14 anni dopo

di lapoetastra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luce accesa ***
Capitolo 2: *** Fuori uno ***
Capitolo 3: *** Promessa infranta ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Luce accesa ***


Mi sveglio.
La porta della mia cella è aperta, e qualcuno attende fuori di essa.
E' una figura scura, alta, imponente.
Ho paura.
So chi è.
So cosa mi succederà.
Non è la prima volta, eppure non riesco a farci l'abitudine.
Sean Nokes si materializza davanti a me.
Mi fa alzare dal letto in malomodo, strattonandomi e spintonandomi senza gentilezza.
Mi porta nello sgabuzzino, quella stanza angusta e umida che è diventata per me la camera degli orrori.
Sento le sue mani sul mio corpo, mi spogliano e mi toccano dappertutto.
Percepisco il suo respiro affannoso soffiarmi nelle orecchie, facendomi il solletico.
Ma non mi viene da ridere.
Tremo.
Di eccitazione?
No.
Di paura, di terrore.
Come tutte le sere.
Ma ogni volta è sempre come fosse la prima, per me.
La violenza ha inizio.
E io non posso fare altro che stare fermo, aspettando che finisca.
Cerco di non pensarci, di non pensare a nulla, ma non ci riesco.
So però che devo farlo, se non voglio che questo orrore mi distrugga completamente.
Devo scontare ancora sei mesi, qui al Wilkinson, e le cose non miglioreranno di certo.
Tutto finisce, di colpo come è iniziato.
Nokes si riveste, in silenzio, e aspetta che io faccia lo stesso.
Con mani tremanti mi infilo il pigiama, che è stato gettato a terra alla rinfusa.
Non lo guardo.
E lui fa come se io non esistessi.
Mi riporta nella mia cella, sempre strattonandomi, sempre senza parlare.
Percorrendo il lungo corridoio sento distintamente i singhiozzi di John, a cui probabilmente Ralph Ferguson ha appena fatto visita.
Nokes mi butta sul letto.
Ma non se ne va, come invece fa sempre.
Stavolta chiude la porta.
Mi si avvicina.
E tutto ricomincia.
Solo che adesso è ancora più brutto, più doloroso.
Più umiliante.


Apro gli occhi.
Mi guardo attorno, nel buio, cercando di individuare la slanciata figura di Nokes.
Non c'è.
Realizzo dove sono.
A casa mia, al sicuro.
Lontano dagli orrori del Wilkinson, da quelle violenze fisiche e mentali che ho dovuto sopportare a dodici anni, insieme ai miei tre migliori amici.
Sono un adulto, ormai.
E con il tempo ho fatto carriera.
Sono diventato l'avvocato più brillante e famoso dell'intero Stato.
Ma mi sento ancora un bambino, dentro.
Quel ragazzino di appena dodici anni costretto ad essere partecipe troppo presto dell'orrore del mondo.
Da quel triste 1965 è come se non fossi mai cresciuto realmente.
Certo, in senso fisico sì, ma non a livello del cuore e dell'anima.
Questa però è la prima volta che sogno in modo così vivido e reale di essere ancora una bambola di pezza, un burattino, nelle mani di Sean Nokes.
E' buio, intorno a me, proprio come allora.
E' notte fonda, del resto.
Accendo la luce dell'abat-jour.
La sua tenue luminosità scaccia via i demoni del mio passato.
Mi sdraio di nuovo, con il respiro affannoso che sta iniziando a rallentare.
Mi tiro le coperte fin sotto al mento, come facevo da piccolo, quando avevo paura dei mostri.
Con il tempo ho capito che quei mostri esistono davvero, al contrario di ciò che diceva mia madre per tranquillizzarmi.
E non importa se non sono verdi e gelatinosi, perchè tanto sono terrorizzanti lo stesso.
Anzi, anche di più.
E sono dappertutto.
Io li ho conosciuti troppo presto.
Mi addormento.
Il mio è un sonno profondo, senza sogni e senza incubi.
La luce dell'abat-jour è rimasta accesa.
Non credo che la spegnerò più, d'ora in poi, di notte.

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Capitolo 2
*** Fuori uno ***


< Ordina qualcosa per me. Io devo andare al bagno >, dico a Tommy.
Ci troviamo al West Side Cafè, dove ci incontriamo quasi ogni settimana per parlare di affari e della nostra vita privata.
Ho bevuto un boccale di birra, che adesso sta iniziando a fare il suo effetto.
Mi alzo e mi dirigo alla toilette.
Non so se sia il destino oppure un semplice caso, ma mi giro improvvisamente alla mia sinistra, quasi come se fossi stato chiamato da una voce.
E lo vedo.
E' lì, che sta cenando, chinato davanti al piatto.
Lo riconosco immediatamente, nonostante sia più vecchio di come lo ricordassi.
Sono passati quattordici anni, d'altronde, e il tempo colpisce tutti, non importa se sei carcerato o carceriere.
I suoi capelli, un tempo folti e neri, sono ora radi e brizzolati e le sue mani tremano.
Alza lo sguardo.
Punta i suoi occhi azzurri - quelli non sono cambiati affatto - nei miei.
Di colpo ho di nuovo dodici anni...

Sono inerme tra le sue braccia forti, che mi impediscono di scappare e quasi di respirare.
Piango, ma cerco di non darglielo a vedere.
So che lo farei arrabbiare solo di più.
Le sue mani mi accarezzano rudemente su tutto il corpo, ed io rabbrividisco di disgusto.
I suoi compagni sono davanti a noi e mi guardano con bramosia ed eccitazione, come delle tigri che osservano fameliche la preda che stanno per attaccare.
Sono contento, almeno un po', di questo.
Perchè se tutte e quattro le guardie sono qui con me, adesso, allora vuol dire che i miei amici sono al sicuro.
Ciò è importante soprattutto per Tommy, che si sta spegnendo, mano a mano che le violenze continuano, sempre più dolorose, sempre più umilianti.
Chiudo gli occhi, cercando di pensare a loro e non al corpo caldo di Sean Nokes premuto contro il mio.
Mi fa male.
Mi scappa un singhiozzo di sofferenza, e vengo immediatamente punito con una botta sulla testa.
Mi mordo le labbra a sangue, per evitare di scoppiare in un pianto a dirotto.
Il respiro del mio aguzzino mi solletica le orecchie e di colpo io...


< Posso fare qualcosa per te? >
Le parole dell'uomo seduto al tavolo mi riportano d'improvviso al presente.
Mi accorgo che lo sto fissando con occhi vuoti, perso nei miei oscuri e tristi ricordi di cui lui è il protagonista.
< Adesso no. Goditi pure quello che stai mangiando >, rispondo, ancora sconvolto.
Entro in bagno come se fossi in uno stato di trance assolutizzante.
Mi guardo allo specchio, e per un momento non vedo John Reilly adulto.
No, per un momento c'è John Reilly dodicenne, di fronte a me, con il volto tumefatto e il cuore infranto.
Capisco cosa devo fare, per cercare di trovare un po' di sollievo al dolore che la mia infanzia rubata mi provoca ancora oggi.
So che Tommy sarà d'accordo con me.
Dopotutto anche lui è stato vittima di abusi, al Wilkinson, come tutti noi, da parte delle guardie e soprattutto da Nokes.
Era lui il più spietato ed il più cattivo.
Ed ora è lì, nella sala, a mangiare il polpettone come se nulla fosse.
Non mi ha riconosciuto.
Forse non si ricorda nemmeno degli orrori che ha perpetrato da giovane a discapito di poveri ragazzini, poco più che bambini, come noi.
Come potrebbe?
Eravamo solo giocattoli con i quali si divertiva, nulla più.
Ma adesso è finalmente arrivato il momento della vendetta, quello che ho atteso da tanti anni.
"Fuori uno", penso.
Sorrido, e lo specchio riflette di nuovo me stesso, John Reilly adulto.
John Reilly che non è mai stato un bambino.
Estraggo la pistola dai pantaloni e mi dirigo da Tommy, ancora ignaro di tutto.
"Fuori uno", mi ripeto.
Gli spiego ogni cosa, e vedo l'orrore e la sorpresa emergere sul suo viso, distorcendone i delicati lineamenti da cammeo.
Ci avviciniamo insieme, senza parlare, al tavolo di Sean Nokes.
Finalmente si ricorda di noi, e di quello che ci ha fatto.
Vedo il terrore diffondersi nei suoi occhi di ghiaccio e mi beo di questa visione che non avrei mai creduto di poter ammirare.
Forse si è pentito, adesso che sa di essere vicino alla morte.
Non importa, né a me né a Tommy.
Non esiste redenzione per quello che ci ha fatto passare.
Lancio uno sguardo al mio amico, accanto a me.
Ci capiamo senza parlare, come succede fin da quando eravamo bambini.
Premiamo il grilletto delle nostre pistole insieme, contemporaneamente.
Il corpo di Nokes sobbalza, ed adesso sembra lui un pupazzo, un giocattolo, nelle nostre mani, nelle mani della morte.
Sorrido.
"Fuori uno"
Non è molto, dopotutto.
Avrei voluto vederlo soffrire come lui ha fatto soffrire noi.
Invece lo abbiamo ucciso in modo rapido e quasi indolore.
Ma mi va bene lo stesso.
In fondo, io sono uno che si accontenta di poco.
 

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Capitolo 3
*** Promessa infranta ***


Sono un uomo, adesso.
Ma a volte non sento di esserlo.
Ci sono giorni in cui mi sembra di avere solo dodici anni,  e di essere ancora preda di quelle violenze che mi hanno costretto a diventare adulto troppo in fretta.
Il tempo è passato, per fortuna, anche se non abbastanza veloce quanto avrei desiderato.
Con gli anni i volti delle guardie del Wilkinson, dei miei stupratori, sono lentamente sfumati, diventando un alone indistinto rinchiuso in un cassetto della mia memoria.
Forse ce la sto facendo davvero, forse sto dimenticando.
Forse quella ferita nel mio cuore e nel mio orgoglio sta iniziando a rimarginarsi, nonostante sia troppo profonda per non lasciare una cicatrice indelebile.
Magari sto crescendo.
In questo periodo mi sento bene, una sensazione che non ho più provato da quella triste estate del 1967.
Dicono che il tempo aggiusta le cose, ed è vero.
Io ci ho messo quattordici anni, ma adesso sono finalmente un uomo nuovo, senza passato, senza dolore.
Pronto per ricominciare a vivere partendo da zero, lontano dalle atrocità che ho conosciuto troppo presto.
L'amicizia con Lorenzo, Michael e John continua tutt'oggi, in particolare con quest'ultimo.
Anche adesso, per esempio, noi due siamo insieme a cenare al West Side Cafè, ed io ho appena ordinato anche per lui, visto che è andato un attimo in bagno.
Panini all'olio: so che ci va matto.
Stasera mi sento in ottima forma, ed ho promesso a me stesso che d'ora in avanti niente guasterà questa mia ritrovata serenità d'animo.
John torna da me.
Mi preoccupo, mi sembra sconvolto.
< Guarda l'uomo a quel tavolo, Tommy. Guardalo bene >, mi sussurra tremando.
Mi giro titubante, incerto se sia uno scherzo o meno, e quando vedo di chi sta parlando, non posso fare a meno di impallidire anche io.
Lo fisso, e capisco che in fondo non ho mai dimenticato il suo volto, nè tantomeno quello delle altre guardie.
Forse sono riuscito ad ingannare il mio cervello, ma di certo non il mio cuore.
Ora i ricordi riaffiorano tutti insieme, facendomi girare la testa.
Violenze, abusi, botte... ogni cosa riemerge nella mia mente, apparendomi in veloci flash davanti agli occhi.
E non riesco a smettere di fissare l'uomo seduto a quel tavolo, così tranquillo e rilassato, a differenza mia che non riesco a calmare l'uragano che mi sta scoppiando dentro.
Avevo fatto la solenne promessa che niente avrebbe mai scalfito la mia felicità, qualunque cosa fosse accaduta.
Ma non l'ho rispettata, ed adesso, di fronte a Sean Nokes che cena a pochi passi da me, mi sento di nuovo un dodicenne.
 

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


Questa è la vera storia di un'amicizia che va oltre i legami di sangue.
È la mia storia, e quella dei soli tre amici che abbiano veramente avuto importanza nella mia vita.
Due erano killer che non arrivarono a compiere trent'anni.
Il terzo è un avvocato che non esercita la professione, e vive col dolore del suo passato, troppo spaventato per dimenticarlo.
Io sono l'unico che può parlare di loro, e della nostra giovinezza.



Abbiamo condiviso tutto.
Ci conoscevamo da quando eravamo piccoli, ragazzi comuni nati in una comune città.
Il desiderio di evasione, di libertà, da quel piccolo mondo troppo stretto per volare, era il nostro comun denominatore.
Almeno fino ai dodici anni, almeno prima di quell'orribile estate che ci ha cambiato la vita per sempre.
Il Wilkinson rimarrà sempre la nostra prigione, e non solo in senso fisico.
Ci abbiamo lasciato l'anima, lì dentro, tutti e quattro, tra quelle stanze buie e soffocanti rese ancora più anguste dai corpi bollenti delle guardie che premevano contro i nostri, facendoci mancare il respiro.
Ma eravamo così ingenui, dei bambini, come potevamo opporci a loro, uomini fatti e compiuti?
Non potevamo, infatti, e non l'abbiamo fatto, lasciando che facessero di noi ciò che preferivano ed allo stesso tempo cercando di aggrapparci alla nostra anima con le unghie nel tentativo vano di impedirle di frantumarsi.
E i giorni sono passati, i mesi se ne sono andati, e l'anno di detenzione è trascorso, tra violenze ed abusi continui.
Ci siamo dovuti reinserire nella società, ognuno a modo suo, ciascuno con il proprio dolore.
Quello che avevamo passato era troppo doloroso per essere dimenticato o anche solo ignorato e, per quanto ci abbiamo provato, nessuno di noi ci è mai riuscito.
Vedevamo mostri ovunque, ad ogni angolo, anche se non si trattava delle creature orrende che spaventavano i ragazzini della nostra età.
 Le creature che perseguitavano noi erano ancora più orripilanti.
Perchè erano veri, ed il mondo ne era pieno.
Lo è ancora oggi, purtroppo, e forse lo rimarrà sempre.
Ma abbiamo continuato a vivere, il nostro cuore martoriato non ha mai smesso di battere, e siamo diventati adulti.
Non ce ne siamo neanche accorti.
In fondo, a dodici anni era come se non avessimo più un'età.
Eravamo bambini nel corpo e grandi nella mente, costretti a crescere tutto d'un tratto per poter comprendere il significato di ciò che accadeva intorno a noi.
Ma quell'esperienza, l'estate del 1967, è ancora l'unico elemento in grado di unirci davvero, rendendoci più fratelli di quanto potrebbero mai esserlo quelli di sangue.
Mi mancano, i miei amici.
John e Tommy sono diventati killer di professione, impassibili e spietati.
Sono rimasti i più traumatizzati dal Wilkison.
Ma ora sono entrambi morti.
Il 16 marzo 1984 il corpo semiputrefatto di John Reilly fu trovato in un caseggiato popolare, sdraiato vicino alla bottiglia di gin distillato clandestinamente che l'aveva ucciso.
Era passato da una settimana il suo ventinovesimo compleanno.
Thomas Marcano morì il 26 luglio 1985.
Gli avevano sparato cinque colpi a bruciapelo.
Il suo cadavere restò ignorato per circa una settimana.
Trovarono un crocifisso e un santino di san Giuda, nelle sue tasche.
Aveva ventinove anni.
Michael Sullivan abita invece in una cittadina nella campagna inglese, dove lavora part time come falegname.
Non esercita più la professione di avvocato, e non si è mai sposato.
Vive tranquillo, e solo.
E io... io ho cercato di andare avanti e di farmene una ragione.
Non ci sono mai riuscito davvero.
Sono diventato scrittore.
Il libro di cui vado più fiero è senza dubbio "Sleepers", perchè parla di noi quattro, raccontando per filo e per segno la nostra vita e i nostri traumi.
A volte le persone, quando mi incontrano per strada, mi chiedono se sia io il Lorenzo Carcaterra autore e protagonista del romanzo.
Rispondo di sì, poi abbasso gli occhi e scappo via, in fretta, troppo spaventato di vedere nel loro sguardo pietà e compassione.
Gli unici momenti felici della mia vita sono i sogni, perchè torno ad essere di nuovo bambino, insieme ai tre migliori amici che abbia mai avuto, nel periodo più bello e felice della mia esistenza.
Dopo poche settimane il nostro destino sarebbe cambiato per sempre, inevitabilmente, indelebilmente.
Solo che in quei giorni ancora non lo sapevamo.
In quei giorni stavamo bene.
E la nostra unica preoccupazione era di non farci battere nelle partite di basket da Teschio e dai suoi, e non quella di chi ci sarebbe entrato in camera e di cosa sarebbe accaduto.
Immagino di essere lì, con loro, gioioso come il bambino che avrei dovuto continuare ad essere.
Erano davvero dei bei momenti, quelli, prima che finissimo al Wilkinson.
Perchè il futuro ci sorrideva.
Ed eravamo convinti che saremmo rimasti amici per sempre.
 

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