Look With Your Heart

di Nana_Hale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mistake ***
Capitolo 2: *** Effect ***
Capitolo 3: *** Reaction ***
Capitolo 4: *** Regret ***
Capitolo 5: *** Forgiveness ***



Capitolo 1
*** Mistake ***


Mistake
 
"Avanti, sigilliamo questo posto e andiamocene a casa!"
Stark mandò un messaggio molto chiaro attraverso quella comunicazione per tutti gli Avengers da dentro l'armatura: dovevano finire in fretta e filarsela prima che accadesse qualcosa di irreparabile.
Qualche ora prima, un allarme di emergenza di JARVIS era scattato all'Avengers Tower facendo subito schierare in posizione di allerta tutti i presenti, tranquillamente intenti a godersi uno dei rari momenti di pace e calma.
Con un rapido aggiornamento, JARVIS aveva informato la squadra che una strana fuga di gas aveva scatenato il panico in un grosso edificio delle Stark Industries e tutti si era subito precipitati in soccorso.
Arrivati sul posto avevano isolato la zona senza difficoltà mettendo in salvo tutti i presenti nella struttura, e ora, grazie ad un optional improvvisato dell'armatura di Iron Man combinato con il principio di una troba d'aria scatenata da Thor avevano quasi finito l'operazione di contenimento del gas azzurro che fino a qualche secondo prima riempiva l'intero palazzo. Una squadra sarebbe tornata il giorno dopo a decontaminare la zona e bonificarla.
Hulk e Thor dal piano terra portavano al sicuro quelle poche persone rimaste nei dintorni, Black Widow e Hakweye passavano in rassegna ogni piano, stanza o corridoio per assicurarsi che il luogo fosse completamente sgombro, mentre Stark finiva di incanalare il gas nella stanza blindata al centro dell'edificio con l'aiuto di Cap.
Il getto a ghiaccio secco dei propulsori imbastiti da Iron Man riusciva in qualche modo a contenere quel evidentemente non terrestre nube indirizzandola nel caveau refrigerato dei materiali chimici, che Cap aveva sgomberato completamente.
"Come facciamo a chiuderlo?"
Domandò Cap ad altissima voce, per via del rumore del ghiaccio secco in espulsione e della maschera filtrante, uguale all'elmo della sua armatura, solo completamente trasparente, che Stark aveva fatto indossare a tutti. 
"Appena ti faccio cenno spingi il portello, ruota quel perno, e sigilla la stanza!"
Rispose Iron Man, e Rogers immediatamente si portò dietro la porta di metallo della stanza blindata, le braccia pronte a spingere con tutta la forza che possedevano.
Quando l'ultimo rivolo di fumo si rapprese su se stesso colpito dal getto gelato ed entrò nella camera, Stark spense i propulsori saltando all'indietro.
"ORA!"
Cap ringhiò colpendo quasi con una spallata la porta e sbattendola contro la parete più in fretta che potè, sigillando la stanza.
Il rimbombo riecheggiò per qualche secondo nell'edificio svanendo poi pian piano nel vuoto e lasciando come unico suono i respiri affannati di Rogers.
Dall'interno dell'elmo, Stark fece un rapido scan del corpo di Cap, come faceva subito dopo ogni scontro, per controllare le sue funzioni vitali. 
Tutto a posto.
"Woo... che fatica! Usciamo di qui prima che mi si liquefacciamo le mani per il surriscaldamento dell'armatura."
Disse la voce metallica superando Cap e dandogli una pacca col gomito sul braccio.
"Dobbiamo prenderne un campione."
Lo incalzò Rogers voltandosi per seguirlo con lo sguardo.
"Ci penseranno domani quelli che verranno a ripulire questo casino."
Rispose Stark continuando ad avviarsi verso l'uscita.
"Non sono un esperto, Tony, ma mi sembra un gas decisamente instabile. Come sappiamo che domani non si sarà già dissolto?"
A quelle parole, Iron Man si fermò scuotendo la testa irritato.
"Quanto odio quando hai ragione."
Disse tornando sui suoi passi ed estraendosi da una placca sul polso una piccola provetta lunga circa 10 centimetri con un beccuccio in cima simile ad una chiavetta USB. Passò di nuovo accanto a Rogers, che sorrise non avendo nemmeno bisogno di immaginarsi la faccia annoiata e stanca di Stark sotto all'elmo, che lo malediceva per la sua capacità di portarlo sempre a fare le cose per bene fino alla fine.
"Ogni minuto che perdo qui me lo restituirai in minuti di diritto sul telecomando."
Si lagnò Stark afferrando la provetta fra le dita e inserendola in una piccola fessura nella porta di metallo appena sigillata.
"Andata."
Gli rispose Cap risistemandosi meglio il laccio del casco protettivo sotto al mento.
Iron Man premette un paio di comandi sul portello e uno sportellino si aprì all'altezza della fessura in cui aveva inserito la provetta.
Lentamente, come un filo di fumo azzurro, il gas entrò dal foro nel contenitore riempiendolo; Stark pigiò qualche altro pulsante e la fessura si richiuse con uno scatto. Estrasse la provetta e si voltò di nuovo verso Rogers sollevandola accanto all'elmo, soddisfatto.
"Fatto! Ora, per favore, ce ne andiamo a casa e finiamo di vede..."
Stava per finire la frase quando la voce gli si spense nel momento in cui o sguardo gli cadde sulla provetta.
Come se avesse una sua propria vita, il gas sembrò iniziare a vibrare, come se il calore dei guanti dell'armatura di Iron Man gli avessero mandato in corto le molecole; vibrava sempre più velocemente, sempre più intensamente, fino a colorarsi di un rosso vivido e scuro.
Rogers lo fissò da un paio di metri di distanza non capendo che cosa stesse succedendo e cosa lo avesse distratto.
"Ma che diavolo..."
Appena un secondo prima che la mano di Stark si aprisse per lasciar cadere la provetta, questa esplose come un petardo facendolo indietreggiare di un passo.
I vetri rimbalzarono sull'elmo senza danni, ma gli ci vollero un paio di secondi per rendersi conto che qualcosa stava letteralmente corrodendo il metallo dell'armatura all'altezza dei suoi occhi.
Riuscì a sentire la voce di Cap gridare il suo nome appena prima che un dolore lancinante lo colpisse al viso.
Aveva già provato una sofferenza simile, e allora aveva pregato con tutta la sua anima di non doverla provare mai più, in una caverna in Afghanistan, mentre ancora il rumore delle esplosioni gli rimbombava nelle orecchie e la sua vita veniva messa a repentaglio da una manciata di schegge.
L'urlo che risalì dalla sua gola fu tanto forte quanto le tremende fitte che anni prima, quella notte, gli aveva provocato l'orribile squarcio aperto nel suo petto.
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Buonsalve! Eccomi con una nuova fic su uno dei miei fandom preferiti: the Avengers! (in particolare la Stony :3 )
L'inizio non è roseo, lo so, ma che storia sarebbe senza dramma  e conflitto?
Spero vi piaccia e vi incuriosisca!
Al prossimo capitolo!
Bacio!
-Nana

 

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Capitolo 2
*** Effect ***


Effect
 
Bip...bip...bip...
Incredibile come un elettroencefalogramma possa risultare un suono così piacevole dopo aver perso i sensi nel modo più orribile che si possa immaginare: per il troppo dolore.
E perfino qualcuno con una così grande riluttanza per gli ospedali come Tony Stark si riscoprì a trovare confortante l'idea di stare sdraiato in uno scomodo e asettico lettino bianco piuttosto che essere crepato in modo orribile.
Si rese conto immediatamente di avere qualcosa sopra agli occhi, di morbido e tiepido, e il suo cervello immediatamente ritornò all'ultimo ricordo cosciente impedendogli di tentare di aprire le palpebre.
Mosse le dita di mani e piedi per controllare che il corpo non fosse paralizzato e con piacere si accorse di essere solo un po' intorpidito e accartocciato.
"Tony?"
Improvvisamente sentì un voce alla sua destra, molto vicina. Ci mise qualche secondo per collegarla ad un volto ma poi ci riuscì.
"Bruce..."
Chiese sentendo la gola riarsa e impastata.
"Aspetta, di prendo dell'acqua."
Sentì i passi che si allontanavano, ma non di troppo, per poi fermarsi. Plastica che striscia contro plastica e poi lo scrosciare leggero di uno di quei distributori d'acqua automatici.
"Ecco."
Una mano si infilò sotto la sua nuca, sollevandola leggermente, la plastica sfiorò le sue labbra e l'acqua fresca fece il suo dovere splendidamente.
"Quanto sono rimasto svenuto?"
Domandò alzando il busto raddrizzarsi leggermente ,voltando la testa dove riteneva stesse il viso di Banner.
"4 giorni. Ci hai fatto prendere un bello spavento."
La voce di Bruce era ancora segnata da un velo di quella scia di preoccupazione residua che doveva averlo agitato parecchio in quelle 96 ore ma che ora stava scemando via con gioia.
4 giorni.
Ripensò a quel dolore insostenibile che aveva sentito e subito la sua curiosità fece capolino, ancora prima dell'interesse verso la sua stessa salute fisica.
"Cos'era quel gas?"
Bruce prese un bel respiro e gli parve di sentilo accomodarsi delicatamente su una sedia accanto al letto che grattò lievemente il pavimento.
"Ho fatto analizzare il gas e, come mi aspettavo, non corrisponde a nessun elemento o materia di questo pianeta. Ho scoperto solo che sembra quasi un composto con un altissimo livello di reazione al freddo e al calore."
C'era una nota di dispiacere nella sua voce e in quel momento balenò nella testa di Tony l'istante esattamente prima dell'esplosione nella sua mano. 
La provetta, il fumo, Steve.
"Che mi è successo? Rogers sta bene?"
"Hai subito un lesione al nervo ottico ma non era nulla di grave, abbiamo rimediato subito. E sì, lui sta bene. Ha trascinato fuori le tue pesanti chiappe metallizzate dal quel palazzo prendendoti sù di peso. Gli hai quasi fatto venire un infarto!"

Bruce scherzò ma Tony non riuscì a trovare il solito lato divertente della cosa questa volta: Ricordava il suo dolore e le sue grida ma, per un attimo, si ritrovò ad immaginare lo sforzo e la fatica di dover trasportare in braccio 220 kg, tra lui e l'armatura, per 7 piani di scale.
Stava per dire qualcosa quando sentì un cigolio e capì immediatamente che la porta della sua stanza di ospedale si era appena aperta. Rimase in silenzio ad aspettare che il nuovo arrivato si identificasse, ma non lo fece.
Dopo qualche secondo, Tony si accorse di sentire un profumo nuovo nella stanza, come di menta e sapone e la sua mente aprì un cassetto della memoria collegandolo ad un volto.
"Se i miei sensi funzionanti hanno fatto il loro lavoro in maniera corretta, questa dovrebbe essere la signorina Romanoff."
"Bentornato, Stark."

La sua supposizione ebbe immediatamente conferma. La voce di Natasha decisa ma gentile si fece sentire ma, mentre lei finiva di parlare, a Tony parve di sentire un colpo di tosse fuori tempo dalle parole della donna.
"E chi c'è con te?"
Chiese sorridendo, sperando di non dover rifare quel giochetto del profumo un'altra volta. La sua memoria olfattiva era buona, ma non così buona.
"Ciao, Stark."
Clint.
La sua voce un po' nasale e l'accento con cui pronunciava il suo cognome erano inconfondibili.
"Legolas."
Ripose sorridendo mentre altri passi di una terza intensità entravano dalla porta. Passi decisi e pesanti.
"Si capisce che sei enorme anche se non ti si vede, Thor!"
La risata partì subito dopo la battuta, piena, goduta e bassa come solo la sua poteva essere.
"E' una gioia sentire che sei ritornato fra di noi!"
Sentì una mano dargli un colpetto alla gamba e con qualche analisi logistica riuscì più o meno a intuire dove fossero posizionati tutti i membri della squadra.
Tranne uno.
"Rogers?"
Chiamò, ma fu la voce di Bruce a rispondergli.
"Sta arrivando. Ha avuto un contrattempo."
Tony non disse nulla, si limitò ad annuire per poi portarsi una mano al viso per grattarsi il naso ma incontrarsi con l'ostacolo delle bende. Toccò un po' la fasciatura prima che la voce di Banner si facesse sentire di nuovo.
"Oh! Le bende! Adesso possiamo anche toglierle!"
Esclamò come se si stesse rimproverando per non esserselo ricordato prima e dopo qualche rumore indistinto, Tony sentì la mano del dottore afferrarlo delicatamente per un braccio e condurlo a mettersi completamente seduto.
Pian piano sentì la garza assottigliarsi intorno alla testa e la luce iniziò a farsi più forte attraverso le sue palpebre mentre un silenzio quasi religioso era calato nella camera.
"Ecco fatto!"
A quelle parole Tony spalancò gli occhi come fossero due fanali per poi richiuderli subito per la troppa luce. Sbattè le palpebre con forza un paio di volte prima di concentrarsi.
Forse, sagome, colori, dei suoi amici che lo fissavano dal fondo del letto come fosse un animale in una teca di vetro erano al loro posto.
"Beh? Lo so che sono bello ma non mi sembra il caso di fissarmi così intensamente!"
Disse facendo sorridere tutti quanti, che subito lo bollarono come irrecuperabile, incorreggibile, simpatico bastardo e si rilassarono nel vedere che stava bene.
Natasha gli allungò il borsone che gli aveva portato con dentro un cambio di jeans e maglietta e Tony scivolò fuori dal letto e si vestì alla velocità della luce, non sopportando la sensazione di quel camice fatto praticamente di cartapesta.
Si infilò per ultima la sua doppia t-shirt a maniche lunghe, sotto, e corte, sopra, chiudendo gli occhi e lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo quando la testa passò dal collo.
"Che meraviglia..."
Bisbigliò riaprendo gli occhi e voltandosi verso Bruce che, aggrottando la fronte, andò verso di lui con passo svelto.
"Tony..."
"Che c'è?"

Domandò vedendolo avvicinarsi in maniera esagerata alla sua faccia.
"I tuoi occhi... stanno... diventando azzurri...?"
"Cosa?!"

Esclamò ridendo, sorpreso e incredulo, voltandosi subito verso lo specchietto appeso accanto alla testata del letto.
Vide le sue iridi castane incresparsi di un azzurro chiarissimo come se delle venature di acqua si stessero espandendo dalla sua pupilla.
"Ma che..."
"Tony, ti senti bene?"

Non si voltò per rispondere a Bruce, ma rimase a guardare i suoi occhi diventare pian piano sempre più chiari fino a inghiottire tutto il calore del suo sguardo trasformandosi in freddo ghiaccio.
"Sì, sto bene ho solo un po' di mal di tes..."
Sbattè le palpebre rimanendo sempre a fissare lo specchio e tutto si fece più chiaro, come se qualcuno avesse acceso una luce potentissima nella stanza.
"Che... cosa..."
Le sbattè di nuovo, mentre una spiacevole ansia saliva lungo la sua spina dorsale, e i contorni più grandi degli oggetti e delle persone sbiadirono come acquerelli bagnati dalla pioggia.
In quell'istante, intravide dal riflesso la porta della stanza aprirsi e una figura fare capolino in tutta fretta.
"Scusate il ritardo, sono stato trattenuto!"
Si voltò sbattendo di nuovo le palpebre, sentendo quella voce così preoccupata, e il baleno luminoso degli occhi azzurri di Steve fu l'ultima cosa che vide prima che tutto intorno a lui si facesse buio come un incubo.
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Capitolo numero 2. Le cose si complicano...
Alla prossima!
Bacio
-Nana

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Capitolo 3
*** Reaction ***


Reaction
 
La delicate dita di Bruce erano posate sul suo viso per tenergli aperta la palpebra mentre il dottore cercava di analizzare ciò che era successo qualche ora prima in ospedale.
Dopo la sparizione della vista, Tony aveva insistito per essere portato a casa, senza che nessuno potessero capire cosa era avvenuto. Dopo ripetute opposizioni di Steve, alla fine avevano optato per spostarsi all'Avengers Tower come richiesto da Tony, tanto, comunque, i medici non avrebbero potuto capire l'origine del suo problema in ogni caso.
Gli avevano ficcato sul naso un paio di occhiali da sole ed erano usciti, reggendolo con la massima discrezione, arrivando fino alla macchina e poi a casa.
L'avevano guidato fino al laboratorio di Bruce e si erano tutti messi al lavoro.
Bruce si era buttato sulle analisi, Thor era andato immediatamente su Asgard per informarsi sulle origini di quello strano gas, Natasha e Clint avevano dato fondo a tutte le loro vecchie conoscenze per scoprire chi poteva aver organizzato l'attacco all'edificio, e Steve era sparito.
Esatto. Steve era semplicemente andato via con una scusa qualsiasi raffazzonata all'ultimo momento.
A Tony non serviva vederlo per capire quando mentiva, non più. Ma non aveva la più pallida idea del perchè lo avesse abbandonato in quel modo in un momento simile.
"Sembra che ci sia una specie di... barriera. Come una pellicola sulla tua iride."
"Benissimo. Levala."

"Non è così semplice. Non ricopre l'iride ma è come se fossero... fuse insieme."
Tony serrò la mandibola con rabbia sbuffando sonoramente. Non sapeva cosa lo faceva più arrabbiare: se il non poter vedere o il fatto di non saper chi era lo stronzo che aveva causato tutto questo.
"Analizzerò ancora il gas facendo qualche esperimento e vedrò cosa riesco a scoprire. Tu intanto devi stare al sicuro qui all'Avengers Tower e-"
"Non posso. Ho perso 4 giorni, questo vuol dire che oggi è il 12 Novembre e c'è la presentazione all'Expo. Non posso saltarla, desterebbe troppi sospetti."
"Tony non-"
"JARVIS?"

Tony tastò il divano su cui era seduto e si sollevò in piedi chiamando la sua AI che rispose immediatamente.
"Sì signore?"
"Non ci vedo. Quindi andiamo in modalità sonora. Ho bisogno che tutti i sensori che hai mi guidino, capito?"
"Provvedo subito, signore."

Tony si levò gli occhiali da sole, gettandoli sul divano, attendendo che JARVIS riprogrammasse la casa, quando sentì una mano posarsi saldamente sulla sua spalla.
"Tony, io non credo che s-"
"Non ho intenzione di starmene qui a piangermi addosso e ad aspettare che qualcuno faccia ipotesi assurde su quello che è successo. Andrò la e chiarirò la situazione senza farmi scoprire."

La voce di Bruce tentava di essere comprensiva e convincente ma Tony sapeva di avere ragione. Mancare all'Expo voleva dire attirare l'attenzione dei media e se la persona che aveva lanciato l'attacco all'edificio delle Stark Industries avesse scoperto di essere riuscito a mettere fuorigioco Iron Man, non avrebbe perso tempo per sferrare un altro attacco.
Sentì la mano di Banner scivolare via dalla sua spalla proprio nel momento in cui JARVIS cominciò a parlare.
"L'uscita è a 20 passi davanti a lei, signore."
Prima che Bruce potesse anche solo pensare di accompagnarlo fuori, Tony era già partito a passo svelto uscendo dalla porta senza problemi.
JARVIS gli dava le indicazione in modo talmente efficiente che muoversi in casa era quasi uno scherzo per lui. Il problema sarebbe dovuto nascere un volta usciti dall'Avengers Tower, ma Tony aveva una soluzione anche per quello.
Si fece guidare al suo laboratorio e, una volta arrivato, recuperò un elmo da un MARK in costruzione e un paio dei suoi occhiali da sole scuri; si sedette alla scrivania e per la prima volta nella sua vita si ritrovò a lavorare nell'oscurità.
Non aveva mai dovuto stare così attento ad ogni piccolo dettaglio di ciò che gli stava intorno, di solito per lui lavorare manualmente era come pensare, non aveva bisogno di troppa concentrazione o attenzione. Andava in automatico.
Ma questa volta era diverso.
Toccava ogni oggetto con una sensibilità diversa, lo studiava, ne sentiva il peso, la forma, la superficie e per la prima volta si rese conto di quanto fossero freddi. Di quanto ogni cosa intorno a lui in quel laboratorio fosse gelida e sola.
Ci impiegò molto più tempo di quanto avrebbe voluto ma alla fine riuscì a terminare il suo progetto.
Attivò il collegamento fra gli occhiali e l'hard drive preso dall'armatura e se li infilò sul naso.
Se i suoi calcoli erano corretti, e lo erano sempre, così come gli impianti a bordo dell'armatura erano controllati dai suoi impulsi cerebrali e interpretati dall'interfaccia cibernetica nel suo casco, così poteva invertire quel sistema e permettere a JARVIS di leggere tutti i movimenti all'esterno, nel campo visivo degli occhiali da sole, e trasmetterlo alla sua corteccia cerebrale.
Sentì una piccola pressione sulle tempie e, pian piano, vide delle sagome formarsi davanti a lui: sagome sgranate, solo bianche o nere, il tutto disturbato da una sorta di effetto neve come in un vecchio televisore guasto.
Abbassò subito lo sguardo portandolo ad osservarsi le mani e si accorse di riuscire a percepire il movimento.
Funzionava.
Riusciva a distinguere le profondità abbastanza distintamente da muoversi e indirizzare il viso dove era richiesto in caso gli avessero fatto delle domande.
Sospirò entusiasta e andò  subito nella sua stanza cercando di abituarsi alle nuove forme e proporzioni che JARVIS pian piano gli trasmetteva.
Riuscì a vestirsi domandando alla sua AI il colore degli indumenti che prendeva dall'armadio e, dopo aver fatto arrivare Happy davanti all'ingresso della Avengers Tower, scese per uscire.
Stava per allungarsi verso la sagoma della maniglia quando la porta si aprì da sola davanti a lui e qualcuno entrò.
Le immagini che la sua corteccia cerebrale riceveva non erano abbastanza dettagliate da permettergli di riconoscere la persona che si ritrovò davanti che, per di più, non si decideva a parlare.
"Tony...?"
Disse finalmente la figura permettendo a Tony di riconoscere la voce.
"Rogers."
"Dove... dove stai andando?"

La voce di Steve era nervosa, quasi imbarazzata, ma Tony percepiva perfettamente la sua preoccupazione nel vederlo muoversi in giro nonostante le sue condizioni. 
Ma non gliene importava.
"Devo andare all'Expo."
Rispose seccamente spostandosi di lato per superarlo, ma Steve si spostò a sua volta, piazzandosi davanti a lui che, colto alla sprovvista, andò a sbattere contro il suo petto prima di riassestarsi facendo un passo indietro.
"Come scusa?! Sei andato fuori di testa?"
Ecco che il tono tornava più simile a quello che Tony conosceva. La voce di un leader.
"Non cominciare. Ho tutto sotto controllo."
Sollevò la mano e toccò gli occhiali per indicarli a Rogers che però non sembrò nemmeno averlo ascoltato.
"Non mi interessa se hai il tuo piano, non puoi andare in giro come se niente fosse."
Senza più rispondergli, Tony sbuffò e riuscì a calcolare un movimento abbastanza veloce da passargli accanto e superarlo, uscendo dalla porta.
"Non andare. Aspetta almeno che si trovi una soluzione!"
"E cosa facciamo se non esiste una soluzione eh?!?!"

Tony urlò, bloccandosi di scatto senza voltarsi. Non serviva, non avrebbe potuto comunque guardare Steve negli occhi per permettergli di capire cosa stava provando. Ma poi, successe qualcosa che non aveva previsto, qualcosa che probabilmente se avesse potuto vedere non sarebbe mai riuscito a notare.
"Tony... ti prego..."
Sentì la voce di Steve tremare.
Tremare come trema la voce di un bambino troppo spaventato per farsi sentire; come trema la voce di chi porta un peso nel cuore così grande da non riuscire parlare.
"Devo andare."
Ma Tony sapeva che quella era la cosa giusta da fare, e non aveva bisogno ne di essere compatito ne di sentirsi trattato come un incapace.
Era sicuro che quello che aveva deciso era la soluzione migliore per evitare di mettere nei guai l'intera squadra, voleva credere di poter fare ancora qualcosa per la sua famiglia anche se, forse, sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe potuto fare Iron Man prima di accettare definitivamente di aver perso la vista.
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Mi sono resa conto solo adesso di quanto brevi siano i miei capitoli... chiedo venia ma le storie brevi ma intense sono la mia specialità!!!
Come sempre spero vi sia piaciuto anche questo capitolo!!!
Alla prossima
Un bacio
-Nana

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Capitolo 4
*** Regret ***


Regret
 
L'intervista stava per cominciare in diretta alla televisione quando Steve si sedette al tavolo della cucina stropicciandosi così nervosamente le dita da farsele arrossare.
Aveva aiutato Bruce in ogni modo che poteva ma, alla fine, le analisi chimiche e la scienza applicata non erano nelle sue capacità e, piuttosto che rimanere immobile nel laboratorio a fissare Banner mentre lavorava, aveva optato per tenere d'occhio quello che succedeva all'Expo dalla televisione.
Pessima idea dato che la preoccupazione, la tensione e la paura che gli stavano aggrovigliando lo stomaco erano la sensazione più spiacevole che si potesse provare.
Le gambe gli formicolavano talmente forte era il desiderio di alzarsi e correre all'Expo da Tony alla velocità della luce per fargli da scudo, ma altrettanto potente era la sensazione di vergogna che lo stava divorando da dentro da giorni.
La TV annunciò l'arrivo di Tony davanti ai microfoni e il respiro di Steve si bloccò come se tutta l'aria fosse stata portata via dala stanza.
"Signor Stark!"
Un giornalista gli puntò un microfono addosso, mentre passava sul tappeto delle interviste camminando a passo deciso ma prudente, e lui si fermò. Sbagliò solo di circa un metro e quando l'inviato fece la domanda riuscì a mettersi nel punto giusto.
"Come sta, signor Stark? Ha recuperato dopo l'incidente del gas?"
"Sono in piedi, no? Mi sono fatto solo un sonnellino ricostituente di qualche giorno!"

Sfacciato, divertente e schivo. Perfetto. Bastava che facesse la stessa cosa per altre 50 volte ed era salvo, pensò Steve.
E infatti, la scena si ripetè ancora, e ancora, e ancora e ogni volta Steve si accorgeva che Tony doveva aggiustare il tiro dei suoi movimenti: da un passo troppo avanti o indietro alla posizione della testa rivolta a chi davvero parlava in quella marea di giornalisti, tra flash e parole e confusione e disordine.
"L'incidente le ha lasciato dei danni?"
"Danni? Non basta un po' di fumo per fare dei danni a me!"
Ma sembrava proprio che riuscisse a cavarsela e, proprio quando questo piacevole pensiero sfiorò la sua mente, allora Rogers vide Tony portarsi rapidamente una mano a massaggiarsi di sfuggita la tempia.
All'inizio non vi badò molto ma dopo  meno di un minuto, un brivido lo attraversò dalla punta dei capelli a quella dei piedi quando l'azione si ripetè per la terza volta.
"E come procede la ricerca del colpevole?"
"Ci stiamo lavorando."

Tony iniziò a rispondere alle domande sempre più seccamente, sempre più rapidamente, continuando a fare il giro della piazza dell'Expo per dirigersi verso la macchina in cui Happy lo aspettava al bordo della strada. 
"Signor Stark! Qualcun altro è rimasto ferito nell'incidente?"
"Fortunatamente no."
"Signor Stark!!!"
"Da questa parte!"

Ma il cordone di giornalisti, le urla, le luci, il disordine, sembravano un serpentone apparentemente senza una fine e, ad ogni passo, Steve vedeva il viso di Tony farsi sempre più stanco, sempre più spinto allo sforzo di mostrarsi sereno e imperturbabile.
"A quando la prossima armatura, signor Stark?"
"Non lo so..."
"Stark! Di qui!"
"Signor Stark!"

Fino a quando qualsiasi tipo di sforzo divenne completamente inutile.
Il tempo iniziò a scorrere alla metà della velocità per Steve nel vedere uno dei sorrisi beffardi di Tony spezzarsi all'improvviso trasformandosi in una fitta di dolore.
"Ha intenzione di fare ques-"
"Devo andare, mi dispiace..."

Quando Steve vide comparire nello schermo la fine imminente della folla e Happy, in piedi davanti alla macchina, strinse la mandibola tanto da far indolenzire i muscoli del collo, e i pugni con abbastanza forza da lasciarsi i segni delle unghie nella pelle.
In quel momento, un flash balenò a pochi centimetri dalla faccia di Tony e una smorfia di sofferenza incontenibile si disegnò sul suo viso nell'istante in cui mise piede giù dal marciapiede, mancando l'appoggio.
Steve si alzò di scatto dalla sedia facendola cadere a terra con un tonfo nel momento esatto in cui Happy aprì la portiera e lo aiutò a salire in auto, facendo passare per un normalissimo ingresso in macchina quello che in realtà era un tremendo svenimento.
Steve ci mise qualche secondo a ricominciare a respirare regolarmente poi afferrò il telecomando con violenza e spense la TV proprio mentre la macchina si immetteva nella strada e si allontanava mentre la folla continuava ad agitarsi e gridare il nome di Stark.
Molto lentamente si voltò, raccolse la sedia da terra rimettendola a posto, e si sedette di nuovo poggiando il telecomando di lato, rimanendo a fissare lo schermo spento per interi minuti.
Sentì la gola bloccarsi e un peso insostenibile schiantarsi sul suo petto al pensiero di quell'immagine così vulnerabile di Tony.
Frustrazione, impotenza, perfino rabbia, come non ne aveva mai provata verso se stesso.
Quella rabbia che non ti consente di muoverti, di reagire, di sfogarti, ma che ti permette solo di appoggiare i gomiti sul tavolo, afferrarti la testa fra le mani e pregare.
E così fece.
Sentendosi rimpicciolire, tornare perfino più magro e debole di come era stato tanto tempo prima, quando la sua volontà non era abbastanza per permettergli di aiutare chi ne aveva bisogno, quando la sua unica ambizione era fare qualcosa di buono per gli altri eppure non poteva farlo.
Ed ora il suo solo desiderio era poter rimediare, poter aiutare Tony. 
Ma non ne era in grado.
Non ebbe nemmeno la forza di telefonare a Happy tanto violento sentì il rimorso scavare dentro al suo cuore.

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Capitolo 5
*** Forgiveness ***


Forgiveness
 

Tony era nel suo laboratorio, seduto alla scrivania, gli occhiali da sole modificati tra le mani.
L'abuso di quell'aggeggio gli aveva provocato una terribile emicrania ma già in macchina, pochi minuti dopo la fuga dai giornalisti, si era ripreso accorgendosi subito di essere senza occhiali, di nuovo nel buio totale.
E così era rimasto tutto il resto della serata.
Era rientrato e si era fatto guidare da JARVIS fino in laboratorio, senza cenare, senza scambiare una parola con nessuno, e lì era rimasto a giocare con oggetti che parevano quasi nuovi, diversi, dal momento che non poteva più vederli.
Li studiava uno per uno e li sistemava in ordine sul tavolo in base alle dimensioni o all'utilizzo o alla frequenza con cui li usava, riorganizzando lo spazio e la praticità del laboratorio un pochino alla volta.
Era passata la mezzanotte e lui stava smontando gli occhiali quando JARVIS lo avvisò dell'arrivo del Capitano Rogers.
"Accomodati."
Disse senza nemmeno voltarsi sentendo la porta aprirsi e richiudersi, e i passi avvicinarsi a lui fermandosi approssimativamente a poco più di un metro di distanza dalle sue spalle.
Steve non rispose al saluto, non disse assolutamente niente e Tony dopo un minuto pieno si alzò dalla sedia continuando ad armeggiare con qualche attrezzo, rimanendo però sempre di schiena.
Non sapeva perchè ma in quel momento un pensiero stupido gli attraversò la testa: aveva gli occhi azzurri adesso e, dato che lui e Steve si prendevano sempre in giro su questo tipo di cose, pensò che gli sarebbe piaciuto sapere cosa Steve pensava di questo suo nuovo look.
E così glielo chiese.
"Allora? Non mi hai ancora detto come sto con gli occhi azzurri."
Ma non ottenne risposta.
"Va bene, se ti vergogni a dirmelo puoi anche non farlo!"
Disse scherzosamente, ma niente.
Assolutamente niente.
"Mi stai facendo il trattamento del silenzio perchè non ho fatto quello che dicevi?"
La voce di Tony si fece un po' più aspra mentre una sensazione di nervosismo si faceva largo dentro di lui.
"Vuoi che ti dica che ho sbagliato? Perchè sai che non lo farò. Non questa volta."
E ancora nessuna risposta.
"Te ne starai lì con il tuo sguardo giudice e la tua faccia incorruttibile senza sputare una frase?"
Ancora nemmeno una parola e il nervosismo si trasformò in fastidio quando i minuti di silenzio diventarono più lunghi.
"O forse è perchè ti faccio pena? Eh? Hai portato qui il tuo sguardo carico di pietà? Peccato che io non possa vederlo."
E all'ennesimo silenzio, il fastidio si trasformò in rabbia.
"RISPONDI MALEDIZIONE!"
Tony si voltò di scatto buttandosi verso di lui allungando le mani per afferrarlo all'altezza del colletto.
"DI' QUALCOSA!"
Ma le sue mani finirono troppo in alto, contro il suo viso, toccando la sua guancia e ritraendosi immediatamente nel sentire un singhiozzo di sorpresa soffocato.
Ci mise qualche secondo prima di accorgersi che la punta delle sue dita era umida, prima di udire il respiro di Steve farsi più pesante e affaticato.
Il buio che vedeva ad occhi aperti sembrò farsi ancora più profondo e triste quando sentì una voce quasi irriconoscibile, bisbigliare pianissimo.
"Mi dispiace..."
Istintivamente si toccò di nuovo le dita facendo sfiorare i polpastrelli contro il pollice mentre la sua testa si rifiutava di collegare quella voce così flebile e carica di rabbia con il viso della persona a cui apparteneva.
"E' stata... colpa mia...
Lacrime.
Le sue dita erano bagnate di tiepide lacrime.
"E' colpa mia...
Lacrime di Steve.
"Non dovevo chiederti quel campio-"
"No..."

Con un rapido gesto, Tony allungò la mano arrivando di nuovo a toccare il viso di Steve, facendolo zittire; e questa volta le sue dita si fermarono a contatto con la sua guancia.
Riuscì a sentire la mandibola tesa quasi al limite del possibile e aprì la bocca per parlare, per dirgli qualcosa, ma le parole gli morirono sulla bocca quando sentì una lacrima scivolare proprio in mezzo alle sue dita.
Quasi involontariamente alzò anche l'altro braccio, facendo un passo avanti e posando delicatamente la mano sull'altra guancia di Steve.
"Tony-"
"Sssh..."

Lo zittì con delicatezza e, come se fosse stato rapito da un incantesimo, chiuse gli occhi e iniziò ad accarezzare il suo viso con le dita, seguendone i tratti, i contorni.
La sua pelle bagnata dalle lacrime era calda e morbida e senza nessuna imperfezione, come doveva essere; sentì i suoi muscoli rilassarsi a quel contatto così insolito e inaspettato e i suoi respiri farsi più calmi.
Sfiorò i suoi zigomi, il profilo dritto e sottile del naso salendo fino alle palpebre, trovandole chiuse, prima serrate con forza ma che, sotto il suo tocco, si aprirono lasciando che le sue dita raccogliessero la lacrima rimasta incastrata fra le sue ciglia.
Seguì le linee del suo viso come se lo stesse disegnando o modellandolo affettuosamente nella creta: le sopracciglia folte, le tempie, la mandibola definita, e la bocca.
Quando gli accarezzò dolcemente le labbra morbide con il pollice, le sentì dischiudersi, lasciando uscire un tiepido respiro quasi di sollievo.
In tutto quel gelo di metallo e acciaio che lo circondava, quel calore così umano, così affettuoso e premuroso che Steve sprigionava gli fece scorrere un brivido dentro allo stomaco, come una scossa elettrica, e Tony si rese conto di non averlo mai visto come lo riusciva a vedere in quel momento. 
Era bello. In ogni modo in cui una persona può essere bella. Bello anche al solo tocco delle dita.
Ebbe quasi un sussulto quando si scoprì a pensare che un giorno avrebbe voluto andare oltre con le sue mani sul corpo di Steve; sentire le sue robuste spalle alzarsi ad ogni respiro, il suo cuore battere freneticamente dentro al petto, il suo ventre fremere nel momento in cui le punte fredde delle sue dita lo sfioravano, e dirgli quanto combattere con lui ed averlo accanto, lo avesse fatto diventare una persona migliore senza che nemmeno se ne potesse rendere conto.
Spostò le dita al lati del suo volto afferrandolo fra di esse ed ebbe la sensazione che Steve stesse rispondendo al suo tocco, spingendo la guancia contro il palmo della sua mano;  riaprì gli occhi, ricordandosi tristemente di non poterlo comunque vedere, e iniziò a parlare.
"Non è stata colpa tua..."
Sussurrò desiderando con tutto il cuore di poterlo guardare negli occhi.
"Se... se non trovassimo una... una cura..."
"Vorrà dire che resterò così."

La decisione, la fermezza e il coraggio con cui rispose fecero sussultare Steve, e Tony se ne accorse immediatamente, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso.
"Me l'hai insegnato tu."
Con un lento movimento, lasciò scendere una mano dal viso di Steve lungo il collo, la spalla, fino ad andare a fermarsi proprio al centro del petto.
"A volte non c'è una via d'uscita."
Sentì sfuggire un singhiozzo dalla bocca di Steve e, prima che potesse rendersene conto, si ritrovò stretto fra le sue braccia, avvolto dal calore del suo corpo; le dita strette sulla sua schiena come se non volesse più lasciarlo andare e il viso nascosto nel suo collo, si sentì stringere contro il suo petto tanto da avvertire davvero il ritmo dei suoi battiti.
Spostò le mani e lo abbracciò a sua volta, appoggiando il viso sulla sua spalla, e stringendolo con forza mentre per la prima volta da quando si era ritrovato cieco si rendeva conto di avere paura di non essere in grado di farcela, di scoprire di non poterlo sopportare, di fallire. 
Non per se stesso, ma proprio per l'uomo che stava stringendo fra le braccia.
Ma, come sempre, Steve riuscì a leggergli dentro come nessuno era in grado di fare, dimostrandogli quanto in profondità entrambi si fossero conosciuti, capiti, completati l'un l'altro, e, con un sussurro di voce, gli disse le parole che il suo cuore aveva bisogno di sentire.
"Tu la troverai..."
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 Per farmi perdonare dela brevità della storia lascio una piccola fan art che ho fatto basandomi su questa fanfiction QUI
 
E così finisco, bella gente. Non vogliatemi male per non mostrare cosa succede a Tony ma sentivo fosse giusto lasciare questa porta aperta.
D'altra parte so che questi due insieme potrebbero superare qualsiasi cosa, cecità permanente e non. Quindi in qualche modo lascio a voi la scelta!!!
Alla prossima!
Bacio!
-Nana



 

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