My Father's Eyes

di Easily Forgotten Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***



Capitolo 1
*** I ***


A riprova che la distinzione fanfiction / originali non regge, ce ne usciamo con un’opera che è difficilmente classificabile nell’una o nell’altra categoria.
Perché è una fanfiction, in quanto comunque ispirata a personaggi realmente esistenti che ruotano attorno ai Placebo, ma nella pratica dei fatti è tragicamente una originale a tutti gli effetti.
Speriamo possa piacervi e vi auguriamo buona lettura, premettendo i soliti avvertimenti dovuti: i pg di questa storia non ci appartengono (fatto salvo per quelli palesemente inventati), non c’è alcuno scopo di lucro, non s’intende offendere nessuno né tanto meno dare una rappresentazione veritiera della realtà.
 
 
"My Father's Eyes"
 
Penso che il mio primo giudizio su Cody Molko fu dettato dallo stupore che mi suscitò lo scoprire che era tutto meno che un ragazzino viziato.
Il punto è che, mentre lo osservavo da lontano chiedendomi che tipo fosse, m’immaginavo un ragazzo ricco, bello, in gamba e quindi – quasi quale conseguenza naturale – snob, superficiale e vagamente pretenzioso.
Sul serio, credo che passai le prime due settimane di vita nella nuova scuola a studiarlo a distanza di sicurezza ed a vedere le mie idee su di lui crollare una dopo l’altra come un grazioso castello di carte.
E tuttavia, sebbene dopo quelle due settimane mi fosse ormai chiaro che Cody era esattamente come tutti gli altri ragazzini di quattordici anni esistenti nel mondo, quando quella mattina lo vidi sedere da solo a leggere in un angolo del cortile, le cuffie di un lettore mp3 nelle orecchie, ancora non avevo idea di chi lui fosse.
Per cui fu con il cuore in gola che batteva a mille ed un presagio di disastro imminente che mi decisi alla fine a scendere a patti con il mio terribile interesse nei suoi confronti e mi avvicinai cautamente per tentare di…
“…oddio…Fare cosa, Luke?!”
Mi fermai di botto. Praticamente a due passi da lui. Ed inevitabilmente questo attirò la sua attenzione e lo indusse ad alzare gli occhi dal libro tra le mani.
Gli occhi di Cody…
Il loro colore fu la prima cosa di cui ebbi piena percezione il giorno in cui entrai in classe e l’insegnante di letteratura mi presentò ufficialmente ai miei nuovi compagni. Cody era seduto in prima fila, parlava con una ragazza che era dietro di lui ed io ho conservato un’immagine quanto mai precisa delle sue spalle strette nella giacca scura e della schiena coperta dai lunghi capelli neri. Sentì la voce del professore annunciare la mia presenza e si voltò.
Gli occhi di Cody sono azzurri. O verdi. O grigi.
O di qualunque altro assurdo colore che decidano di prendere in base al suo umore, alla luce nel suo sorriso, all’inclinazione del volto, al socchiudersi delle palpebre sull’iride. Gli occhi di Cody sono una delle cose più belle che siano mai state create nell’Universo.
Penso che non potesse andare diversamente da come andò. Semplicemente lui mi guardò, io lo guardai e smisi all’improvviso di fluttuare nel limbo d’insoddisfazione che l’ennesimo trasferimento di mio padre aveva portato con sé. Smisi di fluttuare anche nel torpore infastidito in cui mi ero chiuso dal mio arrivo in quella città.
E persi la testa.
Innamorato.
Completamente, totalmente, stupidamente. Assurdamente.
-Chi è?- fu la domanda che rivolsi al mio compagno di banco.
Lui mi scrutò un secondo e poi si voltò nella direzione che indicavo, Cody parlava di nuovo con la stessa ragazza. E rideva. Il mio compagno inarcò le sopracciglia.
-Cody Molko.- rispose rapido, riprendendo subito a scrivere frettolosi appunti su quanto il professore stava spiegando.
-…Mol…Molko?- ripetei senza capire.
Il ragazzino sogghignò divertito.
-Sì.- mi disse gettandomi un’occhiata piena di compassione.- Sai, come suo padre, il cantante dei Placebo.- mi prese in giro.
Il mondo mi crollò addosso l’istante dopo aver ripreso il proprio corso ordinario. Capii in meno di un momento che le probabilità di riuscire anche solo ad avvicinarmi a Cody erano pari a zero. E capii il momento successivo che guardarlo da lontano non mi sarebbe mai bastato.
Ovviamente per quelle prime due settimane me lo ero fatto bastare a forza.
Cody era una specie di celebrità a scuola, chiaramente, e scoprii in fretta che non dipendeva solo dal cognome che portava. Anzi, non dipendeva da quello quasi per nulla.
Perché mi fu chiaro abbastanza in fretta che Cody ed il proprio cognome non andavano molto d’accordo.
Lui si rifiutava categoricamente di sfoggiare il classico atteggiamento da “lei non sa chi è mio padre!”, frequentava sempre lo stesso giro di amici fidati che lo trattavano come uno qualunque di loro, scansava educatamente coloro che lo cercavano solo per via di suo padre, era uno studente modello a scuola ed una persona educata, cordiale, disponibile e gentile con qualunque altro essere vivente entrasse nel suo raggio d’azione anche solo per un momento.
Fu proprio questo suo essere un perfetto… “angelo” a convincermi. Così appena lo beccai quella mattina, durante una pausa tra le lezioni, a leggere da solo nel cortile, presi il coraggio con tutte e due le mani e, prima che qualcuno del suo branco di fedelissimi tornasse a salvarlo, mi diressi verso di lui.
E mi fermai di botto realizzando che non sapevo neppure io cosa avevo intenzione di fare.
Io e Cody frequentavamo insieme un paio di corsi, ma a parte questo non avevo nessun indizio reale che lui si fosse anche solo accorto della mia esistenza in quelle due settimane.
Eppure mi sorrise.
-Ciao.- mi sentii salutare.- …Luke Perrington…vero?- mi chiese a disagio.
Ed io provai immediato il desiderio di morire lì, all’istante, e non dovergli rispondere.
“…ah già…il prof…”, mi spiegò pazientemente il mio cervello, emergendo dal fondo della confusione nella quale stava affogando.
-Sì. E tu sei Cody Molko.- riuscii a tirare fuori imbarazzato, concedendomi un sorrisetto così forzato che mi stupì il fatto che non mi scoppiasse a ridere in faccia per quanto ero ridicolo.
“Avanti, cretino! Digli qualcosa!!!”
-Sai…io sono un grandissimo fan di tuo padre…
Il sorriso di Cody si congelò sul suo viso. Tutta la sua gentilezza scivolò via come una maschera e salì su un tale freddo distacco da rendere lo sguardo di un blu così fondo ed imperscrutabile da perdersi.
Non ebbi bisogno delle sue parole per comprendere che avevo appena toccato un nervo scoperto.
E che ne avrei pagato le conseguenze.
-Io – mi disse a mezza voce, duramente – non sono mio padre.
Oh, se ne avrei pagato le conseguenze!
***
Quando entrai nella band lo feci senza dire nulla a nessuno.
Davvero.
Nemmeno ad Amy.
Trovai un manifestino a scuola, di questi tizi che cercavano un chitarrista, e decisi che volevo provare. Avevo iniziato a suonare la chitarra da poco in realtà. O meglio, a me, abituato a quasi sette anni di pianoforte, sembrava poco, molto poco. Decisamente troppo poco per entrare davvero in una band.
Chiaramente, però, non stavamo parlando di nulla di serio, solo di una band scolastica che prendeva vita e che probabilmente sarebbe morta da lì a qualche mese.
Forse per questo non dissi nulla. Perché non era davvero importante.
Ma credo che dipese più che altro dal terrore che avevo che quei tizi sapessero chi ero ancora prima che mi presentassi da loro. Così badai che nessuno di quelli che mi conoscevano intuisse anche solo vagamente la mia intenzione ed incontrai per la prima volta Mike, Gab ed il batterista di allora.
Le mie accortezze, come ovvio, erano state inutili e loro sapevano chi ero. Tuttavia, per mia fortuna, questo dannato cognome che porto fu visto come un elemento di demerito ed io fui accolto da un clima di fredda aspettativa e dallo sguardo glaciale ed inquisitorio di Mike. Lui aveva già deciso: come fossi andato sarei stato comunque fuori e possibilmente con una bella pedata morale da smaltire. Ebbi la percezione esatta del suo cervello che lavorava febbrilmente nell’ideare la battutaccia da rivolgermi contro appena avessi smesso di suonare, quindi fui stupito come non mai nell’accorgermi che, man mano che la mia chitarra sciorinava le proprie note, l’espressione di Mike mutava lentamente.
Alla fine non ci fu alcun “benvenuto”, ma, secco come era solito, il bassista si limitò ad annunciare che ero nella band. E tanti saluti.
A quel punto lo dissi.
Ad Amy per prima, perché si complimentasse con me gridando e buttandomi le braccia al collo, e potessimo rotolarci tutti e due sull’erba nel giardino dietro casa solo per sentirci immensamente stupidi ed immensamente felici.
…Ed a mia madre.
Perché a mia madre non ho mai nascosto chi sono.
Magari non gliel’ho neppure spiegato, ma non gliel’ho mai nascosto. E questa cosa doveva saperla perché, seppure lo negassi anche con me stesso, era talmente importante da poter cambiare tutta la mia vita.
Sia chiaro da subito che non sogno di fare il musicista rock. Non mi ha mai interessato davvero seguire le orme di mio padre, anzi. Avevo, credo, quattro anni quando per la prima volta sono entrato nel salotto di casa, dove mia madre stava prendendo il the con un gruppo di amiche, ed ho annunciato a tutti che da grande avrei fatto il medico. Il cambiamento a cui mi riferisco nel parlare della band, è quello che riguarda la mia accettazione di un’eredità paterna che, fino a quel momento, avevo comunque assaggiato ma non a pieno. Il piano prima – era stata un’idea di mio padre ed io avevo anche provato ad osteggiarla, ma solo per ritrovarmi completamente stregato da quel dannato strumento e finire per non poterne più fare a meno – la chitarra dopo – e stavolta l’avevo scelta io stesso, di nascosto a lui, perché non capisse quanto a fondo era entrata la musica in me – avevano significato comunque dover accettare di portare il cognome Molko e che quel cognome qualcosa dovesse significare.
Nonostante questo, non volevo certo che mio padre lo sapesse.
E da qui le bugie. Prima implorate da mia madre – aveva detto che la mettevo in un mare di guai e che, se papà lo avesse saputo, si sarebbe infuriato a morte e ci sarebbe rimasto malissimo – e poi costruite ad arte intorno a me. La band doveva restare anonima. Io non dovevo esistere, non dovevo farne parte. Qualunque cosa venisse decisa, ufficialmente era opera di Mike e solo sua, Mike prendeva accordi con i locali, Mike faceva pubblicità al gruppo, Mike e Gab erano le uniche due figure “reali” della nostra band.
Non era una gioco difficile. Papà non sapeva nemmeno chi fossero i miei amici, li aveva visti in tutto un paio di volte, quando si erano trovati a girare per casa, e non aveva nemmeno realizzato la loro presenza. Riuscire a farli passare sotto il suo naso era persino troppo semplice. Se domandava, erano degli anonimi “compagni di scuola”, se provava a chiedermi come si chiamassero, non avevo nemmeno bisogno di inventare o fare il reticente. Già il mattino dopo erano spariti nel mare di cose più importanti che affollavano il suo cervello.
Succedeva perfino con Amy.
Solo nell’ultimo anno lui l’aveva già incontrata almeno quattro volte e tutte e quattro le volte, quando lei lo aveva salutato educatamente nel corridoio, lui l’aveva fissata realizzando che – per quanto gli ricordasse indubbiamente qualcuno – il suo nome si era perso da qualche parte e lui poteva solo rispondere un “ciao” stentato ed imbarazzato.
Amy ne aveva riso in tutte le occasioni, ma io avevo perso completamente la testa ed erano seguite scene di panico, con urla nei corridoi di casa e porte sbattute.
Mio padre si era difeso affermando che “lui sapeva esattamente chi fosse Amy, solo non riusciva a ricollegare il viso ad un nome! Non potevo certo fargliene una colpa!”. Io avevo pensato che, in effetti, non c’era un solo motivo valido per cui dovesse ricordarsi il nome di Amy.
In fondo, lei viveva nella casa accanto alla nostra da quando aveva cinque anni. E da allora io e lei eravamo sempre stati assieme. Ma probabilmente se mia madre non lo avesse chiamato tutte le sere per parlargli di me, mio padre avrebbe avuto difficoltà a ricordare anche il mio di nome.
-Sono a casa!- annunciai a gran voce alla cucina.
Mia madre si affacciò in tempo per vedermi tentare inutilmente di sfilare la chiave dalla toppa della porta sul retro. Quella dannata serratura era rotta da quando riuscivo a ricordare, ma, per qualche assurda ragione, anche se tentavamo di ripararla si rompeva dopo pochi giorni. Forse per questo mia madre aveva rinunciato da tempo a chiamare il fabbro. Rise della mia espressione concentrata e mi venne incontro per aiutarmi.
-Cody, ma perché non entri dall’ingresso principale? così non devi ogni volta fare questo casino.- mi disse divertita.
Io sbuffai, la frangetta oscillò e ricadde in quel soffio, coprendomi nuovamente gli occhi e facendo sorridere mia madre, che allungò una mano a restituirmi le chiavi ormai libere e l’altra a scostarmi i capelli dal viso in una carezza.
-Ehi, piccolo, andata bene a scuola?- s’informò.
Mossi qualche passo nella cucina, sbarazzandomi del tascapane a tracolla, che lasciai cadere accanto ad uno degli alti sgabelli che circondavano il tavolo.
-Ni.- risposi, guardandomi attorno affamato, alla ricerca di qualcosa da spilluzzicare in attesa della cena. Avanzai minacciosamente verso il frigo e ci infilai risolutamente la testa.- Ho un altro test di algebra la prossima settimana. Ti rendi conto che è il terzo questo mese?!- protestai. Allungai una mano e catturai il brick del latte con uno sguardo soddisfatto.- Alla faccia delle prove programmate!- Mentre versavo il latte in un bicchiere, mia madre aprì la credenza accanto a me e mi porse un piatto di cookies che accolsi con sguardo riconoscente. Mi arrampicai su uno degli sgabelli mentre lei mi sedeva accanto e continuai imperterrito.- Insomma, è una tortura non da poco, no?
-Beh, tanto andrà bene come gli altri…- provò lei.
-Aaah!!!- esclami io stizzito.- Non è questo, mamy! È che se studio non posso provare con gli altri e Mike è terribilmente irritato per questo…
-Irritato?- ripeté lei perplessa, strappandomi una risata.
-Scusa, è un modo carino per dire che è incazzato nero.- spiegai, affogando il primo biscotto.- Sai come è fatto. E poi è tipo eccitatissimo per qualcosa in questo periodo! Continua a blaterare che ha un progetto fantastico in mente e che, se riesce come si aspetta, sarà una svolta definitiva. Ovviamente si capisce da solo, ma con Mike è così sempre.
Mia madre continuava a ridere ed io sorrisi soddisfatto.
Mi piaceva vederla ridere, le si illuminava lo sguardo e le venivano delle fossette carine intorno alla bocca. Lei mi diceva che erano piccole rughe d’espressione, io pensavo che era così vera e naturale quando rideva che me ne sarei potuto innamorare, se non fosse stata mia madre. In quelle occasioni finivo per chiedermi se fosse proprio per cose come quella, per quei particolari, che mio padre si era innamorato di lei.
Così cominciai a raccontare. Solo per farla ridere ancora, solo per potermi beare di quel suo viso sereno e disteso.
-Tu immagina la scena- iniziai con trasporto, spostando latte e biscotti per avere spazio e prendere a mimare gli eventi mentre li raccontavo.- Eravamo seduti tutti lì, nella stanzetta che usiamo per provare, ed arriva Mike, spalancando la porta con la boria che lo contraddistingue. Si mette davanti a noi mani sui fianchi e fa “Ho avuto un’idea GENIALE!”.- lo sbottai imitando con precisione il tono da “grandi occasioni” di Mike e mia madre, che lo conosceva benissimo, rise più forte ed annuì con convinzione.- A quel punto, ovviamente, io me ne sono uscito sbuffando come al solito, Gab ha cominciato a gridare “sììì!!!” con tono entusiastico a priori e Fran lo fissava ad occhi spalancati e bocca aperta, come se gli avessero appena piazzato davanti un cono gelato di proporzioni gigantesche! Vale è stata l’unica a guardarlo impassibile, ha accavallato le gambe stile vamp e lo ha scrutato a lungo, facendo “perciò?”.
Mamma smise di ridere. Si asciugò distrattamente l’angolo di un occhio, soffocando la propria ilarità e guardandomi.
-Perciò?- ripeté.
-Ah, boh! Mica ce lo ha detto!- esclamai io, ributtandomi sulla merenda. Mentre masticavo un secondo biscotto, chiarii- Si è limitato a gonfiarsi come un pollo da combattimento ed a mettersi lì con la faccia del “fidatevi del vostro capitano!”.
-…faccia che preannuncia sempre guai.- notò mia madre per me.
Assentii con il capo, mentre lei si sporgeva nuovamente a scostarmi i capelli dal viso e dalle spalle, prima che finissero nel bicchiere. -Comunque ho davvero troppe cose a cui pensare in questo momento per occuparmi anche delle idee geniali di Mike.- sospirai, gettandole un’occhiata di traverso.
Fu a quel punto che suonò il telefono.
Visto l’orario poteva essere solo per me, così mi lasciai cadere giù dallo sgabello ed andai a rispondere prima che lo facesse la domestica. La voce di Gabriel mi arrivò immediata all’orecchio, ancora prima che io avessi il tempo di finire il mio “pronto” e piazzarci un bel punto interrogativo alla fine.
-Cody!- strillò terrorizzato.
Ora. Gab è una delle persone più tranquille e positive che io conosca. Il classico tipo che in mezzo al disastro ti guarda, sorride e ti dice che alla fine poteva anche andare peggio. Questo significa che per far strillare terrorizzato lui deve essere successo qualcosa di ancor più che disastroso. Un ottimo motivo, insomma, per avere paura di sentirlo al telefono esordire con un “Cody!” che mi fece pensare che sarei morto entro la fine della giornata.
-…Gab?- provai a fermarlo prima che si mettesse a piangere al telefono.
-O.k.- sbottò subito lui, come se avesse bisogno di farsi coraggio per dirmi qualcosa. E lo ribadì anche.- O.k.! Ascoltami e non arrabbiarti.
-Gab, se esordisci con “non arrabbiarti” è perché sai che lo farò!- feci notare cominciando da subito a spazientirmi.
-Sì, beh, ecco…E’ che ho scoperto che idea ha avuto mio fratello e…
Allora sì che ebbi davvero paura.
-E…- incalzai a mezza voce.
Gabriel respirò a fondo, prese tempo, mi fece perdere quel poco di pazienza che ancora conservavo nonché tre anni almeno di quelli che mi restavano da vivere.
-Gab!- strillai a mia volta.
-Cazzo, Cody! Ci ha iscritti ad un concorso musicale!- strepitò lui tutto d’un fiato, senza nemmeno prendere pause tra una parola e l’altra.
Sapete, se si vuole passare inosservati chiamandosi Cody Molko, una cosa da non fare mai, per nessuna ragione, è prendere a frequentare un covo di gente che, come mestiere, si occupa di musica.
-…cosa ha fatto?- ripetei in un sussurro talmente fioco che Gabriel nemmeno mi sentì.
Anche perché era già partito con una sequela infinita di “scuse”, che di sicuro non avrebbe dovuto porgermi lui per suo fratello e che, per giunta, non valevano minimamente a ridimensionare la questione.
Questione che avrei dovuto quanto prima discutere a tu per tu con Mike.
-Gabriel, dov’è quel coglione di tuo fratello?- mi informai quindi, interrompendo quel flusso continuo senza averne ascoltata nemmeno una sillaba.
-Cody, io sono sicuro che se magari gli parlo…- provò lui con un gemito strozzato.
-Senti, Gab! Se a tuo fratello gliene fosse fregato qualcosa si sarebbe almeno preoccupato di chiedere il mio parere!- scattai stizzito.- Invece si è limitato a mettermi in un mare di merda senza nemmeno essere così carino da avvisarmi in anticipo!
-Co…
-NON DIRE CODY!- lo interruppi ferocemente.- Mettiti nei miei panni, dannazione!- scattai quindi, battendomi una mano contro la fronte e tirando indietro quella dannata frangia che continuava a finirmi negli occhi. Mi lasciai andare contro il muro con un sospiro pesante.
Mettersi nei miei panni. Nessuno di loro poteva mettersi nei miei panni. Nessuno di loro aveva un padre famoso che gli pesava addosso con la propria notorietà, rendendo qualunque cosa decidessero di fare assolutamente fuori dell’ordinario solo in virtù di questo. Magari a pensarci sembrava una cosa incredibilmente “forte”, ma la verità è che era solo terribilmente “ingombrante”.
-Va bene, ora non ho tempo.- conclusi seccamente, chiudendo la comunicazione e bestemmiando contro me stesso per non aver capito da subito che, qualunque idea geniale Mike avesse avuto per il gruppo, per me sarebbe stata un grossissimo problema.
 

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Capitolo 2
*** II ***


mfe2
Il rifiuto più che chiaro che Cody mi aveva presentato al mio primo timido tentativo di approccio mi aveva gettato nello sconforto nero. Chiaramente il suo “no” non era certo sufficiente a far desistere il mio dannatissimo cuore dal partire in quarta ogni volta che per sbaglio individuavo la presenza di Cody da qualche parte intorno a me, per cui continuavo ad adorarlo in silenzio, dal mio angolo adesso ancora più lontano, e mi disperavo nella vana speranza di trovare un modo per recuperare terreno.
Quando quel modo si presentò spontaneamente, fu una cosa così inaspettata ed assurda che nemmeno lo riconobbi per ciò che era.
Gabriel Peirce era uno dei ragazzi che frequentavano Cody più assiduamente. Sapevo anche che era una frequentazione che andava oltre l’orario scolastico, perché più di una volta mi era capitato di cogliere stralci di conversazione per appuntamenti dopo le lezioni. Per un po’ avevo pensato che tra loro ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia, ma probabilmente dipendeva solo dalla confidenza che si respirava e dal fatto che Gabriel era bello quasi più di Cody.
Eppure, nonostante tutto, quando quel giorno me lo trovai davanti sulla strada per casa, ebbi difficoltà a riconoscerlo e rimasi un attimo interdetto dopo che lui ebbe richiamato la mia attenzione salutandomi e rivolgendomi un sorriso.
Alzai il volto e ricambiai lo sguardo di un ragazzino della mia età, con un viso così bello ed un’espressione così luminosa e serena, aperta, da lasciare senza fiato. Studiai il suo fisico asciutto, alto e magro, nascosto dagli abiti insoliti: i jeans a vita bassissima, la maglietta dal taglio femminile di un fucsia acceso, le maniche troppo lunghe che si arricciavano sulle mani ed una scollatura a V che lasciava intravedere il collo di una seconda maglietta verde acido ed un laccio di cuoio con un tribale in argento. Aveva un sorriso magnetico, che sgomentava per l’assoluto candore che ostentava, e due occhi di un verde brillante - simile al vetro delle bottiglie per quanto era limpido ed acceso - in cui quel sorriso si rifletteva come in uno specchio.
-…ciao…- borbottai rispondendo al saluto.
Il suo sorriso non vacillò nonostante il mio imbarazzo. Tirò indietro i lunghi capelli castani - chiarissimi, venati di riflessi di biondo appena ramato - che gli ricadevano sulle spalle gonfiandosi in un accenno di onda. Poi saltò giù dal muretto su cui sedeva e mi venne incontro.
-Dì la verità, non ti ricordi chi sono.- mi disse senza alcun fastidio.
Sbuffai a disagio ma annuii.
-Sono Gabriel, mi hai visto con Cody.- mi spiegò con semplicità, fermandosi davanti a me ed agganciando i pollici alle tasche dei jeans, che scivolarono ulteriormente in basso mettendo in mostra l’elastico chiaro dei boxer.
Distolsi immediatamente lo sguardo, arrossendo.
-Sì.- mi affrettai a confermare, ricordandomi immediatamente di lui e realizzando che senza la divisa scolastica e con i capelli sciolti era praticamente un’altra persona…Oddio…non che con la divisa fosse meno intrigante…ma che accidenti andavo a pensare…?! Cercai qualcosa di intelligente da dire, ma non mi venne in mente nulla e così tirai fuori l’unica cosa che mi premeva sinceramente sapere.- Senti, non per farmi i fatti tuoi, ma cosa vuoi da me?
…anche in modo tutt’altro che gentile, riflettei subito dopo.
Gabriel sgranò gli occhi, sorpreso da una domanda tanto diretta e dal tono neutro in cui era stata posta. Io pensai meccanicamente che ero un cretino, ma poi mi arresi all’idea di non poter rimangiare quello che avevo detto.
-Scusa. Magari avevi da fare.- mormorò giustamente lui a disagio.
Scossi il capo, chiudendo gli occhi e tentando di trovare le parole migliori per dirgli “Guarda che ti sbagli, è solo che sono un imbecille ma tu cerca di non farci troppo caso”, senza perdere per questo quel poco di dignità che mi rimaneva.
-No, senti, è che mi hai preso un po’ alla sprovvista.- dissi sinceramente.- Sai, sono abituato ad essere invisibile…- aggiunsi a mezza voce con un sorriso storto.- e tu mi sei apparso davanti e mi hai salutato per primo e…- esitai. Stabilii quanto volessi rendermi ridicolo e poi continuai- sembrava quasi che mi stessi aspettando.- conclusi sbuffando in una risatina divertita prima che ci pensasse lui.
Ma Gabriel non rise affatto.
-Infatti ti stavo aspettando.- ammise invece.
“Ah”
-…come?
Sembrò in difficoltà. Distolse lo sguardo controllando se c’era qualcun altro a parte noi che potesse ascoltare quello che stava per dire, quando si voltò di nuovo e parlò lo fece in tono basso, avvicinandosi a me. Il suo profumo m’investì dandomi letteralmente il capogiro.
Ma da dove accidenti usciva quel tipo?!
-O.k., ora non uccidermi se sarò molto diretto, ma mi sembra idiota girarci attorno.- iniziò prendendo la cosa alla larga e mettendomi subito in agitazione.- Mi è parso che tu provassi…un certo interesse per Cody. Voglio dire, un interesse di un certo tipo…- si spiegò.
A merito di Gabriel devo dire che lui usò tutto il tatto possibile, date le premesse. Tuttavia era anche ovvio che io mi sentissi all’incirca come se mi avessero appena sparato e che mi ritrovassi a boccheggiare senza capire di cosa stavamo parlando esattamente.
Nonostante il qualcosa di cui stavamo parlando mi fosse più che chiaro.
Mi tirai indietro di scatto, nemmeno lui mi avesse schiaffeggiato, e presi a scuotere energicamente la testa ed a negare recisamente.
-Ma che idea assurda!- strillai isterico.- Assolutamente no! Che cosa ti salta per testa?! Io e Cody?! Non sono mica gay, io…
-Guarda che non hai motivo di vergognarti, sono gay anch’io.
“…io sono perfettamente eterosessuale, solo che quel dannatissimo ragazzino ha due occhi che ti si piantano addosso e quindi ti va in pappa il cervello e non ti rendi neppure conto che, in questo preciso istante, a riprova della tua eterosessualità, stai fissando il suo migliore amico come se volessi mangiartelo con gli occhi!...Oddio, Gabriel, ma che diavolo mi fai pensare?!”
Rilasciai l’aria nei polmoni tutta d’un colpo e ne venne fuori un suono molto simile all’“Ah” che avevo pensato solo pochi istanti prima.
Gabriel rise, ma questo non riuscì ad infastidirmi come avrebbe dovuto, istintivamente compresi che non stava ridendo di me, ma che era semplicemente divertito da tutta quella situazione e dalla giusta reticenza che avevo mostrato davanti alla possibilità di fare outing con un perfetto sconosciuto. Così finii per rilassarmi e sorridergli timidamente a mia volta.
-Beh, se ti espongo da subito la mia “debolezza”, non avrai motivo di sentirti aggredito quando dico che mi sono accorto di come guardi Cody.- mi spiegò gentilmente.
-Diamine, è così smaccato?!- piagnucolai io.
Gabriel fece una cosa carinissima con la testa, oscillando da un lato all’altro come se stesse valutando quello che gli avevo chiesto, mi diede l’idea di un bambino piccolo e mi strappò un nuovo sorriso.
-Beh, un po’!- sbuffò alla fine ricambiando il mio divertimento con un pizzico di affetto che mi stupì.- Posso dirti che con tutta probabilità Cody non se n’è nemmeno accorto, ma lui è fatto così, non ci bada neppure all’idea che gli altri hanno di lui e, quindi, non si accorge di quello che suscita intorno a sé.
Non avevo alcuna difficoltà a credergli. Sospirai, consapevole che in modo gentile Gabriel mi stava comunque dicendo che non avevo molte possibilità di farmi notare da Cody.
-O.k.,- assentii mostrandomi decisamente più rilassato.- hai detto che mi aspettavi, ma non mi hai ancora spiegato perché.- gli feci notare con un sorriso rassegnato.
Gabriel mi guardò con un’espressione furbetta, si sporse ancora verso di me e mi sussurrò appena, direttamente all’orecchio.
-Sai mantenere un segreto?- Un brivido mi corse lungo la schiena. Annuii ancora, meccanicamente.- Allora sei invitato alle prove dei Bright Eyes.
-…di chi…?- borbottai senza capire.
Gli occhi verdi di Gabriel brillavano di malizia. Ed io pensai che c’era qualcosa che non mi stava dicendo.
***
La prima cosa che pensai fu che avrei ucciso Gab.
Lentamente, se possibile.
Quindi presi a stabilire esattamente le modalità. E dovetti fermarmi quando Amy, notando il mio silenzio ed il fatto che continuavo a spostare lo sguardo dal viso rosso d’imbarazzo di Luke Perrington a quello sorridente e felice di Gabriel – che stava evidentemente pensando “scusami, Cody, ma ne va della salute fisica di mio fratello, cerca di capirmi.” – mi tirò per la manica della camicia per indurmi a prendere una decisione qualunque ed a spiccicare almeno una sillaba che seguisse il mio saluto all’ingresso nello scantinato che usavamo per provare.
-Bene!- esclamai subito, con entusiasmo. Troppo entusiasmo. Ero chiaramente stato preso alla sprovvista e lo stavo dichiarando al mondo intero. Mentre notavo il rossore sulle guance di quel poveraccio di Perrington aumentare a dismisura, proseguii tentando di controllare il mio tono di voce.- Siamo felici di averti qui, Luke.- mentii spudoratamente, sorridendogli in un modo che sperai sembrasse rassicurante. Lui biascicò una risposta di qualche tipo, che io non ascoltai nemmeno ma ritenni sufficiente per voltarmi a squadrare Gabriel con lo stesso identico sorriso falso stampato in faccia- Posso parlarti un momento, Gab?- domandai.
-Cer…
Ma non lo feci finire, afferrandolo per un braccio e trascinandomelo dietro mentre raggiungevamo un angolo nascosto dello scantinato, mollando Luke a seguirci con uno sguardo da cucciolo impaurito. Lo ignorai.
-Che cazzo stai facendo?!- aggredii immediatamente Gabriel, sibilando a bassa voce perché mi sentisse solo lui.
-Cody, avevi detto tu che ti sentivi in obbligo di scusarti visto il modo in cui ti eri comportato, e che non avevi avuto nessun diritto di farlo, e…- Mi agitai, infastidito, facendogli cenno di tagliare corto.- Pensavo che invitarlo alle prove potesse essere un’idea carina per chiedergli scusa.
-E soprattutto hai pensato che, con lui presente, io mi sarei guardato bene dallo sbranare Mike per essere un cretino totale!- ringhiai io.
Gabriel se ne uscì con un sorrisetto di scusa, ma non disse nulla, confermando quanto avevo appena finito di dirgli.
Fu a quel punto che il resto della band arrivò.
Francis, il nostro batterista nonché la nostra “mascotte”, saltellò – letteralmente – nello scantinato per primo. I suoi occhioni celesti, il suo musetto paffuto ed i suoi riccioletti biondi da puttino si affacciarono alla porta, lui allargò un sorrisone immenso nel riconoscerci, abbozzò un saluto silenzioso e zompettò dentro, adocchiando Luke – che lo fissava come avesse visto un marziano – e voltandosi a me con aria interrogativa. Fu Gabriel a fare le presentazioni, in ogni caso, approfittò di quella intrusione per sfuggire alle mie grinfie e si rigettò addosso a Luke, stringendoselo contro come fosse il suo migliore amico e presentandolo a gran voce proprio mentre suo fratello Mike e Valentina entravano dalla stessa porta usata dal batterista e coglievano tutto insieme il delizioso quadretto di assurdità che eravamo lì dentro.
-Beh?!- esordì Mike con la poca grazia che lo contraddistingue in ogni sua manifestazione.- Cos’è, una festa per sfigati?! Chi accidenti è questo Luke Perrington, Gab?
-Un compagno di corso mio, di Cody e di Amy.- spiegò Gab, tirando una manata rassicurante sulla spalla del povero Luke, quest’ultimo ormai bianco come un cencio lavato dopo l’ingresso della fotomodella / dark lady in viola ed occhi cerchiati di nero profondo e del suo accompagnatore, che era più o meno una versione adulta e “maschia” di Gab: stessi colori, stessi occhi verde bottiglia, stesso fisico asciutto e slanciato, espressione strafottente e prevaricatoriamente arrogante.
Sospirai. Ma poi mi ricordai del motivo per cui ero arrivato allo scantinato quel pomeriggio e la rabbia tornò a prendere il posto di ogni pensiero di pietà e compassione nei confronti di Luke. Accantonai la sua presenza mentre arricciando il naso mi dirigevo verso la mia chitarra, ancora accuratamente riposta nella propria custodia ed appoggiata al muro. Liberai lo strumento ascoltando in sottofondo le voci di Vale e Gab perdersi in una compita dissertazione sul livello di umiliazione sociale che la nostra band voleva raggiungere cominciando a raccattare qualsiasi cosa trovassimo in giro.
Vale ha un modo tutto suo di manifestare il proprio ego. Che è smisuratamente ampio e tragicamente snob. È talmente abituata a badare a se stessa ed alla necessità di nutrire quello stesso ego, che difficilmente si rende conto, quando parla, della sensibilità altrui e dei possibili riflessi che hanno le sue parole su di essa.
Mi tirai in piedi, in tempo per sentire Gab ridere con la solita sincerità disarmante e liquidare il discorso di Valentina con uno scrollare sfarfallegiante della mano dalle dita lunghissime. Io non commentai, Amy raccolse ciò che restava di Luke e se lo portò in un angolo sorridendogli in quel modo dolce e rassicurante che è tutto suo, Mike imbracciò il basso mentre Fran si arrampicava sullo sgabello della batteria e spariva dietro i piatti e Vale mi imitò, liberando il proprio violino elettrico dalla sua custodia ed attaccandolo all’amplificazione. Come sempre Gab aspettò che noi quattro finissimo di collegare gli strumenti e cominciassimo da soli a provare qualche accordo dalle canzoni solite, lui girellava per la stanzetta, un po’ ascoltando la musica ed un po’ canticchiando a voce bassissima il motivetto portante, poi, quando toccava a lui, si avvicinava tranquillamente al microfono e cominciava a cantare.
Vorrei poter dire che quel giorno andò come tutti gli altri. Che come sempre la voce di Gabriel si sposò armoniosamente perfetta con il suono dei nostri strumenti, che questi crearono tra loro quell’alchimia sottilissima ma intensa che ormai era la nostra impronta di gruppo, che Amy e Luke apprezzarono l’esibizione privata che era stata messa su per loro due soltanto…Vorrei poterlo dire perché odio, a volte, il mio modo ridicolo ed infantile di ostinarmi.
Ma è proprio quello che faccio di solito. Mi ostino. E rompo qualsiasi cosa abbia tra le mani pur di far sentire le mie ragioni.
Fu Mike il primo tra noi due a stancarsi. Non che ne fossi stupito, lui è più forte di me, più grosso e più cattivo, ma ha decisamente meno pazienza. Così smise di suonare di botto, tirò il filo dell’amplificatore per staccare il basso e si voltò con una specie di ruggito inferocito a scoccarmi un’occhiata rabbiosa che io ricambiai senza scompormi, limitandomi a togliere le dita dalle corde della chitarra.
-‘Cazzo stai suonando, Cody?!- mi apostrofò sgarbatamente.
Ricacciai il sorrisetto gratuito che mi affiorava alle labbra in fondo alla pancia ed incrociai le braccia sul corpo, rispondendo asciutto.
-Suono il cazzo che mi pare, Peirce.- notificai.
-Non nella mia band!- sbottò lui venendomi incontro con aria minacciosa.- E questa è la mia fottutissima band!- rincarò.
-Non è certo colpa mia se tu sei un coglione che non farsi rispettare dal gruppo!- gli ringhiai contro serrando i denti ed i pugni.
-Fanculo, Cody!
-Fanculo tu, pezzo di merda! Sai che non avresti dovuto iscriverci a quel concorso senza prima chiedermelo!- buttai fuori esasperato.
-Concorso?- sentii chiedere gelidamente alla voce pacata di Vale.
Nessuno di noi due le diede retta.
-Ah, allora è questo che pesa al nostro principino del cazzo!- mi derise Mike impietoso.- Non sia mai che paparino lo sappia! Che sappia che il principino suona la chitarra in una band rock, o mio Dio!- continuò in tono canzonatorio, fingendo svenevoli scene di panico.
-Sei uno stronzo fatto e finito, Mike!- sibilai tirandomi indietro come scottato.
Dietro di noi Amy si sollevò di scatto, avanzando nella stanza, probabilmente per evitare che arrivassimo a picchiarci. Mike mi squadrò freddamente e si strinse nelle spalle.
-E’ la mia band, Cody.- ribadì.- Se non ti sta bene, vai a farti fottere.
Valutai la sua affermazione. Tranquillamente. Poi sfilai la chitarra e tornai alla custodia senza rispondere, posai la chitarra e la sollevai infilandola a tracolla.
-Benissimo.- commentai soltanto.- Trovati un chitarrista.- annunciai uscendo.
Amy mi venne dietro in silenzio. Come sempre.
 

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Capitolo 3
*** III ***


A Gabriel…Gab – come lo chiamano tutti – piace parlare. Gli piace un sacco. Talmente tanto che a volte penso sia innamorato del suono della propria voce.
Oh, farebbe bene ad esserlo, ha una voce molto bella.
È meno scontato che a Gab piaccia anche ascoltare, invece è così: lui è un ottimo ascoltatore. È una persona che sta a sentire gli altri anche quando non ha voglia, uno di quelli che hanno una parola di conforto anche quando sono a pezzi loro per primi. È una persona positiva. In un modo a volte travolgente, casinista e folle. Ma ci si lascia trascinare volentieri da Gab, perché è carismatico ed affascinante in un modo suo soltanto.
Quella sera, dopo che le prove s’interruppero bruscamente con l’uscita di scena di Cody, si offrì di riaccompagnarmi a casa. Forse sentendosi responsabile di avermi coinvolto. Io ero abbastanza depresso da accettare, non avevo voglia di attraversare il quartiere a piedi, di notte, da solo; mi figuravo già di finire morto ammazzato in qualche angolo, nonostante non si trattasse affatto di quel genere di quartiere, come dimostrò la piacevole passeggiata che ci concedemmo per rientrare.
Ricordo che ero teso, oltre che depresso, e che continuavo a rimuginare tra me sul fatto che Cody, in realtà, non sembrava essersi neppure accorto della mia presenza in quella stanza. Chiaramente non avevo idea di cosa avesse originato il litigio tra lui e Mike, Gabriel però m’informò quasi subito del fatto che la band era sempre stata “il segreto di Cody” e che lui temeva che, una volta iscritti ad un concorso musicale, quella cosa sarebbe venuta fuori di sicuro con suo padre e lui avrebbe anche dovuto giustificare un mucchio di cose. Ovviamente io solidarizzavo con Cody, trovavo Mike un bastardo egoista e, se non lo dissi ad alta voce, fu solo perché Gab parlò da subito “di suo fratello Mike” e mi sembrava fuori luogo ripagarlo con insulti dopo che era stato comunque gentile con me.
Esaurito l’argomento, comunque, Gab mi chiese di me.
Lo fece con una naturalezza disarmante, fissandomi subito dopo in attesa ed ignorando senza problemi la mia espressione stupita e perplessa.
Non ero abituato a parlare di me. A nessuno, generalmente, interessava che lo facessi, per cui non sapevo nemmeno da che parte cominciare e glielo dissi.
-Beh…potresti dirmi da dove vieni e perché ti sei trasferito da noi…Cose così, insomma.- mi spiegò aggrottando le sopracciglia.
Ridacchiai nervoso.
-Veniamo da Edimburgo. Ma prima stavamo a Liverpool e prima ancora a Sheffield, dove sono nato. I miei sono di un paesetto sconosciuto nel Dorset…
-Caspita!- sbottò lui stupito.- Ma che razza di lavoro fa tuo padre per dover girare così tanto?!
-Nessun lavoro esaltante.- risi io.- In realtà lavora per una grossa società di intermediazione finanziaria.
-Sarete ricchi, allora.- sogghignò Gab.
Mi guardai attorno, fissando le mura altissime delle ville che ci circondavano.
-C’è qualcuno in questo quartiere che non lo sia?- m’informai scrollando le spalle.
Gab rise.
-Come farete senza chitarrista?- domandai a bruciapelo quando le sue risate si affievolirono fino a scomparire.
-Ah, figurati.- sbuffò lui divertito, sorridendo maliziosamente da sotto quegli occhi impertinenti.- Mike e Cody litigano in continuazione. Certo, Cody non aveva mai mollato la band prima di oggi…- aggiunse soprappensiero.- ma mio fratello non cercherà un altro chitarrista e puoi stare certo che farà di tutto pur di riaverlo dentro la band. E stai certo del fatto che Cody, anche se dice di non voler diventare un musicista, ha la musica nel sangue.
-Ma com’è che vi chiamate…Bright Eyes…?- chiesi ripescando il nome della band dai miei ricordi.
Gab sogghignò. Si fermò di botto e mi obbligò a fare altrettanto, fermandosi proprio di fronte a me. Sollevò con una mano la frangia a ciuffo che aveva davanti al viso ed indicò i propri occhi, puntandoli con un dito.
-Verdi.- disse- Come quelli di Mike. Cody li ha…azzurri.- decise alla fine.- Ed anche Fran e Vale.
-…avete scelto questo nome perché avete gli occhi chiari o avete scelto i componenti della band in base al colore degli occhi?- mi ritrovai a domandare.
-Nessuna delle due cose, in realtà.- mi confessò Gab ridacchiando.- E’ stato tutto uno scherzo e questo, teoricamente, non è nemmeno il vero nome della band. È successo che, però, non avevamo un nome per la band e stavamo tutti assieme un pomeriggio per sceglierne uno. Amy ha suggerito di chiamarci così, visto che avevamo gli occhi chiari tutti quanti, ma voleva prenderci semplicemente in giro. Noi abbiamo finito per chiamarci così per davvero in attesa di trovare un nome che ci piacesse e questo è ancora il nome della band ad oggi.- raccontò, concludendo il tutto con una risata delle sue.
Io sorrisi. Non tanto perché il racconto fosse davvero così divertente quanto perché Gab è molto coinvolgente nei propri stati d’animo.
Mi accorsi che eravamo praticamente arrivati al cancello della casa che avevano preso in affitto i miei e glielo indicai. Vidi la sua espressione cambiare radicalmente, assumendo un’aria maliziosetta che non capii finché lui non se ne uscì con quella proposta.
-Perché domani non vieni a studiare con me e Cody?
Io scossi la testa, arrossendo involontariamente.
-Non posso.- mi giustificai.- Domani pomeriggio ho i provini per entrare nella squadra di football.- gli dissi.
Gab sembrò riflettere su quello che avevo appena detto, ma non aggiunse nulla e si limitò a scrollare le spalle.
-Fa niente. Sarà per un’altra volta.- mi rispose.- Ci si vede, Luke.- salutò poi sorridendo ed agitando una mano mentre mi superava e si allontanava a passo svelto in direzione di casa propria.
Sospirai. L’indomani sarebbe stata una giornataccia ed avrei preferito milioni di volte passarla davvero a studiare con Cody e Gabriel…
***
-Io ancora non ho capito cosa ci facciamo qui!
Gab ci mise un po’ a voltarsi nella mia direzione. Sembrava troppo intento a cercare Luke nella masnada di armadi tutti uguali e vestiti d’identiche divise blu che occupavano il campo di football sotto le gradinate. Mi sistemai sulla scomoda panca di legno ed aspettai che l’attenzione di Gabriel fosse effettivamente su di me e lui riuscisse a mettermi a fuoco.
-Te l’ho detto!- strillò a quel punto, esasperato.- Sosteniamo un amico!
-Da quando Luke Perrington è nostro amico?- m’informai scettico sollevando un sopracciglio.
-Adesso non iniziare pure tu, Cody!- mi rimbrottò Gab, braccia incrociate sul petto e sguardo da tacchino da combattimento- Bastano Vale e Mike nel nostro gruppo per portare avanti la campagna “anti-sfigato”!- mi apostrofò.
Ridacchiai, riconoscendo in cuor mio che aveva ragione. Ma che ne avevano anche Vale e Mike nel dare dello sfigato al nanerottolo non troppo piazzato che riconobbi tra la folla blu. Lo additai a Gab perché lo individuasse anche lui e poi me ne disinteressai, proprio mentre l’allenatore si faceva avanti per mettere tutti ordinatamente in riga.
-Come fa ad essere un giocatore di football quella mezza sega?- sentii borbottare alla voce di Gab, mentre un cipiglio perplesso gli oscurava la fronte.
Repressi a stento una sonora risata, nascondendomi frettolosamente dietro la mano, poi però mi rimisi dritto sul sedile e finsi di interessarmi anch’io.
-Gab,- indagai intanto.- Mike ha detto niente ieri sera?
-Sì.- rispose lui frettolosamente, spingendo il busto in avanti per seguire meglio l’inizio della partita. Il mister della squadra aveva diviso gli aspiranti giocatori in due squadre, aggiungendo i giocatori “regolari” ad entrambe per coprire i ruoli mancanti, si sarebbero affrontati in un match di valutazione.- Che sei un cretino.- proseguì piatto il rosso.
-Ah!- commentai io leggermente ferito.
Gab mi guardò.
-E poi che puoi morire se speri che lui ritiri l’iscrizione al concorso. E che tornerai strisciando ad implorarlo di riprenderti.- aggiunse nello stessono modo piano, sbattendo gli occhi verdi con aria fascinosa e producendosi così in una riuscita imitazione di Bambi.- Poi ha detto che potevamo andare a farci fottere ed ha sciolto la riunione.
-Elegante come sempre.- tirai.
Gab si strinse nelle spalle. Nel campo sotto di noi qualcuno urlò di dolore e lui si voltò indifferente a vedere chi fosse.
-E’ Mike.- sminuì intanto, riferendosi alle mie parole di poco prima.
Mi voltai come lui, prestando attenzione al pestaggio regolamentato che si stava svolgendo più sotto. Arricciai il naso.
-E’ un gioco idiota!- affermai seccamente.
-Beh, non è il massimo…no.- convenne Gab.- A mio fratello piace, però.
-Tuo fratello meriterebbe che qualcuno lo pestasse davvero e senza arbitro.- scoccai astioso.
Gabriel rise ma non mi smentì.
-Uh! Quello era Luke, vero?- mi domandò fissando preoccupato uno dei giocatori che veniva afferrato e sollevato di peso da terra per atterrare malamente a bordo campo.- Non mi pare che stia andando benissimo.
-Io direi che se fa un altro volo di quelli, del provino non dovrà più preoccuparsi.- ribattei blandamente.
Gab scattò in piedi.
-Da qui non si vede nulla e non si capisce niente, andiamo più giù!- ordinò afferrandomi per un polso e tirandomi in piedi.
-Ripetimi perché siamo qui!- gli gridai io mentre lui correva per la scalinata portandomi con sé praticamente di peso.
-Perché ci opponiamo alle discriminazioni sociali operate nei licei moderni.- mi rispose Gab, atterrando agilmente sul fondo piatto alla base delle gradinate e scivolando poi con grazia lungo il corridoio fino alla posizione più vicina alla “panchina” dell’allenatore.
Mi lasciai tirare fin lì e ricaddi stremato al suo fianco, abbandonando le mani in grembo e seguendo svogliatamente il resto della partita.
Al momento il mio problema era: semplice nella sua identificazione, impossibile da risolvere. Mike non avrebbe ritirato l’iscrizione. Io non volevo davvero ritirarmi dalla band.
Uno di noi due avrebbe necessariamente dovuto fare un passo indietro, ma il punto era che entrambi saremmo morti prima di farlo. Ed entrambi per lo stesso motivo. Orgoglio.
Mike doveva affermarlo su di me per affermarlo sul resto della band e riconfermarsi come nostro leader. Io dovevo affermarlo su mio padre, per affermarmi come individuo singolo dotato di coscienza propria e trasformare la mia adolescenza in una sana contrapposizione con il mondo degli adulti.
L’allenatore fischiò il termine della partita con largo anticipo sui tempi regolamentari. Fece a tutti dei gran complimenti poco sentiti ed un discorsetto sul lavoro di squadra. Poi annunciò chi era dentro e chi fuori.
Luke fu preso.
-Andiamo a casa, Gab.- sbottai sollevandomi di scatto con una pacca sonora sulle cosce.
-E’ finito tra le riserve!- osservò Gabriel accanto a me, indicando sconvolto un povero Luke che si trascinava stancamente verso gli spogliatoi.
-E con questo?- ritorsi io senza capire.- E’ nella squadra, no?
-Ma è nelle riserve!- ribadì Gab come se fosse esaustivo del senso del dialogo.- Sarà depresso da morire! Non possiamo abbandonarlo così.
-Non possiamo…?! cosa?- domandai io sgranando gli occhi.
-Dobbiamo aiutarlo a tirarsi su di morale ed accettare questa cosa!- dichiarò Gabriel senza prestare attenzione al mio smarrimento.
-No che non dobbiamo!- strillai io.
-Oh, andiamo! Mettiti nei suoi panni!- esclamò Gab, facendo appello alla mia presunta sensibilità.
Che io mi affrettai a tacitare.
-Non ci voglio stare nei suoi panni!- affermai categorico.- Sono sudaticci, puzzolenti e coperti di sangue! Se avessi voluto stare nei suoi panni, mi sarei gonfiato di steroidi dall’età di sette anni ed avrei cominciato a bere birra a dieci!
Gab mi osservò attentamente prima di rispondere.
-Non credo che Luke faccia nessuna di queste cose.- asserì a quel punto.
-Infatti è uno sfigato!- conclusi io.
Come che fosse, un quarto d’ora, o poco più, dopo Gabriel mi stava accompagnando tranquillamente verso l’ingresso degli spogliatoi, seguito dai miei rimbrotti a mezza voce e dalle altrettanto inutili lamentele che alzavo di tanto in tanto.
-E’ dovere degli amici sostenersi a vicenda.
Valutai l’opportunità di ribadirgli che Luke non era affatto nostro amico e che lo conoscevamo da manco tre giorni, ma mi astenni perché, conoscendo Gab, sapevo esattamente quanto sarebbe stato inutile tentare di mostrarli la realtà delle cose quando lui non era interessato a prenderla in considerazione. Mi arresi all’idea che avrei dovuto essere carino e gentile con il nostro nuovo “sconosciuto” ed adocchiai l’ingresso degli spogliatoi.
A quel punto il cellulare di Gabriel lo informò dell’arrivo di un messaggio.
Ci bloccammo a venti metri dalla porta, con lui che sollevava l’aggeggio tra le mani, scorreva le parole sul display e mi annunciava che Mike lo aveva convocato “ed io sapevo che quando Mike convocava qualcuno c’era poco da discutere”, per cui avrei dovuto cavarmela da me ed aiutare il povero Luke a farsi una ragione della propria incapacità naturale a giocare a football, mentre lui andava dal capo a vedere cosa volesse.
-Non puoi dire sul serio.- fu la mia prima disperata obiezione.
-Susu, ci metterò pochissimo e poi ti raggiungerò.- mi rassicurò lui spingendomi dolcemente verso la porta.
-Ma non possiamo lasciar perdere questa cosa ed andare a vedere cosa voglia Mike e…
Niente da fare. Gab mi diede uno spintone ed io ruzzolai felice giù per i tre scalini che portavano in basso, atterrando in piedi per un miracolo divino e sbuffando stizza come una ciminiera. Superai in due falcate di puro astio lo spazio che mi separava dalla porta degli spogliatoi e tirai una manata sul battente per spalancarlo ed entrare.
I bestioni erano spariti quasi tutti, tranne un ultimo gruppetto vociante che si attardava a fare scherzi idioti tra le docce e l’angolo degli armadietti. Luke, invece, se ne stava ancora sporco e puzzolente seduto su una delle panche, sguardo chino e spalle chiuse. Il ritratto stesso dell’afflizione adolescenziale.
“…fanculo…tutte…le…menate…sull’integrazione, la tolleranza ed il rispetto degli altri”, mi dissi.
Ma mi avvicinai lo stesso, infilando le mani in tasca e scrutandolo dall’alto in basso quando mi fermai davanti a lui e lui non se ne accorse neppure.
-Ciao, Luke.- salutai per indurlo ad alzare il viso.
Lui lo fece. Lentamente come in un film di serie B e sgranando gli occhi come un cucciolo terrorizzato. Augurai a Gab ogni male e mi sedetti al suo fianco, sorridendogli incoraggiante.
-Io e Gab abbiamo seguito i provini.- spiegai, immaginando che comunque potesse averci visto.- Congratulazioni, sei in squadra!- esclamai entusiasta.
-…sono una riserva.- mi fece notare lui in tono incolore.
Sospirai, accasciandomi anche io e lasciando andare aria e spalle in un’immagine speculare a quella di Luke, e restammo così per un po’, in silenzio, mentre gli armadi a muro ridenti finivano di rivestirsi e portavano il loro rumore e la loro stazza fuori di lì.
A quel punto Luke respirò a fondo e mi disse solo:
-…sai…è stato mio padre a farmi imparare a giocare a football.- Provai un brivido. Istintivamente seppi che conoscevo già quella storia e raddrizzai orecchie e schiena per sentirne il seguito. Luke tirò un altro respiro ed andò avanti.- Lui ha sempre sognato di avere un campione in famiglia.- spiegò.- Ed io ho cominciato solo perché insisteva che lo facessi.
Sbuffai un sorriso amaro. Sì, la conoscevo bene come storia.
-Solo che a me piace giocare a football.- sbottò lui.
Risi.
Luke si voltò a guardarmi, perplesso, ed io mi affrettai a tornare serio ed a rispondere alla sua domanda muta.
-Sembra: io ed il pianoforte.- confidai complice.- Ho iniziato a suonarlo perché mio padre lo ha preteso ed ora non riesco più a smettere.
-E sei una schiappa totale come me?- mi chiese a bruciapelo con una smorfia.
Io ebbi un’immagine precisa del pianoforte nel salotto di casa. Ebbi l’immagine esatta dell’angolo dove mio padre lo aveva fatto sistemare, accuratamente accordato, lucido e bellissimo. Completamente contornato da attestati incorniciati che testimoniavano le mie partecipazioni a concorsi musicali, le vittorie che avevo conseguito e le attestazioni di merito che mi erano state riconosciute ai corsi che avevo frequentato e continuavo a frequentare.
No. La risposta giusta era “no, non sono affatto una schiappa”.
Ma non ero nemmeno un assassino. Un’occhiata di traverso alla faccia di Luke mi disse che con tutta probabilità si sarebbe impiccato nelle docce di lì a poco, se non avessi trovato il modo di tirarlo un po’ su.
-Assolutamente.- mentii con nonchalance- Un disastro completo.
Gab piombò negli spogliatoi insieme con il sorriso timido di Luke, che ricambiò il mio un po’ più falso ma decisamente più aperto. Ci guardò, si sfregò le mani con aria soddisfatta ed annunciò:
-Bene, Luke! Che ne dici di uscire con me e Cody domani pomeriggio?
-Cosa…?- domandò Luke.
-Esco con Amy domani pomeriggio!- ritorsi io arrabbiato.
-Porta anche lei!- rintuzzò felicemente Gab.
-Eh?- ribadì Luke nell’indifferenza generale.
 
 
Sì, lo so…non si capisce dove si voglia andare a parare, ma! Sono così carini!!! ç_ç
Fidatevi, questi pg sono il bene!
 
In ogni caso, l’Easily ringrazia tutti i lettori ed in particolare ringrazia Chemical Kira ed Erisachan per aver trovato il tempo di commentare. Un bacio, donnine :*****
 

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Capitolo 4
*** IV ***


Se c’è stato un momento nella mia vita in cui ho odiato Gab, quello è coinciso con il momento esatto in cui ho capito che Amy non era semplicemente amica di Cody.
Ammetto di essere stato un po’ lento anch’io nel rendermene conto. Non avevo esitato ad appaiare Cody a Gab, ma solo perché questo…quantomeno, valeva a renderlo gay come me e quindi, seppur remotamente, “abbordabile”. Così era stato fin troppo facile per il mio cervello costruire castelli in aria su fantomatiche relazioni omosessuali, ma gli era stato praticamente impossibile accorgersi di quello che era sostanzialmente evidente: Amy e Cody erano sempre insieme, Amy e Cody avevano una complicità tutta speciale, ad Amy e Cody brillavano gli occhi ogni volta che l’una guardava l’altro e viceversa.
Insomma, che fossero una coppia era evidente. Probabilmente Gab partì dal presupposto che io dovessi esserne consapevole. Che dovessi essere consapevole che, per conquistare Cody, avrei necessariamente dovuto passare per il “portarlo via ad Amy”, e questo lo indusse a formulare un invito che per me divenne in fretta una forma di tortura estremamente pesante da tollerare.
Amy e Cody sono sempre state due persone molto discrete e riservate per ciò che le riguarda direttamente. Ed erano anche molto gelosi del proprio rapporto, che peraltro era talmente solido da farmi pensare non potesse essere scosso veramente praticamente da nulla. Per cui non ci furono “atroci” scene di baci passionali ed abbracci che potessero qualificarsi già come preliminari, la cosa fu appunto più discreta ma assolutamente impossibile da fraintendere: quando io e Gab li raggiungemmo al centro commerciale, loro stavano seduti abbracciati su un muretto, chiacchierando amabilmente come qualunque coppietta felice. Si separarono non appena ci videro, ma il tarlo che potesse esserci qualcosa tra loro era ormai innestato e fu confermato pochi minuti dopo da Gabriel.
-…non lo sapevi?- mi chiese stupito e vagamente angosciato, scrutandomi con occhi sgranati mentre seguivamo i due per entrare nell’edificio.
Scossi la testa e mi rassegnai a quel calvario, che la faccia contrita di Gab non ridimensionò affatto.
In generale non posso nemmeno dire che andò tutto storto. Anzi. Per tutta la prima ora, mentre girellavamo tra i negozi, l’inconsapevole spensieratezza di Cody ed Amy bastò a tenere viva la conversazione, Gab finì per farsi contagiare dall’euforia dei due amici e si dimenticò del pasticcio in cui mi aveva cacciato – ed in definitiva anche di me – fino a quando non decidemmo di fermarci in un bar a prendere un gelato.
Mentre sedevo sconsolato, ascoltandoli ciarlare da sopra la coppa enorme che mi ero concesso per consolarmi, successe l’inevitabile. Amy, che se ne stava in silenzio come me, mi guardò. Ed io sollevai lo sguardo ed incrociai il suo. E so che lei non disse e non fece nulla, se non continuare a fissarmi per un po’ con quei suoi occhi giganteschi e bellissimi, così caldi e luminosi da sembrare due mari calmi in cui lasciarsi scivolare. Io mi resi conto che era davvero bella. Con il suo musetto da bambola, i suoi riccioli chiarissimi, quella bocca a cuore rosa come una pesca e gli occhi dalle ciglia lunghe e chiare.
Ma mi resi conto anche che il sorriso triste che mi rivolse era la prova che, a differenza di Cody, lei aveva capito benissimo il motivo per cui ero lì.
-Scusate, io ho da fare e vado a casa.- annunciai alzandomi in piedi.
Cody e Gab smisero immediatamente di parlare e si voltarono a guardarmi, seguendo anche loro lo stesso percorso degli occhi di Amy ma sfoggiando un grado ben minore di perspicacia.
-Di già?- s’informò Cody.
-Ma devi proprio?- insistette Gab.
-Sì, devo proprio.- biascicai io, sforzandomi di ricambiare lo sguardo di Cody nonostante quello della sua ragazza mi bruciasse addosso riempiendomi di vergogna come un ladro.- Ho…da finire di studiare per…il test di algebra…- borbottai inventandomi quella scusa pietosa.
-E’ solo tra due giorni!- ritorse Gabriel.
-Beh, ma io sono molto indietro!- sbottai sfiancato.- Ci si vede a scuola.- aggiunsi precipitosamente prima di voltarmi ed andarmene.
La sedia di Gabriel fece un rumore stridente quando lui la scostò di scatto, recuperando da terra la propria borsa ed inseguendomi con un affrettato “aspettami, ti accompagno!” ed un saluto a mezz’aria ai due che restavano.
Sospirai, rallentando il passo per permettergli di raggiungermi poco prima dell’uscita. C’infilammo tra le porte automatiche praticamente assieme, risalendo a ritroso una piccola folla di persone, e quando uscimmo ci ritrovammo affiancati sotto il sole che tramontava.
-...scusami.- mi disse Gab dopo un po’ che camminavamo in silenzio senza neppure guardarci in faccia.
Sorrisi mesto, stringendomi nelle spalle cascanti.
-Figurati. Sono scemo io che non ci sono arrivato da solo.- affermai in un sussurro spento, spingendo le mani nelle tasche dei jeans.
Gab mi imitò, infilando anche lui le dita sottili nelle tasche dei pantaloni, che inevitabilmente scivolarono sui suoi fianchi magri inducendomi nonostante tutto a gettargli un’occhiata trasversale per godermi la scena del suo ventre piatto sotto la maglietta aderentissima.
Mi dissi pigramente che avrei dovuto prendermi una cotta per lui, che almeno era gay sicuramente, ma mi dissi anche che uno così non si sarebbe abbassato al mio livello nemmeno in un migliaio di anni e sospirai ancora.
-Beh…non devi necessariamente darti per vinto.- mi incitò lui senza eccessiva convinzione.
Io ripensai ad Amy, al suo modo gentile di guardarmi e sorridermi nonostante avesse capito quali fossero i miei sentimenti per il suo ragazzo, e capii che se poteva farlo – essere carina con me – era perché sapeva che non sarei mai riuscito nemmeno ad avvicinarmi al tipo di rapporto che la legava a Cody.
Guardai in faccia Gab, da sotto in su, e mi resi conto che lui lo sapeva bene quanto me.
-E anche se non va,- proseguì senza accorgersi del mio sguardo su di sé ma ritrovando il proprio tono migliore e la consueta positività baldanzosa- non è una storia andata male a rovinarci la vita!
Rise. Ed io lo scrutai attentamente, rendendomi conto che non stava più parlando di me. Stava parlando di sé…
-Gab…?- mormorai a fior di labbra, leggermente preoccupato dal velo sottilissimo che si era disteso nel suo sguardo e nel suo sorriso.
Lui si voltò ad incrociare i miei occhi e capì che avevo intuito il senso di quello che non mi diceva, ma fraintese i miei pensieri.
-No no, aspetta!- esclamò precipitosamente.- Non è che tra me e Cody ci sia mai stato qualcosa.- specificò meglio.
-Non pensavo questo.- ribattei io sinceramente.
Lui tirò un respiro profondo, come se gli avessi tolto un peso dallo stomaco, ed io sorrisi, riflettendo sul fatto che Gab era davvero una persona speciale a preoccuparsi tanto per me pur conoscendomi appena.
-…e…- indagai sommessamente- ti riferivi a…?- chiesi, un po’ perché speravo di poter ricambiare la sua gentilezza mostrandomi altrettanto disponibile verso di lui ed i suoi, di scazzi, un po’ per sana ed egoistica curiosità.
Mi sembrava assurdo che qualcuno potesse riuscire a spezzare il cuore a Gabriel, lui mi appariva decisamente come il prototipo esatto del ragazzo che può avere tutto ciò che vuole senza nemmeno dover chiedere. È chiaro che mi sbagliavo, non esiste nessuno che abbia davvero questa possibilità.
-Ah.- sbottò lui ed io mi accorsi con facilità che, sebbene continuasse a sorridere, quel velo che avevo notato era tornato a posarsi nel suo sguardo fisso sull’asfalto del marciapiede.- Beh, non credere di essere l’unico ad aver subito una brutta delusione.- mi disse comunque con leggerezza.- La mia si chiama Erik Hosten, ha attualmente diciotto anni e frequenta il primo anno di college non so nemmeno io dove.
Ridacchiai, lasciandomi trasportare dalla scioltezza con cui Gab sfilava le parole da sotto il proprio dolore, fin troppo evidente sebbene così ben dissimulato.
Mi venne dietro con una risatina nervosa, che sparì in fretta, e ricominciò a parlare subito dopo.
-E’ stato il mio primo ragazzo.- ammise.- Io ero molto piccolo e molto scemo.- aggiunse a mo’ di spiegazione.- E lui molto stronzo e molto furbo. Si divertì finché gli fece comodo, ma poi conobbe un tipo che gli piaceva davvero e cominciò a tradirmi. Io lo scoprii ed andai su tutte le furie, facendogli una scenata davanti a tutti; lui ovviamente non poteva accettare di sputtanarsi davanti all’intera scuola e me le diede di santa ragione per farmi stare zitto. Così finì che mi piantò in asso e, per screditarmi, andò a raccontare in giro una versione rivisitata della nostra storia, in cui io facevo la figura della troietta e lui usciva come il tipo figo che si era divertito a mie spese.
-…cazzo.- commentai soltanto. Mi accorsi avevo trattenuto il fiato fino a qual momento, teso come una corda di violino, e lo rilasciai di botto sbuffandolo fuori mentre Gab rideva e scrollava le spalle.- Ma…?- provai ad obiettare, senza però trovare nulla da dire sul serio.
-Ma nulla, Luke.- ribatté correttamente Gab.- Mio fratello lo aspettò all’uscita da scuola e lo gonfiò di botte dicendogli che era uno stronzo ed un figlio di puttana. Visto che io non riuscivo a dirglielo.- buttò lì sospirando stancamente.
Ma poi tornò a sorridere come se nulla fosse, facendo scomparire del tutto ogni ombra che gli avesse oscurato lo sguardo e lasciandomi completamente disorientato da quei bruschi cambi di umore e dalla semplicità disarmante con cui riusciva a passare oltre quella che era, sicuramente, una ferita ancora aperta.
-Che poi è il motivo per cui amo Mike incondizionatamente.- mi confidò divertito.- Cody non si rassegna a questa cosa, ma che posso farci io se mio fratello è il mio eroe?- m’interrogò fingendo un’afflizione che non provava affatto.
Capii che per lui considerare il fratello un eroe era fin troppo facile e provai per Mike un po’ meno astio di quello che gli avevo regalato meno di due giorni prima.
Gab mi fissò con attenzione subito dopo, puntandomi un dito addosso mentre mi si fermava davanti e mi obbligava così a bloccarmi a mia volta. Abbassai lo sguardo sull’unghia chiara e la studiai pensando che la pressione leggerissima ed insieme decisa che esercitava sul mio petto non mi spiaceva, Gab era rassicurante…avvolgente nel suo modo di fare e di essere. Ci si fidava istintivamente e non era neanche così male farlo, abbandonarsi a lui ed al suo modo semplicistico di dirti “ehi, guarda che se hai bisogno di una spalla su cui appoggiarti sono qui”.
-Quindi,- argomentò sollevando lo stesso dito per puntarlo al cielo in segno di ammonimento- non ti è concesso buttarti giù per questa cosa!
Sorrisi. Ed annuii.
***
Le difficoltà della vita di un adolescente medio sono generalmente sottovalutate – senza motivo – dagli adulti. Eppure anche gli adulti sono stati adolescenti.
A parte le scontate affermazioni sul liceo che è una guerra o sul fatto che è in questo periodo che si forma una vera coscienza sociale, di aggregazione di gruppo, e si decide se tu sarai tra quelli in nella vita o se resterai irrimediabilmente out ed ai margini della società civile, c’è lo studio. La famiglia. Le prime cotte. Gli amici.
E quando ci sono tutte queste cose assieme, allora la tua vita diventa un bordello allucinante, nel quale ti dimeni come un pesce all’amo e con tutta la convinzione esagitata che gli sbalzi ormonali ti concedono con tanta solerzia.
L’adolescenza fa schifo.
Secoli di esperienza umana in questo campo non sono valsi a migliorare questo fatto, né è plausibile aspettarsi un miglioramento in futuro. Mi chiedo perché non si decidano ad abrogarla.
-Secondo te…abbiamo sbagliato qualcosa in questa equazione? No, perché sono quasi certo che avremmo dovuto passare al denominatore questa cifra e…
-Tu che ne pensi di Luke?
Sbuffai. Senza alzare la faccia dal libro e dal quaderno, ma abbassando invece la matita a cerchiare la cifra incriminata. Se per sbaglio il test di algebra di dopodomani fosse andato male, sarebbe finita che mi sarei rovinato la media. Se mi fossi rovinato la media, avrei dovuto necessariamente fare i salti mortali per recuperarla prima della chiusura dell’anno. Se avessi dovuto recuperare con lo studio, non avrei potuto suonare decentemente…
-Io penso che sia carino.- continuò Gab con convinzione. Fece una pausa.
Magari sarebbe stato meglio ricominciare da capo…
-Non carino nel senso standard del termine, voglio dire.- chiarì Gab intanto. Poi ci ripensò ed aggiunse- Anche se non sono del tutto convinto che esista un senso standard del termine.
Certo, se Mike non avesse voluto ritirare l’iscrizione al concorso io non è che avrei potuto farci chissà cosa! Oltre che davvero rinunciare alla band.
-Quello che voglio dire è che la gente dice di me o di te che siamo belli, no?
-Non avremmo dovuto saltare i passaggi, finisce sempre che poi ricontrollare se l’esercizio è sbagliato è un macello infinito!- sbottai buttando il quaderno sul tavolo e recuperando un altro volume dal cumulo che ci fronteggiava.- Riprendiamo dalla traccia?
-Però, insomma, non è che essere belli sia tutto! Ci sono persone che magari non sono proprio “belle”, ma hanno qualcosa che piace.- argomentò Gab, mentre mi imitava prendendo anche lui il libro per ricopiare nuovamente la traccia sul proprio quaderno.
-Stai attento qui, perché secondo me è il punto in cui facciamo l’errore dopo.- indicai martellando con la matita sulla sua traccia.
-Per me ad esempio Luke è molto carino. Ha un’aria cucciolosa.- continuò imperterrito Gab.
Magari avrei dovuto chiedergli se Mike avesse già trovato un nuovo chitarrista, ma così avrei finito per tradirmi sul fatto che ci stavo pensando ancora ed intendevo tornare sui miei passi.
-Poi mi piace il fatto che non è per nulla una persona aggressiva o invadente.- spiegò Gabriel.- Anche secondo me è sbagliato questo passaggio.- concordò subito dopo e senza soluzione di continuità. Annuii.- Insomma, guarda com’era Erik! Bellissimo almeno quanto stronzo! Sono convinto che uno come Luke non sarebbe mai capace di comportarsi allo stesso modo…
Il richiamo ad Erik mi strappò ai miei pensieri.
Io e Gab ci conoscevamo da quando avevamo iniziato il liceo assieme, l’anno prima. La storia con Erik l’avevo vissuta di persona, tutta insieme, e sapevo quanto ancora faceva male. Gab non parlava mai di Erik a caso.
In realtà non parlava mai di Erik.
Per cui, se veniva fuori adesso, doveva esserci un motivo.
Sollevai gli occhi dal quaderno e studiai il viso di Gabriel chino sul proprio. Sembrava tranquillo. Così rifeci a mente una mappa del nostro dialogo…o meglio…del suo monologo ed aggrottai le ciglia rendendomi conto che c’era una nota un po’ strana…
-E poi è anche un ragazzo sveglio.- ridacchiò intanto Gabriel, svolgendo l’esercizio con una disinvoltura ammirevole.- Dovresti sentire come tiene testa alle mie peggiori battutine quando vuole! È solo che è così timido…!
-Se non sposti al denominatore quella cifra, rifacciamo lo stesso errore di prima.- lo redarguii puntandogli contro la matita.
Gab sbuffò infastidito, rigettando la propria penna sul libro aperto ed alzando il viso, braccia incrociate al petto.
-Non mi stai ascoltando!- constatò stizzito.
-Invece ti ho ascoltato benissimo.- ritorsi io incolore.- Hai detto che ti piace Luke Perrington.- affermai.
Gab divenne rosso come un pomodoro e poi bianco come un cencio. Balbettò qualcosa di incomprensibile ed io risi e guardai l’orologio a parete che segnava le ore nell’aula studio.
E sbiancai esattamente come lui.
-Cazzo!- sbottai artigliando libri e quaderni.- Sono le cinque!
-…cosa?- si riebbe Gab, voltandosi anche lui.- Sì, perché? Cosa…?
Non lo feci finire, scattando in piedi ed infilando tutto alla men peggio nel tascapane.
-Sono in ritardo per la lezione di piano!- strillai un momento prima di fiondarmi fuori, inseguito dai rimproveri rabbiosi dell’insegnante di guardia all’aula e buttando all’aria uno “scusami, Gab, ci si vede domani” che lui ricambiò quando io già ero scomparso.
Arrivai in conservatorio in ritardo di una buona mezz’ora. Il maestro di piano mi rimbrottò ferocemente umiliandomi davanti a tutti e mi spedì al mio posto tra le risate generali. Comprese quelle di Amy. Io mi lasciai cadere accanto a lei e sbuffai via la frangetta da davanti al viso.
-Tutto ok?- mi chiese Amy a voce bassissima.
-Sì.- sussurrai. E poi sorrisi.- Sai che a Gab piace Luke Perrington?- la informai.
Amy non mi rispose perché il maestro di piano aveva ripreso a rimproverarmi, “visto che dopo essere arrivato tardi avevo anche intenzione di impedire a tutti di fare lezione!”, ma io colsi comunque la sua occhiata vagamente sorpresa. Mi ripromisi di chiedergliene la ragione, ma non lo feci perché me ne dimenticai nell’ora e mezza successiva.
Di quella lezione non seguii nulla. La passai interamente a scarabocchiare su un foglio strappato a caso da un block notes, sul quale avevo accuratamente ricopiato la traccia dell’equazione che io e Gab non eravamo riusciti a risolvere. Provai anche ad iniziarla per vedere se ne venivo a capo, ma anche quello perse importanza mentre il tempo passava ed io continuavo a colorare di ghirigori l’angolo esterno del foglio. Amy prendeva appunti accanto a me, scrivendo in modo ordinato e pulito, io la osservavo ogni tanto, sollevando gli occhi dal suo taccuino al profilo netto del viso, con  la bocca pronunciata come un broncio ed il nasino all’insù come nei cartoni animati.
Quando eravamo piccoli la prendevo in giro in continuazione, mi faceva ridere qualunque cosa di lei. I riccioli spumosi che portava sempre cortissimi e che, le dicevo, la facevano sembrare un barboncino. Gli occhi troppo grandi, “da pesce”. Il naso da smorfiosetta, tondo come quello di un porcellino…
Chiusi gli occhi. Chissà se anche mio padre aveva preso in giro la mamma prima di riscoprirsi innamorato. Perché a me Amy non piaceva semplicemente. Ormai la conoscevo da tanto di quel tempo che non avrei potuto dire “mi piace” legando la parola solo all’immagine. Se restavo così, ad occhi chiusi, potevo disegnarla, disegnare il suo profilo con le dita tanto ormai era impresso dentro la mia testa.
Chissà se papà disegnava mai il profilo della mamma nei propri pensieri quando era lontano da casa.
…era una bella immagine. Ci si poteva accostare anche un suono. Anche ad Amy ci si poteva accostare un suono, ma non sarebbe mai stato qualcosa di delicato e fragile, più qualcosa di potente ed armonioso, qualcosa che rispecchiasse la stessa forza che Amy aveva. Quella che da bambina le impediva di piangere se la prendevo in giro. E poi le permetteva di farlo quando io litigavo con i bambini più grandi perché le rubavano i giocattoli e loro mi picchiavano perché ero troppo piccolo per difendermi. Quella stessa forza che doveva aver avuto anche la mamma, quando papà non c’era.
Mi tirai dritto. Scansai il foglio di lato e scartabellai nel tascapane alla ricerca di penna e quaderno musicale. Lo aprii su una pagina vuota e lo spiegai con decisione. Poi ci misi su la penna e cominciai a scrivere.
 
Prima di tutto vogliamo ringraziare a nome dell’Easily le donnine infinitamente dolci e care che commentano questa storia.
Ossia:
Ginnyred (che ha anche il nick di un pg che io amo ** NdNai)
Erisachan (che è amore come sempre ç_ç)
Stregatta (ormai nipote acquisita XDDD NdNai che è anche fiera della nipotina ù_ù)
 
Ciò detto, permettetemi di esprimere amore e devozione a Cody, che è un pargolo stupendoso nelle ff che lo ritraggono **
Un bacio ed a presto :****

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Capitolo 5
*** V ***


Dovevo essere impazzito. Non me lo sarei spiegato altrimenti.
Fatto sta che era una pazzia radicata, perché, mentre aspettavo ritto davanti alla porta che qualcuno mi aprisse dopo aver suonato il campanello, non mi venne nemmeno per testa di voltarmi ed andare via.
Gab aveva qualcosa di sbagliato in sé. Riuscire a convincermi con quel bel discorso sul “tutti prendiamo una delusione, l’importante è provarci” sarebbe stato impossibile per chiunque altro: suggerire un suicidio come metodo per indurre qualcuno a superare i propri limiti non è ammissibile, dare retta a quel suggerimento è impensabile.
Sentii uno scalpiccio affrettato da dietro la porta e la voce di Cody – Dio! riuscivo anche a riconoscere la sua voce attraverso il legno ed il muro adesso! – annunciò a qualcuno che “apriva lui”. Rabbrividii e, stavolta sì, pensai anche di fuggire.
“Troppo tardi.”
La porta si aprì sul viso sorridente di Cody, così sereno e rilassato da sembrare perfino più bello, nonostante i capelli legati nella coda sfatta e l’aria trasandata “di casa”.
-…ciao.- mi apostrofò riconoscendomi, evidentemente sorpreso da quella visita.
-Ciao. Scusami se ti rompo,- esordii affrettatamente. Cody infilò a forza un “non rompi, tranquillo” nel mio discorsetto predigerito, ma io non mi lasciai fuorviare o interrompere.- sto per chiederti un grosso favore.- dissi invece.
Lui non mutò il proprio stupore, ma si ricordò delle regole della buona educazione e mi fece spazio per invitarmi ad entrare.
-Dimmi tutto.- mi incitò quando ebbi accettato e, varcata la soglia, lui ebbe richiuso la porta dietro di noi.- Andiamo in cucina, che è il posto decente di casa.- aggiunse intanto, spostandosi per primo.
Nel seguirlo gettai un’occhiata all’enorme salotto che si apriva sulla mia sinistra e mi dissi che il suo concetto di “decente” ed il mio non coincidevano. O in alternativa la sua cucina era una reggia.
Ma non era vera nessuna delle due cose, come scoprii infilandomi con Cody nello spazio colorato e luminoso che ospitava la cucina, più semplicemente la parola “decente” in linguaggio di Cody significava una roba tipo “familiare, accogliente, caldo e profumato”, perché la cucina di casa mi diede tutte queste sensazioni assieme. Probabilmente dipese anche dalla presenza sorridente delle due donne che la occupavano; una Cody me la presentò come sua madre ed io pensai che era bellissima anche se, ad essere strettamente onesti, non lo era nel modo palese ed arrogante in cui lo sono le donne “belle” di oggi.
Ci accoccolammo sugli sgabelli che circondavano il tavolo-isola al centro della stanza ed io mi decisi a buttare fuori la bugia con la quale mi ero presentato alla porta.
-Non sono riuscito a risolvere gli esercizi di preparazione al compito di algebra di domani.- mentii con tranquillità.- Siccome Gab mi ha detto che te la cavi molto bene nelle materie scientifiche, speravo che magari avresti potuto darmi una mano.
-Tanto devi ripetere anche tu, Cody, no?- s’informò sua madre venendo verso di noi con latte e biscotti.
-Lo stavo già facendo.- assentì lui indicando i libri ed i quaderni abbandonati sul tavolo accanto a sé.
Gli buttai un’occhiata trasversale e non dissi nulla.
-Beh, io e Magda abbiamo messo su la cena, per cui adesso vi lasciamo a studiare ed usciamo.- continuò la madre di Cody.- Così potrete lavorare tranquilli.
-Suo marito non è in casa, Sig.ra Molko?- domandai istintivamente.
Lo sguardo di Cody si rabbuiò di colpo ed io mi morsi la lingua, rendendomi conto di aver appena fatto una gaffe. Ma lei recuperò in fretta la situazione al mio posto, allungando una mano ad accarezzare la testa del figlio e sorridendomi dolcemente mentre mi rispondeva.
-E’ nello studio, ma se vuoi andare da lui ti conviene aspettare che si faccia più tardi. Non ama essere disturbato quando lavora.- mi spiegò. Scoccò un bacio sulla fronte di Cody, scostando la frangia dagli occhi del figlio, ed io osservai divertito quest’ultimo comportarsi come un moccioso di sei anni e fare letteralmente le fusa sotto il suo tocco. Mi trattenni a stento dal ridere e ringraziai mentalmente la signora quando, rimettendosi dritta, aggiunse con una breve strizzatina d’occhio.- Non fare il geloso, ci sta che i fan di tuo padre vogliano un autografo. Accompagna Luke da lui, dopo.
-Bah!- commentò aspro Cody, ma non disse di no e, quando lei fu uscita, quell’ombra rapida che avevo visto addensarsi nel suo sguardo era già svanita del tutto.- Allora!- esordì in tono decisionista.- Mano ai libri, Perrington, non posso permettermi di toppare questo compito!
Siccome avevo, appunto, mentito, gli esercizi di algebra li avevo già svolti tutti ed anche in modo abbastanza semplice. Preso dall’euforia non pensai che così avrei finito per tradirmi, ma quando Cody s’impantanò su un paio di equazioni – per le quali avevano avuto già parecchie difficoltà con Gab, mi disse – io ritenni naturale spiegargliene i passaggi e lui ritenne ovvio, a quel punto, che il motivo per cui fossi andato a casa sua non era certo lo studio ed il ricevere aiuto.
-Se ci tieni tanto a questo autografo, andiamo a fartelo fare!- rise chiudendo libri e quaderni non appena anche l’ultimo esercizio fu svolto.
Arrossii. Pensai di smentire, ma sapevo da solo che poi avrei dovuto trovare un’altra scusa che giustificasse la balla che mi ero inventato e quella dell’autografo era decisamente più comoda allo stato dei fatti.
Cody si alzò, facendomi segno di seguirlo, ed insieme attraversammo praticamente tutto il pianterreno della villa, che così silenziosa, vuota ed immensa mi sembrò parecchio tetra e mi spiegò la vera ragione per la quale Cody preferiva stare in cucina piuttosto che altrove. Ci fermammo davanti ad una porta isolata, lui bussò, aprì ed entrò in rapida successione.
-Papà?- chiamò affacciandosi al battente.
Mi sporsi anch’io, incuriosito, e fui investito da un parlottare rapido e nervoso in un francese impeccabile, salvo per l’accento dichiaratamente anglosassone.
Brian Molko parlava al telefono con qualcuno, camminando avanti ed indietro per una stanza enorme, bellissima e fredda. Lo studio era completamente arredato in legno laccato di nero, pelle e acciaio, il pavimento in parquet era parzialmente coperto da un pesantissimo tappeto persiano, dai colori cupi, e nella stanza aleggiava profumo di tabacco ed una musica leggerissima, jazz, che si sposava delicatamente all’ambiente; rimasi di stucco davanti alla fila ordinata di chitarre, sistemate contro una parete, così come rimasi a bocca aperta nel riconoscere una sequela di volti “famosi” nelle foto appese contro un’altra parete e sistemate in mezzo ai premi…
-Cody, non ora!- sentii arringare, quando Brian Molko si fu voltato verso di noi ed ebbe colto di sfuggita l’immagine di suo figlio e di me fermi sulla soglia della stanza.
Riprese a parlare con l’individuo al telefono quasi subito e Cody provò inutilmente a protestare.
-Papà, è una questione di un secondo…
-Non ora!- ribadì lui indicando la porta per dirci di uscire.
-Vabbè, ma magari aspettiamo che tu finisca…
-Cody, esci e chiudi la porta.- ordinò secco lui.
Cody fece come gli era stato detto, uscì e richiuse la porta con un sospiro paziente.
-Mi dispiace.- mi disse mentre tornavamo indietro, ci infilammo nel salotto vuoto cercandoci un angolo dove rifugiarci.- Quando ha da fare diventa intollerante con chiunque.- provò a giustificare, arrampicandosi sullo sgabello del piano ed incrociando le gambe sotto il sedere.-Vuol dire che ti farò fare l’autografo stasera e poi te lo porto domani a scuola.
Io mi sistemai per terra, vicino a lui, seduto su uno dei tre gradini che portavano al “palchetto” che ospitava il pianoforte.
-E’ il tuo?- chiesi incuriosito, allungando una mano ad indicare lo strumento. Ricordavo di averne visto un altro, completamente bianco, sistemato in un angolo dello studio di suo padre.
Cody rise.
-E’ il pianoforte di casa!- esclamò.- Lo suona anche mio padre quando capita.
Alzai il viso per fissare lo sguardo sugli attestati incorniciati dietro le sue spalle.
-…eh…ma quelli sono tuoi.- realizzai leggendo il nome sulla carta pergamena. Cody arrossì e si voltò a fissare la parete ad occhi sgranati, nemmeno fosse la prima volta che la vedesse.- Mi hai mentito quando hai detto di essere una schiappa.- proseguii io in tono amaro.
-Ehm…è che non sapevo cosa dire…non sono molto bravo a consolare la gente ma tu sembravi starci proprio male e…- confessò balbettando.
Sorrisi mestamente.
-Non importa.- scrollai le spalle. Mi tirai in piedi e mi avvicinai a lui, tentando di tirar fuori un sorriso un po’ più convincente.- Almeno per farti perdonare suonami qualcosa!- pretesi scherzosamente.
Cody sorrise come me, voltandosi e stendendo le gambe sotto il piano e le dita sui tasti candidi. Ci pensò su, probabilmente scegliendo cosa suonare, ma poi lo vidi illuminarsi ad un’idea improvvisa, fissarmi con aria interrogativa ed alzarsi di scatto, ordinandomi di non muovermi finché non fosse tornato. Uscì di corsa dal salone, salendo le scale a due a due e rimpiombando al piano di sotto in tempo record e con in mano un quaderno musicale. Sedette di nuovo al pianoforte e lo aprì davanti a sé, cominciando a suonare.
Ed a cantare.
Non ricordo di preciso tutte le parole ed i versi. Era una canzone strana, un po’ triste, nonostante la musica fosse trascinante, veloce e bellissima. Cody era meravigliosamente a proprio agio nel muoversi sul piano, le sue dita scorrevano decise, picchiando con precisione, ed era bravo anche nel modulare la voce, che somigliava solo in modo vago al timbro particolarissimo che era di suo padre. La canzone parlava apparentemente di una ragazza, di un amore, di una storia nata e cresciuta in un tempo immensamente lungo, ma era solo apparenza, perché a sentirla bene ci si rendeva conto che parlava di qualcosa di più complicato. Qualcosa che aveva a che fare con “gli altri” in generale, con la capacità di capirli, accettarli ed arrivare ad amarli, con la difficoltà insita nel conoscere qualcuno per davvero.
Era un testo profondo, stridente rispetto al motivo così rapido ed adrenalinico, sembrava diversa da qualsiasi cosa io avessi mai ascoltato, tanto che rimasi a bocca aperta fino alla fine, cercando di capire se mi piacesse, se dovessi piangere o ridere, o semplicemente se mi fosse indifferente e mi disorientasse con quella sua ambiguità.
Cody terminò le note al piano poco dopo aver spento la voce nell’ultimo verso strascicato, si voltò in attesa ed io mi ritrovai con la testa invasa da talmente tante domande, da non riuscire a formularne nessuna.
-…non ti piace.- arguì lui mostrandosi sinceramente deluso.
-…direi che un “sì” o un “no” sarebbero ugualmente riduttivi.- cercai di spiegare.- E’…stupenda…ma è anche così…
-Strana?- mi domandò lui apertamente.
-Non lo so.- sbuffai incapace di esprimermi.- Cody, è la cosa più difficile che abbia mai sentito.- confessai.- Cos’è?- chiesi subito dopo.
-Una cosa che ho scritto io.- sussurrò lui talmente piano che feci fatica a sentirlo ed arrossendo tanto violentemente che pensai sarebbe bruciato in autocombustione.
Evitò il mio sguardo sgranato ed allibito e si voltò nuovamente al piano, posandoci su le mani come se avesse bisogno di trarne forza e sostegno.
-Per il concorso.- dedussi istintivamente.
Lui scosse il capo in modo frenetico, fissandomi come se avessi detto la più grande cavolata della mia vita, ma il suo terrore rendeva chiaro che quello che pensava era ben diverso.
Così presi la mia decisione.
-Cody, devi tornare nella band e dovete partecipare a quella gara.- dissi seccamente, incrociando le braccia sul petto e fissandolo con decisione.
Lui parve completamente disorientato, così immensamente fragile che per un momento ebbi difficoltà serie a ricollegarlo al ragazzo risoluto e sicuro di sé che avevo conosciuto fino a quel momento. Mi domandai se suo padre dallo studio fosse riuscito a sentire quello che il figlio era stato capace di fare, perché io – se fossi stato in lui – non avrei mai voluto perdermi nemmeno una nota di una simile meraviglia.
-Tu hai veramente la musica nel sangue!- asserii ricordando le parole di Gabriel la sera del litigio tra suo fratello e Cody.- E’…mostruoso!- affermai trovando difficoltà enormi per cercare le parole nella mia testa. Parole che fossero effettivamente specchio di quello che sentivo e che era troppo profondo perfino per me- Sì, mostruoso- ribadii con convinzione – che qualcosa del genere sia sprecato perché tu non hai il coraggio di vivere la tua vita fino in fondo!
-Non è questo il problema…- mormorò lui abbassando lo sguardo, ferito e sorpreso.
-Invece direi che è esattamente questo il problema.- sussurrai io quietamente, amareggiato.- Direi che non ce ne sono altri di problemi.
Cody non ribatté nulla. Io lo guardai ancora un momento, rendendomi conto di aver toccato un nervo scoperto sul serio. Uno che faceva un male cane, peraltro. E non avevo nemmeno il diritto di farlo, ad essere onesti, perché io Cody non lo conoscevo e quello che sapevo di lui era che i suoi occhi mi facevano impazzire, che se solo provavo a fissarli mi sentivo morire dentro, ma anche che tutta la sua vita – quell’ombra scura che gli era passata sul viso quando in cucina avevo parlato di suo padre – non faceva parte della mia. E quindi non avevo il diritto di arrivare lì e sputare le mie sentenze, non ero un suo amico. Non ero nemmeno un suo conoscente. Non ero proprio nessuno.
-Io vado.- dissi scendendo dal palchetto e dirigendomi verso la cucina.
Cody non mi venne dietro ed io recuperai da solo le mie cose e le infilai nello zaino, uscendo poi dalla porta sul retro.
La serratura era rotta, fece difficoltà quando tentati di aprirla, mi assicurai che fosse ben chiusa dietro di me ed andai via.
***
 
-Zio Stefan, ho bisogno del tuo aiuto.
Devo dire due cose al riguardo.
La prima è che non ricorro sistematicamente agli altri quando ho bisogno di qualcosa, anche se in questa storia sta sembrando il contrario sono un tipo autosufficiente di solito. E ci tengo pure alla mia autosufficienza.
La seconda è che zio Stefan non è mai stato capace di negarmi nulla e se, biecamente, mi rivolgevo a lui era proprio perché sapevo di aver vinto da subito.
Lui rise sommessamente nel telefono, ignorando il mio tono preoccupato e teso ed aspettandosi la solita ragazzata di sempre: “papà non mi fa andare ad un concerto”, “mamma non vuole che resti fuori questo finesettimana”…
-Devi parlare con i giudici di un concorso musicale, perché loro poi non parlino con papà dicendogli che io la mia band ci siamo iscritti.- riferii trafelato, senza prendere pause nel timore di ripensarci e buttare giù.
-…tu e chi?- ripeté lui mettendo immediatamente da parte le risatine complici ed ammiccanti.
-…suono in una band rock.- sussurrai pianissimo.
-Ah.- fu il suo unico commento.
Io respirai a fondo e, quando capii che si aspettava qualcos’altro, andai avanti.
-Papà non lo sa.- ammisi.- Lo sa solo mamma e mi copre anche lei. Il nostro bassista ci ha iscritti ad un concorso musicale ed io ci ho litigato ed ho mollato il gruppo.
-Tipico dei geni Molko.- m’interruppe brusco lui.
Notai la vena arrabbiata nella sua voce, ma finsi di non sentirla.
-Sì, ma il punto è che non voglio mollare la band!- continuai istericamente.- Cioè, non voglio nemmeno diventare un musicista,- affermai precipitoso- ma suonare mi piace e…- mi bloccai, sentendo il fiato mancarmi, ripensai a Luke. Alla canzone. Alle sue parole.- ho scritto una canzone per questo concorso, ed è importante.- ammisi a mezza voce.
Zio Stefan respirò molto profondamente. Così profondamente che pensai che stavolta il “no” sarebbe arrivato eccome. Ed infatti la sua prima risposta fu un diniego molto cauto e ragionevole.
-Cody, fare le cose alle spalle di tuo padre non è il modo migliore per riuscire ad averci un dialogo.- obiettò lentamente.- So che a volte può essere complicato parlare con Brian, ma ti assicuro che è una persona estremamente sensibile e se sapesse di questa cosa…ci resterebbe molto male.
-Vuoi dire della band?- borbottai io.
-Sì.
-Se gliene fosse fregato qualcosa per davvero se ne sarebbe accorto. Non ho mai dovuto fare i salti mortali per impedirgli di venirlo a sapere…semplicemente lui si disinteressa quasi del tutto alla mia vita.- spiegai piatto.
Zio Stefan respirò ancora.
-Non posso farlo comunque.- mi disse.
-Oh, andiamo!- biascicai io lamentevole.- E’ solo una band scolastica ed un concorso di quartiere!
-Non è né per la band né per il concorso, Cody. È perché voglio bene a tuo padre e non me la sento di fargli questo.- mi scoccò secco.
Sospirai. E sentii Stefan farmi eco nello stesso modo sconsolato, segno che già iniziava a cedere.
-Inoltre…- borbottò contrariato.- se tuo padre lo scopre mi ammazza…
Risi sottilmente, rendendomi conto che era un “sì” travestito e pensai a qualcosa da dirgli per farmi perdonare almeno un po’, ma lui mi prevenne, ordinandomi in modo quieto ma deciso:
-Promettimi che gli dirai tu della band.
-Dopo il concorso.- contrattai.
Zio Stefan si prese tempo e poi cercò ancora di farmi tornare sui miei passi.
-Sarebbe meglio prima, Cody. Sarebbe meglio subito.
Scossi il capo, anche se lui non poteva vedermi, e spiegai.
-Devo farlo da solo, zio. Devo vedere cosa riesco a fare da solo, papà non è capace di lasciarmi camminare con le mie gambe. È l’unico modo che conosce per dirmi che ci tiene a me…- ammisi in un sussurro stentato.
-…so che me ne pentirò.- soffiò lui arrendendosi del tutto ed io risi ancora e lo ringraziai, chiudendo la telefonata.
Ora veniva la parte difficile.
Quella davvero difficile.
Almeno per il mio “amor proprio”.
Mike era a scuola, mi disse Gab, potevo trovarlo al solito posto: che voleva dire che lo avrei trovato nel campetto dietro la palestra insieme con i suoi amici. Mi ripromisi di pretendere almeno che la mia umiliazione non fosse pubblica, ma non dovetti strapparlo a nessuna orda di balordi, perché quando arrivai era da solo – effettivamente nel campetto dietro la palestra – e stava leggendo Kafka sdraiato su una delle panchine che circondavano la linea del campo.
Mi avvicinai a passo spedito, lui era talmente immerso nella lettura che dovetti affacciarmi sul suo viso ed oscurargli completamente il sole perché si degnasse di abbassare il libro ed accorgersi di me. Mi scrutò un momento inespressivo e poi sogghignò e si tirò a sedere.
-A cosa devo l’onore, Molko?- mi chiese ironicamente, immaginando che quello fosse il mio momento di “tornare strisciando”.
Non reagii alla provocazione. Infilai la mano nel tascapane e tirai fuori un block notes su cui avevo ricopiato la canzone: testo e musica. Glielo sventolai sotto il naso tenendolo tra due dita ed annunciai incolore.
-La canzone per il concorso.
Lui allungò meccanicamente la mano ed io ritirai la mia e sfilai via il block notes prima che lo afferrasse.
-Non così in fretta, Mike.- lo apostrofai.- Ci sono delle condizioni.
Fece una smorfia ed un grugnito estremamente contrariati, scoccandomi un’occhiata svogliata.
-Sentiamo.- mi concesse.
-Mio padre non deve saperlo. A quelli del concorso ho pensato io,- dissi sibillino- ma tu dovrai fare in modo che la cosa passi inosservata con tutto il resto del mondo. Non m’interessa sapere come lo farai, ma mio padre non deve sapere di questa cosa.- ribadii conciso.
Mike annuì. Poi mi fissò seriamente e chiese brusco:
-Possiamo farci almeno un po’ di pubblicità? Sai, il solito giro per non perdere il sostegno di cui godiamo, quanto meno.- pretese.
Ci pensai su. Finora “il solito giro” era stato sufficientemente discreto da permettermi di mantenere il mio anonimato. Acconsentii con un cenno del capo ed allungai nuovamente il block notes. Mike me lo strappò di mano di malagrazia e buttò uno sguardo alle note trascritte in fretta ed ai primi due versi del testo.
Sogghignò ancora, sollevandomi in faccia due occhi che non promettevano nulla di buono. Ed infatti quando affondò fece un male fottuto.
-Potremmo andare sotto il naso di tuo padre con i manifesti del concerto, Cody,- asserì lentamente ed in modo studiato- e lui nemmeno si accorgerebbe di noi.
Incassai il colpo molto peggio di quello che pensassi. Storsi le labbra, mordendomele a sangue per ricacciare indietro tutta la rabbia che provai, e strinsi i pugni scrutandolo da sotto la saracinesca arruffata della frangetta.
-Sei proprio uno stronzo, Mike.- sussurrai, voltandomi subito dopo per tornare sui miei passi senza rivolgergli altro saluto che quello.
 
Allora, la storia entra nel vivo…sei di “vivo” si può parlare XDDD
Il nostro cucciolo sembra essersi deciso a percorrere la strada di babbo ç_ç (che, peraltro, è sempre più fastidioso ed isterico U_U) e Luke ci prova, almeno, a farsi valere.
Vedremo, vedremo…
 
Nel frattempo, a nome dell’Easily, si ringraziano del sostegno tutti i lettori e le lettrici, ma in particolare si manda un saluto affettuoso ed un abbraccio forte forte a: Erisachan, Ginnyred e Fteli per aver trovato il tempo di dirci la loro.
 
Un bacio ed alla prossima :**********

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Capitolo 6
*** VI ***


Ricordo che l’allenatore si voltò infuriato subito dopo l’infortunio di Patterson, gettò alla fila annoiata di noi riserve uno sguardo carico di aspettativa e di rabbia e, quando il nostro “uomo” fu di ritorno caracollante e ferito dal campo, si assicurò che non fosse proprio possibile rispedircelo e si arrese all’idea di scegliere uno di noi per sostituirlo.
-Perrington, muovi il culo e vai in campo.- mi disse brusco, voltandosi alla partita senza degnarmi di un secondo sguardo.
Io rimasi fermo perché credevo di aver capito male, così che uno dei miei compagni dovette darmi una manata per farmi alzare ed urlarmi un “muoviti, cretino!” per costringermi ad avanzare rigidamente verso la linea di bordo campo. Rimasi immobile lì un momento ancora, poi presi un respiro profondo ed entrai.
Ricordo, poi, che la mia prestazione non fu nulla di esaltante, perché nella vita vera quelle scene fighissime da filmaccio di serie “B”, in cui l’eroe sfigato si trasforma nel mito della squadra appena “arriva la sua occasione”, non si verificano mai. So che se la squadra riuscì a vincere non fu affatto merito mio, perché mi limitai a ruzzolare avanti ed indietro per il campo finché i miei compagni non realizzarono la mia inutilità e smisero anche di provare a passarmi la palla o ad inserirmi negli schemi di gioco. Ma so che vincemmo, perché alla fine ci fu un gran casino negli spogliatoi ed io ne feci comunque parte visto che nell’euforia generale non importava che non fossi veramente uno di loro.
Per cui, quando uscimmo dagli spogliatoi dandoci appuntamento in un pub per festeggiare, io raccolsi Gab, Cody ed Amy e mi unii alla squadra. Gli altri accolsero Cody ed Amy con l’indifferenza che si riserva agli estranei quando si è felici, ed accolsero Gab con una cordialità ammiccante che lui ricambiò divertito e sereno ed io trovai angosciante, dato che mi svelava dei risvolti di Gabriel – ed anche della squadra di football…ma in generale della vita scolastica – che giudicai spaventosi.
Andò tutto bene fino ai brindisi ed ai commenti di fine partita, quando ci fu servito un ulteriore, illegale, giro di birra scura offerto dal mister ai “suoi ragazzi”. A quel punto, qualcuno si voltò all’infortunato Patterson, deridendolo per l’essersi lasciato prendere a cazzotti con tanta facilità e coinvolgendo l’allenatore in un divertito coretto di insulti amichevoli da ubriachi.
-Se ci fossi stato tu in squadra ne avremmo fatti almeno altri dieci.- ridacchiò uno.
-E’ vero, Sam!- gridò un altro dal fondo del tavolo.- Tu sì che sei un ariete da sfondamento!
-Non avresti dovuto farti buttare giù a quel modo.- convenne il mister annuendo con convinzione.
-Ci hai lasciati completamente scoperti.- asserì il terzo.
-Non è mica colpa mia se hanno avuto paura ed hanno pensato bene di mettermi fuori gioco!- si schernì Sam Patterson ridendo.
Nessuno disse esplicitamente che io ero stato completamente inutile. O che ero un totale incapace. Nessuno mi rimproverò qualcosa in modo aperto. Fu la loro capacità di ignorarmi a rimproverarmi la mia stessa presenza lì.
Ammutolii di colpo, quando me ne resi conto, e spinsi lontano da me il boccale ancora pieno, fissando la scena con occhi nuovi e sentendomi tremendamente fuori posto. Perfino Gab - che scherzava con un paio di ragazzi rubicondamente felici di farsi prendere in giro da lui in modo sottile e cervellotico - o Cody ed Amy - che ridacchiavano tra loro, rintuzzando le battutacce che un altro paio di ragazzi rivolgevano ad Amy cadendo in una volgarità ammirevole - erano più idonei a quell’ambiente di me. Quando uscimmo da lì dentro per tornarcene a casa, unici sobri dell’allegra compagnia, mi ritrovai a camminare a testa bassa davanti al nostro quartetto. Gab mi veniva di fianco, camminando in silenzio come me, ed insieme a noi c’era solo il rumore basso delle chiacchiere di Cody ed Amy ale nostre spalle o il suono dei passi calcati sull’asfalto.
-Ehi, Luke.- mi sentii chiamare ad un certo punto da Cody.
Mi voltai dopo un po’, perso com’ero nei miei pensieri realizzai lentamente che voleva dirmi qualcosa e lo fissai con sguardo spento, senza metterlo a fuoco. Cody mi sorrise, ma fu Gab a proseguire per lui, sghignazzando.
-Non te la prendere.- mi consigliò.
Amy annuì, sorridendo anche lei, e Cody aggiunse cattivo.
-Non vuoi veramente far parte di quel gruppo di imbecilli.
-Il loro metro di giudizio è quello che è.- mi disse Amy con semplicità.- Se vuoi essere come loro devi adeguarti a loro, ma sta a te scegliere se quello che vedi ti piace.
-Insomma,- concluse Gab incoraggiante.- non devi sentirti un escluso perché sei diverso, devi decidere se vuoi diventare come loro o continuare ad essere diverso.
Li fissai riconoscente, riuscendo perfino a ricambiare i loro sorrisi, e mi dissi che se c’era qualcuno a cui avrei voluto adeguarmi, quel “qualcuno” erano loro, il loro gruppo.
Quello che non sapevo era che non avevo bisogno di farlo, perché io ero già nel loro gruppo.
***
Stavo studiando, come tutti i pomeriggi in cucina. Mia madre e Magda ridacchiavano tra loro preparando qualcosa nel forno ed il qualcosa spandeva un odore piacevolissimo che, insieme con la voce e le risate di mia madre, dava ai miei pensieri l’esatto sottofondo che ho sempre amato. Mio padre, stranamente, smise di lavorare molto prima del solito, abbandonò il suo eremo nello studio e ci raggiunse in cucina, sedendo di fronte a me con l’aria delle grandi occasioni. La cosa fu sufficientemente strana da gettare la stanza nel silenzio più totale alla sua apparizione.
-Stavo pensando che tra poco è il tuo compleanno.- esordì mio padre senza neppure assicurarsi che io alzassi il viso dai libri e lo guardassi in faccia.
Cosa che, teoricamente, non avevo intenzione di fare.
Però alzai il viso e lo guardai, pensando malignamente a cosa sarebbe successo se gli avessi chiesto a bruciapelo quanti anni facevo.
Lui comunque mi anticipò.
-Non hai organizzato nulla.- notò.
-No.- convenni io asciutto, continuando a scrutarlo da sotto la frangetta mentre mi chiedevo dove volesse andare a parare.
-Beh, dovresti farlo.- asserì soltanto.
-Veramente non rientra in una disposizione legislativa imperativa.- ritorsi io stringendomi nelle spalle ed abbassando nuovamente gli occhi sul quaderno.
-Ma fai quindici anni,- ribatté lui come se bastasse a spiegare le sue ragioni. Beh, almeno se lo ricordava. O aveva controllato prima di venirmene a parlare.- sarebbe giusto che organizzassimo una bella festa. Qualcosa di carino, magari in un locale giù in centro e…
-Non m’interessa fare nessuna festa in nessun locale, grazie.- lo interruppi secco io.
L’ultima cosa che volevo per il mio compleanno era uno di quegli eventi faraonici che tanto risalto mediatico riuscivano ad ottenere nei programmi stupidi di MTV. Mi figuravo già scene orrorifiche di “opinionisti” dal dubbio gusto che commentavano qualunque cosa: dalla lista degli invitati, alla scelta del locale, agli addobbi per la sala, ai miei vestiti…! Rabbrividii interiormente, ringraziando il Cielo per aver suggerito a mio padre di non regalarmi mai, per nessun motivo ed in nessun caso, qualcosa di assurdo e grottesco come un’isola personale.
-Non puoi davvero non voler festeggiare i tuoi quindici anni!- sbottò lui aggrottando la fronte.
Mia madre sospirò. Io sollevai nuovamente la testa, infastidito da quella perdita di tempo.
-Non ho detto che non intendo festeggiare i miei quindici anni.- spiegai.- Qualcosa farò!...Andrò a prendere una pizza con i miei amici, immagino.- buttai lì giusto per chiudere la questione.
Ma figuriamoci se a mio padre sarebbe bastato sentirmi parlare di pizze ed amici per mettere da parte la propria idea.
-Che sciocchezza!- asserì infatti, cattedratico.- Sei ricco, sei figlio di un personaggio famoso…puoi avere qualsiasi cosa!- elencò compitamente.- Non posso credere che tu voglia solo una pizza!
-Non ho detto che voglio una pizza!- ringhiai astioso.- Ho detto che non intendo fare una festa megagalattica alla quale tu inviterai i figli dei tuoi amici, che io non conosco ma che tu ritieni che dovrei frequentare per qualche assurdo motivo che non riesco ancora a spiegarmi!
Mio padre mi squadrò, arrabbiato almeno quanto me. Odiavo quando succedeva, perché quel modo di fronteggiarci, con un’ira feroce negli occhi e facendoci quanto più male possibile, mi sembrava comunque innaturale. Mi chiesi per quale motivo non riuscissimo a mantenere dei toni accettabili quando parlavamo: perché lui dovesse sempre prendere quell’atteggiamento da padre padrone ed io irrimediabilmente dovessi infuriarmi ed abbaiargli contro.
Come che fosse, il telefono squillò prima che lui potesse dire altro e mio padre si alzò, buttando lì un “vado io” stentato ed approfittandone come scusa per lasciare la stanza e la discussione senza tirarla avanti.
Magda si dileguò ad un cenno di mia madre, che non vidi ma immaginai quando mamma mi si sedette davanti prendendo il posto lasciato vuoto da papà.
-Cody,- esordì in un modo che non mi piacque proprio. Mugolai il mio dissenso sperando di salvarmi e sollevandole in faccia uno sguardo cuccioloso, ma lei non si fece fregare.- tu lo sai che io sono sempre dalla tua parte,- mi disse ragionevole.- ma penso anche che tu stia esagerando un po’.
Sospirai. Solo quel mattino le avevo detto del concorso e lei, come lo zio Stefan, aveva ritenuto che fosse il caso mi decidessi a parlare con papà della band una volta per tutte. Io ovviamente ero impazzito ed avevo cominciato a fare mille ed una difficoltà, così che lei alla fine si era arresa, accettando di coprirmi ancora una volta.
Tutto questo valeva a farmi capire bene che sì, lei era sempre dalla mia parte, e che sì, stavo davvero esagerando.
-Tuo padre ci prova a venirti incontro, Cody.- ricominciò lei pazientemente.- Magari non è il massimo… Magari a te non interessa davvero fare una festa.- aggiunse precipitosamente per interrompere l’evidente protesta che stava per cominciare. Mi lasciai ricadere sulla sedia sbuffando fuori il fiato che avevo immagazzinato in attesa di darvi il via e continuai ad ascoltare.- Ma Santo Cielo, Cody, dagli tregua!- soffiò lei stringata.
La fissai mortificato. In effetti mi sentivo in colpa per come mi ero comportato negli ultimi giorni, ma ero nervoso, agitato e pieno di casini ed alla fine, riassumendo, i miei casini ruotavano tutti attorno a mio padre, per cui era quasi naturale che lo detestassi più del solito.
-…non voglio davvero una di quelle feste del parossismo che si vedono alla televisione…- piagnucolai a mezza voce.
Lei rise.
-Niente feste da figli di star, promesso.- mi concesse rapidamente.- Potete farla qui a casa.
L’idea mi stuzzicava e la presi in considerazione. Mia madre se ne accorse e mise subito sul banco le condizioni.
-Potete usare il giardino ed il saloncino accanto allo studio.- mi spiegò.- Scegli tu gli invitati ma dai a me e tuo padre la possibilità di organizzare.
-…niente gente famosa. Neanche a suonare o qualcosa del genere!- affermai categorico agitando un dito con aria minacciosa.- Al massimo un dj a caso, un ragazzino come noi!
-O.k.- annuì mia madre.
-Niente regali assurdi!- strillai io mentre, per qualche motivo a me sconosciuto, mi si materializzava davanti l’immagine di me che spacchettavo un’isola infiocchettata.
-Niente regali assurdi.- concesse ancora mia madre sorridendomi divertita.
-E poi voi non dovete restare a casa.- dissi, un po’ titubante perché sapevo che quella cosa era la più difficile da ottenere.- Festeggio con voi a pranzo, ma la sera voglio fare casino come qualsiasi quindicenne normale.
Mia madre sospirò ma si strinse nelle spalle e mi concesse anche quella.
-Ora però vai da tuo padre e rinegozi le stesse condizioni con lui.- mi disse con una serietà che mi fece capire che quello era un ordine da non mettere in discussione.
-…se è al telefono?- chiesi a mezza voce per prendere tempo.
-Aspetti che finisca, vai da lui e rinegozi le stesse condizioni.- ribadì mia madre asciutta.
Mi alzai di malavoglia, arrancando verso la porta con passo strascicato, ma lei mi richiamò prima che uscissi.
-E, Cody,- mi apostrofò mentre mi voltavo a ricambiare il suo sguardo.- se tuo padre non è d’accordo, o trovate un’intesa tra voi o non se ne fa nulla. Ma proprio nulla, nemmeno la tua pizza con gli amici. Esci con me e tuo padre al massimo.
…che punizione di merda.
 
Nota di fine capitolo
 
Capitolo di passaggio, nato dalla voglia spasmodica di far interagire Brian e Cody in una situazione “padre /figlio” nonché dall’esigenza di introdurre l’argomento “festa di compleanno di Cody”, rilevante tra pochissimo *ma niente spoiler! X’D*
Spero non sia troppo noioso ^^’
 
A parte ciò, si ringrazia sempre Ginnyred per il commento graditissimo al capitolo precedente e si ringraziano più in generale tutti i lettori/lettrici di questa storia.
 
Baci ed alla prossima :******
 
 

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Capitolo 7
*** VII ***


O ero io che quella sera ero particolarmente di buon umore o era Gab che era particolarmente brillante. Fatto sta che di sicuro era particolarmente bello.
Quando passò sotto casa a prendermi, dicendomi semplicemente che se volevo potevo accompagnarlo nel suo giro di “promozione” della band – “sai, per far sapere ad un po’ di gente del concorso” – io lo fissai, imprimendomi ben in mente ogni singolo particolare della sua figura ritta davanti la porta: partendo dai pantaloni scuri, ovviamente a vita bassissima, ricoperti – letteralmente – di tasche e tasconi, per passare alla maglia a manica lunga, blu elettrico e con disegni di un rosso intenso e brillantissimo, che gli si appiccicava alla pancia ed al petto magri e tonici, indugiando piacevolmente sull’elastico in vista dei boxer firmati, che scivolava lasciando esattamente un dito di pelle scoperta tra loro ed il risvolto della maglia. Capelli lucidi e pettinati ad arte, in modo da assumere quelle piccolissime onde spumose e rosseggianti che erano la loro caratteristica naturale; dita coperte di anelli per richiamare l’attenzione sul loro movimento ipnotico; collo ben in mostra con il solito laccetto di cuoio e tribale che diceva “sono qui solo perché tu abbia una scusa per guardare questo punto esatto”.
Sospirai e pensai chiaramente “c’è una vaga possibilità che io o chiunque altro ti dica di no?”.
Quindi avvisai i miei che uscivo strillandoglielo da sotto le scale, uscii davvero e mi tirai dietro la porta, assicurandomi solo di avere in tasca chiavi, portafoglio e cellulare.
Il resto del viaggio fino al primo dei locali che avevamo in programma lo passammo a ridere.
Avvertivo che la complicità tra noi si era fatta più forte, mi sentivo meno a disagio anche se Gab mi camminava accanto bello da togliere il fiato, riuscivo a concedermi il lusso invidiabile di guardarlo senza dover per forza arrossire imbarazzato e questo riusciva a creare un clima molto più sciolto e disteso tra noi.
Mi fece vedere un paio di posti carini, lì nel quartiere, indicandomeli come altrettanti locali in cui avevano suonato e tornavano ogni tanto. All’interno trovammo vari gruppetti di ragazzi che lui salutò con familiarità, presentandomi poi una tale teoria di facce e nomi che non provai neppure ad immagazzinarli tutti. Il copione era semplice e sempre lo stesso. Ci si fermava a scambiare due chiacchiere, si diceva del concorso, ci si beveva qualcosa di analcolico assieme a loro e si salutava passando oltre.
Poi uscimmo dal quartiere. Gab non perse la propria dimestichezza disinvolta da animale che copre il proprio territorio. Ci infilammo in altri due locali in una zona vicina, un paio in centro, e poi ci spostammo in periferia. Erano le tre di notte, faceva un freddo cane e crollavo di sonno, mentre Gab sembrava fresco come si fosse appena svegliato e sfoggiava un’ironia impeccabile ed una malizia al limite dell’offesa al pudore. Man mano che la “gente” era cambiata con l’ambiente, lui aveva adattato con facilità il proprio comportamento, risultando perfettamente integrato qualunque posto o qualunque compagnia fosse presente. Io invece mi ero progressivamente zittito, ritenendo che il rapido venir meno delle mie facoltà mentali con l’avanzare della notte fosse sufficiente a farmi rischiare gaffe imperdonabili. Alle cinque eravamo in un posto talmente di merda che, guardandomi attorno, mi chiesi se fossimo ancora a Londra.
-…ma dove cazzo stiamo andando?- m’informai terrorizzato quando mi accorsi che dietro un angolo c’era un gruppetto di tizi impegnato in una conversazione alquanto equivoca su della roba che doveva arrivare ed era in ritardo.
Istintivamente mi portai più vicino a Gab, rendendomi poi conto che se facevo affidamento su di lui per uscire vivo da lì, con ogni probabilità sarebbe stata l’ultima cosa che avrei fatto nella mia vita.
-Sai cosa penso?- mi disse lui all’improvviso, continuando a camminare tranquillo nonostante tutto ed ignorando volutamente la mia domanda.- Che tu sbagli approccio con Cody!- asserì.
Sbuffai, spalancando gli occhi e chiedendomi se fosse serio.
-Gab, ti pare il momento?!- lo interrogai aspro.
-Cody è un idiota in certe cose.- mi spiegò lui imperterrito.- Non ha mai avuto una ragazza diversa da Amy, vive in un mondo molto simile all’Iperuranio di Platone e se le cose non gliele ficchi sotto il naso a forza non riesci a fargliele vedere!
-Sì, tipo: quello lì ha una pistola sotto il giubbotto?- ironizzai io, veramente preoccupato, tirando Gab per la manica della maglia nella speranza di distrarlo dal proprio monologo.
Lui gettò effettivamente un’occhiata al tizio che indicavo e borbottò un “probabile” alquanto disinteressato.
-Dovresti baciarlo.- concluse rapidamente subito dopo.
E riuscì effettivamente lui a distrarre me dalle mie preoccupazioni.
-Prego?- ritorsi spaesato.
-Dovresti baciarlo.- ribadì senza problemi Gab.- Metterlo davanti alla cosa per com’è.
-Io non gli interesso!- protestai con veemenza.- Come puoi suggerirmi di baciarlo! Mi tirerebbe un pugno!
-Non puoi sapere se gli interessi se lui continua a non sapere di interessare te.- asserì lui in un giro astruso e palesemente privo di senso.- E comunque ha la mano talmente leggera che non te ne accorgeresti nemmeno.
-Fanculo, Gab!- strepitai. E poi respirai a fondo e cercai di calmarmi per fornire una risposta concreta.- Senti…quella canzone…- borbottai a fatica- quella che state imparando per il concorso…- specificai. E Gab si voltò interessato a guardarmi.- Lui l’ha scritta per Amy.- dissi con sicurezza.- Non solo per Amy, è chiaro, ma è di lei che parla.
-…lo pensi sul serio?- mi domandò Gab con voce fievolissima, scrutandomi con attenzione mentre annuivo.
-Sì.- rimarcai e tornai ad affermare in tono spento- Io non gli interesso. E non ho speranze.- Gab aprì la bocca per ribattere, ma lo interruppi con fermezza, posandogli una mano sul braccio e spiegandogli.- Mi va bene. È innamorato di lei ed io di lui. Forse ad uno dei due passerà. Magari no. Ma non importa.
Gab si fermò. Credetti che fosse perché voleva dirmi qualcosa ancora, ma lui si limitò a guardarmi attentamente per capire se fossi sincero ed io ricambiai il suo sguardo sostenendolo senza problemi. A quel punto lo sentii sospirare forte e, prima che potessi chiedergli cosa non andasse, si voltò ancora e spinse la porta cigolante di un edificio sulla nostra destra. Pensai che ci sarebbe caduta addosso per quanto malamente rimaneva attaccata ai propri cardini.
Ma grazie a Dio resistette e noi entrammo in un antro puzzolente e svoltammo su una rampa di scale malmesse che ci trascinò rapidamente in basso. Dal fondo di un corridoio cortissimo ed angusto ci venne incontro della musica roboante ed assolutamente sconnessa, una roba che ci riempì in fretta orecchie e cervello e che mi indusse a pensare che quasi quasi avrei aspettato Gab fuori, stavolta. Ma quando gettai un’occhiata distratta alle pareti ricoperte di graffiti del corridoio e lessi tra le righe motti ed incitamenti tutt’altro che rassicuranti, pensai che magari avrei dovuto essere io a difendere Gab…per quello che valeva. Per cui mi appiccicai a lui ed insieme entrammo da una specie di arco basso all’interno di un unico stanzone illuminato da luci psichedeliche e stroboscopi. Il rumore raggiunse vette mai ascoltate prima, io socchiusi gli occhi infastidito da tutto quel casino almeno quanto dalla piccola folla di individui tatuati, crestati, ingellati e borchiati che occupava lo spazio tra noi ed il fondo della stanza. Punk.
-Cosa ci facciamo qui?- cercai di dire a Gab, sovrastando la musica e spingendomi verso il suo orecchio perché cogliesse la domanda.
Lui sorrise.
-Cerchiamo una persona.- mi strillò a sua volta, imitando le mie manovre.
-Aaah.- ritorsi io annuendo con vigore e rendendomi conto che la sua non era una vera risposta.
Gab non me ne fornì una seconda, comunque, si buttò dentro la stanza e con scioltezza navigò nel mare umano alla ricerca del suo qualcuno. Io mi affrettai a seguirlo, impensierito dalla possibilità di perderlo in mezzo a quel bordello e di ritrovarmi da solo, l’indomani mattina, con un gruppo di punk imbestialiti addosso. Capii in fretta, in ogni caso, che Gabriel sapeva esattamente dove cercare, perché non perse tempo a girare a caso nel gruppo ma si diresse rapido ad un angolo in fondo alla sala, riparato dietro una specie di paravento, dietro cui trovammo un tavolo, un divano enorme di quelli a semicerchio da night club ed un gruppettino formato da tre ragazze seminude e due ragazzi praticamente identici tra loro.
-CJ e Nicky.- mi presentò Gab con un sorriso largo, additando i due punk maschi.
Le tre ragazze ridacchiarono e sollevarono manine dagli artigli enormi e smaltati di rosso fuoco.
-Ciao, Gab!- cinguettarono.
-Io levo le tende.- annunciò Nicky, tra i due quello più appariscente, con un’alta cresta blu e verde, un giubbino smanicato borchiato nero che indossava direttamente a pelle, un tatuaggio enorme su un braccio ed un paio di pantaloni così aderenti che pensai si fossero fusi con le sue gambe.
Si sollevò e sparì effettivamente, insieme con le tre tizie che si alzarono con lui e lo circondarono amorevoli uscendo.
Gab ne approfittò per lasciarsi cadere accanto al tipo rimasto, che per parte propria non gli aveva staccato gli occhi di dosso e continuava a sorridergli compiaciuto.
Lo osservai, era chiaro che lui e l’altro erano fratelli. Gemelli, presumibilmente. Lui era appena più discreto: capelli biondissimi, corti a spazzola, viso gradevole, con occhi molto espressivi ed intensi, profondi nel viso e scuri, piercing al labbro, al sopracciglio ed alle orecchie, jeans strappati, larghissimi e bassi sui fianchi, maglietta a rete nera sotto cui s’intravedeva una seconda maglia, molto più corta e scollata, catene che pendevano dai pantaloni. Per il resto la stessa identica figura longilinea, lunghissima e vagamente dinoccolata del fratello e stessa faccia dai tratti marcati e maschili. Dovevano essere più grandi di noi, vent’anni e forse qualcosa di più, riflettei.
-Ehi, Gab!- salutò il tizio in tono basso, allungando subito un braccio a catturare la figura snella di Gabriel per tirarselo addosso.
Dal rigonfiamento inequivocabile dei suoi pantaloni intuii che era davvero così felice di vederlo come si mostrava. Arricciai il naso, mentre Gabriel rideva e rintuzzava fiocamente quell’approccio disinvolto.
-Tuo fratello è insaziabile come sempre, eh CJ?!- s’informò distrattamente, fingendo di non accorgersi del modo in cui la mano del tizio si stesse infilando sotto la sua maglia, accarezzandogli la pancia.- Adesso addirittura tre alla volta?
-Sai com’è fatto Nicky.- sminuì CJ affondando il naso nel collo di Gab.- Dio! Sei profumato come sempre.- affermò deliziato.
-Piantala.- si decise a rimbeccarlo Gabriel, mollandogli una sberla sulla mano per costringerlo ad eseguire. CJ la spostò davvero, ma Gab non si scostò da lui ed anzi gli si sistemò meglio addosso, allungando la testa sulla sua spalla e la schiena sul petto.- Allora, ho bisogno di voi.- annunciò.
-Tutto quello che vuoi, dolcezza.- ridacchiò l’altro continuando ad annusargli i capelli e ad affondarci dentro il viso come un cane in calore.
-Uhm…niente di che, in realtà.- spiegò Gab scrollando le mani.- Mike ci ha iscritti ad un concorso musicale e sta mettendo in giro la voce per essere sicuro di avere un gruppetto di fan a sostenerci.
-Quando?- si limitò a chiedere CJ, molto più interessato a riprendere le proprie carezze invadenti che non ad ascoltare quello che Gabriel aveva da dirgli.
Scrutai di sottecchi le dita del tizio risalire nuovamente i fianchi di Gab per tornare ad affondare tranquillamente sotto il bordo della maglia. Stavolta Gab non protestò neppure ed io arrossii arrabbiato e mi voltai infastidito da quella scena, chiedendomi esattamente quale fosse il mio ruolo in quel momento ed in quel posto.
Gab intanto tirò fuori nome del posto dove si sarebbe tenuto il concorso, data ed orario dell’esibizione e CJ annuì, recependo comunque tutte e tre le informazioni e promettendogli che lui ed i “ragazzi” sarebbero stati lì. Preferii evitarmi di chiedergli se per “ragazzi” intendesse “la masnada di animali pidocchiosi che occupava quella topaia”, perché ero quasi certo che lui non avrebbe apprezzato i termini nei quali avrei formulato la domanda.
Gab si sciolse dal suo abbraccio e si tirò dritto e, seppure con una riluttanza evidente, CJ lo lasciò fare, rimanendo quieto al proprio posto a scrutarlo dal basso.
-Dovresti deciderti a venire a trovarmi per restare qualche giorno, Gab, come facevi prima.- sogghignò.
-Prima scopavo stabilmente con te, CJ, ricordi? Ora non più già da un po’.- gli rammentò pacato.
-Magari dovresti ricominciare a fare anche quello.- suggerì lui maliziosamente.
-Tesoro, dovresti essere molto più convincente di così!- rise Gab.
E CJ gli andò dietro nonostante tutto, facendo eco alla sua risata con la propria.
-E quello?- chiese indicandomi con il pollice, semi-sdraiandosi sul divano, braccia stese sullo schienale e posa strafottente.
Io mi resi conto di non essere trasparente come avevo immaginato all’inizio di quella “discussione” allucinante. Gab mi scoccò un’occhiata, nemmeno avesse davvero bisogno di voltarsi e vedermi per capire di chi CJ parlasse, poi però non gli rispose se non in modo vago.
-Un amico.- disse prima di salutare con la mano ed uscire con un “ci si vede” che sapeva davvero di poco.
Buttai uno sguardo ancora a CJ e mi accorsi che, in effetti, il sapore di poco quel saluto glielo aveva lasciato eccome, i suoi occhi erano incollati alla schiena – ed in particolare al fondo schiena! - di Gab in rapido allontanamento ed io mi domandai come accidenti facesse il mio amico a non sentirseli addosso al punto da doversi fermare a grattarseli via dalla pelle.
-Chi cazzo erano quelli?- arringai Gab appena fummo all’aria aperta, con molta più asprezza di quanta me ne sarei concessa in altre occasioni, luoghi ed orari del giorno.
-CJ è il migliore amico di Mike.- mi disse stringatamente lui, rifacendo la strada a ritroso ad un’andatura sveltissima, tanto che faticavo a stare dietro al suo passo a falcate ampie e dritte.- Sono stato con lui per un po’ dopo Erik, ma poi ci siamo lasciati.
-Direi che tu lo hai lasciato, lui riprenderebbe molto volentieri da quel punto!- corressi io indicando dietro di me come se la porta di quel posto fosse ancora lì.
Gab rise, tornando la stessa creatura spensieratamente affascinante di sempre in meno di un momento.
Eppure non riuscivo a togliermi dalla testa le mani di CJ ed il modo in cui risalivano la sua pelle senza che lui facesse nulla per fermarle.
-Non dovresti permettere alla gente di trattarti come fanno.- sussurrai d’istinto, stringendo gli occhi per cacciare via quell’immagine.
Gab mi guardò stupito.
-Io non permetto niente.- mi disse tranquillo.- Se non quello che sta bene a me per primo.- affermò poi con semplicità.
Magari ero io ad avere dei problemi con il sesso, pensai arrossendo. In fondo non è che la mia esperienza sull’argomento fosse ampia.
Anzi, era proprio scarsa.
Sospirai, riprendendo ad osservare in silenzio Gab ed il suo profilo bellissimo: la verità era che i tipi come CJ io li invidiavo ferocemente.
***
La prima volta che suonammo la canzone che avevo scritto per il concorso, Mike mi chiese come s’intitolasse. Io scoprii di non averle affatto dato un nome e rimasi a bocca aperta a fissarlo, più o meno con l’espressione che, penso, avrei usato se mi avesse chiesto di uscire con lui. Mike sbuffò, spazientito, mi disse che ero un coglione e poi si voltò verso la mia ragazza e la additò.
-La canzone di chiama “Amy”.- sentenziò seccamente.
Arrossii e ricambiai l’occhiata interrogativa di Amy senza risponderle. Mi stupì non poco rendermi conto che i miei amici, alla fine, mi conoscevano perfino meglio di quanto non facessi io stesso.
Luke ed Amy sedettero nel solito angolo, e noi ci disponemmo agli strumenti con la solita gestualità rituale. Nel farlo provai un brivido, come se avessi paura che qualcosa sarebbe andato storto, che niente potesse essere più come prima dopo che ero uscito da lì dicendo che non avrei fatto ritorno. Ma invece fu tutto esattamente come sempre, la voce di Gab ed il suo modularsi con esattezza attraverso una scala di toni che strappava i brividi a chi ascoltava, il suono del basso di Mike che faceva da base potente e solida alla musica, la batteria di Fran con il pestare ritmico talmente perfetto da far presumere una semplicità di riproduzione che non apparteneva affatto alle sue linee di batteria, il violino di Vale che alzava toni stridenti accompagnando la voce di Gab ed interloquendo con essa in un controcanto ossessivo. Chiusi gli occhi e mi concentrai sulla percezione esatta delle corde sotto le dita, erano rassicuranti…proprio come i tasti del mio piano.
-Non è andata male!- esclamai entusiasta quando riponemmo gli strumenti un paio di ore più tardi.
Mike grugnì il proprio dissenso, ma lui non era mai contento delle nostre performance e quindi nessuno di noi gli dava più corda quando dissentiva. Gab annuì vivacemente, sorridendo soddisfatto e felice e scolandosi da solo una bottiglia di acqua, a cui si attaccò fluidamente appena si fu riappropriato della propria borsa. Fran infilò la testa nello zaino che si era portato dietro e ne riemerse con una merendina oscenamente grassa ed insalubre che attaccò con voracità, ridacchiando come un bimbo.
-Cielo, Fran, ti coprirai di brufoli senza pietà!- affermò Vale osservandolo ed inarcando un sopracciglio con aria disgustata.
-Ho fame.- ribatté lui scrutandola con gli occhi sgranati. E riprese a mangiucchiare contento da dove si era interrotto.
Mi sedetti accanto ad Amy, mentre Gab si lasciava crollare al fianco di Luke e posava le spalle contro il muro alle proprie spalle sospirando ed incrociando le mani sulla pancia perennemente scoperta.
-Oh!- commentò strizzando gli occhi.- Se non vinciamo con questa, non vinceremo mai!- asserì.- E’ una canzone stupenda!
Mike gli scoccò uno sguardo di fuoco, battendo un piede a terra stizzito ed allontanandosi con la scusa di rimettere a posto il proprio basso pur di non dover concordare con il fratello. Lui sghignazzò osservando quelle manovre e mi ricambiò un’occhiata complice da sopra le ginocchia di Luke, che girò lo sguardo dall’uno all’altro senza capire.
-E’ davvero molto bella.- convenne Vale quietamente, sedendo davanti a noi su una vecchia sedia imbottita ed accavallando le gambe per potervi posare su il gomito ed appoggiare il mento al pugno chiuso. Il busto sottile si sporse in avanti, dando alla compagnia per intero una visione precisissima del suo seno piccolo all’interno della scollatura generosa del vestito nero e rosso.
Distolsi meccanicamente lo sguardo, fissandolo su Amy che mi si accoccolò contro sorridendomi, Luke arrossì e sollevò la testa di scatto, Fran s’infilò di nuovo nello zaino per emergere con una barretta di cioccolato e cereali e Gab fissò impudente la scollatura per poi alzare gli occhi sulla ragazza ed indicarle con precisione le tette.
-Copriti.- le disse piatto.
Vale si raddrizzò di scatto, imbarazzata, e tirò su bruscamente il risvolto dell’abito.
-Maniaci!- sibilò stizzita.
Gab ridacchiò a nome di tutti.
-Che si fa?- s’informò Mike tornando a pascolare vicino a noi, mani nelle tasche ed aria scazzata.
-Andiamo a mangiare qualcosa?- piagnucolò Fran, sollevandogli addosso uno sguardo tenero da pulcino bagnato.- Ho una fame che non ci vedo!
-Questo si era intuito, pidocchio.- ritorse Mike impietoso.- Sei sporco di cioccolato come un moccioso e continui comunque ad ingozzarti come un tacchino a Natale. Diventerai una specie di botolo rotolante e schifoso e finalmente potrò buttarti fuori dalla band.
-Fran è il miglior batterista che questo schifo di gruppo ha mai avuto.- ribattei in difesa del ragazzino, che peraltro aveva ignorato del tutto il commento di Mike, impegnato a scavare nello zaino alla ricerca di altre cibarie.- E noi non siamo una boy-band.- osservai cattivo.
-No, ma l’immagine conta.- ritorse Mike sorridendo velenosamente.- Pensa al gruppo di tuo padre.
-Fanculo, Mike!- sbottai arricciando il naso e chiudendo la questione.
-Sei talmente stronzo che alle volte mi chiedo come facciamo ad essere fratelli.- convenne Gab annuendo.
-Tu sei stato adottato.- affermò lapidario Mike, ignorando volutamente il fatto che la somiglianza fosse tale e tanta da rendere impossibile quell’ipotesi.- Io volevo un cane, in ogni caso.- aggiunse giusto per essere gratuitamente cattivo una volta di più.
-Allora?- domandai per sviare il discorso- Andiamo a mangiare qualcosa? Ho fame anche io.- affermai seccamente e, fissando Mike, chiesi.- O pensi che diventeremo tutti botoli schifosi e dovrai trovarti un’altra band o, in alternativa, darti al metal?
-Figurati!- sbuffò lui sorridendo malignamente.- Sei tu quello che se ne va in giro con camicie di flanella a quadrucci!- osservò.
-Ti ho già mandato “a fanculo” dall’inizio di questa discussione, Mike?- domandai dolcemente.
-Cazzo, che memoria di merda, Cody!- sbottò lui.- Meno di tre secondi fa. Dovresti fare qualcosa, le tue facoltà intellettive si stanno deteriorando molto più velocemente di prima.- asserì.
-Le tue non sono mai esistite.- ritorsi annoiato.
-Fottiti, coglione.- mi sorrise lui.
-Fanculo, stronzo.- rimarcai ricambiando il sorriso.
-Ma quanto sei testa di cazzo?
-Quanto cazzo mi pare.
-Ma perché i maschi di oggigiorno sono sempre pronti a riempirsi la bocca di “cazzo” e nonostante questo sono tutti omofobi?- s’interrogò Gab a voce alta, interrompendo così l’interessante dialogo che si stava svolgendo tra me e suo fratello.
Ci voltammo a guardarlo, sconvolti, e lui, che non aveva mosso un muscolo dalla posizione semisdraiata che aveva assunto quando si era lasciato cadere a terra, si limitò a voltarsi quietamente verso di noi e ricambiarci lo sguardo senza mutare espressione.
-Dio, Gab!- sbottò Mike, infastidito.- Ma com’è che sei così volgare?!- notò.
-Senti da che pulpito!- commentai io schifato.
-Scuola tua, fratellone.- ammise Gab. Si tirò in piedi stancamente, tirando su i pantaloni per evitare di restare completamene nudo, e proseguì apatico.- Muoviamo il culo, che mi sto rompendo ed ho fame anche io.
-Amo quando fa così!- affermò Vale, concedendosi per una volta tanto una sana risatina ironica, mentre Gab usciva per primo e noi lo seguivamo più lentamente, Mike in testa che gli gridava contro inorridito di “pulirsi la bocca, o gliel’avrebbe pulita lui a suon di ceffoni!”.
Mentre raggiungevamo uno dei pub che frequentavamo in genere, mi affiancai ad Amy, tirandomela vicino e passandole un braccio attorno alle spalle. Lei sorrise, lasciando che il gruppo ci sfilasse davanti: Mike che continuava a rimbeccare tutto e tutti, concedendo insulti a destra e manca; Fran che pregustava felice la cena, annunciando che avrebbe divorato un hamburger di proporzioni immani; Vale che camminava ticchettando su tacchi vertiginosi con la grazia elegante di una pantera; Luke e Gab, affiancati anche loro, che parlottavano a voce bassa ridendo di tanto in tanto per qualcosa da cui il resto della combriccola era escluso. Rimanemmo in coda a tutti ed Amy si sporse a baciarmi, posandomi una mano piccolissima sul petto e la testa ricciuta sulla spalla.
-E’ davvero per me?- domandò in un sussurro sottile.
Annuii istintivamente.
Era per lei. Era per mia madre. Era per tutto il gruppo.
Non sapevo nemmeno io quante cose ci avevo infilato a forza in quella canzone, ma era stato quasi impossibile tenerle tutte insieme dentro di me e liberarsene così era stato incredibilmente soddisfacente. Suonarla con gli altri, poi, mi aveva dato la sensazione di poter gridare a tutti quello che provavo senza che dovessi necessariamente giustificarmi, parola per parola.
Amy continuò a sorridere, riflettendo in silenzio, ed alla fine scosse la testa.
-No.- disse quieta sistemandosi nel mio abbraccio.- Ci sono anch’io, è vero.- ammise.- Ma c’è anche altro.- capì.
La amavo anche per quello, per il suo comprendermi rapida come un soffio di vento ed altrettanto leggera. La strinsi un po’ di più, affondando il viso tra i suoi ricci e chiudendo gli occhi al profumo dello shampoo.
-Ci hai messo dentro anche tuo padre.- buttò lì dopo un momento.
Sollevai la testa di scatto. Spalancando gli occhi e fissandola senza capire. Ripensai alla canzone, al momento in cui l’avevo scritta ed a quello che avevo pensato.
E capii che era vero.
Gab strillò qualcosa in tono euforico. Non sentii cosa fosse, ma mi indusse lo stesso a voltarmi di scatto per cercare di afferrarne il senso, così che lo vidi buttare le braccia al collo di Luke, che rideva, ed appenderglisi addosso in un modo inequivocabilmente provocatorio.
-…gli piace proprio tanto.- commentai borbottando.
Amy non rispose nulla, ma li guardò anche lei ed io notai la vena di perplessità nei suoi occhi, mentre Luke si congelava imbarazzato tra le braccia di Gab, tanto che lui lo lasciò andare, probabilmente rendendosi conto di aver esagerato. Mike sbuffò, fissandoli contrariato ma rimanendo insolitamente zitto, e la porta del pub ci bloccò all’ingresso, con Fran che faceva eco allo strillo felice di Gab e si precipitava dentro ruzzolando come al solito. Vale fu la prima a seguirlo, a passo studiatamente lento, posò una mano sul braccio di Mike e questo bastò a tirarselo dietro, nonostante il ragazzo si tormentasse da solo con occhiate rapide e feroci al fratello e Luke che li seguivano appaiati.
Presi Amy per mano e scesi con lei nel locale.
-Credo che sia molto bello quello che gli hai detto.- mi disse lei mentre io rifiutavo il suo sguardo, puntando l’attenzione con ostinazione sulla strada brevissima che compimmo per raggiungere il saloncino interno- Dovresti trovare il coraggio di ripeterglielo di persona.
 

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Capitolo 8
*** VIII ***


Della festa dei quindici anni di Cody ricordo solo gli eventi davvero salienti. Tutta la prima parte mi è chiara, perché per tutta la prima parte non successe assolutamente nulla di eclatante. Eravamo organizzati nel parco dietro la villa, dove c’era la piscina ed un gazebo molto bello. I suoi avevano fatto preparare lì i tavoli con cibi e bevande, ordinandoli sul bordo della piscina. Alla fine tra Cody e suo padre erano arrivati alla decisione di non chiamare un dj, ma un gruppo che suonasse dal vivo e suo padre aveva entusiasticamente assoldato una delle band esordienti che curava personalmente. Cody aveva sbuffato, aveva accolto la band con aria imbarazzata e si era scusato un milione di volte per quella cosa, che a suo dire era umiliante oltre ogni ragione.
Loro lo avevano fissato stupiti, guardandosi poi tra loro come se dovessero stabilire esattamente cosa dire, alla fine avevano cercato di spiegargli che erano stati felici di questa cosa e che Brian era stato molto carino nel chiedergli il favore di suonare alla festa del figlio.
Cody aveva boccheggiato come un pesce fuori dall’acqua a sentire parlare di suo padre che chiedeva favori a qualcuno e non si limitava a dare ordini, approfittando della propria posizione di vantaggio.
Beh, come che fosse a loro faceva sinceramente piacere. Ed a noi fece sinceramente piacere averli lì. Cody gli si appiccicò addosso - a riprova di come fosse assolutamente disinteressato al mondo della musica - ed insieme a Mike li interrogarono su qualsiasi curiosità venisse loro in mente, impedendogli peraltro di fare ciò che per cui erano venuti. Li mollarono per lasciarli suonare solo quando le cose cominciarono a prendere la china disastrosa che dovevano.
Tutto cominciò in modo abbastanza soft, in realtà.
Mike aveva convinto Cody ad invitare alla festa anche i due fratelli che io e Gab avevamo incontrato nello scantinato punk: CJ e Nicky. Loro si presentarono con una compagnia molto ristretta di persone ed una scorta immensamente vasta di birra – ovviamente non c’erano alcolici alla festa prima che facessero il loro ingresso – e di erba.
….immagino sia inutile specificare che non c’era nemmeno droga, alla festa, prima che i due gemelli facessero il loro ingresso.
Cody prese la cosa nervosamente da subito, presagendo che sarebbero stati casini, ma siccome i suoi invitati erano molto più propensi di lui a salutare con clamore quell’inaspettato intervento, lui se ne stette zitto, fulminando comunque di sottecchi Mike che reputava responsabile di qualsiasi cosa fosse successa.
Da quel punto in poi, ricordo solo gli eventi salienti di quella serata. Che peraltro sono stati talmente tanti e talmente considerevoli che avrei potuto ingurgitare il doppio delle birra che ho mandato giù e fumare almeno altri dieci spinelli, oltre quello che Gab mi costrinse a dividere con lui, e comunque mi sarebbero rimasti scolpiti nella carne.
La prima cosa che mi ricordo, è proprio Gab, la birra e gli spinelli. Probabilmente lui aveva già bevuto e fumato troppo per i suoi standard, perché il suo atteggiamento era talmente diverso dal solito da lasciarmi disorientato. Mi venne vicino mentre sedevo in disparte cercando con lo sguardo Cody in mezzo alla folla in cui era sparito da qualche minuto. Gab mi si schiantò affianco ridendo e sospirò soddisfatto, scoccandomi poi un’occhiata indagatrice che mi fece venire la pelle d’oca.
-Sei sobrio.- constatò.
-Sono astemio.- confessai io.
Lui sbuffò, argomentando che ad una festa di compleanno come quella essere astemi non era una virtù ma un difetto, mi prese per un polso con entrambe le mani – ero comunque più ben piazzato di lui, anche se mi superava di qualche centimetro – e mi costrinse a rimettermi in piedi assieme a lui. A quel punto mi trascinò in un angolo, dove CJ distribuiva allegramente birra ed erba con eguale sollecitudine, e mi passò una bottiglia, afferrandone un’altra per sé e sedendo a terra accanto a CJ, che gli passò una canna già rollata.
-Non scappare!- mi richiamò quando si accorse che stavo per darmela effettivamente a gambe.
Batté la mano accanto a sé, ma io ritenni più prudente sedermi in un angolo discosto ed osservarlo da lì.
Tra lui e CJ riuscirono a farmi bere in quell’unica notte tutta la birra che non avevo mai bevuto nella mia vita; all’inizio Gab praticamente mi costrinse – un po’ con motteggi un po’ con moine – ma quando CJ parve riaversi, comprendendo finalmente che Gabriel era davvero lì accanto a lui ed era davvero su di giri, non ebbi più bisogno di incoraggiamenti per preferire mille volte stordirmi di birra che osservarli lanciarsi in un’appassionata sessione di preliminari sotto i miei occhi. Sbuffai, scivolai sul pavimento stendendo le gambe mentre incontravo la resistenza del muro e rimasi lì, imbronciato ed infastidito a scrutarli ridacchiare, baciarsi ed infilarsi le mani un po’ ovunque.
Fu Nicky a mettere bruscamente fine allo spettacolino, quando attaccò briga con il gruppo che stava suonando e CJ fu costretto ad alzarsi precipitosamente per andare a dare man forte al proprio fratello pronto a scatenare una rissa. Gab lo fissò laconicamente mentre si sollevava di scatto e gli prometteva di tornare subito da lui, osservò altrettanto laconicamente Cody mentre avanzava minaccioso attraverso il giardino per impedire il pestaggio, e si mosse solo quando anche io mi alzai per raggiungere Cody, mi afferrò per la cinta dei pantaloni mentre passavo e mi tirò bruscamente accanto a sé.
-Ti agiti troppo.- affermò stizzito, scavando nella tasca per tirare fuori cartine ed un sacchetto di marijuana.- Dovresti imparare a goderti la vita.
-Dovremmo aiutare Cody ad impedire a quei tizi di picchiarsi.- obiettai io, ripescando dal cumulo del mio cervello un minimo di raziocinio, sufficiente a farmi formulare quel proposito.
-Cody è in grado di cavarsela da sé.- mi disse lui rollando lo spinello.- E Mike afferrerà Nicky e CJ per la collottola molto prima che facciano qualunque cosa.- ci aggiunse per rassicurarmi.
Posò la sigaretta sottile tra le labbra ancora rosse e gonfie per i baci di poco prima ed accese.
Io m’incantai a guardarlo.
Aveva i capelli in disordine, i vestiti stropicciati, il viso accaldato e rosso, un’aria palesemente stizzita e nervosa…eppure era bellissimo. Osservai la sua bocca mentre le labbra stringevano la canna e lui prendeva un respiro profondo, poi una mano inanellata si sollevò a raccogliere la sigaretta e la scostò, permettendogli di sbuffare il fumo. Mi passò lo spinello con naturalezza.
-Ah…Gab…?- biascicai io senza capire.
Lui sospirò.
-Luke, per favore,- mi implorò sfinito.- almeno stasera non fare domande. Lasciati andare, Cristo!
Ubbidii meccanicamente. Accettai lo spinello e lo portai alle labbra come aveva fatto lui.
Mentre aspiravo il fumo pensai che era lo stesso identico punto su cui anche lui aveva appoggiato la bocca, la sua lingua aveva giocato con la carta ancora umida di saliva, la sua saliva…che si mischiava con la mia...
Dio. ora sì che avevo un problema.
Soffocai, tossii fuori il fumo, mentre l’erba mi saliva rapida alla testa e la risata di Gab ci rimbombava dentro come se fosse completamente vuota. Inorridito cercai di non abbassare lo sguardo sui miei pantaloni, la stoffa dei quali si tendeva inequivocabilmente al livello dell’inguine. Mi augurai che la mia espressione non fosse così terribile come me la immaginavo. O in alternativa che Gabriel fosse abbastanza fatto da non accorgersene. Purtroppo mi sbagliavo su entrambi i punti: la mia espressione era lampante e Gab era ancora sufficientemente lucido da scoccare un’occhiata maliziosa al cavallo dei miei jeans e sporgersi a sfilarmi la sigaretta dalle dita per riprendere a fumare.
-…Cody ti piace ancora tanto, vero?- mi domandò senza guardarmi.
Riflettei sulla possibilità di non rispondere.
Invece risposi.
-Sì.- biascicai stentatamente, distogliendo anch’io gli occhi.
Mi ritrovai la sigaretta nuovamente sotto il naso e stavolta la presi senza pensarci e gliela ripassai dopo aver fatto un tiro. Gab si sistemò meglio contro il muro, tirandosi leggermente su a forza di braccia e scuotendo le spalle alla ricerca di un’improbabile posizione più comoda. Ogni tanto passava qualcuno che si prendeva una birra dalla cassa al nostro fianco, lui accennava un saluto con due dita e poi si disinteressava e tornava alla nostra chiacchierata ed allo spinello.
-Sai che ti capisco.- mi disse all’improvviso.- Anche a me piace un tizio, a cui io non interesso perché è già innamorato.- mi confidò in tono disinvolto.
-…oh.
-Sì, ma non m’importa.- aggiunse lui.- Tanto non sono mai stato molto fortunato in amore.- spiegò.
-Vuoi dire con Erik?- indagai.
Ma cominciavo ad avere difficoltà serie a tenere in piedi la conversazione. Tra alcool e fumo il mio stordimento aumentava velocemente e mi riusciva più facile concentrarmi sul movimento che faceva la mano di Gab quando si sporgeva a sfilarmi la sigaretta dalle dita che sulle sue parole.
“Ha delle mani stupende”, pensai estasiato.
E subito dopo me le immaginai impegnate ad infilarsi oltre l’apertura dei jeans di CJ come stavano facendo solo pochi minuti prima…Solo che al posto di CJ immaginai di esserci io.
Arrossii.
-Erik…CJ…te…- elencò Gab con indifferenza, stringendosi nelle spalle e continuando ad evitare i miei occhi.
In compenso io cercai i suoi istintivamente.
-…
Alla fine mi guardò anche lui, tentando di interpretare il silenzio che si prolungava nell’espressione del mio viso.
Doveva essere alquanto ridicola, perché lui scoppiò a ridere con sincerità additandomi con l’indice.
-Non prendermi per il culo!- sbottai io senza sapere bene a cosa mi stavo riferendo.
Gabriel finse di non sentirmi affatto. Mi si buttò contro a peso morto, continuando a ridere, ed io lo afferrai per puro miracolo – ubriaco com’era rischiò seriamente di appiccicarsi con la faccia al pavimento da solo – e finii lungo disteso con lui addosso e la sua bocca praticamente a due millimetri dalla mia. Gab mi fissò, vagamente sorpreso e decisamente intontito, registrando progressivamente i particolari della situazione, mentre la mia erezione – che non aveva accennato a scomparire – notificava ad entrambi che la situazione le era tutt’altro che sgradita.
-…scusa.- dissi io, rendendomi conto che c’era poco altro che potessi fare al momento.
Gab mugolò qualcosa a metà tra un assenso ed un’attestazione di soddisfazione di cui non compresi affatto il motivo. E poi, invece di tirarsi dritto, mi si sistemò meglio addosso, strusciandomisi contro e peggiorando notevolmente le cose.
Soffocai un gemito di puro ed involontario piacere e tentai di scostarlo senza successo, mentre provavo ad articolare una qualche forma di protesta ordinata. Ma la protesta ordinata si risolse in un mugolio molto simile a quello di Gab, anche se decisamente meno ispirato, e lui non lo ritenne esaustivo di un mio reale dissenso e non si spostò.
-Gab…- riuscii a dire, cercando di farmi capire a gesti visto che a parole non ero in grado di esprimermi.
Per tutta risposta Gabriel si sporse verso di me e mi baciò.
…ha la bocca morbidissima. Le sue labbra sono così piene e soffici che sembra di baciare la panna…se si potesse baciare la panna…
Sentii la lingua di Gabriel sporgersi a sfiorare la mia bocca ancora chiusa, la aprii d’istinto, lasciandogli spazio per affondare delicatamente a cercare la mia lingua, mentre le sue mani si spostavano a circondarmi i fianchi, impedendomi di allontanarmi da lui. Cosa che peraltro non pensai di fare finché il bacio non si fu spinto un po’ oltre, approfondendosi e trasformandosi in qualcosa di violento e trascinante. Gab mi morse le labbra con forza, accarezzandomi il viso con la bocca e respirandomi addosso con un fiato carico di odori, che mi mandò assolutamente fuori di me. Allungai le mani per afferrarlo anch’io, con decisione, agganciandomi ai passanti della sua cinta con l’idea di scostarlo, ma quando lui si mosse, scivolandomi di nuovo addosso per infilare una coscia tra le mie gambe, e sfiorò così la mia erezione, io persi il controllo ed invece di allontanarlo me lo strinsi contro con più forza, accorgendomi a livello quasi inconscio che ad essere eccitato non ero più soltanto io.
Gabriel si spostò di colpo, rimettendosi dritto e tirandosi in piedi con una velocità che mi lasciò completamente frastornato. Lo scrutai dal basso, confuso, vedendolo allungarsi ad afferrarmi il braccio per aiutarmi ad alzarmi anche io, e feci come voleva, mettendomi in piedi e barcollando al suo fianco quando lui mi si strinse di nuovo contro per ricominciare a baciarmi con foga.
Non capivo granché di quello che stava succedendo. Sapevo solo che la bocca di Gabriel era qualcosa che mi piaceva da impazzire – così come la consistenza della sua pancia sulla mia o dei suoi fianchi ossuti contro le dita – e quindi mi lasciai condurre docilmente, inseguendo distrattamente le sue labbra ed il suo corpo mentre si muovevano vicino a me.
-…Gab…?- chiamai interrogativo quando lui mi spinse all’interno di quello che riconobbi come un bagno.
Lui non mi rispose. Chiuse la porta dietro di sé senza staccarmi gli occhi di dosso, inchiodando il suo sguardo – completamente folle. Totalmente incomprensibile. Spaventoso – nel mio, e continuò a spingermi finché mi ritrovai spalle al muro, ghiacciando al contatto gelido delle piastrelle decorate. Sussultai sbattendo la schiena e sentendomi improvvisamente libero ed improvvisamente solo, al buio, mentre Gab si muoveva da qualche parte lontano da me. La luce mi accecò, perché nel giardino non era così forte come il neon chiaro del bagno, e strinsi gli occhi intuendo la figura di Gabriel tornarmi vicino.
Sentii la sua bocca ricominciare ad esplorarmi il viso e spostarsi poi a tracciare una scia umida e piacevolissima lungo il collo, ma a lasciarmi completamente senza fiato ed a farmi perdere forza nelle gambe furono le sue dita, sottilissime, che scivolarono rapide infilandosi sotto la maglietta e strappandomi un brivido che giustificai nella mia testa annebbiata con il freddo che percepivo attraverso i polpastrelli piatti e morbidi. Serrai gli occhi perché avevo davvero paura di guardare e lasciai che fossero gli altri sensi a dirmi quello che succedeva. Così percepii al “tatto” che le mani di Gab si spostavano, scivolando in basso e costringendomi a trattenere il fiato per l’aspettativa ed il desiderio che mi assalirono con forza.
Non so dire se Gabriel fosse consapevole di quello che provavo in quel momento, se si fosse fermato anche solo un momento a valutare le reazioni che suscitava in me. Io di lui percepivo solo il profumo, i movimenti inebrianti, la forza magnetica che avevano sui miei sensi, ma non mi fermai mai a cercare di capire cosa stesse pensando o quale fosse il senso delle poche parole che gli avevo sentito pronunciare prima. Non sapevo perché mi avesse baciato o perché ora fossimo lì, non me lo chiesi nemmeno quando lui sganciò con sicurezza il bottone dei miei jeans ed abbassò la cerniera per poi piegarsi repentinamente in ginocchio abbassandosi al livello del mio inguine. Cosa volesse fare mi fu chiaro nell’istante stesso in cui avvertii la sua bocca premuta contro il mio sesso, attraverso la stoffa leggerissima dei boxer. Soffocai un singhiozzo mentre il suo fiato caldo mi circondava e mi allungai sulla parete come se volessi arrampicarmici per fuggire via da lì. L’impulso di fuggire lo provai per davvero, ma non ne ebbi né la forza né la volontà, cancellate entrambe dalla sensazione sconvolgente della bocca di Gabriel che si avvolgeva dolcemente intorno alla mia erezione subito dopo averla liberata dai boxer.
A quel punto, tutto ciò che pensai fu di abbassare il viso e guardarlo, perché era stupendo anche in quel momento ed era la visione più oscenamente sexy ed erotica che io avessi mai avuto davanti agli occhi, od anche solo che fossi mai riuscito ad immaginare.
Ed il movimento della sua bocca, della sua lingua…la sensazione dei suoi palmi che mi risalivano su per lo stomaco, infilandosi ancora sotto la maglietta e cercando la pelle per stringerla e carezzarla con forza…affondando…i gesti lenti del capo che assecondava il mio bacino che aveva preso a muoversi indipendentemente dalla mia volontà…Rilasciai la testa contro il muro, sollevando gli occhi al soffitto, respirando a fatica mentre sentivo il cuore impazzire insieme con il ritmo delle sue carezze, delle spinte, del suo succhiare.
-Gab…?- invocai strozzato.
Lui mi ignorò come aveva fatto tutte le volte precedenti ed io ricacciai indietro un singulto quando i suoi movimenti si fecero più rapidi, perdendo del tutto quel poco di facoltà mentale che mi restava.
L’orgasmo ed il senso di nausea arrivarono assieme, stringendo entrambi allo stomaco e presentandosi ugualmente violenti ed inaspettati. Ebbi voglia di gridare senza sapere se volevo farlo per rabbia, frustrazione e dolore o per quel piacere primitivo che mi afferrò improvvisamente e che mi costrinse a svuotarmi nella bocca di Gabriel.
Non so dire cosa fece lui a quel punto, subito dopo avermi lasciato, perché io rimasi esattamente com’ero, i pantaloni e le mutande calati sui fianchi, il respiro affannato e gli occhi chiusi. Avvertii che non si era allontanato perché la sua presenza fisica me la sentivo ancora addosso e, dopo pochi istanti, mi sentii addosso anche le sue mani e la bocca che si posava leggera sul mio collo sudato, leccando via le gocce che scivolavano verso lo scollo della maglia. Il suo respiro mi affondò nell’orecchio e sulla pelle resa sensibile dall’acutizzarsi delle mie percezioni dopo l’orgasmo, mi infastidì aumentando il senso di nausea finché non divenne così presente da essere claustrofobico ed io pensai stupidamente che volevo che Gabriel mi lasciasse, perché avevo bisogno di aria e lui me la toglieva. E volevo uscire da lì, trovare la forza di rivestirmi ed uscire. Ma non potevo farlo se lui non mi lasciava e…
Mike irruppe nella stanza, annunciandosi con urla che mi fecero letteralmente accapponare la pelle e giurando e spergiurando a gran voce che “avrebbe fatto fuori quel figlio di puttana con le sue mani e preso a calci nel culo suo fratello finché si fosse deciso a mettere giudizio una buona volta!”. Io spalancai gli occhi, terrorizzato, nello stesso istante in cui Gabriel si voltava di scatto, corrucciato, a fronteggiare una porta che veniva spalancata brutalmente da suo fratello. Mike si precipitò dentro infuriato, ritrovandosi la figura alta di Gab che gl’impediva la visuale, lo raccattò per le spalle e lo spinse via in malo modo, fissando lo sguardo furente su di me.
-Cosa diavolo credi di fare, Perrington?!- mi apostrofò rabbioso.
-Lui non crede di fare nulla, Mike.- asserì Gab tranquillamente, staccandosi dal muro a cui suo fratello lo aveva appiccicato e rimettendosi esattamente tra noi mentre io deglutivo, ripescavo da qualche parte un po’ di amor proprio e mi decidevo a tirarmi su boxer e pantaloni per rivestirmi.- Io gli ho fatto un pompino.- chiarì intanto Gab con una calma serafica che gli invidiai ma che detestai subito dopo. Mike non sembrava particolarmente contento delle delucidazioni offertegli, infatti, ed io seppi che non l’avrei scampata facilmente.
-Mi stai ascoltando?!- scattò Gab intanto, accorgendosi che gli occhi di suo fratello trovavano più utile dardeggiare contro di me, cercando la via più rapida per raggiungermi, piuttosto che non fermarsi a considerare seriamente la sua presenza.- Cazzo, Mike, quante altre volte dobbiamo farlo ‘sto cavolo di discorso? Scopo con chi mi pare!- ruggì Gab arrabbiato.
-Certo che ti ascolto, coglione che non sei altro!- ritorse Mike, decidendosi a mollarmi per puntare davvero la propria attenzione sul fratello.- E se ho ben sentito mi ha appena finito di dire che te la fai con lo sfigato!- notò cattivo.
-Me la faccio con chi voglio, Mike!- ribadì Gab.- Io non vengo certo a farti la paternale perché scopi con Vale!
-Io non sono come te, Gabriel!- gli gridò contro Mike al colmo dell’esasperazione.- Io non sono sistematicamente uno straccio ogni sacrosanta volta che l’imbecille di turno mi spezza il cuore! Io non me lo faccio spezzare il mio cazzo di cuore, Gabriel! Tu sì, invece! Perché sei un coglione ed un sentimentale del cazzo!- sbraitò in una paternale che mi ferì più di qualsiasi cazzotto ben assestato.
Perché a quel punto il senso esatto delle parole di Gabriel – poco prima che finissimo chiusi in quel dannato bagno – mi fu fin troppo chiaro ed io mi ritrovai a non poterlo ignorare ancora. La nausea crebbe a livelli tali da non poterle più tenere testa. Mi guardai attorno spaesato, estraniandomi alla discussione dei due fratelli: Gab era davvero furioso, afferrai soltanto, lo sentii ribattere qualcosa mandando “a fanculo” Mike, mi resi conto che erano arrivati anche a mettersi le mani addosso…o meglio, che Gabriel aveva alzato le mani al fratello, spintonandolo con rabbia fuori del bagno. Fu l’ultima cosa di cui mi accorsi e che riuscì ad attirare la mia attenzione, il secondo dopo stavo già scavalcando il davanzale della finestra e mi lasciavo cadere nel giardino, svoltando rapidamente per allontanarmi dal casino e cercarmi un posto tranquillo. Raggiunsi rapido un cespuglio di rose dietro la casa, vi girai attorno, mi piegai e vomitai qualsiasi cosa avessi ingerito, fumato o anche solo pensato in quelle ultime tre ore.
Quando mi sollevai e mi pulii la bocca non stavo affatto meglio, ma mi sentivo decisamente più sporco di prima.
Ed anche più stordito.
Pensai che camminare mi avrebbe aiutato a schiarirmi le idee e presi a muovermi ancora, allontanandomi ulteriormente dal casino e dalla musica, tenendo una mano sul muro della casa quasi a volermi assicurare una guida per non perdermi nel parco. Ma l’aria fresca non mi aiutò affatto, nella mia testa i pensieri si erano aggrovigliati indissolubilmente con il senso di nausea e con la vergogna: ripensavo a Gab ed alla sua faccia mentre affrontava Mike. Sembrava così genuinamente disperato da darmi il capogiro già solo per questo. Ma poi ripensavo anche a Gab, alla sua bocca sulla mia e poi alla stessa bocca su di me ed il capogiro si trasformava e si spostava in basso, allo stomaco ed ancora più giù. E se a tutto questo ci aggiungevo il viso di Cody, il suo sorriso quando a scuola avevo trovato il coraggio di presentarmi, la sua voce quando aveva annunciato a Mike che mollava il gruppo, le sue dita che sfioravano il pianoforte mentre suonava…! quel capogiro ritornava su e confondeva le immagini di Cody e di Gab, collegandole a sensazioni ed emozioni così diverse tra loro da rendere tutto troppo complicato.
Trovai a tentoni la porta secondaria. Per un caso della sorte era aperta ed io dovetti semplicemente spingerla per entrare in cucina e muovermi al buio all’interno della casa. Mappai mentalmente la disposizione delle stanze e dei corridoi, tentando di ricordare ogni cosa perché questo sforzo di concentrazione m’impediva di soffermarmi su altro. Mi persi comunque ed a quel punto tentai solo di raggiungere un posto isolato che non fosse in ogni caso troppo lontano dagli altri. Aprii una porta interna stavolta, ed entrai in una stanza in penombra che non riconobbi. Vidi però qualcosa di bianco ed enorme che riluceva in un angolo e vicino scorsi e riconobbi la sagoma accogliente di un divano. Attraverso il vetro delle finestre a vetrata entrava luce a sufficienza per aiutarmi a raggiungere il divano, e da dietro i muri mi raggiungeva solo un eco basso e caldo della musica e del rumore fuori, che mi cullò mentre mi raggomitolavo nell’angolo più nascosto, contro un mucchio di cuscini, e chiudevo gli occhi stancamente.
Non penso che dormii moltissimo. Era già tardi quando CJ e Nicky erano arrivati alla festa con la birra e doveva essersi fatto ancora più tardi mentre sedevo con CJ e Gab in giardino. A svegliarmi fu il rumore della porta che sbatteva e, mentre mi riscuotevo sforzandomi di aprire gli occhi, passi affrettati e parole irate sibilate a forza.
-…non m’interessa, Helena!- stava dicendo una voce roca di rabbia, facendo un evidente sforzo per contenere il volume delle affermazioni che si spandevano pericolosamente basse nell’ambiente ancora buio.- Non me ne frega un cazzo delle sue ragioni! Stavolta l’ha fatta grossa e ne paga le conseguenze!
-Ha quindici anni, Brian!- ritorse una voce femminile che riconobbi come quella della madre di Cody.- Tu non hai mai fatto cazzate a quindici anni?- domandò ironicamente.
-Non certo organizzare una festa di minorenni in casa dei miei e portare dentro birra e fumo per tutti!- ruggì quella che, a quel punto, qualificai senza problemi come la voce di Brian Molko.- E di certo non avrei certo preteso di farla franca in quel caso!
-Ma dovresti comunque stare a sentire quello che deve dirti, Brian!- ribatté Helena.- Non ho mai detto che non lo avremmo punito, ma tu sei inferocito e se lo affronti ora finirete per litigare come sempre e tu dirai senz’altro qualcosa di stupido che farà credere a Cody che lui ha ragione!- spiegò pazientemente.
-Stronzate!- scattò Brian furibondo.
Ma non protestò quando lei si voltò per uscire di nuovo dopo avergli assicurato che “se ne sarebbe occupata lei”. Avvertii i tacchi di Helena allontanarsi e la porta cigolare appena mentre veniva richiusa, poi ci fu un momento in cui tutto rimase perfettamente immobile ed io non pensai neppure di respirare.
Quindi, la luce si accese.
-…e tu cosa accidenti saresti?- mi chiese gelidamente Brian Molko, fissandomi mentre, ritto in piedi accanto all’interruttore, indugiava un minuto di più con le dita sul pulsante chiaro.
Io deglutii e non trovai nulla da rispondere.
Dovetti aspettare di districarmi dal groviglio di cuscini e di pezzi di corpo che ero diventato e di mettere a terra i piedi, sollevandoli dal divano di pelle e posandoli sul tappeto senza un suono, per ritrovare voce e forza a sufficienza da borbottare un “Luke Perrington, signore” che si perse tra le pieghe del mio ego ormai in frantumi.
Lui inarcò un sopracciglio, scettico e vagamente disgustato.
-Ubriaco e fatto come gli altri, vero?-indagò malignamente, concedendomi un sorrisetto che trovai orribile.- Dio!- scattò dopo passandosi una mano sugli occhi e decidendo di spostarsi dalla parete per raggiungere la propria scrivania.- Ma cosa accidenti c’è di sbagliato in quel ragazzino?!- s’interrogò a voce alta mentre sprofondava affranto nella poltrona girevole e si voltava per posare le braccia sul piano dello scrittoio.
Rimasi in silenzio ancora una volta. Fermo davanti al divano nella stessa identica posa cascante che ero riuscito a tirar su quando mi ero alzato. Lo guardai e mi dissi che faceva veramente pietà.
E non perché Cody aveva organizzato una festa a casa sua ed aveva portato dentro birra e fumo così da fargli trovare un gruppo di minorenni fatti ed ubriachi che gli invadeva casa. No, lui faceva pietà perché trovava ancora utile domandarsi cosa ci fosse di sbagliato in Cody, invece di domandare a Cody cosa ci fosse di sbagliato in assoluto.
-Non si ricorda davvero di me?-domandai quieto.
Lo vidi sollevare il viso stancamente, scrutandomi come se si fosse accorto in quel momento che ero ancora lì. Non mi rispose subito, ma poi scosse il capo come se la cosa fosse comunque irrilevante.
-Mi ha visto con Cody.- dissi io.- Pochi giorni fa.- spiegai meglio.- Cody le ha chiesto di firmarmi un autografo e lei ha anche scritto una dedica.- elencai.
-…mi spiace, ragazzino, se dovessi ricordarmi tutti quelli a cui firmo autografi…- mormorò lui senza interesse.
-No. Non tutti. Però magari potrebbe fare uno sforzo per ricordarsi almeno le facce degli amici di Cody.- aggiunsi.
Lui mi guardò ancora, studiandomi da lontano con un’espressione contrariata e furibonda che gli alterava i lineamenti. Io riflettei che qualsiasi cosa avessi detto con tutta probabilità si sarebbe persa tra i meandri della sua boria saccente: in fondo ero solo un moccioso e lui una persona adulta e matura…La sola idea che Cody dovesse avere a che fare giornalmente con un tale idiota mi fece ribollire il sangue nelle vene.
-Ascoltami bene, Luke o come diamine ti chiami.- mi disse sforzandosi di rispondermi senza alzare il tono della voce e senza aggredirmi, nonostante la sua idea fosse palesemente diversa in quel momento.- Potrà anche essere vero che non sono il padre più attento dell’Universo, e non ho mai preteso che fosse diversamente da così perché sono perfettamente consapevole dei miei limiti, ma direi che da qui ad essere additato da un perfetto estraneo come il padre peggiore dell’Universo ce ne passi.- mi fece notare con una cortesia fredda.
Ed io magari avrei dovuto valutare che in effetti aveva anche ragione. E quindi stare zitto ed uscire dalla stanza, chiedendo anche scusa per quella invasione non giustificata dei suoi spazi. Ma poi mi guardai attorno e catturai l’immagine di quello studio perfetto, chiuso come un castello delle favole arroccato sulla propria montagna, ed ebbi una visione precisa di quanto spessi potessero essere stati per Cody i muri che mi circondavano o di quanto potesse essere stato difficile per lui superare quella stessa soglia che ora fissavo senza vedere davvero, in attesa di varcarla di nuovo per uscire in un mondo reale a cui Brian Molko di fatto si negava. Almeno per ciò che riguardava la sua famiglia e suo figlio.
-…io penso di sapere di Cody più cose di quante ne sa lei.- sussurrai prendendo il coraggio a due mani e decidendo che, come che andasse, avrei detto esattamente la verità per quella che era.- E lo conosco da poco più di una settimana. Lei ci vive da quindici anni,- continuai imperterrito nonostante avessi visto con facilità il gesto d’impazienza con cui aveva accompagnato un sospiro rassegnato e gonfio a dismisura. Distolse gli occhi da me, ritenendo di avermi concesso sufficiente attenzione, e si rimise a fissare con ostinazione la propria scrivania, cercando febbrilmente qualcosa con cui impegnare la mente finché io non mi fossi deciso ad andarmene.- e non si è nemmeno accorto di quanto fosse splendida la canzone che ha scritto.- completai pacatamente.
Brian Molko lasciò cadere sul tavolo la propria agenda, che si richiuse di botto con un tonfo sordo.
-Lei era nella stanza di fianco, ma non si è neanche accorto che lui suonava.- proseguii impietoso.- So che ora con tutta probabilità sta pensando “quale canzone?” e poi magari “da quando Cody scrive canzoni?”. Ed io trovo questa cosa molto triste. Per lei oltre che per Cody.- ammisi annuendo, rifiutandomi io di guardarlo stavolta mentre lui tornava a puntarmi addosso due occhi che mi bruciavano la pelle.- E trovo triste che Cody non possa dirle della band e del concorso.- raccontai.- Trovo ancora più triste, alla fine, che Cody non abbia neanche bisogno di sforzarsi per non farle sapere del concorso e della band.
-…quale band?- mormorò una voce sforzata e bassissima.
Mi voltai.
-Ha importanza?- chiesi laconico con una smorfia di disinteresse.
Brian Molko scattò in piedi, spalancò la porta dello studio e si precipitò fuori. Attraversò rapidamente una casa che andava svuotandosi, mostrando gli ingloriosi postumi di una baldoria male organizzata, ma lui non vide nulla e non sentì nessuno. Spintonò un paio di ragazzetti che gli intralciarono la strada ed uscì nel giardino ormai semivuoto.
-Cody!- ringhiò chiamando il figlio.
Lui lo sentì. Ancora impegnato a convincere tutti dell’opportunità di dileguarsi in tempi rapidi. Mandò giù la saliva e respirò a fondo, mentre Amy lo fissava terrorizzata, girando lo sguardo da lui al padre, ritto sulla soglia di casa. Poi Cody raccolse il coraggio e si mosse, nello stesso istante in cui anche sua madre raggiungeva il marito e lo fissava, rendendosi conto che era più furioso di prima e che quindi doveva essere successo qualcos’altro rispetto a quando lo aveva lasciato pochi minuti prima.
-Papà, non è stata una mia idea!- ammise rapidamente Cody.
-Anche la band non è stata una tua idea?!- sibilò Brian spiazzandolo completamente.
Gli occhi di Cody si sgranarono, spaventati, e lui girò attorno uno sguardo spaesato.
-Chi te lo ha detto?- mormorò strozzato.
E quando mi vide apparire alle spalle di suo padre, intercettò la mia espressione colpevole e capì.
Lo sentii sospirare, tornando a fronteggiare la rabbia di suo padre con aria rassegnata, ed io mi sentii immensamente colpevole e stupido. Cosa avevo creduto di fare esattamente?!
-No, quella è stata una mia idea.- confessò recuperando coraggio e dignità e rimettendosi dritto di fronte al padre.
Lui sembrò non riuscire nemmeno a trovare le parole adatte per spiegare quello che provava. I suoi occhi si staccarono da Cody come se non ne tollerassero la vista e, mentre Helena tentava di farsi avanti e mettersi in mezzo, lui le fece cenno di non intromettersi e ritornò a scrutare attentamente il figlio.
-…mi odi così tanto?- realizzò improvvisamente.
Cody si strinse nelle spalle e si morse le labbra a sangue, ricacciando indietro quelle che erano lacrime e che vidi distintamente fare capolino sull’angolo delle sue ciglia. Mi resi conto che per lui quella serata doveva essere stata un autentico incubo ed io avevo appena fatto in modo che quell’incubo si concretizzasse nella forma che lui aveva sempre temuto di più.
-Te ne importa qualcosa?!- ritorse bruscamente Cody quando fu certo di poter parlare senza che la voce vacillasse.
Suo padre annuì.
-Sta bene.- disse freddamente.- Visto che ci tieni tanto ad avermi fuori dalla tua vita, starò fuori dalla tua vita per davvero.
***
In realtà, il senso esatto di quella minaccia mi arrivò dritto e preciso nell’attimo stesso in cui mio padre la formulò.
Fu la sensazione di freddo e di abbandono, che strinse alla pancia, a darmene la percezione. Lui si voltò senza aggiungere un’altra parola e, nel silenzio irreale di quel piccolo pubblico di spettatori che avevamo avuto, rientrò in casa senza voltarsi.
Sgombrai la villa con l’aiuto di mamma, di Luke e di Amy. Mike venne a dirmi che lui e Gab andavano via perché avevano una cosa di cui discutere, era torvo come nei momenti peggiori, quelli in cui suo fratello combinava un disastro dei suoi. Sapevo che in quelle condizioni non mi sarebbe servito averli con me e, visto che Gab non si era fatto nemmeno vedere, mi limitai ad annuire. Mike non ritenne necessario scusarsi per aver portato Nicky e CJ alla festa ed io, del resto, non me la sentii nemmeno di rimproverarlo: ero perfettamente in grado di capire da solo che sarebbe potuto succedere quel casino e, come precisò mia madre mentre rimettevamo in ordine quel che si poteva del saloncino sul retro della casa, la responsabilità era completamente mia.
Luke in compenso si scusò un milione di volte, cercando inutilmente di spiegarmi le proprie ragioni – che si perdevano da qualche parte nel discorso sconclusionato che la droga e l’alcool gli tiravano fuori dalla testa. Io cercai di rassicurarlo in modo scarno del fatto che non ero arrabbiato con lui. E non lo ero davvero, ma avevo decisamente troppi problemi nell’immediato perché anche lui entrasse a farne parte e stavo ancora metabolizzando il senso esatto di quella serata e dello scontro avuto con mio padre.
Così Amy recuperò Luke e salutò mia madre quando tutti quanti ci rendemmo conto che non saremmo riusciti a combinare altro per quella notte. Io li accompagnai alla porta e li salutai lì e mamma mi aspettò pazientemente, a braccia conserte, in fondo alle scale che portavano al piano di sopra.
-Sai che stavolta non la passerai liscia, vero?- mi disse.
Mi strinsi nelle spalle. Avevo sonno, ero amareggiato, confuso ed arrabbiato. Non m’importava davvero che lei mi punisse, pensavo, anzi, che mi avrebbe aiutato a sentirmi meno colpevole.
Ovviamente lei non mi punì affatto. Mia madre non ha mai avuto difficoltà a capire quello che mi frulla nella testa.
Aspettai inutilmente che continuasse, attendendo a capo chino che mi dicesse il modo in cui avrei dovuto scontare la mia bravata. Ma finì che semplicemente la sentii sospirare e sciogliere le braccia, sollevai gli occhi ed il suo profumo m’investì, mentre si piegava in avanti e mi baciava la fronte.
-Oramai sei grande, Cody,- sussurrò accarezzandomi una guancia.- puoi assumerti la responsabilità delle tue azioni senza che io debba necessariamente sgravartene.- affermò.
Rimasi fermo ai piedi della scala guardandola mentre risaliva lentamente i gradini, badando a non fare rumore per non svegliare mio padre, che si era ritirato a dormire nello studio come faceva ogni volta che qualcosa andava male. Quando lei fu sparita nel corridoio al piano di sopra, io rimasi comunque lì con gli occhi puntati sul buio che l’aveva inghiottita e mi chiesi di cosa stesse parlando.
…ma in realtà ne ero già consapevole.
Il pomeriggio del concorso si aprì con Gab che frugava nel mio armadio.
-Easattamente: per quale ragione devi essere tu a scegliere i miei vestiti?- obiettai io, mentre Gabriel scartava abiti come fossero stati caramelle, gettando occhiate critiche ad ogni singolo capo che gli passasse sotto le dita o sotto gli occhi.
-Perché tu non sei in grado di farlo.- mi spiegò in tono pratico. Continuando impietoso mentre studiava diversi paia di jeans a mio dire tutti uguali- Seriamente, Cody, tu non hai alcun gusto e, per quanto mi costi dare ragione a Mike, l’immagine è una necessità anche per le band rock.
Si voltò rapido e sfarfaleggiante come suo solito e mi tirò addosso con indifferenza il paio di jeans selezionato ed una maglietta marrone.
-Il tuo…stile- decise con qualche difficoltà arruffando il naso con aria palesemente perplessa ed affatto convinta.- è adatto ad un gruppo metal…o meglio ancora grunge! Qualcosa che gridi al mondo “siamo sfigati, ma molto intelligenti e conosciamo verità profonde della vita e dei rapporti umani che ci hanno segnato in modo irreparabile…a cominciare dal nostro abbigliamento”.
-Carino.- commentai io scansando di lato i vestiti ed osservando Gab annuire con convinzione, soddisfatto della definizione appena coniata, e poi rigettarsi nell’armadio aprendo i cassetti alla rinfusa e sparpagliandone il contenuto all’esterno.
-Ora cosa cerchi?- tornai ad interrogarlo, buttando un occhio, disinteressato, a pantaloni e maglietta al mio fianco sul letto.
-Gli accessori sono importanti quasi quanto i vestiti.- mi rispose lui pazientemente, esattamente con il tono che avrebbe usato con un bambino.
Sfoderò dal cassetto qualcosa che si aprì con uno schiocco poco rassicurante, liberandolo da una matassa di calzini, e poi lo fece sparire in una delle innumerevoli tasche che adornavano graziosamente i suoi di pantaloni. A quel punto passò all’esame della cassettiera di fianco all’armadio.
-Vuoi cominciare a vestirti o devo farlo io?!- sbuffò mentre, spostandosi, notava il mio atteggiamento poco collaborativo.
A quel punto fui costretto a sbuffare anch’io e tirarmi dritto, spogliandomi della maglia che portavo ed allargando quella che lui aveva scelto.
E che era marrone, estremamente attillata, decorata con un paio di righine sottilissime azzurre e bianche sulla fascia dei pettorali e dotata di uno scollo a V e di un paio di maniche cortissime e bordate di bianco. Quando me la ritrovai addosso, appiccicata alla pelle come se dovesse fondercisi e decisamente corta sullo stomaco, ne afferrai un lembo con aria poco convinta e tirai, osservandolo tornare al proprio posto irrispettoso di ogni mia volontà in senso contrario. Corrugai la fronte ma sfilai anche i jeans e misi quelli che Gab aveva preso: più scuri di quelli che usavo di solito, strappati sotto il ginocchio ed appena sotto il sedere…bassi in vita ed attillati sui fianchi da fare paura…
-…ma questa roba è mia?- mi domandai seriamente puntando gli occhi in basso per studiare la fascia di pancia che usciva dai pantaloni e dalla maglietta.
Gab si voltò, afferrò la mia immagine nell’insieme e mi scrutò con attenzione per qualche momento, durante il quale io pensai seriamente di strapparmi tutto di dosso. E cominciai anche a farlo, slacciando i jeans per sfilarli.
-Che cavolo fai?!- strillò Gabriel afferrandomi prima che potessi mettere in atto i miei propositi.
-Mi rendo presentabile!- affermai io categorico. E rimasi fermo mentre lui mi scansava via le mani da cerniera e bottoni solo perché mi accorsi di qualcosa di molto più preoccupante.- Uh, Gab!- gridai puntandogli un dito contro il viso.- Quella è matita?!- domandai terrorizzato.
-Sì.- rispose lui sempre con la solita pazienza “adulta”, scuotendo la testa.
Sfilò dalla tasca il qualcosa che aveva schioccato nell’essere liberato dal cassetto e dai calzini ed io scoprii che si trattava di una cintura a quadretti neri e bianchi di cui ignoravo totalmente l’esistenza e sicuramente la provenienza e che mi si strinse attorno alla vita soffocandomi insieme ai jeans stretti. Sbottai un fiotto d’aria, ma la cosa non valse ad impietosire Gab, che continuò felicemente a strattonarmi stringendo intorno ai passanti.
-Susu, sopravvivrai!- mi rassicurò sorridendo amabile e strozzandomi subito dopo nello stringermi al collo un pendente d’oro e avorio che mia madre mi aveva regalato al ritorno da un viaggio di lavoro in Egitto e che non ricordavo nemmeno dove avessi messo da allora.
Forse avrei dovuto ringraziarlo per averlo ritrovato, ma siccome rimasi completamente senza ossigeno al cervello me ne scordai.
-Bene!- sentenziò Gab mollandomi e facendosi qualche passo indietro per potermi osservare. Puntò un dito alla propria destra, in basso, ed indicò le scarpe a quadretti neri e bianchi che attendevano pazientemente di essere indossate.- Le Vans.- specificò per sicurezza.
-Sono scomode!- piagnucolai io.
-Perché ce le hai da tre mesi e non le hai ancora messe una volta!- ribatté lui arrabbiato, sollevando le mani sui fianchi.- Dopo tutta la fatica che ho fatto per fartele comprare!
Sbuffai che la fatica l’avevo fatta io a tollerarlo per un pomeriggio intero, dal quale ero tornato con della roba che non avrei mai utilizzato, ma mi trascinai fino alle scarpe e mi chiesi seriamente se anche maglia, jeans e cintura non fossero residuati bellici di quel pomeriggio di shopping. No, ma non mi ricordavo di aver preso niente del genere…quindi dovevo averli comprati in qualche altra occasione e per i fatti miei…Mia madre? A volte ci provava a…
-…Aaah!- strepitai quando il dolore che mi si espanse dalla radice dei capelli al resto del corpo mi trafisse così forte da farmi dimenticare anche di formulare il pensiero fino in fondo.
Gab tirò uno scappellotto alla mano che sollevai istintivamente a reggermi la testa e la allontanò così dalla spazzola con la quale stava impietosamente tirando le ciocche, nel tentativo di districarle.
-Ti capita mai di pettinarti?- mi domandò intanto.- Che so, una volta al mese…
-Mi pettino sempre!- ribattei stizzito.- Ogni volta che devo uscire. Ma non cerco di diventare calvo quando lo faccio.- aggiunsi riprovando a sollevare una mano per impossessarmi dello strumento di tortura che stava utilizzando contro di me.
Mi beccai un altro scappellotto, ma decisamente più forte e dato con il piatto della spazzola. Sbottai un “ahi!” istericamente convinto e ritirai le dita, massaggiandomele e soffiandoci su per far passare il dolore. Gab non mi badò e raccolse rapidamente l’intera capigliatura in una coda bassa, che legò morbidamente con un elastico nero.
-Voltati.- ordinò.
Ubbidii borbottando imprecazioni a fior di labbra e mi ritrovai la faccia di Gabriel appiccicata alla mia – ad una distanza a cui la sua matita intorno agli occhi era ancora più inquietante! – che mi studiava con aria professionale.
Sospirò pesantemente, socchiudendo gli occhi come se quella cosa gli costasse una fatica enorme e scrollò le spalle.
-O.k., ora sta fermo che ti trucco.- mi annunciò.
-…cosa?
Il resto fu un inseguimento da cartone animato tra i rimasugli dei miei vestiti, sparpagliati a terra, la poltrona accanto al letto, il letto stesso, la sedia della scrivania ed il mobile della TV. Gab continuava a ripetermi di fermarmi, invocando il mio nome in tono sempre più spazientito ed assicurandomi che quella cosa andava fatta, che tutti si erano sottoposti – Mike compreso – senza fare tutte quelle storie e che in fondo era solo un po’ di matita. Dal canto mio sostenevo fieramente che “in quanto maschio” non c’era nemmeno un motivo valido per cui dovessi ritenere che quella cosa “andasse fatta”, avrei protestato fino alla fine dei miei giorni, ed “un po’ di matita” era il principio da cui si passava prima di arrivare a…
Gab mi raggiunse e, complice uno sgambetto ben eseguito, un dannatissimo pantalone della tuta e la borsa della piscina che non avevo ancora spostato da giovedì – mamma mi raccomandava sempre di essere ordinato – riuscì a schienarmi ed a montarmi addosso. Afferrò nello stesso momento una matita nera che teneva accuratamente riposta in tasca e me la agitò davanti al naso mentre ancora io mi difendevo con le unghie – visto che per ovvi motivi non potevo muovermi e provare a morderlo.
-Piantala, Cody! Stai facendo un casino senza senso!- affermò Gab spazientito, ricacciando le mie mani per impedirmi di impossessarmi della matita e tentando inutilmente di liberarsi della loro presenza per poter raggiungere il viso.
-Non è senza senso!- strillai io sconvolto.- Sto difendendo la mia virilità!
-Tu non hai una virilità.- mi spiegò Gab scuotendo il capo.- Hai quindici anni! Come tuo padre quando ne aveva 26 con un po’ di trucco e di rossetto sembreresti una graziosa…
-NON DIRLO!- ruggii sollevando di scatto il busto e riuscendo quasi a rovesciarlo.
-Oh, insomma!- scattò lui, abbattendosi sul mio petto per rischiacciarmi in basso.- È una cosa che abbiamo fatto tutti e puoi fare anche tu! Se tutto il gruppo è truccato nessuno noterà che lo sei tu in particolare,- argomentò- e comunque è solo un po’ di matita!
Sbuffai imbronciato ma mi arresi all’evidenza che lui non avrebbe mollato. Così mi lasciai ricadere all’indietro e rimasi buono mentre lui sorrideva e si sistemava tranquillamente sulla mia pancia per trovare la posizione più comoda e portare a termine la propria opera.
-Sai, è per quella cosa del nome della band.- mi disse mentre litigava con le mie palpebre, tutt’altro che ben disposte all’idea di essere invase di colore e terrorizzate dalla prospettiva di una matita appuntita che gli si ficcava proprio all’interno dell’iride. Mi sforzai di rimanere immobile e con gli occhi aperti, ricacciando l’immagine di bulbi oculari sanguinolenti da dove era venuta.- Luke ha detto che era un’idea carina.- aggiunse felice come un bambino.
-Luke?- domandai io vagamente.
-Ahah.- ribatté Gab, tirandosi dritto per vedere se la linea sulla palpebra superiore fosse venuta come voleva.
-…e tu e Luke…- indagai discretamente, pensando che in effetti non gli avevo più chiesto nulla di quella storia.
Gab arrossì.
Fu una cosa strana vederlo diventare rosso, scoppiai a ridere e lui protestò che se mi agitavo avrei finito per fare un disastro. Mi scusai rapidamente, soffocando le risate e rimettendomi buono mentre lui passava alla palpebra inferiore.
-È finita che ieri l’ho baciato.- mi raccontò intanto.- L’ho trascinato in bagno e…
-Fermati quando diventa a luci rosse e mettici un “bip”, grazie.- richiesi prima che fosse troppo tardi.
Lui ridacchiò e riprese con un bel “bip” sonoro, al quale risposi sghignazzando anch’io.
-Fatto sta che adesso stiamo assieme.- continuò con semplicità cambiando occhio.
-Oh.- commentai io stupito.
-Sì, Luke è venuto da me stamattina facendomi tutto un discorso assurdo sul senso di quello che era successo ieri sera alla festa.- spiegò Gab perplesso, sollevando le sopracciglia.- Ha detto che lui non aveva voglia di essere con me come tutti gli altri, di usarmi come facevano gli altri…
-Quali altri?!- chiesi senza capire.
-Ah, non so.- ritorse Gab.- Luke si è messo in testa questa cosa che io sono una specie di donzella di cui tutti usano ed abusano liberamente.- disse.
-Sposta la matita.- chiesi io.
Gab fece come gli dicevo ed io ricominciai a ridere, con lui che mi veniva dietro sogghignando divertito. Quando mi calmai tornò al proprio lavoro per completarlo con la riga inferiore all’occhio destro.
-Beh, fatto sta che mi ha detto che lui a me ci tiene, che io gli piaccio e tanto e che, se volevo, potevamo stare assieme, perché a lui faceva piacere che io diventassi il suo ragazzo.
-Non si era capito, Perrington.- ridacchiai.
Gabriel annuì. Si sollevò in piedi dicendomi di stare buono ancora un po’ ed io tirai un respiro profondo mentre lui raggiungeva il bagno e ne riemergeva poco dopo con la boccetta del gel in mano. Quando mi si sedette addosso un’altra volta, ricominciai a soffocare spiacevolmente.
-Questi vestiti sono stretti e tu sei pesante.- affermai mentre lui armeggiava con il gel e con la mia frangetta.
-Sì, ma tu sembri un cane rabbioso e bisogna fare qualcosa per migliorarti o farai fuggire i giudici del concorso.- mi illustrò pacato lui, finendo di acconciare il ciuffo in modo che non mi finisse completamente sugli occhi ma fosse tirato di lato, ordinato.- Resisterà fino a stasera.- sospirò mentre contemplava l’opera terminata.
Si tirò su chiedendomi se volessi vedermi allo specchio, ma io risposi che se lo avessi fatto avrei finito per cambiarmi in fretta e furia e disfare tutta la sua sapiente opera di parruccheria e maquillage, per cui era molto più sicuro lasciarmi nella mia beata ignoranza.
Gab sghignazzò, deridendomi ferocemente, e scese per primo al piano di sotto, annunciando a gran voce che era stata dura ma era riuscito a rendere un essere umano anche me. Io sbottai un “vaffanculo” sentito, mia madre mi apostrofò con un “Cody!” scandalizzato uscendo dalla cucina e poi scesi la scala e mi ritrovai in mezzo allo stupore generale.
-Nyaaah!- commentò Amy con gli occhi che le brillavano.- Cody, sei un figo! Ma quando è successo?!- s’informò.
Pensai di mandare al diavolo anche lei, ma siccome mia madre adesso mi stava di fianco e mi guardava con aria estasiata, ritenni che non sarei riuscito a sopportare di vederle cambiare repentinamente la propria espressione in quella da “mamma è molto arrabbiata per il tuo linguaggio, ragazzino”. Per cui mi astenni.
-Bah.- affermai imbronciandomi.
-Dio, no, Cody!- scattò Gab.- Quella faccia da emo-boy levatela ora!- mi ordinò.- Siamo una band rock seria, noi!
Amy e mia madre scoppiarono a ridere e perfino Luke accennò una risatina, fissandomi di sottecchi come se stesse ancora decidendo quale dovesse essere la reazione giusta per quel cambio di stile.
-La volete piantare di prendermi in giro?!- indagai furioso, sollevando una mano per scostare il ciuffo di Gab, che mi dava noia con la sua rigidità studiata.
Lui mi allungò una manata elegante e mi fece capire con un’occhiata che mi avrebbe ammazzato per molto meno ed io desistetti.
-Andiamo, su.- ci incitò mia madre intanto.- Faremo tardi. Cody, avvisa tuo padre che stiamo uscendo, per favore.- mi disse prendendo le chiavi della macchina dal mobile all’ingresso e precedendo il gruppetto mentre usciva con lei.
Io tornai sui miei passi, correndo per quei pochi metri che mi separavano dallo studio, mi fermai davanti alla porta ed allungai le nocche per bussare. Dall’altro lato arrivava musica ad alto volume, una cosa molto meno tranquilla e piacevole di quella con cui mio padre lavorava di solito. Quando urtai il legno della porta, non mi rispose nessuno ed il suono si perse nel sottofondo musicale di chitarre che stridevano a tutto volume.
-Papà?- chiamai inutilmente. Mi resi conto che dal giorno prima non ci eravamo neppure incrociati. Sapevo che non era uscito di casa, ma non aveva pranzato con noi, né lo avevo visto in giro per tutta la giornata.- Papà, noi andiamo via…- provai a dire.
Ma quando mi rispose il silenzio arrabbiato della musica, capii esattamente il senso di quello che mi aveva detto la notte precedente.
 
Nota di fine capitolo:
 
Capitolo lunghissimo che preannuncia il termine della storia. Il prossimo è l’ultimo, tuttavia non vi lasciamo a bocca asciutta, cari lettori e lettrici! è_é
Pronte per voi ci sono ben due shottine, una ad opera della Lizzie ed una ad opera della Nai.
Linkeremo gli indirizzi alla fine del prossimo capitolo, così che possiate raggiungerle con facilità ^_^
 
Nel frattempo, approfittiamo per ringraziare Chemical_kira, Ginnyred e Martunza per le recensioni e per l’affetto, speriamo che la storia vi sia piaciuta fin qui! XD
Un bacio ed alla prossima!

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Capitolo 9
*** IX ***


Cody non disse nulla per tutto il viaggio fino al teatro. Sua madre gli chiese se avesse avvisato il padre, lui rispose un “sì” sforzato e si chiuse nel mutismo più assoluto subito dopo, fissando ostinatamente lo sguardo fuori dal finestrino. Amy, che gli sedeva di fianco, gli si strinse protettiva addosso ed io gettai un’occhiata a tutti e tre - lei, Cody e Gab – attraverso lo specchietto retrovisore. Gabriel se ne accorse e si strinse nelle spalle, facendomi capire che era normale e che gli sarebbe passata, ma che anche lui non ne sapeva più di me.
Quando arrivammo al teatro dove si sarebbe tenuto il concorso, comunque, la cosa sembrava essere rientrata. Helena ci lasciò davanti la porta sul retro e ci disse che non sarebbe stato il caso che il gruppo si presentasse lì con “la mamma”, ridendo diede ai ragazzi un “in bocca al lupo” e si allontanò per raggiungere l’ingresso principale. Io ed Amy fummo autorizzati a passare con Cody e Gab, invece, e trovammo Vale, Fran e Mike che girellavano nervosamente nel backstage pieno zeppo di ragazzi di qualunque età.
A quel punto la mia preoccupazione per Cody, così come quella per l’esibizione, vennero momentaneamente cancellate da una preoccupazione più seria ed immediata, che mi si presentò sotto forma di Mike. Lui mi afferrò per la collottola appena mi ebbe a portata di mano – e con l’altra afferrò egualmente Gab, che rise felice come se si fosse trattato di un innocente nuovo gioco.
Cosa che palesemente non era, a giudicare dalla faccia fosca di Mike.
Poi ci trascinò entrambi in un angolo riparato e ci puntò addosso un dito a testa per inchiodarci al nostro posto.
-Tu!- cominciò rivolto a me. Deglutii ed annuii freneticamente rispondendo all’appello.- Se ti azzardi anche solo a pensare di fare del male alla piattola e rispedirmela a casa piangendo come una femmina a trapanarmi orecchie e coglioni…
Lasciò ad intendere gli effetti che tutto questo avrebbe provocato su di me, io capii perfettamente e mi affrettai a scuotere la testa ed a giurare e spergiurare che non intendevo far soffrire Gab per nessun motivo al mondo.
Mike non mi ascoltò e si girò ad un fratello che sfoggiava la propria espressione più idiota e faceva le fusa contento come un gatto a cui sia appena stato regalato un gomitolo nuovo.
-E tu!- chiamò anche lui, che squittì un assenso gioioso e spalancò sul fratello due occhi immensamente grandi e belli, sottolineati dalla matita scura.- Sapevo che ti saresti giocato gli ultimi barlumi di cervello ancora rimasti attaccati alla radice dei capelli, continuando a spazzolarli!- affermò cattivo.- Ma porca puttana Eva, Gab! o.k. abbassarsi al suo livello, ma potevi astenerti almeno dall’abbassarti al livello del suo cazzo!
-Dio, come sei volgare!- cinguettò Gab come se la cosa lo divertisse profondamente e ridacchiò felice come non mai.
Mike sospirò affranto, gettandomi un’altra occhiata feroce che mi fece sbiancare e decidendosi a mollarmi senza minacciarmi un altro po’ solo perché qualcun altro intervenne, distogliendo la sua attenzione.
Il “qualcuno” fu annunciato dallo strillo inconsulto e terrorizzato di Cody, che mi vidi passare davanti rapido come un turbine per fiondarsi ad abbracciare il nuovo arrivato, arrampicandoglisi – letteralmente – addosso ed attaccandoglisi al collo con un disperato “zio Stefan! Portami via da qui! cosa diavolo ci faccio io qui?!”, che l’uomo accolse ridendo e passandogli attorno alla vita un braccio che lo aiutasse a sostenersi.
-Ti sei truccato?- notò distrattamente Stefan Olsdal, gettando uno sguardo critico agli occhioni del suo pupillo che lo fissavano tremanti.
-E questo è niente!- sbottò lui stravolto, sciogliendosi dall’abbraccio, facendo un passo indietro ed additandosi.- Guarda come sono vestito! Questi vestiti sono troppo piccoli per starmi!
-Io direi che ti stanno benissimo.- rise Stefan, infilando le mani in tasca.
-Argh!- fu l’unico suono articolato che uscì dalla gola di Cody.
Stefan rise ancora, battendogli una pacca sulla schiena con fare rassicurante.
-Su, cucciolo, è solo un po’ di sano panico da palcoscenico.- affermò spiccio.- Passerà appena avrai la tua chitarra tra le mani. All’inizio lo faceva anche tuo padre e noi lo deridevamo dicendo che aveva bisogno della sua coperta di Linus…- ricordò.
-La chitarra, sì!- sberluccicò Cody come se Stefan avesse pronunciato una parola magica e si voltò a cercare lo strumento, ordinatamente posato in un angolo.- Guarda com’è bella.- sussurrò con aria sognante ed atterrita insieme.
-Mi fa paura.- affermai io, mentre con Mike e Gab assistevamo alla scena in silenzio.
-Sì.- convenne Mike senza guardarmi.- È pazzo.- affermò poi, arricciando il naso non troppo convinto.
-…beh…è Cody…- sminuì Gab, nemmeno lui eccessivamente sicuro.
-Tu devi essere Luke.- mi disse intanto Stefan, avvicinandosi a me mentre Cody trotterellava a controllare la chitarra più da vicino. Io mi stupii non poco nel sentirmi chiamare per nome ed annuii meccanicamente, sollevando la testa per riuscire ad incrociare gli occhi con i suoi e spingendo in avanti una mano a stringere quella che mi veniva tesa.- Helena ha detto che sei un nostro fan.
-Sì.- ammisi semplicemente.
-Beh, grazie.- sorrise lui gentilmente, facendomi arrossire imbarazzato.- Dov’è Amy?- s’informò poi, voltandosi a cercare la ragazza in mezzo alla piccola folla che occupava il backstage. I loro sguardi s’incrociarono e Stefan la salutò ed invitò ad avvicinarsi con un cenno rapido del braccio. Amy annuì camminando nella nostra direzione.- Noi dobbiamo andare a sederci.- spiegò Stefan rivolgendosi sia a me sia a Mike e Gab.- Volevo augurarvi in bocca al lupo prima che cominciaste.- aggiunse poi.
-…crepi…- borbottò torvamente Mike ed io lo guardai e capii che era parecchio nervoso anche lui, sebbene non reagisse istericamente come Cody,
Sbuffai un sorrisetto, che Gab intercettò e mi ricambiò con discrezione, intuendone le ragioni. In fondo era umano anche il perfettissimo Michael Peirce.
Stefan, Amy ed io ci affrettammo a salutare Vale, Fran ed un redivivo Cody, che sospirò pesantemente mentre Stefan gli raccomandava di mantenere il sangue freddo fino all’ingresso sul palco e gli assicurava che lassù sarebbe sparito tutto. Lui biascicò un consenso che di sicuro non gli veniva tanto dal cuore quanto più che altro dalla pancia, e si affiancò agli altri salutandoci a sua volta.
In platea Helena ci aspettava, già sistemata nei posti che ci erano stati riservati e che io ed Amy occupammo sedendoci affiancati. Stefan si mise accanto ad Helena ed io buttai un’occhiata al posto vuoto al fianco della donna, che Amy aveva accuratamente evitato di occupare e che immaginai avrebbe dovuto essere del padre di Cody. Sospirai, rimettendomi dritto, e mi ritrovai lo sguardo chiaro e luminoso di Amy che mi studiava in silenzio.
-…cosa?- le chiesi perplesso.
Lei ridacchiò sorniona.
-Non dovresti mai sottovalutare le persone.- affermò pacatamente.- Né sopravvalutarle. Si resta ugualmente delusi e si fa del male senza motivo.- spiegò.
-…che intendi dire?- mormorai io senza capirla davvero.
Amy indicò la fila esterna di poltrone ed io mi voltai a cercare cosa avesse attirato la sua attenzione per riconoscere Brian Molko farsi elegantemente spazio e raggiungerci in breve, lasciandosi cadere al fianco di Stefan.
-A casa facciamo i conti, io e te.- sussurrò all’amico, senza neppure guardarlo in faccia.
Stefan rise, anche lui fissando solo il palco davanti a sé.
-Non ho mai avuto paura di te in tanti anni, non sperare di riuscire a farmene adesso.- lo rimbeccò pacatamente.
-E questo ti autorizza a sostenere tutte le stronzate di Cody?- s’informò piatto Brian. Ma il suo sorriso divertito ci fece capire in fretta quanto poco seriamente stesse protestando.
Ed infatti Stefan rise.
-No, il mio ruolo di “zio” e di padrino mi autorizza a farlo.- rispose paziente.
Brian sia accontentò di quella risposta. Rimase in silenzio, sbuffando divertito mentre le luci si abbassavano ed il palco veniva occupato dalla prima band del concorso, accompagnata da un ometto insignificante che presentava la manifestazione. La musica riempì il teatro, le file ordinate del pubblico si levarono in piedi ed iniziò il più grosso e divertente casino al quale abbia mai preso parte nella mia vita.
I ragazzi non vinsero. La loro canzone era la più bella, ma era talmente complicata e difficile che non mi stupì vederla sorpassare da motivi decisamente più orecchiabili e commerciali. Loro non se la presero davvero, gli bastò partecipare – anche se Mike minacciò il resto della band di morti atroci e sofferenti, perché era chiaro che  se avevano perso era tutta colpa loro.
Ed in particolare di Cody.
Anche se il motivo restava un mistero, ma l’affermazione bastò a scatenare un accenno di rissa, sedato dall’arrivo degli adulti all’uscita del backstage.
***
Mio padre mi aveva chiesto da quanto esattamente avessi iniziato a studiare la chitarra. Io avevo risposto che non la studiavo affatto, che improvvisavo da bravo autodidatta e suonavo praticamente ad orecchio. Lui a quel punto sbraitò che era inconcepibile e che dal giorno dopo avrei dovuto passare almeno due ore con lui ad imparare la tecnica! Era chiaro, aggiunse, che se facevo così schifo come chitarrista il motivo non poteva che essere la mia totale ignoranza in materia. Lo mandai al diavolo, mia madre mi ammonì con un “signorino!” scandalizzato che mi fece fare rapidamente marcia indietro, e papà rise.
Sbuffai, accoccolandomi sul sedile posteriore della macchina. Luke era tornato a casa con Gab e Mike, che l’autista di famiglia era venuto a prendere all’uscita del concerto per accompagnare a cena dai nonni. Zio Stefan aveva detto che doveva rientrare e che sarebbe passato con calma il giorno dopo, così che papà potesse fargli la scenata che si conveniva. Fran e Vale era tornati a casa ognuno autonomamente. Ci eravamo salutati sotto il teatro, io mi ero sentito un po’ deluso dal risultato ma non aveva voluto fare eco ai rimbrotti poco credibili di Mike ed avevo lasciato che quella sensazione scivolasse via in fretta, traendo conforto dalla presenza solida della chitarra sulla mia spalla. Mi era dispiaciuto separarmene, quando avevo dovuto sistemarla nel bagagliaio, mi ero rintanato in fretta in macchina, alla ricerca disperata di un angolo caldo e comodo in cui arrotolarmi insoddisfatto.
Lasciammo Amy davanti il cancello di casa propria, lei salutò compitamente e mio padre le rispose per tutti. Chiamandola per nome. Così il sorriso di Amy si allargò appena e lei rientrò rapida, sparendo dietro il muro di cinta della villa.
Posteggiammo davanti al garage e mamma scese per prima, dicendo che andava a controllare se Magda aveva già preparato la cena. Io scaricai la chitarra mentre papà chiudeva la macchina.
Quando feci per seguire mamma dentro, lui mi si affiancò e mi strinse a sé, passandomi un braccio attorno alle spalle, in un gesto così inaspettato che rimasi disorientato e non ebbi la prontezza di sciogliermi da quel contatto come facevo di solito. Anzi. Sospirai e mi lasciai ricadere senza forze contro di lui, lasciando che mi guidasse dentro.
-Possiamo lavorarci su.- borbottò intanto, rudemente.- Ma direi comunque che ho ragione ad essere così fiero di te.
Lo fissai di sottecchi, ma lui non mi guardò e non disse altro, chiuse la porta della cucina dietro di noi – litigando con la serratura rotta – e sbottò contro mia madre che avremmo dovuto deciderci a farla riparare. Lei, che stava finendo di aiutare Magda ad apparecchiare, ritorse quietamente che l’avevamo già fatta riparare innumerevoli volte e continuava a rompersi comunque. Io uscii dalla stanza ridendo e salii a posare la chitarra al piano di sopra.
La mattina dopo mi svegliai per primo. Scesi sbadigliando le scale, sentendo un rumore sordo e discontinuo che veniva dalla cucina. Sbadigliai ancora, grattandomi la testa che mi prudeva ferocemente dopo la cura di Gab a base di gel, entrai e mi fermai sorpreso sulla soglia.
-Papà?- chiamai fissandolo mentre armeggiava con attrezzi e serratura della porta esterna.- Cosa stai facendo?- m’informai.
-Mica possiamo tenerla rotta in eterno!- affermò lui sollevando gli occhi su di me.
-…tu non sei capace di fare lavori in casa.- notai io.
-Sì, infatti.- ammise senza problemi.- Quindi dovrò decidermi ad imparare. Prepara la colazione, ragazzino, non è che puoi lasciare sempre che sia tua madre a doversi occupare di tutto.- mi redarguì dopo.
Sorrisi, fissandolo ancora un momento mentre smontava completamente la serratura solo per ritrovarsi a fissarla perplesso senza capire cosa fosse esattamente. Sarebbe stato un disastro.
Più o meno come il mio pancake. Avevamo talmente tanto da imparare tutti e due…
“My Father’s Eyes”
2008
Easily Forgotten Love
 
Nota di fine capitolo
 
 Termina così la piccina.
Come promesso di seguito ci sono due link:
Simple Kind of Lovely  di Lisachan. Splendida. Fidatevi ù_ù
Sweet, Sugar, Candy Man di Nai...beh, questa potete pure risparmiarvela XD
Si tratta di due spin off – one shot che abbiamo scritto io e Liz, l’ordine in cui devono essere letti è quello in cui ve li ho linkati, l’argomento di entrambi è “Luke e Gab ed il “tragico” inizio della loro storia assime”.
…più o meno…
Spero che vi possano piacere ^_^
 
Approfitto per fare un saluto a tutti coloro che ci hanno sostenuto in questi mesi:
a Chemical_Kira
ad Erisachan
a Ginnyred
a Stregatta
a Fteli
ed infine *ma non ultima nel nostro cuoricino* a Martunza
Grazie di cuore per tutto l’affetto, ragazze, spero che ci rincontreremo su altre storie ed intanto un bacio enorme a tutte da parte mia e da parte di Lisachan!
Nai
 

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