Liberty Boy

di heliodor
(/viewuser.php?uid=678045)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***
Capitolo 3: *** TRE ***
Capitolo 4: *** QUATTRO ***
Capitolo 5: *** CINQUE ***
Capitolo 6: *** SEI ***
Capitolo 7: *** SETTE ***
Capitolo 8: *** OTTO ***
Capitolo 9: *** NOVE ***
Capitolo 10: *** DIECI ***
Capitolo 11: *** UNDICI ***
Capitolo 12: *** DODICI ***
Capitolo 13: *** TREDICI ***
Capitolo 14: *** QUATTORDICI ***
Capitolo 15: *** QUINDICI ***



Capitolo 1
*** UNO ***


La facciata dell'edificio esplode disseminando schegge di vetro e metallo in tutte le direzioni.
Una figura umana viene proiettata verso la strada, atterra su di un'auto in sosta sfondandole il tettuccio e rimbalza sul marciapiede.
I passanti che si trovano nelle vicinanze corrono via o si gettano a terra. Una donna grida, un uomo si protegge la testa con le braccia.
Dai rottami dell'auto emerge un uomo dal fisico imponente. Indossa una tuta color oro con ricamato un pugno rosso sul petto. Un cappuccio gli cela il viso, lasciando scoperti solo gli occhi. Ha un mantello sulle spalle. Muscoli possenti si intravedono sotto la tuta aderente.
L'uomo balza a terra, si guarda attorno con aria di sfida, poi alza la testa.
Sopra di lui volteggia una seconda figura umana. ― Cribbio che botta ― grida questa con voce squillante. È la versione più minuta e giovane dell'altro. La tuta colore verde mare con ricami in oro luccica sotto il sole mentre si libra a mezz'aria, dieci metri sopra il punto in cui l'edificio è stato sventrato. ― Per un attimo ho pensato che ci fossi rimasto secco. Che diavolo ti ha colpito?
― Un impulso ad alta energia. Sparato da centinaia di chilometri di distanza.
― Fico. Che razza di arma è?
― Non ne ho idea, ma temo che lo scopriremo presto.
Un uomo in giacca e cravatta, il microfono stretto tra le mani, emerge da un vicolo. Dietro di lui un cameraman punta la telecamera verso le due figure, inquadrando prima l'una e poi l'altra.
― Spettatori della KKLM, qui è Derek Weinstein che vi parla ― grida l'uomo nel microfono. ― Sono all'angolo tra la Ventiseiesima e Ocean Boulevard. Come potete vedere, la città è sotto attacco. Per la terza volta in una settimana. Capitan Freedom ― esclama rivolto all'uomo in tuta ancora fermo al centro della strada.
L'uomo col pugno dorato emette un sospiro. ― È pericoloso stare qui ― dice con tono rassegnato.
― Capitan Freedom. Signore ― dice il giornalista avvicinandosi.
― Trovate un posto dove nascondervi e restateci ― dice Capitan Freedom rivolto alla telecamera.
Il giornalista gli porge il microfono. ― Vuole dire qualcosa ai telespettatori?
― Mettetevi al sicuro.
― Si tratta di Mantra? È lui, lei, quello che è, non è così? È tornato?
Capitan Freedom si libra in aria e raggiunge l'altra figura.
Il giornalista fa cenno al cameraman di inquadrarli. ― Eccoli. Guardate, c'è anche Liberty Boy, il ragazzo fantastico.
Liberty Boy gonfia il petto e mette le mani nei fianchi.
― Smettila ― dice Capitan Freedom.
― Perché? Gli do solo quello che vuole.
Capitan Freedom lo prende per il braccio. ― Andiamo. Mantra deve essere qui vicino.
― È lui che ti ha attaccato? Pensavo l'avessimo eliminato per sempre nell'incidente dell'atollo.
― Si vede che è riuscito a tornare. Quelli come lui tornano sempre.
I due si sollevano a centinaia di metri dal suolo, fermandosi solo quando la città sottostante è ridotta a una sua versione in miniatura.
Gli occhi di Capitan Freedom scrutano l'orizzonte.
― Hai idea di dove possa essere? ― domanda Liberty Boy.
― Baytown ― risponde l'altro. ― È lì che si nasconde ora.
― Andiamoci subito.
― Aspetta, Steve. Stavolta potrebbe essere veramente dura.
― Non lo è sempre? Ricordi quando abbiamo deviato quell'asteroide?
― Era molto piccolo.
― Piccolo? Sarà stato grande almeno quanto un autobus.
― D'accordo, ma...
― E la base sottomarina? ― Steve ridacchia. ― Oh, quella volta è stata proprio grande.
― Quello che sto cercando di dirti è che gli attacchi di Mantra diventano sempre più violenti. Dopo tutte le sconfitte che ha subito, siamo diventati troppo confidenti. Non vorrei che avesse un asso nella manica.
― Una specie di superarma segreta?
― Non proprio...
― Un megaraggio della morte?
― No.
― Un cyborg mutante?
― Steve, il tuo problema è che non prendi niente sul serio.
― Capo, io sono serissimo quando... ― Nell'aria risuona il trillo di un telefono. Steve si mette una mano in tasca e ne tira fuori un cellulare. ― Ci metto un secondo. Juliet, che sorpresa! No, non mi disturbi affatto. Sì, sono libero stasera. Okay, ti passo a prendere alle otto.
Capitan Freedom scuote la testa.
― Facciamo alle nove. ― Steve nasconde il telefono nel risvolto del costume. ― È pazza di me.
― Andiamo. Abbiamo già perso abbastanza tempo.
***
Il cielo sopra Baytown è di un azzurro cristallino. Un paio di nuvole di passaggio gettano un'ombra sui grattacieli che guardano il mare. Sospeso tra i due promontori che formano la baia che dà il nome alla città, un ponte a campata unica affollato dal traffico di metà mattinata.
Una folla di un migliaio di uomini e donne di ogni età si è radunata sulla spiaggia. Indossano costumi di Liberty Boy e Capitan Freedom. Una ragazza in bikini e occhiali da sole sventola un cartello con su scritto a pennarello: ― Vai Liberty!
All'arrivo dei due supereroi si accendono i flash dei telefonini e delle macchine fotografiche come centinaia di minuscole fiammelle disperse tra la folla.
Poliziotti e soldati in assetto da guerra trattengono la folla lontano dalle transenne. Mescolati ai veicoli militari ci sono i furgoni delle tivù locali con le antenne paraboliche in bella mostra sui tetti.
Nel cielo volteggiano un elicottero della polizia e due militari, più una dozzina con le scritte sui fianchi che richiamano la sigla delle televisioni dai quali cameraman spericolati si sporgono per riprendere la scena.
Un tuono fa sollevare la testa a tutti quelli che si trovano sulla spiaggia.
Nel cielo sopra il grattacielo più alto sono apparse due figure che si librano nell'aria, i mantelli che si agitano al vento.
Dalla folla si alza un coro di applausi, grida e fischi.
― Li hai chiamati tu? ― Capitan Freedom perplesso.
Steve fa spallucce. ―Ho solo detto a un paio di amici sul mio profilo Storybook che eravamo di passaggio a Baytown.
― Steve, quella gente corre un grave pericolo.
― Andiamo, capo. Vogliono solo godersi lo spettacolo in prima fila. Sarà una bella giornata da raccontare in chat.
Capitan Freedom scuote la testa. ― Mi fai pentire di averti scelto.
― Non dire così. Per me sei come un padre.
― Allora comportati come un bravo figlio.
I due volano in direzione della baia, sorvolano il ponte affollato di curiosi che sono scesi dalle auto e guardano in direzione della sfera.
Il mare all'improvviso si gonfia e si solleva. Da sotto l'acqua emerge un essere d'acciaio alto una cinquantina di metri. La testa somiglia a un canestro da basket dotato di aculei e obiettivi per vedere in tutte le direzioni. Braccia e gambe sono spessi come autobus e il corpo tozzo e massiccio ha la forma di una botte da vino. Le mani terminano con due tenaglie che si piegano e si aprono con un clangore metallico.
― Megacyborg ― esclama Steve entusiasta. ― Stavolta Mantra ha fatto proprio le cose in grande.
― Anche troppo. Occupiamoci di lui.
Il cyborg solleva le braccia e cerca di afferrarli, ma Steve e Capitan Freedom schivano i colpi. Librandosi sopra la creatura meccanica sembrano danzare nell'aria come mosche attorno a un gorilla infuriato.
― Tutto qui, bello? ― Grida Steve sfiorandogli la schiena.
― Niente rischi inutili ― lo ammonisce Capitan Freedom.
― Non ti sento. ― Steve atterra sulla testa tozza del gigante e fa una smorfia in una delle telecamere. ― Sei lì dentro, Mantra? Veniamo a prenderti.
La mano del Cyborg scatta verso Liberty Boy, ma questi si solleva di scatto mandando a vuoto il colpo. La tenaglia si chiude su una delle telecamere, strappandola via.
― Ti sei fatto la bua tutto da solo? ― dice Steve con tono canzonatorio. ― Ora ti do il bacetto e ti passa tutto. ― Si tuffa verso l'addome del gigante e lo colpisce con i pugni tesi. L'acciaio si piega verso l'interno. La creatura barcolla ma si mantiene eretta sulle gambe tozze.
Steve si allontana. ― Accidenti se ha la pelle dura.
― Mantra deve avere usato una nuova lega per la corazza ― grida Capitan Freedom. ― Non  sottovalutarlo.
― Esatto Capitano. ― La voce metallica erompe da un microfono posto sulla parte frontale del gigante.
Steve e Capitan Freedom si scambiano un'occhiata perplessa.
― Se ti stai chiedendo se sono qui dentro ― continua la voce. ― Guarda verso la baia.
Il tratto di mare in mezzo ai due promontori si solleva come un'enorme bolla. Un disco color argento si libra sopra la baia.
― Mantra ― urla Capitan Freedom. ― Cos'hai in mente stavolta?
― Perché non vieni qui e me lo domandi di persona? Sempre che tu abbia abbastanza fegato. ― Il messaggio termina con una risata metallica.
― Tu pensa al Cyborg ― dice Capitan Freedom prima di lanciarsi verso il disco.
Steve lo segue. ― Aspetta.
― Steve, ti ho detto...
― Lo so che cosa hai detto, ma ascolta un attimo. Mantra ci vuole dividere, è chiaro. Fammi venire con te. Potrei esserti utile, stavolta.
― Tu sei utile. Devi difendere i cittadini di Baytown.
― Non ti fidi di me?
― Mi fido abbastanza da affidarti la vita di migliaia di persone.
― Ma non la tua.
― Sarà per la prossima volta. Te lo prometto.
― È perché non sono abbastanza forte? Non quanto te, almeno?
Capitan Freedom gli mette una mano sulla spalla. ― Non ti ho scelto per la tua forza. Ma per quello che hai qui dentro. ― Gli posa il palmo della mano sul cuore. ― Ho visto qualcosa in te. Una luce.
Steve distoglie lo sguardo. ― Sì, certo...
― Steve. Non siamo solo dei tizi col costume. Siamo dei supereroi. Comportati come tale.
― Okay. Ma la prossima volta Mantra è mio.
Capitan Freedom solleva il pollice. ― Hai la mia parola.
Il megacyborg incombe sul ponte, le braccia alzate sopra la testa tozza e sgraziata, pronte a vibrare il colpo.
Steve gli passa in mezzo alle gambe, si libra al di sopra del torso e con le mani intercetta il colpo. Il metallo stride e si piega.
― Vuoi giocare a braccio di ferro? Sono un campione.
Steve stringe i denti e con un ultimo sforzo solleva le braccia del robot verso l'alto, allontanandole dal ponte.
Lo stridio del metallo riempie l'aria e ferisce i timpani. Il gigante d'acciaio indietreggia e si piega su di un ginocchio.
Steve gli vola attorno come una mosca. ― Ti arrendi già? Mi deludi amico.
La mano del robot scatta verso di lui e lo scaraventa contro il ponte. Liberty Boy atterra su un'auto in sosta al lato della carreggiata, sfonda il finestrino e sbuca dalla parte opposta, rotolando sull'asfalto per una decina di metri.
Il pubblico trattiene il fiato, le ragazze si coprono la bocca con la mano.
Steve si rialza di scatto, e con le braccia sui fianchi si esibisce in una posa marziale.
Il pubblico esplode in un applauso fragoroso accompagnato dai flash dei telefonini.
Il robot incombe sul ponte, le braccia sollevate per sferrare un nuovo attacco. Steve scatta verso l'addome del mostro di metallo, lo colpisce con entrambi i pugni chiusi. L'acciaio si piega, dall'interno giunge il rumore di ingranaggi che si inceppano e metallo che si spezza.
Il robot indietreggia, si piega su entrambi le ginocchia affondando nell'acqua fino alla vita, la testa tozza piegata in avanti.
― Vai ragazzo ― grida un poliziotto vedendo Steve scattare verso l'alto per poi gettarsi in picchiata contro il megacyborg.
L'impatto produce un suono metallico che si riverbera nella baia. Il mostro emette un sordo lamento e si piega sull'addome.
― Sì ― esulta Steve col pugno alzato. ― E ora pensiamo a Mantra.
Capitan Freedom si lancia verso il disco color argento.
― Vieni capitano ― urla Mantra. ― Ti sto aspettando.
Il disco ruota di centottantagradi sul suo asse, volgendo la parte inferiore a Capitan Freedom. Una turbina emette raggi color viola in direzione dell'uomo.
L'energia lo investe in pieno, respingendolo.
Capitan Freedom si lancia in avanti con veemenza.
― Vengo a darti una mano ― grida Steve.
― No. Guarda alle tue spalle.
Steve si volta di scatto. Il robot è riemerso dall'acqua. Con un movimento lento ma deciso solleva la mano sopra il ponte e vi si abbatte sopra con forza, scuotendolo.
L'arcata di metallo vibra sotto il colpo del gigante, piegandosi e scricchiolando. I cavi d'acciaio in tensione che assicurano la campata si spezzano uno a uno con uno schiocco metallico che risuona nell'aria.
I poliziotti e gli spettatori sul ponte si guardano attorno impauriti.
Capitan Freedom si libra sul disco d'argento evitando il raggio viola. Steve si volta verso di lui.
― Vai. Non pensare a me.
Liberty Boy si lancia verso il ponte.
Il robot perde la presa e con un ultimo stridore metallico spezza in due la campata del ponte, che inizia a piegarsi verso il basso, sostenuta solo dai pochi cavi rimasti.
Steve colpisce il robot alla schiena. Il gigante si piega su se stesso e precipita in acqua, scomparendo in un gorgo.
Steve vola fino al ponte e afferra gli ultimi due cavi prima che vengano strappati via dal peso del ponte, reggendoli con una mano ciascuno, al di sopra dell'asfalto che si sta spezzando e piegando verso il basso.
La gente assiepata sul ponte lo guarda a bocca aperta. ― Che aspettate? Andate via. Non reggerà a lungo.
La gente inizia a scappare abbandonando auto e veicoli in mezzo al ponte. In breve un fiume di gente si forma su entrambe le estremità del lungo serpente di acciaio e asfalto sospeso cinquanta metri sopra la baia.
Steve volta la testa di scatto verso il disco d'argento. Un flash di energia viola gli fa chiudere gli occhi. ― Capo ― geme, i muscoli tesi allo spasimo nel reggere i due cavi d'acciaio.
Capitan Freedom si getta in picchiata sul disco. La parte superiore è una cupola a forma di goccia che svetta su tutto il resto. L'impatto produce un tonfo sordo. Le pareti si piegano verso l'interno, il metallo si spezza.
Capitan Freedom fluttua all'interno di uno spazio di forma sferica, le pareti traslucide sono attraversate da lampi viola che ne percorrono la circonferenza muovendosi in tutte le direzioni.
I due poli sono occupati da enormi antenne a forma di parabola da cui erutta un fascio di energia che attraversa la sfera da un capo all'altro.
Un'ombra si addensa vicino al fascio di energia viola, si compatta, prende forma. Prima un corpo, poi un viso con due buchi al posto degli occhi a una fessura per bocca.
― Benvenuto, Capitano ― dice l'ombra muovendosi attorno al raggio.
― Mantra. Che cosa stai facendo?
― Quello che faccio sempre. Vincere la nostra piccola contesa.
― Non c'è nessuna contesa. Tu sei solo pazzo.
― Pazzo? Ti sembra l'opera di un pazzo, questa? Quei generatori possono creare energia infinita, Capitano. Sai che cosa significa? Il mio potere non avrà più limiti!
― Mantra, una volta non eri così.
― Una volta avevo un corpo ― L'ombra si avvolge attorno al fascio di energia. ― Ma tu me l'hai strappato via, insieme a tutto il resto.
― È stato un incidente e tu lo sai. Io non volevo...
― Basta parlare ― tuona la voce. L'ombra si immerge nel fascio d'energia, diventando tutt'uno con esso.
Lampi che vanno dal viola tenue e quello intenso prorompono dalle pareti della sfera colpendo Capitan Freedom.
― Ah! ― grida librandosi lontano dai fasci di energia che lo tempestano da tutte le direzioni.
― Ti sei messo in trappola da solo ― grida Mantra, la voce che sembra provenire da tutti i punti della sfera. ― Questo è il mio mondo e ora tu sei mio prigioniero.
Fulmini di energia viola colpiscono Capitan Freedom alla schiena e all'addome, facendolo piegare in due. Scariche violacee ne attraversano il corpo mentre precipita verso una delle due antenne.
― La mia vittoria è totale! ― grida Mantra.
L'intensità dei fulmini cala per un istante. Capitan Freedom si riscuote e con un guizzo si getta contro il raggio che attraversa la sfera.
― Che stai facendo? ― domanda Mantra sorpreso.
Il raggio si spezza nel punto in cui il corpo di Capitan Freedom lo ha intercettato. Le pareti della sfera sono percorse da fulmini violacei che le fanno scintillare.
― No. Smettila!
Scosse e dardi di energia colpiscono Capitan Freedom facendolo sussultare. ― Mantra! Lo sto sovraccaricando. Farò esplodere tutto.
― Tu non sai che cosa stai facendo ― grida Mantra disperato. ― La mia macchina non è un semplice generatore...
Le voce di Mantra viene coperta dal crepitio delle scariche di energia che saettano in ogni direzione. Una luce violacea invade la sfera. Le pareti si sgretolano e dissolvono nell'aria, lasciando solo le due immense antenne a fluttuare nell'aria sospese sulla baia.
― Capo! ― esclama Steve.
L'ultimo agente di polizia lascia il ponte. Liberty Boy molla la presa sui tiranti e la striscia di asfalto e acciaio che collega i due promontori della baia si affloscia e precipita in mare sollevando colonne d'acqua alte decine di metri.
Una tempesta di fulmini violacei investe in pieno Steve, che precipita verso la spiaggia.
Quando si rialza, i suoi occhi notano al centro della baia un nuovo sole che brilla di luce violacea. Fulmini dello stesso colore guizzano in ogni direzione sferzando l'aria e il mare.
― Ma che...
La sfera si contrae in un punto e un tuono squarcia l'aria. L'onda d'urto attraversa la baia sollevando onde di dieci metri, investe ciò che resta del ponte e prosegue verso la città. Le persone assiepate sul lungomare vengono sbalzate a terra e trascinate via dalla forza del vento. Auto e furgoni si rovesciano, gli alberi e i pali della luce si piegano e poi si spezzano. I vetri di un grattacielo esplodono disseminando schegge di vetro in ogni direzione.
Steve viene sbalzato via, rotola nella sabbia e termina la sua corsa battendo la testa contro una pietra.
***
Steve sbatte la palpebre, si passa la mano sulla fronte. Un rivolo di sangue gli cola sulla guancia da una ferita sulla tempia. Solleva la testa di scatto ed emette un gemito di dolore. ― Questa è stata peggio della base sottomarina ― dice con voce impastata.
Il mare è calmo, il cielo limpido. Al centro della baia il disco argenteo è sparito insieme al minuscolo sole violaceo. Una coppia di gabbiani volteggia sulla battigia.
Steve si rialza e getta un'occhiata alle sue spalle. I resti del ponte giacciono in mezzo alla baia. Mezzi della guardia costiera sciamano attorno alle rovine. Un elicottero passa sopra la sua testa. Il cameraman si sporge per riprendere la scena sottostante.
Steve si tocca la guancia. Fissa perplesso il sangue rappreso sui polpastrelli.
Si avvia barcollando verso la strada che costeggia la spiaggia. Arrivato alla striscia d'asfalto viene raggiunto dal lamento delle sirene. Qualcuno sta gridando.
Mezzi della polizia e ambulanze con i lampeggianti accesi sono fermi su entrambi i lati della carreggiata. I paramedici sciamano tra i feriti assiepati lungo il ciglio della strada. Un autopompa dei vigili del fuoco lo sfiora di un paio di metri. Steve guarda nella stessa direzione e nota il fumo di una dozzina di incendi che si leva dal centro della città.
Una mano lo afferra per il braccio, scuotendolo dal torpore. ― Ehi ― grida il poliziotto che l'ha bloccato. ― L'ho trovato.
― Aspettate ― borbotta Steve.
Il poliziotto lo trascina verso un'ambulanza. ― Un altro di quei dannati ragazzini con il costume.
Il paramedico gli rivolge un'occhiata veloce. ― Ha una ferita alla testa. Forse una commozione cerebrale. Caricalo dietro.
― No, io non... ― protesta Steve con scarsa convinzione.
― Su, andiamo. Te la sei cavata, ragazzo.
Il poliziotto lo fa stendere sulla lettiga. ― Come ti chiami?
― Liberty Boy ― esclama Steve con voce impastata, gli occhi che restano aperti a fatica.
Il poliziotto sorride. ― Certo. ― Scuote la testa. ― Dannati ragazzini.
La porta dell'ambulanza si chiude con un tonfo sordo. Steve resta al buio, la testa adagiata sulla lettiga. Un attimo dopo scivola nel sonno.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** DUE ***


― Continua l'ondata di criminalità che ha sconvolto il sudest del paese. ― La speaker indossa un tailleur grigio. I capelli annodati in una treccia raccolta sulla nuca. Mentre parla scorrono le immagini di scontri con la polizia, sparatorie e gente che sfonda le vetrine di un centro commerciale. ― Le autorità di Capitol City hanno proclamato il coprifuoco dalle otto del pomeriggio alle otto di mattina. Nel frattempo il governo ha dichiarato che non ci sono prove di un coinvolgimento di terroristi nell'incidente alla superpetroliera che ha riversato mezzo milione di galloni di petrolio davanti alla costa orientale. Il Presidente McCannon terrà un discorso...
Lo schermo occupa metà della parete. L'altra è ingombra di scaffali sui quali sono allineate in una fila perfetta bottiglie di liquore e whiskey di tutte le marche.
Un lungo bancone di legno e metallo divide schermo e mensole dal resto del locale, occupato da una dozzina di tavoli di plastica disposti in tre file.
Una porta sul lato opposto si apre scorrendo di lato. Un uomo sulla quarantina, capelli neri brizzolati sulle tempie e un impermeabile sgualcito buttato sopra un vestito da quattro soldi, fa il suo ingresso nel locale.
Nessuno dei tre avventori seduti ai tavoli lo degna di un'occhiata.
L'uomo sospira.
― Bentornato, Steve ― dice una voce metallica proveniente dall'alto.
― Salve Jeena ― risponde l'uomo annoiato. Con passo lento si dirige al bancone, si accomoda su uno sgabello e appoggia i gomiti sul bancone macchiato.
― Ti servo il solito drink, Steve? ― La voce di Jeena ora proviene da un punto al di sopra dello schermo, dove una semisfera spunta dalla parete, una luce rossa ammiccante che pulsa all'interno.
Steve mugugna qualcosa.
La sezione di bancone davanti a Steve si apre e dal foro emerge un bicchiere incellofanato riempito a metà da una sostanza color ambra.
Un trillo segnala che un nuovo avventore ha fatto il suo ingresso. ― Bentornato signor Garrison.
Steve emette un sospiro rassegnato.
Garrison è un uomo sulla quarantina, alto e di bell'aspetto, con capelli lunghi raccolti in un codino e denti di un bianco brillante. Si avvicina al bancone mostrando il suo sorriso perfetto. ― Steve? Sei proprio tu?
― Ciao Jim ― dice Steve senza entusiasmo.
Garrison si siede sullo sgabello accanto al suo. ― Cosa non darei per un vero drink, servito da un vero barman.
― Il servizio non è di vostro gradimento, signor Garrison? ― domanda la voce ossequiosa di Jeena.
― Non ce l'ho con te, bellezza. Tu sei adorabile. ― Garrison mostra un sorriso forzato. ― Allora, che mi dici campione? Sempre a caccia di ragazze?
― Ho smesso da tempo.
― Al liceo eri uno in gamba.
― Le persone cambiano.
― È un vero peccato. Che stai facendo ora? Lavori?
― A volte sì, a volte no.
Garrison sorseggia dal bicchiere. ― È dura per tutti questa crisi. Chissà quando finirà.
― Tu come te la passi?
― Alla grande. ― Garrison manda giù un altro sorso e fa una faccia disgustata. ― Il ramo assicurazioni non è mai stato così florido. Con i casini che stanno succedendo tutti vogliono proteggersi, non so se mi spiego. Certo le cose andrebbero meglio se ci fossero ancora quei due..
― Chi?
― Dai, lo sai di chi sto parlando. Il Fantastico Duo. Capitan Freedom e la sua spalla. Come si chiamava?
― Liberty Boy.
― Giusto, bravo. Liberty Boy. Da ragazzo volevo essere come lui. ― Scuote la testa. ― Chissà che fine hanno fatto. Non si vedono in giro da vent'anni. Dall'incidente di Baytown. Te lo ricordi?
Steve annuisce distratto.
Garrison mette le mani sul bancone e si alza di scatto. ― La mia pausa è finita. Devo tornare al lavoro. ― Deposita sul tavolo una banconota da cento dollari. ― Senti, per questa volta offro io.
― Non posso accettare.
― In memoria dei vecchi tempi. Dai, campione. Tu eri un tipo a posto. Mi ricordo di quella volta che mi hai difeso da quel bullo. Come si chiamava?
― Brad. ― Steve sorride e scuote la testa.
― Brad. Giusto. Bravo. Da quel giorno mi ha lasciato in pace. Non ti ho mai ringraziato per avermi aiutato.
Steve alza una mano. ― Lascia perdere.
Garrison si volta verso l'uscita. ― Stammi bene, Steve.
― Anche tu.
Steve guarda il biglietto da cento dollari e scuote la testa. Afferra la banconota e si volta di scatto. ― Jim, davvero, non devi...
Il resto della frase gli muore in gola. Garrison è sulla soglia e sta uscendo dal locale. Davanti a Steve si para una donna sui trent'anni, capelli rossi raccolti in una coda di cavallo che le divide in due la schiena, giubbotto nero e pantaloni. Un vistoso paio di occhiali scuri le nasconde gli occhi. Sorride.
― Steve Fraley? ― dice la donna.
Steve rimane imbambolato per un istante. ― Mi scusi?
― Lei è Steven Fraley, signore?
― Sono io. Ci conosciamo?
La donna annuisce. ― Non di persona, ma è da parecchio tempo che la tengo d'occhio.
― Non la seguo.
La donna si siede al suo fianco e si sfila gli occhiali. Sulla parte interna delle lenti si scorgono diagrammi colorati e un'immagine. ― Lavoro per un'agenzia governativa, signor Fraley.
― Senta, se è per la questione del mutuo, mi avete già portato via la casa ― dice Steve esasperato. ― Cos'altro volete da me?
― Non sono qui per il suo mutuo. ― La donna tira fuori da una tasca un disco grande quanto una moneta e lo posa sul bancone. Un ologramma si forma sopra di esso. L'immagine mostra un ragazzo sui sedici anni. Indossa un costume giallo e verde. Il viso è nascosto da una maschera. Solo gli occhi e il sorriso che rivolge all'obiettivo sono ben visibili. ― Lo riconosce?
― Mi prende in giro? Quell'immagine è famosa. Uscì sul Time, se non ricordo male.
― Ha una memoria di ferro, ma non ha risposto alla mia domanda. Lo riconosce?
― È... era Liberty Boy. Una specie di supereroe. Perché me lo sta chiedendo?
La donna riprende il disco. L'immagine scompare. ― Perché Liberty Boy e Steven Fraley sono la stessa persona. E adesso lei mi spiegherà perché è scomparso dalla circolazione e dove è stato per tutti questi anni.
Steve esplode in una sonora risata. Un paio di avventori alzano la testa di scatto. ― Io sarei... ― Si asciuga le lacrime. ― Mi guardi bene. Le sembro un ragazzino di sedici anni?
― Il tempo passa per tutti, signor Fraley ― dice la donna glaciale. ― Anche per i supereroi.
― Senta, signorina... non ho afferrato il suo nome.
― Mi chiami Lucy.
― Lucy. ― Steve si alza. ― Mi ha fatto ridere, dico sul serio. Ora devo proprio andare. Il conto è già pagato. Si serva pure, se vuole.
Steve fa per andarsene, ma Lucy gli blocca il braccio.
― Non abbiamo ancora finito.
― Mi lasci.
― Ascolta, Steve ― dice lei abbassando la voce. ― Sta succedendo qualcosa. Non posso dirti molto, si tratta di sicurezza nazionale, non so se mi spiego.
Steve si libera con uno strattone. ― Lei è pazza. ― Si allontana, raggiunge l'uscita. La porta scivola di lato con un rumore simile a un sospiro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** TRE ***


Fuori dal locale, Steve respira a fatica, una mano appoggiata sul petto. Camminando con passo veloce si avvia in una direzione a caso e al primo incrocio svolta a destra.
Lucy esce dal locale un attimo dopo, la testa che si volta nella stessa direzione imboccata da Steve. Ha di nuovo gli occhiali da sole. Con un dito sfiora la montatura.
― Jimmy?
Una voce metallica risuona in un auricolare posto dietro l'orecchio destro. ― Sono qui. Com'è andata?
― Male. Temo di averlo spaventato.
Jimmy ridacchia. ― Tu ci sai proprio fare con gli uomini. Vai a riprenderlo?
― Per ora no. Lasciamogli credere di aver mollato la presa. Gli ho messo un segnalatore addosso. Hai agganciato il segnale?
― Non lo perderò di vista nemmeno per un secondo.
Lucy si avvia con calma verso l'incrocio.
***
Steve si guarda alle spalle. Cammina veloce sul marciapiede sfiorato da persone che lo degnano appena di uno sguardo.
Una donna che sembra parlare all'aria gli sfiora la spalla. ― Così gli ho detto che non lo voglio più vedere...
Un uomo sulla quarantina gli sbarra il passo, Steve quasi lo investe. ― Attento a dove metti i piedi, amico.
― Mi scusi ― risponde senza alzare la testa.
Steve si infila nel sottopassaggio della metropolitana scendendo le scale a due a due. Arrivato al fondo si guarda le spalle. Un paio di uomini lo superano. Si volta di scatto e prosegue.
***
Le porte automatiche si aprono con uno scatto metallico. Steve passa l'indice della mano destra su di una placca di fianco all'entrata.
― Benvenuto a bordo signor Fraley ― sussurra una voce artificiale.
Subito dopo di lui un uomo di colore appoggia il dito sulla stessa placca.
Steve si guarda attorno. Metà dei posti sono occupati da gente dallo sguardo annoiato o perso nel vuoto. Un adolescente si muove al ritmo di una musica ma non si vedono cuffie nelle sue orecchie. Un paio di donne discutono pacate scambiandosi delle occhiate furtive.
Steve attraversa il vagone e spunta in quello successivo.
Con lo sguardo individua un posto libero vicino al finestrino e vi si accomoda. Trae un profondo sospiro e si piega in due, il viso nascosto tra le mani.
― Gran brutta giornata, eh?
Steve alza la testa di scatto. Un viso rugoso, la pelle macchiata e il sorriso pieno di vuoti, incombe su di lui. Annuisce distratto.
― Ce l'hai un pezzo da dieci, mister? ― chiede il vecchio.
Steve si mette la mano nella tasca e tira fuori un biglietto da cinque dollari tutto sgualcito. ― Ho solo questo ― dice porgendolo al vecchio.
L'uomo allunga una mano e fa sparire il denaro in una tasca dell'impermeabile logoro. ― Grazie mister. ― Si dirige con passo barcollante verso il fondo del vagone.
Steve sospira e chiude gli occhi.
Il treno sobbalza, i freni stridono, le porte si aprono con uno schiocco. Steve alza lo sguardo e vede il vecchio scendere sulla banchina.
Due tizi con il volto nascosto dal bavero della giacca lo seguono. Uno dei due lo afferra per le spalle e lo spinge in avanti. Il vecchio barcolla e ruzzola a terra.
Steve scatta in piedi e si getta fuori dal treno un attimo prima che le porte si chiudano.
I due tizi incombono sul vecchio, che si lamenta.
― Vediamo quanto hai fatto oggi ― dice uno dei due afferrandolo per le spalle.
Il vecchio si fruga le tasche con la mano e ne trae un paio di biglietti d cinque e uno da dieci. Li porge all'uomo.
Il tizio afferra le banconote e le guarda disgustato. ― Tutto qui? Non sai fare più il tuo mestiere?
― Forse lo dobbiamo conciare peggio di quanto non lo sia già.
Il tizio ride, si volta verso Steve in piedi vicino alla linea gialla che separa la banchina dal bordo e torna serio. ― E tu che hai da guardare?
Steve trattiene il fiato, fa per dire qualcosa e scuote la testa. ― Niente ― dice abbassando gli occhi.
― E allora vattene ― dice il tizio.
Steve esita, si volta e fa per allontanarsi. Un'ombra lo sfiora, si lancia verso uno dei due tizi e lo colpisce al fianco mandandolo lungo disteso.
Steve sgrana gli occhi. È il ragazzo di colore che ascoltava la musica nel treno.
Il tizio che ha malmenato il vecchio si volta. Il ragazzo lo colpisce al volto con un pugno, mandandolo al tappeto.
Prima che i due si rialzino il ragazzo afferra il vecchio e lo costringe a rialzarsi. ― Vieni ― dice trascinandolo verso le scale.
Steve si lancia di corsa dietro di loro.
***
Fuori è calato il buio. Le luci basse dei lampioni proiettano ombre lugubri che si allungano sull'asfalto e sulle facciate scrostate degli edifici.
Il ragazzo trascina il vecchio fino al portone di un palazzo. Steve lo segue e si infila nell'apertura subito dietro di lui.
― Sta qui ― dice il ragazzo al vecchio, che si lascia cadere con la schiena appoggiata al muro.
Steve guarda in strada. I due tizi sono emersi dalla metropolitana e si stanno guardando attorno. Dopo essersi scambiati qualche parola, partono in direzioni opposte.
Il ragazzo gli fa cenno di fare silenzio. Quando i due si sono allontanati, torna dal vecchio, che ora respira e si lamenta.
― Come stai? ― chiede chinandosi su di lui.
― Bene ― brontola il vecchio.
― Non la devi più prendere quella linea, hai capito? Quei due te la faranno pagare cara se ti beccano.
Il vecchio annuisce.
Steve si fa avanti. ― Come ti chiami?
Il ragazzo lo squadra dalla testa ai piedi. ― Carter.
― Sei stato molto coraggioso, Carter. E anche molto incauto. Quei due potevano essere armati.
― E allora? Dovevo starmene a guardare come te?
― Io... Non credo che sarei stato molto d'aiuto.
― Dovevi solo fare la cosa giusta. ― Carter agita una mano nell'aria. ― Scusa, amico. Non ti volevo offendere.
Steve scuote la testa. ― Non sono offeso.
Carter si affaccia dal portone. ― La via è sgombra. Io me ne vado a casa. Tu abiti da queste parti?
― Cinque o sei isolati lungo questa strada.
― È una bella scarpinata.
Steve si stringe nelle spalle. ― Ne ho abbastanza della metropolitana.
Carter sorride. ― Ci si vede in giro uno di questi giorni ― dice prima di andarsene con andatura dinoccolata.
Steve lo guarda allontanarsi.
***
Lucy si sporge da un angolo. ― Jimmy, hai registrato?
― Affermativo.
― Poteva farli a pezzi quei due ― dice lei delusa. ― E invece non ha mosso un dito.
― Forse ha detto la verità.
― No ― risponde lei sicura. ― È lui il nostro uomo.
― Che vuoi fare?
Lucy si morde il labbro inferiore. ― Allerta la squadra. Lo preleviamo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** QUATTRO ***


La porta scivola di lato. Sulla soglia, Steve guarda nel buio. ― Luci ― dice entrando.
Una luce calda invade la stanza. Le pareti incrostate di umidità contrastano con lo schermo ultrapiatto appeso di traverso.
Steve si toglie l'impermeabile e lo getta sul letto a una piazza e mezza allineato contro la parete opposta. In un angolo giace un cucinino minuscolo davanti al quale c'è un tavolo ingombro di scatole di cereali.
Steve sospira e si avvicina all'armadio a parete. La mano sfiora una placca circolare e le porte scivolano di lato, rivelando una coppia di jeans appesi alle stampelle, una giacca scura e tre camicie.
Steve si abbassa e tira fuori una valigia che lancia sul letto. Prende le camicie e si volta.
Sobbalza alla vista di Lucy in piedi di fronte all'unica finestra dalla quale si scorge il profilo in lontananza di un grattacielo. ― Vai da qualche parte, Steve?
― Che ci fai nel mio appartamento? È violazione di domicilio, questa.
― Non secondo le ultime norme sulla sicurezza nazionale. Come pubblico ufficiale sono autorizzata a...
― Esci di qui, subito ― grida Steve indicando la porta.
― Come mai tanta fretta?
― Non sono affari che la riguardano.
― Rispondi alla mia domanda.
Steve tira fuori dalla tasca uno schermo grande quanto una carta di credito. ― Okay, ora chiamo la polizia.
Lucy incrocia le braccia. ― Fai pure.
Steve guarda lo schermo. Nell'angolo lampeggia una spia rossa. ― Non c'è segnale. Strano, di solito in questa zona è molto forte.
― Stiamo disturbando il ripetitore.
― Voi non...
― Steve ― dice Lucy avvicinandosi. ― Perché siete scomparsi dopo l'incidente di Baytown? Dove siete stati per tutti questi anni?
Steve indietreggia e scuote la testa. ― Non so di cosa stai parlando. Tu sei pazza.
― Steve...
Lui alza le mani. ― Stai lontana.
― Oppure? Mi colpirai con i tuoi superpoteri?
― Io non...
Lucy arriva a un passo di distanza. ― Avanti, fallo.
Steve stringe i pugni. Si sente un sibilo. Un neo color porpora appare sul suo collo. ― Cosa? ― riesce a dire prima di afflosciarsi sul pavimento.
Lucy sospira delusa. ― Jimmy. Che ti salta in mente? Stava per parlare.
― Ho avuto paura, Lucy. Stava diventando instabile. Che facciamo ora?
― Lo portiamo alla base. Da Jones. Lo deve vedere.
***
Steve sbatte le palpebre, geme. È avvolto da una luce abbacinante che confonde i particolari. Muove la testa di lato. La stanza è un cubicolo dalle pareti di un bianco latteo. L'unica luce piove dal soffitto.
Steve giace disteso su un tavolo rettangolare. Polsi e caviglie sono trattenuti da legacci che scompaiono sotto il letto. ― Che volete da me? ― domanda con voce incrinata dalla tensione. Tira le cinghie con forza ma ottiene solo di smuoverle di qualche centimetro.  ― Ehi ― grida.
La lettiga vibra, si solleva. Steve si guarda attorno spaventato. Ora è in posizione verticale, trattenuto  al ripiano solo dai legacci.
Sulla parete opposta appare una figura umana. È Lucy. La donna lo fissa con espressione neutra. ― bentornato tra noi, signor Fraley.
― Dove sono? Che ci faccio qui?
― Lei è in una struttura di contenimento ― risponde la donna con calma. ― Per quanto riguarda il motivo,  lo sa meglio di me.
― Lei è pazza.
― Dov'era il diciassette Novembre del duemilasedici?
― Come faccio a ricordarlo? Saranno passati almeno vent'anni.
― Diciannove anni, cinque mesi e tre giorni, per essere precisi. Glielo dico io dov'era. A Baytown.
Steve scuote la testa. ― No, è impossibile.
― Ah, no?
― All'epoca andavo a scuola, al liceo Smithson. Domandi a loro dov'ero quel giorno.
― L'abbiamo fatto. Dai registri scolastici risulta che lei era assente alle lezioni, signor Fraley.
― Ero malato. Avevo l'influenza. Ricordo di essere rimasto a casa per una settimana.
Lucy ghigna. ― Lei sta mentendo. Abbiano controllato il numero che usava all'epoca. Risulta che ha agganciato la cella di Oceanview alle otto e trentaquattro di mattina.
― Non me lo ricordo.
― E poco dopo ― prosegue Lucy. ― Lo stesso numero ha agganciato una cella di Baytown. Settecento chilometri in meno di quindici minuti. Alla faccia dell'attacco influenzale.
Steve apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude quando Lucy viene sostituita dalla foto di un adolescente che sorride all'obiettivo. ― Lo riconosce? È lei a sedici anni circa.
Al viso sorridente viene sovrapposta una maschera color verde e giallo. Accanto a questo appare un altro viso, nascosto dalla stessa maschera.
― Corrispondenza perfetta ― prosegue Lucy. ― Più del novantasette per cento. Abbiamo usato i software di riconoscimento facciale più moderni e alcuni così segreti che persino la nostra agenzia ha faticato a farsi autorizzare.
― Fatemi uscire di qui. Voglio un avvocato.
― Lei non è in arresto.
Steve abbassa gli occhi. ― Ma che cosa volete da me? Perché non mi lasciate in pace?
― Lei è Liberty Boy, signor Fraley?
Steve rialza la testa di scatto. ― No!
***
Lucy si allontana dallo schermo. L'immagine mostra la lettiga che si rimette in posizione orizzontale. La stanza è immersa nella penombra.
Accanto a lei un uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati sulle tempie e occhiali da vista, fissa lo schermo con le braccia incrociate sul petto. ― È stato un errore. Non dovevi portarlo qui.
― Ma è lui ― esclama la donna. ― L'ho trovato.
― Lucy... quel tizio non sembra Liberty Boy. L'hai visto anche tu.
― Sta mentendo.
― Perché dovrebbe farlo? Perché non usa i suoi poteri per liberarsi e andarsene?
― Non lo so. Per qualche motivo ha deciso di non usarli più da quel giorno. Ma è lui, ne sono sicura. Faremo altre analisi e scoprirò quello che c'è sotto.
― L'abbiamo già sottoposto a ogni genere di esame non invasivo. Dobbiamo garantire la sua incolumità...
― Oh, andiamo Jones. È un superuomo. Una volta ha fermato un aereo con le mani. Cosa può fargli un bombardamento di radiazioni?  
Jones trae un profondo sospiro. ― Ascolta Lucy. Il governo è in crisi di consensi e non abbiamo bisogno di altra pubblicità negativa.
― Nessuno saprà niente...
Jones alza una mano. ― Fammi finire. Ci saranno dei tagli per tutte le agenzie, compresa la nostra e un fallimento di questa portata non ci aiuterebbe. Io vorrei lasciarti procedere, ma se fai qualcosa per danneggiarci sarai la prima a rimetterci. Chiaro?
― Cristallino ― risponde Lucy distogliendo lo sguardo. ― Fammi fare un ultimo tentativo.
Jones la guarda di traverso.
― Mia nonna diceva sempre che si prendono più mosche con  lo zucchero che con l'aceto. Proviamo con lo zucchero, adesso. Lascia che gli mostri il progetto.
― Parliamo di un'installazione supersegreta...
― Forse può aiutarci.
― Come?
― Non lo so, ma vale la pena provare.
Jones sospira rassegnato. ― Tanto faresti comunque di testa tua. Ti accorderò un permesso di quarto livello. Nessun dettaglio tecnico. Ma è l'ultima possibilità. Se non è lui devi lasciarlo andare e sperare che non ci denunci.
― È lui ― risponde Lucy sicura.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CINQUE ***


Steve guarda gli enormi tubi color argento che spuntano dal pavimento e salgono fino al soffitto della cupola. Ognuno di essi è largo quanto un autobotte.
Lucy cammina al suo fianco. ― E questa è la stazione di pompaggio delle acque ― spiega indicando i pannelli color rame. Altri tubi più piccoli si diramano in tutte le direzioni correndo lungo le pareti. Tecnici in uniforme grigia e blu sciamano avanti e indietro degnandoli appena di uno sguardo.
― Perché mi stai mostrando tutto questo? Che scopo ha? ― Agita le braccia nell'aria mostrando le manette ai polsi. ― E queste sono proprio necessarie? Mi sentirei più a mio agio senza.
― Quelle sono per la tua sicurezza.
Steve la guarda sbalordita. ― La mia?
Lucy indica due uomini vestiti di nero che li seguono a una certa distanza. ― Li vedi quei due?
Steve annuisce.
― Sono della sicurezza. Se ti liberi o fai qualcosa di strano, qualsiasi cosa, hanno l'ordine tassativo di neutralizzarti.
― Neutralizzarmi ― ripete Steve annuendo.
― Esatto. E non ho alcun controllo su di loro. Di fatto sono i nostri angeli custodi, in un certo senso. Vieni, voglio mostrarti il pezzo forte della collezione.
***
La sala ha una forma di semisfera dal raggio di cinquanta metri. La superficie è formata da pannelli esagonali incastrati tra loro a formare un alveare.
Steve osserva col naso all'insù.
― Bello, eh? ― Lucy lo guida fino a una semisfera più piccola fatta di vetro. All'interno di essa una dozzina di tecnici in tuta grigia si muovono attorno a un'antenna color argento sistemata su di un supporto metallico. ― Questo è il cuore del progetto. ― Dà un colpetto con le nocche sul vetro. ― È infrangibile e insonorizzato. Per la nostra sicurezza, è ovvio.
― Ovvio.
Steve osserva i tecnici. Un uomo dai capelli bianchi, alto e imponente, li dirige dando delle indicazioni con dei gesti della mano.
― Quello è il professor Mathias Braun ― spiega Lucy avvicinandosi al vetro. ― È un premio nobel, membro di non so quanti comitati scientifici. Ed è anche il direttore del progetto.
― Che stanno facendo?
― Ricordi l'incidente di Baytown? Quell'antenna è tutto ciò che resta del disco usato da Mantra.
Steve sgrana gli occhi. ― Quell'affare l'ha costruito Mantra?
Lucy annuisce. ― Altissima tecnologia. Almeno un ventennio avanti alla nostra. All'epoca dei fatti, s'intende. Ora ci siamo avvicinati parecchio.
― State usando la sua tecnologia?
― Retroingegneria. Abbiamo ricavato parecchie informazioni da quell'antenna e da qualche altro giocattolo trovato in giro.
Steve scuote la testa. ― Questa è la cosa più stupida e pericolosa che abbia mai visto.
Lucy lo guarda stupita. ― Gli aggeggi di Mantra sono innocui. Non hanno mai dato problemi. E in caso di pericolo tutta l'area può essere messa in sicurezza in meno di...
― Siete come bambini che scherzano col fuoco. Finirete per bruciarvi se non lasciate subito perdere questa storia.
― Ah, davvero? E tu che cosa ne sai? Sei un esperto della tecnologia di Mantra?
― Ne so quanto te, ma è abbastanza per capire che quella roba dovrebbe essere distrutta prima che crei dei problemi più seri.
― Che genere di problemi?
― Non lo so. Ma non voglio essere qui quando succederà.
Lucy lo fissa per qualche istante. ― Perché non usi i tuoi poteri per andartene via? Perché non fai... quello che sai fare?
― Perché non posso. ― Steve agita le manette ai polsi facendole tintinnare. ― E ora, se non ti spiace, riportami indietro.
La sala viene inondata da una luce rossa pulsante.
― Che succede?
Lucy guarda le porte di metallo serrarsi. ― Niente. Deve essere in corso qualche esperimento e stanno mettendo in sicurezza la zona. Vieni, spostiamoci di qui.
Mentre si allontanano, Lucy non stacca gli occhi da quello che accade all'interno della sfera di vetro. Braun è chino sul pannelli di comando collegato all'antenna. ― Stanno per dare energia a quella macchina.
Steve la segue. ― Ed è sicuro?
― Credo di sì. L'hanno già fatto altre volte, ma non ha mai funzionato. Il sistema di alimentazione è uno dei grandi misteri che Mantra si è portato dietro.
I due raggiungono una delle porte. Su ciascun lato una sentinella vestita di nero monta di guardia sull'attenti. L'ampia lastra d'acciaio riflette le loro figure.
Al centro della sala, dentro la sfera trasparente, si accende un lampo viola. Braun sbraita verso uno dei suoi assistenti che si china verso il pannello e urla qualcosa in risposta.
― Sembrano piuttosto agitati.
Lucy si stringe nelle spalle. ― Fanno sempre così. Almeno credo.
― È da tanto che lavori per il governo?
― Cinque anni la settimana prossima. A questo progetto in particolare.
― E prima?
La sala viene inondata da un bagliore violetto. Sotto la semisfera di vetro la luce è così intensa da fra sparire macchinari e scienziati. Ombre confuse si muovono sotto la cupola.
Lucy si copre gli occhi. ― Ma che diavolo stanno combinando?
La sfera esplode con un suono cristallino. Milioni di schegge di vetro saettano in tutte le direzioni, rimbalzando contro le pareti di metallo e ricadendo al suolo.
Lucy e Steve si ritrovano distesi al suolo. L'intera struttura vibra come scossa dalla mano di un gigante.
Braun e si suoi collaboratori strisciano fuori dalla sfera infranta. L'antenna proietta verso l'alto un fascio di luce violacea che rimbalza contro i pannelli esagonali e si disperde tutto intorno. Lampi dello stesso colore percorrono la cupola metallica.
― Staccate l'energia ― grida Braun. ― Interrompete l'alimentazione.
Lampi di luce viola saettano in prossimità di pannelli e circuiti facendoli saltare in uno scroscio di scintille.
Lucy guarda in alto, dove il raggio color viola ha raggiuntola sua massima intensità. In quel punto si forma una bolla di energia del raggio di tre metri.
― Vi ho detto di interrompere... ― grida Braun, ma il resto della frase è coperto dal boato che si riverbera sui pannelli esagonali.
La bolla di energia esplode irradiandosi tutto intorno. Tutto ciò che investe nella sua corsa viene buttato a terra. L'antenna viene divelta dalla base e scaraventata contro una paratia, che si deforma nell'impatto.
L'energia color viola si disperde nell'aria lasciando dietro di sé qualche lampo isolato che si riverbera su una struttura di metallo.
Steve alza la testa verso il punto in cui la bolla di energia è esplosa. Lì, al centro esatto della semisfera di metallo, si erge una figura umana, il mantello che sventola nell'aria appena smossa. ― Capo ― sussurra con occhi sgranati.

________________________________________________

Arrivati a questo punto siamo a un terzo della storia.
Se volete lasciare un commento fate pure, meglio ancora se è una critica.
Tanto non vi mangio.
Sono a dieta :D

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** SEI ***


Librandosi nella cupola di metallo, Capitan Freedom si guarda attorno con espressione neutra.
Steve lo segue con gli occhi e la bocca spalancata. Accanto a lui, Lucy emette un sospiro. ― È lui. È proprio lui, vero?
Steve annuisce. Si alza, le mani ancora strette nelle manette. ― Capo ― grida all'indirizzo della figura che fluttua sopra di loro. ― Ehi. Sono qui.
Capitan Freedom gli lancia una rapida occhiata, poi volge la sua attenzione verso uno dei pannelli e lo raggiunge volando. Con entrambe le mani lo stacca dalla parete e lo lascia cadere di sotto.
― Ma che sta facendo? ― domanda Lucy.
Steve scuote la testa. ― Non lo so. Non mi ha riconosciuto.
Capitan Freedom si infila nell'apertura. Si sente un tonfo sommesso e poi il rumore di metallo che viene divelto e travi d'acciaio che scricchiolano e si spezzano sotto l'azione di una forza tremenda.
― Sta facendo a pezzi la cupola ― esclama Lucy allarmata.
Dall'alto piovono pezzi di metallo contorti, una trave che sembra masticata e pannelli piegati in due. Subito dopo un rombo assordante precede l'acqua che si fa strada nella cupola e precipita come una cascata.
Una luce rossa pulsante invade la semisfera.
― Che succede? ― domanda Steve spaventato.
― È stata violata l'integrità della cupola ― risponde Lucy armeggiando col pannello vicino alla porta.
― Da dove viene quell'acqua?
― Dalla baia.
― Dalla baia? ― Steve si guarda intorno. ― Vuoi dire che siamo sott'acqua?
― Settecentoventitre piedi sotto il livello del mare, sette miglia a ovest di Baytown.
― Perché proprio qui?
― È il punto dove si trovava l'ultimo laboratorio segreto di Mantra. Praticamente gli hanno costruito la base attorno. ― Lucy stacca il pannello. Dai fili contorti e anneriti si alza uno sbuffo di fumo denso.
― Voi avete fatto questo?
― All'epoca deve essere sembrata la scelta più logica, da un punto di vista logistico. ― Annoda due fili dopo averli spuntati con i denti. ― Col senno di poi è stata una grossa sciocchezza.
― Ci puoi giurare.
Lucy riattacca il pannello e pigia sui tasti. ― Niente. È andato.
Al centro della cupola, venti metri più in basso, si è formato un minuscolo lago alimentato dalla cascata.
Braun e i suoi collaboratori raggiungono la piattaforma dopo essersi arrampicati per una scaletta.
Lucy guarda verso il foro. ― Il sistema di contenimento non è entrato in funzione.
― La scarica ha fatto saltare tutti si sistemi ― spiega lo scienziato. ― Anche quelli di sicurezza e di riserva. Picchia sulla porta con un pugno. ― Siamo bloccati. ― Si volta verso la cascata. ― Almeno l'esperimento è riuscito.
― Quale esperimento? ― domanda Steve.
Braun lo squadra dall'alto in basso. ― Lei chi è? E che ci fate qui? Questa è un'area riservata.
― Risponda alla mia domanda, professor Braun.
― Le consiglio di rispondere ― dice Lucy.
Braun scuote la testa. ― Erano anni che cercavamo di collegare l'antenna a una fonte di energia stabile, ma niente sembrava funzionare. Così abbiamo deciso di usare uno dei generatori abbandonati da Mantra. E ha funzionato.
― Ha funzionato anche troppo ― dice Lucy.
Steve agita i pugni contro lo scienziato. ― Vi rendete conto di che cosa avete fatto? Non dovevate giocare con la roba di Mantra.
Braun lo fissa con disprezzo. ― E lei chi crede di essere per dirmi cosa devo o non devo fare?
― Liberty Boy ― sussurra Lucy.
Lo scienziato la fissa stupito. ― Che cosa ha detto?
Lucy indica le mani di Steve. La catena che univa le manette è spezzata.
― Devono essersi rotte nella confusione ― dice Steve.
― Quello è superacciaio temprato. È una lega virtualmente indistruttibile ― dice Lucy. ― Steve, tu sei l'unico che può tirarci fuori di qui.
― Io non...
La donna indica l'acqua che ha quasi raggiunto la pedana. ― Tra un paio di minuti saremo sommersi.
Steve guarda la porta di metallo. ― Okay, allontanatevi.
Lucy, gli scienziati e le guardie fanno una decina di passi indietro.
Steve respira a fondo, appoggia le mani alla porta e inizia a spingere. I muscoli si tendono nello sforzo, il viso si contrae. Il metallo scricchiola, i piega su sé stesso e infine qualcosa cede e la porta scivola di lato su di un binario nascosto nel pavimento. ― Andiamo ― dice infilandosi nell'apertura. Un corridoio immerso nel buio si allunga nel ventre di metallo della cupola. Solo una tenue luce rossastra indica il cammino da seguire.
Lucy è la prima a seguirlo. ― Lo sapevo ― esclama entusiasta. ― Lo sapevo che eri proprio tu. Perché non hai usato prima i tuoi poteri? Perché?
Steve scuote la testa. ― Non li avevo. Te lo giuro.
Dietro di loro, Braun emette un grido sommesso.
Una dozzina di soldati emergono da un corridoio laterale, le armi spianate.
― Fermi ― urla Jones. ― Non fate un altro passo.
Steve e Lucy si voltano di scatto.
Braun si avvicina a Jones. ― Lui è...
Jones indica una telecamera fissata al soffitto. ― Abbiamo visto tutto. Tu sei Liberty Boy, non è vero?
Lucy gonfia il petto con orgoglio. ― Che ti dicevo? Non sono stata brava?
― Agente Miller ― dice Jones. ― Si allontani dal bersaglio. Subito.
Lucy scuote la testa. ― Bersaglio?
― Per il suo bene ― dice Braun. ― Si allontani da lui.
I soldati puntano le armi contro Steve.
― Ascolta, Lucy...
― No, ascolta tu ― dice la donna alzando la voce. ― L'ho portato io qui. È sotto la mia responsabilità.
― È una minaccia, non capisci? Il suo compare sta demolendo la cupola. È del tutto fuori controllo.
Steve avanza di un passo, i soldati alzano i mitra. ― Sentite, non so cosa sia successo al capo... a Capitan Freedom. Forse è solo confuso o disorientato. Sono sicuro che se potessi parlargli riuscirei a chiarire ogni cosa. Per favore, fidatevi di me.
― Che state aspettando? ― grida Braun all'indirizzo di Jones. ― Ordini ai suoi uomini di sparargli. È una questione di sicurezza nazionale, l'ha dimenticato?
― Lucy, ti prego non costringermi...
― Jones, se lo devi fare, fallo ― dice la donna con aria di sfida.
― Fate fuoco ― ordina Jones. ― Eliminateli!
Steve getta a terra Lucy e si lancia verso una paratia. Una pioggia di pallottole si riversa su di lui. Con le mani afferra uno dei pannelli d'acciaio e lo stacca dal muro come se fosse di carta. Bulloni e viti volano per tutto il corridoio.
I soldati avanzano con le armi puntate.
Steve si accovaccia dietro la paratia, le pallottole che rimbalzano contro la superficie producono un rumore simile a quello della pioggia sulle tapparelle. ― C'è un modo per uscire di qui?
La donna annuisce.
― Andiamocene allora. ― Steve lancia la paratia contro i soldati, afferra Lucy per la vita e la solleva coma una piuma, si volta e inizia a correre nella direzione opposta.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** SETTE ***


Dietro di loro risuona l'eco attutita degli spari, di grida e di stivali che battono sul pavimento.
Steve corre a perdifiato lungo il corridoio semibuio. ― Da che parte? ― domanda a un incrocio.
― A destra ― urla Lucy. ― No sinistra, a sinistra.
Steve imbocca la direzione indicata. Il corridoio esegue una leggera curva e poi procede in discesa. ― Dove stiamo andando?
― Agli hangar. Ci serve un mezzo per raggiungere la superficie. A meno che tu non sappia arrivarci da solo.
― Non posso respirare sott'acqua. E la pressione ti ucciderebbe.
― Giusto.
Steve si ferma davanti a un portello a chiusura stagna.
― Mettimi giù ― dice Lucy. La donna corre al pannello a fianco della porta e batte un codice sul tastierino numerico. Una spia rossa lampeggia. ― È bloccato. Non riconosce il codice. Forse riesco a bypassarlo se...
Steve afferra il portello e lo strappa via dai cardini. Quindi lo deposita vicino alla paratia.
― Niente in contrario se ti chiamo quando rimango chiusa fuori di casa?
― Solo nei weekend.
I due superano di corsa il portello.
***
L'hangar è un ambiente di forma squadrata, grande abbastanza da accogliere una singolo veicolo a forma di goccia situato nel mezzo.
Lucy si arrampica sulla scaletta al fianco del veicolo e si infila in una minuscola entrata a forma di oblò, sistemandosi davanti a una cloche simile a quella di un elicottero.
Steve si accomoda accanto a lei.
La donna spinge alcuni bottoni sulla console, un motore emette un sibilo sommesso e il mezzo comincia a vibrare. ― Il serbatoio è pieno a metà, ma dovrebbe bastare.
― Per andare dove?
― In un luogo sicuro.
― Come questa base?
― Più sicuro. Spero.
La parete di fronte al mezzo scivola di lato e l'acqua inizia a penetrare nell'hangar, riempiendolo.
La console emette un segnale disturbato. ― Lucy. ― La voce metallica di Jones risuona nella cabina del veicolo. ― Non fare sciocchezze.
La donna allunga una mano verso la console, esita.
― Tracceremo la vostra rotta agente Miller. ― Stavolta la voce è quella di Braun.  ― Prima ancora di lasciare lo spazio aereo di Baytown tutte le forze dell'aviazione vi saranno addosso.
― Torna indietro, Lucy ― dice Jones. ― E dimenticheremo ciò che hai fatto.
Lucy spinge un bottone.
L'acqua invade l'hangar e ingoia il veicolo a forma di goccia. Due turbine poste sul retro si accendono. Lucy afferra la cloche e la spinge in avanti con delicatezza. Il mezzo si sposta verso l'uscita, lascia l'hangar e si getta in mare aperto.
Steve schiaccia il viso contro il finestrino. Sotto di loro scorrono la cupola e altre costruzioni più piccole collegate a essa tramite dei condotti di metallo. ― Vi siete dati parecchio da fare qui sotto.
― Sono vent'anni che il governo ha creato questa installazione.
― Ecco dove vanno a finire le nostre tasse.
In lontananza si intravede una sagoma di forma umanoide che giace adagiata tra il fondo del mare e un gruppo di rocce.
― È il megacyborg ― esclama Steve.
― Noi lo chiamiamo il Leviatano.
― Suona meglio del nome che gli ho dato io.
― Neanche il tuo è da buttare. ― Il mezzo risale verso la superficie. Arrivato a pelo dell'acqua, Lucy spinge una leva. Due ali si dispiegano ai lati del mezzo che si libra in volo per qualche metro sopra le onde, per poi iniziare a salire con più decisione.
― Può volare? ― domanda Steve.
Lucy sorride. ― Bello, vero? Il nome in codice è Beta-Settantadue, ma noi lo chiamiamo Levicottero.
― Ne vorrei uno anche io. Dove si compra?
― È un prototipo. Niente produzione in serie, non ancora, almeno. E ha anche la modalità stealth. ― La donna spinge un bottone. ― Reya, mi ricevi?
― Forte e chiaro, tesoro ― risponde una voce femminile dall'altra parte del collegamento.
― Ho bisogno di scomparire dai radar e dai satelliti per qualche ora.
― Posso darti sei ore, non di più.
― Basteranno.
― Lui è con te?
― È qui al mio fianco.
― Non vedo l'ora di conoscerlo di persona.
Lucy ricambia con un ghigno l'espressione stupita di Steve. ― È una tua grande ammiratrice.
***
Il levicottero sorvola una distesa di campi coltivati intervallati a intervalli regolari da fattorie e fienili. Lucy tiene gli occhi puntati sull'HUD del velivolo. ― Secondo te perché si è comportato in quel modo?
Steve guarda fuori, lo sguardo perso nel vuoto. ― Non lo so.
― Ti ha ignorato. Era come se non ti riconoscesse.
― Forse era confuso. Insomma, chissà dov'è stato per tutto questo tempo.
― Tu lo conosci meglio di chiunque altro.
― Non è come credi. Lui è stato sempre un tipo piuttosto riservato. Teneva molto alla sua privacy.
― Quindi il vostro era solo un rapporto professionale?
Steve si passa le mani sul viso. ― Era più una guida, per me. Quando mi ha trovato io ero una specie di sbandato. Non sapevo dove andare né cosa fare nella vita. Lui mi diede fiducia e...
― Siamo arrivati ― dice Lucy guardando in basso.
Il levicottero esegue una discesa rapida verso un gruppo di casupole e hangar a ridosso di un bosco.
― Dove siamo?
― Da qualche parte ― risponde Lucy, le mani strette sulla cloche.
Il levicottero si infila in uno degli hangar e si posa su di una piattaforma rialzata di forma rotonda.
Due uomini in uniforme grigia e una ragazza con il camice bianco e i capelli color rame sono in attesa ai margini della piattaforma.
Steve e Lucy saltano fuori dal levicottero.
― Lucy ― dice uno degli uomini avvicinandosi. Ha gli occhi a mandorla e il viso ovale è incorniciato da una zazzera di capelli neri e arruffati.
― Lui è Jimmy, il nostro tiratore scelto ― risponde lei indicandolo a Steve.
L'altro uomo, alto e muscoloso, ha la pelle color dell'ebano e un vistoso tatuaggio a forma di spirale sul collo.
― Kalvin ― dice Lucy indicandolo. ― Esperto in esplosivi.
La ragazza dai capelli rossi mostra un ampio sorriso mentre arriccia il naso coperto di lentiggini.
Lucy la indica con un gesto vago. ― Reya. Esperta in comunicazioni.
― Ciao.
― Salve a tutti ― dice Steve imbarazzato.
― Quindi lui è... ― dice Kalvin con un mezzo ghigno.
Lucy annuisce. ― Vieni ― dice a Steve. ― Ti mostro la base e il resto della squadra.
― Che cosa fate esattamente qui dentro?
Lucy sorride. ― Ci prepariamo al vostro ritorno. E quello di Mantra.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** OTTO ***


Steve si ferma davanti alla porta di metallo. ― Aspetta un secondo, Lucy. Mi stai dicendo che avete organizzato tutto questo in previsione del ritorno del Capo?
― Diciamo che volevamo essere pronti per ogni evenienza. Anche quella peggiore. ― Lucy spalanca la porta. Oltre la soglia c'è una sala rettangolare con allineate lungo le pareti di acciaio una dozzina di console. Al centro torreggia un monolite scuro che si innalza fino al soffitto. La superficie dell'oggetto è ricoperta di led che ammiccano nella semioscurità.
Appesi alla parete di fondo tre schermi panoramici mostrano le immagini di una città aggrappata ai promontori di una baia, un grattacielo e un complesso industriale.
L'unica poltrona presente è occupata da un tizio grassoccio in camice bianco e capelli biondi tagliati a spazzola.
Lucy si avvicina allo schermo centrale. ― Lui è Karl.
― Salve.
Karl quasi cade dalla sedia quando vede Steve. ― Tu devi essere... sei...
Steve annuisce. ― Sono io.
― Grande. ― Karl gli stringe la mano agitando il braccio come se volesse staccarglielo. ― Il ragazzo fantastico. Sembravi più alto nelle foto.
― Mi riprendevano dal basso.
― Certo, ovvio.
― Karl, perché non spieghi al nostro ospite cosa facciamo qui e cosa sta succedendo?
Karl si accomoda sulla poltrona. Le dita volano sulle tre tastiere che ha di fronte. ― In breve, dal nostro piccolo nascondiglio segreto, teniamo d'occhio tutto quello che succede nel mondo. Possiamo controllare i satelliti, sorvegliare il traffico aereo, filtrare le chiamate via cellulare e così via.
― E tutto questo è legale? Chi paga per le attrezzature che usate?
Karl guarda Lucy.
― Legale? ― la donna sorride. ― Ben poco di quello che fa la nostra agenzia potrebbe definirsi legale. Il fatto è che la nostra è, diciamo così, un'iniziativa indipendente. Nessuno sa che cosa combiniamo qui dentro, specialmente i nostri superiori. Se lo sapessero, ci caccerebbero via. O ci sbatterebbero in galera.
Steve guarda lo schermo. L'immagine ora è una ripresa aerea di un'autostrada affollata di auto. ― Perché fate tutto questo? Che senso ha?
― Il senso è che nessun altro lo sta facendo. Dieci anni fa il governo ha deciso che era troppo costoso dedicare tempo e personale alla ricerca di voi due. Così decisero di chiudere il dipartimento che si occupava di voi.
― C'era un dipartimento? ― domanda Steve.
Kalvin annuisce grave. ― Lo dirigeva Jones. All'epoca era ossessionato dalla vostra scomparsa. Lo so perché lavoravo in una delle sue squadre. Poi un giorno arriva quello scienziato, Braun e di botto cambia tutto. La vostra sorte passa in secondo piano e ogni risorsa viene dirottata verso lo studio dei giocattoli di Mantra.
― Vi hanno abbandonati ― dice Lucy. ― Ma noi no. In un certo senso, siamo i vostri ultimi e più fedeli fan.
Steve scuote la testa. ― Io... ancora non riesco a credere a questa cosa. Voi avete fatto tutto questo per me?
Reya annuisce. ― Ti abbiamo cercato a lungo, ma tu avevi fatto perdere le tracce. All'epoca noi eravamo ancora dei bambini e tutto il materiale venne posto sotto segreto militare dopo l'incidente di Baytown.
― Ogni singolo bit di informazione recuperato mi è costato ore e ore di lavoro ― dice Karl orgoglioso. ― Ma non mi dispiace averlo fatto. Qui tutti siamo un po' fissati con la vostra storia. Ragazzi, voi eravate davvero forti.
Lucy gli fa cenno di tacere. ― Okay. Ora tocca a te completare il quadro.
Steve la guarda perplesso. ― Che intendi dire?
― È il momento di raccontarci cos'è accaduto realmente a Baytown quel giorno.
― Non lo so di preciso. Sembrava una missione come tutte le altre, ma ora che ci penso era come se Mantra ci stesse aspettando. Credo che in un certo senso sapesse cosa sarebbe accaduto.
― E non sai dov'è stato Capitan Freedom in tutti questi anni?
Steve scuote la testa. ― L'ho rivisto oggi per la prima volta dopo la sua scomparsa.
― Quello che non ho mai capito ― dice Jimmy puntandogli contro l'indice. ― È perché sei scomparso anche tu. Insomma, passi Capitan Freedom, ma tu eri qui. Potevi continuare la sua opera, rimettere un po' le cose a posto. Avevi i tuoi poteri e tutto il resto.
― No ― dice Steve.
― No?
― I miei poteri dipendono dal capo... da Capitan Freedom. Senza di lui non sono niente.
― È una specie di... emanazione?
Steve scuote la testa.
― Telepatia? Telecinesi? Teletrasporto? Trasmissione a distanza dell'energia? ― lo incalza Lucy.
― Non lo so ― risponde Steve esasperato. ― So solo che senza di lui sono solo un tizio col costume.
― E adesso che è ritornato? Hai riacquistato i tuoi poteri?
Steve scrolla le spalle.
― Ma nella base sembrava che...
― Sento che qualcosa è cambiato ― dice Steve.
Karl fa schioccare le dita. ― Che ne dite di sottoporlo a qualche prova? Non so, gli spariamo addosso un missile o un fascio di particelle. Ce l'abbiamo ancora quell'acceleratore di seconda mano del Cern?
― Buona idea ― fa Reya. ― Se non sbaglio nel magazzino c'è quel lanciamissili che abbiamo recuperato del deposito di munizioni della Nato.
― Ehi ― Steve alza la voce. ― Non mi sparerete niente addosso. L'hanno già fatto in quella dannata cupola.
― E sei sopravvissuto ― dice Karl umettandosi il labbro con la punta della lingua. ― hai la superforza e la superresistenza. Perché non fai una prova di volo per vedere se è tornato anche quel potere?
― Giusto ― dice Jimmy. ― Così non c'è bisogno di spararti niente addosso.
Steve rivolge un'occhiata a Lucy.
― I ragazzi hanno ragione. Quest'area è interdetta ai voli civili e militari. Un piccolo regalo di Reya.
La ragazza arrossisce.
― Saresti libero di svolazzare libero e di... fare le tue cose. Che ne pensi?
***
Steve guarda in alto. Il soffitto dell'hangar si apre con un ronzio sommesso mostrando un cielo all'imbrunire appena velato da qualche nuvola di passaggio.
Lucy e gli altri si dispongono a formare un cerchio attorno a lui. ― Quando vuoi.
Steve sospira. ― Non mi ricordo più come si fa.
― Non è come andare in bicicletta? ― domanda Karl.
― Secondo me dovresti provare a darti una spinta verso l'alto, come se volessi saltare ― suggerisce Kalvin.
― Giusto ― fa Jimmy battendo le mani. ― È una buona idea.
― Smettetela voi due ― dice Lucy. ― Steve. Fallo come lo sai fare. Come l'hai sempre fatto.
Steve guarda in alto. Le stelle ammiccano dall'apertura rettangolare nel soffitto dell'hangar. Il cielo velato dalle nubi si allarga, si espande fino a riempire tutto l'hangar.
Steve guarda giù. Sta fluttuando al di sopra delle teste di Lucy e degli altri, che lo fissano a bocca aperta. Un istante dopo schizza verso l'alto.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** NOVE ***


Il vento gli schiaffeggia il viso e gonfia la giacca e la camicia. Steve volteggia al di sopra delle nuvole, le braccia allargate a imitare un aeroplano.
Trae un profondo respiro e si tuffa in picchiata sopra un campo di grano. Sfiora un paio di mucche al pascolo che reagiscono all'intrusione con un muggito sommesso e riprende quota. Si libra sopra un fienile col tetto sfondato circondato da una staccionata divelta.
Si ferma sopra un casolare dalle finestre buie.
Un ronzio lo fa voltare di scatto. Un levicottero si leva al di sopra della sua testa, un faro puntato nella sua direzione.
― Steve ― dice la voce di Lucy da un megafono. ― Tutto bene?
Steve alza il pollice. ― Mai stato meglio.
― Che ne diresti di rientrare? Direi che hai ripreso abbastanza confidenza per oggi.
― Ho appena cominciato ― risponde volando via.
Una vibrazione scuote il levicottero che perde quota per qualche istante.
― A quanto andava? ― domanda Lucy allarmata, le mani aggrappate alla cloche.
― Mach due ― risponde Reya dall'altra parte del collegamento radio. ― Credo. Il satellite fatica a tenerlo inquadrato.
― Incredibile.
Steve rallenta in vista della parete di una montagna. Con una cabrata a novanta gradi si dirige verso la cima, la supera e poi si volta con un'inversione ad angolo retto, puntandovi contro. Si getta sullo sperone di roccia, lo sfiora con l'addome e volteggia sopra di esso fino a posarsi in cima. Si siede con le gambe incrociate e osserva la valle sottostante. Un fiume attraversa i campi tuffandosi in un lago. In lontananza si vedono le luci di una città distesa sul fianco di una collina.
Il levicottero emerge dall'ombra e ronza alle sue spalle. ― Steve, rientriamo, dai. Siamo fuori dalla zona interdetta al volo.
― Sai, mi ricorda la prima volta che ho volato ― dice Steve con un sorriso sulle labbra. ― Il Capo mi portò sulle montagne rocciose con il suo fuoristrada. Fu un viaggio di cinque ore dove mi raccontò gran parte della sua vita, di quando si era perso in un bosco a sette anni ed era sopravvissuto per due giorni cibandosi di funghi e bevendo a una fonte che aveva scoperto. ― Scuote la testa. ― Ci saremmo potuti andare in volo, ma lui disse che gli piaceva godersi il viaggio in macchina, vedere sfrecciarsi davanti i pickup pieni di famiglie che andavano in gita o tornavano da una grigliata e dare un'occhiata alle piccole fattorie che si incrociavano lungo la strada e magari fermarsi in una trattoria e gustarsi uno dei piatti locali.
― Steve ― la voce di Lucy è velata dalla tristezza.
― Comunque, arrivati a destinazione mi porta su uno strapiombo di sei o settecento metri e mi dice di guardare. Io lo faccio. E lui mi fa "è per questo che lo facciamo, Steve". E io "certo, è meraviglioso. Vale la pena combattere per questo mondo. " Lui mi guarda, sorride e dice: "Io parlavo del panorama." Poi mi da una spinta e mi butta giù. ― Steve ride finché le lacrime non gli rigano gli occhi.
― Torniamo alla base, Steve. Si sta facendo buio.
Steve fluttua verso il levicottero e si accomoda accanto a Lucy. ― Scusa. Mi sono lasciato andare un attimo.
Lucy abbozza un timido sorriso. ― Dai, è normale. Questa cosa ti ha scombussolato.
― Dovete scoprire dov'è andato.
― Ci stiamo già lavorando.
***
Karl indica uno degli schermi. L'immagine sfocata e confusa mostra una figura umana che fluttua sopra una petroliera ancorata a un molo.
― È di sei ore fa ― spiega Karl passando una mano sulla console. L'immagine si allarga mostrando la figura umana più da vicino.
― È lui? ― chiede Lucy, in piedi con le braccia incrociate sul petto.
Karl annuisce. ― Si sposta molto velocemente da un punto all'altro del mondo. Qui era a Sydney. E in questa. ― L'immagine cambia e mostra un complesso fatto di tubi e condutture che spuntano dal suolo. ― Era a Kuala Lumpur.
Steve si sporge verso lo schermo. ― Che ci fa in quei posti?
― Ha preso la petroliera e l'ha portata altrove.
Lucy lo guarda con occhi sbarrati. ― Che cosa?
Karl fa spallucce. ― L'ha sollevata e l'ha portata via. C'era un filmato in rete, ma è sparito prima che lo potessi copiare. C'è qualcuno che sta facendo piazza pulita di immagini relative a Capitan Freedom.
― Jones ― sibila Kalvin.
― Probabile. Reya, puoi fare qualcosa per recuperare le immagini?
― Ci provo ― dice la ragazza. ― Ma se nemmeno Karl c'è riuscito...
― Cara, tu hai un tocco magico per queste cose ― dice Karl con un ghigno.
― Scemo.
Lucy rivolge loro un'occhiataccia. ― La smettete? E a Kuala Lumpur che mi dici? Perché c'è andato?
Karl scuote le spalle. ― Ha preso alcuni tubi e li ha portati via.
― Dove? ― chiede Steve corrucciato.
― A saperlo, amico.
― Karl ― dice Lucy seria. ― Devi trovarlo. Utilizza tutte le risorse che abbiamo, ma trovalo.
Karl sospira. ― Ci vorrà un miracolo.
― Stupiscimi. ― Lucy fa un cenno a Steve. ― In quanto a te, dobbiamo metterti addosso qualcosa di più consono.
― Stavo proprio per chiederti se avevate conservato uno dei miei costumi. Sai, il mio l'ho buttato via.
Karl sgrana gli occhi. ― L'hai buttato? Voglio dire, la riproduzione del costume di Liberty Boy vale migliaia di dollari. L'originale non ha prezzo.
― Si era rovinato dopo averlo lavato in lavatrice.
― Lavato in lavatrice... ― sussurra Karl incredulo.
― Concentrati sul tuo compito. ― Fa un cenno con la mano a Steve. ― Da questa parte.
***
Allineate lungo le pareti dell'hangar, sei levicotteri attendono come silenziose guardie il passaggio di Lucy, Steve e Reya.
Steve si guarda attorno. ― Carino qui. È una specie di bat-caverna?
La ragazza li guida fino a una pedana rialzata sul fondo dell'hangar. In una teca di cristallo è appeso un costume di Liberty Boy.
Steve appoggia la mano sul vetro. ― L'avete conservato?
― Alcuni di noi hanno portato qui le loro collezioni.
― Immagino che questo sia di Karl.
Lucy arrossisce. ― In verità è mio.
― Tuo?
― Sai, tu eri il mio preferito. A dieci anni mi vestivo come te.
Steve distoglie lo sguardo.
Reya tira una cassa di metallo da sotto una panca e la apre con un gesto secco. All'interno si intravedono un casco e un'armatura nero antracite. La ragazza tira fuori il corpetto e lo lancia verso Steve, che lo afferra al volo. ― È in fibra di nanocarbonio. Superresistente agli urti. Può assorbire l'onda d'urto di un'esplosione  fino a un massimo di tre metri di distanza. Autoriparante.
Steve la soppesa tra le mani e la passa a Lucy, che l'appoggia a terra.
Reya prende il casco e lo butta tra le braccia di Steve. ― Casco per la realtà potenziata. Stesso materiale dell'armatura. HUD a interfaccia neurale. Legge letteralmente i tuoi pensieri e anticipa le tue richieste.
Steve infila il casco. All'interno si accendono luci e scritte che scivolano davanti ai suoi occhi.
― Include visore notturno e termografia. E schermatura parziale contro le radiazioni.
Steve si volta verso Lucy. ― Ha anche i raggi-x per vedere sotto i vestiti delle ragazze?
Reya sorride. ― Tu non prendi niente sul serio, eh?
― Che male c'è a divertirsi un po'?
Lucy spinge la cassa con un piede. ― Ti serve altro? Domande?
― Dove la compro questa roba? Scommetto che non si trova nei negozi. Si ordina per posta?
― Sono dei prototipi ― spiega la donna. ― Li abbiamo presi in prestito.
Jimmy arriva di corsa. ― Karl lo ha trovato.
Lucy e Steve si scambiano un'occhiata, poi seguono Jimmy di corsa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** DIECI ***


― È a Brenton ― dice Karl, gli occhi fissi sullo schermo. L'immagine ripresa dall'alto mostra un complesso industriale fatto di ciminiere e capannoni. Una figura umana si libra sopra di essi. ― I satelliti lo hanno individuato seguendo la scia di condensa.
― Cosa c'è a Brenton? ― domanda Lucy.
Karl scuote la testa. ― Un paio di industrie per la lavorazione delle fibre al carbonio. Un ristorante che fa delle ottime grigliate di carne.
― Vada per la lavorazione del carbonio.
Steve si volta di scatto. ― Vado da lui.
Lucy lo insegue. ― Steve, aspetta.
Lui marcia deciso verso l'hangar.
― Potrebbe essere pericoloso.
― Il Capo? No ― scuote la testa. ― È solo confuso. Ha passato vent'anni chissà dove. ― Strappa il casco e l'armatura dalle mani di Reya.
Lucy lo segue. ― Io vengo con te.
Lui la guarda di traverso. ― Tu potresti correre un pericolo.
― Sono un agente addestrato per questo genere di cose.
Steve allarga le braccia. ― Sì, certo.
Reya prende una tuta e gliela lancia. ― Metti questa. Ti proteggerà dal freddo e dal caldo eccessivo.
Steve stiracchia il tessuto della tuta. ― Non è un po' stretta?
― Si adatterà al tuo corpo.
L'hangar si apre con un ronzio sommesso sopra le loro teste. É ancora buio, tranne un leggero chiarore.
― Potreste voltarvi, signorine? ― domanda Steve slacciandosi la cintura dei pantaloni.
Reya ridacchia e si volta. Lucy incrocia le braccia sul petto e sbuffa, il viso rivolto al levicottero in attesa in un angolo.
Un leggero spostamento d'aria le scompiglia i capelli. Si volta di scatto, l'espressione allarmata. L'hangar è vuoto. Guarda verso l'alto. ― Che idiota! ― esclama a denti stretti.
***
Steve infila il casco mentre sorvola una fattoria. Al suo interno luci rosse e verdi si accendono e spengono. ― Sistemi attivati ― sussurra una voce incolore.
― Salve Jarvis.
― Prego signore?
Steve ride a denti stretti. ― Niente. Era solo una battuta.
― Steve, che cosa credi di fare? ― La voce di Lucy si riversa come un torrente in piena nel casco.
― Lucy, voglio fare un tentativo.
― Torna indietro. Parliamone prima di fare mosse azzardate.
― Non correrò alcun rischio.
― Non mi riferivo solo a te. Sembra del tutto fuori controllo.
― È solo confuso.
― Non puoi saperlo.
― Chiudi il collegamento.
― Steve!
― Come si chiude questo coso?
Una scarica di statica segnala la fine del collegamento.
Lucy, le mani strette sulla cloche, vira verso l'alto.
***
Brenton è un monotono susseguirsi si periferie fatte di villette a schiera e piccoli quartieri aggrappati a delle basse colline. Il centro della città, con i suoi grattacieli, sorge a ridosso di un mare luccicante sotto i raggi del sole che sta sorgendo.
Parte della costa è occupata da capannoni transennati, depositi di carburante, moli ingombri di container e una dozzina di petroliere all'ancora.
La struttura più imponente è un parallelepipedo di cemento e acciaio circondato da tubi cromati, serbatoi e ciminiere.
Uno dei muri giace in macerie lì dove una forza misteriosa ha divelto l'acciaio e il cemento creando un'apertura larga una decina di metri.
Steve atterra a una ventina di passi di distanza.
Dall'interno del foro giungono rumori metallici.
― Capo, sei lì? ― grida in direzione del foro. ― Senti, sono Steve. Sto entrando, perciò cerca di essere presentabile. Non ne sono certo, ma ho il sospetto che ci sia più di una telecamera puntata su di noi.
Dall'interno della struttura arriva un boato di metallo che esplode e si contorce. Steve china la testa un attimo prima che una paratia d'acciaio grande quanto una utilitaria passi sopra di lui finendo il suo volo in uno dei muri esterni.
― Lo prendo come un invito ― dice Steve poco convinto.
***
L'interno della struttura è un intrico di macerie in cui si mescolano tubi cromati divelti e piegati, detriti di cemento armato sbriciolati come biscotti di burro e paratie d'acciaio accartocciate come fogli di carta argentata.
Steve avanza guardandosi attorno, guidato da un chiarore rossastro che si riflette sull'acciaio e il metallo brunito che forma la struttura interna del complesso.
Si ferma davanti a una porta d'acciaio spessa ottanta centimetri divelta dai cardini e scagliata contro il muro di cemento.
Legge ad alta voce la scritta su una targa: ― Sutton Industries.
― È un laboratorio di alta tecnologia ― dice la voce di Lucy nel casco.
Steve si guarda alle spalle. ― Sei ancora lì?
― Sono sempre qui ― risponde la donna.
― Pensavo di averlo spento questo affare.
― Reya l'ha riacceso. Non hai il controllo totale, Steve.
― Non l'ho mai avuto ― risponde lui cupo. ― Vedi quello che vedo io?
― Molto di più.
Sul visore del casco Steve vede apparire l'immagine a falsi colori dell'interno della struttura. Al centro una figura umana sembra china su qualcosa. ― Che cosa sto guardando?
― Uh ― esclama Lucy. ― La sai l'ultima? Il Capitano è radioattivo.
― Forse è un effetto della dislocazione di cui è stato vittima ― dice Karl.
― Pensavo fosse una conversazione privata questa ― si lamenta Steve.
― La privacy a dopo, piccioncini.
― Di che cosa stai parlando, Karl?
― Niente ― risponde lui. ― È solo un'ipotesi che ho formulato dopo aver visionato alcuni file riservati.
La figura umana si muove verso l'entrata.
― Ne parliamo dopo ― dice Steve. L'immagine a falsi colori scompare, tornando a quella consueta.
Steve sobbalza quando si trova di fronte Capitan Freedom. L'uomo ha sotto braccio una piramide color ottone grande quando un albero di natale da cui spuntano un intrico di fili di tutti i colori.
― Salve, Capo ― dice sorridendo. ― Posso chiederti dove vai di bello? Lo sai che quella è proprietà privata?
Capitan Freedom grugnisce qualcosa e fluttua oltre Steve, che si volta di scatto.
― Ehi, parlo con te. Non si salutano più gli amici?
L'altro continua a fluttuare verso l'uscita senza voltarsi.
Steve lo segue. ― Capo. Dai, non tenermi il broncio. Lo so che non ci vediamo da anni e che non sono passato a trovarti. Solo che non mi hai lasciato l'indirizzo né il numero di telefono e non sapevo come rintracciarti.
Capitan Freedom si volta di scatto, l'espressione corrucciata. ― Possibile che tu non prenda mai nulla sul serio?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** UNDICI ***


Steve sorride. ― Capo ― esclama felice. ― Allora mi riconosci.
― Certo che ti riconosco ― dice Capitan Freedom severo. ― Sei sempre il solito, Steve. Mai serio. Mai concentrato sulla missione.
― Sì, esatto ― risponde Steve esultando. ― Mi sono mancate le tue sgridate. Senti, ora che ci siamo salutati, vuoi dirmi che stai combinando? Sai, alcuni amici sono molto preoccupati. Secondo loro ti comporti in modo strano e, lasciatelo dire sinceramente. ― Si gratta la nuca. ― Non so dargli torto. Insomma, salti fuori dal nulla e poi te ne vai in giro a prendere delle cose, come quella lì che hai sotto il braccio.
― Devo completare il dispositivo.
― Certo, e a me sta bene come spiegazione, credimi, ma forse dovresti dirmi qualcosa di più. Che ci devi fare con questo dispositivo?
― Serve per il suo ritorno.
― Steve, sto registrando tutto ― sussurra la voce di Lucy. ― Solo perché tu lo sappia.
― Okay, serve per il suo ritorno ― ripete Steve. ― Il ritorno di chi, se posso saperlo?
― Di Mantra.
― Cosa? ― Esclama Steve. ― Ma di che stai parlando?
― Mantra deve poter rientrare in questo continuum. Al momento attuale è disperso, anche se ancora collegato ― spiega Capitan Freedom. ― E in attesa.
― In attesa di cosa?
― Che io lo faccia rientrare.
Steve agita le mani. ― No, no, no, Capo. Non se ne parla nemmeno. Lascia Mantra lì dove si trova.
― Steve, l'ho promesso. Abbiamo un accordo.
― Accordo? ― fa Steve incredulo. ― Tu hai fatto un accordo con Mantra? Lo stesso Mantra che ha cercato di segarti in due in un acceleratore protonico? Lo stesso che ti ha scagliato nella fossa delle Marianne sperando che la pressione ti schiacciasse? Lo stesso che rubò un'arma sperimentale per generare terremoti e minacciava di trasformare la California in un'isola se non gli avessimo consegnato dieci miliardi di dollari?
Capitan Freedom annuisce grave.
― Mi prendi in giro, Capo. Non puoi dire sul serio.
― Le cose sono cambiate, Steve.
― Mantra è il nemico numero uno. Sei stato tu a insegnarmelo.
― Non più. Mi sbagliavo sul suo conto.
― Magari ti stai sbagliando ora.
― Vorrei che fosse così, ma ho aperto gli occhi. Dall'altra parte abbiamo visto, Steve. Senza di noi il mondo è andato allo sfascio. Senza controllo, senza equilibrio, senza una guida sicura. Ci hanno dimenticati. Tutti i nostri sforzi, le nostre battaglie, sono state inutili. Senza senso.
― E il senso per te quale sarebbe? Dare il potere a Mantra? Lo facciamo presidente del mondo e lui aggiusta tutte le cose che vanno storte?
― Mantra sarebbe solo il braccio. Noi, tu e io, la mente. Insieme possiamo controllarlo e indirizzare il suo genio verso il bene.
― Non starai dicendo sul serio, spero.
― Anche lui è cambiato. Ha capito di avere sbagliato. Vuole rimediare ai suoi errori e questa è la sua ultima occasione per farlo.
― Lascialo lì dov'è. Senza di lui il mondo sarà migliore.
― Sono vent'anni che lui non c'è ― grida Capitan Freedom. ― E guarda cos'è diventato il mondo. È peggio di quando l'ho lasciato. Ci sono più guerre, più povertà, più sofferenza, più criminalità. Come potrebbe il ritorno di Mantra peggiorare tutto questo?
― Non lo so, ma quel tipo ha la capacità di tirare fuori il peggio anche da una situazione disperata. ― Steve scuote la testa. ― Senti, sai che facciamo ora? Ci andiamo a fare un giro. Scegli tu il posto. Parliamo, ci ingozziamo di patatine e altre schifezze e...
― Ora devo andare. ― Capitan Freedom fluttua sui resti dell'installazione.
― No, aspetta. ― Steve lo raggiunge. ― Non abbiamo ancora finito.
― Unisciti a noi. ― Capitan Freedom gli tende la mano.
― Prima discutiamone con calma.
― Andiamo, Steve. Ormai sei un uomo. Devi prendere una decisione.
― Steve. ― La voce di Lucy è tesa. ― Sta succedendo qualcosa. ― Una scarica copre la frase successiva.
Steve si copre l'orecchio con la mano. ― Lucy. Ripeti, non ho capito l'ultima frase.
Capitan Freedom fissa il cielo. ― I tuoi nuovi amici ci hanno trovato.
Sopra di loro le nuvole hanno un colorito violaceo.
― Capo, ti assicuro che non ne sapevo niente. Andiamo via di qui. Saremo soltanto tu e io.
― Lo sapevo che non potevo fidarmi di te. ― Capitan Freedom scatta in avanti e lo colpisce al petto con il ginocchio. Il colpo scaraventa Steve contro il muro di cemento del complesso industriale, poi attraverso di esso fin nelle viscere d'acciaio della struttura, dove sbatte con un serbatoio di forma cilindrica, lo piega e rimbalza sul pavimento.
Un getto di vapore compresso inonda l'area.
Capitan Freedom si solleva in aria, guarda compiaciuto il cielo che sta diventando sempre più viola. L'aria emette scintille purpuree che si riverberano sul cemento e l'acciaio. Esegue una virata e dopo un bang che fa vibrare l'aria si allontana in volo.
***
Riverso al suolo in una nebbia di vapore che confonde i particolari, Steve geme, si puntella con le braccia e si alza.
― Steve. ― La voce di Lucy risuona nel casco. ― Mi ricevi? Steve!
― Ti sento ― risponde con voce impastata.
― Cos'è successo?
― Mi ha colpito ― dice incredulo.
― Devi andartene di lì. Subito.
― Mi ha colpito ― ripete Steve. ― Non era mai successo prima.
― Steve, ascolta. Devi uscire. Ora.
― Sta per succedere ― dice Karl con voce eccitata. ― È Andromeda. Lo sapevo che era reale.
― Lucy ― dice Steve toccandosi la testa. ― Dov'è andato?
― È fuori dalla portata dei satelliti. Steve, per il tuo bene, vattene di lì subito.
Scariche violacee attraversano il metallo e il pavimento. La struttura vibra come scossa da un terremoto. Steve si libra a mezz'aria e vola attraverso il foro. Si alza nel cielo. L'aria è attraversata da scosse purpuree. Fulmini viola scaricano la loro rabbia al suolo.
In cielo, al di sopra delle nubi, un vortice color viola grande quanto la Luna piena emette barbagli purpurei che si diramano in tutte le direzioni. Per un istante sembra pulsare.
Steve fissa la scena con occhi rapiti.
Il vortice inizia a girare su sé stesso.
― Dietro di te ― la voce di Lucy è concitata.
Steve si volta di scatto. Il levicottero si libra poco sopra di lui. Fa per andare verso il velivolo, ma un lampo di luce color viola lo investe in pieno.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** DODICI ***


L'aria vibra per l'energia rilasciata dal raggio che parte dal centro stesso del vortice che ruota al di sopra delle nubi. Il corpo di Steve è attraversato da scariche purpuree.
Lucy, le mani sulla cloche, lotta per tenere in posizione il levicottero. Scariche color viola attraversano la struttura del velivolo, l'avvolgono, lo attraversano. Le luci della cabina lampeggiano passando dal verde all'arancio e al rosso. Poi si spengono e si riaccendono. Le turbine lanciano un lamento sommesso
Lucy stringe i denti. Con la coda dell'occhio vede Steve precipitare verso il suolo come una bambola di pezza.
Spinge la cloche in avanti. Il levicottero si abbassa e punta il muso tozzo verso la terra. Le turbine gemono con intensità maggiore mentre l'aria sferza la cabina. Il cielo è tornato limpido, non c'è più traccia del colore viola.
― Arpione ― sussurra Lucy a denti stretti. Il pollice destro schiaccia un bottone e dalla parte anteriore del levicottero parte un un dardo tenuto legato da un filo.
Il proiettile raggiunge Steve e lo aggancia passandogli attorno all'addome tre volte. Lucy schiaccia lo stesso bottone e il verricello richiama la fune tirandosi dietro il corpo di Steve come un pesce che ha abboccato all'amo.
***
― Mi hai fatto prendere un colpo.
Steve è riverso su di una branda. Sopra di lui incombe Lucy, l'espressione imbronciata.
Steve tenta di rialzarsi ma ricade sulla branda. ― Cos'era quella roba? Dove siamo?
― Da qualche parte sulla via del ritorno ― dice Lucy indicando il cielo che si intravede oltre il vetro della cabina pressurizzata.
Steve sgrana gli occhi. ― Chi è ai comandi?
― Pilota automatico. L'hanno inventato qualche anno fa, ricordi?
Steve si tocca la tempia. ― Cos'è successo laggiù?
― È quello che vorrei sapere anche io. Quello che vi siete detti...
― Non importa. Lui non è in sé.
― Steve...
― È come ti dico.
Lucy scuote la testa. ― Non importa quello che penso io. Tutti l'hanno sentito.
― Tutti?
― Jones stava origliando le nostre trasmissioni. Ha sentito quello che vi siete detti e deve aver tratto le sue conclusioni.
― Quel lampo viola?
― È un'arma ― dice Lucy con tono secco.
Steve la guarda sbalordito.
― Il suo nome in codice è Andromeda ― dice Karl parlando attraverso un microfono. ― Per molti è soltanto una leggenda metropolitana, ma io sapevo che era reale ― continua col tono di chi sta tenendo una lezione ai suoi studenti. ― Non esiste una documentazione ufficiale, solo frammenti di bit, qualche informazione sfuggita alla censura. A volte qualcuno coinvolto nel progetto si lasciava sfuggire una parola di troppo e così via...
― Karl, vieni al dunque ― lo incalza Lucy.
Karl ridacchia. ― Si tratta di un sistema integrato di satelliti. Avete presente la vecchia rete GPS? Il concetto è uguale. I satelliti sono geostazionari e coprono ogni angolo di superficie della Terra. Si tratta di tecnologia avanzatissima, capacità stealth, autoriparante e così via. ― Fa una pausa. ― Non so nemmeno se questa linea è sicura.
― Continua ― dice Lucy esasperata.
― I satelliti sono altrettanti nodi di una rete ad alta energia ― prosegue Karl. ― Possono colpire ovunque e chiunque, in qualsiasi momento. L'unico limite è che ci mette un po' a ricaricarsi. Immagino che la rete vada in sovraccarico o qualcosa del genere. Ma, e questo è il pezzo forte. ― Tossicchia. ― Vi starete chiedendo da dove prende l'energia. La risposta è: da nessuna parte. ― Risata nervosa. ― La rete è completamente autonoma. Ogni satellite funge da nodo di scambio e generatore. Quando si attiva invia la sua energia al satellite più vicino e così via finché il nodo principale non viene attivato.
― Il vortice violetto ― sussurra Steve.
― Bingo ― esclama Karl.
Steve si mette a sedere sulla branda. ― Ho già visto una cosa del genere. A Baytown, il giorno dell'incidente. Quando venni investito da quell'energia persi i poteri come oggi.
― È come se ti avesse sovraccaricato ― dice Lucy. ― La tuta ha assorbito parte delle radiazioni, altrimenti a quest'ora ti avrebbe fritto. E avrebbe fritto anche me senza la schermatura del levicottero.
― Tutto ha origine da lì ― dice Karl con voce eccitata. ― Braun e il suo team devono aver scoperto il segreto della tecnologia di Mantra e l'hanno usata per costruire il loro giocattolo. ― Fa una pausa. ― A proposito di Baytown ― dice Karl schiarendosi la voce. ― Gli hai parlato della mia teoria?
Steve guarda Lucy. Lei si stringe nelle spalle. ― Perché non glielo spieghi direttamente tu? Scommetto che muori dalla voglia.
Karl ridacchia. ― Diciamo che è più un'ipotesi, ma spiega dove sono stati Mantra e Capitan Freedom negli ultimi vent'anni.
― Dove? ― chiede Steve impaziente.
― Da nessuna parte. Erano esattamente dove li abbiamo visti l'ultima volta, sospesi sopra la baia all'interno del disco di Mantra.
Steve scuote la testa. ― erano tipo... invisibili?
― No bello ― esclama Karl. ― Erano lì, intrappolati in una dimensione parallela.
Lucy fa spallucce. ― È la sua grande passione.
― È fisica, tesoro ― risponde Karl indispettito. ― Steve, tu hai studiato scienze al liceo, no? Lo sai che esistono quattro dimensioni. Altezza, larghezza, profondità e tempo.
― Ho qualche vago ricordo.
― Bene ― prosegue Karl. ― Da tempo si sa che esistono altre dimensioni spaziali, ma noi ne percepiamo soltanto tre. L'energia rilasciata dal generatore di Mantra potrebbe aver proiettato il disco e tutto ciò che conteneva in una di queste dimensioni extra. Insomma non si sono mossi di lì.
― E come ha fatto il Capo a tornare?
Karl tossisce. ― L'esperimento di Braun deve aver fornito l'energia necessaria per invertire il processo.
― E Mantra? Perché non è riapparso anche lui? ― domanda Lucy.
― Non lo so, forse serve più energia per riportarlo indietro.
― Ha detto che voleva riportare indietro Mantra ― dice Lucy con sguardo fisso nel vuoto. ― Sta costruendo un generatore più grande.
Steve annuisce. ― Ma da dove prenderà tutta l'energia che gli serve?
Lucy guarda in alto. ― Gliela fornirà Andromeda.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** TREDICI ***


Lucy siede ai comandi, il viso concentrato sull'HUD. ― Karl, dimmi solo se la mia è un'ipotesi credibile.
― Temo di sì.
― Quanto tempo ci vorrà per ricaricare Andromeda?
― Secondo i miei calcoli, almeno altre tre o quattro ore.
― Appena in tempo per arrivare a Baytown.
Steve siede accanto alla donna. ― Come pensi che farà a usare l'energia di Andromeda?
― Sta costruendo un nodo ― spiega Karl. ― Sfrutterà il lampo d'energia per incanalarlo in qualche modo e riportare indietro Mantra. ― Fa una pausa. ― Abbiamo delle visite.
― Chi?
― Droni. Li ha inviati Jones. Devi averci triangolato.
― Karl, la base è compromessa. Usate i levicotteri per evacuare. Procedete solo in modalità stealth. Silenzio radio fino all'incontro nel punto prestabilito.
― Ad majora, Lucy.
Steve si toglie l'armatura e la getta via insieme al casco. ― Tanto ormai è solo da riciclare.
Lucy ghigna. ― Ottanta milioni di dollari.
― Secondo te vale più o meno di un costume originale di Liberty Boy?
Lucy lo guarda di traverso.
Steve sorride. ― Che ne dici di una piccola deviazione?
***
Il levicottero atterra in uno spiazzo pieno di erbacce. Steve e Lucy saltano giù e si guardano attorno. A una trentina di metri di distanza sorgono i resti di un edificio in legno su due piani costruita a ridosso della spiaggia. Finestre e ingresso sono sbarrati da assi di legno inchiodate di traverso. Un'insegna pende sulla facciata rovinata dalla salsedine. Si intravedono le lettere G e Y.
― Greyer ― dice Steve con un sorriso stampato sulle labbra. ― Una volta ci venivamo a passare i weekend, noi ragazzi di Riverview. Il vecchio Sam faceva delle grigliate incredibili. ― Indica il mare. ― A me piaceva mangiare sulla battigia. Adoravo guardare le onde.
Lucy guarda l'orologio. ― Steve...
― Certo. Da questa parte, vieni. ― Camminano fino a un passo al confine tra la sterpaglia e la sabbia. ― Segnai il punto esatto l'ultima volta che venni qui. ― Appoggia le mani alla roccia e la solleva senza sforzo. ― Me la ricordavo più pesante.
― Stai recuperando i poteri.
Steve scava con le mani nel punto dove la roccia era appoggiata e tira fuori dal buco una valigia d'alluminio che appoggia per terra. ― Che sbadato, ho scordato di portare le chiavi. ― Usa le dita per spaccare il lucchetto. La valigia si spalanca. Sventola sotto gli occhi di Lucy una maschera color verde scuro.
― Non si era rovinato in lavatrice?
― Ne avevo uno di riserva.
― Siamo venuti fin qui per questo?
Steve inizia a infilarsi il costume. ― Senza mi sentirei nudo.
― Perché l'hai nascosto qui sotto?
― Mi ricordava tempi troppo felici. Passavo intere giornate a fissarlo, sperando che il Capo... che i poteri tornassero.
Lucy lo guarda in silenzio.
Steve sospira. ― Non ho scelto a caso questo posto, sai? È qui che mi ha reclutato il Capo. C'era una grossa festa, praticamente tutta Riverwiev si era riversata quaggiù. Io me ne stavo in disparte come al solito. Non ero molto popolare all'epoca, almeno non quanto lo fui quando ebbi i poteri. Ero seduto in riva al mare e guardavo le onde. Lui mi appoggiò una mano sulla spalla e mi disse: "hai fatto un ottimo lavoro giù a Greenbear. Ho visto una luce dentro di te." Greenbear era il posto dove andavo a scuola.
― Lo so.
― Immagino sia scritto nella mia scheda.
― In un certo senso...
Steve indossa la maschera. La brezza fa ondeggiare il mantello attorcigliandolo attorno alle sue gambe. ― Come mi sta?
Lucy mostra il pollice alzato. ― Perfetto. Sei pronto?
Si avviano verso il levicottero.
― Toglimi una curiosità ― dice Steve prendendo posto vicino alla donna. ― Perché ero il tuo eroe preferito? Insomma, è il Capo quello davvero forte. Lui distrugge i cattivi e tutte quelle cose lì.
― Ma sei tu quello che salva la gente. ― Lucy arrossisce. ― Una volta mi hai salvato la vita.
― Davvero? Fammi indovinare: è stata quella volta alla scuola che stava per essere inghiottita in un crepaccio?
― No.
― L'incidente alla nave da crociera. C'erano molti bambini quel giorno.
― Neanche.
― L'incendio di Halloween?
Lucy scuote la testa.
La radio emette un rumore gracchiante.
― Avevo detto di mantenere il silenzio radio ― dice Lucy chinandosi verso la console.
― Agente Miller. ― La voce di Jones risuona nell'abitacolo del levicottero. La mano di Lucy si ferma a un centimetro dal pulsante che chiude la comunicazione. ― Lucy. Lo so che state mantenendo il silenzio radio. Ascolta, per favore.
Lucy appoggia la schiena al sedile.
― So cosa state cercando di fare ― prosegue Jones. ― Volete rendervi utili, ma ci state solo intralciando. Per la vostra sicurezza, restate lontani da Baytown nelle prossime tre ore.
― Jones ― dice Lucy esasperata.
― Abbiamo la situazione sotto controllo. Rientra e ti prometto che non sarà presa alcuna azione disciplinare contro di te.
― Non parlare di sicurezza, Jones ― urla Steve. ― Non dopo che ci avete sparato addosso la vostra schifezza viola.
― Signor Fraley ― dice Jones sarcastico.
― Liberty Boy, signore ― dice Steve.
Jones brontola qualcosa. ― Il nostro obiettivo era Capitan Freedom. Non dovevi metterti in mezzo.
― Scusa se esisto. Come pensate di risolvere la questione di Mantra? Non so se ne sei al corrente, ma il Capo sta cercando di mettere insieme una macchina per riportarlo indietro.
― Sappiamo anche questo. I nostri esperti hanno analizzato le sue mosse.
― E cosa pensate di fare?
― Fraley... Liberty Boy, Ragazzo Fantastico o qualunque ridicolo soprannome tu stia usando in questo momento, guardati attorno. Il tuo tempo è finito. Abbiamo costruito Andromeda proprio per fare a meno di gente come voi. Hai lasciato il college dopo un solo semestre, non sei mai stato in grado di trovarti un lavoro stabile, vivi in una topaia riuscendo a pagare l'affitto solo grazie a un misero sussidio. Non abbiamo bisogno di falliti come voi per salvare il mondo.
― Ehi ― dice Steve agitando il pugno verso la console. ― Prenditela pure con me ma lascia stare l'agente Miller.
Jones ride. ― Ti ha detto l'agente Miller di cosa si occupa nella nostra organizzazione?
Lucy si acciglia.
Steve le rivolge un'occhiata perplessa.
― Dal tuo silenzio intuisco che la risposta è no. Te lo dico io. Fino a qualche mese fa faceva ricerche di archivio. È così che ha scoperto chi sei. Standosene seduta in uno sgabuzzino a visionare migliaia e migliaia di video e documenti di venti anni fa. È la sua fissazione. ― Fa una pausa. ― E vogliamo parlare degli altri disadattati con i quali ha fatto comunella? Karl è un tecnico della sezione informatica. Aggiusta computer. Reya era un ufficiale di collegamento, l'equivalente di un postino. Kalvin una guardia di terzo livello, praticamente una specie di custode e Jimmy lavora all'armeria. Questa è la gente che dovrebbe salvare il mondo? Gli scarti della nostra agenzia?
Lucy reclina la testa all'indietro.
Steve deglutisce a vuoto. ― Jones. Non hai risposto alla mia domanda. Come intendi fermare Capitan Freedom?
― Guarda fuori ― dice Jones prima di chiudere la chiamata.
Steve guarda fuori dal finestrino. Il cielo è percorso da linee violacee che formano una rete nei punti in cui si incrociano.
― Sono in anticipo. Così non vale.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** QUATTORDICI ***


Lucy si passa una mano tra i capelli. Tira su col naso. Ha gli occhi lucidi. ― Se vuoi andare per la tua strada fai pure.
Steve scuote la testa. ― Credo di avere ancora bisogno del tuo aiuto, agente Miller.
Lucy indica la console. ― Lo hai sentito Jones. Sono un topo di biblioteca.
Steve sorride. ― Ma sai pilotare uno di questi cosi. Non sei così male.
― Ho fatto un corso col simulatore. L'ho fatta risultare come attività extracurriculare.
Steve ridacchia. ― Hai più qualità di quante io ne abbia mai avute.
― Tu hai i poteri.
― Senza i poteri non sono niente. E senza il Capo non ho nemmeno i poteri. Sono l'ultima ruota del carro.
― Sei troppo duro con te stesso.
― Senti da che pulpito. Tu sei la secchiona del gruppo.
Lucy accende il levicottero. ― D'accordo, andiamo a Baytown. Ma c'è un problema. Siamo a ottocento chilometri dall'obiettivo e questo coso raggiunge al massimo i quattrocento orari. Ci vogliono almeno due ore e a giudicare da quello che sta accadendo lassù in orbita non abbiamo che trenta minuti prima che da quelle parti comincino a piovere fulmini color viola.
― Ho visto situazioni peggiori.
― Davvero?
― Come quella volta nella base sottomarina.
― Hai un piano?
Steve salta fuori dal levicottero mentre si libra sopra la spiaggia.
― Che fai? ― grida Lucy.
Steve si posiziona sulla coda, le mani appoggiate alla carlinga. ― Ti do una spinta. Allaccia la cintura.
Lucy si volta appena prima di essere schiacciata con la schiena contro la poltrona. Il terreno sfreccia sotto il levicottero a velocità tale che è impossibile riconoscere i particolari. Tutto appare confuso in unico guazzabuglio di colori e forme appiattite.
Lucy chiude gli occhi. Quando li riapre su di lei incombe un vortice color viola che si sta formando nel cielo sopra la baia.
Steve fluttua all'esterno del levicottero, le braccia distese lungo il corpo. ― La festa non è ancora cominciata.
― Steve. ― Lucy indica un punto al centro della baia. ― Lo vedi?
Capitan Freedom si libra sopra una torre d'acciaio sulla cui punta è stata sistemata un'antenna parabolica puntata verso l'alto. L'intera struttura è appoggiata sul ponte di una petroliera.
Steve si getta in picchiata. ― Capo ― esclama frenando in volo. ― A cosa stai giocando?
― Vattene via, Steve.
― Dopo che mi avrai detto che stai combinando.
Capitan Freedom si alza verso di lui, le braccia incrociate sul petto. ― Vai via. Non te lo dirò di nuovo.
Steve scatta verso l'antenna. Capitan Freedom si lancia verso di lui, ma Steve scarta di lato e lo evita, proseguendo. Allunga il braccio in avanti. Due mani lo afferrano per le spalle e lo costringono a voltarsi.
Il volto di Capitan Freedom, l'espressione rabbiosa, incombe su di lui. ― Ti avevo avvertito. ― Con un calcio all'addome lo proietta dalla parte opposta.
Steve piroetta nell'aria, ruota su sé stesso e si getta verso l'antenna.
Capitan Freedom si lancia verso di lui, i pugni protesi in avanti. Steve cambia direzione e lo lascia sfilare, quindi lo afferra per le gambe e lo fa ruotare, lanciandolo come una trottola.
Capitan Freedom esegue un virata e si butta verso Steve, che alza le braccia per difendersi. Invece l'altro si abbassa e lo colpisce all'addome, scaraventandolo verso l'acqua.
Steve precipita come un sasso, gli occhi chiusi. A un metro dalle onde esegue una virata e riprende quota.
Capitan Freedom lo colpisce alla schiena con un calcio. Steve precipita, impatta con l'acqua sollevano una colonna schiumosa che si innalza per un ventina di metri.
Capitan Freedom guarda in basso, digrigna i denti e si lancia verso l'acqua a sua volta. Steve emerge dalle onde, le braccia distese in avanti con i pugni chiusi.
L'impatto tra i due produce uno spostamento d'aria che solleva onde di dieci metri. Steve e Capitan Freedom rimbalzano in direzioni opposte come due palle di gomma.
Sopra di loro il cielo si accende di viola. Il vortice ha raggiunto la sua massima estensione e si estende fino all'orizzonte.
― Andiamo via ― grida Steve. ― Tra poco ci friggeranno.
― Mantra aveva previsto tutto. ― Capitan Freedom indica la torre con l'antenna. ― Sapeva che avrebbero cercato di eliminarmi con quell'arma. Ritorceremo contro di loro le armi che hanno costruito.
― È una follia. Capo, solo tu puoi fermare tutto questo. Ti prego, torna in te.
― Non sono mai stato tanto lucido in vita mia, Steve. ― Alza le braccia al cielo, dove lampi violetti si riverberano nell'aria e percorrono le nubi come sottili filamenti. ― Il momento è arrivato. Sta per iniziare una nuova era. Entreremo nei libri di storia. Noi, scriveremo la storia.
― Capo... Mike ― grida Steve guardando il vortice che ruota su sé stesso sempre più veloce.
Una colonna di luce violetta precipita dal centro del vortice e colpisce l'antenna. Un lampo viola seguito da un rombo assordante squarcia l'aria. Lo spostamento d'aria proietta Steve lontano, lo fa roteare nell'aria e lo trascina fino al promontorio alle sue spalle.
Un globo color viola si forma in corrispondenza della petroliera, a fagocita assieme all'antenna e alla torre d'acciaio. La figura di Capitan Freedom si staglia nella luce viola accecante prima di venire a sua volta ingoiato dalla luminescenza. L'aria è attraversata da scosse color cremisi che sembrano rincorrersi, legarsi e poi sciogliersi generando altre scariche.
Un secondo lampo dissolve il globo violaceo. Al suo posto, una colonna di energia originato dall'antenna si innalza sopra la baia fino alle nubi, dove un oggetto circolare che oscura persino il vortice viola sembra formarsi nell'alone luminoso.
Capitan Freedom precipita verso l'acqua, le membra agitate dalla sferza dell'aria. Steve si getta verso di lui e lo afferra prima che colpisce l'acqua. Scariche violacee danzano sul suo corpo. Gli occhi sono serrati, la bocca semiaperta.
― Tieni duro, Capo ― geme Steve volando oltre il ponte e poi verso il porto, dove atterra su uno dei molti di pietra.
Sopra di loro un boato fa tremare i vetri dei grattacieli.
Una folla di curiosi si è radunata per strada. Si scorgono i led dei veicoli della polizia. Volti preoccupati fissano Steve che adagia con delicatezza sul molo di pietra Capitan Freedom. Nella folla si intravedono uomini e donne con costumi dai colori sgargianti e maschere calcate sul viso.
L'oggetto circolare prende forma tra lampi violetti. Un disco d'argento largo quanto una città riflette il sole che sta spuntando da dietro le nuvole. Più sopra il vortice color viola ha smesso di ruotare e si è ridotto di dimensioni. Da esso si dipanano filamenti di energia dello stesso colore che formano dei nodi dove si incrociano.
Un ultimo rombo scuote i palazzi di Baytown. I vetri vanno in frantumi proiettando schegge in tutte le direzioni. La gente assiepata sul molo e per le strade vene sbalzata a terra. La terra viene scossa come percossa dal piede di un gigante.
Steve alza la testa di scatto. Poco sotto le nuvole, il disco d'argento incombe sulla baia e la città. Al centro un rigonfiamento circolare è percorso da linee d'energia color viola che lanciano barbagli cupi in tutte le direzioni.
― È tornato ― mormora Capitan Freedom. ― Mantra è di nuovo tra noi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** QUINDICI ***


― Capitano.― La voce piove dall'alto ed è come un rombo che fa tremare l'aria. ― Hai fatto un ottimo lavoro.
Capitan Freedom fa una smorfia di dolore. Steve lo costringe a stendersi sulla schiena.
― Sei sovraccarico, Capo. Tra poco ti passa tutto.
― Vedo che c'è anche la tua inutile controparte.
Steve si alza e agita il ugno verso il disco che si libra sopra la baia. ― Mantra ― grida. ― Perché non vieni fuori e ne parliamo?
Capitan Freedom si rialza puntellandosi su una sola gamba. ― Lui è qui per aiutarci. Cambieremo il mondo.
Mantra ride. ― Hai ragione, Capitano. Cambierò il mondo, ma lo farò a modo mio. Mentre attendevo paziente di essere riportato indietro, ho riflettuto sulle prossime mosse. Il mio nuovo ordine mondiale nascerà da qui, dove tutto è cominciato. Farò di Baytown la mia capitale. Ma prima, devo cambiare alcune cose. Ristrutturare, dare una rinfrescata alle mura, spostare qualche mobile. Le solite cose.
Dal rigonfiamento del disco nasce una scarica di energia color viola che attraversa l'aria e si abbatte come un fulmine su di una nave all'ancora. Il metallo di cui è fatto sfrigola, si scioglie ed esplode seminando milioni di schegge.
La gente assiepata lungo il molo grida e si ritrae cercando un riparo.
― Credo di non vere bisogno del tuo aiuto, Capitano ― dice Mantra. ― Cambierò il mondo da solo. Dopotutto, è stato sempre questo il piano originale.
Capitan Freedom ricade sul molo. ― Mantra ― esclama con un gemito.
Steve si china al suo fianco. ― Capo. Resta giù.
Capitan Freedom abbassa la testa. ― Credevo di poterlo controllare. Ne ero certo. Vent'anni passati in quel limbo mi hanno strappato l'anima.
― Non è colpa tua.
― Invece sì. Ho fallito, Steve. Aveva ragione Mantra. In fondo siamo solo dei tizi col costume. La gente ci ha dimenticati.
― Ti sbagli. ― Steve indica la gente che si guarda attorno spaventata. Alcuni li fissano dai loro nascondigli improvvisati, come una pensilina o un'auto ferma sul ciglio della strada. ― Guardali. ― Mescolati tra la folla, una ragazza indossa il costume di Capitan Freedom sopra dei jeans scoloriti. Un uomo con lo stesso costume stringe a sé un bambino con la maschera verde che gli nasconde il viso. ― Sono qui per te.
― Li ho delusi. Come ho potuto credere che sotto la guida di Mantra il mondo potesse essere un posto migliore?
― Il mondo non ha bisogno di un cattivo per essere un brutto posto. Io lo so, ci ho vissuto negli ultimi venti anni. Ma so di cosa ha bisogno.
Capitan Freedom scuote la testa. ― Un vero eroe?
― Speranza, Capo. È questo quello che si aspettano da noi. Non siamo la soluzione a tutti i problemi, ma possiamo indicare loro la strada da percorrere. Qualcuno continuerà a fare di testa sua, ma alcuni, per quanto pochi, ci seguiranno. E faranno la differenza.
Capitan Freedom abbozza un sorriso. Steve allunga la mano e lo aiuta a rialzarsi. Dalla folla parte un timido applauso.
― Vai, Capo! ― grida un uomo dai capelli brizzolati.
Il cielo è percorso da scariche di fulmini viola. Steve le osserva accigliato. ― Hai un piano?
― Temo che dovremo improvvisare.
Il levicottero di Lucy atterra a qualche metro di distanza. La donna salta fuori dall'abitacolo e corre verso di loro.
― Lei è Lucy ― dice Steve indicandola. ― Voglio dire, l'agente Miller. È qui per darci una mano.
― Ci siamo già visti nel laboratorio sottomarino.
Lucy fa un cenno di saluto con la testa.
― Ti presento Capitan Freedom.
― Mike Kozinski ― dice questi tendendo la mano.
Lucy la stringe. ― Mike? È il tuo vero nome?
Capitan Freedom annuisce.
― Sei di nuovo in te?
― Credo di si. Mi sento un po' scombussolato, ma sta passando.
Le scariche si concentrano in un punto al centro della baia. Sopra il pelo dell'acqua si forma un vortice violetto, poi il mare si solleva e dal basso emerge la sommità tozza e sgraziata di un essere umanoide.
― Megacyborg ― esclama Steve. ― Quello non si arrende mai. Ma com'è possibile? L'ultima volta che ci siamo incontrati l'ho distrutto.
― Tecnologia autoriparante ― dice Lucy. ― Jones e Braun devono averlo modificato.
Capitan Freedom si alza in volo. ― Steve. Tu pensa al gigante. Io mi occupo di Mantra.
Steve lo raggiunge. ― Come al solito.
Capitan Freedom vola verso il disco.
― E io che faccio? ― grida Lucy dal basso.
Steve si lancia verso il megacyborg. Il gigante d'acciaio è già a ridosso del ponte. Lungo le due carreggiate le auto giacciono con le portiere abbandonate. La mano del robot si abbatte sulla striscia d'asfalto che unisce i due promontori. Il metallo geme, si piega, infine si spezza. I tiranti saltano uno a uno con uno schiocco che ferisce i timpani.
― Ma ce l'hai proprio con quel ponte ― esclama Steve lanciandosi contro il robot con i pugni protesi in avanti.
L'impatto contro il metallo della corazza lo fa rimbalzare all'indietro e volteggiare nell'aria. L'acciaio si piega appena sotto la pressione del colpo. Nel punto colpito brilla una luce violetta.
La testa del gigante si volta verso Steve, che si libra a una ventina di metri di distanza.
― Salve bestione. Ti ricordi di me?
La mano del gigante si muove verso di lui. Steve alza le braccia per proteggersi. Il palmo del robot lo colpisce con la potenza di un maglio.
Steve precipita verso l'acqua. Nel punto dell'impatto solleva una colonna d'acqua che arriva al ginocchio del gigante.
***
Capitan Freedom vola tra fulmini color viola che si avvolgono attorno alla sua figura e scivolano di lato. Un lampo seguito da un rombo sommesso taglia l'aria in due. Lui lo evita scartando di lato, solo per essere investito da un secondo fulmine scaturito da un punto diverso del disco color argento.
La parte inferiore del rigonfiamento incombe sopra di lui. La struttura è avvolta dalle scariche violette che ne percorrono la superficie da un punto all'altro. Più sopra il cielo ha assunto la stessa colorazione del vortice che sta di nuovo ruotando su se stesso. Lampi color cremisi piovono dall'orbita e si abbattono sulla baia.
― Mantra ― grida Capitan Freedom librandosi sul disco argenteo. Il velivolo è così grande che impiega diversi secondi per volare da un punto all'altro. ― Che hai intenzione di fare?
Nella parte superiore del disco si apre uno spicchio dal quale si affaccia una figura umanoide. Due braccia, due gambe e un tronco sormontato da una testa piena di protuberanze. Il metallo lancia bagliori purpurei sotto la luce violetta del cielo.
Capitan Freedom osserva l'automa muoversi con agilità lungo la superficie del disco. ― Sono qui Capitano ― grida agitando un braccio nella sua direzione. ― Risolviamo la questione una volta per tutte. Solo tu e io, come hai sempre desiderato.
Capitan Freedom atterra a una decina di passi di distanza dal robot. ― Quando l'hai costruito?
― Poco dopo che sei andato via. Ho usato ciò che restava del vecchio disco per assemblare questa meraviglia ― spiega Mantra. Mentre parla sottili scariche violacee attraversano la struttura del robot.
Capitan Freedom si guarda attorno. ― E tutto questo? Il disco era a pezzi.
― Energia infinita e molto tempo a disposizione possono compiere dei veri prodigi. Mentre ero dall'altra parte e ti convincevo a diventare mio alleato, una parte di me studiava la situazione e preparava il mio ritorno.
Capitan Freedom agita minaccioso un braccio verso Mantra. ― Mi hai ingannato.
― No. Tu volevi essere ingannato, Capitano. Eri stanco di lottare, di soffrire per gli inutili esseri che abitano questo pianeta. Noi siamo nati per dominare, non per servire questi inferiori.
― Sei un pazzo.
― Detto da uno che gira con la maschera e il mantello è quasi un complimento.
Capitan Freedom scatta in avanti, con un pugno colpisce Mantra al petto e lo fa volare verso il rigonfiamento del disco. L'impatto produce un tonfo sordo. Il metallo si piega verso l'interno e si spezza, aprendo una falla nello scafo in cui il robot precipita.
Capitan Freedom si getta nell'apertura. L'interno è immerso in un chiarore violaceo che getta ombre cupe sulle pareti di metallo percorse da ampi violetti.
Mantra è in piedi al centro della cupola. ― Ricordi questo posto, Capitano?
― Stavolta non ti permetterò di farla franca.
― Quello fu un incidente che tu provocasti, ma ora ho trovato la soluzione al problema. Ho fatto le cose in grande! ― Esclama allargando le braccia metalliche.
Lo spicchio di cupola si allarga, rivelando la piattaforma su cui Mantra e capitan Freedom sembrano minuscole formiche. Da un foro al centro esatto emerge una colonna di metallo spessa dieci metri. Sulla sommità svetta un'antenna parabolica puntata verso il cielo.
Una colonna di luce violetta piove dal centro del vortice e nel momento in cui tocca l'antenna un lampo dello stesso colore inonda la cupola.
Capitan Freedom si copre gli occhi con il braccio. ― Fermati, Mantra.
― È troppo tardi, Capitano. Dovevi fermarmi vent'anni fa. Hai avuto la tua occasione.
Capitan Freedom si lancia verso l'antenna. Un lampo viola inonda l'aria seguito da una tempesta di fulmini cremisi che si abbattono sulla superficie del disco.
Capitan Freedom viene avvolto dai fulmini come una crisalide intrappolata nel bozzolo. ― Ah! ― geme quando precipita e impatta con la superficie del disco. Rotola per alcuni metri lungo la leggera discesa, infine si ferma riverso sulla schiena. Sopra di lui il cielo è di un viola cupo, percorso da fulmini dello stesso colore. Il vortice si è allargato e occupa metà del cielo. Altri fulmini piovono verso il mare e si dirigono alla baia.
***
Steve emerge dall'acqua e punta verso il cielo. Sopra di lui la mano del gigante d'acciaio frusta l'aria e si abbatte sulla sua schiena.
― Ah ― grida precipitando verso l'acqua. Con un colpo di reni si raddrizza e volando un metro sopra le onde si allontana.
Il gigante si volta e riprende a camminare verso la città. La gente assiepata sui moli assiste a bocca aperta allo scontro.
― Dove vai? ― Steve si getta in picchiata verso la schiena del robot. ― Non ho ancora finito con te.
L'addome del gigante ruota di cent'ottanta gradi, mostrando le ampie mani a tenaglia verso Steve, che scarta all'ultimo momento evitando l'impatto e lo colpisce al petto. Il robot vacilla, lo schianto del metallo che si piega e spezza riempie l'aria con un rombo assordante.
Steve rimbalza indietro piroettando su sé stesso. ― Hai la pellaccia dura.
La mano del gigante scatta in alto e lo scaraventa verso il ponte. Steve colpisce una delle torri che sostengono la campata, che si piega nella direzione opposta.
Il mostro d'acciaio incombe su di lui, le braccia sollevate sopra la testa tozza e sgraziata. Due rose sbocciano in prossimità dell'addome, l'aria vibra per lo spostamento d'aria provocato dalle esplosioni. Un oggetto scuro dalla forma a goccia si libra al di sopra del gigante.
― Vuoi divertirti tutto da solo?
― Lucy! ― esclama Steve.
La donna ghigna mentre spinge la cloche verso il basso.
Il levicottero effettua un volo radente sulle macerie del ponte, evita d'un soffio la gamba del robot e si tuffa verso l'alto seguito da una scia di condensa emessa delle turbine.
Un oggetto a forma di razzo sibila sopra la baia. Steve alza gli occhi un attimo prima che colpisce in pieno la testa del gigante, che barcolla e si gira verso il nuovo arrivato.
Due levicotteri si librano un centinaio di metri sopra il mare.
La voce di Reya risuona negli auricolari. ― Sorpresa.
― Karl, Reya, Jimmy, Kalvin ― dice Lucy con un mezzo sorriso stampato sul volto. ― Ci siete proprio tutti.
― Buttiamo giù questo affare ― dice Kalvin.
― È arrivato il Settimo Cavalleggeri ― esclama Steve lanciandosi verso le nuvole color viola acceso. Dall'alto vede i cinque levicotteri circondare il cyborg e fare fuoco all'unisono. Altre esplosioni sbocciano sui fianchi, la schiena e il petto del mostro. ― Così ― grida lanciandosi verso il basso.
Una scarica di fulmini incendia e fa vibrare l'aria. Steve non fa in tempo a voltarsi che le scariche gli avviluppano le gambe e il tronco. ― Ma cosa? ― ha il tempo di esclamare prima di precipitare verso l'acqua.
L'impatto solleva una colonna d'acqua alta una decina di metri. Steve affondo verso l'abisso, gli occhi chiuse e le membra che fluttuano nell'acqua.
Lucy sgrana gli occhi. ― Voi occupatevi del cyborg. Ci penso io a recuperarlo.
Il levicottero si getta in picchiata, entra in acqua con u tonfo sordo e ne riemerge un secondo dopo. Aggrappato a uno dei pattini, Steve tossicchia.
― Tutto bene? ― grida Lucy dalla cabina.
Steve prende posto al suo fianco. ― Non ho più i poteri.
Lucy lo guarda preoccupata. ― Come fai a saperlo?
― Lo so. Lo sento.
Sopra di loro, il colore del cielo è livido.
― È stato Mantra ― spiega Karl dall'altoparlante. ― Sta usando Andromeda per scombussolarvi
― Andiamo da lui ― dice Lucy afferrando la cloche con entrambe le mani.
― No, è finita. ― Steve scuote la testa.
― Possiamo fermarlo.
― Senza i poteri non sono niente, Lucy.
Lei lo guarda con espressione severa. ― Tu sei un eroe, Steve.
― Solo quando ho i poteri.
― Ti sbagli. Io lo so.
Steve le rivolge un'occhiata incerta.
Lucy deglutisce a vuoto. ― Ricordi quando ti ho detto che una volta mi hai salvato la vita?
Steve annuisce.
― Avevo otto anni e vivevo a Greenbear. Quel giorno pioveva a dirotto e il torrente era uscito dagli argini. Un'onda ci investì in pieno trascinandoci via. Eravamo bloccati all'interno e la pressione dell'acqua ci impediva di uscire. Ma arrivò qualcuno a spaccare uno dei finestrini e ci tirò fuori. Eri tu.
― Mi trovavo a passare di lì per caso. Non ero uscito di casa con l'intenzione di...
― Non ha importanza ― lo interrompe Lucy con le lacrime agli occhi. ― Non conoscevo il tuo nome, sei sparito prima che arrivasse la polizia, ma ho sempre saputo che eri tu Liberty Boy. Lo sentivo. È per questo motivo che ho passato metà della mia vita a cercarti.
Steve la fissa negli occhi.
― Dovevo dirti che tu sei un eroe, Steve. Lo sei sempre stato, con o senza i poteri. E ora devi fare il tuo dovere.
Steve guarda il disco che si libra sopra la baia e annuisce. ― Okay. È una follia ma... andiamo da Mantra e risolviamo la questione una volta per tutte.
Lucy sorride e tra su col naso. ― Ragazzi, voi tenete occupato quel bestione.
― Vai pure tesoro ― dice Reya. ― Ci pensiamo noi.
Il levicottero vira verso il disco di Mantra.
***
Capitan Freedom si rialza puntellandosi sulle braccia. Scuote la testa, si guarda attorno. Un'ombra gli passa accanto, lo sovrasta. Un braccio metallico si allunga verso il suo petto. L'impatto lo scaraventa lontano e lo fa rotolare lungo la superficie del disco.
― Bentornato tra i comuni mortali, Capitano. ― Mantra avanza un passo alla volta. ― Come ti senti a non avere più i tuoi poteri?
Capitan Freedom si rialza. ― Non è mai stata una questione di poteri, Mantra.
― Ah, no? E che cosa sei senza la tua forza, senza la tua resistenza, senza la capacità di volare? ― Mantra scatta in avanti, lo afferra per il bavero e lo solleva di mezzo metro senza alcuno sforzo. Gli occhi metallici vibrano di luce violetta mentre fissano quelli di Capitan Freedom. ― Te lo dico io cosa. Sei solo un tizio con un costume ridicolo. ― Scaraventa via Capitan Freedom come una bambola di pezza.
L'uomo atterra sulla schiena e rotola sul fianco. Si rialza, tossisce, guarda Mantra con gli occhi socchiusi. ― E tu cosa sei senza la tua tecnologia, i tuoi mostri giganti?
Mantra solleva una gamba per colpirlo alla schiena. ― Io sono un Dio! ― Un'ombra si forma alle sue spalle. Nel chiarore violetto che si riflette sulla superficie lucida del disco, il muso del levicottero prende forma e lo investe in pieno.
Capitan Freedom si getta di lato. Il levicottero trascina Mantra con i pattini. Una pioggia di scintille si forma dove il metallo cozza contro il metallo con uno schianto che fa accapponare la pelle.
Il velivolo si ferma dopo una ventina di metri, si adagia sul fianco. Una nuvola di fumo si alza da una delle turbine.
Il portello salta via e vola a qualche metro di distanza. Lucy balza fuori e tende la mano a Steve, che si arrampica sul fianco del levicottero. I due si guardano attorno e poi scivolano in basso.
Sotto il velivolo, intrappolato tra i pattini, Mantra giace immobile, il corpo di metallo percorso da scariche violette che si espandono nell'aria e subito si ritraggono come piccole fruste. A ogni schiocco corrisponde un debole fruscio.
Steve corre verso Capitan Freedom. ― Capo. Stai bene? ― Aiuta l'altro ad alzarsi.
― Sto bene. Mantra?
― Sistemato. Per il momento.
Lucy indica la cupola. ― È quello il problema più serio. Avete un'idea di come fare a fermarlo?
Capitan Freedom scuote la testa. ― L'ultima volta che ci ho provato ho causato un disastro.
― E se lo sovraccaricassimo? ― domanda Steve. Gli altri due lo guardano di traverso. ― Quell'affare prende energia dai satelliti. Se è in grado di scombussolare i nostri poteri sovraccaricandoci, non potrebbe succedere anche il contrario? Gli forniamo tanta energia da fargli fare una indigestione.
Capitan Freedom fa schioccare le dita. ― Come quella volta con il cannone in Antartide.
― Giusto ― gli fa eco Steve.
― Ma dove la troviamo abbastanza energia da sovraccaricare Andromeda? ― domanda Lucy.
Steve apre la bocca per rispondere. Qualcosa saetta alle sue spalle, lo afferra e lo solleva a mezz'aria. Il braccio di Mantra sprizza scintille viola mentre lo fa volteggiare sopra la testa. L'altro giace immobile al suo fianco, un intrico di fili e ingranaggi visibile all'altezza della spalla.
― Steve! ― grida Capitan Freedom lanciandosi verso Mantra.
L'altro scaraventa via Steve che vola verso il bordo del disco, atterra e rotola nella stessa direzione.
Lucy si avventa contro Mantra, ma una gamba la colpisce al petto e la scaraventa via come un fuscello.
― Nessuno di voi toccherà la mia creatura ― grida Mantra.
Capitan Freedom danza attorno all'automa evitando i fendenti dell'arto meccanico. Tra un affondo e l'altro si getta in avanti, afferra con entrambe le mani il braccio danneggiato e tira puntando i piedi.
Mantra lo colpisce al petto. L'arto danneggiato rimane tra le mani di Capitan Freedom mentre vola per un paio di metri sulla superficie levigata.
Mantra si solleva su gambe malferme. Scintille violacee gli attraversano il corpo di metallo mentre sottili volute di fumo si sollevano dalla spalla sfregiata. ― È giunto il momento di salutarci, Capitano. Qui non è più sicuro per me.
Capitan Freedom si rialza puntellandosi col braccio strappato al nemico. ― Dove credi di andare, Mantra?
― Non lo vedi anche tu? Questo mondo sta per finire. È questo il mio grande piano, Capitano. Fuggirò nel limbo con questo meraviglioso disco e nel frattempo Andromeda farà il grosso del lavoro per me. Quando tornerò il mondo sarà felice di prostrarsi ai miei piedi. Io avrò l'unica fonte di energia inesauribile al mondo.
― Non andrai da nessuna parte. ― Capitan Freedom si lancia in avanti, l'arto sollevato sopra la testa come una clava.
Mantra lo anticipa e lo colpisce al petto, mandandolo gambe all'aria. L'arto danneggiato scivola via. ― A mai più rivederci, Capitano ― grida mentre corre verso la cupola. Questa inizia a chiudersi non appena Mantra vi entra e si sigilla con un tonfo sordo. Solo l'antenna che assorbe la colonna di luce violetta proveniente dal vortice è ancora visibile sulla sommità.
Lucy trascina Steve per le ascelle. ― Sta bene, è solo svenuto. Ha preso una bella botta in testa.
Capitan Freedom fissa l'antenna con sguardo duro. ― Agente Miller. Lucy. Portalo via con il tuo velivolo.
― E tu che cosa farai?
― Io resto qui.
Lucy lo fissa in silenzio.
Capitan Freedom si avvicina a Steve e gli poggia una mano sulla spalla. ― Quando rinverrà, digli che ora è lui il Capo.
Lucy annuisce.
Capitan Freedom si raddrizza e corre verso la cupola.
Lucy trascina Steve fino al levicottero e lo issa attraverso il portello. Seduta ai comandi, pesta la console con forza. ― Andiamo bello. Un ultimo sforzo, dai.
Una delle turbine si accende con un ronzio, l'altra tossicchia ed emette uno sbuffo di fumo prima di spegnersi.
― Meglio di niente.
Il levicottero si solleva, scivola oltre il bordo del disco e inizia a precipitare verso il mare. Sopra di lui, il cielo è un immenso vortice che sembra voler divorare la Terra.
***
Capitan Freedom raggiunge la sommità della cupola. Lampi color viola lo investono in pieno facendolo vacillare a ogni passo. L'aria vibra per l'energia emessa dai fulmini in ogni direzione.
Capitan Freedom guarda il cielo, dove un turbinio di nuvole e stelle si confondo nel vortice violetto che incombe su tutti loro. Fa un respiro profondo e si getta nella colonna di energia, scomparendovi.
***
Al di sotto della Cupola, Mantra giace ai piedi della torre che sostiene l'antenna. Tutto intorno a lui vibra e le pareti di metallo urlano la loro protesta sotto la sferza delle tremenda energia che preme su di esse.
Lampi color viola percorrono la superficie del pavimento, lo raggiungono, si immergono in lui. La cupola si riempie di una luminosità viola così intensa da sembrare solida.
Gli occhi meccanici di Mantra riflettono quella luce. Per un breve istante un'ombra attraversa l'aria. È solo un guizzo rapido, un'imperfezione in un chiarore violetto altrimenti perfetto. L'ombra assume le sembianze di un uomo, le braccia piantate nei fianchi e un mantello sulle spalle che sventola agitato da una brezza che non esiste.
È solo un attimo, poi il chiarore diventa latteo.
***
Lucy volta la testa di scatto. Sopra di lei la cupola del disco esplode con un rombo assordante che copre ogni altro rumore. L'energia che univa il disco al vortice si interrompe. Pezzi di metallo contorti grandi quanto il levicottero precipitano verso l'acqua, sfiorandoli.
Lucy, aggrappata alla cloche, vede con la coda dell'occhio il disco che si inclina verso il basso, il centro dove sorgeva la cupola ridotto a una palla di fuoco.
Il vortice violetto si contrae, emette barbagli cremisi che attraversano il cielo e raggiungono i nodi del sistema di satelliti. Ad ogni contatto una piccola stella nasce in quel punto illuminando il cielo.
Il cielo è un inferno viola e cremisi quando il disco inizia a scivolare verso il basso, diretto alla baia e alla città.
Lucy afferra Steve per il bavero e lo scuote. ― Svegliati. Avanti, su. In piedi.
Steve socchiude gli occhi. ― Che cosa?
― C'è ancora del lavoro da fare. Riposerai dopo.
― Dov'è il Capo? ― Steve si guarda attorno sgomento.
― È rimasto su.
Steve si passa la mano sopra la fronte. ― Lui cosa?
― Steve, Liberty Boy. Guarda lì. ― Lucy indica col braccio teso il disco che sta precipitando verso la città, seguito da una scia simile a una cicatrice nera e rossa nel cielo.
― Lui è... ― dice Steve imbambolato. ― Senza di lui non ho alcun potere. Non sono niente.
― Liberty Boy. Ora sei tu il Capo.
Steve guarda fuori dal finestrino il disco volante che si avvicina a Baytown. Con un guizzo si getta fuori dall'abitacolo, precipita per un centinaio di metri, spalanca le braccia ed effettua una stretta virata. Come una freccia scoccata contro il bersaglio punta verso il centro del disco, si immerge nell'inferno rosso al centro e riemerge dall'altra parte.
Lucy afferra la cloche e tira su con tutte due le braccia. La turbina del levicottero emette un gemito sommesso seguito da uno sbuffo di fumo denso e acre. Col fondo gratta sulla superficie dell'acqua, scivola sulle onde per un centinaio di metri e raggiunge la spiaggia, dove affonda nella sabbia e si capovolge su di un lato.
Sbuffando e lamentandosi Lucy si trascina fuori dall'abitacolo. Il disco è ormai ridotto a una palla di fuoco che brucia nell'aria. Il cielo è venato di rosso e viola, ma sta riacquistando il colore azzurro di sempre. Costellazioni color cremisi si accendono e si spengono al passaggio dell'onda di energia che viaggia tra un nodo e l'altro.
Il disco effettua una virata sopra la baia, si inclina su di un lato e seguendo una stretta spirale affonda in mare sollevando una colonna d'acqua alta quanto un grattacielo.
Alle sue spalle esplodono urla di gioia da parte degli spettatori assiepati sul lungomare. Quattro levicotteri atterrano a poca distanza. Reya, Kelvin, Karl e Jimmy la raggiungono.
― E il gigante? ― domanda Lucy vedendoli arrivare.
― Guarda tu stessa. ― Reya indica la baia col braccio teso. A poca distanza dai moli giace, reclinato in avanti, il corpo del Cyborg.
― Il sovraccarico ha fritto anche lui ― spiega Karl. ― Un comodo quanto opportuno effetto collaterale della vostra azione.
― Come stanno i nostri due eroi? ― domanda Kalvin guardando il mare.
Una figura umana si libra sopra le acqua, il mantello che sventola nell'aria. Fluttua verso di loro e atterra sulla battigia, i piedi che affondano nella sabbia resa morbida dalle onde.
Lucy gli va' incontro. ― Niente male ― dice salutandolo con la mano.
Steve annuisce. ― Neanche voi siete da buttare. Jones vi dovrà dare una promozione o se la vedrà con me.
Sopra le loro teste il cielo è percorso da scie color rosso che si intersecano in tutte le direzioni.
― E anche Andromeda è sistemata ― dice Lucy sollevando gli occhi al cielo. ― Almeno per il momento. ― Guarda Steve. ― Che cosa si fa adesso?
Steve si solleva a un metro di altezza. ― Promettimi solo che non lo dimenticheranno.
Lucy solleva il pollice. ― Contaci.
Liberty Boy scatta verso l'alto, esegue una virata e si allontana.
***
Lo schermo mostra il volto di un uomo di mezza età abbronzato e sorridente. ― Dalle ultime notizie diffuse dopo l'incidente di Baytown, sembra che le autorità siano in possesso di nuove prove...
Sullo schermo passano le foto che ritraggono un uomo di mezza età che sorride in posa davanti a un autolavaggio. ― ... Il suo nome era Michael Kozinski...
Un uomo in divisa militare e tre stellette sul bavero fissa severo la telecamera. ― La commissione ha deciso di mettere sotto inchiesta il Colonnello Jones e il dottor Mathias Braun in merito a quanto accaduto...
― Il presidente terrà un discorso alla nazione...
― Si prevede la presenza di oltre dieci milioni di persone ai funerali solenni per Mike Kozinski, meglio noto come Capitan Freedom...
Il video mostra uomini, donne e ragazzi che gridano davanti alla telecamera. Ognuno di loro indossa la maschera e il mantello.
***
Il fastfood ha un'insegna malandata che pende da un lato. Carter scivola oltre la soglia, la porta che si richiude alle sue spalle. In mano ha un sacchetto. La strada è libera, tranne un paio di pedoni che l'attraversano guardando da una parte all'altra.
Carter cammina veloce fino a un semaforo, attraversa sulle strisce e imbocca un viale alberato. Passa davanti a una panchina, si avvicina a un uomo vestito di stracci che vi giace sopra e lo scuote. ― Gale? Sei sveglio? Hai mangiato oggi?
Il vecchio dalla pelle rugosa si mette a sedere. ― Non mi ricordo nemmeno più come si fa ― dice con voce gracchiante.
Carter apre il sacchetto e en tira fuori un panino. ― Questo ti farà tornare la memoria ― dice passandoglielo.
Gale lo afferra con mani tremanti. ― Grazie figliolo. Come ti chiami?
Carter sorride e si raddrizza.
***
Poco fuori dal parco, Carter siede su di una panchina e guarda il fiume che taglia in due la città. Nella mano ha un panino che addenta con un morso deciso. Sospira, l'espressione soddisfatta.
Un'ombra scivola dietro la panchina.
― Hai fatto un ottimo lavoro nella metropolitana ― dice una voce.
Carter solleva la testa di scatto. Una mano si posa sulla sua spalla.
 
FINE
*
*
*
Note Finali
 
Siamo già qui?
Non credevo di arrivarci, sinceramente. Quando ho cominciato questa nuova avventura mi dicevo che era folle provarci, che le storie di supereroi classici non funzionano sulla carta scritta (passi come fumetto o film).
Beh, alla fine ci ho creduto abbastanza da andare fino in fondo.
Okay, ringrazio tutti quelli/e che hanno commentato, recensito, criticato, corretto o anche solo lurkato. Non so se questa storia avrà un seguito (accidenti, da quello che ho scritto negli ultimi paragrafi sembrerebbe proprio di sì), ma se così fosse non sarà nell'immediato futuro. Almeno fino a Luglio il carnet è pieno zeppo di impegni già presi, quindi bisognerà pazientare fino a Settembre dell'anno prossimo! Ma se dovesse accadere, voi sarete i primi a saperlo, promesso!
 
Lunga vita e prosperità!
 
Heliodor
 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2893523