Le risate di Versailles

di Adeia Di Elferas
(/viewuser.php?uid=529594)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La nascita di un mostro ***
Capitolo 2: *** La dura vita a Versailles ***
Capitolo 3: *** La famiglia Disperazione ***
Capitolo 4: *** Oscar & Faccione ***
Capitolo 5: *** Le disgrazie non vengono mai sole ***
Capitolo 6: *** La travagliata notte prima del duello ***



Capitolo 1
*** La nascita di un mostro ***


Image and video hosting by TinyPic

                                                           ~~ [breve legenda: Kant è il soprannome che mio cugino ha dato fin da subito al padre di Oscar, per via di una somiglianza fisica – secondo lui – tra l'attore e il filosofo.]

 
 È il 1755, la casa della famiglia Jarjayes è immersa nel verde e gli uccellini cinguettano lieti come ogni giorno.
 Kant, il pater familias, si aggira con passo marziale per le sale marmoree della sua dimora, mentre tragicamente il pendolo gli ricorda che il tempo fugge e l'orologio cammina...
 L'uomo passa altero davanti alle figlie, schierate in ordine di altezza su una panca e tutte vestite di bianco, perchè a lui piace la simmetria.
 Improvvisamente, un orribile urlo squarcia il silenzio. Seguono in lontananza parole concitate, mentre Kant, ignorando volutamente tutta la prole che lo fissa attonita, esprime con forza il suo più grande desiderio: “Speriamo sia un maschio.”
 Ecco che finalmente udiamo il pianto di un bambino. Dunque il parto è andato a buon fine! Da una porta misteriosa fa capolino una domestica dai capelli scuri che porta in braccio il neonato. Ovviamente è stato il parto più veloce della storia. In meno di tre secondi netti, il bambino è stato fatto nascere ed in appena altri tre secondi è stato lavato e vestito ad hoc.
 Con la voce pregna di terrore – giacchè conosce bene il volubile carattere di Kant – la domestica si blocca e dice: “Avete un'altra bellissima figliuola, signore.”
 Cercando di trovare un pizzico di umanità del granitico uomo, la domestica alza gli occhi e balbetta: “Ma vostra moglie, la mia adorata padrona... Lei ci ha lasciati per un posto migliore.” A Kant serve un momento. Osserva la porta perplesso, chiedendosi cosa nascondono in realtà le parole della donna che ha di fronte. Sua moglie è forse partita per il viaggio premio nel Nuovo Mondo di cui gli aveva parlato? È andata di nascosto a Gardaland?
 Da uomo intelligente quale è, infatti, capisce subito che la lettura più classica della frase non è possibile. Con la certezza di chi sa le cose, dice: “Mia moglie non può aver perso la vita per la nascita di un'altra figlia.”
 A questo punto, Kant prende la decisione più logica del mondo. Forse aveva dormito poco perchè aveva lavorato tutta notte al suo nuovo libro, la Critica della Ragion Pura, o forse la parrucca gli sta oscurando i pensieri, fatto sta che, ruotando su se stesso come la migliore delle Carle Fracci, dichiara: “Questa creatura è Oscar François De Jarjayes, erede del mio incarico di comandante delle Guardie Reali.” La domestica, ben conoscendo i vaneggiamenti del vecchio, capisce subito dove sta il suo grande errore.
 La carica a generale delle Guerdie Reali non è ereditaria!
 Allarmata, tenta di farlo ragionare: “Ma mio signore, vi prego...” Kant, ormai ottenebrato dai suoi loschi propositi, prosegue imperterrito e con estremo tatto: “Fate venire qui quel vostro nipote orfano, Nanny. In questa casa piena di donne e di silenzio, mio figlio avrà una compagnia maschile.”
 E con queste lapidarie frasi, Kant sparisce attraverso la misteriosa porta da cui era apparsa poco prima Nanny.

 Passano gli anni e la misteriosa porta su cui è dipinto un ameno paesaggio bucolico è ancora lì.
 Una bambina con indosso una camicia bianca, pantaloni marroni e un paio di stivali che arrivano al ginocchi, appare proprio dalla nostra cara porta. Apre e chiude l'uscio con discrezione, reggendo in mano un fioretto.
 Guarda con attenzione la stanza, forse temendo di imbattersi in Kant, che la costringerebbe certamente a leggere la Critica della Ragion Pratica, di cui ultimamente ha buttato giù alcuni capitoli.
 Appena vede che la via è libera, si mette a correre, come una gazzella che sente nell'aria l'odore del leone.
 Ora la casa dei Jarjayes non è più immersa nel verde della primavera, ma nella fredda neve invernale.
 Senza il minimo moto di freddo, la piccola esce in mezzo alla bufera e dà un'ultima sbirciata attorno a sé, consapevole delle capacità mimetiche di Kant. Per fortuna i suoi occhi non vedono il minaccioso vecchio, ma il rassicurante André.
 Oscar attraversa, dunque, di corsa il cortile, sfidando le intemperie, ed André, anche lui ancora un bambino (perchè, è bene ricordarselo, siamo solo nel 1767), salta giù da una carrozza dove evidentemente si era sistemato nell'attesa del congelamento.
 Salutandosi nel modo più normale che i due conoscono, Oscar ed André cominciano a duellare sotto la neve, mentre la solita drammatica pendola (la cui potenza acustica è decisamente invidiabile) batte i suoi rintocchi per ricordare anche ai due piccoli che il tempo fugge, l'orologio cammina...
 Oscar fa cadere André come un sacco di patate sulla neve. Lui si lascerebbe volentieri uccidere dal freddo, ma la bambina insiste nel suo insano proposito e gli si avventa contro. Proprio sul più bello, la cara Nanny, che in più di dieci anni non ha nemmeno cambiato la cuffietta, fa capolino e si mette a gridare: “Bambini! Bambini!” e qui userà la frase per cui noi tutti l'amiamo: “Vergognatevi di litigare in un giorno importante come questo! Oscar, André, venite qua, alzatevi da quella neve!”
 Loro malgrado, i due bambini si rimettono in piedi e corrono incontro alla vecchia, che sta già facendo il grande annuncio: “La famiglia reale ha annunciato il fidanzamento del Delfino con Maria Antonietta, la principessa austriaca!” dalla gioia con cui parla di questa unione, si comincia a capire che probabilmente Nanny diverrà una spia dell'Impero Austro-Ungarico, ma questa è un'altra storia...
 “Oh, dicono ch'ella sia luminosa com'un raggio di sole!” continua a decantare, sperando, forse, di essere sentita da Kant e quindi sponsorizzata per il libro di poesie auliche che da anni vuole pubblicare: “Ha solo dodici anni ed è bella come un gioiello!”
 I due bambini, a questo punto, la fissano accigliati. Nanny, però, prosegue imperterrita: “Questo è l'inizio di una nuova epoca! Un'epoca d'oro! L'unione della famiglia degli Asburgo e dei Borboni...” Sì, decisamente diverrà una spia per gli Asburgo... “La pace.” conclude, cercando di sondare i più profondi sentimenti dei due piccoli.
 Oscar e André, che, vista l'età, dovrebbero pensare solo ai loro giochi, appaiono invece molto interessati alla politica internazionale.
 Oscar, a questo punto, ha una visione. I suoi poteri extrasensoriali la mettono in contatto con la se stessa del futuro, che infatti parla con la voce di una ventenne: “E un giorno... Quando sarà regina... Rischierò la vita, per proteggerla.”
 Dopo un breve smarrimento, André si rende conto che la linea di pazzia di Kant deve essere stata trasmessa anche alla sua povera figlia, così le dà una pacca sulla spalla e l'asseconda: “Tu proteggerai lei, Oscar, e io proteggerò te.”
 E qui, come di consueto, i due bambini improvvisano una rissa, per la gioia della vecchia che può sfoderare il suo tono più contrariato: “André! Oscar! Vergogna! Credete che la principessa faccia dei giochi così stupidi?! Alla vostra età lei è già fidanzata! E in procinto di sposarsi!”
 Di fronte alle parole di Nanny, che necessiterebbe una lavata di capo da parte di una qualsiasi tata di S.O.S. Tata, visto che ritiene più normale che a dodici anni ci si sposi piuttosto che giocare, i due bambini scappano sotto la neve, correndo verso le stalle.
 In un locale buio e sicuramente infestato da fantasmi, una statua addolorata veglia un giacilio impolverato, mentre una gallina ci fa capire che è tempo di deporre l'uovo. Oscar ed André non fanno caso alla povera bestia e nemmeno al grande lampadario composto da centinaia di gocce di cristallo che sta sopra alle loro teste in precario equilibrio.
 In segno di sfida nei confronti degli eventi e di Nanny, Osar getta la sua spada in mezzo alla paglia. Recupera dal letto impolverato una bambola di pezza più grossa di lei e si corica accanto ad André, che sta guardando sconsolato il soffitto chiedendosi cosa mai lo abbia portato in quella casa abitata da pazzi.
 
 Il tempo, se non l'avete ancora capito, passa ed anche in fretta. La povera Nanny è sempre più stanca e tra neve che cade incessantemente e primavere che ritornano d'improvviso, Oscar e André si sono fatti uomini. No, cioè... Beh...
 André si è fatto uomo, mentre Oscar è rimasta rachitica e naniforme, con una tragica pettinatura a codino che la rende tristemente riconoscibile anche a distanza.
 Duellando, nel 1775 come nel 1767, Oscar e André si rincorrono nel parco di villa Jarjayes, nascondendosi dietro alle statue comprate da Kant dagli stessi rivenditori disonesti che gli hanno venduto l'antico vaso (che, sappiatelo, andava portato in salvo) che ora sta in sala da pranzo.
 André fa del suo meglio per dare l'impressione ad Oscar che il duello sia molto alla pari, anzi, che lui sia addirittura in difficoltà. Eh, allora, quando si deve compiacere la figlia del padrone si fa quel che si deve...!
 Ecco che, come al solito, proprio sul più bello, arriva Nanny. Battendo le mani infastidita, grida: “Ragazzi! Ragazzi! Su, su, smettetela! Tuo padre ha delle notizie importanti per te, Oscar!”
 Ed arriva Kant, di bianco vestito. Rigido, proclama: “Ora basta con i giochi.” Terrorizzati, Oscar e André si avvicinano all'uomo. Vorrà far loro leggere la Critica del Giudizio, che ha appena cominciato? O vorrà costringerli a rilegare la Critica della Ragion Pratica, che ha appena finito di scrivere?
 “Da oggi fai parte delle Guardie della Regina, Oscar.” dice invece Kant. Tutti tirano un sospiro di sollievo.
 “La tua preparazione e la tua fiducia sono state premiate.” continua Kant, con Nanny a lato che gli dà man forte con il suo sguardo d'incoraggiamento. “Figlio mio.” aggiunge Kant.
 Oscar, truccata come al solito in modo molto leggero e sobrio (solo un po' di rossetto, un quintale di fard, qualche chilo di matita per gli occhi e un paio di vagonate di fondotinta di vari colori), ringrazia di cuore: “Grazie signore.”
 André fissa l'assistita come uno psichiatra che si appresta a sottoporre una paziente ad un t.s.o., ma non dice nulla.
 Oscar rimarca: “Spero di meritarmi questa fiducia.”
 In netto contrasto col sorriso bonario della povera Nanny, Kant si irrigidisce ancora di più. Per cambiare in fretta interlocutore, si rivolge ad André: “Naturalmente, André, tu non potrai andare con lui.” Nanny vede il suo sorriso sciogliersi al sole, e rimpiazza la gioia con la tristezza più pura, scuotendo il capo affranta.
 “Comunque per te ho trovato un lavoro nelle stalle reale.” Et voilà! Ritorna il sorriso di Nanny, che non vede del tutto frantumarsi l'idea di una fulgida carriera per il nipote.
 Kant, visibilmente deluso dalla mancanza di entusiasmo di André, domanda: “Allora, cosa ne pensi, André?”
 Il ragazzo, per ora l'unico che non ha perso del tutto i contatti con la realtà, si guarda attorno in cerca di un appoggio morale, che, ovviamente non arriva. Così alza leggermente le spalle: “Niente, signore.”
 Nanny, che invece vede nel lavoro alle stalle la realizzazione dei sogni di una vita, lo riprende: “André, ricorda la tua posizione e ringrazia il generale.”
 “Grazie signore.” dice allora André, molto convinto: “Ho sempre sognato di lavorare nelle stalle.”
 Kant non si lascia fregare: “Fai del sarcasmo, per caso?!” “No signore.” risponde André, mentre Oscar, al suo fianco, sta pensando che forse doveva mettersi un po' più di rimmel, vista la giornata speciale...
 “Bene. Così questo giorno segna una svolta nella vostra vita.” va dicendo Kant: “D'ora in avanti assumerete delle responsabilità adeguate alle vostre diverse classi sociali.”
 Senza aspettare un commento o una domanda di spiegazione, Kant gira sui tacchi, in una riminiscenza di quando era meglio di Carla Fracci, e rientra in casa.
 Nanny, poveretta, si volta a dare un ultimo sguardo ai due ragazzi, scuotendo la testa, come a dire: perdonatelo, per la sua durezza, ma è stanco, sta lavorando da tre notti e tre giorni alla Critica del Giudizio, al suo posto anche voi sareste un tantino nervosi...
 Oscar non si cura di simili cose, e muove subito un passo verso André: “Ehi – dice, con la sua voce più provocante – Ehi, tu!”
 André, che avrebbe tanto voluto fingere di non averla sentita, viene richiamato all'ordine da un colpo al braccio.
 “Non merito una pacca sulla spalla?” chiede Oscar. André la fissa con astio, come pensando che una nana del genere lui la potrebbe ammazzare, con una pacca sulla spalla.
 “O un sorriso?” tenta Oscar, sperando che, magari, abbassando le pretese, qualcosa otterrà.
 In modo molto spontaneo, dunque, André dice: “Congratulazioni, Oscar.” Lei ride, apparentemente molto compiaciuta dalle sincere parole del ragazzo.
 Egli, però, non resiste ed aggiunge: “Stai per diventare importante.” Ben lungi dal capire che si tratta solo di una frase sarcastica, Oscar resta imbambolata sul posto, ancora sorridente di fronte a sì tanti complimenti.
 André, allora, ruota sul posto, forse nel tentativo di assomigliare a Kant e competere con lui nei prossimi provini per Amici, e pianta Oscar lì da sola. Meglio andarsi a leggere la Critica della Ragion Pura, piuttosto che avere davanti agli occhi ancora a lungo quel volto coperto dal trucco.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La dura vita a Versailles ***


Image and video hosting by TinyPic

~~ [Breve legenda: il parrucchiere di corte è stato ribattezzato Enzo Miccio, per via del suo stile e la sarta è stata ribattezzata Carla Gozzi, per via del suo gusto in fatto di abiti; Fersen verrà a volte chiamato semplicemente Faccione, mentre il re verrà spesso chiamato il Mozzarellone]

 Nel parco di Versailles la vita procede frenetica. Donne con parrucche dal peso specifico incalcolabile e uomini che, per non essere da meno, trasportano portantine piene di mattoni, si aggirano senza tregua tra le aiuole deorate. Solo alcuni nullafacenti si permettono di chiacchierare senza fare altre attività fisiche.
 Apparentemente ignorata da tutti, c'è anche una donna, vestita come nel 1940, che parla amabilmente con un nobile francese, forse volendo convicerlo a passare dalla parte dell'impero austro-ungarico. Si scoprirà, poi, che la viaggiatrice nel tempo altri non è che un pronipote della povera Nanny.
 Oscar monitora attentamente l'esterno, affacciandosi alla finestra. Forse non notando subito la facinorosa degli anni Quaranta, ritorna a concentrarsi sullo spettacolo che si sta consumando nella stanza.
 Una voce drammatica e piena di significati nascosti, sta intonando una canzone apparentemente tranquilla, ma in realtà caratterizzata da un testo inquietante ed apocalittico: “Il mare già crescendo sta, la barca trema già... Sull'onda nera, ha scritto il vento, tempesta arriverà...”
 Maria Antonietta, visibilmente bambina di sì e no quattordici anni, è sotto le abili mani di Enzo Miccio, che le gira attorno in modo poco costruttivo.
 In parte esasperata dall'incompetenza dell'hair stylist, in parte dalla voce affettata della cantante, esprime la sua profonda disperazione con un'occhiataccia allo specchio.
 Enzo Miccio, dalla pettinatura sobria ed elegante, decide, giustamente, di apporre una nave sulla chioma della sua regina, tanto per restare in tema con la tragica canzone che stanno ascoltando.
 Con un sorriso falso ed un abile colpo di testa, Maria Antonietta fa scivolare in terra la barca, ma la musica non è ancora finita: “Se in mezzo al mar ti troverai e il vento si alzerà...” come avvisato dalla cantante, Miccio appunta la barca, con grande disappunto della povera Maria Antonietta, ai capelli con uno spillone.
 “Cambiare rotta tu dovrai, se a casa salva vuoi tornar...”
 Oscar si sforza con tutta se stessa di non addormentarsi, mentre la regina ha deciso che basta, si è definitivamente rotta.
 Muovendo infastidita la piuma gigante che regge in mano, tenta di far tacere l'aspirante vincitrice di San Remo: “Questa canzone è molto triste. E a me non piacciono le canzoni tristi. E a voi piacciono, signor Leonard?”
 Miccio sfodera tutta la sua massima sincerità: “No vostra maestà.” dice, con la voce da broncopolmonitico.
 Visto che il pianoforte continua a suonare, Maria Antonietta capisce che è il momento di prendere provvedimenti anche materiali, se ne necessario! Si alza in piedi, brandendo minacciosamente la piuma, e muove rapidi passi verso la cantante fallita. Questa, nel panico più totale, si gioca la sua ultima carta: la pietà.
 “Maestà le rime giuste non so trovare, ma che volete far?” Maria Antonietta ormai è al pianoforte e fissa con malizia la donna che, la mente ormai annebbiata, si sente il fiato della morte sul collo e lancia il suo ultimo accorato e straziante appello: “Poeta i' non son...!”
 Con un sorriso che promette future fustigazioni in pubblica piazza, la regina la mette per sempre a tacere tocccandole le labbra con la piuma magica.
 Per fortuna, arriva qualcuno, nella stanza, e la regina esclama: “Ah! Madame Bertin!” Carla Gozzi entra con delle facchine che trsportano un pesantissimo vestito rosso e bianco.
 Maria Antonietta, prima di abbandonare del tutto il discorso musica, rimarca il suo disappunto, in modo che la povera cantante capisca che il capitolo non è chiuso: “Meno male... Cominciavo ad annoiarmi!”
 “Il battito di un cuore innamorato!” esclama Carla.
 “Meraviglioso.” concorda la regina: “È splendido!” dice alla cantante, come a farle capire che qualsiasi schifo è splendido, rispetto alla sua voce.
 Mentre Carla annuncia il secondo abito (“Brina sui bocciuoli di primavera!”) Maria Antonietta è colpita dalla sindrome di Stendhal e per poco non sviene. “Baciati dal sole!” aggiunge, a caso, Carla.
 Maria Antonietta, invasata, scatta in avanti, sempre brandendo la piuma, e si rivolge di nuovo alla Polignac, la cantante fallita: “È bello, vero?” le chiede. La Polignac risponde con una mini scena di isterismo, le stesse che fa ai concerti rock a cui partecipa di nascosto.
 Viene introdotto un altro vestito ancora: “Dolce canzone del tramonto...!” La regina non esprime il suo giudizio, forse trovando l'abito orrendo. La Polignac, invece, sentendo la parola 'canzone' si ricorda delle minacce velate che la regina e ha mosso alla fine del suo canto.
 Scoppia in inconsolabili lacrime e, in modo molto naturale, si butta una mano sulla fronte e corre verso la finestra.
 La regina, che oggi indossa scarpe di cinque numeri troppo piccole, come si nota dalla camminata, si affretta a inseguire la Polignac. Teme che si voglia buttare dalla finestra, quando invece deve restare in vita per scontare la sua pena tramite fustigazioni e lavori forzati.
 “Amica mia...” dice allora la regina, bloccando la Polignac: “Mia cara che cosa c'è?”
 Sullo sfondo, un quadro preso in prestito da Hogwarts, raffigura due dame di compagnia affrante per la situazione spinosa.
 “Oh! Perdonatemi, madame!” si scusa la Polignac, che nel profondo sa di non poter scappare alla regina: “Il mio cuore soffre perchè sa che non potrò mai possedere tanta meraviglia...!” butta lì, riferendosi ai vestiti.
 “Mia cara Gabrielle!” la riprende la regina, stringendola in una morsa mortale: “Su, non piangete...” E Maria Antonietta accarezza la guancia della Polignac, forse cominciando a pensare che potrebbe essere usata in altro modo, piuttosto che come spaccapietre: “Sapete quanto siete cara al mio cuore, io esaudirò ogni vostro desiderio! Sceglietene uno!”
 “Oh, siete troppo gentile, con me!” dice la Polignac, sfuggendo lo sguardo concupiscente della regina.
 Certa di avere una preda nella Polignac, la regina cerca di espandere la sua caccia, rivolgendosi a Oscar, che si risveglia di colpo alla voce di Maria Antonietta che la chiama in causa: “E voi non statevene lì impalato a quella finestra, Oscar!”
 Oscar fissa con ribrezzo la regina, che intuisce la difficoltà della caccia: “Non c'è bisogno di rimanere sull'attenti in mia presenza... Siete libero di muovervi... Se volete.” E comincia a far agitare la piuma.
 Oscar, che vorrebbe muoversi, ma non ci riesce per colpa del vestito di carnevale troppo stretto, non coglie le avances della regina e cambia discorso, guardando fuori: “Stavo osservando quel giovanotto a cavallo, vostra maestà. È da un pezzo che continua a fissare questa finestra.”
 La regina, incuriosità da questa novità – che potrebbe portare ad un ennessimo allargamento del suo harem – si catapulta a vedere di chi si tratta. E la Polignac non è da meno.
 Appena gli occhi della regina si posano sul misterioso giovane, un sospiro le esce dalle labbra: l'ha riconosciuto! “È lui!” esclama: “È il conte Fersen!” “E vi sta fissando!” nota la Polignac, sperando che le attenzioni della regina vengano catalizzate da Fersen.
 Il povero Fersen, intanto, sta dando ordini in una lingua sconosciuta a tre soldati che fanno sterili esercizi con la spada.
 Fersen continua a confabulare nella sua lingua inventata, senza controllare se gli uomini stiano eseguendo i suoi ordini. La sua attenzione è stata catalizzata dalle tre oche che vede alla finestra, che lo stanno fissando convinte di non essere viste.
 Oscar, in modo molto discreto, lancia occhiate conturbanti al Faccione, catturata forse dal suo sguardo inespressivo o forse dalla sua lingua inventata.
 Maria Antonietta, nel frattempo, ha già deciso che Faccione entrerà a far parte della schiera dei suoi schiavi e ne ride tutta compiaciuta.
 Capendo le intenzioni della regina, Oscar dice la frase in codice: “Devo farlo richiamare all'ordine, vostra maestà?” “Ma niente affatto! Trovate veramente che guardare una finestra sia una cosa tanto sconveniente?” chiede la regina, guardando eloquentemente la Polignac.
 Oscar si è permessa di usare una frase in codice di fronte ad una potenziale nemica! Sacrilegio!
 Improvvisamente Maria Antonietta si accorge che Carla e le sue schiave sono ancora lì con l'ultimo vestito, quello che a lei faceva ribrezzo. Così si avvicina a loro ondeggiando la piuma: “Potete andare! Emh... Prenderò tutti i vestiti. Eccetto il Dolce canzone del tramonto.” e si volta inesorabile: “Perchè quello verrà adattato per la cara contessa di Polignac...!” E la marchia di nuovo con la sua piuma da dominatrice.
 Sempre più atterrita all'idea di cosa sarà il suo futuro, la Polignac non parla più.
 Indicando con la piuma Oscar chiede: “E voi cosa ne pensate del nostro bel visitatore svedese, Oscar?”
 “Io penso che... Che certamente è un gran bell'uomo, vostra maestà.” dice Oscar, che, ormai è chiaro a tutti, ha bisogno di un paio di occhiali belli forti.
 Malgrado la regina convenga, la Polignac azzarda un commento: “È davvero strano che voi diciate una cosa del genere, Oscar...” “E perchè mai sarebbe strano?” domanda subito la regina, stupita: “Dopotutto Oscar è una donna.” dice, perchè sì, insomma, non si vedeva... Quale uomo della Guardia della Regina non si riempie il volto di trucco quando è in servizio?
 “Oh, è davvero fantastico!” esclama la regina, sempre più felice del suo harem: “È tutto così insolito... Così misterioso... Sta diventando uno stile! Sapevate che molte dame di corte hanno cominciato ad emularvi, Oscar? È quasi diventata una moda, vestirsi con abiti maschili.” ed annuisce rivolta alla Polignac, come a dirle che presto toccherà anche a lei, se vuole sfuggire al destino da tagliapietre.
 Un rumore improvviso fa sussultare la regina che, con molta discrezione come suo solito, avverte le altre del pericolo.
 Una chiave misteriosa gira in una toppa misteriosa di una porta misteriosa. Chissà chi farà capolino?
 Oscar, da bravo soldato, avanza per prima verso il mistero. Dà l'ultimo giro alla chiave misteriosa e quello che vede la spaventa, lasciandola a bocca aperta.
 Con in mano una lunga chiave, il Mozzarellone, marito della regina, si profila in tuto il suo splendore. Pur di non guardarlo più in faccia, Oscar si genuflette ed abbassa lo sguardo.
 “Mi fa piacere vedere che fai il tuo dovere proteggendo la nostra regina, giovanotto.” le dice il perspicace Mozzarellone, ed Oscar è costretta a guardarlo in volto.
 “Io stavo facendo lo stesso, accertandomi che la serratura della sua porta funzionasse a dovere.” prosegue il re, andando dalla moglie.
 Le bacia la mano, ma lei la ritrae così velocemente da impedire alle labbra dell'amatissimo marito di sfiorare la sua pelle.
 “Mio signore... Secondo voi perchè Dio vi avrebbe affidato il ruolo di re e dato il cuore di un fabbro?” chiede la regina, stringendo le labbra contrariata, mentre fa di tutto, perfino guardarsi allo specchio, pur di starsene davanti al marito.
 Mentre da fuori arrivano improvvisamente amplificate le grida in esperanto di Fersene, il re prosegue, pleonastico, sotto lo sguardo inceneritore della moglie: “Mi interesso di serrature, ma non credo certo di avere il cuore di un fabbro... Penso invece che sarebbe più giusto di re che il cuore di un...” incuriosito dalle urla in aramaico, Mozzarellone si avvicina alla finestra: “...cacciatore...”
 Sconvolto dalla vista del Faccione, Mozzarellone chiede alla regina: “Per esempio...” inizia, come se c'entrasse qualcosa col discorso fatto fino ad ora: “Cosa ne pensate di quel giovane che guarda insistentemente da questa parte?”
 Con una coda di paglia qui personificata dalla piuma da dominatrice, la regina risponde, cristallina: “Non ne ho idea... Forse si interesserà di... Architettura!” e se ne va in fretta, prima che il marito possa farsi troppe domande.
 Mozzarellone ancora osserva famelico Fersen e di colpo è colto da un dubbio atroce. Si volta verso la regina in fuga, squadrandola con sospetto e chiedendosi: come fa a sapere che il giovane che guarda insistentemente da questa parte si occupa proprio di archiettura?

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La famiglia Disperazione ***


~~ [Piccola legenda: la donna che si prenderà cura di Jeanne è chiamata alternativamente la vecchia o la Fletcher; le due sorelle, Rosalie e Jeanne, verranno chiamate spesso la sorella buona e la sorella cattiva, o la figlia buona e la figlia cattiva]

 Per le povere vie di Parigi, i bambini saltellano felici, una donna vestita di bianco pulisce e scrosta una porta ed una giovane fanciulla aiuta la madre a portare un cesto evidentemente pieno di mattoni come il trasportino visto nel parco di Versailles.
 La bellezza sconvolgente della giovane viene subito notata dall'ubriacono di turno che, con finezza e delicatezza invidiabili, le si avvicina: “Buongiorno, bellezza, posso aiutarti?” biascica, togliendosi il cappello come un vero signore.
 Piena di ansia, la giovincella lancia un'occhiata disperata alla madre, che si limita ad osservare la scena, spenta, senza più gioia di vivere, senza più la verve di un tempo.
 “Io non mi faccio certo prendere dallo sgomento...” biascica l'ubriaco che, è bene sottolinearlo, fino a poco fa stava correndo dietro ad un gruppetto di bambini. Un tipo limpido, insomma.
 “Anche se sono vestito così sono un signore, sai?” continua l'ubriaco, mentre la giovane è sempre più preoccupata e la madre sempre più prossima al suicidio.
 Dal nulla, il beone tira fuori un pezzo di pane dall'aspetto marmoreo, e fa capire: “Posso pagarti...” Al che le due donne cominciano ad aumentare sensibilmente il passo. In realtà l'uomo non c'entra con questo aumento di velocità. Madre e figlia, infatti, si stanno allenando da mesi per partecipare alle Olimpiadi dei Poveri che si terranno a breve sotto la Bastiglia.
 “...Con del pane!” prosegue lapalissiano l'ubriaco. Facendo sfoggio delle sue innate abilità da ladra, la ragazzina frega da sotto al naso dell'uomo, la pagnotta di cemento e la mette – forse per deformazione professionale – nel cesto pieno di mattoni.
 “Ehi, aspetta, ridammelo!” esclama l'uomo, intuendo di essere stato fregato. Si butta in un inseguimento molto breve: “Dove vai così di fretta?!” ha il tempo di concludere, mentre crolla contro un muro.
 Per altro, madre e figlia spariscono attraverso una porta a nemmeno un metro dal punto in cui l'uomo si è arreso, quindi avrebbe anche potuto bussare e chiedere indietro il pane... E invece resta attaccato al muro, ormai anche lui privo di verve.
 Rosalie, che alle Olimpiadi parteciperà anche nella categoria getto del peso, prosegue l'allenamento in silitaria, portando la cesta in casa senza più l'aiuto materno.
 La casa delle due povere donne è un ammasso di travi di legno vecchio e teloni appesi un po' a caso ovunque.
 La vecchia, con la voce vibrante di vita, chiama: “Jeanne... Jeanne...”
 Colpo di scena. Da dietro un lenzuolo candido appeso da qualche parte, si intravede il fondo di un vestone rosa. Chi si celerà dietro questo telone?
 “Cosa fai lì dietro?” domanda la madre, capendo che si tratta del geniaccio di sua figlia. Con una mossa teatrale, Jeanne scosta il telone bianco e si mostra in tutta la sua cattiveria.
 Jeanne mette con aria di sfida le mani sui fianchi e guarda in cagnesco la famiglia. Rosalie, che è la sorella buona, esclama, sconvolta: “Jeanne... Quello è il vestito di Mademoiselle Pochet...”
 “Certo.” assicura Jeanne, muovendo un incerto passo, stretta nel costume da comi-con rosa: “Ma sta meglio a me che a quella sgualdrina.” conclude, con voce baritonale.
 “Jeanne!” esclama per la ventordicesima volta la madre, prossima a raggiungere il record mondiale di ripetizioni della parola 'Jeanne' nell'arco di cinque minuti.
 Jeanne guarda la madre con i suoi occhi appena truccati e poi abbassa il viso: “Perchè?” Ritorna a cercare madre e sorella: “Non è vero? Non è vero?!” chiede, ansiosa di sapere la risposta. Visto che nessuno risponde, dà voce alla sua anima: “E poi che cosa c'è di male a volere un bel vestito? Cosa c'p di male?!”
 Rosalie ha perso interessa nella questione e adesso si sta allenando per la categoria 'pubblicità progresso', infatti vuole fare un provino come paziente psichiatrica ossessionata dal piegare lenzuola bianche.
 La madre, dall'eleganza invidiabile, pari solo a quella di Rosalie, si affretta a rimettere al suo posto la figlia cattiva: “Toglitelo subito.” ordina, piatta: “Non è neanche asciutto.” conclude, scuotendo il capo. Rosalie fissa la sorella a bocca semi aperta, pensando che, in effetti, per mettersi il vestito doveva aspettare che almeno fosse asciuto...
 “E poi sono stanca per discutere.” butta lì la madre, preparando tutti noi al suo futuro drammatico.
 Ma la figlia cattiva non ci sente: “Stanca?!” chiede, iniziando a muoversi a fatica nel suo vestito di plastica: “Stanca?! Allora te lo dico io chi è stanco!” si ribella Jeanne, prendendo la madre per un braccio. Gesticolando come in una soap opera sudamericana, Jeanne ci ammette alla verità: “IO sono stanca! Sono stanca di strofinare tutto il giorno – spiega, mentre misura a lunghi e difficoltosi passi la piccola ed angusta stanzetta – finché non mi sanguinano le mani... Sono stanca di subire tante umiliazioni. Voglio vestiti, voglio belle cose. E ditemi voi per quale motivo non dovrei averle!” ringhia contro la madre. Rosalie, intanto, continua a spostare il solito lenzuolo con cui è alle prese da mezz'ora.
 “Togliti quel vestito.” ribadisce la madre, con il suo carisma dirompente.
 “No!” si oppone Jeanne andando di corsa alla porta, mentre la madre dice per l'ultima volta: “Jeanne...”
 Rosalie si risveglia e zompa dietro a Jeanne, che però ormai è già per strada. L'ubriaco che poco prima aveva fatto avances alla sorella buona, ora cerca di fermare quella cattiva, che porta in mano, come la cosa più normale del mondo, il granitico pezzo di pane. Mentre Rosalie esclama: “Jeanne...!” L'uomo inutile si fa scappare come niente la fuggiasca e il pane.
 I due inseguitori si arrendono subito, malgrado Jeanne non solo si sia già fermata, ma sta anche tornando sui suoi passi...!
 Il suono di zoccoli che battono in terra frenetici spaventa l'ubriaco e confondo la mente semplice di Rosalie, mentre attrae quella malefica e mefistofelica mente diabolica di Jeanne.
 Ella, brandendo il pane, che, per la sua durezza, potrebbe giustamente essere considerato un'arma impropria, si butta davanti alla carrozza trainata da cavalli bianchi: “Fermatevi!” esclama: “Fermatevi! Vi prego, fermatevi, vi prego!”
 Una vecchia dai guanti immacolati si sporge per vedere chi stia urlando in questo modo.
 Jeanne le si appiccica subito: “Abbiate pietà, pietà vi prego, per una povera orfana cresciuta nella casa dei Valois!”
 La vecchia, forse un'antenata di Jessica Fletcher, non ci cade subito: “Nella casa dei Valois?! Ma è impossibile...”
 Jeanne, sempre con il pezzo di pane, diventato però un po' più piccolo, spiega: “Non è impossibile. È vero. Mio padre morì quando ero ancora una bambina e...” Cambiando idea con la velocità con cui cambiano le stagioni davanti alla villa dei Jarjayes, la vecchia non la lascia nemmeno finire: “Dici davvero? D'altronde come mai dovresti dirlo se non è vero?”
 Non credendo nemmeno lei di essere riuscita a fregare così in fretta questa vecchia, Rosalie si lascia anche accarezzare placidamente. Anzi, aggiunge, per fare la splendida: “E questo vestito è l'unica cosa che mi resta dei giorni migliori... Era... Era di mia madre!” inventa sul momento, fiera della sua stessa prontezza.
 “E tua madre dov'è ora?” indaga la Fletcher. Jeanne, il cui mezzo pane ormai è solo una fetta sottile  come un velo, indugia un istante, chiedendosi che rispondere, e poi scatta con l'ideona del secolo: “È morta.” Trovando ispirazione nel pane, conclude, tragica: “È morta di stenti.”
 La Fletcher ci crede immediatamente: “Oh, mia povera ragazza... Sali, su...” Le apre lo sportellino della diligenza e la fa accomodare.
 Proprio in questo momento, un gruppetto di fastidiossissimi bambini affianca il cocchio, cantando la nuova hit del momento (cantata, nel disco originale dalla Polignac): “La regina di Francia desidera intensamente un bacio sulla guancia e sospira dolcemente...”
 Rosalie fissa la sorella cattiva andarsene sul calesse e buttare fuori dal finestrino il pezzo di pane di calcestruzzo.
 Mentre le vie si riempiono con la canzone odiosissima che prosegue (“La regina di Francia deisdera intensamente un bacio sulla guancia e sospira dolcemente...”) Rosalie raccoglie il pezzo di tufo, il beone rinuncia definitivamente al pasto e strani figuri, tra cui uno zoppo e un uomo che fissa cupidamente Rosalie iniziano a camminare per la via.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Oscar & Faccione ***


~~ [Brevissima legenda: Faccione è il secondo nome di Fersen, Jessica Fletcher è la donna che ha ospitato la sorella cattiva, ossia Jeanne.]

 A Versailles la vita continua come sempre frenetica e senza un attimo di tregua. Tutti i nobili sono intenti in una bisca clandestina che dura ormai da settantadue ore.
 L'idea della bisca è stata della regina, che vuole saggiare la resistenza fisica dei componenti del suo harem personale. Infatti, con discrezione, lancia occhiate a destra e sinistra per beccare chi si sta per addormentare sul tavolo da gioco. Se vedrà qualcuno chiudere gli occhi o chinare il capo, lo chiamerà seduta stante sul palco per fargli declamare un'approfondita recensione della Corazzata Kotionkin.
 Tuttavia anche la regina Maria Antonietta ha un cuore, per cui ha permesso la distribuzione di tartine al veleno, nel caso qualcuno voglia togliersi di mezzo in modo rapido e definitivo. Stoicamente, però, tutti rifiutano i bon bon al curaro che un rigido servo va proponendo di tavolo in tavolo.
 Qualche nobile, eliminato dalla bisca, ma costretto a restare nella stanza, muove qualche passo lento e ciondolante al solo scopo di ridurre il rischio di trombi venosi da stasi agli arti inferiori.
 Oscar, ormai di gesso, blocca il passaggio, in modo da non permettere a nessuno di scappare.
 “E lei era lì, bella come un dipinto di Le Brun, con gli occhi pieni di lacrime – sta raccontando Jessica Fletcher ad un annoiatissimo Fersen, che teme le legge del taglione, secondo cui chi abbandona la bisca prima del tempo verrà privato di entrambe le mani – sfinita! Mio Dio, una discendente della casa Valois che muore di stenti...!”
 Sempre meno attirato dalle ciance della pedante Fletcher, Faccione si guarda in giro, nella speranza di trovare qualcuno che lo salvi. Vede Oscar. Ma sì. Meglio che niente. Allora tenta di chiudere in fretta la questione per scappare il prima possibile: “Ma è assurdo.” dice alla Fletcher, per darle il contentino. “Infatti!” concorda lei, incredula davanti all'improvvisa attenzione del giovane Faccione.
 “E per riparare – continua la Fletcher, mentre Faccione lancia uno sguardo alla regina, per assicurarsi che sia distratta e non noti la sua fuga – all'ingiustizia ho deciso di prenderla con me, istruirla, educarla e infine adottarla come nipote.” dice, da sola, la Fletcher.
 Non avendo la più vaga idea di quello che la donna ha appena detto, Fersen butta lì il primo commento acuto che gli viene in mente: “Ottima soluzione.”
 “Così sarà riconosciuta legalmente.” prosegue la Fletcher, indomita, mentre Faccione squadra sempre più interessato la regina, cominciando a pensare che forse un posto nell'harem gli risolverebbe la vita.
 “Se devo essere sincera, voi due formereste una coppia straordinaria!” esclama la Fletcher, trasformatasi in Eliana Monti. Sentendo ciò, perfino Oscar fa una faccia schifata/scandalizzata e prende in considerazione l'ipotesi di chiamare il 118 per far ricoverare la Fletcher per sproloquio e mani di persecuzione/miraggi.
 “Lo sanno tutti che voi siete nel nostro paese per cercare una moglie.” continua la Fletcher, mentre sul volto di Oscar si dipinge il male di vivere. “E la ragazza, in fondo, è in età da marito...!”
 Faccione, che ha appena rivalutato l'harem, è colto da un conato di vomito, che maschera discretamente bene con un colpo di tosse. Si alza felinamente, mollando la Fletcher al suo destino e tenta di scappare passando proprio accanto ad Oscar. Forse sperava di riuscire a eludere la sorveglianza approfittando del momentaneo smarrimento della giovane nana.
 Ma Oscar, da grande professionista, fingendo di dargli colpetti alla schiena per farlo smettere di tossire, lo immobilizza con una mossa ninja.
 “Oh, grazie.” fa Fersen, già felice così perchè almeno non gli son state tagliate le mani seduta stante per abbandono di bisca clandestina. “Mi avete salvato la vita!” si allarga pure. Oscar ha un'espressione degna di chi vede il proprio amato cane finire prima sotto una macchina, poi in un tritarifiuti e infine in pasto a Giuliano Ferrara.
 Fersen gira attorno ad Oscar, guardando il brillocco da costume di carnevale che troneggia sul suo fazzoletto in simil gomma a pizzi: “Siete qui di servizio o siete un ospite?”
 Oscar fulmina il faccione con uno sguardo: “Un ospite.” mente, spudoratamente. “Allora perchè non giocate, giovanotto?” domanda Fersen, giustamente. In fondo Oscar ha ancora entrambe le mani eppure non sta giocando... O qualcosa non funziona nella sicurezza, oppure Oscar è un buttafuori che si finge un ospite.
 Capendo che la sua copertura è definitivamente saltata, Oscar passa alla sua espressione migliore, quella in stile: 'mi hanno bruciato casa adesso dove vado?'.
 “Guardate quante gentili signore senza cavalieri passeggiano senza sapere cosa fare.” la tenta Faccione.
 “Non gioco per la ragione per cui non giocate voi.” prova a dire Oscar: “Non ne ho voglia.” Fersen capisce di aver davanti un osso duro. Quindi prova a cambiare argomento: “E cosa ne pensate?” “Di cosa?” domanda Oscar, ormai soggiocata dalla bellezza stantia del bietolone.
 “Se tornassi in Svezia – dice Faccione indicando due donne vestite da uomo – e dicessi a mio padre che nella corte di Francia le donne si vestono come gli uomini penserebbe che sono pazzo e bugiardo. Oppure mi crederebbe, impedendovi però di farvi ritorno.” Oscar, che non pensa nemmeno per un momento che si tratti di un bluff, giacché in Svezia già la storia era diversa ma vabbeh lasciamo stare, guarda terrorizzata il bietolone e prende il tutto sul personale. Allora, figlia di suo padre, piroetta sul posto, novella Carla Fraccia, e se ne va tragicamente.
 Fersen vede una via di fuga. Lancia un'ultima occhiata alla regina, temendo di poter venir fermato e punito.
 Oscar, intanto, ha raggiunto delle tende rosse che danno su un misterioso cancello dorato. Si mette il tricorno con piuma carnevalesca e comincia a pensare che forse farebbe meglio a prenotare per il Carnevale di Viareggio, che, poi, si sa: André dice sempre prenoto io, prenoto io, ma se poi non ci pensa lei a cercare su internet gli orari del treno, non riescono nemmeno a lasciare Versailles...
 André, infatti, che aveva detto 'vado io in stazione a prendere i biglietti' è invece ancora appoggiato con posa plastica alla carrozza, in attesa della sua amica.
 Fersen corre fuori dal palazzo, incredulo di essere finalmente libero dalla bisca clandestina. Infatti, appena incrocia lo sguardo severo di André, teme di essere stato beccato, teme di essere prossimo alla forca e invece André è lì solo per Oscar, che sta passando in mezzo al cortile a passo – forse – di marcia, con i suoi stivali femoro-podalici che ormai nessuno riesce più a sfilarle.
 Una volta arrivata da André, egli apre la carrozza e lei si toglie il cappello con piuma e si sistema a bordo.
 “Di' un po' – comincia André, stizzito e in posa plastica – chi è quel bell'imbusto?” chiede senza alcunissima traccia di gelosia.
 Oscar si avvale della facoltà di non rispondere.
 “Che ti stava dicendo?” prosegue André, appassionato di Quarto Grado e quindi molto ferrato nel condurre interrogatori estemporanei. Mutismo di Oscar. “Ti stava dando fastidio?” chiede André. Ennesima scena muta. “Dimmelo e gli darò subito quel che si merita.” promette André, che poi, diciamocelo, non li ha visti parlare assieme, ha solo visto Oscar uscire e dopo qualche secondo Fersen correre fuori...
 Oscar, ormai una Senzavoce di Capitol, non risponde e così André sale in carrozza e fa partire i cavalli, sfogando su di loro la sua rabbia repressa a suon di frusta.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Le disgrazie non vengono mai sole ***


~~ [Piccola legenda: ricordiamo a tutti i soprannomi di Rosalie (sorella buona), di sua madre (la vecchia) ed introduciamo un nuovo soprannome, per il nobile che sfida Oscar a duello, ovvero il Vecchiaccio]

 Nella solita stradina di Parigi, forse l'unica strada di Parigi o magari solo la più trafficata, André sta conducendo il calessino di Oscar cercando di non investire nessuno, conscio del fatto che Kant non paga né il bollo né l'assicurazione ormai da anni, in segno di protesta per il rifiuto ottenuto alla richiesta di sovvenzioni statali per pubblicare La Critica della Ragion Pratica.
 Tra l'altro il povero giovane deve anche stare attento a non picchiare capocciate contro i lampioni palsticati sospesi nel nulla che risultano proprio alla sua altezza.
 “Ancora non mi hai risposto.” dice improvvisamente André ad Oscar che assume la stessa espressione di chi ha appena preso un purgante e si è accorto che il bagno più vicino dista tre chilometri e mezzo in salita.
 “O forse hai deciso che è meglio non dare confidenza ai servi?” incalza André, mentre Oscar si sta rassegnando alla lontananza del bagno. Chiusa nel suo mutismo, ha un ultimo scatto di orgoglio, lanciando un'occhiataccia ad André, che però non può vedere il suo volto appesantito dal trucco perché deve guardare la strada.
 “Non ti sopporto, quando non rispondi...” sussurra lui, forse convinto di non essere sentito.
 Di punto in bianco una povera defic... emh, Rosalie, compare dal nulla a braccia alzate, vestita di bianco che più bianco non si può (molto credibile per una morta di fame della Parigi di quell'epoca) e grida, shakespearianamente: “Ferma! Ferma!” Abbozza una corsetta e raggiunge Oscar, forse capendo da un rapido sguardo ad André che non con lui non tira aria: “Abbiate pietà! Pietà diuna povera orfana cresciuta nella casa dei Valois!” E qui qualche dubbio a tutti noi viene... Era una mania di famiglia tirare in ballo la storia di essere orfani cresciuti con i Valois?
 “Pietà, signore, ve ne prego!” implora, rivolgendosi ad Oscar e dimostrando a tutti noi che in tutto il regno per ora solo lei e Fersen non hanno capito che sotto ai due chili di rossetto e mascara c'è una donna.
 “Cosa? Che cosa vuoi?” domanda lapalissiana Oscar, che non ha ancora fatto il controllo dell'amplifon, questo mese.
 “Oh, signore, sembrate gentile...” butta lì la sorella buona Rosalie: “E forse sarete paziente con una ragazza molto giovane che manca di esperienza. Sarò vostra, se mi darete i soldi per l'affitto.”
 Non avendo capito un caro accidenti di quello che Rosalie sottintendeva, Oscar sorride stolidamente e decide di dare una risposta generica, buttando all'aria quello che dovrebbe essere – correggetemi se sbaglio – il suo grande segreto agli occhi del mondo: “Anche se fossi uomo, e uomo non sono, non accetterei mai di pagare l'amore.”
 André, stufo della sua vita monacale, guarda cupidamente Rosalie: “Quanto vuoi?” domanda. Rosalie, terrorizzata, lo guarda attonita, ma Oscar interviene: “André!” lo richiama all'ordine, come fosse l'ultimo dei suoi cani da caccia: “Come ti permetti!”
 “Ah... Finalmente mi rivolgi la parola...” fa André, scendendo lascivamente dalla carrozza. Assume la sua posa classica, la posa plastica con appoggio sul gomito e declama: “eh, sì, credo sia arrivato il momento di abbandonare le mie abitudini infantili e assaggiare finalmente il dolce vino dell'amore...”
 Di colpo presa dal più profondo panico, Rosalie si ritrae: “Ho poco da darvi signore... Non ho neanche una crosta di pane!” E a questo punto un nuovo dubbio (quanti dubbi solleva questa storia!) ci prende: ma Rosalie di cosa sta parlando? Non voleva offrirsi a Oscar in cambio di denaro? Perché ora dice che da offrire non ha nemmeno una crosta di pane? Mistero. C'entrarenno i templari? Rosalie sarà il Santo Graal? Saranno coinvolti gli alieni? Paura, eh?
 “Mia madre sta male ed è affamata.” conclude Rosalie. Oscar, con un sorriso che va da un orecchio all'altro, dice la frase per cui noi tutti l'amiamo: “Cosa dici? La gente non è affamata a Parigi...!”
 Scuotendo il capo, capendo finalmente di essere tra due pazzi – non che lei con quella cuffia bianca che ha in testa sia nella posizione di giudicare – Rosalie esclama: “Muore di fame, qui a Parigi.”
 Oscar scopre il pentimento e molla una moneta di plastica, presa dal costume del carnevale scorso, un bellissimo costume da pirata, nelle mani della povera sventurata biancovestita.
 Lei si accorge della truffa e cerca aiuto in André che però è troppo impegnato nella sua posa plastica, per cui scappa.
 A scoppio ritardato, André tenta mollemente di insegire Rosalie: “Ehi! Ehi! Aspetta dove vai?”
 Ma Rosalie non lo sente nemmeno. Mostrando il doblone di plastica, si mette a gridare, rivolta alla finestra della sua stamberga: “Mamma! Mamma! Mamma...!”
 Con una certa soddisfazione, nello stile 'tè beccati questa', Oscar si sporge paraliticamente dalla carrozza e dice: “Troppo tardi, André. Credo che dovrai assaggiare quel vino un'altra volta.” E rientra in carrozza con un rapido e goffo movimento da spalla comica. Ci mancano solo le risate del pubblico in sottofondo.
 Abbattuto, André torna al suo posto, mentre Oscar lo investe con la più classica delle accuse: “Perché non mi hai detto che la gente ha fame? Non lo sapevo...” André, ancora nervoso per il due di picche, rimbrotta: “E tu perché non hai guardato? Eppure si vede. Sei passata per queste strade migliaia di volte e la fame non si nasconde.”
 André risale sul cocchio e fa partire i cavalli, lasciando Oscar sola con la sua profonda mortificazione.
 “André. Mi sento molto stupida.” dice Oscar, dando voce a tutti noi. “Anch'io, per non essere andato con quella ragazza.” soggiunge André, ormai fisso con Rosalie.
 “Torna indietro! Ritrovala! Io posso tornare a casa da sola!” fa oscar, voltando il capo in un abbozzo di piroetta Fraccesca, pensando però in realtà che la sua vita è finita, perché non è affatto in grado di tornare a casa da sola.
 André scarta un cocchio, quando un urlo lacerante tuona nell'aria. Incidente dalle dinamiche poco chiare: un cocchio passa in strada, la Vecchia, teletrasportatasi dal ventordicesimo piano fino in strada per saggiare la bontà del doblone di plastica, si accascia in terra senza essere stata nemmeno sfiorata dal mezzo e una figura arcigna si sporge dal finestrino dell'autoveicolo coinvolto gridando a pieni polmoni.
 Tutti i testimoni possono udire la nobile ululare: “Non fermarti, non fermarti, avanti, stupido!” mentre Rosalie piange: “Ferma!” che è la sua parola preferita.
 “Non posso davvero permettermi questo scandalo!” sottolinea la nobile, mentre Rosalie, impedita, arranca a fatica dietro alla carrozza che va più piano di un invalido di guerra.
 Rosalie crolla in terra, lasciando andare la carrozza incriminata e dicendo ancora una volta la sua battuta principe: “Ferma!”
 Si rialza con la rapidità di un centometrista e corre alla madre, che, boh, mistero medico, sta morendo, come capiamo dall'espressione truce e dalla testa che tremola incessantemente.
 Rosalie l'afferra, sotto gli occhi di un discreto gruppetto di curiosi che, invece di chiamare soccorsi, restano lì ad ascoltare le ultime parole della giovane alla madre: “Mamma...! Ti prego, non tremare così... Ci sono io qui con te, non ti abbandono. Ritroverò quella donna. Gliela farò pagare, te lo giuro mamma.”
 Colpo di scena! Non si sa bene da dove, ma arriva Oscar! Si china plasticamente (la vicinanza di André l'ha contagiata) appoggiandosi di peso alla morente: “Non muoverla.” consiglia astutamente: “Chiamo un dottore.” Rosalie la guarda male per un momento, ma poi torna ad abbracciare la madre, mentre un losco figuro pettinato con una leccata di cavallo prende il posto di Oscar: “Presto.” dice, non si sa a chi.
 André, che prende in mano la situazione, visto che nessuno sembra in grado di fare qualcosa di utile, interpella uno che sta sul cocchio dietro al suo: “Abbiamo bisogno di un dottore, signore. Abbiate pazienza.”
 Con estrema affabilità, il Vecchiaccio risponde: “Togliti subito dalla strada, ragazzo, presto. Ho fatto tardi e devo passare assolutamente.”
 Ed ecco che ricompare la nanetta, completamente dimentica del medico da trovare: “Signore, credo che non abbiate capito. Una persona sta morendo.” dice, con tatto. Il Vecchiaccio, giustamente, ribatte: “È una cosa che non mi riguarda.”
 Scocciatissimo, il nobile scende dalla carrozza con un sospiro. È più basso di Oscar.
 “Questi miserabili si accoppiano come conigli senza nessuna dignità!” sentenzia: “La cosa non riguarda né voi né me! Inoltre, meno ne rimangono in giro e meglio è!” conclude, facendo come per risalire sul suo mezzo.
 Ma la furia diOscar è incontenibile. Con una certa fatica, ammettiamolo, afferra il Vecchiaccio per un braccio e lui, altrentanto debolmente, le molla uno schiaffo in pieno viso. Colta da un raptus violento, Oscar osa strattonarlo per la giacca. André accorre subito in difesa della sua bella... emh... di Oscar, afferrandola per le braccia.
 “Io pretendo soddisfazione!” esclama il Vecchiaccio. “Accetto con piacere la vostra sfida, signore!” risponde Oscar, liberandosi dalla morsa inutile di André.
 “Che cosa preferite?” domanda il vecchiaccio. Ovviamente Oscar, abile (o almeno, presunta tale) spadaccina, risponde: “Le pistole.” “E chi vi assisterà?” “Lo farà il mio amico.” “E dove?” “Chantilly.” “Quando?” “All'alba.” “Il pensiero di questo incontro mi rende molto, molto impaziente, signore.” conclude il Vecchiaccio. “La stessa cosa vale per me.” concorda Oscar.
 I due si lanciano un ultimo sguardo rabbioso e poi le loro strade si dividono. Oscar, affetta, lo apprendiamo ora, da ginocchio varo, incede con passo di marcia diretta al suo cocchio, completamente dimentica di Rosalie, della Vecchia eccetera eccetera...
 André, che fino a un minuto prima aveva fatto un pensiero sulla sorella buona, nemmeno la guarda di striscio, quando ripartono.
 Ma dobbiamo ricordare che Oscar era cresciuta in un atmosfera serena e felice, a parte la presenza di Kant, ed era convinta che tutti al mondo vivessero come lei e fossero costretti al massimo a leggere un capitolo al giorno della Critica della Ragion Pura. Fino a quel giorno non si era resa conto che il popolo francese, dopo inutili speranze, stava arrivando alla disperazione e alla ribellione, come ci ricorda Rosalie, che rientra in casa a capo e spalle curve, abbattuta e disperata.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La travagliata notte prima del duello ***


~~[Piccola legenda: ricordiamo a tutti che il padre di Lady Oscar è qui presentato con il nome di Kant]


 “Onore...” dice André, seduto in posa plastica su una delle poltrone: “Qualsiasi cosa significa non vale la tua vita.”
 Oscar, preda di uno strano desiderio di imitazione, è appoggiata in posa ancor più plastica alla finestra.
 “Inoltre non ti conosce nemmeno, vero?” continua André: “Ti conosce?” chiede, insistente. Oscar abbassa la testa, una mano sull'elsa della spada.
 “E allora dimmi: perchè rischiare con uno che non sa neanche il tuo nome?” domanda André, raggiungendo il letto e sedendocisi sopra, con un fluido movimento, nella speranza di farsi notare da Oscar, che invece se ne sta irrigidita accanto al vetro.
 Attirata improvvisamente, Oscar muove rapidi passi versi André e declama, come la miglior attrice di soap opera sudamericane: “Il mio nome lo conoscerà presto!”
 Esasperata dalla cocciutaggine di Oscar, André si alza, abbandonando l'idea che gli era venuta: “No, non puoi andare, non puoi rischiare, non te lo permetterò.” conclude André, aggirando Oscar.
 Dopo una brevissima esitazione, André dichiara: “Se sarà necessario ti legherò!” Oscar resta con un'espressione intontita, perchè non ha colto il senso più profondo della frase, così André ripiega: “...ma farò di tutto per impedirtelo.”
 Colta da una vivacità non sua, Oscar si porta un dito alla bocca e zittisce André: si sono sentiti dei passi!
 In un impeto di fisicità, Oscar afferra il braccio di André e lo trascina via: “Vieni...” gli sussurra, illudendolo una volta di più.
 Dietro ad un ignobile ritratto di Oscar, scopriamo esserci un passaggio segreto di cui, evidentemente, solo Oscar stessa conosce l'esistenza. Ci butta dentro André, giusto in tempo, prim che Kant faccia il suo ingresso nella stanza.
 Col portamento adatto ad una Prima Ballerina della Scala, Kant entra nella camera con un plico in mano, sicuramente la sua nuova revisione della Critica del Giudizio.
 “Ho appena ricevuto la notizia. Hai qualcosa da dirmi?” chiede Kant, incedendo maestoso.
 Oscar, più bassa addirittura di Kant, che, diciamocelo, non è certo un gigante, dice: “No, signore. Non ho niente da aggiungere...” Muove qualche passo e chiude, tragica: “È deciso.”
 Il padre fissa la figlia di bianco vestita (a parte il diadema di plastica che porta al collo) e poi dice: “Devo dire che sebbene trovi discutibile la tua difesa di un comune cittadino, la tua prontezza nel difendere l'onore dei Jarjayes mi riempie di orgoglio.”
 Dicendo ciò, Kant appoggia il pacco contente le pagine della Critica del Giudizio su una scrivania e guarda il volto coperto di mascara della figlia: “Questa – dice, aprendo il pacco che contiene a sorpresa anche due pistole – mi è stata data da mio padre alla vigilia del mio primo duello.” Porge una pistola comprata di certo da Toys Center a Oscar, che la prende in mano come fosse una bomba sul punto di esplodere.
 “Il calcio è fatto con un osso di pantera.” si allarga Kant, dicendo il nome del primo animale che gli è venuto in mente, fregandosene del fatto che basterà uno sguardo più attento per vedere il 'made in china' impresso accanto al marchio CE contraffatto.
 Guardando Kant con un misto di diffidenza e pietà, Oscar fa finta di niente: “Grazie, signore.” poi, colta da un dubbio improvviso, butta lì: “Ma dite... E se io dovessi morire?” Con la certezza che ha chi le cose le sa, Kant risponde sbrigativo: “Non morirai.” e, buttando una mano sulla spalla della povera giovane, decreta, in un eccesso di umiltà: “Hai avuto un'ottima scuola.”
 Senza più dire nulla, Kant si avvia con passo in quattro quarti alla porta, piroetta alla Fracci e uscita di scena in grande stile: sguardo penetrante e altro mezzo giro sul posto.
 Rimasta sola, Oscar inizia a vagare per la stanza, tenendo la pistola in mano come una subrette terrebbe una pochette.
 Si siede sul letto, apparentemente avvilita, ma forse solo stremata dal peso della pistola, visto che lei ha un fisico da rachitica, più che da soldato.
 Dal passaggio segreto rispunta André, che, ovviamente, ha origliato ogni singola parola.
 Si avvicina ad Oscar: “Allora è deciso.” dice, guardandola con un lieve disprezzo. Si allontana rapido, cercando invano di raggiungere l'uscita. Oscar lo blocca: “André...” Lui, incredulo, abbandona le braccia lungo i fianchi, mentre Oscar fa la sua proposta indecente: “Resta con me, questa notte.” Ma l'illusione svanisce quando la giovane nobile aggiunge: “Come una volta. Era tutto semplice, allora. Ed è così complicato, adesso...”
 Con l'empatia di un macellaio davanti a un gregge di pecore, André ribatte: “Il tempo passa per tutti.” Si appoggia con la posa plastica che ce lo ha fatto amare palo del baldacchino e rimarca: “Ormai siamo grandi.” Sperando che quella testa vuota di Oscar finalmente capisca i veri intenti del povero André, da mille anni costretto a vita monacale. Ma la rachitica ha la testa più dura del previsto: “Ti prego, André. Resta.”
 André abbandona la sua postazione, lasciando Oscar (e anche noi) nel dubbio: resterà o se ne andrà?
 Oscar abbassa lo sguardo sulla pistola, di cui si era nel frattempo dimenticata e si perde nei suoi tristi pensieri.

 La notte avvolge la stanza di Oscar e André, comodissimo!, dorme sulla poltrona più scomoda di Francia. L'aveva comprata Kant agli ultimi saldi Chateau D'Ax, ma siccome era un pezzo di marmo, l'ha rifilata subito alla figlia.
 Mentre un drammatico rintocco di pendola – la famosa pendola da milioni di decibel che rintocca a caso in casa Jarjayes giusto per sottolineare i momenti clou – scandisce il tempo, André si risveglia.
 Attraversa la stanza buia, illuminata solo da abili fasci di luce che colpiscono le zone interessanti a fini scenici. Raggiunge Oscar, che dorme, anche lei ovviamente vestita di tutto punto (perchè all'epoca i nobili non usavano cambiarsi d'abito, tanto meno togliersi gli stivali, per andare a letto) e si china al suo fianco.
 È indeciso: darle l'assalto mentre è incosciente, toglierle gli stivali, che ormai saranno tutt'uno con la gamba o soffocarla con un cuscino e porre fine alle sofferenze di tutti?
 Mentr sta ancora pensando al da farsi, Oscar si volta nel modo più normale: aprendo scenicamente le braccia e ruotando su se stessa, mettendo in bella mostra gli stivali che indossa dall'età di un anno e che sono cresciuti con lei.
 Restando di colpo rigida come un pezzo di baccalà, Oscar continua a dormire, mentre André continua a fissarla, indeciso su come approfittarsi al meglio della situazione.
 Poiché non riesce a venire a un dunque, si rialza, ripromettendosi di sfruttare meglio la prossima occasione che il fato gli proporrà.
 Si allontana e, sconfitto, si rimette a sedere sulla poltrona Chateau D'Ax che ora più che mai gli par simile a un pezzo di alabastro.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2931488