Gold stained with red di Nezu (/viewuser.php?uid=23981)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Of unbroken little things [Jaime & Bran] ***
Capitolo 2: *** This is a war and we are soldiers [Cersei - Eddard] ***
Capitolo 3: *** My house is burning down [Tyrion-Jon] ***
Capitolo 4: *** Sharper than a knife [Tywin-Arya] ***
Capitolo 1 *** Of unbroken little things [Jaime & Bran] ***
Of unbroken
little things [Jaime-Bran]
Il
terriccio era umido sotto i suoi piedi, cedeva un
poco ad ogni passo; l’odore di terra bagnata e muschio gli
inondava le narici,
eppure c’era qualcosa nell’aria che lo avvertiva
che il panorama che gli si
apriva davanti era irreale, sbagliato. E man mano che ci rifletteva,
gli
elementi discordanti emergevano come tante piccole bolle sulla
superficie di
uno stagno: avanzava su due zampe, non su quattro; non percepiva gli
odori
com’era abituato a fare; le sue prede, quelle che un tempo
sarebbero finite
maciullate tra le sue zanne, gli sfuggivano con una facilità
inaudita.
Si
sentiva piccolo, sperduto e impotente. Corse
lungo un pendio, giù nella fitta boscaglia, ma il suo corpo
era lento, gracile,
i rami più bassi gli ferivano le guance, i suoi goffi piedi
– da quanto tempo
non era in grado di utilizzarli come si doveva? –
incespicavano su radici
grosse e scivolose. Avrebbe voluto ululare il suo dolore verso il
cielo, ma
quello che usci dalla sua bocca era più un gemito
strangolato, un pigolio di
pulcino. Era solo.
I
suoi fratelli erano stati inghiottiti
nell’oscurità, uno dopo l’altro, chi
nella morsa del grande freddo, chi colpito
a tradimento, chi massacrato dalle fauci dei leoni. Altri avevano
cambiato
strada e lui non li aveva più rivisti. Riprovò ad
ululare, ma non accadde
nulla, solo un caldo liquido che scivolava lungo le guance graffiate,
giù sul
mento, a inzuppare la stoffa che ricopriva il suo corpo o a rendere
ancora un
po’ più umido il terreno.
Continuò
così per un’eternità, una dolorosa
eternità, fino a che Bran non guardò verso terra
e si rese conto che lui non
avrebbe neanche dovuto essere in piedi.
*
Si
svegliò di soprassalto, madido di sudore, il
cuore che sembrava voler aprire un varco nel petto e fuggire come un
cervo
inseguito dai cacciatori. Aveva la nausea. Erano mesi che non sognava
in
maniera così vivida, era come se, all’improvviso,
avesse riaperto il terzo
occhio per unirsi ancora ad Estate.
Quel
pensiero gli ronzò nel lobo frontale solo per
una manciata di secondi, prima che la cruda realtà lo
schiacciasse
dolorosamente: Estate non c’era più. Lo avevano
ucciso i leoni, così come
avevano ucciso suo padre. Nel ricordarsi tutto questo, Brandon Stark
pregò di
potersi riaddormentare e non svegliarsi più, ma gli dei
– gli antichi e i nuovi
– non ascoltarono le sue preghiere, anzi. Non avrebbero
potuto essere più
crudeli di così, perché dei passi echeggiarono
nel corridoio, oltre la porta
che lo separava dal resto del mondo. Erano passi che aveva imparato a
conoscere.
Non
sapeva se era solo suggestione o un raggio di
luna intrufolatosi tra le tende, ma quando l’uomo
entrò i suoi capelli, di un
biondo dorato, nell’oscurità per un attimo
sembrarono fatti d’argento; poi la
luce della candela ferì gli occhi di Bran, abituato alle
ombre della sua
stanza.
Si
tirò su sui gomiti, lo sguardo fisso sull’uomo
che gli stava di fronte. Il suo carceriere o il suo salvatore, il
ragazzo ci
stava ancora riflettendo. Ma forse un piccolo storpio non era questo
granché da
salvare, forse sarebbe stato più misericordioso porre fine
alle sue sofferenze.
Ma Jaime Lannister non sembrava affatto intenzionato a farlo.
<
Hai intenzione di svegliare tutto il castello,
ragazzino?>
Fu
in quel momento che Bran si accorse che qualcosa
non andava: lo Sterminatore di Re ansimava leggermente, come se avesse
corso
per tutte le scale di Casterly Rock senza sosta, e nel suo tono, sotto
l’onnipresente sarcasmo, c’era un velo di
preoccupazione che non gli sfuggì.
Rifletté solo dopo qualche secondo sul significato delle sue
parole e si rese
conto che, con ogni probabilità, l’ululato era
rimasto muto solo in sogno.
Un
brivido gli corse lungo la schiena al pensiero
che avrebbe potuto svegliare il vero lord di quel luogo, il vecchio
Tywin
Lannister. Quell’uomo lo spaventava: persino lo Sterminatore
di Re, che non era
certo un codardo, non osava opporsi a suo padre. Se avesse deciso che
la vita
di un piccolo, insignificante storpio non valeva le sue ore di sonno,
avrebbe
potuto liberarsi di lui con un semplice ordine.
Sapeva
che aveva corso un grande rischio e il suo
cuore non la smetteva di martellare nel suo petto; lo sguardo di Jaime
Lannister era su di lui, i suoi occhi verde smeraldo lo scrutavano come
se
potessero leggergli nell’anima.
<
A volte mi chiedo perché diamine non ti abbia
lasciato morire con gli altri.> sbuffò, passandosi
una mano tra i capelli
dorati.
<
Vorrei che tu lo avessi fatto.>
Le
parole gli sfuggirono dalle labbra prima che
potesse trattenerle e insieme a loro traboccarono tutte quelle emozioni
che lo
aveva inchiodato al sogno: se fosse morto avrebbe rivisto suo padre,
sua madre,
Robb? Forse Arya, Sansa e Rickon erano già là ad
aspettarlo. E Jon? Che gli era
successo? Bran non sapeva più niente di nessuno di loro e
quel pensiero lo
uccideva.
Avrebbe
voluto alzarsi e combattere, trovare una
spada e aprirsi un varco tra i suoi nemici, prendere un cavallo e
fuggire a
Nord, verso casa, dove tutto era così familiare,
così pieno di ricordi. Estate
sarebbe stato lì ad attenderlo o forse lo avrebbe raggiunto
durante il viaggio,
pronto a strofinare il muso sulla sua mano e a ringhiare contro i
briganti.
Ma
il problema era alla radice: lui non poteva
neanche alzarsi.
Era
troppo tardi per fermarsi, Bran lo capì al volo
quando la prima lacrima gli sfuggì dalle palpebre e gli
scivolò lungo la
guancia; era come se il suo petto fosse in fiamme, una sensazione di
vergogna e
disperazione allo stesso tempo. Si coprì il volto con una
mano, cercando di
preservare un minimo di dignità, se ancora ne aveva.
Jaime
Lannister lo fissò basito e, per un
lunghissimo istante, desiderò di essere rimasto nelle sue
stanze, di aver
ignorato totalmente quell’urlo strozzato. Non era esattamente
bravo con i
ragazzini e di certo non si era mai considerato un buon padre.
Si
guardò attorno, alla disperata ricerca di una
buona idea, ma nulla pareva salvarlo dal suo impaccio; alla fine fece
un
respiro profondo e si sedette sul letto, accanto al giovane Stark. Gli
posò una
mano sulla spalla, un tocco leggero – per i sette dei, quel
ragazzino era così
fragile che gli sarebbe bastato stringere appena per frantumargli le
ossa – che
costrinse l’altro a scoprire il volto.
<
Credo sia una delle poche cose giusto che ho
fatto in vita mia.>
Era
difficile dirlo quando a ricambiare il suo sguardo
c’erano gli occhi arrossati di un ragazzino –
l’ultimo degli Stark? Difficile
dirlo, ma non era da escludere. Lo vide abbassare il viso, cercando di
nascondersi e fece l’unica cosa che gli venne naturale fare.
Se
Cersei l’avesse visto in quel momento, lo avrebbe
odiato: non aveva mai abbracciato nessuno dei suoi veri figli, neanche
Tommen,
eppure tra le sue braccia in quel momento c’era il corpicino
spezzato di
Brandon Stark. Era un bel controsenso, Jaime se ne rendeva conto, ma
non
gl’importava. Il mondo era pieno di controsensi.
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Capitolo 2 *** This is a war and we are soldiers [Cersei - Eddard] ***
This is a war and we are soldiers
[Cersei-Eddard]
Gli
dei erano stati ingiusti con lei, lo sapeva e se
lo ripeteva incessantemente da quando aveva quattro anni, da quando
invece che
una spada le era stata regalata una dannatissima bambola. Avrebbe dato
l’anima
per poter cavalcare al fianco di suo fratello in un’armatura
scintillante, la
spada in pugno e il nemico dritto di fronte a lei.
Invece
aveva dovuto rassegnarsi: il suo avversario
l’avrebbe ucciso con altre armi.
Si
era aspettata uno scontro meritevole, un sottile
gioco di potere sul filo di una lama e invece aveva ottenuto solo
delusioni:
Eddard Stark non sapeva come giocare. Era convinto che la dura legge
del Nord
si potesse applicare anche a King’s Landing, senza rendersi
conto che la
franchezza e la sua lealtà non potevano che portarlo alla
distruzione.
Era
lo stesso errore che aveva commesso Jon Arryn e
il fatto che di lui ormai rimanessero solo le ossa avrebbe dovuto
suggerirgli
qualcosa. Ma era evidente che gli uomini del Nord erano decisamente
ottusi,
Cersei ormai ne era convinta. Era una fortuna, per lei, ma al contempo
toglieva
tutto il divertimento al gioco.
Era
solo grazie a Robert che Ned Stark era
sopravvissuto fino a quel momento: due Primi cavalieri morti a pochi
mesi di
distanza potevano solo destare sospetto e lei non era donna da farsi
scoprire
così facilmente. Avrebbe atteso il momento opportuno, ma
appena quella zavorra
di suo marito si fosse tolto di mezzo niente avrebbe potuto salvare il
lord di Winterfell.
Se
avesse avuto un minimo di buonsenso, avrebbe
sellato il suo cavallo prima che il re esalasse l’ultimo
respiro e sarebbe
tornato a spron battuto nel suo buco su al Nord, con le sue figlie e la
sua
guardia. E invece se l’era trovato davanti, al parco degli
dei, a scoprire
tutte le sue carte. Cersei non riusciva a capire come potesse essere
così
stupido.
Ma
dopotutto un po’ le dispiaceva: era solo la
persona sbagliata nel ruolo sbagliato. Un soldato, non un burattinaio.
Un buon
soldato, da quanto le aveva detto suo fratello; un uomo che si meritava
una
morte onorevole. Se avesse potuto, gliel’avrebbe concesso:
solo loro due, spade
in pugno, fino alla fine. Sarebbe stato uno scontro onorevole, ad armi
pari e
lei lo aveva desiderato con tutto il cuore, ma glielo avevano negato.
Non
c’era onore e cavalleria in uno scontro con una
donna, solo intrighi, veleni, sguardi suadenti e sottili lame affilate.
Lo
fissò alla luce del sole, il suo sguardo serio, la mascella
contratta per
mascherare il dolore che ancora provava alla gamba, i lineamenti
severi. Sapeva
che in quel momento lui poteva vedere solo il suo dolce sorriso, i
capelli
dorati mossi da un leggero venticello, gli occhi verde smeraldo,
falsamente
innocenti.
Voleva
permettergli di vedere il guerriero che c’era
in lei, quello che lo avrebbe affrontato apertamente, a spada tratta,
ma non
era possibile. Non era riuscita a vederlo nemmeno lei, quel guerriero.
Le
rimanevano i vestiti di seta, i gioielli e i suoi sorrisi. E un sacco
di odio
nel cuore.
Quando
si allontanò da quella figura triste e
sofferente, Cersei Lannister si chiese se quell’uomo si
rendesse conto della
sua fortuna. A lei non era concesso essere leale. Avrebbe agito di
conseguenza.
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Capitolo 3 *** My house is burning down [Tyrion-Jon] ***
My house is burning down [Tyrion-Jon]
Non
avrebbe dovuto sconvolgerlo così tanto,
continuava a ripetersi, ma la sensazione opprimente al petto non voleva
saperne
di sparire. Winterfell non significava niente per lui,
eppure… eppure l’idea
che quel luogo così pieno di spirito, di antichi dei e
grandi uomini del
passato fosse stato raso al suolo, bruciato dalle fondamenta lo
tormentava.
Certi
luoghi non dovevano smettere di esistere,
certi luoghi erano fatti per essere eterni. Quel pensiero –
l’eternità,
l’infinito scorrere del tempo – lo fece sorridere:
quale stolto s’illudeva che
la sua vita fosse più del battito d’ali di una
farfalla, di un granello di
polvere nell’immensità. Le loro vite valevano
zero, eppure quanti sforzi si
facevano per rimanere aggrappati a quel niente.
Non
era così facile vivere nella consapevolezza che
prima o poi ci sarebbe stata una fine. Tyrion riusciva a dimenticarlo
solo di
giorno, quando le responsabilità come Hand of the King lo
travolgevano e ogni
suo sforzo andava a contenere Cersei e a prevenire le stupidaggini di
suo
nipote.
Ma
la notte, quando si accingeva ad aprire uno dei
pesanti tomi della biblioteca reale o quando si trovava, esausto, tra
le
braccia di Shae, quella sensazione tornava: sarebbe bastato una
piccolezza, un
minimo errore, e la sua così importante esistenza sarebbe
svanita nel nulla.
Lord
Mormont gliel’aveva detto, quand’era stato in
visita sulla Barriera: quei ragazzi in nero spesso lo dimenticavano, ma
loro
vivevano per morire. Quella dedizione al proprio lavoro aveva
profondamente
colpito Tyrion: saranno pur stati feccia, ma quelle triste figure
avvolte nei
loro mantelli riuscivano ad essere più uomini di qualsiasi
cavaliere in
armatura scintillante.
Il
pensiero del Folletto corse ad un ragazzo in
particolare, a quel giovane dal volto serio, gli occhi velati dalla
tristezza:
Jon Snow, il bastardo di Winterfell, la stessa Winterfell che aveva
ceduto agli
avversari, che era crollata in ginocchio. Quel moccioso che aveva
così tanto in
comune con Tyrion, che il figlio di Tywin Lannister non era riuscito a
non
prenderlo in simpatia.
Chissà
dov’era in quel momento, se si era inoltrato
nelle lande desolate a nord della Barriera, col suo lupo che gli
trotterellava
accanto, o se era ancora a Castle Black o in un altro dei fortini di
confine.
Si
domandò se gli fosse già giunta la terribile
notizia e sperò in cuor suo che almeno quello gli fosse
risparmiato. Aveva
sofferto a sufficienza, avevano entrambi sofferto a sufficienza. Un
poco
d’oblio, di ignoranza l’avrebbe voluto anche per
sé, se questo non avesse
significato con ogni probabilità la morte. Non poteva
permettersi di abbassare
la guardia in quel covo di vipere.
Si
chiese se non sarebbe stato meglio restare alla
Barriera con quei prodi camerati. Non conosceva la risposta, ma
più ci pensava
e più si rendeva conto che non era solo Jon Snow ad essere
rimasto senza casa,
ormai. Quel vecchio castello del Nord si era portato via qualcosa,
qualcosa che
Tyrion non riusciva ad identificare, ma che non poteva fare a meno di
rimpiangere.
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Capitolo 4 *** Sharper than a knife [Tywin-Arya] ***
Sharper than a knife [Tywin-Arya]
La
paura uccide più della spada. Ma lei non aveva
paura di lui, questo non era in discussione: quegli occhi glaciali non
le
davano i brividi, i suoi lineamenti fieri non significavano niente per
lei.
Avrebbe affondato il suo pugnale in quella schiena larga più
e più volte, fino
a imbrattare il tavolo, le mappe e le carte di guerra.
Pugnalare
la schiena. Arya ci rifletté un attimo:
solo i codardi colpiscono alla schiena, i codardi e gli assassini.
Syrio non le
aveva insegnato ad attaccare di spalle l’avversario e men che
meno gliel’aveva
detto Jon; se avessero potuto leggere la sua mente, si sarebbero assai
vergognati di quel suo pensiero.
Arya
non era una codarda e di certo non uccideva per
denaro: no, avrebbe ucciso il vecchio leone trafiggendogli il cuore,
guardando
la vita svanire da quegli occhi terrificanti, osservandolo mentre
esalava il
suo ultimo respiro. Solo allora si sarebbe sentita soddisfatta, solo
allora
avrebbe potuto cancellare il suo nome dalla lista.
Ma
Tywin Lannister non era un avversario da sottovalutare.
Quando si muoveva per la stanza, le persone attorno a lui si fissavano
l’un
l’altro, nervose, in attesa di scoprire chi di loro sarebbe
finito tra gli
artigli del leone. Era un uomo duro, su questo non c’era
alcun dubbio. Duro e
pericoloso.
Per
quanto Arya non volesse ammetterlo, anche lei
non era immune alla presenza del lord di Casterly Rock: ogni volta che
il suo
sguardo si posava su lei le mancava il fiato e la sua mente
ripercorreva
febbrilmente ogni sua azione, per scoprire se aveva commesso un errore,
tralasciato un piccolo dettaglio che avrebbe fatto scoprire la sua vera
identità.
Non
poteva permetterselo, non doveva più indugiare.
C’erano sere in cui il lord leone era più stanco
del solito, notti che passava
seduto di fronte al fuoco, lo sguardo perso nella fiamma, mentre lei,
zitta
zitta, sparecchiava la sua cena e si affaccendava a sistemare le sue
stanze.
Momenti
in cui la sua mano poteva facilmente
scivolare su una lama e agire di conseguenza. Ma non lo faceva: il suo
sguardo
accarezzava il coltello senza far nulla per prenderlo, contemplando le
sue
mille possibilità senza compierne alcuna. La sua mente si
riempiva di “se” e
ipotetici futuri, fughe, duelli, corse per i boschi, verso casa. Ma la
sua mano
rimaneva ferma.
Ogni
tanto lanciava uno sguardo fugace al lord
protettore dell’Ovest. Ogni tanto i suoi occhi di ghiaccio la
bloccavano sul
posto: occhi freddi, più affilati di qualsiasi lama. Occhi
che uccidevano.
Lei
chinava il capo come qualsiasi brava servetta
avrebbe fatto e si affrettava a sparecchiare. E mentre lasciava le
stanze con
il vassoio della cena ormai consumata il suo sguardo si posava ancora
su quella
lama, osservava come brillava alla luce delle torce e si ripeteva
“la prossima
volta, la prossima volta”.
Ma
la sera, prima di addormentarsi, nel pronunciare
ancora il nome di Tywin Lannister si sentiva inspiegabilmente
sollevata.
Odiandosi per questo, si raggomitolava nel suo pagliericcio e ripeteva
quella
familiare cantilena.
“La
prossima volta, la prossima volta”.
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