Domande a trabocchetto

di miseichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***






Domande a trabocchetto

 

 

 

 

Andrea sapeva molte cose. 
Sapeva che mancava decisamente troppo poco tempo al Natale. Come era possibile che mancasse già così poco al Natale? Sembrava ieri che quella dannata, dolorosissima scottatura sulla spalla lo aveva costretto a rinchiudersi in casa per tre giorni. 
Sapeva che fuori c’erano esattamente dodici gradi. Precisi. Stando all’insegna luminosa della farmacia di fronte, almeno. Non che ci fosse da fidarsi troppo, a pensarci bene. Non era proprio quella la farmacia in cui andava a rifornirsi Gennaro?
Sapeva che aveva il naso gelato, una sete assurda, voglia di caramelle alla fragola e nessun desiderio di salire al terzo piano per andare a sostenere l’esame. Oh, e sapeva anche di essere fatto. Fatto nel senso di fumato. Fatto nel senso di drogato. Quel senso lì, sì. Il tipo di senso che comporterebbe... comporterebbe? Esisteva il verbo ‘comportare’? 
“Com’è il caffè?”
Andrea si girò lentamente e chiese, senza pensare, “Quale caffè?”
Lo sguardo dell’altro ragazzo si fece più attento, poi un sorriso gli piegò le labbra. 
“Quello che stai bevendo.”
“Oh,” sorrise a sua volta Andrea, ricordandosi improvvisamente di aver di fatto ordinato un caffè. “Non lo sto bevendo.”
“Perché è il bar dell’università ed è terribile?” 
Sorridevano ancora entrambi, ma Andrea avrebbe giurato che quello dell’altro fosse più che altro un sogghigno. Divertito, certo. Malefico, più di tutto. 
“Non mi piace il caffè,” si ritrovò a spiegare, incapace di star zitto. “Non capisco perché la gente si ostini a berlo quando esistono altre bevande come il tè, la cioccolata calda o... oh, sai che con questo freddo una bella cioccolata calda ci starebbe proprio bene?”
“Perché non hai ordinato quella allora?”
Andrea ci pensò. “Non lo so. Non ricordavo nemmeno di aver ordinato un caffè, a voler essere del tutto sincero. Almeno non prima della tua domanda.”
“Io sono Flavio, comunque.”
“Ci dev’essere stato un motivo, però,” rifletté Andrea, inclinando leggermente il capo. Gli aveva appena detto il suo nome, per caso? Perché mai si era presentato mentre cercava di ricordare cosa ci faceva con una tazza di... Fu a quel punto che notò i guanti. 
“Sono ossa umane!” eruppe, deliziato. 
Lasciò andare la tazza e afferrò la mano destra dell’altro ragazzo. “Guanti con delle ossa umane disegnate sopra. Le ossa della mano.” 
“Ti rubo il caffè,” mormorò Flavio, appropriandosi della tazza abbandonata. 
Andrea annuì appena, completamente indifferente alla questione. C’erano delle ossa. Su dei guanti. Guanti con delle ossa sopra.
“Dove li hai presi? Devo assolutamente averli anch’io.”
“Cinque.”
“Cosa?”
“Il caffè. Un cinque, niente di più,” scosse il capo Flavio, deluso. “Non raggiunge neanche la sufficienza, temo.”
Andrea accarezzò il guanto, apprezzandone la morbidezza, e intrecciò automaticamente le dita a quelle dell’altro. “Oh.”
Flavio incrociò il suo sguardo perso senza tuttavia liberare la mano. “Cosa?”
“Ho dimenticato i miei guanti a casa.”
“Errore da non poco, considerando il freddo.”
“No!” si entusiasmò Andrea, agitando le loro mani unite con un unico, fluido movimento. “Ecco perché ho ordinato il caffè: per scaldarmi le mani visto che avevo dimenticato i guanti a casa.”
La risata dell’altro lo colse di sorpresa.
Una risata dolce, gentile, assolutamente adorabile. 
Andrea lo guardò e pensò che lui era proprio come la sua risata. 
“Che c’è di divertente?” domandò, costringendosi a liberare la mano e ad arretrare di un passo. 
“Tu,” rispose l’altro, sincero. “Sei esilarante. Ed è decisamente troppo che non mi fumo una canna.”
Andrea spalancò gli occhi. “Io non...”
Flavio scosse la testa, l’espressione saputa e rilassata. “Devo andare.”
“Non mi hai lasciato spiegare.”
“Perché sono una persona premurosa,” rispose lui. 
Andrea pensò fosse una risposta incomprensibile. 
Lo guardò allontanarsi in direzione delle scale e sospirò. Doveva farle anche lui quelle scale. Doveva arrivare al terzo piano, miseria nera. Senza contare che di lì a un’ora l’esame sarebbe iniziato e lui...
“Non sapevo conoscessi D’Aguanno.”
Andrea si girò verso Martina. 
“Questo caffè fa schifo,” disse lei. 
“Dovete smetterla di bere il mio caffè.”
“Tu non bevi caffè.”
“E ciò non impedisce a voialtri di berlo.”
Martina assottigliò lo sguardo e lo afferrò per un lembo della giacca. “Sei fatto.”
“No.”
“Non era una domanda, caro.”
“La risposta è comunque no.”
“Sei adorabile quando sei fatto, lo sai?”
Andrea chiuse gli occhi, esausto. “Chi è D’Aguanno?” 
“L’assistente con cui stavi parlando.”
Andrea sentì un brivido lungo la schiena e pregò di aver capito male. 
“Come, scusa?” chiese con un filo di voce, obbligandosi ad aprire gli occhi. 
“Martinetti verrà solo nel pomeriggio,” spiegò Martina, scandendo lentamente le parole. “Fino alle due ci sarà solo D’Aguanno, l’assistente con cui stavi parlando.”
Andrea annuì, un sorriso isterico a piegargli le labbra. 
Ora sapeva un’altra cosa, pensò. 
Sapeva di essere incredibilmente fottuto. 

 

***







 

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***






Domande a trabocchetto

 

 

 

 

Flavio era fondamentalmente miope. 
Per questo, quando quel ragazzo in particolare prese posto di fronte a lui, sperò ardentemente che la vista gli stesse giocando un brutto scherzo. 
“Pagano?” chiese con un filo di voce. 
“Proprio io.”
Chiuse gli occhi e prese un bel respiro, affrettandosi a ricontrollare la lista. 
Pagano. Pagano Andrea.
“Tu sei Pagano Andrea?” domandò di nuovo, così, tanto per essere sicuro. 
“Sì.”
Flavio si tolse gli occhiali e prese a massaggiarsi la fronte, improvvisamente esausto. 
Lanciò un’occhiata veloce all’aula prevalentemente vuota e prese il coraggio a due mani. 
“Ti sei bevuto il cervello?!” sibilò, poggiando i gomiti sulla scrivania. 
“Prego?”
“Con che coraggio vieni a sostenere un esame dopo esserti fumato uno spinello?”
Andrea arricciò le labbra, l’espressione offesa. 
“Chi ti dice che mi sia fumato uno spinello, eh?” sbottò, incrociando le braccia al petto. 
Flavio inclinò il capo e si concesse un sorriso. 
“Non ricordavi di aver ordinato un caffè.”
“Potrei semplicemente avere una pessima memoria,” borbottò Andrea. “O che so, essere il tipo di persona che non comincia davvero a funzionare prima delle nove di mattina.”
“Sono le dieci e un quarto.”
“E questo ora cosa c’entra?!” si accalorò lui, sgranando gli occhi. 
Flavio sospirò. Non poteva trovarlo adorabile, si sgridò mentalmente. 
Davvero non poteva. 
“Senta, Pagano, mi spiace dirle che...”
“Cosa?”
“Cosa, cosa?”
“Perché sei passato al cognome? E al lei?”
“Perché sei uno studente,” mugugnò Flavio. 
“Sì,” concordò Andrea. “E fino a tre secondi fa stavamo flirtando a meraviglia.”
Gli sfuggì un guaito. 
“Oh, per l’amor del cielo!” ringhiò. “Nessuno stava flirtando con nessuno.”
“Hai bevuto il mio caffè,” gli fece presente Andrea, inarcando un sopracciglio. 
“Perché a te non piace il caffè!”
“Oh. Come lo sai?”
Flavio scosse impercettibilmente il capo, disperato. 
“Non puoi stare qui.”
“Qui? Il qui è molto generico. Questa sedia in particolare o...?”
“Qui in quest’aula.”
“Ora stai diventando cattivo.”
“Non puoi sostenere questo esame,” scandì Flavio, serio. 
“Certo che posso,” esclamò Andrea, alzando la voce. “Mi sono prenotato online, ho firmato la presenza all’entrata, ho studiato, sono qui, sono seduto, sto parlando con te. Io sto sostenendo questo esame.”
“Non funziona così.”
“Ah, no?”
“Sono abbastanza sicuro dell’esistenza di una regola che impedisce agli studenti di sostenere un qualsivoglia esame dopo aver fumato.”
“Fumato in generale o con particolare attenzione agli spinelli?” chiese Andrea, pensoso. 
Flavio assottigliò le labbra. Cazzo, pensò, dannatamente adorabile.
“Aspetta... ma è una regola scritta o non scritta? Cioè più tipo i comandamenti o il Fight Club?”
“Stai delirando,” lo informò pacatamente Flavio. 
“No,” corresse Andrea. “Sto sostenendo un esame.”
“Senti, davvero, non posso esaminarti. Non quando so... quello che so.”
Andrea avvicinò la sedia alla scrivania. 
“Devo dirti una cosa.”
Flavio pensò che era una brutta idea avvicinarsi. Pessima. Tremenda. 
“Dimmi,” mormorò, allungandosi sul tavolo. 
“Questo è il mio ultimo esame.”
“Ah.”
“Studio da mesi. Faccio il conto alla rovescia. Studio ancora. Conto alla rovescia. Poi un altro po’ di studio e infine eccomi qui. Sono stato chiaro?”
“Questo è il tuo ultimo esame.”
Andrea agitò convulsamente le mani, lo sguardo luminoso: “Proprio così.”
“Perché allora hai fumato un dannatissimo spinello prima di venire qui?”
Andrea sgranò gli occhi e arretrò di scatto. 
“Che cosa?!”
Flavio si prese la testa fra le mani. 
“Io non ho fumato! Mi credi forse pazzo?”
“Ti credo fatto,” sorrise appena Flavio. “Totalmente diverso.”
“Non ho fumato, davvero.”
“Come spieghi allora che...”
“Gennaro.”
Una risatina giunse dal fondo dell’aula e Flavio si raddrizzò di colpo, inforcando gli occhiali, bruscamente riportato alla realtà. 
Guardò l’unica ragazza presente e aprì la bocca per dire qualcosa. Scusarsi? Doveva scusarsi o cosa? Oh, signore, in che guaio...
“Cane sull’autostrada.”
Riportò l’attenzione su Andrea. “Cosa?”
“Hai l’espressione terrorizzata,” sorrise quello. “Qual è il problema?”
Non avrebbe dovuto rispondere. Doveva limitarsi a cacciarlo a calci dall’aula e terminare la sessione di esami così da... accennò con il capo alla ragazza. 
“Oh, Martina!” annuì Andrea. “Che problema hai con lei?”
“La conosci?”
Andrea annuì. 
“Certo che mi conosce,” sospirò Martina. “Sopporto l’idiota da quattro anni a questa parte!”
Flavio non permise al proprio corpo di rilassarsi. 
“Signorina, mi scuso per il mio comportamento e per l’inappropriato...”
“Oh, per carità,” lo fermò lei, agitando una mano. “E’ il suo ultimo esame, si limiti a dargli l’ennesimo ventisette e facciamola finita.”
“Ventisette va benissimo,” approvò Andrea. “Adoro quel numero.”
“Non posso semplicemente metterti un ventisette sul libretto.”
Andrea inspirò di colpo, basito. “Perché no?”
“Sai almeno che esame stai sostenendo?”
“L’ultimo.”
“Materia?” insisté Flavio, gli angoli della bocca inevitabilmente piegati all’insù. 
“Linguistica,” roteò gli occhi Andrea. “Quale parte di ho effettivamente studiato non ti è chiara, scusami?”
“Linguistica Italiana, Generale o Applicata?”
Flavio vide chiaramente le spalle dell’altro irrigidirsi e gli sfuggì un sogghigno. 
Non sarebbe riuscito a trattenerlo in nessun modo. Nessuno. 
“Cribbio,” borbottò Andrea. “E’ una domanda a trabocchetto?”
“No,” sospirò Flavio, scuotendo la testa. 
“Passo.”
“Passi?”
Andrea annuì. “Prossima domanda.”
“Chi è Gennaro?”
“Mmm,” continuò ad annuire, imperturbato dal cambio di discorso. “Il mio coinquilino.”
“E perché stavi parlando di lui?”
“Io? Sei stato tu a nominarlo.”
Flavio gemette. 
“Stavi dando la colpa a Gennaro,” arrivò il suggerimento di Martina. 
“Oh! Certo che stavo incolpando lui!” approvò Andrea. “Ha cucinato lui la torta.”
Flavio inarcò le sopracciglia. 
“Già,” insisté Andrea. “Quel grandissimo cretino. Quante volte gli ho detto di avvertire? Ma no, lui prende e continua tranquillamente ad aggiungere erba ovunque.”
“Torta con ripieno di erba?”
“Ottima, ti assicuro.”
“Forse l’aveva preparata per festeggiare una volta che avessi dato l’esame,” considerò Martina, mordicchiando il tappo della penna. 
Andrea schiuse le labbra. “Oh.”
Flavio maledisse Martinetti per averlo messo in quella situazione. 
“Oh, che gesto premuroso. Gentile. Dolce!” tirò su col naso Andrea, gli occhi lucidi. “Lo devo proprio ringraziare, che tesoro che è stato.”
“Anche se non passerai l’esame?”
“Prego?” scattò Andrea, fulminandolo con lo sguardo. “Certo che passerò il mio ultimo esame. Tanto più che ho studiato e non ho fumato di mia volontà. Mi hanno...” sorrise non appena la consapevolezza lo raggiunse. “Mi hanno drogato!”
Martina ridacchiò deliziata. 
“Mi hanno drogato, per l’amor del cielo.”
“Toccante.”
“Vero? Nessuno, dico nessuno, potrebbe rifiutarsi di convalidare l’ultimo esame a un povero studente che è stato perlopiù drogato.”
“Nessuno,” annuì Flavio. Semplicemente adorabile. 
Andrea sollevò lo zaino dal pavimento e cominciò a frugarvi all’interno. 
“Ora. Mi metti questo ventisette?” chiese, porgendogli il libretto universitario. 
Flavio scorse le pagine, i numerosi esami e sorrise a ogni ventisette. Adoro quel numero.
Era davvero il suo ultimo esame, considerò arricciando le labbra. 
Senza contare che il povero ragazzo era stato effettivamente drogato. 
E che, cosa più importante, lo stava guardando con dei magnifici occhioni da cucciolo. 
“Ti prego,” sussurrò Andrea.
Firmò il libretto. 
Lo fece così in fretta da non dare al cervello neanche il tempo di realizzare l’azione. 
Firmò il libretto, lo riconsegnò all’estasiato proprietario e sospirò. 
“Signorina, lei deve sostenere l’es...”
“Oh, no. Sono qui solo come testimone e supporto morale.”
“Perfetto,” sorrise Flavio, riportando lo sguardo sull’altro ragazzo. 
“Ventisette,” mormorò a mezza voce Andrea. “Ho preso ventisette al mio ultimo esame.”
“Del tutto meritato, ovviamente.”
“Ovviamente. Assolutamente. Decisamente. Indubbiamente.”
Martina comparve al suo fianco e gli scoccò un bacio sulla guancia. 
“Complimenti vivissimi! Ci vediamo stasera per festeggiare?”
Andrea annuì senza guardarla. “Certo.”
“Ringrazia il gentilissimo assistente, da bravo.”
“Oh,” sussultò Andrea, sollevando finalmente lo sguardo dal libretto. “Grazie!”
Flavio si alzò in piedi, un sorriso sulle labbra, pronto a stringergli la mano. 
“Grazie, davvero,” ripeté Andrea, gettandogli le braccia al collo. 
“Piano,” mormorò Flavio, strozzato. 
“Grazie, grazie, grazie!” lo ignorò Andrea, quasi arrampicandosi sulla scrivania, le labbra praticamente attaccate al suo orecchio. “E poi, ora che posso dirlo...”
Flavio smise di muoversi, quasi di respirare. 
“Ho una fissa per i tipi con gli occhiali,” sussurrò Andrea. “Non sai quanto mi sono dovuto impegnare per non saltarti addosso prima. Dovevi darmi l’esame solo per quello.”
Flavio sgranò gli occhi, senza parole. 
“Di solito non è così sfacciato,” lo rassicurò Martina. “E’ lo spinello a parlare, credimi.”
“Vero,” convenne Andrea, lasciandolo andare e ricomponendosi. 
Aveva le guance scarlatte, notò Flavio. E che fosse dannato se ciò non lo rendeva ancora più... adorabile. Chiuse gli occhi, maledicendosi. 
“Sempre grazie,” disse Andrea, arretrando di qualche passo. 
Seguì Martina, già vicina alla porta. Flavio aprì gli occhi e lui arrossì di nuovo. 
“Allora, io vado. Sì, ora, prima che tu possa in alcun modo cambiare idea,” gli sorrise, vago. “Anche se, a onor del vero, sono veloce. Non riusciresti mai a mettere di nuovo mano al mio libretto e certo non...”
“Mi offri una fetta di quella famosa torta?”
Andrea si zittì. Allucinazioni uditive, considerò. Oh, questa era una novità. 
Flavio inarcò un sopracciglio e indossò la giacca. “Per festeggiare,” aggiunse, deciso. 
“Vuoi... una fetta di torta?”
“Di quella torta.”
“Quindi,” tentennò Andrea, indeciso. “Sicuro? Voglio dire, la torta è a casa e...”
“Strada facendo ti porto in quel negozio, se vuoi.”
Andrea spalancò gli occhi, totalmente perso. 
Flavio lo raggiunse e sorrise, mostrandogli i guanti. “Ricordi?”
“Oh, cielo,” guaì Andrea. “I guanti con le ossa.”
“Proprio quelli,” ridacchiò Flavio, aprendo la porta. “Andiamo?”
Andrea guardò lui, gli occhiali e i guanti. Andiamo?
“E’ una domanda a trabocchetto?” chiese, incapace di trattenersi, terrorizzato dalla possibile risposta. “Perché non sono esattamente al meglio, se ancora non ti fosse chiaro e non è affatto carino prendersi gioco di chi non è al meglio e non...”
“Tieni, te li regalo,” lo interruppe Flavio, infilandogli i guanti nelle tasche del giubbotto. “Ora, bando alle ciance; me la offri questa fetta di torta?”
“Poi anche tu non sarai al tuo meglio.”
“La parità prima di tutto,” annuì serio lui. 
Andrea sorrise. 
Un sorriso enorme, incredulo e deliziato che andava da un orecchio all’altro. 
Lo prese a braccetto e saltellò sul posto, estasiato. 
“La sai una cosa?” gli chiese, trascinandolo via. 
“Cosa?” 

 

“Ho dei guanti con delle ossa disegnate sopra!”

 

 

 

 

 

 

 

§









 

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