Non uccidete Gesù!

di Michelle Morrison
(/viewuser.php?uid=772505)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Mi chiamo Ian e ho ucciso Gesù. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Quella volta in cui Flip è stato posseduto... ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Attraverso lo specchio di H&M ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Buon compleanno Gesù! ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV – La notte in cui incontrammo Lucy… ***



Capitolo 1
*** Prologo - Mi chiamo Ian e ho ucciso Gesù. ***


 

 

Disclaimer:

Non prendete questa storia per qualcosa di serio, davvero.

 

 

Prologo  - Mi chiamo Ian e ho ucciso Gesù.

 

 

Questa storia parla di come io, Page e Flip abbiamo ucciso Gesù, un anno fa, durante un pigiama party a casa di Julie.

Detto in questo modo potrebbe sembrare una stupidaggine, ma vi assicuro che non è così. Lo giuro! Come potrei voler mentire su una questione seria come questa? Dico, se non fosse la verità, non lo avrei certo raccontato giusto per avere le spie del Vaticano alle calcagna o per essere inseguito da qualche sicario mandatomi dal Papa in persona. Cioè, se non fosse vero, non mi inventerei una balla simile solo per guadagnarmi l’inimicizia della Chiesa o una scomunica! Esistono migliaia di altri modi per farsi scomunicare; come, per esempio, mostrare i propri gioielli di famiglia in piazza San Pietro e sbatterli in faccia a un qualche religioso di passaggio, o –che ne so- inneggiare a Satana mentre si squarta un capretto davanti a una guardia svizzera. Anche se ho i miei dubbi riguardo a quest’ultima opzione, se devo dirla tutta. Credo che nemmeno questo basti, effettivamente. Flip, una volta, ha suggerito anche di rubare le mutande in un convento di suore, di cantare “The Number of the Beast” dall’ambone durante la messa, di correggere l’acqua per il battesimo con della vodka, o, magari, di usare una pila di Bibbie come poggiapiedi durante una partita alla Xbox. Per quanto riguarda la pila di letture religiose, beh, posso assicurarvi che non vi farà beccare alcuna pena canonica, ma, perlomeno, vi salverà da un terribile mal di schiena dopo una maratona di Battlefield online.

Diciamo che, nella vita, si pensano a mille modi divertenti per farsi scomunicare, però, alla fine, non ne metti in pratica nemmeno uno. Sono discorsi che fai il venerdì sera, davanti alla sesta birra, seduto sulle panchine di fronte alla chiesa, quando hai finito di lamentarti delle ragazze che hanno visualizzato il tuo invito ad uscire su whatsapp senza darti alcuna risposta. Dannate “√√ azzurre. A parte questo, torniamo a noi… Nessuno tenta veramente di farsi sbattere fuori dalla comunità cristiana, anche se è ateo, perché alla fine non gli importa una mazza di questa roba. Lo si dice così, tanto per far due chiacchiere e divertirsi. E, comunque, nemmeno ai preti frega davvero di cancellare il tuo nome dai registri, ammettiamolo. Altrimenti ci sarebbe troppo lavoro, troppo sbattimento. Meglio chiudere un occhio anche quando dei ragazzi dai lunghi capelli ricci, dalle barbe incolte e dalle magliette nere con disegnata sopra una suora nuda con crocefissi infilati in posti indicibili, entrano in un duomo bestemmiando a rutti. Al massimo i sacerdoti li rimproverano, li sbattono fuori dalla porta e poi ritornano nel confessionali ad ascoltare l’ultimo peccato di un’anziana che ha avuto pensieri impuri riguardo al George Clooney di turno.

Davvero, di questi tempi, nessuno riceve più una scomunica.

Nessuno a parte me, Flip e Page.

Ma, siamo chiari, non ci sarà più un caso simile perché di Gesù ce n’era uno e, come vi ho detto, lo abbiamo ucciso noi.

 

* * *

 

Era il tredici novembre 2013, fuori pioveva e faceva freddo, mentre nel locale il riscaldamento era acceso e si stava all’asciutto, accomodati su una sedia nera. C’eravamo io, Rob, Flip e Page davanti a dei bicchieri mezzi vuoti e delle patatine al formaggio, mentre il nostro amico Will parlava di videogiochi vecchi, roba dei cabinati, facendo giocare alcuni dei presenti davanti a un proiettore. Serata nerd per ragazzi soli e abbandonati a se stessi – se non contiamo Page, che era del sesso opposto, ma era comunque sola e abbandonata-. Sulla parete bianca, potevamo osservare Pac-man che scorrazzava in un labirinto, mangiando pallini mentre dei fantasmini colorati e cattivi come non mai lo inseguivano. Era una corsa per la sopravvivenza, ragazzi. Dico, questo povero pallone epatico stava scappando da degli spettri hippie che lo volevano ammazzare e, per riuscire a evadere da questa sadica prigionia, si ingozzava di pillole tonde fino a non lasciarne più nessuna. L’unico modo che aveva per sconfiggere i suoi nemici era ingoiare la pastiglietta magica, più grossa delle altre, così gli si evolveva in un ectoplasmivoro, in modo che poteva mangiare anche loro. Ci credo che poi si è gonfiato così, il poveretto. Epatite acuta da farmaci, ve lo assicuro!

Comunque, noi eravamo lì perché Will ci aveva promesso che ci avrebbe fatto giocare a Metal Slug, tutto qui. Ci eravamo allenati per la serata tutta la settimana, davanti alla Wii della sorella minore di Flip, che aveva dovuto rinunciare al pomeriggio danzante che ogni mercoledì organizzava con le sue amichette. Eravamo agguerriti, pronti a tutto, mentre aspettavamo il nostro turno commentando le prestazioni da noi ritenute scarse degli altri gamer.

«…è la quarta volta che perde da scemo.» Aveva commentato Flip, scuotendo la testa con dissenso, come se fosse un architetto davanti alla torre di Pisa. «Guarda! Doveva andare in su, poi a sinistra. Non così. Lo vedi?! Ha perso ancora!»

«Hai ragione. Ma io sarei comunque andato a destra, verso la ciliegia.» Gli risposi, pizzicandomi il mento su cui era cresciuto qualche pelo pungente. «E non sarei comunque morto così stupidamente.»

«Immagino che voi giochereste meglio, eh?» Ci chiese Page, che si stava alzando per andare al bagno. Da sola, visto che non c’erano altre ragazze con noi. «Vorrei proprio vedervi! Offritevi volontari!»

«Siamo qui per Metal Slug. Vedrai che facciamo il culo a tutti, con quello!»

L’urlo di Flip fece voltare un intero tavolo di quarantenni single e stempiati, che si misero a ridacchiare, prendendolo per uno scemo. Ovviamente, avrebbero smesso di ridere quando ci saremmo messi davanti a leve e pulsanti colorati, sparando come manco Sylvester Stallone in Rambo.

Fortunatamente, Will ebbe la decenza di cacciare quel giocatore inesperto che non aveva finito neppure il primo schema e, senza esitazioni, introdusse il videogioco per cui avevamo deciso di scollarci dal divano di casa per darci alla vita sociale. Si mise a parlare, mentre noi prendevamo posto alla postazione, con le mani che tremavano bramose di tamburellare sui bottoni colorati a un ritmo forsennato. Raccontava cose storiche, a mo’ di un professore universitario a un convegno sulla piramide di Giza, ma noi non ascoltammo una sola parola.

Genere bla dell’anno blabla, prodotto dalla blablabla e blablablabla, ecc.

Io e Flip spingevamo come se avessimo il diavolo nelle dita, tirando bestemmie qua e là, giusto perché fare una partita senza ricoprire Dio con qualche colorato epiteto non è giocare. Stavamo andando da campioni, alla faccia di quei quarantenni soli e panzoni alle nostre spalle. Distruggevamo tutti quanti, senza rimorsi, senza esitazione. È come nella vita: o uccidi o vieni ucciso. O, perlomeno, è quello che ripeteva sempre Flip quando giocavamo agli sparatutto, spaparanzati sul divano. Nessuno di noi due, comunque, si era mai trovato nella situazione di dover ammazzare veramente qualcuno per non essere ammazzato a sua volta, dico, in quella città del cazzo non succedeva mai nulla. Niente guerre, sommosse, battaglie, sparatorie, rapine a mano armata o roba del genere. Era tipo il villaggio dei Puffi, ma senza Gargamella

«Cazzo mi hanno colpito!» Urlò il mio amico, tirando un pugno al tavolo. «Fanculo!»

«Sei tu che sei sfiga…»

Non feci in tempo a finire che colpirono anche me, così, senza nemmeno impegnarmi, definii il caro Gesù in modo tanto terribile e innovativo che dietro di me sentii una grossa risata da parte di Rob e un paio di altri soci. Se ci fosse stato un parroco, probabilmente, mi avrebbe cosparso di acqua santa e mi avrebbe ordinato di dire una quarantina di Ave Maria in cinque minuti, per non rischiare di patire le pene dell’Inferno.

Effettivamente avrei preferito che ci fosse un prete qualunque, piuttosto. Forse sarebbe andata molto meglio! Dico, quelli del clero non hanno affatto poteri paranormali, non fanno miracoli e, soprattutto, non ti rovinano la serata. Gesù, invece, sì. Un gran burlone, lui, quando deve vendicarsi in qualche modo per essere stato insultato.

Beh, non passò molto dal mio schizzo di blasfemia estrema, che, improvvisamente, nel livello di Metal Slug apparve una porta mai vista prima d’allora. Anche Will se ne accorse e, prima ancora che ci suggerisse di entrare, noi la raggiungemmo.

«Signori! I nostri due campioni, qui, hanno sbloccato un livello segreto?!» Proclamò nel microfono, con gli occhi fuori dalle orbite. Sembrava uno di quegli invasati per gli U.F.O. che ha appena incontrato dal vivo uno dei grigi. «Non sapevo nemmeno che ce ne fossero!!»

«Manco noi, Will!» Gli risposi prontamente, osservando la schermata di caricamento, dove apparvero degli angeli, mentre dalle casse veniva sparata la “Ave Maria” di Schubert in 8 bit. «Che diavolo…?»

«Cazzo, che storia!»

Flip si sporse sulla postazione, preso come non mai, mentre alle nostre spalle era calato il silenzio assoluto: eravamo tutti in attesa. Solo Page si lasciò scappare un “mi sono persa qualcosa?” mentre tornava dalla toilette, ma venne comunque ignorata. Stavamo per scoprire qualcosa di unico, me lo sentivo. Eravamo Colombo che mette piede in America, Higgs che scopre il bosone, Bulma e Goku che trovano tutte le sfere del drago e invocano Shenron per la prima volta.

Il livello iniziò e ritrovammo i due personaggi vestiti con una tunica bianca, tipo i romani, che tenevano in mano un cestello pieno di pixel colorati. Non capimmo esattamente cosa fossero, al momento, ma non ci importava più di tanto. Eravamo talmente eccitati, che iniziammo a procedere verso destra aspettandoci qualche nemico da riempire di piombo. Provammo a sparare, giusto per vedere se avessimo un’arma nuova, ma –inaspettatamente- i protagonisti lanciarono solamente quei coriandoli colorati tutt’intorno a loro e, nello spazio in cui caddero, crebbero delle pianticelle.

«Che cosa sono?» Domandò Will, mentre, dietro di lui, l’altro organizzatore della serata smanettava con lo smart phone alla ricerca di informazioni utili su qualche sito. «Non ho mai sentito parlare di questo livello!»

«Non esiste roba del genere! Nessuno ne ha mai parlato…» Gli riferì Todd, lasciando perdere la ricerca sul web, per poter guardare quello spettacolo senza precedenti. «Stanno piantando dei fiori?»

«Il tuo emulatore del cazzo ci sta prendendo per il culo!» Gli fece Flip, senza smettere di lanciare coriandoli, petali o quello che erano. «Che è ‘sta roba da fighette?»

«Non è mai successo niente del genere! Ci stavamo giocando ieri sera…»

A quel punto gli organizzatori entrarono nel panico, ma nessuno osò interromperci, sperando che andando avanti succedesse qualcosa. Non successe nulla. Zero. Nisba. I nostri cari ometti continuarono a camminare in quel deserto vuoto, seminandolo di fiori, mentre la rivisitazione della “Ave Maria” iniziava a darci sui nervi. Passarono cinque minuti, prima che Will si decidesse a spegnere il gioco, lasciando me e Flip a guardare la schermata come due deficienti strafatti di allucinogeno. Non avevamo capito che cosa fosse successo, nessuno l’aveva capito in quel locale strapieno di nerd. .

Il giorno seguente, sul gruppo di facebook, iniziarono a piovere domande e commenti e, come dei pazzi, tutti iniziammo a fare ricerche per trovare qualche informazione. Non ce n’erano: quel livello non esisteva. Will e Todd scrissero all’azienda di produzione per capire cosa fosse accaduto, ma –come c’era da aspettarsi- non ricevettero mai risposta.

Giocammo ancora, ma non riuscimmo più a trovare quella porta maledetta né il livello del deserto e dei fiori. A un certo punto ci ritrovammo a credere di avere avuto una qualche allucinazione. Solo ora posso dire che, invece, era stato solamente tutto un grande scherzo di Gesù, uno dei suoi “miracoli”, se così vogliamo chiamarlo. Allora non me ne resi conto, ma adesso so che c’era anche lui, quella sera, seduto in un angolo del locale a sorseggiare del vino –o acqua, come c’era scritto sullo scontrino-. Me l’ha confidato lui, qualche mese dopo, in un bar del centro.

Tuttavia, non è il momento di perdersi a parlare di avvenimenti futuri. Torniamo a quella sera, nel momento in cui rinunciammo a ripetere lo stesso tratto del livello per cercare di ritrovare la porta segreta. Io e Flip tornammo a sederci al nostro tavolo, un po’ esaltati per la scoperta, un po’ incazzati per non aver giocato bene come volevamo.

«Ma che è successo?» Ci domandò Rob, agitandosi sulla scomoda sedia. «Cos’era quello?! Come avete fatto?!»

«Non lo sappiamo… Deve essere stato qualcosa di straordinario.» Mormorai, svuotando la birra. «Forse il punteggio, il numero di nemici uccisi, un cheat involontario. Non ne ho la minima idea!»

«Naaah, ti sbagli, Ian… Forse è l’emulatore che è impazzito. Me ne intendo, io.» Flip si passò la mano fra i capelli castani tutti arruffati e mi fissò con i suoi occhi neri. «Quella cosa non esiste!»

«…forse qualche programmatore ha fatto uno scherzo.» Page si aggiunse alla conversazione, ma non la prendemmo in considerazione. Per principio, una ragazza che parla di videogame è un ossimoro. «Però, magari, se foste andati avanti avreste trovato qualcosa di eccezionale!»

«La risposta alla domanda sull’universo, la vita e tutto quanto!»

«Quarantadue.»

Con quella botta e risposta, io e Flip ci battemmo il cinque sotto gli sguardi perplessi di Rob e Page, che si limitarono a finire le patatine rimaste senza fare domande. Alla fine della serata sui giochi arcade, quando il proiettore fu spento, attorno a noi si fece una folla di curiosi che cercò di carpire il “segreto del livello segreto”, ma io e il mio migliore amico restammo sul vago. Lo ammetto, ce la tirammo abbastanza, facendo roteare i bicchieri di birra come se fossimo gente importante o stronzi del genere. Atteggiamento che, contro ogni aspettativa, ci fece guadagnare talmente tante birre gratis dai curiosi, che, quando tornammo a casa, non riuscimmo nemmeno a girare la chiave nella serratura del nostro trilocale in affitto. Non prima di quaranta minuti di tentativi e imprecazioni, perlomeno.

Continuo a sostenere che, se non ci fossimo ubriacati, probabilmente avremmo notato che fra i presenti c'era anche Gesù, stretto nella sua polo bianca e l’anonima giacca color cachi. Lui, con i suoi bei capelli lunghi e neri e la barba ben rasata –ebbene sì, Cristo si rasa, nel 2014-. Non dico che lo avremmo riconosciuto, visto che di tipi così ce ne sono a bizzeffe; però, almeno, sarebbe stato un punto di partenza. Avrei potuto scoprire il suo nome, magari. Beh, poco importa, tanto non sarebbe passato molto e ci saremmo ritrovati a stringergli la mano e a bere quel suo vino speciale, al matrimonio della sorella maggiore di Page.

A ripensarci, effettivamente, forse sarebbe stato meglio non conoscerlo mai e restare con il nostro dubbio riguardo al livello segreto di Metal Slug, presto divenuto leggenda tra i gamer del paese. Se non l’avessimo mai incontrato, perlomeno, ora non saremmo con le spie vaticane al seguito e i sicari del Papa pronti a farci fuori.

Credetemi, non vorreste mai sapere come siamo arrivati a uccidere Gesù.

 

 

 

___________________________________________

 

Ciao!

 

Ecco una storiella che mi è venuta in mente. Scusatemi, ma sto leggendo un libro stupidissimo e dovevo fare qualcosa di stupido anche io.

Mi è venuta questa idea, così, a caso.

 

So che molti nel vedere che si parla di Gesù impazziranno, ma vabbè. Non dovrebbe essere offensivo. È solo uno scherzo… E poi si parla di un nuovo Gesù, quindi diciamo che è un urban fantasy o qualcosa del genere. J

 

Spero che vi sia piaciuta!!!

A presto, se volete scoprire come i nostri protagonisti hanno ucciso Gesù!!

 

Lasciate pure un commento, se volete e, mi raccomando, non prendetela sul serio!

 

Se volete seguirmi, questa è la mia pagina facebook!

https://www.facebook.com/pages/Michelle-Morrison/390257021129034

 

M.M.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo I - Quella volta in cui Flip è stato posseduto... ***


 

 

Disclaimer:

Non prendete questa storia per qualcosa di serio, davvero.

 

 

 

 

Capitolo I  - Quella volta in cui Flip è stato posseduto…

 

 

Quella mattina, verso mezzogiorno e mezzo, mi ero svegliato con un terribile mal di testa e un senso di nausea allucinante. Era come se qualcuno mi avesse danzato sullo stomaco per tutta la notte, mentre un giamaicano strafatto usava il mio cranio come un tamburo. Beh, era un po’ la sensazione che provavo generalmente ogni sabato mattina, dopo un’ordinaria sbronza del venerdì, su al Jack’s, dove offrivano un bicchiere di–non indovinerete mai- Jack Daniel’s ogni dieci shot bevuti in una serata. Io e Flip eravamo riusciti a battere il nostro record e avevamo dovuto farci accompagnare a casa da… Non so chi ci abbia accompagnato, in effetti. Sarebbe meglio non indagare, ve lo assicuro. Ricordo solo che, a un certo punto della serata, ci siamo ritrovati a cantare una canzone dei Pink Floyd con un uomo che puzzava di aglio e ragliava ogni parola. Da lì in poi, c’è un po’ di confusione…

Okay, non importa niente, comunque.

Dicevo che, quel sabato, ero particolarmente sotto tono e non vedevo l’ora che arrivassero le due e mezza per potermi permettere un sonnellino pomeridiano. Me l’ero meritato, visto che fino a giovedì, per tutta la settimana, dalle otto di sera alle tre di notte, avevo servito cheeseburger e patatine da una finestrella al fast-food. Ci lavoravo da un paio di mesi e, finalmente, mi avevano permesso di occuparmi del drive-in. Mi avevano dato microfono e auricolare, nonché un cappellino nuovo con sopra il logo dell’azienda (un orribile angioletto biondo seduto in cima a un panino). Beh, non è certo una gran carriera e nemmeno una vera e propria promozione, però almeno avevo uno stipendio con cui pagare l’affitto e, se devo essere sincero, ciò mi rendeva fiero. Mi sentivo adulto, responsabile e, quindi, libero di permettermi una sbronza con relativi postumi da smaltire nel mio giorno libero.

Quella mattina arrivai in cucina trascinando i piedi, dopo aver pisciato fuori anche l’anima, cercando di centrare la tazza –anche se devo precisare che qualche goccia ha fatto di testa sua-. In salotto c’era Flip, steso sul divano a pancia in giù, con le gambe lunghe e pelose che penzolavano sul bracciolo. Indossava dei calzini di spugna bianchi, sporchi di polvere e con dei pezzi di patatine appicciati sopra. Non era un bello spettacolo e, ci scommetto, se qualche ragazza l’avesse visto in quello stato non gli avrebbe più rivolto la parola.

Mi avvicinai a lui, alzando un sopracciglio quando mi accorsi che stava dormendo sbavando sul cuscino, poi decisi di superarlo e andare dritto al fornello per farmi due uova e un caffè. Essendo un trilocale, sala e cucina erano nella stessa minuscola stanza e l’odore dell’omelette si sparse per tutto il locale nel giro di pochi secondi, disturbando il sonno del mio coinquilino, che si svegliò. Me lo ritrovai alle spalle qualche minuto dopo, che spiava nella pentola e rantolava qualche parola incomprensibile. Ovviamente capii che voleva anche lui da mangiare, ma lo ignorai. Gli diedi in mano un uovo e andai a sedermi tranquillamente, sotto il suo sguardo scazzato.

«Grazie.»

Fece lui, sarcastico, mentre si destreggiava nella preparazione della propria colazione, con fare inesperto e goffo. Flip non era mai stato bravo in cucina, d’altronde. Penso che la volta in cui ha dato il meglio di sé, sia stata quella in cui è riuscito a far diventare neri dei cordon bleu surgelati. Erano talmente duri che, quando li abbiamo lanciati per scherzo dalla finestra, abbiamo rotto il parabrezza dell’auto del vicino. Questo, comunque, è rimasto un segreto; inoltre quel pelato del signor Weekes ha dato la colpa alla ex moglie, credendo che fosse un tentativo di rinfacciargli il fatto di non aver apprezzato la sua cucina durante il loro matrimonio. Anche quel giorno, come ogni altro, la frittatina di Flip bruciò e si attaccò al pentolino antiaderente, creando uno strato di crosta puzzolente, causando così uno scatto di rabbia da parte del cuoco, che esplose in divertenti manifestazioni di empietà. Gesù non ne sarebbe stato affatto contento, ma nessuno avrebbe gioito nel sentire chiamare la propria madre in quel modo.

«Amen!» Gli dissi io, ridendo, mentre mi alzavo per andare ad aprire la finestra. «Dovrebbero assumerti come paroliere per i Dimmu Borgir

«E te ti dovrebbero assumere come scassa-palle! Faresti un lavoro che manco mia madre…» Nel dirlo, sorrise e buttò la pentola nel lavandino. «Cazzo, andiamo a prendere qualcosa fuori. Ho voglia di una cheesecake ai frutti di bosco.»

«Che sei? Cappuccetto rosso? Non ho voglia di uscire adesso! Finisco il mio caffè e me ne torno a letto…»

Lui mi guardò sfoderando lo sguardo da cane bastonato e ci ritrovammo seduti al fast-food all’angolo, con tre fette di torta davanti (per Flip), due porzioni di patatine fritte (per entrambi) e tre grossi bicchieri, di cui uno di frappè al cioccolato e gli altri di cola. Normalmente, a quell’ora, la gente stava mangiando panini e noi due eravamo gli unici coglioni che erano passati direttamente al dolce. La cosa sembrò attirare l’attenzione di un paio di bambini sovrappeso, che pregarono la madre di avere anche loro cheesecake e patatine fritte a pranzo.

«Sai, stavo pensando…»

Se ne uscì il mio amico, all’improvviso, senza distogliere lo sguardo dal bicchiere di carta. Ora, mi sento in dovere di spiegare una cosa che, forse, non appare affatto chiara: quando Flip diceva che stava riflettendo, per una persona dotata di buon senso, la soluzione migliore sarebbe stata pagare il conto e volatilizzarsi. A volte capitava che s’inventasse qualche bravata per passare il tempo, come quando, al liceo, abbiamo provato a creare un esplosivo nel laboratorio di chimica; mentre a volte succedeva che s’inventasse un qualche lavoro con cui guadagnare soldi velocemente, come quando voleva sintetizzare metamfetamina –sempre nel laboratorio della scuola- e rivenderla ai nostri compagni e ai ragazzini al parco. Mi ricordo pure che, quando avevamo diciassette anni, si era fissato con il voler trasportare ovuli di cocaina in aereo e per prepararsi era andato a fare una colonscopia, così da assicurarsi che il suo retto fosse pronto. Ovviamente non ha mai fatto nulla di tutto questo, visto che nel momento in cui ha fatto una prova cercando di infilarsi su per il culo un palloncino pieno di borotalco, questo è esploso ancora prima di entrare. C’era il bagno pieno di polvere bianca, quel giorno, ma almeno non abbiamo dovuto usare il profumo spray per una settimana.

Beh, tutto questo era per specificare che Flip non aveva mai avuto una buona idea nella propria vita e che, quando diceva di aver pensato una cosa, si sarebbe rivelata la peggior cazzata dell’universo. Facciamo così: ora chiudete gli occhi, concentratevi, immaginate qualcosa di estremamente idiota, scrivetelo su un foglietto e poi dategli fuoco sussurrando una preghiera al dio dell’imbecillità. Ecco, ciò che avete pensato non è stupido quanto quel che stavo per sentire io.

«…forse dovrei prendere i Voti e farmi prete.»

«Tu?!» Mi ingozzai con le patatine fritte e cercai di mandare giù il boccone con un sorso di frappè. «Che cazzo ti passa per la testa?!»

«Abbiamo vissuto nel peccato abbastanza a lungo…»

«Fly, ti sei fumato il cervello?!»

Lui si alzò di scatto e appoggiò le mani sul tavolo, volgendo lo sguardo verso il soffitto, cercando probabilmente il volto di Dio. Metà dei presenti si girarono a osservarlo, mentre si estraniava dalla realtà, manco qualcuno lo avesse posseduto. Sembrava davvero fuori di testa, giuro, come se avesse preso qualche droga strana di cui nemmeno immaginavo l’esistenza. All’inizio pensai che stesse ancora smaltendo l’alcool, a dirla tutta. Flip non è mai stato del tutto a posto, aveva dei momenti di pura follia fin da quando lo avevo conosciuto, alle medie. Non sto dicendo che sia pazzo o che andrebbe fatto vedere da uno psicologo o gente simile, no, affatto. Beh, non avevo mai pensato di consigliargli di farsi vedere da un esperto fino a quel giorno…

«Non lo capisci, Ian?» Mi domandò, senza però distogliere lo sguardo dal lampadario al neon. «Dobbiamo disinfettare il nostro spirito ed espellere il demonio!»

«Forse volevi dire purificare, ma»

«Dobbiamo accogliere Cristo!» Urlò con gli occhi che schizzavano fuori dalle orbite, afferrando uno dei bicchieri sul tavolo. «Dobbiamo andare a iscriverci alla scuola per sacerdoti immediatamente e…»

«Io non mi farò prete proprio per un cazzo!!» Gli risposi prontamente, alzandomi a mia volta, mentre lui cercava di spargere cola come se fosse acqua santa. «Metti giù quella cosa! Sei ubriaco marcio!»

«Andremo in seminario e, un giorno, prenderemo i voti per servire il nostro Signore!!»

A quel punto, ignorando le famiglie spaventate attorno a noi e le stronzate di Flip, presi la Coca Cola che teneva in mano e cercai di strappargliela. Ci destreggiammo in un tiro alla fune che durò giusto trenta secondi, prima che il bicchiere si stropicciasse sotto la nostra presa e il contenuto esplodesse in una fontana marrone, innaffiandoci. Okay, forse lui non sarà stato del tutto dentro con la testa, ma io non sarò sembrato tanto più sano di mente. D’altronde, si sa: andando con lo zoppo…

Comunque a quel punto ci ritrovammo zuppi da capo a piedi, con la cola che gocciolava dai capelli, sul viso, fino al pavimento del fast-food. Un ragazzo dai lineamenti esotici iniziò a sbraitare alle spalle del mio amico, agitando uno spazzolone coi dreads e un secchio pieno d’acqua; tuttavia nessuno di noi lo degnò di un briciolo d’attenzione. Flip mi stava fissando come se fosse appena caduto dalle nuvole, non capendo che cosa ci facesse ricoperto di liquido zuccherato, mentre io respiravo come uno in procinto di una crisi di nervi. La Coca Cola mi entrava nelle narici e in bocca, costringendomi a tastare il tavolo in cerca dei tovaglioli, senza mai perdere il contatto visivo con il mio coinquilino. Non volevo certo essere benedetto con del frappè al cioccolato!

«Cosa… Cosa è successo?» Mi domandò lui, con un’espressione disorientata. «Perché mi hai versato addosso la Coca?!»

«Come?! Sei stato tu che volevi usarla per benedirmi e poi portarmi in convento!»

«Io?! Non può essere! Non…» Si guardò attorno, notando il tizio con il secchio e le madri che lo scrutavano spaventati. «Non mi ricordo!»

«Cosa vorrebbe dire che non te ne ricordi? Che cosa diavolo hai preso ieri sera?!»

«Nulla! Ho solo bevuto!» Dicendolo cercò di ricordare se si fosse calato qualche tipo di acido, ma sembrò non ricordarsene. Quindi si voltò verso il bancone e puntò il dito contro la cassiera. «Oddio!! Avete drogato la mia cheesecake!!!»

Le accuse non vennero prese affatto bene dal personale del fast-food, così ci ritrovammo nel parcheggio con una guardia muscolosa dallo sguardo minaccioso, che ci intimò di non farci più vedere in quel posto o avrebbero chiamato la polizia. Dalla vetrina, dei bambini ci osservavano ridacchiando con il mento sporco di ketchup e maionese, mentre i loro genitori scuotevano la testa con dissenso davanti alle scuse del povero inserviente, che non aveva alcuna colpa di ciò che era accaduto e, per di più, era costretto a pulire quel macello.

A quel punto, mentre la guardia finiva di rimproverarci e ci scattava una foto mentale per non dimenticarci, notai che dalla porta stava uscendo un tipo sulla trentina, con i capelli lunghi e scuri che gli accarezzavano la sciarpa e una giacca elegante. Non potrò mai scordare il sorriso che mi rivolse, con i suoi denti bianchi e perfetti bene in vista e gli occhi nascosti da un paio di Ray-Ban a specchio. Mi sentii rabbrividire… Ma solo mesi dopo riuscii a comprendere il perché di quella sensazione spiacevole e, soprattutto, la causa di ciò che era accaduto a Flip, là dentro. Era stata colpa di Gesù… Era stato lui a farci quel dispetto, a possedere Flip per fargli dire tutte quelle cose sul diventare preti. Non sapevo ancora perché ci avesse presi di mira e nemmeno perché ci stesse pedinando; inoltre, non sapevo che presto lo avremmo rivisto e avremmo scoperto la sua vera identità, nonché la vera natura di quegli eventi inspiegabili che ci stavano capitando.

Ci trascinammo al nostro appartamento e salimmo fino al terzo piano, finché arrivammo sul pianerottolo e vi trovammo Page, seduta vicino alla porta, con il cellulare in mano e le cuffie nelle orecchie. Non si accorse di noi finché non le arrivammo davanti e, allora, alzò gli occhi, spalancandoli immediatamente.

«…che vi è successo?!» Si drizzò in piedi con uno scatto, mentre gli auricolari le scivolavano via. «Che ci fate ridotti così?»

«Fidati, non hai mai sentito nulla del genere!» Le dissi io, girando la chiave nella serratura, mentre dietro di me il mio coinquilino misurava il respiro, cercando di riempire il vuoto di memoria. «Flip voleva che ci facessimo preti!»

«Non è vero! Non l’ho mai detto!»

«Oh, invece sì! Volevi andare in seminario e servire Gesù.» Dicendolo, invitai tutti a entrare e chiusi la porta alle loro spalle, accorgendomi che l’odore di uovo bruciato non se n’era ancora andato. «Però ora non si ricorda nulla! Dice che hanno messo della droga nella sua torta… Roba da matti, Page. Deve essere stato tutto il Jack Daniel’s di ieri sera. C’è rimasto!»

«Io reggo benissimo l’alcool!»

Flip agitò le braccia davanti alla faccia basita della nostra amica, che non sembrava credere alle proprie orecchie. Insomma, era abituata ad ascoltare storie bizzarre, dato che sia io che Flip ci eravamo sempre divertiti a spararle grosse, soprattutto se si trattava di esperienze sessuali o avventure notturne. Tuttavia, non ci aveva mai visto così sconvolti e coperti di Coca Cola dalla testa ai piedi. Non dovevamo affatto essere un bello spettacolo e avremmo dovuto comprenderlo quando un gruppo di adolescenti, per strada, si era messo a scimmiottarci.

«Se vuoi qualcosa da bere, prendilo…» Consigliai alla ragazza, che annuì e andò verso il frigorifero, mentre io aprivo la finestra per fare uscire quella puzza assurda. «Io vado a cambiare i vestiti! Cazzo, appiccicano tutti!»

«Avresti dovuto pensarci due volte, prima di fare esplodere la Coca!» Le urla di Flip arrivarono fin dalla sua stanza, dove era andato a cercare un ricambio. «Il mio cellulare è zuppo!»

«Ma se è un modello del 1940! È anche ora di cambiarlo!» Gli risposi io, cercando una maglia pulita dalla montagna di vestiti accatastati sulla seggiola, scegliendo quella che puzzava di meno. «E poi sei stato tu a iniziare!»

«Ti ho detto che mi hanno drogato! C’era dell’allucinogeno, in quella cheesecake!» Ormai era la centesima volta che lo ripeteva e, di sicuro, il vicinato lo avrebbe saputo nel giro di un paio d’ore. «Farò causa a quella catena di fast-food! Gli farò spillare milioni di dollari per avermi alterato il sistema cognitivo!»

«E dire che di solito sei tu a pagare per cercare di alterarlo…»

Il mio mormorio non arrivò fino a lui e me ne compiacqui in solitaria, prima di tornare da Page, che era seduta sul divano, lontana dall’angolo sporco di patatine e salsa barbecue. Aveva appoggiato le Vans al tavolino, cercando di evitare joypad, videogiochi, posacenere, pacchetti di patatine pieni, cartoni di pizza e hamburger vuoti e vari bicchieri e bottiglie. Non era per nulla femminile, lei, non lo era mai stata in vita sua. Aveva sempre indosso camicie da boscaiolo e jeans scoloriti, felpe da skater e guantini senza dita; inoltre portava i capelli a caschetto quasi sempre spettinati, perlomeno quando non erano coperti da un berretto di lana. Non che fosse il vestiario, a renderla un maschiaccio, anzi, era il suo atteggiamento strafottente a renderla tale. Devo ammetterlo: per qualche tempo, al liceo, ho avuto una cotta per lei. Aveva carattere ed era intelligente e, si sa, a quell’età è difficile trovarsi una ragazza con le palle. Però a lei non piacevo affatto, così sono stato friendzonato senza tanti complimenti e mi sono accontentato di esserle amico. Flip, invece, non era mai stato attratto da lei, la riteneva troppo sciatta per lui e, soprattutto, troppo piatta e magra. Non che possa permettersi questo gran pezzo di gnocca, idiota com’è… Anche se, è dura ammetterlo, finora era stato con delle tipe niente male. Fortunatamente, comunque, erano scappate prima che lui proponesse loro di passare la frontiera, al posto suo, con ovuli di cocaina in corpo …

Dicevo, andai a sedermi sul bracciolo, sull’altro lato del divano rispetto a Page e vidi i suoi occhi marroni correre a osservare la mia maglia rosa di Spyro, prima che cercasse i miei. Capii benissimo che stava aspettando di conoscere i dettagli, così le riferii l’intera faccenda, specificando che non poteva affatto esserci droga nella cheesecake, altrimenti la maggior parte dei clienti avrebbero iniziato a vaneggiare e avrebbero trasformato il locale in una bolgia infernale. Lei mi ascoltò in silenzio, sorseggiando una birra dalla bottiglia in vetro, ridacchiando qua e là, soprattutto quando descrissi il momento in cui Flip voleva benedirmi con la Coca Cola.

«…fortunatamente la bibita fredda che l’ha colpito deve avergli fatto ritrovare la ragione!» Conclusi, mentre l’oggetto del discorso si stava accomodando -al contrario- su una sedia che aveva trascinato davanti a noi, appoggiando gomiti e mento allo schienale. «Sembrava posseduto! Davvero!»

«Ti ripeto che mi hanno drogato. Quante volte devo dirtelo?!» S’infiammò, passandomi una delle due birre che aveva preso dal frigorifero. «Stanno sperimentando un nuovo allucinogeno per fare impazzire la gente! È colpa delle lobby e delle cospirazioni delle multinazionali! Vogliono spappolarci il cervello mettendoci sostanze stupefacenti nel cibo!»

«Andiamo, non iniziare con ‘ste cazzate!» Lo ammonii, stufo di ascoltare le sue manie di persecuzione. «Ti sarai preso qualcosa ieri sera, da quel vecchio fan dei Pink Floyd, e te lo sei scordato!»

«Insomma… A me sembra abbastanza lucido.» Se ne uscì Page, a quel punto, con una smorfia strana. «Secondo me ha solo voglia di fare il coglione!»

«No! Se fosse stato uno scherzo ve lo direi!» Lui si portò una mano sul petto, facendoci una croce sopra. «Lo giuro! Non mi ricordo nulla di quel che è successo! Non ero in me!»

«…l’antico spirito indiano dell’hamburger l’ha posseduto.»

Mormorai, facendo un lungo sorso dalla bottiglia, mentre ripensavo all’espressione da folle che aveva mentre eravamo al fast-food. Con il senno di poi, ora posso confermare che non fosse davvero in lui, anzi, so per certo che era manovrato da qualcuno. I segni erano evidenti: gli occhi fuori dalle orbite, la forte salivazione, i deliri e i movimenti isterici. A quel tempo, ovviamente, non potevo credere che fosse stato posseduto. Andiamo! Chi mai penserebbe che possa essere possibile?! Eppure, se fossimo stati meno scettici, avremmo potuto trovare un collegamento tra ciò che era accaduto mentre giocavamo a Metal Slug e quell’ultimo improbabile episodio. Solo Page presentò una teoria, che presi per una stronzata inverosimile.

«Tu andavi a messa, quando eri piccolo? Ti sei mai confessato?» Domandò a Flip, che annuì. «Forse un prete ti ha ipnotizzato e, in qualche modo, qualcuno all’interno del fast-food ha emesso un segnale per farti entrare in trance. Tuttavia, la doccia di Coca Cola ti ha risvegliato e…»

«Oddio! Potrebbe essere successo proprio questo!!» Squittì lui, spalancando la bocca, tanto da poterci permettere di visitargli le tonsille. «Ho sentito un rumore strano, prima di cadere in trance! Te ne rendi conto, Ian?! La Chiesa vuole reclutarci con l’ipnosi e i messaggi subliminali!»

«Smettiamola!! Mi sembrate tutti degli squilibrati!!» Urlai, alzandomi in piedi e sventolando le braccia come a disegnare un angelo nella neve. «Non è mica un film, questo! Lui era fuori come un balcone, Page, lo conosci! Ha solo dato di matto… Non è colpa delle lobby, del Governo, delle multinazionali, della Chiesa o di chissà che altro se lui è un coglione alcolizzato!»

«…lo so.» Sorrise lei, prima di scoppiare in una risata. «Però è stato bello vederlo sostenere a spada tratta la mia teoria!»

«Cosa? Non era vero?» Domandò il mio coinquilino, sempre più sconvolto. «Ma non capite?! Ne va della mia salute!»

«Bevi meno Jack Daniel’s, la prossima volta, e vedrai che non ti capiterà più!»

Ovviamente mi misi a ridere anche io, trovando sempre spassoso il modo in cui si poteva influenzare quel povero idiota di Flip. Valutammo molte altre opzioni, tra cui quella che fosse colpa del Professor X, ma io e Page eravamo certi che fosse solo la conseguenza della sbornia, o qualcosa del genere. Non potevamo essere più lontani dalla verità… Non potevamo sapere che c’era qualcuno peggiore di Charles Xavier dietro tutto questo, qualcuno molto più potente.

Non potevamo ancora sapere che ci trovavamo nel mirino di Gesù.

 

 

___________________________________________

 

Ri-ciao a tutti!!!

 

Scusate la luuuunga assenza!

Purtroppo (o per fortuna??) la mia priorità rimane scrivere il secondo volume del romanzo che vorrei pubblicare, mentre aspetto una risposta dalla casa editrice per il primo della saga! Quindi mi dedico a questi racconti quando sono in pari con la mia scaletta e posso lasciare da parte quella storia :P

Come se non bastasse, ci sono state le feste di mezzo a togliere tempo alla scrittura e facendomi ritardare con le pubblicazioni.

 

Detto questo, alla fine ce l’ho fatta a finire questo capitolo e spero in un vostro perdono!

Gesù è tornato a disturbare i protagonisti, anche se non si sa bene perché! Siamo ancora lontani dal capire come verrà ucciso e come i protagonisti si ritroveranno alle calcagna spie vaticane e sicari!

Non preoccupatevi, lo saprete prima o poi! :D

 

Nel frattempo accontentatevi di aver scoperto che i protagonisti sono dei poveri falliti!

 

Comunque, io lo ricordo sempre, questa è la mia pagina facebook! Lì troverete aggiornamenti e roba varia…

https://www.facebook.com/pages/Michelle-Morrison/390257021129034

 

Ps. grazie a chi mi ha messo fra le seguite, e le preferite!

 

M.M.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo II - Attraverso lo specchio di H&M ***


 

 

Disclaimer:

Non prendete questa storia per qualcosa di serio, davvero.

 

 

 

 

Capitolo II  - Attraverso lo specchio di H&M…

 

Erano passate circa due settimane dalla possessione divina di Flip e mancavano dieci giorni all’uscita al cinema de “La Desolazione di Smaug”. Quel pomeriggio me ne stavo dietro al bancone del fast-food dove lavoravo, con uno stupido berretto con la visiera infilato in testa. Davanti a me, una coppia di quindicenni appena usciti dalle lezioni stava ordinando un “menù del cuore”, in cui era inclusa una bibita gigante con una cannuccia doppia da cui bere romanticamente insieme. Li osservai che si sbaciucchiavano mentre aspettavano che arrivassero i due cheese-burger, la doppia porzione di patatine fritte e i cioccolatini con poesia inclusi nel menù, chiedendomi che cosa ci facesse una ragazza tanto carina con quel faccia-da-pizza. Se quel tipo aveva trovato una fidanzata, allora c’era una possibilità per tutti quanti, mi dicevo, annunciando automaticamente l’arrivo del loro ordine e distraendoli volutamente dalle loro effusioni amorose.

«Fanno tredici dollari e novantanove cents.» Proclamai, scrutando il volto immaturo e gradevole di lei. «Volete delle salse?»

«Oh, sì! Io voglio la salsa barbecue e il ketchup!» Disse, con grandi occhioni dolci. «Tu la maionese, giusto?»

«Allora sono quattordici dollari e quarantanove cents.»

Lui pagò, guardando con disgusto la salsa barbecue nel vassoio, prima di voltarsi e andare a sedersi con la fidanzata in un tavolo il più lontano possibile dalla mia postazione. Dal momento che il locale era praticamente vuoto a quell’ora, mi limitai a esaminarli, ripensando a quando io e Flip avevamo preso il menù del cuore solo perché avremmo risparmiato un dollaro e trentanove cents rispetto a quel che avremmo speso prendendo le stesse cose in menù separati. Senza contare che, così facendo, avremmo avuto anche i cioccolatini, non previsti in nessun altro caso. Ciò non venne affatto benvisto dai presenti, ma per risparmiare soldi si è disposti a fare qualsiasi cosa!

Lasciando perdere questi ricordi, in quell’istante mi ritrovai a rimuginare sul fatto che dovessi trovarmi qualcuna con cui mettermi, in modo da non ritrovarmi a pensare sempre a Flip. La cosa mi stava sfuggendo leggermente di mano e, presto o tardi, ci saremmo ritrovati scapoli e soli, nel nostro triste appartamento, con calzini sporchi e lattine vuote sparse sul pavimento. Dovevo fare qualcosa, magari uscire da solo la sera e abbordare una ragazza carina, cercando di fare colpo. Con i miei amici, ovviamente, non sarebbe mai stato possibile sistemarmi sentimentalmente. Andiamo, come fai a piacere a una tipa quando, dietro di te, i tuoi amici fanno finta di toccarsi le tette tra loro e si mettono a gemere?!

Certo, la colpa non è solo di quei coglioni, devo ammetterlo. L’ultima volta che mi sono avvicinato a qualcuno del sesso opposto, mentre eravamo in un locale in cui non avevamo mai messo piede, indossavo una maglia con scritto “bitches always say yes” con il numero “90” stampato sulla schiena. Non penso di aver fatto una bella figura… Da quel momento, difatti, l’unico numero che mi permetto di indossare è solo il “42” e, perlomeno, quello non infastidisce nessuno.

Ogni mio pensiero riguardo al gentil sesso venne interrotto nell’attimo in cui la porta del locale venne aperta e sulla soglia apparvero magicamente Flip e Page, il primo con indosso i pantaloni della fabbrica in cui faceva l’interinale da una settimana e la seconda con la borsa del ricambio in spalla. Mi accorsi così che mancavano giusto tre quarti d’ora prima che staccassi anche io e che potessi tornarmene a casa a farmi una dormita che neanche una tartaruga in letargo si sognerebbe! Nel felicitarmi, tuttavia, mi ricordai che avevo promesso di passare il pomeriggio in loro compagnia e, come una nuvola nera carica di pioggia in un film Disney, lo scazzo mi invase. Sbuffai non appena si avvicinarono a me, prima che il mio coinquilino appoggiasse i gomiti al bancone, facendo finta di non avermi visto.

«Buongiorno signor commesso!» Esclamò, rivolgendo un’occhiata al tabellone alle mie spalle. «Un menù del cuore!»

«Desidera la cannuccia doppia?» Domandai, stando al gioco e voltandomi verso Page. «Lei glielo permette?»

«Io in verità vorrei solo un gelato al cioccolato!» Mi rivelò lei, incrociando le braccia sul petto piatto. «Il menù del cuore lo spartiscono Flip e il suo ego.»

«Allora ho paura che al signore resterà gran poco con cui saziarsi!» Nel dirlo, composi l’ordine sullo schermo della cassa e poi mi voltai per preparare il gelato. «Allora? Avete idea di dove cercare i vestiti per il matrimonio?»

«Pensavo di andare in quel negozio in centro, accanto a quel parrucchiere francese…» Spiegò Flip, mentre Page prendeva la coppa che gli porgevo. «Ha dell’ottima roba.»

«Sì, ma lì una camicia costa quanto il mio stipendio!»

«Che hai capito, Ian?! Dicevo l’H&M!»

Tralasciai di rispondere e andai a recuperare la doppia porzione di patatine fritte, mentre dalla griglia Bella mi avvisava che i cheese-burger erano quasi pronti. Le lancia un’occhiata e lei sorrise, così che le guance gonfie traballarono e due fossette vi spuntarono nel mezzo. Ricambiai, cercando di dimenticare quando mi aveva proposto di uscire con lei. Ragazzi, io non ho nulla contro le tipe in carne, però non posso sopportare una fanatica religiosa! Giuro, per il nostro primo appuntamento mi aveva proposto di andare con lei all’incontro del centro cattolico cittadino. “Sarà divertente!” mi aveva detto, agitandomi un volantino davanti agli occhi, in cui era raffigurato un Gesù in croce con il sorriso sulle labbra. Non ci ho dormito la notte!!

Approfittando della possibilità di tornare al bancone, agguantai l’ordine e lo misi sul vassoio insieme a tutto il resto, prendendo i soldi dal mio amico e incassandoli. Lui andò a sedersi insieme a Page, osservando dubbioso la cannuccia doppia e decidendo di bere la sua Dr. Pepper direttamente dal bicchiere. Passai il resto del turno a fissare le due coppie presenti nel locale, servendo solamente un paio di bambini che pretendevano una granita e un poliziotto che si concedeva una pausa caffè. Finalmente riuscii a liberarmi di berretto e grembiule e mi fiondai nello spogliatoio a cambiarmi, ritornando alla mia felpa di Assassin’s Creed e al mio giubbotto di pelle nero. Nonostante il cambio, comunque, quando uscii dal locale potevo sentire benissimo la puzza di fritto che mi era rimasta addosso. Certo, ciò non era nulla in confronto all’odore di roba metalmeccanica che emanava Flip. Il mio primo pensiero andò alle povere commesse che ci avrebbero sentito entrare, ma poi mi convinsi che avrei dovuto essere fiero del fatto di avere un lavoro e dimostrarlo al mondo esattamente come faceva il mio coinquilino. Lui, infatti, portava con orgoglio quei pantaloni grigio topo sporchi di olio, polvere e maionese.

La prima –e ultima- tappa del nostro tour di shopping sfrenato per il matrimonio della sorella di Page fu davvero il negozio d’abbigliamento svedese, in cui entrammo tronfi, neanche fossimo delle star di Hollywood in Rodeo Drive. Nel giro di un quarto d’ora io e Flip eravamo già davanti agli specchi dei camerini, lui con un completo nero dal taglio moderno, i cui pantaloni lasciavano scoperte le caviglie, e al quale aveva abbinato una maglietta bianca e un paio di mocassini scuri. A guardarlo così, poteva anche sembrare una persona normale, ma l’impressione sfumò nel momento in cui slacciò il gilet e mostrò l’intera famiglia Griffin stampata a colori sul petto.

«Non puoi andare a un matrimonio con quella cosa!» Lo ammonii io, finendo di allacciarmi la giacca blu. «Prendine una a tinta unita!»

«Perlomeno io non ho preso un papillon a pois!» Mi canzonò, indicando il fiocco che avevo al collo. «Cazzo, sembri troppo un coglione!»

«Vaffanculo!»

«Bambini, non litigate…» Page spuntò fra noi con un vestito giallo canarino steso sull’avambraccio, spalancando gli occhi nel vederci conciati in quel modo. «Wow! Sembrate delle persone vere adesso! Beh, sempre che tu faccia sparire quel papillon, Ian.»

«E la sua maglietta?!»

«Ehm… Direi che sarebbe meglio indossarne un’altra, Fly.»

Entrambi bestemmiammo a bassa voce, in sincrono, tornando a cambiarci con il muso imbronciato. Dall’altra parte della sottile parete in compensato, riuscivo a sentire Flip che si lamentava del fatto che non era colpa sua se Cara –così si chiamava la sposa- lo aveva invitato a nozze. Le sue chiacchiere, tuttavia, si fecero sempre più fievoli, così come le risposte di Page, finché ci fu solo silenzio. Restai zitto per qualche istante, cercando di capire perché il mondo si fosse ammutolito, lanciando sguardi al ragazzo in boxer che lo specchio rifletteva.

All’improvviso l’Ian dall’altra parte dello specchio mi sorrise, allungando la mano nella mia direzione e muovendo l’indice avanti e indietro, come a indicarmi di seguirlo. Mi scappò uno squittio e chiusi gli occhi, passandomici sopra le dita, cercando di cancellare quell’immagine. Pensai di essere impazzito o ubriaco… Eppure non mi prendevo una sbronza da giorni! Rialzai le palpebre e, sconvolto, mi scoprii ancora davanti a un riflesso vivo. Indietreggiai verso la tenda del camerino, cercando di uscirvi, ma mi accorsi che era solida, dura, come se fosse fatta di marmo. All’improvviso mi prese una specie di crisi claustrofobica, nonostante non ne avessi mai sofferto prima.

«Flip!!!» Urlai, dando dei pugni al tendaggio in muratura. «Page!!»

«Vieni…» Dicendolo, il me stesso al contrario uscì dalla superficie riflettente e mi si avvicinò. «Seguimi.»

«Fliiiip! Caaaazzo!!» Iniziai a supplicare, voltandomi di nuovo e schiacciandomi contro la parete sbalzata alle mie spalle. «Mi sentite?!? Aiutatemi!!!»

L’altro Ian mi arrivò a pochi centimetri dal volto e, solo in quell’istante, mi accorsi che non puzzava affatto di fritto, ma profumava di… dopobarba? I suoi occhi erano verde spento, esattamente come i miei, ma il neo che avevo accanto al sopracciglio destro, lui ce l’aveva dalla parte opposta. Le sue mani gelide mi sfiorarono e mi afferrarono le guance, mentre con il naso sfiorava la punta del mio. Terrorizzato, non riuscivo a scollare lo sguardo dal suo.

«Andiamo… è ora.» Mi fece, con un tono di voce tanto dolce che non poteva essere affatto mio. «Devi trovare la luce. Seguimi… La troveremo insieme.»

«Vaffanculo! Lasciami stare, coso!» Lo spinsi via e lui mi osservò stupito, indietreggiando appena. «Che cazzo succede?!? …Flip!!! Page!!!»

«Non ti sentiranno. Sei solo… Noi due siamo soli.» Mi rivelò l’altro, mentre si abbracciava le braccia pallide coperte da peli chiari. «Devi trovare la fede. Devi trovare Gesù…»

«Che cosa…?»

«Cerca Gesù… Parla con lui!» Esclamò, convintissimo delle proprie parole. «Se lo accoglierai nella tua vita, io e te diventeremo un tutt’uno. Troveremo la luce!»

Iniziai a tremare, prima di voltarmi nuovamente verso la tenda, graffiandola, desiderando di scavarci un buco per arrivare dall’altra parte. Non credevo che i camerini della H&M potessero essere tanto robusti, dato i prezzi dei capi d’abbigliamento! Tantomeno credevo che all’interno di quei negozi ci si potesse trovare a discutere con un proprio doppione invasato per la religione!!

«Se non cercherai Cristo, non sarai mai libero da te stesso.» Rivelò, con tono drammatico e movimenti da attore. «Se lo rifiuti la Chiesa verrà a cercarti e ti ucciderà!»

«Cosa cazzo stai farneticando?!»  Gli domandai, prima di portarmi le mani fra i ciuffi nocciola, non riuscendo a credere a quel che stavo facendo. «Sto parlando a… me stesso. Sono impazzito!»

«Gesù desidera che tu lo cerchi. Vuole che tu gli dia il permesso di entrare nella tua vita.»

L’altro Ian cercò di avvicinarsi ancora, ma lo spinsi via con una tale violenza che la sua schiena cozzò contro lo specchio e questo andò in frantumi. Al contrario di quel che pensavo, la superficie non era attraversabile, al momento. Vidi il sangue che gocciolava a terra dalle ferite sulle scapole del duplicato, spargendosi ai miei piedi con una velocità surreale. Lui, a quel punto, emise un urlo innaturale e proferì qualcosa in una lingua incomprensibile, prima di allungare le mani verso il mio collo, afferrarlo e stringerlo forte. Il pezzo di merda stava cercando di ammazzarmi! Tentai di liberarmi ed entrambi cademmo nella piccola cabina, in ginocchio, fra sangue e schegge di specchio. Ne afferrai una, mentre sentivo il respiro venir meno, e –cazzo è istinto di sopravvivenza!!- la ficcai nelle costole della mia controfigura. Ripetei l’operazione più volte, sentendo il suo sangue caldo che mi schizzava in faccia, sulle braccia e su ogni centimetro della mia pelle nuda.

«Crepa, pezzo di merda!» Mi ritrovai a urlare, strizzando gli occhi pur di non vedere quella scena. «Crepa, cazzo!!»

«…Ian?»

All’improvviso la voce di Page arrivò alle mie orecchie e mi voltai per vedere la sua testa che spuntava dalla tenda, la quale, all’improvviso, era tornata di tela. Mi accorsi che la musica e le voci di sottofondo erano riapparse e che ogni cosa sembrava al proprio posto. Non c’era alcuna traccia di sangue, nessun frammento di specchio e, soprattutto, l’altro Ian era tornato al suo posto. Ciò che vedevo riflesso, ora, ero solamente io, con il volto pallido in preda al panico e i capelli spettinati.

«Che cosa stai vaneggiando?» Mi domandò lei, con quella strana espressione inquisitoria. «Sembrava che stessi uccidendo qualcuno!»

«Io…» Mi alzai e andai davanti allo specchio, appoggiandoci una mano sopra, come se mi aspettassi di toccare la mano del doppione. «È successa una cosa davvero strana e… Dov’è Flip?»

Non aspettai la sua risposta ed uscii immediatamente, cercando di entrare nel camerino accanto. Spalancai la tenda e mi accorsi che il mio coinquilino era totalmente nudo davanti allo specchio, con il pene che penzolava floscio. Uno spettacolo alquanto scabroso per la povera Page, ma non per me, che avevo tutt’altro di cui preoccuparmi. Mi accorsi infatti che Flip era immobile come una statua, assente, e fissava con sguardo vuoto il proprio riflesso. Non ho idea di come ci arrivai, lo ammetto, però pensai che gli stesse accadendo l'identica cosa che pochi istanti prima avevo vissuto io stesso.

«Flip! È tutto nella tua testa!» Gli dissi, prendendolo per le spalle e iniziando a scuoterlo. «Esci da quella cazzo di allucinazione! Svegliati!»

«Che succede?» Sentii Page agitarsi alle mie spalle. «Cos’ha?!»

«Sta sognando a occhi aperti!»

«Coooosa?!»

Page indietreggiò appena, mentre io mi posizionavo tra il mio amico e il suo riflesso, cercando di catturare la sua attenzione. Tuttavia, era palese che non mi vedesse affatto. Decisi di tentare con il metodo che ogni buon attore utilizza in queste situazioni e gli tirai uno schiaffo in faccia, ma servì solo ad arrossargli la pelle olivastra, senza aiutarlo in alcun modo. Tutto a un tratto i suoi occhi si voltarono all’indietro, come in un horror, e dalle sue labbra uscirono dei versi strascicati. Sembrava che volesse parlare e dirci qualcosa, ma fu solo un’impressione passeggera. Probabilmente stava cercando di tornare indietro, di uscire da quella trappola mentale.

«Fly, sveglia!» Lo colpii ancora, allora lui iniziò a muoversi e mi catturò i polsi, facendo forza e spingendomi. «Forza, Flip! Torna in te!»

«Ian!!» Page iniziò a spaventarsi sul serio, pensando che stessimo litigando o chissà cosa, e la sua voce si ruppe in singhiozzi. «Smettetela!»

«…col cazzo.» Mormorò il mio amico, mentre mi scaraventava sul pavimento. «Uno con la faccia da coglione e un uccello striminzito, non ha alcun diritto di dirmi cosa devo fare!»

«Svegliati!!»

«Ficcatela nel didietro la tua luce…» Alzò la voce e scosse la testa. «Se non vuoi che ti ci ficchi un braccio io!»

Fu questione di un istante e Flip tornò in sé e mi lanciò uno sguardo smarrito. Restammo a guardarci per un po’, prima che delle urla irrompessero nel camerino e mi costringessero a notare che ero in mutande, inginocchiato davanti al pene di Flip, che si trovava non molto distante dal mio viso. Non doveva essere uno scenario molto comune per la commessa, che –come a confermare la mia teoria- scappò via chiamando la sicurezza.

«…l’hai visto anche tu?» Osò domandarmi, prima di abbassarsi e tirare su boxer e jeans. «Hai visto il mio sosia?»

«No. Era nella tua testa… Ma è capitato lo stesso anche a me.» Sussurrai, mentre la nostra amica ci fissava senza capire, ancora in preda allo sconcerto. «Non è né il momento, né il luogo giusto per parlarne. Rivestiamoci e andiamocene immediatamente!»

Nel dirlo, mollai a Page un pezzo da cinquanta e due da venti, prima di recuperare il portafogli di Flip e rifilarle altri contanti per pagare i nostri acquisti. Senza aspettare che la sicurezza venisse a prenderci, io e il mio coinquilino corremmo a tutta velocità verso l’uscita, diretti alla macchina, piazzata al settimo piano interrato del parcheggio a pagamento. Solo quando ci ritrovammo soli in ascensore, con il cuore che batteva all’impazzata, osammo scambiarci uno sguardo. Flip stava letteralmente tremando nel suo giubbotto imbottito e il suo respiro era veloce, ansioso, mentre le guance sembravano quelle di un morto. Non osai guardarmi nello specchio dell’ascensore per evitare qualche altro inconveniente, impaurito più che mai da quel che avrebbe potuto succedere ogni volta che avrei cercato di farlo.

«…che è successo?» Mi domandò, lanciando sguardi inquietati alle pareti. «Sono entrato nel camerino e quel fottuto pezzo di merda è uscito dallo specchio e mi ha aggredito! Voleva che-»

«…che parlassi con Gesù. È successa l’identica cosa anche a me!!» Gli cercai di spiegare, concitato, mentre arrivavamo al settimo piano sotterraneo. «Sono rimasto chiuso nella cabina, senza via d’uscita! Quell’altro Ian voleva convincermi a parlare con Gesù e poi ha cercato di strozzarmi!»

«L’altro Flip, invece, voleva violentarmi!» Mi rivelò, anche se non sono del tutto sicuro che quella fosse la verità. «Però l’ho minacciato e l’ho fatto scappare! D’altronde cosa voleva fare con quel pesciolino che aveva fra le gambe? Non era nemmeno la metà del mio!»

«Io, invece, l’ho ucciso.» Gli riferii, senza dare importanza a quello che aveva appena detto; dal momento che, altrimenti, avrei dovuto cercare di spiegargli che le misure dell’uccello dell’altro Flip erano identiche alle sue e che, quindi, stava denigrando se stesso. «Mi sono accoltellato… Cioè. L’ho accoltellato.»

«Grande! È stato divertente? Uccidersi è un buon modo di combattere lo stress, no?»

 Raggiungemmo la macchina senza più aggiungere altro. Nel tragitto, però, quando guardai attraverso lo specchietto retrovisore, mi sembrò di notare qualcuno nei sedili posteriori. Mi voltai di scatto, sbandando appena, ma non c’era nessuno seduto dietro di me. Nemmeno oggi sono sicuro che non sia stata solo la paura a farmelo immaginare, però ho il presentimento che –vista ogni cazzata che ci stava succedendo- Gesù fosse lì a guardare. Non credo che abbia il potere dell’invisibilità o che possieda un qualche mantello magico come quello di Harry Potter… Però so che ci stava osservando. E, anche se lui questo non l’ha mai confermato, so che quel che era avvenuto nei camerini di H&M era un altro dei suoi scherzi. L’ennesima trovata per farsi notare da noi… Per farsi trovare da noi. A quel tempo non lo potevo sapere, ma Gesù desiderava davvero che lo trovassimo e che lo accogliessimo nella nostra vita.

Anche se il Vaticano non mi vuole ancora credere, giuro sulla mia collezione di fumetti di Deadpool, che è così. È stato lui a cercarci per primo e a pretendere che lo incontrassimo. È stato Gesù che ha voluto che diventassimo i suoi nuovi apostoli.

 

 

 

 

___________________________________________

 

Ecco qui il terzo capitolo del racconto!!!

 

Non so come sia successo, ma è diventato una specie di horror inquietante!!

Non so voi, ma io d’ora in poi starei lontana dai camerini di H&M! Non si sa mai che Gesù vi stia seguendo e voglia farvi scherzi simili!!

In compenso prenderei volentieri un menù del cuore, da sola, come Flip! Saremmo solo io e la cannuccia doppia.

 

A parte tutto… penso che la frase finale sia vagamente sconvolgente! Ma un giorno verremo a sapere che cosa sta succedendo, che cosa succederà e che cosa è successo.

 

Spero di avervi incuriosito e che questa storia continui a piacervi! Non abbiate paura di lasciare una recensione J

 

A presto!

 

Come sempre, questa è la mia pagina facebook:

https://www.facebook.com/pages/Michelle-Morrison/390257021129034

 

Ps. grazie a chi ha messo la storia fra le preferite e le seguite. E a chi recensisce!

M.M.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo III - Buon compleanno Gesù! ***


 

 

Disclaimer:

Non prendete questa storia per qualcosa di serio, davvero.

 

 

 

 

CAPITOLO III  - Buon compleanno, gesù!

 

Ciò che era accaduto nei camerini della H&M non avvenne più.

Non appena arrivammo a casa, io e il mio coinquilino coprimmo tutti gli specchi con una coperta ed eliminammo anche le pentole d’acciaio e i cucchiai, giusto per essere sicuri che non uscissero doppioni nemmeno da lì. Decidemmo di evitare ogni contatto visivo con ogni possibile riflesso all’esterno del nostro trilocale e, poi, una volta ripresi dallo spavento, cercammo di accordarci per ciò che avremmo dovuto riferire a Page. Chi avrebbe creduto a una storia assurda come quella? La possessione di Flip era molto più buffa e credibile, a confronto. Le avremmo raccontato che era stato tutto uno scherzo progettato per evitare di passare la giornata a fare shopping, perché avevamo voglia di tornarcene sul divano a giocare a Soul Calibur V. Era una scusa più che credibile e, infatti, lei abboccò e ci insultò tanto che ci scoppiarono le orecchie.

Dopo quella strana esperienza, in ogni modo, per me e Flip le cose non furono più le stesse. Nemmeno la visione de “La Desolazione di Smaug” riuscì a distoglierci dal pensiero costante di essere nuovamente assaliti da un nostro sosia. Ne parlavamo spesso, quando eravamo soli, davanti a un ramen istantaneo o a una birra, ma non riuscivamo comunque a capire che cosa fosse successo. Ci sentivamo dei pazzi e, una sera, decidemmo di ricostruire le circostanze di ogni assurdo avvenimento della nostra vita, cercando di trovare dei collegamenti. Ci sentivamo un po’ come Sherlock Holmes, con in mano quel pennarello rosso e uno nero, davanti alla lavagnetta bianca su cui solitamente appuntavamo la lista della spesa.

Era la sera del 24 Dicembre, la Vigilia di Natale, e io e il mio migliore amico eravamo immobili davanti a sei indizi, senza alcun collegamento logico fra loro.

 

Quelli sottolineati in rosso, erano gli episodi più preoccupanti nella lista e, inoltre, erano gli unici a cui non potevamo dare alcuna spiegazione. Il motivo per cui anche i ladri di calzini fossero ritenuti tanto importanti, era che entrambi eravamo sicuri di aver messo in lavatrice la coppia, visto che l’avevamo fatto insieme e avevamo documentato il tutto con una foto postata su facebook; eppure al momento di stenderli c’eravamo ritrovati con un solo calzino a righe bianche e nere e uno rosso. C’era qualcuno che stava tentando di farci impazzire, senza dubbio. Certo, non sapevamo di chi si trattasse, quindi, al momento, incolpammo i folletti.

«Non c’è nessun altra spiegazione…» Concluse Flip, stappando l’ennesima bottiglia di birra. «Siamo perseguitati da dei folletti o dei fantasmi. Hai ucciso qualcuno che vuole vendicarsi di te?»

«No! Che cazzo di domanda!» Sbottai, lasciandomi scivolare sulla sedia, spossato. «…tu, invece? Non è che qualche spirito è tornato per fartela pagare?»

«Impossibile. I miei nemici sono tutti vivi… Che io sappia.» Si bloccò e poi mi rivolse uno sguardo dubbioso. «Forse farei meglio a telefonare a Gus

«Ecco, non sarebbe male!» Incrociai le braccia sul petto e mi sforzai di pensare se qualche mio parente defunto mi odiasse, ma non mi venne in mente nessuno. «Deve essere certamente colpa tua.»

«Oppure è il Governo che sta sperimentando una nuova droga su di noi, a nostra insaputa, e siamo monitorati ventiquattr’ore su ventiquattro. Siamo delle cavie, Ian. Il Grande Fratello ci sta osservando!»

Dopo la sua affermazione, entrambi iniziammo a controllare che non ci fossero telecamere attaccate al soffitto e, per precauzione, ispezionammo la tv, il frullatore, il tostapane, la caffettiera, l’orologio e qualsiasi cosa potesse contenere una microcamera spia. Smontai addirittura il mio cellulare per controllare che non ci fossero dei micro-cip, delle cimici -o chissà cos’altro- nascoste al suo interno. Fu proprio mentre Flip stava aprendo la scala per arrivare al lampadario, che bussarono alla porta e mi ritrovai ad aprire a Page, infagottata e con della neve sul berretto, che mi porgeva uno spumante.

«Buona Vigilia!»

Mi disse, prima di fare un passo in casa e notare –nel seguente ordine- la lavagnetta imbrattata, gli elettrodomestici smontati, lo specchio coperto e il mio coinquilino che controllava il lampadario. Entrò in casa senza dire altro e io, come un idiota, cacciai la testa nel pianerottolo per assicurarmi che nessun agente della CIA o del FBI l’avesse seguita. Non vedendo nessuno, richiusi la porta con tre mandate e mi catapultai sotto la scala di Flip, ignorando la ragazza, che se ne stava immobile in mezzo alla stanza senza nemmeno togliersi il cappotto, facendo gocciolare quel che restava dei fiocchi di neve sul pavimento.

«Hai trovato qualcosa?!» Domandai, attaccandomi alla struttura in alluminio. «C’è qualche telecamera?»

«No. Non c’è nulla.» Mi rispose, scendendo dai pioli ricoperti di plastica blu. «Credo che l’opzione del Grande Fratello sia da scartare.»

«Allora che cosa ci resta?! Chiamiamo i Ghostbusters?! Melinda Gordon?!»

«Non credo che sarebbero d’aiuto…»

«Ragazzi…» Ci interruppe la nostra ospite, titubante, indicando l’affollamento di bottiglie vuote sul tavolo. «Quanto avete bevuto?»

«Non abbastanza!»

Rispondemmo in coro, lasciandola ancora più sbigottita di quanto non fosse. Ripensandoci bene, visti dall’esterno non dovevamo proprio essere un bello spettacolo, anzi… Sembravamo dei matti, con la barba di due settimane –beh, rasarsi senza guardarsi allo specchio non è facile, quindi meglio evitare- e le occhiaie dovute alle notti insonni. Ci svegliavamo nel cuore della notte, spaventati dall’incubo ricorrente di ritrovarci faccia a faccia con il nostro sosia assassino. Visti i presupposti, l’alcool non era affatto d’aiuto per mantenere un aspetto dignitoso, ma non possiamo sempre dare la colpa di tutto alla birra. Tuttavia, non potevamo nemmeno spiegarle il vero motivo che ci aveva spinto a un comportamento psicotico come quello. Come puoi dire a qualcuno che hai paura del tuo riflesso e che i fantasmi o i folletti ti stanno rubando i calzini? Come fai a svelarle che temi che il Governo ti stia usando come cavia e ti stia monitorando dopo averti somministrato una nuova droga in grado di schiavizzare l’umanità intera?

Entrambi restammo quindi in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri alla ricerca di una spiegazione che non ci avrebbe fatto passare per dei pazzoidi. Dal canto mio, non sapevo affatto che cosa inventarmi e come giustificarmi. Lo stress non faceva altro che comprimere il mio cervello e, come se ciò non bastasse, la sbornia contribuiva a rallentarne il funzionamento. L’unica cosa che la mia coscienza mi suggerì fu “dille la verità”, ma io non avevo alcuna intenzione di darle retta. Fu allora che Flip, che non era in grado ti tenere la bocca chiusa, scoppiò in un lamento frustrato.

«Non possiamo più andare avanti così! Dobbiamo parlarne con qualcuno!» Guaì, facendo qualche passo in là per voltarsi poi verso il sottoscritto. «Impazziremo se continueremo a tenere tutto segreto!»

«Pensi che parlarne possa risolvere qualcosa?» Piagnucolai, passandomi la mano fra i capelli e incastrandomi in un nido di nodi. «Non credere che mi piaccia mentire a Page!»

«Ragazzi… Che cosa state dicendo?» Ci chiese lei, con le braccia penzoloni lungo i fianchi, con il volto sbiancato. «Che cosa state nascondendo? Avete dei casini con la legge…? Avete ucciso qualcuno?»

«NO!!» Il mio urlo la spaventò ancora di più e, se devo essere sincero, terrorizzò anche me. Stavo perdendo la ragione… «La questione è più complicata. Più… improbabile, ecco.»

«Che cosa è successo, allora?!» Anche lei alzò la voce e le scappò pure una bestemmia, tanto era innervosita dal nostro atteggiamento anomalo. «Sono due settimane che non fate altro che evitarmi… Non siete stati nemmeno al Jack’s! Nessuno vi vede più in giro e non aggiornate nemmeno i social, a parte per quei vostri calzini scomparsi!! Non rispondete al telefono e ai messaggi su whatsapp. Avete un aspetto da reietti e…»

«Volevamo finire tutti i Final Fantasy in tempo record. Uno filato all’altro…» Sentii dire al mio migliore amico, con tono basso e colpevole. «Volevamo affrontare questa impresa epica senza dirlo a nessuno.»

«Esatto…»

Lo appoggiai, indicando la consolle che avevamo smontato giusto un’ora prima alla ricerca di microcamere o cimici. Chiunque si sarebbe reso conto che stavamo mentendo spudoratamente e, difatti, Page ci scrutò come se volesse estirpare la verità dai nostri corpi. Resistemmo con tutte le nostre forze e sostenemmo il suo sguardo, così fu lei a cedere e sbuffare, finendo per fare spallucce. Ci conosceva da anni e sapeva che potevamo essere dei gran coglioni, ma non dei criminali o degli assassini. Al momento, quindi, si convinse che avessimo iniziato a testare alcolici e allucinogeni in vista di Capodanno. Sempre meglio passare per degli alcolisti che per dei pazzi…

«Liberate il tavolo, che mancano dieci minuti alla mezzanotte…» Ci disse, levandosi il cappotto per adagiarlo sulla sedia, mentre osservava i pezzi del tostapane sparsi sulla tovaglia. «Avete preparato la Mince Pie per Babbo Natale?»

«…è già Natale?» Se ne uscì il mio coinquilino, lanciandomi un’occhiata incredula. «Me ne ero scordato.»

«Sei così sbronzo, Fly?» Page ridacchiò e scosse il capo, prima di andare ad afferrare il cavatappi. «E dire che è un giorno importante! Non si lavora, arrivano tanti regali e nasce Gesù!»

«Come se potesse importarci qualcosa della sua nascita…»

Mormorai, con quella sensazione di fastidio che mi nasceva in petto nel sentirlo nominare. Dopo ciò che era accaduto alla H&M non potevo far altro che collegare quel nome al ricordo dell’altro me stesso che, prima di provare a uccidermi, voleva convincermi a cercare Gesù. Non che ce l’avessi con lui –non ancora, perlomeno, visto che non sapevo che fosse la causa di tutti i miei problemi- però iniziavo a non sopportarlo affatto.

«Pensiamo al brindisi piuttosto!» Proposi, avvicinandomi alla credenza per afferrare tre flûte. «Brindiamo a Babbo Natale e a quella sua barba ispida e bianca.»

«Secondo me è soffice…» Suppose Flip, accarezzandosi la mandibola per saggiare la consistenza della propria barba nera. «Sembra fatta di ovatta. È come le nuvole o la panna montata… Sai, quelle cose che ti danno senso di morbidezza.»

«A me ha sempre dato l’impressione di essere fredda come la neve…» Ammise la ragazza, abbassando lo sguardo sullo spumante che stavo versando nei bicchieri. «Non so… A me Babbo Natale ha sempre fatto un po’ paura.»

«Effettivamente ha un po’ lo sguardo da psicopatico…» Esclamai sovrappensiero, ricordandomi di quell’uomo travestito da Babbo Natale con cui avevo fatto una foto da piccolo, al supermarket. «Sembra un po’ un pedofilo.»

«Non è un pedofilo! Vuole bene ai bambini! Porta a tutti i regali!» Nel dirlo, il mio coinquilino scoppiò in una risata, poi guardò l’orologio. «Manca un minuto! Siete pronti?!»

Alzammo tutti i calici verso l’alto e iniziammo a contare i secondi, come se fossimo a capodanno. Quel minuto sembrò durare un’eternità, anche se non riuscii a spiegarmene il motivo, ma, comunque, brindai non appena fu mezzanotte, cercando di accantonare la strana sensazione che provavo.

«A Babbo Natale e alla sua barba di cotone!» Fece Flip, mentre facevamo sbattere i flûte uno contro l’altro. «Buon Natale!»

«Buon Natale!»

Non appena io e Page finimmo di dirlo, successe quel qualcosa di strano che avevo avvertito in precedenza. Le luci iniziarono a tremare, per poi accendersi e spegnersi a intermittenza, mentre uno strano ronzio invadeva la stanza. Istintivamente, io e il mio migliore amico indirizzammo lo sguardo verso lo specchio, tuttavia lo ritrovammo coperto dal telo da mare di Topolino e, per un attimo solo, ci risollevammo. Fu il bussare insistente alla porta, tuttavia, che ci fece sussultare. Il mio bicchiere, ancora mezzo pieno, cadde a terra e si frantumò, così che il contenuto si sparpagliò in una pozza dorata sul linoleum.

«Chi è?» Chiesi, indietreggiando appena e guardandomi intorno per cercare qualcosa con cui proteggermi. «Chi… chi può essere?!»

«Saranno quelli del coro! Andiamo ad aprirgli?» Ci domandò la ragazza, controllando le proprie tasche alla ricerca di spiccioli. «Io non li sopporto, ma se dai loro qualcosa se ne vanno anche senza cantare. Cazzo, una scocciatura!»

«Non sono quelli del coro!» Mormorai, lanciandomi verso la riproduzione di Pungolo appesa accanto al divano. «Non aprire quella po…»

Non feci nemmeno in tempo a dirlo che le luci si spensero del tutto e calò il buio. Purtroppo, la mia versione di Pungolo non si illuminava affatto e maledissi il giorno in cui, alla fiera del fumetto, il venditore mi aveva convinto che quella era decisamente più bella e raffinata. Nell’oscurità potevo sentire il respiro affannato del mio compagno di sventure, nonché il battito del mio cuore, che era come impazzito. Non molto lontano da noi, la porta scricchiolò e, subito dopo, dei passi rimbombarono nel silenzio.

«Che succede?» Fu la nostra amica a parlare e mi accorsi che si era spostata verso la finestra. «Ragazzi, che scherzo è questo?! Non è divertente!»

«Non è uno scherzo!» Le rivelò Flip, che doveva aver raggiunto la soglia del corridoio. «Deve essere un poltergeist!»

«E io dovrei crederti?! Andiamo!! Un poltergeist?!»

«Se non è quello è molto peggio!» Le dissi io, brandendo la spada con la stessa convinzione di Martin Freeman. «…è un agente del Governo!»

«Che cooosa!?!»

La risposta di Page fu seguita da una risata inquietante, molto simile a un “oh oh oh” che mi fece venire la pelle d’oca. Non potevo sapere di che cosa si trattasse e il mio cervello sviluppò un immagine dell’altro me stesso vestito come l’agente Smith che mi veniva incontro pronto a eliminarmi. Non potei sopportare quell’idea a lungo e feci qualche passo in avanti, senza sapere dove si trovasse il misterioso aggressore.

«Dove sei?» Domandai, strizzando gli occhi per cercare di mettere a fuoco gli oggetti nel buio. «Smettila di prenderci per il culo! Non vogliamo più essere le cavie del Governo! Di’ a Obama che dovrà lasciarci in pace!»

«O al capo dei folletti…» Aggiunse la voce distante del mio amico, che sembrava provenire dalle stanze. «O a Casper!! Insomma, a chiunque ti mandi!»

«Con chi diavolo state… AAAAAARGH!»

Il grido spaventato della ragazza mi fece sussultare e cercai di raggiungerla, andando però a sbattere contro la scala che avevamo lasciato in mezzo al salotto. La sua caduta a terra fece tanto casino da spaccarmi i timpani, ma ciò passò in secondo piano, visto la botta che mi ero preso alla testa dopo averla seguita sul pavimento. Di nuovo, la risata dello sconosciuto riempì l’aria, accompagnato dai singhiozzi della povera Page. Ci fu qualche secondo –o forse minuto?- in cui non capii granché di ciò che stava accadendo intorno a me. L’oscurità, l’urto con la scala, lo sgomento e la leggera sbronza mi spedirono in una specie di buco nero. Mi ritrovai a credere di essere impazzito completamente, pensai addirittura di porre fine a tutto prendendomi a spadate in fronte e farla finita.

Fortunatamente, come se fosse un fuoco fatuo portatore di salvezza, vidi una luce verde provenire dalle stanze. Al momento mi convinsi che fosse un vero Jedi e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Potevo credere ai Jedi dopo aver ucciso me stesso, no?! Andiamo, era una situazione fuori dal comune!

Comunque non era altro che Flip, che aveva recuperato la riproduzione della spada laser che aveva nell’armadio in camera sua. Gli era costata duecento ottantacinque dollari e la teneva nascosta come se fosse fatta d’oro, ma, a quanto pare, in quella circostanza sembrava deciso a usarla. Fu grazie a quella luce, che tornai finalmente a vedere e la prima cosa che notai fu lo sguardo stravolto del mio coinquilino, che era rimasto in piedi sul divano con la spada laser alzata. Mi voltai anche io verso Page e l’intruso, così mi scappò un gridolino poco virile nell’istante in cui mi accorsi che non si trattava di un poltergeist, di un mio sosia o di un agente del Governo: era Babbo Natale. Era lui in carne e ossa, non un cosplayer o un maniaco travestito.

«…Babbo Natale?» La voce fievole del mio migliore amico arrivò in un mormorio incredulo. «Sei… Babbo Natale?»

«Oh oh oh! Sì!» Fece lui, trattenendo Page come se fosse un ostaggio e puntandole alla tempia un bastoncino caramellato a strisce. «Siete stati dei bambini cattivi quest’anno!»

«Aiutatemi!!» La ragazza ci supplicò, con la frangetta spettinata a coprirle gli occhi invasi dall’orrore. «Questo pazzoide puzza di vaniglia da far vomitare!!!»

«Io non sono stato cattivo per un cazzo!! Ho pure un lavoro, adesso!» Senza dare ascolto alla richiesta della nostra amica, Flip puntò l’arma verde verso l’ospite indesiderato. «Ho pure aiutato una vecchia ad attraversare la strada, il mese scorso! E non commetto atti impuri da tre settimane… A parte sotto la doccia. Con la mia mano e…»

«Andiamo!!» Sbottai io, rialzandomi da terra con Pungolo stretto in una salda presa. «Cosa ce ne frega se sei stato cattivo o no! C’è Babbo Natale in casa nostra, porcaputtana! Babbo Natale!!!»

«Beh, ma non può permettersi di accusarmi senza alcun motivo! Dice il falso!» Si lagnò lui con un tono da bambino dell’asilo, facendomi saltare i nervi. «Non ho fatto nulla di male!»

«Ora basta!!!»

Page ci interruppe, poi, inaspettatamente, fece una delle mosse che aveva imparato al corso di difesa personale e, in men che non si dica, si ritrovò distante dal grasso uomo vestito di rosso. Lui si piegò in avanti, con le mani appoggiate alle palle, inspirando lentamente. Anche lui, quindi, aveva dei genitali delicati come tutti quanti… Ma questo non è molto importante. Ciò che conta è che il caro Babbo s’incazzò tanto che il volto diventò dello stesso colore della sua casacca e ci lanciò addosso delle caramelle gommose per vendicarsi. Una mi arrivò dritta sulla mano e ci si attaccò, pizzicandomi forte, prima di iniziare a scavare la mia pelle.

«O porcatroia!!» Esclamai, cercando di staccarmela di dosso senza alcun risultato. «Queste caramelle sono carnivore!»

«Cosa?!» Flip agirò la spada e colpì uno dei dolcetti con cui era stato attaccato, che finì nel lavandino pieno di piatti da lavare. «Non mi lascerò mangiare da delle caramelle!»

«Ian… Non si staccano!» Mi disse la ragazza, accanto a me, tentando di togliersene un paio dalle braccia. «Che cosa sta succedendo?! Chi è quello?! Che cosa sono queste cose?!!»

Mi voltai a guardarla e, in quel preciso istante, mi accorsi che delle grosse lacrime le strisciavano sulle guance pallide. Purtroppo, io non avevo alcuna risposta che avrebbe potuto rasserenarla e non potevo nemmeno dirle che sarebbe andato tutto bene. Come potevo, d’altronde, se non lo credevo neanche io? Non avevo idea del perché Babbo Natale fosse venuto da noi e ci stesse facendo del male.

«Oh oh oh!! Mi avete fatto proprio arrabbiare!!» Ci spiegò quest’ultimo, infilando la mano nel suo grosso sacco pieno di regali e dolci. «Avreste fatto meglio ad andare a Messa, a festeggiare il compleanno di Gesù! Non avremmo avuto alcun problema, se foste stati dei bravi cristiani!»

«Ma che cazzo c’entra ora?!» Domandò il mio coinquilino, salendo sullo schienale del divano, dondolando alla ricerca dell’equilibrio. «Non bisogna essere cristiani, per essere bravi! Sono tutte stronzate!»

«Ah ? Oh oh oh! E come lo spieghi, allora, il fatto che dal ‘96 non ti ho più portato alcun regalo perché non hai fatto la prima comunione?» Chiese l’intruso, estraendo dal sacco la lettera stracciata a metà che gli era stata inviata da Flip diciassette anni prima. «Non prendo in considerazione le richieste dei bambini cattivi!»

«Cosa…?» Il poveretto sembrò sul punto di scoppiare a piangere per ciò che aveva appena scoperto, poi alzò l’arma verso l’alto, illuminando l’accumulo di muffa sul soffitto. «Io volevo tanto il primo Tomb Raider per playstation e ho dovuto aspettare fino a Marzo per la paghetta del mio compleanno per potermelo comprare solo per colpa tua?! »

A quel punto, Flip non ci vide più dalla rabbia e si gettò addosso a Babbo Natale, iniziando a prenderlo a spadate con una violenza inaudita. Io restai immobile per un po’, dimenticando persino la caramella che mi stava trapanando il dorso della mano, troppo intento ad assimilare ciò che stava avvenendo davanti ai miei occhi. Il mio migliore amico stava picchiando Babbo Natale… Credetemi, questa è una scena che uccide l’ultimo rimasuglio di innocenza che vi è rimasto dentro. Fu in quel momento di caos, mentre Page si lamentava per il dolore al braccio, che mi ricordai del Natale del 1997, quando mi rifiutai di andare alla Messa di mezzanotte. La mattina, quando mi alzai, non trovai alcun dono sotto l’albero e mia madre si limitò a dirmi che avrei avuto qualche regalo in più al mio compleanno, a Gennaio. Ci rimasi male, è vero, ma alla fine ricevetti quel che volevo due settimane dopo e me ne dimenticai.

Ora, però, avevo compreso che era stato il vecchio imbecille che mi era entrato in casa di soppiatto e stava cercando di farci mangiare dalle caramelle a cancellarmi dalla lista dei bravi bambini. Quelle che vi raccontano, sono cazzate: non sono i vostri genitori a farvi i regali, è quel pezzo di stronzo di Babbo Natale. Vostra madre e vostro padre cercano solo di prendersi il merito o di farvi credere di essere superiori a qualcosa che non riescono a spiegarsi. È Babbo Natale la causa della tristezza e dello smarrimento che avete provato la mattina del 25 Dicembre, quando sotto l’albero non c’era nulla.

A quel punto, brandii Pungolo come se mi trovassi davanti a qualche ragno gigante a Bosco Atro e mi gettai anche io sull’intruso. Flip si scansò appena per farmi passare, mentre Babbo Natale provava a fermare la spada laser senza alcun successo, visto la lentezza dovuta alla sua mole. Allora puntai dritto alla testa e gliela centrai, sentendo il cranio fratturarsi sotto il mio colpo deciso. Alla luce verde emanata dall’arma del mio coinquilino, vidi un rivolo di sangue colare da sotto il cappello con la punta a pon-pon. Poi, nell’istante in cui il vecchio cadde a terra, la luce tornò a illuminare la stanza e le caramelle attaccate alla nostra pelle tornarono a essere inanimate e scivolarono sul linoleum.

Ai nostri piedi, dove avrebbe dovuto esserci Babbo Natale, non v’era che uno spazio vuoto. Non c’era traccia del suo cadavere o del suo sacco. Ciò che ci impedì di pensare che fossimo diventati completamente pazzi, fu la lettera scritta nel 1996 da Flip, stracciata a metà accanto a una delle caramelle gommose. Il mio amico si chinò a recuperare entrambe e appallottolò la prima, per poi infilarsi in bocca la seconda e masticarla.

«Uh! È alla banana!»

Proclamò, come se non fosse successo nulla. Sia io che Page lo fissammo a occhi sgranati, lei in ginocchio poco distante da lui e io in piedi, con Pungolo lasciato a ciondolare lungo il fianco. Mi voltai verso la ragazza soltanto quando lei si alzò, tenendo il dolcetto carnivoro sul palmo della mano tremante. Non riuscimmo a far altro che scambiarci un’occhiata incredula, prima che Flip passasse in mezzo a noi per andare a prendere una bottiglia di birra nel frigorifero.

«Ok.. Direi di aggiungere anche questo alla lista, già che ci siamo.» Mi disse, stappando la bevanda e appoggiando i fianchi al ripiano della cucina. «Anche se trovare un collegamento logico pare ancora impossibile. Forse era un poltergeist che aveva preso la forma di Babbo Natale.»

«…forse.» Mormorai, appoggiando Pungolo al tavolo, cercando tracce del sangue di Babbo Natale e non trovandole. «Certo, il Governo a questo punto è da scartare.»

«A meno che abbiano drogato anche Page!» Mi corresse lui, voltandosi verso la nostra amica. «L’hai visto anche tu, vero?»

«Io… Io non l’ho solo visto! L’ho toccato! Era vero!» Sbraitò, agitando le braccia nel panico. «E voi l’avete ucciso! Avete ucciso Babbo Natale!!»

«Dici che è un reato?» Mi chiese quell’altro, preoccupato. «C’è una pena da scontare per chi ammazza Babbo Natale?»

«Perché, vuoi consegnarti dicendo quel che è successo?» Feci, afferrando la bottiglia di spumante per bere a canna. «Non ci crederebbe nessuno! E poi non sappiamo neanche se era vero o se fosse l’ennesima allucinazione! Guarda, non c’è alcun cadavere!»

«Come sarebbe “l’ennesima allucinazione”?!» Se ne uscì la ragazza, ormai sull’orlo di una crisi isterica. «Mi state dicendo che già vi è successa una cosa del genere?!»

«Non con Babbo Natale, ma…»

Non finii di parlare perché bussarono alla porta e tutti ci voltammo contemporaneamente, terrorizzati. Nessuno si mosse, non fino a quando riprovarono a bussare e ci arrivò alle orecchie la voce di una donna. Riconobbi che si trattava Bella e, allora, presi coraggio e mi avviai ad aprire, ritrovandomi davanti al coro natalizio. In mezzo al gruppo, accanto alla mia collega di lavoro, c’era una ragazzina magra che teneva fra le mani un cartello con fiocchetti e cuori dipinte con un acrilico rosso sangue.

«Buon Natale Ian!» Mi disse la mia conoscente, cercando di baciarmi le guance e rinunciandoci quando si accorse che ero sudato e riluttante. «Questi sono i miei amici del gruppo! Stiamo passando per cercare soldi per aiutare la nostra parrocchia a…»

«Aspettate!» La bloccai e mi voltai verso il cappotto di Flip appeso all’attaccapanni, prendendo il suo portafogli e dando un biglietto da venti a Bella, purché togliesse il culo dal mio pianerottolo. «Ecco, ora scusate, ma non ho tempo. Ci vediamo!»

Feci per chiudere, ma uno dei coristi allungò la mano verso di me e mi diede una busta con scritto “grazie per l’offerta”. Incrociai i suoi occhi azzurri, nascosti appena dai lunghi capelli castani e, solo allora, riconobbi l’uomo che avevo visto fuori dal fast-food in cui Flip era stato posseduto. Se ci ripenso ora, mi viene da ridere. Andiamo, Gesù se ne andava in giro a raccogliere soldi per la parrocchia la notte prima del suo compleanno! Smettiamola! Avrebbe potuto spassarsela con una bottiglia d’acqua e trasformarla in vino per tutta la notte! Eppure, ora so che quel giorno era stato lui a mandarmi Babbo Natale dritto in casa per far sì che lo facessi fuori. Sapeva quel che sarebbe accaduto, ma non aveva fatto nulla per fermarmi. Anzi, più tardi mi spiegò che era sua intenzione cancellare l’uomo che da anni gli aveva rubato la scena durante la festività del Natale e che, da quel momento in poi, ci avrebbe pensato lui a portare i regali. Era stanco di affidarsi a sottoposti come il vecchio vestito di rosso. Ancora non riesco a capacitarmi di essere stato una banale pedina… Eppure il peggio non era ancora arrivato. Eravamo solo all’inizio di quello strampalato piano divino.

Comunque, in quel momento, ignaro di chi fosse, mi limitai a sbattergli la porta in faccia e mi voltai verso gli altri, tenendo la busta fra le mani. Loro mi osservarono per qualche istante, prima di sedersi entrambi sul divano con una birra ciascuno, sfiniti. Presi a mia volta una bottiglia e li raggiunsi, accomodandomi fra loro. Non dicemmo nulla, così mi limitai ad aprire la busta e vi scovai un piccolo biglietto. Tutti e tre ci ritrovammo a leggere quella scritta con il cuore che martellava come se volesse scavarci il petto.

Il biglietto si presentava così e ancora non riesco a cancellarne l’immagine dalla mia memoria:

 

 

 

 

___________________________________________

 

Eccomi con il nuovo capitolo…

 

Credetemi, ho fatto una fatica assurda a scrivere questa cosa. Non so che cosa mi sia venuto in mente, ma… Babbo Natale era cattivo ed è morto! Non fatevi troppe domande e non chiedetevi perché non vi sono arrivati regali nel ’98. Però, chissà, forse è perché non siete andati a messa!

Detto questo, sì, Babbo Natale era un sottoposto di Gesù, solo che poi è diventato più famoso di lui! Ahimè… I nostri protagonisti, però, hanno risolto il tutto uccidendolo e ora non dobbiamo più preoccuparcene!

 

Vedremo che cosa succederà nel prossimo capitolo!

Grazie ancora per le recensioni e a chi mi ha aggiunto alle preferite o alle seguite. Spero di ricevere presto qualche nuova opinione J

 

Al solito, questa è la mia pagina facebook, e se volete iscrivervi fate pure…  Vi vorrò bene J

https://www.facebook.com/pages/Michelle-Morrison/390257021129034

 

M.M.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo IV – La notte in cui incontrammo Lucy… ***


 

 

Disclaimer:

Non prendete questa storia per qualcosa di serio, davvero.

 

 

 

 

CAPITOLO IV – La notte in cui incontrammo lucy…

 

Il 25 Dicembre arrivarono molte lamentele da parte dei bambini della cittadina. Nessuno di loro, si diceva in giro, aveva ricevuto i regali la mattina di Natale. I genitori non sapevano come spiegarselo e, quindi, erano corsi nell’unico centro commerciale aperto per salvare in tempo il Natale dei loro cari figlioletti, causando così un affollamento tale da provocare due incidenti in tangenziale e qualche tamponamento nei parcheggi interrati. Alcune mamme erano svenute davanti agli scaffali dei giocattoli, schiacciate dalla folla impazzita che si accalcava per prendere gli ultimi modelli rimasti di bambole, pupazzi, macchinine e castelli della LEGO. I giornali locali, il giorno di Santo Stefano, pubblicarono in prima pagina il titolo “Dov’è finito Babbo Natale?”, sotto cui il giornalista accusava i genitori moderni di non pensare a nient’altro che al proprio lavoro e di essere così occupati da non ricordarsi date di avvenimenti tanto importanti durante l’infanzia. Eppure, i genitori non avevano alcuna colpa. Babbo Natale era veramente morto e, quindi, non aveva potuto consegnare alcun regalo, quell’anno.  

Gli unici a conoscenza del reale motivo per cui ogni bambino stava versando lacrime eravamo io, Flip e Page e, ovviamente, non potevamo parlarne con nessuno.

Come puoi anche solo pensare di denunciare un omicidio se colui che hai ucciso non esiste? Sarebbe come dire che hai sparato a un unicorno e poi cercare di venderne la carne al carpaccio! Non una sola persona avrebbe creduto alle nostre parole, se avessimo confessato il misfatto. Flip aveva anche provato a raccontare la faccenda al barista del Jack’s e, giustamente, questo era scoppiato a ridere e gli aveva offerto un giro gratis. Erano simpatiche, le sue trovate, diceva… Eppure non era una barzelletta, non era una battuta! Era la verità: avevamo davvero ucciso Babbo Natale. Se i bambini non avevano trovato alcun pacco sotto l’albero, la colpa era solamente nostra, così come era nostra anche la responsabilità della loro tristezza e del loro rancore verso il mondo. Se quei ragazzini, in futuro, avessero ucciso dei barboni con la barba bianca, non sarebbe stato a causa di questa Società marcia, bensì di noi tre, che eravamo diventati degli assassini molto prima di loro. Senza volerlo, avevamo dato il via a un circolo vizioso di omicidi, in cui noi rappresentavamo i primi tasselli di un enorme domino di degrado e distruzione.

Questo, perlomeno, era quello a cui stavo pensando mentre osservavo i mocciosi per strada, alla vigilia del nuovo anno, seduto sul sedile del passeggero della macchina di Page. Negli sguardi di quei ragazzini vedevo nascere un sentimento di disprezzo e li immaginavo brandire delle mazze da baseball per fare a pezzi vecchiette indifese che cercavano di attraversare la strada. Un po’ disfattista, questo è vero, ma come fai ad andare avanti con la consapevolezza di aver commesso un delitto che si ripercuoterà sull’intera umanità per il resto dell’eternità? Come puoi continuare a vivere normalmente, dopo aver ucciso Babbo Natale?

Certo, se ci ripenso ora mi viene da ridere per essere stato così preoccupato, quel giorno! Paragonato al fatto di aver ammazzato Gesù, l’omicidio del vecchio barba-bianca non è che una stronzata di poco conto... A distanza di tempo, ormai, la cosa mi diverte e io e Flip la usiamo spesso come pretesto per attaccare bottone nei locali. Anche se, devo ammetterlo, lui la racconta molto meglio e si becca sempre le ragazze più belle!

Tornando alla notte del 31 Dicembre, comunque, non ero affatto divertito, né, tantomeno, avevo molta voglia di partecipare a una festa. Se dopo le allucinazioni alla H&M mi ero estraniato dal mondo per la paura di incontrare il mio doppione in qualche specchio o vetrina, in seguito alla notte della Vigilia avrei voluto scomparire del tutto per evitare di uccidere qualcun altro. Chi sarebbe stato, il prossimo? Mi chiedevo spesso, facendo una lista mentale. I più quotati erano il Signor Spock, il coniglietto di Pasqua, Hulk, Gandalf, la Fatina dei denti e Lemmy Kilmister –solo perchè Ronnie James Dio era già morto-. A distogliermi dai miei pensieri, tuttavia, fu la voce lagnosa del mio coinquilino, che si trovava sul sedile posteriore, a scolarsi una bottiglia di vodka nascosta da un sacchetto di carta.

«Quanto manca?» Domandò, appoggiandosi con i gomiti ai due posti anteriori e sporgendosi in avanti con quella sua zucca vuota che profumava di gel. «Ragazzi, ho una voglia di sballarmi che non potete nemmeno immaginarvi!»

«Non eri costretto a iniziare a bere stamattina, però!» Lo rimproverò l’autista, mentre, indifferente alle sue lamentele, afferravo la vodka e prendevo un lungo sorso. «Ian! Almeno tu cerca di arrivare sano alla festa!»

«Non voglio essere sobrio… Non riuscirei a guardare Bella in faccia, senza alcool in corpo.» Le spiegai, scivolando sul sedile come panna montata al Sole. «Ancora non riesco a capire perché stiamo andando a casa di Parker.»

«Perché Rob e Will sono alla villa in montagna con gli altri e voi non avete confermato in tempo la vostra partecipazione, intenti com’eravate a nascondervi dagli specchi.» La voce di Page mi urtò alquanto e sbuffai, incrociando le braccia sul petto. «Se solo l’aveste fatto, saremmo con loro a divertirci! Invece siamo diretti a una festa di sfigati solo perché ci sentiremmo troppo tristi a restare da soli davanti alla tv!»

«Sarebbe stata un’ottima serata, invece. Dovevo finire di giocare ad Assassin’s Creed…»

Incrociai le mani sul petto e tornai a osservare la cittadina coperta dal velo bianco della neve, desiderando che l’auto si fermasse lì. Cosa che, sfortunatamente, non avvenne. Non subito, perlomeno… Ci vollero circa una dozzina di chilometri, quando ormai ci trovavamo a dieci minuti da casa dalla destinazione, per far sì che il mio desiderio si avverasse e la vecchia Volkswagen di Page si fermasse. Inizialmente sembrò solamente perdere potenza, poi la vettura iniziò a procedere a singhiozzo, finché si bloccò del tutto sul lato della strada priva di illuminazione. La cosa mi parve talmente paradossale, che scoppiai in una risata isterica, quasi come se fossi diventato del tutto pazzo. Andiamo, chiunque avrebbe reagito in quel modo, dopo tutto quel che era accaduto! D’altronde rimanere nel bel mezzo del nulla, circondato da boschetti e campi, è uno degli elementi fondamentali di un film horror e, ormai, la mia vita non era altro che un set di Paranormal Activity. Anche Flip, dietro di me, si lasciò andare a una sghignazzata rumorosa, tenendosi le mani sulla pancia per il male.

«Vi sembra il momento di ridere?!» Ci chiese allora l’autista, che sembrava essere l’unica a non trovarci nulla di divertente. «Mio padre mi ammazzerà se è successo qualcosa a quest’auto!»

«Hai solo il serbatoio vuoto, Page!» Le spiegò Flip, indicando la freccetta che sfiorava il fondo dell’indicatore della riserva. «Non hai fatto benzina?»

«…ho fatto venti dollari settimana scorsa.» La sentimmo mormorare, mentre diventava tutta rossa in volto. «Pensavo che sarebbe bastata per andare e tornare.»

«Beh, a quanto pare hai sbagliato i calcoli!»

Dicendolo, Flip aprì la portiera e barcollò fuori dalla vettura, guardandosi attorno in cerca di un passante o, magari, di una casa o di un benzinaio o, se proprio, di qualche segno di vita. Ovviamente non v’era nulla di tutto ciò che ho elencato. Solo alberi, cespugli, sassi e, probabilmente, qualche animale selvatico. Non voglio che questa scena possa sembrare tanto irrealistica da far pensare che fossimo totalmente distaccati dalla civiltà e non avessimo alcuna possibilità di sopravvivenza. Controllando in internet, qualche giorno dopo, ho infatti scoperto che, se solo avessimo percorso un chilometro e mezzo verso nord, avremmo trovato una tavola calda aperta fino alle tre di notte, dove stavano festeggiando il Capodanno alcuni motociclisti in viaggio per lo stato. Se invece ci fossimo diretti a sud, saremmo incappati in una cascina e avremmo potuto chiedere aiuto a qualcuno; così come se ci fossimo indirizzati verso sud-ovest per circa tre chilometri, dove era stato organizzato un fantastico concerto abusivo in una fabbrica abbandonata. Ci sarebbero state svariate possibilità di incontrare forme di vita simili alla nostra, una percentuale di probabilità davvero altissima, questo è vero, eppure Flip decise di puntare a est.

«Forse dovremmo andare di lì. Mi sembra che ci sia una casa…» Proclamò, alzando la bottiglia verso il boschetto. «Anzi, ne sono sicuro. Ci venivo in bicicletta da piccolo.»

«A me non sembra una buona idea…» Scesi anche io, raggiungendolo, mentre Page se ne stava in macchina con il cellulare in mano. «Credimi, faremmo meglio ad aspettare qualcuno. Prima o poi passerà qualche sfigato e ci faremo dare un passaggio.»

«Non possiamo stare qui immobili, Ian. C’è una ragazza, con noi!» Esclamò, più serio che mai. «Faremmo la figura dei coglioni se non cercassimo di prendere in mano la situazione! Quindi, amico mio, propongo di dividerci e cercare aiuto.»

«Ma è sicuro? Di solito quando la gente si divide, capitano cose brutte. Forse dovremmo provare a…»

«Allora tu starai con lei e io cercherò qualcuno!» Decise infine, correndo verso l’altro lato della strada e usando il led sul suo portachiavi LEGO per illuminare il tragitto. «Provare no! Fare o non fare! Non c'è provare

Citando Yoda, il mio coinquilino si lanciò fra gli alberi e scomparve nel buio. Lo guardai e, solo qualche istante dopo, mi accorsi che si era portato la vodka con sé e ci aveva lasciato soli e a secco. Sospirai e mi voltai verso Page, guardando il suo volto illuminato dallo schermo. Per un attimo mi ritrovai a pensare che quella sera era più attraente del solito, forse perché si era truccata di nero gli occhi, o, chissà, forse perché la sensazione di dover morire da un momento all’altro mi spingeva a soddisfare per l’ultima volta il bisogno di avere accanto una ragazza. Decisi così di avvicinarmi al suo finestrino e guardarla, mentre si portava lo smartphone all’orecchio e attendeva una risposta.

«Pronto? Ciao Mikes! Scusa se rompo, ma qui abbiamo un problema…» La sentii dire, con voce concitata e con un sorriso sulle labbra. «La macchina si è fermata. Siamo sulla statale, all’ottantesima miglia o giù di lì. Puoi venire a prenderci?»

Mi ci volle qualche secondo per connettere, ma alla fine capii che Flip aveva appena fatto la cazzata più colossale che avesse potuto venirgli in mente. Solo perché noi avevamo aperto e distrutto i nostri cellulari per non essere più intercettati dal Governo, questo non voleva affatto dire che qualcun altro non se lo portasse appresso. Senza dire a nulla a Page, quindi, mi catapultai all’inseguimento del mio amico, sperando che non si fosse allontanato troppo e, incespicando nei cespugli, cercai di raggiungerlo. La mia corsa durò giusto tre minuti, prima che riuscissi ad avvistare la luce azzurra di Flip puntata verso un cespuglio. Solo quando mi avvicinai mi accorsi che si era fermato a farsi un altro goccio, troppo sbronzo per andare avanti, ma non abbastanza per smettere di bere.

«Fly! Dobbiamo tornare alla macchina, Page ha chiamato Mikes, che sta per venire a…»

«Ssssht!» Fece lui, portandosi l’indice davanti alla bocca e illuminandosi il volto dal basso. La sua ispida barbetta nera, illuminata quella luce, lo faceva sembrare ancora più inquietante. «C’è qualcuno qui!»

«Eh?!»

«C’è… qualcosa

Puntò nuovamente il portachiavi della LEGO verso il cespuglio e poi lo spostò verso il faggio che lo sovrastava, illuminandone il tronco. Solo in quell’istante vidi un’ombra muoversi e un guizzo di luce nell’oscurità della boscaglia, poco più a destra rispetto a noi. Entrambi ci voltammo in quella direzione e il led illuminò d’azzurro una figura elegante, completamente vestita di nero, con una gonfia gonna in tulle e una coroncina nera in testa.

 Fu proprio allora che, per la prima volta, incontrammo lui. E con “lui” non intendo affatto Gesù. Certo, forse sarebbe meglio dire “lei”, visto che si trattava di una ragazzina sui sedici anni, con un volto pallido e degli splendenti occhi azzurri. Ancora sono confuso a riguardo, se devo essere sincero.

Nell’illuminare la ragazza, comunque, entrambi sobbalzammo e per poco io non rischiai di fare la fine del mio amico, che, invece, inciampò in una radice e cadde a terra, rovesciando la vodka nella neve e perdendo l’unica nostra fonte di luce.

«Che cazzo! È gelida!» Lo sentii dire, mentre tastava il suolo in cerca della bottiglia. «Fanculo! La vodka è andata!»

«Ti sembra il momento di preoccuparsi per quello?» Gli domandai, cercando la sconosciuta nel buio. «Hey, ragazzina? Dove sei? Ti sei… Ti sei persa?»

«Non trovo più il portachiavi.» Continuò Flip, afferrandomi una scarpa. «Ian, fai qualcosa, porcaputtana!»

«Non ho nulla che…»

Prima che potessi finire di parlare, le nubi si scostarono e liberarono la Luna, così che ogni cosa fu illuminata, mentre gli spiragli di cielo che potevamo intravedere tra le fronde si tingevano di rossiccio. Eppure non sembrava affatto normale… Dico, nelle notti di neve il cielo ha spesso quel colore strano, tendente al porpora, ma mai così innaturale. Attraverso l’improvvisa luce che filtrava dai rami, a quel punto, riuscimmo a mettere a fuoco il paesaggio attorno a noi e, soprattutto, la ragazza che ci stava osservando. Addirittura, Flip riuscì a recuperare il suo caro portachiavi, prima di alzarsi in piedi e immobilizzarsi al mio fianco, come una statua di ghiaccio.

«Non siete voi, piuttosto, a esservi persi?» Ci chiese la sconosciuta, senza staccarci gli occhi di dosso. «Non dovreste trovarvi qui… O forse sì? Forse è stato il Destino?»

«L’auto si è fermata e stavamo cercando… Nulla.» Mi fermai, prima di lanciare uno sguardo alle mie spalle. «Hai bisogno di un passaggio, per caso? Sei qui da sola? È pericoloso…»

«Non sono sola… Non esattamente.» Dichiarò, facendo una passo verso di noi, con i lunghi capelli biondo platino scossi dal vento che aveva iniziato a soffiare fra i cespugli. «Sto cercando una persona che dovrebbe essere da queste parti e che non riesco a scovare.»

«…da queste parti?» Il mio coinquilino scoppiò in una risata, allargando le braccia. «Tesoro, credo che tu abbia proprio sbagliato luogo! Non penso che ci sia qualcuno, qui.»

«Lui si trova a una festa…» Ci spiegò, trafiggendoci con i suoi occhi scintillanti, come quelli di una bestia. E, forse ora posso dirlo con certezza, lei era davvero una bestia. «Deve essere nei paraggi… Ma non posso avvicinarmi, così. Forse incontrare voi è stato un bene.»

«Cosa…?»

Balbettai, mentre la stessa sensazione che avevo provato quando Babbo Natale era entrato nel nostro trilocale mi assaliva, strisciandomi lungo la spina dorsale e dandomi i brividi. Anche Flip, come mi raccontò in seguito, avvertì la stessa identica inquietudine, che non gli permetteva di esprimersi o muoversi. Lei si avvicinò di qualche passo e arrivò a mezzo metro da me, così che potei notare ancora meglio il colore cadaverico delle sue gote e che potei sentire il suo profumo di rose e… zolfo?

«Ci sono delle falle nel Disegno, anche se Lui non lo vuole ammettere. Non sempre tutto ciò che è stato pianificato va per il verso giusto.» La sua voce era suadente, nonostante la tonalità da bambina. «Ci insegnano il contrario… Ma non è detto che un motore inceppato non cambi il Destino. Voi siete stati portati da me! Il Fato, d’altronde, sfugge persino alla volontà divina. Questa volta, forse, desidera appoggiarmi.»

«…sei del Governo?» Domandò a quel punto il mio coinquilino, guardandosi attorno per cercare qualsiasi cosa si potesse lanciare contro la ragazza. «O sei amica di Babbo Natale? Perché, vedi… C’è stato un malinteso. È stato lui a entrare in casa nostra. È stata legittima difesa!»

«Esatto… è stato un errore.» Lo appoggiai, indietreggiando appena. «Ci dispiace per quel che è accaduto, lo dico davvero! Però non…»

«Sì, io e Claus eravamo amici. Tuttavia, non sono qui per questo.» Ci spiegò, alzando una mano coperta da un guanto di seta nero. «Voglio sapere dove si trova esattamente Gesù. E, visto che io non posso rintracciarlo, allora sarete voi a dirmelo.»

«Adesso basta!» Flip si lasciò andare a una bestemmia, facendo nascere un sorriso soddisfatto sulle labbra della nostra interlocutrice. «Questa città sta diventando un covo di bigotti fanatici!»

Lei scoppiò a ridere talmente divertita che, per un attimo, mi convinsi che fosse scappata da un manicomio. Eppure, che io sapessi, l’unico ospedale con reparto psichiatrico si trovava a cinquanta miglia da lì e, con quelle condizioni metereologiche e quel vestito leggero, non sarebbe arrivata così in salute fino a noi. Di punto in bianco, allora, mi convinsi che si trattasse di uno scherzo o qualcosa di simile e che, probabilmente, fosse stato tutto organizzato da Bella e da quei suoi amici invasati che si erano riuniti a casa di Parker. Pur di non vedere quel che era evidente ai miei occhi, mi convincevo di ipotesi assurde. Preferireste sapere che quello davanti a voi è un essere sovrannaturale, oppure convincervi di un paradosso? Beh, ve lo dico io: a quel punto vi attacchereste con le unghie a qualsiasi assurdità, pur di non cadere nell’abisso di follia e mitologia in cui io stavo ormai nuotando.

Fu mentre pensavo allo scherzo, che la ragazza mi si avvicinò ancora di più, in punta di piedi, rischiando di sfiorare il mio collo con il suo naso. Non voglio sembrare un po’ troppo apocalittico, pessimista o esagerato come il narratore di un documentario sulla fine del Sistema Solare, credetemi; ma in fondo ai suoi occhi riuscii a intravedere l’Inferno.

«…se fosse tutta una burla, allora staresti meglio?» Sussurrò, così che avvertii il suo fiato bollente sull’orecchio. «Ti rassicurerebbe saperlo?»

«S-sì. Io…» Farfugliai, mentre qualcosa si muoveva nelle parti basse e, solo un momento più tardi, le farfalle iniziavano a sballottarmi lo stomaco. «Sei una dei soci di Bella?»

«Non credo di starle molto simpatica… Però lei frequenta un mio caro amico.» Rivelò, scostandosi da me, senza però rivolgere alcuno sguardo al mio coinquilino. «Non riesci a credermi, vero?»

«Come?»

«Ciò che ti sto dicendo non ti convince. È inutile che cerchi di simulare fiducia nelle mie parole.» Alzò il viso verso l’alto e la Luna illuminò il suo pallore, intanto che il vento la spettinava. «Eppure non devi temere… Perché io non sono come quel tuo doppione che hai ucciso, o come Babbo Natale. E io non uso stupidi trucchetti o miracoli per rivelarmi.»

«Cosa…?»

«Volete che vi prenoti una stanza per scopare in pace?» Ci domandò Flip, scazzato, a quel punto. «Si può sapere che diavolo sta dicendo?!»

La sconosciuta di girò di scatto a guardarlo e il vento diventò ancora più forte e gelido, facendo cadere grossi blocchi di neve dai rami. Per poco uno non mi arrivò in testa, ma mi costrinse comunque ad addossarmi al mio migliore amico, che quasi perse a sua volta l’equilibrio. Non ricordo di aver mai avuto così freddo in vita mia, prima di allora. Non mi ricordo di essere mai stato accanto a un essere tanto pericoloso, a dirla tutta.

«Un peccatore come te come potrebbe mai diventare un apostolo?» Domandò a Flip, che –era più che evidente- non comprendeva nulla di ciò che stava ascoltando. Come il sottoscritto, d'altronde. «Non riesco a capire se siate state scelti perché Lui vuole dimostrare qualcosa. O solo perché siete così stupidi…»

«Hey, piano con le offese!»

«Però, sono sicura che vi è stata data un’altra opzione. È sempre stato così, fra me e Lui. Il nero e il bianco… Il Male e il Bene. Ci sono sempre due strade da intraprendere.» Per un istante si ammutolì, portandosi le dita al mento per accarezzarselo lentamente. «Adesso ho capito perché siete arrivati da me.»

«Ma cosa…?»

«Vi lascerò andare, questa volta. Perché voglio scoprire il suo gioco.» La ragazza scoppiò in una risata, come se fosse arrivata la domenica di Pasqua. «Oh, sì! Sarà divertente!»

«Non ha senso…» Mormorai, con un sorriso tremulo che dimostrava che stavo diventando matto. «Siamo impazziti, Fly. Forse hai ragione: il Governo sta sperimentando una droga su di noi.»

«No, il Governo non c’entra, Ian. È tutto vero… Io sono vera.» Dicendolo, lei mi appoggiò le mani sulle spalle e mi accorsi che, nonostante i guanti, la sua pelle era infuocata. Calda come le fiamme dell’Inferno. «Ed è arrivato il momento di cercarlo e parlare con lui. Gesù avrà molte cose da raccontarvi… Ha cercato di dirvelo in vari modi, ma non ha mai voluto entrare nella vostre vite con prepotenza. È fatto così, dopotutto. Sta a voi contattarlo per primi.»

Entrambi la osservammo sbigottiti, senza parlare. Certo, avere una così bella ragazza davanti alla faccia e, soprattutto, avere le sue mani su di me non mi aiutò affatto a mettere insieme i pezzi del puzzle. Solo Flip, ancora sbronzo, ebbe il coraggio di fare la fatidica domanda e, non appena lo sentii, cercai speranzoso una risposta negli occhi di lei.

«È stato Gesù a rubarci i calzini?»

Aspettammo per quella che parve un’eternità, ma, infine, lei ignorò il mio amico e ci girò le spalle per incamminarsi. Notai che le scarpette che indossava, a ogni passo, lasciavano un buco nella neve, sciogliendola del tutto. Quando abbassai lo sguardo verso le mie sneakers, mi accorsi che fino a poco prima c’era stata lei, v’era una pozzanghera che bagnava la terra e l’erba sottostante. Era come se quel calore insolito si propagasse attorno a lei. Ancora non riuscivo ad afferrare che cosa avessi davanti, ma iniziai a intendere che era più reale di quanto lo sarebbero state le telecamere all’interno del nostro trilocale. Forse più reale del mio sosia e di Babbo Natale. Reale come Gesù.

«Allora?!» Flip si agitò e strinse i pugni, facendo un balzo in avanti. «Gesù ha rubato o no i nostri calzini?!»

«Flip!»

Lo chiamai, ma lui non mi ascoltò e afferrò il polso smilzo e pallido della ragazza. Lo guardai urlare, mentre la sua faccia si deturpava per il dolore e, così, mi accorsi che si era scottato proprio come temevo. Quella strana tizia era come una stufa ambulante, uno scaldasonno in carne e ossa. Eppure non potevo ancora comprendere il suo potere, perché, diciamolo, non tutti i giorni si ha a che fare con certe entità.

«Porcaputtana!» Gridò lui, inginocchiandosi per affondare la mano nella neve. «Cazzo! Scotti!!»

«…è che laggiù fa così caldo.» Mormorò la sconosciuta, voltandosi nuovamente verso di me. «Comunque, se davvero ci tenete a saperlo, sono stati i folletti… Gesù non c’entra.»

«Lo sapevo che erano stati loro!»

«Ma tu chi sei? Cosa vuoi da noi?» Mi riscoprii a domandare senza dar peso alla notizia riguardante i folletti, stentando a credere di averlo fatto. «Che ci sta succedendo? Tu ne sai qualcosa?»

«Non sono io a volere qualcosa da voi, ma Gesù. Sarete voi, forse, a volere qualcosa da me. E molto presto…» Continuavo a non capire, ma non riuscivo a smettere di ascoltarla. Qualcosa mi spingeva a cercare una risposta a tutto. «Io sono… Beh, sono la stella del mattino, l’ingannatore, il serpente. Sono l’arcangelo caduto e, un tempo, fui il più vicino all’Altissimo. Però, se volete, potete chiamarmi Lucy.»

«Lucy…?» Balbettai, scambiandomi uno sguardo preoccupato con Flip. «Lucifero?»

«Sì, è così che mi chiamano.» Rivelò lei, afferrando un I-phone rosso dalla borsetta  in pelle. «Vi aggiungo su Whatsapp così, quando vorrete contattarmi, non dovrete fare altro che mandarmi un messaggio.»

«Eh…?»

Sia io che il mio coinquilino restammo alquanto sconvolti nel sapere che Satana aveva il nostro numero di cellulare. Ovviamente ringraziai il cielo di aver smontato lo smartphone una settimana prima e di aver gettato alcune componenti nel tritarifiuti: non volevo essere intercettato dal Governo durante una conversazione con il Diavolo. Lei, senza badare alle nostre facce da coglioni, ci rivolse un sorriso, illuminato dalla luce artificiale, prima di voltare lo schermo e farci vedere la faccina con l’aureola che ci aveva inviato per messaggio. Lucifero aveva davvero un pessimo senso dell’umorismo… O, forse, eravamo talmente terrorizzati da lui/lei che non riuscimmo a coglierne l’ironia.

«Rispondo quasi sempre… A meno che non sia occupata con gli affari, giù all’Inferno. Astaroth è così pedante, a volte!» Chiarì, rimettendo il costosissimo cellulare a posto, prima di puntare lo sguardo verso i cespugli alle nostre spalle. «Credo sia arrivato qualcuno a prendervi… E penso proprio che sia meglio che non mi veda.»

Così dicendo, mi lasciò un bacio rovente sulla guancia e poi fece lo stesso con il mio coinquilino.  Fu in quell’esatto istante che Page spuntò fra le foglie, con il flash dello smartphone puntato verso di noi. Lucy, allora, le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla guancia, prima di baciarle la fronte e poi scomparire nel nulla. Io e Flip ci ritrovammo a fissare la nostra amica come due mentecatti, cercando il corpo esile ed elegante del Demonio, che ormai si era volatilizzato.

«Chi… Chi era?» Domandò l’ultima arrivata, toccandosi il punto in cui era venuta in contatto con le labbra dell’altra. «Cosa…?»

«Nulla di che.» Le rispose subito Flip, raggiungendola e prendendola a braccetto. «Un’amica di Babbo Natale in cerca di nuove conoscenze!»

«Che diavolo…?»

«Lucifero in persona!» Gli svelò subito lui, accompagnandola verso la strada. «Una gran bella storia, vero?»

«Eeeh? Sei ubriaco, Fly?»

Io rimasi per un attimo a osservare le tracce nella neve, incapace di formulare un solo pensiero logico, non dando peso allo sbigottimento di Page e nemmeno alle parole del mio coinquilino. Intorno a me si fece buio, mentre rimanevo solo in quello spiazzo, con la voce martellante di Lucifero che mi risuonava in testa. Dovevamo trovare Gesù e parlare con lui? Mi domandai, incredulo, voltandomi per seguire gli altri. Lui ci stava cercando e aveva molte cose da dirci? Andiamo, chi mai avrebbe creduto a una storia del genere? Solo un pazzo, un fanatico religioso o un ubriaco. Di vodka ce ne sarebbe stata abbastanza, alla festa, per convincermi che le parole di quella stramba e pallida ragazza corrispondessero alla verità?

Attraversai la strada, diretto alla macchina di Page, lanciando uno sguardo a Flip, che aveva recuperato due birre dallo zaino che aveva messo nel bagagliaio. Lui le stappò e si avvicinò al sottoscritto, offrendomene una, prima di cingermi le spalle con il braccio coperto dal giubbotto imbottito. Restammo in silenzio per un po’, sorseggiando la bevanda troppo luppolata, senza sapere che cosa dire o cosa pensare esattamente. Solo dopo aver svuotato la propria bottiglia, lui l’alzò verso il cielo, da cui stava ricominciando a scendere forte la neve.

«…è un nostro dovere, mio giovane padawan.» Sussurrò con tono greve, come se credesse di essere Obi-Wan. «Dobbiamo trovare Gesù!»

«Sei serio?» Gli domandai, calandomi nel ruolo di uno scazzato e scettico Anakin. «Tu credi davvero che potremmo trovarlo? Pensi che esista?»

«Beh, ce l’ha detto il Diavolo in persona, no?» Mi disse, risoluto. «Per quale motivo non puoi fidarti del caro vecchio Lucifero?»

«Se lo chiamano l’ingannatore, un motivo ci sarà…»

«Però era un gran bel pezzo di passera, eh?»

«…già.» Mormorai, abbassando gli occhi verso l’asfalto. «Credo di aver avuto un’erezione a un certo punto.»

Sentendomelo dire, Flip scoppiò in una risata fragorosa e mi diede una pacca sulla schiena, prima di lanciare la bottiglia per aria e ululare. Page sussultò per lo spavento e spalancò le palpebre, rivolgendoci un’occhiata terrorizzata. La poveretta, pur assistendo spesso alle nostre stronzate, non riusciva affatto ad abituarsi alla spontaneità e all’irriverenza del mio migliore amico. Come biasimarla…

Rimase lontana da noi, diffidente, con il cellulare in mano e il volto pallido, finché l’auto di Mikes non spuntò all’orizzonte, illuminandoci con i fari. Solo quando lui scese dalla macchina, le ritornò il sorriso sulle labbra e gli corse incontro, salutandolo con una voce stridula che non riconobbi come sua. Io e Flip restammo immobili a guardarli, mentre lei gli faceva le feste come un cagnolino e, per un attimo, dimenticai tutta la storia strampalata di Lucy e mi sentii geloso. A essere sincero, rimasi di pessimo umore fino a quasi mezzanotte, perché, diciamolo, al dodicesimo rintocco ebbi altro a cui pensare. A quel punto, sapete, chiunque avrebbe dimenticato qualsiasi problema… Perché non tutti i giorni ti capitano cose del genere.

L’ha detto anche Gesù: siamo stati davvero sfortunati.

 

 

 

___________________________________________

 

Ciao!!! Scusate la luuuuuuunga assenza.

Ho trovato lavoro e trovare il tempo per scrivere è risultato difficilissimo!!!!!

In questo capitolo, però, è arrivato un nuovo personaggio che spero abbiate apprezzato! Lucy, Lucifero, il Diavolo… come volete chiamarla, insomma… sarà una comparsa fissa! Diciamo che potremmo metterla fra i cooprotagonisti J

 

Alla prossima… Ricordatevi che la notte di Capodanno non è finita e succederà ancora qualcosa di stupidamente pauroso :D

 

 

Vi lascio sempre con la mia pagina facebook!

https://www.facebook.com/pages/Michelle-Morrison/390257021129034

 

M.M.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2929342