Angels voices

di Vanoystein
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Rosso ***
Capitolo 3: *** Alato ***
Capitolo 4: *** Tre ragazzi ***
Capitolo 5: *** Non siamo pazzi assassini ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Londra, 1997
Era la vigilia di Natale, quel giorno.
Le strade erano piene di fiocchi di neve, che non smettevano di  cadere da qualche ora sulla capitale della Gran Bretagna.
Soffiava un vento gelido, che punzecchiava la pelle della signora Moore come se fossero aghi, mentre si dirigeva verso l’orfanotrofio inglese ‘White Garden’’, situato al centro della maestosa capitale.
La donna, faceva visita quasi ogni anno ormai a quell’istituto; sempre lo stesso giorno. Il 24 Dicembre.
Portava sempre con sé alcuni regali o oggetti da dare ai bambini il che, le sembrava il minimo da fare, dopo aver lasciato la custodia del posto al caro amico Clark. Era, il suo modo per dare una mano a quegli orfani e renderli felici almeno per un pò, almeno per quel che poteva.
La signora, superò l’enorme cancello dell’orfanotrofio, che dava sul giardino ricoperto dallo strato bianco di neve.
Si sistemò perfettamente il cappello scuro di lana sui corti capelli biondi e dopo aver raggiunto il porticato, battè le nocche sul portone d’ingresso. Appena la porta si aprì, una ventata di aria calda la investì e, il signor Clark si presentò a lei con un sorriso smagliante e perfetto, come era solito fare ogni anno.  L’uomo si preoccupò immediatamente di portare il cappotto e il cappello della signora nel suo studio e prima di andarsene, non fece altro che invitarla a percorrere il lungo corridoio che si diramava davanti a loro.
Lo stesso corridoio che la signora Moore attraversava ogni anno per andare nelle aule dai bambini. Strinse tra le mani le sue due borse scure e si incamminò.
Inutile dire che i bambini furono ben felici di rivedere finalmente la donna prosperosa di regali solo per loro. Inutile dire anche, che passarono tutto il tempo successivo con lei, a parlare, a raccontare e a giocare.
Erano davvero poche le cose che potevano strappare un sorriso dal viso di quei piccoli orfanelli, e la signora Moore lo sapeva bene.
Quello che dopo, attirò l’attenzione della donna, fu una piccola vocina. Una voce non tanto lontana, una voce che canticchiava. Così, la donna, lasciò l’aula e i bambini soli per un attimo, seguendo quel richiamo che tanto la allettava.

‘’ Quale angelo mi sveglia dal mio letto di fiori? Ti prego, grazioso mortale, canta ancora.
Il mio orecchio si è innamorato delle tue note come il mio occhio è rapito dal tuo aspetto.
Il potere irresistibile della tua virtù mi spinge fin dal primo sguardo a dirti, anzi a giurarti che t’amo.’’

Shakespeare.
La signora Moore lo riconobbe subito. Quei versi continuavano a ripetersi, melodicamente, infinitamente.
Ancora e ancora, e quando la donna si fermò sulla soglia della porta della stanza di pittura, vide solamente una bambina.
Voltata verso una tela, intenta a colorare con le tempere mentre quelle parole lasciavano le sue labbra. I lunghi capelli mori ricadevano sulle spalle, legati da un grazioso fiocco rosso. Lo stesso ed unico colore che occupava la sua tela.
La signora Moore fece un passo verso di lei, che purtroppo, fermò il suo canto e lasciò cadere il pennello intriso di tempera a terra, sul pavimento chiaro macchiandolo di rosso.
- Me la cantano gli angeli tutte le sere. – La voce della bimba risuonò nella stanza come un sinistro sussurro, facendo quasi rabbrividire la donna. – Vogliono che io sia il loro messaggero. – Aggiunse, restando ferma come una statua al suo posto.
Cosa voleva dire? Oh, nella mente della signora Moore comparvero così tante domande in pochi secondi, che per un attimo le sembrò di scoppiare. Certo, quella bambina era strana, non si poteva negare. Aveva qualcosa, qualcosa di curioso come qualcosa di inquietante in un certo senso.
Una bambina così piccola che conosceva i versi di Shakespeare, affermando di saperla a causa degli angeli.
La donna prese un enorme respiro, schiarendosi la voce alle spalle della bambina. – Come ti chiami, Cara? – Riuscì a chiedere, con un attimo di esitazione e tremolio nella voce.
La bambina dai lunghi capelli, finalmente si voltò verso di lei lentamente, rivelando un dolce e angelico viso. La pelle chiara quasi come il latte, le labbra piene e rosse, contornate da delle guance rosee che sembravano calde e morbide. Gli occhi scuri, quasi neri ma grandi ed enormi, così innocenti che fecero torrnare alla mente della donna gli occhi dei cerbiatti.
Indossava un vestito che le arrivava fino alle ginocchia, bianco e candido, con due fiori blu stampati sulle maniche lunghe. 
La bimba scrutò la signora Moore per qualche secondo e poi, finalmente, mosse lentamente le labbra dando la sua risposta.
– Lena. -

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Capitolo 2
*** Rosso ***


Salve a tutti gente, scusate se ho aspettato davvero taaanto per pubblicare questo capitolo ma ho avuto una miriade di impegni.
Spero vi piaccia, e spero di ricevere qualche bella recensione ^w^
Buona lettura :**


Oggi, 2006.

Il sole che spiccava tra gli alberi si rifletteva perfettamente contro l’enorme vetro dell’aula 248 e contro gli occhi scuri della ragazza, che aveva ormai lo sguardo incantato sul cortile esterno da una decina di minuti.
Le parole del professore e della rivoluzione americana le entravano da un orecchio per poi uscire dall’altro subito dopo, senza lasciare alcuna impronta di passaggio nella sua mente che era completamente altrove.
Persa, immersa di pensieri.
Qualunque altro pensiero.
- Lena! Ehi! – Un paio di dita schioccarono davanti al viso della mora, richiamandola dai suoi pensieri e riportandola alla realtà.
La sua amica Jackie, così come tutti gli altri all’interno della classe erano voltati verso di lei.
Lo sguardo del professore era fermo su di lei, un ovvia punta di rabbia si infiltrava tra i suoi occhi chiari.
- Signorina, è da metà lezione che ha la testa tra le nuvole. – Sibilò l’uomo, facendo qualche passo verso di lei e incrociando le braccia al petto.
Attese una risposta per qualche secondo, ma ovviamente non arrivò.
Lena si limitò a fissarlo, senza batter ciglio.
Era così tutte le volte, con il professore di storia.
Lei si distraeva immancabilmente e la tensione che ogni volta si creava tra i due era palpabile.
- Lasci che succeda un’altra volta e invece che guardare fuori dalla finestra, guarderà la presidenza. – Il tono di voce del professore si alzò, facendo roteare gli occhi di lei al cielo appena lui si voltò.
Lena lo trovava dannatamente irritante, dalla prima volta che aveva messo piede in quella classe due anni prima.
A volte, malediva il fatto che la donna che l’aveva adottata e portata con sé abitasse in quello stupido e piccolo paesino vicino a Londra.
La signora Moore-O Abby-aveva deciso di prendersi cura di Lena un esatto anno dopo che l’aveva vista per la prima volta.
Le aveva fatto lasciare le mura dell’orfanotrofio il 24 Dicembre del 1998, alle nove e trentasei di sera.
Lena tirò un sospiro, fermando una mano sul viso e portando poi gli occhi sulla lavagna davanti a sé.
Era piena di gessetto, di date e parole che lei nemmeno aveva ascoltato.
Le dita delle sue mani si spostarono sulle tempie, che massaggiò lentamente, cercando di non soffermarsi troppo a pensare al mal di testa che la martellava.
Ma ecco che subito dopo una fitta le attraversò il cranio, facendole stringere la mascella con uno scatto.
Abbassò per un attimo il viso e poi scattò in piedi, correndo verso la porta d’uscita senza degnare di uno sguardo nessuno.
- Signorina Moore! – La voce del professore risuonò subito alle sue spalle, cupa e lontana alle sue orecchie.
Ma non gli diede ascolto, infatti continuò a correre, spedita verso il bagno.

Spalancò la porta chiara e se la chiuse velocemente alle spalle.
Si assicurò velocemente che non ci fosse nessuno, nemmeno qualcuno nascosto nelle cabine e tornò alla porta, girando la serratura e chiudendola con una mandata.
Ci appoggiò contro la schiena e si prese la testa tra le mani. – Non adesso, non adesso. – Sussurrò piano ansimando. – Non adesso. – Si lamentò ancora un attimo prima che un brivido freddo le percorse tutta la schiena, facendo dissolvere il mal di testa in pochi secondi.
Lena si raddrizzò perfettamente, fermando lo sguardo sullo specchio appeso alla parete davanti a lei.
Camminò lentamente verso di essa, prima di mollarci contro un pugno con tutta la forza che aveva facendo sbriciolare il vetro in mille pezzi che andarono a cadere sul pavimento e sui lavandini.
Le nocche delle sue mani si riempirono di sangue e le sue dita scivolarono tra i cocci di vetro, punzecchiandosi i polpastrelli con le punte, facendo sanguinare la pelle.
In pochi secondi spostò le braccia contro il muro, lasciando che si mossero creando linee di sangue perfette e curve.
Il suo sguardo sembrava perso, fisso sul lavoro che stava facendo, le palpebre quasi incantate e ferme sul muro ormai pieno di rosso.
Alla fine, riabbassò entrambe le braccia lungo i fianchi, ammirando il disegno che aveva appena completato con il proprio sangue.
Un paio di ali d’angelo.
Lena sbattè le palpebre, distogliendo finalmente lo sguardo dal muro per un secondo e sobbalzò appena lo vide, come se avesse realizzato solo in quel momento quello che le sue mani avevano realizzato.
Scattò immediatamente verso il lavandino che aprì veloce, facendo scorrere acqua gelata sotto la quale infilò le dita sporche.
Grugnì, correndo di nuovo verso l’uscita e spalancando la porta dopo averla ri-aperta.
Ricominciò a correre, come se ormai fosse l’unica cosa che le venisse naturale da fare.
Corse per tutto il corridoio, senza dirigersi verso la sua classe ma allontanandosi solamente dallo scenario che aveva creato.
Le sue gambe si muovevano come razzi, ma la sua mente non aveva idea di dove dovesse andare.
Quando poi la campanella suonò, rimbombandole assordante nelle orecchie.
Infatti lei si fermò di scatto, portandosi entrambe le mani contro le orecchie, stringendo i denti.
Quando la campanella tacque, anche il fastidio passò mentre le porte delle aule iniziarono ad aprirsi e i corridoi a riempirsi di studenti.
Lena rimase lì, ferma, con i piedi impuntati sul pavimento.
Abbassò le braccia lungo i fianchi, finalmente il respiro irregolare iniziava a calmarsi e il nodo allo stomaco scomparire.
Per un attimo, si era scordata dei palmi delle mani ancora sporchi di sangue, ma nessuno lì sembrava nemmeno accorgersene.
Era in momenti come quelli, che ringraziava di non essere una che stava al centro dell’attenzione, con mille ‘’amici’’ che le giravano attorno.
Ma a portarla via dai suoi pensieri fu una botta alle scapole, una spallata.
Tutt’altro che delicata, ma forte.
Lo sguardo di Lena girò subito al suo fianco, vedendosi passare vicino un ragazzo il quale stava visibilmente fissando le sue mani sporche.
Un brivido le percorse la schiena, una sensazione di freddo la pervase mentre i palmi iniziarono a bruciarle e a pizzicarle, come se degli aghi le stessero colpendo la pelle.
E subito Lena si tirò ancora più giù le maniche del maglione scuro che indossava, coprendosi completamente entrambe le mani.
Prima che il ragazzo si allontanasse definitivamente, Lena ebbe modo di incontrare i suoi occhi.
Scuri, ma profondi, quasi come i suoi. Freddi, anche. Lontani, in un certo senso.
Sì, lei avrebbe giurato che i suoi pensieri fossero ben lontani dalle lezioni o dalla scuola.
Lena sospirò, iniziando finalmente a camminare verso l’altro bagno che si trovava a fine corridoio.
Lo raggiunse subito, trovandolo fortunatamente per lei vuoto.
Lena si fermò davanti al lavandino, facendo scorrere l’acqua calda e infilandoci sotto le mani.
Ma ci mise pochi secondi per vedere che il sangue era completamente sparito. La pelle era pulita, non c’era più la minima traccia di sangue.
Così, tolse subito le mani dall’acqua, fissandole quasi scioccata.
‘’Impossibile.’’ Continuava a ripetersi.
No, non era possibile che si fossero pulite da sole.
Come diavolo era potuto succedere?

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Capitolo 3
*** Alato ***


ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti, mi chiamo Giulia:3
Scusate se non mi sono presentata prima e se non ho più pubblicato, ma ora ci sono e spero che continuiate a leggere e a recensire.
Spero che il capitolo vi piaccia. Un bacio e buona lettura :*

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Quella mattina il sole si era alzato coperto da nuvoloni neri e grigi, l’aria fredda attraversava tutta la città e all’orizzonte il cielo era sempre più scuro come avvisando l’imminente arrivo di una tempesta.
Lena non aveva minimamente accennato alla madre l’accaduto del giorno prima e nemmeno aveva intenzione di farlo in futuro.
Lo avrebbe tenuto per sé.
I suoi piedi si muovevano pigramente sull’asfalto del marciapiede, mentre gruppetti di ragazzi le passavano di fianco, tutti diretti verso la scuola.
Ah, Lena odiava il Giovedì.
C’era la dannata lezione di ginnastica, e tutte le settimana si ritrovava a dover fare esercizi stupidi ed inutili.
Non era mai stata particolarmente brava negli sport, anzi…si poteva dire che era proprio incapace e goffa, soprattutto svogliata.
Il fatto poi che frequentasse il corso insieme ad alcuni membri della squadra di cheerleader e football della scuola la metteva ancora più a disagio.

Sbuffò, stringendo la tracolla della borsa in una mano mentre attraversava finalmente l’entrata della scuola.
Mancavano poche minuti all’inizio delle lezioni ma come sempre lei procedeva lentamente, fregandosene di arrivare in ritardo.
Raggiunse gli spogliatoi della palestra più di cinque minuti dopo. Le ragazze si stavano già cambiando e appena mollò la borsa su una della panchine per cambiarsi, la sua amica Jackie si catapultò da lei.
Era già pronta, con l’uniforme sportiva che le fasciava perfettamente il corpo e i capelli rossi e lisci legati in una coda alta.
- Veloce. – Jackie cercò di smuovere l’amica, battendole le mani davanti al viso. – Oppure verranno a prenderci a calci. – Mugulò poi, incrociando le braccia.
Lena annuì solamente mentre si sfilava i vestiti con malavoglia e indossava la divisa. Sistemò un po’ la maglia bianca sui fianchi e si legò anche lei i capelli in una coda. Allacciò le scarpe da ginnastica e si avviò insieme a Jackie verso l’uscita dello spogliatoio.
La palestra era già praticamente piena, mancavano solo loro.
- Ah finalmente vi siete degnate di raggiungerci. – Esclamò subito Miss Pearl appena le vide arrivare. Allargò le braccia, tirando un sospiro.

Miss Pearl era la solita professoressa di educazione fisica che tutti gli svogliati odiavano e che tutti quelli bravi negli sport amavano.
Era una donna alta, sui quarant’anni, i capelli neri sempre raccolti in una treccia bassa e un paio di occhiali posati sul suo piccolo naso all’insù che sembravano far apparire i suoi occhi color nocciola ancora più grandi.
Secondo Lena, non facevano altro che mettere in soggezione.

- Forza, iniziamo con cinque giri di campo. – Gridò la donna, facendo segno a tutti i ragazzi di cominciare a correre.

Quello che poi aspettò Lena, fu come sempre un’ora di noia, risatine e complimenti alla capo delle cheerleader per tutti gli esercizi che eseguiva magnificamente e ancora solo noia.

Quando stava ormai per giungere la fine delle due ore, Miss Pearl divise i ragazzi in gruppi da cinque, lasciando ad ognuno un pallone e fare un po’ di esercizio fino al suono della campanella mentre lei andava già a sistemarsi negli spogliatoi degli insegnanti.
Inutile dire che metà dei ragazzi non fecero come ordinato e finirono per sedersi per terra, sfiniti e stanchi. Chiaccherando e facendo altro. Così fecero anche Lena e Jackie.
Dopo solo cinque minuti gli unici che restarono a fare avanti e indietro per la palestra con il pallone in mano furono i ragazzi della squadra di football, mentre il loro capitano continuava a tirare a canestro.
Lena si stupiva sempre di quanto quel ragazzo potesse essere bravo in tutti gli sport ed esercizi.
Era capitano della squadra di football e di basket, sapeva giocare a calcio e persino lacrosse.
Sempre pieno di energie, di provare nuovi sport, di eseguire perfettamente tutti gli esercizi possibili ed immaginabili sulla faccia della terra.
Tutto il giorno era seguito da decine di ragazze, forse nemmeno una in quella scuola non aveva una cotta per lui. Nemmeno Lena.
Aveva una cotta per lui dalla prima volta che lo aveva visto, e quel carattere forte e determinato che lui aveva l’aveva affascinata sempre di più.
Si chiamava Benjamin, quarto anno, come lei. I suoi amici però lo chiamavano ‘’Ben’’ o ‘’B’’.
Tutti lo conoscevano e tutti volevano parlargli almeno una volta.
Se volevi far parte del gruppo popolare della scuola, Ben era il tuo biglietto d’entrata.
Era un ragazzo socievole, gentile e premuroso, per niente montato o vanitoso…come invece si potrebbe pensare.
Molto alto, bicipiti e pettorali scolpiti.
Aveva probabilmente origini albine a giudicare dalla sua pelle bianca, i capelli biondissimi e gli occhi blu. Era incredibile come nonostante passasse molto tempo sotto il sole ad allenarsi rimanesse pallido anche d’estate.
Si poteva persino paragonare ad un vampiro con la pelle così chiara da sembrare ghiaccio o neve…e questo era uno dei motivi che lo rendevano unico e affascinante.
Lo sguardo incantato di Lena e i suoi pensieri su Ben furono ben presto interrotti da un tonfo.
La ragazza sbattè un paio di volte gli occhi, senza capire cosa stesse succedendo.
Tutti nella palestra si erano fermati, un ragazzo era per terra che stava gridando contro Ben, in piedi davanti a lui. Sembrava arrabbiato.
- Sei cieco o cosa? Non vedi nemmeno dove cazzo lanci la palla? – Benjamin gridò, fulminando con lo sguardo il ragazzo dai capelli neri sul pavimento che sembrava non volersi nemmeno alzare.
Probabilmente Ben lo aveva appena spinto a terra. Ma comunque Lena non riusciva a capire cosa fosse successo.
L’altro ragazzo sbuffò, guardando Ben dal basso. - Non l’ho fatto apposta! La palla ti ha solo sfiorato, non farne un dramma. – Questa volta gridò anche lui.
- Sfiorato? – Fece eco Ben alzando le sopracciglia verso l’alto. – Mi hai quasi preso in faccia, coglione! – Lena notò il viso del ragazzo assumere un colorito rossastro, la sua mascella contrarsi e le mani stringersi in pugni lungo i fianchi.
Non lo aveva mai visto così, per quanto ne sapeva lei, Benjamin era anche un ragazzo calmo e paziente…che non si era mai fatto coinvolgere in litigi.
Ben poi prese un grosso respiro, indietreggiando un po’. - Se succede un’altra volta ti ammazzo. – Lo minacciò, ma questa volta la sua voce cadde in un sussurro, un sibilo che quasi fece gelare il sangue a Lena.
Il biondo poi fece scorrere lo sguardo su tutti gli altri ragazzi che lo stavano fissando quasi scioccati e sorpresi. – Beh? Che avete da guardare? – La sua voce era tornata alta, e i suoi occhi chiari per un attimo si fermarono su quelli scuri di Lena.
Nessuno dei due sembrò voler rompere il contatto, ma poi Ben si avviò verso l’uscita della palestra e quando lui distolse lo sguardo da lei, Lena sussultò, portandosi una mano alla bocca che schiuse per la sorpresa.
Balzò subito in piedi, osservando il ragazzo che si allontanava e vedendo spiegarsi dalle sue scapole un paio di ali bianche e luminose.

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Capitolo 4
*** Tre ragazzi ***


All’una in punto Lena si ritrovò nel cortile immenso della scuola, invece che in mensa.
Era ora di pranzo, probabilmente Jackie la stava aspettando o la stava già cercando dappertutto ma lei non aveva nessuna intenzione di muoversi dalla panchina su cui era seduta da dieci minuti.
Non riusciva a smettere di pensare a quello che era accaduto in palestra, a Ben e alle ali.
Avrebbe voluto andare a parlargli, ma non poteva, insomma, cosa avrebbe dovuto dirgli? Che aveva visto un paio di ali spiegarsi dalla sua schiena?
Di certo non poteva sembrare pazza davanti agli occhi degli altri.
Ma ormai era da più di un mese che le capitavano cose strane e lei non aveva una risposta sensata.
Emicrania improvvisa che la portava a fare cose di cui poi la maggior parte delle volte si dimenticava, incubi in cui non vedeva altro che libri, sangue e morti e ora questo.
Ali.
La ragazza sbuffò, sfilandosi l’elastico dai capelli scuri e facendoli ricadere sulla schiena.
Si rigirò tra le dita della mani l’elastico, tirandolo un po’ e abbassando la testa fissando l’erba sotto di sé, assorta nei suoi pensieri.
Sentì poi il rumore di passi avvicinarsi sempre di più, non ci diede molto peso, ma poi un paio di scarpe scure apparirono davanti al suo sguardo, così alzò gli occhi da terra.
Ben.

Lena si sentì mancare il respiro per un attimo.
Il biondo le sorrise un po’, facendo spiccare le sopracciglia chiare verso l’alto. – So cosa hai visto, Lena. – Disse, la sua voce era calma e pacata. – Ti posso spiegare tutto. Non avere paura. – Aggiunse, porgendole una mano. – Vieni? – La invitò allargando un po’ il sorriso sulle sue labbra.
Lei restò ferma per un attimo, gli occhi spalancati, il cuore che batteva all’impazzata.
Era ovvio che lui si stava riferendo alle sue ali, alle sue dannate ali bianche.
Non sapeva cosa diamine stava succedendo, poteva fidarsi?
Beh…perché no? Dopotutto era solo Benjamin e forse aveva davvero qualche risposta.
Lena sospirò, allungando una mano e stringendola nella sua, alzandosi poi in piedi.
L’altro iniziò a camminare, rimasero alcuni secondi in silenzio, poi finalmente lui parlò. – Mancavi solo tu a dir la verità. Ora ci siamo tutti. Mi dispiace solo di non averti notata prima. – Mugulò, quasi rimproverandosi da solo con quell’ultima frase che, oltretutto, fece balzare il cuore in gola a lei.
- Di cosa parli? – Piagnucolò Lena, mordicchiandosi l’interno delle labbra. – Non capisco. E dove stiamo andando? – Domandò girando lo sguardo verso di lui, che però teneva gli occhi fissi davanti a sé.
Ben aumentò il passo. – Non preoccuparti. Tra poco saprai tutto. - Rispose, imboccando una svolta nel cortile.
Appena girarono l’angolo una puzza di fumo li investì in pieno. Tabacco, e marijuana.
Oh, si stavano avvicinando al posto in cui si riunivano praticamente tutti i fattoni della scuola e Lena odiava quel posto.
Pensò solo perché diavolo la stesse portando lì, ma si astenne da fare altre domande.

Ben poi si fermò prima di raggiungere i tavoli e le panchine dove erano riuniti dei ragazzi e si voltò verso Lena. – Aspetta qui un attimo. – Le raccomandò, allontanandosi subito dopo.
Il biondo poi raggiunse il gruppo, salutando alcuni ragazzi ma si diresse subito verso un ragazzo e una ragazza che stavano chiaccherando tra di loro e tenevano in mano delle sigarette.
Lena li osservò, sicuramente non passavano inosservati…infatti si chiese come non li avesse mai notati.
La ragazza era bella.
I capelli erano lisci, di un castano più chiaro rispetto a quello di Lena e che le arrivavano poco più sotto delle spalle, inoltre si potevano intravedere alcune ciocche viola, il che la rendeva ancora più carina.
Era completamente vestita di nero, con alcune borchie che risaltavano quei vestiti scuri.
I minuti che Ben passò a parlare con quei due sembravano interminabili e Lena lo stava maledicendo mentalmente.
Sbuffò, annoiata, incrociando le braccia al petto.
Finalmente pochi istanti dopo, Benjamin stava tornando da lei, tirandosi dietro anche gli altri due.
Ora che li vedeva avvicinarsi notò una certa somiglianza tra quel ragazzo e quella ragazza.
Avevano entrambi gli occhi, grandi, di un nocciola tendenti al verde, la pelle olivastra, gli zigomi alti e le labbra rosate e carnose.
Lena vide anche quanto i capelli scuri del ragazzo fossero più lunghi rispetto a quelli dell’altra, e probabilmente anche dei suoi.
Portava i dread, e un piercing al naso.
Era bello. Lo erano entrambi, belli e particolari.

I tre si fermarono davanti a lei, Benjamin le sorrise ancora.
Aveva un sorriso così caldo che la faceva stranamente sentire bene. – Loro sono Roxanne e Morgan. – Fece indicando prima la ragazza e poi l’altro.
Roxanne fece un passo verso di lei, squadrandola da capo a piedi. - Quindi sarebbe lei quella che ci manca? Davvero? – Domandò guardando Ben e trattenendo a stento una risata. – Sicuro che il tuo radar non abbia preso un abbaglio? –
Ben roteò per un attimo gli occhi al cielo. - Ha visto le ali. – Spiegò.
Morgan e Roxanne si scambiarono un’occhiata, rimanendo in silenzio per un attimo.
Poi puntarono gli occhi verdi su Lena, che per un attimo rabbrividì. – Qualcuno potrebbe spiegarmi..? – Domandò lei torturandosi le dita delle mani che ormai erano diventate rosse e sudate.
Ben annuì, tirando un sospiro. – Ci troviamo tutti alla fine delle lezioni al cancello d’uscita, va bene? – Propose. – Ti spiegheremo tutto, Lena. –

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Capitolo 5
*** Non siamo pazzi assassini ***


Mancava ormai mezz’ora alla fine dell’ultima lezioni e Lena ormai, non voleva altro che uscire da quella dannata classe e capire cosa stesse accadendo a lei e cosa c’entrasse con Ben e quegli altri due ragazzi.
La sua mente continuava a elaborare ipotesi su ipotesi, idee su idee, ma alla fine si rivelavano una più assurda dell’altra.
Forse era solo pazza. Era l’idea più plausibile.
La campanella suonò.
Con una velocità assurda Lena ficcò i suoi libri della borsa, che chiuse velocemente.
Tirò su la zip della sua felpa viola e corse fuori dalla classe senza degnare di uno sguardo nessuno.
I suoi piedi si muovevano veloci e l’ansia cominciava a salire, quasi quanto la curiosità.
Raggiunse il cancello circa cinque minuti dopo, l’unico già lì ad aspettare era Morgan, ancora con una sigaretta stretta tra i denti.
Squadrò Lena appena la vide arrivare, non disse nulla.
Inizialmente nemmeno lei lo fece, tenne lo sguardo basso, sui propri anfibi ma poi la voce del ragazzo la fece sussultare; era la prima volta che la sentiva.
- Quando hai iniziato? Con l’emicrania? – Le chiese, assottigliando gli occhi chiari e buttando fuori dalle labbra del fumo.
Lena avrebbe voluto chiedergli come facesse a sapere delle sue emicranee, ma lo evitò. – Poco tempo fa. – Rispose con un po’ d’esitazione nella voce.
Alzò lo sguardo da terra, finalmente incrociando il suo. Metteva dannatamente soggezione. Sembrava freddo e tagliente, come la sua voce.

Lena ringraziò che pochi istanti dopo Ben e Roxanne arrivassero, salvandola dal silenzio profondo e imbarazzante che si era creato.
- Possiamo andare adesso? – Cantilenò subito la ragazza varcando la soglia dell’uscita dell’edificio. – Chi guida? –
Alla fine, il gruppo finì sull’auto di Ben con il ragazzo alla guida, Roxanne nei posti posteriori insieme a Lena e Morgan davanti, vicino a Ben.
Praticamente nessuno aprì bocca per tutto il viaggio, che forse durò una quindicina di minuti.
Il silenzio era rotto qua e là solamente da alcune basse e piccole chiacchere tra Benjamin e Morgan, mentre Roxanne si limitava a squadrare Lena ogni singolo minuto il che metteva l’altra ancora più a disagio.

L’auto si fermò davanti ad una cattedrale, quella dove tutto il paese si riuniva alla Domenica mattina, quella che tutti i cittadini sceglievano per sposarsi o per battezzare i propri figli.
Lena ci era stata molte volte lì, aveva passato anche lei le domeniche mattine lì con la madre e mentre poi correva nello spiazzo esterno a giocare con i bambini.
Ancora una volta non fece domande, scese dalla macchina insieme agli altri e li seguì dirigersi verso l’entrata.
Ben aprì la porta d’entrata facendosi strada all’interno di quell’enorme edificio.
Era proprio come Lena lo ricordava.
Le panche di legno con qualche decorazione poste su tutta la lunghezza, l’altare gigantesco in pietra bianca con dei fiori e delle decorazioni tutte attorno.
Candele che illuminavano tutta la stanza e le vetrate colorate da qui filtrava la poca luce del sole; il soffitto alto e chiaro.
Ricordava che da piccola associava spesso quel soffitto che le sembrava infinito e bello al cielo.
Fortunatamente in quel momento la cattedrale era vuota, e nessuno avrebbe potuto vedere quello che sarebbe successo dopo.
- Questa cattedrale è la nostra via d’accesso, e sarà anche la tua. – Finalmente Ben parlò, rivolgendosi a Lena.
La sua voce era di nuovo calda, quel solito suo tono rassicurante che le diceva di potersi fidare…ma ancora lei non capiva a cosa si riferisse.
Via d’accesso per cosa?
Osservò poi Morgan estrarre dall’interno della propria giacca un piccolo ago. Inizialmente Lena faticò persino a vederlo, ma la punta e il riflesso argenteo gli saltarono subito agli occhi.
Morgan chiuse il palmo della propria mano, stringendo.
Passarono solo un paio di secondi e il ragazzo riaprì la mano.
Solo allora l'ago scomparve, e al suo posto comparve un pugnale.
Poi si inginocchiò sul pavimento freddo, pizzicandosi solo con la punta della lama l’indice e il medio della mano sinistra.
In pochi secondi il sangue iniziò a impiastrargli le due dita che lui posò a terra, iniziando a disegnare una stella. Lena osservò la scena con gli occhi spalancati.
Alzò lo sguardo verso Roxanne e poi Ben. - Cosa fa? – Si lasciò sfuggire, nervosa ma curiosa allo stesso tempo.
- Ora vedrai. – Mugulò subito Roxanne in risposta, incrociando le braccia al petto.
Così ancora una volta si creò il silenzio che fu spezzato solo dal sussurro di Morgan, Lena non fu certa di quello che disse, ma riconobbe la lingua che usò. Latino.
Il ragazzo poi si alzò in piedi prima che il pavimento intero ebbe una leggera scossa, tremando per forse due secondi.
La stella disegnata da Morgan scomparve subito dopo e davanti a loro si aprì un passaggio, rivelando delle scale che scendevano in profondità.
Nel buio, sottoterra.
Lena si accigliò, mentre gli altri tre si stavano avviando verso quelle scale. Era ovvio che volesserio che lei gli andasse dietro, ma non lo fece. Restò ferma, sbottando. - No. Io non vado da nessuna parte.
Che cosa è? Che storia è questa? – Fece, alzando un po’ la voce.
I tre ragazzi si fermarono, Roxanne sbuffò roteando gli occhi al cielo. – Non puoi fidarti e basta? –
- No. E’ assurdo. –
- Tutto quello che ti è successo fin’ora lo è, sai a cosa mi riferisco. Non solo i mal di testa, gli incubi e azioni del quale non hai il controllo che non ti spieghi. – Disse poi Morgan. – Ci siamo passati tutti noi. Io, lei. – Continuò indicando con il mento Roxanne. – E Ben. Inoltre, se non ti aiutiamo a controllare tutte queste cose…andrà sempre peggio. –
L’espressione sul suo viso era seria o forse era meglio dire impassibile, come sempre. – E’ stato difficile per tutti fidarsi all’inizio. Ma non siamo pazzi assassini, se è questo che ti preoccupa. – Borbottò.
A quell’ultima frase sia Ben che Roxanne si lasciarono scappare una piccola risatina. – Come sempre i tuoi discorsi meritano un oscar. – Sussurrò Ben un po’ divertito.
Morgan fece spallucce, riportando lo sguardo su Lena. – Allora, vieni o no? –

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