A Black Rose as Death

di Snow_Elk
(/viewuser.php?uid=750643)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Sussurri del Passato ***
Capitolo 2: *** Un'oscurità accecante ***
Capitolo 3: *** Un Silenzio Assordante ***



Capitolo 1
*** I Sussurri del Passato ***


A Black Rose as Death

Episodio I- I Sussuri del Passato




“Quanti anni sono passati da quando l’ho conosciuta? Due? Cinque? Dieci? Mi sono sembrati un’eternità. Per la prima volta in vita mia mi sono sentita confusa nel rivedere i miei stessi ricordi, sembravano appartenere a qualcun altro, non a me. Come l’ho conosciuta? Oh me lo ricordo bene, me lo ricordo fin troppo bene”

- Avanti, ammainate quelle vele e legate quelle cime! Possibile che debba dirvi sempre tutto io? Muovetevi! – la voce di Mifune era totante, autoritaria, fredda. Ogni suo ordine impartito era subito eseguito, a testa bassa, perché chiunque sapeva che in caso contrario avrebbe assaggiato la sua lama, un’unica fatale volta.
- Non ti sembra di esagerare un po’? Tu e le tue manie di protagonismo iniziano a seccarmi, Capitan Mifune – Alice scoppiò a ridere, lucidando l’enorme falce a due lame, ma lo sguardo torvo del samurai gli smorzò la risata che divenne ben presto un ghigno quasi impercettibile.

“La battaglia degli Deì, una delle tante a quei tempi, o forse era la più importante? Non me lo ricordo ad esser sincera. Ci eravamo ribellati agli Deì, li avevamo sfidati per farli cadere dai loro troni dorati lì, nell’Aurora Celeste. Li abbiamo fronteggiati, nell’immensa prateria sulla quale si affacciava la città sacra… La Veda. Sì, l’ho incontrata proprio lì. Dove tutto è iniziato, tutto finirà”

- Perché Lemia non è voluta venire? Ci saremmo divertite! – alle volte Alice sembrava proprio una ragazzina, una ragazzina psicopatica armata fino ai denti e letale come la morte. C’era chi diceva che si comportava a quel modo per un vecchio trauma subito nel passato.
- Dice che doveva proseguire degli studi avanzati sulla necromanzia, dice che è a buon punto. Bah, io quella svitata non l’ho mai capita, l’abilità si ottiene col sudore della fronte, allenandosi ogni singolo giorno, non passando le giornate su libri vecchi come Maxwell – il samurai scosse la testa e tornò alle sue mansioni di capitano.
- Se ti avesse sentito saresti già finito all’altro mondo. Non è vero Kikuri? Kikuri? -

“Eravamo riusciti a formare un vero e proprio esercito, ma si trattava pur sempre degli Deì e fu uno scontro devastante, tutto quel sangue, tutti quei corpi senza vita, il mio paradiso. Quante creature ho ucciso quel giorno? Quanti semi deì sono caduti trafitti delle mie lame?Sembrava che stavamo per vincere, i corpi degli Deì bruciavano nelle fiamme cremisi della nostra ribellione, ma poi ho visto lei, è stato un attimo e mi sono ritrovata a terra, col fiato mozzato, con una spada conficcata nella spalla .Abbiamo combattuto,uno scontro alla pari, il più violento che abbia mai affrontato, ma mi ha atterrato, di nuovo. Lei… lei era diversa dagli altri, l’avevo capito fin da subito”

- Kikuri? Kikuri mi stai ascoltando? Oh fantastico, prima ci chiede di accompagnarla in questa sotto specie di crociata e poi si perde nei suoi pensieri. A questo punto Magress sarebbe stato più di compagnia! – la giovane mietitrice afferrò la falce e l’agitò, sferrando fendenti nel vuoto, facendo tentennare le catene che le pendevano dagli abiti. Era il suo modo particolare di sfogarsi.
- Magress? Quella caldaia ambulante? Per gli Deì, ha lo stesso charme di un comodino ed è costantemente fissato con quel guerriero della luce, com’è che si chiama? Ah sì, Atro. Ehi voi, dispiegate le vele, siamo sotto vento, avanti, avanti! – Mifune continuava a gesticolare verso i marinai, impartendo ordini su ordini, tra una frase e l’altra, come se niente fosse.
- Quanto manca? Ho voglia di uccidere qualcuno! – esclamò Alice, affondando la falce nel pavimento in legno con tale forza da far incrinare due assi e far sobbalzare un paio di uomini per lo spavento.
- Calmati! Tra qualche minuto dovremmo essere a destinazione. Riesco a intravedere le rovine della torre e del ponte oscuro – il samurai indicò i due punti all’orizzonte. Alle sue spalle l’intera flotta iniziava a dispiegarsi in formazione, pronta per l’attacco e lo sbarco.

“ Era una guerriera della luce, non vi erano dubbi, ma aveva qualcosa di strano, di diverso, nei suoi occhi brillava una luce particolare, malinconica. No, lei non era accecata dalla fede verso gli Deì, lei non era come quegli altri fantocci che combattevano per qualcuno che li usava solo come marionette senz’anima. Mi aveva colto di sorpresa, mi aveva atterrato contro ogni aspettativa , avrebbe potuto uccidermi, ma non l’ha fatto. No, si è avvicinata, mi ha guardata dritta negli occhi,quegli occhi azzurri freddi come il ghiaccio, e mi ha sorriso. Mi ha aiutato a rialzarmi, ha riposto tutte quelle lame dietro la sua schiena, come un cerchio,e mi ha detto che in quella battaglia non eravamo più avversarie, ma alleati. Abbiamo lottato fianco a fianco e abbiamo vinto. Ancora mi chiedo cosa l’abbia spinta a risparmiarmi”

- Eccola, ci siamo, La Veda… la città decaduta. Prepararsi, tutti ai posti di combattimento e ricordatevi: o noi, o loro! Dimostriamo a quei bambocci della luce che cosa si prova a finire nell’Oblio dell’Abisso!– Mifune motivò gli uomini come solo lui sapeva fare, mentre Alice brandiva con entrambi le mani l’enorme falce, bramando come non mai la battaglia imminente.
- Credevi davvero che mi sarei persa una cosa del genere? – un’altra nave da guerra oscura si affiancò alla loro e sul castello apparve una donna dai lunghi capelli grigi e dagli occhi rossi e penetranti. Brandiva un grande bastone decorato e un teschio fiammeggiante. Non c’erano dubbi, era lei.
- Lemia! – esclamarono il samurai e la mietitrice all’unisono.
- In persona, era dai tempi della Guerra degli Deì che non si vedeva uno scontro simile, non me lo sarei perso per niente al mondo e a quanto pare non sono l’unica – la necromante lanciò un’occhiata ammiccante ad un’altra nave che stava affiancando l’ammiraglia. Sul castello di quest’ultima c’era Shida, che a braccia incrociate, osservava la skyline devastata di La Veda.
- Dunque è qui che verrà deciso tutto? - chiese, impassibile. La sua armatura sembrava assorbire i raggi del sole. Il suo sguardo non trasmetteva alcuna emozione.
- Già, a quanto pare sì – rispose Mifune, osservando le altre navi che avanzavano in formazione, puntando minacciose contro la città morta .
- Tsk… devastare per la seconda volta una città sacra, eh? Suona interessante – Shida si volse verso gli uomini della sua nave e ordinò con tono di cupo di prepararsi al massacro.

“Non pensavo che sarebbe finita così, non pensavo che saremmo arrivati a questo, ma è nella mia natura. Tutto ciò che abbiamo vissuto insieme ormai fa parte del passato e tale deve rimanere, non possiamo in alcun modo capovolgere l’equilibrio di questo mondo per un nostro… capriccio. Io sono una demone, lei è una creatura della luce, non abbiamo niente in comune, mai lo avremo. Ho sempre bramato il sangue dei miei avversari, la sinfonia della morte, uccidere, uccidere per il solo gusto di farlo, ma non questa volta. Questa volta… non sento niente”

- Gli altri sono pronti? Questa volta faremo le cose alla vecchia maniera – Mifune si volse verso Lemia, che stava giocherellando col teschio.
- Logada e Lico attaccheranno da ovest, Xenon e Lira da est, gli altri seguiranno noi al centro – rispose la negromante con tono pacato.
- E Zebra? -
- Zebra? Quel pazzo vuole fare di testa sua e attaccherà da terra, male che va lo useremo come diversivo. Non lo sopporto –



- Kikuri, allora? Sei pronta? – le chiese.
- Stanno arrivando – sentenziò lei, stringendosi nel kimono.
- In che senso stanno arr…- Mifune non riuscì a completare la frase che un’esplosione sconvolse una delle grandi navi da guerra, spezzandola letteralmente a metà.
- Oh merda! – esclamò Alice assistendo alla scena. dal relitto semidistrutto fuoriuscì una figura corazzata che brandiva una grande lancia a due lame. Fissava minaccioso il resto delle navi, ignorando apertamente il naufragio ancora in corso.
- Quello è Melchio!- urlò uno dei soldati.
- Lui è mio – sentenziò Lemia, librandosi a mezz’aria – Vediamo se quell’ammasso di ferraglia può farci divertire – sibilò sfrecciando verso di lui, lasciandosi alle spalle delle sottili fiamme cremisi che ben presto scomparvero così come erano apparse.
-Signore, arcangeli! Sono dovunque!- decine, forse centinaia di luci apparverò nel cielo e ben presto iniziarono a scagliarsi contro le navi, scatenando un inferno di esplosioni, scintille e scontri con i demoni che attendevano impazienti nelle stive.
Non vi erano dubbi, la battaglia era iniziata.

- Bene, bene, bene, un attacco dall’alto,eh? Proseguiamo, puntate dritti alla costa, non fermatevi! – ordinò Mifune estraendo la lunga katana dal fodero. Quelle meteore luminose continuavano a piovere sulle navi, provenendo direttamente dalle rovine della città, ma c’era qualcos’altro: un fulmine violaceo squarciò il cielo e si schiantò poco fuori da La Veda, causando un’esplosione che riecheggiò fino alla loro posizione: anche Zebra aveva fatto il primo passo.
Un’altra meteora luminosa, più grande della altre, puntò direttamente alla loro nave, schiantandosi contro Mifune, lei rimase impassibile, non era ancora il suo momento. Un lampo accecante, un’altra esplosione, la nave tremò leggermente per l’onda d’urto.
Il fumo si diradò ben presto e fu chiaro cosa stava accadendo: Mifune era con un ginocchio a terra e con entrambe le mani brandiva la katana, bloccando la lunga spada di Athena, la valchiria celeste, che lo fissava con disprezzo.
- Ci penso io- sibilò, rivolto agli altri, senza staccare gli occhi dalla sua avversaria. Alice annuì e balzò sulla nave di Shida, pronta a proseguire l’attacco mentre lei rimase immobile, guardava Mifune.
- E’ arrivato il momento – sussurrò, ma il samurai capì il significato di quella frase.
- Vai e fai ciò che devi! – gli rispose lui continuando a fare pressione contro il fendente della Valchiria.
- Spazzateli via – concluse lei voltandosi verso La Veda.
- Siamo qui per questo- esordì l’uomo.
- Lo vedremo! – controbatté la valchiria riprendendo l’attacco.
Quello scontro non la riguardava, quella battaglia non la riguardava, tutto ciò che la circondava non la toccava minimamente, lei aveva un solo obiettivo.
Abbassò il kimono quel tanto che bastava a spiegare le grandi ali affilate e spiccò il volo, puntando a gran velocità verso la città, eliminando qualsiasi arcangelo tentasse di fermarla, perché non poteva fermarsi, non più.



Atterrò nella piazza principale della città, senza incontrare anima viva. Tutt’intorno la battaglia infuriava scatenando una violenza inaudita con le prime navi oscure che erano arrivate sulle spiagge di La Veda, ma lì, proprio dove si trovava lei, c’era solo il silenzio.
Non appena posò un piede a terra le ali scomparvero, lasciandosi alle spalle una piccola pioggia di petali di rosa, neri, come la sua anima. Intorno a lei solo rovine e tanti, troppi ricordi. In lontananza i boati delle esplosioni, le urla della foga, tutto ciò che lei aveva sempre amato era lì, ma non la toccava minimamente, non sentiva niente.
- Avanti, esci allo scoperto, so che ci sei! – esclamò e sentì l’eco della sua voce perdersi tra le strade disabitate. Anche quella era diventata apatica, priva di ogni emozione. Si guardò intorno, le macerie tacevano.
Una figura snella uscì da dietro una delle colonne del sacro tempio, ormai in rovina: indossava un abito candido, che si univa in armonia a vari pezzi d’armatura, tutto ciò che indossava inneggiava alla luce, alla purezza, in una parola tutto ciò che non era lei. Aveva dei lunghi capelli bianchi che le scendevano lungo le spalle, la pelle anch’essa candida e due occhi azzurri che avevano subito cercato i suoi color sangue.
- Alla fine sei venuta davvero – lo stesso sguardo carico di malinconia, come quella prima volta, molti anni prima.
- Sì, immagino tu sappia anche il motivo – rispose secca lei, senza distogliere lo sguardo, anche se avrebbe preferito non guardarla negli occhi.
- Possiamo ancora trovare una soluzione… - si avvicinò a lei, allungando una mano - … come quella volta, possiamo ancora salvarci – la sua voce era soave, ma trasmetteva anche un’inquieta freddezza.
Guardò la mano protesa, una parte di lei avrebbe voluto stringerla e farla finita lì:
- No! – urlò, respingendo la mano con un manrovescio e lanciando al tempo stesso uno dei suoi kunai per farla allontanare - Non possiamo più fare nulla! –
La donna indietreggiò e ben presto la sua espressione amareggiata si trasformò in qualcosa a metà tra la rabbia e la consapevolezza.
- Capisco, se è questo ciò che vuoi… beh, lo avrai - la donna allungò le braccia,uno scudo e una spada ancestrale si smaterializzano davanti a sé, e li afferrò con decisione, puntando la lama contro di lei. Il destino stava inseguendo il suo corso, com’era stato scritto, come sarebbe dovuto finire, così anche lei impugnò i suoi fidati kunai e li puntò contro la sua avversaria, preparandosi allo scontro imminente.
- Non esistono i lieto fine, vero, Sefia? 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un'oscurità accecante ***


A Black Rose as Death

tumblr_na0im2m4cD1tj6tdlo1_500

 

Episodio II- Un'oscurità accecante





La Veda, la città sacra, non era mai stata così silenziosa, nonostante la battaglia, nonostante le urla, nonostante tutto e quel silenzio era opprimente, gravava su di lei come una cappa di piombo e sembrava sussurrarle i pensieri più nefasti che avesse mai potuto immaginare in vita sua. Da quando in qua si preoccupava di quelle cose? Da quando gli importava delle emozioni, di ciò che poteva provare oltre al piacere di uccidere, di bagnarsi nel sangue delle sue vittime?
Conosceva la risposta: da quando aveva incontrato Sefia, da quando i loro sguardi si erano incrociati nel campo delle Parche, contro gli Déi, contro tutto.

La Veda, un ammasso di rovine sbiadite dal tempo e annerite dalla follia della guerra, gli alti edifici in marmo bianco come l’Elisyum stesso continuavano ad innalzarsi verso il cielo, verso la volta celeste, nonostante le crepe, le profonde ferite inferte da un conflitto che aveva cambiato il mondo per sempre, ignorando le pareti crollate, i tetti decadenti, i templi abbandonati e devastati dagli scontri che si erano svolti casa per casa, strada dopo strada.
Sefia alzò la spada al cielo e da quest’ultima fuoriuscì un lampo di luce azzurro che raggiunta una certa altezza si tramutò in una sorta di cupola trasparente, che le avvolse nella sua morsa, distruggendo ciò che incontrava sul suo cammino prima di toccare terra.
- Così nessuno potrà disturbarci, questa storia riguarda solo me e te – disse, continuando a mostrare quel sorriso malinconico. Iniziava a far più male di una lama conficcata nel cuore, avrebbe voluto urlarle di smettere, ma non lo fece.
In lontananza, oltre la cupola si intravedevano i lampi violacei e accecanti, seguiti da esplosioni di ogni genere, che stavano devastando l’anima dimenticata della città, scatenando continui crolli, nubi di polvere e detriti, arrivando ad oscurare intere parti del cielo, uno spettacolo macabro, uno spettacolo che in altre circostanze avrebbe adorato come ben poche cose. Ma loro non erano lì, no, erano nella piazza del Crepuscolo, davanti al Tempio della Luce, un monumento a tutti i peccati dell’umanità, del bene e del male, non faceva alcuna differenza.

Alte colonne, immense scalinate, volte, capitelli, cornicioni con storie scolpite su di essi, cupole dorate e vetrate dai mille colori, tutto in rovina, tutto devastato. Sembrava esattamente ciò che era successo a loro, un tempo doveva essere stato affascinante, ma ora non era altro che un innocuo e decadente spettatore della loro resa di conti.
- Non pensavo sarebbe finita così. Non dopo quello che abbia passato insieme – proseguì la guerriera della luce, conficcando la spada ancestrale nella roccia consumata della piazza, con una forza che sembrava più figlia della frustrazione che della rabbia.
- Che cosa stai facendo? – le chiese, confusa, senza abbandonare la posizione d’attacco, con i muscoli tesi, il respiro pesante, le case crollate che sembravano urlarle contro tutti i suoi peccati.
- Ho fatto tutto ciò che potevo, ci ho creduto davvero, fino all’ultimo – la donna staccò il primo degli agganci dello scudo. Aveva gli occhi lucidi, ma tentava di nasconderlo in ogni modo. Quel silenzio, quel silenzio la stava uccidendo.
- Smettila, non dire queste cose… non siamo qui per parlare, siamo qui per farla finita, una volta per tutte – sibilò lei, abbassando lo sguardo e stringendo ancor più la presa intorno ai kunai.
- Non capisci, vero? Probabilmente non arriverai mai ad ammetterlo, ma dentro di te lo sai, Kikuri, dentro di te sai che ci siamo amate… e io, io ti amerò ancora, nonostante quello che accadrà oggi- gli occhi di Sefia erano velati di lacrime, mentre sganciava l’ultimo aggancio dello scudo, lasciandolo cadere con un tonfo sordo sulle pietre levigate. Era disarmata, completamente disarmata.
- Smettila, stai zitta! – le urlò contro, lanciando i kunai a terra, accettando di restare disarmata anche lei, uno scontro ad armi pari, senza usare i rispettivi poteri. Un’unica lacrima le rigò la guancia destra, bruciava più delle fiamme dell’inferno, e in quella misera gocciolina se n’era andata una parte della sua anima, sempre che ne avesse una. Si guardarono un’ultima volta negli occhi, ciò che provò l’avrebbe segnata per sempre.



- Mi dispiace, Kikuri… - Sefia partì all’attacco, sfrecciando verso di lei con una velocità inaudita e la colpì con un gancio destro dritta nel ventre, mozzandole il fiato, e al contempo alla faccia col sinistro, facendola barcollare.
Arretrò di qualche passo, leggermente stordita, ma riprese subito il controllo di sé e parando l’ennesimo gancio colpì la sua avversaria con un calcio nel fianco, facendola stramazzare a terra. Sefia si rialzò con uno scatto felino e ripartì all’attacco con ancora più foga: un altro pugno, un calcio, un montante, una schivata.
Ogni colpo parato era un colpo subito, ogni gancio assestato era una ferita auto inflitta, nessuna delle due avrebbe mai ceduto, nessuna delle due avrebbe mai permesso all’altra di sopraffarla.
Sefia evitò con agilità un suo montante e in quell’attimo di debolezza l’afferrò stringendole le braccia intorno alla vita e correndo la scaraventò contro uno degli edifici pericolanti che si affacciavano sulla piazza. L’impatto fu tremendo e la parete crollò addosso ad entrambe, ma la guerriera della luce uscì dalla nube di detriti prima di essere sepolta viva, solo per essere subito raggiunta da lei che, unendo le mani, le sferrò un colpo tremendo, facendola rotolare a terra fin contro una delle tante colonne che circondava quel luogo un tempo sacro. La piccola struttura cadde a terra come un albero abbattuto, scagliando frammenti di marmo da ogni parte.
La guerriera della luce si rialzò, pulendosi un po’ di sangue che colava giù dal labbro, ignorando i lividi e i tagli su tutto il corpo e riprese l’assalto, investendola di pugni e calci, con una violenza inaudita che non avrebbe mai pensato potesse possedere.
Tentò di difendersi, incrociando le braccia, ma la donna le sferrò una testata che la stordì sfruttando un attimo di cedimento.

Tutto accadde in pochi secondi: Sefia si avvicinò ancor di più a lei, ancora stordita, e con estrema violenza le sferrò una ginocchiata nel ventre, il dolore fu lancinante e si lasciò cadere sulle ginocchia, piegata in due per la sofferenza. Vide il suo volto, ormai diventata una maschera inespressiva e sentì il sapore dolciastro del sangue in bocca, era stato un colpo tremendo.
Non ebbe nemmeno il tempo di reagire che la giovane donna le sferrò un altro calcio, colpendola in pieno viso e facendola stramazzare a terra, strisciando contro la nuda roccia della piazza. Sputò sangue, e si contorse per il dolore, non avrebbe perso, non di nuovo. Tentò di rialzarsi ma barcollò fino a cadere nuovamente, le ferite iniziavano a farsi sentire, così come la stanchezza, ma strinse i denti e riprovò, più volte, riuscendo a tornare in piedi. I loro sguardi si incrociarono di nuovo, si osservarono, piene di lividi, sporche del proprio e del sangue altrui, con le vesti lacere,sembrava un dannato incubo, ma era tutto reale: il dolore, la sofferenza, il sangue, la foga di quella lotta meschina, tutto. Non si sarebbero mai risvegliate da quell’incubo, erano già sveglie.

La guerriera della luce ripartì all’attacco, pronta a sfruttare il vantaggio ottenuto, sferrando un gancio poderoso, ma lei lo schivò, piegandosi sulle ginocchia, per poi afferrarle il braccio e scaraventarla a terra con tutta la forza che aveva in corpo.
Sefia sgranò gli occhi per lo stupore, ma una volta attutito il colpo tentò di reagire, facendo scivolare la gamba a terra per farla cadere e riottenere una posizione di vantaggio. Ci riuscì, ma Kikuri la trascinò con sé a terra e rotolando in mezzo alla polvere e alle macerie sfociarono in una vera e propria scazzottata, nella quale i ruoli di carnefice e vittima si invertivano in una manciata di secondi, in un susseguirsi incessante di colpi sferranti con rabbia, frustrazione e amarezza.
Nel ritrovarsi nuovamente nella posizione sfavorevole Kikuri riuscì a fare leva con la gamba, scaraventando Sefia contro nell’ennesima colonna prima che quest’ultima potesse riempirla di pugni.
La donna non voleva arrendersi e nonostante l’ennesimo impatto doloroso reagì prontamente, correndo verso le proprie armi, afferrandole con determinazione:

- Adesso basta! – esclamò, ansimando.
- Si torna alle armi, dunque - sorrise, un sorriso malinconico, pulendosi il sangue sul viso con la manica lacerata del kimono. I suoi kunai erano distanti da lei, troppo distanti e non appena tentò di raggiungerli Sefia si scagliò contro di lei, colpendola con lo scudo e spedendola contro la facciata principale del Tempio della Luce, facendo crollare due colonne e una parte del cornicione. Non appena la nube si diradò non apparvero altro che macerie. La donna bianca si avvicinò tenendo alte le armi, ma in quel momento un braccio spuntò dalle macerie e l’afferrò dalle vesti, trascinandola verso il basso e non riuscendo a mantenere l’equilibrio cadde in avanti, colta di sorpresa. Si ritrovarono faccia a faccia, a pochi centimetri l’una dall’altra, lei a terra e Sefia sopra, tutt’intorno solo il silenzio.
Si fissarono a lungo, senza aprir bocca, senza muovere un muscolo, come se il tempo si fosse fermato.
Fu proprio lei a muoversi, avvicinò il proprio volto a quello della guerriera bianca e la baciò, un lungo, appassionante bacio che spazzò via tutte le sue difese, tutti i pensieri, l’intera sofferenza e tutto l’odio scaturito da quello scontro.
Per pochi istanti le loro labbra si unirono in qualcosa di cui ormai entrambe avevano dimenticato il sapore, ma fu proprio in quel momento, sfruttando quell’istante di innaturale quiete che Kikuri reagì:



- Non perderò, non questa volta, perdonami – disse, staccandosi da quel bacio blasfemo e mostrando un sorriso a metà tra il sadico e il malinconico, abbassò lentamente le spalline del kimono, lasciando le spalle nude. Quando Sefia capì cosa stava per succedere era ormai troppo tardi: le enormi ali a forma di lame fuoriuscirono dalla schiena di Kikuri dispiegandosi in tutta la loro grandezza, seguite da sibili metallici, e ben presto si scagliarono contro la guerriera, trafiggendola in più punti e spedendola giù per l’enorme scalinata del Tempio.
Kikuri uscì dalle macerie in cui era finita, mostrandosi nella sua forma completa: il kimono lacero era pervaso dall’energia del dio del Chaos , violaceo, proprio come le grandi ali dispiegate che risplendevano in modo cupo sotto la luce del sole, mostrando dei riflessi dorati nelle giunture decorate.
Nella mani i grandi kunai oscuri, cinque per ogni mano, che sembravano librarsi in aria, pronti ad essere scagliati. Gli occhi ancora più rossi, quasi color porpora, la ciocca bianca che cadeva sinuosa da sotto la rosa nera che portava legata al ferma capelli. Nera, come la sua anima. I petali di rosa cadevano leggeri tutt’attorno a lei, come fiocchi di neve bruciati.
Sefia si rialzò, tenendo una mano poggiata sulla spalla trafitta da una delle ali. Teneva un occhio chiuso per il dolore lancinante, ma era ancora in piedi, non voleva arrendersi.
- Arrenditi, Sefia, non costringermi ad ucciderti – le disse, iniziando a scendere lentamente i gradini.

- Arrendermi? Ti ho già sconfitto una volta… posso farlo di nuovo – rispose lei sfiorando per un attimo le proprie labbra con la punta delle dita, ripensando a quel bacio. Chiuse gli occhi, alzò le braccia al cielo, allungandole verso l’orizzonte e in quello stesso istante fu investita da una colonna di luce accecante.
Dalle profondità recondite del cielo otto enormi spade celesti precipitarono con una potenza fuori dal comune, conficcandosi tutt’intorno alla guerriera della luce, la quale imbracciava la spada Ancestrale che aveva ucciso gli Déi e lo scudo Divino che ne aveva bloccato gli attacchi. Dalla sua schiena spuntarono due estensioni meccaniche, che sprigionarono dei fasci di luce simili ad ali. Le otto spade si staccarono dal terreno e si posizionarono in modo circolare attorno alle signora delle lame, che nel frattempo aveva iniziato ad essere avvolta dal potere che stava alla base della luce stessa. I suoi occhi azzurri sembravano brillare di luce propria.

Ormai non c’era alcun modo di tornare indietro, entrambe si era spinte troppo in avanti, entrambe avevano sfoderato la parte più recondita e profonda del loro potere. Non vi era via di scampo, da quello scontro finale, da quella resa dei conti, solo una ne sarebbe uscita viva e sulle proprie gambe.
L’altra, privata della propria vita, non sarebbe finita all’Inferno, no, perché nell’Inferno c’erano già, e quelle stesse fiamme erano alimentate dai loro cuori, ormai persi in un’oscurità accecante.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un Silenzio Assordante ***


A Black Rose as Death

tumblr_na0im2m4cD1tj6tdlo1_500



Episodio III- Un Silenzio Assordante



Di nuovo quel silenzio, di nuovo quell’apatia assoluta che sembrava avere inghiottito la stessa essenza della vita, del mondo, dell’aria impiastrata di polvere e sangue che avevano respirato fino a pochi attimi prima, con i polmoni in fiamme.
Quella schifosissima quiete che si ripresentava ogni qualvolta ne aveva l’occasione, era già la terza volta quel giorno: prima dell’inizio dello scontro fra le due fazioni, quando ancora la flotta viaggiava nelle nere acque dell’oceano che un tempo risplendevano della bellezza di La Veda, quando ancora il cielo non si era oscurato di morte e follia. Poi, quando era arrivata nelle rovine della città, si era insinuata sotto i suoi vestiti, tra le pieghe della sua anima, avvolgendola in un torpore che per poco non l’aveva mandata in completa confusione quando si era ritrovata davanti la sua principale ragione di vita, colei che gli aveva concesso le emozioni più forti che avesse mai provato, la stessa che gliele avrebbe tolte, anzi, lo aveva già fatto e lo aveva deciso lei.
Solo e soltanto lei.
“Kikuri, sei una stolta, lo sai” avrebbe pensato in quel momento. Ed ora, ecco la terza volta, l’ultima, entrambe, una dinanzi all’altra, di nuovo, un’ultima volta, personificazioni degli elementi che rappresentavano, emblemi di un potere che questo mondo non avrebbe più dovuto conoscere, né rivedere, non in quel modo.
L’aria, quella stessa aria scomparsa poco prima come una vigliacca senza cuore era riapparsa, e sembrava tremare, consapevole di cosa stava per succedere.
- Lo senti questo silenzio? – la voce di Sefia sembrava quasi un sussurro che si perdeva nel vento e nei boati in lontananza. Lei non rispose.



- E’ assordante… - un suono impercettibile, un sibilo e Sefia scomparve dalla sua vista, come se non ci fosse mai stata. Un sibilo, un profumo inebriante e se la ritrovò davanti con la spada che la trafiggeva da parte a parte, nel fianco. Un attimo, un altro sibilo, le otto lame si illuminarono, luce accecante di una purezza blasfema e un’esplosione la investì spedendola di nuovo dentro il tempio, facendola rotolare a terra più e più volte.
Sì rialzò, facendo leva sulle proprie ali, facendo leva sulla propria forza, su tutto ciò che aveva, roteò in aria e non appena Sefia si scagliò verso di lei innalzando lo scudo ancestrale lei reagì lanciandole contro i kunai, che da piccole armi si trasformarono in vere e proprie lance oscure, ognuna grande quanto una colonna.

Sefia deviò la prima con lo scudo, la seconda, perfino la terza, ma alla quarta fu costretta a ripiegare sulla spada e quel gesto le fu fatale: un’altra deviazione e le altre quattro lance la colpirono in pieno, facendo arrestare quella sua corsa e spedendola sotto la loggia in un tripudio di scintille, fiamme oscure e calcinacci.
Da quel tornado di detriti e macerie una luce accecante urlò al mondo stesso che la guerriera della luce non si sarebbe fermata , nonostante quel brutto colpo, attivando le ali meccaniche sfrecciò a gran velocità verso la ballerina oscura e quest’ultima, dispiegando le grandi ali nere, fece altrettanto, urlando tutto il dolore e la sofferenza che aveva in corpo, che le aveva avvelenato l’anima fino a quel momento, sempre che ne avesse avuta una. Sembrava dividerle un mondo, ma si ritrovarono ben presto una contro l’altra, oscurità contro luce, tenebre contro purezza, amore contro odio, un’unica tremenda esplosione che avvolse entrambe, mescolando i colori, le ombre, l’essenza stessa di GrandGaia.

Un’esplosione e il tempio della Luce implose su se stesso, scagliando le proprie rovine lungo tutta la piazza, in alto, verso il cielo che aveva perso la propria identità, in basso, verso le braccia fredde della sua stessa città, dovunque, con i residui di quella follia degenerativa che andavano scemando come fiocchi di luce e oscurità spazzati via da quel contatto estremo.
Alcune parti delle macerie rimasero sospese a mezz’aria, con pezzi di marmo e intonaco che andavano precipitando come se all’improvviso avessero perso l’equilibrio. Quel tremendo conflitto d’energie aveva messo in dubbio le leggi stesse della gravità, forse lo avrebbe fatto anche con quelle della vita.
Come spinte dalla stessa volontà, l’angelo in kimono e la dama delle lame si liberarono dalle loro tombe di pietra, da quei giacigli di rimorsi e tormenti, e librandosi in aria con estrema eleganza ripartirono all’attacco, l’una scagliando i kunai con una violenza e una velocità estrema e l’altra, parando quei proiettili letali con lo scudo e rispondendo con le enormi lame di luce. Ognuno di quei colpi, ognuno di quei proiettili vaganti, precipitando andava a devastare una piccola porzione di terreno, incurante di chi o cosa vi fosse.
Ogni limite era stato superato, entrambe avevano fatto appello al nucleo della loro essenza stessa per poter esser detentrici di quel potere tanto affascinante quanto devastante.

Dopo l’ennesima spada di luce che per poco quasi non le tranciò la spalla, Kikuri si lasciò cadere, ripiegando le ali, lasciando la sua avversaria di stucco nel vedere una mossa tanto incurante, ma non appena si ritrovò a pochi metri dalla piazza devastata la giovane ballerina dispiegò nuovamente le ali e sfruttando quella velocità, volando, raso terra, si portò a poca distanza da Sefia, prima che quest’ultima potesse reagire prontamente. Un’ondata di oscurità avvolse la guerriera della luce, un’oscurità bruciante, che si perse nell’orizzonte, ma da quelle stesse tenebre di morte spuntò lo scudo ancestrale scheggiato e annerito dai colpi, seguito da quella donna che sembrava non aver fine alle proprie risorse.

L’enorme arma divina colpì in pieno Kikuri che si ritrovò a precipitare verso il basso, investita da decine e decine di lampi di luce, le otto lame della dama che si riversavano con violenza contro di lei, inveendo come bestie senz’anima né cuore.
L’impatto con la piazza fu devastante: tutti quei grandi blocchi di marmo si spezzarono uno dopo l’altro, partendo dal punto in cui la ragazza era precipitata con violenza, piegandosi su se stessi, sbriciolandosi come fossero stati castelli di sabbia. Una vera e propria voragine si era aperta nella piazza del crepuscolo a causa del colpo inferto da Sefia e Kikuri giaceva lì a terra, con il kimono ancora più lacero, le ferite evidenti, le ali nere scheggiate ma ancora lì a sostenere quel corpo ormai privo di emozioni. Non era finita, non ancora.

La donna della luce si librava a mezz’aria, ansimando, ferita anche lei, non solo nel corpo, ma anche nell’anima e probabilmente quelle ferite erano le più dolorose.
Era pronta a finire l’opera, puntando tutte e otto le spade di luce contro la piazza, pronta a scagliarle una dopo l’altra con tutta l’energia che poteva concepire, ma proprio in quell’istante l’intera voragine fu inghiottita dalle tenebre che ribollirono come detentrici di una vita propria, uno spettacolo agghiacciante, qualcosa che lasciò perplessa perfino Sefia, ancora presa dall’incanalare la luce nelle lame.

Da quell’ammasso informe di oscurità uscì Kikuri, occhi iniettati di sangue, kunai che ruotavano vorticosamente intorno a lei come schegge di una tempesta di neve oscura, le enormi ali che sembravano tremare vibranti, bramose del sangue di quella creature di luce, pronte quasi a staccarsi dalla schiena della loro stessa detentrice.
Superato i primi attimi di stupore, Sefia reagì: allineò tutte le lame contro la sua avversaria, che si avvicinava sempre di più e le caricò con tutto ciò che le era rimasto, aveva solo un’occasione, persa quella, perso tutto.
Otto spade, otto possibilità di chiudere quel capitolo una volta per tutte, un solo bersaglio, un cuore che ancora batteva forte, intriso di sangue e oscurità.

Scagliò la prima con forza, facendo tremare l’aria stessa, ma Kikuri sembrò non curarsene: la spada la colpì con violenza al braccio, stracciando il kimono, la carne, ferendola, eppure continuava a sfrecciare verso di lei, urlando come se stesse patendo le pene dell’inferno. Sefia si morse, le labbra e lanciò la seconda, stesso risultato: colpita alla gamba, la ballerina demoniaca non dava segni di cedimento, né si prendeva la briga di schivare quelle saette mortali.
Lanciò la terza, al fianco, la quarta, all’altro braccio, niente, l’angelo in kimono continuava a volare verso di lei con gli occhi color porpora che brillavano di luce propria, come impazzita.

- Fermati, dannazione! – urlò la dama, scagliando le ultime quattro spade e in quello stesso istante Kikuri spinse in avanti le ali per usarle come scudo: le lame si schiantarono contro le cupe estensioni della ballerina, spezzandole in più punti, causando crepe e fratture, ma ciò non arrestò la sua corsa e Sefia fu investita in pieno da ciò che restava di quelle ali come una sentenza di morte, mentre le sue ultime difese si andavano infrangendo come una candela che si spegne nella notte, come uno specchio colpito con forza. La stessa barriera che le isolava dal resto andò in frantumi per quel poderoso colpo. Precipitarono entrambe sul pavimento impolverato del tempio o almeno su ciò che ne rimaneva.

Sefia era inerme a terra, le 8 spade conficcate qua e là andavano perdendo la loro luminosità, lo scudo spezzato, la spada scheggiata e abbandonata accanto al corpo, troppo lontana per essere recuperata. Kikuri le si avvicinò, barcollando: le ali spezzate, il vestito stracciato e sporco di sangue, le ferite ancora sanguinanti, lo sguardo vuoto.
- Ho perso… - sussurò la ragazza della luce, socchiudendo gli occhi – Fai in fretta- aggiunse. Kikuri la fissò senza fiatare, c’era qualcosa che non andava, l’aria sembrava stagna, quel silenzio surreale. Quando se ne accorse, era già troppo tardi.

- Patetico – una voce senz’anima, priva di emozioni, fredda come la morte, ruppe quel silenzio e pochi secondi dopo un bagliore violaceo investì in pieno quella zona, rendendo la vista impossibile a tutti per alcuni secondi.
Accadde tutto in fretta, troppo in fretta: Sefia sentì un abbraccio forte, qualcuno che l’aveva stretta a sé, un urlo, uno spasmo, qualcosa di caldo che le scivolava addosso, le urla incomprensibili di qualcuno che si dibatteva contro un dolore lancinante, sconosciuto, inaspettato.



Quando finalmente quella luce viola scomparve lo spettacolo che si ritrovò davanti la fece impallidire: Kikuri l’aveva abbracciata, anzi l’aveva stretta a sé per proteggerla da un fendente mortale scagliato dall’alto, aveva usato il suo corpo e ciò che restava delle ali per proteggerla,come uno scudo, per salvarle la vita, strappandola da morte certa.

Davanti a lei, in mezzo al cielo plumbeo, c’era Zebra: una mano sul petto sanguinante, una delle ali di Kikuri conficcata al suo interno, i kunai sparsi lungo il suo corpo, uno sguardo di stupore misto a rabbia e incredulità. Era stato lui a scagliare quel fendente, era stato lui a tentare di ucciderla e Kikuri aveva reagito, all’estremo, con le ultime forze che le erano rimaste, tentando il tutto per tutto.

Zebra era ferito, il colpo era stato brutale e perfino lui stentava a crederci, fluttuava stringendo con odio la doppia lama, fissando con disprezzo lei e l’angelo dal kimono a fiori.
- Stupida, sacrificare la tua vita per una cosa così futile! – esclamò, stringendo i denti per il dolore, l’ala della ballerina lo aveva trafitto da parte a parte e pur essendo un Dio non poteva nulla contro l’essenza stessa dell’oscurità.
-Taci… - sibilò lei, e l’ala ruotò su se stessa, lacerando le carni del discepolo oscuro, che precipitò in mezzo alle rovine devastate della piazza, facendo calare il silenzio, di nuovo. Sefia sentì il calore del sangue della ballerina che le bagnava le vesti, le mani, inzuppando il pavimento di quel luogo un tempo sacro.

- Perché l’hai fatto, perché?! – le urlò, trattenendo a stento le lacrime. Kikuri la fissò, pallida in volto, il respiro greve, quasi un sussurro, il cuore che perdeva battiti, con lentezza, inesorabilmente. Sorrise lievemente, uno sforzo immane.
- Rispondimi, perché l’hai fatto?! Dovevi uccidermi, dovevi uccidermi! – la strinse a sé, scoppiando in lacrime, riversando tutto quel dolore che si era tenuto dentro fino a quel momento, sentendo quel calore che andava via via scemando, lasciando posto ad una sensazione di freddo agghiacciante.

- Adesso siamo pari… - rispose Kikuri, socchiudendo gli occhi, poggiando la testa contro il petto della dama bianca – Mi dispiace, Sefia… - aggiunse, con un filo di voce. La ragazza della luce rimase immobile, stringendo ancora a sé il corpo della ballerina, poggiando una mano sulla sua chioma scura, accarezzandola, come se avesse dovuto tranquillizzarla. La mano di kikuri che ancora le stringeva la sua spalla scivolò inerme, sbattendo contro la sua gamba, un unico rintocco.

- No… - le lacrime ormai erano irrefrenabili – No… - i tremiti, i singhiozzi, incontrollabili – No, no,no,no, ti prego.. – un tonfo al cuore, un dolore che non ha voce - I lieto fine esistono, Kikuri, e lo troverò… troverò il nostro …ti giuro… ti giuro, che lo troverò…-


FINE

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2930217