Silence after chaos.

di Uni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neve. ***
Capitolo 2: *** Nebbia. ***
Capitolo 3: *** Tuoni. ***



Capitolo 1
*** Neve. ***


Neve
La neve era trroppo leggera per restare, il suolo troppo caldo per tenerla.
E la strana neve primaverile cadeva solo il quel momento dorato dell'alba, quando la pagina gira gra notte e giorno.
Shannon Hale

Uscii dalla doccia pensando quanto fosse stata faticosa la giornata: per fortuna era giunta al termine. M'incamminai per il corridoio verso la mia stanza: Shade stava ancora nella sua a studiare. Soffermandomi di fronte alla sua porta provai ad immaginarmelo ricurvo sulla scrivania mentre, quasi con stanchezza, teneva gli occhi puntati sul capitolo del libro, nonché suo prossimo argomento d'esame. Sorrisi quasi timidamente risistemandomi l'asciugamano sul corpo e percorsi il corridoio fino alla fine, entrando nella mia stanza. Feci scorrere le dita sulle labbra - come mio solito fare - e avvicinandomi alla finestra, ne aprii le grandi ante. Sentii il freddo entrarmi nel profondo. Notai che il paesaggio era diventato tutto bianco: la neve era caduta per tutta la giornata. Ma una scossa alla schiena mi fece trasalire: un brivido. Mi risistemai i capelli bagnati dietro l'orecchio e vedendo le farfalle svolazzare intorno alla lampada verde al cherosene, pensai di essere come quelle farfalle: intrappolata in una vita nella quale si cerca solo di inseguire cose insensate. Sentii dei passi alla porta. Shade che aprì la porta e, quasi cantilenando, chiamò il mio nome: «Mia!» non risposi. «Hei, Mia! Hai finito col bagno?» non mi girai nemmeno, annuii soltanto: ero stanca. «Ma, sbaglio o hai ancora i capelli bagnati?» una folata di vento gelido fece scostare i capelli blu di Shade. «Tra poco li andrò ad asciugare, tu vai pure a letto.» risposi chiudendo le ante.
«Ah, sto riscaldando l'acqua per domani.» Annuii ancora del tutto disinteressata. Shade quasi si dispiacque, fece per lasciare la stanza ma poi si ricordò: «Ah! Miss Sophia è venuta questo pomeriggio mentre eri a lavoro: dice che vuole incontrarti.» da un volto del tutto disinteressato, il mio, divenne quasi impaurito. «Miss Sophia hai detto? Ti ha detto cosa voleva?» Shade fece un passo in avanti e disse solo: "buona notte, sorellina."
Mi sedetti un attimo sul letto: erano successe tante cose da quando ci eravamo trasferiti dalla California. A Easton le cose erano più semplici, ma dopo aver scoperto la verità su 'La Maledizione della Morte', fuggimmo a Londra. Nostra madre, Selene, non riusciva a vivere con il fardello di dover crescere un mosto. Così ci lasciò. Nostro padre disperato, morì dopo due anni lasciandoci nelle mani del cugino Boris.
Mi risvegliai dai miei pensieri e ricordandomi di avere i capelli bagnati, corsi fino al bagno e senza indugiare asciugai i miei lunghi capelli neri, infilai la camicia da notte e mentre li pettinavo, mi guardai allo specchio: i miei occhi di ghiaccio facevano paura anche a me; ma concentrandomi bene su quei diamanti, questi a poco a poco divennero rossi. Un rosso carminio, acceso color del sangue. Scattai indietro e sbattendo più volte le palpebre, mi accorsi che i miei occhi erano tornati normali. Pettinai i capelli un po' scossa, pensando che ciò che avevo visto era solo un illusione dettata dalla stanchezza. Entrai nella mia stanza color rosa antico e intrecciando i capelli in una treccia, m'infilai tra le coperte. Ero preoccupata e quando Morfeo m'accolse tra le sue braccia sognai:

Una donna – o meglio, una ragazza – cantava rivolgendosi al tramonto, mentre la natura intorno a lei, colorata d’oro, sembrava accarezzarla.Era giovane, lei: capelli rossi sciolti alla leggera brezza autunnale del tramonto. Teneva gli occhi chiusi e le mani incrociate al petto, come se quel canto remoto fosse una preghiera, aveva una voce cristallina spezzata a volte dai nodi alla gola: piangeva. Era un canto antico, molto remoto, arrivato fin'ora grazie al tempo, che innamoratosi delle parole decise di accompagnarle nei secoli.
Mi avvicinai a lei per udirne meglio le parole:

"Questo canto volerà, fino a te: unica fonte di speranza.
Tutto quello che rappresenta un istante di una vita è racchiuso in questo canto.
Ascolto ancora il vento, nella speranza che porti la tua voce. Manterrai la promessa?
Verrai a prendermi, cavaliere nero? Il mio cuore ti aspetta.
Salvami da questa era di odio e corruzione, portami via."

«Manterrà la promessa, vedrai.» La ragazza si voltò verso di me, quasi come spaventata. Ero certa di stata percepita dal'inizio eppure non capivo il perché di quella espressione sorpresa. Poi notai gli occhi della rossa: carmini come quelli nello specchio. Mi sfiorai le labbra con le dita e la rossa sorridendo rispose: «Lo spero.»
«Piuttosto, come vi chiamate?» incalzai. La giovane sobbalzò un secondo e poi con grazia si rivolse al sole: «Che importanza ha un nome, per definire una persona? Come disse un noto drammaturgo in una sua famosa opera: "Cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo col nome di rosa, anche se con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo".» controbattendo, al mio turno: «In un modo dovrò pur chiamarvi.» mi stupii del fatto che la ragazza avesse citato Shakespeare con una tale grazia da sembrare quasi un'attrice. «Chiamatemi Nessuno, o Nulla.» sorrise.
«Invece vi chiamerò Redy, che è 'red' in inglese, che a sue volta è il colore dei vostri capelli.» arrossì un secondo è annuì: «E io invece come posso chiamarvi, mia cordiale fanciulla?» incalzò. 
Sorrisi in modo sghembo, sapendo già con quale nome appellarmi: «Chiamatemi 'Chaos'» Redy sbiancò di colpo e il sogno finì con le mie urla.

Shade entrò in stanza allarmato: «Chaos!»
Silenzio.
Shade si tappò la bocca, capendo di aver detto una parola tabù e guardando Mia con preoccupazione, non si rilassò fino a quando dalla mia bocca non uscirono tre semplici parole: "va tutto bene"
Assolutamente falso.

Il capitolo (rieditato) dedicato - come del testo l'intera fanfiction- è dedicato alla mia Hinode.
E siccome sono una persona spregevole, piuttosto che postare nuovi capitoli, modifico la grafica. 
Ho deciso di aggiornare le mie sorie in ordine di pubblicazione: attendete, dunque.

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Capitolo 2
*** Nebbia. ***


Nebbia
C'è, tra me e il mondo, una nebbia che impedisce che io veda le cose come realmente sono - come sono per gli altri.
— Fernando Pessoa.

 
Shade mi accarezzò il dorso della mano per darmi conforto. Era bello quel contatto.
Sembrava la mano di papà quando eravamo bambini: caldo e confortante. E quasi mi dimenticai chi ero, quale fosse la mia missione, il mio destino e il nome che avevo ereditato insieme al suo potere; e ritornai tra le braccia di papà, come da bambina. Ai tempi in cui si sognavano il principe azzurro, che casualmente aveva sempre la stessa forma di papà e la voce di Shade. 
Ma chissà come mai, nei miei sogni non c'era mai stata la mamma, o almeno se c'era non sapevo che forma avesse. Perché la mia mamma, io, l'ho vista solo una volta: stava guardando una vetrina, don un grande poster con sopra delle isole americane.. le Hawaii, credo. Dopo se ne andò definitivamente. Di lei ricordo solo i capelli neri e quel cappello da sole bianco, mentre dirigeva i suoi occhi blu - più scuri dei miei - verso le vetrine affollate. Ero così rilassata che i ricordi si mostrarono di fronte a me, come in un film: le vacanze al mare, il Natale, la prima comunione, il compleanno, la scuola, gli amici, la casa al Grand Lake. Ma d'un tratto quel contatto s'interruppe e il freddo nulla, tornò a regnare nella mia anima. 
«Mia, cosa hai sognato di preciso?» Il tono di Shade faceva quasi paura, ma calmai il fiato e risposi normalmente: «Era solo un incubo, tranquillo!» dissi con il suo stesso tono. Aprii la finestra di poco. Aveva smesso di nevicare e una leggera nebbiolina stava passeggiando per le vie della mia città. C'era un po' di vento e i capelli di Shade, blu come quelli di papà, iniziarono a muoversi. Chiusi subito la finestra. «... cosa?» ripeté una seconda volta. Gli diedi poco conto e mi infilai in bagno, mi vestii con la divisa da guardia dei ribelli - che tempo fa avevo abbandonato per stare dalla parte "tranquilla"- e uscendo dal bagno incontrai gli occhi stupiti di Shade, che vedendomi con i pantaloncini da militare e la T-shirt bianca, si alzò dal letto tentando di trovare una frase capace di fermarmi. Non ci riuscì. «Vado da Miss Sophia.. Vestita così le varie bande della ribellione non mi daranno fastidio.» altra bugia.
Scesi le scale di casa fino ad arrivare alla porta sul retro. Ne varcai la soglia e il freddo della neve si nascose sotto la mia pelle. Fissai gli scarponi neri, per un secondo: se ricordavo le tecniche di base sarei arrivata alla base dei Black Diamond entro mezz'ora, ma prima dovevo chiedere spiegazioni a Miss Sophia. La nebbia si stava infittendo e mi sembrò di essere alla grande palude, quella dentro la Foresta Buia. Le strade sembravano ricoperte di nuvole. Arrivai di fronte all'abitazione dell'ex marito di Miss Sophia, era un uomo calmo che uscì fuori di testa quando la loro primogenita venne ucciso dal killer di turno. Già, killer.
La casa di Miss Sophia distava solo qualche isolato dalla casa del suo ex. Il freddo mi penetrava le ossa, ma se avessi corso per scaldarmi avrei solo respirato aria fredda, e i miei polmoni avrebbero ceduto. Continuai con un passo svelto senza affaticarmi e in poco raggiunsi la casa di Miss Sophia. Era una villetta bianca in fondo ad un viale alberato da salici piangenti - I preferiti di mio padre. Entrai nel vialetto chiudendo il cancelletto in ferro dietro di me. Mi incamminai nel percorso in pietra che portava alla porta in ciliegio, mi guardai a destra e a sinistra vedendo la possente forma degli abeti che abbellivano il giardino e salii i tre gradini per arrivare dinanzi alla porta.  Non feci in tempo a bussare che la porta si aprì lasciando vedere gli occhiali spessi della donna. Miss Sophia era in vestaglia, color rosa antico, e dietro di lei la casa era interamente buia illuminata solo dalla luce delle candele parrocchiali. Si risistemò gli occhiali sul naso e mi fece accomodare nel salone. Quel salone non era mai stato nuovamente arredato da quando ero bambina. Il divano e la poltrona in cotone verde erano disposti ad angolo e il tavolo basso era coperto di documenti e fermacarte, il camino acceso che sprigionava solo nostalgia e puzza di alcool con sopra le foto della figlia ormai defunta: come sempre è stato.
Il marito l'aveva lasciata, spinto dall'illusione che fosse stata la donna a uccidere la sua piccola Maria. Aveva solo cinque anni la poveretta. Le ero molto amica, era come una sorella per me, c'era sempre per me e io c'ero sempre per lei. Infatti quando morì, io c'ero. E c'ero solo perché fui io ad ucciderla. 
Abbassai lo sguardo ricordando il volto disgustato e gli occhi nocciola - lacrimosi - della bambina mentre Io la uccidevo. I suoi occhi così castani e intensi dentro i miei blu e freddi. Ricordai anche il mio, di sguardo ed era orribile. Miss Sophia mi fece accomodare nel divano e sparì in cucina, ne ritornò con due tazze che dall'odore sembravano tutto tranne che cioccolata. Mi porse una tazza - quella nera - e per educazione ne portai un sorso alla bocca. Era orribilmente amaro. Si sedette nella poltrona e disse solo: «Ti voglio dalla mia parte, Mia... O forse dovrei dire: 'Chaos'..?» sobbalzai pensando che non sarei scappata tanto facilmente dalla morsa del Capo dei Jewels.
“Aspettatemi Black Diamond”

Capitolo rieditato.
*sigh* per adesso passo inere giornate a cambiare grafica. Magari continuassi a scrivere qualcosa di decente...
Stiamo a vedere, dai LOL

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Capitolo 3
*** Tuoni. ***


Tuoni
Il fulmine che si abbatte su un uomo è così rapido che egli non soffre. Ma, per colui che lo accompagna, è un triste spettacolo.
— Raymond Radiguet.

Feci un passo indietro, provando a escogitare, o quantomeno trovare, una via di fuga: niente da fare, la morsa del Boss degli Jewels non me l’avrebbe fatta passare liscia «Ti voglio dalla mia parte, Mia… O forse dovrei dire ‘Chaos’…?» la sua voce mi fece sussultare; era come se avesse sputato quelle parole, sputate con odio verso i miei confronti. La guardai con furia: ero in trappola.
Se avessi accettato, sarei diventata la sua cavia da laboratorio: impotente e fedele – per le leggi della resistenza. Però se avessi rifiutato, il Vento Ambrato – il nome in codice di Miss Sophia – mi avrebbe uccisa senza problemi, date le condizioni, mentali e corporee «I-io..» tentai di balbettare qualcosa, senza riuscirci. Sophia si avvicinò a me come un predatore ed ebbi paura. 
Mi spinse al muro e m'intrappolò nella sua morsa, si leccò le labbra con fare sadico. Sembrava davvero che volesse mangiarmi. Tentò di mordermi il collo, le sferrai una ginocchiata allo stomaco, lei subito si piegò in due ed ebbi un secondo per scappare dalla sua gabbia. Corsi fino alla porta: era chiusa a chiave. Tentai di buttarla giù ma il legno era saldamente attaccato ai cardini nonostante la sua vecchiaia. La sentii urlare, ma il suo non era un urlo né di terrore, né di tristezza. Solo Odio vi era in quell’urlo. Pian piano quell’urlo si avvicinava, Miss Sophia, con lo chignon ormai diventato un tupè scombinato, era apparsa nel corridoio acceso di rosso, per via delle candele, con un coltello da macellaio in mano. Se non mi fossi mossa in fretta, ne sarei rimasta vittima. Così, fallito il mio tentativo di fuga, decisi di affrontare la belva. Quella mi guardava con odio, le palpebre fuori dalle orbite, gli occhiali e i capelli fuori posto, il fiatone e per ultimo quel coltello ne erano la prova. Aspettai che fosse lei a fare la prima mossa, così quando si avvicinò a me per trafiggermi, mi abbassai di scatto e la lama del coltello s'infilzò alla porta. Ero sotto di lei e la sgambai con un calcio rotante a pelo del suolo. La sua faccia finì contro la porta e svenne, la scavalcai e salii al piano di sopra per uscire dall’albero che si trovava fuori dalla finestra di Maria: quando eravamo piccole, lei lo usava per scappare dalle punizioni e venire a giocare con me.
Aprii la porta della sua stanza, ormai in disuso. Rimasi ferma di fronte alla porta per un po’, soppressa da ricordi che m'intasavano la testa e che mi stringevano il cuore. Adoravo Maria, sarebbe diventata una bellissima ragazza se non fosse stato per me, per il mio intervento.
Aveva gli occhi castani, quasi tendenti sul rosso, e i capelli biondissimi; Un grandissimo sorriso che colorava le guance paffute, e come dimenticare i sogni che aveva per il futuro, un futuro che non avrebbe mai vissuto. Quel giorno c’era più caldo del solito – era estate – e Insieme al mio papà avevamo montato una piscina gonfiabile, Shade la stava riempiendo, così Maria ed io c'eravamo messe a giocare per ammazzare il tempo. Eravamo nel cortile di Miss Sophia a giocare ad acchiapperello, a un certo punto lei disse «Giochiamo a ‘Il mostro e la principessa’!» sorrisi e annuii, iniziammo a giocare: io ero il mostro, lei la principessa.
Il gioco era iniziato normalmente con rincorse e dispetti, fino a che vinsi il gioco catturando la ‘principessa’ saltandole di sopra. Era tutto un gioco fino a che, il mio occhio destro vide qualcosa nella sua anima. Un velo di cattiveria e di perfidia: era un demone. Debole e innocuo, ma che impossessandosi del corpo di una giovane vergine, sarebbe diventato potentissimo. La mia natura reagì, i miei occhi divennero rossi e cingendo la gola della bambina, la strangolai.
Miss Sophia accorse, e giunse anche il marito, che vedendo la bambina stretta tra le braccia della donna, la reputò colpevole. Non avrebbe mai accusato una bambina, che secondo lui non avrebbe avuto la forza necessaria da strappare un fiore, di aver stretto la gola della sua migliore amica. 
E invece si sbagliava eh, eh, eh.
La sera seguente all’omicidio, comparve un uomo che mi disse ciò che ero. Io ero il Chaos e la morte, ero stata generata da entità superiori per punire chi disubbidiva ai piani alti. Cioè i demoni che disubbidivano alla Divinità. Mia madre era solo un tramite per far arrivare la mia anima maledetta a una terra peccatrice. La fiamma che appariva nel mio occhio destro ne era la prova, e lo era anche il fatto che riuscissi a vedere i morti. Da quel giorno entrai nella ribellione, e ne diventai il capo, sotto il nome di Chaos.
Mi ripresi dai ricordi e mi avvicinai alla finestra, ma nel momento in cui sollevai il vetro, sentii una presenza alle mie spalle. Il demone ch si era impossessato di Maria, tempo prima, ora si nutriva dell’odio di Miss Sophia e viveva dentro di lei con lo scopo di uccidermi. Fece uno scatto in avanti, trovandomi impreparata mi colpì alle spalle. Mi scansai velocemente, ma non abbastanza da evitare il colpo. Il coltello colpì la mia spalla e tranciò il mio braccio che con un tonfo sordo cadde a terra. Urlai e caddi a terra. Il sangue ormai aveva macchiato la moquette e si era sparso sulle pareti della stanza. 
Quasi incosciente, aprii una palpebra lacrimante e l’ultima cosa che vidi prima di svenire fu la forma sfuocata di Miss Sophia che caricava un altro colpo. 
Ma prima che accadesse, il buio.

Un'anima maledetta in una terra peccatrice.

Questo è l'ultimo capitolo da ri-editare, finalmente.
Per il resto, la trama che avevo pensato è completa nella mia testa, ma non riesco a trovare la voglia di continuarla: perdonatemi, dunque!
Dato che è estate, probabilmente aggiornerò presto!

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