Silence. || Italian Translation

di Lizzie_Lannister
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Hemmings House. ***
Capitolo 2: *** || Stories and Silence ***
Capitolo 3: *** || New Girl. ***



Capitolo 1
*** The Hemmings House. ***


Prima di postare il prologo, volevo far presente che la storia non è assolutamente mia. L'autrice è americana e posta su wattpad, e dal momento che io ho amato questa storia, le ho chiesto il permesso di tradurla. Se avrà successo continuerò con la traduzione del sequel, ovvero "Laconic". Per chi volesse leggere in inglese la storia, qui c'è il link: http://www.wattpad.com/41357266-silence-%C2%BB-a-i-1-the-hemmings-house . E detto ciò, vi auguro buona lettura!



1 || The Hemmings House.

 
Trasferirmi era una cosa con cui avevo sempre avuto un bel problema.
Non per il fatto che avrei dovuto adeguarmi a nuove persone e ad un nuovo ambiente, bensì per tutti i cliché che si sentono quando una ragazza della mia età si trasferisce. Una diciassettenne si trasferisce in una nuova città e trova un ragazzo carino, si innamorano e passano attraverso tutti gli alti e bassi della relazione e bla, bla, bla… Questo, se aggiunto al fatto che avevo appena finito di guardare la prima stagione di American Horror Story, non mi rendeva per niente eccitata all’idea del trasferimento.
«Avete fatto tutti i controlli finali?»
Avevo controllato due volte con i miei genitori prima del trasferimento. «Nessuno è mai stato ucciso o trovato morto in questa casa, vero?»
«Bridgette, siamo completamente sicuri che la casa non sia infestata.» sospirò mio padre, posando sul bancone la tazza di caffè per poi nascondere la testa tra le mani.
«Ora va a finire di disfare i bagagli.» istruii mia madre, indicando le scale.
Così, adesso girovagavo per la mia nuova casa, controllando ogni stanza ed ogni porta, anche il sottoscala.
Nonostante ciò, ero un po’ spaventata di andare nel seminterrato, fin quando mio fratello non mi aveva colpita al braccio dicendomi, «E’ un normalissimo seminterrato, testa vuota.»
Pensavo davvero che nel mio seminterrato avrei potuto trovare un’Infantata, come in American Horror Story? No, effettivamente no. Ma credevo nei fantasmi, quindi c’era la possibilità che qualcun altro oltre noi vivesse nella casa.
«Questa casa ti farà impazzire per il semplice fatto che tu credi che lo farà.» mi aveva detto mio padre. Naturalmente, mi avrebbe dovuto semplicemente trovare mentre spulciavo vicino al ripostiglio. I miei genitori  avrebbero cominciato a farsi ancora più domande sulla mia sanità mentale, più di quante non se ne facessero già. Ma io ero solo prevenuta. Non mi sarebbe piaciuto essere scacciata dalla mia stessa casa, essere assassinata o cose così.
«Forse dovresti uscire a prendere un po’ d’aria,» suggerì mia madre con un sorriso dipinto sul viso. «Esplora il vicinato, stringi qualche amicizia.»
«Sì, così magari potrò trasformarmi in un cliché di Hollywood?» domandai.
«Cosa c’è di sbagliato nell’incontrare un ragazzo carino?» ammiccò lei.
Il fatto che mia madre stesse davvero provando a relazionarsi con me mi fece sopprimere un lamento. «Mamma, per favore, smettila. Uscirò, se servirà a farti smettere di comportarti come un’adolescente.»
Con i miei parenti soddisfatti, che si comportavano in maniera un po’ meno imbarazzante nei miei confronti, afferrai una giacchetta chiara ed aprii la porta, per poi ritrovarmi in strada. L’aria era calda, ma un po’ ventosa. Forse perché il sole stava iniziando a tramontare.
A circa tre case di distanza dalla mia, c’era una casetta piccola e gialla, con le rifiniture e le persiane bianche. C’era un enorme albero nel cortile, e appoggiato al tronco c’era un ragazzo con gli occhiali da sole e i capelli arruffati biondicci. Ero delusa da me stessa, perché lo avevo trovato attraente, nonostante avessi già deciso che non sarei diventata la protagonista di una tipica storiella d’amore. Dovevo solo tenere la testa bassa e continuare a camminare.
«Hey!» chiamò la voce di un ragazzo. Alzai lo sguardo, ma notai che non era il ragazzo contro l’albero. La voce apparteneva ad un ragazzo che si trovava dal lato opposto della strada. Aveva capelli biondo platino e una carnagione pallida. Anche i suoi occhi erano coperti da un paio di occhiali da sole. Mi fece cenno di raggiungerlo, ma io scossi la testa. Non ero una stupida – i miei genitori mi avevano messa in guardia dagli sconosciuti pericolosi. Lui, però, continuò a chiamarmi dal suo cortile. «Com’è che non ti ho mai vista in giro?»
«Mi sono appena trasferita.» risposi.
«Hai un nome?» domandò lui.
Perché avrei dovuto dire il mio nome ad un ragazzo qualunque? «Forse.»
Lui ridacchiò. «Forse? Strano nome, ma comunque sia…»
Ruotai gli occhi. Quel ragazzo credeva di essere carino o cosa? «E tu, un nome ce l’hai?»
«Michael,» sorrise. «Michael Clifford.»
Annuii, senza sapere cosa rispondere a quel Michael. Non volevo davvero andare a casa, ma di sicuro non volevo continuare la conversazione con lui. Si comportava così da idiota che avrei voluto stare kilometri lontana da lui.
«Allora, Forse…» cominciò lui, sorridendo tra sé. «Siete la famiglia che si è trasferita davanti alla casa degli Hemmings?»
«La che?»
Michael iniziò ad avvicinarsi a me. «Tu non sai della casa degli Hemmings?»
«N-no…» feci un passo indietro, ma Michael si fermò sul bordo del marciapiede. Mantenne un piede sulla strada, e si tolse gli occhiali. I suoi occhi erano di un verde luminoso, e molto belli.
«Beh, la storia è che la famiglia Hemmings viveva lì.» cominciò. «I signori Hemmings e i loro tre figli: Jack, Ben e Lucas. Un giorno, la signora Hemmings di ritorno a casa trovò il marito che la tradiva con la vicina. Allora, di punto in bianco gli sparò, e lo stesso fece con la vicina. Il maggiore dei tre figli, Ben, la scoprì e minacciò di raccontare tutto, così lei lo avvelenò e lui morì. Jack pensò che l’intera situazione fosse folle,  ed il nervosismo salì alle stelle. La sua ansia aumentò a tal punto che lui si sparò. Allora rimase il più piccolo, Lucas, e sua madre. Lucas aveva più o meno la nostra età quando successe ciò. Sapeva cosa sua madre aveva fatto, ma pensava che lei avesse ucciso anche Jack, il che lo portò al limite della sopportazione. Addormentò la madre e la trascinò nel seminterrato. Le ruppe la testa, prima di impiccarsi.»
Mi ci volle un bel po’ per metabolizzare il tutto. Ecco, quello era proprio il genere di cose di cui parlavo! Ed i miei genitori mi avevano anche ritenuta matta.
«Allora siete voi?» chiese Michael. «Intendo, siete voi che vi siete trasferiti nella casa lì avanti?»
«Qual è l’indirizzo di quella casa?» domandai io.
«Wesfield Drive, numero 30.» rispose.
Sbuffai. Certo che solo noi potevamo trasferirci davanti alla casa infestata della città. Cosa avrei dovuto aspettarmi? Sfortunatamente, stavo diventando esattamente il cliché di una storia hollywoodiana.  O magari una nuova puntata di American Horror Story. Chi poteva dirlo?
«Wesfield Drive, numero 31.» gli dissi, cominciando a tornare sui miei passi. « Dovrei fare delle ricerche su, uh... la Casa degli Hemmings? Sì. »
«Cerca di non morire,» fece un cenno con la testa, rimettendosi gli occhiali. Girò i tacchi e si riavviò verso la strada da cui era venuto. Feci per girarmi, ma lui mi richiamò. « Hey, Forse! »
«Cosa?»
«Cosa fai stasera verso... le sette e trenta? »
Avevo appena conosciuto Michael, e già mi chiedeva di uscire? Tutto ciò si stava decisamente trasformando in un cliché, no? Però io avrei voluto ascoltare di più di ciò che sapeva sulla casa degli Hemmings. Ma, allo stesso tempo, non ero totalmente sicura riguardo Michael. Sembrava… strano. Non perché aveva un comportamento da cazzone, ma per il modo in cui aveva parlato della casa. Sembrava come se fosse stato davvero lì, o qualcosa del genere. Come se ci fosse stato qualcosa di cui non avrebbe mai potuto parlare, perché era impressa nella sua mente. Ma sembrava star bene subito dopo averne parlato. Ero curiosa. Volevo sapere tutto ciò che potevo.

«Irwin!» chiamò Michael, strappandomi dai miei pensieri. Seguii lo sguardo di Michael dietro di me e vidi il ragazzo appoggiato all’albero. « Che ci fai ancora qui? Probabilmente stai spaventando Forse a morte.»
Il ragazzo – Irwin? – scrollò semplicemente le spalle, senza dire niente. Non si mosse nemmeno da dove stava. Dovevo ammetterlo, Michael ci aveva preso. Quel ragazzo era davvero strano.
«Quello è Ashton» spiegò Michael, indicandolo con un cenno della testa. «Non parla. Tipo mai.»
Ricambiai il suo sguardo. «Perché?»
Michael scrollò le spalle e fece uno strano verso, che probabilmente significava “non lo so”. Mi girai a guardare il ragazzo, Ashton. Feci un piccolo gesto con la mano per salutarlo e lui ricambiò con un cenno del capo. Almeno, mi avrebbe riconosciuta in futuro.
«Allora?» insistette Michael. Mi voltai a guardarlo. «Sei libera stasera?»
Sospirai. «Penso di sì.»
Michael mi sorrise. «Fantastico. Ci vediamo fuori casa tua, quindi?»
«Okay.» confermai, girandomi per andarmene. « A dopo. »
«Ci vediamo, Forse.»
Mi bloccai e mi girai nuovamente. «Bridgette. È Bridgette.»
« Bridgette...?»
«Cooper.»
«Allora ci vediamo dopo, Cooper.»

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Capitolo 2
*** || Stories and Silence ***


Hello! Abbastanza in tempo, ecco a voi anche il nuovo capitolo. Volevo ringraziare chi ha messo tra i preferiti la storia, ci terrei tanto a leggere qualche vostro parere! So che può sembrare una bazzecola, ma tradurre non è affatto un affare facile:c però continuerò a farlo, perché questa storia merita tanto. Ora vi lascio alla lettura, bye.x


2. || Stories and Silence


Rientrai in casa, e sentii il profumo del pesce invadermi le narici. Amavo il pesce cucinato da mia madre così tanto che mi fece dimenticare completamente della conversazione con Michael e della casa apparentemente infestata, appena dall’altra parte della strada. Seguii il mio naso fino alla cucina, dove trovai mia madre intenta a frullare il purè di patate.
«Hey mamma.» salutai, sbirciando oltre lei quello che c’era in pentola.
«Com’è andata la passeggiata?» mi domandò lei, chiudendo la pentola con il coperchio in acciaio per poi girarsi verso di me.
Quello mi fece definitivamente ricordare della mia conversazione con Michael. Feci spallucce, appoggiandomi al ripiano dell’isola. «Bene.»
«Hai incontrato qualcuno, nel vicinato?»
«Sì, un ragazzo. A dire il vero… due ragazzi.»
Sul viso di mia madre si fece spazio un sorriso ammiccante. «Oh, davvero?»
«Mamma, non è niente di che, okay?» sospirai. «Uno era pressappoco un’idiota, e l’altro nemmeno parlava.»
L’espressione allegra scomparve dal viso di mia madre. «Beh, sono sicura che ci siano persone migliori in città. Vedrai.»
«Oh, esco con uno di loro stasera.» la avvisai.
Lo sguardo che mi rivolse mi fece quasi ridere. Mi guardò come se le avessi appena chiesto di elencarmi i diversi tipi di cibo per cani. Sospirò e ruotò gli occhi, per poi tornare ad occuparsi del cibo nella pentola.
«Va bene.» accettò finalmente. «Devi essere a casa prima delle dieci, però.»
Lasciai la cucina e salii in camera mia per fare qualche ricerca prima di cena. Accesi la lampada sul comodino e mi misi sul letto, prendendo il portatile sulle gambe. Sistemai i cuscini sulla testiera del letto e vi sprofondai. Aprii il portatile, e cercai su Google “Westfield Drive” nella mia città. Spuntarono un sacco di articoli di giornali. Cliccai sul primo risultato, e subito il titolo catturò la mia attenzione.
Intera famiglia trovata morta al numero 30 di Westfield Drive. Doveva di sicuro essere la casa degli Hemmings. L’articolo raccontava esattamente ciò che Michael mi aveva già spiegato. Passai all’articolo seguente, che recitava “Ragazzo morto in un incidente in moto”. Quello di sicuro non riguardava la Casa degli Hemmings.
Un ragazzo è rimasto ucciso in un incidente in moto del 23 settembre 2013 in Westfield Drive. La famiglia ha richiesto di mantenere l’identità segreta, ma è stato detto che fosse appena diciottenne. Nessuno ha assistito all’incidente, o sa cosa abbia potuto scatenarlo. Il ragazzo è stato trovato a cinque passi di distanza dal motorino, che è scivolato lungo la strada.”
«Bridgette, la cena!» chiamò mia madre dal piano di sotto.
Avrei dovuto chiedere a Michael più tardi. Chiusi il portatile e scesi in cucina per cenare.
Erano le 7:03 secondo l’orologio del forno. Dopo cena avrei dovuto incontrarmi con Michael. Mi sedetti di fronte a mio fratello, ed incrociai le braccia sul tavolo.
«Così tua madre mi ha detto che uscirai con un ragazzo, più tardi?» investigò mio padre.
«Un ragazzo?» mio fratello, Jeremy, ridacchiò. «Quale ragazzo uscirebbe con te?»
Mi strinsi nelle spalle. «Si chiama Michael. L’ho incontrato dopo che mamma e papà mi hanno praticamente scacciata di casa.»
«Deve esserci qualcosa di sbagliato in questo ragazzo se è intenzionato ad uscire con te.» rise mio fratello. «Andiamo, è uno spacciatore? Un rapinatore? Un serial Killer?»
«Jeremiah!» lo riprese mia madre. Jeremy fece spallucce e prese la sua forchetta.
«La sto solo avvisando a fin di bene.»
«Se “solo avvisarmi a fin di bene” significa prenderti gioco di me, allora lo stai facendo alla perfezione» gli assicurai.
«Zitti e mangiare il vostro pesce.» brontolò mio padre.
 
***

Mi tirai su la zip della giacca non appena mi chiusi la porta alle spalle e attraversai la veranda. Mi sedetti sul bordo del marciapiede in parte a casa mia e aspettai che Michael mi venisse incontro. Fissai per terra, e spostai un mucchietto di terra con la pianta della scarpa. All’improvviso notai un’ombra scura incombere su di me. Alzai lo sguardo, ed i miei occhi incontrarono quelli di Michael.
«Ti diverti, Cooper?» sogghignò.
«Moltissimo.» dissi e mi alzai, spazzolando via la terra dai pantaloni. «Quindi, dove siamo diretti?»
«Solo una passeggiata.» Michael sospirò. «va bene per te, Cooper?»
«C’è qualche problema con il mio nome?» domandai, non appena cominciammo ad incamminarci sulla strada verso casa sua.
Lui si limitò a fare spallucce. «Mi piace chiamarti Cooper. C’è qualche problema con il tuo cognome?»
«No, me lo stavo semplicemente chiedendo.» risposi, e poi aggiunsi, «Clifford.»
Michael rise. «Carino, Cooper. Ma nessuno ama i copioni.»
Camminammo per la strada finché non raggiungemmo la casa che aveva quell’albero enorme in cortile, quello dove era appoggiato Ashton quel pomeriggio. Michael mi guidò nel piccolo vialetto fino alla porta principale. Bussò due volte e poi aspettammo.
« Spero non ti dispiaccia se Ashton si unisce a noi.» disse mentre aspettavamo che ci raggiungesse.
«Oh, quindi lui lo chiami per nome!» lo accusai, puntandogli il dito.
Michael fece un sorrisetto. «Volevo solo essere sicuro che capissi di chi stavo parlando.» si girò e bussò altre tre volte. «Hey, Irwin, andiamo!»
«Perché non parla?» sussurrai.
Michael scrollò le spalle e disse «Non lo so» svogliatamente. «Non parla neanche con me
Ashton aprì la porta e uscii di casa, indossava ancora i suoi occhiali da sole. Michael si girò e prese il mio polso e mi riportò sui nostri passi, finché non raggiungemmo la strada. Ashton si mise al fianco di Michael e cominciò a camminare silenziosamente con noi.
«Irwin, ti ricordi di Cooper, vero?» Michael domandò, indicandomi.
Ashton guardò oltre Michael per rivolgermi un cenno del capo, come aveva fatto prima, quel pomeriggio. Ricambiai il cenno, con un piccolo sorriso, prima di abbassare lo sguardo sui miei piedi. Dovevo chiedere a Michael dell’incidente, ma come avrei potuto farlo senza sembrare inquietante? “Hey, vorresti parlarmi del tipo che è morto in mezzo alla strada?” Non era esattamente il modo migliore per chiederglielo.
« Allora Cooper, » cominciò Michael. « Quanti anni hai? »
« Diciassette, » replicai. « Avrò diciotto anni tra due settimane. Perché, quanti anni hai tu? »
« Ahw, sei una bambina! Io ho già diciotto anni, » sorrise orgoglioso. Ashton grugnì e Michael quasi inciampò sui suoi stessi piedi. « Cosa? Ah, sì, Ashton ha diciannove anni. »
« Ahw, sei un bambino! » lo imitai e Ashton mi sorrise, mostrando due fossette agli angoli della bocca.
« Non incoraggiarlo. » borbottò Michael, tirando fuori gli occhiali da sole dalla tasca e mettendoseli.
« Perché indossate costantemente gli occhiali da sole? » chiesi. « Sta facendo buio. »
« Perché siamo fighi, ecco perché. » disse Michael, a testa alta.
Alzai gli occhi al cielo. Bene, era giunto il momento di fare le cose sul serio prima che Michael se ne tornasse a casa. « Hey, posso farti una domanda? »
« Spara, Cooper. » disse Michael, fermandosi sulle strisce pedonali. Guardò da entrambe le parti prima di lasciare che io e Ashton attraversassimo la strada.
« Ho fatto qualche ricerca, » iniziai lentamente. « E apparentemente qualcun altro è morto in questa via. Non sono riuscita a leggere tutto, ma diceva che si è trattato di un incidente in modo. »
Michael si fermò di botto. Ashton mi guardò prima di strattonare Michael con un braccio e spostarlo dietro di lui, per poi ritrovarsi in mezzo a noi. Ashton guardò Michael e tenne le braccia spalancate, come se stesse cercando di proteggermi da Michael, la cui faccia era pallida non appena si tolse gli occhiali. Guardò nella mia direzione, ma era come se stesse fissando un punto oltre di me.
« Devo andare a casa. » disse, quasi in un sussurro.
Ashton si rilassò e lasciò che Michael si girasse e si allontanasse da noi. Superai Ashton gentilmente. « Che vuol dire che te ne devi andare? »
Michael si girò improvvisamente, sembrava furibondo « Lascia perdere, Bridgette, » feci un passo indietro, abbassando la testa. Michael sembrò calmarsi un poco. Si girò ancora. « Ci vediamo domani, Cooper. »
Rimasi a guardare Michael attraversare di nuovo la strada e continuare a camminare, mettendosi di nuovo gli occhiali a coprire i suoi occhi verdi. Ashton toccò delicatamente il mio braccio e mio mi girai a guardarlo. Aprì la bocca come se volesse dire qualcosa, ma poi la chiuse subito. Puntò il dito nella direzione in cui Michael era appena sparito.
«Giusto, vorrai tornare a casa.» annunciai e lui annuii. Iniziò a camminare, ma poi si fermò e mi fece cenno di seguirlo. Mi affrettai e cominciai a camminare insieme a lui. Non riuscivo a pensare a niente per riempire quel silenzio, allora feci notare l’ovvio.  «Quindi... tu non parli?»
Ashton ridacchiò e scosse la testa.
«Da quanto tempo va avanti?» domandai.
Ashton alzò lo sguardo e mi mostrò le dita, come se stesse contando. Sollevò sei dita.
« Sei anni? » esclamai. Lui scosse la testa. «Sei... mesi?»
Annuì.
«Ti stanchi mai di non poter parlare a nessuno?»
Lui scrollò le spalle e annuì un po’.
«Da quanto tempo sei amico di Michael?»
Ashton fece di nuovo la sua conta e alzò due dita.
«Due mesi? » chiesi, e lui scosse la testa. «Due anni?»
Annuì.
«Hai altri amici?»
Lui annuì nuovamente.
«Una famiglia?»
Annuì.
«Con loro ci parli?»
Ashton fece una piccola pausa, poi annuì ancora.
«E perché con loro sì e con gli altri no?»
Sospirò e scosse la testa.
« Giusto, probabilmente non riesci a spiegarlo. Sai, non parlando è un po’ difficile.»
Ashton rise e si passò una mano tra i capelli. Mi diede una pacca sulla spalla prima di mettersi le mani in tasca.
«Quindi... ti sembro simpatica?» tirai ad indovinare.
Lui sorrise e annuì.
«Bene.» ricambiai il sorriso. «Anche tu mi sei simpatico. Così forse un giorno mi parlerai.»
Ashton fece spallucce, ma continuò a sorridere.

 

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Capitolo 3
*** || New Girl. ***


Buongiorno! Scusatemi per l'attesa, ecco a voi il terzo capitolo. Purtroppo non mi è facile trovare il tempo di far tutto, ma non ho intenzione di bloccare la traduzione di questa storia, perché mi piace moltissimo. Vi chiedo solo di pazientare un pochino... e detto ciò, buona lettura.xx

3 || New Girl.


 
La mattina seguente mi svegliai a causa dell’acuto suono della mia sveglia.
Il primo giorno di scuola incombeva su di me, ed io non ne ero contenta. La mia nuova scuola si trovava in fondo alla strada. Si chiamava Wesfield High ed era situata all’inizio di Wesfield Drive. Non avrei avuto problemi a camminare fin lì.
La sera prima, avevo finito di leggere l’articolo e non avevo trovato nient’altro, a parte il fatto che il ragazzo che era morto viveva nella via. Avevo il presentimento che la Casa degli Hemmings e l’incidente della motocicletta non fossero le uniche cose… interessanti a Wesfield Drive. Ma avrei dovuto aspettare di andare a scuola prima di scoprire quali fossero queste cose.
Mi alzai ed indossai un paio di skinny scuri e scambiati, una canotta bianca ed un cardigan grigio. Non avrebbe dovuto far freddo, fuori, quindi pensai che vestirmi in maniera leggera sarebbe andato bene. Scivolai nelle mie Vans nere e passai dalla mia stanza al bagno. Mi spazzolai i capelli e lavai i denti, senza neanche tentare di lottare con il trucco. Non volevo neanche vivere in quella città, quindi non sentivo il bisogno di impressionare qualcuno.
Lasciai dal bagno e scesi le scale, trovando Jeremy già in cucina. Lui alzò lo sguardo quando entrai e sorrise orgoglioso, agitando una confezione di tartine. «Ho preso l’ultimo pacchetto.»
«Fottiti, Germo.» ghignai.
«Questo non è un atteggiamento positivo con cui andare a scuola. – mi disse, parlando come avrebbe fatto con un bambino. – e a proposito, spero tu sappia che non ho intenzione di accompagnarti a scuola in auto. Non solo oggi ma tipo, mai.»
Anche se mio fratello era effettivamente intelligente, non aveva passato l’ultimo anno delle superiori. Ora lo stava ripetendo, mentre io lo iniziavo per la prima volta. Sapevo che l’avrei passato al primo colpo. A Jeremy scocciava semplicemente di applicarsi in qualsiasi cosa riguardante la scuola.
Scrollai le spalle. «Non mi aspettavo che lo facessi. Mi ero già organizzata per andare a piedi.»
Raggiunsi la porta e presi lo zaino prima di uscire di casa.
Lui non pensava che io non mi aspettassi che mi accompagnasse a scuola. «B-beh… meglio!» urlò alle mie spalle prima che chiudessi la porta.
Scesi le scale della veranda e presi la mia via lungo il vialetto nuovamente. Fissai la Casa degli Hemmings dall’altra parte della strada.
Le finestre erano scure e l’edera cresciuta sul muro in mattoni la ricopriva quasi completamente. Non appena uscii dal vialetto, potei giurare di aver visto qualcuno dentro la casa, ma capii che ero solo io che mi lasciavo spaventare a morte dalle storie di fantasmi,
«Cooper!» Michael mi chiamò dalle mie spalle. Mi girai e lo vidi correre verso di me. Si fermò e prese a camminare non appena fu a due metri di distanza da me. «Dove sei diretta?»
«Uh, a scuola?» risposi, anche se sembrò che stessi chiedendo a lui dove stessi andando.
«Vai a scuola?» domandò, sembrando piuttosto sorpreso.
«Già, - risi – sono all’ultimo.»
«Merda, Cooper. – imprecò, scompigliandosi i capelli con una mano. – pensavo tu fossi già diplomata o qualcosa del genere. Avevo dei piani per noi oggi.»
Mi bloccai e lo guardai, con un accenno di sorriso ancora sul mio viso. «Tu hai fatto dei piani per me? Senza neanche chiedermi se fossi libera?»
Scrollò le spalle. «Sapevo che avresti accettato comunque.»
«E che piani avresti fatto?»
«Sorpresa. Lo faremo quando uscirai da scuola. Ci incontriamo all’uscita, d’accordo?»
«Uhm, bene.»
«A dopo, Cooper!»
Michael girò i tacchi e andò via. Ero contenta che avesse sorvolato sugli eventi della sera prima, quando lo avevo fatto accidentalmente arrabbiare. Probabilmente aveva capito che non era stato intenzionale. Ripresi la mia strada verso la scuola, guardando intorno alla mia nuova città. Tutte le case sembravano principalmente uguali. Erano a due o ad un piano, con piccoli vialetti e cortili un po’ trascurati. L’unica fuori posto era la Casa degli Hemmings, che però era anche disabitata da chissà quanto tempo.
Sussultai non appena sentii il clacson di una macchina. Mi girai e vidi mio fratello passarmi accanto a superarmi. Non appena mi fu davanti mi lanciò un sorriso compiaciuto. Dovevo solo ricordare a me stessa che tra i due non ero io quella che era stata bocciata al suo ultimo anno. Pensarlo mi faceva sempre sentire meglio. Impiegai quindici minuti ad arrivare all’inizio della via. La vecchia ed imponente scuola spiccava sulla strada. Mi ricordò la Casa degli Hemmings, per il suo aspetto antico. Anche il muro di mattoni della scuola era leggermente coperto dall’edera rampicante, il che la rendeva un po’ inquietante, proprio come la casa.
Solo che la scuola aveva persone che entravano ed uscivano continuamente.
Mi feci strada tra i tanti sentieri contorti del campus. Camminai verso le porte principali, ignorando ogni persona che mi stava fissando come fossi una sorta di esperimento scientifico.  Cristo, i ragazzi nuovi affascinavano tutti?
Mi lanciai verso la porta aperta di un edificio al centro del campo, con lo zaino che minacciava di cadermi dalle spalle. Raggiunsi la segreteria, che era proprio davanti l’entrata principale. Vi entrai e quasi non andai addosso a mio fratello, che stava parlando con la donna seduta dietro la scrivania. Il suo cartellino recitava Mrs. Hadley.
La donna mi guardò e sorrise. «Tu sei Bridgette Cooper?»
«Sì» annuii.
« Fantastico – sorrise raggiante e mi porse il mio programma che aveva già sulla scrivania.- Come ho già detto a tuo fratello qui, tutte le lezioni scientifiche sono nell’Edificio C. Inglese e letteratura nell’Edificio B. Matematica e storia nell’Edificio A. La palestra è facilmente riconoscibile grazia alla scritta “palestra” sopra. La mensa è situata dall’altra parte del corridoio di questo edificio. »
«E come si chiama questo edificio?» chiese Jeremy, passandosi una mano trai capelli spettinati.
«Questo è l’Edificio Principale, » spiegò Mrs. Hadley. «Qui c’è l’ufficio del Preside, l’aula delle punizioni e la segreteria.»
Dopo averci dato altre indicazioni meno generali sulla mappa che avevano ricevuto, io e Jeremy fummo mandati fuori dall’Edificio Principale e ci ritrovammo nel campus ad arrangiarci da soli.
«Sono sicura che conoscerai questo edificio come le tue tasche,» gli dissi. «C’è l’ufficio del Preside.»
«E l’aula punizioni, - disse lui, reggendomi il gioco e tentando di sminuire l’insulto. - Non dimenticarlo. Io sono sempre in punizione. Al contrario di te, che non ci sei mai stata.»
Scrollai le spalle. «Non odiarmi perché sono quella brava.»
«Sì, sei anche quella strana. - replicò. Esci con degli strani tipi dopo esserti trasferita in una casa che secondo te è infestata. Sul serio, smettila di guardare American Horror Story. »
Jeremy si diresse verso l’Edificio A. Stavo per spiegargli che Michael non era strano, ma se ci pensavo, un po’ lo era. Era meglio che Jeremy se ne fosse andato, così non avrei dovuto essere d’accordo con lui.
Stavo andando all’Edificio C. La mia prima lezione era informatica forense, ed ero entusiasta. Avevo sempre voluto imparare cose del genere. Anche se scienze non era mai stata la mia materia preferita. Immaginavo che quella materia fosse diversa da tutte le altre materie scientifiche. Quindi, se non fossi uscita fuori dalla classe capace di risolvere un omicidio, sarei stata parecchio delusa.
Entrai nell’Edificio C e presi le scale, dove mi aveva mostrato Mrs. Hadley. L’aula 108 era al centro del corridoio. Entrai anche se la campanella non era ancora suonata per indicare a tutti di andare a lezione. Non c’era nemmeno la professoressa in classe. L’unica persona presente nella stanza era un ragazzo dagli scompigliati, neri capelli e la pelle abbronzata. Alzò lo sguardo quando mi sentì entrare, ma tornò a scribacchiare sulla sua agenda dopo aver controllato chi fossi.
Camminai verso il lato opposto della stanza e mi misi seduta in fondo, all’angolo della classe. Posai il mio zaino sul banco e mi misi sulla sedia, appoggiando i gomiti sul tavolo.
«Io non mi sederei lì - mi avvisò il ragazzo senza nemmeno alzare lo sguardo. – quello è il posto di Erik e Marnie. »
Annui tra me prima di alzarmi e spostarmi su un altro banco. Di nuovo, il ragazzo mi disse anche quello era occupato. Provai una terza volta, senza fortuna.
«Okay. -  sospirai. - Quali posti non sono occupati?»
Finalmente lui alzò lo sguardo e indicò la sedia accanto alla sua. « Questo qui. »
Mi feci scappare un sospiro e raggiunsi il posto accanto a lui. Posai il mio zaino sul banco prima di sedermi accanto a lui. Non mi disse niente, continuò a scribacchiare. Ero curiosa di sapere cosa fosse così importante da non poter nemmeno provare a riempire un imbarazzante silenzio, ma sapevo che sarebbe sembrato scortese. Immaginai che avrei potuto dissipare io l’imbarazzo, se lui non ne aveva l’intenzione.
« Allora... che stai facendo?» gli chiesi.
«Sei abbastanza curiosa per essere quella nuova.» iniziò, ancora non mi guardava.
«Cercavo solo di riempire il silenzio.» gli dissi semplicemente.
«È una lingua straniera.» mi disse, finalmente guardandomi.
«Che lingua?»
«Latino. »
«Lo insegnano ancora?»
«No.»
«Ma allora‒»
«Stai  facendo davvero  troppe domande.» disse ancora, tornando alla sua agenda.
«Hai davvero bisogno di una scopata.» borbottai sotto voce, girandomi.
«Ti ho sentito.» disse, senza alzare lo sguardo. Ma nonostante questo scorsi un sorrisetto sul suo viso. 
***
 
«Hey, ragazza nuova!» mi chiamò qualcuno, dopo il suono dell’ultima campanella che segnava la fine della giornata scolastica.
Mi girai appena uscii dall’Edificio Principale e vidi il ragazzo che era nella classe di informatica forense con me. Era stato anche alla mensa, ma non mi aveva detto nulla quando mi sedetti da sola. Ma nonostante ciò, eccolo lì. Forse era uno di quei tipi solitari e silenziosi.
«Ho un nome.» dissi quando si avvicinò abbastanza, anche se io non avevo ancora capito il suo.
«Bridgette - annuì lui. - Lo so.»
Come diavolo faceva a saperlo? Le persone in quella città sembravano sempre più strane, ed ero lì appena da due giorni. Tecnicamente tre, se il giorno passato a trasportare scatoloni contava.
«Se sai il mio nome perché continui a chiamarmi “ragazza nuova”?» chiesi.
Lui scrollò le spalle. «Non posso?»
«Non più.»
Girai i tacchi e cominciai ad allontanarmi, ma il ragazzo con i capelli improbabili continuò a seguirmi. Sospirai e ruotai gli occhi, ma continuai a camminare. Forse se non lo consideravo se ne sarebbe andato. Ovviamente mi sbagliavo. Mi seguì per tutta la via fino ai cancelli del campus.
«Dove abiti?» mi chiese.
«In realtà, sto aspettando una persona.» spiegai.
«Chi?» domandò ancora lui.
«Hey, Cooper!» mi chiamò Michael alla mia destra.
Guardai verso la strada e vidi Michael avvicinarsi a grandi passi con gli occhiali da sole a coprirgli gli occhi. Inclinò la testa quando vide qualcuno dietro di me, ma continuò ad avanzare.
«Michael Clifford?» chiese il ragazzo quasi sorpreso.
«Sì. - gli risposi, voltando la testa per guardarlo. Poi lo imitai. - Non posso?»
«Non dovresti.» fece spalluce, come se tutta quella situazione non fosse niente di che. Però aveva acceso il mio interesse.
«Cosa ne‒»
«Cooper - disse Michael dietro di me. Mi voltai e lo vidi rivolgermi un sorrisetto. - Vedo che hai incontrato Calum Hood. È un mio buon amico.»
Quindi era quello il suo nome. Osservai ancora il ragazzo, Calum, e lo studiai. Volevo assolutamente sapere perché secondo lui non potessi passare del tempo con Michael, visto che stavo per farlo. Volevo anche sapere perché Michae
l avesse detto che erano amici quando Calum mi aveva avvertito di non stare con lui. Il viso di Calum era normale. Era come se non gliene importasse davvero che stessi per andarmene con Michael, anche se mi aveva detto di non farlo.
«Ci vediamo in giro, ragazza nuova.» disse Calum, rivolgendomi un cenno con il capo prima di incamminarsi verso la via da cui era arrivato Michael.
 
 

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