Brotherhood

di DeadlyPain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Parte Terza ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Brucia.
L'acqua salina brucia sulle mie ferite.
Sopporto, è l'unica cosa che ormai so di essere capace di fare. Sopportare.
Le corde sono legate molto strette sui polsi e Dragonair va davvero veloce. L'acqua la fa stare bene. Almeno lei sta bene.
Stringono e spaccano la mia pelle.
L'acqua salina me la cuoce.

Brucia.
Sopporto.

In fondo è tutta colpa mia. Solo mia. Dovevo essere più buona con loro. Dovevo essere più gentile. Dovevo essere una brava persona.
E invece eccomi qua. Mi merito tutto questo.

Brucia.
Sopporto.

La mia Dratini mi è stata regalata a due anni. Mi sono svegliata la mattina del mio compleanno ed eccola di fianco a me. Calda, morbida, respirava piano perchè ancora era assopita. Non volevo svegliarla, ma la mia gioia era irrefrenabile. Cercai di trattenere le urla ma qualcosa mi sfuggì.
Si svegliò di colpo. I suoi occhi erano blu cobalto, pieni di vita e gioia. Non aveva paura di me.
L'abbracciai forte. Così dolce. Così calda.
Ci allenavamo spesso vicino casa. Lei era il più potente drago mai visto. Quelli di mio padre forse erano più forti, ma no, nulla poteva superare la mia Dratini. Così bella ed elegante. Un giorno avrei battuto mio padre.

Non avremmo mai battuto mio padre.
Dratini mi fu portata via.
Era mia. Solo mia. Era la mia Dratini ed ora dorme in un letto estraneo. Quello accanto al mio.
Insieme a mio fratello.
“Non è giusto” piagnucolai a mia madre “era mia. Perchè l'hai data a lui?”
“È più piccolo, ne ha più bisogno”
“Anch'io sono piccola”
“Smettila. Ho deciso così. Basta!” Mi tirò uno schiaffo.
Tornai in camera piangendo. Non poteva farmi questo. Guardai la mia Dratini sul letto del nemico. I suoi occhi implorarono un “Mi dispiace”. Non importa piccola mia, non è colpa tua.

Brucia.
Sopporto.

Ho avuto una nuova Dratini. Questa l'avevo conquistata io. Questa sarebbe stata mia e solo mia, non me l'avrebbe portata via nessuno.
È stata una lotta lunga e difficile, ero sola contro un Pokèmon. Dicono che è pericoloso andare nell'erba alta, ed io avevo solo sei anni. Mi si avvinghiò alla vita e cominciò a torcere il busto, sentivo dolore, le costole che si incrinavano, la spina dorsale che si torceva ed il respiro che mancava.
Soffrono questo i Pokèmon colpiti da avvolgibotta?
Forse di meno.
Loro hanno una pelle dura, io morbida e tenera.
Ce la farò.
Ce la devo fare.
Dimostrerò a tutti che io posso farcela.
Riuscii a liberarmi una mano e le graffiai il volto. Mi ero spezzata le unghie apposta, per renderle più taglienti. Effetto riuscito.
Dratini mollò la presa ed io potei finalmente respirare.
Era troppo pericoloso attaccare di nuovo, mi facevano ancora male le ossa e non riuscivo a tenere una posizione eretta.
Lanciai la pokèball.
Preso.
Oh che gioia, non solo ho catturato un Pokèmon ma l'ho fatto con le mie stesse mani. Nessuno mi ha aiutato. Solo io.
Tornai a casa saltellante con la mia nuova Dratini al mio fianco. Il suo taglio sulla faccia sarebbe guarito presto.
I segni esteriori sono sempre i primi a guarire.
Aprii la porta di casa. Sorridevo. Non vedevo l'ora di sentirmi dire che ero eccezionale e brava. Che nessuno era migliore di me. Volevo la torta delle grandi occasioni. Volevo essere apprezzata.
I miei genitori erano in lacrime di gioia.
“Mamma guarda! Ho catturato da sola un Dratini!”
Ricevetti uno schiaffo dritto in faccia.
Perchè mi picchi?
“Come ti azzardi a fare una cosa del genere?”
“Ma.. io..”
“Prendi esempio da tuo fratello. È così calmo e tranquillo.”
“Ma....”
“Oggi ha anche imparato a camminare da solo. Siamo fieri di lui, al contrario di te, che sei solo una buona a nulla.”
Corsi in camera in lacrime.
Fieri di lui.
Fieri di lui.
Sono davvero una buona a nulla?

Brucia.
Sopporto.

Sono davvero una buona a nulla?
Ho fatto una cosa che mi sembrava geniale e invece era una cosa stupida.
Sono io stupida?

Ossa spezzate. Urla di dolore. Sangue. Viscere e interiora.
Tutto questo mi lascia fredda e composta.
Perchè non mi spavento?
Ho combattuto molte lotte, ho 20 anni.
Io e la mia Dratini siamo in perfetta sintonia. Alla nostra squadra si è aggiunto un altro Drago ed un piccolo Horsea.
È un Pokèmon d'acqua, ma vedo in lui l'ardore del drago.
Lo vedo.
Sono capace di riconoscerlo.
Forse è l'unica cosa che so fare.
Forse.

Ieri sono tornata a casa col mio nuovo Horsea, volevo mostrare la mia squadra alla famiglia e far invidia.
Il manto fiero dei miei Dratini e quello sguardo crudele e fiero di Horsea.
“Guardate. Diventerò la più forte del paese”
“Sciocchezze! Guarda qua”
Mio fratello prese una pokèball e l'aprì.
Un manto blu cobalto, lucente, splendido alla luce della luna, scuro e fiero. E quegli occhi. Gli occhi blu cobalto. Lei.
“Lance! Sei eccezionale! Hai solo 15 anni e hai già fatto evolvere il tuo Dratini!”
Tutte le attenzioni ancora una volta si concentrarono su di lui.
Nessuno aveva notato me.
Sono una parete.
Nessuno mi vede.
Nessuno mi ascolta.
Sono invisibile.

Brucia.
Sopporto.

Tornata in camera guardai i miei Pokèmon. La mia Dratini mi si accoccolò in grembo, l'altro si mise al mio fianco e Horsea mi guardava piangere impotente.
“Chi sono io?”

“Cosa faccio qui?
Me ne devo andare, via correre e scappare via da loro.
Ma dove andare?
Sono un'incapace, superata da mio fratello minore. Lui è quello bravo, lui è quello intelligente, lui è quello buono.
Io chi sono?
Io che ruolo interpreto?
Sono solo la sua ombra e dei suoi avanzi devo vivere.
Perchè i miei mi hanno messo al mondo se poi non mi accettano tra loro?
Sono davvero parte di questa famiglia?
Se scappassi chi mi verrebbe a riprendere?
Se morissi chi lo noterebbe?
Forse starebbero solo meglio senza di me.
Forse.”

Il mattino dopo scappai di casa.
Non sapevo dove andare,
Non avevo amici.
Ce li aveva tutti mio fratello. Lui era quello simpatico e carino. Io ero quella che passava il tempo ad allenarsi per diventare migliore di lui.
Io sono quella che lotta contro i mulini a vento.
Io sono quella che lotta contro il destino.
Il destino è beffardo.
Io ti supererò un giorno.
Ce le farò.
Ce la devo fare.

Vivo nella radura. Lontana da tutti. Ho sconfitto molto allenatori.
Li ricordo tutti.
I Rhyhorn venivano privati del loro guscio duro e freddo esponendo all'allenatore il loro corpo interno, viscido e coperto di sangue. Si potevano sconfiggere facilmente.
Gli Onix spezzati e sbriciolati. Incredibile quanto sangue possa uscire da una roccia.
Il Marril di quella Fantallenatrice è stato letteralmente aperto in due. Interiora si sparvero sul terreno brullo e pieno di terra. Meglio così. Almeno è bagnato ed evita di tirar su polvere e terra.
Con i suoi due Wartortle poi mi sono quasi divertita. Ovviamente io non rido mai. Al massimo sorrido, ma non è di gioia vera il sorriso. È solo di facciata.
Ad uno ho tolto il guscio. Interessante davvero, non sapevo che il guscio fosse parte integrante del loro corpo, credevo lo ricoprisse e basta, ed invece insieme al guscio è venuta via anche una parte di pelle. Solo quella. Ho potuto ammirare l'intrecciato concatenazione dei muscoli di un Wartortle. Con l'altro.. Non sapevo come sbizzarrirmi. Un Iper Raggio dritto in faccia. Testa scomparsa nel nulla, neanche polvere. Come decapitato, ma la testa chissà dov'è finita.
Il resto del corpo ha fatto ancora qualche passo nella mia direzione poi è caduto.
Allora non solo gli umani e le galline quando vengono decapitati rimangono coscienti per qualche secondo.
Ed i Ponyta muoiono urlando se gli spegni le fiamme.
Non volevo ucciderli.
Non tutti almeno.
Capitava così.
La parte più interessante erano gli allenatori. Piangevano e chiedevano perdono al loro Pokèmon. Devi chiedere perdono a me per avermi osato sfidare con queste creature nemmeno degne di stare alla mia presenza.
Anche Lance piangeva e non voleva uccidere i Pokèmon avversari.
Stupido di un marmocchio.

In breve diventai forte ed invincibile.
Le mie creature non avevano neanche un graffio.
Eppure non ne ero felice.
Cosa mi manca per essere felice?
Perchè non riesco più a sorridere?
Perchè mi sento così fredda?
Perchè tutta nella mia mente è ragionato a freddi calcoli?
Sono davvero umana?
Chi sono io?

Brucia.
Sopporto.

A 25 anni tornai a casa.
Gyarados, due Dragonair ed un Kingdra. Ecco la mia squadra.
Nessuno di loro però brilla come aveva fatto la mia vecchia amica.
Chissà come sta ora?
È l'unica cosa che mi spinse a tornare.

Avvicinandomi al mio paese dovetti passare per Mogania. Lì il capopalestra era di tipo Ghiaccio.
Interessante.
Sarebbe stato davvero interessante confrontarmi con un capopalestra di un tipo cui il mio era in svantaggio.
Andai alla palestra.
Gran delusione.
Alfredo mandò in campo i suoi Pokèmon migliori.
Davvero credeva di battere i miei Pokèmon con quelle.. cose?
Seel e Dewgong furono una passeggiata, un paio di Tuono e la loro pelle fu carbonizzata, in alcune parti cominciava anche a staccarsi, come in un pesce ben cotto. La parte peggiore fu vedere il loro grasso che colava sul pavimento liscio e lucido della palestra. Che orribili Pokèmon, e che cosa orribile il loro grasso. Non potevano riversare sangue come tutti? Quella cosa giallognola e appiccicosa che ribolliva dal caldo del mio attacco mi faceva venire il voltastomaco.
Poi fu il turno di Piloswine.
Kingdra non ebbe grosse difficoltà a immergere quella grossa palla di lardo e pelo in una bolla d'acqua. Entra acqua nei polmoni di quel bestione. Entra.
Presto anche l'ultima bolla d'aria uscì dai polmoni di quel Pokèmon che cadde a terra con gli occhi bianchi e la pelle bluastra.
“I miei complimenti. Meriti la medaglia Gelo.”
Mi mise in mano in pezzo di latta.
Rimasi basita.
“Che credi di fare?
Cosa sta a significare questa cosa?
Credi davvero che io mi accontenti di una stupida lattina?
Io sono la migliore!
Io sono imbattibile!
Non me ne faccio nulla della tua stupida medaglia”

Gliela lanciai contro, gli si conficcò in una guancia.
Stolto!
Cosa credeva di fare? Placare la mia sete di vendetta con una medaglia? Non mi basta, non mi bastano tutte le medaglie del mondo. Io voglio essere la migliore.
Amata o temuta.
Ha poca importanza.
Se mi amano mi temeranno.
Se mi temeranno potrò obbligarli ad amarmi.
Tutti mi ameranno.

Brucia.
Sopporto.

Tornai a casa due giorni dopo.
Non ero nemmeno stanca.
I miei genitori mi guardarono.
“Sei tornata finalmente”
Non sono nemmeno mancata.
Se fossi stata via di più non si sarebbero chiesti nulla.
Sono davvero inutile.
Sono davvero una buona a nulla.
Sono la più brava con i Pokèmon Drago.
“Papà. Ti sfido”
Furono le mie parole.
Fredde come il ghiaccio.
Mantengo il gelo fuori, quando dentro ribollisco di rabbia. Capirai chi è la figlia migliore. Capirai tutti i tuoi errori. Mi osannerai. Mi amerai e finalmente sarò parte della famiglia.
Non ci sarà più solo Lance.
Ci sarà Sandra.
La grande unica e temibile Sandra.
Perfino Lance dovrà prostrarsi ai miei piedi e chiedermi scusa per tutto il male che mi ha fatto.
Sarà lui a sparire.

Brucia.
Sopporto.

Quella con mio padre fu una lotta aspra.
Il suo Dragonite contro il mio Dragonair. Non è il livello che mi spaventa. Nulla mi spaventa.
Tuono.
E le sue deboli ali bruciarono. Carbonizzate si disintegrarono, non usciva neanche sangue, le vene che irroravano le sue ali erano state cauterizzate dal caldo e dall'elettricità.
Un Dragopulsar, giusto all'altezza dello stomaco.
Lo perforai da parte a parte.
Non ha avuto neanche il tempo di rialzarsi completamente.
Cadde esanime.
Mi avvicinai. Guardai nel buco. Le interiora cominciavano a riversarsi al suolo, per fortuna che lo stomaco si è disintegrato, non avrei potuto sopportare di vedere bacche mezze digerite sparse in giro.
“Vogliamo continuare?”
Ammettilo.
Ammetti che sono la più brava.
“No”
Ammettilo!
“Puoi prendere il mio posto. Ma devi migliorare molto. Il tuo cuore è freddo e gelido”
“E tu sei un perdente”
L'ho battuto, come si permette di farmi la morale?
Chi si crede di essere?
Ho battuto mio padre.
Ce l'ho fatta.
Ora so chi sono.
Sono Sandra, maestra Drago.

Tornai a casa.
“Dov'è Lance?”
Volevo sfidare anche lui. Si sarebbe piegato alla mia potenza e tutti mi avrebbero amata. Tutti avrebbero capito chi è la più forte della famiglia.
Sono l'erede della palestra Drago.
Sono l'unica.
Sono la più forte.
“Lance è via da qualche giorno. Tornerà stasera”
Tornò la sera.
Volevo piazzargli la mia schiacciante vittoria sotto il naso. Due figli, uno solo sarebbe diventato capopalestra.
Ha scelto me.
Sono importante per lui.
Ha scelto me.
Per una volta ho vinto io.
“Ce l'ho fatta!”
Disse esultante.
“Sono il nuovo campione della Lega”

Brucia.
Sopporto.

No.
No!
NO!
Non è possibile.
Io ottengo un risultato, lui lo ottiene prima di me.
Io faccio qualcosa, lui la fa meglio.
Non è possibile.
No!
Mi rifiuto di crederci.
Ci sedemmo a tavola.
I miei genitori fissavano Lance, domande su domande. Volevano sapere tutto.
Neanche una domanda a me.
“Dove sei stata tutto questo tempo?”
“Cos'hai fatto?”
“Com'è andata la lotta?”
Nulla.
Nessuno aveva notato me.
Sono una parete.
Nessuno mi vede.
Nessuno mi ascolta.
Sono invisibile.

Brucia.
Sopporto.

Hanno davvero due figli?
Sono davvero figlia loro?
Perchè non mi amano?
Perchè mi mettono da parte?
Sono sbagliata?
Sono davvero una buona a nulla?

Brucia.
Sopporto.

Il giorno dopo Lance partì per stabilirsi alla lega. Lì avrebbe vissuto finchè qualcuno non l'avesse spodestato.
Lo avrebbe fatto tornare con i piedi per terra.
Pallone gonfiato pieno di boria.
Io mi sono insediata al fondo della palestra.
Ottava palestra.
L'ultima grande prova per coloro che provano a sfidare la Lega.
Nessuno ci riuscirà mai.
Sono forte.
Sono un muro.
Non sfonderete la mia porta.

Molti furono gli allenatori che passarono di qua.
Stolti. Credevano davvero che sarebbe stato semplice battermi?
I più sprovveduti si sono presentati con Pokèmon Drago o Ghiaccio. Credete davvero che basta un tipo avvantaggiato al mio per battermi.
Li ho fatti ricredere.
Il loro ghiaccio si è sciolto di fronte al mio ardore.
Ed il loro sangue ha bagnato la palestra.
Sono la più forte, sono inarrestabile. Potrei battere perfino Lance.

Non mi interessa più se Lance è All'Altopiano Blu, io sono Sandra, l'invincibile maestra Drago. Lance non lotterà mai più in tutta la sua vita finchè avrò respiro.
È la mia missione.
È il mio destino.
È il mio essere.

I Pokèmon di fronte a me muoiono nelle maniere più atroci.
Urlano.
Gridano.
Si disperano.
Piangono.
Esalano il loro ultimo respiro.
Chissà cosa si prova a morire?
Non sarebbe divertente provare?
Forse morendo potrei attirare l'attenzione dei miei genitori.
Forse morendo potrei essere ricordata da qualcuno.
Forse morendo potrei essere amata.

Brucia.
Sopporto.

Un ragazzo si è presentato al mio cospetto. L'ennesimo.
“E tu saresti?”
“Gold”
“Sono il più grande allenatore di Pokèmon di tipo Drago. Posso tener testa perfino ai superquattro della Lega Pokèmon. Vuoi ancora sfidarmi?”
“Certo”
La sua fierezza, sarà interessante lottare contro questo ragazzino. Sarà divertente vederlo piangere.
“Bene. Fatti avanti!”

Io sono migliore di te.
Io sono migliore di tutti voi.

Com'era possibile?
Quel ragazzo.
No.
No!
NO!
Non deve finire così, no! Io sono la grande Sandra! Io sono imbattibile! Io sono invincibile! No. No. No.
Mi rifiuto che finisca così.
Ci deve essere un modo.
Devo essere io la migliore.
Ne ho bisogno.
È l'unica cosa che ho.

Brucia.

Lo manderò da mio padre. Non può accettare che sua figlia venga distrutta da un moccioso del genere, no, lui mi aiuterà. Lo caccerà. Io sono la migliore. Nessuno può sconfiggermi.
Cercai di rilassarmi, dopo che quel ragazzino se n'era andato. Come osava?
Mi incamminai a passo svelto verso la grotta. Uno degli allenatori da sconfiggere per raggiungermi mi fermò
“Capo, forse dovrebbe rilassarsi un attimo. È molto tesa”
Tu! Piccolo inutile insolente come ti permetti di dirmi cosa fare e cosa non fare?
Credi forse che essendo la tua vita migliore della mia puoi dispensare consigli?
“Dragonair Iper Raggio!”
Non mi girai neanche. Non volevo vedere cosa quel raggio di energia avesse lasciato integro del corpo di quell'inutile omuncolo.
Come ha osato?
Mi ritenevi forse una fallita?
Credevi davvero che sono così disperata da chiedere il tuo aiuto?
Io non ho bisogno di nessuno.
Io mi sono abituata a vivere da sola.
Io ce l'ho sempre dovuta fare da sola.
Io non ho bisogno di nessuno.
Io basto a me stessa.

Brucia.
Sopporto.

Raggiunsi la capanna all'interno della Grotta del Drago. Mi aspettavo di vedere quel ragazzino in lacrime implorarmi perdono.
Volevo le sue lacrime.
Volevo la sua disperazione.
Dimostrami che la tua vita è peggiore della mia.
Dimostrami che sono superiore a te.
Dillo.
Dentro la capanna c'era quel ragazzino, composto e fiero come quando è arrivato a sfidarmi. Com'è possibile?
“Scommetto che non hai superato la prova!”
“No Sandra, l'ha passata”
“Cosa?!”
No.
No!
NO!
Non era possibile, non era possibile. Neppure io ho mai superato la prova, non ci riuscivo.
Non ero abbastanza pronta.
Lance ce l'aveva fatta.
E questo ragazzino.
Lui.
Non io.
Lui.
Com'è possibile?
Mio padre non mi amava abbastanza. Mio padre preferiva questo perfetto estraneo a sua figlia. No. No. No. Mi rifiutavo di crederci.
Strinsi con forza la medaglia nella mia mano, sempre più forte finchè non sentii il freddo metallo conficcarsi nella pelle.
Non faceva male.
Il sangue caldo cominciava a sgorgare dalla ferita.
Non sentivo dolore.
Non sento mai nulla.

Brucia.
Sopporto.

Consegnai la Medaglia a quel ragazzino. Era sporca del mio sangue. Era sporca delle mie lacrime. Dentro c'era tutta la fatica che ho fatto a diventare le migliore.
Ed ora tutto quello che sono, tutto il mio dolore, tutti i miei sforzi, vengono gettati via in un attimo con questa consegna della medaglia.
Tutta la mia vita.
Sparita.
Il mio essere.
Morto.
Se non sono la migliore, allora chi sono?
Chi sono io?
Sono una nullità.
Sono inutile.
L'unica cosa in cui potevo primeggiare, il mio dono, il mio destino, la mia vocazione è stata distrutta in un attimo. Non sono brava nemmeno in quello.
Non sono brava nemmeno nell'unica cosa che avrei dovuto saper fare.
Chi sono io?

Brucia.
Sopporto.

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Il ragazzino se n'è andato, e con lui i miei 30 anni di vita. Ora dentro sono vuota. Tutto ciò di cui mi sono riempita mi è stato tolto. Svuotata. Come se una lama mi avesse aperto la pancia svuotandomi delle interiora, del mio scheletro, dei miei muscoli, lasciando di me solo un guscio vuoto.
Sono vuota.
Senz'anima.
Senza uno scopo.
“Come hai potuto?”
Non scendono le lacrime dagli occhi, anche se mi bruciano. Vorrei piangere e urlare, ma no. Io sono forte. Io devo essere forte. La mia debolezza è la mia rovina. Sono nata per sopportare soprusi ed ingiustizie.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare con se non facesse male.

“Lui ha fiducia nei Pokèmon ed ha un cuore puro. Tu sei così fredda e calcolatrice, per te i Pokèmon sono uno strumento di vendetta più che amici. Lui è come Lance, buono e puro. Tu sei crudele e fredda.”
“Ancora con questo Lance! Basta!”
“Beh, lui di certo è un figlio migliore di te.”
Persi un attimo il respiro.
Tu. Sei. Mio. Padre!
Come puoi anche solo pensare pensare una cosa del genere?
Perchè mi fai questo?
Perchè mi odi?
Cos'ho di sbagliato?
Dovresti amarmi per quella che sono.
È colpa tua se sono così.
È colpa tua se sono piena di rancore.
È colpa tua se sono un'inetta.
Fu così naturale andargli vicino, mettergli le mani intorno al collo, stringere forte, due pollici di fianco all'ugola, poi su fino a sotto il collo. Ecco, sento il battito della carotide sotto le mie dita, lo guardo dritto negli occhi. Ecco che il suo volto diventa cianotico, gli sto bloccando il respiro, ora sai come ci sente a non sentire il proprio fiato, ora sai cosa significa non sentirsi a proprio agio nel mondo.
Ora sai come si soffoca sotto il peso di aspettative che non si riusciranno mai a raggiungere.

Tumtum tumtum tumtum
Tum... tum...tum..
Tum...
….

Basta, il cuore ha cessato di battere, non lo sento più sotto le mie dita, non pulsa più il suo collo. Ora sarai in pace con te stesso, ora non dovrai più vergognarti di una figlia che non riconosci come tua.
Ora non dovrai più vergognarti di me.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Devo far sparire il corpo, nessuno dovrà sapere che sono stata io. Trascino il corpo in acqua, i Dratini che qui nuotano sapranno cosa farne.
Eccoli, li vedo arrivare. Una preda facile. Carne fresca. Con i loro piccoli denti gli strappano via brandelli di carne e vestiti. Sono piccoli ma forti, capaci di spezzare le ossa, capaci di finire quel corpo vecchio stanco e morto in pochi minuti. L'acqua si è tinta di rosso, ma qui la corrente è molto forte, impiegherà poco tempo a scomparire anche quello.

Torno a casa. Forse non era mio padre a dover morire. Forse ero io, se non fossi mai nata sarebbe andato tutto meglio, non ci sarebbero stati tutti questi problemi, non avrei dovuto competere con Lance per l'amore dei genitori, non avrei avuto dei genitori che si vergognano di me, non avrei dovuto subire un sconfitta da parte di uno stupido ed insulso ragazzino, non avrei dovuto lottare e uccidere per diventare qualcosa che neanche sono.
Chi sono io?
Io non sono.
Io non sono buona. Io non sono felice. Io non sono brava. Io non sono una maestra Drago. Io non sono forte. Io non sono una brava figlia. Io non ho un dono.
Io non sono nulla.
Sono un corpo vuoto.
I sogni si sono infranti, il destino ed il futuro sono oscuri davanti a me. Non ho più una strada da seguire.
Ho seguito la strada sbagliata.
Ora è troppo tardi per tornare indietro. Sono persa. Mi sento persa in mezzo ad un posto che non è il mio.
Qui soffoco, qui tutti si aspettano che io sia forte e capace quanto mio fratello. Ma io non lo sono.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Non ho più nulla!
Tutto mi è stato portato via dalle mani, tutta la mia vita, tutta la mia anima!
Sento di nuovo in me la potenza e la rabbia, la voglia di rompere e distruggere, spezzare qualche vita sotto le mie mani. Sentirmi ancora capace e potente, come lo ero fino a poco fa sul campo di lotta.
Comincio a buttare a terra oggetti e mobili, rompo le antine degli armadi, do fuoco ai vestiti, strappo le pagine dei libri. Devono soffrire, devono soffrire come io ho sofferto, come io sto soffrendo. Ma questo non mi soddisfa, sono solo oggetti, non possono sentire male, non possono sentire dolore. Io non sento dolore. Poi le vedo, lì, chiare e luccicanti.
Le afferro con foga e comincio a conficcarle nella cosa più vicina e viva che ho. Una. Due. Tre. Dieci volte. Fintanto che le forbici sono coperte di sangue e la mia coscia formicolante dalla quantità di sangue perso. Cola ovunque, giù dal ginocchio, lungo il polpaccio, dritto sul piede e sporca il pavimento. Quanto ci vorrà a pulirlo?
Ho perso la foga della rabbia.
E con lei ho perso me stessa.
Ormai l'unico sentimento che riesco a provare è la rabbia ed il dolore.
Presto non riuscirò più nemmeno a provare rabbia, mi porteranno via anche quella, mi rimarrà solo il dolore, fisico e psicologico, solo quello mi farà sentire viva, solo quello un giorno sarà utile.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Mi sento sopraffatta. Troppe cose sono successe, stamattina ero la grande Sandra, l'invincibile Maestra Drago, e in tardo pomeriggio ero un guscio vuoto di rabbia e dolore. Mi sento soffocare.
Non respiro.
Non riesco a respirare.
Devo andare via da qui.
Cominciai a correre, fuori di casa, fuori dal villaggio, senza una meta precisa, volevo solo andare via, via, via. Da qualche parte, in un luogo dove finalmente potevo sentirmi a mio agio. Non ho le lacrime agli occhi, ho imparato a sopportare bene il dolore, ho anche imparato a fingere che tutto vada bene. Perchè la mia vita va bene. Perchè nessuno deve sapere come sto in realtà. Mai mostrarsi deboli. Sono forte. Ero forte.
Ne vale davvero ancora la pena?
Si.
Voglio solo essere normale, felice come tutti, trovare il mio posto nel mondo, non voglio la pietà o la carità di nessuno.
Le gambe cominciano a far male, da quanto tempo sto correndo? Bruciano, non importa sopporto.
Chi sono io?
Sono una nullità, sono una delusione, ho deluso tutti, me per prima. Dovevo essere la migliore ed invece non solo mi sono fatta superare da mio fratello, ma anche da un ragazzino. Non sono più nulla. Sono il vuoto. Sono il niente.
Le gambe bruciano. Le ferite non si sono ancora cicatrizzate, continuo a perdere sangue. Avrei potuto tranciare un nervo, avrei potuto perdere l'uso della gamba. Ma non mi importa, cosa me ne faccio di una gamba sana se non ho motivo di usarla? A cosa mi serve un corpo se non so a cosa usarlo? A cosa mi serve vivere, se non ho più una vita da vivere?
Non ho nulla.
Mi lascerò trasportare dalla vita, guardandola da lontano.
Prima o poi morirò, la morte, l'unica che può salvarmi da quest'inferno di mediocrità nel quale sono caduta.
La morte è l'unica soluzione, ma sono ancora troppo codarda per uccidermi.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Rientro in casa, stanca e assonnata. Non ho neanche fame, sono distrutta dentro, come se ci fosse ancora qualcosa da distruggere.
Rientro in camera, voglio solo buttarmi a letto e dormire, ma intravedo qualcuno al mio fianco. Mi giro di scatto.
È uno specchio.
È sempre stato lo specchio.
Eppure...
Sono davvero io l'immagine riflessa?
Sono davvero io quella.... cosa?

Di fronte a me c'era l'immagine riflessa di una giovane donna, non molto alta, in carne, con dei capelli indaco più simili alla saggina di una scopa che a dei veri capelli, le gambe storte una piena di fori, sembra quasi cellulite, la pancia gonfia, le occhiaie, il naso storto, il viso troppo squadrato e la pelle pallida e poco tonica.
Questa cosa sono davvero io?
Forse nessuno mi ama per il mio aspetto, Lance è un bell'uomo, io un mostro. Sono un mostro. Se fossi migliore forse tutti mi amerebbero.
Sono davvero io?
Non ci voglio credere.
No.
No!
NO!
Quello non è il mio corpo. Quella non sono io. Io sono forte, io sono bella. Io non sono fatta così. Le mie gambe sono dritte ed i miei occhi vispi, i miei capelli ondeggiano al vento e la mia pelle e tonica e rassodata. Io non sono quella cosa, è solo un'immagine fasulla.
Io non sono così.
Io non sono lei.
Io non so nemmeno chi sia lei.
No!
Mi rifiuto di essere quella cosa.
Cominciai a tremare, lacrime spuntavano dagli occhi, finchè nessuno mi vede posso permettermi di piangere. È come se mi avessero messo addosso un abito che odio. Il mio abito, il mio corpo non fa per me. Quel corpo non è Sandra. Quel corpo non sono io.
Dovevo fare qualcosa, dovevo liberarmi da quella cosa. Qualsiasi cosa fosse. Cominciai a graffiarmi ovunque, pancia, faccia, braccia, gambe.
“Levati, levati, levati!”
Non si staccava, come se fosse incollato sopra il mio vero corpo.
No. Non posso passare la mia vita a vivere con questo corpo, no, non voglio essere accettata nonostante il mio corpo, voglio essere amata, e questa cosa che ho addosso non me lo permetterà mai. È troppo grosso e ingombrante, è troppo diverso da quella che sono io.
Devo togliermelo.
In qualche modo.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Il mattino ha l'oro in bocca.
Il mio ha la bocca piena di denti, pronti per lacerarmi un'altra volta. Perchè mi sono svegliata? Non potevo dormire? Non potevo morire?
Mi alzai dal letto.
Non salutai la donna in cucina che un tempo chiamavo mamma. Non la riconosco più come tale, mi ha lasciato annegare nelle mie lacrime e nel mio dolore. Avevo una cosa sola in testa, la mia immagine riflessa.
Sono davvero così? E se fossi diversa mi amerebbero?
Non ho neanche fame, non mi viene voglia di mangiare. Guardo il piatto in tavola, guardo quel cibo, dio, mi viene il voltastomaco, quando lo vedo rivedo l'immagine del grasso che cola dal corpo morto di Dewgong. Quel coso grasso e orribile che ribolliva nella pancia di quel Pokèmon grosso e goffo.
Immagino quella cosa schifosa dentro la mia bocca e dentro il mio corpo. Mi viene da vomitare al solo pensiero. Come può certa gente non vedere questo cosa orribile?
No. Non riesco proprio a mangiare oggi. Non voglio.
Mi butto a letto. Ho mal di testa. Gira gira gira tutto.
Mi sento stanca, eppure non ho fatto nulla. Ho passato tutto il giorno seduta, sul letto. A fissare quell'immagine allo specchio.
Fino a passare oltre quell'immagine che non riconoscevo. Poi passai alla mia vita. La mia vita era
indescrivibile.
Non ho amici.
Non ho una famiglia.
Non ho un rapporto col fratello.
Non ho mai avuto qualcuno che mi amasse.
Non ho mai avuto un fidanzato.
Ho fatto tutti questi sacrifici. Ho sacrificato la mia vita, il mio cuore e la mia anima, per cosa? Per un titolo che mi è stato strappato via come un cerotto.
Sono pesante. Peso davvero troppo, e sulle mie spalle pesa l'aria carica delle aspettative di tutti. Delle mie aspettative. Io volevo essere la migliore.
Guardatemi e amatemi.
Notatemi.
Non voglio più sentirmi una parete.
Non voglio più essere invisibile.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Sono tre giorni che non mangio.
Non riesco a vedere il cibo, mi da la nausea.
Odio la mia vita ed odio essere me.
Non voglio più essere me.
Voglio cambiare vita, voglio cambiare me stessa. Essere migliore, non dover più deludere nessuno, scoprire chi sono.
Per prima cosa devo cambiare il mio aspetto.
Ho scoperto che questo digiuno fa cambiare il mio corpo, lo sento più leggero, lo sento diverso. Se digiunassi ancora magari il mio corpo cambia ancora, magari potrò essere migliore. Magari posso definitivamente strapparmi questo corpo inutile dalla mia anima.
Mi butto a letto.
Faccio fatica anche a respirare. Non vedo l'ora di non riuscirci mai più. Non vedo l'ora che il mio cuore sia troppo stanco per battere.
Spengo la luce. Chiudo gli occhi.
Spero di non doverli riaprire mai più.
“Non sarà così semplice”
Una vocina nella mia testa mi fece risvegliare. Lei era ai piedi del mio letto, non era vera, era la mia immaginazione a renderla reale, lei era nella mia testa, erano i miei occhi a volerla vedere reale. Per darla un volto. Per darle una vita. Lontana da un corpo così inetto.
Era alta, magra, perfetta. Era come me. Solo perfetta e bellissima.
Di uguale a me aveva solo una parte dell'aspetto.
Lei non era un'inetta.
Chi sei?
Non avevo bisogno di parlare. Lei è nella mia testa. Lei mi sente.
Sono te. Sono la parte migliore di te. Seguimi. Tienimi con te, e ti aiuterò ad essere perfetta come me.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Non mangiare. O perderai tutto quello per cui hai lavorato finora. Sii brava.
Punisciti.
Liberati del tuo corpo. Sfregialo con le lame. Disintegralo col fuoco.
Presto i segni della lametta sulle braccia si confondevano, formavano una texture sulle mie braccia, mi piaceva, anche se non so più cosa sia un piacere, un divertimento, un sorriso, mi piaceva passare il dito sopra le cicatrici. Seguire qui segni, come una chiromante, come per capire dove devo andare.
Lo scoprirò mai?
Ho paura di andare da qualche parte. Ho paura a fare qualche scelta. Scelgo sempre la cosa sbagliata.
La vocina di quella figura rimbombava sempre nella mia testa, e lei era sempre al mio fianco. Era sempre con me. La mia migliore amica.
La mia unica amica.
Le ho dato un nome, così da poterla chiamare quando ho bisogno di aiuto, così da poterla riconoscere, così da poterle parlare.
Claire.

Non ho una bilancia, mi baso sullo specchio, finchè non vedrò il mio copro cambiare non sarò contenta.
La felicità è effimera. Non esiste. Si crede di essere felici, ma in verità si sta solo cercando una scusa per non essere tristi. Siamo tutti tristi, tutte le nostre vite fanno schifo.
Ma io non mi voglio accontentare. Io voglio essere felice, non dover più rendere conto a nessuno, non dover più sopravvivere. Io voglio vivere una vita piena.
Ah se non fossi mai nata sarebbe tutto più bello.
Non dovrei superare queste cose.
Non dovrei costringere i miei Pokèmon a sopportarmi.
Non si meritano un'allenatrice del genere, loro sono migliori di me. Io non sono degna nemmeno di stare ai loro piedi.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Sono un'inetta. Sono una fallita. Sono inutile. Sono un mostro.
Sono dilaniata dalla voglia di essere vista e quella di essere invisibile. Vorrei tanto che qualcuno mi notasse, vedesse al di là dei miei occhi e dal sorriso finto il dolore.
Il mio sorriso è solo un'accozzaglia di denti rovinati e gialli.
Li lavo spesso, ma la mancanza di cibo comincia a corroderli.
Ma non posso mangiare, devo dimostrare di essere forte. Devo dimostrare di poter portare a termine qualcosa. Ho sempre fallito in tutto. Non posso fallire anche questo.
Vorrei che quel qualcuno mi raccogliesse dalle mie lacrime, mi portasse via, lontano da qui in un posto che neanche esiste. Mi desse amore.
Abbastanza amore da essere sufficiente per due.
Dall'altra non voglio essere vista. Quando cammino per il paese tutti si girano e fissarmi. “Non guardatemi!” vorrei urlare. Cosa si aspettano da me? Mi staranno giudicando? Cosa pensano di me? Sento su di me i loro sguardi accusatori, come a giudicare ogni singola atomo di me e della mia vita. Vorrei scoppiare in lacrime e chiedere aiuto.
Ma non posso.
Claire me l'ha impedito.
Devo farcela da sola, nessuno mi vuole aiutare. Vogliono solo godere della mia sofferenza per credersi migliori, vogliono vedere la disperazione nei miei occhi per illudersi ed innalzarsi su qualcuno che sta peggio di loro.
“La mia vita fa schifo, ma lei sta peggio”
Ecco cosa pensano, ecco a cosa servo. Usatemi. Servitevi di me. Picchiatemi. Uccidetemi. Fate di me quello che volete. Ormai non ho più un'anima. Ormai sono talmente abituata a soffrire che non riesco neanche più a riconoscere il dolore.
È tutto dolore.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Oggi mi sono recata al grande lago d'Ira, poco sopra Mogania. Voglio smettere di far soffrire i Pokèmon a causa mia. Comincerò con Gyarados.
Aprii la Pokèball e ne uscì quel grande drago marino. Enorme e possente. Come può un Pokèmon così forte e fiero permettersi di stare con me?
“Vattene”
Rimase lì, fermo a fissarmi negli occhi.
“Non rendermi le cose difficili. Vattene”
Ancora fermo. Perchè non te ne vuoi andare da me. Fai quello che tutti sembrano fare così bene. Allontanati da me. Vattene. Tutti mi hanno sempre abbandonato, tutti mi hanno sempre rifiutato. Perchè tu no?
Cos'hai di strano?
Vuoi rimanere qui e farmi soffrire ancora di più?
Sai quanto odio gli adii, sai che non voglio rimanere sola, sai che ho bisogno di aiuto, di un aiuto che mai nessuno potrà darmi ed io, io sono troppo troppo debole per riuscire a farcela da sola.
Vattene e abbandonami a me stessa come hanno sempre fatto tutti.
Non guardarmi. Non farmi vergognare del mio aspetto. Non farmi vergognare dei miei pensieri.
“Non ho più bisogno di te”
Abbassò la testa e cominciò ad allontanarsi, sembrava triste.
Non è vero, io ho bisogno di te, ho bisogno i te. “Ti prego, ritorna” avrei voluto urlare, ma non ci riuscivo. Troppo orgogliosa, troppo testarda, troppo stupida, troppo infantile, troppo me.
Ti avrei fatto soffrire mio amato Gyarados. Qui starai meglio. Chiunque starà meglio quando si allontana da me.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

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Capitolo 3
*** Parte Terza ***


Stavo tornando indietro, verso quella che molti chiamano casa. Non è casa quella, è un'abitazione. Casa è dove ti senti a tuo agio, amato e protetto. Se dormissi in un cartone sarei più protetta, mi sento affogare e sono amata quanto può essere amato un posacenere in una casa di non fumatori.
Quella non è casa, quella è il posto dove ho il letto.
Non ce la faccio più a vivere così.
Claire, cosa devo fare?
Ecco che cammina al mio fianco, qualcosa in lei è cambiato, gli occhi sembrano più infossati ed il sorriso più largo, quasi maligno. Ma forse è solo come mi sento io in questo momento.
Una grandissima stronza ad aver lasciato andare Gyarados così.
Non si meritava quelle bugie.
Clair, non ce a faccio più. Il mio corpo non cambia abbastanza velocemente. Cosa devo fare?
Il tuo corpo è cambiato, ma non sarà mai abbastanza cambiato.
Che intendi?
Non sarai mai abbastanza. Sarai sempre un'inetta. Una stupida inutile e deludente inetta. Rassegnati. Non sarai mai abbastanza magra, non sarai mai abbastanza diligente, non sarai mai abbastanza astuta, non sarai mai abbastanza amata. Non lo sarai mai. Rimarrai sospesa così nel limbo dell'imperfezione per sempre.
No!
Mi salgono le lacrime agli occhi, le ricaccio indietro. Mi sale un conato di vomito, libero il mio corpo da quelle tossine e quello schifo. Il sapore e acido ed il colore verdognolo. Sarà bile.
Mi gira la testa, crollo a terra.
Forse sto per svenire.
Forse sto per morire.
Mi guardo intorno, quel poco che riesco a vedere con la mia mente e la mia vista annebbiata. Qualcosa attira la mia attenzione.
Mi alzo a fatica e inizio a correre. Finalmente la vedo. La soluzione a tutto, è lì, a portata di mano. Per liberarmi del corpo, per essere solo anima.
Per farmi amare come anima.

Un passo nel vuoto ed ecco che l'aria colpisce il mio viso con violenza, forse qualche pulviscolo sfregerà il mio viso, non mi importa. Voglio solo cadere.
Sentire l'aria.
Sentirmi viva.
Prima di atterrare da quest'ultimo volo. Giù da un precipizio.
Sento già il mio sterno che si comprime, schiacciando il cuore contro la colonna vertebrale, rompendolo definitivamente, spezzandolo a metà.
“È morta col cuore spezzato” Questo diranno i medici dell'autopsia, si, che bello. Forse mamma piangerà, chiedendosi come non ha fatto ad accorgersi prima che sua figlia stava morendo sotto i suoi occhi. Lance chiederà scusa del male che mi ha fatto, ed ammetterà che il suo posto come campione era mio.
Sento già le mie costole spezzarsi, conficcarsi nei polmoni, morire annegata nel proprio sangue. Affogata. Soffocata.
Come dev'essere dolce morire.
Poi sento qualcosa che si attorciglia intorno al bacino, e mi solleva verso l'alto. Non avrei dovuto schiantarmi al suolo?
Mi giro, Dragonair mi sta portando in volo verso la rupe dalla quale mi sono lanciata.
No! Stupido drago, come ti permetti? Non sai cosa vuol dire essere me, non sai quello che provo, tu non senti il dolore che provo. Perchè mi vuoi salvare? Fatti gli affari tuoi, non immischiarti nei miei. Tu non sei me. Tu non puoi giudicarmi.
Tu non devi giudicarmi.
Tu dovresti aiutarmi, dovresti salvarmi; non riportarmi indietro verso il dolore.
La mia salvezza è la morte. La vita è solo dolore e frustrazione.
Lo guardai dritto negli occhi.
Presi una pietra, dura e appuntita.
Cominciai a colpirlo ripetutamente, più e più volte, come le forbici nella mia gamba.
Lui rimaneva immobile a subire quei colpi. Reagisci. Reagisci. Almeno tu, ti prego reagisci. Scagliami a terra. Stritolami. Spingimi via. Corri via. Fai quello che vuoi, ma non subire. Eppure rimaneva fermo sotto i miei colpi, si accasciava sempre di più. Lacrimavo, ma non riuscivo a smettere. Lo stavo uccidendo. Lo stavo massacrando.
Stavo massacrando l'unica cosa che cercava di farmi stare in vita.
Stavo massacrando un mio amico.
Sandra, ti prego, FERMATI!
Finalmente riuscii a fermarmi. Quando ormai del suo corpo non era rimasto più nulla, solo la testa e la coda, il resto del corpo era un'ammasso di ossa, spezzate, interiora che si riversavano al suolo.
Corsi via.
Mi dispiace.
Non volevo.
Se fossi morta tutto questo non sarebbe mai successo.
Se fossi morta nessuno avrebbe dovuto più soffrire.
Sono una persona orribile.
La mia ansia e la mia ossessione per la mia vita mi sta portando a questo?
Quante cose orribili dovrò ancora scoprire di poter fare?
Non voglio saperlo.
Sei stata cattiva. Devi essere punita.
Presi la lametta che tenevo sempre con me. Ormai il gesto era istintivo. Uno due tre tagli da qualche parte del corpo, un punto ancora pulito, un punto ancora vuoto. Ogni cicatrice era un fallimento. Io ne ero coperta.
Stavolta no. Stavolta sono stata davvero terribile, merito di peggio. Chiusi gli occhi e mi passai la lametta sul volto. Un po' più a fondo e sarei rimasta cieca da un occhio, è un rischio da correre, ma forse, se non potessi vedere, forse non potrei stare così male. È allettante come idea.
Finii di passare la lama diagonalmente sul volto. Aprii gli occhi. Ci vedo ancora.
Sono ancora viva.
Merda.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Sono un mostro.
Non merito di vivere.
Mi siedo a tavola. Di fronte ho mia madre.
“È da parecchio che non rientra tuo padre”
“Sarà ancora nella capanna. Sai com'è fatto. Medita per giorni e poi scompare per qualche anno per studiare i Pokèmon Drago”
“Chissà se ha qualcosa da mangiare”
Qualcos'altro lo ha di sicuro.
Comincio a spiluccare qualcosa dal piatto, giusto per non svenire, un po' di frutta e un po' di verdura. Poi soffoco il dolore allo stomaco con litri di acqua.
Annega stupido stomaco.
Annega stupido corpo.
“Chissà se Lance sta bene.”
Lance.
Sempre e solo Lance, no mammina, non ti preoccupare se hai anche una figlia da qualche parte, non ti preoccupare se scappa di casa, non ti preoccupare se ti odia, non ti preoccupare se sta male.
Non ti preoccupare se sta per morire.
Guardami negli occhi. Non mi vedi morire?
No. Sei troppo impegnata a pensare solo al tuo unico figlio, vero? Così lontano da casa ma così vicino nel cuore, per accorgersi che forse hai anche una figlia, che sebbene abiti nella stessa casa ti è lontana. Sono forse un'inquilina. Un'appendice da togliere al più presto perchè da rogne.
Allora sbarazzati di me.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Anche tu mamma? Anche tu mi odi? Anche tu che dovresti essere l'unica persona al mondo che dovrebbe amarmi incondizionatamente?
Cos'ha Lance in più di me?
Cos'ha che io non posso avere?
Claire aveva ragione.
Non sarò mai abbastanza.
Non sarò mai abbastanza Lance per essere amata.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Eppure il mio corpo sta continuando a cambiare.
Mi alzo dal letto e mi guardo nuda allo specchio. Gli zigomi sono sempre più sporgenti, le occhiaie sempre più blu, ma per fortuna per quello esiste il correttore, le scapole spingono voracemente verso l'eterno, il seno è notevolmente diminuito, credo che ora possa stare comodamente in una coppa da champagne, e sotto, una...due... sei costole fanno ombra sulla pelle tirata, tanto da ricordarmi uno scheletro, Poi la pancia piatta, i fianchi inesistenti, e le creste ilache così fuori così perfette.
Almeno il mio scheletro è perfetto.
Almeno quello.
Mi butto sul letto.
Da quanti mesi è che non ho più un ciclo mestruale? Sette forse. Forse sono sterile. Forse lo sono diventata. Meglio così, non mi va di inquinare il mondo con il mio gene dell'inettitudine.
La mia sterilità è un dono al mondo.
Eppure quel corpo allo specchio non è ancora il mio. Non ancora.
Chi è quel corpo?
Chi sono io?
Perchè nonostante tutti i miei sforzi ancora non ho capito chi sono?
Perchè nonostante tutti i miei sforzi ancora non sono riuscita a liberarmi di me?

Quanto tempo è passato da quella sconfitta?
Due anni.
E non sono ancora riuscita ad avere un corpo che mi rispecchi, e non sono ancora riuscita a liberarmi di me.
Mi incamminai verso la mia vecchia palestra. Era così vuota, nessuno la reggeva più, e per me potevano morire tutti quanti. Avevo fallito. Non ero degna neanche di varcarne la soglia.
Andai alla grotta del Drago.
Mi buttai in acqua.
Una cosa pulita questa volta. Nessun osso rotto, nessun polmone perforato, nessuno cuore spezzato.
Pulizia.
Sapevo cosa dovevo fare, andare sott'acqua e respirare. Presto l'acqua sarebbe entrata nei miei polmoni, presto avrei smesso di vivere, presto tutto sarebbe stato più semplice.
Poi i Dratini faranno sparire il mio corpo per sempre. Si. Di me non rimarrà neanche una briciola.
Mi immergo sott'acqua, sento il peso del liquido sul mio corpo ancora per poco pieno d'aria, comincio ad inspirare, l'acqua mi brucia sulle ferite da lametta fresche. Brucia anche nei polmoni. Sopporto.
Mi merito questo dolore. Mi merito le cose più orribili del mondo. Mi merito di vivere nel dolore, ma sono troppo debole per farlo.
La mia forza si è rivelata debolezza. Sono inutile, non sono neanche stata capace di essere forte. Sono una buona a nulla. Una nullità.
Mi sollevo. Sempre più su. Qualcosa mi spinge da sotto. Ritorno a pelo d'acqua, respiro. Non ho più voglia di vivere, perchè questa continua lotta per la sopravvivenza?
Squame sotto la pelle.
Allora non ero io a volermi salvare.
“Kingdra!” Urlai. “Perchè anche tu, perchè?”
La guardai negli occhi. Sapevo che mi vedeva morire, sapevo che mi voleva bene, era il mio Pokèmon di punta, nessuno è mai riuscito a sconfiggerlo. Nessuno a parte quel Gold.
Credevo mi volessi bene. Non voglio il tuo aiuto, non ho bisogno di nessuno.
“Kingdra...” Ripetei.
“Vattene, non voglio farti del male”
I suoi occhi si riempirono di lacrime. Non piangere, sii forte, sei stata una buona amica, ma io non ho bisogno di amici, non ho bisogno di possibili persone a cui fare del male.
Kingdra rimase al mio fianco.
L'abbracciai forte. Ti prego vattene. Non dovevi salvarmi. Sono un mostro.
Kingdra mi guardò con degli occhi pieni di amore. Non morire. Sembrava dirmi.
Dovrò farlo prima o poi. Io ho deciso di anticipare quella data.
Non morire.
Devo farlo. È l'unico modo per ritrovare la pace con me stessa, per non dovermi più sopportare.
Non morire.
Questo è il mio inferno. Questo è il mio dolore. Non riesco più a sopportare tutto questo peso sulle spalle. Ho bisogno di morire. Ho bisogno di sentirmi leggera più di una farfalla. Ho bisogno di rinascere dalle mie ceneri come una fenice.
Presi il coltello. Lo strinsi forte tra le mie mani. La doppia lama mi tagliò il palmo e le dita. Non costringermi a farlo o dopo mi dovrò punire per questo.
Non morire.
Fu un gesto veloce, quasi liberatorio. Quel coltello conficcato nella sua gola, morbida e calda. Il suo corpo cominciò a diventare sempre più freddo, sempre più immobile.
Diedi un'ultimo sguardo ai suoi occhi.
Non morire, ti prego.
Perchè amici miei? Perchè vi lasciate morire così?
Dovete reagire dovete reagire.
Non fate come me. È questo quello che mi insegnate? Dovrei reagire io? No, sono troppo vigliacca per affrontare i miei problemi.
Non sono neanche capace di lasciarvi andare.
Devo uccidervi per permettermi di morire.
Sono davvero un mostro.
Sono una persona orribile.
Come potete sacrificare la vostra vita per una come me?

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Sono una fallita. Sono un danno. Non faccio bene nulla.
Ho provato ad essere la migliore. Fallita.
Ho provato a superare mio fratello. Fallita.
Ho provato ad essere Maestra Drago. Fallita.
Ho provato a farmi amare. Fallita.
Ho provato a liberarmi di me. Fallita.
Ho provato ad uccidermi. Fallita.
Fallita.
Questa parola rimbomba nella mia testa. Vado allo specchio. Barcollo. La testa è leggera, dentro però c'è un turbinio di pensieri. Ho la nausea. Sto male.
Alzo lo sguardo.
Claire.
Più magra del solito, con lo sguardo più cattivo. Gli occhi rossi sporgenti ed un sorriso pieno i denti aguzzi. “Fallita”
No, ti prego. Non anche tu.
Fallita.
No.
Fallita.
Basta.
Fallita. Fallita. Fallita. Verrai punita per questo.
Si. La punizione che libera da tutto, la punizione che mi porta via il sangue cattivo in me. Lametta. Scopro la pancia.
Comincio.

Ho perso molto sangue, probabilmente ho calcato troppo. Presto si cicatrizzerà e mi porterò in giro il marchio, il mio marchio come Hester fece con la sua lettera scarlatta.
Lei doveva indossare una “A” di Adultera, io ho inciso nella pelle quattro lettere: F-A-I-L.
Fallita.
Fallimento.
Dannata ad essere una fallita per l'eternità.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Non ho più la forza di camminare. Dovrei mangiare per reggermi in piedi, ma l'idea di toccar cibo, mi stomaca. Il sapore è sempre uguale per tutto, come mangiar plastica, l'odore è nauseabondo, e proprio non mi va.
Eppure gira la testa e non ho più forza.
Sono stanca.
Sono stanca della mia vita, sono stanca di questa situazione.
Mamma, Lance, qualcuno, perchè non vi accorgete di quanto sto male? Perchè non venite su a prendermi e mi portare fuori a vivere?
Sono rinchiusa in casa da 4 giorni, non voglio uscire e affrontare il mondo, uscire ed essere giudicata da quella gente che di me non sa nulla.
Non mi conosci, non giudicarmi.
Guardo le mie mani, piene di tagli.
Guardo le mie Pokèball. Una sola. La mia buona Dragonair. La prima che ho catturato da sola, per impressionare qualcuno che se ne frega altamente di me.
Un “Brava!” sarebbe bastato a farmi vivere ancora per un po'. Mi nutro di complimenti ed amore fittizio di una notte come una falena.
Aiuto.
Mi guardo allo specchio.
Quanto ancora devo cambiare per essere amata? Ormai mi si vedono solo le ossa, non ditemi di mangiare, non ho più la forza per farlo, non ne ho più l'abitudine. Guardate il mio corpo, così diverso rispetto a quando era pieno di cibo.
Ma non ancora abbastanza. Quello ancora non è il mio corpo. Quello ancora non sarà mai amato.
Mai quanto Lance.
Lance.
Scatto in piedi e prendo una forbice. So cosa fare. Velocemente l'avvicino alla testa.
ZAC.
Un colpo secco, via via via... sempre con più foga, sempre con più rabbia. Via intere ciocche di capelli.

Zac zac zac.

Via tutti, solo pochi ciuffi, che ho colorato di rosso. Ora ho anche i capelli di Lance, ora posso essere uguale a lui. Ora sono lui.
Ora mi ameranno come lui.
Voi mi amerete.
Fosse l'ultima cosa che faccio.

No.
No!
NO!
Non ci siamo ancora, ancora non sono io quell'immagine. Ancora non mi somiglia. Cosa devo fare? Cosa devo cambiare per essere amata? Per amarmi...
Mi guardo allo specchio, somiglio più ad uno scheletro che ad una donna, ma non somiglio a Lance. E non somiglio a Sandra.
Sono ancora un guscio imperfetto, sono ancora una delusione. Cos'altro posso fare? Cos'altro devo cambiare?
Chi sono io?
Fallita.
Alzo lo sguardo, al di là dello specchio c'è Claire. Claire! Ti prego aiutami, aiutami ad essere come te, me l'avevi promesso, mi avevi promesso che se avessi fatto tutto quello che dicevi sarei stata perfetta. Aiutami.
Fallita.
Lo sguardo oscuro di Claire stava cominciando a svanire e con lui anche il suo corpo magro e snello, non questo mucchietto d'ossa che mi ritrovo. Al suo posto ritornò la solita immagine che mi lancia lo specchio, un corpo imperfetto, indegno, inutile.
No!
Resta con me. Aiutami!
Non lasciarmi sola con lei, non lasciarmi sola con me stessa!
Comincio a battere sempre più forte le mani sullo specchio, come a romperlo, come per entrarci, andare dall'altra parte dello specchio, con Claire, dove tutto è prefetto, dove tutto è migliore, dove potrò sentirmi a mio agio.
Lontano da qui, lontano da tutta questa gente che mi odia, lontano da dei genitori troppo ciechi per vedermi, lontano dai miei Pokèmon che mi ostacolano.
Batto sempre più forte, i miei pugni cominciano a infrangere il vetro dello specchio, lo disintegrano e le schegge di vetro mi perforano la pelle, resisto resisto. Lo specchio e le crepe dei pugni cominciano a tingersi di rosso scuro, il mio sangue e pezzetti di carne colano fino al pavimento della camera.
Piango.
No! Ti prego! Portami via da me!
Sono esausta, ma non mi arrendo, comincio a grattare con le unghie la superficie, ma è davvero dura, i polpastrelli si lacerano e le unghie si staccano dalla pelle e rimangono attaccata alla superficie liscia del vetro. Ormai sono disperata. Batto e graffio con la sola forza di volontà, finchè non mi ritrovo distesa al suolo ad annaspare nella pozza del mio sangue e di schegge di vetro.
Le mie dita si sono distrutte, rovinate, spezzate e senz'unghie. I due mignoli ormai sono un unico ammasso di carne, si riescono a vedere i nervi e parte delle ossa. Fantastico, mi sono pure fottuta le dita.
Ma non mi importa. Nulla è più importante di essere me, di diventare me. Qualsiasi cosa io sia.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Dove sono i colori?
Ormai la mancanza di cibo comincia a farsi sentire. Obbligami mamma a mangiare, portami il piatto in camera, chiedimi se sto bene ed io mangerò. Ti prometto che mangerò se mi darai attenzioni per una volta.
Accorgiti di me, ti prego.
Liberami da questo peso.
Non ho la forza di uscire di casa, o forse semplicemente non mi va. Non ho la forza nemmeno di sollevarmi dal letto. Sono stanca. Sono davvero esausta.
Essere perfetta comporta davvero tutto questo?
Quanti anni della mia vita ho perso a inseguire un sogno di perfezione che non otterrò mai?
Chi sono io?
La mia vita è grigia e piatta, forse non ho neanche più la forza di pensare. Mi aggiro per la casa come uno zombie, le occhiaie mi infossano gli occhi e le cicatrici non sono un bel vedere, sopratutto quella che mi taglia a metà il volto. Quella non la posso nascondere. Anche se quella che brucia di più è la scritta incisa sulla pancia.
Il mondo è grigio.
Sono davvero così stanca da non riuscire più a vedere i colori.
Sono come una larva, che si rotola in attesa che qualcuno la rimetta in piedi, attende in attesa che sopraggiunga la morte. Non mi da neanche più fastidio mamma che parla solo di Lance, non mi danno più fastidio i commenti della gente sulla palestra chiusa da anni, non mi da più fastidio neanche il mio corpo.
A breve se ne andrà.
A breve me ne andrò.
Sono grigia, fredda, apatica.
Non mi interessa più nulla, continuo a digiunare, come una bambina che mangia tutti i giorni alle 7 di sera e tutti i giorni alle 7 ha il suo rito della cena, io ho il mio. Scendo a tavola, mangio una mela e un piatto di insalata. Vado di sopra e scarico tutto nella porcellana del WC. Semplice e lineare, come una macchina, come una produzione in serie.
Qualsiasi cibo ha lo stesso sapore.
Qualsiasi avvenimento ha lo stesso sapore.
Ogni cosa ha sempre lo stesso sapore.
Di aria.
Di vuoto.
Di nullità.
Sono apatica, nulla mi fa risvegliare.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Distesa sul letto, devo dormire, non ci riesco.
Poi eccole, delle mani, scheletriche come rami secchi escono da sotto il letto e si appoggiano sul lenzuolo. Da lì si solleva un mostro, magro e scheletrico, fragile come un ramo spezzato ma forte di rabbia e dolore. I capelli blu inchiostro, spenti e opachi, lame che fuoriescono da una bocca più larga del normale, aperta in un sorriso alquanto inquietante, il sorriso di chi sorride alla sua preda prima di dilaniarla a brandelli. Gli occhi, scuri, neri, lucidi di cattiveria ed odio.
Claire.
Sei un mostro.
No, cara. Tu sei il mostro, io mi sono nutrita di te. Io avevo bisogno di te, della tua pazzia e del tuo dolore per crescere. Mi sono finta bella per attirarti a me. Ora tu sei mia. La tua anima è mia. Sei in mio potere e non riuscirai mai a liberarti di me. Io sono il mostro che tu sei diventata.
Io non sono quel mostro.
Hai ucciso tuo padre, spezzato il cuore ai tuoi amici e nel momento in cui cercavano di salvarti li hai uccisi, convinta che ti remassero contro.
No!
Ti stai autodistruggendo, ed io ti ho permesso di farlo.
No!
Si. Presto morirai, per sempre. Ed io andrò a uccidere ancora.
Chi sei tu?
Sono la tua ossessione, la tua paranoia, il tuo digiuno, la tua lametta. Sono la tua malattia.
Vattene.
Troppo tardi.

Mi tirai seduta sul letto di soprassalto, forse troppo, mi girò la testa velocemente e vorticosamente. Mancanza di zuccheri e sali minerali.
Forse sto per svenire.
Forse sto per morire.
Sono davvero un mostro?
Si, certo che lo sono, sono una fallita e sono un mostro.
Claire mi ha davvero reso così?
Perchè mi sono fidata di lei?
Perchè non ho lasciato che mi salvassero?
Perchè ho minato il terreno intorno a me?
Sono una stupida. Una stupida inetta, buona a nulla.
È colpa mia, se li avessi ascoltati, se fossi stata più buona, se fossi stata più calma.
Rimango così immobile, oppressa da tutti questi pensieri, le lacrime escono dagli occhi senza sforzo, ma presto di asciugano. Non ho neanche più la forza di piangere.
Lascio che tutto questo mi venga spinto addosso.
Ed io resisto senza fare nulla.
Come Dragonair sotto i colpi della pietra.
Sono un mostro vi ho lasciati morire senza poter fare nulla. Accecata dall'odio e dal dolore.
Vi siete sacrificati per me.
Ed io vi ho deluso, per l'ennesima volta.
Non merito nulla, non merito di vivere.
Sono un mostro. Ecco chi sono.
Sono una brutta persona. Ecco chi sono.
Sono imperfetta. Ecco chi sono.

Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

Affondo il viso nelle mani, sento le ossa perforarmi la pelle. Come mi sono ridotta a tanto? Come mi sono consumata così? Perchè nessuno mi ha fermato? Mamma, perchè non hai cercato di salvare tua figlia?
Scendo piano le scale, voglio uscire. Voglio mettere fine a questo dolore.
Recupero la mia ultima Pokèball. La mia amata Dragonair.
E tu Dragonair, cosa farai?
Si accende la luce.
“Sandra, che ci fai sveglia a quest'ora?”
“Esco”
“Adesso?”
“Si”
“E dove vai?”
“Cazzi miei”
Prendimi a schiaffi come hai sempre fatto, impediscimi di uscire, insisti, insisti a voler tenere in vita tua figlia, costringimi a vivere.
Almeno questa volta.
Almeno una volta.
È l'ultima volta.
“Okay. Non fare tardi, domani torna Lance a casa, devo preparargli una bella torta”
Ancora Lance, ancora lui, sempre e solo lui.
“Ti odio! Vi odio! Vi odio tutti! E voi odiate me! Bene, se non sopportate così tanto la mia presenza vedrò di scomparire un'altra volta e questa volta per sempre”
Incredibile come le parole siano uscite dalla mia bocca, le stavo solo pensando. Da quando ho tutta questa forza?
“Non essere sciocca, lo sai che Lance riceve più attenzioni solo perchè è il mio bambino. Tu sei grande, te la puoi cavare da sola”
No, non sono in grado di cavarmela da sola, ho bisogno di un aiuto che tu non sei capace di darmi.
“E comunque, non far più queste scenate, Lance non le ha mai fatte. Lui si che è un bravo figlio”
Un tuffo al cuore, di nuovo.
Cos'ha Lance che io non ho. Perchè amate lui e non me?
Perchè mi odiate in questo modo?
Cosa vi ho fatto?
Sono nata. È questa la risposta, voi non volevate una figlia femmina vero? Voi volevate da subito Lance, ed invece vi sono capitata io, una donna. Quale disgrazia, quale onta per la famiglia che si dica in giro che la primogenita del grande Clan dei maestri Drago è una donna.
Sono nata. È questo il motivo.
Beh, d'ora in poi avrete un solo figlio.
Lance.

Esco di casa. Che ore saranno? L'aria è fresca da primo mattino, la rugiada si accumula sulle foglie d'erba, ma è ancora molto buio.
Ritorno alla Grotta del Drago, stavolta nulla potrà fermarmi.
Faccio uscire dalla Pokèball la mia Dragonair, i suoi occhi erano tristi e mesti. Piangeva. Non piangere piccola mia, non è colpa tua.
“Da che parte stai?”
Sfiorò il suo muso con il mio volto, mi accarezzò la cicatrice. E pianse.
“Bene.”
Presi una corda e me la legai intorno ai polsi e al collo di Dragonair.
“Nuota, portami dove non posso più sentirmi viva”
Ci immergemmo nell'acqua vorticosa e torbida. Probabilmente dovuto ai due cadaveri che lì non troveranno mai pace.
Brucia.
L'acqua salina brucia sulle mie ferite.
Sopporto, è l'unica cosa che ormai so di essere capace di fare. Sopportare.
Le corde sono legate molto strette sui polsi e Dragonair va davvero veloce. L'acqua la fa stare bene. Almeno lei sta bene.
Stringono e spaccano la mia pelle.
L'acqua salina me la cuoce.

Presto trovai una rientranza nella roccia. Lì. Quella sarebbe stata perfetta.
“Lì, piccola. Andiamo lì”
L'interno della grotta era umido e freddo, gocce d'acqua cadono dall'alto.
Drip Drop.
Qua è perfetto come tomba, la mia ultima tomba.
“Dragonair” lanciai la Pokèball in acqua, la vidi affondare “sei libera ora.”
Dragonair rimase al mio fianco.
Anche tu piccola mia?
La guardai negli occhi.
Non sei sola.
Non sono sola?
Cosa intendi piccola mia?
Non sei mai stata sola. Non ti lascerò ora.
“Vuoi rimanere con me?”
Fece lo stesso dolce gesto che fece alle porte della grotta. Non mi vuoi lasciare, no vuoi abbandonarmi.
“Grazie”
Sussurrai abbracciandola forte. Anche tu. Anche tu ti sacrificherai per me. Anche tu morirai a causa mia. Piango. Si piango. Voglio piangere. Voglio essere debole. Voglio che qualcuno mi veda piangere e mi consoli.
Qualcuno come Dragonair.
Ma è tardi ormai.
Ci distendemmo a terra. Ero stanca, come sempre.
Dragonair mise la sua morbida coda sotto la mia testa, come un cuscino, dolce piccola amica mia. Staremo qua, distese. Attendendo che la vita ci passi davanti.
Insieme.
Come sempre.
Ho freddo.
Buonanotte Dragonair.


Sorridere come se servisse a qualcosa.
Sanguinare come se non facesse male.

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