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Dedicated to my sìs.
Capitolo I: Seeing
- Diverse Prospettive
Ore, giorni...
settimane. Ormai aveva smesso di contare il tempo che passava seduto su quella
sedia, a fissare il vuoto al di là della vetrata che faceva da sfondo alla sua
stanza. Il suo ufficio.
In realtà, era una
stanza come tutte le altre, ma il fatto che lui che chiamavano capo la occupasse,
le conferiva il titolo di ufficio, così da poterla distinguere in caso qualcuno
ci fosse dovuto andare.
E l’idea lo
divertiva non poco.
In quella stanza,
le luci erano sempre spente. Inondata d’oscurità, com’era ciò che vedeva ogni
maledetto giorno al di là di quel vetro, come del resto lo era tutto, in quel
luogo.
Quello che
comunemente veniva chiamato Dark Rift, era un luogo in cui pochi avevano osato
metter piede, e ancora meno, ne erano usciti vivi. Uno di quei posti su cui le
leggende circolavano a bizzeffe, in giro per i porti di tutta Arcadia. Uno di
quei posti che tutti conoscono per sentito dire, ma nessuno ha mai visto
veramente.
Si diceva che in
quel labirinto di tenebre venisse dissipata qualsiasi speranza... e così era
stato, per molti. Ma qualcuno aveva tentato. Qualcuno ce l’aveva fatta.
Poco più di un anno
fa, un ragazzo di nome Vyse attraversava il Dark Rift alla volta dell’ormai
dimenticato continente di Yafutoma, un’impresa che aveva contribuito a farlo
diventare una leggenda.
Una leggenda... Era
questo, no, quello che la gente desiderava?
Lo specchio di una
realtà intangibile che sprona la nostra fantasia e ci solletica l'anima, poiché
siamo troppo codardi per viverla, troppo lontani per toccarla con mano. Comodo,
affidare le nostre speranze a qualcun altro.
Pensò a com'era
assurdo, il genere umano.
Una persona, può
essere forte. Ma la gente... la gente è incredibilmente debole.
Tutto ciò non aveva
comunque importanza, ora. L’unica cosa di cui preoccuparsi era di quanto ora
come non mai fosse vicino al suo obbiettivo. Ciò che cercava era vicino... Lo
sentiva.
Sapeva che prima o
poi l’avrebbe trovato, e quando sarebbe successo, l’avrebbe sentito.
Restava solo da
stabilire quando.
Chiuse gli occhi,
mentre i suoi pensieri scivolavano dolcemente nell'oscurità.
Drigel è ormai
fuori controllo. Ed anche noi.
Al punto da non
sapere più quale dei due controlli l’altro.
I Silvites hanno
dato vita all’ultimo e al più potente dei Gigas, Zelos. Entro breve, a Zelos
verrà ordinato di scagliare le piogge della Distruzione sui continenti. E tutto
ciò che porta segno di civiltà, verrà trascinato nelle profondità del cielo.
Non volevamo che
finisse così. Ma forse é la punizione che ci siamo meritati, per l’aver giocato
troppo a fare Dio. Per aver abusato di un potere che ci garantiva l’assoluto
controllo sugli esseri umani.
Forse non era
compito nostro, assumereci la responsabilità di vite altrui.
Dunque perché
permettiamo a qualcun altro di decidere della nostra sorte?
Sta tornando… Si
ode il suo lamento.
Volgendo lo
sguardo al cielo bruno che ci separa, vediamo scendere un’ombra cupa.
Di nuovo
oscurità.
Un rumore di passi
incerti ruppe il silenzio nella stanza, ed il vuoto nella sua mente.
L’uomo alla
scrivania si voltò del tanto necessario a riconoscere la figura che aveva messo
piede nel suo mondo.
“Signore...”
L’intruso, un ragazzo alto dai lineamenti sottili, scompigliati capelli biondi e
due profondi occhi blu dietro un paio di occhiali rettangolari, cercò con lo
sguardo un cenno del suo interlocutore a proseguire; non ricevendo risposta,
tornò a fissare i fogli poggiati sulla cartellina che teneva nella mano destra.
Aspettò per qualche secondo, rimirando distrattamente quei pezzi
di carta colmi di formule e strani schizzi, probabilmente comprensibili solo
agli occhi di uno del mestiere, poi continuò comunque.
“Siamo
quasi certi di aver localizzato il portale.” Annunciò, riportando lo sguardo a
pochi metri di fronte a sé.
“Apprezzo
l’informazione. Sei venuto fin qui per dirmi questo?”
“Beh,
io…” Per un tormentoso secondo, non seppe cosa rispondere. Poi gli tornò in
mente. “E’ stato lei a chiederci di informarla su come procedevano le ricerche,
Signore.”
Sebbene lavorasse
per lui da diversi mesi, non aveva mai visto il suo volto da vicino; ma se
avesse potuto vederlo in faccia, avrebbe scommesso sul fatto che l’uomo
nell’ombra stesse sorridendo, in questo preciso istante.
“Ti
chiami Noa, vero?” Fece, distogliendolo momentaneamente da quel pensiero.
Lo scienziato
accennò un sobbalzo. L’aveva appena chiamato per nome...?
Nonostante fosse
girato di spalle, e ciò faceva sì che non potesse vedere la targhetta che
portava appesa al taschino destro della tunica, e non avessero mai parlato
direttamente, ricordava il suo nome. Ricordava? A patto che qualcuno
gliel’avesse mai detto, come si chiamava.
“S-sì.”
Bisbigliò. Poi si tranquillizzò, pensando che probabilmente qualche suo collega
avesse fatto il suo nome al citofono, mentre annunciava che sarebbe venuto ad
informarlo sugli ultimi progressi.
“Non
chiamarmi signore, mi fa sembrare più vecchio di quello che sono. Chiamami
Siron.”
Siron. A dirla
tutta, nemmeno lui era sicuro di aver sentito pronunciare il suo nome prima di
allora. La maggior parte dei suoi colleghi vi si riferiva semplicemente con
appellativi quali “Capo”, “boss” e simili.
Comunque fosse,
quella richiesta lo mise non poco a disagio.
“Ecco,
io... Non sono solito chiamare per nome i miei superiori.”
“Allora
prendilo come un ordine.” Il tono della sua voce era cambiato radicalmente nel
trascorrere di quei pochi minuti. Era sicuro che, nel pronunciare quelle parole,
stesse decisamente sorridendo. Un ghigno, piuttosto.
Del resto, poteva
benissimo approfittare del fatto che non lo vedesse per trarne un ulteriore
vantaggio psicologico.
“Come
desidera... Siron.”
Lo scienziato diede
le spalle alla scrivania ed avanzò un passo verso il corridoio. Avrebbe chiesto
di potersi congedare, ma il suo capo aveva diversi piani.
“Sai
cos’ha causato la distruzione del Vecchio Mondo, Noa?”
L’interpellato
interruppe il suo incedere verso l’uscita. Senza voltarsi, rispose alla domanda
senza pensarci troppo su.
“Le
piogge della distruzione caddero da ogni luna sui continenti, distruggendo quasi
interamente ogni traccia di civiltà umana.”
“Risposta
esatta. Ma dimmi, cosa causò la caduta delle piogge?”
“Fu
una punizione per l’avidità del genere umano. O almeno così raccontano le
leggende.”
“Una
punizione decisa da chi?”
Un'altra domanda,
alla quale, stavolta non avrebbe saputo rispondere.
“Furono
i Silvites ad ordinare le Piogge. Credevano che distruggendo tutto avrebbero
creato un mondo migliore.”
Quella frase
risuonò un paio di volte nella sua mente, prima che potesse coglierne appieno il
significato.
“Non
lo sapevi, forse? ...Non ha importanza. Torna pure al lavoro.” Disse infine,
sollevando la mano destra in aria.
Un lavoro al quale
si dedicava costantemente da un paio di mesi ormai, nonostante fosse uno degli
ultimi arrivati.
Come se cercare un
chissà quale "portale" per chissà quali fini potesse essere veramente
considerato un impiego.
Ma in fondo, era
per questo che lo pagavano. Era uno scienziato, e in quanto tale, erano
richieste le sue abilità per cercare in un posto lugubre come il Dark Rift, un
imprecisato campo magnetico. Quale però fosse il suo scopo, non era di sua
competenza.
Ma non era questo
che lo preoccupava.
Quello che lo
preoccupava, era quello che c'era dietro. Quello che avrebbe trovato dietro.
Un qualche tesoro?
Un’uscita secondaria del Dark Rift? Un’altra...dimensione, forse? No, non era il
caso di cadere nell’assurdo.
E comunque, sempre
se fossero riusciti a rintracciare la fonte, ovvio. Come se fosse facile.
Non che non ne
avesse visti, prima d'ora, di fenomeni simili; di solito si manifestavano in
luoghi dove si erano concentrate nel corso degli anni un gran numero di
moonstones*.
Ma in un posto come
quello, con una tale pressione e simili correnti che avrebbero potuto trascinare
con sé qualsiasi cosa, era come cercare un ago in un pagliaio.
Prima che potesse
ponderare l'idea di fare un passo verso la porta, Siron lo trattenne nuovamente.
"Ah, Noa... Voglio
che tu mi avvisi soltanto quando avrete in mano qualcosa di concreto."
Il biondo abbassò
il capo, fissando il pavimento con l'aria avvilita di un ragazzino al quale è
appena stata fatta una ramanzina.
"D'accordo."
Rispose umilmente Noa, ma non aggiunse altro. Si spinse gli occhiali sul naso,
raccattò i fogli sulla cartella, e realizzò che era ora di tornare
definitivamente alla sua attività.
La fine, è
iniziata...
Le Piogge hanno
cominciato a scendere.
Sono rimasti in
pochi... Siamo rimasti in pochi. Drigel si sta nutrendo poco a poco della nostra
energia vitale, e non sappiamo cosa sia rimasto del mondo, là fuori.
L'abbiamo
creato, ed ora non sappiamo più come fermarlo.
Piove.
Ma non è acqua
quella che cade dal cielo.
Sono pietre.
Frammenti di Luna.
E' dunque questa
la nostra condanna?
Con le poche
energie che ci rimangono, costruiamo ora uno scudo, una barriera che avvolga le
nostre lande prive di luce in un manto d’oscurità senza fine. Creiamo il Dark
Rift, sperando che ci possa proteggere.
A Sailors’ Island,
tutto procedeva come ogni mattina. Le navi mercantili attraccavano al porto,
scaricavano le merci, facevano i loro scambi e ripartivano alla volta della
città più vicina.
L’isola centro delle rotte commerciali del Mid Ocean era
affollata e frenetica come sempre, e tutti, dai marinai ai pirati dell’aria, dai
mercanti agli esploratori, si affrettavano a fare la propria parte.
Ok, forse non
proprio tutti...
“DOMINGOOO!!”
L’anziano
proprietario della locanda dell’isola batté insistentemente i pugni sulla porta
di una delle stanze al secondo piano, nel tentativo di svegliare il suo giovane
ospite. ...Inutilmente.
Si trovava lì
davanti da una buona decina di minuti ormai, ed era fermamente deciso a
rinunciare: non aveva il tempo né la voglia, di occuparsi di faccende del
genere.
Si accinse a
scendere le scale per tornare ad occuparsi del banco, o per lo meno, per
prendere le chiavi della stanza. Superato il primo gradino, si arrestò al
pensiero della breve conversazione che avevano tenuto la sera prima.
"Senti Munoh,
potresti passare a svegliarmi domattina? Ho una faccenda importante da
sbrigare."
"Mi prendi in
giro?" Gli aveva risposto a metà tra lo stupito e il seccato.
"Mai stato più
serio!" Domingo se l'era cavata così, col suo solito sorriso stampato in faccia,
prima di uscire dalla locanda dalla quale si sarebbe sicuramente diretto alla
taverna di Polly, e dove avrebbe sicuramente tentato di rimorchiare qualche
ragazza davanti ad un bel bicchiere di loqua.
Per un attimo gli
era balenato per la mente il dubbio che non fosse già ubriaco alle nove del
mattino, ma poi aveva scartato quell'ipotesi. Cose del genere ce le si poteva
benissimo aspettare, da un tipo come lui.
Tornò indietro,
deciso a fare l'ennesimo tentativo.
Lo chiamò ancora
una volta per nome, mentre le sue nocche producevano un piccolo, regolare
rimbombo ogni volta che toccavano la superficie liscia del legno.
Finalmente, sentì
qualcosa di diverso dal solito silenzio.
Dall'altra parte,
l'interpellato era scattato quasi inconsciamente in piedi sul letto, facendo
volare letteralmente lenzuola e compagnia bella sul pavimento.
"Il giorno del
giudiziooo!!" Urlò come un'idiota portandosi le mani alla testa.
"Domingo... Sono
io! Potresti farmi il favore di aprire questa maledetta porta?"
"Eheh...Ops...Arrivo subito!" Fece, balzando giù dal letto, e buttando
un'occhiata all'orologio mentre si avvicinava all'uscio. "Le nove, le noveee! E'
tardissimo!"
"Prestissimo vorrai
dire, visto che di solito non ti alzi prima di mezzogiorno." Ribattè il
locandiere dall'altra parte, ma lui non lo sentì.
Girò la chiave
nella serratura, facendo sì che questa producesse un leggero click, prima che la
porta si aprisse senza nemmeno aver bisogno di armeggiare con la maniglia.
"Dovresti far
controllare questa serratura..."
"Sì, e tu dovresti
pagarmi la stanza." Ribatté l'uomo mentre riprendeva possesso delle chiavi.
“Heh...vero!”
Sorrise, senza scomporsi minimamente. Una volta incrociato lo sguardo scettico
del locandiere, continuò suo malgrado. “Ma ti pagherò presto, te lo prometto!”
“Sì,
certo...” Fece, poco convinto. “Piuttosto, cosa sarebbero queste faccende
urgenti a cui mi hai accennato ieri?”
Domingo tirò un
sospiro, spostando un ciuffo di capelli neri che invadeva la sua visuale rivolta
al soffitto tappezzato di vecchie travi. Poi tornò a fissare il vecchio, e a dar
pane alla sua curiosità.
“Me
ne vado” Fu la sua risposta, accompagnata da un consueto sorriso compiaciuto.
Se non lo
conoscesse, avrebbe pensato seriamente di chiedergli se c’era o ci faceva.
“Cosa?”
“Hai
sentito bene, me ne vado!” Ripeté con più convinzione.
L’uomo scoppiò in
una fragorosa risata. “Ahahahah! Era da un bel po’ che non lo sentivo! Stai
cercando di dirmi che Domingo, il grande esploratore, ha intenzione di tornare
all’opera?”
“Esatto."
Annuì, facendogli l'occhiolino. "...Che c'è di tanto divertente?”
In effetti, era
divertente sentirlo parlare così. Divertente e sollevante.
Dopotutto si era
ripreso, finalmente.
“Niente,
niente... Beh, era ora!” Concluse dandogli una sonora pacca sulla spalla, cosa
che gli costò il doversi mettere in punta di piedi a causa della notevole
differenza d'altezza.
L'esploratore
incrociò le braccia, assumendo un'espressione vagamente seria, che gli era
davvero poco consone.
“Le
cose si sono stabilizzate ormai... E' passato quasi un anno dalla faccenda di
Soltis... E io non ho più voglia di starmene con le mani in mano.” Fece,
inarcando un sopracciglio.
“Certo,
per me puoi andartene anche subito, ma...”
“Che
c'è?”
“Non
indossi i pantaloni.” Annunciò indicando il bassoventre del ragazzo, mentre si
portava una mano alla bocca nel tentativo di trattenere una risata.
Domingo lo fissò
con gli occhi sbarrati per una frazione di secondo, probabilmente quanto bastava
per mettere insieme la parola "uscire" con la parola "pantaloni", ed il
malcapitato spettatore non ebbe il tempo di aprir bocca che si vide sbattere la
porta in faccia.
"Scusa, ti pagherò
anche quella!" Sentì urlare dall'altra parte, insieme ad altri rumori non ben
definiti.
"Sì, sì..." Sbuffò
in un mezzo sorriso, sollevando le braccia a mezz'aria.
Poi proseguì in
direzione delle scale. Era ora di tornare alle proprie faccende.
Si era allontanato
anche troppo, e non poteva certo lasciare la ragazza delle pulizie ad occuparsi
del banco per tutta la mattinata.
Sostò a pochi passi
dal primo gradino, quando sentì Domingo gridare un euforico "Arrivo, mondo!" in
fondo al corridoio.
“Quel
ragazzo non cambierà mai...” Sospirò, passandosi una mano sul capo ormai segnato
dall’età.
Ragazzo... Per modo di dire. Pensò.
A ventiquattro anni ormai era un uomo, anche se spesso e volentieri... non si
comportava come tale.
Camminava per
Sailors' Island.
Camminava, senza
badare alla confusione ed al blaterìo della folla che riempiva l'unica via
diretta al porto, troppo occupato a riordinare i suoi pensieri.
Oltrepassò il
negozio di ricambi navali, e dovette scansarsi per lasciar passare due uomini
che trasportavano un'enorme cassa, contenente probabilmente qualche nuovo
cannone. Era una giornata piuttosto afosa, per essere soltanto metà primavera,
ma per il resto, era solamente una giornata come tante altre. Una di quelle
giornate dalla quale non vedeva l'ora di evadere.
Alzò gli occhi al
cielo limpido, tappezzato qua e là da imbarcazioni di varie dimensioni che
sorvolavano l'isola facendo rotta verso le più svariate mete.
Gli mancava, la
navigazione.
Ma soprattutto, gli
mancava la totale assenza di preoccupazioni che lo aveva accompagnato durante la
maggior parte dei suoi viaggi.
Sembravano essere
passati secoli, da quando deteneva il monopolio dell'esplorazione. Ma si sa,
visto in prima persona, il tempo sembra trascorrere sempre più lentamente di
quanto non faccia in realtà. Obbiettivamente, non era passato poi così tanto.
Un anno fa si
sarebbe sentito parlare di lui pressappoco in tutti i luoghi conosciuti fino ad
allora, nei porti e nelle isole, si sarebbe sparsa la voce di qualche sua nuova
scoperta; si sarebbe sentito parlare di lui e quello che probabilmente si
sarebbe sentito dire era quanto fosse dannatamente bravo nel suo mestiere.
Uno dei più grandi
esploratori del nuovo mondo. Il migliore, forse.
E purtroppo o per
fortuna, era un cosa che sapeva da sé.
Così era stato,
almeno finché non era arrivato Vyse.
Da quando aveva
accettato di far parte dell'equipaggio della Delphinus, le cose non avevano
fatto altro che peggiorare.
E poi, ovviamente
c'era stata la sua idea folle di aprire un business tutto suo. Fallito dopo a
malapena due mesi.
Comunque fosse, non
era mai stato il tipo da mollare dopo il primo intoppo, e non avrebbe cominciato
di sicuro ora.
Raggiunse il ponte
di legno che dava alle porte dell'isola ed allungò il passo.
Si portò una mano
alla fronte, ed allontanandola nel tentativo di sistemare due ciuffi ribelli,
sperò di allontanare così anche i cattivi pensieri.
Non poteva certo
rischiare di perdere il buonumore a causa di assurde paranoie.
"Domingo!" Chiamò
una voce alle sue spalle. Una voce femminile.
Sì voltò mentre la
ragazza che aveva parlato si avvicinava, e sentì il portone del Polly's Place
chiudersi con uno schiocco. La biondina in canotta bianca che ne era uscita gli
si avvinghiò a un braccio e lo guardò con occhi dolci.
"Finalmente ti
rifai vedere..." Sbuffò, non mollando la presa.
L'esploratore la
fissò inarcando un sopracciglio.
"Heh..."
"Senti Domy,
l'altra notte con te è stata fantastica. Pensavo che se avevi un po' di tempo,
magari potremmo replicare..."
"Scusami..." Fece
lui, abbozzando un sorriso. "ma adesso non ho proprio tempo. Quando ripasserò da
queste parti ne riparleremo ...Mindy...Cindy...o forse era Sandy?"
La ragazza mollò la
presa e indietreggiò di qualche passo, con un'espressione tra il disgustato e il
seccato.
"Sally." Rispose
monocorde. "Ah, comunque... Ieri è passato un ragazzino a cercarti. Magari sei
più interessato a lui..."
"Un ragazzino...?"
Ripeté, ma ormai la ragazza era già rientrata nel locale, non degnandolo di un
secondo sguardo.
Un ragazzino... Che
fosse forse...?
Nah, perché avrebbe
dovuto cercarlo?
Sorrise. Si trovava
esattamente nel posto in cui aveva incontrato Vyse la prima volta.
Vyse... Certo che
dal ragazzino alle prime armi, che sapeva a malapena pilotare una nave ne aveva
fatta di strada.
Si voltò un'ultima
volta ad osservare il panorama movimentato dell'isola, e prese un ultima boccata
di quell'aria cristallina, inspirandone più che poteva, come immaginasse non
l'avrebbe rivista per un bel pezzo.
Il portone che
divideva l'area cittadina dal porto si chiuse cigolando alle sue spalle.
"Siron, venga
subito per favore!" Era entrato ancora una volta in quella stanza, col respiro
affannoso a causa della corsa e della fretta nel voler comunicare la notizia.
L'interessato
distolse l'attenzione dallo scarno panorama offerto dal pannello di vetro,
sbadigliando.
"Che c'è?" Chiese,
alzandosi di malavoglia.
"I rilevatori
segnano qualcosa di interessante." Fece gesticolando con la mano libera, mentre
l’altra era ancora saldamente aggrappata allo stipite della porta.
“Spero
sul serio che ne valga la pena…” Disse, sbadigliando.
Viola. Il suo
occhio destro era viola. Dell’altro non era certo del colore, poiché era
nascosto da un ciuffo di capelli corvini che copriva l’altro lato del viso.
Lo scienziato lo
fissò immobile per qualche secondo, mentre avanzava silenziosamente verso di
lui, troppo silenziosamente, sembrava quasi non toccasse terra mentre camminava.
“Sembra
che tu abbia visto un fantasma...” Disse inarcando le labbra in un ghigno
divertito.
Quello che si
trovava davanti non sarà stato un fantasma, ma sicuramente non era ciò che si
aspettava.
“Io...”
“Immaginavi
fossi diverso?” L’aveva fatto ancora una volta. Aveva anticipato la sua
risposta.
Lo squadrò
superficialmente dall’alto al basso, mentre, passandogli affianco gli faceva
cenno di seguirlo lungo l’unico corridoio che conduceva alle altre sale della
nave.
Anche se di una
nave, possedeva solo lontanamente l’aspetto e le funzioni. Assomigliava di più a
una base di ricerca mobile. O a un enorme laboratorio galleggiante.
“Quanti
anni hai, Noa, venticinque, ventisei?” Lo seguiva ad un paio di passi di
distanza, e vedeva il lungo mantello indaco ondeggiare lievemente al suo passo,
seguito a sua volta da un informe essere nero sul pavimento.
“Ventisette”
Rispose con il solito, sommesso tono di voce.
“Sei
piuttosto giovane per essere uno che ha dedicato se stesso ed i suoi anni
migliori allo studio, non ti pare? Ma dopotutto, nemmeno io sono così vecchio,
eppure guardami...Sono in questo buco da mesi, e mi sono privato
dell’opportunità di avere un qualsiasi tipo di contatto... umano...”
Non parlò, ma aveva
ascoltato ogni singola sillaba uscita dalla bocca di quell’uomo.
Perché si ostinava
a voler intraprendere una conversazione con lui? In fondo era… Il suo capo.
“La
verità è che ho rinunciato a certe cose molto tempo fa. Ciò che succede nel
mondo non mi interessa.”
Si voltò a guardare
il corridoio che era ora avvolto da un’atmosfera cupa, rischiarato unicamente
dalle lampade appese alla parete, tanto che scorgevano a fatica la porta
attraverso la quale erano entrati. Poi, aprì la porta metallica alla sua
sinistra, e la varcarono entrambi, ritrovandosi in un antro parzialmente
illuminato dagli oblò sparsi sulla parete ed un paio di lampade ad olio, in
fondo al quale faceva capolino un altro corridoio.
“Dì
un po’, ho davvero l’aria da signore?”
Esordì poi, voltandosi verso il giovane scienziato con un'aria del tutto
innocente.
“Non
saprei...” Rispose, mentre camminava con la testa china rivolta al pavimento.
Poi alzò lo sguardo, incrociando quello del superiore, e cambiò radicalmente
espressione. “Mi scusi, non intendevo offendere!” Concluse, agitando
convulsamente le mani come a voler cancellare quel'attimo di esitazione.
Siron sorrise,
aggiustandosi il colletto del mantello.
“Tranquillo,
non mi offendo!”
Per qualche istante
Noa lo fissò, senza vederlo.
Cos’era cambiato?
Dov’era finito
l’uomo serio e assorto con cui aveva parlato poco fa? Probabilmente non aveva
mai lasciato quella scrivania.
Aveva come
l’impressione di parlare con due persone diverse… E non sapeva se questo fosse
un bene oppure un male.
No, doveva
prendersi una vacanza.
“Sempre
così loquace?” Chiese Siron con una nota di sarcasmo.
“Mi
dispiace, non credo di essere la persona più adatta a tenere compagnia...” Noa
gli sorrise timidamente di rimando.
“Chi
lo è...” Fece spallucce. “Ti sei guardato attorno? Sono tutti così presi da loro
stessi, che a volte dimenticano anche le cose più basilari. Io credo che la
conversazione sia un fattore molto importante nei rapporti umani, ne convieni?”
Il giovane lo
guardò perplesso.
“Eheh...
Lo prenderò per un sì.”
Che uomo strano...
Ognuna delle stanze
che oltrepassarono era colma di macchinari di ogni genere, la maggior parte dei
quali prettamente inutili. Quando finalmente arrivarono alla sala di comando,
ognuno dei presenti si affrettò a porgere le doverose salutazioni, e a dare
delucidazioni in merito all’andamento della ricerca.
C’erano circa una
dozzina di uomini, che lanciarono un’occhiata fugace verso il punto dove si
trovavano Siron e Noa, prima di tornare a svolgere i rispettivi incarichi.
“Signore,
venga a dare un occhiata.” Fece un uomo sulla trentina, in rigoroso camice
bianco, alzandosi dalla propria postazione.
Siron vi si
avvicinò, seguito da Noa.
Lo schermo del
tozzo macchinario che stava guardando mostrava una serie di puntini luminosi
disposti in cerchio, che si accendevano e si spegnevano ad intermittenza.
“Non
ne ho mai visti raggruppati in questo modo...” Fece, allineando le lucette sullo
schermo con un movimento circolare dell’indice.
“Ma
la cosa più strana è che non era mai comparso prima d’ora, benché avessimo già
ispezionato quest’area...” Aggiunse Noa, incrociando le braccia.
Siron guardò i due,
poi di nuovo lo schermo, infine si voltò avanzando qualche passo verso l’uscita.
“Aprite
il portellone del ponte, voglio vederlo da vicino.” Ordinò. “...Noa?” Fece poi,
sorridendo in sua direzione.
Il giovane lo fissò
e annuì, sottintendendo che l’avrebbe seguito, qualunque cosa avesse in mente di
fare.
“Ma
signore, potrebbe essere pericoloso, non sappiamo ancora…” Intervenne l’altro
scienziato, girandosi di scatto.
“Apritelo.”
Aveva imboccato la
rotta a sud est, senza una precisa motivazione, seguendo l'istinto, come aveva
sempre fatto.
La sua unica,
involontaria compagnia era quella del ritmico mugolio delle pompe e il brusio
costante dei motori. Non sarebbe stata una cattiva idea farli controllare, alla
prossima sosta.
Da quando aveva
lasciato Sailors' Island, le navi che aveva incrociato lungo la strada si erano
fatte sempre più rade, fino quasi a scomparire, nel tratto in cui ora si
trovava.
Una cosa piuttosto
insolita, dato che le rotte lungo gli oceani ora erano tutte perfettamente
traghettabili.
Ma d'altronde era
meglio così, almeno avevrebbe avuto la certezza di non andare incontro ad
inutili fastidi.
Domingo afferrò
saldamente il timone, osservando attraverso il vetro un cielo che cominciava a
tendere al rossiccio, e trasse un profondo respiro.
"Ok... Ora non
resta che scegliere."
Si trovava di
fronte a un bivio. Non un vero e proprio bivio ovviamente, nel quale ci sono
solo due vie possibili, diciamo solo due che andavano sul sicuro.
A sinistra,
Esperanza e il seguente tratto verso il Dark Rift, a destra, l'Oceano sud, verso
Ixa'Taka.
"…Ma direi che
prima posso anche prendermi una pausa!" Fece, armeggiando con i comandi, e i
motori parvero sentirlo, dato che rallentarono lentamente l'andamento della
nave, fino a farla sostare nei pressi dello sky rift che la separava da Capo
Vittoria.
Sapeva già che
avrebbe proseguito verso est; dopotutto ad Ixa’Taka aveva già scoperto tutto ciò
che c’era da scoprire.
Uscì sul ponte, a
godersi l’aria frizzantina dell’oceano, ed estraendo dalla tasca dei pantaloni
il fedele cannocchiale quasi come fosse un arma, lo puntò su un pezzo
imprecisato di cielo. Lo ispezionò per quelli che parvero interminabili minuti,
senza tirarne fuori null'altro che una distesa rosata.
“Le
scoperte sono come le belle donne, sempre la stessa storia… Non cercarle, e
verranno loro a cercare te.” Sospirò, sorridendo.
Poggiò il
cannocchiale sul legno fresco sotto i suoi piedi, vi si distese, e chiuse gli
occhi.
Aveva quasi
dimenticato quanta pazienza ci volesse, ma soprattutto, come fosse malinconico
in un certo senso, viaggiare da soli. Ripensandoci, non aveva considerato questo
fattore, quando aveva deciso di tornare alla caccia ai tesori.
Probabilmente non
ci aveva pensato perché era una cosa con cui aveva convissuto per anni, senza
mai darci troppo peso; in fondo avrebbe potuto fermarsi in qualsiasi momento, in
una città, in un porto, al Gordon bistro... ed avrebbe trovato sicuramente
qualcuno con cui fare quattro chiacchiere, parlare del più e del meno e far
passare il tempo. Magari anche divertirsi, per una notte.
Ma non era la
stessa cosa.
Era
contraddittorio, ma in fondo si era abituato alla compagnia, sulla Delphinus.
Si era abituato
alla confusione mattutina di Vyse e Aika in sala comandi, che discutevano sulla
prossima meta, o a Fina, che in ogni frase trovava una parola di cui non
conosceva il significato, all’enorme tavola imbandita piena delle prelibatezze
che Polly soleva preparare per tutto l’equipaggio, agli aneddoti sulle conquiste
di Gilder, e... alla sua silenziosa presenza.
Al fatto che per
ottenere una conversazione da lui avrebbe dovuto svuotare il portafoglio.
Non che si potesse
considerare di grande compagnia, anzi... Ma era proprio quello che
inspiegabilmente gli mancava, le due parole al giorno che gli rivolgeva quando
era di buon’umore, o per l’esattezza, quand’era meno di cattivo umore del
solito.
Chissà cosa stava
facendo Lawrence in questo momento, o dove fosse.
Beh, qualunque cosa
facesse non si stava di sicuro perdendo in inutili sentimentalismi.
“Che
idiota…” mugugnò tra sé e sé.
Si alzò, mettendosi
a sedere, e un luccichìo poco lontano attirò la sua attenzione.
Si stropicciò gli
occhi, tentando di mettere a fuoco ciò che si muoveva nell’aria a pochi metri da
lui, ma non riuscì a capire al volo di cosa si trattasse. O meglio, un’idea ce
l’aveva, ma era altamente improbabile che si trattasse di...
"Flutterflies*?”
Fece, mentre si portava il cannocchiale all’occhio destro, puntandolo verso il
nugolo di esserini sbrilluccicanti.
Il bagliore dorato
e il fatto che si muovessero in gruppi così numerosi non lasciava dubbi.
“Da
queste parti..? E a così bassa quota?”
La cosa strana, era
che normalmente si trovavano nella parte opposta di Arcadia.
Ed era ancora più
assurdo che avessero abbandonato la loro tratta abituale, se non fosse che per
andare a nutrirsi.
Ma non aveva
notizie sullo spostamento della traiettoria dei pochi balloon flowers, loro cibo
prediletto, e sicuramente se fosse accaduto, da buon esploratore ne avrebbe
sentito parlare.
Dunque, che cosa le aveva spinte a spostarsi?
In più, un viaggio
di tal genere doveva essergli costato giorni e giorni di viaggio.
“Posso
considerarla la prima scoperta della giornata!” Fece, tornando alla sua
espressione abituale, mentre continuava ad osservare le farfalle volteggiare
nell’aria con la leggiadria di foglie sospinte dai primi venti autunnali.
“Sembra
che siano attratte da qualcosa... Mi piacerebbe sapere cosa...”
Per quanto poteva
vedere, stavano avanzando verso sud-est, e da quelle parti, a quanto sapeva,
oltre le decine di isolette sparse, c’era solamente l’ingresso del Dark Rift.
Si richiuse la
porta alle spalle, tornando alla postazione di pilotaggio, e rimise in moto i
motori, che protestarono col solito sconnesso brusio.
“D’accordo,
mie piccole amichette alate... Mostrate a papà cosa c’è di tanto interessante da
queste parti..”
L’aria, là fuori,
era pressoché irrespirabile. Emanava un odore acre e pungente, da entrarti nel
naso e percorrerti le ossa.
In più, essendo la
pressione nel Dark Rift notevolmente superiore a quella del normale cielo,
nemmeno muoversi risultava cosa facile.
Noa si portò un
braccio davanti al viso, cercando di inspirare il meno possibile.
“Non
credo sia stata una buona idea venire qui...” Mugugnò, seguendo con lo sguardo
il suo compagno d’avventure che avanzava a passo normale verso la ringhiera del
ponte, come non sentisse la differenza, da lì all’interno della nave.
“Finalmente
ti ho trovato...”
Siron non rispose a
lui, ma a un qualcosa che non poteva vedere, e tanto meno sapeva che sì trovasse
lì, giusto di fronte a loro. L’unica cosa che ne tirò fuori, era che in quel
momento, “quella cosa” stava esercitando su di lui l’effetto di una calamita.
“Cosa..?”
Ancora una volta, sembrò non accorgersi della sua presenza.
“E’
così...vicino.”
“Io
non vedo nulla...” Fece il giovane, ispezionando il cupo ambiente attorno a sé,
sforzandosi di vedere qualunque cosa fosse la fonte di quell’invisibile
attrazione.
“Tu
non vedi perché non vuoi vedere,
Noa... Per questo ti ho portato qui.” Siron si voltò, una volta raggiunta la
ringhiera, con uno sguardo assente e un tono che gli fece venire la pelle d'oca.
“Non
capisco...” Ripeté, ormai incapace di pensare a qualcosa di concreto.
“Lo
immaginavo.” Sospirò lui, scompigliandosi i capelli sul viso. “La teoria non è
il tuo forte, non è così? Allora… Passiamo alla pratica.”
Siron si sporse
sulla ringhiera, allungando una mano nel nulla.
“Cos’ha
intenzione di fare?” Chiese Noa, alzando il tono di voce per farsi sentire e
cercando di porvi una fermezza dalla quale non trapelò altro che l’evidente
preoccupazione.
“Lo
vedrai.” Si sentì rispondere in quello che parve uno sbuffo quasi seccato.
Zitto e guarda, Noa.
Disse una voce nella sua testa.
Ed effettivamente,
non poté far altro che osservare la scena immobile da lontano, mentre
nell’ombra, qualcosa si accese.
Dove Siron aveva
poggiato la mano, prese forma una sorta di specchio d’acqua, di colore violaceo,
quasi indaco.
Sottili, leggere
onde, partirono dall’epicentro per poi dissolversi a poche spanne, ricadendo
nell’oscurità.
Una luce
nell’ombra.
A Noa non fu
concesso il tempo di capire, o quanto meno di farsi un’idea su cosa si trovasse
davanti a loro, per quei pochi confusi istanti.
Vide soltanto
quella mano ritrarsi, con la stessa rapidità di chi ha appena sentito una forte
scossa. Come se la calamita, questa volta, avesse esercitato l’effetto opposto,
sbalzando via l’oggetto intruso mediante una forza sconosciuta.
“Dannazione...
Il sigillo... è troppo potente...” Siron barcollò leggermente, mentre
indietreggiava di qualche passo, e tutto davanti a lui tornava ad essere come
prima. Un’inutile distesa di nulla.
Un’azione
involontaria indotta dal dolore lo costrinse a premere una mano sulla tempia e
l’occhio sinistro.
“Signore,
si sente bene?” Si allarmò Noa una volta sceso dalle nuvole, e nella caduta
doveva essersi dimenticato di non rivolgersi al suo capo con quel termine. Ma
nella confusione non ci aveva fatto nemmeno caso.
Scattò in avanti, e
Siron allungò nuovamente la mano libera per fermarlo.
“Sta
lontano!”
Lo scienziato si
bloccò come d’ordine, non tanto per le parole, piuttosto per quello sguardo.
Non aveva mai visto quello sguardo, prima.
In quel solo
istante nella sua mente balenarono decine di interrogativi fra i quali non
sapeva quale pescare. E tanto meno, vi avrebbe saputo rispondere.
Un sibilo fendette
quell’aria disgustosamente pressante.
Poi, il portellone
si aprì alle loro spalle, mentre una luce rossa si accendeva accompagnata dal
suono di una sirena.
Sul ponte
riecheggiò la voce di un altoparlante.
“Si
è verificata una reazione imprevista. Rientrate, in fretta!”
L'ombra continua
a scendere.
Per ogni giorno
che passa, per ogni vita che assorbe, diventa sempre più potente, sempre più
insaziabile.
Non possiamo più
concederci di aspettare oltre. Non possiamo rischiare di diventare tutti delle
marionette al suo comando.
Le nuvole si
muovono in fretta, sono nuvole nere. Il cielo é l'ombra delle nostre terre come
sono ora: buie, e vuote.
Probabilmente,
come per gli altri Gigas, eliminando la fonte del suo potere, saremo in grado di
rendere Drigel innocuo.
Discepoli delle
lune: Verde, Rossa, Gialla, Blu, Viola, Argento.
Riuniremo le
nostre forze in questo ultimo atto.
Porremo un
sigillo sulla Luna Nera, affinché scompaia da questi cieli.
Possa ella
trovare riposo, e possano le anime che porta via con sé riacquistare la pace, in
un luogo racchiuso al di là dell'oscurità.
Ad ogni tratto di
cielo corrispondeva una diversa sfumatura.
Il rosato
all’entrata dell’Oceano Sud era diventato rosa antico, per poi trasformarsi in
arancio pastello, ed infine tingersi di rosso: un rosso che assomigliava sempre
più al colore del sangue, man mano che procedeva verso est.
La visibilità
inoltre cominciava a farsi scarsa, a causa dei venti che spiravano da nord,
portando con sé le sabbie del vicino continente Rosso.
Ma già che era
arrivato fin lì, tanto valeva proseguire.
“Quelle
dannate flutterflies non ne vogliono sapere di fermarsi un attimo. Eppure siamo
a poche miglia dall’entrata del Dark Rift...” Sospirò Domingo, grattandosi la
testa con la mano che non reggeva il timone. “E più avanti non vedo proprio cosa
possa esserci...”
Si era interrogato
su questo proposito per tutta la durata del tragitto, ripercorrendo mentalmente
le isolette, le scoperte fatte, o qualunque cosa utile potesse trovarsi in
quella zona, ed era giunto alla conclusione che era solamente un inutile spreco
di cellule cerebrali.
Non valeva la pena
tormentarsi, quando di lì a poco, di qualunque cosa si trattasse, l’avrebbe
vista con i suoi occhi.
E chissà, magari
sarebbe stata la scoperta del secolo. O solamente un altro buco nell’acqua.
Scrollò la testa
facendo schioccare lievemente il collo, liberandola dai pensieri per poter
tornare a concentrarsi sulle farfalle. Se le avesse perse di vista anche solo
per qualche secondo, probabilmente avrebbe dovuto fargli ciao ciao con la mano e
tornarsene sui suoi passi.
Quelle cose erano
maledettamente veloci. Più del solito.
E non era l’unica
cosa, ad essere diversa dal solito.
Adesso che ci
pensava, c’erano più di un paio di cose che non quadravano.
Per prima cosa, il
fatto che dopo poche miglia da Sailors’ Island, non avesse più visto l’ombra di
una nave. Normalmente, a quest’ora avrebbe dovuto incrociare per lo meno qualche
nave di blue rogues o qualche mercantile di passaggio.
Secondo; il
silenzio, l’aria, il cielo... Il cielo aveva qualcosa che non andava.
Non ricordava di
averlo mai visto di quel colore.
Tra Esperanza e il
Dark Rift era sempre stato rossiccio, sì... Ma era un rosso vivo, intenso, come
sotto un tramonto perenne.
Spento. Era così
che lo vedeva ora.
E poi c’erano loro,
quelle piccole creature dorate, che all’improvviso e senza un motivo apparente,
avevano deciso di cambiare aria ed attraversare tre oceani... No, qualcosa
doveva averglielo imposto.
Seguiva con lo
sguardo quella scia luminosa, quando anche le sue orecchie vennero attratte da
rumori alquanto... familiari, ed altrettanto insoliti.
Versi.
Non ebbe la
certezza di cosa si trattasse finché non fu irrimediabilmente vicino.
Tanto vicino da
passargli sopra la testa, un intero stormo di Uguisu. (Uccelli simili a
gabbiani, comuni delle zone abitate.)
“Che
diavolo..?!” Sbottò, portando inconsciamente lo sguardo sopra di se, al soffitto
che lo separava dalla marmaglia di disturbatori volanti. Sorpassarono
velocemente la nave, starnazzando tanto che Domingo fu costretto a tapparsi un
orecchio, finché una volta allontanati, non si ridussero a un informe chiazza
bianca sullo sfondo vermiglio.
“Ok,
c’è indubbiamente qualcosa
di strano in tutto ciò.” Sottolineò, sgranando gli occhi mentre rivolgeva
un’ulteriore occhiata al pannello di vetro, assicurandosi che non ci fossero
altri animali in vista.
Se non altro questo
confermava la sua teoria.
A meno che insetti,
uccelli e pesci non avessero perso contemporaneamente il senso
dell’orientamento, cosa piuttosto improbabile, c’era qualcosa che li spingeva a
migrare verso est. E doveva essere qualcosa di bello grosso, visti gli effetti
considerevoli sulla fauna celeste.
Ispezionò
nuovamente il cielo al di là del pannello: niente. A parte il nugolo di
flutterflies, che non pareva essersi allontanato più di tanto.
Sentì uno
scricchiolio, come se qualcosa si fosse poggiato poco delicatamente sul tetto
della nave.
“A
chi tocca adesso?” Sbuffò, mollando il timone, ed azzardando un paio di passi
verso la porta che dava sul ponte esterno.
Una protuberanza
spugnosa e rossastra fece capolino dagli oblò alla sua sinistra.
“Oh
porca di una zozza...” Come aveva afferrato la maniglia, la lasciò andare,
quando un occhio nero grande quanto la sua testa offuscò l’ultima delle
finestrelle.
“Ci
mancava solo il calamaro gigante.” Sospirò, schiaffandosi una mano sulla fronte.
“Sentite, non sono Noè, avete sbagliato nave!”
Ricordò qualcosa a
proposito del fatto che gli animali percepissero alcune cose molto prima degli
esseri umani.
Come il pericolo,
ad esempio. Ma la probabilità che stessero fuggendo da qualcosa era da
escludere; erano animali che provenivano da zone completamente differenti
d’Arcadia, e a meno che non stesse per verificarsi un cataclisma...
E anche in quel
caso, perché avrebbero dovuto prendere tutti la stessa direzione, riunirsi in
uno stesso posto?
Se dapprima la
prospettiva di una simile scoperta era allettante, ora era a dir poco
angosciosa.
Le sue orecchie
vennero pervase da un sibilo di cui non capì la provenienza.
Tutto si bloccò,
per un istante.
Poi, il caos.
Il nugolo di
farfalle si divise, si sparse in tanti piccoli brillanti di un bracciale
frantumato.
I versi degli
uccelli riempirono nuovamente l’aria, e lo stormo di Uguisu ricomparse come una
nuvola all’orizzonte che la sua nave avrebbe presto attraversato.
Sentì qualcosa
sbattere violentemente contro il motore sinistro, probabilmente un tentacolo,
dacché il calamaro aveva lasciato perdere la nave, ed aveva fatto retromarcia in
quattro e quattr’otto.
Sottili figure
grigie sfuggivano velocemente da un oblò a un altro, tutte nella direzione
opposta. Pesci, probabilmente.
Un soffio di vento.
“Che
diavolo sta succedendo?”
Guardando meglio,
si poteva scorgere qualcosa in lontananza, ma non aveva né l’aspetto di una
nave, e tanto meno quello di un animale.
Domingo riprese
dalla tasca il cannocchiale, lo portò all’occhio destro, e mise a fuoco
puntandolo sull’oggetto non identificato. In effetti, era più grande di una
nave, e si avvicinava molto, molto più in fretta.
“Fa
che
non sia ciò che penso...” Qualunque pensiero potesse passargli per la mente poco
prima, si fece da parte per lasciar posto ad un immaginario pennarello intento a
tracciare lentamente ogni lettera di un’unica parola...
Ciclone.
“Cazzo!”
Reinfilò il cannocchiale nella tasca, facendo ruotare con l’altra mano il timone
più velocemente che poteva.
Se non si fosse
allontanato in fretta, e la tromba d’aria l’avesse raggiunto, sarebbe stata la
fine.
Tirò una leva alla
sua destra, quella che avrebbe dovuto far aumentare la velocità all’imbarcazione,
e per tutta risposta, sentì uno schiocco provenire dal motore sinistro.
Invece di
accelerare aveva ottenuto l’effetto contrario. Stava rallentando.
“Merda,
non potete mollarmi proprio adesso!” Fece, continuando a spingere la leva su e
giù.
Il rumore prodotto
dal ciclone si faceva sempre più forte.
Ancora poche decine
di metri, e...
“Forse
sarei dovuto andare a destra.” Disse, conservando il solito sorriso nonostante
tutto.
Dopodiché, non vide
più nulla.
Arcadian Glossary!
Moonstones: Frammenti di luna
caduti sulla terraferma; vengono trasformati ed utilizzati come fonte d'energia.
Il fluido di moonstones, per esempio, funge da carburante per le navi.
Flutterflies: Farfalle
di piccole dimensioni, per lo più di color oro, che si muovono in gruppi;
seguono costantemente lo stesso percorso, alla ricerca del nettare di balloon
flower, di cui si nutrono. Una pianta rara che si trova solamente nell'oceano
nord, non cresce sulla terraferma, bensì è in costante spostamento nel cielo
lungo una traiettoria ben distinta. Quando le flutterflies intraprendono viaggi
di questo tipo, possono coprire lunghe distanze senza mai fermarsi a dormire o
riposare.
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