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Questa
ff si ispira a un corto che ho visto mesi fa e che
mi è rimasto impresso tantissimo.
Due
piccole considerazioni: inizio tante storie ma non le
finisco, però stavolta ho scritto la trama sul quaderno di
statistica, quindi
ho davvero buone speranze (invece per statistica ne ho davvero poche).
Seconda considerazione:
so che non si capisce moltissimo, ma andando avanti questo mondo che ho
in
testa prenderà forma (è tutto sul quaderno).
Detto
questo, ho finito. Ho l’ansia, è una vita che non
scrivo. Se non proprio piacervi, spero di riuscire a incuriosirvi con
questo
capitolo.
Ps:
le parti prese da A Study in Pink non sono fedeli all'originale,
più che altro sono andata a memoria.
Moirente
L’impegno
di Andy
Smith: “Se mi eleggerete il registro dei Moirenti
sarà realtà.”
Con
le elezioni
imminenti, la propaganda vede alcuni dei principali esponenti in lizza
per il
posto di primo ministro fronteggiarsi sul tema più scottante
degli ultimi anni:
il registro dei Moirenti.
L’attentato di
martedì, l’ultimo di una serie che in poco
più di quattro mesi ha visto cinque
Moirenti farsi saltare in aria nei punti nevralgici della
città, non ha fatto
altro che aumentare la paura dei cittadini.
Andy Smith, leader
del Partito del Nuovo Domani, nel faccia a faccia di ieri ha dichiarato
che, in
caso di sua elezione, il registro “si farà e i
Moirenti che non si registreranno
saranno puniti con la detenzione in carcere da uno a tre
anni”.
La proposta ha
riscontrato le ire dei sostenitori del Partito della Tolleranza guidato
da Vera
Deyong, che l'ha definita “degna di un regime
dittatoriale”.
La campagna
politica dei due esponenti va avanti senza esclusione di colpi mentre
la
tensione a Londra continua ad aumentare: le persone non
usano più
i mezzi pubblici e la paura di un altro
attentato è sempre più alta. A quando il prossimo?
John
Watson piegò il giornale in malo modo e lo gettò
nel
cestino più vicino. Aveva trovato una copia del Daily Mail
per caso nell’androne
del palazzo in cui abitava: sapeva che in quei particolari giorni
leggere un
quotidiano che faceva dell’intolleranza la sua bandiera non
avrebbe fatto altro
che aumentare il suo cattivo umore.
Quella
fredda mattina , camminando per Londra, John
rifletteva che in effetti aveva tutti i motivi del mondo per essere di
cattivo
umore: viveva in un appartamento triste nella periferia della
città, era appena
tornato dalla guerra per una ferita alla spalla (ma per ironia della
sorte era
la sua mente a renderlo invalido) ed era anche un Moirente.
Davanti
a quell’ultima considerazione fatta, come al
solito, con lo sguardo fisso a terra, John pensò che forse
non era nato per
essere felice. Essere un Moirente faceva schifo.
“John!
John Watson!”
John
si gelò sul posto. Merda.
Non
voleva girarsi. Non voleva guardare l’uomo che
l’aveva
chiamato e leggere il suo numero.
Per
un secondo si chiese se non fosse meglio proseguire fingendo che questo
“John
Watson” non esistesse, ma ormai si era reso conto di essersi
già tradito.
Ce
la puoi fare. Un
respiro profondo.
John
si girò e, come al solito, lesse prima il numero: 13477. Tirò un sospiro di
sollievo
vedendo che le
cifre erano sopra la
testa del suo vecchio compagno di studi di Medicina, Mike Stamford.
“Mike!”
si ritrovò a sorridere, suo malgrado. Stamford
gli stava davvero simpatico, ma ovviamente la loro conoscenza non era
andata
così oltre da potersi definire davvero amicizia. Avere degli
amici, per John,
era davvero troppo doloroso.
“Credevo
fossi in Afghanistan.”
“Lo
ero infatti – John fece un gesto per indicare il suo
bastone –. Sono stato congedato. Vivo con una pensione
dell’esercito in un buco
di culo a nord della città.”
“Dio,
non riesco ad immaginarti periferia. Proprio tu!”
“Difficile
permettersi un bel posto in centro con
una pensione dell’esercito. D’altra parte, chi mi
vorrebbe come coinquilino?” Mike
sorrise.
Nel
momento stesso in cui stava pronunciando la frase,
John capì di avere commesso un grosso errore.
“Sai
– rispose Mike- sei la seconda persona che me lo
dice oggi.”
Avrebbe
dovuto stare zitto. Avrebbe dovuto seguire il suo
istinto dall’inizio e non rispondere a Mike. Non avrebbe
nemmeno dovuto uscire
dal letto in realtà, tanto le probabilità di
trovare un lavoro per lui, al
momento, erano anche minori di zero. Sì, avrebbe dovuto
rimanere a letto.
Invece
al momento si trovava a camminare a testa bassa al
St. Barts Hospital, trascinato a conoscere questo sedicente nuovo
inquilino.
Bastò
meno di un secondo a John per individuarlo. Lo stomaco
gli si contorse e subito pensò a una parola: Geminato.
Sì,
quell’uomo dalla
bellezza così particolare e distinta, lo sguardo
aristocratico non poteva che
essere un Geminato. Eppure c’era qualcosa che non quadrava: i
Geminati erano il
top della scala sociale. I Geminati non lavoravano, tanto meno
studiavano così
tanto da riuscire a condurre esperimenti in laboratorio.
D’altra parte, perché avrebbero
dovuto? Già una sola loro consulenza era pagata quanto dieci
sue pensioni
mensili e non dovevano far altro che leggere un numero su una testa.
Per
un secondo John pensò che lui, al contrario, avrebbe
potuto fare soldi solo
minacciando la
gente di leggere a voce alta il numero che vedeva su di loro. Lo
avrebbe anche
trovato divertente se non fosse stato un periodo in cui quelli come lui
avevano
preso l’abitudine di farsi saltare in mezzo a gente innocente.
La
verità era che, ancora prima di entrare nella stanza, John
aveva già deciso che avrebbe declinato
qualsiasi proposta. Non poteva reggere un coinquilino e soprattutto non
quella
persona.
Due
cose, paradossalmente, gli fecero cambiare idea: la
prima era che l’uomo era riuscito a dire tutto di lui dopo
solo dieci secondi
di osservazione (gli stessi che erano serviti a John per arrivare a una
conclusione sbagliata sul suo conto). La seconda era quella che
avrebbe
dovuto farlo scappare a gambe levate e gelargli il sangue, ma che
invece lo tenne
inchiodato lì dov’era, con l’adrenalina
che gli pompava nelle vene.
“Il
nome è Sherlock Holmes e l’indirizzo è
il 221b Baker
Street”.
Sherlock
Holmes aveva uno splendente 1 sulla testa.
Sherlock Holmes sarebbe morto il giorno dopo.
A una mente
ingenua, la capacità di John poteva sembrare,
oltre che molto inquietante, anche affascinante: il fatto che il numero
che
vedeva sopra la testa delle persone diventasse più luminoso
man mano che la
cosiddetta “ora fatale” si avvicinava avrebbe
potuto fare di John uno di quegli
eroi da fumetto che, incentivati dalle classiche corse contro il tempo,
si dedicano
a salvare le vite degli altri.
La
verità era che, per quanto la maggioranza della
popolazione ignorasse le capacità dei Moirenti, la
situazione era molto più
complicata e meno eccitante di quanto potesse sembrare. Tanto per dirne
una,
anche se John avesse voluto improvvisarsi eroe senza macchia e senza
paura, non
avrebbe saputo da dove iniziare: per chi non era abituato, era
allarmante
rendersi conto della quantità di persone che avevano dei
numeri bassi sulla
testa. In una città come Londra, ad esempio, poteva capitare
di imboccare una
strada e vederne anche una decina. Chi era lui per decidere chi salvare
e chi
no?
La questione
più importante però era un’altra. John
la
ricordava stampata sull’opuscolo che il dottore della clinica
dell’Anagrafe
Numerale gli diede quando, appena quindicenne e con qualche anno di
ritardo
rispetto ai suoi compagni, iniziò a vedere i primi numeri e
a capire quello che significavano: “Il
Destino non si cambia”. Era un modo semplice e
diretto per dire al neo Moirente
che, per quanto “essere un Moirente
non
vuol dire essere infelice”, effettivamente questa
capacità non donava
speranze di rivalsa: il Moirente non aveva altra possibilità
che constatare un
dato di fatto, ovvero che
una certa
persona entro un esatto periodo di tempo avrebbe lasciato questa Terra
senza
possibilità di appello.
Non
c’era da stupirsi, si ripeteva John, che i Moirenti
cercassero di nascondere la propria condizione per non venire evitati
o,
peggio, ghettizzati. D’altra parte, chi voleva come amico o compagno uno che
sapeva in quanto
tempo avresti lasciato questo mondo?
John ripensava a
queste cose (soprattutto alla parte del
“Destino non si cambia”) mentre vagava per le
strade di Londra dopo essere
state piantato in asso su una scena del crimine da Sherlock Holmes. Una
parte
di lui cercava di pensare a un motivo razionale per il quale stesse
facendo
tutto questo. Per il momento, l’unica cosa che il suo
cervello riusciva a
dirgli era “Perché trovi Sherlock Holmes
interessante”, che non era
assolutamente una risposta accettabile. John
non trovava nessuno “interessante” per
principio, per lui le persone
potevano
solo essere vicine alla morte o lontane: il massimo della
felicità era sapere
che le persone a cui teneva (ovvero quelle a cui non poteva
necessariamente
voltare le spalle, come la sua famiglia) avevano almeno un numero a
cinque
cifre sulla testa.
Erano in un
ristorante italiano per un appostamento; il
caso iniziava a farsi interessante, anche se John non riusciva davvero
goderselo come sembrava fare Sherlock: in
realtà continuava a guardare di soppiatto l’1
luminoso sperando che l’altro non
se ne accorgesse.
“Quindi…consulente
investigativo, eh?” disse
per cercare di dimenticarsi del numero
ormai fosforescente sulla sua testa.
“Già.”
Rispose Sherlock con gli occhi fissi sulla strada.
“Pensa
che quando ti ho visto la prima volta pensavo
fossi un Geminato.”
Lo sguardo di
Sherlock si posò su di lui, duro e fiero,
l’aria altera più forte che mai.
“E cosa
te l’ha fatto pensare?”
John si
pentì immediatamente di averlo chiesto. Con
orrore si accorse di un certo calore sul collo e sulle orecchie, segno
che probabilmente
stava diventando più rosso della tovaglia.
“Io…ecco…mi
dispiace. Non volevo essere invadente. Mia
madre mi diceva sempre che è maleducazione chiedere
l’Anagrafe alle persone, ma
i consigli delle mamme non si ascoltano mai, vero? Nemmeno quando si
è grandi e
vaccinati. Davvero, dimentica che te l’ho chiesto.”
Rivolse la sua attenzione
alle tagliatelle, ma improvvisamente gli era passata la fame. Se
Sherlock gli
avesse chiesto della sua Anagrafe? Cosa avrebbe risposto? Nonostante i
Moirenti
non fossero distinguibili a colpo d’occhio, c’era
una discreta possibilità che
Sherlock avesse già capito la sua condizione grazie alle sue
deduzioni, ma,
visto che non era scappato a gambe levate, c’era ancora
possibilità che non
l’avesse intuito. John sapeva però che
sicuramente, davanti a una domanda
diretta, uno come Sherlock sarebbe riuscito a capire una risposta falsa
a
chilometri di distanza.
Dopo un momento
di silenzio imbarazzato, Sherlock decise
di avere pietà di lui.
“Io…non
vedo i numeri. – disse con gli occhi di nuovo
fissi sul palazzo di fronte, stranamente fuori fuoco.
“Ah”,
fu tutto quello che John riuscì a rispondere. Non
aveva mai conosciuto un Ordinale. A quanto ne sapeva (e sicuramente ne
sapeva
più degli altri, visto che era un medico) ne nasceva uno
ogni cinquecentomila
persone, rendendoli di fatto l’Anagrafe più rara
al mondo; durante la pubertà,
al posto di iniziare a vedere i numeri come gli altri, su ciascuno di
loro
compariva sulla pelle un numero romano da uno a dieci.
La verità era che si sapevano pochissime cose degli Ordinali
perché quasi tutti
erano tenuti nascosti: si diceva, ma ovviamente non c’era
nulla di ufficiale,
che case farmaceutiche e centri di sperimentazione governativi fossero
disposti
a fare qualunque cosa per potere studiare la loro genetica. Era
praticamente
una corsa contro il tempo: chi scopriva per primo il segreto
dell’Anumeralità
degli Ordinali, prima sintetizzava il fantomatico medicinale che
sarebbe
riuscito a rendere Anumerale chi non lo era.
Per questo motivo
John era rimasto basito quando Sherlock
gli aveva dichiarato con leggerezza la sua condizione. Essere un
Ordinale era
anche peggio che essere Moirente: era come avere una taglia governativa
informale sulla testa.
“Quindi
hai il…tatuaggio?” chiese John stupidamente,
più
che altro per risvegliarsi dallo stato di semi-shock nel quale era
caduto.
“Sì,
sì, il tatuaggio-” rispose Sherlock assente
“Quel
taxi è lì da troppo tempo, è evidente
che sta aspettando qualcuno o qualcosa…” ,
senza neanche aspettare una risposta da John, Sherlock si stava
già mettendo il
cappotto.
Il tempo di
uscire dal locale e il taxi era già partito. Mentre
correva per Londra seguendo Sherlock Holmes come se non avesse fatto
altro
nella vita, John continuava a pensare all’opuscolo che aveva
ricevuto più di
vent’anni prima e a come “il
Destino non
si può cambiare”. Eppure, mentre correva
e correva ancora senza sentire
dolore alla gamba (ma quello lo avrebbe notato dopo), John riusciva
solo a
pensare che non voleva altro che il Destino si sbagliasse.
Perché, per la prima
volta nella vita, il numero sulla testa di una persona non lo
spaventava. Anzi,
fu forse quello che la sera stessa lo spinse a prendere la sua vecchia
pistola
e a fare fuoco contro un tassista psicopatico. Mentre si allontanava
dalla
scena del crimine, si rese conto che, per quanto suonasse stupido (e lo
era
parecchio, visto che si conoscevano da meno di 12 ore), il numero sulla
testa
di Sherlock Holmes lo spingeva a essere un eroe.
“Avresti
preso quella
pillola, vero? JW”
John era tornato
a Baker Street, deciso ad aspettare
Sherlock lontano dalle domande della polizia che avrebbero potuto
collegarlo
all’omicidio. Con stupore si rese conto che non voleva finire
nei guai non tanto
per evitare la
prigione, quanto perché
aveva la netta sensazione che quella con Sherlock sarebbe stata una
vita
parecchio movimentata. Era dai tempi dell’Afghanistan che non
si sentiva eccitato
per la sua vita.
“Certo,
sapevo che
non era quella avvelenata. SH”
Sorrise di nuovo.
Se avesse potuto vedere il numero che
prima con la sua luce aveva incorniciato con un’aureola i
suoi capelli,
sicuramente avrebbe capito che quella decisamente non era la pillola
giusta.
“Non
potevi
saperlo. Avevi il 50/50 di possibilità. JW”
Nessuna risposta.
John temette di avere varcato qualche
linea invisibile e quindi decise di cambiare argomento.
“Ti
lasciano venire
a casa? Ordino cinese. Ti piace? JW”
“Prendo
quello che
prendi tu. Arrivo fra un po’, mio fratello mi sta tediando
con un caso di
importanzanazionale. Noioso.
SH”
Un’ora
dopo, il cibo era arrivato e John, seduto sulla
sua poltrona, sentì la porta dell’appartamento
aprirsi.
“In
effetti il caso potrebbe anche essere interessante.”
Disse Sherlock sedendosi pesantemente sulla poltrona di pelle nera.
Quando John
alzò lo sguardo, dovette lottare duramente
per impedire al suo sorriso di diventare una smorfia. Impietrito,
cercò di non
fare trasparire l’orrore nei suoi occhi. Sulla testa di
Sherlock adesso
galleggiava un 7.
Almeno
sette è più
di uno era quello che John si era ripetuto per gran parte
della notte. Aveva
dormito male e, quando l’ora fu abbastanza accettabile e
quando fu chiaro che
non sarebbe più riuscito a riprendere sonno, si era
precipitato in cucina per
prepararsi il the.
Non si aspettava
certo di vedere quello che doveva essere
il maggiore dei fratelli Holmes, Mycroft (12402),
già in salotto. Se John stupidamente due giorni prima aveva
pensato che
Sherlock potesse essere descritto come “altero”e “aristocratico”, era evidente che
ancora non aveva visto Mycroft
Holmes.
“La tua
nuova sistemazione è…interessante,
fratellino.”
Si spostava per
la casa come se avesse paura che,
toccando inavvertitamente qualcosa, potesse contrarne chissà
quale malattia
mortale.
John
rientrò in cucina con il the, interrompendo quello
che doveva essere il più lungo silenzio glaciale del secolo.
Il che era tutto
dire, contando che lui aveva Harry come sorella.
“Ah,
Dottor Watson.” Il sorriso di Mycroft si allargò
educatamente, senza tuttavia coinvolgere gli occhi. “Vedo con
piacere che non è
ancora scappato dopo avere visto l’originale stile di vita di
mio fratello.
Questo la dice lunga su di lei.”
John ebbe
l’impressione che il maggiore degli Holmes non
gli sarebbe stato tanto simpatico. Ebbe anche l’impressione
che la sapesse
effettivamente lunga su di lui. A quanto aveva capito, ricopriva una
carica
fintamente non importante nel governo britannico. Improvvisamente
avrebbe
voluto che la sua attenzione fosse rivolta da un’altra parte.
“Sei
qui per fare il terzo grado a John o per risolvere
un caso che sta mettendo a repentaglio la vita dei cittadini della
Corona?”
disse Sherlock a denti stretti. “Mi pare che al momento tu
abbia altre
priorità. I dati. Ora.”
“Come
desideri, fratellino”. Ma era chiaro che Mycroft
avrebbe preferito tormentare John ancora un po’.
“Sono
certo saprai che ci sono stati cinque diversiattentati, per così dire, che hanno visto Moirenti
farsi esplodere nei punti più affollati della
città durante le ore di punta. I
giornali ne hanno parlato in lungo e in largo, ma ovviamente sono al
corrente
solo di una parte dei fatti.”
“Si
dice che le persone in questione fossero seminude e
in stato confusionale prima dell’esplosione.” John
non riuscì a trattenersi
dall’intervenire. Non voleva interrompere, ma
l’argomento lo toccava da vicino
e, anche se una parte di lui non voleva andarsi a immischiare in cose
che lo
coinvolgevano in prima persona, l’altra parte non poteva fare
a meno di sapere.
“Precisamente.
– Mycroft lo guardava incuriosito, come se
lo vedesse per la prima volta; Sherlock, imperscrutabile, se ne stava
seduto con
gli occhi chiusi, come in trance - Quello che non si sa è
che queste persone
sono di fatto tutte sparite tre giorni prima delle loro esplosioni, per
poi
ricomparire nei punti più disparati di Londra seminudi e con
dieci chili di
tritolo legati alla vita.”
“E
riguardo l’esplosivo? Composizione?” chiese
Sherlock,
aprendo gli occhi per la prima volta solo in quel momento.
“Guarda
tu stesso – Mycroft tirò fuori da una cartellina
marrone un foglio e lo porse al fratello – Stessa
composizione, stessa mano. È evidente
che c’è qualcuno dietro a tutto questo. Ti saremmo
molto grati se ti occupassi
del caso.”
“Ci occuperemo
del caso solo quando dirai tutta la verità. Non posso
indagare anche su di te e
su quello che non dici, Mycroft. Sono quattro mesi che questa gente
salta in
aria come fuochi di artificio: perché sei venuto da me solo
adesso?”
“Ti
reputi una risorsa molto preziosa per il governo
britannico, vedo. Cosa ti fa dubitare che io sia venuto
perché forse le nostre
risorse ufficiali in questi mesi non hanno fatto progressi?”
“La
stessa cosa che mi fa dubitare che tu ricopra solo
una “carica minore” nel governo di sua
Maestà: la mia intelligenza. Non
insultarmi. Sei qui perché è successo qualcosa
che nessuno deve sapere
ufficialmente. La domanda è: cosa?”.
L’atmosfera
iniziava a farsi pesante: Sherlock aveva
abbandonato la sua compostezza per arrivare a sedersi sul bordo della
poltrona,
come pronto a saltare al collo del suo interlocutore. Anche Mycroft,
dal canto
suo, stringeva il manico del suo ombrello con così tanta
forza da farsi
diventare le nocche bianche. John pensò a
come dovevano essere
le cene di Natale a casa Holmes e cercò di non ridere.
“Vera
Deyong – sussurrò.
“La
leader del Partito dalla Tolleranza?” lo incalzò
John, visto che Mycroft non sembrava incline a continuare, come se
avesse un
rospo troppo grosso in gola.
“
– era sotto la nostra protezione, ma ieri è
sparita da
casa sua. Il marito ne ha denunciato la scomparsa.”
“E cosa
vi fa pensare che c’entri con le esplosioni?”
chiese
Sherlock.
“Beh,
la Deyong al giorno d’oggi è praticamente
l’unico
politico che si sta battendo per la difesa dei diritti dei Moirenti. Se
sparisse farebbe comodo a molti, no?”
“Certamente,
Dottor Watson. Ma forse questo può
illuminarvi meglio. O forse no.”
Mycroft
aprì nuovamente la cartelletta marrone e ne
estrasse un foglio
giallo che passò a
Sherlock. Questo lo osservò per un secondo e
poi lo porse a John.
Nella
nebbia della Grande Città non abbiamo
riposo
Guardia
di giorno e di notte, di nuovo.
La
vita può finire in un botto,
ma
conoscere il futuro può essere troppo.
Sotto, a mano,
una scritta diceva “Salterà
in aria come tutti gli altri”.
Quando
finì di leggere, John era più confuso di prima.
Guardò Sherlock e vide che lui gli sorrideva come se il
Natale fosse arrivato
con un mese di anticipo.
“Accettiamo
il caso.”
Intanto, il
numero sulla sua testa era diventato un 6.
Dunque, ho cercato di condensare molte informazioni in
questo capitolo, in modo che capiate un po’ di più
su questo mondo. Mi è stato
detto nelle recensioni che la divisione in classi ricorda un
po’ Divergent, ma
la verità è che non ho mai visto il film
né letto i libri. La vera ispirazione
di questa ff è, oltre che il corto che vi accennavo nel
precedente capitolo,
anche un libro di Rosa Montero che si chiama “Lacrime nella
pioggia” (ma lì la
divisione era tra androidi, umani e alieni). Ve lo consiglio!
Ho introdotto quindi il
caso! Spero di averlo fatto bene,
è la prima volta che scrivo una case fic *ci prova*.
Infine: so che non si sa
ancora molto di Sherlock, pazientate
ancora un pochino, vi va?
Intanto grazie grazie grazie
per le recensioni! Non
sapete quanta voglia di scrivere mi hanno dato!
Se
una persona qualunque gli avesse chiesto dal nulla "Dove pensi viva
Vera Deyong?" non avrebbe mai risposto "In una lussuosa villa in stile
edwardiano, un paio di miglia fuori Londra". Non che si aspettasse che
la leader dell'unico partito liberale rimasto in Gran Bretagna vivesse
in mezzo agli ultimi della società - quelli come lui, in
pratica -, ma nemmeno in una casa che avrebbe fatto invidia, se non
alla Regina in persona, almeno a una qualche sua cugina di secondo
grado.
"Ne
sai molte sulla vita e sulla guerra, John, ma ancora poco sulla
politica. Devo ammettere che invidio la tua innocenza. -
disse Sherlock mentre scendevano dal taxi - Quasi mi dispiace
riportarti alla realtà con questo caso."
"Non
sono mica nato ieri! - replicò John, fintamente offeso - Tu,
invece, uomo vissuto: hai avuto molto a che fare con questo mondo?"
"Praticamente
da quando ho conosciuto Mycroft."
La
visione di un piccolo Mycroft in giacca, cravatta e ombrello
già invischiato nei piani diplomatici mondiali era qualcosa
di troppo esilarante per trattenersi, anche su una scena del crimine.
Si
guardarono per un secondo, poi iniziarono a ridacchiare.
"Ehi!
Voi due! Qui sta crollando la politica britannica, vi sembra il
momento?" l'ispettore capo Lestrade (11683) si avvicinò
agitato, la fronte imperlata di sudore nonostante il freddo polare.
"Lestrade."
salutò Sherlock, quasi irritato per l'interruzione.
"Per
fartela breve: la situazione è grigia, non sappiamo che
pesci prendere e ufficialmente non dovremmo essere nemmeno qui."
"Ma,
dato che sei il cagnolino di mio fratello, eccoti a degnarci della tua
presenza. Ora dimmi qualcosa che non so." rispose Sherlock, passandogli
davanti come se non lo vedesse e dirigendosi verso l'ingresso della
villa.
Lestrade
guardò John, sconsolato: "Vorrei poter dire che non fa
sempre così, ma mentirei. Con te, invece, sembra stranamente
gentile."
Il
sorrisetto dell'Ispettore lo fece sentire a disagio.
"È
solo perché ci conosciamo da poco." borbottò John
a mo’ di scusa.
Lestrade
adesso sembrava davvero divertito.
***
L'ufficio
di Vera Deyong, l'ultimo posto in cui era stata vista la sera prima,
era al secondo piano dell'ala destra della casa. Quando
entrò, John trovò Sherlock già
indaffarato a perlustrare la scena minuziosamente con la sua lente di
ingrandimento tascabile. Al momento era a carponi sul tappeto,
analizzando chissà quale fibra minuscola.
"Cenere.
Sigaretta, direi al mentolo a giudicare dal leggerissimo odore di menta
che aleggia nella stanza, nonostante la finestra aperta. Marlboro. Non
c’è nessun posacenere, quindi la Deyong non fumava
o comunque era una fumatrice occasionale che in ogni caso non avrebbe
mai fumato una sigaretta così forte."
John
rimase di nuovo affascinato dal modo in cui Sherlock si trasformava
completamente nel momento in cui aveva un mistero da risolvere. Era un
uomo con una missione. Nulla poteva distoglierlo dal suo obiettivo
tranne…
"John.
Cosa ne pensi?" chiese all'improvviso, come realizzando solo in
quell’istante di non essere solo nella stanza.
La
verità era che John non ne pensava proprio niente. Era un
medico, al massimo un soldato: le sue osservazioni più acute
potevano coinvolgere il corpo umano e le pistole. Lì non
c'era nulla su cui potesse anche solo pensare di potere dire qualcosa
di vagamente sensato che Sherlock non avesse ancora pensato, vagliato
ed eventualmente scartato.
"Beh…se
la Deyong non fuma, direi che probabilmente qui c'è stata
un'altra persona."
Sherlock
sembrava dubbioso.
"Ma
come sono usciti?"
"Dalla
finestra? È aperta."
"Troppo
alta. Per quanto atletica, neanche una persona di vent'anni riuscirebbe
a saltare da quest'altezza senza farsi molto male e la Deyong ha
superato la quarantina. Devono essere passati dalla porta." Nel giro di
una frazione di secondo, Sherlock era già fuori dalla stanza
e stava perlustrando tutto il corridoio, per poi dirigersi verso il
piano di sotto, urlando "Lestrade! Il marito! Devo parlare con il
marito!"
John
iniziava a sentirsi molto inutile.
***
"Non
è assolutamente possibile che Vera sia uscita dalla porta
con uno sconosciuto. Il cane avrebbe abbaiato."
"Ma
se lei era presente potrebbe non averlo fatto." replicò
Sherlock
"È
il cane più stupido del mondo, abbaia a tutti, in
particolare ai padroni."
Bradley
Fernandez (893 - John era segretamente contento di non conoscerlo) era
un uomo basso, nervoso, dai lineamenti vagamente ispanici, ma non
abbastanza forti da poterlo definire bello.
"Sherlock,
una parola." Lestrade era appena arrivato con un plico di fogli e fece
cenno a Sherlock e John di seguirlo in cucina.
"Ho
qui i dati che ci ha mandato la ditta che ha installato gli
antifurti.”
"Antifurti?"
chiese John, sorpreso.
"Esatto.
Questa roba è ultima tecnologia, si tratta di una doppia
sicurezza: la prima è la classica tutela, il tastierino
collegato alla centralina che fa scattare l'allarme se non si inserisce
il codice giusto o non lo si fa in tempo; la seconda è
più raffinata e riguarda l'allarme silenzioso: in pratica
una volta che il sistema è attivato, per aprire la porta
dall'interno è necessaria l'impronta digitale di uno dei due
proprietari. Se la Deyong avesse voluto segnalare che qualcosa non
andava, avrebbe potuto tranquillamente uscire disattivando il primo
allarme ma non il secondo, senza che l'altra persona se ne accorgesse."
"A
meno che questa seconda persona non conoscesse l'esistenza del secondo
allarme." provò a suggerire John.
"Improbabile:
quasi nessuno ne era a conoscenza, a parte chi l’ha
installato. Si tratta di una ditta di Manchester, abbiamo sentito i
proprietari e gli operai adesso e sembrano del tutto estranei".
John
aveva esaurito gli spunti intelligenti e decise che avrebbe fatto
più bella figura aspettando che Sherlock uscisse dal suo
mondo parallelo e illuminasse la stanza con le sue deduzioni.
"Cosa
ne pensi del marito? Mi sembra troppo fosforescente per i miei gusti."
chiese Lestrade. Dio, John avrebbe dato qualunque cosa per scambiare la
sua Anagrafe con quella dei Vigilanti: aveva sempre considerato
terribilmente affascinante il vedere il numero di reati commessi nella
vita degli altri.
"Non
è coinvolto nel rapimento della moglie. Torchialo pure, ma
probabilmente il suo numero è così
perché tiene della droga in casa senza che la moglie ne
sappia nulla. Solo cocaina." rispose il detective.
"Solo
cocaina." rispose Lestrade facendogli il verso e chiamando
l'unità cinofila con la ricetrasmittente.
John
aspettò che l'ispettore se ne fosse andato prima di
rivolgere al suo coinquilino la domanda che gli continuava a ronzare in
testa.
"Sherlock…perché
mi hai portato qui?"
"Perché
sei il mio coinquilino." Rispose lui con il tono di uno che odia
puntualizzare l’ovvio.
John
si ritrovò a sorridere, suo malgrado: "Non tutti i
coinquilini si mettono a fare queste cose. Se va bene, al massimo si
fanno una birra insieme la sera sul divano."
Sherlock
lo stava guardando e John si stupì nel constatare che
più che offeso sembrava ferito.
"Sei
un medico che da quando è tornato dall'Afghanistan ha
pensato al suicidio in due diverse occasioni. Tu non sei perseguitato
dalla guerra, dottore: a te la guerra manca. Questo - disse indicando
la casa che li circondava - è il tuo campo di battaglia,
John, non il divano, dividendo una birra alla fine di una giornata che
avresti odiato."
John
guardava Sherlock, le parole bloccate in gola, ma la verità
era che non era stata la sfuriata ad ammutolirlo.
Gli
vennero in mente tutte le volte che aveva preso la sua pistola in mano,
accarezzandola come se fosse una vecchia amica, come se solo lei
potesse aiutarlo a lenire quel senso di disperazione che lo colpiva
ogni mattina, appena apriva gli occhi e iniziava a sentire il dolore
alla gamba. Ripensò a quelle due volte in cui era arrivato
così vicino a premere il grilletto da avere sentito la canna
fredda dell'arma toccargli il palato: come poteva quest'uomo sapere
quante volte aveva pensato di farla finita? Non era possibile che
avesse tirato a caso. Sherlock sapeva, ma la domanda a questo punto non
era tanto come sapesse. C'era una questione più importante
da affrontare.
"Cos'altro
sai di me?"
"Prego?"
Sherlock sembrava effettivamente in panico adesso: il suo sguardo era
quello di uno che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di cancellare gli
ultimi tre minuti dalla sua vita. Ma non era nulla rispetto a come si
sentiva John: nudo, stupido e preso in giro.
"Non
prendermi per il culo - rispose John con una spacconeria che
sicuramente in quel momento non sentiva - se sai, per qualche oscuro
motivo, quante volte ho pensato al suicidio, sicuramente non puoi avere
mancato la parte più ovvia. Allora dimmi: perché
sei ancora qui? Perché mi hai voluto come coinquilino?" John
si ritrovò ad abbaiare le ultime domande, come se in quel
momento Sherlock fosse il responsabile di tutte le sofferenze che aveva
patito in trentotto anni di vita.
"Per
lo stesso motivo per cui sei rimasto tu. - disse l'altro con
malinconia, mentre un'ombra gli oscurava gli occhi chiarissimi - Come
te, ho accettato la mia morte e la solitudine anni fa. Non ho paura
John. Qualunque numero tu stia vedendo in questo momento sulla mia
testa, sappi che me lo puoi anche dire perché io non ho
paura." Mentre parlava, Sherlock si era avvicinato a lui, invadendo il
suo spazio personale. La cucina d'un tratto era diventata molto piccola
e molto calda.
"Tutti
hanno paura della morte. Me compreso."
Sherlock
lo guardò così intensamente negli occhi che John
si sentì di nuovo allo scoperto, ma per un motivo totalmente
diverso.
"Non
se hai una paura più grande." In un secondo, il detective
uscì dalla casa, il cappotto svolazzante alle spalle.
"Aspetta!
Dove stai andando?" urlò John, arrancando per tenere il
passo e fallendo miseramente.
"Ci
vediamo a casa."
John
ebbe la sensazione di avere appena distrutto qualcosa di appena nato e
bello. Imprecò sottovoce.
***
"Sherlock!
Mi hai spaventata! - la ragazza aveva la mano al petto, come se temesse
che il cuore potesse saltarle fuori dalla gabbia toracica per atterrare
sul tavolo delle autopsie, pronto per essere esaminato.
Molly
Hooper lavorava al Barts da cinque anni e, anche se noiosa come gran
parte della popolazione umana, tutto sommato era una buona risorsa per
Sherlock: metteva le sue analisi in cima alla lista quando aveva
bisogno di un risultato in fretta e, se le faceva gli occhi dolci, gli
procurava anche i cadaveri su cui condurre gli esperimenti.
Le
venne quindi automatico porre la solita domanda: "Posso aiutarti?".
Fu
forse l'abitudine ad essere usata per la sua posizione privilegiata
all'interno dell'ospedale a farle perdere un battito quando, dopo i
soliti (pochi) convenevoli, Sherlock le chiese qualcosa che gli aveva
domandato solo un'altra volta, molto tempo prima, quando era andato a
trovarlo dopo uno dei suoi ricoveri in ospedale.
"Che
numero vedi?"
Anche
se la maggior parte della popolazione mondiale per tutta la vita vedeva
numeri totalmente casuali senza un pattern definito, chiedere una cosa
del genere era considerato il massimo dell'invadenza. Se poi la persona
a cui era posta la domanda era un Moirente come Molly, la situazione
oltre che imbarazzante poteva diventare davvero molto spiacevole. Ma,
d'altra parte, si disse Molly con un filo di imbarazzo, Sherlock Holmes
si era sempre rivelato impermeabile alle buone maniere.
"Lo
sai che è maleducato chiederlo." Molly sentiva sempre il
dovere di educare Sherlock alle convenzioni sociali, soprattutto visto
che era evidente come i suoi genitori non avessero sprecato molto tempo
a insegnargliele.
"Certo
che lo so, ma è da tanto che ho deciso che non me ne importa
nulla . Ora, la tua risposta è...?
"Sempre
la stessa - rispose Molly. Si avvicinò a Sherlock, che se ne
stava seduto al microscopio, senza però avere nulla da
esaminare.
"Te
l'ho già detto: vivi una vita troppo pericolosa,
è da quando ti conosco che non ho mai visto un numero
superiore alle tre cifre su di te. Perché adesso dovrebbe
preoccuparti?"
"Non
mi preoccupa. Sto solo cercando di capire se la persona che ho
aspettato apparentemente per tutta la vita non è che
un altro 'garante della mia incolumità psicofisica'. Mycroft
ne sarebbe contento, almeno." rispose lui, con più di una
punta di amarezza nella voce.
"Aspettato?
In che senso?"
"Ti
rendi conto dell'amarezza di tutto questo? - sbottò Sherlock
tutto d'un tratto, ignorando completamente la sua domanda - Se non
fosse già terribile il fatto che viviamo in un mondo in cui
il novantacinque per cento delle persone nasce con la
capacità di vedere il futuro degli altri, viviamo anche in
una società dove si crede davvero che tutto questo sia
immutabile, come se la nostra esistenza, da quando mettiamo piede su
questa Terra a quando la lasciamo, sia riassumibile in quattro numeri.
Ve lo insegnano da subito, vero? Da quando fate le analisi
all'Anagrafe: "il
Destino non si cambia". Ma vi siete mai chiesti quante
delle persone che avete visto con il numero 1 sulla testa siano
effettivamente morte? Secondo te qualche Geminato si è mai
chiesto se la persona a cui ha fatto consulenza ha poi effettivamente
incontrato la sua anima gemella come lui aveva previsto? Te lo dico io:
no.
Perché siete tutti convinti che la vita funzioni
così, solo perché la maggior parte delle volte
funziona così. Ma non è vero. Ci sono molte cose
che non si spiegano e molte cose che non si conoscono ancora. Ed
è questo che fa paura ai governi: finché le
persone saranno convinte di avere il diritto di fare o non fare
qualcosa proprio a causa dell'appartenenza a una certa categoria, chi
ci governa avrà il potere, perché nessuno
alzerà mai la testa.
È per questo che studiano così tanto gli
Ordinali: perché custodiscono in loro il segreto
più grande e pericoloso di tutti, il potenziale disordine.
Se le persone diventassero Anumerali, non si farebbero più
la guerra fra di loro ed entrerebbero a fare parte di
un’unica gigantesca classe sociale con poteri enormi."
"Quindi...esistono
davvero questi centri in cui studiano gli Ordinali?"
Sherlock
rise, ma non poteva essere meno divertito.
"Certo
che esistono. Non capisci? Non vogliono scoprire come nasce
l'Anumeralità per diffondere il segreto: lo vogliono
distruggere. Nel momento in cui viene catalogato un Ordinale, questo ha
solo una cosa da fare: nascondersi o fare da cavia umana."
"E
allora tu come mai puoi andare tranquillamente in giro alla luce del
sole, se tutti gli Ordinali sono destinati a vivere nascosti?" Per la
seconda volta quel giorno, Molly rischiò l'infarto per lo
spavento. C'era un uomo dietro di lei: basso, biondo, mediamente
attraente che aveva un 6 sulla testa, proprio come Sherlock. Cazzo,
aveva scelto di lavorare con i morti proprio perché non le
piaceva sapere queste cose delle persone che la circondavano.
"John.
Cosa stai facendo?", rispose Sherlock, pallidissimo.
"Ho
chiesto a Lestrade dove potevi essere andato e mi ha mandato qui. - si
rivolse a Molly- Lei deve essere la signorina Hooper. Piacere, John
Watson, sono il coinquilino di Sherlock."
Dopo
averle stretto educatamente la mano, John tornò a
focalizzare l'attenzione sul detective.
"Quindi?"
"Io
ho Mycroft che mi protegge." rispose Sherlock, eludendo il suo sguardo.
"Cazzate.
Mycroft non può proteggerti da tutti i governi del mondo che
vanno a caccia di Ordinali."
Molly
capì dalla tensione crescente nella stanza che era il caso
di levare le tende.
"Beh,
io devo andare. Un sacco di cadaveri da aprire, sapete. Voi due, ehm,
state attenti, ok?".
Mentre
usciva, sentì Sherlock esitare e poi rispondere: "E... se ti
dicessi che, se mi studiassero, troverebbero qualcosa di più
raro di un Ordinale?".
Molly
fece finta di non sentire. Ne aveva avute abbastanza per quel giorno.
SBEM!
Li ho insegnati io i plot twist a Moffat (sì
vabbè...).
Comunque,
una ragazza nelle recensioni mi ha detto che la storia le ricorda un
po’ Divergent. Alla fine della stesura di questo capitolo, ho
letto la trama su wikipedia e in effetti ho notato delle somiglianze.
Non ho mai letto il libro, quindi non so, forse io e
l’autrice abbiamo una parte di mente in comune? In ogni caso
assicuro che, anche se l’andamento della storia è
e sarà diverso, non avrei problemi ad ammettere di avere
preso ispirazione da quel libro, solo che non è
così. Non so si mi sono spiegata :P
Ho
cercato di illustrare il più possibile la struttura di
questa società, spero sia un po’ più
chiaro adesso! Ovviamente verrà tutto approfondito nei
prossimi capitoli, quindi non temete: sarà più
chiaro :)
Ancora
grazie per le recensioni, davvero, non me lo aspettavo! Mi date delle
botte di autostima incredibili, sono davvero contenta che vi piaccia la
storia!
(E
grazie mille a Sara per avermi fatto da correttore di bozze (e prima
lettrice/fangirl)! La carriera in casa editrice adesso è
spianata per te! ).
"E...
se ti
dicessi che, se mi studiassero, troverebbero qualcosa di più
raro di un
Ordinale?"
John
registrò lontanamente la dottoressa Hooper lasciare la
stanza. Sherlock aveva detto quella frase eludendo il suo sguardo, in
tono
leggero, come se stesse parlando del tempo. Le mani serrate sul bordo
del
tavolo e le nocche quasi bianche per lo sforzo, però,
tradivano la sua
tensione.
Quell'affermazione
non aveva senso, e John lo sapeva bene.
"Non
esiste niente di più raro di un Ordinale."
Sherlock
si girò lentamente fino ad incontrare il suo
sguardo.
"Ti
sbagli."
Sherlock
Holmes era
sempre stato un bambino solitario. Quando aveva dieci anni sua madre
decise che
era arrivato il momento di fare in modo che quel ragazzino scorbutico e
incredibilmente geniale facesse amicizia con qualcuno della sua
età.
Mamma
Holmes pensò
quindi di iscrivere il figlio a un corso di nuoto ma ovviamente emerse
quasi subito
che Sherlock non sarebbe riuscito ad integrarsi nemmeno quella volta:
la sua
capacità di dedurre i compagni non lo mise in buona luce e
nel giro di una
lezione si vide spinto a tradimento nella piscina degli adulti
rischiando di
annegare.
A
quel punto sua madre,
dopo anni di tentativi, accolse di buon grado la sconfitta decidendo
che non
avrebbe più obbligato il figlio a "tediosi scambi sociali",
come
amava definirli lui. Dal canto suo, invece, Sherlock decise che non le
avrebbe
mai detto che l'episodio in piscina gli aveva lasciato molto di
più che il
semplice ricordo di una brutta esperienza.
Era
risaputo che
episodi traumatici potessero innescare la visione dei numeri. Quel
giorno, dopo
essere stato salvato dal bagnino, in infermeria Sherlock, guardando il
suo
riflesso, si ritrovò davanti all'impossibile: c'era un
numero sulla sua testa.
"In
che senso 'c'era un numero sulla tua testa'?"
chiese John incredulo.
"Esattamente
quello che ho detto. - rispose Sherlock
col piglio spazientito che John aveva già imparato ad
associare a lui -Vedo
un solo numero, il mio."
"Ma
questo non è possibile…ti avrebbero scoperto. Le
macchine dell'anagrafe sono programmate per individuare solo le quattro
categorie di Numerali, una cosa del genere verrebbe sicuramente
identificata
come anomala."
"Ovviamente.
Dato che non potevo rischiare che
scoprissero la mia 'anomalia', per dirla a tuo modo, a vent'anni,
quando sono
venuti a cercarmi, mi hanno fatto registrare nell'elenco degli
Ordinali."
"E
allora perché non sei nei laboratori a fare da
cavia, come hai detto prima?"
Sherlock
fece un sorrisetto. "Quando ho detto che
Mycroft mi proteggeva, non mentivo del tutto. Mio fratello, per quanto
mi
dispiaccia ammetterlo, è stato uno strumento utile alla mia
libertà. Ha fatto in
modo che William Holmes, il nome con cui ero registrato, risultasse
morto a
ventun anni a causa di un disgraziato incidente sulle Alpi Svizzere. In
questo
modo ho potuto vivere per alcuni anni fra i senzatetto di Londra sotto
il nome
Sherlock in attesa che mio fratello facesse carriera e riuscisse a
convincere
qualcuno di abbastanza potente per fare in modo da registrare me,
Sherlock
Holmes, come suo terzo fratello Geminato."
"Quando
dici 'convincere' intendi corrompere,
vero?"
"Ti
lascio alle tue deduzioni. -rispose Sherlock con
indifferenza-Non
ho mai saputo a chi si
sia rivolto, ma so che gli è costato parecchi favori, cosa
che non si risparmia
mai di ricordarmi almeno una volta a settimana." Il suo tono faceva
chiaramente capire che non si trattava di un eufemismo.
John
era senza parole. Sapeva che c'era ancora una domanda,
quella più importante, da rivolgere al suo coinquilino.
Mentre riorganizzava le
idee e cercava le parole giuste, si rese conto di avere il cuore in
gola.
"Il
numero che vedi…cosa rappresenta?"
Sherlock
prese fiato, provò a parlare ma non uscì niente.
John lo conosceva da poco, ma aveva già capito che se
qualcosa riusciva a
lasciare Sherlock Holmes senza parole doveva davvero essere molto
vicino allo
sconvolgente.
"Non
l'ho capito per molto tempo. Il numero cambiava,
continuamente. Per settimane diminuiva progressivamente per poi salire
a un
numero spropositato, nell'ordine della decina d'anni. A ventiquattro
anni ho
iniziato a tenere un diario: ogni giorno scrivevo quello che vedevo,
cercando
di trovare un pattern, un qualcosa che mi aiutasse a capire cosa
indicasse e
perché fosse sulla mia testa al posto che su quella degli
altri. - Sherlock si
era alzato dalla sedia e aveva preso a camminare avanti e indietro,
senza
incontrare lo sguardo di John, come se lui in effetti non fosse
lì - Non sapere
mi tormentava. Iniziai a coprire tutti gli specchi e qualunque cosa
potesse
restituire il mio riflesso. Riuscire a risolvere gli enigmi
più impossibili e
non riuscire a venire a capo del mio era il mio inferno personale."
Si
fermò di scatto, riprese fiato e ritornò a
guardare
verso John. Nei suoi occhi c'era un tormento che lo fece quasi sentire
male.
"Era
diventata la mia ossessione e la noia che
continuamente mi perseguitava mi spinsero verso la cocaina. Poi un
giorno, il
calcolo errato di una dose mi ha fatto quasi andare all'altro mondo.
L'ultima
cosa che ricordo prima di svenire è il mio riflesso sul
forno della cucina e il
numero sulla mia testa: infinito.
Mentre stavo per morire, il numero era infinito,
John! Pensai che indicasse qualcosa che riguardava la mia morte, ma
sicuramente
non potevo essere un caso strano di Moirente perché
altrimenti avrei dovuto
vedere zero."
Sherlock
si era fermato, le labbra serrate che si
tendevano. Sembrava che ci fosse qualcosa a bloccarlo, una confessione
troppo
grande da ammettere. In un'altra situazione, John gli avrebbe detto che
poteva
parlargliene quando se la sentiva, ma la verità era che
pensava di essere stato
tenuto troppo sul filo per non meritare una risposta.
"Quindi?
L'hai mai capito?" chiese senza
preoccuparsi di non far trasparire la sua curiosità.
"Sì,
e devo ammettere che la soluzione di questo
mistero è veramente terribile, da film romantico di terza
categoria. Come se la
vita fosse veramente così." rispose Sherlock con evidente
disappunto. Poi
prese un respiro profondo e ricominciò a parlare come se
stesse confessando
chissà quale peccato mortale: "È successo che,
qualche giorno prima di
conoscerti, il numero è di nuovo schizzato a infinito. Era
capitato un'altra
volta qualche mese prima e in una situazione in cui io non ero in
pericolo di
vita, quindi avevo iniziato a pensare che il mio numero fosse collegato
a
un'altra persona. Guarda caso, e per la prima volta nella mia vita, il
giorno
prima di conoscerti mi ero ritrovato un 1
fosforescente sulla testa. Quella mattina, al Barts, stavo facendo
esperimenti
con la consapevolezza che, dopo anni, ero arrivato a zero
e che avrei trovato la risposta al mio mistero personale. E
poi sei arrivato tu."
John
stava giusto iniziando a capire dove Sherlock stava
andando a parare e rimase sorpreso dal sentire il disprezzo che
Sherlock aveva
inserito nell'ultima frase.
"Non
essere troppo entusiasta, eh?"
"Ma non capisci John? Ho passato la vita a impazzire dietro a questa
cosa
e alla fine scopro che ha a che fare con i sentimenti!
Proprio a me, dico? Ci può essere più ironia in
tutto questo? È così…banale.
È un cliché." Sherlock
sembrava seriamente in crisi per la situazione.
John
dal canto suo stava cercando di capire quale dei due
stati d'animo fare prevalere: se quello offeso per essere stato
classificato
senza molti giri di parole come ‘banale’ o quello
sconvolto che voleva capire
meglio la situazione.
"Tanto
per essere assolutamente chiari e trasparenti:
mi stai dicendo che il tuo numero ha sempre indicato i giorni che
mancavano a
incontrarci?" Cercava di mantenere un tono calmo e ragionevole davanti
all'assurdità della situazione, ma era quasi sicuro di non
riuscire a
convincere l'altro.
"O,
per metterla in termini di film romantico di terza
categoria, apparentemente 'è una
vita che
ti aspettavo'." rispose Sherlock con un'alzata di occhi
talmente
potente che John per un secondo temette di vedergli i bulbi oculari
uscire
dalle orbite.
John
avrebbe potuto esprimere pensieri elaborati, come ad
esempio il fatto che c'erano davvero troppe ma troppe variabili in
gioco per
pensare seriamente in termini di coinvolgimento romantico, tuttavia
l'unica
cosa che riuscì a dire fu un atono "Ah".
Evidentemente
Sherlock lo interpretò come un cattivo segno
e si affrettò subito a chiarire: "Io non so cosa
effettivamente voglia
dire tutto questo, ma è un dato di fatto che per qualche
motivo noi siamo
destinati a incontrarci. Questo non vuol dire che non possiamo
stringerci la
mano adesso, salutarci e decidere di non vederci più per il
resto delle nostre
vite, John, è importante che tu lo capisca. Sono solo
numeri, siamo noi a
decidere."
Mentre
le sue parole dicevano una cosa, la sua espressione
tradiva i segni di un dolore sempre tenuto a bada: la sensazione di
essere
diversi ma la volontà, allo stesso tempo, di essere normali
e di passare
inosservati. L'impossibilità di ottenere questa cosa aveva
spinto quell'uomo
eccezionale a rimanere solo tutta la vita. Anche John aveva portato con
sé
quella paura, dal momento in cui, per essere precisi, il dottore
dell'Anagrafe
gli aveva confermato di essere un Moirente. Forse era per quello, si
disse in
un momento di incredula lucidità, che per qualche strano
motivo loro due 'si
stavano cercando'.
"Certo,
possiamo decidere. - rispose John fissandosi
le scarpe - Però al momento non siamo abbastanza impegnati?"
Sherlock
lo guardò con un'espressione interrogativa e anche
un po' speranzosa.
"-
Abbiamo un caso da risolvere. Dobbiamo davvero parlare
dei massimi sistemi adesso? Ci conosciamo da meno di un settimana, mi
sembra un
po' presto per i programmi a lungo termine." John stava sorridendo e
Sherlock, dopo avergli scoccato un'occhiata sollevata e incredula,
prese il suo
cappotto e lanciò a John il suo.
"Vera
Deyong - prese ad elencare il detective
riassumendo i fatti - Politica di spicco e difensore dei Moirenti che
sparisce
nella notte da una casa senza passare né dalla finestra
né dalla porta. Direi
che sì, abbiamo un caso molto interessante e non dovremmo
stare qui a perdere
tempo. Sei pronto?" gli chiese con un sorriso e uno strano luccichio
negli
occhi.
"Il
gioco è iniziato." rispose John, rubandogli
la battuta.
Mentre
salivano in taxi, John con un po' d'ansia si ripeté
che in effetti non era decisamente il momento di fare piani a lungo
termine
perché, se proprio doveva dare retta al numero che vedeva
sulla testa di
Sherlock - sempre un 6- ,
probabilmente il lungo termine avrebbe potuto non diventare mai un loro
problema.
Ci
ho messo un po', lo so! è stato un periodo abbastanza
stressante e la voglia di scrivere era proprio pari a zero.
Sono
un po' nervosa per questo capitolo, è una sorta di "giro di
boa" nel rapporto tra i personaggi, spero vi sia piaciuto.
Ringrazio
ancora Sara, che è la mia editor e fangirl numero uno
<3
La
prima
volta che John disse ai genitori di volere diventare medico aveva sei
anni.
Emma Deville, sua compagna di classe e cotta epica dai tempi
dell'asilo, si era
ferita alla testa mentre scendeva dall'albero sul quale si era
arrampicata per
dimostrare agli altri bambini che non la facevano giocare
perché “era una
femmina" che non solo lei poteva salire sull'albero, ma
poteva anche
andare più in alto di loro. Vedendo che Emma era arrivata
quasi in cima,
improvvisamente gli altri bambini, accorgendosi che non ci sarebbe
stato più
nessuno da prendere in giro, avevano deciso che c’erano cose
più interessanti
da fare.
John
invece
l'aveva guardata da lontano e aveva pensato che quella bambina dai
capelli
rossi non aveva proprio niente da dimostrare: era in gamba, tutti lo
sapevano e
proprio per questo non potevano permetterle di vincere. Per rimediare
al suo
orgoglio ferito, il capo dei bulletti, Francis Quine, quando Emma era
ormai
quasi a terra, pensò bene di lanciare un sasso nella sua
direzione colpendola
alla testa.
Più
tardi
Francis avrebbe dichiarato che non aveva intenzione di fare male sul
serio alla
sua compagna, ma John decise
per precauzione
di atterrare Francis e spaccargli in naso, per poi dedicarsi a cercare
di far
rinvenire Emma, svenuta e sanguinante sul selciato.
Ripensando
all'episodio, John era sempre stato certo che quello era stato il
momento che
più gli aveva rivelato la sua natura di amante della
giustizia e di guaritore.
Nell’istante in cui gli era stata confermata la sua Anagrafe
e negli anni
immediatamente successivi aveva capito che, proprio come gli altri
Moirenti, la
carriera che gli si apriva davanti era quella militare: l'unico posto
al mondo
dove quelli come lui potevano avere un po' di sollievo dalla loro
maledizione.
In
guerra i
numeri delle persone erano costantemente bassi, e alla fine era facile
abituarsi, fino a non farci più caso. Tuttavia la natura di
John lo aveva
spinto a diventare medico militare: per quanto razionalmente fosse
davvero
convinto che il Destino non si potesse cambiare, la professione che
aveva
scelto era comunque quella di una persona che col Destino, alla fine,
ci
combatteva sempre contro.
Era
la vita
normale, per lui, il campo di battaglia. Non riusciva più a
guardare le persone
negli occhi a causa dell'ansia di vedere il loro numero. I Moirenti
avevano sempre
problemi di adattamento, gli aveva detto Ella, la sua analista. Ci
voleva
ancora molto tempo, gli ripeteva continuamente, per sconfiggere questo
disagio estremamente
comune. Pensare al suicidio è
statisticamente frequente, ma lui non
doveva cedere, doveva andare avanti. L'unico modo per farlo, gli
diceva, era
lasciarsi la guerra alle spalle.
Avrebbe
dovuto licenziarla, si disse John. Stava camminando con un uomo che
aveva una
sentenza di morte sulla testa incredibilmente prossima e all'improvviso
era ancora in Afghanistan, ad
aspettare il fato con un
fucile in mano.
Non
si sentiva così sereno da anni.
***
Sherlock
Holmes camminava deciso nel quartiere di Belgravia, il cappotto aperto
che gli
svolazzava ai lati come il mantello di un supereroe. Neanche mezz'ora
prima gli
aveva confessato che a quanto pareva erano destinati a stare insieme.
La cosa
era talmente assurda che John non era nemmeno riuscito ad andare in
panico,
cosa che invece con tutta probabilità avrebbe dovuto fare. I
numeri erano una cosa
seria, lo sapevano tutti.
Si
erano avvicinati a un gruppo di case lussuose del quartiere. Tutto
lì intorno
dava l'impressione di ordine e tranquillità: difficile
pensare che quel posto
facesse parte di una città sull'orlo di un attacco di panico
a causa di persone
che si facevano esplodere.
"Poco
credibile che un politico come Andy Smith possa veramente capire i
problemi
della gente da questa reggia di cristallo."
Sherlock
lo
guardò in tralice: "I politici non hanno la minima idea di
cosa la gente
stia passando, per quanto amino affermare il contrario. Dire di avere a
cuore
il destino di tutti è illogico e non credibile. Nessun
essere umano mette
davvero il bene degli altri davanti al proprio. Non è
istintivo."
"Andy
Smith vuole catalogare i Moirenti come bestie da macello per
il nostro bene,
a sentire lui."
Sherlock
lo
prese per un braccio e lo trascinò in un vicolo stretto fra
due villette
squadrate, una posizione che dava loro la possibilità di
osservare le case più
belle del quartiere senza dare dell’occhio.
Passarono
diversi minuti in silenzio, così vicini che potevano
scaldarsi grazie al calore
dei loro respiri regolari, Sherlock apparentemente troppo immerso nei
suoi
pensieri per fare caso a inezie come lo spazio personale di John.
Si
riprese
dalla riflessione di colpo, iniziando a parlare come se il discorso che
avevano
iniziato prima non fosse mai stato interrotto: "Smith lavora secondo la
logica del Bene Superiore e nessuno sembra minimamente preoccupato
dalla cosa,
perché sono tutti troppo spaventati. È la paura
che li guida e trovare un capro
espiatorio sarà il passo successivo, già si
stanno mettendo le basi. È così che
si inizia, di solito." Sherlock aveva spiegato con foga, abbandonando
il
suo solito stile gelido. John aveva la netta sensazione che questa cosa
la
facesse specialmente con lui: era come avere una corsia preferenziale
di
accesso ai pensieri di Sherlock Holmes. Prese quel pensiero e lo
accantonò per
analizzarlo in un momento di calma.
"L'unica
differenza è che stavolta la gente ha davvero più
di una ragione per temere i
Moirenti. Per…temerci, insomma."
Era
la prima
volta che ammetteva a voce alta la sua Anagrafe davanti a Sherlock. Non
che
credesse che non l'avesse capita, ma dopo la confessione che suo
malgrado era
riuscito ad "estorcergli", gli sembrava giusto ripagarlo con la
stessa onestà.
"C'è
qualcosa di strano in quelle morti, John, hai sentito anche tu mio
fratello. Le
persone spariscono per tre giorni prima di ricomparire in stato
confusionario,
seminude e con lo stesso tipo di tritolo legato alla vita. Quello che
dobbiamo
chiederci è: perché i Moirenti?"
John
iniziava a capire dove il detective stava andando a parare.
"Pensi
che ci stiano prendendo di mira? E perché?"
Sherlock
gemette frustrato. "Ragiona un attimo! A chi gioverebbe l'improvvisa
pazzia dei Moirenti? Chi trarrebbe un concreto vantaggio da questa
cosa?"
"Qualcuno
che vorrebbe introdurre il registro dei Moirenti, come Andy Smith."
"Esattamente.
Se ci fossimo fermati a dei Moirenti casuali che si fanno saltare in
aria avrei
pensato sicuramente a un complotto di qualcuno che vuole fortemente che
il
Registro si faccia, ma sicuramente non Andy Smith, perché
non è una di quelle
persone che definiresti brillanti: dubito che arriverebbe ad
architettare tutto
questo. Il rapimento di Vera Deyong, invece, è totalmente
illogico e fuori
dallo schema. Rapire l'esponente della fazione opposta la potrebbe
rendere un
martire, aumentando sensibilmente le probabilità di vittoria
del suo partito, a
danno ovviamente della creazione del Registro stesso."
La
velocità
di esposizione e una serie di altri fattori che riguardavano la
presenza stessa
di Sherlock a quindici centimetri di distanza da lui rendevano molto
difficile
seguire i suoi ragionamenti.
"Quindi,
in pratica: il rapimento della Deyong è la nota stonata?"
"Una
nota molto stonata. Scopriremo quanto vedendo che
ne sarà di lei, sempre
che non riusciamo a trovarla prima." Mentre parlava, il detective
continuava a sbirciare oltre il muro dietro a John, come se stesse
aspettando
qualcosa. John riusciva a sentire il suo profumo.
"Ehm…esattamente,
cosa stiamo facendo qui?"
"Aspettiamo
l'inevitabile. Secondo te cosa succede se la maggiore rivale alle
elezioni di
un noto politico sparisce senza lasciare traccia?"
John
non
ebbe tempo di formulare una risposta: due macchine della polizia si
erano
fermate davanti a una casa vicina, facendo scendere, tra gli altri,
anche
l'Ispettore Lestrade.
Nel
giro di
cinque minuti, un sudaticcio Andy Smith usciva dalla porta per salire
su una
delle due macchine, scortato dagli agenti.
"Lo
stanno arrestando?"
"Dipende
da cosa dirà all'interrogatorio, ma dubito: immagina lo
scandalo internazionale
se si scoprisse che l'esponente conservatore della politica inglese ha
probabilmente fatto eliminare il suo principale avversario ed
è in prigione per
questo. Se lo arresteranno, sarà solo in presenza di prove
più che
schiaccianti."
"E
allora noi cosa ci facciamo ancora qui?" Non che John stesse scomodo,
eh.
Ma il fatto che lo spazio personale non sembrasse un concetto familiare
per
Sherlock aveva reso ormai impossibile evitare di toccarlo
inavvertitamente.
"Andiamo
a fare una visita alla signora Smith."
***
"La
signora Smith vi raggiungerà nel salotto." disse la
cameriera facendoli
accomodare.
La
casa
ovviamente era immensa e molto più costosa di quello che
John avrebbe potuto
guadagnare in tutta la sua vita. La stanza in cui stavano aspettando la
moglie
del politico era stata arredata sui toni del bianco, con un gusto
ricercato, ma
minimal. John si sentiva troppo sporco per sedersi su quel divano
immacolato;
Sherlock, invece, sembrava nato per prendere posto tra quelle mura
snob-chic.
"Signor
Holmes! Che piacere rivederla! - disse una voce femminile
vagamente roca
alle sue spalle - A cosa devo lo visita?"
"Nessuna
idea, signora Smith?" rispose Sherlock sarcastico ma anche, si
stupì John,
vagamente a disagio.
"Legalmente
sono ancora Irene Adler, se non le dispiace: questa barbara abitudine
anglosassone di far prendere alle donne il cognome del marito non la
capirò
mai.- rispose parlando con Sherlock, ma allungando la mano a John (17348
-
la signora Adler avrebbe vissuto a lungo), che gliela strinse
presentandosi
- Molto piacere. Lei è …interessante." gli disse
guardando per una
frazione di secondo proprio sopra la sua testa.
John
doveva
ringraziare il fatto di essere stato disoccupato per lungo tempo dopo
il
ritorno dall'Afghanistan se sapeva chi era quella donna. Lunghi
pomeriggi
passati in casa l'avevano reso estremamente familiare con quel viso che
rimbalzava su gran parte dei canali televisivi grazie a ospitate e
addirittura
a un programma tutto suo. Irene Adler era il più famoso
Geminato di
Inghilterra: aveva reso alla portata di tutti un servizio che di solito
quelli
come lei fornivano in privato dietro un lauto compenso. Con Irene, il
Grande
Consulto era diventato popolare. Le persone normali che riuscivano a
far parte
del pubblico del suo programma avevano la possibilità di
sapere gratuitamente
entro quanto avrebbero incontrato la loro anima gemella. Ovviamente lo
show
aveva avuto un successo enorme, facendo guadagnare alla Adler una
fortuna in
termini di pubblicità e fama.
Quello
di
cui però John non era al corrente era il fatto che quella
donna fosse sposata
con uno dei maggiori esponenti politici della Gran Bretagna.
"Interessante?"
ripeté John, registrando il commento della Adler.
"Molto
interessante." rispose lei con un sorrisetto. "Sherlock, vedo che per
te, invece, non è cambiato niente." Sherlock era impassibile
come una
maschera di cera.
Improvvisamente
John si chiese cosa avrebbe visto un Geminato sopra la testa di
Sherlock:
avrebbe visto il numero che Sherlock vedeva su se stesso? E soprattutto
- si
chiese in un momento di lucida follia - che numero vedeva Irene Adler
sulla
testa di John?
"Devo
ammettere a mio malgrado di avere scoperto tardi che tu e Andy Smith vi
eravate
sposati. L'hai tenuto ben segreto, vedo."
"Non
sono una grande fan della politica. Ma l'incontro con Andy è
stato…beh, è stato
Destino, come si dice in questi casi. D'altra parte, i segreti del
cuore sono
il mio mestiere - fece l'occhiolino a John - Comunque, preferisco di
gran lunga
tenere un basso profilo. Peraltro – sfoderò un
sorrisetto compiaciuto - i suoi
addetti alla comunicazione mi odiano: vorrebbero una moglie da
copertina che
abbandona la carriera per seguire la carriera politica del marito -
disse
togliendosi le Louboutin nere - e invece hanno me."
"Una
presentatrice tv dalla dubbia moralità." Il commento di
Sherlock le spense
per un secondo l’allegria.
"Potrà
considerarmi una truffatrice, signor Holmes, ma almeno le persone non
mi
considereranno mai solo 'la moglie di un politico'."
"Non
sembra particolarmente fiera della professione di suo marito, se posso
permettermi" intervenne John. In effetti nemmeno lui sarebbe stato
fiero
di avere un marito come Andy Smith, ma per altri motivi che sicuramente
un
Geminato come quella donna non avrebbe mai potuto capire.
"Le
questioni politiche sono il passatempo dei deboli: vanno bene per
quelle
persone che hanno la patologica necessità di ricevere
l'approvazione dagli
altri ed essere sostenuti nelle proprie idee. Volete del the? Chiamo la
cameriera."
"No,
vorrei andare al sodo della questione, a dire il vero."
"Uh,
mi
piacciono gli uomini che vanno al sodo" rispose lei ammiccando. John si
sforzò di non pensare alla parola "flirtare" ma era
decisamente
quello che quella donna stava facendo. Il fatto che lui fosse nella
stanza
sembrava non turbarla minimamente. In effetti il fatto che lei ci
stesse
provando con il suo coinquilino non avrebbe dovuto turbarlo in generale.
Forse
era
l'associazione che qualcuno potesse flirtare con una persona come
Sherlock
Holmes a infastidirlo. Un uomo apparentemente di ghiaccio difficilmente
poteva
sembrare raggiungibile. John, però, pur avendo passato
pochissimo tempo con
lui, si sentiva come se ci avesse vissuto mille vite insieme: inseguire
pazzi
assassini e scongiurare omicidi fra cui quello del suddetto detective
fa queste
cose al rapporto tra due persone. Inoltre, il buon dottore aveva visto
lo
sguardo di Sherlock Holmes nel laboratorio, mentre gli confessava il
suo più
grande segreto, e di sicuro l'aggettivo "freddo" non gli si poteva
adattare. Sherlock Holmes era fiero, solo e soprattutto ferito dalla
sua stessa
natura, una cosa che John, dottore Moirente, poteva capire benissimo.
"Non
sembri nemmeno preoccupata del fatto che tuo marito sia stato appena
prelevato
dalla polizia per essere interrogato a Scotland Yard."
"Per
favore. Gli interessi in gioco sono troppo alti perché
qualche informazione
scappi e finisca in pasto ai giornali. Non si possono permettere di
fare
saltare queste elezioni, le persone sono diventate paranoiche: non
prendono più
i mezzi pubblici, nemmeno escono di casa. Avete sentito che molte
famiglie
stanno iniziando a mandare i figli in campagna? Come durante la Seconda
Guerra
Mondiale. Ci sono troppe speranze che si appoggiano su queste elezioni:
mio
marito non ha il minimo interesse a far sparire Vera Deyong. Con la
storia di
quei pazzi Moirenti che si fanno saltare come petardi ha già
la vittoria in
tasca."
"Quindi
non crede che il signor Smith possa avere architettato il rapimento
della sua
rivale senza farglielo sapere?" chiese John, sbilanciandosi nel lavoro
del
detective con una sicurezza che non aveva, notando però con
la coda dell’occhio
che Sherlock sembrava positivamente colpito più che
infastidito dalla sua
intromissione in un campo non suo.
"Santo
cielo! - sbuffò Irene rimettendosi le scarpe - Sentite, che
rimanga fra noi:
mio marito non va nemmeno in bagno senza dirmelo. Se fossi minimamente
interessata alla politica, potrei governare indirettamente questo Paese
senza
lasciare il mio salotto. Quando abbiamo saputo della sparizione di
Vera, Andy
ha quasi avuto un attacco di panico. Queste elezioni sono tutto per lui
e se
Vera Deyong muore il suo partito troverà un modo per
cavalcare la teoria del
complotto e della 'politica scomoda fatta fuori dagli avversari
cattivi' e a
quel punto gli scenari sarebbero due: il partito della Deyong
vince oppure
vincerà mio marito per un soffio portandosi dietro un sacco
di sospetti che non
gli permetteranno di governare. Per governare questo Paese,
Andy sa che
non deve assolutamente vincere perché la sua rivale ha dato
forfait: ha bisogno
di una regolare e sacrosanta vittoria schiacciante". Guardando il suo
atteggiamento deciso, John iniziava a pensare che politicamente quella
donna
sarebbe stata comunque un'alternativa migliore del marito.
"Conoscevi
Vera Deyong?" Il repentino cambio di argomento di Sherlock li prese
entrambi
alla sprovvista, ma il detective pretese di non accorgersene.
"L'ho
vista una volta, quando ho accompagnato Andy a una raccolta fondi che
non ho
potuto evitare, per la gioia della sua pubblicista."
"Molto
bene. - Sherlock si alzò, facendo gesto a John di seguirlo -
I migliori auguri
per le elezioni". Così come non poteva essere più
evidente che quegli
auguri non erano sentiti, così era altrettanto evidente come
a Irene Adler non
importasse assolutamente nulla del risultato delle elezioni,
né tantomeno della
carriera del marito. All'ingresso si avvicinò a Sherlock per
dargli un leggero
bacio sulla guancia, quasi al limite delle labbra: "Sono felice di
sapere
che non sei più solo. La tua unicità mi ha
perseguitata per anni, ma adesso
credo di avere capito di cosa si trattava."
Sherlock
era
teso come una corda di violino; prese il cappotto e aprì la
porta.
"Andiamo, John."
"Oh,
non gliel'hai detto?- Irene sembrava uno di quei gatti che preferiva
giocare
con il topolino prima di mangiarlo – Deve sapere, John, che
io e Sherlock ci
siamo conosciuti qualche anno fa, quando Sherlock venne chiamato da un
mio
vecchio cliente per recuperare delle foto che mi aveva lasciato come
garanzia
di pagamento, foto che ovviamente non rivide più
perché il pagamento non arrivò
mai. A Sherlock ancora brucia, vero caro? – era evidente che
se Sherlock avesse
potuto, probabilmente l’avrebbe strozzata sul posto.
– Quando lo vidi,
beh, era inevitabile che catturasse la mia attenzione - si era
avvicinata a
Sherlock e lo guardava rapita - non era solo un bel visino, era
intelligente e
soprattutto non vedevo alcun numero sulla sua testa."
Sembrò
ricordarsi della presenza di John solo dopo avere passato un dito lungo
la
mascella di Sherlock.
"Io
vedo tante cose, Dottor Watson. Persone con numeri molto bassi, altri
con
numeri talmente alti che probabilmente non incontreranno mai la persona
per
loro, perché nascerà tra cinquant'anni, quando
forse saranno già morti. La vita è ingiusta e la
mia Anagrafe spesso me lo ricorda:
quello che ho imparato
è che non ha senso gettare la gente nello sconforto. La
persone non mi pagano
per dire la verità, ma per avere belle notizie. Per questo,
in caso di brutte
notizie, mento e non mi sento minimamente in colpa perché lo
faccio per loro.
Tuttavia Sherlock è un cultore della verità e
anche per questo mi disprezza. In
ogni caso, nella mia vita non avevo mai visto qualcuno senza numero.
Ammetto di
avere pensato per un momento che lui fosse la mia anima gemella, ma poi
capii
che non era così. Anche se ho accettato questa cosa tempo
fa, oggi lei, John,
risolve uno dei miei più grandi misteri.”
Silenzio.
Era evidente che troppi anni di televisione avevano lasciato in quella
donna la
perenne esigenza della suspense che di solito c’è
prima di uno stacco pubblicitario.
John avrebbe voluto non darle la soddisfazione di fare la domanda, ma
la
curiosità era sinceramente troppa.
“In
che
senso?”
“Neanche
lei
ha un numero. Oh, è fantastica questa cosa, potrei studiarvi
per anni,
giuro."
"Questo
non vuol dire niente." intervenne Sherlock trascinando John nel
giardino
per un braccio.
"Vuol
dire tutto detective Holmes! Vuol dire proprio tutto." la sentirono
cantilenare mentre chiudeva la porta dietro di loro.
***
Era
sera e
stranamente erano già tornati al 221B.
Sherlock
era
stato in silenzio per tutto il viaggio e oltre, immerso nei suoi
pensieri. Da
quando era uscito dalla casa di Andy Smith aveva detto una sola parola:
"Bugiarda". Tutte le insistenze di John per fargli spiegare in cosa
la Adler stesse mentendo non trovarono risposta.
"Comunque
ha senso." - si mise a riflettere John ad alta voce mentre preparava il
the, parlando tra sé e sé.
"Cosa
ha senso?" Sherlock a quanto pare aveva abbandonato il mondo delle Idee.
"Oh,
beh… se tu vedi solo i nostri numeri, è logico
pensare che un Geminato non ne
veda alcuno."
"Logico
- ripeté Sherlock sprezzante - Non c'è nulla di
logico in questa storia. I
numeri non sono una scienza esatta. Anzi, non sono proprio una scienza,
potremmo paragonarli all'oroscopo, per quanto sono accurati." Sherlock
era
sdraiato sul divano, gli occhi chiusi, il collo lungo rilassato sul
bracciolo,
le dita unite sotto il mento.
"Ma
adesso abbiamo due riscontri: il tuo e quello di Irene."
"Potremmo
avere mille riscontri, John, pensavo fossimo d'accordo su questo punto:
- si era seduto sul divano e adesso guardava John, infastidito - non
è questo
l'importante."
"E
cosa
è importante esattamente?" si era ripromesso di
preoccuparsene più avanti,
è vero, ma l'incontro con Irene in qualche modo aveva
riportato il discorso
bruscamente a galla.
Sherlock
sembrava indeciso su cosa dire: "Cosa vuoi tu."
"Cosa
voglio io? Perché solo quello che voglio io?" Sherlock
continuava a
parlare della possibilità per John di voltare le spalle al
Destino e prendere
un'altra strada, una che lo portasse lontano da lui. Non aveva mai
parlato di
cosa provava lui. "Tu cosa vuoi?"
Sherlock
sospirò, passandosi una mano sul viso, come per scacciare
via la stanchezza o
nascondersi in un momento di vulnerabilità. "Non sono bravo
in queste
cose. Non è proprio il mio campo."
"Beh,
neanche il mio. Quindi lo cose sono due: o ne parliamo adesso e non ci
pensiamo
più oppure ci giriamo attorno per un tempo indefinito. Io
sarei per la prima
soluzione, perché per quanto odi parlare di sentimenti, mi
sembra che in questi
ultimi giorni mi stiano ricorrendo qualunque cosa faccia. - John stava
girando
per casa gesticolando, in preda a un flusso di coscienza - Quindi
inizio io, va
bene? È una situazione assurda, pazzesca, ma sai una cosa?
Non mi sentivo così
bene da anni. Non mi interessa se sulla mia testa vedi un numero, nulla
o un
coniglietto saltellante. Probabilmente sarei sempre qui a dirti che da
quando
ti conosco la vita non è solo più sopportabile,
ma mi piace anche. E non so cosa
questo voglia dire. - si risedette sulla poltrona, in preda a una sorta
di
confuso sconforto. Passarono interminabili secondi a
fissarsi, senza
fiatare.
"Coniglietto
saltellante?" chiese Sherlock con un sopracciglio alzato.
"Già,
un coniglietto saltellante. Va bene anche quello." John si stava
sforzando
di non ridere. Fortunatamente Sherlock sapeva come alleggerire la
tensione. Il
suo sguardo si era ammorbidito, ma era anche malinconico.
"Sei
l'unica persona a cui sembro piacere davvero, che non alza gli occhi al
cielo
quando mi vede e che non pensa che io sia un pazzo strambo con la fissa
delle
scene del crimine. Sei anche l'unica persona di cui davvero mi importi
il
giudizio, che è una cosa assurda, razionalmente parlando:
non ti conosco quasi
per niente. – Sherlock si guardava le mani e John si
trovò a pensare che sì, in
effetti Sherlock era un po’ strano, ma non è che
lui potesse proprio definirsi
normale e quindi gli andava bene così –
-
Penso che
tutto questo voglia dire qualcosa, anche se non so cosa. Non ho mai
voluto
stare con qualcuno, non credo di esserne capace. Ci perderesti davvero
solo tu,
John."
John
sentì
una strana stretta al petto, si alzò e andò a
sedersi di fianco a Sherlock. Gli
prese la mano senza guardarlo negli occhi. "Ti sembrerà
strano, ma nessuno
vuole stare con uno che si sveglia la mattina e vede quanto manca alla
sua
morte. Quindi davvero, mi sa che stai facendo tu il cattivo affare.
Diciamo che
sono quello che la gente considererebbe ‘merce
avariata’.”
"A
volte la merce che non vuole nessuno è unica nel suo
genere." Sherlock gli
appoggiò la testa sulla spalla. John poteva sentire l'odore
dei suoi capelli.
Per
quella
sera, andava decisamente bene così.
Ho avuto qualche problema col
capitolo, nel senso che l'ho cancellato per sbaglio :(
So
che è un po' intricata la storia politica dietro le
elezioni, spero si
sia capita più o meno bene. Spero anche di non aver
sbrodolato troppo
con la scena finale, let me know!