Avrebbe voluto prolungare quell’abbraccio all’infinito, ma poi erano arrivati gli altri che tra parole e sorrisi l’avevano trascinata via con loro e quel magico momento in cui tutto sembrava aver finalmente acquistato un senso era stato brutalmente interrotto. Era sempre stato così tra loro, un’esplosione di emozioni contrastanti e difficili da contenere in quel semplice, piccolo scambio di affetto reciproco che nascondeva ben più di ciò che entrambi avrebbero voluto far credere. Sì, ormai lo sapeva bene e proprio per questo sarebbe rimasta al suo posto, perché non poteva permettere a se stessa di lasciarsi andare. Non ora che le cose erano cambiate.

- Sono così felice che tu sia qui, Johanna!

Hèléne continuò a stringerle le mani e a sorriderle per un tempo che le sembrò interminabile mentre anche lei ricambiava la sua stretta, sforzandosi il più possibile di concentrarsi sul viso dell’amica che tanto le era mancata pur di non incrociare lo sguardo di Christian, che a pochi passi da lei si preparava con gli altri a dipingere la parete di un tenue azzurro cielo e ogni tanto si voltava a guardarla, magari sicuro di non essere notato. Ma lei sapeva sempre cosa gli passasse per la testa, ormai era inevitabile. Comunque stessero le cose non ebbe però il tempo di rifletterci a lungo, poiché Hèléne passò gran parte della mattinata a trascinarla su e giù in un caotico e divertente tour della nuova casa fino ad approdare nella sua camera, ancora un po’ spoglia e priva di tende alle finestre ma ugualmente bella e accogliente. Johanna si sedette sul letto dell’amica, complimentandosi più volte con lei per l’arredo e tutto il resto, restando poi completamente senza parole quando la vide tirare fuori dall’armadio il suo sontuoso e scintillante abito da sposa.

- Oh Dio, è meraviglioso!

Disse, scrutandolo più da vicino e facendo ben attenzione a non toccarlo per evitare di rovinarlo. La immaginava già percorrere la navata centrale della chiesa con indosso quel favoloso vestito bianco. Era sempre stato il suo più grande desiderio quello di sposarsi in chiesa, ne avevano parlato tante volte da ragazzine e ora, grazie all’annullamento del precedente matrimonio che Peter aveva ottenuto quel sogno poteva finalmente trasformarsi in realtà. Ed era vero, Hèléne non stava più nella pelle, anche se una piccola parte di lei non poteva fare a meno di provare un po’ di paura al pensiero che la sua vita sarebbe cambiata di lì a poco. Chissà come sarebbe stato diventare la moglie di Peter, dirigere l’azienda insieme a lui e magari a tempo debito donargli anche un figlio. Bè, forse era troppo presto per pensare a questo. E poi mancava ancora un mese al matrimonio, un sacco di tempo per decidere e sistemare per il meglio ogni cosa. Tranne una, perché quella doveva essere fatta immediatamente. Non poteva più aspettare, era anche per questo motivo che aveva chiesto a Johanna di raggiungerla un po’ prima del fatidico giorno.

- Sono felice che ti piaccia. Sai, Peter non ha voluto che indossassi quello dell’altra volta. In certi momenti diventa scaramantico, così ha deciso di regalarmene un altro.

- E direi che ha fatto proprio bene. Quello che è successo l’ultima volta non è stato affatto piacevole.

La giovane americana ricordava ancora bene quanto l’arrivo di Audrey, piombata improvvisamente tra loro per interrompere la cerimonia avesse stravolto l’umore di tutti nel giro di pochi minuti, in quel lontano giorno di ormai due anni fa. Ma stavolta sarebbe stato diverso, quella brutta storia ormai apparteneva al passato e niente e nessuno si sarebbe più messo tra di loro. I suoi amici avrebbero coronato il loro sogno d’amore, e lei non poteva che essere tanto felice per loro. Osservò a lungo le mani di Hèléne tamburellare nervosamente sulla scrivania prima di decidersi a continuare a parlare, senza tuttavia riuscire a indovinare cosa avesse il potere di agitarla tanto. Già, non immaginava nemmeno lontanamente quanto l’amica l’avrebbe sorpresa di lì a poco. Hèléne prese coraggio, tossicchiando nervosamente e riponendo via il vestito prima di sederle accanto mentre l’altra la scrutava con attenzione.

- In realtà sei la prima a cui ho mostrato il mio abito da sposa, e c’è un motivo per questo. Tu sei l’unica persona in grado di comprendermi e supportarmi davvero e ci riesci meglio di chiunque altro, noi due abbiamo sempre avuto un legame speciale ed è proprio in considerazione di tutto questo che vorrei…che mi facessi da testimone alle nozze.

Ecco, l’aveva detto finalmente. Non era stato poi così difficile, e ora che ci pensava bene sicuramente meno complicato che contenere l’immensa gioia di Johanna che raggiante si era messa a saltare da una parte all’altra della stanza, segno evidente che nonostante gli anni trascorsi non era affatto cambiata, prima di stringerla in un forte abbraccio che la colse di sorpresa, facendola ridere.

- Oh Hèléne, sarebbe un onore per me, io…non so proprio cosa dire…

- Di’ solo di sì.

- Ma sì, certo che sì!

La sentì esclamare mentre la guardava asciugarsi una piccola lacrima di commozione. Era così felice che la sua migliore amica avesse pensato a lei per ricoprire un ruolo così importante, e avrebbe fatto di tutto per esserne all’altezza. Ottima osservazione, ma come avrebbe potuto senza il vestito giusto? Non poteva indossare quello che si era portata dietro, non lo riteneva adatto. Ma poco male, aveva ancora tutto il tempo per decidere con calma il da farsi. Più tardi evitò accuratamente di percorrere l’immenso salone dove sapeva che i ragazzi stavano lavorando, non aveva nessuna voglia di incontrare Christian. Era già difficile sopportare di trovarsi sotto lo stesso tetto, e se avesse saputo prima che lui avrebbe passato lì tutto quel tempo avrebbe sicuramente preso una camera in albergo. A quel punto però sarebbe stato difficile spiegare a tutti il perché di quella decisione, dopotutto la casa era abastanza grande per ospitare almeno cinquanta persone tutte insieme e…bè, era comunque contenta di non averlo fatto. Passeggiò quindi per la spaziosa cucina, chiacchierando a lungo con Laly che impegnata a preparare una golosa torta al cioccolato per festeggiare il suo ritorno le raccontò dell’incontro avuto con Antonio, il padre di suo figlio, che presto aveva messo in crisi il suo rapporto con John spingendolo quindi a lasciarla. Era andata così, tra loro era finita e se da un lato Johanna fu molto dispiaciuta di apprendere questa triste notizia dall’altro si sentì sollevata, perché fu proprio in quel momento che comprese davvero che l’amica, aprendole il suo cuore per confidarle ogni cosa si era definitivamente lasciata alle spalle la tremenda discussione che le aveva viste protagoniste solo qualche tempo prima, e che aveva rischiato di rovinare per sempre la splendida amicizia che le legava. Si trattenne con lei ancora per un po’ prima di decidere di ritirarsi in camera sua per riprendersi dalla stanchezza del lungo viaggio affrontato, ma appena uscita dalla cucina si ritrovò davanti John e non ebbe nemmeno il tempo di esserne sorpresa che lui la strinse subito in un lungo e caloroso abbraccio che per un attimo riuscì a metterla in imbarazzo, poiché ricordava ancora bene il bacio che si erano scambiati in quel piovoso pomeriggio ormai lontano. Ma era stato un errore, un terribile errore di cui in seguito si era tanto pentita e che aveva commesso in un momento di pura confusione e…dolore. Non lo avrebbe mai ammesso, neppure a se stessa, ma la consapevolezza di aver perso per sempre Christian l’aveva convinta a sforzarsi di andare avanti, per provare a dimenticarlo. E non solo lo aveva fatto nel modo sbagliato, ma non c’era nemmeno riuscita. Che stupida.

- Johanna, che incantevole sorpresa! Sei qui per il matrimonio, vero? A quanto pare sarà l’evento del secolo!

Era affascinante John, non poteva certo negarlo, e quando si offrì di portarle di sopra la valigia non seppe dirgli di no.

- Questa casa è così grande che ci vorrebbe un ascensore!

Esclamò allegra cercando di smorzare la tensione provocata da quegli occhi ardenti, che non smisero mai di seguire ogni suo movimento per tutto il tragitto fino alla sua stanza. Strada facendo incrociò Olga e Benedicte per le scale e fece loro un breve cenno di saluto. Accidenti, quella casa era un porto di mare e c’era sempre gente dappertutto, chissà se si sarebbe mai abituata a tutto quel continuo trambusto. Lo trovava difficile, a Houston viveva da sola ormai da troppo tempo. La compagnia comunque le piaceva, anche se in quel momento avrebbe davvero fatto di tutto per sfuggire alle attenzioni del suo accompagnatore, che ora si facevano via via più insistenti.

- Grazie per avermi aiutata con la valigia, puoi metterla giù adesso.

Gli disse evitando di incrociare il suo sguardo mentre indicava un punto del pavimento poco distante, una volta raggiunta la camera indicatale da Hèléne. Era spaziosa, ben arredata e con un piccolo vaso di fiori variopinti che appoggiato sul comodino, vicino al letto faceva bella mostra di sé. L’amica aveva proprio pensato a tutto, e in un attimo si sentì subito a casa.

- Che dire? Bentornata a Parigi, un’altra volta sola a quanto vedo.

Disse John, assolutamente incapace di toglierle gli occhi di dosso. Era stata proprio una piacevole sorpresa ritrovarsela di fronte così all’improvviso, e adesso era così preso da lei da dimenticarsi completamente del vero motivo per il quale si trovava lì. Ma i ragazzi avrebbero anche potuto fare a meno di lui, ridipingere una parete non era poi così complicato. Le sorrise avvicinandosi lentamente, d’un tratto ansioso di ridurre il più possibile la distanza che li separava.

- Già, bè…mi è dispiaciuto sapere che hai rotto con Laly.

La sentì mormorare con voce incerta, forse desiderosa di cambiare in fretta argomento. Probabilmente doveva averla messa in imbarazzo con l’affermazione di poco prima, ma non era sicuro che gli importasse più di tanto dopotutto. La sua sola presenza bastava già a mandarlo in tilt, e poi…perché adesso si era messa a parlare di Laly? La sua ex era sicuramente l’ultimo dei suoi pensieri, e glielo avrebbe dimostrato molto presto.

- È curioso sai, perché a me invece non dispiace per niente. E tu sei ancora più bella di quanto ricordassi.

Disse infatti, facendosi sempre più vicino e costringendola così a indietreggiare di qualche passo fino a bloccarla contro la parete. Il suo corpo ora la sovrastava e lei ebbe appena il tempo di accorgersene che sentì le sue mani prendere ad accarezzarle il viso con studiata lentezza, prima di percorrere i suoi fianchi ben modellati per attirarla a sé con decisione e sfiorarle le labbra con un bacio. Un bacio che fu svelta a interrompere, voltando la testa dall’altra parte e scostandolo da sé dolcemente ma con fermezza per costringerlo ad allontanarsi. Che cosa di era messo in testa? Non era proprio il caso, né adesso né mai.

- John, io…sono molto stanca ora e vorrei riposare un po’, se non ti dispiace.

Disse cercando di imprimere convinzione alla sua voce e lasciandolo spiazzato, invitandolo quindi a lasciare la sua camera nel più breve tempo possibile per non essere costretta ad aggiungere qualcosa di spiacevole che magari avrebbe finito col ferirlo. Ma lei non voleva fargli del male, non voleva far del male a nessuno e l’unica cosa che desiderava era essere lasciata in pace. Non aveva affrontato quel lungo viaggio per tornare a incasinarsi la vita o, peggio ancora, per rovinare quella di qualcun altro. Aveva imparato la lezione, andava bene così.

- Oh…certo, come vuoi. Allora a più tardi.

Lo sentì rispondere inarcando le sopracciglia con aria perplessa prima di infilare la porta, stringendole appena il braccio in segno di saluto. Non era del tutto sicura che avesse recepito il messaggio, ma non le importava. Improvvisamente aveva un gran mal di testa ed era più che convinta che il fuso orario c’entrasse ben poco. Attese che John si allontanasse e si richiuse la porta alle spalle, o almeno è quello che provò a fare perché, non appena lo vide, tutti i suoi buoni propositi crollarono miseramente. Christian era in piedi di fronte a lei, e il lampo di rabbia e delusione che lesse nei suoi occhi inquieti la ferì più di quanto potesse immaginare, gelandole il sangue nelle vene.

- Pazzesco, assurdo, sono senza parole…questa non è una casa, è la valle della perdizione a cinque stelle!

Benedicte lo sentì brontolare prima ancora di vederlo raggiungerla al piano di sotto, livido di rabbia e con le mascelle serrate in un’espressione così truce e seccata da mettere quasi paura. Non riusciva proprio a immaginare cosa potesse averlo turbato a quel modo, così decise di interrompere ciò che stava facendo in giardino per andargli subito incontro. Le piante avrebbero potuto aspettare.

- Si può sapere che ti prende? Cos’hai da lamentarti tanto?

Gli chiese visibilmente preoccupata, sfiorandogli una spalla nel tentativo di calmarlo un po’, cosa che, a giudicare dal guizzo infastidito dei suoi occhi scuri e inquieti non sortì l’effetto sperato.

- Ho appena visto uscire John dalla stanza di Johanna!

Fu tutto ciò che riuscì a spiegare, con l’amara sensazione di avere un macigno enorme incastrato nello stomaco.

- Oh, davvero?

Rispose l’amica, chiaramente presa in contropiede da quell’improvvisa rivelazione che di certo non si aspettava, ma che le fece tuttavia liquidare la questione con una semplice alzata di spalle, mentre aggiungeva con aria apparentemente indifferente: - Bè, e con questo? John e Laly non stanno più insieme, perciò è liberissimo di…

- Già – la interruppe Christian, aggrottando le sopracciglia e trattenendo a stento un moto di collera – e cosa mi dici di lei, invece? Perché a quanto mi risulta il suo boyfriend americano che ha pensato bene di lasciare a casa per venire qui a fare i suoi comodi col primo che passa…

- Christian…

- No, lasciami finire! Sai, mi piacerebbe proprio sapere cosa penserebbe se sapesse che la sua fedele compagna in realtà continua a mettergli le corna praticamente con chiunque! Ma lei è fatta così, giusto? In fondo perché dovremmo stupircene, considerando che la sua attività principale da un po’ di tempo a questa parte sembra essere diventata quella di andarsene in giro a spezzare il cuore alle persone, tra l’altro senza curarsi delle conseguenze?

Benedicte sospirò a lungo prima di decidersi a dare una risposta a quelle parole dure e taglienti , parole che di colpo le fecero intuire quanto il giovane amico fosse ancora confuso e giustamente turbato dall’atteggiamento tutt’altro che comprensibile della sua  storica ex, che solo chi conosceva la verità avrebbe potuto capire davvero. Ma lei aveva promesso, e comunque non erano affari suoi.

- Christian finiscila adesso, si può sapere che te ne importa di quello che fa?

Disse così, sperando almeno di smorzare la tensione sempre più palpabile da quel momento, anche se la sua successiva reazione sembrò spiazzarla non poco.

- Hai ragione, non me ne importa niente – lo sentì dire infatti – non so nemmeno per quale motivo sto ancora qui a parlartene. Sai che ti dico? Me ne vado!

E lo vide allontanarsi a grandi passi, voltandole ben presto le spalle mentre si affrettava a corrergli dietro con gli occhi sgranati.

- Ehi, aspetta un momento…che significa che te ne vai? E la parete che dovete ancora finire?

- Al diavolo quella cazzo di parete, e al diavolo anche lei! Non ha un briciolo di decenza, quasi non la riconosco più. Che stronza!

- Adesso basta – sbottò d’un tratto, improvvisamente stanca di tutte quelle offese gratuite che l’amica non meritava di certo – non dovresti parlare così di Johanna. Posso anche capire che tu ce l’abbia con lei per ciò che è successo tra voi a Love Island e tutto il resto, ma questo non ti da il diritto di offenderla! Ci sono cose che non sai.

Christian si bloccò di colpo, tornando sui suoi passi.

- Davvero – esclamò voltandosi verso di lei e squadrandola a lungo con aria grave – e quali sarebbero? Illuminami, per favore! Cos’altro c’è che dovrei sapere, a parte che si sta comportando come una poco di buono?

- Non è una poco di buono e se proprio lo vuoi sapere non sta mettendo le corna a nessuno, perché il suo “boyfriend americano” come ti piace tanto definirlo in realtà non esiste, è solo una bugia!

Benedicte si coprì la bocca con una mano come a soffocare quelle ultime parole, anche se ormai era troppo tardi. La verità era già venuta a galla, e lei aveva appena rotto la promessa fatta a una delle sue migliori amiche. Christian non avrebbe mai dovuto saperlo… Accidenti, che stupida!

Lo vide avvicinarsi sempre di più, colmando ben presto la distanza che li separava e lanciandole un’occhiata di fuoco che in un attimo le gelò il sangue nelle vene.

- Che…che cosa? – sibilò a denti stretti, sopportando a malapena il peso di ciò che gli era appena stato rivelato – Stai dicendo che mi ha ingannato, che si è presa gioco di me per tutto questo tempo solo per costringermi a restarle lontano? È questo che stai dicendo? Perché se le cose stanno così allora è ancora più stronza di quanto pensassi!

- Christian, io credo che…

- Credo che dovresti tornare di là a darci una mano, scansafatiche! Non è durata un po’ troppo questa pausa?

L’improvvisa voce di Josè alle loro spalle li fece trasalire entrambi, costringendoli a tornare alla realtà solo per voltarsi verso di lui che a braccia conserte e con un’espressione sorniona dipinta sul viso li osservava ridacchiando, assolutamente ignaro dello stato d’animo dei suoi due interlocutori. Almeno fino al momento in cui uno dei due non decise di prendere la parola.

- Sai che ti dico, Josè? Vai a farti fottere e lasciami in pace!

Gli gridò infatti Christian, lasciandolo letteralmente a bocca aperta prima di raggiungere velocemente la porta d’ingresso e sparire così come era arrivato, senza alcuna spiegazione.

- Si può sapere che diavolo gli è preso?

Domandò un incredulo Josè alla moglie, che rispose facendo spallucce: - Ha visto John uscire dalla camera di Johanna, e…

Sul serio? – cinguettò Olga raggiungendo gli amici con passi felpati giusto in tempo per quella affascinante scoperta, interrompendola sul più bello. Adorava il gossip, e ormai da tempo immemorabile si divertiva a sguazzarci dentro a bocca aperta.

- Oh cavolo, questo sì che è uno scoop sensazionale! Non si può certo dire che quei due abbiano perso tempo, eh?  

Purtroppo però si accorse troppo tardi della presenza di Laly che proprio in quel momento aveva deciso a sua volta di raggiungerli e che ora, sconvolta dalla notizia si affrettava con gesti nervosi ad abbandonare sul tavolo il dolce appena sfornato prima di sparire in giardino con le lacrime agli occhi, subito seguita da Benedicte.

- Che aspetto invitante, sto morendo di fame. Qualcuno ne vuole una fetta?

Chiese Josè ignorando quell’improvviso trambusto venutosi a creare e accostandosi al dolce con già l’acquolina in bocca prima che l’occhiataccia gelida di Olga lo distogliesse dal goloso proposito, facendolo sbuffare.

- Non posso credere che tu sia così insensibile da riuscire a pensare al cibo in un momento del genere! Dovresti vergognarti!

Lo riprese infatti, correndo anche lei in giardino per consolare Laly e piantandolo lì come un salame a osservare basito i loro movimenti da dietro la vetrata, scuotendo lentamente la testa.

- Non so perché ma qui c’è puzza di guai…

Si mosse nel sonno e Fanny sorrise, sfiorandogli i capelli arruffati in una tenera carezza prima di vederlo avvicinarsi di più per accoccolarsi contro il suo petto, respirando forte il profumo della sua pelle e facendole il solletico.

- Ehi dormiglione, lo sai che ore sono?

Gli sussurrò lei posandogli un leggero bacio sulla guancia mentre Christian nascondeva il viso nei suoi lunghi capelli neri, stringendola più forte a sé. Non aveva voglia di sapere che ora fosse, né per quanto tempo avesse dormito. Nella mente un’unica immagine che come una muta istantanea tornava a colpirlo, dura e impietosa, forte e prepotente, mozzandogli il respiro. Johanna e John…insieme… Era tornato a casa tardi la sera prima, dopo un lungo giro in auto che sarebbe dovuto servire a schiarirgli un po’ le idee ma che gli aveva invece messo in testa ancora più confusione, costringendolo a rincasare molto prima di quanto avrebbe voluto. Si era ritrovato davanti la sua fidanzata che con le lacrime agli occhi aveva cercato di farsi ascoltare, di riparare a quella brutta lite della mattina che lo aveva fatto andare su tutte le furie, ma di cui ora non gli importava più. Senza dire una parola l’aveva così abbracciata, soffocando i suoi singhiozzi disperati e pilotandola dolcemente in camera da letto, dove avevano fatto l’amore a lungo prima di addormentarsi l’uno nelle braccia dell’altro. Senza pensieri. O almeno così avrebbe voluto. Ma riaprire gli occhi significava costringersi ad affrontare la realtà. Una realtà che lo aveva turbato nel profondo, rendendolo facile preda di violente emozioni che mai avrebbe voluto provare. No, non era ancora pronto per questo, né mai lo sarebbe stato…

- Quindi hai detto che si chiama Marie, giusto?

Gli chiese Johanna con un fastidioso sorrisetto sornione che Nicolas non ebbe certo difficoltà a riconoscere. Accidenti a lei e a quella sua stupida mania di impicciarsi negli affari altrui che, a quanto pare, non aveva certo perso nonostante gli anni trascorsi. Adorabile Sherlok Holmes, non sarebbe mai cambiata! Ora lo sapeva.

- Sì, esatto.

Fu tutto ciò che rispose mentre giocherellava distrattamente con la scatola dei cereali prima di versarne una piccola quantità nella sua capiente tazza, ancora vuota. Johanna continuò a osservarlo a lungo, avida di informazioni. Informazioni che, a giudicare da quell’espressione sfuggente che si ostinava a mantenere con lei, avrebbe dovuto di certo estorcergli con la forza. Cavolo, moriva di curiosità. Perché non si decideva a dirle qualcosa, era davvero così complicato definire il suo rapporto con quella ragazza?

- Perché se è la tua fidanzata non è qui a far colazione con noi, in questo momento? Insomma, fino a che punto sei arrivato con lei e…

- Johanna dacci un taglio, va bene? Ti consiglio vivamente di smetterla di indagare sulla mia vita privata e pensare piuttosto alla tua. Mi sembra che anche lì ci sia parecchia carne al fuoco, dico bene?

La interruppe l’amico con una smorfia infastidita, lasciandola perplessa.

- Non so davvero a cosa tu ti stia riferendo.

Disse dopo un breve momento di silenzio, sinceramente colpita da quelle strane parole.

- Andiamo, ora sei tu che stai facendo la difficile. Ne parlano tutti in casa. Tu e John…?

Insinuò Nicolas lasciando apposta la frase in sospeso, chiararamente divertito dalla situazione. Toccava a lui adesso stuzzicarla un po’.

- Io e John…cosa? Si può sapere di che diavolo parli?

- E hai ancora il coraggio di negarlo? Oh mio Dio, non posso crederci!

Il suono di quella voce improvvisa li fece voltare entrambi solo per scoprire di trovarsi faccia a faccia con Laly, che con gli occhi sgranati e arrossati dal pianto osservava Johanna come se volesse incenerirla sul posto prima di fuggire verso il giardino, subito seguita dall’amica.

- Laly, aspetta per favore! Non è come pensi, non c’è proprio niente tra me e John!

Cercò di spiegarle non appena la raggiunse, trattenendola per un braccio per evitarle di allontanarsi ancora. Non sapeva chi le avesse messo in testa quell’idea, ma era completamente fuori strada. Laly non si mosse ma abbassò lo sguardo, sospirando con forza.

- Senti, mi dispiace ok? Non ho nessun diritto di intromettermi nella tua vita, e se ti va di invitarlo in camera tua come hai fatto ieri pomeriggio sappi che per me non c’è alcun problema…

- Laly – la interruppe Johanna, stringendole più forte il braccio e cercando i suoi occhi sfuggenti – non l’ho invitato nella mia stanza né mai lo farò, si è solo offerto di aiutarmi a portare la valigia.

- Vuoi dire che non ci ha provato per niente?

Johanna sbuffò, lasciando improvvisamente la presa per prendersi la testa fra le mani, chiaramente a disagio.

- Bè, sì, lo ha fatto…ma io l’ho respinto. Gli ho detto di andarsene. Non c’è niente tra noi, è la verità. Devi credermi.

L’amica la osservò per un lungo momento e finalmente tutte le ombre sembrarono dissiparsi dal suo viso, distendendone i lineamenti delicati. Era pallida, forse oppressa da un dolore troppo a lungo trattenuto.

- John mi ha lasciata perché credeva che fossi andata a letto con Antonio.

Disse infine, decidendosi a rompere quel silenzio opprimente.

- Ed è così?

Azzardò Johanna con voce incerta, non sapendo bene cosa aspettarsi.

- Certo che sì – rispose lei, lasciandola di stucco – ma questo non significa che abbia smesso di amare John. Lui però non mi crede, per questo non vuole sentire ragioni.

Laly tirò su col naso e si asciugò gli occhi ancora bagnati di lacrime, poi si sforzò di sorriderle ma il tentativo risultò talmente penoso che Johanna provò una grande tenerezza nei suoi confronti, decidendo di avvicinarsi di più per abbracciarla e provare così a trasmetterle almeno un po’ di conforto.

- Sai cosa penso? Che se sei davvero innamorata non dovresti arrenderti con lui ma provare a parlargli, a chiarire le cose una volta per tutte. Adesso, per esempio.

Le disse, notando l’auto di John varcare lentamente il cancello e parcheggiare nel vialetto. Ma, quando lo vide avvicinarsi e incrociare lo sguardo dell’amica la sua espressione sembrò mutare rapidamente, indurendosi all’istante mentre tentava disperatamente di ignorarla per avvicinarsi invece a lei e posarle un leggero bacio sulla guancia.

- Buongiorno Johanna.

Fu tutto ciò che disse, lasciandola talmente stordita che non si accorse della presenza di Christian finchè non lo sentì parlare.

- Ciao Laly.

Sussurrò infatti con sguardo assente prima di seguire John dentro casa, ignorandola apposta e comportandosi esattamente come se lei non esistesse. Come se non le fosse appena passato accanto, spostando l’aria e sollevando un vento leggero attorno a loro che la fece rabbrividire, mentre sentiva il cuore andare a fondo come una pietra…

Non era riuscita a combinare nulla per tutto il week-end. Avrebbe vouto parlargli, ma tutte le volte che provava a farlo qualcosa o qualcuno glielo impedivano, finendo per gettarla ancor più nello sconforto. Tra la parete da ridipingere, gli arrivi improvvisi di Fanny e le sue lunghe occhiate che trasudavano ostilità Christian sembrava sempre più sfuggente, e lei non sapeva più che cosa fare. I suoi continui silenzi la stordivano, facendole un male insopportabile. No, non sarebbe più riuscita a vivere così, era ora di finirla. Fu con questa consapevolezza che quella sera, più decisa che mai lo seguì al piano di sopra senza farsi notare, aspettando pazientemente che riponesse tutti gli attrezzi che aveva usato per lavorare alla parete nel ripostiglio, prima di provare a rivolgergli la parola. Quando lo fece, si accorse che la sua voce tremava.

- Si può sapere qual è il problema?

Esordì, facendolo trasalire mentre si voltava lentamente verso di lei.

- Prego? Stai per caso parlando con me?

Lo sentì rispondere, e notò che stava davvero facendo di tutto per evitare di incrociare il suo sguardo. Accidenti a lui, perché doveva per forza continuare a comportarsi in modo così stupido?

- Molto divertente. Vedi forse qualcun altro qui?

Puntualizzò, sperando così di ottenere la sua attenzione. Ma quelle parole non ebbero il risultato voluto, e quando lo vide voltarle le spalle per incamminarsi nella direzione opposta Johanna si accorse di fare davvero fatica a non perdere la pazienza. Era sempre stato così fra loro, una continua battaglia senza mai vincitori né vinti. Stavolta però avrebbe cambiato i risultati.

- Non provarci nemmeno – esclamò parandoglisi davanti e costringendolo a tornare sui suoi passi – mi stai chiaramente evitando, da giorni ormai, e vorrei tanto sapere perché.

Christian non rispose subito e per un tempo che le sembrò interminabile si limitò a studiarla con aria di sfida, quasi come se volesse mantenere il punto prima di dirigersi velocemente verso la stanza della ragazza per spalancarne la porta con un unico, brusco gesto che la fece sussultare mentre la invitava a entrare con un inequivocabile cenno del capo. Dopo un attimo di esitazione Johanna entrò lentamente, osservandolo fare lo stesso per poi richiudersi la porta ale spalle. Fu allora che quegli occhi scuri incontrarono per la prima volta quelli di lei, indugiandovi a lungo fino a metterla a disagio. Che cosa aveva in mente, adesso?

- È qui, in questo letto che te lo sei scopata giusto? – disse improvvisamente, prendendola totalmente alla sprovvista – Oppure contro quella parete laggiù…

- Cosa? Si può sapere di che stai parlando?

Lo interruppe, ricambiando il suo sguardo grave, sempre più confusa.

- Lo sai benissimo di cosa parlo, di te e John!

Fu la sua risposta mentre cominciava ad agitarsi, alzando la voce più di quanto fosse necessario. Non sarebbe voluto arrivare a questo, aveva cercato in tutti i modi di evitare quella spiacevole e dolorosa conversazione, e ora lei lo aveva messo con le spalle al muro. Se era la guerra che voleva…

- Ancora? Ma lo avete davvero preso come un vizio in questa casa? Per la centesima volta, non c’è assolutamente niente tra me e John! Non so più in che lingua dirlo, e in tutta sincerità sono stanca di dovermi continuamente giustificare per qualcosa che non ho fatto.

Esclamò lei, ansimando per lo sforzo a cui quella ridicola sfuriata l’aveva appena costretta. Era tutto qui il problema, era davvero arrabbiato con lei per una cosa che non era nemmeno successa? Roba da non credere. E tipico di lui e della sua innata capacità di equivocare sempre tutto, comunque.

- Speri davvero di darmela a bere?

La canzonò Christian, sarcastico, e dovette resistere al’impulso di annullare la distanza che li separava per prenderlo finalmente a schiaffi come si meritava.

- Che tu ci creda o no è la pura verità, ma sai che c’è? Non mi interessa ciò che pensi, perché se anche tra me e John fosse successo qualcosa non sarebbero certo affari tuoi! Della mia vita faccio quello che mi pare!

Disse invece, lasciando immutato quel sorrisetto beffardo che si trovava di fronte e che mai come in quel momento avrebbe voluto cancellare dal suo viso.

- Vedi che non neghi più adesso?

- Non provare a rigirare la frittata con me, sai? Ho solo detto che…

- Non voglio sentire una parola di più – stavolta fu lui a interromperla, e il suo tono deciso la fece ammutolire di colpo. La sua espressione era di nuovo cambiata, facendosi più accigliata, e questo sembrava non promettere nulla di buono – i tuoi patetici tentativi di arrampicarti sugli specchi mi fanno solo schifo! E adesso fuori di qui!

Johanna gli lanciò un’occhiata stupita. Si era per caso bevuto il cervello?

- Come sarebbe a dire? Questa è la mia stanza, sei tu che devi andartene!

Precisò, e lo vide sospirare a fondo prima di parlare, come se si stesse sforzando di riprendere il controllo di sé.

- Bene, lo farò immediatamente.

Rispose infine.

- Benissimo – gli fece eco lei – vattene fuori dai piedi e lasciami in pace!

A quel punto Christian abbassò lo sguardo e fece per andarsene, quasi ansioso di voltarle le spalle, ma arrivato a metà strada sembrò ripensarci e costrinse la sua mano a bloccarsi sulla maniglia della porta, senza tuttavia provare ad aprirla. Si voltò di nuovo, cercando lo sguardo di lei.

- Oppure potrei restare, e costringerti a dirmi perché mi hai mentito.

Disse abbassando notevolmente il tono di voce, improvvisamente ansioso di avere una risposta. Era stato lui a cercarla per primo, ripercorrendo con la mente e milioni di volte l’ultima conversazione avuta a Love Island, quella che in un attimo aveva spento ogni suo entusiasmo. Quella che, in un attimo, l’aveva completamente annientato. No, non c’era un senso a tutto questo. Doveva sapere, o sarebbe impazzito.

- Non ti ho affatto mentito!

- Smettila, ti prego – continuò a insistere, deciso – non sopporterei un’altra bugia. So tutto, Johanna. Non hai alcuna relazione in Texas, non c’è mai stato nessun grande amore che aspettasse il tuo ritorno a casa.

Questo la turbò profondamente, prendendola in contropiede. Come poteva sapere tutto?

- Come…come fai a…

Biascicò confusamente e ben presto fu costretta a interrompersi da sola, non riuscendo a trovare le parole adatte per esprimere ciò che provava e come si sentiva.

- Me lo ha detto Benedicte – continuò – ma non prendertela con lei, sono stato io a costringerla a parlare. L’ho esasperata, e la verità è venuta fuori. Ora so che quel giorno a Love Island hai solo voluto allontanarmi da te, esortandomi a tornare da Fanny pur sapendo che tra noi era finita. Tutto quello che voglio sapere è perché. Perché lo hai fatto, Johanna? La verità, solo la verità.

Johanna sapeva che questo momento sarebbe arrivato prima o poi, forse entrambi lo avevano sempre saputo. Era solo questione di tempo. Sbuffò con forza, incrociando le braccia e voltando la testa dall’altra parte per evitare di guardarlo negli occhi mentre si preparava a dire ciò che in quegli ultimi anni aveva sempre pensato della loro altalenante relazione, ma che non aveva mai avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce. Ora avrebbe dovuto farlo, almeno questo glielo doveva.

- Noi due siamo incompatibili, Christian.

Disse, lenta e staccata, stringendo forte le palpebre per ricacciare indietro le lacrime che ora premevano per uscire, pretendendo di svelare tutta la sua fragilità nascosta. Ma lei non lo avrebbe permesso, non di nuovo. Aveva tropo rispetto per se stessa per permettere ancora una volta a quei sentimenti di insinuarsi nella sua vita, rovinando tutto quello che di buono aveva costruito fino a quel momento. Sì, era questa la verità. Ora sarebbe finalmente stata chiara anche a lui. Christian però la fissava a bocca aperta, chiaramente colpito da quella breve rivelazione che, adesso lo sapeva, avrebbe cambiato per sempre anche la sua percezione delle cose.

- Che diavolo stai dicendo? Tu mi hai spezzato il cuore quel giorno, e tutto quello che sai fare è tirare fuori la stronzata dell’incompatibilità?

Esclamò quando fu sicuro di aver ritrovato la voce, avvicinandosi a lei per strattonarla con forza e cercando i suoi occhi sfuggenti.

- È così, e lo sai bene anche tu. Pensaci, tutte le volte che siamo stati insieme qualcosa o qualcuno ci ha irrimediabilmente allontanati, e quando non lo facevano gli altri ci pensavamo noi, da soli. In un modo o nell’altro finiamo sempre per farci del male, per ferirci a vicenda, e io non credo di riuscire più a sopportarlo. Non voglio più soffrire perché non ne avrei davvero la forza. Desidero solo un po’ di tranquillità.

Disse in un soffio, riaprendo lentamente gli occhi e trovandosi a pochi centimetri dal suo viso, dal suo sguardo attento e penetrante che in un attimo riuscì a rapire il suo, abbattendo tutte le barriere.

- Io ti amo, Johanna – disse semplicemente, procurandole un’intensa ondata di emozioni che ora, con l’ultimo barlume di lucidità rimastole cercava disperatamente di ignorare – ti ho sempre amata e non sarà certo una stupida teoria come questa a cambiare i miei sentimenti. Volevo solo tornare a vivere con te. Volevo solo…tornare ad amarti.

Le sue braccia le strinsero la vita sottile, attirandola più vicina.

- Ami anche Fanny.

Replicò lei, maledicendosi per l’ennesima volta mentre si scioglieva lentamente fra le sue braccia. Dov’erano finiti tutti i suoi buoni propositi di restargli a debita distanza? Forse su di lui e su quelle labbra invitanti, che al’improvviso moriva dalla voglia di baciare.

- Lei non è qui adesso. Ci siamo solo io e te.

Qualunque pensiero Johanna stesse provando a formulare sparì d’un tratto, esplodendo in una cascata di scintille quando le loro labbra si incontrarono dolcemente, unendosi in un casto bacio che fece galoppare il suo cuore come mai avrebbe immaginato.

- Non c’è niente tra me e John – mormorò d’un tratto vittima di uno strano, fastidioso bisogno di spiegare, di giustificarsi – te lo giuro, e venire qui a farmi una simile scenata è stato…

La baciò di nuovo, più a lungo stavolta, soffocando così le sue parole e stringendola più forte a sé quasi avesse paura di perderla un’altra volta. Di vederla scappare via da lui, come era già successo altre volte. Ma Johanna non se ne sarebbe andata, non avrebbe potuto neanche volendo e lo sapeva bene.

-…meschino.

Continuò la frase non appena si accorse di avere le labbra di nuovo libere.

- Mi dispiace.

Si scusò lui, facendole un timido sorriso.

- Era salito solo per aiutarmi con la valigia, tutto qui.

- Va bene, ho detto che mi dispiace.

Ridacchiò stavolta prima di baciarla ancora, modellandole i fianchi sotto le sue mani e salendo poi ad accarezzarle la schiena, facendola rabbrividire di piacere.

- Anch’io ti amo, Christian, e se tutto andrà di nuovo a rotoli sarà soltanto colpa tua.

- Sono disposto a correre il rischio.

Mormorò sulla sua bocca mentre la liberava lentamente dai vestiti e la trascinava a letto, ansioso di perdersi totalmente in lei…

Christian si risvegliò con una piacevole sensazione di appagamento che in quegli anni trascorsi lontano da Johanna aveva ormai quasi dimenticato. Sorrise quando la vide in piedi davanti alla finestra con solo una leggera vestaglia addosso, il bel viso illuminato dai primi raggi del sole. Si alzò piano dal letto, sbuffando quando lesse sul display del telefono le numerose chiamate di Fanny che decise comunque di ignorare, avvicinandosi alla sua donna e abbracciandola stretta prima di sfiorare le sue labbra con un piccolo bacio.

- A cosa pensi?

Le sussurrò respirando il profumo dei suoi capelli e facendola aderire di più al suo corpo.

- Al fatto che dovresti metterti qualcosa addosso, e alla svelta anche!

Considerò con una risatina mentre lo scostava leggermente da sé, ignorando i suoi mugolii di protesta.

- Torna a letto.

La supplicò, ma per quanto quella proposta fosse davvero allettante era il momento di tornare alla realtà.

- Devi andartene – si costrinse a dire, ritrovandosi a lottare con se stessa e con ciò che invece le suggeriva il cuore – e devi farlo adesso. È l’alba, se esci subito nessuno si accorgerà di te.

Lo vide annuire, anche se con scarsa convinzione. Gli accarezzò i capelli e lui la baciò sulla fronte, abbracciandola di nuovo.

- Parlerò con Fanny – disse – te lo prometto. Dammi solo un po’ di tempo e sistemerò le cose con lei.

- Fino ad allora è meglio che nessuno sappia niente.

Christian nascose la testa nell’incavo della sua spalla, tempestandola di piccoli baci che la fecero ridacchiare e rabbrividire insieme mentre lo sentiva dire: - Sono d’accordo, vederci di nascosto sarà ancora più eccitante!

- Ma quanto sei scemo?

Risero entrambi.

- Ti amo.

Disse lui, guardandola negli occhi.

- Anch’io. Vai a casa ora, ti prego.

Johanna lo seguì allontanarsi con lo sguardo e una piccola fitta dolorosa le attraversò il petto quando lo vide sparire definitivamente dal suo campo visivo. A quel punto tornò a letto, cercando disperatamente di scrollarsela di dosso per provare a dormire almeno un po’, sforzandosi di pensare a qualunque altra cosa che non fossero i suoi baci e le sue mani calde su di lei. Aveva ceduto. Di nuovo. Per quante volte ancora sarebbe stata in grado di ricucirsi il cuore? Quel fastidioso strappo, ormai slabbrato, sarebbe mai davvero diventato irreparabile?

E così Nicolas sembrava aver finalmente trovato la donna della sua vita. Quella giusta per lui insomma, che non gli avrebbe certo fatto rimpiangere l’assenza di Jeanne, con la quale aveva sicuramente avuto un rapporto passionale e turbolento che pareva non dovesse mai aver fine. Almeno fino al momento in cui non aveva incontrato Marie. Sì, adesso sembrava davvero felice con lei, Hèléne doveva ammetterlo, anche se quel nome a volte la turbava, evocandole tristi e dolorosi ricordi. Le faceva tornare in mente sua madre e la lunga malattia che troppo presto l’aveva strappata dalle braccia delle sue adorate figlie, facendole piombare nella disperazione. Di certo nemmeno suo padre l’aveva mai dimenticata, ma ormai si era rifatto una vita con Annette e questo lei avrebbe dovuto accettarlo. La vita va sempre avanti e, nonostante tutto, lo spettacolo deve continuare. Era questo che Hèléne si era ripetuta mille volte, anche dopo la perdita del bambino, quel figlio suo e di Nicolas che avrebbe potuto legarli per sempre come una vera famiglia. Ma lui un figlio l’aveva avuto da un’altra, e anche se aveva scoperto tardi della sua esistenza sembrava già molto legato a Nicky, ragazzino sveglio e vivace che cresceva a vista d’occhio. Ogni volta che li vedeva insieme non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe stato crescere un bambino tutto loro…

Quei sogni a occhi aperti la destabilizzavano sempre, creandole attorno un fastidioso turbinìo di pensieri confusi che spesso minacciavano di farle perdere di vista il nuovo, imminente obiettivo: il matrimonio. Già, era Peter il suo presente. Era a lui che avrebbe dovuto pensare per il resto della sua esistenza, nient’altro aveva più importanza. Il vivace chiacchiericcio proveniente dal soggiorno l’aveva però distratta presto da quelle riflessioni mattutine, tanto che dovette abbandonare la colazione sul tavolo della cucina per correre a frenare uno degli ennesimi scatti d’ira, già piuttosto frequenti in quella casa. Accidenti, ma che cosa avevano tutti quanti? A volte le sembrava davvero di vivere in una specie di ricovero per matti.

- Undici settimane Benedicte, sono undici settimane e io sono tornato da appena un mese. Come diavolo pensi che dovrei prenderla? Vuoi forse che mi metta a stappare bottiglie di champagne per festeggiare il lieto evento?

La voce di Josè era inconfondibile, avrebbe potuto riconoscerlo persino nel bel mezzo di un assordante concerto. Anche se il tono che stava usando non sembrava certo promettere nulla di buono.

- Te lo ripeto per la millesima volta, non lo avevo affatto programmato!

- E lasciare che Jimmy si infilasse nel tuo letto, nel nostro letto, non avevi programmato neanche quello? Come hai potuto…

- Io pensavo che fossi morto, Josè! Cos’altro avrei dovuto fare, se non provare a rifarmi una vita?

Lo interruppe Benedicte, improvvisamente stanca di tutte quelle crudeli accuse. Scosse la testa più volte, come a ricacciare indietro le lacrime che ora, simili a spilli appuntiti, sembravano divertirsi a pungerle le palpebre. No, aveva già pianto troppo per lui, e ora anche questo… sembrava che la sua vita stesse andando completamente a rotoli e non poteva accettarlo. Non ora che suo marito era finalmente tornato a casa, sano e salvo e pronto a rimettere in piedi il loro matrimonio. Un matrimonio difficile e turbolento, ma pur sempre meraviglioso. Amava Josè più di se stessa, non poteva permettersi di perderlo di nuovo. Lo vide allontanarsi di qualche passo, sorridendo con disprezzo mentre Hèléne correva verso di loro, visibilmente preoccupata dal fastidioso trambusto che stavano evidentemente creando.

- Si può sapere che sta succedendo?

Chiese infatti, spostando a lungo lo sguardo dall’uno all’altra senza tuttavia ottenere risposta.

- Complimenti allora, questo mi sembra davvero un ottimo inizio!

Ribattè Josè ignorandola apposta prima di voltare loro le spalle e incamminarsi velocemente, il più lontano possibile da quella situazione assurda che presto, molto presto gli avrebbe completamente stravolto l’esistenza. Benedicte si accasciò sul piccolo divano in pelle sotto lo sguardo confuso dell’amica che sconsolata le si sedette accanto, sfiorandole le spalle contratte per provare almeno a darle un po’ di sollievo. Non aveva nemmeno provato a fermarlo, tanto sarebbe stato inutile e lo sapeva bene. Nessuno di loro aveva programmato una cosa del genere, era successa e basta. Aveva appena scoperto di aspettare un bambino da Jimmy e né il malumore del marito, né il suo stesso dolore avrebbero potuto cambiare questa cosa.

Quella notte un urlo improvviso interruppe bruscamente il sonno di tutti, costringendoli a lasciare i loro comodi letti per precipitarsi al piano di sotto, rischiando quasi di ruzzolare giù per le scale tanta era la fretta di scoprire chi o cosa avesse provocato lo spavento di uno degli amici. E la risposta non tardò ad arrivare quando la debole luce della cucina illuminò una Laly dal volto pallido e teso su un’espressione talmente sconvolta da riuscire a metterli ancor più in allarme. Ci volle un po’ per farla parlare, e quando lo fece la sua voce era flebile e tremante, ma pur sempre in grado di dare finalmente una spiegazione a tutti quanti.

- Ho… ho visto un’ombra in giardino – disse infatti, torcendosi le mani per la disperazione – stava scappando e…forse era un ladro, io non lo so…

- Un ladro? Vado subito fuori a dare un’occhiata.

La interruppe Nicolas mentre si staccava velocemente dagli altri per raggiungere la porta d’ingresso. Portò con sé la torcia per contrastare il buio di quella notte senza luna, e quando uscì una folata di vento gelido lo fece rabbrividire. Sospirò con forza, puntando il fascio di luce in tutte le direzioni e infine oltre il muro di cinta, ma senza risultato. Non c’era nessuno. Chiunque fosse doveva già essersela data a gambe da un pezzo, oppure Laly aveva solo sognato. Da quando John l’aveva lasciata quella ragazza non era più in sé, e questo già bastava a renderla poco credibile. Alzò le spalle con aria sollevata visto l’inesistente pericolo, poi tornò dagli altri per rassicurarli ma l’amica sembrava ancora sotto choc.

- Coraggio Laly, cerca di calmarti adesso. Hai sentito, no? Non c’è proprio nessuno là fuori.

Le sussurrò Hèléne pilotandola dolcemente verso il salotto e abbracciandola per consolarla.

- Ma sì, è tuto a posto – le fece eco Johanna, sedendole accanto – non hai motivo di preoccuparti ancora. Su, torna a letto.

Laly le fissò accigliata per un lungo momento, poi le lacrime lasciarono via via il posto a un’insolita espressione furente.

- Voi non mi credete, vero? Pensate forse che mi sia inventata tutto?

- Qualunque cosa pensi di aver visto…

Si intromise Olga, senza però riuscire a finire la frase.

- Io l’ho visto – puntualizzò infatti lei, incalzandola e alzando la voce più di quanto fosse necessario – c’era qualcuno in giardino, va bene?

Gli amici passarono almeno un’ora a provare a convincerla che andava tutto bene e che doveva smetterla di preoccuparsi inutilmente, poi, una volta tranquillizzatasi, Laly accettò l’invito di Hèléne a passare il resto della notte in camera sua vista l’assenza di Peter, ancora una volta impegnato in un viaggio di lavoro che sarebbe durato almeno per tutta la settimana successiva. Si sentiva un po’ sola senza di lui, forse dormire insieme all’amica le avrebbe restituito un po’ di serenità, e magari sarebbe servito anche a evitare che lei cacciasse un altro dei suoi spaventosi urli, rovinando così all’intera casa ciò che restava di quella animata nottata. Nottata ormai completamente andata in fumo per Johanna, invece, che con gli occhi incollati alla finestra della sua camera non riusciva a decidersi a tornare a letto. Non sarebbe servito continuare a rigirarsi inutilmente tra quelle lenzuola che odoravano ancora di lui, facendole venire solo voglia di piangere. Per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a sopportare una situazione così complicata? L’insistente bussare alla sua porta la distolse da quei tristi pensieri, costringendola a pronunciare un “avanti” un po’ forzato, perché non era sicura di voler vedere qualcuno in quel momento. Decise tuttavia di appiccicarsi sul viso un sorriso frettoloso quando si ritrovò davanti Hèléne, che sembrava non sapesse far altro che squadrarla da capo a piedi con aria concentrata e preoccupata al tempo stesso.

- Scusami se piombo qui a quest’ora, specie dopo quello che è successo di sotto, ma sono un po’ in pensiero per te. Mi sei sembrata così pallida e pensierosa, ti senti bene?

Le chiese avanzando di qualche passo per sedersi sul suo letto disfatto, osservandolo distrattamente per pochi istanti prima di sollevare di nuovo lo sguardo verso l’amica, che si affrettò a restituirle l’occhiata abbozzando di nuovo un sorriso per nulla convincente.

- Sì – rispose, facendo spallucce – sto bene, mi sono solo un po’ spaventata quando Laly ha urlato, ma è tutto a posto adesso. Davvero.

- Ed eri solo spaventata per questo – riprese Hèléne, incalzandola con le parole – oppure per l’ombra che ha creduto di aver visto in giardino, e che magari era molto più reale di quanto ci aspettassimo…

Lasciò apposta la frase in sospeso per spiarne l’effetto sul volto di Johanna, e proprio come aveva sperato la sua reazione non tardò ad arrivare.

- Che vorresti dire con questo?

Disse infatti cercando di controllare la sua voce incerta, ma senza buoni risultati.

- Era Christian, non è vero? Era lui quello che Laly ha visto scappare verso il giardino. Vi vedete di nascosto, a quanto pare. È così?

- Come…come fai a saperlo?

Hèléne scosse la testa.

- Non lo sapevo infatti, ma tu me ne hai appena dato conferma. Avevo già il sospetto che qualcosa tra voi fosse cambiato da quando sei tornata, solo non ne ero sicura. Almeno non fino a questo momento.

Disse semplicemente, e di fronte alla spiazzante verità di quelle parole a Johanna non restò che cedere. Del resto, sarebbe stato inutile continuare a nascondere tutto proprio a lei, che era sempre stata capace di scavarle dentro meglio di chiunque altro.

- Io ho provato a restargli lontano – ammise, rabbuiandosi in volto – ci ho provato davvero Hèléne, con tutte le mie forze, ma non è servito a niente. Lo amo e l’unica cosa che desidero è stare con lui, non mi importa delle conseguenze. Noi vogliamo riprovarci, lui mi ha promesso che presto sistemerà le cose con Fanny e…

- E tu gli credi?

La interruppe l’amica, impedendole di completare qualunque cosa stesse per dire e colpendola con quella bruciante domanda che di certo non si aspettava.

- Non dovrei?

Le chiese dopo qualche secondo di silenzio, anche se forse conosceva già la risposta. La vide sospirare a lungo prima di rialzarsi in piedi e girovagare per la spaziosa camera con aria pensierosa, fermandosi proprio di fronte a lei, forse per trovare le parole giuste da usare in una situazione così difficile.

- Sai, quel viaggio a Love Island sarebbe dovuto servire a staccare la spina per un po’, a distrarlo e a restituirgli un po’ di quella serenità che negli ultimi tempi gli era venuta a mancare, ma quando è tornato dopo averti rivisto sembrava che le cose fossero addirittura peggiorate per lui. Credo che Crhistian abbia sofferto almeno quanto cento persone messe insieme dopo il tuo rifiuto, ma con Fanny sembra aver finalmente ritrovato se stesso e l’equilibrio di cui aveva bisogno per andare avanti. Lei è una brava ragazza, non si merita questo.

Johanna abbassò lo sguardo, completamente sopraffatta da quelle parole. Non c’era molto da dire, Hèléne aveva ragione. Come sempre, del resto.

- Sei venuta qui per farmi sentire in colpa?

Fu tutto ciò che riuscì a dire mentre sentiva il cuore andare a fondo come una pietra e solo vagamente si accorse che la giovane donna le andava lentamente vicino, intuendo il pesante fardello che si portava dentro. La sua angoscia era palpabile, forse non avrebbe dovuto essere così dura nei suoi confronti.

- Bè, veramente sono qui per chiedere a una delle mie migliori amiche se le andrebbe di unirsi alle sue vecchie compagne di stanza per, diciamo, un’allegra rimpatriata in compagnia di patatine e pop corn?

Azzardò cercando di allentare la tensione, sentendosi sollevata quando in risposta ottenne quella dolcissima risata contagiosa che ormai conosceva fin troppo bene.

Immagino che sia un sì.

Aggiunse poi, abbracciandola stretta.

- Allontanati subito da me!

- E non provare mai più a mettere piede in camera mia!

Esclamarono all’unisono Hèléne e Johanna, coprendo così l’una le parole dell’altra e spingendo giocosamente la loro compagna di avventure verso il lungo corridoio che, vista l’ora, era ancora praticamente deserto. Per colpa di Laly e dei suoi stupidi e spaventosi tentativi di evocare gli spiriti nessuna delle due era riuscita più a chiudere occhio la notte scorsa, e così eccole lì, barcollanti come zombie e con un’espressione vagamente furente dipinta su quei visi scavati dall’ansia. Accidenti a lei, come aveva solo potuto pensare che potessero trovare divertente una pratica del genere? Sì, Johanna ne era più che convinta: l’amica stava ancora più fuori di quanto pensasse.

- Povera me, non avrò più il coraggio di dormire nel mio letto e tu sarai l’unica responsabile di questo.

Continuò a lamentarsi Hèléne, trafficando in cucina con piattini e tazze solo per tenere le mani occupate mentre la sentiva replicare imbronciata. Avrebbe dovuto immaginare che quella matta ne avrebbe combinato una delle sue, come le era venuto in mente di invitarla nella sua stanza? Passò in rassegna i volti delle amiche ancora intente a discutere animatamente, pensando che le dispiaceva di aver coinvolto anche Johanna in quella serata tutt’altro che tranquilla, ma aveva pensato che fosse un modo come un altro per distrarla dai suoi problemi. Per distrarle entrambe. Solo che la situazione si era capovolta in breve tempo, e Laly aveva finito per distrarre loro, anzi, per terrorizzarle a dovere con quella ridicola tavola ouija o come diamine si chiamava, e che Dio solo sapeva dove si fosse procurata. Quella ragazza era diventata incontrollabile da quando si era trasferita definitivamente a casa sua, e questo la impensieriva non poco. Più tardi, dopo aver fatto colazione tutti insieme come d’abitudine e aver riso a lungo sulle buffe vicissitudini della notte appena trascorsa, i ragazzi accolsero un John decisamente poco originale, che si presentò alla porta con una strana giacca in pelle ornata di perline e delle insolite scarpe rosse ai piedi, che in breve tempo divennero argomento di conversazione e ilarità generale.

- Mio padre sembra essersi bevuto il cervello – sentenziò Fanny rivolta al fidanzato mentre anche lei faceva il suo ingresso in casa, l’aria pallida e segnata – ieri sera mi ha quasi ammazzata con quella stupida trovata della cena thailandese. Credo di aver vomitato anche l’anima.

- Sicura di star bene? Non sei obbligata ad andare in sala prove, oggi.

Considerò Christian osservandola a lungo con occhio critico.

- Scherzi? Devo registrare l’ultima canzone.

La sentì rispondere con aria fiera. Bè, non aveva una bella cera, quello era sicuro. Il cibo thailandese non gli era sembrato poi così male comunque, ma di certo a John pareva aver fatto uno strano effetto. Fanny aveva ragione, l’eccentricità di quell’uomo stava già superando i limiti. Sorrise tra sé seguendolo con lo sguardo destreggiarsi sicuro tra pennelli e colori, finchè senza volerlo permise a Johanna di entrare lentamente e per un brevissimo istante nel suo campo visivo, almeno finchè non la vide abbassare lo sguardo per evitare chiaramente di incrociare il suo. La presenza di Fanny la metteva a disagio, era chiaro, e non poteva certo biasimarla per questo. Solo che… all’improvviso aveva una voglia matta di baciarla, e probabilmente lo avrebbe fatto, fregandosene delle conseguenze se Nicolas non lo avesse trascinato via da quella stanza per richiamare la sua attenzione alla montagna di lavoro che avevano ancora da sbrigare. Dannazione, che cos’aveva in testa quando si era lasciato coinvolgere in quella storia della parete da rimettere a nuovo? Cosa non si faceva per gli amici!

Dopo il loro arrivo la stanza cominciò lentamente a svuotarsi, finchè nel bel mezzo dell’accogliente sala da pranzo non rimasero che Fanny e Johanna. Quest’ultima, terribilmente a disagio nel dover dividere con lei lo stesso spazio, per non sembrare maleducata e piantarla lì tutta sola come invece il cuore le suggeriva di fare provò quantomeno a essere gentile, scontrandosi però subito con l’evidente ostilità che la giovane donna non si sforzava minimamente di nascondere, rendendole le cose ancora più difficili.

- Sai, non è affatto necessario che ti sforzi di essere cortese con me – disse infatti, raggelandola all’istante – è più che evidente che noi due non potremo mai andare d’accordo, perciò mettiamo le cose in chiaro una volta per tutte. Io non piaccio a te almeno quanto tu non piaci a me, e su questo non c’è alcun dubbio, ma ti suggerisco vivamente di rimanere al tuo posto e di smetterla immediatamente di fare quello che stai facendo, altrimenti potresti pentirtene amaramente.

- Che cos’è questa, una minaccia? Di che parli, che cosa starei facendo esattamente, si può sapere?

Chiese Johanna, completamente spiazzata dalle parole che la rivale aveva appena usato. Un brivido le attraversò la schiena. Possibile che sapesse?

- Smettila di fingerti sorpresa e togliti subito quella faccia da santarellina che ti piace tanto esibire, perché puoi anche ingannare tutti gli altri ma non certo me! Le conosco bene quelle come te, sono serpi velenose che strisciando si insinuano pian piano nella vita degli altri, finendo per rovinarla completamente. Ma sai che c’è, hai fatto male i conti mia cara. So cos’hai in mente e non ti permetterò mai di circuire mio padre e distruggere la mia famiglia, dovesse essere l’ultima cosa che faccio in vita mia.

Era questo il problema, credeva veramente che avesse delle mire su John? Maledizione, cos’altro avrebbe dovuto fare per dimostrare a tutti di non nutrire alcun interesse per lui, vomitargli addosso magari?

- Ascolta Fanny, per favore…

Cominciò cercando di spiegarsi, ma la ragazza non sembrò intenzionata a lasciarglielo fare visto che riprese ad aggredirla, sputandole addosso le parole con rabbia.

- Zitta, non voglio nemmeno ascoltarti! Guarda come lo hai ridotto, da quando ti ha rivista non sembra neanche più lui. Prima ti porti a letto il mio fidanzato, poi ci provi anche con mio padre… sei solo una gattamorta, una sfasciafamiglie senza vergogna, e se pensi di portarmi via le persone che amo di più al mondo ti sbagli di grosso, perché non succederà mai! Ficcatelo in quella testa vuota e tornatene da dove sei venuta, prima che ti ci spedisca personalmente a suon di calci!

Concluse stizzosa prima di voltarle le spalle e andarsene così come era venuta, lasciandola sola, in balìa di se stessa e di quell’amara sensazione che per il resto della giornata non riuscì proprio a scrollarsi di dosso. Fanny aveva ragione, che diritto aveva lei di entrare nella vita degli altri e di distruggerne le esistenze? Che diritto aveva di amare un uomo che ormai non era più suo, spezzando per sempre un equilibrio familiare così apparentemente stabile e sereno? Aveva ragione e, anche se non si trattava certo di John, forse stava davvero sbagliando tutto…

Con quel tremendo senso di colpa che le faceva curvare le spalle come una persona ormai sconfitta e senza speranza, cosa non certo da lei, Johanna si affrettò a raggiungere il piano di sopra per rinchiudersi in camera sua fino a quando il suo umore non fosse migliorato a tal punto da permetterle di tornare dagli altri, ma fu allora che accadde. Il calore di due braccia forti e inattese che d’un tratto la stringevano con decisione sconvolse completamente i suoi piani, facendola capitolare. Si sentiva così bene con lui, perché doveva essere tutto così maledettamente sbagliato? Lottò a lungo con se stessa per riprendere il controllo della situazione prima di spingerlo via con decisione, ma questo non impedì certo a Christian di rubarle l’ennesimo bacio. Un bacio dal sapore quasi amaro che la donna si sforzò di non ricambiare, abbassando lo sguardo per evitare i suoi occhi ardenti e tutto ciò che avrebbe potuto leggervi dentro. Quegli occhi che, adesso, più attenti che mai, cercavano solo risposte.

- Ehi, che succede tesoro. Qualcosa non va?

Le chiese infatti, sollevandole il mento con le dita per costringerla a incrociare il suo sguardo.

- Non ce la faccio più ad andare avanti così – disse di getto, prima ancora di rendersene conto – per quanto tempo deve ancora durare questa situazione? Sono rimasta sola con Fanny poco fa, e…

- Ti ha detto qualcosa?

Le chiese lui, impaziente di sapere.

- A dire la verità sì – rispose – e non è certo stata troppo amichevole nei miei confronti. Mi ha accusata di star dietro a suo padre, di essere una sfasciafamiglie… - stavolta fu lei a interrompersi per un attimo, mordendosi le labbra aride e cercando con tutte le sue forze di rimettere ordine nella sua testa – e probabilmente aveva ragione.

Concluse in un soffio, con l’orribile sensazione di portare tutto il peso del mondo sulle spalle. Christian la prese per mano e la trascinò con cautela in camera sua, dove fu finalmente libero di abbracciarla a lungo, tenendola stretta a sè e sfiorandole più volte con le labbra il viso ormai bagnato di lacrime.

- Mi dispiace tanto, ma per favore Johanna smetti di dire queste cose, non continuare a tormentarti inutilmente. Non devi darle ascolto. Presto le cose cambieranno, te lo prometto.

Le sussurrò.

- Quando? Non fai che ripeterlo ma in realtà sembra che tu non sappia mai prendere una decisione, e io sono stanca di sentirmi quasi una seconda scelta per te. Voglio essere l’unica donna della tua vita.

Rispose e sentì le sue mani accarezzarle piano i capelli e gli zigomi, guardandola così intensamente da farle tremare le ginocchia. Perché le faceva sempre questo effetto? Non sarebbe mai riuscita a liberarsi di lui.

- Tu non sei una seconda scelta per me e non lo sarai mai. Ti amo e non ho intenzione di perderti, ma tu devi fidarti di me. Sistemerò le cose con Fanny questa sera stessa, così non saremo più costretti a nasconderci. Saremo liberi di vivere il nostro amore alla luce del sole, perché l’unica cosa che voglio è stare con te.

- Anch’io.

Fu tutto ciò che disse lei, cercando le sue labbra mentre lo attirava più vicino.

Quel pomeriggio, quando Christian tornò a casa trovò Fanny ad aspettarlo, e la sua espressione era così solare e gioiosa che quasi gli si spezzò il cuore al pensiero di dover essere costretto a cancellare quel delizioso sorriso dal suo volto. Ma non poteva più aspettare ormai, doveva andare fino in fondo. Per se stesso e per la donna che in tutta la sua vita non aveva mai smesso di amare, perché solo così avrebbero potuto essere veramente felici come meritavano. Sospirò a lungo e si schiarì più volte la voce prima di riuscire a parlare, e quando lo fece si accorse che tremava non poco. Durante il tragitto verso casa aveva pensato a un milione di modi diversi in cui avrebbe potuto affrontare la situazione ma, comunque la mettesse, il risultato sarebbe stato ugualmente devastante e lui lo sapeva bene. Tanto valeva farla finita subito.

- Ascolta Fanny, c’è…una cosa che devo dirti.

- Anch’io e, ti prego, lascia prima parlare me.

Fu la sua risposta inaspettata, che dopo un breve attimo di smarrimento lo vide comunque annuire lentamente, pronto ad ascoltarla.

- Sono incinta, avremo un bambino!

Esclamò la ragazza e senza riuscire più a contenere la gioia gli buttò le braccia al collo, catturando le sue labbra in un dolce bacio prima di lanciare in aria una delle sue risate cristalline che di solito avevano il potere di contagiarlo all’istante, ma che adesso lo lasciavano come impietrito, completamente impotente di fronte a quella dichiarazione che di certo non si sarebbe mai aspettato e che in un momento gli aveva gelato il sangue nelle vene.

- Adesso tocca a te, amore. Cosa volevi dirmi?

- Niente – le rispose abbracciandola forte e nascondendo il viso tra i suoi capelli, sentendosi sopraffatto dalle emozioni – non ha più importanza ormai.

- Lo so che devi essere sconvolto, e in effetti lo ero anch’io fino a poche ore fa, ma…

- No – le disse, posandole un dito sulle labbra per impedirle di continuare a parlare – non me lo aspettavo, è vero, ma è una notizia meravigliosa e io sono davvero tanto felice. 

- Josè, aprimi immediatamente!

Esclamò Benedicte picchiando insistentemente contro il pesante legno della porta finchè questa non si aprì di scatto, rivelando la figura alta e accigliata del marito, di certo ben lontana dall’espressione tranquilla e amorevole a cui la donna era abituata ormai da tempo. Ancora una volta non potè esimersi dal darsi la colpa di questo suo cambiamento repentino che avrebbe di certo dovuto aspettarsi, ma vederlo in quello stato per lei era comunque devastante.

- Che cosa vuoi?

Si sentì rispondere, la voce grave e sicura di chi, volente o nolente prova a mettersi sulla difensiva, di chi ormai non è più disposto ad ascoltare.

- Che cosa voglio? Forse ti sei scordato che fino a prova contraria sono ancora tua moglie, e tu mi hai appena sbattuto la porta in faccia!

Replicò lei, spingendolo da parte per rientrare in quella stanza in cui aveva deciso di rifugiarsi da qualche giorno, al solo scopo di evitarla completamente. Di evitare tutti, per crogiolarsi da solo nel suo dolore. Del resto era così che si era sempre comportato da che aveva memoria, ogni volta che si sentiva minacciato da qualcosa o qualcuno tendeva a isolarsi tagliando fuori il resto del mondo. Ma questo non era certo l’atteggiamento giusto da adottare in una situazione del genere, e presto avrebbe dovuto capirlo.

- Sei mia moglie solo sulla carta – disse evitando il suo sguardo – e quando mi rivolgerò a un avvocato per ottenere il divorzio sarai finalmente libera di iniziare la nuova vita che hai sempre sognato insieme al tuo Jimmy e al vostro bambino.

Benedicte fece qualche passo verso di lui, cercando il più possibile di non mostrare quanto quelle parole l’avessero ferita.

- L’unica vita che desidero vivere è insieme a te – sussurrò, sollevando la mano per sfiorargli una spalla – l’arrivo di questo bambino non cambierà niente tra noi. Tra me e Jimmy era già finita prima ancora che tu tornassi, semplicemente perché era destino che succedese. Quando te ne sei andato ero completamente distrutta, e lui è arrivato al momento giusto. Mi è stato molto vicino, sostenendomi e aiutandomi a tornare pian piano alla vita. Forse è per questo motivo che ho provato a far funzionare di nuovo le cose, ma era…solo riconoscenza. Nient’altro che questo. Io ti amo Josè, ed è solo con te che desidero stare.

- Ciò non toglie che tu sia incinta di un altro – sentenziò dopo un lungo momento di silenzio, senza tuttavia voltarsi a guardarla – e questa cosa rimette tutto in discussione.

Sentì le braccia della donna stringerlo a sé in un ultimo, disperato tentativo di farsi ascoltare mentre aggiungeva con un filo di voce: - Non rinuncerò a noi amore mio, non lo farò mai perciò…per favore, ti scongiuro, dimmi cosa posso fare per rimettere le cose a posto. Dimmi cosa devo fare per rientrare nel tuo cuore, e ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per…

- Sbarazzati del bambino.

Rispose di getto, interrompendola e lasciandola a bocca aperta, tanto che per un attimo credette di non aver capito bene il senso di quelle orribili parole.

- Cosa?

Gridò, gli occhi sgranati per l’apprensione.

- Sbarazzati del figlio di quell’uomo – ripetè in tono perentorio, stavolta voltandosi verso di lui e incrociando il suo sguardo incredulo – e sarà come se non fosse mai successo.

A quel punto le lacrime presero il sopravvento scivolando veloci lungo le sue guance infuocate, e lei non potè far niente per fermarle.

- Come puoi chiedermi una cosa del genere? Come puoi solo pensare che possa far del male al mio bambino! Lui non c’entra niente in tutto questo, è solo una povera creatura innocente e tu…tu sei un mostro…

Si accorse di non riuscire a continuare quando un doloroso nodo alla gola minacciò di sopraffarla, rendendola improvvisamente preda di violente e inaspettate emozioni che non riuscì a scacciare via mentre lasciava velocemente la stanza, ansiosa di mettere quanta più distanza possibile tra lei e quell’uomo che ormai stentava persino a riconoscere. Quell’uomo che, forse, del marito che aveva tanto amato conservava ormai ben poco…

- Perché non prendi in considerazione l’idea di trasferirti definitivamente qui da me?

Chiese Marie a un Nicolas che faticava ancora a svegliarsi. Non riusciva proprio a capire come le donne potessero trovare così tante cose da dire di prima mattina, quando invece l’unica cosa a cui si riesce a pensare è un bel caffè bollente che serva a tirarti su, meglio se accompagnato da un croissant ripieno di marmellata. Aveva di nuovo passato la notte a casa sua, ormai non riusciva più a farne a meno, ma per quelle proposte era ancora presto. Possibile che volesse davvero affrettare le cose, per quale motivo ogni tanto tornava alla carica con certe domande per le quali non era affatto sicuro di avere una risposta? In un angolo remoto del suo cervello si componevano lentamente le parole “relazione” e “seria”, che di sicuro non stavano bene insieme, specie se usate nella stessa frase.

- Mio Dio, sei così sexy…

Le sussurrò per allentare la tensione, sperando segretamente che si scordasse di quelle strane fissazioni mattutine ma lei, pronta, lo allontanò da sé con un gesto gentile ma deciso, tirandosi indietro i lunghi capelli e rifiutando così quel ridicolo, seppur allettante tentativo di riportare l’attenzione su certe pratiche appena consumate sotto quelle lenzuola, dove le parole di certo non sarebbero servite. Già, probabilmente era proprio ciò che stava cercando di fare: evitare l’argomento. Di nuovo. Marie sospirò, e se era rimasta infastidita dall’atteggiamento tutt’altro che rassicurante del suo uomo non lo diede certo a vedere, celando qualunque pena potesse provare dietro un dolce e irresistibile sorriso che in breve tempo le diede la forza di continuare a insistere, senza lasciarsi scoraggiare da quei patetici tentativi di sabotaggio di cui si era accorta  essere vittima, ogni qualvolta decideva di tirare fuori l’argomento “convivenza”.

- Dai, fai il serio ogni tanto!

Esclamò dandogli un colpetto sul braccio, ma stavolta non oppose resistenza quando Nicolas l’attirò a sé, disegnando sulle sue spalle nude dei piccoli cerchi immaginari con le dita che la fecero rabbrividire di piacere.

- Io sono serio.

Rispose, baciandola sulle labbra.

- Si può sapere cosa c’è che non va in questa casa? Sono forse i mobili, oppure è per come cucino?

Disse lei, facendolo scoppiare a ridere. Bè, il fatto che la ragazza non fosse in grado di preparare nemmeno un uovo al tegamino non era mai stato un problema, solo che…no, il perché del suo tacito rifiuto non era chiaro nemmeno a lui e non aveva certo voglia di scavare dentro se stesso alla ricerca di una possibile spiegazione a quel continuo tergiversare. Sarebbe stato troppo pericoloso permettere al suo cuore di lasciar tornare in superficie certi ricordi che così dolorosamente aveva custodito e soffocato e che ora, stanchi di tutto quel tumulto interiore si erano finalmente sopiti da qualche parte, permettendogli di respirare di nuovo. Ma questo lei non sarebbe mai riuscita a comprenderlo, così tutto ciò che gli restava da fare era continuare a rassicurarla sui suoi sentimenti, e sul fatto che per niente al mondo si sarebbe mai preso gioco di lei. Non sapeva ancora se fosse amore, ma Marie era una ragazza fantastica e ogni volta che stava con lei si sentiva sereno perché poteva permettersi di spegnere il cervello, di mettere se stesso in stand-by, e questo per ora gli bastava…

Era il giorno del compleanno di Hèléne e per festeggiare l’atteso evento gli amici le avevano preparato un pranzo delizioso e ricco di invitanti portate, che era riuscito a stuzzicare l’appetito di tutti. La ragazza era felice perché le persone a cui teneva di più erano tutte presenti, a eccezione però del suo Peter, che ancora in viaggio aveva comunque partecipato all’allegra festa a modo suo, attraverso un enorme ed elegante composizione di rose rosse fattele recapitare direttamente da Boston che avevano emozionato  la fidanzata a tal punto da farla piangere di gioia. La giornata trascorse in allegria e serenità finchè, facendo capolino dalla grande tavolata Fanny alzò timidamente il calice ripieno di champagne, attirando così l’attenzione di tutti.

- Spero che perdonerete l’intrusione – esordì raggiante – ma vorrei approfittare di questa splendida occasione per rendervi partecipi di qualcosa di straordinario, che molto presto renderà ancora più grande questa famiglia già così numerosa di cui sono fiera di far parte. Ebbene…io e Christian aspettiamo un bambino!

Scrosci di applausi e di risate coprirono ben presto le sue ultime parole mentre gli amici si complimentavano con entrambi correndo a turno ad abbracciarli e peggiorando così il già vacillante sistema nervoso del futuro papà, che tutto si aspettava tranne che la giovane compagna avesse deciso di rendere pubblica la sua  gravidanza in tempo così breve, e senza farne prima parola con lui oltretutto. Sussultò più volte ai calorosi auguri che gli venivano fatti, passandosi le mani fra i capelli con gesti nervosi e senza avere il coraggio di incrociare lo sguardo di Johanna, che intanto approfittando di quel momento di confusione si era dileguata con la scusa di aiutare Laly a servire il dolce, rimettendosi lentamente in piedi con la tremenda sensazione di essere appena precipitata in un oscuro vortice senza fine. Una dolorosa voragine che le pesava dentro come mai avrebbe immaginato, e che quasi le aveva fatto perdere l’equilibrio quando aveva raggiunto il solitario giardino, rannicchiandosi mestamente all’ombra di una quercia e pregando silenziosamente di essere inghiottita dal terreno appena calpestato nel più breve tempo possibile, per non dover essere costretta ad assistere a tutto questo. Perché, perché non le aveva detto che aveva intenzione di mettere su famiglia con Fanny? A che gioco stava giocando, pensava sul serio di poterla ingannare ancora per molto? Si sforzò di reprimere un singhiozzo disperato, affondando la testa fra le ginocchia e sentendosi d’un tratto tanto stupida per questo. Fu a quel punto che dei passi leggeri ma decisi catturarono la sua attenzione, anche se ci volle qualche secondo prima che riuscisse a sollevare lo sguardo verso di lui, che adesso non poteva far altro che fissarla con infinita pena.

- Johanna, io…

- No – disse lei, sollevando la mano a mezz’aria per costringerlo a smettere di parlare mentre si sforzava di imprimere convinzione alla sua voce – non dire niente Christian, per favore. Non voglio ascoltarti.

- Dovrai farlo, invece.

Le sussurrò chinandosi per raggiungerla ma lei, pronta, lo allontanò da sé con un gesto inequivocabile, rimettendosi in piedi con non pochi sforzi per provare a sfuggirgli. Per non lasciarsi abbindolare da qualunque cosa fosse venuto a dirle, e che già sapeva inutile.

- Lasciami in pace e torna dentro, la madre di tuo figlio si starà chiedendo dove sei finito.

Mormorò stringendosi nelle spalle mentre lo sentiva andarle vicino.

- Ti prego amore mio, non fare così. Io…avrei voluto dirtelo prima…

- Ah, sì? E si può sapere perché accidenti non lo hai fatto?

Gridò, improvvisamente incapace di trattenersi. No, non doveva fare così, doveva cercare di calmarsi. Qualcuno avrebbe potuto sentirli.

- Perché mi è mancato il coraggio – rispose dopo un breve momento di silenzio, chinando la testa per evitare di nuovo i suoi occhi ardenti e disperati – ma devi credermi Johanna, l’ho saputo solo da poco e non avevo certo idea che Fanny avrebbe rivelato tutto oggi. Ero all’oscuro dei suoi piani, te lo giuro.

La sua espressione ferita la colse alla sprovvista e per un attimo soltanto permise a se stessa di cedere, avvicinandosi a lui quanto bastava per prendergli il viso fra le mani, scoprendolo d’un tratto bagnato di lacrime.

- Ma guardati – disse, la voce ridotta a un sussurro – sei qui a piangere quando questo dovrebbe essere il giorno più felice della tua vita.

- Io sono felice per l’arrivo di questo bambino – rispose, accarezzandole le spalle – ma non permetterò che questo ci allontani. Mi prenderò cura di lui, ma non vuol dire che non possa fare la stessa cosa con te. Non cambierà niente tra noi.

A quelle ultime parole la donna si irrigidì di scatto tra le sue braccia, maledicendosi silenziosamente per quel breve momento di tenerezza che si era stupidamente concessa.

- Ha già cambiato tutto invece, come fai a non comprenderlo?

Sentenziò allontanandosi di nuovo per voltargli le spalle.

- Ascoltami bene, adesso – proseguì – quello che sta capitando a te e Fanny è una vera benedizione, un dono del cielo che vi renderà finalmente una famiglia completa. Non rinunciare a tutto ciò Christian, non lasciarti scappare questa occasione perché lei sta per diventare quello che io non potrò mai essere, donandoti qualcosa che invece io non potrò mai darti. Che razza di vita avresti insieme a me, ci hai pensato?

La voce si spezzò e presto il dolore sordo al centro suo petto esplose in tutta la sua potenza sotto forma di lacrime. Lacrime cocenti che non volle e non potè fermare, perché persino provarci sarebbe stato uno sforzo troppo grande. E lei, di forza, non ne aveva più. La violenza di quelle parole lo colpì come un pugno nello stomaco, facendo capitolare ciò che restava del suo già debole e precario autocontrollo. Perché si ostinava a peggiorare le cose?

- Non dire così, ti scongiuro – la supplicò, sfiorandole appena i capelli – non mi importa se non potremo mai avere un bambino tutto nostro e lo sai bene, a me basti solo tu. È con te che voglio stare, perché è te che amo. Soltanto te.

- Amerai tuo figlio molto più di me – gli disse voltandosi verso di lui e rivelandogli così la sua espressione disperata – e vedrai che tra qualche mese, quando lo stringerai fra le braccia per la prima volta ti sarai già scordato di questa stupida conversazione che stiamo avendo, e di qualunque altra cosa che non sia lui. Come pensi che la prenderebbe tra qualche anno, se decidessi di passare il tuo tempo con una donna che non è sua madre? No, non devi rinunciare alla meravigliosa famiglia che potresti avere, perché non sarebbe giusto.

Lo vide scuotere la testa con vigore, e qualcosa nel suo sguardo addolorato cambiò all’improvviso mentre la scuoteva con forza crescente.

- Non farlo, Johanna – esclamò – non azzardarti a lasciarmi di nuovo!

Lei lottò a lungo per costringerlo a liberarla dalla sua instancabile morsa e alla fine lui si arrese, chiudendo gli occhi e abbandonando le braccia lungo i fianchi prima di sentirla accarezzargli dolcemente i capelli e cercare le sue mani tremanti, per provare a calmarlo un po’. Anche se sapeva che non sarebbe stato facile. Non lo era neppure per lei.

- Ok – sussurrò, sfiorandogli con un bacio lieve le labbra che le sue lacrime avevano reso morbide e invitanti – fai un bel respiro profondo ora, asciugati quegli occhi e torna lì dentro ad affrontare la cosa da uomo. Non pensare al resto, non pensare più a noi. È stato solo un sogno. Solo un bellissimo, irrealizzabile sogno a occhi aperti, niente di più.

- No…

- Sì, invece – lo interruppe, baciandolo di nuovo e assaporando per l’ultima volta il calore delle sue braccia che la stringevano più forte – torna da Fanny, sposala e sii felice.

Si impose di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni che solo guardare il suo viso disfatto dal dolore le procurava, di non lasciarsi andare di nuovo a quello che sapeva essere un amore impossibile. Sì, non era nient’altro che questo, e l’illusione di quei pochi, meravigliosi giorni passati insieme non era bastata a cambiare quella realtà ingombrante con cui ancora una volta avrebbe dovuto fare i conti.

- Johanna…

- Non farmelo ripetere, ti prego, non darmi il tempo di cambiare idea perché se lo fai tra poco non sarò più sicura di riuscire a lasciarti andare. È meglio così Christian, è molto meglio così.

L’abbracciò di nuovo, senza dire una parola, baciandola a lungo mentre le loro lacrime si fondevano insieme prima di lasciarla andare definitivamente per voltarle mestamente le spalle in un’andatura curva di chi, col cuore a pezzi, ha ormai perso completamente le speranze. Johanna attese che si allontanasse prima di crollare in ginocchio, scoppiando in un dirotto e inconsolabile pianto una volta rimasta sola…

Johanna non le aveva ancora parlato di quanto dolorosamente avesse deciso di rinunciare per sempre a Christian, e non sapeva se lo avrebbe mai fatto, ma Hèléne riusciva chiaramente a intuire il triste epilogo toccato all’amica che, date le circostanze, poteva solo comprendere e accettare per quanto possibile. Quella mattina aveva così deciso di distrarla portandola in giro a far compere e, chissà, forse tra un negozio e l’altro avrebbe finalmente trovato l’abito giusto da indossare al suo matrimonio. Josè, intento a bere una tazza di caffè bollente le osservò uscire dalla finestra, seguendole con lo sguardo finchè, attraversato il giardino, sparirono lentamente dal suo campo visivo. Durante la festa data in onore di Hèléne non era riuscito a parlare con Benedicte, che dal canto suo sembrava palesemente ignorarlo, procurandogli una strana e fastidiosa sensazione di disagio che mai come ora avrebbe voluto scrollarsi di dosso. Nonostante il dolore per la gravidanza inaspettata della moglie aveva comunque deciso di non scappare di nuovo, sapeva infatti che non sarebbe servito a niente. Avrebbe voluto parlarle e scusarsi per quello che era stato capace di chiederle, stupendo persino se stesso, ma tutte le volte la vergogna che provava prendeva il sopravvento, impedendogli di fare il primo passo e condannandolo a un crudele limbo dentro al quale si sentiva soffocare. E poi il suo sguardo freddo e ostile non lo aiutava di certo. Che cosa avrebbe dovuto fare per riportare le cose com’erano, ammesso che un modo esistesse davvero? Il suo lungo allontanamento da casa aveva inevitabilmente creato un muro tra loro. Un ostacolo impietoso che ora non aveva idea di come fare per abbattere, e la consapevolezza di avere parte della colpa in quella complicata situazione lo faceva sentire ancora peggio. Era a questo che pensava quando, qualche ora più tardi, sotto il portico e col  vento tra i capelli si dondolava pigramente sullo spazioso e colorato dondolo, lasciandosi cullare da quella pace pomeridiana alquanto insolita ormai in quella casa, e che per certi versi non gli dispiaceva affatto. Si riscosse non appena sentì il rumore dell’auto di Hèléne parcheggiare sul vialetto e poco dopo le vide, lei e Johanna intente a riempirsi le mani di pacchi e pacchetti dalla stoffa luccicante, sorridendosi a vicenda mentre si avviavano verso casa. Le salutò con la mano e per un po’ Johanna si fermò a parlare con lui, intimandogli di farle posto sul dondolo per permetterle di poggiare momentaneamente anche i suoi acquisti.

- Accidenti quanta roba, avete svaligiato tutti i negozi della città?

Le disse, facendola scoppiare a ridere.

- Quasi – rispose lei annuendo – si chiama shopping-terapia, e comunque ho anche trovato uno splendido abito per il matrimonio.

- Davvero? Fammelo vedere.

- Non se ne parla neanche! Giù le mani curiosone, lo vedrai a tempo debito!

La sentì esclamare, dandogli un buffetto sulla mano e allontanando in fretta i pacchetti dalla sua portata.

- Allora – gli chiese infine, più seria – come va con Benedicte? Non le hai ancora parlato?

Josè scosse la testa, affranto.

- Non riesco a trovare il momento giusto per farlo. Non è mai da sola, e comunque mi rende le cose molto difficili.

Johanna sospirò pensando che le dispiaceva per l’amico, ma se l’era andata a cercare e in quelle condizioni non avrebbe dovuto continuare a girarci intorno ancora a lungo.

- Bè, in fondo posso anche capirla. L’hai sconvolta, chiederle di abortire è stato un colpo basso che di certo da te non si aspettava. Come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?

- Io…non lo so. So solo che non lo pensavo davvero, ma tutto questo mi sta facendo impazzire e non sono nemmeno sicuro di poterlo affrontare come invece dovrei.

Concluse in un soffio, rivolgendole uno sguardo rassegnato che di certo non nascondeva il suo altalenante stato d’animo.

- Guarda il lato positivo, questo bambino sarà davvero molto fortunato perché avrà ben due papà, e sono sicura che saprai esserci per lui come ci sei sempre stato per Leah.

Mormorò la donna cercando di smorzare un po’ la tensione e in risposta ricevette una lunga occhiata di disapprovazione che la fece sorridere.

- Sempre a scherzare tu, eh?

Si lamentò spingendola giocosamente mentre entrambi scoppiavano a ridere.

- Insomma – proseguì, abbracciandomi le ginocchia – quello che voglio dire è che poter contare sulla tua costante presenza sarà molto importante per Benedicte d’ora in avanti. Una donna incinta ha gli ormoni praticamente in delirio e spesso si sentirà fragile, sola, e tu dovrai starle molto vicino perché sono sicura che per affrontare tutto avrà bisogno dell’uomo che ama al suo fianco…

Si accorse di non riuscire più a continuare la frase perché un improvviso nodo in gola glielo impedì, costringendola a inciampare nel ricordo di Christian e Fanny, insieme come una reale e bellissima famiglia, che con quelle parole aveva involontariamente evocato. A quel punto non riuscì a impedirsi di singhiozzare disperatamente, coprendosi subito il viso con entrambe le mani per provare a tornare un po’ più padrona di se stessa.

- Ehi, che succede? Ti senti bene?

Le chiese Josè, allarmato, circondandole le spalle con un braccio per cercare di calmarla e guardandola asciugarsi via le lacrime subito dopo, tirando su col naso un paio di volte prima di tornare a incrociare il suo sguardo.

- Sì – rispose in fretta, facendogli un timido sorriso – sto bene, mi è entrata solo un po’ di polvere negli occhi. Credo di essere allergica a questo tempo incerto.

Josè annuì per un breve momento, sicuro che dietro a quell’improvviso crollo ci fosse ben altro che una semplice allergia. Glielo diceva quel suo sguardo malinconico e d’un tratto velato di tristezza, uno sguardo che conosceva molto bene.

- Capisco. E, ti andrebbe di parlare di questa “allergia”?

La sua domanda seguita da quell’inconfondibile espressione sorniona le fece capire che forse gli era bastata solo un’occhiata per intuire l’enorme sofferenza che si portava dentro. Sapeva che non avrebbe potuto ingannarlo così facilmente. Tuttavia non era ancora sicura che rivelare ciò che l’affliggeva sarebbe servito a farla sentire meglio, così si ritrovò a glissare ancora una volta quello strano, seppur apprezzato invito ad aprire finalmente il suo cuore.

- Sai, se lo facessi sarei costretta a ricordare tutto, e ricordare comporterebbe una certa elaborazione da parte mia che con molta probabilità mi porterebbe alle lacrime e, una volta iniziato a piangere, non so se sarei più in grado di fermarmi, perciò…

- Va bene – la interruppe, guardandola con tenerezza – ho capito, rispetterò il tuo silenzio. Vorrei solo poter fare qualcosa per farti sentire meglio.

- Potresti abbracciarmi.

La sentì sussurrare e questo lo fece sorridere mentre l’attirava a sé, permettendole di rannicchiarsi contro il suo petto per lasciarsi consolare un po’ da qualunque cosa l’avesse ridotta in quello stato.

- Ci pensi mai a noi due, a come sarebbe stato se nostro figlio…fosse riuscito a sopravvivere?

Josè spezzò per primo il lungo silenzio che seguì a quel tenero momento, prendendola completamente alla sprovvista. Era la prima volta che ne parlava da quando era successo e questo, seppur spiazzandola non poco, l’aveva anche piacevolmente colpita.

- Certo, molto più di quanto tu non creda.

Disse piano, asciugandosi con le dita una lacrima solitaria che lentamente scendeva a rigarle la guancia.

Si commuoveva sempre ogni volta che pensava al suo bambino mai nato, a come sarebbe stato poterlo crescere come voleva. Il rumore di quell’orribile sparo echeggiava ancora nella sua mente e mai, mai sarebbe riuscita a dimenticare il dolore provocato da quella inconsolabile perdita che in un solo secondo le aveva completamente stravoto l’esistenza.

- Credo che sarebbe stato testardo oltre ogni dire – continuò, provando fantasiosamente a disegnare quel piccolo e fragile profilo sconosciuto, senza tuttavia riuscire mai a imprimerlo nella mente. Era sempre troppo veloce, come il delicato pulviscolo di un fiore che un alito di vento avrebbe potuto disperdere in un momento – esattamente come te.

- Senti chi parla. Se esistesse un premio Nobel per la testardaggine tu lo vinceresti di sicuro.

Replicò lui, guardandola storto.

- In fondo non è poi così male quello che abbiamo adesso, no? Voglio dire, ho perso un fidanzato ma ho trovato un amico molto speciale.

Considerò Johanna, dopo essersi persi a lungo a fantasticare sulla vita che avrebbero potuto avere se le cose fossero andate diversamente, trovandolo perfettamente d’accordo con lei. In quei lunghi anni trascorsi il loro rapporto aveva attraversato alti e bassi e alla fine si era evoluto, come era giusto che fosse, raggiungendo finalmente una soddisfacente stabilità per entrambi. La loro amicizia era forte come il solido arbusto di una quercia ed entrambi sapevano che, qualunque cosa fosse successa, ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altra.

- Allora, che cosa vedi? John tornerà da me non è vero, è già sulla buona strada?

Esclamò Laly sempre più avida di informazioni, con gli occhi incollati ai variopinti tarocchi che Olga stava cercando di leggere per lei.

- Sì, sulla buona strada per l’ospedale psichiatrico, considerando come se ne va in giro.

Sussurrò Johanna all’orecchio di Benedicte per non farsi sentire mentre l’amica cercava goffamente di trattenere le risate. Le donne, appoggiate al caminetto dell’accogliente sala da pranzo osservavano da almeno mezz’ora le due amiche impegnate in quell’assurda pratica della chiaroveggenza che Olga si divertiva a sceneggiare di tanto in tanto, soprattutto in presenza di coinquiline piuttosto disperate. E Laly al momento era proprio una di quelle.

- Insomma, vuoi stare un po’ zitta? Non riesco a concentrarmi se fai tutto questo baccano!

Replicò seccata mentre rimescolava le carte e le sistemava abilmente davanti a sé, studiandole assorta per un lungo momento prima di aggiungere con aria fiera e compiaciuta: - Sì, in effetti ci sarà un riavvicinamento tra te e John in un prossimo futuro.

- Un prossimo futuro? Che diavolo significa, non potresti essere più precisa?

Domandò Laly con voce stridula, aggrottando le sopracciglia e tendendosi verso di lei con fanciullesca impazienza, per essere sicura di non perdersi neppure una parola.

- Mi dispiace ma non riesco a vedere altro al momento, perciò smettila di tormentarmi e fatti bastare questo. Bene, chi vuole essere la prossima?

Olga passò in rassegna i volti delle ragazze, ignorando le fastidiose proteste di Laly per concentrarsi invece su Benedicte, che facendo spallucce si affrettò subito a declinare l’invito.

- Ma come, non sei curiosa di sapere il sesso del bambino?

- Grazie, ma sono sicura che ci penseranno le prossime ecografie a rivelarmelo.

Le rispose, congedandosi in fretta per un improvviso e incontenibile attacco di nausea che la costrinse a precipitarsi verso il bagno, per fortuna libero. Olga sospirò, giocherellando con una ciocca di capelli e posando quindi lo sguardo su Johanna.

- E tu, non c’è niente che vuoi conoscere? Non so, un nuovo amore all’orizzonte, magari?

Disse.

- Lei ce l’ha già un amore, solo che è rimasto in Texas.

Si intromise Laly e Johanna si affrettò ad annuire un paio di volte, cercando di evitare i suoi occhi. Si sentiva sempre in imbarazzo ogni volta che a qualcuno veniva in mente di tirare in ballo la penosa bugia che aveva raccontato a tutti, chissà come l’avrebbero presa se si fosse decisa a racontare loro la verità una volta per tutte.

- Poco male, vorrà dire che ci concentreremo su altro.

- Va bene, d’accordo – accettò infine, anche se poco convinta. Non aveva mai creduto a queste cose, ma se le amiche volevano giocare per lei andava benissimo – facciamo questa cosa.

Si sedette di fronte a lei, osservandola armeggiare con i tarocchi e pensando che la sua vita era già un completo disastro e che sentire qualche stupidaggine in più non avrebbe di certo cambiato le cose. Vide il suo volto perfettamente truccato contrarsi in un’espressione di stupore una volta posizionate le carte, ma dalle sue labbra non uscì neppure una parola se non qualche piccolo suono strozzato che servì a incuriosirla non poco. Insomma, non le sembrava il caso di farla tanto lunga, perché non si decideva a dire qualcosa così da farla finalmente finita con quella ridicola farsa?

- Allora, qual è il responso?

Chiese, tamburellando distrattamente le dita sul tavolo.

- Sì, non tenerci sulle spine. Dicci che cosa vedi.

Le fece eco Laly, avvicinandosi di qualche passo fino a trovarsi a pochi centimetri dai tarocchi che Olga si affrettò improvvisamente a sparpagliare il più possibile lontano da sé.

- Niente – disse precipitosamente – non riesco a leggere proprio niente, forse ho solo esaurito la mia energia e adesso ho bisogno di un po’ di riposo.

- Certo – rispose Johanna – prenditi pure tutto il tempo che desideri, tanto non era così importante.

Si rialzò in piedi con un sorriso, lasciando lentamente la stanza e quando fu sufficientemente lontano dalla loro portata Laly posò una mano sul braccio di Olga, bloccando così ogni suo tentativo di rimettere a posto le sue preziose “finestre sul futuro” come amava tanto chiamarle lei.

- Pensi veramente di riuscire a darmela a bere? Avanti, sputa il rospo. So che hai visto qualcosa, altrimenti adesso non saresti così sconvolta.

Disse in tono risoluto, tanto che l’amica capì che qualunque cosa avesse fatto per provare a tergiversare non sarebbe comunque riuscita a sfuggirle.

- Ho visto oscurità Laly, tanta oscurità – ammise infine, allungandosi verso di lei con fare cospiratorio – è un segno. Un segno chiaro come presagio di morte…

Fanny si era svegliata presto quella mattina, in una casa piacevomente silenziosa e tutta per lei poiché i due uomini della sua vita erano già usciti. Era difficile essere l’unica donna lì dentro, Laly le mancava molto e sperava davvero che la separazione tra lei e suo padre fosse solo momentanea, ma con quella strega di mezzo le cose non potevano che complicarsi. Lo avevano già fatto, era difficile togliersi quella dolorosa immagine dalla testa e più ci pensava, più le veniva voglia di scoppiare a piangere. No, non si sarebbe fatta piegare dagli eventi, non ora che non era più sola. Si sfiorò automaticamente la pancia e sorrise, il pensiero che presto lo avrebbe sentito muoversi dentro di lei fu più che sufficiente per restituirle un po’ di serenità. Nessuno avrebbe potuto nulla contro quella meravigliosa certezza, perché era lui la cosa più importante adesso. Quello che avrebbe tenuto insieme la famiglia, rendendoli felici per sempre. Ma sarebbe davvero riuscita a essere completamente felice dopo quello a cui aveva involontariamente assistito giorni prima? Se lo chiese di nuovo mentre preparava una colazione semplice e leggera, un tè e una fetta di pane tostato sarebbero bastati a dare un po’ di sostanza al bambino. Respirò a lungo provando a ritrovare la calma che quel ricordo, ancora così forte e prepotente le aveva tolto, e fu allora che la sentì per la prima volta. Una fitta dolorosa che partendo dal basso ventre si irradiava lentamente lungo tutto il suo corpo, facendola contorcere sulla sedia. Cosa…cosa stava succedendo? Non riusciva proprio a capire e d’un tratto fu come se il mondo intero si fermasse, piombandole di peso sulle gambe e costringendola così, con le poche forze rimastele a raggiungere il divano per distendervisi sopra, ansante e sudata prima di ritrarre la mano con la quale più volte quella mattina si era sfiorata l’addome, scoprendola sporca di sangue.

- Oh mio Dio no, ti prego…

Gemette, paralizzata dall’orrore e quasi non si accorse dell’arrivo di Laly che le era appena piombata in casa al solo scopo di salutarla e farle un po’ di compagnia, e che tutto si aspettava tranne che trovarla in quel preoccupante stato che la terrorizzò non poco.

- Santo cielo Fanny, parlami! Riesci a sentirmi? Dobbiamo subito andare in ospedale, hai perso molto sangue!

Esclamò allarmata cercando di attirare la sua attenzione e aiutandola a rimettersi in piedi ma la ragazza era debole e spossata, e dopo vari inutili tentativi tornò ad accasciarsi sul divano, stremata e in lacrime. A quel punto restava un’unica cosa da fare.

- Chiamo subito un’ambulanza!

Decise quindi in fretta, ma la mano di Fanny si posò risoluta sul suo braccio bloccandole così la corsa.

- Sto perdendo il mio bambino, non è vero?

Sussurrò con fatica prima che un’altra, forte contrazione le artigliasse l’addome con forza crescente, bloccandole le parole in gola e facendola singhiozzare disperata.

- Oh tesoro, mi dispiace così tanto…

Cercò di consolarla asciugando le sue lacrime, ma di fronte a quella triste prospettiva niente e nessuno avrebbe potuto farla sentire meglio.

- Ti prego – continuò, non appena fu sicura di aver ritrovato la voce – promettimi che non parlerai a nessuno di quello che sta succedendo.

- Fanny, ma che stai dicendo? Dobbiamo subito avvisare Christian, e tuo padre…

- No – esclamò quasi con rabbia, artigliandole il braccio in un crescendo di frustrazione – Christian non deve sapere nulla. Se scoprisse che ho perso il bambino mi lascerebbe immediatamente, come sono sicura che avesse già intenzione di fare.

Laly sgranò gli occhi.

- Che sciocchezze dici? Perché mai dovrebbe volerti lasciare?

- Perché è innamorato di Johanna – esplose a quel punto senza più riuscire a trattenersi, scoprendo quanto potesse far male il peso di quelle parole, specie se pronunciate ad alta voce – li ho visti, il giorno del compleanno di Hèléne. Mi chiedevo dove fosse finito così sono andata a cercarlo, e li ho visti dalla finestra. Erano in giardino e si stavano…baciando. Chissà da quanto tempo hanno una relazione alle mie spalle e sono sicura che l’unico motivo che gli ha impedito di lasciarmi era questo bambino, ma se adesso lui sapesse la verità tra noi sarebbe tutto finito. Io non voglio perderlo e non permetterò a quella maledetta stronza di averla vinta. Non le permetterò di portarmelo via perciò promettimelo Laly, devi promettermi che non gli dirai nulla…

Quando Johanna aprì la porta si ritrovò davanti una graziosa ragazza dai lunghi capelli castani e un cordiale sorriso dipinto sul volto scarno, e questo la incuriosì non poco visto che non aveva la più pallida idea di chi fosse.

- Ehm…posso aiutarla?

Fu tutto ciò che riuscì a dire, ma proprio mentre cominciava a pensare che probabilmente la giovane sconosciuta avesse sbagliato indirizzo lei le venne in aiuto, togliendola ben presto dall’imbarazzo mentre le porgeva la mano.

- Ciao, io sono Marie e…

- Marie, ma certo – la interruppe subito, stringendo calorosamente la mano che le veniva offerta – la famosa nuova fiamma di Nicolas, avrei dovuto capirlo subito. Entra, accomodati pure.

- Grazie.

Rispose timidamente, approfittando subito di quel gentile invito e guardandola perplessa per un lungo momento, poiché non ricordava di averla mai vista prima d’ora.

- E tu sei…

Lasciò cadere la frase in sospeso, sicura che la sua interlocutrice recepisse il messaggio, come infatti fece appena pochi secondi dopo.

- Oh scusami, è vero, non mi sono presentata. Johanna, una vecchia amica, e sono qui per il matrimonio di Hèléne. Mi dispiace ma Nicolas non c’è, l’ho visto uscire questa mattina presto e non è ancora tornato.

La ragazza sgranò gli occhi, d’un tratto presa alla sprovvista da quella rivelazione sicuramente poco piacevole per lei.

- Davvero? E non sai dove sia andato?

Chiese, sospirando sconsolata. Accidenti, che sfiga. Aveva finito di lavorare presto quel giorno e sperava davvero di poter passare un po’ di tempo con lui, ma evidentemente non era destino. Avrebbe potuto comunque chiamarlo, è vero, ma voleva fargli una sorpresa e adesso le era già passata la voglia.

- A dire la verità non ne ho idea – rispose Johanna – ma dovrà tornare prima o poi, perciò nel frattempo che ne diresti di fermarti a cena? Puoi aspettarlo qui, e poi…

- Ti ringrazio – la incalzò lei, facendo spallucce – ma è meglio che torni a casa ora, ho un sacco di lavoro arretrato. Magari un’altra volta.

E fece per andarsene ma la voce di Johanna la bloccò sulla porta, costringendola a voltarsi di nuovo verso di lei.

- Aspetta, permettimi almeno di prepararti un caffè.

Disse trafficando con il capiente barattolo giallo già usato in precedenza, sbuffando seccata quando lo scoprì completamente vuoto. Cavolo, in quella casa cominciava a notare un consumo alquanto esagerato di caffè. Ora capiva perché erano sempre tutti così nervosi.

- Ok, dammi solo il tempo di trovarlo e lo preparo subito. Ah, Laly, eccoti qui. Senti, sai per caso…

- Perché dovrei sapere le cose, scusa? Per chi diavolo mi avete preso in questa casa, per l’ufficio informazioni per caso? Non so niente, assolutamente niente e, cosa ancora più importante, non ho visto niente!

La interruppe l’amica, improvvisamente materializzatasi tra loro con l’aria di aver appena visto un fantasma. Non si aspettava di trovare Johanna in cucina, specie a quell’ora del pomeriggio, e il solo vederla le aveva procurato un fastidioso rimescolìo dentro facilmente riconducibile alla spiacevole conversazione avuta con Fanny solo qualche tempo prima. Quell’ingombrante segreto che aveva stupidamente promesso di mantenere adesso sembrava pesarle dentro come un’insopportabile macigno, e più i giorni passavano più si rendeva conto di quanto fosse difficile continuare a tenere la bocca chiusa. Forse però Fanny aveva ragione, Johanna si era praticamente messa in mezzo in quella che lei definiva una relazione solida e felice e non era giusto che le portasse via Christian in questo modo. No, lui non doveva saperlo, nessuno doveva saperlo, le sue labbra sarebbero rimaste sigillate ancora a lungo. Solo che…quello strano senso di rabbiosa inquietudine appena provata per l’amica di vecchia data stava già lasciando il posto a una dolorosa preoccupazione, poiché ricordava ancora bene le strane parole di Olga. E come avrebbe potuto essere altrimenti, considerato l’imminente, oscuro pericolo che le carte le avevano chiaramente rivelato?

- Va bene, ho capito – rispose Johanna, presa in contropiede da quell’incomprensibile sfuriata di cui faceva fatica a cogliere il senso – non agitarti così, volevo solo chiederti dove tenete il caffè di scorta.

- Ah, quello…è proprio sulla mensola di fronte a te.

Disse con voce incerta, studiandola con occhio critico prima di aggiugere seria: - Ascolta, devi uscire per caso? Perché il tempo là fuori mi sembra un po’ incerto e con solo quella maglietta addosso potresti prendere freddo e rischiare di ammalarti, a proposito…stai bene, non è vero?

- Ti ringrazio per l’interessamento, ma mi sento benissimo – disse, sollevando le sopracciglia con aria incuriosita e sconcertata al tempo stesso – si può sapere che ti prende oggi? Perché mi fai questa domanda?

- Bè, così, era solo per chiedere.

Fu la sua contorta risposta mentre indietreggiava di qualche passo, rischiando quasi di finire addosso a Marie che, dopo aver seguito a bocca aperta quello stravagante e poco credibile scambio di battute, rassicurò le donne di poter riuscire a fare a meno del caffè almeno per qualche ora ancora, guadagnando l’uscita con una scusa e portandosi dietro un simpatico souvenir da quella strampalata conversazione che sembrava assomigliare tanto a un fastidioso principio di mal di testa. Attraversando il giardino notò poi una figura familiare che si limitò a salutare frettolosamente mentre questa raggiungeva l’elegante ingresso, trattenendo il respiro quando, non appena si ritrovò Johanna davanti, il suo cuore perse improvvisamente un battito. Dal canto suo lei non disse una parola ma si fece lentamente da parte per lasciarlo passare, stando bene attenta a tenere gli occhi bassi perché se solo avesse provato a incrociare i suoi, sarebbe stata la fine. Stava facendo veramente di tutto per impedirsi di crollare ogni volta che lo vedeva, ma il suo profumo era così inebriante e il suo tono di voce così maledettamente disperato che la prova era davvero difficile, se non impossibile.

- Noi due dobbiamo parlare.

Lo sentì dire infatti mentre cercava con tutte le sue forze di ignorarlo.

- Ci siamo già detti tutto, Christian. Non c’è altro da aggiungere.

Rispose a denti stretti, guardandosi intorno circospetta per paura che qualcuno sbucasse fuori dal nulla da un momento all’altro, sorprendendoli insieme.

- Non puoi dire sul serio!

- Smettila di alzare la voce, qualcuno potrebbe sentirti.

- Che lo facciano pure, allora! Non mi interessa, anzi, posso anche mettermi a urlare se vuoi.

Replicò lui esasperato e con la devastante sensazione di avere il cervello pieno di ovatta. Da quando Johanna lo aveva lasciato, riaprendo così vecchie ferite si sentiva sempre sull’orlo del baratro, la sua disperazione era tale che aveva persino smesso di dormire e questo lo rendeva nervoso e insofferente praticamente a tutto. Già, e in particolar modo a quella sua fastidiosa tendenza a tergiversare sempre ogni cosa, come se fosse stata priva di importanza. Poteva anche continuare a fingere se le faceva comodo, ma lui sapeva bene come stavano le cose.

- Ti ho detto di smetterla.

- M manchi – le sussurrò, facendola ammutolire di colpo prima di muovere qualche passo verso di lei – non ce la faccio più a vivere così. Ho bisogno di te Johanna, non riesco a smettere di pensarti nemmeno per un istante e non posso credere che per te non sia la stessa cosa.

Sopraffatta da quelle parole la ragazza si affrettò a chiudere la porta della cucina, tornandogli vicino e sollevando per la prima volta lo sguardo verso di lui, annaspando dolorosamente quando incontrò i suoi occhi scuri e sinceri.

- Sei l’amore della mia vita – disse, stringendosi nelle spalle – certo che per me è la stessa cosa, ma ormai ho preso la mia decisione.

- Tu hai deciso per tutti e due – replicò aspro, annullando d’un tratto la breve distanza che ancora li separava per afferrarla con decisione, stringendole il polso fino a farle male – e questo non è giusto.

Johanna si liberò di quella presa d’acciaio con un violento strattone che lo colse di sorpresa, lanciandogli una breve occhiata di ammonimento che però ebbe l’effetto di agitarlo ancora di più.

- È finita – disse risoluta, ricacciando indietro le lacrime – mettitelo in testa una volta per tutte e piantala di tormentarmi in questo modo.

Lo vide stringere spasmodicamente le labbra nel tentativo di trattenersi dal replicare e, proprio in quel momento la porta si aprì lentamente, rivelando la figura esile di Hèléne che guardandoli con aria interrogativa non riuscì proprio a esimersi dal chiedere se per caso avesse interrotto qualcosa.

- No, stai tranquilla – la rassicurò Johanna, riprendendo a tenere gli occhi bassi – stavo giusto dicendo a Christian che gli altri lo aspettano di là.

Poi si affrettò a uscire dalla stanza, lasciandolo in uno stato di frustrazione tale che dovette afferrare le tazze poggiate sul tavolo e scagliarle violentemente contro la parete per provare a calmarsi un po’, ignorando le proteste dell’amica e cercando con tutto se stesso di concentrarsi invece sul rumore graffiante del vetro che si rompe, pensando a quanto fosse simile all’eco straziante prodotto dal suo cuore mentre si spezzava…

L’aria era piuttosto fresca quella sera e non era certo il periodo più adatto per fare una passeggiata in riva al fiume ma era lì che Marie lo aveva trovato, con lo sguardo basso e la mente persa in chissà quali angoscianti pensieri, per lei ormai totalmente inaccessibili. Lo stava perdendo, era questa la realtà e non conoscerne il motivo cominciava a diventare piuttosto frustrante.

- Non hai risposto alle mie chiamate.

Esordì facendolo sussultare mentre gli andava vicino, affondando le mani nelle morbide tasche della sua giacca e mostrando una serenità che di certo non le apparteneva.

- Lo so.

Fu tutto ciò che disse, senza nemmeno cercare di giustificarsi. Sapeva che a quel punto sarebbe stato inutile.

- Non è certo la prima volta che lo fai, ma devo dire che oggi hai dato davvero il meglio di te nell’arte della fuga.

Mormorò sarcastica, e a Nicolas non sfuggì di certo l’ironia della situazione.

- Marie, io…

Cominciò, ma le parole gli morirono in gola quando incontrò i suoi occhi velati di tristezza. Lui che non avrebbe mai voluto farle del male si accorse con rammarico di aver miseramente fallito in quella complicata impresa, poiché non sarebbe riuscito a liberarsi dei dolorosi turbamenti che ormai da tempo gli sconvolgevano l’anima.

- Non cercare di spiegarti, ti prego – replicò lei, sospirando affranta – è già da un po’ che hai smesso di farlo. Non preoccuparti però, va bene così. Tutti i tuoi evidenti malumori, la tua improvvisa voglia di restare da solo in un posto come questo e i continui, taciti rifiuti ogni volta che comincio a parlare di convivenza devono farti più male di quanto io stessa possa immaginare, perciò… prova a guardarti dentro Nicolas, a capire quello che vuoi davvero, e quando sarai pronto vienimi a cercare. Ammesso che a quel punto, nel tuo cuore, ci sia ancora posto per me.

Abbassò gli occhi prima di voltargli le spalle e incamminarsi lentamente per la sua strada, sicura che lui non l’avrebbe fermata. La verità di quelle parole lo aveva colpito come una doccia fredda, affondando più volte le sue mani invisibili in ciò che restava del suo cuore tormentato e attraverso quella nuova, improvvisa consapevolezza, tutto divenne finalmente più chiaro…

Quella giornata non era certo iniziata nel migliore dei modi, poi come se non bastasse Fanny e Christian avevano deciso di passare con loro gran parte del pomeriggio e, cosa ancora peggiore, sembravano non avere intenzione di andarsene. Johanna era così stata costretta a rifugiarsi in camera sua per sfuggire a quell’insostenibile sguardo sprezzante che Christian si divertiva ormai a usare con lei, ferendola ogni volta di più. Era arrabbiato e questo poteva anche provare a comprenderlo, ma perché non si decideva a lasciarla in pace? Sarebbe stato mille volte meglio anche lui se si fosse sforzato di ignorarla, ma forse era chiedere troppo. Ripetè a se stessa che non avrebbe dovuto lasciarsi coinvolgere di nuovo in una relazione senza futuro come quella, e che tutto ciò che stava passando se lo meritava di certo, ma questo non avrebbe cambiato niente. Il suo cuore era di nuovo andato in pezzi, e stavolta non era affatto sicura di riuscire a ritrovarli tutti. A cosa sarebbe servito rimetterli insieme? Lo aveva già fatto, più e più volte nella sua vita, ed era passato parecchio tempo prima che riuscisse a ritrovare il sorriso. E ora, sarebbe stata capace di mettersi di nuovo in piedi dopo quella nuova delusione? No, non ne era affatto convinta. Quel doloroso turbinìo di pensieri fu interrotto solo da un vivace cicaleccio proveniente dal corridoio, che le diede la spinta necessaria a mettere finalmente il naso fuori da quella camera per sforzarsi di capire da dove provenisse. Non ci volle molto a riconoscere le voci concitate di Laly e Fanny, che qualche stanza più avanti discutevano animatamente di qualcosa che risultò comprensibile alle sue orecchie solo quando si avvicinò di più a quella porta chiusa. Cercò di ricordare a se stessa che era un po’ troppo cresciuta per mettersi a origliare conversazioni che di certo non la riguardavano, ma la curiosità aveva ancora una volta prevalso sul buon senso. Anche se, non appena appreso il reale significato di quelle parole, non potè che pentirsi amaramente di un gesto così azzardato.

- Come è potuto succedere, Laly?

- Gli aborti spontanei possono capitare tesoro, specialmente alle primissime gravidanze. È successo anche a me e so che è un grande dolore, ma non potrai continuare a mentire a Christian per sempre.

- No, non per sempre, solo per il tempo necessario a fare in modo che quella gattamorta torni finalmente da dove è venuta.

- Non puoi sapere se accadrà, se è vero che quei due hanno una relazione faranno di tutto per continuare a stare insieme. Johanna potrebbe decidere di non partire.

- Christian non mi lascerà se continuerò a fargli credere di avere ancora in grembo suo figlio, non permetterò mai loro di avere una possibilità. Ma non posso farcela se non mi dai una mano perciò ti prego Laly, continua a mantenere il segreto ancora un po’…

Da quando Peter era tornato a casa aveva come l’impressione che in lei ci fosse qualcosa di diverso. All’apparenza sembrava la solita Hèléne, innamorata, felice e pronta ad affrontare una nuova vita insieme a lui…almeno era questo ciò che credeva, ma il suo continuo passeggiare per la sala da pranzo con aria inquieta e per giunta nel bel mezzo della notte cominciava a dargli di che pensare. E forse di che dubitare, considerando il fatto che ormai la stava osservando da parecchio tempo e che lei non sembrava essersene minimamente accorta. Almeno finchè non decise di attirare la sua attenzione, sperando di non spaventarla. Mancava appena una settimana e finalmente sarebbero diventati marito e moglie, probabilmente avrebbe dovuto abituarsi a quelle “scappatelle” notturne dal letto coniugale per perdersi in chissà quali importanti pensieri che non avrebbero potuto attendere la mattina dopo.

- Se non la smetti di camminare su e giù finirai per fare un buco nel pavimento e ci cadrai dentro.

Scherzò, e solo allora la donna sollevò lo sguardo verso di lui, trasalendo e svelando così la sua espressione angosciata.

- Mi dispiace di averti svegliato – mormorò passandosi le mani tra i lunghi capelli scomposti e stringendosi nelle spalle – io… ero solo scesa a prendere un bicchier d’acqua. Torno subito a letto.

- Che cosa c’è che non va?

Continuò lui coprendo le sue ultime parole mentre le andava vicino, attirandola a sé con un sorriso comprensivo.

- Sei preoccupata per il matrimonio? Devi stare tranquilla amore, stavolta andrà tutto bene. Te lo prometto.

La vide annuire con scarsa convinzione prima di sciogliersi dolcemente dal suo abbraccio, accarezzandogli una guancia e tornando a guardarlo negli occhi. Quegli occhi carichi di speranza che adesso sembravano sfiorarla con infinita tenerezza, indugiando a lungo nei suoi finchè per lei fu impossibile sopportarlo oltre. Lo amava e proprio per questo doveva essere sincera con lui, continuare a fingere di essere pronta al grande passo sarebbe stato inutile, oltre che crudele nei suoi confronti. Per tutto quel tempo aveva creduto che fosse ciò che voleva anche lei, convincendosi che onorare quel sacro impegno sarebbe stato l’ultimo ostacolo da superare per essere finalmente completi, ma ora…ora non ne era più così sicura. La data del fatidico giorno era sempre più vicina e i suoi altalenanti sentimenti in merito l’avevano colta impreparata, facendola andare alla deriva e confondendole le idee. Ma adesso, nel preciso istante in cui i loro sguardi si erano incrociati, sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto fare per provare a togliersi quel peso dal cuore.

- Peter – cominciò esitante, stringendo più forte le sue mani – credo di non essere più sicura di niente. Insomma, so di amarti e di voler passare con te il resto della mia vita, questa è la mia unica certezza, ma…non sono ancora pronta a fare un passo così importante. Fra qualche tempo forse, ma ora…

- Aspetta un momento – la interruppe lui, incredulo – tu stai cercando di dirmi che non vuoi più sposarmi?

- Sto cercando di dirti che mi sentirei meglio se rimandassimo il matrimonio ancora per un po’. Questo però non cambierà niente tra noi perciò, ti prego, non guardarmi in quel modo. Ti amo. Lo sai che ti amo.

Ripetè più volte provando a tranquillizzarlo, o forse a tranquillizzare se stessa mentre gli accarezzava i capelli, lasciandosi poi stringere in un lungo abbraccio dentro al quale si persero senza parlare prima di tornare alla realtà, cercandosi con gli occhi e le mani ancora una volta.

- Anch’io ti amo, Hèlène – disse lui infine – e farei qualunque cosa per te, perciò se vuoi aspettare ancora vorrà dire che aspetteremo, non importa. Desidero solo vederti serena.

- Grazie. So di chiederti tanto, e mi dispiace.

Rispose, e le sue labbra si incresparono in un sorriso triste presto cancellato dal bacio che ne seguì. Un bacio intriso di promesse che servì a tranquillizzare entrambi e che rimandò Peter al piano di sopra, dove aveva promesso di aspettarla impaziente. La donna vagò ancora un po’ per la stanza, stringendosi nella sua elegante vestaglia ricamata e attraversando lentamente il vasto giardino poco illuminato, assaporando appieno la sensazione di benessere e tranquillità che pian piano la pervase e come il canto di una dolce ninna nanna cullò a lungo il suo cuore, finalmente più leggero. Era felice che Peter avesse mostrato di comprendere le sue titubanze finendo per accettare quella proposta, seppur azzardata, ma di sicuro l’unica in grado di appianare ogni cosa. Almeno per il momento. Sì, era senz’altro la soluzione migliore e sperò con tutta se stessa che gli amici, ma soprattutto suo padre capissero. Anzi, avrebbe dovuto chiamarlo immediatamente la mattina successiva per spiegargli tutto e pregarlo quindi di non partire per raggiungerla, sarebbe stato inutile a quel punto. Mentre pensava a quali fossero le parole più giuste da usare per spiegargli la situazione senza turbarlo degli improvvisi passi dietro di lei catturarono la sua attenzione, costringendola a voltarsi verso l’ombra che lentamente l’aveva raggiunta, sovrastandola dall’alto e lasciandola stupita.

- Nicolas, che ci fai qui a quest’ora?

Gli chiese, e lo vide sorridere sornione.

- Lo sai che potrei farti la stessa domanda, vero?

- Bè, non riuscivo a dormire.

Spiegò lei dopo un breve momento di silenzio.

- Nemmeno io.

Fu la risposta di lui che lasciò vagare a lungo lo sguardo sul suo viso, provocandole intense e familiari sensazioni che però si sforzò di ignorare, celandole invece dietro un caldo sorriso.

- Sai, ho appena annullato il matrimonio.

Disse d’un fiato, lasciandolo a bocca aperta e portandolo così a chiederle spiegazioni. Tuttavia l’amico non potè fare a meno di provare uno strano, sottile piacere per quella notizia così improvvisa che in un attimo era stata capace di stravolgere completamente la sua disastrosa serata. Mentre Hèléne parlava si rese conto di non riuscire a seguire una parola di tutte quelle strampalate giustificazioni senza senso che si affannava tanto a dargli, quasi avesse qualcosa da nascondere, e a dispetto di ciò che avrebbe voluto dirle le sue labbra restarono invece sigillate. Visto però che quella cominciava ad assomigliare tanto alla notte delle confessioni, decise di raccontarle l’unica cosa che avrebbe potuto farla smettere di fornirgli frasi fatte, senza alcuna convinzione.

- Marie mi ha lasciato. Devi ammettere che questa è peggio, perciò uno a zero per me.

- Oh no, mi dispiace tanto.

La sentì rispondere, sinceramente colpita, coprendosi la bocca con la mano e avvicinandosi di più per abbracciarlo e mostrargli tutta la sua comprensione. Ma Nicoas non aveva certo bisogno di comprensione, né tantomeno di consolazione. Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa per aver costretto Marie a fare ciò che lui stesso non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare…sì, era solo un codardo ma la cosa più buffa era che non gli importava nemmeno, poiché tutto in quel magico momento tra le braccia della storica ex fidanzata aveva finalmente riacquistato un senso, permettendo a quel complicato puzzle che era diventato il suo cuore, e che tante volte aveva cercato faticosamente di ricomporre, di tornare a battere e pulsare in tutta la sua interezza. Di tornare a riemergere solo per lei, l’unico vero amore della sua vita…

- Ti rendi conto che non puoi piombare in casa mia per raccontarmi queste cose e pretendere anche che io ti stia a sentire?

Esclamò Christian fuori di sé, fulminandola con lo sguardo e sperando così che lei smettesse finalmente di parlare, anche se Johanna non aveva alcuna intenzione di farlo. Non ora che aveva scoperto come stavano davvero le cose. Ci aveva pensato a lungo, forse troppo a lungo prima di decidersi a compiere quel delicato passo che avrebbe inevitabilmente portato a delle conseguenze, ma sapeva che, comunque fosse andata, quella era la cosa più giusta da fare.

- Devi starmi a sentire Christian, perché ciò che ti ho detto è la pura verità. Fanny ti sta ingannando, come fai a non capirlo? Vuole tenerti legato a sé con la scusa del bambino, ma è proprio questo il punto: non c’è nessun bambino, non più. Devi credermi, io l’ho sentita…

- Ora basta – gridò sollevando una mano per zittirla, mentre lottava con se stesso per mantenere il poco autocontrollo rimastogli dopo quella assurda rivelazione – si può sapere che cosa vuoi da me? Prima mi lasci, dicendomi che devo vivere la mia vita insieme alla famiglia che ho creato, poi vieni qui e improvvisamente cominci a farmi certi discorsi senza senso! Io… non capisco proprio dove tu voglia andare a parare Johanna, perciò piantala con le stronzate! È di mio figlio che stiamo parlando!

Il tono di voce aspro che stava usando con lei la fece sussultare violentemente, tuttavia costrinse il suo sistema nervoso a non cedere a quei continui attacchi che adesso rischiavano seriamente di farla crollare. Come poteva pensare che gli stesse raccontando delle bugie, per quale motivo si rifiutava acora di comprendere la situazione? No, non avrebbe ceduto e non solo perché ormai c’era dentro fino al collo, ma anche perché non gli avrebbe mai permesso di rovinarsi con le sue stesse mani. Per un attimo aveva creduto che Fanny fosse la ragazza giusta per lui, che sarebbe riuscita a renderlo felice come meritava di essere, ma evidentemente non era così. Ormai ne aveva la certezza.

- Lo so benissimo e mi dispiace che sia finita in questo modo, ma sto cercando di aprirti gli occhi. Non fidarti di lei, non è sincera e se continuerai a credere a tutto quello che ti dice finirai per soffrire e basta. Ti prego ascoltami, si sta prendendo gioco di te e dei tuoi sentimenti. Non permetterle di continuare a farlo.

Lo vide scuotere la testa con decisione per poi scaraventare a terra con forza la teiera già pronta per la colazione che non era più riuscito a fare, data quell’intrusione tutt’altro che piacevole.

- Stai zitta – sibilò a denti stretti, ma le sue parole furono in parte coperte dal violento tonfo appena provocato ai suoi piedi – Fanny non sarebbe mai capace di fare una cosa del genere e tu non puoi permetterti di parlare così di lei, perché non la conosci affatto.

- Nemmeno tu, a quanto pare.

Fu la secca risposta della donna prima che lui si precipitasse alla porta d’ingresso per spalancarla d’un tratto con gesti bruschi e nervosi, rivolgendole una lunga occhiata carica di sdegno che di nuovo in quella giornata appena cominciata non potè far altro che gelarle il sangue nelle vene.

- Vattene – disse, livido di rabbia – vai subito fuori da casa mia, non voglio più ascoltarti.

- Christian…

- Fuori di qui!

Le intimò con convinzione, sperando che questo potesse servire a chiarirle le idee riguardo le sue reali intenzioni e lei non si fece attendere molto, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo mentre lasciava lentamente quella casa che, ne era sicura, si stava già trasformando nella sua personale prigione dorata.

- Mi dispiace tanto di aver annullato il matrimonio, ti ho fatta venire fin qui per niente.

Le sussurrò Hèléne con aria colpevole, seguendola in giardino insieme agli altri e osservando sconsolata i ragazzi aiutare l’amica a caricare le valigie sul taxi che attendeva proprio all’ingresso della villa, e che presto l’avrebbe condotta in aeroporto.

- Bè, potevi pensarci prima di farmi spendere un patrimonio per quel vestito!

Esclamò Johanna fingendosi accigliata, affrettandosi poi ad abbracciarla con calore per tranquillizzarla non appena si accorse della sua espressione.

- Ehi, stavo solo scherzando – aggiunse con un sorriso – lo sai che mi fa sempre piacere stare in vostra compagnia, ma è tempo che vada adesso. Tornerò a trovarti, te lo prometto.

- Anche perché non vorrai mica perderti la nascita del bambino, vero?

Si intromise Benedicte, abbracciandola a sua volta.

- Non ci penso neanche! Hai sentito, piccolo? Non puoi nascere senza di me, perciò comportati bene lì dentro.

Rispose sfiorando con una tenera carezza l’addome ancora poco pronunciato dell’amica, prima di salutare tutti per l’ultima volta e prendere finalmente posto in macchina, trattenendo a stento le lacrime mentre si allontanava pian piano da quella che aveva sempre considerato come una seconda famiglia e che sapeva le sarebbe mancata come non mai, una volta tornata a casa. Fu in quel momento che l’immagine di Christian le attraversò la mente alla stessa velocità di un proiettile, permettendo così a un improvviso singulto soffocato di distorcere i lineamenti del suo bel viso per renderla schiava, anche se per un interminabile secondo, di uno struggente ricordo che una volta di troppo si era divertito a riempire il suo cuore, gonfiandolo di un nuovo, vecchio dolore ormai impossibile da cancellare…

Christian non poteva credere che fosse successo davvero, eppure le accuse di Johanna erano state fin troppo chiare e pesanti perché potesse anche solo provare a dimenticarle. Con il passare delle ore il tarlo insistente di quell’atroce dubbio si era pian piano insinuato sotto la sua pelle, ramificando nella sua anima senza che potesse far niente per fermarlo. Doveva sapere la verità, e si rese conto di non poter aspettare un minuto di più quando nel tardo pomeriggio Fanny tornò finalmente a casa, rivolgendogli un sorriso sicuro quando lo sorprese ad attenderla seduto sul divano, cercando intanto di comprendere la reale natura delle intenzioni che il compagno celava dietro quella maschera di compostezza, apparentemente impenetrabile che era il suo viso.

- Tutto bene? Come sta il bambino?

Si sentì chiedere a bruciapelo, sussultando in quegli occhi scuri e improvvisamente pungenti come spilli che incrociarono per la prima volta i suoi, mettendola stranamente a disagio.

- Benissimo…va tutto alla grande.

Rispose in fretta mentre cercava di sfuggire al suo sguardo penetrante che adesso sembrava seguire con estrema attenzione ogni suo più piccolo movimento, in un angoscioso crescendo di tensione e imbarazzo che la ragazza si ritrovò a dissimulare con non pochi sforzi. Cercò di scacciare via il fastidioso campanello d’allarme che ben presto risuonò nella sua mente stanca, chiedendosi per quale motivo quel giorno lui le sembrasse così strano. In quel momento una nuova, tagliente domanda riempì la minuscola stanza, colpendola come una stilettata a tradimento.

- Ne sei sicura?

Chiese con un sottile accento mellifluo che non le piacque per niente.

- Certo – disse lei, e si accorse che la sua voce tremava – si può sapere perché sei così insistente, oggi?

- Quindi – proseguì lui, alzandosi dal divano per muovere lentamente qualche passo verso di lei – se ci fosse qualcosa che non va tu me lo diresti, non è così?

Fanny deglutì nervosamente, mordendosi le labbra aride.

- A…a cosa ti riferisci? Non capisco.

Balbettò confusa, sentendosi in trappola.

- Allora fallo – lo sentì replicare, stavota con decisione – dimmi che non c’è assolutamente nulla di cui dovrei preoccuparmi, dimmi che non mi stai nascondendo qualcosa riguardo a questa gravidanza. Dimmelo, e non avrò più motivo di insistere.

- Giuro che non ti capisco Christian, che diavolo ti prende?

Proruppe lei, mettendosi sulla difensiva.

- Non hai perso il bambino che stavi aspettando, vero Fanny? Lui è ancora con noi…mio figlio c’è ancora, oppure…

Un improvviso nodo in gola gli impedì di continuare a parlare non appena si accorse che l’espressione della ragazza stava lentamente cambiando, trasformando via via i lineamenti in un’evidente, tragico spettacolo dal quale per un attimo si sentì sopraffatto. Dunque era tutto vero, Johanna non gli aveva mentito.

- Come è successo, perché non mi hai detto niente?

Disse dopo un lungo momento di silenzio, la voce ridotta a un flebile, spezzato sussurro. Fanny singhiozzò in preda alla disperazione, coprendosi il viso con entrambe le mani per nascondere le lacrime che copiose avevano già preso il sopravvento su di lei, facendo crollare di colpo tutti quei buoni propositi che si era ripromessa di mantenere. Almeno fino a quel momento.

- Mi dispiace, mi dispiace così tanto…ma ho pensato che se te lo avessi confessato ti avrei perso per sempre. So tutto Christian, so della tua relazione con Johanna, vi ho visti, e sapevo che mi avresti lasciata se avessi scoperto che avevo perso il bambino. Volevo solo prendere tempo, aspettare che lei andasse via per essere sicura che saresti rimasto con me. Che non mi avresti mai abbandonata. Come hai fatto a…

- Lei è stata qui questa mattina – la incalzò abbassando lo sguardo, colpevole – e mi ha detto tutto. Ha raccontato di averti sentita parlare di ciò che era successo, e di avere capito che mi stavi ingannando. Ma io non ho voluto crederle. Le ho urlato che non era possibile, che tu non saresti mai stata capace di nascondermi una cosa come questa solo per tenermi legato a te, e poi le ho chiesto di andarsene. Le ho sbattuto la porta in faccia, e invece mi aveva detto la verità.

Si prese la testa fra le mani, accasciandosi pesantemente su una sedia e restando lì a lungo, completamente perso in quei temibili e contrastanti sentimenti finchè non ebbe di nuovo la forza di parlare.

- Come hai potuto farmi questo, Fanny? Avevo il diritto di saperlo, quello era anche mio figlio.

Fece un vago cenno nella sua direzione, provando a metterla a fuoco attraverso le lacrime che gli offuscavano la vista.

- Mi dispiace – ripetè lei, asciugandosi gli occhi con leggeri movimenti delle dita – sono stata una stupida e so che non sarà facile per te perdonarmi ma ero disperata, così ho agito senza pensare.

Christian non rispose e Fanny si lasciò cadere sul divano, oservandolo tristemente a distanza per un tempo che le sembrò interminabile prima di decidersi a prendere di nuovo la parola.

- Dovresti andare da lei – disse inaspettatamente, facendogli risollevare di colpo lo sguardo – in fondo è giusto così, vi ho già tenuto lontani per troppo tempo. Ho creduto che sarei riuscita a legarti a me per sempre, e invece ti avevo già perso. Ti ho perso dal primo momento in cui l’hai rivista, non è così? Era solo questione di tempo e vi sareste ritrovati. So che la ami, e che ciò che hai provato per me non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che invece hai sempre sentito per lei, perciò…credo che dovresti tornare a cercarla.

- È troppo tardi.

Rispose lui, con l’amara sensazione di averla perduta sul serio stavolta. Ripensò a tutto ciò che le aveva detto solo qualche ora prima, sentendosi un verme. Era stato davvero brutale con lei e non se lo meritava di certo.

- Non se ci provi.

Lo esortò la ragazza, lasciandolo di stucco ancora una volta. Sapevano entrambi che la loro relazione era ormai giunta al capolinea, girarci ancora intorno sarebbe stato inutile e se ne rese conto di nuovo mentre, rivolgendole una breve, impenetrabile occhiata lasciava lentamente quella casa per raggiungere l’unica donna con cui avrebbe voluto passare il resto della vita. Quando però bussò alla porta d’ingresso della lussuosa villa, trovandosi davanti un Josè che con aria perplessa gli spiegava che Johanna era già partita da un pezzo gli sembrò che il cuore gli esplodesse dall’interno, dando vita a quella profonda e tanto temuta voragine in cui mai più avrebbe voluto ricadere. No, non poteva perderla così, per questo doveva assolutamente fermarla…

Scese dall’auto con il cuore in gola, parcheggiandola proprio davanti all’entrata dell’aeroporto senza nemmeno curarsi delle conseguenze. Doveva sbigarsi se voleva raggiungerla in tempo. Controllò velocemente i voli sul tabellone, tirando un sospiro di sollievo quando apprese che l’aereo diretto a Houston non era ancora partito. Mancava poco, ma c’era comunque speranza di incontrarla. L’avrebbe fermata, a qualunque costo. Solo che non sapeva come. Sarebbe davvero stata disposta ad ascoltarlo? Non dovette chiederselo a lungo perché poco dopo e con immensa gioia la individuò in fila in mezzo a tanta altra gente, in silenziosa attesa del suo turno per essere finalmente ricondotta a casa, lontana da quella città caotica a cui non era certo più abituata e che, ovunque volgesse lo sguardo, le ricordava il suo amore perduto.

- Johanna!

Chiamò a gran voce per attirare la sua attenzione e la vide voltarsi lentamente tra la folla, restando sorpresa non appena si accorse di chi aveva appena pronunciato il suo nome.

- Christian? Ma cosa…che ci fai qui?

Esplose incredula, interrogandolo con lo sguardo mentre si faceva faticosamente largo fra le persone per raggiungerlo.

- Ti prego, non partire. Non andartene via di nuovo, non credo che stavolta riuscirei a sopportarlo.

La supplicò d’un fiato e lei scosse la testa, abbassando tristemente gli occhi.

- Per quale motivo dovrei restare, non c’è più niente che mi trattenga qui. Il matrimonio è stato annullato e io devo rientrare al lavoro, quindi…addio Christian.

E fece per andarsene ma lui la trattenne con uno scatto deciso, chiudendo la mano attorno al suo polso e costringendola così a rimanere dov’era.

- Mi farai perdere l’aereo.

Protestò lei, anche se con scarsa convinzione. Il contatto con la sua pelle calda le annebbiava la mente, impedendole di essere lucida come voleva. Si impose tuttavia di mantenere il controllo di se stessa, pregando silenziosamente che si decidesse a lasciarla andare come era giusto che fosse. Il ricordo della loro ultima, turbolenta discussione tornò a investirla come un fiume in piena, procurandole un dolore sordo proprio al centro del petto che difficilmente sarebbe riuscita a scacciare ora che lui le stava proprio davanti, cercando disperatamente i suoi occhi sfuggenti.

- Perdonami per non essermi fidato di te, per non averti creduta quando sei venuta a dirmi quelle cose. Avevi ragione, avevi ragione su tutto. Fanny mi ha appena confessato ogni cosa e io mi sono reso conto che non potevo lasciarti andare via così. Non senza averti prima detto ciò che provo. Ti amo Johanna, ti amo praticamente da tutta la vita e non ho più alcuna intenzione di rinunciare a noi perciò ti prego, ti supplico, non salire su quell’aereo. Non lo voglio io e so che non lo vuoi nemmeno tu.

Sussurrò allentando la presa e le sue dita scivolarono dolcemente dal polso alla sua mano, accarezzandola a lungo e stringendola forte in un ultimo, forse sciocco tentativo di trattenerla ancora un po’.

- Quello che voglio non ha più importanza, ormai. È tardi, devo andare. Avevo ragione io, lo so, noi due siamo incompatibili.

Disse mentre gli voltava le spalle, interrompendo bruscamente quel dolce contatto tra loro per lasciargli dentro un’insopportabile senso di vuoto e dolorosa perdita, come se gli avessero appena strappato a forza un braccio o una gamba. Oppure l’anima stessa. La osservò allontanarsi da lui per perdersi ben presto tra il chiacchiericcio della folla, desiderando ardentemente correrle dietro per costringerla a fermarsi, a non buttare all’aria in questo modo tutto quello che potevano ancora avere insieme. Forse, però, non era tutto perduto. Valeva la pena tentare…

Si rese conto di aver appena commesso una pazzia cercando astutamente di eludere la sorveglianza per raggiungere la pista e quando fu sufficientemente vicino, tanto da poterla chiaramente distinguere accingersi a salire sull’aereo gridò il suo nome con quanto fiato aveva in corpo, costringendola a voltarsi verso di lui, sconvolta.

- Che diavolo stai facendo, non puoi stare qui!

Esclamò fermandosi di colpo per vederlo tentare di avvicinarsi di più, intimandogli più volte di andarsene via e di lasciarla in pace, anche se sapeva che sarebbe stato del tutto inutile provare a farlo ragionare.

- Non me ne frega niente se siamo incompatibili – continuò a urlare ignorando le sue proteste e catturando l’attenzione di tutta la gente vicina, che intanto lo osservava a bocca aperta – io voglio stare con te, mi hai sentito? Non ti lascerò andare via stavolta, dovessi sfidare tutte le leggi dell’universo in una volta sola e puoi dirmi tutto quello che ti pare, puoi anche odiarmi se vuoi o salire su quel maledetto aereo per non tornare mai più, ma sappi che ti seguirò in capo al mondo e ovunque tu sia riuscirò a raggiungerti per riportarti indietro, che tu lo voglia oppure no! Perciò se adesso te ne vai sappi che sarà solo questione di tempo e alla prima occasione mi avrai di nuovo tra i piedi, perché non esiste che tu possa liberarti di me così facilmente! Ti amo e ti amerò per il resto della mia esistenza, e se non vuoi credere nemmeno a questo allora io…

Non ebbe il tempo di finire la frase perché lei lo raggiunse con un balzo deciso che lo colse di sorpresa, gettandogli le braccia al collo e chiudendogli la bocca con un bacio che fece esplodere la folla intorno a loro in un coro di festanti applausi che ben presto però richiamarono l’attenzione della sicurezza, costringendoli a precipitarsi in mezzo a loro per osservare basiti la scena che si consumava davanti ai loro occhi.

Ti amo anch’io, ti amo tanto.

Mormorò lei prima che entrambi si perdessero in un lungo e tanto desiderato abbraccio, nascondendo la testa sulla sua spalla per trattenere le cocenti lacrime di commozione che adesso le pungevano insistentemente le palpebre, pretendendo impudicamente di rigarle il viso.

- Tu sei completamente pazzo, lo sai?

- Perdonami. Resta con me.

Le ripetè lui stringendola di più mentre le sue mani scivolavano piano sui suoi fianchi ben modellati, provocandole un brivido lungo la schiena.

- Dammi una settimana – gli rispose, senza riuscire a smettere di baciarlo – dammi solo una settimana. Sistemerò le cose a casa e al lavoro, e ti prometto che tornerò da te.

- Giuramelo.

Johanna sorrise.

- Te lo giuro amore, ma adesso lasciami andare. Ti chiamo quando atterro.

La lasciò, permettendole di allontanarsi poco prima di essere trascinato via da lei, seguendola tristemente con lo sguardo ma finalmente con il cuore più leggero poiché sapeva che presto, molto presto avrebbe potuto riabbracciarla di nuovo, e che stavolta sarebbe stato per sempre…

Quando quella sera John tornò a casa trovò Fanny rannicchiata in un angolo del divano, e la sua espressione era così triste che non potè fare a meno di preoccuparsi quando le si sedette accanto, scostandole dolcemente i capelli dagli occhi solo per scoprirli gonfi di lacrime.

- Che cosa c’è tesoro mio, ti senti male, è il bambino? E dov’è Christian, come mai non è qui con te?

Le chiese, osservandola sconvolto mentre le accarezzava la schiena in un ritmico movimento per provare a placare un po’ quell’evidente e ai suoi occhi ingiustificata disperazione, che ebbe l’effetto di allarmarlo ancora di più.

- Non c’è più nessun bambino, papà – rispose con voce atona, evitando accuratamente il suo sguardo incredulo – e Christian se ne è andato. Ha raggiunto Johanna, a quest’ora saranno sicuramente insieme.

- Cosa? Non è possibile… io lo ammazzo quel bastardo!

Esplose a quel punto, rialzandosi in piedi furioso e dirigendosi verso la porta d’ingresso per uscire subito, o almeno per provare a farlo visto che la figlia fu svelta a bloccarlo, posandole una mano sul braccio con risolutezza per frenare così la sua folle corsa.

- No – disse piano, scuotendo lentamente la testa – gli ho chiesto io di andare. È giusto così, l’unica cosa che desidera è stare con lei. Io devo solo farmi da parte, adesso.

- Oh picola, sono così addolorato per tutto questo. Raccontami ciò che è successo.

Le sussurrò John riprendendo posto vicino a lei e attirandola a sé per consolarla.

- Ho perso il bambino papà, ho perso entrambi per sempre.

Fu ciò che riuscì a dire prima di scoppiare in un pianto dirotto, stringendosi forte a lui e desiderando con tutto il cuore di poter dimenticare in fretta la triste sorte che le era toccata. La vita era cieca e sorda al dolore altrui e molto spesso si divertiva a deridere le sue vittime senza volto, spingendole più volte lungo il bordo del baratro per provare la loro resistenza. E lei, sarebbe mai riuscita a non cadere?

- Christian, cosa ci fai qui a quest’ora?

Esclamò Nicolas quando quella sera, aprendo la porta di servizio se lo ritrovò proprio davanti, l’aria insolitamente smarrita ma felice.

- È una lunga storia.

Rispose lui, passandosi stancamente una mano sugli occhi mentre l’amico lo invitava a entrare in cucina.

- Bè, nessuno qui ha fretta.

Disse sorridendo, pilotandolo poi verso il salotto.

- …e così sono stato trattenuto all’aeroporto. Probabilmente pensavano che fossi una qualche specie di terrorista o roba del genere, e uscendo mi sono anche beccato una multa.

Spiegò Christian agli amici che intorno a lui, increduli e sconvolti sembravano ancora pendere dalle sue labbra, terminando così quel lungo e improbabile racconto che lo aveva visto protagonista.

- Non riesco a credere che tu abbia fatto una cosa del genere.

Considerò Josè, ridacchiando divertito e bevendo una lunga sorsata del suo aroma preferito.

- Mi dispiace veramente tanto per il bambino, ma sono contento che tu e Johanna vi siate ritrovati. Se stare con lei ti rende felice, non possiamo che appoggiare questa vostra decisione.

Intervenne Nicolas, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla e osservandolo armeggiare nervoso con il telefono che aveva appena estratto dalla tasca.

- Già, a proposito…dovrebbe essere atterrata da ore, mi chiedo perché non mi abbia ancora chiamato. Magari provo a farlo io.

Disse prima di allontanarsi dal gruppo per dirigersi in giardino, componendo il suo numero e restando amaramente deluso quando invece si rese conto che il suo cellulare risultava ancora spento. Riprovò più e più volte, gettando infine la spugna perché sicuro che lei lo avrebbe richiamato presto, forse il volo aveva portato un po’ di ritardo. Sperò che fosse davvero così, aveva una gran voglia di sentire la sua voce e non era affatto sicuro di poter resistere ancora a lungo, ma quando tornò in sala da pranzo le facce scure degli amici che lo fissavano silenziosi lo impensierirono non poco e si chiese cosa potesse essere successo di tanto grave per ridurli in quello stato.

- Christian – cominciò Nicolas, la voce insolitamente bassa e gli occhi umidi di lacrime – abbiamo appena appreso la notizia al telegiornale. Non spaventarti, ma l’aereo su cui si trovava Johanna non è mai arrivato a destinazione. Risulta…disperso.

Per un attimo credette di non aver afferrato bene il senso di quelle parole. Che diavolo stava cercando di dirgli, era tutto assurdo.

- Non può essere, non è vero…

Mormorò in preda all’angoscia e dovette appoggiarsi saldamente alla parete per non crollare.

- Lo sapevo, lo sapevo che le sarebbe successo qualcosa! Era in pericolo, i tarocchi di Olga non sbagliano mai. Un oscuro presagio di morte…

Laly continuò a farneticare in preda alla disperazione finchè Christian non le fu addosso, scrollandola con rabbia e intimandole di smetterla con tutte quelle stupidaggini prive di logica.

- Stai zitta, non provare più a dirlo! Lei non è morta, chiaro? Non dire mai più quella parola o giuro che ti chiudo per sempre quel dannato becco parlante!

Urlò fuori di sé mentre gli altri accorrevano per calmarlo e fu in quel momento che Benedicte, in lacrime, si accasciò a terra accusando delle strane e violente contrazioni che spaventarono Josè a tal punto da decidere di portarla subito in ospedale.

- Il bambino sta benissimo. Si tratta solo di un po’ di stress, cerchi di restare a riposo il più possibile e vedrà che andrà tutto bene.

Li tranquillizzò il medico dopo un’ecografia di controllo e la donna non potè che piangere di gioia, stringendo forte la mano del marito che intanto non l’aveva lasciata un attimo.

- Tutto a posto, hai visto? Sono felice che il piccolo stia bene, e mi dispiace tantissimo di averti chiesto di abortire, sono stato uno stronzo. Non ho alcun diritto di avercela con te, non hai fatto proprio niente di male. Hai solo cercato di rifarti una vita, sono io quello che ha sbagliato tutto ma ti prometto che d’ora n poi, qualunque cosa accada resterò sempre al tuo fianco. Non ti lascerò mai più amore mio, perdonami ti prego.

Disse sinceramente e Benedicte si sporse dal letto quanto bastava per abbracciarlo, asciugandosi le lacrime che le rigavano il volto stanco e segnato.

- Ti amo, Josè.

Gli sussurrò sfiorandogli le labbra con un bacio, poi sospirò sconsolata.

- Credi che Johanna sia…

Aggiunse poco dopo, ma un nodo in gola le impedì di completare la frase. Quell’eventualità era davvero troppo dolorosa per essere anche solo presa in considerazione.

- Non lo so – rispose lui, cauto, accarezzandole da cima a fondo le spalle contratte – possiamo solo pregare per lei, e sperare che non le sia successo niente di brutto.

Fu allora che la porta si aprì lentamente, rivelando un Jimmy dall’espressione allarmata che accompagnato dalla giovane Leah fece il suo ingresso nella stanza, studiandoli accigliato prima di decidersi a parlare.

- Benedicte, ho appena saputo…stai bene? Il bambino…

- È tutto a posto – lo rassicurò con un sorriso appena accennato – ma voi che ci fate qui?

- Hèléne si è scordata di avvisarmi che a quanto pare il matrimonio è stato annullato, così eccomi qui. Mi hanno detto di Johanna, è per questo che sei finita in ospedale? Devi cercare di restare calma e tranquilla per il nostro bambino, lo sai.

- Come faccio a stare tranquilla in una situazione del genere? Non sappiamo nemmeno se ci sia ancora speranza di ritrovarla.

Disse con voce tremante mentre abbracciava la figlia, che intanto si accoccolava vicino a lei.

- Io…vi lascio soli.

Sussurrò Josè, sentendosi d’un tratto di troppo fra loro e fece per uscire ma la moglie lo trattenne stringendo ancora una volta la sua mano, invitandolo a sedersi di nuovo.

- No, ti prego, resta qui. Non andartene.

Disse, supplicandolo con lo sguardo. Era di lui che aveva bisogno e non doveva allontanarsi solo perché era arrivato Jimmy. Non adesso che le cose tra loro sembravano essere finalmente tornate a posto…

Benedicte era stata tenuta sotto osservazione per tutta la notte prima di essere dimessa dall’ospedale, e anche se i medici le avevano caldamente raccomandato di osservare il riposo assoluto lei non riusciva proprio a star ferma, agitata com’era per la tremenda notizia appresa solo la sera prima e che aveva immediatamente gettato tutti nello sconforto.

- Le ricerche sono già iniziate, stiamo facendo tutto il possibile per ritrovarla.

Spiegava intanto Marie a un’impaziente Hèléne che col volto pallido e teso si stringeva di più nella sua vestaglia, subito confortata da Peter.

- Grazie, Marie – le sussurrò Nicolas, andandole incontro per abbracciarla – davvero. Non so proprio come avremmo fatto senza di te, probabilmente sarebbe passata un’eternità prima che si fossero decisi a organizzare validi gruppi di ricerca, per non parlare di…

- Che differenza avrebbe fatto, me lo spieghi? Non capisci che più passano i giorni, meno possibilità ci sono di ritrovarla viva? Ammesso che riusciate davvero a farlo!

Esplose d’un tratto Christian rimastosene fino a quel momento in un religioso, tragico silenzio e rigorosamente in disparte, interrompendo l’amico con rabbia prima di alzarsi di scatto e afferrare le chiavi dell’auto appoggiate sul tavolino, ansioso di raggiungere l’uscita più in fretta possibile. Cominciava a sentirsi soffocare lì dentro, doveva assolutamente andar via oppure sarebbe impazzito.

- Christian, si può sapere dove stai andando?

Gli chiese Josè, cercando di capirne di più mentre provava a servire la colazione alla moglie. Non le avrebbe certo fatto bene saltare i pasti, specialmente nelle sue condizioni, e anche se lei si rifiutava categoricamente di toccare cibo sapeva che avrebbe dovuto continuare a insistere.

- Fuori. Ho bisogno di aria.

Fu la sua secca risposta poco prima di richiudersi violentemente la porta alle spalle. Guidò a lungo senza una meta precisa, forse per schiarirsi le idee dopo quella drammatica notte insonne appena trascorsa, ritrovandosi infine a bussare alla porta di Fanny.

- Sono venuto a prendere la mia roba. Spero non ti dispiaccia.

Disse in tono incolore mentre la ragazza si scostava per lasciarlo passare.

- No, certo che no. Fai pure, e… Christian, per quel che può valere mi dispiace tantissimo per quello che è capitato a Johanna. Mi auguro che Marie e il suo gruppo riescano presto a ritrovarla e a capire cosa è successo.

Rispose in un soffio, non sapendo cos’altro aggiungere per riuscire a risollevargli il morale, anche se in una situazione simile era davvero difficile mantenere il controllo di sé e delle proprie emozioni. Christian però pareva riuscirci piuttosto bene, almeno all’apparenza. Ma lei aveva ormai imparato a conoscerlo fin troppo bene, e il suo aspetto trasandato e quegli occhi arrossati dal pianto e dalla stanchezza erano la chiara testimonianza del suo tormento interiore. Un tormento che non aveva affatto voglia di mostrare al mondo, perché così facendo avrebbe dovuto arrendersi all’evidenza, costringersi a scrivere la parola fine a quel tragico susseguirsi di eventi che in un momento gli avevano sconvolto la vita. No, non era pronto per quello. Non lo sarebbe mai stato, perché l’unica cosa di cui era assolutamente sicuro era che non voleva perderla. Non più, non un’altra volta e sicuramente non in quelle terribili circostanze. Era impensabile, privo di logica, e avrebbe combattuto con se stesso anche per sempre se fosse stato necessario, pur di provare a convincersene. Sollevò lo sguardo fino a incontrare gli occhi velati di tristezza di Fanny, facendo un respiro profondo per ricominciare a parlare dopo aver annuito lentamente un paio di volte.

- Come stai?

Le chiese, vedendola stringersi nelle spalle con aria rassegnata.

- Come una che ha avuto un aborto spontaneo.

Fu la sua semplice risposta e ancora una volta, in quella lunga mattinata sentì il cuore gonfiarsi di una strana malinconia per la vita che avrebbero potuto avere insieme, se le cose fossero andate in un altro modo. Non lo aveva mai neppure conosciuto eppure quel bambino già gli mancava, e guardandola adesso sapeva che, nonostante tutto, per lei doveva essere esattamente la stessa cosa.

- Eri sola? – domandò ancora – Voglio dire, non c’era proprio nessuno con te quando è successo?

- Laly mi ha soccorsa, portandomi in ospedale.

Rispose, asciugandosi dal viso una lacrima solitaria quando quel doloroso ricordo tornò a colpirle la memoria come uno sparo, lasciandola svuotata e priva di forze.

- Quindi lei sapeva tutto.

Realizzò Christian, amaro.

- Laly non ha nessuna colpa, l’unica responsabile di tutto questo sono io. Le ho fatto promettere di mantenere il segreto con tutti, perciò ti prego, lasciala fuori da questa storia.

- Laly non è certo la mia priorità, adesso.

Replicò lui e in quell’istante il telefono cellulare cominciò a vibrare nella sua tasca, facendolo sussultare.

- Nicolas – disse subito al ricevitore, visibilmente agitato – davvero? Sì, arrivo subito!

- Che succede? Ci sono novità?

Domandò Fanny, osservandolo dirigersi in fretta  verso l’uscita.

- L’hanno trovata. Devo andare.

Fu tutto ciò che riuscì a dire con voce rotta dall’emozione prima di guadagnare velocemente terreno, seguito subito a ruota da lei che faticava quasi a stargli dietro.

- Aspettami! Vengo con te.

- Dov’è? Dimmi che sta bene, ti prego. Dimmi che sta bene…

Farfugliò Christian col cuore in gola una volta raggiunto l’ospedale insieme a Fanny, stringendo forte il polso di Hèléne e supplicandola così di dargli notizie certe che potessero riaccendere in lui e in tutti gli altri un po’ di speranza.

-  È in sala operatoria – rispose la donna, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto – l’hanno portata lì d’urgenza dopo aver scoperto che aveva un’emorragia interna. Quando l’hanno trovata respirava a malapena, e non sanno nemmeno se…se ce la farà.

Le sue ultime parole lo colpirono come una violenta stilettata e dovette prendere posto su una delle sedie della sala d’aspetto, se non voleva crollare. Non avrebbe permesso alle ultime forze rimastegli di abbandonarlo, doveva almeno provare a mantenere la calma. Per se stesso ma soprattutto per Johanna, che una volta risvegliatasi avrebbe avuto bisogno di lui per riprendersi. Se fosse sopravvissuta…

Scacciò con forza quel devastante pensiero dalla sua mente stanca, cercando invece di assimilare più informazioni possibili su qualunque altra cosa riguardasse la salute della donna che amava, ma era veramente difficile riuscire a concentrarsi con Laly che disperata e totalmente fuori controllo non smetteva un attimo di parlare.

- Era già tutto scritto nelle stelle, avrei dovuto capirlo subito. Quest’ospedale, tutto qui dentro trasuda energia negativa!

Continuò a ripetere percorrendo su e giù il lungo corridoio e innervosendo non poco gli amici finchè Christian, ormai al limite della sopportazione non potè evitare di fulminarla con lo sguardo, prima di esclamare spazientito: - Toglietemela davanti, o finirò per ammazzarla davvero stavolta!

- Ci penso io.

Intervenne John, cercando di calmare le acque e trascinando fuori l’ex fidanzata che intanto non aveva smesso un attimo di agitarsi.

- Laly piantala immediatamente, non capisci che così peggiori solo le cose?

La scrollò una volta allontanatisi sufficientemente dall’ormai affollata sala d’aspetto.

- Perché dovrei farlo? Johanna è lì dentro da ore ormai, e nessuno ci ha ancora dato notizie!

Urlò tra le lacrime e fece per allontanarsi di nuovo ma John la trattenne appena in tempo, imponendosi di resisterle il più possibile quando lei provò a divincolarsi dalla sua presa, gridando e strepitando che niente e nessuno l’avrebbe tenuta lontana da lì, finchè l’uomo non vide altra soluzione che schiaffeggiarla per impedirle di continuare quella ridicola sceneggiata che stava già dando sui nervi anche a lui, pentendosi però subito dopo di quel gesto forse un po’ troppo azzardato.

- Mi dispiace, non era mia intenzione colpirti – si giustificò attirandola a sé per abbracciarla – ma dannazione, vuoi tornare in te? Non possiamo far altro che aspettare per il momento, e se continui così finirai per farci impazzire tutti quanti.

La sentì stringersi a lui mentre riprendeva a singhiozzare, abbandonandosi per un po’ fra le sue accoglienti braccia e scoprendo con rammarico quanto le fossero mancati quei piccoli e teneri momenti condivisi con lui. Momenti che con molta probabilità non sarebbero mai più tornati, o almeno così credeva lei.

- Mi manchi, Laly – sussurrò l’uomo inaspettatamente, costringendola a sollevare verso di lui gli occhi bagnati di pianto – quando tutta questa brutta storia sarà finita, vorrei che tornassi a casa con me.

- Oh, John – rispose, accarezzandogli una guancia – lo voglio tanto anch’io. Sono così dispiaciuta di averti deluso, ma devi credermi, ti amo davvero. Antonio non conta niente per me.

Decisero di restare insieme, suggellando con un bacio quella promessa d’amore prima che Nicolas li raggiungesse di corsa. L’intervento si era finalmente concluso…

I ragazzi si precipitarono dal medico che aveva appena terminato l’intervento, chiedendo notizie dell’amica che nessuno di loro era ancora riuscito a vedere, date le sue preoccupanti condizioni.

- Abbiamo fermato l’emorragia ma il suo cuore si è fermato per qualche minuto, e questo ha gravemente compromesso le sue funzioni vitali. Le pupille non rispondono al riflesso della luce, né ad altri stimoli diretti.

- Che cosa…cosa sta cercando di dirci, dottore?

Mormorò Hèléne chiaramente pronta al peggio mentre attendeva silenziosamente la risposta alla sua domanda, così come tutti gli altri.

- È in coma irreversibile. Mi dispiace molto.

La terribile notizia, confermata da quelle parole lente e staccate fu come una doccia fredda improvvisamente piombata dal nulla per gli amici, che dovettero tristemente incassare il colpo cercando di placare il violento tzunami di emozioni di cui in quel momento erano vittime, e qualcuno dovete sorreggere Laly durante un mancamento per evitare che cadesse. Hèléne si coprì la bocca con entrambe le mani e scoppiò in un pianto dirotto che nemmeno il compagno riuscì a placare, mentre Christian continuò a scuotere la testa per qualche minuto, incredulo e ferito dal peggior incubo della sua vita, che adesso sembrava prendere lentamente forma davanti ai suoi occhi. Quello di cui aveva più paura, e che fino a quel momento si era rifiutato di confessare persino a se stesso si materializzava adesso nel suo cuore, torturandogli l’anima e facendolo presto esplodere in un singhiozzo convulso che non si curò nemmeno di reprimere. Tutte le speranze erano crollate miseramente come un debole castello di carte che solo un leggero, minuscolo alito di vento avrebbe potuto abbattere. Corse via, d’un tratto ansioso di allontanarsi da lì e conscio solo del movimento delle sue gambe e dei suoi piedi che, come in una danza ritmata, calpestavano ora velocemente quel pavimento di un bianco lucido che odorava di alcol e ostilità. Finalmente fuori si lasciò andare a un lungo pianto liberatorio che Fanny e Nicolas, che lo avevano seguito a ruota non riuscirono a far altro che ascoltare in silenzio, sapendo di non poter fare niente per lui se non rimanergli vicini il più possibile.

- Avrei dovuto insistere di più con lei – continuò a ripetere tra le lacrime – avrei dovuto trattenerla, convincerla a non partire, e adesso sarebbe a casa con noi. Al sicuro.

- Non è certo colpa tua, Christian.

Provò a consolarlo Fanny posandogli una mano sulla spalla e lui si voltò a guardarla, lasciandosi poi avvolgere in un caldo abbraccio dentro al quale avrebbe voluto sprofondare per sempre, pur di non essere costretto a sopportare tutto questo. Era un incubo, solo un crudele e spaventoso incubo. Non c’era altra spiegazione. Quando più tardi gli permisero finalmente di vederla cercò di ricordare a se stesso che doveva essere forte, che non l’avrebbe persa, anche se la diagnosi emessa dai medici non lasciava proprio alcuna speranza di rivederla tornare a vivere e a sorridere di nuovo, e il suo corpo pallido e mollemente abbandonato sul letto lo gettò di nuovo nello sconforto. Era così piena di ferite ed escoriazioni da non sembrare nemmeno più lei e quando le prese una mano fra le sue, stringendola e baciandola con delicatezza non potè non scontrarsi di nuovo con quella dura realtà, che lenta e inesorabile gli scavava dolorosamente dentro in un crescendo di ansia e disperazione con cui ben presto avrebbe dovuto imparare a convivere, poiché da quel momento sarebbe diventata parte integrante della sua esistenza. Continuare a prendersi in giro sarebbe stato inutile e lo sapeva bene. L’aveva persa, non si sarebbe mai più risvegliata. L’aveva persa per sempre…

Erano ormai passati cinque mesi dal drammatico incidente aereo in cui Johanna era rimasta coinvolta e tragicamente ridotta in stato vegetativo, senza alcuna possibilità di ripresa. Cinque lunghi mesi durante i quali le vite degli amici, ma soprattutto quella di Christian avevano subìto un violento scossone che aveva tutti destabilizzato non poco, costringendoli a scendere a patti con quell’amara realtà tutt’altro che semplice da accettare. Christian però non aveva alcuna voglia di lasciarsi schiacciare dagli eventi, ma soprattutto non avrebbe rinunciato all’assurda speranza a cui ormai si era aggrappato con tutte le forze di vederla un giorno lasciare quel letto d’ospedale per tornare finalmente in mezzo a loro, più bella e più forte di prima. Per questo motivo passava con lei gran parte delle sue giornate, parlandole di tutto e di niente e riempiendo quella minuscola stanza immersa nella penombra di fiori e musica. La sua musica preferita. Forse, se avesse continuato ad ascoltarla, in un giorno non troppo lontano si sarebbe risvegliata…

Poi però era la volta della triste rassegnazione che lo rendeva inquieto e silenzioso mentre la guardava dormire, rapita da quell’oscuro torpore che sembrava avvolgerla come un pesante mantello e che la stava lentamente consumando, allontanandola da lui ogni giorno di più. Perché continuare a sperare che qualcosa potesse cambiare quando nessuno, neppure i medici erano ottimisti? Erano stati perfettamente chiari con lui, intimandogli di prendere una decisione in merito alla cosa il prima possibile, ma come avrebbe potuto decidere per lei? Come poteva sapere cosa fosse giusto e cosa sbagliato? Lui che non sapeva proprio niente e non era nemmeno mai stato bravo nell’affrontare problemi e difficoltà, poiché non era abbastanza forte per farlo. E ora…ora doveva solo ascoltare il suo cuore, comportandosi di conseguenza. Ma il suo cuore era andato completamente in pezzi e non era rimasto più nulla dentro di lui, se non un cocente dolore che a volte gli annebbiava persino la vista, impedendogli di vedere chiaramente cosa stesse davvero succedendo. In quei momenti avrebbe voluto stordirsi con dell’alcool, e probabilmente lo avrebbe già fatto se Hèléne, accortasi dei suoi continui pellegrinaggi nella dispensa, non avesse pensato bene di liberarsi di tutte quelle bottiglie di vino che tenevano di scorta per le occasioni di festa. L’aveva odiata a morte per questo, arrivando persino a dare di matto e a prendersela con tutti quanti, ma ora non poteva che ringraziarla per avergli impedito di ricadere in quel pericoloso vortice senza fine dal quale sicuramente non sarebbe più riuscito a far ritorno. Era a questo che stava pensando quando vide l’amica raggiungerlo sotto il portico, dove quella notte si era tristemente rifugiato in cerca di un po’ di solitudine.

- Ehi, comincia a fare un po’ freddo qui fuori. Che ne dici di rientrare?

Gli propose con dolcezza, ma nello stato in cui si trovava ebbe la strana sensazione che la sua voce arrivasse da molto lontano, come un’eco indistinta e ovattata sulla quale faceva davvero fatica a soffermarsi. Sapeva che si era fatto tardi e che probabilmente sarebbe dovuto andare a dormire, ma il sonno era già passato da un pezzo. Non rispose subito ma Hèléne non se ne preoccupò più di tanto, si era già abituata ai suoi continui e bruschi sbalzi d’umore e l’ultima cosa che voleva era fargliene una colpa. Stavano tutti soffrendo per quella situazione senza uscita, lui molto più degli altri, per questo quando finalmente cominciò a parlare si impose di non interromperlo, rimanendogli invece accanto pronta ad ascoltare qualunque cosa avesse da dire.

- Ho vissuto anni lontano da Johanna prima che ci ritrovassimo – cominciò, e il suo sguardo assente sembrò perdersi lontano – ma ogni volta che pensavo a lei la immaginavo nelle fattorie del Texas, intenta a cavalcare e a divertirsi, a vivere la sua vita con quella meravigliosa spontaneità che l’ha sempre contraddistinta e che ho tanto amato in lei. Ma ora, tutte le volte che la guardo, riesco solo a pensare a quanto debba sentirsi sola nell’oblìo in cui è sprofondata, e che magari cerca di risalire con tutta se stessa nel tentativo di attirare la mia attenzione. Di tornare da me. Forse però non è così, forse lei non c’è davvero più e al suo posto è rimasto solo quel corpo immobile che vedo ogni giorno e che è l’unica cosa che la tiene ancorata a questa terra, quando invece vorrebbe…soltanto essere libera. Sai, in tutto questo periodo ho sempre cercato di non pensarci, ma adesso mi sono reso conto che non posso più continuare a ignorarlo. Probabilmente mi prega ogni giorno di lasciarla finalmente andare, e io non riesco a sentirla. Oppure non voglio farlo. Ma non merita di restare attaccata a quelle macchine ancora a lungo, vero? Sono certo che non era questa la vita che avrebbe voluto avere, perciò forse è giusto che io prenda una decisione, ma non so se sarà la cosa migliore per lei. Che cosa c’è dopo la morte, Hèléne?

La donna strinse forte la sua mano mentre le lacrime prendevano il sopravvento.

- Alcuni dicono che esiste un luogo chiamato paradiso – sussurrò con voce rotta dalla commozione – un luogo meraviglioso che si prenderà cura della nostra anima, cancellando per sempre il dolore. Non c’è più morte lì, non esiste paura, solo una grande pace e un’incontenibile gioia. E a me piace credere che sia davvero così.

- Sono convinto che non c’è altro posto dove vorrebbe stare, allora.

Rispose Christian dopo un breve attimo di silenzio prima di abbracciare l’amica e soffocare così l’imminente pianto di entrambi, restando a lungo a contemplare il cielo stellato sopra le loro teste e sperando che quella lunga notte gli avrebbe presto portato consiglio. Cosa che però non avvenne nemmeno il mattino dopo, quando, trovandosi nuovamente al capezzale di Johanna, si rese conto ancora una volta di quanto fosse difficile dover rinunciare a lei per sempre.

- Che cosa devo fare, amore mio? – le sussurò accarezzandole i capelli mentre contemplava il suo viso, una maschera perfettamente immobile e inespressiva – Dimmelo tu, ti prego. Aiutami a capire, aiutami a trovare la forza per spegnere quelle dannate macchine e lasciarti andare via da me…

Quella notte Benedicte non era quasi riuscita a chiudere occhio. Il bambino era ormai abbastanza grosso da permettersi di scalciare come un matto, dimostrando così di avere tutte le carte in regola per diventare un vero guerriero. Era impaziente di conoscerlo, ormai non mancava molto, anche se sapeva che quel giorno la sua felicità avrebbe avuto un retrogusto dolce amaro poiché Johanna non sarebbe stata insieme a loro. Non poteva fare a meno di ripensare alla promessa che le aveva fatto, solo qualche mese prima, di tornare per la nascita del bambino. E ora, invece, era tutto diverso…

Dopo giorni e giorni di vari, difficili e dolorosi tentennamenti Christian aveva preso la sua decisione. Tra poche ore avrebbero dovuto salutarla per sempre, e lei non era affatto pronta per farlo. Come avrebbe potuto? Sfiorò con mani tremanti il bellissimo completino ricamato a mano che le aveva regalato per il piccolo poco prima di partire, e come per uno strano riflesso condizionato le sue lacrime cominciarono a sgorgare lente, bagnandole le guance prima ancora che lei stessa se ne rendesse conto. Il rumore improvviso della porta che si apriva interruppe quel triste turbinìo di pensieri, facendola voltare verso Hèléne e Laly che erano appena entrate nella stanza.

- Non è necessario che tu venga in ospedale, dovresti riguardarti e pensare al bambino.

Le sussurrò Hèléne circondandole le spalle con un braccio, ma lei scosse la testa incrociando il suo sguardo afflitto.

- Non posso lasciarla andare via così. Ho bisogno di vederla un’ultima volta.

- Accidenti – intervenne Laly, asciugandosi gli occhi e vagando distrattamente per la camera – se lei fosse qui sono sicura che riderebbe di questa situazione assurda, prendendosi gioco di noi come al suo solito.

Hèléne si lasciò andare a un lungo sospiro rassegnato, e ripensando all’amica le sue labbra si piegarono in un timido, lieve sorriso.

- Ed è proprio così che dobbiamo ricordarla, allegra e solare come è sempre stata. So che non vorrebbe mai vederci piangere, perciò adesso facciamoci coraggio e andiamo a raggiungere gli altri.

Rispose, pilotando dolcemente le ragazze verso l’uscita.

- Non posso credere che stia succedendo davvero. Mi mancherà così tanto.

Disse Benedicte con voce rotta dall’emozione, coinvolgendo le due amiche in un lungo abbraccio collettivo che diede a tutte la forza necessaria per affrontare ciò che ormai era diventato inevitabile. Raggiunsero tutti insieme l’ospedale, ma una volta arrivati Christian si fermò di colpo, d’un tratto incapace di fare un altro passo.

- Ehi – gli sussurrò Nicolas, andandogli lentamente vicino per sfiorargli una spalla – stai facendo la cosa giusta.

- Allora non permettermi di cambiare idea. Per nessuna ragione al mondo.

Disse prima di proseguire il suo cammino verso il lungo corridoio che lo avrebbe condotto da lei per l’ultima volta. I primi a entrare furono Josè, Jimmy e Benedicte, sostenendo quest’ultima che sedutasi al capezzale di Johanna non riuscì mai a smettere di singhiozzare nemmeno quando lasciò la piccola stanza, rifiutandosi categoricamente di dirle addio. No, non avrebbe potuto farlo, era più forte di lei.

- Ti voglio bene, dolcezza – sussurrò Josè a quel corpo ormai statico come una bambola rotta, sicuro che nonostante tutto lei potesse ancora sentirlo parlarle. Ovunque si trovasse adesso – abbiamo trascorso momenti meravigliosi insieme e li porterò per sempre nel mio cuore, perché solo così potrai continuare a vivere tra noi. Come se non te ne fossi mai andata.

Fu poi la volta di Hèléne e Laly, che trattenendosi più a lungo del previsto ricordarono tra le lacrime i bei tempi passati, quando tutto andava ancora bene e i loro unici pensieri erano quelli di studiare per gli esami e incontrarsi al bar tra risate e frappè colorati, con lei che ne combinava sempre una delle sue.

- Scommetto che ti ricordi ancora di quella volta che tappezzasti la nostra camera con tutte quelle foto di Sebastien - disse sommessamente Hèléne, chinandosi su di lei e accarezzandole il braccio da cima a fondo – convinta che così facendo Laly se ne sarebbe innamorata presto.

- E alla fine l’ho fatto – aggiunse Laly, guardandola con affetto – ma non è certo successo per merito tuo. Non hai mai imparato a farti gli affari tuoi, non è vero? Sempre lì a interferire nella vita degli altri, e ora ce la stai addirittura rovinando. Come puoi abbandonarci in questo modo? Non ti perdonerò mai per quello che stai facendo…

- Laly, ti prego, non fare così.

La consolò la donna stringendole la mano mentre la vedeva scoppiare a piangere – altrimenti farai piangere anche me. Avevamo detto che l’avremmo salutata con un sorriso, e tu non stai mantenendo la promessa.

- Nemmeno tu, Hèléne – le rispose – guardati, sei uno straccio. Tra un po’ dovremo strizzarti, se continui così.

Entrambe sorrisero tra le lacrime e da quel momento gli amici si susseguirono in un lungo e triste andirivieni da quella stanza spoglia, finchè non fu la volta di Christian, che entrò per ultimo.

- Dunque, eccoci qui.

Disse a voce bassa, chinandosi su di lei per prenderle la mano.

- Non posso credere a ciò che sto per dire, ma avevi ragione tu. Devo ammetterlo. Noi due siamo davvero incompatibili, non c’è proprio alcuna possibilità di poter stare insieme. Mi consola solo il fatto che tu stia andando in un posto migliore di questo, e che lì sarai felice come meriti. Ti prometto che non ci vorrà molto, amore mio, e sarai finalmente libera.

Le sfiorò le labbra con un bacio, trattenendo a stento le emozioni mentre si rialzava in piedi per andare a chiamare i medici prima di tornare al suo fianco, osservandoli come inebetito impegnarsi a staccare lentamente quelle macchine che fino a quel momento le avevano permesso di respirare.

- Ti amo. Mi mancherai per tutta la vita.

Furono le ultime parole che riuscì a pronunciare, stringendo forte la sua mano inerme poco prima che le lacrime prendessero il sopravvento, desiderando ardentemente di stendersi su quel letto e prenderla fra le braccia per chiudere gli occhi e morire insieme a lei…

Christian si chinò su di lei, dando libero sfogo a tutto il suo dolore mentre appoggiava la testa sul suo petto, e fu allora che il lento e debole battito del cuore di Johanna catturò d’un tratto la sua attenzione.

- Il suo cuore sta battendo – disse rivolto ai medici – riesco a sentirlo chiaramente.

- È normale in questi casi, vedrà che smetterà di farlo tra qualche secondo. Condoglianze per la sua perdita.

Rispose uno di loro, poi uscirono lentamente dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle e lasciandolo lì a sospirare con forza, asciugandosi gli occhi pieni di lacrime e cercando di tornare un po’ più padrone di se stesso. Non riuscì tuttavia a lasciare la sua mano, nonostante continuasse a ripetersi che era finita e che doveva assolutamente decidersi a staccarsi da lei. Ma si diede ancora tempo, e attese. Attese che quel battito irregolare si arrestasse per sempre, ma più passavano i minuti più non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile. Se solo si accostava a lei, infatti, poteva ancora sentirlo pompare dentro al suo petto. Dapprima flebile come un battito d’ali, tanto che più di una volta si chiese se tutto questo non fosse soltanto frutto della sua immaginazione, ma anche nello stato emotivo in cui si trovava era chiaramente in grado di percepirlo. E ora era sicuramente più forte di prima. Non c’era alcun dubbio, non poteva sbagliarsi. Si alzò di scatto per lasciare la camera alla ricerca di qualcuno che potesse spiegargli cosa diavolo stesse succedendo, e quando riuscì a individuare qualcuno che fosse vagamente somigliante a un dottore lo pregò subito di seguirlo.

- Senta, so che per lei dev’essere molto difficile accettare la situazione, ma quello che sta dicendo è assolutamente impossibile. Purtroppo questa donna è morta, non c’è più niente che possiamo fare per …

- Non me lo sto immaginando – lo interruppe, sforzandosi il più possibile di mantenere la calma – controlli lei stesso se non ne è convinto. Il suo cuore sta ancora battendo e sarò anche disperato ma non mi sono certo bevuto il cervello, perciò la prego di credermi. Le sto dicendo la verità.

- Si accomodi fuori, adesso.

Fu tutto ciò che gli sentì dire dopo qualche attimo di ostinato silenzio, vedendolo avvicinarsi a Johanna per tastarle il polso.

- Cosa?

Esplose a quel punto, senza capire.

- Le ho detto di uscire, devo controllare la paziente.

Dopo l’iniziale sorpresa a Christian non restò che obbedire, guardandosi bene dal dirgli che forse, per uno che aveva a che fare con degli ammalati tutto il giorno, i suoi modi erano a dir poco bruschi e sbrigativi. Raggiunse gli amici in un fastidioso stato di torpore, informandoli dell’accaduto e trovandosi più volte, mentre parlava a dubitare di sé e di ciò di cui si era accorto in quella stanza, pensando che magari stanchezza e diperazione fossero due combinazioni vincenti per distruggere ulteriormente il suo già vacillante sistema nervoso. Ma no, sapeva perfettamente quello che diceva, e tra poco lo avrebbe dimostrato.

- Scusa, fammi capire, tu stai veramente sostenendo che…

- Sì, Hèléne – la incalzò, passandosi stancamente le mani tra i capelli – so che può sembrare assurdo, ma è così. Maledizione, perché nessuno vuole starmi a sentire?

Visibilmente agitato, cominciò a camminare su e giù senza riuscire a trovare pace finchè Josè non lo costrinse a fermarsi, studiandolo a lungo con aria preoccupata.

- Prova a calmarti, per favore – gli intimò con decisione – se davvero qualcosa è cambiato ce lo diranno al più presto, vedrai.

Annuì senza troppa convinzione. Si sentiva confuso e senza forze, come sull’orlo di un baratro.

- Vorrei solo…sapere.

Disse, affranto.

In quell’attimo la porta si aprì rivelando la figura corpulenta del medico di poco prima, che con fare scettico comunicò le novità appena riscontrate.

- I parametri vitali della sua fidanzata sono di nuovo nella norma – disse infatti rivolto a Christian, anche se lui stesso stentava ancora a crederlo – le pupille rispondono bene al riflesso della luce. È inspiegabile considerate le sue condizioni fino a questo momento, ma è ancora viva. Tuttavia, date le circostanze, possiamo solo monitorarla costantemente per seguire l’evolversi delle cose. Le prossime ore saranno cruciali per lei, e visto che non esiste ancora alcuna certezza preferiamo sottoporla a degli esami accurati prima di pronunciarci in maniera definitiva…

Ma Christian non lo ascoltava più ormai, poiché gli erano bastate le parole “è ancora viva” per permettere alla speranza di tornare a scaldargli il cuore mentre crollava sulla sedia singhiozzando senza controllo, solo che stavolta erano lacrime di gioia.

Gli amici dovettero attendere a lungo prima che Johanna venisse riportata nella sua stanza, ma i risultati degli esami sembravano essere più che incoraggianti. Ora bisognava solo aspettare che si svegliasse.

“Semmai ci fosse riuscita” era il pensiero ricorrente di Christian, e date le incerte condizioni in cui la donna si trovava era più che lecito avere dei dubbi in proposito. Non voleva però lasciarsi prendere dallo sconforto, il solo fatto di saperla ancora viva era già motivo di immensa gioia per lui e per tutti gli altri, che in quelle ore di angosciosa attesa non avevano lasciato l’ospedale nemmeno per un secondo, ma che adesso cominciavano ad accusare i primi sintomi della stanchezza. Josè accompagnò Benedicte a casa insistendo sul fatto che avesse bisogno di un po’ di riposo, e a quel punto Christian consigliò agli altri di andar via anche loro. Se ci fossero state novità, li avrebbe di certo avvertiti immediatamente.

- Sei sicuro che vuoi restare qui?

Gli chiese Nicolas mentre lo guardava mandar giù l’ennesimo caffè di quella lunga giornata non ancora giunta al termine.

- Non me la sento di allontanarmi – rispose – insomma, se lei dovesse svegliarsi e non trovare nessuno potrebbe…spaventarsi, sentirsi sola…

Si interruppe bruscamente, sbuffando seccato. Non sapeva nemmeno se un’eventualità del genere si sarebbe mai presentata, ma non voleva muoversi da lì. Era fuori questione, comunque fossero andate le cose. Salutò così l’amico e raggiunse Johanna, richiudendosi la porta alle spalle e prendendo posto al suo capezzale prima di tornare a stringerle la mano.

- Ti sembrano scherzi da fare questi? Accidenti, è proprio da te. Scommetto che ti sei divertita un mondo a spaventarci a morte tutti quanti, ma ora basta, ne ho davvero abbastanza dei tuoi giochetti cervellotici. Torna da me, non è così difficile. Devi solo riaprire gli occhi e tutto questo orribile incubo finirà in un momento. Dimmi che lo farai Johanna, dimmi che puoi riuscirci. Torna da me. Torna da me…

Continuò a sussurrarle per tutto il tempo, finchè completamente esausto e ormai senza più forze finì ben presto per cedere al sonno, addormentandosi con la testa vicino alla sua spalla e senza smettere di tenerle la mano.

Si svegliò alle prime luci dell’alba, e aveva appena realizzato di aver passato in ospedale gran parte della notte quando si sentì sfiorare il braccio in una lieve carezza che lo fece sussultare, cogliendolo alla sprovvista. Ma non ebbe il tempo di chiedersi a lungo cosa stesse accadendo, poiché voltandosi di scatto verso Johanna la vide sbattere le palpebre più e più volte poco prima di incrociare il suo sguardo incredulo, sforzandosi a lungo di metterlo a fuoco mentre lo salutava con un timido sorriso e un sempice “ciao” appena percepibile, pronunciato a voce bassissima e incerta ma che in quel momento lo rese l’uomo più felice della terra…

Johanna si era risvegliata da appena un paio d’ore e le sue condizioni sembravano migliorare di minuto in minuto, con grande stupore degli stessi medici e degli amici, che dopo la chiamata di Christian erano tornati immediatamente in ospedale per vederla. Ora però erano stati nuovamente allontanati dalla stanza perché aveva bisogno di riposare. Non doveva infatti stancarsi troppo, anche se lei avrebbe voluto raccontare ciò che aveva sognato per tutto il tempo in cui era rimasta in coma. Solo che la voce pareva a tratti abbandonarla, e in quei momenti anche pronunciare una sola parola avrebbe richiesto uno sforzo enorme, ragion per cui i dottori che la seguivano erano stati inflessibili: niente più visite per lei, almeno fino all’ora di cena. Questo però non era certo servito a scoraggiare Christian che di tornare a casa proprio non ne voleva sapere, così dopo aver girovagato a lungo per i corridoi aveva raggiunto la piccola cappella interna all’ospedale, dove, per la prima volta in vita sua, si era messo a pregare. Non era mai stato molto credente, ma dopo tutto quello che era successo si era convinto che qualcuno lassù avesse voluto dare a lui e Johanna un’altra possibilità per poter stare finalmente insieme, e ora si ritrovava a ringraziare con tutto il cuore chiunque avesse regalato loro quel meraviglioso miracolo dal sapore magico che ormai non si sarebbe più aspettato di vedere. Tornò infine in corridoio, guardandosi attorno circospetto prima di sgattaiolare furtivo verso la camera di Johanna. Non gli importava niente di quello che avevano detto medici e infermieri, nessuno lo avrebbe tenuto lontano da lei. Se era stanca l’avrebbe lasciata riposare per tutto il tempo necessario, senza disturbarla inutilmente. L’unica cosa che desiderava era poterle restare vicino, e accarezzarla mentre la guardava dormire. Quando entrò rimase però sorpreso di scoprire che invece era sveglia e che, una volta accortasi della sua presenza gli aveva subito teso la mano, invitandolo a stringerla con calore.

- Dove sei stato, Cri Cri?

Gli chiese con voce flebile e lui sorrise, accarezzandole il viso con gesti gentili. Era così pallida e ossuta da non sembrare quasi più lei, ma era convinto che il tempo l’avrebbe aiutata a riprendersi tutto ciò che aveva perso.

- A bere qualcosa al piano di sotto – mentì, preferendo, forse per uno strano e ridicolo senso di vergogna, non rivelarle la verità – come ti senti, tesoro?

- Confusa – rispose a fatica – le luci mi danno ancora fastidio, e…

- Va bene – la interruppe, posandole dolcemente un dito sulle labbra – scusami, è colpa mia. Non devi sforzarti di parlare se non riesci a farlo. Anche se, considerando come sei fatta, capisco che per te debba essere parecchio difficile tenere la bocca chiusa per un po’.

Aggiunse con un sorrisetto sornione che la fece ridere, e il suono di quella risata gli scatenò dentro una ridda di emozioni tali che, d’un tratto, non riuscì a trattenersi dal singhiozzare. Johanna scosse lentamente la testa e la sua espressione mutò di colpo, facendosi triste mentre si sporgeva verso di lui per asciugargli le lacrime.

- Stai tranquilla – la rassicurò – sto bene. È solo che…credevo che non ti avrei mai più sentita ridere, e adesso tu sei qui, sei sveglia, e io sono tanto felice amore mio.

L’abbracciò, tenendola stretta a sé per un lungo momento prima di aiutarla ad adagiarsi di nuovo sui cuscini, posandole un bacio sulle labbra.

- Sei rimasta in coma per cinque mesi – continuò poi, intrecciando le dita a quelle di lei, che intanto lo ascoltava annuendo di tanto in tanto – abbastanza tempo perché i medici non dessero più alcuna speranza di vederti tornare a vivere, così mi sono trovato costretto a prendere una decisione. La decisione più difficile di tutta la mia intera esistenza.

A quel punto si interruppe, facendo una breve pausa durante la quale non ebbe il coraggio di incrociare il suo sguardo. Non sapeva nemmeno per quale motivo glielo stesse dicendo, non c’era alcun bisogno che sapesse di cosa era stato capace. Aveva paura, una paura tremenda e irrazionale che dopo quella confessione lei avrebbe sicuramente finito per odiarlo, che non sarebbe mai stata capace di perdonarlo, ma la sua reazione lo sorprese, dando così un ulteriore scossone alle sue emozioni già fin troppo difficili da contenere.

- Lo so – disse infatti lei, fermandosi un po’ per riprendere fiato – e ho già capito, ma qualunque cosa tu abbia fatto sappi che l’avrei fatta anch’io per te, se fosse servita a farti stare meglio. Sei stato molto coraggioso, e ti amo ancora di più per questo.

- Ti amo anch’io, e mi dispiace di essere arrivato a una cosa del genere – mormorò sulle sue labbra quando gli prese il volto fra le mani – non riuscivo a vedere nessun’altra soluzione.

- Non pensiamoci più, ti prego. Io sono qui adesso, guardami. Sono qui e non ho alcuna intenzione di andarmene di nuovo.

Poi catturò le sue labbra in un bacio dolcissimo che fugò ben presto ogni dubbio poco prima di abbandonarsi pesantemente contro i cuscini, l’aria improvvisamente esausta.

- Riposa un po’.

Le intimò Christian e le sue mani scivolarono lente ad avvolgerle le braccia, ora fin troppo esili per continuare a compiere lunghi movimenti.

- Dovresti farlo anche tu, sembri così stanco.

Si sentì rispondere e fu in quell’attimo che la porta si riaprì, rivelando una donna in camice bianco che doveva essere l’infermiera di turno e che, non appena lo notò nella stanza fece una buffa espressione inorridita che li fece ridere entrambi, prima di esclamare con malo garbo: - Che cosa ci fa lei qui? Le avevano detto di andarsene, se non sbaglio. Non è ancora l’ora delle visite, e la paziente deve essere lasciata tranquilla il più possibile. Cos’è, è sordo per caso?

- Ho capito, me ne vado subito. Non c’è bisogno di essere così acida!

Protestò lui, salutando Johanna con un bacio veloce mentre guadagnava l’uscita in tutta fretta, ignorando le occhiate nervose dell’infermiera per esibirsi intanto in una serie di buffi gesti da dietro le sue spalle, solo per sentir ridere di nuovo la sua donna. Le era mancata così tanto in quei lunghi mesi che giurò a se stesso che non avrebbe mai più sprecato un solo secondo senza renderla felice come meritava di essere…

Dopo un paio di settimane trascorse in ospedale Johanna era stata finalmente dimessa, anche se una volta tornata a casa tutti si erano adoperati affinchè riposasse il più possibile rendendola così un po’ nervosa e insofferente a quella prospettiva, vista la sua smania di tornare in fretta alla vita per recuperare quegli orribili cinque mesi trascorsi in totale immobilità. Per fortuna ci pensava la fisioterapia a risollevarle il morale, e anche se faceva ancora fatica a camminare accettava quegli esercizi quotidiani con gioia e impegno, poiché pian piano le avrebbero permesso di tornare a essere quella che era. Senza dover più dipendere da nessuno. Johanna non ricordò le dinamiche del grave incidente aereo e tutto il resto, o almeno non subito, e in effetti c’era poco da ricordare a parte le urla strazianti dei passeggeri a bordo che, terrorizzati quanto lei, si preparavano ad andare incontro a morte certa. Il suo successivo racconto, durante il quale era scoppiata in lacrime un paio di volte sconvolse gli amici a tal punto da portarli a distrarla il più a lungo possibile, purchè la sua mente smettesse di rivivere quelle ore angosciose che solo il ritrovamento della scatola nera aveva effettivamente permesso di ricostruire. Un malore improvviso aveva colpito il pilota appena un paio di minuti dopo il decollo e questo lo aveva portato a perdere il controllo dell’aereo, che si era infine tragicamente schiantato contro la montagna più alta. Ben pochi erano sopravvissuti a quel terribile incidente e Johanna era una di questi, anche se per un lungo periodo era stata data per spacciata. Adesso, dopo qualche ora dedicata alla fisioterapia si era concessa un po’ di meritato riposo nell’accogliente poltrona in pelle del semplice ed elegante salotto, sorridendo a Nicolas che, avvicinatosi a lei di soppiatto le aveva stampato un sonoro bacio sulla guancia, così come ormai tutti gli amici erano soliti fare da quando aveva lasciato l’ospedale, tornando finalmente tra loro.

- Ehi – protestò Christian, che appollaiato vicino a lei sul bracciolo della poltrona non la perdeva di vista un istante – giù le mani dalla mia fidanzata! Qui l’unico che può permettersi di sbaciucchiarla tutto il giorno sono io, chiaro?

- Ma sentitelo, fa il gelosone!

Esclamò Nicolas, ridendo e dandogli un giocoso spintone che però rischiò quasi di farlo cadere, vista la posizione di bilico in cui si trovava.

- E toglimi quelle zampacce di dosso!

Replicò imbronciato sistemandosi la camicia spiegazzata con movimenti stizzosi e buffi, tanto che tutti scoppiarono a ridere divertiti.

- Dai mon Cri Cri, datti una calmata – intervenne Johanna, attirando la sua testa verso il basso per posargli un bacio sulle labbra – non dovresti già essere a lavoro a quest’ora?

- Sì, infatti stavo andando – rispose sospirando – e, a proposito…sei sicura di non avere niente in contrario al fatto che continui a essere il manager di Fanny?

La donna alzò le spalle, facendogli una piccola smorfia appena accennata.  

- Non posso certo negare che mi dia un po’ fastidio saperti a stretto contatto con Fanny per gran parte della giornata, ma chi sono io per impedirti di fare quello che ti piace? Insomma, la musica è la tua vita e…

- Tu sei la mia vita – ribattè lui, interrompendola – e sai che potrei smettere in qualunque momento, se tu lo volessi.

- Non ti chiederei mai una cosa simile e non devi farlo, perciò ora vai. Ci vediamo dopo.

Disse allontanandolo da sé con dolce fermezza per permettergli di rimettersi in piedi, guardandolo chinarsi di nuovo su di lei per un ultimo saluto prima di andare via.

- A dopo allora. Ti amo.

Le sussurrò, poi lasciò la casa.

- Bene – disse Hèléne a quel punto – è arrivato il momento che tu metta qualcosa nello stomaco.

Johanna la guardò come se fosse improvvisamente impazzita.

- Stai scherzando, vero? Avrò mangiato almeno due ore fa, come puoi pretendere che possa avere di nuovo fame?

L’amica sbuffò seccata, lanciandole un’occhiata severa mentre incrociava le braccia al petto.

- Non mi interessa se hai fame oppure no, devi mangiare se vuoi rimetterti in forze!

Ribattè con convinzione, cercando complicità in Benedicte che nel frattempo le aveva raggiunte.

- Qualunque cosa tu abbia preparato, visto che non fai che spignattare in cucina tutto il giorno, dallo a lei – continuò Johanna, indicando con un breve cenno della mano l’ultima arrivata che, dal canto suo, non potè che fissarla inorridita – deve mangiare per due, no?

- Che cosa – si lamentò Benedicte – come sarebbe a dire “dallo a lei”?Cos’è, una congiura contro di me questa? Vorreste per caso trasformarmi in una specie di mongolfiera vagante?

Le amiche scoppiarono a ridere.

- Troppo tardi – la punzecchiò giocosamente Johanna – ti ci sei già trasformata da sola, a quanto sembra. Sei così grossa che se non stai attenta tra poco partorirai per esplosione!

Hèléne si avvicinò subito a lei, chinandosi per stringerla in un forte abbraccio.

- Oh, tu e le tue battutacce fuori luogo mi siete mancate così tanto!

Disse continuando a ridacchiare divertita e a quel punto anche Benedicte avrebbe voluto dire qualcosa, ma l’improvvisa pozza d’acqua appena formatasi ai suoi piedi le bloccò le parole in gola, lasciandola stordita.

- Oh mio Dio, oh mio Dio…non è possibile!

Continuò a ripetere qualche secondo dopo, incapace di credere a ciò che stava vedendo.

- Su, non mi sembra il caso di scaldarsi tanto. Sai che stavo solo scherzando…

Johanna si interruppe di colpo non appena si accorse di quello che stava succedendo proprio sotto ai loro occhi, coprendosi la bocca con la mano e guardandola esterrefatta.

- Cavolo, ti si sono…

- …rotte le acque.

Hèléne completò la frase per lei, precipitandosi immediatamente verso l’amica per aiutarla a sedersi.

- Come ti senti, stai bene? Dobbiamo subito correre in ospedale, è il momento!

Disse, e le sue dita si mossero freneticamente alla ricerca delle chiavi dell’auto.

- In anticipo di una settimana, di nuovo – considerò Benedicte, perplessa – è lo stesso scherzetto che mi fece Leah. Per favore, chiamate Josè. E Jimmy, qualcuno deve avvisare Jimmy…

- Ci penso io.

Si offrì Johanna che, nelle sue condizioni, l’unica cosa che poteva fare per essere davvero d’aiuto era servirsi del telefono.

Laly, ansiosa di avere notizie arrivò in ospedale per ultima insieme a John, farneticando frasi sconnesse e lamentandosi a lungo sul perché a nessuno fosse venuto in mente di contattarla prima, mentre raggiungeva Josè in tutta fretta. 

- Si trova lì dentro da qualche ora – rispose lui, indicando una porta chiusa davanti a sé – c’è Jimmy insieme a lei.

Fu in quell’istante che quella porta si aprì e un’infermiera piccola e minuta fece lentamente capolino, informandoli che durante il parto non c’erano state particolari complicazioni e che era nato un bel maschietto che, uno per volta, avrebbero finalmente potuto conoscere. Josè, ansioso di vedere la moglie sarebbe dovuto entrare per primo. Tuttavia, una volta abbassata la maniglia, il tenero quadretto familiare che si ritrovò davanti lo sconvolse a tal punto da invitarlo caldamente a desistere e ad allontanarsi in fretta dalla stanza, non visto. Benedicte e Jimmy, vicini e sorridenti guardavano felici e commossi la piccola creatura ora tra le braccia della neo mamma. Un minuscolo fagottino dalla pelle diafana a cui entrambi avevano dato vita e che ancora una volta li legava per sempre l’uno all’altra, rendendoli di nuovo una vera famiglia…

- Eric di qui, Eric di là, non fai che nominarlo…ti ho già detto che non mi interessa ciò che dice quello stupido pallone gonfiato di Fava, quattro concerti in date così ravvicinate tra loro sono decisamente troppi per te!

Esclamò Christian, attendendo impaziente che Fanny si sedesse in macchina per ingranare finalmente la marcia e partire a gran velocità.

- Ma davvero? E cosa ne sai tu, eh?

Ribattè lei incrociando le braccia al petto e guardandolo storto.

- Sicuramente molto più di lui e anche di te, visto che fino a prova contraria sono ancora il tuo manager. Possibile che tu non abbia ancora capito che a quel damerino senza cervello interessino solo i soldi, e che pur di ottenerli nel minor tempo possibile sarebbe disposto a fare qualunque cosa, anche a spremerti come un limone fino a toglierti ogni energia?

Fanny sbuffò rumorosamente pensando che continuare a portare avanti quella discussione sarebbe servito solo a procurarle un gran mal di testa, così voltò la testa verso il finestrino e si perse ad ammirare il panorama che scorreva davanti a lei, desiderando per un brevissimo istante di perdersi in esso. Se lo avesse fatto, se soltanto per un attimo avesse finto di essere ciò che non era, forse quello che provava ogni volta che gli stava vicino sarebbe svanito così come era arrivato anni prima. Rendendola finalmente libera da quel forte sentimento che ancora la legava a lui e ai loro bellissimi ricordi, impedendole di liberasene completamente. Di andare avanti con la sua vita. Quando Christian parcheggiò davanti al vialetto di casa sua sembrò però riscuotersi all’improvviso, e posandogli una mano sul braccio per attirare la sua attenzione disse pacatamente: - No, vengo con te stavolta, così saluto gli altri e recupero mio padre. Da quando Benedicte ha avuto il bambino Laly non perde occasione per trascinarlo lì da loro.

Lo vide annuire sorridendo.

- Sì, quel piccolo terremoto ha praticamente monopolizzato l’attenzione di tutti. Da quando è nato la casa sembra persino aver acquistato colore, e ormai non si fa altro che parlare di lui in ogni momento della giornata.

Rispose tenendo gli occhi incollati alla strada, e fu una fortuna perché così facendo non si accorse che l’espressione della ragazza era d’un tratto cambiata, facendosi più triste e malinconica.

- Sarebbe stata la stessa cosa anche per nostro figlio, se solo fosse riuscito a venire al mondo.

Disse in un soffio e Christian le lanciò un’occhiata preoccupata, sospirando affranto. Era evidente che Fanny non avesse ancora superato quella terribile perdita, così come non l’aveva superata lui, ma per lei doveva essere molto più difficile continuare a fingere che andasse tutto bene quando invece a volte avrebbe solo voluto urlare tutto il suo dolore.

- Ecco, è esattamente di questo che stavo parlando – le sussurrò, e per un breve momento la sua mano si posò leggera su quella di lei, facendola sussultare prima di tornare a stringere il volante – hai idea di quanta ansia e stress si possano accumulare durante un concerto? Cose che nelle condizioni in cui ti trovi non saresti assolutamente in grado di gestire, perciò lascia che me ne occupi io. Posticiperò tutto a data da destinarsi, fidati, è meglio così.

- Sei sicuro che sia una buona idea?

Gli chiese, poco convinta mentre lo vedeva incrociare il suo sguardo.

- Concediti del tempo Fanny, ne hai bisogno. Entrambi ne abbiamo bisogno.

Considerò, e dopo quel momento nessuno dei due riuscì più a parlare, poiché sapevano che a quel punto qualunque altra parola sarebbe stata superflua. Si chiusero quindi in un ostinato silenzio per tutto il tragitto, finchè, persi ognuno in pensieri diversi giunsero a destinazione appena in tempo per assistere all’ennesimo scatto d’ira di Josè, che già mal sopportava quella nuova, difficile condizione con cui ora si ritrovava a fare i conti.

- Deve rimanere tra i piedi ancora a lungo, quello?

Borbottò infatti rivolto alla moglie mentre insieme raggiungevano gli altri al piano di sotto, alludendo chiaramente a Jimmy che, in pausa dal lavoro, approfittava di ogni minuto libero per occuparsi del bambino e passare del tempo con lui.

- È il padre di Joel, che cosa dovrei fare secondo te? Impedirgli di stare con suo figlio?

Replicò piccata.

- Con questa scusa passa un sacco di tempo in camera nostra, ti sembra normale per caso? Posso anche capire che la culla si trovi lì, ma si siede sempre nella mia metà del letto e sembra proprio che me lo faccia apposta! E poi…

- Josè, per favore smettila con queste scemenze! Sono veramente stanca di sentirti brontolare tutto il santo giorno. Dammi tregua, ok? Sii buono, se non vuoi farlo per me fallo almeno per il bambino, lui non ha nessuna colpa in tutta questa storia.

Lo interruppe Benedicte, anche se sapeva che al momento provare a fargli accettare la situazione sarebbe stato molto difficile. Se ne rese conto di nuovo quando lo vide lanciarle un’occhiata indispettita che la gelò fino al midollo, esclamando offeso: - Perché dovrei farlo, me lo spieghi? Quello non è nemmeno mio figlio!

Poi, improvvisamente bisognoso di cambiare aria si diresse a grandi passi verso il giardino, ignorando le sue accorate proteste e l’onda di gelo scesa d’un tratto nella stanza, che in un momento aveva fatto ammutolire tutti i presenti. Ci pensò Christian a rompere quel silenzio, diventato ora fin troppo opprimente, mentre si chinava su Johanna per sfiorarle le labbra con un bacio.

- Tutto a posto, tesoro? Mi sembri stanca, che ne dici di andare a riposare un po’?

Le sussurrò scrutandola con attenzione.

- Solo se vieni con me.

Rispose, e lui divertito dal suo adorabile tono lamentoso l’aiutò lentamente a rialzarsi in piedi. Fu durante il tragitto verso la sua camera che Fanny le si avvicinò, chiedendole il permesso di abbracciarla.

- Sono contenta che tu stia bene, davvero, e…mi dispiace di averti reso la vita impossibile da quando sei arrivata qui, perché di certo non te lo meritavi. Io credo di averti giudicato male, e spero che vorrai perdonarmi per questo.

Le disse e Johanna strinse la sua mano, scuotendo la testa più volte come per rassicurarla.

- Non ho proprio niente da perdonarti, anzi, dispiace a me per quello che ti è successo. So bene cosa significa perdere un figlio.

Rispose sinceramente, congedandosi infine da lei con un sorriso prima di raggiungere la sua stanza, che Hèlène aveva prontamente spostato al piano di sotto per evitarle la fatica di fare le scale, richiudendosi la porta alle spalle. A quel punto Christian l’aiutò ad adagiarsi sul letto, prendendo posto vicino a lei.

- Prova a dormire, adesso.

Le intimò, intrecciando le dita alle sue.

- Non sono così stanca come credi, e se vieni più vicino posso dimostrartelo.

Gli sussurrò maliziosa attirandolo a sé per baciarlo con crescente passione, cogliendolo di sorpresa ma lasciandolo tuttavia piacevolmente colpito.

- Stai per caso cercando di sedurmi?

Chiese giocosamente e per tutta risposta la sentì scendere a stuzzicargli piano il collo e ben presto un brivido di piacere gli percorse la schiena.

- Non so, tu che ne dici?

Proseguì, ma non gli diede nemmeno il tempo di rispondere perché catturò di nuovo le sue labbra in un bacio dolcissimo che gli tolse il respiro mentre lo spingeva sul letto con decisione, costringendolo a sdraiarsi sulle lenzuola fresche di bucato solo per avventarsi nuovamente su di lui, assolutamente incapace di smettere di baciarlo. Ma fu solo quando sentì le sue mani spingersi ansiose sotto la sua maglietta, fino a sollevarla lentamente che Christian trovò la forza di fermarla, staccandosi, anche se con fatica da quelle labbra invitanti.

- Ehi, ehi…aspetta un momento, non ti sembra di correre un po’ troppo? Sai che non potrei mai approfittarmi di te, almeno finchè sei in queste condizioni.

- Sei un vero gentiluomo Cri Cri ma puoi stare tranquillo perchè, se non lo avessi ancora capito, sono io che mi sto approfittando di te.

Mormorò sulla sua bocca, sfiorandola appena in una lenta e deliziosa tortura mentre si impegnava a sfilargli la maglietta, accarezzando la sua pelle nuda e strappandogli un sottile gemito di piacere. Nonostante la desiderasse disperatamente Christian sapeva di doversi fermare, almeno finchè era ancora in tempo. Così, chiamando a raccolta ogni goccia di autocontrollo rimastagli, con un movimento delicato ma deciso chiuse le mani attorno ai suoi polsi sottili, impedendole qualunque ulteriore movimento e invitandola a tornare su per provare con tutte le forze a ignorare la sua espressione confusa e improvvisamente smarrita.

- Che cosa c’è, non ti piaccio più per caso?

Gli domandò a quel punto Johanna, cercando il suo sguardo sfuggente.

- Non dire stupidaggini. Lo sai che non è così e che ti voglio da morire, solo non adesso. Non in questo modo. Insomma, ne hai passate talmente tante in questo periodo e io vorrei…vorrei che ti rimettessi un po’ in forze prima, che fossi davvero pronta per questo.

Le posò un bacio leggero sulla fronte, accarezzandole il viso con movimenti gentili.

- Non è il momento, amore – continuò, incrociando stavolta i suoi occhi inquieti – e sono certo che lo sai anche tu.

Ma Johanna non era più sicura di niente, sapeva solo che lui l’aveva appena rifiutata e per questo non poteva fare a meno di sentirsi ferita, poiché si chiese se dietro a quella sua inaspettata reazione non ci fosse per caso qualche altro motivo a lei ancora sconosciuto…

- Ci stai dicendo che non ha voluto fare l’amore con te? Ma…stiamo davvero parlando di Christian?

Esclamò Laly con gli occhi sgranati, attenta a non perdersi nemmeno una parola del dettagliato racconto che Johanna stava facendo alle amiche in quel tardo pomeriggio dal sole tiepido, sospirando affranta e abbassando lo sguardo sulla sua coppa di gelato alla crema, ormai miseramente sciolto.

- Non abbiamo mai avuto problemi da quel punto di vista – proseguì, anche se poco convinta – in tutta sincerità non so più che pensare. Probabilmente non si sente più attratto da me e non sarebbe poi così assurdo considerando il mio stato attuale, e magari… magari c’è un’altra…

- Smettila di dire sciocchezze – la interruppe Hèléne con risolutezza, prima di sentirle pronunciare qualcosa di cui sicuramente si sarebbe pentita – non pensarla neanche una cosa simile, lo sai che Christian ti ama moltissimo e che ha combattuto duramente per riaverti indietro, anche quando sembrava impossibile. Per tutti i mesi in cui sei stata in coma ha rischiato seriamente di andare fuori di testa. Credimi Johanna, era davvero disperato.

- Oh, sicuro che lo era – le fece eco Laly – almeno quanto quella volta in cui lo hai lasciato e lui è caduto nel tunnel della droga, e poi non contento ha anche cominciato a sbronzarsi senza ritegno.

- Che cosa? – la incalzò Johanna sporgendosi verso di lei, esterrefatta – Droga, alcool? Si può sapere di che accidenti stai parlando?

- Laly!

Si intromise Benedicte, gelando intanto l’amica con un’occhiataccia che la fece ammutolire all’istante.

- È successo un mucchio di tempo fa, Johanna – continuò poi, rassicurando la donna che intanto si torceva le mani per la disperazione – non è il caso di preoccuparsi tanto, lui sta benissimo adesso, te lo posso assicurare. E comunque penso che dovresti dargli un po’ di tregua, probabilmente è solo in pena per te e vuole che tu ti riprenda completamente prima di…insomma, hai capito no?

La vide annuire lentamente, anche se adesso la sua mente era da tutt’altra parte. Come poteva Christian averle taciuto delle cose talmente gravi sulla sua vita? Sì, magari era già passato del tempo, ma questo significava ben poco in quel momento. Avrebbe dovuto parlarle di cosa gli era accaduto per tutto il tempo in cui erano rimasti lontani l’uno dall’altra, e d’un tratto, realizzare di come le amiche fossero al corrente di tutto, mentre lei invece non aveva mai avuto la più pallida idea di come si fossero evolute le cose la gettò nello sconforto, facendola sentire stupida e incapace. Come aveva fatto a non accorgersi di nulla?

- Bè, in realtà non è solo questo. Ci sono tante cose che mi impensieriscono. Ecco, una volta che mi sarò ristabilita, ad esempio, cosa succederà tra noi? Come porteremo avanti la nostra storia, considerando il mio lavoro in Texas e tutto il resto? Proveniamo da due mondi completamente diversi e io vorrei solo…mettere un po’ d’ordine nella mia vita prima di capire che cosa desidero veramente. Tornare a casa mia, almeno per qualche tempo. Sistemare le cose, insomma, come mi ero ripromessa di fare. Invece mi sento come bloccata, e questa stupida sedia a rotelle che sono ancora costretta a usare non mi facilita certo le cose.

Si rammaricò sbuffando mentre sentiva la mano di Hèléne poggiarsi dolcemente sulla sua.

- Se è solo questo il problema, lascia che ci pensi io. Lascia che vada a Houston a occuparmi del tuo lavoro per un po’ di tempo, tu dovrai solo restartene qui tranquilla e pensare a ristabilirti.

Disse con un sorriso.

- È davvero molto nobile da parte tua cercare di aiutarmi, Hèléne, ma non credo che tu ne sappia molto di come si gestisce una compagnia petrolifera. Non è così facile come potrebbe sembrare, e poi…

- Penso che potrei sorprenderti, sai? Chi credi che abbia diretto la sua azienda per tutto il tempo in cui Peter è rimasto in prigione?

Rispose con orgoglio la donna, e il suo sorriso restò immutato di fronte al più che comprensibile scetticismo dell’amica, che tuttavia si ritrovò ben presto a cedere. In fondo si era sempre fidata ciecamente di Hèléne, avrebbe solo dovuto continuare a farlo e tutto sarebbe andato per il meglio. Solo che…

- Non potrei mai permetterti di partire da sola per un posto a te totalmente sconosciuto.

Considerò con un’alzata di spalle, incrociando il suo sguardo.

- Non preoccuparti per questo, perché io sarò ben felice di accompagnarla.

Si intromise Nicolas, che appena sbucato dalla cucina non aveva potuto fare a meno di assistere a quella conversazione. Le donne si voltarono verso di lui, stupite.

- Lo faresti davvero?

Gli chiese Hèlène e lui le strizzò l’occhio impercettibilmente, dandole un buffetto affettuoso sulla guancia e ricambiando il suo sorriso fiducioso.

- Certo, credi forse che ti lascerei vagare da sola in una grande città come quella?

Fu tutto ciò che disse poco prima che Johanna allungasse le braccia verso di loro, desiderosa di stringere gli amici in un lungo abbraccio collettivo per dimostrare la sua immensa gioia.

- Vi voglio bene, ragazzi – esclamò commossa – non so proprio come farei senza di voi!  Dunque, ascoltatemi attentamente adesso, vi dirò tutto ciò che vi serve sapere…

Mentre la donna dava loro tutte le informazioni necessarie, Benedicte decise di staccarsi silenziosamente dal gruppo per raggiungere il piano di sopra e controllare il bambino…

Quando Jimmy la raggiunse Benedicte stava cullando il loro bambino sussurrandogli una dolce ninna nanna, e la sua espressione era così dolce e angelica mentre lo guardava dormire beato tra le sue braccia che lui, desideroso di non interromperla in alcun modo, attese paziente che smettesse di cantare prima di andarle vicino, vedendola sorridere quando i loro sguardi si incrociarono.

- Non è bellissimo?

Disse, adagiandolo delicatamente nella piccola culla e sfiorandogli una manina stretta a pugno, che osservò rilassarsi lentamente sotto il suo tocco gentile.

- Lo siete entrambi.

Lo sentì risponderle prima di annullare la breve distanza che ancora li separava per accarezzarle una guancia con il dorso della mano. Quel gesto inequivocabile la fece sussultare, mettendola immediatamente a disagio. Si scostò così da lui quel tanto che bastava per interrompere quella breve dimostrazione d’affetto dal sapore romantico, che finì per impensierirla più di quanto volesse.

- Benedicte – proseguì Jimmy, per niente scoraggiato dal vago tentativo della donna di tenerlo a debita distanza – la mia vacanza qui sta per terminare e, come sai, tra non molto dovrò tornare al lavoro. Questo però non mi impedirà di pensare a voi ogni minuto della giornata, perché se c’è una cosa che ho capito in questi giorni è che tu e i nostri figli siete le persone più importanti della mia vita, perciò…volevo chiederti di partire insieme a me. Non è tutto perduto per noi, c’è ancora speranza e so che lo pensi anche tu. Noi quattro insieme possiamo ancora essere una famiglia, possiamo ricominciare da capo. Questo piccolo miracolo è venuto al mondo solo per avvicinarci di nuovo, e stavolta non ho alcuna intenzione di sprecare questa occasione.

Le sue braccia le cinsero la vita mentre parlava e Benedicte voltò la testa dall’altra parte per evitare i suoi occhi ardenti. Qualunque cosa si fosse messo in testa, non era di sicuro ciò che voleva lei. Tuttavia, nonostante i suoi sforzi non riuscì a respingere il bacio che ne seguì, scoprendo con sorpresa quanto fosse facile ricambiarlo con la sua stessa passione e quando lui la strinse di più a sé non oppose resistenza, lasciandosi trasportare dal momento. E poi…poi accadde tutto in un attimo. La brusca interruzione di Josè, che entrato di soppiatto nella stanza si era subito scagliato contro Jimmy e, livido di rabbia, afferrandolo per il bavero della giacca lo aveva trascinato giù per le scale per poi colpirlo ripetutamente sul viso e nello stomaco, senza pietà mentre lo osservava accasciarsi a terra, ormai privo di forze.

- Che cazzo credi di fare con mia moglie, brutto figlio di puttana?

Gridò con disprezzo, sordo ai richiami di Benedicte che lo implorava di smettere, chinandosi svelta verso Jimmy solo per scoprire con orrore un sottile rivolo di sangue colargli silenziosamente da un angolo della bocca. Il suo sguardo incredulo e disperato si posò quindi sul marito, che in piedi davanti a loro li osservava serrando i pugni e le mascelle in un gesto che tradiva enorme disagio.

- Adesso basta Josè, sei forse impazzito? Allontanati immediatamente da lui e vai a schiarirti le idee lontano da qui! Mi hai sentito? Sparisci!

Quelle parole, dure e taglienti come la lama di un coltello affilato investirono l’uomo con la stessa potenza di una doccia gelata, costringendolo a guadagnare in fretta l’uscita con l’amara sensazione che la testa potesse esplodergli da un momento all’altro. Come osava parlargli in questo modo, specie dopo il rivoltante spettacolino a cui aveva appena assistito in camera da letto? Dunque le cose stavano così, lei e Jimmy si erano riavvicinati. Non c’era più posto per lui in quella casa. Per l’ennesima volta si ritrovò a ripetere a se stesso che sarebbe stato meglio che non fosse mai tornato a Parigi, almeno, se avessero continuato a crederlo morto si sarebbe risparmiato un sacco di sofferenze e grattacapi. Fu con questa dolorosa consapevolezza che attraversò lentamente il giardino, come un automa, ignorando le voci concitate degli amici che, richiamati dalle urla erano accorsi immediatamente sul luogo del disastro, precipitandosi a soccorrere Jimmy. Il malcapitato, infatti, non aveva nemmeno avuto il tempo di difendersi dall’aggressione subìta, e ora faticava persino a rialzarsi. L’evidente stato di choc di Josè non potè che attirare ben presto l’attenzione di Johanna, che intanto seduta al’ombra di una quercia e persa nei propri pensieri lo osservava allontanarsi con aria curiosa e preoccupata, richiamandolo più volte ad alta voce senza tuttavia ottenere risposta. Non sapeva cosa fosse accaduto esattamente in casa, ma ciò che dalla sua tranquilla postazione era riuscita distrattamente a captare era già bastato a metterla in allarme…

Anche Christian quel giorno si accorse subito che qualcosa non andava, poiché attraversando il vialetto di casa si era reso conto che Josè aveva risposto al suo saluto con una inspiegabile imprecazione che lo aveva lasciato perplesso, mentre si affrettava a raggiungere Johanna. La donna si limitò ad accogliere il suo sguardo interrogativo con una semplice alzata di spalle che lo lasciò, se possibile, ancora più confuso. Decise comunque di non darlo a vedere, preferendo invece concentrare la sua attenzione sulla fidanzata e sul fatto che la sua sedia a rotelle, a giudicare da una veloce occhiata, si trovasse abbastanza lontana da lei da impensierirlo non poco, mettendogli addosso una certa ansia.

- Ehi – le disse, chinandosi fino a trovarsi alla sua altezza e sfiorandole le ginocchia in una lieve carezza – e tu cosa mi dici, invece? Sei arrivata fin qui tutta sola, per caso?

- Certo – la sentì rispondere in tono incolore – non sono poi così impedita e stupida come pensi.

Christian aggrottò le sopracciglia con aria contrita, scrutandola con attenzione e chiedendosi perché d’un tratto Johanna avesse deciso di rivolgersi a lui in quel modo.

- Non ho mai pensato che fossi un’impedita – disse con calma, distendendo i lineamenti in un sorriso appena accennato – né tantomeno che fossi stupida. Si può sapere che cos’hai oggi, ti sei svegliata di cattivo umore, per caso?

- Perché non me lo hai detto, Christian? Per quale motivo non me ne hai mai parlato?

Si sentì domandare all’improvviso, non sapendo più cosa pensare. Non gli sembrava ci fosse rancore nella sua voce, solo una sottile punta di delusione da cui rimase particolarmente colpito.

- Parlato di che cosa? Che cos’è che avrei dovuto raccontarti?

Chiese sconcertato, senza sapere bene cosa aspettarsi.

- Del tuo passato da tossicodipendente e, a quanto pare, anche da alcolista.

Rispose lei in un soffio, voltando subito la testa dal’altra parte per evitare di perdersi nel suo sguardo affranto.

- Come lo hai saputo?

Disse l’uomo, rompendo finalmente il lungo silenzio che ne seguì e che era divenuto ormai fin troppo opprimente. Johanna tornò a incrociare i suoi occhi, schiacciata da quella nuova, triste consapevolezza.

- Dunque è vero?

Considerò con un filo di voce, anche se conosceva già la risposta. Improvvisamente sentì le sue mani accarezzarle piano gli zigomi mentre lo vedeva stringere le labbra in uno spasmo doloroso, poco prima di riprendere a parlare.

- Ecco, è proprio per questo che non te l’ho detto. Non volevo vedere questa espressione colpevole sul tuo bel viso. Ascolta, so cosa stai pensando e non devi, perché la colpa di tutto questo non è tua ma soltanto mia. Mi hai sentito? Tu non c’entri…

- Voglio sapere tutto – lo interruppe, stringendogli la mano con risolutezza – dimmi la verità. Spiegami come sono andate le cose, ti prego.

Christian annuì brevemente, chiudendo gli occhi e stringendo forte le palpebre per un breve istante prima di tornare a incrociare lo sguardo triste e inquieto della donna che amava, e con la quale sapeva di dover essere completamente sincero stavolta.

- Ti dirò tutto quanto, Johanna. Solo…non qui, non dove gli altri potrebbero sentirci.

Si avviarono così nella loro camera, e una volta accoccolatasi sui cuscini lei ascoltò quella lunga e dolorosa confessione con estrema attenzione, trattenendo a stento le lacrime quando lui le raccontò di come Arielle lo avesse presto iniziato alle droghe pesanti, finendo per distruggerlo completamente prima che gli amici lo aiutassero a rimettersi in sesto, a riprendere il controllo della sua vita come era giusto che fosse, restituendogli finalmente un po’ di meritata serenità.

- Sono passati più di vent’anni da allora – continuò, mentre seduto sul letto vicino a lei giocherellava nervosamente con un lembo del lenzuolo – e non ho mai più toccato quella roba, neppure col pensiero. Poi però, dopo aver fatto tanti, meravigliosi progetti di vita insieme a Love Island tu mi hai lasciato di nuovo e senza apparente motivo. Così, di punto in bianco te ne sei andata, e io avevo il cuore a pezzi. È stato in quel momento che per la prima volta ho sentito il bisogno di bere, di annullarmi completamente per non essere più costretto a pensare a te, a noi. A come poteva essere. Io non…ero mai lucido, ma mi andava bene così. Era più facile per me tenere lontano il tuo ricordo, e…

Christian si interruppe bruscamente e un singhiozzo convulso si sostituì presto alle sue parole, facendolo crollare di colpo e costringendo Johanna a sporgersi verso di lui per abbracciarlo stretto, incapace ormai di tenere a freno le lacrime che già da un po’ le offuscavano la vista.

- Mi dispiace amore, mi dispiace così tanto di averti costretto a parlare. Non devi continuare se non te la senti, io…io voglio solo che ti calmi adesso. Perdonami, ti prego perdonami e non pensare più al passato perché non potrà tornare a farti di nuovo del male. Guardami, sono tornata, sono qui adesso e ci sarò per sempre, perché l’unica cosa che desidero è vivere il presente insieme a te. Il resto non conta.

Asciugò lentamente i suoi occhi bagnati di pianto, prendendogli il viso tra le mani quando lui la baciò con dolcezza, stringendola a sé come se non volesse lasciarla mai più.

- Ti amo.

Le sussurrò mentre le sue labbra le percorrevano delicatamente la mascella e le sue dita si insinuavano piano sotto  vestiti, facendola sussultare e gemere e trasformando ben presto la tenerezza in passione…

- Stai bene, come ti senti?

Le chiese Christian mentre l’avvolgeva in un caldo abbraccio che, per la prima volta dopo tanto tempo, sembrava di nuovo mettere a nudo la sua anima. Gli aveva fatto bene essere totalmente sincero con la sua donna, era come se all’improvviso quel peso enorme che gli opprimeva il petto si fosse dissolto magicamente, rendendolo finalmente libero di vivere quel sentimento intenso che da sempre, tra alti e bassi faceva ormai parte di lui.

- Magnificamente.

Rispose Johanna, regalandogli un piccolo sorriso. Si mosse sotto le lenzuola per avvicinarsi di più e lasciarsi coccolare ancora un po’ prima di sfiorargli le labbra con un bacio leggero, dolce conclusione del bellissimo momento appena trascorso e condiviso insieme.

- Ti ricordi la prima volta che abbiamo fatto l’amore?

Riprese lui, accarezzando a lungo le sue spalle nude e incrociando il suo sguardo adorante, che d’un tratto sembrò però incupirsi, facendole mutare espressione.

- E come potrei dimenticarla – esclamò sarcastica – tu mi hai minacciata.

- Che cosa? No, non è vero!

Replicò Christian, guardandola storto.

- Certo che è vero. Mi hai detto che se mi fossi azzardata a spifferare a qualcuno che avevamo passato la serata insieme in garage mi avresti strappato la lingua, e poi me l’avresti fatta ingoiare! Non ti sembra forse una minaccia, questa?

Puntualizzò con aria offesa, facendolo scoppiare a ridere.

- Mi dispiace, ero solo un ragazzino idiota.

Considerò poi, e si rese conto che pensava davvero ciò che aveva detto. All’epoca infatti aveva serie difficoltà a mostrare apertamente i suoi sentimenti per Johanna e la colpa era soprattutto della sua indole timida e riservata, che di solito trincerava dietro un atteggiamento saccente e menefreghista. In cuor suo sapeva di aver sempre amato follemente quell’adorabile uragano americano che invece sembrava non fare nessuna fatica a lasciarsi trasportare dalle emozioni, emozioni talmente intense e sconvolgenti per lui da riuscire quasi a spaventarlo, spingendolo spesso a negare l’evidenza.

- Bè, mi sembra che tu non sia poi cambiato così tanto da allora.

Lo stuzzicò giocosamente la donna, distogliendolo così dai suoi pensieri mentre lo vedeva alzare gli occhi al cielo, cercando goffamente di nascondere il guizzo divertito delle sue labbra.

- Tutta qui la tua reazione? Pensavo che a questo punto sarebbero volati fulmini e saette… caspita, da quando sono stata dimessa dall’ospedale posso dire praticamente tutto quello che mi passa per la testa e nessuno sembra prendersela. Una vera pacchia insomma, devo dire che non mi dispiace per niente. Anzi, se continuate così potrei anche abituarmici!

Aggiunse e Christian la strinse ancora più forte, posandole un bacio sulla guancia.

- Mi sei mancata troppo perché possa arrabbiarmi con te ma vedi di non approfittartene, capito?

Disse, cercando le sue labbra ancora una volta.

- Sai – continuò lei, facendosi più seria – mentre ero in coma credo di aver sognato il bambino che ho perso. Era così bello, sorrideva e mi diceva che per me non era tutto perduto, che c’era ancora speranza di riuscire a realizzare il mio desiderio di diventare madre.

L’uomo scosse tristemente la testa, sospirando affranto.

- Tesoro era solo un bellissimo sogno, niente di più. Purtroppo sai che non sarebbe possibile…

- E se invece ti dicessi il contrario?

Disse d’un tratto, lasciandolo di stucco. Gli raccontò poi di come, una volta risvegliatasi dal suo triste stato vegetativo avesse parlato a lungo con i medici delle sue condizioni, e che questi l’avevano informata dell’esistenza di un nuovo intervento chirurgico che le avrebbe dato il cinquanta per cento di probabilità di rimanere di nuovo incinta, avverando finalmente quel sogno che per tutti quegli anni aveva invece creduto impossibile. Una speranza, seppur minima, che in un attimo aveva stravolto la sua esistenza, donandole la felicità di cui aveva bisogno per sentirsi davvero completa.

- Non sperare che ti lasci fare una cosa del genere, Johanna.

Esplose a quel punto Christian, irrigidendosi tra le sue braccia e lanciandole una breve occhiata di ammonimento che però lei sembrò non cogliere, intenta com’era a spiegargli le sue ragioni provando a sfoderare tutta la persuasione di cui era capace.

- Non essere così precipitoso, mica ho detto che voglio farlo adesso. È ovvio che dovrò prima ristabilirmi completamente, e poi penseremo a tutto il resto.

- Che cosa diavolo hai in testa, si può sapere? Mi dispiace, ma non ti permetterò di sottoporti a un intervento che ha solo la metà delle possibilità di riuscita. Mi spieghi a che servirebbe? Non sei già stata abbastanza male, che senso avrebbe continuare a complicarsi le cose in questo modo?

- Christian, ascolta…

- No, ascoltami tu – la interruppe, alzando la voce senza nemmeno accorgersene e facendola trasalire mentre si allontanava da lei, rimettendosi in piedi per vestirsi velocemente – per mesi sono stato costretto a osservarti impotente spegnerti lentamente su quel letto d’ospedale, finchè non ho visto altra soluzione che permettere ai medici di staccarti la spina…hai idea di cosa abbia significato questo per me? Ero convinto di averti persa per sempre, e poi all’improvviso c’è stato questa specie di miracolo, e tu sei di nuovo qui…

La sua voce si incrina, costringendolo a interrompersi bruscamente prima di riprendere a parlare, abbassando stavolta il tono per ridurlo a un sussurro appena percepibile.

- Perciò non sfidare di nuovo la sorte, perché questa volta potresti non essere così fortunata.

Johanna scosse la testa, riluttante, invitandolo a ragionare.

- Non si tratta di un intervento pericoloso, il fatto che abbia solo il cinquanta per cento di riuscita non mi turba affatto e rappresenta comunque un passo avanti per me, una speranza in più a cui aggrapparmi. Perché ti rifiuti di capire?

- Ho capito benissimo invece, ho capito che sei totalmente fuori di testa! Scordati di tutto questo perché non ho alcuna intenzione di vederti di nuovo sdraiata su un letto in ospedale, chiaro? Volevi vedermi arrabbiato, Johanna? Ecco fatto, adesso ci sei riuscita. Anzi, sono addirittura furioso. Contenta?

Urlò, lasciando la stanza senza voltarsi indietro e richiudendosi violentemente la porta alle spalle…

Il tempo snocciolava lentamente i suoi giorni e le condizioni di salute di Johanna sembravano migliorare sempre di più, tanto che, dopo vari sforzi la donna era riuscita a lasciare per sempre la sedia a rotelle, sua inseparabile compagna fino a quel momento, per rimettersi finalmente in piedi e riprendere così le forze. Adesso che cominciava pienamente a ristabilirsi Johanna sarebbe voluta tornare sui suoi passi, prendere il primo aereo e sistemare tutte le cose rimaste in sospeso, ma Hèlène era stata irremovibile. Non aveva infatti alcuna intenzione di lasciare che l’amica affrontasse un viaggio così lungo che l’avrebbe inevitabilmente stancata o, nel peggiore dei casi indebolita di nuovo, ribadendole per l’ennesima volta che si sarebbe occupata lei di tutto, e che non aveva assolutamente nulla da temere in proposito. Fu ciò che continuò a ripeterle anche quando, valige alla mano, si accingeva a raggiungere l’aeroporto insieme a Nicolas, attardandosi sull’uscio di casa per dare un ultimo saluto agli altri e soprattutto a Peter, che non smetteva di farle lunghe e inutili raccomandazioni che però, anche se avrebbe fatto di tutto per non darlo a vedere, cominciavano davvero a darle sui nervi. Insomma, che cosa credeva? Non era mica una stupida, sapeva badare a se stessa, e poi c’era Nicolas con lei.

- Allora…te lo ricordi l’indirizzo di casa mia, vero?

La voce di Johanna la strappò ai suoi pensieri, facendola annuire brevemente. Era stato gentile da parte sua invitarli ad alloggiare nel suo appartamento per tutto il tempo necessario, anziché in uno squallido e sconosciuto albergo, una volta arrivati a Houston.

- E, mi raccomando – la sentì continuare, abbracciandola un’ultima volta – una volta in ufficio cercate Justin, è in gamba e saprà darvi tutte le informazioni di cui avete bisogno. Fate buon viaggio ragazzi, e tenetemi informata!

- Contaci.

Rispose Hèlène, sorridendole per rassicurarla, e in quel momento incrociò lo sguardo di Christian che con aria truce e apparentemente assente cercava di tenersi a debita distanza, fingendosi troppo impegnato per avvicinarsi nuovamente e partecipare a quella conversazione, dopo il breve e distaccato cenno di saluto che si era limitato a rivolgere loro.

- Che gli prende – chiese a quel punto all’amica, indicandolo con un discreto cenno del capo – sta bene?

Johanna si voltò lentamente verso di lui, facendo spallucce.

- Oh niente di grave, è solo arrabbiato con me. Gli passerà.

Rispose, anche se nemmeno lei credeva poi tanto alla strampalata giustificazione che aveva appena dato. Dopo la tremenda discussione che avevano avuto Christian si era chiuso in un ostinato silenzio che dapprima pareva averla divertita, spingendola a non dare alla cosa la dovuta importanza, ma che adesso cominciava seriamente a impensierirla. Erano parecchi giorni infatti che lui non le rivolgeva quasi la parola, assumendo con lei un atteggiamento freddo e ostile che gli impediva persino di guardarla negli occhi, infastidendola non poco.

Questa storia deve finire!

Ripetè a se stessa mentre, una volta congedatasi dagli amici ed essersi richiusa la porta alle spalle avanzava verso di lui, decisa ad annullare una volta per tutte la distanza che li separava. Quel muro di cristallo, ma duro e impenetrabile come un macigno era già durato fin troppo. Era il momento di abbatterlo.

- Questa tua stupida e inutile sceneggiata contro di me deve durare ancora per molto?

Disse con decisione, incrociando le braccia al petto e lanciandogli un’occhiata indispettita da cui lo vide provare a fuggire, abbassando lentamente gli occhi.

- Chi sarebbe questo Justin?

La sua improvvisa, inaspettata domanda la sorprese, cogliendola alla sprovvista.

- Caspita, ti sei finalmente deciso a parlarmi! Quale santo del paradiso dovrò ringraziare per questo?

Replicò sarcastica.

- Non hai risposto alla mia domanda.

Lo sentì puntualizzare, incrociando il suo sguardo inquieto per la prima volta dopo tanto tempo. Johanna sospirò, rendendosi conto di fare veramente fatica a non perdere la pazienza.

- Solo uno dei miei collaboratori.

Spiegò semplicemente, sperando di aver soddisfatto un’assurda curiosità più che fuori luogo in quel momento.

- Quindi è lui quello con cui passi al telefono praticamente metà delle tue giornate, vero?

- Non dirmi che sei geloso, adesso.

Lo punzecchiò lei, e la sua reazione non tardò ad arrivare.

- Geloso io? No, affatto! Si può sapere come ti viene in mente?

Urlò, fuori di sé dalla rabbia prima di voltarle le spalle e allontanarsi da lei a grandi passi, pur restando nella stessa stanza. Certo che era geloso, c’era anche bisogno di chiederlo? Era maledettamente geloso di questa presenza astratta che sembrava rubargliela apposta in qualunque momento della giornata. Li sentiva spesso parlare, e il fatto che le loro conversazioni risultassero incomprensibili al suo orecchio –che di certo non era abituato ad ascoltare una lingua diversa dalla sua – lo mandavano letterlamente fuori di testa. Chissà cosa si dicevano tutte le volte e chissà che cosa gli raccontava lei, sicura di non essere compresa da nessuno. Aveva tutta l’aria di una congiura contro di lui, ne era quasi sicuro.

- Christian, vuoi darti una calmata per favore? Si tratta solo ed esclusivamente di lavoro. E comunque non è questo il punto. Non farmi sprecare parole su Justin quando sappiamo bene tutti e due che qui il problema è un altro. Perché ti ostini a comportarti in questo modo? Sai che ormai sono più che decisa a sottopormi a quell’intervento, e non c’è nulla che tu possa dire o fare per farmi cambiare idea. Spero che questo sia chiaro.

Cercò di spiegargli ancora una volta, e ancora una volta dovette scontrarsi con la sua testardaggine.

- Certo, è ovvio. D’altra parte tu sai solo prendere decisioni senza nemmeno prenderti la briga di consultarmi, come se per te valessi meno di zero. Come se nella tua vita, nella nostra vita, io non avessi mai voce in capitolo. Come quella volta in cui hai preferito lasciarmi, piuttosto che raccontarmi la verità sulla tua malattia.

Il suo tono di voce era pacato ora, ma riuscì ugualmente a ferirla. Per quale motivo tirava sempre in ballo il passato? Aveva rimpianto amaramente per anni quella dura e sofferta decisione, non era il caso di continuare a fargliela pesare.

- Mi dispiace – gli sussurrò, tornandogli vicino – lo sai che mi dispiace da morire per quello che ti ho fatto, ma io adesso voglio solo…

- Se ciò che stai cercando è un figlio vorrà dire che dovrai farlo con qualcun altro, perché io non ho alcuna intenzione di collaborare! Sai che c’è? Mi astengo, a partire da adesso!

La interruppe, lasciandola perplessa. Quella conversazione stava decisamente prendendo una piega del tutto inaspettata.

- Che diavolo significa che ti astieni, vorresti spiegarti meglio?

- Significa che da questo momento non ti sfiorerò più nemmeno con un dito.

Rispose con aria seria e quella strana minaccia fece sorridere la donna, che si limitò a fissarlo inarcando le sopracciglia per un lungo momento prima di riprendere a parlare, chiaramente divertita dalla situazione.

- Così vorresti “astenerti” solo per il gusto di farmi un dispetto? E, per curiosità, quanto tempo pensi di riuscire a resistermi? Perché conoscendoti…

Lasciò apposta la frase in sospeso, guardandolo di sottecchi e pensando che se solo avesse voluto, le sarebbe bastato fargli qualche moìna per vederlo cadere ai suoi piedi in pochi istanti.

- Continua pure a ridere, vedremo chi la spunterà!

Furono le ultime parole di Christian prima che lasciasse la stanza, facendola sospirare di noia. Se quella era una sfida non si sarebbe di certo tirata indietro. Il suo lunatico e scorbutico fidanzato non sarebbe riuscito a resistere a lungo alle sue armi seduttive che avrebbe di certo sfoderato di lì a poco, ne era sicura. Ormai era diventata una questione di principio, l’avrebbe fatto capitolare…

Atterrarono che era già pomeriggio inoltrato, ma nonostante il lungo viaggio che si erano appena lasciati alle spalle Hèléne non sembrava affatto stanca, anzi, era così elettrizzata da avere una gran voglia di visitare la città, fino a quel momento a lei totalmente sconosciuta. Era così allegra e spensierata da sembrare quasi una ragazzina, tanto che Nicolas faticava persino a starle dietro. Eppure, osservandola girovagare curiosa per il piccolo e confortevole appartamento di Johanna, per un attimo, ebbe l’impressione di essere tornato indietro nel tempo. Indietro a quei giorni felici, quando la grazia giovanile di quella dolce ragazzina ormai donna lo aveva fatto innamorare al primo sguardo. Ora, a distanza di anni, si rendeva conto che le cose non erano poi così cambiate da allora.

- Carino qui, vero?

La sua voce lo distrasse d’un tratto da quei malinconici pensieri, costringendolo a tornare coi piedi per terra.

- Ehm…sì, certo.

Considerò con un sorriso, guardandosi mestamente intorno mentre la vivace e colorata carta da parati della minuscola sala da pranzo ben attrezzata catturava la sua attenzione. Dal primo momento in cui aveva messo piede in quella casa aveva avuto la strana sensazione di essere circondato da una miriade di quadri di Picasso, come se ognuno di loro fosse stato astutamente disseminato in ogni angolo più nascosto di quel luogo. Probabilmente dipendeva dal vago disordine che avevano trovato in giro, ma andava bene così, poiché tutto questo era assolutamente tipico di Johanna. Pareva che l’aria stessa fosse intrisa dai tratti distintivi del carattere dell’amica, e ancora una volta si rese conto di quanto le fosse mancata in quegli anni in cui erano stati lontani. Si chiese se anche per Hèléne fosse la stessa cosa. Dopo aver passato la successiva mezz’ora a disfare le valige entrambi decisero di passare il resto della giornata a passeggio per le vie di quella splendida città, così piena di luci e colori. Il loro non era stato certo un viaggio di piacere, lo sapevano bene, ma il giorno successivo avrebbero dovuto raggiungere la sede di lavoro e un’occasione così poteva non ripresentarsi mai più. Meglio approfittarne, quindi. Visitarono gran parte dei luoghi della zona, concludendo la serata con una cena in un grazioso e intimo locale dove avrebbero potuto deliziare il palato con nuovi cibi e del buon vino. Infine, un po’ brilli e malfermi sulle gambe, anche per colpa della stanchezza che finalmente cominciava a farsi sentire, decisero di tornare a casa. Nicolas aveva preferito accomodarsi sul divano, lasciando quindi Hèléne libera di prendere possesso del letto matrimoniale ma, chissà per quale motivo, la donna non sembrava ancora aver voglia di andare a dormire. Si era davvero divertita quella sera, forse come non le succedeva da tempo, e adesso si trascinava addosso una strana frenesia che le faceva brillare gli occhi e arrossare le guance dal piacere. Una vivace e coinvolgente emozione di cui, nonostante gli sforzi non riuscì a liberarsi, e che le fece sembrare più che naturale avvicinarsi a Nicolas per prendergli il viso tra le mani prima di posargli un bacio leggero sulle labbra che sembrò spiazzarlo, ma per un attimo soltanto. Dopo l’iniziale sorpresa infatti le sue braccia l’attirarono più vicina, accarezzandole la schiena con studiata lentezza e, mentre le loro labbra si sfioravano di nuovo si impose di non pensare a nient’altro, se non al magico e inaspettato momento che stavano vivendo…

- Benedicte, per favore, cerca di ragionare…non puoi mollare tutto e andartene via in questo modo!

Johanna tentò a lungo di attirare l’attenzione dell’amica che, indaffarata com’era a preparare la sua roba, evitava accuratamente di sollevare lo sguardo verso di lei. Ormai aveva deciso, non c’era niente che lei e Olga avrebbero potuto fare per riportarla sui suoi passi.

- Sarà la soluzione migliore, credetemi.

Disse con un filo di voce, cercando di ignorare il doloroso magone salito a bloccarle il respiro. Olga sfiorò con un bacio lieve la fronte diafana del piccolo Joel, in quel momento profondamente addormentato tra le sue braccia. No, Benedicte non poteva certo dire sul serio.

- Credi davvero che abbandonare tuo marito per raggiungere un altro uomo in un posto dimenticato da Dio sia la soluzione migliore?

Chiese a bruciapelo, vedendola sussultare mentre sollevava lentamente lo sguardo verso di lei.

- Non è certo un uomo qualunque – puntualizzò, cercando di imprimere convinzione a ciò che diceva – è il padre di mio figlio e Joel ha bisogno di lui. Ha bisogno di crescere in un ambiente sereno e non in mezzo a questo caos infernale. Quanto a Josè, è anche per lui che ho deciso di raggiungere Jimmy a Love Island. Da quando il bambino è nato non ha più trovato un attimo di pace, tutta questa storia lo ha reso irascibile e nervoso e anche se a volte non lo dà a vedere io so che sta soffrendo molto.

- E credi che smetterà di farlo quando scoprirà che hai deciso di lasciarlo? I miei complimenti Benedicte, davvero un ottimo ragionamento!

Esclamò Johanna, incapace di trattenersi mentre la guardava chiudere faticosamente la valigia per affrettarsi a raggiungere il piano di sotto, seguita a ruota dalle amiche.

- Non possiamo permetterti di fare una stupidaggine colossale come questa – insistette – hai pensato a come potresti sentirti, una volta lontana da qui? Tu ami Josè…

- Lui starà molto meglio senza di me, e poi quello che provo io non ha più alcuna importanza, ormai – la incalzò decisa – devo pensare al benessere del mio bambino ora, non c’è niente di più importante di questo.

Prese con delicatezza Joel dalle braccia di Olga, stando bene attenta a non svegliarlo prima di avviarsi mestamente verso l’uscita, abbracciando a turno le donne e sforzandosi di trattenere le lacrime. Sapeva che le sarebbero mancate da morire.

- Che cosa faremo senza di te e questo adorabile batuffolino urlante? Saremo tutte sole in questa grande casa, persino Hèléne si trova fuori città al momento.

Aggiunse Olga con voce rotta, non sapendo cos’altro aggiungere pur di trattenerla ancora un po’.

- Non sarete affatto da sole, e poi sono sicura che ve la caverete benissimo anche in mia assenza.

Rispose Benedicte, lasciando che le due coccolassero il figlio ancora un po’ prima di congedarsi definitivamente sparendo ben presto dalla loro vista, oltre il giardino.

- È andata via – sentenziò Johanna dopo un lungo e commosso momento di silenzio, incrociando le braccia al petto con aria afflitta – e adesso chi lo dirà a Josè?

 Il sole era tramontato da un pezzo, lasciandosi dietro una scia di vuoto e impalpabile tristezza ben visibile sul volto di Josè, che con le spalle curve e lo sguardo spento, su un volto ormai stanco e segnato si lasciava mestamente consolare dagli amici su una delle eleganti panchine in pietra che adornavano l’immenso e rigoglioso giardino. Johanna li osservava silenziosamente dalla finestra, senza avere il coraggio di raggiungerli. Non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per gli ultimi avvenimenti accaduti, anche se sapeva bene che non avrebbe mai potuto interferire con l’improvvisa e dolorosa decisione di Benedicte. Quella di andarsene era stata una sua scelta, anche se assolutamente priva di senso. E ora l’unico a pagarne le conseguenze era Josè, inconsolabile da quando aveva scoperto la verità. Sospirò, frustrata. Se solo si fosse impegnata di più per convincerla a restare, forse… no, doveva smetterla di colpevolizzarsi inutilmente, perché l’unica cosa da fare adesso era quella di sforzarsi e trovare una soluzione. E alla svelta anche. Non era il caso di continuare a perdere del tempo prezioso. Raggiunse il giardino con rinnovata determinazione, prendendo posto vicino agli amici proprio nell’istante in cui anche Christian si unì a loro. Gli lanciò uno sguardo enigmatico che lui però sembrò evitare accuratamente, innervosendola ancora una volta. Se era questo lo stupido atteggiamento che avrebbe continuato a tenere con lei, poteva anche andarsene al diavolo. Ne aveva abbastanza delle sue idiozie, per nulla al mondo si sarebbe lasciata condizionare dalle loro ultime, spiacevoli conversazioni che le stringevano lo stomaco solo a pensarci. Posò una mano sulla spalla di Josè, sentendolo sussultare.

- Non permettere al dolore di annientarti, non è ancora tutto perduto.

Gli sussurrò con un’alzata di spalle mentre lo vedeva sollevare le sopracciglia, scettico.

- Ma che stai dicendo? È andata via, se ne è andata insieme a suo figlio per costruirsi una famiglia lontano da me. Non ho alcun potere su questo. Mi dici cosa mi resta da fare, se non lasciarmi annientare dalla disperazione?

Rispose quasi brusco, sentendo la mano di Christian premere sul suo ginocchio in un debole tentativo di conforto che, anche per un attimo soltanto, lo fece sentire meno solo. La vicinanza delle persone a cui teneva era molto importante per lui, specie in quel momento.

- Tanto per cominciare potresti piantarla di essere così negativo e…

- E provare a riprendertela!

Johanna terminò la frase del fidanzato e per un attimo i loro sguardi tornarono a  incrociarsi di nuovo e le loro labbra nascosero un piccolo sorriso, nella piacevole consapevolezza di sentirsi ancora complici nonostante tutto.

Josè, Olga e Peter rivolsero loro una strana occhiata.

- Cosa? Come potrei, se ha già preso la sua decisione?

Proruppe il primo, scuotendo lentamente la testa e pensando che quella fosse un’idea assurda. Rincorrere sua moglie fino a Love Island senza nessuna certezza sarebbe stato da pazzi… ma, un momento,  lui non rientrava forse in quella categoria? Valeva la pena provare a riprendersi la sua vita, perché fino a prova contraria lui e Benedicte erano ancora sposati e avrebbe lottato per non perderla. O almeno, ci avrebbe provato. Solo così, comunque fossero andate le cose, non avrebbe avuto rimpianti. Guardò ancora una volta gli amici e le sue labbra si incresparono in un timido sorriso mentre Johanna annuiva con convinzione, poco prima di rialzarsi in piedi ed esclamare con enfasi:- Bene, allora è deciso. Si va tutti a Love Island!

- Come sarebbe a dire “si va tutti a Love Island”? Cosa ti fa pensare che verrai anche tu?

Esclamò Christian seguendo la fidanzata in camera da letto e osservandola con aria contrita trafficare con gran parte dei suoi vestiti per riempirne le valigie aperte sul letto.

- Non so, magari perché sto preparando i bagagli?

Rispose sarcastica, senza nemmeno voltarsi a guardarlo. Sapeva che se lo avesse fatto avrebbe inevitabilmente dato vita a una di quelle fastidiose conversazioni che sarebbero ben presto sfociate in vere e proprie liti, e la giovane donna era stanca di dover continuare a discutere con lui praticamente per ogni sciocchezza. Non avrebbe potuto impedirle di poter essere d’aiuto a uno dei suoi migliori amici e, perché no, anche di farsi una breve vacanza nella sua località preferita, specialmente dopo tutto ciò che era stata costretta a subire negli ultimi mesi. Ma lui era fatto così, e a dirla tutta sembrava allergico a qualunque tipo di…

- Bene, puoi anche smettere di farlo allora, perché tu non andrai proprio da nessuna parte! Devo forse ricordarti che sei ancora convalescente, e che proprio per questo Hèléne è partita al tuo posto in un luogo dimenticato da Dio per occuparsi dei “tuoi affari”, visto che non eri in grado di farlo da sola?

Il tono di voce aspro che Christian aveva appena usato la fece sussultare, interrompendo di colpo il flusso dei suoi pensieri mentre lui ne approfittava per toglierle di mano una maglietta spiegazzata e consunta e richiudere la valigia con uno scatto nervoso che la infastidì non poco.

- Houston non è un posto dimenticato da Dio – ribattè punta sul vivo, riaprendo ostinatamente la valigia con gesti stizzosi – ed Hèléne si è semplicemente offerta di aiutarmi, nonostante sapesse già che ormai avrei potuto riprendere in mano il mio lavoro e tutto il resto nel migliore dei modi, visto che mi sento in gran forma. Nessuno però sembra accorgersene, e tutti quanti continuate a trattarmi come se dovessi morire domani!

- Ti rendi conto di quello che dici?

L’unica cosa di cui mi rendo conto – proseguì, perdendo d’un tratto la calma e cercando di ignorare che era proprio ciò che si era ripromessa di evitare fino a pochi attimi prima – è che ormai sto benissimo e ho voglia di rimettermi in gioco facendo ciò che mi va di fare!

- E va bene, Texana, fa’ pure come diavolo ti pare, ma non azzardarti a chiedere il mio aiuto se poi ti sentirai male.

Sibilò Christian a denti stretti, lanciandole un’occhiata raggelante poco prima di uscire dalla stanza solo per sbattere la porta dietro di sé con un sordo tonfo che di nuovo la fece trasalire, ma anche un po’ sorridere. Non avrebbe ceduto per niente al mondo e presto quell’adorabile testa dura si sarebbe resa conto di chi aveva di fronte, poiché ogni volta che Johanna McCormick si metteva in testa una cosa, fermarla era praticamente impossibile…

Lo stava evitando. Da giorni ormai, se ne rendeva conto, ma non poteva farci niente: qualunque cosa fosse successa tra loro andava dimenticata in fretta. Archiviata per sempre in un angolo remoto della mente, come se non fosse mai esistita. Già. Il problema è che esisteva eccome, era accaduto e non poteva far niente per cancellarlo, anche se avrebbe tanto voluto farlo per ricominciare a vivere la sua vita senza timori. Senza alcun senso di colpa. Ma era davvero di questo che si trattava? L’angosciosa inquietudine che le attanagliava il petto mentre Nicolas cercava disperatamente di catturare la sua attenzione con poche, disperate parole, era davvero puro e semplice senso di colpa? Non avrebbe avuto la forza per scoprirlo, non in quel momento e non col suo sguardo implorante addosso. Quello sguardo che così inaspettatamente si era resa conto di non aver mai dimenticato e che in punta di piedi le era lentamente scivolato dentro, scavando una debole, seppur intensa impronta nel suo cuore ormai impossibile da cancellare.

- Non puoi continuare a evitarmi Hèlène e lo sai bene, perciò smettila e ammetti finalmente la verità: tu mi ami, so che mi ami ancora. Almeno quanto ti amo io. Non potrebbe essere altrimenti, perché quello che è successo…

- Quello che è successo – lo interruppe subito, con risolutezza – non significa proprio niente! È stato un errore, soltanto uno stupido errore che non si ripeterà più perché io amo Peter. Lo amo e…

Si interruppe bruscamente perché un fastidioso nodo in gola le impedì di continuare qualunque cosa stesse per dire, così sospirò a lungo e con forza, come per raccogliere le idee prima di sentirlo replicare in un soffio, evitando accuratamente di voltarsi verso di lui: - Continua, continua pure a ripeterti questa stupida favola come un mantra, ma sappiamo entrambi che ormai non ci credi nemmeno tu!

Poi spense la luce e lasciò la stanza con passo deciso, mentre gli occhi di lei si riempivano lentamente di lacrime…

Atterrarono a Love Island nel tardo pomeriggio e dopo aver consumato una cena veloce a base delle specialità del luogo, Johanna e Josè si avviarono lentamente verso la spiaggia. Christian, ancora visibilmente infastidito dal comportamento tutt’altro che ragionevole della fidanzata a cui alla fine era stato costretto a cedere, permettendole quindi di partire insieme a loro, decise di non seguirli e di rimanere in albergo per rilassarsi un po’ davanti alla tv. Niente passeggiata, tutto quel trambusto di corse e valigie era stato decisamente troppo per lui ed era convinto che lo fosse anche per Johanna, anche se si costrinse a fingere di non preoccuparsene troppo quando la vide sgattaiolare via dalla stanza, ansiosa ed eccitata come una ragazzina alla sua prima vacanza lontana da casa. Sospirò, sprofondando nei cuscini e chiudendo lentamente gli occhi. Magari avrebbe fatto un pisolino prima di raggiungerli. Così, giusto per vedere se…ok, solo ed esclusivamente per controllare che stesse davvero bene come lei continuava a ripetergli praticamente da quando avevano messo piede sull’isola, nonostante lo strano pallore su quel viso ancora scarno che pareva impensierirlo non poco  ma che presto, ne era sicuro, sarebbe tornato finalmente a rifiorire…

- Perché non provi a rilassarti un po’ invece di farti tutte queste paranoie inutili? Se ti trovi qui è solo per un motivo, perciò raccogli tutto il coraggio che possiedi perché ti servirà quando domattina andrai da tua moglie e…

Johanna si interruppe bruscamente, costringendo così l’amico a incrociare il suo sguardo, l’espressione incuriosita. 

- Si può sapere che ti prende adesso?

Le chiese e lei si schiarì la voce, sorridendogli d’un tratto con aria sorniona.

- Bè, sai, ripensandoci…immagino non sia poi così necessario aspettare domattina per parlarle. Guarda tu stesso.

E gli indicò con un discreto cenno del capo una figura poco nitida anche se non troppo lontana, che per tutta risposta gli fece strabuzzare gli occhi più volte prima di riuscire a metterla bene a fuoco. Benedicte. China sulla sabbia e persa in chissà quali tristi pensieri, si accorse della presenza di Josè solo quando lo sentì pronunciare piano il suo nome. A quel punto era già così vicino che scappare da lui, semmai avesse provato a farlo, sarebbe stato praticamente impossibile…

- Che ci fai qui, Josè?

Sussurrò Benedicte con un filo di voce, facendo uno sforzo enorme per trattenersi dalla voglia improvvisa di abbracciarlo stretto e perdersi in quegli occhi inquieti e addolorati che amava tanto e che adesso le stavano proprio di fronte, avidi di risposte.

- Non lo immagini? Te ne sei andata così, all’improvviso…cos’altro avrei dovuto fare?

Rispose, annullando con appena pochi passi la già breve distanza che li separava mentre la vedeva indietreggiare lentamente, quasi avesse paura di lui.

- Mi dispiace, ma era l’unica soluzione possibile. Per te, per il bambino e…

- Per me? Si può sapere di che cosa stai parlando, pensi sul serio che stare senza di te sia la soluzione migliore? Santo Dio Benedicte, io ti amo!

Esplose a quel punto, interrompendola con rabbia e cercando così disperatamente di farsi ascoltare. Non aveva fatto quel lungo viaggio per farsi raccontare certe  stupidaggini ed era più che intenzionato a farglielo capire, anche se adesso lo sguardo duro e ostile della donna che amava sembrava quasi gelargli il sangue nelle vene, impedendogli di mettere in ordine i pensieri come invece avrebbe voluto. La vide scuotere la testa con decisione, incrociando le braccia con aria vagamente assente prima di rispondere:- A volte l’amore non basta. A volte c’è bisogno anche di stabilità, di sicurezza, di…serenità. Io devo pensare a mio figlio adesso e a tutto ciò che può far bene a lui. Il resto non conta.

- Stai forse dicendo che il nostro matrimonio non è importante? È per caso questo che stai insinuando?

- Jimmy ed io abbiamo deciso di riprovarci. Joel ha bisogno della sua famiglia, di suo padre, e…e anch’io.

Disse così, d’un fiato, con una tale lucidità da stupire persino se stessa. Era veramente questo ciò che voleva? Non ebbe bisogno di chiederselo a lungo, in fondo sarebbe bastato rivestire il cuore di nuova consapevolezza per andare finalmente avanti. Annullare tutto, dimenticare. Per sempre.

- Come puoi parlarmi così?

Fu tutto ciò che riuscì a dire, l’aria incredula e spossata di chi, con parecchie notti insonni alle spalle, non riesce a credere a ciò che sta accadendo.

- È finita Josè, accettalo. Sarà meglio per tutti quanti. Torna a casa adesso e lasciami in pace.

La giovane donna cercò di imprimere sicurezza a quelle ultime, sofferte parole prima di voltargli le spalle e allontanarsi lentamente, provando a trattenere le lacrime che per l’ennesima volta, da quando se lo era ritrovato davanti così all’improvviso, premevano per uscire.

- Tu sei ancora mia moglie e senza di te non vado da nessuna parte! Non ti permetterò di gettare al vento tutto quello che abbiamo costruito finora, mi hai sentito? Benedicte, torna qui immediatamente! Torna da me…

Ma Benedicte non si fermò. Continuò per la sua strada, lasciando che le onde del mare lambissero i suoi piedi nudi divertendosi a cancellare per sempre le impronte che pian piano lasciava sulla spiaggia. Impronte invece indelebili sul cuore spezzato di Josè, che a testa bassa non trovò altra soluzione se non quella di incamminarsi a sua volta ma nella direzione opposta, sordo ai richiami di Johanna che, intuita la spiacevole situazione, avrebbe voluto poter fare qualcosa per lenire la sofferenza dell’amico.

- Lascia che resti un po’ da solo, ne ha bisogno. Starà bene, credimi.

Le sussurrò Christian, che intanto l’aveva raggiunta, guardandola annuire con scarsa convinzione.

- Come puoi esserne sicuro? Sua moglie lo ha appena…

- In ogni caso non sono affari nostri – la interruppe, sollevando una mano a mezz’aria come per zittirla – non abbiamo alcun diritto di immischiarci nella sua vita privata. Josè è forte, vedrai che saprà affrontare tutto nel migliore dei modi. E poi sono convinto che non si arrenderà così facilmente con Benedicte.

La giovane texana fece spallucce e non oppose resistenza quando lui le cinse la vita con un braccio, pilotandola docemente verso l’albergo e continuando a insistere su quanto avesse bisogno di riposare un po’.

- Christian, mi sento benissimo. Dico sul serio.

Spiegò, facendogli inarcare le sopracciglia.

- Davvero? Chissà per quale motivo non ti credo. Forse perché la tua faccia sembra dire esattamente il contrario.

Johanna sbuffò, dandogli un colpetto sulla spalla che lo fece indispettire.

- Cos’ha che non va la mia faccia, adesso? Sentiamo!

Si lamentò offesa, facendogli alzare gli occhi al cielo.

- Sei pallida, troppo pallida. Non ti ho mai vista in queste condizioni, e poi ti sei resa conto che ti reggi a malapena in piedi? È ora di fare una bella dormita e non voglio sentire scuse, altrimenti ti lego al letto fino a domattina.

Rispose, imponendosi di mantenere la calma mentre la vedeva scoppiare a ridere. Accidenti, era sempre la solita. Mai che riuscisse a prendere qualcosa sul serio…

- Cooosa? Mi stai dicendo che tu e Nicolas…lo avete fatto nel mio letto? Bè, spero almeno che abbiate cambiato le lenzuola dopo!

Esclamò Johanna, piacevolmente sorpresa mentre faceva ritorno in camera e richiudeva velocemente la porta, ansiosa di ascoltare tutti i particolari di quella interessante storia che l’amica si era finalmente decisa a rivelarle dopo qualche giustificato tentennamento.

- Vuoi smetterla di urlare in questo modo? Qualcuno potrebbe sentirti, e non voglio che si sappia in giro. Ho fatto una cosa terribile Johanna, me ne vergogno così tanto.

Fu la risposta lenta e staccata della sua interlocutrice, che sentendosi terribilmente in colpa verso l’attuale fidanzato avrebbe solo voluto dimenticare tutto il più in fretta possibile. Cosa assolutamente non facile, vista l’aria che tirava.

- Non hai proprio niente di cui vergognarti, se è quello che…

- Si può sapere dove diavolo sei stata fino ad ora? Quanto dura un bagno al mare?

Qualunque cosa stesse per dire la giovane americana fu d’un tratto interrotta dall’arrivo di Christian, che appena uscito dalla doccia e con una camicia pulita addosso non riuscì proprio a trattenersi dall’inveirle contro, vista la preoccupazione provata nelle ore in cui era stata assente. Aveva persino provato a chiamarla al cellulare, ma invano.

- Tanto, se sei in buona compagnia.

Rispose lei, sfoderando un fastidioso sorrisetto sardonico che ebbe il potere di stuzzicare ancora di più i suoi nervi già fin troppo tesi.

- In compagnia di chi, scusa?

Chiese così a bruciapelo, cominciando ad agitarsi e alzando la voce più di quanto fosse realmente necessario.

- Ti spiacerebbe smettere di sbraitare, per favore? Sono al telefono.

- Per tua informazione io non sbraito!

- Ah già, scusa. Tu abbai.

Christian sospirò a lungo e con forza, come tutte le volte che cominciava a perdere la pazienza. Questo era davvero troppo, non era certo il momento di giocare. Si passò stancamente una mano sugli occhi, muovendo qualche passo verso di lei.

- Cos’è, credi di essere spiritosa? Dimmi piuttosto dove sei stata per tutto il pomeriggio, e conciata a quel modo per giunta!

Indicò con un cenno irritato il suo bikini succinto e vistosamente colorato, che lasciava ben poco all’immaginazione. Un nuovo acquisto, immaginava, poiché non ricordava di averle mai visto addosso niente di simile prima di quel momento. 

 - Hèléne, ti richiamo. A dopo.

Johanna sbuffò seccata, affrettandosi a chiudere la comunicazione prima di incrociare lo sguardo scuro del fidanzato, che con le braccia incrociate e l’aria tremendamente disgustata non smetteva di scuotere gravemente la testa.

- Si può sapere che problemi hai?

Esplose aprendo le mani, in cerca di risposte.

- Quello ti sembra un abbigliamento adatto per uscire di casa?

Puntualizzò lui, aggrottando le sopracciglia e costringendola a incenerirlo con lo sguardo.

- Sì, se sei diretta in spiaggia. E comunque, devo dire che ha riscosso un discreto successo. Specialmente tra i bagnini della zona.

Lasciò cadere così in un’espressione di finta noncuranza, spiando di sottecchi la sua reazione che, infatti, non tardò ad arrivare.

- A che gioco stai giocando, Johanna? Se hai intenzione di farmi arrabbiare ti avverto che ci stai riuscendo alla perfezione!

Gridò, ormai incapace di controllarsi. Johanna sorrise, annuendo compiaciuta.

- E dove sarebbe la novità? Non è poi così difficile farti arrabbiare, mi sembra.

Azzardò, provocatoria.

- Tu stai giocando col fuoco oggi, ti avverto. E cambiati immediatamente, sembri un’adescatrice di pervertiti!

Gli scappò detto, pentendosi immediatamente di quelle parole forse un po’ troppo offensive. Non poteva farci niente però, quella ragazza sembrava avere lo strano potere di tirar fuori il peggio di lui. Era sempre stato così tra loro, una continua battaglia senza fine che ormai si rendeva conto di riuscire sempre meno a reggere.

- Che cosa hai detto? Non ti permetto di offendermi in questo modo solo perché sono andata a divertirmi un po’ al mare con un semplicissimo bikini addosso!

- Quello non è un bikini, ti copre a malapena! Non sopporto che te ne vada in giro là fuori conciata a quel modo!

- Bè, almeno là fuori c’è qualcuno che mi considera molto più di quanto non stia facendo tu!

- Che diavolo vorresti dire con questo?

Johanna indietreggiò di qualche passo, mutando improvvisamente espressione.

- Che ti stai comportando come un imbecille, ecco cosa. Non mi guardi più, ti tieni sempre a debita distanza da me quasi avessi una malattia infettiva, e…non mi permetti nemmeno più di abbracciarti.

Christian la fissò per un lungo momento prima di riprendere a parlare, sforzandosi di  ignorare quelle parole per provare invece a concentrarsi sulle proprie emozioni, evitando di farsi distrarre da tanti inutili piagnistei.

- E questo ti autorizza a fare la svenevole a destra e a manca con quel coso addosso? Cos’è che vuoi, farmi impazzire per caso?

La donna lo guardò prendere lentamente posto ai piedi del letto, avvilito, sentendosi improvvisamente in colpa verso di lui. Intuì di averlo ferito con il suo comportamento e quasi senza accorgersene si ritrovò a coprirsi con una vestaglia, vergognandosi quasi di se stessa per ciò che si era messa addosso e che di sicuro non era da lei.

- Non ho fatto la svenevole con nessuno – chiarì finalmente, a voce bassa, avvicinandosi in un fruscìo di seta per costringerlo a sollevare lo sguardo verso di lei - la verità è che sono stata tutto il tempo con Benedicte oggi. Nessun uomo all’orizzonte, solo sole e mare. Un tranquillo pomeriggio tra amiche insomma, tutto qui, ma in tutta sincerità è stato bello farti credere il contrario. Stuzzicarti un po’, per provare a scuoterti dalle tue assurde convinzioni. Direi che ha funzionato a dovere, no?

Gli strizzò l’occhio giocosamente, e lui la fissò sbalordito.

- Quindi ti sei divertita a prenderti gioco di me?

Disse, il tono incolore e rassegnato di chi ormai si aspetta di tutto.

- Mi dispiace, ma ero così stanca di questa situazione. Mi sento trascurata, come se per colpa del tuo stupido orgoglio non contassi improvvisamente più niente per te.

- Lo sai che non è così. Vieni qui.

E la esortò a raggiungerlo per sedersi sulle sue ginocchia, circondandole la vita con le braccia e avvicinando il viso al suo per sfiorarlo in una tenera carezza.

- Dispiace anche a me per come mi sono comportato. Perdonami se sono stato distante e intrattabile, ero solo molto arrabbiato per via…di quella storia. Volevo fartela pagare, è vero, volevo che capissi che mettere di nuovo in pericolo la tua vita per inseguire un sogno sarebbe stato…

Non riuscì a terminare la frase perché la donna catturò le sue labbra in un bacio dolcissimo che gli tolse il respiro mentre aderiva di più al suo corpo, cingendogli il collo con le braccia e stringendolo forte a sé come se non volesse più lasciarlo. Completamente sopraffatto da quel gesto inaspettato Christian si lasciò andare contro di lei, gemendo sulle sue labbra quando sentì le sue dita calde e sottili insinuarsi lentamente sotto la camicia, sfiorandogli sapientemente il petto e infiammandolo di desiderio di lì a poco mentre la liberava della vestaglia, che in un fruscìo leggero scivolò ai loro piedi seguita presto dalla camicia. I loro baci divennero via via più appassionati e le loro mani sempre più ansiose del corpo dell’altro, ma quando Christian scese a stuzzicarle il collo con le labbra prendendo ad armeggiare  freneticamente con la chiusura del reggiseno la sentì irrigidirsi d’un tratto tra le sue braccia, quasi avesse fatto qualcosa di sbagliato. La interrogò a lungo con lo sguardo, accarezzandole gli zigomi ossuti e pronunciati, e fu allora che si accorse che qualcosa in lei non andava. Probabilmente non si sentiva bene. Sembrava così debole e stanca, sarebbe stato meglio fermarsi.

- Tesoro che cosa c’è, non stai bene per caso? Forse è meglio che ti lasci tranquilla, così puoi farti una bella dormita.

- Non è niente non ti preoccupare, è già passato. Non voglio che smetti di baciarmi solo perché sono un po’stanca. Non farlo, ti prego, mi sei mancato così tanto. Non smettere di stringermi per nessun motivo al mondo.

Lo vide sorriderle.

- Anche tu mi sei mancata tanto.  

Le sussurrò prima di adagiarla sul letto, accarezzandole piano i capelli e riprendendo a baciarla con passione mentre si sdraiava lentamente su di lei…

Quella mattina Josè raccolse tutto il coraggio e la determinazione che gli riuscì di trovare per sollevare la mano e bussare finalmente alla porta di Jimmy, che quando se lo ritrovò di fronte sgranò gli occhi esterrefatto e tutt’altro che felice di quell’amara sorpresa che, ne era sicuro, avrebbe portato solo guai alla sua famiglia.

- E tu che diavolo ci fai qui, si può sapere? Fuori dalla mia proprietà o chiamo la polizia!

Esclamò in tono aspro e fece per richiudere la porta ma Josè la bloccò con un rapido scatto, frapponendosi tra lei e l’uomo mentre lo sfidava con lo sguardo. Non sarebbe riuscito a fermarlo, non stavolta.

- Calma amico, fammi entrare e nessuno si farà male.

Fu tutto ciò che disse, attento a non interrompere il contatto visivo per essere sicuro che avesse recepito il messaggio.

- Cosa ti fa pensare che ti permetterò di mettere piede in casa mia, razza di psicopatico che non sei altro? L’ultima volta che ci siamo visti mi hai quasi rotto la mascella!

- Lo so e mi dispiace per quello, ma adesso devo assolutamente vedere Benedicte.

Jimmy sorrise con disprezzo.

- Puoi scordartelo!

Reagì, traducendo in parole il suo pensiero prima di essere interrotto dall’arrivo della donna, che col piccolo Joel fra le braccia si affacciava lentamente alla porta curiosa di scoprire chi o cosa stesse provocando quell’improvviso trambusto.

- Jimmy, cosa succede?

Chiese, sussultando vistosamente  quando incontrò lo sguardo implorante del marito.

- Benedicte, finalmente!

Lo sentì dire e fece per avvicinarsi, trovandosi ancora una volta ostacolato dal rabbioso rivale.

- Fuori dai piedi, Josè.

Sibilò a denti stretti, ma Benedicte gli posò una mano sulla spalla come per rabbonirlo, scuotendo la testa con un breve sorriso rassicurante. L’ultima cosa che voleva era che proprio davanti ai suoi occhi si consumasse un’altra rissa.

- Ehi, va tutto bene. Fammici parlare. Ecco, prendi il bambino.

Disse così, porgendogli delicatamente il piccolo, ormai profondamente addormentato e intimandogli di rientrare in casa insieme a lui. Jimmy non sembrò opporre resistenza stavolta, limitandosi ad annuire brevemente nella sua direzione prima di lanciare un’occhiataccia all’uomo che intanto distoglieva lo sguardo per incontrare quello dell’amata.

- Perché sei qui?

Gli domandò lei, una volta rimasti soli.

- Avevo bisogno di vederti. Volevo invitarti a pranzo.

Disse d’un fiato, ma in risposta ottenne un piccolo sospiro rassegnato che non gli fece presagire nulla di buono. Ma non importava, non si sarebbe certo lasciato scoraggiare così facilmente.

- Non credo sia una buona idea.

Sussurrò Benedicte facendo spallucce, palesemente a disagio per l’assurda situazione venutasi a creare. Perché doveva essere sempre così testardo? Possibile che continuasse a non capire come stavano le cose?  

- Per favore, non negarmi anche questo.Regalami una sola giornata, una soltanto da passare insieme a te e ti dimostrerò che le cose possono tornare come prima.

Lo sentì insistere, imperterrito, sbuffando seccata.

- Josè smettila, non siamo più dei ragazzini. Non puoi pretendere di risolvere le cose con un semplice invito come questo, lo sai che è cambiato tutto adesso.

- Ti prego.

Non sapeva perché, ma la determinazione che lesse in quegli occhi scuri e inquieti e nelle sue parole la portarono ad arrendersi, costringendola a cedere all’istante a quell’unica, accorata richiesta.

- E va bene, d’accordo. Hai vinto tu. Solo un pranzo veloce, però.

Acconsentì, e un piccolo sorriso sembrò increspare le labbra di entrambi mentre si incamminavano verso il ristorante più vicino. Quel semplice invito parve però durare molto più del previsto trasformandosi ben presto in una piacevole passeggiata sulla spiaggia, ormai prossima al tramonto. Parlarono a lungo del passato e della loro vita insieme e la giovane donna non oppose resistenza quando lui la prese per mano, pilotandola lentamente verso la spiaggia dorata.

- Non è cambiato proprio niente tra noi – disse, guardandola intensamente quando d’un tratto si fermarono - non provare a negarlo. Sei mia moglie e farò qualunque cosa per riaverti nella mia vita, perciò sì, per il momento tornerò a casa se è questo ciò che vuoi, ma nei prossimi giorni mi trasformerò in un vero e proprio stalker e ricomincerò a perseguitarti senza tregua finchè…finchè non cederai, e tornerai da me. Sono disposto a tutto pur di ricominciare, anche ad accogliere Jimmy nelle nostre vite tutte le volte che verrà a trovare il bambino. Senza fiatare, senza lamentarmi. Ti aspetterò Benedicte, aspetterò che tu sia pronta per tornare da me. Non importa quanto tempo ci vorrà, sappi solo che… ti aspetterò.

Ghiocherellò con i suoi capelli chiari mossi dal vento, sistemandole delicatamente una ciocca dietro l’orecchio prima di attirarla a sé per suggellare sulle sue labbra quella dolce promessa appena pronunciata, una promessa che sembrava profumare di un nuovo inizio. La sentì rilassarsi lentamente tra le sue braccia e avrebbe voluto prolungare quel momento all’infinito, ma desiderava rispettare la sua decisione. Sarebbe tornata da lui, ne era sicuro, per questo mentre si allontanava le rivolse un sorriso fiducioso che Benedicte non potè far altro che ricambiare…

Christian era andato a comprare delle brioches calde al bar di fronte, in quella tarda mattinata di sole. Sapeva quanto piacessero alla fidanzata e così aveva deciso di farle una sorpresa, ma quando rientrò in albergo la scena che si ritrovò davanti lo destabilizzò più di quanto diede a vedere, preoccupandolo all’istante. In un attimo si ritrovò a chinarsi sulla donna, che seduta sul pavimento singhiozzava rumorosamente con la testa affondata fra le ginocchia.

- Johanna che succede, stai bene? Ti fa male da qualche parte, per caso? Amore parlami per favore, e smettila di piangere. Mi stai spaventando. Si può sapere che cos’hai? Dimmelo!

Fu allora che la vide sollevare lentamente la testa per incontrare il suo sguardo incredulo, mentre con gli occhi pieni di lacrime gli porgeva silenziosamente il piccolo oggetto che teneva stretto tra le mani e che inspiegabilmente l’aveva ridotta in quello stato. All’uomo bastò una semplice occhiata per capire subito di cosa si trattasse. Lo rigirò a lungo tra le dita con espressione assente ma il risultato era lì, di fronte a lui. Nero su bianco.

- Che significa questo? Pensavo che fossi, che fossi…

- Che fossi sterile, lo so, e infatti è così. Dev’esserci sicuramente sotto dell’altro.

Johanna completò la frase per lui, asciugandosi velocemente le lacrime che le rigavano le guance arrossate.

- Di cosa stai parlando, e perché hai fatto un test di gravidanza se sai di non poter avere dei figli?

Sospirò con forza, tirando su col naso e passandosi nervosamente le mani fra i capelli scomposti e bagnati di pianto, prima di rispondere con un filo di voce: - Io…io non lo so, a dire il vero è la prima cosa che mi è venuta in mente, anche se può sembrare assurdo. All’inizio pensavo che questa continua stanchezza e spossatezza fossero riconducibili all’incidente e a tutto il resto, voglio dire, forse avevo ancora bisogno di tempo per riprendermi…ma sentivo che invece di migliorare stavo peggiorando ogni giorno di più e questo non era normale, perciò ieri mi sono ritrovata a comprare questo test…ma sono sicura che non è come sembra. Non posso essere incinta Christian, perciò penso che si tratti di…

- Di che cosa, Johanna? Cos’è che stai cercando di dirmi?

Si ritrovò a chiederle lui, sempre più confuso.

- Vedi, questo potrebbe anche…anzi, sono sicurissima che sia un falso risultato. A volte può succedere che i test di gravidanza risultino essere positivi quando nel corpo c’è qualcosa che non va. A volte potrebbero funzionare come dei campanelli d’allarme, e questo potrebbe essere uno di quei casi. Potrei essermi ammalata di nuovo, come qualche anno fa. Quell’orribile malattia potrebbe essersi ripresentata, e…

- No, non parlare così, ti prego. Smetti di pensare al peggio.

La interruppe subito, abbracciandola stretta per soffocare quelle parole. Parole che non avrebbe mai più voluto sentire. La giovane americana si rannicchiò contro il suo petto, riprendendo a singhiozzare mentre lui la stringeva più forte.

- E a cos’altro dovrei pensare, secondo te? – disse piano, quando tornò un po’ più padrona di se stessa -  Non posso avere bambini, sono sterile da almeno dieci anni ormai e lo sai bene anche tu. È impossibile, assolutamente impossibile.

Continuò a ripeterselo fino alla nausea, scuotendo la testa più volte come a voler cancellare quel turbolento inizio di giornata che di certo non si aspettava, e che in un solo secondo aveva fatto crollare miseramente tutte le sue certezze.

- Questo è ancora da vedere. Vestiti, andiamo immediatamente dal medico.

La esortò Christian, prendendo tempestivamente una decisione e porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi in piedi. Cercò di nuovo il suo sguardo confuso e addolorato, sentendosi stringere il cuore.

- Christian, ho paura.

La sentì sussurrare, la voce tremante mentre si rialzava lentamente.

- Lo so – le rispose, sfiorando la sua fronte con un bacio lieve -  ma cerca di mantenere la calma, dobbiamo conoscere la verità. Se sei incinta oppure no, lo scopriremo presto…

- Eccola qui la mia piccola forestiera, mi sei mancata così tanto! Come sono andate le cose a Houston, raccontami!

Esclamò Peter quando si ritrovò la fidanzata di fronte, stringendola a lungo tra le sue braccia prima di scostarla da sé con gentilezza per liberarle le mani dai numerosi  bagagli. Hèléne allargò le braccia, sorridendo soddisfatta: finalmente a casa! Il viaggio era stato lungo e il doloroso silenzio tra lei e Nicolas non aveva di certo reso le cose più piacevoli. Lo vide rientrare lentamente appena dopo di lei, le mani affondate nelle tasche e le sopracciglia aggrottate in un’espressione fastidiosamente  accigliata. Scosse la testa, avvilita, facendo un grande sforzo per concentrarsi su qualsiasi altra cosa che non fossero quegli occhi ansiosi e penetranti, che adesso sembravano seguire ogni suo movimento.

- Alla grande Peter, per essere due principianti io e Nicolas ce la siamo cavata piuttosto bene, devo dire. Johanna sarà sicuramente fiera di noi, a proposito…non è ancora tornata da Love Island, vero? Non la sento da almeno due giorni. Accidenti a lei, sempre a fare di testa sua, eppure glielo avevo raccomandato di non muoversi da casa in mia assenza. È sempre la solita.

Disse in fretta, ostentando un’allegria che di certo non provava mentre di nuovo si sforzava di imprimere convinzione alla sua voce.

- Sai come è fatta, sempre a correre in aiuto dei suoi amici ogni volta che hanno un problema.

Le rispose Peter, sollevando le spalle con noncuranza. La donna annuì, passandosi stancamente una mano fra i capelli.

- Già, Josè. Ho saputo anche questo. Mio Dio, non posso allontanarmi per cinque minuti che qui succede un cataclisma! Spero che almeno lui e Benedicte abbiano rimesso le cose a posto.

- E chi lo sa? Ma vieni di sopra con me, sarai stanca. Ti preparo un bel bagno caldo.

- Oh sì, credo sia proprio quello di cui ho bisogno. Grazie, amore mio.

Sorrise al fidanzato, cingendogli il collo con le braccia e sfiorandogli le labbra con un bacio riconoscente prima di avviarsi su per le scale, attenta a non voltarsi indietro. Si stava comportando come una stupida con Nicolas, ne era consapevole, ma non poteva farci nulla. Il suo pesante fardello di colpe era decisamente troppo da sopportare, ormai.

- Ehi. Grazie per esserti preso cura di lei in questi giorni. Sei proprio un buon amico.

Sussurrò a quel punto Peter, battendo affettuosamente una mano sulla spalla di Nicolas non appena i due uomini rimasero soli, senza nemmeno far caso al fatto che da quando erano tornati a casa lui non aveva praticamente aperto bocca, limitandosi invece ad annuire un paio di volte con aria assente.

Quella sera, sorprendendo Hèléne sola in giardino alla fioca luce della luna non seppe però trattenersi, e raggiungendola silenziosamente non perse occasione per  rovesciarle addosso tutta la sua frustrazione. 

- I miei complimenti – sibilò a denti stretti, facendola sussultare per la sorpresa -  vedo che non ti sei ancora stancata di recitare la parte della fidanzata amorevole e fedele! Mi chiedo quando ti deciderai a raccontargli la verità.

La vide sospirare, stringendosi nelle spalle.

- Smettila, non c’è proprio nulla da raccontare.

Si limitò a sussurrare, scatenando così tutto il suo già malcelato malumore.

- Oh sì che c’è, c’è anche troppo da dire. Ti avverto Hèléne, se non sarai tu a dirgli tutto vorrà dire che lo farò io.

La minacciò così, senza nemmeno pensare al peso di quelle parole che, dure e taglienti come lame affilate la colpirono nel profondo, turbandola non poco.

- Non faresti mai una cosa del genere.

Gli rispose, forse più per convincere se stessa. Anche se, a giudicare dal suo sguardo livido, la prova risultava davvero difficile.

- E perché non dovrei? Mi deludi, sai? Dimostri di conoscermi davvero molto poco.

Replicò con una smorfia, poi, prima ancora che lei potesse aggiungere qualcosa le voltò le spalle e si incamminò lentamente verso casa, mentre il cuore andava a fondo come una pietra…

Dormiva già da un po’, e sembrava così stanca e affaticata che Christian non aveva ancora avuto il coraggio di svegliarla. Poco male però, le valigie erano già pronte ai piedi del letto e non avevano altro da preparare. Sarebbero arrivati all’aeroporto in perfetto orario, anche se non si sentiva ancora pronto per un ritorno a casa. Tornare a Parigi avrebbe significato ricominciare la vita di tutti i giorni, con tutto quel che ne sarebbe conseguito. No, non era affatto pronto per questo e, a dirla tutta, non poteva proprio fare a meno di sentirsi terrorizzato da ciò che il destino avrebbe riservato loro nei mesi a venire. Avrebbe voluto essere ottimista, lo avrebbe davvero voluto con tutto il cuore, ma quella non era di certo la situazione più adatta per mettere al mondo un figlio. Non sapeva nemmeno se ce l’avrebbe fatta a portare a termine la gravidanza. Non sapeva assolutamente nulla, e ogni minuto che passava gli sembrava di precipitare in una voragine scura e senza vie di fuga. Condannato in quell’orribile limbo di paura, e quello era solo l’inizio. Non sarebbe riuscito a reggere a lungo, ne era certo, non aveva neppure voglia di provarci. Il medico era stato chiaro: l’unico modo per salvare la vita a Johanna era quello di interrompere immediatamente quell’inaspettata e pericolosa gravidanza, ma lei ovviamente era stata irremovibile. Voleva dare una possibilità a quella piccola creatura, tutto il resto sarebbe passato in secondo piano. Compresa la sua salute. Sospirò, osservandola a lungo profondamente addormentata al suo fianco, sfiorandole i capelli in una tenera carezza prima di scuotere la testa con vigore, come a voler cancellare tutti quegli assurdi avvenimenti che in poche ore gli avevano sconvolto l’intera esistenza. Come a voler tornare indietro, solo per riavvolgere il nastro e ricominciare da capo. Non poteva rischiare di perderla un’altra volta. Non così. Improvvisamente la vide riscuotersi, stropicciandosi più volte gli occhi prima di voltarsi lentamente verso di lui per incontrare il suo sguardo curioso.

- Oh cavolo, devo essermi appisolata senza nemmeno accorgermene. Che ore sono?

Chiese e fece per scendere dal letto ma lui le posò una mano sul braccio, risoluto, facendole cenno di non muoversi ancora. Non c’era alcuna fretta.

- Tranquilla, abbiamo ancora tempo prima di prendere l’aereo, per questo ti ho lasciata dormire un po’. Come ti senti?

Johanna annuì sorridendo.

- Un po’ stordita, ma bene. Non riesco ancora a crederci Christian, eppure è tutto vero.

Strinse forte la sua mano, cercando di nuovo il suo sguardo sfuggente.

- Sì, è tutto vero. Solo che…

- Non devi preoccuparti – lo interruppe, il tono deciso di chi non ammetteva repliche - io e questo piccolino staremo benissimo. Bè, ora che ci penso potrebbe anche essere una lei…

- Johanna…

- Potrebbe avere i tuoi occhi. Oh, sarebbe fantastico se avesse i tuoi occhi, ci hai pensato? Sarebbe come veder correre per casa un piccolo te, solo molto più tenero e dolce.

- Johanna…

- Spero che non erediti il tuo carattere però, altrimenti saremmo in guai seri. Chi lo regge un altro come te?

- Johanna, ascoltami per favore. Tu hai sentito quello che ha detto il dottore, non è vero?

La giovane donna sbuffò, spiandolo di sottecchi con una smorfia leggera che faceva tanto assomigliare il suo viso a quello di una bambina capricciosa.

- Certo che ho sentito, ma non devi lasciarti influenzare  né spaventare da quello che ha detto, mon Cri Cri. Insomma, lo sai che loro esagerano sempre! Andrà tutto per il meglio.

Disse con un largo sorriso, e lo pensava davvero. Insomma, perché lasciarsi rovinare la vita da una diagnosi incerta come quella? Nessuno poteva prevedere come sarebbero andate le cose, neppure un medico plurilaureato come quello. E poi, chi aveva voglia di ascoltare i suoi barbosi consigli? In fondo erano tutti uguali loro…

- Come puoi esserne sicura? – la voce del fidanzato interruppe il flusso dei suoi pensieri, finendo per distrarla bruscamente - Stiamo parlando di gravidanza a rischio, lo capisci questo? Con ciò che hai passato non è detto che il tuo fisico sia un grado di reggere a tutto questo, sei ancora molto debole e…

- Amore, ascoltami tu adesso. Comprendo perfettamente le tue preoccupazioni, ma questo bambino è come un piccolo miracolo. Un piccolo miracolo tutto nostro, e non ho alcuna intenzione di rinunciare a lui. Vada come vada. Se esiste davvero una possibilità, anche la più piccola possibilità di vederlo venire al mondo, io…io desidero dargliela, perciò non roviniamo tutto, ok? Mio Dio, fino a un paio di giorni fa ero ancora convinta che non avrei mai potuto avere dei figli se non con l’aiuto di quell’intervento chirurgico, e adesso invece è cambiato tutto. Lo avresti mai creduto?  Lui è già con noi. Sentilo Christian, sentilo come lo sento io.

Gli prese la mano, guidandola piano verso il suo ventre e tenendola lì, stretta sulla sua  nell’assurda speranza che l’uomo che amava più di se stessa potesse comprendere che ciò che stava accadendo nelle loro vite non era una minaccia, bensì una vera benedizione e li avrebbe ben presto riempiti di felicità. Che quella minuscola creatura che stava crescendo dentro di lei era davvero tutto, fuorchè un errore…

Josè si ritrovò a sperare con tutto il cuore che la moglie si presentasse d’un tratto in aeroporto, pronta a tornare finalmente a casa con lui e ci volle tutta la determinazione di Johanna per convincerlo a non aspettarla oltre, poiché era sicura che Benedicte li avrebbe raggiunti presto, prima o poi. Ne era ben convinto anche lui, ricordava ancora bene la promessa che le aveva fatto appena qualche giorno prima sulla spiaggia, il suo sorriso pieno di speranza quando aveva deciso di fidarsi di lei e così sarebbe stato, per sempre. Solo che a volte non riusciva proprio a impedire allo sconforto di prendere il sopravvento e allora una profonda malinconia lo assaliva, facendolo piombare nella più cieca e desolante tristezza mentre cominciava a pensare al peggio. Per fortuna c’erano gli amici con lui, sempre pronti a tirargli su il morale, e a quel punto bastava una semplice parola di conforto o una pacca sulla spalla per dissipare le nubi e far di nuovo tornare il sereno nel suo cuore. Rientrarono a casa ormai a pomeriggio inoltrato, accolti in un coro di festa dagli amici rimasti che attendevano con ansia il loro ritorno, e Laly ed Hèléne quasi soffocarono l’amica del cuore in un caldo e lungo abbraccio quando finalmente appresero che la loro meravigliosa famiglia si sarebbe presto allargata. La prima, ignara della stanchezza che la giovane americana aveva inevitabilmente accumulato durante il viaggio la trascinò letteralmente via con sé, pilotandola su per le scale mentre cominciava a stordirla di chiacchiere sull’importanza di procurarsi al più presto un magnifico e completo corredino per il nascituro, se non voleva farsi cogliere impreparata. Hèléne ascoltava distrattamente quella strampalata conversazione ma la sua attenzione adesso era tutta per Nicolas, che in un angolo dell’accogliente sala da pranzo discuteva fitto con Peter e Christian lanciandole di tanto in tanto strane occhiate ostili che la turbavano nel profondo, mettendola in allarme ogni minuto di più, poiché si chiedeva cosa avessero di tanto importante da parlottare tra loro in modo così misterioso. No, non doveva pensare al peggio, Nicolas non avrebbe mai rivelato la verità al fidanzato e non certo in presenza di Christian, cosa andava a pensare? Non ne avrebbe mai avuto il coraggio, nonostante avesse minacciato più volte di volerci provare, mettendole i brividi.

- Hèléne, cosa fai lì impalata? Vieni o no?

Laly la chiamò a gran voce, catturando così la sua attenzione e costringendola a seguire le due amiche al piano di sopra. Si impose di mantenere il controllo di se stessa, non sarebbe accaduto nulla di irreparabile quella sera. O almeno lo sperava.

- Forza Christian, animo – esclamava intanto Peter, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla – non fare quella faccia, dovresti essere al settimo cielo, in fondo stai per diventare padre!

I due uomini lo videro annuire con scarsa convinzione, scambiandosi un’occhiata dubbiosa mentre lo vedevano allontanarsi mestamente, stanco di tutte quelle stupide chiacchiere sull’inaspettata gravidanza di Johanna che chiunque sembrava considerare come un dono del cielo. Possibile che non si rendessero conto di quanto fosse invece pericoloso per lei affrontare tutto questo?

- Ehi, si può sapere dove vai adesso?

Gli chiese Nicolas, stupito dal suo strano comportamento.

- Al diavolo!

Fu la sua secca risposta. Quella situazione era talmente assurda e grottesca che persino lui stentava ancora a crederci a volte, e se tutti quanti avevano così tanta voglia di festeggiare in allegria quell’orribile suicidio allora avrebbero dovuto farlo da soli, perché lui si sarebbe chiamato fuori! Ma cosa accidenti si erano messi in testa? Sembravano totalmente usciti di senno…

- Christian? Christian, mi stai ascoltando?

L’uomo si rese conto che Fanny cercava di attirare la sua attenzione solo quando la vide sventolargli la mano davanti al viso, in un vano tentativo di riportarlo finalmente sul pianeta terra e, con più precisione, sulla poltrona della casa discografica dove da più di un’ora era ormai accasciato come un pallone sgonfio, l’aria tutt’altro che concentrata sull’ultima canzone che avrebbe dovuto ascoltare.

- Ehm…certo, scusami. Dicevi?

Farfugliò distrattamente, scompigliandosi nervosamente i capelli in uno strano gesto automatico che non sfuggì di certo all’attenzione della ragazza.

- Sei parecchio distratto, oggi.

Lo rimproverò scherzosamente mentre lo vedeva scuotere lentamente la testa.

- Mi dispiace – si scusò – stavo pensando ad altro.

Fanny annuì comprensiva prima di sorridergli sorniona.

- Lo so – rispose con una leggera smorfia divertita -  so che in questo periodo hai la testa da tutt’altra parte, ed è comprensibile visto che…

- Oh no, ti prego. Non dirmi che anche tu stai per metterti a parlare di dono del cielo Fanny, perché giuro che non lo sopporterei in questo momento.

La interruppe subito con espressione corrucciata, accompagnando l’intenzione con un eloquente gesto della mano che la lasciò a bocca aperta per qualche secondo, prima di riprendere a parlare.

- Bè, che tu lo voglia o no è proprio di questo che si tratta, di un meraviglioso miracolo. Non saprei come altro definirlo, l’arrivo di un figlio è sempre motivo di grande gioia in una famiglia.

Puntualizzò, tentando con scarsi risultati di farlo ragionare e di tranquillizzarlo almeno un poco. La prova però era davvero molto difficile, e se ne accorse ancora una volta quando lui le rivolse un’occhiata enigmatica che in quel momento sembrò valere più di mille parole.

- Non quando questo rischia di compromettere la salute della madre – disse in un soffio, sospirando rassegnato - come posso essere felice, sapendo che questa gravidanza potrebbe letteralmente uccidere Johanna? Per quanto mi sforzi di essere positivo non riesco proprio a pensare ad altro, è più forte di me.

La giovane mosse qualche passo verso di lui fino a chinarsi sulla sua poltrona, mentre con naturalezza gli stringeva una mano fra le sue.

- Capisco che tu sia preoccupato, e ne hai tutte le ragioni. Mi dispiace tanto che sia costretto a viverla in questo modo.

Rispose a voce bassa e proprio in quel momento lo vide sgusciare via dalla sua presa, l’aria improvvisamente contrita e sofferente di chi ha appena ricevuto un pugno dritto nello stomaco.

- Ti senti bene?

Chiese allora, preoccupata, osservando ansiosa il movimento lento delle sue dita che adesso risalivano misteriosamente verso il petto. Erano parecchi giorni ormai che gli capitava, anche se alla fine decideva sempre di ignorarne la causa.

- Sì, sto bene – la tranquillizzò così, tornando pian piano a rilassarsi. La fitta dolorosa era già sparita -  credo di essere solo un po’…agitato, tutto qui. Allora, sei pronta per il concerto?

Provò a cambiare argomento nella speranza di distrarla da ciò che era appena successo, e a giudicare dai suoi occhi scintillanti riuscì facilmente nell’intento.

- Assolutamente sì!

La sentì esclamare, eccitata, prima di notare un piccolo ciondolo che aveva la forma di un cuore stilizzato riposare nell’incavo della sua gola.

- E quello da dove spunta fuori?

Domandò curioso e Fanny arrossì di piacere, facendolo sorridere.

- Me lo ha regalato Eric. Dovrebbe essere un portafortuna, o qualcosa del genere.

Spiegò, rigirandolo distrattamente tra le mani con aria sognante. Christian la guardò con tenerezza, facendole cenno di avvicinarsi di nuovo per sedere stavolta vicino a lui.

- Mi sono forse perso qualcosa?

Chiese, regalandole un sorrisetto beffardo che la fece subito scoppiare a ridere.

- Sto molto bene in sua compagnia – aggiunse poi, più seria - stare con lui mi fa sentire quasi onnipotente, come se fossi…speciale.

Le sfiorò una guancia in una dolce carezza.

- Tu sei speciale.

Disse, e lo pensava davvero. Anche se tra loro era ormai finita da tempo si sentiva ancora molto legato a quella ragazza unica ed esuberante, e l’unica cosa che desiderava per lei era che fosse finalmente felice perché se lo meritava. Tutti meritavano una seconda possibilità. E per lui, cos’aveva in serbo il destino? La vita gli avrebbe mai regalato almeno un attimo di serenità?

La pallida luce della luna rischiarava il lussuoso giardino attraverso un caldo mosaico di tenui colori che si riflettevano sulla finestra e da cui Nicolas non riusciva a staccare gli occhi.  Solo, completamente solo nella silenziosa cucina immersa nella semioscurità, si chiedeva se e per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a sopportare quell’assurda e dolorosa situazione senza crollare, come invece aveva tanta voglia di fare. Non avrebbe potuto soffocare i suoi sentimenti ancora a lungo, ecco perché in quella notte insonne si era riempito il bicchiere più e più volte, finendo in poco tempo per perdere lucidità. La sua testa e il suo umore, già  tristemente altalenante da quando aveva fatto ritorno a casa erano annebbiati dai fumi dell’alcool, tanto che non si accorse dell’improvviso arrivo di Hèléne finchè non sentì i suoi passi leggeri dietro di sé, trasalendo mentre si voltava di scatto verso di lei.

- Ehy, ma guarda chi c’è, sua maestà la fedeltà in persona! Cosa c’è, anche tu soffri d’insonnia? Immagino dipenda dal fatto che non abbia ancora confessato la verità alla tua dolce metà, dico bene?

Ghignò sarcastico, aggrottando a lungo le sopracciglia prima di riuscire a metterla bene a fuoco. Accidenti, anche la sua vista cominciava fastidiosamente ad appannarsi.

- Piantala, sei completamente ubriaco.

Disse lei, accendendo la luce per rischiarare finalmente l’ambiente, desiderosa d’un tratto di mettere quanta più distanza possibile tra lei e l’uomo che con la sua sola presenza era già riuscito a turbarla più di quanto volesse. E pensare che era solo scesa per bere un bicchier d’acqua, non pensava certo di trovarlo in cucina a quell’ora della notte.

- Mi chiedo che cosa penserebbe se sapesse che la sua  candida e innocente colombina ha pensato bene di spassarsela con il sottoscritto per gran parte della notte, mentre era fuori città!

Lo sentì continuare, impietoso, muovendosi piano verso di lei fino a farla indietreggiare, spaventata dall’ostilità trasudata dal suo sguardo. Uno sguardo che all’improvviso stentava quasi a riconoscere. Perché, per quale motivo continuava ad accanirsi così ferocemente su di lei? Possibile che non capisse che doveva solo dimenticare tutto ciò che era accaduto tra loro durante quel viaggio? Dimenticare, come anche lei stava disperatamente provando a fare…

- Ti ho detto di smetterla immediatamente Nicolas, non un’altra parola!

Esclamò furiosa, seguendo poi con lo sguardo la strana direzione presa dai i suoi occhi sprezzanti che adesso, con sua grande sorpresa, si posavano proprio dietro alle sue spalle. Non ebbe però il tempo di chiedersi a lungo cosa stesse succedendo poiché  la voce del fidanzato, grave e tremante di rabbia come forse non l’aveva mai sentita la raggelò all’istante, facendola sussultare.

- Cosa…che cosa diavolo vorresti dire con questo?

Peter, in piedi davanti a loro e con gli occhi sgranati dall’amara sorpresa stentava a credere a quello che le sue orecchie avevano appena percepito, pregando silenziosamente di essersi sbagliato. No, non poteva essere vero. La sua Hèléne non sarebbe mai stata in grado di fargli una cosa del genere.

- Peter, io…

Qualunque cosa la donna stesse per dire fu a quel punto interrotta dalla voce di Nicolas, che vittima di uno strano e inspiegabile piacere nell’infliggere sofferenza all’altro uomo si divertiva ora a urlare la sua verità, finalmente sollevato dal fatto di  non dover più nasconderla.

- Esattamente quello che ho detto, amico! Io e la tua futura mogliettina abbiamo fatto l’amore mentre eravamo a Houston, e non una, ma ben due volte! E, sai, credo proprio che le sia piaciuto parecchio, a giudicare da come…

- Chiudi la bocca, bastardo! E io che ti credevo un amico…sono proprio un coglione a non aver capito nulla!

Peter si avventò su di lui, colpendolo con rabbia fino a vederlo accasciarsi a terra, ma non era ancora abbastanza. Sentiva a malapena la voce di Hèléne che tra le lacrime continuava a scongiurarlo di fermarsi, di smettere di picchiarlo in quel modo finchè, richiamati dalle urla, Josè e Christian si precipitarono giù per le scale per accorrere sul posto. Provarono con tutte le loro forze a dividere i due uomini prima di essere malamente spinti via dal primo, che con espressione truce e passi pesanti si avviò velocemente verso l’ingresso, desideroso all’improvviso di cambiare aria mentre  richiudeva violentemente la porta alle sue spalle, lasciando tutti a bocca aperta.

- Ahi, mi stai facendo male!

Si lamentò Nicolas mentre Hèléne, in piedi di fianco a lui, si prendeva cura delle sue ferite.

- Resta in silenzio e lascia che finisca di medicarti, sto solo cercando di limitare i danni.

Disse, serrando le labbra in una linea dura come se d’un tratto si stesse sforzando di trattenere le lacrime. Tutto questo era decisamente troppo per lei, non era affatto sicura di riuscire a sopportarlo.

L’uomo sospirò, afflitto, cercando il suo sguardo sfuggente.

- Se volessi davvero limitare i danni a quest’ora saresti là fuori insieme al tuo fidanzato, e non certo a perdere del tempo prezioso con me.

Le rispose, mentre la vista sembrava tornare finalmente a posto. Stava iniziando a smaltire la sbornia, a tornare padrone di se stesso e delle sue azioni, anche se avrebbe preferito non farlo. Già, le sue terribili azioni… Cavolo, cos’era stato capace di fare? Abbassò la testa, vergognandosi di se stesso. Hèléne gli sollevò il mento con un dito, costringendolo così a rivolgere di nuovo il viso verso di lei per esaminare più da vicino il suo labbro inferiore, ora gonfio e sanguinante.

- Peter continua a rifiutare le mie chiamate, e anche volendo non avrei la più pallida idea di dove cominciare a cercarlo. 

Sussurrò e la sua voce vibrò impercettibilmente, facendosi triste e rassegnata. Nicolas non potè fare a meno di sentirsi un verme.

-  Non sarei mai voluto arrivare a questo punto, io…non so proprio cosa mi sia preso. Perdonami Hèléne, ti prego, ma questa situazione continua a tormentarmi da giorni ormai e mi fa stare malissimo. Mi dispiace, mi dispiace tanto, avevo solo bisogno di sapere.

La donna gli lanciò uno sguardo interrogativo.

- Sapere…che cosa?

Chiese curiosa. Lo vide sospirare a lungo, come se stesse cercando di raccogliere tutto il coraggio che possedeva prima di prepararsi a rispondere.

- Se ciò che provi per me è la stessa cosa che provo io, perché…mi sono reso conto di non aver mai smesso di amarti in tutti questi anni, e ho bisogno di conoscere anche i tuoi sentimenti. Dimmi la verità, ti prego, davvero quella notte non hai sentito nulla per me?

Furono interrotti dall’arrivo degli amici, che preoccupati per le condizioni di Nicolas accorsero in cucina uno dopo l’altro, decisi a sincerarsi con i loro occhi che la situazione fosse davvero sotto controllo come lui stesso aveva assicurato loro appena pochi minuti prima.

- Come stai, le ferite ti fanno tanto male?

Esclamò Johanna, andandogli incontro e stringendosi di più nella vestaglia quando l’improvvisa folata di vento proveniente dalla finestra aperta la fece rabbrividire. Christian corse a richiuderla, mettendo poi su il bollitore con l’intento di preparare per tutti una tisana calda che li avrebbe aiutati a tenere a bada i nervi. Sospirò, affranto mentre tirava fuori dalla dispensa un paio di bustine di thè: quella sarebbe di certo stata una lunga notte.

Nicolas scosse lentamente la testa, provando così a rassicurarla.

- No – disse - non sono quelle a farmi male.

Poi cercò ancora una volta lo sguardo di Hèléne, ma sembrava che lei stesse davvero facendo di tutto per sfuggirgli. Di nuovo. Dannazione, se solo…

 - E, voi due, smettetela di fissarmi in quel modo.

Aggiunse d’un tratto quando si accorse che i suoi amici lo guardavano con una strana espressione dipinta sul volto.

 - Nessuno di noi ti sta fissando in alcun modo, vero Christian?

Si affrettò subito a dire Josè, rivolgendosi all’uomo che intanto si sforzava di annuire anche se con scarsa convinzione.

- Assolutamente. Non siamo nella posizione di giudicarti e nemmeno ci permetteremmo mai di farlo.

Disse.

- Bè, io mi permetto eccome invece. Si può sapere come accidenti ti è venuto in mente di uscire allo scoperto in questo modo? Ma insomma, un po’ di tatto, no?

Proruppe invece Johanna, apostrofando l’amico in un tono a metà tra il divertito e l’accusatorio.

Christian le rivolse un’occhiata sbalordita.

- Cosa? Vorresti dire che tu sapevi già tutto?

Le chiese, vedendola annuire energicamente con aria superiore.

- Ma è ovvio, mon Cri Cri…

Olga, che intanto si era unita agli altri giusto in tempo per assistere a quella strana conversazione non potè fare a meno di sorridere con aria sognante, giungendo entrambe le mani e continuando a ripetere come apparisse tremendamente romantico avere due pretendenti che si battono per conquistare l’amore e le attenzioni di un’unica donna.

- Va bene, ora basta – esplose Hèléne, stanca di tutto quel trambusto - vi spiacerebbe tornare tutti di sopra? Non c’è proprio niente da vedere.

Johanna avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma un improvviso e violento capogiro la costrinse ad accasciarsi sulla sedia con aria esausta, mentre Christian le si avvicinava per essere sicuro che stesse bene.

- Certo – disse, subito -  ce ne andiamo immediatamente a dormire. Sentito, Johanna? Basta con le paternali, nelle tue condizioni hai bisogno di tornare a riposare.

L’americana alzò gli occhi al cielo, infastidita da tanta preoccupazione che giudicava inutile, oltre che quasi soffocante. Quante volte ancora avrebbe dovuto ripetere al fidanzato che non era il caso di agitarsi sempre a quel modo per ogni nonnulla?

- Mi sento bene, stai tranquillo, era solo un banalissimo capogiro. Ora è passato.

Si affrettò a chiarire, ma quando provò a rimettersi in piedi sentì la vista annebbiarsi e le ginocchia cedere sotto il suo peso fino a farla crollare a terra, priva di sensi.

- Oddio Johanna, che succede?

Esclamò Hèléne, chinandosi su di lei e scrollandola a lungo nell’inutile tentativo di rinvenirla, subito imitata da Christian, che convinto che uno dei suoi incubi peggiori avesse appena preso forma davanti a loro non riusciva a darsi pace.

- Tesoro, che cos’hai? Svegliati, ti prego, riapri gli occhi!

Fu tutto ciò che continuò disperatamente a ripetere, anche dopo l’arrivo dell’ambulanza, mentre con il cuore che batteva all’impazzata si preparava alla corsa in ospedale…

L’avevano finalmente stabilizzata e sistemata in una piccola ma accogliente camera di emergenza, dove avrebbe potuto riposare un pò e recuperare così le forze. Christian, non ancora tranquillo, si impose di mantenere il controllo di sé e delle proprie emozioni mentre affrontava il lungo colloquio con il medico, durante il quale non potè che emergere ciò che già si aspettava: Johanna era troppo debole e debilitata, continuare su quella strada sarebbe stato pericoloso. Troppo pericoloso per lei e per la sua salute. C’era un’unica cosa da fare: interrompere immediatamente la gravidanza, prima che fosse troppo tardi.

- Proceda dottore, la prego – si ritrovò così a dire, senza pensarci troppo – faccia ciò che è necessario per salvarle la vita, non attenda più neppure un istante…

- Ciao, come ti senti?

Le sussurrò gentilmente quando la vide riaprire gli occhi, guardandosi lentamente intorno con aria smarrita.

- Christian…cosa è successo? Dove mi trovo?

Chiese, ancora confusa e dolorante. Lo vide sussultare prima di risponderle, cercando disperatamente di sfuggire al suo sguardo attento e curioso. Tutto questo non aveva per niente senso, e in più cominciava a farla sentire inquieta.

- In ospedale.

Disse dopo una breve pausa, annuendo lentamente nella sua direzione. Johanna aggrottò le sopracciglia, cercando di capirci qualcosa. Accidenti, si sentiva la testa completamente vuota.

- In ospedale? Ma…perché, cosa ci faccio in ospedale, io…

- Sei svenuta e mi sono preoccupato, così ti ho portata qui. Ti senti meglio, ora?

- Sì, credo di sì, ora ricordo. Mi girava la testa e non riuscivo a reggermi in piedi…il bambino! Va tutto bene, non è vero? Ti prego, dimmi che il bambino sta bene!

Realizzò d’improvviso, sfiorandosi istintivamente il ventre piatto e sperando con tutto il cuore che non ci fosse alcun problema da affrontare. No, non lo avrebbe di certo sopportato. Il silenzio ostinato dell’uomo la mise però in allarme mentre, divorata dall’ansia, sollevava pian piano le spalle cercando almeno di mettersi a sedere sul letto. Cosa non facile, viste le strane e fastidiose fitte che continuavano a tormentarla praticamente da quando si era risvegliata. 

- Christian! Rispondimi immediatamente!

Esclamò esasperata, costringendolo così a riprendere a parlare.

- Non…sarebbe comunque riuscito a sopravvivere, non ce l’avrebbe mai fatta. Tu non ce l’avresti fatta.

Cominciò, la voce ridotta a un flebile sussurro prima di abbassare lo sguardo sulle dita tremanti che continuava a tormentarsi nell’assurda speranza che questo gli infondesse il coraggio necessario per continuare. Per provare a spiegarle cosa era stato costretto a fare, pur di non perderla per sempre.

- Cosa diavolo stai cercando di dirmi, si può sapere?

- Mi dispiace Johanna, mi dispiace tanto, ma era l’unico modo per salvarti.

Si scusò, sperando stupidamente che questo potesse bastare a placare l’inevitabile dolore. Un dolore che ora, inevitabilmente, era anche il suo. Un’ombra scura spense pian piano il volto già sofferente della donna, rabbuiandolo per lo choc e, a quel punto, fu come se qualcosa dentro di lei si spezzasse irrimediabilmente, lasciandola inerme. Come svuotata.

-  No, no. Non può essere – continuò a ripetere per un tempo interminabile, stringendo forte le palpebre per non dover vedere il suo viso che adesso, muto e colpevole, la fissava con infinita pena - che cosa hai fatto? Che cosa mi hai fatto, bastardo?

Christian provò a sfiorarle una spalla ma la vide ritrarsi bruscamente prima di lanciargli uno sguardo rabbioso che riuscì a raggelarlo all’istante.

- Per favore, non…

- Non toccarmi! Non provare mai più a toccarmi, mi fai schifo. Come hai potuto permettere una cosa simile, come hai potuto farmi questo? Ridammi il mio bambino, ridammi il mio bambino!

Si sporse verso di lui, strattonandolo disperata mentre lacrime cocenti le annebbiavano la vista, facendola crollare in preda allo sconforto.

- Calmati, ti scongiuro, lascia solo che ti spieghi.

Ripeteva intanto Christian, che con gli occhi lucidi provava a schivare i suoi colpi bloccandole le braccia con decisione e guardandola intanto dimenarsi come impazzita. Era ancora debole, tutto quella terribile agitazione non avrebbe di certo giovato al suo fisico e lo sapeva bene.

- Che cosa vorresti spiegarmi, che era questo ciò a cui miravi fin dall’inizio? Che hai finalmente raggiunto il tuo scopo? Volevi liberarti di lui, non lo hai mai voluto!

Urlava colpendolo ripetutamente sul petto, accecata dalla rabbia. 

- Tesoro, smettila adesso! Non c’è niente che avrei voluto di più al mondo e lo sai, ma non a queste condizioni. Cerca di capire…

- Ti ho detto di non toccarmi! Sei un mostro, sei solo un mostro senza cuore, e adesso fuori di qui! Vattene! Vattene e non farti vedere mai più!

In preda a una crisi isterica gli lanciò contro praticamente tutto ciò che le riuscì di trovare e questo fece accorrere medici e infermieri, che chiedendo all’uomo di lasciare la stanza furono immediatamente costretti a sedarla per fermare la sua furia distruttiva. Christian, dietro la porta ormai chiusa attese che le sue urla strazianti si placassero, segno evidente che i tranquillanti iniziavano finalmente a fare effetto, poi si accasciò su una delle sedie della sala d’aspetto, il respiro improvvisamente affannoso. Sentiva quel dolore sordo e sconosciuto riprendere impietosamente a tormentarlo, attraversandogli il petto come una violenta stilettata…

- Benedicte, ma cosa…che ci fai qui? Voglio dire, ci siamo parlati appena cinque minuti fa, perché non mi hai detto che eri tornata?

Esclamò Josè, che appena rientrato in casa fissava la moglie di fronte a lui con espressione attonita e curiosa al tempo stesso. Non aveva idea di cosa stesse succedendo ma ne aveva già abbastanza di brutte notizie per quel giorno, perciò sperò con tutto il cuore che la donna non ne avesse in serbo un’altra per lui. Ma era lì, in carne ed ossa e di nuovo a casa ed era questo ciò che contava, no? Giusto, anche se non sapeva per quanto tempo sarebbe durata. Si impose quindi di non farsi troppe illusioni. A dire il vero era piuttosto difficile controllarsi, moriva dalla voglia di abbracciarla.

- Volevo fare una sorpresa a te e a tutti gli altri, ma in casa non c’è nessuno.

Disse dispiaciuta, anche se l’emozione che ora si poteva leggere nel suo sguardo, sincero e appassionato era più che evidente. Vide l’uomo scrollare le spalle mentre un’ombra scura gli attraversava il volto.

- Sono tutti in ospedale, da Johanna. Io vengo proprio da lì...e Joel? Non è con te?

Disse, con una strana apprensione nella voce che non sfuggì di certo all’attenzione della giovane donna.

- L’ho portato di sopra, in camera nostra.

Spiegò con un dolce sorrisetto sornione che, anziché tranquillizzarlo, servì a mettergli lentamente addosso una strana e fastidiosa ansia di cui non riuscì facilmente a liberarsi.

- In camera nostra? Non sapevo che avessimo ancora una camera nostra! Tua e mia, intendo…

Balbettò arrossendo, non sapendo cos’altro dire e facendo così scoppiare a ridere Benedicte, che avvicinandosi pian piano gli prese le mani per stringerle forte tra le sue. Il tempo delle incertezze era finalmente finito.

- Josè, sono tornata per restare. Ho capito che quello che voglio è solo qui e da nessun’altra parte. Ti amo.

Disse lenta e staccata, specchiandosi a lungo nei suoi occhi sgranati e sorpresi prima che lui l’avvolgesse in un lungo e caldo abbraccio, facendola volteggiare per la stanza mentre si univa alla sua risata cristallina. Era così bello sentirla ridere di nuovo, poterla stringere fra le braccia nella meravigliosa sicurezza che, da quel momento in avanti, non si sarebbero più lasciati.

- Anch’io ti amo.Ti amo, ti amo, ti amo!

Continuò a ripetere felice, baciandola e accarezzandola a lungo. Stentava ancora a credere che fosse tutto vero, che sua moglie fosse davvero tornata da lui e che questa volta sarebbe stato per sempre.

- Allora, come sta Johanna?

Gli chiese lei quando più tardi si ritrovarono accoccolati sul divano, fissando distrattamente le loro dita ora unite in un tenero intreccio. Josè sospirò, ripensando con dolore all’amica e alla sfortunata sorte che purtroppo le era toccata.

- Fisicamente si sta riprendendo, i medici la dimetteranno oggi stesso, ma per il resto…

Si interruppe bruscamente, senza trovare il coraggio per proseguire e Benedicte annuì con aria triste, stringendosi più forte a lui.

- Sì, lo credo bene. Aveva già perso un figlio, e ora è successo di nuovo. Mi dispiace così tanto per lei, spero soltanto che non si lasci annientare da questo grande dolore. Ma lei è una donna forte, lo è sempre stata. Non è vero?

Lo guardò speranzosa e l’uomo non potè far altro che annuire brevemente, sperando con tutto il cuore che le cose stessero davvero così. Johanna però sembrava stare molto peggio di quanto si aspettasse, e quando quel tardo pomeriggio lasciò finalmente l’ospedale per tornare a casa la prima cosa che fece fu riprendere a insultare Christian, scaricandogli addosso tutta la rabbia provata e ferendolo così per l’ennesima volta mentre, stanco e avvilito, si avviava silenziosamente al piano di sopra.

- Perché le permetti di parlarti in questo modo? Stasera ha davvero esagerato, possibile che non si renda conto che hai agito solo a fin di bene?

Replicò Nicolas, che intanto lo aveva raggiunto nella sua camera e che ora, in piedi davanti a lui, provava invano a incrociare il suo sguardo sfuggente. Si rese conto di non averlo mai visto in quello stato, l’aria afflitta e tesa, le spalle curve in un dolore troppo a lungo trattenuto. Non aveva detto una parola durante quella tremenda sfuriata, si era solo limitato a incassare il colpo a testa bassa, attento a non interrompere nemmeno una delle parole crudeli e velenose che Johanna gli aveva rivolto contro e che avevano così tanto turbato gli amici.

- Sta soffrendo e non posso certo biasimarla. Non mi importa di quello che dice, e se insultarmi o offendermi può servire a farla stare meglio, va bene così. L’unica cosa che conta è che stia bene. Che sia viva.

Rispose in un soffio, e lo pensava davvero. Avrebbe potuto odiarlo per il resto della vita, se proprio lo desiderava, la sola cosa importante per lui era saperla al sicuro. Anche a costo di perderla per sempre…

Sfiorò con dita tremanti la minuscola e deliziosa tutina colorata che le sue amiche le avevano subito regalato, non appena venute a conoscenza del lieto evento che presto avrebbe riempito le loro vite di immensa gioia. Una gioia ormai calpestata e distrutta per sempre, senza alcuna possibilità di ritorno. Era finita, lo sapeva bene, quel piccolo e dolce miracolo che tanto aveva atteso ormai non c’era più. E mai sarebbe tornato. Aveva avuto una sola possibilità, una soltanto, ridotta in cenere dall’unica persona di cui si fidava ciecamente. Dall’unica persona che per nulla al mondo avrebbe mai potuto farle del male. O almeno, così credeva. Il ricordo di ciò che era accaduto la investì di nuovo come un’onda di marea, risvegliando una dolorosa e ormai indelebile impronta nel suo cuore che la fece accasciare su se stessa, trattenendo a stento un singhiozzo disperato e subito represso, non appena si accorse di non essere sola. Si asciugò via in fretta le lacrime con gesti furiosi, attenta a non incrociare il suo sguardo nemmeno per errore mentre, sospirando rumorosamente, riprendeva a fare ciò che solo pochi minuti prima aveva interrotto.

- Che cosa vuoi?

Chiese poi, il tono aspro e sbrigativo di chi non aveva tempo da perdere. Christian mosse qualche passo incerto verso di lei, provando ancora una volta ad abbattere quel doloroso e impenetrabile muro di ghiaccio che la compagna aveva così faticosamente eretto tra loro, anche se sembrava impossibile.

- Cosa stai facendo con tutta quella roba?

Indicò il letto ingombro di vestiti con cui stava distrattamente riempiendo una delle sue valigie, temendo già la risposta.

- Non sono affari che ti riguardano.

Fu tutto ciò che ottenne prima di spostare lo sguardo sulle sue labbra, ora serrate in una linea dura e ostile, proprio come il resto del suo corpo. Tutto in lei sembrava essere sul piede di guerra.

- Johanna, ti prego…

- I bagagli! Sto facendo i bagagli, non lo vedi da solo?

Esclamò a quel punto, esasperata persino dal suo tono di voce. Non sopportava più neppure l’idea di dover dividere con lui gli stessi spazi, di essere costretta a respirare la sua stessa aria.

- Dove hai intenzione di andare?

- Me ne torno a casa mia.

Chiarì con malo garbo, sbuffando seccata. Quell’inutile interrogatorio cominciava seriamente a darle sui nervi. L’uomo scosse la testa con vigore, annullando con pochi passi la breve distanza che li separava solo per permettere alla mano di stringersi attorno al suo polso sottile, provando così a richiamare la sua attenzione e cogliendola di sorpresa.

- Non dire stupidaggini, e poi non sei ancora in condizioni di poter viaggiare da sola.

Replicò con decisione, tuttavia incapace di schivare l’improvviso schiaffo che ne seguì e che inevitabilmente marchiò la sua pelle, bruciandola di una nuova e triste consapevolezza.

- Ti ho detto di non toccarmi! Non osare nemmeno avvicinarti a me.

La sentì sibilargli a denti stretti, dopo essersi liberata della sua presa con un violento strattone. Se fosse stata più attenta, Johanna avrebbe sicuramente notato le labbra di lui incresparsi in una sottile smorfia di dolore e il suo respiro, d’un tratto affannoso mentre tentava disperatamente di resistere al dolore sordo che di nuovo lo aveva appena colpito, scavandogli il petto in una lenta e inesorabile tortura che ormai aveva purtroppo imparato a riconoscere. Ma il rancore covato nei suoi confronti era tale da renderla cieca e sorda alla più silente richiesta d’aiuto, e quando incrociò finalmente il suo sguardo implorante, la fredda cortina di rabbia che ormai avvolgeva il suo cuore le impedì di registrare qualsiasi altra emozione che non fosse puro disprezzo. Era così, lo odiava e preda di quell’unico, avvilente sentimento, riprese ben presto a inveire contro di lui. Senza tregua. Senza pietà.

-  Stai tranquillo – aggiunse infatti, sardonica – non sarà per molto, solo per qualche settimana. Tornerò prima ancora che tu te ne renda conto, perché non ho nessuna intenzione di scappare. Non stavolta. Non sarebbe giusto. Per quale motivo dovrei decidere di fuggire quando posso restare qui a ricordarti quello che hai fatto a me e a tuo figlio, sangue del tuo sangue? Tu me lo hai portato via per sempre, tu lo hai ucciso e per questo non avrai un attimo di pace, perché ogni minuto, ogni stramaledetto secondo della tua miserabile e insulsa esistenza io sarò qui a ricordartelo. Fino al tuo ultimo respiro. Tu hai rovinato la mia vita, e adesso io rovinerò la tua.

Se solo fosse stata più attenta, se solo non gli avesse voltato le spalle trascinandosi dietro le sue valigie, desiderosa di mettere tra loro quanta più distanza possibile, Johanna si sarebbe accorta che qualcosa in lui non andava. Che quelle velenose parole, alle quali stavolta avrebbe tanto voluto dare una risposta in realtà le aveva a malapena ascoltate e che adesso, paralizzato dal dolore si accasciava a terra, ansante e sudato, con l’orribile sensazione che una lama sottile si divertisse ad artigliare instancabilmente il suo petto, togliendogli il respiro. Provò con tutte le sue forze ad attirare la sua attenzione, a pronunciare il suo nome nell’assurda speranza che lei tornasse indietro, che  lo aiutasse a placare qualunque male stesse attanagliando il suo corpo tremante, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono e lentamente si arrese alla serpeggiante oscurità che minacciava di avvolgerlo, abbandonandosi pian piano all’oblio mentre perdeva i sensi…

Tamburellò nervosamente le dita sulla sua scrivania, guardandosi intorno ancora una volta. L’immenso impero che negli anni aveva costruito e al quale, ne era sicuro, molti ambivano, poteva essere un ottimo contenitore per gli affari, ma non sembrava di certo fra i più comodi per passarci le notti. Accidenti a quel divano, era ormai così logoro e consunto da rendere praticamente impossibile il suo riposo, anche se ben altro in quel periodo contribuiva a tenerlo sveglio. L’insonnia annebbiava la sua mente, confondendogli le idee che, come si aspettava, confluivano sempre in un unico, doloroso nome: Hèléne. Già, la sua tenera e preziosa Hèléne, l’amore della sua vita nonché sua promessa sposa, che nel tempo libero si divertiva ad andare a letto col suo ex e…chissà cos’altro, a questo punto. Ripercorse il suo viso, accarezzandone con il pensiero i delicati lineamenti finchè una rabbia incontrollabile minacciò di travolgerlo, facendolo capitolare. Sospirò a lungo e con forza, cercando faticosamente di riprendere il controllo di sé mentre con le dita si  sfiorava le tempie, ancora  doloranti. No, non sarebbe mai più tornato a casa, il suo solo ricordo gli dava la nausea. Se lei e quel fastidioso insetto che fino a quel momento aveva creduto un amico, volevano passare insieme il resto della loro vita… chi era lui per impedirglielo?  Amico. Sì, era proprio un bel parolone, soprattutto per lui che di amici non ne aveva mai avuto. Peter Watson non era tipo da partite da poker e scotch in compagnia, nossignore, lui una bevuta preferiva farsela da solo, nel silenzio del suo faraonico e imponente ufficio. Sepolto nella sua quotidianità. In fondo, cosa rappresentava l’amicizia se non un pugnalarsi gioiosamente alle spalle ogni volta che se ne aveva l’occasione, senza nemmeno preoccuparsi delle conseguenze che ciò avrebbe procurato all’altro? Che cos’era l’amore, se non un lento e doloroso indugiare  tra le pieghe più remote del cuore, senza più possibilità di ritorno che non ne comprendesse l’inevitabile rottura?  Perché era così che si sentiva, come un pupazzo vecchio, un pallone sgonfio distrattamente abbandonato in un angolo sfitto e silenzioso. Buio come la sua anima. Lanciò uno sguardo alle numerose telecamere che controllavano il corridoio, sussultando sulla sedia non appena si accorse che Hèléne, a testa bassa, lo stava lentamente attraversando per poi raggiungere il suo ufficio, spalancando con decisione le porte a vetri decorate e lasciandolo così di stucco. 

- Peter, quando la smetterai di nasconderti? Noi due dobbiamo parlare…

- Parlare? Davvero? Perché, considerati gli ultimi avvenimenti, pensavo che fossi più brava con i fatti.

La interruppe subito e il suo strano tono canzonatorio spiazzò non poco la giovane donna che, trovandosi con le spalle al muro, non vide altra soluzione se non quella di ammutolire di colpo, avvicinandosi a lui con passo malfermo mentre il cuore andava a fondo come una pietra. Aveva ragione, non poteva certo negarlo ma, visto il suo continuo rifiuto a un possibile confronto, come avrebbe potuto cercare di spiegargli che amava solo lui e che quello era stato solo uno stupido errore che aveva già cancellato per sempre? Un errore…era veramente questo ciò che pensava? Sapeva solo che non avrebbe sopportato di perderlo.

- Ti scongiuro, dammi la possibilità di spiegarmi. So bene cosa pensi di me e ti capisco, perché mi sento un verme e sono un completo disastro, ma se nel tuo cuore è rimasto ancora un briciolo di amore per me allora ti prego di ascoltarmi, perché non…

Si interruppe di colpo, avvilita di fronte al suo sguardo impietoso che pareva non mostrare il più piccolo segno di cedimento.

- Vattene.

Fu tutto ciò che ottenne in risposta, il tono incolore di chi è stanco di accogliere scuse.

- No!

Esclamò Hèléne, imponendosi con tutte le sue forze mentre lo osservava piegare un angolo della bocca in un sorrisetto sprezzante che di nuovo la ferì come mai avrebbe immaginato.

- Come vuoi.

Rispose lui, calmo, e le sue dita sfiorarono veloci i tasti del telefono. Non aveva mai avuto bisogno di parole per imporsi, quella ne era l’ennesima prova. Poco dopo, infatti, due omoni in giacca e cravatta irruppero nel suo ufficio, in attesa di ordini.

- Accompagnate fuori la signorina. Subito.

Disse senza scomporsi, costringendo la donna a indietreggiare all’istante.

- Cosa? Hai davvero chiamato la sicurezza? Peter, non posso credere che tu stia facendo una cosa del genere proprio a me! E voi, non provate nemmeno a mettermi le mani addosso o giuro che ve ne pentirete!

Gridò agli uomini che nel frattempo l’avevano minacciosamente affiancata, facendosi largo tra loro per sfuggire a quell’assurda situazione. Fu in quel momento che il suo cellulare prese incessantemente a squillare, distraendola e costringendola così a rispondere.

- Che cosa? Oh mio Dio, arrivo.

Praticamente sputò le parole sul ricevitore mentre, il cuore in gola e il respiro d’un tratto affrettato si apprestava a dare a Peter la terribile notizia di cui era appena venuta a conoscenza, e che in un attimo l’aveva sconvolta a tal punto da farle dimenticare di tutto il resto.

- Presto, dobbiamo correre immediatamente in ospedale! Christian ha avuto un infarto…

Hèléne e Peter attraversarono velocemente e con il cuore in gola il lungo corridoio dell’ospedale, fermandosi solo quando individuarono Benedicte e Josè che, parlottando tra loro, si accorsero della presenza dei due solo quando la donna rivolse loro la parola, fermandosi di tanto in tanto per riprendere fiato. Si sentiva confusa e stordita, come se tutto ciò che aveva appena appreso al telefono fosse solo una stupida allucinazione di cui in realtà non avrebbe dovuto preoccuparsi. Un’allucinazione da affrontare col sorriso sulle labbra, anche se a giudicare dall’espressione degli amici c’era davvero poco da stare allegri.

- Come sta? Dimmi qualcosa, per favore!

Esclamò preoccupata ma Benedicte scosse lentamente la testa, aprendo le mani in segno di resa mentre un’ombra attraversava di nuovo il suo volto scavato dall’ansia.

- Non sappiamo ancora nulla – disse infine in un soffio, resistendo all’impulso di scoppiare in lacrime – e se continuano su questa strada finirò per impazzire, ne sono sicura. È lì dentro da almeno mezz’ora ormai, e nessuno ci dà notizie.

Indicò la porta chiusa dietro alle sue spalle, sospirando sconsolata.

- L’unica cosa che ci hanno detto è che si è trattato di un infarto.

Aggiunse Josè, posando una mano sulla spalla della moglie in un’inutile tentativo di consolazione che in quel momento, se ne rendeva conto, non sarebbe servito proprio a niente. Ciò che li avrebbe sicuramente aiutati a stare meglio sarebbero state notizie certe sulle condizioni di salute dell’amico comune, anche se la paura minacciava spesso di prendere il sopravvento su di lui, finendo inevitabilmente per scoraggiarlo.

- Ma si può sapere cosa è successo?

Chiese Peter a quel punto, passeggiando avanti e indietro in mezzo a loro con aria contrita e cercando con tutte le sue forze di ignorare l’improvviso e rumoroso arrivo di Nicolas che, nel frattempo, incredulo e avvilito come poche volte nella sua vita, li aveva appena raggiunti.    

Josè si affrettò a spiegare agli amici che una volta rientrato in casa insieme a Benedicte lo aveva trovato riverso a terra nella sua stanza, e si era così spaventato da aver subito chiamato un’ambulanza per portarlo di corsa in ospedale. Una volta lì, quella terribile verità si era delineata davanti ai loro occhi a chiare, dolorose lettere.

- Quando l’ho soccorso sembrava non respirare più. Non so nemmeno per quanto tempo è rimasto in quelle condizioni, se solo ci fosse stato qualcuno in casa.

Concluse rammaricandosi e finendo ancora una volta per sentirsi in colpa. Se lui e Benedicte non avessero deciso di portare il bambino a fare una passeggiata, se fossero rimasti invece a casa come avevano precedentemente pianificato, forse tutto questo non sarebbe successo. Forse, accorgendosi dell’accaduto sarebbero stati più tempestivi, e…già, era inutile ormai farsi tutte quelle paranoie. Non sarebbe di certo servite a cambiare le cose.

- Dannazione! Quella cazzo di casa è sempre piena di gente, possibile che proprio oggi non ci fosse nessuno?  Dove eravamo, dove diavolo eravamo tutti quanti? Perché non abbiamo potuto aiutarlo?

Esplose a quel punto Nicolas, battendo un violento pugno sul muro e ritraendo poco dopo la mano dolorante, cercando goffamente di trattenere le lacrime mentre Hèléne correva in suo aiuto facendo storcere la bocca a Peter, che bofonchiando strani epiteti soffocati si allontanava intanto da loro, d’un tratto ansioso di raggiungere l’uscita quanto prima. Cominciavano a essere decisamente troppi da quelle parti, tanto da sentirsi quasi soffocare. In più la presenza del rivale lo rendeva irascibile e nervoso, tanto che più di una volta in quel breve lasso di tempo avrebbe voluto sfogarsi mollandogli un bel pugno sul naso. Fortunatamente il buon senso aveva finito per prevalere, costringendolo a optare per un innocuo allontanamento di cui, ne era sicuro, Hèléne non si sarebbe nemmeno accorta, specie in quella spiacevole  situazione di emergenza che si trovavano ora a dover affrontare.

- Smettila di torturarti Nicolas, non ti servirà proprio a niente. Christian starà bene, vedrai.

Gli sussurrò la donna, costringendolo a voltarsi verso di lei per mostrarle tutto il suo dolore.

- Ah, sì? E come fai a saperlo? Perché a quest’ora, non so se ci hai pensato, potrebbe anche essere morto!

Replicò lui, alzando la voce più di quanto avrebbe voluto fare e sentendosi improvvisamente tanto stupido per questo. Stupido e impotente, poiché non avere alcuna possibilità di aiutare il suo migliore amico in un momento così drammaticamente insensato lo faceva andare letteralmente fuori di testa.

- Smettila di parlare così, non dirlo mai più!

Lo riprese Benedicte, che incapace stavolta di trattenersi si rifugiò tra le braccia del marito, scoppiando in un pianto dirotto.

- Ha ragione, invece – si intromise Laly, che accompagnata da John e ancora ansante per la corsa si era appena unita al gruppo, il viso segnato dalla preoccupazione – potrebbe essere morto eccome, a quest’ora! Pensate forse che avere un infarto sia una cosa da sottovalutare? Specie alla sua età, poi. Non riesco proprio a capire come sia potuto succedere, insomma, non ha mai avuto problemi di questo genere, vero? È sempre stato sano come un pesce, lo sappiamo tutti, sarebbe davvero una sfortuna se dovesse tirare le cuoia proprio adesso e senza…

- Laly, vuoi chiudere quella bocca? Presto qualcuno ci farà avere sue notizie, ne sono certa, come sono certa che si riprenderà. Qualunque cosa sia accaduta.

La interruppe Hèléne, ormai stanca di quelle previsioni apocalittiche che stavano terrorizzando tutti. Accidenti a lei, quando avrebbe smesso di credersi una veggente? 

- Ragazzi, come mai non vedo Johanna?

Con quell’improvvisa, ma per una volta sensata domanda, Laly sembrò attirare stavolta le reali attenzioni del gruppo. Già, Johanna. Con tutto quel trambusto Hèléne non aveva neppure avuto il tempo di chiedersi dove fosse finita. Sapeva che l’amica stava attraversando un brutto momento e che soffriva ancora molto per la perdita del bambino, sarebbe stato prudente darle l’ennesimo dispiacere informandola di ciò che era successo a Christian? Bè, comunque stessero le cose, meritava di sapere la verità. E subito. Solo che una volta pronta ad armeggiare con i tasti del telefono, le sue dita, improvvisamente riluttanti si rifiutarono di comporre il suo numero, spingendola a sospirare con aria afflitta prima che Laly la riportasse bruscamente alla realtà, facendola sussultare.

- Si può sapere che ti prende? Chiamala immediatamente!

- Ecco, io…

Esitò.

- Cosa? Avanti, componi quel maledetto numero e falla venire qui subito. Non riesco proprio a immaginare dove possa essersi cacciata, e per giunta a quest’ora del pomeriggio!

Hèléne si rabbuiò.

- Io non voglio spaventarla e farla sentire peggio di come stia adesso, capisci? La perdita del bambino…

La perdita del bambino sarà l’ultimo dei suoi problemi quando saprà cosa è accaduto a Christian. Deve saperlo, Hèléne, non possiamo sempre proteggerla da tutto, e se non la chiami immediatamente vorrà dire che lo farò io!

Disse con decisione, strappandole con rabbia il cellulare di mano e lasciandola a dir poco esterrefatta…

Uno soltanto. Un’ultimo bicchiere di quel fresco liquido ambrato e forse sarebbe stata abbastanza ubriaca da smettere di pensare agli spiacevoli avvenimenti che negli ultimi giorni avevano sconvolto la sua esistenza, facendola piombare nella disperazione. Aveva lasciato Parigi da appena due giorni e già la nostalgia dei suoi amici si faceva sentire, costringendola ad armeggiare più volte col suo telefono cellulare in cerca del conforto di cui aveva bisogno, anche se poi decideva sempre di lasciar perdere e di riporlo, rigorosamente spento, in un angolo del cassetto del comodino e il più lontano possibile da lei, che invece avrebbe voluto concentrarsi su altro. Il suo lavoro per esempio, le sue interminabili giornate trascorse in ufficio,  consumando un panino veloce che avvolto nel suo solito involucro plastificato  avrebbe finalmente contribuito a regalarle quell’aria di casa di cui aveva veramente tanto bisogno. Anche se aveva immaginato tutto in maniera diversa. Si guardò intorno nel suo piccolo appartamento, dove persino la carta da parati pareva non essere più in grado di dare colore a quelle pareti che mai come in quel momento le erano apparse così fredde e spoglie, così simili al suo cuore ormai irrimediabilmente calpestato per troppe volte, da chi avrebbe dovuto prendersene cura. Da chi avrebbe dovuto amarla e proteggerla, e che invece aveva finito col distruggere  l’ultimo flebile barlume di speranza rimasta in lei, spegnendola per sempre. Sentì una lacrima solitaria bagnarle silenziosamente la guancia e sospirò con forza, asciugandola con gesti rabbiosi. Scoppiare di nuovo a piangere, così come aveva fatto nei giorni scorsi non sarebbe servito a niente e lo sapeva bene, per questo quella sera avrebbe voluto lasciarsi tutto alle spalle. L’improvviso suono del campanello la strappò però bruscamente a quei tristi pensieri, costringendola a dirigersi verso la porta d’ingresso, che raggiunse con passo malfermo ed esitante.

- Justin, che cosa ci fai qui? Che ore sono?

Farfugliò, stropicciandosi gli occhi con aria confusa non appena si rese conto dell’identità dell’uomo che la fissava ora con espressione seria e preoccupata, o almeno così le parve. Era comunque difficile dirlo nelle sue condizioni, la sua mente era talmente annebbiata dai fumi dell’alcool da non riuscire quasi a reggersi in piedi. 

- Perdonami se piombo a casa tua in questo modo, ma ero in pensiero per te Johanna. Sei così strana da quando sei tornata…che cosa c’è che non va? Se posso fare qualcosa per aiutarti, fammelo sapere.

La studiò a lungo mentre la vedeva spostarsi per lasciarlo entrare, realizzando d’un tratto la verità.

- Sei ubriaca.

Disse così, strappandole un piccolo sorriso.

- Sì, e allora? Ti sembra così strano?

Di fronte all’evidente, spiacevole stato della donna Justin non potè far altro che chiederle spiegazioni ma Johanna lo pilotò sul divano, intimandogli di non farle altre domande prima di annullare la breve distanza che li separava e sfiorargli le labbra con un bacio lieve che lo fece dapprima sussultare e poi abbandonare lentamente tra le sue braccia, pensando stupidamente a quanto fosse bello che il suo sogno si stesse finalmente realizzando. La giovane americana gli era sempre piaciuta parecchio, non ne aveva mai fatto mistero e poco importava che in quel momento fosse completamente ubriaca, perché gettare al vento un’occasione così piacevole? Probabilmente il giorno dopo se ne sarebbe anche dimenticata, tanto valeva approfittare della situazione…

Si svegliò alle prime luci dell’alba e con l’amara sensazione, probabilmente data dalla tremenda sbornia che si era procurata la sera precedente, che la testa potesse esploderle da un momento all’altro. Accidenti, come le era venuto in mente di fare una cosa del genere? Non era proprio da lei, ora doveva solo trovare la forza di rimettersi in piedi nel migliore dei modi e…

Un momento. Cosa…cosa stava succedendo? Fu allora che si rese conto di non essere sola e che l’uomo nel letto accanto a lei si muoveva lentamente per scivolarle vicino, facendola d’un tratto urlare per lo stupore.

- Ehi, datti una calmata dolcezza, si può sapere che ti prende?

Lo sentì lamentarsi, sgranando gli occhi per la sorpresa mentre sgattaiolava via dal letto in tutta fretta e solo per allontanarsi da chi, purtroppo, si accorse con rammarico  di conoscere molto bene.

- Justin, che diavolo ci fai tu qui?

- Dio, sei così sexy…

- Vattene via! Subito!

Esclamò fuori di sé, cercando goffamente di coprirsi col lenzuolo, imbarazzata, quando si accorse di essere completamente nuda. Oddio, che cosa aveva fatto? Che cosa aveva fatto?

- Andiamo tesoro, perché reagisci così male? Eppure non sembravi così dispiaciuta di rotolarti in questo letto con il sottoscritto, la notte scorsa!

- Stai zitto – lo ammonì, stizzita – non dire un’altra parola! Che razza di bastardo…ti sei approfittato di me e di un mio momento di debolezza, non hai visto che non stavo bene? Che ero ubriaca? Come hai potuto…

Soffocò un singhiozzo disperato, vergognandosi d’un tratto di se stessa. Non ricordava assolutamente nulla della notte appena trascorsa, eppure tutto questo era successo davvero. E, forse, la colpa era solo sua. Gli intimò più volte di lasciare la stanza, minacciandolo di licenziamento se non le avesse obbedito immediatamente.

- Che cosa? Tu non puoi licenziarmi!

- Certo che posso, sono un tuo superiore! Vedi di non dimenticarlo!

- Qui non siamo in ufficio, però! Sei tu che hai la memoria corta, mi pare. E comunque sei stata tu a saltarmi addosso, quindi ti sarei grato se la smettessi di fingere il contrario. Dannazione, voi donne siete tutte uguali!

Johanna gli lanciò un soprammobile contro, rischiando seriamente di colpirlo e facendolo imprecare sottovoce epiteti che sarebbero risultati piuttosto offensivi, se solo la donna avesse dato loro il giusto peso. Ma a lei non importava, in quel momento voleva solo che se ne andasse e si ritrovò a sospirare di sollievo quando, spingendolo bruscamente fuori dalla porta, si ritrovò completamente sola. Di nuovo. E sì, andava bene così, anche se quell’insopportabile marchio colpevole che ormai si sentiva quasi cucito addosso non sarebbe andato via così facilmente. Si rivestì in fretta, strappando quasi le lenzuola da quel letto che, muto testimone della notte appena trascorsa, avrebbe gelosamente custodito per sempre il suo segreto. Recuperò il telefono, riaccendendolo con mani tremanti e scoprendo le numerose chiamate di Hèléne che in breve le provocarono un intenso attacco di nostalgia al quale non seppe resistere. Così compose il suo numero, mormorando confusamente sciocche scuse su quanto fosse stata stupida ad andarsene così all’improvviso e senza dirle niente, ma Hèléne la interruppe più volte cercando invece di attirare la sua attenzione su una questione decisamente più importante.

- Johanna, non fa niente, davvero, ma adesso devi tornare qui immediatamente. È successo qualcosa, qualcosa che devi sapere. Christian…

- No, ti prego di non parlarmi di lui perché non lo sopporterei. Non adesso. Ma dimmi piuttosto, perché mai dovrei tornare subito a Parigi? Ho ancora una settimana da organizzare, e tra il lavoro e tutto il resto pensavo di trattenermi ancora per…

- Devi ascoltarmi – la incalzò l’amica, a quel punto – la questione è molto delicata e sì, si tratta di Christian, anche se non vuoi sentirne parlare. Lui si trova in ospedale adesso e, credimi, se l’è vista davvero brutta…

Hèléne non fece nemmeno in tempo ad aprire la porta di casa che Johanna le si buttò praticamente tra le braccia, incapace di proferire parola mentre si lasciava guidare dolcemente verso il salotto, incurante delle valigie che aveva distrattamente abbandonato dietro di sè e di cui Nicolas si era prontamente occupato. Aveva preso il primo aereo per tornare e adesso era ancora sotto choc, gli occhi vitrei su un’espressione vuota, ancora incredula di fronte a quell’assurda realtà a cui mai, mai  si sarebbe aspettata di andare incontro. Non ebbe il coraggio di fare domande, ma non ce ne fu bisogno: gli amici la informarono dettagliatamente sulle condizioni di Christian, che dopo aver subito un intervento di angioplastica era adesso costantemente monitorato in ospedale e tenuto in rigoroso coma farmacologico che, a detta dei medici, sarebbe durato ancora per qualche settimana. Il colpo era stato forte, meglio non correre rischi inutili. Erano inoltre stati interrogati sullo stile di vita e le condizioni di salute dell’amico comune, riferendo tutto ciò che sapevano in merito al periodo difficile che Christian stava attraversando, apprendendo con dispiacere che una dose eccessiva di stress alla lunga avrebbe potuto far capitolare anche il soggetto apparentemente più sano.  Fu allora che Johanna scoppiò in un pianto dirotto,  prendendosi la testa fra le mani e singhiozzando senza controllo finchè Josè non si chinò su di lei per abbracciarla stretta, provando così a soffocare la sua inconsolabile disperazione.

- È colpa mia – disse tra le lacrime – è solo colpa mia se è successo tutto questo, non ho fatto che ferirlo in ogni modo possibile. L’ho esasperato, e questo è il risultato.

- Non dire così – le sussurrò Benedicte, accarezzandole le spalle scosse dai singhiozzi – non darti colpe che non hai. Anche tu hai sofferto molto per quello che hai dovuto passare.

La donna scosse la testa, incontrando il suo sguardo solidale e compassionevole. Uno sguardo che non meritava affatto, visto ciò che era stata capace di fare.

- No, voi non sapete nulla. Non eravate presenti quando me ne sono andata e non avete idea di cosa gli ho detto. Sono stata crudele con lui, assolutamente brutale…

Le parole le morirono in gola  mentre con rammarico ricordava la spiacevole conversazione che lei e Christian avevano avuto appena pochi giorni prima e che, vista la situazione, doveva avergli provocato un dolore così grande da ridurlo in quello stato. Sapeva che se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonata, e che rimanendo lì seduta sul divano stava solo perdendo del tempo prezioso. Doveva vederlo, provare almeno a parlargli e sperare che lui potesse sentire  qualunque cosa avesse da dirgli. Anche se non sarebbe servito a niente. Anche se non meritava di essere neppure ascoltata.

- Io…io ho bisogno di vederlo. Vi prego, portatemi da lui.

Mormorò asciugandosi le lacrime che le rigavano le guance, respirando profondamente un paio di volte per ritrovare la forza di cui aveva bisogno e  affrontare nel migliore dei modi quella difficile situazione.  

- Mi dispiace – rispose Nicolas – ma a nessuno di noi è stato ancora permesso di vederlo. Potremmo farlo solo al suo risveglio, perciò…credo proprio che dovrai armarti di pazienza e aspettare ancora un po’…

Non era davvero riuscita a chiudere occhio quella notte, e anche se avesse voluto ci avrebbero pensato le urla del piccolo Joel a tenerla sveglia, lei e i suoi spiacevoli pensieri che proprio non volevano saperne di andar via, per tornare finalmente a farla respirare. Ma come avrebbe potuto se Christian non era a casa, al sicuro e libero da ogni pericolo, come invece avrebbe tanto voluto che fosse? Quell’attesa cominciava a divenire insopportabile, la sola idea di non poterlo vedere, di non potergli parlare o restargli vicino la stava facendo impazzire, così per distrarsi aveva cominciato a cucinare già alle prime luci dell’alba, sorprendendo gli amici che non vedevano l’ora di poter assaggiare i manicaretti che aveva preparato.

- Mmm…che profumino, quando si mangia?

Scherzò Hèléne, raggiungendola in cucina per tentare di distrarla almeno un po’ dal tormento che stava vivendo.

- Beata te che hai appetito – rispose Johanna, senza alzare lo sguardo da ciò che era intenta a fare – io ho lo stomaco completamente chiuso. Non ho nemmeno assaggiato la crostata ai mirtilli di Laly.

- Già, allora è per questo che l’ho vista andare via così arrabbiata?

- Credo proprio di averla offesa a morte.

Si lasciò sfuggire una risatina che rincuorò non poco l’amica. Era bello vederla ridere di nuovo, anche se quel momento non durò così a lungo come aveva sperato e Johanna sembrò richiudersi in un ostinato silenzio che in un attimo le fece assumere quell’espressione così triste che ormai la caratterizzava da giorni, e che solo la presenza di Christian avrebbe potuto cancellare. O almeno lo sperava. Provò così ad attirare di nuovo la sua attenzione chiedendole degli ingredienti che aveva utilizzato per preparare quei piatti invitanti e a un certo punto, senza nemmeno sapere come, la conversazione scivolò su Peter e Nicolas e su quanto fossero inevitabilmente diversi l’uno dall’altro, ma anche sul posto importante che entrambi occupavano nel cuore di Hèléne. Fu a quel punto che la donna notò le labbra dell’amica curvarsi in un sorrisetto sornione, mentre si preparava a fare una di quelle strane domande alle quali lei non avrebbe mai voluto rispondere. Per fortuna ci pensò l’arrivo improvviso di Benedicte e Josè a toglierla dall’imbarazzo. I due, carichi di buste per la spesa, portavano delle splendide e incoraggianti notizie per tutti…

Era finalmente possibile vederlo. I medici lo avevano risvegliato e adesso era fuori pericolo, ma bisognava essere cauti. Gli amici avrebbero potuto fargli visita, ma non più di uno per volta e solo una volta al giorno, cosa assolutamente inaccettabile per Johanna che invece avrebbe voluto restargli vicino a qualunque ora della giornata, fino alle sue dimissioni. Sospirò con forza prima di abbassare piano la maniglia, trattenendosi a lungo sulla soglia solo per poter osservare di nuovo il suo viso, ora pallido e stanco come forse non lo aveva mai visto in tutta la sua vita, e i suoi occhi socchiusi che lentamente si riaprivano, cercando e incontrando quelli di lei. Poterlo rivedere dopo tutto questo tempo le provocò un’emozione così grande che a stento riuscì a dominarsi, ma non avrebbe permesso a se stessa di dimenticare così facilmente le raccomandazioni dei medici che lo avevano seguito fino a questo punto. Non doveva stancarlo né trattenersi a lungo, lo sapeva bene. Causargli dolore un’altra volta era l’ultimo dei suoi pensieri, aveva già sofferto abbastanza per colpa sua. Esitò così ancora un po’, quasi timorosa di andargli vicino finchè lui non le rivolse un piccolo sorriso che servì finalmente a incoraggiarla e a stringere con calore la mano che le veniva offerta, provando per l’ennesima volta a trattenere le lacrime.

- Sei tornata.

Le sussurrò Christian, e il suo tono di voce era così basso e controllato che per un istante la donna credette che non avesse neppure parlato. Faceva ancora fatica a respirare, e mentre sfiorava i suoi capelli morbidamente arruffati e l’accenno di barba che gli copriva il viso, conferendogli un aspetto un po’ trasandato ma così dolcemente vulnerabile, Johanna giurò a se stessa che mai più si sarebbe separata da lui. Annuì brevemente, sedendogli vicino e restituendogli il sorriso, incapace di lasciare la sua mano anche solo per un momento.

- Sono così felice che tu stia bene.

Mormorò con voce tremante e avrebbe voluto aggiungere altro ma lui scosse lentamente la testa, come a impedirle di continuare a parlare. Desiderava soltanto che lei lo stesse a sentire, e ora che aveva la possibilità di farsi finalmente ascoltare l’avrebbe sfruttata al meglio. Senza altre inutili paure. Se proprio doveva odiarlo, tanto valeva che lo facesse fino in fondo.

- Noi due dobbiamo…parlare.

Disse, accarezzandola con lo sguardo e indugiando a lungo nei suoi occhi chiari fino a specchiarcisi dentro. Fino a farla sussultare.

- No – rispose lei, indovinando le sue intenzioni – non dobbiamo per forza farlo adesso.

- Sì, invece.

- Christian, c’è bisogno che ti ricordi che ti trovi qui perché hai avuto un infarto? Ci sarà tempo per parlare, vedrai, ora voglio solo che tu…

- Era un maschio.

La interruppe con aria grave, facendola ammutolire all’istante. La giovane donna allentò la presa sulla sua mano, abbassando lo sguardo con aria affranta.

- Perché mi stai dicendo questo? Non voglio continuare questa conversazione.

- Desidero avere la possibilità di spiegarti come sono andate davvero le cose, devi sapere tutto. Tutto quanto. Perciò, per una volta, ti scongiuro di ascoltarmi.

Di fronte a quella disperata richiesta Johanna non ebbe cuore di contraddirlo un’altra volta, ritrovandosi così ad annuire debolmente, pronta ad accogliere nel migliore dei modi qualunque cosa avesse da dirle. Anche se sapeva che le avrebbe fatto molto male. Che avrebbe fatto male a entrambi.

- Era un maschio – riprese l’uomo, dopo un lungo momento di silenzio nel quale provò a raccogliere le idee – e sono sicuro che sarebbe stato forte e coraggioso come la sua mamma, se solo avesse avuto la possibilità di venire al mondo. Ma noi abbiamo sempre saputo che non ce l’avrebbe fatta, che nemmeno tu ce l’avresti fatta  se avessi continuato a portare avanti la gravidanza. Non sopportavo l’idea di perderti per sempre dopo tutto quello che avevamo passato, non sopportavo di perdervi entrambi. La sola idea di rinunciare al nostro bambino mi era intollerabile,  ma…ho dovuto scegliere, e ho scelto te. E voglio che tu sappia che non mi pento di ciò che ho fatto e che lo rifarei altre mille volte se fosse necessario, perché tu sei la persona più importante della mia vita e neanche per tutto l’oro del mondo avrei rinunciato a te. Se per questo merito di essere odiato, fai pure, non mi importa. Mi basta solo che tu stia bene. So che non potrai mai perdonarmi e non ti sto chiedendo di farlo…

- Non ho proprio niente da perdonarti, Christian – lo interruppe a quel punto, singhiozzando senza controllo – ma sei tu che devi perdonare me per essere stata così stupida e cieca da pensare solo a me stessa e ai miei sentimenti. Mentre tu ti preoccupavi di salvarmi la vita, mettendomi al primo posto, io non mi sono neppure chiesta quanto potesse essere stato difficile e devastante per te prendere una decisione del genere e in così poco tempo, solo per tenermi al sicuro. Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto passare, per tutte le volte che ti ho aggredito e insultato ingiustamente, e per…averti fatto questo.

Gli posò delicatamente una mano all’altezza del cuore, grata di sentirlo battere ancora dentro al suo petto e lui la prese tra le braccia, consolando quel pianto disperato che mai avrebbe voluto ascoltare mentre provava invece a nascondere il suo, affondando  il viso tra quei capelli morbidi che tanto, in quei momenti così bui, aveva sperato di tornare a sfiorare…

- Bello scherzo che mi hai fatto alla vigilia del concerto, come farò adesso ad affrontare tutta quella folla senza il mio manager preferito?

Esclamò Fanny, imbronciata, e Christian le strinse più forte la mano.

- Sono sicuro che te la caverai benissimo – disse, per tranquillizzarla – e poi non sarai certo da sola, ci sarà Eric con te.

La ragazza fece spallucce, sospirando sconsolata.

- Sì, questo lo so, ma non sarà certo la stessa cosa senza di te.

Ammise, regalandogli poi un breve sorriso prima di sporgersi verso di lui per abbracciarlo. Fu in quel momento che la porta si aprì lentamente e Johanna fece il suo ingresso nella piccola camera, sporgendosi verso il letto quanto bastava per sfiorare le labbra del compagno con un tenero bacio.

- Ehi… vacci piano piccola, guarda che mi controllano il cuore di là.

Scherzò lui, facendola ridere.

- Buongiorno amore mio. Allora, come ti senti oggi?

Gli chiese e lo vide annuire mentre cercava le sue mani.  

- A dire la verità penso proprio di non essemi mai sentito meglio – rispose – ma nessuno dei medici sembra credermi. A quanto pare è ancora presto per lasciare questo ospedale, anche se lo vorrei tanto.

- E io non vedo l’ora di vederti tornare a casa, ma dobbiamo avere ancora un po’ di pazienza, lo sai.

Lo incoraggiò Johanna. Entrambi salutarono poi Fanny, che dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio da polso si apprestò a lasciare la stanza in tutta fretta. Per lei si era fatto tardi, aveva un volo da prendere e un concerto da affrontare quella sera stessa.

 L’uomo sbuffò, e un velo di tristezza attraversò d’un tratto i suoi occhi inquieti.

- Che cosa c’è mon Cri Cri, sicuro di star bene?

- Sì, certo, è solo che…avrei voluto seguirla come le avevo promesso. In questo modo, invece, mi sembra di abbandonarla a se stessa.

La giovane americana sorrise comprensiva, prendendo posto vicino a lui e liberandogli dolcemente  la fronte dai capelli scomposti. Quando avrebbe smesso di preoccuparsi sempre per gli altri?

- Sai bene che non è colpa tua, non è certo dipeso da te. Stai tranquillo, vedrai che andrà tutto benissimo e noi la seguiremo in televisione e faremo il tifo per lei. Tu devi pensare a star bene e a rimetterti completamente ora, altrimenti come faccio io a  tornare a strapazzarti di baci?

- Quello puoi sempre farlo.

Mormorò lui, divertito, prima di attirarla a sé per stringerla in un forte abbraccio che ancora una volta servì a rassicurarla sul suo stato di salute. Già, sapeva che anche lei avrebbe dovuto smettere di preoccuparsi, prima o poi…

Nel pomeriggio Christian ricevette le visite degli amici e questo parve rallegrare la sua giornata. Era bello averli intorno, anche se a volte la loro presenza gli metteva addosso una certa malinconia che lui però si sforzava sempre di nascondere. Non avrebbe voluto impensierirli ancora per niente al mondo, soprattutto Hèléne, con la quale aveva sempre avuto un rapporto particolare e che, era evidente, aveva già molti problemi personali da affrontare. Problemi di cui non sarebbe mai riuscita a liberarsi, se non avesse provato a parlare di nuovo con Peter che, quel giorno, appena fuori dall’ospedale, decise instancabilmente di seguire.

- Ti chiedo solo cinque minuti – insistette – cinque minuti del tuo tempo per prendere un caffè insieme e…affrontare una volta per tutte questa situazione.

Messo alle strette dall’ennesima richiesta, che stavolta suonava tanto come una supplica, Peter si ritrovò a cedere prima ancora di rendersene conto, assecondandola con un riluttante cenno del capo mentre la invitava a salire in auto insieme a lui. In breve tempo raggiunsero un bar poco lontano, e davanti a una fumante tazza di caffè la donna trovò finalmente il coraggio di spiegarsi, esprimendogli tutto ciò che sentiva per lui che intanto, a testa bassa e col cuore gonfio di emozioni la ascoltava senza parlare, imponendosi di non interromperla.

- Quello che è successo con Nicolas è stato un errore – ripetè per l’ennesima volta, cercando quasi di convincere se stessa – e non voglio che per colpa di uno stupido errore, nato in un momento di sciocca euforia, le cose tra noi finiscano in questo modo. Io ti amo Peter, ti amo e non voglio perderti. Ed è per questo che, se lo vorrai, sarò pronta a diventare tua moglie…

Christian aveva lasciato l’ospedale ormai da qualche giorno, e anche se le sue condizioni erano stabili e la sua salute sembrava migliorare a vista d’occhio non avrebbe dovuto strafare ma attenersi a osservare il riposo assoluto per almeno un mese, cosa che lo avrebbe inevitabilmente tenuto lontano dal suo lavoro e da qualunque tentativo di svago al di fuori dalle mura domestiche. A lui però sembrava non importare più di tanto, poiché avendo Johanna sempre al suo fianco riteneva di non aver bisogno d’altro se non delle sue attenzioni. E sì, anche di quegli strampalati monologhi che la donna era capace di portare avanti per ore ed ore e che lo avevano sempre divertito tanto, regalandogli una dolce aria di familiarità che per tutto il tempo trascorso lontano da casa gli era tanto mancata. Era proprio a questo che stava pensando mentre osservava con aria attenta la fidanzata, che sdraiata vicino a lui si affannava ormai da più di mezz’ora a spiegargli cosa pensasse davvero in merito alla faccenda dell’imminente matrimonio di Hèléne e Peter, che giudicava un po’ troppo affrettato e strano per i suoi gusti. Come strano era stato il comportamento dell’amica che, così, su due piedi, aveva cominciato a riorganizzarne i preparativi, suscitando in questo modo la curiosità generale.  

- Non puoi proprio fare a meno di impicciarti degli affari altrui, vero?

Le chiese l’uomo a un certo punto, facendole storcere la bocca con aria contrariata.

- Sono solo preoccupata per la mia migliore amica e non ci vedo nulla di male in questo.

- Anch’io sono preoccupato per Nicolas e per il modo in cui ha reagito a questa notizia, ma non passo mica le mie giornate a spettegolare su di lui e su ogni cosa che lo riguardi.

Replicò sbuffando, ottenendo in risposta un’occhiataccia torva che gli fece alzare gli occhi al cielo, increspandogli le labbra in un sorrisetto divertito che però si affrettò a nasconderle come meglio poteva. L’ultima cosa che voleva era farla arrabbiare, correndo così il rischio che si allontanasse da lui per tornare al piano di sotto, lasciandolo solo. Gli piaceva sentirla così vicina e poterla accarezzare e baciare ogni volta che ne aveva voglia, o lasciare che si prendesse cura di lui in ogni modo possibile. Anche se sapeva badare a se stesso e due passi fuori da quella stanza non gli avrebbero di certo fatto male ogni tanto, ma tant’è.

- Io non sto spettegolando e tu sei molto offensivo a dire una cosa del genere, ma penso proprio che per  stavolta ti perdonerò. Del resto, il risveglio di questo tuo caratteraccio indica che ti stai riprendendo più che bene, perciò…

Si interruppe all’improvviso, accorgendosi che si era appena addormentato così gli rimboccò piano le coperte, stando ben attenta a non svegliarlo di nuovo. Anche se non faceva che ripetere il contrario, in realtà aveva davvero tanto bisogno di riposo. Sembrava che in quei lunghi giorni avesse quasi portato su di sé tutto il peso del mondo e ora, finalmente più sereno, lo avesse lentamente lasciato andare, finendo per abbandonarsi alla stanchezza ogni volta che ne aveva l’occasione. Johanna sorrise,  sfiorandogli la fronte con un bacio lieve.

- Dormi bene, amore.

Disse, poi lasciò la stanza. Una volta imboccato il corridoio, però, il pianto insistente di Joel catturò la sua attenzione, costringendola così a cambiare i suoi piani per raggiungere la piccola culla dove il bambino si dimenava con forza, bisognoso di attenzioni. Attenzioni che la giovane donna non seppe negargli, sollevandolo dolcemente dal suo morbido giaciglio per prenderlo in braccio e cercare di calmarlo un po’.

- Che cosa c’è tesoro, ti manca la tua mamma? Su, non piangere, adesso andiamo subito a cercarla.

Gli sussurrò cullandolo con tenerezza e lasciando che le sue dita vagassero delicatamente sulla pelle morbida e candida di quelle manine strette a pugno, procurandole un’emozione talmente intensa da riuscire a commuoverla, anche se solo per un breve istante.

- Lo sai, piccolo – mormorò – anch’io avrei potuto stringere fra le braccia un bimbo  tutto da amare e coccolare. Un fagottino dolce e bellissimo, proprio come te. Purtroppo però non è stato possibile e lui adesso non c’è più, ma… non passa giorno in cui non pensi a come sarebbe stato poterlo crescere, insegnargli tante cose e magari vedervi giocare insieme in giardino, rincorrendovi e ridendo felici senza alcuna preoccupazione al mondo se non quella della scelta della merenda, o del prossimo gioco da fare…

Si interruppe bruscamente all’arrivo di Benedicte che con il biberon già pronto tra le mani li osservava come incantata, timorosa persino di avvicinarsi a loro per paura, con la sua sola presenza, di metter fine a quel prezioso e tenero momento venutosi a creare.

- Noi…stavamo per venire a cercarti.

Le disse Johanna, cercando goffamente di nascondere le lacrime che ora le annebbiavano la vista.

- Ero di sotto a preparare il biberon. Vuoi darglielo tu?

Rispose l’amica, e di fronte a quella domanda diretta la donna non potè che annuire brevemente, prendendolo dalle sue mani e mettendosi comoda mentre il piccolo, grato, cominciava avidamente a gustare il suo latte caldo.

- Eccolo qui. Avevi tanta fame, vero tesoro?

Gli sussurrò, baciando più volte le sue guance paffute. Benedicte la osservò ancora per un lungo momento, prendendo lentamente posto vicino a lei.

- Johanna, non devi essere triste né disperare – cominciò – so che quello che ti è successo è difficile da accettare, ma…sai, ci sono tante altre vie per avere un bambino. Tu e Christian potreste adottarlo, oppure potresti sottoporti a quell’intervento di cui parlavi qualche tempo fa e…

- No – la incalzò, risoluta –  non mi sottoporrò ad alcun intervento, non più. È tutto inutile ormai, non c’è più speranza, inoltre non credo che riuscirei a sopportare la perdita di un figlio per la terza volta. Sarebbe davvero troppo per me.  

- Non deve per forza succedere di nuovo. Avevi detto che c’era il cinquanta per cento di possibilità di riuscita, giusto? Allora perché non provarci ancora una volta?

L’americana scosse la testa, affranta.

- Perché non ne avrei più la forza. Il mio fisico non è in grado di sostenere una gravidanza, inoltre non voglio dare altre inutili preoccupazioni a Christian. Ha già sofferto abbastanza a causa mia, ora desidero solo pensare a lui e assicurarmi che si riprenda completamente, ha tanto bisogno di un po’ di tranquillità in questo momento. Quello della maternità resterà solo un sogno ormai, nulla di più. Un bellissimo, irrealizzabile sogno che custodirò per sempre nel mio cuore...

I giorni successivi al concerto furono molto speciali per Fanny, che festeggiò insieme agli amici il grande successo riscosso attraverso un fantastico party organizzato per l’occasione a casa di Hèléne. In quella notte gioiosa e movimentata, quest’ultima ne approfittò per fare il suo annuncio ufficiale: presto, molto presto, infatti, sarebbe diventata la moglie di Peter Watson. La notizia, di cui alcuni erano già a conoscenza, venne accolta da uno scroscio di festanti applausi a cui tutti parteciparono. Tutti tranne Nicolas, che approfittò di quel momento tanto temuto per rifugiarsi in giardino, d’un tratto bisognoso di solitudine. Quel lungo e religioso silenzio fu però presto interrotto dall’arrivo di Christian, che accortosi già da un po’ della malcelata sofferenza dell’amico aveva deciso di seguirlo, sperando con la sua presenza di riuscire a consolare almeno un po’quella pena infinita che si portava dentro, e che lo aveva reso quasi irriconoscibile ai suoi occhi.

- Ti va di parlarne?

Gli chiese, cauto, annullando la distanza che li separava per sfiorargli lentamente  una spalla mentre lo vedeva scuotere la testa un paio di volte prima di allontanarsi mestamente da lui, che per un lungo momento rimase al suo posto, limitandosi a seguirlo con lo sguardo e a sospirare, affranto e impotente di fronte a quella complicata situazione…

L’alba lo sorprese prima ancora che potesse rendersene conto, invitandolo attraverso la fresca brezza mattutina a rientrare in una casa, ormai vuota e solitaria, che sembrava attendere solo lui. Attraversò l’accogliente sala da pranzo ancora ingombra, sussultando quando si ritrovò di fronte a colei che mai si sarebbe aspettato di incontrare a quell’ora un po’ insolita in cui tutti erano già andati a dormire.

- Felicitazioni per il grande evento dell’anno.

Disse, senza riuscire a evitare un tono insolente e sarcastico che tuttavia sembrò ferire la giovane donna molto più di quanto desse a vedere, costringendola ad abbassare di colpo lo sguardo.

- Per favore Nicolas, non rendere le cose più difficili.

Sussurrò, passandosi stancamente le mani fra i capelli.

- Non è mai stata mia intenzione, Hèléne, perché l’unica cosa che ho fatto è stata quella di aprirti completamente il mio cuore, chiedendoti in cambio solo una semplice risposta. Una risposta che, vista la situazione, immagino tu mi abbia già dato, perciò…non credo ci sia altro da aggiungere se non…felicitazioni.

Ripetè annuendo brevemente prima di voltarle le spalle, ansioso di raggiungere il piano di sopra dove, finalmente lontano da lei e in compagnia dell’ultimo brandello di forza rimastagli, avrebbe silenziosamente detto addio alla felicità. Ad un mondo in cui tutto era possibile e che per un attimo, un attimo soltanto aveva creduto di poter di nuovo stringere tra le dita insieme alla donna che, ormai lo sapeva, non sarebbe mai riuscito a smettere di amare…

- Ti ho detto che non devi più chiamarmi, quante volte dovrò ancora ripertelo prima che ti decida a lasciarmi in pace?

Sibilò esasperata al ricevitore, ficcandosi poi il telefono in tasca con gesti rabbiosi appena poco prima che Christian la raggiungesse, incrociando il suo sguardo fattosi improvvisamente cupo.

- Tutto bene, tesoro? Con chi stavi parlando?

Le chiese curioso ma Johanna scosse subito la testa, avvicinandosi per stringere le sue mani tra le proprie mentre cercava faticosamente di nascondere la frustrazione  con un sorriso tirato che di certo non sfuggì all’attenzione del compagno.

- Con…nessuno, non parlavo proprio con nessuno.

Disse, forse un po’ troppo in fretta, cercando senza risultato di evitare i suoi occhi che adesso sembravano quasi scrutarle dentro l’anima, come in cerca di risposte.

- Davvero? Strano, perchè avrei giurato di averti sentito…

- Che cosa ci fai in giro per casa a quest’ora del mattino, si può sapere? Torna immediatamente a riposare, sai che non devi affaticarti troppo.

Lo interruppe subito, ansiosa di cambiare in fretta argomento prima di pilotarlo dolcemente verso le scale, cingendogli le spalle con un braccio e sfiorando le sue labbra con un bacio. Quello stupido e fastidioso senso di colpa continuava a tormentarla senza sosta, soffocandole il petto in una spasmodica morsa dolorosa di cui, ormai, era davvero difficile liberarsi. Per quanto tempo ancora sarebbe andato avanti tutto questo, sarebbe mai riuscita a liberarsi di quel terribile segreto che pareva pesarle dentro come un enorme e logorante macigno? 

Era questo che continuava a chiedersi mentre dondolandosi dolcemente sotto il portico ripensava con dolore agli ultimi avvenimenti che l’avevano vista protagonista, ricacciando indietro le lacrime più volte per evitare che queste prendessero il sopravvento su di lei, facendola capitolare. No, doveva essere forte, evitare di farsi schiacciare dal terribile errore commesso, perché solo di questo si trattava. Un errore, uno stupido momento di debolezza che doveva soltanto sforzarsi di ignorare per sempre. L’improvvisa voce di Hèléne la colse di sorpresa e cercando in fretta di ricomporsi le fece posto sul piccolo dondolo, sospirando affranta.

- Che succede Johanna, come mai ti trovo qui tutta sola?

La donna fece spallucce, raccogliendosi sulle ginocchia.

- Stavo solo…pensando. Pensavo a quanto a volte ci sbagliamo sulle persone e sui  sentimenti che provano.

Rispose in un soffio e l’amica le rivolse un’occhiata confusa.

- A cosa ti riferisci?

Chiese infatti, sentendola sospirare di nuovo prima di riprendere a parlare.

- Sai cosa si dice di una relazione, no? In ogni coppia, c’è sempre chi ama più dell’altro. Bè, per tutto questo tempo ho sempre pensato di essere io quella che amava di più nel mio rapporto con Christian, ma evidentemente mi sbagliavo. Mi sbagliavo di grosso. Mentre io ero troppo concentrata a pensare a me stessa e al dolore che provavo lui invece aveva pensato solo a me, mettendo il mio benessere e la mia salute al primo posto e al di sopra di tutto e tutti. Anche di se stesso. Non ho mai capito quanto stesse davvero soffrendo, finchè…

Si interruppe di colpo, incapace di proseguire poiché un improvviso nodo in gola glelo impedì, facendo crescere il suo senso di colpa nei confronti dell’uomo che amava. Hèléne le accarezzò lentamente un braccio, come per consolarla, prima di avvicinarsi di più.

- È davvero solo questo ciò che ti fa stare così male? Sei sicura che non ci sia dell’altro, in realtà?

Johanna sollevò la testa per incontrare l’amabile viso dell’amica e fu in quel momento che capì che non avrebbe potuto nasconderle niente. Hèléne era così: dolce e comprensiva, ma soprattutto capace di leggerti dentro meglio di chiunque altro. La sua spontaneità era così disarmante che alla giovane americana non restò che crollare, raccontandole così tra le lacrime ciò che era accaduto tra lei e Justin, quando in quei terribili giorni dopo la perdita del bambino era tornata a Houston per riprendere fiato.

- Non ricordo quasi nulla di quella notte – concluse, asciugandosi in fretta gli occhi bagnati di pianto – ma non posso proprio fare a meno di sentirmi in colpa nei confronti di Christian.

Hèléne annuì, comprensiva.

- Non sai quanto ti capisco.

Disse, e un triste velo nostalgico adombrò di colpo il suo viso, rendendola facile preda di indesiderate emozioni che invece avrebbe voluto cancellare.

- No – chiarì Johanna con decisione – la tua situazione è totalmente diversa dalla mia. Io ero sola, ubriaca e in preda alla disperazione e per me ciò che è successo non ha significato nulla, ma tu hai fatto l’amore con Nicolas perché provi qualcosa per lui.

- L’unico uomo per cui provo qualcosa è quello che sposerò tra qualche giorno – la sentì replicare – Peter è sempre così buono, e ha fatto così tanto per me…

- Quindi è questo ciò che senti per lui, semplice gratitudine?

La incalzò a quel punto, facendola sussultare.

- Se si tratta solo di questo, se davvero non lo ami, allora ti prego amica mia non sposarlo. Non commettere questo terribile errore, perché condanneresti entrambi alla più nera infelicità e né tu né lui lo meritate. Pensaci bene, sei veramente convinta di quello che stai per fare?

- No, dai, non lasciarmi qui da solo. Perché non mi permetti mai di fare la doccia insieme a te?

Piagnucolò Christian con una buffa smorfia dipinta sul viso che fece ridere la compagna mentre l’attirava dolcemente a sé, costringendola così a riprendere posto nel letto vicino a lui. Johanna alzò gli occhi al cielo, sfiorandogli poi il petto in una morbida carezza.

- Perché desidero che questo tuo tenero cuoricino continui a battere qui dentro ancora per un bel po’ di tempo.

Disse baciandolo sulle labbra prima di rialzarsi in piedi con decisione, sforzandosi di ignorare i suoi giocosi mugolii di protesta e raggiungendo il bagno in tutta fretta per richiudersi la porta alle spalle. Rimasto solo, all’uomo non restò che aspettare pazientemente che Johanna gli cedesse il posto, visto che di seguirla non se ne parlava proprio. Figuriamoci, sarebbe stata capace di far scoppiare un casino in pochi secondi. Non faceva che ripetergli che ciò che gli era successo non andava preso sottogamba e che avrebbe dovuto aver cura di sé, pensare solo a rimettersi completamente e altre inutili chiacchiere che già conosceva a memoria. Sbuffò, giocherellando distrattamente con le lenzuola e chiedendosi perché mai da un po’ di tempo a questa parte la donna sembrasse sempre così strana e sfuggente nei suoi confronti. Era davvero soltanto preoccupata per lui oppure c’era sotto dell’altro, qualcosa di cui magari non era ancora a conoscenza?

- Che cosa mi nascondi, Johanna?

Disse così, traducendo in parole i suoi pensieri e sistemandosi i cuscini dietro la schiena per distendersi più comodamente. Fu in quel momento che il cellulare della compagna emise un piccolo e a dire il vero fastidioso suono metallico, tipico dell’arrivo di un messaggio che lo riportò bruscamente alla realtà, catturando d’un tratto la sua attenzione. Christian fissò la porta del bagno per un lungo momento, crogiolandosi nell’indecisione di raggiungerla per consegnarle il telefono oppure no. In fondo poteva essere importante. Bè, si sa che l’occasione fa l’uomo ladro, così, spinto da un’irrefrenabile curiosità pensò che se avesse letto lui quell’sms al posto di Johanna non avrebbe certo fatto nulla di male. E comunque no, non stava affatto cercando di spiarla. Voleva solo ingannare il tempo nell’attesa, tutto qui. Già, chissà perché però non ci credeva nemmeno lui alla strampalata storiella che si stava raccontando per giustificare quel suo gesto, forse un po’ troppo azzardato persino ai suoi stessi occhi. Cosa sperava di ottenere, che cos’è che stava cercando esattamente? Sperò di scoprirlo una volta premuto quello stupido tasto che non faceva che osservare con titubanza, e che finalmente avrebbe permesso all’inconfondibile piccola icona di smettere di lampeggiare una volta per tutte…

Quando Johanna lasciò la doccia, ricomparendo presto di fronte a Christian la sua espressione d’un tratto severa e accigliata la lasciò perplessa. Non ebbe tuttavia il tempo di chiedergli che cosa avesse che il suo tono di voce, basso e controllato ma in realtà vibrante di rabbia la colse di sorpresa, gelandole di colpo il sangue nelle vene.

- Mi manchi, ho tanta voglia di fare di nuovo l’amore con te.

Recitò a memoria, sventolandole il telefono sotto il naso con aria grave e le ci volle qualche secondo per afferrare il senso di quelle parole.

- Christian, cosa…

- Quindi è questo ciò che fai tutte le volte che torni in Texas, non è vero? Il tuo “lavoro” consiste in realtà nel farti il bellimbusto con cui lavori…dimmi almeno da quanto tempo va avanti tutto questo, così potrò finalmente quantificare quanto sia stato stupido a fidarmi di te e delle tue promesse.

La donna, sgomenta, scosse a lungo la testa coprendosi la bocca con la mano e pregando disperatamente che tutto questo fosse solo un terribile incubo dal quale si sarebbe risvegliata presto. Purtroppo, però, non sembrava esserci niente di più vero dello sguardo sdegnato del compagno, che adesso, rigirandosi nervosamente il cellulare tra le mani attendeva impaziente che le sue domande ottenessero risposta.

- Non è come pensi, devi credermi. Non c’è assolutamente niente tra noi…

- Allora perché diavolo si prende la briga di scriverti certi messaggini, si può sapere?

- Christian, lascia solo che…

- Da quanto tempo va avanti, Johanna? Rispondimi, cazzo!

Continuò a interromperla senza sosta, impedendole così di spiegargli cosa fosse realmente successo, anche se aveva l’amara sensazione che, qualunque cosa fosse riuscita a dirgli, lui non le avrebbe mai creduto. E come avrebbe potuto? Quel telefono era pieno delle chiamate e degli insulsi messaggi di Justin, e lei era stata così stupida da non cancellarli neppure. Ma come avrebbe potuto immaginare che Christian si sarebbe messo a curiosare tra le sue cose, con quale diritto aveva fatto una cosa del genere? Non era certo così che aveva immaginato di raccontargli la verità, semmai avesse davvero pensato di farlo. Ora però era troppo tardi e avrebbe dovuto affrontare le conseguenze di quel folle gesto che fin dal primo momento non aveva fatto che rimpiangere amaramente.

- Non ho alcuna relazione con Justin, te lo giuro, né ho mai pensato di averla! È successo tutto durante una maledetta notte di disperazione di cui però non ho alcun ricordo. Ero ubriaca Christian ed è…successo, ma non ha significato nulla per me. Avrei dovuto parlartene prima, lo so bene, ma dopo quello che hai affrontato, io… insomma, volevo solo proteggerti.

Disse in un soffio, cercando il suo sguardo improvvisamente sfuggente.

- Come puoi pensare che possa credere a queste stronzate?

Lo sentì ribattere, stavolta con voce strozzata mentre il suo respiro si faceva via via più affannoso. Cominciò a muoversi tra le lenzuola e in preda all’agitazione tentò quasi di strapparsi la maglietta di dosso mentre Johanna, divorata dall’ansia, si precipitava a spalancare porta e finestre nel disperato tentativo di creare un ricambio d’aria sufficiente a farlo stare meglio.

- Oh mio Dio no, non di nuovo…Christian, ti prego guardami. Respira amore, ti prego, respira!

Esclamò, sedendogli vicino per provare ad attirare la sua attenzione ma lui la respinse con malo garbo, portandosi lentamente una mano al petto prima di sprofondare sui cuscini, gli occhi chiusi e l’aria improvvisamente esausta.  

Le urla di Johanna catturarono ben presto l’attenzione degli amici, che preoccupati si precipitarono a raggiungerli per costatare con i loro occhi la gravità della situazione.

- Falla uscire di qui, non voglio che si avvicini…

Sussurrò Christian a un incredulo Nicolas che intanto, aiutato da Josè tentava di tirarlo su dal letto.

- Cerca di calmarti adesso, ti porto immediatamente in ospedale. Tranquillizzati, non succederà un’altra volta. Te lo prometto.

Johanna, trattenendo a stento le lacrime cercò a lungo di farsi largo tra loro prima che l’amico la raggelasse con un’unica, semplice occhiata, che di colpo sembrò valere più di mille parole.

- Che stai facendo Nicolas, lasciami subito vedere come sta!

Protestò lei e l’uomo scosse la testa con vigore, stringendole il braccio per provare ad allontanarla da loro.

- Non so cosa sia successo fra voi Johanna, ma ti prego, restane fuori. Non ti accorgi che lo fai solo agitare di più?

Replicò con decisione, guidandolo poi faticosamente al piano di sotto fino a raggiungere la porta d’ingresso e infine l’auto nel vialetto, che Josè mise immediatamente in moto. La donna, che li aveva intanto raggiunti li seguì impotente allontanarsi  con lo sguardo, coprendosi poi gli occhi con entrambe le mani mentre sentiva il cuore andare a fondo come una pietra. La voce di Hèléne dietro di lei la costrinse di colpo a ricomporsi e si passò stancamente le mani tra i capelli, asciugandosi poi il viso bagnato di lacrime.

- Che cosa è successo? Christian ha di nuovo…

- Devo raggiungerli, Hèléne. Possono pensare ciò che vogliono, ma non resterò fuori da tutto questo!

La incalzò con rinnovata determinazione, decisa più che mai a raggiungere l’uomo che amava nel minor tempo possibile e che di nuovo, per colpa di uno dei suoi maledetti errori, stava forse rischiando la vita…

Quando Johanna raggiunse l’ospedale era già mattina inoltrata e lei non aveva praticamente toccato cibo, ma la fame era sicuramente l’ultimo dei suoi pensieri in quell’angoscioso e difficile momento in cui la sua unica priorità rappresentava Christian e la sua salute.

- Dimmi che sta bene, per favore, dimmi che è tutto a posto…

Esclamò fuori di sé non appena, percorrendo il corridoio con il cuore in gola, incrociò lo sguardo esterrefatto di Nicolas, che di certo non si aspettava di ritrovarsela davanti a quel modo.

- Si può sapere che ci fai qui, ti avevo detto di restarne fuori!

Sibilò a denti stretti, guidandola poi velocemente verso l’uscita, dove avrebbero potuto parlare con più calma e senza importunare oltre il piccolo capannello di pazienti che si era intanto formato in mezzo a loro.

- Come puoi pretendere di tagliarmi fuori da una situazione del genere? Santo cielo, è di Christian che stiamo parlando! Lui…lui sta bene, sta bene non è vero?

L’amico annuì energicamente, posandole le mani sulle spalle con risolutezza per provare a placare il furioso gesticolare dell’amica, ora a un passo dal perdere il controllo di sé.

- Sì, certo che sta bene Johanna, si è solo agitato più del dovuto e adesso i medici vogliono tenerlo sotto controllo almeno fino a questa sera, prima di permettergli di tornare a casa. Stai tranquilla però, è solo una semplice precauzione. Niente di più.

Disse, vedendola sospirare di sollievo. 

- Quindi non si è trattato di un altro infarto? Oh grazie a Dio, grazie a Dio… voglio vederlo, accompagnami da lui.

Farfugliò con gli occhi lucidi per l’emozione e fece per lanciarsi verso il corridoio ma Nicolas la bloccò sul tempo, parandolesi d’un tratto davanti per impedirle di fare un altro passo. 

- Credo sia meglio di no, almeno per ora.

Johanna lo fissò sconcertata, come se non riuscisse a credere a ciò che aveva appena sentito.

- Come sarebbe a dire? Stai veramente cercando di impedirmi di vedere il mio fidanzato?

L’uomo sbuffò, incrociando i suoi occhi attenti e inquieti.

- Ascoltami, ti prego – disse, scandendo bene le parole – Christian ha solo bisogno di riposo e tranquillità in questo momento. Vederti potrebbe agitarlo di nuovo e so che neanche tu vuoi che corra altri inutili rischi, perciò qualunque cosa tu abbia da dirgli sono sicuro che potrà aspettare fino a stasera, quando finalmente lo dimetteranno.

La vide stringersi nelle spalle e la sua espressione sembrò mutare di colpo, facendosi  più triste. Sì, Nicolas non aveva certo tutti i torti a pensarla così, in fondo era soltanto  colpa sua se ora Christian si ritrovava in quella spiacevole situazione.

- Non è mia abitudine impicciarmi negli affari vostri, né in quelli di nessun altro  – continuò poi – ma non credo di averlo mai visto così sconvolto e disperato, tanto da chiedermi di tenerti lontana a tutti i costi, perciò non posso fare a meno di domandarmi cosa sia successo fra voi per ridurlo in quello stato. Che cosa gli hai fatto Johanna, si può sapere? Sono convinto che debba trattarsi di qualcosa di più di una semplice, banalissima lite. Ho ragione? 

Lei annuì dopo qualche secondo, affranta, senza tuttavia trovare il coraggio di dire una sola parola.

Quella sera, quando Christian tornò a casa Johanna provò silenziosamente a raggiungerlo nella loro camera prima di esserne però spinta fuori con risolutezza e  senza troppe cerimonie dallo stesso compagno, che deciso più che mai a non incontrarla non si era fatto alcuno scrupolo a sbatterle la porta in faccia, sperando così di chiuderla definitivamente fuori dalla sua vita.

- Vattene – sbottò furioso – non voglio più vederti.

- Sarà difficile, visto che anch’io vivo qui.

La sentì ribattere con decisione. Non sapeva se continuare a tenergli testa fosse davvero la decisione giusta, ma non poteva permettere che finisse tutto in questo modo. Doveva almeno provare a spiegargli come erano andate le cose e se si fosse ancora rifiutato di ascoltarla, bè, tanto peggio per lui allora, perché per nessuna ragione al mondo avrebbe potuto costringerla a muoversi di lì.

- E va bene, d’accordo – proseguì, la voce ridotta a un debole sussurro -  se non hai voglia di vedermi va benissimo, ma non puoi certo impedirmi di parlare, perciò adesso resterò qui fuori e tu sarai costretto ad ascoltarmi. Mi hai sentito, Christian? Non mi allontanerò finchè non avrò finito di spiegarti tutto e non mi interessa se non sei d’accordo, perché almeno questo me lo devi. Sono stata chiara?

Nessuna risposta. Accidenti a lui e alla sua maledetta testardaggine.

- Ti prego, per favore, di’ qualcosa. Qualunque cosa. So che hai tutte le ragioni per avercela con me e credimi, anch’io ce l’ho con me stessa per averti taciuto la verità quando tu invece sei stato così sincero con me, ma…stavo solo cercando di proteggerti e di dimenticare tutto, e questa mi è sembrata la soluzione migliore. Non ho scusanti, ne sono consapevole, ma ero convinta che se non ne avessi mai parlato avrei potuto cancellare per sempre quello che era successo, far finta che non fosse mai esistito, anche se per me è già esattamente così. Non ricordo nulla di quella notte, l’unica cosa che so è che dopo la perdita del bambino ero così disperata e…devastata che non ho visto altra soluzione se non quella di mettermi a bere. Mi sono ubriacata fino allo sfinimento, tanto da non riuscire quasi a rendermi conto di dove mi trovassi, ed è a quel punto che Justin ha bussato alla mia porta. Noi abbiamo parlato, ricordo che lui sembrava preoccupato per me e per il mio strano comportamento al lavoro e, a un certo punto, non so nemmeno come, ci siamo ritrovati a letto insieme. Si è chiaramente approfittato di me e della situazione di dolore e sconforto che stavo vivendo, devi credermi, io…non avrei mai fatto niente del genere da sobria e lo sai bene. Non ti avrei mai tradito Christian e non ha significato niente per me, ero solo disperata. Ti scongiuro di credere a quello che ti sto dicendo, perché è la verità amore mio…io non…

Non riuscì più a parlare perché un doloroso nodo in gola le impedì di proseguire e in preda allo sconforto si accasciò a terra, nascondendo la testa fra le ginocchia e singhiozzando senza più riuscire a fermarsi, mentre sentiva che la porta si riapriva lentamente…

Si chinò su di lei, sollevandole il mento con un dito per costringerla a incontrare il suo sguardo sincero e percorrendole il viso con movimenti gentili che ben presto asciugarono le sue lacrime, placando lentamente la sua pena. 

- Ti credo, Johanna. Certo che ti credo.

Mormorò prima di baciarla con dolcezza, modellando a lungo quelle labbra morbide sulle proprie e sentendola pian piano rilassarsi contro il suo petto, finalmente consolata. L’aiutò poi a rialzarsi in piedi, stringendole forte la mano mentre la guidava verso la stanza, richiudendosi infine la porta alle spalle. La giovane americana si sedette sul letto, sorridendogli appena e tendendo le braccia verso di lui per invitarlo a fare lo stesso. Christian non si fece attendere molto e prese posto vicino a lei, giocherellando a lungo con le sue dita affusolate per poi attirarla a sé con decisione, lasciando le mani libere di vagare sulla sua schiena e sui suoi fianchi ben modellati, strappandole di tanto in tanto piccoli gemiti di piacere che lo fecero sorridere.

- Mi dispiace di non averti dato subito la possibilità di spiegarti, e non riesco nemmeno a pensare che quel bastardo si sia approfittato di te in un modo così vile e ignobile – disse dopo un lungo momento di silenzio, affondando la testa tra i suoi capelli scomposti e bagnati di pianto – giuro che non resterà impunito. Gliela farò pagare cara per quello che ti ha fatto.

- E cosa vorresti fare, prendere il primo aereo per Houston solo per mollargli un pugno sul naso?

Scherzò, concludendo però la frase con un’amara risata che sembrò spiazzarlo per un attimo, facendolo sospirare con forza.

- Bè – rispose infine – non sarebbe affatto una cattiva idea, sai? 

Johanna lo colpì giocosamente sul braccio, scuotendo la testa e tornando a guardarlo negli occhi.

- No, penserò io a lui. Lo licenzierò non appena tornerò a casa, così non sarò più costretta a vedermelo girare intorno, ma…a tempo debito, perché adesso non voglio pensare a lui né a nessun’altra cosa. Adesso voglio dimenticare tutto ciò che ci ha fatti soffrire, tutto ciò che ha rischiato di allontanarci per sempre e concentrarmi solo  su di te, su di noi. Sulla nostra vita insieme.

Gli gettò le braccia al collo, baciandolo con passione. L’uomo percorse ancora una volta il suo viso, soffermandosi ad accarezzarne a lungo gli zigomi pronunciati. Sembrava così…diversa.

- Sei sempre così triste, tesoro mio. Dov’è finita quell’allegria che ho sempre amato tanto in te, il tuo splendido sorriso contagioso? Ho tanta paura che sia colpa mia.

Disse e un improvviso lampo di tristezza attraversò d’un tratto i suoi occhi scuri, rabbuiandolo in volto. Johanna gli affondò le dita tra i capelli, cercando di attirare la sua attenzione.

- No mon Cri Cri d’amour, non parlare in questo modo. Come potresti mai essere tu la causa dei miei dispiaceri?

- Ti ho costretta a rinunciare la bambino, ferendoti come mai ti saresti aspettata.

- Era inevitabile – chiarì lei, subito – lo hai fatto per salvarmi la vita.

- Però, se lo desideri, non è certo tutto perduto. Possiamo ancora costruire la famiglia che abbiamo sempre sognato e io voglio vederti felice Johanna, lo voglio più di qualsiasi cosa al mondo.

La donna gli rivolse un’occhiata perplessa.

- Che cosa stai cercando di dirmi, Christian?

- Quell’intervento – mormorò con convinzione – quello a cui qualche tempo fa volevi a tutti i costi sottoporti per tornare ad avere dei figli…ecco, potremmo sempre tornare a prenderlo in considerazione, no?

Per un attimo Johanna restò senza parole. Non avrebbe mai immaginato di sentirgli dire certe cose, e la consapevolezza che fosse invece appena successo la riempì di una meravigliosa e inaspettata gioia che però si sforzò subito di tenere a bada, poiché le cose non erano così semplici come sembravano.

- Vuoi dire che saresti d’accordo? Amore, non c’è niente che mi farebbe più felice,  ma tu sai bene che l’intervento ha solo il cinquanta per cento di possibilità di riuscita, e che semmai si presentasse la possibilità di rimanere incinta potrebbe non filare tutto liscio come immaginiamo? Non sopporterei di perdere un figlio un’altra volta, e so che sarebbe troppo anche per te. Non voglio crearti altre inutili preoccupazioni…

- Ma rappresenta pur sempre una possibilità – la interruppe lui, risoluto – al momento l’unica che abbiamo. E poi non essere così negativa, ricordati che quella è una mia prerogativa. Non voglio certo che ci scambiamo i ruoli, io e te!

Scherzò, facendola scoppiare a ridere mentre l’abbracciava di nuovo. Solo passando attraverso momenti di grande sofferenza aveva capito che continuare a opporsi a tutto questo sarebbe stato controproducente per entrambi, e ora che avevano finalmente chiarito le cose non c’era più ragione di attendere oltre. In fondo avevano tutto il diritto di essere felici, erano pronti e non avrebbero più dovuto lasciarsi abbattere da cattivi e tristi pensieri poiché, comunque fosse andata, avrebbero continuato a combattere. Semplicemente vivendo. Insieme.

- Insomma, vuoi stare un po’ ferma? Di questo passo non riuscirò mai a sistemarti i capelli!

Si lamentò Benedicte, stringendo le labbra con espressione concentrata mentre in piedi dietro l’amica tentava disperatamente di replicare la complicata acconciatura che aveva studiato per settimane su una di quelle riviste patinate che - chi lo avrebbe mai detto - una volta tanto qualcosa insegnavano!

- Oh mi dispiace, è che sono così agitata.

Si scusò Hèléne, di rimando, respirando profondamente un paio di volte per provare a tornare un po’ più padrona di se stessa, cosa molto difficile visto il modo in cui continuavano a tremarle le mani. Accidenti, ma cosa le stava succedendo? Quello doveva essere il giorno più bello della sua vita, non poteva certo permettersi di rovinarlo con inutili paranoie senza senso! Era finalmente pronta a unire la sua vita a quella del compagno, tutto il resto non aveva più importanza ormai. Osservò a lungo la sua immagine riflessa nello specchio, studiando ogni particolare di quel viso ora sapientemente truccato dalle amiche…quel viso che quasi stentava a riconoscere e che, a dirla tutta, sembrava renderla completamente diversa dal solito. Ma era davvero così cambiata? Si rese conto che il suo cuore conosceva già la risposta. Era lì, scolpita tra le pieghe più remote della sua esistenza, anche se fragile come una vecchia istantanea pronta a sgretolarsi da un momento all’altro. Sì, era esattamente così che si sentiva. Si costrinse comunque a darsi un contegno mentre passava in rassegna i volti delle amiche che l’aiutavano lentamente a prepararsi, sussultando quando incrociò lo sguardo critico di Johanna che quasi senza rendersene conto la osservava con le sopracciglia aggrottate, profondamente assorta in strani pensieri che la donna credette di conoscere molto bene. Sapeva cosa pensasse in merito al suo matrimonio con Peter, avevano già affrontato l’argomento parecchie volte prima di quel giorno e, non sapeva a che gioco stesse giocando, ma non le avrebbe permesso di continuare a tormentarla con inutili giri di parole su quanto quello rappresentasse l’errore più grande della sua vita e altre sciocchezze simili. Lei non sapeva niente dei suoi sentimenti. Assolutamente niente. O, forse, li conosceva anche troppo bene…

- Ecco fatto, finalmente ho finito! Guardati tesoro, sei bellissima.

La voce di Benedicte interruppe il flusso dei suoi pensieri costringendola a voltarsi verso di lei, che la guardava ammirata, per stringerle le mani con un sorriso grato.

- Come farei se non ci foste voi nella mia vita! Sono così felice di avervi accanto in questo giorno, per me è davvero molto importante.

Disse piano, e la sua voce sembrò incrinarsi in preda a una dolce commozione che si sforzò però di tenere a bada. Se avesse cominciato a piangere il trucco si sarebbe sciolto in pochi secondi, rendendola simile a una buffa maschera e a quel punto avrebbero dovuto ricominciare tutto da capo e…no, non aveva voglia di far aspettare Peter ancora a lungo. 

- E noi siamo felici di esserci. Vero, Laly?

Esclamò Johanna, rivolgendo stavolta a Hèléne un sorriso sincero. Continuare a remarle contro era un errore e non sarebbe servito proprio a niente. Doveva solo provare a mandare giù quella nuova situazione, e tutto sarebbe andato bene. O almeno lo sperava. A quelle parole Laly sembrò improvvisamente riscuotersi da quello strano torpore che fino a quel momento l’aveva tenuta in un angolo, a debita distanza da tutta quella felicità per paura, con la sua sola presenza, di contaminarla in qualche maniera. Proprio così. Lo spaventoso incubo della notte scorsa continuava a tormentarla senza tregua, rendendola facile preda di una fastidiosa ansia che già da un po’ le attanagliava il petto in una morsa dolorosa, bloccandole quasi il respiro.

- Oh, sì. Certo.

Rispose distrattamente, incrociando le braccia al petto in un gesto che tradiva enorme disagio. Quello era sicuramente un presagio, un grave presagio di sventura di cui non avrebbe mai dovuto far parola con nessuno. Specialmente con Hèléne…

Dopo lo scambio delle promesse nuziali la festa si spostò in giardino, sapientemente addobbato per l’occasione da eleganti nastri e palloncini colorati a far da contorno ai novelli sposi, che tra baci e sorrisi si preparavano ora al taglio della torta. Laly, in una panchina poco lontana li osservava sospirando nervosamente e quasi non si accorse che John l’aveva appena raggiunta, sedendole accanto e rivolgendole uno sguardo curioso e preoccupato.

- Che succede tesoro, che ci fai qui tutta sola?

Le sussurrò a quel punto, facendola sussultare per la sorpresa. La donna alzò le spalle con noncuranza, tentando un sorriso forzato mentre sfiorava teneramente la guancia del compagno.

- Stavo solo…riposando qualche minuto, credo di avere un principio di mal di testa con tutta questa musica assordante.

Mentì, evitando i suoi occhi. Quella sgradevole sensazione di disagio non riusciva proprio a scrollarsela di dosso, nonostante continuasse a provarci con tutte le forze. Era inutile, non avrebbe mai potuto dimenticare ciò che come un’orribile e macabro puzzle si componeva e ricomponeva nella sua testa, senza sosta, mostrandole ancora una volta l’amara verità che di lì a poco, ne era sicura, avrebbe sconvolto per sempre le loro esistenze.

A pochi metri più in là, in un accogliente e isolato angolo del giardino, lontano da tutto quell’allegro frastuono che sembrava colpire con forza i suoi nervi già provati Nicolas si prendeva la testa fra le mani, improvvisamente stanco di quella situazione che per tutto il tempo aveva a stento sopportato. Più volte in quella soffocante giornata aveva tentato di incrociare lo sguardo di Hèléne e più volte lei aveva tentennato, finendo per distoglierlo bruscamente quando Peter le si avvicinava, ostentando un’odiosa sicurezza che proprio non gli andava giù. Suo marito. Era appena diventato suo marito, e l’unica cosa che poteva fare lui era accettarlo e imparare a convivere con questa cosa. Anche se faceva male. Sbuffò, perdendosi a lungo a contemplare il cielo azzurro sopra la sua testa, un cielo limpido e senza nuvole che d’un tratto sembrò quasi trasudare ostilità e il cui tenue e morbido colore pareva prendersi silenziosamente gioco di lui e dei suoi sentimenti, come tutto ciò che lo circondava. Fu in quel momento che un leggero fruscìo vicino catturò di colpo la sua attenzione, costringendolo a voltarsi verso di lei che ora gli stava proprio davanti,  alta e fiera nel suo lungo e sontuoso abito bianco tutto pizzi e merletti. E bella, tanto bella e solare da riuscire a ferirlo di nuovo.

- Sei qui? Ti stavo cercando.

Disse semplicemente, sfiorandogli la spalla con tocco leggero.

- Ah, sì? E per quale motivo?

Rispose di rimando, accorgendosi troppo tardi di aver alzato la voce più del dovuto e pentendosene immediatamente. Hèléne non si lasciò però scoraggiare dal suo tono tutt’altro che amichevole e con tutta la determinazione che le riuscì di trovare prese lentamente posto accanto a lui, incrociando il suo sguardo inquieto.

- Perché non riesco più a sopportare i tuoi silenzi – spiegò a voce bassa – e perché questo dovrebbe essere il giorno più bello della mia vita, e tu invece me lo stai rovinando.

- Mi spieghi in che modo starei facendo una cosa del genere?

Chiese esterrefatto, guardandola con aria sconcertata.

-  Sì, me lo stai rovinando perché per essere completamente felice ho bisogno che tu sia al mio fianco, che mi sostenga come tu solo sai fare. Non rinuncerò a te così facilmente. Mi manchi Nicolas, e vorrei che le cose tra noi tornassero finalmente a posto. Senza rancori, senza cattivi pensieri, solo noi e la nostra meravigliosa amicizia, come una volta.

Amicizia…

Amici? Dunque era solo questo ciò che desiderava da lui? Pura e semplice amicizia, che forse non sarebbe mai riuscito a offrirle davvero. La donna gli sorrise e senza nemmeno attendere risposta si affrettò a gettargli le braccia al collo, stampandogli un sonoro bacio sulla guancia quando lo sentì stringerla a sua volta, finalmente più sereno. Si lasciò inebriare a lungo dal suo dolce profumo, pensando a quanto le fosse mancata e alla sua vita, i cui pezzi stavano lentamente tornando a posto ora che erano di nuovo vicini. Amicizia? Sì, un giorno, forse, sarebbe riuscito a donarsi a lei senza riserve.

Rise, inciampando più volte nei suoi stessi piedi prima di riuscire a raggiungere la sua camera, seguita a ruota da Christian che intanto la guardava divertito.

- Oh Dio, sono così ubriaca che non mi reggo in piedi!

La sentì esclamare mentre si lasciava prendere tra le braccia, nascondendo la testa contro la sua spalla.

- Mi sa che hai un tantino esagerato.

- Cercavo solo di entrare nello spirito della festa, e comunque domani in ospedale mi rimetteranno completamente a nuovo.

A quelle parole Christian si rabbuiò all’istante, sospirando con aria sconsolata. Johanna gli accarezzò i capelli, cercando i suoi occhi.

- Ehi…no, non devi preoccuparti. Vedrai che andrà tutto bene, ci vorrà solo qualche giorno e…

- So di essere stato io a spingerti a fare quell’intervento – la interruppe, incrociando il suo sguardo – ma non posso fare a meno di pensare…a tante cose. Non so nemmeno se sia il momento giusto.

La donna sorrise.

- Certo che è il momento giusto, non c’è un momento migliore di questo. Domani mattina Hèléne e Peter partiranno per la loro luna di miele, e noi invece ci prepareremo ad affrontare la nostra nuova vita. E se poi, dopo tutto questo, qualcosa andasse storto e non riuscissi comunque a rimanere incinta…

- Ce ne faremo una ragione – Christian completò la frase per lei, sfiorando le sue labbra con un tenero bacio – lo accetteremo, e continueremo ad andare avanti. Anche se non dovesse mai arrivare un figlio per noi non avrà comunque importanza, perché mi basterà averti al mio fianco per essere felice.

Si strinsero in un forte abbraccio, pronti a quella nuova, difficile prova che presto  avrebbe per sempre cambiato le loro vite…

Josè sprofondò sui cuscini, muovendosi piano sotto le coperte prima di attirare a sé la moglie per baciarla ancora una volta.

- Finalmente un momento tutto per noi. Pace, tranquillità e silenzio. Proprio quello di cui avevamo bisogno.

Mormorò contro le sue labbra, facendola sorridere divertita.

- Hai ragione, è così bello restare qui a coccolarci in questa splendida mattina di sole, solo noi, immersi in questo dolce silenzio. La casa sembra così vuota da quando Hèléne e Peter sono in luna di miele, e poi…

Esitò, sospirando e rabbuiandosi improvvisamente.

- Cosa?

Le chiese l’uomo, sollevandole il mento per costringerla a incontrare i suoi occhi.

- Niente, è solo che Joel mi manca così tanto. Non sono mai stata lontana da lui per tanto tempo…

- Tanto tempo? Si tratta solo di quindici giorni al massimo, e poi non sei stata tu stessa a dire che il bambino ha bisogno di costruire un rapporto anche con suo padre?

 Benedicte annuì, stringendosi più forte a lui e lasciandosi andare contro il suo petto, tempestandolo di piccoli baci morbidi che lo fecero rabbrividire mentre attirava la sua testa verso il basso, baciandolo con trasporto. Aveva ragione, era stata lei stessa ad affermarlo e non aveva proprio nulla da temere. Si fidava di Jimmy, era sempre stato un ottimo padre ed era sicura che se la sarebbe cavata benissimo anche stavolta. Era solo il suo spiccato senso materno a causarle qualche problemino di nostalgia di tanto in tanto, e Joel era ancora così piccolo…

- Sai che ti dico? Che quell’adorabile spaccatimpani comincia a mancare anche a me! Chissà, forse sto impazzendo. Sì, insomma, mi mancano i suoi urletti serali e le notti in bianco che mi faceva passare, e poi le sue guanciotte paffute che prendevo sempre  a pizzicotti…

- Che cosa? Tu prendevi a pizzicotti il mio bambino? Sei un mostro disumano!

Lo incalzò Benedicte, fingendosi indignata ma ridendo sotto i baffi prima di colpirlo giocosamente sul braccio dando così inizio a una simpatica lotta di cuscini, bruscamente interrotta poco dopo da un assordante rumore proveniente dal piano di sotto che in un momento mise entrambi in allarme.

- Ecco, era troppo bello per essere vero! Addio pace e silenzio!

Brontolò Josè mentre insieme alla moglie lasciava il comodo nido d’amore per correre giù per le scale, imprecando esterrefatto quando entrambi si trovarono di fronte Laly che con le mani e il viso imbrattati di farina e cioccolata si agitava come impazzita, correndo da una parte all’altra di una cucina totalmente immersa nel caos.

- Si può sapere che diavolo ci fai tu qui, e cos’è tutto questo casino?

Esclamò chinandosi a raccogliere dal pavimento ormai miseramente macchiato ciò che restava del servizio di piatti buono, quello che usavano sempre per le occasioni importanti.

- A casa mia non riuscivo a dormire e John continuava a russare, quindi mi sono vestita e sono venuta qui pensando che mettermi a cucinare potesse servire a calmarmi i nervi. Volevo preparare il pranzo e fare un dolce per festeggiare il ritorno di Hèléne dal suo viaggio di nozze, ma sono così agitata che continuano a tremarmi le mani e non faccio che rovesciare tutto sul pavimento e… cavolo, mi dispiace! 

Cercò di giustificarsi la donna, angosciata mentre Benedicte la guidava verso il bagno per provare almeno a smacchiarsi il viso e i vestiti. A pulire tutto quanto avrebbero pensato dopo. Fu in quel momento che la porta d’ingresso si aprì di colpo, rivelando la figura alta e raggiante di Hèléne che con le mani ancora piene di valigie si precipitava a salutare gli amici, felice di essere di nuovo a casa.

- Eccoti qui, finalmente! Sei splendida così abbronzata, dai, raccontaci tutto del tuo fantastico viaggio.

Esclamò Benedicte trascinandola verso il divano mentre Laly continuava a gettare strane occhiate sospettose fuori dalla porta, perlustrano più volte il giardino con aria critica.

- E Peter? Si può sapere dove lo hai lasciato?

Domandò con voce stridula, torcendosi le mani per la disperazione e prendendo nervosamente posto vicino all’amica, che intanto le spiegava la smania del neo marito di raggiungere immediatamente l’ufficio per controllare che tutto procedesse bene.

- Sapete come è fatto – spiegò con un sorriso – non sa stare lontano dal suo lavoro, ma mi ha assicurato che tornerà entro l’ora di pranzo.

Ma Peter non si presentò affatto per il pranzo di bentornato e nemmeno qualche ora dopo, costringendo così Hèléne a provare a rintracciarlo sul cellulare, che invece risultava sempre spento.

- Non capisco – continuò a dire, sbuffando seccata – forse si starà trattenendo in ufficio più del previsto, ma non è proprio da lui piantarci tutti in asso in questo modo.

- Non preoccuparti – la rassicurò Benedicte – vedrai che tra poco sarà di ritorno. Avrà avuto un contrattempo, o…

Non riuscì tuttavia a finire la frase poiché l’improvviso, insistente scampanellìo la fece sussultare costringendola ad aprire la porta d’ingresso, restando letteralmente a bocca aperta quando si trovò davanti due uomini in divisa dalle facce scure che subito chiesero della “signora Watson” con aria grave.

- Eccomi, sono io. Qualcosa non va?

Hèléne si alzò dal divano per andare loro incontro, studiandoli a lungo con espressione interrogativa prima che uno dei due si decidesse a prendere la parola, evitando accuratamente il suo sguardo mentre provava a spiegarsi.

- Madame, ci spiace informarla che suo marito ha avuto un grave incidente…

Quando il destino si diverte a prendersi gioco di te e della tua vita l’unica cosa che puoi fare è sederti e aspettare. Aspettare che i momenti bui passino presto, così come sono arrivati, per tornare finalmente a respirare. A volte però questo non succede e ci si accorge che starsene seduti e buoni ad aspettare non porterà mai a niente. Non basterà se quei brutti sogni, gli stessi che tanto temi si trasformano in veri e propri incubi, e gli incubi in realtà. Una realtà troppo dolorosa da accettare se a farne le spese sono coloro che ami. Questo Laly lo sapeva bene ora che il suo incubo peggiore si era appena materializzato davanti a loro, inglobandoli in un fitto vortice di disperazione dal quale sarebbe stato difficile, se non impossibile tirarsi fuori.

- Mi dispiace così tanto Hèléne, se solo ti avessi detto prima che tutto questo sarebbe accaduto, visto che per tutto il tempo la mia mente ha rivissuto quel terribile incidente ogni singola notte, forse avresti potuto evitarlo in qualche modo. Forse…

- Se lo sapevi già – la interruppe Benedicte, la voce aspra di chi sta per perdere la pazienza – perché accidenti non ce ne hai mai parlato?

- Sarebbe cambiato qualcosa se lo avessi fatto? No, non credo proprio, perché come tutte le volte avreste finito col prendermi per pazza. Sto sbagliando, forse? Non avete mai creduto alla mia capacità di prevedere il futuro, perciò per quale motivo avrei dovuto mettervi al corrente di qualcosa per la quale avreste finito per ridermi in faccia?

Replicò lei, punta sul vivo, asciugandosi con disperata rabbia le lacrime che le rigavano le guance.

- Non ha più importanza ormai, perché niente di ciò che è successo potrà mai essere cancellato. È semplicemente così che doveva andare, non c’è alcun perché, non si può sfuggire al proprio destino. Qualunque esso sia.

Sussurrò Hèléne, e tutte si voltarono a guardarla. Aveva gli occhi arrossati dal pianto e le unghie così affondate nei palmi delle mani che ben presto le sue nocche divennero bianche, anche se lei sembrò non accorgersene neppure. La sua mente adesso era da tutt’altra parte e lì, stancamente adagiata su quella che era sempre stata la sua poltrona preferita sembrava ora piccola e fragile, tanto che anche un minuscolo alito di vento avrebbe potuto ferirla o abbatterla. Laly annuì con convinzione, chinandosi su di lei per stringerle una mano tremante fra le proprie.

- È così, amica mia – disse sconsolata – è proprio come final destination, vero?

- Laly – la riprese subito Benedicte, incitandola a rialzarsi in piedi e a chiudere in fretta la bocca prima di pregiudicare ulteriormente quella già delicata situazione – credo che Hèléne abbia bisogno di riposare adesso, perciò è meglio se ci allontaniamo e la lasciamo un po’ tranquilla. Anche se saremo sempre qui – aggiunse più dolcemente, rivolgendosi all’amica che però non la stava neppure guardando – perciò qualunque cosa ti serva, non esitare a chiamarci. 

Le sfiorò la fronte con un bacio lieve e le due si ritirarono lentamente in cucina, parlottando concitatamente tra loro. Johanna fu l’unica a trattenersi ancora un po’ con lei, anche se non sapeva bene cosa fare.

- Vuoi davvero rimanere da sola?

Le chiese con tatto, e per la prima volta da quando tutto aveva avuto inizio la vide incrociare il suo sguardo. Questo le provocò una violenta stretta al cuore che però si sforzò di ignorare mentre la ascoltava riprendere a parlare.

- Mi sembra tutto così irreale – disse con voce stanca – così terribilmente assurdo. Non ho mai meritato un uomo come lui, Johanna, così come non merito la sua fortuna, la sua azienda, questa stessa casa…e vuoi sapere perché? Semplicemente perché avevi ragione tu, io non lo amavo. Per lui provavo solo affetto e gratitudine, che ora si sono trasformati in senso di colpa. Per tutto il tempo, mentre vestita di bianco mi avviavo lentamente verso di lui ho sperato che per un qualche strano,  magico meccanismo sconosciuto il tempo si fermasse, anche solo per pochi attimi, così da dare a Nicolas la possibilità di fermare tutto. Per tutto il tempo della cerimonia, mentre vi davo le spalle e ascoltavo il prete parlare del sacro vincolo del matrimonio ho sperato che lui si alzasse in piedi e si ribellasse a quello che stava accadendo sotto i suoi occhi, che mi corresse incontro e mi dicesse che mi amava e che non dovevo sposare un altro uomo, se non lo desideravo. Ma niente di tutto questo è accaduto, e io ho pronunciato la mia promessa. Alla festa in giardino sono persino andata a cercarlo, offrendogli la mia amicizia quando in realtà avrei solo  voluto…

Si interruppe bruscamente, trattenendo a stento le lacrime.

- Sapevo quanto stesse soffrendo – proseguì dopo qualche secondo, un po’ più padrona di se stessa – eppure ho portato avanti questa assurda farsa, mentendo persino a me stessa. Gli ho rovinato la vita, l’ho rovinata a entrambi, e ora Peter non c’è più. Non meritava che gli mentissi sui miei sentimenti, non meritava di morire in questo modo…è colpa mia, è soltanto colpa mia!

Esplose in un dirotto pianto che l’amica non potè che provare a consolare abbracciandola stretta.

- Non dire così, non è affatto colpa tua.

Continuò a ripeterle per un tempo che le sembrò interminabile, sforzandosi il più possibile di comprendere la sua disperazione. Era perfettamente normale che si sentisse così, i funerali erano stati strazianti per tutti, figuriamoci per lei che aveva appena seppellito suo marito. Era stanca e spossata e ora cominciava a dare di matto, anche se non credeva le avesse mentito in merito ai sentimenti che provava per Nicolas. Comunque stessero le cose, però, ora avrebbe davvero avuto bisogno di riposare. L’accompagnò così in camera sua, aiutandola a distendersi sul letto prima di prendere posto accanto a lei, che adesso le stringeva il polso come se avesse ancora voluto comunicarle qualcosa.

- Come stai Johanna, come ti senti? Non abbiamo ancora avuto modo di parlare dell’intervento, e di tutto il resto.

- Non preoccuparti di questo, amica mia. L’intervento è perfettamente riuscito e io mi sento bene, ma anche così tutto ciò che posso fare adesso è…aspettare. Non c’è niente di certo, lo sai, e io e Christian ne siamo perfettamente consapevoli e pronti ad affrontare qualunque cosa ci riserverà questo percorso. Se nonostante tutto non accadrà nulla, sarò comunque pronta ad accettarlo.  

Disse con semplicità, lasciando la mano dell’amica quando il suo cellulare cominciò a vibrare. Ne fissò il display con aria grave, rabbuiandosi in volto.

- È di nuovo lui, non è vero?

Le chiese Hèléne, sospirando con forza quando la vide annuire lentamente.

- Devi liberartene una volta per tutte, non puoi continuare così. Licenzialo, fai ciò che devi, non permettergli mai più di insinuarsi nella tua vita. Allontanalo per sempre, solo così sarai finalmente libera e serena. Fallo per te stessa, ma soprattutto per Christian. Lui ha davvero bisogno di un po’ di stabilità, specialmente dopo quello che ha passato…

Quei giorni dolorosi sembravano trascorrere sempre troppo lentamente per Hèléne, che nel silenzio della sua camera buia non riusciva a darsi pace, divorata dai sensi di colpa. Mangiava a malapena e in giro per casa si faceva vedere poco, molto poco, preferendo il silenzio di quella stanza spoglia e silenziosa alla compagnia degli amici, che per tutto quel tempo avevano provato invano a stabilire un qualsiasi punto di contatto con lei. La cosa andava avanti ormai da troppo tempo e Johanna era convinta che non le facesse di certo bene continuare a rifiutare il mondo esterno e tutto ciò che ne conseguiva, fuggendo persino dai nuovi doveri e responsabilità che inevitabilmente l’attendevano, ora che Peter non c’era più. Forse però aveva ancora bisogno di tempo e Johanna, così come tutti gli altri, avevano deciso di concederglielo. Per questo quella mattina lei stessa si era vista costretta a prendere una decisione che, anche se drastica, avrebbe potuto finalmente iniziare a smuovere qualcosa.

“Lo spettacolo deve continuare” disse tra sé quando si accomodò per la prima volta nella comoda e imponente poltrona dell’ormai defunto amico, che come tutto lì dentro pareva trasudare potere e…ostilità. Sì, pensava proprio che quella fosse la parola più giusta da usare, in fondo lo sconosciuto ufficio di quella faraonica società aveva avuto lo strano potere di metterla a disagio fin dall’inizio, ma non si sarebbe arresa così facilmente. Si rendeva conto che mettersi a dirigere – anche se temporaneamente – una società come quella non sarebbe stata certo una passeggiata, anche per una come lei già avvezza a quel tipo di cose, ma una compagnia petrolifera era tutt’altra cosa e questo, invece, era…un casino. Già, era tutto un completo casino e non sapeva neppure da che parte cominciare. Per fortuna Laly era stata l’unica a non darle buca come invece aveva fatto Benedicte, ma lei poteva anche comprenderla, aveva un bambino ancora molto piccolo di cui occuparsi. E comunque ormai c’era dentro fino al collo e non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro, non avrebbe mai abbandonato la sua migliore amica in un momento così triste e difficile.

- Ti ricorda qualcosa tutto questo?

La voce di Laly la strappò bruscamente ai suoi pensieri, riportandola d’un tratto coi piedi per terra mentre si voltava verso di lei, rivolgendole uno sguardo vago.

- A cosa ti riferisci?

- Ma sì – continuò l’amica – io e te che lavoriamo di nuovo fianco a fianco. Esattamente come a Love Island.

La giovane americana sorrise ricordando i loro tempi felici sull’isola. Era lì che lei e Christian si erano finalmente riuniti dopo tanto tempo, anche se successivamente le cose non erano andate troppo bene tra loro…ma preferiva non pensarci più. Erano insieme ormai e niente e nessuno sarebbe mai più riuscito a separarli, ora lo sapeva. Guardò di sottecchi il fidanzato, che in piedi davanti alla finestra dell’ufficio osservava rapito la splendida veduta che questa offriva. Quella mattina aveva così tanto insistito per accompagnarla che non se l’era proprio sentita di contraddirlo, anche se a dire la verità non sembrava certo essere di molto aiuto. Come lei stessa, del resto.

- Accidenti, non so nemmeno dove mettere le mani. Non pensavo che sarebbe stato così complicato. Ci sono un mucchio di documenti da firmare, di questo passo finiremo l’anno prossimo!

Si lamentò sbuffando seccata e fu allora che Christian si voltò lentamente verso di lei, sollevando le sopracciglia con aria contrariata.  

- Non serve disperarsi così, senza contare che tutta questa agitazione potrebbe far male al bambino.

Disse. Johanna lo fissò a bocca aperta.

- Christian, non sappiamo ancora se sono incinta. Cominci ad avere troppe aspettative.

- Bè, succede quando sei in trepidante attesa di qualcosa. E poi deve essere così per forza, altrimenti vorrebbe dire che ho sprecato il mio tempo provandoci praticamente  tutte le notti. 

Repicò lui alzando le spalle e Laly si coprì le orecchie con entrambe le mani.

- Ragazzi, non so se ve ne rendete conto ma mi trovo qui per lavorare e non certo per ascoltare i particolari della vostra vita sessuale che, tra parentesi, non mi interessa affatto.

- Perché no? Potresti sempre imparare qualcosa, del resto nascondere la chiave dei tuoi insulsi giochetti erotici nel burro non è mai stata una bella mossa! Per poco John non ci è rimasto secco una volta…

- Dai, piantala – lo riprese Johanna andandogli vicino, anche se neppure lei riusciva a smettere di ridere sotto i baffi – e comunque non mi sembravi così seccato di sprecare il tuo tempo con la sottoscritta la notte scorsa, oppure mi sto sbagliando?

Lo vide sorriderle prima di attirarla a sé per baciarla con trasporto sotto gli occhi sgranati di Laly, che non riusciva a smettere di fissarli con espressione allibita.

- Vedo che non è cambiato proprio niente da allora, voi due continuate a essere disgustosi come un dolce andato a male!

Esclamò a quel punto, stanca di tutte quelle sciocchezze. I due la ignorarono ma Johanna si ricompose quasi subito, riprendendo il suo posto mentre ricominciava a sfogliare le numerose scartoffie accatastate disordinatamente sulla scrivania in ciliegio chiaro.

- Pensate che ce la caveremo in qualche modo?

Chiese sfiorandosi distrattamente i capelli e fu in quel momento che la porta si aprì improvvisamente ed Hèléne fece il suo ingresso nella stanza, lasciando tutti esterrefatti. Aveva ancora gli occhi arrossati e il suo viso sembrava pallido e stanco, ma aveva indossato il suo completo migliore e questo le conferiva un aspetto decisamente più ordinato.

- Penso che voi abbiate già fatto fin troppo per aiutarmi – disse con voce chiara -  e non potrò mai ringraziarvi abbastanza per questo, ma è ora che accetti di riprendere in mano la mia vita. Spetta a me dirigere questa società e lo farò nel migliore dei modi e solo per mio marito, affinchè attraverso il lavoro che svolgerò lui possa continuare a vivere per sempre nel ricordo di tutti perché, almeno questo, glielo devo…

Chiuse la comunicazione, sorridendo tra sé. Christian si preoccupava decisamente troppo per i suoi gusti, per tutta la conversazione non aveva fatto che ripeterle quanto avesse sbagliato a non permettergli di viaggiare insieme a lei e altre stupidaggini simili. Ma come avrebbe potuto lasciarlo partire per affrontare tutte quelle ore di volo verso Houston, sapendo bene quanto ancora il suo fisico lottasse per riprendersi nel migliore dei modi dopo il brutto infarto che lo aveva colpito? Sì, stava molto meglio adesso, era persino tornato al lavoro più carico di prima, ma Johanna non avrebbe mai potuto permettergli di strafare. Così era partita da sola e dopo vari e comprensibili tentennamenti, vista la spiacevole e delicata situazione venutasi a creare aveva finalmente trovato il coraggio di licenziare Justin, sperando di liberarsene una volta per tutte. L’uomo però non si era certo arreso senza lottare, ribadendole attraverso una focosa scenata in ufficio che avrebbe voluto conservare il suo posto di lavoro, salvo poi trovarsi a desistere di fronte alla determinazione della giovane americana, decisa più che mai a tenerlo per sempre a debita distanza. Sospirò, cercando di allontanare qualunque brutto pensiero dalla sua mente per concentrarsi invece sull’inaspettata e fantastica novità che di lì a poco avrebbe cambiato in meglio la sua vita e quella del compagno, a cui però non aveva ancora rivelato nulla. Lo aveva scoperto da appena qualche giorno e non aveva voglia di parlargliene per telefono, desiderava che fosse una sorpresa, così come lo era stata per lei che dopo tutto ciò che aveva passato si era ripromessa di non farsi più illusioni. Adesso però il suo sogno si era trasformato in realtà e, forse, con un po’ di fortuna, questa volta le cose sarebbero andate avanti senza complicazioni. Sì, voleva crederci, lo sperava con tutte le forze. L’improvviso suono del campanello la fece trasalire mentre, chiedendosi chi fosse a quell’ora ormai tarda della sera, si apprestava ad aprire la porta…

- Non puoi fare così, cazzo! Non ha il minimo senso!

Urlò Christian fuori di sé un attimo prima di scaraventare violentemente a terra il suo telefono cellulare, riducendolo in pezzi. Si massaggiò nervosamente la fronte, sospirando un paio di volte per cercare di dare un senso compiuto alla strampalata conversazione appena avuta con Johanna che, ormai a Houston da giorni, doveva letteralmente essersi bevuta il cervello. Ma sì, era l’unica spiegazione plausibile a un simile comportamento, a una simile…freddezza, tra l’altro completamente ingiustificata che la donna aveva appena mostrato nei suoi confronti, e che in poco tempo gli aveva gelato il sangue gettandolo nel più totale sconforto. Cos’era successo, eppure andava tutto così bene tra loro. Si erano sentiti appena il giorno prima e gli era sembrato che nulla fosse cambiato, e adesso invece… adesso, quella triste consapevolezza aveva preso in ostaggio il suo cuore, scaraventandolo con violenza in un abisso infinito di disperazione che proprio non riuscì a scrollarsi di dosso nemmeno quando gli amici, allarmati dalle sue grida e dagli strani rumori appena sentiti si erano precipitati da lui, squadrandolo con aria seria e concentrata per provare a capire cosa stesse succedendo di così grave da ridurlo in quello stato. Ma come avrebbe potuto spiegarlo loro, se nemmeno lui conosceva le ragioni di una simile follia? Perché era proprio di questo che si trattava, una follia priva di senso.

- Ehi, cosa succede Christian? Stai bene?

Gli sussurrò Josè avvicinandosi piano e sfiorandogli una spalla con le dita nel tentativo di calmarlo un po’, anche se aveva l’amara sensazione che, qualunque cosa avessero provato a fare da quel momento, non gli avrebbe di certo giovato. Aveva lo sguardo vitreo e l’espressione ferita e confusa, più volte negli anni lo aveva visto in quello stato e in ogni occasione c’era sempre stata di mezzo Johanna. Sperò con tutto il cuore che non fosse una cosa seria, dopotutto si erano appena ritrovati e ne avevano davvero passate tante prima di raggiungere un po’ di meritata serenità.

- No – lo sentì rispondere, rabbioso – non sto bene per niente!

- Insomma si può sapere cosa sta succedendo, qual è il problema? Lo sai che non ti fa bene agitarti in questo modo…

Si intromise Nicolas, ma l’amico non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase, incalzandolo con poche, semplici parole che lasciarono i presenti a bocca aperta per lo stupore.

- Johanna mi ha lasciato.

Disse in un soffio, evitando accuratamente di incrociare i loro sguardi e preferendo invece fissare la punta delle sue scarpe, desiderando ardentemente che la terra lo inghiottisse per sempre.

- C…Cosa? Che storia è questa, che significa che ti ha lasciato?

Intervenne Benedicte, che fu la prima a riscuotersi e interrompere così l’imbarazzante  silenzio venutosi a creare appena dopo quell’assurda rivelazione.

- Significa esattamente quello che ho detto. È finita, mi ha lasciato. E non so nemmeno il perché.

- Avete per caso litigato?

Azzardò Josè e fu allora che l’uomo sollevò per la prima volta lo sguardo verso di loro mentre scuoteva lentamente la testa, affranto.

- No, non è successo assolutamente niente tra noi, ma oggi si è svegliata e ha improvvisamente deciso che non voleva stare più con me.

Irruppe in una risata isterica che parve turbare tutti prima di rialzarsi in piedi con uno scatto deciso e ricominciare a urlare come un forsennato.

- Vuole farmi diventare matto, ecco cosa vuole, ma non gliela darò vinta stavolta! Se spera che me ne stia qui buono a subire i suoi colpi di testa si sbaglia di grosso!

Si avviò poi verso le scale, percorrendole velocemente mentre gli amici lo marcavano stretto.

- Che hai intenzione di fare adesso?

Chiese Nicolas, visibilmente agitato.

- Non c’è una remota possibilità che stesse…non so, scherzando, magari?

Aggiunse Josè. Christian si fermò di colpo, guardandolo fisso.

- Credimi, non stava affatto scherzando, anzi, non credo di averla mai sentita così seria. E comunque mi deve una spiegazione, eccome se me la deve! Dovessi percorrere a piedi tutta quella dannatissima città per trovarla, lei deve spiegarmi che cazzo ha in testa!

Aprì l’armadio con uno scatto nervoso e cominciò a riempire una piccola valigia che aveva tirato fuori da sotto il letto con una montagna di roba a caso, senza dar retta ai ragazzi che intanto tentavano invano di farlo ragionare.

- Christian, per favore, cerca di mantenere la calma adesso. Partire in questo caso non mi sembra proprio la soluzione migliore, specialmente nelle tue condizioni. Devi riguardarti, lo sai!

- Io sto benissimo e voglio che sappiate che qualunque cosa mi direte non servirà a farmi cambiare idea, sono stato chiaro?

Si fermò un attimo, respirando un po’ più in fretta del normale. Non lo avrebbero fermato per nessuna ragione al mondo, ormai aveva deciso. Doveva andare fino in fondo a questa storia, era la sua unica speranza di capirci qualcosa. Johanna non aveva alcun diritto di spezzargli il cuore a quel modo e poi pretendere di non dovergli alcuna spiegazione. In un modo o nell’altro l’avrebbe costretta a parlare, e se era vero che non voleva più saperne di lui avrebbe dovuto urlarglielo in faccia, guardandolo dritto negli occhi. Solo così avrebbe potuto accettare le cose. Forse.

- E va bene – concluse Nicolas, annuendo lentamente – forse non possiamo farti cambiare idea, ma non puoi certo impedirci di accompagnarti. Non ti lasceremo partire da solo. Se follia deve essere, facciamola fino in fondo!

- Però, davvero ottima interpretazione! Sei stata così convincente che per un attimo ci ho creduto anch’io. Incredibile il potere di una pistola puntata alla tempia, vero? Ti fa fare cose che non ti sogneresti mai.

Sogghignò, allontanando il telefono dal suo viso per poi farlo sparire con un movimento fulmineo nella tasca dei suoi jeans sdruciti, lanciandole un sorrisetto sprezzante che in un attimo ebbe il potere di infiammarla di rabbia.

- Sei un maledetto figlio di puttana – sibilò, sputandogli addosso le parole – come hai potuto costringermi a fare una cosa del genere? Se Christian dovesse di nuovo stare male per colpa di questa situazione, giuro su Dio che me la pagherai cara!

Ma non ebbe quasi il tempo di finire la frase che lui le fu subito addosso, scrollandola con malo garbo e tirando forte i suoi capelli per costringerla a incrociare il suo sguardo cupo, terrorizzandola ancora una volta mentre provava disperatamente a sfuggire alla sua morsa d’acciaio, anche se invano. Qualunque altro tentativo di resistenza sarebbe stato del tutto inutile, lo sapeva bene. Lui era più forte e non avrebbe mai avuto le energie per tenergli testa, anche se non avrebbe smesso di arrendersi.

- Cerca di darti una calmata tesoro, qui le minacce posso farle soltanto io e se ti azzardi a parlarmi ancora in questo modo sarò costretto a prendere dei provvedimenti, e lo sai, non vorrei mai dover essere costretto a sfigurarti questo bel faccino o, nel peggiore dei casi…

Si interruppe apposta, lasciando la frase in sospeso prima di far scivolare lentamente il coltello lungo il suo addome ancora poco pronunciato, premendolo quanto bastava per sentirla supplicare di nuovo, tremante e disperata, di non far del male a lei e al bambino che aspettava.

- Sai, il fatto che tu sia anche incinta gioca a mio favore, sono sicuro che mi renderà le cose ancora più interessanti.

- Che cosa vuoi da me, perché stai facendo tutto questo?

Chiese una volta che si fu allontanato da lei, serrando poi le labbra per resistere al dolore che la corda stretta e sottile le procurava sui polsi, già parecchio arrossati.

- La risposta è molto semplice, mia cara, voglio rovinarti la vita esattamente come tu hai fatto con me. Sono sempre stato un asso nel mio lavoro e ho portato avanti le cose nel migliore dei modi quando non c’eri, non hai mai avuto alcun motivo per lamentarti di me e sai che di certo non meritavo questo trattamento.

- Dunque è solo questo ciò che vuoi, riavere indietro il tuo lavoro? Prenditi pure il mio posto, l’intero ufficio se lo desideri, ma ti prego, lasciami andare. Non puoi tenermi prigioniera in casa mia solo per il gusto di farmela pagare. Prenditi tutto ma non far del male al mio bambino, per favore, non portarmelo via. Non posso perderlo, non di nuovo.

Le lacrime presero il sopravvento prima ancora che potesse rendersene conto e il suo pensiero volò a tutto ciò che era accaduto in passato e soprattutto a Christian, che ora, immaginava, non sarebbe riuscito a darsi pace. Pregò con tutte le sue forze che non decidesse di partire per raggiungerla, l’ultima cosa che voleva era metterlo in pericolo. Justin era una specie di psicopatico fuori controllo, come aveva fatto a non accorgersene? Ma, soprattutto, come avrebbe fatto a uscire indenne da quella assurda situazione?

- Smettila di frignare, non sopporto quando lo fai! Sei fastidiosa e irritante, vediamo se così riesco a renderti più collaborativa!

Lo sentì esplodere all’improvviso mentre si chinava di nuovo su di lei afferrandole un braccio con ferocia e mentre urlava, lottando energicamente per sciogliersi dalla sua presa notò il temibile oggetto che stringeva nella mano destra, ma era troppo tardi, non sarebbe riuscita a fermarlo…

- Non era meglio aspettare un po’ prima di venire qui? Non so, magari potevamo farci un giro della città.

Propose Josè cercando di attirare l’attenzione di Christian, che invece fermo sulla soglia continuava stupidamente a esitare, quasi come se se starsene lì impalato davanti alla porta di casa di Johanna, ormai unico, piccolo ostacolo che lo separava da lei, avesse potuto dargli la forza necessaria per affrontarla una volta per tutte. Lei, la donna che mai aveva smesso di amare, nemmeno quando si erano ritrovati distanti,  quella con cui aveva riso e pianto in quegli ultimi anni era la stessa ad aver appena messo fine alla loro relazione, senza un perché, spezzandogli irrimediabilmente il cuore.

- Josè, ti ricordo che non siamo qui per fare i turisti, ma per chiarire una situazione importante.

Replicò Nicolas, lanciandogli un’occhiataccia che fece sbuffare l’amico con aria seccata.

- Già, se non sbaglio neanche tu l’ultima volta che sei stato qui eri in viaggio di piacere, eppure hai pensato bene di spassartela inzuppando il biscotto…

- Va bene, ora basta – intervenne Christian, spazientito – certo che voi due così non mi aiutate proprio.

- Sarà meglio lasciarti da solo, noi ci allontaniamo un attimo. Del resto questi sono solo affari vostri, non abbiamo alcuna intenzione di immischiarci.

Propose a quel punto Nicolas, che intuendo chiaramente lo stato d’animo dell’uomo pensò bene di allontanarsi per lasciare alla coppia un po’ della privacy di cui aveva bisogno per chiarirsi, trascinandosi dietro un Josè non troppo convinto che intanto non faceva che brontolare: - Ehi, parla per te, io voglio sentire come va a finire!

Nicolas lo colpì sulla nuca, facendolo imprecare.

- Ahi! Sei matto, che cavolo ti prende?

Esclamò indispettito.

- Sta’ zitto, sei peggio di una portinaia!

***

Johanna riaprì gli occhi a fatica lottando a lungo con se stessa per rimettersi in piedi, ma le sue gambe tremavano in modo talmente incontrollabile che non potè far altro che sprofondare di nuovo sul divano, con la fastidiosa sensazione che la testa potesse esploderle da un momento all’altro. Si sfiorò automaticamente i polsi arrossati, scoprendo con sollievo di avere le mani libere.

- Ti sei svegliata, finalmente! Visto? Ho deciso di slegarti, poi non venirmi a dire che non sono un vero gentiluomo.

Justin, seduto di fronte a lei la fissava a braccia conserte e un’espressione divertita dipinta su quel volto odioso che la donna aveva tanto sperato di non rivedere.

- Che…Che cosa mi hai dato?

Disse, massaggiandosi le tempie doloranti e respirando profondamente un paio di volte per combattere l’improvviso attacco di nausea che la stava assalendo. Si sentiva strana, come intontita e priva di forze.

- Non temere, mia cara. Si tratta di roba buona.

Fu ciò che ottenne in risposta, agitandosi all’istante.

- Vuoi dire che mi hai drogata? Sei un infame…

- Non fraintendermi tesoro, mi piacciono le donne focose, ma sarà meglio rimediare un’altra dose quando l’effetto sarà completamente svanito. Se non altro potremo tenere a freno quella tua fastidiosa lingua biforcuta che non fa che insultarmi. Sai, potrei anche arrabbiarmi sul serio per questo e non ti conviene mettermi alla prova.

Considerò con una semplice alzata di spalle mentre tendeva improvvisamente l’orecchio verso la finestra. Johanna approfittò di quel breve momento di silenzio per  apostrofarlo coi peggiori insulti che la sua mente confusa riuscì a suggerirle, ma venne subito zittita con un eloquente gesto della mano del suo carceriere, che le intimò di chiudere immediatamente la bocca se non voleva rimediare una graziosa cicatrice che le avrebbe per sempre deturpato il viso.

- Che diavolo è tutta questa confusione e chi sono quei tre là fuori?

Esclamò a quel punto in cerca di spiegazioni, ma vedendo che la donna non si muoveva la raggiunse con aria minacciosa, afferrandole un braccio e artigliandolo con forza crescente per costringerla a seguirlo fino alla finestra, affinchè potesse rispondere alla sua domanda. 

- Ti ho chiesto chi cazzo sono quei tre tipi lì fuori.

Insistette, scrollandola rabbioso.

- Lasciami, mi stai facendo male!

Si lamentò lei, ma le parole le morirono sulle labbra non appena si accorse che il suo peggior incubo era appena divenuto realtà.

- Oh mio Dio…

Fu tutto ciò che riuscì a dire mentre un puro terrore cominciava lentamente a serpeggiarle dentro, togliendole via via il respiro…

- Oh, ma guarda un po’, il biondino mi sembra di conoscerlo. È stato qui qualche tempo fa insieme a una ragazza, dunque quelli sono tutti tuoi amici! Quale dei due rimanenti è il babbeo che ti ha messa incinta? Sentiamo!

Johanna abbassò lo sguardo, pregando silenziosamente che andassero via ma Justin continuava a insistere, facendole pressioni. Non sarebbe riuscita a prendere tempo ancora per molto. Un altro attacco di nausea, più forte e potente del primo, stavolta, la costrinse a serrare le labbra in un’espressione di fastidio che non passò di certo inosservata al giovane uomo dall’aria truce e minacciosa, che impietosamente le stringeva il braccio fino a farle venire voglia di urlare per il dolore e la frustrazione.

- Ti consiglio di rispondermi immediatamente o temo che tuo figlio si ritroverà presto orfano di padre prima ancora di venire al mondo. Sempre ammesso che ci riesca, sia chiaro, ma immagino che sarà davvero interessante scoprirlo. Non credi anche tu?

Sogghignò con aria di scherno e a quell’orribile prospettiva l’americana accarezzò piano la sua pancia in un gesto di dolce e materna protezione mentre, tremante e disperata, lasciava che lacrime cocenti le rigassero silenziosamente il viso stanco e segnato dagli ultimi e sconcertanti avvenimenti. 

- È…quello a sinistra – balbettò con voce rotta, in preda all’ansia – si sta avvicinando. Ti prego, non fargli del male. Farò tutto quello che vuoi, te lo prometto, ma non fare del male a nessuno di loro.

La presa sul suo braccio si fece ancora più salda e insistente.

- Bè, questo dipenderà solo da te. Se riesci a mandarli via immediatamente potrei fare lo sforzo di non ridurli a dei colabrodi vaganti. Ma se invece dovessi fallire…mi spiace per te, ma ho davvero un’ottima mira. E poi, dai, sul serio? Come hai fatto a metterti con un coglione del genere, voglio dire, hai visto che faccia che si ritrova? Se il piccolo bastardo che ti porti in grembo dovesse ereditare quell’espressione avrai una bella gatta da pelare! Mi fa quasi compassione, poveretto.

Rise di gusto, facendola rabbrividire ancora una volta.

- Mi spieghi come dovrei fare a convincerli ad andarsene?

Chiese, provando a divincolarsi senza risultato.

- Non lo so, inventati qualcosa ma vedi di sbrigarti, perché sto già perdendo la pazienza. E non provare a fare scherzi o gli pianto una pallottola sulla fronte prima ancora che possa rendersene conto!

La spinse violentemente verso l’ingresso, rischiando quasi di farla cadere mentre le andava vicino, puntandole contro la stessa pistola con cui l’aveva già minacciata un paio di volte, facendola trasalire per lo spavento.

- Giusto per essere sicuro che non cercherai di fare la furba.

Disse, nascondendosi dietro di lei appena un attimo prima che Johanna aprisse la porta, trattenendo a stento le lacrime non appena si ritrovò di fronte Christian. La sua espressione ferita e sconvolta le fece subito venir voglia di rifugiarsi tra le sue braccia, ma ostentando un distacco che era molto lontana dal provare si sforzò invece  di darsi un contegno, raggelandolo con un’occhiata sprezzante che non fece altro che confondergli ancor di più le idee, spiazzandolo nuovamente.

- Johanna…

- Christian, che diavolo ci fai qui? Vattene via, lasciami in pace!

Lo interruppe con risolutezza, evitando quegli occhi ardenti e inquieti che ora cercavano i suoi, avidi di risposte.

- Non prima di aver chiarito un paio di cose. Si può sapere perché mi parli in questo modo, che cosa ti ho fatto?

- Noi due non abbiamo proprio nulla di cui parlare!

Replicò e fece per richiudere la porta ma lui la bloccò sul tempo, trattenendola con un piede mentre le si parava davanti, raccogliendo ogni singola goccia di autocontrollo rimastogli per costringersi a non perdere le staffe e fiondarsi così in casa sua, mettendola finalmente con le spalle al muro.

- Io…non riesco proprio a capire cosa ti stia passando per la testa, perciò ti prego di spiegarmelo. Per quale motivo mi hai detto quelle cose al telefono, che cosa c’è che non va?

Non riuscendo più a sostenere la disperazione nella sua voce la donna si ritrovò più volte sul punto di cedere, ma ad ogni piccolo momento di esitazione sentiva la pistola premere ancora di più sulla sua pelle, ricordandole cosa sarebbe potuto accadere se non si fosse decisa ad andare fino in fondo.

- Che cosa c’è che non va? – esclamò d’un tratto, stupendo persino se stessa – E hai anche il coraggio di chiederlo? La verità è che tra noi non potrà mai funzionare Christian, siamo troppo diversi e me ne sono resa conto fin dal primo momento in cui ho rimesso piede nella mia città. Guardati intorno, qui si respirano gioia, arte e colori e non certo quel cupo grigiore che sembrava sempre avvolgermi a Parigi, specialmente ogni volta che eravamo insieme. Sì, qui mi sento finalmente libera di esprimermi, libera di vivere tutto ciò che mi pare senza dover rendere conto a nessuno, ed è così che voglio essere d’ora in avanti. Completamente libera. La mia vita è qui, lo è sempre stata, e tu con le tue stupide e ridicole paranoie non hai fatto che opprimermi, impedendomi di respirare!

“Perdonami amore mio, ti prego, perdonami…”

Christian scosse la testa, basito.

- Quindi è così che ti senti quando stiamo insieme? Come puoi avere il coraggio di dirmi certe cose dopo tutti i progetti che abbiamo fatto insieme? Volevamo costruire una famiglia, ricordi? Stavamo provando ad avere un bambino, santo cielo, e tu una mattina ti svegli e mi dici che non mi ami più e che non vuoi stare più con me? Che razza di storia è questa, cosa sta succedendo?

Johanna respirò a fondo, ricacciando indietro le lacrime per l’ennesima volta e serrando le labbra in una linea dura e ostile, per essere sicura che avesse davvero  recepito il messaggio.

- È finita. Vattene via.

“Lasciami andare mon Cri Cri, solo così sarai finalmente al sicuro…”

- Johanna…

- Ti ho detto di andartene subito!

“Ti amo, ti amerò per sempre”

Quelle terribili parole, dure e pesanti come macigni sembrarono d’un tratto colpirlo nel profondo, facendolo capitolare. Abbassò lo sguardo, sconfitto e ferito da ciò che mai si sarebbe aspettato di sentire da lei mentre curvo e tristemente rassegnato le voltava le spalle, incamminandosi mestamente verso gli amici che lo attendevano poco più in là…

Christian prese la sua foto tra le mani, accarezzandola a lungo prima di riporla sul comodino con aria affranta. La notte appena affrontata era stata lunga e popolata da incubi e lui si sentiva completamente a pezzi, proprio come se qualcosa di molto simile a una bomba lo avesse fatto esplodere all’interno, aprendogli un’enorme voragine nel petto che lo aveva lasciato svuotato e privo di forze. Niente, non riusciva a sentire più niente se non uno strano e a tratti insopportabile calore che gli attraversava il corpo, serpeggiando sapientemente attraverso ogni minuscola fibra del suo essere prima di avvolgerlo tra le sue dolorose spire, inglobandolo senza pietà in quel triste e irreale universo di colori sbiaditi che era ormai diventata la sua vita, da quando lei lo aveva lasciato. Non ricordava nemmeno se fossero passati giorni, settimane o mesi da quando l’aveva vista per l’ultima volta, ma poco importava, poiché una semplice data non sarebbe di certo servita a cambiare le cose. Si mosse lentamente sotto le coperte, facendo appello alle ultime forze rimastegli per provare almeno ad alzarsi dal letto e tornare al mondo reale, ma un improvviso rumore proveniente dal corridoio catturò ben presto la sua attenzione costringendolo ad abbandonare, anche se temporaneamente, quel proposito tutt’altro che allettante. Gli ci volle qualche secondo per capire che qualcuno stava bussando insistentemente alla sua porta, e dopo aver dato il permesso di entrare si ritrovò subito di fronte Hèléne. L’amica, già vestita e truccata di tutto punto gli rivolse un piccolo sorriso che, anche se solo per un breve istante servì a scaldargli il cuore da quell’onta gelida e pungente che lo attraversava, e a cui ormai si era quasi abituato.

- Buongiorno, tutto bene? Come ti senti oggi?

Christian ricambiò il sorriso, invitandola a sedersi sul bordo del letto.

- Me lo chiedi continuamente perché hai paura che mi venga un altro infarto? Non preoccuparti, non succederà. Non c’è più niente qui dentro, e il niente non può essere colpito, giusto?

Disse, sfiorandosi il petto con la mano mentre i suoi occhi scuri si velavano di tristezza. La giovane donna sospirò, affranta, scuotendo la testa.

- Non dire così, perché in te c’è molto più di quanto tu non creda, invece. Lo so che stai soffrendo e ne hai tutto il diritto, ma cerca di non lasciarti annientare da questa situazione.

- Ha detto che con me si sentiva prigioniera di un mondo che non le apparteneva, che aveva bisogno di libertà e…

- Christian – lo interruppe, risoluta – continuare a torturarti così servirà solo a farti stare più male, lo capisci questo?

Stava cercando il più possibile di aiutarlo a riprendere in mano la sua vita nel migliore dei modi, ma la verità era che nemmeno lei riusciva a spiegarsi lo strano comportamento dell’amica. Come poteva aver smesso di amarlo in così poco tempo e, soprattutto, per quale motivo teneva sempre il cellulare staccato? Aveva provato a chiamarla più volte in quei mesi, ma non era mai riuscita a parlarle. Possibile che Johanna avesse deciso di chiudere per sempre con il passato, rifiutandosi persino di parlare con i suoi amici? Per quanto provasse a ragionarci sopra, non riusciva proprio a venire a capo di questa assurda faccenda. L’uomo la fissò, prendendole d’un tratto la mano e stringendola fra le sue.

- E tu invece, come stai?

Le chiese, cercando di accantonare per un momento le sue inquietudini per concentrarsi invece su quelle dell’amica, che tornò lentamente a incrociare il suo sguardo.

- Sto cercando di andare avanti nel miglior modo possibile, anche se non è sempre facile. A proposito, devo correre in ufficio adesso, si è fatto tardi. Un’azienda come quella non si dirige mica da sola!

Scherzò, strizzandogli l’occhio e facendolo sorridere divertito. Di Hèléne aveva sempre ammirato la forza e la tenacia che fin da ragazzina aveva dimostrato di avere e che l’avevano aiutata a uscire a testa alta da ogni situazione, anche la più disperata. Avrebbe tanto voluto somigliarle, specie in quel particolare momento della sua vita, per tornare finalmente a riemergere…

Le prime luci dell’alba si insinuarono lentamente attraverso i vetri della finestra, disegnandole attorno un morbido mosaico di colori che sembrarono temporaneamente distrarla dalla dolce ninna nanna che era intenta a canticchiare, mentre sdraiata sul pavimento della sua minuscola sala da pranzo si accarezzava il pancione con aria tristemente assente. Negli occhi, la confusa agonia dei terribili giorni che stava vivendo e ai quali, ne era sicura, non sarebbe mai riuscita a sfuggire.

- Cavolo, sei proprio strafatta.

La voce di Justin le arrivò addosso come un’eco indistinta che a malapena riusciva a percepire, così, confusa e stordita lo cercò con lo sguardo, provando inutilmente a mettere a fuoco l’immagine sbiadita che ora la sovrastava dall’alto e il cui fastidioso ghigno le riempiva le orecchie, facendole venire voglia di schiacciarlo come un insetto. Pensò che lo avrebbe sicuramente fatto, se solo ne avesse avuto le forze.

- Fottiti, bastardo.

Fu tutto ciò che riuscì a dire con voce impastata, attraverso un sussurro appena percepibile che fece scoppiare a ridere l’uomo prima di chinarsi su di lei per osservarla più da vicino.

- Ma come siamo gentili, oggi. È questa la gratitudine che dimostri di avere nei miei confronti? Accidenti hai davvero un aspetto orribile, chissà se il tuo piccolo mostriciattolo è ancora vivo lì dentro! Che ne dici di testare la sua resistenza con un’altra dose?

Disse, avvicinandosi pericolosamente con la solita siringa tra le mani che con la sua trasparenza parve rubare i primi raggi del sole, rilucendo come un oggetto prezioso che Johanna, affascinata dai magici colori che sembrava produrre, non riuscì mai a smettere di guardare nemmeno quando l’odiato liquido riempì ancora una volta le sue vene, lasciandola intontita e in preda allo sconforto. Le energie sembravano averla totalmente abbandonata così aveva smesso di lottare, conscia del fatto che non sarebbe comunque servito a niente. Il suo corpo, stanco e tremante reclamava ormai  la droga che, come l’aria che si respira, l’aveva inevitabilmente resa sua schiava. In fondo, perché resistere all’invitante, seppur doloroso richiamo che emanava e che ormai si era trasformato nel suo pane quotidiano? Era finita, ormai lo sapeva, il suo bambino non avrebbe mai visto la luce. E nemmeno lei.

- La tua lenta e straziante agonia sarà la mia più dolce vendetta.

Fu l’ultima cosa che sentì prima di scivolare nell’incoscienza…

Si rimise faticosamente in piedi, lottando a lungo con se stessa per tenere gli occhi aperti. Era stremata ma lucida, per la prima volta dopo tanto tempo. Il suo corpo sembrava contorcersi a ogni passo, reclamando la dose quotidiana stranamente non ancora somministratale. Quella mattina stava perdendo tempo, poteva sentirlo chiaramente canticchiare sotto la doccia mentre il getto dell’acqua si faceva via via più forte. Era il momento giusto per agire. Sgattaiolò furtivamente verso la cesta della biancheria all’ingresso del bagno, dove sapeva che Justin aveva appena lasciato i suoi vestiti. Sentiva la testa pulsare in modo insopportabile e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era a come rimediare al più presto al suo vergognoso malessere, ma cercò con tutte le sue forze di resistere a quell’impellente, orribile bisogno. Si sfiorò il pancione, avvolgendolo in una tenera carezza e come in risposta a quel piccolo gesto lo sentì reagire ancora una volta, facendola sorridere e sussultare insieme. Sì, non si era sbagliata. Nonostante tutto il suo bambino era ancora vivo e poteva sentirlo dimenarsi con forza dentro di lei, conferendole il coraggio necessario per andare avanti. Ma doveva approfittare di quel momento e muoversi immediatamente, non c’era altro tempo da perdere. Le sue mani vagarono a lungo tra quegli abiti sdruciti e dall’aria consunta, stringendo finalmente ciò che tanto avevano sperato di trovare. Johanna esultò silenziosamente, riaccendendo il suo telefono cellulare con un rapido movimento e allontanandosi il più in fretta possibile da quella stanza, stando ben attenta a non fare il minimo rumore. Se Justin si fosse accorto di cosa stava facendo, per lei sarebbe stata la fine. Un improvviso capogiro rischiò di farla cadere e più volte incespicò nei suoi stessi piedi, lottando per rimanere ancorata al suolo. Deglutì nervosamente e la sua vista sembrò annebbiarsi, restituendole un’immagine distorta e confusa di ciò che aveva intorno. Doveva resistere. Imprecò sottovoce, cercando disperatamente di mantenere la calma mentre si concentrava sul messaggio che stava scrivendo e sulle sue dita, che tremanti e frenetiche pigiavano un tasto dietro l’altro, rischiando di confondere le parole.

- Che cazzo stai combinando con quel coso?

Presa com’era da ciò che con estrema fatica stava provando a portare a termine si accorse della presenza di Justin solo quando lo sentì urlarle contro quelle parole, scagliandosi su di lei come una furia per toglierle il telefono di mano, che nella lotta cadde rovinosamente a terra finendo irrimediabilmente in mille pezzi.

- No!

Gridò Johanna, chinandosi sul pavimento nell’estremo tentativo di recuperarli tutti, anche se ormai era troppo tardi.

- Cosa credevi di fare, maledetta puttana? Adesso ti darò una lezione che non  dimenticherai tanto facilmente!

La aggredì, rabbioso, artigliandole un braccio per costringerla a rialzarsi in piedi prima di schiaffeggiarla violentemente con il dorso della mano. La colpì più volte, senza pietà, spintonandola con malo garbo, sordo alle sue grida strozzate che intanto lo imploravano di smettere.

- Te la faccio passare io la voglia di fare la furba! Chi stavi cercando di contattare? Ti pentirai amaramente di avermi sfidato, brutta stronza!

Continuava a minacciarla inseguendola instancabilmente, stanza dopo stanza finchè la donna, col viso sanguinante e ormai stremata dalla corsa e dagli inutili tentativi di schivare i suoi terribili  colpi perse improvvisamente l’equilibrio, inciampando all’indietro. Fu allora che battè violentemente la testa contro un mobile, accasciandosi poi al suolo, priva di sensi…

- Va bene Fanny, per oggi abbiamo finito. Sei stata fantastica come al solito, ma mi raccomando, niente karaoke stasera. Voglio che conservi la voce il più a lungo possibile, almeno fino al prossimo concerto.

Christian le strizzò l’occhio giocosamente e la ragazza fece spallucce, avvicinandosi  a lui per scoccargli un sonoro bacio sulla guancia che lo fece sorridere.

- Sì, lo so benissimo. Non c’è bisogno che me lo ricordi ogni volta, brontolone!

Esclamò, ed entrambi risero di gusto.

- Era da tanto che non ti vedevo ridere così, sono contenta che tu stia di nuovo bene.

Aggiunse poi e lo vide sprofondare di più sulla comoda poltrona in pelle, l’aria improvvisamente assorta. Già, bene… bè, forse era quello che voleva far credere agli altri, ma solo lui in fondo conosceva la verità. Solo lui sapeva come stessero realmente le cose. La sua fatica quotidiana per trascinarsi giù dal letto e adempiere a dei doveri ai quali avrebbe volentieri preferito sfuggire, lasciandoli fuori dalla porta insieme al resto del mondo. Quel mondo che non era ancora pronto a tornare ad affrontare, preferendo invece continuare a crogiolarsi nella sua solitudine. E fu esattamente ciò che fece non appena Fanny si congedò da lui, lasciandolo a rimuginare sul suo passato e su un improvviso e inaspettato bip che, col suo suono allegro e spensierato segnava sul suo telefono l’arrivo di un nuovo messaggio…

- Salvami.  È chiaramente una richiesta di aiuto, ma…non ha senso! Perché mai  avrebbe dovuto scriverti una cosa del genere?

Esclamò Nicolas, studiando a lungo quell’ unica, semplice parola impressa sul display mostratale dall’amico, che dopo aver ricevuto quello strano sms non era più riuscito a darsi pace.

- Non ne ho la minima idea – rispose Christian, l’aria assorta – ma ho tutta l’intenzione di scoprirlo. Se Johanna ha davvero bisogno di me, allora io devo andare da lei. E devo farlo subito.

- Se non ti vedo uscire da quella porta entro mezz’ora al massimo chiamo immediatamente la polizia e ti raggiungo.

Chiarì Nicolas, che pareva aver subito capito che dietro a quello strano e inquietante  messaggio si  nascondesse molto più di quanto riuscissero a immaginare, ragion per cui era meglio restare all’erta. Anche se alla fine, pur avendolo di nuovo accompagnato nel lungo viaggio verso Houston, aveva finito per cedere all’accorata richiesta di Christian. Ne sarebbe rimasto fuori, ma solo per un breve lasso di tempo. Poi sarebbe entrato a cercarlo e insieme avrebbero affrontato qualunque cosa li aspettasse lì dentro. L’uomo annuì brevemente, affrettandosi poi a voltargli le spalle per incamminarsi verso la porta d’ingresso, che trovò stranamente aperta…

***

Quando Johanna riaprì gli occhi era tutto buio intorno a lei. Provò lentamente a rialzarsi sollevando appena le spalle ma un violento capogiro la convinse ben presto a desistere, costringendola a rimanere nella stessa posizione. Sentiva la testa pulsare in maniera insopportabile e ogni piccolo movimento sembrava peggiorare irrimediabilmente quella fastidiosa situazione, tanto che più volte si vide costretta a reprimere gli improvvisi attacchi di nausea calda che l’assalivano, rendendola debole e vulnerabile a qualsiasi prossimo attacco esterno che di certo non poteva far altro che aspettarsi, specie dopo ciò che era accaduto. Sì, le ci era voluto qualche secondo per rimettere insieme i pezzi ma ora aveva finalmente ricordato tutto. Anche la richiesta di aiuto che aveva disperatamente lanciato e che sperò con tutta se stessa fosse arrivata a destinazione, anche se non poteva esserne sicura visto tutto ciò che era successo dopo. Si sfiorò piano il viso e le labbra, ancora tumide dalla violenza subìta, sussultando per il dolore. Ritrasse immediatamente la mano, scoprendo con orrore che era sporca di sangue. Era stanca, ferita e dolorante, ma ancora lucida. Fin troppo lucida, tanto da riuscire a percepire chiaramente anche l’impellente bisogno che puntualmente tornava a farsi sentire, rendendola schiava di un’orribile e disgustosa realtà che lei stessa rifiutava ma di cui ormai, lo sapeva bene, non sarebbe più riuscita a fare a meno. Comunque stessero le cose, però, non avrebbe permesso a se stessa di arrendersi. Si abbracciò il pancione, cullandolo dolcemente per un lungo momento mentre i suoi occhi si abituavano pian piano all’oscurità. Si trovava in cantina, quel mostro doveva avercela portata dopo che era svenuta, approfittando del  suo temporaneo stato di incoscienza. Si avvicinò lentamente alla porta chiusa, provando a forzare la maniglia in ogni modo possibile prima di arrendersi all’evidenza: era chiusa a chiave lì dentro e se non avesse subito provato a fare qualcosa sarebbe rimasta lì sotto per sempre, condannata a morire come un topo intrappolato in gabbia. No, non poteva arrendersi così, doveva assolutamente trovare una soluzione.

- Fammi uscire di qui, dannato figlio di puttana!

Gridò fino a lacerarsi i polmoni, picchiando forte sulla porta e cercando di ignorare le fastidiose vertigini che l’assalivano ogni volta che provava a muoversi. La testa continuava a pulsarle senza sosta mentre sottili stilettate di dolore si irradiavano lungo tutto il suo corpo. Il bambino si mosse con violenza dentro di lei costringendola ad accasciarsi su se stessa, sudata e priva di energie. Cominciava a fare decisamente caldo lì dentro e non c’era nemmeno una finestra dalla quale provare a fuggire.

- Non agitarti così, piccolo mio – disse con dolcezza, sfiorandosi la pancia – so che sei preoccupato ma fidati di me, la tua mamma tirerà entrambi fuori di qui il più presto possibile, ma tu adesso devi collaborare e cercare di stare buono. Non rinuncerò a te così facilmente, non senza lottare e non ora che so che sei vivo, dovesse essere l’ultima cosa che faccio in vita mia.

Si rimise faticosamente in piedi, concentrandosi al massimo e guardandosi attorno con gli occhi della mente.

- Coraggio, Johanna – disse ad alta voce – questa è la tua casa, la tua cantina. Dev’esserci un dannato modo per uscire da questo posto. Pensa, rifletti, tu sai cosa devi fare.

Fu allora che la sua mente confusa focalizzò un’immagine nitida e dai contorni precisi. Era lì, proprio di fronte a lei. Come aveva fatto a non pensarci prima?

- La cassetta degli attrezzi – realizzò all’improvviso – nell’armadio, secondo cassetto a sinistra.

Si diresse barcollando dall’altra parte della stanza, lanciandosi con mani tremanti alla frenetica ricerca di un qualsiasi oggetto che risultasse abbastanza pesante o contundente da aiutarla  finalmente a forzare la porta, distruggendola se necessario…

***

Quando Christian entrò, richiudendosi lentamente la porta alle spalle la stanza era immersa nella penombra.

- Vieni, vieni pure avanti Christian, ti stavo aspettando. Ti ho visto arrivare dalla finestra, così come un ottimo padrone di casa ho lasciato la porta aperta.

Quella voce…ma da dove proveniva? Sapeva solo che chiunque fosse, non riusciva proprio a individuarlo da nessuna parte.

- Cosa stai blaterando e come fai a conoscere il mio nome? Chi diavolo sei tu, si può sapere? Questa casa è di Johanna, e…

- Calma – lo interruppe la voce il cui accento fastidiosamente sogghignante, ora che lo ascoltava bene, gli parve stranamente familiare – una domanda alla volta. La tua non proprio fedele, ora ex fidanzata si sentiva lievemente indisposta oggi, perciò credo proprio che dovrai accontentarti di me per questa volta. Insomma, so essere affascinante anch’io, cosa credi?

- Justin…

Sussurrò, realizzando improvvisamente la verità. Ricordava ancora bene le lunghe conversazioni tra lui e Johanna, a volte carpite distrattamente attraverso il vivavoce di cui lei era solita fare uso quando doveva consultare dei documenti importanti per il suo lavoro. Ma ebbe appena il tempo di rendersene conto che lui gli fu subito alle spalle, cogliendolo di sorpresa.

- Bingo! I miei complimenti amico, per essere un idiota con la faccia da babbeo devo dire che sembri piuttosto furbo!

Considerò con accento mellifluo mentre si affrettava a stringere attorno al suo collo una corda sottile che immediatamente gli tolse il respiro, minacciando di soffocarlo.

- Vedi di non dimenarti troppo, ci vorranno solo pochi secondi e poi sarà tutto finito. Ti prometto che non sarà molto doloroso!

Christian lottò a lungo contro quella maledetta corda che ogni minuto che passava si stringeva sempre di più attorno al suo collo ormai chiazzato di rosso, riuscendo infine a schivare i colpi che l’uomo stava intanto cercando di infliggergli attraverso un rapido calcio ben assestato, che lo liberò definitivamente e con estremo sollievo da quella trappola mortale. Accidenti, ancora un po’ e sarebbe sicuramente morto nelle mani di quell’assassino.

- Dov’è Johanna? Che cosa le hai fatto, razza di stronzo psicopatico?

Gridò con quanto fiato aveva in corpo non appena fu di nuovo in grado di parlare. Intanto tentava disperatamente di sfuggire alla sua mano armata che adesso si divertiva a inseguirlo per tutta la stanza.

- Cavolo, tu e quella gattamorta in calore in quanto a educazione sembrate proprio fatti della stessa pasta! Non dirmi che la mamma non ti ha mai insegnato come ci si comporta in pubblico.

Rispose Justin sfidandolo con lo sguardo e approfittando di un suo piccolo momento di distrazione per colpirlo di striscio sul braccio, facendolo subito sanguinare. Christian imprecò dal dolore, continuando a schivare i suoi colpi e lanciandogli addosso qualunque oggetto gli capitasse a tiro durante il cammino, ma invano. Justin sembrava una furia, riuscire a fermarlo sarebbe stata dura. Ma doveva almeno provarci. Per lei. Ora sapeva che era in serio pericolo.  

- Dove si trova, dimmi immediatamente dove l’hai nascosta! Se le hai torto anche un solo capello giuro che te ne pentirai amaramente, mi hai sentito?

- Ehi vacci piano con le minacce, troglodita, la tua puttana è in un posto sicuro a fare un bel sonnellino in questo momento, e credo che ci resterà ancora per un bel po’ di tempo!

Lo afferrò per il bavero della giacca e atterrandolo gli fu subito sopra, puntandogli il coltello alla gola.

- Vediamo se così ti passa la voglia di fare il gradasso, coglione!

Gli sussurrò a pochi centimetri dal viso, premendo con forza crescente la lunga lama luccicante contro di lui mentre Christian, ansante e sudato si divincolava intanto  come impazzito, trattenendogli il braccio a mezz’aria per evitare di essere colpito di nuovo. La ferita, anche se per lo più superficiale aveva preso a sanguinare copiosamente, imbrattandogli la camicia, ma non era certo questo a preoccuparlo. I suoi pensieri in quel momento erano tutti per Johanna, che avrebbe voluto trovare al più presto. Prima che fosse troppo tardi.

Fu in quel preciso istante che con suo grande stupore vide l’uomo accasciarsi d’un tratto sul pavimento accanto a lui, chiaramente privo di sensi.  Gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che Johanna, in piedi davanti a lui era appena riuscita a tramortirlo, colpendolo alla testa con l’aiuto di una bottiglia di vetro e che ora, ansante e sanguinante lo fissava con  gli occhi sgranati, trattenendo a stento un singhiozzo soffocato.

- Johanna…Oh Dio, tu sei…

Mormorò con voce rotta, senza tuttavia riuscire a finire la frase quando il suo sguardo attento scivolò sul suo pancione, cogliendolo completamente alla sprovvista. La vide crollare di colpo in ginocchio, stremata e sopraffatta dagli ultimi, orribili avvenimenti appena vissuti mentre le scivolava lentamente vicino, stringendola poi in un forte abbraccio che in un attimo servì a dissipare tutta la sua pena, trasformandola teneramente in pianto.

- Mi dispiace Christian, mi dispiace così tanto…

Non smise di mormorare rifugiandosi contro il suo petto e lasciandosi consolare dalle sue mani calde e familiari, che accarezzandole dolcemente le spalle scosse dai singhiozzi la fecero finalmente sentire a casa. Si aggrappò di più alla sua camicia, ormai  strappatasi irrimediabilmente durante la colluttazione, sussultando quando si accorse che era sporca di sangue.

- Sei ferito.

Disse, incrociando il suo sguardo.

- Sto bene, è solo un graffio. Non preoccuparti.

Rispose, prendendole delicatamente il viso pieno di lividi tra le mani e studiandolo a lungo, addolorato, prima di posarle un leggero bacio sulle labbra tumefatte, come a voler cancellare tutta quell’ingiusta sofferenza.  

- È finita amore mio, è finita. Sei al sicuro ora, nessuno ti farà mai più del male.

La rassicurò, ma d’un tratto notò le sue labbra stringersi in una smorfia di dolore e il respiro farsi via via più affrettato. Le mani, graffiate e tremanti scivolarono sulla sua pancia, accarezzandola a lungo quando sentì che le contrazioni si facevano via via più forti. Questo lo mise immediatamente in allarme.

- Che c’è, cosa succede?

- Il… bambino. Credo che sia il momento.

Intanto, in lontananza, le sirene della polizia ne annunciavano il provvidenziale arrivo. Nicolas aveva mantenuto la promessa, anche lui stava per raggiungerli…

Si risvegliò lentamente in un letto sconosciuto, tra lenzuola ruvide che odoravano di disinfettante mentre cercava faticosamente di mettersi a sedere, la testa ancora pulsante e dolorante.

- Cerca di restare a riposo, ne hai davvero bisogno.

Si voltò piano verso quella voce dal tono morbido e inaspettato, grata di potergli  associare un volto ora che la sua vista stava via via tornando alla normalità, restituendole finalmente immagini più nitide e definite. Si rilassò sprofondando di nuovo sui cuscini, stringendo forte la mano che le veniva offerta.

- Christian, sei qui.

Sussurrò e lui sorrise, accarezzandola piano.

- E dove vorresti che fossi? Sai che mi troverai sempre al tuo fianco. Qualunque cosa accada.

Le rispose, guardandola con tenerezza. D’un tratto la vide trasalire e le mani scivolarono veloci fino alla sua pancia, ormai quasi completamente piatta, tastandola a lungo con aria preoccupata.

- Il bambino! Lui sta bene, non è vero? Per favore, dimmi che sta bene!

- Stai tranquilla, non hai niente da temere. Sei in ospedale adesso, qui si prenderanno cura di te e sì, anche di loro.

Per un attimo credette di non aver capito bene il senso di quelle parole.

- Loro? Cosa…cosa significa questo?

Chiese e Christian annuì lentamente nella sua direzione, intrecciando le dita a quelle di lei.

- Sono due Johanna, due splendidi gemellini. Un maschio e una femmina.

Sopraffatta dall’emozione la giovane donna si lasciò andare a un pianto liberatorio che lui cercò a lungo di consolare, spiegandole poi con molto tatto che i gemelli avevano avuto qualche problema respiratorio subito dopo la nascita ma che adesso sembravano stare meglio, e che i medici li avrebbero tenuti sotto osservazione ancora per qualche giorno per essere sicuri che tutto procedesse per il meglio.

- Solo che – aggiunse poi, esitante, prima di abbassare lo sguardo – non si può essere  sicuri che siano completamente fuori pericolo, almeno non ora che sono ancora così piccoli. Quello che voglio dire è che alcuni, eventuali problemi potrebbero presentarsi via via durante la crescita, e che dobbiamo essere preparati a…

Si interruppe bruscamente, notando la sua espressione afflitta.

- I miei poveri bambini.

Gemette in preda alla disperazione, cercando e stringendo ancora una volta le sue mani in cerca del conforto di cui aveva bisogno per provare ad accettare quella difficile situazione. Christian si chinò su di lei, sfiorandole la fronte con un bacio.

- Vedrai che andrà tutto bene – mormorò – saranno dei grandi, meravigliosi guerrieri, proprio come la loro mamma. Non temere, quando ti sentirai un po’ meglio e sarai in grado di alzarti potrai finalmente conoscerli e sono sicuro che mi darai ragione.

Tornò a sedersi sul letto, accanto a lei e una piccola ruga poco profonda solcò presto la sua fronte pallida, rabbuiandolo improvvisamente in volto. Johanna lo guardò con infinita pena.

- Amore, che cosa ti prende ora?

Gli domandò, ansiosa.

- Ascoltami, so che per te dev’essere molto difficile parlarne e voglio che tu sappia che non ho intenzione di forzarti in alcun modo, ma ho bisogno di sapere se lui…lui ti ha…

- Non lo so – chiarì lei, subito, indovinando le sue intenzioni – ero quasi sempre stordita. Non faceva che drogarmi e di quei terribili giorni ho solo ricordi vaghi e confusi, ma tu, mon Cri Cri, ti prego, non devi pensare nemmeno lontanamente di non essere il padre di quei bambini.

- Come puoi esserne sicura?

- Credimi, se c’è una cosa di cui sono assolutamente sicura è proprio questa. Ero già incinta prima che tutta questa brutta storia avesse inizio, lo avevo scoperto solo da qualche giorno e non volevo parlartene per telefono, per questo non te l’ho detto subito. Ma te ne avrei parlato al mio ritorno, volevo farti una sorpresa. Mi dispiace tanto, amore mio. Perdonami.

Si sollevò quanto bastava per abbracciarlo e lui la ricambiò stringendola a sé e nascondendo la testa sulla sua spalla, permettendosi finalmente di gioire completamente.

- Non c’è nulla che debba perdonarti, tesoro, anzi, dovrei solo ringraziarti perché ti devo la vita. Se non fossi arrivata all’improvviso a salvarmi…

- L’ho ucciso, non è così?

Lo interruppe, seria, cercando i suoi occhi e lui scosse la testa, sfiorandole dolcemente i capelli arruffati.

- No, lo hai solo tramortito ma ora devi stare tranquilla, perché quel mostro non potrà mai più farti del male. Te lo giuro.

Per tutto il tempo l’aveva sentita tremare in maniera incontrollabile e ora, tra le sue braccia poteva percepire il suo cuore battere all’impazzata così la strinse più forte, cercando di trasmetterle tutto il calore di cui era capace pur di tranquillizzarla almeno un po’. Anche se sapeva che non sarebbe stato facile provare a lasciarsi alle spalle tutta quella terribile sofferenza provata mentre era nelle mani di quell’assassino. Se solo avesse saputo, se solo avesse capito prima ciò che stava succedendo invece di chiudersi in se stesso, perdendo tempo a crogiolarsi nel suo dolore, forse…forse le cose sarebbero andate diversamente, ora.

- Mi sento così male Christian e vorrei davvero provare a concentrarmi su di te, i nostri figli e sulla nuova vita che ci attende, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è al bisogno che ho di quella roba che sembra divorarmi dentro ogni minuto che passa. La mia pelle brucia e sento che sto sudando freddo, ed è tutto così maledettamente frustrante…sono una tossica, non è così? Quel maledetto mi ha trasformata in una tossicodipendente, vero?

Esclamò con gli occhi sgranati mentre, devastata da quella nuova, orribile consapevolezza scoppiava in un dirotto e inconsolabile pianto, agggrappandosi al fidanzato con tutte le sue forze e lasciando che lui le accarezzasse ritmicamente la schiena, provando di nuovo a tranquillizzarla che tutto si sarebbe presto sistemato e che insieme avrebbero superato quella triste situazione.

- Ne usciremo amore, ti prometto che insieme supereremo tutto quanto. Non devi aver paura, io ti aiuterò.

- Sono così piccoli.

Sussurrò Johanna, osservando attentamente i suoi bambini attraverso il sottile vetro che la separava dolorosamente da loro, desiderando ardentemente di prenderli in braccio e tenerli vicini come non le era ancora stato permesso di fare. Ma erano giuste precauzioni e pur soffrendone molto aveva deciso che le avrebbe rispettate, attendendo pazientemente il giorno in cui avrebbe potuto finalmente stringerli a sé.

- È normale che sia così visto tutto ciò che avete passato, ma non temere, sono sicuro che cresceranno in fretta e in poco tempo raggiungeranno il peso di tutti i loro coetanei. Dobbiamo solo avere fiducia tesoro, i bambini di questa età di solito sono molto più forti di quanto pensiamo.

Considerò Christian, cingendole la vita con un braccio per sostenerla. Non era quasi in grado di reggersi in piedi ma aveva comunque deciso di attraversare il lungo corridoio solo per poterli conoscere, e lui non aveva avuto cuore di negarle quell’unica, accorata richiesta che le avrebbe risollevato almeno un po’ il morale. La donna sospirò, afflitta, commuovendosi fino alle lacrime quando li vide riprendere a muoversi e a piangere nelle loro minuscole culle, proprio come se volessero attirare l’  attenzione. In realtà sapeva bene che tutta quella strana irritabilità, proprio come le avevano spiegato i medici era riconducibile alle considerevoli quantità di  stupefacenti inevitabilmente assorbite per tutto il tempo della gravidanza, e che sarebbero purtroppo riusciti a smaltire molto lentamente. Ragion per cui avrebbero dovuto avere pazienza, tanta pazienza, e forse un giorno le cose si sarebbero sistemate.

- Grazie per quello che avete fatto – aggiunse poi, rivolta ai due uomini che le erano vicino – le tutine che avete comprato per loro sono davvero deliziose. Se non fosse stato per voi due a quest’ora i piccoli non avrebbero avuto nemmeno un corredino.

- È stato un piacere. Tanto ormai siamo esperti, vero Christian? Con Joel tutto il giorno in casa abbiamo imparato in fretta ciò che può servire a un neonato.

Rispose Nicolas, strizzandole giocosamente l’occhio e facendola ridere mentre li abbracciava entrambi.

- Ad ogni modo, questi bambini avranno bisogno di nomi al più presto. Non possiamo continuare a chiamarli semplicemente piccoli.

Disse Christian e Johanna annuì con convinzione, spostando lo sguardo dall’uno all’altro prima di riprendere a parlare.

- In realtà ci penso da così tanto tempo, e in quei momenti così bui in cui non credevo che sarei mai uscita viva da lì loro mi hanno aiutata a non arrendermi, donandomi tanta speranza, anche se allora non sapevo che fossero due, perciò…l’unico nome adatto a lei – sentenziò, fissando a lungo la bambina che adesso si dimenava con più forza nel suo morbido giaciglio – può essere soltanto Hope.

- Hope – sussurrò Nicolas – è bellissimo.

- Non ero preparata al fatto che sarebbero stati due gemelli e questo mi ha colto totalmente alla sprovvista, ma ogni volta che guardo questo tenero cucciolo dagli occhioni grandi non posso fare a meno di pensare al bambolotto con cui giocavo sempre da piccola e che era vestito di giallo, esattamente come lui ora. Io lo chiamavo Shane. 

- Hope e Shane. Sì, suonano proprio bene.

Christian la strinse più forte, baciandola sui capelli e fu allora che la giovane americana ebbe un lieve sussulto, accasciandosi d’un tratto su se stessa mentre sentiva che le mani ricominciavano fastidiosamente a tremare.

- Johanna, stai bene?

Chiese l’amico comune, preoccupato, ma Christian lo tranquillizò con un breve gesto della mano per poi tornare a concentrarsi su di lei, esortandola a rimanere in piedi.

- Va tutto bene tesoro, ora torniamo a riposare un pochino. Le sue sensazioni sono molto amplificate in questo momento – spiegò poi a Nicolas – e conoscere i bambini dev’essere stata una grandissima emozione per lei. Ha solo bisogno di prendere le sue medicine e tornare a letto.

- Non voglio prendere le medicine.

Protestò lei e continuò a farlo anche quando Christian la riaccompagnò in camera, aiutandola a distendersi mentre si dimenava con aria infastidita.

- Dovrai farlo se vuoi sentirti meglio.

Insistette.

- Ho detto che non le voglio! Ho bisogno di farmi, lo vuoi capire? Solo così potrò stare meglio!

Esclamò rabbiosa, colpendogli la mano con violenza e facendogli così rovesciare sul pavimento la boccetta con le compresse. Christian non fece una piega ma evitò accuratamente di incrociare il suo sguardo, storcendo lentamente la bocca e facendola sentire immediatamente colpevole per ciò che era appena successo. Doveva tenere duro con lei, cercare in tutti i modi di non perdere la pazienza. Solo così sarebbe riuscito ad aiutarla, tirandola fuori da quell’oscura spirale di dipendenza che, ahimè, conosceva fin troppo bene anche lui.  

- Oddio, mi dispiace. Io…io non volevo, non riesco più a controllarmi…

Gemette in preda allo sconforto, coprendosi gli occhi con entrambe le mani e cedendo ancora una volta alle lacrime che copiose scivolavano ora veloci lungo le sue guance. Il suo sistema nervoso stava miseramente crollando e lei, ora più che mai, si sentiva sull’orlo del precipizio.

-  È tutto a posto Johanna, non è successo niente di irreparabile. Ora calmati però, va tutto bene. Sta’ tranquilla.

Continuò a ripeterle, correndo verso di lei per abbracciarla.

- Allora, come sta?

Gli chiese Nicolas quando qualche ora più tardi si ritrovarono a discutere della faccenda in corridoio. Johanna, finalmente più tranquilla dopo aver acconsentito a prendere le medicine aveva ceduto alla stanchezza già da un po’, così Christian aveva deciso di lasciarla da sola per permetterle di riposare come doveva. 

- Ricordi come stavo io?

Rispose affranto e l’amico annuì, guardandolo serio.

- Già, e ricordo anche che per liberarti della dipendenza sei finito in una comunità.

L’uomo scosse la testa più volte, sbuffando seccato.

- Per Johanna sarà diverso, lei non finirà in una comunità perché ci penserò io ad aiutarla affinchè torni a stare bene. Ha già sofferto abbastanza e separarla dai bambini proprio in questo momento potrebbe solo peggiorare la sua situazione…

Il tanto sognato viaggio di ritorno era stato piuttosto difficile da affrontare con i gemelli, che più nervosi e irritabili che mai non avevano smesso un attimo di piangere, gettando nello sconforto la povera Johanna che già provata dalla sua situazione personale aveva finito per reagire alla stessa, identica maniera, credendo che tutto questo fosse colpa sua. Christian aveva tentato in ogni modo possibile di toglierle quell’idea dalla testa, ma adesso, pur vergognandosene un po’, non poteva fare a meno di pensarla alla stessa maniera. La verità era che ogni volta che Johanna provava a tenere i bambini in braccio o anche solo a sfiorarli loro iniziavano a dimenarsi e a strillare come impazziti, quasi infastiditi dal semplice tocco della loro stessa madre. Probabilmente riuscivano a percepire il suo stato d’animo, le sue mani tremanti e il malumore che ormai pareva accompagnarla a ogni passo, senza un attimo di tregua. Christian sapeva bene che da quel momento in poi le cose sarebbero  andate sempre peggio e che quello, purtroppo, era solo l’inizio della lunga strada in salita che di lì a poco avrebbero dovuto affrontare. Nonostante ciò non potè impedire a se stesso di cedere alla frustrazione che di tanto in tanto lo assaliva, proprio per questo non appena rientrati in casa preferì affidare i piccoli alle cure di Hèléne e Benedicte per essere finalmente libero di occuparsi un po’ di Johanna, che dopo tutte quelle ore di volo sembrava avere l’aria praticamente stravolta.

- Vieni tesoro, andiamo di sopra. Hai bisogno di fare un bagno, e magari di mangiare qualcosa.

Le sussurrò prendendola per mano ma la vide ritrarsi subito, l’espressione palesemente infastidita mentre lanciando una rapida occhiata in direzione di Benedicte si precipitava da lei, ansante e minacciosa.

- Che cosa stai facendo con la mia bambina – l’accusò d’un tratto, facendola trasalire – credi forse di essere in grado di occupartene meglio di quanto sappia fare io?

L’amica la fissò a bocca aperta, presa in contropiede da quelle parole che di certo non si sarebbe mai aspettata di sentire da lei.

- Johanna, si può sapere di cosa stai parlando? Non ho proprio alcuna intenzione di sostituirmi a te e lo sai bene, ma in questo momento non credo che tu sia in grado di occupartene. Tutto qui.

Replicò risentita.

- Che cosa? Come ti permetti di dirmi una cosa del genere? Ridammi immediatamente mia figlia!

- Senti, so che quello che stai passando è…

- Sta’ zitta, ti ho detto di ridarmela subito!

Gridò, perdendo completamente il controllo e strappandogliela dalle braccia con un rapido movimento che la mise in allarme, mentre la bambina scoppiava a piangere tra lo sconcerto generale.

- Tu non sai proprio niente di me e di quello che sto passando, vuoi solo portarmi via i miei figli! Come tutti voi! Volete tenermeli lontani, pensate che non sia una buona madre ma loro hanno bisogno di me e non ve li lascerò prendere! Mai!

Continuò a urlare, guardandoli negli occhi uno per uno prima di stringersi al petto la piccola Hope - il cui pianto disperato riempì ben presto l’ampia stanza - per correre a rifugiarsi al piano di sopra, finalmente lontana da tutto e tutti.

Christian e Josè la inseguirono su per le scale, ma lei fu più veloce e pur sconvolta e tremante riuscì a chiudersi a chiave nella sua camera, lasciandoli fuori della porta.

- Accidenti!

Imprecò Josè, facendo poi un respiro profondo per provare il più possibile a mantenere la calma, anche se in quella spiacevole situazione sarebbe stato difficile.

- Johanna, apri immediatamente questa porta!

Esclamò Christian, continuando a batterci sopra una mano finchè questa non cominciò a pulsare dal dolore. La ritrasse, sbuffando rumorosamente.

- Maledizione, perché fai così? Apri la porta, ti prego.

Disse, chiudendo gli occhi e riaprendoli subito dopo per impedire a se stesso di farsi prendere dal panico. Non doveva temere, era sicuro che Johanna non avrebbe mai fatto del male alla bambina, ma il fatto che si fosse chiusa dentro insieme a lei e per giunta così sconvolta non lo faceva stare affatto tranquillo. Tese l’orecchio, sentendola piangere e urlare sempre più forte e deglutì nervosamente, provandoci di nuovo.

- Tesoro, se mi apri ti prometto che ti aiuterò a calmarla, va bene? Johanna, mi senti? Ascoltami, per favore.

- È tutto inutile – sentenziò Benedicte, spazientita – non vedi che è totalmente fuori di testa?

- Lo saresti anche tu se avessi vissuto anche solo una piccola parte di ciò che è stata costretta a subire lei! È normale che adesso si senta minacciata.

Rispose Christian, punto sul vivo.

- Va bene, adesso basta – intervenne Hèléne, che intanto insieme agli altri li aveva raggiunti – smettetela di discutere. La cosa importante è convincerla a uscire di lì al più presto. Johanna, sono io, Hèléne. Non vuoi aprire nemmeno a me?

- Andate via! Andate via tutti! Lasciatemi in pace!

La sentirono urlare da dentro, singhiozzando disperata.

- Ti avverto, Johanna – gridò Christian, a quel punto – se non apri subito questa dannata porta giuro che la butto giù, e sai che non sto scherzando!

Contò fino a tre poi lo fece davvero, forzandola con l’aiuto di Nicolas per ritrovarsela proprio di fronte, in ginocchio sul pavimento e in preda a spasmi muscolari tipici della sua condizione mentre continuava a stringere a sé la figlia, rimboccandole la copertina rosa fin sopra alla testa quasi provasse a nasconderla alla loro vista.

- Dammi la bambina. Non hai nulla da temere.

Cercò di convincerla il compagno, avvicinandosi lentamente a lei che intanto scuoteva nervosamente la testa, singhiozzando ancora più forte. Le sue mani continuavano a tremare in modo incontrollabile e Christian sapeva di dover agire all’istante, prima di mettere in pericolo sua figlia.

- No!

La sentì rispondergli, incenerendolo con lo sguardo.

- Tesoro non fare così, che succede? Non ti fidi più di me, per caso? Sai bene che non potrei mai portarti via i bambini, io voglio solo…che Hope riposi un po’adesso, e credo che dovresti farlo anche tu. Sei stremata e il viaggio è stato lungo per tutti quanti. Coraggio, dalla a me e ti prometto che la lascerò dormire nella sua culla insieme a Shane.

Le sussurrò, avvicinandosi di più e prendendola delicatamente dalle sue braccia per affidarla poi a quelle di Benedicte mentre tornava a chinarsi su di lei, che sgomenta e assente si affrettava intanto a sfuggirgli per rifugiarsi strisciando in un angolo della stanza, il più possibile lontano da lui. Lì si abbracciò le ginocchia, dondolandosi nervosamente avanti e indietro e ripetendo incessantemente una strana litania che non fu in grado di comprendere, se non tornandole vicino.

- Lui vuole portarmeli via…verrà a rapirli nel sonno, vuole separarmi da loro…per sempre…

Christian appoggiò la fronte contro quella scottante di lei, prendendole il viso tra le mani e sfiorandole più volte le labbra con dei baci lievi e rassicuranti, che man mano sembrarono riportarla alla realtà.   

- Lui non è qui, amore mio, ma in prigione, e credo che ci resterà ancora per parecchio tempo. Non devi aver paura, non potrà più farti del male. Tu e i bambini siete al sicuro qui. L’incubo è finito e lo so che nella tua testa continui a riviverlo, ma non c’è più niente di reale. È da adesso che inizieranno i giorni più difficili ma tu devi promettermi che non ti arrenderai, e che mi permetterai di restarti vicino. Andrà tutto bene, devi solo fidarti di me, ci riesci? Sii forte amore perché passerà, questo terribile momento passerà e sarà solo un lontano ricordo…

- Oco, oco…

Piagnucolò Joel, osservando incuriosito i gemelli che si agitavano nello loro culle colorate e indicandoli alla madre, che sorrise divertita.

- Gioco? Vuoi giocare con loro? No amore, purtroppo non è possibile, sono ancora troppo piccoli per giocare con te. Però puoi aiutarmi a preparargli il biberon. Su, vieni con me.

- Bibeon!

Esclamò, battendo le manine felice prima di affannarsi a seguirla in cucina. Aveva da poco imparato a camminare, ed era così buffo guardarlo barcollare per casa per poi rialzarsi pian piano e ricominciare da capo con grande gioia di tutti gli altri, che non smettevano di guardarlo inteneriti da tanta intraprendenza.

- Ehi giovanotto, dove vai così di fretta?

Gli chiese Christian, passandogli accanto e strizzandogli giocosamente l’occhio per poi sfiorare la sua testa con una lieve carezza.

- Bibeon!

Ripetè lui, indicandogli più volte la cucina e Benedicte, che si chinò per prenderlo in braccio stampandogli un bacio sulla guancia paffuta. 

- Prepariamo la pappa ai tuoi bambini, vero Joel?

Disse, incrociando lo sguardo dell’uomo che ora sembrava via via incupirsi, quasi si trovasse improvvisamente a disagio.

- Grazie per quello che stai facendo per i gemelli, significa davvero molto per me.

- Non c’è bisogno di ringraziarmi, lo sai bene, e poi Shane e Hope sono così dolci e teneri che sarebbe impossibile non innamorarsi di loro all’istante!

Rispose alzando le spalle, come se per lei fosse la cosa più naturale del mondo occuparsi tutto il giorno di due bambini così piccoli che non erano nemmeno suoi, e con tutto quello che aveva già da fare durante il giorno. Ma Benedicte era fatta così, sempre gentile e disponibile verso tutti, ed era per questo che le avrebbe sempre riservato un posto speciale nel suo cuore.

- Sai, ha ragione, questi piccoli batuffoli sono così belli e irresistibili che mi meraviglia persino che siano figli tuoi!

Aggiunse Laly e lui le rivolse una smorfia, fingendosi indispettito.

- Ahah. Spiritosa.

La riprese e per tutta risposta lei gli fece una linguaccia, facendolo sorridere divertito. Con tutto ciò che stava affrontando in quel periodo la presenza e l’aiuto delle amiche gli era di grande conforto, non avrebbe davvero saputo come fare senza di loro. Le donne si informarono poi sulle condizioni di Johanna e lo videro scuotere tristemente la testa, l’aria affranta.

- Hèléne è di sopra con lei in questo momento, sta cercando di farle mangiare qualcosa. Sono giorni che non tocca quasi cibo.

Fu tutto ciò che disse, abbassando lo sguardo. Aveva provato di tutto per metterla il più possibile a proprio agio e per aiutarla, ma invano. Le cose parevano decisamente essergli sfuggite di mano. In quei giorni Johanna non aveva fatto che peggiorare,  chiudendosi a riccio in un mondo tutto suo e smettendo persino di parlare, preoccupandolo non poco. L’unica cosa che sapeva fare ormai era restarsene chiusa in camera per tutto il giorno, rifiutando qualunque contatto con l’esterno e persino con i bambini, che aveva sostituito con due minuscoli pelouches che teneva sempre stretti al petto e che non permetteva a nessuno di toccare. Nemmeno a lui, che si impegnava a fuggire con tutte le sue forze ogni volta che provava anche solo ad avvicinarsi. Christian soffriva terribilmente per questo suo comportamento apparentemente incomprensibile, ma si era ripromesso di non mollare con lei. Sapeva già che sarebbe stato difficile, lui stesso ci era passato ma doveva essere forte ora, doveva farlo per tutti e due. Sfiorò delicatamente le manine strette a pugno di uno dei suoi figli.

Anzi, per tutti e quattro.

- Torna subito qui, dove stai andando?

La voce di Hèléne lo distrasse dai suoi pensieri e si voltò di colpo giusto in tempo per accorgersi di Johanna che, i pelouches ancora stretti al petto, aveva appena raggiunto il piano di sotto per poi rifugiarsi velocemente dietro allo schienale del divano, finalmente lontana da occhi indiscreti. Aveva incrociato il suo sguardo vitreo e pauroso per una frazione di secondo, rendendosi conto ancora una volta di quanto quella donna, scalza e scarmigliata, non assomigliasse ormai neppure lontanamente alla Johanna a cui era abituato, invece solare e sorridente praticamente da che aveva memoria. Quel mostro sembrava aver spazzato via per sempre la parte migliore di lei, restituendo al mondo solo ciò che restava di un cuore calpestato e infranto che adesso stentava quasi a riconoscere. Si chiese se sarebbe mai tornata come prima, e di nuovo  si sentì morire dentro.

- Johanna, che cosa credi di fare? Non hai ancora finito di mangiare, se continui così ti ammalerai!

Hèléne tentò di attirare la sua attenzione, ma inutilmente poiché a quelle parole Johanna strinse forte le palpebre, raggomitolandosi ancora di più su se stessa come un animale ferito e indifeso.

- Ehi, esci da lì tesoro, coraggio. Perché fa così?

Chiese Laly costeggiando il divano per avvicinarsi di più e chinarsi su di lei, che voltò subito la testa dall’altra parte per evitare di incrociare il suo sguardo curioso.

- Le luci le danno fastidio – spiegò Christian – cerca solo un posto dove poter stare più tranquilla.

L’amica sbuffò, passandosi stancamente le mani tra i capelli.

- Non sopporto più di vederla in questo stato, ha chiaramente bisogno di essere aiutata e a questo punto credo anche che rinchiuderla in una comunità per tossicodipendenti sia inutile. Considerato come si comporta, forse sarebbe meglio prendere in considerazione l’idea di un ospedale psichiatrico…

- Smettila di parlare così in sua presenza – la riprese Hèléne – finirai per spaventarla ancora di più.

- Come puoi essere sicura che capisca davvero ciò che stiamo dicendo? Insomma…guardala! È totalmente assente e crede che quegli stupidi pupazzi siano i gemelli, non riesce più a distinguere la fantasia dalla realtà.

Christian la fissò con infinita pena e quando provò ad avvicinarsi la vide correre via di nuovo, terrorizzata mentre raggiungeva in fretta le scale…

- Non puoi nascondere la testa sotto la sabbia, Christian – osservò Hèléne, guardandolo accigliata – sai bene che non possiamo continuare in questo modo. Spiace a tutti ammetterlo, ma Johanna non sta bene e con quei suoi preoccupanti comportamenti ha chiaramente bisogno di un valido aiuto specialistico. Un aiuto che noi non possiamo darle di certo. Non più.

- È fuori dalla nostra portata – aggiunse Josè, sospirando affranto – come fai a non rendertene conto? Johanna sta rendendo la vita impossibile sia a se stessa che agli altri, ma soprattutto a te. Guardati, sei stremato, se continui così tra poco dovremo rinchiuderci te in una clinica psichiatrica!

- Basta, non voglio mai più sentire quelle parole! Ora, se permettete metto a letto i gemelli e poi vado a dormire anch’io. Buonanotte a tutti.

Rispose asciutto, prendendo in braccio i bambini, ormai profondamente addormentati e posando un bacio leggero sulle loro testoline prima di ritirarsi al piano di sopra, l’aria tesa e stravolta. Sapeva bene anche lui che la situazione era disperata, ma continuare a ricordarglielo non sarebbe di certo servito a migliorare le cose. Pian piano anche gli amici decisero di ritirarsi per la notte raggiungendo ognuno le proprie camere, finchè a riempire il comodo salotto rimase solo Hèléne. La giovane donna, con la mente affollata dai pensieri non se la sentiva ancora di andare a dormire anche perché, ne era sicura, non sarebbe di certo riuscita a chiudere occhio. Le nuove, preoccupanti condizioni di Johanna la impensierivano più di quanto riuscisse ad ammettere, ed era proprio questo che stava cercando di spiegare a Nicolas che sentendola piangere sommessamente nel silenzio della casa l’aveva raggiunta, sedendole accanto con aria curiosa e concentrata.

- E poi pensavo a Peter, a come mi manca e, soprattutto, a quanto mi sia comportata male nei suoi confronti.

L’uomo la fissò aggrottando le sopracciglia, senza capire.

- Perché dici così, Hèléne?

Le chiese e lei si prese il viso tra le mani, assorta.

- Perché il giorno del nostro matrimonio, anziché essere felice per l’inizio della nuova vita che ci aspettava, io…io non riuscivo a smettere di pensare a te nemmeno per un istante, e mi sono resa conto che l’unica cosa che ho sempre voluto fare era questa.

Sussurrò, avvicinandosi piano a lui per baciarlo sulle labbra. Quel gesto, emozionante e inaspettato lo prese completamente alla sprovvista, ma fu solo un attimo perché subito dopo si rilassò tra le sue braccia, ricambiando quel dolcissimo e tanto atteso  bacio con tutta la passione di cui era capace.

- Ti amo Nicolas, ti ho sempre amato, solo che avevo paura di ammetterlo persino con me stessa. Perdonami se puoi, ti prego.

Disse rifugiandosi contro il suo petto mentre lui la teneva stretta, sfiorandole più volte la fronte e poi di nuovo le labbra socchiuse, suggellando così una tenera, nuova promessa che da quel momento in poi li avrebbe finalmente riuniti…

Quando la raggiunse si accorse che le tende erano tirate e la camera era immersa nell’oscurità più totale, tanto che per riuscire a vedere qualcosa fu costretto ad accendere la luce. La individuò nel consueto angolino lontano dalle finestre, che ormai aveva fatto suo mentre si raggomitolava di più su se stessa, stringendo a sé i piccoli pelouches e serrando forte le palpebre in un’espressione di puro fastidio, quasi si sentisse minacciata dalla sua presenza e dalla luce che adesso feriva i suoi occhi chiari. Occhi che un tempo lo avrebbero guardato in maniera completamente diversa e che ormai parevano palesemente rifiutarlo, spezzandogli il cuore ogni volta di più.

- Johanna, una volta tanto potresti sforzarti di dormire anche tu in un letto come fanno tutte le persone normali?

Disse, scrutandola serio e per tutta risposta lei voltò la testa dall’altra parte, evitando il suo sguardo e facendolo sbuffare seccato.

- E va bene, hai vinto tu.

Aggiunse, tirando fuori in fretta una coperta dall’armadio per poi chinarsi su di lei e posarla delicatamente sulle sue spalle. Quel solo, semplice gesto però la fece sussultare all’improvviso mentre si tirava su la coperta fin sopra agli occhi per provare a nascondersi da lui.

- Perché fai così – le sussurrò, addolorato – lo sai che non ti farei mai del male. Lo capisci che se continui a comportarti in questo modo sarò costretto a cedere e a prendere delle misure drastiche? Io non voglio separarmi da te e so che non lo vuoi nemmeno tu. Combatti tesoro, combatti questa triste oscurità che ti porti dentro, fallo per te, per noi, ma soprattutto per i gemelli. Sono ancora così piccoli, hanno bisogno che la loro madre sia sempre presente e si prenda cura di loro, perciò non arrenderti. Continua a lottare con tutte le tue forze per la meravigliosa famiglia che abbiamo tanto sognato di avere e che adesso è qui, proprio di fronte a te. Devi solo tornare a esserci, tornare a esistere. Tra noi due tu sei sempre stata quella più forte, perciò ti chiedo di continuare a esserlo perché senza di te niente può avere senso nella mia vita.  Sii forte Johanna e sono sicuro che troverai la via, ma se ti rifiuti di farlo io non potrò aiutarti, lo capisci questo? Mi costringerai a ricoverarti in un ospedale psichiatrico e non potrai più vedere me e i bambini per chissà quanto tempo. È davvero questo ciò che vuoi?   

Nessuna reazione. Christian si passò stancamente una mano sugli occhi, allontanandosi pian piano da lei fino a raggiungere la poltrona dove si accasciò pesantemente e, cedendo alla frustrazione, non potè impedire a se stesso di scoppiare in un pianto dirotto e incontrollabile che in un attimo lo rese completamente vulnerabile. Vederla in quello stato gli procurava un dolore insopportabile che proprio non sarebbe riuscito a lenire se non attraverso quelle lacrime cocenti che gli annebbiavano la vista, facendolo sentire inutile e impotente di fronte all’ostinato silenzio della donna, ridotta ormai all’ombra di se stessa. Fu allora che Johanna si voltò d’un tratto a guardarlo, lasciando di colpo cadere i pelouches sul pavimento per strisciare lentamente verso di lui, che non si accorse di averla così vicina se non quando si sentì sfiorare una mano, sussultando per la sorpresa.

- No.

La sentì mormorare, tornando a incrociare il suo sguardo ferito per la prima volta dopo tanto tempo.

- Cosa? Credo di non aver sentito bene.

Rispose lui incitandola a parlare ancora mentre le dita della giovane americana scivolavano leggere sul suo viso stanco, asciugando e cancellando pian piano le sue lacrime.

- No – ripetè, stavolta con più convinzione – io…io non voglio questo. Non voglio separarmi da te.

Christian la fissò incredulo per qualche secondo prima di chinarsi nuovamente su di lei, prendendole il viso tra le mani.

- Nemmeno io voglio separarmi da te, amore mio. Sei tornata, sei tornata finalmente! Mi sei mancata così tanto.

La baciò e lei non si ritrasse, lasciando che le sue braccia le cingessero la vita per attirarla ancora più vicina mentre la sentiva accoccolarsi contro di lui, e quando intrecciò le dita alle sue si accorse che le mani avevano smesso di tremare. Le sorrise, stringendola di più.

- Fallo smettere, ti prego. È insopportabile.

Si lamentò di colpo e lui la scostò da sé quanto bastava per poter tornare a guardarla negli occhi.

- Che cosa devo far smettere? A cosa ti riferisci?

Chiese con tatto e la vide mordersi le labbra, affranta e stremata da un dolore troppo a lungo trattenuto.

- Questo ronzìo – continuò, singhiozzando – mi fa esplodere la testa.

La baciò di nuovo, a lungo, provando dolcemente a tranquillizzarla.

- Passerà, non preoccuparti. Devi solo impegnarti a ignorarlo e lui scomparirà presto.

- È…

- Sì, l’astinenza da quella roba gioca brutti scherzi, ma tu non lasciarti abbattere di nuovo e tutto andrà bene. Non sei sola, ricordalo sempre. Combatteremo insieme questa battaglia e insieme riusciremo a uscirne, devi solo crederci…

- Avanti, sii buono e lasciami andare. Si è fatto tardi, devo andare al lavoro!

Cercò di rabbonirlo Hèlène, rivestendosi in fretta e posandogli un bacio leggero sulle labbra prima che lui l’attirasse di nuovo su di sé, ribaltando velocemente la posizione e schiacciandola contro il materasso mentre tornava a baciarla con trasporto, impedendole di muoversi.

- Lo sai come si chiama questo? Sequestro di persona.

Lo accusò, ridendo sotto i baffi e spingendolo via con decisione non appena si accorse di avere le labbra nuovamente libere. Nicolas sbuffò seccato, lasciandola finalmente andare.

- Volevo solo prolungare il più possibile la notte meravigliosa che abbiamo appena trascorso.

Disse e la donna gli sorrise, facendogli una tenera carezza sulla guancia.

- Non adesso amore, ci sarà tempo per quello. Ora devo assolutamente fare colazione e poi correre subito in ufficio. Esco prima io, tu raggiungimi tra dieci minuti di sotto e come se niente fosse, mi raccomando, così nessuno sospetterà nulla.

- Vuoi tenere segreto il fatto che siamo tornati insieme? Perché Hèléne, non capisco, io non ho nessuna intenzione di continuare a nascondere quello che provo per te. Voglio essere libero di amarti alla luce del sole, e…

- È ancora troppo presto – lo interruppe, risoluta – per favore, fai come ti dico.

- Troppo presto per cosa – insistette – cosa vuoi che importi agli altri se dopo un anno hai finalmente deciso di rifarti una vita, così come era giusto che fosse? In fondo non sei certo stata tu a morire.

Hèléne gli lanciò un’occhiataccia e lui capì di aver un po’ esagerato, ma non gli importava. Era stanco di tutte quelle stupide e inutili paranoie, tutto ciò che voleva era iniziare a godersi la vita con la donna che amava e proprio non comprendeva le ragioni di Hèléne. Già, forse perché lei non si era nemmeno presa il disturbo di spiegargliele. La guardò di sottecchi mentre lasciava la stanza, richiudendosi la porta alle spalle e cercando di fare il meno rumore possibile per non attirare l’attenzione dei suoi amici, che a quell’ora con molta probabilità stavano ancora dormendo. Fece un respiro profondo, sistemandosi la camicetta spiegazzata e controllando nello specchio del corridoio la sua immagine riflessa, che adesso sembrava aver l’aria di aver avuto giorni migliori. Non poteva farci nulla però, visto che il peso del senso di colpa pareva non abbandonarla un attimo da quando la sera prima aveva confessato i suoi sentimenti a Nicolas, ma non certo perché ci fosse qualcosa di sbagliato in questo. Assolutamente. Lo amava e aveva trovato il coraggio di parlargliene, ma ora non poteva evitare di pensare che, se avesse resi partecipi gli altri di quel grosso cambiamento nella sua vita, avrebbe inevitabilmente tradito la memoria di Peter e quello no, non sarebbe riuscita a sopportarlo. Avevano persino passato la notte in camera di Nicolas per evitare di farlo entrare nel letto che per tanto tempo aveva condiviso con lui, per non parlare della faccenda delle fotografie che non aveva ancora trovato il coraggio di togliere dal comodino. Era difficile per lei, e anche se non si aspettava certo che Nicolas riuscisse a comprenderlo non voleva uscire allo scoperto, non ancora, perché per farlo avrebbe prima dovuto… perdonare se stessa. E quella era sicuramente la cosa più complicata.  Immersa in quei pensieri non si accorse della presenza di Josè, che intanto era appena uscito dalla sua camera da letto finchè non se lo ritrovò davanti, sussultando vistosamente e incuriosendolo di conseguenza, tanto che non la smise più con le domande.

- Che ci fai lì immobile davanti alla stanza di Nicolas, si può sapere?

Accidenti.

- Bè, io stavo…ehm…andando in bagno!

Mentì con la prima cosa che le venne in mente e lui la fissò sospettoso, indicando la porta in fondo al corridoio proprio alle sue spalle.

- Il bagno però è da quella parte. Dovresti saperlo da un pezzo, no? In fondo questa è casa tua.

Considerò scettico e la vide scoppiare a ridere nervosamente, rifilandole una stupida scusa su degli improvvisi vuoti di memoria che non convinse neppure lei, figuriamoci Josè, che dopo averla vista praticamente volatilizzarsi giù per le scale decise di rientrare in camera in tutta fretta.

- Non indovinerai mai che cosa ho appena visto.

Disse a bassa voce rivolgendosi a Benedicte, che intanto ripiegava accuratamente la sua camicia da notte per riporla sotto il cuscino, proprio come faceva tutte le mattine prima di scendere a fare colazione.

- Avanti, spara.

Lo incitò distrattamente, e lui non si fece attendere molto.

- Hèléne che usciva dalla stanza di Nicolas.

- E allora? – la giovane donna alzò le spalle – Lei e Nicolas sono amici, è perfettamente normale che ogni tanto entri nella sua stanza, così come fa nella nostra. Lo fai continuamente anche tu, si può sapere che c’è di strano?

- Se fosse così normale come dici tu perché si sarebbe tanto affannata a cercare di nascondermelo, inventando una stupida scusa che forse spera mi sia bevuto? Sospetto che voi donne mi prendiate per scemo, a volte…

Benedicte rise, attirandolo giocosamente tra le sue braccia.

- Invece di impicciarti sempre degli affari altrui perché non pensi ogni tanto a occuparti di tua moglie?

Disse sorniona e lui la strinse di più, posandole un bacio sulle labbra.

- Mi sembra di averlo già fatto più che abbondantemente, oppure mi sbaglio?

- No, non ti sbagli, ma vedi…non ne ho mai abbastanza. Dovresti saperlo, ormai.

Ridacchiò divertita, cingendogli il collo con le braccia per catturare di nuovo le sue labbra in un bacio appassionato.

- Sai, mi piacerebbe molto approfondire questo interessante argomento, ma non certo a stomaco vuoto. Sto morendo di fame!

Piagnucolò, facendola scoppiare a ridere.

- E va bene, andiamo a fare colazione.

Concesse alla fine e richiudendosi lentamente la porta alle spalle si affrettarono a scendere dabbasso. Lì si scontrarono con Christian, che col volto teso e visibilmente preoccupato si aggirava nervosamente per la sala da pranzo, scompigliandosi più volte i capelli in un gesto che tradiva disagio.

- Non riesco più a trovare i gemelli – ammise sconcertato, di fronte alle loro inevitabili domande – e nemmeno Johanna. Li ho cercati praticamente dappertutto, credo che a questo punto manchi solo…

Si interruppe bruscamente notando che Benedicte, increspando le labbra in un piccolo sorriso, gli indicava ora un punto ben preciso fuori dalla finestra, facendolo finalmente sospirare di sollievo. Johanna era proprio lì, seduta sull’erba e intenta a cullare lentamente i suoi bambini per conciliare loro il sonno. Sembravano così  sereni tra le sue braccia e Christian non potè che tranquillizzarsi all’istante mentre li guardava, intenerito da tanta dolcezza.

- …giusto, il giardino. Stavo appunto per andare lì.

- Non dovresti preoccuparti, a me sembra che stia meglio.

Osservò Josè e lui annuì convinto, incapace di smettere di guardarli.

- Già, pare di sì. La notte scorsa ha persino ripreso a parlare.

Disse, facendo esultare di gioia gli amici mentre, sorridendo, si apprestava a raggiungerla…

Si accomodò sull’erba vicino a lei, accarezzando dolcemente le testoline dei gemelli e posandole poi un bacio sulle labbra, grato di vederla sorridere di nuovo dopo tanto tempo.

- Non riuscivo a dormire – spiegò Johanna – così sono andata da loro, ma sembravano così agitati che ho pensato che un po’ d’aria fresca li avrebbe aiutati a calmarsi.

- E a quanto pare ha funzionato – rispose Christian, annuendo brevemente con aria compiaciuta – sei stata bravissima, sembra che tu sia finalmente riuscita a costruire un rapporto con loro nonostante le condizioni non proprio favorevoli che state vivendo, e io sono fiero di te.

Le cinse le spalle con un braccio ed entrambi si persero a lungo a osservare ogni piccolo movimento dei bambini, che ora, le manine strette a pugno simili a minuscoli batuffoli e gli occhi chiusi si godevano l’aria fresca e frizzantina del mattino, accuratamente adagiati nelle splendide copertine colorate che Johanna non aveva dimenticato di portare con sé prima di uscire.

- Ecco, lascia che ti aiuti.

Christian prese delicatamente Hope dalle sue braccia per stringersela al petto, sfiorando la sua fronte vellutata con un bacio ed emozionandosi una volta di più quando sentì quel piccolo cuoricino battere forte, quasi all’unisono con il suo.

- Oh, ma guardati…abbiamo decisamente bisogno di un guardaroba nuovo, vero amore della mamma? È deciso, più tardi si va a fare un po’ di shopping.

La voce di Johanna, che si rivolgeva a Shane con ferma convinzione lo distrasse dal respiro lento e regolare di sua figlia così si voltò verso di loro, l’aria incredula.

- Cosa? Ma avevi detto che le tutine andavano benissimo!

Protestò, ottenendo in risposta una breve risatina che, se possibile, ebbe il potere di irritarlo ancora di più.

- L’ho detto, è vero, ma solo perché volevo essere gentile. Su, non fare quella faccia, sono assolutamente deliziose, ma…le hai viste bene? Sono almeno di due taglie più grandi, e loro sono ancora tanto piccoli. Queste andranno bene quando metteranno su un po’ di peso, ma per ora hanno bisogno di qualcosa che sia della loro misura. Oh, il mio piccolo folletto!

Si intenerì, tempestandolo di baci mentre continuava a cullarlo dolcemente.

- Sai, all’improvviso è come se il mio bambolotto preferito avesse preso vita e si fosse anche…sì, sdoppiato, regalandomi questi due splendidi angioletti… ok, ecco quello che faremo. Innanzitutto ce ne andiamo in cucina a preparare una buonissima colazione, poi saliamo su in camera a farci belli e ci facciamo una bella passeggiata in centro approfittando di questo sole meraviglioso, così cerchiamo dei vestiti nuovi per tutti e due…oh, ma ci vorrà anche un passeggino doppio, perciò converrà fare un salto anche…

- No, sai, mi stavo chiedendo…in tutta questa giornata che hai pianificato così minuziosamente, credi che ci resteranno anche cinque minuti per dormire un po’?

La interruppe, insinuandosi timidamente in quell’interessante monologo e facendola scoppiare a ridere di colpo, unendosi poi volentieri alla sua risata.

- Mi dispiace – si scusò la donna, palesemente in imbarazzo – mi sono solo lasciata trasportare dalla situazione, non intendevo sembrare così iperattiva.

Gli lanciò un’occhiata critica.

- Non è normale, vero?

Chiese, improvvisamente ansiosa. Christian posò la mano libera sulla sua e le loro dita si intrecciarono in un magico incastro che, come un balsamo dalle proprietà miracolose, servì lentamente a lenire tutto il dolore provato fino a quel momento, trasformandolo in pura gioia. Era così che si sentiva ogni volta che stavano insieme, e aver finalmente ritrovato la compagna dopo aver creduto di averla persa per sempre lo riempì di un’emozione difficile da contenere, ora che erano appena diventati la famiglia che avevano sempre desiderato di essere.

- Non preoccuparti – cercò di tranquillizzarla – gli sbalzi d’umore sono molto frequenti nei casi di dipendenza, così come l’iperattività e tutto il resto. Lo so perché l’ho provato anch’io, ed è perfettamente normale, ma abbi pazienza, pian piano tornerai a essere quella di sempre. Te lo prometto.

Johanna gli sorrise, stringendogli più forte la mano.

- Io mi sento già così. Mi basta solo guardarli per stare meglio e non pensare più a niente, se non a occuparmi di loro. Ti amo Christian, amo te e questi piccolini più della mia vita e non vedo l’ora di riprendermi completamente per poterli crescere come desidero. Insieme a te.

- Ti amo anch’io, tesoro. Non sai quanto.

Fu tutto ciò che riuscì a risponderle mentre le loro labbra si univano di nuovo in un bacio dolcissimo che d’un tratto parve trasportarli in un’altra dimensione. Un mondo nuovo dove per un attimo il tempo si fermò, annullandosi in una cascata di magici e scintillanti colori che li avvolse lentamente, cullandoli come un tenero, morbido   giaciglio…

- Joel, eccoti qui finalmente! Ti ho cercato dappertutto. Su, fila subito a fare il bagnetto!

Esclamò Benedicte, rivolgendosi al figlioletto che però quella mattina non aveva alcuna intenzione di assecondarla come invece avrebbe dovuto. Odiava dover essere costretto a lavarsi tutti i giorni, così era corso a rifugiarsi sul divano, accoccolandosi vicino a Johanna e osservandola con occhietti vispi e attenti mentre si occupava dei gemelli. Il suo continuo armeggiare con quel minuscolo biberon era sicuramente molto più rassicurante dell’odiato bagnoschiuma che lo aspettava al piano di sopra.

Johanna ridacchiò, staccando solo per un attimo gli occhi dal piccolo Shane che teneva intanto fra le braccia per incrociare quelli del bambino, che vide gonfiare le guance paffute fino a sbuffare con aria seccata.

- Hai sentito cosa ha detto la mamma? Vai a lavarti, coraggio.

Gli sussurrò, ottenendo in risposta un “NO!” che non ammetteva repliche e una linguaccia che la lasciò letteralmente a bocca aperta, prima di sgusciare via di nuovo  dalle mani della madre e divertirsi a correre per la casa, costringendola così a lanciarsi al suo inseguimento.

- Torna subito qui, piccolo diavoletto, o saranno guai! Accidenti, quel bambino mi farà venire un esaurimento!

Johanna scosse la testa, divertita dall’allegro teatrino a cui di tanto in tanto le capitava di assistere in quelle prime, turbolente ore del mattino, tornando poi a concentrarsi su Shane e sul biberon ancora mezzo pieno che continuava a rifiutare, preoccupandola non poco. L’improvviso arrivo di Christian la distrasse ancora una volta da ciò che stava facendo, spingendola ad arrendersi definitivamente.

- Buongiorno, si può sapere perché non mi hai svegliato?

Lo sentì sussurrare mentre le sfiorava le labbra con un bacio che, riluttante, si sforzò di ricambiare.

- I gemelli ti hanno già intrattenuto abbastanza la notte scorsa, volevo solo farti un favore.

Replicò quasi brusca e Christian si accigliò, guardandola con aria interrogativa. Era abituato ai suoi più che comprensibili sbalzi d’umore, anche se non riusciva mai a nascondere del tutto quanto la cosa lo irritasse. Sapeva che avrebbe dovuto avere molta pazienza con lei, ma era proprio questo il punto. Già, la pazienza non era mai stata il suo forte, e tutto questo cominciava a metterlo in seria difficoltà. 

- Tutto bene?

Azzardò e Johanna abbassò gli occhi, afflitta.

- No – disse – Shane si rifiuta di mangiare e non so il perché.

- Vuoi che ci provi io?

Lei scosse la testa, rimettendosi lentamente in piedi e passeggiando nervosamente per la stanza.

- Non voglio che finisca per irritarsi di più, è già così agitato. Lo porterò a fare un giretto in giardino, magari l’aria fresca gli farà tornare l’appetito. Tu resta qui e tieni d’occhio Hope, intanto.

L’uomo annuì e sfiorò con le dita le manine strette a pugno della figlia, che dormiva beatamente accoccolata nel passeggino doppio. Da un po’ di giorni sembrava avere l’aria più rilassata e pacifica, e non smetteva di ringraziare il cielo per questo. Avevano passato dei momenti terribili, momenti in cui più volte si era ritrovato a temere il peggio. Ora però le cose stavano finalmente cominciano ad appianarsi per tutti loro e, presto, molto presto, avrebbe potuto osservare i suoi bambini correre e rotolarsi felici sul prato, ne era sicuro. Immerso in quei dolci e gioiosi pensieri non si accorse quasi che Johanna lo stava chiamando, pronunciando più volte il suo nome con uno strano tremore nella voce che lo mise immediatamente in allarme.

- Che succede? Qualcosa non va?

Chiese andandole vicino e scoprendo così i suoi occhi  pieni di lacrime.

- Christian, non respira…il bambino non respira più!

Gridò in preda all’ansia, scuotendolo con forza nel disperato tentativo di rinvenirlo in qualche modo mentre lui si precipitava verso la macchina con il cuore in gola,  intimandole di seguirlo.

- Presto, dobbiamo portarlo subito in ospedale!

Disse, facendo intanto cenno a Hèléne di avvicinarsi. La donna, appena scesa al piano di sotto per consumare la consueta colazione li raggiunse in tutta fretta, apprendendo con sgomento la triste notizia e promettendo di occuparsi di Hope in loro assenza. L’auto partì a gran velocità, superando il vialetto e sparendo ben presto dalla sua vista mentre si stringeva nelle spalle, incamminandosi verso casa e pregando silenziosamente che tutto tornasse presto a posto. I suoi amici avevano già sofferto abbastanza per tutto quell’orribile periodo, non meritavano certo di continuare a farlo. Mentre rientrava si accorse che la piccola aveva iniziato a piangere, così si era chinata su di lei per prenderla delicatamente tra le braccia sforzandosi di infonderle una serenità che in quel momento non provava affatto.

- Su, calmati tesoro. La tua mamma e il tuo papà torneranno presto a casa, vedrai.

Mormorò baciando la sua testolina e improvvisando una dolce ninna nanna che Nicolas, passando di lì non potè fare a meno di ascoltare, osservandola rapito per un lungo istante per poi decidersi finalmente a raggiungerla, sorridendole timidamente.

- Saresti davvero una madre fantastica, lo sai? Un giorno potresti cantare questa bellissima ninna nanna a nostro figlio, e…

- Nicolas – lo interruppe, risoluta – non ora, ti prego.

Poi gli raccontò l’accaduto e il viso dell’uomo si rabbuiò lentamente mentre si affrettava a recuperare il suo telefono cellulare, che aveva distrattamente lasciato in camera.

- Chiamo Christian, voglio avere notizie.

Disse ed Hèléne annuì, prendendo posto sul divano dove continuò a cullare la bambina per un tempo che le sembrò interminabile prima di vederlo comparire di nuovo, gli occhi arrossati, il volto teso.  

- Allora, ci sono novità? Sono via già da un po’ e la cosa comincia a essere molto poco rassicurante. Che cosa c’è Nicolas, perché non dici niente?

Lo incitò e lui scosse nervosamente la testa, crollando a sedere vicino a lei.

- Shane ha...

Esitò, scompigliandosi i capelli.

- Ha un’emorragia cerebrale. È molto grave.

- Oh mio Dio…

Hèléne si coprì la bocca con una mano, stringendo più forte a sé la piccola Hope che intanto si era di nuovo addormentata.

- Credo che dovremmo raggiungerli – continuò Nicolas, in preda all’ansia – sì, insomma, per cercare di capirci qualcosa.

- Cos’altro ti ha detto Christian?

- Che il bambino è molto debole e che avrà anche bisogno di una trasfusione. Non riusciva quasi a parlare. Non sa neppure se ce la farà…

- Che cosa? Le spiacerebbe ripetere, per favore?

Sussurrò Christian, visibilmente turbato da una tremenda rivelazione che di certo mai si sarebbe aspettato di sentire, e che in un momento gli aveva gelato il sangue nelle vene. Cercò ancora una volta lo sguardo della giovane dottoressa con la quale lui e Johanna parlavano ormai da almeno mezz’ora, informandosi sulle reali condizioni di Shane. Condizioni tutt’altro che incoraggianti, a giudicare da ciò che sembrava  velocemente consumare quel debole e indifeso corpicino che lui avrebbe invece voluto proteggere con tutte le sue forze, preservandolo da ogni male. Stavolta, però, era completamente impotente.

- La questione è semplice, signor Roquier: il suo gruppo sanguigno non corrisponde a quello del piccolo. In altre parole, lei non è il padre del bambino.

Fu tutto ciò che ottenne in risposta, fissandola attonito e con l’amara sensazione di avere un macigno incastrato nello stomaco.

- Non è possibile – intervenne Johanna, scuotendo la testa con rabbiosa decisione – lei si sta sicuramente sbagliando! Io ho avuto due gemelli.

La dottoressa spostò lo sguardo dall’uno all’altra, sospirando con impazienza.

- Mi rincresce, ma non c’è proprio alcun errore. Capisco che per voi sia difficile da  da accettare visto che siamo di fronte a un caso molto raro, ma che può comunque capitare. Che ci crediate o no, infatti, se si hanno rapporti intimi con uno o più uomini nello stesso periodo è possibile che i bambini, pur essendo gemelli, risultino essere figli di padri diversi.

- Rapporti intimi con uno o più uomini, si può sapere di cosa sta parlando? Per chi diavolo mi ha preso, per una poco di buono per caso? Sono stata violentata, maledizione, ed ero già incinta prima che questo accadesse!

Urlò a quel punto Johanna, rialzandosi in piedi di scatto per battere un violento pugno sulla scrivania prima di ritrarre velocemente la mano, imprecando dal dolore.

- Cerchi di calmarsi, signora McCormick. Mi dispiace molto per quello che le è successo, ma le ripeto che in questi casi può succedere che…

- Non mi interessano le sue stupide spiegazioni scientifiche – sibilò, fulminandola con lo sguardo – voglio solo sapere se ci sono speranze che mio figlio riesca a sopravvivere. Avanti, me lo dica!

Fu allora che la mano di Christian si posò con risolutezza sul suo braccio, invitandola a tornare a sedersi e a mantenere la calma. Era stanca e stravolta, sapeva che tutta quella agitazione avrebbe solo potuto peggiorare le condizioni in cui si trovava, rendendo ancora più difficile il suo completo recupero.

La dottoressa si ravviò nervosamente i capelli, abbassando lo sguardo per un breve istante.

- Ebbene, desidero essere completamente sincera con voi. È giusto che sappiate che ci sono scarsissime possibilità che il bambino possa sopravvivere date le gravi condizioni in cui si trova, e anche se dovesse riuscirci subirebbe inevitavilmente dei seri danni permanenti a cui credo proprio che dobbiate essere preparati.

Disse lenta e staccata, scandendo bene le parole per essere sicura che i suoi interlocutori recepissero il messaggio il più chiaramente possibile. Quella parte del suo lavoro non era mai stata semplice, ed essere costretti a dare certe notizie ai familiari era così straziante che quasi avrebbe voluto sporgersi per abbracciare e consolare la donna che le stava davanti e che ora aveva preso a singhiozzare sommessamente, nascondendo il volto tra le mani tremanti. Christian sospirò con forza, serrando le mascelle per costringersi a non perdere il controllo e stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.

- La trasfusione…potrebbe aiutare? Voglio dire, se fossimo sicuri che servisse a qualcosa…

Si interruppe bruscamente, incapace di continuare a parlare quando la vide scuotere tristemente la testa.

- Non c’è alcuna sicurezza in questo, signor Roquier. E comunque, vista l’età del piccolo sarebbe consigliabile coinvolgere un parente stretto. Il padre biologico, per l’appunto.

Rispose e a quelle ultime parole Johanna prese a singhiozzare più forte, affrettandosi a lasciare la stanza seguita subito a ruota da Christian, che provò goffamente e più volte a scusare il comportamento della compagna, ormai totalmente fuori controllo. La raggiunse nel corridoio, cercando a lungo di attirare la sua attenzione ma quando le sfiorò la mano lei si ritrasse bruscamente, lanciandogli un’occhiataccia che servì a spiazzarlo ancora una volta mentre le tornava vicino, deciso più che mai a tenerle testa. Anche lui aveva una voglia pazza di crollare, urlare e scaricare tutto il dolore e la frustrazione che provava, ma che razza di aiuto avrebbe potuto darle se si fosse lasciato andare?

- Cerchiamo di non perdere la testa, ok?

Disse e la giovane donna esplose in una risata amara, tormentandosi nervosamente la pelle fino a conficcarsi le unghie nella carne, scavando poi con forza quasi come a strapparsela di dosso. Christian la fermò immediatamente, coprendole le mani con le proprie e incrociando i suoi occhi assenti e inquieti mentre l’attirava a sé, avvolgendola in un caldo abbraccio dal quale lei però si sciolse con decisione, finendo per sfuggirgli di nuovo.

- Ti prego, non  fare così.

- Quale sarebbe la tua brillante soluzione, sentiamo! Vuoi correre a Houston per raggiungere quel bastardo e chiedergli di donare il sangue a suo…

Non riuscì a continuare la frase perché un improvviso nodo in gola glielo impedì, non avrebbe mai potuto costringersi a dirlo. Suo figlio. Suo figlio. Sentire il peso di quell’assurda, terribile verità era troppo per lei. Decisamente troppo. Doveva per forza trattarsi solo di un terribile incubo. Un terribile, crudele incubo senza alcun senso, che sperò potesse finire al più presto.

- Se fossi davvero sicuro che servirebbe a salvargli la vita non esiterei a farlo, credimi. Sarei pronto a fare qualunque cosa per lui.

Ammise l’uomo, mordendosi le labbra per resistere all’impulso di scoppiare a piangere.

- E perché dovresti? Hai sentito, no? Non è nemmeno tuo figlio!

- Ora sei ingiusta, certo che lo è! Lo è sempre stato, fin dal primo momento in cui l’ho preso in braccio! O credi forse che quello che abbiamo scoperto possa servire a cambiare ciò che sento per lui? Dannazione Johanna, di cosa stiamo parlando qui? Non mi importa di…

- Bè, dovrebbe importarti invece, perché qualunque cosa tu faccia non potrai mai salvarlo ormai! Nessuno può farlo. E forse è meglio così.

Lo incalzò, pentendosi immediatamente di quelle ultime parole che accecata dalla rabbia e dalla frustrazione non aveva potuto fare a meno di pronunciare, ma che adesso avrebbe desiderato poter cancellare per sempre…

- Io…credo che fingerò di non aver sentito. So che non pensi davvero quello che hai detto.

Disse Christian dopo un lungo momento di silenzio, seguendola con lo sguardo mentre si accasciava su una delle sedie, prendendosi la testa fra le mani con aria tristemente affranta. Mosse appena qualche passo, chinandosi lentamente su di lei con il cuore gonfio di dolore. Non aveva idea di quello che le stesse passando per la testa, ma con un piccolo sforzo avrebbe forse potuto provare a immaginarlo.

- Dovresti smetterla di giustificarmi sempre, qualunque cosa io faccia o dica, e cominciare finalmente a puntare il dito.

La sentì dire all’improvviso, fissandola senza capire.

- Di cosa stai parlando, si può sapere?

Chiese, cauto, e la sconvolgente risposta non tardò ad arrivare.

- Lo so bene che muori dalla voglia di prendertela con me, perciò avanti, fai pure, abbi il coraggio di gridarmi in faccia che tutto questo è soltanto colpa mia. Magari ti sentirai meglio e la smetterai finalmente di guardarmi come se fossi una povera pazza da proteggere e consolare.

- Perché parli così, Johanna? Sappiamo entrambi che tutto ciò che è successo non è affatto colpa tua, perciò smettila di ripeterlo. Come…come potrebbe mai esserlo, se in questa storia tu sei stata solo una vittima? Non potrei mai prendermela con te, non lo farei per nulla al mondo.

Rispose, la voce ridotta a un flebile sussurro e si sforzò di nuovo di ricacciare indietro le lacrime che premevano per uscire. Cercò di sfiorarle il viso ma lei si ritrasse bruscamente, voltando la testa dall’altra parte affinchè lui non vedesse che era di nuovo sul punto di piangere.

- Avrei dovuto lottare, impegnarmi di più per liberarmi da quella terribile prigionia. Avrei dovuto…impedirgli anche solo di sfiorarmi, e le cose sarebbero completamente diverse ora. Mi dispiace Christian, mi dispiace così tanto.

Continuò ma lui scosse la testa un paio di volte, come a voler cancellare quelle parole.

- No, non chiedermi scusa per qualcosa che non avresti mai potuto fare da sola. Eri troppo debole per trovare la forza di ribellarti, e…

- Avrei tanto voluto che fosse tuo figlio.

Lo interruppe cercando i suoi occhi e in quel momento avrebbe desiderato perdersi tra le sue braccia, ma qualcosa glielo impedì, così rimase perfettamente immobile ad aspettare che lui si arrendesse. Che smettesse di provare a sfiorarla continuamente, facendola sussultare. Non voleva essere mai più toccata, né da lui né da nessun altro. L’improvviso, insistente suono del telefono la distolse d’un tratto dai suoi pensieri, costringendola a tornare alla realtà mentre Christian recuperava in fretta il cellulare dalla tasca, rialzandosi in piedi e parlando sommessamente al ricevitore per un tempo che le parve interminabile prima di chiudere la comunicazione e tornare da lei.

- Era di nuovo Nicolas – la informò – lui ed Hèléne vorrebbero raggiungerci, vedere il bambino. Vorrei tanto poterlo fare anch’io. E, tanto perché tu lo sappia, Shane è mio figlio e lo sarà sempre, non avere mai alcun dubbio su questo e non ti azzardare a pensare che potrei avercela con te per qualche motivo, intesi?

La vide annuire e provò di nuovo a prenderla per mano, ma con scarsi risultati.

- Johanna, tesoro, guardami. Andiamo da lui. Possiamo solo attendere che qualcuno si decida a farci finalmente entrare, ma se ci avviciniamo di più forse lui sentirà che ci siamo e non avrà più paura.

- No, io non credo di potercela fare, ho bisogno di prendere un po’ d’aria.

Fu tutto quello che ottenne in risposta, e proprio quando la donna stava per allontanarsi la minuscola porta di fronte a loro si spalancò d’un tratto, rivelando la figura della dottoressa che in tutta fretta e senza dire una parola imboccò velocemente il corridoio. Il suo cercapersone continuava a suonare insistentemente e quel fastidioso cicaleccio li mise in allarme mentre osservavano ogni suo movimento, avvicinandosi a lei in cerca di spiegazioni, soprattutto quando la videro sparire all’interno della stanza dove anche Christian avrebbe tanto voluto trovarsi.

- Che cosa sta succedendo? La prego, ce lo dica!

- Restate fuori dalla camera per favore, si tratta di un’emergenza. Il bambino è in arresto cardiaco, devo intervenire immediatamente!

Christian guardò ancora una volta quella porta chiusa, senza tuttavia decidersi a entrare. A cosa sarebbe servito, in fondo? Era uno dei suoi particolari momenti, non sarebbe riuscito a smuoverla e lo sapeva bene. L’unica cosa da fare era lasciarla tranquilla ancora per un po’. Sospirò con forza, scuotendo lentamente la testa mentre si preparava a raggiungere il piano di sotto. Gli avvenimenti degli ultimi giorni lo avevano profondamente scosso, destabilizzandolo completamente. Era sicuro che anche Johanna provasse i suoi stessi sentimenti, anche se continuava a rifiutarsi di darlo a vedere. Aveva quasi strappato Hope dalle braccia di Hèléne per stringersela  al petto e rifugiarsi nella sua camera, senza dire una parola. Non lo aveva più fatto da  quando era successo, non riusciva nemmeno a piangere. Lui, invece…bè, lui non era riuscito a far altro per tutto il tempo, ma aveva dovuto occuparsi ugualmente di tutto. L’aveva pregata, scongiurata di presenziare ai funerali del bambino, ma tutto ciò che aveva ottenuto in risposta era stato uno sguardo assente e addolorato che in un attimo aveva spezzato ciò che restava del suo cuore calpestato, spingendolo così a desistere. Era sicuro che Shane avrebbe desiderato avere la sua mamma vicino mentre quella che era stata la sua famiglia si preparava a salutarlo per sempre, ma la donna era stata irremovibile. Stava succedendo di nuovo. Si era chiusa in un’ostinato, doloroso silenzio che a nessuno, tantomeno a lui avrebbe permesso di scalfire così facilmente. Doveva lottare per lei e per ciò che era rimasto di loro, ma si accorse di non averne più la forza. L’insopportabile sofferenza che gli attanagliava l’anima faceva di tutto per impedirgli di essere lucido e di nuovo, in quel triste e indimenticabile giorno, sentì che le lacrime prendevano il sopravvento...  

- Tutto bene, Hèléne? Sei così silenziosa.

Le sussurrò Nicolas, muovendosi lentamente sotto le lenzuola fino a stringerla di più mentre lei si accoccolava sul suo petto, sospirando con aria sconsolata.

- Non riesco a smettere di pensare a Shane e a come la vita ce lo abbia portato via troppo presto e così crudelmente, era ancora tanto piccolo. Mi ero affezionata a lui, lo avevamo fatto tutti quanti e il solo pensiero che non sia più tra noi mi fa molto male. Inoltre sono preoccupata per Johanna, non esce mai dalla sua stanza se non per preparare da mangiare a Hope, e ogni volta che lo fa sembra sempre così assente, come se si trovasse in un’altra dimensione.

Rispose voltandosi a guardarlo e l’uomo annuì tristemente, accarezzandole il viso con movimenti gentili.

- Ha appena perso un figlio, penso sia normale che si comporti così.

Considerò.

- Invece no, non mi sembra affatto normale e non è proprio da lei reagire in questo modo. So che in quest’ultimo periodo ha sofferto terribilmente per tutto quello che le è accaduto, ma è proprio per questo che dovrebbe urlare, provare a parlarne per sfogarsi in qualche modo o magari piangere, invece nulla. Sembra quasi che non le importi nemmeno. Si è chiusa di nuovo in se stessa e non si accorge di ciò che le succede intorno. Non presta neppure attenzione a Christian, ad esempio. Hai notato, no? Esce tutte le mattine all’alba, senza alcuna spiegazione e a fare il diavolo sa cosa, e questo non è affatto normale. Perché almeno tu non provi a parlargli? In fondo anche lui ha perso un figlio, anche lui avrebbe bisogno di un po’ di considerazione da parte nostra.

Concluse in un soffio e Nicolas riprese ad annuire, serio.

- Credi forse che non ci abbia provato? – replicò – ma è inutile, neanche lui ha voglia di parlare. Penso proprio che la cosa migliore sia quella di lasciarli tranquilli entrambi, almeno per un po’. Non è certo un bel momento e ognuno reagisce a suo modo.

Hèléne fece spallucce, sciogliendosi dolcemente dal suo abbraccio per rialzarsi in piedi e prepararsi a fare una doccia.

- Magari hai ragione, ma conosco Johanna da una vita e sono convinta che tenersi tutto dentro non le gioverà affatto. Beh, sarà meglio scendere a fare colazione, si è fatto tardi. Faremo come al solito, va bene? Prima andrò io e tu mi raggiungerai dopo, così non desteremo…

- Non desteremo sospetti, giusto? – completò la frase per lei, senza tuttavia riuscire a evitare un tono sarcastico. Tutti quegli stupidi sotterfugi che la donna continuava a usare per tenere segreta la loro relazione cominciavano seriamente a fargli saltare i nervi – Ancora con questa storia? Mi fai sentire come se amarti fosse un errore. Dimmi cosa c’è di male a voler gridare al mondo intero che sono innamorato di te e che è con te che voglio vivere il resto della mia vita!

- Smettila di alzare la voce, di là potrebbero sentirti.

- Sai quanto me ne importa! Anzi, che ci sentano pure, così finalmente chiuderemo questa storia ridicola una volta per tutte!

Hèléne si passò le mani tra i capelli, frustrata già di prima mattina. Possibile che si rifiutasse ancora di comprendere le sue ragioni?

- Non ti rendi conto che sarebbe il momento peggiore per uscire allo scoperto? Siamo a lutto, santo cielo! Come fai a non capire?

- In realtà ho capito benissimo e molto più di quanto tu non creda. Ho capito che non hai alcuna intenzione di impegnarti e che per te sono soltanto un ripiego, un passatempo senza importanza che deve rimanere ben nascosto per non macchiare l’immagine da donna perfetta e rispettosa che ti sei cucita addosso, e che nessuno deve permettersi di mettere in dubbio! Ma sai che ti dico? Mi sono stancato di tutto questo, per me possiamo anche chiuderla qui.

Esclamò rabbioso, rivestendosi in fretta mentre la giovane donna tentava disperatamente di incrociare il suo sguardo, ora ferito e sprezzante come forse non era mai stato.

- Si può sapere che ti prende, adesso? Non dire così, tu non puoi…

- È finita, Hèléne! Completamente finita!

Ribadì con convinzione prima di lasciare la stanza, evitando accuratamente di voltarsi indietro mentre si richiudeva violentemente la porta alle spalle, procurando così un sordo tonfo che la fece sussultare e singhiozzare insieme, d’un tratto completamente impotente di fronte a quella dura presa di posizione a cui, tuttavia, non si sarebbe mai aspettata di assistere…

Christian bussò un paio di volte, senza ottenere risposta. Provò allora a girare la maniglia della porta, che morbida e senza intoppi gli permise di entrare. Se non altro non si era chiusa a chiave, e per questo si ritrovò a sospirare di sollievo. La sorprese in piedi vicino alla finestra intenta a cullare dolcemente la piccola Hope, beatamente abbandonata tra le sue braccia a godersi il conforto di cui aveva tanto bisogno per smettere finalmente di piangere. Da qualche giorno aveva ripreso a dimenarsi insistentemente nella culla, nervosa e irrequieta come la prima volta che l’avevano portata a casa. Sembrava quasi che anche lei soffrisse terribilmente la mancanza del fratellino, pur essendo ancora molto piccola e incapace di comprendere appieno cosa le stesse accadendo intorno. Il pensiero di Shane gli provocò una violenta stretta al cuore, talmente intensa che si accorse di fare veramente fatica a dominarsi quando si avvicinò lentamente a lei, che accortasi della sua presenza si affrettò a deporre  delicatamente la bambina nella culla per andare a sedersi sul letto, le gambe incrociate, lo sguardo perso nel vuoto.

- Johanna, per favore, non continuare a respingermi in questo modo perché non è certo così che le cose miglioreranno. Non fa bene a te e non fa bene neppure a me. So esattamente quello che provi, perché è quello che provo anch’io e per questo ti chiedo di smettere di tenermi a distanza e sforzarti di elaborare ciò che è successo. L’unica cosa che desidero è starti vicino e aiutarti ad affrontare questo terribile dolore, perciò ti prego di permettermi di aiutarti. Non chiedo altro, solo questo.

Disse piano e fu allora che per la prima volta la donna sollevò lo sguardo vitreo verso di lui, stringendosi nelle spalle.

- Vuoi aiutarmi a stare meglio? – disse dopo un interminabile momento di silenzio, durante il quale Christian pensò che non avrebbe mai ottenuto risposta – Procurami una dose, allora.

- Cosa? No, non chiedermi questo, non parlare così.

- E perché non dovrei? Sei un ex tossico, giusto? Per te non dovrebbe essere tanto difficile rivolgerti alle persone giuste. Procurami una dose, altrimenti mi costringerai a farlo da sola. È questo che vuoi, vedermi vagare in piena notte nei peggiori sobborghi di Parigi in mezzo a gente poco raccomandabile?

La fissò, incredulo. La durezza di quelle parole lo sconvolse a tal punto da fargli quasi perdere l’equilibrio, ma con la forza della disperazione si costrinse a restare in piedi e avvicinarsi di più mentre la vedeva rannicchiarsi di più su se stessa, quasi stesse cercando di proteggersi da lui.

- Capisco cosa stai provando, ma non è questa la soluzione giusta. L’ho imparato a mie spese.

Cercò di sfiorarla ma lei si ritrasse immediatamente, raggelandolo con un’occhiata.

- Non provare a toccarmi – sibilò a denti stretti – nessuno deve toccarmi, nessuno deve toccarmi mai più. Cosa ne sai tu di quello che provo io, eh? Credi forse di conoscermi così bene, credi forse di sapere tutto di me? No, tu non sai proprio niente, e vuoi sapere perché? Perché sei un debole. Un perdente, un’inutile perdente che mi dà solo il voltastomaco! Maledetto buono a nulla, se non sei neppure capace di fare quello che ti ho chiesto non mi servi proprio a niente, e adesso vattene e lasciami in pace. Lasciami sola!

Urlò con rabbia quelle ultime parole e ben presto il pianto insistente di Hope riempì la stanza, costringendo Christian ad avvicinarsi alla culla per prenderla in braccio e provare così a calmarla.

- Ti pregherei di smettere di alzare la voce.

Disse cauto.

- Sono giorni che mi preghi di parlare, e adesso che mi sono decisa a farlo non ti va più bene?

- Non a queste condizioni, e non se ti diverti a fare un tale fracasso da spaventare la bambina solo per il gusto di provocarmi. Ti ricordo che non sei la sola ad aver perso un figlio.

- Ed io ti ricordo ancora una volta che non era tuo figlio, perciò smettila di continuare a ripeterlo!

Gridò di nuovo e l’uomo sentì la piccola sussultare nuovamente tra le sue braccia prima di scoppiare in un pianto disperato che decise a quel punto di consolare lontano da quella stanza. Lontano dalla donna che amava, ma che adesso stentava quasi a riconoscere e che sapeva soffrire più di quanto desse a vedere, rendendolo sempre più impotente di fronte a quella dura realtà da cui lui stesso avrebbe voluto fuggire per sempre…

- Buongiorno amore.

Lo salutò Benedicte mentre ancora insonnolita faceva il suo primo ingresso in cucina, ma il marito la zittì con un’eloquente gesto della mano che la lasciò a dir poco spiazzata, costringendola ad avvicinarsi a lui che intanto, col viso schiacciato contro i vetri della finestra, pareva enormemente interessato a qualunque cosa stesse accadendo al di là del giardino. E in effetti per la donna non fu poi così difficile individuare il motivo di tanta improvvisa curiosità. Già, Hèléne e Nicolas, avrebbe dovuto immaginarlo fin dall’inizio. Josè si divertiva a spiarli ormai da giorni, senza però riuscire a cavare un ragno dal buco. E comunque, il fatto che stessero discutendo più che animatamente non dava certo il diritto a quel sadico impiccione di pensare che…beh, magari non aveva tutti i torti. Ma non erano certamente affari loro, punto e basta.

- Accidenti a te e al tuo pessimo tempismo, Benedicte! Mi hai distratto, ora non riuscirò più a capire una parola di quello che si stanno dicendo.

La apostrofò lui, lanciandole un’occhiataccia risentita che la fece ridacchiare divertita.

- Non credo che ci saresti riuscito comunque, sai? Sono decisamente troppo lontani.

- Pensi forse che sia uno stupido dilettante? L’arte dello spionaggio mi appartiene, mia cara. Ho i miei metodi, io!

-  Ah, sì? E quali sarebbero?

Chiese Benedicte, sollevando le sopracciglia con aria scettica.

- Leggo i movimenti delle labbra. Solo che adesso, grazie a te, ho perso completamente la concentrazione! Ecco, visto? Non c’è più niente da vedere, Nicolas ha appena preso la macchina ed è partito a gran velocità. Hèléne sta rientrando, e non ha certo una bella cera.

Disse, sbuffando seccato.

- Sono sicuro che ci sia sotto qualcosa di grosso.

Aggiunse poi con convinzione e la moglie alzò gli occhi al cielo, invitandolo con scarsi risultati ad allontanarsi dalla finestra.

- Se lo dici tu.

- Non mi credi, vero? Ti dimostrerò che ti sbagli, donna di poca fede! Ehi, giovanotto – esclamò poi rivolto al piccolo Joel, che lo fissava intanto a bocca aperta – guarda un po’ chi sta arrivando, quell’idiota di papà!

E lo indicò col viso, osservandolo sprezzante attraversare lentamente il giardino insieme a Leah. Il viso di Benedicte si illuminò all’istante.

- Oh, già qui? Sono in anticipo!

E fece per raggiungerli ma le parole di suo figlio la raggelarono all’istante, lasciandola a bocca aperta mentre lo vedeva battere le manine e gridare eccitato: - evviva, quell’idiota di papà!

- Josè! Quante volte dovrò ancora ripeterti che devi smetterla di parlare in questo modo davanti al bambino. Prega piuttosto che Jimmy non si accorga che gli insegni le parolacce, altrimenti saranno guai!

- Ma insomma, non è certo una parolaccia. È la pura verità, mi sembra giusto che Joel apprenda al più presto che quel manichino impomatato…

- Quell’idiota di papà! Quell’idiota di papà!

La voce squillante del piccolo che si affrettava a correre tra le braccia del genitore lo costrinse a interrompersi bruscamente, cominciando già a temere il peggio. Accidenti.

- Josè! – tuonò infatti la voce di Jimmy – Io prima o poi ti faccio a pezzi!

Ehm…giusto. Meglio filarsela. Ma, non appena imboccato il lungo corridoio sussultò nel trovarsi di fronte Christian, che con Hope profondamente addormentata tra le sue braccia incrociò per un attimo il suo sguardo prima di abbassare gli occhi, affranto. Josè si ricompose quasi subito, chiedendosi con rammarico se fosse davvero il caso di lasciarsi andare a certi momenti di fresca ilarità, considerando la terribile tragedia che aveva così profondamente colpito uno dei suoi migliori amici, spezzandogli letteralmente il cuore.

- Io vado al lavoro. Credo che sia la cosa migliore, almeno riuscirò a distrarmi un po’.

Gli sentì dire, annuendo lentamente nella sua direzione.

- Porti con te la bambina?

Gli chiese e l’altro scosse la testa, incrociando il suo sguardo attento.

- No, preferisco lasciarla a casa. Almeno, finchè è nei paraggi, a Johanna non verrà la tentazione di uscire per cacciarsi in qualche guaio. Non aspettatemi per cena. Ho qualcosa da fare. 

Rispose asciutto, allontanandosi a grandi passi e sparendo ben presto dal suo campo visivo. Sì, quella che aveva in mente poteva sembrare una mossa un po’ azzardata, ma sarebbe sicuramente riuscita a smuoverla in qualche modo dal suo torpore. O, almeno, lo sperava…

 Quella notte chiuse la porta a chiave, lanciandole uno sguardo severo che la fece trasalire mentre si affrettava a mettere quanta più distanza possibile tra loro. Non gli aveva più permesso di sfiorarla neppure con un dito da quando era successo, non lo aveva più permesso a nessuno e il solo pensiero di trovarsi a dividere con lui la stessa camera, anche solo per poco tempo la faceva sentire terribilmente inquieta. Sapeva che Christian non le avrebbe mai fatto del male, o almeno lo sapeva la sua parte razionale. Quella che adesso, nonostante tutto, non poteva fare a meno di mettere a tacere. Perché era meglio così, e perché cominciare finalmente a ragionare avrebbe significato prendere coscienza di tutto e sforzarsi di comprendere, di razionalizzare,  con tutto quel che ne sarebbe conseguito. No, non era ancora pronta per questo. E  forse non lo sarebbe mai stata.

- Perché hai chiuso a chiave, si può sapere?

Gli chiese, accorgendosi a malapena che la sua voce aveva iniziato a tremare. L’uomo la fissò per un lungo momento prima di decidersi a rispondere, lanciando ai suoi piedi una piccola busta trasparente dal contenuto inequivocabile.

- Non voglio che nessuno veda quello che stiamo per fare.

Rispose senza scomporsi e Johanna sgranò gli occhi, incredula, sfiorando appena l’involucro di plastica che ora le stava proprio di fronte.

- Che cosa…

- Non lo vedi forse da sola? Smettila di guardarmi a quel modo, ho fatto solo ciò che mi hai chiesto. Volevi che ti rimediassi una dose? Bene, eccola qui. Contenta, adesso?

- Come ti sei procurato questa roba?

Christian sospirò, serrando forte le mascelle per evitare che la compagna si accorgesse che stava davvero facendo di tutto per mantenere il controllo di quella grottesca, seppur assurda situazione.

- Ha importanza?

- Certo che ne ha!

Lo vide scuotere la testa, riuscendo a mostrare una sfrontatezza che di certo in quel momento era ben lontano dal provare.

- No, perché il punto ora è un altro. Che ti succede, hai forse paura anche solo di toccarla? Coraggio, prendila e sarà tua. Ma a una condizione.

Johanna allungò la mano verso la minuscola busta che sembrava attendere solo lei, rigirandosela a lungo tra le dita mentre sentiva il suo impellente, familiare bisogno crescere sempre più dentro di lei, gonfiandosi a dismisura fin quasi a provocarle un dolore fisico. Un dolore che non sarebbe riuscita a reggere ancora a lungo.

- Quale?

Mormorò con un filo di voce, sapendo bene di essere perduta. Christian mosse qualche passo verso di lei, cercando comunque di tenersi a debita distanza.  

- È molto semplice. Lo faremo insieme.

Disse, cogliendola totalmente alla sprovvista.

- Insieme?

Deglutì nervosamente, confusa. Lui annuì.

- Sì, o la prendiamo insieme o non se ne fa nulla. Allora, sei d’accordo?

Johanna non rispose, ma non potè fare a meno di fissarlo con una strana espressione dipinta sul viso. La sicurezza di quella voce stentorea la stava decisamente mettendo a disagio. Non capiva, tutto questo era troppo per lei. Si sentì d’un tratto strappare l’involucro dalle mani, incapace di opporre resistenza. Non riusciva a pensare ad altro se non al suo impellente bisogno, a ciò che in quel momento si scoprì a desiderare ardentemente e con ogni minuscola fibra del proprio essere. Fino a morirne. Niente, a quel punto, avrebbe fatto differenza per lei.

- Lo prenderò per un sì.

Considerò l’uomo. Poi, senza fare una piega si rannicchiò in un angolo della stanza, strappando la busta con evidente impazienza e iniziando accuratamente a preparare il tutto. Le sue mani si muovevano veloci mentre riempiva in parti uguali due siringhe, e Johanna notò che nonostante gli anni trascorsi non pareva aver perso l’abitudine a certe cose.

- Tu non…non puoi farlo. Ricadresti immediatamente nel tunnel della dipendenza.

Pronunciò quelle parole prima ancora di rendersene conto, avanzando pian piano verso di lui e cercando il suo sguardo, ora sfuggente.

- Lo so.

- La cosa non sembra importarti.

- Te l’ho detto, o lo facciamo insieme oppure non se ne farà nulla.

Le sue mani continuarono a maneggiare quella roba con maestria e decisione, finendo per metterle i brividi.

- Se saremo entrambi storditi, chi si occuperà di Hope a quel punto?

Ci riprovò, sperando così di ottenere la sua attenzione ma lui alzò le spalle con noncuranza, come se non fosse un suo problema. Come se la cosa non lo riguardasse affatto. Maledizione, era anche di sua figlia che si stava parlando, come poteva essere così insensibile a questo?

- Non vedo perché, dal momento che tu non lo fai minimamente, dovrei preoccuparmene io. O credi forse di avere più diritto di me di far uso di questa roba? È questo che vuoi, scaricarmi la bambina mentre tu continui a farti senza problemi?  Pensi di soffrire più di quanto sia in grado di fare io, non è così?

- Adesso basta, tu non farai proprio niente!

Esclamò d’un tratto, cogliendolo di sorpresa e approfittandone per strappargli le siringhe di mano, che si affrettò a gettare subito fuori dalla finestra e prima che lui potesse opporsi in qualche modo. Ammesso che avesse davvero avuto intenzione di  farlo.

 - Non ti permetterò di toccare ancora quello schifo, non ti permetterò di tornare a distruggerti con le tue stesse mani dopo esserne uscito con tanta fatica. Non lo farai Christian, nessuno di noi due lo farà. Sono stata chiara?

Aggiunse, ritrovandosi ad alzare la voce più di quanto intendesse fare mentre stringeva spasmodicamente i pugni con rabbia, improvvisamente tesa e rossa in viso.

- Chiarissima.

Sussurrò l’uomo, senza sforzarsi di nascondere il sorriso che ora gli increspava le labbra. Il suo piano aveva funzionato.

- Si può sapere che diavolo hai da sorridere tanto, adesso?

- Era questo che volevo, provocarti una reazione. Una qualunque reazione. Rabbia, paura, disperazione. Stasera hai provato qualcosa Johanna, e sei finalmente riuscita a esternarlo. È questo ciò che devi fare, parlare di qualunque cosa tu senta. Senza mai nasconderla. Tira fuori tutto il dolore che senti, non soffocarlo dentro di te. Guardami, io sono qui e sono pronto ad ascoltare qualsiasi cosa tu senta il bisogno di esternare, perciò ti prego di farlo. So che stai soffrendo terribilmente e che Shane ti manca esattamente quanto manca a me, ma dillo. Devi dirlo, e il dolore sarà più sopportabile.

Johanna si accorse che stava piangendo solo quando sentì le lacrime scivolarle lentamente sulle guance infuocate, lacerandole il cuore in un tumulto di emozioni tali che per un attimo la fecero sentire sopraffatta. Riuscì tuttavia a ritrovare il controllo di sé quando, ansante e frustrata inveì contro di lui come forse non era mai riuscita a fare finora, investendolo di parole confuse e rabbiose che anziché irritarlo gli fecero tirare un profondo sospiro di sollievo.

- Vuoi dire che era tutta una finzione? Sei un idiota, uno stupido senza cervello, non riesco a credere che tu abbia messo in piedi una cosa del genere al solo scopo di farmi provare qualcosa! Cosa sarebbe successo se non ti avessi fermato, eh? Come potevi sapere se lo avrei fatto davvero?

- Non lo sapevo. Ma contavo sul fatto che, visti i miei precedenti, non me lo avresti lasciato fare. Ci ho sperato con tutto il cuore, ed è successo. Questo dimostra che in fondo ti conosco molto più di quanto tu creda.

Notò uno strano scintillìo nei suoi occhi, la stava forse sfidando? Come aveva potuto arrivare a tanto?

- Hai rischiato grosso, lo sai?

Christian annuì.

- Ne sono consapevole, come so che da questo momento in poi la smetterai finalmente di chiedermi di rimediarti una dose. Ogni volta che sentirai il bisogno di ricorrere a quelle sostanze, pensa che non te lo lascerei mai fare da sola e che così finiresti per avermi sulla coscienza.

La donna si asciugò piano gli occhi bagnati di pianto, imponendosi di smettere di singhiozzare.

- Quindi, tu…lo avresti fatto davvero?

Si ritrovò a domandare, temendo quasi la risposta.

- Hai veramente bisogno di saperlo?

- Sei uno stronzo! Ora vattene da qui, o giuro che ti prendo a calci nel sedere!

Non era esattamente ciò che Christian aveva sperato di ottenere, ma era comunque già qualcosa. Sapeva bene che il cammino sarebbe stato ancora lungo per entrambi, ma quella notte era finalmente riuscito a scalfirla in qualche modo, aprendosi un piccolo varco dentro di lei che prima o poi gli avrebbe permesso di riportarla alla luce…

Johanna era bellissima da osservare con la sua bambina tra le braccia, Hèléne non potè fare a meno di pensarlo ancora una volta mentre le si avvicinava lentamente, prendendo posto sul divano accanto a lei e vedendola sorriderle per la prima volta dopo tanto tempo. Erano trascorsi ormai alcuni mesi dalla terribile tragedia che aveva così profondamente scosso le vite di tutti gli amici, e solo ora la donna sembrava finalmente riprendere il contatto con la realtà che, seppur parziale, l’aveva gradualmente aiutata a ritrovare la forza necessaria per andare avanti. Anche se non era facile. Anche se a volte avrebbe preferito morire piuttosto che affrontare i sentimenti contrastanti che l’affliggevano e che spesso minacciavano di venir fuori tutti insieme, procurandole così un crollo nervoso che solo una lunga e sana dormita avrebbe potuto risolvere. Quella mattina però Johanna sembrava così serena che l’amica trovò quasi naturale confidarsi con lei come già tante volte aveva fatto in passato, raccontandole della sua relazione clandestina con Nicolas e di tutto ciò che era successo dopo e che li aveva inevitabilmente allontanati l’uno dall’altra. Per colpa delle sue convinzioni probabilmente errate, infatti, Nicolas aveva finito per mettere la parola fine al loro rapporto, gettandola così nello sconforto più totale. Ora, l’unica cosa che desiderava era poter rimettere le cose a posto con lui ma non sapeva proprio da che parte cominciare per avvicinarlo, vista l’evidente e più che giustificata ostilità dell’uomo ogni volta che provava a farlo. E poi, inevitabilmente la conversazione era scivolata su Christian e su come tutte le mattine all’alba uscisse di casa per sparire misteriosamente per qualche ora, finendo per incuriosirla non poco.

- Così l’altra volta mi sono decisa a seguirlo, e questo pedinamento mi ha portata dritta al cimitero. L’ho visto posare dei fiori sulla tomba di Shane e poi fermarsi a pregare davanti alla sua fotografia, commuovendosi fino alle lacrime. Ecco quello che fa ogni giorno, e io… ho pensato che dovessi saperlo.

Concluse in un soffio, incrociando il suo sguardo incredulo e addolorato. Non sapeva nulla di questa storia, ma in effetti in tutto quel tempo trascorso non si era minimamente fermata a pensare che anche lui probabilmente stesse soffrendo moltissimo per la perdita che avevano subìto. Si era semplicemente chiusa nel suo dolore, concentrandosi su se stessa e tagliandolo completamente fuori dalla sua vita. Proprio come se fosse un estraneo. Dio, come aveva potuto essere così dannatamente egoista, così cieca da non accorgersi di cosa stesse succedendo proprio a un palmo dal suo naso? Anche lui doveva essere devastato dal dolore, anche lui aveva perso Shane per sempre…come aveva potuto rifiutarsi di comprenderlo?

Johanna esitò a lungo sulla soglia prima di decidersi a entrare, osservandolo rapita  mentre si occupava amorevolmente di Hope, rimboccandole la copertina e posandole un bacio leggero sulla fronte che finì per intenerirla più di quanto si aspettasse, increspando le sue labbra in un tenue sorriso.

- Sei bravo con lei.

Gli sussurrò, e solo allora Christian sollevò lo sguardo verso di lei, restituendole timidamente il sorriso.

- È solo merito suo, è così dolce e meravigliosa da rendermi davvero le cose semplici.

Disse. Poi si sedette sul letto a vegliare sul suo sonno per un po’, abbassando gli occhi quando la giovane americana mosse qualche passo verso di lui, fino a trovarglisi proprio di fronte.

- Perché non mi hai detto che tutti i giorni ti preoccupi di portare dei fiori a Shane, e che ti fermi a pregare sulla sua tomba?

Domandò tutto d’un fiato e lui sollevò le sopracciglia con aria vagamente divertita, facendo un lungo sospiro rassegnato e cercando goffamente di nascondere quanto quelle parole lo avessero colto di sorpresa.

- Accidenti, non si può fare un solo passo fuori da questa casa senza essere spiati da qualcuno, a quanto pare. Si può sapere da chi lo hai saputo?

- Non credo che abbia molta importanza, a questo punto. E comunque non mi hai ancora risposto.

Insistette, seria.

- E va bene. Non te ne ho parlato prima perché non avrei sopportato di sentirti urlarmi  di nuovo in faccia che quel bambino non era mio figlio.

Ammise sbuffando e torcendosi nervosamente le dita finchè Johanna non si chinò improvvisamente su di lui, coprendogli le mani con le proprie in un gesto del tutto inaspettato che lo costrinse a specchiarsi ancora una volta nei suoi spendidi occhi chiari, ora pieni di lacrime.

- Dirti che mi dispiace non servirà a cancellare la tua pena, ne sono consapevole. Volevi che ammettessi che Shane manca anche a me, ed è così. Mi manca infinitamente, e dover continuare a vivere senza più poterlo stringere tra le braccia è così straziante che a volte mi sento mancare il respiro. Non sono certo stata quella che si può definire una buona madre per lui, e non riesco a smettere di sentirmi terribilmente in colpa per questo. Nello stesso istante in cui ho scoperto la verità su di lui, io…l’ho odiato. L’ho odiato per quello che era e per ciò che rappresentava, nient’altro che il frutto degli abusi subìti. Ma era soltanto un bambino, un angioletto così piccolo e innocente che non era assolutamente responsabile di tutto questo, e io mi sono rifiutata persino di accompagnarlo nel suo ultimo viaggio su questa terra, prima di lasciarci per sempre. Non so nemmeno se riuscirà a perdonarmi per non essergli stata vicino quando aveva più bisogno di me, per non avergli detto quanto in realtà lo amassi più della luce del sole, e…

Non riuscì a continuare qualunque cosa stesse per dire perché un improvviso nodo in gola glielo impedì, sfociando ben presto in un pianto dirotto che trovò consolazione solo tra le braccia di Christian, che asciugando piano le sue lacrime la strinse forte a sé come se non volesse più lasciarla.

- Sono sicuro che lui ti ha già perdonata per questo.

Mormorò e le loro mani si cercarono di nuovo, intrecciandosi lentamente tra loro.

- E tu, potrai mai perdonarmi per tutto quello che ti ho fatto passare?

Non ebbe bisogno di risposte poiché lo sguardo limpido e sincero che incontrò aveva già detto tutto, così lo baciò dolcemente, assaporando a lungo le sue labbra morbide mentre di nuovo si perdeva nel calore di quelle braccia che la stringevano, donandole  finalmente la pace di cui aveva tanto bisogno.

- Non dovrai più farlo da solo – gli sussurrò tra un bacio e l’altro, sorridendo tra le lacrime – andremo insieme a portargli dei fiori e a pregare sulla sua tomba tutti i giorni, così lo sentiremo più vicino e sarà come se non se ne fosse mai andato. È così bello e nobile quello che hai fatto per tutto questo tempo, e io sento di amarti ancora di più.

Si sollevò quanto bastava per sedersi sulle sue ginocchia, senza mai smettere di baciarlo finchè non lo sentì sciogliersi lentamente dal suo abbraccio solo per tornare a incrociare il suo sguardo.

- Forse è meglio che vada e ti lasci riposare tranquilla, adesso.

Disse.

- Cosa ti fa pensare che voglia lasciarti andare?

- Ecco, se…continui a baciarmi così non so se sarò in grado di trattenermi ancora a lungo.

- Non farlo, allora.

Lui la fissò, spiazzato.

- Io non voglio fare niente che non desideri anche tu, e…

- Shhh.

Lo zittì posandogli un dito sulle labbra e di nuovo le sfiorò con le proprie, facendolo fremere di desiderio.

- Sei davvero sicura di volerlo?

Chiese cauto e sentì le sue mani risalire dolcemente lungo il suo petto, fermandosi all’altezza del suo cuore che ora batteva all’impazzata e solo per lei.

- Ti amo.

Fu tutto ciò che disse prima che entrambi si perdessero l’uno nell’altra, abbandonandosi alla passione…

Si addormentarono stretti l’uno all’altra su quel letto che per lungo tempo non avevano più condiviso, ma Johanna si risvegliò quasi subito poiché dopo la nascita dei gemelli il suo abituale sonno pesante sembrava essere completamente svanito, lasciando invece il posto a una fastidiosa ansia di cui ormai sentiva sarebbe stato quasi impossibile riuscire a disfarsi. Tuttavia quella sera si scoprì insolitamente serena, forse come non lo era più stata da quando tutta quell’orribile storia aveva avuto inizio. Accarezzò il viso dell’uomo che amava, contemplandolo a lungo come se si trattasse di un’opera di inestimabile valore da cui per nulla al mondo avrebbe mai voluto separarsi, soprattutto ora che, nonostante le sue numerose paure, aveva finalmente trovato il coraggio di riaccoglierlo nella sua vita. Non potè fare a meno di continuare a ripetersi quanto le fosse mancato, e come fosse stata stupida a tenerlo a distanza per tutto quel tempo, quando l’unica cosa che aveva sempre desiderato era averlo vicino. Incondizionatamente. Per sempre. Fu in quel momento che Christian riaprì lentamente gli occhi, incontrando quelli di lei mentre le sue labbra si aprivano in un largo sorriso che in un attimo servì a scaldarle il cuore.

- Stai bene?

Le chiese e lei annuì, restituendogli il sorriso e accoccolandosi di più contro di lui  prima di posargli un bacio leggero sul petto che lo fece rabbrividire di piacere.

- Si sta così bene qui, tra le tue braccia.Vorrei non dovermi alzare mai più.

- E perché dovresti? Dopotutto oggi è domenica.

La donna sospirò, poi tornò a incrociare il suo sguardo mentre un’ombra scura le attraversava d’un tratto il viso, finendo così per distorcere i suoi bei lineamenti.

- Io vorrei…parlarti di una cosa.

Sussurrò esitante e lo vide sbuffare con aria seccata, voltando la testa dal’altra parte.

- Non ti rimedierò un’altra dose, se è questo che vuoi chiedermi. È assolutamente fuori questione e l’ultima volta ho quasi rischiato la pelle per trovarla, perciò toglitelo immediatamente dalla…

- Ma no, smettila, non è di questo che si tratta. Stai tranquillo, credo di aver imparato la lezione, stavolta. E poi, non credo di sentirne più il bisogno. Non come prima,  almeno. È solo… più sopportabile, tutto qui.

Lo interruppe, tranquillizzandolo.

- Sì, conosco la sensazione, e ti prometto che da adesso in poi sarà più facile. Presto la voglia svanirà completamente e ti sentirai come se, dopo tanto tempo, ricominciassi di nuovo a respirare. Ma, se non si tratta di questo, di cosa volevi parlarmi allora?

Ecco, questa era sicuramente la parte più difficile.

- Del mio lavoro a Houston, e del fatto che prima o poi dovrò…dovrò tornarci. Almeno per un pò, e per vedere se… tutto procede come dovrebbe.

La sua voce si stava via via incrinando e Christian la abbracciò più forte, cercando di trasmetterle tutto il coraggio di cui aveva bisogno per poter riprendere in mano la sua vita. Comunque stessero le cose, però, quello rappresentava pur sempre un buon inizio per lei, che dopo tanto tempo trovava finalmente il coraggio di parlarne di nuovo.

- Sei davvero convinta che sia il momento giusto? – domandò tuttavia, per esserne assolutamente sicuro -  Voglio dire, magari hai ancora bisogno di un po’ di tempo, in fondo non c’è alcuna fretta. Senza contare che, prima o poi, dovrai necessariamente decidere cosa fare a proposito della…casa.

A quelle parole la sentì irrigidirsi di colpo e sgusciare via dalle sue braccia per sedersi sul bordo del letto, coprendosi con il lenzuolo e dandogli le spalle.

- Johanna, io…mi dispiace tesoro, non era mia intenzione turbarti in alcun modo. So che per te è difficile affrontare questo argomento, e ti prego di perdonarmi se sono stato troppo precipitoso o…

- Non voglio vederla mai più – lo incalzò con rabbia, facendolo trasalire mentre si sollevava per andarle vicino – la sola idea di rimetterci piede mi fa accapponare la pelle. Non voglio tornare in quella casa, né adesso, né mai.

Notò con rammarico che le sue dita avevano iniziato nervosamente a pizzicarsi la pelle, graffiandola con rabbia e nei punti più sensibili come una specie di doloroso riflesso condizionato, finendo inevitabilmente per lacerarla e spaventandolo così non poco.

- Johanna, ti prego, fermati o finirai per farti male.

Preoccupato cercò a lungo di attirare la sua attenzione, ma quando provò a sfiorarla il suo atteggiamento, inequivocabilmente  aggressivo lo spinse a desistere, costringendolo a fare un passo indietro. Era bastato nominare ciò che con molta probabilità non avrebbe mai voluto sentire per ridurla in quello stato. D’un tratto era tornata a essere la donna scontrosa e singhiozzante con cui fino a quel momento si era sforzato di avere a che fare, un cucciolo ferito e pieno di paura che prova nuovamente a fuggire, nascondersi dal resto del mondo. Un mondo che le aveva portato via tutto, lasciandole dentro un vuoto incolmabile dal quale nemmeno il suo amore avrebbe forse mai potuto tirarla fuori. Ma non si sarebbe arreso con lei, non senza prima aver lottato con tutte le sue forze.

- Johanna…

Provò di nuovo ad attirare la sua attenzione, ottenendo in risposta solo un’occhiataccia che servì a raggelarlo all’istante.

- Non toccarmi! Non voglio che mi tocchi, non voglio sapere più nulla di quell’orrore. Non voglio vederla mai più.

Continuò a farfugliare frasi sconnesse finchè le mani dell’uomo non coprirono con decisione le sue, mettendo così fine a quell’insopportabile tormento.

- Mi dispiace – disse a quel punto, tornando lentamente in sé – scusami. Non andartene, per favore.

Christian scosse la testa, asciugando le sue lacrime.

- Non preoccuparti, non vado da nessuna parte.

Le sussurrò stringendola in un tenero abbraccio dentro al quale lei trovò rifugio, sforzandosi di riprendere il controllo di se stessa.

- Dispiace tanto a me di averne parlato, piuttosto, e ti prometto che non lo farò più se non sarai tu a desiderarlo. Quando partiremo per Houston non dovrai preoccupartene nemmeno, penserò io a tutto.

- Cos’hai intenzione di fare?

- Proverò a venderla, così non sarai più costretta a tornarci.

- Ma è casa mia, dovrei occuparmene io!

Il suo umore mutevole non faceva che spiazzarlo di continuo, lasciandolo incapace di replicare. Per fortuna però non ce ne fu bisogno, perché l’improvviso pianto di Hope parve ridestare entrambi da quei dolorosi pensieri e Christian si affrettò a chinarsi sulla sua piccola culla per prenderla in braccio e tornare vicino alla giovane donna, che sorrise intenerita.

- Eccola qui la nostra deliziosa principessa! Ha mangiato appena un’ora fa e a quanto sembra non ha bisogno di essere cambiata, ragion per cui immagino abbia solo voglia di attirare l’attenzione. Un po’ come tutte le donne, no?

- Ma guarda un po’ che razza di maleducato! Non farci caso amore mio e vieni dalla tua mamma, papà è proprio un cafone!

Se la strinse al petto, cullandola dolcemente e ben presto ogni ombra si dissipò dal suo viso, lasciandole dentro una meravigliosa sensazione di pace e gioia. Quel tenero fagottino rosa aveva la straordinaria capacità di farle tornare sempre il sorriso, permettendole in poco tempo di dimenticare tutte le pene che affliggevano il suo cuore e che sparivano in una nuvola di fumo ogni volta che baciava le sue guance paffute, perdendosi nei suoi occhietti attenti e vispi e inebriandosi del profumo della sua pelle di pesca. Ora, mancava soltanto una cosa per sentirsi davvero completa.

- Portami da Shane, Christian. Voglio visitare il luogo in cui è sepolto, e voglio farlo adesso.  

Disse d’un tratto, vedendolo annuire con un sorriso…

- Sicura di volerlo fare?

Le chiese ancora una volta e lei annuì con decisione, evitando il suo sguardo mentre si preparava a girare la chiave nella serratura. All’ultimo momento aveva insistito per andare con lui. Sì, magari era giusto così, e anche se durante il lungo viaggio in aereo Christian aveva continuato a ripeterle che avrebbe preferito occuparsi lui stesso di tutto la giovane americana era stata irremovibile, e si era visto costretto a cedere alle sue richieste. Già, e come avrebbe potuto fare altrimenti? In fondo aveva ragione, si trattava della sua casa e nessuno meglio di lei avrebbe potuto deciderne le sorti. Si richiusero rumorosamente la porta alle spalle e i passi lenti e pesanti di Nicolas riecheggiarono a lungo per la piccola sala da pranzo. Si guardò intorno con aria seria e taciturna, sospirando profondamente un paio di volte prima di sparire nella stanza accanto, lasciandoli soli. Alla fine l’amico aveva deciso di seguirli, partendo insieme a loro per “cambiare aria” come non aveva fatto che sostenere per tutto il tempo,  provando così goffamente di nascondere quanto invece stesse cercando di sfuggire a Hèléne che, dal canto suo, non sapeva più cosa fare per provare ad avvicinarlo di nuovo da quando lui aveva deciso di mettere fine alla loro relazione. La situazione era molto più complicata di così e Christian e Johanna lo sapevano bene, per questo non avevano fatto obiezioni quando aveva insistito per unirsi a loro. Se non altro li avrebbe aiutati a sistemare le cose. Qualunque cosa fosse rimasta da sistemare in quella casa buia e dall’odore stantìo che i due uomini si erano preoccupati di ripulire velocemente da ogni traccia di Justin ormai mesi prima, mentre Johanna si trovava in ospedale. Christian seguì a lungo i passi lenti e misurati della compagna, sforzandosi di capire cosa le passasse per la testa. Sapeva bene che rimettere piede in quella casa avrebbe significato rivivere tutta l’angoscia e il dolore provati durante quei momenti di orribile violenza subìta, ma si trattava di un suo personale cammino verso la rinascita, e opporsi non sarebbe stato giusto. La lasciò quindi libera di vagare per la stanza, l’aria stanca e il respiro affrettato mentre con angosciosa rabbia non poteva fare a meno di rivedere se stessa che, stordita e rannicchiata in un angolo del pavimento si contorceva in preda alla disperazione, chiedendosi se il bambino che portava in grembo sarebbe mai riuscito a vedere la luce del sole. Se entrambi sarebbero riusciti a sopravvivere ai soprusi di quel mostro che si divertiva sempre a osservarla con aria di scherno, domandandosi per quanto tempo ancora sarebbe stata capace di resistere a tutto quel dolore. Non sarebbe mai riuscita a dimenticare lo spregevole ghigno che le riservava sempre ogni volta che si chinava su di lei, costringendola ad arrendersi a ricevere la sua dose quotidiana…

Fu allora che in preda a quei dolorosi pensieri crollò d’un tratto in ginocchio incapace di frenare i singulti disperati che le attanagliavano il petto, stringendolo in una dolorosa morsa che per un attimo sembrò bloccarle il respiro prima che Christian si avvicinasse a lei con estrema cautela, posandole dolcemente una mano sulla spalla. 

- Tesoro, possiamo uscire immediatamente se non te la senti di…

- Sto bene.

Lo interruppe a denti stretti, cercando con fatica di riprendere il controllo delle sue gambe, ormai simili a pura gelatina.

- Non credo sia il caso per te di continuare a stare qui.

Insistette, preoccupato per la sua catartica reazione ma la vide scuotere la testa, risoluta, invitandolo ad allontanarsi da lei quanto prima. Cosa che Christian fece immediatamente, decidendo di accomodarsi sul divano dai cuscini ormai irrimediabilmente strappati, senza sapere bene cosa aspettarsi. Poco dopo fu la stessa Johanna a raggiungerlo, sedendogli accanto ma evitando accuratamente il suo sguardo quando, molto lentamente e ormai un pò più padrona di sé dopo quell’improvviso e breve crollo emotivo, ricominciò a parlare.

- Usciva ogni mattina da quella porta, dopo essersi assicurato di aver sbarrato tutte le finestre e qualsiasi altra via d’uscita che mai sarei comunque stata in grado di raggiungere, stordita e debole come mi aveva resa. Mi guardava sempre con aria sprezzante, ripetendomi fino alla nausea che si stava solo riappropriando di ciò che era suo e che non c’era nulla di sbagliato nel suo comportamento, poiché meritavo tutto quello che mi faceva. Diceva che ero una persona orribile, e che avrei dovuto pagare caro l’errore che avevo commesso nei suoi confronti. Quel bastardo se ne andava in giro per la mia società spadroneggiando come se questa gli appartenesse, ma la colpa era solo mia. Sono stata io a permettergli di comportarsi così, in fondo gli ho sempre dato fiducia incondizionata. Sì, mi fidavo di lui, e guarda dove mi ha portata tutto questo.

- Non incolparti inutilmente, non potevi sapere cosa sarebbe successo.

- In realtà non lo conoscevo affatto, e me ne sono resa conto quando ormai era troppo tardi. Ma lui è stato bravo a ingannare tutti i miei dipendenti, convincendoli che dopo un’attenta riflessione avevo deciso di assumerlo di nuovo e che ero dovuta ripartire in tutta fretta, lasciandolo così al comando di tutto. Ancora una volta.

- Quel dannato figlio di puttana! Era questo che ti diceva, ti tormentava raccontandoti di come era riuscito a raggirare tutti?

Johanna scosse di nuovo la testa e il suo tono divenne flebile come un impercettibile sussurro.

- No, e io stavo così male da non interessarmene neppure. Credevo che sarei morta nelle sue mani, la mia società e ciò che stava accadendo lì dentro erano sicuramente l’ultimo dei miei pensieri. È stata Ally a raccontarmi tutto una volta venuta a conoscenza del mio rapimento, e in seguito della sua prigionìa. Ci siamo sempre tenute in contatto per tutto questo tempo, finora è stata lei a occuparsi di ogni cosa. Ho sempre saputo che era una persona valida, Justin non era certo l’unico di cui mi fidassi.

Christian la fissò, spiazzato.

- Chi è Ally?

Chiese.

- Una delle migliori dipendenti che abbia mai avuto – la sentì rispondere – talmente brava nel suo lavoro da spingermi a pensare di affidarle azioni di maggiore rilevanza, e in effetti non mi ero sbagliata sul suo conto. Si è offerta di riprendere in mano le cose in mia assenza, facendolo nel migliore dei modi e salvando la situazione quando io non potevo essere lì a farlo. Credo che le sarò per sempre grata per questo.

- Bene, allora immagino che tu abbia voglia di andare a ringraziarla di persona. Vai pure al lavoro, io e Nicolas penseremo al resto.

- Al resto?

- Già, beh...ci occuperemo di questa casa, e di qualunque cosa tu abbia deciso di farne. Potremmo alloggiare per qualche giorno nell’albergo che è proprio all’angolo, così non sarai costretta a passare la notte qui dentro se non vuoi. Ci organizzeremo nel migliore dei modi, vedrai, ho dato un’occhiata alla cartina e non molto lontano da qui c’è un piccolo garage che potremmo affittare per conservare i mobili che vuoi tenere. Sempre che tu sia ancora dell’idea di…venderla.

Johanna gli sorrise, accarezzandogli dolcemente una guancia e sporgendosi verso di lui per sfiorargli le labbra con un bacio.

- Grazie amore mio, per tutto quanto. Se non ci fossi stato tu al mio fianco non credo che sarei mai riuscita a sopravvivere a questo, e se sono stata capace di rimettere piede qui dentro è stato solo per merito tuo, mi hai dato una grande forza. Ti amo, e amo da morire questa casa, ma non potrò mai più guardarla come prima. Ogni parete, ogni singolo angolo di questo posto mi ricorderebbe continuamente quello che ho subìto e l’unica cosa che desidero è lasciarmi tutto alle spalle, perciò sì, voglio venderla. Ne compreremo un’altra, così ogni volta che verremo in questa città non saremo costretti ad alloggiare in albergo. Sarà la nostra seconda casa nella nuova, seconda vita che ci attende. 

Christian sorrise, abbracciandola stretta.

- Allora è deciso – disse – quando torni dal lavoro chiamo il camion dei traslochi.

In quel momento Hope si agitò nel passeggino, attirando la loro attenzione. Finora era rimasta così buona e tranquilla da spingerli quasi a dimenticarsi di averla portata con loro. Johanna non ne aveva potuto fare a meno poiché la sola idea di separarsi da lei, anche se solo per qualche giorno, le era sembrata intollerabile.

- Bene. Vado e porto la piccola con me, così vi lascio liberi di organizzarvi.

Rispose, congedandosi subito dopo insieme a lei…

Quando in quel tardo pomeriggio di sole Johanna tornò a casa dall’ufficio, trovò i suoi due accompagnatori intenti a riempire scatole e scatoloni di tutte le sue cose. Era bello vedere come si erano dati da fare per lei, lavorando senza tregua pur di finire nel minor tempo possibile, ma così era decisamente troppo.

- Ehi, voi due – esclamò con un sorriso, cercando di attirare la loro attenzione mentre sistemava il passeggino nell’unico angolo non ancora ingombro della sala da pranzo che era riuscita a trovare – dovreste fermarvi un attimo, sarete esausti. Specialmente tu, Christian, non mi piace che ti affatichi così tanto.

Gli uomini si lanciarono uno sguardo complice, scuotendo la testa all’unisono. Avevano persino saltato il pranzo pur di terminare al più presto di svuotare tutti i mobili della casa, non sarebbe certo stata un po’ di stanchezza in più a fermarli.

- Guarda che sto bene, Johanna. Non preoccuparti.

Lei gli lanciò un’occhiatacia torva.

- Come sarebbe a dire “non preoccuparti?” C’è forse bisogno che ti ricordi che hai avuto un infarto, e che non è successo nemmeno troppo tempo fa?

Replicò punta sul vivo, ottenendo in risposta solo una semplice, incurante alzata di spalle che le fece sgranare gli occhi, lasciandola interdetta.

- Christian…

- Amore, mi sento benissimo – ripetè lui, interrrompendola – anzi, sai cosa faccio adesso? Te lo dimostro, così la smetterai di tormentarmi una volta per tutte con questa stupida storia. Ecco qui.

E fece per caricarsi in spalla una consunta e massiccia cassapanca in legno che aveva l’aria di essere davvero molto pesante, ma prima ancora che Johanna potesse fermarlo in qualche modo questa crollò rovinosamente a terra, facendo un gran fracasso e  rovesciando così il suo contenuto sul pavimento sotto gli occhi esterrefatti dello stesso Christian, che non riusciva proprio a capacitarsi di cosa fosse successo.

- Ti giuro che non ho fatto niente, il fondo si è semplicemente staccato ed è venuto giù da solo.

Si giustificò ma lei lo zittì con un eloquente gesto della mano, alzando gli occhi al cielo, impaziente.

- Lo so, e se tu mi avessi lasciato parlare invece di essere così precipitoso come al tuo solito forse ora non ci troveremmo in questa situazione. Stavo appunto per dirti che quella cassapanca è molto vecchia e già rotta, e che quindi andava solo trascinata. Non certo sollevata. Accidenti, che disastro.

Disse, chinandosi a raccogliere uno per uno gli oggetti caduti.

- Lascia, ci penso io – intervenne l’uomo, chinandosi a sua volta vicino a lei per aiutarla – mi dispiace. Te ne comprerò un’altra e sarà molto più bella e resistente di questa, così potrai metterci dentro tutte queste…ehm, strane cianfrusaglie.

- Non sono affatto delle cianfrusaglie, ma tutti i miei ricordi di bambina. Li conservavo qui dentro per non perderli mai, ma è passato talmente tanto tempo che ne avevo quasi dimenticato l’esistenza. Oh, guarda qui cos’ho trovato, il mio braccialetto di conchiglie! Me lo regalò mio padre per il mio sesto compleanno, ero così orgogliosa di andarmene in giro con questo al polso! Che ne dici amore mio, ti piace?

Aggiunse poi rivolta alla bambina, che ora pareva fissare meravigliata e con le braccine tese il minuscolo e sconosciuto oggetto offertole dalla madre.

- Beh, immagino che dovremmo aspettare che tu cresca un altro po’ prima di poterlo indossare, ma quando lo farai assomiglierai sicuramente a una vera principessa.

Sfiorò la sua piccola fronte con un bacio per poi tornare a occuparsi di ciò che stava facendo e, d’un tratto, qualcosa vicino a lei catturò tutta la sua attenzione. La sua espressione parve mutare lentamente mentre lo prendeva con delicatezza tra le mani, facendosi via via più triste e nostalgica.

- Il mio bambolotto vestito di giallo – sussurrò con voce rotta – ecco dov’era finito.

A quelle parole Christian sussultò e Nicolas si fece più vicino, chinandosi sul pavimento in mezzo a loro.

- Non credete che assomigli davvero tanto a Shane? – la sentirono continuare, e avrebbero tanto voluto dire qualcosa ma un improvviso, fastidioso nodo in gola impedì loro di farlo. Il dolore tornò a farsi sentire, bruciando i loro cuori e attanagliando le loro anime in un’incessante tormento – Ha esattamente quell’espressione dolcemente imbronciata che era solito assumere ogni volta che cercavo di farlo mangiare.

Si interruppe di colpo, chiudendosi a lungo in un’ostinato silenzio prima di decidersi a riprendere a parlare.

- Avrei dovuto capire subito che qualcosa in lui non andava, ma ero troppo impegnata a pensare ad altro per dare alla cosa la dovuta importanza…

- Ehi - la interruppe a quel punto Christian, avvicinandosi di più per abbracciarla da dietro – non è colpa tua. Non devi nemmeno pensarlo.

Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre lo ascoltava parlare, ma le sue braccia strette attorno alla sua vita e il calore del suo corpo servirono ben presto a tranquillizzarla un po’, permettendole così di tornare lucida.

- Forse, se lo avessi ritrovato per tempo avrei potuto regalarglielo. Ora invece è troppo tardi.

- No, non lo è.

Mormorò Nicolas, sfiorandole una spalla in segno di conforto e lei incrociò il suo sguardo solidale, grata dell’affetto dimostratole fino a quel momento.

- No, infatti – aggiunse Christian, baciandola sui capelli – lo lasceremo sulla sua tomba quando torneremo a trovarlo, sono sicuro che ne sarà felice.

La donna annuì asciugandosi gli occhi bagnati di pianto, poi sorrise ai due uomini, invitandoli a mettere al più presto qualcosa nello stomaco se non volevano svenire dalla fame.

- Andiamo tutti, allora. Ho giusto una voglia matta di assaggiare qualche piatto tipico di questo posto.

Propose Christian ma Johanna ricusò l’invito, spiegando loro che non aveva certo saltato il pranzo e che in ufficio, felici per il suo ritorno e per l’atteso arrivo della bambina l’avevano letteralmente sommersa di dolci e pasticcini di ogni genere.

- Sono piena come un uovo – concluse quindi – non potrei più mandar giù neppure uno spillo, perciò penso che me ne resterò qui tranquilla a raccogliere le mie “cianfrusaglie”. Voi, però, andate pure. Vi aspetto.

- Ecco, io… - esitò il compagno, guardandola corrucciato – non mi va di lasciarti qui da sola.

- Non preoccuparti, mon Cri Cri, sto bene. E poi non sono certo da sola, c’è Hope con me.

Entrambi lanciarono una rapida occhiata alla loro figlioletta, ormai profondamente addormentata nel suo comodo passeggino e alla fine Christian annuì, restituendole il sorriso.

- Bene. Sentito, mon Cri Cri? È tutto a posto, andiamo a mangiare e torniamo subito!

Si intromise a quel punto Nicolas, prendendo bonariamente in giro l’amico e trascinandolo via con sé prima che potesse ancora replicare in qualche modo. Johanna, divertita li seguì allontanarsi con lo sguardo, stringendosi lentamente nelle spalle.

I giorni che seguirono furono molto frenetici per i tre amici e tra il camion dei traslochi, che portò via gran parte della mobilia per conservarla all’interno del capiente magazzino preso apposta in affitto, la pulizia della casa ( di cui Christian e Nicolas si occuparono con una devozione degna di due brave donnicciole ligie al dovere, come li aveva giocosamente soprannominati Johanna) e l’agenzia da contattare affinchè ne seguisse la successiva messa in vendita (cosa di cui preferì occuparsi la stessa Johanna, visto che nessuno dei suoi accompagnatori parlava una parola di inglese) il momento di far ritorno a Parigi arrivò prima ancora che potessero rendersene conto. Quella mattina l’americana sfiorò ogni angolo ormai vuoto di quella che per tanto tempo era stata la sua dimora, salutandola così per l’ultima volta  e stringendo di più a sé la piccola Hope ogni volta che sentiva le lacrime prendere il sopravvento su di lei, annebbiandole la vista e confondendole le idee. Aveva trascorso dei momenti meravigliosi tra quelle splendide, seppur dolorose mura che ormai si preparava a lasciare, conscia del fatto che, nonostante tutto ciò che era accaduto lì dentro, ne avrebbe comunque conservato per sempre il ricordo.

Atterrarono a Parigi parecchie ore dopo, e nonostante il fuso orario e la stanchezza che si portavano addosso non rinunciarono a fermarsi nuovamente sulla tomba di Shane. Qui Johanna aveva finalmente depositato la sua bambola preferita, pregando a lungo per il suo bambino e piangendo tutte le sue lacrime mentre Christian le stringeva forte la mano prima di avviarsi silenziosamente insieme verso casa, dove Hèléne li aveva accolti organizzando una bellissima cena in loro onore. Una serata tranquilla che i numerosi commensali parvero gradire molto e che, prima ancora della fine, riservò a tutti un’inaspettata, quanto piacevole sorpresa. Dopo aver servito il dolce, infatti, la stessa padrona di casa aveva innalzato il calice, invitando gli amici a fare lo stesso e dedicando la serata a Johanna e al coraggio che aveva dimostrato di avere nell’affrontare le numerose avversità che la vita le aveva riservato ma dalle quali, nonostante tutto era uscita a testa alta, dimostrando così ancora una volta di essere la splendida e speciale guerriera che in quegli anni trascorsi insieme aveva imparato a conoscere e amare. Una guerriera a cui era molto affezionata, e che avrebbe sempre avuto un posto speciale nel suo cuore.

Quelle parole sentite commossero tutti, specialmente Johanna fino alle lacrime e le due amiche si scambiarono un lungo sguardo d’intesa prima che la donna riprendesse la parola, mostrando stavolta una strana apprensione nella voce che finì per incuriosire non poco i presenti, che a quel punto sembravano pendere letteralmente dalle sue labbra.

- In verità c’è un altro motivo per il quale ho voluto riunirvi tutti qui, affinchè siate testimoni di ciò che sto per dire e che è frutto di vari, dolorosi tentennamenti che, ora lo so, non avrei mai dovuto dimostrare di avere. Questa sera vorrei chiedere scusa a una persona altrettanto speciale e molto, molto importante per me. Una persona che mi è sempre stata vicina nel bene e nel male e di cui, forse dannatamente tardi mi sono accorta di non riuscire più a fare a meno, e che mi manca come l’aria che respiro. Quella persona sei tu, Nicolas. Perdonami per essere stata così stupida da non riuscire a superare prima le mie paure, ma adesso conosco bene i miei sentimenti. Adesso sono qui e, se vorrai, sono pronta ad accoglierti nella mia vita. Perché ti amo, ti amo da morire e l’unica cosa di cui sono assolutamente sicura è che non voglio mai più passare un solo minuto lontana da te.

 Quella plateale dichiarazione d’amore che lasciò gli amici a bocca aperta non risultò  certo indifferente a Nicolas, che dopo l’iniziale momento di smarrimento si rialzò di scatto dalla sedia sulla quale era seduto per correre verso di lei e stringerla in un forte abbraccio, che fece esplodere un allegro scroscio di applausi intorno a loro.

- Ti amo tanto anch’io, Hèléne.

Mormorò prima che le loro labbra si unissero in un lungo bacio chiarificatore. Un bacio nuovo e carico di aspettative che ben presto servì a dissipare ogni ombra tra loro, riempiendoli di felicità. Fu allora che Benedicte fece tintinnare il suo bicchiere, attirando su di sè l’attenzione generale.

- Bene – disse, risoluta – visto che siamo in vena di confessioni, anch’io avrei un annuncio da fare. Io e Josè aspettiamo un bambino!

E giù di nuovo con applausi e abbracci a festeggiare quel gioioso evento che presto, molto presto avrebbe allargato la grande famiglia che già insieme formavano, aprendo così un nuovo capitolo delle loro vite.

Fine.