto » borbottò grattandosi la nuca.
Amon tradì una piccola dose di impazienza nel fare un ulteriore passo. Appariva minaccioso, ma l’unica persona che Dominic temesse al mondo probabilmente stava gozzovigliando nei Mari Meridionali in quel momento. Continuò quindi a fissare l’ospite inatteso incoraggiandolo a proseguire.
« Mi interessa solo sapere il nome e i suoi ultimi spostamenti » chiarì il rivoluzionario.
« Questo è più ragionevole » convenne Dominic. « Dunque, qual è la tua richiesta, Amon? »
« Voglio sapere chi ha mangiato il Frutto del Diavolo Death Death »
 
 
 
 
 
 
To be continued?
 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXI - Fiabe ***


Cow-T. M2, terza settimana. 
Prompt: città - vita - anni
N° parole: 6349
- Capitolo XXI -
[Fiabe]
 
 
 
 
 
Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone.
John Steinbeck
 
 
 
 
 
Ruba Nome aveva tre regole d’oro che Brama Mappa non avrebbe mai potuto scordare.
« La prima regola è che non si rubano mai oggetti dal valore sentimentale. Puoi scovare il più grande diamante di tutti i tempi, ma se qualcuno ci tiene tanto da mettere in gioco la propria vita, devi restituirlo »
« Tu sei tutto scemo »
Un’occhiata indispettita del ragazzino l’ammonì, anche se lei non smise di brontolare imbronciata. Con le giovani mani si reggeva il viso ancora sporco dalla fuga di qualche ora prima, ascoltandolo seduta su alcuni gradini in un vicolo appartato.
La città tutt’intorno si muoveva incurante, vivace e chiassosa.
« La seconda regola – riprese Ruba Nome, alzando anche il dito indice per darsi un tono più autoritario e saccente – è non uccidere nessuno. Non rubare la vita altrui. Sempre ladro, mai assassino »
Stavolta la piccola aggrottò le sopracciglia, fissandolo interdetta.
« Questa è la seconda regola? Cosa ci sarebbe di peggio dopo questa? »
Lui sorrise. Un sorriso che Brama Mappa non avrebbe dimenticato negli anni, perché ancora si chiedeva quali emozioni si fossero avvicendate su quelle labbra stirate e in quegli occhi per lei sfuggenti.
Orgoglio? Malinconia?
« Il sorriso » disse lui, flautato, con voce lontana eppure incisiva. « Terza regola: non rubare mai il sorriso a nessuno »
 
 
Nami fissò la pagina del giornale senza vederla, sospesa sopra le parole. La foto sottostante il titolo era quella di un fastoso palazzo, illuminato dalle luci della città di San Faldo, dove del fumo usciva dalle finestre di uno dei piani mediani, come se il fuoco lo stesse divorando. Ma quelle non erano fiamme. Se la foto fosse stata a colori, le volute sarebbero state azzurre, o lillà probabilmente, e piene di lustrini.  
“Il ladro Ruba Nome attacca San Faldo – sottratti inestimabili valori alla famiglia Du Rossignol durante un ballo di gala” rilesse per l’ennesima volta, obbligandosi a non ricadere in sensazioni dimenticate.
Nel proprio passato. In qualcosa di ancora troppo vicino a sé per essere chiuso a chiave definitivamente.
Quell’articolo era come un fiato tiepido sulla pelle. Una carezza delicata, immaginaria, che non avrebbe dovuto spaventarla. Tuttavia, rievocare certi ricordi ne avrebbe fatti affiorare altri in lei, simili a una catena, anelli che non potevano fare a meno l’uno dell’altro. Tra quelli, c’era Arlong. C’era la sua vita sotto di lui, le vane speranze, i rimpianti, e i brevi sorrisi finivano ottenebrati, inquinati dal resto.
Il passato l’aveva seppellito sotto le macerie di Arlong’s Park, insieme a tutto. A tutta la sua infanzia e adolescenza.
Strinse il giornale, tesa. Osservando le vetrate frantumate di quel palazzo a San Faldo.
Non troppo lontano da Water Seven, dov’erano stati tempo addietro.
Tirando i conti, neanche a troppe leghe da dove si trovavano in quel momento.
Vicino.
Ruba Nome era vicino.
« Nami »
Alzò il viso, gli occhi spalancati da emozioni ronzanti. Adocchiò Zoro, di fianco a lei, immobile come una statua. Fissò prima lei, poi il giornale, stretto tra le sue dita.
« Tutto bene? »
Come le poneva lui le domande, sembrava di ricevere dei moniti. Inflessibile, serio, quasi un ordine a rispondere.
La navigatrice riportò l’attenzione al giornale.
E chiuse tutto, di nuovo.
« Certo » sbottò, ripiegandolo per poi abbandonarlo sulla balaustra di fianco. Si voltò completamente a fronteggiare il compagno, mani sui fianchi, espressione minacciosa.
Prima che lo spadaccino potesse controbattere al repentino cambio, lei gli abbaiò dietro di nuovo.
« Sei uno scansafatiche! Che diavolo fai qui a spiarmi!? »
« Cos- Ti sei bevuta il cervello!? »
Dimenticò all’istante qualsiasi carineria gli fosse balenata tra le pareti della cassaforte vuota che aveva al posto della testa. La fissò sdegnato, e lei lo ricambiò incrociando le braccia e alzando il mento a sfidarlo. La tensione stava scivolando via.
« Stai sempre ad allenarti o dormi. Mai nulla di costruttivo » lo rimbeccò ancora la rossa, voltando il capo come se la questione la annoiasse. Per bloccarsi di nuovo, fissando un punto.
« Ma che ti piglia!? »
Quando Nami si voltò, se mai c’erano stati pensieri a turbarla, questi si vaporizzarono. I suoi occhi nocciola sprizzarono scintille.
« CHE DIAVOLO CI FA RUFY SULLA POLENA!? »
Fu impossibile non sentirla. Anche dall’altra parte della nave, sul grande leone-sole della Sunny, l’accusato incassò la testa tra le spalle, chiudendosi le orecchie con le mani in un moto di esasperazione nuovo per uno come lui.
Tempo pochi secondi, e una batosta in testa gratuita, Nami trascinò il marimo vicino al timone, dove Franky osservava davanti a sé senza un pensiero per la testa.
« Ohi sorella, che hai da gridare? » la interrogò stupito.
La ragazza non lo stette a sentire, arrampicandosi sulle scalette e raggiungendo il retro della polena.
« Scendi » scandì imperiosa e inferocita.
Il capitano si voltò facendole la linguaccia e blaterando un « No! » tornando a guardare di fronte a sé.
Il cazzotto vibrò sonoro sulla sua zucca non tanto di gomma, mentre da piedi a prua Zoro e Franky sospirarono di pena per il futuro Re dei Pirati.
Quella scenata andava avanti da tre giorni, da quando avevano lasciato Nim. La storia del bacio della sirena raccontata da Kamome era ancora qualcosa su cui parecchi di loro erano scettici. Ciononostante, mentre Usopp e Robin avevano impiegato le mattinate a scartabellare in tutti i libri della biblioteca alla ricerca di qualsiasi indizio concreto, Nami aveva preso la questione in mano, come suo solito.
Ossia aveva iniziato a vietare a Rufy di avvicinarsi a qualsiasi bordo della Thousand Sunny, meno che mai di starsene sulla polena. Era arrivata quasi ad appioppargli i baby sitter, con risultati discutibili: Zoro era stato escluso subito, dopo che si era addormentato cinque minuti a seguire; Sanji sarebbe stato perfetto se non l’avesse defenestrato dal bagno, visto che era Rufy ad appoliparsi a lui e richiedere cibo in continuazione; Robin anche lo aveva messo alla porta della biblioteca dopo un quarto d’ora di rumorini vari e deconcentranti; Franky, Brook, Chopper e Usopp erano la combriccola definitiva, se non si fossero distratti tra di loro finendo col perderselo più di una volta.
Una cosa era però chiara a tutti: Rufy era attratto dal mare e non se ne rendeva nemmeno conto.
All’inizio sembrava solo la voglia di recuperare gli anni di nuotate perdute a causa del Frutto del Diavolo, ma neanche a un giorno di partenza più di un membro della ciurma aveva notato lo sguardo rapito con cui fissava le onde. Non che avesse provato a buttarcisi, ma le sue occhiate trasognanti, quasi vuote, avevano sortito più di un brivido di pessimi presentimenti.
Ma lo stesso Monkey D. Rufy si era dimostrato testardo: “io non andrò da quella sirena.”
E fine della discussione.
« Kamome ti ha avvertito: non ti puoi opporre » ribadì Nami dieci minuti dopo, riaccendendo l’ennesima discussione che si sarebbe conclusa sbattendo contro la cocciutaggine del capitano. Si erano sistemati intorno al timone, chi seduto sulla panca, chi sulle assi del ponte, mentre Sanji li aveva raggiunti con alcuni drinks insieme a Brook, Chopper e Robin con un libro sotto mano.
« Non mi interessa » fu la blanda ed esasperata risposta bofonchiata dal moretto con la cannuccia in bocca.
« La dolce Nami-san è preoccupata per te! » lo redarguì Sanji, più per cavalleria che per reale interesse.
« Ma io non intendo rinunciare a fare quello che voglio! Diventerò il Re dei Pirati, non lo schiavetto di un pesce! »
« Una sirena, idiota! Una sirena di cui non sappiamo nulla! Se è stata capace di eludere la maledizione del Frutto del Diavolo, chissà di cos’altro è capace! Oh, insomma! » sbuffò furibonda Nami, notando come Rufy si facesse i cavoli propri. Si lasciò andare con la testa sulla spalla di Robin, ricominciando lamentosa. « Sorellona, dimmi che almeno tu hai trovato qualcosa di più! E dov’è Usopp? »
L’archeologa le diede un buffetto in testa con un sorriso né rassicurante ma neanche di circostanza. Però sembrò capire la sua frustrazione.
« È salito sulla coffa a tenere d’occhio la situazione… »
« Almeno lui fa qualcosa di utile » sibilò la rossa, fissando trucemente Zoro, che stizzito rivolse il capo da un’altra parte.
« … riguardo alla sirena non abbiamo trovato molto » continuò la moretta, catalizzando l’attenzione.
Franky mise una sorta di pilota automatico, perché si voltò e alzò gli occhialetti sulla fronte, in ascolto. Rufy non se ne andò, ma diede ostinatamente le spalle alla sua navigatrice, che gli avrebbe volentieri tirato un tacco sulla nuca. Sanji scuoricinò, ma nessuno ci fece caso.
« Vi leggo la fiaba intitolata “Il Bacio della Sirena” » nel dirlo, si schiarì la voce, aprendo il libro rilegato e sfogliando le pagine vergate a mano e illustrate ad acquarello.
« C’era una volta un galeone perso tra i flutti di una tempesta. Il cielo era nero e le onde mani buie che ghermivano la nave. Un fulmine si abbatté sull’albero maestro e bruciò tutto il legno fino a spezzare a metà lo sventurato galeone. L’equipaggio si tuffò in mare, nella speranza che Poseidone avesse pietà di loro, ma tra questi un solo uomo ebbe salva la vita.
Egli affondava e affondava; sempre più lontana vedeva la superficie, sempre più confortato accoglieva il buio e il freddo dell’abisso, quando mani gentili si posarono sul suo viso. L’uomo vide bellissimi capelli rossi, come un fuoco ardente tra le acque gelide, e incantevoli occhi come il cielo primaverile. Prima di abbandonarsi al buio, la creatura lo baciò.
La mattina dopo l’uomo si destò sulla spiaggia della sua terra natia. La sua famiglia accorse e pianse e festeggiò, ma l’uomo era confuso e chiese disperato:
“Ella dov’è? Dov’è quella mirabile fanciulla che mi salvò?”
Nessuno seppe rispondergli e tutti interpretarono le sue parole come sogni vaneggiati a un passo dalla morte.
L’uomo stesso se ne convinse, ma poi, il giorno dopo ancora, in un’insenatura nascosta, sentì una voce cantare: un verso soave, una ninna nanna, il cinguettino di un usignolo. Egli seguì ipnotizzato la dolcezza di quelle parole sconosciute fino alla battigia e lì vide la sua salvatrice: seduta su uno scoglio lontano, con la chioma corallo carezzata dal vento, conobbe la sirena.
Si scambiarono uno sguardo, fugace come il battito di un’ala, ed ella risparì nei flutti amici. Tuttavia non andò lontana. Tutti i giorni, la sirena si sedette sullo scoglio e intonò il suo canto d’amore per l’uomo. Nessuno dei due osava avvicinarsi all’altro, ma entrambi gioivano della rispettiva presenza.
Una mattina, l’uomo dovette riprendere il mare per lavoro e disse addio all’amata, senza sapere che ella lo avrebbe seguito anche durante il viaggio.
La notte, quando credevano che tutti dormissero, la sirena cantava per lui fino all’alba, cullandolo nel suo amore. Il viaggio continuò e con esso anche il loro segreto.
Giunti a un’isola per commerciare, il capitano della nave disse all’uomo:
“Ripartiremo prima del tramonto del sole, non tardare!”
Questi si fidò della parola del suo superiore, senza fiutare l’imbroglio: il capitano richiamò l’equipaggio molto prima e salpò, abbandonandolo lì.
Giunse la sera, e il fedifrago si travestì come l’uomo e attese che la sirena si avvicinasse per cantare. Quando emerse dall’acqua, credendo di scorgere il suo amore, scovò l’inganno ad attenderla: l’equipaggio la agguantò con le reti e a nulla valsero le lacrime della sventurata e l’invocare il nome del suo amore.
Innamoratosi di lei e del suo canto durante le lunghe notti di traversata, il capitano disse che la voleva per sé e sé soltanto. La sirena si dimenò e implorò, senza che nessuno la ascoltasse.
Quando si rifiutò di cantare e amare il capitano, questi venne accecato dalla gelosia e la uccise »
« E poi? Finisce così? » la incalzò il carpentiere, con le lacrimucce agli occhi, torturandosi il labbro.
L’archeologa voltò sull’ultima pagina del racconto e le poche righe che lo concludevano.
« Nello stesso momento, sull’isola dove era stato lasciato da quelli che credeva essere compagni, l’uomo sentì il petto dolergli. Preda della sofferenza, egli si gettò in mare e nuotò col desiderio di ricongiungersi alla sua amata. Ma prima che potesse raggiungerla il dolore divenne insopportabile ed egli morì tra le onde. Fine »
Un silenzio sacrale calò a coronare le ultime sillabe espresse da Robin con trasporto. Nessuno fiatò, anche perché la maggior parte avevano trattenuto il respiro.
« … e questa sarebbe una fiaba? Dov’è il lieto fine? » sbottò Nami, più depressa che mai.
Robin fece spallucce, richiudendo il libro tra i piagnistei del cuoco, dello scheletro e del carpentiere.
« Io non sono innamorato di quella sirena! » puntualizzò Rufy facendo le bolle nel suo bicchiere.
« Io sììì » impazzì invece Sanji, cogliendo l’occasione di strusciarsi sulla spalla libera della navigatrice e rimediandoci solo uno scapaccione.
« È terribile Robin! Significa che se la sirena viene catturata e muore, succederà lo stesso anche a Rufy!? »
La domanda di Chopper portò un momento di stallo. La ciurma si guardò l’un l’altro, fissando poi il futuro – era ormai da vedere – Re dei Pirati, intento a infilarsi una cannuccia nel naso.
Una consapevolezza comune, e rassegnata, passò per la mente di tutti.
« Sciocchezze » tagliò corto Nami.
« Quello non muore manco se lo ammazzi » masticò Zoro.
« C’è un altro racconto, il “Richiamo della Sirena” » fece presente l’archeologa, sfogliando di nuovo il suo macabro libro. « In questo caso la sirena canta per l’uomo amato finché questi non la raggiunge sul fondo del mare per un ultimo bacio prima di morire »
« … ma sono tutte così angoscianti? » borbottò la rossa.
La moretta fece spallucce, osservando Rufy che si rovesciava il bicchiere vuoto sulla testa e ripiegava le cannucce in entrambe le narici facendo ridere Chopper.
« Forse a Port Red Jack troveremo qualche informazione » provò Sanji, cercando di tirare su il morale alla navigatrice.
« O forse troveremo solo un sacco di guai » sbottò lei in risposta, palesando ulteriormente il suo malumore.
Già, Port Red Jack.
Un’isola che era stata descritta come un covo di infami e piantagrane. Molto peggio di Mock Town e più infida di Whisky Peak. Non che non mettesse addosso a qualcuno di loro un sottile quanto elettrizzante senso di attesa. Durante i loro viaggi erano stati in contatto con la filibusta più genuina solo in situazioni relative, sempre braccati da terzi o sempre di fretta.
Pian piano, ognuno tornò a rivolgere rapide occhiate agli altri, finché i primi non iniziarono a dire la loro, con qualche ghigno noncurante.
« Andrò in armeria… e a farmi una seria bevuta »
« Bravo, così ci toccherà venire a cercarti dall’altra parte della città. Ma solo dopo che avrò visto che cosa offre il bazar cittadino »
« Sanji posso venire con te? Magari hanno ingredienti particolari per le mie medicine! »
« Super ragazzi! Due colpi alla Sunny e vi raggiungo! »
« Sorellona mi accompagni al casinò? Ho bisogno di sentire il portafoglio pieno »
« Intanto potrei chiedere di altre leggende legate alle sirene »
« Chissà che mutandine carine avranno le signorine dell’isola »
« Magari troviamo un nuovo membro per la ciurma » finì Rufy, che stava osservando il fondo del bicchiere con occhio critico. Per una volta, le sue affermazioni candide, che avrebbero fatto borbottare più di qualcuno, passarono in secondo piano; questo perché Usopp, dalla coffa, strillò un chiaro ed eccitato « TERRA! »
Si precipitarono tutti ai parapetti, dimentichi di sirene, leggende e pessimi auspici, per osservare il profilo dell’infame Port Red Jack stagliata contro l’orizzonte. Già nell’aria si annusavano profumi di spezie e divertimenti.
Oltre che di guai.
Di quelli che avrebbero reso la loro fuga indimenticabile.
E affollata.
 
 
***
 
 
Porto di San Faldo.
Il giorno dopo l’Asta.
 
 
I gabbiani garrivano agitati, volando da una parte all’altra del porto. Le banchine brulicavano di vita, anche lì per la maggior parte gente con maschere e costumi elaborati, colorati e sgargianti. I banchi del pesce fresco e i bazar temporanei dei mercanti di passaggio contribuivano al cicaleccio pressante. Lontano, il fischio del treno del mare annunciava una partenza imminente.
La Sidero era ormeggiata all’ultimo molo, più tranquillo e meno frequentato, oltre che camuffata per nascondere gli indizi che un occhio esperto avrebbe potuto cogliere e ricollegata all’Armata Rivoluzionaria. Non che ci fosse molta Marina in giro da quelle parti. A seguito dei disordini della sera precedente presso Palazzo Du Rossignol, la maggior parte delle forze dell’ordine era ancora intenta a setacciare le bettole dei canali malfamati e la zona portuale dei traffici poco leciti. Quando in realtà le manette sarebbero dovute scattare ai polsi dello stesso Dominic e della sua congrega di ladri, se la bella facciata che aveva eretto sulla sua persona – con mucchi di assegni staccati pigramente – non avesse indirizzato i tutori della legge da un’altra parte.
Questo era ciò che Koala, appoggiata con indolenza al parapetto della nave, pensava con gli occhiali da sole calati sul naso. La sera prima si era divertita, nonostante un cavillante grillo parlante del buon senso si fosse fatto sentire per tutto l’inizio della serata.
Essere circondata da pirati, da funzionari corrotti e ladri generici non era la compagnia adeguata alla sua idea di festa. Ma si era trattato di lavoro. Diverso dal solito, a cominciare con il vestito che Amon le aveva procurato rendendo giustizia al suo nome. Simpatico e anche carino. Cortino, e con la schiena tanto scoperta per le sue abitudini, che per un po’ gli era piaciuto mescolarsi al serraglio improbabile e bersi un drink pensando a frivolezze.
Senza contare che con la maschera calata sul viso aveva potuto osservare tutti, incuriosita, senza sensazioni di imbarazzo. Compreso…
Lo sguardo le cadde oltre la spalla, sotto l’albero maestro. Con la schiena appoggiata al legno, seduto su una cassa e le gambe lunghe su un barile, Sabo dissimulava l’attesta osservando il cielo e tamburellando le dita sulle braccia incrociate. L’irritazione palpabile era ancora presente, constatò con un sorriso la rossina.
La sera prima era andato tutto bene: non si erano fatti riconoscere – nonostante gli annunci plateali di Ruba Nome – e avevano parlato col Vice dei Raiders senza troppi intoppi. Avevano chiacchierato, in disparte da tutti, come non facevano da tanto, ridacchiando e…
Koala arrossì appena, gonfiando le guance.
Erano stati vicini. Parecchio. Tanto che lei, pervasa da una goffaggine demoralizzante, aveva rischiato di rovesciare bicchieri e camerieri.
Sabo vantava una galanteria naturale, qualcosa di scritto direttamente nel DNA. Era affascinante, con qualsiasi cosa addosso, e si controllava in tutte le situazioni, nei gesti misurati, in movimenti che riempivano gli spazi senza invaderli… un insieme radicato negli anni dell’infanzia che la sua memoria aveva perduto, ne era certa. Questo al contrario della sua parlantina sciolta. C’era un conflitto tra la nobiltà del suo incedere e il modo in cui si esprimeva, come se fosse cresciuto contemporaneamente in un luogo di classe e in un giungla.
Ridacchiò, grattandosi la nuca, ancora impigrita contro il parapetto della Sidero a fissare il porto.
Non si accorse della mano che calò sulla sua testa, carezzandola. Alzando gli occhi stupida, Koala incontrò lo sguardo gentile di Amon.
« Buongiorno bambina » soffiò morbido, passandole le dita tra i capelli. « La tua espressione sognante renderebbe geloso qualsiasi uomo, sai? »
« A-Amon-san »
Le scostò una ciocca per poterle sussurrare all’orecchio.
« È uno spreco che i tuoi begli occhi vedano solo lui… »
Koala trattenne il fiato, o in quel momento si dimenticò di respirare. Pensava alle parole, non riuscendo a metterle una di fila all’altra coerentemente, e vedeva l’uomo di Alabasta, rammentando che se erano ancora attraccati a San Faldo era perché lui era sparito per tutta la notte e la mattina, e che Sabo…
« … parli del Diavolo » borbottò Amon, rimettendosi dritto quando la presenza del biondo, alle loro spalle, si fece pressante e molto poco amichevole. Una smorfia da ragazzino annoiato si aprì tra i suoi capelli blu notte lasciati sciolti. « Neanche il mio vecchio mi ha mai guardato tanto indisposto »
« Non sono indisposto »
Perfino la ragazza si fece piccola piccola, non intenzionata a intromettersi nella discussione.
« Che cosa ti sei messo in testa? Per te è un gioco? » accusò il biondo, immobile come una statua. Era furioso, questo Koala lo aveva capito da quando erano rientrati, e l’attesa aveva aggravato non solo la stizza iniziale, ma anche il silenzioso astio che il Braccio Destro di Dragon covava per Amon.
« Mh, il suono soave delle prediche » replicò passandosi una mano tra i capelli.
« Perché sei andato a Palazzo Du Rossignol? »
Non doveva essersi aspettato quel dettaglio. Il suo sorrisetto scanzonato si congelò.
« Non ti fidi proprio di me? »
Qualcosa di quella oscurità che ammantava i suoi segreti vibrò nelle sue parole, graffiante.
Ma Sabo sapeva essere un ardito, dimostrando il disprezzo e il coraggio di fronte a una pericolosità celata.
« No, non mi fido. E penso che continuerò così finché non mi dirai qual è il tuo vero scopo in questa missione »
Chiaro e coinciso.
Koala guardò prima lui e poi l’accusato, senza capire.
Amon, per una volta, dimostrò di saper rimanere stupito. Una notte fuori e quel ragazzino aveva fiutato molto più di quanto avrebbe preferito. Lo aveva sottovalutato. Ora la blanda scusa di essere stato in compagnia di qualche donna avrebbe retto la metà.
« Ho i miei motivi – alzò una mano per fermare la repentina protesta del minore – e non sono strettamente legati al lavoro per cui siamo venuti qui. Hai ragione »
Negli anni Amon aveva ceduto ai compromessi, lui che era cresciuto in un mondo piccolo e ristretto dove le uniche leggi vigenti erano “buono” e “cattivo”, “giusto” e “sbagliato”, “sacro” e “profano”, “infedeli” e…
Fissò negli occhi Sabo, occhieggiando anche Koala al suo fianco.
Un tempo tutto questo per lui non sarebbe esistito. Non era scritto. Non avrebbe mai conosciuto il mare, le etnie, un sapore che non fosse la sabbia. La conoscenza, la cultura, la storia. I colori che il cielo poteva assumere in porzioni differenti di mondo; le costellazioni mai sempre le stesse; il solo concetto di isola.
Tutto era iniziato con uno sguardo come quelli che ora lo fronteggiavano, battaglieri, fieri, pronti alla lotta per qualcosa di importante, per una sfaccettatura dell’immensa verità del mondo. Amon portava i segni sul corpo di una battaglia simile, una per cui tanto tempo prima credeva di essere nato, destinato a proteggere una verità sacralizzata dal tempo e dall’ignoranza. I nemici del suo ristretto popolo erano i falsi, i fedifraghi del mondo esterno.
E uno di quegli stessi millantati nemici un giorno era arrivato al Tempio, stremato ma ricco di speranza, a togliergli i paraocchi, a strappare le tende oscuranti la finestra della sua ragione, delle sue credenze. Ad affascinarlo parlandogli del mondo nella sua interezza, della bellezza che si poteva trovare in un fiore, nella sua fragilità e come nelle sue radici robuste.
Aveva perso tutto per un’amica, per un affetto sincero. Aveva perso lei e i suoi occhi azzurri che scrutavano e imparavano ogni cosa su cui si posassero, che rispettavano e amavano con la delicatezza di una madre e l’inesauribile energia di una bambina in un giardino da scoprire.
La notte in cui aveva reciso i legami col suo passato si era fatto delle promesse, le uniche ragioni per cui era sopravvissuto.
E quel viaggio era il primo passo verso la realizzazione.
« Non ti ho mentito Sabo. Dragon mi ha chiesto di accompagnarvi e aiutarvi. Ma ho avuto il permesso di occuparmi di alcune faccende personali »
La spiegazione sommaria non aveva colpito il biondo, non lo aveva soddisfatto. Neanche lontanamente.
Amon, esperto di nonchalance, si appoggiò coi gomiti al parapetto della Sidero, lasciando che il kimono gli si aprisse sul torace bendato. Cicatrici e simboli tatuati spiccarono sulla pelle ambrata.
« Sono andato dal Signor Dominic perché è il migliore nel suo campo. E ti basti questo. Non ho intenzione di dirti altro » concluse.
Koala si chiese, col cuore che batteva forte, se Amon si rendesse conto di quanto il suo viso si fosse adombrato, incupito. Di come le parole fossero scivolate fuori come lame pronte a scattare e trafiggere. O ancora, del solco tracciato tra di loro, del fosso torpido che ora li separava.
Fidati: prendere o lasciare, diceva il suo sguardo.
Al suo fianco, Sabo aveva le braccia abbandonate lungo il corpo, ma non la propria espressione. Non era il Vice di Dragon solo per la sua forza fisica, per la sua volontà radicata profondamente, per i suoi ideali. Era il secondo elemento più importante dell’Esercito Rivoluzionario perché Sabo infrangeva gli specchi delle bugie, vedeva oltre essi, prendeva su di sé la responsabilità di dare fiducia, di affidarsi all’istinto e non temere le conseguenze.
Per questo fece un passo, mettendo metaforicamente piede in quel divario, in quella fossa che Amon aveva aperto di fronte a loro. Senza cadere.
« Lo scopo di questa missione rimarrà prioritario su tutto »
« Non era mia intenzione dare adito al contrario. Ritardo di stamattina a parte » aggiunse con una smorfia il Nadim. « Mi sono lasciato prendere la mano nel costruirmi un alibi »
Il biondo ignorò l’allusione, ma Koala, tirando un respiro di sollievo, vide la tensione allentarsi nelle sue spalle.
E fece una cosa che lasciò gli altri due di stucco: tese la mano destra, tese la propria volontà di credergli senza domande.
Amon fissò le sue dita e qualcosa di antico tornò a galla.
Non si finisce mai di imparare, di sorprendersi, di lasciarsi stupire da chi si ha davanti.
Certe lezioni, all’ombra delle rovine di Alabasta, impartite dalla donna più in gamba che avesse mai conosciuto, non si potevano dimenticare.
Strinse la mano di Sabo e si impegnò tra sé a non combinargli troppi casini in futuro.
Quando sciolsero la presa, di nuovo il mondo aveva preso tinte e sfumature leggere.
« Allora, raccontatemi la serata. Voglio i particolari indecenti » ghignò Amon.
I due giovani alzarono gli occhi al cielo.
 
 
 
***
 
 
 
Water Seven,
sera dello stesso giorno.
 
 
 
I profumini invitanti provenienti dalla cucina del Dock Rocks si annusavano nell’aria serale già dall’angolo della strada. Se non fosse stato nei piani di Ace andare al locale, quel richiamo per il suo stomaco lo avrebbe portato a farci una tappa comunque.
Entrò nella locanda più allegro rispetto a quando era sceso dal Treno del Mare, scombussolato dal viaggio noioso e impensierito dalla serata passata a San Faldo. Avere noie per la testa non era proprio da lui, gestirle e ragionarci sopra ancora meno, così diede retta alla pancia, facendo un sorriso smagliante all’oste quando incrociarono gli sguardi.
« Oh no » esordì Barrett lugubre, roteando il panno in un bicchiere con l’entusiasmo in calo.
« C’è un odorino qua fuori… » spiegò soave Pugno di Fuoco, sedendosi al bancone. Con una schicchera si fece scivolare il cappello alle spalle, in segno di rispetto. Quel posto gli piaceva un sacco, e nel suo galateo personale togliersi il cappello anche lì, in una tana da lupi di mare, era un buon modo per dimostrare il proprio rispetto.
Peccato che il barista lo stesse fissando come l’incarnazione di un esattore delle tasse. O di sua suocera.
Poggiò il bicchiere da una parte, chinando la sua alta e ampia figura sul ragazzino, un gigante scettico di fronte da un mocciosetto tutto sorrisi innocenti. L’aria angelica che Ace era in grado di produrre era disarmante. Avrebbe confuso il Diavolo in persona.
« … sei venuto a svuotarmi di nuovo la dispensa? »
Il ragazzo si fece spuntare l’aureola, giocherellando con le dita in grembo.
« Sono arrivato poco fa, sai, da San Faldo… sul Treno del Mare non servono cose buone come fate voi… cinque ore senza un pasto decente… » traccheggiò petulante, alzando le spalle di nuovo libere da qualsiasi fastidiosa giacca.
Sotto l’occhiataccia dell’omone brizzolato, che di delinquenti ne aveva visti e raddrizzati parecchi, il Secondo Comandante di Barbabianca diede la stoccata finale.
« … e poi come rendo io onore ai piatti di Lea non lo fa nessun altro. Neanche una briciola »
Parola di scout, sembrava il giusto finale della frase.
Barrett grugnì una prima volta. Un suono gutturale che pareva l’esito di una bestemmia repressa.
Si rimise dritto, grugnendo una seconda volta.
Per Ace era il segnale. Quando lo lasciava senza parole intellegibili l’aveva convinto.
« Hai vinto impiastro » e gli allungò il menù, agguantato come un meritato premio.
« C’è ancora l’arrosto alle arance? E quel… Biif Burghignò? I primi? »
« Seh, seh… » mugugnò Barrett, scrivendo direttamente sul suo blocchetto uno di tutto, passandolo alla cucina. « Mangi qui o scendi dai tuoi amici? »
« Eh? » bofonchiò distrattamente Ace, bava alla bocca, scorrendo il menù. Realizzò quando il barista sbuffò. « Cosa? »
« Di sotto c’è quel tuo fratello biondo, Marco, lo raggiungi? Si è portato compagnia. Vedete di non farmi rimpiangere di sfamarvi »
Ace era trasparente nelle emozioni, così Barrett si ritrovò i suoi occhioni scuri scrutarlo come se non avesse afferrato una parola. Ma quando si alzò ringraziò e si avviò per le scale.
Nella taverna del Dock Rocks l’aria era satura dei fumi alcolici e tabacco che riscaldavano l’aria in sé più fresca. Era molto più bassa rispetto all’ingresso, ricavata da una vecchia cantina ampia e coi mattoni a vista. Il pavimento era stato rivestito in legno, le nicchie dotate di tavoli e panche per creare ambienti più appartati. Il bancone con i miscelatori delle birre e gli scaffali dei liquori era subito dopo l’ultimo gradino; le tre cameriere si affaccendavano tra i tavoli volando, evitando anche la maggior parte delle molestie verbali e non guardate a vista dall’anziana madre di Barrett, precedente proprietaria, che sedeva vicino alla cassa tenendo i ferri da lana meditando su chi testare le punte acuminate.
Ace ricevette un’occhiataccia di monito come chiunque altro, e insieme uno sbuffo da nonna davanti al nipote discolo.
Ormai Portuguese era di casa da quelle parti, e ricambiò con un sorrisetto giulivo.
Trovare Marco e il suo ciuffo biondo non fu difficile. Se ne stava in una delle nicchie più lontane, sorseggiando della birra scura.
La faccia che mise su nel vederlo arrivare non era propriamente quella delle più raggianti.
« Sei tornato » constatò. C’era dell’incertezza nella ruga tra i suoi occhi.
« Toccata e fuga, letteralmente » cincischiò il moro. Fece per sedersi davanti a lui quando vide un secondo bicchiere da Rum.
Scambiò un’occhiata interrogativa col compagno e finì col scivolare sulla sedia a capotavola.
« … ho interrotto qualcosa? »
Se c’era una cosa che Ace adorava era cogliere Marco in situazioni compromettenti. Il che significava contesti pressoché inesistenti. Vuoi il sesto senso del Primo Comandante nel prevenire momenti imbarazzanti, vuoi che oltre la vita a bordo la Fenice non desse adito a chiacchiere, il minore aveva poche occasioni per stuzzicarlo.
Peccato che gli anni di esperienza lo battessero sul nascere.
« Qualcosa per cui ti minaccerò di tacere più tardi » celiò indolente, prendendosi un altro sorso insieme all’espressione guardinga di Portuguese. « La tua bella misteriosa? Ci farai diventare zii o il mio regalo è stato provvidenziale? »
Qualcosa di molto simile a una fiammata animò i capelli di Pugno di Fuoco, insieme alle guance su cui le lentiggini finirono inghiottite dal rossore.
Ma quel moto di imbarazzo, e il farfugliare a coronarlo, furono interrotti dal ritorno di chi si era assentato dal tavolo.
La prima cosa notata da Ace fu un tatuaggio smile che spuntava dai primi bottoni slacciati di una camicia blu scuro. Alzando lo sguardo, incrociò occhi metallici e imperscrutabili, capelli scompigliati e due paia di orecchini dorati a entrambi i lobi. Più una smorfia imbronciata che dava l’idea di non abbandonare mai la piega delle labbra.
« Law, lui è Ace, il Secondo Comandante »
Presentazione concisa che fu ricambiata da un cenno del capo mentre il medicastro si metteva seduto.
« Ci siamo già visti » se ne uscì Portuguese, cercando di rammentarlo in qualche scorcio di ricordo.
Marco si chinò nella sua direzione.
« Sulla Moby Dick probabilmente: è uno dei medici del Babbo » spiegò, ma occhieggiando meglio Trafalgar, intento a sorseggiare il Rum come un estraneo unitosi a loro per caso, aggiunse. « O su qualche giornale, è- »
« Una Supercosa! » esclamò Ace colto da una rivelazione personale.
Mentre il Chirurgo a momenti si strozzava, il biondo chiuse pazientemente gli occhi e lo corresse.
« Nova, Supernova »
« Quello che dici tu. Come Rufy! »
« Conosci Mugiwara-ya? » si interessò Law, scrutando più attentamente il minore.
« Certo » il sorriso a trentadue denti di Pugno di Fuoco era tanto ampio quanto orgoglioso. « Tu? »
« Non ancora »
« Succederà a Sabaody » si intromise Marco, fissando l’ospite con attenzione. « Arrivare all’arcipelago e riuscire a passare oltre la Red Line, quello sarà il vostro esame. Se sopravvivrete, vi aspetteremo nel Nuovo Mondo »
Calò il silenzio.
Non capitava molto spesso di sentire il Primo Comandante di Barbabianca lanciare sfide come aveva appena fatto con Trafalgar. I due sostennero l’uno lo sguardo dell’altro, il primo con un sorrisetto tanto pigro da passare inosservato, il secondo con una palpabilissima aura seccata.  
« Ti unirai a noi? » chiese Ace mentre arrivava il primo di molti piatti fumanti. Il profumino ghiotto gli fece dimenticare all’istante la domanda, ma Law, ordinando un secondo giro di liquore, rispose comunque.
« No » scandì, e non ritrattò neanche sotto l’occhiata della Feniche di chi la sapeva lunga.
« C’entrano le informazioni che mi hai chiesto? » indagò il biondo, risistemandosi contro la pietra della nicchia.
« Anche. Le hai qui? »
« Non tutto ancora. Sono urgenti? Non mi hai dato una scadenza »
Law si prese secondi per meditare sulla risposta.
« Mi serviranno prima di ripartire da Sabaody »
« Va bene »
Intromettendosi, Ace bofonchiò un “Di che state parlando?” a bocca piena, intuito da Marco grazie ad anni di convivenza.
L’occhiataccia del Chirurgo mise in chiaro che erano affari privati, così Portuguese passò da un broncio pasticciato di sugo a un’alzata di spalle per lasciar perdere.
« Che ne sapete delle mappe per Raftel? »
La domanda fu buttata sul tavolo come una coppia di dadi. Del tutto casuale, come il risultato. Ma Law in certe occhiate, certe variazioni microscopiche, come tic o rughe d’espressione, sapeva riconoscere all’istante verità e sotterfugio. Mentre nel fissare Ace capì subito che aveva come parlato egiziano antico, con la coda dell’occhio colse quello che gli serviva nella nonchalance di Marco. Tradita da un vago e più accentuato assottigliamento delle palpebre. Con una smorfia compiaciuta lo inchiodò.
« Credi alle storie da bordello, Law? »
« No. Ma che nel tempo nessuno ne abbia compilata neanche una è altrettanto assurdo »
Si squadrarono sottilmente nella confusione della taverna, nell’incredulità di Ace che, strano ma vero, se ne stava buono ad aspettare il seguito.
« Barbabianca è l’uomo più vicino a trovare il One Piece. O a conoscerne la vera natura. Anche queste sono storielle? » il tono del Chirurgo fu volutamente provocatorio. Pugno di Fuoco ci cascò come un allocco, pronto a ribattere, ma la mano del fratello lo prevenne.
« Stai cercando le mappe? » tagliò corto Marco, più interessato e incurante di fronte alle istigazioni della Supernova. Un po’ lo conosceva, e aveva iniziato a trattare da subito quel suo lato.
Una smorfia eloquente e un’alzata di spalle. I diretti da lui erano un miraggio, o probabilmente appannaggio di pochi.
« Noi non ne abbiamo »
« Neanche quella del Re dei Pirati? »
Un altro segnale impercettibile, ma questa volta da parte di Ace, che nel suo abbuffarsi aveva raddrizzato la schiena come se avesse trovato qualcosa di poco gradevole nel piatto.
« Voci e chiacchiere all’epoca dissero che fu persa dopo la sua cattura. La Marina non ce l’ha o avrebbe asserragliato St. Kora e Garden Party in questi anni »
« Gli Eredi? »
« Se uno ci crede » bofonchiò il Secondo Comandante, interrompendo i botta e risposta.
Il più stupito fu Marco, che lo fissò stranito. Pugno di Fuoco fece un gesto vago, ma non incrociò il suo sguardo.
« Intendo, se uno crede veramente alla storia degli eredi di sangue del Re dei Pirati » si spiegò spiccio, infilzando una polpetta nel piatto senza mangiarla. « Se fosse tutta una montatura? »
« Con quale obiettivo? »
Sembrò la stessa cosa che si chiese il ragazzo studiando il cibo, ma erano domande a cui non voleva rispondere.
« Roba da marine, che ne so »  
Alla risposta poco convincente sia Marco che Trafalgar si scambiarono un’occhiata, ma non diedero seguito quando il fratello di Rufy tornò a riempirsi lo stomaco.
« Le mappe esistono » riprese Marco, non senza la sensazione fastidiosa che qualcosa fosse stato spostato e non se ne fosse accorto. « Per quanto leggendarie »
« Una di Gold Roger e una di Vasco De La Isla, quelle note almeno. Entrambe disperse » riassunse il Chirurgo, mettendo in tavola le proprie informazioni. « Più la rotta di Noland »
« Non è l’avventuriero a trovare l’isola, ma l’isola a trovare l’avventuriero » citò Marco. « Dagli appunti di Noland su Raftel. Quelli che hanno usato la sua mappa finirono col confermare la sua fama di bugiardo… perché queste domande? »
« Preferisco muovermi limitando i passi falsi » ghignò Law, alzandosi. Da un marsupio di pelle allacciato sul fianco tirò fuori una busta di carta che lasciò sul tavolo tra le scodelle vuote di Ace. « Per Oyaji-ya. Una compressa ogni sera, lontana dai pasti. E da qualsiasi forma di alcool » sottolineo vanamente,  rammentando le abitudini di BarbaBianca.
Diede le spalle ai due pirati, salutandoli levando le dita.
« Ci si vede a Sabaody »
 
 
 
 
 
To be continued?
 
 
 

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