Before the Dawn

di Theredcrest
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo passo è compiuto ***
Capitolo 2: *** Un brindisi... bagnato ***
Capitolo 3: *** Falle ***
Capitolo 4: *** Chiamate dannose ***
Capitolo 5: *** Che il suo nome sia ***
Capitolo 6: *** Marcia scoperta ***
Capitolo 7: *** Inviti Reali ***
Capitolo 8: *** Una rosa in mezzo al buio ***
Capitolo 9: *** Puzza di marcio ***
Capitolo 10: *** Digli che sarete sempre insieme ***
Capitolo 11: *** Il dovere di un Re ***



Capitolo 1
*** Il primo passo è compiuto ***


Si muoveva nervosamente, girando qua e là per il suo ufficio, la prima torre appena ristrutturata sulle mura di Skyhold. L'imponente fortezza proteggeva tutti i membri dell'Inquisizione, e si dipanava prepotentemente sulla cima di una delle più alte montagne, l'avamposto perfetto dopo il disastro di Haven. Un disastro che li aveva lasciati tutti feriti, confusi, ma sopratutti tesi. L'unica speranza era riposta in lei, L'Inquisitore. Il destino aveva voluto che fosse una maga.
Scosse la testa, guardando la scrivania ricolma di carte con un sospiro. Qualcuna sventolò, mentre la sua tunica sollevava nell'aria il sottile pulviscolo di anni e anni di abbandono. Le torce sulle pareti e due librerie ricolme di tomi sulle tattiche e le strategie usate dai più disparati regnanti di tutto il Thedas non servivano a rendere la stanza più accogliente, con quel soffitto alto e i buchi nel tetto, ma almeno illuminavano quello che sarebbe altrimenti stato un vano buio, una penombra oscura piena delle minacce che vivevano nella sua mente.
Cullen grugnì, le mani intrecciate dietro la schiena, mentre l'armatura mandava deboli riflessi infuocati che risplendevano del calore della brace. Il suo animo dibatteva, mentre continuava imperterrito a scavare il pavimento a forza di passi, su come la tragedia fosse potuta succedere sotto il suo, il loro naso. I Templari, l'ordine che un tempo l'aveva ospitato e in cui aveva riposto le proprie speranze, aveva tradito ogni singolo precetto che era stato loro insegnato e non solo. D'altro canto, i Maghi rifugiatisi a Skyhold avevano dimostrato un'inusuale autocontrollo, e una forte determinazione contro la minaccia rappresentata da Corypheus. "Al contrario dei miei vecchi compagni", pensò, incredulo, non riuscendo a distogliere la mente dalle immagini che gli avevano riempito gli occhi al loro ormai vecchio, e seppellito, avamposto.
Si fermò per un attimo solo, al centro della stanza. Il bagliore dei cristalli di Lyrium rosso aggrappati alla pelle dei suoi ex-compagni lo accecava ancora, perfino nei ricordi. Sotto le loro unghie. Mentre emergevano dalle loro costole, trasformandoli in mostri, e dai loro stomaci, fondendoli all'armatura che una volta portava con orgoglio. Una visione terrificante di corpi contorti e mutati. "Come hanno potuto?" si chiese. "Forse è stato involontario. Qualcuno può aver avvelenato le loro scorte di Lyrium." Eppure, le parole di molti di quei... mostri morenti erano state diverse. Ad Haven come in altri luoghi, parole che l'Inquisitore stessa aveva riportato a lui più d'una volta, fugando ogni dubbio. Promesse di potere, di capacità oltre l'immaginabile. E la collaborazione di Samson al progetto, per la sua pericolosa dipendenza dal Lyrium. Quello che lui stesso non assumeva da mesi.
Un rantolio gli salì in gola. Tossì, guardando in alto senza vedere, i frammenti della battaglia che ancora annebbiavano la sua ragione. Poi, la porta dietro le sue spalle si aprì con un lungo cigolio, distogliendolo dai ricordi. Imprecò mentalmente, augurandosi di non doverle dare un'oliata lui stesso.
«Comandante?»
«Si?» ringhiò nervosamente, incamminandosi verso la scrivania. Una volta al suo posto, poggiò entrambe le mani sul piano, ingobbendosi, assumendo quell'aria di minaccia che generalmente teneva in riga i suoi sottoposti, o qualsiasi altro membro dell'Inquisizione. Lo chiamavano Comandante con una punta di sdegno, erroneamente. Lo pensavano molle, uscito dal Circolo di Redcliffe per venire assegnato a Kirkwall coi piedi sul tavolo a compilare scartoffie. A causa della situazione attuale, ben pochi a parte Varric e Cassandra ricordavano cos'era scoppiato proprio là, dove il Campione era divenuto tale: le abominevoli azioni di Meredith avevano richiesto molto più del coraggio. Avevano drenato la sua fede nell'Ordine. Riaperto ferite che sperava di non dover sentire mai più sanguinare.
«Oh.» Rimase sorpreso alla vista dell'ospite appena entrato. Subito tornò dritto, ergendosi in tutta la propria altezza con un lieve raspare di gola. «Inquisitore. Io non... non vi aspettavo.»
«Neanch'io mi aspettavo.» La ragazza gli rivolse un lieve sorriso, guardandosi attorno con occhi verdi pieni di interesse. Sembrava osservare avidamente tutti gli oggetti e gli angoli più remoti di quella stanza, pronta a carpire qualsivoglia segreto contenessero sul loro proprietario, mentre si dirigeva a passi lenti verso la scrivania illuminata da una debole luce di candela. «Ci sono novità sulle nostre truppe?»
Cullen annuì, raccogliendo alcune delle carte con la precisione di chi trovava nel disordine il proprio ordine. Osservò la fitta scrittura a inchiostro, prima di metterle da parte.
«Si, Inquisitore. I soldati sono ben addestrati e pronti ad agire sul campo. Abbiamo buone difese, e ferro a sufficienza per fornire spade a tutti, anche a chi rimpingua le fila ogni giorno. Ma manchiamo di attrezzature efficienti, di legno per scudi e archi. I mercanti che si sono stabiliti a Skyhold stanno procurando ciò che possono» fece una breve pausa, tornando a girare dietro la scrivania, le mani di nuovo intrecciate dietro la schiena «ma lo paghiamo a caro prezzo» concluse severamente.
L'Inquisitore rimase in silenzio, sembrando soppesare la cosa. Portò una mano al mento, osservando con attenzione le scartoffie accantonate, e annuì.
« È il caso di procedere cautamente dopo Haven. Dobbiamo saper garantire la protezione di chi entra a Skyhold, ora più di prima: organizzerò una squadra e partiremo al più presto per Crestwood. Avrete il legno che vi serve.» Cullen la guardò, concentrandosi sulla cicatrice che le attraversava il sopracciglio e la guancia, ad eccezione dell'occhio. Era una ferita che aveva riportato durante l'assalto ad Haven, ricordò, quando da sola si era fatta avanti per lasciarli scappare tutti verso le montagne. Una giovane maga da sola, contro l'oscuro potere di un Magister. Contro l'Arcidemone ai suoi comandi, o così si era detto del drago che Corypheus controllava. Viva per miracolo, quasi morta assiderata affrontando i gelidi venti e la neve fino all'accampamento in mezzo al nulla nel quale si erano stabiliti, prima della fortezza. Ancora si chiedeva perché nessuno si fosse opposto alla sua insistenza nel voler rimanere. Rischiare l'Araldo di Andraste in persona? Eppure, in quel momento, si rese conto con vergogna, non gli era nemmeno passata per la testa l'idea di sacrificarsi, offrendosi alla causa al suo posto. L'Inquisitore aveva insistito sul loro scopo, portare i profughi in salvo. E loro avevano rischiato di perdere l'unica persona in grado di mettere un fine alle mire del Magister.
«C'è altro che dovrei sapere, Comandante?» Il sorriso era rispuntato sul suo viso, illuminato debolmente dalla candela. Cullen la guardò con apprensione, prima di schiarirsi la voce.
«Ci sono molte carenze strutturali nella fortezza, Skyhold ha bisogno di ristrutturazioni. Una larga parte delle prigioni è completamente distrutta, assieme ad una sezione delle mura e delle torri. Per ora la struttura è stabile, operai e soldati sono già all'opera per rinforzarla, ma necessitiamo di interventi tempestivi o rischiamo che in futuro buona parte del castello crolli giù per la montagna.» Le sue parole sembrarono generare una breve scintilla di ironia negli occhi di lei, che sorrise lievemente al pensiero.
«Inquisitore?» le chiese, dubbioso.
L'Inquisitore inclinò la testa, coi capelli neri che le scendevano morbidamente su una spalla. Sembrò concentrarsi su di lui, e mentre gli occhi di lei scendevano lungo le linee dell'armatura che indossava, graffiata e lucidata a lungo, Cullen provò un brivido.
«Inquisitore...» ripetè, aggrottando le sopracciglia. Finalmente, la ragazza smise di osservarlo e tornò a guardarlo.
«Io e Leliana ne abbiamo discusso a lungo.»
Leliana, la capospia. Un elemento indubbiamente utile, anzi, fondamentale nella formazione dell'Inquisizione: erano state lei e Cassandra a fondarla, dopo la caduta della Chiesa di Andraste e della Divina reggente Justinia. Quante volte aveva parlato, discusso con lei al tavolo da guerra? Le immagini della notte dopo la distruzione di Haven tornarono ancora, prepotenti. La neve e il freddo, il clangore dell'armatura che l'aveva accompagnato ad ogni passo, ogni momento passato nelle retrovie a spingere i rifugiati ed i loro carri su per la montagna con la spada in mano. Le cinque frecce infuocate che aveva lanciato nel cielo per indicare all'Inquisitore che erano, finalmente, al sicuro.
Rilasciò un sospiro irritato, mentre la maga proseguiva con attenzione, come se ogni parola fosse in grado di ferirlo.
«Comandante Cullen, da quando siete arrivato...» Lui la fermò, alzando una mano.
«Per favore. Solo Cullen.»
L'Inquisitore annuì, incerta.
«Cullen, non hai fatto altro che lavorare. Compilare carte, fornire strategie, elaborare piani d'azione, addestrare soldati, contribuire alle riparazioni...» Aggrottò le sopracciglia ancora più di prima. Doveva aspettarselo, da Leliana e da lei. «Stai facendo troppo, devi prendere una pausa.»
«Inquisitore, sono certo di non essere l'unico qui a Skyhold» ribattè prontamente, giocando nervosamente con un ninnolo, un anello che aveva appena raccolto dalla scrivania e si era passato nei palmi dietro la schiena. Continuò a infilarlo da un dito all'altro per scacciare la tensione. «Tutti si stanno dando da fare per il meglio. Josephine, Leliana, Cassandra e anche Voi stessa, proseguite nei vostri compiti instancabilmente.» Con fermezza, lo sguardo dritto e il mento in fuori, si fermò dal suo camminare avanti e indietro, volgendosi a lei. «Non intendo essere da meno.»
Per un momento, sembrò che le torce si rafforzassero, e le fiamme ardessero con più violenza. Perfino i bagliori sulla lucida armatura si moltiplicarono, dando mostra di un uomo orgoglioso che conservava ancora la speranza. Ma Cullen, di sé stesso, non vedeva altro che un uomo vuoto. Forse un folle, forse un mostro dopo gli eventi del Circolo di Redcliffe e di Kirkwall. Con l'unica differenza, rispetto ai suoi ex-compari più mostri nell'apparenza, che aveva scelto di servire una causa giusta.
Prima una causa, e poi lei.
L'Inquisitore lo guardò poco convinta, a braccia conserte. "Quello è lo sguardo", pensò Cullen, "di quando non gliene importa un fico secco."
«Se non intendi essere da meno, accantona il lavoro. Un Comandante senza forze non servirà all'Inquisizione.» Il tono era così freddo da fargli ghiacciare le ossa: quella ragazza alle volte era ragionevole come poteva essere ragionevole un blocco di marmo liscio. Impossibile trovare appigli. La vide avanzare, fermarsi davanti a lui e provare a guadagnare ogni singolo centimetro della sua (poca) altezza. Il suo braccio fasciato nella giacca scamosciata, di un rosso scuro che tendeva all'amaranto, indicò la porta. «Ti voglio fuori di qui entro mezz'ora, Comandante» gli disse in tono provocatorio. «Altrimenti non lesinerò di trascinartici io stessa.» Il confidenziale mezzo sorriso che gli diresse fù abbastanza da fargli imporporare le guance. Era tutto calcolato, si rese conto.
«A-agli ordini, Inquisitore» balbettò, con un guizzo di vergogna.
«Non era un ordine, Comandante.» Strinse l'anello nel palmo, vedendo che il sorriso di lei si allargava in uno ben più caloroso. «Era un consiglio da amica.»
Non si rese conto del proprio imbarazzo, guardandola spaesato per qualche momento. Poi chinò la testa e fece riverenza, vedendola allontanarsi.
«Inquisitore.»
«Il mio nome è Kassandre.»
L'Inquisitore chiuse la porta alle sue spalle, lanciandogli un'ultima furtiva occhiata. Quando fù chiusa, Cullen si lasciò andare mollemente sulla sedia con un sospiro, portandosi una mano alla fronte.
"Che Andraste mi fulmini se non è quella la donna che deve guidarci."
Osservò l'anello che aveva tenuto in mano, il simbolo dei Templari orma ridotto ad un rilievo consumato dal tempo. Un ruolo che non aveva più senso di esistere.
"Dovrei dirglielo."


Eccomi, dopo quasi un anno di assoluta assenza di pubblicazioni e mancanze varie! A chiunque mi ha seguito prima, non me ne vogliate, ma è stato un anno assolutamente duro e pieno di disgrazie che ora, per fortuna o sfortuna, si possono dire concluse. Ovviamente ne iniziano sempre altre, ma fortunatamente si trova un modo per affrontarle.
Detto questo, era appunto da un anno o più che non scrivevo niente, e dopo aver giocato all'ultimo Dragon Age Inquisition, nei rari ritagli di tempo, mi è scattata la scintilla. Questo primo capitolo, come sempre, è solo un preludio ai prossimi che saranno più lunghi e articolati e, vi avverto, non è stato revisionato: se trovate errori siate caritatevoli, o fatemeli notare che fa sempre bene :3 Stavolta, spero con tutto il cuore di non perdere la voglia e non fermarmi, dato il lavoro mi dà la possibilità di scrivere a diversi orari e impiegare anche qui il mio tempo quando non occupato in altro - senza permesso e di nascosto, ma pazienza xD
Concludo infine sperando in un qualche commento di un buon samaritano che mi illumini su eventuali falle e mi dia un parere onesto! Non vi preoccupate, se mi dite che fa schifo *nessuno* vi aspetterà alla porta di casa con un'accetta in mano... proprio nessuno <3 scherzi a parte, spero piaccia. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Un brindisi... bagnato ***


Mentre si incamminava dalla torre giù per le scalinate, osservò il tramonto incombere nel cielo trasformando l'azzurro in una gradazione di gialli, rossi e rosa. Il sole, col suo bagliore accecante color sangue, catturò la sua vista mentre il vento gelido della montagna lo colpiva, trasportando fiocchi di neve fini come polvere per tutto il castello. Nonostante il tempo promettesse burrasca a breve, si fermò a guardarlo, meravigliato da quel panorama punteggiato solo di alture, abeti e cime innevate.
Poi tornarono la neve e il freddo, il clangore dell'armatura che l'aveva accompagnato ad ogni passo, ogni momento passato nelle retrovie a spingere i rifugiati ed i loro carri su per la montagna, con la spada in mano. Le cinque frecce infuocate che aveva lanciato nel cielo per indicare all'Inquisitore la fuga avvenuta e il terribile suono di una frana che, rombando, attraversava la valle dal quale erano ormai lontani.
Haven.
Con un sussulto, Cullen si riscosse. Ricacciò indietro i pensieri con forza e proseguì lungo le scalinate, dentro la biblioteca a piano terra e nel salone, giù fino al vasto giardino interno di Skyhold. In giro c'erano solo poche guardie di turno, notò con disappunto, e perfino i mercanti erano spariti. Che si fossero dati appuntamento altrove nelle mura? Se lo chiese, entrando nella taverna.
Era abituato al gelido abbraccio del metallo, ma accolse ugualmente con sollievo il calore quasi soffocante del luogo che gli penetrava nel naso e nella gola. Il brusio era così alto da impedirgli di seguire una qualsiasi conversazione, o voce, al di fuori di quella del menestrello che cantava e suonava canzoni sul fiero Eroe del Ferelden (o meglio, eroina, nonché Capitano dei Custodi Grigi, Regina e moglie dell'attuale Re Alistair). Il motivo di tanta agitazione era presto detto: Skyhold al completo o quasi era lì.
Una fitta e lunga tavolata occupava tutto il piano e, scommetteva, quelli superiori. Sul ripiano, tra braccia, busti e teste, facevano la loro apparizione ricche vettovaglie: arrosti di cervo e cinghiale, insalate di rape, patate e carote, zuppe di legumi, trote di lago cotte sulla pietra, pagnotte di grano ancora calde. Ce n'era per tutti i gusti.
«Comandante, si è unito al banchetto, vedo.» L'accento familiare di Cassandra apparve al suo fianco, assieme alla Cercatrice dal solito cipiglio severo. I capelli corti, eternamente spettinati, risaltavano gli affilati tratti natii di Nevarra. In una mano, teneva una manciata di caldarroste fumanti, il cui tipico odore gli pizzicava le narici. Le sue preferite. «Vuole?»
Ne prese una senza una parola, iniziando a sbucciarla con notevole concentrazione.
«Come mai questa festicciola?» le chiese, nascondendo il turbamento dietro la meticolosità col quale sbucciava il guscio alla castagna.
«Leliana ha proposto di risollevare gli animi delle truppe, dopo Haven. Il morale era basso, e l'Inquisitore ha trovato l'avviso... interessante.»
«Non è un po' troppo presto?» chiese, memore dell'attacco durante i piccoli festeggiamenti di Haven. «Se i templari rossi dovessero tornare alla carica-»
«Allora moriremo allegri» lo interruppe un'altra voce. Varric gli passò davanti, fermandosi vicino al caminetto a spolpare lentamente una coscia, guardando le persone all'interno ma rivolgendosi a lui. «Biondino, non ti preoccupare troppo. Domani torneranno al lavoro, ma stasera lasciali godere della cena. Ne hanno avuto abbastanza per questi giorni.»
Cullen grugnì, non proprio soddisfatto, ma Cassandra intervenne di nuovo.
«Stavolta il nano ha ragione» si lanciarono un'occhiata, lei e l'altro, che sottolineava la tensione che c'era tra loro. La Cercatrice non era mai stata particolarmente ben disposta verso Varric. «Godiamoci la serata, è il meglio che possiamo fare, adesso.»
«Per le sacre ceneri di Andraste! Vi siete messi d'accordo in via del tutto eccezionale?» il Capitano li guardò, con un vago accenno di ilarità. «Due ore fa stavate per prendervi a pugni e ora addirittura concordate?»
Cassandra rise, una risata breve e secca, ma cordiale. Varric fece spallucce.
«Sai che qualcuno a Skyhold ha il vizio di trovarsi sempre nel posto sbagliato, al momento giusto.»
Cullen lo guardò interrogativamente e in quel momento uno scroscio di applausi riempì la stanza. Si voltarono tutti, sorpresi, e videro al bancone un uomo. Cullen lo riconobbe, era uno degli schiavi che l'Inquisitore e il suo gruppo di perlustrazione formato da Dorian, Varric e Blackwall avevano salvato dalle cave di Emprise du Lion, venduti dal Quartiermastro cittadino per scavare nelle cave di lyrium rosso. Nonostante molti fossero tornati alle famiglie, alcuni di loro avevano deciso di restare e dare una mano all'Inquisizione per avergli salvato la vita.
Ael, questo il suo nome, era tra quelli. Si occupava della ricostruzione delle ali del castello danneggiate. In quel momento stava poggiato al banco con una pinta di birra in una mano e l'altra a coprire gli occhi, le spalle che si muovevano appena. Stava singhiozzando.
«È la prima volta dopo sette anni» lo sentì dire nel silenzio calato sulla sala, la voce rotta dal pianto e dall'emozione «la prima volta che riesco a pagare qualcosa col mio salario». Rosso in viso, continuò a piangere, mentre gli ospiti si sollevavano di nuovo in applausi e schiamazzi.
«Visto?» Commentò Varric, soddisfatto, prima di infilarsi un pezzo di pollo in bocca. «Quel povero diavolo ne aveva proprio bisogno.»
Cullen non poté fare a meno di sorridere, non meno timoroso, ma rincuorato dalla vista. Dalla perdita del vecchio avamposto un'ombra scura e strisciante si era estesa di animo in animo, facendo a pezzi i sogni e le speranze che tutti nutrivano nell'Inquisizione. Dopo aver richiuso la frattura nel cielo creata da Corypheus, il Varco da cui spiriti vagabondi e demoni erano passati, l'Araldo era diventata il loro simbolo: la manifestazione della volontà del Creatore e l'unica persona in grado di guidarli come capo dell'Inquisizione, che lei lo volesse oppure no. Non l'aveva mai sentita lamentarsi del ruolo, ma il Comandante non era del tutto convinto la cosa la lasciasse indifferente, per quanto poco la conoscesse.
Poi, dopo la fuga, l'avevano persa. Ricordava di aver perso un battito quando la valanga era caduta su Haven, provocata dall'Inquisitrice stessa in modo da coprire le loro tracce e, con un po' di fortuna, eliminare la maggioranza delle forze di Corypheus. In quel momento si erano fermati tutti a guardare da lontano, mentre la neve scendeva con un rombo. E le sue gambe, immerse in poco meno di un metro di neve, erano state sul punto di cedere. Come quelle di molti altri.
Aveva sentito i pianti. I disperati, crollare sulle loro ginocchia e pregare che il Creatore avesse pietà di loro. Era stato lui stesso, assieme agli altri soldati e a Cassandra, a scrollarli dalla loro cecità per portarli al sicuro. Il Varco era stato ormai chiuso ma in quei momenti, se ne era aperto un secondo. Nei loro cuori.
Accettò l'altra castagna che la Cercatrice gli porgeva, avvicinandosi al fuoco. Adesso poteva distinguere i rumorosi commenti del Toro di Ferro, l'enorme mercenario Qunari che avevano assunto, riunito ai tavoli superiori a bere con la sua truppa. Sera, sempre al secondo piano, cantava sgraziata le canzoni del menestrello come solo un'elfa ribelle sapeva fare: probabilmente stava giocando a carte con Blackwall nel tentativo di lasciarlo in calzoni, perché stonava così tremendamente solo durante le partite. Per distrarre gli avversari, ovviamente.
Dorian passeggiava per il primo piano, diffondendo sorrisetti guizzanti e battute argute ovunque potesse. Spesso evitava Blackwall, che in qualità di Custode Grigio aveva sempre da lamentarsi di lui e del suo essere un mago del Tevinter, una nazione dove la magia era considerata libera da praticare. Sentì l'odore della sua costosa colonia a metri di distanza, ancora prima si avvicinasse a loro, approcciandosi a Varric.
«Non la trovi una meravigliosa festa, nano?» sorrise affabile, ma con quel tono che oscillava tra il sarcasmo e il cinismo. Si fermò accanto al camino, poggiando un gomito al lucido legno della mensola, nella mano un bicchiere di vino caldo dal profumo speziato che si passò sotto il naso, inspirando profondamente. «Meravigliosa, come il nostro custode che, oltre ai calzoni, perde ogni dignità. Chissà quando perderà anche gli occhi» commentò, facendo volteggiare leggermente il liquido nel calice di vetro. «così forse ci libererà dalle sue antiquate prospettive da barbaro.»
Varric sprofondò in una bassa risata, mentre Cullen osservava, con un sopracciglio alzato, il mago. Dorian era un giovane carismatico e promettente, dalla particolare astuzia: aveva rifiutato il posto di suo padre nel Magisterum, il principale centro di potere del Tevinter, e all'ambizione aveva preferito l'Inquisizione, laddove poteva davvero aiutare. Non condivideva le visioni del suo popolo e stava cercando di cambiare qualcosa coi fatti, e non solo con le vuote parole con cui la sua gente era abituata a giocare, in una danza politica antiquata e violenta. Aveva del potenziale, doveva ammetterlo.
«Elegantone» il nano scosse la testa. «Lascialo stare. Sai come il nostro custode diventa scorbutico davanti a quelli del Tevinter: gli antichi Magister sono entrati nella Dorata Città, l'hanno corrotta provocando il Flagello, eccetera eccetera. Causa ed effetto.»
«Terribili, eclatanti favole per sciocchi» commentò duramente il giovane.
«Non proprio favole» rispose Varric. «Vorrei ricordarti che abbiamo un antico Magister in libertà, Corypheus. Che sta minacciando di distruggere il Thedas e il mondo intero.»
«È un prole oscura!» si sentì ribattere prontamente dal mago. «Di quel tipo tremendamente infausto e spiacevole. Non che gli altri prole oscura lo siano meno, trascurando la bruttezza, l'incapacità di intavolare discussioni compiute e, ovviamente, il sangue velenoso. Qualità troppo comuni, potrebbero mettergli una maschera e verrebbero confusi per perfetti Orlesiani.»
Dorian si produsse in un sorriso affettato, di chi sapeva perfettamente il fatto suo. E sebbene il Capitano non apprezzasse particolarmente quei lunghi eloqui caustici, riconosceva che senza di lui ci sarebbero stati grossi problemi, a quest'ora. Il suo intervento provvidenziale aveva salvato l'Inquisitrice dal maestro di Dorian, Alexius, che aveva mandato entrambi a fare un incredibile, e alquanto improbabile, scampagnata nel futuro peggiore di tutti i tempi. "Non esattamente il tipo di viaggio più piacevole" l'aveva definito il mago. "Demoni, demoni, demoni ovunque. Ah, e l'Oblio che divora il Thedas. Nulla di ingestibile, a quanto pare."
Quello che ne avevano ricavato era servito a pianificare e anticipare l'avanzata di Corypheus, consi del fatto determinati accadimenti potessero contaminare irrimediabilmente il loro presente. Ma ora almeno sapevano cosa voleva. E al tavolo del Concilio di Guerra non c'era giorno che non passassero cercando di prevedere i suoi prossimi obbiettivi, lui, Leliana e Josephine.
«Non mi sembra il momento di parlarne» intervenì Cassandra, sbocconcellando un'altra delle castagne ormai fredde. Cullen annuì, ringraziandola mentalmente.
«Ha ragione Cassandra. Meglio goderci la festa» aggiunse.
«Oh, questo, indubbiamente.» Dorian sollevò il bicchiere, guardando i commensali che rimasero un secondo in silenzio. «Ora cosa avete da guardarmi? Procuratevi un bicchiere di qualche intruglio alcolico e bevete, per la carità! Non si metterà nelle vostre mani da solo!»
Provvidenzialmente, passò la cameriera, distribuendo birre di luppolo e grano fermentato.
«O forse si» rispose Cullen, prendendo la sua con un ghigno e aiutando gli altri a rifornirsi.
«Come volete» sbuffò Dorian, con il braccio ancora alto. «A cosa brindiamo?»
«A Skyhold?» propose Varric.
«Forse dovremmo brindare all'Inquisizione» contestò Cassandra. «Tutto questo non sarebbe mai esistito senza...»
«...senza l'Inquisitore» intervenì Cullen, osservandoli. «Noi abbiamo fondato l'Inquisizione, Cassandra. Voi, tu e Leliana. Ma senza una guida non saremmo qua, ora.»
«E ne sentiremmo la mancanza» commentò a voce bassa e incolore Dorian, osservando il vino nel calice. Varric annuì, e alzò il proprio bicchiere.
«Allora, all'Inquisitrice. A Kass.» Gli altri annuirono.
«All'Inquisitrice!»
Allo schioccare di vetro su vetro, bevvero all'unisono. Poi si sentì un colpo sul ferro, un rumore acquoso e uno splash di modeste dimensioni. Lo sguardo del gruppetto si fermò sul Capitano, silenziosamente: ci fu un reciproco scambio di sguardi preoccupati, un paio di bocche tappate e perfino due occhi a palla. Poi, qualcuno nella figura dell'Inquisitore in persona, scoppiò a ridere alle spalle di Cullen... e assieme a lei, gli altri. E i soldati. E la sala.
Li guardò in cagnesco e infelicemente, uno ad uno. L'Inquisitore era passato rifilandogli una gomitata nella schiena di soppiatto, con come prodotto una doccia di birra improvvisa, una tunica bagnata da capo a piedi e un'armatura da oliare nuovamente il giorno dopo. Tuttavia, quando Kassandre si fece spazio ridendo con loro, il Capitano perse parte della durezza: incrociò le braccia, la guardò in cagnesco in modo talmente esagerato da essere palesemente finto e a sua volta scoppiò in una risata, lasciandosi trascinare dalla leggerezza nell'aria per un istante. Cosa non facile per, come lo chiamava Varric, "Mister Perfettino", e talmente apprezzata che a Dorian brillavano quasi gli occhi. Un soldato passò a rifornirlo di un bicchiere pieno al posto di quello vuoto, dandogli pacche sulle spalle. Apprezzò e ne chiese un altro, offrendo il primo all'Inquisitore.
«A lei, signorina» disse senza perdere il solito aplomb, tirandosi indietro i capelli intrisi di birra sulla fronte con un sorriso. «Stavamo giusto brindando alla nostra...» ridacchiò «...guida?»
«Io aggiungerei 'Disgraziata' al filo del discorso, se fossi in voi, Capitano» intervenne Dorian, suscitando l'ilarità dei presenti.
«Ci stavamo giusto chiedendo dov'eri finita!» le disse Varric, con un sorriso. «O meglio, ce lo saremmo chiesti dopo. Il tempo di dare a Mister Perfettino un'asciugata.»
«Mhm.» L'Inquisitore mugugnò, sorbendo lo spesso stato di schiuma dal bicchiere. «Avevo un po' di lavoro da fare, qui e là. Documenti da rilegare, persone a cui parlare, trattenere Josephine dal brandire il suo leggio contro il sommelier in ritardo...»
«Tutto molto inquisitoriale, Inquisitore» Dorian sollevò l'angolo della bocca in un sorrisetto volpino, socchiudendo leggermente un occhio. La sua presenza lo rendeva sempre, anche se non percettibilmente, entusiasta. «Ed è stato così squisito sentirvi ansimare da fuori mentre» con le dita imitò il segno di due gambe che camminano, mentre l'Inquisitore arrossiva violentemente, attirandosi tutti gli sguardi addosso per un istante «sgambettavate su dalla finestra della camera di Sera, scambiandola per la porta.»
Cullen la guardò, sorpreso. In effetti, sembrava si stesse trattenendo dal mostrare un certo affanno.
«E forse non era l'unica, vero?» Dorian le fece l'occhiolino, senza aspettare una risposta. «Ah-ah, come siete prevedibile, mia cara!»
«Uh, questa si che è interessante, Elegantone. Potrei metterla in un libro... o nel prossimo capitolo di Spade e Scudi.» Varric guardò una speranzosa Cassandra, illuminatasi nel sentirlo: pochi sapevano quanto alla Cercatrice piacessero i suoi libri, specialmente quella sotto-serie romantica di cattivissimo gusto.
«Varric!» l'entusiasmo di Cassandra si spense presto, e puntò un dito in sua direzione, minacciosa. «Tu, piccolo-»
«Suvvia, niente scaramucce!» intervenne l'Inquisitore, riprendendo il suo solito rigore e mettendosi tra loro. Sollevò il bicchiere. «La festa di stasera è per bere e divertirci: niente botte e niente risse. Soprattutto voi due». Guardò con serietà entrambi, prima di esibirsi in un ghigno feroce. «A meno non vogliate darvele col Toro».
«Per il Creatore, neanche per sogno!»
«A meno tu non voglia una Cercatrice a letto con le ossa rotte» ridacchiò Varric.
Molti ricordavano ancora di aver visto Cassandra prendere a randellate il Toro di Ferro, senza che costui facesse una piega. Gliel'aveva chiesto lui. "Semplicemente impressionante", pensò il Comandante.
L'Inquisitore si diresse al suo fianco, sorseggiando birra a lunghi intervalli. Quando finì, si pulì uno sbuffo di schiuma sopra il labbro, ridendo.
«Peccato, sarebbe stato divertente! Cassandra e Varric a gambe all'aria... eccola una scena da mettere in un libro!» Diede una leggera gomitata a Cullen. «Non pensi, Comandante?»
Cullen stava per rispondere quando uno scroscio d'acqua, il secondo della serata, zittì il gruppo e la sala. Stavolta, al centro di una bella pozza, c'era l'Inquisitrice zuppa da cima a fondo.
«Questo è per le tue impronte di fango sui tappeti! E sulla finestra!»
«Sera» commentò Kassandre, guardando l'elfa ritirarsi dal piano superiore con un catino ormai vuoto.
«Io la uccido.»
 

Ed ecco il secondo capitolo della storia che, dalle aspettative, fa intuire *non* sarà affatto breve x°D Ah, il dono della sintesi!
Ancora una volta mi scuso degli eventuali refusi che ci possono essere, non me ne vogliate ma il tempo è poco *sigh* per il resto, che caratterino il nostro Inquisitore, eh?
Per nulla togliere al nostro Comandante che vedrete in momenti ben peggiori di un solo "bagnato da capo a piedi"! (nessun riferimento a virili scene di pettorali guizzanti è direttamente o indirettamente voluto... credo? *sbava*)
Detto questo, vi lascio all'attesa del terzo capitolo per cui cercherò di fare uno sforzo in più, magari correggendolo seriamente x°D
A presto e buona lettura!
 

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Capitolo 3
*** Falle ***


Era ormai tardi, e nella taverna ben pochi degli avventori rimanevano ancora a bere ai loro posti. I rimasti comprendevano i soldati a guardia quella sera e che l'indomani avrebbero riposato, e il Toro assieme ai suoi mercenari, che ormai avevano preso fissa dimora al secondo piano, assieme a Sera. Cullen scosse la testa, seduto ad un tavolo dei tanti, sospirando: l'Inquisizione stava guadagnando favori, ma non avrebbe voluto essere nei panni di Josephine quando fosse venuta l'ora di fare il conto dei barili rimasti.
Quanto al gruppo, avevano passato la maggior parte della serata ridendo e scherzando, ascoltando i racconti di Varric e guardando Sera e Blackwall ballare sui tavoli. Ad un certo punto, il povero custode era stato talmente brillo da dare una sonora facciata al pavimento in tutto quel girare con l'elfa, ma questo non aveva fatto altro che suscitare ancora più divertimento e caciara. Cullen lo ricordò con un sorriso: a loro si era aggiunto anche Solas, col solito fare taciturno e in una mano una scodella di verdure, ma gli evidenti sprazzi di allegria avevano colpito anche il suo insolito carattere. Quanto a Cole, era rimasto per qualche tempo sulla ringhiera del secondo piano ad ascoltare in silenzio prima di sparire come suo solito, non visto e non sentito.
Avevano riso, ballato e cantato, chi più e chi meno, e dopo un po' anche l'Inquisitore si era defilata. Non si erano soffermati troppo su dove fosse, immaginandola a prendersi a zuccate con Sera per la secchiata d'acqua, o intenta a parlottare con Leliana e Josephine in qualche saletta, e quindi avevano continuato tranquilli.
Ora, rimaneva solo lui, intento a sbucciare un'ultima castagna, e quei pochi altri soldati tardivi: Dorian era sgattaiolato di sopra, dal Toro, per fare il Creatore solo sapeva cosa, e Varric si era ritirato per scrivere. Cassandra era tornata nella caserma, Blackwall nelle stalle per finire il suo grifone giocattolo e Solas in biblioteca. Solo Sera passava di tanto in tanto, spendendo il bottino guadagnato al gioco dai mercenari al bancone per poi tornarsene al secondo piano. Cullen la guardò andarsene proprio in quel momento, poi tornò alla propria birra, sorseggiandola lentamente. Nel palmo dell'altra mano ogni tanto osservava una moneta lucida, un vecchio regalo di suo fratello. Da quanto non lo sentiva, assieme al resto della sua famiglia? Due anni, forse. Da quando se ne era andato da Kirkwall, allontanandosi dai templari e dal lyrium. Una fortuna, quest'ultima: tutti gli appartenenti all'ordine dovevano assumere costantemente la sostanza per sviluppare le abilità che li rendevano immuni alla magia e ai demoni. Creava dipendenza, ma il problema non si poneva finché la Chiesa pagava lautamente per ottenere le loro scorte e tenere sotto controllo i maghi. Fino a quando, una volta dismessi dal servizio, non si era costretti ad andare avanti... o a impazzire.
"Corypheus potrebbe aver giocato questa carta. Offerto scorte di lyrium rosso al posto di quello normale. Sarebbe stato impossibile per loro accorgersi dello scambio..." sospirò afflitto, pensando ai suoi compagni.
La famiglia, i suoi ex-amici. Persino concentrandosi su di loro riusciva a sentire il brusio di sottofondo soverchiante, la voce della fame e dell'assuefazione. Lo tormentava ogni notte con incubi e sogni terribili, a volte lo rendeva incapace di reagire: le mani e le gambe tremavano, i sensi si facevano meno acuti, gli arti più pesanti. Ma la sua volontà si rifiutava di sottostare a quella condizione: per quanto fosse grande il bisogno e vicina la follia, aveva giurato a sé stesso, mai più avrebbe preso ancora il lyrium. Ne aveva parlato già una volta con Cassandra, che aveva accettato di sostituirlo al Concilio di Guerra se avesse perso la lucidità. Inutile dire quanto si fidasse del suo parere, ma più il tempo passava, più la paura di non farcela, di cedere, si faceva intensa.
Finì il bicchiere in un sorso, cercando di sopire quella sensazione. Alzatosi dalla sedia, si diresse al bancone e ordinò un boccone di pane, intenzionato a non arrendersi al sonno che l'avrebbe trasportato nei suoi più terribili ricordi. La caduta del Circolo del Maghi di Redcliffe... tutti quei demoni.
"No". Chiuse gli occhi trattenendo il respiro, cercando di ricacciare le immagini indietro. Poco dopo, l'oste gli mise sotto il naso la pagnotta che aveva chiesto.
«Comandante, dovrebbe svegliarla. Stiamo per chiudere.»
«Uh?» Aprì gli occhi, rivolgendosi all'oste. «Chi?»
Seguì il cenno del taverniere, rivolto ad un angolo della sala. Seduta lontano dai tavoli principali, coi capelli sciolti sul viso, Cullen riconobbe la figura familiare e la giacca rossa, ancora scura e fradicia dalla secchiata.
«Non vorrei essere io a... sapete». Il nano dietro il bancone alzò le spalle. Cullen, con una debole smorfia dipinta in viso, fece per tirare fuori le monete, ma l'oste lo fermò. «Lasci stare. Offro io, basta che la portiate a dormire al caldo». Poi si diresse sul retro, lanciandosi tranquillo uno strofinaccio sulla spalla.
«Oh, beh» sospirò il Comandante. «Non dovrebbe essere così difficile» si disse, alzandosi dal bancone.
A passi cauti si diresse al tavolo sul quale era riversa Kassandre, addormentata. Il respiro flebile le faceva alzare e abbassare il petto schiacciato contro il bordo del piano, lentamente. Arrivato vicino, Cullen si fermò un attimo a guardarla, le mani sui fianchi, osservandola sognare beata.
"Se lo merita" osservò con un sorriso, traendo piano la sedia a fianco e prendendovi posto, avvicinandosi a lei.
«Inquisitore» sussurrò, poggiandole una mano sul braccio. Il vestito era ancora bagnato e freddo, mentre solo i suoi capelli, notò, si erano asciugati al calore del caminetto quand'era rimasta con loro. Non ottenne risposte, a parte un rantolio che lo preoccupò sensibilmente.
«Inquisitore?» la scosse di nuovo, lievemente. Di nuovo nessuna risposta. Inspirò, alzando gli occhi al cielo.
«Kassandre?»
«Mhm...» L'Inquisitore si mosse leggermente, dando un colpo di tosse che sembrò scuotere lei e il tavolo intero. Cullen poteva dire con certezza di averlo sentito tremare. Poi, la vide aprire lentamente un occhio. «Che c'è...» mugugno lei senza entusiasmo, la voce impastata.
«Inquisitore...»
«Kassandre»
«E va bene». Con una smorfia, Cullen proseguì. «Kassandre, la taverna sta per chiudere. Dovresti... dovresti tornare nelle tue stanze.»
Facendo apparentemente uno sforzo incredibile, l'Inquisitore sollevò la testa.
«Non credo di farcela.»
Sorpreso, il Comandante si fermò ad osservarla. Era stravolta, coi capelli scompigliati e la faccia di chi ha dormito troppo poco. "Il prezzo da pagare per essere l'Araldo di Andraste" pensò con amarezza. Aveva provato ancora le conseguenze della pressione mentale che portava l'ottenere una carica ed erano, fondamentalmente, devastanti, specie se poi ci si ritrovava ad avere a spalle il destino del mondo. O, nel proprio caso, di quello delle forze armate adibite a salvarlo. Scosse la testa con apprensione quando la sentì tossire profondamente per la seconda volta.
«Ti prenderai un accidente» commentò aspro, più di quanto avesse inteso. «Almeno, provaci.»
Più debole di come l'avesse mai vista, tutt'altro che vitale rispetto a poche ore prima, Kassandre provò ad alzarsi e ricadde pesantemente sulla sedia con un tonfo attutito condito da un'imprecazione.
«Bevuto troppo?» commentò lui, vagamente divertito. «Per lo meno, ora sei sveglia». Cullen si alzò, avvicinandosi al suo posto, e delicatamente le afferrò un braccio. «Avanti, ti dò una mano.» Se lo fece passare sopra le spalle, e supportando il peso della ragazza la trasse lentamente in piedi. Barcollarono un attimo, le gambe di entrambi tremanti.
"Maledizione" imprecò mentalmente il Comandante, cercando la stabilità necessaria. Quando l'ebbe trovata, iniziò a trascinarla con sé, un passo dopo l'altro.
«Com'è che vi siete ridotta così, Inquisitore?»
«Kassandre...» si sentì rispondere con astio. Non doveva apprezzare i titoli.
«Ho capito» alzò un sopracciglio, guardandola. «Cos'è successo?»
«Niente.»
«Niente, certo» sbuffò irritato. «Tipico.» Salirono pesantemente i gradini del salone, una lunga rampa che metteva a prova la sua resistenza e quella della ragazza. «E come mai questo niente ti ha ridotto così?»
«Capita». Kass si portò una mano davanti alla bocca, scossa dalla tosse. Cullen imprecò malamente, le tastò la manica ancora bagnata e afferrandola per farsi carico di un maggior peso, accellerò il passo.
«Ci mancava anche Sera coi suoi scherzi. Quell'elfa non ne ha mai abbastanza...»
«È... è colpa mia» cercò di scusarla la maga, fermandosi a riprendere fiato. La sostenne.
«Dell'ubriacatura? Certo» aggrottò le sopracciglia, inspirando a pieni polmoni. «Dovreste badare di più a voi-»
«A te.»
«...a te» la assecondò, trattenendosi appena dal rivolgere gli occhi al cielo.
«No. Non prendertela con lei.» Rantolò, e Cullen trasalì per un secondo. «È mia amica.»
«Oh, non farò niente alla tua amica» rispose, ironizzando «a parte tirarle le orecchie domani, fino a fargliele diventare ancora più lunghe di quanto non lo siano già». Rise tra sé e sé, ma vide che anche la giovane aveva stirato le labbra in un'ombra di sorriso, almeno per un attimo. Con più attenzione di prima, iniziò a salire, portandola con sè: le ginocchia avevano iniziato a fargli male, ma Cullen si teneva impegnato concentrandosi su di lei e sul peso da sostenere. Non avesse avuto l'armatura a gravargli, l'avrebbe portata molto più velocemente.
In silenzio, raggiunsero il salone, soffermandosi solo per poco davanti al camino scoppiettante, che qualcuno doveva aver recentemente attizzato prima di recarsi a dormire. Cullen lasciò che l'Inquisitrice si scaldasse, prima di accompagnarla con maggiore agilità fino alla porta dei suoi alloggi.
«Da qui ce la fai?» In risposta, la vide scuotere il capo. «Devo... err... portarti dentro?»
Lei annuì debolmente, e la sentì trattenere a stento un conato. Cercò di fare meno pressione con la mano che aveva poggiato sul suo fianco, affrettandosi lungo il corridoio e per qualche gradino fino alle camere. Finalmente arrivati, Cullen fece per accompagnarla al letto, quando l'Inquisitore si liberò dalla sua presa barcollando.
«Lasciami-» gli intimò Kassandre a mezza voce, proiettata in avanti. La mollò, angosciato dal suo barcollare verso le vetrate del balcone: il suo timore venne confermato quando, uscita, la sentì rigurgitare fuori dalla ringhiera con un suono soffocato, ma familiare.
"Per il Creatore..." il Comandante si portò una mano al collo, lasciandola scivolare tra i capelli biondi. L'altra mano era fermamente poggiata al proprio fianco. Non l'aveva mai vista così. "Adesso cosa dovrei fare?!"
Minuti dopo, Kassandre barcollò all'interno, tenendosi aggrappata alla vetrata. Inspiro pesantemente, tossì più volte, e poi cercò di aiutarsi passando di mobile in mobile fino all'ampio letto, posizionato davanti ad un camino ancora acceso. Cullen rimase interdetto per qualche momento prima di soccorrerla; le porse una mano, e stavolta lei accettò, facendosi accompagnare per il breve tragitto prima di sedersi pesantemente sul letto, con gli occhi rossi e l'aria distrutta.
«Stai bene?» Cullen le si sedette accanto, esitante, e lei tentò di asciugarsi la faccia con un lembo della giacca. Un'impresa, pensò lui sorridendo, perchè doveva essersela lavata con la neve raccolta dal balcone, che ovviamente le aveva bagnato quello che degli abiti si stava asciugando.
«Credo» ricevette in risposta, con un'esitazione di troppo. Il giovane le posò una mano sulla schiena con tocco leggero.
«Se non hai più bisogno di me, ti lascio. Dovrai cambiarti, altrimenti congelarai.»
«Io...» le parole le morirono in bocca. Lo guardò a testa bassa, da dietro la coltre di capelli spettinati che tirò indietro con la mano. «Perdonami. Non avrei dovuto...» venne interrotta da una scarica di tosse.
«Non fa niente.» Cullen le sorrise rassicurante, ma i suoi pensieri si trovavano ancora ad Haven, quando l'aveva vista perdere i sensi al limitare dell'accantamento dei rifugiati, con la neve fino alle ginocchia. Rabbrividì al solo pensiero, perché ricordava indossasse quasi gli stessi abiti. «Domani chiederemo a Solas di darti un'occhiata, per evitare complicazioni. Ora pensa a coricarti e a dormire.» Fece per alzarsi, ma venne fermato dalla mano che aveva raggiunto la sua guantata. Kassandre scosse la testa.
«Per favore» lo guardò e abbassò lo sguardo al pavimento. «Potresti...?»
«Restare?» si voltò verso di lei, l'espressione che era un misto di contrarietà e sorpresa, non senza una punta di imbarazzo. «Forse...» si grattò il collo. «Veramente, non-» esitò, guardando a destra e a sinistra, e poi ancora lei. «Non sarebbe il caso» terminò, finalmente riuscendo a dire qualcosa di senso compiuto. «Posso far chiamare Josephine o Leliana se vuoi, loro-»
«Per favore» ripeté lei, con ben poca lucidità. «Finché non mi addormento.»
Cullen la guardò, immerso in un mare di dubbi. Cos'avrebbe dovuto fare? Assecondarla, o rifiutare con più decisione, preferendo declinare la responsabilità su qualcuno di più esperto? Aveva convissuto con miriadi di sbornie, comunissime tra i soldati, ma con l'Inquisitore non aveva idea di come comportarsi, e non strettamente per il fatto fosse una ragazza, o una maga, o il suo diretto superiore. Nemmeno le possibili malelingue sul suo conto l'avrebbero scosso, dato tutto il gruppo ne era continuamente bersaglio: Cassandra era eccessivamente violenta, Varric esclusivamente attaccato ai soldi, Josephine troppo frivola, Leliana troppo ombrosa, Blackwall scorbutico, Dorian insopportabile... e ovviamente lui non ne sapeva nulla di come si sarebbe dovuto comandare un esercito.
"Certo", sbuffò tra sé e sé. Non era scampato al massacro nel Circolo di Redcliffe, non aveva combattuto la corruzione dell'Alto Comandante Meredith a Kirkwall e guidato i suoi ex-compagni e il Campione, Hawke, all'attacco mentre la città finiva preda di maghi folli, templari impazziti, demoni furiosi; e assolutamente non aveva visto la Chiesa, contemporaneamente, esplodere e finire in mille pezzi. Evidentemente, non bastava fosse stato messo in mezzo a guai da cui molti non sarebbero scampati, e nemmeno contava la sua preparazione da ex-templare. Ma stava divagando e non era questo, il punto.
Quello che lo preoccupava era il ruolo di Kassandre. Lei era la Guida, l'Araldo di Andraste, l'Inquisitore, e l'incarnazione di tutto ciò che era in grado di tenere alto il morale di chi si era unito a loro. Soldati, semplici lavoranti e anche loro stessi, Consiglieri e compagni, la guardavano con rispetto e percepivano la forza d'intenti che l'animava, più brillante del fuoco per una falena. L'esempio più forte poteva farlo con Dorian, che pur col suo carattere impossibile sembrava animarsi per davvero solo a vederla, o a bisticciare con lei su questo o quell'argomento riguardante la sua patria. Non fosse stato che non si fidava pienamente del mago, avrebbe potuto definirli, quell'altro e L'Inquisitore, ormai amici.
Ed ecco ciò che temeva: lei era una forza, una forza spaventosamente carismatica e ardente. Se qualcuno avesse visto quella fiamma spegnersi oltre a lui, quale idea se ne sarebbe fatto? Cullen, dopo Redcliffe e Kirkwall e dopo aver quasi rasentato la follia, sperimentando la più cieca e ingiustificata rabbia della propria esistenza, poteva capire quanto lei fosse umana, e in qualche modo fallibile proprio come lo era stato lui. Poteva credere che l'avesse mandata il Creatore in persona o che tutte le sue imprese fossero frutto di fortuite coincidenze, ma perlomeno avrebbe compreso, e continuato a comprendere, che tutto ciò che faceva di lei quello che era rimaneva invariabilmente umano e guidato da sentimenti, timori, paure. Anche se apparentemente, lei sembrava non mostrarne.
Ma questo era lui. Come l'avrebbero presa gli altri, vedendola aldilà delle grandi imprese o della sua solita giovialità? Aldilà della sua capacità di chiudere i Varchi sparsi in tutto il Thedas e quello nel cielo di Haven, il più grande passaggio verso l'Oblio che avessero mai ammirato.
Tentennò, prima di darsi una risposta, e darla a lei.
«Va bene. Ma solamente...» specificò, con aria greve. «Solamente in cambio di una cosa.»
«Mh?» La ragazza alzò finalmente la testa, interrogandolo con gli occhi, e lui si sedette sul letto.
«Se dovessi stare male, come ora o peggio, voglio che tu venga da me, e solo da me. O mi faccia chiamare immediatamente.» Riguardava il discorso di prima, ma non volle palesarglielo.
L'Inquisitore sembrò pensarci un attimo, prima di annuire debolmente. A sua volta, anche Cullen annuì d'intesa.
« Ora dovresti... cambiarti.» Si schiarì la voce, con un certo imbarazzo. «Esco... esco a prenderti delle coperte. Così puoi...» L'Inquisitore fermò il suo chiacchiericcio alzando una mano, poi si voltò dandogli la schiena e, chiaramente (non poteva esserlo meno, dal rumore degli alamari che saltavano) iniziò a slacciarsi la giacca. Cullen rimase immobile, in principio. Quando trovò la forza di distogliere lo sguardo, si alzò dirigendosi alla porta, nascondendo malamente la propria vergogna.
«Io... vado» concluse fermamente, aprendo e chiudendo l'uscio con forza oltre le proprie spalle. Una volta fuori, si fermò a inspirare profondamente, i piedi piantati a terra. Era tutto molto... inaspettato, ma non più di quanto non avrebbe potuto sopportare. In fondo, stavano combattendo una guerra senza esclusione di colpi, o no? Solo si chiedeva se, e quanto, stesse agendo per il meglio nei confronti di tutti.
Continuando ad arrovellarsi, Cullen si diresse al salone, attraversò la biblioteca ed arrivò alla torre di guardia in cui aveva preso posto, salendo la scala a pioli che portava al piano superiore. L'aria espirata gli si condensava attorno alla bocca e al naso in calde nuvole che si disperdevano velocemente, ma nonostante il freddo della pietra e il tetto bucherellato, sentiva di appartenere a quel posto che si illuminava dei primi raggi mattutini, dell'arancione del tramonto e della flebile luce delle stelle, una volta scesa la notte. Avvicinatosi al letto, si liberò dei guanti e dell'armatura, appoggiandone le parti velate da un velo opaco ad un grosso cassettone che aveva fatto piazzare nella stanza. Ripiegò la tunica accanto, indossando una giacca scura ben più semplice, ma comoda e senza fronzoli, e preparò l'ampolla contenente l'olio che l'indomani avrebbe usato per pulirla dai residui di birra, evitando di farla ossidare. Dato che ormai era lì, decise di raccogliere le proprie coperte: erano pulite, cambiate ogni giorno dagli inservienti, e si sarebbe risparmiato un viaggio almeno all'andata. O poteva sempre dormire senza, rimediando con una tinozza piena di braci sotto il materasso. Un tipico rimedio di chi aveva da convivere con le fredde mura delle torri dei Circoli nel freddo inverno Fereldiano.
Cullen arrotolò le coperte con pochi gesti, facendone un fagotto; prese una pentolaccia e poi si diresse di nuovo al salone col maltolto sottobraccio. Lasciò il contenitore vicino al caminetto, intento a consumare lentamente l'ultima legna della serata, e proseguì fino a tornare alle stanze dell'Inquisitore.
Con gentilezza, bussò qualche volta alla porta, aspettando il permesso di entrare. Non arrivando niente dall'altra parte del legno, ne aprì uno spiraglio, sbirciando e notando immediatamente il bozzo sotto le coperte che era Kassandre. Con cautela entrò e richiuse l'uscio, avvicinandosi al letto per sedersi sulla sponda più vicina. L'Inquisitore, ancora sveglia, si mosse appena sotto i lenzuoli, guardandolo. Tremava come una foglia, e Cullen si affrettò a coprirla con le calde coperte di lana che aveva prelevato per lei.
«Non ti avevo mai visto senza quella dannata armatura» la sentì commentare a voce bassa e rauca, con un velo di ironia. «Stai bene.»
«Grazie» rispose con un mezzo sorriso. «Ma di solito... la preferisco agli abiti formali. Questione di abitudine.»
«Voi templari la portavate anche a letto?» gli chiese. Cullen annuì.
«Si, più o meno. Qualcosa del genere.» Abbassò lo sguardo sull'anello che portava al dito, e che rimandava tenui bagliori. «Sai, quando... quando puoi venire svegliato nel mezzo della notte per qualsiasi motivo, per un urgenza o...» storse la bocca, interrompendosi.
«...per un demone» Kassandre lo guardò comprensiva, sistemando meglio i cuscini.
«Già» commentò, asciutto. «Si impara.»
«Posso capire» lei tossì, avendo il tempo per cercare le parole. «Ho vissuto nel circolo di Ostwick.»
«Si?» Cullen la guardò sorpreso. «Io credevo fossi una fuggitiva.» Non lo disse con astio, ma era stato quello il pensiero fin dalla prima volta che l'avevano trovata come unica superstite nel bel mezzo del Tempio delle Sacre Ceneri Andraste, ormai completamente distrutto. Non che cambiasse nulla, anche se, pensandoci, era quasi ironico il destino avesse scelto proprio una maga per condurli, e non qualcun altro.
Facendo forza sulle braccia, l'Inquisitore alzò il busto mettendosi più dritta, seduta sul letto, e si tirò addosso le coperte che le erano scivolate via, rivelando il torso nudo coperto solo da una spessa fasciatura a nascondere i seni. Una visione che fece arrossire Cullen, che distolse subito lo sguardo altrove, rispettoso.
«No» la ragazza scosse la testa. «Non ero fuggita. Vivevo lì da quando avevo nove anni.» Poi lo guardò, intensamente. «Non sai cosa è successo là, vero?»
Cullen abbassò gli occhi.
«No» ammise. Kassandre sospirò, volgendo lo sguardo al camino. Guardò le braci ardere lentamente.
«Dopo l'esplosione della Chiesa di Kirkwall, tutti i circoli saltarono, uno alla volta. Prima che questo succedesse anche a noi, il Primo Incantatore intervenne.» Cullen sapeva già come finivano quelle storie. Al circolo di Redcliffe ne era successa una molto simile. «Implorò il Capo Comandante dei templari di non invocare il Diritto di Annullamento, prima succedesse l'irreparabile. Fortunatamente, il Capo Comandante acconsentì.»
Il Comandante si sentì stringere il petto in un moto di colpa. Anche lui aveva invocato le attenzioni del proprio Capo Comandante, esattamente per il motivo opposto. La paura era stata tale che, suo malgrado, aveva coinvolto perfino all'Eroe del Ferelden, nel tentativo di attuare un massacro ingiustificato, ma che al tempo gli era sembrato l'unico rimedio. Allora, era a malapena un templare novizio, invaghito di...
«Ci radunarono, tutti quanti» l'Inquisitore interruppe il filo dei suoi pensieri. «e ci divisero, secondo il parere del Primo Incantatore. Venni ammessa tra quelli che sarebbero partiti: ci consentirono di prendere una sacca e, per chi lo aveva, il bastone, razionando i viveri. Poi ci mettemmo in marcia verso Val Royeaux, verso le Bianche Spire. Speravamo di partecipare al Concilio sulle scoperte di Pharamond, di parlare con la Divina Justinia e ottenere asilo e protezione per tutto il circolo. Un contingente di templari ci accompagnò per tutto il tempo.»
«Per il Creatore...» Dopo tutto quel tempo, Cullen ritrovò il coraggio di parlarle. La osservò ad occhi sbarrati, la mascella che voleva cadere e piantarsi stabilmente a terra. «Tu eri lì
Kassandre annuì, ricominciando a tremare, le unghie piantate negli avambracci.
«Quando i maghi usarono il Concilio per forzare una separazione dei circoli dalla Chiesa, scoppiò l'inferno. Dovetti... proteggermi dalle persone che conoscevo. Tra di loro c'erano i templari con cui avevo vissuto, che mi avevano visto crescere-»
«Basta così». Il Comandante fermò l'eloquio, e l'Inquisitore si bloccò, trattenendo le labbra che tremavano assieme a tutta la sua figura. Lui le porse una mano, e lei, esitante, allungò la sua per stringergliela. «Calmati» le intimò con gentilezza. Nel frattempo, lei aveva notato l'anello al suo anulare, e prese a passare un dito sul rilievo della spada, simbolo dell'ordine.
«Comunque, era un bel circolo. Non perfetto, ma...» Notò come ricacciava indietro il proprio tomento, asciugandosi gli occhi arrossati. «Qualche volta, ci permettevano di mangiare assieme. I maghi che stavano male venivano assistiti non solo dai compagni, ma anche da loro. Stare con i templari ci dava misura di quanto fossimo simili.» Kass abbassò il capo, con un sorriso amaro. «Ora non conta più. E in ogni caso, non riesco a ricordare nient'altro...»
«Se fosse altrimenti, Cassandra ti avrebbe già legato ad una sedia a quest'ora, minacciando di leggerti tutto Spade e Scudi. Credimi, ne saresti uscita impazzita!» Cullen tentò di alleggerire la tensione, e la breve risata di Kassandre lo rincuorò.
«Ascoltami» proseguì. La propria mano ben salda nella sua si strinse, impedendole di tremare ancora. «Molti di noi hanno passato dei momenti tremendi, ma sono qui, ora. E ora siamo al sicuro.» Avrebbe voluto aprirle gli occhi su quanta speranza la sua sola presenza infondesse alle persone che la circondavano, ma temeva lei non avrebbe visto. O se lo sarebbe impedita.
«Grazie a Cassandra e Leliana. Grazie a te. Non vale la pena di pensare al passato.» Lui, più di altri, lo sapeva. «Ora dobbiamo andare avanti, e proseguire per le nostre strade. Ed è tutto quello che conta.»
Le carezzò la mano col pollice, con un sorriso che gli era venuto spontaneo. In quel telaio spesso e fitto che era l'Inquisitore, lui riusciva a intravedere qualcuna di quelle indecifrabili falle che lei non lasciava mai trasparire. In un certo senso, gli stava facendo l'onore di condividere delle parti non indifferenti della propria vita, della quale non sapeva se nemmeno Dorian fosse stato messo al corrente, e col peso che si portava addosso... si meravigliava che l'Araldo non avesse vacillato nemmeno un'istante, da quando si era unito a loro.
Lei continuò a giocherellare con l'anello al suo dito, gli occhi ormai asciutti e l'espressione più serena sul volto.
«Posso chiederti chi te l'ha dato?» gli domandò, rivolgendogli un'occhiata incuriosita.
«È un regalo dell'ordine. Vedi?» I flebili bagliori del fuoco si riflessero sull'argento, mentre le mostrava il simbolo ormai consumato, rigirando il ninnolo. «Ne donano uno ad ogni membro, una volta entrato in servizio a tutti gli effetti. Una sorta di riconoscimento, e di memorandum. Ti piace?»
«Si.» Lo disse leggermente in imbarazzo, come se non le fosse concesso. «Mi ricorda l'amuleto dei Custodi Grigi.»
«Conosci la storia?» le chiese. Cullen ne sapeva vagamente qualcosa, grazie all'Eroe del Ferelden e all'oramai Re Alistair, un tempo in lista per diventare un templare proprio come lui. Lei alzò le spalle.
«Me ne ha parlato Blackwall qualche tempo fa, nelle stalle. Stava lavorando al suo giocattolo.» Un'ombra di dolcezza le apparve in volto. «Gli avevo chiesto per chi era, e mi sentii rispondere "per qualcuno che non avrò mai".»
«Perché?» domandò meravigliato.
«È quello che dissi anch'io. Mi risposte che i Custodi non passavano una gran vita... non avevano figli. E poi mi parlò della collana.» Il Comandante annuì.
«Che viene a loro data per ricordare il loro scopo, e il sacrificio dei loro compagni. Da lasciare come unica memoria della loro esistenza.» Stavolta, fu lei a stupirsi. Cullen allungò un lato della bocca, volpino, ma poi le spiegò. «Ero a Redcliffe quando arrivò l'Eroe del Ferelden. Lo conobbi di persona, lei e Alistair, ancora da prima.»
«Sul serio?»
Annuì, recitando a memoria.
«"Unitevi a noi, fratelli e sorelle. Unitevi a noi nell'ombra nella quale restiamo vigili. Unitevi a noi mentre eseguiamo il dovere che non può essere rinnegato. E doveste perire, sappiate che il vostro sacrificio non sarà dimenticato. E che, un giorno, ci uniremo a voi."» Kassandre rimase senza respiro per attimi.
«Sono le parole del Re Alistair durante la cerimonia» riconobbe. Impossibile dimenticarle. «Tutti i cantori ai quattro angoli del regno passarono mesi a ripeterle dopo la pronuncia dei voti, prima di salire al trono.»
Cullen si limitò ad approvare con un'espressione mesta.
«Quello che ora chiami "Re" un tempo doveva diventare un templare. Poi le cose andarono diversamente e venne coscritto tra i Custodi, e non lo vidi più. La vita, eh?» Fece un gesto con la mano, come se fosse ovvio, mentre lasciava l'altra a disposizione della ragazza ora persa nelle sue parole. «È così... incredibile, quello che è successo poi. Come fai a credere che quello che una volta era un tuo conoscente sia ora sul trono? Che l'Eroe fosse poco più di una ragazzina della mia età, all'epoca del Flagello, che solamente armata di volontà e dei giusti compagni abbia sconfitto un'Arcidemone, sia passata al comando dei Custodi e sieda sul trono come Regina?» Scosse lentamente la testa, immerso di nuovo in qualche memoria lontana, piena delle creature dell'Oblio.
«I miei compagni sono giusti. E anche i miei consiglieri.» L'Inquisitore lo osservò con l'aria seria, mentre lui si riscuoteva. «È tutto ciò che conta.»
Cullen sospirò.
«Io... lo spero. Per tutti noi.» La guardò, irraggiungibile com'era. C'era troppa fede in lei, se non nel Creatore, almeno nel futuro. «Ma ora sarebbe meglio se ti coricassi.»
«Non importa» rispose lei, impassibile. Cullen rise della sua testardaggine, prima di redarguirla.
«Avrai bisogno di riposare, e domani avrai un mal di testa terribile» la avvisò.
L'Inquisitore sembrò ponderare a lungo, e con poco entusiasmo.
«D'accordo» fece infine, mesta. «Tu...»
«Rimarrò» concordò il Capitano. «Puoi dormire serena.»
Lo sguardo di Kassandre espresse gratitudine, mentre sprofondava nei cuscini. Non le ci volle molto per addormentarsi, ma per tutto il tempo il giovane si premurò di tenerle la mano. Non si accorse del modo in cui si teneva avvinghiata all'anello, nè di come lo guardava poco prima di sprofondare nel sonno. Quando fu sicuro si fosse sopita, lentamente, si alzò dal letto, e a passi felpati si diresse a riempire la pentolaccia nel salone, e poi alla torre.
 

Eccoci al terzo capitolo: la tensione sale, le cose iniziano a farsi decisamente più serie e il nostro povero Cullen si ritrova sulle spalle l'Araldo di Andraste e alcune delle scomode rivelazioni sulla guerra templari-maghi dal suo punto di vista. Troppo angst per un templare, eh? xD Fortuna per loro verranno anche altri momenti più facili e mooolto più godibili!
Scempiaggini - poche data l'ora °-° - a parte, a breve arriveranno quelle che spero siano parti interessanti, che in parte vertiranno, come ben sa chi ha già giocato Inquisition, sull'Orlais di cui si vede sempre troppo poco. Per fortuna proprio oggi sono riuscita a procurarmi (benedetti gli sconti!) Dragon Age - L'impero delle Maschere in libreria e sono curiosissima di approfondire meglio intrighi e politica del regno! Se solo facessero qualcosa anche sulle Anderfels o sul Tevinter u_u
Aldilà di questo, spero il capitolo piaccia! E ancora una volta (mannaggia a me x°D) il tempo per correggere scarseggiava, quindi perdonatemi i refusi, purtroppo tra un'interruzione e l'altra è già un miracolo se riesco a scrivere qualcosa u_u ma io so che esiste un girone dell'Inferno anche per chi chiama alle sette di mattina quando teoricamente l'azienda è ancora chiusa, o almeno ci conto >_>
Detto questo, spero vi godiate la lettura. Doveste avere domande, consigli, minacce di morte o lettere minatorie, o in generale qualsiasi cosa, sappiate che i commenti sono sempre più che ben accetti e graditissimi xD
Al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 4
*** Chiamate dannose ***


Il giorno dopo, Cullen, Leliana, Josephine e Cassandra aspettarono a lungo nella sala del Concilio di Guerra, spingendo qua e là per l'immensa mappa stesa sul tavolo pedine che rappresentavano i loro soldati, le spie e gli ambasciatori. Grazie al continuo spostarsi dell'Inquisitore, che sembrava avere una particolare propensione per l'esplorazione in prima persona, erano venuti a conoscenza dei problemi di Denerim con l'Orlais, raccontati a loro da una lettera firmata direttamente dal Re del Ferelden. Leliana guardava tristemente la pergamena ingiallita, e continuava a girare qua e là per la stanza rimuginando senza una parola. Tutti sapevano di come avesse fatto parte del gruppo dell'Eroe, durante il Quinto Flagello, e di come fossero state amiche, ma nessuno osava chiederle di più.
Josephine si schiarì la voce, stendendo meglio la lettera su un angolo del tavolo.
«Vorrei portare la vostra attenzione su un particolare, se non vi dispiace.» Cullen portò una mano sul fianco, l'altra alla cintura, sospirando.
«Josephine, è la terza volta. Stiamo solo perdendo tempo, dovremmo iniziare ad agire.»
«Ma si tratta di una questione delicata!» esclamò lei. «Non possiamo muoverci impreparati. "I rapporti con l'Imperatrice d'Orlais si sono fatti... ostici" dice» rilesse ad alta voce, prendendo la lettera e iniziando a camminare per la sala. «"Dopo ciò che avete fatto per i maghi a seguito del loro allontanamento da Redcliffe, decisione per cui intendo porgere le mie sentite scuse, confido in un vostro aiuto per tentare un riavvicinamento che gioverebbe a tutto il Ferelden. Ringraziamenti, bla bla, ringraziamenti... no, aspetta, non l'avrai scritto davvero? Ma perché?! Sembra quasi che voi scribi lo facciate apposta."» Josephine alzò gli occhi al cielo e richiuse la pergamena. «Il Re non è veramente molto portato a scrivere lettere» mormorò con qualcosa come disperazione nella voce. Poi riprese il solito ardore. «A breve l'Imperatrice terrà un ballo ad Orlais, durante il quale si decideranno le sorti della politica del paese. A cosa servono i soldati quando possiamo agire come ambasciatori? Le forze dell'Inquisizione sono già state invitate. Ci basterebbe fare pressione su qualche nobile per far invitare formalmente anche il Re e la Regina!»
«Temo che questo... non sia possibile.» La voce affilata di Leliana li raggiunse, il viso messo in ombra dal cappuccio.
«E quale sarebbe il motivo?» ringhiò Cassandra, ormai spazientita.
«La Regina è...» si bloccò, boccheggiando senza riuscire ad aggiungere altro. Dopo qualche attimo di silenzio, si congedò. «Scusatemi.»
Tutti i presenti la guardarono defilarsi in velocità oltre le porte proprio mentre l'Inquisitore entrava, evitandola per un soffio. Kassandre la guardò allontanarsi, poi guardò loro.
«Inquisitore, noi...» cercò di spiegarsi Josephine, ma come Leliana prima di lei, perse le parole. L'Inquisitore la guardò come se volesse fulminarla all'istante, adirata. Cullen ingoiò un groppo amaro, mentre la osservava voltarsi e inseguire Leliana fuori dalla porta.
Qualche minuto dopo, fu Cassandra a intervenire.
«Ora cosa facciamo?»
«Iniziamo ad organizzarci» rispose Josephine, con la voce che le tremava leggermente. Prese un respiro profondo e il tono migliorò. «Inizierò a scrivere lettere ad alcuni nobili di Orlais per questioni sorpassabili, sottolineando il nostro forte appoggio verso l'attuale regnante del Ferelden. Questo dovrebbe spingerli in via collaterale a fargli pervenire un invito, per lui e la consorte.»
«Mi sembrava di capire l'Eroe non potesse per qualche motivo, dalle parole di Leliana.» si intromise Cassandra.
«E il Re raramente parla apertamente dell'argomento» aggiunse l'Ambasciatrice, spuntando qualcosa su un foglio del suo leggio. «Dovremmo capire cosa le impedisce di presentarsi e aggirare il problema. Con la sua presenza, le trattative potrebbero risolversi molto più facilmente: la Regina ha sempre dimostrato molta più abilità del Re nel parlare, e perdi più è l'ultima esponente di una delle principali casate nobili del Ferelden, una Cousland.» Cullen scosse la testa.
«Leliana, a parte il Re, è forse l'unica a sapere dove si trova ora.» Il Comandante era più che sicuro di questo. Era scomparsa da qualche mese e la sua mancanza, sebbene non confermata, era praticamente sulle bocche di tutta Denerim. «Potrei inviare una missiva al Re in virtù della nostro passato... apprendistato, ma temo non riusciremo a cavarne molto altro.»
«È comunque qualcosa» appurò Josephine. Guardò Cassandra, intenta a ponderare con una mano al mento.
«Fallo» disse quest'ultima. Si avviò verso la porta. «Scrivigli. Sarà meglio che ottenere niente.»
Cullen annuì.
«Intanto cercherò di parlare con Leliana.» Anche l'Ambasciatrice si avviò verso l'uscita della sala. «Potrei riuscire a farmi riferire qualcosa, portando la conversazione sui punti giusti» gli si rivolse, facendogli l'occhiolino. Cullen arrossì vagamente, ma mantenne la sua postura.
«Con la Capospia? Attenta Josephine» la avvisò, contrariato «Potrebbe essere più facile per lei scoprire quali siano i tuoi broccati preferiti, piuttosto che per te farla sbottonare sull'Eroe.»
«Ne terrò conto, Comandante» si sentì rispondere, il tono sempre confidente della ragazza. Anche Josephine uscì, e in quel momento rimase solo con la mappa nell'enorme stanza.
Una pinta di stagno era poggiata sul tavolo, ricolma d'acqua. Il Comandante la prese e si sedette sull'angolo del ripiano, allungando il collo per sciogliere la tensione accumulata nei muscoli. Detestava l'idea di dover disturbare Alistair, sebbene rientrasse nei compiti di maggior importanza, al momento. Dalla reazione di Leliana, poi, sembrava un passo veramente falso da fare. Perché reagire a quel modo se all'Eroe non fosse accaduto nulla? Temeva la risposta a questa domanda.
Bevve avidamente dalla pinta, prima di posare lo sguardo sulle mastodontiche vetrate che rimandavano la luce riflessa in centinaia di colori e sfumature diverse. Per la verità, dopo aver partecipato all'ascesa al trono di Alistair e di Rachel (questo il nome della Regina) e al loro matrimonio, si era tenuto costantemente in contatto con loro, perfino quand'era stato a Kirkwall. Sentiva di avere un dovere nei loro confronti a causa del suo sbaglio a Redcliffe, e intendeva ripagarlo completamente, prima o poi.
Ma qualche anno dopo, quando ormai la mente dell'Alto-Comandante Meredith iniziava a vacillare e il Campione elevarsi a tale, la loro corrispondenza si era interrotta. Sul momento, aveva pensato il suo ex-compare avesse avuto decisamente troppo da fare nel gestire il regno. Poi, quando era venuto a far visita all'Alto-Comandante e al Campione, allora in lista per la carica di Visconte, si era convinto fosse stato per quello, per i preparativi del viaggio.
Ma nell'accoglierlo alle Forche assieme agli altri templari, Cullen aveva notato il suo sorriso, più spento e freddo del solito. Aveva continuato a scherzare e blaterare come sempre, certo, ma con una punta di incertezza che non aveva mai conosciuto in lui.
E dopo, niente più lettere. Nessuna nuova notizia, fino a quando l'Inquisitore non si era trovata a Redcliffe e Alistair in persona era intervenuto, deluso dal loro comportamento, per scacciare i maghi dal paese e suggerirgli di unirsi all'Inquisizione, qualsiasi fosse la loro proposta. Alistair, sul serio? Il ragazzo del "mi spiace se sono un ex-templare e mi guardate storto, ma in qualità di Custode devo rendere tutti felici e amici"? Poteva credere si fosse indurito nel tempo, o le sue nozze con la Regina l'avessero cambiato, ma mai così tanto. L'Eroe, per come l'aveva conosciuta, era sempre stata gioviale almeno quanto lui. Per quello, forse, l'unione nei Custodi, il viaggio e poi l'attrazione li avevano portati sulla stessa strada.
"No" rispose convinto ai propri pensieri. "Dev'essere successo qualcos'altro. Qualcosa di... non voglio nemmeno pensarci."
Poggiando il bicchiere sul tavolo, scese dall'angolo, dirigendosi fuori dalla sala verso il proprio ufficio nella torre per scrivere la lettera. Quando raggiunse il privato della sua stanza, preparò penna e inchiostro, pergamena e la pezza per l'eccesso. Con calma, e lentamente, iniziò a delineare uno scritto preciso e articolato, scritto con lettere fitte e spigolose, tipiche della sua scrittura nervosa. Ma almeno questo, se lo poteva permettere, dal momento non ci sarebbe stato nulla d'ufficiale e nessun messaggero a consegnare le sue parole.
Passò una buona mezz'ora, nella quale descrisse sinteticamente la situazione, l'intento dell'Inquisizione di includerlo nel ballo per iniziare a rinsaldare i rapporti definiti "ostici", ma che dovevano essere stati riportati come meno peggiori di quanto non fossero, contando la semplicità del Re e la sua incapacità di relazionarsi alle etichette e agli obblighi della nobiltà. Non certo come lui, a cui non mancavano un paio di titoli e un secondo nome che detestava profondamente. "Non avevo alcun dubbio sul perché avessi preferito la via del templare" sbuffò, rassegnato. Aggiunse anche che l'intervento dell'Eroe avrebbe potuto consolidare fortemente un'alleanza, e che aveva sentito voci raccontare della sua scomparsa. Scrisse che se così fosse stato, l'Inquisizione avrebbe donato tempo, forze e uomini finché fosse stato necessario, pur di trovarla, o intervenire laddove c'era un problema. Cercò di essere delicato, ma di più non poteva fare.
Una volta completata la lettera, aspettò che si asciugasse. Fatto quello, la arrotolò accuratamente e ne richiuse i lembi con un sigillo di ceralacca, nel quale impresse il proprio anello e il suo simbolo. Si era sempre firmato a quel modo, era sicuro avrebbe capito. Giusto per sicurezza aggiunse un pezzo di spago, poi la raccolse e si avviò verso le voliere, al terzo piano sopra la biblioteca.
Salì lentamente le scale, non ancora sicuro di cosa avrebbe scatenato la sua richiesta. Ira? Sdegno? Poggiò la mano sulla porta chiusa per sospingerla, ma subito si ritrasse quando sentì delle voci provenire dalla stanza.
«Leliana...»
Un forte singhiozzo venne interrotto, prima di decollare in un lamento prolungato e poi un pianto. Riconobbe sia la sua fonte, che l'altra voce: il Capospia e l'Inquisitore.
«Leliana, ti prego, non-»
«Non dirlo!» strillò lei. «Non. Osare. Dirlo!» Una reazione così esagerata e irrispettosa da parte sua. Totalmente fuori dai canoni della Mano Sinistra della Divina, così come la chiamavano, che conosceva. Preoccupato, spinse leggermente l'uscio e aprì uno spiraglio grande forse quanto un'unghia. Le vide, nell'angolo più lontano della stanza, Leliana seduta su un covone di fieno e l'Inquisitore sulla sedia davanti a lei. Persino i corvi, ognuno appeso nella sua gabbia, stavano zitti. Rimase ad ascoltare.
«Non posso credere che l'abbia fatto» proseguì la Capospia, interrompendosi più volte per riprendere fiato. «Era mia amica. La mia migliore amica. La migliore... persona che esistesse al mondo. Non posso crederci...» L'Inquisitore stese una mano sulla sua spalla, scossa dai singhiozzi.
«La troveremo.»
«Ho i migliori agenti di tutto Thedas, e non l'ho ancora trovata!» il tono di Leliana si fece insofferente. «Dimmi chi! Con l'aiuto di chi, la troveremo! Solas? Blackwall, che a malapena sa trovarsi le ginocchia?» la vide prendersi la testa tra le mani. «Alistair? Quell'uomo si sarebbe strappato il cuore dal petto per lei, eppure...» scosse la testa, rassegnata. «Dovrei chiedere al nostro vecchio gruppo, ma fatico a credere che Zevran, Oghren o Anders ne sappiano qualcosa. Quelli che le erano più vicini eravamo io e lui. Ha...» si interruppe, provando a rimediare alla voce spezzata dalle lacrime. «...ha persino lasciato al castello Cane, il suo mabari. Non l'avrebbe mai fatto, non la persona che conosco io.»
L'Inquisitore si alzò dalla sedia. Esitò un'istante, poi la abbracciò, circondandola e stringendola.
«Metteremo tutte le forze dell'Inquisizione alla sua ricerca. Agenti, soldati, nobili, chiunque» le rispose decisa.
«E come?» sentì Leliana che parlava attraverso il tessuto della giacca, il tono ovattato interrotto da lunghe pause. «Dobbiamo anticipare Corypheus, dobbiamo...»
«Ci stiamo già lavorando, giorno e notte. Possiamo permetterci di dedicare le nostre forze anche a questo.»
Leliana sollevò la testa, guardandola tristemente.
«Non è vero, lo sai.»
«Me ne frego» fece piatta l'Inquisitore. «Consideralo un ordine diretto. "Questione di primaria importanza".»
Leliana rimase in silenzio, il pianto che si affievoliva. Quando l'Inquisitore tentò di asciugarle la faccia con una manica, lei la abbracciò di rimando.
«Ora, molla qui quel foglio. Andiamo a farci una passeggiata sulle mura.»
«Kass, ho del lavoro...»
«Tu vieni e prendi una boccata d'aria» si impuntò l'Inquisitore. «Vedrai che ti farà bene.»
Leliana acconsentì dopo qualche momento di perplessità. Una volta decisa, poggiò qualcosa sul covone, scese a terra e si fece trascinare fuori senza resistenze, sul balcone che dava alle mura, dove non potè più sentire nulla. Quando la porta si fù richiusa dietro le loro figure, finalmente Cullen entrò nella stanza.
Non voleva intromettersi in affari che non lo riguardavano, si disse dapprima, affannandosi a recuperare dalla gabbia giusta il corvo che avrebbe volato per lui, portando il suo messaggio al Re. Con pochi gesti, lo prese e lo pose su un tavolo vicino, fissando alla sua zampa la pergamena. Si assicurò fosse ben legata prima di accoglierlo sul suo guanto e lanciarlo discretamente fuori da una delle finestre, da dove lo vide allontanarsi a grandi alate.
Quando però si trovò solo, e senza null'altro da fare, la curiosità prese il sopravvento. La reazione della Capospia aveva rasentato la disperazione: considerando che Leliana era una conoscente di vecchia data assieme al consorte dell'Eroe, e che non l'aveva mai vista lasciarsi andare a simili manifestazioni, temeva ci fosse in gioco qualcosa di troppo grosso per tenere ancora segreti e segretucci tra di loro. Qualsiasi cosa fosse successa, ora pretendeva di venirne a conoscenza.
Cautamente, non volendo che qualcuno lo scoprisse nel bel mezzo del misfatto, si avvicinò al covone di fieno. Cullen osservò a lungo, e non senza rimorsi, il foglio piegato poggiato lì sopra; infine decise di raccoglierlo e leggerlo.

'A Leliana,
amica mia, vorrei essere d'aiuto riguardo a Corypeus, ma a causa del mio mancato addestramento durante il Flagello, so meno sugli antichi Prole Oscura rispetto alla maggior parte dei Custodi. Sono... occupata in una ricerca personale al momento. Tutti i Custodi che non cadono in battaglia, eventualmente soccombono a quella che viene definita la Chiamata, una magia intrinseca nella nostra connessione al Flagello e ai Prole Oscura. Piuttosto che lasciare che una simile, stupida eventualità mi porti alla morte, preferisco trovare un modo per curarla, e salvare tutti i Custodi dai suoi terribili effetti.'


"Sono particolari..." Cullen non sapeva bene come definirli. "...sconcertanti? Nessuno è a conoscenza di questa cosa. Almeno, Alistair non me ne aveva mai accennato. Ma se fosse vero" e poteva solo essere vero se quelle parole erano dell'Eroe, pensò Cullen "e se questa magia potesse, in qualche momento, agire su di loro... sarebbe la fine." La prospettiva di partecipare al funerale dei regnanti non lo allietava affatto. Si affrettò a leggere il continuo.

'Avendo poche informazioni utili da offrirti, non ho nient'altro da inviarti che un piccolo regalo. Accettalo. Se, nel mio viaggio, dovessi trovare qualcosa che possa servire alla vostra lotta contro Corypheus, te lo farò avere al più presto.'

Più in basso, trovò una nota staccata dal resto del messaggio.

'Una parte di me vorrebbe poter aiutare l'Inquisizione in prima persona, perchè la minaccia di Corypheus e del Varco potrebbero ben presto scatenare un nuovo Flagello. Nonostante questo, ho la mia strada da seguire, e devo scoprire la cura alla Chiamata se desidero vedere ancora una volta il mio Re. Ti prego, aiutalo a mantenere il regno lontano da ogni pericolo fino a quando non ritornerò al suo fianco. Fino ad allora, non parlargli di questo messaggio.
Fagli sapere solo che lo amo.
Tua,
Rachel.'


"Questo, cosa-?" della quantità di informazioni che gli bombardavano la mente, non sapeva cosa trarre, e con quale conclusione. "Significa che la Chiamata è vicina? Che lei, o Alistair, potrebbero morire? Che Andraste mi protegga" Cullen si passò una mano sulla fronte, improvvisamente imperlata di sudore freddo. "Altro che ballo, dobbiamo muoverci" pensò, ora ingoiato da un'ansia irrefrenabile. Se l'Imperatrice di Orlais, Celene, fosse stata assassinata o tradita al ballo, un pezzo del futuro che Dorian e l'Inquisitrice avevano sperimentato si sarebbe avverato. Ma senza l'Imperatrice, e poi il Re e la Regina del Ferelden? La catastrofe. Non avevano un erede, forse perché non potevano come detto da Blackwall o perché faticavano ad averne, cose ovviamente troppo private per riguardarlo. Ma in assenza di un figlio, la più vicina alla carica in loro mancanza sarebbe stata Anora, moglie di Calain, mezzo fratello di Alistair e precedente regnante: una donna di grande talento nella politica, certo, che però era riuscita a tradire l'Eroe e la sua compagnia anche quando, nel giusto, si erano battuti contro il tradimento di suo padre Loghain, che aveva lasciato morire Calain durante la prima battaglia del Quinto Flagello, a Ostagar. Il Re gli aveva confidato, in una missiva di molto tempo prima, come una volta tornati lì avessero trovato il suo familiare crocefisso al crocevia, nudo, come monito. Davvero Anora, adesso pensava Cullen, non avrebbe potuto cedere alle lusinghe del potere di Corypheus? Aveva lasciato che suo padre sacrificasse il marito che amava. Potendo, avrebbe sacrificato tutto il Ferelden.
Fece un verso a mezza voce, indignato. Anora desiderava solo ed esclusivamente il potere da quando Alistair e l'Eroe le avevano portato via il trono. Non avrebbe rifiutato una simile occasione per riguadagnarlo, specie se fosse venuta a conoscenza di cosa diceva quella lettera.
Il Comandante la posò delicatamente dov'era prima, sul covone, cercando di posizionarla nello stesso punto. Poi, con un'ombra funesta che gli gravava addosso, fece per andarsene.
«Cullen?»
Cullen si voltò di scatto, abbastanza da vedere una Capospia passare dalla sorpresa alla furia nel giro di dieci secondi e un Inquisitore, dietro di lei, osservarlo sconcertata.
«Cosa diavolo stai facendo qui?» ringhiò Leliana. Il Comandante alzò le mani, indietreggiando.
«Dovevo... dovevo spedire un corvo» cercò di spiegarsi. La Capospia lo guardò, poi abbassò gli occhi sulla lettera, e ancora li rialzò.
«Balle» gli rispose, avviandosi verso di lui. Cullen fece qualche passo indietro, ma lei lo prese per la gorgiera e la folta pelliccia che faceva da collo alla tunica, tenendolo saldo. «Tu hai letto» lo scosse con forza, puntandogli gli occhi nei suoi. «Hai letto la lettera» ripetè. Se la sua voce si fosse potuta descrivere come un paesaggio, in quel momento sarebbe stato un autentico deserto. Condito di pozze acide.
«Io non avevo intenz-»
«Leliana!»
Vide la Capospia tirare indietro il braccio e velocemente, rilanciarlo verso la sua faccia. A quella distanza e con così poco spazio di manovra, non sarebbe riuscito ad evitarlo senza buttarla piedi all'aria o farla volare dalla ringhiera che dava sulla biblioteca due piani sotto, nel peggior caso. Ma Cullen non intendeva fare nè l'una nè l'altra cosa: aspettò lo schiaffo in arrivo, sicuro di meritarselo, chiudendo gli occhi e aspettandosi di sentire il dolore bruciante della sua mano sulla guancia. Invece, sentì solo una spinta e lo schiocco del colpo, seguito da un tonfo e un gemito di dolore. Sollevò le palpebre e, non senza sorpresa, trovò l'Inquisitore a terra, e Leliana pietrificata sul posto a guardarla.
«Ouch» commentò Kassandre, seduta sul pavimento a tenersi la guancia: il Comandante si abbassò subito ad aiutarla e, rimessa in piedi, si accorse del sangue. Non ebbe tempo di fare maggiori considerazioni sul graffio che le rigava la faccia, perché sentì Leliana muoversi di nuovo, stavolta decisa a mirare nel punto giusto: fortunatamente, il corpo dell'Inquisitore creava tra loro abbastanza spazio perché potesse anticiparla. Le bloccò il braccio a mezz'aria, prima scendesse su di lui, e anche l'altro che Leliana stava per levare in sua direzione.
«Ora. Basta!» ruggì, perdendo la pazienza. Leliana ne rimase folgorata, ma non tentò altre azioni.
«Si, ho letto la lettera» ammise, minaccioso. «E vorrei ricordarti che il Re e l'Eroe sono anche miei amici.» Con una leggera spinta, la fece indietreggiare e lasciò la presa, ritornando ad una distanza di sicurezza. Leliana rimase ad ascoltarlo con lo sguardo vacuo, e Cullen si chiese se non fosse troppo traumatizzata per capirlo, al momento. Poi, con un passo, si portò davanti all'Inquisitore, quasi in sua difesa.
«Abbiamo altro di cui occuparci rispetto a scaramucce e litigi. Se non facciamo qualcosa, non solo il Thedas, ma il mondo intero finirà nel caos.» Guardò Kassandre, e lei gli rimandò una smorfia di dolore. Tornò alla Capospia.
«Se dici qualcosa a qualcuno...» la sentì mormorare.
«Non ho intenzione di farlo.» La squadrò serio. Dopo pochi secondi, proseguì. «Entro il ballo troveremo l'Eroe. La porteremo qui e ci faremo spiegare in cosa consista questa Chiamata. Se non dovesse essere lei, dal Re in persona, a costo di rinchiuderlo in una stanza.» Leliana finalmente sembrò tornare a guardarlo, recuperando un minimo di lucidità. «Cercheremo di trovare una soluzione, con l'aiuto di Solas e Dorian. Non bastasse, chiederemo a Fiona. È l'unica in tutta la storia dei Custodi ad essere uscita dall'ordine senza risentire mai della corruzione, e sebbene non sappia come, di certo avrà delle teorie. Troveremo qualcosa. Faremo tutto il possibile.» assicurò. Si rivolse a Kassandre.
«Tutto bene?» le sussurrò.
«Si.»
Con una smorfia, Cullen osservò il graffio sanguinante sull'arcata del naso e la guancia, che iniziava a gonfiarlesi. Subito dopo, concentrò la sua attenzione di nuovo a Leliana. C'era una sola cosa che lui potesse fare, anche se avrebbe richiesto un sacrificio enorme da parte sua.
«Hai ancora il corvo col quale ti è stata mandata la lettera?» le chiese.
Lei annuì.
«Ti è stata mandata molto tempo fa?»
«No.»
«Bene. Allora lei potrebbe essere ancora nella stessa zona» constatò, rassegnato. Chiuse le palpebre con un sospiro. «Trova un tuo agente, mago, che sia esperto nella trasmutazione in volatile, e procurami un'ampolla col suo sangue. Preparali per il viaggio, lui e il corvo, ma fammi chiamare prima di mandarli. Dovranno volare assieme. È tutto.»
Dopodiché si voltò, poggiando la mano alla spalla di Kassandre.
«Andiamo. Ti accompagno a sistemarti.» L'Inquisitore annuì, e insieme iniziarono a scendere le scale, lasciando Leliana sola coi suoi pensieri.
In breve, la condusse nelle cucine dove parlottò col cuoco per poter avere un catino di neve fresca, una pentola d'acqua bollente e degli stracci puliti. La fece accomodare su una sedia lontano dal via vai dei lavoranti e, con smisurata pazienza, iniziò a raccogliere dal catino la neve in manciate, appallottolandola in una palla dura. La avvolse in uno straccio, poi gliela porse.
«Ecco. Tienila sulla guancia.» Il contatto con il freddo fece sobbalzare Kassandre, che sibilò tra i denti.
«Fa male, eh?» la guardò ironico. «Dev'essere stata una bella manata per stenderti a terra al primo colpo.»
«Quella donna è peggio di Corypheus» commentò l'Inquisitore, imbronciato. «Potrebbe affrontarlo e vincerebbe a suon di schiaffi. Perfino lui chiederebbe pietà» sorrise, espressione interrotta da un'altra smorfia di dolore.
«Stavolta Leliana ha esagerato» le rispose il Comandante, torvo, imbevendo nell'acqua bollente un pezzo di straccio per iniziarle a pulirle il graffio dal sangue e dagli sbavi. «Sta ferma» le intimò.
«Non ha esagerato, ha solo considerato che la tua faccia fosse più resistente della mia» sghignazzò lei, fino a quando non soffiò di nuovo al contatto della pezza sulla ferita.
«Ferma...» la tamponò, pulendola con cura per evitare potesse degenerare in un'infezione, e l'attimo dopo aveva finito. «Ecco fatto. Non è profonda, si rimarginerà da sola.» l'Inquisitore fece per portarci sopra una mano, ma la fermò. «Ah-ah» scosse la testa «lasciala stare, altrimenti farai più danni che altro.»
Lei gli rispose sbuffando, incrociando le braccia, mentre Cullen tornava a liberare il tavolo. Poggiò la pentola su un ripiano, il catino con la neve per terra accanto al tavolo e buttò gli stracci in un secchio. Poi si appoggiò al piano col busto, le braccia e le mani all'indietro e le gambe incrociate.
«Perché l'hai fatto?» le chiese.
«Fatto cosa?» lo guardò con aria incerta.
«Evitarmi lo schiaffo?» Kassandre alzò le spalle.
«Ho visto Leliana alzare la mano e...» storse la bocca. «...non lo so. Ho pensato che non fosse giusto. Così mi sono messa in mezzo.» Si guardò la punta delle scarpe, tentennando.
«E così, mi hai evitato di girare con una guancia gonfia per una settimana» Cullen la guardò, comprensivo. «E di fare una pessima figura con i miei uomini. Immagini? "Capitano, cosa le è successo?"» scimmiottò un soldato, facendo la voce grossa. «"Nulla soldato, sono stato soltanto travolto" "E da cosa, Signore?" "Da un pugno" "E come si chiamava questo pugno, Signore?" "Leliana!"»
L'Inquisitore rise assieme a lui della battuta idiota, ma non per molto. Lei lo guardò e in quel momento la sua espressione ridivenne seria.
«Preferirei che i miei consiglieri non alzassero le mani tra di loro.»
«Anch'io lo preferirei» alzò le spalle, incrociando le braccia a sua volta «ma sono cose che capitano e vanno gestite. Pensi che non sia mai successo?» alzò un sopracciglio, eloquente.
«Dimmi tu» le rispose lei.
«E va bene...» Il Comandante inspirò pesantemente. «Ti dirò una cosa che in pochi sanno: Cassandra gestisce molto male la sua rabbia. E intendo, in maniera davvero terribile. Ricordi quando ha tentato di prendere a pugni Varric?» Kass annuì. «Stava quasi scherzando, per i suoi standard. Non hai idea di quante volte l'abbiamo dovuta separare dai prigionieri, o dal nano. Cercava di dare la colpa a chiunque. Il Varco era in espansione e lei sembrava... fuori di sé» raccontò, sprofondato di nuovo tra le nevi di Haven. «Ma era solo disperazione. Non sapeva dove sbattere la testa. Quando ti trovammo, nei tre giorni nel quale rimasi senza coscienza, io e Leliana dovemmo fermarla dallo sfondare la porta della capanna di Solas e Adam.» "Altrimenti, non avrebbe nemmeno lasciato loro il tempo di curarti" pensò tristemente. Ma come poteva dirglielo?
«La paura...» prese tempo, guardando oltre, molto oltre la figura dell'Inquisitrice, la cucina e tutto il resto. «La paura può portare le persone a fare cose che non immagini. A fare sbagli enormi, a sacrificare più del dovuto. Ricorda Leliana, prima, o Alexius. Era solo... paura.»
Ricordò il sé stesso nelle condizioni più pietose, intrappolato nella torre di Redcliffe, rinchiuso in una gabbia magica da Uldred, colui che aveva corrotto i maghi del Circolo con la sua magia del sangue, i suoi demoni e le sue eresie. Ricordò come lo tenne tra gli ultimi, per essere torturato come gli altri prima di lui, e di come lo tormentasse con le visioni della maga di cui si era invaghito, all'epoca. Lei era caduta senza superare il suo Tormento ben prima che Uldred potesse ucciderla, ma questo perché era stata la sua spada a calare su di lei, la sua mano a privarla della vita mentre falliva nella prova e si afflosciava su sé stessa, per essere presto sostituita da un demone.
L'aveva sottratta al dolore, ma a quale prezzo? Il suo sangue gli aveva bagnato la faccia, ancora caldo, e non era più riuscito a levarsi di dosso quella sensazione.
Poi, erano arrivati l'Eroe e Alistair.

---
«Oh, um, c-ciao. Io... volevo solo augurarti buona fortuna per la prova.»
«Perché stai balbettando?»
«M-mi hanno scelto per accompagnarti, sai, se la prova dovesse... Non è niente di personale, lo giuro!»
«Stai tranquillo, so che non fallirò il mio Tormento.»
«Sei sempre stata così sicura... o almeno così ho sentito. Lo spero, mi hanno parlato dei Tormenti falliti e le conseguenze sono sempre state... spiacevoli.»
«Magari potremmo andare da qualche altra parte e continuare la discussione?»
«Sai che non sappiamo niente del tormento, solo gli altri maghi... oh, no, aspetta, cosa intendevi?»
«Ho visto come mi guardi...»
«Oh, per il Creatore. Se stai dicendo... penso... sarebbe veramente... inappropriato e... non potrei.»
«Cullen?»
«Io... scusa, d-devo andare»



«E là vidi la Nera Città, le sue torri per sempre macchiate, i suoi cancelli per sempre chiusi. Il Paradiso era stato riempito dal silenzio e seppi allora, e la consapevolezza attraversò il mio cuore con vergogna. Benedetti sono quelli che si ergono contro i corrotti e i malvagi e non vacillano. Benedetti sono coloro che mantengono la pace, i campioni dei giusti...»
Ombre si mossero dietro i suoi occhi chiusi, mentre pregava in ginocchio, le mani congiunte. La prigione in cui Uldred l'aveva rinchiuso restava inamovibile perfino davanti alle sue abilità da templare: troppo potere demoniaco, troppa poca magia. Come gli altri prima di lui aveva tentato di romperla, danneggiarla, disperderla e qualsiasi altra cosa gli venisse in mente. Tutto pur di uscire da quella gabbia in cui le illusioni si susseguivano, visioni di lei, di loro poco prima del suo Tormento. La sua mente stava cedendo, lo sapeva, era questione di tempo. Poco a poco, la realtà e l'inganno si mescolavano.
«Cullen?»
«Il primo dei Figli del Creatore guardò attraverso il Velo e crebbe geloso della vita che non poteva sentire né toccare. Nell'invidia più nera i demoni nacquero...»
«Cullen!»
«Questo trucco, ancora? So cosa sei. Non funzionerà. Resisterò...»
«Non mi riconosci?»
Lo sguardo dell'allora Templare Cullen si posò su Alistair, schiacciato contro i muri traslucidi della bolla che lo teneva separato dal resto del mondo.
«Ti riconosco, troppo bene... quanto devono aver scavato nei miei pensieri...»
L'Eroe si avvicinò, inginocchiandosi accanto al custode, osservandolo.
«Dev'essere esausto. E questa gabbia... non ho mai visto niente del genere.» Rachel lo guardò intensamente, spezzandogli il cuore già devastato. «Stai tranquillo, troveremo un modo per farti uscire.»
Cullen interruppe la preghiera, crollando verso il pavimento col capo tra le mani.
«Basta visioni. Se qualcosa in voi è ancora umano... uccidetemi adesso e fermate questo gioco. Avete preso gli altri, ma non avrete me... per il mio bene... per il loro...»
«Sta delirando. Dev'essere stato torturato... forse lasciato senza cibo né acqua. Non... non lo so» Alistair guardò supplicante l'Eroe. «Forse possiamo...» si allungò verso la gabbia.
«Non mi toccare! Stai lontano da me! Strisci tra i miei pensieri... tentandomi... usando la mia vergogna, la mia sciocca infatuazione per lei... una maga. Sono così stanco di questo gioco crudele... questi trucchi... questo...»
«Cullen, non è un trucco. Siamo qua per aiutarti!»
«Silenzio... non ascolterò le vostre parole.» Le sue dita si strinsero tra i capelli, e chiuse gli occhi. «Andatevene!»
Alistair, che fino a quel momento aveva tastato e cercato una falla nella gabbia, si fermò. Quando il templare tornò a guardarli, sembrò sorpreso.
«Ancora qui? Eppure ha sempre funzionato. Chiudo gli occhi, ma... quando li riapro... perchè non sparite?»
«Devi... Cullen, così non ci aiuti. Devi ascoltarmi» gli spiegò Alistair, la preoccupazione in volto. «Sai se c'è un modo di far saltare questa... cosa?» guardò la gabbia, provò a dargli un pugno, ma non servì a nulla.
«Rachel?» si rivolse allora il custode all'Eroe. Lei scosse la testa.
«Temo sia invalicabile, fino a quando non avremo trovato Uldred.» La notizia scosse così tanto il custode che la sua espressione si spezzò proprio come la sua voce.
«Ma...» Rachel mise una mano sulla spalla del compare, comprensiva. Poi si rivolse a lui.
«Sai dove si trovano Irving e gli altri maghi?»
«Quali altri? Di cosa stai parlando?» mormorò il templare.
«Di Irving, e degli altri maghi che stavano combattendo Uldred. Dove si trovano?»
«Oltre quella porta...» gliela indicò, in cima ad alcuni stretti gradini. Nel farlo, sbiancò. «Nella stanza del Tormento. Le voci che arrivavano da lì... oh, Creatore...»
«Dobbiamo sbrigarci» fece l'Eroe, rialzandosi. «O dubito riusciremo a tirarlo fuori da quella prigione. E gli altri, sono tutti in pericolo.»
«No!» urlò Cullen, disperato. «Non potete salvarli, non sapete cosa sono diventati!»
«Ma non possiamo semplicemente ucciderli tutti!» esclamò Alistair
«Non capite» rantolò il templare. «Sono stati circondati d-da maghi del sangue, dalle loro sordide dita... che strisciano nella tua mente e la corrompono.»
Alistair lo guardò, scuotendo il capo. Si rialzò a sua volta.
«Il suo odio per i maghi è così intenso... non dev'essere successo da molto. Se penso alla fine che debba aver visto fare ai suoi compagni...»
«Dovete...» lasciò ciondolare la testa verso terra, rivolgendo a loro solo un gesto verso la porta. «Dovete andare, ucciderli tutti. Tutti quanti. Prima che sia troppo tardi.»
«Non ucciderò nessuno che sia innocente» fù la risposta di Rachel.
«Ma non capisci?» Cullen, ormai sull'orlo della disperazione, picchiò entrambi i pugni per terra. «Se vuoi che tutto questo finisca, dovete essere sicuri che nessun abominio e mago del sangue rimanga in vita! Dovete uccidere chiunque troviate!»
«Preferisco risparmiare un Maleficarum che uccidere chi colpe non ha.»
«Grazie» gli fece eco Alistair, incrociando le braccia. «Sapevo che avresti preso una decisione razionale, una volta ogni tanto.» L'Eroe lo guardò di sbieco, sul punto di commentare, ma il templare intervenne.
«Razionale? Come può essere, questo, razionale? Non capite il pericolo?»
Alistair annuì.
«Lo comprendiamo. Io lo comprendo come templare, e anche tu dovresti. Giustizia non significa uccidere innocenti per un timore infondato. So che sei furioso-»
«Non sai niente! Lo dico per il futuro del Circolo. Per il Ferelden. Vorrei che vedeste la verità, che voi siete tanto ansiosi di ignorare. Ma cosa posso fare? Non posso fermarvi. Se solo potessi occuparmi dei maghi da solo...»
I due decisero di ignorarlo per il suo stesso bene, discutendo piuttosto tra loro.
«Alistair, dobbiamo lasciarlo qui. Ce ne occuperemo una volta sistemato Uldred.»
Alistar si abbandonò ad un lungo sospiro, osservando Cullen prima di annuire.
«Va bene. Ma facciamo in fretta. Non ho idea di cosa possa fare, se dovesse liberarsi e trovarsi dei maghi davanti al naso.»
«Allora andiamo. Non possiamo salvare tutti, ma dobbiamo almeno provarci.»
Alistair si prese un momento per riavvicinarsi alla gabbia.
«Cullen, noi... mi spiace. Torneremo presto, te lo prometto.»
Il templare lo guardò, ormai piangendo.
«Nessuno ascolta mai, non finché è troppo tardi. Che il Creatore abbia cura di voi. Spero la vostra compassione non ci abbia condannati tutti.»
---
«Cullen?» si sentì chiamare come da molto lontano, ma non si riscosse, non ancora. I suoi pensieri serpeggiavano anni addietro, soffermandosi sullo sciocco ragazzo che era stato, accecato dalla rabbia e dall'agonia, distrutto dal desiderio d'avere qualcosa d'impossibile. Le parole che aveva pronunciato... si era pentito, poi, d'aver insozzato il ricordo della maga che aveva conosciuto a quel modo. Ricordava lei, Alistair e l'Eroe, ancora come se fosse ieri, assieme al loro breve scambio che in realtà era durato molto più di quanto non avesse immaginato.
«Cullen!» Fù un attimo, e poi tornò lì, in piedi davanti a lei. Le mani gelide di Kassandre si erano posate sulle sue guance e lo stava guardando, occhi negli occhi. Si era alzata dalla sedia. La guardò stordito.
«Cullen, stavi...» lo scrutò con attenzione. «Dicevi cose senza senso. Stavi pregando.»
Stancamente, come fosse tornato da un lungo viaggio, il Comandante la guardò quasi non riconoscendola. Il lyrium, la mancanza... era iniziata solo come debolezza, ma adesso stava degenerando in sogni ad occhi aperti, dolorosi e confusi. E da qualche parte, sentiva di nuovo l'angoscia risalire.
«I-inquisitore» balbettò, rendendosi conto di essere ancora nella cucina, e non nella gabbia, imprigionato nella torre. «Sarà meglio... devo andare.»
La scansò, facendo per andarsene alla porta, ma lei lo trattenne.
«Aspetta, ti prego.» Gli afferrò la mano. «Sei pallido come la morte. Non puoi uscire così. Devi- hai almeno mangiato qualcosa, da ieri?» lo scrutò, improvvisamente indagatrice.
«Non si tratta di... oh, no. Mangio regolarmente.» Scosse la testa, rivolgendole uno sguardo che voleva essere rassicurante e che però non lo sembrava affatto. Rinnovate occhiaie gli scavavano gli occhi. «Ho solo bisogno di prendere una boccata d'aria.»
«È per qualcosa che ho detto?» proseguì lei, decisa. «Se lo fosse, ti basterebbe dirmelo, non avrei-»
Lui le sorrise.
«Sto bene» assicurò. Kassandre si zittì, ma non smise di guardarlo. Poi l'Inquisitore abbassò gli occhi e Cullen si sentì in colpa.
«Davvero, va tutto bene» tentò di rasserenarla. Se aveva avuto successo o no, non avrebbe saputo dirlo, ma in ogni caso Kassandre sembrò crederci o fece finta di farlo, e annuì. Cullen sospirò.
«Mi dispiace di essermi interrotto così bruscamente» si grattò il collo, a disagio. «Ora... vado. Ti manderò a chiamare quando Leliana avrà finito di organizzare tutto.»
L'Inquisitore gli rivolse un'espressione interrogativa.
«Mi servirebbe il tuo aiuto.»
La vide distogliere gli occhi, e annuire.
«Va bene» rispose, lasciando la presa sulla sua mano. Il Comandante la salutò con un ultimo cenno, ma quando si voltò, sul ciglio della porta, lei non lo guardava. Fissava il tavolo, seduta, l'involto di neve di nuovo sulla guancia e l'aria assente.
In quel momento, si odiò terribilmente.
 
Ed ecco anche il quarto capitolo, che fa la sua comparsa con conseguenze e fatti molto più "gravi" che non nei precedenti. Spero di essere riuscita ad approfondire ulteriormente il filo conduttore della storia e aver mostrato alcune cose che a mio parere, se inserite nel videogioco originale, poteva risultare molto interessanti. Essendo che tutta la storia è frutto di un misto tra i fatti che accadono in Inquisition e le mie idee di come questi potessero svilupparsi poi, il mischione potrebbe risultare spiazzante, ma non intendo fermarmi ora! xD
Tra l'altro (a questo ci tengo in maniera particolare), anche se ripreso molto fedelmente da Origins, il pezzo nella torre di Redcliffe è uno dei miei preferiti assieme alle conseguenze che ha portato al nostro personaggio principale, Cullen. Pensare che quel singolo fatto abbia pesato per la bellezza di due giochi e riuscire poi ad esporlo, spero bene, in questa fan fiction è una piccola vittoria narrativa per me <3
Non vi rompo ulteriormente! Prima di tutto - ormai è d'obbligo - scusatemi d'anticipo per gli errori, ormai ho rinunciato a correzioni più approfondite del tasto "trova e sostituisci" di openword, laddove non trovo per pura fortuna qualche refuso frutto della mia vente perversa (e delle mie mani congelate, maledetto riscaldamento al lavoro)T_T detto questo, qualsiasi cosa vogliate scrivermi, che siano consigli, istruzioni per l'uso, ulteriori minacce di morte (si, ne ricevo ogni tanto, ma sono perlopiù da parte dei non-lettori, che strano xD) o biglietti d'auguri, sappiate come sempre che i vostri commenti sono graditissimi, che mi aiutano in continuazione a migliorare e che sarò felicissima di leggerli *_*
Al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 5
*** Che il suo nome sia ***


Ci vollero due giorni prima di trovare un mago abbastanza preparato da poter sopportare una lunga trasmutazione in corvo senza perdere memoria o cognizione di sé stesso. Quella particolare branca della magia non era mai stata trattata doverosamente nei circoli, e spesso solo gli eretici o i ribelli la usavano, ma chiusero un occhio purché uno di questi sapesse fare il suo lavoro, non senza svariate lamentele da parte di Cassandra. Non appena fatto arrivare a Skyhold il mago, Leliana organizzò i preparativi necessari. Cullen venne informato solo nel pomeriggio quando, tra una scartoffia e l'altra, la porta si aprì sbattendo e una saetta a forma di donna entrò a passo pesante, facendo quasi tremare il pavimento di legno.
«Hanno portato qui un eretico, Cullen» Cassandra sbatté le mani sulla sua scrivania, mentre lui le dedicava a malapena un saluto, immerso nell'ennesima richiesta di intervento sui demoni che giravano liberi in alcune zone del Ferelden. «Un eretico, in un posto già gremito di maghi ribelli. Ti sembra appropriato? Leliana non avrebbe dovuto-»
«Sono stato io, infatti» la interruppe, piatto. Tornò lentamente alla scrivania, i movimenti intorpiditi. Firmò velocemente il foglio, aggiunse il numero di soldati da assegnare all'operazione e poi guardò la Cercatrice.
«Non proprio una buona idea. Perché l'avresti fatto?» gli chiese la donna. «Con i rischi che corriamo anche uno è troppo pericoloso. Dovresti saperlo meglio di me, senza templari possono eludere qualsiasi tipo di controllo, e di templari a Skyhold semplicemente non ne abbiamo! Chi si prenderà la responsabilità, se qualcuno dovesse usare la magia del sangue? Abbiamo già Solas che il Creatore sa solo cosa faccia la notte, con i suoi esperimenti sull'Oblio e scempiaggini simili. Non abbiamo alcuna sicurezza che...» Cassandra si interruppe quando notò lo sguardo velato di Cullen.
«Oh, no» scosse la testa con rabbia «No, no, no.»
Fece il giro della scrivania, lo afferrò per entrambe le braccia e con una forza straordinaria lo mise seduto sulla sedia dietro di lui. Iniziò a scuoterlo violentemente.
«Non me la farai di nuovo, non qui. Svegliati» alzò la voce e lo scosse con maggiore forza, ma non ottenne risposta. «Cullen, dovunque tu sia, mi servi qui adesso. Non ti permetterò di stare a dormire proprio ora» proseguì, prendendogli il viso con entrambe le mani. Il Comandante continuò a rimanere dov'era, catalettico. Cassandra lo mollò, indietreggiò di due passi e prese la mira.
«Bene, scordiamoci le buone maniere allora.» La Cercatrice si tolse un guanto, fece un passo avanti e gli tirò un ceffone con rincorsa.
L'urto lo mandò quasi a cadere a lato della sedia, a cui riuscì a tenersi aggrappato per un soffio. Senza respiro, l'espressione piegata in una "O" di dolore e le palpebre strizzate, Cullen iniziò a immettere aria nei polmoni solo una decina di secondi dopo, di nuovo del tutto presente.
«Per il Creatore...» inspirò pesantemente dalla bocca, massaggiandosi la mascella. Poi guardò Cassandra, impaziente, di nuovo ingobbita sulla scrivania.
«Grazie» le disse, serio. Lei lo guardò più torva in risposta, battendo ritmicamente un piede per terra.
«Stavamo dicendo?»
«Ho detto io a Leliana di cercare qualcuno che padroneggiasse la scuola di trasmutazione.» Lei alzò un sopracciglio.
«E quindi serviva proprio un eretico?»
«Ringrazia che non abbia fatto chiamare un altro eretico» fece lui, rialzandosi piano, riferendosi ovviamente ad Anders. Avrebbe dovuto essere alla frutta per cercare chi aveva causato l'esplosione della Chiesa di Kirkwall.
«Mph.» commentò lei. «E a cosa ti servirebbe?»
«Ci aiuterà a rintracciare l'Eroe. Abbiamo un corvo che potrebbe portarci alla sua posizione attuale.»
«Capisco. Lo farai volare. È... una possibilità interessante. Ma non dobbiamo assolutamente sottovalutare i rischi.»
Il Comandante annuì alla donna, serbando per sé le intenzioni che lo muovevano davvero: voleva evitare di venire inseguito dalla Cercatrice per metà del castello, nel tentativo di spiegarle che era necessario quello che stava per fare. E anche se si era affidato a lei per un giudizio insindacabile sul proprio stato mentale, qualora i problemi fossero aumentati, rimaneva testardamente convinto della propria idea.
«È già molto che questo eretico ci voglia aiutare, Cassandra. Dopo Solas e Dorian, sei ancora pronta a mettere in discussione la buona volontà di chi ci porge una mano?»
«Se si tratta di un mago, decisamente.»
Cullen sbuffò.
«Comunque, Leliana mi ha mandato per riferire che i preparativi sono pronti. Di qualsiasi preparativi si trattino» gli riferì Cassandra, cupa, incrociando le braccia.
«L'Inquisitore?» le chiese.
«Non so cosa tu le abbia detto, ma quando l'ha saputo si è diretta subito alle voliere.»
«Molto bene» sospirò lui.
«Cullen?» la voce di Cassandra si fece più dura del solito. «Cosa le è successo? Si è presentata ieri al concilio con una guancia nera.» Il Comandante ingollò un groppo amaro.
«Leliana.»
«Stavolta l'Usignolo ha volato troppo in alto?» fece, pensierosa. «Ora capisco perché la osservava con quello sguardo... colpevole» .
«In realtà è stata colpa mia» si affrettò ad aggiungere Cullen. «Ho tirato troppo la corda sull'Eroe e l'Inquisitore c'è andata di mezzo. Non sa come sia abituato a prendere ceffoni da te, solitamente» sogghignò. Ovviamente le aveva mentito sulle reali motivazioni del loro litigio.
«Non sarà perché forse te li meriti?» gli sorrise Cassandra, alzando una mano.
«Forse. Sempre convinta possa continuare a lavorare?»
Il Comandante la guardò, improvvisamente serio. Lei si voltò e si avviò alla porta.
«Farò finta di non averti sentito» dichiarò la Cercatrice, prima di andarsene.
Nel silenzio della stanza, calato improvvisamente, Cullen rimase a guardare per attimi la porta che Cassandra si era chiusa alle spalle. Poco dopo, spostò lentamente lo sguardo ad una delle librerie, dove nascosta alla vista dietro molti volumi, lui sapeva c'era l'ultima scorta di lyrium che gli era stata data prima se ne andasse, racchiusa in una scatoletta di legno intagliato. L'ultima speranza, o l'ennesimo passo verso la sua dannazione? Cassandra lo riteneva ancora capace di gestire le truppe.
"E questo", si disse, "mi deve bastare." Uscì dalla torre, e nervosamente si diresse alle voliere.
Era ormai da quando l'aveva vista in cucina, che Cullen non incontrava l'Inquisitore: dopo quel fatto era stato sommerso da tanto lavoro che aveva dovuto saltare gli incontri già programmati col Concilio di Guerra per riuscire a svolgerlo tutto. Da ogni parte del mondo conosciuto arrivavano preghiere d'aiuto, contrattazioni, richieste di riparazioni e molto altro, tutte conseguenze di quello che i demoni e gli squarci da cui apparivano lasciavano dietro di sé - solo distruzione e morte, fondamentalmente. Dove poteva, in quanto responsabile delle forze militari, si occupava di smistare gli agenti e le truppe a disposizione dislocandole dove era meglio agire con tempestività, fosse per ricostruire un ponte di collegamento o dare la caccia a un gruppo di banditi approfittatosi del caos. E oltre a quello, la minaccia dei Venatori, i fanatici di Corypheus pronti a venerarlo come un Dio, diveniva sempre più reale e vicina: non c'era giorno che non udisse notizie a proposito, scritte nelle missive inviate dai vari avamposti che stavano piantando qua e là, coprendo tatticamente l'avanzata dell'Inquisitore e del suo gruppo, o nelle lettere di Dorian, che si affannava senza sosta nella ricerca sui libri della biblioteca nel tentativo di trovare qualcosa, qualsiasi cosa screditasse ogni giorno di più l'aria di invulnerabilità del loro nemico.
Ma la domanda restava quanto fosse davvero vulnerabile Corypheus, e quanto forte il potere dell'Inquisizione: avevano ancora troppi pochi consensi, anche se ogni giorno in aumento, per attaccare direttamente l'antico Magister che osava comandare i templari a bacchetta, trasformandone centinaia ogni giorno in mostri. Guidati da quel pazzo di Samson, lavoravano senza sosta per bonificare aree e trovare nuove cave di lyrium rosso mentre loro arrivavano per eliminarli e chiuderle, salvando come sempre solo pochi degli abitanti delle città vicine, rapiti dalle loro case per lavorare come schiavi. Pochi perché, come avevano scoperto, bastava respirare un soffio della polvere di quel lyrium per attuare una trasformazione che rare persone erano in grado di controllare senza un demone alla supervisione. I templari ne erano capaci, grazie alle doti loro insegnate dalla Chiesa, nonostante questo non gli impedisse di diventare pedine nel gioco di Corypheus. Gli altri... i rapporti parlavano di corpi sventrati dai cristalli e di sagome calcificate, lacerate e brucianti, in cui restavano ossa e brandelli di carne. Statue, come quella che aveva lasciato di sé l'Alto-Comandante Meredith dopo che il potere del lyrium l'aveva consumata.
Arrivò alla voliera frustrato come mai prima di allora, sentendo la gola stringersi al pensiero di ciò che doveva fare, specialmente coinvolgendo l'Inquisitore. Quando aprì la porta alla fine della rampa di gradini, trovò ad accoglierlo Leliana, già pronta, assieme all'Inquisitore e al mago che si strinse un pugno chiuso sul cuore, salutandolo.
«Capospia. I...» fece un cenno verso di loro, esitando quando vide Kassandre tentare un debole sorriso, metà della faccia coperta da un grosso ematoma violaceo.
«Inquisitore.» Gli si strinse il cuore, e guardando la Capospia distogliere lo sguardo da lui, seppe che anche per Leliana era così. Poi si rivolse all'uomo. «Sei tu l'esperto di trasmutazione?»
«Si. Mi chiamo Elmer.» Gli occhi dell'uomo, insolitamente viola come ametiste e affilati come rasoi, si soffermarono su di lui. «E voi siete il Comandante Cullen, mi è stato detto. Mi avete fatto chiamare per trovare l'Eroe del Ferelden. In che modo?»
«Sorella Usignolo vi ha preso l'ampolla di sangue che avevo richiesto?» si riferiva a Leliana, con l'ennesimo dei soprannomi con cui era conosciuta. Leliana annuì, mentre l'altro rispondeva.
«Si, e la cosa non ha alimentato la mia fiducia nel vostro operato, nonostante abbiate accolto senza pensarci due volte molti maghi, lealisti o ribelli, scappati dalle loro terre. Cosa intendete farne di preciso?» Elmer lo guardò sospettoso, e Cullen provò di nuovo quel profondo odio che l'aveva alimentato per anni. I maghi come lui, col potere in punta di dita e pronti ad usarlo senza criterio, non gli piacevano. Represse comunque questi sentimenti, poiché il mago in questione serviva loro, e cercò di essere il più sincero possibile.
«Intendo farne un filatterio.» Gli occhi di Leliana si puntarono verso di lui, sorpresi, e quelli dell'Inquisitore sbalorditi. Quelli del mago invece divennero minacciosi.
«Se intendete legarmi ai vostri comodi-» incurvò la schiena, probabilmente pronto a scattare per attaccare o scappare, ma Cullen scosse la testa, le mani conserte.
«Affatto» rispose con semplicità. L'altro rimase in silenzio, guardando a destra e sinistra come un animale braccato. Lui proseguì. «Non intendiamo fare ciò che credi. Noi... non siamo la Chiesa.»
«Allora, sentiamo.» Elmer non intendeva perdere l'occasione di ascoltarli né quella di fulminarli, o mandare a fuoco loro e la voliera, questo lo capì. Aveva l'aria di una persona a cui piaceva vincere, e mai facilmente. Il Comandante si schiarì la voce, cercando di essere il più chiaro e breve possibile.
«Sai che ti invieremo a seguire un corvo. Al momento, quel corvo è l'unico a sapere dove si trovi l'Eroe del Ferelden.» Gli occhi ametista si illuminarono. «Ci serve trovarla al più presto: se ti mandassimo col compito di tornare, il tempo del tuo viaggio le permetterebbe di spostarsi facilmente e farci perdere le sue tracce. Invece, dovrai rimanere. Seguirla e tenerla d'occhio. Il filatterio servirà ai nostri agenti da bussola per trovarvi.»
«E una volta che ci avrete trovato?» Elmer si era lentamente rimesso composto, ma non aveva perso il tono intimidatorio.
«Una volta trovati e condotti a Skyhold, il filatterio resterà nelle tue mani. Potrai romperlo ed essere libero di andartene o rimanere, come preferirai.» Le sue parole suscitarono di nuovo le occhiate di tutti, specialmente quelle sospettose di Elmer, ma dopo un lungo ponderare l'uomo annuì.
«Ho la vostra parola?» Fu a questo punto che l'Inquisitore intervenne, fulminando Cullen con lo sguardo.
«Hai la mia, e quella dell'intera Inquisizione» appurò, con un tono che non ammetteva repliche.
«Allora possiamo cominciare» constatò il mago.
Cullen stese la mano, e Leliana gli portò l'ampolla. L'Inquisitore si avvicinò a lui.
«Era per questo che mi hai invitato?» gli sibilò, a bassa voce. «Perché ti servivo a legare un altro mago?»
«Preferivi avessi chiesto a Vivienne, o a Dorian? Tanto per peggiorare ancora la reputazione di cui godono?» le chiese, cercando di mantenere una calma che in realtà non aveva. Gli bastava guardarla, col viso per metà gonfio e annerito dal segno dello schiaffo, perché dentro di lui si scatenasse un tumulto che non poteva permettersi di mostrare. Sapeva che Leliana non ne aveva colpa: era solo lui, la causa. Sempre lui. «Questo non è un gioco, Inquisitore. L'Eroe è in pericolo. Se il prezzo da pagare è il tuo disprezzo, allora va bene.»
Lei fece un verso strozzato, come se le fosse rimasto qualcosa in gola. Evidentemente, a guardarla, non se l'aspettava. Nel frattempo Leliana aveva messo l'ampolla tra le sue mani: la osservarono in due, mentre il Comandante si toglieva un guanto e la prendeva delicatamente per il collo, aprendovi una mano sopra ed iniziando a concentrarsi per esercitare le sue abilità da templare.
«Dobbiamo farlo in due» si rivolse a Kassandre, mettendo il contenitore al centro, esattamente tra i loro corpi. «Servono un mago e un templare per creare un filatterio. Infondi la tua magia nell'ampolla, io penserò al resto.» L'Inquisitore rimase un attimo incerta, poi annuì. Pose la mano destra poco sopra la sua, e il bagliore verde che ne scaturì si mescolò a quello proveniente dal suo palmo, di un luminoso azzurro. Gocce di sudore freddo iniziarono a colargli lungo il collo, mentre richiamava il Canto della Trasfigurazione alla mente, uno dei molti che aveva imparato a recitare quando era giunto per lui il momento di prendere i voti. Quante volte aveva fatto quell'operazione, al circolo di Redcliffe? Svariate. Per molti maghi e anche per... lei. Ma sempre sostenuto dall'intrinseco potere del lyrium, e mai con le sue sole forze, il ché rendeva le circostanze più incerte.
«Molti sono coloro che vivono nel peccato, disperandosi di essere persi per sempre. Ma chi si pente, chi ha fede, non scosso dall'oscurità del mondo, e che non si vanta né si attarda sulle sfortune dei deboli, ma trova piacere nella legge del Creatore e nelle sue creazioni, lui tra tutti trovi la pace nella sua benedizione.»
Senti lo sguardo dell'Inquisitore su di sé, ma non distolse l'attenzione dall'ampolla. Il contenuto, scuro e denso, aveva iniziato a vorticare lentamente creando un piccolo avvallamento al suo interno. La luce proveniente dalla sua mano si intensificò, e così anche quella della ragazza.
«La luce lo guidi, attraverso i sentieri di questo mondo e dell'altro. Per colui che crede nel Creatore, il fuoco è acqua. Come le falene che vedono la luce e si dirigono attraverso la fiamma, egli possa vedere la fiamma e andare verso la luce.»
L'avvallamento si fece più profondo, il sangue vorticò con maggior rapidità sulle pareti del contenitore. L'operazione stava iniziando a prosciugarlo delle energie e si sentiva le gambe deboli, molli, ma il Comandante non si mosse. Socchiuse gli occhi alla luce sempre più intensa, e proseguì.
«Il Velo non gli presenti alcuna incertezza, e non conosca paura o morte. Per il creatore, possa egli essere faro e scudo, creazione e spada.» Ed ecco giungere il momento.
«Mago, pronuncia il tuo nome.»
«Elmer Amell» sentì pronunciare dall'uomo, alle sue spalle. Cullen annuì, gli occhi che si chiudevano da soli.
«Che il suo nome sia: Elmer, Amell.»
Tutto ciò che era tremò al completamento di quel vincolo, siglato da un'esplosione di luce. La sua coscienza vacillò, così come i suoi piedi, e la sete di lyrium gli contorse l'anima, torcendola, graffiandola, mordendola come mai aveva fatto prima d'ora, dolorosamente viva, profonda come una ferita al petto. Stordito, trovò la forza necessaria per consegnare l'ampolla a Kassandre, costringendo la sua mano attorno al vetro. Fu allora che le ginocchia gli cedettero: fece per vacillare e cadere, ma un braccio lo sostenne, e poi un corpo. Si appoggiò a quello, rantolando, e quando gli occhi ripresero il loro normale funzionamento scoprì che era quello dell'Inquisitore.
«Cullen?» la sentì domandare col viso immerso nel pelo della sua tunica. Cercò di riguadagnare la stabilità per non gravarle addosso, senza successo, e sentì che il proprio peso la stava schiacciando. Fortunatamente, alle sue spalle due mani intervennero, e lentamente aiutarono l'Inquisitore a calarlo in ginocchio sul pavimento. Il Comandante ansimò, pallido come solo uno straccio slavato poteva esserlo, poggiando le mani a terra.
«Non so cos'abbia» commentò la voce di Leliana alle sue spalle. Lontano, a qualche metro di distanza da loro, poteva ancora vedere Elmer guardarli coi pugni chiusi lungo i fianchi, non intenzionato a ferirli ma pronto a reagire.
«È solo...» Cullen inspirò avidamente aria nei polmoni, alzando un dito per dire loro di aspettare. Tossì prepotentemente «È solo stanchezza.» Con un gesto, tentò di cacciare via entrambe, scrollandosele di dosso.
«Andate. L'Inquisitore ha la fiala. Leliana, dalla al tuo agente migliore.» Tirò di nuovo il fiato, ma le due non sembrarono prestargli attenzione, non nel modo che chiedeva.
«È... normale?» chiese la Capospia.
«Non credo. O perlomeno, il templare che aveva vincolato il mio filatterio non mi sembrava così debilitato.»
«Ah, il circolo di Ostwick. Quasi non ricordavo venissi da lì» commentò brevemente Leliana. «Pensi che dovremmo portarlo da Solas?»
Elmer, in lontananza, batté il piede nervosamente sul pavimento.
«Ma le avete le orecchie?» Cullen, frustrato, alzò lo sguardo su di loro. «Dovete farli partire. Ora.»
Si portò una mano al petto mentre respirava concitato, cercando di frenare un cuore che sembrava battere per scavarsi una via fuori dal torace.
«Ha ragione.» L'Inquisitrice, con cautela, tese l'ampolla a Leliana che l'afferrò con delicatezza. «Fai volare il corvo. Elmer, sei pronto?»
«Si, Inquisitore» rispose il mago, osservando il bagliore soffuso del filatterio che reagiva alla sua presenza. Fece un gesto, e il momento dopo, con uno schiocco secco, un corvo gracchiava e zampettava al suo posto. La Capospia si diresse a liberare l'altro: lo tenne per le raspe portandolo alla finestra e lo lanciò nell'aria. Elmer partì, e insieme volarono nei cieli di Skyhold, volteggiando.
Sicura fossero ormai lontani, Leliana si spostò verso Cullen, ma venne interrotta da quest'ultimo.
«Vai» le disse in un soffio, la voce più roca di prima. «Consegna il filatterio.»
«Ma-» gli occhi azzurri di Leliana si soffermarono su di loro. «Kassandre?»
«Ce la faccio, non preoccuparti; dammi solo un minuto e saremo nei miei alloggi.»
La Capospia annuì, prima di correre fuori dalla porta e giù dalle scale. L'Inquisitore invece pose la mano sulla schiena del Comandante, e un lieve bagliore illuminò di nuovo la sua mano.
«Cosa stai-?» fece per ribattere Cullen, zittito immediatamente.
«Taci. Ti allevio l'affanno.» gli riferì, accigliata. Il silenzio calò su di loro dopo qualche attimo, interrotto di nuovo dalla sua voce. «Per le mutande di Andraste, cosa ti è preso?»
«Eh?»
«Non potevi dirmi quello che volevi fare? Ti sembrava tanto una cattiva idea?»
Lui fece per parlare, tra l'altro per farle notare che "per le mutande di Andraste" era una bestemmia bella e buona, ma riuscì solo a gorgogliare qualche parola confusa.
«Lascia perdere. Me lo dirai dopo» borbottò lei, cessando la magia. Si fece scivolare il suo braccio sulle spalle e gli allacciò il proprio al busto. «Ora ci alziamo al mio tre. Uno... due... tre.»
Finalmente, Cullen trovò abbastanza forze per spingersi sui propri piedi e reggersi, e a quel modo per lei fu più facile trascinarlo per le scale. Un gradino dopo l'altro, arrivarono al salone e poi lo attraversarono lungo un vasto corridoio, fino ad arrivare al lato opposto e alla porta degli alloggi della giovane. Spinta quella, insieme entrarono nelle stanze, dove lei lo mollò sul letto non tanto delicatamente quanto aveva fatto lui solo poche sere prima.
«Ecco fatto» Lo aiutò a risistemarsi meglio verso la testiera e poi gli si sedette accanto, mentre entrambi riprendevano fiato. «Adesso...» disse ansante. «Adesso dovresti levarti l'armatura. Ce la fai o vuoi una mano?»
«Una mano sarebbe meglio.» Cullen si schiarì la poca voce che aveva, al momento, e iniziò ad arrabattarsi con la tunica per liberarsene. Kassandre lo aiutò a sfilarla, poi a sganciare le cinghie che tenevano il metallo fermamente saldo sul fianco e sulla sua spalla. Con un breve sforzo, una volta slegato il torace, il Comandante se la sfilò dalla testa, lasciandola ricadere con un tonfo sul pavimento accanto al letto. Si tolse velocemente anche bracciali e gambali, e la spessa maglia di lana follata imbottita che gli faceva da gambeson, sentendo l'affanno migliorare notevolmente e il respiro tornare regolare. Solo una volta levato l'armamentario si accorse di non avere addosso nient'altro che una camicia di lino leggera, oltre ai calzoni e agli stivali alti fino al ginocchio. In tutta onestà, era troppo stanco per curarsene veramente, di quello e del freddo, non certo come qualcun'altro che lo guardò incuriosito da capo a piedi.
«Va meglio?»
«Decisamente» rispose, finalmente prendendo un profondo respiro. Sentì la stanchezza invadergli le membra, e poggiò il capo all'indietro sull'alta testiera di legno del letto inquisitoriale guardandola con le palpebre appena socchiuse.
«Che c'è?» le chiese.
L'Inquisitore abbassò gli occhi, portandosi dietro l'orecchio una ciocca di capelli neri come il carbone.
«Credo sia meglio non parlare della tua brillante idea» gli rispose con mezzo sorriso, trattenuto dalla guancia gonfia.«Almeno non finché non ti posso gonfiare come una zampogna.»
«Ah, davvero?» mormorò Cullen. Senza la protezione di tutti gli strati al di sotto del metallo, il freddo iniziava a filtrargli nelle carni. Si strofinò un braccio con la mano. «Vorresti prendermi a pugni?»
«Certo che si. Sei uno dei miei consiglieri, e nonostante questo mi hai informato a malapena delle tue intenzioni.»
«È stata una trovata... improvvisa» cercò di mitigare lui, mentre Kassandre lo guardava con disapprovazione, incrociando le braccia ben alte sul seno.
«Hai avuto due giorni di tempo per dirmelo, quelli che Leliana ci ha messo a trovare il mago. E fosse stata improvvisa, non le avresti chiesto fin dall'inizio l'ampolla.»
«Va bene, ho mancato. Perdonami.» Cullen alzò le braccia, rassegnandosi a lei. «Anche se, a mia discolpa, non ero davvero sicuro di volerlo fare. Non fino all'ultimo.» La osservò stancamente, con l'aria afflitta nel vederle il viso segnato a quel modo. Era, pensò, ugualmente bella.
L'Inquisitore, si disse con uno sbuffo. Le avrebbe voluto nascondere la verità sul suo stato di affidabilità mentale per sempre, nonostante corpo e mente iniziassero a cedere come accadeva a tutti i templari senza lyrium. Cassandra continuava a ripetergli che stava ancora bene, e che era forse l'unico in grado di superare l'assuefazione con la propria forza di volontà. Che adesso stava giungendo il momento in cui avrebbe potuto liberarsene per sempre. Cullen lo sperava, e lottava con ogni fibra del proprio corpo ogni volta che la sete tornava, esasperante. Guardava la scatola dietro la libreria, a volte persino aprendola, ma resisteva. Ma dopo oggi? Avrebbe voluto sapere il parere della Cercatrice, quando sarebbe sicuramente marciata da lui per prenderlo per il collo a causa della sua pazzia.
Per fortuna, sembrava almeno che l'Inquisitore e Leliana si fossero bevute la storia del malore causato dalla stanchezza per il momento, il ché poteva essere effettivamente vero, in parte, considerato lavorava continuamente e senza sosta per l'Inquisizione. Ma prima o poi anche loro sarebbero venute a saperlo, in un modo o nell'altro, e allora... allora, non lo sapeva.
«Hey!» Una coperta gli arrivò sulla testa e poi un'altra. Sentì Kassandre ridere, mentre gliele spostava dalla faccia posandogliele meglio attorno. La giovane fece il giro del letto, stendendosi al suo fianco.
«Ti stavi addormentando» alzò le spalle lei, il gomito piantato nel materasso. «Se vuoi stenderti non è un problema. Legare quel filatterio deve averti spossato.»
«Forse sarebbe meglio...» Cullen fece per alzarsi, ma lei gli prese la mano.
«Andiamo, mi hai trascinato in questo stesso letto in condizioni peggiori appena due giorni fa. Non è niente di scandaloso, e un po' di riposo non potrà farti male.»
Il Comandante la guardò dubbioso, ma alla fine cedette, sospirando. Si calò nelle coperte e poggiò la testa sui cuscini odorosi della malva e della lavanda che le lavoranti lasciavano nelle tasche della stoffa, per mantenerli freschi e profumati. Aveva l'impressione che se solo avesse provato a muoversi di lì sarebbe crollato a terra addormentato. L'Inquisitore fece la stessa cosa, sopra le coperte, sistemandosi meglio a sua volta. Rimase a guardarlo finché non si fu assopito e inavvertitamente, qualche minuto dopo, si addormentò lei stessa.

Quando Leliana li trovò, era ormai passata quasi un'ora dalla partenza di Elmer con l'altro corvo, diretto a recapitare un "falso" messaggio di Leliana all'Eroe. Aveva consegnato il filatterio all'esploratrice Harding, dotandola del cavallo più veloce delle scuderie e facendola accompagnare da uno dei soldati di Cullen, il migliore che avesse potuto trovare in quel momento, in modo da darle una notevole protezione qualora la missione si fosse presentata più fitta di ostacoli di quanto previsto. Quella nana era una delle più esperte avanguardie delle sue spie, e beneficiata dalla statura ridotta e da un'insolita natura silenziosa - vedendo i nani di Orzammar, o Varric, era facile dimenticare potessero anche stare zitti - l'aveva trovata perfetta per il compito da portare a termine. Giusto per completezza, dopo averle consegnato il filatterio, le aveva dato una descrizione generale delle fattezze dell'Eroe, almeno per quanto ricordava, e del loro mago. Qualora li avesse trovati, era sicura avrebbe escogitato un modo efficace per catturarli, con o senza l'aiuto del mago inviato. Era una mente brillante, Harding, e competente. Le aveva affidato le redini in mano, e senza indugio erano partiti seguendo la luminescenza rossastra del filatterio, nella direzione in cui sembrava pulsare più forte.
Occupatasi dei suoi doveri, si era poi diretta lentamente verso gli alloggi dell'Inquisitore, rimuginando. La storia di Cullen gli sapeva di bruciato, e anche se non aveva mai visto direttamente un templare (nel suo caso, ex-templare) compiere il rito di vincolo, le parole di Kassandre erano state molto chiare. D'altronde, le sue fonti affidabili gli avevano riferito che il Comandante non prendeva più lyrium da almeno due anni, e proprio quel pomeriggio l'aveva visto usare un'abilità chiaramente legata al consumo della sostanza, con grande difficoltà. Tutto questo la portava ad un'unica conclusione, se si affidava ai propri ricordi.
Anche Alistair a suo tempo, quand'erano ancora solo lei, il custode e l'Eroe, aveva fatto uso di abilità da templare senza mai toccare il lyrium. Durante una notte al campo, Leliana, che allora era solo Sorella Leliana, gli aveva chiesto in che modo potesse impiegare il suo particolare potere senza farne uso: Alistair, mai troppo timido di raccontare la sua vita, le aveva risposto che quello che si imparava nell'ordine era per sempre, a prescindere dall'uso di una sostanza, e più legato alla propria fede che non ad altro.
«Allora» gli aveva chiesto «hai ancora fede nel Creatore?» Il custode aveva alzato le spalle.
«Non lo so. Ma forse, qualcosa... qualcosa ci dev'essere.» Aveva guardato la tenda dell'Eroe e sospirato. «Altrimenti perché, i Custodi Grigi? L'arma contro il Flagello? Non lo so» ripeté. «Forse non ho fede nel Creatore. Ma ho fede in noi.»
Quelle parole ancora risuonavano nelle sue orecchie come lo scoppiettio di una viva fiamma.
"Ho fede in noi" le aveva detto un ancora giovanissimo Alistair, seduto davanti al falò del campo. E adesso, era lei quella messa alla prova, Leliana quella a dover aver fede nel loro progetto e nell'Inquisizione che lei e Cassandra avevano creato.
Sovrappensiero, aveva aperto la porta delle stanze di Kassandre. Era salita per i pochi gradini, tenendosi alla ringhiera, e aveva osservato il vasto spazio che si allargava davanti ai suoi occhi. La prima cosa che aveva notato erano le vetrate lucenti di rosso, l'ultimo calore del sole infuocato che calava tra le nubi, aldilà della loro portata. La vista le aveva mozzato il respiro nella sua indescrivibile, delicata bellezza, ed era rimasta ad ammirarla in riverente silenzio. Solo in seguito notò il letto, e i due stesi sopra. Un sorriso le si allargò in volto mentre le sue iridi chiare scorrevano sull'Inquisitore addormentata, rannicchiata come e più di quanto credesse possibile per una persona, e Cullen accanto, appallottolato nelle coperte. Entrambi toccati dagli ultimi raggi riflessi da un'armatura buttata per terra poco distante. Talmente perfetti da non poterli svegliare, nemmeno se avesse voluto.
Nella quiete più totale, Leliana si diresse alla scrivania. Scarabocchiò qualcosa con una penna su un pezzo di carta, e lo portò senza fare alcun rumore vicino a loro, poggiandolo sul comodino di Kassandre.
Con un'ultima occhiata, li guardò, cercando di assorbire il più possibile di quella bellezza: si soffermò sui volti rilassati, su una mano timidamente intrecciata all'anello che il Comandante portava sempre. Sul senso di vicinanza e calore che entrambi le davano.
Fede.
Infine si voltò, e sparì per le scale.
 

Ecco qua il quinto capitolo! Anche se non ho finito (non ancora) quello successivo causa giornataccia a lavoro, ho deciso comunque di metterlo senza ritardare troppo. Che dire? Sto passando un periodaccio, non vedo l'ora di essere a casa dopodomani e dedicarmi quanto più possibile ad andare avanti con la storia, e sto finendo di leggere L'Impero delle Maschere, che devo dire approfondisce molto bene l'Orlais e le sue dinamiche. Insomma, mi sto preparando in vista del ballo xD
Quanto a questo capitolo, devo ammettere mi è piaciuto molto attingere (spero in modo più attinente e verosimile possibile) dal gioco per lavorarci sopra e creare una sorta di rito con cui i templari creano un filatterio. Nel mio caso, ho pensato il metodo o il canto usato fosse a piacere del templare che esegue, ed ho trovato che quello della Trasfigurazione fosse perfetto per Cullen per ideali e modo di porsi verso chi dev'essere legato al suo filatterio, specialmente dopo aver realizzato gli sbagli commessi a Redcliffe e dopo. Elmer, lo dico subito, non è un personaggio di mia creazione, quanto piuttosto il protagonista Amell della fanfiction della mia amica Varon: siccome non l'hai mai proseguita e aveva in mente certi programmi per lui (topo, la scuola di trasfigurazione? xD) ho voluto fargli un piccolo omaggio :P
Detto questo, perdonate gli errori (ormai è una prassi °_° )! Nel caso vogliate commentare, consigliarmi o darmi una bastonata in fronte per i refusi, sentitevi sempre liberi di commentare e accoglierò tutto con piacere (o dolore, a seconda del tipo di tortura subita xD).
A presto col prossimo capitolo!

 

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Capitolo 6
*** Marcia scoperta ***


Quando Cullen si svegliò, non sapeva esattamente quanto tempo fosse passato. Le membra, intorpidite e lente sotto le lenzuola roventi del suo stesso calore, avevano appena riniziato a funzionare e il cervello a collaborare solo da pochi secondi, quando ricordò tutti i propri doveri e sbuffò, rotolandosi, schiacciando la faccia nel cuscino.
«Per i calzoni di Andraste..»
Il materasso, sotto il suo unico peso, molleggiò morbidamente. Rimase così, a respirare il delicato profumo della federa per qualche minuto, abbandonato dolcemente al dormiveglia, quando qualcosa lo pizzicò. Si voltò verso il lato dove l'ultima volta aveva visto l'Inquisitore e, stropicciandosi gli occhi, vide che era vuoto. Un secondo pizzicore, e si tastò sotto il fianco tirandone fuori, con una momentanea sorpresa, un biglietto. Qualcuno doveva averglielo lasciato accanto, pensò stirandosi pigramente, ma nel girarsi c'era finito sopra.
Cercò di liberarsi dalla stanchezza, trovando un posto nel bozzo che erano le coperte da cui uscire almeno con le braccia. Sul fianco, puntò un gomito sulle lenzuola e sollevò leggermente il busto, guardandolo, faticando a mettere a fuoco le parole prima d'aver richiuso e aperto un paio di volte gli occhi.
«"Ben svegliato, signor Dormiglione"» lesse, con la voce ancora impastata dal sonno. «Mh. "Hai dormito per un giorno e mezzo".» Un attimo di silenzio, e poi la realizzazione lo colse.
«Oh, Creatore...» si passò una mano sulla guancia, alzando gli occhi al cielo. Non voleva sapere quanto lavoro fosse rimasto indietro. E la sua assenza? Come doveva spiegarla?
«"Non ti preoccupare del lavoro." Che vuol dire, non ti preoccupare?!» esclamò a sé stesso. Il sesto senso gli diceva che da qualche parte doveva essere stato combinato un grosso, grosso guaio. Precisamente, sulla sua scrivania. «"Quanto a quello che è successo, Leliana mi ha detto di non dire niente a nessuno, specialmente a Cassandra. Mi fido di lei, ma voglio spiegazioni. Da te."»
«Oh, Andraste. Aiutami» implorò, passandosi una mano tra i capelli e rigettandosi sul cuscino.
«"Post Scriptum: stasera vieni alla taverna, se rivuoi l'anello."»
"L'anello?" Alzò la destra davanti agli occhi: era talmente abituato a portarlo che non si era neanche accorto della sua scomparsa fino ad allora. Si guardò il dito e constatò, semplicemente con un improperio, che non c'era per davvero. «"Porta i soldi. Si gioca a Grazia Malevola."»
Un'espressione a metà tra il disappunto e l'esasperazione gli solcò le labbra, prima ricadesse con la faccia nella federa. Perché tutto doveva sempre essere così complicato? Leliana sembrava tramare ai suoi danni, l'Inquisitore voleva spiegazioni, Cassandra non doveva sapere, una montagna di carta da firmare fino a slogarsi un polso lo aspettava... e lamentarsi non serviva a nulla, ovviamente.
Sbuffò, finalmente abbastanza sicuro di potersi alzare, e si srotolò dalle coperte con goffi gesti che sperava mai qualcuno vedesse. Le mise dalla parte dell'Inquisitore e mettendosi seduto sul bordo, iniziò a recuperare parti dell'armatura e ad allacciarsele addosso. Non poteva certo lasciarle lì.
Una volta infilata la tunica, prese il biglietto dal letto piegandolo, si alzò e andò alla torre.
La sferzata di aria gelida non appena al di fuori delle stanze gli fece piangere gli occhi, tant'era pungente, ma lo svegliò una volta per tutte dagli strascichi dell'intontimento. Il tramonto, vide sulle mura, era agli sgoccioli e bruciava con tonalità di colore possibili da vedere solo tra le montagne, senza foreste o case a fare da scudo all'incredibile panorama. Mentre il rosso di un fuoco appena attizzato scemava da una parte, dall'altra, osservò il Comandante, arrivava a strati di verde intenso e blu, poi blu più scuro, la notte che sarebbe stata serena e piena di stelle. La visione delle prime minuscole luci nel cielo lo rinfrancò, e proseguì dritto verso i suoi alloggi.
Non appena entrò, percepì con chiarezza che qualcosa era stato spostato, o manomesso, come si disse lui. Il crollo dal tetto, una massa di detriti coperti con un sacco sempre stata nell'angolo della stanza, era del tutto scomparso ad esempio, e non gli sembrava ci fossero nemmeno più i buchi nel soffitto. Il suo sguardo, disorientato e preoccupato, cadde poi sulle librerie: i volumi solitamente sparsi erano stati spostati in ordine alfabetico, cosa che gli sarebbe anche potuta tornare comoda, in fondo, non fosse stato per la scatola di lyrium posizionata dietro di essi. Con l'ansia che saliva alla gola, infilò una mano sul retro dei tomi e fortunatamente la sua mano la trovò: chiunque dovesse aver riordinato la libreria forse aveva pensato appartenesse ai suoi effetti personali e non l'aveva toccata. Non l'aprì per non dar modo alla propria dipendenza di inasprirsi, ma piuttosto la scosse e sentì dal rumore che tutto era al proprio posto. La rimise dov'era, e continuò verso la scrivania.
Lì, solitamente regnava il caos più totale, tra fogli mescolati, penne d'oca che ormai avevano estinto la loro funzione, boccette di inchiostro esaurite, sigilli e moccoli di candele consumate fino all'osso. Caos che, notò con una punta di fastidio, era stato completamente eradicato dal suo posto di lavoro.
Il legno era stato pulito dalla cera e dalla polvere, lucidato e decorato con un semicerchio di cuoio lavorato sui bordi, laddove poter visionare uno ad uno i documenti. I fogli, impilati uno sopra l'altro, spiccavano appena accanto, sorprendentemente pochi. Dal lato opposto, quello più lontano dalle carte, erano incredibilmente spuntate delle candele nuove, poste su un semplice portacandele a tre braccia. Lì vicino era stata posizionata una brocca riempita con acqua e un bicchiere di peltro. Infine, una novità, era spuntato un contenitore in cuoio rilegato con inciso a fuoco sul bordo le parole "Da verificare": lì scoprì molti fogli già firmati da una calligrafia non sua, con impresse indicazioni che, proprio come le sue, trattavano del numero di truppe e soldati da assegnare ad ogni specifica azione. Le guardò con diffidenza, da una parte sollevato e dall'altra malcontento che qualcuno avesse fatto il lavoro al posto suo. Subito dopo si affrettò sulla scala a pioli.
La camera era stata, per sua fortuna, meno imbellettata di quanto ricordasse: constatò che effettivamente il tetto era stato riparato, ma trovò tutto pressoché invariato salvo un manichino di cotone imbottito di lana retto da un palo e una base di legno, un'aggiunta che si figurava fosse per posare l'armatura altrove che non sul cassettone e di cui fu ben felice. Ai piedi del letto era stato posizionato un baule dalle dimensioni discrete, forse per ficcarci dentro qualche vestito laddove l'armadio non fosse abbastanza. Proprio sul cassettone invece riluceva pigro uno specchio quadrato in una cornice di legno lavorato, e da parte un altro portacandele nuovo ad un solo braccio.
«Adesso capisco perché "non mi dovevo preoccupare"» commentò facendo il verso al biglietto, ispezionando anche il letto che però era stato lasciato intatto. Se c'erano stati altri cambiamenti, al momento non li vedeva, ma dato il suo ritardo avanzava inesorabile decise che era giunto il momento di scendere. Guardò per un ultima volta la scrivania con un grugnito, poggiandovi sopra il biglietto scritto dall'Inquisitore, prima di girarsi e andare alla taverna.

Entrato dalla porta, furono le grida ad accoglierlo.
«Finalmente!»
«Ti stavamo aspettando, Ricciolo!»
Il loro entusiasmo lo colse impreparato. Cullen sorrise, e alzò una mano in segno di saluto, osservando tutti i presenti: Dorian, il Toro, Blackwall, Cole, Josephine, Varric e l'Inquisitore erano riuniti attorno ad un tavolo quadrato illuminato da quattro candele, riempito da bottiglie di vino e da pinte di birra piuttosto consistenti. Prese posto tra Varric e Blackwall, e il nano subito gli mise sotto il naso la birra.
«Io veramente dovrei...»
«Ah, non sei ancora sotto penitenza» rispose Varric, bloccando ogni ulteriore protesta. Prese la birra e lo accontentò.
«Per fortuna sei arrivato, stavamo per iniziare senza di te.» L'Inquisitore lo guardò, il segno violaceo sulla guancia già meno evidente che in precedenza, una mano appena sollevata dal tavolo che reggeva un calice di vino: sembrò farlo apposta per fargli notare l'anello che le riluceva al dito. Il Comandante sorrise ferino mentre Josephine iniziava a distribuire le carte, lamentandosi.
«Spero di ricordarmi le regole. È da anni che non gioco a Grazia Malevola.» La vide sorridere sistemando i mazzi con accanto Cole che guardava fisso le sue carte, mormorando.
«C'è una corona sulla sua testa, e anche una spada. Ma lui non ne vuole nessuna.»
«Non parlare alla carte, Ragazzo» gli fece Varric con una risata.
«A me sembra abbiate abbastanza gente. Ho mille cose da fare» sentenziò Cullen. Avrebbe recuperato comunque l'anello, in un modo o nell'altro.
Dorian lo guardò con un sorriso sottile. «Perdere soldi può essere un'esperienza sia rilassante che formante, Comandante. Perchè non provarci? Male non vi farebbe.»
«Ricciolo, se qualcuno nella storia ha mai avuto bisogno di distrarsi, quello sei tu» aggiunse Varric al suo sbuffare.
«Allora, giochiamo o cosa?» si lamentò il Toro.
«Un attimo!» Josephine finì di dare le carte a Cullen e di prenderle anche per sè, senza guardarle. «Le scommesse partono ora, chi distribuisce decide la posta. Io inizierei da... da tre bronzi?» L'Ambasciatrice tentennò, rivestita come sempre dai suoi broccati color oro e azzurri. «Trovate sia troppo audace? Sarebbe meglio iniziare da uno... oh... no, osiamo! Tre siano!»
«Cosa? Chi partirebbe da tre bronzi? Argento, o tornatene a casa» intervenì il Toro. Poggiò la sua moneta d'argento. Josephine alzò le spalle, e gli altri sembrarono starci.
«Non male. Dentro» fece Blackwall, mettendo la sua posta al centro del tavolo.
«Più grossi e meglio cadono, giusto? Dentro» e anche Dorian poggiò l'argento.
«Anch'io. E anche il Ragazzo.» Varric posò due argenti, pagando sia per sè che per Cole.
«Dentro.» La voce dell'Inquisitore suonò quasi come provocatoria alle sue orecchie. «E tu, Cullen?»
Il Comandante prese un respiro, si frugò nelle tasche e guardandola, lanciò la moneta sopra le altre.
«Dentro.»
«Fantastico!» esclamò l'Ambasciatrice. «Mi fa piacere anche tu ti sia unito al gruppo.» E agli altri: «Il giro inizia da sinistra!»
«Inquisitore...» fece Varric con un gesto svolazzante. «Prego, a voi.»
Lei guardò le carte, concentrata, prima di mettere la prima, disegnata a guisa di un tarocco.
«Era il gioco preferito dei miei fratelli, sapete?» iniziò lei, abbassando carte e vino e dando modo a Dorian di mettere la sua. «Non c'era un giorno che non mi chiedessero di giocarci. Ed era di moda anche nel Circolo!»
«Nel circolo?» fece Josephine. Varric scelse la sua carta.
«Si, avevamo rubato le carte ad un templare» sghignazzò lei, mentre il giro proseguiva.
«Ma nei Circoli non è vietato tenere denaro?» chiese Varric, incuriosito. Cullen lo sapeva più che bene.
«Decisamente.»
«Infatti ci giocavamo il dolce della sera: chi vinceva si prendeva tutte le fette. Chi perdeva... beh, niente.»
«E nessun gioco più ardito?» Varric fece l'occhiolino a Kassandre, che arrossì violentemente. «Ricordo di un mago che diceva si potessero fare cose straordinarie con-»
Stava per finire la frase quando da sotto il tavolo giunse un tonfo: quando controllarono, era solo Sera che stava vegetando per terra, ubriaca. La normalità, insomma. Tornarono a parlare tranquillamente.
«Dicevo, con le scintille. Sai quella cosa dell'elettricità?» il nano si sfregò le dita per fare un'esempio all'Inquisitore ammutolita, e rise. «O almeno, Hawke era perfettamente d'accordo.»
«Stai parlando di Anders?» Cullen prese un sorso della birra, rinfrescandosi il palato. «Non sapevo che loro due...»
«Oh, eccome!» Varric scosse la testa, dandosi pacche sulle ginocchia. «Tra quei due c'erano fuochi d'artificio! E non solo metaforici.»
«Sarebbe interessante provare.» Cullen si accorse d'aver sciolto troppo la lingua. Dorian ammiccò in sua direzione.
«Cosa, un uomo? Comandante... non pensavo vi piacessero le novità.» Lo disse in modo talmente provocante che il tavolo scoppiò a ridere e fu Cullen, stavolta, quello a rimanere in un profondo silenzio imbarazzato da cui rinvenne solo due minuti e dieci tossicchiamenti dopo.
«Veramente- basta, sto zitto.»
«Suvvia» intervenne Kassandre. «Devi raccontarci qualcosa!»
«Giusto» approvò Blackwall. «Una storia!»
Josephine battè le mani.
«Raccontaci qualcosa di imbarazzante sui templari!»
«Ah, e così volete quello?» chiese il Comandante, con un ghigno. «E va bene.» Prese un sorso di birra ed iniziò, mentre veniva anche il suo turno di posare una carta. Scelse gli Amanti.
«Eravamo ancora in addestramento, una serata come tante. Come tutte le povere reclute in pausa, ci eravamo messi a giocare a carte proprio come adesso, in quattro ad un tavolo: io, Rael, Judith e... Alistair.»
Josephine si portò le mani alla bocca, nascondendo una sonora risata che la fece ondeggiare avanti e indietro.
«Oh, per tutte le grazie... il Re!»
«Allora era ancora un quasi-templare» le rispose Cullen con un sorriso. «Iniziammo a giocare, ma avevamo giusto qualche spicciolo. Per rendere le cose più divertenti, allora, iniziammo a giocarci i vestiti: chi perdeva doveva togliersi un pezzo dell'abito, che fosse l'armatura, gli stivali e così via. Alistair a quel tempo era incredibilmente sfortunato...» L'Inquisitore ridacchiò, sorseggiando dal calice. «Ad un certo punto, dichiarammo la partita finita, molto soddisfatti. I dormitori erano dall'altra parte del complesso.»
Calò il silenzio, tutti impegnati ad ascoltarlo. Cullen poggiò la birra sul tavolo, assieme ad un gomito, il pugno sul piano.
«Allora eccolo correre per tutta la mensa in niente che non fossero le sue mutande. E questo... profondo silenzio scese per tutta la stanza, mentre sessanta maghi e trenta templari si voltavano a guardarlo tutti insieme in una volta sola. Poi, qualcuno applaudì, e l'applauso crebbe sempre più grande finchè tutti non furono in piedi. Una standing ovation.»
«E cosa fece poi?» ridacchiò Josephine.
«Risoluto, fece dietrofront sui tacchi e marciò come se fosse in armatura completa!»
La profonda risata di Blackwall tuonò per tutta la stanza.
«Brav'uomo!» esclamò Dorian, mentre il Toro picchiava la pinta sul tavolo in approvazione.
«Ci stai prendendo in giro!»
«Ecco come fai a capire se qualcosa è vero» spiegò Varric al Comandante, incrociando le mani. «Non potrei mai metterlo in un libro, troppo improbabile!»
«È scandaloso!» lo corresse Josephine. «Rovinerebbe il Re se qualcuno lo sapesse.» E poi, lo guardò con un sorrisetto. «Raccontalo di nuovo!»
«E... mentre voi ascoltate, la vincitrice si prende tutto!» esclamò l'Inquisitrice, raccogliendo le monete in un solo gesto per portarle tutte davanti a sè.
«Hey!» esclamò Varric, controllando. «Vogliamo la rivincita.»
Josephine tornò a raccogliere e a distribuire le carte.
«Qualcun'altro ha una storia da raccontare?»
«Sapete» cominciò Dorian, agitando il bicchiere. «Nel Tevinter...»

«Per la buona gioia di Andraste, siete osceni nel vostro paese!» Josephine controllò, abbassando una carta.
«E chi non lo sarebbe? Alcuni pensano sia uno spreco gettare via tutta quella libertà con quello che la maggior parte dei mortali considera osceno. E poi, quei conigli vengono addestrati veramente bene» le rispose Dorian.
«I conigli. Mi piace, la parte coi conigli. Dovrebbero esserci più conigli nelle storie» chiacchierò Cole, mentre Varric lo guardava sconvolto.
«Ragazzo... non stavolta. Decisamente non stavolta.» La sua reazione suscitò nuove risate, quando una voce esclamò di nuovo «Vinto!»
«L'Inquisitore ha intenzione di sbancarci, stasera» Cullen spinse una nuova moneta sul tavolo, come gli altri. Era già la quarta volta che vinceva.
«Io sono fuori» esclamò Blackwall, mostrando le tasche vuote. «Dorian?»
«Io rimango.»
«Idem» fece eco Varric, pagando solo per sè stesso stavolta. «Josephine, Tor- ...il Toro dorme» constatò da un'immensa faccia munita di corna parcheggiata in un piatto, a capotavola. «Josephine?»
«Dentro!»
«Avanti, Inquisitore, scommettete ancora. Ho riconosciuto il vostro metodo» la sfidò apertamente Cullen.
«Comandante, dovreste sapere che una donna non ha metodi» fece lei in risposta, con un'insolita sicurezza. Davanti a lui, l'Ambasciatrice guardò con attenzione il loro scambio, il mento poggiato sulle mani.
«Allora vediamo se la vostra fortuna vi assiste ancora per una mano.»
«E chi perde, perde tutti i vestiti?» Kassandre lo guardò con un sorriso affilato.
«Cullen, io ti consiglierei di non farlo» lo ammonì Varric.
«E sia.»
«Niente mutande, stavolta.»
«Uh, mi piace» gongolò Dorian, iniziando il nuovo giro.
Kassandre girò le proprie carte e, con un'espressione che solo in pochi avrebbero ricordato d'averle visto in faccia poi, e solo perché il sorriso le andava da un orecchio all'altro, ghignò.
Dorian perse quasi subito le proprie, assieme a Varric. Dopo di lui, Josephine dovette ammettere che non aveva trovato nessuna buona mano, e scartò. La battaglia tra i due era appena cominciata.
Senza esclusione di colpi, si arrovellarono per prevedere nel possibile i movimenti, calcolando le possibilità attraverso il mazzo degli scarti. Cullen non ricordava d'aver mai giocato in modo così fervente neanche con le sue sorelle, insegnando loro gli scacchi, e ritentò la vincente mossa con la carta degli Amanti vedendo, dall'altra parte, posare il Guerriero. Ingollò un rumoroso groppo mettendo in gioco la Saggezza, ma l'Inquisitrice ribatté con la Guardiana. Il Fedele, dopo il suo Ribelle, concesse la vittoria a Kassandre, e a lui la vergogna di doversi spogliare, un pezzo e un abito per volta, davanti a tutti.
Tentando di restare sulla sedia, ovviamente.

La risata dell'oste attraversò tutta la taverna, rombando tanto da far tremare i muri. Cullen, che teneva lo sguardo sottile puntato su Varric, ebbe l'impressione di sentire già il menestrello cantare delle sue "gesta" l'indomani, quando vi si sarebbe diretto per un breve pasto.
«Non una parola, nano.»
«Ah, si?» Varric gli rispose ridendo tra sé e sé, con l'Inquisitore davanti che lo osservava fiera del suo operato. «Sai, ho provato ad avvertirti, Biondino.»
«Mai scommettere contro l'Inquisitore» annuì Josephine, ridendosela a braccia conserte. Blackwall, con grande rispetto, si limitò a nascondere le sue espressioni dietro la barba mentre Cole realizzava per la prima volta come i vestiti potessero effettivamente venir tolti ad una persona. Dorian, col bicchiere in mano, gli lanciò una discreta occhiata che si tradusse in un sorriso a molti denti. Cullen, sentendosi ancor più nudo, nascose le proprie grazie dietro le mani aperte a ventaglio, nel tentativo di far vedere il meno possibile anche da seduto.
«Le nostre reclute dovrebbero sentirsi onorate di avere un Comandante così... promettente? Tanto in armi quanto nella spada, vedo» Gli occhi del mago si fecero beffe di lui, in aperto contrasto col suo essere diventato un pezzo di legno. Dorian lanciò uno sguardo a Kassandre, e poi a lui. «A proposito, bell'impugnatura» lo punzecchiò, alzandosi per dargli le spalle. «Signori miei, abbiate pietà della dignità di quest'uomo. Temo non marcerà tra gli applausi come il nostro caro Re, stasera» si rivolse agli altri, dirigendosi al bancone.
Il custode capì l'antifona e senza una parola, con creanza, si alzò defilandosi immediatamente. Il Toro continuò a dormire beatamente con la testa nella ciotola, così come Sera sotto il tavolo, russando e mormorando. Josephine e Varric ci misero qualche secondo in più ma poi, con entrambi un cenno d'assenso, si spostarono a chiacchierare al camino del più e del meno. Cullen continuò a guardarli in cagnesco, uno ad uno, finchè non si furono allontanati. Solo l'Inquisitore rimase ben piantata al suo posto, con i gomiti puntati al tavolo.
Il Comandante non sapeva cosa dirle: aggrottò le sopracciglia e con gli occhi le rivolse uno sguardo insofferente che conteneva tutta la sua voglia di andare a ripararsi da qualche parte, magari dietro la prima trave. Ma Kassandre, forse capendo non si sarebbe alzato finchè non gli avesse dato le spalle, scosse il capo. Con una mano, si sfilò dal dito il suo anello e lo poggiò sul piano, sospingendolo con l'indice verso di lui.
«Te lo sei meritato» affermò, soddisfatta. «Puoi indossarlo.»
«Posso rimettermi anche i vestiti?» gli chiese speranzoso il giovane.
«No, solo l'anello. Vuoi togliermi la soddisfazione di vedere la tua parata trionfale verso le camerate?»
Cullen si strinse nelle spalle, iniziando a sentire il freddo pizzicargli sulla pelle.
«Ma fuori è gelido!»
«Un motivo in più per indossare l'anello» sorrise Kassandre.
«Tu non vuoi avere un Comandante congelato. Non davvero.»
«Hai ragione...» L'Inquisitore si guardò attorno, poi prese dal tavolo accanto un grosso piatto di legno e glielo porse. L'oste, in lontananza, tuonò di nuovo una risata. «Ecco, adesso puoi andare.»
Accettandolo malvolentieri il piatto, Cullen nascose l'unica cosa che potesse essere nascosta e finalmente si alzò, l'aria da cane bastonato e pronto a scappare a gambe levate.
«Aspetta» lo fermò lei, prima potesse anche solo muovere un piede. Raccolse l'anello, gli si avvicinò e senza imbarazzo glielo mise all'anulare destro, alzando lentamente gli occhi su di lui con un accenno di ilarità che in qualche modo riuscì a sciogliere perfino lo spiacevole groppo alla gola causato dalla ridicola situazione.
«Adesso puoi correre.»
Era pronto a farlo, e anche molto in fretta. Di questo Cullen non aveva dubbi.
Ma guardandola, realizzò che stavolta non avrebbe corso.
Solo ed esclusivamente per stavolta, Cullen si mise sull'attenti e, scatenando più di uno sguardo sorpreso, iniziò a dirigersi verso la torre marciando come se fosse in armatura completa.
 
E dopo un mal di gola e un raffreddore tremendo, ecco il sesto capitolo con tutte le sue pene (e non diciamo altri xD)! Mi sembrava che spezzare l'angst creatosi nei precedenti capitoli con questa scena fosse una bella idea, considerando quanto è divertente e quante risate mi sono fatta nel scriverla <3 per chi avrà giocato, sarà evidente come questa sia una ripresa di un evento che succede nel videogioco, modificato in qualche dettaglio per approfondirla e perchè no, per citare uno dei tanti personaggi che ben presto faranno la loro comparsa - con buona pace per la loro dignità, probabilmente xD
Detto questo, mi sembra giusto avvisare tutti che questo è l'ultimo capitolo del 2014, e che tornerò a pubblicare esattamente dal 3 dicembre con la solita cadenza di cinque giorni: mi prenderò questo periodo per guarire, accumulare un po' di vantaggio sui capitoli per evitare futuri ritardi (incrociando le dita) e per passare un po' di tempo con l'amica proprietaria di Elmer che è appena tornata dalla Danimarca e che coercizza la maggior parte del mio tempo diurno!
Ed è tossendomi via anche l'anima con questa tosse del caspio che vi faccio le solite raccomandazioni da brava mammina: perdonatemi gli errori (si, lo so, sono noiosa xD) e nel caso vogliate lasciarmi commenti, mazzi di fiori (no, vi prego, no!!), mazze ferrate, sarò come sempre ben felice di rispondere! Spero il capitolo vi piaccia!
Ci vediamo al numero sette!




 

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Capitolo 7
*** Inviti Reali ***


Non aveva retto alla disperazione, agli incubi, alla mollezza causata dall'assuefazione. Le sue membra erano diventate deboli, troppo perché lo potesse sopportare, e la sua testa annebbiata da pesanti coltri che non riusciva a scacciare. L'agonia nel corpo si era fatta più intensa e letale. Più di tutto, per lei e per l'Inquisizione non l'avrebbe voluto fare, ma ormai non c'era più ritorno e il suo destino sarebbe stato o quello, o la pazzia. Aveva portato le mani alla scatola, e con cautela separato una fragile fiala dal resto del contenuto, guardandola al contempo con timore e desiderio. Per riottenere la lucidità e proteggerla, per servire uno scopo, se l'era appoggiata alle labbra, ancora indeciso, il bordo gelido contro la pelle. Aveva fatto del proprio desiderio di servire il suo stesso tormento e ormai dimentico di ogni altra cosa, il Leone l'aveva assunta fino all'ultima goccia, consumando il liquido dal lieve bagliore metallico.
Il vetro era caduto sul pavimento finendo in mille pezzi. Solo allora aveva sentito il lyrium bruciare nella sua bocca e sulla lingua come mai prima d'allora, ed immergersi nelle sue profondità, aldilà di ogni spazio e cavità, come fuoco nelle vene. Sulle prime pensò d'essere stato avvelenato o che la sua dose fosse stata trattata, ma poi i suoi occhi mirarono il riflesso dei piccoli frammenti sparsi per terra, e la melodia iniziò a suonare nelle sue orecchie, di una bellezza effimera. Un canto stupendo oltre ogni dire.
Nella meraviglia e nella ritrovata forza, vide rosso. Non sentì più dolore, sebbene sulla sua pelle scoperta un reticolo di capillari fosse emerso e i cristalli iniziassero a farsi strada negli strati del suo essere, ciechi e appuntiti. E la voce, la voce si faceva più intensa e splendida ad ogni secondo che passava, e ne voleva ancora, e ancora. Con le mani salde, prese la spada e vide che poteva reggerla quasi senza sforzo, come se fosse un naturale prolungamento della sua mano. Con l'altra, accolse la figura alle sue spalle, gli occhi luminescenti come carbone rovente. Quando parlò, la sua voce sdoppiata in un sottotono metallico si alzò fluente, e le parole vennero da sé.
«Inquisitore, non senti anche tu la melodia?
È così... bella

Cullen si svegliò di soprassalto, con un balzo. La testa appena alzata si voltò da una parte all'altra, i muscoli del corpo già tesi verso un nemico invisibile, le mani pronte ad afferrare la spada poggiata alla testiera del letto. Secondi di confusione si susseguirono, fino a quando comprese che nulla di quello che aveva visto accadergli era stato reale, che non si era ancora lasciato andare all'idiozia. Respirò a fondo, e ricadde sul cuscino passandosi una mano sulla fronte sudata e tra i capelli. Dall'unica finestra della stanza, poteva vedere il sole già alto mostrarsi nel tenero bagliore di quella che sarebbe stata una lunga mattinata legata ai preparativi per il ballo di Orlais. Ormai la data stabilita si avvicinava, così come anche tutta una serie di lunghe programmazioni da fare a tavolino coi soldati, preparandoli nell'eventualità dovessero intervenire nel pieno della nobiltà Orlesiana.
"C'è sempre così tanto da fare" sospirò, concentrandosi sui programmi del giorno mentre pigramente si metteva seduto, le gambe incrociate, scrollandosi di dosso il sonno. Eppure, nonostante la sua mente fosse ormai impegnata in una serie di istruzioni da stilare e impartire, un brivido gli percorse la schiena: qualcosa nel sogno l'aveva turbato profondamente, tanto da restargli incollato addosso proprio come quella patina di sudore ormai freddo.
Con voluta calma, scese dal letto e si vestì. La prima tappa della giornata sarebbe stata da Morris, il Quartiermastro, per sincerarsi delle scorte e dei rifornimenti di metallo e legname da assegnare sia - come priorità - ai soldati, sia alle ricostruzioni: mano a mano la potenza dell'Inquisizione cresceva, le riparazioni si facevano più facili e veloci grazie alle ingenti donazioni dei nobili del Ferelden. Il salone, prima coperto da un'accozzaglia di travi, fieno e lampadari caduti, ormai era stato completato e decorato di tutto punto, con due lunghi tavoli per gli ospiti e un trono per l'Inquisitore laddove avrebbe dovuto giudicare i loro prigionieri di guerra. Parlando proprio di prigionieri, ancora una larga parte delle prigioni era, per loro sfortuna, rovinata da un crollo strutturale, ma ciò che c'era già erano riusciti a metterlo in salvo, assicurando che a nessuno sarebbe volato il pavimento da sotto i piedi. Anche se, a suo personale giudizio, Alexius e il Quartiermastro di Emprise du Lion se lo sarebbero meritati grandemente.
Infilati i calzoni e gli stivali, iniziò a vestire l'armatura sopra la seconda delle maglie imbottite che aveva a disposizione, avendo portato la prima nelle lavanderie, e si preparò alla lunga giornata. Laddove avesse avuto un quarto d'ora di tempo libero intendeva lasciare la parte più semplice dell'addestramento ad uno dei suoi soldati più esperti, Fergus, per dirigersi a far visita agli operai, magari riuscendo perfino a dare una mano a quella gente instancabile che ristrutturava, stabilizzava e rendeva Skyhold ogni giorno più abitabile e magnifica. Un moto di riconoscenza andò a loro nel puntare lo sguardo al soffitto, perché chiunque avesse loro detto di farlo, era sicuro il tetto della torre, bucherellato fino al giorno prima, fosse passato sotto le loro esperte mani. Ancora aveva dei dubbi in quanto all'arredamento, invece: quali dita potevano aver pulito e rigirato le due stanze senza martirizzare le sue abitudini?
Con un unico gesto indossò la tunica, ne sistemò il collo di pelo, infilò la spada raccolta a lato del letto nel fodero e scese lungo la scala a pioli, soffermandosi sulla scrivania dove sostavano due nuove carte: lesse la prima, storcendo il naso. Alla seconda lettura, con la voglia d'accartocciarla direttamente, firmò e negò la richiesta. Che razza di mente malata potevano avere i nobili orlesiani, per venire a chiedere alle loro forze di agire come assassini per una semplice faida amorosa? Leliana e Josephine forse avrebbero accettato pur di fare il loro lavoro, che consisteva principalmente nell'infilare il naso ovunque, ma dato il compito era stato smistato a lui fece quello che più riteneva giusto.
Un omicidio per amore poteva essere addirittura peggiore di uno per interesse? Scosse la testa, sentendosi preso in giro. Pensavano fossero mercenari su commissione? Forze armate senza cervello ma con una spada o un pugnale nella cintura, pronte da essere direzionate? Espresse la propria frustrazione con un gemito, accantonando il foglio con gli altri rigettati, e passò al secondo.
Un fragile sorriso gli si dipinse in volto: era di Mia, sua sorella.

"Cullen,
mi ha fatto piacere ricevere la tua ultima lettera. Sarà stato-- non importa. Spero solo tu stia bene.
Noi ci siamo spostati da Honnleath, al sicuro dal Varco e dalle cose che ne escono. Nostra madre non voleva lasciare la nostra vecchia casa, prima di andare ha voluto a tutti i costi preparare una borsa con alcune delle tue cose. Quando ti degnerai di venire a trovarci, chiedigliela.
A proposito di domande...
Kassandre? Non "Inquisitore"? Non Sua Magnificenza, l'Araldo di Andraste? La tua ultima lettera era decisamente troppo corta. Cosa stai combinando?
Cerca di non rispondere in due parole come tuo solito.

Con affetto,
Mia"

Con una mano posata sul fianco, la rilesse ancora una volta, sorridendo. Velocemente, prese la penna d'oca posata sul tavolo e la intinse nell'inchiostro, scrivendo la risposta su un pezzo di pergamena avanzato da qualche rapporto.

"Mia,
ti scriverò una lettera più lunga non appena avrò il tempo.
Smettila di essere così indiscreta.

Cullen"

Voleva bene a sua sorella, anche se forse non lo dimostrava a parole e certamente non con le lettere, dato solo la settimana precedente le aveva scritto: questo, dopo che Mia l'aveva rintracciato non sapeva come e dopo una scarica di improperi non certo carini, considerando la cadenza meno-che-annuale delle sue missive. L'ultima volta che si erano sentiti seriamente, era stato a Kirkwall, poco prima della ribellione dei maghi: a fatto successo, i suoi familiari l'avevano creduto morto. Di nuovo. E da allora non aveva fatto molto per risolvere le loro incertezze.
La sua famiglia gli mancava. Aveva dato tutto ai templari: le preghiere dell'infanzia pur di entrare a farne parte, la propria adolescenza, finanche la propria mente... ma solo ora si accorgeva degli anni passati e di cosa aveva perso nel mentre. La vecchiaia di sua madre, con le rughe sempre più profonde sulla pelle, e il tempo passato col padre ad intagliare i rami d'albero per farne buone frecce per l'arco. Lo sbocciare delle sue due sorelle, di cui una diventata donna e l'altra sulla soglia, e il crescere e farsi uomini dei suoi fratelli. Il timore che più l'attanagliava era d'essersi lasciato passare troppi dei loro anni alle spalle: stava diventando uno sconosciuto per loro, forse un ricordo, e non era certo di poter tornare indietro. Le lettere di Mia, però, gli lasciavano speranza per un futuro lontano.
Mise la sua in uno dei cassetti della scrivania e piegò accuratamente la propria, consegnandola al primo messaggero sulla strada per il giardino interno di Skyhold. Nel poco spazio che avevano potuto adattare avevano messo un recinto, e fu contento di vedere che alcuni soldati già si esercitavano, dentro. Raggiunse il resto delle truppe nella lieve depressione che, scesi altri scalini di pietra, andava a formare il vasto fossato, con l'infermeria da campo a destra e stalle e mercanti molto più lontani, sulla sinistra, e un mormorio lo accolse.
«Soldati! Sull'attenti!» esclamò, un piede sull'ultimo gradino e l'altro a terra, zittendoli. I soldati si misero in riga e salutarono, ma quando guardò i loro volti notò che molti erano solcati dall'accenno di una risata, probabilmente dovuta alla sua uscita della sera precedente: una cosa che lo rendeva certamente più umano ai loro occhi, ma che non doveva inficiare sulla preparazione dei soldati. Posò le mani intrecciate sul pomolo della spada, spiegando il da farsi alla quarantina di uomini davanti a lui: il resto, scampato alla battaglia di Haven, l'aveva messo di ronda sulle mura e per tutto il perimetro di Skyhold, concedendo loro un po' di riposo mentale dopo un disastro ancora troppo vicino ai loro cuori.
L'unico tra loro che aveva preteso di rimanere era Fergus, un soldato ormai nella maturità degli anni che aveva combattuto a Ostagar contro i Prole Oscura, e che ora gli faceva da secondo in comando. Una cosa alquanto strana, Cullen lo trovava tremendamente familiare, come se avesse già visto il suo viso da qualche parte. Ma per quanto gli avesse chiesto a quale famiglia appartenesse, o quale fosse il suo cognome, lui non aveva voluto rivelarglielo. Lo vide avvicinarsi al suo fianco, il portamento sempre eretto che lasciava intuire una qualche origine più che paesana, e rivolgersi a lui per primo.
«Ordini, Comandante?»
«Fergus, prendi con te gli uomini migliori e vai alle fucine. Oggi allenamento spada e scudo nel recinto, parata e attacco. Prima duello singolo, poi formazione da battaglia. Falli andare avanti fino a quando non si stancano, poi fagli usare solo lo scudo: sfondamento, colpo e taglio col braccio portante. Se vedi che procedono bene, faglielo cambiare. Vi voglio di nuovo qui per l'ora di pranzo.»
Fergus annuì, voltandosi e tornando dalla truppa: scelse gli uomini che riteneva meglio addestrati e si avviò su per le scalinate da cui erano venuti, verso il giardino interno. Quando furono andati, Cullen si rivolse ai restanti.
«Cadetti, per voi, oggi allenamento con spada, attacco e parate. Molti di voi sanno a malapena tenere in mano una spada nel modo corretto: vediamo di darvi una risistemata. Dividetevi in due file, una in faccia all'altra.»
Il Comandante li guardò aggregarsi e formare due file quasi uguali in lunghezza. La volontà non mancava tra i giovani, pensò, ma molti di loro erano appena arrivati, o figli di nobili che si aspettavano di ricevere un po' della fama specchiata dall'Inquisizione. La maggior parte aveva chiesto li trattassero con un riguardo che non potevano, né dovevano permettersi di avere. Li avrebbe fatti allenare fino alla soglia della stanchezza e marciare allo stremo, ma era sicuro che ben presto avrebbero raggiunto il livello degli altri. Priorità sopra ogni cosa era che si sapessero difendere dalla maggior parte dei pericoli, prima ancora che dalle magie dei Venatori o dai poteri dei templari rossi. Si sarebbero concentrati su quello in principio, e poi sarebbero passati gradualmente al resto.
Cullen passò per la prima fila, designando le reclute destinate all'attacco e quelle alla parata. Si portò dalla parte degli attaccanti e, estraendo la spada a distanza di sicurezza, colpì l'aria con tre rapidi fendenti.
«Attaccanti, spade in mano: fendente obliquo superiore, fendente obliquo inferiore, orizzontale. Ripetete quindici volte, poi provate qualche variazione.» Controllò le loro posizioni, ne corresse qualcuna e poi si spostò nella fila di dirimpetto posizionandosi in guardia.
«Difensori, in posizione: spada ben salda nelle mani. Parata obliqua inferiore, parata obliqua superiore, verticale. Quindici volte, poi provate a parare le variazioni del vostro attaccante.» I soldati lo seguirono come un'unica entità, e passò a controllare anche questi, intervenendo laddove il braccio che teneva la spada era troppo rigido, o l'impugnatura scorretta. Alla fine, un solo uomo avanzava dalla fila dei difensori. Cullen si portò in sua direzione, posizionandosi come suo attaccante.
«Attenti alle distanze. Iniziate adesso, proseguite fino a quando non ve lo dico.»
«Agli ordini, Comandante!» tuonarono le loro voci all'unisono.
Un clangore di spade si innalzò, assieme a quella del Comandante che fendeva l'aria rapidamente.
«Come ti chiami, cadetto?» chiese all'uomo davanti a sé, che si adoperava a parare. Lo fece sbilanciare con un colpo troppo forte e attese il suo recupero.
«Joel, Signore.»
«Joel, tieni la mano più distanziata dalla guardia. Devi essere in grado di parare il colpo senza sbilanciarti e senza romperti un polso.» Joel fece come aveva detto e ripeterono la sequenza altre quattro volte, ognuna con un'esecuzione sensibilmente migliore della precedente.
«Attento alla posizione delle gambe» lo avvertì di nuovo il Comandante, fermandolo. «Il modo in cui posizioni il tuo peso è fondamentale nell'assorbimento dei colpi. Tieni le gambe leggermente distanziate, e piega quelle ginocchia. Vedrai che sarà più facile.»
Altri cinque colpi e Cullen annuì soddisfatto. Lo fece passare in attacco.
«Da dove vieni, Joel?»
«Da Gwaren, Signore.»
«La città costiera oltre Brecillian? Dicevano fosse stata distrutta dai Prole Oscura durante l'ultimo Flagello.» Il soldato caricò il colpo, e il Comandante parò molleggiando lievemente sulle ginocchia.
«È vero, Signore. Ma le città si ricostruiscono.»
«E i cittadini? Come vi siete salvati?» Parò un obliquo.
«Siamo salpati con le navi al largo della costa. Con noi sono venuti anche i fuggitivi di Lothering; alcuni sono rimasti, e altri si sono diretti a Kirkwall.»
«Come il Campione» mormorò Cullen, terminando la serie.
«Signore?» Si scambiarono di nuovo i posti, iniziando attacco e parata liberi.
«Il Campione di Kirkwall, Corvo. Era di Lothering, lo conoscevo» rispose Cullen, vibrando un colpo non troppo forte che però fu sufficiente a sbilanciare di nuovo Joel. «Stringi bene le mani sull'impugnatura della spada. E le gambe, di nuovo» gli indico le ginocchia con la punta dell'arma. «Piegati.»
«Sissignore.» In silenzio, ripresero l'allenamento. Joel faticava a seguire la velocità con cui il Comandante concatenava i colpi, ma si stava impegnando per tenergli testa, uno sforzo ammirevole nei suoi confronti. Dopo qualche tempo, scandito dal battere del ferro su altro ferro, il giovane gli fece un'altra domanda.
«Signore, com'era?»
«Chi?»
«Il Campione.» Il Comandante ci pensò, mentre si scambiavano di nuovo il ruolo.
«Era una bella faccia tosta di mago, da chè mi ricordo. Sempre pronto a fare ironia su tutto. Ma al contrario di molti lì a Kirkwall, sapeva cosa stava facendo.»
«E poi?»
«E poi è andato tutto a rotoli.»
«Per colpa dei maghi?» Cullen aggrottò le sopracciglia, opponendo una ferrea resistenza alla spada dell'altro.
«No, Joel, è stata colpa di tutti.» Si liberò dalla parata con un giro dell'arma e un'abbassata, bloccando la lama dell'altra a terra. «Non dovresti credere a tutto quello che viene spacciato per vero.» Il soldato rimase interdetto dalle sue parole, ma il Comandante rinfoderò la spada, rassicurandolo.
«Hai fatto abbastanza con me per oggi, Joel. Torna dai tuoi compagni e fagli vedere cos'hai imparato.»
«Grazie, Signore.» Il ragazzo fece per andarsene, ma si fermò. Si voltò all'indietro, guardandolo. «In tanti dicono che con l'Inquisitore al comando, vinceremo questa guerra. Per quello che vale, verità o no, Signore, io ci credo.»
Detto questo, il ragazzo proseguì. Cullen continuò l'addestramento con gli altri per tutta la mattina, ottenendo discreti risultati, ma per quanti sforzi facesse non riuscì a concentrarsi abbastanza da togliersi quelle parole dalla mente. Che provenissero da un paese o da una città, da una famiglia di pescatori o di nobili, aveva visto in Joel e in ognuno di loro una luce, accecante e potente: fiducia, fiducia in loro, nel loro operato e nel futuro. Il Comandante sapeva che la strada non era tutta in salita, e che il prezzo da pagare per la vittoria era alto, più alto di quanto potesse immaginare. A volte, non c'era nemmeno una vittoria considerando come fossero usciti per pura fortuna dall'ultimo Flagello che, per indulgenza dei sovrani, aveva rischiato di spazzare via l'umanità. Davvero poteva spezzare le speranze di quei ragazzi pronti a dare la vita, dicendo loro che forse molti, troppi non avrebbero visto l'alba del prossimo mese? Che probabilmente persino lui sarebbe potuto cadere, senza averla ammirata un'ultima volta?
No. Forse, per la seconda volta dopo l'Ordine, era davvero giunto il momento di credere ciecamente a qualcosa, qualcosa di giusto e di diverso che stava aiutando a creare con le sue mani. Finchè fossero stati spinti dagli ideali e non solo dal pericolo, dalla disperazione o da un dannoso realismo, avrebbero potuto far tremare il mondo. Per il bene, per la giusta causa.
"Per salvare, proteggere e combattere", si disse, cosa che lo fece sentire per la prima volta più vicino alla visione del mondo che avevano i Custodi Grigi. Lanciò uno sguardo in alto e l'ombra di un corvo che volava alto nei cieli, dirigendosi verso le voliere, gli ricordò che aveva ancora molto da fare.

Il corvo zampettava sul tavolo, gracchiando ogni tanto, mentre Cullen svolgeva delicatamente uno stretto rotolo di pergamena dalla grana fine, una carta che decisamente non proveniva da mani comuni ma dai ben più ricchi scrittoi del palazzo di Denerim, lavorata dai più fini mastri scuoiatori. Al contrario delle missive ricevute al tavolo di Guerra, dettate ad uno scriba, questa era stata scritta da una mano decisamente meno esercitata, ma ugualmente capace, che aveva scorso sul foglio con apparente poca cura macchiandone i bordi con l'inchiostro. Riconobbe la calligrafia di Alistair, rotonda come quella di un bambino e adatta alla perfezione alla sua personalità, e un sorriso caloroso gli si formò sulle labbra: stava ancora ripensando alla storia che aveva raccontato in taverna ai compari, alla baldanza con cui il giovane Alistair aveva attraversato l'intera sala da pranzo gremita giusto in mutandoni. E a come lui avesse ripetuto la storia direttamente senza null'altro che un piatto di legno, con un ardimento che non avrebbe mai immaginato di avere in una situazione simile. Se il Re l'avesse saputo, come minimo, si disse ridacchiando, l'avrebbe preso in giro a vita.
Il sorriso si oscurò presto, vagando con gli occhi tra le frasi interrotte e gli errori cancellati dalla penna del suo ex-compare. Sembrava esserci poco da ridere, e le parole di Alistair si aggravavano mano a mano la scrittura si faceva più fitta, esternando pensieri, fatti, e timori in modo tanto personale da far tremare le gambe al giovane. E in tutto quello, una nota sbagliata, stonata risuonava, distorcendo l'abitudinaria giovialità del Re in un sottile, autentico terrore: un regnante, pensò il Comandante, non avrebbe dovuto avere paura di nulla, tanto più quando aveva preso le armi in mano durante il Flagello, combattendo per la propria e l'altrui vita. E allora cosa lo turbava?

"Cullen,
ricevere la tua lettera in questi momenti è un conforto che non mi è più concesso provare da tempo. Gli ultimi mesi sono stati difficili: sai non mi è mai piaciuto questo ruolo, e te ne sarai accorto dalla terribile relazione del nostro regno con l'Orlais, e dalle mie continue richieste di aiuto più o meno formale all'Inquisizione. Non so come andrà a finire il vostro tentativo di coinvolgermi al ballo al Palazzo d'Inverno e ristabilire un qualche tipo di alleanza, e se Celene mi permetterà anche solo di mettere il mignolo all'interno dei confini. Per quello che vale, se avrete successo nel convincere qualche nobile mangia-formaggio, sarò più che incline a partecipare in compagnia della vostra delegazione.
Non volenteroso, ma incline.
Lo ammetto senza vergogna, qui e ora, Rachel era decisamente più brava di me a gestire le questioni di politica... e adesso arriviamo alle cose compromettenti. Da bravo uomo pragmatico che ti ricordo, ti starai chiedendo perché ho detto "era": considerala una confidenza, o meglio, una richiesta disperata che non farei a nessun'altro, anche perché se questa lettera capitasse nelle mani sbagliate metà Ferelden crollerebbe sotto il suo stesso peso.
Da tutte le parti si parla della sparizione del Custode, e perfino da voi girano simili voci, come ho potuto notare dalle tue parole. È una notizia che viene sempre smentita da palazzo in via ufficiale, e su cui si tende a sorpassare in via non ufficiale, ma quello che stai per sapere ora...
È vero. Rachel è scomparsa. La sera prima era accanto a me, e la mattina dopo non c'era più, assieme a quasi tutto il suo equipaggiamento. Nessuno dice di averla vista uscire, e tu la conosci abbastanza da sapere quanto sia abile nel non farsi notare.
Ho spedito lettere al Picco del Soldato, sentendomi rispondere che là non era mai arrivata. A Montsimmard, Jader e alla fortezza nei pressi di Amaranthine, con lo stesso risultato. Qualche tempo dopo, da Weisshaupt è arrivato uno stringato messaggio che diceva "non cercarmi", così, senza nient'altro. Immaginati la mia reazione: ho subito inviato un contingente, ma niente. Rachel era di nuovo sparita. E c'è di più: poco prima della sua scomparsa, tutti i Custodi Grigi hanno iniziato a sentire la Chiamata. Lei e me compresi. Ovviamente non capirai la gravità della cosa, quindi ecco la spiegazione breve: stiamo morendo. O almeno, molti di noi lo credono. Ma non è naturale, non dovrebbe esserlo. Ho provato a dirlo agli altri Custodi, ma preferiscono dirigersi verso le Vie Profonde piuttosto che ascoltarmi.
Quelli che non partono, stanno combinando qualcosa di grosso con la magia, perché hanno paura che un nuovo Flagello possa sorgere e devastare il Thedas. Sto facendo delle ricerche sulla cosa. Riesco a malapena a tenere la mente sgombra, ma ti terrò aggiornato e te ne parlerò direttamente al ballo, posto riusciate a farmi partecipare.
Non vorrei che Rachel fosse stata la prima a... non posso neanche immaginarlo.
Ti prego, Cullen. Non so nient'altro.
Fai quello che puoi per trovarla."

Il viso di Cullen si distorse nello sgomento più assoluto. Trasalì, rileggendo le frasi salienti, considerando l'ipotesi di star sognando un altro dei suoi soliti incubi, solo molto più vivido e reale. I Custodi Grigi stavano morendo, le uniche persone in grado di contenere e combattere un Flagello e l'Arcidemone che lo guidava, e la Regina, nonché Comandante dei Custodi, nonché... Eroe, era scomparsa. Per quello che Alistair non sapeva essere lo stesso motivo delle sue preoccupazioni, ovvero quella Chiamata che sembrava condurli verso una fine inevitabile. Il tutto, ovviamente, in concomitanza coi piani di Corypheus, che a questo punto diventava il principale sospettato a tutto tondo. C'erano troppe coincidenze per non vederle: il Magister era un Prole Oscura, uno dei più potenti della sua specie, e sembrava aver piegato la mente ad un drago, che molti dicevano fosse un Arcidemone - una cosa ancora tutta da vedere considerata la crescente popolazione di draghi nel Thedas. Se poteva fare una cosa simile, perché non avrebbe potuto influenzare anche i Custodi, sfruttando i suoi poteri e la Corruzione nei loro corpi, che li rendeva in grado di avvertire l'Arcidemone e la Prole Oscura?
Si infilò la punta del guanto tra i denti, iniziando a girare avanti e indietro con un nervosismo che mai aveva provato, tranne durante i periodi più duri dell'astinenza da lyrium. Le domande iniziarono ad accalcarsi nella sua mente: Leliana sapeva? E se si, quali particolari? Avrebbe dovuto aspettala e farle trovare la lettera? Sarebbe stato come tradire la fiducia di Alistair, ma d'altronde lui aveva letto qualcosa che non doveva, qualcosa di esclusivamente indirizzato a lei e che perdipiù riguardava anche il Re in persona, che ancora non ne sapeva nulla. E a quel punto, rassicurarlo sul fatto l'Eroe non fosse andato a cercare la morte nelle Vie Profonde gli sembrava più che un favore, o un obbligo. Erano amici da tanto tempo e lui...
Spazientito, Cullen si arrestò sul posto, mordendo a tratti la punta del guanto. Involontariamente si trovava ad essere il ponte tra le diverse informazioni e, da un lato o dall'altro, avrebbe dovuto scegliere a chi dire cosa, e in che modo: doveva riuscire in un compito diplomatico impossibile, proprio lui che nella diplomazia era negato. E tutto ciò dovendo addossare ulteriore lavoro preliminare a Fergus, ed eventualmente ad Emelia, il loro secondo soldato più esperto dai tempi di Haven. In fretta, decise il da farsi, piegando e infilando la lettera nella cintura.
Corse al piano inferiore, i passi che rimbombavano lungo gli scalini di pietra. Passò la biblioteca e quasi urtò Dorian che saliva, e che lo guardò come se fosse ammattito da un momento all'altro esclamando un
«Che diamine succede?»
Il Comandante lo liquidò con un gesto stizzito, raggiunse il piano ancora sottostante dove aveva preso dimora Solas e incrociandolo, corse verso la sua scrivania a malapena salutandolo. L'elfo lo guardò sorpreso.
«Comunicazione importante?» gli chiese nel suo solito tono pacato. Cullen gli rivolse uno sguardo che durò una frazione di secondo, ma che lasciò ben capire l'urgenza.
«Molto. Perdonami Solas, posso usare la scrivania?» domandò, in netto ritardo dato ormai aveva iniziato a rovistare per un pezzo di pergamena pulito.
«Lo stai già facendo» commentò l'elfo, educatamente. Si avvicinò con una calma diametralmente opposta alla sua frenesia e aprì un cassetto del mobile, mettendogli davanti la pergamena che non riusciva a trovare. «Stavi cercando questo, immagino.»
«I-io... mi dispiace» commentò imbarazzato il Comandante, raccogliendo il foglio. Cercò di riordinargli gli appunti come poteva. «Non volevo scombinare...»
«Se è urgente come dici, ne è valsa la pena.» Solas gli mise davanti anche un pennino e l'inchiostro, e si accostò al legno per raccogliere i fogli sparpagliati, che finirono ben riposti tra le sue mani. «Usala pure. Ora è libera.» Lo vide allontanarsi con tranquillità, lasciandolo solo. Nonostante nella sua mente fosse ancora bollato come eretico, Cullen si ripromise di dedicargli una targa, un monumento o qualcosa di simile.
Prese posto alla scrivania nel silenzio di quel piano, una quiete quasi assurda data la disposizione della sala, proprio accanto al salone centrale gremito di gente. Intingendo la penna con una mano e stendendo la carta con l'altra, il Comandante scrisse il messaggio più veloce nella sua storia personale. Mia non avrebbe dovuto lamentarsi tanto delle sue lettere, perché quella che stava per mandare al Re in persona a malapena superava la singola riga.

"È viva. Sta cercando una cura alla Chiamata. La troveremo."

Prese la ceralacca, vi impresse il simbolo dell'anello come firma e corse di nuovo su per i gradini alla voliera. Legò con cura la nuova pergamena alla zampa del corvo che zompettava tranquillo sul tavolo e lo fece uscire dalla finestra, liberandolo. Da bravo corvo, contò sul fatto si sarebbe rifornito di cibo sulla strada, da qualche cadavere massacrato. Un pensiero poco nobile, ma inevitabile. Ora non gli rimaneva che trovare Leliana e informarla, quantomeno a parole, di quello che aveva scritto Alistair.
Non essendo nella voliera, suo solito rifugio, si chiese dove poterla trovare dato la Capospia aveva una ben radicata tendenza a sparire, tornando solamente al calar del buio. Pregò tra sé e sé che così non fosse e si diresse di nuovo giù, attraversando il salone fino alla porta del Concilio di Guerra. La spalancò con un gesto. Tre paia di occhi lo guardarono, e anche se per un solo breve attimo, Cullen provò sollievo. Ormai col fiatone, sorvolò sull'assenza dell'Inquisitore, tornata in missione per un paio di giorni, e si diresse direttamente dalla Capospia che lo osservava con sguardo interrogativo.
«Comandante?»
«Leliana, dobbiamo parlare. Subito.»
La ragazza non reclamò, ma rimase in silenzio per qualche attimo scrutandolo. Dopodiché, annuendo, acconsentì. Cullen la accompagnò nella stanza di Josephine, vuota e immediatamente adiacente, chiudendosi la porta dietro le spalle con un sonoro tonfo. Si assicurò fosse ben chiusa, prima di avvicinarsi a lei, estraendo la lettera dalla cintura.
«Ti ricordi, un paio di giorni fa, quando mi volevi malmenare?»
Leliana annuì.
«Quel giorno ho spedito un messaggio al Re.» Le porse la lettera. «Oggi è arrivata questa.»
In tutta sincerità, temeva la reazione della Capospia alla lettura di quel testo: come avrebbe reagito; di nuovo con ansia, paura, aggressività? Oppure avrebbe sopportato in silenzio il peso di quelle parole che gravavano anche sulle sue spalle, e che stava condividendo con lei? La osservò scorrere attentamente gli occhi di riga in riga, il volto sempre più concentrato e teso. Piccole rughe attraversavano la sua fronte laddove le sopracciglia si aggrottavano, togliendole tutta la serenità nello sguardo che di solito aveva. Finì di leggere e gli restituì il foglio, volgendosi al caminetto della stanza in silenzio. Ci vollero attimi, prima raccogliesse le parole.
«La questione è grave» riuscì a dire, con un tono greve. «Più grave di quanto pensassimo. Se i Custodi dovessero scomparire...»
«Non pensi che Corypheus possa essere responsabile della Chiamata, in qualche modo?» Il Comandante ripose la lettera, l'espressione cupa. «L'abbiamo già visto dominare un drago. Corrompere i templari. Non sarebbe una novità se riuscisse ad agire in qualche modo sui Custodi, sfruttando la loro connessione al Flagello-»
«...e facendo udire a tutti loro la Chiamata» completò Leliana. «Se così fosse, dobbiamo agire senza perdere tempo, discretamente.»
«Eppure, Blackwall non sembra risentirne» constatò Cullen, gli occhi puntati al fuoco.
«Anche Alistair, in apparenza. Probabilmente hanno sufficiente forza di volontà da sentire il richiamo, ma senza seguirlo.» Il Comandante ci pensò sopra, annuendo debolmente.
«Come dovremmo agire, ora?»
«Se qualcuno dei Custodi sta organizzando qualcosa, dobbiamo sapere di che si tratta. Manderò delle spie negli avamposti più vicini. Sono in pochi, le voci girano in fretta.»
«E quanto a Cassandra e a Josephine? Le vogliamo tenere all'oscuro di tutto?» domandò Cullen, con una vena critica.
«Per il momento. Se altri dovessero venire a saperlo...»
«Soprattutto Josephine...»
«Sarebbe uno sfacelo.»
Sospirò, e sentì la stanchezza invaderlo.
«Allora ci concentreremo sugli inviti. Dobbiamo far partecipare il Re al ballo ad ogni costo.»
«Cullen, sarebbe meglio concentrarci sull'Imperatrice. Se dovessero assassinarla come predetto dall'Inquisitore, non so se-»
«Me ne frego dell'Imperatrice» ringhiò Cullen, sommesso. La guardò, e nei suoi occhi si riflesse il fuoco vivo. «È da settimane che stiamo preparando un piano d'azione per evitare che il futuro creato da Alexius si realizzi. I soldati sanno cosa fare, e anche l'Inquisitore. Ma anche con l'Imperatrice salva al trono, senza Alistair e la Regina...»
«Ho capito. Corypheus prenderebbe il Ferelden, piuttosto che l'Orlais, e con gli stessi risultati.»
«Esattamente. E poi li conosciamo, Leliana.» La guardò, angosciato.
«Dovremmo fare il nostro lavoro senza che i rapporti personali ci guidino...»
«Ma non possiamo neanche costringerci a non agire. Negare loro un aiuto. Leliana, quello che tiene unita l'Inquisizione sono proprio i rapporti che stiamo costruendo: sappiamo di poter contare sulla nostra guida, e di poterci spalleggiare l'uno con l'altro. Abbiamo la nostra fiducia e questo già basta.»
«La fiducia non ha aiutato la Divina a sopravvivere.»
«Ma ha dato vita a noi!» esclamò, incollerito. Punto l'indice alla finestra della stanza. «Ha dato vita a qualcosa di giusto! A qualcosa di buono che si propone negli ideali in cui i templari hanno fallito. La pace! L'ordine! Il rispetto! Laddove non ci sono state altro che ingiustizie, maltrattamenti e odio. Guarda Skyhold! Abbiamo accolto eretici, rifugiati, ribelli senza distinzione alcuna. Nessuno si vuole sacrificare, vuole rischiare per un mondo migliore, e questo compito spetta a noi, adesso!» Trattenne la collera, che traboccava dalla sua espressione e dai suoi occhi. «O faremmo meglio a non essere mai esistiti.»
A passi pesanti, si diresse nuovamente al Concilio di Guerra, lasciandosi alle spalle una Leliana stupita dalle sue parole. Nel richiudere l'uscio, si trovò addosso anche gli sguardi perplessi di Cassandra e Josephine, ma fece finta di non vederli. Si avvicinò al tavolo di guerra, e iniziò a spostare le pedine che contrassegnavano le forze di cui erano in possesso, predisponendo nuovi ordini.
 
E finalmente, con un po' di tosse e influenza in meno, è arrivato il momento di pubblicare il settimo capitolo!
E' adesso che iniziano ad entrare in gioco le vere trame che poi si dipaneranno pian piano, ed è qui che finalmente il Comandante riceve notizie da una nostra vecchia conoscenza, Alistair! La sua comparsata è ovviamente breve e in missiva, ma ben presto avrete modo di vederlo agire: devo ammetterlo, non ho apprezzato molto l'unica breve comparsata che gli hanno fatto fare in Inquisition, nel caso sia rimasto Re, e sto lentamente trovando un modo per inserirlo attivamente e renderlo partecipe degli eventi che accadranno <3 in fondo, pur essendo un Re, anche Calhain in Dragon Age Origins era sceso direttamente in campo contro il Flagello che minacciava il Thedas... perchè non lasciare che il fratello (fratellastro) si dimostri altrettanto di valore? Non avrebbe senso se stesse a grarsi i pollici a palazzo, almeno nella mia fanfiction xD
Parlando invece di Cullen, devo ammettere che alcune delle parti che più mi sono divertita a scrivere in questo capitolo sono l'inizio e la fine: la storia del lyrium rosso mi ha sempre attirato e il nostro ragazzo si presta molto bene agli incubi (ghgh <3), e in futuro vorrei riuscire a sviluppare qualcosa di più a riguardo, mentra il  suo carattere in netta contrapposizione con quello di Leliana che sembra essersi raffreddata molto in Inquisition secondo me ha dato, e potrebbe ancora dare vita a dialoghi molto interessanti. Quello che mi preoccupa di più invece è che i personaggi restino attinenti alla storia, e spero vivamente di aver fatto un buon lavoro anche stavolta e possibilmente di continuare a farlo T_T
Dopo tutto questo chiacchierare da parte mia, aggiungo un appunto: dal 6 gennaio in poi tornerò in ballo col lavoro, il chè significa poco tempo per scrivere ç_ç continuerò con la scadenza di cinque giorni ma vi volevo avvertire, nel caso restassi troppo indietro la allungherò a sette giorni, ovviamente avvertendovi il capitolo prima per quello dopo (sempre se starete ancora leggendo invece di venire a cercarmi con torce e forconi, non si sa mai xD).
Detto questo, spero il capitolo vi piaccia, se volete spedirmi cioccolatini, chackram volanti, commenti o i suddetti forconi io sono sempre felice, l'indirizzo lo potete trovare in piccole note illeggibili a fondo pagina assieme ai molti cavilli legali che vi impediscono di uccidermi xD scherzi a parte, devo fare un enorme grazie a tutti quanti leggono questa ficcy di cuore (e anche a chi non la legge perchè non si sa mai xD), sia per la dedizione che per gli auguri di pronta guarigione, che gli auguri di Natale e Buon Anno *_* vi auguro anch'io un 2015 fantastico anche se in ritardo di molti giorni!
Ci vediamo al prossimo capitolo!


 

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Capitolo 8
*** Una rosa in mezzo al buio ***


L'indomani, a pomeriggio inoltrato, l'Inquisitore tornò dalle terre centrali, cavalcando oltre i cancelli di Skyhold con i compagni al seguito. La voce del suo ritorno corse per tutto il castello, dove i lavoranti si muovevano frenetici qua e là per le ali dell'imponente struttura fin dalla mattina, ultimando i preparativi prima della partenza che sarebbe avvenuta la sera stessa, in direzione Orlais. Il fermento aveva reso tutti ansiosi: le spie preparavano l'equipaggiamento sotto le istruzioni di Leliana, munendosi di tutto il necessario a comporre una buona squadra che facesse da avanguardia in caso i soldati di Cullen non potessero, per qualche motivo, intervenire. L'Esploratrice Harding era ancora sulle tracce di Elmer e dell'Eroe e lei sarebbe stata impegnata al ballo in qualità di rappresentante dell'Inquisizione, quindi la Capospia aveva dovuto ovviare alla mancanza del suo Luogotenente migliore contattando un agente esterno, Hall, che si era subito mosso per raggiungerli. L'arciere non ci aveva messo molto, e adesso, dopo un breve briefing, stava parlando ai componenti del gruppo stabilendone ruoli e avanzata.
L'Ambasciatrice, nel frattempo, terminava le ultime lettere di ringraziamento ai nobili che si erano tanto gentilmente mossi per garantire la presenza del Re del Ferelden e dell'Inquisizione al Palazzo d'Inverno. Aldilà del fatto fossero stati invitati direttamente dall'Imperatrice, l'etichetta dell'Orlais era rigidamente legata alle diverse reti di favori in cui si intrattenevano i membri importanti della società, favori che sarebbero stati loro gentilmente ricordati al momento meno opportuno, in futuro. Ma Josephine, astuta, aveva già diverse altre carte nella manica da sfruttare e se ne preoccupava relativamente, lasciando l'eventualità alle sorti del ballo: se fossero riusciti a smascherare l'attentatore alla vita di Celene, accrescendo così la loro posizione in onore e prestigio, avrebbero avuto più di quanto servisse all'Inquisizione e senza dover nulla in cambio. Finì i ringraziamenti che affidò ai messaggeri, subito pronti al viaggio.
Cullen, dopo una lunga giornata di preparazione ai soldati con Fergus, stava terminando tutto ciò che era inerente al viaggio in sé: aveva radunato gli uomini sotto il comando di Emelia, più portata di Fergus alle operazioni militari meno in vista, accordato un segnale di richiesta di intervento e assegnato i rispettivi ruoli nell'operazione. Dopo aver organizzato le scorte di acqua e di cibo assieme al cuoco delle cucine, racchiuse in solide bisacce, le aveva portate alle scuderie e stava finendo di legarle saldamente ai cavalli già sellati e riposati, pronti a partire. Non avrebbero fatto molte fermate lungo il percorso verso la capitale, dato la tratta era relativamente breve per i due giorni di tempo a loro disposizione: avrebbero viaggiato per una mezza giornata fino alle coste di Montsimmard e aggirato l'unico affluente del Lago Celestine fino a Verchiel, e da lì si sarebbero diretti fino ad Halamshiral sfruttando la Via Imperiale, in tutto impiegandoci una giornata e mezza.
Aveva ormai finito con le scorte quando sentì l'Inquisitore arrivare, conducendo a passo d'uomo il suo cavallo stremato dalla corsa. Dorian e gli altri avevano lasciato i loro alli stallieri, probabilmente già sulla strada per raccogliere il necessario al viaggio. Assicurò le cinghie di un otre in pelle alla sella del destriero che stava curando e la salutò.
«Bentornata, Inquisitore.»
«Grazie. I preparativi per la partenza verso Halamshiral?» Gli rivolse un caloroso sorriso, sfregandosi la fronte sporca di terriccio. Cullen si sentì arrossire, e tossì imbarazzato prima di rispondere.
«Agli sgoccioli. Il ritrovo è tra trenta minuti, nel giardino interno. Leliana è già lì, assieme ai miei uomini.» Le porse una mano chiedendole le redini dell'animale, che lei gli passò volentieri. Lo condusse fino alla mangiatoia, dove lo legò, lasciandolo bere e mangiare tranquillamente. «Josephine ha fatto preparare le uniformi per il ballo, stamattina, con tutte le rimostranze del caso per non essere riuscita a procurarti qualcosa di più adatto e "femminile".» Le lanciò uno sguardo ironico, accarezzando il collo del destriero. «Ha fatto il giro delle nostra stanze, quindi probabilmente ha già lasciato la tua in camera.»
«Perfetto. Almeno avrò il tempo di darmi una pulita.» Kassandre si passò una mano tra i capelli, tirandoli indietro dalla fronte e liberando la vista ad un paio d'occhi vividi, ma segnati dalla stanchezza. Si poggiò mollemente ad un palo di sostegno facendo attenzione al bastone legato sulla schiena, le braccia conserte.
«Giornata pesante?» le chiese lui, notando il suo sguardo.
«Mai come le prossime. Almeno i banditi non ti costringono a rispettare l'etichetta, parlare senza essere mai diretti, eccetera, eccetera.» L'Inquisitrice sbuffò, evidentemente seccata. «Senza contare le maschere. Sai quanto può essere seccante discorrere con qualcuno senza poterlo guardare in faccia? E la chiamerebbero conversazione?» Cullen rise alla sua espressione esasperata, e le si avvicinò, puntellandosi con una mano alla trave poco sopra la sua testa.
«Avanti, è solo per una serata. E non importuneranno solo te: anche il Re parteciperà al ballo.» Un'espressione meravigliata le apparve sul volto.
«Re Alistair verrà al ballo?»
«Ovviamente. E conoscendolo, probabilmente sarai la prima a cui vorrà parlare.»
«A-a me?» rispose lei, balbettando. «Non so se ne avrà molta voglia, dopo Redcliffe.»
«Non ti preoccupare» le sorrise lui, rassicurante. «Aldilà del suo allontanare i maghi dal paese, è sempre stato un tipo bonario. Si è solo lasciato trasportare dalla delusione di un attimo» le assicurò. «Chi non lo farebbe, se qualcuno invitasse un Magister a bere il tè direttamente sul trono di tuo zio?»
Lei rimase senza parole mordicchiandosi un labbro, probabilmente ancora combattuta a riguardo: nonostante Cassandra fosse stata largamente contraria, e inizialmente anche lui stesso, l'Inquisitrice non aveva esitato un attimo quando il Re aveva detto ai maghi di fare le valigie e andarsene entro l'indomani, consigliando di accettare qualsivoglia offerta dell'Inquisizione. Nemmeno il tempo di uno schiocco di dita, e aveva fatto di loro degli alleati, accolti e trattati come persone e non come maghi o peggio, mostri per lo sbaglio fatto. E adesso, sotto le sue istruzioni, una delle torri del giardino interno stava venendo ristrutturata per dar loro uno spazio privato in cui lavorare. In poche parole, pensò Cullen, stava creando loro un'accademia, una scuola al posto di una prigione, dove i maghi potessero controllare altri maghi, prevenendo incidenti senza l'ausilio dei templari.
Che ormai il loro compito fosse davvero esaurito?
Cullen osservò l'Inquisitrice con una vaga amarezza, ricordandosi che il suo posto non era più nell'ordine, rivelatosi un totale fallimento d'intenti. Kassandre non sembrò capire il motivo del suo rimurginare e cercò i suoi occhi piegando la testa, con un mezzo sorriso a rasserenarle il volto.
«Hai ragione» si sentì dire. Sorpreso, inarcò le sopracciglia prima lei continuasse. «I maghi hanno sbagliato, e neanch'io avrei fatto da meno al suo posto. In fondo, avrebbe potuto fare di peggio che allontanarli soltanto» ammise Kassandre, alzando le spalle. In lontananza sentirono una fanfara che indicava agli uomini di radunarsi.
«Non pensarci adesso, va bene?» le consigliò il Comandante. «Ora vai a prepararti, non deve mancare molto al viaggio.»
«"Vai"?» scherzò lei, facendogli per un secondo temere di aver detto qualcosa di sbagliato. «Vorrai dire "andiamo"!» lo corresse. «Non vorrai affrontare tutto il viaggio in quell'armatura, vero?»
«Fino a prova contraria, sarei ancora il capo delle forze armate, Inquisitore» la scherzò. Lei storse il naso a sentire il titolo, e afferrò un angolo della sua tunica, strattonandolo un paio di volte col cipiglio serio di una madre col figlio.
«Avanti. Abbiamo già abbastanza soldati a scortarci, e sai che non potrai portarla, al ballo. Inizia ad abituarti o almeno, se proprio non vuoi levare l'armatura, mettine una più leggera.»
«Va bene» Cullen fece finta di pensarci per davvero. «Vorrà dire che metterò anche l'elmo.»
Kassandre rise, scuotendo la testa e iniziando ad incamminarsi. Cullen la seguì.
«Sei cocciuto...»
«E tu sei testarda.»
«Se solo provi a presentarti a Palazzo con quella cosa addosso...» gli intimò lei.
«Ti assicuro, sarò il più elegante uomo che tu abbia mai vista sulla faccia del Thedas.»
Cullen fece finta di gonfiare il petto, impettito, e le sorrise. Lei scosse la testa, nascondendo l'ilarità dietro un'espressione volpina.
Insieme, fianco a fianco, salirono le scale continuando a parlottare. Poi ognuno si diresse nelle proprie stanze.

La prima tappa a Montsimmard fu effettuata a notte inoltrata, in anticipo rispetto a quanto previsto. L'intera compagnia si fermò e qualche semplice tenda venne messa in piedi per permettere a tutti di riposare per qualche ora, almeno fino all'arrivo dell'alba. Essendo una sosta veloce, chi doveva dormire finì a farlo in coppia: vedere Blackwall che si lamentava, mettendo il muso, di dover riposare proprio accanto a Dorian che intanto continuava a punzecchiarlo mise tutti di buon umore, assieme all'assenza di pericoli inattesi. Quando ripartirono, il sole stava sorgendo gettando la sua pallida luce sul suolo ghiacciato e sull'erba ricoperta da fragile brina, mentre i cavalli, correndo, esalavano la stessa densa nuvola di vapore che usciva dietro le loro sciarpe, e da sotto l'elmo foderato a guisa di leone di Cullen, che gli gettava sulla schiena una coltre di pelo nero striato di rosso. Prevedendo l'intenso freddo delle lande, temperato appena dalla vicinanza con uno dei più grandi laghi della regione, aveva sostituito la solita tunica con una versione più pesante della stessa, che invece di essere rossa, decorata d'oro ai bordi, era di un profondo blu notte con delicati ricami di foglie argentee. Nel buio che si andava dissipando, sembrava un leone nero in procinto di attaccare in sella al suo destriero, la mano pronta alla spada e sempre in testa al drappello di uomini.
Più volte insieme ad Hall, l'arciere incappucciato che portava un vasto sfregio sul volto, avanzarono in avanscoperta cercando la via migliore per passare tra le rovine che punteggiavano qua e là la vastissima area. Paesaggi di case distrutte, macerie e muri senza più padrone ricordarono loro la minaccia sempre presente dei demoni e, anche se fortunatamente non ne incontrarono sulla loro strada, le scorribande di quelli che si facevano chiamare Uomini Liberi, stanchi dell'Impero e di una qualunque forma di governo che promettesse loro splendore, facendoli poi morire di fame. Come biasimarli, considerata l'opulenza della loro nobiltà?
Aggirate le coste del lago, il tempo iniziò a farsi più mite e il sole a splendere alto nel cielo punteggiato da nubi. Ciònonostante la rigida temperatura continuò ad assalirli ad ondate prima di raggiungere la Via Imperiale. L'Inquisitore, a cavalcioni sul suo cavallo designato, spesso si tirava sulle mani coperte dai guanti le spesse maniche di una giubba di pelle rossa, foderata di lana cotta, su cui rotondi bottoni dorati rilucevano. Sotto, un gilet la proteggeva ulteriormente, anche se i vigorosi colpi di tosse da dietro la stola di lana in cui si era avvolta il viso preoccupavano chi viaggiava con lei. Dorian, infagottato in una tunica, le cavalcava costantemente al fianco lamentandosi del freddo acuto («Ma mai come ad Emprise du Lion!») per distrarla, facendola ridere sommessamente. Blackwall, dietro di loro, intavolava discussioni sulle vecchie storie dei custodi incassato nel suo gambeson azzurro, con un Varric che lo ascoltava interessato nella sua giacca di un pacato color panna, insensibile, per il resto, al freddo.
Raggiunsero la Via Imperiale solo a mezzogiorno inoltrato, finalmente avendo un sentiero battuto da seguire fino a Verchiel. Trainati da muli e asini, diversi carri dei contadini passarono trasportato verdure, formaggi e carni ai mercati più vicini, tutti di diversissime qualità. Un mercante di tessuti li fermò ad un certo punto, un tale di nome Garrand, e chiese se si potesse unire a loro fino alla capitale.
Il mercante, ben vestito ma per nulla appariscente, si accaparrò subito le loro simpatie quando, nell'imbarazzo più totale, venne a scoprire a che compagnia si era unito. Poi intavolò una lunga discussione sulla qualità delle vesti delle altri regioni con Dorian e l'Inquisitore, a cui molti altri si unirono parlando delle grezzi pelli del Ferelden, della finezza dei velli delle Anderfels e della particolare grana della sete Tevinteriane, o del suo sartiame decadente, ammissione strappata allo stesso Dorian. Tra una sosta e l'altra, il gioviale mercante che mostrava poco più di cinquant'anni offrì tutto ciò che aveva a propria disposizione in loro aiuto, sebbene l'Inquisizione non fosse ancora ben vista dall'Orlais. Kassandre, meravigliata, gli chiese se avrebbe voluto stabilirsi con loro a Skyhold una volta finiti i commerci, e pieno di infinita gratitudine Garrand accettò. Leliana, nel frattempo, lo guardava silenziosa, sorridendo alle volte: quando l'Inquisitore le chiese il perchè, le disse che le avrebbe raccontato una vecchia storia, prima o poi. Una storia di bardi e ladri.
Da Verchel raggiunsero Lydes e poi Halamshiral, poco distante dal mare. Qui si fermarono qualche ora per i rifornimenti necessari, dopodichè si accamparono poco fuori dalla città, accendendo un nuovo falò per la notte ormai mite e priva della rigidità dell'entroterra delle Dales. Ognuno di loro, vestito più o meno come in precedenza ma con più comode e leggere vesti di cotone o lino, prese posto attorno al fuoco tranne Cullen che, seduto su uno sgabello raffazzonato poco lontano, affilava la spada. Il rumore metallico fendeva a ritmo regolare la notte, e le scintille illuminavano a tratti il suolo attorno e i volti già rischiarati dal fuoco, lasciando un lieve odore di zolfo.
«Sorella Usignolo» fece il Comandante ad un tratto, facendo attenzione a chiamarla col soprannome che meno rivelasse la reale provenienza di Leliana. «Non avevi una storia da raccontare?» La Capospia gli mostrò uno sguardo incuriosito, forse a causa delle sue orecchie acute, e annuì.
«Ho qualcosa, in effetti, ma non quella storia. Non ora, almeno.» Sorrise. «Prima di arrivare, è meglio che capiate come funzionano davvero le cose ad Orlais. Sapete cos'è il Grande Gioco?»
Molte teste vennero scosse, tranne quella di Josephine.
«Frequentare il Gioco e le mode degli Orlesiani è molto diffuso a Nevarra» si limitò a rispondere quest'ultima alzando le spalle, un leggero scialle azzurro a coprirla, guardando gli altri.
«È vero, Josephine» acconsentì Leliana in sua direzione. «Tua sorella ne è una seguace più che accanita, se non sbaglio.»
«Oh, povera Yvette. Non sa in che guai si sta cacciando...» sbuffò lei, con un velo di disapprovazione. «Ma meglio tu vada avanti a spiegare il Gioco, prima qualcuno caschi dritto nelle sue insidie.»
«Bene, allora.» La Capospia si rivolse a tutti, le mani intrecciate sulle ginocchia, osservandoli uno ad uno. «Il Gioco, in termini semplici, è la continua competizione tra i nobili Orlesiani per guadagnare influenza e fama. Ogni Orlesiano che sia nobile di nascita è soggetto al Gioco, che egli ne sia partecipe o pedina, tranne chi è affiliato ad un ordine particolare. I maghi, per esempio, o i templari, e chiunque appartenga alla Chiesa.» Compiaciuta dell'attenzione che i compagni le dedicavano, Leliana proseguì. «Chi sa padroneggiare il Gioco si assicura il prestigio e il rispetto di ogni famiglia, e per ottenere questi risultati ogni cosa è lecita: l'uso di abiti e gioielli che ricordino favori o particolari momenti, la decorazione delle maschere, la cura del proprio aspetto e comportamento e l'abilità di screditare una persona in qualsiasi situazione sono tutte cose apprezzate. Anche l'uso dell'assassinio e dei bardi è grandemente diffuso. Un bardo ben addestrato può essere affilato e utile quanto il migliore dei pugnali, quando le due cose non coincidono direttamente.»
Pochi sapevano del passato di Leliana, a parte il gruppo dell'Eroe che durante il Flagello ne era stato coinvolto in modo inconsapevole. Tutto ciò di cui Cullen era a conoscenza veniva direttamente dalle sparute missive che lui e l'Eroe si erano scambiati, quando per qualche motivo il Re non era stato in grado di farlo: qualcosa sulle sue abilità di bardo, confermate dal suo attuale rango nell'Inquisizione, ma nulla più. A quanto pare, intuì il Comandante in quel momento, la stessa parola aveva significati diversi in Ferelden e nell'Orlais: nel primo il bardo era il semplice cantore, astuto e in grado di difendersi, ma non certo un pericolo. Nella terra dei leoni invece sembrava fosse più sinonimo di ladro, o addirittura assassino. Le rivolse un lungo sguardo serio, poi riprese a ripassare la lama con l'acciaino mentre l'Inquisitore alzava la mano. Un gesto familiare che gli ricordò le lunghe lezioni dei maghi del circolo al quale presenziava di tanto in tanto, assicurandone l'incolumità: i maghi adulti sapevano controllare i propri incantesimi, ma non era raro che quelli più giovani, a volte addirittura bambini, finissero per darsi fuoco o folgorarsi inavvertitamente. Ricordava lui stesso d'aver gettato un secchio d'acqua addosso a qualcuno, molto tempo prima: a volte bastava quello. Ma quando il tutore non riusciva a intervenire in tempo o il catino non serviva, i templari erano lì, pronti a dissipare qualsiasi magia aspettando cure per il piccolo sfortunato... o di seppellirlo. Assieme a quelli che si gettavano dalle finestre, per questo motivo ridotte o sbarrate, o si suicidavano nei modi più incredibilmente assurdi.
«In che senso "quando le due cose non coincidono direttamente"? Qual'è il ruolo dei bardi?»
Sospirò, mentre Leliana ascoltava la domanda dell'Inquisitore e preparava la risposta. I segnali di disagio c'erano sempre stati, ma si erano illusi sarebbero semplicemente scomparsi. Tutti loro. Era... mostruoso. E loro si erano ridotti a mostri.
«I bardi non hanno un ruolo stabilito. Sono menestrelli addestrati nell'arte del Gioco, strumenti per qualunque nobile abbastanza ricco da pagare. Generalmente, usano la loro astuzia per introdurre malevoci e peggiorare la reputazione della loro vittima, ma non di rado rubano, scambiano e fanno trovare oggetti compromettenti alle autorità per affossare il malcapitato. Sono maestri dello spionaggio e sanno come non farsi trovare. E i più addestrati non si risparmiano l'omicidio.» Lanciò uno sguardo eloquente a Josephine, che fece finta di osservarsi attentamente la punta dei piedi. «Basta creare un piccolo incidente che, se politicamente guidato, tutti ignoreranno. Un buon esempio è Lady Vedova. È uno degli ambasciatori di corte più in vista, ma tutti quelli che la sposano muoiono poco dopo per le cause più assurde. Sicuramente opera di un bravo bardo.»
«Non dovrebbero evitare imprese così eclatanti?» le chiese Varric.
«Sarebbe buonsenso, Varric. Gli Orlesiani non lo coltivano» commentò Dorian, asciutto. La Capospia represse una lieve risata.
«I migliori sanno far parlare di sè, senza mai essere notati. Il loro lavoro è passare completamente inosservati, motivo per cui dovrete fare attenzione una volta a Palazzo: dubito vogliano attaccare direttamente l'Inquisitore, sarebbe troppo diretto. Ma il Creatore solo sa quanti cercheranno di strapparci delle informazioni.»
«Informazioni? Credo saranno tutti più impegnati a strappare i pantaloni al nostro bel Comandante in uniforme, piuttosto.» Il sarcasmo di Dorian, mai troppo poco per rendere la serata allegra, fece scoppiare molti in una fragorosa risata mentre Cullen arrossiva, sperando che il bagliore della fiamma avrebbe nascosto il colore. Leliana non perse un colpo, guardandolo con un sorrisetto definitivo.
«Quella potrebbe essere la nostra occasione di recuperare informazioni» commentò, compiaciuta.
«Oh, non oserai- non sono un'esca!» Cullen stava per aggiungere dell'altro puntandole un dito contro, quando venne interrotto dalla voce perfettamente cadenzata dell'Inquisitore che lo studiava con lo sguardo.
«Pensi a farsi carino, Comandante.»
Cullen ingoiò silenziosamente un groppo amaro, sentendo il silenzio calare attorno. E non per la prima, nè per l'ultima volta nella sua vita, si sentì decisamente in pericolo.

«Siete sposato, Comandante?»
«Non ancora, ma... sono già occupato.»
«Quindi siete ancora disponibile...»
«...»
Cercò di non rispondere, ma una vena pulsante faceva già la sua prima comparsa, esattamente a destra della sua fronte. Al suo fianco, un'altra vocina squittì.
«Dovete danzare con me, Comandante! Non potete starvene in piedi per tutta la serata!»
«Ho paura di si, invece. Grazie.»
Sentiva troppe attenzioni su di sé. Mantenne un comportamento altero e impeccabile, continuando a regalare occhiate gelide.
«Posso offrirvi un bicchiere, Comandante?»
«No, grazie.»
Aveva già il suo bicchiere di vino annaquato in mano. Potevano non essersene accorti? Quelle maschere dovevano fondere il cervello.
«Sorridete Comandante! Siete così carino quando lo fate!»
«Proprio come quando non sorride, in effetti» rispose una voce maschile interessata. Sbiancò, prima di sussultare voltandosi di scatto.
«Mi avete appena... afferrato il posteriore?» esclamò indignato.
«Non ho potuto farne a meno!» sorrise un altro nobilotto, con un ghigno troppo largo per i suoi gusti.
«Oh, per il Creatore. Vado... vado a riempirmi il bicchiere.»
Si svicolò dai nobili con un'agilità che trovarono deliziosa, almeno a starli a sentire, e si diresse verso la tavolata delle vivande per far sembrare la scusa più credibile. Attese che i suoi inseguitori si fossero persi abbastanza in chiacchiere, pensandolo di ritorno a breve, e poi fuggì in maniera disinvolta sulla balconata, esalando un sospiro di sollievo.
L'inferno non era la Città Buia, non erano i maghi e neanche gli abomini. L'inferno era avere alle calcagna dieci nobili orlesiani interessati solo al suo cognome, ed era iniziato dalle presentazioni dell'Inquisitore all'Imperatrice Celene. Un momento che gli sarebbe rimasto impresso nella memoria per il terrore più puro in scala da uno a dieci, subito dopo i demoni e il lyrium rosso.
«Ecco a voi Lady Travelyan, Araldo di Andraste, guida dell'Inquisizione!» aveva tuonato il cerimoniere, lasciando che l'Inquisitore per prima si incamminasse dall'altra parte dell'immenso salone, direttamente sotto il naso dell'Imperatrice.
«I Consiglieri: Josephine Montilyet, Ambasciatrice e capo diplomatico dell'Inquisizione!» E anche Josephine si era incamminata, raggiungendo l'altro lato e sistemandosi accanto a Kassandre.
«Sorella Usignolo, Mano Sinistra della Divina Justinia, siniscalco dell'Inquisizione!» Leliana l'aveva squadrato con aria di approvazione, prima di raggiungere gli altri.
«Cullen Stanton Rutheford di Honnleath, Comandante delle forze militari dell'Inquisizione!»
Una fila di "oh" e "ah" si era sollevata al suo passaggio, mentre pensava solo a guardare dritto davanti a sè. Aveva raggiunto il fianco dell'Inquisitore, il mento e la schiena ben dritti come se fosse in parata, e osservato i presenti con finta aria di sfida.
«Stanton?» gli era stato chiesto a mezza voce Kassandre. «Sul serio?»
«Lascia stare.» Aveva risposto in un sussurro truce. «Odio quel nome.»
Josephine si era lasciata scappare una risatina soffocata, e Cullen si era ridotto a mordersi disperatamente l'interno della guancia cercando di pensare ad altro che non fosse il cavallo dei pantaloni particolarmente stretto: «Come va di moda a corte in questa stagione» gli aveva detto lei, con l'espressione di chi la sapeva lunga. Avesse aggiunto che agli uomini Orlesiani piaceva evirarsi dopo innumerevoli sofferenze, o che in realtà avevano sbagliato taglia dandogliene una femminile, sarebbe stata più convincente sulla sua uniforme. Fortunatamente l'arrivo di Dorian, Blackwall e Varric, rispettivamente nelle vesti del Tevinteriano cattivo e carismatico, del custode burbero pluridecorato e del nano scrittore di successo erano riusciti a distoglierlo per un po' da quel particolare. Fossero riusciti anche a distogliere l'attenzione di molte donne e uomini della sala dal suo cognome, avrebbe pianto e pregato nudo in nome del Creatore, anche se probabilmente sarebbe stato considerabile come bestemmia più che atto di ringraziamento.
Almeno ora, nella placida calma della balconata, poteva respirare un attimo prima i nobili lo trovassero di nuovo e lo costringessero ad una maratona via dalle loro grinfie. Cullen odiava ballare e tutte le richieste della serata, condite da carinerie, non facevano altro che fargli detestare ancora di più il pensiero di danzare con una sconosciuta (o uno sconosciuto, non sembrava avere molta importanza) in mezzo a mille altre persone che l'avrebbero giudicato come il pessimo ballerino che era. A quel proposito, stava facendo di tutto per evitare ulteriori attenzioni su di sè e mantenere un profilo basso, ma l'Inquisitore non doveva essere del suo stesso parere, perchè non aveva esitato un attimo nel venire a chiedergli un ballo: colpa dell'imbarazzo e di tutti i dinieghi precedenti, aveva detto di no anche a lei, non senza qualche rimorso.
Nonostante l'uniforme dal deciso taglio maschile, Kassandre risaltava come una mosca bianca nella folla: ai capelli corvini estremamente comuni si contrapponeva una carnagione pallida pari solo a quella dell'Imperatrice, che in molti avevano notato lanciandole occhiate desiderose. La cosa l'aveva infastidito a tal punto che ben più di una volta Cullen aveva pensato di prenderle la mano e farle strada al centro del salone, deludendo tutti gli spasimanti. Solo il timore di pestarle un piede nel bel mezzo della calca lo tratteneva, oltre che una sana dose di timidezza.
Mentre sorseggiava dal suo calice, il Comandante sentì una mano posarglisi sulla spalla. Sussultò pensando l'avessero già trovato, e fece per dire qualcosa quando si accorse del familiare viso che la accompagnava.
«Alistair!» esclamò con un largo sorriso. Si voltò in sua direzione, inchinandosi lievemente, mentre quello gli rifilava un paio di vigorose pacche sul braccio. «Non mi aspettavo di vederti arrivare. Non dovresti essere dall'Imperatrice a parlare di politica?»
«Celene ha di meglio da fare al momento, come far roteare la sua grande gonna per ingraziarsi i nobili più petulanti.» Il Re ridacchiò sommessamente. «Non che le stia venendo bene: il tuo Inquisitore sembra essersi attirata l'attenzione di tutta la sala.»
«Inizio a capire perché Josephine si lamentava delle uniformi...» sussurrò, ridendo a sua volta. «Se l'Inquisitore sta già facendo capitombolare mezza corte ai suoi piedi in giacca e pantaloni, figuriamoci con un abito da sera.»
Alistair si produsse in un breve fischio, brandendo il proprio bicchiere in alto per proporre un breve brindisi a cui Cullen acconsentì con piacere. Se fosse stato un Re diverso, con una storia diversa e magari di sangue completamente blu, il Comandante avrebbe dovuto piegare la testa, esporre i propri saluti e sentirsi fortunato per averlo anche solo incontrato, o incrociato. Fortunatamente il Re confermava il buon carattere della sua famiglia e proprio come il suo mezzo-fratello Calain, al trono prima di lui, detestava quelle formalità con tutto il proprio ardore: in Alistair batteva ancora forte il cuore da Custode, rendendolo incapace di dimenticare il cameratismo che aveva vissuto per anni tra gli altri suoi compari ed i templari. L'unica cosa che era cambiata da allora era il suo grado di importanza, a cui non sembrava dare peso, ed un paio di occhiaie violacee appena accennate sul viso appena scavato dagli anni. Cullen si chiese se fossero causate dalla difficoltà di gestire al meglio un regno, o dai pensieri che sicuramente aveva rivolto a Rachel dal momento della sua scomparsa.
Bevvero dai propri bicchieri, ed Alistair storse il naso.
«Da queste parti hanno solo il formaggio, di buono» commentò con una vena ironica, mentre Cullen si guardava attorno, incuriosito dalla mancanza del suo seguito.
«Dove sono le tue guardie?»
«Esattamente dove hai lasciato i tuoi ammiratori: ad aspettarmi al tavolo delle vivande.»
Dopo un momento di silenzio, scoppiarono a ridere insieme per aver avuto la stessa identica idea, e si incamminarono verso il bordo del balcone cinto da grandi vasi in fiore, lontano dalla porta dove orecchie indiscrete potevano ascoltarli. Cullen si poggiò alla ringhiera in pietra, curvandosi, i gomiti puntati e le mani intrecciate. Alistair gli si mise accanto quasi allo stesso modo, intento ad osservare il cielo terso e lo splendido scorcio di Halamshiral che si poteva intravedere da lì.
«Allora, come vanno le cose?» gli chiese.
Alistair esitò per lunghi istanti, gli occhi puntati al paesaggio illuminato dalla luce lunare. Sembrava quasi che ogni edificio fosse stato dipinto d'argento e di blu, da quella distanza.
«Meglio» sospirò pesantemente il sovrano, stringendo nervosamente le nocche di una mano nell'altra. «Meglio, ora che so che almeno lei è...» Prese un profondo respiro, con lo sguardo più tetro gli avesse mai visto in faccia. Cullen gli posò una mano sul braccio, cercando di rassicurarlo.
«La troveremo, Alistair, dovesse essere la mia ultima promessa. Siamo già vicini. La riporteremo a casa.» Il Re sembrò confortato dalla notizia, eppure annuì senza troppa convinzione.
«Non voglio farmi illusioni. Sai quanto è abile nel non farsi trovare, se non vuole. Non credo che gli uomini dell'Inquisizione...»
«Li sta guidando Leliana» intervenne il Comandante. «È stata lei ad averle insegnato come sparire dalla circolazione, non esiste che non riesca a trovarla. Ha mandato solo uomini scelti, e anch'io ho dato il mio contributo. La troveremo.» Ripeté con fermezza. Alistair gli rivolse un'espressione amara.
«Ne sei così sicuro...» scosse la testa, socchiudendo appena gli occhi. «Grazie. Quello che stai, state facendo... non sono sicuro di poterlo ricambiare.»
«Sei il Re del Ferelden, non credo tu debba ricambiare proprio nulla.» Cullen gli sorrise, divertito. «Piuttosto, se vuoi fare un favore all'Inquisizione inizia a risolvere con l'Imperatrice. Sono sicuro che un po' di stabilità non farà del male al Ferelden.»
«Sempre che rimanga al trono dopo stasera» rispose il Re, indispettito. «Se i nobili appoggiassero suo cugino Gaspard, sarebbe la fine per ogni trattativa. Sai come ha chiamato zio Teagan? "Signore dei cani"!» disse con malcelato disprezzo. «Ecco cosa siamo per lui: bifolchi, barbari e senza sapone. Posso anche capire l'ultima parte dato il Ferelden puzza di cane bagnato, ma il resto!» Cullen ridacchiò davanti alla sua espressione indignata.
«Per tua fortuna, credo l'Imperatrice voglia tenersi ben attaccata al suo trono. È la donna politicamente più abile che abbia mai visto dopo Josephine» constatò con sincera ammirazione. «L'unico pericolo che corriamo stasera è dovuto a Corypheus.»
«Che cosa intendi dire?» gli chiese Alistair. «Dubito uno del suo aspetto indossi un bel vestito da ballo e venga a fare quattro volteggi con gli invitati del salone.»
«Nessun dubbio» sorrise Cullen, tornando subito serio. «Ma abbiamo un certo anticipo sulle sue mosse. Abbiamo ragione di pensare voglia sbarazzarsi di Celene» aggiunse in un sussurro.
«E in tutto questo, l'Inquisitore cosa intende fare?»
«Prevenire il disastro. Per il momento sta solo raccogliendo informazioni utili in giro, ma allo scoccare dell'ora dovrebbe essere di ritorno per informarci. So che prima stava parlando con la contessa Florianne, la sorella di Gaspard.»
«Io non mi fiderei» Il Re storse il naso.
«Ha organizzato lei il ballo per mettere in pace Celene e suo fratello...»
«Sarà, ma non mi fiderei comunque.»
Cullen evitò di mediare, sapendo che quando un'idea entrava in quella testa difficilmente ne veniva fuori, come ad esempio quella - pessima - di leccare i lampioni d'inverno. Inutile dire come l'ex-templare ci avesse provato a suo spese, nonostante le sue raccomandazioni.
«E... come va con l'Inquisitore?» Alistair lo distolse dai suoi pensieri.
«In che senso?»
«Tu e lei!»
«Io e lei cosa?»
Il Re alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
«Sei sempre stato tonto, ma così tonto...» mormorò più a sé stesso che a lui.
«Senti un po' chi parla!» esclamò il Comandante.
«Ma è vero!» Alistair si sollevò, guardandolo con le braccia incrociate. «Tutti nel salone hanno visto come ti chiedeva di ballare. È ovvio che le piaci, e tu hai anche avuto il coraggio di rifiutare?» Cullen sospirò, grattandosi il collo ed evitando accuratamente lo sguardo.
«Non è che non volessi, è solo che...»
«Non ti piace?»
Sorpreso, il Comandante si voltò con un velo di panico.
«Cosa? Io- no! Mi piace...» la sua voce si affievolì, e Alistair prese la palla al balzo.
«E allora, chiedile di ballare.»
«Non sarebbe il momento. Dobbiamo pensare a-»
«Appunto.» Lo interruppe con l'aria di chi non voleva sentire repliche. «Adesso avete del tempo, approfittane. Dopo, non lo puoi sapere.»
Cullen rimase a lungo in silenzio.
«Se vogliamo sventare i piani ai danni di Celene, non posso permettermi certe... debolezze.» Alistair lo osservò, comprensivo.
«Cullen, quando ho conosciuto Rachel il Ferelden era sommerso da un Flagello ed eravamo gli unici Custodi rimasti, eppure il dovere non ci ha impedito di avvicinarci.» Gli mise una mano sulla spalla, tornando a curvarsi sulla ringhiera. «Certo, non abbiamo potuto fare i salti mortali tra un viaggio e l'altro, ma in mezzo a tutta quella paura e quel caos... un solo gesto, come regalarle una rosa, ha potuto illuminare quel buio insopportabile. Avere qualcuno vicino ci dà forza. Lo sai.»
«Ma ci rende anche vulnerabili.» Il Comandante scosse la testa e lo guardò supplichevole. «Ci sono già passato e...» si girò, poggiandosi alla ringhiera di spalle. «Alistair, se dovesse succederle qualcosa...»
«Ho avuto i tuoi stessi pensieri. Le tue stesse paure, ma sapevo anche che Rachel era una ragazza forte.» Il Re gli sorrise, seguendolo con la coda dell'occhio. «E che aveva me al suo fianco. Ho... abbiamo fatto tutto il possibile perché nessuno si dovesse sacrificare. Sono state scelte sofferte.» Un velo di tristezza gli appannò gli occhi. «Anche il tuo Inquisitore è forte. Fidati di me, vai da lei e chiedile di ballare.»
«E se rifiutasse?»
«Come puoi saperlo se non ci hai nemmeno provato?» disse con semplicità Alistair, alzando le spalle. «Male che vada, resterai comunque il suo consigliere, e un buon amico. E se andrà bene, e sono sicuro che andrà bene... Cory-coso dovrà solo sperare di non incontrarvi mai sulla sua strada.»
Cullen prese un lungo respiro, riflettendo. Poi annuì debolmente.
«Ci proverò» dichiarò, una mano al collo. La cosa lo metteva evidentemente a disagio, ma per quanto il suo buonsenso gli chiedesse di lasciare stare, di rimandare al poi, non poteva non fidarsi delle parole del Re. Lui c'era passato e in modo anche peggiore. In fondo, poteva anche prendersi una piccolissima pausa dalle preoccupazioni che durasse solo il tempo di un ballo. Poi sarebbe tornato subito ai suoi doveri. «A proposito di Corypheus, hai scoperto nulla?» domandò ad Alistair, che nel frattempo era tornato dritto, le mani alla cintura dell'uniforme.
«Parecchie cose, a dire il vero. Ma... credo sia meglio parlarne direttamente a Skyhold, davanti all'Inquisitore. A fine serata partiremo con voi, se non vi dispiace.»
«Immagino che sia una cosa importante per avere tutta questa fretta di raggiungerci» commentò con lieve sarcasmo il Comandante. Alistair gli rivolse un'occhiata preoccupata.
«Dopo i templari, anche i Custodi potrebbero essere in pericolo.»
«Basta così.» Cullen comprese la gravità della situazione e lo fermò prima dicesse altro. «Hai ragione. Ne parleremo non appena tornati a Skyhold» concluse, chiudendo così la discussione.
Rimasero per un po' in silenzio, poi passarono a parlare e borbottare dei vecchi tempi, aiutati da un ulteriore bicchiere di vino annacquato preso da un cameriere di passaggio. Tornarono sulla soglia dell'entrata al salone, ben attenti a non mostrarsi troppo, e continuarono tranquilli la chiacchierata ridendo di certe indiscrezioni che fecero arrossire persino le orecchie di Cullen, che nel frattempo cercava di reggere la facciata impassibile ai passanti incuriositi. Qualche tempo dopo, l'Inquisitore li raggiunse attraversando la sala a grandi passi.
«Cullen?»
Alistair lo fulminò con uno sguardo che probabilmente significava "siete già passati ai nomi propri?", ma il Comandante non colse, o fece finta di non farlo.
«Inquisitore» rispose con un leggero inchino.
«Ti posso disturbare un attimo?» Kassandre si voltò per scusarsi in modo educato con l'interlocutore, e restò interdetta, trattenendo le parole davanti alla visione del regnante. Il Comandante intervenì mezzo secondo dopo.
«Certamente, ma prima... non volevi che ti presentassi il Re del Ferelden?» Alistair sorrise, ma con gli occhi gli lanciò un'altra occhiata molto eloquente. «Avresti fatto carriera nella vendita delle pentole, sai?» gli sussurrò. Poi tossì e si presentò, chinando la testa.
«Alistair Theirin, Re del Ferelden, Custode Grigio e... si può dire "incantato dalla vostra bellezza" o sembrerebbe troppo di parte?» Si sistemò il colletto della giacca con una breve risata. «Inquisitore Travelyan, è un piacere conoscerla. Il Comandante mi ha raccontato così tanto di lei!»
«Davvero?» Lo sguardo incuriosito dell'Inquisitore finì su Cullen. «E che cosa vi avrebbe detto, Re Theirin?»
«Solo Alistair, sul serio» assicurò il Re, prima di risponderle. «Ha elogiato la vostra determinazione e la bontà dei vostri intenti, e ovviamente il vostro splendore, che domande!»
L'Inquisitore arrossì lievemente, mutando l'espressione dalla curiosità alla sorpresa. «E non aveva alcun torto, Lady Travelyan.»
«Kassandre, vi prego. Niente titoli assurdi.»
Alistair rise, dando una gomitatina all'amico. «Già mi piace!» Il Comandante per contro era di un'espressione scornata, accentuata ancora di più dall'aver incrociato le braccia.
«Se volete anche parlare in privato basta dirmelo, vi affitto una stanza per due.»
L'Inquisitore rimase sconcertata, per un momento pensando di aver capito male.
«Sei geloso?» ribattè Alistair.
«Ti ricordo che sei già sposato.»
«Lo so!» esclamò l'altro, divertito. «La mia vecchia palla al piede me la farebbe pagare cara, altrimenti.»
«Palla... al... piede?» L'espressione di Kassandre si faceva sempre più attonita davanti ai loro scambi.
«L'Eroe» precisò Cullen, sbuffando. «È da anni che la chiama a quel modo. Se lo scoprisse...»
«Diventerei io la palla, probabilmente» sorrise il Re. Si rivolse a Kassandre.
«È vero che siete una maga?» La ragazza, non aspettandosi una domanda così sfacciata, si mise subito sulla difensiva.
«È vero, si.» Aggrottò le sopracciglia. «E voi siete un ex-templare, se non sbaglio. Avete qualcosa in contrario?»
«Oh, no, anzi. Sono passati i tempi del mio addestramento, e ormai mi ritengo più un custode che altro.» Alistair guardò Cullen con un sorrisetto. «Bei tempi quelli. Nessun regno, solo dare la caccia agli ere-»
«Ah-ehm.» Cullen tossì fragorosamente.
«... dicevo, mi fa piacere vedere una persona come voi a capo dell'Inquisizione, chiunque vi abbia scelta.»
«Scelta? Pensate anche voi che io sia l'Araldo di Andraste?» chiese lei, con una nota di contrarietà nella voce.
«Che importa? Andraste, il Creatore o il destino, non fa molta differenza. Siete voi, e personalmente mi fa piacere sapervi il mago più assennato del Ferelden, dopo Wynne naturalmente.»
Wynne era diventata una leggenda, dopo il Flagello. Era stata la curatrice del gruppo dell'Eroe e con le sue doti, nonchè il prestigio guadagnato al ritorno nel circolo, aveva saputo mantenere una coesione ammirevole tra i maghi... fino a quando non era scattata ovunque la devastante ribellione che li aveva portati al conflitto. Al momento era, come molti altri, data per dispersa, ma il complimento non mancò di meravigliare Kassandre.
«Date sempre giudizi così affrettati?» chiese lei di rimando, ironica. Poi, con un certo dispiacere, aggiunse dell'altro. «Re Alistair, vorrei proseguire la conversazione ma avrei davvero bisogno di parlare col Comandante, adesso.»
«Riguarda l'Imperatrice?» le chiese Cullen. Lei annuì. «Allora credo Alistair possa restare con noi.»
Kassandre corrugò la fronte.
«Sei sicuro? Non credo Leliana e Josephine ne saranno entusiaste.»
«Il Re è già informato di alcune cose, e ci seguirà nel ritorno a Skyhold» le assicurò Cullen. «Meglio che sappia la storia al completo, se vogliamo che ci aiuti.»
«Ma sarà sicuro?» Kassandre lo guardò, dubbiosa.
«Poche persone possono far pressione su un Re per sapere qualcosa, e ancora meno su Alistair» rispose lui.
«Non vorrei dire, ma, hei, io sarei ancora qui se non vi dispiace!» li interruppe il Re. Sia il Comandante che l'Inquisitore si lanciarono un'occhiata, trattenendo una risata.
«Hai ragione, perdonaci» si scusò Cullen. «Andiamo a parlare in un posto più appartato?»
 

E siamo all'ottavo capitolo tra guai vari e il lavoro che ricomincia °-° che bolle! Devo ammettere che al contrario di molti altri, ho apprezzato particolarmente il pezzo del Palazzo d'Inverno in Inquisition: molti si lamentano che è lungo e noiosamente politico ma per me è stata una simpatica (e meravigliosamente educativa, dal momento l'unico palazzo che ci viene dato di ammirare propriamente in tre giochi è quello del Visconte di DA2) interruzione dal ripetitivo "trova i varchi-sconfiggi i demoni-chiudi i varchi-cerca di fare tutte le missioni secondarie fino a quando non impazzisci". Anzi, mi esporrò un po' di più: mi è piaciuto proprio! Gli abiti, il comportamento della nobiltà Orlesiana e il Gioco... non fatico a credere perchè Leliana fosse tanto coinvolta da giovane! Questo a parte, leggere l'Impero delle maschere mi ha anche aiutato molto da questo punto di vista, vi si trovano molti risvolti e particolari che per ovvi motivi non potevano stare nel gioco, ma che sono tremendamente interessanti. Nel frattempo mi sono data anche agli altri libri: ho finito il primo e ho iniziato la Chiamata ma cosa devo dire? La traduzione è mostruosa °__° per fortuna che mi lamentavo della mia...
Come promesso, c'è più Alistair per tutti, e anche più Morrigan e più Cullen-in-action in fuga dalla branca di nobili assatanati :D sono riuscita a stento a trattenere le risate davanti a quella parte nel gioco! Sarei andata anche avanti all'infinito ma... beh, immagino non si possa avere tutto dalla vita xD in ogni caso spero vi piacerà questo insolita reinterpretazione.
Come sempre, le uscite sono qui, qui, qui, lì e qui, se volete raggiungermi vi basterà nuotare oltre la sponda di un simpaticissimo fossato pieno di coccodrilli del bengala (esistono?) o, nel caso veniate in pace, dite Mellon e passate sotto alle miniere di Moria, eventualmente cercando di fuggire al Balrog e a tutta la folla di orchetti xD se dopo aver affrontato tutta questa follia vorrete abbracciarmi o riempirmi di mazzate, o lasciarmi un commento, siete giustificati xD
A presto col prossimo capitolo!

 

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Capitolo 9
*** Puzza di marcio ***


Si appartarono in un anfratto dell'anti-salone, scendendo una maestosa gradinata di marmo finemente decorato e sfruttando l'ala a destra che dava su un lungo corridoio di porte chiuse. Era stata la Capospia ad indicare quello come un luogo di ritrovo perfetto nel caso dovessero parlare tra loro, dove i pochi ospiti che passavano erano o troppo annoiati, o troppo ubriachi per dar mostra di sè nell'immenso salone nella quale era concentrata il resto della gente: nessuno avrebbe notato la loro sistemazione e, a patto fossero stati veloci, neanche la loro assenza.
Josephine e Leliana erano già sul posto quando i tre arrivarono assieme a Blackwall, raccolto lungo la strada. Sorprese di trovarsi il sovrano pronto a partecipare al loro incontro privato, chiesero brevemente spiegazioni.
«Come mai qui, Alistair?» domandò la Capospia, incuriosita.
«Sono al corrente di quello che sta succedendo a Palazzo» le rispose il Re, alzando le spalle. «Leliana, so che potrebbe seccarti, ma devo sapere cosa diamine sta accadendo. I Custodi sono in pericolo e potrebbe esserci lo zampino di Corypheus di mezzo, se le mie ricerche sono esatte. E molto potrebbe anche dipendere dall'andamento di questa serata...»
Gli occhi della ragazza di posarono sul Comandante, indagatori, cercando un segno del fatto avesse spifferato qualcosa al suo caro amico. Cullen li evitò accuratamente, mentre Alistair proseguiva.
«Vi darò più informazioni una volta tornati a Skyhold, ma se sapessi l'intera storia...»
«Tornati?» chiese Josephine, meravigliata.
«Tornati, si. Ci seguirà nel viaggio di ritorno col suo seguito» le appurò il Comandante.
«Ma il regno... non avrà delle implicazioni?»
«Non credo» la rassicurò Cullen, guardando in tralice il Re. «E' solo per un paio di giorni al massimo, e Alistair ha già fatto molti viaggi prima d'ora.»
«Grazie, Cullen» Il Re gli fece un cenno d'assenso per aver risposto in vece sua. «Ci penserà mio zio Teagan, in effetti. Si diverte come un bambino ogni volta che gli lascio il trono!»
Leliana sembrò ponderare la cosa. L'Inquisitore, vedendo non si decideva e il tempo che stringeva inesorabilmente, fece un passo in avanti.
«Leliana, assicuro io per lui. E' una questione troppo importante per lasciarlo fuori. Deve sapere.»
Finalmente, la Capospia acconsentì con un cenno.
«Va bene. Ma ti conosco, Alistair...» lo ammonì, incrociando le braccia. «Se qualcosa dovesse uscire da quella bocca troppo chiacchierona provvederò a cucirtela personalmente.»
Il sovrano alzò le mani in un gesto d'assenso, e il tono di Leliana si addolcì rivolgendosi a Kassandre.
«Allora, cos'hai scoperto?»
«Ho parlato con la Contessa Florianne, la sorella di Gaspard, fingendo di essere in dubbio sull'attuale sicurezza della serata per Celene. A quanto pare ha abboccato, ha riferito di avere delle informazioni a riguardo di un possibile complotto e mi ha invitato a parlarne nei giardini interni.»
«Nei giardini interni?» Josephine storse la bocca, diffidente. «Sono un'area privata del Palazzo.»
«E infatti la cosa puzza di imboscata» aggiunse Cullen. Leliana annuì.
«Sarà meglio trovare qualcosa su Florianne prima di mandarti a braccia aperte da lei» fece all'Inquisitore. Iniziò a camminare lentamente attorno a loro. «Il Palazzo d'Inverno è stato la residenza estiva di Florianne, quand'era bambina. A sentire i nobili, ha alloggiato nelle sue vecchie stanze per poter organizzare e partecipare alla serata. Dovresti provare a raggiungerle e scoprire se contengono indizi o lettere che ci lascino dubitare di lei.»
«L'unico problema è che anche quell'ala è privata» sottolineò Josephine. «Non possiamo entrare senza permessi!»
«Forse, io ho la soluzione.»
Una voce estranea, profonda e rauca, fece sussultare tutti i presenti tranne due. Una figura comparve alla fine delle scale, il suo avvicinarsi accompagnato dal rumore lento e cadenzato dei tacchi sul pavimento. La camminata sensuale e sicura era nascosta dall'enorme gonna color prugna dell'abito che portava, a cui era stato sovrapposto un lucido corsetto di pelle ricoperto da borchie, ma comunque ben visibile come se le venisse naturale.
«Morrigan» sibilò Alistair senza stima, torvo in volto come Cullen non l'aveva mai visto. Anche Leliana la osservava, ma non con tutto quello sdegno. Il Comandante ricordava di averla vista a Redcliffe, in compagnia dell'Eroe, ma non al suo matrimonio o all'elezione di Alistair al trono. Nella sua mente era solo una presenza evanescenze. A vedere le espressioni del Re e della ragazza, era molto più di quello.
«Consigliere» la salutò Kassandre, presentandola agli altri con un cenno. «Signori, lei è Morrigan, il consigliere più intimo di Celene, maestra delle arti oscure.»
«Troppo gentile, Inquisitore. Ero sicura di trovarvi qui assieme a... ah, il Re e l'Usignolo. Una piacevole sorpresa.»
«Al contrario della tua presenza qui» commentò Alistair, astioso.
«Sciocco come sempre» rispose la donna con aria di sufficienza. L'Inquisitore li guardò entrambi.
«Vi conoscete?» chiese.
«Ci conoscevamo. Molto, molto tempo fa.» Morrigan accennò l'ombra di un sorriso. «Da allora le cose sono cambiate.»
Il Re sembrava non sopportare ulteriormente la sua presenza, e fu Leliana a cercare di calmarlo, mettendogli una mano sul braccio con aria pacata.
«Alistair...»
«No. Non intendo sopportare ulteriormente questa... questa...» cercò le parole. «Lei.» Fece per andarsene, ma venne fermato da Morrigan, a cui bastò un passo nemmeno troppo veloce per mettersi sulla sua strada.
«Silenzio, mio caro. Me ne andrò a breve, ma non prima di aver consegnato una cosa all'Inquisitore.»
Il Re rimase immobile e fermo davanti a lei per secondi, minaccioso. Poi la aggirò portandosi al fianco di Blackwall, lasciando spazio a Kassandre che nel frattempo si era avvicinata.
«Ecco a voi.» Morrigan teneva stretta una chiave nella mano. Gliela consegnò abbandonandola delicatamente alla sua presa. «E' la chiave della biblioteca. Era in possesso di un agente Tevinteriano, che ho dovuto... rimuovere.» La sua eloquenza lasciava immaginare l'avesse ucciso senza troppi riguardi. «Temo non fosse il solo a voler attentare all'incolumità dell'Imperatrice. Attraverso questa, avrete accesso alle camere che volete visitare.»
Leliana si portò una mano al mento, intenta a rimurginare.
«Venatori?» domandò più a sé stessa che agli altri, per poi aggiungere «Da quando ti importa dell'incolumità di qualcuno, Morrigan?»
La donna la squadrò da capo a piedi.
«Da quando la mia vita ne dipende.» Salutò i presenti con un gesto del capo e si voltò, tornando verso le scale. «Buona fortuna» concluse prima di sparire.
L'Inquisitore rimase con la chiave stretta in mano. Cullen la guardò smarrito, mentre Leliana riprendeva la parola, schiarendosi la voce.
«Bene, sembra che adesso potremo procedere senza intoppi.» Si rivolse all'Inquisitore. «Ora poi andare, ma serve qualcuno che ti accompagni.»
«Temo che Dorian e Varric siano rimasti bloccati in lunghe, scomode conversazioni come quella che abbiamo appena affrontato» rispose Kass con un velo di sarcasmo rivolto alla spia e al Re. Leliana non diede a vedere d'averla colta, mente il sovrano grugnì, le braccia fermamente incrociate.
«Noi non possiamo venire» si affrettò Josephine, cercando di sciogliere la tensione che la comparsa di Morrigan aveva creato. «A dire il vero, sarebbe il caso di tornare in fretta. In qualità di ambasciatrici non possiamo lasciare gli ospiti e la sala, potrebbero prenderlo come un gesto di noncuranza da parte nostra.»
«Non da parte mia» si propose Cullen, avanzando. «Voi siete ambasciatrici, io sono solo un militare. Passerei più inosservato...»
«Davvero?» ridacchiò Josephine a bassa voce.
«Sicuramente più di noi» fu d'accordo Leliana.
«Esatto. Tutti si aspettano di vedere l'Inquisitore in giro col proprio Comandante. Sempre se... l'Inquisitore...»
«Per me va bene» assentì Kassandre. Poi si rivolse al sovrano. «Re Alistair, sarebbe meglio se tornasse alla festa.»
«Sarà un vero piacere lasciarvi un po' da soli» rispose lui, sogghignando in direzione dell'amico. Kassandre proseguì.
«Blackwall, puoi rimanere col Re al posto di Cullen?» Il Custode Grigio annuì con un evidente nervosismo che il Comandante non comprese. «Allora siamo pronti.»
«Noi saremo nel salone, ai soliti posti» li avvertì Josephine, affrettandosi su per le scale seguita da Leliana. Anche Alistair e il Custode le seguirono, dopodiché anche lei e Cullen si avviarono, progettando il da farsi.
«Come faremo ad entrare nella biblioteca? L'entrata principale è sorvegliata» constatò Kassandre, rivolgendosi a lui. Il Comandante ci pensò per qualche attimo.
«In uno dei giardini sospesi ho visto un pezzo di balconata interrotta. Se riusciamo ad arrivarci, possiamo aggirare l'edificio e vedere di riuscire a trovare un accesso da lì.»

«Non ti agitare, altrimenti...»
«Cullen, maledizione, tieni su questa cosa traballante!»
«Lo sto facendo, ma devi muoverti piano!»
«Tu pensa a tenerlo.»
Si erano nascosti con nonchalance sotto un portico, la cui parete di fondo dava ad una lunga grata di legno per rampicarti che saliva fino in cima alla balconata dove c'era l'interruzione che Cullen aveva notato. Approfittando di una folta siepe che li copriva alla vista degli ospiti troppo impegnati a gozzovigliare, il Comandante stava aiutando Kassandre a salire prima che la grata si staccasse facendo danni irreparabili al giardino e alla loro reputazione. La verve dell'Inquisitore nello scalarla però stava rendendo la faccenda difficile per entrambi: chi avrebbe mai immaginato che quella ragazza apparentemente tranquilla avesse tutta quell'energia da vendere? Con davanti un possibile faccia a faccia coi Venatori, tra l'altro. Il Comandante sorrise quando la vide raggiungere la cima, e si diede un'occhiata attorno per assicurarsi nessuno li stesse guardando.
«Avanti, la tengo io. Sbrigati, Cullen» la sentì sussurrare dall'alto. Si issò silenziosamente su uno spazio della grata e scalò i successivi uno dopo l'altro, certamente con meno foga di Kassandre, arrivando in alto. La ragazza lo aiutò a rimettere i piedi a terra, dopodichè si guardò attorno spaesata.
«Per quale porta passiamo?» Cullen non lo sapeva.
«Proviamo a vedere se ce n'è una aperta, o se si aprono con la chiave.»
Si diressero alla prima alla loro sinistra, dove una targa d'ottone inciso riportava scritto "stanze della servitù". Era ovvio che la chiave non fosse utile qui, quindi provarono solo ad aprirla. La porta rimase fermamente chiusa. Allora controllarono quella a destra, che addirittura non sembrava avere toppe.
«E questa?» gli chiese sorpresa lei, passando una mano sul legno. Ad un suo gesto, dei simboli prima invisibili si illuminarono di un lieve bagliore per una frazione di secondo, tornando poi silenti. «Dev'esserci una protezione magica.»
«Ci penseremo dopo» rispose il Comandante. «Proviamo l'altra.» L'altra era quella di mezzo, priva di indicazioni e di targhe. Provarono la chiave nella serratura e incredibilmente, questa girò.
«Mi meravigloio che chiunque abbia costruito il palazzo si sia inventato un accesso dalla biblioteca al bancone» commentò sarcastica Kassandre.
«Che ne sai, magari è per far passare i servi che portano gli spuntini» ironizzò lui.
«Certo, come puoi studiare in una biblioteca senza spuntini? Sciocca io che non ci avevo mai pensato» lo guardò in tralice l'Inquisitore, spingendo leggermente l'uscio per infilarsi oltre la soglia. Cullen la seguì.
Entrarono in una vasta stanza a cupola ripiena di scaffali. A parte sei piedistalli posti due file al centro, non sembrava esserci nulla di strano o particolare: fu solo quando Kassandre si avvicinò ai piedistalli, toccandoli, che trasalì.
«Sono intrisi di magia» spiegò davanti allo sguardo incerto del Comandante. «Si possono accendere, come bracieri. Proviamo?»
«Va bene.»
La ragazza sollevò la mano, illuminando il primo dei piedistalli con una luminescenza verde. La fiamma, verde anch'essa come un fuoco fatuo, scattò in modo tanto rapido da far trasalire il giovane.
«Sei sicura non daremo fuoco alla biblioteca?» Lei gli rivolse un sorriso sardonico.
«E' Velfuoco, non brucerà niente. Non scotta nemmeno!»
Per sicurezza Cullen passò una mano vicino alla fiamma, accertandosi avesse ragione. Nel frattempo, l'Inquisitore continuò ad accendere uno ad uno i piedistalli, e una volta che la fiamma li ebbe illuminati tutti sentirono qualcosa scattare in una delle librerie. Notarono che una era scorsa su dei cardini invisibili prima di allora, aprendosi.
«Un meccanismo segreto?» le domandò.
«Un meccanismo per maghi.»
Diedero un'occhiata all'apertura, che sembrava dare su un corridoio stretto e polveroso. Lo seguirono fino ad arrivare ad una stanza quadrata: lo spazio centrale era un'apertura che dava sul vuoto, protetta da ringhiere e priva di scale. Oltre quella si scorgevano altre due porte.
Provarono la prima, che risultò chiusa. In mancanza di Varric, l'unico che ci sapeva fare coi ferri del mestiere, sarebbe stata impossibile aprirla. L'altra possedeva la stessa protezione della porta sul balcone, ma a differenza dell'altra notarono dei vani sulla sua superficie.
«Non c'è via di uscita da qua» dichiarò Cullen, innervosito. «Cosa facciamo?»
«Controlliamo in giro. Ci dev'essere qualcosa per farla scattare. Vedi questi?» gli indicò i vani rettangolari sulla superficie del legno smaltato di azzurro. «Fungono da chiave. Se inseriamo qualcosa della stessa forma dovremmo poterla aprire.»
Si diedero alla ricerca, indaffarandosi nella stanza che presentava solo qualche soprammobile inutile e un tavolino allungato messo lì per fare presenza. Dopo quindici minuti buoni senza risultati, Cullen si interruppe.
«Queste chiavi potrebbero essere in biblioteca?» domandò, spazientito.
«Dubito. Se questo è davvero un passaggio segreto, dovrebbero essere vicine.»
«Com'è che sai tante cose sui passaggi segreti?»
«Ostwick» fece lei, alzando le spalle. «Altrimenti come potevamo visitare le altre camerate di notte, di nascosto dai templari?»
«Non mi stai dicendo che lo facevate per... andare a fare quello, vero?» la guardò sorpreso.
«Beh... in un certo senso...» ci girò attorno lei, prima di lanciare un'occhiata alle sue spalle. «Ah, ecco. Quelle potrebbero andare.»
L'Inquisitore si avviò alla balaustra e afferrò una statuetta a forma di Halla posizionata nell'angolo, il cui piedistallo era molto simile alla forma delle loro chiavi. Si diresse alla porta, la inserì nel quadrato e quella rientrò leggermente, incastrandosi alla perfezione.
«Portami le altre, presto» indicò le altre due agli angoli. Cullen le recuperò in fretta e la aiutò ad incastrarle nella porta. Una volta che l'ultima fu inserita, la porta si illuminò: un simbolo rotondo apparve al centro e poi si dissolse. Provò a girare la maniglia e realizzò che si era aperta.
«Adesso sappiamo cosa dobbiamo cercare» dichiarò lui, con una punta di soddisfazione.
«Sempre che le chiavi non siano diverse ad ogni porta...» fece eco lei, entrando.
Non fece in tempo a fare un passo in più.
«Oh, Santissima...!» la sentì esclamare.
«Che c'è? Oh, per il Creatore!» Cullen si portò una mano agli occhi, coprendoseli dalla visione vergognosamente ignuda di un soldato legato al letto davanti a loro. Non uno dei suoi, almeno. «Che cosa ci fa qui questo
«Aiutatemi, vi prego!» li supplicò il soldato, col busto segnato da vergate rossastre. «L'Imperatrice... l'Imperatrice mi ha...»
«Si, abbiamo intuito vagamente» sbottò il Comandante, evitando in ogni modo di osservare la scena. Si rivolse all'Inquisitore. «Che facciamo con lui?»
«Lo sleghiamo?» Kassandre lo guardò di sbieco. «Ho come l'impressione che questo metterebbe molto in imbarazzo la nostra Celene, se il soldato dicesse in giro cosa è successo. Dato le lotte di potere in corso, un po' di vantaggio ci sarebbe comodo.»
«Vi prego!»
«Ma se vuoi usarlo e lo lasciamo andare, c'è il rischio poi neghi tutto se interpellato. Sarebbe un suicidio davanti alla corte.»
«No, no, non negherò nulla! Lo giuro!»
«Allora lo lasciamo qui? Se la cosa dovesse saltare fuori, possiamo sempre dire dove trovarlo. Sarebbe una prova più che evidente.»
«No, non lasciatemi qui a marcire!»
«E come faremmo a spiegare come l'abbiamo trovato? Saprebbero che ci siamo introdotti di nascosto.»
«Hai ragione» fece lei, rimurginando e guardando l'uomo. Infine gli si avvicinò, assieme ad un Comandante molto attento a dove posava gli occhi, e parlò con lui.
«Se ti liberiamo, puoi giurarci che se interpellato, dirai quello che ti è successo? Tutto quello che ti è successo, compresi i particolari scomodi?»
Il soldato annuì vigorosamente.
«Giura» ripetè lei.
«Lo giuro, lo giuro su tutto quello che volete! Sulla mia famiglia, su mia madre! Liberatemi!»
Lei inspirò lentamente, attese un attimo come meditabonda, e infine si abbassò a slegare i legacci che gli tenevano un polso e la caviglia. Passò dall'altra parte del letto e quand'ebbe finito, Cullen gli porse una vestaglia recuperata in un angolo per coprirsi.
«Va a metterti qualcosa» gli disse, mentre lo vedeva fuggire dalla porta d'ingresso, esattamente opposta a quella segreta. A guardarla da dentro la stanza, notarono ora, sembrava un semplice dipinto sulla parete: era esattamente rasa al muro e rientrava perfettamente. Per sicurezza, la lasciarono appena accostata, poi superarono quella lasciata aperta dal soldato.
Avanzarono lungo un corridoio d'oro e di marmo in cui c'erano dipinti e soprammobili di cristallo, cornici intarsiate e statuette d'argento, il tutto illuminato dai molti candelabri attaccati alle pareti atti a rischiarare l'ambiente. Nessun'altra porta, però.
«Forse siamo nell'ala reale» ipotizzò Cullen. «E se così fosse, probabilmente siamo appena passati dalla camera di Celene.»
«Incredibile vedere cosa si tenga nelle stanze un nobile, mh?» gli chiese lei con un sottile velo di sarcasmo. «C'è chi pensa ad oro e gioielli preziosi, chi ai dipinti d'autore... e poi c'è chi lega un uomo al letto e lo tortura. Originale.»
«Sbaglio o da come lo dici, l'idea sembra piacerti particolarmente?» Kassandre rise a bassa voce, guardandolo con una smorfia accattivante.
«Chissà? Varrebbe la pena provarci, anche solo per vedere che effetto fa. Tu non saresti curioso?»
«"...e a Skyhold risuonarono le urla del povero Cullen, legato e torturato al letto dell'Inquisitore". No, direi che non lo sono» ridacchiò lui.
«Nemmeno dopo la tua "marcia della gloria"?» Si riferiva alla famosa serata in cui aveva perso tutto, anche i calzoni, giocando contro di lei. Il Comandante sospirò.
«Specialmente dopo quella.»
Proseguendo, arrivarono alla scala che dai piani inferiori portava a quello attuale. Preferirono proseguire nell'ala di fronte nel tentativo di individuare la stanza di Florianne piuttosto che scendere. Dopo un lungo tratto di corridoio, finalmente trovarono altre porte: alcune, come scoprirono aprendole, davano su semplici camere inutilizzate, riconoscibili dall'assenza di effetti personali, abiti o altro. Le altre invece nascondevano minuscoli sgabuzzini per il personale delle pulizie, e un'altra ancora un salottino ben arredato ma il cui caminetto non era mai stato acceso, come constatò Cullen osservando come la pietra fosse pulita e intonsa. Finalmente, giunti all'ultima porta trovarono ciò che cercavano: una camera da letto riscaldata dalle braci di un caminetto, contenente tutto il necessario a far accomodare un nobile di prestigio in assoluta tranquillità. Un massiccio letto dalle colonne di legno decorate occupava lo spazio centrale della stanza, distante dal basso tavolo da trucco messo nell'angolo più illuminato e ricoperto da maschere sempre della stessa foggia, ma decorate tutte in modo diverso.
«Rappresentano un ramo della casata reale» fece notare Cullen, osservandole attentamente: somigliavano a quella dell'imperatrice, ma avevano molti meno particolari e quindi molta meno importanza di cui vantare quando venivano mostrate in pubblico. «Più una maschera è semplice, minore è l'importanza» ripetè dalla lezione di Leliana, quand'erano ancora ai confini di Halamshiral.
«Lascia stare le maschere, non credo ci servano a molto.» A qualche metro dal letto, Kassandre era piegata sulla maestosa scrivania dai piedi leonini, intenta a rovistare tra le carte. Ne mise da parte alcune, poi aprì i cassetti. Sul fondo di uno di questi, trovò una carta che estrasse e sollevò alla fioca luce della camera. «E' una missiva. "Il tuo aiuto ci è prezioso, e verrà ripagato. Impadronisciti della corte e sarai la nuova Imperatrice. Insieme, porteremo l'Orlais allo splendore." Meno enigmatico di quanto mi aspettassi, ed è senza nome.»
«Non è stato fin troppo facile trovarlo?» le domandò il comandante, sconcertato.
«Sotto tutta quella pila di cartacce? Nessun servo ci avrebbe mai provato.»
«Non certo come a Skyhold, dove qualcuno non solo ci ha provato, ma l'ha fatto
L'Inquisitore rimase in silenzio, sorpresa dalla sua uscita irritata - troppo perché non fosse coinvolta nella questione. Cullen si domandò se effettivamente potesse essere stata lei a manomettere la sua stanza, e nel vederla arrossire il ragionevole dubbio divenne certezza. «Ah.» commentò, abbassando lo sguardo. «Volevo dire... l'ha fatto, e anche bene. C-c'era un tale casino...»
Imbranato, si passò una mano sul collo. L'Inquisitore fece finta di nulla mentre piegava il biglietto e se lo metteva in tasca, aprendo la porta per poi indicargli, con un gesto, di uscire di nuovo nel corridoio. Camminarono facendo il percorso a ritroso, e il Comandante rimase impantanato nel lungo silenzio creatosi tra di loro fino alla biblioteca, dove riprese il coraggio di parlare.
«Io non avevo idea...» iniziò, cercando di scusarsi in qualche modo. Certo, probabilmente l'Inquisitore aveva rovistato tra le sue cose quando dormiva e certo, dopo tutto quel disordine raccapezzarsi tra i fogli ben impilati era stato un problema per lui, senza contare quanto si fosse sentito inutile pensando che un qualsiasi passante potesse fare il suo lavoro e assegnare soldati e truppe in vece sua senza consultarlo minimamente. Ma doveva anche considerare tutto il lavoro che gli aveva risparmiato, il fatto che Kassandre fosse effettivamente al corrente dell'organizzazione dell'Inquisizione e capace di gestire degli uomini sotto il suo comando, e ultima ma non ultima delle cose, il fatto si fosse semplicemente preoccupata di fargli trovare ogni cosa pulita e al suo posto.
«Non fa niente» chiuse velocemente lei con un netto gesto della mano. Il Comandante la guardò dispiaciuto, e notò come lei si sforzasse di sorridergli. «Non lo farò più.» Uscirono sul balcone.
«Non intendevo...» Il giovane perse le parole quando gli occhi gli caddero per caso sul pavimento, incrociando una scia di sangue che si dirigeva verso la porta degli alloggi dei servi, ora completamente spalancata. «Kassandre?»
Kassandre era alla balaustra, troppo intenta ad evitare il suo sguardo per notare il sangue. Si voltò e lui le indicò la striatura, vedendola trasalire.
«E'...?»
«Sangue» le confermò lui.
La sentì mormorare senza capire. Nel frattempo, Cullen aveva fatto qualche altro passo verso la porta e dalla scena che poteva notare all'interno non si prospettava niente di buono: schizzi di sangue sulle pareti e la scia che proseguiva, come se qualcuno si fosse trascinato in ginocchioni, sanguinante, o fosse stato portato a forza dentro. Tutto ad un tratto, sentì dei passi veloci e vide Kassandre superarlo al fianco, correndo.
«Aspetta!»
La seguì a ruota, a grandi falcate, senza preoccuparsi del sangue vischioso per terra che minacciava di farli scivolare entrambi. Superarono un tratto di corridoio, scesero alcune scale nell'unico percorso possibile e fecero il giro di una lunga tavolata vuota seguendo la scia, rimasta la loro unica traccia. Dal corridoio, tutto ciò che avevano passato era intonso fatta eccezione per i loro stivali rimasti sporchi di sangue fresco. Il Comandante continuò a seguirla sostenendo il suo passo, finchè non la vide bloccarsi oltre un arco che dava ad un curato giardinetto interno: rallentò fermandosi al suo fianco, e ben presto capì perchè si fosse arrestata proprio lì.
Cullen aveva più volte affrontato la battaglia, e tra gli orrori di Redcliffe e quelli della rivolta di Kirkwall non aveva nulla da invidiare in quanto a esperienza. Tuttavia, ogni volta che si trovava davanti a quel terribile spettacolo qualcosa gli rimaneva impresso e lo segnava nella mente e nel cuore, riempiendolo di cupo cinismo. Quando mai gli uomini sarebbero stati capaci di combinare qualcosa all'infuori di guerre e assassini? Quando mai, si ritrovava a pensare ogni singola e dannata volta, sarebbero stati in pace tra loro?
«Gli Elfi» mormorò di nuovo Kassandre. Cullen comprese finalmente cosa avesse detto prima, davanti all'entrata spalancata, quando era partita con la stessa foga che adesso le spezzava il respiro. La servitù del palazzo era interamente composta da elfi che lavoravano, mangiavano, dormivano e sognavano nelle loro camerate all'interno del mastodontico palazzo, lavorando instancabilmente per gli ospiti umani che ridevano e offendevano il loro lavoro ogni giorno, tutti i giorni. Mentre giovani elfi, non dissimili da comuni ragazzi e ragazze fatta eccezione per le orecchie appuntite e la corporatura sottile, correvano qua e là per soddisfare i bisogni di ignoranti shemlen e guadagnarsi un tozzo di pane, quegli stessi esseri rigonfi di oro e cibo, intenti a pugnalarsi alle spalle per un effimero gioco di casate e politica, si lasciavano sfuggire qualsiasi importanza avesse il loro ruolo. Quando andava bene, potevano guadagnarsi qualche briciola dalla tavola imbandita del nobile di turno come premio. Quando andava male, venivano ripagati con gli insulti più spregevoli.
Il Comandante si sarebbe vergognato di sè stesso se a Skyhold fosse stato loro riservato quello stesso trattamento. Molti dei suoi uomini e agenti erano elfi, e tali erano anche parecchi dei maghi che avevano ospitato, come la Prima Incantatrice Fiona. A Redcliffe, nella sua giovinezza prima del disastro alla torre, erano pressochè la norma. Sera era un'elfa, così come Solas con la sua insondabile e vasta conoscenza di tutte le cose.
Forse, proprio per quello era abituato a pensarli come persone e non come gli animali gettati a terra o buttati a ridosso delle siepi che vedeva, sventrati e tagliati. I loro corpi macchiavano di rosso la pietra del vialetto e le pareti dell'intera area, una marea di sangue innocente versato per motivi futili.
Cullen non riuscì a reprimere l'orrore profondo e terribile di quella visione, pur cercando di mantenere un distacco che per loro era importante e legato alla sopravvivenza, qualora chi avesse fatto quella mattanza decidesse di attaccarli. E nonostante gli sforzi, neanche Kassandre riuscì a rimanere impassibile, impietrita davanti a tutta quella violenza insensata, l'espressione vuota e i pugni stretti dalle nocche sbiancate: percepì chiaramente qualcosa ribollire attorno a lei, fremere, in attesa di essere liberata. Per qualche momento, Cullen temette di vedere l'intero giardino esplodere in una fiammata.
Poi, con la coda dell'occhio, scorse delle figure avanzare lentamente dal fondo dell'area, prima nascoste dall'ombra di un portico. Cullen afferrò l'Inquisitore per un braccio e la attirò a sè, immediatamente in allerta alla vista dei cappucci singolari di quegli individui e, per loro, perfettamente riconoscibili.
«Venatori» sentì soffiare lei, improvvisamente livida di rabbia. La tenne indietro, il più possibile attaccata alla sua schiena, e iniziò ad indietreggiare gettandosi occhiate attorno per inviduare qualsiasi cosa potesse essere sfruttata come arma. Erano disarmati, e la setta che venerava Corypheus voleva soltanto una cosa da loro: uccidere l'Araldo. Uccidere la ragazza che fremeva d'ira alle sue spalle, l'unica in grado di richiudere i portali senza dover sconfiggere un esercito di demoni per riuscire nell'impresa.
«Buonasera, Araldo» sentì uno di loro parlare dalla distanza, suadente e perfettamente tranquillo. Un urlo giovane, femminile, seguì le sue parole e fu così che il Comandante potè vedere l'elfa sanguinante che l'individuo teneva ferma per i capelli con una mano, e che si dimenava ad ogni strattone.
«Buonasera un corno!» urlò stizzita da dietro di lui l'Inquisitore, quasi gettandosi contro il suo braccio alzato a pararle la via. Dovette trattenerla bruscamente dall'avanzare. «Non vi basta quello che avete fatto? Lasciatela!»
«Che paladina della giustizia!» sogghignò l'altro dal fondo, avanzando lentamente con un piccolo contingente di uomini - quattro o cinque a giudicare dalle ombre, contò Cullen. «Sempre in pena per le sorti degli altri, pronta a rimediare all'irreparabile.» Il suo sorriso si poteva vedere persino dalla loro posizione, bianco sotto il mantello nero. «Ora cosa farete, Araldo? Li riporterete in vita tutti? Non credo sia nei poteri che avete rubato.» L'accento sull'ultima parole fu posto con rabbia e disprezzo messi assieme. L'elfa urlò di nuovo, trascinata di peso, e loro indietreggiarono ancora, quasi nella stanza con la tavolata.
«Riportarli in vita no, certo. Ma spaccarvi la faccia, quello si che è tra i miei poteri!»
Kassandre alzò ancora la voce, ma soltanto provocandolo e senza lo stesso impeto di rabbia che, se non l'avesse tenuta prima, l'avrebbe portata dritta tra le braccia del nemico. Cullen intuì stesse prendendo tempo, si voltò a guardarla e lei gli fece un cenno con la testa e con gli occhi in un punto preciso: guardò meglio dietro di lei e sul fondo della sala scorse un blasone con appese due spade decorate. Certamente non affilate, ma ugualmente utili.
«E il tuo compare? Un altro dei tuoi animaletti?» Il Comandante dubitò che il Venatori a capo del gruppo stesse cascando nel loro piccolo stratagemma, ma sembrava che il gioco gli piacesse abbastanza da non attaccare, non ancora. E ovviamente, con l'elfa in ostaggio, contava di tenerli a bada. «Quanti gatti randagi vi siete portata a casa, Araldo? Tre, quattro poveri stolti pronti a prendere le vostre difese?» Probabilmente, sapeva dei precedenti del gruppo di Kassandre con altri manipoli di Venatori, in giro per le terre centrali. La loro presenza sembrava una malattia molto difficile da eradicare anche senza Alexius in giro, e il Tevinter brulicava dei sostenitori di Corypheus. Dorian stava impazzendo su manuali e libri per cercare di screditare la reputazione dell'Antico davanti ai suoi stessi compatrioti. «Ma quest'ultimo sembra particolarmente in apprensione per voi, Araldo. Sarà un piacere vederlo urlare il vostro nome quando voi sarete già morta, e i cristalli di lyrium gli sbucheranno dal cranio.»
Quella frase gli fece mancare un battito. Cullen non cambiò espressione e non ebbe reazioni solo grazie agli anni di addestramenti sul campo, in situazioni di pericolo in cui era necessario essere pronti a prescindere dalle condizioni, ma dentro di lui potè sentire chiaramente il terrore manifestarsi e spezzargli il respiro come se avesse ricevuto un colpo d'ascia al petto. Se avesse potuto, avrebbe urlato, tuttavia tenne le labbra ben tappate e lasciò che fosse solo la sua mente a gridare, cieca di orrore, davanti all'eventualità di trasformarsi in un templare rosso. Avrebbe preferito la morte, piuttosto. Si costrinse a pensare ad una tattica per evitare di far ammazzare l'elfa e loro stessi, piuttosto che alle parole sicuramente vane del Capo dei Venatori: lui era in punta, e la disposizione dei suoi compari a ventaglio. Avevano il vantaggio di un breve anfratto di corridoio tra loro e la distanza, ma nulla più. Dietro di lui, sentì Kassandre afferrargli il bordo della giacca con forza, e la cosa, per quanto minima, lo rincuorò.
«Sono proprio curiosa di sapere come mi ucciderai, allora. A lui il privilegio di sprecare un po' del vostro prezioso lyrium rosso? E perchè non a me?» la sentì domandare in loro direzione.
«Kass, ma che diavolo stai-» le sussurrò, prima di venire interrotto.
«Zitto» sibilò di rimando lei, stringendo ancora di più la presa sul bordo della sua giacca.
Il fatto di averlo sminuito, sebbene non gli avesse fatto particolarmente piacere, l'aveva messo al di fuori delle mire del Capo le cui distanze si riducevano inesorabilmente. Ormai era al corridoio, e dietro di loro c'erano ancora metri di spazio fino alle spade appese.
«Oh, avida di potere, l'Araldo. Chi se lo sarebbe mai aspettato?» sembrò stuzzicato dal pensiero che l'Inquisitore gli aveva suggerito. «Prenderò in considerazione le vostre parole, allora. Una volta ingozzata di lyrium sareste la pedina perfetta per abbattere la vostra stessa creazione. L'Inquisizione cadrà sotto i vostri stessi colpi...» lo sentì ridacchiare. Kassandre gli diede un forte strattone. «E quando il vostro respiro diventerà sottile polvere rossa, allora...»
«Adesso!»
Kassandre urlò, tirandolo indietro mentre lei si parava davanti, la mano luminosa di potere. Con la coda dell'occhio la vide picchiarla a terra: immediatamente innaturali rampicanti sbucati dal perfetto pavimento in marmo avvinsero le gambe dei Venatori risalendo fin quasi al busto, bloccandoli. Quello che aveva per obbiettivo il Capo invece prese di mira le sue braccia, impedendogli così di fare del male all'elfa che, svelta, si riparò in un angolo vicino alle scale.
Simultaneamente a tutto questo Cullen, già nella posizione per resistere alla spinta dallo strattone precedente, si girò e corse in direzione delle spade. Sfruttò una panca posizionata sul muro accanto per prendere slancio e con un unico balzo diagonale si aggrappò alla cornice di legno che reggeva le armi, facendola cadere sotto il suo peso. Il Comandante atterrò in piedi, raccolse metodicamente le due spade e ne lanciò una all'Inquisitore, che si scostò lasciandogli tutto lo spazio per partire alla carica.
Mirò al primo a sinistra, l'uomo che era stato l'estremo della formazione a ventaglio e che restava ancora bloccato: con un fendente obliquo alle gambe lo fece cadere a terra, dopodichè gli trapassò lo stomaco con l'arma senza filo, ma ben appuntita. Il secondo, che era riuscito almeno in parte a liberarsi ma restava impacciato, lo abbattè con un montante tra collo e spalla che gli lacerò in profondità il corpetto di pelle. Il pugnale che l'uomo stava estraendo gli cadde di mano, e il Comandante lo finì alla gola con un taglio obliquo che quasi gli mozzò la testa, sollevando uno spruzzo di sangue nell'aria. Nel frattempo non aveva notato che alla sua destra un mago Venatori si era liberato: quando si girò verso di lui quello stava per scagliare una scarica di ghiaccio, che però venne deviata quando un fulmine si abbattè sull'uomo, friggendolo sul posto.
«Questi bifolchi che non usano barriere» sentì commentare con sufficienza dall'alto delle scale. Dorian balzò giù dalla ringhiera e con una certa elasticità atterrò sul pavimento senza un graffio, il bastone tra le mani. «Ci ho messo una vita a trovarvi. Non potevate scegliervi una sistemazione più comoda?» lanciò un'altra scarica, in direzione del quarto uomo che però la evitò agilmente, ormai liberatosi assieme al Capo. «Proprio nelle stanze reali dovevate appartarvi?»
«Senti chi parla, signorino!» Kassandre fece girare la propria mano e una luminosa sfera infuocata apparve su di essa. «Piuttosto eravamo noi a non trovare te. Dove sei stato fin'ora? A sviolinare qualche bella nobildonna?» La scagliò verso l'uomo che, troppo impegnato ad evitare gli affondi di Cullen, non si accorse di nulla finchè i suoi pantaloni non presero fuoco. Il Comandante fece un balzo indietro per non farsi dare alle fiamme a sua volta, e li guardò con un ringhio.
«Insomma!»
«Scusa!» risposero loro due in coro. Ignorandoli, Cullen finalmente si avventò sul capo, che teneva tra le mani due lunghi pugnali ben affilati.
Evitò il primo che gli arrivava da sinistra, diretto alle costole, scartando di lato, e il secondo orizzontale che voleva tagliargli la gola parando con la spada. Fece forza sulla lama dell'avversario per sbilanciarlo, ma quella scivolò soltanto rimandandogli tenui riflessi azzurrini. Silverite, dedusse.
Un altro paio di fulmini piovvero vicino a loro, ma il Capo - ormai l'unico superstite dei Venatori - fu abbastanza scaltro da evitarli roteando, quasi danzando in un balletto che prevedeva anche un preciso mulinare di pugnali. Cullen indietreggiò mentre parava un fendente da destra e un altro colpo portato con un mezzo giro da sinistra, e si abbassò ad effettuare una spazzata, facendo cadere a terra il nemico. Quando tentò di affondare l'arma però, quello rotolò via, rimettendosi in piedi ad un paio di metri di distanza. Troppo lentamente, però, per riuscire ad evitare la palla di fuoco dell'Inquisitore.
Sveltò, l'uomo si levò il mantello su cui il fuoco si propagava celermente, gettandolo in faccia a Cullen. Il ragazzo non riuscì ad evitarlo talmente era stato improvviso il gesto, perciò lo colpì con la spada scostandolo via, non vedendo il calcio che lo prese in pieno al petto. Cadde senza mollare la spada, in posizione di parata, e se lo trovò subito addosso.
«Adesso come la mettiamo, micetto?» lo sentì parlare con un ghigno che gli deformava il volto. Gli era rimasto solo un pugnale, e con quella stava facendo forza per affondargli nel petto mentre Cullen, a sua volta, spingeva per allontanarlo da sè. «Quando verranno a prenderti e ti porteranno via sarai un burattino nelle mani di Samson. Oh, gli piaceresti... vorrà vederti-»
Non terminò mai la frase: la spada di Kassandre gli affondò nella schiena facendogli perdere immediatamente la presa. Un secondo dopo i suoi occhi si rivoltarono con un gemito e, rimasto con un peso morto sul petto, Cullen potè spingerselo via di dosso riprendendo finalmente a respirare.
«Tutto bene?» Kassandre gli si inginocchiò accanto, vedendo come non si fosse ancora rialzato. Gli mise una mano sul petto e lui gliela prese delicatamente, stringendola e annuendo. Un momento dopo, si sforzò di sollevarsi dal freddo pavimento contraendo i muscoli leggermente irrigiditi, il respiro di nuovo regolare.
«E ora?» chiese rivolto agli altri, pulendosi il sangue dalla faccia e infoderando la spada nella cintura alla meglio mentre Dorian controllava i morti stesi sul pavimento. «E' ovvio che sia una trappola.»
«Non così ovvio in realtà» commentò Dorian, recuperando un bastone per Kassandre che nel frattempo era andata a soccorrere l'elfa rannicchiata nell'angolo sotto le scale, piangente. «E' pur sempre possibile che i Venatori abbiano fatto incursione nel ballo da soli.»
«E come? La sicurezza di questa serata dovrebbe essere a livelli esasperanti.»
«Per gli ospiti attesi, forse. Ma non per quelli furbi.» Il mago fece ondeggiare il proprio bastone con un sorriso volpino. «E per quelli ancora più furbi ci sono le aiuole dei giardinetti. Hai mai notato come la gente le eviti accuratamente?» domandò, allusivo.
«Ragazzi, silenzio.» L'Inquisitore li zittì, una mano illuminata dalla magia intenta a curare i graffi e le ferite della gracile ragazza che tremava e balbettava. «Lasciatele un po' di pace.» Entrambi si guardarono con un sopracciglio sollevato, e Cullen fece spallucce abbassandosi a raccogliere uno dei mantelli intatti.
«Cosa intendi farne?» gli chiese Dorian a bassa voce. «Non credo ti darebbe il tocco di classe che cerchi.»
«No, certo che no» sorrise sardonico. «Ma coprirà il sangue sull'uniforme e, con un po' di bravura, potrebbe anche tornare utile.»
La preparazione che l'Ordine dava ai templari era, alla peggio, uguale a quella della scuola dei Cavalieri di Orlais, scuola alla quale apparteneva il Campione d'eccellenza di Celene, Ser Michael Chevin, e molti altri esponenti della più alta nobiltà d'Orlais che era stata in grado di guadagnarsi un nome non tanto con la politica quanto con le azioni concrete. Certo, rispetto ai Cavalieri per cui la scherma era un fondamento insostituibile, la loro specializzazione si concentrava sull'uso dell'armatura e dello scudo in battaglia - i tipici oggetti in loro dotazione - ed era imperativo eccellere nel loro uso sia in ambienti ristretti che in campo aperto per sperare anche solo di prendere i voti. Ma c'era una differenza fondamentale che li rendeva unici, quella stessa differenza per cui era l'Ordine a proteggere la Chiesa e i maghi e non i Cavalieri, o qualsiasi altra scuola.
Per prima cosa, la nobiltà non contava entro i loro ranghi: gli orlesiani non accettavano allievi che non fossero di sangue blu, mentre nonostante la difficoltà ad accedervi, per l'Ordine contavano più disciplina, fede e spirito di sacrificio che la provenienza. La seconda era che l'Ordine si curava tanto dei pregi, quanto dei difetti dei propri cadetti: qualsiasi templare che fosse preparato a dovere doveva essere in grado di affrontare un nemico tanto in arme, quanto senza niente addosso, sfruttando una combinazione di abilità, tattica e improvvisazione pura. Peccato che le battaglie che aveva combattuto poco c'entrassero con quel tipo di tecnica intoccata per anni: chissà, si chiese, se sarebbe stato ancora in grado di usare una cappa a dovere?
Dopo un tempo indefinibile, Kassandre lasciò andare l'elfa e fece ritorno da loro.
«Scoperto niente?» le chiese il Comandante, spostando il peso da una gamba all'altra mentre indossava il mantello. Gli avrebbe dato un vantaggio non indifferente anche sulla sorpresa, volendo.
«Ha detto che è stata Briala a mandarla qua per una... commissione segreta.»
«Briala? L'amante-spia di Celene?» si meravigliò Dorian. «Il suo intervento in tutto questo mi pare molto strano.»
«E' vero» convenì l'Inquisitore «Ma da come parla, Briala le aveva assicurato che il posto era pulito, quando invece i Venatori avevano già iniziato a massacrare tutta questa gente.»
«Se l'avesse mandata in contemporanea al loro arrivo?» ipotizzò Cullen. «Non sarebbe la prima volta che capita, questo o di venire a conoscenza dei fatti troppo tardi per poter intervenire.»
Kassandre sembrò pensarci sopra.
«Potrebbe essere andata così, ma la ragazza ha aggiunto anche che Briala non è nuova al massacro degli elfi.»
«Che... spero di aver capito male.» La guardò dubbioso, e Dorian sbuffò accanto a lui.
«Si riferiva alla guerra civile ad Halamshiral» li informò con un tono di sufficienza. «Non avete ascoltato le voci di corte? I sussurri che la indicano come assassina delle centinaia di elfi rivoltosi, mandata dall'Imperatrice a fare piazza pulita dei suoi stessi simili? No, a quanto pare no» terminò bruscamente, fissando i loro volti smarriti.
«In ogni caso, ci ha promesso di testimoniare apertamente contro Briala, al bisogno. Credo che le nostre... scoperte inizino ad essere di un certo peso politico» constatò l'Inquisitore, con un'aria ironica che al Comandante faceva venire in mente solo un tipo di scoperta precedente a quella in cortile.
«Scoperte? Cos'avete trovato?» chiese curioso il mago, portandosi una mano al mento.
«Un uomo nudo legato al letto dell'Imperatrice?» Kassandre sollevò le spalle, l'aria sorniona.
«Ah, nell'ala reale si sentiva giusto un tale odore di marcio...» Dorian sorrise di soddisfazione. «Pretendo i dettagli, adesso.»
«Sono sicura che Cullen ti possa dare tutti i particolari che vuoi mentre proseguiamo...» Kassandre lo guardò con un paio d'occhi malandrini e il Comandante si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie. «Avresti dovuto sentire che esclamazioni davanti alla possanza dell'uomo in questione...»
«Stando a sentire te, prima di sera dovrò corrompere Varric per non inserire questa storia in nessun libro. Specialmente non in quello che legge Cassandra.»
«Forse?»
«Forse. Ottimo.» Cullen tossì, preso alla sprovvista. Cercò di mantenere una dignità affatto facile da conservare attorno a quei due. «Ora dovremmo muoverci. Ci rimane poco tempo per capire che diamine stia succedendo realmente.»
«Hai ragione.» L'Inquisitore non perse un secondo e gli scivolò alle spalle con un passo sinuoso, pronto ad avviarsi verso il giardino. «Andiamo?»
Annuirono, mettendosi in marcia. Il momento dopo, il Comandante potè giurare d'aver sentito la sua mano sfiorargli il fianco, leggera.



Nono capitolo! Dopo un poco brillante ritorno ai doveri riesco finalmente a pubblicarlo: sul lavoro mi stanno addosso e posso scrivere veramente poco per mia disgrazia, senza contare il freddo che c'è °-° fortuna che a casa riesco un po' a rifarmi tra una cosa e l'altra, anche se non sono molto convinta di quello che ho scritto... non so, mi sembra sempre troppo poco xD
Detto questo, Cullen & Inquisitor in Action! Spero apprezzerete quel po' di tempo che ho voluto dedicare ai loro battibecchi e scambi, far interagire i personaggi è sempre la cosa che mi preoccupa di più - sinceramente, non mi piace raccontare avvenimenti senza dialoghi di mezzo, e anche se nel prossimo futuro dovrò per forza di cose farlo cercherò di non esagerare mai sotto questo senso :3
Vi avviso, nei combattimenti sono una ciofeca, quindi vi chiedo di scusarmi se le descrizioni sono pessime: non sono per niente abituata a rendere i singoli movimenti senza descriverli troppo nel dettaglio e renderli più dinamici mi viene tremendamente difficile... ho ancora molto da imparare! Anzi, se volete dare dei suggerimenti ve ne sarei eternamente grata é_é
Detto questo, come sempre se volete lasciarmi granate, bombe a mano, lanciarmi coltelli, candeline, commenti o altro, potete benissimo utilizzare i soliti mezzi oppure usare quel bellissimo indirizzo di posta che troverete nascosto nel codice della pagina (xD) e che una volta decrittato redirigerà direttamente tutto alla mia migliore amica in Danimarca. Fate un'azione caritatevole, donate un minuto del vostro tempo e fatele scoppiare la posta di casa là così che possa tornare in Italia! xD
Un abbraccio a tutti, al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** Digli che sarete sempre insieme ***


Controllarono i morti e cercarono di dare un aspetto degno a quelli messi meno peggio, per quanto potessero col tempo che stringeva e li spingeva a proseguire. Cullen trovò una spada lunga ben affilata che scambiò con quella ornamentale in suo possesso e Kassandre si armò di un pugnale di semplice fattura, mentre Dorian intascò alcune foglie di radice elfica dai corpi e dalla bisaccia del cuoco, buone da masticare per lenire il dolore di eventuali ferite. Ovunque attorno a loro, i segni della lotta mostravano agli occhi del Comandante che gli elfi avevano reagito ai loro assalitori con la stessa velocità con la quale erano stati attaccati, sebbene questo non li avesse salvati da una fine violenta: ogni cadavere che fosse stato lasciato intatto era armato e quanto ai pezzi... alcuni tenevano ancora gli archi stretti tra le dita ormai morte. Una volta fatto ciò che ritenevano quantomeno necessario, si incamminarono per l'unico percorso possibile che li avrebbe portati al giardino interno, possibilmente luogo di una trappola ai danni dell'Inquisitore.
Cullen e Dorian si guardavano attorno con circospezione mentre Kassandre, col bastone stretto in mano, camminava con apparente tranquillità in mezzo a loro. L'eventualità di un'imboscata ad ogni stanza si faceva sempre più reale mano a mano si avvicinavano al luogo designato, ma a parte un gatto dall'aria costosa che li mise in allerta non trovarono nessun'altra sorpresa ad attenderli. Dorian riempì il silenzio per un po' con le sue considerazioni sull'architettura Orlesiana, divertendoli con commenti caustici e frecciatine ai nobili, ma ben presto anche quella conversazione si perse.
Fu poco prima di arrivare al giardino che Cullen iniziò a considerare tutta quella calma alquanto innaturale. Anche nelle stanze inusate di un enorme palazzo che fungeva da residenza estiva, considerò, il fermento non si fermava mai: i Venatori potevano anche aver eliminato la maggior parte degli elfi nelle sale della servitù, ma c'erano ancora molti camerieri e inservienti che facevano spola tra la festa e il resto dell'enorme tenuta per portare agli invitati tutto il necessario, fosse un foulard dimenticato nella carrozza o un anello perso nei cortili anteriori. Non dubitava fossero sacrificabili per i loro avversari, così come qualsiasi uomo o donna sulla loro strada a prescindere dall'importanza, ma se questi ultimi erano furbi almeno un decimo di quanto sembravano dovevano anche sapere che eliminarli avrebbe comportato ben più di qualche disagio alla festa: sarebbe stato difficile non accorgersi che le tavole imbandite non venivano più rifornite, che le bottiglie vuote rimanevano tali e che nessuno più si occupava di desideri e capricci nobiliari. Questo, senza contare come molti ospiti arrivassero da lontano e alloggiassero da qualche parte nel palazzo, il chè rendeva indispensabile la preparazione delle stanze per la notte. "Chi vorrebbe mai far andare il Conte o la Contessa di turno a letto in una camera polverosa e fredda?" si chiese, sarcastico.
I suoi sospetti furono confermati quando, fatto un passo nel porticato di un immenso giardino senza porte, i suoi occhi incrociarono una figura inginocchiata in mezzo all'erba. Svelto, Cullen fermò l'avanzare dei suoi compagni: li prese entrambi per un braccio e li fece indietreggiare con forza fino a girare l'angolo del muro più vicino, in modo da avere una copertura.
«Cullen, ma che-»
«Silenzio.» Il Comandante interruppe bruscamente la protesta di Kassandre, guardando lei e Dorian. «E' un'imboscata. C'è un uomo in mezzo al giardino, probabilmente legato. Lo stanno usando come esca per attirarci nel punto più sfavorevole» spiegò loro in un sussurro. Non aveva visto chiaramente se l'uomo fosse davvero legato oppure no, ma aveva il tipico presentimento del soldato che di solito non lo tradiva. «Se è come penso, saranno disposti sotto il portico dove gli sarà più facile accerchiarci. Se ci buttiamo in mezzo siamo morti.»
Kassandre lo guardò incredula, poi si sporse appena dal muro per osservare la figura in lontananza, facilmente confondibile con una statua qualunque nel tenue bagliore del giardino.
Anche Dorian curiosò con prudenza oltre il muro e quando tornò al suo posto non mostrava più la solita aria di disinteresse. Sembrava piuttosto preoccupato. Cullen sentì l'Inquisitore prendere un lungo respiro e trattenerlo, tornando a lui.
«Quale sarebbe la tua idea?» gli chiese. Scosse il capo, incerto.
«Se ci fosse Varric, potremmo usarlo come elemento di sorpresa. Ma essendo solo noi tre... due maghi e un combattente...» il giovane si arrovellò veloce, una mano alla guancia e i pensieri che si rincorrevano frenetici nella testa. «Non posso lasciarvi andare avanti.» Cullen la fissò negli occhi. «Andrò io.»
«Cosa?» gli esclamò contro Kassandre. Cercò di non farsi scalfire dalla sua espressione allibita. «Hai intenzione di suicidarti? Non puoi andare lì e semplicemente lasciare che ti ammazzino! Se è vero quello che dici-»
«Kassandre, potremmo...» si intromise Dorian, ma lei lo ignorò completamente con un gesto stizzito.
«-allora potrebbero esserci decine di persone pronte a gettarsi su di te. Vuoi farti piantare una freccia in petto? No, non se ne parla!»
Vedere con quanto impeto l'Inquisitore avesse reagito alla sua idea lo fece sorridere. Ricordava ancora la sua rabbia davanti al massacro del cortile, il modo in cui aveva dovuto bloccarla dal gettarsi contro il responsabile, che era uguale a quello con cui stava scartando ogni possibilità andasse da solo a fronteggiare qualsiasi cosa fosse nel giardino. Lo ricordava almeno quanto la promessa che si era fatto ad Haven: non le avrebbe lasciato correre lo stesso rischio contro un pericolo ignoto, con la possibilità che proprio lei, tra tutti, potesse morire per una stupidaggine. Già una volta non le aveva impedito di affrontare Corypheus da sola, e si sarebbe preso volentieri a schiaffi per quello: non c'era giorno che passasse senza pensare a cosa sarebbe successo, se la fortuna le fosse stata avversa. Permetterglielo la seconda? Nemmeno se fosse passata sul suo cadavere.
«Sono il Comandante delle tue forze armate. Me la caverò.» Cullen incrociò le braccia in un gesto definitivo. Era un semplice guerriero dopotutto, non un mago. Rimpiangeva i caduti, ma non era in grado di salvarli ad un passo dalla morte come lei e Dorian potevano fare. Se si trattava di mettere il suo destino nelle mani di qualcuno, benchè avesse sempre preferito contare solo su sè stesso, allora lo avrebbe volentieri affidato a loro. «E nel frattempo, potrete sempre coprirmi con i vostri incantesimi.»
«Mi fa piacere notare che qualcuno se ne sia accorto» commentò Dorian, probabilmente riferendosi a ciò che aveva tentato di suggerire all'Inquisitore. Lei gli scoccò un'occhiataccia, mentre lui proseguiva.
«Qua sarete al riparo da arcieri e maghi, nel caso ce ne fossero. Dovessero avvicinarsi a voi, cercherò di abbatterli» concluse brevemente. Calò il cappuccio sulla fronte e fece per voltarsi e andarsene, ma Kassandre gli afferrò un polso e lo strattonò, trattenendolo, i lineamenti del volto contratti dalla paura.
«Cullen, ascoltami, è troppo pericoloso. Possiamo aspettare, cercare Blackwall o Varric e...»
«...e rischiare di sacrificare l'Imperatrice?» Il Comandante sbuffò, senza reagire alla presa. «Non ho intenzione di vedere un regnante che cade, almeno quanto un'Inquisitore morto. E sono l'unico tra di noi che sa combattere propriamente.»
«Potrei ordinarti di restare» mormorò lei, senza troppa convinzione.
«Potresti, ma dubito lo farai. Corypheus vuole l'Imperatrice morta. E se succedesse...» lei sapeva cos'era avvenuto nel futuro di Alexius, più di ogni altro.
L'Inquisitore mantenne la presa per altri lunghi secondi, le nocche bianche, ma alla fine si decise a lasciarlo lentamente. La vide abbassare lo sguardo al pavimento e immaginò come si dovesse sentire impotente in quel momento, incapace di impedirgli di fare quello che doveva semplicemente perchè non era la cosa giusta: un sentimento che non gli era nuovo e che comprendeva appieno ogni volta che doveva mandare i suoi soldati in battaglia, ragazzi e padri e madri uniti per una causa comune più alta di una qualsiasi marcia sacra o scaramuccia territoriale.
«Se non facciamo noi la cosa giusta, nessun'altro la farà.» Le disse ciò che si costringeva a ripetersi ogni volta che contava morti e feriti dai rapporti, sperando la consolasse più di quanto non facesse con lui. Poi le afferrò la mano, stringendola brevemente nella propria. «Vedrai, non succederà niente.»
«E' quello che dice sempre anche Cassandra.» L'Inquisitore sorrise mesta, ingoiando un groppo amaro. «Vai.»
In silenzio si voltò, osservando con la coda dell'occhio Dorian posarle una mano sulla spalla e condurla al riparo. Il Comandante si assicurò di avere il cappuccio ben calato a nascondergli il volto e, imitando il ghigno derisorio che aveva visto fare al capo dei folli Venatori, con passo spedito si diresse al centro del giardino.
Incredibilmente, non trovò nessuno attenderlo come aveva pensato all'inizio, guardando alla posizione del prigioniero vicino al quale stava sostando, in attesa. Non era riuscito ad anticipare la strategia del nemico forse, ma in quanto all'uomo aveva azzeccato in pieno: il poveretto, piegato sulle ginocchia e ansante, era stato legato coi polsi incrociati e le caviglie a quello che sembrava un palo piantato profondamente nel terreno. A guardarne le vesti l'uomo sembrava un mercenario di tutto rispetto, un veterano considerata l'età: aveva tentato di comunicare con lui, ma il Comandante l'aveva deliberatamente ignorato per mantenere la sua facciata da affiliato dei Venatori. Finalmente, dopo un paio di minuti, una sagoma munita di bastone apparve all'altra estremità del giardino avvicinandosi lentamente. Cullen fece un cenno di riverenza verso di essa, non sapendo bene come comportarsi, e quando si fu avvicinata abbastanza si limitò ad ascoltare.
«Devon» lo salutò l'altro. Probabilmente l'aveva scambiato per il Venatori ucciso, di cui si stava sforzando di ricordarne le espressioni e la voce. «Avete già incontrato l'Inquisitore?»
Cullen annuì, cercando di camuffare quel tono provocatorio che aveva sentito all'altro. «Si, l'abbiamo incontrata coi suoi compagni.»
«E...?» gli chiese l'altro. «L'avete uccisa?» L'uomo coperto da una lunga tunica scura si tolse il cappuccio con sollievo, rivelando dei corti capelli brizzolati e occhi che brillavano dal desiderio di sapere. Si chiese se non fosse troppo preso da quello per notare che la sua voce e quella di "Devon" non combaciavano che alla lontana.
«No» scosse la testa lui «E' scappata, ma uno dei suoi è morto. Un tizio biondo in uniforme.» Riferirsi a sè stesso in terza persona gli sembrò talmente assurdo da fargli temere nemmeno l'individuo davanti a lui ci avrebbe creduto. «Gliel'ho presa» aggiunse con un ghigno feroce.
L'uomo sospirò, disapprovando. Probabilmente Devon si prendeva molto spesso dei trofei, e da quel poco che l'aveva conosciuto non avrebbe avuto dubbi in proposito.
«Il Comandante Rutherford? Molto bene. Peccato per lei, ma l'avevamo programmato.»
"Una doppia imboscata, quindi" appurò tra sé e sé il giovane, continuando ad ascoltare.
«Adesso a che punto è? Il massacro della servitù doveva servire a spingerla nella nostra direzione.»
«Sta arrivando» rispose stando al gioco. «Da sola, con un altro mago.» Non capì il gesto stizzito col bastone, nè il borbottare dell'uomo che prese a fare il giro del prigioniero, torvo. Si fermò solo quando vennero interrotti da una voce femminile che proveniva da un terrazzino, qualche metro più in alto.
«Laevus, allora? Non posso attendere ancora molto.» Era la Contessa Florianne, colei che aveva invitato a ballare l'Inquisitore e che le aveva detto di raggiungerla nel cortile. Cullen si lasciò sfuggire una smorfia di disgusto nei suoi confronti. «La stupida elfa di Celene potrebbe accorgersi di tutto, e Gaspard si starà chiedendo dove siano gli uomini che ha mandato. L'Inquisitore sta arrivando?»
«Si, mia signora» le rispose Laevus con almeno tanto disgusto quanto ne aveva mostrato lui. Evidentemente solo agli orlesiani piaceva giocare al più viscido. «Stavamo giusto terminando gli ultimi preparativi.»
«Molto bene. Sbrigatevi, o mi si scioglierà il trucco.» Non avrebbe dovuto, ma fu quasi sinceramente divertito davanti al ringhio di protesta dell'uomo che rese la sua risposta più rauca del normale.
«Si, mia signora.» Florianne rimase a guardare dall'alto la scena, sventagliandosi di tanto in tanto con guanti mentre Laevus tornava a lui. «Gli altri che erano con te?»
«Morti» rispose secco, fingendo una smorfia di delusione.
«Allora servirà qualcuno ad aiutarti.»
Generalmente, la prontezza del Comandante gli avrebbe permesso di capire in anticipo le intenzioni dell'uomo, sicuramente un mago, e reagire di conseguenza. In quel caso, gli era passata per la mente l'idea di tirare fuori la spada fintanto erano soli ed eliminarlo di conseguenza, e non aveva dubbi l'avrebbe fatto se solo fosse stato nei propri panni. Purtroppo, inscenare di essere non solo un'altra persona, ma addirittura il proprio nemico, rendeva questa eventualità molto più difficile del previsto: aveva atteso troppo e se avesse reagito così sotto il naso della Contessa ora, come minimo quella sarebbe fuggita per darsi alla macchia o addirittura avrebbe tentato di eliminare subito Celene, senza badare troppo ai sotterfugi. Oltre a questo, sempre in quei panni stava venendo a conoscenza di piani e strategie riservate ai fedeli di Corypheus: come rinunciare ad una simile opportunità?
Solo quando Laevus estrasse dalla cintura un minuscolo stiletto incidendosi il palmo, intuì cosa volesse fare davanti ai suoi occhi. Il sangue colò dalla mano aperta e toccò terrà, e l'uomo battè il bastone sul suolo per tre volte: l'erba si illuminò del bagliore rosso del terriccio che si apriva tutt'attorno a lui, vomitando liquida lava finchè diversi demoni dell'ira non ebbero preso corpo. Dopo di essi, un'ultima voragine si aprì, di un tenue bagliore violetto. L'essere che ne uscì aveva sembianze di donna, con capelli di fuoco fatuo e la pelle di un delicato color lavanda. Seminuda, si stiracchiò come richiamata da un lungo sonno, e si passò la mano sul seno prorompente, le gambe coperte da un lungo velo simile a chiffon.
Con orrore, Cullen la squadrò da capo a piedi smettendo di respirare. Era un demone del Desiderio come tanti altri, pensò deglutendo, e proprio come gli tutti gli altri della sua specie non faceva altro che riflettere semplicemente i pensieri di chi lo guardava.
Era un demone del Desiderio, certo. Ma i suoi occhi non vedevano altri che lei.

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«Drass!» Il giovane templare batté più volte alla porta con foga, ogni tanto gettandosi occhiate ai lati. La paura e la fretta si mescolavano nel suo stomaco provocandogli un'intensa nausea dopo tutto quello che aveva visto. Era riuscito ad abbattere alcuni demoni dell'Ira fuggendo nei corridoi ma da lontano, durante la corsa, nelle sue orecchie risuonavano ancora le grida dei suoi compagni più valorosi. Il senso di colpa gli attanagliò l'animo per un momento, ma lo spinse via con la stessa fretta col quale continuò a bussare. Doveva recuperare Drass.
«Drass!» batté di nuovo, ancora più forte, pestando il guanto d'arme contro il legno che tremava ad ogni colpo. «Per il Creatore, apri!» Si appoggiò alla porta e levandosi l'elmo, mise l'orecchio sulla superficie. Percepii alcuni mormorii distinti, e la voce attutita del suo amico.
«Drass, apri, dannazione!» stava indietreggiando per preparare una spallata e tentare così di buttare giù la porta quando il rumore di una toppa che girava lo fermò. Uno schiocco secco della serratura e con un cigolio vide l'uscio aprirsi lentamente. Drass era lì davanti a lui, ma i suoi occhi erano distanti e velati, il volto solitamente contratto in una qualche smorfia per la prima volta rilassato in un'espressione che non gli aveva mai visto prima.
«Drass, per il Creatore! Sei vivo!» Cullen lasciò cadere l'elmo per terra e corse da lui. «Dobbiamo andarcene di qua, subito! Uldred ha corrotto i maghi, ci sono demoni ovunque nella torre! Gli altri stanno cercando di arginarli ma non c'è molto tempo, se non interveniamo...»
«Tesoro, chi è alla porta?» Drass sorrise e si voltò, lasciando intravedere alle sue spalle una figura che di donna aveva solo le forme. Lunghi capelli di fuoco fatuo le crepitavano attorno due corna ricurve, e veli semitrasparenti le coprivano i seni e le gambe. Bellissima e allo stesso tempo terribile, una visione traditrice e pericolosa. Non appena la vide, il templare fece un balzo indietro, la mano sul pomolo della spada.
«E' solo Cullen, cara, non ti preoccupare» sentì rispondere Drass con tenerezza. «Dev'essere passato a trovarci per vedere i bambini.»
«Ultimamente molti passano a vederli» La voce innaturalmente sdoppiata del demone gli rispose, suadente. «Credi potresti portarli a prepararsi per la notte, caro, mentre lo accolgo?»
«Drass, non la ascoltare! Non è chi credi che sia!» esclamò Cullen, ma l'amico non sembrò ascoltarlo minimamente, forse neanche sentirlo. Lo guardò, allibito, portare in camera dei figli immaginari, un braccio sollevato come per tenerne uno in braccio e una mano estesa come ad afferrarne un altro, mentre semplicemente faceva il giro della stanza e si metteva in un angolo fuori dalla sua vista. Era rimasto talmente scioccato da non riuscire a reagire, ma ora, mentre il demone si avvicinava alla porta, estrasse la spada e gliela puntò contro.
«Immonda creatura, lascialo andare!» gli ringhiò contro, portando avanti la mano tremante che impugnava la spada, incapace di restare ferma.
«E privarlo di una vita felice? Della moglie e dei figli che sognava di avere?»
«Sciocchezze» Cullen sapeva che non avrebbe dovuto parlarle affatto, ma non riuscì a frenare la lingua, nè a muovere le gambe contro di lei. «Drass è sempre stato fedele all'Ordine...»
«Un Ordine che gli impediva di crescere una famiglia» gli appuntò il demone con tutta calma. «Che l'avrebbe lasciato vuoto e aspro una volta che i suoi anni fossero finiti.»
«No» agitò la spada avanzando di un mezzo passo, scuotendo la testa, una stilla di disperazione nella voce. «No, non gli avrebbero fatto questo, mai.»
«Vieni all'interno, allora. Vedrai con i tuoi occhi.»
«E farmi abbindolare da te, mostro? In modo che tu possa avvincere la mia mente come hai fatto con lui?» Il demone piegò la testa, sembrando quasi... incuriosito da lui.
«Se preferisci uccidermi, sappi che è legato alla mia vita. Se io morirò, il tuo amico lo farà con me.»
«E se anche non lo facessi, cosa cambierebbe?»
«Dipende da cosa sei disposto ad offrire.» La creatura esalò un sospiro, e Cullen abbassò di pochi centimetri la spada.
«Parla.» Con la torre piena di demoni, i suoi compagni morti e un amico soggiogato, ormai cosa gli sarebbe costato stare a sentire? Alla peggio, e dotato della sicurezza data dalla giovinezza, avrebbe potuto attaccare. Drass sarebbe morto, ma così anche il demone.
«Potresti lasciarlo con me. Mi nutrirò di lui ed eventualmente morirà, ma sarà una morte felice. Penserà di aver vissuto una vita piena, di andarsene circondato dall'affetto dei cari.»
«Tantovale ucciderti» commentò Cullen, con astio.
«Oppure» alzò il dito il demone, interrompendolo «Potrei restituirtelo, a condizione di essere lasciata libera. Non mi rivedresti mai più, nè ti seguirei, nè tormenterei lui o te.»
«Non lui o me, ma altri si, vero?» ringhiò Cullen in sua direzione. «Altri uomini e donne soggiogati dal tuo potere, dalle tue ambizioni.»
«Io non ho ambizione. Sono solo Desiderio» gli rispose la creatura. «E ho avverato quello del tuo compare, sconosciuto a lui stesso. Vorresti negare come sia felice ora? Guardalo.» Il demone si fece da parte, aprendo ulteriormente la porta per permettergli di vedere oltre le sue spalle, in quell'angolo della stanza in cui Drass si era sistemato su uno sgabello, intento a raccontare qualcosa all'aria. Il templare si sforzò di non spostare gli occhi dalla creatura che aveva davanti, ma non ci riuscì. Ne seguì la linea della mano, la direzione, fino a vedere il volto sereno di Drass che sussurrava parole piegato sul proprio letto, a quelli che pensava fossero i propri figli. L'armatura gli stonava addosso, come se indossare improvvisamente i panni del marito e del padre affetuoso, anche se solo per finzione indotta, l'avesse completamente trasformato.
«Illusioni» scosse la testa Cullen, una smorfia e la fronte corrugata «Potrà essere felice, ma è solo finzione.»
«Cos'è la felicità se non la realizzazione di un desiderio?» gli chiese il demone, le fiamme violette che le lambivano la testa e le spalle. «E se pure quella realizzazione fosse finzione, cosa importerebbe? A lui sembra vera, e ciò gli basta.»
«Ma io so che non lo è» tornò ad alzarle la spada contro «e che ti nutrirai di lui a morte. Se non di lui, di altre persone innocenti.» Il demone intuì il gesto, ma non sembrò curarsene particolarmente.
«Morirà. Lo ricordi?»
«Si, lo ricordo.»
«Ed è questo il tuo desiderio?»
«No, ma è la cosa giusta.»
«Non ti comprendo, umano.»
«Non puoi farlo.» Cullen strinse la spada più forte nella mano, gettando l'altra in avanti. Il palmo iniziò ad emanare un lieve bagliore azzurro che si diffuse sulle pietre del muro e sulla porta, illuminando anche la creatura. La vide indietreggiare di un passo ed esitò, solo per un istante. «Vallo a chiamare» le ordinò afflitto, la voce appesantita dal dispiacere. «Digli che sarete sempre insieme.»
Poi, il bagliore ingoiò tutto.
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«Cullen!» la voce di Dorian gli arrivò alle orecchie lontana, come da miglia di distanza. «Fermati!»
Il Comandante guardava distante, gli occhi vacui persi in un passato remoto rivelati dal cappuccio caduto all'indietro. Il presente sembrava solo una vaga presenza che aleggiava come nebbia, le figure che gli giravano attorno irreali, inconsistenti e bagnate di luce azzurra. Non sentiva e non vedeva altri che Drass e il demone. Le loro grida rieccheggiavano nelle sue orecchie, ancora e ancora, rincorrendosi senza mai fermarsi.
«Cullen, se non la pianti ci farai ammazzare!» venne scosso avanti e indietro, più volte, e la bobina del presente sembrò riprendere lentamente a girare. «Cullen!»
Un pugno in faccia lo aiutò a risvegliarsi improvvisamente, facendolo piombare di nuovo nella realtà. Il Comandante ormai aveva imparato ad incassare e certamente il colpo era meno forte di quelli di Cassandra, ma si portò ugualmente una mano alla guancia con un gemito, l'altra ancora rivolta in avanti dove l'aveva lasciata. Il bagliore azzurro che emanava iniziò a diradarsi, e il giovane accusò una fatica fin troppo familiare.
«Che-?» ebbe appena il tempo di chiedere, prima che Dorian lo scansasse iniziando a mulinare il bastone.
«Che cosa succede?» gli rispose con sarcasmo. «Hai ammazzato qualche demone e quasi anche noi, col tuo dissolvi magia. Ti venisse ancora voglia di fare il templare, potresti evitarlo con attorno dei maghi
«Io non ho...» cercò di protestare, ma poi si guardò attorno e notò Kassandre con un braccio alzato, la punta del bastone che riluceva di bianco. Il suo viso concentrato era imperlato di sudore, la bocca piegata come se lo sforzo fosse eccessivo: stava mantenendo attorno a loro e al prigioniero una barriera di protezione, che sfarfallava ad ogni colpo dei demoni rimasti intenti a cercare di sfondarla. Il demone del Desiderio era svanito, e Laevus era morto ai suoi piedi, riverso sul fianco.
«Invece hai! Eccome se hai!» lo rimbottò il mago, caricando il bastone di gelida energia elementale. «E se l'Inquisitore non fosse stata abbastanza lontana da mantenere la barriera mentre ti prendevo a pugni, probabilmente adesso saremmo tutti morti. Kassandre!» si rivolse d'un tratto alla ragazza. «Ora!»
Nel momento in cui la barriera scomparve, l'Inquisitore cadde in ginocchio e Dorian lanciò un potente incantesimo ambientale che bloccò le creature, già pronte a gettarsi addosso a loro, in un'esplosione di freddo. I loro corpi di lava rovente frigolarono per un momento prima di trasformarsi in ghiaccio, e il mago si adoperò subito per mandare in frantumi due di esse facendo roteare il bastone. Cullen, estratta la spada, frantumò le altre con potenti colpi a due mani riducendo le ultime ad un'accozzaglia di frammenti gelati. Subito dopo fu dall'Inquisitore, mentre Dorian liberava il prigioniero.
«Mi dispiace.» Cullen si levò i guanti e le si mise davanti, cercando di guardarla in volto e individuare un danno qualsiasi. Era stanco, lordo di sangue e i morsi dell'astinenza erano tornati a farsi sentire, ma non se ne curò quando la sentì respirare affannosamente davanti a lui. Le tolse i capelli dal volto, spingendoglieli dietro l'orecchio. «Mi dispiace, io non intendevo... sei ferita?»
Lei scosse la testa portandosi una mano al petto, e il Comandante le mise le mani sulle spalle cercando di calmarla. Tremava, e il senso di colpa lo avvinse di nuovo: non aveva idea di quale sforzo avesse dovuto sopportare per mantenere la loro protezione, mentre lui dissipava la magia nell'area, ma doveva essere stato estenuante per l'Inquisitore.
«Va tutto bene» ansimò lei. «Dobbiamo... Florianne è scappata dentro, ucciderà l'Imperatrice se non la fermiamo.» Cullen le asciugò il viso sudato, poi le porse un braccio per aiutarla a rialzarsi, scacciando indietro la debolezza per la mancanza di lyrium.
«Dopo questo, abbiamo abbastanza prove per sbarazzarci di lei» la rassicurò, sollevandola e tenendola salda al proprio fianco fino a quando non riguadagnò l'equilibrio. Dorian nel frattempo si era avvicinato col prigioniero appresso.
«E anche un testimone» sorrise sornione, mentre l'uomo accanto, toccandosi i polsi stretti a lungo nella corda a guardare i segni, li salutava con un cenno.
«Vi aiuterò contro Florianne, e anche contro Gaspard se lo vorrete. Quel bastardo ci ha mandati qui come esca. Bell'uomo d'onore» commentò aspro, sputando a terra.
«Eravate in più uomini?» gli chiese Kassandre.
«Si, Inquisitore. Ma gli altri sono morti contro i demoni di Laevus, quando siamo arrivati. Gaspard ci aveva mandate ad aiutare la sorella, qualsiasi cosa stesse architettando.»
«Quindi non sapeva cosa avesse in mente?» gli chiese Cullen. L'uomo scosse la testa.
«No, non credo.»
«Questo non cambia le cose» commentò Dorian. «Per mandare aiuto alla sorella, doveva sapere che stava organizzando qualcosa ai danni di Celene. I demoni sono solo un... effetto collaterale.»
«E' comunque alto tradimento» annuì il Comandante, interpretando le parole del mago. Kassandre si rivolse di nuovo al mercenario.
«Saresti disposto a raccontare tutto questo davanti alla corte e all'Imperatrice?»
«Ovviamente, se mi verrà garantita la protezione da qualsiasi ritorsione del Duca.»
«Questo non è un problema» gli sorrise lei, volpina. «Quant'è la tua paga?»
«Una sovrana al mese, mia Signora. Ma se si tratta della mia vita, sono disposto ad accettare anche la metà.»
«Molto bene» acconsentì Kassandre, lanciando un'occhiata discreta al Comandante e a Dorian. «Sei assunto nell'Inquisizione. Ti pagheremo cinquanta argenti, ma con vitto e alloggio assicurati. Può andare?»
«E' più di quanto sperassi, mia Signora» concordò l'uomo, facendo un leggero inchino. «Il mio nome è Iren.»
«Inquisitore, non è una scelta... affrettata?» Cullen cercò di darsi un certo tono, nonostante non fosse molto concorde sull'assumere gente con la velocità di uno schiocco di dita. Ne avevano bisogno, su questo non c'erano dubbi, ma la sua diffidenza naturale si scontrava apertamente con la prontezza col quale l'Inquisitore si fidava di molti. Era un consigliere proprio per questo. Kassandre, intuendolo, si affrettò a spegnere la sua vaga protesta.
«I nostri uomini migliori li abbiamo trovati così» gli rispose ammicando. Dorian soffocò una risatina mentre l'incarnato pallido del Comandante che si faceva improvvisamente più roseo. «Venite, non abbiamo tempo da perdere. Iren, hai voglia di menare le mani?» Il mercenario annuì vigorosamente, scrocchiandosi le nocche. «Allora seguici» aggiunse, mettendosi in cammino verso il palazzo.

«Grazie al Creatore, siete tornati!» Josephine li raggiunse sulla porta del salone, non appena rientrati. L'ambasciatrice aveva una fretta del diavolo e incurante delle solite maniere, scostò malamente la gente sulla sua strada pur di raggiungerli, l'angoscia stampata in faccia. «L'Imperatrice sta per iniziare il suo discorso. Cosa dobbiamo fare?» Kassandre e Cullen si scambiarono un lungo sguardo, prima quest'ultimo rispondesse.
«La Duchessa Florianne è l'assassino. Josephine, informa Leliana e tutti i nostri agenti, non lasciate che si avvicini a Celene. Chiama Varric.» Guardò l'uomo che era con loro. «Iren?»
«Si?» Il mercenario si mise sull'attenti. Josephine gli l'anciò uno sguardo confuso, ma non li interruppe.
«Se l'Inquisitore è d'accordo, prenderai il posto di Blackwall. E' meglio lasciare qualcuno a protezione del Re.» Kassandre non ebbe da commentare, annuì soltanto. «Io avviserò i soldati. Saremo pronti ad attaccare ad un tuo cenno, Inquisitore.»
«Carissimi ospiti, vorrei richiamare la vostra cortese attenzione» sentirono il paggio, in lontananza, intento a introdurre l'Imperatrice. «Sua Maestà Imperiale desidera rivolgersi alla corte!»
«Andiamo.» L'Inquisitore si avviò nella sala, scostando diversi nobili nel tentativo di avvicinarsi coi compagni quanto più alla sommità delle scale, lì dove sarebbe apparsa Celene. Cullen la guardò allontanarsi prima di passare in rassegna i soldati nella sala dando ordine di attendere il suo comando. Nel mentre, Varric gli passò accanto sfrecciando e si andò ad unire agli altri, e l'Imperatrice fece finalmente la sua comparsa avanzando sulla ringhiera delle scale.
«Dame e Signori, come nazione piangiamo la scomparsa dei nostri figli e delle nostre figlie, di fratelli e sorelle, amici e amanti reclamati dalla guerra. Il cielo è aperto, la nostra Divina è morta e molti temono che la fine di tutte le cose sia vicina.» Celene si fermò ad osservare gli sguardi riverenti dei nobili puntati tutti su di lei e proseguì. «Orlais dev'essere un bastione, un muro dietro cui tutto il Thedas possa prendere riparo. Così com'è stato per centinaia di anni e così come rimarrà per sempre!» Alzò in alto le mani e gli applausi fiorirono. L'Imperatrice sorrise leggiadra, in modo così evidente che Cullen potè notarla anche da lontano, mentre finiva di avvisare i soldati. Ne scelse quattro e silenziosamente si infiltrarono tra i nobili come ulteriore misura di sicurezza alle guardie già presenti, restando comunque a buona distanza dall'Inquisitore e i suoi uomini.
«Questo» continuò Celene, acquietando la folla «non sarebbe stato possibile senza l'aiuto di molti. Mia cara cugina, vieni avanti.» Florianne avanzò in fretta al fianco dell'Imperatrice, ma non abbastanza.
«Duchessa, non un passo di più!» Kassandre si fece spazio tra la gente, puntandole il bastone contro. Cullen alzò la mano e con un cenno i suoi uomini, posizionati attorno al perimetro, intervenirono sulle scale e raggiunsero in fretta Florianne, fermandola per poco. Quando gli giunse il primo gemito, il Comandante capì cosa la Duchesse avesse fatto: uno dei suoi si accasciò a terra mentre la reale passava alla mattanza di un altro dei suoi fedeli soldati, scatenandogli dentro un'ira profonda e ferale. Quella non era una grande battaglia dov'era scontato molti cadessero contro le spade degli avversari, avendo comunque una fine dignitosa, onorevole; no, quelle erano persone massacrate per i capricci di una nobile delirante che aveva venduto la sua lealtà al peggior nemico tra tutti. Nel tempo in cui il Comandante avanzò in formazione con la sua scorta, la Duchessa ne aveva già feriti altri due.
«Ora! Per Corypheus, uccideteli tutti!» ordinò lei, correndo via verso il balcone alle sue spalle. L'Inquisitore si arrampicò velocemente per le scale inseguendola e correndole dietro, urlando.
«Cullen! Proteggi la gente!»
«Si, Inquisitore!»
Contemporaneamente Cullen sentì il sibilo di alcune spade estratte e il rantolio di un uomo accanto a lui. Un giullare di corte, uno dei tanti a palazzo, aveva piantato un pugnale nel fianco dell'uomo: il Comandante estrasse la spada e in un battito di ciglia gli fece volare la testa, inondando di sangue scuro il pavimento fino ad ora intonso della sala. Un altro cercò di attaccarli alle spalle, attacco parato egregiamente da una delle sue reclute che lo trafisse nei polmoni: un calciò ben assestato e anche il secondo giullare cadde a terra. Il terzo e il quarto li attaccarono ai lati senza molta convinzione, tentando subito dopo di darsi alla fuga: Cullen fermò quello più vicino calandogli con la spada sulla schiena, un fendente che lacerò la leggera maglia e mandò a terra l'avversario. L'altro giullare, che aveva stordito un suo uomo, si lanciò verso il Comandante facendo in tempo a ferirlo solo superficialmente alla spalla mentre lui si scansava: gli altri due soldati pensarono al resto e il nemico emise la sua ultima risata, trasformata in un grido d'agonia, mentre entrambe le spade calavano sui fianchi dangoli una morte rapida e dolorosa.
Con un accenno di stanchezza, Cullen si guardò attorno, una mano all'arma e l'altra alla ferita che bruciava senza procurargli più del fastidio: nessun nobile o servo - a voler escludere i giullari traditori - era stato toccato, avendo avuto la cortezza di indietreggiare dal luogo dello scontro. Erano tutti salvi tranne il soldato a terra ai suoi piedi e quelli sulle scale: li raggiunse, ma si rese conto che ormai non c'era più nulla da fare.
Da fuori, oltre il balcone da cui la Duchessa era fuggita, gli arrivò il rumore di una battaglia furiosa: ordinò alla sua scorta di rimanere a controllare la sala e corse fuori, pronto ad aiutare i compagni. Fece appena in tempo a giungere nel giardino sottostante, decorato da una grande fontana al centro, prima di sentire l'acuto grido della Duchessa: l'Inquisitore la stava tenendo per i capelli con una rabbia che non le aveva mai visto addosso.
«Dimmi perchè non ti dovrei trasformare in un surgelato!» Kassandre la strattonò violentemente, piantandole un piede su una gamba per poter fare più trazione mentre Cullen guardava la scena incapace di muovere un muscolo, esattamente come Dorian, Varric e Iren. «Hai massacrato gli elfi della servitù, innocenti! I miei uomini, col solo compito di proteggere quelli come te! Dimmelo!»
«Valevano il sacrificio» le rispose Florianne, cercando di mantenere un sorriso derisorio sulle labbra tra un grido e l'altro. «Volete uccidermi? Allora fate di me ciò che volete, Araldo. Dimostrate a tutti la compassione del Creatore.».
«Ti piacerebbe, vero?» ringhiò Kassandre. «Se ti uccidessi non sconteresti più alcuna pena per le tue azioni, ma non sarà così.» La gettò in avanti con tanta forza che Florianne cadde faccia a terra con un gemito. Il piede dell'Inquisitore la raggiunse di nuovo sulla schiena, poggiandovisi e impedendole qualsiasi fuga. «Sarò io a giudicarti. E il verdetto non sarà clemente.» La toccò con la punta del bastone e una scarica elettrica nata dal nulla attraversò la Duchessa, che svenne riversa al suolo. L'Inquisitore le levò il piede dalla schiena, lo sguardo inespressivo rivolto al corpo inerte.
«Varric, puoi legarla in modo non possa muoversi? Magari incaprettarla?»
«E devi chiedermelo?» rispose il nano con un sorriso ironico, mettendosi subito al lavoro. Iren rimase con lui, mentre Dorian seguì Kassandre. Iniziarono a rientrare, lei tenendosi al bastone, e poco prima sparissero oltre la soglia Cullen seppe che gli aveva rivolto uno sguardo dal basso, totalmente privo di ogni colore.

Mentre gli aspiranti al trono dell'impero nella figura di Gaspard e Celene, accompagnata da Briala, decidevano il da farsi con l'Inquisitore in una delle sale private, il Comandante rimase a rimurginare su ciò che aveva visto durante la serata, poggiato ad uno dei molti tavoli della sala e con un bicchiere di vino in mano. Ancora inseguito da nobili desiderosi di titoli e matrimoni al suo rientro, aveva finito per scacciarli seccamente, troppo preso dall'unica cosa di cui veramente gli importasse, se si escludevano i suoi soldati e l'amico Alistair.
Ripensò all'Inquisitore, lo sguardo spento con cui l'aveva osservato un attimo prima di sparire oltre l'entrata: persino nel suo momento peggiore non l'aveva mai vista così, furiosa tanto da cadere nell'apatia. La questione degli elfi, lo rammentava, l'aveva scioccata profondamente, provocandole un disgusto che condivideva pienamente nei confronti dei Venatori e dei loro atti folli. Ma dopo la sua meravigliosa uscita da templare, pensò con sarcasmo, e nel momento in cui avevano toccato i suoi soldati, i suoi uomini, sembrava la cosa avesse raggiunto dimensioni tali da diventare insopportabile per lei.
Ricordava d'aver provato qualcosa di molto simile coi suoi trascorsi a Redcliffe e Kirkwall, davanti alla stupidità dei maghi e alla furia inumana di Meredith, resa pazza dalla spada di lyrium rosso che si era fatta creare dall'idolo sottratto a Bartrand, fratello di Varric. Ricordava con chiarezza, ad un certo punto, come le cose si fossero messe talmente male col passare degli anni da non fargli provare null'altro che intorpidimento. Era bastato seguire gli ordini, fare il proprio lavoro e proseguire semplicemente la vita, meccanicamente, proprio come un golem, aspettando tutto avesse fine. In un modo o nell'altro, a quel tempo, era sicuro di non avere speranze: sarebbe stato falciato da decine di maghi arrabbiati contro il sistema oppure sarebbe caduto onorando i propri voti, o ancora per la spada e la diffidenza di Meredith. Questo fino a quando non era arrivato Hawke, armato di tutte le buone intenzioni del mondo e convinto di poter fare qualcosa di utile della magia, di non essere solo l'eretico ribelle che l'Alto-Comandante descriveva. Un dannato testardo sarcastico che, a forza di tenergli testa con battutine saccenti, gli aveva aperto gradualmente gli occhi sulla realtà che lo circondava.
Forse, si disse silenziosamente sorseggiando dal bicchiere, anche l'Inquisitore si era intorpidito dopo aver visto la brutalità del gioco orlesiano e aver provato sulla propria pelle cos'era in grado di fare anche lui, un suo consigliere e sperava, almeno un amico. Si chiese, pieno di dubbi, se dovesse scusarsi con lei e sopratutto se lei avrebbe accettato di perdonarlo dopo averle fatto - come minimo - rammentare ciò che doveva aver vissuto alle Bianche Spire. E per un momento, un solo e unico attimo, si chiese anche se non sarebbe stato meglio rassegnarsi una volta per tutte alla sete e tornare a prendere il lyrium.
Fortunatamente si scosse da quel pensiero in fretta, richiamato dai passi di Alistair che si avvicinava lentamente. Lontano, la voce del paggio dichiarò che l'Imperatrice Celene era stata eletta a furor di popolo, o almeno così tutti pensavano. Solo lui, a parte l'Inquisitore e Leliana, sapeva che le informazioni raccolte erano state poco gentilmente usate per minacciare sia Celene, sia Briala che Gaspard, costringendoli a collaborare su ordine dell'Inquisizione.
«Come va la serata?» gli chiese il Re, preoccupato. Cullen rispose con un lungo sospiro, scolando tutto ciò che gli era rimasto nel bicchiere.
«Dopo quello che è successo, non poteva andare peggio. Un tentato assassinio, una Duchessa al servizio di Corypheus, i Venatori e gli elfi... la nobiltà è sconcertata.»
«Non solo quella, vedo.» Alistair gli lanciò uno sguardo indagatore, poi si avvicinò, togliendogli il contenitore vuoto di mano e sostituendolo col suo pieno fino all'orlo. «Guardandoti in faccia, sembrerebbe che ti sia passato ogni entusiasmo.»
«Tu non hai visto come mi ha guardato» il Comandante si portò una mano alla faccia. «Ho fatto la cosa peggiore che potessi mai fare, e lei... sono sicuro che lei mi disprezzi, adesso.» Buttò giù metà del vino con una smorfia, il sapore aspro che gli riempiva la bocca.
«Gliel'hai almeno chiesto?» domandò Alistair, poggiando un gomito al tavolo per poter conversare con lui in santa pace senza che i passanti allungassero le orecchie. Aveva quell'aria di disapprovazione che lo faceva sentire tremendamente stupido, nonostante avessero un minimo di differenza d'età e Cullen fosse, di fatto, di un anno o due più vecchio del Re. Il giovane scosse la testa. «Ecco, vedi? Non puoi saperlo, e finchè non andrai a parlarle...»
«Ho... non dovrei, ma temo che lei...»
«Senti, qualsiasi timore tu abbia, prendilo, accartoccialo e gettalo altrove, intesi?» Il Comandante osservò sorpreso l'espressione improvvisamente seria del Re. «Non potrai mai sapere cosa le passava in testa, è una donna! Magari per te era disprezzo, e invece lei stava pensando alla stanchezza, o ad un comodo letto, o che le tartine del tavolo fanno proprio schifo. Mi capisci?»
Cullen non disse niente, ma lo guardò con un'espressione al limite dello scetticismo.
«Le tartine del tavolo fanno davvero schifo, non sto scherzando.» Alistair gli prese il bicchiere dalla mano e fece fuori l'ultimo goccio.
«Hey!» protestò Cullen.
«Insomma, valle a parlare.»
Proprio in quel momento lil cermioniere alla porta principale battè il bastone a terra per tre volte. Nessuno si aspettava l'arrivo di un ospite tanto in ritardo al ballo, ben oltre i limiti della decenza orlesiana, e fu per questo che molte teste si voltarono, totalmente dimentiche delle parole del paggio che si zittì a sua volta. Trepidante, la gente attese il nome di chi aveva osato tanto.
«Sua Altezza Reale l'Eroe del Ferelden, la Regina Rachel Cousland di Highever!»
Indignazione e stupore attraversarono la sala da ballo, gli sguardi increduli della maggior parte della gente che lasciavano pensare fosse uno scherzo architettato da qualche nobile oltraggioso e troppo burlone. Cullen non riuscì a reggere la mascella, quando le porte della stanza si spalancarono e dal fondo emerse una figura zoppicante, pallida e intenta a reggersi un braccio ferito al gomito. L'armatura era, persino da quella distanza, indubbiamente di fattura fereldiana, fatta di pelle dura conciata e borchiata; ai suoi fianchi dondolavano due pugnali lunghi di semplice fattura, e a tracolla una bisaccia ricolma oscillava lentamente.
Il silenzio calò sulle labbra di ogni presente. Il Comandante non potè fare a meno di guardare quella donna - quell'ombra di donna - trascinarsi passo dopo passo fino al centro, dove gli invitati fecero spazio senza che nemmeno uno scalpiccio di scarpe si sollevasse. Solo il lento rintocco degli stivali che aveva addosso risuonava, e riempiva lo spazio come fosse più pesante di mille parole. Quando la guardò in faccia, ora che era più vicina, quasi stentò a riconoscerla. Lei sollevò lo sguardo prima su di lui, poi su Leliana, pietrificata alla sua visione, poi sul Re. Al suo fianco, il suono cristallino di un bicchiere lasciato cadere a terra si sollevò fragoroso e inaspettato.
«Rachel!»
D'un tratto tutto quanto sembrò riguadagnare un movimento e un volume. L'Eroe si accasciò per terra e i bisbigli delle persone si alzarono mentre Alistair si precipitava dalla donna a stento riconoscibile, e dietro di lui il Comandante. Si piegarono in ginocchio, ognuno ai due lati, e poco dopo arrivò l'Inquisitore col bastone in mano, la magia che già diffondeva il suo lieve bagliore dai palmi. Mentre loro la assistevano, Kassandre esitò un momento, vedendola. Subito dopo iniziò a curarle le ferite più evidenti, anche se dall'aspetto quelle forse erano il meno.
«Che il Creatore mi assista...» mormorò Cullen, alzando lo sguardo. In quell'attimo dall'entrata entrò un corvo, che planando in malo modo si posò poco lontano da loro. Un secondo, e riprese le sue sembianze originali: il Comandante riconobbe il mago, la faccia imbrattata di rosso e una mano al naso. Leliana, dopo momenti di stordimento, si lanciò da lui.
Tornò a fatica con gli occhi puntati all'amico e alla sua consorte che ricordava splendere di vita propria, molti anni prima. Ingoiò un groppo duro e amaro, mentre Alistair si affannava su di lei cercando disperatamente di ottenere l'attenzione della donna, che lo osservava senza dire una parola: la sua pelle era bianca come un cencio e un intrico venoso e scuro le copriva gli arti, il collo e le guance, gli occhi velati da una patina che sembrava cataratta.
«A-alistair...» dopo molti secondi, finalmente quelle labbra tese e screpolate si aprirono. Kassandre viaggiò con le mani sul corpo, e iniziò a curarle una grossa ferita al fianco mentre il Re le prendeva il viso tra le mani, senza accorgersi delle lacrime amare che gli colavano dagli occhi.
«Rachel, perchè? Non dovevi andare- avresti potuto... avresti potuto avvertirmi. Sarei venuto con te.» Lei gli cercò una mano, stringendogliela.
«Mi dispiace» esalò a fatica. «Mi dispiace per quel litigio...»
«No, non fa niente. Non importa. Per il Creatore, come ti sei ridotta... sono stato uno stupido, è colpa mia.»
«Teagan...»
«Teagan se ne può andare al diavolo!» rispose con rabbia Alistair, tirando su col naso. «Non gli lascerò decidere di nuovo della nostra vita, non m'importa se avremo un erede, oppure no.»
«Non potevo lasciartelo fare di nuovo» gli sorrise debolmente lei, spostando la mano dalla sua alla bisaccia a tracolla. «La Chiamata... ho trovato un modo.»
Cullen sentì il singhiozzare di Leliana perfino a metri di distanza e nonostante fosse ovattato. Si stava sforzando di occuparsi di Elmer, ma era chiaro che li stava ascoltando, nascondendo come poteva i suoi sentimenti. L'unica che sembrava proseguire il suo lavoro senza alcun tentennamento era Kassandre, che stava faticando nel cercare di curarla al meglio. In quel momento, stava facendo a pezzi la sua uniforme per farne delle bende.
Rachel rovistò nella bisaccia e ne estrasse a fatica una fiala, lanciando un'occhiata incerta all'oggetto. La porse verso Alistair con la mano che tremava, ricoperta di sporco, fango e sangue.
«P-prendila» si sforzò, spingendola verso di lui. «Ci darà altri anni... una possibilità.»
«No, tesoro, non... come l'hai ottenuta? Se è una cura...»
La donna scosse violentemente la testa.
«Prendila» ringhiò disperata.
«Se è una cura, devi usarla. Ne hai più bisogno tu di me.»
«Io... ce la farò» le lacrime le spezzarono la voce. «Tu devi... guidare i Custodi» gli disse con voce fievole. Alistair scosse la testa, posò la fiala accanto a sè e si abbassò ad abbracciarla, tirandola a sè. Sembrava tutt'altro che un Re, in quel momento. Sembrava, pensò Cullen, l'uomo più fragile del mondo, spezzato da dentro.
«Amore mio...» Alistair le stava baciando una guancia, assaggiando le lacrime che si rincorrevano sulla sua pelle, quando qualcosa cambiò nella sua espressione. All'iniziò fu confusione, poi sgomento. «Rachel?» lo sentì chiamarla. Non ricevendo risposta la scosse, e il capo della donna scivolò mollemente di lato. «Rachel!»
Nè lui, nè Cullen sapevano cosa fare. Passarono degli istanti, tentando di realizzare cosa stava accadendo, quando fu Kassandre a reagire.
«Spostatevi!» esclamò in loro direzione. La guardarono senza capire mentre lei tirava il corpo per le gambe alla meglio, cercando di toglierlo dalla presa di Alistair. «Spostatevi, maledizione!» ruggì una seconda volta. Alistair rimase dov'era, stordito, e fu il Comandante ad agire stavolta, risvegliandosi dal momentaneo torpore per mettergli la fiala in mano e allontanarlo velocemente.
«Cullen, tienilo lontano!»
«Rachel!» protestò il Re, cercando di tornare da lei. Lo tenne indietro usando quanta più delicatezza possibile, mentre Kassandre mollava a terra il bastone. La vide sprigionare elettricità dalle mani, sottili saette violacee che si contraevano tra i suoi palmi sollevati davanti agli occhi.
«Alistair, l'Inquisitore sa quello che fa» tentò di rassicurare l'amico ormai nel panico. «Molti maghi sono anche cerusici esperti, lasciala...»
Kassandre scagliò le mani sul torace dell'Eroe e la scarica le fece contrarre i muscoli, facendo inarcare il corpo a diretto contatto col potere. Dovette puntare i piedi per trattenere il Re che si stava dimenando come mai, mentre l'Inquisitore procedeva nuovamente a caricare l'energia tra le mani, concentrata, con la fronte imperlata di sudore.
«Dorian!» la sentì chiamare, e il mago giunse poco dopo al suo fianco. Parlottarono brevemente e spostatosi dall'altro lato, anche Dorian impose le mani richiamando la pura energia, usando un incantesimo che esercitava sul campo di battaglia per evitare i compagni cadessero, mantenendoli in vita sul precario filo di una lama.
«Rachel! Cullen, lasciami, io-» Un'altra scarica si abbattè sul corpo dell'Eroe, che stavolta sembrò rianimarsi. L'Inquisitore controllò se il cuore le batteva e si assicurò che il respiro fosse regolare, prima di rivolgersi stancamente al mago.
«Te ne puoi occupare tu? Magari puoi...» Dorian le sorrise in una di quelle rare dimostrazioni di sincerità, e annuì.
«Tranquilla. Vai.»
«Grazie» lo ringraziò, iniziando a fasciare strettamente il fianco di Rachel con le bende ricavate dalla sua uniforme. Quando ebbe finito, si rivolse a Cullen. «Puoi lasciarlo, adesso.»
Con un moto di gratitudine il Comandante lasciò Alistair, che si precipitò di nuovo dalla sua regina. In tutto quel tempo, non un mormorio si era sollevato dalla sala. Riprese il respiro, giurando a sè stesso che mai più avrebbe vissuto un'altra serata del genere. Dopo alcuni minuti il Re, asciugandosi il viso, si rivolse all'Imperatrice rimasta a guardare senza parole durante tutto quel tempo, alzandosi da terra con la fiala stretta in mano.
«Sua Altezza Reale, ho il suo consenso per fare un annuncio?» Celene annuì.
«Qualsiasi cosa vogliate dire sarà ben accetta» gli permise con un gesto, facendogli cenno di raggiungerla sulle scale per essere meglio ascoltato. Alistair semplicemente si diresse sotto di esse, e lì si fermò dov'erano stati presentati loro e l'Inquisizione. Il Comandante lo vide prendere un lungo respiro, e quando parlò si accorse della fermezza che per la prima volta permeava le sue parole.
«Constatando l'inabilità dell'Eroe del Ferelden a guidare l'Ordine e i fatti appena avvenuti...» esitò solo un momento «...che sia riferito ai quattro angoli dei regni che in qualità di secondo Custode più anziano, sostituirò l'Eroe prendendo il suo momentaneo posto come Comandante dei Custodi Grigi. Da oggi Ser Teagan Guerrin siederà sul trono in mia vece, fino a quando la legittima portatrice di questo titolo non sarà in grado di fare ritorno al suo dovere. Così il Re del Ferelden ha deciso.»
«E così verrà fatto» acconsentì Celene, applaudendolo dall'alto. In breve, seguirono gli applausi degli altri invitati, e poco dopo intervennero dei curatori a portar via Rachel sotto le ultime direttive dell'Inquisitore. Dorian seguì la barella e a lui si unì il Re, sotto gli sguardi meravigliati di tutti.
Per addolcire i fatti concitati della serata, fu ordinato all'orchestra di suonare fino a notte fonda, e che la festa continuasse senza indecisioni. Per sfuggire al chiacchiericcio della gente Cullen fuggì in disparte, la mente intorbidita da quanto aveva visto: Rachel non gli sembrava affetta da nessuna malattia di cui fosse a conoscenza, ma non poteva nemmeno dire con certezza quello che sospettava. Semplicemente, tenne tutto per sè, osservando svogliatamente gli altri ospiti volteggiare di nuovo nella sala da ballo, e questo gli ricordò una cosa. Chiedendo agli altri invitati, cercò l'Inquisitore, trovandola infine su uno dei balconi. Morrigan gli si defilò accanto allontanandosi, avendo probabilmente finito una conversazione di qualche tipo con lei, ma non le diede preso. Kassandre era piegata sul parapetto di pietra, le mani incrociate. Guardava il paesaggio di Halamshiral ma, intuì il Comandante, senza grande entusiasmo.
«Eccoti. Ti stavano cercando tutti.» Le si avvicinò con un tono sommesso, non volendo disturbarla. Se gli avesse detto di fare dietrofront, non avrebbe esitato un attimo: comprendeva il bisogno di stare in solitudine dopo tutti gli eventi di quella notte. Tuttavia, l'Inquisitore non lo mandò via come aveva pensato, e lui la raggiunse al fianco. «Per ora è tutto tranquillo. Stai bene?» Lei si portò una mano alla guancia segnata dalla cicatrice, tentennando e poi rivolgendogli un sorriso amaro.
«Sono solo a pezzi. E' stata una serata... estenuante» gli rispose, sottraendosi al suo sguardo. Gli occhi di Kassandre erano puntati al parapetto di pietra come non volesse guardarlo.
«Lo è stata per tutti, ma adesso è finita.» Esitò, prima di aggiungere dell'altro trattenendo il timore. «Kassandre, mi dispiace per quello che è successo nel giardino...» avrebbe continuato, quando lei lo guardò, l'ironia in viso.
«Stai scherzando, vero? Capisco perchè l'hai fatto. E' stato semplicemente...» la vide tirarsi indietro i capelli «...improvviso. Tutto qua.» Le vide di nuovo quello sguardo, per un secondo. Vuoto, inerte. Anche se sembrava lei volesse chiudere lì la conversazione, tornando ai paesaggi della città, volle ugualmente provarci.
«So che è sciocco, ma stasera era preoccupato per te.» Osò metterle la mano sulla spalla e lei fece per raggiungerla con la sua, lasciandola però ricadere. Il Comandante lanciò una breve occhiata alla sala, da cui arrivava la musica dell'orchestra, e poi le sorrise. «Un'occasione simile potrebbe non capitarmi ancora, perciò... devo chiederlo.» Si alzò dal parapetto e seguito dal suo sguardo, le fece un breve inchino, porgendole la mano. «Potete concedermi questo ballo, mia signora?»
Il sorriso meravigliato di Kassandre le colorò le guance di rosso, facendogli sperare di aver abbattuto almeno per un momento quella sensazione di distanza che sembrava essere sorta tra di loro. L'Inquisitore gli diede la mano.
«Certo. Credevo non ti piacesse ballare.» La trasse a sè con delicatezza, provando un brivido nel sentire l'altra sua mano poggiarglisi sulla spalla. Cullen portò l'altra al fianco femminile, per la prima volta davvero sicuro di voler ballare, nonostante si fosse sempre considerato pessimo.
«Per te, ci proverò.»
La condusse, e lei lo lasciò fare seguendolo, muovendosi con lui e non badando ai suoi piccoli sbagli. Quando ebbero finito e le fece fare l'ultimo giro tenendole in alto una mano, Kassandre l'abbracciò. Cullen, inizialmente sorpreso, dopo pochi attimi la strinse a sua volta.
Se avesse potuto, sarebbe rimasto così per l'eternità.


Decimo capitolo, sfornato con grande fatica dato mi tengono d'occhio costantemente °-° questa settimana sfuggire agli impegni per scrivere è stato semplicemente impossibile, sarò arrivata a neanche un quarto del prossimo capitolo (visto quando è stato lungo questo, direi che lo tenevo in conto xD) e quindi vi anticipo subito che al posto dei soliti cinque giorni, per il prossimo capitolo ve ne farò attendere sette - così da recuperare un minimo durante i festivi e tornare ad essere regolare coi tempi. Non mi rincorrerete coi forconi, vero? *sbatte le lunghe ciglia puccettose*
Detto questo, siamo arrivati ad un capitolo lungo e molto, molto concentrato, pieno di fatti e di tanti avvenimenti che accadono uno dopo l'altro. Immagino che alla fine della lettura capirete chiaramente quali sono i miei piani (per ora!): come avevo già anticipato, detestavo l'idea che Alistair rimanesse a castello a fare un ciufolo e ho combinato un modo per tenerlo ben saldo all'Inquisizione fondendo le parti che lo vedono da Re e da Custode. La parte con la Warden non è stata facile da scrivere, anche perchè temevo - e temo - di scadere troppo nel piagnisteo... ho cercato di fare del mio meglio per non rendere l'entrata e la piccola "scoperta" ridicola e spero di aver fatto un buon lavoro, così come nello scostarmi tanto apertamente dal gioco in queste determinate parti.
Parlando di Cullen, ho voluto inserire un altro scorcio che i giocatori di Origins ricorderanno bene e che per me, ai tempi del gioco, è stato un dilemma morale piuttosto pesante da affrontare. E' anche un modo per confrontare il giovane ragazzo di allora con l'uomo che è diventato, e che sono trattati molto bene in Inquisition - vedere com'è cresciuto il personaggio ad anni di distanza, parlando tanto di Cullen ma anche di Alistair, è una delle cose che preferisco osservare. Infine, finalmente il nostro baldo eroe ha avuto il suo ballo! E senza pestare nessun piede <3
Come sempre, se volete tirarmi ovetti di cioccolata (sono a dietaaaaaa ç__ç), dolci, granatine, commenti, oppure gufetti di ceramica o armi improvvisate (più gradite, almeno non penso al cibo xD) è tutto ben accetto. Se mi tirate anche lo scudo di Cassandra e la sua spada sono anche più contenta, almeno non picchia più il povero Cullen (che tanto viene menato a suon di ceffoni), oltre a fornirmi il materiale per portare Cassandra a fine anno (no, non sono una cosplayer, e no, di solito non faccio queste cose, ma... accidenti, la tentazione c'è tutta xD). Bando alle ciance, spero la lettura sia stata piacevole. Al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 11
*** Il dovere di un Re ***


Il ritorno a Skyhold fu più veloce del previsto, contando le nuove aggiunte al loro gruppo e la scorta che l'Imperatrice aveva voluto concedere loro fino al limitare dei Dales. Nonostante la rinomata durezza di Celene di fronte a qualsiasi evento potesse mettere in difficoltà il suo trono e il regno di Orlais, la sua rinnovata posizione di accordo tra le parti le aveva permesso di spingersi un po' oltre rispetto a quanto facesse di solito, non dovendo più preoccuparsi che Gaspard o Briala le tramassero alle spalle. Proprio per questo aveva preferito anche rimandare le trattative col Re del Ferelden, attendendo tempi migliori: ora che Alistair era a capo dei Custodi Grigi, e dopo che l'Orlais era stata per anni la casa dell'Ordine durante l'esilio dal Ferelden, non c'era motivo per mettere fretta ad un regnante ancora scosso dal ritorno della consorte e ad un paese che ancora dopo dieci anni si stava riprendendo dall'ultimo Flagello.
L'Eroe e Alistair erano solo le ultime tra le nuove facce presenti che li avrebbero accompagnati per tutto il viaggio: il mercante, Garrand, aveva finito i suoi commerci e li avrebbe seguiti fino alla fortezza per rifornire al meglio l'Inquisizione, e con grande gentilezza aveva messo a disposizione il suo carro e i suoi cavalli al Re e alla Regina. Iren, più che contento del suo nuovo ingaggio, si era messo a parlare coi soldati, mentre Morrigan accompagnava in silenzio i due Custodi con un bambino montato dietro di lei in sella, ben coperto da un ampio mantello di lana. L'Imperatrice l'aveva concessa loro in "dono" per aiutare l'Inquisizione nei difficili tempi a venire, ma molti temevano quella scelta, sia per il potere stesso che la donna ispirava, sia per gli sguardi furibondi che Alistair le lanciava. La Duchessa traditrice era stata dotata di una carrozza di fattura orlesiana appositamente costruita per il trasporto dei prigionieri e lì rinchiusa, senza che nessuno le rivolgesse la parola.
Gli animi si facevano più agitati quando invece si parlava di Elmer: Leliana si prendeva cura del suo naso rotto ad ogni sosta e la magia stava facendo il resto, ma ogni volta che cercava di chiedergli cosa fosse successo il mago tirava fuori ben poco oltre ad una lunga serie di imprecazioni di varia natura. Avevano viaggiato per molti giorni a suo dire, fino ad Amaranthine, ma lì il racconto iniziava a farsi vago e le urla di solito aumentavano. Irritato, lo avevano sentito esclamare di come fosse stato proprio l'Eroe ad averlo preso a pugni in faccia, ma dopo si era immusonito e non aveva più voluto saperne di dire altro, o almeno non alla Capospia. L'eretico chiedeva solo ed esclusivamente dell'Inquisitore che gli aveva dato la sua parola, e così quando si erano accampati Kassandre era riuscita a strappargli più di quanto non avessero fatto gli altri in molte ore.
Elmer le riferì di come il corvo avesse preso una direzione del tutto inaspettata, mentre si dirigevano dalle parti di Amaranthine, molto più ad Est di quanto avesse pensato di trovarsi. Da lì, il percorso era stato a ritroso fino a passare per Orzammar e arrivare, a sorpresa, ad Halamshiral. Di Harding e della sua scorta, Elmer aveva riferito di averli avvistati per l'ultima volta al passo di Gherlen, quando avevano provato a tendere un'imboscata alla Regina: dall'alto non aveva visto l'esatto svolgersi della vicenda ma stando alle sue parole, probabilmente lì si erano fermati, messi fuori combattimento dalla stessa persona che ora sembrava un pallido cadavere steso in una carrozza, in bilico tra la vita e la morte. Il mago l'aveva comunque rassicurata sulla loro sorte, riferendole che con tutta probabilità erano ancora vivi e vegeti, ma privi del suo filatterio che aveva visto andare distrutto durante la scaramuccia: con tutta probabilità avevano tentato di rintracciarli ma, privi dell'oggetto, si sarebbero diretti ben presto a Skyhold. A dispetto di questo, il mago aveva comunque proseguito il viaggio in forma di corvo, cercando di non far sospettare di nulla l'Eroe nonostante si sentisse osservato nelle rare pause che si era concesso, lontano dai minuscoli accampamenti della donna. Alla fine l'aveva scoperto e quando aveva tentato di fermarla riprendendo le proprie sembianze proprio davanti alle porte del Palazzo, lei l'aveva colpito frantumandogli il naso. Da lì, il resto della storia lo sapevano tutti: l'Inquisitore ringraziò Elmer per il suo contributo e gli assicurò una residenza. Inoltre gli promise che, fintanto fosse rimasto a Skyhold, nessuno l'avrebbe cacciato nè imprigionato, o peggio, portato in una torre. L'eretico sembrò gradire.
Con l'Inquisitore impegnato a interrogare Elmer e riferire ogni cosa a Leliana, a Cullen non era rimasto che assicurare la loro protezione per tutta la giornata e mezza di cammino a ritroso lungo la Via Imperiale fino al castello, con un occhio di riguardo alla Regina assistita in continuazione da Dorian e ad Alistair, il cui sguardo non poteva essere più truce. Il sesto senso del Comandante, maturato in anni di esperienza militaresca e di comunione con i compagni di camerata, gli suggeriva ci fosse più di quanto non era stato detto: la sua presenza passata inosservata al fianco del Re gli aveva permesso di sentire più di quanto volesse, e ora non sapeva se rammaricarsene od essere ben contento d'avere qualcosa su cui ragionare. Avrebbe lasciato comunque la decisione a dopo, per il bene di tutti: l'amico aveva bisogno di passare del tempo con la sua consorte e non intendeva certo privargliene per rispondere alle sue fastidiose, e forse anche inutili, domande. Continuò a tormentarsi però, instancabilmente, fino al ritorno alla fortezza.
Arrivare a Skyhold a tardo pomeriggio fu come essere di nuovo a casa, una sensazione che Cullen non provava più da tempo: finalmente smontato da cavallo aiutò gli uomini a togliere le selle e a raccogliere quel poco di viveri rimasti loro, complimentandosi per il loro lavoro e lasciando agli scudieri il compito di pulire gli animali e dar loro da mangiare. A Iren, rimasto spaesato dall'enorme portata della loro dimora, suggerì di prendersi un giorno prima di parlare con lui o col Toro, a capo del gruppo di mercenari chiamati "Furie Taurine", nel caso avesse voluto riprendere il suo vecchio lavoro. Fatto questo, si ritirò in fretta nelle proprie stanze, superando la porta e chiudendo all'esterno qualsiasi ulteriore problema che avesse voluto disturbarlo. Il legno accolse la sua schiena con benevolenza, mentre vi si appoggiava con un sospiro.
Il freddo della torre era il solito, pungente e secco. Parve accoglierlo come un benvenuto assieme ad un discreto malloppo di fogli impilati, la solita incombenza diventata così familiare da essere quasi piacevole dopo il ballo a palazzo. Il Comandante, cambiandosi solo sommariamente e rimandando a più tardi una buona lavata, si rimise celermente a lavoro attendendo le prime avvisaglie della sera per poter cenare e poi, finalmente, riposare in vista di un nuovo, impegnativo giorno. Ovviamente non dovette aspettare meno di trenta minuti perchè il primo disturbatore bussasse alla porta.
«Avanti» fece secco il Comandante, intingendo la penna nella boccetta di inchiostro, intento a fare un rapido resoconto del ballo da mostrare poi al Concilio di Guerra per programmare nuovi piani. Si accorse a malapena di Fergus che entrava con passo incerto, e alzò gli occhi su di lui solo quando fu alla scrivania.
«Vorrei chiedere un permesso di un giorno» gli chiese. Cullen non dovette nemmeno pensarci.
«Accordato.» Fu quando sollevò gli occhi sul viso dell'uomo che quasi se ne pentì, e non certo per cattiveria: riconobbe quel tipo di espressione, quella che aveva visto mille volte e immaginato sulle facce delle famiglie a cui mandava le lettere ogni volta che un soldato cadeva in battaglia - quello che avrebbe dovuto fare poi per i cinque valorosi uomini che avevano impedito alla Duchessa di assassinare Celene. Solo un lutto poteva provocare quello sguardo incerto, rosso e rigato dal sale lasciato da un lungo pianto. Fergus fece per andarsene quando il Comandante lo fermò, alzandosi dalla scrivania con la penna ancora in mano. «Perdonami la domanda, Fergus, ma... per cosa ti serve? E' successo qualcosa alla tua famiglia?»
L'uomo gli sorrise in maniera tragica, come se la sua sincerità fosse stata velata dal dolore. Si sorprese a pensare come Varric gli avesse dato del "troppo paterno" con i suoi uomini, dicendogli avrebbe scommesso sul fatto portasse le loro foto nel portafoglio. Forse non aveva tutti i torti, ma Cullen lo trovava semplicemente naturale.
«Mia sorella è qui.» Il Comandante abbandonò la penna sul tavolo, macchiando di inchiostro il rapporto a cui rivolse a malapena un'occhiata. Si avviò verso l'uomo, la fronte aggrottata.
«Dovresti esserne felice allora, o c'è qualcos'altro?» tentennò un attimo nella voce, ma tenne lo sguardo fisso su di lui. «Non vorrei mancarti di rispetto, ma se ci fosse qualcosa... se avesse bisogno di soldi o altro, sai che puoi-» Venne interrotto da un cortese diniego, mentre una punta di disperata ilarità si faceva strada sulle labbra dell'uomo.
«Mia sorella è Rachel. L'Eroe.»
Svariati secondi di quiete lo aiutarono a realizzare quello che gli era stato detto, e all'improvviso tutte le volte che aveva trovato familiare il viso di Fergus assunsero un senso. Fergus, valente guerriero scampato ad Ostagar e che evitava accuratamente di rivelare la sua provenienza, non era altri che il Teyrin Fergus Cousland di Highever, fratello della Regina e, a parte lei, ultimo esponente della casata. Non avesse avuto molti anni di esperienza sulle spalle sarebbe volentieri caduto sul pavimento fingendosi morto, un po' per la vergogna, un po' per quello che la rivelazione comportava.
«Io... perdonatemi» fece per abbassarsi in un inchino, quando Fergus lo fermò.
«Lasciate perdere le formalità. Sono un uomo qualunque davanti all'Inquisizione, e voi siete il mio Comandante. E' a voi che devo il mio rispetto.» Il sorriso del Teyrin stavolta fu meno doloroso e triste, e lasciò spiazzato il Comandante.
«I-io non vorrei farti attardare, allora.» Con un balbettio, lo accompagnò alla porta. «Sai almeno dov'è stata sistemata?» L'uomo gli rispose scuotendo la testa. Cullen fu felice di poter finalmente essere utile in qualche modo. «Andiamo, ti faccio strada.»
C'erano volute parecchie insistenze da parte dell'Inquisitore, ma quest'ultima alla fine era riuscita a convincere il Re di aver bisogno di un alloggio sicuro e lontano dalla chiassosa routine del castello dove la Regina potesse essere curata con calma, persuadendolo a sostare direttamente nelle sue camere. All'inizio Alistair non aveva ceduto facilmente, impuntandosi con una testardaggine che non gli aveva mai visto: nello smontare i cavalli mezzo campo era stato protagonista del breve, ma tesissimo, scambio tra Kassandre e il Re che pretendeva di non avere un trattamento diverso dagli altri ospiti. Il passaparola si era diffuso in fretta, ancor prima che Kassandre informasse personalmente i suoi consiglieri con poche parole prima di lasciarli ai loro doveri, una volta convinto il Re.
Quando entrarono negli alloggi, fu Dorian ad accoglierli assieme a Solas, impegnato a pestare diverse erbe in un mortaio posto su una scrivania lontana dal letto. Nonostante l'accorgimento, l'odore acre del composto si diffondeva per la stanza assieme ad un altro odore di fondo che non riuscirono a riconoscere, ma che si faceva più forte quando si avvicinarono al letto dove il Comandante aveva dormito, e che ora ospitava il corpo indebolito dell'Eroe. Il sentore di sangue e ferro e acido lì era più forte, ma ben presto si abituarono. Alistair, al capezzale della Regina, alzò lo sguardo addolorato su di loro mentre entravano: lo sguardo indagatore di Fergus lo trafisse, ma addolcendosi solo per un attimo quando gli si avvicinò e il Re gli offrì la propria sedia accanto a Rachel.
«Il solo motivo per cui non ti prendo a pugni è che conosco bene la testardaggine di mia sorella» lo ammonì lui.
«Fergus... sii gentile con lui» lo esortò la debole voce di Rachel. Era sveglia. Alistair abbassò la testa al pavimento, la vergogna stampata in volto.
«Mi dispiace» fu tutto quello che pronunciò, l'espressione stravolta.
«Beh, almeno è qualcosa.» Cullen ricordava Fergus come un uomo amabile e gentile, non duro o freddo come lasciavano suggerire quelle parole, ma supponeva vedere una sorella in quello stato potesse mettere alla prova chiunque. Non sarebbe stato da meno, se a Mia fosse stato torto un capello. Poi lo sentì sospirare, rassegnato. «Non turbiamo ulteriormente la quiete, il passato è passato.»
Il Teyrin poggiò una mano sulla spalla di un mortificato Re che tentò in tutti i modi di evitare il suo sguardo, rivolgendolo piuttosto alla sua amata. Con un cenno, si separò gentilmente da Fergus e si piegò sull'Eroe, lasciandole un bacio sulla guancia e farfugliandole qualche parole, prima di avviarsi verso di lui e verso la porta. Il Comandante lo guardò uscire, ma non osò seguirlo, timoroso di turbarlo. Piuttosto si diresse lentamente all'altro fianco della donna distesa in mezzo ai materassi, sedendosi su uno dei bordi e carezzandole lievemente una mano.
«Come stai, amica mia?» le chiese con un tono basso e apprensivo che non riuscì a trattenere. Cullen vide il suo volto pallido spostarsi per guardarlo. Rachel gli rivolse un sorriso, gli occhi vigili come li ricordava e non più coperti da quella patina vista al ballo. L'intrico di vene nere sulle sue guance si era fatto meno evidente.
«Cullen...» gli disse, provocandogli un sollievo che il Comandante non avrebbe mai immaginato di sentire. «Sei... cresciuto» sembrò sorpresa, osservandolo. «Mi riprenderò.» Si voltò in seguito verso il fratello. «Fergus... dovresti essere con Oriana e Oren, non qui.»
«La mia famiglia può attendere, se si tratta di mia sorella, non credi?» gli rispose benevolente lui.
«Dovresti tornare da loro... rischi di farti ammazzare, come quando sei andato a Ostagar.»
«E sono tornato, anche» rise piano l'uomo, scostandole i capelli neri dalla fronte. «Il Comandante Cullen ha cura di noi, non temere. Sono al sicuro.» Cullen non disse nulla, ma un moto d'orgoglio gli riempì il petto davanti alle parole del Teyrin. Aggiunse le sue parole alla lista dei propositi, per quando avrebbe dovuto cercare motivazioni riguardo al suo lavoro. «Te la senti di raccontarmi com'è andata?»
«Non ne sono sicura...» L'Eroe abbassò gli occhi, mesta. Il fratello annuì, e passarono molti altri minuti prima che qualcuno interrompesse il silenzio con un leggero bussare alla porta. Quando aprì, scoprirono che era l'Inquisitore.
«Comandante?» Cullen alzò gli occhi su di lei, vedendola posare lo sguardo prima su Fergus, poi sull'Eroe e infine su di lui. «Posso... disturbarvi un attimo? Avrei bisogno di parlarvi.»
«Certamente.» Rivolse un'occhiata all'Eroe, stringendole ancora la mano con un cenno che voleva essere rassicurante, prima di alzarsi e raggiungerla oltre la porta. Socchiuse l'uscio alle sue spalle, lasciandolo aperto solo di qualche dito.
«Dimmi pure.» L'espressione dell'Inquisitore vagò su di lui, insicura.
«Leliana mi ha mandato a cercarti. Vorrebbe che le raccontassi cosa è successo al ballo, durante la nostra assenza.» Le iridi verdi rivolte verso il basso gli lasciarono intuire qualcosa. «Le ho detto quello che potevo ma non ho... su di te non ho... potuto...» Comprese in fretta cosa l'Inquisitore esitava a dirgli: non aveva voluto raccontare di come avesse usato ancora una volta le abilità imparate da templare, nè delle conseguenze che avevano avuto. Probabilmente Leliana si era fatta delle domande a proposito e conoscendola, ne aveva dedotto più di quanto immaginasse, volendo delle spiegazioni direttamente da lui. Inoltre, probabilmente Cassandra l'aveva informata del fatto non prendesse lyrium da parecchio tempo, e la cosa iniziava a diventare sospetta ai suoi occhi dopo la creazione del filatterio: era di uso comune pensare fosse solo grazie al composto che i templari potessero esercitare i loro poteri, quando invece era vero solo in parte. A questo punto era necessario le spiegasse che prestava ancora fede alle sue intenzioni e non intendeva cedere, qualsiasi sforzo di volontà avesse dovuto attuare per sopportare il costante bisogno di fondo che lo lasciava solo per brevi istanti, tormentandolo ogni giorno con la costanza di una zanzara fastidiosa. Doveva chiarire, con Leliana e con l'Inquisitore. Stese le mani chiedendo silenziosamente le sue, che lei mise volentieri nei suoi palmi.
«Ti ringrazio. Apprezzo molto che tu...» perse le parole, imbarazzato. «Che tu mi abbia voluto proteggere.» Vederla finalmente alzare gli occhi, sorpresa, lo fece sentire meno incerto. «Kassandre, c'è una cosa che vorrei...»
Un sonoro singhiozzare alle loro spalle interruppe ciò che le voleva dire. Si voltarono entrambi verso la porta socchiusa, probabilmente chiedendosi se dovessero intervenire o piuttosto far finta di nulla. Fu Cullen ad aprirne discretamente uno spiraglio, portandosi un dito alle labbra guardando l'Inquisitore e sbirciando dentro. La scena gli fece gelare il sangue: Rachel si era seduta sul materasso e piangeva, abbracciata al fratello che cercava inutilmente di calmarla. Parlava a voce alta e con una concitazione tale che potevano sentirla persino da lì.
«Mi aveva detto che Teagan lo stava pressando di nuovo con la storia dell'erede, ma non ci volevo credere...» la sentì terminare la frase con parole sempre più acute. Il Comandante sapeva che si stava riferendo ad Alistair. «Poi, quella sera è arrivato nel salone dicendomi che non poteva più aspettare, che stava sentendo la Chiamata che udivo anch'io, che udivamo tutti quanti. Che anche riprovandoci non avremmo ottenuto niente, e che l'indomani avrebbe... preso due concubine. Cos'avrei dovuto fare?» Kassandre lo guardò, ma il Comandante non ricambiò la sua espressione interrogatoria: impallidito visibilmente, stava guardando il legno della porta con gli occhi sbarrati. Non riusciva, non poteva credere a quello che stava ascoltando.
«Cos'avrei dovuto fare?» sentì ripetere da Rachel, l'urlo soffocato nella maglia di stoffa del fratello. «Non potevo sopportarlo, non di nuovo... se si fosse trattato ancora una volta di salvarci, avrei potuto capire. Ma non quello, non così.»
"Ancora una volta." Stando a quanto l'Eroe diceva, Alistair aveva... tradito Rachel per salvare entrambi. Era forse quella la risposta al perchè non fossero morti uccidendo l'Arcidemone, come la tradizione dei Custodi rammentava? Kassandre lo strattonò per una manica, ma il Comandante puntò i piedi. A questo punto, doveva sentire.
«Così sono partita. Per cercare una cura, e un modo per noi... per me. Cosa sarei diventata, altrimenti? Sarei stata la regina incapace di dargli un figlio, morta prematuramente. Un fallimento» singhiozzò amaramente.
«Ma tu sei l'Eroe del Ferelden, e sei mia sorella! Non esiste che tu sia un fallimento in una cosa qualsiasi» sentì rispondere Fergus. Lei tirò su col naso.
«Ti ricordi quando ti raccontai di Avernus?» gli chiese. «Avernus, il Custode Grigio che vive da più di cent'anni usando la magia del sangue.» Udì Fergus trasalire. «Lo incontrammo assieme a Giustizia, Anders e Oghren. Era stato il Comandante Sophia Dryden ad ordinargli di usarla, e ha trovato il modo di arginare la Chiamata. Diluirla..»
«Non dirmi che tu...» Il chiaro terrore del fratello venne subito represso.
«No» gli rispose l'Eroe. «Sono andata da lui. Abbiamo cercato insieme un'alternativa, ma ci è voluto... tempo, e a me non ne rimaneva. Il tonico che mi aveva offerto quando andammo da lui per la prima volta mi aveva dato la possibilità di sfruttare la corruzione che avevo nel sangue, ma ad un prezzo.»
«La tua Chiamata...»
«L'aveva anticipata. Era reale, più forte, e stavo morendo.» Cullen ingoiò il groppo più amaro della sua vita, sentendosi occludere la gola. Cercò senza pensare, in un gesto automatico, la mano dell'Inquisitore rimasta accanto a lui, e la strinse. Lei parve capire e non protestò. «Sono stata la sua cavia, per giorni, mesi. Alla fine abbiamo trovato qualcosa, un'alternativa di erbe... e lyrium. La fiala che gli ho dato gli garantirà la fertilità che l'Unione ci ha tolto. Potrà avere dei figli e altri trenta, quarant'anni di vita.»
«E tu?» chiese disperato il fratello, quasi ringhiando.
«Avernus sapeva dove mi sarei diretta. Sta preparando la mia, e ne preparerà uno per ogni Custode, ma ci vuole tempo. Gli esperimenti che ha fatto mi permetteranno di sopravvivere ancora per un po'. Almeno fino a quando non arriverà.»
«E lui lo sa?»
«No. Ma deve bere.»
«Io... io lo...» la voce di Fergus fremette di rabbia.
«Ti prego, Fergus. Giurami che lo convincerai a bere dalla fiala.»
«Non puoi proteggerlo ancora, dopo tutto questo.»
«Ma è il tuo Re, e il mio. E abbiamo bisogno di lui.»
«L'hai messo tu sul trono!» esclamò l'uomo, furibondo. «Tu gli hai permesso di diventare quello che è, sacrificando tutto. E lui, in cambio, stava per lasciarti morire!»
«Lo so» gli rispose lei con una fermezza antica, che le aveva sentito usare solo molto tempo prima. «Ma lo amo, e desidero che continui a vivere.» Le ultime parole si persero in un pianto sommesso, mentre gli occhi di Cullen guardavano sconcertati quelli di Kassandre, scossa almeno quanto lui.
«Perdonami» le sussurrò il Comandante, lasciandole la mano. Corse giù dalle scale e chiese di Alistair, seguendo il suo percorso fino alla taverna.

Entrò a passo svelto, aprendo la porta con tanta forza da sbatterla contro la parete con un tonfo sordo. C'erano pochi avventori data l'ora, alcuni intenti a godersi una pausa e molti altri impegnati a mangiare prima venisse il turno di guardia della sera o, per i commercianti che si andavano aggiungendo all'Inquisizione, il momento dell'inventario giornaliero. Qualche viso squadrò incuriosito il Comandante entrare e guardarsi attorno con occhi sottili, come se stesse cercando una preda, l'espressione che non lasciava intendere nulla di buono. Forse, qualcuno si chiese perfino con chi ce l'avesse, solo per scoprire che il suo insistente sguardo cadeva a vuoto qua e là senza posarsi su nessuno dei presenti. Con un grugnito insoddisfatto, si diresse al piano di sopra solitamente occupato dai mercenari del Toro, di cui solo Krem era presente in quel momento.
«Cerca qualcuno di particolare, Comandante?» gli chiese con voce stridula, un tono che all'inizio gli aveva fatto digrignare i denti di fastidio ma a cui ormai si era abituato.
«Il Re» buttò lì seccamente, vedendo il dito di Krem alzarsi per indicare una figura in ombra seduta lontana dal centro della sala, appoggiata di schiena ad un muro e una finestra. Rivolse al mercenario un cenno di ringraziamento prima di avviarsi a grandi falcate verso l'individuo che, come da previsioni, si rivelò essere Alistair. Il Re se ne stava a gambe incrociate su una sedia, illuminato da niente più che il riflesso delle luci del piano sottostante. Stava bevendo a canna a grandi sorsi da una bottiglia che sembrava di vino, il viso assorto persto tra le sedie e i tavoli di legno, le guance arrossate.
«Cosa stai facendo?» gli chiese Cullen raggiungendolo, rallentando il passo davanti a quello spettacolo miserabile. Alistair bevve un goccio prima di dimenare la bottiglia strascicando lievemente le parole, non del tutto lucido.
«A te cosa sembra stia facendo? Sto bevendo» gli rispose, la voce ruvida. «Sono un principe, e un dannato principe ha tutto il diritto di ubriacarsi.» Con le mani a pugno sui fianchi, il Comandante lo osservò trattenendosi appena dal volerlo prendere a pugni.
«Per prima cosa non sei un principe, sei il Re del Ferelden.» Gli puntò rabbiosamento un dito contro. «E secondo, come farai a guidare i Custodi in queste condizioni?»
«Eccolo, ci voleva lui col suo spirito pragmatico, il saccente dell'Ordine. Sei sempre stato quello fortunato» gli fece il regnante sporgendosi dalla sedia con un gesto che sembrava sfida «quello che aveva voluto entrare per dedicarsi ad un causa, mentre io ero il figlio bastardo, trascinato lì per caso. E guardami ora...» Cullen avanzò per toglierli la bottiglia dalle mani, mentre l'altro si ritraeva. «Sono su un trono che non ho mai voluto, circondato da persone che non desidero, con impegni che non posso mantenere... e ho quasi fatto ammazzare mia moglie.» Cercò di mantenere la calma, anche se le parole di Alistair avevano già mosso qualcosa in lui. Sapeva che stava tentando di piangersi addosso ed era una delle cose che meno sopportava, forse perchè consapevole fosse anche un suo difetto. Lo fulminò con lo sguardo quando agguantò il vuoto e invece che mirare ancora alla bottiglia, gli prese il colletto. Stavolta non fallì.
«Si può sapere che ti è preso?» sibilò il Comandante, avvicinandosi al suo volto. «L'uomo che conosco non si sarebbe mai compatito come stai facendo tu, adesso. L'Alistair che conosco...» esitò, e poi proseguì con un ringhio basso «...non avrebbe mai chiesto alla donna che ama di andare con delle cameriere.»
«Concubine» lo corresse l'altro, ricevendo in risposta uno strattone che lo fece gemere. Non gli chiese neanche come lo sapeva.
«Sei figlio di una cameriera, sai come ci si sente! Come hai potuto pensare che Rachel non se la sarebbe presa? Non so cosa tu le abbia fatto ma già una volta ti ha perdonato...» Alistair non disse una parola, lo sguardo basso. «...pensavi forse che ci sarebbe passata sopra di nuovo? Sai com'è fatta, lo sai meglio di tutti quanti. Sapevi che avrebbe preso le armi e combattuto per ottenere quello che voleva, come ha sempre fatto!» Il Re sembrava non avere intenzione di parlare ulteriormente, ma il Comandante giurò che non l'avrebbe chiusa così facilmente con lui: lo sballottò, scuotendolo, e avrebbe continuato fino a quando la lingua non gli si fosse sciolta da sè. Alistair lo fermò prima, alzando le mani e arrendendosi.
«Basta!» gli chiese disperato. «Basta! Per l'amor del Creatore...» prese un lungo respiro e poi lo guardò, occhi negli occhi. Il Comandante si sorprese di trovarlo così affranto, quasi sull'orlo del pianto. «Teagan... non avrei dovuto ascoltarlo, ma non potevo dargli torto. Siamo sposati da quasi dieci anni e non abbiamo ancora un figlio.»
«Sei il Re, dannazione, Alistair. Puoi fare quello che ti pare!»
«Ma credi davvero che anch'io non volessi? Saremmo ancora fianco a fianco e non lei in un letto ed io...qui» Lo vide portarsi una mano alla fronte, la voce in frantumi. «Ma quando abbiamo iniziato a sentire la Chiamata non sapevamo fosse una cosa di tutti i Custodi. Pensavamo... ho pensato fosse la fine per noi, per me... per lei.» Alistair singhiozzò, una mano sulla bocca che attutiva la voce impastata. Era rosso in viso, e tremava. «Volevo fare qualcosa, non era possibile fosse stato tutto inutile! Salvarsi dall'Arcidemone per poi morire così? Vivere insieme felici perchè poi tutto terminasse, così? Io...» Il Comandante perse all'improvviso la voglia di tenerlo per il colletto davanti alle sue parole. Lo tenne solo per aiutarlo a sedersi di nuovo sulla sedia e sedersi a sua volta, trascinandone una dietro di sè. Finalmente, docile, Alistair si lasciò togliere la bottiglia dalle mani solo per portarsele al volto e coprirsi. «Non sapevo dove altro sbattere la testa. Volevo rimanesse qualcosa di noi e... e abbiamo litigato. Mi ha detto che si sentiva inutile, incapace di fare quello che le donne dovrebbero saper fare meglio. Sapevamo fin dall'inizio che l'Unione avrebbe annientato quasi del tutto le nostre possibilità, ma volevamo comunque sperare nella fortuna.» Cullen gli mise le mani sulle spalle mentre Alistair se le portava ai capelli, artigliandosi il capo. «Sono stato un mostro. Le ho... le ho persino detto che avrei preso qualcuna che le fosse simile, che non avrebbe sentito la differenza a quel modo. Che sarebbe stato come avere un figlio nostro. Ma la verità è che non ne so niente, non ne ho mai saputo niente!» Ormai le lacrime gli scivolavano dalle guance in fretta, mentre Cullen gli stringeva le spalle in una morsa che voleva sostenerlo, e non più fargli del male. «Ho preteso di sapere cos'avrebbe provato, e il giorno dopo lei non c'era più. Ho pensato... ho pensato di tutto, che si fosse arresa alla Chiamata o che fosse scappata per ciò che le avevo detto, ma non avrei immaginato...» Lo sentì prendere il fiato con un rantolio «Che il Creatore mi perdoni, ho avuto così tanta paura...»
«E non sei stato il solo. Per il Creatore, Alistair, se non fossi mio amico...» Cullen stirò le labbra, trattenendosi a malapena.
«Lo so.»
«E te lo meriteresti.» Sospirò, rimanendo in silenzio per attimi. Si costrinse a soprassedere. «L'importante è che ora siate qui. E che lei sia al sicuro.»
«Al sicuro?» Alistair sorrise amaro, passandosi la lingua sulle labbra e assaggiando il sapore delle lacrime. «L'hai vista. La mia Chiamata o quella degli altri Custodi può essere fittizia, ma la sua... è inequivocabile. E' vera e la sta...» lo sentì esitare, piuttosto che dire che la stava uccidendo. «Non esiste un modo per scappare.»
«Ma Rachel l'ha trovato» gli fece notare Cullen.
«E l'ha dato a me!» esclamò Alistair, come se fosse una cosa ridicola. «Capisci? Lei ne ha più bisogno, eppure ha voluto darlo a me! Ho provato a dirle di no, a farle bere dalla fiala, ma...»
«Alistair, è quello che vuole. Dovresti assecondarla» provò a suggerirgli. L'amico scosse la testa.
«Non me lo merito. Non voglio che muoia, non per me. Non gliel'avrei lasciato fare contro l'Arcidemone in passato, e non le permetterò di suicidarsi adesso.» Il Re sembrava inamovibile a proposito. Il Comandante maledì la sua testardaggine, e anche la propria. Prese un profondo respiro, socchiudendo gli occhi.
«Se ti dicessi che la stessa fiala sta arrivando anche per lei, mi crederesti?» Sorpreso, l'altro lo fissò.
«E come fai a saperlo?»
«Non è importante» fece cercando di guardare altrove, per non rivelare l'imbarazzo di aver ascoltato di nascosto una conversazione che non avrebbe mai dovuto sentire. Asciugate le guance, il Re iniziò a tormentarsi le mani.
«Ti credo, ma anche se così fosse... potrebbe essere troppo tardi.» Cullen lo guardò aggrottando le sopracciglia.
«Rachel è sicura di farcela.»
«Ho conosciuto tante persone sicure di farcela. Anche Duncan, anche Calhain erano sicuri, e guarda che fine hanno fatto a Ostagar!» Evidentemente, i ricordi erano impressi e vivi nella sua memoria almeno quanto i suoi. Certe cose, si disse il Comandante, raramente si dimenticavano.
«Ti ama, Alistair. Credi che ti direbbe una cosa simile, se avesse anche solo il minimo dubbio di non poterti restare accanto?»
«Si» gli rispose lui, privo di dubbi. «Lo farebbe. E il peggio è che lo farebbe senza esitare.» Lo sentì accennare una risata incredula, scuotendo la testa. «Sono così lontani i tempi in cui ero io a proteggere lei sul campo di battaglia. In cui volevo essere il suo cavaliere ad ogni costo e cercavo rose da portarle ogni giorno, in mezzo al fango e ai cespugli.» Cullen non seppe come rispondere. Si ritrasse da lui finalmente lasciandogli le spalle e si sporse leggermente in avanti, incrociando le mani coi gomiti sulle ginocchia.
«Portagliene una. Il giardino dentro Skyhold ne è pieno.» Lo sapeva perchè era impossibile non notarle: si arrampicavano sui muri, attorcigliandosi sulle pietre del chiostro in strani arpeggi. Kassandre rimaneva ad ammirarle molte volte e nonostante non avesse esattamente il pollice verde, si dava da fare nel tempo libero perchè rimanessero in vita assieme ad una piccola cultura di radice elfica. «Portagliela e parla con lei. Non potrete capirvi fino a quando vi rinchiuderete nel silenzio. Dille che quello che sai te l'ho detto io, se vuoi.» Sapeva che razza di conseguenze avrebbe potuto portare, ma non si sarebbe certo tirato indietro. Aveva origliato accidentalmente, chissà per quale invisibile intervento, e ora gli veniva data la possibilità di far fruttare quello che aveva ascoltato in modo positivo. Si sarebbe preso volentieri tutte le responsabilità del caso. «Ma parlale. Ha ancora bisogno di essere protetta da te, almeno quanto tu hai bisogno di tornare ad essere quel cavaliere che cercava nel fango.»
Si alzò, e il viso di Alistair tornò nascosto tra le mani.
«Io la amo.»
«Lo so» gli rispose. «Vai e diglielo.»
Cullen non aggiunse nient'altro. Si voltò, sorpassò Krem e lentamente scese le scale, abbandonando la taverna e Alistair coi suoi pensieri.

Dopo le pressioni continue, gli infiniti imprevisti ed ogni sorta di evento, il Comandante se ne tornò nella torre, non volendo più saperne di niente e nessuno almeno per quel giorno. Anche se sembrava un pensiero piuttosto egoistico, era anche vero che la stanchezza accumulata tra ballo, viaggio e ritorno gli pesava sulle spalle come un macigno facendogli strascicare ogni passo guadagnato verso le sue stanze: sarebbe stato tutto più facile se avesse ripreso col lyrium, ma testardamente si richiuse la porta alle spalle, scacciando quel pensiero con la stessa forza. Un attendente lo attendeva alla scrivania.
«Comandante?»
«Niente rapporti per oggi» fece rude, portandosi una mano alla tempia. «Per favore Jim, diresti alle lavoranti di preparare qualche secchio di acqua calda? Vorrei ripulirmi.»
«Nessun problema, Comandante.» Cullen lasciò che passasse per l'uscio alle sue spalle e lo richiuse di nuovo, trattenendosi a malapena dal chiuderlo a chiave a più mandate. Quando mai non avrebbero avuto problemi nell'Inquisizione? Oltre a Corypheus, un altro migliaio di cose premevano su di loro, su di lui, come pesi che a poco a poco rischiavano di farli barcollare tutti. La condizione politica tra il Ferelden e l'Orlais, il ritorno dell'Eroe, l'autoelezione di Alistair a guida dei Custodi e le importanti informazioni che non aveva ancora riferito loro erano già più di quanto potesse sopportare da solo, assieme all'incessante incombere del Magister e dei templari rossi di Samson. E a proposito di Samson, era stato proprio il capo dei Venatori a parlarne per schernirlo... ma cos'aveva detto esattamente? Non lo ricordava, era troppo stanco e di malumore.
Cullen salì per la scala a pioli fino alla camera, issandosi faticosamente. Tirò fuori da sotto il letto il grosso catino che usava per farsi un bagno nel riserbo più assoluto dei suoi alloggi e, rabbrividendo per l'aria fredda che ne proveniva, andò a riparare le finestre sempre aperte posizionando dei pezzi di stoffa sui chiodi che aveva infilato nelle interstizioni della pietra proprio sopra di esse. Una volta ottenuto un ambiente perlomeno riparato, finalmente iniziò a togliersi l'armatura. Liberarsi da quella sorta di gabbia costrittiva a cui era legato tutto il giorno per una rara volta lo sollevò, alleviandogli la tensione che sentiva tra le scapole. Si slacciò gorgiera, spallacci e platta e li gettò sul letto senza troppi complimenti, poi fece volare i bracciali e un gambale a terra, la tunica gettata da qualche parte. Mentre finiva di levarsi l'ultimo pezzo, Jim rientrò nella stanza sottostante, accompagnato da un elfo volenteroso che lo aiutava a portare due dei quattro secchi ricolmi di acqua bollente. Il Comandante si sporse a dare una mano da sopra una volta finito con l'ultimo gambale, aiutandoli a portarli su per la scala a pioli prima di ringraziarli e congedarli, lasciando detto a Jim di portarne un altro ad una mezz'ora di distanza da modo si potesse risciaquare. Attese che se ne fossero andati prima di svuotare tutti i secchi nel catino, sollevando una nuvola di vapore che riempì immediatamente la stanza appannando tutte le superfici.
Con un lungo sospiro, il giovane si liberò del sotto-armatura di lana follata rimanendo a torso nudo. Recuperò dal cassettone una saponetta avvolta in un panno ruvido e si tolse anche i calzoni comprensivi del resto, entrando con attenzione nell'acqua bollente, un poco alla volta per abituarsi alla temperatura. Alla fine, si distese accogliendo con gioia il calore dell'acqua, iniziando a dare di saponetta e panno per togliersi tutto il lordume accumulato in quasi quattro giorni di cavallo. La ferita alla spalla, ormai niente più che un taglio, bruciava mentre si ispezionava a strigliava a fondo, necessitando di un minimo d'attenzione. Il Comandante pensò che più tardi l'avrebbe disinfettata con cura, ma per ora non vi badò, bagnandosi e insaponando anche i capelli che ripresero ad arricciarsi come d'abitudine. Affondò la testa nell'acqua piegandosi più che poteva e, sbuffando, se li lisciò all'indietro come suo solito, allungandosi a rilassarsi con le braccia sui bordi e la testa appoggiata al catino.
Passò a mollo poco più di quindici minti quando un certo trambusto venne da sotto, il cigolio della porta che si apriva. Il Comandante, ad occhi chiusi, non vi badò molto, pensando che probabilmente fosse Jim o un qualche altro soldato a portargli sulla scrivania i soliti rapporti. Era talmente concentrato a non badare a quella sciocchezza che non notò il rumore di stivali che si arrampicavano sulla scala con un po' di fatica, nè alla testa incorniciata di capelli neri che sbucò dalla botola tentanto di vedere attraverso la cortina di vapore che riempiva completamente la camera. Poggiò una gamba tranquillamente a ridosso del catino, il piede che ciondolava fuori dall'acqua.
«Comandante?»
Non lo stavano chiamando. Piuttosto, il suo titolo risuonò come una domanda retorica. Cullen socchiuse gli occhi lanciando uno sguardo al disturbatore seriale di quella serata e per poco non annegò, facendo un saltone sul posto.
«Per il Creatore!» Cercò di mettersi seduto in ginocchio, con l'acqua insaponata che gli arrivava a malapena ai fianchi nascondendogli le nudità. Si aggrappò al bordo del catino, vedendo l'Inquisitore osservarlo imbarazzata con un ginocchio poggiato sul pavimento di pietra e l'altro piede ancora a ridosso della scala, intenta a tenere come meglio poteva un piatto e una brocca.
«Non... scusa!» Kassandre si alzò in piedi in tutta fretta, cercando un posto in cui sganciare il bottino velocemente. «Non ti abbiamo visto a cena e ho pensato...» Poggiò il piatto sul cassettone, ma una parte del contenuto della brocca gli si rovesciò addosso. «Accidenti! Se lo avessi saputo prima...»
Quell'imprecazione, unita al suo viso imporporato perfino dietro il velo di vapore, fece ridere di gusto il Comandante che di solito l'aveva vista molto meno intimidita di così.
«Tranquilla, non dai fastidio.» Si tirò indietro i capelli con un gesto, poggiando le braccia sul bordo.
«Dove... dove posso lasciarli?» Kassandre cercò di evitare accuratamente di guardarlo, anche se il Comandante era convinto d'aver intravisto un'occhiatina o due in sua direzione. Le indicò un tavolino vicino al catino, quello dove di solito appoggiava i vestiti puliti che invece aveva sparso per la stanza. Sopra c'erano solo degli asciugamani di cotone. «Grazie» gli riferì andando a posare il tutto lì sopra. Cullen, a guardare il suo viso, si aspettava che scappasse subito a gambe levate come d'altronde avrebbe fatto lui, al suo posto. Invece l'Inquisitore rimase di spalle per poi voltarsi verso di lui, cercando di guardare a terra piuttosto che il suo torso.
«Puoi venire, se vuoi. Sono ancora nell'acqua, e poi mi hai... già visto...» tossì impacciato, ricordandosi dello spettacolo che aveva dato a fine partita di Grazia Malevola, e si meravigliò anche un po' della proposta non proprio convenzionale. Pensava che l'Inquisitore avrebbe gentilmente declinato, ma invece la osservò avvicinarsi esitante, inginocchiandosi sul pavimento davanti a lui.
«I tuoi capelli...» fece lei ridacchiando, allungando una mano per spostarglieli.
«...sono ingestibili, lo so.»
«Di solito non li hai così. Gli fai qualcosa?»
«Te lo ha detto Leliana?» Cullen rise, sentendosi leggero. «Se non lo facessi non riuscirei a tenerli a posto, quindi la risposta è si.» Sentì le sue dita spingergli una ciocca per poi abbassarsi lungo il collo. Le unghie a fior di pelle gli provocarono un brividò, e seguì il gesto socchiudendo appena gli occhi, fermandolo quando gli arrivò ad una spalla. Sapeva controllarsi, e sapeva anche a che punto stessero i suoi limiti. Non voleva fare nulla di cui si sarebbe mai pentito. Intrecciò la propria mano alla sua, schiarendosi la gola in un sussurro roco.
«Quella cosa che ti volevo dire...» Con ancora la mano nella sua, lei gli portò un indice alle labbra.
«Aspetta, ti prego.» Le sembrò così a disagio che si zittì, mentre lei lo osservava con una varietà d'espressioni che non le aveva mai visto addosso, e forse anche un po' di timidezza. «Prima c'è... una cosa che vorrei chiederti.» Il suo tono era serio, tipico di quando stava per iniziare un discorso importante. Il Comandante pensò che in fondo avrebbe potuto rimandare di qualche minuto se c'era altro che aveva una priorità, e annuì.
«Dimmi pure.» Lei esitò, giocherellando col bordo del catino, prima di sollevare gli occhi su di lui.
«Cullen, sai che tengo a te, e-» la sentì soffiare, perdendo le parole.
«Cosa c'è?» la squadrò preoccupato, le sopracciglia aggrottate. Aveva come l'impressione che qualcos'altro sarebbe andato storto, quella sera, e quasi non si mosse per paura di scatenarlo. Lei sembrò trattenersi e finalmente dare un respiro alla frase che stava cercando di formare.
«Hai lasciato i templari, tutti lo sanno. Ma nonostante questo ti... fideresti di un mago?» La domanda lo sorprese. Credeva di non aver mai lasciato intendere di avere qualcosa contro i maghi nonostante la sua passata formazione. Sicuramente all'inizio avesse spinto per contattare i templari per chiudere il varco, ma il suo consiglio era stato guidato dalla logica più che dalla diffidenza: non gli sembrava una buona idea concentrare troppa magia nella Breccia con la possibilità di ottenere l'effetto opposto e, invece di chiuderla, vederla ingrandirsi. E ciònonostante, quando Kassandre aveva scelto di contattare i maghi di Redcliffe e conosciuto Dorian, un tevinteriano, un mago che avrebbe anche potuto essere un pericoloso magister, l'aveva lasciata agire senza lamentele. Con timore e sempre vigile, ma senza lamentele. Per questo non capiva.
«Perchè me lo stai chiedendo?» le domandò, sinceramente stupito.
«Potresti pensare a me come a qualcosa di più?» Lo sconcertò più la frase, così diretta e inaspettata, piuttosto che la risposta che avrebbe voluto darle, ma lei parve intendere male la sua reazione. La guardò abbassare le spalle e distogliere lo sguardo, e Cullen si affrettò a balbettare qualcosa per recuperare. Alistair gliel'aveva detto, ma quanto ci aveva davvero creduto? Non pensava che lei, sul serio, potesse considerarlo come interesse più che militare.
«Potrei, ecco... io... lo penso.» Perchè quello che diceva strideva sempre così tanto con quello che desiderava? Cercò disperatamente di raccogliere le idee. «E ho pensato anche a cosa dire, in una situazione del genere. E a cosa dovrei fare.» Si portò una mano alla fronte, piegandosi sul bordo.
«Allora, dimmelo. Cosa dovresti, e cosa vorresti.» Immaginava si stesse tormentando esattamente come lui, se non di più stando alla sua faccia. Stava prendendo le redini della conversazione con una sicurezza che aveva solo nella voce, e a volte nemmeno. «Cos'è che ti blocca?» Il Comandante prese un lungo sospiro. L'acqua che gli bagnava la pelle si stava lentamente intiepidendo, e per una frazione di secondo pensò quanto tutto fosse ridicolo: stavano sul serio parlando di quello nel bel mezzo del suo bagno? Ogni luogo era buono, immaginò. Ma forse sulle mura, in armatura, dietro la sua tunica e il manto di pelo si sarebbe sentito meno vulnerabile che nudo nel catino, senza sapere dove appoggiare gli occhi.
«Sei l'Inquisitore. Siamo in guerra, davanti ad un pericolo più grande di noi, di te. E tu...» Esitò, guardandola colpevole. Non tanto perchè sembrava lontana nel suo ruolo di Araldo, quando di fatto Kassandre cercava di rimanere il più vicino possibile ai bisogni della sua gente, quanto perchè lei era la preda principale, si rese conto d'aver pensato. C'era la possibilità che qualcosa staccasse la testa a lui o a lei molto prima che arrivassero a vedere la fine dei loro nemici. Avrebbe fatto male se fosse successo, perchè l'aveva già provato e sapeva cosa significasse dover occupare il vuoto lasciato da una persona. Era disposto ad accettarlo? «...non pensavo nemmeno fosse possibile, dopo quello che hai visto di me.»
«Eppure sono ancora qui, o sbaglio?» La sentì lasciargli la mano, fino ad ora unita alla sua, e posargliele entrambe su di un avambraccio come a volerlo rassicurare. «Non sono scappata davanti all'ex-templare. Non scapperò davanti al mio Comandante.» Aveva la stessa sicurezza che usava davanti alle decisioni difficili, a quelle che intendeva affrontare assieme alle conseguenze. Le aveva sentito quel tono addosso decine di volte davanti al tavolo da guerra, mentre parlava delle scelte da compiere con lui, Leliana e Josephine: con quello era stato sancito il destino di nobili, paesani e cittadini. Con quello, erano state costruite torri di guardia e conquistate fortezze, mossi soldati e respinti demoni. Prendendo quel coraggio che di solito usava sul campo di battaglia, Cullen decise di non voler essere da meno.
«Mi sembrerebbe di chiedere troppo» si sporse verso di lei, portandole due dita al profilo della mascella e scendendo fino al mento. Avvicinò pericolosamente il proprio viso al suo. «Ma vorrei...»
«Comandante!» Cullen si costrinse a prendere un lungo respiro tremante, sopprimendo con forza l'istinto assassino che per un momento parve danzargli negli occhi. Si staccò lentamente da Kassandre per voltarsi con perfetta sicurezza e precisione verso la recluta che l'aveva interrotto proprio mentre stava per baciarla. «Vi ho portato il secchio che avevate chiesto.»
L'Inquisitore distolse lo sguardo, imbarazzata, mentre Jim appariva dalla botola sollevando a fatica il secchio che il Comandante gli aveva riferito di portargli prima, lo sguardo entusiasta per aver eseguito bene una richiesta ancora puntato al pavimento e alla scala, scommetteva, per non volare di sotto. Sempre non ce l'avesse spinto lui. Cullen si sporse senza esitazione per afferrare una largo panno di cotone, legandoselo in vita con cura mentre si alzava dal catino, incurante del fatto si fosse bagnato ai bordi. Gli bastò un passo per esserne fuori.
«Cosa?» gli ringhiò addosso, senza porre alcuna vera domanda. L'uomo finalmente salì sul pavimento col secchio e gli si avvicinò, stando attento a non rovesciarlo. Alzò lo sguardo su di lui.
«Il secchio che avevate chiesto per il bagno.» Cullen ringraziò il Creatore che fosse una recluta di Leliana e non una delle sue, perchè la tentazione di tappargli la bocca con un calzino stava diventando insopportabile da sostenere. Si limitò a non parlare, facendo due passi verso di lui con l'omicidio che scorreva prepotente nei suoi pensieri: un'occhiata eloquente e la maggiore statura fecero il resto nell'intimidire l'uomo. Jim sembrò scorgere l'Inquisitore dietro di lui, intento ad alzarsi, e arretrò di un passo mentre lui avanzava riducendo ulteriormente le distanze. «O... ve lo posso lasciare vicino alle scale... certo.» Lo vide indietreggiare rapidamente fino a raggiungere la botola e mollare lì il secchio in una discesa rocambolesca, e molto rumorosa.
«Se hai bisogno di-»
Non le lasciò il tempo di parlare. Cullen si voltò e la baciò con foga, spingendola contro di sè e soffocandole un gemito di sorpresa che accolse nella propria bocca con piacere. La sua pelle bagnata le impregnò la giacca e i capelli, da cui gocciolò qualche stilla d'acqua. Se solo avesse percepito la più minima ritrosia nell'Inquisitore si sarebbe staccato e non avrebbe continuato oltre, ma lei gli posò le sue mani sui fianchi e il suo disperato bisogno venne corrisposto mentre assaporava la sua lingua, scendendole lungo l'arco della schiena con le dita. E fu sempre lui a staccarsi, anche se a malincuore, quando dopo lunghi secondi si accorse che il desiderio stava per offuscargli la ragione: la lasciò delicatamente, con un sospiro che gli fece vibrare i polmoni come se non avesse mai respirato davvero in vita sua.
«Mi dispiace» accennò un sorriso insicuro. «E' stato... improvviso?» Cercò le parole. «... bello.» Kassandre lo osservò con un sorrisetto che voleva prenderlo in giro.
«Da quanto lo volevi fare?»
«Da più di quanto vorrei ammettere» le rispose sincero, intrecciandole le mani dietro la schiena. Kassandre gli poggiò il capo al petto con un silenzio in qualche modo rassicurante.
«Cullen?» gli chiese poco dopo. «Quello era un bacio? Perchè è stato tutto molto confuso, e non ne sono sicura.» Il Capitano rise, intuendo cosa gli stava chiedendo. «Mi aiuteresti a verificare?»
«Certo» le rispose in un sussurro. Si avvicinò, stavolta con voluta calma, e la baciò di nuovo.
 



Ed eccoci nuovamente con l'undicesimo capitolo! Lo metto a quest'ora perchè adesso, oltre agli impegni normali sono entrata a far parte dello staff di quel già citato (da qualche parte) live di gioco di ruolo dal vivo, con conseguente lavorone la domenica per concordare trame e spianare i guai dei giocatori xD insomma, morirò giovane xD
A parte questo faccio una piccolissima spiegazione per la presenza di Fergus e il fatto Oriana e Oren siano ancora vivi: nella mia storia quando Fergus ha lasciato per la prima volta il castello di Higever per dirigersi verso Ostagar, la moglie e il figlio l'hanno accompagnato per un pezzo fino a lago Calendhan prima di separarsi lungo la strada per dirigersi verso Redcliffe seguendo la via Imperiale e quindi evitando del tutto il flagello, arrivando qui *dopo* che il Custode aveva già risolto la faccenda dei non morti - Redcliffe nel mio gioco è stata la prima tappa. Invece Fergus ha tagliato direttamente in mezzo al Bannorn verso Lothering e Ostagar e qui è stato ferito, e la storia la conoscete tutti xD
Mi perdo poco in chiacchiere perchè purtroppo devo scappare a travestirmi da Vinter - per puro piacere di dirvelo, sperando di non annoiarvi, sono il tenente di quest'ordine in gioco molto templare, rigido negli addestramenti, fedele alla religione dei Divini Gemelli e molto sospettoso nei confronti dei maghi xD il problema (o non-problema) è che sembro Fenris con le orecchie da mezzelfo e la parrucca bianca. Oddiooooo xD Comunque, stavo perdendo il punto: d'ora in poi (dato il lavoro in più) la cadenza della FF diventa settimanale, con un capitolo pubblicato ogni domenica! Lo faccio non tanto perchè mi piaccia, ma perchè ho notato in questa settimana che sono riuscita a malapena a finire quello che stavo scrivendo (e che comunque secondo me è decisamente corto, anche se molto vario di contenuti) e non voglio assolutamente bloccarmi nella scrittura o farvi aspettare al di fuori di una certa cadenza. Spero non mi assassiniate per questo xD
Detto questo, spero la lettura vi sia piaciuta, se volete regalarmi altre foto osè di Cull- *si blocca, recupera la bava e la dignità* ...ah-ehm! Dicevo se volete darmi ancora tanto amore e dolcezza in qualsiasi forma, oltre che i vostri commenti, morte, distruzioni, libri volanti e orchetti assassini, come sempre sono ben accetti!
A presto col prossimo capitolo!

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