Zwischen Wald und Dorf

di Fatelfay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Im Dorf ***
Capitolo 2: *** Im Wald ***



Capitolo 1
*** Im Dorf ***


Zwischen Wald und Dorf




1. Im Dorf



Non c’è nulla da temere nel varcare i confini della foresta. Felce ne è profondamente convinta, sebbene tutti al villaggio dicano il contrario. La osserva attentamente, dal piccolo posto appartato che ha scoperto solo qualche anno prima, mentre giocava a nascondino con le altre ragazze e gli altri ragazzi del villaggio. Seduta sull’erba, attenta a non sporcarsi troppo, contempla le prime file di alberi del bosco, resistendo alla forte tentazione di avvicinarsi di più e inoltrarsi oltre di esse. Sebbene si narri che un mostro governi la foresta e uccida tutti gli intrusi, Felce non ci crede e continua a rimirarla da lontano. Ogni tanto sente dei rumori provenire da essa e qualche uccello vola più in alto delle chiome. A seconda del modo e della velocità con cui essi emergono dal verde per tuffarsi nel cielo azzurro, Felce sa esattamente che volatile sia. Ciò che è connaturato al suo animo, però, è il riconoscere qualsiasi tipo di albero, fiore, pianta, arbusto cresca intorno al villaggio, senza alcuna esitazione e senza sbagliarsi mai. Le basta avere una foglia, un petalo, un gambo o un frammento di corteccia e riconosce senza dubbio da dove provengano. Nessuno al villaggio sa come lei ne sia capace ma, dopo aver constatato più volte la bravura della ragazza, tutti si fidano ciecamente di lei. Felce controlla ogni pianta con attenzione e dubita che, senza quell’abilità, sarebbe trattata allo stesso modo, eppure scorda tutto ciò mentre osserva la foresta stagliarsi contro il cielo. Felce non la teme e non crede nemmeno che il mostro esista. Pensa piuttosto che esso sia solo una favola raccontata ai bambini per non farli avvicinare troppo al bosco e rischiare di perdersi, ferirsi o incontrare animali poco amichevoli.
Quando il sole, scendendo nel cielo, raggiunge la sommità verdeggiante degli alberi, Felce si alza e corre, senza fretta, a casa. Sale i tre gradini che innalzano la porta da terra, apre l’uscio e sente il profumo della cena pronta. Scivola in casa, si richiude la porta alle spalle e va in cucina. Sua madre ha già apparecchiato la tavola e le sorride gentilmente.
- Vai a chiamare i tuoi fratelli e le tue sorelle. Fra poco ceniamo.- Le dice sua madre, mentre gira con un mestolo di legno la minestra nel pentolone appeso sopra il fuoco del camino. Felce esce dalla cucina e sale le scale che portano al piano superiore dove ci sono tutte le camere da notte. Entra in quella dei due gemelli Kira e Sean e li trova intenti a rotolarsi per terra, nel tentativo di bloccare ognuno il proprio fratello al suolo. Nessuno dei due sembra poter avere la meglio. Hanno sedici anni ed è da quando hanno imparato a gattonare che provano a stabilire chi dei due sia il migliore. Felce sorride, pensando che molto probabilmente nessuno dei due riuscirà mai ad avere la meglio sull’altro.
- Kira, Sean è pronto. La mamma vi aspetta di sotto.- Li avvisa lei e cerca di non ridere quando i due ragazzi alzano i volti scuri su di lei. Hanno i capelli neri e arruffati, uguali a quelli di mamma; gli occhi sono invece marroni, più chiari di quelli della donna. Sean ha un labbro rotto e Kira un graffio sulla guancia. Quest’ultimo non ha ancora lasciato la presa sulla maglia del fratello, steso in parte sotto di lui. Dal canto suo, Sean ha ancora un piede conficcato nell’anca dell’altro.
- Dovreste smetterla: sapete quanto mamma non gradisca che facciate a botte.- I due ragazzi sbuffano allo stesso modo e si lasciando finalmente andare. Kira rotola sul fianco e guarda il gemello, entrambi con il respiro affannato. Poi si alzano in contemporanea e si rassettano allo stesso modo i vestiti.
- Sistematevi e scendete. Forza.- Li incoraggia Felce e sparisce oltre l’uscio. La ragazza bussa alla porta successiva ed entra. Trova Micol intenta a pettinare i capelli scuri di Ilenia.
- La cena è pronta.- Felce avvisa anche loro e il volto di bambina di Ilenia si volta verso di lei.
- Scendiamo subito!- Dice, poi trattiene a stento un gridolino. La maggiore le ha tirato leggermente i capelli per farla tornare a guardare il piccolo specchio sul tavolino, proprio davanti a lei.
- Dì a mamma che arriviamo fra cinque minuti. E tu sta’ ferma che altrimenti non riesco ad appuntarti bene la treccia.- Dice la maggiore, prendendo una molletta dalle labbra e mettendola fra i capelli della minore per tenerle ferma una ciocca ribelle.
- Va bene.- Dice Felce ed esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Micol ha già diciannove anni eppure nessun ragazzo le si è ancora avvicinato. Felce sa esattamente perché e le dispiace molto, anche se non può aiutarla. Almeno Ilenia, che ne ha solo dodici, ha un’ottima sorella maggiore che si preoccupa e si occupa costantemente di lei. Felce non prova nemmeno ad entrare in camera propria per chiamare Dennis. Sa già che è con papà e che ritornerà solo al tramonto. Felce spera che stiano entrambi bene e scende le scale per andare in cucina.
Trova i gemelli già seduti a tavola, i cucchiai stretti nei pugni, impazienti di iniziare a cenare. Felce si accomoda alla destra di Kira e lancia uno sguardo ammonitore a Sean, seduto dirimpetto al fratello. Quest’ultimo fa una smorfia seccata e lancia un’occhiata complice al gemello. Ha un ghigno particolare e una strana luce gli attraversa gli occhi. Felce fa un lento segno di diniego per ammonirli dal commettere qualsiasi follia abbiano in mente. Sa già che si vogliono mettere nei guai ma non riesce ad immaginare nei dettagli quali siano le loro intenzioni. Poco dopo si sentono i passi di Ilenia e Micol scendere le scale e, qualche secondo più tardi, le due sorelle appaiono in cucina. La madre sorride vedendo la maggiore tenere le mani sulle spalle della minore, come a volerne esibire la bellezza infantile. Felce ammira l’acconciatura semplice ma ricercata della sorellina. È semplicemente magnifica e rende la piccola un vero incanto: i capelli sono raccolti in una coroncina che le cinge il capo e le scendono dietro l’orecchio destro, fino a riposarsi sul petto, in una finissima treccia. L’acconciatura è impreziosita dai fiorellini bianchi infilati ad opera d’arte fra di essi.
- Mamma! Guarda come mi ha sistemato i capelli, Micol! Sono bellissimi!- Grida la piccola, piena d’orgoglio. La madre le sorride.
- Sono davvero bellissimi. Micol ha delle mani incantevoli. L’hai ringraziata?- La più piccola annuisce e Micol conferma:- Sì. Mi ha anche abbracciato.- Le due sorelle si siedono a tavola, alla sinistra di Sean, la maggiore in mezzo. La madre serve la minestra nei piatti dei figli e si accomoda a un capo della tavola, in modo da avere Ilenia alla propria destra e il posto vuoto del figlio più grande alla propria sinistra. Distende le braccia sulla tavola e i figli fanno altrettanto. Si stringono tutti le mani, formando un cerchio.
- Ringraziamo di essere tutti qui seduti a tavola, pronti a cenare in allegria, riscaldati dall’affetto della nostra famiglia. Siamo grati di avere un’ottima minestra questa sera e di avere una casa calda e accogliente.- Dice la madre e tutti si lasciano le mani.
- Buon appetito!- Esclama tutta la famiglia in coro e finalmente si avventano sulla cena.
Dopo aver finito la zuppa, la famiglia si divide e la madre va a mettere a letto i figli, mentre Micol e Felce lavano i piatti e sistemano la cucina. La maggiore non degna di uno sguardo la minore e cerca in ogni modo di non sfiorarla mentre le passa i piatti da lavare. È sempre stato così: Felce lava e asciuga, la maggiore sparecchia la tavola.
- Puliscili bene. Non voglio essere rimproverata da mamma perché non riesci a fare una cosa così semplice.- Le dice Micol con voce aspra. Felce annuisce e non risponde. Sono le solite frasi ogni sera e la minore sa bene che non c’è modo di far sì che la situazione migliori. Micol sale silenziosamente le scale e va in bagno a cambiarsi, mentre Felce finisce di sistemare la cucina.
Fuori dalla finestra, il cielo è tinto di rosso, mentre il sole scompare oltre l’orizzonte, nascosto alla vista della ragazza dalle case del villaggio. Felce ha appena finito di sistemare tutto, quando la porta di casa si apre e si sentono i passi pesanti di due uomini entrare. La ragazza li ha riconosciuti prima ancora che salissero i tre gradini fuori dall’entrata. Sono suo padre e Dennis, appena tornati dalla caccia. La ragazza accende due candele e le posa in centro alla tavola per illuminare maggiormente la stanza. Versa la zuppa tiepida nei piatti e li mette in tavola, uno ad un capo, quello opposto a dove si siede la mamma, e l’altro al posto che rimane vuoto tra quest’ultima e lei, ogni volta che si siedono per la cena. I due uomini giungono in cucina e si accomodano.
- Hai passato una buona giornata?- Chiede il padre e Felce annuisce.
- Sì. Voi?-
- Abbastanza. Dennis ha preso uno scoiattolo.- La ragazza si volta e vede il sorriso compiaciuto sul volto del fratello maggiore.
- L’ho centrato in un occhio.- Afferma orgoglioso e Felce non può fare a meno di sorridere.
- Complimenti. L’avete già venduto al macellaio?- Il padre annuisce, mentre mischia la zuppa con il cucchiaio. Aspetta, come al solito, che la sua consorte scenda a fargli compagnia. Anche Dennis aspetta, non osa nemmeno assaggiare la zuppa prima di suo padre. La madre arriva dopo un paio di minuti; fuori il cielo inizia a scurirsi. La donna si siede accanto al marito, i capelli scuri raccolti in una crocchia stretta e il viso sorridente. Sovrappone la propria mano destra a quella del marito, incrociando tra di loro le dita. Solo allora, l’uomo assaggia la minestra.
- È davvero ottima.- Si congratula con la moglie, il cui sorriso si allarga maggiormente. Le brillano gli occhi di amore e i due figli allontanano lo sguardo da loro. Felce si siede al posto solitamente della madre e guarda Dennis mangiare velocemente. Sanno entrambi benissimo che prima si allontanano dalla cucina, meglio è. Appena il fratello maggiore finisce di mangiare, si schiarisce leggermente la voce per richiamare l’attenzione dei genitori. Il padre gli fa un cenno con il capo, dandogli il permesso di alzarsi da tavola. Dennis sparecchia e mette i piatti nel lavandino. Sarà poi sua madre a lavarli, per condividere quell’azione quotidiana con il marito. Felce intanto si è alzata anche lei e, mentre il fratello dà loro le spalle, si avvicina al padre e si lascia abbracciare, scoccandogli un tenero bacio sulla guancia. Sciolgono l’abbraccio immediatamente e, quando Dennis si volta, la sorellina è in piedi accanto al suo posto.
- Buona notte.- Augurano i figli ai genitori, che contraccambiano, e salgono insieme le scale. Felce apre la porta della loro camera e la richiude alle spalle del fratello maggiore. Accende un paio di candele per rischiarare la stanza e le dissemina sul tavolino e sui comodini accanto ai letti. Nessuno al di fuori della famiglia sa che condividono la stanza. Per loro non è mai stato un problema, anche quando hanno iniziato, prima Dennis e poi Felce, ad affacciarsi alla pubertà e all’età adulta. Il loro legame di fratellanza è forte e particolare, quasi quanto quello dei gemelli.
Dennis si lascia cadere seduto sul letto e Felce si siede ai suoi piedi per slacciargli gli stivali. Ne osserva la suola per qualche secondo, ne respira l’odore e li appoggia nell’angolo. Dennis sospira e muove lentamente le dita dei piedi, ancora strette nei calzini vecchi del padre.
- Allora, com'è andata?- Chiede la ragazza mentre gli sfila i calzini. Un altro sospiro esce dalle labbra del ragazzo mentre le sue dita dei piedi si muovono con più libertà.
- Massacrante.- Dice soltanto e Felce prova a trattenere una risata.
- Papà mi ha fatto rimanere appostato in un buco tra due alberi per un’intera ora, prima di tornare a prendermi. E l’unica cosa che ha detto è stata: “Dieci quaglie, tre scoiattoli e sei lepri? Potevi prenderne qualcuna in più.” Ho fatto un’ottima caccia e mi ha detto che potevo fare di meglio. Non si accontenta mai.- Borbotta Dennis, passandosi una mano fra i capelli. Anche lui ha la pelle scura tipica della loro famiglia e Felce si perde per l’ennesima volta a fissarla. Dennis se ne accorge subito e si tira leggermente su con il busto. I suoi occhi neri, come quelli della madre incontrano quelli verdi di Felce. La ragazza distoglie lo sguardo e si sfrega le mani tra di loro. La sua pelle è leggermente più chiara degli altri suoi parenti, ma non abbastanza da passare inosservata.
- Smettila di pensarci. Tu fai parte della nostra famiglia a tutti gli effetti. Quante volte dovrò ancora ripetertelo?- Felce si alza e si dirige verso il proprio letto. Dennis si alza e fa per raggiungerla, ma lei ha già preso il pigiama da sotto il proprio cuscino e si sta spogliando, guardando il muro. Il fratello maggiore si volta, dandole le spalle, e si prepara per andare a dormire. Appena sente Felce sistemare il letto, si volta e la raggiunge. La ferma mentre è ancora seduta, le coperte aperte che le scoprono le gambe avvolte nella camicia da notte. Le afferra una mano, inizia ad accarezzarle il dorso con il pollice, mentre con l’altra mano le accarezza i capelli. La osserva attentamente in viso e sospira.
- Sono serio quando dico che sei mia sorella oltre ogni dubbio e anche gli altri ti ritengono tale. Per mamma e papà sei figlia loro come tutti gli altri. Non devi mai pensare che non sia così.- Ripete il giovane uomo, mentre le accarezza la guancia. Lei si appoggia a quel palmo grande, caldo e gentile, su cui prendono già forma i primi calli.
- Per Micol non è così.- Gli fa notare lei e lui alza gli occhi scuri al soffitto, sbuffando.
- E lasciala perdere. Lei ti vuole bene, solo che ha i suoi problemi. Sai com’è: è quasi irraggiungibile e nessuno osa avvicinarsi a lei, anche se è in età da matrimonio. È così esigente da spaventare tutti i ragazzi, nonostante abbia l’ammirazione di ognuno di loro, ma non ce l’ha con te.- Prova a rassicurarla di nuovo lui, come fa ogni sera.
- Lo so, ma lo sai che non è proprio così.- Dennis allontana le proprie mani da lei e si stropiccia il volto, cercando di mantenere la pazienza.
- Hai la stessa testardaggine di papà.- Dice e torna a guardarla sorridendo. Non gli importa se lei ha i capelli e gli occhi verdi come le chiome degli alberi e la pelle di una tonalità più chiara della sua: quella è e sarà sempre la sua sorellina Felce. Le dà un bacio sulla fronte e la abbraccia a lungo. Poi lascia che ella si sdrai e le rimbocca le coperte. Si infila nel proprio letto e rabbrividisce: le coperte sono gelide.
- Buona notte.- Sussurra.
- Buona notte.- Si sente rispondere, mentre spegne la candela e la stanza piomba nell’oscurità.

La mattina seguente, Felce si sveglia con i primi raggi dell’alba, ancor prima che il gallo canti. Dennis si sveglia poco dopo, premendosi il cuscino sulle orecchie appena sente l’animale mattiniero annunciare il sorgere del sole. Il giovane uomo mugugna e sbuffa ma alla fine si alza. Felce si è già lavata il viso e vestita. Si assicura che il fratello non si riaddormenti, poi esce dalla camera, scende le scale e va in cucina, dove aiuta sua madre a preparare la tavola e la colazione. Il resto della famiglia arriva quando ormai è già tutto pronto, Ilenia e Micol per ultime come al solito.
Si siedono tutti intorno al tavolo, i genitori ai capi della tavola. Kira prende posto alla destra del padre e accanto a lui si accomodano Felce e Dennis, mentre davanti a lui c’è il suo gemello, alla cui sinistra seguono Micol e Ilenia. Si stringono nuovamente le mani, formando il cerchio completo e la madre parla.
- Ringraziamo di essere tutti qui seduti a tavola, pronti a fare colazione in allegria, riscaldati dall’affetto della nostra famiglia. Siamo grati di iniziare presto questa giornata e con il cielo sereno e che ognuno di noi possa svolgere serenamente i propri compiti.- Detto ciò, tutti si lasciano le mani e osservano i genitori. Appena questi iniziano a mangiare il pane, i figli si avventano sulla colazione.
È una mattina come tante altre; i gemelli litigano e si lanciano pezzi di pane, facendo canestro nella bocca aperta dell’altro. Il padre prova a richiamarli all’ordine, ma lo fa senza molta convinzione. Ilenia ride e Micol sospira, scuotendo la testa contrariata. Dennis e Felce sorridono e finiscono in tranquillità la loro ciotola di latte caldo, la loro fetta di pane e la loro metà di mela. Dopo aver ricevuto il cenno d’assenso dalla madre, si alzano e ripongono le loro scodelle nel lavandino, poi salgono in camera. Ciascuno finisce di prepararsi, poi si voltano per controllarsi a vicenda di essere in ordine. Felce sistema la maglia al fratello maggiore e gli passa le dita nei capelli. Glieli scompiglia e sorride contenta del risultato. Lui sbuffa contrariato, ma non fa niente per riordinarli.
- Devo proprio averli che puntano in tutte le direzioni, vero?- Borbotta e lei annuisce vigorosamente. Si siede a gambe incrociate sul letto appena rifatto e dà le spalle al fratello. Lui le si avvicina con in mano la spazzola e borbotta ancora:- Non imparerai mai a farti la treccia, vero? Li hai almeno pettinati?-
- Sì, ho tolto tutti i nodi.- Risponde lei e chiude gli occhi mentre il fratello inizia a spazzolarle delicatamente i capelli delle mille tonalità di verde. Li divide in tre piccole ciocche e parte a intrecciarli da un punto poco sopra l’orecchio sinistro della sorella. Scende, raccogliendo man mano i capelli, e la treccia avvolge delicatamente la base della nuca della sorella, fino a raggiungere la spalla destra e continua normalmente. Assomiglia molto a quella che aveva Ilenia la sera precedente e, appena Dennis termina la treccia, la ragazza si accarezza delicatamente i capelli con le dita sottili, per sentire l’acconciatura. Si alza e si guarda allo specchio, rimirando l’opera del fratello. Poi si volta sorridente e lo abbraccia.
- È bellissima.- Lo ringrazia e gli dà un bacio sulla guancia. Si assicura un’ultima volta che Dennis non abbia niente fuori posto, poi lo saluta ed esce dalla stanza augurandogli buona giornata.
- Non fare tardi!- Sente il fratello gridarle dietro.
- E tu stai attento al mostro!- Ribatte lei e sa di averlo fatto sorridere.
Felce esce di casa, salutando i parenti che incontra. Prende il suo solito cestino, appeso al gancio accanto alla porta, mezzo coperto dalle giacche di suo padre e suo fratello maggiore. Esce di casa e si guarda attorno: la strada è larga, le casette di legno hanno i tetti spioventi e più piani, le finestre hanno le imposte e le porte sono rialzate dal suolo. Il terreno è battuto, leggermente secco, e si possono vedere i segni delle ruote dei carretti. Il cielo è ancora rosato, mentre il sole, invisibile dietro le abitazioni, sorge. Felce chiude gli occhi e si riempie i polmoni dell’aria frizzante di metà primavera. Sente la vita, gli animali correre, le piante crescere, i fiori germogliare e sbocciare, il bosco chiamarla. È una tentazione a cui è difficile resistere, ma Felce stringe le labbra e spalanca gli occhi sul suo villaggio. Sorride, pensando che è un nuovo splendido giorno ricco di vitalità e comincia a svolgere i suoi compiti.
Per prima cosa, va ad assistere Rebecca, la signora più anziana del villaggio, che aveva già cinquant’anni quando Felce è arrivata. Sebbene la veneranda età e i numerosi nipotini, la signora continua la sua solita vita: va al mercato, si prepara da mangiare, rammenda i vestiti e dispensa utili e saggi consigli a tutti i compaesani che le chiedono aiuto. Felce raggiunge la casa dell’anziana in un quarto d’ora di camminata. Sale i soliti tre gradini e bussa alla porta scura. Aspetta qualche minuto, poi l’uscio si socchiude e si intravvede il volto della padrona di casa. La ragazza non ha il tempo di salutarla né di dire niente, che la donna ha già chiuso la porta, rimosso la catena e riaperto l’uscio. Le lascia lo spazio per entrare e Felce si accomoda in casa. Come tutti i giorni si dirige in cucina e appoggia la propria cesta sul tavolo, prende da essa il proprio grembiule e lo indossa.
- Cosa cuciniamo oggi, Rebecca?- Chiede con un sorriso radioso. La donna stringe le labbra in una linea dura, di quelle che di solito preannunciano una lunga e severa sgridata e alte urla. Poi il suo volto si rilassa, gli occhi piccoli e neri si colmano di bontà e sorride. Le infinite rughe di saggezza, che le corrono lungo il viso, si distendono mentre le si avvicina con passo spedito.
- Pensavo di fare dei biscotti all’anice. Ne ho conservato un po’ dal raccolto dell’anno scorso. Spero che me ne porterai un po’ anche quest’anno.- Dice strofinando tra di loro i palmi delle mani rugose. Gira per la cucina con sicurezza, aprendo armadietti, prendendo vasetti, scegliendo le posate, chiudendo i cassetti. Appoggia tutto con cura e attenzione sul tavolo, già nell’ordine in cui li utilizzerà. Felce la osserva catturando ogni dettaglio, senza perdere nemmeno una sfumatura di movimento. La luce che entra dalla finestra alla sua destra illumina delicatamente il tavolo di noce; la porta chiusa di fronte a lei conduce al resto della casa, quella piccola alle sue spalle si apre sull’orto e ha una finestrella rotonda, da cui entrano i raggi delicati che le accarezzano le spalle. La parete destra è coperta di scaffali e credenze. Felce può leggere i titoli di una dozzina di libri di cucina, tutti vergati con una scrittura delicata e curata. Non ha mai visto così tanti libri tutti in una stanza e, ogni volta che cucina con l’anziana Rebecca, si perde qualche minuto ad ammirarli, chiedendosi cosa ci sia scritto su quelle pagine.
- Ragazza, mi stai ascoltando?- La voce leggermente seccata dell’anziana donna richiama la sua attenzione. Annuisce immediatamente e si mette subito all’opera. Osserva attentamente le mani rugose di Rebecca misurare con precisione gli ingredienti, versarli nella propria ciotola, quasi accompagnandoli delicatamente nel loro viaggio con un leggero movimento delle dita, prima di passarli a lei. Felce imita ogni gesto al meglio delle sue possibilità, sforzandosi di ricordare ogni parola crepitante e morbida che esce dalle labbra secche dell’anziana donna. Accoglie con insaziabilità ogni consiglio, ogni critica, ogni correzione, ogni raccomandazione. Sa che quello che sta imparando è qualcosa di più dell’imparare a cucinare, sa che c’è qualcosa di più prezioso oltre alle parole e ai gesti dell’anziana Rebecca dai capelli neri raccolti in una crocchia. Sa che è importante, ma non sa ancora che è un’intera vita colma di esperienze, ricca di colori, intessuta a gioie e dolori, avvolta in antica saggezza e cultura, curata da dolcezza e gentilezza e disciplinata da gesti decisi e veloci, perfettamente controllati grazie ad anni di pratica. È così che passano le prime ore di quella giornata, mentre il sole sempre più luminoso scala il cielo sempre più chiaro, illuminando la cucina con gentilezza, risvegliando i fiori, l’erba, gli arbusti, le piante, il mondo e avvolgendolo, ancora una volta, nel suo abbraccio caldo di affetto. E così le prime ore trascorrono, l’impasto si forma, l’anice viene amalgamato in esso, i biscotti assumono la loro forma piatta e rotonda sotto le dita attente e sapienti delle due donne. La teglia entra nel piccolo forno, uno dei pochi del villaggio, il fuoco costante cuoce delicatamente i dolci, fino a renderli fuori croccanti e dentro morbidi, la cucina si riempie dell’odore di anice. La donna prende due biscotti, uno dei suoi e uno fatto dalla ragazza, li spezza entrambi a metà e li assaggia.
- Provali.- Dice e la ragazza la imita subito. Sente il tepore diffondersi nel suo corpo, l’anice accarezzarle la lingua, il biscotto donarle dolcezza. La donna continua a masticare il primo assaggio che ha dato al biscotto della giovane. Ne coglie ogni sfumatura, lo deglutisce e sente che effetto le fa. Le sue labbra si stringono nuovamente in una linea dura, le rughe del suo viso si accentuano. Felce non si aspetta alcun complimento, non ne ha mai ricevuti e sa che non è per cattiveria, ma perché la sua tecnica non è ancora perfetta, la sua conoscenza non ancora totale. L’anziana Rebecca si volta, dandole le spalle. Tiene ancora fra le dita il biscotto della ragazza, mentre si avvicina al forno, lo sfiora con la mano libera, poi gira attorno al tavolo e accosta una sedia alla credenza. Dà un altro morso al biscotto e sale su di essa. Non è alta, anzi, è fra le persone più basse del villaggio, complice sicuramente l’anzianità. Felce rimane immobile, osserva la donna e sa che deve stare esattamente dov’è e non muoversi. La donna allunga le braccia scure e le sue dita sfiorano i libri ben riposti sullo scaffale più alto. Ne afferra uno e lo appoggia sul ripiano della credenza, poi ne prende un altro e lo posa delicatamente sul primo, agguanta il terzo e lo ripone sui primi due. Continua così finché tutti e tredici i libri sono sulla credenza. Felce non ha idea di cosa stia accadendo, ma sa che è qualcosa di speciale di cui dovrà serbare memoria e conservarla gelosamente. La donna rimette la sedia a posto e dà il terzo morso al mezzo biscotto della ragazza. Poi le fa cenno con una mano di avvicinarsi. Felce ubbidisce e si ritrova accanto all’anziana donna a fissare la calligrafia delicata e arzigogolata dei libri.
- Questi ricettari racchiudono tutte le ricette del nostro villaggio, da quelle della zuppa a quelle della carne, da quelle della colazione ai dolci. Qui è stata raccolta negli anni la nostra memoria. È passata di mano in mano, di donna in donna, di abitante in abitante, fino a giungere nelle mie mani. E ora nelle tue. Ti ho già insegnato tutto quello che è scritto qui dentro. Ora devi solo imparare a riconoscerlo.- Dice la donna, afferrandole una mano e stringendola in una stretta forte ma gentile. Felce la guarda con occhi nuovi, quasi non capendo il senso delle parole dell’anziana donna che le sta sorridendo dolcemente.
La ragazza balbetta domande inconcluse, non riesce a dare forma ai propri dubbi, non riesce a capire la portata di quello che sta succedendo, sebbene senta che sia enorme.
- I biscotti che hai fatto oggi mi ricordano quelli di colei che mi ha insegnato a cucinare. Eppure sono completamente diversi da quelli di lei. Sono speciali, unici. Quindi, ora è finalmente giunto il momento di passarti le memorie del nostro villaggio.- Le spiega la donna, che mangia l’ultimo pezzo di biscotto, chiude gli occhi e sorride estasiata. Schiusi i piccoli occhi neri colmi di affetto, allunga una delle sue mani rugose e accarezza la guancia della ragazza. Felce rimane immobile per tutto il tempo e solo quando la mano torna lungo il fianco della donna, riesce finalmente ad aprire bocca e a parlare.
- Grazie.- È una sola piccola e breve parola, appena sussurrata, ma contiene tutto un mondo dentro che l’anziana Rebecca coglie e sente e, per un attimo, diventa suo e fa compagnia a quel cuore che ha battuto a lungo e ha conosciuto molto.
- Aiutami a sistemare la cucina, prima di dare un’occhiata all’orto.- Dice la donna, rimettendosi al lavoro e la ragazza la raggiunge subito. In pochi minuti hanno già lavato e asciugato gli utensili, la teglia si raffredda ad una estremità dal tavolo, mentre i biscotti diffondono il proprio profumo in tutta la cucina. I barattoli tornano ai propri posti, il grembiule di Rebecca viene appeso al gancio accanto alla porta, quello di Felce torna nella cesta. Poi, entrambe le donne escono dalla porta sul retro e controllano l’orto. Nonostante l’età, i ruoli si invertono: Felce osserva con attenzione ogni foglia, ogni gambo, ogni petalo, ogni germoglio, ogni insetto, con attenta cura e Rebecca la insegue, osservandola. Prova a capire cosa veda la ragazza dai capelli verdi ma, come tutti al villaggio, non riesce a capirlo. Sa solo che è una dote di Felce, connaturata al suo animo e che rimarrà con lei per sempre. Appena la giovane finisce l’ispezione, dopo aver tolto alcune foglie con delicatezza, spostato alcuni insetti e invitato altri ad andarsene, sembra rendersi conto che l’anziana donna l’abbia seguita e osservata per tutto il tempo.
- Stanno tutte bene e cresceranno alla perfezione. Non c’è niente di cui preoccuparsi.- La rassicura e rientra in casa con la donna al seguito. La cucina è invasa di luce, sebbene il sole non abbia ancora raggiunto lo zenit e Rebecca congeda in anticipo la giovane. Quest’ultima rimane un attimo perplessa, mentre appoggia delicatamente i ricettari nella propria cesta ed esce in strada, ma ogni sua obbiezione viene messa a tacere nel momento in cui la mano rugosa della donna le accarezza di nuovo la guancia, prima di chiudere la porta di casa. Felce sente i passi della donna allontanarsi e dirigersi in soggiorno, dove Rebecca si siede sul divano e si mette a ricamare. Felce non si accorge di star piangendo, finché le lacrime non le rigano le guance. Si asciuga gli occhi velocemente con il dorso della mano, mentre il battito del cuore dell’anziana Rebecca suona ancora nelle sue orecchie. Lo sente ancora battere gli ultimi giorni della sua vita.
Felce svolge le solite commissioni della giornata, saluta le donne che incontra, raccomanda ai bambini di stare attenti, si ferma a controllare gli orti e dà consigli su come prendersi cura dei fiori. Accetta i piccoli regali che le offrono. Sono quasi sempre qualche cosa da mangiare, o materiale da costruzione o pezzi di stoffa.
Infine giunge ai campi coltivati del villaggio ed è lì che, mentre il sole raggiunge il punto più alto di quella giornata, Felce lavora davvero. Osserva tutto, controlla, analizza, sposta, toglie, aggiunge, annaffia, scava, copre, talvolta sembra persino parlare silenziosamente con gli insetti e gli animali che girano per i campi. Sembra capire persino le stesse piante in un modo che ha qualcosa di straordinario. Tutti la osservano perplessi e curiosi, in parte quasi timorosi da ciò che quella ragazza dai capelli verdi sa fare. Nessuno parla, nessuno dice niente, tutti consapevoli che, dopo anni di ottimi raccolti nonostante alcune giornate dal tempo disastroso, Felce li stia davvero aiutando, senza nemmeno chiedere nulla in cambio. Mentre è immersa nelle spighe di grano, la treccia verde che dondola mentre lei si china ad osservare uno stelo, gli occhi che scintillano come smeraldi preziosi, per un attimo sembra una dea delle messi che accudisce le sue care creature, come una madre cura i propri figli. Il villaggio non ha idea se quella ragazza sia davvero completamente umana e, quando la vede immersa nel suo ambiente, non può non credere che sia davvero un dono sacro, una guardiana dei raccolti, leggendaria, unica e temuta come il mostro della foresta, sebbene molto più ben accetta.
Felce finisce il suo lavoro qualche ora prima del tramonto. Rassicura coloro che si occupano del raccolto e rifiuta i ringraziamenti che le vengono offerti. Riesce a farli desistere, chiedendo parte del raccolto quando sarà pronto. Poi si incammina per la sua strada e fugge via. Raggiunge la sua solita nicchia, il suo rifugio sicuro e segreto da cui può osservare la foresta da più vicino e ancora resistere al suo richiamo incantato. Appoggia la cesta al proprio fianco e ne estrae una pietra grande quanto il suo pugno. È a forma di goccia, ha mille sfaccettature e sotto al sole brilla di infinite sfumature di verde. Suo padre le ha spiegato dettagliatamente cos’è e come funziona e lei la osserva ogni giorno, la porta con sé, come una fedele compagna sempre disposta a rassicurarla. La sfiora e guarda la foresta dinnanzi a sé. Il desiderio di avvicinarsi ed oltrepassare le prime file di alberi è così bruciante nel suo corpo da essere quasi doloroso.
Sa di non poterlo fare, eppure il richiamo, percepibile solo dalle sue orecchie, è così forte da tentarla. Sfiora ancora la pietra a forma di goccia e, sotto le sue dita, la sente scaldarsi. Abbassa lo sguardo su di essa e vede delle immagini sgranate in bianco, nero e grigio. Intravvede uno spaccato di cielo, uno spruzzo di erba, fronde rigogliose e tronchi maestosi. Poi l’immagine si stabilizza e Felce riesce a distinguere i particolari di un grande occhio dalla pupilla verticale e le infinite scaglie che lo circondano. La ragazza sorride e mentalmente chiede che le immagini siano a colori. Come se la pietra la sentisse, l’occhio si tinge di giallo pulcino e le scaglie tutto attorno prendono la loro solita tonalità verde scura. Il sorriso della ragazza si apre ulteriormente, luminoso alla vista delle meravigliose scaglie che la pietra le mostra. Vorrebbe parlare alla proprietaria di quell’occhio incantevole e dopo un paio di secondi può già sentirne la voce.
- Tesoro, mi senti?- La voce è dolce e musicale, piena d’affetto materno.
- Sì, mamma. Da voi va tutto bene?- Chiede la figlia.
- Sì. I ragazzi stanno scalando maldestramente un albero e chiedono sempre di te. Tuo padre si sta prendendo cura di te come deve?- La voce della donna è molto apprensiva riguardo tale domanda.
- Sì. Davvero, non c’è bisogno che continui a preoccuparti. Al villaggio va tutto bene, in casa non ho problemi. Forse non tutti mi adorano, ma è normale.- L’occhio giallo pulcino si socchiude, la pupilla si restringe.
- Mamma…- Prova la figlia a tranquillizzarla. L’occhio perde la propria aria minacciosa ma la voce sbotta comunque in un acuto:- Dovrebbe proteggerti di più.- Felce alza gli occhi al cielo e sospira.
- Mamma… è lo stesso discorso ogni volta.- Esclama stancamente per l’ennesima volta. Ogni volta che si vedono mediante la pietra, la scaglia lasciatale alla nascita dalla madre, si ripetono sempre gli stessi saluti e si calmano sempre gli stessi timori. Solo dopo si chiacchiera su come si è passata la giornata. Felce vorrebbe davvero saltare buona parte delle prime battute e passare direttamente a curiosare nella vita della madre.
- Il tuo fratellastro non è lì con te?- Chiede la voce con curiosità. La ragazza scuote la testa in segno di diniego.
- Non sono a casa. Sono vicina alla foresta.- La ragazza alza la scaglia per mostrare alla madre lo spettacolo che ha dinnanzi agli occhi. Appena torna a guardare la pietra, nota che l’occhio è leggermente diverso e sa che la madre sta sorridendo.
- È magnifica. Ci sei mai entrata?- Chiede la voce e l’occhio cambia di nuovo in maniera impercettibile. Ha visto il viso della figlia rattristarsi e le si è stretto il cuore.
- Non posso. Si dice che sia abitata da un mostro. Solo i cacciatori ne oltrepassano i confini ma non si inoltrano più di molto.- Le spiega la figlia, forzando un sorriso che finge allegria.
- A proposito!- Esclama poco dopo, mentre il suo volto si accende di vera gioia:- Dennis ha cacciato molti animali ieri! Papà non gli ha fatto nemmeno un complimento ma so che è contento d lui. Sai com’è papà, non è mai troppo espansivo.- Il suono dello sfiorarsi di mille fronde giunge alle orecchie della ragazza che ride a sua volta: le è sempre piaciuta la risata della madre.
- Lo so. Ho dovuto aspettare mesi prima che mi dicesse che provava qualcosa per me. Ama così tanto sua moglie.- Dice la voce dolce di donna e Felce distoglie lo sguardo cupo. Non ha mai capito come comportarsi nei confronti di quella donna. Entrambe sanno di non essere vere parenti, ma c’è una parte della storia che non è mai stata raccontata ad alta voce. Felce lo sa e non sa ancora cosa farsene di tutte quelle parole non dette. Prova a dimenticare, ad ignorarle, ma loro rimangono lì, ferme, silenziose, ma presenti.
- Tesoro, c’è qualcosa che non va?- Chiede la madre preoccupata.
- No.- La figlia scuote la testa e sorride, fingendo al meglio. Accarezza la pietra, come se potesse davvero sfiorare il volto di sua madre.
- Un giorno ti incontrerò?- Chiede la ragazza e la donna ride di nuovo.
- Certo! Non devi mai dubitare di ciò. Quando sarai adulta e abbastanza forte, ti porterò qui e conoscerai tutti i tuoi parenti. Sai, non vedono l’ora di conoscerti ed io continuo a sognare il giorno in cui ti abbraccerò di nuovo.-
- Perché non vieni adesso?- Chiede la ragazza e l’occhio giallo pulcino si spalanca allontanandosi. È un’espressione nuova che la ragazza non ha mai visto sul volto della madre. Non ha il tempo di chiedere cosa c’è che non vada, che sente un ramo spezzarsi. Il viso si volta e Felce può vedere solo le squame verdi sul collo della donna.
- Adevan, Yelis! Cosa vi avevo detto?- Urla la donna, con una voce che sembra più un ruggito:- Filate subito a casa e guai a voi se vi trovo in giro, che vi lamentate o che devo intervenire nelle vostre solite liti!- La risposta dei due figli arriva sommessa alle orecchie di Felce, che può solo immaginarla affermativa e remissiva.
- Appena li incontrerai, capirai quanti guai possano combinare.- Dice la madre sospirando.
- Se sono come Kira e Sean, posso immaginarmelo già.-
- Sono i due gemelli?- Chiede la donna e lei annuisce. Poi si rattrista nuovamente e accarezza delicatamente la superficie della pietra.
- Tesoro, cosa c’è? Oggi continui ad essere triste.- Osserva la donna.
- Ti ricordi l’anziana Rebecca? La donna che mi insegna a cucinare?-
- Sì, tesoro. Le è successo qualcosa?- La ragazza non risponde subito, alza gli occhi e sbatte più volte le palpebre per impedire alle lacrime di rigarle le guance.
- Tesoro?- La chiama nuovamente la madre, preoccupata.
- Credo stia morendo. L’ho sentito dal suo cuore. Ma non è possibile, vero mamma?- Chiede conferma la ragazza anche se sa già che la risposta sarà negativa.
- Mi dispiace così tanto.- Felce può sentire nel tono della madre quanto lei voglia abbracciarla e, in quel momento, desidera ancora di più averla lì accanto almeno per qualche minuto.
- Mi dispiace davvero tanto.- Ripete la voce dolce della donna, come una nenia che possa lenire il dolore della figlia. La ragazza annuisce e si strofina gli occhi umidi.
- Che cosa devo fare?- La madre non risponde subito, mentre la sua iride si restringe fino a diventare un sottile anello giallo pulcino. Sembra quasi luccicare nella pietra, come se il mare nero che contiene esaltasse il suo colore particolare.
- Niente, tesoro. Non c’è niente che tu possa fare. Potresti, forse, parlarne con tuo padre; lui capirebbe. Ma non puoi fare nient’altro.- Risponde infine la madre, la voce dolce colma di mestizia. La ragazza si riprende dopo poco e scrolla la testa. Osserva la foresta che si stende qualche metro dinnanzi a lei, le sue fronde verdeggianti e rigogliose, i tronchi via via più scuri, il sole che tinge ogni foglia di una sfumatura di verde diverso. È così magnifico e sente di nuovo il richiamo farsi prepotente.
- Se ci vuoi andare, vai. Sei una discendente dei Draghi Silvani, nessuno ti può impedire di tornare al luogo che ti ricorda maggiormente casa.- Le dice la madre, dandole il suo muto permesso. La figlia posa gli occhi verdi sull’immagine mostrata dalla scaglia, poi li riporta sulla foresta.
- Tesoro, io devo andare, adesso. Ci vediamo domani?- Chiede la donna e la figlia annuisce regalandole un ultimo sorriso. L’audio svanisce, le immagini tornano in bianco, grigio e nero, si fanno frammentate, confuse. Infine la scaglia torna verde. Felce la ripone nella propria cesta e si mette comoda per ammirare la sua tentazione.
Un rumore improvviso la mette in allerta e gli uccelli, che fuggono agitati dalle fronde degli alberi, le fanno acuire maggiormente i sensi. Non vede niente di nuovo, ma c’è un silenzio particolare che sa di sbagliato. Felce scatta in piedi senza nemmeno rendersene conto e si avvicina di qualche passo alla foresta. Non si accorge nemmeno di aver sfilato le scarpe e del dolce solletico che l’erba rigogliosa le fa alla pianta dei piedi. Un suono irriconoscibile e inudibile raggiunge le sue orecchie e la mette ulteriormente all’erta. Non sa cosa sta succedendo ma sa che non è niente di buono. La cesta e le scarpe sono abbandonate nella nicchia segreta di Felce e guardano la loro proprietaria giungere al limitare della foresta, sfiorare uno dei tronchi e oltrepassare le prime file di alberi, svanendo oltre di essi.

- Che cosa succede?- Grida una voce maschile, mentre il suo proprietario si guarda attorno preoccupato. Sente i peli e i capelli rizzarsi sulla sua cute per la paura, eppure l’unica cosa a cui riesce a pensare è dove sia e come stia suo figlio. Non gli giunge risposta e il suo cuore inizia a battere con più forza.
- Dennis!- Chiama con tutto il fiato che ha in gola. Sente un nuovo assordante tonfo provenire da qualche parte alla sua destra. Prova a guardare in quella direzione, ma non riesce a scorgere nulla. I rami sono intricati, i tronchi si protendono verso l’alto lasciando solo stretti passaggi, le fronde sono rigogliose e lasciano passare solo sporadici raggi di sole. L’uomo non riceve nuovamente risposta e inizia a maledire l’idea di spingersi un po’ più all’interno del bosco. Sapeva che avrebbe dovuto opporsi, ma tutti sembravano così sicuri che non ci fosse pericolo e che, nel caso ci fosse stato, sarebbero comunque stati abbastanza vicini al margine da scappare in tempo per non essere feriti.
- Dennis!- Chiama di nuovo e spera che stia bene. Un altro tonfo assordante, questa volta molto più vicino a lui, fa tremare il suolo e lo fa cadere. Perde la presa sul piccolo pugnale che tiene in mano, ma non ci pensa e si rifugia ai piedi dell’albero più vicino, pregando che non gli cada addosso. Può sentire il cuore galoppargli in petto a una velocità che riteneva impossibile, mentre si rannicchia e si copre le orecchie, nell’attesa che il terreno smetta di tremare. Non può permettersi di aspettare tanto, che l’odore di fumo inizia ad avvicinarsi. L’uomo scatta in piedi, sebbene il suolo tremi ancora sotto di lui e corre verso casa, nella direzione opposta a quella da dove sta arrivando un fumo denso e nero, oltre il quale non si può vedere alcun ché.

Dennis cade a terra all’ennesimo boato che scuote la foresta. Gli fischiano le orecchie, si è scorticato i palmi delle mani e gli fa male il mento, dopo l’urto disastroso che ha avuto con il terreno. Prova a rialzarsi, ma perde nuovamente l’equilibrio e rotola a terra.
- Papà!- Chiama ma non sente la propria voce. Si immobilizza nella posizione fatale in cui è, con gli occhi spalancati dal terrore. Chiama di nuovo il padre usando tutta l’aria che ha nei polmoni, ma di nuovo non sente nient’altro oltre alla vibrazione della cassa toracica, della gola e del cranio. Le orecchie continuano a fischiare. Sente il proprio battito cardiaco correre impazzito e il respiro farsi affannoso per l’agghiacciante terrore che gli morde le membra. Si obbliga a mantenere la calma, senza riuscirci completamente, mentre sente il proprio respiro diventare sempre più veloce e isterico. I suoi polmoni si muovono troppo rapidamente, la bocca aperta sembra incapace di incamerare abbastanza aria. Dennis è bloccato a terra, incapace di reagire, sebbene una piccola voce nella sua testa gli dica di alzarsi e di non arrendersi all’attacco di panico di cui è vittima. Dennis prova ad ascoltare l’unica cosa sensata che potrebbe salvarlo da quella situazione incomprensibile, ma il respiro è troppo rapido, l’aria non basta e la paura lo tiene bloccato a terra in posizione fetale, le gambe piegate contro il petto e le mani schiacciate sui timpani. Prova ad urlare, il giovane uomo, ma non ha abbastanza aria nei polmoni e la sua voce è ridotta a un sussurro. Fa un altro tentativo ma non ha davvero più voce e si ferma. Rimane immobile a respirare affannosamente, mentre le orecchie continuano a fischiargli. Quando inizia a sentire l’odore di fumo e a vedere una densa cortina nera avvicinarsi, sa che dovrebbe scappare, ma il suo corpo non gli risponde mentre il panico aumenta. Dennis sa benissimo di non avere speranze di uscire vivo da lì.

Il terreno trema nella foresta ma, dopo qualche tentennamento, Felce riesce a camminare tranquillamente sul suolo insicuro. Si sente a casa, mentre osserva ogni singola foglia, venatura, fiore, ramo e riconosce istintivamente ogni specie. Per un attimo pensa che potrebbe perfino parlare con loro, poi sorride e accantona il pensiero. Si addentra nella foresta senza alcuna esitazione, si arrampica su una pianta senza alcuna difficoltà, come se non avesse fatto altro per anni. Passa di fronda in fronda, scivola giù dai tronchi, scivola nei passaggi stretti senza inghippo, dirigendosi sempre più nel folto della foresta. Le fronde sono via via più folte e rigogliose, intrecciate le une alle altre fino a diventare un unico cielo di foglie verdeggianti. Sono rari i raggi che riescono ad attraversare quella volta, eppure Felce non ha alcun dubbio su dove andare, su dove mettere i piedi o su quale ramo appartenga a quale albero. È tutto estremamente chiaro per lei, come se frequentasse quella foresta da quando è nata. Si inoltra sempre più nel fitto del luogo e man mano le fronde diventano più folte, la luce solare svanisce, gli alberi si ricoprono di muschio, lo spazio in cui passare è sempre più stretto, i tronchi sono sempre più annodati, il terreno trema sempre più forte. Un rumore cupo esplode lontano dalla ragazza, che si rannicchia ai piedi di un albero. Migliaia di uccelli terrorizzati volano via e, appena il suono si dissolve nell’aria, Felce scatta in piedi e corre. È come se potesse sentire la paura della foresta e l’origine di essa. Per questo sfreccia a perdifiato, evitando qualsiasi ostacolo, per spingersi là dove ha origine tutto.
Felce sa di essere vicina alla meta, quando una voce ferma la sua corsa. Quello che lei sente è solo un sussurro lontano, ma le sue orecchie si sono già tese a coglierlo. È una voce familiare e la ragazza non ha il tempo di pensare, che già i suoi piedi la portano a quel suono, lontano dal centro della foresta, sempre più vicino al villaggio. Ruzzola quasi a terra per lo slancio, quando salta oltre un tronco caduto e si ritrova avvolta da del denso fumo nero. Gli occhi iniziano a lacrimarle e il respiro le si mozza in gola, sebbene lei stia cercando di obbligarsi a respirare. Striscia, cerca a tentoni il tronco di un albero e si issa su di esso, fino a raggiungere la fronda. Scosta le foglie e sbuca all’aria aperta, fresca; il sole chiaro le illumina il volto, i suoi capelli sembrano parte della fronda da cui è emersa. Felce sa che il fumo ben presto salirà, privandola di qualsiasi aria respirabile, (è una delle prime cose che l’anziana Rebecca le ha insegnato), eppure c’è qualcosa che la spinge a rimanere lassù. Abbassa lo sguardo dal cielo sereno con piccole nuvole di ovatta e dal sole splendente e, per la prima volta, rimane davvero senza fiato. Ciò che si stende ai suoi piedi, è un prato infinito di tutte le tonalità di verde, che si innalza e si abbassa in dolci colline, avvallamenti e pianure, brilla sotto ai raggi del sole e si muove dolcemente sotto la brezza primaverile. La contemplazione di quel gioiello della natura si interrompe appena le orecchie della ragazza colgono di nuovo il sussurro incomprensibile. Salta, Felce, e scivola agilmente di fronda in fronda mentre, sotto di sé, il fumo gareggia per riempire completamente tutta la foresta ed avvolgere fra le sue spire la ragazza, appena ella scenderà. Ciò che il fumo non sa è che la ragazza non è come tutti gli altri umani già divenute sue vittime. Lei è diversa e in poco tempo, raggiunge il luogo da dove proviene il suono di un battito impazzito e un respiro affannoso, intervallato raramente da piccoli sussurri di richieste d’aiuto. Felce prende una boccata d’aria fresca e scende nella foresta. Il fumo non è ancora molto denso in quel punto ma limita fortemente la sua visuale. Guidata dall’udito, la ragazza si china ai piedi di un albero e riconosce, ancor prima di vederne la figura, la persona rannicchiata in posizione fetale.
- Dennis! Sono io, Felce. Dobbiamo andare, alzati!- Gli dice, respirando l’aria malsana. Capisce che c’è qualcosa che non va quando il respiro e il battito cardiaco dell’altro non si acquietano e il fratello non accenna a muoversi.
- Dennis!- Lo chiama nuovamente lei e, delicatamente, gli afferra le spalle per aiutarlo ad alzarsi. Un suono acuto e ferito sfugge dalle labbra del ragazzo, quasi il tocco della sorella gli avesse fatto male. Lei si ferma e tossisce, mentre si obbliga a respirare l’aria densa di fumo.
- Dennis, dobbiamo andare. Ora ti metto in piedi e ti porto via. Tu muovi le gambe e lasciati guidare.- Aspetta qualche secondo, per essere sicura che l’altro abbia capito, poi lo obbliga ad alzarsi e lo conduce verso l’uscita più vicina del bosco. Dennis si stringe a lei e si morde le labbra. Il suolo ha smesso di tremare, sebbene il fumo insegua i due fratelli cercando di ghermirli. Non riesce a catturarli e, quando loro finalmente escono dalla foresta, fanno solo pochi passi prima di cadere a terra stremati dalla stanchezza. Tossiscono entrambi e Dennis stringe un lembo del vestito della sorella come se avesse paura di perderla. Il giovane uomo è ancora spaventato dal caos a cui è appena sopravvissuto e sa solo di voler stare immobile per un po’ a respirare finché non si sarà completamente calmato. Aver smesso di tossire gli facilita notevolmente il compito, eppure sente ancora la tosse della sorella che sembra incapace di fermarsi. Dennis si volta immediatamente a guardarla e trova Felce seduta, una mano conficcata nell’erba verde, l’altra premuta contro il petto, il corpo sconquassato dai colpi di tosse. Il giovane uomo capisce subito che non c’è niente di normale nella reazione della sorella. Si mette a sedere e accarezza delicatamente la schiena curva e scossa dalla tosse di Felce.
- Calma. Va tutto bene, respira.- Sussurra con voce incerta. Una mano tremante slaccia la fiaschetta che ha al fianco non senza qualche difficoltà e la porge alla sorella.
- Bevi, ti aiuterà.- Le dice, ricordando qualche consiglio confuso del padre. La sorella non sembra capace di afferrare la fiaschetta, allora lui la stappa e l’accosta alle labbra della sorella aiutandola a bere lentamente.
- Piano, piano.- Ripete, mentre con la mano libera le carezza le spalle. Lei scosta il viso dalla fiaschetta e ricomincia a tossire, sebbene meno convulsamente di prima. Dopo qualche altro sorso d’acqua, finalmente la tosse si placa, sebbene la gola della ragazza dolga ancora e il respiro di lei sia ancora un po’ veloce. Dennis continua ad accarezzarle la schiena e non smette nemmeno quando sa che stanno entrambi bene.
- Papà dov’è?- Chiede Felce e sente che il battito del fratello ricomincia a correre.
- Non lo so. Ci siamo persi di vista dopo il primo scoppio. Potrebbe essere già uscito o potrebbe essere ancora là dentro. Con il mostro.- Risponde il fratello. Si mette in piedi e si pulisce le mani sudate e sporche di fumo nei pantaloni.
- Tu torna a casa, io vado a cercarlo.- Aggiunge ma la sorella gli serra un polso con le sue dita lunghe e forti.
- No. Non sai nemmeno dove cercarlo. Prima dobbiamo capire dove sia.- Lo contraddice la ragazza che infila immediatamente una mano in tasca per prendere la propria scaglia. Che non è lì. Felce sbianca e sente la paura correrle nelle vene, sostituendosi al suo sangue. Quella non è esattamente una buona notizia. Felce inizia a ripensare dove possa aver lasciato o perso la scaglia di sua madre, da cui non si separa mai. Poi le sovviene che l’ha riposta nella cesta prima di entrare nella foresta.
- Perché sei a piedi nudi?- Le chiede intanto il fratello che la sta osservando con meticolosa attenzione. Lei si dà un’occhiata veloce e sa già che sua madre la sgriderà per essere completamente coperta di fuliggine. Poi, forse, dopo essersi presa un infarto sapendo che la figlia è entrata nel bosco da sola, la rimprovererà anche per aver camminato scalza.
- Sono più veloce a piedi nudi. Ho lasciato la mia scaglia poco lontano da qui. Se mi aspetti, vado a prenderla e torno.- Lei lo lascia andare, ma le dita di lui si serrano intorno al polso di lei, ribaltando la situazione.
- Promettimi che non entrerai nel bosco da sola.- Lui la guarda con i suoi occhi neri, fermi e decisi, colmi di preoccupazione e affetto.
- Sì, te lo prometto. Ma non osare nemmeno tu entrare là dentro.- Lo minaccia lei. Lui annuisce e la lascia andare.
- Fai in fretta.- Le raccomanda e lei scatta, veloce come un fulmine, nella pianura erbosa. Dennis ha di nuovo la conferma che la sorella, che tanto ama, non sia del tutto umana.

Felce torna dopo pochi minuti, che a Dennis sono sembrati un’eternità. Arriva, lei, senza alcun affanno, stringendo vittoriosa in una mano la scaglia verde della madre. Sorride orgogliosa e si ferma accanto al fratello, mettendo la pietra tra di loro. Pensa al padre con intensità e lentamente la pietra si scalda e cambia colore. Appaiono parti sgranate e confuse in bianco, nero e grigio. Dopo un paio di secondi, Felce riesce a capire cosa rappresentino. Sono pezzi di bosco, piante, foglie, rami che loro padre vede nella sua corsa fuori dal bosco. C’è anche del fumo in avvicinamento, che di tanto in tanto confonde la visuale dell’uomo. Felce chiede un po’ di suoni e viene subito accontentata. Sente il rumore delle foglie calpestate, il respiro affannoso del padre, i rami che lo colpiscono e un crepitio inquietante.
- Dennis!- Urla l’uomo ed entrambi i figli si guardano allarmati.
- Non riusciremo mai a trovarlo così.- Evidenzia il fratello maggiore. La ragazza stringe la scaglia fra le dita e l’immagine, seguendo il suo volere, svanisce.
- Un essere umano no. Io sì.- Lo contraddice la sorella. Lui le manda un’occhiata ammonitrice e fa per afferrarle nuovamente il braccio e trattenerla lì, ma lei scatta all’indietro così velocemente, da diventare sfuocata alla vista del fratello.
- Tu torna a casa e assicurati che stiano tutti bene. Proteggili da qualsiasi cosa possa succedere. Io mi occuperò di papà. Lo riporterò a casa sano e salvo e staremo tutti quanti bene. Non mi succederà niente, te lo prometto.- Gli occhi verdi della sorella sono decisi e irremovibili. Dennis si arrende, consapevole che lottare con lei in quel momento sarebbe solo uno spreco di tempo e di energie senza, tra l’altro, cambiare la scelta di lei. Così sospira sconfitto e le si avvicina. Le posa le mani sulle spalle e la osserva attentamente, come a volersi imprimere nella mente ogni più piccolo particolare di quel volto scuro, pur sempre più chiaro del suo, gli occhi puri, il naso dritto e sottile con la punta all’insù, le labbra morbide a forma di cuore, i lineamenti fini, i capelli color fronda ancora perfettamente acconciati nella treccia. Abbraccia di slancio la sorellina e ne inspira il profumo di erba e fiori estivi.
- Devi tornare a casa. Non pensare nemmeno per un secondo di non farcela.- La sua voce è decisa e non ammette altri scenari. Dennis la lascia andare e le dà un bacio sulla fronte come protezione.
- Corri. E riportaci papà.- Aggiunge. Lei annuisce e sorride, poi si volta verso il bosco e, mentre il fratello corre verso casa, la ragazza si inoltra nuovamente nel bosco pieno di fumo.

Corre a perdifiato nella foresta, senza sapere esattamente dove andare. Il fumo denso e nero lo insegue come se avesse vita propria e avesse deciso che lui sarà la sua preda e non lo lascerà mai andare.
- Dennis!- Chiama ancora l’uomo, senza più sapere se aspettarsi una risposta o meno. Entrambe le prospettive appaiono egualmente terrificanti nella sua mente. Se troverà suo figlio, gli sarà quasi impossibile portarlo fuori dalla foresta al sicuro; se non lo troverà, non saprà se sarà sopravvissuto o meno, fino a sera. Se solo l’uomo potesse sapere che suo figlio sta bene, riuscirebbe a non essere così tanto spaventato in quella maledetta foresta.
L’uomo continua a correre, ansimando, chiamando il figlio, ignorando le radici che lo fanno inciampare e i rami che gli frustano viso, braccia, gambe e petto. Sa di essersi perso, ma smettere di correre gli sembra comunque una pessima idea, visto che il fumo nero e denso continua a diffondersi. Almeno la terra ha smesso di tremare e i boati assordanti non si sentono più. Poi all’improvviso, qualcosa cade dalle fronde e lo afferra per il collo della maglia. Si blocca, quasi strozzandosi e si volta per liberarsi di chiunque l’abbia fermato. Colpisce senza nemmeno provare a capire chi l’ha afferrato.
- No papà!- Urla una voce femminile, scansandosi di quei pochi centimetri, per evitare la lama che punta alla sua spalla. L’uomo devia leggermente il colpo per non ferire la figlia e la guarda con occhi increduli.
- Cosa ci fai qui?- Chiede e le afferra un braccio provando a trascinarla nella sua fuga.
- Sono venuta a salvarti. Ho già portato via Dennis, ora tocca a te. Seguimi.- Risponde lei e afferra a sua volta il polso del padre.
- Non dovresti essere qui.-
- Ti dispiace se ne riparliamo dopo?- Chiede la ragazza, cercando di condurre il padre verso un albero che lui possa scalare.
- Come hai fatto a trovarmi?- Il padre la insegue attentamente, cercando di mettere i piedi esattamente dove li mette lei.
- Ho usato la scaglia di mamma per vedere dove eri. Poi è stata la foresta a portarmi da te.-
- E ora come torniamo a casa?- Chiede il padre, sbucando dalle fronde accanto alla figlia. Tutto intorno a loro c’è un mare di foglie verdi mosse dalla brezza che si staglia contro il cielo azzurro. Non c’è traccia di fumo nero, né di fuoco. La ragazza trova il fatto strano ma accantona il pensiero, troppo concentrata sul trovare una via sicura e semplice per tornare a casa. Deve tenere conto di suo padre, che pesa più di lei ed è meno agile. Osserva attentamente il bosco e scarta man mano gli alberi su cui non possono passare, i percorsi troppo difficili e quelli troppo lunghi. Trova infine una via, afferra la mano del padre e inizia a percorrere la strada che ha in mente.
- Per di qua.-
La strada si rivela più complicata da percorrere di quando avesse immaginato la ragazza. Sebbene per lei sia estremamente facile saltare da una fronda all’altra, correre leggera sui rami, districarsi tra le foglie senza problemi, suo padre ha molte più difficoltà. Tuttavia, dopo quasi mezz’ora di camminata e senza che il fumo si sia innalzato fino a loro, padre e figlia giungono al margine del bosco e possono finalmente vedere i tetti spioventi di legno delle prime case del villaggio, a pochi metri di distanza. Felce aiuta il padre a scendere dall’albero su cui sono, ma non lo segue. Si volta, invece, indietro a guardare il mare di fronde verdeggianti da cui non sale nemmeno un filo di fumo.
- Tesoro, scendi.- Le ordina il padre con tono dolce ma voce ferma. Lei non risponde subito, continuando ad osservare il bosco.
- Felce, scendi da quest’albero e seguimi a casa.- La voce del padre è più dura questa volta e riesce finalmente a far voltare la figlia. Il padre si immobilizza al suo posto e qualsiasi sentimento stesse provando e qualunque pensiero attraversasse la sua mente svaniscono davanti al volto distante della figlia. Gli occhi verdi brillano eppure sono colmi di una malinconica responsabilità, la treccia di capelli verdi le scende sulla spalla destra incorniciando in parte il viso scuro, uguale a quello della madre. Sua figlia è in piedi, su un albero, e sorge dalla fronda verde da metà polpaccio in su, con naturalezza, come se fosse fatta d’aria e non pesasse sui rami sottili. Una leggera brezza le muove le vesti, ma lei rimane immobile, il suo perfetto equilibrio imperturbato. Ed è quella la prima volta in cui il padre se ne accorge: quella non è la sua adorata figlia, la sua piccola bambina avuta in una notte di passione dopo mesi di strenua e disperata negazione. Quella che ha dinnanzi a sé, la giovane donna che sembra umana anche se non lo è completamente, colei che l’ha trovato grazie a una scaglia di drago, lei non è solo sua figlia. Lei è la figlia di sua madre.
Non ha possibilità di ribattere, lui. Lo capisce appena Felce si volta e il proprio sguardo incontra quello di lei. C’è un mondo a dividerli, qualcosa che non riguarda il tempo passato insieme, le esperienze fatte, la vita al loro villaggio, gli abbracci segreti, il vivere sotto lo stesso tetto. C’è un’esistenza intera a dividerli, un infinito che riguarda il sangue che scorre nelle vene di lei, il colore unico dei suoi capelli, la pelle leggermente più chiara, il legame palpabile che la unisce alla natura, le ore passate a parlare a una scaglia di drago, il richiamo che solo lei può udire invitarla a varcare la soglia della foresta. È la prima volta che l’uomo si accorge di ciò che è veramente colei che chiamava sua figlia, dal giorno in cui la madre di lei gliel’ha consegnata sulla soglia di casa, con le vecchie raccomandazioni e promesse da mantenere.
- Tua madre ti ha dato il permesso?- Chiede l’uomo ed entrambi sanno che non si sta riferendo alla donna che li aspetta a casa, ignara delle vere origini della trovatella che ha adottato da una gitana senza volto. L’uomo conosce già la risposta e un battito di ciglia di Felce conferma la sua idea.
- E allora vai, Flemmare.- Dice l’uomo e sa che sua figlia sta per andarsene e, forse, non tornare mai più. A quelle parole, la giovane si volta e corre via, leggera, sulle fronde degli alberi, diretta al cuore della foresta, dove sente che sono nascoste tutte le risposte.
Corre, Felce, senza mai fermarsi, senza guardare dove mettere i piedi, perfettamente conscia di dove sia ogni ramo, di dove finisca e inizi ogni fronda, di come non calpestare nemmeno un fiore, un petalo o una foglia. Ad ogni passo, Felce sa dove andare, in quale direzione proseguire, come se fossero le stesse piante a indicarle la strada. Giunge al centro della foresta, dopo un tempo indeterminato. Il cielo si è leggermente scurito, il sole è poco più in alto della linea verdeggiante del mare di fronde. Mancano poche ore al tramonto, ma alla ragazza non importa. Sa solo che sotto di sé, del fumo nero avvolge i tronchi degli alberi, colma ogni angolo di spazio presente, impedendo a chiunque di respirare. Scendere in quel buio assoluto e mortifero significa morire; Felce ne è perfettamente consapevole, ma la prospettiva non desta alcuna reazione in lei, come se fosse perfettamente trascurabile. Alza gli occhi verdi al cielo, ne memorizza il colore sfumato, meraviglioso come ogni essere vivente, contempla il mare verdeggiante da cui lei stessa emerge, come creatura eletta dalle fronde a loro vessillo e messaggera. Non ha altra scelta, Felce, e quella che ha dinnanzi a sé è l’unica che vuole abbracciare, senza riserva alcuna. Sente il calore dei raggi del sole sulle spalle, stringe la scaglia verde della madre, sorride e si lascia scivolare giù, nella fronda, tra le foglie, lungo i rami e il tronco dell’albero.











Angolo del Delirio:

Qualcuno mi disse: "Buttati! E' morbido!" Non l'ho fatto, visto che l'atterraggio sarebbe stato su un bel pezzo di cemento.
Allora mi butto qui, ove l'atterragio dovrebbe fare meno male.
Tralasciando le informazioni che non interessano a nessuno, ho una domanda per qualsiasi lettore sia giunto fin qui: che te ne pare? Sei curioso di seguire Felce dentro al bosco, per scoprire che cosa sia il mostro? O pensi che non aprirai mai più questa storia?
Mi rimetto a voi per ogni giudizio.
Grazie per aver letto.
Ciao! 

 

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Capitolo 2
*** Im Wald ***


Zwischen Wald und Dorf



2. Im Wald


La terra è dura sotto i piedi e il fumo denso e nero le impedisce di vedere alcun ché. Felce non osa respirare. Sfiora con una mano il tronco liscio dietro di lei e ha di nuovo conferma di dove debba andare. È una sensazione interna, perfettamente irrazionale, puramente istintiva e lei sa che è sincera e assolutamente affidabile. Muove i primi passi silenziosi in avanti, consapevole dell’ultimo breve tratto ancora da compiere. Non vede niente e sa di aver a disposizione ben poco tempo prima di dover respirare quel fumo. Si muove con destrezza, senza inciampare nelle radici né sbattere contro i tronchi d’albero. Dopo averne superati alcuni, si ferma di colpo con gli occhi verdi sgranati. Si volta ad osservare il fumo denso alle sue spalle e torna a guardare davanti a sé: vede i fusti nodosi e marroni degli alberi, il muschio arrampicarsi su di essi, le fronde verdeggianti, i massi grigi, la terra umida e scura coperta di fiori gialli, violetti, blu, rosa e arancioni, l’erba rigogliosa e umida. Non c’è nemmeno un filo di fumo. Felce prende un respiro profonda di aria pulita: sa di primavera, di vita di foresta. Si guarda attorno e tende le orecchie per cogliere qualsiasi rumore anomalo, ma non sente niente. Nel bosco regna il silenzio assoluto ed è inquietante. È innaturale, assurdo, malato, pericoloso, teso. Felce è tesa, pronta a scattare. Non succede nulla e lei decide di fare un passo in avanti. Si ferma e solo dopo alcuni secondi osa farne un secondo. Si ritrova stesa a terra, schiacciata contro il suolo da un peso che le grava sullo sterno e le impedisce quasi di respirare. Una mano preme sul suo collo, per strozzarla, ma lei ci conficca le corte unghie. La mano allenta leggermente la presa ma non si sposta di un solo millimetro, mentre una voce baritonale trattiene, senza riuscirci troppo, un gemito di dolore. La presa torna a stringere, ma Felce continua ad aggredire la mano che la strozza, a scalciare e a dimenarsi per levarsi di dosso chiunque o qualunque cosa stia cercando di ucciderla. Non ha idea di chi o di che cosa stia combattendo, i raggi di luce che riescono ad attraversare le fronde sono pochi e la figura che la schiaccia a terra è in contro luce. A Felce manca l’aria e sa di avere solo una manciata di secondi prima di non essere più capace di reagire. Usa tutte le forze che ha per liberarsi dell’aggressore e, quando crede di non avere più speranze, il peso sul petto svanisce e lei torna a respirare mentre il rumore secco di un albero che si spezza le rimbomba nelle orecchie. La ragazza si rannicchia in posizione fetale, coprendosi la testa e respirando a bocca aperta. Delle parole e i battiti di due cuori le giungono alle orecchie mentre degli odori che non ha mai sentito le stuzzicano il naso. Registra ogni informazione attentamente, sebbene non riesca a concentrarsi su nient’altro che non sia il suo cuore che batte frenetico e il suo respiro ansioso.
- È una ragazza!- Dice intanto una voce maschile, non molto acuta.
- Potrebbe essere una di loro.- Ribatte seccata una voce baritonale.
- Se lo fosse, non si sarebbe quasi fatta uccidere da te.- Sbuffa l’altra dopo un sospiro profondo, fatto per mantenere la calma. La voce baritonale non risponde.
- Credi che stia bene?- Aggiunge dopo alcuni secondi di silenzio.
- Respira e le batte il cuore, anche se un po’ troppo velocemente.- Assicura la voce più acuta. Segue un attimo di silenzio, il rumore di un paio di passi sull’erba, poi la stessa voce aggiunge:- Dovresti sputarci sopra, prima che si infettino.-
Felce intanto si è ripresa ma non si azzarda a muoversi: finché i due ragazzi la credono incapace di reagire, molto probabilmente non le faranno niente. Il leggero rumore di passi che si avvicinano, le fa balzare il cuore in gola.
- Tutto bene? Sei ferita?- Chiede la voce più acuta, ma dal timbro maschile. È premurosa e gentile, ma Felce non azzarda alcun movimento.
- Sento il tuo cuore e il tuo respiro. So che hai recuperato il fiato. Per il resto stai bene?- La ragazza scatta a quell’affermazione e si allontana il più possibile dalla persona che le sta accanto. Si mette spalle ad un albero, pronta a scalarlo, e osserva attentamente le due figure che le stanno dinanzi. Quella che le si era avvicinata ha fatto un passo indietro, mentre l’altra si è alzata e ha raggiunto la prima. Poco distante da lui c’è un albero abbattuto, dal tronco spezzato, con mille schegge di legno sparse tutt’attorno. Le due figure appartengono a due ragazzi della sua età. Quello dalla voce più acuta ha i capelli rossi scompigliati e ribelli e la pelle ambrata, quasi caramellata. Ha il naso e le labbra sottili, gli zigomi alti e taglienti, le guance incavate e gli occhi color brace rovente. Felce può sentire l’odore caldo, bruciante del fuoco avvolgerlo. Lui indossa una maglia sgualcita, dalle maniche strappate che lasciano nude le braccia su cui si possono vedere delle linee arzigogolate color fuoco avvolgergli i polsi e risalirgli lungo le braccia magre fino ai gomiti. Il suo compagno è magro quanto l’altro e indossa gli stessi vestiti laceri dal colore indefinito. Ha una carnagione grigia, gli occhi argentati e i ricci, che gli sfiorano le spalle, grigi perla. Il suo odore è molto più forte di quello del suo compagno, sebbene sia più delicato. Molto probabilmente, ciò dipende dalla mano sanguinante coperta di saliva. Sa di vento, fumo, impalpabilità. Lo stesso ragazzo non sembra essere davvero completamente davanti a Felce, come se potesse dissolversi nell’aria da un momento all’altro.
- Calma, va tutto bene. Io sono Carminio e lui è Antrace. Mi scuso per lui in anticipo, visto che lui non lo farà.- Dice il ragazzo dai capelli color fuoco. L’altro sbuffa contrariato dalle parole dell’altro.
- Se avessi saputo che non era una di loro, non le avrei fatto niente. Inoltre quale ragazza si inoltra in una foresta da sola?- Esclama leggermente infastidito. Il tono di Antrace non piace a Felce, che si deve mordere le labbra per non rispondere in maniera piccata.
- Io sono Felce.- Risponde, invece, in maniera più tranquilla, senza riuscire a trattenere l’occhiata obliqua diretta al ragazzo color grigio. A tale risposta, Carminio e Antrace spalancano gli occhi stupiti, poi le labbra del primo si aprono in un sorriso.
- Davvero? Una Flemmare?- Questa volta è il turno di Felce di rimanere stupita.
- Anche voi?- Chiede, non fidandosi completamente delle parole dei due sconosciuti.
- No. Abbiamo l’odore di un Flemmare, sentiamo il battito cardiaco, il respiro e l’odore di qualsiasi essere vivente a metri di distanza, non abbiamo l’aspetto di normali esseri umani, abbiamo il nome di un colore, ma non siamo Flemmari. Per niente. Siamo due ragazzi normali che vivono da soli in un bosco.- Le risponde sarcastico Antrace. Felce gli scocca un’occhiata assassina ma prima che possa rispondere Carminio dà una gomitata nelle costole al compagno e sospira, cercando di mantenere un sorriso rilassato.
- Sì, lo siamo. Anche se non siamo abbastanza grandi da incontrare i nostri padri. Sei sicura di stare bene?- Chiede nuovamente, con vera preoccupazione.
- Sì. Siete stati voi a creare quel fumo, i botti assordanti e a far tremare la terra?- Chiede lei. I due ragazzi si guardano un attimo, come consultandosi su cosa dire.
- Sì, si potrebbe dire così. Ti sta seguendo qualcuno?- Dice infine Carminio, mentre Antrace incrocia le braccia davanti al petto e guarda a terra, completamente disinteressato alla faccenda. Felce nota che si sta massaggiando lentamente il punto in cui si è beccato la gomitata.
- No. Perché dovrebbe inseguirmi qualcuno? E poi chi?-
- I Cacciatori, per rivederci al mercato come schiavi o oggetti da collezione.- Risponde Carminio, mentre un brivido gli percorre la schiena. Antrace stringe le braccia attorno al busto, quasi conficcandosi le dita nelle costole. Il volto di Felce passa da perplesso a sbalordito, sentendo la risposta. Impiega qualche secondo prima di trovare le parole per ribattere.
- Non è possibile. I nostri genitori umani ci proteggono finché non siamo adulti, poi il nostro genitore Drago ci viene a prendere. Nessuno dovrebbe darci la caccia. I nostri genitori si prendono cura di noi, non lo permetterebbero mai.- Dice infine, aggrottando le sopracciglia. Carminio sospira mentre i suoi occhi color brace accesa si incupiscono.
- Non tutti hanno genitori così premurosi.- Ribatte acidamente la voce baritonale di Antrace, che fissa su di lei uno sguardo cupo e tempestoso.
- Di solito ti crescono fino all’età di tre anni poi, appena trovano qualcuno che li paga abbastanza, ti vendono senza pensarci su due volte. E allora non c’è proprio nessuno a cui chiedere aiuto o che si preoccupi per te.- Spiega poi, con altrettanta acidità. Felce, però, può giurare di sentire sotto al risentimento, troppo dolore nascosto.
- E non avete mai pensato di dirlo ai vostri genitori con la scaglia?- La domanda di Felce lascia perplessi i due Flemmari.
- Quale scaglia?- Chiede Carminio con la fronte corrugata.
- Quella che ogni drago lascia ai propri figli Flemmari. I vostri genitori umani dovrebbero avervi spiegato come funziona.- I due ragazzi negano con il capo, con grande stupore della ragazza.
- Sicuri? Dovrebbe assomigliare a questa.- Felce mostra loro la scaglia verde della madre. Loro la guardano come se non avessero mai visto qualcosa di simile prima di allora.
- Non ho mai avuto qualcosa di simile a quella.- Afferma il Flemmare dai capelli di fuoco e guarda il compagno per sondarne l’opinione. L’altro ha gli occhi argentati ancora fissi sulla pietra verde, ma Felce non saprebbe dire cosa egli stia pensando. Solo dopo qualche altro secondo, il ragazzo parla:- Non ricordo di averne mai avuta una, ma ne ho viste di simili.-
- Dove?- Chiede Carminio. Antrace deglutisce e le dita sbiancano mentre si conficcano con più profondità nella sua pelle.
- Al mercato.-

Felce spalanca gli occhi inorridita e stringe al petto la propria scaglia.
- Le rivendevano a caro prezzo, insieme con i Flemmari. Sono taglienti e indistruttibili.- Spiega Antrace, con gli occhi argentati fissi sulla ragazza:- È quello che hanno detto i Cacciatori, mentre prendevano il pagamento.- La sua voce è ferma, completamente inespressiva. Il silenzio cala sul trio per qualche interminabile minuto. Carminio fissa il Flemmare con occhi lucidi, mentre Felce ha il cervello ancora bloccato sulle ultime informazioni ricevute. Il silenzio permane assoluto, nessuno si muove. Poi la ragazza esplode.
- Non se le possono tenere. Sono vostre! Dobbiamo riprendercele!- I due ragazzi la fissano sbalorditi.
- Dovete riprenderle o i vostri genitori non vi troveranno mai. Mia madre me lo ripete ogni giorno e mio padre le fa eco almeno una volta ogni mese.- Felce è infervorata dalle sue stesse parole e dall’indignazione che la situazione genera in lei, nemmeno si accorge che i due ragazzi la guardano come se fosse matta, mentre lei pensa ad un piano.
- Potremmo andare al mio villaggio e chiedere aiuto a mio padre e mio fratello. Sicuramente anche gli altri cacciatori vi daranno una mano.- I due Flemmari scattano all’indietro, diffidenti.
- Tuo fratello è un Flemmare?- Chiede Carminio, troncando sul nascere la domanda di Antrace, mentre i suoi occhi color brace ardente studiano la ragazza.
- No.- Nega nuovamente lei:- È il figlio di mio padre e sua moglie, la mia madre adottiva.-
Lo sguardo incandescente di Carminio si fa più penetrante e curioso.
- E lei sa che sei una Flemmare?- Felce nega con il capo.
- E non si è mai chiesta da dove tu arrivassi?- Felce sorrise.
- Sì, ma papà ha trovato una scusa accettabile. Mia madre mi ha lasciato da lui una sera e lui ha detto a sua moglie che gli ero stata affidata da dei gitani e che non poteva abbandonarmi. Il tutto con somma gioia dei miei fratelli che hanno avuto una sorellina.- Carminio sbatte le palpebre un paio di volte, corruga la fronte e stringe le labbra.
- Ah.- Dice alla fine, come se gli fosse tutto chiaro, mentre il suo volto si distende e un leggero sorriso torna ad animargli le labbra, nonostante i suoi occhi ardenti la stiano ancora studiando.
- Vado a parlarne con mio padre.- Decide la ragazza. Alza gli occhi verdi al cielo che a malapena si intravvede attraverso le fronde e capisce immediatamente che il tramonto è imminente.
- Devo anche dir loro che sto bene.-
- Non puoi farlo. Loro non ci aiuteranno mai. Appena sapranno quanto valiamo, ci cattureranno e ci venderanno al primo che capita.- La blocca Antrace, con le braccia ancora conserte. Felce scuote la testa negando.
- Ti puoi fidare di loro.- Prova a rassicurarlo lei.
- Certo!- Sbotta Antrace, dopo uno sbuffo spazientito:- Ci possiamo fidare così tanto di loro, che né tu né tuo padre avete detto che sei una Flemmare. Appena scopriranno che non sei una Mezzelfa o che nelle tue vene non scorre sangue di Driade, ma quello di un Drago, scapperanno via a gambe levate e troveranno un modo per sbarazzarsi di te. E tuo padre non ti darà una mano!- Felce si paralizza, ferita da quelle parole dette con tanto astio, troppa rabbia a stento contenuta e molta voglia di ferire. La ragazza sente gli occhi pungerle, mentre le immagini si sgranano e sa di avere gli occhi lucidi. Non le è di conforto sentire la voce di Carminio rimproverare il compagno e alzarsi di volume, spaventando gli abitanti della foresta. Non le interessano le parole che provano a trattenerla lì, mentre lei, rapida, si arrampica su un albero e scappa via. È veloce quasi quanto il vento, mentre i suoi piedi sfiorano a malapena le fronde degli alberi, incendiati dal tramonto sanguinolento.
Arriva a casa in pochissimo tempo, scalza e senza cestino. Entra con le guance rigate dalle lacrime, sbattendo la porta alle spalle, e sale di corsa le scale per chiudersi in camera, senza nemmeno sentire le voci della sua famiglia chiamarla, esprimere sollievo, porle domande, provare a trattenerla. Sbatte la porta della propria camera e si butta sul suo letto, rannicchiata in posizione fetale, le orbite premute contro le ginocchia, le braccia strette a proteggerle la testa. E, finalmente, piange.

Carminio si alza di scatto e inizia a camminare in cerchio, passandosi nervosamente le mani fra i capelli. Sente la propria temperatura corporea salire ulteriormente, come se non fosse già abbastanza caldo di suo.
- Come ti è saltato in mente di dire quelle cose?- Urla infine, fermandosi e indicando con le mani aperte Antrace. Quest’ultimo alza i propri occhi argento dal sasso che stava contemplando e li fissa, freddi e tranquilli, in quelli ardenti dell’altro. Non dice niente, rimane fermo, seduto con le spalle contro un tronco d’albero, le lunghe gambe accavallate.
- I vestiti.- Dice soltanto, dopo alcuni secondi. Carminio stringe i pugni e li porta lentamente lungo i fianchi, cercando di abbassare la propria temperatura, prima di dare fuoco, di nuovo, ai propri vestiti. È solo di recente che ha scoperto di poterlo fare e non ha ancora il pieno controllo sul proprio potere.
- Sai quanto m’importa!- Esclama, cercando di mantenere il discorso sul tema originale.
- Voleva solo aiutarci!- Antrace sbuffa e solleva gli occhi al cielo.
- Certo, sguinzagliandoci dietro i cacciatori che avevamo allontanato con il fumo, il piccolo terremoto e i boati. Proprio un gran bell’aiuto. Ora che mi detesta non dirà a nessuno dove siamo. Ho solo fatto in modo di proteggere tutti.- La voce di Antrace è ferma e tranquilla, non tentenna minimamente. Se è possibile, questo fa aumentare l’ira che scorre come lava nelle vene di Carminio.
- Non tutti i genitori Umani di un Flemmare sono come tua madre!- Grida e non gli importa di svegliare tutta la foresta. Fa a tempo a notare il guizzo nello sguardo argentato dell’altro e si ritrova a terra, bloccato dal peso di Antrace. Sa di poterlo ribaltare con facilità, ma ciò che lo tiene davvero inchiodato al suolo, contro l’erba che si sta seccando e inizia quasi a prendere fuoco, sono gli occhi di lui.
- È quello che fanno tutti. L’ha fatto anche la tua.- Carminio può sentire la voce baritonale dell’altro vibrare nelle proprie ossa, mentre parla. Poi Antrace si china e sussurra nel suo orecchio, facendolo rabbrividire maggiormente:- Ricordo ancora come piangevi, quando hai capito che ti aveva venduto.-
Prima ancora che la frase sia finita, il peso che schiaccia Carminio svanisce in un movimento sfocato di grigio. Il Flemmare rimane immobile a guardare le fronde degli alberi. Si alza solo dopo un tempo infinito e si inoltra nella foresta. Dietro di sé ci sono solo fili d’erba neri a segnare il suo passaggio.

La porta della camera si apre silenziosamente e Dennis entra, chiudendola dolcemente alle proprie spalle. Non ha cenato, non dopo aver visto la fuga disperata di Felce. Sa che la sorella adottiva ha avvertito la sua presenza già da quando lui era sulle scale, ma il giovane uomo non può fare a meno di avvicinarsi il più silenziosamente possibile al letto di lei. La trova rannicchiata sul copriletto, la treccia verde non più perfetta le ricade dietro la schiena. Dennis chiama la sorella per nome ma non ottiene alcuna risposta. Costeggia il letto e si siede lentamente accanto alla sorella.
- Felce?- Prova di nuovo, mentre allunga lentamente una mano verso la spalla di lei. La ragazza sussulta un attimo prima di essere toccata e lui ritrae la propria mano.
- Che cosa è successo?- Gli risponde solo un mugugno incomprensibile. Dennis prova a sfiorare la sorella e lei non si muove. Quando appoggia il palmo sulla spalla di lei, sente tutta la tensione che l’attraversa e che pian piano, sotto le proprie dita, va a dissolversi.
- Felce?- La chiama di nuovo, deciso a consolare la sorella e scoprire cosa la renda così triste.
- Cos’è successo nella foresta?- La sorella si rannicchia maggiormente, accoccolandosi più vicino al fratello. Lui inizia a carezzarle delicatamente la schiena, cercando di alleviarne il dolore e la tensione. Riesce nel suo intento solo dopo molto tempo, quando la notte è calata già da ore e tutti sono andati a dormire. La sorella si è completamente rilassata e gli si è avvinghiata addosso.
- Cosa c’è nella foresta?- Chiede nuovamente Dennis, la voce ridotta a un sussurro grave. La ragazza alza i propri occhi verdi su di lui.
- Flemmari.- Risponde:- Altri mezzi draghi come me.-

Basta quella frase a far scattare Dennis fuori dalla stanza e ad avvicinarsi a quella dei genitori. Accosta l’orecchio alla porta e, non sentendo alcun rumore, bussa. Aspetta qualche altro secondo, poi abbassa la maniglia ed entra. La stanza è avvolta nel buio, ma lui la conosce a memoria e giunge accanto al letto senza esitazione. Chiama il padre e lo scuote delicatamente per una spalla, finché lui non si sveglia di soprassalto e cerca qualcosa sotto il cuscino.
- Sono io, papà.- Sussurra il figlio:- E ho il tuo pugnale.- Cerca con una mano quella del padre e, appena la trova, poggia su di essa l’arma.
- Perché mi hai svegliato?- Chiede l’uomo, ancora assonnato ma non meno arrabbiato.
- Felce. C’è qualcosa che devi sapere.- Il padre si alza immediatamente, infila le pantofole accanto al letto e segue Dennis, mano nella mano, fuori dalla camera fin dentro quella del figlio. L’ambiente è rischiarato dalla luce di una candela posta sul tavolino e la figlia minore è seduta sul letto. Felce si volta verso di loro e spalanca gli occhi sorpresa. Li ha gonfi e arrossati e le tremano le labbra. Il padre corre subito dalla figlia e le poggia le mani sulle spalle, mentre si siede accanto a lei.
- Che cosa è successo? Stai bene? Ti hanno ferita?- Domanda a raffica l’uomo, senza lasciare alla figlia il tempo di rispondere. Si ferma solo quando sente la mano di Dennis appoggiarsi sulla sua spalla e la sua voce chiamarlo. L’uomo si volta a guardare il figlio che gli fa cenno con la testa di tacere e stare ad ascoltare ciò che la figlia ha da dire. Il padre riporta la sua completa attenzione su Felce, senza lasciarle le spalle. Aspetta, finché la sua pazienza non è ricompensata e la figlia inizia a sussurrare ciò che ha scoperto del bosco.

Il sole sorge lentamente, illuminando il bosco di mille gradazioni di verde e risvegliando il villaggio con calore e dolcezza. Gli uccelli diurni iniziano a svegliarsi, cinguettano, annunciando il buon giorno a tutti. Ben presto il mondo riprende vita, mentre gli animali notturni riposano. È una giornata come tante, sia all’interno della foresta sia al villaggio. Eppure il mormorio che dopo pochi minuti inizia a diffondersi tra i compaesani annuncia tutt’altra storia. In pochi minuti, dopo che tutti hanno ricevuto la convocazione, la piazza principale è gremita di persone mentre le case sono vuote. In un angolo, c’è una donna che piange, consolata dal marito e circondata dai figli tristi, mentre accanto a lei c’è una donna spaesata, distaccata dalla realtà, che prova a mantenere un aggancio con quanto sta accadendo, stringendo la maglia del proprio consorte. Nessuno ha idea di cosa stia succedendo ma le spiegazioni non tardano ad arrivare. L’anziana Rebecca è morta nella notte. La frase secca e piena di cordoglio attraversa la piazza paralizzando sul posto tutti i presenti. Felce stringe l’abbraccio attorno al fratello e affonda il volto nel petto di lui, che le coccola la schiena mentre il resto della famiglia la guarda con compassione. Dopo la famiglia di Rebecca, è sicuramente la ragazza dai capelli verdi a soffrire di più per tale perdita. Ciononostante lei non si lascia sfuggire nemmeno una lacrima, neanche un singhiozzo. Ha già pianto abbastanza la notte appena passata per poter versare altre lacrime. Il capo del villaggio continua a parlare, esprimendo cordoglio e vicinanza alla famiglia a nome di tutti, affermando che non li lasceranno soli, forti dell’affetto che li unisce. Prima che possa concludere il discorso e permettere a tutti di tornare alle proprie faccende, il padre di Felce fa un passo avanti e alza una mano per attirare l’attenzione di tutti. La ragazza dai capelli verdi affonda maggiormente il viso nel petto del fratello maggiore, mentre Kira e Sean la circondano, per proteggere dagli sguardi altrui. Nessuno, oltre a lei, Dennis e il padre, sa cosa sta per succedere e il fratello maggiore stringe più forte a sé la sorella, sperando che la propria famiglia e il proprio villaggio non vadano in pezzi da un momento all’altro.
Il silenzio regna sovrano per una manciata di secondi, che sembrano infiniti. Il capo del villaggio invita il padre di famiglia a parlare e questi, dopo aver preso un lungo respiro, incomincia.
- Abbiamo un problema.-
L’uomo si morde le labbra mentre tutti i suoi compaesani trattengono il respiro e lo guardano preoccupati. Non gli sfuggono i numerosi occhi che volano su Felce, ben nascosta dai fratelli.
- So cosa ha causato il fumo, il tremore della terra e i boati, ieri.- L’uomo si interrompe di nuovo mentre gli altri cacciatori lo invitano a proseguire.
- È una storia un po’ lunga. Sebbene nessuno si sia fatto troppo male ieri, senza mia figlia Felce, io e Dennis potremmo non essere qui, oggi. Nonostante ciò, quello che viene chiamato “mostro” non è esattamente un mostro. Sono delle persone. Più o meno.- Un brusio preoccupato attraversa la folla lì radunata, alcuni chiedono spiegazioni e l’uomo sa, con certezza, di aver usato le parole sbagliate.
- Sono dei ragazzi tra i sedici e i diciotto anni e sono in parte dei Draghi. Sono dei Flemmari.- La folla si zittisce immediatamente, si stringe su se stessa, mentre aspetta ulteriori spiegazioni.
- Non sono pericolosi, ma qualcuno, il Cacciatore, li vuole catturare per rivenderli sul mercato degli schiavi. Loro si sono rifugiati nella foresta solo per stare al sicuro e non hanno intenzione di minacciarci. Vogliono solo essere lasciati in pace.-
- E come può essere questo un nostro problema?- Chiede un uomo dai capelli rossi. Il padre si volta a guardare la propria famiglia e incontra gli occhi verdi di Felce che lo esortano a continuare. Lui fa un respiro profondo, guarda ancora la figlia, poi torna a rivolgersi a tutti i suoi compaesani.
- Perché ogni Flemmare ha una scaglia che consente ad ogni genitore Drago di ritrovare suo figlio una volta adulto. Senza di essa nessuno di quei ragazzi potrà mai tornare a casa. E questo perché le scaglie sono in mano al Cacciatore che li sta ancora cercando. E…- Anticipa un’altra domanda dell’uomo dai capelli rossi:- …e non possiamo lasciarli lì. Il Cacciatore li troverà e metterà a ferro e fuoco l’intera foresta e il nostro villaggio, pur di catturare quei ragazzi.-
- Come puoi essere sicuro di tutto ciò?- Chiede un altro uomo.
- Lo so perché mia figlia Felce li ha incontrati e li vuole aiutare nonostante uno di quei ragazzi l’abbia trattata male. E nonostante avvicinarsi al Cacciatore, per lei, possa significare finire catturata e venduta come schiava. Sua madre è un Drago delle Selve.- La notizia scombussola tutti i presenti e l’uomo non è sicuro che il discorso che ha appena fatto abbia molto senso logico. Spera solo che l’unità del villaggio protegga lui, la sua famiglia e la sua Felce e che siano tutti disposti ad aiutare i Flemmari nel bosco.
- Da quanto sai che lei non è normale?- Chiede una donna anziana.
- Da quando sua madre me l’ha affidata. Non poteva tenerla con sé, non fino al giorno in cui Felce non sarà adulta. Sua madre voleva solo proteggerla e anche i genitori dei Flemmari nella foresta volevano solo che fossero al sicuro, ma non potevano immaginarsi che le persone a cui affidavano i propri figli non sarebbero riuscite a proteggerli e a prendersi cura di loro. Sono solo dei ragazzi a cui viene data la caccia e che non hanno nessuno che si prenda cura di loro. Sono abbandonati a se stessi e noi abbiamo la possibilità di dar loro la speranza di tornare a casa.- Appena finisce di parlare, sa di aver detto finalmente le parole giuste e che nessuno abbandonerà quei Flemmari. Lo vede negli occhi vivi e pronti dei suoi compaesani, in come le coppie si stringono le mani per farsi forza, negli sguardi che corrono ai parenti più giovani, carichi di affetto, di premura, di cura.
- Allora, troviamo il Cacciatore, prendiamo le pietre e aiutiamo i Flemmari o no?- Chiede e il villaggio risponde all’unisono il proprio assenso. Il capo del villaggio chiede comunque una votazione per alzata di mano, ma il risultato positivo è unanime. Solo allora l’uomo si volta per incrociare lo sguardo felice di Felce, che ha disseppellito il volto dalla maglia del fratello e sorride radiosa.

L’organizzazione è laboriosa e coinvolge tutto il villaggio. Prima di tutto si svolgono i funerali dell’anziana Rebecca e tutti salutano di buon grado Felce, in possesso della memoria culinaria del loro piccolo popolo. Solo due giorni dopo l’assemblea in piazza, ne viene organizzata un’altra per dividersi i compiti. Ai giovani viene dato l’incarico di far visita ai villaggi vicini per cercare informazioni sul Cacciatore, mentre le donne si spingeranno fino alle città poco più grandi per controllare i mercati. Nel frattempo gli uomini si occuperanno di ideare un piano per tutelare i Flemmari nella foresta, impossessarsi delle scaglie e allontanare per sempre il Cacciatore o i Cacciatori. Felce corre tutto il giorno avanti e indietro, per controllare i campi e gli orti, per cucinare le meravigliose colazioni che un tempo spettavano all’anziana Rebecca e cercare qualcuno a cui passare tale incarico. Sa che rimarrà in quel villaggio solo per pochi anni ancora, prima che sua madre venga a prenderla, e vuole essere del tutto preparata per quel momento. Oltre a tutte le sue normali mansioni al villaggio, però, Felce si deve occupare della foresta. Nessuno ha più osato entrarci e la Flemmare dovrebbe stabilire un contatto con i ragazzi che la abitano, per rassicurarli e avere maggiori informazioni sul mercato di schiavi. Ad essere sincera, Felce non ha ancora stabilito un contatto con Carminio e Antrace. È entrata nella foresta ogni giorno, ma non è mai andata da loro. Non ha alcuna idea di come loro potrebbero reagire, sapendo ciò che lei ha fatto, e non vuole essere di nuovo offesa dal ragazzo grigio. Dopo tre giorni dall’ultima assemblea, però, la ragazza sa che il tempo stringe. Deve andare da loro e mettere in chiaro cosa stia succedendo al villaggio.
Così, dopo aver controllato i campi, Felce stringe fra le dita la scaglia verde della madre e, scalza, si inoltra nella foresta. Raggiunge velocemente il luogo dove ha incontrato i due Flemmari per la prima volta, ma non trova alcuna traccia che possa condurla a loro. Non si arrende e guarda la pietra che ha sempre paura di perdere. Pensa ad Antrace e la scaglia si illumina, cambia colore e mostra immagini bianche, nere e grigie, di un luogo chiuso e affollato. C’è poca illuminazione e si intravvedono spuntoni di rocce ovunque, mentre sullo sfondo sembra esserci una parete. Felce si maledice e trattiene a stento un grido di rabbia. Ciò che vede non le è di alcun aiuto. Chiede mentalmente un po’ di colori e subito viene accontentata: scopre che la parete è nera e che gli spuntoni di roccia sono di mille colori diversi e hanno la superficie sfaccettata. È un’immagine statica e priva di senso e Felce non ha idea di cosa ciò significhi. Pensa velocemente a sua madre e l’occhio giallo pulcino della madre appare, circondato dalle squame verdi. La chiama e la donna risponde solo dopo una manciata di secondi.
- Ciao tesoro! Da quanto tempo che non ci sentiamo. Va tutto bene?- Chiede la voce dolce e melodiosa del drago.
- Sì ma ho un piccolo problema.- L’occhio si fa attento e la invita a continuare.
- Sono entrata nella foresta e ho salvato papà e Dennis. C’era del fumo, la terra tremava e degli scoppi assordanti risuonavano nell’aria. Volevo capire cosa causasse tutto ciò, se c’era davvero un mostro, come dicevano al villaggio o meno. Così mi sono inoltrata e ho scoperto che nella foresta si nascondono dei Flemmari. C’è un Cacciatore che li vuole catturare e rivendere al mercato degli schiavi. Ha sottratto loro le scaglie e adesso loro sono soli. I loro genitori umani non li hanno protetti. Ed io volevo aiutarli. Tutto il villaggio mi sta aiutando, ma non riesco a trovare i Flemmari. Ne avevo ferito uno e una goccia del suo sangue è finita sulla mia scaglia. Mi avevi detto che facendo così, avrei potuto trovare chiunque ogni volta che volessi, ovunque fosse. Con la mia famiglia funziona, ma con il Flemmare no. La tua scaglia mi mostra solo l’interno di un sacco con delle pietre colorate. Sembrano quasi scaglie.- Racconta la ragazza frettolosamente, quasi senza respirare. Intorno all’occhio si generano delle pieghe e Felce sa che la madre sta sorridendo, anche se lei non ne capisce il motivo. Poi sente la madre trattenere una risata e ciò la confonde maggiormente.
- Con tutti coloro che non hanno una scaglia, puoi vedere ciò che loro vedono, ma con i Draghi, i Flemmari, le Viverne e poche altre razze dotate di squame, ciò che vedi è ciò che vede la scaglia. Adesso vedo il tuo volto, perché la tua scaglia vede il tuo volto. E tu vedi il mio perché mi sto specchiando. La pietra del Flemmare che cerchi deve essere custodita in un sacchetto con altre scaglie. Sono in mano al Cacciatore.- La spiegazione rincuora la ragazza ma la intristisce al contempo.
- Come faccio a trovarlo, allora?- Chiede lei, abbattuta. Le grinze intorno all’occhio della madre aumentano.
- Sei figlia di un Drago delle Selve. Chiede alla foresta, tesoro, saprà risponderti.- Le consiglia la madre. Felce sorride a sua volta, annuisce e la saluta. La scaglia torna verde, la Flemmare si accosta a un albero, ne sfiora il tronco con le dita e sa dove andare. Si arrampica su di esso e corre, quasi vola, sulle fronde, fino alla sua destinazione.

Felce giunge a una radura nascosta in neanche un quarto d’ora. Rimane immobile, nascosta tra le fronde, ad osservare ciò che sta succedendo. Sente un paio di battiti cardiaci e il respiro di varie persone. Ci sono vari odori mischiati a quello della foresta e i suoni sono abbastanza attutiti, sebbene ci sia molto movimento in quella zona. Felce scivola lentamente sui rami, raggiunge il tronco e scende, silenziosa, dietro di esso, nascondendosi. Sbircia la radura con attenzione, cercando di non farsi notare. Intravvede alcune schiene, un paio di teste, delle mani, alcuni bambini che corrono. Incuriosita, la ragazza si sporge maggiormente dal suo nascondiglio e osa avvicinarsi di un passo. È proprio in quel momento che qualcuno si guarda attorno e la nota. Il paio di occhi color argento si sgranano per la sorpresa. Felce prova a ritirarsi all’ombra degli alberi, ma il proprietario di quegli occhi si è già alzato repentinamente e si sta dirigendo, silenzioso e inosservato, verso di lei. Felce non può nemmeno nascondersi sulla fronda di un albero, che Antrace l’ha già raggiunta e serra le sue dita magre attorno al polso di lei.
- Come hai fatto a trovarci?- Chiede lui con la sua voce baritonale.
- Ho chiesto alle piante.- Risponde lei, fissando altezzosamente i propri occhi verdi in quelli freddi di lui.
- I tuoi cacciatori ti stanno seguendo per catturarci e venderci al mercato?-
- No!- Nega lei arrabbiata.
- Ah, ti hanno mandato via. Se avessi detto di essere una Mezzelfa, ora saresti al sicuro nella tua dolce casetta. Invece tuo padre ti ha abbandonata, come tutti i nostri genitori umani, d’altronde.- La presa di Antrace è ancora ferrea sul polso di lei, ma Felce riesce comunque a liberarsene.
- No. Se mi stessi ad ascoltare invece di sputare le tue solite sentenze piene di risentimento, forse capiresti che non tutti sono degli affaristi!- Lo rimbecca lei. Il ragazzo non ribatte ma la guarda sfidandola a dimostrargli il contrario.
- Mio padre ne ha parlato a tutto il villaggio. Sanno che sono una Flemmare, ma non sanno che sono effettivamente sua figlia. Sanno anche di te e Carminio. E hanno deciso all’unanimità di aiutarvi. Stanno tutti lavorando e dandosi da fare per cercare il Cacciatore e sottrargli le vostre gemme e tenerlo lontano da voi.- Antrace rimane muto, mentre i suoi occhi d’argento si spalancano e le sue labbra si socchiudono appena. È davvero stupito, abbastanza incredulo. Prova a dire qualcosa ma non riesce nemmeno a muovere le labbra tremanti. Si volta di scatto a capo chino.
- Resta qui e non ti muovere.- Dice soltanto e torna nella radura. Felce lo sente chiedere a qualcuno dove sia Carminio e una voce femminile rispondergli, sebbene lei non ne colga le parole. Aspetta pazientemente e, solo dopo quasi un quarto d’ora, vede tornare Antrace seguito da un sorridente Carminio. Nota distrattamente come la mano del primo stringa tremante il polso caramellato dell’altro, quasi a volersi assicurare che sia davvero lì e che quello che sta per succedere sia davvero reale.
- Felice di rivederti.- La saluta Carminio, gli occhi color brace circondate da rughe di pura allegria.
- Quali sono le belle novità che dovevi annunciarci?- Chiede, con voce gentile.
- Il mio villaggio vuole aiutarvi e sta già cercando il Cacciatore per prendergli le scaglie e tenerlo lontano da voi. Vorrebbero, tuttavia, conoscervi e avere qualche informazione in più sui mercati, il Cacciatore e le scaglie. Io sono il punto di contatto fra loro e voi.- Gli occhi di Carminio sembrano brillare più intensamente, mentre la sua bocca si spalanca per lo stupore. Torna a sorridere ancora più contento di prima e guarda Antrace per condividere la propria gioia con lui. L’altro Flemmare gli sorride timidamente, ancora incredulo alla notizia.
- È magnifico, ma prima dobbiamo chiedere agli altri se sono d’accordo. Vieni, te li presentiamo.- Detto ciò Carminio le fa strada, con Antrace accanto che ha rafforzato la presa attorno al polso del compagno. Il ragazzo dai capelli di fuoco gira la mano tra le dita dell’altro fino a potergli sfiorare la pelle tirata sulle ossa. È un gesto delicato, quasi impercettibile che, tuttavia, placa in parte la tensione dell’altro. In pochi passi il terzetto sbuca nella radura e tutti si voltano a guardarli. Rimangono stupiti e smettono di fare qualsiasi cosa stessero facendo per guardare la sconosciuta, in carne, vestita bene e dalla lunga treccia verde che segue Antrace e Carminio. Nessuno l’ha mai vista ma basta un respiro per sentire il profumo di lei e riconoscerla come Flemmare. Il principio di tensione, che tendeva le membra di tutti, svanisce e piccoli timidi sorrisi sbocciano sui volti giovani. Lo stupore dipinge il viso di Felce che non ha mai visto tanti Flemmari riuniti in un unico posto. Sono sia maschi che femmine, tutti abbastanza magri, e hanno età comprese tra i tre e i diciotto anni. Hanno i capelli e gli occhi dei colori più disparati, dal bianco al blu, dal rosso al verde, dal castano al viola, dall’arancione al nero. La loro pelle comprende un’altrettanta vasta gamma di sfumature e piccoli segni distintivi connotano alcuni Flemmari. Una dodicenne alla destra di Felce ha le orecchie frastagliate, la pelle color sabbia bianca, un ragazzo ha lineamenti duri e marcati e piccole placche rilucono sulle nocche delle dita, sotto ai raggi del sole pomeridiano.
Una bambina ha la pallida pelle scoperta coperta di nei scuri come la notte, il bambino accanto a lei ha dei particolari segni obliqui e rosati ai lati del collo. Uno ha una carnagione che scintilla sotto al sole, una ha gli occhi fluorescenti e la pelle diafana.
- Flemmari, lei è Felce. Viene dal villaggio qui vicino e sia lei sia i suoi compaesani si stanno dando da fare per aiutarci a ritrovare le nostre scaglie e a liberarci dal Cacciatore. Prima che lo chiediate, non avete niente da temere né da lei né dal villaggio e le scaglie sono qualcosa che ci rendono trovabili dai nostri genitori.- Tutti lo ascoltano attentamente; Carminio fa un cenno con una mano a Felce e lei capisce immediatamente a cosa si riferisce. Estrae la scaglia di drago da una tasca della veste e la mostra a tutti.
- Posso parlare con mia madre. Ve la posso mostrare se volete.- Propone e tutti si scambiano occhiate interrogative per giungere a una risposta unanime.
- Ti crediamo. Ma ci farebbe piacere parlare con un Drago.- Dice una ragazza dai capelli lilla. Si guarda attorno per assicurarsi di aver interpretato correttamente il pensiero di tutti.
- Certo.- Risponde Felce e si avvicina a loro.
- Avvicinatevi.- Li esorta e pensa a sua madre. La pietra verde si illumina e le sfaccettature rimandano immagini in bianco e nero, confuse. Poi tutto si chiarifica e i colori tingono la superficie. Un occhio giallo pulcino appare, circondato da scaglie verdi.
- Ciao mamma!- Saluta la ragazza.
- Ciao, tesoro. Hai trovato il Flemmare che cercavi?- Chiede una voce dolce e femminile.
- Sì. E anche molti altri. Papà e il villaggio stanno lavorando per aiutarli. Nessuno di loro ha la propria scaglia, né ricorda di averla mai avuta. Non hanno mai visto i loro genitori draghi o non lo ricordano. Volevano vederti.-
- E i loro genitori Umani?- Chiede la voce di donna. La figlia tentenna per qualche secondo prima di rispondere.
- È un po’ complicato da spiegare. Non ci sono. E si stanno arrangiando tra di loro. Sono soli.- La donna tace ma la sua pupilla si restringe e Felce sa che le proprie parole l’hanno contrariata.
- Stolti Umani.- Sussurra stizzita la donna, poi si riprende.
- Tienili al sicuro e ridai a ciascuno la propria scaglia. Io vado a parlare con i loro genitori. Ti cerco io. Stammi bene e non metterti nei guai.- Dice la donna con voce fredda e indiscutibile. Le immagini svaniscono e la scaglia torna verde. Tutti i Flemmari intorno a lei la guardano stupiti e senza parole.
- Quella è tua madre?- Chiede un ragazzino. Felce annuisce.
- Non è un’Umana.- Osserva qualcun altro.
- È un Drago.- Conferma lei.
- E ora che cosa si fa?- Chiede la ragazza dai capelli lilla.
- I miei compaesani vorrebbero conoscervi e avere più informazioni sul Cacciatore. Vi andrebbe di venire al villaggio e incontrarli?- Tutti retrocedono di un paio di passi, spaventati. Si scambio sguardi terrorizzati e confusi, interrogandosi a vicenda alla ricerca di risposte. Solo dopo svariati minuti la ragazza dai capelli lilla azzarda una risposta.
- Preferiremmo un territorio più vicino alla foresta. Ci fidiamo di te, ma non degli Umani.- Fa una pausa, osserva tutti i Flemmari, poi torna a parlare, ma esprime solo il proprio pensiero:- Nessuno di noi ha avuto belle esperienze con la loro razza. Molti sono stati venduti dal loro stesso genitore, alcuni hanno assistito alla loro uccisione, altri… sono stati strappati dalle proprie case senza essere difesi in alcun modo. Mio padre si è voltato dall’altra parte, la sera in cui un Cacciatore è giunto in camera mia e mi ha strappato dal letto. L’ho sentito dire “il tuo debito è saldato” e mio padre è rimasto immobile.- Racconta la ragazza, gli occhi color indaco duri come pietre, aridi di lacrime non versate per il trauma subito.
- Capisco.- La rassicura Felce e pensa velocemente a una soluzione:- Sul confine tra i campi e la foresta, potrebbe farvi sentire più al sicuro?- Propone e dopo nemmeno un minuto, la ragazza dai capelli lilla risponde affermativamente.
- Se ci andassimo adesso, sarebbe un problema?- Un silenzio più lungo segue la risposta.
- Decidetevi, Flemmari.- Sussurra la ragazza dai capelli lilla mentre il suo viso si contrae e si copre di rughe di concentrazione. Poco dopo arriva finalmente una risposta.
- Ci serve mezz’ora per prepararci. Vi aspettiamo là.- Dice. Felce annuisce.
- Vado ad avvisare il villaggio.- Non ha il tempo di voltarsi che la voce baritonale di Antrace la ferma.
- Veniamo con te.- Dice e lui e Carminio la seguono mentre corre tra gli alberi fino a casa.

Al confine tra i campi coltivati e la foresta, arrivano tutti puntuali. Il sole sfiora la linea dell’orizzonte e il cielo si sta già tingendo di rosa, arancione e rosso. Ben presto tutto il mondo prenderà fuoco, mentre il cielo diventerà più scuro sugli ultimi raggi di luce. I Flemmari sono schierati pochi passi davanti ai primi alberi della foresta, gli Umani formano un gruppo curioso vicino ai campi coltivati. Le due parti si guardano, si osservano curiose, cercando di capirsi, studiandosi. Il silenzio regna sovrano, persino gli animali tacciono, consapevoli che ciò che sta per succedere segnerà qualcosa di mai accaduto prima. Per ultimi giungono Felce, Antrace e Carminio che si pongono equidistanti dai due gruppi.
- Bene, direi che possiamo cominciare.- Inizia la ragazza.
- Loro sono gli Umani che abitano il villaggio. Sono i miei compaesani e vogliono aiutarvi. Loro invece sono i Flemmari che si nascondono nella foresta. Sono coloro che state aiutando, coloro che dobbiamo proteggere. Sono come me.- Felce presenta i due gruppi e aspetta qualche secondo.
- Ma sono dei ragazzini.- Osserva una donna visibilmente dispiaciuta. Gli sguardi tutti i Flemmari si puntano su di lei. La studiano, cercando di scoprire la verità dietro le sue parole. Un cenno della ragazza dai capelli lilla rassicura tutti.
- Bene. Altre osservazioni o domande?- Chiede Felce.
- Siete soli?- Chiede un’altra donna.
- Sì.- Risponde la ragazza dai capelli lilla.
- Da quanto state nella foresta?- Domanda un’altra. La risposta si fa attendere un paio di secondi.
- Una decina d’anni. Con il tempo siamo aumentati. Perché ci aiutate?-
- Perché è giusto così.- Risponde un uomo.
- Valiamo molto sul mercato. Vi converrebbe venderci.- Suggerisce la ragazza. Gli Umani rabbrividiscono inorriditi.
- No. Non ci interessa la ricchezza, non ne abbiamo bisogno. E non venderemmo mai qualcuno per nulla al mondo.- Risponde un altro uomo. La ragazza dai capelli viola aspetta qualche secondo prima di annuire.
- Iniziamo a collaborare?- Propone Felce dopo quasi un minuto di silenzio. Tutte le teste annuiscono.
- Abbiamo bisogno di tutte le informazioni possibili sul Cacciatore.- Inizia la ragazza.
- Sono più di uno. Sono… dei mercenari che hanno trovato la nostra vendita facile e redditizia. Appartengono alle più svariate razze. Sono soprattutto Umani ma ci sono anche Elfi, Mezzelfi, Vampiri, Elementari, molti ibridi. Ce n’è uno, in particolare, che sa muovere le ombre. È quasi impossibile sfuggirgli.- Spiega Carminio:- Rastrellano ogni città, meno i villaggi, e trovano sempre il modo di catturarci. Non si fanno problemi ad uccidere, ricattare, minacciare.- Quasi non finisce la frase che un giovane uomo sui vent’anni giunge correndo e si ferma ansimante, le mani sulle ginocchia, accanto al gruppo degli Umani. Tutti lo osservano curiosi in attesa che riprenda fiato. Lui si pettina all’indietro i capelli castani scuri un po’ troppo lunghi e riprende una postura eretta. Ansima ancora e trema leggermente per la fatica.
- Ho visto un Cacciatore. Ha intenzione di passare di qui domani. Seguirà la strada principale, arriverà per mezzodì.- Annuncia, generando il panico sul volto dei Flemmari. I giovani si stringono fra di loro, lanciandosi sguardi alla disperata ricerca di sicurezza.
- Puoi descrivercelo?- Chiede Carminio con voce ferma, ma Felce sente il cuore di lui battere impazzito.
- Alto poco più di un metro e sessanta, atletico, capelli neri legati in una coda, vestiva di nero, il volto coperto, ma le mani erano pallide come quelle di un vampiro.- Risponde preciso e sicuro il giovane ragazzo.
- Era a piedi e solo?- La voce di Carminio trema mentre il suo cuore accelera ulteriormente. Antrace afferra gentilmente il polso dell’altro, sfiorandogli la pelle caramellata con delicate carezze. È un gesto rassicurante che nessuno nota, sebbene valga più di tutte le parole dette in quell’incontro.
- Ha un cavallo nero e magro alla locanda dove alloggia. Non era in forma ma non sembrava nemmeno normale. Tutti gli altri animali gli stavano il più possibile lontani. Aveva gli occhi bianchi, credo sia cieco.- Risponde l’altro. Un brivido attraversa ogni Flemmare, che si stringe maggiormente al vicino, mentre Antrace stringe la presa attorno al polso di Carminio, come a volerlo trattenere lì e dirgli che va tutto bene, anche se le dita grigie tremano.
- Lo conoscete?- Chiede il padre di Felce.
- È quello che muove le ombre. Il suo cavallo ha un fiuto eccezionale ed è instancabile. Raggiungere sempre la sua preda, non importa quanto quest’ultima sia veloce. Potrebbe arrivare qui prima che il sole sia completamente calato.- Il panico, la preoccupazione e la tensione raggiungono anche gli Umani che non hanno idea di come reagire o di cosa rispondere a quelle informazioni.
- Dobbiamo andarcene. Ed è meglio se anche tu vieni con noi: tuo padre non può proteggerti da quel Cacciatore.- Afferma Carminio e tutti i Flemmari lo guardano pronti a seguirlo ovunque. È allora che accade qualcosa di imprevedibile.
- No.- La voce baritonale di Antrace sbigottisce ogni Flemmare. Carminio punta i propri occhi di brace incandescente in quelli d’argento di colui che continua a rassicurarlo e a trattenerlo.
- Eri tu quello che voleva darle una possibilità. L’hai data a tutti loro e ora non puoi tirarti indietro.- La sua voce profonda è ferma, nei suoi occhi non c’è spazio per l’incertezza, come non ce n’è mai stato. È tutto bianco o nero, buono o cattivo, non ci sono mezze misure ed è per quello che è Antrace a tenere Carminio.
- Sai che solo quelle scaglie possono riportarci a casa. Non possiamo più scappare.- Carminio non ha niente da dire. Guarda gli altri Flemmari, ancora fermi e spaventati che aspettano il più piccolo cenno per fuggire nella foresta. Li osserva tutti, chiedendo loro consiglio, e aspetta una risposta. Tutti si consultano con muti sguardi, infine la ragazza dai capelli lilla annuisce lievemente con il capo. Deglutisce, Carminio, prende un respiro profondo, quasi valutando di esserne capace. Annuisce a sua volta e guarda dapprima Felce poi gli abitanti del villaggio.
- Allora, cosa facciamo?-

Il sole regala al villaggio e alla foresta i suoi ultimi raggi, mentre svanisce completamente sotto la linea dell’orizzonte. Il cielo, prima rosso sangue, ormai è blu notte e le stelle iniziano a trapuntarlo, come piccole perle su una stoffa nera. È una notte come molte altre, ma c’è qualcosa di diverso. Le case hanno le luci spente e le persiane chiuse, i tetti fumano, ma nessuno sta dormendo. Sono tutti in attesa, nascosti in casa, attorno al bosco, all’entrata del villaggio, tesi e pazienti, incuranti del tempo che dovranno passare immobili alle loro postazioni. Il Cacciatore sta per arrivare e nessuno vuole essere colto impreparato. Il piano semplice è già pronto e ognuno sa qual è il suo ruolo.
Solo molte ore più tardi succede qualcosa. Un vento gelido si alza, il cielo si copre, l’oscurità totale avvolge il villaggio. Non si sente un rumore, mentre tutti cercano con lo sguardo il vicino, allungano una mano per sfiorarlo e sapere di non essere soli. Si ritrovano e solo quel contatto può davvero rassicurarli. Tutti trattengono il fiato in attesa di capire cosa stia succedendo. Lentamente si diffonde in tutto il villaggio il rumore di zoccoli che battono sulla terra battuta, con un ritmo lento e cadenzato. Nessuno sa perché, ma tutti iniziano a rabbrividire. Poi arrivano le prime urla terrorizzate, al limite dell’umano. Un gelido terrore invade ogni Umano lì presente, che rimane pietrificato al proprio posto. Il rumore degli zoccoli si ferma all’improvviso, qualcuno scende da cavallo e i suoi piedi producono un sussurro sul terreno. I suoi passi sono silenziosi e solo chi è davvero vicino all’entrata del villaggio può sentirlo. Dennis stringe la mano del padre e questo contraccambia, rassicurandolo. I cuori di entrambi battono impazziti, mentre i due uomini provano a mantenere il respiro calmo. Sentono il fruscio dei passi avvicinarsi a loro e Dennis, per mero principio di sopravvivenza, spera che chiunque quell’essere sia, non venga da loro. I passi si avvicinano sempre di più fino a fermarsi proprio davanti a padre e figlio. L’aria diventa gelida. Dennis stringe la mano del padre con più forza, finché non sente un brivido attraversare il genitore e una voce fredda di donna dire:- Dov’è la tua Flemmare, Umano?-
Il padre non risponde, paralizzato dalla voce e dalla punta delle dita fredde che gli sorreggono il mento. Non ha alcuna idea su cosa dire, sa solo di non poter raccontare la verità.
- Dov’è la Flemmare?- Chiede nuovamente la voce e l’uomo sente il fiato gelido della donna accarezzargli l’orecchio sinistro e la gola. È una sensazione paralizzante, di completa impossibilità di reazione, mai provata prima dall’uomo. Nemmeno quando aveva visto per la prima volta quella donna dai capelli di foglie e gli occhi verdi di lei si erano posati su di lui con tutta la loro vasta saggezza, lui si era sentito così annichilito.
- Dov’è?- Chiede per la terza volta la voce, mentre le sue dita sottili si stringono sul collo dell’uomo conficcandosi dolorosamente nella pelle. Limitano la sua capacità di respirare senza strozzarlo, ma rendendo ben chiaro chi abbia il controllo della situazione.
L’unica cosa che né lui né lei si aspettano è un lampo di luce improvviso che si schianta ed esplode, iniziando a bruciare. La presa della donna scompare mentre lei grida di dolore. Dennis scatta in avanti pronto a bloccare la Cacciatrice a terra, ma due occhi bianchi appaiono sopra di lui, poco prima che uno zoccolo si pianti nel suo petto, inchiodandolo a terra. La donna ha smesso di urlare e le fiamme che hanno iniziato a mangiarle la stoffa della maglia sulla spalla, sono già state spente.
- Un ragazzino che vuole tanto giocare a fare l’eroe.- Commenta solo rimettendosi in piedi. L’oscurità è totale, ma gli occhi bianchi del cavallo sono ancora visibili. Il padre cerca a tentoni il figlio, ma una lama fredda e appuntita si appoggia sotto il suo mento, obbligandolo a stare fermo.
- Ed ecco il padre. Mi basta la ragazza Flemmare e poter girare nella foresta e a te, tuo figlio e gli altri abitanti del villaggio non succederà niente di male.-
- Scordatelo.- Ribatte il padre senza alcuna esitazione. La lama appuntita gli graffia la pelle e basterebbe solo un movimento della mano che la regge per aprirgli la gola.
- Sicuro?- Chiede la donna. Fa un gesto con il capo al cavallo, che preme lo zoccolo più a fondo nel petto di Dennis. Il ragazzo geme ma si morde le labbra per non far preoccupare il padre.
- Un mio solo gesto e perderai dapprima tuo figlio, poi assisterai impotente alla morte di tutta la tua famiglia. Dov’è la Flemmare?- Dennis muove un braccio alla ricerca del padre e appena ne sfiora i pantaloni, disegna un piccolo cerchio su di essi. È il gesto che suo padre faceva per rassicurarlo da piccolo.
- Preferisco morire.- Dice l’uomo e la donna sorride malvagiamente nell’oscurità.
- Come preferisci. Ma prima tuo figlio.- Un cenno al cavallo e quello sa già come privare della vita il corpo sotto il suo zoccolo. Si prepara a premere maggiormente, con lentezza calcolata, mentre piccole punte iniziano a uscire da sotto lo zoccolo e conficcarsi nella pelle sottostante. Non può. Il fuoco divampa attorno a lui e circonda la sua cara padrona. La terra si muove, miriadi di spine sorgono dal suolo e si aggrappano intorno alle sue zampe, conficcandosi in esse, costringendolo a retrocedere. Dennis scivola sulla schiena allontanandosi dal cavallo, ora completamente visibile alla luce del fuoco. È scheletrico, le ossa dalla forma appuntita sporgono in maniera innaturale. Sembrano avanzi di lame taglienti unite insieme, coperte di pelle nere e traslucida, avvolta di oscurità filamentosa. Quel cavallo non ha niente di normale.
- Shi Helhest!- Grida la donna, protendendo le dita scheletriche e pallide verso il cavallo, che cerca di proteggersi dalle fiamme, che divampano sempre più alte e più vicine a lui. I guanti neri di lei sono bruciati come gran parte delle maniche e delle spalle della maglia e la metà inferiore dei suoi pantaloni. La sua pelle è bianca, coperta di nei neri dalla disposizione casuale, tirata sulle ossa in maniera quasi innaturale. Il fuoco divampa intorno a lei, fino ad avvolgerla completamente. Dennis rimane impietrito sdraiato a terra, gli occhi spalancati sul rogo immenso e lucente come il sole, tutte le stelle e tutti i fulmini messi insieme. Divampa il fuoco silenzioso, raggiunge il cielo, irradia intorno a sé un calore insopportabile e una luce accecante. Le sagome di alcuni ragazzini dagli occhi di brace incandescente, si stagliano immobili intorno ad esso e, dopo un tempo quasi infinito, un fulmine assordante piove dal cielo sulle fiamme, spegnendole. Dennis rimane immobile, frastornato da ciò a cui ha appena assistito, mentre Carminio e gli altri Flemmari controllano le ceneri. Appena può, Dennis striscia verso il padre, immobile accanto a lui. L’oscurità assoluta si è già ritirata e la notte è tornata a brillare della luce delle stelle, mentre il primo spicchio di luna crescente sorride sul villaggio. Un paio di mani afferra delicatamente Dennis e la voce della sorella lo rassicura.
- Papà sta bene.- Il tono mesto contraddice le sue parole:- È andato tutto per il verso giusto. Il Cacciatore non c’è più e abbiamo recuperato quasi tutte le scaglie.-
- Era una donna.- Riesce a dire Dennis dopo qualche secondo:- E il cavallo sembrava un destriero infernale.- Felce lo abbraccia, stringendolo al petto.
- Lo so. Ma ora è tutto finito. Stanno tutti bene.- Lo rassicura la sorella.

Sotto il primo spicchio di luna, sotto le stelle che tempestano il cielo come diamanti sul mantello della morte, la Cacciatrice è morta, arsa dagli stessi fratelli contro cui si è rivoltata per rimanere viva. Muore una Flemmare che si è ammantata nell’eredità di sua madre, Drago dell’Oscurità, come in un mantello impenetrabile, diventando emissaria di Morte. Muore una donna che ha vissuto troppo da sola, privata della sua famiglia umana e dell’unica scaglia che avrebbe potuto riportarla a casa. E i suoi assassini, i suoi sicari, si riappropriano di una parte di casa di cui sono stati privati, ma portano nel cuore il lutto della sorella perduta e dei morti che li hanno aiutati.









Angolo dei deliri:

Ebbene sì, la storia è finita, anche se forse volevate sapere qualcosa in più. Spero vi sia piaciuta e, magari, se volete, che mi lasciate un piccolo commento, giusto per sapere cosa ne pensate. Altrimenti pace. 
Per il resto, aspetto la sentenza dal giudice ManuFury e spero di non avere una condanna capitale. Ma anche riguardo a questo, qualsiasi cosa capiti, mi andrà bene.
Infine, ringrazio chiunque abbia letto e spero, di nuovo, che gli sia piaciuta la storia.
Aggiungo una piccola chicca, già che ci sono: forse.... ma fra un bel po', potrei postare qualcos'altro riguardo ai piccoli (e sfortunati) Flemmari. Se a qualcuno interessa, gli chiedo solo di avere un po' di pazienza. Per il resto, (e siamo a tre) ringrazio di nuovo tutti per aver letto.
Ciao!

 

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