Who's there?

di Therru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***



Capitolo 1
*** I ***


Tutti avevano detto che era stata colpa mia.
Non c'erano prove a mio carico, né tantomeno testimoni né nient'altro che potesse condurli a me.
Eppure, avevano stabilito definitivamente che ero stata io ad appiccare quel maledetto incendio, in preda a quello che avevano definito un "attacco isterico" o qualcosa di simile.
Solo perché poi avevo procurato un graffio o due a quell'ufficiale dal carattere viscido, che aveva sostenuto fin dall'inizio che la colpevole ero io, che ero un pericolo per la società, e bla, bla, bla...
Dimmi come una minuta ragazza di 18 anni, che si contorce disperata davanti alla sua casa che brucia, che non sa nemmeno se il suo unico fratello fosse lì in mezzo alle fiamme, ti possa sembrare un pericolo per la società.
-Solo per quelli come te- dissi ad alta voce, senza rendermene conto, troppo presa dai miei pensieri per preoccuparmi del fatto che qualcuno mi sentisse.
-Cosa?- chiese infatti la guardia, fuori dalla cella.
-Niente, niente- replicai, e tornai a fissare il muro di fronte a me.
Lo odiavo, quel dannato muro.
Avevo passato 3 mesi a fissarlo, a bussarci contro, inventando ritmi diversi e mescolandoli tra loro, fino a creare dei veri e propri brani ritmici. Era il mio unico svago.
Dopo essere stata etichettata come "mentalmente instabile" e "pericolo per la società", l'unica cosa in cui potevo trovare consolazione era il battito delle mie dita su quel muro.
Avevo perso la mia casa. Mio fratello era probabilmente bruciato con essa.
Come pensavano che io avrei potuto fare una cosa del genere, anche in preda alla follia? Se proprio volevo perdere tutto ciò che avevo bastava che mi suicidassi o qualcosa del genere, non gli era venuto in mente nemmeno questo?
No, invece. Non avevano trovato nessun indizio che li conducesse ad un potenziale colpevole e avevano puntato alla mia suddetta "instabilità mentale". E, puff, in meno di una settimana, eccomi dietro le sbarre.
In quei 3 mesi che erano sembrati 3 anni, che a volte ricordo come se fossero stati soltanto 3 giorni, ho pensato e basta.
Ho fissato il muro, scavando nelle pareti "instabili" della mia mente, cercando un qualcosa che mi avrebbe motivata ad appiccare il fuoco.
Vuoto totale.
Cominciai a pensare che l'avevo fatto inconsciamente. Sembrava impossibile, ma doveva essere così. Perché avrebbero dovuto sbattere in carcere un'innocente, senza una più profonda analisi del caso?
Forse ero davvero pazza. Forse ero stata io a creare quel disastro, senza rendermene conto...
-Mah-.
Decisi di smetterla per un attimo, con le mie solite riflessioni senza capo né coda.
Mi alzai e cominciai a camminare in tondo, sperando che mi venisse sonno, o il capogiro, o qualcosa del genere. Qualsiasi cosa che avrebbe potuto distrarmi e rendere un po' più movimentata quella giornata che sembrava più noiosa delle altre.
E... ding. Fu come se il destino mi stesse ascoltando, perché, in quel momento, sentii una voce provenire dal corridoio.
Una voce che chiamava il mio nome.
Mi affacciai sul corridoio e intravidi l'unica persona che sembrava mi avesse ascoltata, quando avevo cercato di dimostrare la mia innocenza.
-Hey, Dan. E' successo qualcosa?-
Dan era un ufficiale giovane, avrà avuto solo 4 o 5 anni più di me, ed era molto affascinante. Anche dopo la mia incarcerazione, lui aveva continuato ad indagare per conto suo sull'incendio, senza però giungere a nessuna conclusione. Lui si fidava di me, ed io mi fidavo di lui.
Purtroppo non lo si vedeva spesso in giro, ma le poche volte che si mostrava, beh... era l'unica cosa che riusciva a strapparmi un sorriso di tanto in tanto.
-Buone notizie- mi disse, allegro. -Puoi uscire da qui-.
Cosa...?
Sentii il battito del mio cuore accelerare. Già libera? Era tutto lì?
No, non era tutto lì. Non era possibile. E infatti...
-Cioè, più o meno. Non sei libera, diciamo, ma il resto della pena lo sconterai in un posto un po' più... confortevole-.
-L'inferno?-
Dan scosse la testa. -Stesso contesto, più o meno. Stasera verrà qualcuno a prenderti per portarti alla chiesa del settimo distretto, e resterai lì per il tempo che rimane della condanna-.
Incrociò le braccia, sorridendo soddisfatto.
Io, invece, soddisfatta non lo ero per niente.
-Chie... chiesa?- balbettai.
Io non credevo in Dio. Non credevo in niente. Mi riusciva quasi più facile credere all'esistenza dei demoni che a quella di Dio. E questi volevano mandarmi in una chiesa...? Si erano bevuti il cervello.
-Beh, se non altro starai meglio che in una cella buia e umida, no? Cerca di vederla con positività-. Il suo sorriso era radioso come sempre mentre lo diceva, ma si vedeva benissimo che stava solo cercando di tirarmi su il morale.
Feci una smorfia.
"Massì, che mi mandino dove gli pare, tanto ormai..."
-Va bene. Almeno uscirò da questo posto-.
In quel momento, sentii le porte del corridoio aprirsi con un tonfo.
Dei passi frettolosi attraversare la soglia e dirigersi verso di noi.
Dan si girò verso il nuovo arrivato.
-Ah, ecco! Sono già venuti a prenderti-.
-Evviva- dissi, simulando un entusiasmo che non mi andava proprio di fingere.
Lo sconosciuto si avvicinò e finalmente potei vederlo in faccia.
-Sarebbe lei?- disse, indicandomi, con una voce piuttosto stressata.
-Esatto- gli rispose Dan. Poi si rivolse di nuovo a me:-Lui è il vescovo che ti porterà fino alla chiesa-.
Lo squadrai da capo a piedi. Alto, biondo, occhi azzurri, spalle larghe... un bell'uomo. Cercai di capire quanti anni avesse: sembrava troppo giovane per averne 30, ma troppo maturo per averne 20. Sui 25 forse, poco più... sta di fatto che sembrava tutto tranne che un vescovo.
Alzai un sopracciglio e mi voltai verso Dan:-Sicuro che non ci debba stare lui, dietro le sbarre? Più che un vescovo sembra un disertore o qualcosa del ge...-
-Shhhh!- mi interruppe bruscamente lui, corrugando la fronte.
Nonostante il mio commento, il suddetto "vescovo" non sembrò arrabbiarsi. Mi guardò storto per un attimo, poi fece una sorta di sorrisetto nervoso e disse:-Ti assicuro, miss, che sono un vescovo a tutti gli effetti e ho l'ordine di portarti fino alla chiesa del settimo distretto. Sempre che tu non voglia restare qui-.
Incrociò le braccia e mi rivolse uno sguardo come per dire "adesso vediamo come reagisci".
Come reagii? Beh... la prima cosa che pensai subito dopo quell'incontro fu:"Da adesso direi che la noia posso decisamente metterla da parte..."
Mentre mi aprivano la porta della cella, avvertii una strana sensazione di vuoto. Mi sembrò di precipitare in un burrone senza fondo, ma al contempo di innalzarmi sul picco più alto della Terra, vincitrice di quella piccola guerra tra me e il destino.
Come se il destino stesso, da qualche parte, stesse ridacchiando dicendo:-E adesso vediamo che succede.

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Capitolo 2
*** II ***


Mi girai verso destra: vicolo cieco. Sinistra: troppe persone.
Ovunque andavo, o mi ritrovavo senza via d'uscita oppure c'era qualcosa a rallentare la mia fuga.
Mi sembrò di essere in un altro dei miei incubi... In ognuno di essi mi ritrovavo a scappare da qualcosa, ma alla fine venivo inevitabilmente sopraffatta dall'oscurità, soffocata da una massa inesistente di mani strette intorno a me...
Chiusi gli occhi per scacciare via quella sensazione e ricominciai a correre, iniziando a pentirmi di quello che avevo fatto.
 
*       *      *
 
Ci avviammo lungo il corridoio, tra gli sguardi degli altri carcerati e delle guardie, stupite al mio passaggio.
-Ma come? L'hanno già fatta uscire?-
-Avrebbe dovuto stare lì almeno un altro anno...-
"Non reagire. Non reagire".
Mi limitai a rivolgere un'occhiataccia a chi mi stava mormorando alle spalle pretendendo di non essere sentito.
Anche se, in effetti... sarebbe stata davvero una gran cosa, passare il resto della mia vita in chiesa? Beh, della mia vita no, ma quanto sarebbe bastato a farmi saltare i nervi.
Per prima cosa, c'era il viaggio fino al settimo distretto. Attraversando quasi tutto il secondo, più il primo... tra una sosta e l'altra, in hawkzile, saranno più o meno 2 giorni...
In più, nemmeno il "vescovo" sembrava tanto entusiasta di portarmici.
Mentre gli camminavo a fianco cercai di guardarlo meglio in faccia, senza che se ne accorgesse. Fu difficile in effetti, visto che era almeno 40 centimetri più alto di me.
Non feci in tempo a pensare alla sua espressione (un esempio di ciò che si definisce proprio "faccia da galera") che mi soffermai subito sui suoi occhi.
Su quanto fossero... gelidi.
Non avevo mai visto uno sguardo più freddo in tutta la mia vita.
"Se questo è un vescovo..."
Dovetti trattenermi dallo sporgermi un po' più in alto per osservarlo meglio, perché in un millesimo di secondo il suo sguardo incontrò il mio.
Nonostante la sorpresa, feci finta di nulla e abbassai la testa, concentrandomi sui miei passi.
Sarà stata solo una mia impressione, ma fu come se l'avessi sentito... sorridere.
E avrei dovuto percorrere centinaia, no, migliaia di chilometri in hawkzile con quello lì?
No, non se ne parlava.
"E se invece fosse venuto a prendermi in aereonave?"
Questo migliorava un po' la prospettiva di viaggio: avevo sempre desiderato salire su un aereonave.
Ma ciò non toglieva che l'idea di andare in una chiesa mi faceva schifo.
Schifo. Schifo.
"Schifo".
E per la seconda volta in quella giornata, anzi, in quei 5 minuti, ding. Mi si accese una lampadina.
Forse potevo svignarmela direttamente e lasciare che le cose andassero come sarebbero andate... in quel momento, non pensai nemmeno alle conseguenze.
Volevo solo andare via da lì, e da sola.
-Prima di uscire... dovrei andare in bagno- dissi.
Dan si voltò verso di me, alzando un sopracciglio.
-Ma...- si vedeva che non sapeva nemmeno cosa dire. In quelle circostanze, era davvero buffo.
-Solo un minuto- dissi ancora, tentando una sorta di espressione "occhi da cucciolo".
Mi sentivo stupida in quel momento, ma la mia scusa formulata lì su due piedi ebbe la meglio.
-Va bene...- sospirò lui. -Muoviti, però-.
-Grazie!- cinguettai, come una bambina delle elementari, e mi diressi verso i bagni.
"Dire grazie in quel modo... bleah, mi disgusto da sola."
Sapevo che nel bagno femminile c'era una finestrella che tenevano sempre aperta per far circolare l'aria. Non era abbastanza grande da farci passare un adulto, ma, bassa e magra com'ero, avrei dovuto riuscire facilmente a passare da lì.
Mi arrampicai incespicando su per il muro scivoloso, appendendomi al davanzale con un braccio e cercando di spalancare la finestrella con l'altro.
Mi guardai in giro: via libera. Potevo uscire.
Sentii giusto Dan urlare -Hey! Ti manca molto?- e poi, solo il rumore del vento, delle persone che chiacchieravano per le strade e dei miei passi velocissimi che risuonavano sul lastricato.
 
*       *      *
 
"Mi dispiace, Dan. Che altro potevo fare?" pensai, avvertendo una sensazione di rimorso che non potevo ignorare.
Ed eccomi là. Senza più un posto dove fuggire, sbattendo e inciampando in mezzo alla folla.
Quando riuscii ad aprirmi un varco tra le persone, vidi in lontananza un vicolo che sbucava in uno spiazzo privo di vita, circondato da alti edifici in rovina. Un posto perfetto per nascondersi.
Perché, ora, era quello il mio obiettivo. Non m'importava di cosa sarebbe successo dopo: ora dovevo solo nascondermi.
Mi voltai un attimo, per verificare se qualcuno mi aveva notata o mi stesse inseguendo. Niente.
Poi, caddi a terra.
Mi ritrovai seduta in mezzo al vicolo, a massaggiarmi la fronte per il dolore, e mi resi conto che, girandomi di nuovo, ero andata a sbattere contro qualcosa.
Mi ci volle un po' per accorgermi di un altro particolare: non avevo sbattuto contro qualcosa.
Piuttosto, contro qualcuno.
-Dove vorresti andare?- disse una voce che avevo già sentito.
Alzai lo sguardo e non potei nascondere il mio stupore.
Il vescovo.
"Ti pareva".
In piedi di fronte a me, mani sui fianchi, mi guardava con degli occhi che di sicuro non appartenevano a un membro del clero.
-Ti ho dovuta cercare per un po', mocciosa. Avevi intenzione di andare da qualche parte?-
Cosa... cosa aveva appena detto, quel... quel faccia da galera?!
-Mocciosa... come?!- Mi alzai in piedi di scatto e seguii l'istinto, tentando di sferrargli un pugno.
Prima che potessi sollevare il braccio, mi ritrovai a testa in giù, a 2 metri da terra.
Grandioso... mi aveva caricata in spalla senza tanti complimenti, manco avessi 6 anni.
-Mettimi giù!- sbraitai. -Hey! Ti pare il modo?! Mettimi giù immediatamente!-
Cominciai a tempestargli la schiena di pugni, rischiando anche di scivolare e cadere per terra.
-Smettila di agitarti, ragazzina! Nemmeno io ho sta gran voglia di fare altri due giorni in hawkzile, ma mi tocca farlo, ok? Quindi, finché saremo in compagnia, cerchiamo di andare d'accordo!-
-D'accordo... un cavolo! Mettimi giù, criminale!-
Si bloccò, per un secondo.
"Eh...?"
Finalmente mi lasciò scendere, anzi, diciamo che più che "lasciarmi scendere" mi scaraventò per terra.
Per poco non caddi di nuovo lunga distesa sulla strada, ma ritrovai l'equilibrio in un secondo e non mi trattenni da dirgli ancora qualche altra parola fuori luogo.
-Che caz...-
-Interessante- mi interruppe lui.
Credevo che sarebbe stato più arrabbiato di me, invece sembrava quasi... divertito.
Di nuovo quel sorrisetto nervoso che mi aveva mostrato non appena l'avevo visto, stavolta con una lieve nota di ironia.
E in effetti, l'ironia del momento c'era, eccome. Ed ero stata io a crearla.
-Tu, che sei appena scappata da dietro le sbarre e devi passare altri 6 anni in una chiesa per scontare la tua pena, chiami me criminale. E' davvero... interessante, come cosa, non credi?-
6 anni? ...Questa non me l'avevano detta.
Comunque, in effetti, forse aveva ragione lui. E ammetterlo mi faceva letteralmente infuriare.
Incrociai le braccia e abbassai lo sguardo, dando un calcio nel vuoto. L'unica cosa che riuscii a fare trattenendo il mio istinto di spaccargli la faccia.
Istinto che creebbe all'istante, perché lui sembrò ancora più divertito dalla mia goffa reazione.
-Come ti dicevo- riprese, dandosi un'aria da gentiluomo -cerchiamo di andare d'accordo, signorina, ok?-
Ah, "signorina", adesso... il "mocciosa" che fine aveva fatto?
Lo incenerii con lo sguardo.
Da parte sua, ancora quella risatina nervosa che stavo cominciando a detestare. Ma mi piaceva anche, in un certo senso.
-Ce l'hai un nome, piccola?-
-Non ti azzardare a chiamarmi "piccola", stangone- gli urlai in faccia.
In tutta risposta, lui mi squadrò dall'alto in basso. E il suo sguardo freddo come il ghiaccio diceva qualcosa che io interpretai come un "rispondi o ti ammazzo". Beh, era solo la mia interpretazione...
-Ji... Jirase- risposi, con un sussurro. Allungai la mano verso di lui; in realtà ero piuttosto riluttante, ma ero abituata a farlo quando dicevo il mio nome. Era automatico.
-...Piacere- dissi, a voce un po' più alta.
Lui mi strinse la mano sorridendo, con un'espressione "quasi gentile".
-Frau. Il piacere è tutto mio-.

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Capitolo 3
*** III ***


Era successo molto in fretta, ora che ci ripensavo.
Anzi, prima di tutto, perché ci stavo pensando? Mi ero ripromessa di togliermi dalla mente tutto quello che era accaduto 3 mesi prima. Eppure, più cercavo di scacciare via il ricordo, più questo fluiva rapido nella mia mente, attimo per attimo, senza tralasciare nemmeno un dettaglio.
Non riuscivo a scacciarlo via, non ci riuscivo. Mi ritrovai di nuovo costretta dalla noia a rievocare quel dolore, come tutte le volte che in carcere mi ero stufata di tamburellare contro il muro o di origliare i discorsi delle guardie fuori dalla cella.
"Prima lo lasci cominciare, prima finirà" mi dissi, e smisi di lottare.
Lasciai scorrere i ricordi nella mia testa e chiusi gli occhi.
Era un'immagine un po' confusa, all'inizio: ricordavo solo alcuni dettagli, come i miei passi sulla ghiaia, il cielo grigio di fumo, e delle strane ventate di calore...
Poi rividi le fiamme, davanti ai miei occhi, come se fossero ancora lì. E si fece tutto più chiaro.
Fiammate arancio-gialle che si lanciavano verso il cielo, ingoiavano le poche stelle ancora visibili con quella cortina di fumo nero, toccavano il cielo con le loro lingue di fuoco e riscendevano a terra sciogliendosi in delicata cenere bianca.
Mi sembròdi rivedere anche quella, per un istante: e in effetti, stava cominciando a nevicare.
Dove cavolo era finito quell'idiota di un vescovo?
Mi alzai, riuscendo, per il momento, a scacciare via l'incubo di quelle memorie.
Ma sapevo che sarebbe tornato presto a tormentarmi.
-Frau!- chiamai.
Sì, figurati se mi rispondeva pure. Se ci fosse stato qualcuno lì intorno lo avrei visto, dato che era un posto praticamente deserto.
"Aspettami qui" mi aveva detto, dopo che eravamo atterrati. "E vedi di fare la brava, OK?"
In quel momento, avevo cercato con tutta me stessa di evitare di rifilargli un calcio e una bella dose di insulti, ma non ero riuscita a contenere un nervoso e sprezzante "Non rompere".
Lui aveva fatto quel suo solito sorriso e se n'era andato verso il paese senza dire altro.
"Ma dovevamo proprio lasciare l'hawkzile in un posto così sperduto?"
Anzi, mi corressi: doveva proprio lasciare ME in un posto così sperduto?
"Beh, anche se fossi andata con lui... che differenza c'è? Mi sarei rotta le scatole ancora di più, probabilmente".
E così eccomi là, seduta a gambe incrociate vicino a un hawkzile, in mezzo a uno spiazzo vuoto appena fuori da un minuscolo paesello del secondo distretto.
Cominciava a fare freddo, e io portavo niente più che un paio di pantaloni grigi e una maglietta dello stesso colore, l'unico abbigliamento che avevo portato in quei 3 mesi. Avessi avuto almeno una giacca, o un bel cappotto di pelo...
Mi strinsi nelle spalle per tenermi un po' di caldo, quando mi accorsi che dopo un po' stavo già meglio.
Meglio, sì, ma... cos'era quell'impressione che mi aveva presa tutto ad un tratto?
C'era qualcosa che non andava, intorno a me. Improvvisamente, mi resi conto di essere terrorizzata.
E che non ero stata io a scaldarmi, rinchiudendomi tra le braccia; era l'aria intorno a me, che si stava scaldando.
Scaldando come quando sei vicino al fuoco.
Anzi, più... come se ci fosse qualcuno che ti alita direttamente in faccia.
Fu allora che alzai gli occhi e lo notai.
Un uomo stava accucciato di fronte a me, guardandomi dritta negli occhi. Non era né vecchio, né giovane: si poteva dire che era una persona comune, da ogni punto di vista.
Ma allora, perché mi sembrava così... strano? Come se ci fosse un'alone di oscurità, intorno a lui?
-Salve- mi disse, con un sorriso.
Non risposi. Ero paralizzata dalla paura.
"Perché...? Cosa sta succedendo?"
Il sorriso dell'uomo svanì. Rimase lì, a fissarmi, avvicinandosi sempre di più a me.
Cominciai a sudare freddo. C'era qualcosa che mi gridava di scappare, qualcosa che mi martellava incessantemente nel petto...
Perché me ne stavo lì ferma come una stupida?
-Oh, a quanto pare... Dio non è esattamente dalla tua parte, eh, piccola?-
Ancora quel sorriso. Distante, glaciale, vuoto.
-Mh- proseguì lo sconosciuto, allungando una mano verso il mio viso. -Vedo che stai male, piccola... sì... ma forse potrei farti stare meglio, eh?-
Mi si stava bloccando il respiro. Sentivo il cuore scoppiarmi, da quanto veloce batteva.
Chi era quell'uomo? Cosa voleva da me?
Cosa significava quell'aura oscura che emanava da tutto il corpo, che mi stava circondando, come un paio di ali...
"Aiuto..."
Sentii un rumore intorno a me, vicinissimo ma appena percettibile... un lieve scricchiolio...
Notai che gli occhi dell'uomo erano cambiati. Sembravano avere una luce diversa, anzi, sembrava che l'unica scintilla che avevo creduto di intravedere prima, guardandolo, stesse scivolando via con le sue parole...
-Se potessi chiedere qualcosa, qualsiasi cosa... cosa offriresti in cambio?-
Il battito del mio cuore si fermò all'istante, come il mio respiro.
"Qualsiasi cosa... qualsiasi cosa..."
-Chiedi tutto quello che vuoi... e si realizzerà. Non vorresti tornare a vivere come vivevi prima, eh?-
Avvicinò ancora di più il suo volto al mio. Sentivo il suo fiato sfiorarmi l'orecchio, scendere lungo la schiena come un brivido freddo...
E poi, un lievissimo sussurro...
-Jirase... non vorresti rivedere tuo fratello?-
Mio fratello...
"Sì..."
Stavo per aprire la bocca e rispondere, senza nemmeno pensare a quello che stavo facendo.
Poi, accadde tutto molto velocemente, come quella notte di 3 mesi prima.
In un istante, il sorriso gelido dell'uomo si spezzò.
Sentii qualcosa incrinarsi, come quando cammini sul ghiaccio sottile...
E fu come se milioni di frammenti di cristallo riempissero l'aria, per poi disperdersi nel vento.
In meno di un secondo, così com'era comparso, l'uomo sparì, e quell'ombra invisibile con lui.
Mi accorsi che stavo per svenire: per quanto tempo avevo trattenuto il fiato?
Ricominciai di scatto a respirare, tossendo e ansimando. Nonostante fosse tutto finito, ero ancora terrorizzata. Perché? Cosa c'era ancora che non andava...?
-Non dovresti parlare con gli sconosciuti, mocciosa.-
Alzai gli occhi, riuscendo finalmente a controllare il mio respiro.
Lui stava di fronte a me, con uno sguardo decisamente contrariato e le mani sui fianchi.
-F-frau...- balbettai, ancora confusa. Mi girava la testa.
Lui sospirò, massaggiandosi la fronte. Dov'era stato per tutto quel tempo?
E per la terza volta, ding. Mi ripresi in attimo, mettendo da parte quello che era appena accaduto, come se quegli attimi non fossero mai esistiti. Mi alzai di scatto, ricordandomi improvvisamente di essere furiosa.
-Dove cavolo eri?! Mi stavo congelando!- gli urlai in faccia.
Lui abbassò lo sguardo verso di me e sospirò di nuovo.
-Mi stavo semplicemente preoccupando per te, ragazzina. Anzi, dovresti essermi grata, visto che c'erano un bel po' di persone contrarie al lasciarti andare. Ci sono stati un sacco di problemi prima che ti permettessero di uscire, ed è toccato a me risolverli, quindi evita di lamentarti, chiaro?-
-Beh, potevi lasciami qui e restartene nella tua stupida chiesa allora, no?! Adesso staremmo meglio entrambi!-
Già, era praticamente una gara a chi si arrabbiava di più. Non avevamo fatto altro, da quando eravamo partiti.
Lui mi provocava, io mi arrabbiavo, lui mi urlava contro, io gli rispondevo a tono.
Mi tornarono in mente le sue parole, in quel momento.
-In che senso... dei problemi?
Lui sbuffò e incrociò le braccia.
-Le hai sentite le voci su di te, no? Quasi tutti gli ufficiali in quella prigione avrebbero preferito lasciarti lì a marcire per sempre. Alla fine le cose si sono risolte, in qualche modo, ma non pensare che ti abbiano lasciata andare volentieri. Ora, io non so che cosa tu abbia...-
-IO NON HO FATTO PROPRIO NIENTE- lo interruppi.
-Non ho fatto niente, OK? Non so perché mi abbiano sbattuta lì, nemmeno so che cavolo ci faccio io in questa parte del mondo, né m'importa saperlo. Voglio essere lasciata in pace-.
Improvvisamente, lo stupore si dipinse sul suo volto. Fui sorpresa anch'io dalla sua reazione.
-Va bene, va bene- disse, stavolta piano. -Sei libera di non parlarne, se non vuoi. Sta di fatto che abbiamo 2 giorni di viaggio davanti, e, come ho già detto, ci conviene andare d'accordo prima di arrivare ad ammazzarci a vicenda, OK, miss?-
Voglio vedere chi avrebbe ammazzato chi. Io mi stavo trattenendo di brutto.
Forse, però... aveva ragione lui. Se proprio bisogna fare qualcosa, allora è meglio farla senza preoccupazioni.
-...Piantala di chiamarmi così-.
-Bene-.
Si voltò e raggiunse l'hawkzile, mettendolo in moto. Mandò all'indietro un braccio e qualcosa di pesante mi cadde in testa.
-HEY!-
-Mettitelo, o morirai congelata. E muoviti a salire, se non vuoi che ti lasci qui.-
Lo esaminai per bene, prima di indossarlo: un cappotto bianco, semplice. Almeno qualcosa mi avrebbe tenuto davvero caldo, a parte l'incendio che ancora divampava nei miei pensieri.
Salii sull'hawkzile e subito ci sollevammo da terra.
Una parola mi attraversò la mente, rapida, involontaria, che mi fece aprire meccanicamente le labbra.
-Grazie- sussurrai.
Non potevo vederlo in faccia, ma avvertii che stava sorridendo.
E nemmeno io potei trattenermi dal farlo.

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Capitolo 4
*** IV ***


Continuavo a pensare e a ripensare a quella scena.
Quella... cosa (perché ormai ne ero sicura, non poteva essere un uomo) era scomparsa nel nulla così com'era apparsa, senza darmi il tempo di capire cosa stesse succedendo.
Più ci pensavo, meno i ricordi di solo poche ore prima riaffioravano: ricordavo l'immagine sfocata di mille frammenti d'ombra sgretolarsi nell'aria, grumi di qualcosa che sembrava cenere, che volavano verso il cielo grigio come un paio d'ali...
E poi, dietro, lui, come un predatore insoddisfatto da una vittima che gli aveva solo fatto perdere del tempo.
Poi, cominciavano a nascere delle domande nella mia mente: cos'era successo esattamente? Perché mi ero sentita così... in trappola? E soprattutto, come aveva fatto Frau a...?
Frau. Forse potevo chiederlo a lui...
"Ma no, che scema" mi dissi, scuotendo la testa. Come avrei fatto a chiederglielo? E poi, ero davvero sicura di voler sapere la risposta?
Da quando l'avevo incontrato, quell'uomo aveva fatto sorgere in me più quesiti e dubbi che altro. E il più fondamentale al momento era: "che ci fa un tizio del genere in una chiesa?"
Non solo: forse sarà stata solo una mia impressione, ma... sembrava come se nascondesse qualcosa. Come se dietro quegli occhi di ghiaccio si celasse un mistero, un dolore più grande di quanto potessi immaginare.
Mi accorsi di avere i brividi a quel pensiero. Lo scacciai stringendomi nel cappotto e sbuffai, osservando il vapore che mi era uscito dalle labbra svanire nell'aria fredda.
-Quanto manca?- chiesi.
-Ci siamo quasi- rispose lui, davanti a me.
A breve avremmo raggiunto il primo distretto, e ci saremmo fermati lì la notte. La sera dopo saremmo arrivati in chiesa, e a quel punto... credo che mi sarei suicidata prima di entrare. Non sopportavo ancora l'idea di doverci andare, anche se piuttosto che tornare in quella cella umida... ah, non volevo pensarci.
Gettai uno sguardo giù dall'hawkzile: non ci avevo mai fatto caso, ma il cielo, visto da lì, era davvero stupendo. A volte capitava di salire talmente in alto da ritrovarsi sopra un vero e proprio tappeto di nuvole, senza riuscire a scorgere niente di ciò che stava sotto. In quei momenti, capivo cosa significava davvero "toccare il cielo con un dito". In tutti i sensi.
Dopo quasi un'ora, cominciammo a perdere quota. L'hawkzile si abbassò sempre di più, fino a toccare il suolo innevato del primo distretto.
Quando appoggiai i piedi per terra, mi accorsi di non vedere l'ora di fare due passi. Tutto quel tragitto percorso stando ferma mi aveva intorpidito le gambe.
-Bene- disse Frau -Muoviamoci. Meglio trovare un posto dove fermarsi prima che faccia buio-.
"Chiediglielo adesso, chiediglielo prima che sia troppo tardi".
-Frau...-
-Mh?-
Non mi ero nemmeno accorta di aver pronunciato il suo nome. Tanto, ormai... prima o poi avrei dovuto chiederglielo comunque.
Ma... cosa gli potevo dire?
-Prima, cosa... cos'era quella cosa?-
Alzò un sopracciglio. Sperai avesse capito, perché francamente non sapevo in che altro modo metterla.
Il silenzio mi fece pentire di averglielo chiesto.
"Dannazione..."
-Quello...- interruppe i miei pensieri, sbuffando. Sembrava che ci stesse pensando su.
-Ah. Se ti muovi te lo spiego-.
Cominciò ad avviarsi lungo la strada, che sembrava condurre ad un'altra più grande. Sapeva almeno dove andare...?
Lo raggiunsi e cominciai a camminargli di fianco, facendomi più piccola possibile.
-Allora...?- domandai, quando il silenzio cominciò a diventare opprimente.
Sbuffò di nuovo. -Quello era un kor- disse infine.
-Un ko... osa?-
-Conosci la leggenda di Verloren, il dio della morte?- mi chiese a bruciapelo.
Quel nome fece risuonare un campanello nella mia memoria. Verloren... sì, qualcosa sapevo. Ricordavo qualcosina di quella storia, l'avevo sentita raccontare molte volte.
-Verloren... era il dio della morte che scappò sulla Terra, giusto? Poi c'erano quei sette dei mandati a fermarlo... non mi ricordo di più. Ma è solo una vecchia leggenda, no?-
Lui rimase in silenzio, all'inizio: poi cominciò a ridacchiare sommessamente.
-Cosa... cosa c'è da ridere?!- sbottai. -Ho ragione, no? Quella... è soltanto una storia-.
-Beh, sì, più o meno è così... Ma non sai che c'è anche un seguito.-
-Cosa...?- Un seguito, in che senso ? Io avevo sempre creduto che fosse solo una favoletta per mocciosi.
-Dopo essere sceso sulla Terra- continuò Frau -Verloren liberò i suoi servi, i kor, per contaminarla con le sue tenebre. E liberare il mondo dall'oscurità è compito di noi vescovi-.
Quindi... quell'affare era... un servo del dio della morte?
"Quindi questo qui è davvero un vescovo?"
-I kor...- continuò -tentano gli uomini permettendo loro di realizzare tre desideri. Dopo che tutti e tre i desideri si sono compiuti, l'anima precipita nelle tenebre e non può più tornare in cielo. E tu prima stavi per chiedere la realizzazione di qualcosa, dico bene?-
Si voltò verso di me, sorridendo sarcasticamente.
In effetti, aveva ragione. Io volevo davvero chiedere qualcosa, ma ora che ci pensavo, non mi sentivo che quel desiderio si sarebbe realizzato...
Io avrei solo voluto vedere mio fratello, però. Non poteva essere così orribile come cosa... Solo un desiderio, solo uno, poi non ne avrei più chiesti... Avrei voluto rivederlo solo una volta...
-Non lasciare mai più che succeda una cosa del genere- mi disse. -Ricordalo-.
Sentii i miei occhi gonfiarsi, mentre un dolore atroce mi si allargava nel petto.
Mio fratello... io volevo solo sapere se era ancora vivo, volevo solo sapere dov'era... perché non potevo saperlo? Perché era andata così?
Perché?
Feci di tutto per trattenere le lacrime. In qualche modo, riuscii a non fargli vedere che stavo piangendo. Piangevo, dopo... quanto tempo?
-Tutto bene, mocciosa?-
Si avvicinò a me e mi scostò il braccio dal viso: lo allontanai con una mano e repressi le ultime lacrime appena in tempo.
-Non... non ti azzardare a chiamarmi mocciosa-.
Fece un passo indietro. Aveva ancora quel suo solito sorrisetto, e questo mi dava parecchio sui nervi, in quel momento.
Mi sfiorò un attimo la spalla, come per consolarmi. Grande, se n'era accorto.
-Lasciami stare- sussurrai, allontanandolo di nuovo con la mano.
Lui si voltò senza aggiungere altro.
-Muoviamoci. Farà notte tra un'ora al massimo-.
Si avviò di nuovo lungo la strada, facendomi segno di seguirlo.
Lo raggiunsi con riluttanza, sforzandomi di togliermi dalla testa tutti quei pensieri.
-Quindi...- dissi, cercando di distrarmi -Sei davvero un vescovo, eh?-
-Assolutamente- replicò lui.
Pensai che mi aveva spiegato le cose in maniera molto... ridotta. Se non altro avevo capito qualcosa di ciò che era successo prima, anche se non mi era ancora ben chiaro come aveva esattamente fatto Frau a comparire dal nulla eliminando così facilmente il cos... ehm, il kor.
C'era come un particolare che mi sfuggiva, però.
Appena dopo il suo arrivo, e appena prima della scomparsa totale del kor, avevo sentito qualcosa di strano.
Un rumore diverso da quello delle presunte ali della creatura, anche se somigliava comunque a un cigolio... era più simile al rumore che si sente quando si armeggia con una ferita, quando si rigira il coltello in una piaga, per così dire... qualcosa che viene cacciato in una crepa a forza...
O forse era solo una mia impressione...

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Capitolo 5
*** V ***


Era come se non vedessi più nulla.
Come se la confusione del momento mi avesse accecata, impedendo ai miei occhi di vedere qualsiasi cosa al di fuori delle lingue di fuoco che lambivano il cielo.
Un cumulo indistinguibile di legno e pietra giaceva in mezzo al fuoco, degradandosi piano piano.
Ma era davvero possibile... che quella fosse davvero la mia casa?
Davanti e sopra di me c'era una spessa cortina di fumo, che mi faceva lacrimare gli occhi. Ma non poteva impedirmi di vedere le assi crollare a terra incenerendosi, i mattoni sfaldarsi, divorati dal fuoco che si faceva strada in mezzo all'erba.
Per un attimo, mi dimenticai ogni cosa: chi ero, cosa ci facevo lì, cosa stava accadendo... credetti di stare sognando.
Ma il calore che mi circondava, la cenere che mi cadeva sui capelli scuri, perfino i battiti del mio cuore diventati un ronzio accelerato, erano reali.
E mi accorsi di ciò che avevo davanti.
Casa mia. La mia stanza, le mie cose... mio fratello.
-No...-
Non pensai ad altro, cominciai a correre. La mia mente era completamente svuotata, in quel momento.
Lui dov'era? Era davvero lì in mezzo?
-No... no...- era tutto ciò che riuscivo a dire. Non riuscivo nemmeno a urlare, né piangere, né fermarmi.
Correvo meccanicamente, correvo sempre più in fretta, sentendo a ogni passo la disperazione schiacciarmi, il mio respiro farsi più intenso e irregolare...
Ma ero così lontana?
Più correvo, più ciò che era rimasto della mia casa sembrava allontanarsi. E io ero sempre più debole, sempre più stanca... ma non potevo fermarmi, non potevo...
Corsi finche non caddi a terra. E caddi, caddi, caddi, in una voragine senza fine...
Il fuoco che poco prima aveva distrutto tutto ciò che avevo cresceva, divorando l'aria, riempiendo la mia visuale, oscurando la luna con il suo fumo nero...
E io, cadendo, non potevo fare altro che urlare.
* * *
-AAAAAAAAH!-
-Jirase!-
Aprii gli occhi di scatto, ansimando.
Davanti a me non c'erano più le fiamme che ingoiavano il cielo, né il buio del crepaccio in cui ero caduta nel mio incubo.
C'erano due occhi sbarrati, occhi blu ghiaccio.
-Frau...?-
Cercai di riprendermi, coprendomi il viso con una mano.
Sentii la sua mano sfiorarmi una spalla:-Tutto bene?- disse.
Sì, certo, tutto bene... come no.
Se fosse stato solo un sogno, allora sarebbe andata anche bene.
Ma io sapevo che non era così: le fiamme c'erano state davvero, 3 mesi prima, e avevano davvero distrutto casa mia, ucciso mio fratello... forse.
La cosa che più mi turbava era non sapere se lui ci fosse ancora, o se fosse davvero morto in quell'incendio.
C'era una flebile speranza, uno spiraglio di luce, come quando non chiudi del tutto le tende alle finestre e qualche raggio di luna riesce ancora a farci capolino e luccicarti negli occhi. Ma io non ci facevo mai caso.
Se mi sentivo colpita da una lama di luce, anche se lieve, mi giravo dall'altra parte e chiudevo gli occhi.
E, ignorando quella scintilla di speranza, in quel momento, feci esattamente così.
Chiudi gli occhi e piansi.
Piansi perché non sapevo dov'era mio fratello, perché avevo perso tutto, perché mi avevano accusata di essermi privata di quelle cose da sola.
Piansi perché non sapevo come era successo, né per quale motivo.
Piansi perché non ero riuscita a fare niente per salvare ciò che amavo, per salvare me stessa.
Affondai il volto tra le mani e lasciai cadere la testa in avanti, appongiandola sul suo petto, inondandolo di lacrime.
Settimane che non piangevo e, per quelle 2 volte che mi era capitato ultimamente, era davanti a Frau.
E questo mi faceva letteralmente infuriare.
Infuriarmi, però, non fece altro che peggiorare le cose. Rivolsi la mia disperazione contro me stessa, graffiandomi il viso e facendomi singhiozzare ancora di più, annegando gli occhi nel pianto.
A malapena sentii la sua mano accarezzarmi la testa, mentre mi diceva che era tutto a posto.
Che era stato solo un incubo.
-No...- sussurrai tra le lacrime. -Non era solo un incubo...-
Alzai la testa, incontrando il suo sguardo.
-Era... era tutto vero... e io... io non ho fatto niente...- singhiozzai.
-Perché...-
Abbassai di nuovo il capo, cercando di smettere di piangere.
-Ssh-. Mise le mani sulle mie spalle e mi allontanò.
Sorrise. Sorrise in un modo strano, come non l'avevo mai visto prima... era strano vederlo così. Ma mi rassicurava.
-E' finito adesso. Va tutto bene. Dormi-.
Mi asciugai gli occhi e mi liberai dalla sua presa, ricacciandomi sotto le coperte.
Sì, era tutto finito... intanto.
Sentii Frau alzarsi e tornare nel suo letto, sospirando.
Richiusi gli occhi, cercando di cancellare quel minuto. Quel minuto passato a rievocare il mio dolore, a piangere... a sperare.

Sperare che fosse stato solo un incubo, che l'avrei dimenticato presto, e che il giorno dopo mi sarei svegliata col sorriso sulle labbra.

Chissà, forse, grazie a lui, sarebbe successo.

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Capitolo 6
*** VI ***


-E cos'avrei detto, di grazia?
-Continuavi a ripetere il mio nome.
-Cosa?!
Ma dai. Non sapevo nemmeno se arrossire dalla vergogna o se sferrargli un pugno e chiuderla lì.
Primo, non ero mai stata consapevole del fatto che parlavo nel sonno; e già questo era piuttosto imbarazzante.
Secondo, il fatto che, oltre a parlare nel sonno, avevo detto proprio il nome di Frau, e per giunta non so quante volte, mi faceva letteralmente saltare i nervi.
Soprattutto dopo quello che era successo quella notte.
Non volevo nemmeno ripensarci... solo cercare di farlo mi faceva venir voglia di prendere a testate un albero. Insomma, una qualsiasi cosa che potesse farmi talmente male da distrarmi.
Solo il pensiero di aver pianto mi mandava in bestia. Non ero più una bambina, diavolo! E non sono mai stata il tipo che si lascia prendere dal passato.
Ma per quanto ci provassi, non potevo dimenticare ciò che era successo 3 mesi prima. Forse non volevo... ma allora, perché mi facevo così tanti problemi ad ammettere che stavo male? Male da morire?
Insomma, le lacrime non erano da me. Ma l'aver pianto più in quei 2 giorni che in non so quanto tempo... e per di più davanti a lui, mi faceva vergognare da morire.
Però, c'era qualcosa che mi martellava costantemente in testa, da quando l'avevo incontrato.
Come se la mia coscienza cercasse di dirmi che potevo fidarmi di lui.
E forse, anche un po' più di me stessa.
Sbuffai e guardai le nuvole dissolversi al passaggio dell'hawkzile, che cominciava a perdere quota.
-Stiamo scendendo...?- dissi.
-Stiamo per arrivare al settimo distretto. Dobbiamo passare i controlli dell'esercito, sul confine- spiegò Frau.
-Quindi... entro stasera saremo in chiesa?-
Lui rise. -Con tutte le probabilità... a meno che non decidano di non lasciarti passare per paura che combini qualche guaio, eh?-
-Che hai detto, stronzo di un vescovo?!-
Mi avvicinai a lui per tirargli uno schiaffo, ma lui urlò:-Reggiti!-
Prima che potessi protestare, l'hawkzile cominciò a scendere in picchiata verso il suolo del primo distretto.
Dovetti tenermi stretta a lui per evitare di volare via, mentre il vento mi sibilava nelle orecchie.
Questa gliel'avrei fatta pagare.
* * *
La gente andava e veniva, intasando le uscite ad arco che davano sul confine tra il primo ed il settimo distretto. Accanto ad ogni soglia c'erano uno o due militari a sorvegliare e registrare tutti gli hawkzile, carri e mezzi vari che varcavano la dogana.
Mi resi conto che, una volta passati quei controlli, saremmo arrivati in men che non si dica alla nostra meta. E che ora l'idea mi faceva molta più impressione di quanta non me ne avesse fatta prima.
In effetti non ci avevo mai pensato come qualcosa che sarebbe successo davvero: la mia mente si rifiutava di accettarlo. Credevo semplicemente che quel viaggio sarebbe durato in eterno, finché il destino non mi avesse portata su un'altra strada... una diversa.
Mi immersi così nei miei pensieri, mentre ci avvicinavamo con l'hawkzile ad un'uscita con due ufficiali a sorvegliarla.
-La vostra destinazione?- chiese uno dei due ufficiali.
-Chiesa del settimo distretto- rispose Frau, mostrando alla guardia un pass argentato con una sorta di croce incisa sopra.
La guardia lo prese in mano e lo esaminò con cura.
-Potete passare- disse infine, porgendo di nuovo il pass a Frau.
Stavamo per ripartire, quando sentii l'altro militare borbottare:-Pff... con questa modalità di controllo, non c'è da sorprendersi che mezzo mondo sia sottosopra. Mezza gente di quella che passa dovrebbe trovarsi dietro le sbarre, secondo me-.
Sentii qualcosa nella mia testa cominciare a ticchettare incessantemente, come un allarme. Alzai lo sguardo verso quell'uomo e notai che fissava me.
Mi accorsi di averlo già visto.
Mi accorsi di aver già sentito la sua voce, di averlo già sentito dire qualcosa di simile.
E di averlo detto di fronte a me, un secondo prima che io gli tirassi un pugno e lo graffiassi, circa 3 mesi prima.
Era lui; era l'ufficiale che mi aveva definita "pazza", o quello che era. Era stato lui a volermi dietro le sbarre. E se non fosse stato per lui, io... forse sarei stata libera.
Non mi resi conto che l'avevo fissato troppo a lungo, non riuscendo ad evitare che mi notasse.
Infatti, mi rivolse un'occhiata sorpresa:-Toh, chi si rivede! Il piccolo pericolo pubblico!-
"Stai calma. Stai calma, non reagire".
-Non dovresti stare ancora in prigione, tu?- disse con un sogghigno.
Mi stava provocando. Stava facendo apposta, quello stronzo. Voleva vedere come avrei reagito.
-O non sarà che... hai fatto strage della sorveglianza?-
Non ci vidi più.
Credo di essermi scagliata addosso a lui e di avergli come minimo rotto il naso, con tutti i pugni che gli ho tirato.
Credo di aver sentito gli occhi che mi bruciavano e le mani dolermi mentre lo buttavo a terra. Sentivo delle scariche elettriche propagarsi per tutto il mio corpo, mentre sfogavo tutta la mia rabbia, sentendo un dolore acuto, come se mi stessero scorticando.
E poi fu come se mi fossi svegliata da un sogno.
L'uomo disteso a terra, la faccia macchiata di sangue; l'altro ufficiale che lo aiutava a rialzarsi.
La mano di Frau che mi stringeva il braccio tanto forte quasi da romperlo.
La gente intorno che ci fissava scioccata, mormorando.
Non volevo vedere altro. Non volevo sentirli, volevo solo che la terra mi inghiottisse, in quel momento.
Mi liberai dalla stretta di Frau e scappai via, con il cuore che mi stava esplodendo in petto.

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Capitolo 7
*** VII ***


"Apriti, terra. Fammi cadere, fammi sparire, per favore..."

Accucciata dietro un vecchio muretto, con la testa appoggiata sulle ginocchia, non potevo fare altro che pregare. Pregare che fosse tutto un incubo, che quei 3 mesi non fossero mai esistiti, pregare di aprire gli occhi e ritrovarmi a casa mia...

Invece, pochi istanti prima, quando mi ero accorta di essere rimasta senza fiato per via della corsa, mi ero ritrovata in un vicolo alla periferia di quella grande città del primo distretto, senza nessuno in giro. Al freddo. Senza sapere se e come tornare indietro, visto che non avevo nemmeno fatto caso alla strada che avevo percorso scappando.

Ero rimasta lì, ad aspettare un eventuale susseguirsi degli eventi. Qualcuno mi avrebbe vista? E rimanendo lì, sarei riuscita a cavarmela da sola? E Frau...

Ecco, a lui non avevo proprio pensato.

L'ultima cosa che avevo sentito prima di cominciare a correre era stata la sua mano che mi teneva per un braccio, quasi stritolandolo. Non m'importava di cosa avrebbe fatto poi, non m'importava che mi trovasse, non m'importava che pensasse a dov'ero finita. Volevo solo restare sola, scomparire, se fosse stato possibile.

Ma visto che non lo era, e visto che gli hawkzile sono più veloci di una ragazzina che corre, non ci mise molto a trovarmi.

Sentivo che mi stava fissando, e quella sensazione non mi piaceva. Feci finta di non essermi accorta di lui, ma lui evidentemente non voleva fare altrettanto.

-Congelerai se resti lì con questo freddo-.

Ah, grazie, questo l'avevo capito anche da sola. Ti pare che appena mi trova si mette pure a farmi la predica?

Comunque, ero sollevata. Se avesse detto qualcosa a riguardo di ciò che era successo, non avrebbe fatto altro che appesantire ancora di più l'atmosfera.

-Alzati- disse -piangerti addosso non serve a niente-.

Come non detto. Ora stava decisamente peggiorando le cose.

-Non sto... piangendo- sussurrai.

-Provamelo-.

Quel bastardo... stava sorridendo, me lo sentivo.

Non mi mossi: ero intenzionata a non perdere la sfida, questa volta.

Chiusi di nuovo gli occhi, facendo di tutto per non sentirlo. Ma più mi dicevo di non stare ad ascoltare quello che diceva, meno ci riuscivo.

-Come pensi di risolvere le cose, se stai sempre lì ad autocommiserarti?-

Alzai lievemente la testa, riuscendo a vedere, davanti a me, la neve cadere sul lastricato. Non avrei fatto altro; non mi sarei girata a guardarlo, né tantomeno mi sarei alzata.

Per qualche motivo, lui sembrò capire le mie intenzioni: e non gli andavano a genio.

Mi sentii sollevare da terra, sospesa per aria, sentendo una ventata d'aria fredda colpirmi in faccia.

-Di nuovo...?! Hey!- gridai, cercando di liberarmi dalla sua presa. Non bastava che continuasse a provocarmi, adesso mi trattava addirittura come se avessi 5 anni!

-Lasciami, Frau! Non ne posso più!-

-Nemmeno io. Ecco perché non posso lasciarti lì-.

Mi bloccai. Cosa... cosa aveva detto?

Inaspettatamente, mi lasciò scendere e si voltò verso di me. E mi fissava dritta negli occhi, con quel suo sguardo gelido.

-Non puoi sempre affidarti a quello che credi che succederà. Non ci sei solo tu a questo mondo, e non puoi continuare a scappare da quello che sei. Anche perché mi causi un sacco di problemi, capito, mocciosa?-

Non potevo... cosa?

Feci per ribattere, ma una voce dentro di me mi disse che aveva ragione lui. Da quand'ero nata, in effetti, non avevo fatto altro che scappare. Scappare da quella che ero, quella che pensavo di essere, quella che gli altri volevano o pensavano che io fossi, rifugiandomi nell'unico posto dove stavo bene: la solitudine.

Stare sola, al buio, senza nessuno intorno, per me era sempre stata la cosa migliore. Lì potevo avere i miei pensieri, non avevo nessuno ad impormi le sue regole, a manovrarmi, ad accusarmi...

Eppure, quando mi ero ritrovata per 3 mesi in una cella, mi ero resta conto di com'era in realtà la mia mente: esattamente come una prigione, in cui io costantemente mi nascondevo. E la mia idea di vita, materializzata in quella buia stanza, in quelle sbarre arrugginite, mi faceva schifo.

Allora perché, anche dopo che l'avevo capito, avevo continuato a scappare?

Forse perché... c'era stato qualcuno, che aveva cercato di pormi di fronte a un destino differente. Aveva cercato di farmi guardare in faccia quello che era stata e sarebbe stata la mia vita, ed io, come una stupida, avevo rifiutato, chiudendomi ancora nel mio mondo, anche se non mi piaceva.

E quel qualcuno era lì, di fronte a me, e mi diceva che non potevo continuare per questa strada. E che non poteva abbandonarmi.

Abbassai lo sguardo, vergognandomi da morire.

-Io non...-

Non cosa? Non volevo? Non potevo?

No, in quel momento, semplicemente, non lo sapevo. Non sapevo cosa volevo esattamente, volevo solo vivere normalmente. Sorridere, per quanto mi fosse possibile. E forse, sarei stata meglio.

-Sì, capito-.

Alzai di nuovo lo sguardo verso di lui.

-Devi imparare a camminare da sola, ragazzina. Un giorno non ci sarà più nessuno a tenerti d'occhio, tantomeno ci sarò io a venirti a cercare-.

-Sì...-

Mi fermai un momento a riflettere, mentre lui tornava a mettere in moto l'hawkzile che aveva lasciato là vicino.

-Hey, aspetta! Cosa vuoi dire con "tenermi d'occhio"?!- gli gridai alle spalle.

-Dico... quando sono venuto a prenderti, non mi avevano detto che eri una piantagrane di prima categoria. Adesso ci saranno pure quei militari a tenerti d'occhio, sempre che ci lascino passare il confine- rispose lui.

Accidenti... a questo non avevo pensato. Non mi era nemmeno passato per la testa di immaginare quali sarebbero state le conseguenze dell'accaduto.

E se non potevamo passare il confine, io non sarei potuta andare in chiesa. E probabilmente avrei passato il resto dei miei giorni in una cella.

Alla fine, volontariamente o no, i guai li causavo lo stesso. Ma perché ero così... così stupida?!

Strinsi i pugni, restando ferma dov'ero, trattenendomi dal prendermi a sberle.

-Hey. Guarda che non ti stavo dando la colpa, gli ho spiegato la situazione. Al massimo ti faranno restare in chiesa qualche mese in più...- disse, sorridendo.

Non che l'idea mi andasse bene, ma se potevamo ancora superare il confine, era accettabile. Tanto, dopo 6 anni, un mese in più o uno in meno, cosa vuoi che sia?

-Va bene...- mormorai, stringendomi nelle spalle. Lo raggiunsi e salii sull'hawkzile, un secondo prima che questo si sollevasse da terra.

Pochi minuti dopo essere ripartiti, rividi le porte ad arco sul confine; cercai di farmi più piccola possibile, per evitare gli sguardi dei militari che, ovviamente, non si erano persi la scena di prima.

Tuttavia, nonostante mi aspettassi delle proteste da parte loro, passammo senza problemi. Non ci fu nemmeno bisogno di far rivedere il pass, tanto l'avevano già guardato prima. Feci del mio meglio per non farmi notare comunque, chiudendo gli occhi di nuovo.

Appena oltrepassata l'uscita sentii una ventata d'aria fredda, come per accoglierci nel settimo distretto.

Ancora qualche ora, e il mio viaggio sarebbe finito.

L'hawkzile si alzava sempre di più, in mezzo alle nuvole. Voltai gli occhi verso il cielo: non vidi altro che un'immensa, candida, distesa di nuvole e spiazzi azzurri, come se qualcuno avesse dipinto di blu una tela bianca solo in parte.

Lì, nonostante il freddo e la tristezza, avvertii un senso di pace come non l'avevo mai sentito prima.

Cercai di guardare più lontano, oltre le nubi più grandi che segnavano la linea dell'orizzonte. Montagne, cielo, strisce bianche, ancora cielo: era talmente bello che era difficile credere di vederlo veramente.

Inspirai a fondo: era così, sentirsi felici? Beh, era bello.

Ad un tratto, vidi un guizzo bianco spuntare da dietro la linea di nuvole verso i monti più alti: volteggiò per un po' sopra la coltre, poi si rituffò nel bianco.

-Cosa...?-

Credetti di aver sognato. Mi pareva di aver sentito che esistessero solo nelle leggende, eppure quello mi sembrava proprio...

-Un Führung- sentii dire.

-Eh? ...L'hai visto anche tu, Frau?-

Lui annuì. -Sì. Capita raramente di vederne anche solo uno, considerati fortunata-.

Wow... così esistevano davvero, quei draghi leggendari... li avevo sentiti solo nelle storie di quand'ero piccola, ma ora che ne avevo visto uno... era, come dire, un sogno che si avverava.

Un sogno che si avverava... non mi era mai successo. Anzi, a quanto ne sapevo, non capita a tutti di vedere realizzati i propri sogni.

Forse, quella giornata stava cominciando ad andare per il verso giusto.

L'hawkzile rallentò, pian piano: sembrava che il vento lo stesse cullando, mentre il cielo si stava lentamente tingendo di rosso.

Era già passato così tanto tempo? Presto sarebbe giunto il tramonto, e io non avevo nemmeno fatto in tempo a pensare a cosa fare una volta arrivata in chiesa, a come avrei dovuto comportartmi...

Beh, chissenefrega. In quel momento, volevo solo godermi il calore del sole che stava calando, l'aria che mi sibilava nelle orecchie, ma dolcemente...

Poi credo di essermi addormentata, perché mi ricordo che appoggiai la testa sulla schiena di Frau chiudendo gli occhi definitivamente.

E poi... non ricordo più nulla.

 

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Capitolo 8
*** VIII ***


Appena aprii gli occhi, una luce intensissima me li fece richiudere all'istante.

Dov'era il vento? Dov'ero io?

Ah, giusto... mi ero addormentata in hawkzile.

Mi misi una mano davanti agli occhi per attenuare il bagliore che mi aveva quasi accecata e li riaprii.

Intorno a me non c'erano più il cielo e le nuvole; c'erano un soffitto bianco e quattro mura. Una stanza...? E come c'ero arrivata?

Che confusione... Dovevo ancora svegliarmi completamente.

Mi misi a sedere e mi stropicciai gli occhi, sbattei le palpebre un paio di volte e tornai a vedere le cose con più nitidezza.

Mi accorsi solo in quel momento di essere stesa in un letto, in una stanza piccola, con una sola finestra da cui entrava la luce del mattino.

Era appena il tramonto quando mi ero addormentata... per quanto avevo dormito?

Comunque, avevo capito che dovevo trovarmi già nella chiesa. E così il viaggio era finito senza che me ne accorgessi nemmeno.

Mentre mi guardavo intorno, sentii uno scricchiolio provenire dal fondo della stanza.

La porta si era aperta, e una figura vestita di bianco stava ferma sulla soglia.

-Oh, ti sei svegliata-.

Si avvicinò a me e potei vederlo meglio in volto: era un ragazzo giovane, non molto alto, con due grandi occhi viola e i capelli mossi e chiarissimi, quasi bianchi.

Capii dalla lunga tunica bianca e dal capello che portava che faceva sicuramente parte del clero. Non avevo mai visto un vero vescovo prima di allora (con "vero" intendo "serio"; Frau non contava, insomma).

-Come ti senti?- mi chiese sorridendo. Aveva un sorriso dolce, rassicurante, che ti faceva venire voglia di sorridere a tua volta.

-Io... Be... bene- balbettai, ancora un po' confusa, e senza sapere bene come comportarmi in una chiesa.

Il vescovo mi porse un bicchiere. -Tieni, bevilo. Ti farà sentire meglio-.

Guardai all'interno del recipiente: una bevanda calda, forse camomilla... mio fratello me l'aveva preparata una volta, quando ero malata.

Mi portai il bicchiere alle labbra e bevvi un sorso. No, non era camomilla... però era straordinariamente dolce.

Anche se scottava, lo bevvi tutto velocemente, e mi sembrò di sentirmi meglio fin da subito.

-Che buono...- sussurrai.

Il vescovo riprese il bicchiere e mi sorrise ancora.

-Tu sei Jirase, giusto?- chiese, diventando improvvisamente serio.

-Sì-.

-E vieni dal carcere del secondo distretto-.

Sentii una fitta al cuore. Non volevo che quella persona, che mi sembrava così gentile, mi considerasse una criminale... ma io venivo davvero da un carcere, e non potevo certo mettermi a spiegare questo, quello e quell'altro sul fatto che ero innocente... ormai andava così.

-Sì-.

In quel momento, la porta si aprì di nuovo.

E io desiderai non essermi mai svegliata.

-Heylà, mocciosa! Fatto bei sogni?-

Quel... quel...

Ah, vabbeh. Non mi sembrava il momento di mettermi a insultarlo mentalmente.

Mi limitai a rispondere -Sì, grazie- sottintendendo un "No, deficiente".

E mi accorsi che dietro Frau era comparso un altro vescovo, anche lui con la stessa tunica bianca di quello che era entrato prima. Solo che lui sembrava molto più austero: era alto e portava un paio di occhiali tondi.

Mentre si avvicinava a me, lo vidi tirare una gomitata a Frau: e dovetti trattenermi dal ridere, mentre lui gli lanciava un'occhiataccia.

-Ciao, Jirase- mi disse. -Benvenuta nella nostra chiesa-.

-Ehm... grazie- gli risposi timidamente.

-Allora...- proseguì lui -tu resterai qui... 6 anni, dico bene?-

-Sì, mi è stato detto così...-

-Mhm. Cominciamo subito con l'illustrarti le tue mansioni, allora. Chi alloggia nella chiesa è tenuto a fare la sua parte, e nel frattempo può scontare i suoi errori-. Sorrideva mentre mi parlava. Ma se mi consideravano una criminale, perché erano così... gentili, con me?

-Comunque, ti spiegherà tutto Labrador-. Si voltò verso il vescovo dagli occhi viola, che mi sorrise di nuovo.

-Ti farò vedere la chiesa, e poi vedrai come passerai gli anni che resterai qui-.

-D'accordo- dissi. Ma non potei fare a meno di sentirmi triste.

Per quelle persone così gentili, io ero una peccatrice. Io avevo commesso degli errori gravissimi e dovevo rimediare ad essi stando lì e lavorando.

Non dico di non aver mai commesso errori, anzi... ma quell'errore che mi costringeva a stare lì 6 anni non era stato mio. Io non c'entravo nulla.

Non mi ero accorta di essermi ammutolita, tutto d'un tratto.

-Ti senti bene?- mi chiese il vescovo con gli occhiali.

-Eh? Sì... sì-. Mi sforzai di sorridere. Non dovevo essere molto convincente, perché vidi Frau ridacchiare.

Se mai fossi uscita viva da quella chiesa, l'avrei ucciso.

-Beh- disse lui, aprendo la porta -buona permanenza, ragazzina-.

Lo incenerii con lo sguardo, ma lui aveva già richiuso la porta dietro di sé.

Vidi il vescovo con gli occhiali sospirare. Ah, come lo capivo...

-Comunque- si schiarì la voce -spero ti troverai bene qui. Avremo modo di riparlare dei dettagli della tua pena, più tardi-. Mi sorrise, si girò ed uscì.

Pochi secondi dopo, qualcuno bussò alla porta. Ma che razza di viavai c'era, in quel posto?

-Avanti- disse Labrador.

La porta si aprì piano, e una figuretta vestita di nero si fece avanti timidamente.

-Buongiorno, eccellenza Labrador... ho portato le cose che mi avete chiesto...-

-Grazie, Rosalie-.

Era una suora con dei lunghi capelli biondi, che portava una pila di vestiti tra le braccia.

Li appoggiò su una sedia e indietreggiò con un inchino.

-Jirase, lei è sorella Rosalie. Si occuperà di te ora, noi ci rivedremo più tardi-.

Annuii e guardai la suora, che mi ricambiò sorridendo.

Labrador si alzò ed uscì.

E... adesso? Che dovevo fare io?

-Questi- mi disse la suora -sono i tuoi vestiti. Avrai anche dei ricambi per quelli normali, ma la tunica devi portarla sempre-.

Mi alzai ed esaminai gli abiti che aveva appoggiato sul letto. Erano praticamente uguali ai miei, semplici vestiti grigi, fatta eccezione per una tunica semilogora che sembrava essere il triplo della mia taglia.

-Prendili e seguimi. Ti porto a lavarti-.

Aveva una voce gentilissima, e un sorriso sereno.

-Grazie...- dissi.

La seguii fuori dalla stanza, e sbucammo in un lungo corridoio in cui entrava poca luce.

-Questi sono i piani più bassi della chiesa- mi spiegò Rosalie. -Tu alloggerai in quella stanza; c'è un bagno proprio qui vicino. Invece, le scale per accedere ai piani superiori sono da quella parte- disse, indicando una rampa di scale a chiocciola in fondo al corridoio.

-Oh!- esclamò all'improvviso, come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa. -Non ti ho nemmeno chiesto il tuo nome!-

Sciolsi il nodo che avevo in gola: avevo cominciato a pensare a come sarebbe stata la mia vita lì, e i miei pensieri erano tutt'altro che piacevoli...

-Jirase-risposi, sussurrando.

-Jirase- ripeté lei -E' davvero un bel nome-.

-G... grazie- risposi, e tornai ai miei pensieri.

Ma stavolta, pensai che forse non sarebbe poi stato così male rimanere lì... si trattava solo di ambientarsi.

E quelle persone così gentili... anche se fossi stata davvero una criminale, mi avrebbero comunque perdonata?

Cominciavo a credere di sì, adesso.

 

 

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