Amandoti.

di Flowrence
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Poetica. ( Prologo. ) ***
Capitolo 2: *** Scientia. ( I. ) ***
Capitolo 3: *** Defensio. ( II. ) ***
Capitolo 4: *** Invitatio. ( III. ) ***
Capitolo 5: *** Fungatur. ( IV. ) ***
Capitolo 6: *** Soror. ( V. ) ***
Capitolo 7: *** Conteruntur. ( VI. ) ***



Capitolo 1
*** Poetica. ( Prologo. ) ***


“ Amandoti.~
 


Le labbra
rosse
come sbocciati fiori.

Morbide
accarezzano, lambiscono
affamate.

Piccoli morsi
cibandosi,
marchiano.

Dita sottili,
fredde, gentili
sfiorano.

Palpebre calate,
danza
di sentimenti.

Corpi caldi
avvolgendo,
s'abbracciano.

Versi
teneri, sussurrati
da chi mai ha parlato.

Abiti scomodi
lacerati,
nell'urgenza
d'un ardente desiderio.

Carni,
cercandosi,
s'aggroviglian.

Divampa
l'ardore,
s'accendon i fuochi.

S'incrocian
gli sguardi.
Narran,
silenti.

Intensa armonia
d'anime,
corpi e menti.

Sconvolgon
commuovon,
l'emozioni.

Soave
rinascita,
di colui c'ha
contemplato
l'altrui bene.

Chiamando,
invocan
la figura d'altri.

Il respiro
affannandosi,
s'adagia.

S'adagiano
l'emozioni.

Omessi,
i pensieri.
Nell'oblio
dell'incoscienza.



Angolo dell'autrice.
Alluuor, questa è la parte più complicata. Non so mai come iniziare ad approcciarmi. 
ㅠㅅㅠ
Anche se poi divento logorroica peggio di non so chi o cosa. ( .. )  
Comunque, buonasera? Sì. ( ? )
Devo ammettere che non so com'è nata quest'idea, parlando del racconto. Oggi volevo cimentarmi nella poesia e ne è venuto fuori ciò, ma non essendo pratica in quest'ambito non so neanche io, in realtà, se si scoprirà essere una storia inguardabile, lol.
Coomunque, se vi è piaciuta recensite, mi farebbe piacere ascoltare le vostre opinioni ed idee.
E... buh, sono pessima a farmi pubblicità attraverso la simpatia. #cos.
A chi è piaciuta è piaciuta, a chi non è piaciuta non è piaciuta. ( ? )
Grazie a chi inserirà la storia in ricordate (e preferite, sarebbe un onore ma buh, non credo accadrà #pessimismo-mode:on) e a chi recensirà!
Alla prossima.~
Flowrence.

 

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Capitolo 2
*** Scientia. ( I. ) ***


Angolo dell'autrice.
Inserisco qui le mie note perché ho da spiegare il motivo della mia scelta.
Questa fanfiction era partita come una poesia, fine a se stessa. Invece, leggendo la recensione di ayumi_L (che ringrazio), mi è giunta in mente un'idea che mi piaceva alquanto, perciò eccomi qui a svilupparla.
Si tratta di una Mikorgan ambientata ai tempi moderni, ma entrambi son ragazzi (e perciò un adattamento), ovviamente in Italia (ed è qui che si differisce con il passato di Mika, poiché lui non è mai vissuto, come tutti sapranno, lì, da giovane). Comunque, ho inserito gli altri luoghi che realmente ha visitato, poiché mi è sembrato fattibile e possibile, in tredici anni di vita. ( .. )
Dal momento che la disparità di anni tra l'uno e l'altro era troppo elevata (quando Morgan terminava le superiori, Michael era ancora alle elementari), e dato, perciò, che non è utile ai fini della narrazione, ho preferito dare loro una disparità di solamente tre anni. Morgan frequenta il terzo liceo Classico, perciò è sui sedici anni, e Mika frequenta il primo, stessa scuola.

 


Seduto comodamente sull'erba fresca, dopo una notte di pioggia continua e perpetua, il ragazzo sfoglia un libro.
Poesie. Le ha sempre amate. Con passione, ogni giorno, dopo aver concluso la mattinata a scuola, si dedica a quei tomi. La poesia che ha iniziato a leggere in quel momento è “Tristezze della Luna, di Baudelaire.
Il fanciullo è vestito con una semplice maglia bianca, abbastanza larga e lunga, che contrasta con quel corpo magro. Ha deciso, per quel giorno, di indossare anche un paio di jeans e un paio di converse; abbigliamento classico di un giovane, quale si sente ed è.
Quel giorno Marco ha preferito starsene in solitaria, non dialogare neanche coi suoi amici più stretti, neanche con Andrea. Non ha neppure accettato l'invito ad uscire, in quella giornata autunnale, e il suo gruppo di conoscenti se n'è andato a spasso con un numero minore di persone.
Lui, al parco, rimugina sul senso di quella poesia. Ogni opera cela un senso: a volte nascosto; altre volte palese, diretto, posto alla luce.

Capta improvvisamente un movimento, una figura entra nel suo campo visivo.
Alza lo sguardo, forse è un qualche compagno di classe che l'ha riconosciuto e gli si è avvicinato. Scambierà qualche parola, sorriderà, per circostanza o meno, in dipendenza al soggetto in questione. Oppure, solamente, risponderà con un cenno del capo e tornerà, chino, sulla lettura.
Eppure, ciò che vede toglie tutte e due le possibilità di torno.
Un ragazzo col capo abbassato, le spalle curve, il viso crucciato. Sembra perso nel suo mondo, pare non voler avere nulla a che fare con l'ambiente che gli sta attorno. Non voler condividere nulla con le persone. Per paura? Per diffidenza?
Marco lo osserva, per molto tempo. Rischiando di fare brutta figura, ma non volendo distogliere lo sguardo da quella persona. Ama gli enigmi, quindi rimarrà concentrato sul fanciullo dai ricci scuri finché non svelerà il suo, di mistero. Finché non si farà un'idea sul suo modo di approcciarsi col mondo.
Il fanciullo dall'identità ignota sposta un sasso dal terreno, con la punta delle scarpe da ginnastica. Ciò che stupisce Marco, è il colore. Giallo. Così come tutto il suo vestiario, sono colorate di una sfumatura appariscente. Ciò si discosta col carattere che si è figurato fino a quel momento: come può essere timido, se i suoi abiti destano, probabilmente, l'attenzione di molta gente?
Il soggetto che Marco sta esaminando alza lo sguardo, anch'egli, verso la figura altrui. Vi è un contatto visivo, in cui ognuno analizza l'altro, volendo quasi scavare dentro l'anima, scoprendone i pensieri, le emozioni del momento.
Marco lo vede alzare un sopracciglio, poi avvicinarglisi.
Cazzo. Si ritrova a pensare, non sapendo come comportarsi.
Fissare la gente, per alcune persone, è fastidioso. Che lo sia stato anche per quel ragazzo enigmatico?
“Ehm, ciao.” Prende parola, Marco, quando lo vede ormai fin troppo vicino.
Altri quattro passi e quella figura si sarebbe scontrata contro la propria, creando un contatto fisico. Ma l'altro fanciullo non ha voglia di compierli, e Marco glien'è grato. Niente contatto fisico, niente violenza: qualcuno, avrebbe potuto innervosirsi per quello sguardo fisso ed insistente. I classici bulli, ad esempio. E non che Marco non sappia difendersi, ma non ha voglia di alzare le mani, quel giorno.
“Ciao.” Risponde l'altro, catturando ancor di più l'attenzione dell'italiano. Ha una pronuncia strana, sembra straniero.
Inclina il capo di lato, Marco, alzando le sopracciglia di poco.
“Da dove provieni?” Gli domanda, incuriosito.
“Sono libanese.” Di poche parole, le essenziali; potrebbe aggiungere che suo padre è americano, per questo si chiama Michael, ma perché dirlo a quel ragazzo? Cosa può interessargli? E poi, non lo rivedrà più. È inutile aprirsi con una persona che non incrocierà più per il suo cammino. Inoltre, è divenuto, ormai, diffidente verso la gente. Perché con lui dovrebbe essere differente?

“Hm. Comunque, piacere, mi chiamo Marco.” Si presenta, allungando le dita verso l'altro, affinché costui possa stringerle. Un contatto fisico, è così che comincia la gran parte dei rapporti: un contatto più espansivo delle semplici e fredde parole, un contatto che unisce due anime meglio di quanto queste possano permettere.
Il fanciullo esita. L'unico contatto fisico che ormai conosce, dagli sconosciuti, sono pugni e schiaffi; può fidarsi? Ma poi, mentre sta ancora rimuginando sul da farsi, la propria mano s'allunga verso l'altra. Come se avesse vita propria, come se non fosse il ragazzo a controllare i propri arti, i propri movimenti.
“Michael.” Si presenta a propria volta, pronunciando quel nome con decisione. È fiero del suo nome, è da quello che è nato il suo soprannome, Mika. Se non si fosse chiamato così, gli sarebbe mai giunto alla mente?
Una strana luce attraversa lo sguardo di Marco e muta l'atmosfera, poiché anche l'altro se ne accorge. Michael.
“Co-cosa leggi?” Gli chiede, balbettando. S'è vergognato, e probabilmente è stato peggio, perché al balbettio si sono aggiunte anche le gote, alle quali il sangue è affluito.
“Oh, poesie.” Risponde, muovendo la mano in un largo gesto, che vuol dire tutto, che vuol dire nulla.
“Piacciono anche a me.” Ammette Michael, poggiandosi contro la rete che delimita il parco dalla stradina, poco distante dall'albero contro il quale sta ancora Marco.
“Oh, davvero? E qual è la tua preferita?” S'informa, lanciandogli uno sguardo sorpreso. Solitamente, le poesie non sono tanto apprezzate, ché la gente a malapena legge dei racconti in generale, figuriamoci delle opere in cui v'è da riflettere, in cui parecchie opinioni sono celate tra le parole, a volte perfino tra gli spazi tra una lettera e l'altra.
Allora, di Pascoli.” Mormora, lo sguardo per un attimo si fa vuoto, perso. E il ragazzo prova a ricordarsi alcune frasi. È la poesia che più sente affine a sé, seppur ve ne siano delle altre che apprezza particolarmente, anch'esse molto coinvolgenti.
'Giovanni Pascoli' sillaba Marco, col sorriso ad alzargli gli angoli delle labbra.
“Non male, ragazzino.” Approva.
Michael, a quel soprannome, accenna un lieve sorriso. Timido. “Non sono piccolo.”
“Ah, no? E quanti anni hai?” Si volta verso l'altro, scrutando il suo fisico. Coetaneo? No, o almeno non sembra. Escluderebbe anche l'idea che si passino solamente un anno.
“Ho tredici anni.” Esclama, mentre Marco scuote il capo, sorridendo.
I soliti bimbi che affermano di essere grandi.
“E tu?” Gli chiede, incuriosito da quei gesti. Possibile si passino tanti anni?
“Sedici.” Tre anni in più.
Le superiori, quindi. Si ritrova a pensare Michael, scrutandolo attentamente. Ora, vuole scoprire quale scuola frequenti: da ciò, si può comprendere il tipo di mentalità di un individuo. Ma anche da quelle poche parole che si sono scambiati può restringere il campo. Sembra portato per la letteratura, perciò... “Classico?”
Marco gli lancia una veloce occhiata, sorpreso. Come ha fatto ad indovinare subito? Solitamente, la gente non pensa a quel liceo; è l'ultimo istituto di cui si ricorda.
“Esatto.” Conferma, tornando a guardare il libro, che giace ancora, abbandonato, tra le sue mani. Ne carezza il dorso col pollice, tastando la liscia copertina. “Tu, invece? Quale scuola fai?”
“Anch'io.” Sorride. Chissà che non siano nello stesso istituto e non si siano mai incontrati: dopotutto, Michael frequenta quella scuola da davvero poco tempo, non parrebbe strano non essersi mai guardati, neanche di striscio.
Sta per aggiungere qualcosa, Marco, quando gli vibra il cellulare in tasca. Lo sfila da essa e lo prende in mano; un messaggio. Sua madre che gli chiede dove sia, per poter giungere a prenderlo. Tuttavia, Marco è vicino a casa sua: camminerà, piuttosto che scomodarla.
Risponde, quindi si aiuta con una mano ad issarsi in piedi, allontanandosi dal terreno, e stringe la raccolta di poesie di Baudelaire, lasciando che la mano si stendi lungo il fianco, in una posizione morbida e comoda.
“Bene, io devo andare.” Afferma, scrutando per un'ultima volta il fanciullo, e venendo ricambiato. “Ci si vede in giro, hm?” Se Michael è un abitudinario frequentatore del posto, probabilmente si incroceranno più avanti, anche solo di vista. Oppure, se scopriranno di trovarsi nello stesso istituto... beh, ancora meglio, per approfondire la conoscenza.
“Aspetta...” Lo ferma il ragazzo, quando l'italiano sta ormai fuori dal parco. Pochi secondi più tardi e non sarebbe riuscito a interrompere la sua lenta camminata, ché non sarebbe stato udito. “Qual è il tuo numero di telefono?” Insomma, Michael non si confida con una persona per poi rischiare di non incontrarla più.
Marco sembra per un attimo stranito, o forse è solo un'impressione altrui. Si ferma, estrae un blocchetto degli appunti che porta sempre con sé e una penna, scrive qualcosa, velocemente. Poi, torna sui suoi passi e gli consegna un foglietto, da dietro la rete. “Ecco.”
E, mentre Michael sta leggendo il numero, l'italiano sparisce dalla vista altrui, con un cenno della mano e un saluto borbottato.

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Capitolo 3
*** Defensio. ( II. ) ***


“Allora, ragazzi, quest'oggi terminiamo la grammatica. Dalla prossima lezione, affronteremo Omero.” Comincia il docente, gesticolando. È seduto alla scrivania, le gambe divaricate, ed è vestito con una maglia dalle tonalità scure, che gli cade morbidamente sul fisico magro, e con dei jeans attillati. Ciò che colpisce sono i capelli: i ciuffi sono rossi e mossi, incorniciano il suo viso e ricadono sulla fronte, terminando accanto agli occhiali, neri e spessi. È un'insegnante in gamba, l'Esposito.

Ma Marco non ha voglia di starlo ad ascoltare, non quel giorno. Perciò lascia vagare lo sguardo all'esterno, verso le nuvole presenti in cielo, cariche di pioggia. Si è posizionato accanto alla finestra perché non c'è il sole, oggi, e può quindi permettersi il lusso di lasciar correre la fantasia, verso nuove frasi da aggiungere a un eventuale canzone, nuove note a un eventuale brano. Si lascia ispirare dalle forme delle nubi.

Le parole del docente gli giungono ovattate, distanti. Si occuperà di recuperare la spiegazione a casa, mettendosi sotto con lo studio, come tutti i santi giorni; per inerzia, senza vera passione. Per il momento, può concedersi il lusso di essere distratto. Tanto, sono solo all'inizio dell'anno scolastico: se mai avrà un brutto voto, potrà sempre recuperare più avanti. Quando ci si deve cominciare a preoccupare, invece, è durante la fine: lì sì, che i voti sono decisivi.

Qualcuno, dandogli una spallata, lo fa ritornare al momento presente. È un suo amico, che, dall'inizio dell'anno, è divenuto il suo compagno di banco.
Cosimo. Ha i capelli neri, appiattiti sul capo con della lacca, gli occhi di pece. Un solo sguardo può ucciderti, rubarti l'anima; è a questi che, probabilmente, deve ringraziare le ragazze che gli fanno la corte. Ha un bel viso, ma gli occhi ti stendono totalmente. Sono la sua arma letale e fortunatamente sa come usarla, destreggiandosi perfettamente nelle relazioni. Ha sempre una fidanzata; se si lasciano, passa poco tempo affinché si trovi un'altra di turno. A volte, sono solamente serate dedicate alla passione, senza sentimenti di torno. Li trova scomodi, talvolta.

Marco alza un sopracciglio, guardandolo confuso. Poi, nota il sorriso furbo che delinea le labbra di Cosimo e volge gli occhi al cielo, semi divertito. Lo conosce troppo bene per lasciarsi sfuggire il significato di quel gesto: vuole parlargli della sua ultima fidanzata. Non si sono visti, ieri pomeriggio, per cui Marco non è a conoscenza dell'ultima pollastrella.

“Allora, dimmi.” Lo invita a raccontare.
E così passano anche le due ore di greco, tra un Esposito che spiega e i due che confabulano tra di loro.



La campanella suona, invitando gli studenti ad uscire dalla classe e a girare nei corridoi della scuola. Taluni corrono fuori, vanno sulle scale d'emergenza, fumano. Altri, nel grande spiazzo del cortile, poggiati ai lampioni o passeggiando attorno alla fontana e alle aiuole, chiacchierano affabilmente con gli amici. Altri ancora, sono sui grandi balconi: a leggere, alcuni, a parlare con le persone, altri.
Marco è tra i primi: si alza, come gli altri, e si avvia verso le scale antincendio, per fumare; con Cosimo al seguito. A loro si aggiungono altre due figure: Beatrice e Domenico.

Beatrice possiede ciuffi mossi, tinti di un azzurro acceso, qualche ciocca sul verdeacqua. Le danno un aspetto spigliato. Nello sguardo v'è sempre una scintilla di furbizia, ma il suo sorriso è dolce. Gli atteggiamenti sono sempre posati, così come le posizioni che assume quando dialoga con qualcuno o, semplicemente, quando è persa nel suo rimuginare. È una donna nel vero senso della parola, ma non è interessata agli uomini e ciò le ha permesso di fare amicizia con gli altri tre del gruppo. Se fosse stata una ragazzina con gli ormoni svalvolati, non ci avrebbe messo cinque minuti a invaghirsi di Cosimo e quest'ultimo di certo non si sarebbe tirato indietro, non si sarebbe fatto sfuggire l'occasione. Anche Marco è un bel ragazzo, fisicamente e mentalmente: se fosse stata amante della mente acuta, si sarebbe infatuata di lui. Ma no, a lei interessano le fanciulle – e Marco ha sempre pensato che sia una grande perdita.

Domenico, invece, è un fanciullo coi capelli biondo platino, il viso d'uno che in vita sua non ha fatto mai uno sgarro a nessuno. Volto che nasconde la sua vera natura: a volte è prepotente – seppur quasi mai si comporti con cattiveria. Tuttavia, quando si deve creare scompiglio è il primo a mettersi in azione affinché subentri il caos, in una situazione o in un ambiente. Anche lo sguardo è limpido, d'un ghiaccio che t'immobilizza sul posto; ma è caldo, al contempo, e ciò placa d'un poco l'effetto. Se lo si conosce a fondo, sa anche rivelarsi romantico: a lui non piacciono le relazioni che durano poco, lui preferisce invaghirsi d'una persona e restarvi per un tempo abbastanza lungo. L'ultimo rapporto con la sua ex è durato due anni, da poco è tornato single, ma non vive questa situazione come un tormento. È alquanto tranquillo: accetta quando è il momento di lasciare andare, non costringe le persone a fare ciò che non vogliono: se qualcuno preferisce troncare la relazione con lui, lasciarlo, non ne fa un dramma. Accetta e china il capo. Contraddizione? Sì, in lui vivono diversi atteggiamenti divergenti.

“Hey, Marco. Cosimo!” Saluta i due, Beatrice, con un largo sorriso che si dipinge sulle labbra. È, ovviamente, felice di rivederli: seppur si siano incontrati anche il giorno precedente, fa sempre piacere stare insieme e condividere impressioni avute sul momento e commentate più avanti. Beatrice è un anno più piccola di loro, ma come maturità sembra anche più grande; l'hanno conosciuta in un'uscita tra amici, ad un locale che possiede il karaoke. Marco l'aveva adocchiata, quando lei aveva deciso di cantare: all'inizio voleva provarci, poiché gli sembrava molto simpatica. Per fortuna, prima che le sue attenzioni diventassero evidenti, Beatrice si era loro confidata. Non ha problemi ad accettare la sua omosessualità, nonostante i commenti negativi della gente. E, per fortuna, Marco, Domenico e Cosimo sono stati abbastanza maturi e con abbastanza tatto da includerla comunque nel loro gruppo. Da quel momento, è diventata una forza trainante, sempre positiva e con sempre energia da spendere e trasmettere.

“Hey, bellezza.” La saluta Marco.
Nel frattempo Beatrice si è avvicinata quel tanto che le basta per slanciarsi verso di lui, stringendolo in un abbraccio affettuoso; che Marco ricambia, facendo per un attimo scivolare le braccia a stringerle la vita: per fortuna è diventato un esperto nel campo, per cui può permettersi di agire in quel senso senza essere troppo notato. Infine, scioglie l'abbraccio.
“Come va?” Le chiede, con una punta di dolcezza che ha sempre usato nel parlare alle ragazze.
“Bene, dai. Leone ha interrogato, per fortuna non me.” Accenna a quanto successo durante la mattinata, Marco ascolta attento e incuriosito.
“Voti?”
“Quattro e... cinque e mezzo.”
Marco ride e scuote il capo. “Si vede proprio che siamo al Classico. E noi che dovremmo conoscere bene l'italiano.”
A interrompere il loro dialogo, è Domenico, che saluta Beatrice con dei baci sulle guance e Marco con un gesto della mano. “Ciao.”
In tutto questo, Cosimo è rimasto un po' distante dai due, concentrato su un punto indefinito. Forse verso qualche ragazza, adocchiando la prossima possibile preda. Sta già con una persona, ma potrebbe lasciarla per mettersi con una a suo parere più interessante.


La ricreazione passa tra risate e chiacchiere, del più e del meno, tra i tre.
Cosimo ad un certo punto si distanzia, per andare a parlare ad un trio di fanciulle, che si scambiano sguardi complici e rispondono alle battute del ragazzo con un sorriso furbo. Si credono tanto scaltre, le donne, quando in realtà la maggior parte è fatta della stessa pasta. È sufficiente capire come approcciarvisi e si ha il mondo femminile innanzi, con uno schiocco di dita.


Poi, un'altra campanella suona. E annuncia il ritorno degli alunni nelle rispettive classi, per altre tre ore di lezione.
Marco, seguito dai suoi amici, sta percorrendo i corridoi della scuola, diretto verso l'aula del secondo piano, quando si ferma improvvisamente. In un angolo, alquanto nascosti da sguardi indiscreti, cinque ragazzi stanno accerchiando un fanciullo, magro, che si tiene il petto con le braccia e ha il capo abbassato. Gli ci vogliono pochi secondi per comprendere ciò che sta succedendo.

Uno dei cinque ragazzi alza una mano, stretta a pugno, in aria. Il movimento è fluido, il fanciullo malcapitato già s'immagina il bruciore della gota, il tentare di passare inosservato, una volta entrato in casa, e le ore di trucco, rubato alle sue sorelle, per rimediare a quei segni rossi. Già si immagina il dolore, lancinante; sa che il ragazzo non scherza, sa che ha davvero la forza per picchiarlo, se solo vuole.
Un movimento veloce, e il ragazzo in questione si ritrova impossibilitato nel terminare l'azione: qualcuno gli ha preso il polso, stringendo in una posa delicata, ma decisa al contempo. Lo sguardo va ad incontrare due occhi nocciola, che lo scrutano con severità.

“E tu saresti?” Il sorriso che gli deforma il volto è viscido, a Marco fa ribrezzo.
“Non importa. Lascia stare quel ragazzo.” Gli intima, ma ciò non sembra scalfire affatto il fanciullo, che lo guarda con aria di sfida. Ha voglia di giocare col fuoco? Beh, questo qui si brucerà. Pensa, sfottendolo mentalmente. “Altrimenti?” Domanda il ragazzo, un sopracciglio arcuato.

Marco non ha voglia di scendere a comportamenti luridi come i pugni e gli schiaffi. Davvero, non ha voglia di fare a botte. Ma ben presto si stanca di quel comportamento, e uno schiaffo vola spontaneamente nell'aria. La mano si poggia con forza sul volto del ragazzo, uno schiocco risuona nell'aria, guastando quell'atmosfera già tesa di per sé.
Gli amici del ragazzo gli vengono dietro, pronti a difenderlo; gli scagnozzi del bullo, feccia della feccia. Per fortuna, ci sono Cosimo, Domenico e Beatrice a intervenire: sono forti, forse più di Marco stesso. Perciò, quest'ultimo non ha timore.
Si risolverà bene, la situazione. Pensa.
E poi, sono a scuola. Non può capitare veramente nulla di male.

Ma le sue certezze vengono improvvisamente sfatate dal vicepreside, che si aggira per il corridoio, guarda caso, proprio in quel momento.
Osservando tutta quella gente che fa a botte, decide che, no, non è un comportamento adatto in un istituto scolastico. E decide di mandarli tutti, ma proprio tutti, in presidenza. Anche quel fanciullo indifeso, che è stato protetto; perfino il più innocente tra gli altri.

È noioso, lo stare in presidenza. Il sentirsi ripetere fino alla nausea che per nessun motivo bisogna passare a contatti fisici di quel genere, che i peggiori insulti si possono solamente dire a parole. E che la lama peggiore sono le parole, non la spada. O qualcosa del genere. Allorché Marco non ce la fa più, e scoppia a ridere. Ironico, annoiato nel sentire parole dette e ridette, che alla lunga divengono solo nauseanti. Così, viene cacciato anche dalla presidenza: umiliazione peggiore non può esistere.

Ma, prima di uscire da quella stanza, il suo sguardo cade sul malcapitato. E gli sembra di riconoscerli, quei riccioli; gli sembra anche di riconoscere quello sguardo, dolce, tenero. Purtroppo, non è il momento di fare domande. E lascia quel dubbio vagare, naufragare – mentre chiude finalmente la porta, poggiando la schiena contro il muro e incrociando le braccia al petto.

In tutto questo, il riccioluto ha trattenuto il respiro.


Angolo dell'autrice.
Ciao! Scusate l'estremo ritardo, con i compiti vari e la mia immensa pigrizia ( .. ), mi ritrovo ad avere pochi momenti d'ispirazione e quindi la mia scrittura diventa meno frequente. Inoltre, ho cancellato tipo tre volte l'inizio di questo capitolo, indecisa su come renderlo. Alla fine, per fortuna, ne è uscito fuori qualcosa di decente. Almeno spero.
Ringrazio le tre persone che, l'altra volta, si sono presi il tempo di recensire e anche i lettori silenziosi. Se vi è piaciuto questo capitolo, dedicate cinque minuti ad una recensione, per favore; fa sempre piacere conoscere il vostro pensiero e migliorarsi!

Flowrence.

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Capitolo 4
*** Invitatio. ( III. ) ***


Angolo dell'autrice.
Non so nulla o quasi degli anni '80/'90 (mea culpa /?), essendo nata a ridosso degli anni 2'000. Mi sono resa conto che i telefoni all'epoca non erano poi così in uso (mea culpa di nuovo, perché in effetti non ci vuole una scienza, lol). Quindi ho colto l'occasione per stravolgere un po' le carte in regola. Ho modificato anche le note dell'altro capitolo e lo ribadisco qui: una Mikorgan adattata ai tempi moderni, ma con entrambi ragazzi. Scusatemi, forse qualcuno storcerà il naso. ;w;
Però... ecco, mi facilita di molto il tutto e poi, lo devo ammettere, è così che me li sono sempre immaginati. Quindi... libero spazio all'immaginazione. ;^;
Detto questo, buona lettura! ~
( Il capitolo è un po' corto, ma è di passaggio e serviva. Inoltre, spero di pubblicarne un altro esattamente il 25 di Dicembre, ovvero a Natale. Se non ci si sente, auguri. ; u ; )
( Ah. Buon compleanno a Morgan! Speravo di leggere qualche fanfiction Mikorgan sul compleanno, e invece... ; ; )
Sayonara.~ #Madhstyle.



Quei bulli se ne sono andati. Non torneranno più a importunarlo per quella giornata, se Michael sarà abbastanza scaltro riuscirà a non incontrarli una volta uscito da scuola. Riuscirà a raggiungere la macchina senza farsi scoprire, a salutare sua madre come se nulla fosse e a tornare a casa.


Per le ultime ore, che s'inseguono prima dello squillo della campanella definitiva, il ragazzo non fa che complessarsi su quanto è successo.
Ma non è l'incontro con i bulli il soggetto delle sue riflessioni, no. Sono un paio d'occhi caldi e una profusione di ciuffi scuri, d'una persona avvenente. E questo pensiero lo imbarazza, le sente, le guance, arrossarsi. Ma non è a causa delle solite botte e questo lo deve a lui. È stato lui, Marco, a difenderlo. Neanche l'ha riconosciuto, ma non ha sprecato tempo per intervenire in favore dei deboli.
È coraggioso, pensa Michael. Molto.
Avventato, impulsivo: sono due sinonimi che gli vengono in mente dopo.

Ha ancora il suo numero di cellulare, scritto su un foglietto che in quel momento si rigira tra le mani: l'ha lasciato in quella stessa tasca dei jeans che indossa al momento: se n'è scordato. O meglio, ha passato tutto l'indomani a complessarsi sul contattarlo o meno, a chiedersi quando fosse il momento giusto e cose del genere. Poi, ha rinunciato; troppe idee in mente, molta la paura di disturbarlo, magari, in un momento non proprio adatto. Neanche un messaggio è riuscito ad inviare, pensando che qualsiasi saluto sarebbe stato blando e banale. Troppo per rimettersi in contatto con lui. Insomma, i soliti monologhi d'una persona complessata.

“Penniman, presti attenzione alla lezione” lo richiama, in un modo indispettito, la sua insegnante. “È sempre distratto” borbotta poi, più tra sé e sé che diretta verso l'alunno indisciplinato che si trova di fronte.

Penniman ha una media bassa, non supererà l'anno se continuerà a prendere voti del genere; eppure lui s'impegna, Michael mette dedizione nello studio, davvero. È solo che non riesce a esprimersi, una volta interrogato: ha paura di sbagliare e questo, oltre al fatto che le parole appena studiate gli vorticano confusamente in mente, lo frena, lo blocca. Così, non riesce a spiccicare parole e gli insegnanti non se lo fanno ripetere due volte: non parla, significa che non ha studiato: due sul libretto e sul registro del docente.

Abbassa il capo verso il banco, Michael. Non ha voglia di risponderle, di scusarsi per non averla udita; è uno scenario che si prospetta fin troppe volte nella sua vita, ne ha ormai abbastanza. Così, si limita a chiudersi ancora più a riccio, stringendosi nelle spalle e osservando le venature del banco davanti al quale è seduto. Una volta che l'insegnante detta, prende appunti. Sempre in silenzio.
Le altre due ore si proseguono nella stessa medesima maniera.
Durante l'ultimo quarto d'ora, la maggior parte della gente chiacchiera, si scambia informazioni, ormai non più concentrata sulla scuola. Invece, Michael si mordicchia il labbro inferiore, lanciando un'altra veloce occhiata al cellulare.
Ti ho riconosciuto. Perché eri tu, vero? – Marco Castoldi.

La campanella suona.
Gli studenti si preparano, compreso Michael. Lui va veloce, deve riuscire ad evitare i bulli: sicuramente, dopo gli accadimenti recenti, ce l'avranno ancor di più con lui. Non ha voglia di scontrarsi, sente che stavolta non ci sarà nessun Marco Castoldi a difenderlo, né i suoi amici. Non può rimanere isolato. Neanche saluta l'insegnante, concentrato com'è sui movimenti che dovrà compiere. Alla fine, ce la fa. Ce la fa, a non esser preso, di spalle. Ce la fa, a non finire nel bagno della scuola. Ce la fa, a non sentire le guance bruciare sotto la pressione delle nocche. A non sentire l'acqua tra i ciuffi ricci.
E tira un respiro di sollievo, arrivando da sua madre, aprendo lo sportello e infilandosi dentro l'automobile.

Sua madre, davanti a lui, gli sorride. Volge lo sguardo nella sua direzione, e poi verso le due sorelle, già nell'automobile.
“Bambini, com'è andata oggi?”

E Paloma si mette a raccontare del nuovo ragazzo che le interessa, Zuleika ascolta interessata e ogni tanto fa una battuta, che viene accolta con risate da parte della madre e della sorella. Yasmine ha le cuffie, ascolta la musica. Michael vorrebbe tirare fuori anche le proprie, ma poi scopre di averle dimenticate a casa. Fortuné guarda fuori dal finestrino, immerso nei suoi pensieri.

Michael, comunque, è assente. Pensa al messaggio inviatogli da quel ragazzo, pensa alla possibile risposta. L'unica possibile è una, ma non vuole mostrarsi debole. È per questo che aspetta di scendere dalla macchina e di coricarsi a pancia in giù sul letto, prima di prendere l'iniziativa. Sì. Scusa. – Michael. Si firma solo col nome, sicuro che l'altro ragazzo capirà il mittente.
Fortuné viene accanto a lui, si sdraia sul letto di fronte a quello di Michael. Condividono la stanza. Suo fratello minore lo guarda.
“Hey, com'è andata la giornata?” Domanda che rimane per un attimo persa nel vuoto. Già, com'è andata? Ha davvero voglia di raccontargliela? Rimugina per un momento, poi sorride e invita Fortuné a sedersi di fianco a lui. E racconta.

Ad un certo punto, il cellulare vibra. È la risposta di Marco.
Non preoccuparti. Piuttosto, tu stai bene? – Marco.
Tu stai bene, tu stai bene... Michael si ferma, Fortuné è ancora di fianco a lui.
A quel ragazzo importa della sua salute. Neanche si conoscono e si preoccupa
per lui.
L'ha difeso di fronte a dei ragazzi alti il doppio. Ha ingaggiato una piccola lotta coi bulli occasionali. Gli ha inviato un messaggio appena ha potuto.
A Michael riesce difficile comprendere, concepire che qualcuno, al di fuori della sua sfera familiare, possa interessarsi a uno come lui. Uno che non ha nulla da dare, il cui unico interesse è rifugiarsi nella musica.

Perché l'ha difeso? Vuole qualcosa in cambio? È proprio questo pensiero a farlo decidere; così, invia un messaggio. Non risponde alla domanda, bensì gliene pone un'altra.
Per sdebitarmi... mercoledì, ti va una cioccolata? Stavolta neanche si firma, non ne trova il bisogno.
Passa poco tempo, prima di ricevere la risposta. Sì. – M'. Chiaro, conciso; Michael sorride, pensando a quel modo diretto.

“Mika?” Si gira verso la porta, la madre l'ha appena chiamato.
“Sì?”
“Vieni ad aiutarmi?”
Michael scalcia le coperte, scende dal letto e aiuta Fortuné a fare altrettanto, tendendogli la mano. Poi, s'incammina verso il piano inferiore, scendendo le scale. A disposizione di sua madre. Ma lo sa, che probabilmente agirà in maniera totalmente distratta, il pensiero proiettato nel futuro. Alla cioccolata. Al ragazzo. E a quanto basti poco, per costui, per farlo sorridere. Davvero bizzarro.

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Capitolo 5
*** Fungatur. ( IV. ) ***


Hey, sei tu che hai difeso quel ricciolino?”
Marco si volta verso il suo compagno di classe, sorpreso. L'ha visto mentre prendeva a pugni quei bulli?
“Sì. Perché, lo conosci?” Gli chiede, incuriosito, e lo osserva attentamente. Un amico?

Eravamo alle medie insieme. Non ha mai parlato veramente col resto della classe, ma non l'ho neanche mai visto confrontarsi con gente più grande e grossa di lui. Eppure, da quando è qui, sembra cambiato... è ancor più chiuso ed evita tutti. Perfino me, che una volta l'ho riconosciuto e gli ho chiesto cos'avesse. Mi ha guardato e basta.”
Marco si mordicchia la guancia all'interno, riflettendo. Vorrebbe contattarlo per accertarsi delle sue condizioni, almeno quelle fisiche. “Mh, hai il suo numero di cellulare?”
Aspetta una risposta, che viene prontamente data. “Se non è cambiato, sì. Avevo i numeri di tutti quelli delle medie, per fortuna li ho ancora.” Il ragazzo fruga tra le tasche, in cerca del telefonino. Attento a non farsi vedere dall'insegnante, che comunque ha concesso loro cinque minuti di pausa, lo estrae e scorre la lista dei contatti. Si ferma su un certo 'Michael Penniman'. “Ecco qui.”

Marco segna il numero sull'angolo del quaderno di matematica, assieme al nome, poi ringrazia. Nell'esatto momento in cui il compagno ripone il cellulare in tasca, la docente riprende a spiegare.
Tuttavia, Marco non l'ascolta. Nella sua mente risuona ancora il nome del ragazzo indifeso.
Michael.

Marco porta la sigaretta alle labbra, fa un tiro. Non fuma spesso, ma all'occorrenza non disprezza una sigaretta, che riesce a riporre ordine e chiarezza nei suoi pensieri. Forse accade solo a lui, ma è un modo come un altro per comprendere meglio il da farsi e i fatti accaduti. Espira, il fumo si condensa in una piccola nuvola grigiastra, che pian piano si dissolve.
Nei giorni successivi ha avuto modo di parlare un po' di più con l'altro ragazzo e si sono dati appuntamento, per l'incontro, precisamente in quel bar. Tuttavia, Marco è arrivato con un po' di anticipo, così si ritrova ad aspettare il ragazzo, lo scaldacollo avvolto attorno alla pelle e le mani in tasca. Ne estrae una giusto ogni tanto, per guardare l'orario. Alla fine, diviene l'ora dell'appuntamento e si guarda intorno, in cerca del ricciolino. Che sia uno di quelli che fanno aspettare molto, oppure no?
La risposta arriva con il ragazzo, che, una volta accostata l'automobile, scende e si guarda attorno a propria volta. Pochi secondi dopo, gli sguardi di entrambi s'incontrano. Marco gli fa un cenno di saluto, invitandolo ad avvicinarsi. Michael guarda per terra, prende un respiro profondo e poi s'avvia, stringendosi le braccia con le mani.
“Ciao.” Lo saluta Marco, come se stesse salutando un suo vecchio amico, e ciò sorprende un po' Michael e, al contempo, lo mette più facilmente a proprio agio.
“Hey...” Accenna un sorriso, timido. “Entriamo?”
“Certo.”
E i due si ritrovano dentro l'ambiente accogliente. Ci sono vari tavolini disponibili, alcuni più in centro e altri più verso i lati, accanto alle finestre chiuse e appena appannate. Marco ipotizza che Michael sceglierà una di lato ed è esattamente quello che succede; il ragazzo, un po' incerto sul da farsi, alla fine si va ad accomodare ad un tavolo sotto una finestra. Marco lo segue, si siede e poi lo guarda.
C'è silenzio, ma a nessuno dei due sembra dar fastidio. Michael guarda fuori, forse cercando spunto per nuovi argomenti. Marco si ritrova ad imitarlo. C'è poca gente che cammina: una mamma col figlioletto, una coppia che spinge una carrozzina e una ragazza, seduta sugli scalini d'una casa, che ascolta la musica.

“Allora...” Marco distende le mani di fronte a sé, stiracchiandosi un attimo, prima di continuare la frase. “Cosa prendi?”
“La cioccolata” risponde prontamente Michael. Giusto. “Tu prendi qualcos'altro?” Gli domanda, un po' preoccupato. Ha chiesto a sua madre i soldi per due cioccolate e, seppur ella gli abbia dato un altro po' di denaro, non ne ha molto. Quindi spera che ciò che ordinerà Marco rientrerà nel suo budget ristretto.
Forse. Sta per rispondere Marco. E prenderebbe il Menu per guardare cos'altro offre la casa, se non fosse che si accorge dello sguardo accigliato dell'altro e decide che può scegliere altro anche un'altra volta. “No, va bene la cioccolata.” Gli rivolge un sorriso rassicurante, massaggiandosi le mani.
E il viso di Michael si rischiara, il riccioluto diviene più tranquillo. “Okay.”
Quando il cameriere arriva, Michael è pronto ad ordinare quanto stabilito e Marco si perde nella contemplazione dei suoi tratti. Gli è sempre piaciuto studiare le persone, specialmente quando queste non concentrano la loro attenzione su di lui. Scorre con lo sguardo i lineamenti del viso, la curva del naso, la distanza tra questo e le labbra, il mento, il collo, la maglia che indossa al momento.
Poi, però, lo sguardo risale sugli occhi.
Ed è lì la fregatura, perché quello sguardo trasmette più di quanto vorrebbe, nasconde pensieri mai esposti e desideri celati. È un libro aperto, che non vuole essere letto. Per questo il ragazzo si nasconde, tenta di passare inosservato, abbassa gli occhi: ne è consapevole, che solo con lo sguardo racconta un mondo.
Ed è lì la fregatura, perché Marco rimane incantato, il fiato sembra mozzarglisi per un attimo e sente un brivido. Uno solo, ma freddo e penetrante, che lo lascia sorpreso. Perché non gli è mai capitato di rimanere affascinato da un uomo; con le donne è successo, certo. Con tutte quelle con cui è stato, ma mai con uno dal fisico simile al suo.

A riportarlo al momento presente è lo sguardo di Michael, che si posa su di lui. Egli inclina il capo di lato, incuriosito dallo sguardo altrui. Che cosa stava pensando? Aveva forse qualche ciuffo fuori posto o un altro particolare imbarazzante? Alla fine, si decide a chiederlo. “Perché... perché mi stavi osservando?”
Marco dischiude le labbra in un sorriso e scrolla le spalle. “Nulla.”
Michael lo guarda per un altro momento, incerto. Poi decide di lasciar perdere.
“Allora, alla fine è riuscita tua sorella a conquistare quel ragazzo?” Certo, non è una delle prime informazioni che due ragazzi si scambierebbero, ma alla fine, per un motivo o per un altro, era saltato fuori quell'argomento. E Marco riteneva che, per iniziare a discutere di qualcosa, era un buon punto di partenza. Nulla che riguardasse direttamente Michael, nulla per cui potesse sentirsi in difetto o studiato troppo.
“Mh, sta cercando di capire qual è il modo migliore” mormora, e sembra per un attimo animarsi. Parlare della sua famiglia lo fa sentire sicuro, anche se non saprebbe spiegarsi il motivo. “Per adesso, però, credo che stia andando bene. Quel ragazzo sembra guardarla... molto.” Soprattutto il fondoschiena, ma questo non lo dice. Lo tiene per sé, perché altrimenti l'atmosfera diventerebbe imbarazzante, non ne ha voglia.
Marco ascolta interessato, portandosi a volte una mano al mento, altre volte posando entrambi i gomiti sul tavolino. “Mh, capisco. E tu? C'è qualcuno?” Domanda che gli è giunta sul momento, quasi sfuggendo alle sue labbra. Sì, insomma, una cotta le persone ce l'hanno spesso; anche Michael rientrerà tra questa gente?
“No” pronuncia, ma forse un secondo troppo tardi. Cerca di essere convincente, ma in realtà una persona che comincia ad interessargli, seppur in minima parte, c'è. Ed è lui. Ma ovviamente non glielo dice, sarebbe davvero strano; dopotutto si conoscono a malapena.
Marco dischiude le labbra e sta per formulare un pensiero, quando il cameriere ritorna, con in mano le due cioccolate calde. “A voi.” E se va via con un sorriso affabile, che Michael rimane ad osservare per qualche secondo di troppo. È molto carino, con quella profusione di ciuffi neri e quegli occhi nocciola. Quando sorride, lo è di più. Michael non riesce a non formulare quei pensieri, gli viene spontaneo; ma qualche secondo dopo arrossisce, maledicendosi mentalmente.
Marco non si è lasciato sfuggire quell'occhiata e lo osserva con un sopracciglio alzato. Ma quando Michael intercetta il suo sguardo, Marco lo posa sulla tazza di cioccolata di fronte a sé. Che abbia pensieri omosessuali? Potrebbe imbattersi nell'argomento, ma non si arrischia. Ha davvero voglia di conoscere quel ragazzo e sa quanto un argomento delicato come quello, se toccato male, può causare diffidenza e chiusura. E Michael già è alquanto chiuso di per sé. Forse, invece, sta semplicemente fantasticando sul tutto. Non sarebbe la prima volta, e in fin dei conti uno sguardo non significa poi molto. Conclude così il discorso che si era aperto dentro di sé, annuendo e dando un'ultima scrollata di spalle, come per segnarne la fine.
Michael, in quel momento di riflessione, ha portato la tazza alle labbra e ha tentato di bere. Ma la cioccolata è calda, ovviamente, e ha rischiato di bruciarsi.
“Ah!” Esclama, posando la tazza sul tavolino e portandosi una mano alle labbra. “Scotta” pronuncia poi, con disappunto.

Marco non può fare a meno di ridere, portandosi però una mano davanti alle labbra. Come per cercare di contenersi.
“È cioccolata
calda” sottolinea, come se fosse la cosa più ovvia. “Ci sarebbe da stupirsi se fosse gelida” commenta poi, facendo girare il cucchiaino, che era stato portato con la tazza, all'interno. In lenti movimenti circolari.
Michael, al suono di quelle risate, ha sentito il sangue affluire alle gote. E ora cerca di nascondere il rossore, abbassando il capo. Tuttavia, Marco ha notato anche quell'imbarazzo.
E si ritrova a pensare che quel ragazzo sia davvero tenero. Poi scuote il capo. Perché pensa cose del genere? Non è una donna da coccolare e vezzeggiare,
è un uomo. Rimarca il fatto, crucciandosi appena.
I due aspettano che la cioccolata calda si raffreddi un po', prima di berla.
Quasi in totale silenzio. Un'altra volta, la cosa non sembra scalfire i ragazzi.

Poi escono dal bar.
​Marco prende una sigaretta e se l'accende, Michael la guarda un po' infastidito. Non gli è mai piaciuto il fumo né chi fuma, per questo vorrebbe chiedergli di non fumare. Eppure, che diritto ha lui di imporre qualcosa sugli altri? Per cui, alla fine si limita a portare le mani davanti al viso e a tossire. Marco, al terzo tiro, sembra accorgersene e solleva le sopracciglia. 
Poi lascia che la sigaretta cada per terra e la spegne con la punta delle scarpe.
Michael rimane sorpreso da quel gesto, ma non può che esserne riconoscente. “Grazie.”

Marco lascia che un sorriso si dispieghi sulle sue labbra, illuminandogli il viso, e scrolla le spalle. “Figurati.”
Il suono di un clacson fa voltare entrambi. “È la macchina di mio padre.” Mormora Michael, sorridendo. Ha un forte legame col padre, questo Marco lo nota e ne rimane sorpreso: sembra davvero felice quando si tratta della sua famiglia.
“Mh, allora ci si vede in giro, a scuola.” Sorride Marco, salutandolo. “Ah, se ci sono quei tipi... chiamami. Non importa se andrò nuovamente in presidenza, non mi piace quando la gente si prende gioco dei più deboli.”
Stavolta è il turno di Michael, quello di rimanere sorpreso. “Okay... grazie.” È davvero grato, per un attimo si ritrova a chiedersi quale angelo gli abbia mandato quella persona nella sua vita, poi si rende conto di star esagerando e di star ancora guardandolo. “Allora... mh, a presto” risponde, quando un altro clacson gli ricorda la presenza del padre.
“A presto” conferma Marco. Un ultimo cenno del capo, Michael s'avvia verso l'automobile, per poi sparire dalla sua vista. E Marco volta le spalle al bar, procedendo verso casa. Non è molto vicina, ma è abituato a camminare. Se proprio si sentirà stanco, potrà sempre passare per la casa di Domenico, che si trova nei paraggi.

Angolo dell'autrice.
Buondì! :3
Lo so che avevo promesso che avrei pubblicato ieri, ma poi un problema tira l'altro e non sono riuscita a regalarvi un altro capitolo in tempo. Ma il ritardo è di solo un giorno, per cui spero di farmi perdonare. ; ^ ;
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e mi piacerebbe mooolto ricevere una vostra recensione, per sapere cosa ne pensate. ; u ;
Marco e Michael sono usciti assieme per la prima volta, ah? E Marco si è dimostrato davvero premuroso nei confronti dell'altro, addirittura ha smesso di fumare. ; w ;
Okay, devo ammettere di aver shippato molto nel descriverli, ma non è colpa mia. Sono loro che sono così shippabili da dover essere illegali /?. Okay, forse sto esagerando, ma vbby.
Ringrazio come sempre le persone che recensiscono e quelle che hanno messo il capitolo tra preferite/seguite. Grazie davvero!~
Alla prossima, spero presto. Ma non si sa, con tutti i compiti assegnatimi. E le chiamavano vacanze. ; ^ ;
Flowrence.

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Capitolo 6
*** Soror. ( V. ) ***


È seduto con le gambe incrociate, ai piedi del letto, tiene in mano un joystick. Sta giocando ad Assassin's Creed, ha ripreso in mano tutti i giochi della serie. I suoi genitori non sembrano volergli comprare l'ultimo uscito, così si limita a quelli. In questo esatto momento sta giocando al secondo e si ritrova a imprecare contro Ezio, che non sembra voler dar retta al giocatore e salta verso un precipizio.
“No, no, no! Stupido Ezio.” Sospira, mentre lo schermo si tinge di rosso. Si porta una mano tra i ciuffi neri, aspettando che il gioco si ricarichi, per ricominciare la missione. E dire che l'aveva quasi completata.
Sente il cellulare vibrare, sul letto, e allunga una mano per prenderlo. Sta chiacchierando con Beatrice, che si trova ad una festa e si sta decisamente annoiando. Così ha ritrovato rifugio nei suoi amici, specialmente in Marco; nonostante tra i due non vi sia stato nulla, è innegabile l'amicizia profonda che li unisce
.
Marco, ti prego, salvami.
Il ragazzo non può far a meno di sorridere, divertito.
Osserva Ezio che parla con altri uomini, per l'ennesima volta, per la missione. Poi volge nuovamente lo sguardo verso il cellulare. E lo porta di nuovo verso lo schermo piatto.
Infine, si decide. Gli è passata la voglia di starsene a casa, rintanato; è tardi, ma non troppo.
I suoi genitori stanno guardando un film, lo sa perché sente delle voci che non riconosce come quelle loro.

Prende un respiro profondo, spegne lo schermo – lasciando però la PlayStation accesa, così in caso, una volta di ritorno, potrà giocarvi e proseguire – e si avvia verso i propri genitori.
Suo padre guarda la TV, ma l'istinto gli suggerisce che, in realtà, ciò che fissa è un punto vuoto. Non parla spesso, ultimamente. Probabilmente si tratta di stress, ma Marco non è davvero preoccupato. Può succedere, in fin dei conti, no?
Sua madre, invece, sembra davvero coinvolta dal film, tanto che sussulta quando una presenza si palesa all'improvviso. A Marco, per un attimo, dispiace disturbarla proprio sul più bello, ma sa che lo deve chiedere in quel momento, o si farà troppo tardi.
“Mamma, papà” li chiama. “Potete accompagnarmi da una parte?”
Sua madre alza una mano, come per chiedergli di aspettare un attimo– che sicuramente si tramuterà in una mezz'oretta e poi in un'ora –. È suo padre a rivolgergli l'attenzione, il fatto stupisce abbastanza Marco, tant'è che alza le sopracciglia verso l'alto.
“Sì. Ti ci porto io.” Il suo tono di voce sembra apatico, ma forse è solo una percezione di Marco.
“Grazie, papà” gli risponde, riconoscente, e gli sorride.
Sorriso che il padre ricambia per metà. “Dove, esattamente?”
E Marco gli dà l'indirizzo.

Poco tempo dopo, si ritrova alla festa. Saluta il padre, scendendo dall'automobile, e si guarda intorno, in cerca della sua migliore amica. Si sente tirare per un braccio e si lascia trascinare poco lontano. In tutto quel trambusto non ha fatto in tempo a vedere chi fosse stato, ma è una festa tra adolescenti, per cui chi l'avrà preso non è di sicuro un maniaco. Infatti, quando finalmente lo sguardo può posarsi sulla persona in questione, nonostante la penombra, riconosce il fisico di Beatrice.
“Cosa ci fai qui?” Okay che si stava lamentando con lui e che gli aveva detto precisamente dove si trovava, poiché quel posto è conosciuto, ma non si aspettava di trovarlo prorio davanti alla porta del locale.
Marco la guarda per un attimo ancora, prima di prendere parola. “Sono venuto ad accertarmi che non ti suicidassi per la tua improvvisa asocialità verso il mondo” risponde, sarcastico. Le donne sono lunatiche e Beatrice è presa da un attacco di pigrizia e chiusura – soprattutto verso gli sconosciuti – solito del loro particolare periodo del mese.
“Spiritoso” commenta, fingendosi vagamente offesa. Poi un sorriso compare sul suo volto, immancabilmente. “Davvero, non ce la faccio più a stare qui” si lamenta, sbuffando appena.
“Allora perché sei venuta?” La domanda sorge naturale.
“Perché... perché speravo che ci venisse anche Claudia, ma alla fine si è sentita male” confida, battendo i piedi per terra, come per manifestare la frustrazione. A Marco sfugge un sorriso; Beatrice si è presa una sbandata per quella ragazza e sta provando in tutti i modi a suscitare l'interesse anche dell'altra fanciulla. Marco crede che ci stia riuscendo abbastanza bene, invece Beatrice non sembra molto soddisfatta.
“Mh, ti va se ti porto a fare un giro?” Le propone, posandole un braccio sulle spalle. Dopo l'accenno col capo di Beatrice, che Marco interpreta come un
“sì”, i due cominciano ad avviarsi, lontano da quel locale.
Lanciando un'ultima occhiata attorno, Marco osserva due ragazze niente male e la parte più istintiva di sé gli suggerisce di andare lì e possibilmente flirtare, ma poi ci ripensa.
C'è Beatrice, e Beatrice in questo momento è abbastanza nervosa; meglio calmarla, in primo luogo.
Camminano lentamente, non c'è fretta. La stradina per la quale stanno andando è ricca di negozi e locali, alcuni chiusi per l'ora tarda, altri ancora aperti, come, ad esempio, ristoranti. A Marco viene un leggero languorino; non ha cenato, poiché in precedenza non aveva avuto fame, e sentire gli odori invitanti di quei locali non è certamente d'aiuto.
“Hai fame?” Beatrice alza lo sguardo verso di lui, mentre glielo domanda. Per lei non c'è problema, possono fermarsi in una pizzeria o in qualche altra parte e ordinare da mangiare.
“Mh... che ne dici di entrare in quel negozio?” Le chiede, indicandone uno abbastanza piccolo, ma non troppo, che comunque, perciò, lascia un po' di spazio vitale e riservatezza.
“Va bene.” Acconsente la fanciulla.
Marco ordina un panino, Beatrice lo imita, giusto per fargli compagnia. Si dirigono, per sedersi, nel posto più appartato che trovano. Marco poggiato sulla panca contro il muro, Beatrice di fronte.
“Allora, raccontami della festa” comincia il ragazzo, realmente interessato all'argomento, dando un primo morso al panino.
“Mh, non è successo nulla di entusiasmante. Balli vari, di gruppo soprattutto, gente che si ubriacava come se non esistesse un domani e altre persone già ubriache che cantavano... Dio, ricordami di non invitare mai gente stonata ad una festa, è fastidiosissimo” e fa per coprirsi le orecchie, come per scacciare un suono inesistente dalla sua mente.
Marco sghignazza appena, divertito da quei commenti. “E, soprattutto, non c'era Claudia” conclude lui, prendendola in giro bonariamente.
“Esatto.” Sospira, Beatrice, sbuffando e guardando un punto impreciso con aria sconsolata. “Non puoi capire quanto è brutto non poterla vedere da tre giorni. Febbre. Sperava di rimettersi per stasera, per passare un po' di tempo assieme, sai, ma non c'è stato verso. 38, ho preferito che stesse a casa. Mi aveva detto che, se volevo, poteva fare uno strappo alla regola e cercare di convincere sua madre a presentarsi, ma le ho consigliato di rimanersene tra le coperte. In fin dei conti, è da poco che siamo uscite assieme, non ne valeva la pena. No?” Quasi chiede conferma, la ragazza.
Marco annuisce subito dopo, con aria solenne. “Credo che tu abbia ragione, però non credi che questo evidenzi la sua attenzione nei tuoi confronti? Ah?” La punzecchia, cercando di farle aprire gli occhi. Nonostante tutti quei dettagli, infatti, Beatrice continua a rimanere insicura e non si fa avanti, non si dichiara.
“Sì, ma, insomma, lo fa anche con la sua migliore amica” ribatte, poi ci pensa bene e si mordicchia la guancia dall'interno. “Mh, in realtà con lei l'ha fatto solo due volte, in occasioni particolari.” Scrolla le spalle. “In ogni caso, lei è etero” conclude, con una punta di rammarico.
“Sì, è etero quanto io sono ossessionato da Peppa Pig” ribatte, dirottandola sul ridicolo.
Beatrice sorride e lo guarda, lo sguardo velato d'ironia. “Guarda che Peppa Pig è fantastica!” Esclama, scherzando.
Un rumore di campanello fa girare Marco verso la porta d'ingresso. Il locale era desolato, a parte lui e Beatrice, così è incuriosito dalle altre persone che hanno fatto il loro ingresso. Riconosce un'amica di Beatrice, conosciuta in poche occasioni, Zuleika. È accompagnata da un ragazzino riccio.
La prima sembra riconoscere, a sua volta, Beatrice e le si avvicina e le posa una mano sul braccio, cogliendola di sorpresa, allorché quest'ultima sussulta. Poi, girandosi e riconoscendola, l'avvolge un veloce abbraccio. Il giusto per salutarla, ma anche per non rimanere troppo in quella posizione: non ha voglia di molto contatto fisico, al momento. Con Marco è un'altra cosa, con Marco sono in una sintonia tale da far invidia alla migliore coppia di fratelli.
“Ehi, ciao; come mai qui?” Le chiede la sua amica, per iniziare un discorso.
“Marco aveva fame...” comincia Beatrice, ma il diretto interessato non l'ascolta più. È più concentrato su quella massa riccia dello sconosciuto, si domanda come un semplice particolare possa farlo pensare a tutta un'altra persona. Ora Michael si ritrova pure tra i suoi pensieri?
“Marco... da quanto tempo!” Alla fine, quando Zuleika lo richiama, il ragazzo posa lo sguardo su di lei. È carina, pensa Marco. E un sorriso furbo si delinea sul suo volto.
“Ciao, ti vedo bellissima come al solito” si complimenta e la diretta interessata si mordicchia il labbro inferiore, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Il ricciolino fa una smorfia, ma nessuno sembra accorgersene.
“Grazie” risponde Zuleika, sorridendogli.
Marco si scansa per farle posto e tasta la superficie della lunga panchina su cui è seduto. La ragazza non se lo fa ripetere due volte e vi si siede, lasciando che Marco posi un braccio attorno alle sue spalle e la guardi un po' troppo a lungo.
Beatrice sorride, osservando i due. Marco ha fatto colpo, come al solito.
Chiacchierano del più e del meno, i quattro, poi Beatrice domanda ai tre se vogliono uno strappo fino a casa. È presto, ma preferisce chiamare sua madre e tornarsene a casa, in camera sua.
Marco si gira verso Zuleika, la guarda per un attimo, poi si rivolge alla sua migliore amica. “No, grazie, ci penso io a portarla a casa, più tardi.”
Beatrice annuisce, guarda il riccioluto. “E tu, Fortuné?” E lui, invece, accetta la proposta. Così i due partono, lasciando a Marco e all'amica un po' di privacy, che nessuno dei due interessati disdegna.
Scherzano, poi Zuleika accenna all'orario tardo e Marco, da bravo ragazzo, decide di riportarla a casa.
Chiama suo padre. Un po' di squilli dopo, finalmente qualcuno risponde.
“Marco, tuo padre si è addormentato.” È sua madre. “Ti vengo a prendere io, dove ti trovi?”
“Mh...” Marco rivolge uno sguardo a Zuleika, sussurrandole se casa sua sia lontana. Non molto. “Mh, no, ti volevo dire che farò un po' tardi.”
“Okay, ma non metterci comunque troppo, signorino. Domani c'è scuola, o te lo sei dimenticato?”
“Lo so, mamma.” Sospira.
“Bene, richiamami quando ti devo venire a prendere. Ti voglio bene” sua madre conclude il discorso, attaccando subito dopo. Così, le parole 'anche io' muoiono sulle sue labbra, mentre ripone il cellulare in tasca.
Marco cinge la vita della fanciulla, poi si alza e la invita a seguirlo fuori dal locale. Quando nota che Zuleika si sta riscaldando le braccia con le mani, Marco si toglie la giacca di pelle che indossava e la posa sulle spalle della ragazza, che lo ringrazia con un dolce sorriso.
Passeggiano vicini, molto vicini, Marco che la cinge ancora e Zuleika che, di tanto in tanto, posa il capo sulla sua spalla.
Alla fine, davanti alla loro vista compare una casa a due piani, dietro a un cancello rosso scuro.
“Eccoci” mormora Zuleika, allorché Marco si ferma. Non è mai stato a casa sua, in fin dei conti di Zuleika conosce poco e niente, non ci sono state davvero occasioni per approfondire la conoscenza. Però ha ritenuto doveroso non lasciarsi sfuggire l'occasione, dopotutto la dea della bellezza le ha donato qualche tratto grazioso. Anzi, più di qualcuno. Perché non approfittarne?
“Eccoci” fa Marco da eco, osservando per un attimo, incuriosito, il luogo. Poi si volta verso Zuleika e, per salutarla, la stringe in un abbraccio, accennando qualche carezza sulla schiena. La ragazza posa il capo sul petto di Marco, un po' più alto di lei. Rimangono in quella posizione per un po' di tempo, poi Marco si distanzia piano e Zuleika trattiene a stento un lamento di disappunto.
“Dovrei andare” sussurra il ragazzo, studiando la reazione della fanciulla.
“Sì, dovresti” mormora Zuleika, ma, per smentirsi, stringe la stoffa della maglia di Marco tra le dita. Poi, alza lo sguardo verso di lui, e trova il suo magnetico. In un primo momento sembrano guardarsi solamente, poi Marco s'avvicina piano a lei, fino a trovarsi talmente vicini da sentire i loro fiati sulla pelle. Zuleika si mordicchia il labbro inferiore, assaporando il momento successivo, e Marco prende quello come ultimo incentivo per avvicinarsi. Posa due dita sotto il mento della fanciulla, per alzarle il viso. E le loro labbra si sfiorano, carezzandosi lentamente, mentre Marco porta l'altra mano tra i capelli della ragazza. Il contatto diviene via via meno casto, tanto che, alla fine, la lingua del ragazzo viene in contatto con l'altra. E Zuleika trattiene a stento dei sospiri. Ci sa fare, Marco.
Quando si distanziano, Marco posa la fronte su quella della fanciulla. Poi riapre gli occhi e sorride, un sorriso sghembo, prima di fare qualche passo indietro, per lasciar tornare Zuleika a casa.
Mentre la fanciulla, riprendendosi dal momento, sta suonando al campanello, Marco torna a guardarsi intorno. E non la vorrebbe vedere, quell'automobile. C'è una madre, ma non è tanto impaurito dal confronto col genitore, tanto è sorpreso dalla presenza affianco.
Lui... Michael? Possibile che... oh, cazzo. È sua sorella? Volge lo sguardo da Michael a Zuleika e da Zuleika a Michael, per un po' di volte. Ci ha provato con la sorella?
Ecco perché quel ragazzino riccio gli ha fatto tornare in mente lui. Son fratelli.
Sua madre s'avvicina ai due, un sopracciglio alzato, poi porge la mano a Marco. “Piacere, sono la madre di Zuleika. Tu sei?”
Per un momento le parole sembrano morirgli in gola, poi si schiarisce la voce, afferra la mano che gli è stata porta e accenna ad una lieve sorriso. “Piacere, signora. Mi chiamo Marco e stavo riaccompagnando sua figlia a casa.”
“Mh, grazie.” Studia Marco ancora per un momento, mentre il ragazzo cerca di apparire quantomeno un amico – ma quale amico, si son baciati – in gamba. Poi, la madre si apre in un sorriso e Marco si rilassa. Bene, l'analisi, il momento peggiore, è passata.
“Beh, posso offrirti qualcosa da bere?” Propone.
Marco 
si stringe nelle spalle, guardando dietro di sé e protendendo il corpo verso quella parte, come per farle intendere che non può fermarsi molto. “Mi dispiace, signora, ma...” non riesce neanche a concludere la risposta, perché la madre di Zuleika – e di Michael scrolla le spalle. “Non fa niente, non ti preoccupare. Sarà per un'altra volta, vero, Zuleika?” E lancia alla figlia un'occhiata di sottintesi, allorché lei annuisce e Marco regala loro un ultimo sorriso.
“Alla prossima.” Scompiglia i capelli della fanciulla, poi accenna ad andarsene. Ma lo sguardo si sofferma su Michael, risalendo fino agli occhi. Sembra... deluso? Per cosa?
Sospira, Marco, e lo saluta velocemente, prima di prendere a camminare, via da quell'abitazione. Saluto che non si cura neanche di scoprire se viene ricambiato.


Angolo dell'autrice.
Ieri e oggi ho finalmente trovato il tempo per scrivere, poi mi sono chiesta “Due giorni, mh; non sono troppo pochi?”, ma la voglia di aggiornare ha preso il sopravvento ( .. ) e quindi sono qui a pubblicare il capitolo! :3
Ah, buondì, yup. ; u ;
Sinceramente, prima di scriverlo non sapevo che Marco si sarebbe ritrovato a fare la corte ad una tra le sorelle di Michael, ma quando l'ho scoperto... mi sono tipo divertita troppo nel raccontarlo, lol.
Eheheh, Michael ha visto Marco baciare Zuleika, chissà se farà una ramanzina alla sorella più piccola o meno. ( ? )
Spero che comunque il capitolo vi sia piaciuto! ; u ;
Flowrence.~

 

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Capitolo 7
*** Conteruntur. ( VI. ) ***


Passa uno, passano due, passano tre giorni.
Marco non ha più visto Michael in giro e non sa se interpretare quello come un buon presagio o meno. Potrebbe essere che il riccioluto non si è più trovato in contatto con quei bulli, così come potrebbe essere l'esatto opposto. Alla sola idea, rabbrividisce.
Non gli piace pensare al suo viso sfigurato, o al suo fisico indolenzito.

Non sa se ne ha parlato a qualcuno, nella sua famiglia, oppure no. Spera di sì. Dovrebbe farlo, probabilmente si risolverebbe la situazione. O forse no. Forse sarebbe peggio.
Si porta una mano tra i ciuffi scuri, li stringe tra le dita, frustrato.
La verità è che gli ha mandato dei messaggi, sul cellulare. Semplici saluti, qualche domanda (del tipo “conosci quel film? I miei amici non possono andarci, che ne dici di accompagnarmi?”) o roba simile, ma nulla. Mai una risposta. Non sa se è venuta a mancare poiché non ha visualizzato i messaggi, oppure per quello che è successo con sua sorella. Dio, se solo avesse saputo prima che era una sua famigliare.
Mai provarci con la sorella di un tuo amico. Un'unica regola. Intransigente.
Si è chiuso appena, coi suoi amici. In modo quasi impercettibile, ma che non è sfuggito a Beatrice. Troppo sensibile, in quanto donna, per non accorgersene.
“Allora?” Chiede infatti a Marco, un sopracciglio arcuato, la mano posata sul fianco.
“Allora cosa?” Marco, invece, solleva entrambe le sopracciglia, guardandola a metà tra il finto sorpreso e il ti prego, non farmi parlare.
“Allora – cosa ti succede? Sei più cupo, da un paio di giorni. Raccontami, su. Sono tutta orecchie.” Lo incentiva, assottigliando gli occhi. Non vuole demordere, per cui Marco si dovrà preparare ad uno stress emotivo, se non confessa subito la situazione.
“Nulla, Bea', sai... i soliti litigi con mia sorella.” Cazzata.
Alza le spalle, parlandone con un tono che trattiene vari sottintesi, lo sguardo che s'abbassa,
evitando quello della ragazza.
“Mh...”, Beatrice lo guarda, indagando sul suo aspetto, sulla postura, tentando di capire se quella sia la verità o una bugia. Alla fine sospira. “Non me la racconti giusta, tu.” Gli dà un lieve scappellotto sulla nuca, scuotendo il capo.
Marco si stringe nelle spalle, ma accenna un sorriso. Come se, tramite quel gesto, potesse svicolare dall'argomento principale.
“È per colpa di Zuleika?” Gioca una carta, Beatrice, che sembra andare più o meno a segno, perché Marco alza lo sguardo verso di lei. Lieve apertura.
“No, no... non è per lei.”
“Mh, no? Allora, vediamo... lei stessa dice che è successo qualcosa, dopo. C'era sua madre e suo fratello. Quindi, o si tratta del confronto col genitore, che non troverei un argomento da scartare, dal momento che, nella mente di sua madre, lei è ancora troppo piccola, oppure...” Non termina la frase. Forse non trova altra spiegazione, forse vuole che sia Marco a dirgliela, esplicitarla a parole.
Si mordicchia la guancia, Marco.
Beatrice
sorride. Colpito.
“Beh, no. Con la madre, non credo sia un problema...” Il tono non è pienamente convinto. A volte i genitori fanno paura, sul serio. Quando si tratta di proteggere i loro piccoli. L'istinto di protezione è molto forte.
Qualche secondo di silenzio.
Beatrice aspetta.
Marco spera ancora di non arrivare a raccontarle il tutto. Speranza inutile.
“È la sorella di Michael.”
“Michael, il fratello, hm? Lo conosci?”
Marco non ne ha fatto parola a nessuno dei suoi amici. Se così fosse stato, probabilmente Beatrice l'avrebbe avvertito prima che commettesse quel passo falso.
“Sì.” Marco non è mai stato di poche parole, ma... con quel riccioluto, sente che il tutto è diverso. Riesce a mutare perfino il suo carattere. E poi, Marco è confuso.
Perché si ritrova sempre più spesso, Michael, tra i suoi pensieri?
Che se ne stia invaghendo?



Quel giorno, Michael non si trova a scuola.
Zuleika si è sentita male e lui ha finto di provare lo stesso malessere.
Per poterle parlare, metterla in guardia.
In guardia, già... come se ce ne fosse bisogno, con Marco. Come se quel ragazzo non fosse uno più che a posto.
La verità è che non la vuole vedere gironzolare con lui, ma per tutt'altro motivo.
La verità è che si è sentito geloso, quando li ha visto baciarsi. A metà tra la rabbia andante, la frustrazione e la delusione. Delusione forse dovuta al suo dover accettare che quel Marco Castoldi che tanto sta occupando la sua mente e i suoi pensieri è eterosessuale. Non avrebbe alcuna speranza, perciò, Michael.
Vuole parlare a sua sorella, avvertirla, ma solo per scopi egoistici. E forse per questo un po' si sente in colpa; ma, ben presto, anche quella sensazione non v'è più. Soffocata dalla determinazione.
Sua madre li ha lasciati in casa. A badare a loro v'è Yasmine, la maggiore. In realtà, ella si è chiusa in camera, le orecchie coperte dalle cuffie, dalle quali risuona una musica ad alto volume.
Loro madre è andata a fare compere.
Per cui, Michael può permettersi di parlare tranquillamente con Zuleika; che, dal canto suo, vorrebbe solamente sfuggire a quel discorso. Già c'è sua madre, che le rompe. Ci si deve mettere anche suo fratello?
“Capito? Non... non mi piace l'idea che tu stia con uno come lui. È più grande di te, e non parlo di un anno o due. Insomma, è più grande di me di tre anni.” Tenta di convincerla. Ma il tono non è convinto, non contiene disapprovazione né è conciliante. È semplicemente lamentoso. Il suo tentativo di camuffarlo è vano.
“Ma – Mika, Paloma prova a conquistare Damon – Damon, che ha cinque anni in più di lei, cavolo – e io non posso stare con Marco? Ma almeno lo conosci, lui? È in gamba, credimi.” Prova a sostenere la sua tesi, la piccola di casa Penniman.
Michael scuote il capo, contrariato, e lascia che un sospiro fuoriesca dalle sue labbra. La stessa discussione va ormai avanti da cinque buoni minuti.
“Lo so, lo so... guarda che lo faccio per il tuo bene” le risponde, aprendo le braccia, invitandola silenziosamente a lasciarsi andare in un abbraccio conciliatore. Zuleika, un po' riluttante all'inizio, alla fine cede e viene avvolta da Michael, che stringe il suo fragile corpo contro il suo, caldo.
“E poi... Paloma è grande” conclude.
E Zuleika sbuffa.
Odia essere piccola.



Cosimo e Domenico l'hanno invitato ad uscire.
Casa di Cosimo. Per una serata tutta “tra maschi”, a giocare a videogiochi e bere alcolici sottratti con furbizia alla riserva personale dei genitori di Cosimo.
Beatrice non è potuta venire. Appuntamento con Claudia. Finalmente si dichiarerà, Marco è sicuro che non la ritroverà in lacrime, a suonare al campanello, in cerca di conforto dai tre. Cosimo e Domenico sono un po' meno ottimisti di lui; non che l'abbiano vista relazionarsi con la fanciulla più di tanto, comunque.
Marco è soddisfatto di essere andato da Cosimo. Si divertono, tra scherzi, scappellotti, prese in giro bonarie e i genitori che, ogni tanto, passano, per controllare che tutto sia a posto – e allora il tutto si fa più divertente, l'adrenalina scorre nelle vene dei tre ragazzi, che tentano di nascondere le bottiglie vuote e quelle che devono ancora consumare. Come non si accorgano che mancano delle bottiglie, in realtà, per Marco rimane ancora un mistero.
Man mano che passa il tempo, si fa tardi. Il sole tramonta e lascia spazio alla luna e alle sue figlie.
Cosimo invita i due a cenare a casa sua. Entrambi accettano.

La sera passa velocemente, tra altre risa e scherzi.
Poi, si fa l'ora di tornare a casa. I genitori di Marco lo aspettano poco lontano dalla dimora di Cosimo, hanno parcheggiato l'automobile dove hanno trovato posto e, purtroppo, non si è trovato sotto casa del fanciullo. Marco, quindi, dovrà fare un pezzo a piedi.
Ma lui non si lamenta. Non è mai stato pigro, gli piace camminare.
È quindi con passo tranquillo che si dirige verso la macchina, dopo aver salutato gli amici con due strette di mano.
Lo sguardo è volto verso il cielo, verso la notte, tanto bramata, tanto amata. Un giorno gli piacerebbe scrivere una canzone, su quel periodo della giornata.
Gli vengono in mente alcune frasi. “Cade la sera / e il cuore s'ispira / mentre che il cielo si oscura / buio a regalar le stelle / belle illusioni, sogni lontani.” Sorride soddisfatto, per quel colpo di genio.
Il sorriso diventa un po' più cupo quando si ritrova a sbattere contro qualcosa. O meglio, contro qualcuno.
L'espressione sul viso di Marco è chiaramente sorpresa, mentre osserva il malcapitato contro il quale – a causa dello stato della sua mente, tra le nuvole – si è scontrato.
Pronto a scusarsi.
Se il soggetto fosse diverso.

Quella massa di riccioli la riconoscerebbe ovunque, ormai frequente visione della sua mente, della sua memoria. Così come quegli occhi, profondi. Ma non c'è sorriso, su quel volto. Non v'è – e lo sguardo non ne viene rischiarato. Cupo. Incrinato come il sorriso di Marco.
A quest'ultimo vengono i brividi.
Perché l'occhio di Michael è gonfio e tende a chiudersi da solo.
Perché il viso è sfregiato, e il labbro è spaccato.
Perché, quando Michael tossisce, un grumo di sangue si unisce alla saliva.
Ma, soprattutto, perché quello è uno sguardo perso.
D'una persona che ha cercato la salvezza. 
E non l'ha trovata.


Angolo dell'autrice.
Okay, linciatemi pure.
Anche se io vi lovvo. Ho avuto un momento di crisi, per quanto riguarda la scrittura. L'ho messa da parte, mi sono concentrata su altro. Poco tempo fa, però, mi sono ricordata di questa fanfiction, che avevo cominciato. E mi sono messa a scriverne un altro capitolo.
Stavo dicendo, vi amo perché mi avete chiesto di continuarla, e... non so, mi avete fatta sorridere. ( InsomniacDreamer, Joey_97 ).
Non ho risposto alle tue recensioni, InsomniacDreamer, non volermene. ;A; Sappi che le ho lette tutte, col sorriso stampato sulle labbra dall'inizio alla fine. Anche perché non mi sarei mai aspettata che qualcuno commentasse tutti i capitoli di una mia fanfiction. Quindi grazie. ; u ;
Per quanto riguarda te, Joey_97 ( <3 ), se mai avrò bisogno di una mano, ispirazione o roba varia, potrò chiedertela, allora, nee? v.v
Eee... questo capitolo è dannatamente corto, lo so. Ma l'effetto si sarebbe guastato, se l'avessi continuata, quindi... çwç Di nuovo, non vogliatemene. :c
Prometto che proverò a scrivere più frequentemente ( contate anche la scuola, non prometto miracoli ;^; ). ~
Che dire - mi farebbe piacere, se mi lasciaste un commento. Anche di critica, aiuta a migliorarsi.
Per questo, mischief managed, Zuleika è rimasta. Sorry ;^; ( ? ) ~
Okay, adesso me ne vado, prima che mi linciate per davvero --.

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