Along Came Summer

di Roof_s
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Sorprese ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Un mese dopo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Qualcosa di positivo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Un'ottima idea ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Summer ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Limiti e decisioni ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Un appuntamento ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Hai detto bene ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - La stranezza di Summer ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Influenza negativa ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Vieni con me ***



Capitolo 1
*** Prologo - Sorprese ***




 
Sorprese


 
Se qualcuno mi avesse chiesto che cosa fosse per me la felicità, probabilmente in quel momento la mia faccia sarebbe bastata come risposta. E forse sarebbe stata anche meglio di altre mille parole inutili.
Per me la felicità era sempre stata una semplice combinazione di casi: mi era sempre bastato poco per ritenermi ‘felice’ nel vero senso della parola.
Ma da undici splendidi mesi a questa parte la mia felicità aveva acquisito un nome e un volto: si chiamava Emily, era bionda e bellissima e faceva impazzire qualunque essere umano di sesso maschile presente sul pianeta.
Ecco come avrei potuto rispondere alla domanda ‘Che cos’è la felicità per te, Zayn?’. Avrei parlato di Emily - la mia Emily -, la ragazza più attraente dell’intera Tong High School, la ballerina con uno sfolgorante futuro di fronte a sé, una delle persone più gettonate che avesse mai oltrepassato la soglia della nostra scuola.
Quei pensieri portarono subito un sorrisetto allegro sulle mie labbra. Bastava davvero pochissimo e io già perdevo la testa: il ricordo della nostra ultima uscita, dei nostri ultimi momenti assieme.
Tutti sapevano di quanto le cose andassero bene tra di noi, e per questo i miei amici non si risparmiavano mai fior di complimenti per il mio ottimo gusto in fatto di ragazze.
Svoltai all’angolo di Woodlands Street e mi immisi nella ben più ampia White Abbey Road, il viale su cui si affacciava la graziosa villetta dove Emily viveva coi genitori.
A questo punto, però, credo sia necessario un piccolo riepilogo delle vicende che avevano preceduto quella serata, durante la quale io camminavo lungo una strada buia con la sola compagnia di un enorme mazzo di rose rosse tra le mani.
Prima che la vicenda più incredibile della mia vita avesse inizio, io ero semplicemente Zayn Malik, un diciottenne che abitava nell'East Bowling, un piccolo distretto a sud del centro di Bradford e che frequentava la Tong High School. Proprio qui avevo conosciuto i miei migliori amici, avevo mostrato grandi capacità in quasi tutte le materie scolastiche e avevo incontrato la mia dolce metà, Emily, appunto.
Quindi, che cosa ci facevo in quella strada, da solo, nel bel mezzo della fresca serata novembrina che era scesa sui tetti di quella modesta cittadina? Stavo andando a trovare proprio la mia ragazza, tornata quel pomeriggio da un entusiasmante viaggio scolastico di due settimane a Parigi.
Emily mi aveva parlato al telefono, spiegandomi quanto fosse stanca e quanto desiderasse riposarsi per poter venire a scuola il giorno seguente. Le mancavo, l’aveva ripetuto più e più volte. Ma non appena avevamo staccato la chiamata, circa mezz’ora prima di svoltare in White Abbey Road, io avevo afferrato il mazzo di rose acquistato quel pomeriggio e mi ero preparato per l’appuntamento a sorpresa che avevo programmato da giorni.
Non avrei resistito un’altra notte senza vederla: nonostante stessimo ufficialmente insieme da ben undici mesi, io non riuscivo a stare senza Emily, soprattutto quando la sapevo così vicina a me. Era diventata peggio della droga, delle sigarette, del caffè e del cioccolato messi insieme. Era letale, dannosa per la mia salute, perché riusciva a tenermi in piedi anche tutta la notte in caso di estrema necessità: era già capitato che mi svegliasse nel cuore della notte per il semplice bisogno di parlare.
Proseguii immerso nella frescura notturna, camminando lungo il marciapiede deserto, fino a trovarmi nei pressi dell'incrocio con Springfield Street, una via sulla quale si affacciavano alcuni bei palazzi dall’aria imponente. Lì, poco prima di svoltare, si trovava la casa di Emily.
Fortunatamente non abitavamo lontani e per me raggiungerla a piedi non era mai un problema. Ovviamente quando c’era l’amore di mezzo niente costituiva un vero e proprio problema.
Mentre percorrevo il breve tratto che mi separava dalla villetta dall’intonaco aranciato che ormai conoscevo tanto bene, mi tornò alla mente la prima volta in cui avevo varcato il cancello grigio di casa Wood. Era stato in occasione del primo mese festeggiato assieme a Emily. Non c’era ricordo di quella giornata che sfuggisse alla mia memoria: forse, sforzandomi leggermente, sarei pure riuscito a riportare indietro con me il profumo dei vestiti della mia ragazza.
Non vedo l’ora di vedere la sua faccia!, pensai tra me e me, gongolando all'idea della sorpresa che le avrei riservato.
Mi avvicinai al pilastro in mattoncini rossi sul quale era stato installato il campanello dei signori Wood. Premetti sul pulsante, attendendo la familiare voce dei genitori di Emily.
“Amore?” chiamò proprio quest'ultima, il tono della voce particolarmente allegro.
A quel punto fui io a sorprendermi: per quale motivo al campanello aveva risposto lei? E come faceva a sapere che si trattava proprio di me, davanti al cancello di casa?
Non è possibile! Mi avrà visto arrivare da lontano! Ho rovinato la sorpresa, mi maledissi mentalmente.
“Sì, sono io” risposi.
Il cancello non venne aperto. Emily parlò ancora attraverso il citofono: “Zayn?!”
Ora la sua voce era palesemente segnata dallo stupore; ma non quel tipo di stupore positivo, di qualcosa inaspettatamente buono che ci cambia la giornata. Il suo era uno stupore rivelatore, che denotava una nota di panico nemmeno troppo mascherata.
E adesso? Che cosa diavolo le prendeva?
“Sì, sono io, amore” ripetei, confuso dalla situazione che era venuta a crearsi.
“Ah... Oh, okay... Scusa, ti apro subito” balbettò frettolosamente Emily.
Perplesso come poche altre volte, attesi che il cancello di casa si fosse aperto, dopodiché varcai la soglia del giardino e mi diressi a passo spedito in direzione del portoncino scuro che la mia ragazza stava dischiudendo. Emily mi si parò di fronte, vestita di tutto punto e addirittura con un filo di trucco a incorniciare i suoi begli occhi grigi. Mi bloccai a un metro di distanza da lei.
“Ciao, Zayn” mi accolse, evidentemente a disagio.
“Ehm... Ciao, amore” replicai, a mia volta insicuro. “Si può sapere che cosa...?”
Emily mosse le mani con fare impacciato. Era evidente. “Io... non mi sono ancora svestita da quando sono tornata da Parigi!”
Alzai un sopracciglio. “Ah, no?” domandai, sempre più confuso.
Lei accennò un sorriso leggermente imbarazzato. Poi abbassò gli occhi sulle rose che ancora tenevo tra le mani e mi corse incontro. Mi strinse in un abbraccio soffocante, che tentai subito di ricambiare, non senza sforzo.
“Amore, non avresti dovuto!” cinguettò lei al mio orecchio.
Si staccò dall’abbraccio e mi stampò un veloce bacio sulle labbra. Poi afferrò delicatamente i fiori e li studiò meglio alla luce che proveniva dall'ingresso di casa sua.
“Possiamo entrare? Qua fuori si congela” dissi, distogliendo la sua attenzione dal mazzo.
Emily tornò a guardarmi, la bocca semiaperta in un’espressione indecifrabile. “Ehm... Io... In verità, vedi, io stavo per andare a letto.”
Tirai fuori un sorrisetto sornione e replicai: “Qual è il problema? Possiamo andarci insieme...”
Afferrai il suo braccio destro e la tirai verso di me. Emily scoppiò a ridere e provò a schivare il mio nuovo bacio in arrivo.
“Zayn!” strillò tra le risate. “Lasciami.”
Mi allontanai da lei, senza lasciare la sua mano. La fissai sotto quella tenue luce calda che a stento riusciva a illuminare tutti e due. Emily era davvero l’ottava meraviglia del mondo: piccoli occhi grigi, capelli biondissimi e lunghi fin sotto il seno sodo, un fisico per il quale ogni ragazza avrebbe ucciso, le labbra carnose che si schiudevano per regalarmi baci indimenticabili. Tutto, nella mia fidanzata, suggeriva bellezza e fascino. Certe volte mi chiedevo pure come fosse possibile che io potessi essere tanto fortunato da possedere il suo cuore.
“Entriamo, dai!” sussurrai, sorridendole con aria tentatrice.
Lei sfoderò il suo sguardo più tenero. “Zayn, sono stanchissima! Ho bisogno di farmi una bella dormita, altrimenti domani mattina sarò intrattabile.”
Le diedi un fuggevole bacio sul collo. “Em, per me non sei mai intrattabile.”
“Ma per i professori e le mie amiche sì” insistette lei. “Dai, ti prometto che domani sarò tutta tua.”
“No, adesso” mormorai io, fingendomi ancor più testardo del solito.
Emily rise, allontanò il volto dal mio sporgendosi all’indietro. La tenni stretta tra le mie braccia.
“Amore, mi sei mancato da morire” mi disse dolcemente.
Sorrisi: ora sì che la riconoscevo. “Io stavo per morire di astinenza senza di te.”
Emily ridacchiò tra sé e sé, gli occhi ancora puntati nei miei. “Domani passiamo tutta la giornata insieme, te lo giuro.”
“E questa sera? Non vorrai cacciarmi via proprio ora! Ti ricordo che il soldato qui di fronte a lei ha percorso la città a piedi pur di vederla anche solo un’ora.”
Emily alzò gli occhi al cielo senza però levarsi un sorrisetto lusingato dalle labbra carnose. Notai che aveva messo un lucidalabbra color rosa chiaro; il dettaglio andò ad aggravare la latente sensazione che Emily stesse nascondendo qualcosa. Mi aveva detto di essere tornata da Parigi alle cinque di quello stesso giorno e adesso erano le dieci di sera: perché non aveva ancora avuto tempo di svestirsi e truccarsi? E poi... come diavolo si era vestita di ritorno dalla Francia? Con un abito da sera? Lo stesso che le avevo regalato io qualche mese prima, tra l’altro.
“Okay, ti ho convinta! Entriamo!” esclamai, senza aspettare una sua risposta.
Emily provò a opporre ancora resistenza, ma io me la trascinai letteralmente dietro entrando in casa sua. Chiusi la porta e la baciai appassionatamente di fronte alla rampa di scale che conduceva al piano di sopra, dove si trovava la sua camera da letto.
“Prometto di lasciarti stare entro le undici” pronunciai con aria solenne.
Emily arrossì violentemente, quasi avessi indovinato il suo segreto più scandaloso.
“Mi lasceresti almeno togliere questo vestito?” domandò timidamente.
“Potrei togliertelo io” suggerii maliziosamente.
“No, Zayn!”, rise. “I miei torneranno a breve.”
“Ti hanno lasciata a casa sola, avrebbero dovuto immaginare che sarei stato qui al loro ritorno.”
“Eppure penso sarebbe meglio non farsi beccare nel bel mezzo di atti... compromettenti” chiarì Emily, sorridendomi con aria scaltra. “Aspettami qui, io torno subito.”
Annuii, mentre lei si slegava dal mio abbraccio affettuoso e correva su per le scale. Una volta rimasto solo nell’ingresso della casa, mi resi effettivamente conto di quanto Emily apparisse strana quella sera. Perché non aveva voluto che entrassi con lei? E per quale motivo mi aveva lasciato lì sotto ad aspettarla come un cane legato al palo fuori da un negozio mentre il padrone fa le sue spese?
Mi mordicchiai il labbro inferiore, mentre con lo sguardo andavo a perlustrare il salone della mia fidanzata: apparentemente non c’era nulla di insolito in casa sua. Tutto era al proprio posto come lo ricordavo e una foto di me e Emily abbracciati emergeva tra gli altri scatti, sul ripiano di un mobiletto nero di fianco alla porta d’ingresso.
Il campanello suonò violentemente, strappandomi ai miei pensieri. Impacciato di fronte alle varie possibilità, guardai prima su per le scale e poi in direzione della porta.
Saranno sicuramente i suoi genitori, pensai tra me e me.
Dato che i signori Wood mi conoscevano bene e dato che per loro ormai ero uno di famiglia, mi parve naturale sollevare il ricevitore del citofono e schiacciare il tasto che apriva il cancello. Poi mi affrettai a spalancare anche la porta di casa. Solo che rimasi di sasso quando vidi chi si stava dirigendo con fare guardingo verso di me.
Harry Styles, uno dei ragazzi più gettonati del nostro liceo, camminava in direzione della porta di casa, senza essersi minimamente accorto della mia presenza. Fu solamente quando ci ritrovammo a un palmo l'uno dall'altro che si fermò e sussultò dalla sorpresa. Fino a quel momento aveva tenuto gli occhi piantati a terra, camminando con passo molle e tenendo le mani nelle tasche dei jeans stretti. Era naturale che Harry piacesse a tutte le ragazze del liceo, aveva un certo fascino. Ma per quale dannato motivo quella sera si era recato proprio a casa di Emily?!
“Zayn” pronunciò il mio nome, sbalordito come se il fatto che fossi a casa della mia legittima fidanzata apparisse tanto insolito.
“Harry Styles?!” esclamai, più sconcertato che mai.
Doveva per forza esserci qualcosa che non andava, che mi ero perso in quelle due settimane.
“Cosa... Tu...” balbettò Harry, sfilando le mani dalle tasche dei jeans neri, stretti attorno alle sue gambe magre.
“Io?!” esclamai a voce parecchio alta. “Piuttosto, tu! Tu che cosa ci fai qui a quest’ora?!”
“Zayn!” esclamò la vocetta acuta di Emily, sopraggiunta come un razzo alle mie spalle.
Io e Harry ci concentrammo su di lei, spettinata e con indosso pantaloni smessi e una semplicissima maglietta bianca. Il trucco, però, era ancora sul suo bel volto dalla carnagione dorata.
“Zayn...” ripeté lei, questa volta più debolmente.
“Zayn, Zayn e ancora Zayn! Vedo che conoscete il mio nome! Volete spiegarmi cosa sta succedendo?” urlai, isterico.
Emily e Harry si scambiarono una veloce occhiatina che mi mandò ancor più nel pallone. Ormai il dubbio più terrificante si era insinuato nella mia testa, sbattendo prepotentemente contro il mio cervello per farsi ascoltare. Era più che ovvio il perché Harry si trovasse lì!
“Zayn, io non avrei voluto...” mormorò Emily, triste.
Mi allontanai da lei di un solo passo, schifato dall’idea che i miei sospetti trovassero conferma nelle sue parole.
“Tu e lui... voi avete... una storia?!” sbottai, disgustato.
Emily non rispose ma abbassò lo sguardo sulle punte dei suoi piccoli piedini da taglia 3. Mi voltai verso Harry, scioccato dalla notizia.
D’accordo, lui era uno di quei ragazzi che facevano girare la testa a tutte le femmine, uno di quelli che non avevano bisogno di un cervello funzionante per far crollare ai loro piedi le ragazze, uno di quelli che possedevano un inspiegabile charme naturale, frutto della collaborazione di genitori altrettanto seducenti. Ma... per quale maledetto motivo Emily aveva scelto di tradirmi con Harry Styles?!
“Perfetto” mugugnai, sempre più a disagio. “Davvero perfetto.”
Guardai di nuovo la mia fidanzata, incapace di trattenere una smorfia di totale repulsione. “Tu torni da Parigi, io corro fin qui per vederti, ti porto pure i fiori e tu ricambi il gesto invitando a casa questo stronzo?!”
Emily alzò il capo e incontrò il mio sguardo indurito dalla collera. Aprì la bocca per inventare forse qualche scusa, forse qualche giustificazione, ma non ne uscì nulla.
Emily Wood mi aveva tradito con Harry Styles. Harry Styles si era impossessato della mia splendida Emily Wood.
Mi voltai e fronteggiai quello stronzo dagli occhi verdi e dal ciuffo prominente che sovrastava la sua ampia fronte. Mi guardava con fare quasi spavaldo. Notavo che aveva totalmente cambiato atteggiamento...
“Vaffanculo!” esclamai, allungando le mani verso di lui. Lo afferrai per le spalle e lo spinsi con violenza. Harry cadde a terra come un ebete, incapace di reagire per tempo alle mie mosse. Gli rifilai un calcio al fianco sinistro, senza provare alcuna compassione per quel figlio di puttana. Ero accecato, impazzito dalla rabbia. Non riuscivo a frenarmi, a frenarla.
“Zayn! Fermati, santo cielo!” urlò Emily, spaventata.
Accorse a fermarmi prima che riducessi il suo amante segreto in una poltiglia indistinta di abiti firmati e scarpe costose.
“Zayn, che cosa...?!” tentò di parlare.
La spinsi lontano da me, in preda alla collera. “Vattene! Non voglio mai più vederti o sentirti, stronza!” abbaiai, furente.
Emily si piegò verso Harry, toccandogli le spalle per riuscire a farlo voltare. Vidi sul viso del ragazzo disegnarsi un’espressione dolorante. E me ne compiacqui.
“Andate tutti e due al diavolo” mormorai, nauseato dalla scenetta.
“Zayn! Aspetta!” urlò Emily, rincorrendomi in direzione del cancello di casa sua.
Riuscì a fermarmi proprio quando fui sul marciapiede. Mi afferrò per una spalla, impedendomi di proseguire. Si pose di fronte a me, lo sguardo grave puntato nei miei occhi, che nel frattempo lottavano per impedire alle lacrime di far la loro comparsa.
“Zayn, ascoltami, ho sbagliato, ma...”
“Pretendi ancora che io ti dia retta?!” esclamai, incredulo. “Tu sei andata a Parigi per scoparti quel belloccio senza cervello! Mi hai tradito, Emily!”
“Io ho commesso un errore, ma tu dovresti ascoltarmi” insistette lei. “Io e Harry non volevamo ferirti, Zayn.”
Tutto quello che stava dicendo non aveva alcun senso. La spinsi via da me, non volevo che mi toccasse. Non se pensavo che quelle stesse mani avevano tastato il corpo scultoreo di Harry Styles. Ero disgustato.
“Emily, stai zitta! Stai solo facendo la figura della stupida!” la avvertii.
“Ora sarei io la stupida? E a te sembra intelligente aggredire Harry in quel modo?!” urlò lei di rimando.
Basta, ora ne avevo davvero abbastanza. “Cos’avrei dovuto fare? Abbracciarlo e invitarlo a bersi una birra con me al pub?! Emily, sei completamente impazzita?!”
La mia fidanzata piegò le sopracciglia in un'espressione amareggiata. “Zayn... Non sapevo come dirtelo... Io e Harry ci troviamo in sintonia, stiamo bene assieme.”
Annuii, vicino al crollo definitivo. “Mi stai lasciando, Emily?”
Lei si limitò a sospirare con aria rassegnata, come se la vicenda si potesse concludere o in bianco o in nero, senza alcuna alternativa.
“Mi stai lasciando dopo tutti questi mesi, dopo i miei regali, dopo tutto l’amore che ti ho dato? Lo stai davvero facendo, Emily?” continuai, mentre il mio cuore mi abbandonava e si sgretolava dentro la gabbia toracica.
La mia ragazza distolse lo sguardo, trovando più interessanti i fiori al balcone della vicina piuttosto che i miei occhi tristi. Poi la vidi annuire. Dapprima fu un movimento lento, poco deciso. Poi si fece sempre più certa, tornò a guardarmi dritto negli occhi.
“Sì, Zayn. Ti sto lasciando.”
Anche io annuii, in assenza di gesti più convincenti. Fui praticamente costretto ad annuire di fronte a quella notizia frastornante, che rischiava di mandare a monte ogni aspetto più bello della mia esistenza.
Non riuscii ad aggiungere altro. Girai sui tacchi e percorsi al contrario la strada che avevo preso per giungere fin lì da Emily.
Riecco Zayn Malik, il ragazzo felice. Eccolo che camminava a grandi falcate verso casa sua, in preda a una rabbia devastante e alle lacrime, quelle del vero dolore.
Attraversai la strada, svoltai, attraversai di nuovo, allungai il passo, girai all’angolo, proseguii dritto per quella via. Avevo gli occhi offuscati da quelle stesse lacrime che avevo provato a trattenere così tenacemente.
Emily mi aveva appena lasciato. Non ne ero ancora convinto, non riuscivo ancora a capirlo, non ero ancora capace di dirle addio.
Undici mesi. Undici lunghi mesi di amore e di coccole, di baci e di regali, di festeggiamenti e di serenità. Gli undici mesi più belli della mia intera vita spazzati via in mezzo secondo. Il tempo di un addio amaro come quello che mi ero visto riservare poco prima.
Sì, Zayn. Ti sto lasciando.”
Sfregai il dorso della mano sotto l’occhio sinistro, portando via le lacrime tra le ciglia.
Se qualcuno mi avesse chiesto che cosa fosse per me la felicità, probabilmente in quel momento avrei spaccato la testa a quel qualcuno.
Quando finalmente arrivai nei pressi di casa mia, accelerai il passo e mi precipitai di slancio all’interno del giardino, sbattendo violentemente il cancello alle mie spalle. Varcai la soglia senza annunciare il mio ritorno: la cosa era abbastanza ovvia. Inoltre, la mia voglia di parlare era sotto lo zero.
Fuggii al piano superiore, saltando due scalini per volta. Afferrai la maniglia della porta della mia camera e la sbattei con la stessa violenta intensità applicata su cancello e portoncino d’ingresso. Mi gettai sul letto, le coperte sfatte e le lenzuola che sentivano il bisogno di un bel tour esplorativo della lavatrice.
E fu lì che emisi il primo forte lamento, accompagnato da singhiozzi ripetitivi e ridicoli. Ripetei la cosa, piangendo così forte che pensai potessero sentirmi in tutto il quartiere. Allungai un braccio verso il mio comodino e gettai a terra tutte le fotografie incorniciate che tenevo lì vicino: tanto sapevo che in ognuno di quegli scatti compariva il volto allegro di Emily e sinceramente non avevo proprio voglia di rivederla, anche se solo sulla superficie lucida di una foto.
Ecco Zayn Malik la sera dell’undici novembre, steso sul suo letto in balia di un pianto terribilmente simile a quello di un neonato a cui fosse stato levato con la forza il ciuccio.
Non potevo assolutamente sapere che da quel momento in avanti la mia vita avrebbe preso la vera strada giusta.




Ciao,
nonostante quasi non osi rifare capolino in questo fandom, eccomi, l'ho fatto, lo sto facendo!
Io so di essere in periodo studio pre-esami, io so di avere orari stressanti all'università, io so di avere un lavoro, ma... ciononostante sono tornata a scrivere una fan fiction, e sono anche 'presa piuttosto bene', dannazione!
Torniamo al principio di questo commento al capitolo: forse - e ripeto, FORSE - qualcuna di voi, leggendo qui, ripenserà a me, rimuginerà qualche secondo sul mio nickname -"Roofs... mi dice qualcosa... è una marca di biscotti?" -, avrà un paio di illuminazioni divine durante le quali crederà di avermi ritrovata in un vecchio talk show e infine approderà alla straordinaria constatazione che sì, io sono... 
... be', sostanzialmente nessuno, però ebbene sì, mi trovavo già qua ai tempi della nascita dei uan dairekscion, solo che ho avuto due - o più? - anni di blackout nei quali ho smesso di scrivere, e ho pure cancellato le mie precedenti storie.
Sul perché io l'abbia fatto, ho tanti motivi: in caso non l'avessi ancora fatto, mi sbrigherò nel dare una risposta a tutte le lettrici che mi hanno scritto - scusatemi per la lunga attesa! -. Da un po' di tempo a questa parte, tuttavia, mi è tornato il pallino di questa - e altre - vecchie storie dallo stile soft e ieri mi son detta "perché no?".
Quindi, rieccomi, sicura che questa storia non avrà la risonanza delle precedenti, visto il tempo passato, ma comunque contenta del tentativo. Questa è sostanzialmente un remake di una storia che aveva altri protagonisti e che questa volta ho voluto incentrare su Zayn, Louis, Niall, Liam e Harry. Sì, quando scrivo tutti e cinque i nomi è perché intendo davvero inserirli tutti e cinque... Ah, e non lasciatevi ingannare dal prologo, perché le cose non sono così semplici come possono sembrare qui.
Grazie dell'attenzione, a presto e... prometto che i prossimi commenti a fine capitolo saranno brevi e concisi ;)



M.

Ps. Il fantastico banner - al quale alla fine ho ceduto, sì - che vedete qua sopra è merito di walls, che per motivi d'affetto io ringrazierò come Lauretta. :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Un mese dopo ***




 
Un mese dopo


 
Era l’undici dicembre. Questo significava che dal tragico momento del mio abbandono era passato un mese esatto.
Alzai le braccia e le guardai stagliarsi contro il debole colore azzurro del soffitto. Non avevo idea del perché lo facessi: forse per assicurarmi di essere ancora vivo e vegeto, e non sempre ciò costituiva un bene. Non avevo alcuna voglia di alzarmi dal letto e di guidare fino ai cancelli di scuola: purtroppo il ricordo di quel mese infernale era tornato lampante a martellare nella mia testa, e l’idea di varcare la soglia della Tong High School mi dava la nausea.
Poggiai i palmi delle mani sugli occhi, coprendo il mondo con un impenetrabile velo nero. Ma puntualmente tornarono quelle immagini dolorose a schiacciarmi sotto il loro peso.
Da un mese intero ero costretto a sorbirmi le vomitevoli scenette d’amore che vedevano come protagonisti Emily e Harry Styles: loro due che s’imboccavano a vicenda seduti sotto gli olmi nel giardino della scuola; loro due che passeggiavano mano nella mano per i corridoi; Harry che dedicava i suoi successi sportivi a Emily lanciandole baci invisibili dal campo di rugby; Emily che su Facebook pubblicava sdolcinate fotografie dei loro romantici picnic in montagna...
Mi sentii smuovere qualcosa in petto. Ecco, l’angoscia stava tornando a bussare alla porta. Ogni dannata volta che quei ricordi lampeggiavano nella mia mente, io riprendevo un pianto quasi mai interrotto.
Mi ero trasformato in uno straccio, in un sonnambulo che passava le notti in bianco a spiare i profili Facebook dei suoi suoi carnefici. La cosa che più mi feriva era sapere che Emily era felice e che la ragione della sua felicità non ero io. Lei se la spassava con quel deficiente di Styles, mentre io trascorrevo le mie giornate attaccato al computer, rinchiuso nel silenzio della mia camera da letto, mentre genitori, professori e amici si preoccupavano invano della mia salute mentale.
Non mi curavo nemmeno delle attenzioni che la gente mi riservava, tutta presa dalla preoccupazione che non sarei mai tornato quello di prima. Ma cos'altro sarei potuto essere dopo quella batosta? Emily era stata la metà della mela che mi aveva completato e reso un ragazzo migliore e più allegro; ora che lei non voleva più saperne di me, io mi sentivo svuotato di ogni emozione o passione. Non avevo voglie o interessi, desideravo solo essere abbandonato al mio stato vegetativo, chiuso in casa e possibilmente attaccato alla scrivania sulla quale stava il computer.
“Zayn, svegliati!” mi chiamò mia mamma al di là della porta, sbattendo le nocche con forza contro il legno.
Voltai il capo verso la finestra, sul lato destro della camera. Da fuori arrivava una luce chiarissima, probabilmente il riverbero del pallido sole autunnale sulla neve caduta in quei giorni. Il freddo cominciava a farsi sentire, ma non faceva differenza per me: trascorrevo la maggior parte del tempo al caldo di casa mia, quindi la neve, la pioggia o il sole quasi passavano inosservati ai miei occhi.
“Zayn!” chiamò di nuovo mia mamma, insistente come suo solito.
“Arrivo...” mugugnai, ancor più innervosito da quei richiami.
Mi tirai su a sedere, la schiena contro la testiera del letto. Presi un profondo respiro, più per farmi coraggio che per altro. Ogni mattina era sempre la stessa storia: dovevo ripetermi che non sarebbe stato quel male a uccidermi; solo così ero in grado di uscir di casa e di mettere in moto l’auto.
Scesi dal letto, infilai le pantofole e mi avviai verso la finestra: aveva smesso di nevicare, ma il cielo caliginoso di quella fredda mattina faceva presagire il peggio.
Abbandonai la camera da letto e mi chiusi in bagno. Massaggiai il mio volto stanco sotto il getto d’acqua fresca che usciva dal rubinetto. Dopo essermi asciugato guance, naso, fronte e mento, mi lavai i denti e, tornato nella mia stanza, terminai di infilare libri di testo e quaderni nella cartella a tracolla grigio scuro che mi era stata regalata da Emily parecchi mesi prima. Il solo toccare tutti gli oggetti che lei aveva comprato proprio per me mi gettava nello sconforto come se non avessi mai nemmeno tentato di uscire da quel morboso stato di malessere interiore.
Presi un respiro profondo e mi avviai alla porta con la cartella già in spalla. Scesi di sotto in cucina ma non mi ci volle molto prima di percepire che qualcosa non andava per il verso giusto: il piano terra era troppo silenzioso. In casa mia vigeva la regola del chiacchiericcio continuo: mia mamma possedeva una parlantina che raramente permetteva di godersi il silenzio, e mio papà l’accontentava assecondando ogni sua chiacchiera, anche quando si trattava di discutere a proposito dell'ultimo acquisto della figlia dei vicini.
Quel giorno, tuttavia, né mia madre né mio padre stavano parlando, seduti al tavolo della cucina di fronte alla grande finestra che dava sul nostro cortile. Li guardai di sfuggita mentre cercavo le mie scarpe davanti alla porta di ingresso e mi accorsi non senza un certo fastidio che entrambi erano intenti a spiarmi con aria inquisitoria.
"Che c'è?!" esclamai, infastidito da tutte quelle attenzioni innaturali; non avevo alcuna intenzione di lasciarmi inchiodare dalle loro domande.
"Zayn, puoi aspettare un minuto?" parlò mia madre per prima.
Avrei dovuto aspettarmelo. Sicuramente i miei genitori si erano accorti di quanto fossi schivo e introverso da un mese, e anche senza conoscere l'esatta ragione delle mie stranezze, ero quasi certo che stessero arrivando alla verità. Non ero ancora riuscito ad affrontare l'argomento con nessuno, tantomeno se la gente provava a cavarmi le parole di bocca con la forza. Come sarei riuscito a confessare la mia frustrazione proprio a loro due?
"Per fare che cosa esattamente?" domandai, terrorizzato all'idea di dovermi sedere in mezzo a loro e... parlare.
"Dovremmo fare due chiacchiere" si mise in mezzo mio padre, col suo inconfondibile tono conciliante che sperava di addolcire la pillola.
Guardai distrattamente il quadrante dell'orologio e tentai la mia ultima carta vincente: "In verità sono già in ritardo."
"Ti saresti dovuto svegliare quando l'ho detto io" mi rimbeccò mia madre con tono saccente.
Ignorando quell'osservazione, proseguii: "Inoltre questa mattina mi aspetta un compito in classe."
Mia madre lanciò un'occhiata saettante a mio padre affinché intervenisse. Lo vidi togliersi gli occhiali dalla punta del naso e passarsi una mano sul volto tirato.
"Ti tratterremo solo due minuti, Zayn. Puoi sederti qui?", e indicò la mia sedia.
Passai oltre la richiesta e ripetei: "Che cosa c'è?"
Mio padre sospirò. "Siamo seriamente preoccupati per te, Zayn. Non ti riconosciamo più."
Chiusi gli occhi, mentre ricevevo e incassavo il colpo. Fin da quando mi era stato impedito di lasciare casa, avevo capito che le due chiacchiere avrebbero vertito su quell'argomento.
"I tuoi voti peggiorano di giorno in giorno" aggiunse mia madre, allarmata.
Le sorrisi ferocemente. "A te interessano solo quelli, vero, mamma?"
Lei sembrò prendere a male quelle mie parole. Mi guardò con cipiglio severo. “Zayn, io mi preoccupo per te, il che è diverso.”
Sbuffai, tirai più su la cartella a tracolla e misi mano alla maniglia della porta di casa. “Mamma, papà, sono libero ora?”
“No, Zayn” disse mio padre. “Spiegaci almeno se è colpa di Emily.”
Le parole ‘colpa di Emily’ facevano male. L’amore che nutrivo per la mia ex fidanzata era ancora così forte e resistente, che addossare ogni responsabilità a lei mi sembrava ingiusto e doloroso. Eppure, cos’altro avrei potuto dire per spiegare le mie condizioni?
No, si tratta del tempo. Odio queste giornate così fredde!” oppure “Papà, ti sbagli! Emily non ha nulla a che vedere con questa storia. Sto male perché non riesco a superare il quarto livello di Assassin’s Creed!”
Scossi il capo. “No, Emily... No, lei non c’entra” mentii. “Lei... Lei e io...”
Mia mamma alzò un sopracciglio, in attesa di risposte più chiare. Ma i miei balbettii confusi non davano assolutamente un’idea precisa di che cosa potesse essermi successo. Le mie menzogne sarebbero venute a galla molto presto.
“Non state più insieme, vero?” azzardò mia madre.
Spalancai gli occhi, terrorizzato dalla sua intuizione. “No.”
Mio padre e mia madre si scambiarono una fugace occhiata confusa.
“No, no!” esclamai di nuovo, sconvolto. “No. Io ed Emily stiamo ancora... insieme. Lei... ha solo...”
Non riuscii a reggere oltre il macigno che la mancanza di lei faceva pesare sulla mia schiena: mi appoggiai alla porta ancora chiusa e seppellii il volto nel colletto della felpa verde indossata quel giorno, nascondendo parzialmente i miei occhi di nuovo lucidi.
“Oh, Zayn!” gemette mia madre.
I suoi passi affrettati si udirono chiaramente, e mi sentii presto stringere tra le sue braccia. Non le impedii quell'abbraccio, frastornato com’ero dalla mia rinnovata debolezza.
“Okay...” mormorai a stento tra la mia felpa e l’abbraccio soffocante di mia madre. “Okay, va tutto... bene...” ripetei, cercando di liberarmi.
Lei se ne accorse e mi lasciò andare. Le sue mani, però, restarono incollate alle mie spalle come se temesse che sarei svenuto da un momento all'altro.
“Zayn, possiamo fare qualcosa per aiutarti?” chiese mio padre, il tono più contenuto rispetto a mia madre.
Scossi di nuovo il capo. “Voglio solo essere lasciato in pace.”
“Troverai altre ragazze, anche migliori di Emily!” esclamò gioiosa mia madre, sfregando una mano sui miei capelli scuri.
La guardai con fare stizzito, mentre provavo a sistemare il groviglio che mi ritrovavo in testa.
“Okay, Trisha, non penso che questa sia la cosa giusta da dirgli adesso...” sussurrò mio padre, più cauto. "Dovremmo solamente..."
Sospirai, tesissimo nel momento delle confessioni. “Dovreste solamente lasciarmi in pace...” dissi una volta per tutte.
Mia madre continuò a guardarmi con quel suo sguardo malinconico, come se quella fosse l’ultima volta in cui ci saremmo visti.
“Zayn, tu stai male” si oppose. “Non puoi pretendere che ti lasciamo stare senza nemmeno provare a...”
“... ad aiutarmi? Volete proprio aiutarmi?” la interruppi. Aprii la porta di casa. “Se davvero lo volete, vi converrebbe lasciarmi vivere la mia vita.”
“Ma noi te la lasciamo vivere, Zayn!” s’impuntò mia madre. "Vogliamo solo che tu ritorni quello di prima."
Sbuffai, sprezzante del tono apprensivo di mia madre. "Quello di prima non tornerà più. Se l'è preso Emily, okay? Che vi piaccia o no, sto passando un periodo di merda e non ho voglia di fingere sorrisetti e allegria perché voi vi sentiate meglio la sera prima di chiudere gli occhi. Quindi, lasciatemi stare!"
I miei genitori tacquero, colpiti dal tono duro con cui avevo pronunciato quelle parole.
Non avevo più voglia di stare lì ad ascoltare le loro lamentele: ero già tormentato dalla mia mente e dai pensieri depressivi che produceva a ritmo sostenuto di giorno in giorno. Se avessi continuato a vivere in quell’inferno, probabilmente mi sarei buttato dalla finestra della mia camera da letto.
Mi sembrava assurdo che l'amore per Emily fosse potuto arrivare a tanto, a spingermi alle soglie della depressione, eppure non stavo fingendo, non era tutta una montatura studiata a tavolino per attirare l'attenzione su di me. Mi sentivo come lacerato in infiniti pezzettini che piano piano scomparivano, lasciando solo una macchia confusa di quello che Zayn Malik era realmente stato. E anche quando provavo a reagire, quando per esempio afferravo lo skate e uscivo in giardino, quando aprivo uno dei miei fumetti preferiti, quando mi incamminavo per una passeggiata, mi tornavano alla mente troppi ricordi stracciati che cancellavano immediatamente ogni tentativo di ripresa.
“Io devo andare. Ci vediamo più tardi” salutai stancamente, svuotato di ogni energia vitale.
Uscii sul pianerottolo di casa e richiusi la porta prima di attraversare il giardino frontale e salire sulla mia Peugeot 207 nera.
 
***

Come se le discussioni in famiglia non fossero già abbastanza pesanti da reggere, era vero: c’era anche il problema scolastico. Da un mese a questa parte purtroppo non ero più stato in grado di focalizzare la mia concentrazione sulle materie di studio, le interrogazioni e i test e la mia media scolastica aveva risentito negativamente di questa sbadataggine.
Mi accomodai al solito posto della solita aula, quella dove da quattro anni trascorrevo le mie mattinate. Fortunatamente tutti i banchi restavano separati gli uni dagli altri, cosicché nessuno si sentisse in dovere di interrogarmi a proposito del mio umore.
Ovviamente nulla impediva ai miei compagni di fissarmi con aria curiosa, ma sapevo la mia aura depressiva li teneva lontani dall’angolo nel quale ero stato sistemato all’inizio dell’anno, proprio vicino alla finestra che dava sul cortile posteriore.
Gettai la cartella ai piedi del banco. Appoggiai il mento ai palmi delle mani, tenendo d’occhio la lavagna ricoperta di scritte senza senso, frutto della mastodontica stupidità delle mie compagne di classe, le quali pensavano ancora che produrre certe sciocchezze potesse risultare interessante agli occhi di noi ragazzi.
“Ehi, Zayn!” esclamò la ben nota voce di Mark, uno dei pochi, in quella classe, ancora deciso a rivolgermi la parola.
Non mi mossi di un solo millimetro, anche se con gli occhi spiai nella direzione dalla quale la voce era arrivata. Mark Thompson era in piedi vicino al mio banco e sotto il braccio sinistro reggeva il suo ultimo acquisto, uno skateboard dalla plancia decorata con appariscenti fiamme rossastre.
“Ciao” mormorai, per niente colpito né dal suo buonumore né dallo skateboard.
Lui, come se non avesse ancora capito, levò più in alto lo skate e sorrise con aria fiera. “Hai visto il mio nuovo gioiellino?”
Annuii svogliatamente. “Bello.”
Mark smise di esibirlo come una coppa appena vinta e trasse un profondo respiro di riflessione. “Oggi pomeriggio hai da fare?”
Alzai le spalle, ancora intento a fissare la lavagna.
“Che cosa vuol dire?” indagò Mark, determinato nel volermi risvegliare da quella trance permanente.
“Vuol dire che non lo so” biascicai appena.
“Come fai a non sapere se avrai impegni o no questo pomeriggio?” perseverò il mio amico.
La sua insistenza stava diventando fastidiosa, quasi quanto quella dei miei genitori. Sapevo che tutti loro avevano ragione nel volermi mettere in difficoltà, forse perché quella sarebbe stata l'unica maniera di dare una scossa alla situazione. Ciononostante io non ero capace di reagire adeguatamente. Forse non ero nemmeno all’altezza degli eventi che erano venuti a crearsi. Forse mi sarei dovuto prendere un po’ di tempo per riflettere.
Riflettere?! E su che cosa? Hai già pensato anche troppo, adesso devi darti una mossa prima che tutti decidano di abbandonarti definitivamente!, sgridò con severità la mia stessa mente.
“Mark”, sospirai, “ti prego, non insistere. Non ho idea di ciò che farò oggi pomeriggio.”
“Io sì” insinuò lui, assolutamente tranquillo. “Penso che trascorrerai l’intero pomeriggio davanti al tuo computer, nel tentativo di capire che cos’hanno mangiato Harry ed Emily durante la loro ultima cenetta a lume di candela.”
Mi sentii ferire a morte da quell’osservazione così piccata e così maledettamente corretta. Mark aveva capito che cosa non andava in me: il fatto che fossi troppo ossessionato da quella vicenda.
Distolsi lo sguardo dagli occhi indagatori del mio amico: stavo di nuovo andando incontro alle lacrime.
“Zayn, per piacere, esci da questa storia” mi sussurrò lui, piegandosi verso di me. “Ti stai rovinando con le tue stesse mani, non lo vedi?”
Lo vedo eccome, Mark.
Scossi il capo, trattenendomi dal piangere solo grazie a uno sforzo sovrumano.
“Emily deve tornare da me...” bofonchiai con la voce acuita dalla disperazione.
Mark sbuffò stancamente. “Emily è andata avanti. Fallo anche tu.”
Andare avanti... Ma che cosa significava, in fin dei conti, andare avanti?! Tradire un ragazzo fedele e innamorato per scappare tra le braccia di un altro che sicuramente si rivelerà una ancor più grande delusione? Fare a pezzi il cuore di un'altra persona e cancellare mesi e mesi di amore con uno stupido viaggio a Parigi? Quello era 'andare avanti'?
Forse ero io l'idiota di turno che non capiva, ma a me Emily non sembrava andata avanti, piuttosto tornata indietro: ai periodi in cui i sentimenti si prendevano alla leggera, in cui per dirsi fidanzati bastava una crocetta su un pezzo di carta, in cui l'amore era rappresentato dal tenersi per mano. Emily non era andata avanti, aveva fatto un passo falso e io ero convinto che prima o poi se ne sarebbe accorta.
“Oggi sono occupato” risposi infine alla sua precedente domanda, un velo di stizza nella mia voce.
Mark, confuso, si tirò più su. Sentivo i suoi occhi addosso, ma consumarmi con lo sguardo non sarebbe bastato a farmi cambiare idea.
“Oggi ho da fare” ripetei per incidere meglio il messaggio nella sua testa.
Lo guardai, a metà tra il disperato e l’indispettito. Mark sbuffò e scosse il capo: la sua scorta di buone parole era esaurita.
“Non si può dire che almeno io non ci abbia provato...” sospirò, rassegnato. “È da un mese che tento in tutte le maniere di farti rinsavire, ma tu sei ostinato. Ti auguro solo di uscire da questa condizione, prima o poi.”
Mark girò sui tacchi e tornò da Travis e Tom, gli altri due grandi amici che in quel periodo avevano provato a tirarmi fuori di casa con ogni tipo di sotterfugio. Il tutto, comunque, invano.
Mi lasciai scappare uno sbuffo d’irritazione, sbattendo una mano sulla superficie pasticciata del mio vecchio banco.
 
***

“Malik?”
Mi fermai proprio sul punto di abbandonare l’aula. Senza lasciare la presa sulla maniglia della porta, mi voltai verso la Stevenson, nostra insegnante di Geografia. La professoressa, una bella donna di circa trent’anni, bionda e decisamente in carne, stava risistemando alcune verifiche raccolte poco prima del suono della campanella di fine giornata.
“Sì?” risposi con un’altra domanda alla sua domanda.
Lei alzò gli occhi e si tirò più su gli occhiali sul naso. “Potremmo parlare?”
Guai in vista. Ecco cosa passò nella mia mente.
“Sì” risposi, tornando sui miei passi e mettendomi proprio di fronte all’insegnante.
Lei sospirò con aria grave. Non sapeva da dove iniziare a rimproverarmi? Forse avrei potuto suggerirle le formule già collaudate da Mark e dai miei genitori... Fortunatamente tenni la bocca chiusa.
“Malik, ci sono alcuni problemi” esordì quella donna che da anni era abituata a vedermi brillare nella sua materia.
Annuii con cautela.
Di problemi ce ne sono anche troppi, mi creda, pensai.
“Ti sei sicuramente reso conto di come i tuoi voti siano cambiati nelle ultime settimane."
Di nuovo mi limitai a una mossa del capo.
Solo un idiota non se ne sarebbe reso conto, dai!
Lei prese un respiro più profondo dei precedenti. “Vorrei sapere che cosa ti sta succedendo.”
Ci risiamo, pensai, scocciato.
“Sono successe delle cose di cui preferisco non parlare” tagliai corto.
“Hanno a che fare con la tua famiglia?”
Perché voleva anche psicanalizzarmi? Non le bastava più la sola cattedra di Geografia?
“No, tutt’altro. Sono cose che riguardano soltanto me.”
“Problemi con gli amici? Qualcuno a scuola ti sta dando fastidi?”
Feci cenno di no con la testa. Improvvisamente mi sentii come un bambino alle prese con una madre troppo apprensiva. E la cosa m'infastidiva.
“No, sul serio, non c’è bisogno di parlarne” le assicurai.
La mia professoressa, però, non sembrava convinta. “Malik, sono preoccupata per te. Se continuerai di questo passo, non riuscirò ad ammetterti alla classe successiva.”
Sbuffai una risatina repressa. “Non le sembra un po’ troppo presto per parlare del prossimo anno? Siamo solo a dicembre.”
Lei non sembrò apprezzare il mio spirito ottimista. Con l'indice iniziò a giocherellare col cordino rosso dei suoi occhiali. “Ti converrebbe iniziare a studiare, perché in un batter d’occhio ci ritroveremo a maggio e tu sarai costretto a fare i conti con la tua trascuratezza.”
Il sorriso che avevo stampato in volto si spense nel giro di un secondo. Le parole della Stevenson ebbero lo stesso effetto di un secchio d'acqua gelata: e se lei avesse avuto ragione e io mi fossi ridotto sempre peggio col passare dei mesi? E se fossi giunto a maggio con molteplici insufficienze irrimediabili? I miei genitori mi avrebbero spedito in un college privato lontano da Bradford? Deglutii, il cuore che batteva furiosamente nel petto. Era la prima volta che lo risentivo così attivo dal momento della rottura con Emily.
La Stevenson si alzò dalla sua sedia e fece il giro della cattedra. Mi allungò un foglio su cui intravidi parecchi segni rossi: era uno degli ultimi test fatti in classe, e io, a quanto pareva, avevo ottenuto un'odiosissima D.
"Sono molto dispiaciuta di questo voto, ma mi vedo costretta a chiederti di mostrarlo ai tuoi genitori" disse la Stevenson in tono funereo.
Annuii, amareggiato. Non levai gli occhi dalla piccola D rossa incisa sopra il mio nome. La mia media in Geografia stava precipitando, io non sapevo da dove iniziare per rimettere a posto le cose.
"D'accordo" asserii, alzando il viso e guardando negli occhi la Stevenson. "Arrivederci."
“Stammi bene, Malik.”
Bene! Era facile dirlo. Odiavo quelle frasi fatte in certe circostanze.
Con la verifica ancora in mano, mi avviai alla porta e attraversai i corridoi quasi del tutto vuoti della Tong High School.

***

Il parco era calmo e freddo. Non c'era anima viva nei paraggi; ero seduto su un'altalena di legno che sembrava consumata da anni e anni di uso. A quell'ora della sera non si vedeva quasi più nessuno nel Bowling Park, una grande zona verde poco distante da casa mia. Attorno a me il cielo si stava tingendo di blu scuro, il freddo penetrava fino alle ossa e io mi dondolavo pigramente avanti e indietro sull'altalena, gli occhi bassi sul terriccio smosso sotto i miei piedi.
Quel pomeriggio avevo riflettuto a lungo su tutto ciò che mi era stato rimproverato in una sola giornata: indifferenza, distrazione, pigrizia, insofferenza al resto del mondo intero... Erano solo alcuni dei punti di una lunga lista che andava allungandosi giorno dopo giorno.
Dovevo reagire, dovevo darmi una mossa prima che il tempo sprecato crescesse da un solo mese a magari un intero anno.
Scalciai il terriccio e fermai l'altalena di botto. Estrassi il telefono dalla tasca dei jeans e aprii la cartella dei messaggi. Non avevo ancora trovato il coraggio di eliminare tutte le sdolcinate frasette che Emily mi mandava la sera o la mattina, al risveglio.
Scorsi velocemente tutte le nostre conversazioni, senza soffermarmi troppo su nessuna. Solo dopo un attimo di riflessione, selezionai tutti i suoi messaggi e premetti su 'opzioni'. Scesi fino alla voce 'elimina tutte le conversazioni' e attesi ancora un istante.
E se poi Emily tornasse da te? Cosa faresti?
Quel secondo di esitazione fu sufficiente a spazzare via la mia determinazione. Cliccai sul tasto rosso del mio telefonino e tornai alla schermata iniziale, dalla quale io e la mia ex fidanzata sorridevamo felici, stretti in un abbraccio che, almeno nella mia testa, sarebbe dovuto durare per sempre.
Mi alzai dall'altalena e tornai sul sentiero asfaltato del parco, infilando le mani nelle tasche del mio giubbotto.
Nella vita mi erano state rubate tante cose, ma nessun furto era stato così doloroso e stravolgente come quello del mio cuore.



Privjet, mie care! 
Bentornate su questa fan fiction, se siete riuscite ad arrivare fino alla fine di questo capitolo. Come l'avete trovato? Questo è ancora un capitolo di "introduzione", perché la storia sta ancora prendendo forma: c'è Zayn abbattuto, ci sono adulti che non riescono a mettersi nei suoi panni, c'è Zayn che prova a cancellare i messaggi di Emily (come lo capisco!), inutilmente... Insomma, questo capitolo è studiato per non correre troppo in fretta alle conclusioni, per riuscire a far capire bene sensazioni e impressioni di un protagonista che parla in prima persona, e quindi, a mio parere, deve essere analizzato nei minimi dettagli.
Come ho già detto a qualcuna e come sto pensando fin dalla pubblicazione della storia, ho ancora qualche piccolo piccolo dubbio sul protagonista: io mi vedo molto bene Zayn in questo ruolo - soprattutto per i risvolti che la fan fiction prenderà -, ma vorrei sapere cosa ne pensate voi lettrici. Credete che sia meglio Harry (come in parte mi è stato suggerito)? Vi piace lo Zayn che, per il momento, ho delineato? Mi farebbero piacere le vostre opinioni. :)

Sperando di non avervi annoiate a morte e dandovi appuntamento al prossimo capitolo (che arriverà presto), vi saluto e vi mando un grosso abbraccio,


M.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Qualcosa di positivo ***




 
Qualcosa di positivo
 


Ero ridotto a un fantasma, le prime avvisaglie di una terribile influenza si stavano facendo sentire, non riuscivo a concentrarmi per studiare e passavo le giornate nell'ozio, ma una cosa mi era chiara adesso: la vita è bastarda fino in fondo. Non si risparmia cattiverie. Non ti concede nulla se prima non le dimostri di esserne degno. Non ti dona soddisfazioni senza averti prima fatto assaggiare il gusto della merda.
"Zayn, non scaldare troppo il caffè, altrimenti potremo berlo il prossimo anno" disse mia madre, toccandomi la spalla mentre si avvicinava al cucinotto.
Mi riscossi e spensi subito il gas. Le versai il caffè in una tazzina e lo diluii con un goccio di latte ancora caldo. Poi feci lo stesso per me.
"Grazie, tesoro."
Safaa, la più piccola delle tre sorelle Malik, scese le scale in quel momento, annusando il profumo di caffè nell'aria e venendo nella nostra direzione.
"Zayn, mi porti tu a scuola oggi?" domandò.
Mia madre mi guardò con fare implorante. Io aprii bocca ma non riuscii a dire nulla, frenato dalla supplica nei suoi occhi.
"Io devo scappare, ho alcune pratiche da sbrigare prima delle otto" si giustificò mia madre. Posò la propria tazzina nel lavandino e attese una mia risposta.
"Mamma, sono già le sette e mezzo" le feci presente.
Lei guardò l'orologio appeso in cucina e sobbalzò. "Hai ragione! Devo proprio correre. La porti tu quindi?", e indicò Safaa, ancora in attesa di una risposta.
Sospirai e annuii. "Vai a prendere la cartella, partiamo tra dieci minuti, sennò arriverò in ritardo a scuola."
Mia madre sorrise. "Grazie, Zayn."

 
***

Trascorrere anche solo cinque minuti in compagnia di mia sorella Safaa mi faceva seriamente dubitare che quella piccoletta fosse umana: quando parlava non faceva mai una pausa, era come un fiume di parole in piena. Ma non sentiva il bisogno di respirare? Come faceva?
Nel nostro quartiere la sua scuola si trovava dalla parte opposta del mio liceo, per questo dovevo fare in fretta a portare Safaa e a ritornare indietro. Se fossi arrivato in ritardo a lezione, i professori avrebbero avuto un ulteriore motivo per cui mettermi in croce - come se i votacci e la permanente mancanza di attenzione durante le ore scolastiche non fossero già abbastanza.
"... e l'altro giorno allora è venuta da me e si è arrabbiata perché anche noi vogliamo giocare alle principesse. Io però sono migliore di Sarah, lei ha i capelli biondi, io no! E lei non vuole che..."
Annuivo di tanto in tanto, cercando comunque di non perdere il filo del discorso di mia sorella: parlava di principesse, di rivalità su chi detenesse l'esclusiva di quel gioco, di litigi, addirittura di intimidazioni da parte di una certa Sarah. Non si poteva dire che fossi un cattivo fratello, visto le mie attenzioni.
Quando però giungemmo nei pressi della sua scuola, tirai un sospiro di sollievo. M'infilai nel parcheggio affollato dove madri e padri salutavano i propri bambini stilando la lista delle cose da non dimenticare: merendine, quaderni, ricambio per l'ora di ginnastica, portapenne. Io mi accostai a un'auto vuota, spensi il motore e saltai giù come un razzo. Presi lo zaino di Safaa dal cofano e glielo misi in spalla.
"Hai preso tutto?" chiesi, giusto per svolgere al meglio il mio ruolo di fratello maggiore.
La piccoletta annuì e s'infilò un dito tra le labbra, mordicchiandone l'unghia. Le tolsi delicatamente la mano dalla faccia e le feci l'occhiolino. "Devi evitare questi brutti vizi."
Mia sorella sorrise con aria scaltra e mi salutò a gran voce: "Ciao, Zayn!"
La guardai allontanarsi fino a che non fu sparita dietro le porte d'ingresso, assorbita dalla fiumana di alunni che come lei arrivavano ora.
"Complimenti."
Mi girai di scatto, attratto dalla voce che aveva parlato. Una donna di bell'aspetto, sulla trentina, mi sorrideva vicino alla macchina parcheggiata di fianco alla mia.
"Co... come, scusi?" dissi, impacciato.
La donna proruppe in una risatina che si fingeva d'imbarazzo. Si passò una mano tra i capelli scuri e foltissimi. "Ti ho fatto i complimenti per come ti comporti con quella piccolina... È tua sorella?"
Annuii, intimidito dalla sconosciuta.
"Ci fossero più fratelli maggiori come te, il mondo sarebbe un posto migliore" continuò quella, senza smettere di sorridermi.
Anch'io mi passai una mano sulla nuca, cercando qualcosa da dire prima di passare per un completo ebete.
"Quella di oggi è stata un'eccezione... Anch'io dovrei già essere a scuola" confessai.
La donna fece un cenno di assenso. "Dove studi?"
Perché tutto quell'interesse per me all'improvviso? Ero frastornato dall'eloquenza di quella donna bella e sicura di sé al tempo stesso.
"Alla Tong High School" risposi brevemente.
La donna annuì, sembrava conoscere il mio liceo. Probabilmente viveva nel mio stesso quartiere.
"Un po' distante da questa zona..." osservò.
Ridacchiai nervosamente. "Già, e questo non è nemmeno il periodo migliore per arrivare in ritardo."
L'interesse della donna nei miei confronti sembrò rinnovato a quelle parole. Mi guardò con aria incuriosita e domandò: "Tante verifiche e interrogazioni?"
Il motivo a cui alludevo non era esattamente quello, ma non volevo sbottonarmi così facilmente e confessare a una completa sconosciuta i miei problemi scolastici di quell'ultimo mese.
"Sì, anche troppe" confermai.
La donna si staccò dalla macchina con un movimento fulmineo che mi prese alla sprovvista. Afferrò le chiavi della sua auto e l'aprii. Mi sorrise nuovamente e disse: "Sono sicura che qualunque professoressa ti perdonerebbe anche il più grave dei torti. Sai, non sempre si ha la fortuna di avere visi graziosi come il tuo tra i banchi..."
A quelle parole io arrosii d'imbarazzo. Quella donna mi aveva appena detto, anche se tra le righe, che ero... bello? Cos'avrei dovuto fare? Risponderle? Restare zitto?
Impalato, provai ad aprire bocca ma mi sentivo la gola secca. Non capitava tutti i giorni di vedersi fare le avances da una bella trentenne sicura di sé e intraprendente.
La guardai ma a stento riuscivo a reggere i suoi occhi di un bell'azzurro sfrontato e fiero.
"Dubito che le mie professoresse la penserebbero allo stesso modo, ma... grazie" ironizzai.
La donna sospirò con aria allegra. "Forse hai solo sbagliato liceo. Anch'io insegno, sono professoressa di lingua Francese al Kings Science Academy."
"Oh, lo conosco. Ho una cugina che frequenta il suo istituto" risposi.
Il sorriso della donna si allargò leggermente. "Io mi chiamo Melanie Crashwell."
"Zayn Malik" mi affrettai a rispondere.
"Se mai avrai voglia di fare un salto dalle parti di tua cugina, saprai almeno come rintracciarmi..." alluse lei, determinata.
Deglutii. Annuii. Mente annebbiata. Sorrisi, ma ero visibilmente sconcertato. Speravo di non esserle sembrato un poppante.
"D'acc... d'accordo... Grazie..." mormorai a stento.
"Ciao, Zayn. Passa una buona giornata" mi augurò lei, cordiale.
Mise mano alla porta della sua auto e salì. Il motore si accese dopo poco e lei partì in retromarcia. La vidi attraverso il finestrino immettere la marcia e rivolgermi un ultimo sorriso affascinante. Poi partì e scomparve al di là dei cancelli della scuola di Safaa.
Presi un profondo respiro liberatorio. Mi specchiai nel finestrino della mia Peugeot: di certo non mi ero presentato nel migliore dei modi a quell'attraente professoressa dallo sguardo magnetico. Avevo i capelli spettinati e appiattiti sulla testa come se fossi appena sceso dal letto; la mia carnagione, normalmente scura, era più pallida del solito a causa della volontaria detenzione dell'ultimo mese tra le mura di casa; pure i miei occhi sembravano velati da una patina offuscata, forse per via dell'incalzante influenza.
Sicuramente è disperata se ha scelto te come sua preda, rimuginai a proposito dell'accaduto.

 
***

Arrivai di corsa nel cortile della Tong High School, sgommando alla ricerca del mio solito parcheggio. Quel giorno il cortile era già quasi tutto occupato dalle auto dei miei colleghi: ero arrivato troppo tardi rispetto ai miei soliti orari. Badai a non lasciare la mia amata auto troppo vicina a quelle dei soggetti più grossolani dell'istituto. Scesi e afferrai la cartella riposta sul sedile del passeggero. Una volta, quando ancora Emily non mi aveva tradito e noi due formavamo la splendida coppia della scuola, quel posto era appartenuto a lei. Ero stato così abituato a passare davanti a casa sua ogni singola mattina, che ora perdere quel vizio sembrava richiedere uno sforzo immane.
Mi avviai verso l'entrata dell'enorme edificio grigio che ospitava buona parte degli adolescenti del quartiere. Coi suoi spazi molto spartani e ingrigiti dal tempo, quella scuola non appariva di certo un gioiellino, ma i ricordi che vi conservavo legati la rendevano immediatamente migliore ai miei occhi.
Davanti alle porte scorrevoli dell'istituto c'era ancora qualche ritardatario che chiacchierava o che semplicemente terminava la prima sigaretta della giornata.
E poi c'era chi pomiciava appassionatamente davanti agli occhi indiscreti del resto della scuola. Mi bloccai dov'ero quando la scena di Emily avvinghiata come una piovra a Harry Styles mi si parò di fronte. Il loro bacio appariva così appassionato, così romantico che ebbi un tuffo al cuore. Quello non era stato lo stesso bacio che aveva regalato a me prima della partenza per Parigi?
Abbassai lo sguardo e proseguii a passo spedito, distrutto come se quella fosse la prima vera volta in cui mi accorgevo del tradimento.
Fui dentro l'edificio in un batter d'occhio. Raggiunsi la mia aula, lasciai andare la cartella ai piedi del banco e seppellii il volto tra le braccia piegate.

 
***

Un caso disperato come il mio sembrava destinato a spegnersi lentamente nell’indifferenza generale. O almeno, questo era ciò che percepivo io nel profondo del mio cuore.
Tutti si stancheranno di Zayn Malik e nessuno più lo vorrà con sé. Finirò per morire suicida da solo e odiato da tutti.
La mia mente debole e stanca, affaticata anche dal poco riposo che le concedevo e dal raffreddore, non riusciva a elaborare altro che strane frasi di autocommiserazione gratuita. La situazione stava degenerando, me ne rendevo conto. Ma come cambiare le cose? La risposta tardava ad arrivare.
Mentre me ne stavo piegato sul banco con la testa fra le mani, gli occhi che disegnavano forme invisibili sulla superficie davanti al mio volto, arrivò quello che sarebbe stato il primo accenno di risposta ai miei problemi.
"Zayn?" mi richiamò una vocetta acuta.
Tirai su il capo e strabuzzai gli occhi, sicuro di non aver visto bene: davanti a me c'era una ragazza giapponese dagli occhi a mandorla, il viso piatto e il naso piuttosto largo. Sayoko Zhou.
"Eh?" fu la mia intelligentissima risposta.
Ero sorpreso. Sayoko Zhou era una mia compagna di classe, forse una delle ragazze più dotate nella nostra aula. Lavorava come caporedattrice del giornalino scolastico, ogni anno esibiva i propri ambiziosi progetti scientifici nella galleria appositamente studiata per quel genere di esposizioni, era una fervente sostenitrice della necessità di abolire i costumi troppo succinti del gruppo di cheerleading della scuola e aveva una spiccata predisposizione per il teatro. Insomma, era il prototipo di studentessa modello che però difficilmente riusciva a entrare in contatto con qualcuno che non fosse il professore di Chimica o il suo quaderno degli appunti.
"Ciao" mi salutò Sayoko.
La guardai in silenzio, incapace di credere che volesse davvero parlare con me dopo tutti quegli anni. Eppure i suoi occhi scurissimi e sottili puntavano proprio su di me. Sembrava mi stesse radiografando il cervello per scoprire cosa contenesse.
"Sì?" risposi dopo un po'.
"Ho detto ciao" ripeté lei.
Mi tirai più su, levando le mani dalla mia faccia. Non mi sarei fatto scrupoli nel cacciarla via da me.
"D'accordo, e io ti ho risposto con un 'sì?'. Ora mi vuoi dire che cosa c'è?" feci, immediatamente più duro.
Sayoko abbozzò un sorriso leggerissimo. Forse non aveva nemmeno catturato la cattiva allusione nelle mie parole.
"Ti ho visto triste negli ultimi tempi" notò come se fosse una novità. "Mi dispiace, Zayn. Che cosa succede?"
La voce di Sayoko, unita alla sua sfacciataggine, mi dava sui nervi. Era una spina nel fianco.
"Non mi va di parlarne" risposi seccamente.
Vidi Sayoko incollare le punte delle sue dita sottili al bordo del mio banco. Non voleva mollare la presa, quindi...
"Zayn, parlare dei propri problemi è il primo passo verso la liberazione" dettò lei con voce saggia. "Dovresti farlo anche tu."
Sbuffai, divertito da quelle sue ridicole frasette preconfezionate. Dove le aveva trovate? In qualche cioccolatino di marca scadente?
Decisi di ignorarla, solo così ero certo che lei se ne sarebbe andata.
"Inoltre, avere degli hobby aiuta a ingranare quella marcia che porterà al successo e alla pace interiore" continuò Sayoko, imperterrita. "Tutto sta a te, Zayn. Devi solo..."
"Basta!" sbottai, stanco della sua tiritera retorica. "Non ho bisogno di questi consigli. Sono tutte stronzate da commedia e io non me ne faccio niente."
Sayoko ammutolì, ma non se ne andò da dov'era. Io non tornai a fissarla, convinto che prima o poi si sarebbe stancata di parlare alla mia fronte bassa.
"Non devi essere così duro con chi cerca di aiutarti" la sentii riprendere il discorso poco dopo.
Alzai gli occhi al cielo, annoiato a morte.
"Ti andrebbe di venire ad assistere alle prove di uno spettacolo oggi pomeriggio?" se ne spuntò poi, la voce squillante che ritrovava vigore.
Alzai la testa e fulminai Sayoko con un'occhiataccia gelida. La mia compagna di classe, tuttavia, non si mosse di mezzo millimetro: rimase ritta davanti a me, imperturbabile come una statua antica.
"Stai scherzando, spero!" esclamai.
Lei sorrise come aveva fatto al suo arrivo. "Potresti divertirti insieme a noi e staccare la mente dai tuoi problemi per un'oretta."
Ero seriamente indeciso sul da farsi: ridere o urlare? Mi stavano davvero reclutando per entrare a far parte di quel gruppo di sfigati senza una vita sociale?
"Sayoko, il tuo spettacolino non m'interessa. Ne ho già abbastanza di questa scuola, non mi fermerò di certo anche al pomeriggio."
Per fare che cosa, poi? Assistere a quattro buffoni travestiti che si divertivano a recitare copioni triti e ritriti?
"Stiamo lavorando così faticosamente al nostro spettacolo, ci farebbe piacere avere ospiti!" continuò lei, cercando forse d'impietosirmi.
Scossi il capo, determinato. "Non se ne parla proprio. Ho di meglio da fare."
"C'è gente che canta, gente che balla, gente che recita e persino gente che suona" tentò ancora Sayoko.
La guardai, annoiato. "E poi c'è gente che dorme. A casa. Nel proprio letto" completai. "E si dà il caso che questo sarò io oggi pomeriggio."
Sayoko non rise della mia battuta di spirito. La vidi sospirare, ma dalla sua espressione non sembrava ancora aver gettato definitivamente la spugna. Mi squadrò ancora per qualche attimo, poi si decise a tornare all'attacco: "Cerchiamo la felicità e l'appagamento nei posti più irraggiungibili e non ci accorgiamo che alle volte basterebbe frugare dentro la quotidianità per trovare la pace."
Voltai di scatto la testa, incuriosito da quell’ultima frase che Sayoko aveva snocciolato con tanta scioltezza. La mia compagna, in tutta risposta, sorrise ancora e poi tornò a darmi le spalle. La osservai dirigersi verso il proprio banco, lontano dal mio, e sedersi senza guardare indietro verso di me.
Tornai a fissare la superificie del mio banco, come perso in trance. Perché quella mattina anche Sayoko si era interessata così tanto a me e alle mie pene d'amore?
Ha ragione sul fatto di staccare la testa, ma di certo non ha ragione sul suo club di pagliacci travestiti. Che idea ridicola!
Guardai fuori dalla finestra, giù nel cortile: le foglie volavano in ampi cerchi, sospinte dal vento gelido. Mi tornò alla mente la sera precedente, quando mi ero recato nel parco e avevo provato a cancellare i messaggi di Emily, senza risultati positivi.
Possibile che la mia felicità non risiedesse in quella ragazza, che lei fosse solo il posto irraggiungibile?

 
***
 
Quella mattina ebbi parecchio materiale sul quale riflettere. Non solo l'affabile Melanie Crashwell con le sue allusioni poco celate; ora nella mia testa ronzavano anche in sottofondo le frasi di Sayoko, mentre i professori s'illududevano di aver finalmente ricatturato la mia attenzione.
Quei posti irraggiungibili a cui aveva accennato Sayoko continuavano a a tormentarmi. Forse ero stato troppo avventato nel cacciarla via? Avrei dovuto darle ascolto?
In ogni caso, il dilemma non si sarebbe più posto perché durante la lezione seguente gli occhi di Sayoko non tornarono a indagare sul mio volto. E in fondo, mi sentii sollevato dalla cosa.
Io e Sayoko non avevamo mai avuto punti di contatto. Mai. Quattro anni passati insieme, tra gli stessi banchi di scuola, a studiare per le stesse verifiche e interrogazioni, eppure tra noi non c'era mai stato un sorriso, una parola gentile, un favore spontaneo. Eravamo sempre e solo stati 'compagni di classe' in modo molto freddo e distaccato, come d'altronde avrebbe potuto dire chiunque altro in quell'aula: Sayoko non aveva mai aperto bocca per dire qualcosa che non c'entrasse anche minimamente con la scuola.
Perché allora quella ragazza adesso aveva deciso di abbattere le barriere che ci avevano separati per così tanti anni?
Durante la ricreazione provai a liberarmi del senso di spaesamento che mi aveva attaccato. Misi piede fuori dall'aula e mi affacciai sul corridoio, normalmente sempre molto affollato durante la pausa tra una lezione e l'altra per via delle macchinette di merendine davanti alla nostra porta.
Mi guardai attorno: la via era libera, non c'era traccia né di Emily né di Josh.
"Ehi, Zayn!" mi salutò una ragazza, passandomi vicinissimo.
La seguii distrattamente con lo sguardo. Solo in un secondo momento la riconobbi: si trattava di Margaret, una delle migliori amiche di Emily.
Sbuffai, stizzito: più cercavo di evitare il mio peggior incubo, più questo mi si faceva vicino, infierendo senza pietà.
"Ciao, Maggie" risposi al saluto, gentile.
Margaret non aveva mai fatto segreto della sua cotta per me. Prima ancora che io ed Emily ci avvicinassimo, Margaret aveva chiaramente espresso un debole nei miei confronti. Alla fine le cose erano andate diversamente da come forse lei le avrebbe desiderate, ma io e Margaret eravamo rimasti in ottimi rapporti.
La ragazza schivò un gruppetto di studentesse piuttosto basse e mi si parò di fronte. Sorrise, scrutandomi con occhio esperto. Avevo quasi paura che anche lei potesse iniziare a sciorinare i suoi dettami inviolabili su come guarire dal mal d'amore.
"Come stai, Zayn?" chiese.
Alzai le spalle: con parecchie persone non mi andava di parlare di Emily, ma Margaret era amica di entrambi e mi ispirava una fiducia sconosciuta. Inoltre, se avessi voluto mandare un messaggio subliminale alla mia ex fidanzata, Margaret sarebbe stato il mezzo di comunicazione ideale.
"Sono stato meglio" risposi in tutta sincerità.
Lei sorrise come se avessi appena detto la battuta del secolo. "Ti capisco."
Non ero sicuro che ciò fosse vero, ma decisi di non andare a fondo della questione. In quel momento pensai che forse sarebbe stato meglio non essere mai usciti dall'aula...
"Sai, Emily non ha quasi fatto parola del suo tradimento. Forse pensa che evitando il discorso la sua colpa si affievolisca" m'informò Margaret, aprendosi un pacchetto di cracker alle olive.
"Se le cose stanno così, lei è solo un'illusa" risposi, aprendo per la prima volta quel discorso rimasto off-limits per un mese intero.
Margaret annuì, tornando a guardarmi con quei suoi grandi occhi nocciola. Alzò il pacchetto di cracker e mi fece cenno di prenderne uno. Rifiutai con un gesto della mano. Rimanemmo zitti, mentre lei masticava e si guardava attorno.
Poi Margaret mandò giù e tornò a parlarmi: "Mi dispiace molto. Sei un bravo ragazzo e non meritavi un trattamento del genere. Mi auguro che tu possa venire fuori da questa situazione in fretta."
Le solite frasi di circostanza. Sapevo che la gente provava una pena smisurata per me. Probabilmente ai loro occhi sembravo un cucciolo di cane abbandonato. Tuttavia, io non avevo bisogno delle loro frasi vuote, preferivo di gran lunga stare solo e provare a elaborare il mio dolore e le mie pene. Solitudine. Ecco che cosa volevo.
“Grazie mille, Maggie” fu tutto ciò che riuscii a dire.
Lei annuì. “Chissà perché, ma ho la sensazione che le cose cambieranno in peggio per lei e Harry.”
Guardai Margaret con tanto d’occhi. Quel giorno tutti si erano presi la libertà d'illudermi.
“Tu dici?” domandai, preoccupato di finire per ingannarmi con inutili speranze.
Margaret annuì, gli occhi fissi nei miei come poco prima. “Ne sono sicura. Lui non è come te. Harry Styles è fatto di tutt’altra pasta. La loro relazione mi sembra più basata sull'idea di essere due personaggi di spicco della scuola, credono di stare per forza bene insieme perché sono entrambi belli e popolari. Emily era la ragazza perfetta per uno come te, Zayn.”
Rimasi zitto, troppo impegnato a rimuginare su quelle parole. Chissà se la mia amica aveva ragione? E se così fosse stato, io avrei riaccettato la compagnia di Emily anche dopo il suo sporco tradimento?
Inutile spaccarsi la testa prima del tempo, conclusi tra me e me.
“Be’, detto questo, io dovrei tornare in classe. Se qualcuno mi vede qua con te, potrebbero iniziare a circolare strane voci” scherzò Margaret. “Vedi di riprenderti, Zayn.”
Io annuii, ancora assorto. Mi diede una leggera pacca sulla spalla destra, poi passò oltre, lasciando che la folla di ragazzini e ragazzine invadesse lo spazio davanti all’aula. La coda alle macchinette s’ingrossò e io scelsi di abbandonare la mia postazione. Rientrai in classe. Con la coda dell’occhio vidi il viso di Sayoko seguire i miei spostamenti.
Avevo seriamente bisogno di restare solo.

 
***
 
"Buongiorno. Dovrei parlare con la professoressa Martin."
La segretaria alzò il suo stanco sguardo su di me, al di là del vetro separatorio che divideva l'ufficio dal corridoio. Inforcò gli occhiali e strinse gli occhi per focalizzarmi meglio.
"La professoressa Martin?" ripeté, il tono basso e lamentoso.
Che voglia di vivere...
"Sì. Quando posso trovarla?" domandai.
La segretaria si alzò dalla sedia girevole e avanzò goffamente. fino a un cassetto. Lo aprì e ne estrasse un registro che consultò lontano da me. Fece scorrere le dita grassocce su e giù lungo una pagina, concentratissima. Poi rimise a posto il registro e tornò lentamente alla sua sedia.
"La professoressa Martin oggi non ha lezioni. Però nel pomeriggio la può trovare a scuola al corso di teatro" mi spiegò la donna.
Aggrottai la fronte, perplesso. Era lo stesso corso a cui mi aveva invitato Sayoko?
"A che ore comincia questo corso?" domandai.
La segretaria mise su uno sguardo stizzito, come se le mie domande si spingessero oltre i limiti di sua competenza. "Non so, credo subito dopo le lezioni... Chieda conferma a qualche suo compagno."
"D'accordo, grazie comunque."
Grazie di avermi fatto venire voglia di tagliarmi le vene, pensai tra me e me.

 
***
 
Ovviamente non chiesi nulla a nessuno. Rimasi al mio posto, aspettando il termine delle lezioni per poter intercettare la mia professoressa di letteratura Inglese e chiederle in ginocchio di riprovare l'ultimo disastroso compito svolto in classe.
Quando finalmente anche l'ultimo rintocco della campanella di fine giornata se ne fu andato mi alzai e rimisi quaderni e libri nella cartella a tracolla. Lanciai una veloce occhiata fuori dalla finestra dell'aula: il cielo si era tinto di un grigio opaco, tendente al nero, e la pioggia schizzava obliquamente i vetri. E io non avevo nemmeno un ombrello.
Mi affrettai verso l'atrio dell'istituto, piazzandomi davanti all'ingresso principale. Dovevo sbrigarmi a trovare la Martin, non volevo esser visto da Sayoko.
Ma fu solo dopo dieci minuti abbondanti che la professoressa di letteratura si fece viva, entrando nell'edificio a passo svelto. Non mi vide nemmeno, tirò dritto oltre le prime aule, oltre la segreteria, diretta probabilmente alla sala professori. Io la seguii in fretta e furia, chiamandola a voce alta. La Martin si voltò, un piede già oltre la soglia della sala professori.
"Sì?" chiese come folgorata.
"Buongiorno, professoressa. Dovrei parl..."
"Malik, sono di fretta oggi. Mi aspetti qui." E sparì nella sala dove a noi alunni non era concesso di entrare.
Attesi, divorato dalla fretta di scappare da quel posto. La Martin si ripresentò davanti a me stringendo al petto alcuni fascicoli plastificati.
"Ha voglia di seguirmi? Almeno non perdiamo troppo tempo" esordì la donna prima che io potessi aprire bocca.
Arreso, feci cenno di sì e le corsi dietro mentre lei ripartiva in quarta. Attraversammo due corridoi, diretti verso la palestra. Una volta arrivati, lei entrò senza esitazioni; io, dal mio canto, rimasi fermo a fissare le porte di vetro satinato oltre le quali avrei sicuramente incontrato Sayoko. Infine lasciai perdere ogni resistenza ed entrai. Attraversai la palestra a piccoli passi, timoroso pure della mia ombra in quello spazio a me sconosciuto. Ero circondato da sconosciuti che avevo sempre disprezzato, ma adesso io mi sentivo il povero stupido.
Al fondo della palestra era stata allestita una specie di accampamento grossolano e disordinato: scarpe da ginnastica, zaini e borse, libri, spartiti musicali, cavi di microfoni e amplificatori, maschere colorate con pennellate veloci giacevano per terra, in mezzo a un nutrito numero di ragazzi e ragazze intenti a chiacchierare e a scambiarsi aneddoti sulla mattinata appena trascorsa.
La Martin si stava affaccendando alle prese con due studentesse vestite interamente di bianco, che parlavano in tono concitato mentre agitavano le braccia a mo' di ali. Non osavo interromperle per paura che la professoressa potesse cacciarmi. Attesi in disparte, senza osare passare in rassegna i volti di quegli sconosciuti.
"E tu?" mi apostrofò una voce severa, proprio alle mie spalle.
Mi voltai di scatto. Un uomo dalla barba scura e folta mi stava fissando immobile, semplicemente reggendo una cartellina plastificata tra le mani. Mi squadrò da testa a piedi, pronto ad abbaiarmi contro qualche rimprovero.
"Io... sto aspettando di poter parlare con la..."
L'uomo non mi diede nemmeno il tempo di terminare la frase. Alzò una mano e mi congedò senza ulteriori parole. Lo seguii con lo sguardo, perplesso, e lo sentii esclamare a gran voce: "Ragazzi, a che punto siete?"
Fu in quel momento che vidi Sayoko con i suoi occhi a mandorla puntati sullo sconosciuto dal tono brusco: sembrava pendere dalle sue labbra.
Distolsi in fretta lo sguardo. Se lei mi avesse visto, avrebbe ricominciato a tormentarmi con le sue stronzate sul gruppo extrascolastico.
La Martin finalmente si allontanò dai suoi allievi e tornò verso di me. Mentre si sfilava un lungo scialle color grigio topo, mi domandò stancamente: "Okay, Malik, che cosa voleva dirmi?"
"Professoressa, io avrei bisogno di ridare il suo ultimo compito" confessai con tono miserevole. Mi feci immediatamente pena da solo.
La Martin sorrise, divertita. "Tutti abbiamo bisogno di ridare i compiti per migliorare, ma non possiamo mica riprovarli all'infinito pur di farli funzionare. Lei ha un voto ora, gli scrutini si terranno a breve e..."
"Professoressa, la prego, non mi presenti agli scrutini con questa media!" esclamai, terrorizzato all'idea che i miei genitori potessero prendere decisioni drastiche.
Alle sue spalle, intravidi Sayoko luminosa in volto. Mi aveva visto. Si slanciò facedomi un segno di saluto con le braccia. Non ricambiai, tornando a concentrarmi sulla Martin.
"... anche i suoi compagni dovrebbero, capisce?" concluse lei.
Mi riscossi. "Io... non... Come, scusi?"
La mia professoressa mise su un grugno contrariato. "Malik, lei mi ascolta o fa finta?"
Arrossii dall'imbarazzo. "Mi scusi, ero... distratto dal..."
Proprio in quel momento un ragazzo dai folgoranti occhi azzurri e una rada barbetta incolta si avvicinò alla Martin tenendo una mano alzata come a voler prendere parola.
La professoressa spostò la sua attenzione sul nuovo arrivato. "Dimmi, Tomlinson."
"Signora comandante, la ciurma è pronta a salpare" fece lui in tono celebrativo.
Inaspettatamente, la sua frase mi strappò un sorriso. Il ragazzo se ne accorse e, voltatosi verso di me, mi fece l'occhiolino.
"Va bene, Tomlinson. Arrivo" lo liquidò la Martin con tono stanco, come se considerasse quello sconosciuto una perdita di tempo.
"Sei qui per le prove?" s'intromise poi quello, rivolto a me.
Scossi il capo, preso alla sprovvista da tanta confidenza. La Martin mosse una mano come per scacciare un insetto fastidioso e disse: "Tomlinson, va' dai tuoi compagni. Non vedi che stiamo parlando?"
Il ragazzo si portò una mano alla fronte come un soldato obbediente. "Sissignora." Ma allontanandosi, lo vidi fare una smorfia di scherno.
Mi trattenni dal ridere: quel tipo sembrava davvero divertente. E sicuro di sé, dato che si era permesso di apostrofare la Martin chiamandola 'signora comandante', cosa mai udita prima.
"In ogni caso, Malik, non posso proprio fare nulla per lei" concluse la Martin.
Aprii bocca, interdetto. "Ma..."
"Non so cosa le sia preso nell'ultimo mese, ma io non posso preparare un nuovo compito solo per accontentarla" mi spiegò.
Chiusi la bocca e mandai giù l'amarezza che quella risposta mi aveva lasciato. Gli scrutini si sarebbero tenuti la settimana seguente e io ero in una situazione alquanto rischiosa. Nessun professore sembrava disposto ad aiutarmi.
"Ma sicuramente saremo in molti a dove recuperare qualche brutto voto" azzardai ancora.
La Martin scosse il capo. "Siete cinque o sei studenti. Veda di utilizzare tutte queste energie per il secondo semestre, Malik."
Sospirai. "Va bene. Grazie, professoressa."
La Martin sorrise e mi diede le spalle. Rimasi fermo a guardarla andarsene, spiazzato dalla sua scarsa collaborazione.
Il ragazzo simpatico che mi aveva rivolto la parola poco prima mi stava fissando con aria interrogativa. Incrociai il suo sguardo e lo vidi riscuotersi immediatamente: agitò la mano e mi sorrise. In quel gesto vi riconobbi una simpatia innata e sincera. Ricambiai il sorriso e tornai sui miei passi, lasciando lui e tutti i suoi compagni alla preparazione del loro imminente spettacolo natalizio.
Raggiunsi la mia macchina nel parcheggio dell'istituto e mi fermai a riflettere, mentre il motore si scaldava borbottando lievemente. Che cosa c'era stato di veramente positivo in quella mia giornata? Forse l'aver attirato le attenzioni di una donna quasi sicuramente sposata, che mi avrebbe trascinato solamente in un altro disastro? Oppure l'essermi guadagnato l'odiosa compassione di Margaret e Sayoko, come se fossi un povero idiota?
Sospirai, stanco e di nuovo giù di morale.
Poi in un lampo l'immagine dello sconosciuto che mi sorrideva in palestra tornò nella mia mente e anch'io accennai un sorriso.
Forse, in fondo, qualcosa di positivo c'era stato.



Privjet, ragazze!
Come state? Io, se non fosse per la mancanza di voce dovuta al concerto di Stromae di ieri sera, starei meglio. :D
Mi auguro che siate riuscite a terminare il capitolo (questo era abbastanza lungo, lo ammetto), perché qui ho posto le basi del resto della storia. Sì, Louis avrà un ruolo di spicco nei prossimi capitoli, e pian piano compariranno anche gli altri... Non sto a rovinarvi troppi dettagli, ma vi basti sapere che molti dei personaggi presentati in questo secondo capitolo torneranno più avanti. Quindi, keep your eyes open, girls!
Per quanto riguarda lo stato d'animo del nostro caro protagonista, non temete: non andrà avanti in eterno a piangersi addosso come ha fatto in questi primi capitoli. Sto scrivendo il terzo capitolo e ho già studiato parecchie svolte nella storia. Quiiiindi, dal prossimo potrete aspettarvi di tutto, proprio come ai vecchi tempi... ;)
Non voglio annoiarvi troppo con le mie ciance, perciò direi di finire qui il mio commento al capitolo. Voglio solo più ringraziare di cuore le tre splendidi lettrici che mi hanno incoraggiata con le loro recensioni al primo capitolo: spero che anche questo sia stato di vostro gradimento. Grazie mille anche a tutte coloro che silenziosamente leggono e mi inseriscono in qualsivoglia classifica, "preferita", "seguita", "ricordata", "dimenticata", "accantonata" und so weiter.
I
hr seid mein Glück. :)
A breve pubblicherò il terzo capitolo,
stay tuned,



M.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Un'ottima idea ***




 
Un'ottima idea


 
"Confermi, allora? Alle otto al Bradford Rio's?"
"Sì" dissi, ancora titubante.
"Zayn, ci contiamo" mi redarguì Travis.
Tutti avevano paura che potessi nuovamente tirarmi indietro all'ultimo minuto. Capivo i loro timori, ma questa volta ero deciso a non cedere alla tristezza: sarei uscito di casa come ogni comune adolescente e mi sarei anche divertito.
"State tranquilli, questa sera ci sarò. Lo giuro" ripetei.
"Mmh..." bofonchiò Travis. "Lo spero. Allora ci si vede più tardi."
"Certo. Ciao" salutai.
Gettai il telefono sul comò di fianco al letto e piantai gli occhi al soffitto, che si faceva man mano più scuro con l'avanzare del pomeriggio. Sospirai, immobile sulle coperte che profumavano di pulito. Quel pomeriggio ero rimasto solo a casa: il silenzio e la luce già scarsa alle cinque mi avevano riportato alla mente momenti e parole che avrei preferito seppellire per sempre sottoterra. Ma la mia era una lotta contro i mulini a vento, stavo sprecando tempo sperando inutilmente di guarire per mezzo dell'apatia.
Così mi ero deciso a chiamare finalmente i miei amici per organizzare la prima serata dal momento della rottura con Emily: era un sabato freddo e secco, e Travis, Tom e Mark avevano deciso di coinvolgermi in un'uscita a base di alcol e tanta musica rock. La nostra meta sarebbe stato il celebre Bradford Rio's, un club di musica rock e alternativa, una specie di seconda casa per i miei tre amici.
Mi alzai dal letto e camminai fino all'armadio. Aprii le due ante centrali e diedi un'occhiata veloce agli scaffali stipati principalmente di magliette vecchie. Lo sguardo cadde poi sulla figura magra e spenta che si stagliava sulla superficie dello specchio interno appeso ad una delle due ante: capelli scarmigliati e occhiaie anche troppo visibili, braccia flosce lungo il corpo, barba incolta e un evidente bisogno di una doccia. Ero irriconoscibile persino ai miei stessi occhi. Non che prima della rottura con Emily fossi stato la quintessenza della perfezione, ma almeno avevo avuto un minimo a cuore la cura del mio aspetto estetico. Ora, al contrario, sembravo un selvaggio.
Adesso devi reagire, è inutile continuare ad autocommiserarti.
Era il venti dicembre e la mia situazione era sul punto di prendere la tanto attesa svolta definitiva.

***

Il sabato sera al Bradford Rio's era sempre un po' come i grandi magazzini durante il primo giorno di saldi: un inferno. C'era tanto calore, c'erano i corpi sudati delle ragazze truccatissime che saltavano a ritmo di heavy metal, c'era il pavimento allagato dalla birra versata a terra, c'era l'oscurità della sala di piccole dimensioni, c'era il palco eretto a trono di quel gruppo scatenato che io nemmeno conoscevo e poi c'era davvero tanto, tanto alcol. Così tanto da non poterne più. Per questo io avevo smesso già da un'ora di bere, lasciando i restanti bicchieri di Jägermeister a Tom e Mark, che sembravano non percepire minimamente gli effetti frastornanti dell'alcol. Travis, come me, aveva dato un taglio alle bevute per gettarsi nella mischia e scatenarsi.
"Ragazzi..." dissi, urlando. Mark e Tom stavano scolando l'ennesimo bicchierino, tenendo le braccia incrociate e facendo a gara a chi fosse il più resistente. Sbatterono i bicchieri sul tavolo, schizzando tutt'attorno.
"Ho vinto io!" sbraitò Tom, puntando il dito contro il nostro amico. Scoppiò a ridere e mi guardò, eccitato. "Zayn può confermarlo!"
Aprii bocca, ma Mark mi precedette urlando le sue proteste.
"Che cazzo dici, quello era solo il tuo quinto Jäger! Per me era il settimo!"
Scoppiai a ridere. "Va bene, ragazzi, io vado fuori a fumare. Buona gara" tagliai corto.
Tom sbatté le palpebre più volte. Forse non aveva nemmeno capito una parola di ciò che avevo detto.
"Ehi, amico, tu non bevi più?" mi urlò dietro, mentre m'infilavo la giacca e prendevo la mia sciarpa.
"Tom, ti ho già detto che quei bicchieri sono tutti vostri."
"Zayn, tu hai più bisogno di noi dell'alcol. Resta qua!" insistette Mark.
Sorrisi, scaltro. "Sto bene, sto bene. Per questa sera ho bevuto abbastanza."
I miei amici si decisero infine a lasciarmi andare. Ciò non fu dovuto tanto alle mie rassicurazioni, quanto allo strabiliante fondoschiena della vicina di tavolo, che si era appena alzata dal suo posto per andare a ballare sotto il palco.
A fatica riuscii a intrufolarmi nello stretto corridoio che conduceva all'uscita. Non fui in grado di contare tutte le volte in cui dovetti chiedere di passare, il pubblico assetato di musica metal aveva invaso il locale senza risparmiare il più piccolo degli angoli.
Quando fui fuori dal Bradford Rio's, presi una grande boccata d'aria. Notai il leggero nevischio accumulatosi sull'asfalto. Mi allontanai dalle porte e raggiunsi il davanzale di una finestra serrata, da cui si poteva ancora sentire rimbombare la musica all'interno. Estrassi ed accesi la sigaretta con un gesto meccanico. Mi guardai attorno: ero circondato da volti inscuriti dalla matita per occhi colata a causa del sudore; non c'era differenza tra ragazze e ragazzi, tutti avevano una fiamma di vivacità accesa nello sguardo, cosa che andava al di là del calore e degli spazi ridotti all'interno del locale.
"Scusa, hai un accendino?"
Mi voltai di sfuggita e annuii. Estrassi l'accendino e lo consegnai al ragazzo. Solo quando la fiamma rossastra illuminò un po' meglio i suoi occhi azzurri, lo riconobbi.
Lo sconosciuto del gruppo extrascolastico, quel tale che mi aveva sorriso senza un motivo preciso.
Lui, una volta accesa la sigaretta, spense la piccola fiamma e me lo porse. Il suo sguardo incontrò il mio. Fu questione di qualche secondo prima che anche lui si ricordasse di me.
Si sfilò la sigaretta di bocca e sorrise apertamente. "Ehi! Il povero martire vittima della Martin!" esclamò.
Ridacchiai, stupito che in fondo mi avesse riconosciuto. "In persona."
Il ragazzo allungò una mano e si presentò: "Louis Tomlinson, molto piacere."
"Zayn Malik." Gli strinsi la mano con vigore, mentre il tipo mi squadrava con aria interessata.
"Sì, conosco il tuo nome" disse poi, emettendo uno sbuffo fumoso.
"Davvero?" domandai, sorpreso. Inalai il fumo e attesi che Louis rispondesse.
Lui rise. "La cosa ti sorprende tanto? Tutti ti conoscono per essere stato il fidanzato di Emily Wood." Mi fece l'occhiolino, quasi a volermi suggerire qualche messaggio in codice.
"Già... Per essere stato" sottolineai, scalciando un sassolino con aria imbarazzata.
Louis appoggiò una mano sulla mia spalla. Alzai lo sguardo e lui, parlando con tono pratico, aggiunse: "Senz'altro una bellissima ragazza, amico, ma vale ancora la pena di quel muso imbronciato che ti si vede ogni giorno?"
Risposi con una levata di spalle. "Ci siamo lasciati solo da un mese..."
Louis alzò un dito e fece segno di no. "Prima di tutto, lei ti ha lasciato. Stando alle voci che circolano, non è stato un atto consenziente da parte tua. E poi... lei ti ha lasciato già da un mese, Zayn. È ora che tu dia inizio alla tua rinascita."
Guardai Louis con tanto d'occhi: ero terribilmente indeciso se odiarlo per il modo in cui faceva facile la mia questione, o se ringraziarlo per la schiettezza con cui mi trattava.
"Avanti, vuoi piangere?" domandò, allargando le braccia a mo' di benvenuto. "Vuoi che ti dica quanto la vita è ingiusta e l'amore faccia schifo? Vuoi che ci soffermiamo sui dettagli più romantici e malinconici della tua storia con Emily?"
Scossi il capo, confuso. "No... Io sto superando tutto questo..."
Louis batté le mani, cogliendomi di sorpresa. "Ecco! Questo volevo sentirti dire, amico. Superare! Andare oltre una relazione con un'ochetta che vive di coreografie e stupidi pompon. Cosa credi? Di essere l'unico ad aver sofferto di un male così atroce e insostenibile? Zayn, tu sei solo l'ultimo di una lunga lista!"
Inspirai il fumo restando in perfetto silenzio. Perché Louis si prendeva il permesso di dissacrare Emily ed elevarmi a centro delle sue attenzioni? Era per caso gay? Il dubbio sfiorò la mia mente e fui sul punto di domandarglielo, ma poi decisi di tacere per aspettare di sentire dove il suo discorso sarebbe andato a parare.
"Tutti siamo stati male per qualche stronza travestita da angioletto, ma come ci vedi ora? Felici e spensierati, perché abbiamo capito che loro non meritano mesi e mesi di pene."
Ridacchiai sotto i baffi e Louis s'interruppe per fare un tiro con la sua sigaretta mezzo consumata. Poi allargò di nuovo le braccia e riprese con tono più mite: "La tua ex ragazza si scopa quel bamboccione di Styles? Buon per lei! Tu dimostrale che non sei un coglione pronto a riprenderla quando tornerà con la coda tra le gambe."
Aggrottai la fronte. "Perché dovrebbe tornare da me? Styles sa come tenersi stretta una ragazza..."
Louis annuì e sorrise. "Sì, certo, manie da bohémien, capelli arruffati e aria da poeta tormentato. Harry Styles sa bene come attrarre le ragazze, ma non è l'unico. E se cominciassi a guardarti attorno?"
"Mi guardo già attorno" protestai.
"E allora perché sei qua fuori con un idiota come me che ti fa la predica? Perché non sei là dentro a rimorchiare una ragazza qualsiasi?"
Sbuffai nell'aria gelida. "Perché non sono così... Non sono quel tipo di persona."
Louis Tomlinson scoppiò a ridere. "Ed è qui che sbagli: tutti siamo, in fin dei conti, interessati all'amore facile. E proprio la tua dolce Emily dovrebbe averti fatto capire questa lezione, ma a quanto pare avevi bisogno di me..."
Scossi il capo, divertito. "No, io sono serio. Non cerco un passatempo per dimenticare Emily."
"Non dev'essere un passatempo. Dev'essere uno stile di vita, Zayn" mi corresse Louis.
Lo guardai dritto negli occhi. "Perché ti affanni tanto per me? Non mi conoscevi nemmeno fino a tre minuti fa."
Louis terminò la sua sigaretta e la gettò a terra. Con la punta della scarpa schiacciò il mozzicone e fece schioccare le labbra, come se si preparasse a tenere una lezione.
"A scuola nessuno mi conosceva prima di Sarah. È stata la mia prima vera fidanzata. Ci siamo conosciuti durante un soggiorno all'estero e da allora l'ho amata con tutta la forza che avevo in corpo. Scrivevo canzoni per lei, suonavo quasi solamente per tesserne le lodi. Non ho mai nemmeno concepito l'idea di poterla tradire. Poi, a distanza di due anni dal nostro fidanzamento, lei mi ha lasciato. Avrei anche potuto sorvolare su ciò, se non fosse stato per le sue motivazioni: non spendevo abbastanza per i suoi canoni, i miei gesti erano vuoti perché 'alla portata di chiunque', e a lei non interessavano ritornelli sdolcinati, bensì soldi. D'altronde, cosa vuoi che sia comporre canzoni per te e dedicarti praticamente la mia intera vita? Cose da nulla, diceva Sarah..."
Rimasi in silenzio, colpito dalla rilassatezza con la quale Louis snocciolava quella che per lui doveva essere stata una storia dolorosa.
"Che cos'ho fatto dopo? Inizialmente mi sono comportato esattamente come te, ero disperato. Volevo addirittura ricoverarmi in uno di quei gruppi di anonimi instabili che parlano e parlano senza mai arrivare a una soluzione. Poi ho aperto gli occhi e, dopo aver perso vecchi amici ed essere stato bocciato, ho deciso di invertire rotta. Ho iniziato a coltivare hobby, mi sono procurato un lavoretto part-time, ho dato una rinfrescata al mio stile."
"E questo è bastato a farti sentire meglio?" domandai, scettico.
Louis sfoderò un sorriso magnetico. "No. Ciò che mi ha fatto stare meglio è stato scoparmi una pentitissima Sarah per poi liquidarla con cinque sterline di mancia. Giusto per dimostrarle che in fin dei conti, anch'io sono capace di spendere soldi per lei."
A quella risposta non fui più in grado di tenere il broncio e scoppiai in una fragorosa risata. Louis fece lo stesso e rimanemmo così, sotto quel cielo oscuro catturati dal nostro ridere senza sosta.
"L'hai davvero fatto?" esclamai, divertito.
Louis annuì, mentre si accendeva la seconda sigaretta. "Da quel giorno, nessuna ragazza mi ha più fatto soffrire. E Sarah ha avuto bisogno di un po' di tempo per leccarsi le ferite."
"Non so se definirti un genio o un stronzo coi fiocchi" confessai.
Louis rise. "Non sono un po' tutti e due?"
Annuii, tacqui un attimo. Calò un breve silenzio, interrotto solo dagli sbuffi di fumo che Louis rilasciava nella fredda aria attorno a noi.
"Ho un dubbio: questo gesto non ha compromesso le tue possibilità di uscire con altre ragazze?" chiesi poi, ormai troppo curioso per tacere.
"Assolutamente no. Le ragazze non aspettano altro che infilarsi nel letto di uno stronzo che le faccia sentire parte di un gioco intrigante. Ma non c'è nulla di intrigante in una notte di puro e sfacciato sesso. Sperano sempre di essere quelle che ti cambieranno, che ti trasformeranno. E quando capiscono che questo non succederà mai, le distruggi."
"Quindi tu stai facendo tutto questo per Sarah?"
Louis fece cenno di no col capo. "Io faccio tutto questo grazie a Sarah. Lei non m'interessa più da molto tempo ormai, così come non m'interessa nessun'altra. Quando voglio avere qualcuno che penda dalle mie labbra, mi basta afferrare la chitarra e cantare testi sull'amore eterno e... boom!", allargò le braccia imitando l'esplosione di una bomba, "Loro crollano alle prime note e io non sono mai solo."
Scossi il capo, sorridendo con ammirazione a quel ragazzo così vivace e sorprendente. Non avrei mai creduto di arrivare a dirlo, ma non riuscivo proprio a disprezzarlo. Nonostante Louis giocasse a fare l'arrogante mitomane, aveva un modo affascinante di esporre le sue idee. Mi piaceva l'ironia con cui parlava delle ragazze, adoravo la sicurezza che aveva di sé.
"Non ti sembra che Emily meriti lo stesso?" domandò infine Louis, soffiando lentamente il fumo fuori dalla bocca.
Alzai le spalle, indeciso. "Non penso sarei bravo quanto te nel comportarmi in questa maniera."
Louis gesticolò con la mano libera. "Devi provare. Certe volte l'alunno emula il maestro."
"Ma io ho un carattere diverso dal tuo."
"Non mi conosci granché, come puoi dirlo? Anzi, scommetto che non conosci bene nemmeno te stesso. Hai uno sguardo vispo, secondo me saresti capace di compiere anche gesti migliori."
Sbuffai, indeciso se considerare quelle parole come complimenti.
"Dovresti iniziare col dare un'aggiustata a capelli e vestiti..." suggerì Louis senza che nessuno gli avesse chiesto consigli.
Spiai i miei vestiti, perplesso. "Che cos'ho che non va?"
Louis afferrò un lembo della mia t-shirt e mise su un'espressione di sufficienza. "Questi non sono di certo i vestiti migliori per qualcuno che vuole iniziare una carriera come donnaiolo."
Tirai via la mia maglietta dala sua presa. "Ti cedo volentieri il posto. Non voglio che il mio letto diventi punto d'incontro per single disperate."
Louis strabuzzò gli occhi. "Pensavo fossimo d'accordo: tu cambi stile di vita e ti dai alla tua vendetta."
"Pensavo fossimo d'accordo: la mia vendetta riguarderà solo Emily!" ribattei.
Louis abbozzò un mezzo sorriso. "Perché colpire una sola ragazza quando il mondo è pieno di possibili vittime?"
Sospirai, combattuto: da una parte mi sarebbe piaciuto seguire alla lettera i consigli di Louis per il solo gusto di sfogare la mia frustrazione, ma dall'altra sentivo che quello non sarebbe stato il modo migliore di risolvere le cose.
"Perché tutte le altre non mi hanno fatto nulla di male. È stata Emily a spezzarmi il cuore, perché dovrei prendermela con delle sconosciute?"
"Zayn, rifletti attentamente: come ti sembrava Emily?"
Alzai un sopracciglio: cosa voleva dire?
"Sembrava una persona normale..."
"Una ragazza fedele? Innamorata?"
Annuii. Non capivo dove volesse arrivare.
"Bene. E come si è rivelata essere in realtà?" domandò poi Louis.
Sbuffai. "Una stronza."
Louis annuì a lungo. "Esattamente. E che cosa ti fa credere che le altre ragazze siano diverse? Sarah, Emily... non ti bastano come prove? È un semplice caso il fatto che tutti i ragazzi abbiano sofferto atrocemente per una ragazza almeno una volta nella loro vita?"
"Loro potrebbero dire lo stesso di noi, però..." gli feci notare.
"No. Non è lo stesso. Emily non può permettersi di dirsi delusa da te. Emily non può dire di esser stata male, di aver pianto, di aver vissuto giorni infernali per colpa tua. Emily non è la vittima, è il carnefice. Sono loro, le tanto amate e venerate fidanzatine, a provocarci, a sfidarci, a permetterci di diventare ostili e diffidenti. Se loro non hanno esitato nel piantarci il pugnale nel petto, perché noi non dovremmo permetterci di tormentarle per il resto delle loro vite?"
Risi, colpito dai modi espressivi di Louis. Quel ragazzo mi piaceva. Quasi quanto mi piacevano le sue promesse di vendetta.
"Allora, Zayn Malik... vogliamo ribaltare questa situazione di merda?" mi chiese Louis, appoggiandosi al muro del Bradford Rio's e infilando le mani nelle tasche del cappotto.
Ero uscito dal locale per fumare una semplice sigaretta, abbandonato da amici troppo ubriachi anche solo per capirmi quando parlavo. Alla fine però avevo comunque trovato compagnia, forse pure migliore di quanto avessi potuto sperare. Un vero combattente: ecco come appariva Louis Tomlinson ai miei occhi. Un ragazzo tenace e forse anche un tantino sopra le righe. Ma mi piaceva il suo modo di vedere le cose, mi piaceva il fatto che si fosse volontariamente proposto di aiutarmi, mi piaceva il pensiero di ripagare Emily con la sua stessa moneta.
Tormentarle per il resto delle loro vite...
Non avevo mai agito così sfrontatamente, eppure chi poteva dire che fosse sbagliato? Chi avrebbe potuto giudicarmi? Nessuno aveva accusato Emily di essere una stronza sleale dopo avermi tradito con Harry Styles ed avermelo nascosto, quindi per quale motivo la gente avrebbe dovuto considerare me scorretto?
Guardai Louis dritto negli occhi e sorrisi, fiducioso.
"Sai che ti dico? Al diavolo tutte! Sono stato male anche troppo a lungo" sentenziai.
Fu con queste parole che io e Louis Tomlinson demmo inizio al nostro fortunato sodalizio.

***
 
E assieme al Natale, alle vacanze, al freddo tagliente e al relax arrivarono anche i cambiamenti. Furono probabilmente il regalo più atteso e più apprezzato.
Dalla sera di quel memorabile venti dicembre la mia vita si ridimensionò sensibilmente. Non avrei mai pensato che sarebbe successo tutto così in fretta, eppure l'amicizia di Louis Tomlinson mi aprì le porte del paradiso: il mio nuovo complice non volle separarsi da me senza aver prima salvato il mio numero di cellulare. Mi aveva contattato qualche giorno dopo perché ci bevessimo una birra insieme e durante la serata avevamo nuovamente discusso di tutte le problematiche riguardanti relazioni amorose e sentimenti. Louis era definitivamente riuscito a convincermi a mollare la presa sui ricordi legati ad Emily e ad andare avanti.
Fu per questo che, per inaugurare in maniera adeguata l'anno nuovo, decisi di dedicarmi alla pulizia della mia vecchia vita: cancellai dalla mia camera da letto ogni traccia del passaggio di Emily, Louis mi costrinse a eliminare anche tutti i suoi messaggi. Il gesto fu difficile, al momento dell'eliminazione definitiva avevo esitato un'altra volta: le mia mente stava ancora passando in rassegna una ad una tutte le nostre fotografie insieme e il groppo in gola non voleva saperne di sciogliersi. Ma Louis non aveva voluto sentir ragioni: Emily andava fatta fuori per sempre, finché fossi rimasto incollato alle immagini di una felicità che non esisteva più, non mi sarei mai ripreso dal mio malessere.
Così avevo fatto un reset totale della mia esistenza fino a quel momento: niente più ragazze, niente più sentimentalismi, niente più esitazioni. Avevo gettato nel cassonetto tutte le camicie e le magliette che mi erano state regalate dalla mia ex fidanzata, assieme a braccialetti, lettere, poster, sciarpe. Tenni per me solo film e cd musicali, perché ero troppo affezionato a oggetti come la mia esclusiva collezione di musica jazz per cederli alla spazzatura.
Assieme a mia sorella Doniya avevo preso d'assalto i negozi del centro città durante il mese di gennaio, alla disperata ricerca di nuovi capi a prezzi accessibili: buttando via i regali di Emily avevo reso il mio armadio spoglio e misero. La cosa mi aveva preoccupato a tal punto da spingermi a intere giornate di shopping: fortunatamente mia sorella era una vera esperta in fatto di abbinamenti, di tessuti e di mode. Mi seguì di negozio in negozio, consigliandomi sulla qualità dei capi che provavo e soprattutto sullo stile che più mi si addiceva.
Il riempimento del mio armadio andò però di pari passo con lo svuotarsi del mio portafogli, per cui a fine mese dovetti mettere un freno a quella che stava diventando quasi una mania.
Il ventitré gennaio mi alzai di buon'ora e, cercando di non fare troppo rumore, indossai pantaloni, felpa e scarpe da ginnastica. Scesi al piano di sotto e afferrai le chiavi di casa. Uscii sul pianerottolo ancora circondato dal profumo della notte. Il cielo si stava facendo lentamente più chiaro, ma non c'era ancora anima viva in giro per le strade.
Mi incamminai in direzione del Bowling Park a passo sostenuto. Fu davanti ai cancelli del parco che intravidi Louis, fermo ad attendermi. Quando anche lui si accorse di me, mi salutò con un ampio gesto della mano.
Io e Louis avevamo cominciato a fare jogging insieme da poco più di un mese: ci trovavamo ogni mattina all'ingresso del Bowling Park e correvamo per circa un'ora, accompagnati dal lento risveglio della città.
"Questa mattina si gela" disse quello che stava diventando il mio nuovo migliore amico.
Gli diedi il cinque e risposi: "Sarà anche più stimolante correre."
Louis sorrise. "Questo lo dici tu."
Entrammo nel vasto parco del quartiere e io attaccai con una camminata vigorosa. Louis, invece, si mise a correre senza fretta, precedendomi di qualche metro.
"Che ti prende? Non dicevi che sarebbe stato più stimolante?" mi apostrofò, ridacchiando.
Sbuffai, infreddolito. Cominciai a corrergli dietro. "Aspettami, Lou'!"
Lui non rallentò, lo vidi proseguire per la sua strada come se non avessi parlato. Accelerai il passo e in breve fui al suo fianco. Il mio amico si voltò e mi lanciò un'occhiata di sfida.
"Come sta andando?" mi chiese, spezzando il silenzio.
Cercando di non pensare alla fatica della corsa, risposi: "Di che cosa parli?"
Louis prese un respiro leggermente più profondo. "Come sta andando l'opera di ripristino?"
Mi lasciai scappare una risatina che costò cara alla stabilità del mio respiro. "Procede alla grande. Sai che non penso più a Emily ogni giorno?"
"I vestiti nuovi ti stanno dando alla testa?" scherzò Louis.
Sorrisi e lo guardai. "Guarda che i vestiti sono stati una necessità."
Louis annuì. "Come sarà una necessità iniziare a truccarsi e a indossare tacchi?" mi domandò.
"Lou', va' al diavolo!"
Il mio amico rise e respirò a pieni polmoni, stancato dalle nostre chiacchiere.
"Comprarsi un paio di magliette e di felpe non equivale a diventare gay" lo tranquillizzai.
"Ne sono felice, perché la tua missione non è ancora finita" mi fece notare lui.
"Cosa intendi?" chiesi, stentando a parlare per colpa del poco fiato rimastomi.
Louis rallentò leggermente il passo e mi lanciò un'occhiata veloce. "Visto che non hai tenuto fede alla parola data, dovrò provvedere io alla tua reputazione."
"Quale reputazione? E soprattutto, quale parola data?"
"Zayn Malik, ma ti sforzi per essere così ritardato?" mi prese in giro Louis.
"Tu però non ti sforzi di essere un po' più chiaro quando parli..." replicai.
Il mio amico rallentò ulteriormente fino quasi a fermarsi. Io lo seguii, impossibilitato a camminare e a parlare contemporaneamente. Non ero abbastanza allenato per un'impresa del genere.
Louis mi guardò con aria seria. "Dove sono le ragazze che devi conquistare e abbandonare?"
Sospirai: non avevo nemmeno più considerato quel lato della faccenda. Louis aveva a lungo insistito perché io lo prendessi a modello, ma in quell'ultimo mese mi ero concentrato più su me stesso che sugli altri. Avevo preferito ricominciare a badare alle mie esigenze anziché preoccuparmi di chi sarebbe stata la mia prima vittima.
"Ti serve un mezzo per attirare l'attenzione della gente, non sei ancora abbastanza stimato" mi spiegò Louis. "Credi davvero che ora Emily sappia che cosa ne è stato di te nell'ultimo periodo?"
"Non m'interessa il fatto che Emily abbia mie notizie" mentii, corrucciato.
In verità, nonostante la stessi dimenticando e nonostante i miei innumerevoli buoni propositi in merito, Emily era ancora presente in una zona remota della mia testa. Quando pubblicavo uno stato o una foto su Facebook, speravo sempre che lei fosse tra i primi a visualizzare la novità, in modo che vedesse chi stavo diventando, che si rendesse conto di non essere stata la mia fine.
"Certo, amico, racconta a qualcun altro queste stronzate" mi smontò Louis. "Io ho la soluzione adatta a uno come te: il gruppo teatrale extrascolastico."
Aggrottai la fronte e non tentai di reprimere una risatina di scherno. Louis mi guardò con fare perplesso.
"Che c'è?"
"Non entrerò mai in quel tuo gruppo extrascolastico."
"Per quale motivo?"
Scossi il capo. "Ad amministrarlo è la Martin, e chi vi prende parte? Una come Sayoko!"
Louis sospirò. "Sayoko è solo una delle tante ragazze, ci sono anche presenze di bell'aspetto, fidati."
"Come no, e dove sarebbero?"
Louis tirò fuori un sorriso sornione. "Se magari muovessi il tuo bel didietro e ci degnassi della tua partecipazione, principino, le vedresti anche tu."
Incrociai le braccia al petto. "Per quale motivo poi dovrei entrare a far parte di un gruppo teatrale? Io non so nemmeno recitare!" esclamai.
"Non devi sfondare come premio Oscar il prossimo anno, Zayn! Ti basterà cambiare aria, incontrare nuova gente e farti conoscere."
"Ma non ho talenti!"
"Lo dici senza aver mai provato a leggere un copione."
Da quando avevo stretto amicizia con Louis Tomlinson mi era stato subito chiaro che ogni discussione si sarebbe sempre risolta in suo favore. Io ero solo un povero ragazzino che doveva prendere esempio dal grande maestro.
"Zayn, fai almeno un tentativo. Sarà divertente prendersi gioco di quella scema della tua ex."
"Che cosa c'entra lei col gruppo extrascolastico?" chiesi.
Louis allargò le braccia. "Non è ovvio? Allo spettacolo di fine anno ti vedrà tutta la scuola."
"Emily sarà sicuramente in giro per l'Europa col suo fidanzatino..." commentai con stizza.
"In caso scegliessero di andare a prenderlo in quel posto, ti consiglierei caldamente di seguirli" fu la spiritosissima replica di Louis.
Finsi una risata poco entusiasta e lui mi diede una pacca sulla spalla. Riprendemmo una camminata sostenuta.
"Dai, Zayn, non farmi penare. Accetti la proposta?" riprese Louis, questa volta più serio.
Non risposi subito. Guardai il cielo, ora di un azzurro scuro velato solamente dalle nuvole cariche di pioggia. Avevo già avuto una discussione del genere in precedenza e, come allora, avevo rifiutato con fermezza di entrare nel gruppo teatrale della scuola. Sayoko era stata insistente, ma il suo carattere non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello di Louis Tomlinson.
"Secondo me siamo ancora in tempo per prenderti con noi nel gruppo" rifletté lui per conto suo. "E poi, posso sempre intercedere per te. Chad è mio amico."
"Chi è Chad?" chiesi.
"È il vero capo del gruppo. La Martin si occupa solo di qualche dettaglio, è Chad a tenere le redini. Non ama perdere tempo ed è un maledetto perfezionista, ma grazie al suo caratteraccio noi siamo un gruppo davvero affiatato."
"E perché tu non reciti?" domandai ancora. Non avevamo mai affrontato il discorso riguardante il gruppo extrascolastico di cui Louis faceva parte.
"Perché seguo corsi di canto da quando ho sette anni, quindi so già qual è la mia strada" rispose con una certa naturalezza.
Annuii. "Quindi mi stai gettando nella tana del lupo senza nemmeno assistermi."
Louis sbuffò. "Non farla così tragica! Chad non ha ancora cominciato a mangiare persone."
Sorrisi. "Non so perché, ma ho come il presentimento che finirò per accettare."
Louis non nascose la sua soddisfazione e alzò un braccio in alto in segno di vittoria. "Hai incontrato il ragazzo più carismatico della Tong High School: che cosa ti aspettavi?"
"Non di certo un terremoto..." mormorai.

 
***

Quel match era stato vinto da Louis: promisi di assistere a un intero pomeriggio di prove del gruppo teatrale della scuola. Quel giorno stesso non sarei tornato a casa dopo la fine delle lezioni ma lo avrei accompagnato nella vasta palestra colorata, dove praticamente ogni pomeriggio lui e i suoi amici si riunivano per provare scene da quattro soldi e canzonette scontate.
Ero alquanto scettico a proposito dei suoi piani. Proprio ora che stavo finalmente concedendo una tregua al mio cuore, lui voleva che tornassi nella mischia.
Controllai l'ora sul mio telefono cellulare: era quasi l'una e mezzo. La campanella sarebbe suonata di lì a breve, Louis mi aveva fatto promettere di non mancare. Le prove coordinate da quel misterioso Chad e dalla Martin avevano inizio fin dal primo pomeriggio, per terminare verso le cinque. Insomma, occupavano gran parte del tempo libero dei partecipanti.
Cominciai a rimettere ordinatamente a posto libri e quaderni che avevo lasciato aperti sul banco, cercando di non fare troppo rumore. La Stevenson non aveva ancora terminato la sua spiegazione e io non volevo mostrare tutto il disinteresse che nutrivo per quelle ore.
"Facciamo un patto: tu vieni ad assistere alle prove, ti fai un'idea di come svolgiamo il nostro lavoro e in seguito decidi. Che te ne pare?"
"Mi sembra inutile, ma penso di non aver niente di meglio da fare a casa."
"Ogni tanto mi domando perché abbia scelto di aiutarti..."
E poi che cosa c'entravo io con un gruppo teatrale? Louis sosteneva che quello fosse il metodo più efficace di mettermi al centro dell'attenzione dell'intera Tong High School, ma io nutrivo dei seri dubbi in proposito. Su Facebook Emily dimostrava di essere interessata solamente più a tutto ciò che girava attorno al suo adorato Harry Styles. Il suo profilo era intasato da decine di fotografie al giorno, link, commenti, stati nei quali, ogni due parole, compariva un paio di cuori consecutivi. C'era solo spazio per lui, Harry Styles, l'uomo della sua vita, la realizzazione dei suoi più intimi sogni d'amore.
Chiusi gli occhi, per un attimo di nuovo accecato dalla rabbia. Non era così facile dimenticare Emily e andare avanti una volta per tutte. Nonostante mi impegnassi seriamente nell'impresa, non ero ancora davvero guarito. E Louis lo sapeva bene, ecco perché insisteva per distrarmi.
Riaprii gli occhi e tornai a riordinare la mia roba nella cartella.
Avevo chiesto al mio nuovo grande amico per quale motivo si preoccupasse così tanto del mio soffrire; Louis aveva risposto che semplicemente rivedeva se stesso in me e che non voleva assistere alla stessa scena due volte. Lui aveva già sofferto abbastanza per entrambi, io sarei stato la prova che era possibile vincere le sfide più ardue in amore.
La campanella finalmente suonò. Sospirai, infilai per ultimo il portapenne nella cartella e mi alzai. Fui il primo a lasciare l'aula.
Attraversai i corridoi dell'istituto marciando nel senso opposto a quello di tutti gli altri studenti. Non avevo aspettato Sayoko, né le avevo annunciato la mia partecipazione: non sapevo bene come rapportarmi a quella ragazza così strana.
Come quando avevo seguito la Martin sperando nel suo aiuto, più di un mese prima, mi recai alle porte della palestra. Non riuscivo ancora a vedere nessuno, forse ero arrivato troppo in anticipo. Dopo qualche minuto d'incertezza, decisi di accomodarmi sulla panca di legno mezzo consumata che era stata sistemata proprio di fronte alle porte. Tirai fuori dalle tasche il cellulare, poi lo rimisi al suo posto; riannodai i lacci delle mie scarpe da ginnastica, poi mi accertai che non avessi dello sporco tra i denti. Infine, quando per la disperazione stavo per chiamare Louis, sentii un lontano rumore di passi.
Mi alzai di scatto dalla panca e attesi, in posizione come se fossi un soldato. Vidi sbucare dal corridoio un uomo alto e imponente, dalla barba folta. Era lo stesso curioso personaggio già incontrato la volta precedente in palestra, prima che la Martin finalmente mi lasciasse parlare.
"Aspetti qualcuno?" mi domandò prontamente quel tizio, senza troppi preamboli.
Non mi piaceva, ecco la primissima impressione. "Sono qua per assistere alle prove."
L'uomo sembrò soffermarsi su di me con più attenzione: mi fissò dritto negli occhi, poi studiò velocemente il resto del mio corpo. Mi sentii immediatamente messo a nudo da quegli occhi scuri e piccoli, celati dietro le spesse lenti degli occhiali dalla montatura nera.
"Come ti chiami?" mi domandò infine.
Chissà se gli ero andato a genio oppure se stesse progettando di farmi fuori con qualche spiccia cattiveria?
"Zayn Malik", allungai il braccio per porgergli la mano.
Lui soppesò il gesto quell'istante di troppo che riuscì nel farmi sentire un completo imbecille.
Ottimo inizio, Zayn... Davvero ottimo!
"Io mi chiamo Chad. Solo Chad. Sono io a dirigere il gruppo e a creare coreografie, scenografie, dialoghi, personaggi. Dedico la maggior parte del mio tempo a questo gruppo, ai membri che ne fanno parte, provvedendo sia alla loro crescita sia alla loro soddisfazione come artisti. E non mi va di gettare il mio lavoro alle ortiche: per questo non permetto mai a nessuno di assistere alle nostre prove."
Mi sentii gelare da quella risposta. Chad era davvero un personaggio particolare, Louis aveva avuto ragione!
Mi schiarii la voce e ritentai: "Louis Tomlinson mi ha proposto di dare un'occhiata al vostro gruppo, pensa che io..."
Al sentire il nome di Louis Tomlinson, Chad sembrò cambiare atteggiamento: il cipiglio scontroso lasciò spazio a un'espressione più rilassata.
"Louis?"
Annuii. "È mio amico ed è stato lui a suggerirmi di venire qui oggi pomeriggio."
Chad si passò una mano sul volto e sospirò. "Tipico di quel ragazzo: prende decisioni, combina affari... Si comporta come un vero leader. Ti sei scelto un amico davvero influente."
Non ero sicuro, ma quello mi suonò come un segno di resa.
Chad aprì le porte della palestra con una chiave in suo esclusivo possesso. Entrò senza dirmi nulla, ma io non esitai: lo seguii senza abbassare la testa. Mi sentivo offeso da quel rifiuto preliminare: Chad nemmeno sapeva che tipo di persona fossi, perché si era comportato in modo così austero?
"Ho avuto a che fare con plagi e critiche negli anni passati" spiegò poi lui, come se avesse letto i miei pensieri.
Si stava affaccendando alle prese con i cavi degli amplificatori posti agli angoli del palco. Io ne raggiunsi la base, restando a terra per paura di osare troppo.
"La gente s'intrufola qua", lo vidi allontanarsi verso il fondo del palco con i cavi ancora stretti nel palmo della mano, "e dopo non molto, arrivano notizie di furti di idee o di battute."
Stavo per rispondere quando sentii un trambusto indefinito alle mie spalle: girandomi, intravidi i primi membri del gruppo sopraggiungere. Ben presto il silenzio di poco prima fu rimpiazzato da voci allegre e tonanti.
Pensai che forse le mie possibilità di parlare con Chad sarebbero state scarse da quel momento in avanti, per questo gli domandai in tutta fretta: "Per oggi pomeriggio posso restare, quindi?"
L'uomo si voltò. Dapprima guardò verso i suoi pupilli in arrivo, senza abbandonare il suo sguardo severo e contenuto; infine mi rivolse un'occhiata veloce e annuì.
Non si era sprecato in cerimonie e paroloni, ma forse qualcosa in me lo aveva tranquillizzato. O forse era stato il nome di Louis?
Mi sedetti su una panca ad uno dei lati della palestra e rimasi in attesa di veder spuntare il mio 'amico davvero influente'.
Alcuni ragazzi si avvicinarono al palco, ignorando i miei sguardi curiosi, e posarono zainetti e borse alla base. Molti si tolsero anche le scarpe e salirono sopra il palchetto allestito. Chad consegnò dei fogli a quei ragazzi, prese da parte due studentesse e impartì loro dei comandi con fare perentorio.
Distratto com'ero da quelle scene, non mi accorsi del resto dei ragazzi che stava arrivando. Li notai solo quando furono tutti nei pressi del palco, abbastanza lontani da dov'ero io.
La mia attenzione fu catturata in particolare da un minuto ragazzetto biondo: sembrava calmo e intimidito dalla vivacità dei suoi colleghi. A tracolla portava una chitarra classica marrone, che sembrava trattare con la massima cura. Si sedette sul bordo del palco, le gambe penzoloni, e cominciò ad accordare il suo strumento, isolandosi dal resto del mondo. Io restai in ascolto delle lievi note che produceva tirando le corde. La bocca socchiusa, gli occhi bassi e vigili e l'aria completamente assente di quel ragazzo mi fecero un effetto strano: non pareva stesse maneggiando una semplice chitarra, era più come un amante in presenza della sua musa.
Il ragazzo si riscosse solo quando a disturbarlo fu qualcuno a me ben noto: Louis Tomlinson arrivò alle sue spalle e gli rifilò una pacca amichevole. Il tipo tirò su la testa e scoppiò a ridere di una battuta che io non fui in grado di sentire.
Mi alzai in piedi e attraversai lo spazio che mi divideva dal palco. Mentre camminavo, sentii parecchi sguardi puntati addosso: spiai in direzione degli sconosciuti attorno a me e notai parecchie ragazze squadrarmi da testa a piedi. I loro non erano sguardi ostili, ma assolutamente interessati. Percepii un forte calore all'altezza di fronte e guance, come se stessi avvampando. Non ero abituato a tante attenzioni.
"Il mio miglior alunno!" esclamò Louis, vedendomi arrivare.
Gli sorrisi, ponendomi alla base del palco di fronte al ragazzo biondo che impugnava la sua chitarra con fierezza. Questo mi guardò e sorrise.
"Ciao" mi salutò.
"Ciao."
Louis guardò prima lui poi me. "Avete intenzione di presentarvi o devo sempre fare tutto io?" scherzò.
Il biondino rise e allungò una mano nella mia direzione. "Sono Niall, piacere."
Strinsi la presa e risposi: "Zayn Malik. Ti stavo osservando da laggiù, sembri bravo con quella", e feci cenno alla sua chitarra.
Niall si grattò la nuca con fare imbarazzato. "Grazie... La stavo solamente accordando..."
Louis mi fece l'occhiolino. "Niall è troppo modesto. Qui nei dintorni non c'è chitarrista migliore, ma non lo ammetterà mai."
Il ragazzo diede un colpo a Louis. "Non esagerare, Lou'!"
"Se la cava pure meglio del sottoscritto!" esclamò Louis, fingendosi incredulo.
Niall questa volta si limitò a una risata. Si tolse di dosso la tracolla della chitarra, che appoggiò delicatamente sul palco; poi si alzò in piedi e mi domandò: "E tu di che cosa ti occupi?"
Balbettai qualche parola a caso, indeciso, e infine risposi: "In verità al momento assisto solo alle vostre prove."
Louis mi fissava con aria soddisfatta. Si mise in mezzo per aggiungere: "Ma ben presto entrerà anche lui a far parte del gruppo, ne sono sicuro."
Niall faceva scorrere lo sguardo da me a Louis senza davvero capire bene come mai fossi spuntato dal nulla proprio ora: era quasi fine gennaio, le prove del gruppo in vista dello spettacolo di fine anno erano già ben avviate, perché io mi presentavo ora a Chad?
"Voi siete amici?" domandò infine Niall, indicando prima Louis poi me.
Io guardai il mio amico, sperando che dicesse qualcosa di azzeccato anche questa volta.
"Sì, ormai... ormai io e Zayn Malik siamo grandi amici, Niall!"
Il biondino annuì, poco convinto. "E da quando? Mi sono perso qualcosa?"
Louis allungò un braccio attorno alle spalle di Niall e lo guardò con aria complice. "Ti basti sapere che sto per rivoluzionare la vita del nostro nuovo amico."
Io, che nel frattempo non mi ero perso una sola parola, potei vedere l'espressione stupita dipinta ora sul volto di Niall. Questo mi guardò e alzò le sopracciglia, come se stesse ancora valutando la novità.
Louis aveva chiaramente detto 'nostro amico', includendo anche Niall nella sua cerchia. Era un buon segno? Oppure Louis sarebbe stato l'unico a poter sopportare la mia monotona routine fatta di lamentele e promesse di rivincita?
"Be', Zayn, in bocca al lupo: quando Louis si mette in testa qualcosa, difficilmente non arriva a realizzarla" concluse Niall, sorridendomi con gentilezza estrema.
Sospirai, sollevato: la prova era stata superata. Niall sembrava ricambiare la mia spontanea simpatia nei suoi confronti.

 
***
 
Durante il corso delle prove io rimasi in disparte sulla panca dove mi ero spostato fin dall'inizio. Chad non mi disse nulla, si comportò esattamente come se io non mi fossi mai presentato in palestra quel pomeriggio. Le uniche ad accorgersi anche eccessivamente dei miei occhi puntati sul palco erano le stesse ragazze che a inizio pomeriggio mi avevano squadrato con sguardi voraci, quasi stessero provando a mangiarmi con la forza del pensiero. Sebbene fossi conscio dell'effetto che quel giorno sembravo provocare, ignorai deliberatamente ogni occhiatina e ogni sorrisetto. All'inizio era stato difficile perché non ero abituato a quella novità e continuavo a tornare sui soliti volti alla ricerca di prove che confermassero il cambiamento: le ragazze, molte delle quali anche decisamente carine, staccavano gli occhi da me solo quando Chad si rivolgeva direttamente a loro. Per il resto del tempo, io apparivo visibilmente più interessante del loro capo gruppo.
Ma infine riuscii a distrarmi anche dalle costanti attenzioni femminili: tutto grazie a Niall e a Louis.
Non appena Chad diede l'ordine a Niall di armarsi di chitarra e microfono, io mi misi sull'attenti. Ero incuriosito da quel ragazzo dall'aria infinitamente calma e gentile, e ancor più mi incuriosiva la sua arte.
Quando Niall cominciò a pizzicare le corde della sua bella chitarra marrone, indovinai fin dalle prime note la canzone che avrebbero cantato: si trattava di Wonderwall degli Oasis. Louis lo accompagnava alla chitarra, mantenendo un cipiglio estremamente concentrato mentre maneggiava lo strumento.
Rimasi incantato a osservare le loro mani sulle corde, il modo in cui suonavano perfettamente sincronizzati. Le loro voci si fusero in un unico stupefacente canto. Il tono più graffiante e fresco di Louis seguiva in ogni ritornello la voce vivace di Niall, che aveva tutta l'aria di trovarsi nel posto giusto al momento giusto: lo vedevo sorridere a Chad e alle compagne intente a muoversi a ritmo di musica, gli occhi che brillavano dall'eccitazione.
In quei minuti, tre, quattro o cinque che fossero, io dimenticai il mondo. Dimenticai me stesso e tutto ciò che non era Niall o la sua chitarra. Nei miei occhi c'era solo più spazio per la sua immagine ritta in piedi con in braccio la chitarra e un microfono quasi attaccato alle labbra. Nelle orecchie continuavo a sentire quelle stesse parole: because maybe you're gonna be the one that saves me, and after all, you're my wonderwall.
Mi misi le mani davanti alla bocca e appoggiai i gomiti sulle ginocchia, assorto nell'ascolto della musica che aveva riempito la palestra e la mia testa. Il suono dolce delle chitarre e le voci vellutate che lo accarezzavano mi infondevano una pace che avevo quasi dimenticato. Era la stessa sensazione provata tra le braccia di Emily, mesi addietro, quando dopo una serata insieme ci addormentavamo abbracciati sul divano. Solo che in quel nuovo frangente mi sentivo euforico per qualcosa che non aveva nulla a che fare con una ragazza: il mio appagamento non dipendeva da un'altra persona, non dovevo spiegazioni a nessuno, ero semplicemente innamorato delle note che si rincorrevano una dopo l'altra in un gioco di melodie emozionanti.
Quando le prove di quel giorno finirono, provai ad avvicinarmi a Niall per esprimergli tutta la mia ammirazione, ma lui fu richiamato da Chad perché aiutasse a sgomberare il palco dagli amplificatori. Anche Louis si trattenne a dare una mano ai suoi compagni, perciò decisi di rimandare i complimenti all'occasione seguente.
Ripercorsi gli spaziosi corridoi della mia scuola, raggiunsi il cortile principale e il parcheggio dove avevo lasciato l'auto quella mattina. Il cielo era già scuro e l'aria fredda della sera prometteva pioggia. M'infilai al posto di guida e allacciai la cintura di sicurezza. Misi in moto la vettura e partii.
"Facciamo un patto: tu vieni ad assistere alle prove, ti fai un'idea di come svolgiamo il nostro lavoro e in seguito decidi. Che te ne pare?"
"Mi sembra un'ottima idea" sussurrai tra me e me, sorridendo al mio riflesso sul parabrezza.
Ora sapevo che cos'avrei fatto dei seguenti pomeriggi.




Privjet, fanciulle!
Finalmente siamo giunte a questo terzo capitolo, che dà l'avvio all'era del Nuovo Malik (hahaha). Insomma, dal quarto capitolo (I'm working on it) vedremo spuntare tante novità: nuove amicizie, nuovi interessi, nuovi PERSONAGGI...
Sì, la protagonista femminile sarebbe già dovuta apparire in questo capitolo, ma per motivi logistici non sono riuscita a inserirla (il capitolo sarebbe diventato una Divina Commedia). Quindi vi farò stare sulle spine ancora per poco - pochissimo! -.
Diciamo che per questa fan fiction ho studiato parecchi punti di svolta consecutivi, quindi non credete a nulla di quello che scrivo, perché ogni cosa potrebbe cambiare e... va be', forse sto esagerando un pochino, ma sono presa bene e ho già in mente taaaante cosucce per i personaggi.
Passando oltre, vi ringrazio di cuore per aver letto quest'altro capitolo: che ve ne pare? Vi è piaciuto? E che cosa pensate di questo Louis versione "bello e dannato"? A me onestamente piace, ero stanca di vederlo come personaggio "secondario" ovunque. Qua avrà un ruolo di spicco.
Fatemi sapere le vostre opinioni! :)
Grazie a tutte, davvero, quelle che hanno recensito e non, quelle che mi leggono di nascosto all'una di notte dopo una giornata pesante e quelle che si sono ripromesse di farlo più avanti. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto - anche se a me non convince fino in fondo - e... a prestissimissimo!



M.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Summer ***




 
Summer


 
Tutto cominciò con i venti minuti di doccia giornalieri. Per proseguire davanti allo specchio la mattina, cercando di evitare brutti tagli con il rasoio mentre mi facevo la barba. Poi fu il turno dei tragitti in auto verso scuola, delle pause che facevo nel pomeriggio quando studiavo e di ogni altro momento libero in cui mi capitava di restare solo.
Fu in modo apparentemente scherzoso e frivolo che cominciai a cantare.
Non avevo mai pensato di poterci riuscire senza provocare le risate di chiunque mi circondasse, eppure dopo aver assistito alle prove di Niall e Louis col resto del gruppo extrascolastico, mi sentivo pieno di energie e di entusiasmo. La loro musica mi aveva impressionato a tal punto da spingermi a provare una sorta di invidia per la loro arte: mi ero chiesto come fosse possibile che certa gente riuscisse a produrre qualcosa di tanto bello senza avere super poteri di alcun genere. E poi era arrivato il momento della domanda cruciale: perché non era toccata a me la fortuna di poter incantare il pubblico col solo aiuto della mia voce?
Così avevo provato e riprovato fino a convincermi di non essere poi troppo male nell'arte del canto. E la mia voglia di frequentare il gruppo di Chad era proporzionalmente cresciuta assieme a quella di cantare. Per questo, fin dalla mia prima volta in veste di spettatore, non mancai un solo pomeriggio di prove. Mi presentavo alle porte della palestra accompagnato da un Louis sprizzante entusiasmo da tutti i pori, che finalmente vedeva profilarsi all'orizzonte il realizzamento dei nostri piani. E Niall non era da meno: se a primo sguardo mi era sembrato un ragazzo calmo e timido, mi ero dovuto presto ricredere. Niall Horan somigliava a Louis per molti aspetti; solo gli mancavano malizia e misoginia caratteristiche del nostro amico dagli occhi di ghiaccio. Nei giorni a seguire imparai a conoscerlo meglio e fin da subito tra me, Louis e Niall si creò una grande sintonia. Furono loro i primi a cui comunicai la mia nuova e inattesa passione per la musica. E furono sempre loro due i primi a incoraggiarmi a prendere parte a un corso che potesse aiutarmi a tirare fuori il meglio di me.
"Potresti entrare davvero nel gruppo extrascolastico in questo modo!" esclamava sovente Louis, emozionato.
A quelle repliche però, così come a tutti i loro incitamenti, io rispondevo con timide frasi, improvvisamente meno sicuro di me stesso e delle mie capacità. Non ero sicuro che quello fosse un talento: e se io mi fossi solamente illuso di essere capace di cantare? E se in realtà io fossi stato solo uno scemo alla ricerca di una copertura per non ricordare le vecchie ferite?
Era passata una settimana dalle prove del gruppo a cui io avevo assistito e parecchie cose avevano già cominciato a cambiare: prima di tutto, io non rimanevo più incastrato tra banco e sedia durante le pause tra le lezioni, bensì mi trovavo sempre in compagnia dei miei nuovi amici; in secondo luogo, le ragazze della scuola sembravano essersi improvvisamente accorte della mia esistenza. Non solo le partecipanti al gruppo extrascolastico, ora anche molte altre mi seguivano con lo sguardo quando camminavo per i corridoi. Durante gli intervalli era sempre più difficile rimanere concentrato sui volti dei miei amici, quando sapevo che attorno a me ragazze tanto carine mi squadravano ispezionandomi come fossi la loro prossima preda.
Era passata una settimana, ma durante quel freddo trenta gennaio io ancora non riuscivo a concepire l'elettrizzante novità di cui ero stato fatto protagonista.
Raggiunsi Niall e Louis seduti su un banco abbandonato nel corridoio dove si trovava la mia classe. Mi feci spazio in mezzo alla gente che come al solito intasava la zona durante l'intervallo.
"Ciao, ragazzi" li salutai.
Niall alzò il capo. "Ehi! Ti stavamo proprio aspettando, Zayn."
"Ah sì?"
Louis batté le mani, il suo volto si mostrò in un'espressione di grande soddisfazione. Ogni volta che succedeva una cosa del genere, che i suoi occhi brillavano e lui tirava fuori un sorrisetto impertinente, io capivo che aveva messo lo zampino in qualche nuova faccenda. Il più delle volte si trattava di semplici aiuti gratuiti che forniva al sottoscritto, ma spesso temevo che potesse anche arrivare a interferire nelle vite altrui solo per spianarmi la strada.
"Che c'è, ragazzi?" chiesi.
"Ho parlato con Chad" mi annunciò, evidentemente fiero di sé.
"Sarò nel gruppo?" esclamai, all'improvviso euforico.
Louis sospirò, il filo del discorso perso per colpa della mia interruzione. Scosse il capo e riprese: "No, in verità non ha accettato. Per il momento, però! Perché se svolgerai bene il lavoro che ti ho affidato, sono certo che presto ti vorrà con noi."
"Dai, diglielo!" si mise in mezzo Niall, che non stava più nella pelle di vedermi gioire per quella che, a quanto pareva, doveva essere una bella notizia.
Louis sfoderò di nuovo il sorriso di poco prima. "Chad ha acconsentito a prenderti sotto la sua ala e a darti lezioni di canto."
Non seppi come apparve la mia faccia ad un qualunque osservatore esterno: forse non sembrai tanto felice quanto i miei amici si erano aspettati.
Chad che mi avrebbe impartito lezioni su come si diventa veri cantati? Quell'uomo mi metteva una formicolante agitazione addosso, non amavo trascorrere nemmeno cinque minuti solo in sua compagnia: come sarei riuscito a sostenere delle intere ore chiuso in una stanza con lui?
"Che c'è? Non sei contento? Potrai imparare a cantare sul serio" mi fece notare Niall.
Annuii, presi una sedia e mi accomodai vicino a loro, ancora appollaiati sul banco. "Sì, certo, solo che..."
"Chad è anche disposto a venirti incontro con un prezzo stracciato" aggiunse Louis.
"Non è per i soldi che mi preoccupo. Chad mi è sembrato un tipo parecchio... strano. E severo..."
Sia Louis sia Niall scoppiarono a ridere. Li guardai prendersi gioco di me, a metà tra l'irritato e il sollevato: se quella era la loro risposta alle mie preoccupazioni, probabilmente non avrei dovuto temere così tanto Chad.
"Chad è riuscito a crearsi una spaventosa immagine che tiene lontani stupidi e spie, ma tu non devi averne paura. Non è così tremendo come vuol far credere" mi tranquillizzò Niall con una pacca sulla spalla.
"Non è mai troppo entusiasta di vedermi il pomeriggio..." puntualizzai io.
Louis sbuffò e alzò gli occhi al cielo. "Certo che non lo è! Sa che sei una risorsa importante che finisce sprecata su una panca a bordo campo! Gli ho parlato del tuo potenziale e ora capisce che, anziché rifiutarti e abbandonarti nel tuo angolino per sempre, sarebbe più saggio aiutarti a coltivare talento e passione e poi integrarti nel nostro gruppo."
Corrugai la fronte, ancora leggermente perplesso. Non sapevo se accettare o rifiutare e magari restare sospeso nell'incertezza del 'come sarebbe andata' per il resto dei miei giorni. Chad m'ispirava ben poca fiducia e di certo non avevo voglia di impegnarmi in un'impresa resa poi ardua dal suo caratteraccio; però la musica di Niall e le voci dei miei due amici che si accompagnavano sulle note di Wonderwall o di Sex on fire continuavano a inseguirmi la notte nei miei sogni, spronandomi a raggiungerli, ad eguagliarli. Volevo anch'io il loro talento, volevo anch'io sentirmi leggero e libero tra le braccia della musica.
Alzai lo sguardo su di loro. "Va bene, proviamo a fare questo tentativo."

***
 
Quel pomeriggio non potei fermarmi per le prove del gruppo extrascolastico, ma dal momento che le mie esclusive lezioni di canto si sarebbero tenute ogni sera a partire dal giorno seguente, non mi sentii troppo in colpa per l'assenza. Mia madre, che come al solito si sarebbe trattenuta a lavoro oltre l'orario prestabilito, mi aveva chiesto di portare Safaa dal medico per uno strano dolore che l'aveva colpita nella zona del basso ventre.
Così, appena uscito dalla Tong High School, salii in macchina e guidai fino al cortile della scuola di mia sorella. Tornammo a casa tra le chiacchiere generali a proposito della mattinata di Safaa, e una volta sul pianerottolo trovammo Waliyha ad attenderci. Il pranzo era già pronto, ma nostra sorella non sembrava in vena di grandi discorsi. Si limitò a comunicarci cos'aveva cucinato e poi sparì dietro lo schermo del suo computer portatile, seduta a tavola ma senza piatto e posate.
Ignorai la cosa, abituato com'ero a dover far fronte alla scontrosaggine della terzogenita di casa Malik.
"Safaa, lavati le mani e vieni a tavola. Oggi dobbiamo andare dal medico" ricordai alla più piccola.
Waliyha alzò appena gli occhi su di me mentre parlavo, poi si rituffò nel suo mondo impenetrabile. La guardai un istante, chiedendomi cos'avesse mai da tenere così nascosto a noi tutti: problemi a scuola? Una cotta non corrisposta?
Aspettai Safaa per pranzare. Mia sorella non smise di parlare nemmeno con la pasta appena riscaldata nel piatto. Quando provò ad attaccare bottone con la silenziosissima Waliyha, quest'ultima la zittì con poche spicce parole.
Una volta terminato il pranzo, sparecchiai il tavolo e sbattei la tovaglia in giardino. Safaa era praticamente già pronta, io mi cambiai d'abiti indossando i pantaloni di una vecchia tuta e una felpa larga e morbida.
Uscimmo di casa e raggiungemmo lo studio del nostro medico di famiglia. Avevo già messo in conto la lunga attesa che ci aspettava: la saletta antecedente lo studio era sempre affollata, a qualunque ora del giorno.
Entrammo e io appesi la giacca di mia sorella all'appendiabito di fianco alla porta. Prendemmo posto lontano dall'ingresso, sulle ultime due poltroncine libere: la piccola saletta quadrata dalle pareti bianche era già stracolma. Safaa, demoralizzata da quello che probabilmente a lei appariva come un inquietante e surreale silenzio in mezzo a tante persone, si allungò verso il tavolino al centro della sala e afferrò un giornale di gossip.
"Questa è spazzatura" le sussurrai all'orecchio.
Mia sorella scosse il capo e aprì comunque la rivista. Sapevo che in ogni caso la sua era solo una maniera di combattere la noia.
Alzai la testa, già stanco di quel posto e di quei miei silenziosi compagni d'attesa. Lasciai vagare lo sguardo sui loro volti seri e fu in quel momento che la vidi. Melanie Crashwell era seduta esattamente di fronte a me, le gambe accavallate in una posizione raffinata e gli occhi che accarezzavano le pagine del giornale che teneva tra le mani. D'istinto gettai la testa in giù, guardandomi le scarpe. Mi tornarono in mente i vestiti che mi ero tolto dopo pranzo: perché ogni volta che quella donna mi vedeva io ero vestito come un vagabondo? Spostai lo sguardo sul pavimento, concentrandomi sulle fughe tra le grosse piastrelle bianche e grigie. Fissai per qualche istante anche il pannello di plastica alla base della porta d'ingresso, ma alla fine fui costretto ad alzare gli occhi. Mi sentivo un completo idiota a restare a capo chino solo per evitare di farmi vedere da quell'affascinante donna seduta davanti a me.
Safaa stava ancora sfogliando la sua rivista. Melanie Crashwell, invece, l'aveva appena posata sul tavolino. La spiai controllare l'ora sul proprio orologio e cambiare posizione delle gambe.
Proprio mentre con la coda dell'occhio seguivo quei suoi gesti, lei levò il capo e m'intercettò. Non ebbi il tempo di spostare lo sguardo ed evitare di farmi sorprendere in flagrante. La donna non esitò un attimo a mandarmi un sorriso tremendamente compiaciuto. Allora distolsi lo sguardo e mi sentii arrossire.
"Dovresti iniziare col dare un'aggiustata a capelli e vestiti..."
Avevo ascoltato i consigli di Louis, avevo cambiato stile, avevo ricominciato a fare esercizi per gli addominali e i muscoli e ad andare a correre ogni mattina, avevo ripreso a curare di più il mio aspetto e adesso i primi risultati sembravano confermare la tesi del mio amico: forse avevo davvero le carte vincenti per diventare quel tipo di ragazzo che lui mi aveva rappresentato coi suoi racconti. Le ragazze non sembravano volersi trattenere dal mostrarmi il loro apprezzamento e Melanie Crashwell faceva di tutto per incastrarmi con i suoi sorrisi pericolosi: tutto quel potere stava iniziando a darmi alla testa.
Alzai gli occhi e incontrai quelli della mia bella spasimante. Sorrisi, più per me stesso, per farmi coraggio e infondermi fiducia, che per rispondere alle sue insistenti avances. Ma questo bastò a Melanie Crashwell per concedersi il lusso di credermi vinto. La vidi accavallare nuovamente le gambe con un gesto alquanto evidente, poi sbottonò un bottone della giacca e lasciò intravedere parte del collo magro e abbracciato da una semplice collana di perle.
Deglutii, spostai gli occhi per un attimo. Nella mia mente apparve Louis col suo cappotto ben chiuso contro il freddo invernale e una sigaretta stretta tra le labbra sottili. Lo sentii parlare come se fosse presente anche lui alla scena.
"Perché colpire una sola ragazza quando il mondo è pieno di possibili vittime?"
Louis mi avrebbe di certo spinto a sostenere lo sguardo di Melanie Crashwell e probabilmente anche a darle corda. Forse secondo il mio amico quella donna sarebbe stata il trampolino di lancio perfetto per la missione che mi spettava.
Sei single ora. Non hai nessuno a cui dovere delle spiegazioni. E lei è grande abbastanza da prendersi le sue responsabilità..., pensai, tentato.
Quando tornai con gli occhi sul bel corpo di Melanie Crashwell, la trovai ancora intenta a scrutarmi con attenzione. Le sue labbra si aprirono in un ennesimo sorriso e io mi costrinsi a ricambiarla.
Chissà se qualcuno ci aveva notati scambiarci sorrisetti ambigui in quella sala d'attesa piccola e troppo stretta? Immaginai le voci che avrebbero potuto cominciare a circolare nel quartiere, se si fosse saputo dell'accaduto.
Ma fortunatamente le mie pene furono alleviate dalla comparsa del medico sulla porta: chiamò il paziente seguente e Melanie Crashwell si alzò all'istante, attirandosi le occhiate indiscrete di quasi tutti gli uomini presenti nella saletta. La donna appena uscita dallo studio del medico si avviò alla porta, Melanie prese il suo posto e scomparve alla mia vista. Stretto sulla poltroncina nella sala d'attesa, mi sentii immediatamente più a mio agio. Safaa continuava a sfogliare pagina dopo pagina il suo giornale, ignorando l'irrequietezza che mi aveva pervaso pochi istanti prima.

***

Parcheggiai al mio solito posto nel cortile frontale del liceo e spensi il motore dell'auto. Afferrai lo zaino e scesi. Premetti sul pulsante della chiusura automatica della macchina e mi passai una mano fra i capelli per sistemarli. Mi avviai verso l'entrata della Tong High School, godendo del pallore del sole di quel ventisette febbraio. Il tempo aveva deciso di darci una tregua e graziarci con quei tiepidi raggi di sole che preannunciavano l'arrivo di una primavera fresca e soleggiata.
Non appena fui nei pressi delle porte d'ingresso del mio liceo vidi parecchie teste voltarsi nella direzione da cui stavo arrivando. Sorrisi e mi passai di nuovo una mano sulla nuca. Camminai con passo sicuro in mezzo a quelle ragazze che ogni mattina mi seguivano con lo sguardo fino a quando entravo in classe.
"Ciao, Zayn" mi salutò Jessica.
Le risposi con un cenno della mano e lei mi apparve subito più rossa in volto. Era forse un ricordo dello scorso sabato notte trascorso insieme a casa sua a provocarle quell'effetto?
Passai oltre e salii la scalinata che precedeva le porte della Tong High School. Sui gradini incontrai lo sguardo di Emily Wood, poco lontana, ancora stretta tra le braccia della sua dolce metà. Era la prima volta che lei mi guardava così apertamente da quando avevamo rotto: i nostri occhi si incontrarono a metà strada, ma la cosa non durò che un paio di secondi. Alzai le sopracciglia con fare sfacciato e le sorrisi; lei, la bocca schiacciata contro la spalla di Harry Styles, sembrò colta alla sprovvista. Levò immediatamente gli occhi dal mio volto e dissimulò l'accaduto stringendosi ancora un po' al suo fidanzato.
Erano passati già più di tre mesi dalla sera in cui l'avevo sorpresa truccata e ben vestita in attesa dell'arrivo di Harry Styles a casa sua. Tre mesi in cui ero riuscito a cambiare atteggiamento in modo straordinariamente rapido. All'inizio mi ero lasciato sopraffare dalla tristezza, bloccato in un vortice di ricordi e di emozioni. Era possibile uscirne? Era possibile scordare qualcuno a cui si era donato il meglio di noi stessi? Era possibile cancellare chi si era stati solo per colpa di una perdita straziante? Se non fosse stato per Louis Tomlinson probabilmente quel ventisette febbraio sarei stato ancora indeciso sulle risposte alle mie domande.
Da quando ero entrato nelle simpatie di Niall Horan e Louis Tomlinson la mia vita aveva progressivamente cambiato tono. Non era stato facile, all'inizio, seguire i ritmi di due dei ragazzi più spontanei e intraprendenti che avessi mai conosciuto: i loro pazzi sabati sera in giro per Bradford, le loro feste in casa quando i genitori erano fuori città, le loro fughe improvvisate in direzione di Manchester o Leeds durante i weekend erano state una scossa di terremoto nella mia vita piatta e monotona. Non avevo mai bevuto tanto alcol e dormito così poche ore per notte come in quel periodo. Inoltre, grazie ai miei due nuovi amici, avevo esteso il numero dei miei conoscenti fino ad arrivare a poter rivivere il divertente ricordo di una serata particolarmente scatenata quasi con chiunque frequentasse la nostra scuola.
Varcai la soglia della scuola e raggiunsi la mia classe. Entrai salutando tutti con un largo sorriso stampato in volto. Kate, la mia nuova vicina di banco da quando i professori avevano deciso di cambiare l'assetto dell'aula, mi salutò in maniera particolarmente allegra. Mi avvicinai a lei, già seduta al suo posto, e mi sbottonai lentamente la giacca, lasciando che mi ammirasse apertamente.
"Ciao, Kate" dissi con fare accattivante.
Lei rispose con un sorriso malizioso. "Ciao, Zayn."
Mi accomodai al mio posto e mi voltai nella sua direzione, la guancia appoggiata al palmo della mano. "Ho notato che adesso vieni a scuola più truccata."
Lei alzò gli occhi e aspettò un attimo prima di puntarmeli addosso, leggermente arrossita. "L'hai notato?" ripeté.
Annuii lentamente.
Kate adesso mi fissava, colpita... e affondata. "Questo significa che tu mi guardi...?" domandò.
Louis mi aveva insegnato a cavarmela egregiamente in quelle situazioni. L'avevo osservato in azione e mi ero stupito di come riuscisse a sembrare perfettamente naturale e credibile quando pronunciava un paio di frasi lusinghiere alle sue vittime. Le avvicinava, cingeva loro i fianchi, abbassava gli occhi azzurri sulle loro labbra coperte da un velo di lucidalabbra e poi sussurrava due o tre parole d'effetto, nulla di più. E da quel momento le ragazze erano sicuramente vinte, prede delle sue galanterie ostentate e cerimoniose.
"Quel che basta per ricordarmi cosa si nasconde sotto queste banali magliette..." le sussurrai, spostando lo sguardo sui suoi vestiti.
Fu il colpo decisivo: Kate arrossì fino alla punta dei capelli, abbassò gli occhi e prese un respiro.
Io e Kate avevamo passato una bella notte di solo sesso due settimane addietro. O forse tre? Ormai stentavo a tenere a mente ognuna di quelle nottate incandescenti, che terminavano sempre con un brusco risveglio e zero smancerie. Soprattutto da parte mia.
"Quando usciamo di nuovo insieme?" le domandai subito dopo.
Lei sorrise senza però guardarmi. Tenne lo sguardo puntato davanti a sé con fermezza. "Quando non sarai troppo occupato con le altre ragazze."
Risi. "Che cosa ti fa pensare che io sia occupato?"
Kate si voltò verso di me. Era sul punto di replicare, quando in classe entrò il nostro professore di Matematica, il signor Cooper. Richiuse la bocca, delusa di non avermi potuto rispondere per le rime. Io, invece, ne fui sollevato: non avevo davvero alcuna intenzione seria con Kate, mi sarebbe bastato ritrovarla ancora un paio di volte nel mio letto e basta.
Mi appoggiai allo schienale della sedia, rilassato. Sapevo che la mia vicina di banco non avrebbe mollato tanto facilmente la presa su di me, ma non m'importava. Ero euforico, mi sentivo in forma e pensavo che in quel momento nulla o nessuno avrebbe potuto sferzare il mio buon umore: forse grazie allo sport o forse grazie alle sane abitudini che avevo adottato; o forse era merito della mia nuova vita, della consapevolezza di essere apprezzato, di avere una certa influenza sulle persone che mi circondavano. Ero certo che fino a poco tempo prima non sarei riuscito a concepire di potermi sentire così bene: Emily era stata una vera piaga, liberarsene aveva richiesto tutto l'impegno di cui ero capace. Ma ora che lei e Harry Styles appartenevano al passato, io non potevo fare a meno di ridere delle mie vecchie pene. Come avevo potuto soffrire così tanto? Improvvisamente percepivo il mio vecchio dolore come un'esperienza esterna ai miei sensi, come se non l'avessi mai davvero vissuto, come se fosse stato impossibile per quel nuovo Zayn Malik aver trascorso mesi di tristezza e lacrime.
Estrassi il telefono dalla tasca dei jeans, annoiato dal lento blaterare di Cooper a proposito delle funzioni matematiche che tanto lo appassionavano. Sullo schermo ancora bloccato del telefono scorsi il numero dei messaggi non letti: tre. A questi si aggiungeva una chiamata persa.
Alzai gli occhi al cielo.
Ci risiamo, pensai, stizzito.
Sbloccai lo schermo digitando il codice numerico impostato e aprii la cartella dei messaggi.
"Ciao, tesoro. Ieri hai dimenticato un quaderno da me. Un bacio." era il primo messaggio. Lo chiusi e passai al secondo.
"Zayn, perché non mi rispondi più? Sei con un'altra delle tue bamboline da compagnia?"
Sbuffai, mentre cancellavo entrambi i messaggi appena letti.
Il terzo recitava: "Sei chiaramente arrabbiato con me. Ti chiamo, non rispondi. Ti scrivo, non rispondi. Ci possiamo vedere questo pomeriggio? Mi manchi."
Alzai gli occhi dallo schermo del telefono, allibito. Una cosa che non avevo calcolato quando avevo iniziato a frequentare Melanie Crashwell era proprio quella: il bisogno morboso della donna di avere qualcuno che le stesse sempre accanto e che la trattasse come una regina.
Melanie era bella. Melanie sapeva davvero soddisfare i desideri sessuali di qualsiasi uomo. Melanie pagava cene e faceva regali senza chiedere nulla in cambio. Melanie sapeva come alimentare le mie fantasie erotiche più recondite, con quella sua doppia vita segreta in cui da un lato era professoressa, madre di due figli e donna divorziata, e dall'altro una scatenata amante del sesso. Però, se inizialmente tutto ciò mi aveva eccitato e motivato a proseguire quella relazione clandestina, ben presto Melanie aveva sviluppato una forma di maniacale attaccamento a me che la stava trasportando un po' troppo oltre i limiti. Non sempre era facile gestire i suoi accessi d'ira, quando per esempio non rispondevo immediatamente a messaggi e chiamate, e non sempre avevo voglia di stare ad ascoltare le sue fantasticherie a proposito di quello che saremmo potuti diventare insieme.
La verità era che Melanie Crashwell si era presa una seria sbandata per me e io non sapevo come uscire dalla situazione.
Eliminai anche il suo ultimo messaggio e controllai la chiamata persa: ovviamente era sua e risaliva a un'ora prima.
Fortunatamente sapevo di essere al sicuro tra le mura della Tong High School: non solo Melanie lavorava come professoressa in un istituto dall'altra parte della città, ma sapeva anche che non sarebbe stato prudente farsi vedere da quelle parti assieme a me. Perciò evitavamo qualsiasi contatto all'infuori di quelli prestabiliti: ci incontravamo due sere a settimana in un appartamento che lei solitamente dava in affitto, ma che quell'anno era rimasto vuoto, permettendoci così di agire indisturbati e lontani dai nostri quartieri d'appartenenza.
Nascosi il telefono all'interno del mio portapenne e tornai a guardare in direzione della cattedra dietro la quale Cooper teneva le sue spiegazioni gesticolando ampiamente. Con la coda dell'occhio potei scorgere Kate allungare il collo per sbirciare dentro il mio portapenne.
Non sei per niente discreta, Kate, pensai, annoiato.

***

Niall rideva di gusto, Louis non voleva saperne di levarsi il suo solito sorriso impertinente dalle labbra sottili.
"Grazie, amici! Voi sì che mi siete d'aiuto!" brontolai, appoggiando il mento ai palmi delle mani.
Niall guardò Louis e continuò a ridere.
"Ci sono giorni come questo in cui ringrazio la vita di averti messo sul mio cammino. Mi sarei perso un sacco di risate senza di te" ironizzò Louis.
Lo fulminai con un'occhiata obliqua. "Forse a voi piace vedermi in difficoltà, ma io sono davvero disperato. Quella pazza non si ferma di fronte a nulla!"
"La prossima volta valuta bene i rischi prima di lasciarti incantare da un paio di gambe e due occhioni ben truccati" scherzò il mio amico.
"Non vedo cosa potremmo fare per aiutarti" s'intromise Niall, trattenendo a stento le risate. "Melanie è una forza della natura."
Annuii mestamente. "Ecco perché dobbiamo fare qualcosa. Non voglio che questa storia prenda una brutta piega."
"Come, per esempio?" domandò Louis, divertito.
Non risposi. L'intervallo era agli sgoccioli, io mi ero rivolto a Niall e Louis alla ricerca di qualche utile consiglio, ma tutto ciò che loro erano stati capaci di dirmi aveva ben poco a che fare con la soluzione al problema di Melanie.
"Lou', un giorno tu sarai..." attaccai a parlare, ma dovetti fermarmi. Il mio cellulare aveva cominciato a vibrare insistentemente nella tasca dei jeans. Lo estrassi, preso dal terrore: sullo schermo illuminato era comparso il nome di Melanie assieme alla foto che avevo salvato col suo contatto.
"È lei" annunciai con tono funereo.
Niall mi fece segno di risponderle. Se avessi rifiutato anche quella chiamata, forse lei avrebbe reagito bruscamente: per un attimo vidi nella mia testa la scena di una Melanie infuriata che piombava in classe durante le lezioni.
Presi un profondo respiro e mi spostai da dov'ero. Toccai l'icona verde di risposta e mi portai il telefono all'orecchio.
"Pronto?"
"Zayn" fu tutto ciò che Melanie disse.
Mi grattai la nuca, imbarazzato. "Sì, ciao..."
"Si può sapere che fine hai fatto?! Ti ho cercato ieri sera e stamattina e tu non mi hai degnato di una sola risposta!" sbottò la donna, furente.
"Sì, ti chiedo scusa... Io ho avuto molte cose a cui pensare" inventai.
Vidi di sfuggita Niall e Louis tornare al mio fianco e sporgersi verso il telefono per riuscire a origliare la conversazione. Li scacciai con un gesto della mano, ma i miei amici, ridendo silenziosamente, restarono al loro posto.
"Ah sì? Così tante da non avere nemmeno un secondo di tempo da sprecare per scrivermi?" mi rimbeccò Melanie.
Chiusi gli occhi, esausto di quelle polemiche senza alcun senso. Io non ero suo marito e lei non aveva alcun diritto di rivolgermi certi rimproveri.
"Melanie, ho mille impegni ogni giorno, non puoi pretendere che passi ore attaccato al telefonino" dissi, mantenendo la pazienza.
Vidi Niall imitare il taglio della gola. Annuii, innervosito.
Melanie sbuffò con forza, ancora troppo arrabbiata per decretare la fine della discussione.
"Oggi ci vediamo?" mi chiese dopo poco. "Oppure hai di nuovo troppi impegni?"
Il suo modo arrogante di parlare mi stava facendo impazzire: avrei voluto chiudere quella chiamata con un sonoro insulto, ma avevo troppa paura delle ripercussioni per mettermi contro quella donna.
"Questa sera ho le prove di canto" le risposi.
"Quindi è un no?" indovinò Melanie.
"Non ho tempo, mi dispiace."
"Non hai voglia. È diverso."
Sospirai. "Melanie, quando smetterai di essere così insistente?"
La sentii sbattere qualcosa con forza: stava perdendo la calma. "Scusami tanto se mi sembra di essere l'unica a cui interessi questa dannata storia!"
"Il problema non è questo..."
"E qual è?"
"Lasciami parlare!"
"Non alzare la voce, Zayn. Ti permetti di trattarmi come se fossi una stupida e ancora pretendi di avere ragione. Chi è il ragazzino tra noi due?"
Adesso stavo seriamente iniziando a stancarmi delle sue pretese.
"Io sarò anche un ragazzino, ma di certo non mi comporto come fai tu!" l'accusai.
"Perché come mi comporto io? Sono proprio curiosa di ascoltare le tue stronzate!" sbottò lei.
Mossi la mano a mezz'aria e chiusi gli occhi, stanco di parlarle. "Lascia stare. Devo tornare in classe."
"No, adesso voglio sapere cosa pensi davvero di me!" insistette Melanie.
"Ci sentiamo" la liquidai senza spiegazioni.
"No, Zayn..."
Troppo tardi. Staccai la chiamata prima di riuscire a sentire altro. Melanie consumava le mie energie come una corsa lunga chilometri. Pretendeva troppe cose che io sentivo di non poterle donare.
"Tutto bene?" domandò Niall.
Guardai i miei amici e tirai un sospiro di sollievo. "Forse Melanie non mi cercherà più dopo questa sfuriata" decretai, ottimista.

***

Quel pomeriggio arrivai in palestra con il felice presentimento che la mia sarebbe stata una bella giornata. Il pensiero di aver messo fuori gioco Melanie riusciva già a strapparmi un sorriso, ma sentivo che le piacevoli sorprese non sarebbero finite lì. Quella sera mi aspettavano anche le prove con Chad: da quando avevo iniziato a cantare in modo serio e professionale, la musica si era conquistata tutto il mio amore. Trascorrevo il tempo in attesa di poter tornare a impugnare il microfono sotto l'occhio attento del mio insegnante, che non si risparmiava mai rimproveri e correzioni.
La palestra si riempì mentre io restavo in disparte a osservare quelli che un giorno speravo sarebbero diventati i miei compagni. In cuor mio sognavo ancora di riuscire a convincere Chad ad accettarmi nel gruppo extrascolastico. Sapevo che i preparativi per lo spettacolo di fine anno erano già avviati da tempo, ma io sarei stato disposto a imparare tutte le canzoni previste dalla scaletta nel giro di due settimane, se lui mi avesse finalmente permesso di partecipare.
Mentre riflettevo su questi progetti, scorsi Chad correre da un lato all'altro della palestra impartendo ordini a chi gli capitava a tiro. Louis lo raggiunse e aiutò a trasportare un amplificatore parecchio ingombrante. In breve la palestra fu pronta per le prove: studenti e studentesse si sistemarono ai propri posti e lo spettacolo cominciò quando Chad diede il via.
I balli davano sempre inizio alla rappresentazione; seguivano le battute dei primi cinque attori, dopo le quali era il turno di Louis e Niall, che occupavano parecchi minuti con i loro pezzi rock. Quando toccò a loro esibirsi, Chad li interruppe svariate volte facendo notare piccoli errori passati inosservati alla maggior parte dei presenti.
Quel pomeriggio Chad pareva essersi alzato con la luna storta. Forse le mie prove serali di canto non sarebbero state così eccezionali come avevo creduto in un primo momento.
Dopo parecchie interruzioni, finalmente lo spettacolo poté proseguire e altri tre ragazzi presero il posto dei miei amici al centro della scena. Ascoltai le battute recitate con la maggior enfasi possibile, mentre Chad batteva nervosamente la punta del piede sul pavimento lucido della palestra. Con le braccia conserte e le sopracciglia aggrottate in un'espressione di massima concentrazione, sembrava volersi impegnare per scovare altri errori da rimproverare.
Ma da quel momento in avanti il resto della rappresentazione scorse con regolarità, senza più clamorosi interventi da parte del capo gruppo. Io non fiatai, come al solito fingevo di non esistere: sapevo che a Chad non piaceva l'idea di avere spettatori durante le prove, e pur essendo ormai una faccia nota, non osavo immaginare come avrebbe reagito se mi fossi azzardato a fare anche solo il più lieve rumore.
Quando guardai il cellulare per controllare l'ora, erano già arrivate le cinque del pomeriggio. Allungai il collo per sbirciare da una delle finestre collocate in alto lungo i muri della palestra e intravidi il cielo scuro della sera in arrivo.
"Okay, per oggi finiamo qui, ragazzi."
Mi voltai e vidi il gruppo tirare un sospiro di sollievo. Chad non vi badò e si allontanò dal palco senza una parola. Vidi Sayoko salutarmi con la mano dall'alto del palco. Sorrisi, imbarazzato, e ricambiai il saluto per buona educazione.
Trassi un respiro e mi alzai dalla panca. Camminai fino al piccolo banco quadrato che fungeva da scrivania e ufficio del capo gruppo. Chad, chino sui fogli riempiti dalla sua calligrafia incomprensibile, non si accorse nemmeno della mia presenza.
"Chad, potrei parlarti?" domandai, schiarendomi la voce.
"Mmh..." borbottò lui, distratto.
Che cosa significava? Era un cenno positivo?
Mi feci coraggio e parlai: "Assistendo alle prove, mi sono domandato se... Stiamo lavorando bene da un mese e io mi... sentirei pronto a entrare nel gruppo..."
Chad tirò fuori un mezzo sorriso. Annotò qualche frase sui suoi fogli disordinati poi alzò la testa e mi guardò con aria di superiorità.
"Ti senti pronto?!" ripeté con un tono saccente che non mi piacque per niente.
Annuii, deciso a non farmi mettere i piedi in testa un'altra volta.
Chad ridacchiò. "Zayn, tu hai tutte le carte in regola per diventare un ottimo cantante, ma non voglio che ti monti la testa prima del tempo."
Mi sentii rimpicciolire dall'imbarazzo a quelle parole: io mi stavo montanto la testa?! Partecipavo con entusiasmo a ogni prova del gruppo extrascolastico, perché Chad non sembrava rendersi conto dell'impegno che mettevo in quella faccenda?
"Io non credo di essere..." tentai di ribattere.
Chad scosse il capo e m'interruppe: "Tu pensi di poter già eguagliare i tuoi compagni, ma non è così. La tua è una falsa speranza, Zayn."
Dopo la brusca discussione al telefono con Melanie, che era riuscita a farmi perdere le staffe, ora anche Chad si stava impegnando per risvegliare la mia rabbia repressa.
"Perché in questa situazione vedi solo quello che ti fa comodo? Perché non apri gli occhi e non ti accorgi che sono molto più entusiasta di certi tuoi alunni!" esclamai, puntando una mano verso il palco.
Improvvisamente tutti i presenti si accorsero di me e di Chad, intenti a discutere, e il silenzio scese con pesantezza sull'intera palestra.
Gli occhi del mio istruttore si ridussero a due fessure. Mi resi conto di aver esagerato un tantino con la sincerità.
"Zayn, fai attenzione a come parli" mi mise in guardia, il tono di voce basso e pericoloso.
Allargai le braccia, disperato. "Io sto solo cercando di farti capire che non mi sembra di essere tanto peggio di altri ragazzi. Muoio dalla voglia di entrare nel gruppo, non ne posso più di stare fermo su quella panca a osservare loro che si danno da fare, senza poter nemmeno fiatare!"
Mi arrivò alle orecchie l'eco di un borbottio sparso tra gli astanti: erano d'accordo con me o pensavano che fossi un povero illuso?
Chad si passò una mano sul mento, grattando la sua folta barba nera.
"E che cosa potresti fare per il nostro gruppo, allora?" mi domandò.
Non risposi subito: avevo il presentimento che quella domanda fosse più un trabocchetto per farmi cadere nella sua trappola. Probabilmente Chad voleva affossarmi con le mie stesse parole, ma io non glielo avrei permesso: ero deciso a difendermi con tenacia, anche a costo di dovermi ridicolizzare davanti a tutta quella gente.
"Siccome canto e mi piace farlo, potrei unirmi a Niall e Louis e..."
Chad non mi lasciò terminare la frase che scoppiò in una risata forzata. Il suo gesto m'innervosì parecchio.
"Non basta dire 'mi piace farlo' per poter fare le cose! Smetti di ragionare come uno stupido bambino e guarda la realtà: qui c'è gente che studia recitazione o canto da anni, gente che sa svolgere il compito che ho assegnato. Tu saresti un peso morto per l'intero gruppo, non hai ancora raggiunto i loro livelli" mi smontò Chad.
Sentii il mio cuore come attanagliato da un grande dolore. Improvvisamente la vergogna fu tutto ciò che la mia mente riusciva a concepire. Avrei desiderato scomparire per sempre dalla faccia della terra, Chad mi aveva appena fatto passare per un idiota senza alcun talento.
L'uomo tornò a darmi le spalle senza aggiungere altro, sicuro che la disputa fosse giunta a una degna fine.
"Chad!" esclamò in quel momento una voce dall'alto del palco.
Io, Chad e tutto il gruppo al completo ci riscuotemmo sorpresi, guardando nella direzione da cui la voce era arrivata: una ragazza dai capelli scuri parecchio lunghi e la pelle chiara si era fatta avanti verso il bordo del palco, raggiungendo il punto più vicino al sottostante banco del capo gruppo.
"Che c'è?" sbottò lui, irritato.
La ragazza mise su un sorrisetto sbilenco e allargò le braccia, come se considerasse quella domanda superflua.
"Come puoi reagire così di fronte alle sue richieste?" disse lei, incredula.
Chad sospirò, decisamente meno aggressivo nei confronti della sconosciuta. Io tenni i miei occhi puntati su di lei, ansioso di sapere che cos'avrebbe detto.
"La discussione è chiusa per tutti, Su..."
"No, Chad. La discussione non è affatto chiusa qui" s'impose la ragazza con tono severo. La vidi incrociare le braccia al petto, lo sguardo corrucciato puntato sul suo insegnante. "Quando noi siamo entrati a far parte del tuo gruppo, ci hai accolti esaltando i valori che secondo te erano ispirazione e base fondamentale del nostro impegno: l'aiuto reciproco, l'esaltazione di ogni talento, la collaborazione indiscriminata... Che cos'è successo a tutte quelle belle parole? Dove sono finite?"
Chad aprì bocca, ma non parlò. La richiuse dopo pochi istanti, colpito e affondato dalla sferzata della sua studentessa.
Questa sembrò incoraggiata dall'assenza di repliche e continuò a parlare.
"Io credo che prima di tutte le nostre prove e dei nostri sforzi sia importante riconoscere un po' di umiltà. Non c'è gente più degna o meno degna: questo ragazzo potrebbe essere migliore di tutti noi e tu lo rifiuteresti solo perché..."
"Summer, non sei tu a dirigere il gruppo" la interruppe Chad, perentorio.
La ragazza non perse la sua determinazione e riprese a parlare come se non fosse mai stata interrotta: "... solo perché lui ha iniziato a cantare da poco. Non credo che sia un problema integrarlo nel gruppo, non ha bisogno di una parte nello spettacolo, dovrebbe solo accompagnare Niall e Louis."
"Ha ragione lei, Chad. Zayn ci sarebbe d'aiuto" intervenne in quel momento Niall, seguendo l'esempio della sconosciuta e facendosi coraggio.
L'uomo si guardò attorno, allibito da quelle prese di posizione inattese. Tutti i membri del gruppo cominciarono a borbottare tra di loro, commentando la questione.
Sorrisi, tutto a un tratto di nuovo speranzoso.
"Dobbiamo interromperci e correggerci già troppe volte con soli due cantanti, aggiungerne un terzo sarebbe un ulteriore spreco di tempo per tutti voi" disse Chad, sempre più innervosito.
La ragazza che aveva parlato per prima scosse il capo. "Dagli almeno una chance: se sarà in grado di imparare la scaletta in pochi giorni e di mettersi al pari con gli altri, non sarà d'intralcio per noi."
"Posso farcela" intervenni io in quel momento.
La ragazza, in piedi sul palco, mi guardò e io ricambiai l'occhiata, grato del suo intervento. Poi lei tornò a osservare Chad in attesa del responso finale.
"Tengo a questo gruppo come se fosse..." ritentò questo, ormai sul punto di cedere.
"Chad, non tradire i tuoi valori proprio adesso. Siamo prima di tutto una famiglia, e poi un gruppo teatrale" insistette la ragazza sconosciuta.
Chad chiuse la bocca e puntò gli occhi sui fogli che teneva in mano. Tutti tacemmo. Io ero più nervoso che mai: mi sembrava di avere l'approvazione del gruppo, ma finché non fossimo riusciti a convincere Chad, i nostri sforzi sarebbero stati del tutto inutili.
"Ci rifletterò" sentenziò il capo del gruppo, mettendo così fine a ogni discussione.
La ragazza in piedi a bordo palco sembrò sul punto di aggiungere ancora qualche parola, ma poi annuì e sorrise al suo insegnante. I suoi compagni si lasciarono andare a un chiacchiericcio indefinito, probabilmente commentando con interesse la mia possibile entrata nella loro cerchia.
Mi sentii sollevare dalla felicità. Fino a pochi mesi prima avevo considerato tutta quella gente una manica di sfigati, ma adesso fremevo dalla voglia di essere come loro, di poter esprimere la miscela di emozioni e sensazioni che covavo dentro di me.
Louis, dall'alto del palco, mi fece l'occhiolino e io sbandierai un sorriso vittorioso. Non ero ancora sicuro di che cosa avrebbe deciso Chad, ma le mie speranze erano più vive che mai. Ed era tutto merito di una ragazza che non avevo nemmeno mai notato precedentemente.
Mi tornarono alla mente le svariate altre studentesse della Tong High School, soprattutto le più carine con cui avevo avuto a che fare negli ultimi tempi. Forse quella sconosciuta si era battuta per la mia causa perché in realtà aveva un debole per me? Decisi di provare a trovare una risposta ai miei dubbi e salii sul palco, mentre Chad si allontanava da lì con aria scocciata. La sconosciuta stava parlando con altre due ragazze, ridendo di tanto in tanto e agitando le mani con fare teatrale.
"Ehi, ciao" attaccai bottone, mettendomi palesemente in mezzo alle tre.
Le sue due amiche furono le prime a rispondermi, pur non essendo loro al centro della mia attenzione.
"Ehi" dissero in coro, mostrando ampi sorrisi.
Io le ricambiai allo stesso modo, poi tornai a guardare la sconosciuta che mi aveva aiutato alle prese con un Chad più antipatico che mai. Questa mi sorrise lievemente con fare gentile.
"Grazie mille per quello che hai fatto un attimo fa" le dissi.
Lei alzò le spalle. "Non devi ringraziarmi, è il minimo che potessi fare" rispose con semplicità.
"Però sei stata l'unica a farlo" sottolineai.
Lei annuì. "Chad incute un certo timore, dovresti saperlo ormai" scherzò.
Allungai la mano verso di lei. "Comunque, mi chiamo Zayn. Tu sei...?"
Lei strinse la mia mano e disse: "... Summer, piacere di conoscerti."
Restammo in silenzio, guardandoci. Una delle sue amiche diede un colpetto di tosse decisamente finto e tirò via l'altra per un braccio. Io e Summer fummo da soli uno di fronte all'altro, ancora zitti.
"Be', ti auguro una buona serata" concluse lei anche per me; la vidi tornare al suo zainetto, ancora mezzo vuoto. Si piegò sul pavimento del palco e riprese a ordinare le sue cose.
Summer non aveva mostrato alcun particolare interesse per me, mi aveva anzi stretto la mano e parlato con completa naturalezza, come se davvero non avesse la più pallida idea di chi fossi. Com'era possibile che si fosse scontrata con Chad solo per disinteressato altruismo?
Proprio mentre ancora riflettevo su quanto tutto ciò mi sembrasse assurdo, la vidi alzare il capo e gurdarmi perplessa.
"Hai ancora bisogno di qualcosa?" domandò, spezzando il silenzio.
Mi affrettai a fare cenno di no. "Io... Io sono solo curioso."
Summer si tirò di nuovo su in piedi e mi guardò dritto negli occhi. "Curioso di che cosa?" domandò.
"Del perché mi hai aiutato" risposi, sincero.
Summer si guardò attorno e poi rise. "Non c'è un perché, l'ho fatto e basta."
"Tu non...?" provai a chiederle.
Lei alzò le sopracciglia, confusa. "Io non... che cosa?"
Gesticolai a caso, poi mi fermai. Ma che diavolo stavo combinando? Perché quella ragazza non mi veniva incontro? Perché sembrava così indifferente ai miei tentativi di costruire un dialogo?
"Tu non hai alcun interesse per...?"
Lasciai cadere la domanda a metà, sperando di coglierla in flagrante con un improvviso rossore del viso o con fulminee smentite. Ma la mia interlocutrice rimase impassibile, aspettando che continuassi.
Sbuffai, messo alle strette. "Tu non hai alcun interesse per me?" domandai.
La sua reazione mi fece sentire immediatamente un imbecille: Summer scoppiò in una vivace risata e io non potei fare a meno di arrossire.
Che figura...
Summer mi scrutò con quei suoi profondi occhi neri: non aveva nemmeno un filo di trucco sul volto magro e portava addosso vestiti molto semplici, una maglietta nera e un paio di jeans che stringevano le sue gambe mostrandone le forme gentili. Non era troppo magra e non aveva il portamento di una modella, ma qualcosa nel suo modo di parlare e di guardare la gente dritto negli occhi mi affascinava. Inoltre, la sua era una bellissima risata che scaldava il cuore. Nonostante mi sentissi un idiota ad averle parlato troppo apertamente, vederla così divertita non mi dispiacque.
"Non avevo ricollegato le cose! Tu sei Zayn? Quello di cui parlano tutte in classe?" domandò conferma Summer.
Annuii, titubante. "Non dovrebbero esserci altri Zayn Malik in circolazione..."
Summer ridacchiò ancora. "Non mi avevano parlato della tua umiltà, che strano!" scherzò.
Mi passai una mano fra i capelli. "Sono stato troppo diretto?" chiesi, sorridendole.
Lei annuì. "La prossima volta magari aspetta di aver oltrepassato almeno i cinque minuti di conversazione prima di avanzare le tue pretese."
Risi. "Be', se aspetti ancora due minuti, potremmo arrivarci."
Summer indicò il suo zaino. "Ho parecchie cose da fare" si scusò.
Risposi con un'alzata di spalle. "Posso aspettarti. Hai bisogno di uno strappo fino a casa?"
Summer s'inginocchiò e infilò una maschera dipinta grossolanamente con colori vivaci. "Non devi sentirti in obbligo di ricambiare il favore che ti ho fatto" mi assicurò.
"Mi farebbe piacere!" esclamai.
Lei mi guardò divertita: ero sicuro che non credesse a una sola parola di ciò che le avevo detto.
Alzai le mani in segno di giuramento: "Dico sul serio!"
Summer scosse il capo e nascose un altro dei suoi bei sorrisi. Piegò il suo costume per la recita e lo schiacciò al fondo dello zaino. Mi abbassai anch'io al suo fianco e, senza dirle nulla, presi a riordinare le cartelle in cui probabilmente aveva infilato i suoi copioni. La vidi con la coda dell'occhio spiarmi di tanto in tanto, ma non parlammo. Quando tutto fu al proprio posto nella sua cartella, lei se la issò sulla spalla e mi rivolse un'occhiata indefinita, che non avrei saputo interpretare.
"Zayn, è stato un piacere. Ti auguro di..." provò a congedarsi.
"Abbiamo oltrepassato i cinque minuti adesso" le feci presente.
Summer si bloccò con la bocca semiaperta. Mise su un'espressione perlpessa.
"Sei ancora intenzionato a...?"
Le sorrisi. "Un passaggio fino a casa e poi non ti darò più fastidio."
"Non sono di compagnia, credimi" rispose lei.
"Questo lascialo giudicare a me."
"E poi ho la mia macchina."
"Allora potremmo andare a bere qualcosa questa sera."
"Mi dispiace, ho già un impegno."
La guardai dritto negli occhi e lei mi rispose con un sorrisetto impertinente. Non sapevo come abbattere le barriere di quella ragazza dai modi schietti. Mi piaceva come si comportava, ma sarei stato ancor più felice se si fosse lasciata comprendere.
"Sei stata molto..." ritentai.
Lei poggiò una mano sul mio braccio e mi zittì. "Un 'grazie' è più che sufficiente. Non ho fatto nulla di straordinario" sentenziò in tono affabile. Tirò più su lo zainetto sulle spalle e piegò la testa di lato mentre mi rivolgeva un ultimo grande sorriso. "Buona fortuna, Zayn Malik."
Annuii, a corto di parole. Lei non era interessata a me o alle mie proposte, ecco tutto.
"Ciao, Summer."
La guardai allontanarsi e scendere dal palco, mentre salutava tutti i suoi amici. Chiunque si rivolgesse a lei, la trattava con estrema cortesia; quella ragazza sembrava andare d'accordo con tutti. Sparì oltre le porte della palestra lasciandomi solo e perso nei miei pensieri.
Ero stato rifiutato da una ragazza. Non riuscivo a crederci.

***

La stazione di servizio era poco lontana. Attivai l'indicatore di direzione a destra e rallentai, scalando la marcia. Entrai nel piazzale procedendo lentamente e posizionandomi di fianco alla colonnina di erogatori che m'interessava. Davanti a me un'altra auto bianca si era appena parcheggiata.
Estrassi le chiavi dal quadro e scesi. Inserii la banconota e attesi il segnale per andare a far rifornimento al mio erogatore. La spia s'illuminò e tornai indietro verso la mia macchina. Misi mano alla pompa dell'erogatore, ma questa non si sfilò come succedeva di solito. Provai a tirarla su un'altra volta, ma era bloccata.
"Che diavolo..." sussurrai tra me e me.
Tirai il manico della pompa ancora un po', ma non ottenni alcun risultato. Sembrava che si fosse incastrata dall'interno, ma se mi fossi allontanato dall'erogatore, chiunque avebbe potuto approfittare delle mie venti sterline inserite.
"Ti serve una mano?" domandò qualcuno lì vicino.
Guardai alla mia destra, troppo distratto dal problema per spiegare cosa stesse succedendo. Ma quando vidi chi era stato a parlare, quasi non credetti ai miei occhi.
Summer, che non aveva fatto caso a chi fosse quel deficiente alle prese con la pompa difettosa dell'erogatore, mi si avvicinò e solo quando ebbi alzato la testa mi riconobbe. Non avrei saputo dire chi dei due fu il più sorpreso.
"Di nuovo tu!" esclamò lei, divertita.
Mi sentivo un tale idiota! Era la seconda volta nel giro di un'ora che dovevo ricorrere al suo aiuto per cavarmi dai pasticci.
"Ormai ti stai abituando a farmi da angelo custode, eh?" scherzai.
Summer non si levò quell'espressione gentile che sembrava perennemente stampata sul suo volto. Mise mano al manico della pompa e con l'altra si appoggiò al bordo dell'erogatore. Fece dapprima una lieve pressione, ma anche questa volta nulla cambiò. Poi riprovò spingendo leggermente in avanti col manico e tirando subito dopo verso di sé. Questa volta, finalmente, la pompa si sbloccò con un colpo sordo. Summer me la porse e sorrise con l'aria di chi si dava una certa importanza.
"Ci sarei riuscito anch'io, dai" dissi per tutta risposta.
Lei rise e rimase al mio fianco mentre rifornivo di gasolio la mia Peugeot.
"Ti giuro che questo so farlo anche da solo" le assicurai.
"Così come sai estrarre la pompa dall'erogatore?" domandò lei, beffarda.
Le lanciai un'occhiata divertita. "Forse ti piace troppo la mia compagnia per andartene così in fretta..."
Lei sbuffò e distolse lo sguardo. "Ecco che ricominci!"
"Adesso siamo addirittura oltre i dieci minuti e tu mi hai già fatto due favori. Mi devi concedere un appuntamento, Summer!"
"Dove sta scritto che devo concederti un appuntamento?" chiese lei, allegra.
Alzai l'unica mano che avevo libera. "Lascia che mi sdebiti almeno per questo secondo gesto altruista."
"Per caso inviti a uscire chiunque si dimostri anche solo leggermente più gentile del normale?" mi domandò lei.
Scossi il capo. "Questa è la mia giornata fortunata, mi sento particolarmente misericordioso. Ti va una birra stasera?"
Summer fece cenno di no. "Ti ho detto che ho un impegno."
"E io pensavo fosse una scusa per rifiutarmi..."
Lei puntò le chiavi della sua auto verso il mio petto e rispose: "Ti sbagliavi, allora. Ho davvero da fare."
"E domani sera?"
Summer scoppiò a ridere, fingendosi esasperata. Si allontanò di qualche passo, mentre io riagganciavo la pompa al suo posto. La guardai allontanarsi e ritornai alla carica: "Almeno domani sera! Poi non ti disturberò più!"
"Lo dicevi anche in palestra, eppure guardati ora..." scherzò lei, pronta a rientrare in auto per prendere il mio posto una volta che me ne fossi andato.
"E tu dicevi a Chad che dovrebbe darmi una chance. Perché non segui i tuoi stessi consigli?" insistetti.
Summer sembrò presa alla sprovvista da quella frase. Aprì la portiera del posto di guida ma rimase in piedi fuori dall'auto. Rifletté per un attimo su che cosa fosse meglio rispondere a una persona noiosa e insistente come me. Infine alzò gli occhi e annuì.
"D'accordo. Riesci a farti trovare in Spen View Lane domani mattina alle sei?" disse lei.
"Spen View Lane?" ripetei.
Summer annuì. "Un viale a sud, oltre la periferia e il quartiere di Bierley."
"Che cosa vai a fare a quell'ora in aperta campagna?" chiesi, perplesso.
Lei sfoderò un sorrisetto furbesco. "Domani lo vedrai. Hai insistito per uscire con me e io ti dimostrerò che razza di persona pazza e insopportabile sono."
Quella ragazza mi piaceva. Non era semplice averci a che fare perché era un osso duro, ma sembrava sapere il fatto suo.
"Accetto la sfida, Summer. Alle sei in Spen View Lane" conclusi, deciso.
"E mi raccomando: portati abbigliamento sportivo e una macchina fotografica."
Summer sparì con un ultimo sorrisetto. Io mi affrettai a salire in auto e a spostarmi per lasciarle il posto. Uscii dal piazzale senza voltarmi indietro verso di lei. Ma mentre facevo ritorno a casa, pensai che sarebbe stato estremamente gratificante aggiungere Summer alla lista sempre più lunga di ragazze che riuscivo a portarmi a letto.




Privjet, ragazze! :)
Come state? Siete pronte per il NATALE? Io sì, anche se una volta passato dovrò rimettermi a studiare e non ne ho assolutamente voglia.
Comunque, veniamo al capitolo: che cosa ne pensate? Vi è piaciuto? :) Ecco finalmente questa "famosa" Summer - ed ecco il perché del titolo della storia, "Along came Summer", che è un remake di "Along came Polly" ("... e alla fine arriva Polly"), un film con Ben Stiller e Jennifer Aniston -, personaggio per il quale voglio impegnarmi. Sono stanca di leggere di queste ragazzacce super volgari che, gira e rigira, riescono sempre a trasformarsi in innocui agnellini per via del "bad boy" di turno del quale si innamorano. Le vicende tra Zayn e Summer, in questa fanfiction, andranno diversamente e cercherò di renderle il meno banali possibile... For further info, stay tuned!
Anyway, grazie a TUTTE coloro che ancora mi stanno seguendo o che hanno da poco scoperto questa storia, sono sempre molto felice di rispondere ad ognuna di voi. Grazie in special modo a giulia33, Hazza_01 e _windowsgirls per essere state disponibili a darmi i loro pareri sull0 scorso capitolo: danke sehr! :)
Spero che quest'altro sia stato di vostro gradimento e vi auguro un BUON NATALE!

С Рождеством Христовым!, Frohe Weihnachten!, 
Joyeux Noël!, Merry Christmas!,


M.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Limiti e decisioni ***




 
Limiti e decisioni



Avventurarsi per la periferia di Bradford alle sei del mattino non era esattamente quella che io avrei definito un'abitudine piacevole. Era la mattina del ventotto febbraio, un sabato per la precisione, e se io normalmente trascorrevo il mio tempo sotto le coperte a dormire, quel giorno ero stato obbligato a cambiare abitudini: la sveglia mi aveva tirato giù dal letto alle cinque e mezzo, cosa che sicuramente si sarebbe ripercossa sul mio umore lungo la giornata. Quando dormivo poco diventavo nervoso e facilmente irritabile.
Mentre afferravo i pantaloni della tuta dallo schienale della mia sedia, pensai a Summer: sarebbe stata lei la vittima del mio nervosismo quel giorno. D'altronde era stata una sua idea darmi appuntamento così presto. Che cosa le passava per la testa?
"E mi raccomando: portati abbigliamento sportivo e una macchina fotografica."
Chiaramente non saremmo andati a un ballo di gala, ma ancora non riuscivo a capire il motivo della macchina fotografica. Non ero un amante della fotografia e pensare di dovermici dilettare per superare chissà quale rito d'iniziazione m'infastidiva.
Chissà che cosa vuole ottenere Summer con tutto questo..., rimuginai mentre entravo in bagno per controllare in che stato fossero i miei capelli.
La sera precedente avevo provato a cercare quella bizzarra ragazza su Facebook e l'avevo scovata dopo alcune attente ricerche: una normale foto del profilo, in cui sorrideva con semplicità, poche informazioni personali e tante recenti aggiunte alle voci 'libri letti' e 'film preferiti'. Sembrava una persona interessante, che coltivava passioni e non si lasciava trasportare troppo da mode e giudizi altrui, ma non potevo essere sicuro al cento per cento di tutte le mie deduzioni: Summer difficilmente si lasciava comprendere. In quei pochi momenti trascorsi insieme avevo stentato a capire cosa le passasse per la testa. Si comportava come se io fossi il suo miglior amico di sempre, ma poi declinava ogni mio invito, anche il più innocuo!
Avevo parlato a Louis dell'accaduto e lui non si era smentito: il suo primo suggerimento era stato di andare a fondo della questione per cancellare il sorrisetto sfacciato dalla faccia di Summer.
"Lei recita la parte della dura, ma tu mostrale che il duro tra di voi è uno solo, e si trova nei tuoi pantaloni."
Risi nuovamente al ricordo della conversazione avuta la sera prima con il mio amico. Non sapevo se i suoi consigli sarebbero serviti a qualcosa: in tutta onestà non avevo voglia di perdere il mio tempo dietro a qualcuno che non mi voleva. Quel giorno avrei rivisto Summer, perché ormai mi ero preso un impegno, ma se lei si fosse comportata nuovamente in modo scostante, io mi sarei messo il cuore in pace senza rancori. In fondo c'erano altre mille ragazze che aspettavano soltanto un mio messaggio.

***

Lasciai la mia Peugeot in un piazzale deserto sul ciglio della Bierley Lane, sperando che nessuno si sarebbe infastidito per quel mio parcheggio azzardato. Poi m'incamminai lungo la stretta via fino a raggiungere la rotonda che portava a Boy Lane. Proseguii e svoltai su Spen View Lane, facendomi strada con passo incerto: senza luce si vedeva relativamente poco e il sole avrebbe impiegato ancora del tempo prima di sorgere del tutto.
Una cosa che però non sfuggì ai miei occhi ancora gonfi di sonno furono le morbide curve del corpo di Summer che, poco lontana da dov'ero io, stirava gambe e braccia in semplici esercizi di stretching. La tuta che aveva indossato evidenziava la linea del suo seno florido e in quel momento dovetti ammettere che non era niente male con quella mise sportiva indosso.
"Ciao, Summer!" esclamai, cogliendola di sorpresa.
La ragazza si voltò, una gamba ancora piegata all'indietro. Subito mi sorrise con aria allegra.
"Sei venuto davvero! Grandioso!" si complimentò.
Aveva davvero creduto che fossi così sfaticato? La raggiunsi e rimasi fermo a guardarla mentre afferrava l'altro piede e tirava indietro la gamba. Summer ricambiò la mia occhiata, impassibile.
"Mi spieghi che cosa faremo con queste?" domandai, sollevando la mia piccola macchina fotografica digitale, vecchio regalo di compleanno che avevo utilizzato in rare occasioni.
Summer si ricompose e alzò le mani. "Non è ovvio? Scatteremo fotografie."
"E per quale motivo? Che cosa c'entra con la corsa?" insistetti.
Lei sorrise. Tirò su la propria macchina fotografica, una bella Canon dall'obiettivo grande e ingombrante. La teneva appesa al collo come se non fosse affatto pesante.
"Si chiama jogging fotografico. Si tiene durante le prime ore del giorno per poter immortalare il sorgere del sole e il risveglio della natura addormentata" spiegò, il tono eccitato come se si trattasse dell'attività più emozionante al mondo. "In realtà questa non è riconosciuta come una vera e propria disciplina, ma io pratico il jogging fotografico ormai da anni e..."
"Aspetta, aspetta: mi stai dicendo che tu vai a correre per la campagna con quest'aggeggio appeso al collo?" sintetizzai, toccando il suo apparecchio fotografico.
Lei annuì, entusiasta. "Esattamente!"
"E lo fai tutte le mattine?!" domandai, sconcertato. Quella ragazza aveva un bel coraggio ad avventurarsi da sola in quelle zone deserte, e tutto per scattare un paio di banali fotografie!
Summer mosse di nuovo il capo in un cenno affermativo. "Da quando ho scoperto la campagna a sud di Bradford, non ho più cambiato location. Qui si possono catturare momenti incredibili della vita naturale."
Ridacchiai, incredulo: non riuscivo a credere alle mie orecchie. Summer si era inventata una specie di sport artistico, pretendendo pure che venisse apprezzato e riconosciuto da tutti.
"Tu sei pazza" commentai, divertito. "E adesso ti aspetti che io faccia lo stesso?"
Lei fece spallucce, l'aria sul suo viso che tradiva una certa beffardaggine: ero certo che fosse soddisfatta di sé stessa per avermi trascinato in quell'avventura.
"Sei stato tu a voler uscire con me, ricordi?"
Mi finsi pensieroso. "Chissà perché mi sembra di non aver mai accennato al jogging fotografico quando si parlava di appuntamenti..."
Summer scoppiò in una breve risata e mi diede una pacca amichevole sulla spalla. "Ora capisci perché sostenevo che non sarebbe stato piacevole frequentarmi?"
Abbassai gli occhi e accesi la mia macchina fotografica. Poi tornai a guardare la mia compagna di jogging e, prima ancora che potesse parlare, alzai in fretta il braccio e le scattai una fulminea fotografia. Mi allontanai di un passo, indicandole lo schermo con su la sua foto e schernendola ironicamente. Summer si riscosse all'istante e mi mostrò una bella espressione di puro stupore.
"Ehi, così non vale! Devi fotografare la campagna!" esclamò tra una risata e l'altra, mentre mi si avvicinava.
Accelerai il passo e, voltandomi di tanto in tanto, le scattai altre fotografie mentre mi correva dietro.
"Zayn, smettila!" urlò lei.
"Proviamo a vedere se sarai ancora entusiasta del tuo sport, dopo aver visto la mia collezione di momenti incredibili!" risi a voce alta.
La sentii ridere alle mie spalle. Continuai a correre, l'aria fresca che graffiava il mio viso e il leggero sibilo del vento nelle orecchie. Summer non ebbe bisogno di molto tempo per affiancarmi: la guardai accendere la macchina fotografica e cominciare a scattare foto al sole all'orizzonte. Quella mattinata così fredda e silenziosa sarebbe stata coronata dall'arrivo di un'alba splendente, evento più unico che raro in un periodo dell'anno come quello. Mi affrettai a imitarla, accertandomi però di riuscire a includere nel mio scatto anche la sua figura in movimento.
"Perché trovi così speciale questo jogging fotografico?" le chiesi senza smettere di tenere il passo.
Summer tornò a guardarmi, le guance arrossate un po' dallo sforzo, un po' dall'aria fredda.
"Lo trovo eccezionale! Mi permette di immortalare e rendere miei spettacoli che altrimenti andrebbero sprecati" spiegò, seria. "Posso far sì che questa mattinata fredda e brinata sia eterna."
"E chi ti garantisce che sarà eterna?" provai a metterla in difficoltà.
Summer puntò i propri occhi scuri sul terreno sotto i nostri piedi. "Per me lo sarà. Ognuno ha una propria maniera di affrontare l'oblio: c'è chi si inventa un Dio e chi ha bisogno dell'arte."
"Perché dici così? Non credi in Dio?" le domandai, affascinato.
Lei scosse il capo, scattò un'altra fotografia puntando l'obiettivo della sua Canon in alto verso le fitte fronde degli alberi che si piegavano sulla Spen View Lane.
"Non ho abbastanza paura della morte per pregare qualcuno di cui dubiterei per sempre, ma al tempo stesso non sono abbastanza coraggiosa da permettermi di ridere delle cose che non conosco" mi rispose in modo enigmatico.
La guardai a lungo, incuriosito da ciò che diceva. Mi piacevano i suoi discorsi e mi piaceva ancor più la maniera in cui li esponeva.
"Sei una persona interessante, Summer" mi complimentai, sincero.
Lei si voltò e accennò un lieve sorriso grato.
"Sei un ragazzo gentile, Zayn", e strizzò l'occhio con aria complice.
Sorrisi tra me e me e allungai il braccio per scattare una fotografia alla stradina che si snodava a perdita d'occhio davanti a noi due.
Summer mi lanciò un'occhiatina divertita. "Ci stai prendendo gusto, vedo..."
Premetti il tasto dello scatto proprio davanti al suo volto. Lei mi colpì e io scoppiai a ridere.
"Se non smetti di farmi foto inutili, giuro che..."
"Che cosa? Che non m'inviterai più a praticare jogging fotografico con te?" la stuzzicai, il fiato che pian piano veniva a mancare. Le settimane di allenamenti con Louis mi avevano aiutato a migliorare dal punto di vista della resistenza, ma non ero ancora riuscito a raggiungere il livello che sognavo. Il mio fisico stava cambiando, avevo perso i chili di troppo di qualche mese prima e i muscoli delle braccia iniziavano a fare capolino quando indossavo t-shirt dalle maniche corte. Le ragazze sembravano andare matte per quel dettaglio. Mi ero anche da poco iscritto a un corso di boxe, che però non frequentavo con regolarità. Jogging, flessioni ed esercizi per gli addominali restavano le mie occupazioni preferite.
A Summer ci volle qualche secondo prima di rispondere. "Non avrò bisogno di questo: sono sicura che da domani non ti vedrò più."
Senza esserci messi d'accordo, scattammo entrambi due nuove fotografie. La guardai, lei sorrise e accelerò il passo superandomi di qualche metro. Cominciò a scattare più foto consecutive al cocuzzolo della collina verso la quale ci stavamo dirigendo a passo spedito.
"Sbagli ad essere così sicura delle tue idee" le comunicai, cercando di non perderla di vista.
Percepii la strada sotto le mie suole farsi più ripida, ma non ne fui preoccupato: correre in aperta campagna si stava rivelando più divertente del previsto. L'aria era pulita e mi piaceva respirare a pieni polmoni, mi sentivo pieno di energie come non succedeva da tempo.
"Le mie non sono semplici idee, ma vere certezze" ribatté Summer, voltandosi brevemente nella mia direzione.
"E se io domani tornassi a correre con te?" le chiesi.
Lei proseguì e non rispose. Poi, però, la vidi rallentare leggermente la corsa frenetica e lanciarmi un'occhiata di sfuggita da sopra la spalla sinistra.
"Sarebbe una bella sorpresa."
Allungai il passo e tornai a correre al suo fianco.
"Ehi, Summer, probabilmente tu non lo sai, ma io vado già a correre tutte le mattine con Louis. Non sono esattamente lo sfaticato che tu credi" la informai.
Lei alzò le sopracciglia e mi scrutò per un istante. "Oh, ma non mi dire! Vuoi anche una medaglia, per caso?" si prese gioco di me.
"Quelle non mi mancano: ne ho un'intera collezione a casa" continuai la farsa, divertito.
"Quante cose che ignoravo del modesto e umile Zayn Malik! E non ti hanno ancora costruito una statua a grandezza naturale nel cortile della scuola?!"
Anche nel suo scherzare riusciva a mantenere un contegno, quasi stesse recitando. Non avrei mai sospettato che Summer fosse così simpatica.
"I lavori sono già in corso. Non hai visto il cantiere ieri pomeriggio?" continuai, serio.
Lei scosse il capo, i capelli, legati in un'alta coda sulla nuca, che sventolavano sulla sua schiena. "Non faccio caso a queste cose, sono troppo indaffarata alle prese con il mio personale di servizio: autista privato, cameriere, maggiordomo... È dura la vita di una star!" sospirò, fingendosi stanca.
Mi concessi una risatina, che però aggravò la situazione: se non avessimo smesso immediatamente di chiacchierare, avremmo ceduto presto alla fatica della corsa.
"Quasi dimenticavo che tu sei un'attrice di successo! Perché io non ho ancora un tuo autografo?" risposi.
Summer alzò le spalle e si tirò più su le maniche della felpa nera indossata quella mattina. "Ho finito le fotografie firmate. Domani ne farò stampare di nuove."
Tacqui, tutto preso nel tentativo di recuperare il fiato perso. Normalmente non parlavo mai quando facevo jogging, ma in quel momento sentivo come se avessi una singola possibilità di conoscere Summer: se fossi rimasto in silenzio, probabilmente avrei perso per sempre la mia occasione.
E Summer mi piaceva davvero: era simpatica, furba e non aveva paura di dire ciò che le passava per la testa.
"Da quanto tempo reciti?" le chiesi a un tratto.
Summer prese un profondo respiro, affaticata. "Da molti anni ormai. Ho iniziato quando ero una bambina e da allora non ho mai smesso" rispose.
Svoltammo a una leggera curva del sentiero, lasciandoci alle spalle le ultime vecchie case ristrutturate della città. Adesso di fronte ai nostri occhi si aprivano sterminate distese di verde; i campi brulli, abbandonati durante i mesi invernali, sfumavano di spenti colori giallastri l'orizzonte, dandoci l'impressione di trovarci in un dipinto espressionista.
"Tu invece sei un novellino, giusto?" continuò lei.
Annuii, anche se quella definizione non mi convinceva. "Ho da poco scoperto qualcosa che mi fa stare bene."
Summer si fermò di colpo, puntando i piedi nel terreno che si faceva via via più sterrato. Una piccola nuvoletta polverosa si levò e lei puntò le mani sulle ginocchia, piegandosi in avanti. Fui grato per quella pausa.
"Qualcosa che ti fa star bene come questo nostro correre e parlare contemporaneamente?" scherzò lei.
Anch'io mi sentivo esausto: non avevamo corso a lungo, ma tutto quel chiacchiericcio ininterrotto ci aveva dato filo da torcere.
Summer si tirò su e, impugnando di nuovo la sua macchina fotografica, mi scattò al volo una foto. Poi la ricontrollò sullo schermo digitale, senza nascondere un sorriso soddisfatto.
"Summer... Sono sudato e ho il fiatone, puoi evitare di riprendermi?" protestai mollemente.
Lei rise: aveva una splendida risata fresca e allegra, ed ero felice che le capitasse spesso di sfoderarla. Mi dava l'idea di essere una persona perennemente di buon umore, una di quelle che di rado vengono turbate da qualcosa.
"Che cosa farai delle tue fotografie?" le chiesi, allontanandomi dal centro del sentiero per accomodarmi sul basso muretto di pietra che lo costeggiava sul lato sinistro.
Summer rimase in piedi davanti a me, distratta dalla revisione degli scatti fatti quella mattina: teneva gli occhi bassi sullo schermo e con il pollice premeva il tastino di scorrimento della galleria, riguardando ognuna di quelle foto catturate in movimento.
"Ogni due mesi un amico a Londra mi contatta per esporre le più belle" rispose la ragazza dopo un po'.
Strabuzzai gli occhi. "Dici davvero? Organizzi delle esposizioni fotografiche tutte tue?" domandai, ammirato.
Summer alzò per un attimo gli occhi su di me e sorrise. "Non le organizzo io, in verità. È il mio amico ad occuparsi dell'allestimento, e non tutte le fotografie esposte sono mie."
"Secondo me tu sei troppo modesta, Summer" le feci notare.
Lei spense la macchina fotografica e se la riappese al collo. Si sgranchì le gambe e rispose: "Almeno uno di noi due deve mantenere un profilo basso, non credi?"
Risi. "Forse quello dovrei essere io: ho iniziato a cantare da poco e non ho molto altro da offrire oltre a ciò. Tu invece reciti, sei una fotografa e..."
Summer sbuffò come se stessi esagerando.
"Hai conosciuto davvero poche persone interessanti nella tua vita se mi consideri così straordinaria!" scherzò.
"E dimmi un po': guadagni qualcosa con queste esposizioni?" le domandai ancora, sinceramente colpito dalla sua intraprendenza.
Summer fece una smorfia strana con la bocca. "Ho già trovato acquirenti per le mie fotografie, ma non ne ho mai venduta nemmeno una."
"Perché?" esclamai.
Lei alzò le spalle. "Non mi piace l'idea di separarmene. Sono egoisticamente legata alla mia arte."
"Quindi rifiuti a priori ogni offerta?"
"Non mi dispiace che la gente osservi le mie foto esposte a Londra, però preferisco vivere l'arte in modo più autentico e personale. Per esempio, quando dipingo, lo faccio per me stessa, così come quando..."
"Dipingi anche?" la interruppi, incredulo. "Mi prendi in giro?"
Summer sorrise, imbarazzata. "Quando fuori piove e sono troppo stanca per andare a correre, devo pur trovare un passatempo..."
"Quindi reciti, sei una fotografa e dipingi? Che cos'altro sai fare che ancora non mi hai detto?" dissi, elencando con le dita tutti i suoi talenti.
"Sono appassionata di letteratura e poesia" rispose lei, divertita del mio stupore.
Aggrottai la fronte, colpito dalla versatilità della mia nuova amica: non mi ero aspettato di incontrare una persona così impegnata e appassionata d'arte.
"Scrivi poesie?" domandai.
Summer annuì. "Ma non sono in molti a saperlo" confessò.
"E non hai ancora vinto il Nobel? O aspetta: sei già stata sulla Luna per caso?" ironizzai.
Summer scoppiò in una vivace risata. Anche io sorrisi. Mi sentivo una nullità in confronto a lei ed ero sicuro che non sarei mai riuscito a trovare un argomento in cui non avesse le sue ferme opinioni.
"Dovresti iniziare ad espandere le tue vedute, impareresti ad abituarti a gente come me" mi suggerì Summer, avvicinandosi al muretto e prendendo posto al mio fianco.
La guardai. "Non ne sono proprio sicuro..."
"Provaci!"
"Dovrei iniziare anch'io a dipingere e a recitare poemi?"
Summer alzò gli occhi al cielo, ma la vidi sorridere di sottecchi. "Ti basterebbe uscire con me, non c'è bisogno che parti in quarta con pennelli e colori a tempera."
"Ehi, io ho insistito per uscire con te! Sei tu quella che mi ha rifiutato!" mi difesi.
"Ti ho rifiutato perché penso di non essere esattamente la persona che vuoi tu, ma al tempo stesso penso anche di poterti insegnare parecchie cose."
Sbuffai: come già avevo sospettato, Summer non avrebbe ceduto. Io non le interessavo minimamente, e le sue parole ne erano una conferma. Eppure non sembrava nemmeno disprezzarmi come avrei creduto, mi trattava anzi con gentilezza e simpatia.
"Con questo intendi dire che dovrei partecipare a qualche altra stramba attività delle tue?" provai a indovinare.
"Io direi di cominciare dalle messe nere ogni primo venerdì del mese. Che ne pensi?" continuò Summer.
Strabuzzai gli occhi. La mia amica scoppiò di nuovo a ridere e non riuscì a fermarsi per qualche minuto. Capii lo scherzo e risi insieme a lei.
"Avevo ragione a dire che sei pazza" sentenziai, scuotendo il capo.
"Dov'è finito il tuo senso dell'umorismo, Zayn?" esclamò lei, gli occhi vivaci che corsero ad esplorare il mio viso.
"Si è nascosto per paura di essere contagiato dal tuo" replicai.
Summer mi rifilò un colpetto alla spalla. "Allora?" disse.
La guardai negli occhi. "Allora che cosa?"
Summer levò i palmi delle mani verso l'alto. "Allora siamo amici?"
Ero uscito di casa quel giorno nella speranza di colpire la ragazza con il mio ritrovato fascino, ma tutto ciò che avevo ottenuto era una proposta di pacifica amicizia. Summer aveva una personalità vivace e grintosa: forse era proprio il tipo di persona che mi ci voleva per rivoluzionare la mia vita. Forse essere suo amico sarebbe stato il miglior affare degli ultimi mesi.
Sorrisi apertamente e allungai una mano nella sua direzione. Lei la strinse, tutta compiaciuta della mia collaborazione.
"Preparati a entrare nel mondo di un arrogante donnaiolo" l'avvertii.
"Preparati a entrare nel mondo di un'artista psicopatica" mi avvertì.

***

Ora che i limiti da rispettare erano stati chiaramente tracciati, io e Summer avremmo potuto goderci quella nuova amicizia senza timori. E fu esattamente ciò che accadde. Quella mattina, dopo il jogging fotografico che terminò con una cinquantina scarsa di fotografie - la maggior parte delle quali era sfocatissima o comunque impresentabile a una qualsiasi esposizione -, io e Summer rimanemmo insieme e andammo a fare colazione in città. Non avevamo smesso un solo istante di parlare e al momento del ritorno verso Spen View Lane ci sembrò naturale continuare i nostri discorsi davanti a un caffè caldo. Sarebbe stato un vero peccato doverci salutare proprio ora che avevamo scoperto una così grande affinità.
Summer era esattamente il tipo di ragazza che mi era sembrata a primo impatto: simpatica, socievole e con una spiccata curiosità per qualsiasi argomento o attività. Non mi ero mai ritrovato a parlare così a lungo e così appassionatamente con una ragazza prima d'ora, nemmeno con Emily, che pure avevo amato con tutto me stesso. Forse era stata proprio quella la differenza che ora mi faceva apprezzare la compagnia di Summer: le ragazze che normalmente frequentavo erano prede amorose, quindi prima di ogni altra cosa mi facevo guidare dall'attrazione fisica e cercavo di puntare molto sull'apparenza. Con la mia nuova amica, invece, avevo capito che non ci sarebbe stato nessun affare amoroso: lei era troppo sveglia per farsi abbindolare dai miei sporchi trucchetti. Per questo motivo riuscivo ad andare oltre alla semplice fisicità, mi sentivo a mio agio e non avevo bisogno di mostrare una facciata che non fosse la mia reale.
Quando quel ventotto febbraio rientrai a casa mia erano passate le otto e mezzo del mattino. Mi stupii di quanto fosse tardi: ero rimasto fuori casa quasi tre ore. I miei genitori fortunatamente erano usciti, ma non si poteva dire lo stesso di mia sorella Doniya: me la ritrovai davanti entrando in bagno, sudato e stanco.
Mia sorella si girò di scatto, la spazzola ancora tra i capelli lunghi e uno sguardo spaventato dipinto in viso: quasi sicuramente non si era aspettata di vedermi arrivare in bagno con indosso la tuta sportiva e con quell'aria affaticata che senz'ombra di dubbio mi portavo appresso da quando avevo salutato Summer fuori dal bar.
"Zayn?!" fu la sua bizzarra maniera di salutarmi quel giorno.
"Ciao, Doni" la salutai, oltrepassandola e dirigendomi verso la doccia.
Lei mi seguì con lo sguardo, perplessa. "Che cosa ci fai in piedi a quest'ora? È sabato!"
"Potrei rivolgerti la stessa domanda" borbottai, mentre mi levavo la felpa e la maglietta che portavo sotto di essa.
"Io sto andando a un colloquio. Tu invece? Sei andato a correre anche oggi?"
Non capivo il perché di tanto interesse improvviso, ma preso com'ero dalla stanchezza optai per la sincerità.
"Sono andato a correre con un'amica."
Doniya non rispose per un po'. Inizialmente non badai alla cosa, ma infine mi voltai e scoprii che mi stava fissando di sottecchi, una strana espressione maliziosa che aleggiava sul suo volto ben truccato.
"Ah, non voglio neanche stare ad ascoltare l'enorme stronzata che stai per dire!" esclamai.
Mia sorella scoppiò a ridere e con un sonoro colpo posò la spazzola sul ripiano in marmo del lavandino.
"Te lo leggo in faccia" l'avvisai.
"Che cosa?"
"Che stai per insinuare qualcosa."
"Zayn, io volevo semplicemente dire che mi sembra strano da parte tua alzarti presto il sabato..."
"Doniya, devo fare la doccia adesso. Ci vediamo più tardi."
"Dai, Zayn, perché sei così scontroso?"
"Ciao. Ho aperto l'acqua. Non ti sento più."
Sentii mia sorella ridere e spegnere con un clic le luci sopra lo specchio del lavandino. Finalmente rimasi da solo. Chiusi gli occhi, col getto fresco dell'acqua che mi batteva direttamente in faccia. Non avevo più voglia di parlare, mi sembrava di aver esaurito tutte le parole e le energie in compagnia di Summer.

***

Nel pomeriggio ricevetti altre chiamate da Melanie. Era dal giorno precedente che non ci sentivamo, dal momento della sua terribile sfuriata telefonica. Io non mi ero nemmeno sognato di scriverle per scusarmi: dopotutto la nostra era una relazione basata esclusivamente sulla carnalità. O almeno questo era ciò che pensavo io.
Quando quel pomeriggio, mentre scorrevo pigramente alcune pagine internet, vidi le sue insistenti telefonate, una dopo l'altra, mi rassegnai all'evidenza: Melanie Crashwell si era affezionata a me e non faceva nulla per nasconderlo. Aspettai che Safaa fosse uscita dalla mia stanza prima di rispondere. Nessuno al di fuori di Louis e Niall era a conoscenza della mia relazione con Melanie e preferivo che la cosa restasse segreta: lei era pur sempre una donna divorziata con la responsabilità di più figli da mantenere, quindi io non volevo far attivamente parte della sua vita né desideravo che lei facesse parte della mia.
"Pronto?" risposi finalmente, senza celare la stizza.
"Zayn..." borbottò la donna dall'altra parte della cornetta; sembrava dispiciuta a giudicare dal tono della sua voce.
"Sì?" fu tutto ciò che riuscii a dirle, mentre raggiungevo la finestra e tiravo le tendine bianche.
"Sei ancora arrabbiato con me?" chiese, tutta affannata.
Sospirai e mi sfregai una mano sul volto. Mi spostai dalla finestra e presi a camminare lentamente per la stanza: non ero capace di restare fermo quando qualcuno mi metteva con le spalle al muro, come stava facendo Melanie in quel momento. Avrei dovuto rompere con lei e non sapevo come si facesse: non ero un esperto in rotture amorose, specie se si trattava di deludere una donna matura e tenace.
"Melanie, dobbiamo parlare seriamente di questa storia" le annunciai con delicatezza; mi era ormai chiaro il fatto che fosse una persona molto particolare, incapace di restare sola. Aveva un malsano bisogno di fare affidamento su una figura maschile stabile, per questo credevo che prima di me fosse passata da un uomo all'altro alla ricerca di quello perfetto che molto probabilmente nemmeno esisteva.
"Va bene, tesoro" la sentii sussurrare al telefono. "Quando vuoi, io..."
Sbuffai con forza e lei lasciò morire la frase, colpita negativamente da quel segnale.
"Che c'è?" domandò, la voce che tutto a un tratto si era fatta più severa.
"Non chiamarmi 'tesoro', non mi piace" dissi.
"Non ti ha mai dato fastidio prima d'ora" replicò lei con fare scocciato. "Perché improvvisamente sei diventato così freddo?"
"Perché la situazione ci sta sfuggendo di mano" spiegai, omettendo però il fatto che la ritenessi l'unica colpevole. Avevo parlato al plurale, ma ero certo che da parte mia non ci fosse alcuna seria intenzione: era solo Melanie a vedere un futuro dove, in realtà, io avevo costruito effimeri sogni pronti a svanire per sempre.
"Che cosa vuoi dire, eh?" sbottò lei. "Sai dove mi trovo ora? Sono nel nostro appartamento, sono qui solo per te! Perché dici che la situazione ci sta sfuggendo di mano, Zayn?"
Mi avvicinai all'armadio e poggiai la nuca contro il legno scuro. Sbirciai a lato e vidi il mio riflesso nello specchio interno a una delle ante aperte: apparivo in forma, nonostante stessi sostenendo una conversazione destinata a stancarmi, e in quel momento pensai di essere diventato davvero bello. Non ero più il ragazzo modesto e pieno di speranze di qualche mese prima: ora avevo acquisito stima, fascino e popolarità. Non mi mancavano le carte giuste per ottenere i miei obiettivi, perché allora perdevo ancora tempo con quella disperata trentenne alle soglie di una crisi sentimentale?
"Ascoltami bene, Melanie: tu stai correndo troppo per i miei gusti" sputai fuori la verità. "Quello non è il nostro appartamento, io non sono il tuo tesoro e noi non abbiamo una storia d'amore. Mi sento un verme per averti dato le impressioni sbagliate, ma ora è arrivato il momento di aprire gli occhi e..."
"Perché non mi dici queste cose faccia a faccia, Zayn? Perché ti nascondi dietro un cellulare per riuscire a dirmi che ti sei rotto i coglioni di me?" proruppe lei, arrabbiata come non mai. "Oh, giusto! Dimentico sempre che tu hai solo diciotto anni! Che cos'altro dovrei aspettarmi da un bambino come te?"
Il modo arrogante e velenoso con cui aveva pronunciato la parola 'bambino' mi ferì: io non mi sentivo stupido e immaturo come lei voleva far credere. Fu forse anche per questo che scelsi di adottare un comportamento diplomatico: lasciai che si sfogasse e non la interruppi. Solo quando lei ebbe terminato, dissi: "Melanie, calmati adesso! Se vuoi parlarne faccia a faccia, lo faremo. Ti sto dicendo queste cose al telefono per farti capire quanto prima che..."
"No, tu non devi nemmeno pensare di affrontare questi argomenti per telefono! Io voglio che tu mi guardi negli occhi mentre mi lasci!"
"Ti ho detto che appena avrò un attimo di tempo libero, potremo riparlarne..."
Melanie emise un verso di scherno. "Un attimo di tempo libero! Parli come se non fossi un semplice liceale con le sue sei ore giornaliere di lezioni. Sei ridicolo, Zayn. Smetti di nasconderti dietro questo telefono!"
Iniziavo di nuovo a perdere la pazienza. Sarebbe stato meglio chiudere una volta per tutte la questione.
"D'accordo, Melanie, hai vinto tu! Vediamoci e ti darò la soddisfazione di parlare faccia a faccia. Sei contenta adesso?" sbottai, stizzito.
Lei non rispose subito, però riuscii a sentirla respirare con un certo affanno, come se la nostra discussione l'avesse spossata.
"Raggiungimi in centro. Sono nel mio appartamento."
Fui felice di quel mio: finalmente aveva capito che noi non condividevamo nulla.

***

Raggiunsi la porta di quel grosso edificio in Shipley Airedale Road. Suonai al primo campanello e attesi, fremendo dall'ansia di sparire dalla strada. Non mi piaceva restare sotto gli occhi di chiunque quando sapevo di dovermi incontrare con la mia amante segreta.
La porta scattò con un sibilo elettrico e sentii Melanie riagganciare il ricevitore del campanello. Entrai e salii la breve scalinata dell'androne, poi chiamai l'ascensore e aspettai che le porte scorrevoli si fossero aperte per entrare. In breve fui sul pianerottolo dell'alloggio di Melanie. Suonai un'altra volta il campanello e la porta sì aprì in un secondo.
Melanie mi fulminò con un'occhiata rancorosa, notai che aveva ancora gli occhi arrossati dal pianto. Si scostò di lato per permettermi di entrare e io mi feci avanti senza parlare.
"Pensavo non saresti venuto" mormorò con voce flebile.
Sentii la porta chiudersi alle mie spalle con un leggero tonfo sordo.
"Non sono così miserabile come mi dipingi tu" replicai.
Ora che eravamo faccia a faccia Melanie sembrava aver perso tutta la sua forza: non urlava, non osava quasi guardarmi negli occhi. Mi oltrepassò e si diresse verso la cucina spoglia. Io la seguii, incapace di sentirmi a mio agio in quelle stesse stanze dove spesso mi ero ritrovato a trascorrere ore assieme a lei. Melanie si accomodò a uno degli estremi del tavolo e si portò la tazzina di caffè alle labbra.
"Ne vuoi?" domandò.
Scossi il capo. "Voglio solamente parlare."
Melanie annuì ma non fece una piega: i suoi occhi mi sfuggivano come se avesse paura.
"Dobbiamo mettere una fine a questa situazione, Melanie" dissi in tono grave.
Lei annuì un'altra volta, trasse un sorso dalla tazzina e deglutì meccanicamente.
"In questo periodo non sto cercando una relazione seria con una donna divorziata che deve preoccuparsi di figli, lavoro e..." proseguii, forse un po' troppo duro.
Melanie soffocò un gemito e alzò finalmente gli occhi su di me.
"Mi dispiace di averti... delusa" terminai, inquieto nel ruolo che mi stavo attribuendo.
Melanie si alzò in piedi e annuì per la terza volta. Posò la tazzina nel lavandino e si avvicinò leggermente a me. Eravamo separati da meno di un metro di distanza: dovevo reagire.
"Se non hai intenzione di..." parlai, ma lei allungò una mano e mi sfiorò l'avambraccio in maniera intima, complice.
"Zayn..." mormorò, afflitta.
Retrocedetti di un passo, ma lei si gettò su di me e mi strinse in un abbraccio disperato, come se provasse a scacciare le mie parole e la mia decisione con un ultimo gesto sentimentale.
"Non abbandonarmi, ti prego!" sussurrò al mio orecchio, mentre ricominciava a piangere.
Sebbene non fossi convinto di ciò, ricambiai l'abbraccio. Mi sentivo affogare, non capivo come fosse possibile liberarsi di quella donna. Improvvisamente l'odore che si respirava nella stretta cucina dalle pareti bianche mi divenne insopportabile, così come lo spazio attorno a me sembrò subito farsi troppo ridotto. Sarei morto tra le braccia di Melanie? Dovevo scappare il prima possibile.
"Mi dispiace molto..." ripetei.
Melanie alzò il capo dalla mia spalla e avvicinò le proprie labbra alle mie.
"Ti prego..." mi supplicò ancora una volta lei.

***

Quel sabato avevo in programma di vedere Louis e Niall. Non avevamo ancora chiaro che cosa ne sarebbe stato della nostra serata, ma di certo non sarei rimasto solo a casa.
Niall passò sotto casa mia verso le dieci di sera. Io mi feci trovare pronto sulla soglia di casa, impaziente di poter finalmente salire in macchina con i miei amici e lasciarmi alle spalle tutte le preoccupazioni di quella giornata.
Non appena la portiera si fu richiusa dietro di me, Louis scattò sul sedile e mi accolse con una sonora esclamazione.
"Come stai, amico?" domandò Niall a voce alta per farsi udire sopra le chiacchiere di Louis.
Levai una mano e la sventolai come a indicare che sarebbe stato meglio sorvolare su quell'argomento.
Louis si voltò apertamente verso di me dal posto anteriore del passeggero.
"Che succede?"
Niall partì e s'immise in breve nel traffico cittadino. Louis non distolse gli occhi da me, ancora in atteso di una risposta.
"Oggi ho rivisto Melanie" dissi.
Sentii Niall tirare un sospiro. "E com'è andata?"
Prima che riuscissi a parlare, Louis mi anticipò con un sorriso furbesco.
"Scommetto che è di nuovo riuscita a incastrarti" provò a indovinare.
Il mio amico aveva un intuito degno di Sherlock Holmes.
"Già."
Niall batté un colpo sul volante e rise. Louis non mancò di fare una delle sue solite battute ironiche.
"Ragazzi, non c'è nulla di cui ridere!" li frenai io. "Sono stato da lei per chiarire la situazione e rompere definitivamente, ma ho fallito."
"Come si è comportata?" domandò Niall.
"Come sempre! Fa la bambina capricciosa e io finisco per cedere alle sue preghiere."
"E non credi che il problema sia tuo?" provò a farmi ragionare Louis. "Insomma, se prendi una decisione, assicurati di poterla portare a termine. Non puoi continuare a lasciar vincere Melanie in eterno."
"Allontanarla non è così facile come sembra..." borbottai, innervosito dall'evidenza dei fatti: ero incapace di rompere con una donna. Non avevo le parole giuste né il tatto richiesto dall'occasione; non sapevo quale sguardo adottare per sembrare più determinato, non capivo dove dovessi tenere le mani mentre parlavo, non trovavo il modo giusto di congedarmi una volta terminata l'operazione.
"Melanie è una bella donna e riesce ogni volta a farti crollare, questo ci è chiaro. Ma ora la questione si fa più seria, Zayn: finché non riuscirai a mollarla definitivamente, lei penserà di averti in suo potere" spiegò Louis, serio. "E noi sappiamo che ciò non va affatto bene: sei tu che devi tenere in pugno le ragazze, non il contrario!"
Annuii, stanco di sentirmi ripetere quella lezione. Spostai lo sguardo sul finestrino, osservando la città che correva veloce dietro il vetro. Niall, concentrato sulla propria guida, ascoltava senza però mettersi in mezzo a me e a Louis.
"Domani la chiamo e la lascio. Questa volta lo faccio davvero" dissi infine, tornando a guardare Louis.
Lui sorrise. "Dille qualcosa di davvero cattivo e vedrai che lei non si farà più viva. Tu sei troppo buono con il sesso debole, Zayn."
Non credevo di essere così tanto bravo nei confronti delle ragazze che mi capitavano a tiro, ma non replicai. Sarebbe stato meglio evitare di discutere a proposito di Melanie e del tipo di persona che mi faceva diventare.
Sospirai, disturbato dal fatto che l'intromissione di Melanie nella mia vita stesse rovinando un periodo relativamente felice e spensierato. Avevo da poco cominciato a curare le ferite lasciate da Emily ed ecco che mi trovavo alle prese con un nuovo disastro sentimentale. In quel momento capii che non era stata una mossa saggia dare corda a Melanie: sarei dovuto stare lontano da una donna che aveva già avuto a che fare con un marito, una famiglia, dei figli...
Mi voltai di nuovo alla mia sinistra e poggiai il gomito contro il finestrino dell'auto di Niall. In quel momento mi resi conto di non sapere nemmeno ancora dove fossimo diretti.
"Ehi, ragazzi, dove stiamo andando?" domandai, riscuotendomi dai miei pensieri.
Riuscii a intercettare l'occhiata maliziosa di Niall nello specchietto retrovisore.
"Questa sera ci tratteremo da gran signori" mi rispose. "Stiamo andando al Tokyo."
Ecco spiegato il motivo del suo ammiccare con aria furbesca.




Privjet, ragazze! :)
Come state dopo questo Natale che qua da me ha portato tanti regali, tanta gioia e TANTI CHILI?
Oggi sarò breve e presto vi lascerò a rimuginare su che cosa possa voler dire "andare al Tokyo" per i tre baldi giovanotti della storia (be', ovviamente si tratta di un locale, ma tutto il resto lo leggerete prossimamente...).
Mi sono divertita molto a scrivere questo quinto capitolo, anche perché finalmente siamo entrati nel pieno della storia, e pian piano introduco anche vari personaggi e vari "avvenimenti" che porteranno alle prossime novità. A voi è piaciuto? Che cosa pensate dei nuovi personaggi? (tanto so che tutte odierete Melanie... ;) )
Bene, l'avevo detto che sarei stata brevissima oggi! Finisco solo col ringraziare come sempre tutte coloro che sono state così gentili e disponibili da scrivermi e farmi sapere cosa pensano di questa storia: grazie a tutteeeee, je vous aime. Mi fa davvero molto piacere notare come tante vecchie lettrici delle mie precedenti fanfiction (RIP) abbiano deciso di fidarsi e di provare a leggere anche quest'altra. Danke!
E ora vi saluto, vi abbraccio e vi bacio,
con affetto



M.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Un appuntamento ***




 
Un appuntamento



Indossare abiti comodi e non troppo eleganti era stata una scelta saggia.
Scoppiai in una grossa risata e afferrai un fazzolettino di carta dal bancone. Tamponai grossolanamente la macchia umida che si allargava al centro della mia camicia, all'altezza del petto. Continuai a ridere sotto i baffi mentre Niall stentava a rialzarsi: si era piegato in avanti con le mani sulla pancia, tutto preso dalle risate.
"Malik, sei un coglione!" urlò Louis, incapace di mettere fine a quel momento d'ilarità.
Sfregai il dorso della mano sotto gli occhi: stavo quasi per piangere dal ridere. E l'aspetto più divertente di tutto ciò era proprio il fatto che non sapessimo spiegare tanta allegria.
"Non ho ancora... imparato", ricominciai a parlare, biascicando le parole, "la differenza tra... bocca e..."
Niall si tirò su ed emise uno strano urletto divertito. Si passò una mano tra i capelli e provò a calmarsi, ma dopo pochi istanti riattaccò con la sua risata contagiosa.
"Passagli un altro drink!" esclamò rivolto a Louis.
Mossi le mani in segno di diniego. La mia mente galleggiava in uno spazio tutto suo, in cui ogni oggetto, ogni volto, ogni suono era reso più soffice e amabile. Mi sentivo leggero e felice, e sapevo perfettamente che tutto questo era dovuto alle quantità ingenti di gin e vodka mandate giù quella sera. Ciononostante, una piccola zona del mio cervello non si era lasciata lusingare dalle mosse tentatrici dell'alcol e aveva conservato un minimo ritegno, sufficiente a evitarmi vomito e successivi attacchi di sonno.
"Io sto bene così."
Louis, la nostra bottiglia di gin già tra le mani, si bloccò e mise su un'espressione scioccata.
"Stai dicendo di no alla nostra dama?" esclamò; si voltò in direzione di Niall e ripeté: "Sta dicendo di no alla nostra dama?"
Il biondino rise e annuì. Anch'io sorrisi, mi sistemai i capelli con entrambe le mani.
Louis posò la bottiglia sul bancone alle sue spalle e alzò in alto il proprio bicchiere per metà pieno.
"Io propongo comunque un brindisi" ribadì, alzandosi in piedi.
Lo vidi barcollare leggermente: era la prima volta che si tirava su dallo sgabello sul quale aveva preso posto quando eravamo arrivati nel locale.
"A che cosa?" chiese Niall, pronto a seguire il nostro amico; cercò un altro bicchiere tastando il bancone con entrambe le mani. Colpì erroneamente un bicchiere di plastica appartenuto a un altro cliente e si rovesciò addosso gli ultimi cubetti di ghiaccio rimasti.
Io e Louis scoppiammo nuovamente a ridere, mentre Niall tentava di ripulirsi i pantaloni sfilando parecchi fazzolettini dal contenitore sul bancone.
Louis mise un braccio sulle mie spalle e mi guardò con aria soddisfatta. "Io propongo un brindisi al nostro trio e a Zayn Malik. Siamo una bella squadra e potremmo davvero compiere grandi gesta insieme."
Risi e scossi il capo. Anche le sue maniere profetiche di conversare suonavano perfettamente inserite in quel contesto, se di mezzo c'era stata qualche bevuta di troppo.
"Potremmo persino formare un gruppo!" scherzò Niall, voltandosi di nuovo nella nostra direzione con tre fazzolettini di carta ancora stretti in mano.
Risi. "Certo, io potrei suonare il triangolo! Che ne pensate?" ironizzai.
Louis mi sciolse dal suo abbraccio e, con il bicchiere ancora teso in un brindisi irrealizzato, si fece improvvisamente serio.
"Ehi, questa sì che è una bella idea!" disse a voce alta.
Il dj aveva alzato il volume della musica senza un motivo preciso, quindi continuare a parlare sarebbe diventato difficile.
"Che cosa? Il triangolo?" borbottai, confuso dai bassi della canzone elettronica che stava risuonando nella vasta sala del Tokyo Bradford.
Louis mandò giù ciò che rimaneva del suo gin e poi lanciò il bicchiere sul bancone; per poco questo non finì a terra frantumato in mille pezzi.
"Un gruppo" disse, serio. "Questa è un'ottima idea. Niall, sei un genio!"
Il nostro amico gettò a terra anche l'ultimo fazzolettino e alzò uno sguardo perplesso sul viso di Louis.
"Dici a me?" chiese.
Louis sbuffò: nonostante fosse il più accanito bevitore tra di noi, era probabilmente anche l'unico che ancora riusciva a connettere le proprie idee.
"Ragazzi, potremmo davvero formare una band!" esclamò, l'eccitazione percepibile nelle sue parole. "Siamo tre cantanti, io e Niall suoniamo e tutti abbiamo più o meno gli stessi gusti musicali!"
Strizzai gli occhi per focalizzarmi meglio sull'immagine di Louis ritto in piedi di fianco a me. Le luci colorate del club illuminavano a intermittenza il suo viso magro e mi rendevano più difficile scorgerne con precisione i dettagli.
"Io però non suono nessuno strumento" replicai.
"Ma canti, e siccome Chad si dimostra ostile alle tue richieste, potresti iniziare a collaborare con noi due" proseguì Louis.
Scorsi Niall annuire con sempre maggiore convinzione: teneva gli occhi bassi sulle proprie mani, perso in chissà quali riflessioni, ma una luce nel suo sguardo tradiva l'attenzione che in realtà prestava alle parole di Louis.
"È vero, Zayn!" esclamò a un tratto, estasiato. "Perché non ci abbiamo pensato prima? Insieme saremmo un gruppo formidabile!"
Mi sfregai una mano sulla corta barba che stava ricrescendo. "Io ho iniziato a cantare da poco tempo, non sono sicuro di essere in grado di..."
Accadde tutto all'improvviso: feci in tempo solo a vedere il braccio di Louis levarsi e dopo percepii un colpo deciso alla nuca.
"Ahi!" urlai, sorpreso; mi portai una mano alla testa e la massaggiai nel punto in cui ero stato picchiato. "Mi hai fatto male!" protestai.
Louis annuì e incrociò le braccia al petto. "Te lo sei meritato, Zayn. Quando smetterai di dubitare di tutto ciò che fai e dici?"
Gli rivolsi uno sguardo torvo: forse Louis aveva ragione nel parlarmi in quel modo, ma io non mi ero mai accorto di suonare noioso quando rivendicavo una sostanziale incapacità nell'arte del canto. Non potevo dirmi agli stessi livelli di uno come Niall, che suonava e cantava da quando era bambino, e non potevo neppure pretendere di esordire al fianco di due cantanti che, al contrario di me, avevano anni e anni di esperienza alle spalle.
"Io non sono alla vostra altezza, Lou'" ribadii.
"Certo che non lo sei! Finché continuerai a considerarti un incapace che canta solo per far felice la mammina allo spettacolo di fine anno, non diventerai mai nessuno" mi sgridò Louis.
Niall annuì con aria critica. Aggrottai la fronte e lo guardai sorpreso dal suo improvviso silenzio; il mio amico si riscosse e scoppiò a ridere. Niall aveva seriamente bevuto troppo...
Louis mi afferrò per le spalle e mi obbligò a guardarlo dritto negli occhi.
"Entra nel nostro gruppo e faremo di te un grande cantante" disse.
"Non abbiamo..."
"Non ci serve niente in più di ciò che già possediamo: le nostre voci, la passione per la musica e tanta voglia di sfondare. Avanti, Zayn, quando ti ricapiterà un'occasione del genere?"
"Non lo so. Forse mai..."
"Esattamente! Non lasciarti frenare da quella testa contorta che ti ritrovi lassù, buttati in un'avventura nuova! Non sei stufo di fare sempre le stesse cose, di essere sempre lo stesso noioso Zayn Malik?"
Gli lanciai un'occhiata offesa. Louis scoppiò a ridere e si voltò verso il bancone: afferrò la nostra bottiglia di gin e l'allungò nella mia direzione.
"Sei sulla buona strada per cambiare la tua vita. Ti basta solo più accettare la proposta di Niall" m'informò.
Strinsi la presa sulla bottiglia e la strappai finalmente dalle mani del mio amico. Lui sorrise, compiaciuto. L'aprii e ne bevvi due lunghe sorsate. Quando mi staccai dalla bottiglia, sentii di essere decisamente instabile sulle mie stesse gambe. Riconsegnai il gin a Niall, che non esitò nel berne l'ultimo goccio rimasto.
"E allora..."
"Zayn Malik?"
A interrompermi era stata una ragazza bionda dalle gambe parecchio lunghe, che subito colpirono non solo la mia attenzione, ma anche quella di Niall e di Louis. Ci voltammo tutti e tre nella sua direzione, squadrandola da capo a piedi. Lei, comunque, teneva gli occhi puntati su di me: sorrideva con aria interessata. Conoscevo fin troppo bene quell'espressione, l'avevo vista comparire sui volti di tutte le mie ultime conquiste.
"Ciao" la salutai, affascinato. "Ci conosciamo?"
Lei rise e si spazzò i capelli dietro le spalle con una mano. "Certo, sono Bethany. Frequentavamo lo stesso laboratorio di Chimica l'anno scorso."
"Bethany Smith?" domandai, sorpreso.
Lei annuì, soddisfatta del mio tentativo. Ora sì che la ricordavo: una bella ragazza che mascherava la sua mania per il sesso spacciandosi per una studentessa modello. Insomma, il sogno di quasi ogni ragazzo in preda agli scombussolamenti ormonali dell'adolescenza.
"Ciao" salutò poi lei Niall, ammiccando come aveva fatto con me.
Il mio amico levò un bicchiere in alto e alzò un sopracciglio. "Ti va un drink insieme a noi, Bethany?" le propose senza troppi problemi.
La bella biondina scoppiò a ridere e fece segno di no. "Preferisco occuparmi di voi quando avrete bevuto anche i miei drink."
Che cos'era quello? Un invito a non lasciarci sfuggire l'occasione?
Intercettai l'ambigua occhiatina di Louis, che subito dopo tirò una lieve gomitata a Niall. Uno di noi due doveva cogliere l'implicita esortazione nelle parole di Bethany e trascinarla fuori dal Tokyo Bradford.
"Forse non possiamo fare niente contro il tuo istinto di buona samaritana, ma possiamo sempre tentare con le tue amiche" s'intromise Louis, appoggiando un braccio sulle spalle di Bethany. "Perché non le inviti a bere con noi?"
La ragazza rise di gusto e fece cenno di sì. "Aspettatemi qui."
Non appena Bethany si fu allontanata, Niall batté le mani ed esclamò: "Lou', sei un mito!"
Lui alzò un sopracciglio e sorrise. "Entro dieci minuti vi voglio entrambi giù in pista a sedurre una delle fanciulle che stanno per arrivare."
Mi sbottonai il primo bottone della camicia. "Stai a vedere."
Bethany tornò dopo pochissimo con quattro ragazze al seguito, tutte abbigliate alla stessa maniera: succinti vestitini neri che evidenziavano i loro fisici minuti. Riconobbi solo due delle nuove arrivate, le quali ci squadrarono piene d'interesse. Bethany le presentò, ci stringemmo le mani senza più avere idea dei nostri nomi. Dopodiché Louis si staccò dal bancone e si fece strada verso una delle amiche di Bethany più carine, una tipa dai capelli corti e modellati meticolosamente. Questa gli rivolse un intenso sorriso d'intesa e lui la trascinò con sé verso la pista.
Intravidi Bethany ancora intenta a colpirmi con le sue occhiatine sfuggevoli; forse credeva di poter passare inosservata? Le sorrisi e con un cenno del capo indicai la pista super affollata. Lei annuì con energia e ricambiò apertamente il mio sorriso. Poco prima di lasciare Niall, lo vidi allungarsi sul bancone per ordinare da bere, mentre le tre ragazze rimaste in sua compagnia sembravano divorarselo con gli occhi.
Quella serata sembrava promettere davvero bene per tutti e tre...
Scesi in pista seguito da Bethany. A un certo punto, mentre mi giravo per controllare che non si fosse persa in mezzo alla folla, cercai e afferrai la sua mano. Lei sembrò apprezzare il gesto e si fece più vicina a me. Raggiungemmo la pista non senza difficoltà e attaccamo con un ballo sfrenato, mentre Bethany batteva le mani ad ogni mia nuova mossa. Io afferrai di nuovo la sua mano e le feci fare una piroetta, poi l'attirai verso di me e le lanciai un sorriso affascinante. Lei, per niente impassibile alle mie avances, rispose facendo scivolare le proprie mani sul mio petto. Avvicinai il viso al suo e continuai a ballare senza darle la soddisfazione di potermi baciare. Bethany non si scompose, sorrise e si staccò dal mio corpo. La vidi continuare a ballare attirando le attenzioni dei ragazzi attorno a noi. Sapeva muoversi e aveva un bel corpo da ballerina: forse a scuola preferiva nascondere la sua vera identità, ma in quel club io la stavo osservando scatenarsi senza più inibizioni.
"Mi piace come balli" le sussurrai all'orecchio, afferrandola per i fianchi e tirandola di nuovo verso di me.
Bethany mi guardò negli occhi. "E a me piaci tu" rispose. "O meglio, piaci a tutte."
Cercai di sfoderare uno dei miei sorrisi più suadenti. Quello era il momento in cui dovevo mostrarmi sicuro di me stesso per portare a termine l'affare. Sapevo che Bethany si aspettava lo stesso risultato che sognavo io nella mia mente.
"È di questo che parlate voi in classe? Di me?" le domandai.
Bethany ridacchiò, seguendo i miei movimenti. "Forse sì... Forse no... Chi lo sa?"
"Non me lo rivelerai?"
Bethany scosse il capo. "Credo di no."
"Nemmeno se ti prometto che questa sarà la miglior serata della tua vita?" sussurrai.
"Forse solo se riesci a dimostrarmelo..." m'incoraggiò lei.
Mi avvicinai di nuovo a lei e questa volta non persi tempo in convenevoli: cercai la sua bocca e la baciai con vigore. Bethany non si fece cogliere impreparata e ricambiò il bacio, allungò le braccia e mi strinse a sé. Potevo sentire l'eccitazione scorrere nel suo bel corpo magro. Rimanemmo abbracciati in pista, stretti in un bacio che faceva da preludio a una nottata intensa, per parecchi minuti. Solo quando la canzone terminò, io mi staccai da lei con un ultimo leggero morso al suo labbro inferiore. Bethany parve apprezzare il gesto e mi guardò con evidente entusiasmo.
"Che ne dici di andare a prendere la tua roba e lasciare questo posto?" le suggerii a voce bassa.
"Aspettami qui" rispose; mi diede un ultimo bacio sulle labbra e scappò in direzione della scalinata che conduceva al piano superiore, dove aveva lasciato cappotto e borsetta.
Mi portai a lato della pista, evitando i colpi di chi ancora si stava scatenando sulle note di una canzone pop che non conoscevo. Sfilai il pacchetto delle sigarette dalla tasca dei pantaloni e me ne infilai una in bocca. Stando all'ora indicata sullo schermo del mio telefono non era ancora troppo tardi, ma per me il divertimento iniziava solo in quel momento.
Sogghignai tra me e me, compiaciuto delle mie stesse armi seduttive, e tirai su il capo riconoscendo qua e là qualche sguardo puntato nella mia direzione. Tra questi ne catturai uno che subito mi parve familiare. Rimasi nel dubbio solo qualche secondo, dopodiché mi fu chiaro chi stessi fissando. Lei ebbe la stessa reazione e quando mi ebbe riconosciuto, levò una mano in segno di saluto. Si fece largo nella calca e dopo un minuto fu al mio fianco.
"Summer?" esclamai, sorpreso, levandomi la sigaretta di bocca.
Lei fece un piccolo inchino. "In persona. Ciao, Zayn."
Sorrisi, contento di rivederla. "Anche tu qui! Che combinazione!"
Lei mantenne quel suo solito atteggiamento controllato e indecifrabile, ma continuò a sorridermi con aria gentile. "Ti avevo già adocchiato in pista, ma non ero sicura che fossi davvero tu" mi spiegò.
La guardai attentamente, imbambolato per via dell'alcol: era strano vederla in un luogo del genere, abbigliata e truccata come una delle tante ragazze da cui io tendevo a differenziarla con una certa ostinazione. Aveva indossato un paio di pantaloni grigi a vita alta abbinati a una camicetta bianca dall'ampia scollatura; le sue labbra risaltavano in tutta la loro pienezza grazie a un raffinato rossetto dal colore intenso, mentre sugli occhi portava un trucco appena accennato.
"Sei davvero bella così" mi lasciai sfuggire di bocca con voce smorzata.
Summer rise e si sporse in fretta verso di me per sostenermi prima che cadessi a terra. Le gambe iniziavano a protestare, dovevo uscire da quel posto.
"Ehi, Summer... Sai, mi ha fatto davvero piacere parlare con te questa mattina!" esclamai, riprendendo il discorso dal nulla.
La guardai negli occhi e lei si fece più interessata. "Oh, grazie. Ne sono felice."
Agitai le mani a caso e chiusi gli occhi per un secondo. "Domani però temo di non poterti accompagnare in campagna a... scattare foto... Ho un impegno di un certo tipo...", e le strizzai l'occhio con aria complice.
Summer sorrise, furba. "Credo di sapere a che tipo di impegno ti riferisci... Per caso ha gambe chilometriche, capelli biondi e il nome di Bethany Smith?"
Io risi e annuii. "Vedi? È per questo che mi piace parlare con te! Hai sempre la risposta giusta e sei divertente."
Col piede colpii qualcosa a terra e m'inciampai. Fui sul punto di crollare a terra, ma Summer mi sorresse con una certa prontezza.
"Io credo che sia l'alcol a rendermi così simpatica come dici tu" scherzò, ma io la capii perfettamente.
"Ehi, Summer, dovremmo scambiarci i numeri di telefono, sai?" proposi, la vista annebbiata mentre cercavo d'individuare i suoi occhi scuri. "Sì, così almeno potrei avvertirti quando... quando non posso fare... quel tuo... jogging strano... Come lo chiami?"
"Fotografico" venne in mio soccorso, lo sguardo divertito.
Puntai l'indice nella sua direzione. "Proprio quello."
Summer non si scompose, ma nemmeno accennò a tirare fuori il proprio cellulare dalla borsetta. Io strabuzzai gli occhi e poi alzai le braccia; per poco non colpii un ragazzo che ballava lì vicino a noi. Summer scoppiò a ridere, scosse il capo.
"Lasciami il tuo numero di telefono, Summer!" insistetti.
"Va bene, va bene!" si arrese, sorridendo sotto i baffi. Estrasse il suo vecchio cellulare fuori moda e premette qualche tasto, poi me lo passò. Provai a digitare il mio numero, ma dovetti cancellare e rifare tutto da capo più volte: le cifre mi apparivano sfocate e poco nitide. Quando ebbi finito, riconsegnai il cellulare alla mia amica e tirai fuori il mio dalla tasca.
"Sai, quando sei ubriaco ti trovo ancora più divertente" disse lei.
Sorrisi. "Ti prendi gioco di me, eh?"
Fece segno di no. "Non ne sarei mai capace..."
Le ficcai il mio telefono tra le mani e aspettai che si fosse convinta a lasciarmi il suo numero. Summer sembrò tentennare, ma dopo qualche istante d'indecisione lo compose velocemente.
"Se ti va, potremmo..." provai a parlare ancora, ma lei m'interruppe con un gesto della mano. Si fece seria in volto e indietreggiò di un passo.
"Mi ha fatto piacere rivederti, Zayn" tagliò corto.
Mi sentii toccare la spalla e voltandomi trovai Bethany ad attendermi, il cappotto addosso e la borsetta tra le mani. Bathany lanciò un'occhiata obliqua alla mia amica.
"Anche a me, Summer. Lunedì non mancherò al tuo jogging strano!" esclamai, incurante di Bethany al mio fianco.
Ero certo che Summer non amasse il fatto di trovarsi lì con me e Bethany in quel momento, ma la vidi comunque nascondere un sorrisetto allegro. Tornò in mezzo alla pista e io la persi di vista.
"Andiamo?" cinguettò Bethany dritto al mio orecchio.
Le stampai un bacio sulle labbra. "Certo."

***

Mi mossi a fatica tra le coperte. Provai a liberare il braccio, ma qualcosa mi bloccava. Aprii leggermente gli occhi e mi accorsi che Bethany stava dormendo lì vicino con il mio braccio stretto attorno ai fianchi.
Allora non è colpa della coperta, dedussi, scocciato.
Mi tirai su a sedere e, cercando di fare il minimo rumore possibile, sfilai il braccio dal corpo di Bethany, la quale non si accorse di nulla. Mi alzai dal letto e camminai sul pavimento in legno della camera da letto della mia bella conquista: le finestre erano leggermente aperte, su uno dei quattro muri della stanza campeggiavano le tante fotografie scattate durante viaggi e gite con gli amici e per terra giacevano ancora vestiti e oggetti personali, abbandonati la sera precedente quando, in preda all'eccitazione, avevamo spalancato la porta e ci eravamo gettati sotto le coperte.
Mi passai una mano sul viso, continuando a gironzolare per la camera da letto con i miei soli boxer addosso. Non volevo fermarmi troppo a lungo in quella casa, perché non avevo idea di chi avrei potuto incontrare nel salotto o nell'ingresso: sarebbe stato alquanto scomodo dover dare spiegazioni alla madre o, peggio ancora, al padre di Bethany.
Mi diressi verso i miei pantaloni, a terra vicini alla porta della stanza. Li sollevai sbadatamente e il mio telefono volò via dalla tasca e cadde sul pavimento con un brutto tonfo.
"Vaffanculo!" bisbigliai, chinandomi prontamente. Il cellulare non sembrava essersi danneggiato. Provai ad accendere lo schermo per controllare che non ci fossero crepe nel vetro: questo s'illuminò mostrandomi l'ora di quel fresco primo marzo. Non avevo messaggi o chiamate da leggere, ma in quel momento mi tornò un'immagine in testa. Fu come un flash, sbloccai in tutta fretta lo schermo del mio cellulare e corsi a controllare la rubrica.
Sorrisi tra me e me, intimamente soddisfatto: il nome di Summer spiccava in mezzo agli altri salvati nel mio elenco di contatti telefonici.

***

Era il primo lunedì di marzo e tornare a scuola non mi sembrava così male come al solito. Forse ciò era dovuto al lento arrivo dei mesi caldi, forse era solo una questione di buon umore. In ogni caso, quella mattina del due marzo guidai fino alla Tong High School cantando a voce alta nell'abitacolo della mia Peugeot, sicuro che quella sarebbe stata un'ottima giornata.
Non avevo più rivisto Niall e Louis dopo il nostro sabato sera passato solo in parte insieme; avevamo parecchie questioni irrisolte di cui parlare, prima di tutte quella riguardante il loro ambizioso progetto di formare un gruppo musicale. Il giorno prima avevo riflettuto a lungo su che cosa potesse comportare quella novità, ed ero arrivato alla conclusione che Louis avesse ragione su (quasi) tutto: dovevo buttarmi in qualcosa di nuovo, respirare un po' di aria fresca in mezzo agli eventi sempre uguali della routine.
Spensi il lettore musicale e sfilai le chiavi dal quadro dell'auto. Afferrai la cartella e scesi, salutato da una ventata di aria fresca. Mi avviai verso l'entrata dell'edificio, ma a un certo punto del mio percorso fui costretto a fermarmi: ero ancora nel bel mezzo del parcheggio quando a qualche metro di distanza da me comparvero Harry Styles ed Emily Wood. Lei sembrava correre via e sul suo bel volto riuscii a scorgere una smorfia che ne deturpava la bellezza. Harry la seguiva mollemente, sembrava stanco.
"Emily... Ti prego, aspetta" disse lui con tono poco convinto.
"Non mi seguire, torna in classe!" urlò lei, evidentemente arrabbiata.
Harry però la raggiunse e la trattenne per una mano. Emily lo squadrò con odio. Mi domandai che cosa potesse essere successo a quella che tutti avevano accettato come la nuova coppietta perfetta.
"Sono stufa di questa storia, Harry!" sbottò Emily, strattonando via la sua mano dalla presa del ragazzo.
Lui alzò le spalle. "Che cosa vuoi che ti dica? Sono fatto così!"
"Non sei fatto così, tu ti comporti così! Io lo vedo, Harry. Lo vedo sempre!"
"Non è vero..."
"Ti sto infastidendo per caso? Basta che tu me lo dica, io non voglio vivere con la costante paura che..."
"Emily, adesso chiudi la bocca e ascoltami: tu non hai fatto nulla di sbagliato..."
Scossi il capo e proseguii oltre, divertito da quella lite mattutina. Passai il più vicino possibile ai due amanti incolleriti ed Emily se ne accorse: alzò gli occhi e mi fissò con aria di sincero stupore.
"Ciao, ragazzi!" salutai, allegro.
Harry mantenne un certo contegno, ma non rispose. La mia ex fidanzata, al contrario, mi rivolse un lieve cenno della mano. Io camminai oltre, nauseato al pensiero che Emily mi avesse tradito qualche mese prima per stare con un ragazzo incapace di renderla felice. Che cosa stava succedendo a quei due? Le prime crisi? Io ricordavo perfettamente la mia relazione con l'avvenente Emily Wood: quasi nessun litigio in ben undici mesi. Forse anche lei ricordava quel particolare...
Salii la scalinata della scuola e ne varcai la soglia. Appena fui nel vasto atrio dell'edificio, il mio sguardo fu catturato da un altro volto noto: Summer stava parlando con la Martin, ferma proprio davanti alla porta dell'aula dei professori, poco oltre la segreteria.
Sorrisi e mi fermai a guardarla, in attesa che terminasse di discutere con la nostra professoressa. Summer fu congedata con qualche spiccia parola e la vidi salutare la Martin con un'espressione poco entusiasta.
"Ciao, Summer!" esclamai, andandole incontro.
Lei alzò gli occhi e mi guardò: sembrava sorpresa.
"Ciao, Zayn!"
"Come stai?" le domandai, interessato.
"Io sto bene, tu piuttosto?" rispose, sorridendomi in modo ambiguo.
Scoppiai a ridere. "Avanti, spara: sono stato tanto penoso?"
Summer rise e rispose: "Posso dirti di no ed evitarti l'imbarazzo dei prossimi dieci minuti di resoconti?"
Guardai Summer dritto negli occhi e le feci segno di no col capo. "Dalla tua risposta ho già capito tutto."
"Dai, alla fine non eri così male mentre ballavi assieme a Bethany" mi prese in giro lei. Vidi il suo volto cambiare: assunse un'espressione sensuale e cominciò a muoversi come se fosse in discoteca, con la sola differenza che si fingeva ubriaca e barcollante.
"Chi sono io? Chi sono io? Non ho sentito bene, avete detto il ragazzaccio di Bradford per caso?" esclamò, cercando di imitare una voce maschile. "Esatto, quello è proprio..."
Misi una mia mano sulla sua bocca e gliela tappai. Summer si divincolò e rise ancor di più.
"Ecco, eri all'incirca così" terminò, soddisfatta.
"Mi sarei accontentato anche solo di un 'ridicolo' o 'improponibile', ma grazie mille di quest'imitazione, Summer" replicai.
Lei rispose fingendo di alzare un cappello dal capo. "Non c'è di che. E com'è andata la nottata con Bethany?"
Spalancai gli occhi, sinceramente colpito dalla sua domanda: non mi sarei aspettato di vederla interessarsi a certi temi. Normalmente non parlavo mai con le ragazze a proposito... delle ragazze. Mi sentivo sempre giudicato e messo in croce dalle occhiate ostili che mi venivano indirizzate al solo accennare a una delle tante avventure notturne.
"È andata... bene, sì" risposi, titubante. "Davvero non ti dà fastidio che ne parli?"
Summer scosse il capo. "Perché dovrebbe?"
"Non so... Di solito voi ragazze siete contro questo genere di cose."
Summer sorrise, scaltra. "Oh, no! Ascoltare i tuoi racconti mi aiuterà a disegnare un miglior profilo psicologico, è interessante!"
"Mi prendi di nuovo in giro?" domandai, sospettoso.
Lei scosse il capo, ma era talmente difficile comprenderla a fondo che non mi sarei stupito se avessi scoperto che sosteneva sempre il contrario di ciò che pensava.
"Comunque, Bethany è una brava persona" proseguì Summer, un sorriso gentile stampato in volto. "E secondo me tu le piaci davvero."
"Dici sul serio? Come fai a dirlo?"
"Bastava guardarla mentre ti parlava!"
"Tu l'hai guardata mentre parlava con me?!"
Summer rise e si spostò da dov'era. La seguii, interessato al suo discorso. Quella ragazza aveva un modo tutto suo di coinvolgermi nelle conversazioni più disparate.
"Eravate in pista, avvinghiati, stretti in una danza romantica, e io vi ho semplicemente notati" spiegò lei, ironica.
"Sorvoliamo sui dettagli" dissi. "E comunque, per tua informazione, non m'interessa il fatto che Bethany possa avere intenzioni serie."
Summer schivò un gruppo di tre studenti e guardò nella mia direzione. "Ah sì? E perché, se posso chiederlo?"
Feci spallucce. "In questo periodo non sto cercando una relazione stabile. Non so se ti sono giunte le voci riguardanti... la mia precedente... storia."
Summer mise su un'espressione mortificata. "Sì, avevo colto qualcosa qua e là. Emily Wood e Harry Styles, giusto?"
"Proprio loro due. E sai che prima li ho visti litigare nel parcheggio della scuola?"
"Uh, una ragazza che litiga con Harry Styles! Che grande novità!" ironizzò Summer a bassa voce.
"Perché dici così?" m'incuriosii.
"Io e Harry ci conosciamo abbastanza bene. Sua madre e mia madre sono migliori amiche. O perlomeno lo erano quando io ancora vivevo con entrambi i miei genitori" spiegò lei, facendosi più seria.
Restammo zitti per qualche istante, mentre il corridoio lentamente si svuotava e tutti rientravano in classe. Le lezioni avrebbero avuto inizio di lì a breve e non sapevo nemmeno dove fosse l'aula della mia amica.
"Harry ha un carattere molto particolare, è difficile andarci d'accordo" continuò Summer.
"Davvero?" replicai, sorpreso. Non conoscevo bene quel ragazzo dagli occhi verdi e l'aria sempre distratta, ma non avrei mai sospettato che sotto le sembianze da belloccio potesse nascondersi un animo turbolento. "E tu e lui... eravate... in buoni rapporti?"
Summer alzò il capo e annuì ripetutamente. "Sì, certo! Tutto è andato bene fino al giorno in cui mi ha chiesto se volessi fare sesso con lui per abbattere la famigerata barriera della verginità."
A quella risposta scoppiai a ridere senza controllo. "Questo sì che è un retroscena interessante, Summer!"
Anche lei accennò una risatina. "Forse tu sei la persona meno adatta a cui raccontare certe cose."
Si fermò improvvisamente davanti a una porta e io ne dedussi che fossimo arrivati alla sua classe. Lei mi guardò con aria allegra, come faceva quasi sempre, e disse: "Comunque, io devo andare adesso."
"Ehi, Summer, stasera hai da fare?" mi affrettai a domandarle.
La mia amica piegò le labbra in un'espressione indecifrabile. La vidi infilare le mani nelle tasche della morbida felpa indossata quel mattino.
"Sarò a un concerto" rispose infine.
Mi domandai se quella fosse la verità o un modo di evadere nuovamente i miei inviti a uscire.
"C'è il gruppo di un mio amico che suona in un pub in centro città. Sono poco conosciuti, ma a me piace il loro genere musicale" continuò Summer, mostrandosi insensibile al poco successo ottenuto dal suo amico e i suoi colleghi.
Annuii. "Che genere suonano?"
"Una sorta di rock elettronico con influssi new wave."
"Sembra figo."
Summer sorrise, decisa nel non lasciarsi abbindolare dai miei metodi lusinghieri. "Zayn, nessuno ti obbliga a fingerti interessato..."
Poggiai una mano sul muro di fianco alla porta della sua classe. "Non sto scherzando, dovremmo andare a questo concerto!"
Summer alzò un sopracciglio. "Dovremmo?"
"Sì, io e te. Che ne dici?" insistetti apposta per vedere come avrebbe reagito quella volta.
La mia amica ridacchiò e fece un passo indietro. "Saremo in pochi e la serata non sarà di certo come quella al Tokyo."
"Correrò il rischio di annoiarmi sorseggiando una birra scadente e affrontando discorsi riguardanti improbabili minacce aliene. A che ore ci vediamo?"
Summer non rispose e si limitò a fissarmi, incapace di darmi una risposta che soddisfacesse le sue intenzioni. Dopo poco però scoppiò in una sana risata, che comunque non seppi decifrare.
"Dai, Summer, abbiamo ancora così tanto da dirci a proposito delle... tue manie da artista e il mio essere un pervertito senza speranze!" esclamai.
Due sue compagne di classe ci passarono di fianco in quel momento, scambiandosi un paio di occhiate impressionate.
Summer rise e scosse il capo. "E Bethany? Non dovresti..."
Alzai gli occhi al cielo. "Avrò tutte le occasioni del mondo per finire a letto con lei. Ora smetti di trovare scuse per non uscire con me."
"D'accordo, hai vinto" si arrese Summer. "Però guido io."
La guardai, perplesso: non mi ero aspettato quella decisione da parte sua.
"Perché? Questo è un colpo basso per un ragazzo, Summer..." scherzai, mostrandomi però scuro in volto.
Lei sospirò fingendosi afflitta. "Devo mostrarti che razza di persona insopportabile sono, ricordi?"
Sospirai e annuii: ero riuscito a ottenere il suo sì per una vera e propria uscita che non riguardasse jogging o fotografie, forse sarebbe stato meglio ignorare il fatto che mi sarei fatto venire a prendere a casa come una ragazzina di quattordici anni.
"Lasciami il tuo indirizzo, passerò a prenderti alle sette e mezzo" concluse Summer.

***

Quel giorno non potei fermarmi fino alla fine delle prove del gruppo extrascolastico: la giornata sarebbe stata più lunga del normale per via dell'uscita serale in compagnia di Summer, quindi avrei avuto bisogno di ritagliarmi del tempo per svolgere i compiti assegnati dai professori. Uscii dalla palestra senza aver parlato con Louis e Niall: il nostro discorso a proposito della band rimaneva ancora in sospeso e ciò non mi piaceva per niente. Se non avessimo più affrontato la questione forse ce ne saremmo dimenticati e il progetto non sarebbe andato in porto, e Dio solo sapeva quanto adesso desiderassi dare ascolto ai consigli di Louis e gettarmi a capofitto in quella nuova impresa.
Tirai il colletto del mio cappotto per ripararmi dalla ventata che mi colpì all'improvviso all'uscita da scuola. Alzai gli occhi verso il cielo, che quel pomeriggio si era tinto di un grigio scuro e poco promettente: durante giornate del genere tutto ciò che volevo era rinchiudermi in casa per non uscirne più fino all'arrivo del bel tempo.
Raggiunsi la mia Peugeot e mi chiusi nell'abitacolo fresco. Accesi il riscaldamento e mi sfregai le mani nella speranza di scacciare il freddo che mi attanagliava. Ebbi appena il tempo di mettere in moto l'auto, che sentii il mio cellulare vibrare nella tasca dei jeans. Col piede ancora premuto sul pedale della frizione, estrassi il telefono e lessi il nome sullo schermo: Melanie.
Sospirai, preso alla sprovvista da quella chiamata inaspettata: avevo fatto di tutto per evitarla il giorno precedente, dopo esser nuovamente caduto nella sua trappola, e forse lei se n'era accorta. Melanie aveva tanti difetti, ma era terribilmente scaltra e non si sarebbe lasciata mettere da parte un'altra volta: ormai credeva di aver vinto tutte le mie resistenze.
Decisi di premere l'icona del silenziamento sullo schermo del cellulare. Lo riposi in un piccolo scompartimento sotto il cruscotto e uscii dal parcheggio. Il cellulare ricominciò a suonare. Lo afferrai e silenziai nuovamente la chiamata.
"Lasciami in pace!" sbottai, infastidito.
Se fossi riuscito a evitare ogni contatto con Melanie, forse lei si sarebbe stancata di cercarmi e io sarei stato in grado di liberarmene per sempre. Sapevo che i problemi non andavano aggirati ma affrontati, però io non mi sentivo esattamente in grado di reggere le pressioni di quella bella donna dallo sguardo magnetico.
Il cellulare prese a squillare per la terza volta. Lo presi in mano e guardai lo schermo per qualche istante: non potevo più fare finta di nulla. Cliccai sul simbolo del telefono verde e risposi: "Ciao, Melanie."
La sentii ridere apertamente e la cosa non mi piacque affatto.
"Ciao a te, Zayn. Hai passato una bella giornata a scuola?" domandò con un tono strano che m'insospettì.
"Sì... Perché me lo chiedi?" feci, titubante.
"Semplice interesse per il mio ragazzo preferito. E si può sapere per quale motivo eviti di rispondere alle mie chiamate?" continuò lei con tono amabile.
"Non le stavo evitando, il mio cellulare era in cucina e non riuscivo a sentirlo" mentii sfacciatamente.
"Uhm..." fece Melanie. "Puoi anche finire di raccontare stronzate, Zayn. Sono fuori dai cancelli della Tong High School, ti sto vedendo."
Alzai la testa, terrorizzato: Melanie sorrideva in piedi di fianco alla sua macchina, parcheggiata esattamente davanti all'ingresso del mio liceo.
Staccai in tutta fretta la sua telefonata e accelerai fino a raggiungerla. Tirai giù il finestrino e la fulminai con un'occhiataccia.
"Che diavolo ci fai qui?!" sibilai, infuriato.
Melanie poggiò le braccia sul finestrino abbassato e spiò dentro l'abitacolo della mia Peugeot.
"Ero certa che se non mi fossi presentata personalmente qua, tu mi avresti di nuovo ignorata" disse. "E in effetti era quello che stavi facendo."
Scossi il capo. "Tu sei pazza, Melanie! Non puoi sbucare all'improvviso da queste parti, io e te non possiamo farci vedere insieme!"
Lei alzò le spalle e mise su un'espressione di strafottenza. "Non m'importa di dare nell'occhio. Io volevo rivederti e siccome tu mi stai evitando, mi sono rimasti pochi..."
"Melanie, va' via!" la interruppi. "Non abbiamo niente da dirci."
Lei spalancò la portiera del passeggero e s'infilò rapidamente dentro la mia automobile. Mi lanciò un'occhiata sensuale e poggiò la propria mano sulla mia. La scostai bruscamente.
"Stasera hai tempo per un salto da me?" domandò.
"Assolutamente no."
Lei sembrò colpita negativamente dalla mia risposta piccata. Fece una strana smorfia e riprese: "Cos'hai di meglio da fare?"
"Non sono affari tuoi. Scendi dalla mia macchina adesso."
"Zayn, credevo avessimo risolto tutti i nostri problemi sabato..."
"Forse tu hai risolto i tuoi, Melanie" l'accusai con tono duro. "Io invece non ho avuto altra scelta che assecondare ogni tuo singolo capriccio!"
Melanie mi mostrò uno sguardo torvo: le mie parole stavano iniziando a fare l'effetto sperato.
"Nessuno ti ha obbligato a venire a letto con me, Zayn!"sibilò lei, la rabbia che cominciava a sopraffarla.
"Tu mi hai obbligato!" sbottai.
"Non mi sembra però che tu ti sia tirato indietro!" strillò lei al limite della sopportazione.
"Allora lo faccio adesso: scendi da questa macchina e non cercarmi mai più!"
Melanie era accecata dalla rabbia: per questo alzò una mano e mi tirò un potente schiaffo in pieno volto. Mi schivai, ma era troppo tardi: ero stato colpito a tradimento, proprio come una femminuccia. La guardai, inorridito e lei sembrò sul punto di crollare. Dopo un istante d'incertezza, spalancò la portiera e si gettò fuori dalla Peugeot; corse verso la propria automobile e vi salì senza guardarsi indietro. La vidi ripartire a tutta velocità, mentre si asciugava gli occhi pieni di lacrime di rabbia e delusione.

***

La mia prima scelta furono abiti nuovi e che sicuramente avrebbero fatto voltare parecchie teste al mio passaggio. Ma dopo essermi osservato per un paio di minuti allo specchio, avevo deciso di cambiare stile. Non sapevo davvero decidermi: che tipo di serata avrei trascorso assieme a Summer? Non mi aveva dato molti indizi, tutto ciò che sapevo era che avremmo assistito a un concerto di un gruppo alquanto bizzarro e poco conosciuto.
Alle sette e mezzo io ero ancora nella mia camera da letto, seduto davanti al computer acceso. Riconobbi il classico suono della chat di Facebook e abbassai lo sguardo: Louis Tomlinson mi aveva appena contattato.
"Ti sei per caso innamorato di me?" fu il suo primo strano messaggio.
Digitai in fretta: "Mi dispiace deludere le tue aspettative, ma mi piace ancora una cosa che tu non hai. Perché?"
"Perché improvvisamente mi eviti come un timido innamorato."
Scossi il capo, ridendo della battuta del mio amico.
"Oggi pomeriggio sono dovuto scappare, ho un appuntamento questa sera."
La risposta di Louis si fece attendere un po' più del solito. Controllai l'ora sullo schermo del computer e pensai che Summer sarebbe potuta arrivare a casa mia da un momento all'altro.
"Un appuntamento? Ho letto bene?"
"Benissimo."
"E con chi?"
"Con Summer, la ragazza del gruppo extrascolastico... Ti ricordi di lei?"
Questa volta la risposta fu fulminea: "Zayn Malik, guai a te!"
Rimasi interdetto da quelle tre parole che seguivano il mio nome: perché Louis tutto d'un tratto sembrava contrario al fatto che uscissi con Summer?
"Che c'è?!"
"Non uscire con Summer Wayne! Te lo proibisco nella maniera più assoluta!"
"Dammi un buon motivo per il quale ascoltarti."
"Summer è una ragazza sveglia e non una stupida qualunque. Stai lontano dalle ragazze intelligenti come lei, frequenta solo le oche bionde come quella Bethany dello scorso sabato."
Così Summer aveva una fama tutta sua. Louis sapeva che tipo di persona fosse e confermava le ipotesi che mi ero creato in testa dopo averci parlato a lungo: una ragazza sveglia, interessante e intelligente.
"Che cosa c'è di male nel frequentare di tanto in tanto una ragazza più interessante delle solite Bethany, Kate o... Jessica?" scrissi velocemente.
"Ricordi Emily? Ricordi che cosa ti ha fatto?"
"Emily non è Summer. E soprattutto, io e Summer non usciamo insieme con intenzioni serie."
Louis non rispose subito. Potei vedere il fumetto con i tre puntini di sospensione comparire e scomparire sopra il simbolo della chat, segno che il mio amico scriveva e cancellava più volte il suo messaggio.
"Mi hai detto che avete un appuntamento. Non so che cosa ne dica il tuo dizionario, ma secondo il mio non ci sono dubbi sul fatto che un appuntamento con una ragazza sia un'uscita romantica" rispose all'insegna dell'ironia.
"In verità lei non sembra affatto interessata a me" fui costretto ad ammettere.
"Ne sei sicuro?"
"Più che sicuro. Mi ascolta anche quando le parlo di Bethany!"
Louis mandò dapprima un'emoticon vittoriosa e poi scrisse: "Allora hai scampato il pericolo. Però fai comunque attenzione a quella ragazza."
Ero stufo di sentir parlare della mia amica come se fosse un assassino seriale. Summer era simpatica e la sua compagnia era molto piacevole, non capivo che cosa ci fosse di sbagliato nel vederla di tanto in tanto.
Mi apprestai a rispondere a Louis quando sentii bussare alla mia porta. Alzai lo sguardo e risposi. Doniya stava sulla soglia con una strana espressione di stupore dipinta in volto.
"Zayn, credo ci siano visite per te" disse con tono incerto.
Chiusi la pagina web e la seguii di sotto. La porta di casa era già aperta, mi affacciai e rimasi di stucco davanti alla scena che mi si presentò davanti: Summer era in piedi di fianco a una bella moto di grandi dimensioni, nera come la notte. Mi sorrise e alzò un casco blu in segno di saluto.
"Summer?!" esclamai, comprendendo in un attimo il perché dell'espressione stupefatta di mia sorella.
"Spero che tu non abbia esagerato col cibo, perché ci aspetta una bella corsetta per le vie di Bradford."




Privjet e buon anno nuovo a tutte! :D
Come state dopo tutto questo never ending festeggiare? Siamo nel 2015 e tra due mesetti io festeggerò i miei 3 anni sul sito. Olè!
Allora, eccoci qua col sesto capitolo, che termina con una Summer badass armata di caschi e motociclette. Nel prossimo capitolo assisterete all'appuntamento vero e proprio e... a tutto ciò che ne deriverà. Non aggiungo altro.
Ah, in questo capitolo ho inserito alcuni temi ricorrenti: la diffidenza di Louis nei confronti di Summer, la presenza di Bethany, Melanie incazzata... Tenete a mente nomi e avvenimenti, girls! ;)
In ogni caso, vi è piaciuto questo nuovo capitolo? Vi ha deluse l'uscita serale dei nostri tre eroi Niall-Louis-Zayn? Sperando in responsi positivi, vi lascio ai vostri vari "post-festeggiamenti" (e sono sicura che ci vorrà del tempo :D) e vi do appuntamento al prossimo capitolo, che come al solito non tarderà ad arrivare.
Un bacio e un abbraccio,




M.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Hai detto bene ***




 
Hai detto bene



Mi avvicinai a Summer e al suo insolito mezzo di trasporto e guardai la mia amica con aria confusa.
"E questa?" chiesi, poggiando una mano sullo scuro sedile della moto.
Lei rise di cuore. "Ti avevo avvertito che avrei guidato io!"
"Sì, ma non avevi detto che cosa avresti guidato!" replicai. "Sai condurre un mostro del genere?!"
Summer sbuffò e mi squadrò con un'occhiata impaziente. "Hai intenzione di tirarti indietro proprio ora per paura che un viaggio in moto possa scompigliare la tua bella chioma?" mi apostrofò, ironica.
Le strappai di mano il casco blu che aveva portato per me e la guardai con aria altezzosa. "Credi davvero che Zayn Malik possa temere te e la tua moto? Povera illusa!"
Summer sorrise di sottecchi e montò sul mezzo con una certa agilità. Chissà se era davvero abituata a guidare quella moto come voleva far credere. Non mi era mai capitato di uscire con una ragazza così indipendente e sicura di sé, e la cosa, oltre a non dispiacermi affatto, sembrava alquanto intrigante. Mentre annodavo il laccio del casco sotto il mento, rammentai le parole che Louis mi aveva scritto poco prima di uscire di casa: "Allora hai scampato il pericolo. Però fai comunque attenzione a quella ragazza."
Forse avrei dovuto dare ragione a Louis: seguire Summer su una moto grossa quanto me e lei messi insieme non pareva proprio il migliore dei modi per iniziare quella che avevo giudicato una serata tranquilla.
"Sei pronto? Tieniti stretto" esclamò Summer, voltando leggermente il capo per farsi sentire meglio.
In quel momento realizzai un certo imbarazzo nel dovermi aggrappare alla mia amica per non rischiare di cadere a terra. La cinsi per i fianchi e lei non sembrò nemmeno badare alla cosa. Percepii il terribile rombo del motore acceso e vidi Summer partire con una decisa accelerata, mentre il marciapiede di fronte a casa mia si faceva sempre più lontano. Schivò un paio di auto superandole in tutta fretta e la sentii lanciare un urletto eccitato.
"Non è divertentissimo?" esclamò alla ricerca della mia approvazione.
Mi premetti un po' più contro di lei. "Sì... Divertentissimo è proprio l'aggettivo giusto, Summer!" urlai io, altamente ironico.
Lei rise a voce alta e rallentò appena in vista di un semaforo in lontananza. Quando però scattò il verde, lei ripartì sgommando e io per poco non finii a terra cadendo all'indietro.
"Summer, guidi come una pazza!" urlai.
Lei sembrava divertirsi un mondo. "Strillare non ti servirà a niente, Zayn!"
"Di sicuro non servirà a salvarmi la pelle se continui a questa velocità."
Summer imboccò il largo viale di Wakefield Road e superò una piccola rotonda tagliando la strada a due automobili. Sospirai, elettrizzato: nonostante il mio cuore battesse alla velocità della luce per la costante paura di poter finire ridotto in poltiglia sull'asfalto, quella pazza corsa per le strade della città aveva qualcosa di adrenalinico.
"Tieniti, Zayn!"
Feci solo più in tempo a sentire questa frase prima del botto: Summer saltò su un dosso senza rallentare di molto la velocità e per poco non fui sbalzato dal sedile della moto.
"Summer!" gridai. "Fai più attenzione!"
La mia amica rispose con una semplice risata. Forse non si rendeva conto di quanto fosse terrorizzante essere suoi passeggeri quando quella costituiva la prima volta che si saliva su una moto. Mi ripromisi di non accettare mai più in tutta la mia vita un passaggio da parte sua.
Nel frattempo continuavamo ad andare a una velocità talmente elevata che dopo poco riconobbi alla nostra destra il Bradford City Park, il parco cittadino principale che si trovava nel cuore della città. Dovevamo essere sulla Hall Ings. Non avevo nemmeno idea di quale fosse il pub dove gli amici di Summer si sarebbero esibiti.
Ma se a quel punto credevo di aver già visto tutto, mi sbagliavo di grosso, perché il peggio doveva ancora venire. Uscendo dalla Hall Ings, una volta superata una rotonda di modeste dimensioni, e immettendoci in Godwin Street incontrammo una lunga fila di automobili rallentate dalla coda dei pendolari che tornavano a casa da lavoro. Finalmente la moto perse un po' di velocità e sentii chiaramente Summer dire: "Okay, adesso dobbiamo cercare di evitare tutta questa gente. Tu sei pronto?"
"Se per pronto intendi mentalmente preparato a riaffrontare la tua guida spericolata, la risposta è no, Summer. Non sono pronto!" ironizzai.
"Quante storie per un po' di velocità! La prossima volta viaggeremo in bicicletta, d'accordo?"
Ma non ebbi nemmeno il tempo necessario a formulare una risposta che la sentii ripartire a tutto gas, superando le prime macchine davanti a noi. Quando però più avanti trovammo un pullman fermo in coda, pregai nel mio cuore che Summer non decidesse di compiere stranezze.
"Summer..." provai a richiamare la sua attenzione, mentre la moto continuava a correre a velocità spedita.
"Summer?" ritentai.
La mia amica non sembrava minimamente intenzionata a degnarmi della sua attenzione. Strinsi i suoi fianchi con rinnovata forza, il pullman che si faceva sempre più vicino e imponente. Superarlo sarebbe stato impossibile senza rischiare di finire sulla carreggiata opposta.
"Summer!" strillai.
"Tieniti forte, Zayn!" urlò lei in tutta risposta.
Si piegò leggermente di lato e sfrecciò a un soffio dal pullman azzurro alla nostra destra. Poi proseguì facendo lo slalom tra una macchina e l'altra, incurante delle regole stradali che tutti gli altri conducenti sembravano rispettare.
"Summer, ti odio!" esclamai, atterrito e ancora ben stretto al suo corpo.
La mia amica scoppiò a ridere e svoltò in una strada secondaria e molto meno affollata.
"Siamo quasi arrivati, Zayn" m'informò lei. "Sei contento?"
"Preferisco non ferire i tuoi sentimenti e tenere per me la verità."
"E pensa che in qualche modo dovremo pure tornare a casa."
"Mi è sembrato di sentire un 'a piedi'... vero?"
Summer rise sonoramente e rallentò di poco per svoltare in un'altra via quasi deserta. Proseguimmo ancora per pochissimi chilometri e, dopo esserci immessi nell'ultima stretta via laterale, Summer finalmente rallentò fino a fermarsi nei pressi di un pub che non avevo mai visto prima di quel momento, l'Harp of Erin. Ci trovavamo in Westend Street: lo dedussi dalle indicazioni scolorite appese ai muri. Scesi dalla sella della moto con un balzo e mi levai il casco altrettanto velocemente. Summer imitò il mio esempio ma prendendosi tutto il tempo del mondo; una volta che si fu tolta il casco dalla testa, mi cercò con lo sguardo e scoppiò in una grossa risata.
"Eri troppo divertente, Zayn!" esclamò.
La fulminai con una breve occhiata eloquente. "Al ritorno guido io."
"Non se ne parla nemmeno! Non hai la patente adatta."
"Allora torneremo a piedi."
"Ancora con questa storia? Sei noioso, Zayn!" mi prese in giro Summer.
"Ah sì?" replicai. "Non mi credi capace di farlo?"
"Non sto dicendo..."
"Farò esattamente così!"
Scattai in avanti e la sorpresi sollevandola da terra e issandomela sulla spalla come se fosse un sacco. Lei strillò, colta alla sprovvista.
"Lasciami, Zayn!"
"Andiamo, Summer. Dove sono i tuoi amici? Immagino ci stiano aspettando..."
Lei rise e scalciò nel tentativo di liberarsi. "Zayn!"
"Come torneremo a casa? Voglio sentirtelo dire, Summer."
"In moto, esattamente come abbiamo fatto adesso."
"Non credo che questa sia la risposta corretta", e attraversai la strada con la mia amica ancora in spalla come un peso morto. "Saluta i passanti, ti stanno fissando tutti" le feci presente, riferendomi a un gruppo di ragazzetti che, al nostro passaggio, ci aveva osservati con aria perplessa.
La sentii sbuffare. "Adesso mi lasci andare?"
Una volta arrivati al marciapiede opposto a dove Summer aveva parcheggiato, la liberai dalla mia presa. Lei si tirò più giù il bordo la gonna e mi gettò un'occhiata di rimprovero.
"Non ho nemmeno i pantaloni questa sera!" bisbigliò, imbarazzata.
Levai le spalle."Credi davvero che i passanti abbiano spiato le tue mutandine?!"
Summer sorrise, sconsolata. Io non potei fare a meno di ricambiarla e la seguii mentre si avviava verso l'ingresso di quell'Harp of Erin a me sconosciuto.

***

L'interno dell'Harp of Erin era talmente oscuro che non riuscii nemmeno a distinguere adeguatamente l'arredamento e le grandi fotografie appese alle pareti. Il bancone, dietro il quale un team di cinque camerieri esperti si muoveva freneticamente per soddisfare le richieste di tutti i clienti, era illuminato alla base da luci azzurre e bianche quasi accecanti. Per il resto, le uniche luci che dessero un minimo di vitalità al posto erano quelle dei riflettori puntati sul palco.
Seduto al piccolo tavolino rotondo al centro del salone guardavo la band che si stava esibendo davanti a me. Summer aveva avuto ragione: erano bizzarri, insoliti e difficili da apprezzare. Il loro stile sembrava derivare da una brutta copia della musica di David Bowie. Anche le loro coreografie lasciavano a desiderare: i quattro componenti del gruppo avevano indossato delle strane tute argentate che lasciavano intravedere solo i volti e le dita delle mani. Inoltre cantavano testi a proposito di leggere vicende quotidiane, fatti che alle mie orecchie apparivano del tutto irrilevanti.
E Summer, se pure mi aveva dato motivo di crederla incurante del lavoro del suo amico, sembrava divertirsi ad applaudire e ad acclamare quei quattro ragazzi in piedi davanti a noi.
La vidi tornare indietro verso di me dopo essersi alzata per farsi un po' più vicina al palco.
"Tu hai l'aria di chi sta per crollare" osservò, mentre si sedeva al suo posto di fianco a me.
Mi riscossi e la fissai come stordito. "No... Io? Assolutamente no!"
"Allora, ti piacciono?" domandò, scaltra, indicando il palco; la band ci stava deliziando proprio in quel momento con un brano che parlava di un pescivendolo e della sua merce.
Sorrisi. "Senz'offesa per il tuo amico, ma..."
Summer m'interruppe con la sua bella risata vivace. "Nessuna offesa, mi aspettavo questa risposta."
"È una tua abitudine portare la gente a concerti del genere, oppure lo stai facendo per farti odiare?" scherzai.
Summer prese in mano il suo bicchiere e rigirò il ghiaccio mezzo sciolto con la cannuccia nera. "In verità ho amicizie molto diverse tra loro, quindi tendo a non mischiarle. Lo scorso sabato, per esempio, ero con alcuni amici che adorano i locali come il Tokyo, ma che non metterebbero mai piede in questo pub per ascoltare due ore e mezzo di musica frastornante."
Annuii: avevo già pensato che lei fosse quel genere di persona con cui chiunque riesce ad andare d'accordo. "Non si può dire che ti annoi, eh?"
Summer alzò gli occhi su di me mentre sorseggiava l'ultimo goccio rimasto nel suo bicchiere. "Ho troppo da fare per potermi annoiare."
"Hai tanti amici" precisai.
"Quelli che bastano per riempire i miei vuoti di tanto in tanto."
Rimanemmo zitti mentre lei aspirava dalla cannuccia producendo un fastidioso rumore di risucchio. Infine la vidi arrendersi e poggiare il bicchiere sul nostro tavolino. Incrociò le braccia al petto e fissò i propri occhi neri su di me. Me ne accorsi e ricambiai l'occhiata.
"Che c'è?" chiesi, a disagio.
"Sto continuando il mio progetto del tuo profilo psicologico, non distrarti a parlare con me" scherzò lei.
Scossi il capo. "Ti credi così brava nell'analizzare le persone?" la sfidai.
"Ho un certo talento, sì."
"Posso metterti alla prova?"
Lei allargò le braccia. "Certamente!"
Mi sporsi in avanti verso il tavolino e poggiai i gomiti sulla superficie liscia e lucida. Guardai Summer dritto negli occhi e dissi bassa voce: "Che cos'hai capito di me finora?"
La mia amica proruppe in un simulato sbuffo di superiorità. "Questo è facile! Non devi aver paura di mettermi in difficoltà, Zayn."
"Allora rispondimi" replicai, calmo.
Summer, con le braccia ancora incrociate al petto e lo sguardo di chi la sa lunga, prese un sospiro e rispose: "Probabilmente non ho capito granché, perché si dice che non conosciamo mai davvero le persone che ci stanno attorno. Però mi sembri un ragazzo sveglio e... in qualche modo imprigionato."
Corrugai la fronte, improvvisamente molto più interessato alle sue parole. "Che cosa intendi dire?" chiesi.
Summer fece spallucce e mise una mano sul tavolo; la vidi grattare con aria distratta un piccolo buco sulla superficie altrimenti perfettamente liscia.
"Hai inventiva, non ti manca la voglia di fare, eppure mi sembri come confinato in un mondo d'indecisione e timore. Come se non facessi le cose per paura del risultato" spiegò con tono cauto, forse temendo che potessi fraintenderla.
Io, però, continuai a guardarla senza esprimermi in proposito. Fissavo i movimenti delle sue dita che grattavano lievemente il tavolo e non riuscivo a isolare dalla mia mente le sue ultime parole. A un tratto alzai lo sguardo e notai che Summer mi stava guardando. Mi sorrise e in quel momento mi parve la persona più gentile e altruista del mondo, come se anche le sue sole opinioni fossero un grande aiuto.
"Scommetto che saresti un uragano di idee, se provassi a metterti in gioco più spesso" aggiunse con fare incoraggiante.
Le sorrisi e abbassai gli occhi. "Summer, non devi temere che possa prendere a male queste tue opinioni... Io so di essere cambiato molto negli ultimi mesi."
"È per via di Emily Wood?" azzardò la mia amica.
Tornai a guardarla e mi sentii perforare dal suo sguardo profondo. Summer si rivelava sempre più brava nel saper ascoltare... e interpretare. Spesso deduceva la verità dai miei disarmanti silenzi.
"Lei non ha più importanza per me" risposi, sperando di suonare sincero.
Summer annuì, ma non sembrò soddisfatta della risposta. "La diminuzione d'importanza di una persona non va di pari passo con la guarigione della ferita che ha lasciato, Zayn."
Ridacchiai sotto i baffi e tornai a guardare nella sua direzione. Summer non mutò quella sua espressione dolce e curiosa a un tempo, e io per un secondo sperai quasi che s'innervosisse del mio risolino arrogante, che reagisse e che mi rispondesse in modo duro e categorico.
"Dovresti diventare psicologa, sai? Sei in gamba e ti esprimi in modo rassicurante" mi complimentai, cambiando discorso.
La mia amica sorrise. "Mi esprimo in modo rassicurante? Ne deduco di aver superato la tua prova a pieni voti..."
"Be', forse non a pieni voti, ma per questo ci sarà tempo..." dissi. "Non avevi detto che dovrei uscire più spesso con te?"
Summer sorrise un'altra volta: non era stupida, aveva capito dove volevo andare a parare. Tornò a guardare in direzione della band del suo amico, che aveva appena terminato il bizzarro brano sul pescivendolo. Anch'io guardai verso il palco e notai immediatamente gli occhi del cantante posarsi sulla ragazza seduta al mio tavolino. A parte Summer, i restanti ascoltatori applaudirono timidamente e senza mostrare troppo entusiasmo.
"A proposito di analisi delle persone... Io credo di aver capito qualcosa a proposito del tuo amico" bisbigliai a Summer in tono confidenziale.
Lei si voltò di scatto e rise. "Non voglio sentirti dire quello che probabilmente vorrai dire!" mi avvertì.
"Non credi che lui abbia un debole per te, Summer?" proseguii, ignorando la sua replica.
Lei sbuffò, ma sembrava divertita dalla mia caparbietà. "Simon e io ci conosciamo da tanti anni..." fu tutto ciò che seppe rispondermi, il che equivaleva a un'ammissione spontanea.
Annuii, interessato. "E perché non gli hai ancora dato...?"
Summer si voltò in fretta verso di me e mi lanciò un'occhiata perplessa.
"... una chance, Summer, una chance" mi affrettai a terminare la frase.
Lei si lasciò scappare un'esclamazione di sorpresa e rise. Anch'io scoppiai a ridere della sua reazione.
"Non si può mai sapere cosa passa nella testa di uno come Zayn Malik" si giustificò la mia amica. "E comunque, Simon non m'interessa. Penso che la cosa sia abbastanza chiara."
Scossi il capo. "No, niente affatto. Tu sei qua, al suo concerto da quattro soldi e lo applaudi come se non avessi mai ascoltato musica migliore di questa. Non credi che la situazione possa apparire leggermente ambigua?"
Summer spazzò una ciocca di capelli dietro la spalla. "Dipende dai punti di vista. Io non mi sento per niente ambigua, ho sempre trattato Simon come un semplice amico. Credo che lui lo sappia" mi spiegò.
Sospirai e rimasi fermo a spiare i movimenti della mia amica: lei sembrava a suo agio anche se sapeva che il suo spasimante la stava osservando conversare amabilmente con uno sconosciuto. Lo stesso sconosciuto che non nascondeva i suoi tentativi di provare a conoscerla meglio, di penetrare nelle sue mura difensive.
"Sei mai stata innamorata, Summer?" le domandai a un tratto.
La colsi di sorpresa a giudicare dai suoi occhi: li spalancò e non fu capace di distoglierli dai miei. "E questa domanda?"
"Semplice curiosità. Allora, sei mai stata innamorata?"
Summer si prese un attimo per riflettere, e io immaginai che stesse studiando una risposta alternativa da propinarmi come contentino. La verità forse era troppo dura da accettare e confessare?
Infine alzò la testa e mi guardò senza nemmeno l'ombra di dolore o pena. Disse: "Sì, per ben tre volte. Ed è andata male tutte e tre queste volte."
"Davvero?" feci, sorpreso.
Lei annuì lentamente. "Ma questo non significa che io abbia smesso di credere nell'amore, nei suoi prodigi o che mi accanisca contro le coppie felici in giro per i parchi della città. A dire il vero, io mi innamoro quasi ogni volta che metto piede fuori casa."
"Ah sì? E come ci riesci? Illuminami, maestra!" scherzai.
Lei ridacchiò. "Il mondo è pieno di gente splendida, guardati attorno! Certi giorni perdo la testa per un taglio di capelli un po' più sbarazzino del normale, altri per uno sguardo particolarmente affettuoso, altri ancora per delle mani gentili... A te non capita mai?"
Colpito com'ero dalla risposta, non parlai subito. Rimasi a riflettere su che cosa mi aveva appena detto Summer. Aveva sofferto per amore ma nonostante ciò sembrava ancora fiduciosa nella gente che la circondava. Chissà per chi era stata male e per quali motivi? Mi riscoprii curioso di conoscere meglio le sue storie, ma non avevo il coraggio di essere così diretto.
"No, a me non capita" dissi, improvvisamente serio.
Summer si accorse del cambiamento di tono e mi fissò più da vicino, preoccupata. "Ho detto qualcosa di sbagliato?" domandò.
Scossi il capo. Come potevo spiegare che tipo di persona ridicola fossi? Costretto a saltare di letto in letto per non sentirmi solo e per non cedere al dolore lasciato dalla scomparsa di Emily.
"Io non m'innamoro. Io illudo la gente" risposi infine.
Summer sembrò spiazzata dalle mie parole e non disse nulla. Quando fece per aprire bocca, io l'interruppi prontamente e continuai: "Summer, io ti ammiro, sai? Non so nulla delle tue storie d'amore, ma mi sembri così rilassata e a tuo agio. Io non ne sono stato capace."
"È passato tanto tempo dall'ultima volta che sono stata innamorata, ecco perché sono così serena."
"Non importa. Questo non cambia il fatto che tra me e te ci siano differenze."
"E che cosa c'è di male nelle differenze? Non puoi pretendere che siamo tutti uguali. E poi in questo modo avremo qualcosa da insegnarci a vicenda, no?" mi fece notare lei con tono allegro.
Sorrisi e mi appoggiai allo schienale della mia sedia. "Vuoi davvero imparare come passare da un ragazzo all'altro nel giro di quarant'otto ore?" scherzai.
Summer simulò un'espressione corrucciata. "Forse no..."
La mia amica tornò a guardare Simon e la sua band: il cantante stava di nuovo parlando per ringraziare i pochi astanti che erano rimasti ad ascoltare le sue strambe canzoni.
Controllai l'ora sul mio cellulare: erano solo le dieci e mezzo, non troppo tardi per continuare la serata. Avrei voluto approfondire gli argomenti toccati quella sera con Summer, ma non sapevo come e se chiederglielo.
"In ogni caso, Zayn, la scelta di cambiare le cose è tua."
Alzai il capo di scatto alle parole della mia amica. Lei mi stava guardando con aria straordinariamente seria.
"Come?"
"Per essere felice non devi seguire esempi che non soddisfano davvero le tue esigenze."
Strabuzzai gli occhi. "Intendi...?"
Summer annuì. Ero allibito dal fatto che avesse scoperto il piano congegnato alla perfezione da me e Louis tempo addietro.
"Sei davvero sicuro che per reagire al dolore lasciato da una ragazza sia necessario procurare del nuovo dolore ad altre ragazze?" provò a farmi ragionare.
"Non so, io mi sento bene in questo periodo..." ammisi con un certo imbarazzo: probabilmente non era molto prudente confessare a una ragazza che il fatto di trattarne male altre mi rendesse forte e sicuro di me stesso.
"Forse in questo periodo, ma nei prossimi mesi? Ti sentirai ancora così bene dopo aver esaurito la scorta di bambole con cui giocare?" insistette Summer.
"Mi stai dicendo che dovrei..."
"No, non ti sto dicendo che cosa fare. Ti consiglio solo di riflettere attentamente sulla persona che potresti diventare" m'interruppe lei, sorridendo gentile. La vidi tornare a darmi le spalle per applaudire un'altra volta Simon e la sua band, che avevano ufficialmente terminato di suonare. Anch'io battei brevemente le mani, poi allungai un braccio attraverso il tavolino nero e sfiorai la spalla della mia amica. Lei si voltò di scatto e mi guardò incuriosita.
"Summer, io non sono così orribile come forse potresti iniziare a credere" le assicurai in un bisbiglio.
Se la mia nuova amica avesse cominciato a vedermi come una specie di mostro, sarebbe stato difficile dimostrarle il contrario. Lei non mi aveva conosciuto quando io ero ancora il fidanzato fedele e innamoratissimo di Emily Wood; lei usciva e faceva jogging con me in quel periodo così particolare e intenso della mia vita, in cui all'improvviso tutti mi scoprivano e mi desideravano. Lei mi vedeva ora attorniato da tante belle ragazze, in procinto di entrare in un gruppo musicale, e tutto ciò che riusciva a pensare era che io fossi una specie di montato con troppe utopie per la testa.
Ma Summer, al contrario di ciò che mi sarei aspettato, scoppiò a ridere e poggiò la propria mano sulla mia. Quel contatto diretto e inaspettato mi consolò, in qualche modo.
"Io non credo affatto che tu sia un mostro. Perché dovrei giudicarti?" rispose; dopo pochissimo levò la propria mano dalla mia. "Chi ti garantisce che io sia una brava persona? Una ragazza normale? Tu hai le prove che dimostrino che io non ho mai compiuto un omicidio?"
Questa volta toccò a me ridere. Ritrassi la mano e tornai ad appoggiarmi mollemente allo schienale della sedia.
"Scherzi a parte, io non penso che tu sia un terribile ragazzo ossessionato dal sesso. Stai passando una fase della tua vita in cui il distacco ti appare una buona alternativa alla sofferenza amorosa, e questo è giusto, se ti fa stare bene" riprese Summer, assolutamente tranquilla.
Il modo in cui si esprimeva, guardandomi dritto negli occhi senza alcuna titubanza, mi aiutò a comprendere che tuttò ciò era vero: Summer non mi criticava alle spalle per quelle scelte un po' discutibili, non voleva inculcarmi in testa le sue idee e tantomeno credeva di essermi superiore. Lei aveva semplicemente espresso il proprio giudizio, e poco importava che non concordasse con il mio: non avrebbe avuto alcun problema nel continuare a frequentarmi.
"Solo due categorie ti giudicheranno: gli invidiosi e i feriti" proseguì Summer, guardando nella mia direzione e intrecciando le dita delle mani come se fosse in preghiera. "Io non concordo con la tua visione delle cose, ma non mi crea nessun fastidio stare qua a parlare di Bethany piuttosto che di Emily o..."
"... di Kate" completai io.
Summer annuì e rise. "Ecco! Finché saprò di essere in compagnia del vero Zayn Malik, quel ragazzo simpatico ma anche un po' lagnoso quando si tratta di moto", al che mi fece l'occhiolino in segno di complicità, "non avrò problemi nell'affrontare discorsi tipicamente maschili come il numero di prede sessuali conquistate negli ultimi tre giorni."
Scoppiai a ridere e alzai la mano. Summer capì al volo e battemmo il cinque.
"E adesso alza il sedere, ti presento alla band" suggerì poi lei sottovoce, mentre si tirava su dalla propria sedia e rindossava la giacca. "Vuoi anche l'autografo?"
Annuii, ironico. "Se possibile anche con dedica esclusiva... Magari un pezzo tratto da quel brano sul pescivendolo. Come s'intitolava?"
Summer scoppiò in una risatina che cercò inutilmente di attenuare. Sfilò i lunghi capelli da sotto il colletto della giacca e la abbottonò.
"Non essere così critico, potresti ridurti ai loro livelli un giorno" mi redarguì fingendosi seria.
Mi avvicinai a lei e guardai nei suoi occhi neri come la notte: Summer era poco più bassa di me. "Io sarò un ottimo cantante un giorno."
Lei annuì e, senza alcun avviso, mi prese sottobraccio. "E inciderai un intero album dedicato alla sottoscritta, giusto?"
"Non ti basta una canzone?"
Summer sbuffò. "Le canzoni sono da dilettanti. Io sono Summer Wayne!"
Mi condusse fin sotto il palco, tenendomi stretto come se avesse paura che potessi fuggire da un momento all'altro. Simon era ancora sotto le luci dei riflettori: non appena la vide, s'illuminò.
"Summer, mia cara!" esclamò con fare teatrale; balzò giù dal palco, direttamente al nostro fianco, e si sporse per abbracciare e baciare Summer sulle guance.
"Ciao, Simon!" esclamò lei, allegra. "Complimenti per il concerto, mi sembra che il pubblico stia aumentando di serata in serata."
Il suo amico sbuffò, ma pareva lusingato dalle parole di Summer. Anche quando non cantava era bizzarro, sembrava non aver ancora capito di essere sceso dal palcoscenico: muoveva le braccia come se stesse recitando, le espressioni sul suo volto erano estremizzate al limite dell'artificioso.
"Non ne ho idea, so solo che noi siamo più entusiasti che mai. Stiamo preparando nuovo materiale, sarà una vera bomba!" annunciò con un tono di voce che non nascondeva l'emozione.
Summer sorrise cordialmente e fece un breve cenno col capo. "Avvisami quando suonerete di nuovo, verrò a sentirvi molto volentieri!"
"Tu sei sempre la benvenuta, lo sai" rispose lui, e tutto a un tratto mi parve farsi molto più sincero, tralasciando quei suoi modi affettati e plateali. Ero sempre più sicuro che Simon avesse un debole per Summer.
Stavo ancora riflettendo sulle mie silenziose deduzioni, quando la mia amica mi distrasse tirandomi in ballo nella sua conversazione.
"E lui è Zayn Malik, un mio amico del liceo" mi presentò.
Simon sembrò accorgersi solo in quell'istante della mia presenza. Allungai una mano e mi costrinsi a rivolgergli un sorriso gentile. Simon annuì e strinse la presa.
"Molto piacere" disse. "Siete compagni di classe?"
"Oh no, ci siamo conosciuti alle prove col gruppo teatrale" spiegò Summer.
"Complimenti per la musica, il concerto è stato... bello" intervenni per rompere il mio silenzio.
Vidi Summer voltarsi verso di me e per poco non mi lasciai scappare un ghigno divertito. Ero sicuro che lei volesse smascherare le mie bugie per farsi una grossa risata, ma resistetti e sostenni lo sguardo indagatore di Simon.
"Oh, grazie" fece lui, il tono piatto; non si poteva di certo dire che i miei complimenti gli facessero lo stesso effetto di quelli espressi da Summer.
"Voi avete piani per il resto della serata?" s'interessò poi, tornando a guardare verso la nostra amica.
Lei però guardò me. "Noi..." disse, aspettando che intervenissi.
"Noi andremmo a casa..." spiegai, sicuro che quella risposta non sarebbe servita ad attirarmi ulteriori simpatie da parte di Simon.
"Già" convenne Summer rivolta al suo amico, e in quel momento fui sicuro di vederla trattenere un sorrisetto rivelatore.
Il ragazzo annuì, perplesso. "Non vi va nemmeno una birra con noi...?"
"Domani dovrò svegliarmi molto presto. Mi dispiace, Simon" si scusò Summer.
Lui sorrise di sbieco. "Pratichi ancora...?"
"... jogging fotografico, certo!" esclamò lei, entusiasta.
Alzai gli occhi al cielo proprio nel momento in cui Simon guardò nella mia direzione. Ebbi come il presentimento che nella sua testa pensasse che fossi indegno della compagnia di Summer: lui però non sapeva che il mio modo di prendere in giro le manie della ragazza era una mera farsa.
"Be', allora non vi trattengo oltre. Mi ha fatto piacere rivederti, Summer" salutò Simon, tendendosi di nuovo verso di lei e stampando altri due baci sulle sue guance. Poi mi lanciò un'occhiata frettolosa e disse: "Grazie di essere venuto, spero ci rivedremo al prossimo concerto."
Annuii con vigore. "Ovviamente!"
"Ciao, Simon! Buona notte" disse Summer mentre ci avviavamo verso l'uscita del locale.
Solo quando avemmo superato il bancone dell'Harp of Erin e rivolto l'ultimo cenno di saluto ai camerieri, io e la mia amica fummo liberi di lasciarci andare a una grossa risata. Aprii la porta ancora ridendo della scena e Summer mi rifilò un colpetto al braccio.
"Sei un cretino!", e continuò a ridere. "Non devi prenderti gioco dei miei amici!"
Mi strinsi nel cappotto per proteggermi contro l'aria fredda che ci accolse una volta usciti dal pub.
"Senti chi parla! Non eri tu a lanciarmi le tue occhiatine ironiche? Volevi farmi scoppiare davanti a Simon!" replicai, divertito.
Summer rise e attraversò di corsa la strada, diretta al parcheggio dove aveva abbandonato la sua bella moto nera. Affrettai il passo e la raggiunsi.
"Simon è un bravo ragazzo, non ti permetto di prenderlo in giro" scherzò.
"La prossima volta presentami qualche tua amica: vedrai che non mi azzarderò a fare lo sbruffone..."
Summer mi lanciò un ghigno di sfida. "Adesso pensa a chiudere la bocca e a reggerti mentre guido questa."
Mise mano al manubrio destro della moto. Mi porse il casco blu che avevo già indossato all'andata e lo allacciai. Summer fece lo stesso, dopodiché saltò sul sedile.
"Ti avverto che se guiderai come hai fatto prima, io..."
Non feci in tempo a terminare la frase che Summer partì con un terribile rombo del motore. Di nuovo fui sul punto di cadere a terra, mi appiattii contro la schiena della mia amica e pregai che il viaggio durasse il minor tempo possibile.

***

Quando i miei piedi toccarono nuovamente terra, mi sorpresi di essere ancora vivo. Non solo avevo dovuto sopportare la morsa letale di quella fredda notte di inizio marzo, ma mi era toccato anche scongiurare a suon di preghiere il rischio di morire in un frontale con qualche automobile.
Mi sfilai il casco e intercettai il sorriso divertito che increspava le labbra di Summer; glielo porsi e commentai: "La prossima volta guiderò io. Poco ma sicuro."
La mia amica mise via il casco e ridacchiò, ancora in sella. Spense il motore ma non scese.
"Secondo me non vuoi ammettere di esserti divertito un mondo" fece.
"Spero che tu stia scherzando!" ribattei, sconcertato.
La mia amica alzò il volto verso il cielo. Solo dopo qualche istante notai che si stava sforzando di apparire risentita delle mie aspre parole.
"Sarai anche un'attrice, ma ti assicuro che smascherare le tue farse è fin troppo facile" la presi in giro.
Lei scoppiò a ridere e abbandonò l'impresa. "Zayn, sei un mostro! Almeno illudimi di avere talento!"
Risi e tornai più vicino a lei e alla sua moto. "Avevi detto di non considerarmi un mostro. Hai già cambiato idea?" le feci notare.
Qualcosa negli occhi scuri della mia amica cambiò: lei mi guardò con più attenzione e di nuovo mi concesse un sorriso ironico.
"Devi sapere che sono una persona mentalmente instabile, soffro di bipolarità e ogni tanto do segni di schizofrenia ebefrenica" cinguettò come se tutto ciò la rendesse speciale e degna di considerazione.
"È un altro dei tuoi scherzi, vero?" domandai, perplesso.
Lei gettò indietro il capo e scoppiò a ridere di gusto. "Mi stavi credendo!"
"Non avrei potuto, Summer..." smentii. "Schizofrenia ebefrenica... Usi parole come queste e ti aspetti pure di suonare credibile?"
"Non tutti hanno un vocabolario striminzito come il tuo, Zayn" mi punzecchiò volontariamente.
Le rifilai un colpetto e lei rise. La vidi spostare lo sguardo sulla via di casa mia: nonostante non fosse troppo tardi, il quartiere sembrava deserto. Probabilmente ciò era dovuto al fatto che quella fosse una zona residenziale: la movida cittadina di certo non risiedeva nell'East Bowling.
"Sai, in un certo senso sono contento che Emily sia stata una stronza con me" dissi, spezzando il silenzio.
Summer si voltò, incuriosita. "Anche tu sei abbastanza bipolare, a quanto vedo..." scherzò.
Sorrisi. "Pensa se lei non mi avesse mai tradito: non ci saremmo conosciuti."
A quelle parole, lo sguardo di Summer si fece subito più preoccupato. Il cambiamento fu talmente repentino da confondermi le idee: che cos'avevo detto di sbagliato?
Poi, però, lei decise di mettere da parte le sue preoccupazioni e sfoderò di nuovo il suo bel sorriso gentile, lo stesso che le avevo visto stampato in volto quando mi aveva aiutato contro Chad.
"Finché non avrò plasmato il tuo carattere per bene, non potrò dirmi felice di quest'amicizia" replicò scherzosamente.
"Ehi, Summer, dimmi una cosa: riesci a restare seria per più di cinque minuti?"
Ridemmo entrambi e lei scosse il capo, i lunghi capelli lisci che accarezzavano morbidamente le spalle. Riaprì la cinghia che allacciava il suo casco e se lo infilò in testa. Con la visiera ancora alzata, mi rivolse un ultimo sguardo gentile e finalmente confessò: "Uso l'ironia come forma di difesa. I sentimenti e la loro sincerità mi spaventano. Ma sì, in fondo anch'io sono contenta che siamo diventati amici. Sei un ragazzo divertente e la tua compagnia è piacevole."
Sorrisi, soddisfatto che Summer la pensasse come me. Da quando ero uscito dal tunnell della depressione amorosa, lei era la prima ragazza a cui sentivo di voler portare il dovuto rispetto. Louis mi aveva convinto che nessuna più meritasse le mie simpatie, ma con Summer non riuscivo a trattenermi: adoravo i suoi modi di fare bizzarri e la sua ironia alle volte pungente. Era una buona amica e volevo dimostrarglielo.
"E aspetta che Emily si accorga dell'occasione persa, poi vedremo chi riderà per ultimo" concluse Summer in un impeto di sincerità.
Quella sua frase mi sorprese: non solo mi aveva riconosciuto di essere un buon amico, ma adesso avanzava addirittura lunsighe gratuite. Alzai gli occhi e la vidi distogliere i suoi, forse colta da un improvviso imbarazzo: era giunta alla mia stessa conclusione? Forse credeva di essersi spinta troppo oltre con i complimenti?
"Ora devo andare, altrimenti domani farò jogging onirico" scherzò poi, cambiando discorso. Levò il capo, mi guardò nuovamente. "Anzi, faremo... no?"
Sorrisi, colpito: avevo temuto che anche quella volta mi sarebbe toccato faticare per convincerla a rivederci, prima o poi. E alla fine era arrivata quella semplice proposta, che apprezzai come se fosse un regalo tanto atteso.
Annuii. "Faremo, hai detto bene."
Summer mise in moto e mi lanciò un ultimo sorrisetto. "Buona notte, Zayn."
"Buona notte, Summer."

***

Il mattino dopo ci rivedemmo. E fu come se non ci fossimo mai lasciati. La corsa fu difficile, ma col tempo io e Summer ci stavamo abituando a quell'allenamento così pieno di parole: scattavamo fotografie tra una chiacchierata e l'altra, il tutto mentre cercavamo di non fermarci a metà strada e di non perdere quel poco di fiato che ancora riuscivamo a mantenere. E pure jogging stava diventando più divertente: uscivo di casa la mattina di buon umore, raggiungevo Spen View Lane cantando a squarciagola nella mia Peugeot e una volta terminata la corsa e la voglia di fotografare il sole ormai alto nel cielo sopra Bradford, io e la mia amica ci salutavamo. Ovviamente non prima di esserci dati appuntamento al nostro bar di fiducia per la solita colazione in compagnia.
Summer allungò il braccio e afferrò una fetta biscottata dal piattino bianco davanti a me. Non feci in tempo a fermarla che lei si era già portata la fetta biscottata alle labbra. Sorrise, scaltra, mentre masticava con gusto.
"Grazie, Summer" feci, ironico.
Lei smise di masticare e deglutì. Le scappò una risatina leggera e disse: "Stavamo dicendo?"
Sorrisi al suo indirizzo e controllai l'ora: di sovente capitava che perdessimo la cognizione del tempo e arrivassimo in ritardo a scuola.
Poco prima che lei m'interrompesse per rubare dal piattino sul quale era stata servita la mia colazione, io e Summer stavamo chiacchierando a proposito dei viaggi che avevamo intrapreso negli ultimi anni.
"Sei già stata fuori dall'Europa?" ripetei la domanda fatta poco prima ma passata inosservata.
Summer annuì e si pulì le labbra sul proprio tovagliolo viola. "Una sola volta, due anni fa. Sono stata negli Stati Uniti. E tu?"
Scossi il capo. "Mai fuori dall'Europa purtroppo. Però ho viaggiato abbastanza."
"Di solito ti sposti con amici o famiglia?" chiese ancora Summer.
"Preferisco viaggiare coi miei amici: i viaggi sono molto più semplici e meno costosi. Con la mia famiglia ho smesso di viaggiare ormai da anni. Tu invece?"
La mia amica sorrise. "Io spesso viaggio da sola."
Strabuzzai gli occhi, sorpreso dalla risposta. "Cioè fai le valigie e parti quando vuoi e per la meta che vuoi senza...?"
La vidi annuire lentamente, lo sguardo furbesco che mi puntava come se fossi un povero stupido per non riuscire a capire quella semplice formula.
"Ma non ti spaventa viaggiare da sola?" indagai, incuriosito. "E poi una volta che sei all'estero come ti organizzi per... qualsiasi cosa! Con chi esci la sera?"
Summer levò le spalle, incurante. "Non mi spaventa affatto, mi diverte molto anzi! Viaggiare in solitudine è la migliore maniera di incontrare una nuova cultura, perché sei tu con le tue sole capacità di sopravvivenza, non puoi fare affidamento su nessun altro simile a te. Questo ti mette davanti a difficoltà che vanno risolte in stretto contatto con chi conosce il posto, devi informarti, devi conoscere."
"Sei incredibile!" esclamai, ammirato. "Con chi passi il tuo tempo una volta arrivata in una città straniera?"
"Di solito non è difficile fare amicizia" rispose con semplicità. "Molti abitanti simpatizzano per gli stranieri sperduti in un paese che non conoscono."
Risi e Summer sembrò fiera del risultato ottenuto con le proprie parole.
"Comunque adesso dovremmo andare" mi fece poi notare, tornando a controllare l'ora sul piccolo quadrante rotondo del suo orologio. "Non ti sei accorto che siamo di nuovo in ritardo?"
Sorrisi e annuii. "Sì, l'avevo notato, ma mi interessava il nostro discorso."
Summer si alzò di scatto e mi tirò per una mano.
"Dai, andiamo!" esclamò.
La vidi dirigersi verso la cassa del bar e pagare per entrambi. Non smisi di insistere perché prendesse i miei soldi fino a quando non fummo chiusi in macchina. Summer, però, non mi considerò minimamente e solo quando io mi fui arreso con un semplice 'grazie' lei tornò a parlare.
Guidai fino al cortile della Tong High School, ignaro del perché la mia amica avesse così tanta fretta. Durante tutto il tragitto non smise un solo istante di controllare freneticamente l'ora sul proprio orologio da polso: per un attimo pensai che potesse avere un appuntamento galante, visti gli atteggiamenti ambigui.
Parcheggiai e lei scese come un razzo. Si issò lo zainetto in spalla e ripeté: "Fai in fretta, siamo in ritardo!"
"Stai calma, Summer. Non è mai morto nessuno per due minuti di ritardo" cercai di tranquillizzarla.
Lei sospirò e lanciò un'occhiata fugace all'ingresso del liceo: i soliti ritardatari intenti a fumare o a chiacchierare non erano ancora entrati nelle loro classi, quindi non vedevo perché noi dovessimo affrettarci così tanto.
Appena fui di fianco alla mia amica, questa mi afferrò per un braccio e mi trascinò letteralmente verso l'edificio grigio davanti a noi. In pochi minuti fummo all'interno, nonostante le mie pacate proteste.
"Summer, si può sapere perché..." riattaccai a lamentarmi, quando fui interrotto da un debole saluto rivolto proprio a me.
Eravamo arrivati davanti alla mia aula, e di fianco alla grande porta blu ci stava aspettando una bella Bethany vestita interamente di bianco. La fissai, sorpreso di rivederla proprio lì in quel momento. Poi mi voltai fulmineamente in direzione di Summer, ancora al mio fianco, e la vidi tirare fuori un sorrisetto innocente. Non avemmo bisogno di parlare per capirci: seppi all'istante che era stata lei a organizzare quell'incontro con Bethany.
"Ciao, Bethany" salutai, preso in contropiede.
Lei sorrise e mi si avvicinò di un passo. Poi spostò lo sguardo su Summer: quel gesto sembrò suggerire la sua volontà di restare sola in mia compagnia.
"Be', io sono di troppo qui" constatò la mia amica con tono allegro.
Mi scappò un sorriso spontaneo a quelle parole: Summer non sapeva proprio cosa volesse dire essere discreti e la sua schiettezza era proverbiale.
Si alzò in punta di piedi e mi bisbigliò velocemente all'orecchio: "Trattala bene, mi raccomando."
Poi rivolse un cenno di saluto a Bethany, la quale fece una strana smorfia: probabilmente quello era il suo modo di congedare le persone poco gradite. Mentre Summer si allontanava da me e Bethany, pensai con rammarico che quella ragazza si sarebbe attirata le antipatie di molte altre studentesse, di quel passo: ci mostravamo sempre più spesso insieme e non solo in giro per la scuola, ma anche in città.
"Come stai, Zayn?" domandò Bethany con tono dolce.
"Bene, grazie. E tu?" risposi, leggermente in imbarazzo: non mi ero aspettato quella mossa da parte di Summer.
Bethany annuì e si strinse nelle spalle. Poi scoppiò a ridere e lasciò cadere le braccia contro i fianchi. "Mi sento così stupida!" esclamò.
"Perché?" chiesi.
Lei mi guardò. "Tu sei... sei un ragazzo sicuro di sé, affascinante... Insomma, sono qui sotto consiglio della tua amica e non riesco nemmeno a fare quello che mi ero ripromessa."
Notai che Bethany aveva chiamato Summer 'la tua amica', quasi come se pronunciare il suo nome fosse un gesto troppo clemente.
"E che cosa ti eri ripromessa?" domandai, sempre più curioso.
Lei sospirò. "Volevo invitarti a uscire."
Toccò a me sospirare. Non ero stato in grado di affrontare adeguatamente Melanie per dirle che tra noi era finita e ora dovevo rifare tutto da capo con un'altra ragazza.
Forse Bethany se ne accorse, perché subito corse ai ripari dicendo: "Oh, naturalmente non sto parlando di un appuntamento esclusivo tra me e te. Sabato due miei amici daranno una festa a casa loro in centro città e mi farebbe piacere che ci fossi anche tu."
Tra me e me tirai un sospiro di sollievo. Improvvisamente la sua proposta non mi parve più così male. Sorrisi rilassato e replicai: "E chi saranno gli invitati a questa festa?"
Bethany s'illuminò in volto e disse: "Tutte le persone di un certo valore..."
Quell'allusione frenò per un attimo il mio entusiasmo. Mi domandai cosa significasse il valore per Bethany e i suoi amici ed ebbi lo spiacevole presentimento che il loro metro di giudizio avrebbe escluso a priori persone come Summer. Fui sul punto di far notare quel particolare, ma poi mi ricredetti e pensai alle parole della mia amica.
"Trattala bene, mi raccomando."
"Be', suppongo che una festa come si deve sia il modo migliore di terminare questa stancante settimana" conclusi.
Sul viso di Bethany fece capolino uno splendente sorriso che la fece apparire ancora più bella del solito.
"Ti va di scambiarci i numeri di telefono? Così potremo organizzarci meglio prima di sabato."

***

Quel pomeriggio, quando i miei occhi incrociarono quelli di Louis, la prima cosa che pensai fu che avevo un urgente bisogno di giustificazioni. Il mio amico mi squadrava con aria torva, come se gli avessi arrecato il più grande torto di sempre. Sapevo bene quale fosse il motivo di tanto rancore, ma ero deciso a difendere le mie scelte a testa alta.
Passai tutto il tempo delle prove del gruppo extrascolastico appollaiato sulla solita panca a bordo campo, in attesa della fine per poter raggiungere Niall e Louis. Dalla serata al Tokyo Bradford non avevamo più avuto modo di discutere della band, perciò quel pomeriggio non me ne sarei andato fino a quando non fossimo riusciti ad affrontare finalmente il discorso. Assistetti con più attenzione anche alle prove del gruppo teatrale: per la prima volta ebbi la prova del talento di Summer, che si muoveva sul piccolo palco allestito in palestra come se fosse il suo regno. In certi momenti ebbi quasi l'impressione che non stesse recitando affatto: le espressioni sul suo volto, il tono della sua voce e la maniera in cui impersonava il suo personaggio le riuscivano talmente naturali da farmi credere che lei non si chiamasse Summer e non fosse la mia amica che praticava jogging fotografico e guidava motociclette per le strade di Bradford, bensì una sconosciuta spuntata da un mondo parallelo, con indosso vestiti un po' all'antica e modi di fare decisamente eccentrici.
Certe volte mi riscoprivo quasi invidioso di Summer Wayne: era piena di passione per tutto ciò che faceva, nutriva un sincero interesse per ogni campo artistico, si gettava a capofitto in qualsiasi attività ricreativa e non temeva difficoltà od opinioni esterne. Mi chiedevo come fosse umanamente possibile conservare un atteggiamento così aperto a tutto e a tutti senza mai stancarsi. Avevo creduto di trovare una sorta di guida in Louis, che con i suoi pretenziosi dettami amorosi era riuscito a riportarmi sulla retta via; ma adesso Summer si faceva ripidamente strada nella classifica: volevo imitare il suo esempio e impegnarmi anch'io in diverse attività. La sua compagnia mi faceva venir voglia di scoprire il mondo, di non chiudere la mente entro limiti prestabiliti, di vivere accogliendo ogni occasione, positiva o negativa che fosse. Mi ripromisi di metterla a conoscenza della sua grande influenza sul mio modo di fare.
Sentii appena la voce di Chad annunciare la fine delle prove. Quando voltai il capo, intravidi alcuni ragazzi del gruppo teatrale ridere di gusto e salutarsi. Louis e Niall stavano parlando con una ragazza che li accompagnava col clarinetto in qualche brano della scaletta. Aspettai che finissero anche con lei prima di alzarmi e di avvicinarmi al palco.
Chad mi vide e sembrò ricordarsi di me. "Ah, ciao, Zayn. Questa sera possiamo spostare di mezz'ora le prove?" chiese.
"Certo. Ci vediamo alle sette e mezzo?" proposi.
"Va bene. A più tardi."
Louis mi vide e allungò un braccio in segno di saluto. Mi feci avanti e salii i gradini che portavano al palco.
"Ciao, Zayn!" esclamò Niall, indaffarato con alcuni cavi ingarbugliati.
"Ciao a tutti" risposi.
"Ciao" fece Louis con tono sospetto. "Com'è andato l'appuntamento romantico?"
A quelle parole Niall tirò su il capo e sogghignò. Io lo fulminai con un'occhiata che non ammetteva repliche.
"L'uscita in amicizia è andata molto bene, grazie dell'interesse" risposi, ignorando la frecciatina di Louis.
Questo non sembrò convinto. Puntò uno spartito per chitarra nella mia direzione e riprese: "Ha lanciato segnali ambigui? Allusioni?"
Scossi il capo. "Lou', come diavolo ti devo dire che io e...", mi bloccai per paura che Summer potesse sentirmi. Guardai alle mie spalle: di lei non c'era traccia. "Io e Summer non abbiamo intenzione di fidanzarci!" conclusi a bassa voce.
Niall si sfregò le mani impolverate e ci raggiunse. Il sorriso ironico sul suo volto tradiva i suoi pensieri.
"Non mettertici anche tu, Niall" lo anticipai.
Lui alzò le mani. "Io non ho parlato!"
"Entrambi siamo dell'opinione che una ragazza per amica sia un pericolo" si mise in mezzo Louis.
Sospirai e spostai lo sguardo. "Perché dovete trasformare una cosa da nulla in una tragedia?" chiesi.
"Zayn, ti ho portato una cosa" annunciò Louis.
Lo guardai afferrare il proprio zaino ed estrarne due DVD. Me li allungò sotto il naso di modo che ne leggessi i titoli: Amici amanti e... e Amami se hai il coraggio.
Lo guardai, accigliato. "Che cosa significano?"
"Due storie, due finali identici" disse Louis, serio. "Non puoi essere amico di una ragazza senza finire per innamorartene."
Sbuffai e scacciai con la mano i due DVD. "Lou', stai diventando insopportabile. Anziché parlare di queste stronzate, perché non affrontiamo il discorso sulla nostra band?"
Niall batté le mani. "Sono d'accordo! Stavo solo aspettando che qualcuno lo tirasse di nuovo in ballo."
"Bene" fece Louis. "Quando però sarà troppo tardi per sistemare le cose, io non vorrò sentirmi implorare aiuto, è chiaro?"
"Dai, Lou', lascia stare Summer!" mi aiutò Niall, dando una pacca al nostro amico. "Zayn non è un imbecille."
Annuii, lieto del fatto che almeno uno dei miei due amici l'avesse capito.
"E che cos'hai deciso a proposito della band?" mi chiese Louis, un po' meno scuro in volto.
"Penso sia un'ottima idea!" esclamai, emozionato. "Forse all'inizio sono stato un po' frenato da... dalla mia poca dimestichezza, ecco. Ma ci ho riflettuto sopra e mi piacerebbe davvero provare questa novità."
Louis sembrò farsi più rilassato. Ci graziò di un sorriso allegro e guardò verso Niall per assicurarsi che anche lui fosse entusiasta quanto me. Il biondo fece un segno affermativo con la mano e disse: "Allora siamo tutti d'accordo?"
"A quanto pare sì" fece Louis. "Non abbiamo un nome, non abbiamo canzoni, ma possiamo rimediare al tutto nel giro di un mese e mezzo. Ne sono certo."
"Io propongo di cominciare il prima possibile" mi misi in mezzo. "Domani pomeriggio siete liberi?"
"Be', dopo le prove del gruppo sì" rispose Niall. "Tu domani non hai lezione di canto con Chad?"
Scossi il capo. "Io e Chad ci vediamo un giorno sì e uno no. La lezione è questa sera."
"E come stanno andando le cose con lui?" s'interessò Louis, incrociando le braccia al petto.
Sorrisi, soddisfatto. "Molto bene. Chad non si sbilancia mai troppo nel fare apprezzamenti, ma io sono certo di piacergli."
Niall sollevò un pesante amplificatore utilizzato poco prima e si assicurò che non gli scivolasse dalle mani. Poi intercettò il mio sguardo e disse: "Domani verificheremo noi."
Niall si allontanò e io rimasi in compagnia di Louis. Lo aiutai a spostare ancora l'ultimo amplificatore rimasto e portai via la sua chitarra dalla sedia sulla quale l'aveva lasciata. Quando ebbe terminato di prepararsi ad uscire fuori all'aria fresca, con tanto di berretta e guanti, lo seguii giù dagli scalini che conducevano al palco. La palestra era ancora piena di gente, Chad si era soffermato a rispondere alle domande dei due protagonisti dello spettacolo che stavano preparando. A un tratto vidi Summer sbucare da dietro le quinte accompagnata da Sayoko e un'altra ragazza parecchio graziosa e truccata di nero. La mia amica non si accorse di me, ma Louis non perse l'occasione per punzecchiarmi.
"Non sprecare fiato nel negare le cose, se poi le riservi questi sguardi pieni d'amore, Zayn."
Mi voltai di scatto. "Che cosa stai dicendo? Vorrei soltanto darle la notizia del nostro gruppo."
"E perché la spii con quell'aria sospetta?" indagò Louis.
"Non la sto spiando!" mi difesi, indignato per via di quelle accuse del tutto false. "Combinazione lei è spuntata proprio adesso e io..."
Louis alzò gli occhi al cielo. "Zayn, io ho visto questa scena troppo spesso per crederti. Un'amica si trasforma sempre e inevitabilmente in una trappola. Guarda i film che ti ho dato e rifletti attentamente su..."
"Lou', sei paranoico. Perché non provi a conoscerla prima di giudicarmi? Sono sicuro che affascinerebbe anche te, possiede un carisma raro in una ragazza" lo interruppi.
Louis produsse un'esclamazione vittoriosa. "Allora ho ragione io! Tu sei affascinato da Summer!" annunciò a voce troppo alta.
Fortunatamente la mia amica era troppo lontana per riuscire a sentire il nostro discorso. Rifilai un colpo a Louis e gli intimai di abbassare la voce. Ci allontanammo in direzione dell'uscita della palestra. Una volta raggiunte le larghe porte, sicuro che non avrei più corso alcun pericolo, decisi di parlare in modo chiaro e inequivocabile al mio nuovo migliore amico.
"Inizialmente ho chiesto a Summer di uscire perché volevo provare a flirtare con lei" ammisi.
Louis annuì senza interrompermi, segno che aveva finalmente raggiunto il proprio obiettivo: una confessione spontanea.
"Ma lei non è mai sembrata troppo entusiasta delle mie proposte. Ha capito fin da subito a che cosa mirassi" continuai. "Come hai detto tu, Summer è intelligente e non le piaccio."
Louis alzò il proprio sguardo interrogativo su di me e chiese: "E allora perché andate così tanto d'accordo?"
Feci spallucce e seguii il mio amico lungo i corridoi deserti che conducevano dritto all'androne della scuola.
"Il suo interesse nei miei confronti consiste in una semplice amicizia, me l'ha praticamente detto in faccia" spiegai.
"E sei dispiaciuto di questo rifiuto?" domandò ancora Louis, convinto che a forza di scavare sarebbe riuscito a ricavare qualcosa di più di quello scarno resoconto.
"No. Pensavo che se mi avesse rifiutato, io l'avrei lasciata perdere fin da subito, perché sono serio quando dico di non volermi fidanzare. Poi però abbiamo scoperto di andare piuttosto d'accordo insieme e dopo ieri sera..."
M'interruppi ricordando le ultime parole scambiate sul marciapiede di fronte a casa mia. In quel momento avevo sentito di aver davvero trovato un'amica speciale e un po' mi era dispiaciuto che la nostra uscita non fosse durata fino al mattino.
"Dopo ieri sera?" ripeté Louis, più curioso che mai.
Raggiungemmo l'uscita della scuola e ci ritrovammo a battere i denti sul piazzale anteriore, spazzato da un gelido vento che sembrava ostinato nel volerci tormentare.
"Dopo ieri sera sono ancor più convinto che Summer sia una ragazza fantastica" conclusi, sicuro.
Louis non sembrava contento quanto me. "È successo qualcosa in particolare?"
"No, abbiamo solo parlato molto e ci siamo divertiti" risposi.
"E hai intenzione di rivederla il prima possibile?"
"Andremo a fare jogging domani mattina."
"È per questo motivo che non sei più venuto a correre con me?" fece Louis, sconvolto dalla scoperta. "Preferisci spiare la scollatura di Summer Wayne mentre corre piuttosto che parlare con me?!"
Gli diedi un colpo alla spalla e scoppiai a ridere. "Siamo amici. E adesso smettila."
Louis aveva parcheggiato vicino all'entrata della scuola. Aprì la propria auto e posò la chitarra sui sedili posteriori. Poi richiuse la portiera e mi guardò dritto negli occhi.
"Sei mio amico e provo una sincera stima per te, Zayn" disse con fare sereno; tutto a un tratto sembrava aver perso quel suo tono costantemente sarcastico. "Ma se posso permettermi di darti un'opinione, sappi che io non credo nell'amicizia tra maschio e femmina. Se vuoi essere amico di una ragazza, scegline una brutta, una antipatica, una stupida. Non scegliere una ragazza carina, carismatica e scaltra come Summer. Se davvero sei convinto di non volerti fidanzare, stai alla larga dalla tua amica."
Mi mordicchiai il labbro inferiore, sconcertato da quelle parole. Non c'era dubbio sul fatto che Summer corrispondesse perfettamente alla descrizione che Louis ne aveva dato, ma perché mi sarei dovuto privare della sua amicizia per paura di quelle che, secondo me, erano conseguenze evitabili?
"Grazie dei consigli, ma sto frequentando Bethany e a breve uscirò anche con altre ragazze. Summer lo sa e non le verrà mai in mente di mettersi in mezzo" tranquillizzai il mio amico, facendogli l'occhiolino.
Louis sospirò e gettò lo zainetto sul sedile anteriore del passeggero. "Ci vediamo domani, Zayn. Ti procurerò qualche nuovo film demente che parli dell'amicizia tra uomo e donna."
Risi e aspettai che avesse chiuso la portiera prima di salutarlo con un cenno della mano e avviarmi verso la mia Peugeot, parcheggiata lontano da lì.




Salve, popolo di EFP!
Non è passata neanche una settimana dall'ultimo aggiornamento che... rieccomi qui a pubblicare! Sono in quel mese odioso in cui non hai lezione all'università ma devi preparare quaranta esami, quindi oltre a studiare dal mattino alla sera, scrivo, leggo, guardo film, faccio il vegetale, aspetto il bando Erasmus...
Al di là della parentesi sulla mia emozionante routine, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento con questo appuntamento e la conseguente complicità Summer-Zayn (o Summayn?, Zummer?), l'intromissione di Bethany (vi piace?) e la nascita della band di Niall, Louis e Zayn. Sì, lo so, i One Direction si sono formati in tutt'altro modo, ma mi piaceva l'idea di vedere questi tre giovanotti in un gruppo già dai tempi del liceo. Diciamo che ho rivoluzionato un po' la leggenda One Direction, ma... mi auguro che la scelta vi vada comunque a genio. ;)
E ora vi saluto calorosamente senza dilungarmi troppo come al solito. Se vorrete farmi sapere cosa pensate di questo capitolo, se avrete domande o dubbi da chiarire, se vorrete farmi notare errori, io sono qui!
À
 la prochaine fois! :)




Martina

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - La stranezza di Summer ***




 
La stranezza di Summer



Parcheggiai nel largo viale sul quale si affacciavano una ventina di case tutte uguali le une alle altre. Spensi in fretta il motore e mi tirai più su verso lo specchietto retrovisore. Passai una mano fra i capelli, che si facevano sempre più lunghi e incolti: il mio stile era cambiato drasticamente negli ultimi tempi. Se quando stavo ancora insieme a Emily mi ero considerato un ragazzo normale e per niente appariscente, ora non potevo di certo negare il mio fascino. Gli esercizi fisici e le ore di jogging stavano dando i loro risultati e io non avrei potuto sentirmi meglio con me stesso. Finalmente mi piacevo di nuovo ed ero pieno di energie.
Tornai con le mani sul volante non appena vidi la porta della casa davanti a me spalancarsi. Dissimulai l'espressione sorpresa comparsa sul mio volto e cercai di fingermi distratto, ma con la coda dell'occhio mi fu inevitabile seguire i passi di Summer Wayne, appena uscita nel suo piccolo giardino frontale. La vidi richiudere la porta e dare due giri di chiave. Poi m'intravide e alzò un braccio per salutarmi. Riaccesi il motore della mia automobile e mi affiancai al cancello di casa sua. Mi raggiunse in pochi secondi e saltò in macchina.
"Buon giorno!" esclamò, allegra.
"Summer, non ci vedevamo da mezz'ora, non è il caso di..."
Lei allacciò la cintura di sicurezza e tornò a guardare nella mia direzione. "Non è il caso di salutarti? Scusa se sono educata" scherzò.
Attivai l'indicatore di direzione e attesi che la macchina dietro di me mi avesse sorpassato per immettermi sulla strada.
"Okay, allora... Ciao, carissima! Come stai? Da quanto tempo non ci vedevamo! Hai fatto qualcosa ai capelli?" cinguettai, simulando un tono femminile.
Summer scoppiò in una delle sue solite vivaci risate. "Sei un cretino!"
La guardai di sfuggita e poi superai una rotonda svoltando a sinistra. Quel giorno Summer si era vestita interamente di nero: sembrava una rockstar che si recava al concerto della propria band.
"Come mai oggi hai optato per questo stile dark?" la presi in giro, afferrando un lembo della sua maglietta.
Lei scacciò la mia mano. "Non è dark! Oggi non avevo voglia di uscire di casa e normalmente, quando non ho voglia di uscire di casa, non ho nemmeno troppa voglia di curare il mio aspetto. Hai visto il cielo?!"
Alzai il viso all'insù: effettivamente le nuvole si stavano facendo sempre più scure e quasi non si riusciva a scorgere l'azzurro del giorno precedente. Il tempo stava peggiorando nuovamente, sarebbe stato più difficile andare a correre al mattino.
"Scommetto che sei uscita solo per rivedermi" scherzai ancora; quel mattino mi sentivo particolarmente in vena di battute.
Summer incrociò le braccia al petto. "Mamma e papà non ti hanno insegnato che cos'è l'umiltà, Zayn?"
"Devo averla dimenticata a casa."
Summer si sporse e mi diede un leggero colpetto sulla fronte. Una folata di un profumo fresco e fruttato mi investì con dolcezza e io mi voltai di colpo.
"Che buon profumo! È nuovo?" domandai d'istinto.
"Come mai oggi sei così affabile, Zayn?" rise la mia amica, che credeva stessi ancora proseguendo con le mie battutine.
"Non sto affatto scherzando, hai un buonissimo profumo" mi complimentai.
Vidi Summer muoversi sul sedile ma non la guardai per paura di disconcentrarmi dalla guida.
"Non è nuovo, ma grazie del complimento. Sei talmente gentile che quasi quasi ti faccio una proposta" disse poi.
Annuii. "E proposta sia! Di che si tratta?" chiesi.
"Sei libero domani sera?" domandò lei con tono vispo.
Non mi ero aspettato che fosse lei a chiedermi di uscire. Le lanciai un'occhiata fugace e sfoderai il mio sorriso più malizioso. Summer capì al volo che cosa mi passava per la testa e alzò gli occhi al cielo. Io, però, fui sicuro di vederla sorridere impercettibilmente.
"Summer Wayne mi sta invitando a uscire! Non ci posso credere!" esclamai per provare a metterla in imbarazzo. "Questo è un giorno da segnare sul calendario, gente!"
"Zayn, guida e non fare lo scemo" disse lei, cercando di sovrastare la mia voce.
"E tu non cambiare argomento. Mi vuoi invitare a cena fuori, per caso?" scherzai.
Lei tirò fuori un sorrisetto sornione e scosse lentamente il capo. "No, tentativo fallito."
"Allora pensavi a un film a casa tua, vero?"
Summer rise, divertita. "Troppo soft. Pensavo fossi meno innocente!"
La guardai di nuovo e vidi che stava sorridendo. Poi, però, allungò un braccio per indicarmi la strada davanti a noi.
"Guida! Se ti giri un'altra volta, non ti dico più niente."
"Dai, di che si tratta?" insistetti, curioso.
"Siccome hai detto tu stesso di voler rivoluzionare la tua vita, ti porterò a una conferenza letteraria" sciorinò senza problemi.
"Davvero? Mi consideri all'altezza?" chiesi, sinceramente sorpreso.
Summer annuì. "Sì, perché non dovrei? E poi ti farà bene un po' di letteratura. La conferenza verterà sul tema delle malattie nell'opera di Marcel Proust."
Strabuzzai gli occhi. "Marcel Proust? Io credevo si trattasse di qualche autore più... più..."
"Più che cosa?"
"Più... semplice."
Summer sbuffò come se avessi appena bestemmiato. "Proust non è difficile, richiede solo un'attenzione maggiore rispetto ad autori come... Cecelia Ahern, ecco tutto!"
"Be', se la metti su questo piano, forse preferisco Proust..."
La mia amica scoppiò in una lieve risatina. "Allora ti ho convinto?" domandò.
"Non ho scelta" scherzai.
"Non è affatto vero!" protestò lei. "Io provvedo alla tua istruzione, sciocco!"
Questa volta fui io a ridere del suo tono di voce. "Va bene, considerami convinto."
Svoltai in una stretta stradina che dopo un'ulteriore curva a destra portava al viale alberato dove si trovava il nostro bar di fiducia, lo stesso dove ogni mattina ci ritrovavamo a conversare davanti a caffè caldi e brioches. Il silenzio calò tra me e Summer: io ero troppo concentrato sulla strada e le altre automobili nei paraggi, lei era probabilmente assorta nei suoi pensieri sulla mostra a cui mi avrebbe trascinato.
"E questa sera?" domandai a un certo punto, spezzando il silenzio.
Summer si riscosse con un: "Eh?"
Svoltai a destra e ripeti: "Questa sera che cosa farai?"
Lei parve presa alla sprovvista dalla domanda, come se di colpo le avessi chiesto di enunciare qualche difficile teorema matematico. La guardai di sfuggita e poi tornai ad osservare il traffico mattutino di Bradford.
"Se non hai impegni, potremmo vederci dopo..." provai a proporre.
Ma lei fu più veloce e m'interruppe: "Mi dispiace, questa sera sarò impegnata."
"Ah."
Rallentai e mi affiancai a un'automobile già parcheggiata, poi inserii la retromarcia aspettando che le auto dietro di me sfilassero e mi lasciassero la via libera.
"E che cosa farai?" chiesi ancora, insospettito dalla rapidità con cui Summer mi aveva rifiutato.
Parcheggiai lentamente la mia macchina e, una volta terminata la manovra, spensi il motore. Guardai la mia amica dritto negli occhi, ancora in attesa di una sua spiegazione. Summer, però, non mi stava guardando: teneva il viso rivolto verso il finestrino alla sua destra e sembrava desiderosa di evitare il discorso.
"Summer?" la richiamai, preoccupato.
Lei si voltò leggermente, ma senza tornare a guardarmi: aveva forse paura di qualcosa? Che cosa le stava succedendo?
"Io ho... un impegno urgente" ripeté la mia amica, evasiva.
Annuii mestamente. Non riuscivo a capire il motivo di quell'improvviso cambio di tono. Summer era sempre allegra e spontanea, mi pareva incredibile che si fosse rabbuiata in così pochi secondi. Il pensiero che fosse colpa di qualcosa che avevo detto mi fulminò. Aprii bocca per provare a scusarmi, ma fu tutto invano: Summer si voltò e mi sorrise gentilmente, come a voler cancellare l'accaduto.
"Andiamo?" suggerì, indicando con la mano la vetrina del bar oltre il marciapiede.
Mossi il capo in un cenno affermativo e attesi che lei fosse scesa prima di raggiungerla e chiudere la macchina. Varcammo la soglia del bar nel più completo silenzio. Sentivo addosso la formicolante tentazione di parlarle, di farle più domande, d'insistere per sapere la verità. Ma Summer mi precedette all'entrata e raggiunse un tavolino al fondo del locale senza pronunciare una sola parola. Prese posto e si tolse la giacca, poggiandola poi sull'unica sedia rimasta libera. Io mi mossi lentamente, osservandola di nascosto mentre sfogliava il menu alla ricerca di una distrazione che non le concedesse il tempo di guardarmi negli occhi. Infine mi sedetti proprio davanti a lei e la guardai fisso, senza più nascondermi. Quando, però, Summer tirò di nuovo su i suoi begli occhi neri, io non trovai il coraggio di riaffrontare il discorso. Mi sentivo improvvisamente a disagio, sensazione mai provata prima in compagnia di quella che stava velocemente diventando la mia migliore amica.
"Tieni" disse Summer, porgendomi il menu.
Lo afferrai ma senza nemmeno aprirlo; lo posai sul tavolino in mezzo a noi due e aspettai che un cameriere venisse a prendere le ordinazioni. Nel frattempo Summer prese a spiare i tavoli vicini al nostro, come se tutto d'un tratto i volti degli sconosciuti attorno a noi avessero assunto una nuova e speciale attrattiva.
"Comunque, non ti ho ancora ringraziata per l'incontro a sorpresa con Bethany" me ne spuntai improvvisamente, incapace di sopportare quell'imbarazzante silenzio tra noi due.
Summer sembrò illuminarsi in volto: si riscosse e tornò a concentrarsi su di me. La vidi anche sorridere con aria scaltra, perché aveva chiaramente colto la nota di ironia nella mia voce.
"Io sto solo cercando di aiutarti e Bethany è una brava ragazza" si difese.
Annuii, poco convinto. "Quella che tu definisci una brava ragazza ti detesta, lo sai?"
Summer sospirò con aria grave, ma qualcosa nella sua espressione mi disse che non era davvero dispiaciuta della cosa. Forse la mia amica non era minimamente toccata dall'antipatia che Bethany nutriva nei suoi confronti. Tutto ciò che le interessava era aiutare me e le opinioni altrui non sembravano farle né caldo né freddo.
"Bethany è gelosa, posso capirla" la giustificò Summer.
"Tu ti comporteresti allo stesso modo, se fossi al suo posto?" la stuzzicai.
Summer però scosse il capo. "La capisco, ma non condivido le sue idee."
Una cameriera raggiunse il nostro tavolino e ci chiese se volessimo ordinare. Fui costretto a interrompere il discorso, ma cercai di tenere a mente tutto ciò che volevo ancora chiedere alla mia amica. Quando la cameriera se ne fu andata, tornai a parlare: "Perché pensi che dovrei uscire con Bethany? Io non ho voglia di frequentare una ragazza seria!"
Summer si sfregò le mani e ci alitò sopra contro il freddo che ancora sembrava attanagliarla. Poi alzò gli occhi verso il soffitto, forse per prendere tempo. Per un istante sospettai che stesse di nuovo evitando di parlarmi, anche se non avrei saputo indicare i motivi che la spingessero a tacere. Ma infine la mia amica si riprese con un sospiro stanco e sorrise apertamente.
"Non ti ho mica organizzato un matrimonio a sorpresa, Zayn!" scherzò con fare allegro. "Bethany mi ha scritto e io le ho dato un paio di suggerimenti."
Strabuzzai gli occhi. "Bethany ti ha scritto?!"
La mia amica fece cenno di sì con la testa. Sembrava parecchio divertita della mia reazione stupita.
"Quindi non sei stata tu a organizzare l'incontro di ieri mattina?" riflettei a voce alta.
"Non volontariamente, ecco. Io ho solo aiutato Bethany."
"E perché l'hai fatto? Che cosa ti ha promesso?"
Summer alzò le spalle e mise su un'espressione neutrale. "Non mi ha promesso nulla. Tu pensi sempre che la gente aiuti qualcun altro mossa da secondi fini, ma io non sono davvero interessata a ricompense."
A quella sua risposta sorrisi, compiaciuto. Summer parve sorpresa di ciò e distolse lo sguardo, quasi come se improvvisamente fosse colta dall'imbarazzo.
"Che c'è?" domandò, ridacchiando.
"Dimenticavo che tu sei la persona più gentile e altruista di tutta Bradford" la presi in giro.
Però, nonostante fossi ironico, ritenevo davvero Summer una ragazza estremamente generosa. Quando le chiedevo per quali motivi compiesse certi gesti, lei rimaneva sempre di stucco: nel momento in cui sceglieva di aiutare qualcuno, non pensava affatto al proprio profitto.
"So anche essere cattiva, se voglio" mi corresse lei, come se i miei complimenti fossero in verità offese.
La cameriera ritornò con i nostri due caffè espressi e posò lo scontrino del conto sul tavolino, sotto il portatovaglioli. Io non permisi a Summer di controllarlo: lo sfilai e pagai per entrambi.
"Zayn, toccava a me questa volta!" protestò la mia amica, non appena la cameriera se ne fu andata per portarmi il resto.
Le feci l'occhiolino. "E poi tu saresti cattiva? Non lasci nemmeno che ti offra un caffè..."
Summer sorrise e bevve un sorso dalla sua tazzina. Ero riuscito a zittirla, ma di certo la cosa non le dispiaceva granché.

***

Non facemmo in tempo ad oltrepassare gli imponenti cancelli della Tong High School che una pioggia battente e fastidiosa si riversò impietosamente sopra Bradford. Summer aveva proprio avuto ragione quando aveva parlato del brutto tempo e dell'influenza negativa che aveva sul suo umore. Scendemmo dalla mia automobile senza un ombrello e fummo costretti a ripararci con le cartelle. La pioggia fredda mi strappò subito al torpore del riscaldamento acceso nell'abitacolo della mia Peugeot.
Non perdemmo tempo nel parcheggio e quasi corremmo verso l'entrata del liceo. Quando fummo sotto lo stretto porticato che anticipava le porte d'ingresso, Summer si scrollò di dosso la pioggia con sguardo allibito.
"Io avevo detto che questo tempo prometteva poco di buono" mi fece notare.
"Ho già detto che odio la pioggia al mattino?" risposi.
Summer sorrise e strinse i capelli per provare a strizzare via l'acqua piovana: purtroppo ripararsi con gli zaini non era stato un buon metodo di evitare quella doccia mattutina. Io nel frattempo m'infilai tra le labbra una sigaretta e l'accesi, proteggendola con una mano contro il vento freddo che tirava quel giorno.
La porta della scuola sbatté con un colpo secco proprio in quel momento e sia io sia la mia amica ci voltammo, spaventati dal rumore. Feci in tempo solo a scorgere la chioma bionda e il fisico asciutto della mia ex fidanzata che si allonatanava velocemente dal porticato, scendendo la breve scalinata davanti ai nostri occhi. Summer la fissò senza battere ciglio, curiosa di sapere per quale motivo Emily Wood si fosse gettata incurante sotto la pioggia. Qualche secondo più tardi sopraggiunse anche Harry Styles, trafelato come se arrivasse da una lunga maratona. Non fece subito caso a me e a Summer: dapprima spiò in direzione del parcheggio e, una volta individuata Emily, ci abbandonò.
"Emily!" lo sentii esclamare.
La mia ex fidanzata fece scattare l'apertura della propria auto e vi salì senza nemmeno voltarsi.
"Emily, ascoltami!" urlò ancora Harry, che la raggiunse e batté i palmi contro il finestrino della macchina.
Mi voltai verso Summer, mentre la sigaretta tra le mie dita si consumava lentamente senza che la fumassi. In un primo momento la mia amica non si mosse e restò impalata a osservare la scena che ci si presentava davanti; dopo un po', però, si riscosse e prese a sogghignare tra sé e sé. Mi guardò tutta soddisfatta e ricercò nel mio sguardo segni che confermassero il suo compiacimento.
"Che cosa ti avevo detto?" fece. "Harry Styles è troppo complicato per quella poveretta."
"Sai, Summer" dissi, aspirando poi dalla sigaretta e rilasciando una nuvoletta di fumo, "non riesco davvero a essere dispiaciuto per Emily. Dicono che ciò che fai nella vita ti ritorna indietro prima o poi..."
Lei annuì lentamente. "Sei stato fortunato, perché non hai nemmeno avuto bisogno di vendicarti."
"In realtà ci ho provato" le feci presente.
Summer aprì bocca ma non riuscì a rispondermi perché in quel momento le voci di Harry ed Emily riempirono lo spazio attorno a noi, impossessandosi di nuovo della nostra attenzione.
"Io ti lascio. Giuro che lo faccio!" strillò Emily, fradicia dalla testa ai piedi.
Harry la stava conducendo verso l'entrata trattenendola per un polso. Mi parve immensamente stanco: teneva gli occhi bassi e non faceva nulla per rispondere a tono alla sua fidanzata, che al contrario sembrava parecchio concitata.
"Emily, calmati adesso" le impartì Harry.
Salirono le scale, ma non appena videro me e Summer fermi proprio davanti all'ingresso si bloccarono. Emily aveva pianto: lo potei constatare dal trucco nero sbavato sotto gli occhi. Harry, invece, non sembrava aver fatto molto caso alla mia presenza: guardava in direzione di Summer come se avesse appena assistito alla comparsa di un fantasma.
"Ciao" salutammo io e la mia amica all'unisono; ci guardammo con fare divertito ma non aggiungemmo altro.
"Ciao, Zayn" mi salutò Emily, la voce rotta da un'emozione che non riuscii a definire.
La guardai e lei ricambiò la mia attenzione. Tutto ciò che vidi in quel momento, però, fu la pena che lei mi ispirava: piangeva, litigava e cercava di commuovermi con quei suoi sguardi addolorati.
"Ciao, Summer" salutò Harry. "Non sapevo che... voi due foste amici."
Summer mi guardò di nuovo e io mi voltai verso Harry: avrei tanto voluto che parlasse con me anziché evitare il mio sguardo. Io e lui avevamo un conto in sospeso e la voglia di distruggerlo di botte non mi era ancora passata del tutto.
"Zayn è un ragazzo incredibile!" esclamò Summer con tono ammirato; la vidi rivolgersi anche verso Emily, la quale distolse il proprio sguardo, infastidita. "Mi dispiace davvero molto che voi due non vi piacciate."
Harry gesticolò con la mano libera e tornò a concentrarsi sulla propria fidanzata: "Andiamo?"
Emily, comunque, non smise di guardarmi: nei suoi occhi lessi una disperata supplica. Forse la mia ex cercava perdono, forse cercava un modo di riparare ai danni combinati.
"Ciao, Zayn. Ci vediamo" mormorò, passando oltre ed entrando nell'edificio alle mie spalle.
Summer seguì con lo sguardo la coppia, che scomparve ben presto nell'androne della Tong High School. Quando fummo di nuovo soli, lei mi guardò e spalancò la bocca: mi aspettavo un'opinione, un commento, magari anche un'offesa gratuita, ma tutto ciò che lei fu capace di fare fu ridere. La tensione accumulata negli ultimi tre minuti si sciolse come neve al sole e anch'io risi assieme a lei.
"Li hai visti? Sono sicura che Emily tornerà da te prima o poi" sentenziò Summer.
Spensi la sigaretta ormai consumata a metà e la gettai via. Allungai un braccio attorno alle spalle della mia amica e mi feci strada verso le porte della scuola.
"Mi aiuterai a trovare un modo efficace di rifiutarla?" chiesi.
"Proverò di nuovo a mentire sul tuo conto."
"Mentire sul mio conto?" ripetei.
Summer annuì, entusiasta. "Fingermi una tua fan sembra infastidire parecchio la tua ex."
Risi e scacciai la ragazza dal mio fianco. Entrammo a scuola accolti dall'aria calda che si respirava all'interno. Mi ripromisi di non mettere più piede fuori casa una volta terminate le lezioni: probabilmente Summer mi aveva trasmesso il suo odio per il cielo nuvoloso e le secchiate d'acqua che ci riservava.
"Stavo pensando che il tuo nome è proprio azzeccato" le feci notare poco dopo, mentre ci avviavamo lungo il corridoio preso di mira da tanti altri studenti che, in assenza del bel tempo, si erano dovuti rifugiare al caldo. "Sei una delle persone più solari ed espansive che abbia mai conosciuto. Adesso capisco perché detesti così tanto la pioggia."
Summer ridacchiò, sicuramente d'accordo con ciò che avevo appena detto. "Io penso che tu..."
Ma Summer non ebbe il tempo di terminare la sua frase. Io mi sentii travolgere dal peso di qualcuno arrivato in quel momento e balzatomi addosso senza pietà. Per poco non crollai a terra, e solo in un secondo momento realizzai che a darmi il benvenuto in quella strana maniera era stato proprio Louis Tomlinson. Mi raddrizzai e voltandomi trovai i suoi begli occhi chiari incollati al mio viso.
"Ma sei pazzo?!" esclamai, sorpreso di non essere rotolato a terra come un deficiente.
Il mio amico rise a voce alta, Summer si scostò leggermente da lui come se temesse che potesse toccarle la mia stessa sorte. Niall arrivò subito dopo, salutandomi con un semplice cenno del capo e un sorrisetto allegro.
"Lou', sei un idiota. Provaci un'altra volta e ti spezzo le gambe" lo redarguii, ingigantendo le cose.
Louis sbuffò, annoiato da quelle minacce. Poi si degnò finalmente di guardare alla sua destra, dove una Summer ancora stupita lo fissava con tanto d'occhi.
"Ti ho fatto per caso sfigurare davanti alla tua accompagnatrice?" scherzò, rivolgendosi a me ma fissando lei.
Chiusi per un attimo gli occhi: ecco che era arrivato il tanto temuto momento dell'incontro ufficiale. Louis aveva finalmente l'opportunità di parlare alla mia amica faccia a faccia, magari anche deridendola senza alcun riguardo. Non volevo difenderla troppo tenacemente, altrimenti Louis avrebbe pensato male di me, ma allo stesso tempo non ero sicuro di quanto Summer avrebbe resistito sotto gli attacchi di un ragazzo sfrontato come il mio amico.
"Lou'..." mormorai, stizzito.
Summer, però, non si perse d'animo e sorrise apertamente a Louis.
"Finalmente ti vedo all'opera!" esclamò. "Zayn parla spesso di te e di Niall."
Louis, sebbene in un primo momento si fosse ritrovato spiazzato dal brio della mia amica, si riprese ben presto rispondendole: "Lo immaginavo, ormai siete molto intimi."
Ma perché Louis non imparava a tacere una buona volta? Il tono provocatorio con cui aveva pronunciato la parola 'intimi' rimbombò nella mia testa come un'eco infinita. E se Summer si fosse insospettita delle frecciatine di Louis?
"Percepisco una certa ostilità nella tua voce" constatò Summer in tutta calma. "Ho per caso interrotto sul nascere una relazione omosessuale?"
Sia io sia Niall scoppiammo inevitabilmente a ridere. Louis fu l'unico che non assecondò la battuta di Summer: rimase serio e la squadrò con sincero stupore. Ero certo che non si fosse aspettato una replica così decisa.
"Allora sei davvero simpatica!" rispose Louis, tornando ad adottare il suo solito tono strafottente. "E io che pensavo che Zayn avesse pessimi gusti..."
Summer sorrise. "Mi piacerebbe davvero poter dire lo stesso di te..." fece subito dopo, fingendosi dispiaciuta.
Io e Niall tornammo a ridere senza freni, di fronte a un Louis sempre più irritato. Lui e Summer non si erano mai rivolti la parola prima di quel giorno e sicuramente non si era aspettato una ragazza dalla lingua tanto affilata. In un certo senso, i miei due amici sembravano somigliarsi più del previsto.
Louis, dal canto suo, non si lasciò sconfortare dall'abilità di Summer nello smontare i suoi scherzetti ironici; sorrise con calma e porse la propria mano alla ragazza che gli stava davanti. Summer non esitò e la strinse, rispondendo con un sorriso ancor più cordiale.
"Sembri un osso duro. Forse un po' illusa, perché non sarai mai ai miei livelli, ma sei migliore di quanto pensassi all'inizio" si complimentò lui con assoluta sincerità.
La mia amica alzò le sopracciglia, divertita e sorpresa al tempo stesso. Louis non aveva di certo problemi nell'esprimere le proprie idee.
"Quindi per piacere a uno come te bisogna darci dentro con insulti e cattiverie?" fece lei in tutta risposta.
Niall ridacchiò e si avvicinò a loro due. Toccò anche a lui presentarsi ufficialmente, e Summer parve subito prenderlo in simpatia. Sicuramente con lui non si sarebbe permessa di parlare come con Louis, il quale mi guardò e commentò: "Non mi stupirei di scoprire che morde anche."
Summer non si scompose, mi lanciò un'occhiata veloce e sorrise di sottecchi. Non riuscivo a capire cosa pensasse realmente di Louis: lo detestava oppure sotto sotto le piaceva il suo modo di provocarla?
"Credo che la conversazione a proposito della mia innata cattiveria dovrà essere rimandata" annunciò lei, guardandoci a uno a uno. "Io vado in classe."
"Perché fuggi proprio quando iniziamo a divertirci?" ironizzò Louis.
Summer gli rivolse la propria espressione più dolce. "Scusa, ma non vorrei rischiare di esaurire la scorta di cattiverie al nostro primo incontro. Ci rifaremo al prossimo."
Questa volta anche Louis sorrise. Summer salutò i miei due amici e poi si avvicinò a me: aveva una strana espressione dipinta in volto. In quel momento mi diede l'impressione di essere una bambina che, con gli occhioni spalancati e un sorrisetto furbesco, cercava di nascondere la marachella appena combinata.
"Ciao, Zayn. Ci sentiamo" si congedò.
Le sorrisi e percepii chiaramente una strana sensazione all'altezza del petto. Ero fiero della sua maniera di difendersi contro gli ingiusti attacchi di Louis, ma nei recessi della mia mente sentivo che quello non bastava a spiegare lo strano sentimento che mi si era incollato addosso con presa ferrea.
"Lou', sei proprio uno stronzo" commentai non appena Summer fu abbastanza lontana dal punto in cui ci trovavamo.
Il mio amico aveva ancora gli occhi puntati nella direzione in cui lei era sparita. Senza muoversi di un millimetro, rispose: "Dopo averla conosciuta di persona, riconfermo ciò che già ti ho detto: devi starle alla larga."
Niall s'intromise, esprimendo gli stessi dubbi che torturavano la mia mente: "Eppure sembrava piacerti!"
Louis guardò prima verso di lui, poi spostò i propri enigmatici occhi su di me e disse: "È proprio questo il punto: ho capito che Summer è quel tipo di ragazza che può conquistare qualsiasi ragazzo. Anche uno di noi tre."

***

La mia vita si era fatta così movimentata ed eccitante che tutto a un tratto le lunghe mattinate trascorse tra i banchi di scuola mi apparivano come una mera perdita di tempo. Non riuscivo quasi più a prestare attenzione ai professori, studiare aveva perso d'importanza e tutto ciò a cui pensavo erano il canto e la novità del gruppo che avevo con i miei nuovi migliori amici. Fisicamente mi trovavo tra le mura sicure della Tong High School, ma mentalmente vagavo per spazi e universi completamente differenti. Ormai la musica si era conquistata il mio cuore, non facevo altro che parlare dei miei progetti con chiunque mi capitasse a tiro: Louis e Niall, i quali mi appoggiavano al cento per cento, i miei genitori, le mie sorelle, Summer, Mark, Tom e Travis. Nessuno sfuggiva a quell'argomento, prima o poi. Durante le noiose lezioni di Chimica o di Geografia diventava inevitabile sognare ad occhi aperti: l'aula dalle pareti chiare scompariva, il banco si trasformava in un palcoscenico e i miei compagni negli spettatori che un giorno avrebbero cantato i ritornelli delle mie canzoni.
Non riuscivo a impedirmi di pensare in grande. Da quando Louis e Niall mi avevano spronato ad entrare nel loro gruppo, io vedevo un futuro luminoso davanti a noi tre. Vedevo successo, vedevo dischi, vedevo tour. Forse stavo esagerando un tantino con l'ottimismo, ma la mia voglia di mettermi in gioco era così forte da non riuscire a trattenermi. Non avevo rivelato a nessuno quelle mie aspirazioni così grandiose: un po' mi sentivo in imbarazzo a pretendere così tanto da me stesso. Non mi ero ancora esibito davanti a un vero e proprio pubblico e, di tanto in tanto, il timore di non essere poi così talentuoso come credevo mi assaliva come una bestia feroce, togliendomi il coraggio che tanto mi piaceva ostentare.
Fui strappato a quei pensieri dall'intensa vibrazione del mio telefonino nella tasca dei pantaloni. Lo poggiai sulla mia gamba e con l'indice sbloccai lo schermo: Bethany mi aveva inaspettatamente scritto un messaggio, il primo da quando ci eravamo scambiati i numeri di telefono.
"Ciao, Zayn. Oggi pomeriggio sarai alle prove del gruppo teatrale?"
Ignorai il numero spropositato di emoticon che la ragazza aveva inserito al fondo del messaggio e composi una breve risposta.
"Ciao, Bethany. Sì, perché?"
Posai di nuovo il telefonino in tasca e appoggiai il mento al palmo della mano, mentre con l'altra rigiravo il piccolo portachiavi a forma di Z che avevo attaccato all'astuccio.
Non avevo molta voglia di uscire con Bethany il sabato successivo. Ormai avevo acconsentito ad accompagnarla alla festa dei suoi amici, ma l'idea di essere vincolato a lei non mi andava a genio. Pensai che sarebbe stato opportuno estendere l'invito anche a Niall e a Louis: non volevo rischiare di ritrovarmi incollato alla gonna di Bethany per tutta la serata.
Sentii vibrare di nuovo il telefono e smisi di pensare alla festa che mi aspettava.
"Anch'io sarò a scuola fino al pomeriggio. Ti va di aspettarmi all'entrata? Devo parlarti."
Sospirai, mi passai una mano tra i capelli. Intercettai l'occhiata ammirata di Kate, che ancora non si era rassegnata alla mia drastica perdita d'interesse nei suoi confronti. La vidi sorridere maliziosamente, ma non disse una parola. Poi scorsi anche altre due mie compagne di classe, Daisy e Rebecca, sbirciare nella mia direzione con aria profondamente interessata. Lanciai un sorriso casuale a nessuna delle tre in particolare e tornai al mio cellulare. Scrissi brevemente: "Certo, ci vediamo verso le cinque all'entrata. Buona giornata!"
Sbuffai e cercai riparo nei miei soliti gloriosi sogni di fama e successo. Speravo soltanto che Bethany non mi trattenesse troppo a lungo: quel pomeriggio io, Louis e Niall avremmo finalmente provato insieme e non volevo che lei diventasse un ostacolo.

***

"... E vogliamo parlare di canzoni come Don't Look Back in Anger o Supersonic?"
"Carine, ma non possiamo farci conoscere come una cover band degli Oasis. Saremo etichettati a vita, capite?"
"Tu e le tue etichette! Suonare tre canzoni di un gruppo non significa diventarne cover band ufficiale."
"Io penso che non ci sia nulla di male in Supersonic, ma Don't Look Back in Anger non mi è mai piaciuta molto."
"Vedi, Niall? Zayn è d'accordo con me!"
"Se non altro, lui non ha escluso a priori gli Oasis..."
Sorrisi e annuii di fronte all'espressione esasperata di Louis. Lui e Niall stavano discutendo da quasi mezz'ora a proposito della nostra prima scaletta musicale: quali gruppi suonare, quali accantonare fin da subito, quali prendere in considerazione in futuro. E se Niall era un grande sostenitore di gruppi musicali come gli Oasis, Louis al contrario vi si opponeva con tenacia: secondo il suo parere noi ci saremmo dovuti ispirare maggiormente a gruppi o cantanti con carisma e fascino, personaggi in grado di darci visibilità.
"Io propongo gli Arctic Monkeys" fece in quel momento Louis.
Li guardai entrambi e sorrisi. "Sì, perché no? Hanno composto certe canzoni davvero spettacolari."
Niall ci rimuginò sopra più a lungo, ma alla fine si arrese ed annuì. "Be', cantando I Bet You Look Good on the Dancefloor di certo acquisteremo visibilità."
"Senza contare lo spropositato numero di donzelle che cadranno ai nostri piedi" osservò Louis.
Risi e aprii la porta d'ingresso della Tong High School, lasciando passare per prim i miei due amici, che in spalla reggevano le loro cartelle e le custodie con dentro le chitarre.
"Io non stavo esattamente pensando a questo, ma non mi dispiacerebbe essere conteso tra più ragazze alla fine di ogni concerto" scherzò Niall.
Scendemmo gli scalini e ci avvicinammo all'auto del nostro amico, parcheggiata proprio di fronte all'ingresso. Niall l'aprì e posò la propria roba all'interno, poi tornò a guardare nella nostra direzione sfregandosi le mani con fare eccitato.
"Non vedo l'ora di cominciare a suonare!" esclamò.
Louis sorrise e tirò più su la cartella. "Io vado, così non perdiamo tempo."
Solo a quelle sue parole io mi ricordai di Bethany e dell'appuntamento che ci eravamo dati. Mi battei una mano in fronte ed esclamai: "Ragazzi, ho dimenticato di fare una cosa. Voi andate pure, io vi raggiungerò dopo!"
Niall e Louis si guardarono con aria perplessa: a nesusno di loro due avevo spiegato di Bethany e dei suoi tentativi di seduzione. Le ragazze con cui i miei amici avevano trascorso la nottata del sabato precedente non si erano spinte oltre il semplice sesso come si era permessa invece la mia nuova spasimante.
Mi voltai e corsi via dalla macchina di Niall, salii di corsa i gradini e arrivai alla porta d'ingresso del liceo. Ma non feci in tempo ad allungare la mano verso la maniglia, che questa si spalancò e per poco non mi colpì sul naso.
Davanti a me comparve proprio Summer, colta in un momento d'ilarità assieme ad altri due suoi compagni di teatro. Appena si accorse di me e della tragedia sfiorata, scoppiò ancor più a ridere e mi salutò con un allegro: "Scusami, Zayn!"
Non mi ero aspettato di rivederla dopo le sue prove. Scossi la mano e ricambiai il suo sorriso. "Ciao, Summer."
Mi accorsi di aver interrotto la conversazione che stava intrattenendo con i suoi due amici, ma non riuscii a sentirmi in colpa. Lei, dal canto suo, non parlò, forse in attesa che io proseguissi.
"Hai un attimo di tempo? Vorrei chiederti una cosa" esordii subito dopo, preso in contropiede dal silenzio che si era posato su noi quattro.
Lanciai un'occhiata sfuggente ai due sconosciuti e li vidi concentrarsi sulla ragazza che stava in mezzo a loro. Era una mia impressione o sembravano stizziti per via dell'interruzione?
"D'accordo" acconsentì la mia amica, che non parve affatto dispiaciuta. Guardò i suoi amici e li salutò con poche frasi di scusa, rimandando al giorno seguente i loro discorsi a proposito dello spettacolo di Chad. Quando fummo di nuovo soli, mi mise addosso uno dei suoi sguardi interrogativi.
"Che c'è, Zayn?" domandò, circospetta.
Sorrisi con fare sprezzante. "Niente, volevo solo mandarli via."
Summer si trattenne dal commentare, ma la vidi farsi più perplessa. Io scoppiai a ridere e non le ci volle molto prima di imitare il mio esempio.
"Sei davvero un doppiogiochista! E io ti ho pure creduto!" rise.
"Ehi, Summer, mi accompagneresti dentro?" cambiai velocemente discorso, indicando l'atrio della scuola alle sue spalle.
Summer corrugò la fronte. Allora, con un sospiro annoiato le spiegai: "Devo vedere Bethany. Mi ha detto di volermi parlare."
Summer aprì bocca, contraddetta, però non disse nulla. La richiuse e guardò verso il parcheggio con aria indecisa.
"Io non... credo sia una buona idea" rispose infine. "Bethany mi detesta."
Sbuffai come se quello fosse un dettaglio senza importanza. In verità la mia amica aveva ragione: Bethany nutriva una sincera antipatia per lei e naturalmente ogni volta che mi incontrava la trovava sempre al mio fianco. Ma tutto ciò a me non interessava affatto, perché, oltre ad adorare la compagnia di Summer, grazie a lei avrei avuto anche la scusa perfetta per congedarmi velocemente da Bethany.
"Dai, perché ti interessa cosa pensa di te? Farò in fretta e poi ce ne andremo" insistetti.
Summer scostò uno dei lembi della sua calda sciarpa grigia e controllò l'ora sul proprio orologio da polso.
"Dovrei anche ritornare a casa..."
"Summer, ormai ho imparato a distinguere le tue bugie."
"... ho ancora parecchio da studiare" proseguì lei, sorridendo sfacciatamente.
Mi avvicinai a lei e le tappai la bocca senza preavviso. Summer mi lasciò fare ma la sentii soffocare una risatina sciocca. La condussi all'interno del liceo e solo quando fummo nei paraggi della segreteria levai la mia mano dalla sua bocca.
"Promettimi che faremo in fretta. Non mi va di stare qua in mezzo a te e a Betha..."
"Ciao!"
Io e Summer voltammo il capo contemporaneamente: la voce di Bethany si era sentita in modo chiaro nel corridoio quasi del tutto vuoto.
La bella ragazza bionda che ci aveva appena raggiunti lasciò prima vagare il proprio sguardo sulla mia accompagnatrice: subito scorsi un velo di rabbia oscurarle il volto. Non mi sentii colpevole di ciò, anche se lo ero a tutti gli effetti. Summer, al contrario, sorrise e la salutò senza tentennamenti.
"Pensavo saremmo stati soli..." attaccò subito Bethany, tornando a rivolgersi a me.
Alzai le spalle. "Io e Summer torneremo a casa insieme, quindi le ho chiesto di aspettarmi un attimo."
Bethany sembrò ancor più scioccata alla notizia che io e Summer fossimo così amici da tornare a casa insieme dopo scuola. Con la coda dell'occhio vidi Summer voltarsi in fretta verso di me, forse colpita da quella bugia che l'avrebbe irrimediabilmente messa in cattiva luce.
"Ah, capisco" replicò Bethany, una nota di malcelato fastidio nella voce. "Cercherò di non trattenervi troppo a lungo, in questo caso: vorrei sapere se questa sera ti andrebbe di vederci..."
Mi sarei dovuto aspettare un'altra delle sue insistenti proposte. Perché non ci avevo pensato prima e non avevo rifiutato quell'incontro?
"Io..."
"Ma certo, Bethany!" esclamò Summer, poggiando una mano sulla mia spalla. "Zayn mi stava proprio spiegando poco fa che questa sera sarebbe voluto andare in un certo locale in centro città. Come hai detto che si chiama, Zayn?" fece poi rivolta a me.
La fulminai con la mia peggiore occhiata di rimprovero e lei fece finta di nulla. Per quale maledetto motivo si era messa in mezzo per costringermi a uscire con Bethany? Guardai di nuovo quest'ultima, in attesa di sapere il nome del locale.
"Si chiama..."
Summer mi lanciò un'occhiata eloquente, come a spronarmi a parlare per evitare figuracce.
"Si chiama Club 8" conclusi, sperando che Bethany conoscesse e soprattutto detestasse il posto.
Ma le mie speranze furono spazzate via dal cenno di consenso che questa mi rivolse. "Oh sì, ne ho già sentito parlare!"
"Ottimo!" si mise in mezzo Summer, e questa volta nemmeno io mi risparmiai dallo squadrarla con fare stizzito.
"Passerò a casa tua verso le nove, va bene?" chiesi a Bethany, ormai rassegnato.
Lei annuì con evidente entusiasmo. E probabilmente la cosa sarebbe finita lì, con Summer che, per chissà quali motivi, era riuscita a incastrarmi un'altra volta e io che mi ero lasciato abbindolare da Bethany, se non fosse stato per la piccola ripicca che mi venne in mente in quel momento.
"Ah, Summer!" feci, tornando a guardare la mia amica.
Questa sembrò per la prima volta sorpresa di essere tirata in causa.
"Non mi avevi detto di voler chiedere quella cosa a Bethany?" la stuzzicai, cercando di metterla in difficoltà come lei aveva fatto con me.
Summer parve capire al volo le mie intenzioni e richiuse la bocca aperta per lo stupore. Bethany la fissò, sempre più infastidita dall'evidente complicità che la legava a me.
"Io non vo..." tentò Summer.
Io fui più veloce e l'interruppi: "Summer voleva chiederti di poter partecipare alla festa di sabato, ma è troppo timida."
Vidi la mia amica imbronciarsi: era più offesa per il mio passo falso o perché l'avevo definita timida?
Bethany, dal canto suo, sembrava aver appena ingerito una medicina amara. Non si era aspettata quella proposta e, certa com'era che fosse opera di Summer e non un mio scherzo ai suoi danni, non poté fare a meno di mostrarsi scocciata.
"D'accordo" si arrese infine, pur contraria. "Vedrò che cosa posso fare."
Annuii soddisfatto e controllai la reazione della mia amica: mi stava puntando come se fosse sul punto di uccidermi.
"Sei contenta, Summer?" la provocai.
Lei strinse gli occhi in un'espressione infastidita ma sorrise. "Molto. Grazie, Zayn."
Entrambi ci voltammo verso Bethany, che non vedeva chiaramente l'ora di potersene andare: la presenza di Summer era davvero poco gradita, sembrava infastidirla come uno sciame di vespe pronte a pungerla.
"Ci vediamo stasera, allora" concluse.
Annuii e lei inaspettatamente mi si avvicinò; mi diede un leggero bacio a fior di labbra e sorrise. "Ciao."
La salutai con un cenno della mano. Lei non calcolò Summer, si diresse all'uscita e scomparì.
E fu allora che mi sentii colpire all'altezza della nuca.
"Ahi! Che diavolo...?"
"Ti sta bene!"
Fermai Summer prima che potesse colpirmi di nuovo, bloccandola per i polsi. Lei mi mise addosso uno sguardo imbronciato e io non potei fare a meno di scoppiare in una grossa risata.
"Siamo pari, Summer!" le feci notare. "Tu hai incastrato me, io ho incastrato te."
Lei riuscì a liberarsi dalla mia presa e sospirò sonoramente. "Io non voglio partecipare a quella festa!" sbottò.
Feci spallucce. "E io non voglio uscire con Bethany stasera, ma dovrò."
Summer non mutò la propria espressione contraddetta e ciò mi fece pensare che fosse irrimediabilmente arrabbiata con me. Ma poi la mia amica distolse lo sguardo per un attimo e quando tornò a guardare nella mia direzione, la vidi sforzarsi per riuscire a trattenere un sorrisetto sghembo.
"Stiamo bruciando le tappe, Zayn: io comincio già a odiarti" disse, ironica.
Le stampai un bacio sulla fronte, che lei provò inutilmente a schivare.
"Anch'io ti voglio bene, Summer" la canzonai.

***

"I need to be myself, I can't be no one else, I'm feeling supersonic, give me gin and tonic, you can have it all but how much do you want it?" cantai per primo, accompagnato dalle chitarre dei miei due amici.
E improvvisamente una nota stonò nella melodia generale e il suono di una delle due chitarre venne a mancare. Mi voltai alla mia destra e vidi anche Niall smettere di suonare. Entrambi ci rivolgemmo verso Louis, che si era allontanato dal centro della stanza per raggiungere la finestra del seminterrato di casa Horan.
"Lou', ma che ti prende?!" esclamò un attonito Niall.
Louis si sfilò la tracolla della chitarra e poggiò lo strumento a terra. Poi guardò Niall dritto negli occhi e gli domandò: "Tu che cosa ne pensi?"
Il biondo aggrottò la fronte. "Non siamo male. Perché? Non sei d'accordo?"
Louis sbuffò, irritato da qualcosa che non riuscivamo a capire. Io temetti che quella rappresentasse la fine dei miei grandi sogni: Louis si era accorto che valevo poco o niente e non sapeva come comunicarmelo. Ecco la verità.
"Non siamo male, ma non siamo nemmeno grandiosi come mi sarei aspettato" confessò Louis. Mi guardò con aria seria. "Tu sei bravo, Zayn. Dico sul serio, sono sbalordito dalle tue capacità. Ma sento che questa non è la strada giusta per noi."
Niall lasciò ricadere le braccia con fare deluso. "Che cosa? Stai dicendo che il gruppo..."
Louis alzò le braccia per zittirci. "Non sto dicendo quello che pensate voi. Non voglio tirarmi indietro."
Io e Niall ci scambiammo un'occhiata perplessa. Avevo come l'impressione che Niall stesse perdendo sempre più la pazienza.
"Dobbiamo rivoluzionare il nostro stile" sentenziò infine Louis. "Abbiamo tre voci diverse, forse adatte ad altrettanti generi diversi. Dobbiamo trovare la nostra via, cantando canzoni che suonino davvero nostre."
"Per riuscirci dovremmo comporle" lo prese in giro Niall.
Io e lui ridacchiammo, ma Louis rimase serio.
"Dai, Lou', fatti una risata!" sdrammatizzai. "Queste sono le nostre prime prove insieme, non importa se non siamo perfetti."
"Lui non ammette nessuna classificazione che non rasenti la perfezione, farai meglio ad abituartici" mi spiegò Niall.
"Ragazzi, dovrò pensare a una soluzione" annunciò Louis, ignorandoci. "Che ne dite se per oggi le prove terminano qui?"
"Ma..." obiettò Niall, interrompendosi subito dopo; prese un profondo respiro e infine si arrese. "D'accordo."
Era inutile provare ad opporsi a Louis: era un trascinatore di folle e riusciva sempre a ottenere l'approvazione degli altri. Anche quando ciò significava interrompere le prove del nostro gruppo dopo poco più di un'ora.
"Va bene" acconsentii anch'io. "Spero solo che il progetto non salti per colpa di questi dubbi."
Louis sorrise e scosse il capo. "Non lascerò che succeda. Siamo un gruppo e faremo vedere a tutti che siamo nati per questo!"
Io e Niall sorridemmo a quelle parole: questo era lo spirito giusto per affrontare la situazione.





Privjet ragazze! :)
State bene? Siete riuscite ad arrivare alla fine del capitolo? Bene, io spero di avervi incuriosite abbastanza, a questo punto. A partire dal titolo del capitolo.
Allora, questa cosiddetta "stranezza di Summer" era solo un assaggio, perché nei prossimi capitoli la cosa tornerà e... insomma, Zayn è un ficcanaso, tutto qui.
Sulla band, be' be' be'... non volevo/potevo lasciare che le cose fossero così semplici: Louis non è convinto del genere musicale che si sono ripromessi di suonare e non gli interessa sembrare arrogante, lui le cose o le fa bene o non le fa. Quindi, nei prossimi capitoli capirete... Diciamo che lo sto innalzando a leader della situazione, ma che ci volete fare, mi piace in questo ruolo! ;)
Ma veniamo alla mia parte preferita: Summer e Louis. Dal momento che non voglio che questa storia sia la solita raccolta delle "best parolacce e bestemmie evah", non li ho messi uno di fronte all'altra per insultarsi a manetta. Anzi, alla fine non sarà la solita storia di odio e inimicizie.
Ora lascio la parola a voi: che ne pensate? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, oggi mi sono soffermata più a lungo del solito nel commentarlo... pardon!
Ringrazio endlessly le lettrici che mi stanno seguendo chapter by chapter, e anche quelle che mi fanno pressioni psicologiche perché pubblichi un minuto dopo aver postato un nuovo capitolo (infatti questo lo dedico a una sconsolata amica che ieri non ha vinto un meet&greet... here is your consolation prize! ;))
E niente, vi saluto calorosamente. Ci vediamo al prossimo capitolo!



Martina

Ps. Quasi dimenticavo! Il banner è una gentilissima concessione di una vecchia lettrice che con queste cose ci sa davvero fare! ;)

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Influenza negativa ***




 
Influenza negativa



La notte era appena scesa sopra i tetti della città quando io misi piede fuori dalla porta di casa. Fui immediatamente salutato dal vento freddo di quel quattro marzo, mentre rinfilavo le chiavi di casa in tasca e uscivo dal cortile. Siccome mi aspettava ancora un'ultima tappa in centro città prima di poter mettere la parola fine a quella lunga giornata, non avevo posteggiato la mia automobile in garage. Percorsi il marciapiede fino ad arrivare alla Peugeot parcheggiata davanti al mio cancelletto e salii. Accesi il riscaldamento e attesi qualche minuto nella speranza che l'abitacolo si facesse un po' più caldo. Non avevo proprio voglia di guidare al freddo, di scendere di nuovo dall'auto e sentirmi nuovamente schiaffeggiare dal vento notturno. Non avevo voglia di uscire, punto e basta.
Quando avevo parlato a Niall e a Louis dell'appuntamento che mi aspettava per quella sera, non avevo fatto alcuno sforzo per nascondere il mio scarso entusiasmo. Questo atteggiamento aveva dato adito a nuove accuse da parte di Louis, il quale mi aveva prontamente fatto notare come la mia voglia di mettere il naso fuori di casa aumentasse ogni volta che c'era di mezzo Summer.
"Non mi dire che non te n'eri accorto! Tra un po' basterà pronunciare il suo nome per farti scattare sull'attenti."
Non potevo negare a me stesso che se la mia amica avesse accettato di uscire con me, quella sera sarei stato decisamente più entusiasta. Ma Summer mi aveva messo i bastoni tra le ruote: non solo era stata lei a costringermi a uscire con Bethany, ma aveva pure evitato di rispondermi quando avevo provato a capire quali fossero i suoi piani per la serata.
Misi in moto l'auto e partii dal vialetto, guidando lentamente per non raggiungere troppo in fretta l'abitazione di Bethany. Me la immaginavo già pronta dietro la porta di casa, vestita di tutto punto, evidentemente eccitata all'idea di avermi tutto per sé per un'intera serata.
Quando raggiunsi il primo semaforo rosso, la mia mente tornò alla mattinata precedente e a Summer. Rividi la sua espressione sfuggente e quasi intimorita, riascoltai le parole che mi aveva mormorato con incertezza.
Perché Summer non aveva voluto dirmi dove si sarebbe recata quella sera?
Non appena la luce del semaforo ritornò di un verde cangiante, accelerai con decisione. Ero troppo distratto dall'affastellarsi dei pensieri nella mia mente per badare alla velocità. Mi accorsi solo qualche secondo più tardi che mi stavo avvicinando al quartiere dove abitava Summer. Per un istante ebbi addosso la smaniosa tentazione di invertire rotta e dirigermi a casa sua: se fossi riuscito a trovarla, avrei potuto almeno capire che cosa si nascondesse dietro i suoi strani comportamenti.
Smettila! Smetti immediatamente di ragionare come un bambino!, m'imposi mentalmente.
Che cosa mi prendeva? Perché davo così tanta importanza agli affari privati di Summer?
Mi rilassai, allungando bene le braccia tese verso il volante. Controllai di sfuggita che ore fossero sul mio orologio da polso, sospirai. Non c'era nulla di sbagliato o strano nel comportamento di Summer. Era giusto che lei avesse i suoi spazi e non potevo di certo pretendere che condividessimo ogni pensiero od ogni notizia.
Se lo vorrà, ti spiegherà come stanno le cose, mi tranquillizzai.

***

Il viaggio fino al Club 8 fu lungo e incredibilmente silenzioso. Da quando Bethany salì in auto fino al momento in cui entrambi scendemmo nel silenzioso parcheggio davanti al pub, le parole che scambiammo furono pochissime. Negli ultimi tempi mi ero abituato a un altro tipo di passeggeri: o erano i miei amici, con cui i discorsi non venivano mai a mancare, oppure si trattava di Summer, l'unica ragazza con cui accettassi di uscire senza avere secondi fini.
Bethany si era presentata esattamente come me l'ero aspettata: truccata in modo alquanto evidente, vestita come una vera e propria modella, ma anche impossibilitata ad andare oltre ai soliti noiosi argomenti riguardanti noi due o la scuola.
Avevamo preso posto ad uno dei tanti tavolini che riempivano le tre sale del locale. Avevo lasciato che Bethany si accomodasse sulla poltroncina addossata al muro, mentre io mi ero sistemato di fronte a lei. Inizialmente era stato difficile rompere la barriera del silenzio: lei alzava spesso gli occhi sul mio viso, ma non appena io provavo a stabilire un contatto visivo, tornava a guardare altrove. Bethany mi era sembrata molto più decisa e sfacciata quando ci eravamo incontrati al Tokyo Bradford.
Quando la cameriera del locale arrivò al nostro tavolino, notai subito che si stava concentrando un po' troppo insistentemente su di me. Tirò fuori il blocchetto su cui segnava le ordinazioni e mi fissò apertamente aspettando che parlassi.
"Una birra bionda media" dissi.
Spostai lo sguardo sulla mia accompagnatrice, la quale fissava la cameriera con aria di superiorità. Ordinò un succo e riconsegnò il proprio listino alla ragazza, che prima di andare via mi lanciò un'altra fugace occhiatina.
"Un succo?" ripetei per scherzare.
Bethany sembrò immediatamente contrariata dalle mie parole. "Sì, perché?"
Tornai serio: non avevo creduto che certi scherzi potessero ferirla.
"Io... no, niente... Solo che pensavo a quanto fosse bizzarro" spiegai. "Sono abituato ad amici che bevono parecchio."
Bethany arricciò le labbra in un sorriso che mi parve decisamente sforzato. "Io non amo l'alcol."
Annuii. "L'avevo notato."
Bethany mi squadrò in modo strano, mi sentii denudato dalla sua occhiata penetrante. Avrei dovuto fare più attenzione alle parole che sceglievo di usare: sembrava una tipa abbastanza permalosa.
"Comunque, hai fatto caso alla cameriera?" mi chiese poi lei, curiosa.
Decisi di mentire spudoratamente: le ragazze come Bethany andavano trattate con cautela per evitare scenate di gelosia.
"No, che cos'ha?" feci.
Bethany produsse una risatina beffarda. "Ti osservava come se non avesse mai visto niente di altrettanto meraviglioso nella sua vita."
Ridacchiai, messo alle strette. "Non l'avevo proprio notata."
Bethany distolse nuovamente lo sguardo e appoggiò i gomiti sulla superficie del nostro tavolino.
"Entro che ora dovrai ritornare a casa?" le chiesi, imbarazzato dal suo essere così silenziosa.
Bethany si riscosse. "Stai già pensando alla fine di questa serata, Zayn?" mi stuzzicò.
Scossi il capo in tutta fretta. Non avevo alcuna voglia di peggiorare la situazione facendola arrabbiare.
"Stavo solamente pensando al fatto che domani dovrò svegliarmi presto... Sai, pratico jogging ogni mattina" dissi.
Lei annuì, rigida come se fosse una statua. "Tutta la scuola l'ha notato."
"Dovevo dare una svolta alla mia vita" continuai pur di tenere in piedi quel discorso.
Bethany sorrise. "Sei anche a dieta?"
"Cerco di non esagerare quando sono a tavola."
La ragazza di fronte a me lasciò scivolare per un attimo gli occhi sul mio petto. Poi tornò a guardarmi negli occhi e disse: "Emily Wood ha avuto un ottimo effetto su di te, non c'è che dire."
"Non credo sia stata Emily a farmi questo" smentii; non mi piaceva il fatto che Bethany si prendesse la libertà di parlare di me e la mia ex.
"Senza di lei, saresti rimasto il vecchio Zayn Malik" puntualizzò lei.
In quel momento ebbi voglia di alzarmi dalla sedia e lasciare Bethany da sola. Parlava mantenendo un'espressione superba, come se avesse il diritto di giudicare la persona che ero stato prima della rottura con Emily. Di certo prima di incontrare Louis non avevo brillato in quanto ad affabilità, ma Bethany era l'ultima ragazza che poteva permettersi di commentare i miei precedenti.
"Non era poi così male il vecchio Zayn Malik" ribattei.
Bethany sorrise e mosse la mano destra in un gesto che sembrava voler scacciare la mia affermazione. "Eri una persona anonima, Emily aveva il controllo su di te e sulla tua vita. Ora sei un altro ragazzo, sei rinato, Zayn. L'intera scuola ti osserva, piaci a tutti, non lo vedi?"
Rimasi zitto e la guardai senza battere le palpebre, come se perdere anche solo un secondo della sua immagine potesse rovinare tutto.
Bethany si allungò un po' di più verso di me, le maniche della sua camicetta bianca strisciarono sul tavolo. Lei puntò i suoi occhi chiari nei miei, con la luce soffusa della sala che illuminava solo un lato del suo viso mentre l'altro rimaneva leggermente in penombra.
"I ragazzi simpatizzano per te: sei riuscito a prenderti una bella rivincita su quella stronza della tua ex. Le ragazze... be', non c'è bisogno che ti dica come ti vediamo noi ragazze, no?" proseguì a voce bassa. Poi Bethany tornò ad appoggiarsi allo schienale della propria poltroncina e di lì a breve la cameriera ritornò con le nostre ordinazioni: posò davanti a noi la birra e il succo e ci lasciò lo scontrino col conto. Tirai fuori il mio portafoglio e le consegnai una banconota da dieci sterline.
"Grazie mille, Zayn" cinguettò la mia accompagnatrice, portando il bicchiere alle labbra.
Alzai il mio in alto a mo' di risposta e bevvi, soffocando le parole che avrei voluto rivolgerle. L'immagine che avevo dato di me stesso mi piaceva, ne ero soddisfatto. Ma in quel momento mi tornarono alla mente le parole usate da Summer per descrivermi.
"Hai inventiva, non ti manca la voglia di fare, eppure mi sembri come confinato in un mondo d'indecisione e timore. Come se non facessi le cose per paura del risultato."
Quale delle due definizioni mi rappresentava meglio? Ero davvero solo quel bell'involucro che tutti a scuola vedevano, oppure c'era qualcosa di valido anche in me?
"Comunque, non fossilizziamoci su questi noiosi discorsi..." riprese Bethany, mettendo da parte il proprio bicchiere e tornando a guardare me. "Ho saputo che tra Harry Styles ed Emily Wood le cose non vanno più troppo bene."
Sorrisi con aria di scherno. "Lo so, li ho visti litigare più di una volta."
Bethany parve sorpresa: batté leggermente le mani sul tavolo e si lasciò sfuggire un'esclamazione. "Allora sono davvero sfacciati se si permettono di litigare davanti ai tuoi occhi!"
"Quando si discute non si fa troppa attenzione a chi ascolta" li difesi mio malgrado. "Sono solo curioso di sapere per quale motivo sono già in crisi dopo nemmeno un anno."
Bethany alzò le spalle. "Io so solo ciò di cui tutta la scuola sta iniziando a parlare. Però credo che la colpa sia di Emily."
La guardai di sbieco: come poteva accusare Emily se nemmeno conosceva le cause dei litigi che la stavano allontanando da Harry?
"Come fai a dirlo?"
Bethany si prese qualche secondo prima di rispondere. Infine disse: "È sempre lui che rincorre lei per chiederle scusa. Ed è sempre lui quello che si fa calpestare pur di non peggiorare la situazione. Queste, a mio parere, sono prove a tutti gli effetti."
Sbuffai e guardai altrove: non sopportavo l'idea di basare i nostri discorsi su ciò che si sentiva dire. Non volevo giustificare né Harry né tantomeno Emily, ma non mi piaceva ficcare il naso in mezzo alle loro questioni private senza conoscerne i dettagli. Avevo lottato a lungo per lasciare quei due fuori dalla porta del mio cuore, e adesso che c'ero riuscito ecco che Bethany compariva con i suoi gossip indesiderati.
Sorseggiai un altro po' della mia birra bionda e pensai con amarezza a Louis e a Niall, a quanto avrei voluto che i miei amici fossero lì con me a ridere delle parole di Bethany. E poi pensai anche a Summer: con lei non mi ero mai sentito in obbligo di parlare per paura che i discorsi mancassero, che si creassero quei fastidiosi silenzi pieni d'imbarazzo. Con lei le parole uscivano automaticamente, e se restavamo in silenzio non ci sentivamo a disagio: era giusto così, saremmo potuti restare zitti anche per ore senza problemi.
"Zayn?" mi richiamò Bethany, insospettita dal cambiamento nel mio atteggiamento.
La guardai distrattamente. "Scusami, stavo... pensando a quello che hai detto" mentii.
Bethany annuì, bevve un sorso del suo succo ai mirtilli e poi fece schioccare le labbra con un rumore secco. La guardai e finalmente lei ricambiò la mia occhiata. Lei era bella e io ero annoiato: sapevamo entrambi come si sarebbe conclusa la serata, ma nonostante ciò lei non sembrava infastidita.
"E dimmi, Zayn: come vanno i lavori col gruppo extrascolastico?" domandò poi Bethany, ignara di ciò che davvero passava per la mia testa.

***

Intravidi la casa di Bethany in lontananza. Quella era una zona tranquilla e nemmeno troppo distante dal nostro liceo. Rallentai la velocità, mentre lei al mio fianco cominciava a chiudersi il cappotto e a stringere la sciarpa attorno al suo collo magro.
E adesso?, mi chiesi automaticamente.
Avevo passato una serata normale in compagnia di una ragazza normale. Bethany non era antipatica e aveva cercato di coinvolgermi in ogni sua conversazione, dalla più frivola alla più impegnativa: non potevo di certo dire di essermi divertito da matti, ma come persona non mi dispiaceva e non avrei voluto trattarla scortesemente.
Fermai l'auto sul ciglio della strada, proprio di fianco al marciapiede di fronte a casa sua. Bethany non scese subito: si voltò prima verso di me e tirò fuori un timido sorriso.
"Spero che sia stata una bella serata per te" disse.
Annuii con convinzione. Sapevo di mentire, sapevo che lei avrebbe pensato mi fossi trovato benissimo in sua compagnia, ma non avrei potuto fare altrimenti.
Bethany si sporse nella mia direzione e avvicinò il proprio viso al mio. Mi baciò, dapprima con delicatezza come se temesse di risultare sgradita. Poi decise di prendersi qualche libertà in più e premette la propria bocca sulla mia. Ricambiai il bacio, ma sentii che il trasporto della nostra prima volta era sparito. La baciai meccanicamente, tenendo persino gli occhi semiaperti.
Bethany si staccò da me dopo qualche istante e mi sorrise maliziosamente: non si era accorta del mio distacco.
"Ti va di salire?" mi chiese.
Distolsi lo sguardo dai suoi occhi chiari e fissai le mie mani. "Bethany, io... non..."
Mi sentii accarezzare una guancia. Bethany aveva allungato una mano nella mia direzione, senza preoccuparsi di ciò che stavo per dirle: che il mio fosse un rifiuto o meno, a lei non importava in quel momento.
"Mio padre fa il turno di notte" sussurrò lei con atteggiamento complice.
Sospirai e lanciai un'occhiata sfuggente all'orologio sul cruscotto della mia automobile: era appena mezzanotte e di fianco a me sedeva una bella ragazza bionda che mi stava invitando a trascorrere la notte in sua compagnia.
Girai le chiavi nel quadro dell'auto e questa si spense. Tirai il freno di stazionamento e rivolsi un sorrisetto incerto a Bethany.
"Mi hai convinto" le annunciai.
La ragazza di fianco a me mi stampò un nuovo bacio appassionato, dopodiché scese dall'auto e mi accompagnò per mano fino alla porta di casa.

***

"Ehi, campione! Fammi indovinare: sei mezzo nudo, in una casa che non è la tua e questa mattina non ti dovrò aspettare per andare a correre. Ci ho azzeccato?"
Era inevitabile che scoppiassi a ridere di fronte a messaggi simili: ecco il modo in cui Summer Wayne dava il buongiorno ai suoi amici.
Scossi il capo, sorridendo ancora come un ebete, e le scrissi una breve risposta: "Ciao, simpaticona! Non ti dirò nulla per messaggio, ma siccome mi sono appena svegliato, credo non riuscirò a esserci per colazione. Ci vediamo a scuola?"
Mi alzai dal bordo della vasca da bagno di Bethany e mi misi di fronte allo Zayn Malik che mi fissava dallo specchio: avevo i capelli ancora spettinati e sì, effettivamento portavo addosso solo i miei boxer. Summer aveva indovinato. Mi ero svegliato prima di Bethany e avevo raggiunto di soppiatto il suo bagno, che fortunatamente si trovava proprio davanti alla sua camera da letto. La piccola casetta dove abitava con suo padre era silenziosa, segno che probabilmente eravamo ancora soli. Guardai l'ora sul mio telefonino: era ancora presto per andare a scuola, ma tardi per jogging e colazione in compagnia di Summer.
Riaprii la porta del bagno e m'infilai nella stanza dove Bethany dormiva ancora profondamente. Tirai via i miei vestiti dalla sedia a fianco del suo letto e mi rivestii silenziosamente, sempre controllando che lei non si svegliasse. Mi avviai poi verso la porta ma, proprio mentre facevo per spalancarla, mi ricordai di un piccolo dettaglio: la prima volta che ero fuggito da casa sua senza avvertirla, Bethany non aveva apprezzato il gesto. Me lo aveva confessato la sera precedente in un impeto di sincerità.
Tornai sui miei passi e mi piegai sulla sua piccola scrivania disordinata. Cercai una matita nel portapenne aperto e afferrai il primo foglio bianco che trovai.
Ciao, Beth. Ti auguro un buon risveglio e ti ringrazio della bella nottata passata insieme. Sono dovuto scappare perché mia madre mi ha chiamato per una commissione urgente. Ci vediamo a scuola. Un bacio, Zayn.
Tornai alla porta e mi guardai alle spalle un'ultima volta prima di andare: Bethany dormiva in una posizione da bambina, con le cosce piegate in direzione del petto, che si alzava e abbassava delicatamente al ritmo del suo respiro. Lei era bella e io ero annoiato, ecco tutto. E forse lei sarebbe stata furiosa, un giorno; ma ormai io ero la bugia scritta sul foglio sopra la sua scrivania, ero quella persona che fuggiva senza far rumore alle prime ore del mattino, ero quel desiderio irrealizzabile.
E no, quel ruolo non mi dispiaceva.
Uscii sul corridoio fuori dalla camera e avvicinai la porta con delicatezza. Scesi le scale e attraversai l'ingresso. Misi mano alla porta, uscii nel suo giardino e raggiunsi il cancello: la mia macchina aveva i vetri appannati per via delle basse temperature notturne. Montai a bordo e girai la manopola dell'impianto di riscaldamento fino al massimo: stavo battendo i denti dal freddo.
Misi in moto e partii dal vialetto, le mani aggrappate al volante che sembravano due pezzi di ghiaccio. La Tong High School non era distante da dove mi trovavo io: decisi quindi di fare prima una tappa in un bar qualsiasi per un caffè caldo. Ne individuai uno in prossimità dell'incrocio tra Broadstone Way e Tong Street, quindi parcheggiai e scesi dall'auto. Entrai nel bar senza alzare lo sguardo dai miei piedi e presi posto a uno dei primi tavolini vicino alla vetrina del locale. Tirai fuori il cellulare e lo posizionai di fronte a me. Ne illiminai lo schermo ma non c'erano nuovi messaggi da leggere: Summer probabilmente stava ancora correndo. Oppure era tornata a casa e si stava preparando per uscire.
Sospirai, scacciando dalla mia testa sia l'immagine di Summer sia quella di Bethany addormentata.
"Zayn!"
Alzai il viso di scatto: Melanie era in piedi di fronte a me, un quotidiano appena acquistato in una mano e il portafoglio nell'altra.
Boccheggiai, sorpreso da quell'incontro e tutto ciò che riuscii a dire fu: "Ehm... Ciao."
Io e Melanie non ci eravamo più visti o sentiti dal momento della sua sfuriata nella mia macchina: io ero stato abbastanza categorico nel non volerla più incontrare e lei si era offesa.
"Tu... Sei solo?" domandò lei, riacquistando subito tutto il suo contegno.
Annuii e allora lei mosse un altro passo in direzione di un tavolino poco lontano dal mio. Poi però si bloccò e tornò a spiare nella mia direzione.
"Melanie..." provai a parlarle. Presi una pausa perché non sapevo esattamente come affrontare la situazione: sentivo il suo risentimento graffiarmi la pelle come se fosse una presenza fisica e avrei desiderato mettere fine a quella situazione di disagio.
"Che c'è?" domandò lei di scatto.
"Scusa se... l'ultima volta sono stato troppo... duro."
Melanie non mutò la propria espressione crucciata. Rimase impalata al centro del bar e infine tornò verso di me. Indicò la sedia libera e io le feci segno di accomodarsi.
"Come stai?" mi chiese.
"Abbastanza bene."
"È insolito trovarti da queste parti al mattino."
"Generalmente vado a scuola con un'amica, ma oggi... lei aveva da fare" mentii.
Melanie alzò gli occhi quando pronunciai 'un'amica' ma non replicò. Chissà che cosa pensava ora di me e del mio ultimo rifiuto.
"Un'amica?" domandò dopo qualche secondo.
Annuii, immobile e imbarazzato. Melanie si alzò in piedi prendendomi alla sprovvista.
"Vado ad ordinare. Che cosa prendi tu?" fece poi, impassibile.
"Un caffè macchiato, grazie."
Guardai Melanie allontanarsi ancheggiando come un'adolescente. Si vestiva e si comportava come se per lei il tempo non fosse mai passato e stesse per entrare in classe in veste di alunna e non di professoressa.
Quando tornò con i due caffè, io la ringraziai una seconda volta. Lei mosse il capo ma non parlò: afferrò una bustina di zucchero e la versò nella propria tazzina.
"Allora, sei ancora arrabbiato con me?" riprese a parlare, mescolando lo zucchero.
"Io no, ma tu?" risposi.
Melanie sorrise con aria provocatoria. "In un certo senso sì, ma che cosa posso fare? Hai messo le cose in chiaro, no?"
Sospirai, in difficoltà: se Melanie avesse ricominciato a protestare, io non sarei riuscito a tenerle testa.
"Sono troppo piccolo per te, Melanie" le sussurrai.
"L'età è una scusa" smentì lei. "Ho visto uomini di quaranta anni fidanzarsi con ragazze della tua età."
"E con quale coraggio mi presenteresti ai tuoi genitori?" la sfidai io. "Oppure ai tuoi figli? O meglio ancora, a tuo marito!"
Melanie mi fulminò con un'occhiata rovente. "Io non ho più un marito."
"Non ha importanza, Melanie. Tu hai trentacinque anni, io ne ho diciotto. Tu insegni in un liceo, io il mio devo ancora finirlo. Come puoi vedere un futuro per noi due?"
Lei restò in silenzio per un attimo, gli occhi bassi sulla tazzina che teneva tra le mani. E io, in quel momento, mi sentii estremamente fiero di me stesso: ero finalmente riuscito a parlarle con una certa decisione. Melanie non avrebbe potuto tentarmi col sesso in un bar e in pieno giorno e io sarei riuscito a spiegarle il mio punto di vista.
La donna posò la propria tazzina con un sordo rumore e mi guardò leccandosi le labbra. "Se non vuoi una relazione seria, perché allora non facciamo finta che queste discussioni non siano mai esistite? Perché non torniamo a divertirci come facevamo all'inizio?"
Scoppiai in una risatina nervosa. "Perché non possiamo, Melanie! Io non mi sento più come prima."
Lei ridusse i propri occhi scuri a due fessure. "Hai conosciuto un'altra, vero?"
"No, io ho... paura!" sbottai.
"Di che cosa dovresti aver paura, Zayn? Nessuno sa di noi due!"
"Per adesso! E poi? Quando questa storia arriverà a due mesi? O a tre? Che cosa faremo a quel punto?"
Melanie prese la mia mano tra le sue, ma io la liberai subito.
"Zayn, tu mi piaci davvero" confessò lei.
"Non mi conosci nemmeno" risposi bruscamente.
Lei sorrise. "Allora lasciati conoscere."
"Melanie, non tornerò indietro questa volta."
"Io penso che tu abbia conosciuto un'altra ragazza, ma non vuoi ammetterlo. Lei è più giovane di me? È più bella di me?"
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. Odiavo quando le ragazze - o le donne, come in quel caso - si comportavano in quel modo. Certe volte dubitavo dell'età di Melanie: agiva come se fosse una ragazzina e non capisse il momento in cui i giochi finivano.
"Non sto uscendo con nessuna ragazza" mentii.
"E chi è la tua amica con cui vai a scuola?" volle sapere.
"Dacci un taglio, Melanie" le intimai.
La donna non disse nulla, forse offesa dal mio tono freddo. Avevo finito per trattarla nuovamente male: non era colpa mia se lei non sapeva mettere un freno alla sua smania di invadere la mia vita privata.
Bevvi il mio caffè tutto d'un sorso e ne assaporai il retrogusto amaro. Dopodiché mi alzai dalla sedia e dissi: "Ora devo andare a scuola."
Melanie non si mosse dal proprio posto ma alzò gli occhi. "Vuoi un passaggio?"
"No, sai che non possiamo farci vedere insieme" le ricordai.
Melanie sorrise con aria sprezzante. "Siamo insieme adesso e ci troviamo in un bar, Zayn."
Le rivolsi un sorriso cortese e alzai la mano in segno di saluto. "Grazie della compagnia, signora Crashwell. Mi ha fatto piacere rivederla e le auguro una buona giornata" pronunciai a voce alta di modo che chi mi sentisse non si facesse strane idee.
Melanie sembrò infastidita da quelle mie cerimonie, ma non smascherò la farsa e rispose con un sorriso glaciale.
"Ciao, Zayn. Buona giornata" salutò, afferrando il giornale e dispiegandolo sul tavolino.
Pagai il mio caffè e uscii dal locale tirando un grosso sospiro di sollievo. L'inaspettato incontro con Melanie andava per caso interpretato come un cattivo presagio? Che cosa mi sarei dovuto aspettare dalla giornata appena cominciata?

***

Ma, al contrario delle mie aspettative, la mattinata scolastica non fu affatto disastrosa. Dal momento in cui misi piede in classe la noia mi assalì come una bestia feroce: le lezioni erano sempre uguali a se stesse, i professori mantenevano il loro tono soporifero incentivandomi a dormire e nessuno dei miei amici si fece vivo con messaggi che potessero distrarmi.
L'unica cosa particolare che mi colpì fin dall'arrivo a scuola furono le occhiate che quel giorno mi attiravo addosso: negli ultimi mesi mi ero abituato ad essere seguito con lo sguardo lungo i corridoi, ma ciò a cui non ero affatto abituato era essere scrutato ossessivamente da ogni ragazza del liceo. Tutte le studentesse che incrociai sul mio cammino quella mattina si voltarono per spiarmi con aria assolutamente invadente, come se il solo squadrarmi da capo a piedi costituisse un metodo efficace di leggere nella mia mente.
Anche in aula non fui lasciato in pace dalle mie compagne di classe: cercai di evitare di voltarmi verso una qualunque di loro, perché ora la faccenda iniziava a farsi fastidiosa. Non solo scattavano ogni volta che io compievo un movimento, ma ridacchiavano anche in modo stupido se capitava che io per caso incontrassi i loro sguardi puntati su di me.
Che cos'era cambiato rispetto al giorno precedente?
Temetti che, tra le varie spiegazioni possibili, ci fosse anche la notizia delle mie scappatelle con Melanie Crashwell: se la verità fosse venuta a galla, io avrei perso tutta la mia credibilità.
Per avere finalmente una risposta dovetti attendere l'arrivo dell'intervallo. E di Louis e Niall.
Attesi i miei amici nel corridoio in cui si trovava la mia aula e quando li vidi avvicinarsi mi staccai dal banco sul quale ero seduto. Louis fu il primo a venirmi incontro allargando le braccia e assumendo un'espressione trionfale. Che cosa voleva dire tutto ciò?
"Ciao, ragazzi" salutai con voce incerta.
"Zayn! Mancavi solo tu al magnifico trio" annunciò Niall.
"Ecco, dal momento che voi sembrate sapere più di me: che cosa sta succedendo?" domandai, sempre più perplesso.
Louis sogghignò e si scambiò uno sguardo d'intesa con Niall.
"Ti riferisci per caso al fatto che la scuola sembra adorarci?" chiese Louis.
"Le ragazze della scuola" lo corressi.
Niall fece un gesto di noncuranza. "Ti sei chiesto perché?" indagò.
"È tutta la mattina che ci penso" confessai.
"Bene" fece Louis, battendo le mani. "Tutti a scuola sanno della band."
Spalancai gli occhi e lasciai vagare lo sguardo dall'uno all'altro. Non sapevo se definirmi incredulo oppure infastidito.
"Che cosa?!" esclamai.
Louis sorrise. "Ci siamo premurati d'intrattenere delle pubbliche relazioni adeguate al nostro nome."
Scossi il capo, senza parole. "Louis, sei un deficiente! Abbiamo a malapena idea di che cosa canteremo durante le prossime prove, come puoi già spargere voci sulla band?!"
"Rilassati, Zayn. Non abbiamo fatto nulla di male" intervenne Niall, che a quanto pareva trovava la situazione alquanto intrigante. "È meglio che la scuola sia informata fin da subito dei nostri piani."
Allargai le braccia. "Ma per quale motivo? Che cosa c'entra la scuola con noi?"
Louis sbuffò e lanciò un'occhiatina misteriosa a Niall: probabilmente i miei due amici si erano già preparati ad affrontare quelle discussioni. Ero così prevedibile?
"Finché resteremo confinati nello scantinato di Niall, non saremo mai nessuno. Dobbiamo preoccuparci di creare aspettative nel nostro pubblico, far sì che attenda con ansia la nostra prima esibizione dal vivo" spiegò Louis col suo solito modo di fare magnetico e persuasivo.
Distolsi lo sguardo dal suo volto magro, perché sapevo che se lo avessi ascoltato con calma avrebbe finito per convincermi. Louis funzionava in quella maniera: avrebbe potuto avere torto marcio o assoluta ragione, ma in ognuno di questi casi se la sarebbe sempre cavata con le sue frasi da profeta.
"Il pubblico è la spina dorsale della nostra band" continuò Louis, toccandomi la spalla affinché mi girassi.
Lo guardai brevemente e mi lasciai scappare una risatina. "Siete davvero incredibili! Avrei dovuto immaginare che dietro le occhiatine ambigue delle mie compagne ci foste voi due."
Niall rise a voce alta e annuì. "Vedrai come ci acclameranno quando suoneremo per loro."
"Ehi, Zayn, forse non saremo mai al livello dei Queen, ma possiamo almeno tentare di farci conoscere in città" aggiunse Louis.
Annuii, ormai convinto. Non mi sarei potuto opporre a lungo, o almeno non finché fossi stato solo contro loro due. E in fondo, che cosa c'era di male nello sbandierare ai quattro venti il fatto che io facessi parte di quello che con ogni probabilità sarebbe stato il gruppo più cool dell'intera scuola?
"E per quanto riguarda le tue paranoie di ieri...?" ripresi a parlare.
Louis m'interruppe con uno strano gesto della mano; chiuse gli occhi in segno di riflessione e disse: "Ho capito molte cose la scorsa notte."
"Sì, la prima è stata come nascondere i fazzoletti dopo essersi divertito col suo arnese" sogghignò Niall rivolto a me.
Risi insieme al mio amico e Louis riaprì gli occhi per pizzicarci con le sue occhiate pungenti.
"Quello mi riesce già molto bene" replicò.
"Non mettiamo in dubbio il fatto che tu sia esperto di masturbazione, credimi" scherzai.
Louis alzò gli occhi al cielo, poi ci obbligò a chiudere bocca. Riprese a parlare solo quando si fu assicurato il più completo silenzio.
"In ogni caso, anche se ho a che fare con due cretini, ho capito che questa storia della band si può risolvere senza difficoltà. Non c'è nulla di sbagliato in noi tre" annunciò.
Niall alzò le spalle. "E quindi?" domandò. "A quale soluzione sei giunto?"
"Il genere musicale!" esclamò il nostro amico con fare eccitato. "Il problema e la sua soluzione stanno nel genere musicale! Noi siamo partiti in quarta con le nostre banali cover degli Oasis e degli Arctic Monkeys, ma ci siamo davvero chiesti se fossero adatte?"
Io e Niall ci guardammo, per niente sorpresi di essere entrambi ancora in attesa di risposte concrete: Louis aveva un talento innato nel tergiversare.
"Non lo sono!" risolse Louis da sé. "Noi dobbiamo darci a ben altro."
"Intendi musica country?" lo interruppe Niall, e io scoppiai immediatamente in uno sciocco risolino.
Louis, però, non sembrò apprezzare l'interruzione. "Ragazzi, concentratevi! Vi ricordo che stiamo decidendo le sorti di quella che potrebbe essere la più grande band della città."
"Non esageriamo" bloccai le sue fantasie, che ormai galoppavano alla velocità della luce.
"Quale sarebbe il nostro genere musicale?" chiese poi Niall, una volta messe da parte le sue battute di spirito.
Louis allungò una mano verso la tasca posteriore dei propri jeans e ne estrasse un foglietto a quadretti, parecchio stropiacciato. Lo agitò sotto il naso di Niall, il quale lo afferrò in un lampo. Mentre lui dispiegava il foglio, io mi sporsi oltre la sua spalla per spiare: Louis aveva tracciato una lista di canzoni, tra cui comparivano Viva la Vida dei Coldplay e Only Girl in the World di Rihanna.
Tornai a guardare verso il nostro amico e domandai: "Fai sul serio?"
Louis espose un bel sorriso sfacciato ed annuì lentamente. "Proviamo questa scaletta. Fidatevi di me."
"Rihanna?!" fece Niall, se possibile più stupefatto di quanto già non lo fossi io.
"Ragazzi, non si tratta d'identificarsi col nome scritto vicino ai titoli delle canzoni! Creeremo delle cover che non passeranno inosservate..."
"E poi lui era quello che non voleva essere etichettato come cover band degli Oasis" ironizzò Niall rivolto a me.
Annuii e rincarai la dose: "Mi va bene una canzone dei Coldplay, ma perché dovremmo cantare Only Girl in the World? Noi siamo tutti ragazzi!"
Louis sbuffò, spazientito. "Modificheremo il testo, modificheremo la base musicale..."
"... e alla fine non resterà più nulla della canzone originale" completò Niall.
Io risi di nuovo e in quel momento la campanella dell'intervallo squillò con gran fragore. Sussultai, spaventato dal suono. Louis si rimpossessò del foglietto e mise su un'espressione ferita.
"Perché non vi sforzate di andare oltre i pregiudizi? Se ho scelto queste canzoni è perché so che possiamo farcela" insistette.
Annuii e mi allontanai di qualche passo in direzione della mia aula. "Lou', sei un ottimo cantante, ma lasciatelo dire: hai pessimi gusti musicali."
Niall gettò indietro il capo e ci regalò la sua ennesima risatina divertita. Louis non si lasciò contagiare dalla cosa e mi fissò con fare risoluto.
"Datemi una possibilità e io farò di noi una grande band" disse.
Con la mano feci segno di okay e raggiunsi la soglia dell'aula nella quale mi sarei dovuto rinchiudere per il resto della mattinata.
"Dico sul serio, Zayn!" esclamò ancora Louis.
"Tranquillo, Lou': ci basteranno un paio di tinte rosso fuoco e tre reggiseni push up per raggiungere il livello di Rihanna. Ci sentiamo!"
Potei chiaramente udire la nuova risata di Niall, che concordava con me al cento per cento.

***

All'uscita da scuola non aspettai nessuno, perché il mal di testa quel giorno aveva deciso di giocarmi un brutto tiro: da quando avevo salutato Niall e Louis allo squillare della campanella di fine intervallo, non ero più riuscito a concentrarmi sulle parole dei professori. Sentivo la testa pesante come un macigno e tutto ciò che desideravo in quel momento era seppellirmi sotto le coperte del letto e rimanerci per il resto del pomeriggio.
"Zayn!" esclamò una vocetta acuta alle mie spalle, proprio mentre mettevo piede sull'ultimo gradino della scalinata davanti alla Tong High School.
Alzai gli occhi al cielo, a corto di giustificazioni per fronteggiare nuovamente Bethany Smith.
"Ciao, Beth!" la salutai allegramente quando lei fu giunta proprio davanti a me, il volto a un palmo dal mio. Si sporse un altro po' e mi diede un leggero bacio sulle labbra.
"Ho letto il tuo biglietto: sei riuscito a svolgere la commissione per tua madre?" domandò, interessata.
Aprii bocca con fare sorpreso e per poco non smascherai la mia bugia di quella mattina: avevo già rimosso il ricordo di ciò che mi ero inventato per frenare la furia di Bethany.
"Oh sì, alla fine ho risolto tutto" mentii, imbarazzato. "Tu sei riuscita a svegliarti per tempo?"
Bethany sorrise con aria scaltra e poggiò una mano sul mio petto. Poi con le dita scese più giù fin sopra il mio ombelico: quel gesto rischiava di mandare al diavolo tutti i miei progetti di riposo pomeridiano per tornare ad esplorare le lenzuola di un altro letto che non apparteneva a me...
"Bethany, che stai facendo?" bisbigliai, scosso dal suo tocco deciso.
"Mi sono svegliata per tempo, ma ho avuto bisogno di un po' di tempo per riprendermi dalla scorsa nottata" suggerì lei con tono sensuale.
Sorrisi, indeciso se cacciarla o se trascinarmi fino a casa sua per l'ennesima volta. Alla fine scostai la sua mano dal mio corpo e presi fiato per farmi coraggio.
"Sono felice di averti lasciato un buon ricordo, ma io dovrei andare" dissi.
Bethany si finse imbronciata, poi scoppiò in una risatina e mi regalò un altro bacetto sfuggevole. Si comportava esattamente come se fosse la mia fidanzata, e la cosa non andava affatto bene.
"Perché non replichiamo questa sera?" propose, alludendo chiaramente alle nostre divertenti nottate di spudorato sesso.
Fui sul punto di rispondere con qualche nuova bugia, quando mi ricordai di Summer e del suo invito a una conferenza letteraria incentrata su Marcel Proust: non avevo mai amato quell'autore tanto quanto in quel momento!
"Mi dispiace, questa sera io sarò a una..."
"Buon giorno, guerriero della notte!" esclamò una voce buffa, che cercava di simulare il timbro vocale maschile.
Io e Bethany ci voltammo contemporaneamente e Summer, giunta a metà scalinata saltellando allegramente, si bloccò di colpo. Squadrò prima me con aria terrorizzata e poi guardò verso la mia interlocutrice.
"Ehm... Ciao, Bethany" salutò, titubante.
Gesticolai velocemente e feci segno alla mia amica di non fare marcia indietro: anche se probabilmente si era avvicinata perché non aveva fatto caso alla presenza di Bethany, adesso avevo bisogno che restasse per aiutarmi a liquidare la mia spasimante.
"Ciao, Summer" biascicò Bethany, la voce che tutto a un tratto si era fatta bassissima.
"Ciao" mi salutò Summer, intimidita.
"Ciao" ricambiai. "Come stai?"
Lei fece spallucce. "Non c'è male. Ora vi saluto, io..."
"Summer, non dovevi parlarmi della conferenza di questa sera?" la interruppi prima che potesse ricacciarmi in situazioni difficili.
La mia amica richiuse bocca e mi squadrò, in difficoltà più che mai.
"In verità io sono di fretta."
Sapevo che quella era una bugia: diceva così per evitare una sfuriata da parte di Bethany.
"Aspetta, questa sera tu sarai a una conferenza con lei?" si mise in mezzo quest'ultima, ignorando Summer e oltrepassandola per porsi di fronte a me.
Annuii e intercettai l'occhiata rigida della mia amica: non voleva essere nuovamente mischiata nelle mie vicende private, era chiaro.
"Ah, e di che cosa si tratta?" continuò Bethany, innervosita.
"Un incontro letterario su Marcel Proust" rispose Summer.
Bethany si voltò nella sua direzione e la squadrò da capo a piedi in un misto tra odio e disprezzo. Summer sostenne il suo sguardo senza battere ciglio.
"Certo... Divertente" mormorò poi Bethany, sempre più arrabbiata. "Non pensavo che Zayn fosse tipo da queste cose."
Summer sorrise gentilmente al suo indirizzo e rispose: "Forse è colpa della mia influenza negativa, ma si tratta pur sempre di argomenti attuali e interessanti."
Bethany sembrava morire dalla voglia di tirare un pugno alla mia amica, ma fortunatamente si trattenne e tornò a guardarmi. Si alzò in punta di piedi e mi baciò con ostentato ardore. Ricambiai il bacio e quando si fu staccata dalle mie labbra le rivolsi un breve sorriso.
"Divertiti a questa buffonata letteraria" sussurrò piano prima di lasciarmi solo con Summer e dirigersi verso i cancelli della scuola.
Guardai la mia amica e alzai le spalle. Lei sembrava indignata.
"Ha davvero detto 'buffonata letteraria'?!" esclamò, incredula. "Stiamo parlando di Marcel Proust!"
"È Bethany: che cosa ti aspettavi?" le risposi.
Lei mi guardò con quel suo visetto offeso e io non potei fare a meno di trovarla particolarmente graziosa: al contrario di Bethany, non aveva nemmeno un filo di trucco sul volto dalla pelle chiara.
"Ti vieto ufficialmente di uscire ancora con quella deficiente, okay?" concluse infine scendendo la scalinata e raggiungendomi.
Scoppiai a ridere e ripresi a camminare verso la mia macchina, parcheggiata poco lontano da lì.
"Comunque, ho un regalo per te" annunciò poi Summer.
Ci guardammo e lei si mordicchiò il labbro inferiore mentre provava a non ridere.
"Che cos'è?" chiesi, curioso.
Summer si sfilò una delle due bretelle del suo zaino e tirò la cerniera di una tasca esterna: la vidi infilarci la mano ed estrarne velocemente una fotografia. Poi me la porse guardandomi dritto negli occhi.
"Ieri stavo riguardando tutte le foto scattate durante le nostre corse in periferia e questa mi è piaciuta in modo particolare" spiegò.
La sollevai e subito mi tornò in mente il momento preciso in cui era stata scattata: io e Summer stavamo correndo da più di mezz'ora e, ormai vicini al collasso, ci eravamo fotografati per testimoniare le nostre pessime condizioni. Infatti in quella fotografia apparivamo sudati, stanchi e soprattutto ridicoli.
Scoppiai a ridere e mi premetti la fotografia contro il petto, proprio lì dove poco prima c'era stata la mano di Bethany.
"Siamo orrendi, Summer!" esclamai, intenerito dal suo gesto.
Lei annuì con aria altrettanto raddolcita. "Lo pensi anche tu? Avrei voluto consegnartela prima, ma quando ho visto Bethany mi si è gelato il sangue nelle vene."
Risi di nuovo. "Fai attenzione a non sognarla di notte."
Summer si fermò di fianco alla propria automobile e mise mano alla portiera. "Quello che deve fare attenzione sei tu, signor cantante, non di certo io..." replicò con aria maliziosa.
Lasciai andare le braccia contro i fianchi e le sorrisi, leggermente in imbarazzo. Nonostante Summer si fosse mostrata disponibile ad affrontare certe tematiche, io mi sentivo strano a parlarle di che cosa facevo con Bethany sotto le coperte.
"Oh, ma se l'argomento ti disturba tanto, possiamo sempre parlare di questa sera: passi a prendermi tu?" cambiò poi discorso.
"Grazie, Summer" la ringraziai per avermi evitato racconti particolareggiati sulla notte precedente.
Lei mi rivolse un'occhiata scaltra: non si poteva proprio negare che fosse una ragazza perspicace.
"Ci vediamo questa sera. Sii puntuale alle otto" fece lei, salendo in macchina.
"Alle otto in punto sarò sotto casa tua" le promisi.
La salutai e raggiunsi la mia auto. Salii, posai la cartella e mi rigirai ancora una volta la fotografia tra le mani. Voltandola trovai una breve dedica sul retro, che recitava: Al mio amico Zayn, perché anche se probabilmente alle altre piaci di più quando ti fingi una rockstar, io ti preferisco come sei in questa foto.
Lanciai la fotografia sul cruscotto dell'auto e scoppiai in una sana risata liberatoria. Allacciai la cintura di sicurezza, partii lentamente dal mio parcheggio e uscii sulla strada di fronte alla scuola.
Mentre tornavo a casa l'occhio mi cadde più volte sulla fotografia di me e Summer.

***

Mi sentii rifilare una gomitata non troppo violenta nel fianco destro e mi tirai più su con la schiena. Cercai di darmi un certo tono, mentre qualcuno seduto nei paraggi si accorgeva della mia sfrontatezza e mi rimproverava con silenziose occhiate ostili.
"Perché non ti sei fatto di cocaina prima di venire qui? Ti avrebbe aiutato a restare sveglio perlomeno!" bisbigliò in tono concitato Summer, sporgendosi verso di me per non farsi sentire dagli altri partecipanti alla conferenza.
Ridacchiai sottovoce della sua battuta e alzai gli occhi sullo strano trio che capitanava quella noiosissima conferenza letteraria: una signora piuttosto grassa e dagli occhi a palla così sporgenti che quando dava un colpo di tosse temevo potessero saltarle fuori dalle oribite, un vecchio allampanato che non aveva ancora aperto bocca dall'inizio della serata e un signore vestito piuttosto elegantemente che non perdeva mai occasione per correggere ciò che la sua collega diceva a proposito dell'opera di Proust.
E poi c'eravamo io e Summer: uno stravaccato sulla propria scomoda sedia con l'aria di chi chiaramente non si sta divertento, l'altra tesa in avanti con le gambe accavallate e una matita in mano con cui annotare ogni singola parola pronunciata dagli organizzatori della conferenza. Eravamo così tremendamente diversi che per un attimo mi chiesi come avessimo fatto ad andare d'accordo per tutto il tempo passato insieme negli ultimi giorni: Summer sembrava assorbita al cento per cento dalle parole che lentamente uscivano dalla bocca della signora grassa seduta davanti a noi, io invece non vedevo l'ora che quella serata giungesse al termine. Il mio pensiero andò d'istinto alle due birre che avevo lasciato in macchina: se solo ne avessi avuta una a portata di mano, non mi sarei più annoiato così tanto!
"Avresti dovuto avvertirmi che Proust era un tipo così socievole e divertente, almeno avrei evitato di risultare troppo triste in mezzo a tutta questa simpatica gente" borbottai di rimando alla mia amica.
Questa si distrasse dall'annotare le ultime sentenze snocciolate dalla signora grassa e mi lanciò un'occhiata divertita.
"Hai ascoltato anche solo una parola di ciò che hanno detto da quando siamo arrivati?" mi chiese.
Annuii. "Qualcosa mi pare di averlo sentito... Qualcosa come 'buona sera' e 'benvenuti'. È possibile?"
Summer si trattenne dallo scoppiare a ridere e mi colpì al braccio. Io le sorrisi, contento di essere riuscito a contagiare qualcuno con la mia disperata distrazione.
Un signore dall'aria parecchio severa, seduto esattamente di fronte a me, si voltò e squadrò con fare antipatico sia la mia amica sia. Poi borbottò rivolto a entrambi: "Fate silenzio!"
Non appena fu tornato a darci le spalle, Summer annuì vistosamente e lo indicò per dare conferma del suo rimprovero.
"Ha ragione lui, Zayn. Lasciami seguire la conferenza" sussurrò.
Sbuffai e incrociai le braccia al petto: adesso non potevo nemmeno più fare affidamento sulla mia amica per evitare di addormentarmi nel mezzo di quell'immensa perdita di tempo.
Spostai lo sguardo sul quaderno di Summer: le due pagine aperte erano oscurate dalla sua fitta calligrafia sottile. La sua mano sinistra volava sulla carta a una velocità sorprendente, come se stesse davvero registrando parola per parola l'intero convegno. Strinsi un po' di più gli occhi per cercare di mettere a fuoco le piccole parole che talvolta si accavallavano le une sulle altre.
Proust ebbe la sua prima crisi d'asma nella primavera del 1881, dopo una lunga passeggiata al Bois de Boulogne in compagnia dei genitori...
Per un attimo la mia amica coprì il resto della frase con la propria mano, e quando tornai a leggere avevo perso il filo del discorso. Riuscii a mettere di nuovo a fuoco un piccolo paragrafo al fondo della prima pagina, che consisteva nel frammezzato proseguimento di ciò che avevo letto poco prima.
Dunque Proust non fu certo un malato immaginario, ma è pur vero che si abbandonò al suo male facendo dell'asma un complicato sistema di abitudini e rituali. Questo trasformò completamente la sua vita e se ne servì sia per combattere l'asma sia per mantenerla in vita.
"Dai, come fai a seguire davvero una cosa del genere?" bisbigliai nuovamente a Summer, indicando con l'indice ciò che avevo appena spiato.
Lei cacciò la mia mano con delicatezza e tornò a guardarmi dritto negli occhi con aria severa. Proprio in quel momento mi accorsi di quanto i nostri volti fossero stranamente vicini: io mi ero allungato nella sua direzione solo per accennare alla pagina scritta e lei si era voltata verso di me senza rendersi conto della cosa. Forse, però, in quell'istante anche a Summer la vicinanza parve esagerata: la vidi scostarsi più a sinistra e dare un finto colpetto di tosse.
"Proust è uno dei miei autori preferiti" rispose a bassa voce, questa volta senza guardarmi. "Adesso capisci come sia possibile seguire quello che dicono?"
"Tu leggi davvero Proust la sera, prima di andare a dormire?" esclamai, la voce che si era fatta involontariamente un po' troppo alta.
Sia Summer sia i due vicini alla sua sinistra si sporsero per rifilarmi occhiatacce roventi.
"Guardati attorno, qui ci sono solo vecchi con un piede nella fossa!" continuai a parlare alla mia amica.
"Zayn, ti stanno guardando tutti" mi avvisò lei.
Alzai le spalle e sogghignai con aria indifferente. "Mi dispiace aver dimenticato a casa le foto autografate."
Summer, suo malgrado, sorrise e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. La spiai in quei suoi movimenti comuni, sperando che la cosa non finisse per indispettirla.
"Se non smetti di borbottare le tue proteste, qualcuno ti caccerà via" mi redarguì Summer poco dopo, interrompendo il silenzio creatosi tra di noi.
Le feci segno di tacere e poi, sorridendo con aria complice, bisbigliai: "Lasciami seguire!"
Summer in un primo momento rimase ferma a fissarmi, incredula. Solo dopo qualche istante si lasciò sfuggire una risatina. Da ciò derivò una nuova occhiata di rimprovero da parte del signore seduto davanti a noi.
"E farai cacciare anche me..." aggiunse la mia amica.
"Sei sprezzante delle regole, mi piaci" mi complimentai sottovoce.
Lei mi guardò confusa. "Che cosa intendi dire?"
La indicai e risposi: "Stai continuando a disturbare nonostante quelle tre mummie parlino del tuo autore preferito e questo sbruffone ci abbia inceneriti con lo sguardo."
"Se tu non fossi così noioso, io riuscirei a restare in silenzio" mi rimbeccò prontamente lei.
Guardai Summer e la vidi sorridermi con aria amabile, come se il suo modo di stuzzicarmi celasse ben altro: forse in fondo si divertiva a parlottare con me in mezzo a tutti quei vecchi altezzosi?
"E comunque..." ripresi io, ma non feci in tempo a terminare la frase che la signora seduta alla mia sinistra si allungò verso di me e m'intimò di chiudere la bocca.
Summer mi mostrò la sua occhiata vittoriosa e tornò a scrivere sul proprio quaderno, chinandosi in avanti per appoggiarlo meglio sulle gambe.
La prossima volta che verrai trascinato in un posto del genere, ricorda di portare l'mp3 e di caricare a sufficienza la batteria del cellulare, pensai concendendomi l'ennesimo sbuffo annoiato.
Il solito borioso signorotto seduto davanti a me mi scoccò una nuova occhiata severa e borbottò qualcosa che non fui in grado di capire. Con la cosa dell'occhio vidi Summer scuotere il capo e sorridere tra sé e sé.
"Sono felice che almeno uno di noi due si stia divertendo" le comunicai all'orecchio.
Lei si tirò più su e continuò a sorridermi sfacciatamente. "Mi sembri un bambino capriccioso, Zayn."
"Di questo passo, scoppierò davvero a piangere e batterò i piedi a terra nella speranza di..."
"... passiamo la parola al ragazzo in terza fila."
La sala cadde in un improvviso mormorio concitato e io fui costretto a distogliere l'attenzione dal volto magro della mia amica. Alzai la testa e trovai l'intera sala intenta a scrutarmi con fare arcigno.
Mi ero per caso perso qualcosa?
"Io... Che cosa..."
Guardai Summer e la vidi spiare la sala con la mia stessa aria confusa.
"Che diavolo sta succedendo?" le domandai in un bisbiglio imbarazzato.
"Non lo..."
"Prego, signor...?" esclamò la donna grassa seduta sotto i riflettori della saletta.
"Zayn. Zayn Malik" risposi, prendendo coraggio.
Quella mi sorrise con aria cattiva. "Vuole darci gentilmente una sua opinione a proposito del passo appena commentato?"
Perfetto! La vecchia mi aveva visto distratto e, proprio come una professoressa pronta a scovare gli studenti poco attenti, si era decisa a mettermi in ridicolo davanti a tutti gli astanti.
"L'ho osservata discutere animatamente con la sua vicina, quindi ho dedotto che avesse formulato una sua opinione al riguardo" continuò la donna, orgogliosa della figuraccia che mi stava facendo fare.
"In realtà io..."
"Mi sta dicendo che non ha ascoltato una sola parola di ciò che è stato detto questa sera?" indovinò, interrompendomi.
Deglutii, messo alle strette. Sentii Summer borbottare qualcosa, ma non riuscii a capire se fosse contro di me o in mio favore.
"Sì, proprio così" ammisi infine.
La signora ridacchiò e guardò per un attimo i due colleghi al suo fianco. Poi tornò a rivolgermi quei suoi occhi sporgenti pieni di cattiveria e disse: "Capisco che lei possa sentirsi superiore dall'alto dei suoi... quanti saranno?, sedici anni?... Forse nemmeno sedici. In ogni caso, la capisco, mi creda. Ma, vede, non tutti hanno per la testa solo messaggi con gli amici, feste e shopping come lei. Quindi, perché non resta in silenzio e lascia in pace chi è qua per un valido motivo?"
Arrossii dall'imbarazzo e desiderai ardentemente non aver mai messo piede in quella saletta sotterranea in centro città. Ma ormai era troppo tardi per i ripensamenti: io ero lì, seduto davanti a tutti quegli sconosciuti che ridevano sotto i baffi della mia figuraccia pubblica. Le scelte erano due: restare zitto per il resto della conferenza e ingoiare l'amarezza oppure farla pagare a quella manica di arroganti borghesi con la puzza sotto il naso.
Mi alzai in piedi e allargai le braccia. La vecchia grassa sembrò presa in contropiede dalla mia mossa e alzò lo sguardo per tenermi d'occhio.
"Capisco che lei possa sentirsi superiore dall'alto dei suoi sessant'anni suonati, ma, vede, nessuno l'autorizza a prendersi la libertà di scaricare le proprie frustazioni di vecchia zitella su chi, al contrario di lei, ha una vita e delle passioni. Ah, e per sua informazione non mi riferisco soltanto alle feste, al divertimento e al sesso sfrenato, per quanto siano importanti e soddisfacenti."
Raggiunsi il fondo della fila dove mi ero seduto e misi mano alla maniglia della porta dalla quale eravamo entrati un'ora prima.
"E ora, se non le dispiace, io avrei di meglio da fare che restare qui ad ascoltare la sua gracchiante voce che spara stronzate" mi congedai, forte dell'inconfessata stima che qualcuno sicuramente lì dentro nutriva per il mio modo di difendermi.
Lasciai sbattere la porta alle mie spalle e salii in fretta i gradini che portavano all'ingresso di quel salone per convegni e mostre. Quando finalmente fui fuori all'aria fresca della notte, tirai un lungo sospiro di sollievo. Dopo appena qualche istante, sentii l'inconfondibile rumore della porta che si apriva e richiudeva. Mi girai di scatto e trovai Summer intenta a rivestirsi mentre mi raggiungeva a grandi falcate.
"Summer?!" esclamai, sorpreso del fatto che mi avesse seguito. "Non avevi detto che Proust è il tuo autore preferito?"
La mia amica mi si parò di fronte e sbuffò, gli occhi puntati al cielo stellato. Quando tornò a guardarmi, però, mi parve di scorgere un velo di ammirazione nei suoi occhi neri.
"Già, ma ho dovuto seguirti sostanzialmente per due motivi" disse.
"Quali sarebbero?"
"Primo: non ho altro modo di tornare a casa se non in macchina con te."
Ammiccai al suo indirizzo e mormorai: "Viva la sincerità..."
Lei proseguì come se non avessi mai parlato: "E il secondo motivo è che... ti ho trovato incredibilmente sensazionale alle prese con quella strega!"
Sgranai gli occhi, ancor più sorpreso. Summer abbandonò la sua aria corrucciata e scoppiò a ridere.
"Dici sul serio?" chiesi.
Lei annuì senza smettere di ridere. "Ti ho già detto che stai raggiungendo la cima della classifica?"
Mi avviai verso il parcheggio, affiancato da Summer che ancora si stava chiudendo la giacca.
"Quale classifica?" domandai.
"Quella dei miei esseri umani preferiti."
Toccò a me ridere a voce alta. "Ne sono onorato, Summer!"
Lei mi superò accelerando il passo e mi lanciò un'occhiata inquisitoria. "E adesso? Mi hai fatto perdere un'interessante conferenza sul mio scrittore preferito, come hai intenzione di rimediare?"
Alzai le spalle e le risposi con un sorrisetto furbesco. "Ti va un birra seduti sulla scalinata della cattedrale?" proposi.
Vidi un sorriso farsi largo sul bel volto di quella che stava velocemente diventando la mia migliore amica.




Be', a chi non dispiacerebbe un invito per una birra in compagnia di Zayn Malik? Eeeeh, beato mondo delle fanfiction che ci permette di sognare...! ;)
Ciao ragazze, come state?
Sono leggermente in ritardo rispetto alle mie solite tempistiche, e ciò è dovuto agli esami universitari. E poi, anche quando trovo del tempo per scrivere... mi aprono il bando Erasmus a tradimento e io finisco inevitabilmente per distrarmi! (è successo ieri, ero in fibrillazione, inutile dirlo...)
Al di là del mio stato di eccitazione legato all'Erasmus, veniamo alla storia: che ve ne pare? Vi piace, vi fa schifo, vi interessa...? Questo capitolo mi ha divertita, specie nella parte finale (poi si parla di Proust, che è davvero uno dei miei autori preferiti) e non vedevo l'ora di sottoporlo al vostro giudizio. 
E Bethany è una bomba a orologeria, io vi avviso... Ormai è chiaro che non simpatizza per Summer. Così come è chiaro che anche a Summer ormai fa piacere la compagnia di Zayn: all'inizio era lei a non voler uscire con lui, ma adesso le cose stanno cambiando.
E per quanto riguarda la band, dico solo che la scelta delle canzoni della scaletta non è casuale, come avrete già capito. ;)
Bene, termino le mie ciance e mi scuso se ogni tanto sono in ritardo o sparisco, ma ho sempre mille incertezze legate alle mie storie - e questa non fa eccezione -. Ho sempre paura di scrivere stronzate e quindi ogni due giorni mi viene voglia di smettere, I'm sorry. Mi è anche stato consigliato Wattpad, e ho provato a pubblicare il prologo di Along Came Summer, ma trovo che la grafica, l'impaginazione e il funzionamento siano davvero bruttini rispetto a quelli di EFP. Non so, sarò io pirla, ma non mi ci trovo troppo bene, anche se magari là si possono trovare tanti lettori.
In ogni caso, fatemi sapere che ne pensate, I'm always here for you! :)
Un grande abbraccio,



Martina

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Vieni con me ***




 
Vieni con me
 


"Zayn, com'è possibile che tu riesca a occupare il bagno per mezz'ora ogni mattina?"
"Ho finito, ho finito."
"Sei peggio di me e di Doniya!"
Alzai gli occhi al cielo e spensi le due luci giallognole che stavano sopra lo specchio davanti a me. Aprii la porta e mi ritrovai di fronte alla smorfia imbronciata di mia sorella Waliyha, che teneva le braccia incrociate al petto e sembrava sul punto di picchiarmi.
"Sei contenta?" la stuzzicai, facendomi da parte per lasciarla passare.
Waliyha mi colpì al braccio e richiuse prontamente la porta alle proprie spalle. Sorrisi, rassegnato alla mia sorte: erano anni che mi spettava il ruolo di unico fratello in mezzo a tutte femmine. Se a ciò si aggiungeva il fatto che mio padre stesse quasi tutto il giorno fuori casa per lavoro, io potevo davvero considerarmi senza scampo. Conoscevo ogni particolare delle tappe che una qualsiasi ragazza percorreva durante gli anni della sua infanzia ed adolescenza: bambole e bambolotti da accudire, l'acquisto delle prime gonne, l'iniziale - e disastroso - approccio al trucco, la specializzazione in materia di gossip, la fatidica prima cotta per un compagno di scuola... Ero sempre stato considerato il confessore numero uno in quella casa, forse proprio per via del mio parere neutrale e differente: io non solo ero il fratello incurante di suonare troppo duro o diretto, ma possedevo anche un punto di vista maschile che si discostava dalle classiche opinioni femminili.
Rientrai nella mia camera da letto e indossai un maglioncino morbido dalle decorazioni rosse. Poi Afferrai giacca e cartella e scesi di sotto in cucina. Mia madre e Doniya stavano chiacchierando, la prima di spalle rivolta ai fornelli e la seconda appoggiata al tavolo con una tazza di caffè tra le mani.
"Buon giorno!" esclamai allegramente.
Doniya accavallò le gambe e si lasciò sfuggire un'espressione sorpresa. "Oh, guarda chi c'è! Stavamo parlando proprio di te, Zayn."
Raggiunsi il tavolo e afferrai una fetta biscottata dal pacchetto che mia sorella aveva lasciato aperto. Quella mattina non ero riuscito ad alzarmi presto per il solito appuntamento con Summer: l'attività di jogging aveva lasciato spazio ad un'ora in più di meritato riposo. La sera precedente io e la mia amica avevamo finito per soffermarci a lungo in centro città, parlando del più e del meno e sorseggiando lentamente le nostre birre. Alla fine eravamo rientrati a casa verso l'una di notte, il che mi aveva spinto a spostare l'orario della solita sveglia delle cinque e mezzo.
"E che cosa dicevate?" domandai, curioso, continuando a sgranocchiare a piccoli morsi la fetta biscottata.
Mia madre si voltò per un attimo e scambiò un'occhiatina d'intesa con Doniya. Smisi di masticare, insospettito.
"Parlavamo del fatto che ti troviamo... cambiato in quest'ultimo periodo" spiegò mia sorella, il tono della voce che sembrava voler nascondere qualcos'altro.
Rimasi zitto e immobile al mio posto. "Avanti, che cos'ho fatto questa volta?" dissi alla fine.
Doniya e mia madre mi guardarono ad occhi spalancati.
"Che cosa vuoi dire, Zayn?" domandò la prima.
Sospirai. "Non mi lascerò abbindolare dalle vostre cerimonie. Che cosa volete dirmi in verità?" insistetti.
Mia madre scoppiò a ridere e spense il gas. "Esattamente ciò che abbiamo detto. Ti troviamo più allegro e di buon umore, e ci siamo chiese se tutto questo fosse dovuto..."
"... a novità interessanti di cui ancora non hai fatto parola, ecco" completò mia sorella, lo sguardo furbesco.
Scoppiai in una risatina divertita e abbandonai la cucina per raggiungere la porta di casa. M'infilai le scarpe da ginnastica e allungai il braccio per salutarle.
"Zayn, dove vai?" esclamò mia madre, troppo curiosa per restare senza risposte.
"Ho capito che cosa volete sapere voi due, ma non vi darò la soddisfazione di spettegolare sulla mia vita privata" risposi astutamente.
Mia sorella saltò giù dalla sedia e mi raggiunse nell'ingresso di casa nostra.
"Secondo me sei troppo scettico, noi non..." tentò.
Le rivolsi un sorriso strafottente. "Doniya, non sono nato ieri: conosco la mente delle femmine."
Mia sorella sbuffò con fare indispettito e restò impalata a fissarmi mentre mi issavo in spalla lo zaino e salutavo allegramente nostra madre. Quando uscii sul pianerottolo, mi sentii invadere da un gran senso di sollievo.
Allora il mio ritorno a casa all'una di notte dopo una divertente serata in compagnia di Summer non era proprio passato inosservato.

***

Quel giorno non lasciai la mia macchina nel solito posto. Mi avventurai all'interno del parcheggio del cortile della Tong High School con occhio critico, deciso a scovare l'automobile che stavo cercando. Quando finalmente la individuai, due file più avanti da dove mi trovavo, accelerai per riuscire a posteggiare nelle sue vicinanze. E Summer, appena scesa dalla sua macchina, mi vide e capì subito le mie intenzioni. La notai alzare gli occhi al cielo e mettere su un bel sorrisetto irriverente. Non si mosse dalla portiera del conducente, sicuramente in attesa che la raggiungessi.
Era una bella mattinata soleggiata e il cielo si era dipinto di un azzurro meravigliosamente limpido. Certo, le temperature restavano vicine allo zero, ma perlomeno non avremmo dovuto sopportare l'insistente pioggia dei giorni precedenti.
Spensi il motore della mia Peugeot, sfilai la chiave dal quadro e scesi. Richiusi la macchina e mi avviai a passo lento verso Summer.
"Qualcosa mi dice che hai parcheggiato vicino a me per un motivo specifico" azzardò lei quando fui abbastanza vicino per riuscire a sentirla.
Le sorrisi fingendomi innocente: la mia amica aveva perfettamente ragione, ma non l'avrei mai ammesso.
"Era il primo posto libero che ho trovato" mentii senza problemi.
Summer si voltò e insieme a me cominciò il lento percorso che ci avrebbe condotti dritto alle porte del nostro liceo.
"Infatti c'è solo una ventina di posti vuoti all'entrata del cortile..." mi beffeggiò Summer, indicando una direzione imprecisa verso il cancello dal quale ero entrato.
"Perché non riesci a rassegnarti all'idea di non essere al centro del mio mondo?" scherzai.
Lei alzò le sopracciglia. "Perché so perfettamente di essere il centro del tuo mondo."
Scoppiai a ridere, sinceramente colpito dal suo umorismo. Annuii e risposi: "D'accordo, hai vinto tu, Summer. Come stai?"
"Molto bene, anche se per colpa del qui presente Zayn Malik ho perso una mattinata di sano sport."
Oltrepassammo due ragazzi che, appoggiati al cofano di un'automobile, ridevano a gran voce riuscendo a coprire quasi interamente le nostre voci.
Sbuffai e dissi: "Che cosa vuoi che sia una mattina passata a dormire! Il tuo fisico scultoreo non ne risentirà, Summer."
Lei mi lanciò un'occhiata saettante. "Ti stai per caso prendendo gioco di me?"
Ridacchiai sotto i baffi, pronto a smentire. "No, perché?"
"So benissimo che tu sei uno stronzo e che ti prendi gioco di me" concluse lei, non senza una nota d'ilarità nella sua bella voce vivace.
Questa volta risi e le lasciai la precedenza per passare attraverso lo stretto spazio tra due automobili parcheggiate malamente prima dei gradini del liceo.
"Io non ho un fisico scultoreo" continuò la mia amica. "E non ti autorizzo a parlare male del mio corpo, è altamente suscettibile."
"Dai, Summer, io scherzavo!" esclamai, sicuro che lei non fosse davvero offesa; stavo imparando a conoscere quella simpatica ragazza dai capelli scuri e le maniere spicce e sapevo che battute come quelle non sarebbero bastate a colpire la sua autostima. "Il tuo corpo è bellissimo!" cercai di rimediare.
Summer si voltò nella mia direzione e mise su un sorrisetto ambiguo. Io, colto alla sprovvista sia dal suo sguardo sia dalle mie parole, mi accorsi troppo tardi del possibile fraintendimento. Scossi il capo e fui sicuro di essere arrossito in volto.
Bravo, continua così!, pensai con un certo imbarazzo.
"Verrò di nuovo in tuo soccorso cambiando un'altra volta argomento" decretò Summer con tono rassegnato. "Posso declinare la tua gentile offerta ad accompagnarti alla festa di domani sera?"
Guardai Summer con aria spaventata. "Non ci pensare nemmeno!"
"Perché? Mi hai praticamente costretta a dire a Bethany che sarei venuta, ma sai benissimo che..."
"Summer, io non posso restare solo con lei. Mettiti nei miei panni!"
Lei sbuffò, indispettita. "Non è colpa mia se ci sei andato a letto insieme, Zayn."
"Be', ma...", la porta della scuola si aprì e io la lasciai entrare per prima, "... siamo amici, Summer! Perché non fai un piccolo favore a un tuo caro amico?"
Lei mi guardò con fare contrariato. "E perché tu non hai lasciato fuori da questa storia una tua cara amica?"
Sorrisi inevitabilmente: Summer non era proprio capace di lasciare che gli altri avessero l'ultima parola. Somigliava tanto a Louis...
C'immettemmo nel corridoio su cui si affacciava la mia classe e in breve la raggiungemmo. Io, però, non entrai e guardai Summer fermarsi a pochi passi di distanza dalla porta dell'aula.
"Ne riparleremo un'altra volta" concluse, guardandosi attorno con fare distratto.
"Ne riparleremo questa sera, se ti va" dissi. "Mi piacerebbe organizzare un'uscita insieme a te e a Louis, Niall..."
Summer spalancò gli occhi, sorpresa. "Questa sera?" ripeté.
"Sì, ci sarai?" domandai, speranzoso.
La mia amica boccheggiò, evidentemente a difficoltà. Poi la vidi pettinare una ciocca di capelli con le dita, quasi come se fosse nervosa.
"Mi dispiace, ma questa sera io non sarò libera" disse, tornando al suo strano tono evasivo.
Corrugai la fronte, sempre più perplesso. "Dici sul serio?"
Lei annuì timidamente, poi tornò a guardare altrove per riuscire a nascondere meglio il suo segreto. Perché ormai ero sicuro che ci fosse un segreto di mezzo.
"Non sarò in città" aggiunse.
"E dove andrai?" indagai, scettico.
"Ho delle... cose da fare con... degli amici" spiegò, parlando a scatti.
Annuii, ma continuai a guardarla con sguardo corrucciato: non c'erano dubbi sul fatto che Summer mentisse. Non riuscivo a comprendere che cosa potesse nascondere, ma ci conoscevamo da così poco tempo che non sarei stato in grado di smascherare le sue menzogne. Forse sbagliavo a pretendere di sondare le intenzioni della mia amica senza considerare che potesse desiderare una sua intimità, però non riuscivo a togliermi dalla testa il presentimento che mi mentisse intenzionalmente.
"E non puoi rimandare queste... cose?" insistetti.
Summer mi guardò, forse intimorita. Che strano, di solito riusciva a reggere alla perfezione il peso delle mie frecciatine.
"No, Zayn. Ho già preso un impegno ormai."
Annuii, amareggiato. "Si tratta dello stesso impegno di mercoledì mattina?"
A quelle mie parole, Summer si fece immediatamente più scura in volto. Sbuffò e si allontanò di un altro passo. "Non ho intenzione di discutere a proposito di queste sciocchezze."
Lanciai un'esclamazione di stupore e dissi: "Sciocchezze? Summer, tu mi stai..."
La campanella suonò proprio in quel momento sopra le nostre teste. La mia amica alzò lo sguardo, spaventata dal suono, e poi tornò a rivolgermi quel suo sguardo a metà tra il dispiaciuto e lo scocciato. Io rimasi zitto, mangiando le parole che avrei tanto voluto buttarle addosso.
"Devo andare in classe. Ci sentiamo" salutò lei, agitando timidamente la mano.
"Ciao, Summer" la congedai.
Rimasi impalato sulla soglia dell'aula a controllare ogni suo passo, finché lei non fu scomparsa dalla mia visuale.
Perché non ti calmi? L'hai detto tu stesso che lei non è al centro del tuo mondo, mi rinfacciò la mia stessa mente.

***

"... e alla fine la campanella è suonata proprio in quel momento, perciò non sono riuscito a cavarle una sola parola di bocca."
Niall sospirò e abbassò per un attimo gli occhi sulle proprie mani, strette attorno a un pacchetto di biscotti al cioccolato. Lo vidi svuotarlo e accartocciare la confezione in una palla deforme.
"Non so sinceramente che cosa pensare" borbottò infine, dopo essere tornato a guardarmi dritto neglio occhi. Il mio amico sembrava sincero e la sua espressione perplessa rispecchiava alla perfezione il modo in cui mi sentivo in quel momento. Non avevo smesso di rimuginare su Summer e le sue maniere sfuggenti per tutta la mattinata, fino a quando lo squillo acuto della campanella era rimbombato nuovamente nel corridoio annunciandoci l'intervallo. Allora mi ero fatto coraggio e avevo aspettato l'arrivo dei miei amici per poter discutere assieme a loro dell'accaduto.
Louis mise una mano sulla mia spalla e disse: "Forse pensa che sia giusto mettere un limite a questa vostra... amicizia."
Lo guardai di sbieco: sapevo perfettamente quante energie Louis spendesse nel cercare di convincermi a distaccarmi da Summer.
"Io invece credo che il problema sia tu, Lou'" gli confessai, turbato.
Il mio amico strabuzzò gli occhi e scambiò un'occhiata sorpresa con Niall, il quale intervenne in suo favore: "Che cosa c'entra adesso lui?"
Annuii, sempre più convinto della mia tesi. "Le ho detto di voler organizzare una serata tutti insieme e sicuramente l'idea di dover trascorrere ore al fianco di Louis l'ha spaventata."
Quest'ultimo sbuffò sonoramente e mise su un'espressione scocciata. "Tu credi davvero che la tua bella sposina sia così pavida?!"
"Per prima cosa, non chiamarla 'la mia sposina'" esordii, stanco delle battute di Louis. "E poi per quel che ne sappiamo, Summer potrebbe anche aver paura di... Niall!"
A quel punto lui si sentì tirato in causa e mi puntò con il suo sguardo scioccato: non c'erano problemi finché si trattava di accusare Louis, ma non gli sarebbe piaciuto finire al centro di quelle discussioni per colpe che non aveva.
Louis agitò le mani come a voler scacciare quella sciocca idea. "Non esageriamo! Stiamo parlando di Niall, lo stesso ragazzo che piange ancora guardando Il re leone" intervenne.
Il nostro biondissimo amico si voltò alla velocità della luce e assestò un colpo a Louis. "Non è vero!" esclamò, imbarazzato.
Io scoppiai a ridere e diedi delle pacche amichevoli a Niall. "Non sapevo che avessi un cuore così tenero."
Lui si scrollò di dosso le mie mani e fulminò Louis con un'occhiata minacciosa. "Io non guardo i cartoni della Disney da... tanto tempo!" cercò di difendersi.
Louis cercò il mio sguardo per comunicarmi qualcosa al di là delle parole. Poi aggiunse a voce leggermente più bassa: "La morte di Mufasa resta un argomento doloroso per lui. È meglio evitarlo."
"Ti sento, idiota!" sbottò Niall.
Non potei fare a meno di ridere. Louis mostrò la sua espressione più innocente: era davvero bravo a dissimulare, ma sia io sia Niall sapevamo che, appena ne avesse avuta l'occasione, nessuno l'avrebbe fermato dallo scagliarsi di nuovo contro la vittima di turno. A lui piaceva fare dell'ironia gratuita, e la cosa gli riusciva anche piuttosto bene. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui tutta quella sua sicurezza avrebbe finito per cedere e crollare?
"Ragazzi, tutto questo parlare di cartoni non cambia il fatto che..." cercai di riportare il discorso sull'argomento originario.
Louis, però, diede in un evidente sbuffo e m'interruppe: "... che la dolce Summer Wayne rifugga le tue attenzioni, sì, l'hai già detto."
"Louis, potresti evitare d'intervenire se non hai nulla d'intelligente da dire?" replicai, irritato.
Lui sorrise con una certa strafottenza e alzò le spalle. "Calma, Zayn! Voglio solo farti capire che un rifiuto di Summer non è la fine del mondo."
"Ha ragione, Zayn. Summer può avere mille ragioni per non voler uscire con te questa sera" lo appoggiò Niall, incrociando le braccia al petto.
"Con noi" lo corressi. "Quando si tratta di uscire con me, non ci sono mai problemi."
Louis alzò gli occhi al cielo. "Ancora con questa storia? Non è colpa mia se Summer fa la difficile!"
"In ogni caso, ti sarei grato se smettessi di bersagliarla con le tue stupide frecciatine" gli feci notare.
Niall si lasciò sfuggire una risatina divertita e si passò una mano fra i capelli. "Sai che non lo farà mai!" esclamò, come se ciò costituisse un buon motivo per il quale ridere.
Louis mi guardò con fare furbesco. "Sai che non lo farò mai" concordò.
Sbuffai, interdetto da quel rifiuto. In fondo, però, che cosa mi ero aspettato? Sapevo bene che tipo di persona fosse Louis, e forse nemmeno Summer si aspettava che le pressioni del mio amico terminassero tanto velocemente. Avevo proprio il presentimento che, anzi, lui si sarebbe divertito ancora a lungo in quella specie di guerra fredda.
"Allora toccherà a Summer essere talmente spietata da farti chiudere la bocca una volta per tutte" conclusi.
Louis scoppiò in una vivace risata e si scostò un ciuffo di capelli dagli occhi. Tornò a guardare nella mia direzione e rise di nuovo, incapace d'immaginare una ragazza in grado di zittirlo definitivamente.
"Solo perché con qualche parolina astuta ha incantato te, non significa che..."
"Ciao, ragazzi!" esclamò qualcuno alle mie spalle, incurante di aver appena interrotto un discorso.
Louis sembrò altamente irritato da quell'intervento a sproposito e rivolse un'occhiata superba alla ragazza dietro di me. Io mi voltai velocemente: avevo riconosciuto la voce che si era intromessa nel discorso del mio amico. Margaret, una delle poche elette che aveva l'onore di frequentare la cerchia esclusiva di Emily Wood, si era presentata direttamente lì davanti a noi e ciò non poteva essere un semplice caso. Non ci parlavamo da almeno due settimane e subito mi domandai che cosa potesse volere da noi tre.
"Ciao" ricambiò Niall con voce incerta: non ero nemmeno sicuro che loro due si conoscessero.
Margaret rivolse il suo ampio sorriso allegro a tutti e tre e infine si soffermò un po' più a lungo su di me: nei suoi occhi lessi una chiara traccia d'interesse. Se Margaret aveva avuto un debole per me ancor prima del mio fidanzamento con la sua migliore amica, ora non sarebbe di certo potuta restare indifferente al cambiamento che avevo subito.
"Vi disturbo?" domandò, fingendo di non essersi accorta di essere piombata in mezzo a noi nel bel mezzo di una conversazione.
"In verità..." provò a rispondere Niall, ma la mia amica fu più veloce e scosse una mano con fare indifferente. Poi allungò a ognuno di noi un volantino rosso ricoperto di scritte in grassetto nero, intrecciate le une alle altre in qualche frase confusa che a stento si leggeva.
"Questa sera ci sarà l'inaugurazione di un nuovo locale in centro città, e naturalmente voi siete tutti invitati" spiegò Margaret, piena d'orgoglio.
Alzai gli occhi dal volantino e guardai nella sua direzione. "Il locale è tuo?" chiesi.
Margaret scoppiò in una risatina ridicola e mi diede un buffetto sul braccio. "No, che domande!"
Scorsi in un lampo l'occhiataccia annoiata di Louis, che ancora non aveva espresso alcun parere.
"Il locale è di alcuni miei amici che mi hanno ingaggiata come addetta alle pubbliche relazioni" scherzò Margaret, sempre rivolta a me.
Sorrisi brevemente e tornai a guardare Niall e Louis. Quest'ultimo spiò il retro del volantino e poi sbuffò con fare incurante. Alzò lo sguardo e lo puntò sulla nuova arrivata, come se sperasse di poterla cacciare senza dover aprire bocca.
"E quanto costa l'ingresso?" volle sapere.
Margaret sorrise, soddisfatta di essere riuscita a catturare l'attenzione di qualcuno. Non che le sue doti di responsabile del marketing fossero poi così straordinarie, in ogni caso...
"Per la nuova band della Tong High School non c'è alcun prezzo...", e fece l'occhiolino con aria complice.
Niall annuì, improvvisamente più convinto dell'idea. "Be', ci penseremo."
Margaret si voltò tempestivamente nella mia direzione e avvicinò le proprie mani come se fosse in preghiera. "Zayn, c'è un'altra cosa che vorrei dirti."
Louis e Niall si scambiarono un'occhiata eloquente, che diceva più di mille parole.
"Dimmi" risposi, temendo il peggio.
Margaret sfoderò un altro sorriso a trentadue denti e ridacchiò, prima di riuscire finalmente a dire: "Se non hai impegni e ti va l'idea, potremmo andare a bere qualcosa prima di raggiungere gli altri..."
Ero sicuro che Louis e Niall stessero già mostrando i loro sorrisetti impertinenti, perciò sperai con tutto il cuore che Margaret non facesse caso a loro due.
"Ehm... Io non ho..."
Impegni? Non avrei avuto davvero niente di meglio da fare? Be', avevo cercato di convincere Summer a uscire con me, ma lei mi aveva miseramente rifiutato senza spiegazioni. In effetti la mia scorta di scuse si stava esaurendo e Margaret era mia amica: che cosa c'era di male nel concederle un drink insieme?
Annuii e puntai i miei occhi nei suoi. "No, non ho impegni in effetti" risposi, dandomi un tono più deciso.
La mia amica non riuscì a trattenersi dal sorridere con aria trionfante e annuì ripetutamente. "Perfetto! Allora passi a prendermi a casa?" chiese.
Mossi il capo in un cenno affermativo, riflettendo ancora su che cosa avevo appena fatto: accettare di uscire con Margaret significava dichiarare ancora aperta la vendetta nei confronti di Emily. Se la mia ex fosse venuta a conoscenza dei piani della sua migliore amica, come avrebbe reagito? Sarebbe rimasta impassibile? Sorrisi tra me e me, convinto che Emily non fosse poi così indifferente come voleva far credere a tutti: avevo visto le occhiate che mi lanciava ogni volta che la sorprendevo a litigare con Harry Styles, e nei suoi occhi si poteva leggere di tutto tranne distacco.
"Certo, mi lasci il tuo numero di telefono?" risposi, rallegrato dall'idea di poter infliggere un colpo basso a Emily.
Margaret non esitò nell'annuire e, mentre io estraevo il mio cellulare dalla tasca dei jeans, con la coda dell'occhio la vidi lanciare sorrisetti eccitati a Louis e Niall, muti spettatori di quella scena.
"Ecco" feci, consegnando il telefono alle mani delicate della mia amica; guardai distrattamente in direzione di Niall, il quale aveva appena tentato in modo alquanto goffo di nascondere un ghigno divertito. Louis intercettò il mio sguardo e spalancò gli occhi con fare espressivo, ma io non riuscii comunque a capire cosa volesse suggerirmi.
"Tieni. Passa da me verso le sette e mezzo" terminò Margaret, sogliendosi in un nuovo sorriso estatico.
"D'accordo. Ci vediamo questa sera" la congedai, sperando che mi lasciasse solo con Niall e Louis il prima possibile.
Margaret finalmente salutò i miei amici e si allontanò con passo deciso, tutta soddisfatta della buona riuscita dei suoi tentativi.
Niall scoppiò finalmente a ridere. "Hai visto come pendeva dalle tue labbra? Secondo me ti avrebbe obbedito, se le avessi chiesto di affogarsi nei cessi della scuola."
Risi e abbassai il capo, una mano che correva fra i capelli per sistemare i ciuffi spettinati. "Margaret aveva una cotta per me già dai tempi del mio fidanzamento con Emily."
Louis annuì, perso in qualche strana riflessione; poi si riscosse e sorrise con aria provocatoria: "Dopo questo appuntamento, Emily Wood non potrà fare a meno di mangiarsi le mani per quel che ti ha fatto, Zayn."
Guardai i miei amici e anch'io sfoderai un sorrisetto obliquo, intriso di malvagio compiacimento. "Me lo auguro con tutto il cuore."

***

Grazie all'appuntamento di quella sera in compagnia di Margaret ebbi modo di distrarmi temporaneamente da Summer e dalle sue stranezze. Passai tutta l'ora successiva all'intervallo disegnando scenette senza impegno sul quaderno che, in origine, sarebbe dovuto servire a prendere appunti di letteratura Inglese. La mia mente aveva semplicemente fluttuato da un pensiero all'altro, a partire da quello riguardante Emily e la sua relazione con Harry Styles: per caso le cose stavano andando male tra loro due? Ero curioso di sapere se finalmente la ruota della fortuna sarebbe girata, mostrando alla mia ex che cosa si otteneva in cambio di un tradimento squallido come il suo, ma al tempo stesso non mi andava di manifestare troppo interesse. Ormai tutti sapevano che ero passato sopra alla faccenda, non volevo dare l'idea opposta proprio in quel momento. Tuttavia la curiosità era più forte della mia ritrovata indipendenza. Forse fu per questo che, durante gli ultimi dieci minuti di lezione di quella mattinata così monotona, afferrai il telefonino e volai a controllare che cosa trapelasse da Facebook. Digitai il nome della mia ex e scesi lungo la sua bacheca, controllando ogni pubblicazione con sguardo vigile per non perdermi nessun indizio. Eppure anche Facebook deluse le mie aspettative: Emily non aveva pubblicato nessuno stato strappalacrime a proposito del suo difficile fidanzamento con Harry. L'unica differenza rispetto a mesi prima, quando avevo iniziato la mia missione di spionaggio, era la drastica diminuzione delle fotografie dei due innamorati: Emily non aveva quasi più caricato nulla, scriveva di tanto in tanto frasette prese dalle sue canzoni preferite oppure pubblicava la propria partecipazione a vari eventi in città, ma di Harry non c'era traccia.
Sorrisi tra me e me e premetti la piccola x nell'angolo della pagina Internet. Staccai la connessione del mio telefono e lo rimisi al suo posto in tasca. Forse non avevo letto espliciti messaggi d'odio tra i due, ma ora ero ancora più certo che tra Harry Styles ed Emily Wood qualcosa fosse andato storto.
La campanella squillò. Ci fu un improvviso rumore di sedie trascinate indietro sul pavimento, di voci che lasciavano andare esclamazioni sollevate, di porte che si aprivano sul corridoio. Anch'io sospirai, confortato dall'idea di poter tornare a casa e rilassarmi. Quel pomeriggio non ci sarebbero state le solite prove del gruppo extrascolastico, perché Chad era malato. Ritirai la mia roba dal banco, infilando il quaderno con sopra i miei schizzi in modo grossolano tra un libro e l'altro. Solo in quell'istante mi tornò in mente che avevo parcheggiato proprio di fianco a dove Summer aveva lasciato la propria automobile: ciò significava che se mi fossi mosso alla svelta, sarei ancora riuscito a intercettarla prima di ritornare a casa. E forse avrei finalmente ottenuto delle risposte.
Richiusi lo zaino in fretta e mi diressi alla porta dell'aula. Mi sentii chiamare proprio mentre mettevo piede fuori in corridoio, ma decisi di non voltarmi a controllare di chi si trattasse. Attraversai la folla che si era formata davanti alla mia classe, cercando di farmi spazio senza pestare i piedi a nessuno. Fui fuori dall'androne del liceo solo dopo qualche minuto passato a borbottare timide scuse a chiunque non fosse abbastanza sveglio da accorgersi della mia fretta. Corsi giù per la scalinata e attraversai il parcheggio camminando a passo sostenuto. Le macchine di studenti e professori erano ancora quasi tutte parcheggiate: si faticava parecchio a uscire dall'ingresso affollato della Tong High School. Oltrepassai una fila di auto e mi diressi a destra verso il parcheggio dove avevo lasciato la mia Peugeot qualche ora prima. Quando finalmente fui quasi arrivato, alzai gli occhi e mi accorsi immediatamente di una presenza di troppo nella scena davanti ai miei occhi: una ragazza bionda agitava le mani con fare aggressivo e l'altra, leggermente più bassa, teneva le braccia incrociate contro il petto. Strinsi gli occhi per scorgere meglio le due ragazze davanti a me, ma non c'era dubbio sul fatto che quelle fossero Bethany e Summer. Avanzai ancora di qualche passo, mi nascosi dietro un'automobile rossa dal paraurti posteriore mezzo scassato: la mia Peugeot distava solo qualche metro da dov'ero io, e le voci di Bethany e Summer arrivavano chiarissime alle mie orecchie.
"... e questo succede ogni dannata volta, mi capisci?" sbottò la prima, il tono che non si sforzava di celare le sue emozioni.
Alzai leggermente il capo e vidi la mia amica annuire, l'aria al tempo stesso turbata e offesa. Non avevo mai visto Summer così seria, che cosa stava succedendo?
"Potresti guardarmi negli occhi quando ti parlo?" aggiunse Bethany con un nuovo impeto di aggressività nella voce. "Sei fastidiosa anche quando non sei in compagnia di Zayn!"
Quell'ultima frase mi colpì al cuore come una freccia: e così il motivo di quell'incontro ero io. Mi sarei dovuto aspettare gesti del genere da una ragazza gelosa e superba come Bethany, ma non mi piaceva l'idea di Summer sola ad affrontare calunnie che non meritava.
"Bethany, stai esagerando" la mise in guardia Summer; a giudicare dal tono della sua voce, Summer sembrava assolutamente calma.
"Io esagero?! E tu, Summer? Non credere che non abbia capito che lo stai facendo apposta" l'attaccò Bethany.
Spiai di nuovo nella loro direzione e vidi quest'ultima puntare minacciosamente il dito contro la mia amica. Le cose si stavano mettendo male e Summer si sarebbe presa la colpa dei miei sbagli. Già, perché in fin dei conti ero stato io a tirarla sempre in mezzo alle mie vicende con Bethany, e forse era arrivato il momento di chiarire un paio di questioni.
"Io non ho fatto proprio nulla! In quale lingua devo dirtelo?" si difese Summer, esasperata.
"E le conferenze letterarie a cui lo trascini? E il fatto che torniate a casa insieme dopo le lezioni? Che cosa pensi di tutto questo?" continuò Bethany, fuori di sé per la rabbia. "Ma in fondo sai che cos'è che più m'innervosisce di tutta questa storia, Summer? Il fatto che tu vada in giro a sbandierare i tuoi presunti successi come se fossi intoccabile e..."
Sentii chiaramente la risatina nervosa della mia amica: chissà da quanto tempo si trovava lì in compagnia di una Bethany furiosa e poco diplomatica.
"D'accordo, adesso ti sei spinta davvero troppo oltre..." giudicò Summer.
"Tu non andrai da nessuna parte!", e percepii un potente tonfo.
Spiai la scena, allarmato: Bethany aveva spinto con forza Summer contro la portiera della sua automobile, e ora la teneva bloccata per un braccio. Pur trovandomi a un paio di metri di distanza, notai la presa ferrea della mano di Bethany. Quella ragazza era impazzita, ormai non c'erano più dubbi.
"Bethany, levati di torno" sbuffò Summer, stanca.
"Perché non fai la stessa cosa e non lasci in pace Zayn?" la sfidò l'altra.
"Perché io e Zayn non stiamo facendo nulla di male. Adesso lasciami andare."
"Tu non gli interessi, Summer. Smetti di farti ridicoli castelli in aria!"
"Proprio tu mi parli di castelli in aria, Bethany?"
Ero intimamente orgoglioso delle maniere fredde ma decise di Summer: stava tenendo testa a Bethany pur senza avvalersi della forza. Non avrei sopportato che qualcuno si facesse del male per colpa di certe stupide voci.
"Hai osservato Zayn ultimamente? Sta diventando il ragazzo più popolare della scuola, non c'è una sola ragazza che non lo trovi maledettamente affascinante. Si occupa di canto, fa parte di una band, pratica skateboarding ed è l'emblema della bellezza", al che io sorrisi sotto i baffi, soddisfatto che quella fosse la mia attuale fama nella Tong High School, "Perché t'illudi che voglia proprio una come te? Sei la ragazza più anonima che si sia mai vista, non cerchi di distinguerti in mezzo alle altre e tutto ciò che sai fare sono un paio di battute squallide recitate in un mediocre spettacolino di fine anno. Ti sei vista, Summer? E soprattutto hai visto chi è davvero Zayn?"
Allungai il collo, troppo curioso della risposta di Summer per restare piegato dietro l'automobile. La mia amica prese un respiro profondo e poi sorrise. Già, sfoderò un sorrisetto impertinente, di quelli che le vedevo spesso dipinti in viso e che la facevano sembrare una bambina pestifera.
"Forse sono anonima agli occhi di una come te, Bethany, troppo accecata dai quintali di mascara che usi ogni giorno. E sì, non faccio nulla per distinguermi, perché so di non averne bisogno: io sono diversa da te e da tutte quelle che seguono il tuo esempio, non spreco il mio tempo a contare quante doppie punte mi rimangono da togliere. Ah, e per quanto riguarda ciò che faccio io nel tempo libero... nessuno ti ha detto che allestisco mostre fotografiche a Londra ogni due mesi?"
Mi tappai la bocca con una mano per evitare di scoppiare a ridere lì dove mi trovavo. Summer era semplicemente incredibile! Era riuscita un'altra volta a zittire Bethany, mantenendo una voce calma e servendosi della sola verità: era davvero diversa dalle altre, e anche se non faceva parlar di sé come ci riuscivano Bethany, Emily o Margaret, possedeva comunque un fascino non indifferente.
Mi alzai e decisi di intervenire: era ora che Bethany se ne andasse e lasciasse in pace Summer. Nonostante le sue parole mi avessero lusingato, il fatto che lei intimorisse la mia amica m'innervosiva. Mi sentivo alle strette, perché quando avevo accettato gli inviti e le proposte di Bethany non avevo assolutamente messo in conto di potermi ritrovare in quel pasticcio. Da quando io ero una sua esclusiva proprietà? Non avevamo mai deciso di fidanzarci, ci eravamo visti poche volte e senza impegno: per quale motivo si era montata la testa?
Tirai dritto fino a raggiungerle: Bethany si staccò immediatamente da Summer e mise su un'espressione scioccata, forse sapeva di essere stata colta con le mani nel sacco. La mia amica, al contrario, non fece una piega: la vidi sistemare la manica della felpa che fino a poco prima era stretta nella morsa di Bethany e alzò i propri occhi scuri su di me, per niente sorpresa.
"Che cosa sta succedendo qui?" domandai, ancora indeciso su come comportarmi con le due ragazze.
Bethany guardò Summer, la quale non distolse il proprio sguardo dal mio. La vidi accennare un breve sorrisetto, ma non capii dove volesse arrivare.
"Ciao, Zayn!" esclamò poi, amichevole come sempre. "Io e Bethany stavamo chiacchierando."
Guardai Summer a lungo, ma lei ormai si era voltata nella direzione della mia spasimante. Aveva sorriso, assunto la sua tipica espressione rilassata e risposto con una bugia evasiva. Summer non temeva gli attacchi di gelosia delle mie pretendenti e di certo non si sarebbe lasciata fermare se ciò che voleva era essermi amica. Com'era possibile che una ragazza come lei fosse reale?
"Sì" convenne Bethany, tutto a un tratto illuminata da un sorriso dolcissimo.
Non sapevo che cosa fare: entrambe stavano mentendo, forse pensavano che avrei fatto una sfuriata se avessi saputo la verità. Eppure mi pareva strano che nessuna delle due sospettasse che avessi origliato.
"Bethany, potresti lasciarmi solo con Summer?" domandai con tono che non ammetteva repliche.
Vidi la bella biondina farsi più scura in volto, ma non osò contestare la mia scelta: si limitò ad annuire e a sorridermi brevemente.
"Ci vediamo domani alla festa, okay?" aggiunsi per non suonare troppo freddo.
Bethany annuì una seconda volta, decisamente rallegrata dalle mie parole. "Va bene. Ci sentiamo ancora prima di... domani."
Le diedi un bacio sfuggente sulle labbra e aspettai che se ne fosse andata. Bethany, dal canto suo, non ci lasciò senza un'ultima occhiata melliflua diretta a Summer. Ma la mia amica sembrava esserle indifferente: stava fissando l'entrata del liceo, incurante di ciò che io e Bethany avremmo potuto dire o fare davanti alla sua faccia.
Quando finalmente fummo soli, mi parai di fronte a lei e la richiamai a gran voce. "Summer!"
Lei si voltò fingendosi quasi sorpresa. "Che c'è?"
"Dovresti dirmelo tu."
La mia amica si staccò dalla fiancata della sua macchina, contro la quale era rimasta tutto il tempo dopo la vigorosa spinta di Bethany. Un nuovo sorriso strafottente disegnò la linea delle sue labbra carnose e io mi sentii un completo idiota: non la capivo e lei non faceva nulla per venirmi incontro. Summer sembrava un libro scritto in un'altra lingua: non sarebbero bastati mille dizionari per tradurre i suoi comportamenti misteriosi e... magnetici.
"Che cosa vuoi che ti dica, Zayn? Hai già sentito tutto" rispose, scaltra.
Sbuffai, smontato dalle sue parole: allora qualcuno si era davvero accorto della mia presenza poco prima!
"Non facciamo finta di essere sorpresi, per favore" sospirò Summer, guardandomi con attenzione mentre io abbassavo il capo. "Bethany è una pazza, Emily è una pazza, Kate è una pazza, e qualsiasi ragazza tu voglia portarti a letto mi odierà dal primo 'ciao' all'ultimo 'muori'."
Mio malgrado sorrisi della sua battuta. Summer sbatté le proprie braccia contro i fianchi e lasciò andare una risatina nervosa.
"Sei stata fantastica alle prese con Bethany, sai?" le rivelai, ammirato.
Lei annuì e fece una smorfia esasperata. "Mi ha colta di sorpresa, lo ammetto."
Summer si spostò da dov'era e io la lasciai passare finché non raggiunse il cofano posteriore della sua automobile. Lo aprì, posò la cartella e lo richiuse.
"Sono arrivata qui, canticchiando il ritornello di Hollaback Girl e fantasticando sul pranzo che mi aspetta a casa, e mi sono sentita chiamare da quella psicopatica" mi riferì.
Io ridacchiai del suo racconto. "Non pensavo sarebbe arrivata a interrompere qualcuno che canta Hollaback Girl, mi dispiace" cercai di sdrammatizzare.
Summer tornò vicino a me, sorridendo con aria gentile questa volta. Alzò le spalle e aprì la portiera dell'auto. Ci fissammo a lungo senza dire una sola parola. Io non mi ero ancora mosso, lei invece sembrava sul punto di andarsene.
"Summer..." parlai per primo.
Lei non fece una piega, ma per qualche motivo il suo sguardo mi frenò. Non riuscii a completare la frase, non ebbi il coraggio di proseguire e magari di metterla nuovamente a disagio con le mie domande. La mia amica si limitava a guardarmi con il suo bel sorriso stampato in volto, come se nulla al mondo avrebbe potuto distruggere il suo ritrovato buonumore.
Anch'io sorrisi, mandando giù le parole che avrei voluto dirle. "... è meglio che tu vada, prima che il pranzo si raffreddi."
Lei scoppiò a ridere e salì in macchina; prima di richiudere la portiera si affacciò un'ultima volta e disse: "Sai una cosa? Penso proprio che ci divertiremo insieme alla festa di domani sera."
E così si era finalmente decisa a non abbandonarmi in balia di Bethany. Non potei che essere felice della sua scelta. La guardai ripartire, mentre tra sé e sé sorrideva con una certa soddisfazione.

***

Sfilai un braccio da sotto la testa e lo allungai sul comodino di fianco al letto. Tastai la superficie, schivando la sveglia e i tre libri abbandonati ormai da mesi. Mi voltai, sorpreso di non riuscire a trovare ciò che stavo cercando: e infatti un'occhiata sfuggevole confermò il mio crescente timore per cui le sigarette potessero essere finite.
Sbuffai con fare infastidito, tornai a guardare il cellulare che ancora tenevo in mano. Erano le sei e un quarto di uno dei pomeriggi più noiosi di tutta la mia vita e il pacchetto di sigarette era anche vuoto: che cos'altro avrebbe potuto peggiorare ulteriormente la giornata?
Mi tirai su e mi misi a sedere, ancora mezzo intontito dal sonno: quel pomeriggio, dopo essere tornato da scuola, mi ero dedicato esclusivamente al cibo e al riposo. Mi sentivo talmente impigrito dal dolce far nulla delle ultime tre orette che la mia voglia di uscire in strada per comprare le sigarette era bassissima. Controllai un'ultima volta il cellulare: Margaret mi aveva scritto, ci saremmo incontrati alle sette e mezzo. Avevo poco più di un'ora di tempo libero prima di vedere lei e in seguito i miei amici.
"Questa sera?"
"Sì, ci sarai?"
"Mi dispiace, ma questa sera io non sarò libera."
Mi sfregai gli occhi con fare stanco, mentre la mia mente riportava a galla conversazioni che sarebbe stato meglio dimenticare per sempre. Non ero ancora riuscito a mettere da parte Summer e i nostri brevi incontri della mattinata appena trascorsa. La mia amica continuava a invadere i miei pensieri e io mi tormentavo all'idea che potesse avere dei segreti. Avevo formulato svariate ipotesi, ognuna delle quali mi sembrava terribilmente possibile: aveva una relazione segreta che voleva tenermi nascosta? Magari con Louis o Niall? Oppure si vergognava di presentarmi a quei presunti amici che andava a trovare fuori città?
"Dici sul serio?"
"Non sarò in città."
E poi, dove abitavano questi personaggi così vaghi che lei aveva menzionato? Chi erano questi amici coi quali non poteva rimandare nessun appuntamento?
Mi alzai e raggiunsi la scrivania della stanza, la superficie in legno ancora leggermente illuminata dalla luce morente del sole. Scostai un lembo della tenda e spiai fuori: i rami degli alberi erano piegati appena da una brezza fredda che soffiava sopra la città da un paio di giorni. Afferrai la giacca e richiusi la cerniera fino alla cima. Mi annodai la sciarpa attorno al collo e presi il portafoglio con me.
"E dove andrai?"
"Ho delle... cose da fare con... degli amici."
Presi la direzione del corridoio e mi affrettai verso la porta di casa al piano di sotto. Quel pomeriggio ero rimasto a casa con la sola compagnia di mia sorella Waliyha, la quale si era isolata dietro la porta della propria camera da letto senza più dare segni di vita.
Uscii in giardino e premetti il pulsante dell'apertura della macchina che mi aspettava ferma a lato del marciapiede. Salii e accesi l'impianto del riscaldamento, infreddolito com'ero in quei semplici vestiti che non sembravano tenere lontano il freddo britannico. La tabaccheria più vicina distava comunque un paio di chilometri e se pensavo di aver messo piede fuori casa solo per una manciata di sigarette mi sentivo ridicolo. Eppure la voglia malsana del fumo era più forte della pigrizia: dovevo fumare, lo sentivo come un bisogno impellente che mi stuzzicava, mi prudeva al pari di una puntura.
Svoltai in un ampio viale grigio, cambiai marcia e lanciando brevi occhiate veloci alla radio cercai di cambiare stazione. Ogni volta che mi mettevo alla guida dovevo assicurarmi di avere la giusta musica in sottofondo: non mi piaceva quel noioso silenzio che si creava quando ero solo e che dava spazio ai rumori del motore.
"Forza!" borbottai tra me e me, ancora alla ricerca di una stazione radiofonica in cui trasmettessero musica decente. A un certo punto, rassegnato e innervosito dalla mancanza di collaborazione degli speaker, che continuavano imperterriti i loro stupidi discorsi, decisi di inserire uno qualsiasi dei miei tanti CD. Mi sporsi verso il cassettino scuro che stava davanti al sedile anteriore del passeggero; lo aprii ma dovetti tirarmi subito su per non rischiare di invadere la corsia opposta. Attesi di aver oltrepassato una piccola rotonda e poi tornai a frugare all'interno del cassetto. Estrassi il primo CD che riuscii a raggiungere con la mano tesa e ne controllai la copertina: avevo pescato casualmente un album degli Offspring. Aprii la confezione e la gettai via, poi provai a inserire il disco: questo partì dopo poco, mentre la traccia introduttiva dell'album, Time to Relax, mi suggeriva di fare marcia indietro e tornare a poltrire come poco prima. Guardai di sfuggita lo schermo della radio su cui erano segnati i numeri delle canzoni e premetti il tasto che passava alla traccia successiva. Fu proprio in quel minimo momento di distrazione che l'incidente accadde: distratto com'ero dagli Offspring, non mi ero accorto delle due ragazze bionde che pedalavano sul bordo della striscia bianca che delimitava la carreggiata; quando alzai di nuovo lo sguardo mi accorsi troppo tardi di non essermi scostato abbastanza da permettere alle due cicliste di proseguire liberamente. Una delle due biciclette cozzò contro la punta del cofano proprio mentre io sterzavo bruscamente per evitare di finire addosso a entrambe. Frenai tra lo strombazzare generale delle automobili dietro e davanti a me.
"L'ho uccisa" soffiai, gli occhi spalancati dal terrore.
Vidi le altre auto sorpassarmi, mentre qualcuno si voltava verso di me e mi alzava il dito medio in segno di protesta. Ma per me non esisteva altro se non la scena a cui avevo appena assistito: una delle due ragazze era caduta a terra sull'asfalto, e la colpa di quell'incidente era mia.
Scesi di scatto dall'auto, dimenticando le chiavi dentro e camminai con passo indeciso fino al punto in cui avevo tamponato una delle due cicliste. Ma per mia fortuna notai fin da lontano che la ragazza rimasta indenne stava aiutando l'amica a rialzarsi: ciò significava che non avevo commesso alcun omicidio. Mi sentii sollevare dal conforto e camminai con fare più rilassato.
"Io... Mi dispiace... Non intendevo..." mormorai mentre mi avvicinavo alle due sconosciute.
La soccorritrice alzò il proprio sguardo e mi puntò con aria furibonda. "Che cosa diavolo stavi facendo quando l'hai quasi uccisa?!"
Agiati le mani in aria, a disagio. Presi un profondo respiro e dissi: "Sono terribilmente dispiaciuto. Non volevo farle del male."
La ragazza che si era scontrata con la mia auto era ancora a terra e mi dava le spalle. Mi avvicinai ancora di un passo e mi piegai verso di lei: teneva una mano sulla fronte e sembrava preoccupata ma non arrabbiata. Non appena sentì la mia mano sulla sua spalla, levò il capo con fare allarmato.
"Stai bene?" le domandai, timoroso.
Era una bella ragazza dai capelli di un biondo quasi accecante e i suoi occhi chiari erano contornati da uno spesso tratto nero di matita per occhi. La vidi annuire freneticamente, mentre toglieva la propria mano dalla fronte e accettava l'aiuto dell'amica per rialzarsi in piedi. Anch'io seguii il suo esempio e continuai a fissarla preoccupato.
"È tutto a posto" borbottò la ragazza, fuggendo il mio sguardo.
L'amica, al contrario, mi bruciò con un'altra occhiata rovente. "Sei stato fortunato! Stavi per investirla!" mi accusò.
"Lo so, mi dispiace..." feci, avvilito. "Mi ero distratto un secondo per cambiare canzone e..."
Fui interrotto dal profondo sbuffo dell'amica della mia vittima, la quale se ne accorse e la rimproverò con un colpetto sul braccio.
"Dai, Katherine, lascialo stare! Io sto bene" intervenne a voce bassa.
Ma Katherine non sembrava dello stesso parere, perché infatti aggiunse: "Perrie, stavi per rimetterci la pelle per colpa di questo idiota!"
Aprii bocca ma mi bloccai dall'intervenire non appena ebbi scorto l'occhiata desolata di quella che si chiamava Perrie. "Mi dispiace per quello che sta dicendo, io non..."
Sorrisi e annuii. "Non preoccuparti, ha ragione lei. Sono stato un vero idiota."
Katherine assunse un'espressione soddisfatta e mise una mano sull'avambraccio dell'amica. "Andiamo?"
Perrie annuì ma non mi tolse di dosso i suoi grandi occhi azzurri. Sembrava come ipnotizzata e io cominciavo a sentirmi in imbarazzo per tutte quelle attenzioni non richieste.
"Ciao" mi salutò Perrie con una lieve vocetta che sembrava arrivare da un altro mondo.
Sorrisi, nervoso e la salutai con un cenno della mano. Katherine mi lanciò un'ultima occhiata scocciata e condusse lontano da me la sua amica, trascinandola per un braccio. Tirarono su le loro biciclette e si rimisero a pedalare. Io rimasi ancora fermo dove mi trovavo, troppo scosso per riuscire a prendere una decisione. E se avessi davvero fatto del male a quella ragazza?
Tirai un lungo sospiro di sollievo e mi avviai lentamente verso la mia Peugeot abbandonata qualche metro più avanti. Salii e mi allacciai nuovamente la cintura di sicurezza, mentre gli Offspring suonavano ancora a tutto volume nell'abitacolo. Spensi il lettore con un colpo deciso e tornai a guidare a bassa velocità: avevo troppo paura di poter rischiare un nuovo incidente.
Dopo un paio di svolte, mi resi conto di essere in prossimità della strada che conduceva a casa di Summer. Chissà come, ma riuscivo sempre a tornare a lei col pensiero.
"Ho delle... cose da fare con... degli amici."
"Non pensarci nemmeno" mi dissi a voce abbastanza alta.
Svoltai anziché proseguire dritto.
"No, Zayn. No" insistetti, mordicchiandomi il labbro inferiore nell'indecisione che mi stava catturando. "Non farlo."
Accelerai leggermente, guardandomi attorno nella speranza di non incrociare nessun potenziale pericolo ambulante. Svoltai di nuovo, questa volta a sinistra e proseguii senza esitazioni.
Quanto sei stupido..., commentai tra me e me.
E così alla fine avevo ceduto: eccomi nella via dove abitava Summer Wayne, intento a pensare a qualche giustificazione per quella visita inaspettata. Non avevo potuto fare a meno di assecondare la tentazione. Io morivo dalla voglia di andare a fondo della questione irrisolta: per quale motivo Summer mi evitava? Non ero riuscito a parlarle dopo aver cacciato Bethany dal parcheggio, ma adesso era arrivato il momento di essere sinceri.
Parcheggiai lentamente proprio davanti a casa sua. Scesi e mi trovai di fronte la sua automobile posteggiata. Raggiunsi il campanello dell'abitazione che condivideva col padre e mi accorsi che il cancello era già aperto.
Va' via prima che ti veda, avanti!
Poggiai il dito sul tasto del campanello, ma non ebbi nemmeno il tempo di premere che la porta di casa si aprì rivelando la figura di Summer appesantita da un grosso borsone blu e una giacca abbastanza spessa. Lei non si accorse subito di me: camminò fino ad arrivare proprio davanti al cancello e allora mi vide. Si fermò di colpo, sorpresa.
"Zayn?!" esclamò.
"Ciao, Summer. Ti disturbo?" risposi, deciso.
Lei sembrò interdetta e non disse nulla. Poi la vidi poggiare una mano sul proprio borsone e tentò di parlare: "Io... Che cosa... ci fai qui?"
Alzai le spalle. "Voglio sapere la verità."
Summer mi guardava con aria combattuta. "La verità?" ripeté.
"Sì, la verità. Quella che non mi hai ancora detto" insistetti.
Summer sbuffò e si guardò attorno, probabilmente alla ricerca di un escamotage grazie al quale liberarsi di me.
"Non capisco cosa..." attaccò.
La interruppi, più convinto che mai nel voler indagare: "Sai benissimo di che cosa parlo. Perché all'improvviso sei così misteriosa e fai di tutto per tenermi all'oscuro di ciò che ti succede?"
Summer sospirò, afflitta. "Okay, ho capito."
"Bene, allora cosa aspetti a dirmi la verità?" domandai.
Sorrise tristemente. "Vuoi sapere perché non posso uscire con te questa sera, vero?"
Annuii e indicai i semplici vestiti che indossava. "Questi non mi sembrano proprio adatti a una serata con i tuoi amici fuori città..."
Summer mosse il capo e mi si avvicinò. La lasciai passare e lei raggiunse la propria auto: l'aprì, posò il borsone e tornò verso di me. Abbassò un attimo gli occhi sulle proprie mani intrecciate, sembrava indecisa su come formulare una frase di senso compiuto.
"D'accordo, Zayn. Se proprio insisti, ti dirò tutto" fece con tono arrendevole. "Sto andando in ospedale."
Sgranai gli occhi, colto alla sprovvista dalla sua affermazione. La guardai ancora a lungo, ma sul suo volto non c'era alcuna traccia di un possibile scherzo. Summer era composta, ferma al suo posto sul marciapiede e le sue labbra non si erano piegate nel fantasma di uno dei suoi soliti sorrisetti.
"Sei seria?" le chiesi, preoccupato.
Summer annuì. "Non posso uscire con te questa sera perché devo andare in ospedale."
Scossi il capo, incredulo. "Ma... Com'è... Cosa...?"
Summer sbuffò e socchiuse gli occhi per un attimo. "Non volevo dirtelo proprio per questo motivo. Adesso penserai che io..."
"Summer, tu hai qualche... problema? Sei malata oppure...?" le domandai a bruciapelo, spaventato dalle mie stesse parole.
La mia amica riaprì gli occhi e scosse prontamente il capo. "No, non sono malata."
"E allora? Per quale motivo devi andare in ospedale il venerdì sera?!" sbottai, confuso.
Summer non rispose subito e ciò mi fece pensare che forse avesse mentito tutto il tempo: e se lei avesse davvero avuto una grave malattia? Non avevo messo in conto quell'ipotesi, che subitò mi morse dall'interno provocandomi un gran dolore difficile da capire.
"Vieni con me" fece lei infine.
La sua voce era cambiata: non sembrava più combattuta, aveva parlato con un tono lieve e vellutato, come se non avesse mai annunciato nulla di allarmante.
"Cosa?" domandai, confuso.
Summer sorrise dolcemente. "Ti va di venire con me? Mostrarti la verità sarà più facile che raccontartela a parole."
Ripensai a Margaret, al nostro appuntamento e a Louis e Niall. Se avessi seguito Summer probabilmente avrei perso l'occasione di colpire e affondare Emily uscendo con la sua migliore amica.
Summer mi stava ancora fissando dritto negli occhi quando tornai a guardare nella sua direzione.
"Guidi tu o guido io?" fu tutto ciò che bastò per risponderle adeguatamente.





Buondì, ragazze!
In questa splendida mattinata di fine gennaio (e tra l'altro oggi è santa Martina eheheh) pubblico il decimo capitolo, che è un gran traguardo, perché di solito quando arrivo a pubblicare così tanti capitoli significa che la storia proseguirà (nonostante alti e bassi, quelli non mancano mai).
Be', che ve ne pare? La news del capitolo è indubbiamente la comparsa - anche se breve - di Perrie! Volevo un metodo divertente di inserirla nella storia, e quale metodo migliore di un incidente stradale (ormai c'ho preso gusto)?
Poi... il finale di questo capitolo: okay, so che lasciare così in sospeso può attirarmi antipatie, ma la scena finale ci stava assai! Nel prossimo capitolo si capirà ogni cosa, tranquille. Che cosa pensate di questo Zayn ficcanaso? A me onestamente darebbe fastidio hahaha
E basta, ora vi abbandono perché il venerdì inizia il mio weekend all'insegna del lavoro e la prossima settimana ho due esami. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio con tutto il cuore le splendide lettrici che mi scrivono e mi aiutano a proseguire con questa fanfiction (ho ricevuto una segnalazione per le scelte con soli 9 capitoli e questo mi ha rallegrata molto, grazie!).
Un bacio,



Martina
P.s. Volevo solo più avvisare che in contemporanea a questa fanfiction ne sto scrivendo una seconda (protagonista Louis) e... in caso foste interessate, ecco a voi 11:47 p.m. . :)

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