Insegnami a volare

di blackmiranda
(/viewuser.php?uid=102533)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Insegnami a volare


I




“Due nasi rotti, una dozzina di contusioni, due armadi sfasciati, un muro mezzo demolito e un Generale molto, molto arrabbiato.” ricapitolò lei, accavallando le gambe fasciate da un paio di pantaloni verde scuro che le arrivavano appena sotto alle ginocchia. “Ho dimenticato qualcosa?”

Kisshu la guardò con astio, stravaccato sulla sedia di fronte a lei.

“Ah, giusto...due, anzi tre ragazze ti accusano di averle maltrattate, e una di queste ha un bel paio di lividi sulle braccia per dimostrarlo; inoltre, praticamente tutti i tuoi camerati ti odiano. Rischi l'espulsione, lo sai?” La sua voce era quella di una bambina, nonostante cercasse di farla apparire più matura abbassandola.

Kisshu non rispose, limitandosi a incrociare le braccia. Si guardarono negli occhi per una manciata di secondi, in una muta sfida a chi avrebbe distolto lo sguardo per primo.

La ragazza di fronte a lui era l'immagine stessa della serietà, cosa che la faceva sembrare più vecchia, ma Kisshu era pronto a scommettere che in realtà non avesse più di sedici anni. I capelli, di una sfumatura di arancione simile alla ruggine, erano raccolti in due morbide trecce che portava davanti alle orecchie, e gli occhi grigi dalla pupilla verticale non lo perdevano di vista un momento.

“Quante sedute ti ha prescritto il Generale, dieci? Quindici?” lo incalzò, inclinando leggermente la testa verso sinistra.

Lui sbuffò. “Dieci.” ammise con sufficienza.

Lei alzò un sopracciglio. “Poche. E immagino che tu non abbia intenzione di venire alle prossime, giusto?”

Kisshu stiracchiò le labbra in un mezzo sorriso. “Me l'avevano detto che eri brava a capire le persone.” fece in tono sarcastico.

“Ognuno ha i suoi talenti. Tu sei un ottimo combattente, mi dicono.” replicò lei ignorando il sarcasmo.

Il sorriso di Kisshu si allargò. “Cerchi di blandirmi con le lusinghe?”

“Tuttavia, sei anche un pessimo soldato.” aggiunse la ragazza, incrociando le braccia al petto.

Kisshu si strinse nelle spalle. “Ognuno ha i suoi talenti.” Lasciò che il suo sguardo vagasse sul corpo di lei. Indossava un vestito verde chiaro dalla gonna corta e svasata, che si stringeva subito sotto al seno, senza maniche, e un paio di scaldamuscoli sugli avambracci. Non era male, come ragazza, ma forse il suo giudizio era inficiato dal fatto che non c'era altro su cui posare lo sguardo, in quella stanza vuota dalle pareti metalliche.

“Cosa faresti se ti cacciassero dall'esercito?” gli chiese chinandosi in avanti.

Lui tornò serio. “Che t'importa?”

“È il mio lavoro.” rispose lei semplicemente. “A te importa?”

Non rispose. Gli importava davvero che cosa gli avrebbero fatto se non si fosse “messo in riga”, come gli aveva abbaiato di fare il Generale? Si rese conto di non essere eccessivamente preoccupato dalla cosa.

Si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo.

“Di cosa ti importa, allora?”

Le sue domande iniziavano ad irritarlo.

“Cos'è che ti va di fare, in questo momento?”

Andarmene. Ma non le avrebbe dato quella soddisfazione. Non sarebbe corso via come un bambino spaventato.

Sorrise, uno di quei sorrisi che, lo sapeva bene, faceva rabbrividire le ragazze in tutti i modi possibili. “Mi piacerebbe toglierti quel vestito di dosso, per cominciare.” sussurrò sporgendosi in avanti.

Lei non si aspettava una risposta del genere, lo capì da come sgranò gli occhi e da come le sue guance si arrossarono, nonostante fingesse indifferenza.

Sogghignò, soddisfatto. Aveva riguadagnato terreno. Sarebbe stato bello far scappare lei fuori dalla stanza come una bambina spaventata, pensò divertito.

La vide deglutire. “Alle tue ragazze non dispiacerebbe?” domandò distogliendo lo sguardo, e a Kisshu non sfuggì come la sua voce si fosse fatta più acuta.

“Di loro non mi importa niente.” ridacchiò fissandola.

“Di tutte tranne che di una.”

Toccò a lui essere sorpreso. Cercò di mascherare le proprie emozioni come meglio poteva, mentre i suoi muscoli si contraevano.

Lei riprese a guardarlo negli occhi. “È questo che ti tormenta? L'amore che provi per lei?”

Kisshu scattò in piedi, furente. Come osi? Come osi?!, pensò freneticamente stringendo le mani a pugno. Le si avventò contro in un attimo, bloccandola sulla sedia su cui si trovava, i loro nasi che quasi si toccavano. “Non ti conviene farmi arrabbiare, tesoro.” ringhiò stringendo la presa sulle sue braccia nude.

“...Zori.” disse lei con un filo di voce, subito prima che un paio di guardie entrassero nella stanza spoglia e lo costringessero rudemente a indietreggiare. Il ragazzo si divincolò dalla loro stretta, le lanciò uno sguardo glaciale e se ne andò.

 

***

 

Kisshu Ikisatashi non si presentò alla seduta seguente, e nemmeno a quella dopo, né a quella dopo ancora. Zori non ne fu sorpresa: dopotutto, lui era quel tipo di persona, l'aveva capito immediatamente.

Nonostante ciò, lo aspettò pazientemente tutti i pomeriggi, seduta a gambe incrociate su quella scomoda sedia, dimenandosi di tanto in tanto mentre rifletteva su cosa gli avrebbe detto se all'improvviso avesse deciso di rifarsi vivo. Cosa che, prevedibilmente, non accadde.

La giovane trascorse ore a rimuginare tra sé e sé. L'aggressività di Kisshu la preoccupava. Certo, era stata lei a provocarlo, nel tentativo di riscuoterlo dalla sua indifferenza, ma in quell'attimo in cui le aveva stretto dolorosamente le braccia la ragazza aveva avuto paura. Poteva immaginare senza sforzo alcuno cosa avessero provato le tre ragazze che avevano segnalato il comportamento di Kisshu ai suoi superiori. La prima cosa su cui lavorare, si disse sfiorandosi le labbra, è il suo approccio con il sesso femminile.

Aveva percepito un gran guazzabuglio di emozioni contrastanti dentro di lui, che oscillavano dalla rabbia alla solitudine, dalla disillusione alla disperazione, dall'angoscia al disprezzo...e in fondo a tutto quanto, sepolto, soffocato, c'era un terribile vuoto, un buco nero di depressione che, lo sentiva, rischiava seriamente di inghiottirlo. La ragazza sapeva bene che da quell'abisso non c'era ritorno: l'aveva affrontato spesso, da quando aveva iniziato a fare quel lavoro, ed erano state più le volte che aveva perso di quelle che aveva vinto. Genitori che si erano visti morire davanti i propri figli, gente che aveva perso tutto, mogli senza mariti, mariti senza mogli, persone che avevano abbandonato la voglia di vivere, i cui stessi corpi si arrendevano alla morte: poteva ancora vedere i loro volti di fronte a sé quando chiudeva gli occhi. Il più delle volte avevano rifiutato il suo aiuto, e Kisshu non si era dimostrato diverso.

Lui però era un combattente: era nato per quello. Zori l'aveva percepito, tanto da arrischiarsi a sperare che ce l'avrebbe fatta, che sarebbe uscito vittorioso anche da quello scontro. Tuttavia, a quel mondo esistevano anche nemici invisibili contro cui una spada non serviva a nulla, cosa che Kisshu probabilmente ignorava. O forse non gli importava.

Sospirò. Peccato, le sarebbe piaciuto aiutarlo.

 

***

 

Durante il quinto pomeriggio che avrebbe dovuto dedicare al giovane soldato, ma che invece stava trascorrendo immersa nella lettura, udì improvvisamente degli schiamazzi provenire dal corridoio. Si alzò in piedi e corse ad aprire la porta in metallo, trovandosi faccia a faccia con Kisshu, scortato a vista da un paio di soldati dall'aria decisamente contrariata.

“Questa è la tua ultima possibilità, Ikisatashi.” lo apostrofò il più alto dei due. “Vedi di non fare altre cazzate.”

Il ragazzo non rispose: teneva lo sguardo fisso a terra e la mascella contratta.

I due soldati si congedarono con un cenno del capo, chiudendosi la porta alle spalle con forse un po' troppo entusiasmo.

Zori attese che il rimbombo della porta si acquietasse prima di parlare. “Che è successo?” chiese cercando un contatto visivo che lui si rifiutò di concederle.

Kisshu sbuffò. “Mi hanno beccato.” rispose semplicemente, ostinandosi a fissare un punto indefinito del pavimento.

Zori si sedette nuovamente, incrociando le gambe. “Avresti dovuto fare più attenzione.” commentò, riprendendo la lettura come se niente fosse.

Il ragazzo la guardò di sottecchi. “Beh?” sbottò in tono infastidito.

“Beh cosa?”

“Non cerchi di...psicanalizzarmi, o qualsiasi cosa facciate voi strizzacervelli?” rispose lui a braccia conserte.

Zori gli lanciò un'occhiata distratta. “Non servirebbe a niente, dato che non sei qui di tua volontà. Non posso aiutarti senza il tuo consenso.”

Kisshu corrugò la fronte. “Forse dovresti spiegarlo anche ai piani alti dell'esercito.”

“Forse. Nella mia esperienza, purtroppo, i vertici militari sono estremamente refrattari a qualsiasi tipo di logica.”

Il ragazzo ridacchiò. “Almeno su una cosa siamo d'accordo, io e te.”

Calò il silenzio. Zori si ritrovò a rileggere la stessa frase per la terza volta, ma si impose di non dare a vedere che lui la distraeva. Forse, si disse, avrebbe potuto fare leva sul suo orgoglio per stimolare una reazione.

Kisshu si sedette sulla sedia di fronte a lei, guardandosi intorno. “Certo che qui è una noia mortale.”

Non ricevette risposta. Si grattò una guancia. “Se l'avessi saputo, mi sarei portato qualcosa da fare.”

Zori fece una smorfia. “Dopo tre pomeriggi passati ad aspettare che ti facessi vivo, infatti, mi sono procurata qualcosa da leggere.”

Kisshu si alzò in volo e le si avvicinò. “Cosa leggi?”

“Una raccolta di fiabe tradizionali.”

“Cioè storielle per mocciosi? Perché lo fai?” chiese lui in tono scandalizzato.

“Penso che contengano molta dell'antica saggezza del nostro popolo.”

Kisshu si allontanò. “Che perdita di tempo...” borbottò senza nascondere il disgusto.

Zori sorrise. “Questa è una delle mie preferite. Me la raccontava sempre mia madre: Lo pseudopodo ballerino. La conosci?”

Il ragazzo si limitò a fissarla in silenzio con un'espressione compassionevole dipinta sul volto.

Zori sostenne il suo sguardo per qualche secondo, dopodiché tornò a dedicare le proprie attenzioni alle righe di testo proiettate di fronte a sé.

Kisshu alzò gli occhi al cielo. “Ci sono modi molto più divertenti di passare il tempo, lo sai?”

La ragazza si accigliò. “Nessuno di questi mi interessa, ti ringrazio.”

Kisshu colse la palla al balzo. “Li hai provati, almeno, prima di rifiutarli?” le chiese tornando a svolazzarle vicino. “O ti diverti a fare la zitella inacidita?”

“Non sono interessata a sperimentare nulla che non porti alla nascita di una relazione duratura.”

Lui la fissò a bocca aperta. “Accidenti, sei anche più noiosa di quanto pensassi...”

Lei si strinse nelle spalle. “Ognuno ha i suoi difetti.” Non poté fare a meno di sorridere tra sé e sé.

Kisshu non replicò, prendendo a fissare il soffitto. Trascorsero una manciata di minuti in silenzio, finché il ragazzo non sbuffò sonoramente. “Bel lavoro che fai qui. Quanto ti pagano? Quasi quasi mi faccio assumere anche io.”

Zori sollevò lo sguardo. Kisshu fluttuava pigramente sopra di lei, le braccia incrociate dietro la testa. “Vuoi provare a fare il mio lavoro al posto mio?” gli chiese in tono di sfida.

Lui sollevò un sopracciglio. “Dici sul serio?”

La ragazza annuì. “Perché no? Potrebbe essere divertente.”

“Che ne sai tu di divertimento...” borbottò Kisshu abbassandosi lentamente. “D'accordo, ci sto. In effetti, hai un problema piuttosto grave.” aggiunse mentre un sorriso beffardo gli nasceva sulle labbra sottili.

“In realtà la mia idea era di proporti di risolvere i tuoi, di problemi.” disse la ragazza aggrottando la fronte.

Kisshu si sedette, il suo sorriso che si allargava. “Naah, suona noioso. Inoltre, io non ho alcun problema.”

Zori incrociò le braccia. “Mi permetto di dissentire.”

Dissentisci quanto vuoi...”

Dissentisci?!”

“...sta di fatto che sei tu quella che ha bisogno di aiuto.” continuò Kisshu senza battere ciglio. “Hai una tendenza alla barbosità che va al più presto eradicata.”

Zori scosse la testa. “Trovi davvero che leggere sia sintomo di barbosità?”

“Beh, sì, ma non è questo il punto, mia cara.”

“E sentiamo, quale sarebbe il punto?” domandò lei facendo del suo meglio per ignorare lo scintillio nei suoi occhi gialli.

“Il punto è questo tuo rifiuto categorico di divertirti un po'. La domanda è: si tratta semplicemente di un rifiuto o di una vera e propria incapacità?”

Il tono fintamente intellettuale del ragazzo le fece increspare le labbra, suo malgrado. Era incredibile come risultasse improvvisamente così spiritoso e giocherellone. I suoi sbalzi d'umore erano a dir poco aleatori.

“Qualora incontrassi la persona giusta, ne sarei senz'altro capace.” replicò lei in tono sicuro.

“Oh? E dimmi, come dovrebbe essere questa fantomatica persona giusta?” la canzonò lui.

Zori accavallò le gambe. “Responsabile. Dolce. Fedele.” rispose senza esitare.

Kisshu fece una smorfia.

“E la tua, come dovrebbe essere?” gli chiese lei a bruciapelo, sperando di riportare a galla il nocciolo del problema.

“Hmpf.” mugugnò lui in risposta.

“Carina, immagino.” tentò lei.

Kisshu sbuffò per l'ennesima volta. “Ovvio. Non venire a dirmi che ti metteresti insieme a un cesso ambulante.”

“La bellezza è relativa.”

“La bruttezza no.”

Zori assottigliò le labbra. “Cos'altro?”

Il ragazzo la fissò dritto negli occhi. “Fiera. Combattiva. Focosa.” Le parve di udire la sua voce incrinarsi.

Si osservarono in silenzio per un istante. Kisshu era diventato mortalmente serio.

“Parrebbe che in fondo non siamo così diversi.” osservò Zori inclinando leggermente la testa verso sinistra.

“Cosa te lo fa pensare?”

“Crediamo che esista questa fantomatica persona giusta.”

Kisshu parve rifletterci su per qualche istante. “Credi che ne esista una sola?” domandò poi, lo sguardo perso nel vuoto.

“No, non lo credo. Sarebbe troppo crudele.”

Lui sorrise amaramente. “La vita è crudele. Se non l'hai ancora capito, non vedo cosa tu abbia da offrirmi.”

Zori prese un respiro profondo. “Tutto quello che posso offrirti, Kisshu, è la mia più completa attenzione. Ascolterò tutto quello che hai da dirmi. Come ti ho già detto, è il mio lavoro. È quello che faccio.”

“Non ho bisogno di una spalla su cui piangere.”

“E allora di cosa hai bisogno?”

Il ragazzo abbassò lo sguardo. “...non lo so.”











Salve, gentili lettrici. Spero che questo mio esperimento vi abbia incuriosite. Lo scopo del contest era quello di inserire un OC nella storia e di farlo interagire con almeno un personaggio del fandom in cui la storia è ambientata. Ovviamente ho scelto Kisshu. ^^
La storia è completa ed è costituita da tre capitoli. Il prompt di questa storia è una strofa della canzone I miss you dei Blink 182: "Non sprecare il tuo tempo con me, sei già la voce dentro la mia testa", mentre il luogo in cui dovrebbe essere ambientata per la maggior parte del tempo è un bosco. Capirete meglio, credo, nei capitoli successivi, che arriveranno a breve. :)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


II

 

 

Il giorno seguente, Zori fu piacevolmente sorpresa nel vedersi comparire di fronte il ragazzo. “Non credevo saresti tornato.” confessò accennando un sorriso.

Kisshu scrollò le spalle. “A quanto pare non ho niente di meglio da fare.” replicò in tono noncurante, oltrepassandola e andando ad appoggiarsi pigramente in un angolo della stanza.

“Non ti avranno beccato di nuovo, spero.” gli fece lei incrociando le braccia.

Il ragazzo si stiracchiò. “Non sono così stupido.”

“Hmm.” commentò Zori di rimando, andandosi a sedere al proprio posto. “Ti va di parlare un po'?”

Kisshu ammiccò. “Certo, dolcezza. Di cosa vuoi parlare?” chiese con voce suadente.

Zori fece una smorfia. “Sarebbe tutto molto più semplice se la smettessi di provarci con me.”

Kisshu scoppiò a ridere. “Ehi, non illuderti. Faccio così con tutte...beh, tutte quelle carine, per lo meno.”

“Perché non parliamo di questo?” propose lei chinandosi in avanti. “Come mai ti comporti in questo modo?”

Il ragazzo la squadrò. “Perché è divertente.” disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Ma tu stesso hai detto che non ti importa niente di tutte queste ragazze...”

“È così, infatti.”

“La trovi comunque una cosa divertente, anche se non ti importa niente di come potrebbero reagire o di cosa pensino di te?” lo incalzò lei, decisa a non farsi sfuggire il focus della conversazione.

Kisshu corrugò leggermente la fronte. “Non capisco dove tu voglia andare a parare.”

Zori prese un respiro profondo. “Io credo, Kisshu, che il tuo comportamento aggressivo nei confronti delle donne – e non solo - sia scatenato da un bisogno di attenzioni che deriva, almeno in parte, da una delusione amorosa che non hai ancora superato.”

Il ragazzo parve congelarsi sul posto. “Ma davvero.” commentò senza lasciare trasparire alcuna emozione.

Zori avvertì il suo cuore accelerare i battiti. Non doveva cedere alla paura e al nervosismo, si disse, non ora che erano arrivati al nocciolo della questione. “Davvero. E credo anche che queste sedute potrebbero essere un'occasione per...”

“Non sprecare il tuo tempo con me...sei già la voce dentro la mia testa.”

Fu come aver ricevuto una secchiata d'acqua gelida addosso. Il tono funereo con cui il ragazzo aveva pronunciato quelle parole la fece rabbrividire e indietreggiare sulla sedia.

Non sapeva cosa rispondere e, per una volta, lui la aiutò continuando a parlare.

“Mi sono lasciato consumare dall'amore che provavo per lei, fino a morirne. Letteralmente.” Sollevò lo sguardo al soffitto, le braccia abbandonate lungo i fianchi sottili. “Ho tradito il mio stesso pianeta, per lei...la mia specie...la mia casa...”

Zori sgranò gli occhi. “Era un'umana?” chiese con un filo di voce.

Kisshu si lasciò sfuggire un gemito. “Era molto più che umana.”

“Fiera, combattiva, focosa?” recitò lei dolcemente.

Lui sorrise amaramente. “Ci puoi giurare.”

Tutto si era fatto improvvisamente più chiaro. Zori chiuse gli occhi per un istante, preparandosi psicologicamente ad affrontare un argomento di tale entità. Percepiva chiaramente come il ragazzo si sentisse ancora legato alla misteriosa umana e come si estraniasse di proposito da qualunque altro tipo di rapporto che non fosse superficiale.

“...parlami di lei.”

 

***


Quando, il giorno successivo, uscirono da quella stanza asettica e opprimente, Kisshu non poté trattenersi dal chiedere: “Cos'è che hai in mente, si può sapere?”

Zori sorrise senza dire nulla. “È una sorpresa.”

Si incamminarono in silenzio lungo il corridoio principale della Base operativa, ancora per gran parte localizzata sottoterra. Kisshu notò pigramente che il generatore principale stava avendo problemi: le luci bianche che illuminavano le pareti si spegnevano a tratti, sfrigolando all'unisono.

“Da quant'è che il generatore non funziona?” chiese, giusto per parlare di qualcosa. Si meravigliò di quanto avessero parlato, nel giro di due giorni: Zori era una perfetta sconosciuta, eppure aveva condiviso con lei più cose della sua vita di quante non ne avesse condivise con Pai nel corso di anni. Era strano, senza dubbio. Gli sembrava di potersi fidare di lei, ma forse era solo la sua immensa solitudine che lo spingeva a pensarlo...

Zori sbuffò. “Ho perso il conto dei giorni. Un mese, forse, o anche di più. Finché non finiranno di portare tutto in superficie nessuno di occuperà di quello che resta quaggiù, temo.”

Kisshu la guardò di sottecchi. Aveva sempre un atteggiamento così maledettamente sicuro, come se possedesse tutta la saggezza dell'universo. Ai suoi occhi, il più delle volte risultava buffa, come una bambina che giocasse a fare l'adulta.

Oltrepassarono una porta ad apertura automatica e un paio di guardie a cui la ragazza fece un cenno con la testa.

Quando sbucarono in superficie, una brezza leggera solleticò loro le guance. Il loro sole brillava pigramente nel cielo terso con sfumature violette.

“Non avrei mai creduto, in tutta la mia vita, che sarei riuscita a vedere il giorno in cui saremmo usciti da sottoterra e avremmo camminato senza fatica sulla superficie.” confessò lei mentre imboccavano il sentiero lastricato che conduceva fuori dal perimetro del villaggio. Tutto intorno a loro, gli operai si davano incessantemente da fare per costruire quante più case fosse possibile: da quando il clima si era assestato, nessuno di loro aveva più intenzione di vivere sottoterra.

“Nemmeno io lo credevo possibile...” ammise Kisshu.

“Tutto questo è merito tuo, lo sai? Tu e di Pai e di Taruto. Non saremmo qui se non fosse per voi.”

Il ragazzo scosse la testa. “Io non ho fatto niente. È stato un colpo di fortuna che la Mew Aqua...” si fermò, lanciandole un'occhiata rassegnata. “Segreto militare. Spiacente.”

Zori sorrise, comprensiva. “Non chiederò altro, allora.”

Arrivarono ai limiti esterni di un boschetto. “Vedi, questo sì che è merito di Taruto.” si lasciò sfuggire lui mentre Zori poggiava una mano sulla corteccia bianca di un albero dalle foglie a forma di falce.

“Io so solo che tutto questo è stato possibile grazie al Cristallo.” disse la ragazza girandosi a guardarlo. “E so che è grazie a voi che il Cristallo è arrivato sul nostro pianeta. Avete reso la nostra vita migliore. Siete degli eroi. Tu sei un eroe, eppure ti comporti come un emarginato.”

“Io sono un emarginato.” replicò lui. “Lo sono sempre stato. Mi hanno scelto per questo, perché ero sacrificabile.”

“O forse per le tue capacità in battaglia.” lo contraddisse lei, appoggiando la schiena all'albero. “Forse non sei realmente emarginato: ti senti emarginato e ti convinci di esserlo davvero.”

Kisshu fece un mezzo sorriso. “Ed ecco che iniziamo con i classici discorsi da strizzacervelli.”

Zori si accigliò. “Perché non provi seriamente a considerare questo punto di vista?”

Il ragazzo non le prestò attenzione. “Sei capace di volare?” chiese dando un'occhiata alle cime degli alberi.

Lei aggrottò la fronte. “Un pochino, sì...”

“Ottimo!” fece lui prendendola per mano e spiccando il volo.

“Aspetta! Sei impazzito?!” protestò lei puntando i piedi per terra.

Kisshu avvertì chiaramente il suo corpo che lo zavorrava, ma non lasciò la presa. “Avevi detto che sapevi volare!” si giustificò, divertito dall'agitazione che le aveva appena provocato.

“Ho detto un pochino! Smettila di tirarmi!” esclamò mentre cercava di divincolarsi. “Kisshu, dico sul serio! Non mi piace volare!” Aveva gli occhi grigi sgranati e la faccia arrossata.

“Come sarebbe 'non mi piace volare'?” la canzonò lui, salendo di quota.

“Kisshu, mi stai facendo male! Lasciami subito!” gridò lei, chiaramente arrabbiata.

Il ragazzo mollò la presa controvoglia, senza però scendere a terra.

Zori lo fulminò con lo sguardo. “Cosa accidenti ti è preso?! Possibile che tu non capisca che quando una ragazza dice no vuol dire no?!” Aveva il fiatone, gli occhi lucidi e il viso distorto in una smorfia a metà tra l'arrabbiato e l'offeso.

Kisshu si portò le mani davanti al petto. “Ehi, non è il caso di agitarsi così! Non lo sapevo che avevi paura di volare, isterica che non sei altro!” Iniziava ad innervosirsi. Perché accidenti se la stava prendendo con lui? Era lei che aveva un problema! “E comunque tu non hai mai detto no!”

La ragazza prese un paio di respiri profondi e si asciugò gli occhi in silenzio.

Kisshu incrociò le braccia, contrariato. Forse aveva fatto male a fidarsi di lei, dopotutto. Aveva iniziato a vederla come una specie di amica, ma evidentemente lei pensava a lui solo come un caso clinico, magari senza speranze.

Indispettito, le diede le spalle e andò ad appollaiarsi su uno dei rami più alti, fuori dalla portata visiva della ragazza.

 

***

 

Zori si addentrò nel boschetto dopo essersi calmata e aver riacquistato lucidità. Non sapeva se Kisshu fosse ancora lì dentro oppure no, tuttavia teneva lo stesso lo sguardo rivolto verso l'alto nel vano tentativo di scorgerlo tra le fronde.

La terra del sottobosco era umida, tanto da trasformarsi in fango in molti punti, e il muschio, di una curiosa sfumatura azzurra fosforescente, rischiarava il sentiero in un modo troppo preciso e calcolato per non essere artificiale.

Le sembrò di sentire la voce di Kisshu sussurrarle Vedi, questo sì che è merito di Taruto.

Aguzzò la vista quando le parve di percepire un movimento tra i rami, ma era solo un uccello a quattro ali, che svolazzò via gracchiando.

Non poté fare a meno di chiedersi come fosse la vista da lassù, e a cosa stesse pensando Kisshu. Si diede della stupida per averlo allontanato; d'altronde, doveva imparare a rispettare la volontà degli altri e capire che non poteva semplicemente trattare le persone come voleva lui, e a questo fine i suoi no dovevano essere fermi, decisi e inequivocabili.

Appoggiò nuovamente una mano sulla corteccia di un albero. Era piuttosto malleabile al tocco, notò imprimendo delicatamente l'impronta della sua mano sulla superficie bianca.

Forse avrebbe dovuto semplicemente confessare a Kisshu la sua paura di volare, si disse riprendendo a camminare. Lui si era aspettato che lo seguisse senza difficoltà, ma la verità era che erano anni che non provava a spiccare il volo. Nel suo lavoro, del resto, non era un'abilità richiesta, così come non lo era nella vita di tutti i giorni.

Si avvicinò ad un altro albero, notando come uno dei rami più bassi si trovasse ad un'altezza ideale per tentare una scalata.

Soppesò l'idea per un momento. Non era delle altezze che aveva paura, ma della sensazione instabile del volo e di come bastasse un attimo di distrazione per precipitare a terra.

Posò un piede sul ramo, facendo pressione per assicurarsi che avrebbe retto il suo peso. Sembrava tutto a posto. Salita sul ramo, si issò su quello successivo facendo forza con le braccia. A mano a mano che scalava l'albero, lasciava dietro di sé una scia di impronte, che si augurò non causassero dolore alla pianta.

Ricordò come da bambina amasse scalare gli alberi artificiali che il suo popolo aveva costruito nelle caverne in cui era stato costretto a vivere da millenni. Era stato quando suo padre si era messo in testa di insegnarle a volare che il divertimento era finito.

Quando, dopo parecchia fatica, si issò sull'ultimo ramo che era certa non si sarebbe spezzato sotto il suo peso, per poco non mollò la presa a causa dello spavento di trovarsi il ragazzo di fronte. Le era comparso davanti da un momento all'altro, con un ghigno malefico stampato in volto.

“K-Kisshu.” lo salutò lei, aggrappandosi al tronco con entrambe le braccia.

“Lo sai come fanno a insegnarti a volare, all'Accademia?” le domandò lui, avvicinandosi un po' troppo per i suoi gusti.

Zori fece un cenno di diniego, assottigliando le labbra.

“Semplice. Ti fanno salire in alto e poi ti costringono a buttarti giù.”

La ragazza deglutì rumorosamente. “Mio padre fece la stessa cosa con me, e come vedi non ha funzionato.”

“Forse non hai fatto abbastanza tentativi.”

“Mi ruppi un braccio e una gamba, quella volta.” disse seccamente lei. “Non desidero ripetere l'esperienza.”

“Uh-hu. Allora ti conviene reggerti forte.” mormorò lui sogghignando.

“Kisshu, smettila.” gli intimò Zori stringendosi al tronco. Il ragazzo le si avvicinò ulteriormente, tanto da sfiorarle il naso con il suo. Zori fu costretta a indietreggiare, tentando disperatamente di non perdere l'equilibrio. “Ti ho detto di smetterl-” Non riuscì a finire di parlare perché lui la baciò. Sentì il cuore schizzarle in gola e la rabbia ribollirle nelle vene. Quel gesto andava contro tutto quello che lei si era ripromessa di insegnargli, oltre ad essere estremamente sconveniente e forzato. Lei non era un oggetto e soprattutto non era di sua proprietà. Cercò di sottrarsi a quel contatto e di spingerlo via con una mano, ma lui fu più veloce di lei e le passò un braccio dietro la schiena, stringendola a sé.

Mentre le si riempivano gli occhi di lacrime, un pensiero le attraversò la mente: se lui effettivamente provava divertimento nel farle paura, la mossa migliore da fare sarebbe stata non dargli quella soddisfazione.

Chiuse gli occhi, cercando in tutti i modi di calmarsi, serrando le labbra e concentrandosi sul restare in equilibrio sul ramo.

Di lì a poco il ragazzo si staccò. “Scusami, dovevo farlo. Eri tutta scarmigliata e accaldata...” le sussurrò leccandosi le labbra.

Tutte le sue risoluzioni e i suoi buoni propositi andarono in fumo. Gli diede uno schiaffo, perse l'equilibrio, cadde e urlò, il tutto in meno di tre secondi. Riuscì ad aggrapparsi per un attimo a un ramo più in basso, poi perse la presa e atterrò nel fango con un tonfo.

 

***

 

“Accidenti, ti sei fatta male?!” esclamò Kisshu andando a recuperarla. La guancia sinistra gli bruciava a causa dello schiaffo, ma tutto sommato ne era valsa la pena...a meno che lei non si fosse rotta qualcosa cadendo, in tal caso sarebbe finito in un mare di guai.

Era caduta a pancia all'aria, macchiandosi di terra e fango dalla testa ai piedi. Aveva gli occhi sbarrati, le pupille dilatate e sembrava non avere più fiato in corpo.

“Mi dispiace,” si lasciò sfuggire, inginocchiandosi di fianco a lei, “non avrei mai voluto che cadessi sul serio.” Le scostò delicatamente una ciocca di capelli rossi dal viso. “Riesci a parlare..?”

La ragazza sbatté le palpebre e inspirò, gemendo per il dolore.

Le tastò prudentemente braccia e gambe. Non sembrava esserci niente di rotto...

“Non...toccarmi...” sibilò Zori digrignando i denti.

Kisshu si irrigidì. Perché ce l'aveva tanto con lui? Si era trattato solo di un bacio, dopotutto...

“Non voglio che mi tocchi più...senza il mio permesso...da questo momento in poi...mi rifiuto di passare altro tempo con te.” disse lei a fatica, respirando rumorosamente. Cercò di alzarsi a sedere con piccoli movimenti controllati, gemendo pietosamente.

Kisshu rimase a guardarla in silenzio, scostandosi giusto un po' per darle libertà di manovra. Sembrava essersi davvero arrabbiata...d'un tratto, per sua somma sorpresa, si sentì in colpa. Corrugò la fronte, senza perderla di vista un attimo.

La ragazza tossì, portandosi una mano alla spalla.

“Ti fa male?” le chiese d'istinto, allungando una mano ma fermandosi all'ultimo momento. Lei gli lanciò un'occhiata piena d'astio. Aveva le orecchie abbassate, segno inequivocabile che stava soffrendo.

“Scusami. Non ti tocco più, giuro. Ma per tornare indietro avrai bisogno di aiuto...”

Lo fissò in silenzio, seduta nel fango. “Sai perché ti ho schiaffeggiato?” chiese infine, con voce tagliente.

Lui distolse lo sguardo. “Non volevi essere baciata, immagino.” borbottò, sentendosi come un bambino rimproverato dalla maestra.

“Infatti. Ti ho chiesto di smetterla, tu non mi hai ascoltata e hai infranto una barriera che non doveva essere oltrepassata.”

“Era solo un bacio!” protestò lui.

“C'è una cosa che si chiama consenso, Kisshu! Alla gente...alle ragazze non piace essere toccate senza che tu prima chieda loro il permesso. Un bacio per te potrà anche essere una cosa da niente, ma per me è una cosa intima che non voglio condividere con una persona che ho appena conosciuto, e a maggior ragione in posizione precaria in cima ad un albero!” Fece una pausa per riprendere fiato. “Inoltre, quando una ragazza ti spinge via e cerca di divincolarsi e tu la costringi a restare ferma, si chiama molestia sessuale. Ti avverto, rischi di venire denunciato. Toccami un'altra volta e ti giuro che...”

“Scusa.” mormorò il ragazzo abbassando lo sguardo. “Non credevo che fosse così importante, per te.”

“Lo è eccome. E non solo per me.” disse lei, addolcendosi lievemente. “Kisshu, io voglio aiutarti, ma non posso farlo se tu non cambi atteggiamento. Forse sarebbe meglio che andassi da qualcun altro, per queste ultime sedute.”

Fu come essere pugnalato alle spalle. Si rese conto che lo stava rifiutando, a suo modo, e sentì di non poterlo accettare. Non di nuovo.

“Aspetta, ti prego. Starò alle tue condizioni, lo prometto.” Gli bruciava da morire supplicarla, ma sentiva di non poter fare altrimenti. Dovette ammettere a se stesso di avere bisogno di lei.

Zori lo squadrò attentamente. Sembrava dubbiosa: Kisshu capì all'istante che non si fidava di lui.

“...d'accordo.” acconsentì infine. “Ma è la tua ultima possibilità, sia chiaro.”

Kisshu annuì, incredibilmente sollevato.

Zori sospirò pesantemente. “Aiutami ad alzarmi, per favore. Niente scherzi.”

Kisshu sorrise debolmente. “Niente scherzi.”

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

III



 

Il giorno seguente, Zori era riuscita, seppur ancora malconcia e ammaccata, a tornare nel bosco e svolazzare fino alla cima di un albero. Kisshu l'aveva aiutata, quasi trascinandola dietro di sé, ma prima di prenderle la mano le aveva rivolto un'occhiata interrogativa, che la ragazza aveva interpretato come un buon segno nella giusta direzione.

“Grazie.” gli disse quando si sedettero, lui su un ramo e lei su un altro, separati dal tronco della pianta.

Kisshu le sorrise e lei pensò che probabilmente non erano state molte le volte in cui si era sentito ringraziare da qualcuno.

Distolse lo sguardo dal ragazzo, concentrandosi sul paesaggio circostante. Tra le fronde a mezzaluna poteva scorgere dei frammenti di cielo viola e i picchi degli alti monti a nord. Non c'era una nuvola in vista e i suoni del sottobosco, uniti al gentile venticello fresco che spirava da nord-ovest, parevano quasi volerla cullare.

“È bellissimo qui, Kisshu.” sussurrò appoggiando la testa al tronco dell'albero.

“Già. Il mondo è sempre più bello visto dall'alto.” commentò lui dondolando una gamba nel vuoto.

“Magari potrei portarci anche gli altri miei pazienti...” rifletté lei portandosi una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio. “È mille volte meglio della stanza in cui lavoro di solito.”

Kisshu si girò a guardarla. “Quanti altri pazienti hai?”

“Non molti. Tre o quattro.”

Il ragazzo abbassò lo sguardo. “E sono...tutti maschi o..?”

Zori corrugò la fronte. “Dove vuoi arrivare, Kisshu?” chiese in tono sospettoso.

Lui si strinse nelle spalle. “Volevo solo capire, tutto qui.” rispose ostentando innocenza.

“Hai mai pensato che forse potrebbero piacermi le ragazze?” gli domandò a bruciapelo.

Lui sgranò gli occhi. “Ti piacciono le ragazze?!” esclamò, e il tono che usò fu talmente comico da farla sorridere.

Scosse la testa, mordendosi il labbro per tornare seria. “No, ma non è questo il punto. Sono miei pazienti, come lo sei tu, quindi anche volendo non sarebbe giusto intrattenere una relazione romantica con loro.” spiegò pazientemente.

Il ragazzo si accigliò. “Perché no?”

“Perché comprometterebbe il rapporto. Non posso permettermi di restare troppo coinvolta.”

“Cioè, in poche parole, tocchi le loro vite nel profondo e poi te ne vai e li pianti in asso?”

Zori percepì distintamente della rabbia nella sua voce. Cercò di soppesare le parole. “Non è così. Io cerco di aiutarle, tutto qui, ma poi sono loro a dover andare avanti con le loro vite...”

Kisshu strinse le mani a pugno. Zori poteva vedere i muscoli delle sue braccia tendersi sotto la pelle pallida. “Cosa c'è che non va?” chiese con voce pacata, facendo del suo meglio per mascherare il nervosismo.

Lui contrasse la mascella. “Niente.”

La ragazza capì di averlo ferito e le dispiacque. “Dimmi cosa posso fare per te, Kisshu, e cercherò di accontentarti. Mi dispiace di averti...messo di malumore.”

Kisshu sospirò. “È colpa tua. Io lo dicevo di non aver bisogno di niente e di nessuno...” mormorò incurvando la schiena. “Merda.

Merda, gli fece eco Zori tra sé e sé. In che casino sono andata a cacciarmi?

Restarono in silenzio per un bel po' di tempo, ognuno perso nei propri pensieri. Zori non si era mai dovuta misurare con una situazione del genere; non le era mai successo che uno dei suoi pazienti – per di più, uno instabile come Kisshu - arrivasse a coinvolgerla così da vicino. Temeva quello che sarebbe potuto succedere: sapeva benissimo che quella situazione non poteva portare a niente di buono. Kisshu stava sviluppando una dipendenza malsana nei suoi confronti e tutto quello che avrebbe ottenuto assecondandolo sarebbe stato ferire entrambi. D'altra parte, anche troncare all'improvviso ogni rapporto sarebbe stato rischioso. Il ragazzo era una mina vagante, non si poteva prevedere cosa avrebbe fatto se si fosse sentito rifiutato.

“E se io pagassi per fare altre sedute?” chiese lui, rompendo il silenzio.

Si guardarono negli occhi. “Lo faresti per parlare dei tuoi problemi e cercare di risolverli o per vedere me?” gli fece lei di rimando. Poteva sembrare una domanda presuntuosa, ma aveva bisogno di saperlo.

Lo vide tentennare. “Non lo so. Credo tutti e due.” Si agitò sul ramo. “Merda.” Gli sfuggì una risata. “Vorrei disperatamente andarmene e stare da solo, ma ho paura di perdere del tempo che potrei usare per stare qui con te.” La guardò di sottecchi, un sorriso amaro dipinto sul volto. “E non hai idea di quanto mi costi ammettere una cosa del genere.”

Zori si sentiva bloccata, schiacciata dal macigno che le si era appena depositato sul petto. Si chiese se non fosse colpa sua, se avesse inavvertitamente fatto qualcosa per incoraggiarlo, ma poi realizzò che uno dei suoi problemi era proprio quello: finiva sempre per sentirsi attratto dalle ragazze che rifiutavano le sue attenzioni. Era successo con l'umana e, a quanto pareva, stava succedendo anche con lei...

“Ti sei...innamorato di me?” gli chiese con un filo di voce. Si sentiva come una mosca intrappolata nella tela del ragno.

“Se dovessi basarmi sulla mia unica esperienza dell'amore, ti direi di no: non fa abbastanza male.” Si sporse leggermente in avanti. “Ma ci sono cose di te che mi piacciono molto. Mi piace passare del tempo con te...e non voglio che tutto questo finisca.”

Zori prese a tormentarsi le mani. “Tutto questo ha il potenziale per diventare un disastro, Kisshu.”

Il ragazzo scese dal ramo e le si parò di fronte, sospeso a mezz'aria. “Senti, tutto quello che so è che questi ultimi mesi sono stati un inferno, per me. Sei l'unica persona che ha il potere di farmi sentire meglio...”

“Potrei mandarti da un mio collega, è una persona fidata e sono sicura che...”

Non voglio andare da qualcun altro. Voglio te e basta.” Fece per prenderle le mani, ma si bloccò, arretrando un poco. “È più difficile di quanto pensassi...” lo sentì mormorare tra sé e sé.

Zori si rese conto che stava ancora sforzandosi di non toccarla senza il suo permesso. Un brivido le attraversò la schiena. Cosa avrebbe fatto se non gli avesse dato quell'ultimatum il giorno prima? Scacciò il pensiero: non era il momento giusto per lasciarsi distrarre da quel genere di ipotesi.

“Non credo di sentirmela, in tutta onestà.” gli disse dopo un breve colpo di tosse. “Non sono abbastanza brava nel mio lavoro per affrontare una cosa del genere.” continuò, le orecchie piegate verso il basso.

Kisshu pareva in procinto di perdere la pazienza. “Ti sto solo chiedendo di restare nella mia vita ancora per un po'!”

“Sì? E per quanto?”

“Non lo so!” rispose lui, esasperato. “Fino a quando ne avrò bisogno!”

Zori non replicò.

“Avevi detto che mi saresti stata a sentire. Che avrei avuto la tua più completa attenzione.” le ricordò lui in tono di rimprovero.

La ragazza incrociò le braccia al petto. “Tu mi hai detto di non sprecare il mio tempo con te.”

Kisshu rimase in silenzio, apparentemente in cerca di qualcosa da dire.

Zori sentiva di stare per cedere. Nonostante tutto, sapeva che non si sarebbe mai perdonata se l'avesse abbandonato proprio quando lui aveva ammesso di avere bisogno di lei. Sentiva di volerlo aiutare, anche a costo di sacrificare la propria pace interiore.

“Ci restano ancora due giorni.” disse, rassegnata. “Vediamo di sfruttarli al meglio.”

Il ragazzo le scoccò un'occhiata a metà tra l'incredulo e il trionfante. “E poi?” le chiese, speranzoso.

“Vedremo quando sarà il momento.”

Il ragazzo parve farselo bastare. Sorridendo, le disse: “Avrei tanta voglia di baciarti.”

Zori si irrigidì. “Preferirei di no.” fece in tono guardingo.

“Hmm. Posso abbracciarti?” le chiese allora, senza smettere di sorridere.

“Kisshu, per favore...”

Lui sospirò teatralmente. “Va bene. Posso almeno sedermi di fianco a te?”

“Non credo che il ramo sia abbastanza robusto per sostenerci tutti e due.”

“Io sono sicuro di sì.” Si appollaiò vicino a lei. “Ma in caso si rompa, sarò pronto a prenderti al volo.”

 

***

 

Il ramo non si spezzò, né quel giorno né il giorno successivo.

“Oggi ho atterrato una recluta durante l'allenamento.” le raccontò Kisshu, lo sguardo perso nel vuoto. “Una ragazza. Avrei potuto approfittarne...ma non l'ho fatto.”

Zori lo osservò, stupita non solo dalla notizia in sé ma anche dal fatto che avesse scelto di parlargliene autonomamente. Era fiera di lui, in un certo senso. “Ci hai pensato?” gli chiese gentilmente.

Il ragazzo annuì. “Non posso dire di non averci pensato. Però sono riuscito a fermarmi.”

“È un ottimo passo nella direzione giusta.” gli disse calorosamente, reprimendo l'istinto di posare la mano sulla sua.

Kisshu sorrise furbescamente. “Sai, ho letto in giro che molte volte per cambiare un certo tipo di comportamento serve un rinforzo positivo. Un incentivo, insomma.”

Zori sollevò un sopracciglio. “Non credo in questo tipo di metodologia. Non sto cercando di addestrarti.”

Lui si finse deluso. “Peccato.”

 

***

 

Quando, l'ultimo giorno di sedute programmate, andarono a posarsi sul solito ramo del solito albero (che Zori stava suo malgrado iniziando a considerare il loro albero) le sembrò che il volo le risultasse un pochino più facile rispetto alle volte precedenti.

A Kisshu non sfuggì questo lieve cambiamento. “Mi sei sembrata un po' meno pesante, oggi.”

La ragazza accennò un sorriso. “Forse sto imparando.”

Kisshu gonfiò il petto. “Per merito di chi..?”

Zori sbuffò. “Vuoi veramente sentirtelo dire?”

“Lo esigo.” rispose lui sogghignando. “Lungi da me rifiutare la gloria.”

“Hmm.” fece lei appoggiando la guancia sulla mano destra. “Grazie, Kisshu. È merito tuo. E mio, per aver deciso di venire in questo bosco.” aggiunse altezzosamente.

“Ehi, se fosse stato per te saremmo rimasti a terra. È merito mio se adesso siamo qui.” replicò lui, stizzito.

“Minuzie insignificanti.”

“Chiedo il permesso di contraddirti.”

“Negato.” gli fece lei ridacchiando. Si ricompose subito dopo. “Scherzi a parte, Kisshu...”

“Aspetta.” la interruppe lui, improvvisamente serio. “Vorrei insegnarti a volare davvero.”

Le sue parole la spiazzarono. “A volare? Perché?”

“Tu mi hai insegnato qualcosa...vorrei ricambiare, a modo mio.” rispose lui semplicemente. “Oppure, se preferisci, potrei insegnarti il combattimento all'arma bianca.” aggiunse poi, tentando di sdrammatizzare.

La ragazza non sapeva bene cosa dire. Era vero che la sua paura di volare era molto diminuita in quei giorni, ma il pensiero di restare sospesa nel vuoto con solo la propria concentrazione a sostenerla le faceva ancora attorcigliare lo stomaco. “Dovrei...ehm...pagarti...” balbettò poco convinta.

Kisshu scosse la testa. “No, non dovresti.”

“Io...non sono sicura che...”

“Abbiamo parlato così tanto in questi giorni, Zori. Non sarebbe meglio smetterla, almeno per un po'?” chiese con voce vellutata.

“Non ti piace parlare?” gli chiese, cercando di distrarlo dai suoi propositi.

“Non particolarmente. Tu sei un'eccezione.” disse lui, sorridendole. “Ma credo comunque che a volte le parole siano di troppo.”

“Credevo che volessi prolungare le sedute per parlare...”

Lui sospirò. “La verità è che voglio passare altro tempo con te. E visto quello che hai fatto per me, pensavo che sarebbe stato bello ricambiare.”

“Quello che ho fatto l'ho fatto perché era il mio compito. Ti prego, non confondere il piano professionale con quello personale.”

“Di' che mi detesti, allora, e facciamola finita.” sbottò lui in tono tagliente.

“Kisshu, io non ti detesto affatto.”

“Continui a rifiutarti di darmi una possibilità!” esclamò lui, scostandosi. “Ho fatto del mio meglio per dimostrarti che posso cambiare. Dimmi, cos'altro devo fare?”

La ragazza iniziò nuovamente a sentirsi a disagio. “È solo che...se io e te adesso diventassimo qualcosa di più...non potrei più aiutarti, lo capisci? Non potremmo più tornare indietro, e comunque sarebbe una cosa anormale, nata in un contesto anormale, e finiremmo per ferirci entrambi.” Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi. “E io non voglio farti del male, non più di quanto voglio che tu ne faccia a me.” Tirò su col naso. “Quindi adesso finiamo il tempo che dobbiamo passare insieme, e poi tu deciderai se smetterla qui o se continuare con un'altra persona che non sia me.”

“Mi stai già facendo male, Zori...”

“Beh, tu ne stai facendo a me, perciò direi che siamo pari.” Si abbracciò, cercando di smettere di tremare. “E so quello che stai pensando: 'se fa abbastanza male vuol dire che è amore', ma non è così, non dovrebbe essere così. E mi dispiace da morire non essere riuscita a dimostrartelo. Io non sono la tua persona giusta, e tu non sei la mia.”

 

***

 

Zori sapeva di aver fallito clamorosamente.

Sapeva che con ogni probabilità aveva peggiorato le cose, che per colpa sua Kisshu avrebbe avuto un ulteriore motivo per comportarsi come uno psicopatico e per odiare il mondo.

Sapeva anche di aver fatto andare troppo avanti la cosa e di essersi fermata giusto in tempo per evitare la catastrofe.

Se c'era una cosa che voleva evitare a tutti i costi era innamorarsi di un tipo come lui. Si rese conto di esserci andata pericolosamente vicino, nonostante tutti i suoi sforzi, quando un paio di giorni dopo non poté più trattenersi dal tornare a passeggiare nel boschetto degli alberi bianchi.

Si addentrò nel sottobosco con cautela, riconoscendo il sentiero illuminato dalle macchie di muschio fosforescente. Alzò lo sguardo nel tentativo di riconoscere il loro albero, quello più alto del bosco, ma dal basso era praticamente impossibile distinguerlo dagli altri.

Si sedette, appoggiando la schiena contro un tronco, e chiuse gli occhi. Cosa era andata a fare lì? Era evidente che non era riuscita a schivare del tutto il pericolo e che aveva formato un legame con Kisshu, volente o nolente, ma perché sembrava voler fare del suo meglio per rafforzare il legame invece di spezzarlo?

Non va affatto bene, quello che stai facendo, le sussurrò la parte saggia di sé stessa. Ne pagherai le conseguenze e lo sai.

Lo sentì arrivare ben prima di aprire gli occhi e trovarselo di fronte. Era curioso come avesse deciso di camminare invece che di volare.

“Siamo di nuovo qui.” osservò la ragazza mestamente, anche se la parte più nascosta del suo essere stava segretamente gioendo. Masochista.

Kisshu non disse nulla, limitandosi a fissarla con quei suoi occhi dorati che lei aveva imparato ad amare.

Quando le tese la mano per aiutarla a rialzarsi, lei la prese.

“Io non voglio innamorarmi-” Un altro bacio, meno forzoso rispetto all'ultima volta, la interruppe. Non le sfuggì certo l'ironia della cosa, ma in quel momento non trovò la forza – né la voglia - di opporsi. Chiuse gli occhi e rispose al bacio, pensando che forse Kisshu aveva ragione: forse a volte le parole erano di troppo.

 

***

 

“Che cosa siamo, in definitiva?” le chiese Kisshu poco dopo, un braccio stretto attorno alla sua vita.

Zori appoggiò la testa sulla sua spalla, inspirando il suo profumo che si mescolava a quello del bosco. “Non lo so. Di sicuro non siamo più quello che eravamo prima.” constatò arrendendosi all'evidenza.

“Potrei diventarlo, sai.”

La ragazza sollevò leggermente la testa. “Che cosa?”

“Responsabile, dolce e fedele. Potrei diventarlo.”

Il cuore le sfarfallò nel petto. Sorrise. “Insegnami a volare.”

 

 

 







Credo che questa sia la storia più sdolcinatamente romantica che io abbia mai scritto. Il bello è che non ero partita con questo finale in mente, ma ho finito comunque per scriverlo. Spero che vi sia piaciuto. :)
Tutte le storie che scrivo sono importanti per me, ma questa in particolare lo è anche perché il personaggio di Zori è stato il mio primo OC in una storia su TMM che avevo iniziato a scrivere quando avevo quindici anni (mai conclusa, ovviamente). Sono contenta di essere riuscita a riutilizzarla e a ridarle vita, in un certo senso. 

Un abbraccio a tutte coloro che hanno letto e recensito. ^3^

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2929543