Igvärd - Cuor d'acciaio

di DwalinTonante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** IL VERDETTO ***
Capitolo 2: *** WINTERWOLF ***



Capitolo 1
*** IL VERDETTO ***


                                          PROLOGO : IL VERDETTO


Il calamo scorreva veloce e fluido sulla pergamena, le parole cominciavano a dare forma ai periodi e alla sintassi, mentre Rudolf sentiva dentro di sé aumentare la gioia di quel giorno finalmente giunto. Per gli dèi! Finalmente la nascita di quel figlio tanto atteso. Il primogenito, colui che lo avrebbe seguito per ordine dinastico, e tutti quanti i familiari dovevano essere al corrente dell'avvenimento tanto atteso. L'ottima salute di cui godeva il piccolo era invidiabile a tutti i nati di quel giorno, come se la nascita di quel neonato che ora scalciava e piangeva tra braccia della madre non fosse stata del tutto casuale. 
Rudolf terminò la lettera, invitando i familiari a raggiungerlo al più presto a Nhoringarda al fine di conoscere il nuovo nato della dinastia Winterwolf, in tutta fretta uscì dal suo studio, tremante di gioia, impartendo frettolosamente l'ordine a Rolaf di ricopiarla dieci volte e spedirla ai suoi fratelli, sorelle, cugini e amici di lunga data, il servo annuì senza obiezioni e con un inchino si dimise dall presenza dello Jarl dirigendosi verso la guferia, dal quale avrebbe inviato le lettere dopo averle ricopiate e accuratamente impachettate in una busta da lettera con il sigillo reale. Nel contempo Jarl Rudolf aveva raggiunto sua moglie Khatrin nella camera da letto reale, stendendosi accanto a lei e osservandola teneramente mentre cullava la piccola creatura ormai caduta tra le braccia di Morpheo. 

-Allora, hai già scelto il nome? 

Chiese Rudolf osservando la gracile forma di quella creatura dai cui trapelava amore, gioia e tenerezza. 

-Avevo pensato a "Igvärd", come il guerriero plasmato dagli alti dèi per sconfiggere le tetre creature della notte. 

Rispose Khatrin affannosamente e proiettando i suoi occhi bui come la notte verso Igvärd, orgogliosa e felice nell’aver messo al mondo quella tenera creatura, tanto da farsi scendere una lacrima per la gioia ma che raccolse subito sfiorando la guancia con l'indice.
Dal canto suo lo Jarl annuì sorridendo mentre prendeva in braccio suo figlio, pensando che non ci fosse nome più puro a risaltare ciò che la natura e gli déi avevano offerto in un giorno così nero, laddove lo spiraglio di luce era appena giunto attraverso la venuta al mondo di Igvärd.  



UNA SETTIMANA DOPO. 

L'alleanza tra lo Jarl Rudolf e lo Jarl Ahtvian, era pronta a dissolversi dopo nemmeno una settimana. Un patto il quale vincolo era quello di inviare beni di prima necessità a Castelglaciale che in quei giorni era sotto assedio, ed il nemico era l'imperatore che voleva, per oscuri motivi, quel territorio, ma l'aiuto di Jarl Rudolf non arrivò mai e un gruppo di soldati di Ahtvian era pronto a partire per conquistare la cittadella di Nhoringarda e prenderne il pieno controllo. La notizia era appena giunta attraverso una sentinella, inviata due giorni prima in zona di guerra, e ciò provocò scalpore  a corte.


 

“Jarl Rudolf, traditore del popolo!  Winterwolf al rogo!”


Erano le frasi che manifestavano il malcontento popolare a causa dell’aumento delle tasse, anticipandone l’insurrezione nel giorno stesso. Ansia e paura  sconvolsero gli animi dei presenti a corte, gli invitati giunti la sera prima, per osservare il nuovo membro della casata, erano ora alle strette e accusavano Rudolf di una cattiva gestione del potere concessogli dall’imperatore. Non vi era via di fuga. Decise quindi di parlare alla folla, di trovare una spiegazione a quel che stava accadendo.

Uscì dalla sala del trono seguito, dalle ormai lontane, voci dei familiari che continuavano a sottolineare quanto fosse cattiva la gestione del feudo. Percorse qualche passo prima di ritrovarsi sul corridoio dove si trovava l’enorme finestra,  che dava sul piazzale principale cintato da tre enormi mura, dal quale riconobbe  Igvärd come successore del feudo di Nhoringarda, ma in quel caso la popolazione gioiva mentre ora era abbastanza irata da voler infilare su di una picca la testa dello Jarl.
Scosse il capo prima di aprire l’enorme finestra, sistemandosi la folta massa di capelli e la giacca in pelle di lupo albino e, solo dopo questo millesimato spazio di tempo ritagliatosi attraverso banalità estetiche, ma al fine di ragionare un discorso a cui non trovava un onorevole inizio, decise che era il momento di spalancare le vetrate e proiettare i suoi grandi occhi blu sulla massa di manifestanti incolleriti.
Due guardie appostate su i due muri laterali della piazza puntavano contro la folla le balestre dove incoccate vi erano due dardi fiammeggianti. Al minimo cenno di violenza verso Rudolf, avrebbero dato fuoco alla popolazione.
L’approccio migliore in situazioni del genere, secondo Rudolf è mostrarsi leale e pacifico, difatti sollevò le mani al cielo in segno di resa e cominciò il discorso.

- Miei cari sudditi del feudo di Nhoringard. Innanzitutto voglio avvisarvi che la tassazione prevista verrà annullata, al fine di venire incontro alle vostre esigenze.
Inoltre vorrei scusarmi per la cattiva gestione del feudo, promettendovi di cominciare i lavori riguardanti la bonifica delle paludi ad est. Non temete, quindi, arriverà presto per tutti una migliore condizione di vita!


Sembrava aver gestito in maniera eccellente l’insurrezione, ma non abbastanza. Il popolo era ormai stanco di false promesse e ripromesse fatte e non mantenute. La politica populistica era diventata obsoleta, la popolazione voleva vedere le promesse concretizzarsi. L’elezione di un nuovo Jarl era l’unica opzione valida.

 - A morte lo Jarl!

Un urlò improvviso ravvivo la voglia di rivoluzione e tutti i cittadini sollevarono al cielo le loro  falci, coltelli, e qualsiasi altro oggetto di uso quotidiano che potesse far sanguinare le mure della fortezza.
Rudolf allarmato abbassò le mani, e fu il segnale dal quale vennero scoccate le due frecce fiammeggianti che crearono il caos più totale.
Rientrò all’interno della fortezza, richiudendo cautamente le finestre e non prima di aver dato un’ultima occhiata alla situazione degenerata, intravedendo con la coda dell’occhio un uomo che aveva preso fuoco e fuggiva via dalla piazza, mentre il resto era nella più totale anarchia.
Diede le spalle alla porta e dinanzi a sé vi erano tutti i familiari compreso sua moglie che amareggiata teneva tra le braccia il figlio, ma la cosa che attirò Rudolf fu il vestiario della donna somigliante a quello civile di un qualsiasi abitante, inoltre indossava un cappuccio di lana, come se fosse pronta a…

- Fuggire! Ecco cosa farò! Non voglio restare altro tempo in questo schifo! E porterò con me Igvärd, che ti piaccia o no!

Rudolf aveva appena perso le persone più care a lui, in quel preciso istante, e si sentì pervaso da un grande senso di rabbia e disperazione. Avvicinandosi lentamente a Roghar, suo cugino, senza proferir parola e con sguardo fisso verso suo figlio, sfilò la lama dalla fodera del cugino e gliela piantò in pieno petto facendo schizzare via sangue e ferendo il cuore in senso fisico. Roghar sputò sangue, che finì sul volto di Rudolf, prima cadere a terra freddo e privo di vita.
Questo fece allarmare tutti, i fratelli Walter e Frorhnir sguainarono le loro spade e si avventarono contro di lui, lo sguardo deviò verso il conflitto contro i suoi due fratelli. Khatrin e Igvärd erano spariti nel contempo, assieme alle sorelle di Rudolf, garanti di protezione per lei e il bambino.



 

DUE ORE DOPO.

Il gruppo di soldati inviati da Ahtvian erano finalmente giunti a Nhoringard, capendo fin da subito che spargere altro sangue non sarebbe servito.  Rudolf era morto per mano di Frorhnir, lo Jarl giaceva al suolo in un bagno di sangue quando arrivarono i soldati. Walter era fuggito via subito dopo la morte del fratello, mentre Frorhnir era stato rinvenuto nudo e con il cranio spappolato al centro piazza.
Presumibilmente afferrato dalla popolazione e umiliato per poi essere ucciso, i tagli al linguine, sul torace e diverse testimonianze di coloro che avevano assistito alla tortura confermavano l'ipotesi del comandante Igor, che esaminava attentamente il luogo dell'accaduto. Donne e bambini erano sull'uscio delle abitazioni, attendendo i propri mariti che assaltavano la fortezza e la saccheggiavano, ma ben presto a metter fine a questo sciacalaggio fu proprio l'intervento del manipolo di uomini di Igor.
Quanto alla carrozza che trasportava Khatrin e Igvärd, era appena giunta alla città di Lavenport la cui distanza era appena un’ora di viaggio.
Cominciava una nuova vita per entrambi, e il verdetto di Khatrin fu quello di nascondere per sempre l’accaduto al proprio figlio.



FINE PROLOGO. 








Angolo autore : 
Spero di avervi chiarito le idee sul passato del nostro buon 
Igvärd e di avervi intrattenuto e stuzzicato con questo "breve" prologo. 
Grazie per aver letto e aspetto le vostre recensioni :D

 

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Capitolo 2
*** WINTERWOLF ***


                                                      CAPITOLO 1 : WINTERWOLF


 Lavenport  / anno 1750 – vent’anni dopo gli eventi della prefazione /
 Terzo *Mánandagr d’autunno




Le tenebre della notte erano calate sulla città di Lavenport  ed Igvärd si affrettava a chiudere la fucina in cui lavorava fin dalla giovane età di otto anni. Aveva passato l’intera mattinata a forgiare armi e utensili di vario genere ed uso quotidiano, odiando alla follia il macellaio che gli aveva richiesto venti ganci in acciaio da cui si era procurato un taglio sul palmo della mano, durante le operazioni di raffreddamento del metallo. Sospirò la propria frustrazione agli dèi, mentre chiudeva con un lucchetto grande quanto la sua mano, le cigolanti porte, in legno, della bottega.  Forse Khatrin, sua madre, aveva qualche rimedio da poter usare per disinfettare e placare il dolore che lo perseguitava. Nemmeno il gelo della notte era capace di alleviarlo.
Durante il tragitto verso casa,  una strana figura catturò la sua attenzione. Il buio annebbiava l’arguta vista di Igvärd, ma nonostante ciò riuscì a distinguerne il vestiario : il volto era coperto da un cappuccio di lino color nero, quindi gli era impossibile distinguere chi fosse, inoltre indossava una tunica nera dello stesso materiale del cappuccio. Oltre a questo non riuscì a denotare la forma fisica, in quanto corse via verso una stradina. La curiosità non lo trattenne dal seguire  quella ambigua figura. Chi diavolo si aggirava per Lavenport a tarda ora? Non vi erano risposte certe, ma qualcosa stava succedendo. Doveva assolutamente sapere. Igvärd era fatto così, amava svelare situazioni del genere. S’impose di seguire i passi del misterioso individuo, intraprendendo anche lui quella buia via. Non vi era l’illuminazione fioca di case e negozi ovvero le torce accese da cittadini e negozianti durante la notte, lì non c’era nulla e la vista gli era parzialmente impossibilitata. La strada era un vicolo cieco, se ne accorse quando dinanzi a lui non c’era altro che un muro di pietra. Ragionò a lungo, osservando l’ostacolo e l’area circostante : c’erano solo le mura portanti delle abitazioni, assenti anche porte da cui accedervi, tuttavia ben sapeva che l’ingresso si affacciava sulla la via principale che avrebbe dovuto percorrere, inoltre non c’erano particolari oggetti in cui nascondersi. Era totalmente vuota. Cosa stava accadendo?  Forse la stanchezza gli giocava un brutto scherzo? Con questo pensiero decise di ritornare a casa.
Dopo essersi nuovamente incamminato lungo la via principale con il dubbio di ciò che era accaduto che continuava a tormentarlo, così come il dolore della ferita, arrivò a casa.
Kathrin aveva acquistato quella casa vent’anni prima, dopo essere fuggita da Nhoringard. L’aveva comperata attraverso una somma di denaro regalatagli dalle sorelle Winterwolf, al fine di riavviare la nuova vita. Igvärd, aprì la porta e si guardò intorno. Non c’era luce e il tavolo posto al centro della stanza era privo del solito vaso di fiori, le sedie erano al loro posto così come le aveva lasciate nel diurno prima di uscire. Pareva inabitata, stranito si avvicinò alle due mensole vicino alla finestra che dava sul mare, passandovi il dito sopra. C’era qualcosa di strano, vi era troppa polvere e ciò era indice di una mancata pulizia solita non mancare mai vista la pazienza di Kathrin di ripulire disordine e sporcizia. Inoltre il camino era spento, il gelo era l’unico abitante della stanza e non vi erano i resti di pietanze cotte. Preoccupato, scattò nella stanza accanto.
-Madre! Madre!
Sbraitò muovendosi rapidamente verso il letto a baldacchino, dove le coperte erano rigonfie di una presenza che non parve smuoversi ai richiami. Che fosse morta? Non osava nemmeno pensarlo, aveva troppa paura di perdere l’unica persona cara in quella dannata vita.
-Madre!
Ora era vicino alle coperte, a quel punto tastò quel che al tatto pareva un braccio. Improvvisamente uno schiaffo lo colpì in maniera violenta e l’accumulo di dolori parve non finire.
-Cos..
Soffocò massaggiandosi la guancia, mentre il dolce volto della madre sbucava da sotto le coperte. Il tempo non l’aveva sfiorata, era bellissima e aggraziata come un tempo. Beh, ora non tanto aggraziata piuttosto pareva un feroce lupo.
-Devi smetterla con questi assalti notturni! Sei la disgrazia della mia vita, nonché futura causa d’infarti!
Era nei guai e un altro schiaffo non glielo toglieva nessuno. Nemmeno gli dèi avevano il grande potere di controllare l’ira funesta di una madre inacidita. Non sapeva dove volgere lo sguardo, l’armadio non avrebbe preso le sue difese, come nemmeno il comodino in legno, semmai avrebbero ospitato la sua testa in un contesto di violenza.
- Chiedo venia, madre. Io..non volevo,  ho temuto viste le condizioni della vostra salute.
Il tono di voce si abbassò radicalmente, come se uno schiaffo potesse accordare le corde vocali. Si sentiva imbarazzato e cercò di non aggiungere altro, mantenendo  lo sguardo lontano da quei due occhi neri come la notte.
-Non serve scusarti, piuttosto mi hai ricordato una persona ….
Khatrin non volle concludere quella frase perché avrebbe fatto più male ad Igvärd che a lei. Aveva promesso che suo figlio non doveva sapere, doveva crescere libero dal passato.
-Chi madre?
Chiese Igvärd, spalancando quei due occhi verde smeraldo con il quale si era guadagnato il soprannome di “Occhi di gatto”, in tutta la cittadina. In quell’istante aveva avvertito uno strano stato d’animo in Kathrin, la fronte non era più corrugata dalla rabbia, gli occhi parevano freddi e gelidi, come se un fantasma si era manifestato al suo sguardo.
- Il dio Thròn, ha …. il tuo stesso sguardo. Adesso vieni con me, dobbiamo medicare quella brutta ferita.
Una conclusione piuttosto strana, a parer di Igvärd, ma comunque poco rilevante in quel momento, visto che Kathrin si era accorta della ferita. La tensione di qualche secondo prima gli aveva fatto dimenticare il dolore, ma bisogna pur affrontare i propri mali, no? E conobbe lo spiacevole effetto dell’alcol su di una ferita aperta.
Strinse i denti e strizzò gli occhi per evitare di svegliare l’intero villaggio, sentiva dentro di sé i polmoni pronti a dare fiato alle corde vocali che avrebbero distrutto persino le mura della fortezza degli dèi!
- Sta calmo, abbiamo finito!
Cercò vanamente, Kath, di calmarlo a parole. Il viso di Igvärd era diventato rosso di dolore, come una spada forgiata nelle fiamme roventi. E questo ricordo accentuò ancor di più il male. Ogni pensiero veniva a concatenarsi come un sillogismo; in quel momento odiava la propria condizione.
Passarono pochi minuti prima di ritrovarsi una mano bendata, di tessuto scomodo e ruvido che impossibilitava il movimento delle falangi. Come poteva l’indomani adoperare l’enorme martello con cui forgiare diciotto spade? Magari poteva concedersi un giorno libero, dopo mesi. Non era una cattiva idea, però poteva risultare un paradosso. Ci avrebbe pensato domani. Era finalmente giunto il momento di dormire, di mettere da parte ogni avvenimento, chiudere gli occhi e recuperare le forze.
Kath, era già nel letto e aveva ripreso il sonno interrotto. Igvärd, la fissò a lungo dalla sua branda ai piedi dell’armadio, mentre ritornava con la memoria al dialogo avvenuto prima. Non avrebbe dovuto svegliarla così, poteva  concretizzare le conclusioni affrettate. Temeva per l’aggravarsi della salute di sua madre, si teneva su di un bastone quando camminava, era sempre più debole. Con quest’ultimo pensiero chiuse gli occhi e calò in un sonno profondo.
Era disteso sul suo letto quando udì alcuni passi provenire dalla stanza accanto, avvertiva una strana sensazione, come se qualcosa stesse per sbucare da un momento all’altro. Saltò giù dal letto in cui dormiva, camminando in punta di piedi verso l’armadio, per poi aprirlo senza far troppo rumore e cercare tra la marmaglia di abiti, una spada. Ebbene, aveva forgiato quella spada due anni prima, in modo tale da poter arruolarsi nella guardia cittadina, ma la domanda gli fu negata per motivi di cui ignorava l’esistenza.
L’impugnò con entrambe le mani e ad un tratto s’illuminò di un rosso rubino. Come può una spada illuminarsi così? , pensò  mentre avanzava lentamente sperando di non far svegliare sua madre. Aveva raggiunto lo stipite della porta, i batti del cuore acceleravano dalla paura. La tensione cresceva sempre di più, improvvisamente i rumori avevano smesso di ripercuotersi. Cominciava a sudare a freddo dall’ansia, ma nonostante ciò raccolse ogni forza per armarsi di coraggio e piombare nella stanza!
L’unico problema è che non c’era nessuna stanza, solo … l’infinito, come osò descriverlo. Sembrava un ritaglio di cielo che rivestiva le pareti e il pavimento. C’erano milioni di stelle e strani mondi di forma e dimensione diversa. L’ultima volta che aveva fumato la pipa di Corvin, lo sciamano, non gli era parso di vedere stelle brillare. Improvvisamente venne sbalzato via da una strana corrente boreale, il freddo gli trapassò le ossa e non riusciva a muovere braccia e gambe. Cadde nel nulla.
In lontananza sentì alcune voci familiari, che le stelle avessero voce propria? Era improbabile.

“Igvärd! Aiutami! Preparati!

 In un battito di ciglia sentì sbattere la testa, come se avesse raggiunto la meta di quell’infinito cosmo. O forse no? Un pugno gli fece rimescolare lo stomaco, non era un pugno qualsiasi e se ne accorse quando aprì gli occhi assonnati. Era Allie, la giovane vicina di casa che ogni mattina aiutava Kath nelle faccende domestiche, se l’era quasi scordato.
-Dannazione Allie, devi smetterla con i pugni allo stomaco mentre dormo!
Quando riaprì gli occhi lei gli fu fatale, come un raggio di luce accecante, con quei capelli che parevano ciuffi d’oro puro, il viso dolce e delicato, con quei due occhi blu e perfetti che davano la sensazione di navigare in un oceano immenso , senza fine, ed un sorriso bianco vivo come la sua pelle.
-Tua madre mi ha raccontato che ti sei ferito … e volevo vedere se eri ancora vivo.
 Non tralasciando dettagli come l’incredibile mascolinità, una dote da far paura anche al più forte dei cavalieri di Nhoringard. L’unica pecca è che era già promessa in sposa, Igvärd ci avrebbe sperato in un  relazione con lei.
- Sono vivo, grazie per avermelo ricordato con quel pugno.
Controbatté ironicamente una volta rialzatosi, ricambiato da un dolce sorrise e un occhiolino quasi malizioso di Allie, la invitò, con un regale inchino, ad andare nella stanza accanto per fare colazione con lei e sua madre.
- Buongiorno Igvärd, come va la mano?
La voce della madre lo raggiunse non appena si accomodò sulla sedia; lei era in piedi a preparare la colazione, aiutata da Allie. Il menù di quel mattino fu cosciotto d’agnello e avena, bisogna ben sapere che l’alimentazione non segue regole fondamentali e il pasto varia di giorno in giorno, così era per tutto regno eccetto le ricche e prestigiose colazioni dei nobili. Fortuna a loro e che gli dèi possano regalargli una carestia infinita. Sospirò e scosse il capo al triste pensiero di una pesante colazione, nel frattempo mobilitò le falangi della mano chiudendole in un pugno. Sembravano essere guarite, ma non era così, il dolore ritornò non appena sforzò maggiormente la mano, subito la riaprì cercando di far dissolvere il dolore.
- Male madre, come ieri notte se non peggio.
Nel frattempo gli era stato poggiato un enorme piatto di terra cotta, abbastanza assottigliato e dalla forma quasi ovale, con all’interno un cosciotto d’agnello grande quanto il suo polpaccio. Non avrebbe digerito mai più nella sua vita.
- Allie ti va di dividerlo?
Chiese cordialmente alla ragazza che era occupata a spazzare la stanza. Al sol sentire di quella domanda, infatti, lei non diede risposta veloce, dapprima lo guardò di sottecchi e poi scosse il capo come se inorridita. Che fosse così male la cucina di sua madre? Questo no, ma servire un cosciotto d’agnello di quelle dimensioni lo avrebbero mandato al bagno in un battibaleno e la giornata l’avrebbe passata così;  il gabinetto l’avrebbe accusato di molestie solo per la puzza che avrebbe sollevato. No, no. Un pezzo di pane e burro potrà bastare.
- Madre conserverò il delizioso pasto, lo consumerò stasera di ritorno da lavoro. Per ora mi basta un pezzo di pane e qualche fendente di burro sopra di esso.
Non voleva per nulla ferirla, sarebbe comunque ritornato sulla questione in un secondo momento, in modo tale da poterla aiutare sulla scelta delle vivande a colazione. Ora aveva soltanto bisogno di  sbrigarsi, il sole si stava levando sempre di più nel cielo, doveva andare a lavoro. Il sol pensiero era noia.
- D’accordo figliolo. 
Kathrin parve per nulla ferita,  al contrario era calma e continuava a lavare i piatti e gli utensili usati da lei per la colazione. Era contento nel vederla tranquilla e rilassata, Allie le giovava molto ed era affidabile come poche nella cittadina. Così come era bellissima, senza eguali. Tornò nella stanza da letto, diretto verso l’armadio per vestirsi e dare una ripulita al viso assonnato, con l'acqua rimasta nella bacinella. Improvvisamente venne interrotto sul punto d’indossare la maglia in lino. Aveva già immaginato di chi poteva trattarsi.
- Igvärd!
Allie era piombata nella stanza, alterata e impaurita. In pochi secondi venne raggiunto da due guardie che erano entrate di prepotenza nella casa. Due colossi per la precisione, con cotte di maglia e armature d’acciaio che parve riconoscere subito, l’elmo era quadrato. Sembravano due novellini, quelle spade non erano effettivamente spade, parevano taglia carte, inoltre la lama e l’elsa erano di fattura scadente. Ma bando ai dettagli, cosa diavolo stava accadendo? Due giorni di ambigui eventi, al quale non riusciva a dare spiegazioni.
Erano due guardie del feudatario di Lavenport; il primo sfoderò la spada e la punto contrò Igvärd, il secondo cominciò a leggere una lunga pergamena. Non sapeva cosa fare, se attaccarli e sperare di metterli al tappeto oppure parlare e capire.

“Signor Igvärd Winterwolf, lei è accusato di essere il diretto discendete di Rudolf Winterwolf, ex-regnante di Nhoringard. L’imperatore vi chiama al suo cospetto per un pubblico giudizio. Deve pagare per i crimini di vostro padre, ovverosia : Abuso di potere, cattiva condotta nei confronti dei regnanti vicini, stupro di donne, furto di denaro direttamente dalle casse del reame, politica espansionistica non approvata dal re.”

Kathrin nel frattempo era svenuta, Allie la stava assistendo in cucina. Igvärd veniva portato via dall’abitazione e il suo ultimo sguardo incrociò quello della giovane che forse non avrebbe più rivisto.
Era arrabbiato, non capiva, cosa gli stava accadendo?






Angolo autore : 

* Lunedì, secondo il calendario norreno. 
 
Okay, è giunto per Igvärd il momento di affrontare il suo destino e di iniziare la sua avventura in questo regno! 
Spero vivamente di essere chiaro nei dettagli e di saper scrivere in maniera abbastanza decente. 
Grazie per aver letto e spero nelle vostre recensioni (anche per aiutarmi a crescere come "scriba"). 

CORDIALI SALUTI, DWALIN.

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