My Father's Eyes di Easily Forgotten Love (/viewuser.php?uid=26557)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 1 *** I ***
A
riprova che la distinzione fanfiction / originali non regge, ce ne
usciamo con un’opera che è difficilmente
classificabile nell’una o nell’altra
categoria.
Perché è una
fanfiction, in quanto comunque ispirata a personaggi
realmente esistenti che ruotano attorno ai Placebo, ma nella pratica
dei fatti
è tragicamente una originale a tutti gli effetti.
Speriamo possa piacervi e vi
auguriamo buona lettura, premettendo i
soliti avvertimenti dovuti: i pg di questa storia non ci appartengono
(fatto
salvo per quelli palesemente inventati), non c’è
alcuno scopo di lucro, non
s’intende offendere nessuno né tanto meno dare una
rappresentazione veritiera
della realtà.
"My
Father's Eyes"
Penso che il mio primo giudizio
su Cody Molko fu dettato dallo stupore che mi suscitò lo
scoprire che era tutto
meno che un ragazzino viziato.
Il punto è che, mentre lo
osservavo da lontano chiedendomi che tipo fosse, m’immaginavo
un ragazzo ricco,
bello, in gamba e quindi – quasi quale conseguenza naturale
– snob,
superficiale e vagamente pretenzioso.
Sul serio, credo che passai le
prime due settimane di vita nella nuova scuola a studiarlo a distanza
di
sicurezza ed a vedere le mie idee su di lui crollare una dopo
l’altra come un
grazioso castello di carte.
E tuttavia, sebbene dopo quelle
due settimane mi fosse ormai chiaro che Cody era esattamente come tutti
gli
altri ragazzini di quattordici anni esistenti nel mondo, quando quella
mattina
lo vidi sedere da solo a leggere in un angolo del cortile, le cuffie di
un
lettore mp3 nelle orecchie, ancora non avevo idea di chi
lui fosse.
Per cui fu con il cuore in gola
che batteva a mille ed un presagio di disastro imminente che mi decisi
alla
fine a scendere a patti con il mio terribile interesse nei suoi
confronti e mi
avvicinai cautamente per tentare di…
“…oddio…Fare cosa,
Luke?!”
Mi fermai di botto. Praticamente
a due passi da lui. Ed inevitabilmente questo attirò la sua
attenzione e lo
indusse ad alzare gli occhi dal libro tra le mani.
Gli occhi di Cody…
Il loro colore fu la prima cosa
di cui ebbi piena percezione il giorno in cui entrai in classe e
l’insegnante
di letteratura mi presentò ufficialmente ai miei nuovi
compagni. Cody era
seduto in prima fila, parlava con una ragazza che era dietro di lui ed
io ho
conservato un’immagine quanto mai precisa delle sue spalle
strette nella giacca
scura e della schiena coperta dai lunghi capelli neri. Sentì
la voce del
professore annunciare la mia presenza e si voltò.
Gli occhi di Cody sono azzurri. O
verdi. O grigi.
O di qualunque altro assurdo
colore che decidano di prendere in base al suo umore, alla luce nel suo
sorriso, all’inclinazione del volto, al socchiudersi delle
palpebre sull’iride.
Gli occhi di Cody sono una delle cose più belle che siano
mai state create
nell’Universo.
Penso che non potesse andare
diversamente da come andò. Semplicemente lui mi
guardò, io lo guardai e smisi
all’improvviso di fluttuare nel limbo
d’insoddisfazione che l’ennesimo
trasferimento di mio padre aveva portato con sé. Smisi di
fluttuare anche nel
torpore infastidito in cui mi ero chiuso dal mio arrivo in quella
città.
E persi la testa.
Innamorato.
Completamente, totalmente,
stupidamente. Assurdamente.
-Chi è?- fu la domanda che
rivolsi al mio compagno di banco.
Lui mi scrutò un secondo e poi si
voltò nella direzione che indicavo, Cody parlava di nuovo
con la stessa
ragazza. E rideva. Il mio compagno inarcò le sopracciglia.
-Cody Molko.- rispose rapido,
riprendendo subito a scrivere frettolosi appunti su quanto il
professore stava
spiegando.
-…Mol…Molko?- ripetei senza
capire.
Il ragazzino sogghignò divertito.
-Sì.- mi disse gettandomi
un’occhiata piena di compassione.- Sai, come suo padre, il
cantante dei
Placebo.- mi prese in giro.
Il mondo mi crollò addosso
l’istante dopo aver ripreso il proprio corso ordinario. Capii
in meno di un
momento che le probabilità di riuscire anche solo ad
avvicinarmi a Cody erano
pari a zero. E capii il momento successivo che guardarlo da lontano non
mi
sarebbe mai bastato.
Ovviamente per quelle prime due
settimane me lo ero fatto bastare a forza.
Cody era una specie di celebrità
a scuola, chiaramente, e scoprii in fretta che non dipendeva solo dal
cognome
che portava. Anzi, non dipendeva da quello quasi per nulla.
Perché mi fu chiaro abbastanza in
fretta che Cody ed il proprio cognome non andavano molto
d’accordo.
Lui si rifiutava categoricamente
di sfoggiare il classico atteggiamento da “lei non sa chi
è mio padre!”,
frequentava sempre lo stesso giro di amici fidati che lo trattavano
come uno
qualunque di loro, scansava educatamente coloro che lo cercavano solo
per via
di suo padre, era uno studente modello a scuola ed una persona educata,
cordiale, disponibile e gentile con qualunque altro essere vivente
entrasse nel
suo raggio d’azione anche solo per un momento.
Fu proprio questo suo essere un
perfetto… “angelo” a convincermi.
Così appena lo beccai quella mattina, durante
una pausa tra le lezioni, a leggere da solo nel cortile, presi il
coraggio con
tutte e due le mani e, prima che qualcuno del suo branco di fedelissimi
tornasse
a salvarlo, mi diressi verso di lui.
E mi fermai di botto realizzando
che non sapevo neppure io cosa avevo intenzione di fare.
Io e Cody frequentavamo insieme
un paio di corsi, ma a parte questo non avevo nessun indizio reale che
lui si
fosse anche solo accorto della mia esistenza in quelle due settimane.
Eppure mi sorrise.
-Ciao.- mi sentii salutare.-
…Luke Perrington…vero?- mi chiese a disagio.
Ed io provai immediato il
desiderio di morire lì, all’istante, e non
dovergli rispondere.
“…ah già…il
prof…”, mi spiegò
pazientemente il mio cervello, emergendo dal fondo della confusione
nella quale
stava affogando.
-Sì. E tu sei Cody Molko.-
riuscii a tirare fuori imbarazzato, concedendomi un sorrisetto
così forzato che
mi stupì il fatto che non mi scoppiasse a ridere in faccia
per quanto ero
ridicolo.
“Avanti, cretino! Digli
qualcosa!!!”
-Sai…io sono un grandissimo fan
di tuo padre…
Il sorriso di Cody si congelò sul
suo viso. Tutta la sua gentilezza scivolò via come una
maschera e salì su un
tale freddo distacco da rendere lo sguardo di un blu così
fondo ed
imperscrutabile da perdersi.
Non ebbi bisogno delle sue parole
per comprendere che avevo appena toccato un nervo scoperto.
E che ne avrei pagato le
conseguenze.
-Io – mi disse
a mezza voce, duramente – non sono mio padre.
Oh, se ne avrei pagato le
conseguenze!
***
Quando entrai nella band lo feci
senza dire nulla a nessuno.
Davvero.
Nemmeno ad Amy.
Trovai un manifestino a scuola,
di questi tizi che cercavano un chitarrista, e decisi che volevo
provare. Avevo
iniziato a suonare la chitarra da poco in realtà. O meglio,
a me, abituato a
quasi sette anni di pianoforte, sembrava poco, molto poco. Decisamente
troppo
poco per entrare davvero in una band.
Chiaramente, però, non stavamo
parlando di nulla di serio, solo di una band scolastica che prendeva
vita e che
probabilmente sarebbe morta da lì a qualche mese.
Forse per questo non dissi nulla.
Perché non era davvero importante.
Ma credo che dipese più che altro
dal terrore che avevo che quei tizi sapessero chi ero ancora prima che
mi
presentassi da loro. Così badai che nessuno di quelli che mi
conoscevano
intuisse anche solo vagamente la mia intenzione ed incontrai per la
prima volta
Mike, Gab ed il batterista di allora.
Le mie accortezze, come ovvio,
erano state inutili e loro sapevano chi ero. Tuttavia, per mia fortuna,
questo
dannato cognome che porto fu visto come un elemento di demerito ed io
fui
accolto da un clima di fredda aspettativa e dallo sguardo glaciale ed
inquisitorio di Mike. Lui aveva già deciso: come fossi
andato sarei stato
comunque fuori e possibilmente con una bella pedata morale da smaltire.
Ebbi la
percezione esatta del suo cervello che lavorava febbrilmente
nell’ideare la
battutaccia da rivolgermi contro appena avessi smesso di suonare,
quindi fui
stupito come non mai nell’accorgermi che, man mano che la mia
chitarra
sciorinava le proprie note, l’espressione di Mike mutava
lentamente.
Alla fine non ci fu alcun
“benvenuto”, ma, secco come era solito, il bassista
si limitò ad annunciare che
ero nella band. E tanti saluti.
A quel punto lo dissi.
Ad Amy per prima, perché si
complimentasse con me gridando e buttandomi le braccia al collo, e
potessimo
rotolarci tutti e due sull’erba nel giardino dietro casa solo
per sentirci
immensamente stupidi ed immensamente felici.
…Ed a mia madre.
Perché a mia madre non ho mai
nascosto chi sono.
Magari non gliel’ho neppure
spiegato, ma non gliel’ho mai nascosto. E questa cosa doveva
saperla perché,
seppure lo negassi anche con me stesso, era talmente importante da
poter
cambiare tutta la mia vita.
Sia chiaro da subito che non
sogno di fare il musicista rock. Non mi ha mai interessato davvero
seguire le
orme di mio padre, anzi. Avevo, credo, quattro anni quando per la prima
volta
sono entrato nel salotto di casa, dove mia madre stava prendendo il the
con un
gruppo di amiche, ed ho annunciato a tutti che da grande avrei fatto il
medico.
Il cambiamento a cui mi riferisco nel parlare della band, è
quello che riguarda
la mia accettazione di un’eredità paterna che,
fino a quel momento, avevo
comunque assaggiato ma non a pieno. Il piano prima – era
stata un’idea di mio
padre ed io avevo anche provato ad osteggiarla, ma solo per ritrovarmi
completamente stregato da quel
dannato strumento e finire per non poterne più fare a meno
– la chitarra dopo –
e stavolta l’avevo scelta io stesso, di nascosto a lui,
perché non capisse
quanto a fondo era entrata la musica in me – avevano
significato comunque dover
accettare di portare il cognome Molko e che quel cognome qualcosa
dovesse significare.
Nonostante questo, non volevo
certo che mio padre lo sapesse.
E da qui le bugie. Prima
implorate da mia madre – aveva detto che la mettevo in un
mare di guai e che,
se papà lo avesse saputo, si sarebbe infuriato a morte e ci
sarebbe rimasto malissimo
– e poi costruite ad arte intorno a me. La band doveva
restare anonima. Io non
dovevo esistere, non dovevo farne parte. Qualunque cosa venisse decisa,
ufficialmente era opera di Mike e solo sua, Mike prendeva accordi con i
locali,
Mike faceva pubblicità al gruppo, Mike e Gab erano le uniche
due figure “reali”
della nostra band.
Non era una gioco difficile. Papà
non sapeva nemmeno chi fossero i miei amici, li aveva visti in tutto un
paio di
volte, quando si erano trovati a girare per casa, e non aveva nemmeno
realizzato la loro presenza. Riuscire a farli passare sotto il suo naso
era
persino troppo semplice. Se domandava, erano degli anonimi
“compagni di
scuola”, se provava a chiedermi come si chiamassero, non
avevo nemmeno bisogno
di inventare o fare il reticente. Già il mattino dopo erano
spariti nel mare di
cose più importanti che affollavano il suo cervello.
Succedeva perfino con Amy.
Solo nell’ultimo anno lui l’aveva
già incontrata almeno quattro volte e tutte e quattro le
volte, quando lei lo
aveva salutato educatamente nel corridoio, lui l’aveva
fissata realizzando che
– per quanto gli ricordasse indubbiamente qualcuno
– il suo nome si era perso da qualche parte e lui poteva solo
rispondere un
“ciao” stentato ed imbarazzato.
Amy ne aveva riso in tutte le
occasioni, ma io avevo perso completamente la testa ed erano seguite
scene di
panico, con urla nei corridoi di casa e porte sbattute.
Mio padre si era difeso
affermando che “lui sapeva esattamente chi fosse Amy, solo
non riusciva a
ricollegare il viso ad un nome! Non potevo certo fargliene una
colpa!”. Io
avevo pensato che, in effetti, non c’era un solo motivo
valido per cui dovesse
ricordarsi il nome di Amy.
In fondo, lei viveva nella casa
accanto alla nostra da quando aveva cinque anni. E da allora io e lei
eravamo
sempre stati assieme. Ma probabilmente se mia madre non lo avesse
chiamato
tutte le sere per parlargli di me, mio padre avrebbe avuto
difficoltà a
ricordare anche il mio di nome.
-Sono a casa!- annunciai a gran
voce alla cucina.
Mia madre si affacciò in tempo
per vedermi tentare inutilmente di sfilare la chiave dalla toppa della
porta
sul retro. Quella dannata serratura era rotta da quando riuscivo a
ricordare,
ma, per qualche assurda ragione, anche se tentavamo di ripararla si
rompeva dopo
pochi giorni. Forse per questo mia madre aveva rinunciato da tempo a
chiamare
il fabbro. Rise della mia espressione concentrata e mi venne incontro
per
aiutarmi.
-Cody, ma perché non entri
dall’ingresso principale? così non devi ogni volta
fare questo casino.- mi
disse divertita.
Io sbuffai, la frangetta oscillò
e ricadde in quel soffio, coprendomi nuovamente gli occhi e facendo
sorridere
mia madre, che allungò una mano a restituirmi le chiavi
ormai libere e l’altra
a scostarmi i capelli dal viso in una carezza.
-Ehi, piccolo, andata bene a
scuola?- s’informò.
Mossi qualche passo nella cucina,
sbarazzandomi del tascapane a tracolla, che lasciai cadere accanto ad
uno degli
alti sgabelli che circondavano il tavolo.
-Ni.- risposi, guardandomi
attorno affamato, alla ricerca di qualcosa da spilluzzicare in attesa
della
cena. Avanzai minacciosamente verso il frigo e ci infilai risolutamente
la
testa.- Ho un altro test di algebra la prossima settimana. Ti rendi
conto che è
il terzo questo mese?!- protestai. Allungai una mano e catturai il
brick del
latte con uno sguardo soddisfatto.- Alla faccia delle prove
programmate!-
Mentre versavo il latte in un bicchiere, mia madre aprì la
credenza accanto a
me e mi porse un piatto di cookies che accolsi con sguardo
riconoscente. Mi
arrampicai su uno degli sgabelli mentre lei mi sedeva accanto e
continuai
imperterrito.- Insomma, è una tortura non da poco, no?
-Beh, tanto andrà bene come gli
altri…- provò lei.
-Aaah!!!- esclami io stizzito.-
Non è questo, mamy! È che se studio non posso
provare con gli altri e Mike è
terribilmente irritato per
questo…
-Irritato?- ripeté lei perplessa,
strappandomi una risata.
-Scusa, è un modo carino per dire
che è incazzato nero.- spiegai, affogando il primo
biscotto.- Sai come è fatto.
E poi è tipo eccitatissimo per qualcosa in questo periodo!
Continua a blaterare
che ha un progetto fantastico in mente e che, se riesce come si
aspetta, sarà
una svolta definitiva. Ovviamente si capisce da solo, ma con Mike
è così
sempre.
Mia madre continuava a ridere ed
io sorrisi soddisfatto.
Mi piaceva vederla ridere, le si
illuminava lo sguardo e le venivano delle fossette carine intorno alla
bocca.
Lei mi diceva che erano piccole rughe d’espressione, io
pensavo che era così
vera e naturale quando rideva che me ne sarei potuto innamorare, se non
fosse
stata mia madre. In quelle occasioni finivo per chiedermi se fosse
proprio per
cose come quella, per quei particolari, che mio padre si era innamorato
di lei.
Così cominciai a raccontare. Solo
per farla ridere ancora, solo per potermi beare di quel suo viso sereno
e
disteso.
-Tu immagina la scena- iniziai
con trasporto, spostando latte e biscotti per avere spazio e prendere a
mimare
gli eventi mentre li raccontavo.- Eravamo seduti tutti lì,
nella stanzetta che
usiamo per provare, ed arriva Mike, spalancando la porta con la boria
che lo
contraddistingue. Si mette davanti a noi mani sui fianchi e fa
“Ho avuto
un’idea GENIALE!”.- lo sbottai imitando con
precisione il tono da “grandi
occasioni” di Mike e mia madre, che lo conosceva benissimo,
rise più forte ed
annuì con convinzione.- A quel punto, ovviamente,
io me ne sono uscito sbuffando come al solito, Gab ha cominciato a
gridare
“sììì!!!” con tono
entusiastico a priori e Fran lo fissava ad occhi spalancati
e bocca aperta, come se gli avessero appena piazzato davanti un cono
gelato di
proporzioni gigantesche! Vale è stata l’unica a
guardarlo impassibile, ha
accavallato le gambe stile vamp e lo ha scrutato a lungo, facendo
“perciò?”.
Mamma smise di ridere. Si asciugò
distrattamente l’angolo di un occhio, soffocando la propria
ilarità e
guardandomi.
-Perciò?- ripeté.
-Ah, boh! Mica ce lo ha detto!-
esclamai io, ributtandomi sulla merenda. Mentre masticavo un secondo
biscotto,
chiarii- Si è limitato a gonfiarsi come un pollo da
combattimento ed a mettersi
lì con la faccia del “fidatevi del vostro
capitano!”.
-…faccia che preannuncia sempre
guai.- notò mia madre per me.
Assentii con il capo, mentre lei
si sporgeva nuovamente a scostarmi i capelli dal viso e dalle spalle,
prima che
finissero nel bicchiere.
-Comunque ho davvero troppe cose
a cui pensare in questo momento per occuparmi anche delle idee geniali
di
Mike.- sospirai, gettandole un’occhiata di traverso.
Fu a quel punto che suonò il
telefono.
Visto l’orario poteva essere solo
per me, così mi lasciai cadere giù dallo sgabello
ed andai a rispondere prima
che lo facesse la domestica. La voce di Gabriel mi arrivò
immediata
all’orecchio, ancora prima che io avessi il tempo di finire
il mio “pronto” e
piazzarci un bel punto interrogativo alla fine.
-Cody!- strillò terrorizzato.
Ora. Gab è una delle persone più
tranquille e positive che io conosca. Il classico tipo che in mezzo al
disastro
ti guarda, sorride e ti dice che alla fine poteva anche andare peggio.
Questo significa
che per far strillare terrorizzato
lui deve essere successo qualcosa di ancor più che
disastroso. Un ottimo
motivo, insomma, per avere paura di sentirlo al telefono esordire con
un
“Cody!” che mi fece pensare che sarei morto entro
la fine della giornata.
-…Gab?- provai a fermarlo prima
che si mettesse a piangere al telefono.
-O.k.- sbottò subito lui, come se
avesse bisogno di farsi coraggio per dirmi qualcosa. E lo
ribadì anche.- O.k.!
Ascoltami e non arrabbiarti.
-Gab, se esordisci con “non arrabbiarti”
è perché sai che lo farò!- feci notare
cominciando da subito a spazientirmi.
-Sì, beh, ecco…E’ che ho
scoperto
che idea ha avuto mio fratello e…
Allora sì che ebbi davvero paura.
-E…- incalzai a mezza voce.
Gabriel respirò a fondo, prese
tempo, mi fece perdere quel poco di pazienza che ancora conservavo
nonché tre
anni almeno di quelli che mi restavano da vivere.
-Gab!- strillai a mia volta.
-Cazzo, Cody! Ci ha iscritti ad
un concorso musicale!- strepitò lui tutto d’un
fiato, senza nemmeno prendere
pause tra una parola e l’altra.
Sapete, se si vuole passare
inosservati chiamandosi Cody Molko, una cosa da non fare mai, per
nessuna
ragione, è prendere a frequentare un covo di gente che, come
mestiere, si
occupa di musica.
-…cosa ha fatto?- ripetei in un
sussurro talmente fioco che Gabriel nemmeno mi sentì.
Anche perché era già partito con
una sequela infinita di “scuse”, che di sicuro non
avrebbe dovuto porgermi lui
per suo fratello e che, per giunta, non valevano minimamente a
ridimensionare
la questione.
Questione che avrei dovuto quanto
prima discutere a tu per tu con Mike.
-Gabriel, dov’è quel coglione di
tuo fratello?- mi informai quindi, interrompendo quel flusso continuo
senza
averne ascoltata nemmeno una sillaba.
-Cody, io sono sicuro che se magari
gli parlo…- provò lui con un gemito strozzato.
-Senti, Gab! Se a tuo fratello
gliene fosse fregato qualcosa si sarebbe almeno preoccupato di chiedere
il mio
parere!- scattai stizzito.- Invece si è limitato a mettermi
in un mare di merda
senza nemmeno essere così carino da avvisarmi in anticipo!
-Co…
-NON DIRE CODY!- lo interruppi
ferocemente.- Mettiti nei miei panni, dannazione!- scattai quindi,
battendomi
una mano contro la fronte e tirando indietro quella dannata frangia che
continuava a finirmi negli occhi. Mi lasciai andare contro il muro con
un
sospiro pesante.
Mettersi nei miei panni. Nessuno
di loro poteva mettersi nei miei panni. Nessuno di loro aveva un padre
famoso
che gli pesava addosso con la propria notorietà, rendendo
qualunque cosa decidessero
di fare assolutamente fuori
dell’ordinario solo in virtù di questo.
Magari a pensarci sembrava una cosa
incredibilmente “forte”, ma la verità
è che era solo terribilmente
“ingombrante”.
-Va bene, ora non ho tempo.-
conclusi seccamente, chiudendo la comunicazione e bestemmiando contro
me stesso
per non aver capito da subito che, qualunque idea geniale Mike avesse
avuto per
il gruppo, per me sarebbe stata un grossissimo problema.
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Capitolo 2 *** II ***
mfe2
Il rifiuto
più che chiaro che
Cody mi aveva presentato al mio primo timido tentativo di approccio mi
aveva
gettato nello sconforto nero. Chiaramente il suo
“no” non era certo sufficiente
a far desistere il mio dannatissimo cuore dal partire in quarta ogni
volta che
per sbaglio individuavo la presenza di Cody da qualche parte intorno a
me, per
cui continuavo ad adorarlo in silenzio, dal mio angolo adesso ancora
più
lontano, e mi disperavo nella vana speranza di trovare un modo per
recuperare
terreno.
Quando quel modo si presentò
spontaneamente, fu una cosa così inaspettata ed assurda che
nemmeno lo
riconobbi per ciò che era.
Gabriel Peirce era uno dei
ragazzi che frequentavano Cody più assiduamente. Sapevo
anche che era una
frequentazione che andava oltre l’orario scolastico,
perché più di una volta mi
era capitato di cogliere stralci di conversazione per appuntamenti dopo
le
lezioni. Per un po’ avevo pensato che tra loro ci fosse qualcosa di più di una
semplice amicizia, ma probabilmente
dipendeva solo dalla confidenza che si respirava e dal fatto che
Gabriel era
bello quasi più di Cody.
Eppure, nonostante tutto, quando
quel giorno me lo trovai davanti sulla strada per casa, ebbi
difficoltà a
riconoscerlo e rimasi un attimo interdetto dopo che lui ebbe richiamato
la mia
attenzione salutandomi e rivolgendomi un sorriso.
Alzai il volto e ricambiai lo
sguardo di un ragazzino della mia età, con un viso
così bello ed un’espressione
così luminosa e serena, aperta, da lasciare senza fiato.
Studiai il suo fisico
asciutto, alto e magro, nascosto dagli abiti insoliti: i jeans a vita
bassissima, la maglietta dal taglio femminile di un fucsia acceso, le
maniche
troppo lunghe che si arricciavano sulle mani ed una scollatura a V che
lasciava
intravedere il collo di una seconda maglietta verde acido ed un laccio
di cuoio
con un tribale in argento. Aveva un sorriso magnetico, che sgomentava
per
l’assoluto candore che ostentava, e due occhi di un verde
brillante - simile al
vetro delle bottiglie per quanto era limpido ed acceso - in cui quel
sorriso si
rifletteva come in uno specchio.
-…ciao…- borbottai rispondendo al
saluto.
Il suo sorriso non vacillò
nonostante il mio imbarazzo. Tirò indietro i lunghi capelli
castani - chiarissimi, venati di riflessi di
biondo
appena ramato - che gli ricadevano sulle spalle gonfiandosi
in un accenno
di onda. Poi saltò giù dal muretto su cui sedeva
e mi venne incontro.
-Dì la verità, non ti ricordi chi
sono.- mi disse senza alcun fastidio.
Sbuffai a disagio ma annuii.
-Sono Gabriel, mi hai visto con
Cody.- mi spiegò con semplicità, fermandosi
davanti a me ed agganciando i
pollici alle tasche dei jeans, che scivolarono ulteriormente in basso
mettendo
in mostra l’elastico chiaro dei boxer.
Distolsi immediatamente lo
sguardo, arrossendo.
-Sì.- mi affrettai a confermare,
ricordandomi immediatamente di lui e realizzando che senza la divisa
scolastica
e con i capelli sciolti era praticamente un’altra
persona…Oddio…non che con la
divisa fosse meno intrigante…ma
che
accidenti andavo a pensare…?! Cercai qualcosa di
intelligente da dire, ma non
mi venne in mente nulla e così tirai fuori l’unica
cosa che mi premeva sinceramente
sapere.- Senti, non per farmi i fatti tuoi, ma cosa vuoi da me?
…anche in modo tutt’altro che
gentile, riflettei subito dopo.
Gabriel sgranò gli occhi,
sorpreso da una domanda tanto diretta e dal tono neutro in cui era
stata posta.
Io pensai meccanicamente che ero un cretino, ma poi mi arresi
all’idea di non
poter rimangiare quello che avevo detto.
-Scusa. Magari avevi da fare.-
mormorò giustamente lui a disagio.
Scossi il capo, chiudendo gli
occhi e tentando di trovare le parole migliori per dirgli
“Guarda che ti
sbagli, è solo che sono un imbecille ma tu cerca di non
farci troppo caso”,
senza perdere per questo quel poco di dignità che mi
rimaneva.
-No, senti, è che mi hai preso un
po’ alla sprovvista.- dissi sinceramente.- Sai, sono abituato
ad essere
invisibile…- aggiunsi a mezza voce con un sorriso storto.- e
tu mi sei apparso
davanti e mi hai salutato per primo e…- esitai. Stabilii
quanto volessi
rendermi ridicolo e poi continuai- sembrava quasi che mi stessi
aspettando.-
conclusi sbuffando in una risatina divertita prima che ci pensasse lui.
Ma Gabriel non rise affatto.
-Infatti ti stavo aspettando.-
ammise invece.
“Ah”
-…come?
Sembrò in difficoltà. Distolse lo
sguardo controllando se c’era qualcun altro a parte noi che
potesse ascoltare
quello che stava per dire, quando si voltò di nuovo e
parlò lo fece in tono
basso, avvicinandosi a me. Il suo profumo
m’investì dandomi letteralmente il
capogiro.
Ma da dove accidenti usciva quel
tipo?!
-O.k., ora non uccidermi se sarò
molto diretto, ma mi sembra idiota girarci attorno.- iniziò
prendendo la cosa
alla larga e mettendomi subito in agitazione.- Mi è parso
che tu provassi…un
certo interesse per Cody. Voglio dire, un interesse di un certo tipo…- si
spiegò.
A merito di Gabriel devo dire che
lui usò tutto il tatto possibile, date le premesse. Tuttavia
era anche ovvio
che io mi sentissi all’incirca come se mi avessero appena
sparato e che mi
ritrovassi a boccheggiare senza capire di cosa stavamo parlando esattamente.
Nonostante il qualcosa di cui
stavamo parlando mi fosse più che chiaro.
Mi tirai indietro di scatto,
nemmeno lui mi avesse schiaffeggiato, e presi a scuotere energicamente
la testa
ed a negare recisamente.
-Ma che idea assurda!- strillai
isterico.- Assolutamente no! Che cosa ti salta per testa?! Io e Cody?!
Non sono
mica gay, io…
-Guarda che non hai motivo di
vergognarti, sono gay anch’io.
“…io sono perfettamente
eterosessuale, solo che quel dannatissimo ragazzino ha due occhi che ti
si
piantano addosso e quindi ti va in pappa il cervello e non ti rendi
neppure
conto che, in questo preciso istante, a riprova della tua
eterosessualità, stai
fissando il suo migliore amico come se volessi mangiartelo con gli
occhi!...Oddio, Gabriel, ma che diavolo mi fai pensare?!”
Rilasciai l’aria nei polmoni
tutta d’un colpo e ne venne fuori un suono molto simile
all’“Ah” che avevo
pensato solo pochi istanti prima.
Gabriel rise, ma questo non
riuscì ad infastidirmi come avrebbe dovuto, istintivamente
compresi che non
stava ridendo di me, ma che era semplicemente divertito da tutta quella
situazione e dalla giusta reticenza che avevo mostrato davanti alla
possibilità
di fare outing con un perfetto sconosciuto. Così finii per
rilassarmi e
sorridergli timidamente a mia volta.
-Beh, se ti espongo da subito la
mia “debolezza”, non avrai motivo di sentirti
aggredito quando dico che mi sono
accorto di come guardi Cody.- mi spiegò gentilmente.
-Diamine, è così smaccato?!-
piagnucolai io.
Gabriel fece una cosa carinissima
con la testa, oscillando da un lato all’altro come se stesse
valutando quello
che gli avevo chiesto, mi diede l’idea di un bambino piccolo
e mi strappò un
nuovo sorriso.
-Beh, un po’!- sbuffò alla fine
ricambiando il mio divertimento con un pizzico di affetto che mi
stupì.- Posso
dirti che con tutta probabilità Cody non se
n’è nemmeno accorto, ma lui è fatto
così, non ci bada neppure all’idea che gli altri
hanno di lui e, quindi, non si
accorge di quello che suscita intorno a sé.
Non avevo alcuna difficoltà a
credergli. Sospirai, consapevole che in modo gentile Gabriel mi stava
comunque
dicendo che non avevo molte possibilità di farmi notare da
Cody.
-O.k.,- assentii mostrandomi
decisamente più rilassato.- hai detto che mi aspettavi, ma
non mi hai ancora
spiegato perché.- gli feci notare con un sorriso rassegnato.
Gabriel mi guardò con
un’espressione furbetta, si sporse ancora verso di me e mi
sussurrò appena,
direttamente all’orecchio.
-Sai mantenere un segreto?- Un
brivido mi corse lungo la schiena. Annuii ancora, meccanicamente.-
Allora sei
invitato alle prove dei Bright Eyes.
-…di chi…?- borbottai senza
capire.
Gli occhi verdi di Gabriel
brillavano di malizia. Ed io pensai che c’era qualcosa che
non mi stava
dicendo.
***
La prima cosa che pensai fu che
avrei ucciso Gab.
Lentamente, se possibile.
Quindi presi a stabilire
esattamente le modalità. E dovetti fermarmi quando Amy,
notando il mio silenzio
ed il fatto che continuavo a spostare lo sguardo dal viso rosso
d’imbarazzo di
Luke Perrington a quello sorridente e felice di Gabriel – che
stava
evidentemente pensando “scusami, Cody, ma ne va della salute fisica di mio fratello, cerca di
capirmi.” – mi tirò per la manica della
camicia per indurmi a prendere una
decisione qualunque ed a spiccicare almeno una sillaba che seguisse il
mio
saluto all’ingresso nello scantinato che usavamo per provare.
-Bene!- esclamai subito, con
entusiasmo. Troppo entusiasmo. Ero chiaramente stato preso alla
sprovvista e lo
stavo dichiarando al mondo intero. Mentre notavo il rossore sulle
guance di
quel poveraccio di Perrington aumentare a dismisura, proseguii tentando
di
controllare il mio tono di voce.- Siamo felici di averti qui, Luke.-
mentii
spudoratamente, sorridendogli in un modo che sperai sembrasse
rassicurante. Lui
biascicò una risposta di qualche tipo, che io non ascoltai
nemmeno ma ritenni
sufficiente per voltarmi a squadrare Gabriel con lo stesso identico
sorriso
falso stampato in faccia- Posso parlarti un momento, Gab?- domandai.
-Cer…
Ma non lo feci finire,
afferrandolo per un braccio e trascinandomelo dietro mentre
raggiungevamo un
angolo nascosto dello scantinato, mollando Luke a seguirci con uno
sguardo da
cucciolo impaurito. Lo ignorai.
-Che cazzo stai facendo?!-
aggredii immediatamente Gabriel, sibilando a bassa voce
perché mi sentisse solo
lui.
-Cody, avevi detto tu che ti
sentivi in obbligo di scusarti visto il modo in cui ti eri comportato,
e che
non avevi avuto nessun diritto di farlo, e…- Mi agitai,
infastidito, facendogli
cenno di tagliare corto.- Pensavo che invitarlo alle prove potesse
essere
un’idea carina per chiedergli scusa.
-E soprattutto hai pensato che,
con lui presente, io mi sarei guardato bene dallo sbranare Mike per
essere un
cretino totale!- ringhiai io.
Gabriel se ne uscì con un
sorrisetto di scusa, ma non disse nulla, confermando quanto avevo
appena finito
di dirgli.
Fu a quel punto che il resto
della band arrivò.
Francis, il nostro batterista
nonché la nostra “mascotte”,
saltellò – letteralmente
– nello scantinato per primo. I suoi occhioni celesti, il suo
musetto paffuto
ed i suoi riccioletti biondi da puttino si affacciarono alla porta, lui
allargò
un sorrisone immenso nel riconoscerci, abbozzò un saluto
silenzioso e zompettò
dentro, adocchiando Luke – che lo fissava come avesse visto
un marziano – e
voltandosi a me con aria interrogativa. Fu Gabriel a fare le
presentazioni, in
ogni caso, approfittò di quella intrusione per sfuggire alle
mie grinfie e si
rigettò addosso a Luke, stringendoselo contro come fosse il
suo migliore amico
e presentandolo a gran voce proprio mentre suo fratello Mike e
Valentina
entravano dalla stessa porta usata dal batterista e coglievano tutto
insieme il
delizioso quadretto di assurdità che eravamo lì
dentro.
-Beh?!- esordì Mike con la poca
grazia che lo contraddistingue in ogni sua manifestazione.-
Cos’è, una festa
per sfigati?! Chi accidenti è questo Luke
Perrington, Gab?
-Un compagno di corso mio, di
Cody e di Amy.- spiegò Gab, tirando una manata rassicurante
sulla spalla del
povero Luke, quest’ultimo ormai bianco come un cencio lavato
dopo l’ingresso
della fotomodella / dark lady in viola ed occhi cerchiati di nero
profondo e
del suo accompagnatore, che era più o meno una versione
adulta e “maschia” di Gab:
stessi colori, stessi occhi verde bottiglia, stesso fisico asciutto e
slanciato, espressione strafottente e prevaricatoriamente arrogante.
Sospirai. Ma poi mi ricordai del
motivo per cui ero arrivato allo scantinato quel pomeriggio e la rabbia
tornò a
prendere il posto di ogni pensiero di pietà e compassione
nei confronti di
Luke. Accantonai la sua presenza mentre arricciando il naso mi dirigevo
verso
la mia chitarra, ancora accuratamente riposta nella propria custodia ed
appoggiata al muro. Liberai lo strumento ascoltando in sottofondo le
voci di
Vale e Gab perdersi in una compita dissertazione sul livello di
umiliazione
sociale che la nostra band voleva raggiungere cominciando a raccattare
qualsiasi cosa trovassimo in giro.
Vale ha un modo tutto suo di
manifestare il proprio ego. Che è smisuratamente ampio e
tragicamente snob. È
talmente abituata a badare a se stessa ed alla necessità di
nutrire quello
stesso ego, che difficilmente si rende conto, quando parla, della
sensibilità
altrui e dei possibili riflessi che hanno le sue parole su di essa.
Mi tirai in piedi, in tempo per
sentire Gab ridere con la solita sincerità disarmante e
liquidare il discorso
di Valentina con uno scrollare sfarfallegiante della mano dalle dita
lunghissime. Io non commentai, Amy raccolse ciò che restava
di Luke e se lo
portò in un angolo sorridendogli in quel modo dolce e
rassicurante che è tutto
suo, Mike imbracciò il basso mentre Fran si arrampicava
sullo sgabello della
batteria e spariva dietro i piatti e Vale mi imitò,
liberando il proprio
violino elettrico dalla sua custodia ed attaccandolo
all’amplificazione. Come
sempre Gab aspettò che noi quattro finissimo di collegare
gli strumenti e
cominciassimo da soli a provare qualche accordo dalle canzoni solite,
lui
girellava per la stanzetta, un po’ ascoltando la musica ed un
po’ canticchiando
a voce bassissima il motivetto portante, poi, quando toccava a lui, si
avvicinava tranquillamente al microfono e cominciava a cantare.
Vorrei poter dire che quel giorno
andò come tutti gli altri. Che come sempre la voce di
Gabriel si sposò
armoniosamente perfetta con il suono dei nostri strumenti, che questi
crearono
tra loro quell’alchimia sottilissima ma intensa che ormai era
la nostra
impronta di gruppo, che Amy e Luke apprezzarono l’esibizione
privata che era
stata messa su per loro due soltanto…Vorrei poterlo dire
perché odio, a volte,
il mio modo ridicolo ed infantile di ostinarmi.
Ma è proprio quello che faccio di
solito. Mi ostino. E rompo qualsiasi cosa abbia tra le mani pur di far
sentire
le mie ragioni.
Fu Mike il primo tra noi due a
stancarsi. Non che ne fossi stupito, lui è più
forte di me, più grosso e più
cattivo, ma ha decisamente meno pazienza. Così smise di
suonare di botto, tirò
il filo dell’amplificatore per staccare il basso e si
voltò con una specie di
ruggito inferocito a scoccarmi un’occhiata rabbiosa che io
ricambiai senza
scompormi, limitandomi a togliere le dita dalle corde della chitarra.
-‘Cazzo stai
suonando, Cody?!- mi apostrofò sgarbatamente.
Ricacciai il sorrisetto gratuito
che mi affiorava alle labbra in fondo alla pancia ed incrociai le
braccia sul
corpo, rispondendo asciutto.
-Suono il cazzo che mi pare,
Peirce.- notificai.
-Non nella mia band!- sbottò lui
venendomi incontro con aria minacciosa.- E questa è la mia fottutissima band!-
rincarò.
-Non è certo colpa mia se tu sei
un coglione che non farsi rispettare dal gruppo!- gli ringhiai contro
serrando
i denti ed i pugni.
-Fanculo, Cody!
-Fanculo tu, pezzo di merda! Sai
che non avresti dovuto iscriverci a quel concorso senza prima
chiedermelo!-
buttai fuori esasperato.
-Concorso?- sentii chiedere
gelidamente alla voce pacata di Vale.
Nessuno di noi due le diede
retta.
-Ah, allora è questo che pesa al
nostro principino del cazzo!- mi derise Mike impietoso.- Non sia mai
che
paparino lo sappia! Che sappia che il principino suona la chitarra in
una band
rock, o mio Dio!- continuò in tono canzonatorio, fingendo
svenevoli scene di
panico.
-Sei uno stronzo fatto e finito,
Mike!- sibilai tirandomi indietro come scottato.
Dietro di noi Amy si sollevò di
scatto, avanzando nella stanza, probabilmente per evitare che
arrivassimo a
picchiarci. Mike mi squadrò freddamente e si strinse nelle
spalle.
-E’ la mia band, Cody.- ribadì.-
Se non ti sta bene, vai a farti fottere.
Valutai la sua affermazione.
Tranquillamente. Poi sfilai la chitarra e tornai alla custodia senza
rispondere, posai la chitarra e la sollevai infilandola a tracolla.
-Benissimo.- commentai soltanto.-
Trovati un chitarrista.- annunciai uscendo.
Amy mi venne dietro in silenzio.
Come sempre.
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Capitolo 3 *** III ***
A
Gabriel…Gab – come lo chiamano
tutti – piace parlare. Gli piace un sacco. Talmente tanto che
a volte penso sia
innamorato del suono della propria voce.
Oh, farebbe bene ad esserlo, ha
una voce molto bella.
È meno scontato che a Gab piaccia
anche ascoltare, invece è così: lui è
un ottimo ascoltatore. È una persona che sta
a sentire gli altri anche quando non
ha voglia, uno di quelli che hanno una parola di conforto anche quando
sono a
pezzi loro per primi. È una persona positiva. In un modo a
volte travolgente,
casinista e folle. Ma ci si lascia trascinare volentieri da Gab,
perché è
carismatico ed affascinante in un modo suo soltanto.
Quella sera, dopo che le prove
s’interruppero bruscamente con l’uscita di scena di
Cody, si offrì di
riaccompagnarmi a casa. Forse sentendosi responsabile di avermi
coinvolto. Io
ero abbastanza depresso da accettare, non avevo voglia di attraversare
il
quartiere a piedi, di notte, da solo; mi figuravo già di
finire morto ammazzato
in qualche angolo, nonostante non si trattasse affatto di quel genere di quartiere, come
dimostrò la piacevole passeggiata
che ci concedemmo per rientrare.
Ricordo che ero teso, oltre che
depresso, e che continuavo a rimuginare tra me sul fatto che Cody, in
realtà,
non sembrava essersi neppure accorto della mia presenza in quella
stanza.
Chiaramente non avevo idea di cosa avesse originato il litigio tra lui
e Mike,
Gabriel però m’informò quasi subito del
fatto che la band era sempre stata “il
segreto di Cody” e che lui temeva che, una volta iscritti ad
un concorso
musicale, quella cosa sarebbe venuta fuori di sicuro con suo padre e
lui
avrebbe anche dovuto giustificare un mucchio di cose. Ovviamente io
solidarizzavo con Cody, trovavo Mike un bastardo egoista e, se non lo
dissi ad
alta voce, fu solo perché Gab parlò da subito
“di suo fratello Mike” e mi
sembrava fuori luogo ripagarlo con insulti dopo che era stato comunque
gentile
con me.
Esaurito l’argomento, comunque,
Gab mi chiese di me.
Lo fece con una naturalezza
disarmante, fissandomi subito dopo in attesa ed ignorando senza
problemi la mia
espressione stupita e perplessa.
Non ero abituato a parlare di me.
A nessuno, generalmente, interessava che lo facessi, per cui non sapevo
nemmeno
da che parte cominciare e glielo dissi.
-Beh…potresti dirmi da dove vieni
e perché ti sei trasferito da noi…Cose
così, insomma.- mi spiegò aggrottando le
sopracciglia.
Ridacchiai nervoso.
-Veniamo da Edimburgo. Ma prima
stavamo a Liverpool e prima ancora a Sheffield, dove sono nato. I miei
sono di
un paesetto sconosciuto nel Dorset…
-Caspita!- sbottò lui stupito.-
Ma che razza di lavoro fa tuo padre per dover girare così
tanto?!
-Nessun lavoro esaltante.- risi
io.- In realtà lavora per una grossa società di
intermediazione finanziaria.
-Sarete ricchi, allora.- sogghignò
Gab.
Mi guardai attorno, fissando le
mura altissime delle ville che ci circondavano.
-C’è qualcuno in questo quartiere
che non lo sia?- m’informai scrollando le spalle.
Gab rise.
-Come farete senza chitarrista?-
domandai a bruciapelo quando le sue risate si affievolirono fino a
scomparire.
-Ah, figurati.- sbuffò lui
divertito, sorridendo maliziosamente da sotto quegli occhi
impertinenti.- Mike
e Cody litigano in continuazione. Certo, Cody non aveva mai mollato la
band
prima di oggi…- aggiunse soprappensiero.- ma mio fratello
non cercherà un altro
chitarrista e puoi stare certo che farà di tutto pur di
riaverlo dentro la
band. E stai certo del fatto che Cody, anche se dice di non voler
diventare un
musicista, ha la musica nel sangue.
-Ma com’è che vi chiamate…Bright Eyes…?- chiesi
ripescando il nome
della band dai miei ricordi.
Gab sogghignò. Si fermò di botto
e mi obbligò a fare altrettanto, fermandosi proprio di
fronte a me. Sollevò con
una mano la frangia a ciuffo che aveva davanti al viso ed
indicò i propri
occhi, puntandoli con un dito.
-Verdi.- disse- Come quelli di
Mike. Cody li ha…azzurri.- decise alla fine.- Ed anche Fran
e Vale.
-…avete scelto questo nome perché
avete gli occhi chiari o avete scelto i componenti della band in base
al colore
degli occhi?- mi ritrovai a domandare.
-Nessuna delle due cose, in
realtà.- mi confessò Gab ridacchiando.-
E’ stato tutto uno scherzo e questo,
teoricamente, non è nemmeno il vero nome della band.
È successo che, però, non
avevamo un nome per la band e stavamo tutti assieme un pomeriggio per
sceglierne uno. Amy ha suggerito di chiamarci così, visto
che avevamo gli occhi
chiari tutti quanti, ma voleva prenderci semplicemente in giro. Noi
abbiamo
finito per chiamarci così per davvero in attesa di trovare
un nome che ci
piacesse e questo è ancora il nome della band ad oggi.-
raccontò, concludendo
il tutto con una risata delle sue.
Io sorrisi. Non tanto perché il
racconto fosse davvero così divertente quanto
perché Gab è molto coinvolgente
nei propri stati d’animo.
Mi accorsi che eravamo
praticamente arrivati al cancello della casa che avevano preso in
affitto i
miei e glielo indicai. Vidi la sua espressione cambiare radicalmente,
assumendo
un’aria maliziosetta che non capii finché lui non
se ne uscì con quella proposta.
-Perché domani non vieni a
studiare con me e Cody?
Io scossi la testa, arrossendo
involontariamente.
-Non posso.- mi giustificai.-
Domani pomeriggio ho i provini per entrare nella squadra di football.-
gli
dissi.
Gab sembrò riflettere su quello
che avevo appena detto, ma non aggiunse nulla e si limitò a
scrollare le
spalle.
-Fa niente. Sarà per un’altra
volta.- mi rispose.- Ci si vede, Luke.- salutò poi
sorridendo ed agitando una
mano mentre mi superava e si allontanava a passo svelto in direzione di
casa
propria.
Sospirai. L’indomani sarebbe
stata una giornataccia ed avrei preferito milioni di volte passarla
davvero a
studiare con Cody e Gabriel…
***
-Io ancora non ho capito cosa ci
facciamo qui!
Gab ci mise un po’ a voltarsi
nella mia direzione. Sembrava troppo intento a cercare Luke nella
masnada di
armadi tutti uguali e vestiti d’identiche divise blu che
occupavano il campo di
football sotto le gradinate. Mi sistemai sulla scomoda panca di legno
ed
aspettai che l’attenzione di Gabriel fosse effettivamente su
di me e lui
riuscisse a mettermi a fuoco.
-Te l’ho detto!- strillò a quel
punto, esasperato.- Sosteniamo un amico!
-Da quando Luke Perrington è
nostro amico?- m’informai scettico sollevando un sopracciglio.
-Adesso non iniziare pure tu,
Cody!- mi rimbrottò Gab, braccia incrociate sul petto e
sguardo da tacchino da
combattimento- Bastano Vale e Mike nel nostro gruppo per portare avanti
la
campagna “anti-sfigato”!- mi apostrofò.
Ridacchiai, riconoscendo in cuor
mio che aveva ragione. Ma che ne avevano anche Vale e Mike nel dare
dello
sfigato al nanerottolo non troppo piazzato che riconobbi tra la folla
blu. Lo
additai a Gab perché lo individuasse anche lui e poi me ne
disinteressai,
proprio mentre l’allenatore si faceva avanti per mettere
tutti ordinatamente in
riga.
-Come fa ad essere un giocatore
di football quella mezza sega?- sentii borbottare alla voce di Gab,
mentre un
cipiglio perplesso gli oscurava la fronte.
Repressi a stento una sonora
risata, nascondendomi frettolosamente dietro la mano, poi
però mi rimisi dritto
sul sedile e finsi di interessarmi anch’io.
-Gab,- indagai intanto.- Mike ha
detto niente ieri sera?
-Sì.- rispose lui
frettolosamente, spingendo il busto in avanti per seguire meglio
l’inizio della
partita. Il mister della squadra aveva diviso gli aspiranti giocatori
in due
squadre, aggiungendo i giocatori “regolari” ad
entrambe per coprire i ruoli
mancanti, si sarebbero affrontati in un match di valutazione.- Che sei
un
cretino.- proseguì piatto il rosso.
-Ah!- commentai io leggermente
ferito.
Gab mi guardò.
-E poi che puoi morire se speri
che lui ritiri l’iscrizione al concorso. E che tornerai
strisciando ad
implorarlo di riprenderti.- aggiunse nello stessono modo piano,
sbattendo gli
occhi verdi con aria fascinosa e producendosi così in una
riuscita imitazione
di Bambi.- Poi ha detto che potevamo andare a farci fottere ed ha
sciolto la
riunione.
-Elegante come sempre.- tirai.
Gab si strinse nelle spalle. Nel
campo sotto di noi qualcuno urlò di dolore e lui si
voltò indifferente a vedere
chi fosse.
-E’ Mike.- sminuì intanto,
riferendosi alle mie parole di poco prima.
Mi voltai come lui, prestando
attenzione al pestaggio regolamentato che si stava svolgendo
più sotto.
Arricciai il naso.
-E’ un gioco idiota!- affermai
seccamente.
-Beh, non è il massimo…no.-
convenne Gab.- A mio fratello piace, però.
-Tuo fratello meriterebbe che
qualcuno lo pestasse davvero e senza arbitro.- scoccai astioso.
Gabriel rise ma non mi smentì.
-Uh! Quello era Luke, vero?- mi
domandò fissando preoccupato uno dei giocatori che veniva
afferrato e sollevato
di peso da terra per atterrare malamente a bordo campo.- Non mi pare
che stia
andando benissimo.
-Io direi che se fa un altro volo
di quelli, del provino non dovrà più
preoccuparsi.- ribattei blandamente.
Gab scattò in piedi.
-Da qui non si vede nulla e non
si capisce niente, andiamo più giù!-
ordinò afferrandomi per un polso e
tirandomi in piedi.
-Ripetimi perché siamo qui!- gli
gridai io mentre lui correva per la scalinata portandomi con
sé praticamente di
peso.
-Perché ci opponiamo alle
discriminazioni sociali operate nei licei moderni.- mi rispose Gab,
atterrando
agilmente sul fondo piatto alla base delle gradinate e scivolando poi
con
grazia lungo il corridoio fino alla posizione più vicina
alla “panchina” dell’allenatore.
Mi lasciai tirare fin lì e
ricaddi stremato al suo fianco, abbandonando le mani in grembo e
seguendo
svogliatamente il resto della partita.
Al momento il mio problema era:
semplice nella sua identificazione, impossibile da risolvere. Mike non
avrebbe
ritirato l’iscrizione. Io non volevo davvero ritirarmi dalla
band.
Uno di noi due avrebbe
necessariamente dovuto fare un passo indietro, ma il punto era che
entrambi
saremmo morti prima di farlo. Ed entrambi per lo stesso motivo.
Orgoglio.
Mike doveva affermarlo su di me
per affermarlo sul resto della band e riconfermarsi come nostro leader.
Io
dovevo affermarlo su mio padre, per affermarmi come individuo singolo
dotato di
coscienza propria e trasformare la mia adolescenza in una sana
contrapposizione
con il mondo degli adulti.
L’allenatore fischiò il termine
della partita con largo anticipo sui tempi regolamentari. Fece a tutti
dei gran
complimenti poco sentiti ed un discorsetto sul lavoro di squadra. Poi
annunciò
chi era dentro e chi fuori.
Luke fu preso.
-Andiamo a casa, Gab.- sbottai
sollevandomi di scatto con una pacca sonora sulle cosce.
-E’ finito tra le riserve!-
osservò Gabriel accanto a me, indicando sconvolto un povero
Luke che si
trascinava stancamente verso gli spogliatoi.
-E con questo?- ritorsi io senza
capire.- E’ nella squadra, no?
-Ma è nelle riserve!- ribadì Gab
come se fosse esaustivo del senso del dialogo.- Sarà
depresso da morire! Non
possiamo abbandonarlo così.
-Non possiamo…?! cosa?- domandai
io sgranando gli occhi.
-Dobbiamo aiutarlo a tirarsi su
di morale ed accettare questa cosa!- dichiarò Gabriel senza
prestare attenzione
al mio smarrimento.
-No che non dobbiamo!- strillai
io.
-Oh, andiamo! Mettiti nei suoi
panni!- esclamò Gab, facendo appello alla mia presunta
sensibilità.
Che io mi affrettai a tacitare.
-Non ci voglio stare nei suoi
panni!- affermai categorico.- Sono sudaticci, puzzolenti e coperti di
sangue!
Se avessi voluto stare nei suoi panni, mi sarei gonfiato di steroidi
dall’età
di sette anni ed avrei cominciato a bere birra a dieci!
Gab mi osservò attentamente prima
di rispondere.
-Non credo che Luke faccia
nessuna di queste cose.- asserì a quel punto.
-Infatti è uno sfigato!- conclusi
io.
Come che fosse, un quarto d’ora,
o poco più, dopo Gabriel mi stava accompagnando
tranquillamente verso
l’ingresso degli spogliatoi, seguito dai miei rimbrotti a
mezza voce e dalle
altrettanto inutili lamentele che alzavo di tanto in tanto.
-E’ dovere degli amici sostenersi
a vicenda.
Valutai l’opportunità di
ribadirgli che Luke non era affatto nostro amico e che lo conoscevamo
da manco
tre giorni, ma mi astenni perché, conoscendo Gab, sapevo
esattamente quanto
sarebbe stato inutile tentare di mostrarli la realtà delle
cose quando lui non
era interessato a prenderla in considerazione. Mi arresi
all’idea che avrei
dovuto essere carino e gentile con il nostro nuovo “sconosciuto” ed adocchiai
l’ingresso degli spogliatoi.
A quel punto il cellulare di
Gabriel lo informò dell’arrivo di un messaggio.
Ci bloccammo a venti metri dalla
porta, con lui che sollevava l’aggeggio tra le mani, scorreva
le parole sul
display e mi annunciava che Mike lo aveva convocato “ed io
sapevo che quando
Mike convocava qualcuno c’era poco da discutere”,
per cui avrei dovuto
cavarmela da me ed aiutare il povero Luke a farsi una ragione della
propria
incapacità naturale a giocare a football, mentre lui andava
dal capo a vedere
cosa volesse.
-Non puoi dire sul serio.- fu la
mia prima disperata obiezione.
-Susu, ci metterò pochissimo e
poi ti raggiungerò.- mi rassicurò lui spingendomi
dolcemente verso la porta.
-Ma non possiamo lasciar perdere
questa cosa ed andare a vedere cosa voglia Mike e…
Niente da fare. Gab mi diede uno
spintone ed io ruzzolai felice giù per i tre scalini che
portavano in basso,
atterrando in piedi per un miracolo divino e sbuffando stizza come una
ciminiera. Superai in due falcate di puro astio lo spazio che mi
separava dalla
porta degli spogliatoi e tirai una manata sul battente per spalancarlo
ed
entrare.
I bestioni erano spariti quasi
tutti, tranne un ultimo gruppetto vociante che si attardava a fare
scherzi
idioti tra le docce e l’angolo degli armadietti. Luke,
invece, se ne stava
ancora sporco e puzzolente seduto su una delle panche, sguardo chino e
spalle
chiuse. Il ritratto stesso dell’afflizione adolescenziale.
“…fanculo…tutte…le…menate…sull’integrazione,
la tolleranza ed il rispetto degli altri”, mi dissi.
Ma mi avvicinai lo stesso,
infilando le mani in tasca e scrutandolo dall’alto in basso
quando mi fermai
davanti a lui e lui non se ne accorse neppure.
-Ciao, Luke.- salutai per indurlo
ad alzare il viso.
Lui lo fece. Lentamente come in
un film di serie B e sgranando gli occhi come un cucciolo terrorizzato.
Augurai
a Gab ogni male e mi sedetti al suo fianco, sorridendogli incoraggiante.
-Io e Gab abbiamo seguito i
provini.- spiegai, immaginando che comunque potesse averci visto.-
Congratulazioni, sei in squadra!- esclamai entusiasta.
-…sono una riserva.- mi fece
notare lui in tono incolore.
Sospirai, accasciandomi anche io
e lasciando andare aria e spalle in un’immagine speculare a
quella di Luke, e
restammo così per un po’, in silenzio, mentre gli
armadi a muro ridenti
finivano di rivestirsi e portavano il loro rumore e la loro stazza
fuori di lì.
A quel punto Luke respirò a fondo
e mi disse solo:
-…sai…è stato mio padre a
farmi
imparare a giocare a football.- Provai un brivido. Istintivamente seppi
che
conoscevo già quella storia e raddrizzai orecchie e schiena
per sentirne il
seguito. Luke tirò un altro respiro ed andò
avanti.- Lui ha sempre sognato di
avere un campione in famiglia.- spiegò.- Ed io ho cominciato
solo perché
insisteva che lo facessi.
Sbuffai un sorriso amaro. Sì, la
conoscevo bene come storia.
-Solo che a me piace giocare a
football.- sbottò lui.
Risi.
Luke si voltò a guardarmi,
perplesso, ed io mi affrettai a tornare serio ed a rispondere alla sua
domanda
muta.
-Sembra: io ed il pianoforte.-
confidai complice.- Ho iniziato a suonarlo perché mio padre
lo ha preteso ed
ora non riesco più a smettere.
-E sei una schiappa totale come
me?- mi chiese a bruciapelo con una smorfia.
Io ebbi un’immagine precisa del
pianoforte nel salotto di casa. Ebbi l’immagine esatta
dell’angolo dove mio
padre lo aveva fatto sistemare, accuratamente accordato, lucido e
bellissimo.
Completamente contornato da attestati incorniciati che testimoniavano
le mie
partecipazioni a concorsi musicali, le vittorie che avevo conseguito e
le
attestazioni di merito che mi erano state riconosciute ai corsi che
avevo
frequentato e continuavo a frequentare.
No. La risposta giusta era “no,
non sono affatto una schiappa”.
Ma non ero nemmeno un assassino.
Un’occhiata di traverso alla faccia di Luke mi disse che con
tutta probabilità
si sarebbe impiccato nelle docce di lì a poco, se non avessi
trovato il modo di
tirarlo un po’ su.
-Assolutamente.- mentii con
nonchalance- Un disastro completo.
Gab piombò negli spogliatoi
insieme con il sorriso timido di Luke, che ricambiò il mio
un po’ più falso ma
decisamente più aperto. Ci guardò, si
sfregò le mani con aria soddisfatta ed
annunciò:
-Bene, Luke! Che ne dici di
uscire con me e Cody domani pomeriggio?
-Cosa…?- domandò Luke.
-Esco con Amy domani pomeriggio!-
ritorsi io arrabbiato.
-Porta anche lei!- rintuzzò
felicemente Gab.
-Eh?- ribadì Luke
nell’indifferenza generale.
Sì, lo so…non
si
capisce dove si voglia andare a parare, ma! Sono così
carini!!! ç_ç
Fidatevi, questi pg
sono il bene!
In ogni caso, l’Easily
ringrazia tutti i lettori ed in particolare ringrazia Chemical Kira ed
Erisachan per aver trovato il tempo di commentare. Un bacio, donnine
:*****
|
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Capitolo 4 *** IV ***
Se
c’è stato un momento nella mia
vita in cui ho odiato Gab, quello è coinciso con il momento
esatto in cui ho
capito che Amy non era semplicemente amica
di Cody.
Ammetto di essere stato un po’
lento anch’io nel rendermene conto. Non avevo esitato ad
appaiare Cody a Gab,
ma solo perché questo…quantomeno, valeva a
renderlo gay come me e quindi,
seppur remotamente, “abbordabile”. Così
era stato fin troppo facile per il mio
cervello costruire castelli in aria su fantomatiche relazioni
omosessuali, ma
gli era stato praticamente impossibile accorgersi di quello che era
sostanzialmente evidente: Amy e Cody erano sempre insieme, Amy e Cody
avevano
una complicità tutta speciale, ad Amy e Cody brillavano gli
occhi ogni volta
che l’una guardava l’altro e viceversa.
Insomma, che fossero una coppia
era evidente. Probabilmente Gab partì dal presupposto che io
dovessi esserne
consapevole. Che dovessi essere consapevole che, per conquistare Cody,
avrei
necessariamente dovuto passare per il “portarlo via ad
Amy”, e questo lo
indusse a formulare un invito che per me divenne in fretta una forma di
tortura
estremamente pesante da tollerare.
Amy e Cody sono sempre state due
persone molto discrete e riservate per ciò che le riguarda
direttamente. Ed
erano anche molto gelosi del proprio rapporto, che peraltro era
talmente solido
da farmi pensare non potesse essere scosso veramente praticamente da
nulla. Per
cui non ci furono “atroci” scene di baci passionali
ed abbracci che potessero
qualificarsi già come preliminari, la cosa fu appunto
più discreta ma
assolutamente impossibile da fraintendere: quando io e Gab li
raggiungemmo al
centro commerciale, loro stavano seduti abbracciati su un muretto,
chiacchierando amabilmente come qualunque coppietta felice. Si
separarono non
appena ci videro, ma il tarlo che potesse esserci qualcosa tra loro era
ormai
innestato e fu confermato pochi minuti dopo da Gabriel.
-…non lo sapevi?- mi chiese
stupito e vagamente angosciato, scrutandomi con occhi sgranati mentre
seguivamo
i due per entrare nell’edificio.
Scossi la testa e mi rassegnai a
quel calvario, che la faccia contrita di Gab non
ridimensionò affatto.
In generale non posso nemmeno
dire che andò tutto storto. Anzi. Per tutta la prima ora,
mentre girellavamo
tra i negozi, l’inconsapevole spensieratezza di Cody ed Amy
bastò a tenere viva
la conversazione, Gab finì per farsi contagiare
dall’euforia dei due amici e si
dimenticò del pasticcio in cui mi aveva cacciato –
ed in definitiva anche di me
– fino a quando non decidemmo di fermarci in un bar a
prendere un gelato.
Mentre sedevo sconsolato,
ascoltandoli ciarlare da sopra la coppa enorme che mi ero concesso per
consolarmi, successe l’inevitabile. Amy, che se ne stava in
silenzio come me,
mi guardò. Ed io sollevai lo sguardo ed incrociai il suo. E
so che lei non
disse e non fece nulla, se non continuare a fissarmi per un
po’ con quei suoi
occhi giganteschi e bellissimi, così caldi e luminosi da
sembrare due mari
calmi in cui lasciarsi scivolare. Io mi resi conto che era davvero
bella. Con
il suo musetto da bambola, i suoi riccioli chiarissimi, quella bocca a
cuore
rosa come una pesca e gli occhi dalle ciglia lunghe e chiare.
Ma mi resi conto anche che il
sorriso triste che mi rivolse era la prova che, a differenza di Cody,
lei aveva
capito benissimo il motivo per cui ero lì.
-Scusate, io ho da fare e vado a
casa.- annunciai alzandomi in piedi.
Cody e Gab smisero immediatamente
di parlare e si voltarono a guardarmi, seguendo anche loro lo stesso
percorso
degli occhi di Amy ma sfoggiando un grado ben minore di perspicacia.
-Di già?- s’informò Cody.
-Ma devi proprio?- insistette
Gab.
-Sì, devo proprio.- biascicai io,
sforzandomi di ricambiare lo sguardo di Cody nonostante quello della
sua
ragazza mi bruciasse addosso riempiendomi di vergogna come un ladro.-
Ho…da
finire di studiare per…il test di algebra…-
borbottai inventandomi quella scusa
pietosa.
-E’ solo tra due giorni!- ritorse
Gabriel.
-Beh, ma io sono molto indietro!-
sbottai sfiancato.- Ci si vede a scuola.- aggiunsi precipitosamente
prima di voltarmi
ed andarmene.
La sedia di Gabriel fece un
rumore stridente quando lui la scostò di scatto, recuperando
da terra la
propria borsa ed inseguendomi con un affrettato “aspettami,
ti accompagno!” ed
un saluto a mezz’aria ai due che restavano.
Sospirai, rallentando il passo
per permettergli di raggiungermi poco prima dell’uscita.
C’infilammo tra le
porte automatiche praticamente assieme, risalendo a ritroso una piccola
folla
di persone, e quando uscimmo ci ritrovammo affiancati sotto il sole che
tramontava.
-...scusami.- mi disse Gab dopo
un po’ che camminavamo in silenzio senza neppure guardarci in
faccia.
Sorrisi mesto, stringendomi nelle
spalle cascanti.
-Figurati. Sono scemo io che non
ci sono arrivato da solo.- affermai in un sussurro spento, spingendo le
mani
nelle tasche dei jeans.
Gab mi imitò, infilando anche lui
le dita sottili nelle tasche dei pantaloni, che inevitabilmente
scivolarono sui
suoi fianchi magri inducendomi nonostante tutto a gettargli
un’occhiata
trasversale per godermi la scena del suo ventre piatto sotto la
maglietta
aderentissima.
Mi dissi pigramente che avrei
dovuto prendermi una cotta per lui, che almeno era gay sicuramente, ma
mi dissi
anche che uno così non si sarebbe abbassato al mio livello
nemmeno in un
migliaio di anni e sospirai ancora.
-Beh…non devi necessariamente
darti per vinto.- mi incitò lui senza eccessiva convinzione.
Io ripensai ad Amy, al suo modo
gentile di guardarmi e sorridermi nonostante avesse capito quali
fossero i miei
sentimenti per il suo ragazzo, e capii che se poteva farlo –
essere carina con me –
era perché sapeva che
non sarei mai riuscito nemmeno ad avvicinarmi al tipo di rapporto che
la legava
a Cody.
Guardai in faccia Gab, da sotto
in su, e mi resi conto che lui lo sapeva bene quanto me.
-E anche se non va,- proseguì
senza accorgersi del mio sguardo su di sé ma ritrovando il
proprio tono
migliore e la consueta positività baldanzosa- non
è una storia andata male a
rovinarci la vita!
Rise. Ed io lo scrutai
attentamente, rendendomi conto che non stava più parlando di
me. Stava parlando
di sé…
-Gab…?- mormorai a fior di
labbra, leggermente preoccupato dal velo sottilissimo che si era
disteso nel
suo sguardo e nel suo sorriso.
Lui si voltò ad incrociare i miei
occhi e capì che avevo intuito il senso di quello che non mi
diceva, ma
fraintese i miei pensieri.
-No no, aspetta!- esclamò
precipitosamente.- Non è che tra me e Cody ci sia mai stato
qualcosa.-
specificò meglio.
-Non pensavo questo.- ribattei io
sinceramente.
Lui tirò un respiro profondo,
come se gli avessi tolto un peso dallo stomaco, ed io sorrisi,
riflettendo sul
fatto che Gab era davvero una persona speciale a preoccuparsi tanto per
me pur
conoscendomi appena.
-…e…- indagai sommessamente- ti
riferivi a…?- chiesi, un po’ perché
speravo di poter ricambiare la sua
gentilezza mostrandomi altrettanto disponibile verso di lui ed i suoi,
di
scazzi, un po’ per sana ed egoistica curiosità.
Mi sembrava assurdo che qualcuno
potesse riuscire a spezzare il cuore a Gabriel, lui mi appariva
decisamente
come il prototipo esatto del ragazzo che può avere tutto
ciò che vuole senza
nemmeno dover chiedere. È chiaro che mi sbagliavo, non
esiste nessuno che abbia
davvero questa possibilità.
-Ah.- sbottò lui ed io mi accorsi
con facilità che, sebbene continuasse a sorridere, quel velo
che avevo notato
era tornato a posarsi nel suo sguardo fisso sull’asfalto del
marciapiede.- Beh,
non credere di essere l’unico ad aver subito una brutta
delusione.- mi disse
comunque con leggerezza.- La mia si chiama Erik Hosten, ha attualmente
diciotto
anni e frequenta il primo anno di college non so nemmeno io dove.
Ridacchiai, lasciandomi
trasportare dalla scioltezza con cui Gab sfilava le parole da sotto il
proprio
dolore, fin troppo evidente sebbene così ben dissimulato.
Mi venne dietro con una risatina
nervosa, che sparì in fretta, e ricominciò a
parlare subito dopo.
-E’ stato il mio primo ragazzo.-
ammise.- Io ero molto piccolo e molto scemo.- aggiunse a mo’
di spiegazione.- E
lui molto stronzo e molto furbo. Si divertì
finché gli fece comodo, ma poi
conobbe un tipo che gli piaceva davvero e cominciò a
tradirmi. Io lo scoprii ed
andai su tutte le furie, facendogli una scenata davanti a tutti; lui
ovviamente
non poteva accettare di sputtanarsi davanti all’intera scuola
e me le diede di santa
ragione per farmi stare zitto. Così finì che mi
piantò in asso e, per
screditarmi, andò a raccontare in giro una versione
rivisitata della nostra
storia, in cui io facevo la figura della troietta e lui usciva come il
tipo
figo che si era divertito a mie spese.
-…cazzo.- commentai soltanto. Mi
accorsi avevo trattenuto il fiato fino a qual momento, teso come una
corda di
violino, e lo rilasciai di botto sbuffandolo fuori mentre Gab rideva e
scrollava le spalle.- Ma…?- provai ad obiettare, senza
però trovare nulla da
dire sul serio.
-Ma nulla, Luke.- ribatté
correttamente Gab.- Mio fratello lo aspettò
all’uscita da scuola e lo gonfiò di
botte dicendogli che era uno stronzo ed un figlio di puttana. Visto che
io non
riuscivo a dirglielo.- buttò lì sospirando
stancamente.
Ma poi tornò a sorridere come se
nulla fosse, facendo scomparire del tutto ogni ombra che gli avesse
oscurato lo
sguardo e lasciandomi completamente disorientato da quei bruschi cambi
di umore
e dalla semplicità disarmante con cui riusciva a passare
oltre quella che era,
sicuramente, una ferita ancora aperta.
-Che poi è il motivo per cui amo
Mike incondizionatamente.- mi confidò divertito.- Cody non
si rassegna a questa
cosa, ma che posso farci io se mio fratello è il mio eroe?-
m’interrogò
fingendo un’afflizione che non provava affatto.
Capii che per lui considerare il
fratello un eroe era fin troppo facile e provai per Mike un
po’ meno astio di
quello che gli avevo regalato meno di due giorni prima.
Gab mi fissò con attenzione
subito dopo, puntandomi un dito addosso mentre mi si fermava davanti e
mi
obbligava così a bloccarmi a mia volta. Abbassai lo sguardo
sull’unghia chiara
e la studiai pensando che la pressione leggerissima ed insieme decisa
che
esercitava sul mio petto non mi spiaceva, Gab era
rassicurante…avvolgente nel
suo modo di fare e di essere. Ci si fidava istintivamente e non era
neanche
così male farlo, abbandonarsi a lui ed al suo modo
semplicistico di dirti “ehi,
guarda che se hai bisogno di una spalla su cui appoggiarti sono
qui”.
-Quindi,- argomentò sollevando lo
stesso dito per puntarlo al cielo in segno di ammonimento- non ti
è concesso
buttarti giù per questa cosa!
Sorrisi. Ed annuii.
***
Le difficoltà della vita di un
adolescente medio sono generalmente sottovalutate – senza
motivo – dagli
adulti. Eppure anche gli adulti sono stati adolescenti.
A parte le scontate affermazioni
sul liceo che è una
guerra o sul
fatto che è in questo periodo che si forma una vera
coscienza sociale, di
aggregazione di gruppo, e si decide se tu sarai tra quelli in nella vita o se resterai
irrimediabilmente out ed ai margini
della società civile, c’è lo studio. La
famiglia.
Le prime cotte. Gli amici.
E quando ci sono tutte queste
cose assieme, allora la tua vita diventa un bordello allucinante, nel
quale ti
dimeni come un pesce all’amo e con tutta la convinzione
esagitata che gli
sbalzi ormonali ti concedono con tanta solerzia.
L’adolescenza fa schifo.
Secoli di esperienza umana in
questo campo non sono valsi a migliorare questo fatto, né
è plausibile
aspettarsi un miglioramento in futuro. Mi chiedo perché non
si decidano ad
abrogarla.
-Secondo te…abbiamo sbagliato
qualcosa in questa equazione? No, perché sono quasi certo
che avremmo dovuto
passare al denominatore questa cifra e…
-Tu che ne pensi di Luke?
Sbuffai. Senza alzare la faccia
dal libro e dal quaderno, ma abbassando invece la matita a cerchiare la
cifra
incriminata. Se per sbaglio il test di algebra di dopodomani fosse
andato male,
sarebbe finita che mi sarei rovinato la media. Se mi fossi rovinato la
media,
avrei dovuto necessariamente fare i salti mortali per recuperarla prima
della
chiusura dell’anno. Se avessi dovuto recuperare con lo
studio, non avrei potuto
suonare decentemente…
-Io penso che sia carino.-
continuò Gab con convinzione. Fece una pausa.
Magari sarebbe stato meglio
ricominciare da capo…
-Non carino nel senso standard
del termine, voglio dire.- chiarì Gab intanto. Poi ci
ripensò ed aggiunse-
Anche se non sono del tutto convinto che esista un senso standard del
termine.
Certo, se Mike non avesse voluto
ritirare l’iscrizione al concorso io non è che
avrei potuto farci chissà cosa!
Oltre che davvero rinunciare alla
band.
-Quello che voglio dire è che la
gente dice di me o di te che siamo belli, no?
-Non avremmo dovuto saltare i
passaggi, finisce sempre che poi ricontrollare se l’esercizio
è sbagliato è un
macello infinito!- sbottai buttando il quaderno sul tavolo e
recuperando un
altro volume dal cumulo che ci fronteggiava.- Riprendiamo dalla traccia?
-Però, insomma, non è che essere
belli sia tutto! Ci sono persone che magari non sono proprio
“belle”, ma hanno
qualcosa che piace.- argomentò Gab, mentre mi imitava
prendendo anche lui il
libro per ricopiare nuovamente la traccia sul proprio quaderno.
-Stai attento qui, perché secondo
me è il punto in cui facciamo l’errore dopo.-
indicai martellando con la matita
sulla sua traccia.
-Per me ad esempio Luke è molto
carino. Ha un’aria cucciolosa.- continuò
imperterrito Gab.
Magari avrei dovuto chiedergli se
Mike avesse già trovato un nuovo chitarrista, ma
così avrei finito per tradirmi
sul fatto che ci stavo pensando ancora ed intendevo tornare sui miei
passi.
-Poi mi piace il fatto che non è
per nulla una persona aggressiva o invadente.- spiegò
Gabriel.- Anche secondo
me è sbagliato questo passaggio.- concordò subito
dopo e senza soluzione di
continuità. Annuii.- Insomma, guarda com’era Erik!
Bellissimo almeno quanto
stronzo! Sono convinto che uno come Luke non sarebbe mai capace di
comportarsi
allo stesso modo…
Il richiamo ad Erik mi strappò ai
miei pensieri.
Io e Gab ci conoscevamo da quando
avevamo iniziato il liceo assieme, l’anno prima. La storia
con Erik l’avevo
vissuta di persona, tutta insieme, e sapevo quanto ancora faceva male.
Gab non
parlava mai di Erik a caso.
In realtà non parlava mai di
Erik.
Per cui, se veniva fuori adesso,
doveva esserci un motivo.
Sollevai gli occhi dal quaderno e
studiai il viso di Gabriel chino sul proprio. Sembrava tranquillo.
Così rifeci
a mente una mappa del nostro dialogo…o meglio…del
suo monologo ed aggrottai le
ciglia rendendomi conto che c’era una nota un po’
strana…
-E poi è anche un ragazzo
sveglio.- ridacchiò intanto Gabriel, svolgendo
l’esercizio con una disinvoltura
ammirevole.- Dovresti sentire come tiene testa alle mie peggiori
battutine
quando vuole! È solo che è così
timido…!
-Se non sposti al denominatore
quella cifra, rifacciamo lo stesso errore di prima.- lo redarguii
puntandogli
contro la matita.
Gab sbuffò infastidito,
rigettando la propria penna sul libro aperto ed alzando il viso,
braccia
incrociate al petto.
-Non mi stai ascoltando!-
constatò stizzito.
-Invece ti ho ascoltato
benissimo.- ritorsi io incolore.- Hai detto che ti piace Luke
Perrington.-
affermai.
Gab divenne rosso come un
pomodoro e poi bianco come un cencio. Balbettò qualcosa di
incomprensibile ed
io risi e guardai l’orologio a parete che segnava le ore
nell’aula studio.
E sbiancai esattamente come lui.
-Cazzo!- sbottai artigliando
libri e quaderni.- Sono le cinque!
-…cosa?- si riebbe Gab,
voltandosi anche lui.- Sì, perché?
Cosa…?
Non lo feci finire, scattando in
piedi ed infilando tutto alla men peggio nel tascapane.
-Sono in ritardo per la lezione
di piano!- strillai un momento prima di fiondarmi fuori, inseguito dai
rimproveri rabbiosi dell’insegnante di guardia
all’aula e buttando all’aria uno
“scusami, Gab, ci si vede domani” che lui
ricambiò quando io già ero scomparso.
Arrivai in conservatorio in
ritardo di una buona mezz’ora. Il maestro di piano mi
rimbrottò ferocemente
umiliandomi davanti a tutti e mi spedì al mio posto tra le
risate generali.
Comprese quelle di Amy. Io mi lasciai cadere accanto a lei e sbuffai
via la
frangetta da davanti al viso.
-Tutto ok?- mi chiese Amy a voce
bassissima.
-Sì.- sussurrai. E poi sorrisi.-
Sai che a Gab piace Luke Perrington?- la informai.
Amy non mi rispose perché il
maestro di piano aveva ripreso a rimproverarmi, “visto che
dopo essere arrivato
tardi avevo anche intenzione di impedire a tutti di fare
lezione!”, ma io colsi
comunque la sua occhiata vagamente sorpresa. Mi ripromisi di
chiedergliene la
ragione, ma non lo feci perché me ne dimenticai
nell’ora e mezza successiva.
Di quella lezione non seguii
nulla. La passai interamente a scarabocchiare su un foglio strappato a
caso da
un block notes, sul quale avevo accuratamente ricopiato la traccia
dell’equazione che io e Gab non eravamo riusciti a risolvere.
Provai anche ad
iniziarla per vedere se ne venivo a capo, ma anche quello perse
importanza
mentre il tempo passava ed io continuavo a colorare di ghirigori
l’angolo esterno
del foglio. Amy prendeva appunti accanto a me, scrivendo in modo
ordinato e
pulito, io la osservavo ogni tanto, sollevando gli occhi dal suo
taccuino al
profilo netto del viso, con la
bocca
pronunciata come un broncio ed il nasino all’insù
come nei cartoni animati.
Quando eravamo piccoli la
prendevo in giro in continuazione, mi faceva ridere qualunque cosa di
lei. I
riccioli spumosi che portava sempre cortissimi e che, le dicevo, la
facevano
sembrare un barboncino. Gli occhi troppo grandi, “da
pesce”. Il naso da
smorfiosetta, tondo come quello di un porcellino…
Chiusi gli occhi. Chissà se anche
mio padre aveva preso in giro la mamma prima di riscoprirsi innamorato.
Perché
a me Amy non piaceva semplicemente. Ormai la conoscevo da tanto di quel
tempo che
non avrei potuto dire “mi piace” legando la parola
solo all’immagine. Se
restavo così, ad occhi chiusi, potevo disegnarla, disegnare
il suo profilo con
le dita tanto ormai era impresso dentro la mia testa.
Chissà se papà disegnava mai il
profilo della mamma nei propri pensieri quando era lontano da casa.
…era una bella immagine. Ci si
poteva accostare anche un suono. Anche ad Amy ci si poteva accostare un
suono,
ma non sarebbe mai stato qualcosa di delicato e fragile, più
qualcosa di
potente ed armonioso, qualcosa che rispecchiasse la stessa forza che
Amy aveva.
Quella che da bambina le impediva di piangere se la prendevo in giro. E
poi le
permetteva di farlo quando io litigavo con i bambini più
grandi perché le
rubavano i giocattoli e loro mi picchiavano perché ero
troppo piccolo per
difendermi. Quella stessa forza che doveva aver avuto anche la mamma,
quando
papà non c’era.
Mi tirai dritto. Scansai il
foglio di lato e scartabellai nel tascapane alla ricerca di penna e
quaderno
musicale. Lo aprii su una pagina vuota e lo spiegai con decisione. Poi
ci misi
su la penna e cominciai a scrivere.
Prima di tutto vogliamo ringraziare
a nome dell’Easily le donnine
infinitamente dolci e care che commentano questa storia.
Ossia:
Ginnyred (che ha anche il nick di
un pg che io amo ** NdNai)
Erisachan (che è amore
come sempre ç_ç)
Stregatta (ormai nipote acquisita
XDDD NdNai che è anche fiera della
nipotina ù_ù)
Ciò detto, permettetemi
di esprimere amore e devozione a Cody, che è un
pargolo stupendoso nelle ff che lo ritraggono **
Un bacio ed a presto :****
|
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Capitolo 5 *** V ***
Dovevo essere
impazzito. Non me
lo sarei spiegato altrimenti.
Fatto sta che era una pazzia
radicata, perché, mentre aspettavo ritto davanti alla porta
che qualcuno mi
aprisse dopo aver suonato il campanello, non mi venne nemmeno per testa
di
voltarmi ed andare via.
Gab aveva qualcosa di sbagliato
in sé. Riuscire a convincermi con quel bel discorso sul
“tutti prendiamo una
delusione, l’importante è provarci”
sarebbe stato impossibile per chiunque
altro: suggerire un suicidio come metodo per indurre qualcuno a
superare i
propri limiti non è ammissibile, dare retta a quel
suggerimento è impensabile.
Sentii uno scalpiccio affrettato
da dietro la porta e la voce di Cody – Dio!
riuscivo anche a riconoscere la sua voce attraverso il legno ed il muro
adesso!
– annunciò a qualcuno che “apriva
lui”. Rabbrividii e, stavolta sì, pensai
anche di fuggire.
“Troppo tardi.”
La porta si aprì sul viso
sorridente di Cody, così sereno e rilassato da sembrare
perfino più bello,
nonostante i capelli legati nella coda sfatta e l’aria
trasandata “di casa”.
-…ciao.- mi apostrofò
riconoscendomi, evidentemente sorpreso da quella visita.
-Ciao. Scusami se ti rompo,-
esordii affrettatamente. Cody infilò a forza un
“non rompi, tranquillo” nel mio
discorsetto predigerito, ma io non mi lasciai fuorviare o
interrompere.- sto
per chiederti un grosso favore.- dissi invece.
Lui non mutò il proprio stupore,
ma si ricordò delle regole della buona educazione e mi fece
spazio per
invitarmi ad entrare.
-Dimmi tutto.- mi incitò quando
ebbi accettato e, varcata la soglia, lui ebbe richiuso la porta dietro
di noi.-
Andiamo in cucina, che è il posto decente di casa.- aggiunse
intanto,
spostandosi per primo.
Nel seguirlo gettai un’occhiata
all’enorme salotto che si apriva sulla mia sinistra e mi
dissi che il suo
concetto di “decente” ed il mio non coincidevano. O
in alternativa la sua
cucina era una reggia.
Ma non era vera nessuna delle due
cose, come scoprii infilandomi con Cody nello spazio colorato e
luminoso che
ospitava la cucina, più semplicemente la parola
“decente” in linguaggio di Cody
significava una roba tipo “familiare, accogliente, caldo e
profumato”, perché
la cucina di casa mi diede tutte queste sensazioni assieme.
Probabilmente
dipese anche dalla presenza sorridente delle due donne che la
occupavano; una
Cody me la presentò come sua madre ed io pensai che era
bellissima anche se, ad
essere strettamente onesti, non lo era nel modo palese ed arrogante in
cui lo
sono le donne “belle” di oggi.
Ci accoccolammo sugli sgabelli
che circondavano il tavolo-isola al centro della stanza ed io mi decisi
a
buttare fuori la bugia con la quale mi ero presentato alla porta.
-Non sono riuscito a risolvere
gli esercizi di preparazione al compito di algebra di domani.- mentii
con
tranquillità.- Siccome Gab mi ha detto che te la cavi molto
bene nelle materie
scientifiche, speravo che magari avresti potuto darmi una mano.
-Tanto devi ripetere anche tu,
Cody, no?- s’informò sua madre venendo verso di
noi con latte e biscotti.
-Lo stavo già facendo.- assentì
lui indicando i libri ed i quaderni abbandonati sul tavolo accanto a
sé.
Gli buttai un’occhiata
trasversale e non dissi nulla.
-Beh, io e Magda abbiamo messo su
la cena, per cui adesso vi lasciamo a studiare ed usciamo.-
continuò la madre
di Cody.- Così potrete lavorare tranquilli.
-Suo marito non è in casa, Sig.ra
Molko?- domandai istintivamente.
Lo sguardo di Cody si rabbuiò di
colpo ed io mi morsi la lingua, rendendomi conto di aver appena fatto
una
gaffe. Ma lei recuperò in fretta la situazione al mio posto,
allungando una
mano ad accarezzare la testa del figlio e sorridendomi dolcemente
mentre mi
rispondeva.
-E’ nello studio, ma se vuoi
andare da lui ti conviene aspettare che si faccia più tardi.
Non ama essere
disturbato quando lavora.- mi spiegò. Scoccò un
bacio sulla fronte di Cody,
scostando la frangia dagli occhi del figlio, ed io osservai divertito
quest’ultimo
comportarsi come un moccioso di sei anni e fare letteralmente le fusa
sotto il
suo tocco. Mi trattenni a stento dal ridere e ringraziai mentalmente la
signora
quando, rimettendosi dritta, aggiunse con una breve strizzatina
d’occhio.- Non
fare il geloso, ci sta che i fan di tuo padre vogliano un autografo.
Accompagna
Luke da lui, dopo.
-Bah!- commentò aspro Cody, ma
non disse di no e, quando lei fu uscita, quell’ombra rapida
che avevo visto
addensarsi nel suo sguardo era già svanita del tutto.-
Allora!- esordì in tono
decisionista.- Mano ai libri, Perrington, non posso permettermi di
toppare
questo compito!
Siccome avevo, appunto, mentito,
gli esercizi di algebra li avevo già svolti tutti ed anche
in modo abbastanza
semplice. Preso dall’euforia non pensai che così
avrei finito per tradirmi, ma
quando Cody s’impantanò su un paio di equazioni
– per le quali avevano avuto
già parecchie difficoltà con Gab, mi disse
– io ritenni naturale spiegargliene
i passaggi e lui ritenne ovvio, a quel punto, che il motivo per cui
fossi
andato a casa sua non era certo lo studio ed il ricevere aiuto.
-Se ci tieni tanto a questo
autografo, andiamo a fartelo fare!- rise chiudendo libri e quaderni non
appena
anche l’ultimo esercizio fu svolto.
Arrossii. Pensai di smentire, ma
sapevo da solo che poi avrei dovuto trovare un’altra scusa
che giustificasse la
balla che mi ero inventato e quella dell’autografo era
decisamente più comoda
allo stato dei fatti.
Cody si alzò, facendomi segno di
seguirlo, ed insieme attraversammo praticamente tutto il pianterreno
della
villa, che così silenziosa, vuota ed immensa mi
sembrò parecchio tetra e mi
spiegò la vera ragione per la quale Cody preferiva stare in
cucina piuttosto
che altrove. Ci fermammo davanti ad una porta isolata, lui
bussò, aprì ed entrò
in rapida successione.
-Papà?- chiamò affacciandosi al
battente.
Mi sporsi anch’io, incuriosito, e
fui investito da un parlottare rapido e nervoso in un francese
impeccabile, salvo
per l’accento dichiaratamente anglosassone.
Brian Molko parlava al telefono
con qualcuno, camminando avanti ed indietro per una stanza enorme,
bellissima e
fredda. Lo studio era completamente
arredato in legno laccato di nero, pelle e acciaio, il pavimento in
parquet era
parzialmente coperto da un pesantissimo tappeto persiano, dai colori
cupi, e
nella stanza aleggiava profumo di tabacco ed una musica leggerissima,
jazz, che
si sposava delicatamente all’ambiente; rimasi di stucco
davanti alla fila
ordinata di chitarre, sistemate contro una parete, così come
rimasi a bocca
aperta nel riconoscere una sequela di volti
“famosi” nelle foto appese contro
un’altra parete e sistemate in mezzo ai premi…
-Cody, non ora!- sentii arringare,
quando Brian Molko si fu voltato verso di noi ed ebbe colto di sfuggita
l’immagine di suo figlio e di me fermi sulla soglia della
stanza.
Riprese a parlare con l’individuo
al telefono quasi subito e Cody provò inutilmente a
protestare.
-Papà, è una questione di un
secondo…
-Non ora!- ribadì lui indicando
la porta per dirci di uscire.
-Vabbè, ma magari aspettiamo che
tu finisca…
-Cody, esci e chiudi la porta.-
ordinò secco lui.
Cody fece come gli era stato
detto, uscì e richiuse la porta con un sospiro paziente.
-Mi dispiace.- mi disse mentre
tornavamo indietro, ci infilammo nel salotto vuoto cercandoci un angolo
dove
rifugiarci.- Quando ha da fare diventa intollerante con chiunque.-
provò a
giustificare, arrampicandosi sullo sgabello del piano ed incrociando le
gambe
sotto il sedere.-Vuol dire che ti farò fare
l’autografo stasera e poi te lo
porto domani a scuola.
Io mi sistemai per terra, vicino
a lui, seduto su uno dei tre gradini che portavano al
“palchetto” che ospitava
il pianoforte.
-E’ il tuo?- chiesi incuriosito,
allungando una mano ad indicare lo strumento. Ricordavo di averne visto
un
altro, completamente bianco, sistemato in un angolo dello studio di suo
padre.
Cody rise.
-E’ il pianoforte di casa!-
esclamò.- Lo suona anche mio padre quando capita.
Alzai il viso per fissare lo
sguardo sugli attestati incorniciati dietro le sue spalle.
-…eh…ma quelli sono tuoi.-
realizzai leggendo il nome sulla carta pergamena. Cody
arrossì e si voltò a
fissare la parete ad occhi sgranati, nemmeno fosse la prima volta che
la
vedesse.- Mi hai mentito quando hai detto di essere una schiappa.-
proseguii io
in tono amaro.
-Ehm…è che non sapevo cosa
dire…non sono molto bravo a consolare la gente ma tu
sembravi starci proprio
male e…- confessò balbettando.
Sorrisi mestamente.
-Non importa.- scrollai le
spalle. Mi tirai in piedi e mi avvicinai a lui, tentando di tirar fuori
un
sorriso un po’ più convincente.- Almeno per farti
perdonare suonami qualcosa!-
pretesi scherzosamente.
Cody sorrise come me, voltandosi
e stendendo le gambe sotto il piano e le dita sui tasti candidi. Ci
pensò su,
probabilmente scegliendo cosa suonare, ma poi lo vidi illuminarsi ad
un’idea
improvvisa, fissarmi con aria interrogativa ed alzarsi di scatto,
ordinandomi
di non muovermi finché non fosse tornato. Uscì di
corsa dal salone, salendo le
scale a due a due e rimpiombando al piano di sotto in tempo record e
con in
mano un quaderno musicale. Sedette di nuovo al pianoforte e lo
aprì davanti a
sé, cominciando a suonare.
Ed a cantare.
Non ricordo di preciso tutte le
parole ed i versi. Era una canzone strana, un po’ triste,
nonostante la musica
fosse trascinante, veloce e bellissima. Cody era meravigliosamente a
proprio
agio nel muoversi sul piano, le sue dita scorrevano decise, picchiando
con
precisione, ed era bravo anche nel modulare la voce, che somigliava
solo in
modo vago al timbro particolarissimo che era di suo padre. La canzone
parlava
apparentemente di una ragazza, di un amore, di una storia nata e
cresciuta in
un tempo immensamente lungo, ma era solo apparenza, perché a
sentirla bene ci
si rendeva conto che parlava di qualcosa di più complicato.
Qualcosa che aveva
a che fare con “gli altri” in generale, con la
capacità di capirli, accettarli
ed arrivare ad amarli, con la difficoltà insita nel
conoscere qualcuno per
davvero.
Era un testo profondo, stridente
rispetto al motivo così rapido ed adrenalinico, sembrava
diversa da qualsiasi
cosa io avessi mai ascoltato, tanto che rimasi a bocca aperta fino alla
fine,
cercando di capire se mi piacesse, se dovessi piangere o ridere, o
semplicemente se mi fosse indifferente e mi disorientasse con quella
sua
ambiguità.
Cody terminò le note al piano
poco dopo aver spento la voce nell’ultimo verso strascicato,
si voltò in attesa
ed io mi ritrovai con la testa invasa da talmente tante domande, da non
riuscire a formularne nessuna.
-…non ti piace.- arguì lui
mostrandosi sinceramente deluso.
-…direi che un
“sì” o un “no”
sarebbero ugualmente riduttivi.- cercai di spiegare.-
E’…stupenda…ma è anche
così…
-Strana?- mi domandò lui
apertamente.
-Non lo so.- sbuffai incapace di
esprimermi.- Cody, è la cosa più difficile che
abbia mai sentito.- confessai.-
Cos’è?- chiesi subito dopo.
-Una cosa che ho scritto io.-
sussurrò lui talmente piano che feci fatica a sentirlo ed
arrossendo tanto
violentemente che pensai sarebbe bruciato in autocombustione.
Evitò il mio sguardo sgranato ed
allibito e si voltò nuovamente al piano, posandoci su le
mani come se avesse
bisogno di trarne forza e sostegno.
-Per il concorso.- dedussi istintivamente.
Lui scosse il capo in modo
frenetico, fissandomi come se avessi detto la più grande
cavolata della mia
vita, ma il suo terrore rendeva chiaro che quello che pensava era ben
diverso.
Così presi la mia decisione.
-Cody, devi tornare nella band e
dovete partecipare a quella gara.- dissi seccamente, incrociando le
braccia sul
petto e fissandolo con decisione.
Lui parve completamente
disorientato, così immensamente fragile che per un momento
ebbi difficoltà
serie a ricollegarlo al ragazzo risoluto e sicuro di sé che
avevo conosciuto
fino a quel momento. Mi domandai se suo padre dallo studio fosse
riuscito a
sentire quello che il figlio era
stato capace di fare, perché io – se fossi stato
in lui – non avrei mai voluto
perdermi nemmeno una nota di una simile meraviglia.
-Tu hai veramente la musica nel
sangue!- asserii ricordando le parole di Gabriel la sera del litigio
tra suo
fratello e Cody.- E’…mostruoso!- affermai trovando
difficoltà enormi per
cercare le parole nella mia testa. Parole che fossero effettivamente
specchio
di quello che sentivo e che era troppo profondo perfino per me-
Sì, mostruoso- ribadii
con convinzione – che
qualcosa del genere sia sprecato perché tu non hai il
coraggio di vivere la tua
vita fino in fondo!
-Non è questo il problema…-
mormorò lui abbassando lo sguardo, ferito e sorpreso.
-Invece direi che è esattamente
questo il problema.- sussurrai io quietamente, amareggiato.- Direi che
non ce
ne sono altri di problemi.
Cody non ribatté nulla. Io lo
guardai ancora un momento, rendendomi conto di aver toccato un nervo
scoperto
sul serio. Uno che faceva un male cane, peraltro. E non avevo nemmeno
il
diritto di farlo, ad essere onesti, perché io Cody non lo
conoscevo e quello
che sapevo di lui era che i suoi occhi mi facevano impazzire, che se
solo
provavo a fissarli mi sentivo morire dentro, ma anche che tutta la sua
vita –
quell’ombra scura che gli era passata sul viso quando in
cucina avevo parlato
di suo padre – non faceva parte della mia. E quindi non avevo
il diritto di
arrivare lì e sputare le mie sentenze, non ero un suo amico.
Non ero nemmeno un
suo conoscente. Non ero proprio nessuno.
-Io vado.- dissi scendendo dal
palchetto e dirigendomi verso la cucina.
Cody non mi venne dietro ed io
recuperai da solo le mie cose e le infilai nello zaino, uscendo poi
dalla porta
sul retro.
La serratura era rotta, fece
difficoltà quando tentati di aprirla, mi assicurai che fosse
ben chiusa dietro
di me ed andai via.
***
-Zio Stefan, ho bisogno del tuo
aiuto.
Devo dire due cose al riguardo.
La prima è che non ricorro
sistematicamente agli altri quando ho bisogno di qualcosa, anche se in
questa
storia sta sembrando il contrario sono un tipo autosufficiente di
solito. E ci
tengo pure alla mia autosufficienza.
La seconda è che zio Stefan non è
mai stato capace di negarmi nulla e se, biecamente, mi rivolgevo a lui
era
proprio perché sapevo di aver vinto da subito.
Lui rise sommessamente nel
telefono, ignorando il mio tono preoccupato e teso ed aspettandosi la
solita
ragazzata di sempre: “papà non mi fa andare ad un
concerto”, “mamma non vuole
che resti fuori questo finesettimana”…
-Devi parlare con i giudici di un
concorso musicale, perché loro poi non parlino con
papà dicendogli che io la
mia band ci siamo iscritti.- riferii trafelato, senza prendere pause
nel timore
di ripensarci e buttare giù.
-…tu e chi?- ripeté lui mettendo
immediatamente da parte le risatine complici ed ammiccanti.
-…suono in una band rock.-
sussurrai pianissimo.
-Ah.- fu il suo unico commento.
Io respirai a fondo e, quando capii
che si aspettava qualcos’altro, andai avanti.
-Papà non lo sa.- ammisi.- Lo sa
solo mamma e mi copre anche lei. Il nostro bassista ci ha iscritti ad
un
concorso musicale ed io ci ho litigato ed ho mollato il gruppo.
-Tipico dei geni Molko.-
m’interruppe brusco lui.
Notai la vena arrabbiata nella
sua voce, ma finsi di non sentirla.
-Sì, ma il punto è che non voglio
mollare la band!- continuai istericamente.- Cioè, non voglio
nemmeno diventare
un musicista,- affermai precipitoso- ma suonare mi piace e…-
mi bloccai,
sentendo il fiato mancarmi, ripensai a Luke. Alla canzone. Alle sue
parole.- ho
scritto una canzone per questo concorso, ed è importante.-
ammisi a mezza voce.
Zio Stefan respirò molto
profondamente. Così profondamente che pensai che stavolta il
“no” sarebbe
arrivato eccome. Ed infatti la sua prima risposta fu un diniego molto
cauto e
ragionevole.
-Cody, fare le cose alle spalle
di tuo padre non è il modo migliore per riuscire ad averci
un dialogo.- obiettò
lentamente.- So che a volte può essere complicato parlare
con Brian, ma ti
assicuro che è una persona estremamente sensibile e se
sapesse di questa
cosa…ci resterebbe molto male.
-Vuoi dire della band?- borbottai
io.
-Sì.
-Se gliene fosse fregato qualcosa
per davvero se ne sarebbe accorto. Non ho mai dovuto fare i salti
mortali per
impedirgli di venirlo a sapere…semplicemente lui si
disinteressa quasi del
tutto alla mia vita.- spiegai piatto.
Zio Stefan respirò ancora.
-Non posso farlo comunque.- mi
disse.
-Oh, andiamo!- biascicai io
lamentevole.- E’ solo una band scolastica ed un concorso di
quartiere!
-Non è né per la band né
per il
concorso, Cody. È perché voglio bene a tuo padre
e non me la sento di fargli
questo.- mi scoccò secco.
Sospirai. E sentii Stefan farmi
eco nello stesso modo sconsolato, segno che già iniziava a
cedere.
-Inoltre…- borbottò contrariato.-
se tuo padre lo scopre mi ammazza…
Risi sottilmente, rendendomi
conto che era un “sì” travestito e
pensai a qualcosa da dirgli per farmi
perdonare almeno un po’, ma lui mi prevenne, ordinandomi in
modo quieto ma
deciso:
-Promettimi che gli dirai tu
della band.
-Dopo il concorso.- contrattai.
Zio Stefan si prese tempo e poi
cercò ancora di farmi tornare sui miei passi.
-Sarebbe meglio prima, Cody.
Sarebbe meglio subito.
Scossi il capo, anche se lui non
poteva vedermi, e spiegai.
-Devo farlo da solo, zio. Devo
vedere cosa riesco a fare da solo, papà non è
capace di lasciarmi camminare con
le mie gambe. È l’unico modo che conosce per dirmi
che ci tiene a me…- ammisi
in un sussurro stentato.
-…so che me ne pentirò.-
soffiò
lui arrendendosi del tutto ed io risi ancora e lo ringraziai, chiudendo
la
telefonata.
Ora veniva la parte difficile.
Quella davvero difficile.
Almeno per il mio “amor proprio”.
Mike era a scuola, mi disse Gab,
potevo trovarlo al solito posto: che voleva dire che lo avrei trovato
nel
campetto dietro la palestra insieme con i suoi amici. Mi ripromisi di
pretendere almeno che la mia umiliazione non fosse pubblica, ma non
dovetti
strapparlo a nessuna orda di balordi, perché quando arrivai
era da solo –
effettivamente nel campetto dietro la palestra – e stava
leggendo Kafka
sdraiato su una delle panchine che circondavano la linea del campo.
Mi avvicinai a passo spedito, lui
era talmente immerso nella lettura che dovetti affacciarmi sul suo viso
ed
oscurargli completamente il sole perché si degnasse di
abbassare il libro ed
accorgersi di me. Mi scrutò un momento inespressivo e poi
sogghignò e si tirò a
sedere.
-A cosa devo l’onore, Molko?- mi
chiese ironicamente, immaginando che quello fosse il mio momento di
“tornare
strisciando”.
Non reagii alla provocazione.
Infilai la mano nel tascapane e tirai fuori un block notes su cui avevo
ricopiato la canzone: testo e musica. Glielo sventolai sotto il naso
tenendolo
tra due dita ed annunciai incolore.
-La canzone per il concorso.
Lui allungò meccanicamente la
mano ed io ritirai la mia e sfilai via il block notes prima che lo
afferrasse.
-Non così in fretta, Mike.- lo
apostrofai.- Ci sono delle condizioni.
Fece una smorfia ed un grugnito
estremamente contrariati, scoccandomi un’occhiata svogliata.
-Sentiamo.- mi concesse.
-Mio padre non deve saperlo. A
quelli del concorso ho pensato io,- dissi sibillino- ma tu dovrai fare
in modo
che la cosa passi inosservata con tutto il resto del mondo. Non
m’interessa
sapere come lo farai, ma mio padre non deve sapere di questa cosa.-
ribadii
conciso.
Mike annuì. Poi mi fissò
seriamente e chiese brusco:
-Possiamo farci almeno un po’ di
pubblicità? Sai, il solito giro per non perdere il sostegno
di cui godiamo,
quanto meno.- pretese.
Ci pensai su. Finora “il solito
giro” era stato sufficientemente discreto da permettermi di
mantenere il mio
anonimato. Acconsentii con un cenno del capo ed allungai nuovamente il
block
notes. Mike me lo strappò di mano di malagrazia e
buttò uno sguardo alle note
trascritte in fretta ed ai primi due versi del testo.
Sogghignò ancora, sollevandomi in
faccia due occhi che non promettevano nulla di buono. Ed infatti quando
affondò
fece un male fottuto.
-Potremmo andare sotto il naso di
tuo padre con i manifesti del concerto, Cody,- asserì
lentamente ed in modo
studiato- e lui nemmeno si accorgerebbe di noi.
Incassai il colpo molto peggio di
quello che pensassi. Storsi le labbra, mordendomele a sangue per
ricacciare
indietro tutta la rabbia che provai, e strinsi i pugni scrutandolo da
sotto la
saracinesca arruffata della frangetta.
-Sei proprio uno stronzo, Mike.-
sussurrai, voltandomi subito dopo per tornare sui miei passi senza
rivolgergli
altro saluto che quello.
Allora, la storia
entra nel vivo…sei di “vivo” si
può parlare XDDD
Il nostro cucciolo
sembra essersi deciso a percorrere la strada di babbo
ç_ç (che, peraltro, è
sempre più fastidioso ed isterico U_U) e Luke ci prova,
almeno, a farsi valere.
Vedremo, vedremo…
Nel frattempo, a nome
dell’Easily, si ringraziano del sostegno tutti i lettori e le
lettrici, ma in
particolare si manda un saluto affettuoso ed un abbraccio forte forte
a:
Erisachan, Ginnyred e Fteli per aver trovato il tempo di dirci la loro.
Un bacio ed alla prossima
:**********
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Capitolo 6 *** VI ***
Ricordo che
l’allenatore si voltò
infuriato subito dopo l’infortunio di Patterson,
gettò alla fila annoiata di
noi riserve uno sguardo carico di aspettativa e di rabbia e, quando il
nostro
“uomo” fu di ritorno caracollante e ferito dal
campo, si assicurò che non fosse
proprio possibile rispedircelo e si arrese all’idea di
scegliere uno di noi per
sostituirlo.
-Perrington, muovi il culo e vai
in campo.- mi disse brusco, voltandosi alla partita senza degnarmi di
un
secondo sguardo.
Io rimasi fermo perché credevo di
aver capito male, così che uno dei miei compagni dovette
darmi una manata per
farmi alzare ed urlarmi un “muoviti, cretino!” per
costringermi ad avanzare
rigidamente verso la linea di bordo campo. Rimasi immobile
lì un momento
ancora, poi presi un respiro profondo ed entrai.
Ricordo, poi, che la mia
prestazione non fu nulla di esaltante, perché nella vita
vera quelle scene
fighissime da filmaccio di serie “B”, in cui
l’eroe sfigato si trasforma nel
mito della squadra appena “arriva la sua
occasione”, non si verificano mai. So
che se la squadra riuscì a vincere non fu affatto merito
mio, perché mi limitai
a ruzzolare avanti ed indietro per il campo finché i miei
compagni non
realizzarono la mia inutilità e smisero anche di provare a
passarmi la palla o
ad inserirmi negli schemi di gioco. Ma so che vincemmo,
perché alla fine ci fu
un gran casino negli spogliatoi ed io ne feci comunque parte visto che
nell’euforia generale non importava che non fossi veramente
uno di loro.
Per cui, quando uscimmo dagli spogliatoi
dandoci appuntamento in un pub per festeggiare, io raccolsi Gab, Cody
ed Amy e
mi unii alla squadra. Gli altri accolsero Cody ed Amy con
l’indifferenza che si
riserva agli estranei quando si è felici, ed accolsero Gab
con una cordialità
ammiccante che lui ricambiò divertito e sereno ed io trovai
angosciante, dato
che mi svelava dei risvolti di Gabriel – ed anche della
squadra di football…ma
in generale della vita scolastica
–
che giudicai spaventosi.
Andò tutto bene fino ai brindisi
ed ai commenti di fine partita, quando ci fu servito un ulteriore,
illegale,
giro di birra scura offerto dal mister ai “suoi
ragazzi”. A quel punto, qualcuno
si voltò all’infortunato Patterson, deridendolo
per l’essersi lasciato prendere
a cazzotti con tanta facilità e coinvolgendo
l’allenatore in un divertito
coretto di insulti amichevoli da ubriachi.
-Se ci fossi stato tu in squadra
ne avremmo fatti almeno altri dieci.- ridacchiò uno.
-E’ vero, Sam!- gridò un altro
dal fondo del tavolo.- Tu sì che sei un ariete da
sfondamento!
-Non avresti dovuto farti buttare
giù a quel modo.- convenne il mister annuendo con
convinzione.
-Ci hai lasciati completamente
scoperti.- asserì il terzo.
-Non è mica colpa mia se hanno
avuto paura ed hanno pensato bene di mettermi fuori gioco!- si
schernì Sam
Patterson ridendo.
Nessuno disse esplicitamente che
io ero stato completamente inutile. O che ero un totale incapace.
Nessuno mi
rimproverò qualcosa in modo aperto. Fu la loro
capacità di ignorarmi a
rimproverarmi la mia stessa presenza lì.
Ammutolii di colpo, quando me ne
resi conto, e spinsi lontano da me il boccale ancora pieno, fissando la
scena
con occhi nuovi e sentendomi tremendamente fuori posto. Perfino Gab -
che
scherzava con un paio di ragazzi rubicondamente felici di farsi
prendere in
giro da lui in modo sottile e cervellotico - o Cody ed Amy - che
ridacchiavano
tra loro, rintuzzando le battutacce che un altro paio di ragazzi
rivolgevano ad
Amy cadendo in una volgarità ammirevole - erano
più idonei a quell’ambiente di
me. Quando uscimmo da lì dentro per tornarcene a casa, unici
sobri dell’allegra
compagnia, mi ritrovai a camminare a testa bassa davanti al nostro
quartetto.
Gab mi veniva di fianco, camminando in silenzio come me, ed insieme a
noi c’era
solo il rumore basso delle chiacchiere di Cody ed Amy ale nostre spalle
o il
suono dei passi calcati sull’asfalto.
-Ehi, Luke.- mi sentii chiamare
ad un certo punto da Cody.
Mi voltai dopo un po’, perso
com’ero nei miei pensieri realizzai lentamente che voleva
dirmi qualcosa e lo
fissai con sguardo spento, senza metterlo a fuoco. Cody mi sorrise, ma
fu Gab a
proseguire per lui, sghignazzando.
-Non te la prendere.- mi
consigliò.
Amy annuì, sorridendo anche lei,
e Cody aggiunse cattivo.
-Non vuoi veramente far
parte di quel gruppo di imbecilli.
-Il loro metro di giudizio è
quello che è.- mi disse Amy con semplicità.- Se
vuoi essere come loro devi
adeguarti a loro, ma sta a te scegliere se quello che vedi ti piace.
-Insomma,- concluse Gab
incoraggiante.- non devi sentirti un escluso perché sei
diverso, devi decidere
se vuoi diventare come loro o continuare
ad essere diverso.
Li fissai riconoscente, riuscendo
perfino a ricambiare i loro sorrisi, e mi dissi che se c’era
qualcuno a cui
avrei voluto adeguarmi, quel “qualcuno” erano loro,
il loro gruppo.
Quello che non sapevo era che non
avevo bisogno di farlo, perché io ero già nel
loro gruppo.
***
Stavo studiando, come tutti i
pomeriggi in cucina. Mia madre e Magda ridacchiavano tra loro
preparando
qualcosa nel forno ed il qualcosa spandeva un odore piacevolissimo che,
insieme
con la voce e le risate di mia madre, dava ai miei pensieri
l’esatto sottofondo
che ho sempre amato. Mio padre, stranamente, smise di lavorare molto
prima del
solito, abbandonò il suo eremo nello studio e ci raggiunse
in cucina, sedendo
di fronte a me con l’aria delle grandi occasioni. La cosa fu
sufficientemente strana
da gettare la stanza nel silenzio più totale alla sua
apparizione.
-Stavo pensando che tra poco è il
tuo compleanno.- esordì mio padre senza neppure assicurarsi
che io alzassi il
viso dai libri e lo guardassi in faccia.
Cosa che, teoricamente, non avevo
intenzione di fare.
Però alzai il viso e lo guardai,
pensando malignamente a cosa sarebbe successo se gli avessi chiesto a
bruciapelo quanti anni facevo.
Lui comunque mi anticipò.
-Non hai organizzato nulla.-
notò.
-No.- convenni io asciutto,
continuando a scrutarlo da sotto la frangetta mentre mi chiedevo dove
volesse
andare a parare.
-Beh, dovresti farlo.- asserì
soltanto.
-Veramente non rientra in una
disposizione legislativa imperativa.- ritorsi io stringendomi nelle
spalle ed
abbassando nuovamente gli occhi sul quaderno.
-Ma fai quindici anni,- ribatté
lui come se bastasse a spiegare le sue ragioni. Beh, almeno se lo
ricordava. O
aveva controllato prima di venirmene a parlare.- sarebbe giusto che
organizzassimo una bella festa. Qualcosa di carino, magari in un locale
giù in
centro e…
-Non m’interessa fare nessuna
festa in nessun locale, grazie.- lo interruppi secco io.
L’ultima cosa che volevo per il
mio compleanno era uno di quegli eventi faraonici che tanto risalto
mediatico
riuscivano ad ottenere nei programmi stupidi di MTV. Mi figuravo
già scene
orrorifiche di “opinionisti” dal dubbio gusto che
commentavano qualunque cosa: dalla lista degli invitati, alla
scelta del locale, agli
addobbi per la sala, ai miei vestiti…! Rabbrividii
interiormente,
ringraziando il Cielo per aver suggerito a mio padre di non regalarmi
mai, per
nessun motivo ed in nessun caso, qualcosa di assurdo e grottesco come
un’isola
personale.
-Non puoi davvero non voler festeggiare
i tuoi quindici anni!- sbottò lui aggrottando la fronte.
Mia madre sospirò. Io sollevai
nuovamente la testa, infastidito da quella perdita di tempo.
-Non ho detto che non intendo
festeggiare i miei quindici anni.- spiegai.- Qualcosa
farò!...Andrò a prendere
una pizza con i miei amici, immagino.- buttai lì giusto per
chiudere la
questione.
Ma figuriamoci se a mio padre
sarebbe bastato sentirmi parlare di pizze ed amici per mettere da parte
la
propria idea.
-Che sciocchezza!- asserì
infatti, cattedratico.- Sei ricco, sei figlio di un personaggio
famoso…puoi
avere qualsiasi cosa!- elencò compitamente.- Non posso
credere che tu voglia
solo una pizza!
-Non ho detto che voglio una
pizza!- ringhiai astioso.- Ho detto che non intendo fare una festa
megagalattica alla quale tu
inviterai
i figli dei tuoi amici, che io non
conosco ma che tu ritieni che dovrei
frequentare per qualche assurdo motivo che non riesco ancora a
spiegarmi!
Mio padre mi squadrò, arrabbiato
almeno quanto me. Odiavo quando succedeva, perché quel modo
di fronteggiarci,
con un’ira feroce negli occhi e facendoci quanto
più male possibile, mi
sembrava comunque innaturale. Mi chiesi per quale motivo non
riuscissimo a
mantenere dei toni accettabili quando parlavamo: perché lui
dovesse sempre
prendere quell’atteggiamento da padre padrone ed io
irrimediabilmente dovessi
infuriarmi ed abbaiargli contro.
Come che fosse, il telefono
squillò prima che lui potesse dire altro e mio padre si
alzò, buttando lì un
“vado io” stentato ed approfittandone come scusa
per lasciare la stanza e la
discussione senza tirarla avanti.
Magda si dileguò ad un cenno di
mia madre, che non vidi ma immaginai quando mamma mi si sedette davanti
prendendo il posto lasciato vuoto da papà.
-Cody,- esordì in un modo che non
mi piacque proprio. Mugolai il mio dissenso sperando di salvarmi e
sollevandole
in faccia uno sguardo cuccioloso, ma lei non si fece fregare.- tu lo
sai che io
sono sempre dalla tua parte,- mi disse ragionevole.- ma penso anche che
tu stia
esagerando un po’.
Sospirai. Solo quel mattino le
avevo detto del concorso e lei, come lo zio Stefan, aveva ritenuto che
fosse il
caso mi decidessi a parlare con papà della band una volta
per tutte. Io
ovviamente ero impazzito ed avevo cominciato a fare mille ed una
difficoltà,
così che lei alla fine si era arresa, accettando di coprirmi
ancora una volta.
Tutto questo valeva a farmi capire
bene che sì, lei era sempre dalla mia parte, e che
sì, stavo davvero
esagerando.
-Tuo padre ci prova a venirti
incontro, Cody.- ricominciò lei pazientemente.- Magari non
è il massimo… Magari
a te non interessa davvero fare una festa.- aggiunse precipitosamente
per
interrompere l’evidente protesta che stava per cominciare. Mi
lasciai ricadere
sulla sedia sbuffando fuori il fiato che avevo immagazzinato in attesa
di darvi
il via e continuai ad ascoltare.- Ma Santo Cielo, Cody, dagli tregua!-
soffiò
lei stringata.
La fissai mortificato. In effetti
mi sentivo in colpa per come mi ero comportato negli ultimi giorni, ma
ero
nervoso, agitato e pieno di casini ed alla fine, riassumendo, i miei
casini
ruotavano tutti attorno a mio padre, per cui era quasi naturale che lo
detestassi più del solito.
-…non voglio davvero una di
quelle feste del parossismo che si vedono alla televisione…-
piagnucolai a
mezza voce.
Lei rise.
-Niente feste da figli di star,
promesso.- mi concesse rapidamente.- Potete farla qui a casa.
L’idea mi stuzzicava e la presi
in considerazione. Mia madre se ne accorse e mise subito sul banco le
condizioni.
-Potete usare il giardino ed il
saloncino accanto allo studio.- mi spiegò.- Scegli tu gli
invitati ma dai a me
e tuo padre la possibilità di organizzare.
-…niente gente famosa. Neanche a
suonare o qualcosa del genere!- affermai categorico agitando un dito
con aria
minacciosa.- Al massimo un dj a caso, un ragazzino come noi!
-O.k.- annuì mia madre.
-Niente regali assurdi!- strillai
io mentre, per qualche motivo a me sconosciuto, mi si materializzava
davanti
l’immagine di me che spacchettavo un’isola
infiocchettata.
-Niente regali assurdi.- concesse
ancora mia madre sorridendomi divertita.
-E poi voi non dovete restare a
casa.- dissi, un po’ titubante perché sapevo che
quella cosa era la più
difficile da ottenere.- Festeggio con voi a pranzo, ma la sera voglio
fare
casino come qualsiasi quindicenne normale.
Mia madre sospirò ma si strinse
nelle spalle e mi concesse anche quella.
-Ora però vai da tuo padre e
rinegozi le stesse condizioni con lui.- mi disse con una
serietà che mi fece
capire che quello era un ordine da non mettere in discussione.
-…se è al telefono?- chiesi a
mezza voce per prendere tempo.
-Aspetti che finisca, vai da lui e
rinegozi le stesse condizioni.- ribadì mia madre asciutta.
Mi alzai di malavoglia,
arrancando verso la porta con passo strascicato, ma lei mi
richiamò prima che
uscissi.
-E, Cody,- mi apostrofò mentre mi
voltavo a ricambiare il suo sguardo.- se tuo padre non è
d’accordo, o trovate
un’intesa tra voi o non se ne fa nulla. Ma proprio nulla,
nemmeno la tua pizza
con gli amici. Esci con me e tuo padre al massimo.
…che punizione di merda.
Nota di fine capitolo
Capitolo di passaggio, nato dalla
voglia spasmodica di far interagire
Brian e Cody in una situazione “padre /figlio”
nonché dall’esigenza di
introdurre l’argomento “festa di compleanno di
Cody”, rilevante tra pochissimo
*ma niente spoiler! X’D*
Spero non sia troppo noioso
^^’
A parte ciò, si
ringrazia sempre Ginnyred per il commento graditissimo
al capitolo precedente e si ringraziano più in generale
tutti i
lettori/lettrici di questa storia.
Baci ed alla prossima :******
|
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Capitolo 7 *** VII ***
O ero io che
quella sera ero
particolarmente di buon umore o era Gab che era particolarmente
brillante.
Fatto sta che di sicuro era particolarmente bello.
Quando passò sotto casa a
prendermi, dicendomi semplicemente che se volevo potevo accompagnarlo
nel suo
giro di “promozione” della band – “sai,
per far sapere ad un po’ di gente del concorso”
– io lo fissai,
imprimendomi ben in mente ogni singolo particolare della sua figura
ritta
davanti la porta: partendo dai pantaloni scuri, ovviamente a vita
bassissima,
ricoperti – letteralmente – di tasche e tasconi,
per passare alla maglia a
manica lunga, blu elettrico e con disegni di un rosso intenso e
brillantissimo,
che gli si appiccicava alla pancia ed al petto magri e tonici,
indugiando
piacevolmente sull’elastico in vista dei boxer firmati, che
scivolava lasciando
esattamente un dito di pelle scoperta tra loro ed il risvolto della
maglia.
Capelli lucidi e pettinati ad arte, in modo da assumere quelle
piccolissime
onde spumose e rosseggianti che erano la loro caratteristica naturale;
dita
coperte di anelli per richiamare l’attenzione sul loro
movimento ipnotico;
collo ben in mostra con il solito laccetto di cuoio e tribale che
diceva “sono
qui solo perché tu abbia una scusa per guardare questo punto
esatto”.
Sospirai e pensai chiaramente
“c’è una vaga possibilità che
io o chiunque altro ti dica di no?”.
Quindi avvisai i miei che uscivo
strillandoglielo da sotto le scale, uscii davvero e mi tirai dietro la
porta,
assicurandomi solo di avere in tasca chiavi, portafoglio e cellulare.
Il resto del viaggio fino al
primo dei locali che avevamo in programma lo passammo a ridere.
Avvertivo che la complicità tra
noi si era fatta più forte, mi sentivo meno a disagio anche
se Gab mi camminava
accanto bello da togliere il fiato, riuscivo a concedermi il lusso
invidiabile
di guardarlo senza dover per forza arrossire imbarazzato e questo
riusciva a
creare un clima molto più sciolto e disteso tra noi.
Mi fece vedere un paio di posti
carini, lì nel quartiere, indicandomeli come altrettanti
locali in cui avevano
suonato e tornavano ogni tanto. All’interno trovammo vari
gruppetti di ragazzi
che lui salutò con familiarità, presentandomi poi
una tale teoria di facce e
nomi che non provai neppure ad immagazzinarli tutti. Il copione era
semplice e
sempre lo stesso. Ci si fermava a scambiare due chiacchiere, si diceva
del
concorso, ci si beveva qualcosa di analcolico assieme a loro e si
salutava
passando oltre.
Poi uscimmo dal quartiere. Gab
non perse la propria dimestichezza disinvolta da animale che copre il
proprio
territorio. Ci infilammo in altri due locali in una zona vicina, un
paio in
centro, e poi ci spostammo in periferia. Erano le tre di notte, faceva
un
freddo cane e crollavo di sonno, mentre Gab sembrava fresco come si
fosse appena
svegliato e sfoggiava un’ironia impeccabile ed una malizia al
limite
dell’offesa al pudore. Man mano che la
“gente” era cambiata con l’ambiente, lui
aveva adattato con facilità il proprio comportamento,
risultando perfettamente
integrato qualunque posto o qualunque compagnia fosse presente. Io
invece mi
ero progressivamente zittito, ritenendo che il rapido venir meno delle
mie
facoltà mentali con l’avanzare della notte fosse
sufficiente a farmi rischiare
gaffe imperdonabili. Alle cinque eravamo in un posto talmente di merda
che,
guardandomi attorno, mi chiesi se fossimo ancora a Londra.
-…ma dove cazzo stiamo andando?-
m’informai terrorizzato quando mi accorsi che dietro un
angolo c’era un
gruppetto di tizi impegnato in una conversazione alquanto equivoca su
della roba che doveva arrivare ed
era in
ritardo.
Istintivamente mi portai più
vicino a Gab, rendendomi poi conto che se facevo affidamento su di lui
per
uscire vivo da lì, con ogni probabilità sarebbe
stata l’ultima cosa che avrei
fatto nella mia vita.
-Sai cosa penso?- mi disse lui
all’improvviso, continuando a camminare tranquillo nonostante
tutto ed
ignorando volutamente la mia domanda.- Che tu sbagli approccio con
Cody!-
asserì.
Sbuffai, spalancando gli occhi e
chiedendomi se fosse serio.
-Gab, ti pare il momento?!- lo
interrogai aspro.
-Cody è un idiota in certe cose.-
mi spiegò lui imperterrito.- Non ha mai avuto una ragazza
diversa da Amy, vive
in un mondo molto simile all’Iperuranio di Platone e se le
cose non gliele
ficchi sotto il naso a forza non riesci a fargliele vedere!
-Sì, tipo: quello lì ha una
pistola sotto il giubbotto?- ironizzai io, veramente preoccupato,
tirando Gab
per la manica della maglia nella speranza di distrarlo dal proprio
monologo.
Lui gettò effettivamente
un’occhiata al tizio che indicavo e borbottò un
“probabile” alquanto
disinteressato.
-Dovresti baciarlo.- concluse
rapidamente subito dopo.
E riuscì effettivamente lui
a distrarre me dalle mie
preoccupazioni.
-Prego?- ritorsi spaesato.
-Dovresti baciarlo.- ribadì senza
problemi Gab.- Metterlo davanti alla cosa per
com’è.
-Io non gli interesso!- protestai
con veemenza.- Come puoi suggerirmi di baciarlo! Mi tirerebbe un pugno!
-Non puoi sapere se gli interessi
se lui continua a non sapere di interessare te.- asserì lui
in un giro astruso
e palesemente privo di senso.- E comunque ha la mano talmente leggera
che non
te ne accorgeresti nemmeno.
-Fanculo, Gab!- strepitai. E poi
respirai a fondo e cercai di calmarmi per fornire una risposta
concreta.-
Senti…quella canzone…- borbottai a fatica- quella
che state imparando per il
concorso…- specificai. E Gab si voltò interessato
a guardarmi.- Lui l’ha
scritta per Amy.- dissi con sicurezza.- Non solo per Amy, è
chiaro, ma è di lei
che parla.
-…lo pensi sul serio?- mi domandò
Gab con voce fievolissima, scrutandomi con attenzione mentre annuivo.
-Sì.- rimarcai e tornai ad
affermare in tono spento- Io non gli interesso. E non ho speranze.- Gab
aprì la
bocca per ribattere, ma lo interruppi con fermezza, posandogli una mano
sul
braccio e spiegandogli.- Mi va bene. È innamorato di lei ed
io di lui. Forse ad
uno dei due passerà. Magari no. Ma non importa.
Gab si fermò. Credetti che fosse
perché voleva dirmi qualcosa ancora, ma lui si
limitò a guardarmi attentamente
per capire se fossi sincero ed io ricambiai il suo sguardo sostenendolo
senza
problemi. A quel punto lo sentii sospirare forte e, prima che potessi
chiedergli cosa non andasse, si voltò ancora e spinse la
porta cigolante di un
edificio sulla nostra destra. Pensai che ci sarebbe caduta addosso per
quanto
malamente rimaneva attaccata ai propri cardini.
Ma grazie a Dio resistette e noi
entrammo in un antro puzzolente e svoltammo su una rampa di scale
malmesse che
ci trascinò rapidamente in basso. Dal fondo di un corridoio
cortissimo ed
angusto ci venne incontro della musica roboante ed assolutamente
sconnessa, una
roba che ci riempì in fretta orecchie e cervello e che mi
indusse a pensare che
quasi quasi avrei aspettato Gab fuori, stavolta. Ma quando gettai
un’occhiata
distratta alle pareti ricoperte di graffiti del corridoio e lessi tra
le righe
motti ed incitamenti tutt’altro che rassicuranti, pensai che
magari avrei
dovuto essere io a difendere Gab…per quello che valeva. Per
cui mi appiccicai a
lui ed insieme entrammo da una specie di arco basso
all’interno di un unico
stanzone illuminato da luci psichedeliche e stroboscopi. Il rumore
raggiunse
vette mai ascoltate prima, io socchiusi gli occhi infastidito da tutto
quel
casino almeno quanto dalla piccola folla di individui tatuati,
crestati,
ingellati e borchiati che occupava lo spazio tra noi ed il fondo della
stanza.
Punk.
-Cosa ci facciamo qui?- cercai di
dire a Gab, sovrastando la musica e spingendomi verso il suo orecchio
perché
cogliesse la domanda.
Lui sorrise.
-Cerchiamo una persona.- mi
strillò a sua volta, imitando le mie manovre.
-Aaah.- ritorsi io annuendo con
vigore e rendendomi conto che la sua non era una vera risposta.
Gab non me ne fornì una seconda,
comunque, si buttò dentro la stanza e con scioltezza
navigò nel mare umano alla
ricerca del suo qualcuno. Io mi
affrettai a seguirlo, impensierito dalla possibilità di
perderlo in mezzo a
quel bordello e di ritrovarmi da solo, l’indomani mattina,
con un gruppo di
punk imbestialiti addosso. Capii in fretta, in ogni caso, che Gabriel
sapeva
esattamente dove cercare, perché non perse tempo a girare a
caso nel gruppo ma
si diresse rapido ad un angolo in fondo alla sala, riparato dietro una
specie
di paravento, dietro cui trovammo un tavolo, un divano enorme di quelli
a
semicerchio da night club ed un gruppettino formato da tre ragazze
seminude e
due ragazzi praticamente identici tra loro.
-CJ e Nicky.- mi presentò Gab con
un sorriso largo, additando i due punk maschi.
Le tre ragazze ridacchiarono e
sollevarono manine dagli artigli
enormi
e smaltati di rosso fuoco.
-Ciao, Gab!- cinguettarono.
-Io levo le tende.- annunciò
Nicky, tra i due quello più appariscente, con
un’alta cresta blu e verde, un
giubbino smanicato borchiato nero che indossava direttamente a pelle,
un
tatuaggio enorme su un braccio ed un paio di pantaloni così
aderenti che pensai
si fossero fusi con le sue gambe.
Si sollevò e sparì
effettivamente, insieme con le tre tizie che si alzarono con lui e lo
circondarono amorevoli uscendo.
Gab ne approfittò per lasciarsi
cadere accanto al tipo rimasto, che per parte propria non gli aveva
staccato
gli occhi di dosso e continuava a sorridergli compiaciuto.
Lo osservai, era chiaro che lui e
l’altro erano fratelli. Gemelli, presumibilmente. Lui era
appena più discreto: capelli
biondissimi, corti a spazzola, viso gradevole, con occhi molto
espressivi ed
intensi, profondi nel viso e scuri, piercing al labbro, al sopracciglio
ed alle
orecchie, jeans strappati, larghissimi e bassi sui fianchi, maglietta a
rete
nera sotto cui s’intravedeva una seconda maglia, molto
più corta e scollata,
catene che pendevano dai pantaloni. Per il resto la stessa identica
figura
longilinea, lunghissima e vagamente dinoccolata del fratello e stessa
faccia
dai tratti marcati e maschili. Dovevano essere più grandi di
noi, vent’anni e
forse qualcosa di più, riflettei.
-Ehi, Gab!- salutò il tizio in
tono basso, allungando subito un braccio a catturare la figura snella
di
Gabriel per tirarselo addosso.
Dal rigonfiamento inequivocabile
dei suoi pantaloni intuii che era davvero così
felice di vederlo come si mostrava. Arricciai il naso, mentre
Gabriel
rideva e rintuzzava fiocamente quell’approccio disinvolto.
-Tuo fratello è insaziabile come
sempre, eh CJ?!- s’informò distrattamente,
fingendo di non accorgersi del modo
in cui la mano del tizio si stesse infilando sotto la sua maglia,
accarezzandogli la pancia.- Adesso addirittura tre alla volta?
-Sai com’è fatto Nicky.-
sminuì
CJ affondando il naso nel collo di Gab.- Dio! Sei profumato come
sempre.-
affermò deliziato.
-Piantala.- si decise a
rimbeccarlo Gabriel, mollandogli una sberla sulla mano per costringerlo
ad
eseguire. CJ la spostò davvero, ma Gab non si
scostò da lui ed anzi gli si
sistemò meglio addosso, allungando la testa sulla sua spalla
e la schiena sul petto.-
Allora, ho bisogno di voi.- annunciò.
-Tutto quello che vuoi,
dolcezza.- ridacchiò l’altro continuando ad
annusargli i capelli e ad
affondarci dentro il viso come un cane in calore.
-Uhm…niente di che, in realtà.-
spiegò Gab scrollando le mani.- Mike ci ha iscritti ad un
concorso musicale e
sta mettendo in giro la voce per essere sicuro di avere un gruppetto di
fan a
sostenerci.
-Quando?- si limitò a chiedere
CJ, molto più interessato a riprendere le proprie carezze
invadenti che non ad
ascoltare quello che Gabriel aveva da dirgli.
Scrutai di sottecchi le dita del
tizio risalire nuovamente i fianchi di Gab per tornare ad affondare
tranquillamente sotto il bordo della maglia. Stavolta Gab non
protestò neppure
ed io arrossii arrabbiato e mi voltai infastidito da quella scena,
chiedendomi
esattamente quale fosse il mio ruolo in quel momento ed in quel posto.
Gab intanto tirò fuori nome del
posto dove si sarebbe tenuto il concorso, data ed orario
dell’esibizione e CJ
annuì, recependo comunque tutte e tre le informazioni e
promettendogli che lui
ed i “ragazzi” sarebbero stati lì.
Preferii evitarmi di chiedergli se per
“ragazzi” intendesse “la masnada di
animali pidocchiosi che occupava quella
topaia”, perché ero quasi certo che lui non
avrebbe apprezzato i termini nei
quali avrei formulato la domanda.
Gab si sciolse dal suo abbraccio
e si tirò dritto e, seppure con una riluttanza evidente, CJ
lo lasciò fare,
rimanendo quieto al proprio posto a scrutarlo dal basso.
-Dovresti deciderti a venire a
trovarmi per restare qualche giorno, Gab, come facevi prima.-
sogghignò.
-Prima scopavo stabilmente con
te, CJ, ricordi? Ora non più già da un
po’.- gli rammentò pacato.
-Magari dovresti ricominciare a
fare anche quello.- suggerì lui maliziosamente.
-Tesoro, dovresti essere molto
più convincente di così!- rise Gab.
E CJ gli andò dietro nonostante
tutto, facendo eco alla sua risata con la propria.
-E quello?- chiese indicandomi
con il pollice, semi-sdraiandosi sul divano, braccia stese sullo
schienale e
posa strafottente.
Io mi resi conto di non essere
trasparente come avevo immaginato all’inizio di quella
“discussione”
allucinante. Gab mi scoccò un’occhiata, nemmeno
avesse davvero bisogno di
voltarsi e vedermi per capire di chi CJ parlasse, poi però
non gli rispose se
non in modo vago.
-Un amico.- disse prima di
salutare con la mano ed uscire con un “ci si vede”
che sapeva davvero di poco.
Buttai uno sguardo ancora a CJ e
mi accorsi che, in effetti, il sapore di poco quel saluto glielo aveva
lasciato
eccome, i suoi occhi erano incollati alla schiena – ed in particolare al fondo schiena! - di
Gab in rapido
allontanamento ed io mi domandai come accidenti facesse il mio amico a
non
sentirseli addosso al punto da doversi fermare a grattarseli via dalla
pelle.
-Chi cazzo erano quelli?-
arringai Gab appena fummo all’aria aperta, con molta
più asprezza di quanta me
ne sarei concessa in altre occasioni, luoghi ed orari del giorno.
-CJ è il migliore amico di Mike.-
mi disse stringatamente lui, rifacendo la strada a ritroso ad
un’andatura
sveltissima, tanto che faticavo a stare dietro al suo passo a falcate
ampie e
dritte.- Sono stato con lui per un po’ dopo Erik, ma poi ci
siamo lasciati.
-Direi che tu lo hai lasciato,
lui riprenderebbe molto volentieri da quel punto!- corressi io
indicando dietro
di me come se la porta di quel posto fosse ancora lì.
Gab rise, tornando la stessa
creatura spensieratamente affascinante di sempre in meno di un momento.
Eppure non riuscivo a togliermi
dalla testa le mani di CJ ed il modo in cui risalivano la sua pelle
senza che
lui facesse nulla per fermarle.
-Non dovresti permettere alla
gente di trattarti come fanno.- sussurrai d’istinto,
stringendo gli occhi per
cacciare via quell’immagine.
Gab mi guardò stupito.
-Io non permetto niente.- mi
disse tranquillo.- Se non quello che sta bene a me per primo.-
affermò poi con
semplicità.
Magari ero io ad avere dei
problemi con il sesso, pensai arrossendo. In fondo non è che
la mia esperienza
sull’argomento fosse ampia.
Anzi, era proprio scarsa.
Sospirai, riprendendo ad
osservare in silenzio Gab ed il suo profilo bellissimo: la
verità era che i
tipi come CJ io li invidiavo ferocemente.
***
La prima volta che suonammo la
canzone che avevo scritto per il concorso, Mike mi chiese come
s’intitolasse.
Io scoprii di non averle affatto dato un nome e rimasi a bocca aperta a
fissarlo, più o meno con l’espressione che, penso,
avrei usato se mi avesse
chiesto di uscire con lui. Mike sbuffò, spazientito, mi
disse che ero un
coglione e poi si voltò verso la mia ragazza e la
additò.
-La canzone di chiama “Amy”.-
sentenziò seccamente.
Arrossii e ricambiai l’occhiata
interrogativa di Amy senza risponderle. Mi stupì non poco
rendermi conto che i
miei amici, alla fine, mi conoscevano perfino meglio di quanto non
facessi io
stesso.
Luke ed Amy sedettero nel solito
angolo, e noi ci disponemmo agli strumenti con la solita
gestualità rituale.
Nel farlo provai un brivido, come se avessi paura che qualcosa sarebbe
andato
storto, che niente potesse essere più come prima dopo che
ero uscito da lì
dicendo che non avrei fatto ritorno. Ma invece fu tutto esattamente
come
sempre, la voce di Gab ed il suo modularsi con esattezza attraverso una
scala
di toni che strappava i brividi a chi ascoltava, il suono del basso di
Mike che
faceva da base potente e solida alla musica, la batteria di Fran con il
pestare
ritmico talmente perfetto da far presumere una semplicità di
riproduzione che
non apparteneva affatto alle sue linee di batteria, il violino di Vale
che
alzava toni stridenti accompagnando la voce di Gab ed interloquendo con
essa in
un controcanto ossessivo. Chiusi gli occhi e mi concentrai sulla
percezione
esatta delle corde sotto le dita, erano rassicuranti…proprio
come i tasti del
mio piano.
-Non è andata male!- esclamai
entusiasta quando riponemmo gli strumenti un paio di ore più
tardi.
Mike grugnì il proprio dissenso,
ma lui non era mai contento delle nostre performance e quindi nessuno
di noi
gli dava più corda quando dissentiva. Gab annuì
vivacemente, sorridendo
soddisfatto e felice e scolandosi da solo una bottiglia di acqua, a cui
si
attaccò fluidamente appena si fu riappropriato della propria
borsa. Fran infilò
la testa nello zaino che si era portato dietro e ne riemerse con una
merendina
oscenamente grassa ed insalubre che attaccò con
voracità, ridacchiando come un
bimbo.
-Cielo, Fran, ti coprirai di
brufoli senza pietà!- affermò Vale osservandolo
ed inarcando un sopracciglio
con aria disgustata.
-Ho fame.- ribatté lui
scrutandola con gli occhi sgranati. E riprese a mangiucchiare contento
da dove
si era interrotto.
Mi sedetti accanto ad Amy, mentre
Gab si lasciava crollare al fianco di Luke e posava le spalle contro il
muro
alle proprie spalle sospirando ed incrociando le mani sulla pancia
perennemente
scoperta.
-Oh!- commentò strizzando gli
occhi.- Se non vinciamo con questa, non vinceremo mai!-
asserì.- E’ una canzone
stupenda!
Mike gli scoccò uno sguardo di
fuoco, battendo un piede a terra stizzito ed allontanandosi con la
scusa di
rimettere a posto il proprio basso pur di non dover concordare con il
fratello.
Lui sghignazzò osservando quelle manovre e mi
ricambiò un’occhiata complice da
sopra le ginocchia di Luke, che girò lo sguardo
dall’uno all’altro senza
capire.
-E’ davvero molto bella.-
convenne Vale quietamente, sedendo davanti a noi su una vecchia sedia
imbottita
ed accavallando le gambe per potervi posare su il gomito ed appoggiare
il mento
al pugno chiuso. Il busto sottile si sporse in avanti, dando alla
compagnia per
intero una visione precisissima del suo seno piccolo
all’interno della
scollatura generosa del vestito nero e rosso.
Distolsi meccanicamente lo
sguardo, fissandolo su Amy che mi si accoccolò contro
sorridendomi, Luke
arrossì e sollevò la testa di scatto, Fran
s’infilò di nuovo nello zaino per
emergere con una barretta di cioccolato e cereali e Gab
fissò impudente la
scollatura per poi alzare gli occhi sulla ragazza ed indicarle con
precisione
le tette.
-Copriti.- le disse piatto.
Vale si raddrizzò di scatto,
imbarazzata, e tirò su bruscamente il risvolto
dell’abito.
-Maniaci!- sibilò stizzita.
Gab ridacchiò a nome di tutti.
-Che si fa?- s’informò Mike
tornando a pascolare vicino a noi, mani nelle tasche ed aria scazzata.
-Andiamo a mangiare qualcosa?-
piagnucolò Fran, sollevandogli addosso uno sguardo tenero da
pulcino bagnato.-
Ho una fame che non ci vedo!
-Questo si era intuito,
pidocchio.- ritorse Mike impietoso.- Sei sporco di cioccolato come un
moccioso
e continui comunque ad ingozzarti come un tacchino a Natale. Diventerai
una
specie di botolo rotolante e schifoso e finalmente
potrò buttarti fuori dalla band.
-Fran è il miglior batterista che
questo schifo di gruppo ha mai avuto.- ribattei in difesa del
ragazzino, che
peraltro aveva ignorato del tutto il commento di Mike, impegnato a
scavare
nello zaino alla ricerca di altre cibarie.- E noi non siamo una
boy-band.-
osservai cattivo.
-No, ma l’immagine conta.-
ritorse Mike sorridendo velenosamente.- Pensa al gruppo di tuo padre.
-Fanculo, Mike!- sbottai
arricciando il naso e chiudendo la questione.
-Sei talmente stronzo che alle
volte mi chiedo come facciamo ad essere fratelli.- convenne Gab
annuendo.
-Tu sei stato adottato.- affermò
lapidario Mike, ignorando volutamente il fatto che la somiglianza fosse
tale e
tanta da rendere impossibile quell’ipotesi.- Io volevo un
cane, in ogni caso.-
aggiunse giusto per essere gratuitamente cattivo una volta di
più.
-Allora?- domandai per sviare il
discorso- Andiamo a mangiare qualcosa? Ho fame anche io.- affermai
seccamente
e, fissando Mike, chiesi.- O pensi che diventeremo tutti botoli
schifosi e
dovrai trovarti un’altra band o, in alternativa, darti al
metal?
-Figurati!- sbuffò lui sorridendo
malignamente.- Sei tu quello che se ne va in giro con camicie
di flanella a quadrucci!- osservò.
-Ti ho già mandato “a
fanculo”
dall’inizio di questa discussione, Mike?- domandai dolcemente.
-Cazzo, che memoria di merda,
Cody!- sbottò lui.- Meno di tre secondi fa. Dovresti fare
qualcosa, le tue
facoltà intellettive si stanno deteriorando molto
più velocemente di prima.-
asserì.
-Le tue non sono mai esistite.-
ritorsi annoiato.
-Fottiti, coglione.- mi sorrise
lui.
-Fanculo, stronzo.- rimarcai
ricambiando il sorriso.
-Ma quanto sei testa di cazzo?
-Quanto cazzo mi pare.
-Ma perché i maschi di oggigiorno
sono sempre pronti a riempirsi la bocca di “cazzo”
e nonostante questo sono
tutti omofobi?- s’interrogò Gab a voce alta,
interrompendo così l’interessante
dialogo che si stava svolgendo tra me e suo fratello.
Ci voltammo a guardarlo,
sconvolti, e lui, che non aveva mosso un muscolo dalla posizione
semisdraiata
che aveva assunto quando si era lasciato cadere a terra, si
limitò a voltarsi
quietamente verso di noi e ricambiarci lo sguardo senza mutare
espressione.
-Dio, Gab!- sbottò Mike,
infastidito.- Ma com’è che sei così
volgare?!- notò.
-Senti da che pulpito!- commentai
io schifato.
-Scuola tua, fratellone.- ammise
Gab. Si tirò in piedi stancamente, tirando su i pantaloni
per evitare di
restare completamene nudo, e proseguì apatico.- Muoviamo il
culo, che mi sto
rompendo ed ho fame anche io.
-Amo quando fa così!- affermò
Vale, concedendosi per una volta tanto una sana risatina ironica,
mentre Gab
usciva per primo e noi lo seguivamo più lentamente, Mike in
testa che gli
gridava contro inorridito di “pulirsi la bocca, o
gliel’avrebbe pulita lui a
suon di ceffoni!”.
Mentre raggiungevamo uno dei pub
che frequentavamo in genere, mi affiancai ad Amy, tirandomela vicino e
passandole un braccio attorno alle spalle. Lei sorrise, lasciando che
il gruppo
ci sfilasse davanti: Mike che continuava a rimbeccare tutto e tutti,
concedendo
insulti a destra e manca; Fran che pregustava felice la cena,
annunciando che
avrebbe divorato un hamburger di proporzioni immani; Vale che camminava
ticchettando su tacchi vertiginosi con la grazia elegante di una
pantera; Luke
e Gab, affiancati anche loro, che parlottavano a voce bassa ridendo di
tanto in
tanto per qualcosa da cui il resto della combriccola era escluso.
Rimanemmo in
coda a tutti ed Amy si sporse a baciarmi, posandomi una mano
piccolissima sul
petto e la testa ricciuta sulla spalla.
-E’ davvero per me?- domandò in
un sussurro sottile.
Annuii istintivamente.
Era per lei. Era per mia madre.
Era per tutto il gruppo.
Non sapevo nemmeno io quante cose
ci avevo infilato a forza in quella canzone, ma era stato quasi
impossibile
tenerle tutte insieme dentro di me e liberarsene così era
stato incredibilmente
soddisfacente. Suonarla con gli altri, poi, mi aveva dato la sensazione
di
poter gridare a tutti quello che provavo senza che dovessi
necessariamente
giustificarmi, parola per parola.
Amy continuò a sorridere,
riflettendo in silenzio, ed alla fine scosse la testa.
-No.- disse quieta sistemandosi
nel mio abbraccio.- Ci sono anch’io, è vero.-
ammise.- Ma c’è anche altro.-
capì.
La amavo anche per quello, per il
suo comprendermi rapida come un soffio di vento ed altrettanto leggera.
La
strinsi un po’ di più, affondando il viso tra i
suoi ricci e chiudendo gli
occhi al profumo dello shampoo.
-Ci hai messo dentro anche tuo
padre.- buttò lì dopo un momento.
Sollevai la testa di scatto.
Spalancando gli occhi e fissandola senza capire. Ripensai alla canzone,
al
momento in cui l’avevo scritta ed a quello che avevo pensato.
E capii che era vero.
Gab strillò qualcosa in tono
euforico. Non sentii cosa fosse, ma mi indusse lo stesso a voltarmi di
scatto
per cercare di afferrarne il senso, così che lo vidi buttare
le braccia al
collo di Luke, che rideva, ed appenderglisi addosso in un modo
inequivocabilmente provocatorio.
-…gli piace proprio tanto.-
commentai borbottando.
Amy non rispose nulla, ma li
guardò anche lei ed io notai la vena di
perplessità nei suoi occhi, mentre Luke
si congelava imbarazzato tra le braccia di Gab, tanto che lui lo
lasciò andare,
probabilmente rendendosi conto di aver esagerato. Mike
sbuffò, fissandoli contrariato
ma rimanendo insolitamente zitto, e la porta del pub ci
bloccò all’ingresso,
con Fran che faceva eco allo strillo felice di Gab e si precipitava
dentro
ruzzolando come al solito. Vale fu la prima a seguirlo, a passo
studiatamente
lento, posò una mano sul braccio di Mike e questo
bastò a tirarselo dietro,
nonostante il ragazzo si tormentasse da solo con occhiate rapide e
feroci al
fratello e Luke che li seguivano appaiati.
Presi Amy per mano e scesi con
lei nel locale.
-Credo che sia molto bello quello
che gli hai detto.- mi disse lei mentre io rifiutavo il suo sguardo,
puntando
l’attenzione con ostinazione sulla strada brevissima che
compimmo per
raggiungere il saloncino interno- Dovresti trovare il coraggio di
ripeterglielo
di persona.
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Capitolo 8 *** VIII ***
Della festa
dei quindici anni di
Cody ricordo solo gli eventi davvero salienti. Tutta la prima parte mi
è
chiara, perché per tutta la prima parte non successe
assolutamente nulla di
eclatante. Eravamo organizzati nel parco dietro la villa, dove
c’era la piscina
ed un gazebo molto bello. I suoi avevano fatto preparare lì
i tavoli con cibi e
bevande, ordinandoli sul bordo della piscina. Alla fine tra Cody e suo
padre
erano arrivati alla decisione di non chiamare un dj, ma un gruppo che
suonasse
dal vivo e suo padre aveva entusiasticamente assoldato una delle band
esordienti che curava personalmente. Cody aveva sbuffato, aveva accolto
la band
con aria imbarazzata e si era scusato un milione di volte per quella
cosa, che
a suo dire era umiliante oltre ogni ragione.
Loro lo avevano fissato stupiti,
guardandosi poi tra loro come se dovessero stabilire esattamente cosa
dire,
alla fine avevano cercato di spiegargli che erano stati felici di
questa cosa e
che Brian era stato molto carino nel chiedergli il favore di suonare
alla festa
del figlio.
Cody aveva boccheggiato come un
pesce fuori dall’acqua a sentire parlare di suo padre che
chiedeva favori a qualcuno e non si
limitava a
dare ordini, approfittando della propria posizione di vantaggio.
Beh, come che fosse a loro faceva
sinceramente piacere. Ed a noi fece sinceramente piacere averli
lì. Cody gli si
appiccicò addosso - a riprova di come fosse assolutamente
disinteressato al
mondo della musica - ed insieme a Mike li interrogarono su qualsiasi
curiosità
venisse loro in mente, impedendogli peraltro di fare ciò che
per cui erano
venuti. Li mollarono per lasciarli suonare solo quando le cose
cominciarono a
prendere la china disastrosa che dovevano.
Tutto cominciò in modo abbastanza
soft, in realtà.
Mike aveva convinto Cody ad
invitare alla festa anche i due fratelli che io e Gab avevamo
incontrato nello
scantinato punk: CJ e Nicky. Loro si presentarono con una compagnia
molto
ristretta di persone ed una scorta immensamente vasta di birra
– ovviamente non c’erano
alcolici alla festa
prima che facessero il loro ingresso – e di erba.
….immagino sia inutile
specificare che non c’era nemmeno droga, alla festa, prima
che i due gemelli
facessero il loro ingresso.
Cody prese la cosa nervosamente
da subito, presagendo che sarebbero stati casini, ma siccome i suoi
invitati
erano molto più propensi di lui a salutare con clamore
quell’inaspettato
intervento, lui se ne stette zitto, fulminando comunque di sottecchi
Mike che
reputava responsabile di qualsiasi cosa fosse successa.
Da quel punto in poi, ricordo
solo gli eventi salienti di quella serata. Che peraltro sono stati
talmente
tanti e talmente considerevoli che
avrei potuto ingurgitare il doppio delle birra che ho mandato
giù e fumare
almeno altri dieci spinelli, oltre quello che Gab mi costrinse a
dividere con
lui, e comunque mi sarebbero rimasti scolpiti nella carne.
La prima cosa che mi ricordo, è
proprio Gab, la birra e gli spinelli. Probabilmente lui aveva
già bevuto e
fumato troppo per i suoi standard, perché il suo
atteggiamento era talmente
diverso dal solito da lasciarmi disorientato. Mi venne vicino mentre
sedevo in
disparte cercando con lo sguardo Cody in mezzo alla folla in cui era
sparito da
qualche minuto. Gab mi si schiantò affianco ridendo e
sospirò soddisfatto, scoccandomi
poi un’occhiata indagatrice che mi fece venire la pelle
d’oca.
-Sei sobrio.- constatò.
-Sono astemio.- confessai io.
Lui sbuffò, argomentando che ad
una festa di compleanno come quella essere astemi non era una
virtù ma un
difetto, mi prese per un polso con entrambe le mani – ero
comunque più ben
piazzato di lui, anche se mi superava di qualche centimetro –
e mi costrinse a
rimettermi in piedi assieme a lui. A quel punto mi trascinò
in un angolo, dove
CJ distribuiva allegramente birra ed erba con eguale sollecitudine, e
mi passò
una bottiglia, afferrandone un’altra per sé e
sedendo a terra accanto a CJ, che
gli passò una canna già rollata.
-Non scappare!- mi richiamò
quando si accorse che stavo per darmela effettivamente a gambe.
Batté la mano accanto a sé, ma io
ritenni più prudente sedermi in un angolo discosto ed
osservarlo da lì.
Tra lui e CJ riuscirono a farmi
bere in quell’unica notte tutta la birra che non avevo mai
bevuto nella mia
vita; all’inizio Gab praticamente mi costrinse – un
po’ con motteggi un po’ con
moine – ma quando CJ parve riaversi, comprendendo finalmente
che Gabriel era davvero
lì accanto a lui ed era davvero
su di giri, non ebbi più bisogno
di incoraggiamenti per preferire mille volte stordirmi di birra che
osservarli
lanciarsi in un’appassionata sessione di preliminari sotto i
miei occhi.
Sbuffai, scivolai sul pavimento stendendo le gambe mentre incontravo la
resistenza del muro e rimasi lì, imbronciato ed infastidito
a scrutarli
ridacchiare, baciarsi ed infilarsi le mani un po’ ovunque.
Fu Nicky a mettere bruscamente
fine allo spettacolino, quando attaccò briga con il gruppo
che stava suonando e
CJ fu costretto ad alzarsi precipitosamente per andare a dare man forte
al
proprio fratello pronto a scatenare una rissa. Gab lo fissò
laconicamente
mentre si sollevava di scatto e gli prometteva di tornare subito da
lui,
osservò altrettanto laconicamente Cody mentre avanzava
minaccioso attraverso il
giardino per impedire il pestaggio, e si mosse solo quando anche io mi
alzai
per raggiungere Cody, mi afferrò per la cinta dei pantaloni
mentre passavo e mi
tirò bruscamente accanto a sé.
-Ti agiti troppo.- affermò
stizzito, scavando nella tasca per tirare fuori cartine ed un sacchetto
di
marijuana.- Dovresti imparare a goderti la vita.
-Dovremmo aiutare Cody ad
impedire a quei tizi di picchiarsi.- obiettai io, ripescando dal cumulo
del mio
cervello un minimo di raziocinio, sufficiente a farmi formulare quel
proposito.
-Cody è in grado di cavarsela da
sé.- mi disse lui rollando lo spinello.- E Mike
afferrerà Nicky e CJ per la
collottola molto prima che facciano qualunque cosa.- ci aggiunse per
rassicurarmi.
Posò la sigaretta sottile tra le
labbra ancora rosse e gonfie per i baci di poco prima ed accese.
Io m’incantai a guardarlo.
Aveva i capelli in disordine, i
vestiti stropicciati, il viso accaldato e rosso, un’aria
palesemente stizzita e
nervosa…eppure era bellissimo. Osservai la sua bocca mentre
le labbra
stringevano la canna e lui prendeva un respiro profondo, poi una mano
inanellata si sollevò a raccogliere la sigaretta e la
scostò, permettendogli di
sbuffare il fumo. Mi passò lo spinello con naturalezza.
-Ah…Gab…?- biascicai io senza
capire.
Lui sospirò.
-Luke, per favore,- mi implorò
sfinito.- almeno stasera non fare domande. Lasciati andare, Cristo!
Ubbidii meccanicamente. Accettai
lo spinello e lo portai alle labbra come aveva fatto lui.
Mentre aspiravo il fumo pensai
che era lo stesso identico punto su cui anche lui aveva appoggiato la
bocca, la
sua lingua aveva giocato con la carta ancora umida di saliva, la sua
saliva…che
si mischiava con la mia...
Dio. ora sì che avevo un
problema.
Soffocai, tossii fuori il fumo,
mentre l’erba mi saliva rapida alla testa e la risata di Gab
ci rimbombava
dentro come se fosse completamente vuota. Inorridito cercai di non
abbassare lo
sguardo sui miei pantaloni, la stoffa dei quali si tendeva
inequivocabilmente
al livello dell’inguine. Mi augurai che la mia espressione
non fosse così
terribile come me la immaginavo. O in alternativa che Gabriel fosse
abbastanza fatto da non
accorgersene. Purtroppo mi
sbagliavo su entrambi i punti: la mia espressione era lampante e Gab
era ancora
sufficientemente lucido da scoccare un’occhiata maliziosa al
cavallo dei miei
jeans e sporgersi a sfilarmi la sigaretta dalle dita per riprendere a
fumare.
-…Cody ti piace ancora tanto,
vero?- mi domandò senza guardarmi.
Riflettei sulla possibilità di
non rispondere.
Invece risposi.
-Sì.- biascicai stentatamente,
distogliendo anch’io gli occhi.
Mi ritrovai la sigaretta
nuovamente sotto il naso e stavolta la presi senza pensarci e gliela
ripassai
dopo aver fatto un tiro. Gab si sistemò meglio contro il
muro, tirandosi leggermente
su a forza di braccia e scuotendo le spalle alla ricerca di
un’improbabile
posizione più comoda. Ogni tanto passava qualcuno che si
prendeva una birra
dalla cassa al nostro fianco, lui accennava un saluto con due dita e
poi si
disinteressava e tornava alla nostra chiacchierata ed allo spinello.
-Sai che ti capisco.- mi disse
all’improvviso.- Anche a me piace un tizio, a cui io non
interesso perché è già
innamorato.- mi confidò in tono disinvolto.
-…oh.
-Sì, ma non m’importa.- aggiunse
lui.- Tanto non sono mai stato molto fortunato in amore.-
spiegò.
-Vuoi dire con Erik?- indagai.
Ma cominciavo ad avere difficoltà
serie a tenere in piedi la conversazione. Tra alcool e fumo il mio
stordimento
aumentava velocemente e mi riusciva più facile concentrarmi
sul movimento che
faceva la mano di Gab quando si sporgeva a sfilarmi la sigaretta dalle
dita che
sulle sue parole.
“Ha delle mani stupende”, pensai
estasiato.
E subito dopo me le immaginai
impegnate ad infilarsi oltre l’apertura dei jeans di CJ come
stavano facendo
solo pochi minuti prima…Solo che al posto di CJ immaginai di
esserci io.
Arrossii.
-Erik…CJ…te…-
elencò Gab con
indifferenza, stringendosi nelle spalle e continuando ad evitare i miei
occhi.
In compenso io cercai i suoi
istintivamente.
-…
Alla fine mi guardò anche lui,
tentando di interpretare il silenzio che si prolungava
nell’espressione del mio
viso.
Doveva essere alquanto ridicola,
perché lui scoppiò a ridere con
sincerità additandomi con l’indice.
-Non prendermi per il culo!-
sbottai io senza sapere bene a cosa mi stavo riferendo.
Gabriel finse di non sentirmi
affatto. Mi si buttò contro a peso morto, continuando a
ridere, ed io lo
afferrai per puro miracolo – ubriaco com’era
rischiò seriamente di appiccicarsi
con la faccia al pavimento da solo – e finii lungo disteso
con lui addosso e la
sua bocca praticamente a due millimetri dalla mia. Gab mi
fissò, vagamente
sorpreso e decisamente intontito, registrando progressivamente i
particolari
della situazione, mentre la mia erezione – che non aveva
accennato a scomparire
– notificava ad entrambi che la
situazione le era tutt’altro che sgradita.
-…scusa.- dissi io, rendendomi
conto che c’era poco altro che potessi fare al momento.
Gab mugolò qualcosa a metà tra un
assenso ed un’attestazione di soddisfazione di cui non
compresi affatto il
motivo. E poi, invece di tirarsi dritto, mi si sistemò
meglio addosso,
strusciandomisi contro e peggiorando notevolmente le cose.
Soffocai un gemito di puro ed
involontario piacere e tentai di scostarlo senza successo, mentre
provavo ad
articolare una qualche forma di protesta ordinata. Ma la protesta
ordinata si
risolse in un mugolio molto simile a quello di Gab, anche se
decisamente meno
ispirato, e lui non lo ritenne esaustivo di un mio reale dissenso e non
si
spostò.
-Gab…- riuscii a dire, cercando
di farmi capire a gesti visto che a parole non ero in grado di
esprimermi.
Per tutta risposta Gabriel si
sporse verso di me e mi baciò.
“…ha la bocca
morbidissima. Le sue labbra sono così piene e soffici che
sembra di baciare la panna…se si potesse baciare la
panna…”
Sentii la lingua di Gabriel
sporgersi a sfiorare la mia bocca ancora chiusa, la aprii
d’istinto,
lasciandogli spazio per affondare delicatamente a cercare la mia
lingua, mentre
le sue mani si spostavano a circondarmi i fianchi, impedendomi di
allontanarmi
da lui. Cosa che peraltro non pensai di fare finché il bacio
non si fu
spinto un po’ oltre, approfondendosi e trasformandosi in
qualcosa di violento e
trascinante. Gab mi morse le labbra con forza, accarezzandomi il viso
con la
bocca e respirandomi addosso con un fiato carico di odori, che mi
mandò
assolutamente fuori di me. Allungai le mani per afferrarlo
anch’io, con
decisione, agganciandomi ai passanti della sua cinta con
l’idea di scostarlo,
ma quando lui si mosse, scivolandomi di nuovo addosso per infilare una
coscia
tra le mie gambe, e sfiorò così la mia erezione,
io persi il controllo ed
invece di allontanarlo me lo strinsi contro con più forza,
accorgendomi a
livello quasi inconscio che ad essere eccitato non ero più
soltanto io.
Gabriel si spostò di colpo,
rimettendosi dritto e tirandosi in piedi con una velocità
che mi lasciò
completamente frastornato. Lo scrutai dal basso, confuso, vedendolo
allungarsi
ad afferrarmi il braccio per aiutarmi ad alzarmi anche io, e feci come
voleva,
mettendomi in piedi e barcollando al suo fianco quando lui mi si
strinse di
nuovo contro per ricominciare a baciarmi con foga.
Non capivo granché di quello che
stava succedendo. Sapevo solo che la bocca di Gabriel era qualcosa che
mi
piaceva da impazzire – così
come la
consistenza della sua pancia sulla mia o dei suoi fianchi ossuti contro
le dita
– e quindi mi lasciai condurre docilmente, inseguendo
distrattamente le sue
labbra ed il suo corpo mentre si muovevano vicino a me.
-…Gab…?- chiamai interrogativo
quando lui mi spinse all’interno di quello che riconobbi come
un bagno.
Lui non mi rispose. Chiuse la
porta dietro di sé senza staccarmi gli occhi di dosso,
inchiodando il suo
sguardo – completamente folle.
Totalmente
incomprensibile. Spaventoso – nel mio, e
continuò a spingermi finché mi
ritrovai spalle al muro, ghiacciando al contatto gelido delle
piastrelle
decorate. Sussultai sbattendo la schiena e sentendomi improvvisamente
libero ed
improvvisamente solo, al buio, mentre Gab si muoveva da qualche parte
lontano
da me. La luce mi accecò, perché nel giardino non
era così forte come il neon
chiaro del bagno, e strinsi gli occhi intuendo la figura di Gabriel
tornarmi
vicino.
Sentii la sua bocca ricominciare
ad esplorarmi il viso e spostarsi poi a tracciare una scia umida e
piacevolissima lungo il collo, ma a lasciarmi completamente senza fiato
ed a
farmi perdere forza nelle gambe furono le sue dita, sottilissime, che
scivolarono rapide infilandosi sotto la maglietta e strappandomi un
brivido che
giustificai nella mia testa annebbiata con il freddo che percepivo
attraverso i
polpastrelli piatti e morbidi. Serrai gli occhi perché avevo
davvero paura di
guardare e lasciai che fossero gli altri sensi a dirmi quello che
succedeva.
Così percepii al “tatto” che le mani di
Gab si spostavano, scivolando in basso
e costringendomi a trattenere il fiato per l’aspettativa ed
il desiderio che mi
assalirono con forza.
Non so dire se Gabriel fosse
consapevole di quello che provavo in quel momento, se si fosse fermato
anche
solo un momento a valutare le reazioni che suscitava in me. Io di lui
percepivo
solo il profumo, i movimenti inebrianti, la forza magnetica che avevano
sui
miei sensi, ma non mi fermai mai a cercare di capire cosa stesse
pensando o
quale fosse il senso delle poche parole che gli avevo sentito
pronunciare
prima. Non sapevo perché mi avesse baciato o
perché ora fossimo lì, non me lo
chiesi nemmeno quando lui sganciò con sicurezza il bottone
dei miei jeans ed
abbassò la cerniera per poi piegarsi repentinamente in
ginocchio abbassandosi
al livello del mio inguine. Cosa volesse fare mi fu chiaro
nell’istante stesso
in cui avvertii la sua bocca premuta contro il mio sesso, attraverso la
stoffa
leggerissima dei boxer. Soffocai un singhiozzo mentre il suo fiato
caldo mi
circondava e mi allungai sulla parete come se volessi arrampicarmici
per
fuggire via da lì. L’impulso di fuggire lo provai
per davvero, ma non ne ebbi
né la forza né la volontà, cancellate
entrambe dalla sensazione sconvolgente
della bocca di Gabriel che si avvolgeva dolcemente intorno alla mia
erezione
subito dopo averla liberata dai boxer.
A quel punto, tutto ciò che
pensai fu di abbassare il viso e guardarlo, perché era
stupendo anche in quel
momento ed era la visione più oscenamente sexy
ed erotica che io avessi mai avuto davanti agli occhi, od anche solo
che fossi
mai riuscito ad immaginare.
Ed il movimento della sua bocca,
della sua lingua…la sensazione dei suoi palmi che mi
risalivano su per lo
stomaco, infilandosi ancora sotto la maglietta e cercando la pelle per
stringerla e carezzarla con forza…affondando…i
gesti lenti del capo che
assecondava il mio bacino che aveva preso a muoversi indipendentemente
dalla
mia volontà…Rilasciai la testa contro il muro,
sollevando gli occhi al
soffitto, respirando a fatica mentre sentivo il cuore impazzire insieme
con il
ritmo delle sue carezze, delle spinte, del suo succhiare.
-Gab…?- invocai strozzato.
Lui mi ignorò come aveva fatto
tutte le volte precedenti ed io ricacciai indietro un singulto quando i
suoi
movimenti si fecero più rapidi, perdendo del tutto quel poco
di facoltà mentale
che mi restava.
L’orgasmo ed il senso di nausea
arrivarono assieme, stringendo entrambi allo stomaco e presentandosi
ugualmente
violenti ed inaspettati. Ebbi voglia di gridare senza sapere se volevo
farlo
per rabbia, frustrazione e dolore o per quel piacere primitivo che mi
afferrò
improvvisamente e che mi costrinse a svuotarmi nella bocca di Gabriel.
Non so dire cosa fece lui a quel
punto, subito dopo avermi lasciato, perché io rimasi
esattamente com’ero, i
pantaloni e le mutande calati sui fianchi, il respiro affannato e gli
occhi
chiusi. Avvertii che non si era allontanato perché la sua
presenza fisica me la sentivo
ancora addosso e,
dopo pochi istanti, mi sentii addosso anche le sue mani e la bocca che
si
posava leggera sul mio collo sudato, leccando via le gocce che
scivolavano
verso lo scollo della maglia. Il suo respiro mi affondò
nell’orecchio e sulla
pelle resa sensibile dall’acutizzarsi delle mie percezioni
dopo l’orgasmo, mi
infastidì aumentando il senso di nausea finché
non divenne così presente da
essere claustrofobico ed io pensai stupidamente che volevo che Gabriel
mi
lasciasse, perché avevo bisogno di aria e lui me la
toglieva. E volevo uscire
da lì, trovare la forza di rivestirmi ed uscire. Ma non
potevo farlo se lui non
mi lasciava e…
Mike irruppe nella stanza,
annunciandosi con urla che mi fecero letteralmente accapponare la pelle
e
giurando e spergiurando a gran voce che “avrebbe fatto fuori
quel figlio di
puttana con le sue mani e preso a calci nel culo suo fratello
finché si fosse
deciso a mettere giudizio una buona volta!”. Io spalancai gli
occhi,
terrorizzato, nello stesso istante in cui Gabriel si voltava di scatto,
corrucciato, a fronteggiare una porta che veniva spalancata brutalmente
da suo
fratello. Mike si precipitò dentro infuriato, ritrovandosi
la figura alta di
Gab che gl’impediva la visuale, lo raccattò per le
spalle e lo spinse via in
malo modo, fissando lo sguardo furente su di me.
-Cosa diavolo credi di
fare, Perrington?!- mi apostrofò rabbioso.
-Lui non crede di fare nulla,
Mike.- asserì Gab tranquillamente, staccandosi dal muro a
cui suo fratello lo
aveva appiccicato e rimettendosi esattamente tra noi mentre io
deglutivo,
ripescavo da qualche parte un po’ di amor proprio e mi
decidevo a tirarmi su
boxer e pantaloni per rivestirmi.- Io
gli ho fatto un pompino.- chiarì intanto Gab con una calma
serafica che gli
invidiai ma che detestai subito dopo. Mike non sembrava particolarmente
contento delle delucidazioni offertegli, infatti, ed io seppi che non
l’avrei
scampata facilmente.
-Mi stai ascoltando?!- scattò Gab
intanto, accorgendosi che gli occhi di suo fratello trovavano
più utile
dardeggiare contro di me, cercando la via più rapida per
raggiungermi,
piuttosto che non fermarsi a considerare seriamente la sua presenza.-
Cazzo,
Mike, quante altre volte dobbiamo farlo ‘sto cavolo di
discorso? Scopo con chi
mi pare!- ruggì Gab arrabbiato.
-Certo che ti ascolto, coglione
che non sei altro!- ritorse Mike, decidendosi a mollarmi per puntare
davvero la
propria attenzione sul fratello.- E se ho ben sentito mi ha appena
finito di
dire che te la fai con lo sfigato!- notò cattivo.
-Me la faccio con chi voglio,
Mike!- ribadì Gab.- Io non vengo certo a farti la paternale
perché scopi con
Vale!
-Io non sono come te, Gabriel!-
gli gridò contro Mike al colmo
dell’esasperazione.- Io non sono
sistematicamente uno straccio ogni sacrosanta volta che
l’imbecille di turno mi
spezza il cuore! Io non me lo faccio spezzare il mio cazzo
di cuore, Gabriel! Tu sì, invece! Perché sei un
coglione ed
un sentimentale del cazzo!- sbraitò in una paternale che mi
ferì più di
qualsiasi cazzotto ben assestato.
Perché a quel punto il senso
esatto delle parole di Gabriel – poco prima che finissimo
chiusi in quel
dannato bagno – mi fu fin troppo chiaro ed io mi ritrovai a
non poterlo
ignorare ancora. La nausea crebbe a livelli tali da non poterle
più tenere
testa. Mi guardai attorno spaesato, estraniandomi alla discussione dei
due
fratelli: Gab era davvero furioso, afferrai soltanto, lo sentii
ribattere
qualcosa mandando “a fanculo” Mike, mi resi conto
che erano arrivati anche a
mettersi le mani addosso…o meglio, che Gabriel aveva alzato
le mani al
fratello, spintonandolo con rabbia fuori del bagno. Fu
l’ultima cosa di cui mi
accorsi e che riuscì ad attirare la mia attenzione, il
secondo dopo stavo già
scavalcando il davanzale della finestra e mi lasciavo cadere nel
giardino,
svoltando rapidamente per allontanarmi dal casino e cercarmi un posto
tranquillo. Raggiunsi rapido un cespuglio di rose dietro la casa, vi
girai
attorno, mi piegai e vomitai qualsiasi cosa avessi ingerito, fumato o
anche
solo pensato in quelle ultime tre
ore.
Quando mi sollevai e mi pulii la
bocca non stavo affatto meglio, ma mi sentivo decisamente
più sporco di prima.
Ed anche più stordito.
Pensai che camminare mi avrebbe
aiutato a schiarirmi le idee e presi a muovermi ancora, allontanandomi
ulteriormente dal casino e dalla musica, tenendo una mano sul muro
della casa
quasi a volermi assicurare una guida per non perdermi nel parco. Ma
l’aria fresca
non mi aiutò affatto, nella mia testa i pensieri si erano
aggrovigliati
indissolubilmente con il senso di nausea e con la vergogna: ripensavo a
Gab ed
alla sua faccia mentre affrontava Mike. Sembrava così
genuinamente disperato da
darmi il capogiro già solo per questo. Ma poi ripensavo
anche a Gab, alla sua
bocca sulla mia e poi alla stessa bocca su
di me ed il capogiro si trasformava e si spostava in basso,
allo stomaco ed
ancora più giù. E se a tutto questo ci aggiungevo
il viso di Cody, il suo sorriso
quando a scuola avevo trovato il coraggio di presentarmi, la sua voce
quando
aveva annunciato a Mike che mollava il gruppo, le sue dita che
sfioravano il
pianoforte mentre suonava…! quel capogiro ritornava su e
confondeva le immagini
di Cody e di Gab, collegandole a sensazioni ed emozioni così
diverse tra loro
da rendere tutto troppo complicato.
Trovai a tentoni la porta
secondaria. Per un caso della sorte era aperta ed io dovetti
semplicemente
spingerla per entrare in cucina e muovermi al buio
all’interno della casa.
Mappai mentalmente la disposizione delle stanze e dei corridoi,
tentando di
ricordare ogni cosa perché questo sforzo di concentrazione
m’impediva di
soffermarmi su altro. Mi persi comunque ed a quel punto tentai solo di
raggiungere un posto isolato che non fosse in ogni caso troppo lontano
dagli
altri. Aprii una porta interna stavolta, ed entrai in una stanza in
penombra
che non riconobbi. Vidi però qualcosa di bianco ed enorme
che riluceva in un
angolo e vicino scorsi e riconobbi la sagoma accogliente di un divano.
Attraverso il vetro delle finestre a vetrata entrava luce a sufficienza
per
aiutarmi a raggiungere il divano, e da dietro i muri mi raggiungeva
solo un eco
basso e caldo della musica e del rumore fuori, che mi cullò
mentre mi raggomitolavo
nell’angolo più nascosto, contro un mucchio di
cuscini, e chiudevo gli occhi
stancamente.
Non penso che dormii moltissimo.
Era già tardi quando CJ e Nicky erano arrivati alla festa
con la birra e doveva
essersi fatto ancora più tardi mentre sedevo con CJ e Gab in
giardino. A
svegliarmi fu il rumore della porta che sbatteva e, mentre mi
riscuotevo
sforzandomi di aprire gli occhi, passi affrettati e parole irate
sibilate a
forza.
-…non m’interessa, Helena!- stava
dicendo una voce roca di rabbia, facendo un evidente sforzo per
contenere il
volume delle affermazioni che si spandevano pericolosamente basse
nell’ambiente
ancora buio.- Non me ne frega un cazzo delle sue ragioni! Stavolta
l’ha fatta
grossa e ne paga le conseguenze!
-Ha quindici anni, Brian!-
ritorse una voce femminile che riconobbi come quella della madre di
Cody.- Tu
non hai mai fatto cazzate a quindici anni?- domandò
ironicamente.
-Non certo organizzare una festa
di minorenni in casa dei miei e
portare dentro birra e fumo per tutti!- ruggì quella che, a
quel punto,
qualificai senza problemi come la voce di Brian Molko.- E di certo non
avrei
certo preteso di farla franca in quel caso!
-Ma dovresti comunque stare a
sentire quello che deve dirti, Brian!- ribatté Helena.- Non
ho mai detto che non
lo avremmo punito, ma tu sei inferocito e se lo affronti ora finirete
per
litigare come sempre e tu dirai senz’altro qualcosa di
stupido che farà credere
a Cody che lui ha ragione!- spiegò pazientemente.
-Stronzate!-
scattò Brian furibondo.
Ma non protestò quando lei si
voltò per uscire di nuovo dopo avergli assicurato che
“se ne sarebbe occupata
lei”. Avvertii i tacchi di Helena allontanarsi e la porta
cigolare appena
mentre veniva richiusa, poi ci fu un momento in cui tutto rimase
perfettamente
immobile ed io non pensai neppure di respirare.
Quindi, la luce si accese.
-…e tu cosa
accidenti saresti?- mi chiese gelidamente Brian Molko,
fissandomi mentre, ritto in piedi accanto all’interruttore,
indugiava un minuto
di più con le dita sul pulsante chiaro.
Io deglutii e non trovai nulla da
rispondere.
Dovetti aspettare di districarmi
dal groviglio di cuscini e di pezzi di corpo che ero diventato e di
mettere a
terra i piedi, sollevandoli dal divano di pelle e posandoli sul tappeto
senza
un suono, per ritrovare voce e forza a sufficienza da borbottare un
“Luke
Perrington, signore” che si perse tra le pieghe del mio ego
ormai in frantumi.
Lui inarcò un sopracciglio,
scettico e vagamente disgustato.
-Ubriaco e fatto come gli altri,
vero?-indagò malignamente, concedendomi un sorrisetto che
trovai orribile.- Dio!-
scattò dopo passandosi una mano
sugli occhi e decidendo di spostarsi dalla parete per raggiungere la
propria
scrivania.- Ma cosa accidenti c’è di sbagliato in
quel ragazzino?!- s’interrogò
a voce alta mentre sprofondava affranto nella poltrona girevole e si
voltava
per posare le braccia sul piano dello scrittoio.
Rimasi in silenzio ancora una
volta. Fermo davanti al divano nella stessa identica posa cascante che
ero
riuscito a tirar su quando mi ero alzato. Lo guardai e mi dissi che
faceva
veramente pietà.
E non perché Cody aveva
organizzato una festa a casa sua ed aveva portato dentro birra e fumo
così da
fargli trovare un gruppo di minorenni
fatti ed ubriachi che gli invadeva casa. No, lui faceva
pietà perché
trovava ancora utile domandarsi cosa ci fosse di sbagliato in Cody,
invece di
domandare a Cody cosa ci fosse di sbagliato in assoluto.
-Non si ricorda davvero di
me?-domandai quieto.
Lo vidi sollevare il viso
stancamente, scrutandomi come se si fosse accorto in quel momento che
ero
ancora lì. Non mi rispose subito, ma poi scosse il capo come
se la cosa fosse
comunque irrilevante.
-Mi ha visto con Cody.- dissi
io.- Pochi giorni fa.- spiegai meglio.- Cody le ha chiesto di firmarmi
un
autografo e lei ha anche scritto una dedica.- elencai.
-…mi spiace, ragazzino, se
dovessi ricordarmi tutti quelli a cui firmo autografi…-
mormorò lui senza
interesse.
-No. Non tutti. Però magari
potrebbe fare uno sforzo per ricordarsi almeno le facce degli amici di
Cody.-
aggiunsi.
Lui mi guardò ancora, studiandomi
da lontano con un’espressione contrariata e furibonda che gli
alterava i
lineamenti. Io riflettei che qualsiasi cosa avessi detto con tutta
probabilità
si sarebbe persa tra i meandri della sua boria saccente: in fondo ero
solo un
moccioso e lui una persona adulta e matura…La sola idea che
Cody dovesse avere
a che fare giornalmente con un tale idiota
mi fece ribollire il sangue nelle vene.
-Ascoltami bene, Luke o come
diamine ti chiami.- mi disse sforzandosi di rispondermi senza alzare il
tono
della voce e senza aggredirmi, nonostante la sua idea fosse palesemente
diversa
in quel momento.- Potrà anche essere vero che non sono il
padre più attento
dell’Universo, e non ho mai preteso che fosse diversamente da
così perché sono
perfettamente consapevole dei miei limiti, ma direi che da qui ad
essere
additato da un perfetto estraneo come il padre peggiore dell’Universo ce ne
passi.- mi fece notare con una
cortesia fredda.
Ed io magari avrei dovuto
valutare che in effetti aveva anche ragione. E quindi stare zitto ed
uscire
dalla stanza, chiedendo anche scusa per quella invasione non
giustificata dei
suoi spazi. Ma poi mi guardai attorno e catturai l’immagine
di quello studio
perfetto, chiuso come un castello delle favole arroccato sulla propria
montagna, ed ebbi una visione precisa di quanto spessi potessero essere
stati
per Cody i muri che mi circondavano o di quanto potesse essere stato
difficile
per lui superare quella stessa soglia che ora fissavo senza vedere
davvero, in
attesa di varcarla di nuovo per uscire in un mondo reale
a cui Brian Molko di fatto si negava. Almeno per ciò che
riguardava la sua famiglia e suo figlio.
-…io penso di sapere di Cody più
cose di quante ne sa lei.- sussurrai prendendo il coraggio a due mani e
decidendo che, come che andasse, avrei detto esattamente la
verità per quella
che era.- E lo conosco da poco più di una settimana. Lei ci
vive da quindici
anni,- continuai imperterrito nonostante avessi visto con
facilità il gesto
d’impazienza con cui aveva accompagnato un sospiro rassegnato
e gonfio a
dismisura. Distolse gli occhi da me, ritenendo di avermi concesso
sufficiente
attenzione, e si rimise a fissare con ostinazione la propria scrivania,
cercando febbrilmente qualcosa con cui impegnare la mente
finché io non mi
fossi deciso ad andarmene.- e non si è nemmeno accorto di
quanto fosse
splendida la canzone che ha scritto.- completai pacatamente.
Brian Molko lasciò cadere sul
tavolo la propria agenda, che si richiuse di botto con un tonfo sordo.
-Lei era nella stanza di fianco,
ma non si è neanche accorto che lui suonava.- proseguii
impietoso.- So che ora
con tutta probabilità sta pensando “quale
canzone?” e poi magari “da quando
Cody scrive canzoni?”. Ed io trovo questa cosa molto triste.
Per lei oltre che
per Cody.- ammisi annuendo, rifiutandomi io di guardarlo stavolta
mentre lui
tornava a puntarmi addosso due occhi che mi bruciavano la pelle.- E
trovo
triste che Cody non possa dirle della band e del concorso.- raccontai.-
Trovo
ancora più triste, alla fine, che Cody non abbia neanche
bisogno di sforzarsi
per non farle sapere del concorso e della band.
-…quale band?- mormorò una voce
sforzata e bassissima.
Mi voltai.
-Ha importanza?- chiesi laconico
con una smorfia di disinteresse.
Brian Molko scattò in piedi,
spalancò la porta dello studio e si precipitò
fuori. Attraversò rapidamente una
casa che andava svuotandosi, mostrando gli ingloriosi postumi di una
baldoria
male organizzata, ma lui non vide nulla e non sentì nessuno.
Spintonò un paio
di ragazzetti che gli intralciarono la strada ed uscì nel
giardino ormai
semivuoto.
-Cody!- ringhiò chiamando il
figlio.
Lui lo sentì. Ancora impegnato a
convincere tutti dell’opportunità di dileguarsi in
tempi rapidi. Mandò giù la
saliva e respirò a fondo, mentre Amy lo fissava
terrorizzata, girando lo
sguardo da lui al padre, ritto sulla soglia di casa. Poi Cody raccolse
il
coraggio e si mosse, nello stesso istante in cui anche sua madre
raggiungeva il
marito e lo fissava, rendendosi conto che era più furioso di
prima e che quindi
doveva essere successo qualcos’altro
rispetto a quando lo aveva lasciato pochi minuti prima.
-Papà, non è stata una mia idea!-
ammise rapidamente Cody.
-Anche la band non è stata una
tua idea?!- sibilò Brian spiazzandolo completamente.
Gli occhi di Cody si sgranarono,
spaventati, e lui girò attorno uno sguardo spaesato.
-Chi te lo ha detto?- mormorò
strozzato.
E quando mi vide apparire alle
spalle di suo padre, intercettò la mia espressione colpevole
e capì.
Lo sentii sospirare, tornando a
fronteggiare la rabbia di suo padre con aria rassegnata, ed io mi
sentii immensamente colpevole e
stupido. Cosa avevo creduto di fare
esattamente?!
-No, quella è stata una mia
idea.- confessò recuperando coraggio e dignità e
rimettendosi dritto di fronte
al padre.
Lui sembrò non riuscire nemmeno a
trovare le parole adatte per spiegare quello che provava. I suoi occhi
si
staccarono da Cody come se non ne tollerassero la vista e, mentre
Helena
tentava di farsi avanti e mettersi in mezzo, lui le fece cenno di non
intromettersi e ritornò a scrutare attentamente il figlio.
-…mi odi così tanto?-
realizzò
improvvisamente.
Cody si strinse nelle spalle e si
morse le labbra a sangue, ricacciando indietro quelle che erano lacrime
e che
vidi distintamente fare capolino sull’angolo delle sue
ciglia. Mi resi conto
che per lui quella serata doveva essere stata un autentico incubo ed io
avevo
appena fatto in modo che quell’incubo si concretizzasse nella
forma che lui
aveva sempre temuto di più.
-Te ne importa qualcosa?!-
ritorse bruscamente Cody quando fu certo di poter parlare senza che la
voce
vacillasse.
Suo padre annuì.
-Sta bene.- disse freddamente.-
Visto che ci tieni tanto ad avermi fuori dalla tua vita,
starò fuori dalla tua
vita per davvero.
***
In realtà, il senso esatto di
quella minaccia mi arrivò dritto e preciso
nell’attimo stesso in cui mio padre
la formulò.
Fu la sensazione di freddo e di
abbandono, che strinse alla pancia, a darmene la percezione. Lui si
voltò senza
aggiungere un’altra parola e, nel silenzio irreale di quel
piccolo pubblico di
spettatori che avevamo avuto, rientrò in casa senza voltarsi.
Sgombrai la villa con l’aiuto di
mamma, di Luke e di Amy. Mike venne a dirmi che lui e Gab andavano via
perché
avevano una cosa di cui discutere, era torvo come nei momenti peggiori,
quelli
in cui suo fratello combinava un disastro dei suoi. Sapevo che in
quelle
condizioni non mi sarebbe servito averli con me e, visto che Gab non si
era
fatto nemmeno vedere, mi limitai ad annuire. Mike non ritenne
necessario
scusarsi per aver portato Nicky e CJ alla festa ed io, del resto, non
me la
sentii nemmeno di rimproverarlo: ero perfettamente in grado di capire
da solo
che sarebbe potuto succedere quel casino e, come precisò mia
madre mentre
rimettevamo in ordine quel che si poteva del saloncino sul retro della
casa, la
responsabilità era completamente mia.
Luke in compenso si scusò un
milione di volte, cercando inutilmente di spiegarmi le proprie ragioni
– che si
perdevano da qualche parte nel discorso sconclusionato che la droga e
l’alcool
gli tiravano fuori dalla testa. Io cercai di rassicurarlo in modo
scarno del
fatto che non ero arrabbiato con lui. E non lo ero davvero, ma avevo
decisamente troppi problemi nell’immediato perché
anche lui entrasse a farne
parte e stavo ancora metabolizzando il senso esatto di quella serata e
dello
scontro avuto con mio padre.
Così Amy recuperò Luke e
salutò
mia madre quando tutti quanti ci rendemmo conto che non saremmo
riusciti a
combinare altro per quella notte. Io li accompagnai alla porta e li
salutai lì
e mamma mi aspettò pazientemente, a braccia conserte, in
fondo alle scale che
portavano al piano di sopra.
-Sai che stavolta non la passerai
liscia, vero?- mi disse.
Mi strinsi nelle spalle. Avevo
sonno, ero amareggiato, confuso ed arrabbiato. Non
m’importava davvero che lei
mi punisse, pensavo, anzi, che mi avrebbe aiutato a sentirmi meno
colpevole.
Ovviamente lei non mi punì
affatto. Mia madre non ha mai avuto difficoltà a capire
quello che mi frulla
nella testa.
Aspettai inutilmente che
continuasse, attendendo a capo chino che mi dicesse il modo in cui
avrei dovuto
scontare la mia bravata. Ma finì che semplicemente la sentii
sospirare e
sciogliere le braccia, sollevai gli occhi ed il suo profumo
m’investì, mentre
si piegava in avanti e mi baciava la fronte.
-Oramai sei grande, Cody,-
sussurrò accarezzandomi una guancia.- puoi assumerti la
responsabilità delle
tue azioni senza che io debba necessariamente sgravartene.-
affermò.
Rimasi fermo ai piedi della scala
guardandola mentre risaliva lentamente i gradini, badando a non fare
rumore per
non svegliare mio padre, che si era ritirato a dormire nello studio
come faceva
ogni volta che qualcosa andava male. Quando lei fu sparita nel
corridoio al
piano di sopra, io rimasi comunque lì con gli occhi puntati
sul buio che
l’aveva inghiottita e mi chiesi di cosa stesse parlando.
…ma in realtà ne ero già
consapevole.
Il pomeriggio del concorso si
aprì con Gab che frugava nel mio armadio.
-Easattamente: per quale ragione
devi essere tu a scegliere i miei vestiti?- obiettai io, mentre Gabriel
scartava abiti come fossero stati caramelle, gettando occhiate critiche
ad ogni
singolo capo che gli passasse sotto le dita o sotto gli occhi.
-Perché tu non sei in grado di
farlo.- mi spiegò in tono pratico. Continuando impietoso
mentre studiava
diversi paia di jeans a mio dire tutti uguali- Seriamente, Cody, tu non
hai
alcun gusto e, per quanto mi costi dare ragione a Mike,
l’immagine è
una necessità anche per le band rock.
Si voltò rapido e sfarfaleggiante
come suo solito e mi tirò addosso con indifferenza il paio
di jeans selezionato
ed una maglietta marrone.
-Il tuo…stile- decise con qualche
difficoltà arruffando il naso con aria palesemente perplessa
ed affatto
convinta.- è adatto ad un gruppo metal…o meglio
ancora grunge! Qualcosa che
gridi al mondo “siamo sfigati, ma molto intelligenti e
conosciamo verità
profonde della vita e dei rapporti umani che ci hanno segnato in modo
irreparabile…a cominciare dal nostro
abbigliamento”.
-Carino.- commentai io scansando
di lato i vestiti ed osservando Gab annuire con convinzione,
soddisfatto della
definizione appena coniata, e poi rigettarsi nell’armadio
aprendo i cassetti
alla rinfusa e sparpagliandone il contenuto all’esterno.
-Ora cosa cerchi?- tornai ad interrogarlo,
buttando un occhio, disinteressato, a pantaloni e maglietta al mio
fianco sul
letto.
-Gli accessori sono importanti quasi
quanto i vestiti.- mi rispose lui pazientemente, esattamente con il
tono che
avrebbe usato con un bambino.
Sfoderò dal cassetto qualcosa che
si aprì con uno schiocco poco rassicurante, liberandolo da
una matassa di
calzini, e poi lo fece sparire in una delle innumerevoli tasche che
adornavano
graziosamente i suoi di pantaloni. A quel punto passò
all’esame della
cassettiera di fianco all’armadio.
-Vuoi cominciare a vestirti o
devo farlo io?!- sbuffò mentre, spostandosi, notava il mio
atteggiamento poco
collaborativo.
A quel punto fui costretto a
sbuffare anch’io e tirarmi dritto, spogliandomi della maglia
che portavo ed
allargando quella che lui aveva scelto.
E che era marrone, estremamente
attillata, decorata con un paio di righine sottilissime azzurre e
bianche sulla
fascia dei pettorali e dotata di uno scollo a V e di un paio di maniche
cortissime e bordate di bianco. Quando me la ritrovai addosso,
appiccicata alla
pelle come se dovesse fondercisi e decisamente corta sullo stomaco, ne
afferrai
un lembo con aria poco convinta e tirai, osservandolo tornare al
proprio posto
irrispettoso di ogni mia volontà in senso contrario.
Corrugai la fronte ma
sfilai anche i jeans e misi quelli che Gab aveva preso: più
scuri di quelli che
usavo di solito, strappati sotto il ginocchio ed appena sotto il
sedere…bassi
in vita ed attillati sui fianchi da fare paura…
-…ma questa roba è mia?- mi domandai
seriamente puntando gli occhi in basso per studiare la fascia di pancia
che
usciva dai pantaloni e dalla maglietta.
Gab si voltò, afferrò la mia
immagine nell’insieme e mi scrutò con attenzione
per qualche momento, durante
il quale io pensai seriamente di strapparmi tutto di dosso. E cominciai
anche a
farlo, slacciando i jeans per sfilarli.
-Che cavolo fai?!- strillò
Gabriel afferrandomi prima che potessi mettere in atto i miei propositi.
-Mi rendo presentabile!- affermai
io categorico. E rimasi fermo mentre lui mi scansava via le mani da
cerniera e
bottoni solo perché mi accorsi di qualcosa di molto
più preoccupante.- Uh,
Gab!- gridai puntandogli un dito contro il viso.- Quella è
matita?!- domandai
terrorizzato.
-Sì.- rispose lui sempre con la
solita pazienza “adulta”, scuotendo la testa.
Sfilò dalla tasca il qualcosa che
aveva schioccato nell’essere liberato dal cassetto e dai
calzini ed io scoprii
che si trattava di una cintura a quadretti neri e bianchi di cui
ignoravo
totalmente l’esistenza e sicuramente la provenienza e che mi
si strinse attorno
alla vita soffocandomi insieme ai jeans stretti. Sbottai un fiotto
d’aria, ma
la cosa non valse ad impietosire Gab, che continuò
felicemente a strattonarmi
stringendo intorno ai passanti.
-Susu, sopravvivrai!- mi
rassicurò sorridendo amabile e strozzandomi subito dopo
nello stringermi al
collo un pendente d’oro e avorio che mia madre mi aveva
regalato al ritorno da
un viaggio di lavoro in Egitto e che non ricordavo nemmeno dove avessi
messo da
allora.
Forse avrei dovuto ringraziarlo
per averlo ritrovato, ma siccome rimasi completamente senza ossigeno al
cervello me ne scordai.
-Bene!- sentenziò Gab mollandomi
e facendosi qualche passo indietro per potermi osservare.
Puntò un dito alla
propria destra, in basso, ed indicò le scarpe a quadretti
neri e bianchi che
attendevano pazientemente di essere indossate.- Le Vans.-
specificò per
sicurezza.
-Sono scomode!- piagnucolai io.
-Perché ce le hai da tre mesi e
non le hai ancora messe una volta!- ribatté lui arrabbiato,
sollevando le mani
sui fianchi.- Dopo tutta la fatica che ho fatto per fartele comprare!
Sbuffai che la fatica l’avevo
fatta io a tollerarlo per un pomeriggio intero, dal quale ero tornato
con della
roba che non avrei mai utilizzato,
ma
mi trascinai fino alle scarpe e mi chiesi seriamente se anche maglia,
jeans e
cintura non fossero residuati bellici di quel pomeriggio di shopping.
No, ma
non mi ricordavo di aver preso niente del genere…quindi
dovevo averli comprati
in qualche altra occasione e per i fatti miei…Mia madre? A
volte ci provava a…
-…Aaah!- strepitai quando il
dolore che mi si espanse dalla radice dei capelli al resto del corpo mi
trafisse così forte da farmi dimenticare anche di formulare
il pensiero fino in
fondo.
Gab tirò uno scappellotto alla
mano che sollevai istintivamente a reggermi la testa e la
allontanò così dalla
spazzola con la quale stava impietosamente tirando le ciocche, nel
tentativo di
districarle.
-Ti capita mai di pettinarti?- mi
domandò intanto.- Che so, una volta al mese…
-Mi pettino sempre!- ribattei
stizzito.- Ogni volta che devo uscire. Ma non cerco di diventare calvo
quando
lo faccio.- aggiunsi riprovando a sollevare una mano per impossessarmi
dello
strumento di tortura che stava utilizzando contro di me.
Mi beccai un altro scappellotto,
ma decisamente più forte e dato con il piatto della
spazzola. Sbottai un “ahi!”
istericamente convinto e ritirai le dita, massaggiandomele e
soffiandoci su per
far passare il dolore. Gab non mi badò e raccolse
rapidamente l’intera capigliatura
in una coda bassa, che legò morbidamente con un elastico
nero.
-Voltati.- ordinò.
Ubbidii borbottando imprecazioni
a fior di labbra e mi ritrovai la faccia di Gabriel appiccicata alla
mia – ad
una distanza a cui la sua matita intorno agli occhi era ancora
più inquietante!
– che mi studiava con aria professionale.
Sospirò pesantemente,
socchiudendo gli occhi come se quella cosa gli costasse una fatica
enorme e
scrollò le spalle.
-O.k., ora sta fermo che ti
trucco.- mi annunciò.
-…cosa?
Il resto fu un inseguimento da
cartone animato tra i rimasugli dei miei vestiti, sparpagliati a terra,
la
poltrona accanto al letto, il letto stesso, la sedia della scrivania ed
il
mobile della TV. Gab continuava a ripetermi di fermarmi, invocando il
mio nome in
tono sempre più spazientito ed assicurandomi che quella cosa
andava fatta, che
tutti si erano sottoposti – Mike compreso – senza
fare tutte quelle storie e
che in fondo era solo un po’ di matita. Dal canto mio
sostenevo fieramente che
“in quanto maschio” non c’era nemmeno un
motivo valido per cui dovessi ritenere
che quella cosa “andasse fatta”, avrei protestato
fino alla fine dei miei
giorni, ed “un po’ di matita” era il
principio da cui si passava prima di
arrivare a…
Gab mi raggiunse e, complice uno
sgambetto ben eseguito, un dannatissimo pantalone della tuta e la borsa
della
piscina che non avevo ancora spostato da giovedì –
mamma mi raccomandava sempre
di essere ordinato – riuscì a schienarmi ed a
montarmi addosso. Afferrò nello
stesso momento una matita nera che teneva accuratamente riposta in
tasca e me
la agitò davanti al naso mentre ancora io mi difendevo con
le unghie – visto
che per ovvi motivi non potevo muovermi e provare a morderlo.
-Piantala, Cody! Stai facendo un
casino senza senso!- affermò Gab spazientito, ricacciando le
mie mani per
impedirmi di impossessarmi della matita e tentando inutilmente di
liberarsi
della loro presenza per poter raggiungere il viso.
-Non è senza senso!- strillai io
sconvolto.- Sto difendendo la mia virilità!
-Tu non hai una virilità.- mi
spiegò Gab scuotendo il capo.- Hai quindici anni! Come tuo
padre quando ne
aveva 26 con un po’ di trucco e di rossetto sembreresti una
graziosa…
-NON DIRLO!- ruggii sollevando di
scatto il busto e riuscendo quasi a rovesciarlo.
-Oh, insomma!- scattò lui,
abbattendosi sul mio petto per rischiacciarmi in basso.- È
una cosa che abbiamo
fatto tutti e puoi fare anche tu! Se tutto il gruppo è
truccato nessuno noterà
che lo sei tu in particolare,- argomentò- e comunque
è solo un po’ di matita!
Sbuffai imbronciato ma mi arresi
all’evidenza che lui non avrebbe mollato. Così mi
lasciai ricadere all’indietro
e rimasi buono mentre lui sorrideva e si sistemava tranquillamente
sulla mia
pancia per trovare la posizione più comoda e portare a
termine la propria
opera.
-Sai, è per quella cosa del nome
della band.- mi disse mentre litigava con le mie palpebre,
tutt’altro che ben
disposte all’idea di essere invase di colore e terrorizzate
dalla prospettiva
di una matita appuntita che gli si ficcava proprio
all’interno dell’iride. Mi
sforzai di rimanere immobile e con gli occhi aperti, ricacciando
l’immagine di
bulbi oculari sanguinolenti da dove era venuta.- Luke ha detto che era
un’idea
carina.- aggiunse felice come un bambino.
-Luke?- domandai io vagamente.
-Ahah.- ribatté Gab, tirandosi
dritto per vedere se la linea sulla palpebra superiore fosse venuta
come
voleva.
-…e tu e Luke…- indagai
discretamente, pensando che in effetti non gli avevo più
chiesto nulla di
quella storia.
Gab arrossì.
Fu una cosa strana vederlo
diventare rosso, scoppiai a ridere e lui protestò che se mi
agitavo avrei
finito per fare un disastro. Mi scusai rapidamente, soffocando le
risate e
rimettendomi buono mentre lui passava alla palpebra inferiore.
-È finita che ieri l’ho baciato.-
mi raccontò intanto.- L’ho trascinato in bagno
e…
-Fermati quando diventa a luci
rosse e mettici un “bip”, grazie.- richiesi prima
che fosse troppo tardi.
Lui ridacchiò e riprese con un
bel “bip” sonoro, al quale risposi sghignazzando
anch’io.
-Fatto sta che adesso stiamo
assieme.- continuò con semplicità cambiando
occhio.
-Oh.- commentai io stupito.
-Sì, Luke è venuto da me
stamattina facendomi tutto un discorso assurdo sul senso di quello che
era
successo ieri sera alla festa.- spiegò Gab perplesso,
sollevando le
sopracciglia.- Ha detto che lui non aveva voglia di essere con me come
tutti
gli altri, di usarmi come facevano gli altri…
-Quali altri?!- chiesi senza
capire.
-Ah, non so.- ritorse Gab.- Luke
si è messo in testa questa cosa che io sono una specie di
donzella di cui tutti
usano ed abusano liberamente.- disse.
-Sposta la matita.- chiesi io.
Gab fece come gli dicevo ed io
ricominciai a ridere, con lui che mi veniva dietro sogghignando
divertito.
Quando mi calmai tornò al proprio lavoro per completarlo con
la riga inferiore
all’occhio destro.
-Beh, fatto sta che mi ha detto
che lui a me ci tiene, che io gli piaccio e tanto e che, se volevo,
potevamo
stare assieme, perché a lui faceva piacere che io diventassi
il suo ragazzo.
-Non si era capito, Perrington.-
ridacchiai.
Gabriel annuì. Si sollevò in
piedi dicendomi di stare buono ancora un po’ ed io tirai un
respiro profondo
mentre lui raggiungeva il bagno e ne riemergeva poco dopo con la
boccetta del
gel in mano. Quando mi si sedette addosso un’altra volta,
ricominciai a
soffocare spiacevolmente.
-Questi vestiti sono stretti e tu
sei pesante.- affermai mentre lui armeggiava con il gel e con la mia
frangetta.
-Sì, ma tu sembri un cane
rabbioso e bisogna fare qualcosa per migliorarti o farai fuggire i
giudici del
concorso.- mi illustrò pacato lui, finendo di acconciare il
ciuffo in modo che
non mi finisse completamente sugli occhi ma fosse tirato di lato,
ordinato.-
Resisterà fino a stasera.- sospirò mentre
contemplava l’opera terminata.
Si tirò su chiedendomi se volessi
vedermi allo specchio, ma io risposi che se lo avessi fatto avrei
finito per
cambiarmi in fretta e furia e disfare tutta la sua sapiente opera di
parruccheria e maquillage, per cui era molto più sicuro
lasciarmi nella mia
beata ignoranza.
Gab sghignazzò, deridendomi
ferocemente, e scese per primo al piano di sotto, annunciando a gran
voce che
era stata dura ma era riuscito a rendere un essere umano anche me. Io
sbottai
un “vaffanculo” sentito, mia madre mi
apostrofò con un “Cody!” scandalizzato
uscendo
dalla cucina e poi scesi la scala e mi ritrovai in mezzo allo stupore
generale.
-Nyaaah!- commentò Amy con gli
occhi che le brillavano.- Cody, sei un figo! Ma quando è
successo?!- s’informò.
Pensai di mandare al diavolo
anche lei, ma siccome mia madre adesso mi stava di fianco e mi guardava
con
aria estasiata, ritenni che non sarei riuscito a sopportare di vederle
cambiare
repentinamente la propria espressione in quella da “mamma
è molto arrabbiata
per il tuo linguaggio, ragazzino”. Per cui mi astenni.
-Bah.- affermai imbronciandomi.
-Dio, no, Cody!- scattò Gab.-
Quella faccia da emo-boy levatela ora!-
mi ordinò.- Siamo una band rock seria, noi!
Amy e mia madre scoppiarono a
ridere e perfino Luke accennò una risatina, fissandomi di
sottecchi come se stesse
ancora decidendo quale dovesse essere la reazione giusta per quel
cambio di
stile.
-La volete piantare di prendermi
in giro?!- indagai furioso, sollevando una mano per scostare il ciuffo
di Gab,
che mi dava noia con la sua rigidità studiata.
Lui mi allungò una manata
elegante e mi fece capire con un’occhiata che mi avrebbe
ammazzato per molto
meno ed io desistetti.
-Andiamo, su.- ci incitò mia
madre intanto.- Faremo tardi. Cody, avvisa tuo padre che stiamo
uscendo, per
favore.- mi disse prendendo le chiavi della macchina dal mobile
all’ingresso e
precedendo il gruppetto mentre usciva con lei.
Io tornai sui miei passi,
correndo per quei pochi metri che mi separavano dallo studio, mi fermai
davanti
alla porta ed allungai le nocche per bussare. Dall’altro lato
arrivava musica
ad alto volume, una cosa molto meno tranquilla e piacevole di quella
con cui
mio padre lavorava di solito. Quando urtai il legno della porta, non mi
rispose
nessuno ed il suono si perse nel sottofondo musicale di chitarre che
stridevano
a tutto volume.
-Papà?- chiamai inutilmente. Mi
resi conto che dal giorno prima non ci eravamo neppure incrociati.
Sapevo che
non era uscito di casa, ma non aveva pranzato con noi, né lo
avevo visto in
giro per tutta la giornata.- Papà, noi andiamo
via…- provai a dire.
Ma quando mi rispose il silenzio
arrabbiato della musica, capii esattamente il senso di quello che mi
aveva
detto la notte precedente.
Nota di fine capitolo:
Capitolo lunghissimo che
preannuncia il termine della storia. Il
prossimo è l’ultimo, tuttavia non vi lasciamo a
bocca asciutta, cari lettori e
lettrici! è_é
Pronte per voi ci sono ben due
shottine, una ad opera della Lizzie ed
una ad opera della Nai.
Linkeremo gli indirizzi alla fine
del prossimo capitolo, così che
possiate raggiungerle con facilità ^_^
Nel frattempo, approfittiamo per
ringraziare Chemical_kira, Ginnyred e
Martunza per le recensioni e per l’affetto, speriamo che la
storia vi sia
piaciuta fin qui! XD
Un bacio ed alla prossima!
|
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Capitolo 9 *** IX ***
Cody non
disse nulla per tutto il
viaggio fino al teatro. Sua madre gli chiese se avesse avvisato il
padre, lui
rispose un “sì” sforzato e si chiuse nel
mutismo più assoluto subito dopo,
fissando ostinatamente lo sguardo fuori dal finestrino. Amy, che gli
sedeva di
fianco, gli si strinse protettiva addosso ed io gettai
un’occhiata a tutti e
tre - lei, Cody e Gab – attraverso lo specchietto
retrovisore. Gabriel se ne
accorse e si strinse nelle spalle, facendomi capire che era normale e
che gli
sarebbe passata, ma che anche lui non ne sapeva più di me.
Quando arrivammo al teatro dove
si sarebbe tenuto il concorso, comunque, la cosa sembrava essere
rientrata.
Helena ci lasciò davanti la porta sul retro e ci disse che
non sarebbe stato il
caso che il gruppo si presentasse lì con “la
mamma”, ridendo diede ai ragazzi
un “in bocca al lupo” e si allontanò per
raggiungere l’ingresso principale. Io
ed Amy fummo autorizzati a passare con Cody e Gab, invece, e trovammo
Vale,
Fran e Mike che girellavano nervosamente nel backstage pieno zeppo di
ragazzi
di qualunque età.
A quel punto la mia
preoccupazione per Cody, così come quella per
l’esibizione, vennero
momentaneamente cancellate da una preoccupazione più seria
ed immediata, che mi
si presentò sotto forma di Mike. Lui mi afferrò
per la collottola appena mi
ebbe a portata di mano – e con l’altra
afferrò egualmente Gab, che rise felice
come se si fosse trattato di un innocente nuovo gioco.
Cosa che palesemente non era, a
giudicare dalla faccia fosca di Mike.
Poi ci trascinò entrambi in un
angolo riparato e ci puntò addosso un dito a testa per
inchiodarci al nostro
posto.
-Tu!- cominciò rivolto a me.
Deglutii ed annuii freneticamente rispondendo all’appello.-
Se ti azzardi anche
solo a pensare di fare del male alla piattola e rispedirmela a casa
piangendo
come una femmina a trapanarmi orecchie e coglioni…
Lasciò ad intendere gli effetti
che tutto questo avrebbe provocato su di me, io capii perfettamente e
mi
affrettai a scuotere la testa ed a giurare e spergiurare che non
intendevo far
soffrire Gab per nessun motivo al mondo.
Mike non mi ascoltò e si girò ad
un fratello che sfoggiava la propria espressione più idiota
e faceva le fusa
contento come un gatto a cui sia appena stato regalato un gomitolo
nuovo.
-E tu!- chiamò anche lui, che
squittì un assenso gioioso e spalancò sul
fratello due occhi immensamente
grandi e belli, sottolineati dalla matita scura.- Sapevo che ti saresti
giocato
gli ultimi barlumi di cervello ancora rimasti attaccati alla radice dei
capelli, continuando a spazzolarli!- affermò cattivo.- Ma
porca puttana Eva,
Gab! o.k. abbassarsi al suo livello, ma potevi astenerti almeno
dall’abbassarti
al livello del suo cazzo!
-Dio, come sei volgare!-
cinguettò Gab come se la cosa lo divertisse profondamente e
ridacchiò felice
come non mai.
Mike sospirò affranto, gettandomi
un’altra occhiata feroce che mi fece sbiancare e decidendosi
a mollarmi senza
minacciarmi un altro po’ solo perché qualcun altro
intervenne, distogliendo la
sua attenzione.
Il “qualcuno” fu annunciato dallo
strillo inconsulto e terrorizzato di Cody, che mi vidi passare davanti
rapido
come un turbine per fiondarsi ad abbracciare il nuovo arrivato,
arrampicandoglisi – letteralmente – addosso ed
attaccandoglisi al collo con un
disperato “zio Stefan! Portami via da qui! cosa diavolo ci faccio io
qui?!”, che l’uomo accolse ridendo e passandogli
attorno alla vita un braccio
che lo aiutasse a sostenersi.
-Ti sei truccato?- notò
distrattamente Stefan Olsdal, gettando uno sguardo critico agli
occhioni del
suo pupillo che lo fissavano tremanti.
-E questo è niente!- sbottò lui
stravolto, sciogliendosi dall’abbraccio, facendo un passo
indietro ed
additandosi.- Guarda come sono vestito! Questi vestiti sono troppo piccoli per starmi!
-Io direi che ti stanno benissimo.-
rise Stefan, infilando le mani in tasca.
-Argh!- fu l’unico suono
articolato che uscì dalla gola di Cody.
Stefan rise ancora, battendogli
una pacca sulla schiena con fare rassicurante.
-Su, cucciolo, è solo un po’ di
sano panico da palcoscenico.- affermò spiccio.-
Passerà appena avrai la tua
chitarra tra le mani. All’inizio lo faceva anche tuo padre e
noi lo deridevamo
dicendo che aveva bisogno della sua coperta di Linus…-
ricordò.
-La chitarra, sì!- sberluccicò
Cody come se Stefan avesse pronunciato una parola magica e si
voltò a cercare
lo strumento, ordinatamente posato in un angolo.- Guarda
com’è bella.- sussurrò
con aria sognante ed atterrita insieme.
-Mi fa paura.- affermai io,
mentre con Mike e Gab assistevamo alla scena in silenzio.
-Sì.- convenne Mike senza
guardarmi.- È pazzo.- affermò poi, arricciando il
naso non troppo convinto.
-…beh…è Cody…-
sminuì Gab,
nemmeno lui eccessivamente sicuro.
-Tu devi essere Luke.- mi disse
intanto Stefan, avvicinandosi a me mentre Cody trotterellava a
controllare la
chitarra più da vicino. Io mi stupii non poco nel sentirmi
chiamare per nome ed
annuii meccanicamente, sollevando la testa per riuscire ad incrociare
gli occhi
con i suoi e spingendo in avanti una mano a stringere quella che mi
veniva
tesa.- Helena ha detto che sei un nostro fan.
-Sì.- ammisi semplicemente.
-Beh, grazie.- sorrise lui
gentilmente, facendomi arrossire imbarazzato.-
Dov’è Amy?- s’informò poi,
voltandosi a cercare la ragazza in mezzo alla piccola folla che
occupava il
backstage. I loro sguardi s’incrociarono e Stefan la
salutò ed invitò ad
avvicinarsi con un cenno rapido del braccio. Amy annuì
camminando nella nostra
direzione.- Noi dobbiamo andare a sederci.- spiegò Stefan
rivolgendosi sia a me
sia a Mike e Gab.- Volevo augurarvi in bocca al lupo prima che
cominciaste.-
aggiunse poi.
-…crepi…- borbottò
torvamente
Mike ed io lo guardai e capii che era parecchio nervoso anche lui,
sebbene non
reagisse istericamente come Cody,
Sbuffai un sorrisetto, che Gab
intercettò e mi ricambiò con discrezione,
intuendone le ragioni. In fondo era
umano anche il perfettissimo Michael Peirce.
Stefan, Amy ed io ci affrettammo
a salutare Vale, Fran ed un redivivo Cody, che sospirò
pesantemente mentre
Stefan gli raccomandava di mantenere il sangue freddo fino
all’ingresso sul
palco e gli assicurava che lassù sarebbe sparito tutto. Lui
biascicò un
consenso che di sicuro non gli veniva tanto dal cuore quanto
più che altro
dalla pancia, e si affiancò agli altri salutandoci a sua
volta.
In platea Helena ci aspettava,
già sistemata nei posti che ci erano stati riservati e che
io ed Amy occupammo
sedendoci affiancati. Stefan si mise accanto ad Helena ed io buttai
un’occhiata
al posto vuoto al fianco della donna, che Amy aveva accuratamente
evitato di
occupare e che immaginai avrebbe dovuto essere del padre di Cody.
Sospirai,
rimettendomi dritto, e mi ritrovai lo sguardo chiaro e luminoso di Amy
che mi
studiava in silenzio.
-…cosa?- le chiesi perplesso.
Lei ridacchiò sorniona.
-Non dovresti mai sottovalutare
le persone.- affermò pacatamente.- Né
sopravvalutarle. Si resta ugualmente
delusi e si fa del male senza motivo.- spiegò.
-…che intendi dire?- mormorai io
senza capirla davvero.
Amy indicò la fila esterna di
poltrone ed io mi voltai a cercare cosa avesse attirato la sua
attenzione per
riconoscere Brian Molko farsi elegantemente spazio e raggiungerci in
breve,
lasciandosi cadere al fianco di Stefan.
-A casa facciamo i conti, io e
te.- sussurrò all’amico, senza neppure guardarlo
in faccia.
Stefan rise, anche lui fissando
solo il palco davanti a sé.
-Non ho mai avuto paura di te in
tanti anni, non sperare di riuscire a farmene adesso.- lo
rimbeccò pacatamente.
-E questo ti autorizza a
sostenere tutte le stronzate di Cody?- s’informò
piatto Brian. Ma il suo
sorriso divertito ci fece capire in fretta quanto poco seriamente
stesse
protestando.
Ed infatti Stefan rise.
-No, il mio ruolo di “zio” e di
padrino mi autorizza a farlo.- rispose paziente.
Brian sia accontentò di quella
risposta. Rimase in silenzio, sbuffando divertito mentre le luci si
abbassavano
ed il palco veniva occupato dalla prima band del concorso, accompagnata
da un
ometto insignificante che presentava la manifestazione. La musica
riempì il
teatro, le file ordinate del pubblico si levarono in piedi ed
iniziò il più
grosso e divertente casino al quale
abbia mai preso parte nella mia vita.
I ragazzi non vinsero. La loro
canzone era la più bella, ma era talmente complicata e
difficile che non mi
stupì vederla sorpassare da motivi decisamente
più orecchiabili e commerciali.
Loro non se la presero davvero, gli bastò partecipare
– anche se Mike minacciò
il resto della band di morti atroci e sofferenti, perché era
chiaro che se
avevano perso era tutta colpa loro.
Ed in particolare di Cody.
Anche se il motivo restava un
mistero, ma l’affermazione bastò a scatenare un
accenno di rissa, sedato
dall’arrivo degli adulti all’uscita del backstage.
***
Mio padre mi aveva chiesto da
quanto esattamente avessi iniziato
a studiare
la chitarra. Io avevo risposto che non la studiavo affatto, che
improvvisavo da
bravo autodidatta e suonavo praticamente ad orecchio. Lui a quel punto
sbraitò
che era inconcepibile e che dal giorno dopo avrei dovuto passare almeno
due ore
con lui ad imparare la tecnica! Era chiaro, aggiunse, che se facevo
così schifo come
chitarrista il motivo non
poteva che essere la mia totale ignoranza in materia. Lo mandai al
diavolo, mia
madre mi ammonì con un “signorino!”
scandalizzato che mi fece fare rapidamente
marcia indietro, e papà rise.
Sbuffai, accoccolandomi sul
sedile posteriore della macchina. Luke era tornato a casa con Gab e
Mike, che
l’autista di famiglia era venuto a prendere
all’uscita del concerto per
accompagnare a cena dai nonni. Zio Stefan aveva detto che doveva
rientrare e
che sarebbe passato con calma il giorno dopo, così che
papà potesse fargli la
scenata che si conveniva. Fran e Vale era tornati a casa ognuno
autonomamente.
Ci eravamo salutati sotto il teatro, io mi ero sentito un po’
deluso dal
risultato ma non aveva voluto fare eco ai rimbrotti poco credibili di
Mike ed
avevo lasciato che quella sensazione scivolasse via in fretta, traendo
conforto
dalla presenza solida della chitarra sulla mia spalla. Mi era
dispiaciuto
separarmene, quando avevo dovuto sistemarla nel bagagliaio, mi ero
rintanato in
fretta in macchina, alla ricerca disperata di un angolo caldo e comodo
in cui
arrotolarmi insoddisfatto.
Lasciammo Amy davanti il cancello
di casa propria, lei salutò compitamente e mio padre le
rispose per tutti.
Chiamandola per nome. Così il sorriso di Amy si
allargò appena e lei rientrò
rapida, sparendo dietro il muro di cinta della villa.
Posteggiammo davanti al garage e
mamma scese per prima, dicendo che andava a controllare se Magda aveva
già
preparato la cena. Io scaricai la chitarra mentre papà
chiudeva la macchina.
Quando feci per seguire mamma
dentro, lui mi si affiancò e mi strinse a sé,
passandomi un braccio attorno
alle spalle, in un gesto così inaspettato che rimasi
disorientato e non ebbi la
prontezza di sciogliermi da quel contatto come facevo di solito. Anzi.
Sospirai
e mi lasciai ricadere senza forze contro di lui, lasciando che mi
guidasse
dentro.
-Possiamo lavorarci su.- borbottò
intanto, rudemente.- Ma direi comunque che ho ragione ad essere
così fiero di
te.
Lo fissai di sottecchi, ma lui
non mi guardò e non disse altro, chiuse la porta della
cucina dietro di noi –
litigando con la serratura rotta – e sbottò contro
mia madre che avremmo dovuto
deciderci a farla riparare. Lei, che stava finendo di aiutare Magda ad
apparecchiare, ritorse quietamente che l’avevamo
già fatta riparare
innumerevoli volte e continuava a rompersi comunque. Io uscii dalla
stanza
ridendo e salii a posare la chitarra al piano di sopra.
La mattina dopo mi svegliai per
primo. Scesi sbadigliando le scale, sentendo un rumore sordo e
discontinuo che
veniva dalla cucina. Sbadigliai ancora, grattandomi la testa che mi
prudeva
ferocemente dopo la cura di Gab a base di gel, entrai e mi fermai
sorpreso
sulla soglia.
-Papà?- chiamai fissandolo mentre
armeggiava con attrezzi e serratura della porta esterna.- Cosa stai
facendo?-
m’informai.
-Mica possiamo tenerla rotta in
eterno!- affermò lui sollevando gli occhi su di me.
-…tu non sei capace di fare
lavori in casa.- notai io.
-Sì, infatti.- ammise senza
problemi.- Quindi dovrò decidermi ad imparare. Prepara la
colazione, ragazzino,
non è che puoi lasciare sempre che sia tua madre a doversi
occupare di tutto.-
mi redarguì dopo.
Sorrisi, fissandolo ancora un
momento mentre smontava completamente la serratura solo per ritrovarsi
a
fissarla perplesso senza capire cosa fosse esattamente. Sarebbe stato
un
disastro.
Più o meno come il mio pancake.
Avevamo talmente tanto da imparare tutti e due…
“My
Father’s Eyes”
2008
Easily Forgotten Love
Nota di fine capitolo
Termina
così la piccina.
Come promesso di
seguito ci sono due link:
Simple
Kind of Lovely di Lisachan. Splendida. Fidatevi
ù_ù
Sweet,
Sugar, Candy Man
di Nai...beh, questa potete pure risparmiarvela XD
Si tratta di due spin
off – one shot che abbiamo scritto io e Liz,
l’ordine in cui devono essere
letti è quello in cui ve li ho linkati,
l’argomento di entrambi è “Luke e Gab
ed il “tragico” inizio della loro storia
assime”.
…più o
meno…
Spero che vi possano
piacere ^_^
Approfitto per fare un
saluto a tutti coloro che ci hanno sostenuto in questi mesi:
a Chemical_Kira
ad Erisachan
a Ginnyred
a Stregatta
a Fteli
ed infine *ma non
ultima nel nostro cuoricino* a Martunza
Grazie di cuore per
tutto l’affetto, ragazze, spero che ci rincontreremo su altre
storie ed intanto
un bacio enorme a tutte da parte mia e da parte di Lisachan!
Nai
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