Numbers

di isteria
(/viewuser.php?uid=34539)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Moirente ***
Capitolo 2: *** Eroe ***
Capitolo 3: *** Ordinale ***
Capitolo 4: *** Anomalo ***
Capitolo 5: *** Geminato ***



Capitolo 1
*** Moirente ***


<

Questa ff si ispira a un corto che ho visto mesi fa e che mi è rimasto impresso tantissimo.

Due piccole considerazioni: inizio tante storie ma non le finisco, però stavolta ho scritto la trama sul quaderno di statistica, quindi ho davvero buone speranze (invece per statistica ne ho davvero poche). Seconda considerazione: so che non si capisce moltissimo, ma andando avanti questo mondo che ho in testa prenderà forma (è tutto sul quaderno).

Detto questo, ho finito. Ho l’ansia, è una vita che non scrivo. Se non proprio piacervi, spero di riuscire a incuriosirvi con questo capitolo.

Ps: le parti prese da A Study in Pink non sono fedeli all'originale, più che altro sono andata a memoria.

Moirente

L’impegno di Andy Smith: “Se mi eleggerete il registro dei Moirenti sarà realtà.”

Con le elezioni imminenti, la propaganda vede alcuni dei principali esponenti in lizza per il posto di primo ministro fronteggiarsi sul tema più scottante degli ultimi anni: il registro dei Moirenti.
L’attentato di martedì, l’ultimo di una serie che in poco più di quattro mesi ha visto cinque Moirenti farsi saltare in aria nei punti nevralgici della città, non ha fatto altro che aumentare la paura dei cittadini.
Andy Smith, leader del Partito del Nuovo Domani, nel faccia a faccia di ieri ha dichiarato che, in caso di sua elezione, il registro “si farà e i Moirenti che non si registreranno saranno puniti con la detenzione in carcere da uno a tre anni”. La proposta ha riscontrato le ire dei sostenitori del Partito della Tolleranza guidato da Vera Deyong, che l'ha definita “degna di un regime dittatoriale”.
La campagna politica dei due esponenti va avanti senza esclusione di colpi mentre la tensione a Londra continua ad aumentare: le persone non usano più i mezzi pubblici e la paura di un altro attentato è sempre più alta. A quando il prossimo?

John Watson piegò il giornale in malo modo e lo gettò nel cestino più vicino. Aveva trovato una copia del Daily Mail per caso nell’androne del palazzo in cui abitava: sapeva che in quei particolari giorni leggere un quotidiano che faceva dell’intolleranza la sua bandiera non avrebbe fatto altro che aumentare il suo cattivo umore.

Quella fredda mattina , camminando per Londra, John rifletteva che in effetti aveva tutti i motivi del mondo per essere di cattivo umore: viveva in un appartamento triste nella periferia della città, era appena tornato dalla guerra per una ferita alla spalla (ma per ironia della sorte era la sua mente a renderlo invalido) ed era anche un Moirente.

Davanti a quell’ultima considerazione fatta, come al solito, con lo sguardo fisso a terra, John pensò che forse non era nato per essere felice. Essere un Moirente faceva schifo.


“John! John Watson!”

John si gelò sul posto. Merda.

Non voleva girarsi. Non voleva guardare l’uomo che l’aveva chiamato e leggere il suo numero. Per un secondo si chiese se non fosse meglio proseguire fingendo che questo “John Watson” non esistesse, ma ormai si era reso conto di essersi già tradito.

Ce la puoi fare. Un respiro profondo.

John si girò e, come al solito, lesse prima il numero: 13477. Tirò un sospiro di sollievo vedendo che le cifre erano sopra la testa del suo vecchio compagno di studi di Medicina, Mike Stamford.

“Mike!” si ritrovò a sorridere, suo malgrado. Stamford gli stava davvero simpatico, ma ovviamente la loro conoscenza non era andata così oltre da potersi definire davvero amicizia. Avere degli amici, per John, era davvero troppo doloroso.

“Credevo fossi in Afghanistan.”

“Lo ero infatti – John fece un gesto per indicare il suo bastone –. Sono stato congedato. Vivo con una pensione dell’esercito in un buco di culo a nord della città.”

“Dio, non riesco ad immaginarti periferia. Proprio tu!”

“Difficile permettersi un bel posto in centro con una pensione dell’esercito. D’altra parte, chi mi vorrebbe come coinquilino?” Mike sorrise.

Nel momento stesso in cui stava pronunciando la frase, John capì di avere commesso un grosso errore.

“Sai – rispose Mike- sei la seconda persona che me lo dice oggi.”


Avrebbe dovuto stare zitto. Avrebbe dovuto seguire il suo istinto dall’inizio e non rispondere a Mike. Non avrebbe nemmeno dovuto uscire dal letto in realtà, tanto le probabilità di trovare un lavoro per lui, al momento, erano anche minori di zero. Sì, avrebbe dovuto rimanere a letto.

Invece al momento si trovava a camminare a testa bassa al St. Barts Hospital, trascinato a conoscere questo sedicente nuovo inquilino.

Bastò meno di un secondo a John per individuarlo. Lo stomaco gli si contorse e subito pensò a una parola: Geminato. Sì, quell’uomo dalla bellezza così particolare e distinta, lo sguardo aristocratico non poteva che essere un Geminato. Eppure c’era qualcosa che non quadrava: i Geminati erano il top della scala sociale. I Geminati non lavoravano, tanto meno studiavano così tanto da riuscire a condurre esperimenti in laboratorio. D’altra parte, perché avrebbero dovuto? Già una sola loro consulenza era pagata quanto dieci sue pensioni mensili e non dovevano far altro che leggere un numero su una testa.

Per un secondo John pensò che lui, al contrario, avrebbe potuto fare soldi solo minacciando la gente di leggere a voce alta il numero che vedeva su di loro. Lo avrebbe anche trovato divertente se non fosse stato un periodo in cui quelli come lui avevano preso l’abitudine di farsi saltare in mezzo a gente innocente.

La verità era che, ancora prima di entrare nella stanza, John aveva già deciso che avrebbe declinato qualsiasi proposta. Non poteva reggere un coinquilino e soprattutto non quella persona.

Due cose, paradossalmente, gli fecero cambiare idea: la prima era che l’uomo era riuscito a dire tutto di lui dopo solo dieci secondi di osservazione (gli stessi che erano serviti a John per arrivare a una conclusione sbagliata sul suo conto). La seconda era quella che avrebbe dovuto farlo scappare a gambe levate e gelargli il sangue, ma che invece lo tenne inchiodato lì dov’era, con l’adrenalina che gli pompava nelle vene.

“Il nome è Sherlock Holmes e l’indirizzo è il 221b Baker Street”.

Sherlock Holmes aveva uno splendente 1 sulla testa. Sherlock Holmes sarebbe morto il giorno dopo.

Sì, essere un Moirente faceva schifo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Eroe ***


Eroe

 

A una mente ingenua, la capacità di John poteva sembrare, oltre che molto inquietante, anche affascinante: il fatto che il numero che vedeva sopra la testa delle persone diventasse più luminoso man mano che la cosiddetta “ora fatale” si avvicinava avrebbe potuto fare di John uno di quegli eroi da fumetto che, incentivati dalle classiche corse contro il tempo, si dedicano a salvare le vite degli altri.

La verità era che, per quanto la maggioranza della popolazione ignorasse le capacità dei Moirenti, la situazione era molto più complicata e meno eccitante di quanto potesse sembrare. Tanto per dirne una, anche se John avesse voluto improvvisarsi eroe senza macchia e senza paura, non avrebbe saputo da dove iniziare: per chi non era abituato, era allarmante rendersi conto della quantità di persone che avevano dei numeri bassi sulla testa. In una città come Londra, ad esempio, poteva capitare di imboccare una strada e vederne anche una decina. Chi era lui per decidere chi salvare e chi no?

La questione più importante però era un’altra. John la ricordava stampata sull’opuscolo che il dottore della clinica dell’Anagrafe Numerale gli diede quando, appena quindicenne e con qualche anno di ritardo rispetto ai suoi compagni, iniziò a vedere i primi numeri e a capire quello che significavano: “Il Destino non si cambia”. Era un modo semplice e diretto per dire al neo Moirente che, per quanto “essere un Moirente non vuol dire essere infelice”, effettivamente questa capacità non donava speranze di rivalsa: il Moirente non aveva altra possibilità che constatare un dato di fatto, ovvero  che una certa persona entro un esatto periodo di tempo avrebbe lasciato questa Terra senza possibilità di appello.

Non c’era da stupirsi, si ripeteva John, che i Moirenti cercassero di nascondere la propria condizione per non venire evitati o, peggio, ghettizzati. D’altra parte, chi voleva come  amico o compagno uno che sapeva in quanto tempo avresti lasciato questo mondo?

 

John ripensava a queste cose (soprattutto alla parte del “Destino non si cambia”) mentre vagava per le strade di Londra dopo essere state piantato in asso su una scena del crimine da Sherlock Holmes. Una parte di lui cercava di pensare a un motivo razionale per il quale stesse facendo tutto questo. Per il momento, l’unica cosa che il suo cervello riusciva a dirgli era “Perché trovi Sherlock Holmes interessante”, che non era assolutamente una risposta accettabile.  John non trovava nessuno “interessante” per principio, per lui le  persone potevano solo essere vicine alla morte o lontane: il massimo della felicità era sapere che le persone a cui teneva (ovvero quelle a cui non poteva necessariamente voltare le spalle, come la sua famiglia) avevano almeno un numero a cinque cifre sulla testa.

 

 

Erano in un ristorante italiano per un appostamento; il caso iniziava a farsi interessante, anche se John non riusciva davvero goderselo come sembrava fare Sherlock:  in realtà continuava a guardare di soppiatto l’1 luminoso sperando che l’altro non se ne accorgesse.

“Quindi…consulente investigativo, eh?”  disse per cercare di dimenticarsi del numero ormai fosforescente sulla sua testa.

“Già.” Rispose Sherlock con gli occhi fissi sulla strada.

“Pensa che quando ti ho visto la prima volta pensavo fossi un Geminato.”

Lo sguardo di Sherlock si posò su di lui, duro e fiero, l’aria altera più forte che mai.

“E cosa te l’ha fatto pensare?”

John si pentì immediatamente di averlo chiesto. Con orrore si accorse di un certo calore sul collo e sulle orecchie, segno che probabilmente stava diventando più rosso della tovaglia.

“Io…ecco…mi dispiace. Non volevo essere invadente. Mia madre mi diceva sempre che è maleducazione chiedere l’Anagrafe alle persone, ma i consigli delle mamme non si ascoltano mai, vero? Nemmeno quando si è grandi e vaccinati. Davvero, dimentica che te l’ho chiesto.” Rivolse la sua attenzione alle tagliatelle, ma improvvisamente gli era passata la fame. Se Sherlock gli avesse chiesto della sua Anagrafe? Cosa avrebbe risposto? Nonostante i Moirenti non fossero distinguibili a colpo d’occhio, c’era una discreta possibilità che Sherlock avesse già capito la sua condizione grazie alle sue deduzioni, ma, visto che non era scappato a gambe levate, c’era ancora possibilità che non l’avesse intuito. John sapeva però che sicuramente, davanti a una domanda diretta, uno come Sherlock sarebbe riuscito a capire una risposta falsa a chilometri di distanza.

Dopo un momento di silenzio imbarazzato, Sherlock decise di avere pietà di lui.

“Io…non vedo i numeri. – disse con gli occhi di nuovo fissi sul palazzo di fronte, stranamente fuori fuoco.

“Ah”, fu tutto quello che John riuscì a rispondere. Non aveva mai conosciuto un Ordinale. A quanto ne sapeva (e sicuramente ne sapeva più degli altri, visto che era un medico) ne nasceva uno ogni cinquecentomila persone, rendendoli di fatto l’Anagrafe più rara al mondo; durante la pubertà, al posto di iniziare a vedere i numeri come gli altri, su ciascuno di loro compariva sulla pelle un numero romano da uno a dieci.
La verità era che si sapevano pochissime cose degli Ordinali perché quasi tutti erano tenuti nascosti: si diceva, ma ovviamente non c’era nulla di ufficiale, che case farmaceutiche e centri di sperimentazione governativi fossero disposti a fare qualunque cosa per potere studiare la loro genetica. Era praticamente una corsa contro il tempo: chi scopriva per primo il segreto dell’Anumeralità degli Ordinali, prima sintetizzava il fantomatico medicinale che sarebbe riuscito a rendere Anumerale chi non lo era.

Per questo motivo John era rimasto basito quando Sherlock gli aveva dichiarato con leggerezza la sua condizione. Essere un Ordinale era anche peggio che essere Moirente: era come avere una taglia governativa informale sulla testa.

“Quindi hai il…tatuaggio?” chiese John stupidamente, più che altro per risvegliarsi dallo stato di semi-shock nel quale era caduto.

“Sì, sì, il tatuaggio-” rispose Sherlock assente “Quel taxi è lì da troppo tempo, è evidente che sta aspettando qualcuno o qualcosa…” , senza neanche aspettare una risposta da John, Sherlock si stava già mettendo il cappotto.

Il tempo di uscire dal locale e il taxi era già partito. Mentre correva per Londra seguendo Sherlock Holmes come se non avesse fatto altro nella vita, John continuava a pensare all’opuscolo che aveva ricevuto più di vent’anni prima e a come “il Destino non si può cambiare”. Eppure, mentre correva e correva ancora senza sentire dolore alla gamba (ma quello lo avrebbe notato dopo), John riusciva solo a pensare che non voleva altro che il Destino si sbagliasse. Perché, per la prima volta nella vita, il numero sulla testa di una persona non lo spaventava. Anzi, fu forse quello che la sera stessa lo spinse a prendere la sua vecchia pistola e a fare fuoco contro un tassista psicopatico. Mentre si allontanava dalla scena del crimine, si rese conto che, per quanto suonasse stupido (e lo era parecchio, visto che si conoscevano da meno di 12 ore), il numero sulla testa di Sherlock Holmes lo spingeva a essere un eroe.

 

“Avresti preso quella pillola, vero? JW”

John era tornato a Baker Street, deciso ad aspettare Sherlock lontano dalle domande della polizia che avrebbero potuto collegarlo all’omicidio. Con stupore si rese conto che non voleva finire nei guai non tanto  per evitare la prigione, quanto perché aveva la netta sensazione che quella con Sherlock sarebbe stata una vita parecchio movimentata. Era dai tempi dell’Afghanistan che non si sentiva eccitato per la sua vita.

“Certo, sapevo che non era quella avvelenata. SH”

Sorrise di nuovo. Se avesse potuto vedere il numero che prima con la sua luce aveva incorniciato con un’aureola i suoi capelli, sicuramente avrebbe capito che quella decisamente non era la pillola giusta.

“Non potevi saperlo. Avevi il 50/50 di possibilità. JW”

Nessuna risposta. John temette di avere varcato qualche linea invisibile e quindi decise di cambiare argomento.

“Ti lasciano venire a casa? Ordino cinese. Ti piace? JW”

“Prendo quello che prendi tu. Arrivo fra un po’, mio fratello mi sta tediando con un caso di importanza nazionale. Noioso. SH”

 

Un’ora dopo, il cibo era arrivato e John, seduto sulla sua poltrona, sentì la porta dell’appartamento aprirsi.

“In effetti il caso potrebbe anche essere interessante.” Disse Sherlock sedendosi pesantemente sulla poltrona di pelle nera.

Quando John alzò lo sguardo, dovette lottare duramente per impedire al suo sorriso di diventare una smorfia. Impietrito, cercò di non fare trasparire l’orrore nei suoi occhi. Sulla testa di Sherlock adesso galleggiava un 7.

 


Almeno sette è più di uno era quello che John si era ripetuto per gran parte della notte. Aveva dormito male e, quando l’ora fu abbastanza accettabile e quando fu chiaro che non sarebbe più riuscito a riprendere sonno, si era precipitato in cucina per prepararsi il the.

Non si aspettava certo di vedere quello che doveva essere il maggiore dei fratelli Holmes, Mycroft (12402), già in salotto. Se John stupidamente due giorni prima aveva pensato che Sherlock potesse essere descritto come “altero”  e “aristocratico”, era evidente che ancora non aveva visto Mycroft Holmes.

“La tua nuova sistemazione è…interessante, fratellino.”

Si spostava per la casa come se avesse paura che, toccando inavvertitamente qualcosa, potesse contrarne chissà quale malattia mortale.

John rientrò in cucina con il the, interrompendo quello che doveva essere il più lungo silenzio glaciale del secolo. Il che era tutto dire, contando che lui aveva Harry come sorella.

“Ah, Dottor Watson.” Il sorriso di Mycroft si allargò educatamente, senza tuttavia coinvolgere gli occhi. “Vedo con piacere che non è ancora scappato dopo avere visto l’originale stile di vita di mio fratello. Questo la dice lunga su di lei.”

John ebbe l’impressione che il maggiore degli Holmes non gli sarebbe stato tanto simpatico. Ebbe anche l’impressione che la sapesse effettivamente lunga su di lui. A quanto aveva capito, ricopriva una carica fintamente non importante nel governo britannico. Improvvisamente avrebbe voluto che la sua attenzione fosse rivolta da un’altra parte.

“Sei qui per fare il terzo grado a John o per risolvere un caso che sta mettendo a repentaglio la vita dei cittadini della Corona?” disse Sherlock a denti stretti. “Mi pare che al momento tu abbia altre priorità. I dati. Ora.”

“Come desideri, fratellino”. Ma era chiaro che Mycroft avrebbe preferito tormentare John ancora un po’.

“Sono certo saprai che ci sono stati cinque diversi  attentati, per così dire, che hanno visto Moirenti farsi esplodere nei punti più affollati della città durante le ore di punta. I giornali ne hanno parlato in lungo e in largo, ma ovviamente sono al corrente solo di una parte dei fatti.”

“Si dice che le persone in questione fossero seminude e in stato confusionale prima dell’esplosione.” John non riuscì a trattenersi dall’intervenire. Non voleva interrompere, ma l’argomento lo toccava da vicino e, anche se una parte di lui non voleva andarsi a immischiare in cose che lo coinvolgevano in prima persona, l’altra parte non poteva fare a meno di sapere.

“Precisamente. – Mycroft lo guardava incuriosito, come se lo vedesse per la prima volta; Sherlock, imperscrutabile, se ne stava seduto con gli occhi chiusi, come in trance - Quello che non si sa è che queste persone sono di fatto tutte sparite tre giorni prima delle loro esplosioni, per poi ricomparire nei punti più disparati di Londra seminudi e con dieci chili di tritolo legati alla vita.”

“E riguardo l’esplosivo? Composizione?” chiese Sherlock, aprendo gli occhi per la prima volta solo in quel momento.

“Guarda tu stesso – Mycroft tirò fuori da una cartellina marrone un foglio e lo porse al fratello – Stessa composizione, stessa mano. È evidente che c’è qualcuno dietro a tutto questo. Ti saremmo molto grati se ti occupassi del caso.”

Ci occuperemo del caso solo quando dirai tutta la verità. Non posso indagare anche su di te e su quello che non dici, Mycroft. Sono quattro mesi che questa gente salta in aria come fuochi di artificio: perché sei venuto da me solo adesso?”

“Ti reputi una risorsa molto preziosa per il governo britannico, vedo. Cosa ti fa dubitare che io sia venuto perché forse le nostre risorse ufficiali in questi mesi non hanno fatto progressi?”

“La stessa cosa che mi fa dubitare che tu ricopra solo una “carica minore” nel governo di sua Maestà: la mia intelligenza. Non insultarmi. Sei qui perché è successo qualcosa che nessuno deve sapere ufficialmente. La domanda è: cosa?”.

L’atmosfera iniziava a farsi pesante: Sherlock aveva abbandonato la sua compostezza per arrivare a sedersi sul bordo della poltrona, come pronto a saltare al collo del suo interlocutore. Anche Mycroft, dal canto suo, stringeva il manico del suo ombrello con così tanta forza da farsi diventare le nocche bianche. John pensò a come dovevano essere le cene di Natale a casa Holmes e cercò di non ridere.

“Vera Deyong – sussurrò.

“La leader del Partito dalla Tolleranza?” lo incalzò John, visto che Mycroft non sembrava incline a continuare, come se avesse un rospo troppo grosso in gola.

“ – era sotto la nostra protezione, ma ieri è sparita da casa sua. Il marito ne ha denunciato la scomparsa.”

“E cosa vi fa pensare che c’entri con le esplosioni?” chiese Sherlock.

“Beh, la Deyong al giorno d’oggi è praticamente l’unico politico che si sta battendo per la difesa dei diritti dei Moirenti. Se sparisse farebbe comodo a molti, no?”

“Certamente, Dottor Watson. Ma forse questo può illuminarvi meglio. O forse no.”

Mycroft aprì nuovamente la cartelletta marrone e ne estrasse  un foglio giallo che passò a Sherlock. Questo lo osservò per un secondo  e poi lo porse a John.

 

Nella nebbia della Grande Città non abbiamo riposo

Guardia di giorno e di notte, di nuovo.

La vita può finire in un botto,

ma conoscere il futuro può essere troppo.

 

Sotto, a mano, una scritta diceva “Salterà in aria come tutti gli altri”.

 

Quando finì di leggere, John era più confuso di prima. Guardò Sherlock e vide che lui gli sorrideva come se il Natale fosse arrivato con un mese di anticipo.

“Accettiamo il caso.”

Intanto, il numero sulla sua testa era diventato un 6.

 

 



Dunque, ho cercato di condensare molte informazioni in questo capitolo, in modo che capiate un po’ di più su questo mondo. Mi è stato detto nelle recensioni che la divisione in classi ricorda un po’ Divergent, ma la verità è che non ho mai visto il film né letto i libri. La vera ispirazione di questa ff è, oltre che il corto che vi accennavo nel precedente capitolo, anche un libro di Rosa Montero che si chiama “Lacrime nella pioggia” (ma lì la divisione era tra androidi, umani e alieni). Ve lo consiglio!

Ho introdotto quindi il caso! Spero di averlo fatto bene, è la prima volta che scrivo una case fic *ci prova*.

Infine: so che non si sa ancora molto di Sherlock, pazientate ancora un pochino, vi va?

 

Intanto grazie grazie grazie per le recensioni! Non sapete quanta voglia di scrivere mi hanno dato!

Alla prossima!

V.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ordinale ***


CAPITOLO 3

Ordinale

Se una persona qualunque gli avesse chiesto dal nulla "Dove pensi viva Vera Deyong?" non avrebbe mai risposto "In una lussuosa villa in stile edwardiano, un paio di miglia fuori Londra". Non che si aspettasse che la leader dell'unico partito liberale rimasto in Gran Bretagna vivesse in mezzo agli ultimi della società - quelli come lui, in pratica -, ma nemmeno in una casa che avrebbe fatto invidia, se non alla Regina in persona, almeno a una qualche sua cugina di secondo grado.

"Ne sai molte sulla vita e sulla guerra, John, ma ancora poco sulla politica. Devo ammettere che  invidio la tua innocenza. - disse Sherlock mentre scendevano dal taxi - Quasi mi dispiace riportarti alla realtà con questo caso."

"Non sono mica nato ieri! - replicò John, fintamente offeso - Tu, invece, uomo vissuto: hai avuto molto a che fare con questo mondo?"

"Praticamente da quando ho conosciuto Mycroft."

La visione di un piccolo Mycroft in giacca, cravatta e ombrello già invischiato nei piani diplomatici mondiali era qualcosa di troppo esilarante per trattenersi, anche su una scena del crimine.

Si guardarono per un secondo, poi iniziarono a ridacchiare.

"Ehi! Voi due! Qui sta crollando la politica britannica, vi sembra il momento?" l'ispettore capo Lestrade (11683) si avvicinò agitato, la fronte imperlata di sudore nonostante il freddo polare.

"Lestrade." salutò Sherlock, quasi irritato per l'interruzione.

"Per fartela breve: la situazione è grigia, non sappiamo che pesci prendere e ufficialmente non dovremmo essere nemmeno qui."

"Ma, dato che sei il cagnolino di mio fratello, eccoti a degnarci della tua presenza. Ora dimmi qualcosa che non so." rispose Sherlock, passandogli davanti come se non lo vedesse e dirigendosi verso l'ingresso della villa.

Lestrade guardò John, sconsolato: "Vorrei poter dire che non fa sempre così, ma mentirei. Con te, invece, sembra stranamente gentile."

Il sorrisetto dell'Ispettore lo fece sentire a disagio.

"È solo perché ci conosciamo da poco." borbottò John a mo’ di scusa.

Lestrade adesso sembrava davvero divertito.

***

L'ufficio di Vera Deyong, l'ultimo posto in cui era stata vista la sera prima, era al secondo piano dell'ala destra della casa. Quando entrò, John trovò Sherlock già indaffarato a perlustrare la scena minuziosamente con la sua lente di ingrandimento tascabile. Al momento era a carponi sul tappeto, analizzando chissà quale fibra minuscola.

"Cenere. Sigaretta, direi al mentolo a giudicare dal leggerissimo odore di menta che aleggia nella stanza, nonostante la finestra aperta. Marlboro. Non c’è nessun posacenere, quindi la Deyong non fumava o comunque era una fumatrice occasionale che in ogni caso non avrebbe mai fumato una sigaretta così forte."

John rimase di nuovo affascinato dal modo in cui Sherlock si trasformava completamente nel momento in cui aveva un mistero da risolvere. Era un uomo con una missione. Nulla poteva distoglierlo dal suo obiettivo tranne…

"John. Cosa ne pensi?" chiese all'improvviso, come realizzando solo in quell’istante di non essere solo nella stanza.

La verità era che John non ne pensava proprio niente. Era un medico, al massimo un soldato: le sue osservazioni più acute potevano coinvolgere il corpo umano e le pistole. Lì non c'era nulla su cui potesse anche solo pensare di potere dire qualcosa di vagamente sensato che Sherlock non avesse ancora pensato, vagliato ed eventualmente scartato.

"Beh…se la Deyong non fuma, direi che probabilmente qui c'è stata un'altra persona."

Sherlock sembrava dubbioso.

"Ma come sono usciti?"

"Dalla finestra? È aperta."

"Troppo alta. Per quanto atletica, neanche una persona di vent'anni riuscirebbe a saltare da quest'altezza senza farsi molto male e la Deyong ha superato la quarantina. Devono essere passati dalla porta." Nel giro di una frazione di secondo, Sherlock era già fuori dalla stanza e stava perlustrando tutto il corridoio, per poi dirigersi verso il piano di sotto, urlando "Lestrade! Il marito! Devo parlare con il marito!"

John iniziava a sentirsi molto inutile.

***

"Non è assolutamente possibile che Vera sia uscita dalla porta con uno sconosciuto. Il cane avrebbe abbaiato."

"Ma se lei era presente potrebbe non averlo fatto." replicò Sherlock

"È il cane più stupido del mondo, abbaia a tutti, in particolare ai padroni."

Bradley Fernandez (893 - John era segretamente contento di non conoscerlo) era un uomo basso, nervoso, dai lineamenti vagamente ispanici, ma non abbastanza forti da poterlo definire bello.

"Sherlock, una parola." Lestrade era appena arrivato con un plico di fogli e fece cenno a Sherlock e John di seguirlo in cucina.

"Ho qui i dati che ci ha mandato la ditta che ha installato gli antifurti.”

"Antifurti?" chiese John, sorpreso.

"Esatto. Questa roba è ultima tecnologia, si tratta di una doppia sicurezza: la prima è la classica tutela, il tastierino collegato alla centralina che fa scattare l'allarme se non si inserisce il codice giusto o non lo si fa in tempo; la seconda è più raffinata e riguarda l'allarme silenzioso: in pratica una volta che il sistema è attivato, per aprire la porta dall'interno è necessaria l'impronta digitale di uno dei due proprietari. Se la Deyong avesse voluto segnalare che qualcosa non andava, avrebbe potuto tranquillamente uscire disattivando il primo allarme ma non il secondo, senza che l'altra persona se ne accorgesse."

"A meno che questa seconda persona non conoscesse l'esistenza del secondo allarme." provò a suggerire John.

"Improbabile: quasi nessuno ne era a conoscenza, a parte chi l’ha installato. Si tratta di una ditta di Manchester, abbiamo sentito i proprietari e gli operai adesso e sembrano del tutto estranei".

John aveva esaurito gli spunti intelligenti e decise che avrebbe fatto più bella figura aspettando che Sherlock uscisse dal suo mondo parallelo e illuminasse la stanza con le sue deduzioni.

 "Cosa ne pensi del marito? Mi sembra troppo fosforescente per i miei gusti." chiese Lestrade. Dio, John avrebbe dato qualunque cosa per scambiare la sua Anagrafe con quella dei Vigilanti: aveva sempre considerato terribilmente affascinante il vedere il numero di reati commessi nella vita degli altri.

"Non è coinvolto nel rapimento della moglie. Torchialo pure, ma probabilmente il suo numero è così perché tiene della droga in casa senza che la moglie ne sappia nulla. Solo cocaina." rispose il detective.

"Solo cocaina." rispose Lestrade facendogli il verso e chiamando l'unità cinofila con la ricetrasmittente.

John aspettò che l'ispettore se ne fosse andato prima di rivolgere al suo coinquilino la domanda che gli continuava a ronzare in testa.

"Sherlock…perché mi hai portato qui?"

"Perché sei il mio coinquilino." Rispose lui con il tono di uno che odia puntualizzare l’ovvio.

John si ritrovò a sorridere, suo malgrado: "Non tutti i coinquilini si mettono a fare queste cose. Se va bene, al massimo si fanno una birra insieme la sera sul divano."

Sherlock lo stava guardando e John si stupì nel constatare che più che offeso sembrava ferito.

"Sei un medico che da quando è tornato dall'Afghanistan ha pensato al suicidio in due diverse occasioni. Tu non sei perseguitato dalla guerra, dottore: a te la guerra manca. Questo - disse indicando la casa che li circondava - è il tuo campo di battaglia, John, non il divano, dividendo una birra alla fine di una giornata che avresti odiato."

John guardava Sherlock, le parole bloccate in gola, ma la verità era che non era stata la sfuriata ad ammutolirlo.

Gli vennero in mente tutte le volte che aveva preso la sua pistola in mano, accarezzandola come se fosse una vecchia amica, come se solo lei potesse aiutarlo a lenire quel senso di disperazione che lo colpiva ogni mattina, appena apriva gli occhi e iniziava a sentire il dolore alla gamba. Ripensò a quelle due volte in cui era arrivato così vicino a premere il grilletto da avere sentito la canna fredda dell'arma toccargli il palato: come poteva quest'uomo sapere quante volte aveva pensato di farla finita? Non era possibile che avesse tirato a caso. Sherlock sapeva, ma la domanda a questo punto non era tanto come sapesse. C'era una questione più importante da affrontare.

"Cos'altro sai di me?"

"Prego?" Sherlock sembrava effettivamente in panico adesso: il suo sguardo era quello di uno che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di cancellare gli ultimi tre minuti dalla sua vita. Ma non era nulla rispetto a come si sentiva John: nudo, stupido e preso in giro.

"Non prendermi per il culo - rispose John con una spacconeria che sicuramente in quel momento non sentiva - se sai, per qualche oscuro motivo, quante volte ho pensato al suicidio, sicuramente non puoi avere mancato la parte più ovvia. Allora dimmi: perché sei ancora qui? Perché mi hai voluto come coinquilino?" John si ritrovò ad abbaiare le ultime domande, come se in quel momento Sherlock fosse il responsabile di tutte le sofferenze che aveva patito in trentotto anni di vita.

"Per lo stesso motivo per cui sei rimasto tu. - disse l'altro con malinconia, mentre un'ombra gli oscurava gli occhi chiarissimi - Come te, ho accettato la mia morte e la solitudine anni fa. Non ho paura John. Qualunque numero tu stia vedendo in questo momento sulla mia testa, sappi che me lo puoi anche dire perché io non ho paura." Mentre parlava, Sherlock si era avvicinato a lui, invadendo il suo spazio personale. La cucina d'un tratto era diventata molto piccola e molto calda.

"Tutti hanno paura della morte. Me compreso."

Sherlock lo guardò così intensamente negli occhi che John si sentì di nuovo allo scoperto, ma per un motivo totalmente diverso.

"Non se hai una paura più grande." In un secondo, il detective uscì dalla casa, il cappotto svolazzante alle spalle.

"Aspetta! Dove stai andando?" urlò John, arrancando per tenere il passo e fallendo miseramente.

"Ci vediamo a casa."

John ebbe la sensazione di avere appena distrutto qualcosa di appena nato e bello. Imprecò sottovoce.

***

"Sherlock! Mi hai spaventata! - la ragazza aveva la mano al petto, come se temesse che il cuore potesse saltarle fuori dalla gabbia toracica per atterrare sul tavolo delle autopsie, pronto per essere esaminato.

Molly Hooper lavorava al Barts da cinque anni e, anche se noiosa come gran parte della popolazione umana, tutto sommato era una buona risorsa per Sherlock: metteva le sue analisi in cima alla lista quando aveva bisogno di un risultato in fretta e, se le faceva gli occhi dolci, gli procurava anche i cadaveri su cui condurre gli esperimenti.

Le venne quindi automatico porre la solita domanda: "Posso aiutarti?".

Fu forse l'abitudine ad essere usata per la sua posizione privilegiata all'interno dell'ospedale a farle perdere un battito quando, dopo i soliti (pochi) convenevoli, Sherlock le chiese qualcosa che gli aveva domandato solo un'altra volta, molto tempo prima, quando era andato a trovarlo dopo uno dei suoi ricoveri in ospedale.

"Che numero vedi?"

Anche se la maggior parte della popolazione mondiale per tutta la vita vedeva numeri totalmente casuali senza un pattern definito, chiedere una cosa del genere era considerato il massimo dell'invadenza. Se poi la persona a cui era posta la domanda era un Moirente come Molly, la situazione oltre che imbarazzante poteva diventare davvero molto spiacevole. Ma, d'altra parte, si disse Molly con un filo di imbarazzo, Sherlock Holmes si era sempre rivelato impermeabile alle buone maniere.

"Lo sai che è maleducato chiederlo." Molly sentiva sempre il dovere di educare Sherlock alle convenzioni sociali, soprattutto visto che era evidente come i suoi genitori non avessero sprecato molto tempo a insegnargliele.

"Certo che lo so, ma è da tanto che ho deciso che non me ne importa nulla . Ora, la tua risposta è...?

"Sempre la stessa - rispose Molly. Si avvicinò a Sherlock, che se ne stava seduto al microscopio, senza però avere nulla da esaminare.

"Te l'ho già detto: vivi una vita troppo pericolosa, è da quando ti conosco che non ho mai visto un numero superiore alle tre cifre su di te. Perché adesso dovrebbe preoccuparti?"

"Non mi preoccupa. Sto solo cercando di capire se la persona che ho aspettato apparentemente per tutta la vita non è che un altro 'garante della mia incolumità psicofisica'. Mycroft ne sarebbe contento, almeno." rispose lui, con più di una punta di amarezza nella voce.

"Aspettato? In che senso?"

"Ti rendi conto dell'amarezza di tutto questo? - sbottò Sherlock tutto d'un tratto, ignorando completamente la sua domanda - Se non fosse già terribile il fatto che viviamo in un mondo in cui il novantacinque per cento delle persone nasce con la capacità di vedere il futuro degli altri, viviamo anche in una società dove si crede davvero che tutto questo sia immutabile, come se la nostra esistenza, da quando mettiamo piede su questa Terra a quando la lasciamo, sia riassumibile in quattro numeri.
Ve lo insegnano da subito, vero? Da quando fate le analisi all'Anagrafe: "il Destino non si cambia". Ma vi siete mai chiesti quante delle persone che avete visto con il numero 1 sulla testa siano effettivamente morte? Secondo te qualche Geminato si è mai chiesto se la persona a cui ha fatto consulenza ha poi effettivamente incontrato la sua anima gemella come lui aveva previsto? Te lo dico io: no. Perché siete tutti convinti che la vita funzioni così, solo perché la maggior parte delle volte funziona così. Ma non è vero. Ci sono molte cose che non si spiegano e molte cose che non si conoscono ancora. Ed è questo che fa paura ai governi: finché le persone saranno convinte di avere il diritto di fare o non fare qualcosa proprio a causa dell'appartenenza a una certa categoria, chi ci governa avrà il potere, perché nessuno alzerà mai la testa.
È per questo che studiano così tanto gli Ordinali: perché custodiscono in loro il segreto più grande e pericoloso di tutti, il potenziale disordine. Se le persone diventassero Anumerali, non si farebbero più la guerra fra di loro ed entrerebbero a fare parte di un’unica gigantesca classe sociale con poteri enormi."

"Quindi...esistono davvero questi centri in cui studiano gli Ordinali?"

Sherlock rise, ma non poteva essere meno divertito.

"Certo che esistono. Non capisci? Non vogliono scoprire come nasce l'Anumeralità per diffondere il segreto: lo vogliono distruggere. Nel momento in cui viene catalogato un Ordinale, questo ha solo una cosa da fare: nascondersi o fare da cavia umana."

"E allora tu come mai puoi andare tranquillamente in giro alla luce del sole, se tutti gli Ordinali sono destinati a vivere nascosti?" Per la seconda volta quel giorno, Molly rischiò l'infarto per lo spavento. C'era un uomo dietro di lei: basso, biondo, mediamente attraente che aveva un 6 sulla testa, proprio come Sherlock. Cazzo, aveva scelto di lavorare con i morti proprio perché non le piaceva sapere queste cose delle persone che la circondavano.

"John. Cosa stai facendo?", rispose Sherlock, pallidissimo.

"Ho chiesto a Lestrade dove potevi essere andato e mi ha mandato qui. - si rivolse a Molly- Lei deve essere la signorina Hooper. Piacere, John Watson, sono il coinquilino di Sherlock."

Dopo averle stretto educatamente la mano, John tornò a focalizzare l'attenzione sul detective.

"Quindi?"

"Io ho Mycroft che mi protegge." rispose Sherlock, eludendo il suo sguardo.

"Cazzate. Mycroft non può proteggerti da tutti i governi del mondo che vanno a caccia di Ordinali."

Molly capì dalla tensione crescente nella stanza che era il caso di levare le tende.

"Beh, io devo andare. Un sacco di cadaveri da aprire, sapete. Voi due, ehm, state attenti, ok?".

Mentre usciva, sentì Sherlock esitare e poi rispondere: "E... se ti dicessi che, se mi studiassero, troverebbero qualcosa di più raro di un Ordinale?".

Molly fece finta di non sentire. Ne aveva avute abbastanza per quel giorno.


SBEM! Li ho insegnati io i plot twist a Moffat (sì vabbè...).

Comunque, una ragazza nelle recensioni mi ha detto che la storia le ricorda un po’ Divergent. Alla fine della stesura di questo capitolo, ho letto la trama su wikipedia e in effetti ho notato delle somiglianze. Non ho mai letto il libro, quindi non so, forse io e l’autrice abbiamo una parte di mente in comune? In ogni caso assicuro che, anche se l’andamento della storia è e sarà diverso, non avrei problemi ad ammettere di avere preso ispirazione da quel libro, solo che non è così. Non so si mi sono spiegata :P

Ho cercato di illustrare il più possibile la struttura di questa società, spero sia un po’ più chiaro adesso! Ovviamente verrà tutto approfondito nei prossimi capitoli, quindi non temete: sarà più chiaro :)

Ancora grazie per le recensioni, davvero, non me lo aspettavo! Mi date delle botte di autostima incredibili, sono davvero contenta che vi piaccia la storia!

(E grazie mille a Sara per avermi fatto da correttore di bozze (e prima lettrice/fangirl)! La carriera in casa editrice adesso è spianata per te! ).

A presto,

V.


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Anomalo ***


cap4

Anomalo

 

"E... se ti dicessi che, se mi studiassero, troverebbero qualcosa di più raro di un Ordinale?"

 

John registrò lontanamente la dottoressa Hooper lasciare la stanza. Sherlock aveva detto quella frase eludendo il suo sguardo, in tono leggero, come se stesse parlando del tempo. Le mani serrate sul bordo del tavolo e le nocche quasi bianche per lo sforzo, però, tradivano la sua tensione.

Quell'affermazione non aveva senso, e John lo sapeva bene.

"Non esiste niente di più raro di un Ordinale."

Sherlock si girò lentamente fino ad incontrare il suo sguardo.

"Ti sbagli."

 

 

Sherlock Holmes era sempre stato un bambino solitario. Quando aveva dieci anni sua madre decise che era arrivato il momento di fare in modo che quel ragazzino scorbutico e incredibilmente geniale facesse amicizia con qualcuno della sua età.

Mamma Holmes pensò quindi di iscrivere il figlio a un corso di nuoto ma ovviamente emerse quasi subito che Sherlock non sarebbe riuscito ad integrarsi nemmeno quella volta: la sua capacità di dedurre i compagni non lo mise in buona luce e nel giro di una lezione si vide spinto a tradimento nella piscina degli adulti rischiando di annegare.

A quel punto sua madre, dopo anni di tentativi, accolse di buon grado la sconfitta decidendo che non avrebbe più obbligato il figlio a "tediosi scambi sociali", come amava definirli lui. Dal canto suo, invece, Sherlock decise che non le avrebbe mai detto che l'episodio in piscina gli aveva lasciato molto di più che il semplice ricordo di una brutta esperienza.

Era risaputo che episodi traumatici potessero innescare la visione dei numeri. Quel giorno, dopo essere stato salvato dal bagnino, in infermeria Sherlock, guardando il suo riflesso, si ritrovò davanti all'impossibile: c'era un numero sulla sua testa.

 

"In che senso 'c'era un numero sulla tua testa'?" chiese John incredulo.

"Esattamente quello che ho detto. - rispose Sherlock col piglio spazientito che John aveva già imparato ad associare a lui -  Vedo un solo numero, il mio."

"Ma questo non è possibile…ti avrebbero scoperto. Le macchine dell'anagrafe sono programmate per individuare solo le quattro categorie di Numerali, una cosa del genere verrebbe sicuramente identificata come anomala."

"Ovviamente. Dato che non potevo rischiare che scoprissero la mia 'anomalia', per dirla a tuo modo, a vent'anni, quando sono venuti a cercarmi, mi hanno fatto registrare nell'elenco degli Ordinali."

"E allora perché non sei nei laboratori a fare da cavia, come hai detto prima?"

Sherlock fece un sorrisetto. "Quando ho detto che Mycroft mi proteggeva, non mentivo del tutto. Mio fratello, per quanto mi dispiaccia ammetterlo, è stato uno strumento utile alla mia libertà. Ha fatto in modo che William Holmes, il nome con cui ero registrato, risultasse morto a ventun anni a causa di un disgraziato incidente sulle Alpi Svizzere. In questo modo ho potuto vivere per alcuni anni fra i senzatetto di Londra sotto il nome Sherlock in attesa che mio fratello facesse carriera e riuscisse a convincere qualcuno di abbastanza potente per fare in modo da registrare me, Sherlock Holmes, come suo terzo fratello Geminato."

"Quando dici 'convincere' intendi corrompere, vero?"

"Ti lascio alle tue deduzioni. -rispose Sherlock con indifferenza-  Non ho mai saputo a chi si sia rivolto, ma so che gli è costato parecchi favori, cosa che non si risparmia mai di ricordarmi almeno una volta a settimana." Il suo tono faceva chiaramente capire che non si trattava di un eufemismo.

John era senza parole. Sapeva che c'era ancora una domanda, quella più importante, da rivolgere al suo coinquilino. Mentre riorganizzava le idee e cercava le parole giuste, si rese conto di avere il cuore in gola.

"Il numero che vedi…cosa rappresenta?"

Sherlock prese fiato, provò a parlare ma non uscì niente. John lo conosceva da poco, ma aveva già capito che se qualcosa riusciva a lasciare Sherlock Holmes senza parole doveva davvero essere molto vicino allo sconvolgente.

"Non l'ho capito per molto tempo. Il numero cambiava, continuamente. Per settimane diminuiva progressivamente per poi salire a un numero spropositato, nell'ordine della decina d'anni. A ventiquattro anni ho iniziato a tenere un diario: ogni giorno scrivevo quello che vedevo, cercando di trovare un pattern, un qualcosa che mi aiutasse a capire cosa indicasse e perché fosse sulla mia testa al posto che su quella degli altri. - Sherlock si era alzato dalla sedia e aveva preso a camminare avanti e indietro, senza incontrare lo sguardo di John, come se lui in effetti non fosse lì - Non sapere mi tormentava. Iniziai a coprire tutti gli specchi e qualunque cosa potesse restituire il mio riflesso. Riuscire a risolvere gli enigmi più impossibili e non riuscire a venire a capo del mio era il mio inferno personale."

Si fermò di scatto, riprese fiato e ritornò a guardare verso John. Nei suoi occhi c'era un tormento che lo fece quasi sentire male.

"Era diventata la mia ossessione e la noia che continuamente mi perseguitava mi spinsero verso la cocaina. Poi un giorno, il calcolo errato di una dose mi ha fatto quasi andare all'altro mondo. L'ultima cosa che ricordo prima di svenire è il mio riflesso sul forno della cucina e il numero sulla mia testa: infinito. Mentre stavo per morire, il numero era infinito, John! Pensai che indicasse qualcosa che riguardava la mia morte, ma sicuramente non potevo essere un caso strano di Moirente perché altrimenti avrei dovuto vedere zero."

Sherlock si era fermato, le labbra serrate che si tendevano. Sembrava che ci fosse qualcosa a bloccarlo, una confessione troppo grande da ammettere. In un'altra situazione, John gli avrebbe detto che poteva parlargliene quando se la sentiva, ma la verità era che pensava di essere stato tenuto troppo sul filo per non meritare una risposta.

"Quindi? L'hai mai capito?" chiese senza preoccuparsi di non far trasparire la sua curiosità.

"Sì, e devo ammettere che la soluzione di questo mistero è veramente terribile, da film romantico di terza categoria. Come se la vita fosse veramente così." rispose Sherlock con evidente disappunto. Poi prese un respiro profondo e ricominciò a parlare come se stesse confessando chissà quale peccato mortale: "È successo che, qualche giorno prima di conoscerti, il numero è di nuovo schizzato a infinito. Era capitato un'altra volta qualche mese prima e in una situazione in cui io non ero in pericolo di vita, quindi avevo iniziato a pensare che il mio numero fosse collegato a un'altra persona. Guarda caso, e per la prima volta nella mia vita, il giorno prima di conoscerti mi ero ritrovato un 1 fosforescente sulla testa. Quella mattina, al Barts, stavo facendo esperimenti con la consapevolezza che, dopo anni, ero arrivato a zero e che avrei trovato la risposta al mio mistero personale. E poi sei arrivato tu."

John stava giusto iniziando a capire dove Sherlock stava andando a parare e rimase sorpreso dal sentire il disprezzo che Sherlock aveva inserito nell'ultima frase.

"Non essere troppo entusiasta, eh?"
"Ma non capisci John? Ho passato la vita a impazzire dietro a questa cosa e alla fine scopro che ha a che fare con i sentimenti! Proprio a me, dico? Ci può essere più ironia in tutto questo? È così…banale. È un cliché." Sherlock sembrava seriamente in crisi per la situazione.

John dal canto suo stava cercando di capire quale dei due stati d'animo fare prevalere: se quello offeso per essere stato classificato senza molti giri di parole come ‘banale’ o quello sconvolto che voleva capire meglio la situazione.

"Tanto per essere assolutamente chiari e trasparenti: mi stai dicendo che il tuo numero ha sempre indicato i giorni che mancavano a incontrarci?" Cercava di mantenere un tono calmo e ragionevole davanti all'assurdità della situazione, ma era quasi sicuro di non riuscire a convincere l'altro.

"O, per metterla in termini di film romantico di terza categoria, apparentemente 'è una vita che ti aspettavo'." rispose Sherlock con un'alzata di occhi talmente potente che John per un secondo temette di vedergli i bulbi oculari uscire dalle orbite.

John avrebbe potuto esprimere pensieri elaborati, come ad esempio il fatto che c'erano davvero troppe ma troppe variabili in gioco per pensare seriamente in termini di coinvolgimento romantico, tuttavia l'unica cosa che riuscì a dire fu un atono "Ah".

Evidentemente Sherlock lo interpretò come un cattivo segno e si affrettò subito a chiarire: "Io non so cosa effettivamente voglia dire tutto questo, ma è un dato di fatto che per qualche motivo noi siamo destinati a incontrarci. Questo non vuol dire che non possiamo stringerci la mano adesso, salutarci e decidere di non vederci più per il resto delle nostre vite, John, è importante che tu lo capisca. Sono solo numeri, siamo noi a decidere."

Mentre le sue parole dicevano una cosa, la sua espressione tradiva i segni di un dolore sempre tenuto a bada: la sensazione di essere diversi ma la volontà, allo stesso tempo, di essere normali e di passare inosservati. L'impossibilità di ottenere questa cosa aveva spinto quell'uomo eccezionale a rimanere solo tutta la vita. Anche John aveva portato con sé quella paura, dal momento in cui, per essere precisi, il dottore dell'Anagrafe gli aveva confermato di essere un Moirente. Forse era per quello, si disse in un momento di incredula lucidità, che per qualche strano motivo loro due 'si stavano cercando'.

"Certo, possiamo decidere. - rispose John fissandosi le scarpe - Però al momento non siamo abbastanza impegnati?"

Sherlock lo guardò con un'espressione interrogativa e anche un po' speranzosa.

"- Abbiamo un caso da risolvere. Dobbiamo davvero parlare dei massimi sistemi adesso? Ci conosciamo da meno di un settimana, mi sembra un po' presto per i programmi a lungo termine." John stava sorridendo e Sherlock, dopo avergli scoccato un'occhiata sollevata e incredula, prese il suo cappotto e lanciò a John il suo.

"Vera Deyong - prese ad elencare il detective riassumendo i fatti - Politica di spicco e difensore dei Moirenti che sparisce nella notte da una casa senza passare né dalla finestra né dalla porta. Direi che sì, abbiamo un caso molto interessante e non dovremmo stare qui a perdere tempo. Sei pronto?" gli chiese con un sorriso e uno strano luccichio negli occhi.

"Il gioco è iniziato." rispose John, rubandogli la battuta.

Mentre salivano in taxi, John con un po' d'ansia si ripeté che in effetti non era decisamente il momento di fare piani a lungo termine perché, se proprio doveva dare retta al numero che vedeva sulla testa di Sherlock - sempre un 6- , probabilmente il lungo termine avrebbe potuto non diventare mai un loro problema.


Ci ho messo un po', lo so! è stato un periodo abbastanza stressante e la voglia di scrivere era proprio pari a zero.

Sono un po' nervosa per questo capitolo, è una sorta di "giro di boa" nel rapporto tra i personaggi, spero vi sia piaciuto.

Ringrazio ancora Sara, che è la mia editor e fangirl numero uno <3

V.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Geminato ***


Cap 5

Geminato

La prima volta che John disse ai genitori di volere diventare medico aveva sei anni. Emma Deville, sua compagna di classe e cotta epica dai tempi dell'asilo, si era ferita alla testa mentre scendeva dall'albero sul quale si era arrampicata per dimostrare agli altri bambini che non la facevano giocare perché “era una femmina" che non solo lei poteva salire sull'albero, ma poteva anche andare più in alto di loro. Vedendo che Emma era arrivata quasi in cima, improvvisamente gli altri bambini, accorgendosi che non ci sarebbe stato più nessuno da prendere in giro, avevano deciso che c’erano cose più interessanti da fare.

John invece l'aveva guardata da lontano e aveva pensato che quella bambina dai capelli rossi non aveva proprio niente da dimostrare: era in gamba, tutti lo sapevano e proprio per questo non potevano permetterle di vincere. Per rimediare al suo orgoglio ferito, il capo dei bulletti, Francis Quine, quando Emma era ormai quasi a terra, pensò bene di lanciare un sasso nella sua direzione colpendola alla testa.

Più tardi Francis avrebbe dichiarato che non aveva intenzione di fare male sul serio alla sua compagna, ma John decise per precauzione di atterrare Francis e spaccargli in naso, per poi dedicarsi a cercare di far rinvenire Emma, svenuta e sanguinante sul selciato.

Ripensando all'episodio, John era sempre stato certo che quello era stato il momento che più gli aveva rivelato la sua natura di amante della giustizia e di guaritore. Nell’istante in cui gli era stata confermata la sua Anagrafe e negli anni immediatamente successivi aveva capito che, proprio come gli altri Moirenti, la carriera che gli si apriva davanti era quella militare: l'unico posto al mondo dove quelli come lui potevano avere un po' di sollievo dalla loro maledizione.

In guerra i numeri delle persone erano costantemente bassi, e alla fine era facile abituarsi, fino a non farci più caso. Tuttavia la natura di John lo aveva spinto a diventare medico militare: per quanto razionalmente fosse davvero convinto che il Destino non si potesse cambiare, la professione che aveva scelto era comunque quella di una persona che col Destino, alla fine, ci combatteva sempre contro.

Era la vita normale, per lui, il campo di battaglia. Non riusciva più a guardare le persone negli occhi a causa dell'ansia di vedere il loro numero. I Moirenti avevano sempre problemi di adattamento, gli aveva detto Ella, la sua analista. Ci voleva ancora molto tempo, gli ripeteva continuamente, per sconfiggere questo disagio estremamente comune. Pensare al suicidio è statisticamente frequente, ma lui non doveva cedere, doveva andare avanti. L'unico modo per farlo, gli diceva, era lasciarsi la guerra alle spalle.

Avrebbe dovuto licenziarla, si disse John. Stava camminando con un uomo che aveva una sentenza di morte sulla testa incredibilmente prossima e all'improvviso era ancora in Afghanistan, ad aspettare il fato con un fucile in mano.

Non si sentiva così sereno da anni.

***

Sherlock Holmes camminava deciso nel quartiere di Belgravia, il cappotto aperto che gli svolazzava ai lati come il mantello di un supereroe. Neanche mezz'ora prima gli aveva confessato che a quanto pareva erano destinati a stare insieme. La cosa era talmente assurda che John non era nemmeno riuscito ad andare in panico, cosa che invece con tutta probabilità avrebbe dovuto fare. I numeri erano una cosa seria, lo sapevano tutti.

Si erano avvicinati a un gruppo di case lussuose del quartiere. Tutto lì intorno dava l'impressione di ordine e tranquillità: difficile pensare che quel posto facesse parte di una città sull'orlo di un attacco di panico a causa di persone che si facevano esplodere.

"Poco credibile che un politico come Andy Smith possa veramente capire i problemi della gente da questa reggia di cristallo."

Sherlock lo guardò in tralice: "I politici non hanno la minima idea di cosa la gente stia passando, per quanto amino affermare il contrario. Dire di avere a cuore il destino di tutti è illogico e non credibile. Nessun essere umano mette davvero il bene degli altri davanti al proprio. Non è istintivo."

"Andy Smith vuole catalogare i Moirenti come bestie da macello per il nostro bene, a sentire lui."

Sherlock lo prese per un braccio e lo trascinò in un vicolo stretto fra due villette squadrate, una posizione che dava loro la possibilità di osservare le case più belle del quartiere senza dare dell’occhio.

Passarono diversi minuti in silenzio, così vicini che potevano scaldarsi grazie al calore dei loro respiri regolari, Sherlock apparentemente troppo immerso nei suoi pensieri per fare caso a inezie come lo spazio personale di John.

Si riprese dalla riflessione di colpo, iniziando a parlare come se il discorso che avevano iniziato prima non fosse mai stato interrotto: "Smith lavora secondo la logica del Bene Superiore e nessuno sembra minimamente preoccupato dalla cosa, perché sono tutti troppo spaventati. È la paura che li guida e trovare un capro espiatorio sarà il passo successivo, già si stanno mettendo le basi. È così che si inizia, di solito." Sherlock aveva spiegato con foga, abbandonando il suo solito stile gelido. John aveva la netta sensazione che questa cosa la facesse specialmente con lui: era come avere una corsia preferenziale di accesso ai pensieri di Sherlock Holmes. Prese quel pensiero e lo accantonò per analizzarlo in un momento di calma.

"L'unica differenza è che stavolta la gente ha davvero più di una ragione per temere i Moirenti. Per…temerci, insomma."

Era la prima volta che ammetteva a voce alta la sua Anagrafe davanti a Sherlock. Non che credesse che non l'avesse capita, ma dopo la confessione che suo malgrado era riuscito ad "estorcergli", gli sembrava giusto ripagarlo con la stessa onestà.

"C'è qualcosa di strano in quelle morti, John, hai sentito anche tu mio fratello. Le persone spariscono per tre giorni prima di ricomparire in stato confusionario, seminude e con lo stesso tipo di tritolo legato alla vita. Quello che dobbiamo chiederci è: perché i Moirenti?"

John iniziava a capire dove il detective stava andando a parare.

"Pensi che ci stiano prendendo di mira? E perché?"

Sherlock gemette frustrato. "Ragiona un attimo! A chi gioverebbe l'improvvisa pazzia dei Moirenti? Chi trarrebbe un concreto vantaggio da questa cosa?"

"Qualcuno che vorrebbe introdurre il registro dei Moirenti, come Andy Smith."

"Esattamente. Se ci fossimo fermati a dei Moirenti casuali che si fanno saltare in aria avrei pensato sicuramente a un complotto di qualcuno che vuole fortemente che il Registro si faccia, ma sicuramente non Andy Smith, perché non è una di quelle persone che definiresti brillanti: dubito che arriverebbe ad architettare tutto questo. Il rapimento di Vera Deyong, invece, è totalmente illogico e fuori dallo schema. Rapire l'esponente della fazione opposta la potrebbe rendere un martire, aumentando sensibilmente le probabilità di vittoria del suo partito, a danno ovviamente della creazione del Registro stesso."

La velocità di esposizione e una serie di altri fattori che riguardavano la presenza stessa di Sherlock a quindici centimetri di distanza da lui rendevano molto difficile seguire i suoi ragionamenti.

"Quindi, in pratica: il rapimento della Deyong è la nota stonata?"

"Una nota molto stonata. Scopriremo quanto vedendo che ne sarà di lei, sempre che non riusciamo a trovarla prima." Mentre parlava, il detective continuava a sbirciare oltre il muro dietro a John, come se stesse aspettando qualcosa. John riusciva a sentire il suo profumo.

"Ehm…esattamente, cosa stiamo facendo qui?"

"Aspettiamo l'inevitabile. Secondo te cosa succede se la maggiore rivale alle elezioni di un noto politico sparisce senza lasciare traccia?"

John non ebbe tempo di formulare una risposta: due macchine della polizia si erano fermate davanti a una casa vicina, facendo scendere, tra gli altri, anche l'Ispettore Lestrade.

Nel giro di cinque minuti, un sudaticcio Andy Smith usciva dalla porta per salire su una delle due macchine, scortato dagli agenti.

"Lo stanno arrestando?"

"Dipende da cosa dirà all'interrogatorio, ma dubito: immagina lo scandalo internazionale se si scoprisse che l'esponente conservatore della politica inglese ha probabilmente fatto eliminare il suo principale avversario ed è in prigione per questo. Se lo arresteranno, sarà solo in presenza di prove più che schiaccianti."

"E allora noi cosa ci facciamo ancora qui?" Non che John stesse scomodo, eh. Ma il fatto che lo spazio personale non sembrasse un concetto familiare per Sherlock aveva reso ormai impossibile evitare di toccarlo inavvertitamente.

"Andiamo a fare una visita alla signora Smith."

***

"La signora Smith vi raggiungerà nel salotto." disse la cameriera facendoli accomodare.

La casa ovviamente era immensa e molto più costosa di quello che John avrebbe potuto guadagnare in tutta la sua vita. La stanza in cui stavano aspettando la moglie del politico era stata arredata sui toni del bianco, con un gusto ricercato, ma minimal. John si sentiva troppo sporco per sedersi su quel divano immacolato; Sherlock, invece, sembrava nato per prendere posto tra quelle mura snob-chic.

"Signor Holmes! Che piacere rivederla! - disse una voce femminile vagamente roca alle sue spalle - A cosa devo lo visita?"

"Nessuna idea, signora Smith?" rispose Sherlock sarcastico ma anche, si stupì John, vagamente a disagio.

"Legalmente sono ancora Irene Adler, se non le dispiace: questa barbara abitudine anglosassone di far prendere alle donne il cognome del marito non la capirò mai.- rispose parlando con Sherlock, ma allungando la mano a John (17348 - la signora Adler avrebbe vissuto a lungo), che gliela strinse presentandosi - Molto piacere. Lei è …interessante." gli disse guardando per una frazione di secondo proprio sopra la sua testa.

John doveva ringraziare il fatto di essere stato disoccupato per lungo tempo dopo il ritorno dall'Afghanistan se sapeva chi era quella donna. Lunghi pomeriggi passati in casa l'avevano reso estremamente familiare con quel viso che rimbalzava su gran parte dei canali televisivi grazie a ospitate e addirittura a un programma tutto suo. Irene Adler era il più famoso Geminato di Inghilterra: aveva reso alla portata di tutti un servizio che di solito quelli come lei fornivano in privato dietro un lauto compenso. Con Irene, il Grande Consulto era diventato popolare. Le persone normali che riuscivano a far parte del pubblico del suo programma avevano la possibilità di sapere gratuitamente entro quanto avrebbero incontrato la loro anima gemella. Ovviamente lo show aveva avuto un successo enorme, facendo guadagnare alla Adler una fortuna in termini di pubblicità e fama.

Quello di cui però John non era al corrente era il fatto che quella donna fosse sposata con uno dei maggiori esponenti politici della Gran Bretagna.

"Interessante?" ripeté John, registrando il commento della Adler.

"Molto interessante." rispose lei con un sorrisetto. "Sherlock, vedo che per te, invece, non è cambiato niente." Sherlock era impassibile come una maschera di cera.

Improvvisamente John si chiese cosa avrebbe visto un Geminato sopra la testa di Sherlock: avrebbe visto il numero che Sherlock vedeva su se stesso? E soprattutto - si chiese in un momento di lucida follia - che numero vedeva Irene Adler sulla testa di John?

"Devo ammettere a mio malgrado di avere scoperto tardi che tu e Andy Smith vi eravate sposati. L'hai tenuto ben segreto, vedo."

"Non sono una grande fan della politica. Ma l'incontro con Andy è stato…beh, è stato Destino, come si dice in questi casi. D'altra parte, i segreti del cuore sono il mio mestiere - fece l'occhiolino a John - Comunque, preferisco di gran lunga tenere un basso profilo. Peraltro – sfoderò un sorrisetto compiaciuto - i suoi addetti alla comunicazione mi odiano: vorrebbero una moglie da copertina che abbandona la carriera per seguire la carriera politica del marito - disse togliendosi le Louboutin nere - e invece hanno me."

"Una presentatrice tv dalla dubbia moralità." Il commento di Sherlock le spense per un secondo l’allegria.

"Potrà considerarmi una truffatrice, signor Holmes, ma almeno le persone non mi considereranno mai solo 'la moglie di un politico'."

"Non sembra particolarmente fiera della professione di suo marito, se posso permettermi" intervenne John. In effetti nemmeno lui sarebbe stato fiero di avere un marito come Andy Smith, ma per altri motivi che sicuramente un Geminato come quella donna non avrebbe mai potuto capire.

"Le questioni politiche sono il passatempo dei deboli: vanno bene per quelle persone che hanno la patologica necessità di ricevere l'approvazione dagli altri ed essere sostenuti nelle proprie idee. Volete del the? Chiamo la cameriera."

"No, vorrei andare al sodo della questione, a dire il vero."

"Uh, mi piacciono gli uomini che vanno al sodo" rispose lei ammiccando. John si sforzò di non pensare alla parola "flirtare" ma era decisamente quello che quella donna stava facendo. Il fatto che lui fosse nella stanza sembrava non turbarla minimamente. In effetti il fatto che lei ci stesse provando con il suo coinquilino non avrebbe dovuto turbarlo in generale.

Forse era l'associazione che qualcuno potesse flirtare con una persona come Sherlock Holmes a infastidirlo. Un uomo apparentemente di ghiaccio difficilmente poteva sembrare raggiungibile. John, però, pur avendo passato pochissimo tempo con lui, si sentiva come se ci avesse vissuto mille vite insieme: inseguire pazzi assassini e scongiurare omicidi fra cui quello del suddetto detective fa queste cose al rapporto tra due persone. Inoltre, il buon dottore aveva visto lo sguardo di Sherlock Holmes nel laboratorio, mentre gli confessava il suo più grande segreto, e di sicuro l'aggettivo "freddo" non gli si poteva adattare. Sherlock Holmes era fiero, solo e soprattutto ferito dalla sua stessa natura, una cosa che John, dottore Moirente, poteva capire benissimo.

"Non sembri nemmeno preoccupata del fatto che tuo marito sia stato appena prelevato dalla polizia per essere interrogato a Scotland Yard."

"Per favore. Gli interessi in gioco sono troppo alti perché qualche informazione scappi e finisca in pasto ai giornali. Non si possono permettere di fare saltare queste elezioni, le persone sono diventate paranoiche: non prendono più i mezzi pubblici, nemmeno escono di casa. Avete sentito che molte famiglie stanno iniziando a mandare i figli in campagna? Come durante la Seconda Guerra Mondiale. Ci sono troppe speranze che si appoggiano su queste elezioni: mio marito non ha il minimo interesse a far sparire Vera Deyong. Con la storia di quei pazzi Moirenti che si fanno saltare come petardi ha già la vittoria in tasca."

"Quindi non crede che il signor Smith possa avere architettato il rapimento della sua rivale senza farglielo sapere?" chiese John, sbilanciandosi nel lavoro del detective con una sicurezza che non aveva, notando però con la coda dell’occhio che Sherlock sembrava positivamente colpito più che infastidito dalla sua intromissione in un campo non suo.

"Santo cielo! - sbuffò Irene rimettendosi le scarpe - Sentite, che rimanga fra noi: mio marito non va nemmeno in bagno senza dirmelo. Se fossi minimamente interessata alla politica, potrei governare indirettamente questo Paese senza lasciare il mio salotto. Quando abbiamo saputo della sparizione di Vera, Andy ha quasi avuto un attacco di panico. Queste elezioni sono tutto per lui e se Vera Deyong muore il suo partito troverà un modo per cavalcare la teoria del complotto e della 'politica scomoda fatta fuori dagli avversari cattivi' e a quel punto gli scenari sarebbero due: il partito della Deyong vince oppure vincerà mio marito per un soffio portandosi dietro un sacco di sospetti che non gli permetteranno di governare. Per governare questo Paese, Andy sa che non deve assolutamente vincere perché la sua rivale ha dato forfait: ha bisogno di una regolare e sacrosanta vittoria schiacciante". Guardando il suo atteggiamento deciso, John iniziava a pensare che politicamente quella donna sarebbe stata comunque un'alternativa migliore del marito.

"Conoscevi Vera Deyong?" Il repentino cambio di argomento di Sherlock li prese entrambi alla sprovvista, ma il detective pretese di non accorgersene.

"L'ho vista una volta, quando ho accompagnato Andy a una raccolta fondi che non ho potuto evitare, per la gioia della sua pubblicista."

"Molto bene. - Sherlock si alzò, facendo gesto a John di seguirlo - I migliori auguri per le elezioni". Così come non poteva essere più evidente che quegli auguri non erano sentiti, così era altrettanto evidente come a Irene Adler non importasse assolutamente nulla del risultato delle elezioni, né tantomeno della carriera del marito. All'ingresso si avvicinò a Sherlock per dargli un leggero bacio sulla guancia, quasi al limite delle labbra: "Sono felice di sapere che non sei più solo. La tua unicità mi ha perseguitata per anni, ma adesso credo di avere capito di cosa si trattava."

Sherlock era teso come una corda di violino; prese il cappotto e aprì la porta. "Andiamo, John."

"Oh, non gliel'hai detto?- Irene sembrava uno di quei gatti che preferiva giocare con il topolino prima di mangiarlo – Deve sapere, John, che io e Sherlock ci siamo conosciuti qualche anno fa, quando Sherlock venne chiamato da un mio vecchio cliente per recuperare delle foto che mi aveva lasciato come garanzia di pagamento, foto che ovviamente non rivide più perché il pagamento non arrivò mai. A Sherlock ancora brucia, vero caro? – era evidente che se Sherlock avesse potuto, probabilmente l’avrebbe strozzata sul posto. – Quando lo vidi, beh, era inevitabile che catturasse la mia attenzione - si era avvicinata a Sherlock e lo guardava rapita - non era solo un bel visino, era intelligente e soprattutto non vedevo alcun numero sulla sua testa."

Sembrò ricordarsi della presenza di John solo dopo avere passato un dito lungo la mascella di Sherlock.

"Io vedo tante cose, Dottor Watson. Persone con numeri molto bassi, altri con numeri talmente alti che probabilmente non incontreranno mai la persona per loro, perché nascerà tra cinquant'anni, quando forse saranno già morti. La vita è ingiusta e la mia Anagrafe spesso me lo ricorda: quello che ho imparato è che non ha senso gettare la gente nello sconforto. La persone non mi pagano per dire la verità, ma per avere belle notizie. Per questo, in caso di brutte notizie, mento e non mi sento minimamente in colpa perché lo faccio per loro. Tuttavia Sherlock è un cultore della verità e anche per questo mi disprezza. In ogni caso, nella mia vita non avevo mai visto qualcuno senza numero. Ammetto di avere pensato per un momento che lui fosse la mia anima gemella, ma poi capii che non era così. Anche se ho accettato questa cosa tempo fa, oggi lei, John, risolve uno dei miei più grandi misteri.”

Silenzio. Era evidente che troppi anni di televisione avevano lasciato in quella donna la perenne esigenza della suspense che di solito c’è prima di uno stacco pubblicitario. John avrebbe voluto non darle la soddisfazione di fare la domanda, ma la curiosità era sinceramente troppa.

“In che senso?”

“Neanche lei ha un numero. Oh, è fantastica questa cosa, potrei studiarvi per anni, giuro."

"Questo non vuol dire niente." intervenne Sherlock trascinando John nel giardino per un braccio.

"Vuol dire tutto detective Holmes! Vuol dire proprio tutto." la sentirono cantilenare mentre chiudeva la porta dietro di loro.

***

Era sera e stranamente erano già tornati al 221B.

Sherlock era stato in silenzio per tutto il viaggio e oltre, immerso nei suoi pensieri. Da quando era uscito dalla casa di Andy Smith aveva detto una sola parola: "Bugiarda". Tutte le insistenze di John per fargli spiegare in cosa la Adler stesse mentendo non trovarono risposta.

"Comunque ha senso." - si mise a riflettere John ad alta voce mentre preparava il the, parlando tra sé e sé.

"Cosa ha senso?" Sherlock a quanto pare aveva abbandonato il mondo delle Idee.

"Oh, beh… se tu vedi solo i nostri numeri, è logico pensare che un Geminato non ne veda alcuno."

"Logico - ripeté Sherlock sprezzante - Non c'è nulla di logico in questa storia. I numeri non sono una scienza esatta. Anzi, non sono proprio una scienza, potremmo paragonarli all'oroscopo, per quanto sono accurati." Sherlock era sdraiato sul divano, gli occhi chiusi, il collo lungo rilassato sul bracciolo, le dita unite sotto il mento.

"Ma adesso abbiamo due riscontri: il tuo e quello di Irene."

"Potremmo avere mille riscontri, John, pensavo fossimo d'accordo su questo punto: - si era seduto sul divano e adesso guardava John, infastidito - non è questo l'importante."

"E cosa è importante esattamente?" si era ripromesso di preoccuparsene più avanti, è vero, ma l'incontro con Irene in qualche modo aveva riportato il discorso bruscamente a galla.

Sherlock sembrava indeciso su cosa dire: "Cosa vuoi tu."

"Cosa voglio io? Perché solo quello che voglio io?" Sherlock continuava a parlare della possibilità per John di voltare le spalle al Destino e prendere un'altra strada, una che lo portasse lontano da lui. Non aveva mai parlato di cosa provava lui. "Tu cosa vuoi?"

Sherlock sospirò, passandosi una mano sul viso, come per scacciare via la stanchezza o nascondersi in un momento di vulnerabilità. "Non sono bravo in queste cose. Non è proprio il mio campo."

"Beh, neanche il mio. Quindi lo cose sono due: o ne parliamo adesso e non ci pensiamo più oppure ci giriamo attorno per un tempo indefinito. Io sarei per la prima soluzione, perché per quanto odi parlare di sentimenti, mi sembra che in questi ultimi giorni mi stiano ricorrendo qualunque cosa faccia. - John stava girando per casa gesticolando, in preda a un flusso di coscienza - Quindi inizio io, va bene? È una situazione assurda, pazzesca, ma sai una cosa? Non mi sentivo così bene da anni. Non mi interessa se sulla mia testa vedi un numero, nulla o un coniglietto saltellante. Probabilmente sarei sempre qui a dirti che da quando ti conosco la vita non è solo più sopportabile, ma mi piace anche. E non so cosa questo voglia dire. - si risedette sulla poltrona, in preda a una sorta di confuso sconforto. Passarono interminabili secondi a fissarsi, senza fiatare.

"Coniglietto saltellante?" chiese Sherlock con un sopracciglio alzato.

"Già, un coniglietto saltellante. Va bene anche quello." John si stava sforzando di non ridere. Fortunatamente Sherlock sapeva come alleggerire la tensione. Il suo sguardo si era ammorbidito, ma era anche malinconico.

"Sei l'unica persona a cui sembro piacere davvero, che non alza gli occhi al cielo quando mi vede e che non pensa che io sia un pazzo strambo con la fissa delle scene del crimine. Sei anche l'unica persona di cui davvero mi importi il giudizio, che è una cosa assurda, razionalmente parlando: non ti conosco quasi per niente. – Sherlock si guardava le mani e John si trovò a pensare che sì, in effetti Sherlock era un po’ strano, ma non è che lui potesse proprio definirsi normale e quindi gli andava bene così –

- Penso che tutto questo voglia dire qualcosa, anche se non so cosa. Non ho mai voluto stare con qualcuno, non credo di esserne capace. Ci perderesti davvero solo tu, John."

John sentì una strana stretta al petto, si alzò e andò a sedersi di fianco a Sherlock. Gli prese la mano senza guardarlo negli occhi. "Ti sembrerà strano, ma nessuno vuole stare con uno che si sveglia la mattina e vede quanto manca alla sua morte. Quindi davvero, mi sa che stai facendo tu il cattivo affare. Diciamo che sono quello che la gente considererebbe ‘merce avariata’.”

"A volte la merce che non vuole nessuno è unica nel suo genere." Sherlock gli appoggiò la testa sulla spalla. John poteva sentire l'odore dei suoi capelli.

Per quella sera, andava decisamente bene così.


Ho avuto qualche problema col capitolo, nel senso che l'ho cancellato per sbaglio :(
So che è un po' intricata la storia politica dietro le elezioni, spero si sia capita più o meno bene. Spero anche di non aver sbrodolato troppo con la scena finale, let me know!

Ringrazio al solito Sara, la mia super editor!

V.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2937168