The beginning of everything

di Xandalphon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kassandra Guillelmine Yates ***
Capitolo 2: *** First steps through the looking glass ***
Capitolo 3: *** Gauntlet ***
Capitolo 4: *** A midsummer night's dream ***
Capitolo 5: *** To the lighthouse - part one ***



Capitolo 1
*** Kassandra Guillelmine Yates ***


Kassandra Guillelmine Yates

 

Cosa sono gli dei? Esseri benevoli che ci proteggono? Dispettosi e permalosi personaggi di un teatro di maschere, che giocano con il fato degli uomini per passare il loro tempo e scacciare la noia?

 

Molte civiltà, nel corso dei millenni si sono poste la stessa domanda, inventando, con la forza della loro peculiare immaginazione, un vasto campionario di risposte.

 

Alla fine, però, noi uomini abbiamo lasciato la domanda al mondo delle favole, relegata nella camera dei bambini. L'abbiamo sostituita con un'altra: 'come fare per diventare come dei?'

 

Il problema è che non abbiamo mai accettato la vera risposta a tale quesito, non siamo mai riusciti a riconoscerla: semplicemente, non possiamo.

 

***

 

Una bella ragazza sui 18 anni, penetranti occhi celesti, alta e slanciata, con lunghi capelli biondi, raccolti in una coda alta, si trascinava con andatura indolente per le polverose strade di Falkirk Rock, l'avamposto più orientale conosciuto dell'umanità. Oltre, si stendeva l'impenetrabile Sand Sea, un deserto senza confini. I pochi pazzi che avevano provato ad attraversarlo, in cerca di dio sa cosa, non avevano più fatto ritorno. Parecchie di quelle teste bacate erano partite da lì. Anzi, ad essere precisi, erano proprio abitanti del borgo.

 

Kassandra Guilllelmine Yates era proprio una nipote di Alexander 'silver rifle' Yates. L'ultimo, in ordine di tempo, che aveva tentato l'impresa.

 

“Sai che c'è, piccola Kassy Gee? Stamattina ho proprio voglia di dare un'occhiata all'albero!” Le aveva detto suo nonno, per poi sparire lontano, in direzione del sole sorgente.

 

Già, l'albero.

 

L'unica cosa che si poteva vedere laggiù, in lontananza a est. Doveva essere alto chilometri per potersi vedere ad una tale distanza. La chioma arrivava a bucare le nubi. Molti dicevano che era lì da migliaia di anni, e che il deserto era stato creato dalle radici di quella maestosa pianta, che aveva succhiato tutto il nutrimento possibile dalla terra nel raggio di miglia e miglia.

 

Kassy lo odiava con tutte le sue forze. Un miraggio tentatore che le aveva portato via nonno Alex, ecco cos'era.

 

Ma ora non aveva tempo di pensare a quello. Doveva muovere il culo per andare a registrarsi all'ufficio della FSM.Co. Sigla che stava per “Falkirk Silver Mines Corporation”.

 

Lavoro in miniera. Lavoro di merda, ma pur sempre lavoro era. L'alternativa, se non voleva muoversi da casa, era fare la cameriera nel pub. Ma visto che, con una puntualità talmente ineccepibile da apparire inquietante, tutte le cameriere del Silver Clover finivano incinte di padre ignoto dopo massimo quattro anni di onorato servizio... O, al massimo, rapite dai banditi di passaggio... Beh, no grazie.

 

Non aveva la più pallida idea di cosa le avrebbero fatto fare. Dubitava che le avrebbero messo in mano pala e piccone già dal primo giorno... Avrebbero pensato che Kassy Gee, come la chiamavano tutti, non fosse altro che una delicata ragazzina scema. Non sapevano quanto si sbagliavano.

 

“Nome completo?” Fece il tipetto seduto alla scrivania, con un paio di ridicoli occhialetti tondi sulla punta del naso, senza nemmeno alzare lo sguardo.

 

“Kassandra Guglielmina Yates...” Disse lei, apatica.

 

“Ah, la nipotina di 'mad Alex'...”

 

Ma che figlio di... Kassy dovette contare fino a dieci per mandare giù la fila di insulti all'insulso omino che aveva osato mancare di rispetto al suo adorato nonno. NESSUNO doveva permettersi di chiamarlo 'pazzo' in sua presenza!

 

Ignaro del fatto che probabilmente si era appena salvato per un soffio da un potente gancio sinistro sul pomo d'Adamo, l'impiegato continuò:

 

“Nata il...”

 

“29 febbraio dell'832 O.C”

 

O.C stava per Old Calendar.

Qualcuno, di nome ignoto, aveva avuto la brillante idea, in quel mondo caotico fatto di violenze e guerre continue, di calcolare gli anni a partire dalla sua data di nascita e stranamente la cosa aveva avuto un seguito. Ironico che l'umanità festeggiasse il compleanno di una persona di cui non sapeva nulla...

 

“Quindi anni...”

 

“Quattro e mezzo, signore.” Rispose la ragazza con un ghigno ironico. Era bisestile, no?

 

L'altro alzò con irritazione il sopracciglio, per poi riprendere, con la sua vocina odiosa: “Diciotto...”

 

Poi, dopo un attimo, riprese con un'ulteriore domanda:

 

“Risiedi stabilmente a Falkirk Rock, giusto?”

 

“Esatto, signore.” Annuì lei.

 

“Perfetto, ecco il tuo tesserino di riconoscimento.” L'uomo le porse un talloncino di cartone di colore verde pallido, con scritto sopra il suo codice personale.

 

Kassy lo osservò per un attimo.

 

“KAGUYA832FKR18... Beh, suona bene!”

 

Angolino dell'autore

 

Ehilà, giovinotti, eccomi qua con un'altra strampalata storia che probabilmente leggeranno in pochissimi... Sono sempre stato molto curioso di sapere come tutto ebbe origine, nel mondo di Naruto. Kishimoto, come temevo, non mi ha accontentato, per cui ci ho dato dentro di fantasia ed ho elaborato una mia idea personale... Un po' assurda, forse, ma tant'è. Spero che, nei prodi che la leggeranno, susciti almeno un pochino di domande...

 

A tale storia (sebbene ne sia totalmente indipendente) ci saranno, in un futuro non so quanto lontano, dei riferimenti e collegamenti in 'A New Generation'.

P.s: sugli aggiornamenti: come per l'altra mia fic 'How I lost my soul', gli aggiornamenti saranno piuttosto randomici, anche se cercherò di non far passare troppo tempo tra un capitolo e l'altro.

 

Beh, credo di aver detto tutto... Seeya!

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Capitolo 2
*** First steps through the looking glass ***


First steps through the looking glass

 

Doveva essere una peculiarità delle silver mines, il fatto che la gente che dava ordini tendesse a parlare a monosillabi. O almeno, tale fu il pensiero di Kassie quando un tizio grosso, pelato e puzzolente le disse, “Acqua, al pozzo. Muoviti!”

 

Ci mise un paio di minuti buoni per elaborare quelle quattro parole in un ordine sensato. Tradotto: doveva portare i secchi d'acqua ai minatori. Tecnicamente perché si rinfrescassero e si dissetassero, in quel caldo infernale. In realtà per fare altro.

 

Ok, Kassie, calma... Lo sapevi che era un lavoro di merda, no? Resisti quel tanto che basta per accumulare soldi a sufficienza per andartene a Crystal Lake. Un paio di mesi? Nah, anche meno...

 

Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dall'ennesima schizzata d'acqua sulla sua canottiera bianca.

 

“Tanto ho il reggiseno, manica di patetici morti di figa...” Borbottò lei in risposta, mentre si allontanava verso il pozzo.

 

“Scusa, cosa hai detto, biondina?” Le disse un essere vivente che solo con una buona dose di immaginazione si poteva definire umano. A occhio, Kassandra avrebbe pensato più che altro all'incrocio tra un armadio a muro a quattro ante e una mucca. Le restava un mistero la meccanica dell'accoppiamento, ma era certa che quella 'cosa' potesse discendere solo da un abbinamento del genere.

 

Per tutta risposta, Kassie lo freddò con uno sguardo deciso e gelido. Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, alzò il dito medio della mano destra. Erano passati millenni dacché era stato creato, ma era rimasto il solito modo cordiale e amichevole per salutare una persona.

 

Infine disse: “Hai sentito bene. Ho detto che siete dei patetici morti di figa. Però lo ammetto, ho sbagliato a parlare al plurale. Avrei dovuto riferirmi a te e basta.”

 

Un brusio confuso si levò nell'antro, illuminato dalla fioca luce delle lampade elettriche.

 

“La biondina ha fegato a cercare rissa col Bill 'the Bear'...” Fu il commento di molti. C'era chi ridacchiava, chi già scommetteva su quanto tempo avrebbe resistito la ragazza prima di imparare le 'buone maniere'. Insomma, quantomeno Kassandra aveva fornito loro un allegro spettacolino per passare il tempo.

 

Cazzo, non male per il primo giorno... Ma cosa diavolo mi è venuto in mente di rispondergli? Oh, beh. Ormai la frittata è fatta...

 

L'omone abbatté il proprio pugno su di lei, con la forza di una mazza ferrata. Ma Kassandra scartò di lato, con grazia e senza apparente sforzo. Quello ci riprovò una seconda e una terza volta: il risultato fu sempre il medesimo. L'unica cosa che mutava era il grado di umiliazione che l'energumeno provava di fronte a quello sfuggente, dannatissimo scricciolo. Mentre il suo avversario era ancora piegato in avanti, lei, infine, le assestò un calcio ben mirato sul ginocchio, facendolo inciampare e crollare a terra come un enorme sacco di patate. O, meglio, come la frana di una montagna, vista la mole.

 

“Tsk... Più sono grossi, più sono idioti...” Commentò soddisfatta la ragazza, nel silenzio generale. Fece però il pessimo errore di andarsene voltandogli le spalle. Quella sproporzionata massa di carne si rialzò e si fiondò, con tutto il suo peso, addosso a lei.

 

Kassandra si voltò troppo tardi per reagire in alcun modo. Ma prime che Bill le andasse contro, si vide dinnanzi un giovane dai lunghi capelli scuri, dal fisico esile e asciutto. Questi sorresse il peso del minatore con il solo avambraccio. Poi lo colpì con una mano in pieno sterno, facendogli fare un volo di diversi metri.

 

A quella vista, lei sgranò gli occhi.

 

No, un momento... Ma chi cazzo è questo? E soprattutto... Come diavolo ha fatto?

 

Solo in un secondo momento notò che l'avambraccio del tipo che aveva abbattuto con tanta facilità Bill era ricoperto da un bracciale di metallo, che arrivava fino alle dita della mano. Su di esso brillarono delle nervature azzurrognole, per poi affievolirsi e spegnersi. Fu una questione di pochissimi istanti; tanto brevi da indurre Kassandra a pensare che si fosse trattato solo di un'allucinazione o di un'illusione ottica.

 

“Allora, ragazzi, tornate al lavoro, sì o no?” Urlò con voce perentoria quello. Tutti, con maggiore o minore celerità, gli obbedirono.

 

Ok, meglio che levo le tende anche io...

 

Kassandra, però, non fu abbastanza lesta a tramutare il suo pensiero in azione, perché il nuovo venuto la prese per la collottola, come di solito si fa con i gatti.

 

“Cosa credevi di fare, neoassunta? Far vedere che sei la più bella della valle?”

 

“Ehi! Guarda che è stato quello là a provocarmi!” Si ribellò lei. Poi aggiunse, seccata: “E comunque, sarai anche figo con quel tuo strano arnese, ma chi sei per venire a farmi la predica, eh?”

 

“Gattina con gli artigli e che soffia, vedo... - Commentò divertito lui – Comunque si da' il caso che sia l'addetto alla vigilanza di questo settore. Mi chiamo Hendrick Joyce. E tu, combinaguai, chi saresti?”

 

“Kassie Gee Yates...” Disse lei, tenendo il broncio come una bambina di cinque anni. Aveva la stessa fastidiosissima sensazione di quando il nonno la beccava a rubare le noci dalla pianta di nascosto.

 

Dopo aver lasciato andare finalmente la presa, l'altro replicò: “Bene, Kassie Gee. La prossima volta che combini un casino, sappi che non ti verrò a dare una mano come oggi. Per cui fammi il piacere di tenere la lingua tra i denti, da ora in avanti, chiaro?”

 

“Okkei...” Disse lei, non molto convinta. Poi, incapace di trattenere la curiosità, dopo quello che aveva visto, gli chiese: “Senti, ma quel... Ahem, sì... 'coso'... che hai sul braccio... Come funziona?”

 

“Ehi, gatta bionda, se hai tanto tempo per chiacchierare, dovresti utilizzarlo per fare il tuo lavoro, piuttosto!” Gli rispose lui, severo.

 

Rompipalle... Mi sono scelta proprio un lavoro di merda... Fece lei brontolando tra sé, mentre si allontanava verso il pozzo.

 

Suo malgrado, Kassandra divenne famosa. Per due elementi. O, piuttosto, tre. I primi due motivi, avvalorando in generale la tesi che aveva così chiaramente espresso a Bill the Bear, erano quel paio di cosine che aveva lì davanti, e che da quelle parti non dovevano vedersi molto spesso... Il terzo era l'aver atterrato l'energumeno con tale facilità da lasciare tutti di sasso.

 

Una che evitava un pugno del vecchio Bill doveva essere tosta, fu il pensiero di molti.

 

Sì, forse alla fine era stato un bene che avesse avuto quel piccolo 'scambio di vedute'. Per come la vedeva lei, era stata una gran scorciatoia per guadagnarsi il rispetto di quella gente. Per quanto almeno in una trentina le avessero chiesto di vestire sempre con canottiere bianche e di evitare di indossare il reggiseno, dal giorno seguente... Anzi, già che c'era, di fargli dare loro una bella toccatina.

 

Non sapeva, però, di aver colto l'attenzione anche di altre persone, ben più importanti dei normali minatori.

 

***

 

“Allora, Enjoy, cosa è questa storia di una biondina focosa che si è messa a fare il diavolo a quattro nel settore 4-C?”

 

“Alice... Ancora con quel soprannome idiota?” Hendrick Joyce odiava a morte il soprannome 'Enjoy', che suo malgrado gli avevano appioppato. Soprattutto lo odiava quando a pronunciarlo era il suo capitano. Quell'odiosa ragazzina saccente alta la metà di lui...

 

“Dai, non prendertela per le battute di una ragazza annoiata... Allora?”

 

“E' la nipotina di 'Mad Alex'... Non dovrebbe essere sufficiente questo? Ha insegnato a noi, perché non avrebbe dovuto insegnare a lei? Quando Bill è incazzato per bene sai anche tu che non scherza. Nemmeno io sarei stato capace di evitarlo così bene senza indossare un gauntlet.

 

“Quindi cosa vorresti fare? Dargliene in mano uno e vedere come se la cava a combattere? O forse vorresti tenertela come servetta personale per sbattertela quando ti pare e piace?” Chiese la ragazza dai ramati capelli con un ghigno.

 

“Odio quando sei così volgare... Qualcosa mi dice che non sei molto entusiasta all'idea di prenderla sotto la nostra ala. Cos'è? Paura di perdere il tuo posto da regina dell'alveare?” Replicò a tono lui.

 

“Paura di una pivella? Io? Ricordati con chi stai parlando, caro il mio Enjoy... Sono Alice Carroll, comandante della GM division di Falkirk Rock, Crystal Lake e Red Creek. Non scherzare con il fuoco!”

 

“Come se non sapessi già che ho per capitano una bambina viziata che ama pavoneggiarsi...”

 

***

 

Sebbene sembrasse un lavoro semplice, portare l'acqua e le vivande ai minatori, se ripetuto per un numero infinito di volte durante la giornata, poteva risultare sfiancante. All'ora di pranzo e di cena l'avevano messa anche al servizio mensa, a distribuire brodaglia dal colore anemico e dall'odore tanto rassicurante da far fuggire un raffreddato a chilometri di distanza. Lavori da tappabuchi, un po' improvvisati. Il capo turno però le aveva detto che già dal giorno successivo avrebbe cominciato a darci di pala e piccone. Forse sarebbe stato quasi un bene, visto come si era svolta la giornata. Dopo che si furono tutti serviti, le concessero, all'alba delle nove e mezza, di consumare in santa pace la sua zuppa.

 

Non molto amante del chiasso e della folla, Kassandra si appoggiò con la schiena ad un masso, in un angolino appartato del tunnel e cominciò a sorseggiare lentamente.

 

Non che il sapore cambiasse a seconda della velocità con cui trangugiava quella roba, ma almeno la pausa sarebbe durata qualche minuto in più.

 

All'improvviso, notò una cosa decisamente strana: una sagoma bianca sfrecciare da un lato all'altro del suo campo visivo.

 

“Ma che diavolo... Un coniglio?” Disse lei ad alta voce, stupita. Da quando in qua dei batuffolosi conigli bianchi avevano deciso di fare la loro tana in quel posto dimenticato da Dio? Senza essere presi al volo dal primo minatore che passava di lì e fatti allo spiedo, peraltro.

 

“Cosa ci sarà mai di strano nel vedere dei conigli... Certo che gli umani sono proprio stupidi...”

 

Kassandra sgranò gli occhi e tese le orecchie. No, un attimo. Quel coniglio aveva... parlato? Certo che quel lavoro aveva degli effetti collaterali al cervello che non aveva contemplato. Cominciavano a diventare troppe le allucinazioni, per i suoi gusti.

 

“Oddio, adesso lo sento anche parlare... Devo essere proprio fuori di cotenna... Vaffanculo, domani mollo tutto e provo ad andare al Silver Clover Pub...”

 

A quel punto fu il turno del coniglio, fermarsi stupito.

 

“Umana, mi hai sentito parlare?”

 

A quella domanda, per prima cosa la ragazza si diede un pizzicotto molto forte alla guancia. Poi chiuse e riaprì gli occhi diverse volte sbattendo velocemente le palpebre. Niente. Quel botolo bianco non scompariva.

 

“Umana...”

 

Si diede un altro pizzico. Era sempre lì.

 

“Umana!”

 

“Ok, ok, ho capito, esisti davvero... Non scaldarti tanto, cosino peloso...”

 

“Ho davanti un essere umano che sa comunicare con gli yokai. Cosa che non dovrebbe essere possibile. Secondo te come faccio a non essere agitato?” Come per sottolineare il fatto che fosse un tantino ansioso per l'inaspettata scoperta, iniziò a battere la zampa ritmicamente per terra.

 

“Ok, palla di pelo, con calma... Innanzitutto: cosa diavolo è uno yokai?” Va bene avere davanti un coniglio che parlava, ma esprimersi anche in termini che non comprendeva cominciava ad essere troppo. Kassandra si riteneva una persona con una discreta capacità di immaginazione, ma tutto questo trascendeva di diverse tacche tutto quanto poteva ritenere 'normale' o anche solo 'plausibile', per le esperienze che la vita le aveva posto innanzi fino a quel momento.

 

“Facciamola semplice, ragazza umana: gli yokai sono animali parlanti con poteri magici. E siccome gli umani NON possiedono tali poteri, NON dovrebbero essere in grado di parlare con noi. Comprendi?”

 

“Ahem... Sì... Credo. Forse. Probabilmente.” Fece la ragazza, a dire il vero piuttosto incerta. Non era ancora del tutto convinta che quello non fosse un sogno.

 

“Wow, che risposta entusiasta... Comunque a questo punto le presentazioni direi che sono d'obbligo. Comincio ad essere stufo di essere chiamato palla di pelo. Il mio nome è Usagin. Ma nella tua lingua forse sarebbe più appropriato Silvhare1. Significa più o meno la stessa cosa, in fondo...”

 

“Io invece mi chiamo Kassandra Guglielmine Yates. Nome in codice Kaguya, da queste parti.”

 

A sentire quella presentazione, il coniglio rimase molto sorpreso: “Yates, eh? Comincio a capire alcune cose, allora... E Kaguya... Sembra un nome nella nostra lingua. A quanto pare il destino stanotte ha voglia di divertirsi un po'...”

 

Angolino dell'autore

 

Un tipetto bello focoso e anche un tantinello irruento, la nostra Kaguya, che ve ne pare?

 

Ma i misteri sembrano infittirsi. Immagino le domande che stanno spuntando nel vostro cervello e i rovelli della mente per cercare di dare delle risposte... Tutto a suo tempo ragazzi... Tutto a suo tempo...

P.s: Spero che abbiate anche colto e apprezzato alcuni riferimenti letterari che ho piazzato qua e là...
 

1E' un doppio gioco di parole: Usagi in giapponese significa coniglio, mentre Gin significa argento. Il nome Usagin, quindi assomma i due termini. Ho ripetuto il gioco in inglese (più o meno): Silver significa argento, mentre Hare vuol dire lepre. Da cui, perciò, Silvhare.

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Capitolo 3
*** Gauntlet ***


3)Gauntlet

 

“Enjoy, era ora.”

 

La minuta ragazza dai capelli color rame aveva un'espressione indispettita. Vederla così, con le braccia incrociate, mentre batteva ritmicamente (e nervosamente) il piede era una scena impagabile per Hendrick Joyce.

 

Infastidire Alice Carroll, incrinare quella sua maschera da reginetta viziata... Ah, era una delle piccole gioie della vita.

 

“Mai sentito il proverbio 'meglio tardi che mai'?”

 

“Nessuno mai che si ricordi il primo pezzo, di quel detto: 'la necessità non tollera attesa'.”

 

Joyce sorrise appena. Necessità? Se avesse dovuto dare ascolto al suo capitano alto un metro ed un barattolo, qualsiasi cosa si sarebbe trasformata in una missione di primaria importanza. Avrebbe fatto sembrare il portarle il caffè mattutino un questione di vita o di morte... Peccato che non avrebbe mai potuto dargli una ridimensionata come si conveniva.

 

Teoricamente era pur sempre il suo capitano. Per non parlare del fatto che i Carroll di Crystal Lake erano una famiglia influente. Troppo influente. Una di quelle che non conveniva molto far incazzare. Ultima ragione, non meno importante, era la sua abilità nelle arti marziali. Quel nanetto perennemente mestruato, cui a prima vista nessuno avrebbe dato un soldo, se si fosse impegnato a dovere, avrebbe potuto ridurlo a poltiglia informe nel giro di un paio di minuti.

 

Per quanto Joyce odiasse ammetterlo, Alice era un vero talento nell'utilizzo del gauntlet, il braccio metallico da combattimento.

 

“Allora, ti vuoi muovere a tirare fuori quel che ti ho chiesto?” La vocetta petulante di lei lo riscosse dai suoi pensieri.

 

Con studiata lentezza, Hendrick estrasse dalla sua borsa a tracolla un gauntlet. Il metallo era lucido, come se fosse stato nuovo. Le linee degli intarsi, fittissime e minute, creavano un caleidoscopio di forme e disegni.

 

Per un lungo momento, l'uomo lo tenne davanti a sé, fissandolo con un misto di timore e ammirazione, poi, dopo un sospiro disse: “E' pur vero che inizialmente l'idea è stata mia, ma... Non lo so, Alice. Credo che il vecchio Alex non ne sarebbe molto contento...”

 

“Mi hai detto tu che ha steso Bill the Bear senza nemmeno un'arma che fosse una. Quello si chiama talento, o io sono la donna più alta del mondo. Posso capire che Yates volesse dare una vita il più possibile normale alla sua allegra nipotina di cui ci parlava sempre. Ma allora non avrebbe nemmeno dovuto insegnarle a fare a botte. E poi, per inciso: fare il minatore non è fare una vita normale, è fare una vita di merda.”

 

“Non che tu abbia tutti i torti. D'altro canto cosa pretendi che le dica: ciao Kassandra Yates, lo sapevi che tuo nonno da giovanissimo ha inventato un aggeggio, che si chiama gauntlet, che aumenta a dismisura la potenza fisica, ma che è difficilissimo da padroneggiare? Lo sapevi che ha addestrato me ed un bel po' di altra gente nel suo utilizzo e che ora vorremmo fare la stessa cosa con te?”

 

“Beh, il succo del discorso è quello, no?”

 

“Ok, ma... Ci sarebbe un minuscolo particolare da tenere in considerazione, non credi?”

 

“Cioè? Se stai parlando del fatto che la piccola potrebbe incazzarsi come una bestia perché suo nonno gli nascosto questo trascurabile dettaglio della sua vita, sappi che non sono problemi né miei, né tuoi. A me interessa che la convinci ad entrare nella nostra squadra per sfruttarne le abilità. Sul perché e sul come, sbrigatela da solo.”

 

“Tsk... Sei sempre la solita ragazzina viziata...” Fece lui, sbuffando.

 

“E tu sei sempre il solito senza palle, enjoy. Dai, andrà bene... Hai sempre avuto fascino con il gentil sesso, no? Circuire una poco più che bambina non dovrebbe esserti troppo difficile.” Replicò sogghignando lei.

 

“Ti faccio notare che la 'poco più che bambina', lì davanti non ha una pianura sterile come qualcuno di mia conoscenza...”

 

“Il solito stronzo...”

 

***

 

“Kassie Gee, puoi andarmi a prendere l'acqua?”

 

Un lampo feroce con lo sguardo investì per un istante il ragazzo che aveva appena emesso fiato.

 

“Ehi bionda, rilassati. Ti ho chiesto solo un po' d'acqua. Niente scherzi, giuro.” Insisté ridacchiando ed alzando le mani in segno di resa quello.

 

“Uff... 'Kay...” Kassandra strappò quasi di mano la borraccia al giovane e si incamminò verso il pozzo trascinando i piedi. Tornò dopo una decina di minuti con aria scocciata, porgendo con aria di sfida il contenitore al giovane.

 

Senza darsene per inteso, quello prese e bevve tranquillamente, quindi, con un sorriso, disse: “Ahhh, grazie. Ci voleva proprio...”

 

la ragazza mugolò qualcosa di indefinibile, a metà tra un borbottio ed un'imprecazione, riprendendo il proprio piccone. Nonostante i guanti, le mani cominciavano a farle male.

 

“Ehi, Kassie Gee, vuoi un consiglio? - insistette nuovamente il ragazzo – Esci dalla modalità 'orso risvegliato dal letargo' e calmati un attimino. Accumulare acidità di stomaco non fa bene, soprattutto con lo schifo che ci danno da mangiare.”

 

La ragazza si girò verso si lui con una faccia molto eloquente.

 

Con sua somma sorpresa, però l'altro scoppiò a ridere: “Sei mitica... Si poteva leggere distintamente il vaffanculo come se lo portassi scritto in fronte...”

 

A quel punto, l'espressione di Kassandra virò verso il rassegnato. Con uno sbuffo gli rispose: “Ehi, tizio, cerca un po' di metterti nei miei panni... E poi com'è che conosci il mio nome? Ah, già, che scema... Tutti qua dentro conoscono il mio nome, dato che sono la nuova attrazione del circo...”

 

“Ahahah! Beh, è vero, sei la nuova attrazione. In più di un senso, anche...”

 

“Chissà perché sento arrivare l'ennesima battuta idiota sulle mie tette o sul mio culo...” Replicò lei, sospirando.

 

“Che ci vuoi fare? Se butti un osso ad un cane affamato, quello ci si fionda! Comunque, dopo quel simpatico spettacolino del tuo primo giorno dovresti stare più che tranquilla. Sei già entrata nella lista guardare ma non toccare...”

 

“Quindi hai pensato bene di provare una nuova strategia? Facciamocela amica così almeno, se provo a metterle le mani addosso, non mi morde?”

 

“Beh, può darsi.” Fece lui con un ghigno, generando l'ennesimo sospiro di rassegnazione della giornata in Kassandra.

 

“Ehi, guarda che scherzavo... Primo perché la mia fidanzata, se solo sospettasse che ci provassi con qualcuna, mi taglierebbe le palle... Secondo, perché, al momento, sono abbastanza certo di poterti battere.”

 

“Le ultime parole famose dello spaccone?” ribatté lei con un ghigno divertito.

 

“Non nego che detta così possa essere sembrata una vanteria, lo ammetto... Però ti assicuro che stavo semplicemente constatando un fatto. Tu non conosci la IER e non la sai utilizzare... Io sì. Questo ti rende automaticamente inferiore.”

 

“IER? Che diavolo è?” chiese incuriosita Kassandra.

 

Inner energy reserve. Una strana energia che deriva dalla capacità di ignorare le limitazioni del corpo e acquisire, di conseguenza, capacità fisiche superiori. Sembra assurda come cosa, vero? Eppure ti assicuro che è reale. E' stato mio padre ad insegnarmi ad usarla, almeno un pochino.”

 

Kassandra notò che il viso del suo interlocutore si era oscurato per un istante. Riconosceva quell'espressione. Era la stessa che aveva lei quando pensava a quella mattina in cui nonno Alex era partito per non tornare mai più. Esitante azzardò a dire:

“E tuo padre è...”

 

“...Morto. L'avevi capito dal mio sguardo mentre lo nominavo, eh? Che ci vuoi fare, la vita va così. Al mondo esisterà sempre qualcuno più forte di te. Lui ha avuto la sfortuna di vedere la dimostrazione di questo detto, quando una banda di fuorilegge ha attaccato la nostra fattoria, a sud di Crystal Lake.”

 

“Mi dispiace, sono stata indelicata...”

 

“Ahahah! Nah, non preoccuparti. Come ho detto, la vita va così. Per quanto ti possa dispiacere, non è che ci puoi fare niente, per cambiarla, no? E comunque, un lato positivo c'è. Con questa storia strappalacrime ho ottenuto il ragguardevole risultato di far abbassare al guardia a miss 'non allungate la mano oltre le sbarre, che morde', no?”

 

A quell'ennesima frecciata, Kassandra fece una faccia infantilmente imbronciata, inducendo nell'altro una sincera risata. Per tutta risposta, la ragazza replicò:

“Veramente divertente, guarda sto proprio morendo dalle risate... Piuttosto, l'idiota che ho davanti ha un nome o devo rassegnarmi a chiamarlo 'ehi tu'?”

 

“Anche se 'ehi tu' da' quel tocco di mistero, direi che sì, ho un nome, Nathanael Wilde. Ma se vuoi puoi chiamarmi 'Wild Nat', come fanno tutti. Devo dire che come soprannome suona bene, tu che dici?”

 

“Dico che secondo me te la tiri troppo...” Rispose, ironica, Kassie Gee.

 

***

 

Usagin uscito dal suo nascondiglio, osservò a lungo Kassandra, a distanza di sicurezza. Sì, quella ragazza era davvero speciale. Si trovava a più di venti metri da lei e la pietra che teneva tra le zampe già brillava di un azzurro intenso.

 

Già, davvero speciale, se anche l'ambra dell'albero aveva quella reazione.

 

Angolino dell'autore

Visto? Il nonno di Kaguya/Kassandra era un inventore. Solamente? O c'è dell'altro? Ma cos'è poi di preciso il gauntlet, oltre ad una specie di guanto di ferro? Siamo sicuri che sia semplicemente un'arma?

E lo IER di cui ha parlato Wild Nat? E la misteriosa ambra che tiene tra le zampe il bianconiglio?

 

Ah, misteri, misteri...

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Capitolo 4
*** A midsummer night's dream ***


A midsummer night's dream

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“Nonno, la cena è pronta!”

 

Nonno Alex non rispondeva. Era ancora nel suo studio a lavorare... Si era perfino dimenticato che ore fossero!

 

A volte Kassie non capiva chi fosse dei due l'adulto e chi il bambino. Insomma, era lei quella che puliva, faceva da mangiare, andava a fare compere...

 

Poi, da un po' di giorni, la sua proverbiale distrazione era giunta a livelli parossistici. Sempre lì a smanettare con pezzi di ferro a caso, tappato nel suo laboratorio! E per cosa poi? Mica aveva voluto spiegarglielo...

 

La ragazzina si sedette sbuffando sulla sedia, facendo dondolare ritmicamente le sue gambette ancora esili, ma sempre più slanciate, da dodicenne. Un'età in cui non si è ancora ragazze, ma non si è già più bambine.

 

“Ahahah! Scusa Kassie, scusa tanto... Tuo nonno è proprio un distratto cronico...” Fece il vecchio, uscendo dalla sua stanza, grattandosi la nuca con un gran sorriso sulle labbra.

 

“Vero! Verissimo, accidenti! La prossima volta te la scaldi e te la mangi da solo, quella dannata zuppa!” Replicò lei, piccata. Ma la sua arrabbiatura stava già svanendo, in realtà. Nonno Alex aveva un magico potere su di lei: quando faceva quella faccia tutta allegra e sorridente, non riusciva a tenere il broncio a lungo. Era sempre stato così, fin da quando era piccola. Uffa, non era valido!

 

Come al solito, mentre sorseggiava rumorosamente il proprio pasto con il cucchiaio (Kassandra ed il galateo non andavano esattamente d'accordo, ma avendo come proprio genitore il solo Alex, non si poteva troppo biasimare...), la ragazzina fissava intensamente il ciondolo appeso al collo del nonno.

 

Una pietruzza insignificante, se non fosse che brillava di un vivace colore azzurro. Era più forte di lei, ne rimaneva sempre ipnotizzata. Soprattutto in virtù del fatto che quando il vecchio si allontanava, il colore sembrava farsi più smorto. A lungo pensò che fosse solo una sua impressione, fino al giorno in cui lo stesso Alex le confermò che era davvero così.

 

Era una pietra magica, gli disse, che brillava perché sentiva di avere un altro membro della famiglia vicino.

 

Lì per lì, Kassandra l'aveva guardato quasi offesa: “Nonno, dài, per chi mi hai preso? Sono grande ormai, non puoi mica pensare di farmi credere a cose come la magia!”

 

L'unica replica che ottenne quel giorno fu una grassa risata e un lieve sospiro.

Lentamente, per quanto nemmeno lei lo ammettesse, si convinse che, in fondo, forse il nonno non gli aveva rifilato una balla, perlomeno in quel caso. Già perché, Alex, di frottole, ne sparava tante, ma sulle cose serie non mentiva mai. Al massimo taceva.

 

Le mura di quell'impenetrabile silenzio condito da un'espressione di bonario divertimento sembravano alte e solide quanto quelle di un castello costruito su una aguzza montagna, per Kassandra: per quanto provasse a scalarle, erano così lisce e perfette che non riusciva ad arrivare alla loro sommità.

 

Ma su una cosa, una soltanto, non avrebbe mai smesso di tentare.

 

Cercare di conoscere i suoi genitori.

 

Qualsiasi tentativo di carpire informazioni su di loro veniva malamente frustrato, sempre. Di fatto, di loro non sapeva praticamente nulla, a parte i nomi: Priamus e Hekabe Yates.

 

Chissà per quale motivo, fissare la pietra azzurra induceva spesso in Kassandra pensieri e fantasie sui di loro. Forse anche pa' e ma' avevano un gingillo simile, che brillava quando l'uno si avvicinava all'altra, evitando loro di perdersi di vista...

 

“Allora nonno, quando mi racconterai un po' di più su pa' e ma'? Non sono più una bambina, quindi non devi aver paura di impressionarmi!” Se ne uscì lei, all'improvviso.

 

Alex rimase per qualche secondo di troppo con il cucchiaio a metà strada tra il piatto e la bocca, assorto. Poi, finalmente, disse, con fare rassegnato: “Non oggi, non ancora... Ma ti prometto che presto ti racconterò tutto, 'kay?”

 

“Non mi fregare... Quanto presto?” Insistette la ragazzina.

 

“Quando sarai maggiorenne.”

 

“E sarebbe presto? Ma è un casino di tempo! Sei anni... No, dico... sei anni!

 

“Niente sconti carina, prendere o lasciare...” Replicò soddisfatto l'uomo, posando il cucchiaio e incrociando le braccia con aria di sfida.

 

Kassandra sbuffò, ma alla fine rispose: “Andata. Dato che anche a cercare per conto mio per casa non trovo né foto, ne lettere né niente di niente... Ma sappi che dovrà essere un racconto moooolto lungo e dettagliato, per ripagarmi di questa attesa, chiaro?”

 

“Contaci Kassie!” ribatté lui, con un cenno d'assenso.

 

Quella sera, mentre lei sciacquava i piatti, le parve di udire suo nonno, mentre si avviava nuovamente nel suo laboratorio, borbottare: e adesso che m'invento?

Nah, probabilmente era stata solo una sua impressione.

*** 

Kassandra si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Aveva un gran mal di testa e corse in cucina a prendere un bicchiere d'acqua, brontolando per la sua insonnia cronica.

 

Non era la prima volta che, in sogno, le tornavano alla memoria momenti di vita con il nonno, ma questa volta era stato tutto più vivido del solito. Si sorprese a riflettere, mentre un amaro sorriso inarcava le sue labbra, sul fatto che, alla fine, quel furbacchione se n'era andato prima di mantenere la sua promessa. Ancora adesso non sapeva nulla dei suoi genitori.

 

Ma, in fondo, era davvero importante? Certo, una parte della sua mente le diceva che sì, lo era. Insomma, chi non vuole conoscere le proprie origini?

 

Ma un'altra parte di lei, le ricordava che chi l'aveva cresciuta, allevata, fatto compagnia e sostenuta attraverso fatiche e difficoltà era qualcun altro. Non Priamus e Hekabe, o come cavolo si chiamavano, ma Alex Yates. Era lui il suo unico e vero genitore. Tutto il resto, contava poco, se non per uno sfizio di mera curiosità.

 

Mentre si accingeva a tornare nel proprio letto, strascicando i propri passi, le tornò in mente anche quella strana pietruzza brillante. Sarebbe stato bello trovarne una simile, se non altro da portare come ricordo di suo nonno. Come per una strana associazione di pensieri (di quelle che avvengono solo in quei magici momenti della notte in cui il cervello, nonostante sia sveglio, non è ancora uscito completamente dal mondo dei sogni e pare lavorare ad un regime doppio, elaborando un flusso continuo di immagini e riflessioni senza alcun ordine logico apparente), le venne da paragonare quel luccichio azzurrognolo con i disegni scintillanti comparsi sul guanto metallico di quel tipo del primo giorno, Hendrick Joyce, se non si ricordava male. Chissà, magari erano fatti del medesimo materiale. In quel caso, quello avrebbe potuto sapere dove procurarsi quelle strane pietre azzurre. Ammesso e non concesso che non costassero uno sproposito...

 

***

 

“Usagin, perché mi hai chiesto udienza?”

 

Un enorme, vecchio coniglio, con due occhi rossi che parevano, a prima vista, quasi crudeli, fissava intensamente l'amico di Kassandra.

 

“Mio signore Sofutsuki-sama... Ho trovato un'umana che sa parlare con me.”

 

“Bada alle tue parole Usagin. Se si tratta di menzogne per canzonare un povero vecchio, sappi che ti manderò come ambasciatore da Koike Baba!”

 

All'udire il nome della vecchia matriarca dei gatti, Usagin rabbrividì. No, non aveva granché voglia di fare da spuntino fuori programma andando a farle visita.

 

“No, mio signore, quel che sto dicendo è la pura verità. Sento il chakra fluire in quella ragazza, per quanto impossibile possa sembrare ed essere... E l'ambra... L'ambra dell'albero... Beh, reagisce alla sua presenza.”

 

“L'ambra? Che sia... Ah, il tempo si approssima per il compimento di antiche e dimenticate profezie, dunque...”

 

“Cosa dovremmo fare, secondo voi, mio signore?”

 

“Usagin, non ti crucciare... Le profezie ed i vaticini non sono che disegni tracciati nell'acqua. Basta che un fanciullo impudente getti un sasso nello stagno, e le sue geometrie svaniscono nel nulla. Niente è scritto finché non è compiuto. Ma se gli dei hanno deciso di donare agli umani una seconda possibilità, sia come deve essere... Intanto, stai con lei, per guidarla e consigliarla. Non nutro affetto particolare per gli umani, ma nemmeno voglio la loro prematura fine. Fanno parte di questo mondo quanto noi, sebbene, sin dai primordi della loro storia, non hanno combinato altro che guai...”

 

“Sia come tu desideri.”

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Capitolo 5
*** To the lighthouse - part one ***


To the lighthouse

 

Colpisci e spacca.

 

Colpisci e spacca.

 

La monotonia di quel logorante lavoro fisico, interrotta solo per brevi istanti da attimi di pausa, per Kassandra era più mortale della fatica stessa. Sentiva una sorta di crescente alienazione dalla realtà, che le annebbiava il cervello, come se vivesse un sogno ad occhi aperti. Uno di quelli in cui si ha la fastidiosa ed angosciante sensazione di non avere alcun potere sulle proprie membra.

 

Se durante le prime settimane le sgradite attenzioni dei propri colleghi erano il suo cruccio massimo, ora erano (quasi) divenute una benedizione. Almeno rappresentavano un'utile distrazione in grado di tenere in moto il cervello quel tanto che bastava per non farlo atrofizzare irreversibilmente...

 

Poi c'era Nat: l'essere umano più strano che avesse mai conosciuto. Era seccante per lei non riuscire a farlo rientrare a colpo sicuro in una categoria ben precisa di persone. Ogni giorno diceva o faceva qualcosa in grado di prenderla completamente alla sprovvista.

 

Per una sorta di tacito patto, si era sviluppata tra lei e lui una originale competizione a chi 'fregava' l'altro, sorprendendolo e lasciandolo senza parole. Dai giochi di parole a ogni serie di idiozie immaginabili...

 

Se non che, lei non era ancora riuscita a scuotere la sua granitica imperturbabilità. Escogitava ogni serie di scherzi e sfide, ma lui le vinceva tutte, senza fare nemmeno una piega. Al contrario lui trovava SEMPRE il modo di imbarazzarla in qualche modo. Insomma, dopo un po' si era persino rifiutata di tenere il conto, di quanti smacchi riceveva nella giornata.

 

Dannato bastardo. Avessero scommesso tra di loro a soldi, probabilmente già dopo quelle poche settimane non sarebbe bastata una vita in miniera per ripagarlo...

 

Su una cosa sola riusciva ad estorcergli la latente vena seria che pure esisteva, in lui. La IER. Era curiosissima di vedere quella strana forza di cui si era vantato, ma riceveva sempre un netto rifiuto.

 

“Non è un gioco, Kassie Gee, è un'arma. E pericolosa, per giunta.”

 

Nove volte su dieci riceveva questa risposta. O, quantomeno, leggere variazioni sullo stesso tema.

 

Ma l'ora in cui i suoi desideri vennero finalmente accontentati, alla fine giunse. Sebbene, naturalmente, non nel modo che lei si attendeva.

 

In un noioso, faticoso, sudaticcio pomeriggio, i due infatti, udirono un rumore di passi alle loro spalle, sempre più vicini. Passi di una persona sicura di sé. Passi leggeri, non da minatore. Passi che, istintivamente, Wild Nat giudicò portatori di pericolo.

 

“Kassandra Yates, potresti venire un attimo con me? Io e il mio capo avremmo bisogno di parlarti.”

 

La ragazza riconobbe quella voce, che pur pacata tradiva un pizzico di sicurezza di sé eccessiva. Era il tizio con il guanto di metallo che brillava del primo giorno!

 

“Ahem... Tu saresti Joyce qualcosa giusto? Henry... No, Antony... No, forse...”

 

“Hendrick, per la precisione – La interruppe l'altro – E ora, se non ti dispiace...”

 

Kassandra assunse un'espressione piuttosto perplessa, per quanto non contrariata. Chi invece gelò con lo sguardo il nuovo arrivato, fu proprio Wilde:

 

“Cosa vorresti da Kassie Gee, Joyce? La mascotte della squadra sette ha combinato forse qualcosa?”

 

Nat aveva detto a bella posta questa frase ad alta voce, in modo che potesse essere udito da tutti. Impresa che a quanto pare riuscì, dato che un sordo brontolio si levò dal gruppo di minatori intorno.

 

Chi osava toccare la loro Kassie Gee?

 

A Kassandra scappò uno sbuffo di disappunto ad udire la parola 'mascotte', ma poi le venne anche da sorridere. Nonostante tutto, le faceva un certo piacere vedere i ragazzi pronti a difenderla. Per quanto, forse, era il caso che se la sbrigasse da sola, prima che la situazione degenerasse.

 

Non che lei fosse esattamente una maestra della mediazione e del tatto, comunque...

 

“Già, signor Joyce, credo che abbiano ragione, dopo tutto. Prima mi spiega che ho fatto, poi, vengo con lei.”

 

L'uomo alzò gli occhi al cielo, mormorando un 'Alice, la prossima volta queste cagate te le sbrighi da sola...' Poi, in tono calmo e pacato, disse: “Tranquilla, non ti è imputato alcun provvedimento disciplinare... Erano solo quattro normalissime chiacchiere in privato...”

 

Kassandra si limitò ad uno sbuffo. La cosa delle 'quattro chiacchiere' non se la beveva più di tanto... Ma se quello tentava di molestarla, un modo per fargli passare la voglia l'avrebbe trovato. Di sicuro. Mentre stava per mormorare un – pur non troppo convinto – 'Ok', Nat si intestardì e aggiunse:

 

“Hendrick, non dirmi che vuoi fare di Kassie un altro dei tuoi patetici cagnolini da guardia?”

 

La ragazza guardò perplessa Nat. Non l'aveva MAI visto così serio. Che diavolo gli prendeva? E cosa voleva dire quello che gli aveva appena detto. E, non ultimo... Com'è che aveva la sensazione che i due si conoscessero molto bene?

 

“E se anche fosse, Wilde? Sono forse problemi tuoi?” Chiese sprezzante l'altro.

 

Per tutta risposta, Nat fece un lungo e profondo respiro, di diaframma. Mormorò, con un tono di voce appena percepibile: apertura della prima porta!

Poi, sembrò come se un'aura biancastra circondasse il suo corpo.

 

Kassie rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto una cosa del genere! Era quella la famosa IER? Non ebbe tempo di elaborare ulteriormente il suo pensiero che rivide il luccichio bluastro del guanto metallico di Joyce lampeggiare in aggraziati disegni.

 

Davvero quei due volevano darsele. Lì, sul posto? E lei (sebbene non ne capisse molto bene il motivo) era la ragione.

 

Tsk... Che inutile spreco di testosterone...

 

Nel momento stesso in cui i due si fiondarono l'uno sull'altro, attorniati da un cerchio di stupefatti minatori, Kassandra si mise convintamente in mezzo urlando: “Idioti! Che cazzo vi è saltato in mente?!?”

 

Troppo tardi. Con sommo orrore, i due si resero conto che avrebbero travolto la ragazza nel loro slancio, senza poter fare nulla per fermarsi. Fecero un solo, piccolo, trascurabile errore di valutazione.

 

Kassandra, per prima cosa, afferrò il gauntlet di Joyce. E lì iniziarono le sorprese. La luce blu abbandonò l'uomo per fluire tutta intorno al corpo di lei, che sentì all'improvviso, un'enorme forza all'interno del suo corpo. I movimenti di Hendrick e Nat le sembravano come rallentati. Slogò il braccio del primo, facendolo crollare in ginocchio dal dolore, poi si voltò contro il secondo, mollandogli una gomitata ben assestata sullo sterno.

 

Che lo sbatté direttamente contro la parete di roccia dietro di lui, con un volo di almeno un paio di metri.

 

“Ma che cazzo ho fatto?” Si chiese Kassandra guardandosi con fare interrogativo le mani, una volta realizzata l'entità di quello che aveva compiuto. Tutto questo mentre i minatori la guardavano terrorizzati, Nathanel compreso. Al contrario, Joyce, seppure dolorante, aveva un certo sorrisetto stampato in faccia.

 

“Vuoi davvero scoprirlo, ragazza? Allora vieni con noi al 'faro', la base della divisione sicurezza... Sul fatto che tu abbia un certo talento ne converrai anche tu, no?”

 

“O-ok...” Disse, invero piuttosto frastornata, Kassie.

 

 

A quel punto, però, Wilde, alzandosi a fatica, disse: “Joyce, è ancora valido l'invito per me?”

 

“Certo. Anche se ad Alice non credo piacerà... Dopotutto quella volta hai umiliato il suo orgoglio, con quella tua strana 'forza interiore'...”

 

“Perfetto. Ma sappi che è solo per guardare le spalle a Kassie Gee. Chiaro?”

 

Kassandra volgeva confusa lo sguardo da Hendrick a Nat e viceversa, senza riuscire a proferire parola. Primo perché realizzava che quello era un discorso tra due che si conoscevano di certo da tempo ed in cui si sentiva un tantino fuori luogo. Secondo perché... Beh, perché se avesse parlato, avrebbe finito per ammettere ad alta voce, magari arrossendo come una bimbetta deficiente, che l'idea di avere Nat al suo fianco, in una faccenda in cui tutto sembrava avvolto nel mistero, le faceva fin troppo piacere.

 

Un momento... Ma che stramaledetto diavolo stava pensando?

 

Angolino dell'autore

 

So che ho fatto passare un bel po' di tempo dall'ultimo aggiornamento, ma abbiate pazienza, ultimamente sono un po' in crisi creativa e in mancanza di tempo...

 

Che dite? Per la prima volta nella storia, qualcosa ha ottenuto il ragguardevole risultato di far ammutolire la nostra focosa protagonista...

 

E che ne pensate di Nat in versione 'fratello maggiore iperprotettivo?

 

E Kassie? Già Kassie, tu che ne pensi di Nat?

 

Beh, alla prossima, sperando davvero di non farvi attendere troppo!

 

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