Back in a new past.

di Ethasia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** Di nebbia e occhi. ***
Capitolo 3: *** A volte ritornano. ***
Capitolo 4: *** Volare. ***
Capitolo 5: *** Casa. ***
Capitolo 6: *** Grotte e Pirati. ***
Capitolo 7: *** La Teoria dell'Ingenuità. ***
Capitolo 8: *** Ambigue scommesse. ***
Capitolo 9: *** Doppi fini. ***
Capitolo 10: *** Richieste. ***
Capitolo 11: *** Vecchie conoscenze. ***
Capitolo 12: *** Rabbia insensata, vendette illogiche. ***
Capitolo 13: *** Sensi di colpa. ***
Capitolo 14: *** Caffè persuasivi. ***
Capitolo 15: *** Panico. ***
Capitolo 16: *** Di lupi e confessioni. ***
Capitolo 17: *** Banali rivelazioni. ***
Capitolo 18: *** Salvataggi inattesi. ***
Capitolo 19: *** Ricordi. ***
Capitolo 20: *** Rabbia, delusione, disprezzo. ***
Capitolo 21: *** Dolore. ***
Capitolo 22: *** A Volte Basta Poco. ***
Capitolo 23: *** Minacce d'Aiuto. ***
Capitolo 24: *** Mezze Confessioni. ***
Capitolo 25: *** Le Disgrazie Non Vengono Mai Sole. ***
Capitolo 26: *** Attese. ***
Capitolo 27: *** D'incendi e racconti brevi. ***
Capitolo 28: *** Claustrophobia. ***
Capitolo 29: *** Emozioni. ***
Capitolo 30: *** Sfide. ***
Capitolo 31: *** Salvezza ***
Capitolo 32: *** Ritorno. ***
Capitolo 33: *** La Verità. ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***


intro.
per chi, ancora, non ha perso la voglia di non-crescere.

 
Ormai sono passati cinque anni. Io ne ho diciassette, John quindici, e Michael dodici. Sarebbe bello poter non dirlo, ma stiamo crescendo. Siamo già cresciuti. E per chi ha toccato con mano la concreta possibilità di non diventare mai grande, questo è un duro colpo. Torni a vivere in un mondo che non ti appartiene e a cui non appartieni. A domandarti cosa ci fai qui. A sentirti soffocare dalla realtà. Che poi, tanto vera non ti sembra.
Ci proviamo, a tenere viva la speranza. Ogni sera racconto ai miei fratelli storie di persone che abbiamo conosciuto, storie che abbiamo vissuto noi stessi e che ci sembrano lontane millenni. Ogni sera teniamo aperta la finestra nella speranza che chi aspettiamo ritorni. Però i ricordi cominciano a sfocarsi, le immagini diventano meno nitide, e ogni tanto mi vien da pensare che sia stato tutto un sogno. Un sogno meraviglioso. 
Mi domando perché io non sia dove dovrei essere. Mi domando se lui si sia dimenticato. Di noi, di me, della promessa che mi ha fatto prima di volar via dalla finestra.
"Tornerò a prendervi, Wendy!"
"Crederò sempre in te, Peter."

Sempre.
 

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Capitolo 2
*** Di nebbia e occhi. ***


Londra. Una città che tutti, prima o poi, vogliono visitare. Con i suoi autobus, le sue cabine telefoniche, il suo tè delle 17 con i pasticcini, le sue guardie reali e i loro cappelli strani. Per alcuni, un sogno adolescenziale.
Per me, la mia prigione.
E non soltanto perché, in tutto ciò di cui è priva, mi ricorda incessantemente il posto in cui dovrei trovarmi. Se le persone sapessero come certi londinesi veramente sono, forse si farebbero passare la voglia di passarci anche solo una notte. Le famiglie più antiche e aristocratiche di questa città sono ancora estremamente bigotte, soffocante, di vedute ristrette. Ed io provengo direttamente da una di quelle famiglie, che continua a disprezzare cose come tatuaggi, piercing, carriere differenti e troppo distanti da quelle di medico o avvocato, sesso pre-matrimoniale e omosessuali. Insieme ad un miliardo circa di altre cose "moralmente sbagliate". Per questo detesto stare qui. Perché nonostante le mie piccole battaglie per cambiare un mondo troppo vecchio, continuo a perdere. Dalle piccole cose che ho fatto alle più grandi, da svariati orecchini, a qualche dread, a un modo di vestire "inappropriato", da discorsi in difesa della libertà di scelta dei figli alla dichiarazione che la monarchia sia una pagliacciata tanto quanto la relgione. E niente. Fossi riuscita a convincere anche un solo, schifido membro della mia famiglia. Solo sgridate, insulti e punizioni.
Però porto avanti la mia missione. Che altro potrei fare? Restare zitta, lasciarmi inghiottire da un mondo ottocentesco, contrarre un matrimonio combinato, fare buon viso a cattivo gioco?
A dispetto dell'odio che nutro per Londra - e che lei, sicuramente, prova per me -, io e la città abbiamo stretto un tacito accordo, che stipula che lei mi lascia libera di vagare indisturbata per le sue strade, e io mi impegno a non deturparla né insultarla a parole. Ed è per questo che adesso, a notte inoltrata, mi trovo qui, in un banalissimo Starbucks a bere un enorme caffè in compagnia di un libro. Per questo e perché, tanto per cambiare, ho disobbedito ai miei genitori. L'unica punizione che hanno potuto infliggermi per tutti gli sbagli che secondo loro avrei commesso, è stata quella di confinarmi permanentemente in casa. E quale modo migliore per continuare a dar loro battaglia, se non andare contro la loro volontà ancora un volta? Tanto, il massimo che possono fare l'hanno fatto.
Sono l'ultima avventrice, persa a leggere della Barcellona del dopoguerra sulle pagine de L'Ombra del Vento. Io e il cassiere, che ancora una volta ha tenuto aperto un po' di più per permettermi di stare ancora qualche istante in quello che ormai è diventato un piccolo rifugio.
- Tranquillo, Alan - lo rassicuro senza alzare gli occhi dal libro, - finisco il capitolo e ti lascio chiudere.
- Wendy, non preoccuparti - risponde. E sono sicura che stia sorridendo, perché lui è il genere di persona che sorride sempre. - Io non ho fretta di tornare in una casa vuota.
Alan è una persona estremamente gentile, con me in particolar modo. Ma abusarne così spudoratamente non mi sembra cosa carina da fare, perché dubito che il suo capo gli paghi gli straordinari.
- Quant'è? - domando, avvicinandomi alla cassa. Spero di non aver sforato il budget: con la miseria che mi passano mensilmente i miei, dato che ritengono inutile il mio possedere del denaro che secondo loro non posso spendere, è molto probabile. 
- Offre la casa - risponde facendo spallucce. 
- Non posso accettare - ribatto decisa.
- Esci con me e sarà come se avessi pagato - replica a bruciapelo. 
Oh. Diamine. L'avevo sospettato - quando le cose vanno troppo bene, c'è sempre qualcosa sotto -, ma speravo potesse rimanere solo un'impressione. A disagio, penso ad una risposta abbastanza diplomatica da non farlo rimanere male, ma la pena mi viene risparmiata dall'aprirsi della porta. Dio, grazie.
- Desidera? - domanda Alan, riluttante. 
- Solo un caffè, per favore - ordina il nuovo arrivato. Per un attimo rimango spiazzata: chi è che ordina un caffè a quest'ora di notte? Poi ricordo di aver appena finito il mio.
Mentre Alan lo prepara, osservo per un attimo il ragazzo: non sembra molto più grande di me. Avvolto in un pesante cappotto grigio scuro, e nonostante il bavero rialzato per proteggersi dal freddo, si intravede il viso; lineamenti marcati, labbra piene, e occhi... dio, occhi assurdi. Intorno alla pupilla sono nocciola, ma il resto è azzurro. Rimango a osservarli incantata per qualche istante, fin quando quei fenomeni della natura sembrano intercettare il mio sguardo; allora ficco il naso in una pagina a casa nel libro, sentendomi avvampare... Non diventare rossa, maledizione.
- Ecco a te - interviene Alan, porgendogli un bicchiere di carta colmo di caffè. Il ragazzo lo prende, e senza una parola lascia sulla cassa dieci sterline, prima di avviarsi verso l'uscita.
- Aspetta, il tuo resto...! - lo richiama Alan.
- Tienilo pure - risponde quello, uscendo. Sembrava aver molta fretta di defilarsi. Ecco il motivo per cui da piccolo ti insegnano a non fissare le persone. Potresti spaventarle.
- Però - commenta Alan, allegro, - ne esiste di gente strana. Allora, ehm, per quanto riguarda l'uscita...
- Cosa? - lo interrompo prima che finisca. - Scusa, Al, devo proprio andare... Magari un'altra volta, okay?
- Va bene - riesco a sentire un cupo borbottio prima di andarmene. 
Quando sono fuori, mi fermo per un attimo a riflettere, col cuore che batte un po' più forte. Ferire Alan era una delle ultime cose che volevo, ma lo avrei ferito ancora di più dandogli corda. Non sono brava nelle relazioni. Non sono fatte per me.
E poi, avevo fretta. C'era qualcosa, negli occhi di quel ragazzo, che mi ha smosso qualcosa. Come un ricordo d'infanzia molto poco nitido. 
Le strade di Londra, stanotte, sembrano quelle di una città fantasma. L'asfalto umido di pioggia e la nebbia illuminati dai riflessi aranciati dei lampioni. Il freddo di dicembre che entra sotto il cappotto. La sensazione di essere osservata da occhi nascosti...
D'istinto, accelero il passo. 




il mio angolino. 
ciao a chiunque abbia deciso di provare a leggere questa storia :) non vorrei spendere molte parole su questa storia, perché ho spiegato un po' la mia idea nell'introduzione, piuttosto vorrei chiedervi di recensire, di dirmi quello che pensate del racconto. le critiche sono molto ben accette :D
ah, una piccola precisazione: l'ambientazione è la Londra moderna, ma l'idea di società che ho scelto di usare è un po' novecentesca, perché si adattava decisamente meglio alla condizione di Wendy. 
goodbye c:

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Capitolo 3
*** A volte ritornano. ***


Riesco ad arrivare a casa nel tempo record di sette minuti. Sollevata, estraggo le chiavi e le infilo nella toppa; entro senza premurarmi di coprire il rumore. 
Comincio a sentirmi veramente al sicuro solo quando entro in camera mia, il rifugio preferito di ogni bambino. Mi appoggio alla porta chiusa con un sospiro. Poi un bisbiglio mi ricorda di non essere sola.
- Ce ne hai messo di tempo - commenta John. - Pensa che Michael stava quasi per addormentarsi.
- Strano - ribatte Mike in un sibilo, - perché il russare che ho sentito veniva decisamente dal tuo letto, non dal mio.
- Scusate - borbotto. - Ho avuto qualche piccolo intoppo. - Vado a sedermi sul letto di Michael. - Allora.. Cosa vi racconto stasera?
John e Michael si scambiano un'occhiata d'intesa. - Di quando Hook ci ha rapiti e Peter è venuto a salvarci! - rispondono insieme, emozionati.
Sospiro di nuovo. Questa è sempre stata una delle nostre preferite, ma ogni volta riesce a ricordarmi che, un tempo, a Peter importava di noi. Mentre ora...
Scuoto la testa e comincio a raccontare. Mi sembra di vedere e rivivere tutto: il timore, il sollievo, l'ansia.
Sulla fine del racconto vedo le palpebre dei miei fratelli chiudersi sempre più spesso, fin quando sembrano definitivamente addormentarsi. Abbasso sempre più la voce, togliendo i vestiti per sostiturli con una maglietta larga, lunga e comoda, presa in prestito da chissà quale amico e mai restituita. Mi infilo sotto le coperte, e la storia finisce. Ma il sonno sembra non arrivare per nessuno.
- Wendy - mi chiama Michael in un sussurro, - credi che Peter tornerà davvero a prenderci?
Stringo i denti. La capacità dei bambini di porre sempre le domande a cui vorresti non dover rispondere è qualcosa di straordinario. - Non lo so, Mike - rispondo alla fine. - A questo punto, non lo so proprio.
Silenzio.
- Puoi lasciare la finestra aperta, Wen? - chiede invece John, a differenza nostra mezzo addormentato.
Mi esce un sorrisetto, ma faccio come mi dice. Forse sarà anche merito degli scaldaletto, ma ormai siamo così abituati a dormire al freddo che la temperatura potrebbe scendere sotto zero e noi neanche ce ne renderemmo conto. Prima di cadere tra le braccia di Morfeo, comunque, una folata di vento ci scuote in un brivido collettivo. 



Mi sveglio nel bel mezzo della notte, affannata e coperta di sudore freddo. Un incubo riccorente che torna: mio padre che mi corre dietro minacciando di rinchiudermi in chissà quale sperduto monastero nel mondo. E io che corro a perdifiato, le gambe che cominciano a far male, la velocità che cala... E sentirmi gridare - Vieni qui, Wendy! Wendy! Wendy! -, con sempre meno distanza. Può anche sembrare un sogno stupido, ma è molto più vicino alla realtà di quanto non sembri. E mi sembra ancora di sentirlo gridare.
Mi rigiro nel letto, sperando di riuscire a piombare in un sonno tranquillo. Ma il mio sguardo viene catturato da qualcosa che mi immobilizza i muscoli, ghiaccia il sangue nelle vene e blocca il respiro: un'alta figura stagliata contro la finestra. 
Oddio. Ladri.
Merda. Io lo sapevo! A forza di tenere aperta quella benedetta finestra, qualche matto alla fine sarebbe per forza riuscito ad entrare! E io, grande stupida che l'ho permesso! Qua dentro ci sono i miei fratelli, e lui magari è un assassino. Maledizione.
No, va bene. Niente panico. E' in questi casi che essere cintura marrone di karate può tornare utile. Potrebbe essere un buon diversivo, perché mandarlo ko alto com'è mi sembra a dir poco improbabile. Ma potrei fare abbastanza casino da svegliare mamma e papà, che avranno sicuramente il buon senso di chiamare la polizia dalla derivazione che hanno sul comodino. Il rischio di farmi male c'è, ma meglio io di John e Michael. E comunque, di alternative ne vedo poche.
- Wendy.
Gelo totale.
Oh, merda. Ho attirato uno stalker. Ma come diavolo è possibile?
- Wendy?
Aspetta. Forse non è un criminale. Conosco gente abbastanza pazza da presentarsi alle tre del mattino in camera mia per fare una cosa banale come restituirmi un disco o un libro. Flip ne sarebbe sicuramente capace. Non c'è motivo di andare nel panico.
- ...Wendy?
Un momento. Ragioniamo. Col senno di poi, nessuno sarebbe capace di dare la scalata di un edificio di tre piani in piena notte. Nessuno, a meno che non abbia un'eccellente attrezzatura. O un paio di ali. O...
...O la facoltà di volare.
No. No, Wendy, dimenticatelo. E' un'idea irrazionale e masochista. No.
Eppure come spiegazione ha un minimo di logica. Insomma, ci sono punti che non tornano - come l'altezza esagerata o il fatto che siano passati anni -, ma per il resto...
No. 
Lo sconosciuto sbuffa. Ormai sembra stanco di aspettare. - Dannazione, Wendy, deciditi a svegliarti - borbotta.
D'accordo. In fondo, tentar non nuoce. Al massimo verrò ritenuta pazza.
- ...Peter? - mi azzardo a dire con un fil di voce. E già comincio a vergognarmi, aspettandomi risposte come "ehm, no... sono Dan, ti ho riportato quel dvd", oppure "mani in alto, questa è una rapina". Mi sento davvero idiota.
- Wendy! - esclama la figura, finalmente sollevata. - Accidenti, sono io!
Sento una scarica di adrenalina cominciare a scorrermi nelle vene. Quasi cado dal letto nel frenetico tentativo di accendere la luce, e poi...
Maledizione. Non è lui.
E' una delusione pura che stringe il cuore.
L'imbecille che al momento sta sorridendo a trecentonovantaquattro denti avrà diciotto, massimo vent'anni. a Peter non ne darei neanche dieci.
Allora chi è il malato che si permette di entrare in camera mia dalla finestra a quest'ora di notte e pretende anche di prendermi in giro in maniera così spudorata? Ma io lo ammazzo a mani nude!
Ho già cominciato a digrignare i denti prima che qualcosa scatti nella mia mente: è un volto già visto. Cercando di mettere a fuoco oltre il velo di rabbia che mi offusca la vista, riesco a riconoscere il ragazzo di Starbucks. Quello con gli occhi incredibili. E inizio a sentirmi incuriosita. Fottutamente arrabbiata, questo sì. Ma anche incuriosita. Mi metto un po' più comoda, seduta sul letto, e inforco gli occhiali.
Lui continua a guardarmi, il sorriso un po' smorzato. - Posso dire che mi aspettavo un bentornato un po' più caloroso? - commenta ironico.
Inarco le sopracciglia. - Perché, scusa?
Le inarca anche lui. - Be', per quanto ricordo non ci vediamo da anni.
- Non ci vediamo da ore, vorrai dire - lo correggo. 
- Ah. Quindi mi hai riconosciuto.
- Direi di no. - Voglio capire dove vuole andare a parare. - Come si fa a riconoscere qualcuno che non si è mai visto prima? - Mi guarda come se non capisse molto bene le mie parole. - Dimmi - proseguo, dato che non spiccica parola, - sei uno stalker?
- Un cosa, prego? - domanda con un'occhiataccia.
- Stalker - ripeto lentamente. - Una persona che si fissa su un'altra e la segue dovunque vada.
- Io non ti ho seguita - ribatte indignato. - Be', stasera sì - si corregge, - ma insomma, questo cosa c'entra?
- Cosa c'entra? - ripeto con una risata incredula. - Mi sveglio in camera mia, alle tre di notte, e mi trovo davanti uno sconosciuto...
- Tu mi conosci - replica offeso. - Sono Peter Pan.
- No, ecco, è qui che ti sbagli. Tu non lo sei.
- Ah, davvero? - domanda incrociando le braccia. - E chi dovrebbe saperlo meglio, tu o io?
- Io l'ho conosciuto - ribatto torva, - e sono piuttosto sicura che fosse molto diverso da te. Sicuramente era più piccolo.
Fa un sorrisino. - Vuoi le prove? 
- Sarebbero gradite.
Mi guarda indispettito per qualche secondo; forse non credeva che fossi seria. - Bene - sbotta. - Wendy Moira Angela Darling, se non ho sbagliato i calcoli, noi due ci siamo incontrati cinque anni fa. Venivo qui molto spesso per ascoltare le storie che la sera raccontavi ai tuoi fratelli. Ma una notte la mia ombra si è staccata e ha deciso di rimanere qui, e sono stato costretto a venire a riprendermela. Tu ti sei svegliata, me l'hai ricucita, e poi hai detto che ti sarebbe piaciuto darmi un bacio. E mi hai dato un ditale. - Arrossisco violentemente. - Dopo ho portato te, John e Michael sull'Isola che non c'è, e siete diventati Bimbi Sperduti. Passiamo direttamente all'ultima fase del vostro soggiorno, quando Hook vi ha rapiti e mi ha fatto recapitare un regalo da parte tua che conteneva una bomba che per poco non mi uccideva, non fosse stato per l'avvertimento di Trilly. Dunque, illeso, volo fino alla Jolly Roger, dove prende vita la battaglia più memorabile a cui Neverland abbia mai assistito, sconfiggo i Pirati, Hook sparisce e io vi riporto a Londra. Soddisfatta?
Rimango zitta, a bocca aperta. Per essere uno sconosciuto, conosce un po' troppi dettagli. Però... è talmente strano.
Il ragazzo deve interpretare il mio silenzio come un "no", perché alza gli occhi al cielo. Con uno sbuffo, alza anche tutto il resto del suo corpo. Fino al soffitto. Volando. Con perfetta maestria. 
- E adesso? - domanda trionfante rimettendo i piedi a terra.
Non ci posso credere.
- Peter - bisbiglio. Come un'ondata di acqua gelida, sento investirmi dalla realtà. La vera realtà. E con essa anche un marea di ricordi persi. I suoi occhi, che in quel bar mi erano sembrati tanto familiari... - Sei... davvero tu.
- Sì, Wendy - risponde lui, in un tono adesso più dolce. Sono tornato.
E' tornato.

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Capitolo 4
*** Volare. ***


Dal suo letto, Wendy mi guarda con occhi talmente sgranati da creare una vaga somiglianza con quelli di un gufo. Sul viso porta scritte diverse emozioni: sconcerto, felicità, rabbia, meraviglia. Non sembra però molto propensa ad avere una qualsivoglia reazione. Mi azzardo a sedermi ai piedi del letto; il fatto che non cominci a picchiarmi sembra un buon segno. 
Be', forse un po' l'ho scioccata, ma almeno ha realizzato che sono davvero io. Anche perché, onestamente, chi accidenti avrei potuto essere?
Ora come ora, Wendy sembra piuttosto presa a fissare il vuoto. Perciò, io fisso lei. Dire che è cambiata è dir poco. E dire che il cambiamento è stato in meglio è come insultarla. Il viso ovale incorniciato da capelli lunghissimi e un po' ribelli, il piccolo naso all'insù cosparso di qualche vaga lentiggine, i lineamenti di porcellana, gli occhi... Dio, quegli occhi sono folgoranti. L'azzurro è quello dell'oceano, ma attraversato da qualche sfumatura grigia. Come se ci fossero state fatte cadere gocce di vernice argento e poi, con un pennello finissimo, avesse disegnato un contorno nero e poi le ciglia lunghissime. Forse sarà anche colpa del suo "pigiama", perché lascia scoperta una porzione di gambe non indifferente... Ma io mi sento perso. Andato del tutto. E il perché non mi è particolarmente chiaro.
Poi, un barlume di vita le illumina gli occhi, e torna a guardarmi. 
- Cosa ti è successo? - domanda con un filo di voce. 
Scioccata? L'ho traumatizzata.
Sospiro. In ogni caso, questa sì che è una bella storia. - Da quando ve ne siete andati - comincio a spiegare, - le cose hanno cominciato ad essere diverse. Vivevamo come sempre, ma eravamo... un po' giù di tono, diciamo così. Un giorno, non ricordo cosa fosse accaduto, ma non ho resistito più: ho dovuto andarmene. E sono venuto a Londra. Ero partito con l'idea di venire a riprendervi, ma le cose non sono andate esattamente come previsto. Il fascino della città mi ha catturato, e non riuscivo a smetterla di esplorarla e scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo. Perciò sono rimasto. Ma dopo un paio di settimane appena, che ho passato vivendo per strada, sono stato raggiunto dai Bimbi Sperduti (niente da fare, senza di me non sanno proprio vivere), e si sono giustificati dicendo soltanto che dove ero io, erano anche loro. Li ho lasciati rimanere. Saremo stati qui... un annetto, più o meno, a vivere in una sottospecie di loft sfitto un po' alla giornata. Però credo che i nostri organismi siano stati un po' sballati dai ritmi di Neverland, e siamo cresciuti un tantino più di quanto mi aspettassi. In ogni caso, qui ho trovato quel che mi serviva sapere: la conferma che non appartengo a questo mondo, e nemmeno gli altri Bimbi. Quindi siamo tornati. Una banda di pseudo-diciottenni, forse più coglioni, ma anche più felici.
Wendy rimane qualche istante in silenzio, livida, le labbra strette. Che ho fatto? - Aspetta - sibila. - Tu mi stai dicendo che voi siete stati a Londra, per un sacco di tempo oltretutto... e non siete venuti qui neanche una sola, misera volta?
Oh. Avrei dovuto prevederlo. - Non arrabbiarti - cerco di calmarla, - te l'ho detto che in teoria ero venuto apposta, ma in pratica...
- ...in pratica sei un idiota! - ringhia. - Un emerito idiota!
- Sì, però... adesso sono qui - ribatto, cercando di imbastire un'espressione abbastanza tenera da impietosirla. Per un attimo sembra sul punto di urlarmi addosso, ma poi richiuda la bocca, spiazzata. - Sono qui - ripeto, approfittando dell'averla fatta restare senza parole, - e credimi, ho la piena intenzione di portarti via da questo posto. Con tutto il rispetto, la tua famiglia è piena di matti. Non so come hai fatto a non scappare prima.
- Tu ci hai spiati? - domanda indignata.
- Solo un pochino - rispondo sulla difensiva. - Per vedere se eri felice, se era il caso di portarti via o lasciarti qui. 
Mi guarda con occhi talmente penetranti che ho l'impressione mi stia leggendo nella mente. - Dici sul serio? Ci riporti sull'Isola?
- Sì - rispondo deciso. - Non ha molto senso stare senza di voi dopo avervi conosciuti. E comunque, anche l'Isola è cambiata.
- In che senso?
- I Pirati - rispondo scrollando le spalle. - Quando sono tornati sono andati alla ricerca della Fonte dell'Eterna Giovinezza, e credimi se ti dico che non ho la benché minima idea di come abbiano fatto, ma l'hanno trovata. Perciò adesso ci ritroviamo sempre con una ciurma di idioti, ma con vent'anni di meno addosso e che ci dà qualche metro in più di filo da torcere.
Ha gli occhi tondi come due monete. - Cioè, tu mi stai dicendo che voi siete invecchiati... e loro ringiovaniti?
- Be', sì.
- Assurdo - commenta scuotendo la testa. - E' tutto incredibilmente assurdo. Se ne hai altre, risparmiatele per domani: stanotte ne ho sentite abbastanza.
- Non vedo perché ti stupisci tanto - dico divertito. - In fondo, anche tu sei cresciuta. E se qualche tempo fa questo mi dava dispiacere, adesso me ne rallegro.
- Perché? - domanda sospettosa.
Faccio un sorriso smagliante. - Sto ancora aspettando un tuo vero bacio.
La vedo guardarmi come se fossi matto. Poi incrocia le braccia al petto. - E continuerai ad aspettarlo, temo. 
- Perché? - domando, facendo il labbrino.
- Sono ancora arrabbiata perché non ti sei fatto vivo prima - risponde piccata.
- Ha! - saluto su, - però non hai detto che non ti piaccio. E io posso sempre farmi perdonare.
- Non sperarci, Pan.
Improvvisamente, Wendy sembra avere una gran fretta: si alza per andare a svegliare i suoi fratelli, ancora prede del sonno.
- John! Michael! Svegliatevi!
Entrambi grugniscono, ma lei non si dà per vinta.
- Che c'è, Wen? - domanda John, rigirandosi tra le coperte.
- Abbiamo visite!
- E' tardi - mugugna il fratello aprendo gli occhi, mentre Wendy gli tira via le coperte. - Chi mai potrebbe ess...?
Quando di accorge della mia presenza, sgrana talmente tanto gli occhi che sembrano sul punto di cadere dalle orbite. Esattamente come sua sorella poco fa. Rischio di soffocare nel tentativo di non ridere. - E voi chi sareste? - domanda con la compostezza di un gentiluomo dell'800.
- E' Peter, John - risponde Wendy sbrigativa.
- Non diciamo stupidaggini - sbotta John. - Peter Pan è un bambino, non una pertica come questo impostore!
Michael, che nel frattempo si è svegliato, mi guarda con aria incuriosita, la testa inclinata. Sbuffo. E di nuovo, come prova della mia identità (ma ancora mi domando come facciano a non riconoscere me!), mi sollevo in volo.
- Oddio John, è proprio lui! - esclama Michael, entusiasta.
- E io cosa avevo detto? - borbotta Wendy, risentita, mentre i Darling più piccoli vengono ad abbracciarmi. 
- Ce ne andiamo, vero, Peter? - domanda John tutto speranzoso.
- Ma certo - rispondo scompigliandogli i capelli. - Non potrei venire e poi lasciarvi qua, giusto?
Wendy mi lancia un'occhiata di fuoco. Non che possa biasimarla, ma potrebbe almeno impegnarsi a passarci sopra. 
Quando la ragazza ha finito di riempire un borsone di vestiti e oggetti vari, estraggo dalla tasca il sacchettino con la polvere di fata. Da quando Trilly non c'è più sono costretto ad acchiappare le prime fate che mi capitano a tiro e scuotergliela via. Di solito funziona, ma quando non è così i morsi che ricevo non sono molto simpatici.
- Vi ricordate come si fa? - domando disponendoli in fila. - Pensate...
- ...a pensieri felici - concludono i tre, in coro. Chiudono gli occhi per concentrarsi. Io mi libro sopra di loro e comincio a cospargerli di polvere.
Con mia sorpresa la prima a sollevarsi è Wendy, e a forte velocità, per giunta; sotto di lei, John e Michael sono ancora a dieci centimetri dal pavimento. - Sto volando! - esclama Wendy incredula, chinandosi appena in tempo per non sbattere la testa al soffitto.
- Noi voliamo! esclamano a loro volta i fratelli. Ridono, volteggiano per tutta la stanza, fin quando prendono velocità e schizzano fuori dalla finestra aperta.
Col borsone stracarico in spalla, Wendy li segue a ruota.
Io, prima di andar loro dietro, mi premuro di spegnere la luce, e sorrido. Stasera, ho fatto felici tre persone.
Anzi, quattro.

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Capitolo 5
*** Casa. ***


Saranno ore che voliamo. Sopra il cielo e sotto il mare. E potrei non stancarmene mai.
Finalmente libera. Libera da un posto che non è mai stato il mio, che odiavo e che mi odiava, libera di fare quel che voglio e non quel che vogliono, libera di sognare e lasciarmi tutto alle spalle. Ma come ho fatto ad andare avanti fin'ora, senza aria nei polmoni, senza un cuore che batteva? Questo è vivere.
- Ehi.. A voi non sembra di vedere qualcosa? - domanda Michael all'improvviso. 
John ed io dobbiamo socchiudere gli occhi per vederci meglio, ma mi accorgo di Peter che, poco distante, annuisce con approvazione; be', non è colpa nostra se siamo un po' miopi.
- Terra! - esclama John, eccitato. La vado anch'io, quella massa scura poco prima dell'orizzonte.
E mentre acceleriamo, la notte sbiadisce, il sole fa capolino.
E infine eccola, sotto di noi.
- L'Isola che non c'è - mormoriamo all'unisono.
Casa.
Siamo a casa.
Restiamo qualche secondo a contemplare quel posto che, pensavamo, non avremmo più rivisto.
- Guardate - esclama poi John, estasiato, - lo Scoglio delle Sirene!
- E là, l'Accampamento degli Indiani! - indica Michael entusiasta.
- E la Jolly Roger! - grido, accennando alla baita sotto di noi.
Un secondo prima che esploda il botto facciamo in tempo ad abbassarci: una palla di cannone stava per investirci in pieno. Due secondi, ed ecco partirne un'altra, che stavolta va a bucare una nuvola a diversi metri da noi.
- Il solito benvenuto - commenta John con stoicismo, pulendosi gli occhiali sulla maglietta. - E' bello essere così apprezzati.
Io e Mike scoppiamo a ridere, ma Peter non sembra altrettanto ilare. - Ci conviene andare, prima che mirino a ottanta metri da qui e riescano a beccarci.
Gli lancio un'occhiata a metà tra il torvo e l'incuriosito: in altri tempi sarebbe stato il primo a fiondarsi giù per provocare un po' i Pirati. Però non faccio commenti, e mi limito a seguirlo per cominciare la discesa verso terra.
Quando ci tuffiamo nella macchia veniamo accolti dal fruscio delle foglie, per me più familiare del dannato rumore di auto e pullman di Londra. Schizzando tra alberi, fiori e arbusti variopinti, si vedono le scie di luce lasciate dalle fate in fuga, le proteste stridule di qualche folletto, le grida spaventate dei piccoli animali. Anche questo mi è mancato, la natura. Incontaminata e perfetta.
Bastano pochi minuti e arriviamo a destinazione, trovandoci davanti ad un enorme, vecchio e ritorto albero, che altro non è se non il rifugio dei Bimbi Sperduti. Come se non avessimo fatto altro negli ultimi cinque anni, entriamo dall'unica apertura del tronco e scivoliamo sul pendio di legno, atterrando in piedi con la massima naturalezza. 
Una volta nell'ingresso mi guardo intorno. Strano. Ricordavo tutto più piccolo. Eppure, quando si cresce, le cose dovrebbero sembrare più piccole, non più grandi.
Dall'altra parte di una tenda fatta di pelli di nonvogliosaperequale animale, si sente arrivare un certo brusio; anche i Bimbi Sperduti li ricordavo più rumorosi. D'accordo, non sono più bambini: come noi, e come Peter, sono anche loro diventati Ragazzi. Ragazzi Sperduti. A pensarlo è quasi comico. 
- Va bene, sentite - sussurra Peter, a voce così bassa che dobbiamo avvicinarci per sentire, - ora io vado lì e voi aspettate. Vi dirò io quando entrare. Facciamo una sorpresa, chiaro?
Annuiamo. E senza dire altro, lui se ne va nella stanza accanto. Appena sparisce ci accalchiamo su un angolino appena scostato della tenda, attenti a non farci vedere: io in basso, John sopra di me, e Michael che galleggia sopra le nostre teste.
Rimango di sasso.
C'è un motivo per cui questo posto mi sembrava più grande: lo è. Ha le dimensioni di un loft. Be', l'equazione torna: bambini piccoli, spazio grande; ragazzi grandi, spazio enorme. E l'arredamento è strafico: poster di band degli anni dai '60 ai '90, un impianto stereo con casse che sprigionano potenza anche solo guardandole, un'immensa libreria stipata di cd e libri e riviste, poltrone, pouf e un paio di divani, amache attaccate a diversi livelli fino al soffitto, vestiti sparsi ovunque, perfino un minuscolo angolo cottura con - udite udite - macchinetta del caffè. C'è addirittura una lava-lamp blu e verde. E poi il pavimento di parquet chiaro, le pareti color caramello, le luci che creano un'atmosfera così accogliente.. Se mai ho immaginato la casa che avrei avuto una volta andata via da quella dei miei genitori, sarebbe stata così. 
Be', magari fatta eccezione per i sei ragazzoni più Peter che la abitano. E' strano vederli così cambiati e cresciuti, eppure riconoscerli uno per uno. Davvero molto strano. 
Non appena Peter fa il suo ingresso, il parlottio che li stava animando si spegne. Rimangono tutti a fissarlo come se fossero lì lì per picchiarlo, o forse abbracciarlo. O abbracciarlo picchiandolo. Intanto, lui esclama: - Vi sono mancato?
Okay, è più probabile che lo distruggano di botte. Finché..
- PETER!
- Dannazione, dove cavolo sei stato?
- Ci hai fatto prendere un infarto, brutto idiota..
E via dicendo tra insulti e sollievo. Peter per un po' li lascia fare.
- D'accordo, ragazzi, ora però calmatevi.
Lo ignorano.
- Ragazzi, per favore, basta.
Continuano ad urlare. Se di norma fanno questo casino, mi domando come abbiano fatto i Pirati a non averli già trovati.
- Va bene... RAGAZZI SPERDUTI, TUTTI IN RIGA!
I sei ammutoliscono, gli occhi sgranati. All'occhiata che Peter gli lancia scattano in piedi come molle e formano una linea perfetta, sull'attenti pancia in dentro petto in fuori. Col il loro capo che li guarda dall'alto in basso con sguardo severo, galleggiando a cinque centimetri dal pavimento, sembrano non respirare nemmeno.
Peter passa in rassegna la fila con occhi minacciosi, prima di atterrare e sospirare. - Rompete le righe.
Sollevati, i Ragazzi tornano a rilassarsi, seduti o distesi un po' dove capita. 
- Cosa avete combinato mentre ero via? - domanda Peter, prendendo a camminare avanti e indietro.
- Noi nulla - risponde qualcuno, indignato. - Le Sirene ci hanno chiesto una mano perché avevano perso una di loro.
- E dov'era andata?
- Dietro lo scoglio.
Soffoco uno sbuffo, con John e Michael che mi gelano con un'occhiataccia. Be', non è colpa mia se quegli esseri sono così stupidi.
- Vuoi dirci dove sei stato? Per un attimo abbiamo temuto che fossi tornato sulla Terra!
- Be', ci sono tornato - ammette Peter, - ma era solo per portarvi una sorpresa.
- Non scherzare.. Ci hai preso la tv?
- Per l'ultima volta, quaggiù il segnale non arriva, Dave.
- Be', però i lettori dvd funzionerebbero.
- Lasciamo perdere. Non è una tv, né qualsiasi altro apparecchio infernale possiate desiderare.
- Allora cosa?
Con un sorrisetto, Peter si volta verso il nostro nascondiglio. - Ehi, Darling, perché non venite fuori?
Ci scambiamo un'occhiata dubbiosa. Poi, un po' intimoriti, entriamo. 
Ci ritroviamo addosso dodici occhi completamente interdetti. Credo di capire come dev'essersi sentito Peter quando non abbiamo creduto che fosse davvero lui.
- Questi non sono i Darling. Sono troppo grandi.
- Allora nemmeno voi siete i Bimbi Sperduti - replica di getto John. Un attimo dopo è come se desiderasse mangiarsi la lingua: li sguardi di tutti si posano su di lui. Però, proprio quando comincia a sudare freddo, scoppiano tutti quanti a ridere.
- Okay, questo è proprio il nostro John - esclama qualcuno, divertito; John tira un gran respiro di sollievo, ma poi viene quasi strangolato dall'abbraccio di gruppo nel quale ci ritroviamo. 
- E' bello avervi qui, ragazzi!
- Ci siete mancati!
- Dobbiamo festeggiare!
- Forza gente, si va a caccia!
Tutti esultano e già si avviano verso l'uscita.
- Fermi là -. L'ordine di Peter arriva deciso.
i Ragazzi si voltano a guardarlo all'unisono. 
- Che c'è?
- La caccia non è cosa da ragazze - puntualizza Peter indicandomi.
- Ma a Wendy non importa - commenta Michael, ridendo. - Non t'importa, vero? - aggiunge, girandosi per guardarmi preoccupato.
- Neanche un po' - confermo. Ho proprio voglia di dare un'occhiata a quella libreria.
- E poi - aggiunge Peter severo, - abbiamo da fare. I Darling devono ancora superare la prova. Non sono Ragazzi Sperduti.
Mi volto a guardarlo così di scatto da farmi male al collo. Ma spero vivamente di aver sentito male.
- Abbiamo fatto la prova anni fa, Peter - gli ricorda John in tono ragionevole, ma lui non lo ascolta.
- E proporrei la Caccia al Tesoro.
Si leva un lamento generale. - Pet, non di nuovo!
- La Caccia al Tesoro è noiosa!
- Siamo già Sperduti! - protestiamo io e John all'unisono.
- Decisione che non ammette repliche - conclude Peter, deciso. - Tutti contro i Darling, in palio il titolo di Ragazzi Sperduti. Conviene che vi diate una mossa.
Resisi conto che sta facendo sul serio, i Ragazzi cominciano a volare fuori, sconcertati e abbattuti.
- Non vieni, Wen? - mi domanda Michael sulla soglia.
- Andate - rispondo a denti stretti. - Devo fare due chiacchiere col capo.
John e Michael mi conoscono abbastanza bene da sapere che è meglio filarsela. Peter no. Peter mi sorride.
- Dovresti raggiungerli - mi suggerisce divertito. - Il Tesoro stavolta è nascosto proprio bene.
Gli lancio un'occhiata truce. - Noi tre - sibilo furiosa - abbiamo avuto il titolo anni fa. Avevi detto che saremmo stati sempre Sperduti. Io - aggiungo, ormai quasi ringhiando - ero la prima Bimba Sperduta!
- Be', lo sei sempre - replica. - Vedi qualche ragazza, qui?
- Allora a che gioco stai giocando? - sbotto furibonda.
- Un atto formale - spiega alzando le spalle. - E poi, sarà molto divertente osservare dall'alto i tuoi sforzi per trovarlo.
- Cioè, ti stai solo divertendo? - domando incredula.
- Oh, no - ribatte. - In fondo, se non facessi quel che sto facendo, la mia credibilità come leader potrebbe essere messa in discussione, no? - Poi sorride. - Non mi dirai che hai paura di non trovarlo?
Oh, d'accordo. Molto, molto divertente. - Sbagliato - sbotto. - Lo troverò personalmente, e quando lo farò, la tua faccia sarà il premio più appagante che potrò ricevere.
- Tanti auguri - risponde alzando le spalle.
Irritata, schizzo fuori alla velocità della luce, trovando i miei fratelli ad attendermi ad occhi spalancati.
- Allora - sbotto prima che possano aprir bocca, - il piano è questo: battiamo ogni centimetro di quest'Isola, se necessario. John prende a nord, Michael a sud, e io vado da ovest a est. Lo dobbiamo trovare. Chiaro?
Rimangono talmente esterrefatti da rispondere solo - Sissignora.
- Allora muoviamoci - concludo asciutta, alzandomi in volo. Gliela faccio vedere io la paura, a quell'idiota.


 

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Capitolo 6
*** Grotte e Pirati. ***


Il tempo che ho passato esplorando questo posto sta diventando tanto. Anche troppo, per i miei gusti. 
Lato positivo: nessun grido di vittoria è stato udito, il che significa che i Ragazzi non hanno trovato il tesoro. Lato negativo: non l'abbiamo trovato nemmeno noi.
Comincio lentamente ad abbassarmi verso terra: sento già aria di mare. Mi addentro nel fitto del bosco, dove il sole fatica a filtrare tra le fronde. Poco ci manca che vada a sbattere contro qualcosa.. Una parete?
Sì, decisamente. Una parete di roccia. Le giro un po' attorno, vedo un'apertura. Parrebbe l'entrata di una caverna. L'idea di entrarvi non m'ispira molto: sembra piuttosto buia e insidiosa. Poco adatta a qualcuno dotato di scarso equilibrio.
Poi sento foglie che frusciano, voci smorzate che imprecano; passi. D'istinto mi nascondo nella caverna, ad un passo dall'uscita, e tendo l'orecchio.
- ..E' inutile, il Capitano deve arrendersi. Non lo troveremo mai, e io sono stufo i scarpinare ogni dannato giorno su quest'Isola!
- Vaglielo a dire tu. Scommetto che sarà molto comprensivo.
- Sto solo dicendo che sono secoli che noi cerchiamo il suo Tesoro, e ancora niente. Che senso ha continuare?
- Mah. Questioni di principio, lo sai com'è fatto.
Pian piano, le voci si allontanano.
Pirati. E anche loro sulle tracce del Tesoro di Hook, a quanto sembra. Fortuna che sono rumorosi: se me li fossi trovati davanti all'improvviso, nemmeno gli anni di karate avrebbero potuto aiutarmi. 
Quando quei due ceffi iniziano a sparire dalla mia mente, torno a pensare al mio compito principale. Per un po' osservo l'uscita, poi l'interno della grotta. Certo che c'è davvero poca luce. Sospiro. A questo punto, tanto vale tentarle tutte.
Comincio a camminare, tenendomi il più vicino possibile alla parete di roccia umidiccia, tentando di stare attenta a dove metto i piedi. Dopo diversi minuti, in fondo si intravede uno spiraglio di luce. Ansiosa di stare nuovamente all'aria aperta accelero il passo, sempre più veloce.. finché sento il piede scontrarsi contro qualcosa, farmi perdere l'equilibrio e rotolare lungo la discesa che si è fatta più ripida. 
Alla fine mi fermo. Malamente, con le ginocchia sbucciate, ma mi fermo, sul terreno tornato miracolosamente piano. E ringraziando il cielo, anche illuminato. Maledicendo le stupide idee di Peter Pan e tutto ciò che ne consegue mi rialzo, cercando di pulirmi alla meglio. Poi alzo gli occhi, e..
Eccolo. Davanti ai miei occhi. Un forziere traboccante monete d'oro, d'argento e di bronzo, collane, anelli e gemme preziose, perfino una spada con l'elsa incastonata di rubini, e una corona d'oro massiccio. Il Tesoro di Hook.
Spontaneo, mi esce un urlo di trionfo, proprio come avevo sentito fare a Peter - e come, nel corso degli anni, tentavo di replicare le rare volte in cui rimanevo a casa da sola. E come se fosse stato qua fuori a montare la guardia fin'ora, Peter vola dentro alla velocità della luce.
Guarda prima il Tesoro, poi me. Lo sapevo che la sua faccia sarebbe stata impagabile. - L'hai trovato tu? - domanda incredulo.
- Ah! - esclamo esaltata, battendogli l'indice sul petto, - te l'avevo detto che l'avrei trovato io!
Mi guarda per qualche istante, ancora stupito. E inaspettatamente, esibisce un gran sorriso. - Devo riconoscerlo, sei stata brava. Di' un po', cosa ti sei fatta?
Chissà in che condizioni sono. Scrollo le spalle. - Sono scivolata - ammetto. - Potevi scegliere un nascondiglio un po' meno scosceso.
Con un dito mi sfiora la guancia; sentendomi bruciare, deduco di essermi fatta male anche lì. Be', direi che ne è valsa la pena. Indugia un po' troppo prima di togliere la mano. Mi trattengo dal fulminarlo; il momento è troppo glorioso. Comincia a ridacchiare. - Solo tu puoi tornare qui e riuscire a farti male dopo appena un paio d'ore.
- Ah, sta' zitto - sbotto, ma senza reale bisogno: come uno stormo di rondini in primavera, i Ragazi entrano di volata nella grotta seguiti dai miei fratelli, anche loro un po' ammaccati ma radiosi.
- Grande Wendy! - esclamano entusiasti. Anche gli altri sembrano allegri, nonostante la sconfitta. Probabilmente a nessuno importava davvero di vincere. 
Peter si schiarisce la voce e si volta a guardare noi tre; i festeggiamenti si spengono. Con aria solenne estrae la spada di rubini dalla cassa, e ci fa segno di inginocchiarci. 
- Io, Peter Pan - declama in tono solenne in mezzo a qualche risata, - nomino voi, John e Michael - e tocca le loro spalle con la spada - Ragazzi Sperduti -. Applausi ed acclamazioni. - E voi, Wendy - continua sfiorandomi la spalla destra con la punta, - sola, ed unica, Ragazza Sperduta di Neverland!
Mi scappa un sorriso tra le feste e le esclamazioni. Adesso, posso dire davvero di essere tornata.
- Ah, Peter.. Non so se sei al corrente - mormoro rialzandomi, mentre gli altri continuano a starnazzare. - Hook sta cercando di riprendersi il Tesoro. Manda i suoi uomini sulla terraferma a cercarlo ogni santo giorno.
- E tu  come lo sai? - domanda, riponendo la spada al suo posto.
- Li ho sentiti mentre lo dicevano - spiego. - Qua fuori ne sono passati un paio..
- Cosa? - mi interrompre brusco. - Non ti hanno vista, vero?
- No - rispondo, vagamente indignata. - Non avevo armi, che dovevo fare? Mi sono nascosta.
- Ah, be'. Hai fatto bene - commenta. - Mh.. penso che dovrò spostarlo da qui. Non che questo posto sia facile da trovare, ma potrebbero inciamparci per sbaglio.. come ha fatto qualcuno di mia conoscenza, se non sbaglio.
- Non è stato per sbaglio - ribatto irritata. - L'ho trovato perché sono attenta ai dettagli. In ogni caso, se vuoi toglierlo di mezzo cerca di farlo subito. Come hai detto tu, un po' parafrasato, non si sa mai.
- Va bene, hai ragione. Matt, Noah! - chiama. I due si voltano, incuriositi. - Dobbiamo portar via il Tesoro. Pare che Hook lo voglia indietro, e non sono così incline a ridarglielo senza colpo ferire. Mi date una mano?
- Certo - rispondono i due.
- Gli altri tornino pure a casa, e tirino fuori le scorte - aggiunge Peter, aprendosi in un altro sorriso. - Stasera si festeggia!
Si levano grida entusiaste, e tutti si affrettano a volare fuori. Faccio per seguirli, ma qualcosa nel forziere attira la mia attenzione: una piccola croce d'argento stranamente incurvata. Tirandola su, mi rendo conto che fa parte di un anello.
- Puoi tenerlo, se ti piace - commenta Peter. - Meglio su di te che qua a prender polvere.
Lo metto al dito; un po' largo, ma può andare. Sovrappensiero annuisco. - Ci vediamo dopo - saluto, spiccando il volo.




il mio angolino.
buonsalve a tutti :) capitolo credo un po' più corto degli altri, ma non mi dispiace come è venuto fuori. cercate di farmi sapere cosa ne pensate voi, ho voglia di migliorarmi ;)
in ogni caso, da qui in poi ho le idee un po' confuse sul proseguimento della storia. ovvero, so cosa succederà tra qualche capitolo, ma non so cosa ci metterò nel mezzo, e di conseguenza nemmeno ogni quanto potrò pubblicare (sempre che a qualcuno interessi). detto questo, se qualcuno di più fantasioso di me (e non ci vuole molto ad esserlo) dovesse avere qualche idea o spunto da darmi, sarò felicissima di ascoltarlo, con annessi ringraziamenti nei capitoli, chiaramente. in sostanza, scrivetemi, fate sapere cosa pensate. un grazie enorme a chi sta leggendo. :3

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Capitolo 7
*** La Teoria dell'Ingenuità. ***


Wendy's.

Niente da dire: i Ragazzi sanno come divertirsi. 
Di solito, andando alle feste quello che trovavo erano musica, alcol, e persone ubriache che ci provavano con qualsiasi cosa respirasse, me compresa. Qua, invece, quello che è trovato è stato musica, alcol, e persone ubriache. persone ubriache che non mi hanno importunata. alleluia. E' un gran bel dire, considerato che mi ritrovo a vivere con una decina di ragazzi che non sono miei fratelli. Il che, nella maggior parte delle società moderne, potrebbe vagamente essere considerato sconveniente. Invece, assolutamente niente di ambiguo. Piuttosto, mi sono fatta una valanga di risate: vedere i gemelli ballare è stata una scena epica.
Adesso, però, sorge un piccolo, insignificante problema: cosa diavolo faccio? Qua dormono tutti come pietre.
E' pomeriggio. Sono sveglia da metà mattinata, ho bevuto una considerevole quantità di caffè, e ho finito un piccolo libro. A meno di non voler dare un aggraziato buongiorno ai Ragazzi mettendo su un cd random a volume spaccatimpani, direi che di cose da fare ne ho ben poche. Nessuna, se proprio vogliamo vedere il bicchiere mezzo vuoto. 
Annoiata e impigrita, mi guardo attorno, nella disperata speranza di incappare in una qualsiasi sorta di attività che non sia leggere. Ma le uniche cose che mi capitano sott'occhio sono una stanza in disordine e parecchia gente stravaccata nei punti più impensabili a russare in maniera piuttosto sonora. Quando ormai mi sono rassegnata, riesco finalmente a vedere qualcosa che cattura la mia attenzione.
Da ieri sera, di ritorno dalla Caccia al Tesoro, le mie scarpe sono rimaste in un angolino della stanza - le uniche appaiate, oltretutto -, come abbandonate a se stesse. Pian piano, comincia a farsi strada nella mia mente la vaga ombra di un'idea. Che diventa sempre più consistente. Fino ad arrivare al punto di spingermi ad alzarmi di punto in bianco per indossare proprio quelle povere scarpe solitarie.
Be', se proprio devo passare la giornata da sola, tanto vale che stia fuori.


Peter's.

Bisogna essere un po' decerebrati per comportarsi così.
Chi sarà mai il genio che, essendo appena tornato a Neverland e perfettamente a conoscenza del fatto che almeno un paio di Pirati girovagano per l'Isola quotidianamente, esce dal Rifugio da solo mentre tutti dormono, senza neanche lasciare uno straccio di biglietto?
Risposta: Wendy Darling. Ammirevole, davvero. Forse non avevo tutti i torti, quando da piccolo pensavo che le ragazze fossero poco furbe.
Per una gran botta di fortuna, non mi ci vuole molto a trovarla. Uno dei luoghi più suggestivi di tutta Neverland è il litorale roccioso, una parte collinare che finisce direttamente a strapiombo sul mare. Sotto gli scogli, all'orizzonte la nebbia, perlacea e evanescente. Al crepuscolo, un vero spettacolo. 
Quello che però mi domando davvero è per quale ragione Wendy abbiamo deciso di rintanarsi proprio qui. Non l'avrei detta il tipo.
- Animo sensibile? - chiedo arrivandole alle spalle. La vedo sobbalzare e guardarmi con occhi di fuoco, mentre mi siedo al suo fianco.
- Sei impazzito? - domanda. - Potevi essere.. chiunque!
- esattamente la ragione per cui non dovresti trovarti qui - ribatto con lo sguardo al cielo. - Le statistiche dicono chiaramente che è più probabile essere rapiti da un Pirata quando ci si trova da soli e non si hanno strumenti di difesa.
Sbuffa. - Divertente. Ma io so badare a me stessa.
- Non ne dubito - mormoro. Se anche ha notato l'ironia, deve aver deciso di ignorarla.
- E poi come sarebbe a dire "animo sensibile"? - aggiunge torva.
- Niente - rispondo facendo spallucce. - E' solo un po' contraddittorio, vederti portare avanti quella tua aria cinica e poi beccarti a contemplare un tramonto, cosa alquanto sentimentale, per come la vedo io.
- Chi ha detto che ero qui per guardare il tramonto? - replica indignata.
Inarco un sopracciglio. - Perché essere qui, altrimenti?
- Avevo solo voglia di rivedere l'Isola - ribatte. - E di stare un po' sola a pensare.
Mh. Scontrosetta. - Chissà perché non ci ho pensato prima -. Ridacchio sotto i baffi.
Più che vederli, riesco a percepire i lampi che emanano i suoi occhi. - Credi sul serio di sapere quel che penso?
- Be', sì - rispondo, osservandomi le unghie. - Devi sapere che ho la sensazionale capacità di riuscire ad afferrare i sentimenti della gente in un'occhiata. Specialmente quelli di una ragazza.
- Ah, naturale - ribatte sarcastica. - Dimenticavo, colui che tutto vede e tutto può porta il nome di Peter Pan.
- In realtà, la colpa è vostra - continuo, sforzandomi di non ridere. - Siete voi ad essere così prevedibili. Credete di essere toste e poi vi dimostrare infinitamente ingenue. Un tipo di autodifesa particolarmente debole.
- Immagino che questa tua teoria ti apporti una valanga di simpatie femminili - commenta, ironica.
- Piuttosto è una buona tattica di rimorchio - replico ammiccando. - Una volta capiti i vostri meccanismi, farvi innamorare è un semplice giochino.
- Cosa mi tocca sentire.. - Scuote la testa, sorridendo. - Se davvero pensi che siamo tutte uguali, mi sa che il vero ingenuo sei tu.
- Non è una mia opinione: sono i fatti che lo dimostrano - replico, sorridendo a mia volta. - Finiscono sempre per cedere anche le più testarde. Basta insistere un po'. 
- Da come parli sembra che tu abbia avuto decine di storie.
- Non per vantarmi.
- Ma fammi il favore, Peter.
- Perché tutto questo scetticismo?
- Andiamo.. Nessuno può essere talmente scemo da farsi abbindolare da questi biechi mezzucci.
- Be', anche madre natura ha fatto la sua parte.
- Sempre più modesto.
- Ah, perché vorresti farmi credere che ti rimango del tutto indifferente? - domando con un sorriso scettico.
- Onestamente, ti aspettavi qualcosa di diverso?
- Fase uno: derisione.
- Oh, ti prego, no. Smettila.
- Fase due: fastidio. Caspita, vedo che sei già sulla buona strada.
- D'accordo, la conversazione ha preso un sapore un po' ridicolo - commenta alzando le mani. - Io me ne vado.
E vola via davvero, senza nemmeno aspettarmi. Con estrema calma seguo anch'io il suo esempio, ma prima di spiccare il volo guardo il mare con un sorriso. Ci sarà da divertirsi.




aggiornamento straveloce per i miei standard, forse perché non mi aspettavo che questo capitolo potesse uscire tanto meglio di così. infatti, non è che mi piaccia granché, mi sa che l'ho fatto un po' troppo di fretta. voleva essere un po' un punto di partenza per il rapporto che avranno Peter e Wendy durante la fanfiction.. non so se son riuscita a rendere l'idea, ma sono quasi convinta che nel corso della storia riuscirò ad esprimerla meglio. 
be', come sempre, ringrazio chi legge :) e se avete un po' di tempo da perdere, lasciate una recensione. xx

 

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Capitolo 8
*** Ambigue scommesse. ***


A differenza di quanto ricordassi, le giornate al Rifugio trascorrono in maniera stranamente tranquilla. Ci si sveglia (tardi), si fa partire qualche disco random, si gioca, ogni tanto ci si mena per farsi due risate (condizione che fortunatamente non coinvolge la sottoscritta), si mangia, si dorme. Sostanzialmente, si cazzeggia. Ed è uno stile di vita sano. Molto sano. Decisamente più sano di quello che hanno sempre imposto a me, John e Michael. Finalmente riesco a dormire, per esempio. Addio insonnia. E la sensazione di essere sempre sull'orlo di una crisi di nervi sta scomparendo sempre più velocemente. Senza contare il fatto che finalmente ho qualcuno con cui parlare in modo serio. Voglio dire, presi nei momenti di non cretinaggine, i Ragazzi sono estremamente intelligenti. E' una situazione stimolante. Perfino i miei polmoni sembrano in grado di respirare più aria, liberi dall'oppressione. E' una vita straordinaria. Quello che ho continuato a sperare di avere per gli ultimi cinque anni di prigionia.
Anche adesso, per dire, l'atmosfera è meravigliosa. Dave sta leggendo, i miei fratelli discutono se sia il caso o no di fare un salto all'Accampamento, Josh dormicchia, Andrew e Quentin parlottano furtivamente in un angolo della stanza, Noah e Matthew giocano a scacchi.. ed io, dall'alto di quella che comunque è l'amaca più bassa, li osservo. E nel petto sento un calore che di rado ho provato negli ultimi tempi.
Soddisfazione. Appagamento. Affetto.
- Wendy, capisco che oggi sono particolarmente bello. Sì, persino più del solito, devo ammetterlo. Ma, non ti offendere, per due secondi potresti anche smettere di guardarmi. Così, giusto per fare una pausa.
Per spezzare l'incanto della perfezione, giunge, puntuale, la voce di Peter. La quale ormai, per conto mio, comincia a regalarmi una leggerissima sensazione di fastidio che mi punzecchia ogni volta che la sento, e si acuisce soprattutto quando dice una qualsiasi stupidaggine. Tipo questa.
Con il vago presentimento di avere diversi occhi addosso, mi volto lentamente fino ad individuare la fonte del disturbo. - Non vorrei smontarti, Peter, ma onestamente sei l'ultima persona che non ho calcolato per tutto il pomeriggio. Spero che non sia un colpo troppo duro per il tuo ego.
Sento qualcuno ridacchiare, mentre l'interessato fa un sorrisino. - Allora dovresti cominciare a farlo. Potresti accorgerti che guardarmi può risultare un'attività di grande beneficio per gli occhi. 
Sbuffo, ma lo ignoro. 
Noah, che da diversi minuti aspetta pazientemente la mossa che Matthew sta cercando di partorire, fa una risatina. - Lascialo perdere, Wendy - mi consiglia, svagato. - Quando si comporta così, solitamente significa che sta cercando goffamente di provarci.
- Già, l'avevo intuito - commento torva.
- Io non sono affatto goffo - replica Peter, sussiegoso. - Sei solo tu che sei invidioso del mio charme. E in ogni caso, io non provo; riesco.
- Se anche riesci, di solito dopo averle illuse le abbandoni - ribatte Matthew, ancora concentrato sulla scacchiera. Peter gli lancia un'occhiataccia.
- Ah - dico, inarcando un sopracciglio. - Sbaglio o questo dettaglio l'avevi omesso?
- Non stare ad ascoltarli - replica lui. - Si divertono così.
- Già, anche qualsiasi ragazza dell'Isola si divertirebbe tanto a raccontare di come sono state malamente lasciate - interviene Andrew, sghignazzando. - E' proprio il genere di ricordo che secondo me non vedono l'ora di riesumare per farsi quattro risate.
- La volte smettere? - chiede Peter irritato, tra l'ilarità dei suoi amici. Io però ci trovo poco da ridere.
- Fossi in te starei attento, Peter - interviene John, sorridendo. - Nemmeno Wendy è molto portata per le relazioni serie.
Oltre a far diventare la mia faccia di un colore molto simile a quello della terracotta, l'affermazione sembra suscitare più risate persino della fama di Don Giovanni di Peter. 
- Vorresti farci credere che tua sorella è una spezzacuori di professione? - domanda Quentin, divertito.
- Peggio - risponde Michael. - A differenza di quello che sembra fare Peter, lei non usa il minimo impegno nel far innamorare i ragazzi; fanno tutto da soli. I problemi - aggiunge ridacchiando - sorgono quando si accorgono che lei di loro non ne vuol sapere.
Vedendo che ancora qualche sorrisino scettico persiste, mi rivolgo ai miei fratelli. - Voi due non avete di meglio da fare che sperperare i dettagli della mia vita privata?
- No - rispondono loro due in coro. Alzo gli occhi al cielo.
- In ogni caso - aggiunge piano Peter, ironico, - dubito fortemente di dover prestare particolare attenzione.
Mi rigiro di scatto. - Vorresti insinuare che non mi ritieni all'altezza di conquistare qualcuno?
- Tu potresti far innamorare chiunque - risponde con aria volutamente melensa. Ma rovina l'effetto con un ghigno. - Ma si dà il caso che nessuna, e sottolineo nessuna, sia mai riuscita a far breccia nel mio cuore.
- Verissimo - conferma Noah. - Cominciamo a sospettare che questo ragazzo sia privo di qualsivoglia sorta di sfera sentimentale.
- Ma Noah, lo sai che tutto il mio amore è solo per te - ribatte Peter, mandandogli stupidi bacini svolazzanti.
- Suvvia, Peter, non in pubblico.
Scuoto la testa con un sorrisetto. Peter sembra accorgersene. - Ti vedo scettica, Wendy.
- No no - rispondo, vaga. - Ma.. ti consiglio di guardarti le spalle.
Finalmente, Matthew riesce a fare la sua mossa. Dalla faccia sembra assolutamente certo di avere la vittoria in tasca. Noah osserva la scacchiera, le sopracciglia corrugate.
- Non provocarmi, Darling. Posso diventare estremamente.. persuasivo.
- Non ne dubito, Pan - rispondo annoiata.
Noah riflette ancora per qualche secondo. Poi, con infinita naturalezza, sposta una pedina e annuncia: - Scacco matto.
Matthew guarda la scacchiera per qualche secondo, incredulo. Poi alza gli occhi sull'amico. - Comincia a scappare, Noah.
Ci vogliono un paio di secondi prima che l'altro intuisca che sta facendo sul serio. Sgrana gli occhi e si alza precipitosamente, cominciando a correre, ma l'esitazione fa sì che Matthew gli sia addosso prima che sia riuscito a fare sette metri. E cominciano a picchiarsi.
Peter si alza, probabilmente per andare a dividerli. Ma prima me lo ritrovo alle mie spalle, due centimetri di distanza dal mio orecchio.
- Il primo che s'innamora, perde - mormora.
Rimango immobile. - Se pensi che asseconderò questa stupidaggine, hai preso un colossale granchio.
Lui si stringe nelle spalle. Non aggiunge altro. Si dirige semplicemente verso Matthew e Noah, ancora impegnati in una specie di wrestling alternativo.. ma invece di portare la pace, come pensavo avrebbe fatto, si avvicina per unirsi alla lotta. E in un attimo, si aggiungono anche i gemelli.
Bambini.




il mio angolino.
bonsoir tout le monde :) altro capitolo di mezzo, più di dialogo che di riflessione, tanto per legare un po' con gli eventi che (spero) tra breve si svolgeranno.
credo di dover fare un piccolo chiarimento riguardo i nomi dei Bimbi Sperduti: okay, semplicemente li ho inventati io :3 se può evitarvi la confusione, di seguito riporto a chi corrispondono in base ai Bimbi della versione Disney:
Noah: quello con il costume da coniglio.
Matthew: quello con il costume da volpe.
Andrew e Quentin: i gemelli, che se non sbaglio hanno i costumi da procioni.
Josh: quello con il costume da orso.
Dave: quello che ha il costume da puzzola. 
se l'idea vi piace, potrei postare anche qualche foto di come io immagino i personaggi.. qualcuno in particolare l'ho già pronto da un bel po', per altri sono completamente in alto mare.
come sempre, un enorme grazie a chi fa lo sforzo di leggere questa *aggettivinegativirandom* fanfiction. :)


 

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Capitolo 9
*** Doppi fini. ***


Peter's.

- Mi fa molto piacere che tu mi abbia chiesto di venire con te, Wendy. Dovremmo passare più tempo insieme.
- Serve a qualcosa ricordarti che non ti ho affatto chiesto di venire con me, Peter?
- Pensavo fosse implicito, no?
- No. Decisamente no.
- Oh. Be', comunque, dato che sono qui..
Sento Wendy sbuffare, ma non aggiunge altro. Lo prendo come un "rimani pure". Be', in realtà sarei rimasto anche se avesse avuto da ridire, ma sarebbe stato più spiacevole. Dunque, meglio per me: è una buona occasione per rimediare alla sua tendenza ad andarsene in giro senza neanche uno straccio di arma, e nel frattempo farla perdutamente innamorare di me. 
Già, sono un genio.


Wendy's. 

Peter deve avere qualche problema di comprensione. Sembra non essergli molto chiaro il concetto che, quando esco dal Rifugio, lo faccio per passare qualche minuto da sola, ogni tanto. Sì, sarò un po' sociopatica, e allora? Quello che non capisce è che nemmeno la sua, di presenza, è gradita. Soprattutto la sua. Comincia ad essere irritante, lo ammetto. Almeno c'è un lato positivo: a forza di venirmi dietro in maniera così assillante, probabilmente finirà come gli altri. Innamorato perso. O comunque ci spero. E allora, la soddisfazione  sarà doppia, perché io non lo ricambierò. Questa, perlomeno, è una certezza.
Lo so, sono appena un po' sadica.


Noah's.

- Allora, Peter.. la tattica del tormento sta portando risultati?
- Di cosa stai parlando? - domanda distratto. Sta leggendo una vecchia rivista.
Inarco un sopracciglio. - Di Wendy. 
- Ah - risponde vago, aggrottando le sopracciglia. - Non sto usando quella.
Non la sta usando? - Come no? - chiedo sorpreso.
- No - risponde semplicemente.
No, la cosa non mi convince. - E allora perché la segui ogni volta che se ne va da qualche parte?
- Noah, se dovesse trovarsi di fronte a un paio di pirati, nel bosco, secondo te come farebbe a difendersi se io non fossi con lei? Dubito che abbia mai usato un coltello al di fuori dei pasti. E in ogni caso al momento rifiuta di portarlo con sé.
Io e Matthew ci scambiamo un'occhiata. Poi è lui a dar voce a ciò che pensiamo entrambi. - Da quando preferisci fare il bodyguard piuttosto che cogliere una preziosa occasione per fare l'eroe?
- In che senso?
- Se un paio di pirati dovesse vedere Wendy - spiega Matthew, guardandolo fisso, - la prima cosa che farebbero sarebbe portarla da Hook, anche se non la riconoscessero. E onestamente, quale modo migliore di far colpo su una ragazza se non salvarla da un vascello pirata?
Finalmente Peter alza gli occhi su di noi. Ma ha un'espressione talmente omicida che, a questo punto, avrei preferito li tenesse giù. - Siete diventati deficienti? - domanda. - Per quanto quella dei pirati sia una razza assolutamente stupida, perfino loro penserebbero di far qualcos'altro, trovandosi davanti Wendy così, dal niente. Altro che rapimento. 
E si rimette a leggere, scocciato. Io e Matt ci guardiamo di nuovo, stavolta seriamente confusi. Peter sa perfettamente quanto noi che una cosa del genere non è nel loro stile; i pirati sono troppo devoti a Hook per disobbedirgli, e noi sappiamo fin troppo bene che sono tenuti soltanto a fare prigionieri. Dunque, la sua iperprotezione è del tutto ingiustificata. E sospetta.
Vedo il volto di Matthew rabbuiarsi. - Mi sa che quella porta guai - borbotta, premurandosi di usare un tono quasi inudibile. Ma Peter, forse perché ha l'udito fino o per semplice intuizione, gli rifila ugualmente un'occhiataccia.


 

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Capitolo 10
*** Richieste. ***


Wendy's.

- Ahia!
Ahi!
- Matthew, il tuo culo si trova sulla mia faccia!
- E allora sposta la testa!
- Chiunque mi stia schiacciando - cerco di gridare col fiato mozzo - voli via subito!
- Non saprei, Wendy - risponde qualcuno vicino al mio viso. - Sto piuttosto comodo dove sono.
PAN! - urlo furiosa - Togliti di torno se non vuoi essere preso a pugni!
- Non penso proprio - replica con una mezza risata, adagiandosi ancora più comodamente sul mio povero corpo. Esattamente dove non dovrebbe mai stare.
- Okay, questa cosa sta diventando ridicola - borbotta Andrew, cercando di districarsi dalla massa di corpi aggrovigliati. Aspetta, forse era Quentin. No, no, credo fosse Andrew.. ah, dannati gemelli!
Ma almeno, chiunque fosse riesce a liberarsi. E dopo il meraviglioso suono dello spostamento dell'interruttore, la luce viene riaccesa. Peter è talmente vicino che riesco a sentire il profumo della sua pelle, e le punte dei nostri nasi quasi si sfiorano.
- Se non ti allontani entro quattro secondi - sibilo minacciosa, mentre rimane imbambolato - giuro che ti farò rimpiangere di non avermi lasciata a Londra.
Dev'esserci qualcosa nel mio sguardo di molto persuasivo, perché un microsecondo prima del tempo limite vola via con un balzo all'indietro che rischia di farlo cadere di nuovo. Finalmente sono libera di alzarmi. E soprattutto di respirare come si deve, ora che non ho più qualcosa come settanta chili di carne che mi comprimono i polmoni.. e non solo quelli.
- Mai più - borbotta Dave massaggiandosi le costole, - giuro, mai più nascondino al buio. Mai.
- Io dico che è stato divertente - mugugna invece Michael. Che, guarda caso, ha avuto la geniale idea di fare questo gioco per "spezzare la monotonia della routine". 
- Raccontalo al mio olfatto - geme Noah, disgustato. - Ho paura che non sarà mai più lo stesso, dopo oggi. 
- Oh, ma se non ho fatto niente - replica Matthew. La sua nonchalance, purtroppo, è molto poco credibile.
- La prossima volta possiamo provare con acchiappino al buio - sghignazza Andrew, pregustando l'idea.
- Se proprio ci tieni, esistono metodi più semplici per rompersi centosettanta ossa in un colpo solo.
- O magari lupo mangia ghiaccio - propone Quentin, con l'identico ghigno del fratello.
- Ti ghiaccerò io, ma per sempre - ribatte John, cupo. I suoi occhiali mostrano una lieve incrinatura. - E dire che li avevo fatti fare da poco - commenta triste, guardandoli.
- Ci sono - salta su Andrew in uno schiocco di dita, - la Caccia al Tesoro!
Sette paia di occhi si fissano su di lui, assassine.
- Era solo un'idea - specifica in tono innocente.
- Dovrebbero rinchiudervi - borbotta Matthew.
- Ah sì? - chiedono in coro i gemelli, sorridendo nello stesso, inquietante modo. Due secondi dopo si buttano a capofitto su Matthew.
- Ahia! Ahia! Smettetela, brutti procioni puzzolenti.. Ahi!
- L'unico degno di essere definito puzzolente qui sei tu, Matt - gli fa presente Noah, soddisfatto di essere stato vendicato, anche se involontariamente.
- Peeeeeeeeeeter! - urla Matthew, tentando invano di difendersi dalla scarica mista di solletico e pugni.
- Spiacente, amico - sorride Peter, prendendo comodamente posto su un'amaca per godersi la scena dall'alto, per la gioia dei gemelli.
- Bastardi.. ahahahahah!, schifosi doppiogiochisti e sleali.. ahahahahahahahahah..
- Peter! - esclama una voce, che però non è né quella di Matthew, né di nessun altro dei Ragazzi. Ci voltiamo simultaneamente verso l'entrata: da dietro la tenda spunta un indiano giovane, basso e piuttosto robusto.
- Snoki - esclama Peter, sorpreso, - che ci fai qui?
- Giglio.. Tigrato.. - risponde il ragazzo, col fiato corto. - E' sparita.. ormai.. da ore..
- Hook - deduce Peter, dando voce al mio intuito. Sembra più esasperato che preoccupato. - Ci penso io. Riferisci.
- Grazie.. Peter - sbuffa l'altro, sollevato, tornando indietro verso lo scivolo. Chissà come quanto gli ci vorrà per risalirlo senza volare.
Quando sparisce, per qualche secondo regna il silenzio. Poi Josh prende la parola. - Allora.. piano d'attacco?
- Piano? - ripete Peter. Alza le spalle. - Semplice: io vado, voi restate.
Di nuovo silenzio, ma stavolta incredulo. Fin quando esplodono le proteste. 
- Che storia è questa? - sbotta Noah.
- Peter, noi vogliamo venire! - si ribellano Quentin e Andrew.
- Non ce lo puoi impedire! - contenta John.
- Oh, sì che posso - replica Peter. - Andiamo, avrò affrontato quel Baccalà da solo decine di volte, volete che non me la sappia cavare? Senza offesa, ma sareste più d'intralcio che d'aiuto.
- E se l'ha portata alla Jolly Roger e tu devi combattere contro tutti i Pirati da solo? - domanda Dave, torvo. 
- Non l'ha fatto - taglia corto Peter.
Qualcuno apre la bocca, intenzionato a ribattere fino a farlo cedere, ma pare che nessuno trovi altro da dire. Così, anche se a malincuore e frustrati, si arrendono.
- Bravi - approva Peter, già avviandosi all'ingresso. - Tranquilli, troverò prima che abbiate trovato il modo di ammazzarvi a vicenda per la noia.
Lo osservo, mentre fa per attraversare la tenda e uscire. Io non ci sto a rimanere qui. E' la prima cosa eccitante che è accaduta dal nostro ritorno, e non rimarrò qui ad aspettare.
- Be' - esordisco alzandomi, - io vengo con te.
- Tu meno di tutti - risponde Peter, voltandosi a fulminarmi.
- Non essere maschilista - sbuffo.
- Magari fosse quello.
- Non vedo altri intralci.
- Io fin troppi.
- Peggio per te.
- No, peggio per te - ribatte deciso, - perché io vado da solo. A più tardi.
Ed esce, senza aggiungere altro. Rimango a fissare il punto esatto in cui è scomparso, furiosa.
- Bene - sbotto, rivolta a nessuno in particolare e seguendo la sua strada. - Bene! Se pensa di poter davvero darmi degli ordini.. a me.. si sbaglia di grosso, eccome..
- Ah, non farlo, Wendy - mi consiglia Dave, concitante.
- Si arrabbierà - aggiunge pigramente Noah.
- Fatti suoi - replico incurante. - Starà a vedere.. 
Ed esattamente come Peter poco fa, schizzo su per lo scivolo, determinata a seguirlo.


Peter's.

Volo attraverso la vegetazione scura, veloce. Spero ancora che la pianti di cercare di seguirmi. Ma mi rendo conto che è molto più probabile che il sole smetta di sorgere ogni mattina, perciò alla fine mi blocco. Rabbioso. L'avevo avvertita.
- Falla finita di fare la ninja, Darling - sbotto. - Ti ho sentita un chilometro fa.
Dopo qualche secondo di titubanza la vedo spuntare da dietro un albero, imbarazzata e determinata al tempo stesso. Let's start.
- Non tornerò indietro - comincia.
- Eccome se lo farai - ribatto.
- Dovrei solo perché me lo dici tu? - domanda, scettica. Come se non le importasse assolutamente nulla di quello che penso. Un tempo non era così, lo ricordo bene. Sento una specie di puntura dalle parti del petto. La ignoro.
- No - ribatto, tentando di controllare la rabbia. - Perché rischi solamente di farti male e far perdere tempo a me per salvarti.
- Non ti ho certo chiesto di farlo - replica ostinata.
- Questo non cambia le cose - ribatto a denti stretti. Evito di aggiungere che la salverei comunque. Mi deriderebbe e basta.
- Andiamo, non dirmi che hai davvero paura che Hook possa farmi del male - dice, beffarda.
Le lancio un'occhiataccia, ma la sostituisco con un sorriso tirato. - Ho paura solo di non riuscire a farti innamorare se lui ti rapisce. E' vero che sono bravo, ma almeno il contatto visivo..
- Forse sei tu ad esserti già innamorato - mi interrompe senza darmi retta, lo sguardo penetrante. - Altrimenti, a che pro preoccuparsi così tanto?
Mi immobilizzo. Se voleva prendermi nell'orgoglio, c'è riuscita in pieno. Sì, eccolo: un sorriso. Soddisfatto, ironico, perfino un po' sadico. Sa di aver beccato il punto debole. 
- D'accordo - mormoro poi, in un tono quasi inesistente.
- Cosa? - domanda brusca.
- D'accordo - ripeto ad alta voce, cominciando a riprendermi. Sento i muscoli sciogliersi dalla tensione, i pugni mollare la presa. L'ombra di un'idea che prende forma nella mente. - Puoi venire con me.
Per un attimo, ne è stupita anche lei. - Davvero?
- Davvero - rispondo. - Andiamo.
Ricomincio a volare verso la destinazione più scontata, e la più probabile. Wendy si affretta ad affiancarmi. 
Sì, puoi venire. Però dovrai stare alle mie regole, Darling.
 




 

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Capitolo 11
*** Vecchie conoscenze. ***


E' vero. La velocità con cui sono riuscita a convincere Peter a portarmi con sé è un po' preoccupante. E sì, anche quel sorrisino che gli aleggia sulla faccia da mezz'ora non è particolarmente rassicurante. Però, cavolo, ce l'ho fatta. Ho avuto quel che volevo: un po' d'azione. 
Alla fine capisco dove siamo diretti: quella che io chiamo la Roccia della morte, semplicemente perché quest'enorme grotta marina ha l'inquietante forma di un teschio umano. Non proprio rassicurante, in effetti. Comunque sia, è lo stesso luogo dove Hook ha portato Giglio Tigrato l'ultima volta. Ultima per quanto ne so io, se non altro. Aggrotto le sopracciglia.
- Sei proprio sicuro che l'abbia portata qui?
- Perché ne dubiti?
- Perché credo che Hook sappia che questo è esattamente il primo luogo dove andresti a cercare.
Peter fa un sorriso un po' cupo. - Ed è proprio per questo che so che è il posto giusto. Il Capitano sarà pur ringiovanito di vent'anni, ma le abitudini sono dure a morire, e lui è sempre stato piuttosto prevedibile per queste cose. Potrei scommettere la mano destra che si trovano là.
Ed io personalmente sarei felice di tagliartela. 
Poco prima di entrare nella grotta rischio di finire addosso a Peter, bloccatosi all'improvviso per mettersi in ascolto. Tempo pochi secondi e una voce - che rievoca vagamente ricordi lontani - ci raggiunge, gongolante.
- Spero che la location sia di vostro gradimento, principessa. Ho pensato che sarebbe stato gradevole creare una sensazione di déjà-vu.
Dunque Peter aveva ragione. Insopportabile.
- Idiota - commenta a bassa voce, riferendosi a Hook. - Bene - riprende di scatto, - volevi venire e te l'ho lasciato fare. Ora parliamo di regole.
- Regole? - ripeto in un sibilo, alzando un sopracciglio. Questo non era stato specificato.
- Precisamente - conferma secco. - Primo: fa' silenzio, per una volta, se ne sei capace. Secondo: resta dove Hook non ti può vedere. Terzo: nella assolutamente remota possibilità che io mi trovi in un qualsivoglia genere di difficoltà, scappa, e non farti saltare in mente di venire ad aiutarmi. Chiaro?
- Scordatelo - sbotto. - Non sono certo venuta qui per stare nel buio a guardare te che fai l'eroe della situazione.
- Allora - replica inarcando le sopracciglia - puoi anche tornare indietro. Penso tu sappia la strada.
Che bastardo. - Va bene - sussurro a denti stretti. - Starò in un angolino a rendermi perfettamente inutile, okay?
- E' un vero piacere fare affari con te - risponde indifferente.
- Taci - mormoro rancorosa. - E datti una mossa.
Annuisce. Conta fino a tre sulle dita, poi schizza dentro la grotta alla velocità della luce. Lo seguo con due secondi di scarto, andandomi ad accovacciare sulla roccia sporgente e riparata alla vista dove si è posato lui. La scena che si presenta sotto di noi potrebbe sembrare un flashback, proprio come nelle intenzioni di Hook: al centro della laguna si trova una barchetta a remi, rischiarata da un antico lumino ad olio. Dentro ci sono Giglio Tigrato, legata ma a testa alta con orgoglio, Smee, la faccia come sempre rubizza, e Hook, trasudante soddisfazione e autocompiacimento. Solo alcuni elementi differiscono dai miei ricordi: la principessa, col tempo, si è fatta ancora più bella di quanto già non fosse da piccola; il luogotenente non ha più né rughe né capelli bianchi, ma un'ispida barbetta nera che gli copre guance e mento; e Hook, che sembra solo appena un po' più grande di Peter, porta i capelli scuri meno lunghi, e gli occhi pervinca brillano d'astuzia. Anche lui si è fatto crescere la barba, in aggiunta ai baffi, meno ridicoli di quando l'ho conosciuto. Rimango per un attimo senza fiato.
- S'è fatto la fama del playboy - commenta Peter, disgustato. - Ci sono ragazze talmente stupide da cadere ai suoi piedi.
- Chissà perché - mormoro, scrutandolo da lontano. Peter mi lancia un'occhiata incredula e un po' schifata. - Be', in ogni caso mi ricorda un po' qualcuno - aggiungo irritata, scoccandogli uno sguardo di fuoco.
- Così mi offendi - ribatte ferito. - Io almeno sono più sensibile.
- Me lo immagino.. - Mi si affaccia un dubbio alla mente. - Pensi di farcela? Voglio dire, è ringiovanito parecchio.
- Sei davvero tenera a preoccuparti per me - mi prende in giro. - Ma ti ho già detto che se solo provi ad aiutarmi ti radio per sempre dall'Isola, giusto?
- Quanto sei esagerato - borbotto. - E comunque, io non sono affatto preocc..
- Shh! - mi zittisce. - Ascolta.
Chiudo la bocca, malgrado il tono sgarbato in cui mi è stato chiesto di farlo. Gliele farò pagare tutte, ne stia certo.
La voce di Hook rimbomba di nuovo nell'immensa grotta. - Non è che ce l'ho con voi, cara, credo che lo sappiate. Siete abbastanza intelligente da aver capito che il mio unico scopo è Pan. Il fatto è che voi siete l'esca perfetta: bella, con una buona posizione di potere.. cosa potrebbe desiderare di meglio un ragazzino come lui? Vedrete, quello stupido arriverà valorosamente a salvarvi prima del calar del sole - conclude con una risatina.
- Ha dato dello stupido a me? - sibila Peter, indignato. Sfodera il pugnale. - Ora gliela faccio vedere io..
- Peter, no! - cerco di fermarlo, ma è come mettersi a braccia aperte contro una bufera per far cessare il vento: assolutamente improduttivo. Poi sarei io l'avventata.
- Lo stupido è arrivato, Hook! - annuncia, fermandosi elegantemente per galleggiare davanti alla barca. Vedendolo, il sorriso del Capitano s'allarga.
- Ah, Peter - lo accoglie contento. - Pensa un po', stavo giusto parlando di te.
- Ma non mi dire - risponde Peter, ironico. - Mi sembrava di aver sentito fischiare le orecchie.
- Davvero. - Il tono di Hook è quello di un beneducato padrone di casa che ha ricevuto una visita inattesa. - Sono certo che sarai felice di vedere la mia ospite d'eccezione, la cara Giglio Tigrato.
- Oh! - esclama Peter, quasi l'avesse vista solo adesso. Quanto si divertono a recitare questa stupida farsa.. Primedonne. - In effetti, cercavo proprio lei. Suo padre è giusto un filino preoccupato.
Vedo la ragazza agitarsi sulla barca. Hook la ignora. - Comprensibile - conviene in tono accondiscendente.
- Sai, mi farebbe davvero piacere se tu la liberassi - prosegue Peter, con un'affettazione di cortesia quasi diabetica. - Giusto per riportargliela sana e salva entro breve.
- Ah - sospira Hook, quasi credibilmente dispiaciuto. - Vedi, Peter, sarei felicissimo di farlo.. in confidenza, la principessa non è molto loquace.. ma vedi, per cause del tutto indipendenti dalla mia volontà, non posso proprio.
- Indipendenti - ripete Peter, divertito. - Be', un vero peccato. Speravo di risolverla in fretta, questa faccenda.. dopo tutta la gentilezza che mi hai dimostrato..
- Desolato, davvero - continua Hook, chiudendo gli occhi.
- Così mi costringi a venire a prendermela - prosegue Peter, fissandolo.
Hook lo guarda di rimando. - Già, temo tu non abbia altra scelta.
- Dunque - conclude Peter, - cominciamo.
- Cominciamo - ripete Hook, e l'ombra d'un ghigno gli si materializza in viso.
Un secondo. Il tempo di vedere lo stesso sorrisetto replicarsi sul volto di Peter. Poi il ragazzo vola incontro a Hook, il pugnale sguainato. Ma per la spada, prontamente sfoderata dal Capitano, respingerlo è facile. Il duello inizia col mulinare delle due armi, perfettamente sincronizzate come in una coreografia stabilita da tempo immemore. Il rumore è quasi assordante.
Tra fendenti e riflessi di luce improvvisi ed accecanti, Smee cerca di andare in aiuto del suo Capitano, ma l'unico risultato che ottiene è quello di volare in acqua. Giovane, ma pur sempre ubriaco a tutte le ore del giorno. 
Restiamo io e Giglio Tigrato, spettatrici impotenti della violenta scena.
Peter, nonostante tutto, tiene testa ai sempre più rapidi affondi di Hook con una maestria esemplare, lo riconosco. Ma è fin troppo evidente che la lotta è ad armi pari. Anzi, lo sarebbe se Peter non fosse munito soltanto di quel ridicolo coltellino, assolutamente insignificante rispetto ad una spada. Appena uno dei due sarà un po' più affaticato rispetto all'altro, perderà. E i dubbi su chi sarà sono praticamente inesistenti.
Riflessi pronti, decisione lampo.
Mi precipito sulla barchetta, a poppa, pregando chissà quale entità che Hook continui a rimanere girato e che Peter non si accorga di me. Non ho difese e non posso rendermi utile nella lotta; almeno, devo aiutare la ragazza.
Facendole un severo segno di rimanere in silenzio, comincio a cercare di sciogliere i nodi che la imprigionano. Anche se non è proprio facile come potrebbe sembrare.
E poi, un grido mi gela il sangue nelle vene. - Capitano, dietro di voi! - Smee è riemerso dall'acqua.
In duello, ogni indugio è fatale. Peter si distrae. Riesce a notarmi, a lanciarmi un'occhiata sorpresa e al contempo arrabbiata, prima che Hook ne approfitti per sferrargli un calcio in pieno petto e spedirlo in acqua al posto del suo aiutante.
"Vola via!" penso, prima che Hook si volti e mi punti contro la spada. - Ferma lì - mi intima, ma non è questo a bloccarmi. E' la vergogna per aver pensato di scappare. Peter sarà anche un presuntuoso e Giglio Tigrato una ragazza poco simpatica, che non sa badare a se stessa o formulare una frase di senso compiuto, ma non potrei lasciare nessuno dei due nelle mani di Hook. Non sono una codarda.
Perciò mi rialzo. Non per fuggire, ma per fronteggiare il Capitano, tirando fuori il sorriso più beffardo che ho in repertorio.
Hook mi scruta con quei suoi occhi incredibili. - Il vostro viso mi è familiare - commenta diffidente. - Dove ci siamo già incontrati?
- Ne è passato di tempo, Capitano - rispondo irrisoria. - Cercate nella memoria.
Mi osserva per qualche istante, attento e indagatore. Alla fine s'illumina, accesso da un sorriso smagliante. - Wendy Darling? - domanda.
- Precisamente - rispondo con un mezzo inchino.
- Questa sì che è una sorpresa - commenta, senza spostare la lama di neanche un millimetro. - Da quanto siete tornata?
- Da qualche tempo - rispondo. - Difficile fare i calcoli, quaggiù. Ma ne deduco che non foste al corrente delle due palle di cannone sparate dai vostri uomini al nostro arrivo.
- Devo essermele perse. Perdonateli - aggiunge inchinandosi, - sono degli zotici. Sono disposto a sorvolare sul fatto che non siate venuta a salutarmi prima, viste le circostanze.
- Purtroppo Peter sembra restio a mettermi in situazioni che lui giudica pericolose - spiego ironica.
- Sgarbato, da parte sua. Forse voleva tenere la vostra bellezza tutta per sé.
E magari era pure geloso. - Così mi lusingate. Se posso, la gioventù dona molto anche a voi; quasi stentavo a riconoscervi.
- Ah, ci avete fatto caso - deduce compiaciuto. - Già, un regalo di compleanno, un vecchio stregone mi doveva un favore e mi ha regalato la mappa per la Fonte.
- Generoso, come dono. Immagino che il viaggio debba essere stato piacevole.
- Ne è pienamente valsa la pena - mi assicura. - Ma parlando di situazioni pericolose, se me lo concedete.. come ha potuto quello sconsiderato di Peter portarvi qui oggi?
- Merito della mia forza di persuasione - spiego.
- Gesto avventato, a parer mio. Adesso suppongo che non abbiate idea di come tirarvi fuori da quest'impiccio, anche se la conversazione si è rivelata sorprendentemente piacevole. Giusto per curiosità, a spingervi è stata la mera imprudenza o il timore che potesse accadere qualcosa a Pan?
- Né l'una né l'altra - rispondo, improvvisamente fredda. - La semplice voglia di rendermi utile.
- Eppure, e perdonatemi se insisto, siete intervenuta proprio quando il ragazzo era in evidente svantaggio. Confesso - aggiunge con un sorriso scuro, quando vede che non rispondo - di aver sperato che avessi più buongusto.
- Non di cosa stiate parlando, Capitano - ribatto, scordandomi della recita e lasciando trasparire l'irritazione.
La cosa pare non sfuggirgli. - Quando si dice che l'amore è cieco.. - commenta, quasi tra sé e sé. - E non parlo solo dei soggetti, quanto soprattutto del riconoscimento. Talvolta i sentimenti sono così forti da esser mascherati ancora prima che vengano alla luce.. - Mentre il pirata egocentrico prosegue nel suo monologo, percepisco un movimento alle sue spalle. Mi trattengo dall'urlare quando mi accorgo che si tratta di Peter, bagnato come un pulcino e con una faccia che mi fa quasi sperare di non trovarmi nelle sue vicinanze quando saremo fuori di qui. Perlomeno, se ha la forza di guardarmi così male, vuol dire che dev'essere illeso. Nell'infinitesimale frazione di un secondo torno a guardare Hook, ancora preso dalla sua tiritera. A patto che Smee non smetta di pendere dalle sue labbra e Giglio Tigrato non si tradisca.. - .. perché si potrebbe quasi dire che sei sulla buona strada per il punto di non ritorno, madamigella. Il che, per come la vedo io, è incomprensibile. Tu, bella e intelligente, lui, grezzo e infantile, e..
- ..e più sveglio di te, baccalà! - grida Peter. Quando si gira, Hook viene colto di sorpresa dalla sua stessa moneta: con un calcio, viene inghiottito dall'acqua nera. Sto ancora fissando a occhi sgranati il punto in cui si trovava, stordita dalla prontezza di riflessi di Peter, quando lui prende rapidamente in braccio Giglio Tigrato e mi intima: - Muoviti! 
Trasalisco, come se mi avesse attraversata una scossa elettrica, e gli do retta, affrettandomi a seguirlo. 
Maledizione.




mon coin.
cia' :) non ho molto da dire: scrivere questo capitolo mi è piaciuto da morire. è, praticamente, la prima vera cosa seria che succede nella storia, e sperando di non risultare vanitosabarraegocentricabarraboh, amo come mi sta uscendo il personaggio di Hook :3 ma più che altro, spero che piaccia a voi, come d'altronde il resto della storia.. sempre che ci sia qualcuno che la legge!
nel qual caso, mi sono decisa a mettere le foto dei primi due personaggi, che sono proprio Peter e Hook. il primo, inutile negarlo, sapevo fin dall'inizio che aveva le sembianze di questo gran pezzo di ragazzo:


http://weheartit.com/entry/89642910/search?context_type=search&context_user=ruthmorse&query=francisco+lachowski+

(oddio, spero che le immagini si vedano D:)  ma, ebbene sì, Francisco Lachowski. non c'è niente da fare, dal primo momento in cui l'ho visto ho saputo che lui doveva essere il mio Peter, per forza. :)
invece, per Hook ci sono stati vari candidati, ma alla fine ho compiuto la mia scelta:


http://weheartit.com/entry/86792272/search?context_type=search&context_user=lisa_spratling&query=tom+mison
 
Tom Mison, alias Ichabod Crane nella serie Sleepy Hollow. che, oltretutto, mi piace anche poco, ma la storia è talmente assurda che quando lo guardo muoio dalle risate. (e per questo penso che i miei gatti e il mio cane mi stiano prendendo per pazza. per non parlare della mia famiglia..) ma comunque, lui assomiglia moooolto al mio ideale di Capitan Uncino, uno dei personaggi che da piccola mi stava più simpatico di tutti i cartoni Disney, anche se forse ha la faccia un po' troppo "tenera" per il mio Hook.. insomma, voi cercate di figurarvelo con un volto un po' più cattivo :)

be', detto questo, che altro.. cercate di recensire, sapere ciò che pensate mi aiuta a capire se è il caso di continuare, di cambiare qualcosa, o di lasciare immediatamente la carriera di scrittrice per darmi all'allevamento di panda da esposizione (?)
vabbe', è tardi, non so più quello che dico.
buenas noches :)



MEGA EDIT (29.5.15)
piccolo (nemmeno tanto) cambiamento. ho trovato qualcuno di molto più adatto per il personaggio di Hook, anche se la scelta per qualcuno sarà estremamente banale e scontata.


http://data1.whicdn.com/images/179553175/large.jpg

dai, no, scusate. ma quant'è bello? non ho mai guardato Once Upon A Time, ma di questo passo penso che sarà una delle prime serie che recupererò dopo la maturità :'D ad ogni modo, praticamente è un Hook preconfezionato. è dannatamente perfetto. è lui, il mio Hook, senza alcun dubbio. 
okay, ora posso anche ritirarmi.

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Capitolo 12
*** Rabbia insensata, vendette illogiche. ***


Wendy's.

Una volta riportata la principessina all'Accampamento, Peter è stato sentitamente ringraziato da Toro in Piedi. E dai sorrisi schifosamente zuccherosi della ragazza. Per non parlare della festa che, questa sera, verrà organizzata in suo onore, e a cui sono invitati tutti i Ragazzi.
E io, in tutto questo, mi domando: qualcuno si è accorto del mio contributo?
No, evidentemente no. Come ai vecchi tempi.
Ma c'è un altro dettaglio che mi sfugge. Forse piccolo e insignificante, ma a suo modo di un certo rilievo. Perché mai, fin'ora, ero riuscita a passare più di cinque minuti con Peter senza che lui aprisse bocca. O mi guardasse.
Onestamente, non so per quale delle due ragioni sentirmi più seccata. Faccio un respiro profondo.. 
..e sott'occhio mi capita il profilo di Peter. Dall'espressione, sembra più arrabbiato che soddisfatto come ci si aspetta che sia uno che ha appena compiuto l'ennesimo atto eroico. 
Va bene, adesso basta. Ora come ora, ce l'ho più con lui. 
- Tutto bene? - gli domando, fredda. Lui si limita ad annuire guardando fisso davanti a sé. Ancor più gelido di quanto sia stata io. - E allora com'è che non spiccichi parola? - sbotto. 
Peter sorride. Di un sorriso cupo, vagamante sarcastico. - Ti manca la mia voce, Darling? - Non c'è nemmeno una nota beffarda nel modo in cui scandisce il mio nome; è ghiaccio puro.
- No, Pan - rispondo. E io, per contro, mi sto scaldando sempre di più. - Non ti facevo capace di tacere per così tanto tempo, tutto qua.
Si stringe nelle spalle, indifferente. D'accordo, adesso gli do un pugno.
- Peter - sibilo, superandolo e costringendolo a fermarsi (e, suo malgrado, a guardarmi), - si può sapere cosa diavolo hai?
Adesso che mi guarda, avrei preferito che continuasse a non farlo: ha un'espressione talmente dura da indurmi quasi a fare qualche passo indietro. Quasi. - Non saprei. Forse il fatto che hai messo a rischio sia la mia che la tua vita? - risponde, spaventosamente sarcastico.
- Scusa? - esclamo, sentendo il sangue andare al cervello. - Stavo cercando di aiutare te!
- Dopo che ti avevo espressamente detto di non farlo - precisa.
- Ah, be', un ottimo motivo per rimanere ferma ad aspettare solo che la spada di Hook ti trafiggesse il ventre - ribatto, altrettanto sarcastica. - Eri nei guai, ed è inutile che tu te la prenda con me solo perché non vuoi ammetterlo.
- Me la stavo cavando alla grande - replica, punto sul vivo.
- Fammi il piacere, Peter - sbuffo.
- Dovevi restare dov'eri - prosegue arrabbiato. - Era l'unica cosa che ti ho chiesto di fare, ed era così semplice! E invece tu cosa fai? Ti metti a fare l'eroina!
Senti da che pulpito! - Io.. il motivo non era quello! - sbotto indignata. - Ero soltanto preoccupata!
- Lo ero anche io quando ti ho detto di stare al tuo posto, e sicuramente non per me!
- Perché sei un idiota! Se avessi lasciato che ti aiutassi fin da subito..
- No.
- Allora finiscila con queste lamentele, perché mi sembra di non essere stata la prima ad agire d'istinto!
- Come sarebbe a dire?
- Sarebbe a dire che sei così maledettamente orgoglioso che hai dovuto precipitarti giù alla prima provocazione.
- Giusto, ma con la minuscola differenza che io potevo difendermi, ma le stessa cosa non si può dire di te.
- Io dubito seriamente che Hook alzerebbe la spada contro una ragazza.
- Questo è chiaro. Ha intenzioni ben peggiori di questa.
- Dovrebbe solo provarci..
- Ma ne sarebbe capace, Wendy! Hook non si ferma se non ottiene quel che vuole.. Devo ricordarti che, dopo anni, ancora non si è arreso con me?
- Sarebbe questo il problema? - esclamo incredula. Mi viene quasi da ridere. L'idea è perfettamente ridicola.
- No - risponde Peter, tornando ad un tono di voce normale. E, tuttavia, nuovamente freddo. - Non c'è alcun problema. Se tu sei la prima a non occuparti di te stessa, perché dovrei farlo io?
Bam. Come un pugno allo stomaco. Non ha capito niente. - Sei proprio un bambino, Pan. Non riesci a vedere neanche un centimetro più in là delle tue convinzioni! Però va bene, fa' come ti pare, continua pure ad essere arrabbiato. Non m'importa.
Volo via, diretta neanche so dove, lasciandolo da solo. Spero solo che ci sia rimasto male almeno quanto me.


Noah's. 

Ormai sono diversi minuti che Peter vaga su e giù per il Rifugio raccogliendo vestiti da terra, indossandoli e poi togliendoli di nuovo. O cercando di mettersi i capelli a posto per una buona volta. O spruzzandosi addosso litri di profumi diversi. Un po' come un'anima in pena molto vanitosa.
Le uniche cose che è stato in grado di dire quando è tornato sono state - Wendy è già qui? -, e quando la risposta è stata negativa, - Bene. Stasera c'è una festa all'Accampamento, vestitevi -. E da lì è cominciata la sua frenetica ricerca, senza darci neanche uno straccio di spiegazione. 
Ora, considerata la sua prima domanda, avevo semplicemente pensato che volesse soltanto rendersi un po' più presentabile per Wendy. Poi, però, mi è saltato all'occhio un dettaglio: una luce nei suoi occhi. Qualcosa che somiglia molto alla rabbia, o al risentimento. E questo, insieme al fatto che Wendy ancora non si sia fatta viva quando quei due avrebbero dovuto essere insieme, la dice lunga su cosa probabilmente è successo.
- Peter - sbotto alla fine, snervato da quel suo ininterrotto andirivieni, - si può sapere cosa diavolo stai combinando?
Lui si blocca a metà dell'atto di infilarsi un paio di pantaloni, lasciando così scoperte zone che noi tutti avremmo volentieri fatto a meno di vedere. - Mi sto preparando - risponde stranito. Come se fosse assolutamente l'ultima domanda che si era aspettato di sentirsi fare. O come se si fosse accorto solamente adesso di non essere solo.
- E perché - aggiunge Matthew, che è anche più irritato di me - ci stai mettendo così tanto?
Peter osserva entrambi per un attimo; sembra completamente stralunato. Poi riprende a infilarsi i jeans e comincia a borbottare frasi vagamente sconnesse: - ..gelosia.. crede di poter fare come le pare solo perché.. quindi sarei un bambino? Staremo a vedere..
Matt e io ci scambiamo un'occhiata, mentre quel disperato marcia verso la sua stanza.
- Per caso - grido, tentnado di sovrastare la confusione che sta creando solamente lui, - avete litigato?
- Litigato? Figuriamoci! - sbotta Peter, riapparendo con i capelli più spettinati che mai. - Lei è solo un'incosciente.. e poi osa dire a me.. ma me la pagherà..
- Pet - lo richiamo in tono ragionevole, cercando di non inalare l'asfissiante scia di profumo che si lascia dietro ad ogni passo, - non pensi che forse, col senno di poi, sarebbe molto più produttivo parlarl..
- No, Noah - ringhia, sbucando fuori dallo scollo di una maglietta. - Più le parli e meno ti ascolta, cerchi di farle capire i tuoi punti di vista e ti ignora o t'insulta.. Non è il momento di parlare, ma di agire!
- Ma - obietto - farla ingelosire non è una vendetta molto sensata.
- A meno che lei non ti piacc..
Non - ruggisce - dirlo. Non pensarlo neppure, Matthew, o ti ritroverai la testa staccata dal corpo in meno di un microsecondo!
- Ricevuto - risponde lui, trattenendo una risata. - Però datti una calmata, amico.
- Io sono calmissimo - ribatte Peter. - Si può sapere perché non siete ancora pronti? Dobbiamo andare! - abbaia, facendo sobbalzare tutti. Che coerenza, questo ragazzo.
- Noi siamo pronti - gli fa notare John, torvo. Peter apre la bocca (certamente pronto a sbraitare ancora un po'), ma evidentemente non trova niente da dire. - Be', allora muovetevi - mugugna.
Gli altri non se lo fanno ripetere: filano tutti verso l'uscita, poco vogliosi di restare dieci secondi di più nella stessa stanza di questo matto.
Matto che, invece di andar loro dietro, rimane a guardare accigliato me e Matthew, ancora stravaccati sul divano e decisamente poco impressionati dalle sue scenate.
- Pensate di riuscire ad alzare i culi prima di domattina? - domanda minaccioso.
- Va' pure - risponde pigramente Matthew. - Ti raggiungiamo tra poco.
Resta ancora a fissarci. - Ho bisogno di voi.
- Venti minuti da solo non ti uccideranno, Pet - gli faccio presente sorridendo. - E comunque, non credo che Wend..
- D'accordo, a dopo - sbotta prima ancora che riesca a finire di dire il suo nome, e vola via ad una velocità impressionante. Io e Matthew ci guardiamo di nuovo, ghignando.
- Sbaglio o il nostro amico è leggermente cotto? - ridacchia Matt.
- Come una pera - confermo divertito.
Lui fa per aggiungere qualcos'altro, ma le parole gli vengono portate via da un'improvvisa folata di vento. Per un attimo temo quasi sia Peter, che per un cambio d'idea è venuto a portarci via di peso, ma poi mi rendo conto che quella enorme massa di capelli è troppo lunga per appartenergli. Wendy si guarda attorno rapidamente come in cerca di qualcosa - o qualcuno -, fin quando individua noi due. La salutiamo con due pigri cenni della testa.
- E' qui? - chiede senza preamboli; sembra furiosa.
Inutile chiedere a chi si riferisca.
- Nah - risponde Matthew, annoiato.
- Bene - sbotta lei. E l'agitazione che ci aveva dato tregua per qualche breve minuto torna tra noi.
- Non di nuovo.. - borbotta Matt, esasperato.
- Wendy, almeno tu saresti tanto gentile da spiegarci cosa accidenti avete combinato? - le domando, ma inutilmente: lei non ascolta.
- Impulsiva io, eh? Solo perché cercavo di salvargli il culo.. e pensa anche di potermi dare degli ordini! maledizione, lo ucciderò..
- Anime gemelle - mormora Matt.
- Vuoi ripetere? - lo minaccia Wendy, piombandogli davanti in mezzo secondo. L'effetto potrebbe essere terrificante, se non fosse per il fatto che ha trascurato di mettersi un paio di pantaloni. Il che sembra attirare la piena attenzione di Matthew.
- Niente - risponde, atterrito, cercando di guardarla negli occhi. Soffoco una risata.
- Lo spero per te - mugugna lei, riprendendo a rovistare in giro.
Voglio riprovarci. - Wendy - la chiamo, - non credi che dovresti mostrarti più matura e provare a passarci sopra..?
- No! - sbotta senza neanche voltarsi, intenta a passarsi la matita sugli occhi. - Vuole fare l'infantile? Perfetto, non sarò io a comportarmi meglio.. dio, se l'è cercata..
Io e Matthew ci scambiamo un'altra occhiata, ora senza più sorridere.
- Allora, si può sapere cosa state aspettando? - chiede Wendy, piazzandosi davanti a noi. Per fortuna che non sono nei panni di Peter, perché al suo posto non saprei come fare a non guardare Wendy: elegante e, soprattutto, bellissima. E sprigiona una tale furia che ne rimarrebbe intimidito anche un lupo mannaro. Povero Pan.
- Niente - risponde Matt, sbattendo le palpebre. - Usciamo subito.
- Vi aspetto fuori - conclude lei, prima di volare via. Starò diventando paranoico, ma più che una semplice affermazione suonava come una minaccia.
- Senti - sbotta Matthew quando è sicuro che Wendy non lo possa più sentire, - quella ragazza non mi è particolarmente simpatica, e perciò faccio tanta fatica a capire Peter.. però ammettiamo che da un punto di vista puramente fisico lui possa essere compreso. Ma lei! Come è possibile che le piaccia quella testa di rapa?
- Lo so - convengo, passandomi distrattamente una mano tra i rasta. - Ma insomma, l'hai tu prima: anime gemelle.
- Oh, per favore, io non ero serio - replica Matt, sprezzante. - Dio, tutto questo è assurdo.
- Considera il lato positivo - cerco di sdrammatizzare. - Finché non se ne renderanno conto la cosa sarà molto divertente, davvero.. Ma te li immagini se dovessero guardarsi dentro e capire cosa provano?
Matthew apre la bocca per ribattere a bruciapelo, ma le parole non escono. Per qualche istante resta a riflettere. Poi rabbrividisce. - Il cielo non voglia. Speriamo che vada avanti così abbastanza a lungo.
Annuisco, ma in realtà non la penso proprio così: più continuano e peggio staranno. E pensare che siamo solo all'inizio.
Rimaniamo in silenzio per un po'.
Poi ricordo a Matt: - Sai che uno di noi due dovrà stare dietro a lei, vero?
Ci scambiamo uno sguardo atterrito. Poi in coro esclamiamo: - Io prendo Peter!
- Io sono il suo migliore amico - dice subito Matthew.
- Perché io cosa sarei, scusa? - ribatto torvo.
- Ma io sono il comandante in seconda!
- E io sono il più intelligente!
- Ma io sono più bello.
- E sei anche più simile a Wendy - replico con un sorrisetto. Matt si congela. - Dài, per quanto ti possa essere antipatica, so che muori dalla voglia di farci quattro chiacchiere da quando è arrivata qui. 
Matthew serra le labbra, come per impedirsi di cominciare ad insultarmi con i peggiori epiteti che ha in repertorio. Poi sbotta: - Oh, va bene! Ma sappi che te la farò pagare, brutto infame d'un roditore.
- La prossima volta - lo rassicuro - li affibbiamo a Andrew e Quentin.





mi rincòn.
bof. ho dei dubbi. cioè, nella mia testa questo capitolo è come lo volevo, ma non so. mi sa che a occhi esterni può apparire confusionario, sconnesso da tutto il resto.. insomma, poco comprensibile, diciamo. scusate, ma reduce come sono da due settimane di studio matto e disperatissimo nel senso letterale dell'espressione, mi sa che non mi esprimo tanto bene. spero di riprendermi con un po' di atmosfera natalizia c:
come sempre, aspetto opinioni di chi legge :) goodnight, xx. 

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Capitolo 13
*** Sensi di colpa. ***


Wendy's.

Maledetti Indiani.
Per la seconda volta su due soggiorni a Neverland, mi ritrovo a dover sorbire la stessa schifida situazione: gente che balla, gente che beve, gente che si diverte, tutti attorno ad un grande falò. E io che ovviamente vengo ignorata, proprio mentre Peter Pan Capo Aquila Voltante viene acclamato come il solo e unico eroe della giornata. Certo, perché io in quella caverna sono solo rimasta a guardare, vero? Strano che ancora non mi abbiano spedita a cercare la legna.
poi, come se non bastasse, devo stare a guardare quell'emerito imbecille che balla felice come se davvero avesse fatto tutto da solo. Distogli lo sguardo, mi direte; ebbene, impossibile, perché è dappertutto, ovunque si trovi un essere femminile minimamente attraente. Soprattutto, mi tocca guardarlo mentre si struscia a quella sgualdrinella di Giglio Tigrato - che per inciso non mi ha neanche ringraziata -; dovrebbero rendersi conto che si trovano ad una festa, dove chiunque può vederli, e non in un nightclub. Quando serve, Toro in Piedi non è mai nei paraggi.
Stramaledetti Indiani.
Così io rimango al buio in disparte, a bere una birra neanche tanto buona e a rodermi il fegato. Ma chi me l'ha fatto fare, che caspita avevo in testa? Farei meglio a tornare a casa. Persino John e Michael si stanno divertendo più di me.
Mi alzo, butto il bicchiere da una parte e mi rintano ancor più nel buio, pronta a spiccare il volo. Ma davanti a me appare un'ombra.
- Dove credi di andare? - Metto a fuoco il viso di Matthew, che mi fissa a braccia conserte. Non so perché, ma ho la sensazione che non sia esattamente di sua spontanea volontà.
- All'Albero - rispondo accigliata. - Non ho niente da fare qui.
- Ma come - ribatte lui, ironico, - non eri tu quella che è rientrata come un uragano arrabbiato reclamando vendetta contro un qual certo idiota?
Gli scocco un'occhiataccia. - Be', piano fallito, qua purtroppo la star è lui. Ti dispiacerebbe tanto lasciarmi passare?
- Sai - commenta Matthew, guardandosi le unghie, - quel che sembra è che tu stia scappando. E quando qualcuno scappa, io lo chiamo codardo.
Costui non poteva essere altri che il migliore amico di Pan. Faccio per volare via con un salto, schiumante rabbia, ma a un metro da terra mi trattiene il polso per farmi tornare giù.
E poi, con un gesto inaspettatamente non da Matthew, mi trascina a ballare.


Peter's.

Sento che potrei spezzare un osso al primo che mi passa davanti. Forse più di uno. Perché - dannazione - non è assolutamente concepibile che così, di punto in bianco, Wendy possa diventare il centro gravitazionale della festa - la mia festa. Si è aperto un varco quando è arrivata a ballare, ma stiamo scherzando? Se becco l'idiota che ce l'ha portata gli stacco le braccia e le uso per picchiarlo.
Sorseggio la birra, tenendole gli occhi incollati addosso. E lei nemmeno mi guarda.
- Amico, torna alla festa. Se ancora un'altra ragazza mi chiede dove ti sei cacciato rischio di commettere un paio di omicidi -. Noah.
- Magari dopo - rispondo, i denti stretti intorno al bicchiere.
Lui segue il mio sguardo. - Di che ti lamenti, Pet? Tu hai fatto esattamente la stessa cosa per tutta la sera.
- Sì, ma io posso - ribatto torvo, - questa è casa mia, il mio territorio. E comunque, è lei ad avere torto.
- Oh, ha torto ad arrabbiarsi perché tu sei troppo orgoglioso per farti aiutare? Sì, me l'ha raccontato - aggiunge vedendo la mia espressione. - Be', in realtà l'ha detto a Matt, ma è quasi la stessa cosa..
- Come puoi dar ragione a Wendy? - lo interrompo irritato. - E' stata avventata..
- ..esattamente quel che fai tu ogni qualvolta che ti trovi in mezzo a un po' d'azione - replica Noah, calmo. - Queste sono cose che le hai insegnato a fare tu, Peter, che hai insegnato a tutti noi. Non hai di che lamentarti.
- Io.. io non.. - farfuglio. - Ma insomma, volevo solo che non si facesse male! E' così sbagliato?
- Non è successo - mi fa notare semplicemente. - Dunque sì, è sbagliato trattarla come una bambina disobbediente.
Guardo dritto davanti a me, senza vedere nulla.
- Riflettici - mi consiglia con una pacca sulla spalla. - Però datti una mossa, perché le tue fan non mi danno tregua.
Lui torna in mezzo alla marmaglia, tentando di stare alla larga dalle mie inseguitrici. Io invece resto qui, guardo le stelle e bevo, e mi domando se sia così che ci si sente quando si hanno i sensi di colpa.


Wendy's.

Strano. E' da parecchio tempo che non vado in discoteca, perché di solito non mi piace. Però qui è diverso. Tutt'a un tratto mi ritrovo a ballare in mezzo a tanta gente; non sono più invisibile - anche se devo ammettere che ancora nessuno ha riconosciuto i miei meriti, ma posso aspettare. In ogni caso, è piacevole. E sicuramente molto meglio di Londra, perché qua i ragazzi sono un tantino meno invadenti. Comunque è divertente.
Almeno fin quando non vengo brutalemente trascinata via.
- Ehi! - protesto, - lasciami! - Ma questo ragazzo molto alto non accenna a mollarmi il braccio finché siamo lontani da tutti; solo allora si gira e fa vedere la sua immensa faccia da schiaffi.
- Pan! - urlo scandalizzata. - Che diavolo ti salta in testa?!
- Mi sembravi in difficoltà - si giustifica lui alzando le spalle. - Ho pensato di aiutarti.
- In difficoltà? Io mi stavo divertendo! - abbaio furiosa.
- Sì, ma troppi ragazzi - commenta, scuotendo la testa con una smorfia. - Brutti ceffi gli Indiani, poco raccomandabili. Meglio lasciar perdere.
- Non dire assurdità, sono le persone più gentili di tutta Neverland! E oltre a non essere minimamente fatti tuoi, hai proprio un bel coraggio.
- Ah, quindi eri gelosa? - domanda speranzoso.
- Addio -. Faccio per andarmene, ma mi prende di nuovo il braccio. 
- Dai, stavo scherzando - commenta, anche se in maniera davvero poco credibile. - In realtà volevo parlarti.
- Allora parla - sbotto, - e poi lasciami stare.
- Andiamo, non essere così acida, io.. be', volevo solo dirti che forse oggi ho un po' esagerato, in fondo cercavi di darmi una mano.. - Rimango di sasso. Possibile che si stia scusando con me? - ..quindi che ne dici di tornare amici come prima e andarcene a ballare? 
Fa un sorriso a trentadue denti.
Ecco. Tipico.
Mi prende la mano, già pronto a tornare alla festa, ma io non mi muovo di un centimetro.
- Che c'è? - mi domanda. - Andiamo, almeno dirò a tutti che hai partecipato al salvataggio. In fondo, non posso prendermi tutto il merito.
- Non mi sembra - gli faccio notare - di aver sentito le tue scuse.
Mi guarda con un sorrisetto. - Dài, sai che io non faccio queste cose. Il senso però era quello - aggiunge, notando il mio sguardo.
- Be', allora ci vediamo in giro - lo saluto.
- D'accordo, va bene, scusami.. ora andiamo?
- No! - ribatto arrabbiata. - Pan, lo so che non ti frega niente di chiedermi scusa e che vuoi solo non avere i sensi di colpa che ti ha fatto venire Noah, ma almeno abbi la decenza di ammetterlo!
- Che diav.. Ma lui e Matthew si sono alleati contro di me?
- No. Hanno semplicemente capito che sei un imbecille.
Mi guarda di sotto in su, con un'espressione che secondo lui dovrebbe risultare tenera. - Posso convincerti con un bacio?
Mi allontano a passo di marcia, esasperata. Deve non aver capito molto bene con chi ha a che fare.





stavolta non mi dilungo in spiegazioni (anche perché come capitolo mi sembra piuttosto random), volevo solo augurarvi buon Natale nel caso in cui non dovessi riuscire ad aggiornare prima del 25 :) buone feste e tanto buon cibo! xx

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Capitolo 14
*** Caffè persuasivi. ***


Peter's.

Wendy Darling. Ossia, la persona più testarda che abbia mai conosciuto. Insomma, ho ammesso di aver esagerato. Ho tentato di farmi perdonare con fiori, qualche moina e dei baci - se poi di questi non ha voluto saperne, la colpa non è certamente mia. Ma le ho persino chiesto scusa più e più volte - io! -, e ancora non c'è stato verso di farla cedere. No, neanche per idea, la signorina preferisce fare l'infantile e rimanere arrabbiata, ignorarmi e lanciarmi frecciatine quando non è troppo impegnata a guardarmi come se mi augurasse di rompermi tutt'e due le gambe insieme. E meno male che dei due quella matura dovrebbe essere lei. 
Ma io ho un piano, e se fallisce questo, significa che il numero delle mie speranze è pari quasi a zero. Ad ogni modo, dovrebbe funzionare. Forse non la conoscerò bene come vorrei, ma se c'è una cosa a cui Wendy non sa resistere, è un caffè di buona qualità.


Wendy's. 

Mi sveglio, dopo quello che è stato un magnifico sonno ristoratore. Infatti, mi sento stranamente in pace col mondo, il che è dovuto in parte al fatto che ieri sera, per chissà quale motivo, Pan non si trovava al Rifugio. Il perché non m'importa molto, dato che ora sto così bene: la luce è tenue, il silenzio meraviglioso, e in casa non c'è ness..
Un momento. Perché non c'è nessuno?
Dal sacco a pelo in cui ho dormito mi guardo intorno, stranita e ancora mezza assonnata. Davvero, pare che mi abbiano lasciata da sola. Carini, gli amici: almeno potevano avvertire. Inizio pigramente ad alzarmi, intenzionata a non fare niente per tutto il giorno, quando una voce alle mie spalle mi fa ricadere distesa.
- Buongiorno Wendy -. Mi volto, e appoggiato all'angolo cucina vedo Pan, con in mano una tazza fumante e sulle labbra un sorriso abbagliante.
- Non vorrei sembrare ripetitiva - borbotto, tentando di rimettermi seduta dalla posizione ingarbugliata in cui mi ritrovo, - ma tu sei proprio un cretino.
- Magari è per questo che mi ami - ribatte lui, ammiccando.
Ignoro quest'ultimo commento; mi allungo per prendere una felpa lasciata incustodita, come quasi tutto qui dentro, e mi ci stringo dentro, guardando Pan di sbieco. Dev'esserci sotto qualcosa.
- Dove sono tutti quanti? - domando sospettosa.
- In giro - risponde vago, - ma per quanto ne so io rimarranno fuori per un bel po'.
E ti pareva. Doveva pur esserci un motivo per il quale è così contento.
- Allora - borbotto - penso che tra poco me ne andrò anche io.
- Aspetta - mi ferma. - Non vuoi sapere cosa c'è in questa tazza?
Sbuffo. Vediamo dove vuole arrivare. - Cosa c'è in quella tazza, Pan? - domando esasperata.
- Del delizioso - comincia, come se fosse un carismatico venditore di pentole, - appetitoso, e fragrante.. caffè aromatizzato!
Spostandosi di mezzo metro rivela sei o sette scatole di diversi colori di cialde da caffè, ma soprattutto.. una nuova macchinetta. Pur non volendo, i miei occhi cominciano a brillare.
- E' questo che hai fatto ieri sera? - chiedo impressionata. - Sei andato a Londra a rubare una macchina per il caffè?
- Chi ti dice che l'ho rubata? - domanda indignato. Inarco un sopracciglio, scettica. - Be', d'accordo, questa l'ho rubata, ma io di solito le cose le pago, davvero. In ogni caso, sì, sono andato a Londra, e ho anche dovuto fare diversi viaggi per trasportare tutto senza farmi affossare dal peso in eccesso.
Rimango a bocca aperta. E soprattutto mi domando per quale diavolo di ragione abbia fatto una cosa del genere.
- Già che c'ero - aggiunge, tirando fuori qualcosa dalle profonde tasche dei pantaloni, - ti ho anche preso qualche confezione del tuo tabacco preferito. So che quello indiano non ti fa esattamente impazzire, così..
L'espressione stupita mi svanisce all'istante dalla faccia. Eccolo, il trucco. - Dunque hai fatto tutte queste cose solo per cercare di rabbonirmi - deduco.
- Sì - risponde a colpo sicuro. - Perché Wendy, io non so più come fare per chiederti scusa. D'accordo, mi sono comportato male e sono stato meschino, ma penso che adesso tu la stia tirando un po' troppo per le lunghe. Ti ho già detto e ribadito che mi dispiace, perciò.. ora puoi perdonarmi?
Ci rifletto qualche secondo. Da una parte c'è la rabbia per le puerili parole di Peter; dall'altra, una mega fornitura di caffè e tabacco praticamente solo per me.
- E dài - mi sorride, - questo è anche al cioccolato.
Caffè e cioccolato. Dio, potrei morire.
- E va bene - mi arrendo, alzandomi per prendergli la tazza dalle mani. Bevendone un sorso, mi sembra di trovarmi davanti le porte del paradiso. . Ma solo perché hai saputo come fare a convincere una caffeinomane.


Matthew's.

- E' andato fino a Londra solo per comprare a lei del caffè?
Noah annuisce. Lancio un'occhiata di sottecchi a Peter e Wendy, seduti a discutere più tranquillamente di quanto li abbia visti fare da quando lei è tornata qui. Wendy ha una coperta leggera sulle spalle e tra le mani l'ennesima tazza colma di caffè.
Io non so spiegarmelo. Dev'esserci una spiegazione logica. Peter non va a Londra per prendere qualcosa per noi neanche se lo supplichiamo in ginocchio sui ceci; lui, il mio migliore amico, non farebbe mai una cosa del genere solo per una ragazza.
- Be', deve volerla proprio tanto per fare una cazzata simile - borbotto scontroso.
Noah mi lancia uno sguardo di traverso. - Credo che ormai anche tu abbia capito che forse adesso non è più soltanto una semplice sfida, Matt.
- Infatti - salto su, come se mi fossi accidentalmente seduto su un porcospino, - perché è una sfida complicata. E' per questo che è arrivato fino a Londra per lei. La conquisterà e poi la scaricherà, come ha fatto con tutte le altre. Non cercare di mettermi in testa strane idee, Noah.
Lui si stringe nelle spalle, come se comunque sapesse che in fin dei conti ha ragione lui. Mi volto dall'altra parte, irritato. E' impossibile che Peter Pan si stia innamorando. E' un concetto che non ha proprio la minima possibilità di esistenza. Che idea ridicola. 





innanzitutto, anche se con cinque giorni di ritardo, buon 2014 a tutti c: be', non c'è molto da dire, in realtà: mi andava solo di mettere qualcosa di un po' più divertente per spezzare con il litigio abbastanza serio tra Wendy e Peter. (che tanto poi lo so che la cosa del caffè non farà sorridere nemmeno lontanamente nessuno, però ci ho provato :D) e niente, se interessa a qualcuno la mia situazione compiti è piuttosto disperata, quindi spero di poter aggiornare presto, ma non ci giurerei. intanto, buona finedellevacanze/ritornoascuola/lavoro/qualsiasicosa a tutti quanti :3


 

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Capitolo 15
*** Panico. ***


L'ultima pagina di un libro che ti piace è sempre la più triste. O meglio, in quanto non è la storia ad esser triste, ma sei tu a provare tristezza, sarebbe più giusto dire che l'ultima pagina di un libro che ti piace è la più triste da leggere. Già quando avverti sotto le dita lo spessore delle pagine che si assottiglia sempre di più, quando poi stai per cominciarne una nuova, per curiosità la volti e ti rendi conto che è la penultima, senti il cuore battere leggermente più forte. Senti già la malinconia, perché quel qualche centinaio scarso di fogli fitti di parole è praticamente giunto al termine. Quindi sospiri, riprendi la lettura, ma anche le più felici tra le ultime parole hanno un retrogusto amaro. Sai che non ce ne saranno altre, che se vorrai trovare il seguito della storia potrai cercare solo nella tua fantasia. E non è la stessa cosa.
Perciò sospiro di nuovo. Richiudo quel mondo di meraviglie tra le sue pesanti copertine. Di nuovo, l'ultima pagina è stata la più triste. In fondo, ho sempre la speranza che almeno stavolta non lo sia.
Era un bel libro. Coinvolgente. Evidentemente, così coinvolgente da averlo cominciato questa mattina, finito adesso, e nel frattempo non essermi resa conto che gli altri mi hanno lasciata sola. Lascio vagare lo sguardo per la stanza, ma davvero non c'è nessuno.
No, okay. Simpatici. Di solito si suole avvertire.
Be', tanto vale che me ne vada anch'io; meglio sola fuori che dentro. E se poi i Ragazzi tornano e si preoccupano, peggio per loro e meglio per me. Così imparano.
Mi infilo le scarpe, le mie adorate Dr. Martens che mi seguono ovunque da qualche anno a questa parte, mi rialzo, e mi avvicino alla porta. Naturalmente, com'è spontaneo, aspettandomi di trovarla aperta. Invece stranamente la maniglia non si abbassa.
La guardo. Forse ho fatto troppo piano. Riprovo con più forza, ma niente. Spingo la porta, mi appoggio con tutto il corpo; ancora nulla.
E allora vado nel panico. 
Cristo, sono rimasta chiusa dentro.
Il respiro è più affannato ogni secondo che passa. Agito la maniglia sempre più velocemente, spingo contro quel maledetto pezzo di legno sempre più forte, ma non si sposta di un centimetro. Apriti, maledizione, apriti. Neanche nei miei peggiori incubi..
Con gli occhi ormai lucidi e la forza di volontà concentrata anche sul non urlare, mi butto a capofitto sulla porta, disperata.
L'ultima volta. Perché adesso si spalanca, mi fa finire lunga distesa dall'altra parte. Rimango a terra, affannata e grata a qualsiasi entità mi abbia ascoltata.
Piano piano riacquisto la calma. E mi accorgo che intorno a me ci sono delle voci. Voci che ridacchiano. E insieme al ritorno della lucidità, sento affiorare anche un sospetto.
- Avevo detto che ne sarebbe valsa la pena..
Dio.
La porta non s'era bloccata. Qualcuno la teneva dall'altra parte.
Le risate continuano.
Qualcuno che deve avere dei seri problemi mentali. Da ricovero.
La forza di respirare mi abbandona di nuovo, assieme a quel briciolo di lucidità che avevo ripreso. Ma lentamente mi rimetto in piedi, mettendo con difficoltà a fuoco le facce di chi mi circonda, squadrandole senza vederle bene. Stranamente, l'imbecille che mi aspettavo di vedere non è nei paraggi. Allora continuo a guardarli, sentendo le narici fremere. I sorrisi sono spariti.
- Chi - esordisco, fissandoli nelle cavità che immagino essere i loro occhi uno per uno, - chi è stato il colossale, emerito decerebrato che ha avuto la sfolgorante idea di tenermi chiusa dentro?
Molto piano, da dietro la porta fa capolino Matthew, con quella sua solita arrogante faccia tosta. Butta in fuori il mento, spavaldo. - Perché, Darling, hai avuto paura?
Adesso è come se esistesse solo lui. E' chiaro; se non era uno, doveva essere per forza l'altro, il suo secondo, la sua semi-ombra. Mi avvicino a passi lenti, fin quando son costretta ad alzare gli occhi per guardarlo in viso. - Io - sibilo, sputando odio e veleno ad ogni sillaba, - sono claustrofobica, pezzo di cretino che non sei altro.
Passa un lampo abbagliante nei suoi occhi grigi; nient'altro. E quell'aria di superiorità che ritorna al suo posto come se non l'avesse mai lasciato. - Era solo uno scherzo - mi fa notare, freddo, il tono di sfida.
- Credo che tu non abbia capito - ribatto, sentendo il cuore accelerare e la rabbia fluire al posto del sangue. - Ti ho appena detto..
- Ti ho sentita - mi interrompe, duro. - Non lo sapevamo, e pensavamo che sarebbe stato divertente. In effetti, lo è stato. Onestamente, non è colpa mia se ti basta un granello di polvere fuori posto per andare nel pallone..
- Allora sei completamente idiota! Cosa potevo saperne che c'eravate voi qua dietro a fare gli imbecilli..
- Perché, cos'altro pensavi che potesse essere successo? - mi chiede in tono di scherno.
- Qualsiasi cosa, tranne che aveste un senso dell'umorismo così perverso! Altro che aria, al posto del cervello hai solo segatura!
- Vedi di calmarti..
- Si può sapere cosa accidenti avete da urlare? -. Mi volto di scatto; vedo Peter rialzarsi, appena caduto dallo scivolo, guardare me e Matthew con aria alquanto confusa e venirci incontro. - Che cosa avete combinato?
- Fattelo spiegare da lui - rispondo; per una volta che non mi ha fatto niente, vorrei lasciarlo fuori dalla mia collera. Scocco un'ultima occhiata di fuoco a Matthew, che ricambia con tutto il disprezzo che sembra avere in corpo; poi mi fermo davanti a John e Michael.
- Per fortuna - commento gelida - che tra fratelli ci copriamo le spalle.
Abbassano le teste, mortificati.
Per ora è sufficiente. Volo fuori come una saetta; penso di non aver mai avuto così bisogno di una boccata d'aria.

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Capitolo 16
*** Di lupi e confessioni. ***


Matthew's.

- Dovreste vergognarvi! Come diavolo vi viene in mente di fare uno scherzo così idiota?!
- Non ti ci metterai anche tu - sbuffo. - Dai Peter, devi ammettere che nessuna persona sana di mente reagirebbe come ha fatto lei per una cosa tanto innocua.
- E' claustrofobica! - abbaia lui.
- Già, e noi cosa ne sapevamo?
- Ah, perché vorresti dirmi che John e Michael non lo sapevano?
- Lasciali stare - mormora Noah, lanciando loro un'occhiata. Non hanno il coraggio neanche di guardarsi tra di loro. - Mi sembra che si sentano già abbastanza in colpa così.
- Almeno loro - commenta Peter, sprezzante. Sento la rabbia che comincia a ribollire nel sangue. Poi lui sospira. - Sentite, ho capito che non volevate spaventarla veramente, ma comunque lo sapete anche voi che Wendy è ister.. un tantino suscettibile. Potevate evitarlo.
- Oh, andiamo - esclamo, - non starai davvero dalla sua parte! Ti è mancato poco che dicessi che è isterica, e avresti fatto bene, perché è così! 
- Ma stavolta ha ragione lei, Matt! - replica veemente. Come se fosse seriamente convinto di quel che sta dicendo. - Al posto suo, penso che nessuno di noi avrebbe esitato a sfondare la porta, è andata bene che abbia la forza di un moscerino!
- Avanti, amico - mi dice Noah, mettendomi una mano sulla spalla. - Devi ammettere che è stata una cosa un po' stupida da fare.
Li guardo entrambi, frastornato. D'accordo Peter, che è completamente uscito di testa.. ma Noah? 
- Non ci posso credere. Non vi riconosco! Con tutti gli scherzi cretini che ci siamo fatti, nessuno ha mai fatto così tante storie, ma siccome lei è una ragazza allora io devo improvvisamente passare dalla parte del torto!
- Siete tutti nel torto - puntualizza Peter. 
- Finiscila - sbotto. - Se fossi stato qui non ci avresti pensato due secondi a metterti al mio fianco sulla porta per non fargliela aprire, quindi non fare il paraculo solo per fare bella figura!
Il viso di Peter si rabbuia. - Adesso basta - dice, freddo. - Hai fatto una cazzata, Matthew, e invece di scaricare la colpa su Wendy o su di me, prova ad essere un po' meno arrogante e assumiti le tue responsabilità.
Lo guardo, ancora. Frustrato, ferito, incredulo.
E lui si volta a guardare gli altri. - Vado a cercarla - annuncia. - Nel frattempo, voi cercate di pensare a un modo decente di chiederle scusa.
E ci lascia così, da soli. Non ricordo che l'avesse mai fatto. Sicuramente, non per una ragazza.
Noah mi si avvicina, mentre gli altri rientrano. - Matt..
- No - lo fermo, secco. Non voglio sentire ragioni, non ci sono scuse.
Quello non è Peter Pan.


Peter's.

Comincio a pensare che Wendy abbia una sorta di sesto senso, o una sfera di cristallo. Insomma, come diamine fa, ogni volta che scappa - e scappa un po' troppe volte per i miei gusti, questo è certo - a scovare tutti i luoghi più belli dell'Isola? Io questo non l'avevo neanche mai visto. Io
E' un campo immenso, fitto di tulipani della maggior parte dei colori esistenti. Fa quasi male agli occhi guardarlo tutto insieme dall'alto.
No. Questo non può essere scaturito dalla mia immaginazione, questo è evidente. Troppo romantico per i miei gusti. Surreale, quasi. 
Come d'altronde è surreale l'immagine di lei seduta in mezzo a tutti quei fiori. Sembra la scena di un film, o lo scatto di un servizio fotografico realizzato ad hoc. Ecco, è quella sorta di irrealtà. E poi, vorrei tanto sapere cosa ci trova a starsene seduta in un campo di fiori. Sola, con tutti quei pollini che fanno starnutire e colare il naso, e affiancata da una enorme massa grigiastra con le orecchie e il muso e la lingua penzoloni e..
..aspetta. Affiancata da cosa?!
- Darling! - esclamo scioccato, una volta volato giù di fronte a lei. A debita distanza. Lei, che fino ad ora se n'era stata ad occhi chiusi con la testa appoggiata alla spalla di quella cosa, alza un mezzo sguardo omicida su di me. Deglutisco. Non so quale dei due mi preoccupi di più. - Darling, si può sapere cosa diavolo stai facendo?! - sibilo.
- Possibile che tu riesca a trovarmi ovunque io vada? - ribatte lei, con un tono di voce più tranquillo di quanto mi sarei aspettato.
Troppo tranquillo, considerata la situazione. - Che cosa accidenti è.. quello? - sussurro a denti stretti.
Questo - ribatte, come se l'avessi personalmente offesa, - si chiama Albus, ed è un lupo.
Albus. Non ci posso credere. - Lo so che è un lupo - ribatto, sempre tenendo d'occhio quella bestia dormiente. - Lo vedo benissimo che è un lupo. Quello che voglio sapere è che cosa caspita ci fai tu insieme ad un lupo!
- Be', prima che arrivassi tu ci stavamo rilassando, se proprio lo vuoi sapere - ribatte irritata. - E comunque sia, è mio.
E' su.. ommioddio. - Tuo! - ripeto sbalordito. - Wendy, ti rendi conto di quello che stai dicendo? Quello appena si sveglia ti sbrana!
- Vuoi piantarla di chiamarlo "quello"? - sbotta, come se davvero credesse che quel lupo possa capire che non sono particolarmente entusiasta della sua presenza. - Non mi sbranerà affatto! Lui è il mio lupacchiotto, quello della mia Isola. Davvero non te lo ricordi?
- Credimi - ribatto convinto, - mi ricorderei di un animale feroce che ti scorrazza dietro come un cagnolino. 
- Evidentemente no - sospira. - Ma non è una novità che la memoria non sia il tuo forte. Vedi, ogni bambino immagina la sua Isola che Non C'è. Io sognavo di stare in una casetta fatta di foglie cucite, e di avere un lupacchiotto per amico: lui. Quando ci hai portati qui la prima volta l'avevo ritrovato, ed ero la bambina più felice del mondo. Adesso, non so perché, avevo voglia di trovarmi in un campo di tulipani, e mi è spuntato davanti questo posto poco dopo. E quando sono atterrata, ho trovato lui, e ho capito subito chi era, perché non mi ha aggredito. Siamo amici, Peter.
Quindi, questo campo non era effettivamente opera mia. Interessante. Non avevo la più pallida idea del fatto che ognuno potesse creare nuovi posti a proprio piacimento. Dovrei approfondire la cosa. 
- Dunque.. non ti farà del male? - domando dubbioso.
- Dammi retta - ridacchia. - E' molto più facile che faccia del male a te, piuttosto che a me. 
La qual cosa, in tutta sincerità, non mi rassicura molto.
Con estrema cautela, mi avvicino un po' di più a Wendy, guardando di sottecchi il "lupacchiotto". Quello, forse avvertendo la mia presenza, apre leggermente le palpebre, e mi guarda. Io continuo a scrutarlo, immobile; scopre i denti in un ringhio. Faccio per ritrarmi, ma poi con uno sbuffo si rimette a sonnecchiare. Tra le risatine di Wendy, immusonito, mi siedo definitivamente di fronte a lei. Stupido animale.
- Non posso crederci che tu abbia paura di un lupo - commenta lei, divertita. - Tu, il prode Peter che combatte contro i Pirati un giorno sì e l'altro pure..
- Non posso credere che tu abbia paura degli spazi chiusi - ribatto, e al contrario suo sono molto serio. - Wendy Darling, la ragazza più coraggiosa che mi sia capitato di conoscere.. anche se, effettivamente, non ci vuole tanto.
Gli occhi si spengono un po', il sorriso si rabbuia appena, colmandosi di amarezza. Inizia a giocherellare con gli steli dei fiori. - Be', in fondo, cosa ti aspettavi? - domanda retorica. - Per cinque anni, non hanno fatto altro che forzarmi a rimanere chiusa in casa.. e per quanto provassi ad evadere, certe volte era impossibile. Credimi, non è poi così inaspettato che abbia sviluppato questa paura.
Forse ha ragione. - Lo sai che gli altri non l'hanno fatto apposta - le dico piano. - Insomma, mica volevano mandarti nel panico..
- Certo che lo so - ribatte stancamente. - Ma in fondo, cosa avrei dovuto fare? Fossi tu al mio posto mi capiresti. Ma non è stato tanto quello a darmi fastidio..
- ..è stato Matthew - concludo.
Lei annuisce, guardando altrove. - Si fosse mostrato almeno un po' dispiaciuto..
- Tu credi di essere orgogliosa - ridacchio. - Si vede che ancora non lo conosci bene. Io e lui siamo amici da anni, e giuro, non l'ho mai sentito ammettere di avere torto.
- D'accordo, ma che problema ha con me? - domanda, dispiaciuta. - Davvero, lui è l'unico che sembra avere proprio un rifiuto per me. Capisco di essere una ragazza, capisco anche che nemmeno lui mi è molto simpatico eccetera, ma.. ecco, esagera un po'.
- Il fatto non è che tu sei una ragazza - ribatto, rabbuiato. - Lui.. ho paura che si senta un po' minacciato da te.
- Minacciato - ripete, inarcando un sopracciglio.
- Sì - confermo, alzando le spalle. - Sai, forse crede che stia dedicando più tempo a te che a lui. Per quella cosa di conquistarti.
- Ah, certo. Quella che non accadrà mai. 
- Continua a crederlo.
Lei sospira. - Be', puoi anche smetterla, soprattuto se deve essre motivo di litigio, sia con te che con me. Andiamo, perché rovinare un'amicizia e una potenziale cordialità per un fatto che non sussiste?
- Per come la vedo io, è un problema suo. Non posso certo evitare che si faccia i complessi, per una semplice questione che né lui né tu avete ancora capito.
- E cioè? - domanda.
- Che io a te non rinuncio - rispondo con un sorriso. 
Lei lascia vagare lo sguardo, un mezzo sorriso sulle labbra. - Detta così, sembra quasi che tu mi stia lasciando la vittoria, Pan. Mica ti starai davvero innamorando?
- Sai perfettamente che non intendevo quello - ribatto con un ghigno. - Come io so di essere ancora lontano dal mio intento, ma.. a piccoli passi, ci riuscirò. E con gli stessi piccoli passi, Matthew accetterà la tua presenza e che questa riesca a distrarmi così tanto.
Lei alza gli occhi al cielo. - Se lo dici tu.
- Conosco i miei polli - replico ammiccando. - Tra l'altro, sai che sei molto carina quando sei sull'orlo delle lacrime?
- Io non stavo affatto per piangere - sbotta. - Fatti dare una controllata alla vista.
- Certo, certo - commento divertito. - Ma adesso.. ti scoccerebbe tanto se ce ne andassimo?
- Perché?
- Be', prima di tutto perché penso che i Ragazzi, o almeno la maggior parte di loro, sia pronta a porti le sue scuse.. E seconda di poi, seriamente, quel lupo mi sta mettendo addosso un'inquietudine incredibile.
Lei sbuffa, ma dà un buffetto al lupo e gli mormora qualcosa all'orecchio. Quello, con un solo occhio aperto, mi lancia un'occhiataccia, ma la lascia andare.
- E comunque - precisa lei, prima di spiccare il volo, - si chiama Albus.





ehm, ehm.. spero di non aver fatto aspettare nessuno, perché sì, effettivamente ho aggiornato più in ritardo del solito. perciò, chiedo umilmente perdono a chiunque possa essersi sentito offeso/deluso/arrabbiato. ^_^''
allora, che dire.. qui Peter e Wendy riescono ad avere una vera conversazione normale, fatta eccezione per le solite frecciatine che mi piacciono tanto :3 no vabbe', ho paura che in realtà faccia un po' schifino. non me ne vogliate, forse tra un po' riuscirò a tirare fuori qualcosa  di decente.
ah, ovviamente da qui emerge il mio fanatismo per la saga di Harry Potter.. ho voluto chiamare il lupo Albus in onore di Silente e della sua meravigliosa barba grigio-bianca. c:
beneperfetto, detto questo mi ritiro e.. spero sia stata una lettura non proprio da vomito. au revoir!

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Capitolo 17
*** Banali rivelazioni. ***


- Matthew.
Nulla.
- Matthew?
Se ne sta soltanto lì, su quella sua stupida amaca, a occhi chiusi. Come se fingesse di dormire. E a me tocca starmene a galleggiare davanti a lui.
- Matthew, andiamo, parlami.
- Dici che dovrei? – ribatte lui, ironico.
Mantieni la calma, Noah. – Be’, potrebbe essere un’idea – commento, sforzandomi di non dargli una rispostaccia. – Che senso ha prendersela così tanto?
- Che senso ha? – ripete lui, drizzandosi di scatto e guardandomi con gli occhi sgranati. – Noah, tu sai benissimo qual è il problema. Non cercare di farmi passare per un bambino capriccioso, perché sai perfettamente che ho ragione io.
- Da una parte – ammetto. – Insomma, d’accordo, Peter si è scaldato un po’ più del dovuto…
- …e solo perché lei è una ragazza – conclude lui, infervorato.
- Più o meno – convengo, stringendomi nelle spalle. – Ma, voglio dire… che ti aspetti che faccia?
- Che mi aspetto... – ripete, quasi strozzandosi dall’indignazione. – Mi aspetto semplicemente che si comporti come ha sempre fatto, fino a prima che riportasse quella complessata da noi! Mi aspetto che si comporti da vero capo, che non ci siano favoritismi… ma più di tutto, Noah, mi aspetto che si comporti da amico. Se a te sembrano richieste insensate, allora…
- Non ho detto questo – rispondo io, mordendomi l’interno del labbro. Insomma, ci sarà arrivato. Spero. – E’ solo che…
Inarca le sopracciglia. – Avanti – mi incoraggia, sarcastico. – Sto aspettando.
- Oh, andiamo, non farmelo dire per forza.
- Non so neanche di che cosa accidenti stai parlando, Noah, perciò ti prego, illuminami.
Gesù. Sul serio non l’ha capito. E ovviamente devo fare io da ambasciatore. Ti pareva. – Matthew – gli dico seriamente, guardandolo negli occhi, - non hai notato che Peter ha degli atteggiamenti un po’… come dire, instabili, nei confronti di Wendy? Ogni tanto la provoca, ogni tanto è protettivo…
- Questo, puoi starne certo, l’ho notato – risponde accigliato. – E allora?
Argh. D’accordo. – E allora non pensi che potrebbero… be’, significare qualcosa? – insisto.
- Certo – risponde, facendomi sperare che abbia capito. – Che se la vuol portare a letto.
Dannazione. – No – rispondo, secco.
- Invece sì – ribatte, guardandomi di sbieco.
- Be’, sì, è anche per quello – ammetto con uno sbuffo. – Ma non volevo dire quello… intendevo qualcosa di più profondo – spiego a bassa voce.
Mi guarda con un’espressione un po’ nauseata. – Senti, non ho idea di quale idea perversa tu stia parlando, e francamente non lo voglio nemmeno sapere…
- Accidenti, Matthew – sbotto, esasperato, - io ti sto parlando di sentimenti. Capisci?
Riflette un attimo, facendosi sempre più torvo. – Stai cercando di dirmi – deduce, - che Peter per Wendy prova dei… sentimenti.
- Esatto – confermo, sollevato, ignorando che abbia pronunciato quella parola come se non l’avesse mai sentita dire.
Ma ancora sembra non aver capito il punto. – Che genere di… sentimenti? – domanda, minaccioso.
Lo guardo con le sopracciglia inarcate, in modo piuttosto eloquente. Rimane in silenzio due secondi, poi mi sembra quasi di vedere il bagliore della lampadina nella sua testa che viene accesa.
- Oh, no – sbotta, incredulo. – Oh, assolutamente no. No, mi rifiuto, Noah, non cercare di farmelo credere, perché sai anche tu che è impossibile.
- Allora, hai altre spiegazioni? – gli chiedo retorico. – L’abbiamo capito subito, amico, dalla sera della festa per il salvataggio di Giglio Tigrato. Anche tu l’hai ammesso.
- Ma io non ero serio – ribatte, come se fosse ovvio. – Insomma, Noah… Ti rendi conto che è una cosa assurda.
- La cosa assurda è che entrambi non lo vogliano ammettere – commento, ripensando alla stupidità di quei due.
- Senti, non dirlo, d’accordo? – sbotta, infastidito. – Tu stai cercando di convincermi che sia così solo per trovare una giustificazione a quello che Peter ha fatto prima, ma non ci stai riuscendo…
- Certo che ci sto riuscendo – sbuffo, spazientito. – E non è che devo convincere nessuno, sei solo tu che ti ostini a negare l’evidenza. Altrimenti pensi davvero che Peter avrebbe preso le difese di una ragazza piuttosto che le tue, per una cosa tra l’altro abbastanza stupida?
Riflette ancora per qualche secondo, in un evidente conflitto interiore con se stesso. Alla fine, disperato, alza gli occhi su di me. – Quindi Peter… - comincia, ma sembra non riuscire ad andare avanti. Deglutisce e ci
riprova: - Quindi Peter è… è…
- Innamorato – concludo, trattenendomi dal ridacchiare. – Non pretendo che tu riesca a dirlo, tranquillo. Solo… abituati all’idea.
- E come faccio? – borbotta schifato. – L’essere più privo di sentimenti di questo mondo si è… si è…
- Be’, devi ammettere che Wendy è una bella ragazza – commento.
- Sì, ed è anche schizzata come l’impasto di un dolce quando lo sbatti troppo velocemente – aggiunge, lanciandomi un’occhiataccia.
- Perché, a te Peter è mai sembrato normale? – ribatto, scettico.
Alza le spalle. – Quindi… quello che volevi dire è che secondo te dovrei chiederle scusa – conclude poi a bassa voce.
- Esatto – rispondo, sollevato che abbia capito.
- Solo per aiutare Peter, diciamo – aggiunge minaccioso.
- Ovviamente – convengo, anche se in realtà è anche per placare la furia di Wendy.
- D’accordo – borbotta, immusonito. – Ma non ti aspettare che la cosa sia così immediata. Chissà, magari a lei verrà in mente di aver avuto una reazione un po’ esagerata e a quel punto non dovrò chiedere scusa proprio di niente.
- Guarda che Peter ti chiederà di farlo comunque – gli faccio notare, inarcando un sopracciglio.
- Fatti suoi – risponde alzando le spalle. – Poteva farsi piacere qualcuno di un po’ meno arrogante… non mi è molto simpatica, se devo essere sincero. Non è il tipo adatto a Peter.
- Solo perché vorresti essere tu al suo posto – borbotto sorridendo.





*nascosta in un angolino remoto del mondo* *coffcoff* ehm... sì, buonasera, devo ammettere che faccio un po' schifino perché ultimamente sto facendo passare una vita e mezza tra un capitolo e l'altro... non lapidatemi, è che sono piena fino alle doppie punte di roba da studiare, e lo studio mi uccide l'ispirazione e la voglia di scrivere ç_ç voglio solo che le prossime vacanze arrivino il prima possibile, credetemi.
be', è un capitolo che... non so, mi sembrava giusto mettere. in fondo, Matthew non poteva restare arrabbiato per sempre con Peter, e anche se l'idea che sia inn... inn... okay, innamorato non gli va tanto a genio, alla fine riuscirà ad accettarla - da vero amico qual è. e con questo non intendo che Peter non lo sia stato prendendo le difese di Wendy... si è solo lasciato prendere dall'occasione di sembrare migliore ai suoi occhi, come giustamente ha fatto notare Noah.
okay, prima di scrivere qualcos'altro di potenzialmente incoerente/idiota/spoileroso(?), è meglio che me ne vada a fare una dormitina.
dunque, buonanotte anche a voi, spero che non mi odiate se non aggiorno tanto spesso quanto dovrei... e, come sempre, fatemi sapere cosa pensate. guten nacht (probabilmente non si scrive così, ma non studiando tedesco, basta che appreziate il tentativo ^_^).

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Capitolo 18
*** Salvataggi inattesi. ***


Odio quel cretino di Matthew. E non solo per una mera questione di principio: è che è proprio un vero cretino. Come fai a chiudere una claustrofobica in una stanza da sola e poi non chiederle nemmeno scusa? Sembra l’inizio di una pessima barzelletta, e invece è successo davvero, e la sottoscritta non ha ricevuto nemmeno le lontane parenti delle scuse che stava aspettando. Anzi, nemmeno una maledetta parola, neanche una presa in giro. Solo occhiate piene del disprezzo più cupo. Ma quel ragazzo che problemi ha?
Probabilmente con un po’ più di foga di quanto fosse necessario, strappo dal terreno la pianta che mi serviva, con tanto di radici. Sbuffo, sperando che Madre Natura o chi per lei mi perdonino per la mia rudezza. Mi devo dare una calmata: oggi è giorno di “caccia”, anche se per me consiste solo nel raccogliere il maggior numero possibile di bacche ed erbe commestibili, mentre la parte assassina tocca ai ragazzi; dovrei godermi al massimo questi meravigliosi momenti a contatto con un ambiente non contaminato. Ancora immobile, sento un naso umido toccarmi il polso come per spingermi a continuare; Albus è impaziente. Faccio un respiro profondo, accarezzando il pelo della sua testa, e continuo la mia ricerca ben decisa a togliermi dalla mente tutti gli arroganti cretini che abbia incontrato nella mia vita.
Il che non è per niente facile. Non ho idea di quanti fiori inesistenti in qualsiasi altro posto dell’universo abbia calpestato finora a causa della mia rabbia distrattiva, ma temo che siano più del dovuto. E questo non fa altro che peggiorare il mio nervosismo: perché devo lasciarmi condizionare da qualcuno (che non è nemmeno presente) al punto di danneggiare qualcosa di così bello? Io, che mi ritengo un’ambientalista. Sì, un accidente.
Ma ormai la mia attività di pseudo-cacciatrice è compromessa, perciò decido di approfittare dell’occasione e trasformarla in una semplice passeggiata di sfogo. Albus, ormai consapevole di non dovermi più aiutare a distinguere le piante velenose da quelle sane, si allontana un po’ da me per iniziare a fiutare prede più adatte alla sua natura lupesca. Per qualche minuto lo lascio fare… fin quando, dopo essersi fermato e aver drizzato le orecchie, si lancia in una corsa a perdifiato dritto davanti a sé.
- Albus! – esclamo sorpresa. Non particolarmente decisa su come comportarmi, alla fine decido di seguirlo: potrebbe aver individuato un povero piccolo animaletto indifeso come qualcos’altro di più pericoloso.
Perciò gli corro dietro, facendomi graffiare ogni tanto da qualche rovo sfuggito alla mia poco acuta vista. Già dopo qualche minuto mi sento i polmoni talmente indolenziti da indurmi a rallentare, ma non a fermarmi; piuttosto, è come se andassi al trotto. Che cosa ridicola da dire.
Ma mentre proseguo nel mio stupido inseguimento, sento il piede impigliarsi in qualcosa; una radice. E per come si svolgono le scene successive mi sembra di vivere tutto al rallentatore: lo sbilanciamento in avanti, il mio corpo che comincia la caduta verso il basso, quasi sento il fondoschiena toccare il terreno…
E invece no.
Un paio di braccia iper veloci arrivano in mio soccorso bloccando la rovinosa caduta a due centimetri dalla terra umidiccia, come se fossero sempre state lì in attesa di un mio inciampo che, sicuramente, sarebbe prima o poi arrivato. Mi tirano un po’ più su senza sforzo, tenendomi ancora in posizione orizzontale. Riapro gli occhi, serrati come se così avessi potuto attutire il dolore, e sbalordita riconosco gli occhi grigio chiaro e la pelle diafana di Matthew. L’espressione del suo viso sembra un indefinibile connubio di stupore, disprezzo e… sollievo?
Rimaniamo così per un po’, molto più vicini di quanto siamo mai stati in tutto il tempo per cui ci siamo conosciuti… fin quando mi decido a parlare, spinta dalle proteste della mia colonna vertebrale.
- Che diavolo… stai facendo? – domando. Un tono non particolarmente gentile da usare con qualcuno che ti ha appena, letteralmente, salvato il culo, ma abbastanza adatto per essere usato con lo stesso qualcuno che comunque sembra odiarti.
Dai suoi occhi, sembra che anche lui si sia posto la stessa identica domanda. E la risposta derivante da un ragionamento durato circa tre secondi e mezzo diventa abbastanza chiara quando, alla stessa velocità con cui ce le aveva infilate, toglie le braccia da sotto la mia schiena, realizzando così la caduta spettacolare che la natura non era riuscita a farmi fare.
Con la sensazione di avere il coccige in frantumi, mi rimetto a sedere, e simultaneamente inizio ad urlare. – Ma sei impazzito?!
- Troppo contatto – commenta, come se fosse ancora stupito dall’aver fatto una buona azione nei miei confronti. – Scusa, è l’abitudine.
- Tu sei l’essere più stupido, immaturo e sociopatico che mi sia mai capitato di avere tra i piedi! Dammi una mano – aggiungo irata, tendendogliela.
Lui mi guarda, dubbioso e molto sarcastico. – Dunque sarei un sociopatico, dico bene? – ripete, sadicamente divertito. – Non so se mi va molto di aiutarti ancora.
- Il che potrebbe essere considerata una fortuna, considerato che circa un minuto fa lo hai fatto e poi mi hai lasciata cadere come un sacco di pietre – gli ricordo, furibonda. - Dammi una mano, accidenti!
Sbuffa, un po’ contrariato, ma alla fine mi afferra la mano e mi aiuta a tirarmi in piedi. Dolorante in diverse parti del corpo, cerco di togliermi alla meglio le foglie e il terriccio dai vestiti, anche se il mio stato attuale sembra difficilmente migliorabile. Quando decido di rinunciarci, mi metto a guardare Matthew, a braccia incrociate, nello stesso modo in cui lui sta guardando me.
Ma non rimango in silenzio. – Sei un dannato idiota – sbotto.
- Ma non mi dire – commenta annoiato. – Si dà il caso che io, in perfetto stile Superman, nonché da vero gentiluomo, mi sia trovato nel posto giusto al momento perfetto per aiutarti. Direi che adesso siamo pari e ho pagato il mio debito.
- Oh, ma certo – ribatto sarcastica. – Se non consideri di avermi lasciata cadere un secondo dopo allora sì, siamo proprio pari.
- Vedi che siamo d’accordo – conclude. Gli lancio la peggiore delle mie occhiate assassine.
- Perché eri qui, comunque? – aggiungo scorbutica.
- Mentre io andavo a caccia di esseri viventi, non come te che delicata come sei puoi correr dietro solo alle piante – risponde, - ti ho per caso vista in compagnia di un lupo. Volevo soltanto vedere se almeno lui riusciva a sbranarti.
- Molto divertente – ribatto. – E perché una volta che hai capito che non lo avrebbe fatto hai continuato a starmi dietro?
- Per la precisione, ti stavo accanto – sottolinea, pignolo, - e comunque, non l’ho capito. Sono rimasto solo molto spiazzato che ad un certo punto sia stata tu a rincorrere lui e non il contrario.
- Lo stavo rincorrendo perché è scappato e volevo vedere dove andava – replico irritata. – Invece per colpa tua adesso l’ho perso.
- Colpa di chi, scusa? Sei tu ad essere inciampata. E per la cronaca, è più facile che ti perda tu nel Rifugio che un lupo nella foresta.
- Sei sempre così tignoso?
- Ti sto solo correggendo. Se tu non facessi errori, allora starei zitto.
- Magari fosse vero – commento.
- Tu sei sempre così maldestra?
- A te non è mai capitato di inciampare?
- Io sono perfetto, non lo sai?
- Che simpatico. Si vede proprio che sei il migliore amico di Pan.
Per qualche strano motivo, mi guarda in cagnesco più di prima. Ma non me ne preoccupo più di tanto; se possibile, lo guardo anche peggio.
- Dunque, siamo pari – conclude alla fine, deciso.
- Se questo è il massimo gesto di scuse che sei capace di compiere, e temo proprio che sia così – sospiro, - allora sì, siamo pari. Tregua?
Un po’ diffidenti l’uno dell’altra, ci stringiamo la mano come due nemici di guerra costretti ad allearsi. Velocemente ci stacchiamo.
- Bene, allora adesso io posso tornare a rendermi utile – salta su, sbrigativo. – Mi raccomando, porta a casa tante margherite, così possiamo finalmente trasformare il Rifugio in una serra.
- Cercherò di portarti un bel mazzo di cicuta e di infilartelo nella tua porzione di arrosto – ribatto.
- Schizofrenica.
- Sociopatico.
E detto questo, ognuno va per la sua strada, ossia dalla parte opposta rispetto all’altro.
La maniera più strana di fare pace che abbia mai usato.





bonsoir bonsoir... BAM, capitolo scritto proprio di getto in un pomeriggio privo di compiti (non è vero, devo fare una composizione in francese D:) e di sole splendente che ormai a marzo mi aspetterei di vedere. mah, in realtà è già da un po' che ho smesso di aspettarmi il bel tempo in prossimità del mio compleanno (ebbene sì, mi andava di annunciarvi che l'8 è il mio compleanno :3 cosa non fa fare l'euforia del diciottesimo...), perciò mi accontento del fatto che, per ora, non stia venendo giù il diluvio universale insieme a tutti i simpatici animaletti che non vennero salvati da Mosè. 
vabbe', tornando a noi... come dicevo, il capitolo l'ho scritto proprio di getto, senza stare a pensarci tanto. a dirla tutta, neanche l'ho riletto. perciò se vi fa schifo (com'è probabile che sia) sentitevi liberissimi di comunicarmelo e di non riaprire mai più questa fanfiction per salvaguardarvi da altri obrobri simili. 
have a nice day ^_^ xx

 

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Capitolo 19
*** Ricordi. ***


 il solito pomeriggio privo di eventi, al Rifugio. quando qua non si organizza una spedizione per trovare del cibo o una Caccia al Tesoro, c'è davvero poco da fare. è che i Ragazzi, almeno quelli più piccoli, sembrano vivere in quasi totale empatia con Peter: quando si trova in uno stato di attività irrefrenabile, loro si comportano allo stesso modo. quando lui si stravacca sul divano senza neanche l'ombra di un pensiero, come adesso, anche loro sembrano privi di qualsivoglia desiderio di movimento. il lato migliore della cosa è che, per una volta, posso anche rilassarmi senza avere ragazzi tra i piedi che ammazzano il tempo picchiandosi. il lato negativo è che, dopo un po', leggere troppo stanca perfino me.
Matthew sospira, muovendo una pedina della scacchiera. oggi nemmeno lui e Noah sembrano in vena di giocare a scacchi, che di solito è il loro pretesto preferito per dare il via a una rissa scatenata dal perdente a cui poi si uniscono tutti gli altri. - quando in giro c'è bisogno di un po' di disordine da placare, nemmeno l'ombra di un Pirata. fuori c'è più silenzio che in un mausoleo.
Noah si tira un po' più su, appoggiandosi al gomito e sfoderando un sorrisetto provocatorio. - vorresti per caso dirci che ti manca Alec?
il nome mi scatena qualcosa nella mente: come un flashback, mi appare il lampo di un uomo molto alto, dalla pelle cotta dal sole e gli occhi dello stesso colore del mare dell'Isola, il destro attraversato da una pallida e sottile cicatrice. Alec è il secondo Pirata più temuto di Neverland, il secondo ufficiale della Jolly Roger. dalla memoria riemergono le storie raccontate da un gruppo di Indiani intorno a un falò, dei mille scempi e delle razzie compiute da quell'uomo prima che si unisse a Hook. a detta loro era spietato, scaltro, e forse più crudele del suo Capitano. ma non riuscivo a focalizzare che cosa potesse avere a che fare con Matthew.
alzo gli occhi dal mio libro per guardarlo, e lo vedo tirarsi indietro i capelli già scarmigliati per conto loro, con sul volto un sorriso così svagato che mi sorprendo. non pensavo che nel repertorio delle sue espressioni fossero compresi anche i sorrisi. - be', tornare a lottare come ai bei tempi non sarebbe una brutta cosa.. se non altro, ci sarebbe un po' di divertimento, ora che siamo quasi ad armi pari.
- quasi? - chiede Noah, inarcando un sopracciglio.
- io sono sempre il migliore - chiarisce lui, ammiccando.
mentre Noah alza gli occhi al cielo, vedo mio fratello John animarsi e rivolgere tutta la sua attenzione a Matthew. - Matt, ci racconti di come tu e Alec avete combattuto sulla Jolly Roger?
- magari un altra volta, Johnny - risponde lui, accennando un sorriso e alzando una pedina per annunciare la sua resa per poi andare a distendersi su un pouf rimasto libero. - tutto questo non far niente è stancante.
John continua a guardarlo, un po' deluso, ma alla fine si fa distrarre da Michael, Josh e Dave, che iniziano a proporgli un piano per entrare di nascosto nell'Accampamento degli Indiani. anch'io provo un po' di disappunto: ero proprio curiosa di scoprire se, almeno una volta, anche Matthew ha compiuto un'azione degna di nota che non fosse rinchiudere a chiave persone claustrofobiche.
- sentite, io mi sono stancato - salta su Noah, facendo voltare tutti. lui si alza e ci restituisce uno sguardo determinato. - non è possibile che solo perché il nostro capo è un pigrone - e lancia un'occhiata di disgusto a Peter, che nemmeno ha aperto gli occhi - dobbiamo lasciarci condizionare anche noi. questa sera andremo in spiaggia, accenderemo un falò e ci divertiremo. sono stato abbastanza chiaro?
rimaniamo tutti ammutoliti da questa sua uscita, ma evidentemente deve averlo preso come un assenso, perché fa un cenno deciso con la testa e esce, intenzionato a fare chissà cosa. Matthew è il più spiazzato di tutti.
Peter, degnandosi finalmente di alzare una palpebra, rivolge uno sguardo divertito nella sua direzione. - e poi dovresti essere tu il capo in seconda - commenta con un ghigno, prima di rimettersi a sonnecchiare.


bisogna ammettere, però, che per essere una cosa organizzata su due piedi nel giro di poche ore, Noah ha fatto un gran bel lavoro. non solo ha racimolato abbastanza legna da tenere il falò acceso almeno per tutta la notte, ma ha anche preparato abbastanza cibo da sfamre un piccolo esercito e perfino convinto qualche volenteroso indiano a unirsi a noi e rallegrare l'atmosfera con un po' di musica. tutto questo da solo, e solamente per garantire un po' di svago ai suoi amici. sembra quasi una follia, eppure nessuno, a parte me, ne sembra particolarmente sorpreso.
dopo un lungo bagno in mare a cui nessuno ha saputo resistere, decido che è arrivato il momento di uscire prima di lessarmi definitivamente. strizzandomi i capelli con ancora un lieve sorriso sul volto, arrivo fino al grande falò, nei cui pressi è rimasto soltanto Peter. incredibilmente, è stato l'unico a non unirsi alla nuotata notturna. chiunque sarebbe indotto a pensare che possa sentirsi offeso dalla perfetta organizzazione di Noah, alla quale avrebbe, come minimo, dovuto pensare lui, o almeno aver partecipato; ma la sua espressione è fin troppo serena per poter mantenere questa convinzione per più di due secondi. allora, incuriosita, mi avvicino a lui, afferrando un telo da spiaggia e avvolgendomici prima di sedermi. 
- bella festa - commenta, con un sorriso così pacifico da farmi quasi pensare che abbia raggiunto il nirvana.
- eppure non mi sembri molto coinvolto - replico, guardando i riverberi rossastri sulla sabbia umida. - qualcosa non va?
- al contrario. questa è una delle serate migliori che abbia mai passato. 
- addirittura?
- sì. vedi, in fondo la felicità è anche questo: vedere le persone che ami divertirsi e stare bene, anche senza il tuo aiuto. vuol dire che come capo non faccio poi così schifo.
rimango spiazzata per un secondo. - lo sai cosa hai appena detto?
- qualche sproposito?
- no. affatto. - mi volto a guardarlo, sebbene il suo sguardo sia ancora fisso sulle basse onde. - hai appena dato la dimostrazione concreta che come capo non fai per niente schifo. non ti avrei detto così profondo.
il suo sorriso si allarga appena, senza una minima traccia della sua solita presunzione. siamo sicuri che stia parlando con Peter Pan? - sai, li ho visti crescere, e per come potevo ho anche cercato di aiutarli. in un certo senso, si può dire che siano i miei bambini. sapere che senza di me, probabilmente, non sarebbero neanche su quest'Isola, mi fa sentire un po' meglio. ho insegnato loro a procurarsi cibo, acqua, a difendersi.. a sopravvivere.
- come un piccolo guru - commento, divertita.
- più o meno - risponde, anche lui sorridendo.
per qualche secondo restiamo in silenzio, interrotto solo dagli schiamazzi dei Ragazzi, ancora intenti ad azzuffarsi in acqua. poi, osservando Matthew sulle spalle di Quentin e Andrew su quelle di Noah che cercano di buttarsi giù a vicenda, mi torna in mente la curiosità che mi aveva accompagnata per tutto il pomeriggio fino all'inizio della festa.
- hai presente quando prima John ha chiesto a Matthew di raccontargli di quando ha combattuto con Alec?
- sì - risponde, vago. - non dormivo così profondamente.
- di cosa stavano parlando?
- non ti ricordi la storia?
- no - rispondo, alzando le spalle. - dovrei?
Peter sospira. - Matthew è stato il primo dei Bimbi Sperduti ad arrivare sull'Isola. all'inizio era un bambino spaventato che voleva solo tornare a casa, e non aveva la minima intenzione di accettare il mio aiuto. quando poi, dopo diversi giorni, me lo sono ritrovato davanti mezzo morto di fame e tutto scarmigliato con gli occhi gonfi di lacrime, l'ho quasi costretto a rimanere con me. non potevo fare altrimenti: anche se dimostravo già i primi segni di bastardaggine, sapevo che sarebbe morto se non avessi fatto qualcosa per aiutarlo.
annuisco, cercando di tornare con la mente a quando Matthew era piccolo e di figurarmelo come Peter l'ha appena descritto.
dopo qualche istante, riprende il suo racconto. - per farla breve, dopo che gli ho insegnato un po' ad adattarsi a questa vita, si è accorto che non stava poi così male, e ha deciso di restare. credo che sia stato allora che siamo diventati migliori amici.. ne è passato di tempo. comunque sia, un giorno, quando a noi si erano ormai aggiunti anche Noah, Andrew e Quentin, tornai all'Albero dell'Impiccato e non trovai nessuno. mi prese un sospetto che, quando andai a controllare, si rivelò esatto: erano stati catturati dalla ciurma di Hook, che appena mi vide mi ingiunse di consegnarmi in cambio della loro salvezza. non avevo altra scelta. venni immobilizzato e avevo Hook davanti a me, già pronto a realizzare la sua vendetta per averlo privato di una mano. Alec si lasciò andare ad un infelice insulto a tutti noi, a me in particolar modo. non so come successe, ma Matthew non ci vide più: riuscì a liberarsi dalle corde che gli legavano le mani e si avventò contro Alec, strappando via la spada dal fodero di un Pirata. fra lo sgomento generale, di Alec per primo, cominciarono a combattere; approfittando del momento mi liberai anch'io, e così eravamo in quattro a duellare. non sono riuscito a vedere come andò, ma da quanto mi hanno raccontato gli altri, so che Matthew si batté con maestria invidiabile, specie per un ragazzino che affrontava un uomo fatto e finito, che per di più non aveva scrupoli nel prendersela con uno che non aveva nemmeno un quarto dei suoi anni. alla fine fu lui ad avere la meglio: gli inferse quella famosa cicatrice che, dal sopracciglio allo zigomo, è spezzata solo dall'occhio. poco ci mancò che lo accecasse, ma se fosse stato meno lucido avrebbe fatto di peggio. invece decise che la salvezza dei suoi amici era più importante, e li andò a slegare, mentre io quasi per miracolo sfuggivo ad Hook. 
rimango in silenzio, vedendomi la scena davanti come se la dipingessero: la furia di un bambino, la crudeltà di un uomo.. è quasi troppo surreale, ma qua ho imparato che niente è impossibile. soprattutto quando si tratta di Bimbi Sperduti e Pirati. come ho fatto a dimenticare una storia simile? quasi mi pento di aver pensato male di Matthew fino ad ora.. quasi. 
Peter sembra tornare alla realtà con un piccolo sussulto. perfino lui si era perso nel suo stesso racconto. - da quel momento in poi, Alec e Matthew sono diventati nemici giurati. ho il sospetto che entrambi covino l'attesa della resa dei conti in placido silenzio, sapendo che alla fine toccherà ad uno dei due. lo so - aggiunge, facendo ricomparire come per magia uno dei suoi sorrisi, - sembra quasi il risvolto di copertina di un libro un po' scadente. non sono bravo a raccontare.
- è avvincente, invece - riesco solo a dire, ancora un po' impressionata. - sarei proprio curiosa di vedere Matthew all'opera..
- stenderebbe pure me, credimi - mi assicura ridendo. detta da lui, mi sembra un'affermazione quantomeno straordinaria: quando mai ha ammesso di non essere il migliore in qualcosa?
dal mare, Matthew fa cenno a Peter di unirsi a loro, ma lui rifiuta con un gesto. è tornata la sua espressione pacifica da monaco buddhista. 
- e Noah? - mi viene in mente di chiedere. - mi ricordo che lui ha un fratello, se non sbaglio.
- Chase - conferma lui, senza lasciar trapelare alcuna emozione. - ricordi? anche lui era un Bimbo Sperduto. ma non so dirti molto: un giorno Noah tornò dicendoci che Chase si era unito ai Pirati, e nient'altro. ci scandalizzamo tutti, Matthew più degli altri, ma Noah ci assicurò che aveva avuto la sua buona ragione, e che se lo perdonava lui, dovevamo riuscirci anche noi. credo che nessuno ci sia riuscito fino in fondo. 
- e tu?
- io mi fido di Noah.. se lui ha detto così, allora ci credo. non riesco ad immaginare cosa possa aver spinto Chase ad unirsi a Hook, ma se fino ad ora non gli ha mai rivelato dove ci nascondiamo, penso che in fondo non sia poi così cattivo.. nonostante le apparenze.
su questa nota misteriosa, veniamo interrotti dal ritorno dei Ragazzi, fradici e più scalmanati del solito.
- si può sapere cosa state facendo, voi due? - domanda Andrew, in tono di rimprovero.
- c'è una festa, se non ve ne siete accorti - aggiunge Quentin, contrariato.
- ho pensato che potevo prendermi la serata libera - risponde Peter, distendendosi sui gomiti per avere una visuale migliore della mini folla minacciosa che ci sovrasta.
- puoi anche scordartelo - risponde Dave, ammiccando. 
- al tre? - chiede Noah, scambiandosi un'occhiata d'intesa con Matthew. 
invece non aspettano neanche un microsecondo: si precipitano su Peter e lo sollevano di forza, come se pesasse venti chili e fossero insensibili ai suoi dimenamenti, per correre fino a dove il mare diventa quasi profondo e scaraventarcelo dentro.
ridiamo tutti quando quei tre cominciano ad azzuffarsi e a tentare di affogarsi. ma quando i Ragazzi si voltano verso di me con dei ghigni piuttosto preoccupanti, mi alzo e comincio ad indietreggiare. 
- io sto bene qui - dichiaro, alzando le mani.
- ci hai provato, Wendy - ribatte Michael, sorridendo. Andrew, Quentin e John mi si avvicinano e inizio a scappare, con tutti loro che mi corrono dietro. inutile dire che mi riprendono nel giro di due minuti, quando sfinita mi piego con un fiatone che farebbe invidia ad un maratoneta. mi arrendo a subire lo stesso destino di Peter, senza però negarmi la soddisfazione di dare un paio di morsi i miei aguzzini e di ribellarmi il più possibile prima di finire dritta in mare con un tuffo di quasi due metri.





..l'ho fatta un po' troppo lunga? scusate.

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Capitolo 20
*** Rabbia, delusione, disprezzo. ***


Sono un genio. Sono un fottuto genio. Nell'intero corso delle loro inutili vite, le Sirene non hanno mai saputo rendersi così utili.
Già, perché proprio oggi hanno deciso che stasera avrebbero dato una festa. Ed io, che non avevo neppure un accenno di voglia di metter piede fuori di casa, stavo per lasciarmi convincere ad andarci, considerando pure che la mia presenza è stata specificatamente richiesta. Ma poi, Wendy ha parlato. "Col cavolo che io ci vengo." Seguita da una decina di termini non particolarmente lodevoli riferiti alle Sirene, quella frase mi ha dato l'illuminazione. Io non avevo voglia di partecipare. Lei neppure. A dire la verità, neanche i Ragazzi erano esattamente entusiasti, ma onestamente, quando ricapiterà che io e Wendy rimaniamo da soli col Rifugio disseminato di rhum e dolciumi diabetici rimediati dalla mia ultima gita a Londra? D'accordo, sarò stato un po' scorretto nei confronti dei miei amici, ma ho dovuto obbligarli a togliersi di torno per stasera. 
Perciò, come dicevo, sono un fottuto genio.
Ed effettivamente, la serata non sta andando affatto male, specialmente per i nostri standard. Di solito non passa un pomeriggio senza che io e Wendy ci battibecchiamo almeno un po'. O senza che io la prenda in giro perché se ne sta tutto il giorno in un angolo a leggere con quegli occhiali enormi da gufo. O senza che lei mi insulti in tutte le lingue che conosce - e, purtroppo per me che ne capisco solo una, non sono poche - perché mi faccio scappare qualche battutina per provocarla. Insomma, non siamo mai stati così amichevoli. In un certo senso, è strano. In un altro senso, invece, la cosa mi fa terribilmente ben sperare.
- Sai, Pan, mi costa molto ammetterlo - commenta Wendy, ficcandosi in bocca cinque o sei caramelle gommose tutte insieme, - ma questa è stata una delle idee migliori che tu abbia mai avuto.
Il mio cuore salta un battito. 
- Non avrei sopportato di passare una serata intera con quelle stupide trote - continua poi, facendomi riprendere a respirare normalmente.
Cercando di rallentare i battiti, rispondo: - Migliore anche di quando ho deciso di venire a salvarti da una vita monotona confinata nella Londra bene per riportarti quaggiù?
- Se la battono alla pari - risponde lei, ammiccando e bevendo una sorsata di rhum che le fa strizzare e lacrimare gli occhi. - Certo che è tosto - mormora.
Mi astengo dal prenderla in giro; in tutta sincerità, neppure io so come diavolo facciano i Pirati a buttar giù intere bottiglie di questa roba ogni dannata sera. E poi, mi è tornato alla mente un dubbio che, negli ultimi tempi, soprattutto quando vedo Wendy persa nel suo mondo, senza nemmeno un libro in mano, mi sta un po' tormentando. 
Prima di domandare, bevo anch'io un goccio di quell'intruglio incendiario. - Non ti manca neanche un po'?
- Che cosa? - chiede, distratta.
- Casa tua. La tua vita di prima.
- Non direi - risponde, abbassando gli occhi. - Voglio dire, quando ero là, le uniche cose che mi trattenevano dall'andarmene erano i miei fratelli, che adesso sono qui con me, e un po' mia madre.
Non so perché, ma il cuore che si era miracolosamente calmato sta cominciando ad accelerare di nuovo. E avverto una fitta allo stomaco. - Com'è... averne una?
Wendy sospira. - Normalmente è bello - risponde, con un sorrisino amaro. - Averne una come la mia è strano. Perché sembra sempre che sia dalla tua parte, ma che non abbia il coraggio di dirlo, e che poi si faccia convincere da tuo padre che essere severi con i figli è la cosa migliore, che va fatto per il loro bene... Scusa - dice alla fine, - sto divagando. In fondo, sì, è bello avere una mamma. Una mamma non ti lascia mai da solo. E' sempre, o quasi, lì per te.
Adesso sono io ad abbassare gli occhi. E non è tanto per il fatto che io, un affetto del genere, non credo di averlo mai provato. E' più perché lei lo prova. E ne parla con una voce talmente emozionata, tanto piena d'amore che... non lo so. Non è invidia, non è gelosia. E' più che altro paura.
Perché ho paura?
Rimango in silenzio.
Dopo qualche secondo è Wendy a parlare. - Ehm... Peter?
Non rispondo. Non saprei nemmeno cosa dire.
Poi ci riprova, più seccata. - Peter.
Forse non è paura. Forse è solo l'acol che mi fa sragionare.
Alla fine sbuffa. - Pan, se non ti degni di considerarmi entro dieci secondi, ti ficco in bocca diciassette marshmallows e li uso per soffocarti. 
Controvoglia, rialzo gli occhi. E lei è lì che mi fissa.
- Che c'è? - domanda, in un tono dolce che non ha mai usato neppure con Michael.
Scrollo le spalle. - Una mamma non è l'unica persona che resterà sempre vicina a te - borbotto. 
- Lo so - risponde, spiazzata.
- Non c'è solo la famiglia - continuo, scocciato. - Ci sono persone che darebbero la vita per te anche se non sono tuoi parenti, persone che ti vogliono bene. Ci sono gli amici. 
- Lo so, Peter - ribatte a occhi sgranati. - Perché dici questo?
- Perché sembra che ogni tanto tu te ne dimentichi - rispondo. - Da come ne parli, e da come ti comporti ogni tanto, pare che da un giorno all'altro tu possa decidere di piantarci in asso per tornare da tua madre, nonostante mi sembra che tutti noi facciamo il possibile per farti stare bene.  
Un secondo dopo aver chiuso bocca, mi rendo conto di aver detto una grande cazzata. E vorrei soltanto che le parole fossero fatte di una qualsiasi materia, così potrei riafferrarle al volo, cacciarmele in gola e fare come se non ne fossero mai uscite.
Purtroppo non posso. E pare che Wendy quelle parole le abbia sentite fin troppo bene, perché alza gli occhi su di me con un'espressione che farebbe rimpiangere di essere nato perfino a satana.
- W-Wendy, mi dispiace - balbetto, - ho solo...
- ...dato fiato alla bocca? - mi interrompe lei, sprezzante. - Me ne sono accorta, Pan. 
- Non volevo... - cerco di dire, ma mi interrompe di nuovo.
- Sai, se pensi che io sia un'ingrata, potevi dirlo subito - sbotta, alzandosi in piedi, - così me ne sarei andata prima.
Senza darmi il tempo di rendermene conto, vola come un razzo fuori dall'Albero.
- Wendy, aspetta! - urlo, prima di lanciarmi al suo inseguimento alla velocità della luce.
Volando come credo di non aver mai volato in vita mia, riesco ad intercettarla in una radura poco lontana. Con l'ultimo sforzo, riesco a superarla e bloccarle la strada, costringendola a frenare. Si ferma a mezz'aria con i capelli che le svolazzano minacciosi attorno al viso, guardandomi furibonda a braccia conserte.
- Togliti - mi ordina, secca.
- Ascoltami - cerco di dire, - lo so che mi sono espresso male...
- No, tu ti sei espresso benissimo - ribatte lei, tagliente. - Ho capito, d'accordo? Evidentemente non è sufficiente dire addio alla propria famiglia, bisogna anche dimenticarla, altrimenti il povero Pan potrebbe avere delle crisi di inferiorità!
- Non intendevo dire quello...
- So perfettamente di avere degli amici, e so molto bene anche gli sforzi che loro fanno per farmi sentire a mio agio qua...
- Ma infatti...
- ...ma tu non riesci a fare lo stesso! Devi per forza rinfacciarmi il fatto di avere avuto dei legami, nonostante le migliaia di volte in cui ti avrò ripetuto quanto i miei genitori mi abbiano fatto soffrire, quanto io stessi male a Londra... Non riesci proprio a capirlo, vero?
- Wendy, per favore...
Ma non mi lascia finire. Mi supera con una spallata, e dopo qualche metro scende a terra, continuando a camminare. - Dove te ne vai? - Non mi risponde. Ma non posso permettere che mi lasci così. Perciò la riprendo con una volata, e la costringo nuovamente a fermarsi. - Wendy - dico, implorandola con gli occhi,  - dove stai andando?
- Tranquillo - risponde, con una risata sprezzante e amara, - non ho la minima intenzione di tornare a Londra. Vedi, per quanto il tuo ego possa essere ingombrante, qua non ci sei solo tu. 
- L'Isola è pericolosa di notte... 
Ma non mi dà ascolto. Mi gira attorno, e non riesco a fermarla un'altra volta.
Perché quando mi ha guardato prima di andarsene, nei suoi occhi ho visto solo rabbia, delusione, disprezzo. Un'incredibile freddezza che ha ghiacciato il blu delle iridi, come l'inverno fa con l'acqua. 
Uno sguardo che mi ha fatto capire che, stavolta, l'ho combinata davvero grossa.
E adesso, non so che cosa fare.





va bene, faccio schifo. e non solo perché questo capitolo mi sembra incredibilmente tirato via (e perciò vi chiedo umilmente perdono), ma soprattutto perché mi sto rifacendo viva dopo due mesi che non facevo neanche uno straccio di aggiornamento. potrei stare qui ad elencarvi tutti i motivi che mi hanno tenuta lontana da questa storia (tra cui enumero, per chi fosse interessato, un'incredibile quantità di roba da studiare e il mio patetico piangermi addosso, nonché un pizzico di pigrizia), ma sarebbe un'inutile perdita di tempo. per cui, voglio solo dirvi che mi dispiace, ma veramente tanto, perché tengo moltissimo a questa fanfic e non vorrei certo dare l'impressione di averla abbandonata. davvero, sono desolata di aver fatto attendere così tanto chiunque mi stia seguendo, e siete liberissimi di prendermi virtualmente a sassate. anche concretamente, se qualcuno si trova nelle vicinanze. me lo merito.
allora, ribadendo che questo capitolo non mi piace e che avrei voluto trovare frasi più adatte per scriverlo (l'idea di fondo almeno è rimasta), vi avviso che non so se riuscirò a pubblicare regolarmente (anche se il prossimo capitolo probabilmente arriverà presto, ora che ho ripreso il via), per i seguenti motivi:
- studio matto e disperatissimo dovuto alle due dannate materie che devo assolutamente far arrivare al 6 in un tempo maledettamente stretto, che corrisponde esattamente a 8 giorni, di cui solo 4 ore sono effettivamente destinate alle suddette materie (qualcuno mi aiuti D:);
- un soggiorno di 3 settimane in Spagna. no, non vado esattamente a darmi alla pazza gioia, perché saranno 3 settimane di lavoro. già di per sé l'idea mi terrorizza.
ad ogni modo, giuro su qualsiasi cosa vogliate che non aspetterò mai più così tanto prima di pubblicare di nuovo. davvero, provo una gran sensazione di disgusto per me stessa.
detto questo... grazie a chi non si sarà dimenticato di questa storia e continuerà a leggere, e grazie a chi comunque ha letto fin'ora. xx

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Capitolo 21
*** Dolore. ***


Bene. Facendo il punto della situazione, sono fottuto.
È da quella maledetta notte che Wendy non mi rivolge la parola, nemmeno quella più cattiva e dolorosa. Neanche uno sguardo che non sia di puro disprezzo o odio. È diventanto impossibile non solo tentare di parlare, ma anche pensare di avvicinarla; ogni volta che ci provo, sembra circondarsi magicamente di persone che, fino ad un attimo prima, ero sicuro che neanche ci fossero.
Ed io non so come fare.
Perché, dannazione, mi fa male. E non è la delusione per non essermi portato a letto una ragazza bellissima, né il crollo dell'autostima che potrebbe derivarne, o l'idea di aver fallito. Niente di tutto questo al momento, davvero, riesce a deprimermi.
È solo la sensazione, vera e ineluttabile, di averla persa. 
È come avere i polmoni pieni d'acqua e sentirsi affogare in un'oscurità sempre più nera e e opprimente ogni volta che tenti di respirare. Guardarla ogni giorno da lontano immaginando che prima o poi, se non avessi rovinato tutto, avrei potuto guardare i suoi occhi da vicino, accarezzandole i capelli prima di baciarla ogni volta che avrei voluto, pensare che potrei essere io a farla ridere come ride, di quel modo così bello, mi fa sentire come se una spada mi trapassasse da parte a parte e venisse rigirata lentamente, con calma studiata, nello stesso punto, senza posa. E guardarla mi ricorda incessantemente che sono un maledetto idiota, perché sono io che l'ho mandata via, è solo colpa mia se l'ho persa. 
E non so nemmeno perché accidenti tutto questo mi faccia sentire come se avessi perso qualcosa di un po' più vitale. Tipo l'uso delle gambe. A confonto sembra niente.
- Oh, smettila - sbotta Noah, indispettito. - Tu sai perfettamente perché ti senti così.
- Per favore, non farglielo dire - si lamenta Matthew a bassa voce, tenendosi le mani sullo stomaco. - È stato talmente melenso che temo mi sia venuto il diabete.
- Scusa tanto se non ho la proprietà linguistica di uno scaricatore di porto - ribatto irritato. - Ma almeno sei stato a sentire quello che ho detto?
- Sì, sì - risponde lui, annoiato, sdraiandosi pigramente sull'erba fresca. - Ti stai struggendo di dolore per una psicopatica, e anche se ne conosci benissimo la ragione, ti rifiuti di dirla ad alta voce perché sei un orgoglioso egocentrico e vuoi che siamo noi a cavartelo di bocca con la forza. Be', mi dispiace se non alimento il tuo bisogno di attenzioni e sicurezze.
- Sai, Matthew - dico lentamente, guardandolo, - è da diversi giorni che sento la necessità di spaccare il muso a qualcuno, ma ancora non mi si era presentata l'occasione giusta.
- E allora? 
- Mi sa che adesso è arrivata.
- Ora basta - interviene Noah, snervato. - Peter, tu non hai voglia di picchiare nessuno se non te stesso, quindi se proprio devi sfogarti cacciati un dito in un occhio. Quanto a te - aggiunge, guardando con disgusto Matthew pulirsi un orecchio con il mignolo, - se proprio non riesci ad essere incoraggiante, almeno stai zitto.
- Agli ordini, sergente - recita lui facendo il saluto militare.
Noah alza gli occhi al cielo, probabilmente invocando tutte le entità divine che conosce affinché scaglino una valanga di fulmini dritto sulla testa di Matt, ma poi torna a rivolgersi a me con aria molto seria. - Avanti, ammettilo.
Sento Matt sbuffare. - Ammettere cosa? - domando nervosamente.
- Ammettere quello che provi per Wendy - ribatte lui. - Quello che provi veramente per Wendy.
Incrocio le braccia al petto, sulla difensiva. - Non so proprio di cosa tu stia parlando.
- Oh, per l'amor del cielo - sbuffa Noah, mentre da dietro di noi arriva l'eco di una specie di suono strozzato. Quando mi volto a guardare Matthew, però, sulle sue labbra non aleggia nemmeno la parvenza di un sorriso. Noah gli scocca solo un'occhiataccia piena di fastidio prima di rigirarsi. - Peter, è da un'ora che non fai altro che parlare di quanto ti manchi Wendy, di quanto ti stia facendo male e tutte quelle cose sdolcinate che spero di non sentirti ripetere mai più...
- Sì, be' - replico, - eravamo amici...
- Se permetti - interviene Matt, divertito, - dubito che se tu litigassi con me o con Noah ti metteresti a parlare con Wendy di quanto ardentemente vorresti baciarci...
- Ha ragione - conviene Noah a denti stretti.
- E quando non ce l'ho? - replica l'altro, facendo spallucce.
Noah decide, con molto buonsenso, di ignorarlo. - È inutile che continui a negarlo a te stesso. Ormai, che differenza fa?
- Già, perché se invece dico ad alta voce quello che tu vuoi sentirmi dire, Wendy tornerà da me chiedendomi scusa a braccia aperte, vero?
- Tecnicamente - precisa Noah, - sei tu che dovresti scusarti con lei.
- Non dovevi stare zitto? - sbotto. Matthew si chiude la bocca con una chiave invisibile. Alzo gli occhi al cielo. - E comunque, mi sono già scusato - borbotto. - Reiterate volte, e non mi sembra che sia servito a qualcosa.
- Io credo - riprende Noah, come se non fossimo mai stati interrotti - che tu non sei il tipo che si arrende così facilmente. Forse ammettere di amare Wendy non la farà cadere ai tuoi piedi come se nulla fosse, ma potrebbe essere una specie di... spinta. Insomma, devi capire che non puoi lasciarla semplicemente andare così. E devi capire che se la rivuoi così intensamente come dici, devi soltanto andare a riprendertela.
Almeno stavolta, Matthew ha il buon gusto di non aggiungere niete. Ma io scuoto la testa. - Non è... proprio così semplice come vuoi farla sembrare. Ho calcato anche troppo la mano, con Wendy, e per quanto posso vedere non mi ha mai portato a nulla.
- Ma adesso... - tenta di dire Noah.
- Adesso cosa? - lo interrompo stancamente. - Davvero pensi che basterebbe dire che la amo, cosa di cui non sono nemmeno tanto sicuro, per cancellare tutto?
Noah sgrana gli occhi. - Cosa vorrebbe dire che non ne sei nemmeno tanto convinto?
- Amare qualcuno non significa ferirlo - rispondo in tono piatto. - Ed è quello che ho fatto io.
- Non puoi basarti davvero su questa... sottospecie di massima da quattro soldi per stabilire...
- E invece sì - lo interrompo a bassa voce. D'un tratto, mi sento come se avessi dovuto sorreggere per una settimana il peso del mondo intero; schiena a pezzi, mal di testa, e una gran voglia di tranquillità. - Senti, ho ferito Wendy, l'ho persa, e lei ha tutto il diritto di avercela con me finché le pare... Io sicuramente non la obbligherò a parlarmi, se non vuole, e se anche questo dovesse voler dire continuare per sempre a stare... così, be', vorrà dire che mi ci abituerò. Per quanto mi riguarda, non c'è altro che posso fare.




In realtà, Peter non pensava davvero tutto quello che aveva detto; dio solo sapeva quanta voglia aveva di correre incontro a Wendy, stringerla tra le braccia finché gli avessero fatto male e sussurrarla che le dispiaceva all'orecchio, insieme ad un mucchio di altre melensaggini, solo nella speranza che lei lo avrebbe perdonato. Ma non lo fece, forse per paura, forse perché era stato sincero quando aveva detto che non era sicuro di amarla. Forse perché, col passare dei giorni, quel dolore che aveva al petto cominciava a farsi sempre un po' più sordo. Peter stava iniziando ad estraniarsi sempre di più dalla sua solita vita; gli capitava di ritrovarsi seduto in mezzo al bosco e non ricordarsi nemmeno di esserci arrivato, o di passare ore a fissare il soffitto di legno della sua stanza completamente perso nell'oblio. Per lui, smettere di pensare era l'unico modo di smettere di pensare anche a Wendy, anche se questo significava abbandonarsi ad un'apatia che davvero poche cose potevano risvegliare.
Finché un giorno...






ta-dà! I'm back! anche se con un capitolo che forse è uscito un po' male... non era esattamente come lo avevo immaginato, e sì, mi rendo perfettamente conto che quella specie di intermezzo finale è un'espediente davvero orribile, ma proprio non avevo idea di come legare questo capitolo al prossimo se non con una marea di altri capitoli inutili e potenzialmente noiosi... okay, riprendo fiato.
insomma, questo è, e mi pare che non ci sia molto da aggiungere. naturalmente, se avete dubbi o cose varie basta chiedere c:
per la cronaca, penso che da adesso riuscirò ad aggiornare un po' più spesso, anche se non prometto niente... nel frattempo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto (:
hasta luego y que aprovechen la vida! parentesi spagnola che non mi potevo proprio evitare c: xx

 

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Capitolo 22
*** A Volte Basta Poco. ***


Wendy's.

Confusa e inquieta.
Sono giorni che mi sento così. Solo così, come se non esistessero altre emozioni.
E più che giorni, sarebbe meglio dire settimane. Non un numero spropositato, ma pur sempre settimane, e non ce la faccio più a sentirmi talmente soffocata nel Rifugio da avvertire il bisogno continuo di uscire e stare fuori per ore, semplicemente vagando a qualsiasi ora del giorno, sole, stelle, caldo o freddo che sia.
E so perfettamente di chi è la colpa.
All'inizio, avevo ben pensato di attribuirla a Pan. Insomma, come osa aggirarsi per l'Albero con l'aria di un cane bastonato e abbandonato? Come si permette di guardarmi con quell'aria da cucciolo ferito a morte quando pensa che io non possa accorgermene? Ero io che dovevo sembrare ferita, io quella maltrattata. Non aveva diritto di farmi sentire in colpa per qualcosa che aveva combinato lui.
Certo. All'inizio, forse.
Ho continuato a pensarla in questo modo fino alla notte in cui ha cominciato a sparire. Dormivano tutti tranne me, e l'ho visto. Usciva di soppiatto come temendo che qualcuno potesse svegliarsi e impedirglielo. Quella notte non ho chiuso occhio, e lui è tornato il mattino dopo, infilandosi in camera sua per uscirne poche ore dopo fingendo di aver avuto un meraviglioso sonno ristoratore. Ma è risuccesso, la notte dopo, e quella dopo ancora, finché non ha iniziato ad andarsene anche nel mezzo della giornata, senza avvertire nessuno, e ogni volta che tornava dai suoi occhi mancava sempre un pezzetto in meno, finché non è rimasto che il niente di adesso, due orbite vuote prive di emozioni. Da lì la mia sicurezza ha cominciato a vacillare, e ogni volta che incontro lo sguardo di Matthew - che, al contrario, sembra essere diventato più espressivo del solito - mi sento sempre più piccola, perché mi accusa di essere quel piccolo mostriciattolo cattivo che ha ferito il suo migliore amico, quello che non ho mai creduto di essere... E infatti, non ci volevo credere. Chi sono io per devastare a tal punto una persona, specialmente qualcuno come Peter, che era sempre sembrato così indistruttibile? Non ho mai pensato di avere un tale ascendente nemmeno sui miei fratelli, figuriamoci su qualcuno che, fino ad allora, avevo ritenuto completamente privo di sentimenti. Ma le conferme avute da Andrew, Quentin, Dave e Josh sul fatto che Peter non ha avuto altre discussioni con nessuno, né si è cacciato in qualche misterioso guaio irreparabile, hanno definitivamente demolito quella parte di convinzione di essere nel giusto che ancora mi era rimasta, e che adesso è crollata, a pezzi e calpestata. 
E adesso lo so. Realizzo e sento, con ogni fibra del mio essere, che la colpa è soltanto mia. 
Anche in questo momento non riesco a pensare a nient'altro. Cammino nel bosco in quei brevi minuti che precedono il tramonto, quando la luce sembra farsi più brillante ed intensa e riesce a penetrare anche tra i rami più fitti, e penso solamente che sono stata io a ridurre Peter in questo stato: uno spettro, una persona che ha perso la sua scintilla vitale, e adesso cammina e vive solo per inerzia. 
Dovevo davvero dirgli quelle cose? Sì, lui me ne ha dette di cattive, ma io dovevo proprio non solo abbassarmi al suo livello, ma perfino superarlo? Non potevo soltanto mandarlo a quel paese e piantarla lì, facendo tornare tutto come prima il giorno dopo? Sempre questo stupido vizio di fare agli altri più male di quanto me ne abbiano fatto loro, sempre questa maledetta e incontrovertibile convinzione di esser nella ragione, mentre gli altri hanno sicuramente torto...


Michael's.

Mia sorella mi preoccupa. Mentre tutti gli altri si agitano per Peter, io non riesco a fare a meno di domandarmi cosa stia succedendo a Wendy. Lei è sempre stata quella più forte di noi tre. La meno fragile. E adesso... È come se l'avessero abbattuta con uno di quei cosi che si usano per demolire le case. A pezzi. E inquieta, più di quanto l'abbia mai vista a Londra confinata tra le quattro pareti della nostra camera.
- Hai idea - domando cupamente a John, che ha naso e occhiali affondati in un fumetto - di dove sia finita Wendy?
Mentre lui scuote distrattamente la testa, ben attento a non far cadere le sue delicate lenti,  vedo l'attenzione di Noah saettare dalla scacchiera al mio viso.
- Wendy non è qui? - domanda, come se se ne fosse reso conto soltanto adesso. Il che, probabilmente, è vero. Mai visto nessuno concentrarsi così su una partita a scacchi.
Scuoto la testa. - È uscita parecchie ore fa e non è più rientrata.
Vedo Noah impallidire appena sotto la pelle quasi abbronzata, mentre lentamente, con una calma molto attenta, anche Matthew alza gli occhi dalle pedine per puntarli su di me. Comincio a sentire una certa agitazione, anche se non so dovuta a cosa.
- Anche Peter è fuori - deduco, intuendo che è questo a preoccuparli.
Matthew annuisce velocemente. D'un tratto, sembra diventare lui quello più angosciato. - Dobbiamo andare... - dice, facendo per alzarsi.
Noah si volta verso di lui e gli mette una mano sulla spalla per trattenerlo. - No - ribatte piano. - Quante probabilità ci sono che quei due si incrocino per sbaglio su un'Isola tanto enorme?
- E se succede? - ribatte Matthew, arrabbiato. 
- Forse - sussurra Noah - è meglio così.
I due si scambiano uno sguardo, uno di quelli con cui le persone sembrano capirsi al volo, leggersi nel pensiero. Negli occhi di Matt balena un lampo di protesta, ma l'espressione insistente di Noah, fissa su di lui, alla fine sembra convincerlo, e si lascia ricadere a sedere.
- D'accordo - borbotta. - Forse... Insomma, vada come deve.
Non ho capito niente di quello che si sono detti. Ancora meno di ciò che non si sono detti. Ma se nemmeno loro si preoccupano che il loro migliore amico possa incontrare la causa della sua depressione, probabilmente vuol dire che non devo farlo nemmeno io.


Wendy's.

Mi sembra siano passate ore da quando ho cominciato a camminare, ma la luce del sole, appena più rossastra, mi dimostra il contrario: pochi minuti. Probabilmente, ad essere prigionieri della propria testa, si perde la cognizione del tempo.
Faccio ancora qualche passo, e vedo gli alberi cominciare a diradarsi. Con l'improvvisa necessità di più luce, più aria, più spazio, percorro gli ultimi metri quasi con disperazione, fin quando sbuco in una radura, la più grande e forse la più bella che abbia trovato da quando vago per i boschi. Lo spiazzo del terreno è ricoperto da un'erba folta ma dorata, cotta dal sole; sugheri, platani e pioppi hanno lasciato il posto a salici e querce, alti come il cielo e vecchi quanto il mondo. E proprio su una di quelle querce, appoggiato al tronco su uno dei rami più bassi e robusti, con una naturalezza tale da far credere che viva là sopra da tutta la vita, è seduto Peter.
Quando mi vede arrivare e fermarmi, come in stato di shock, sembra smettere perfino di respirare. 
- Wendy? - domanda, sbalordito. Come se l'ultima cosa che si aspettasse era di vedermi piombrare nel mezzo del bosco, proprio dove si trova lui, e adesso volesse soltanto trovare una via di fuga, terrorizzato.
Ma mai terrorizzato quanto me, perché tralasciando il fatto che non ho la più pallida idea di che cavolo fare adesso, c'è anche il fattore sorpresa. Peter è sempre stato così magro? Ha sempre avuto quella barbetta lunga, meno folta in alcuni punti? E quelle ombre scure sotto gli occhi, c'erano già o ha perso qualche ora di sonno?
Dio. È chiaro che l'ha persa. Sono io che l'ho visto uscire in piena notte, non gli altri. 
Cosa gli ho fatto?
Ma non posso continuare a starmene in silenzio come una stupida. Devo dire qualcosa. 
- Ciao, Peter -. Butto fuori tutto il fiato che non sapevo nemmeno di star trattenendo.
Lui si guarda intorno, circospetto. - Forse è meglio che me ne vada.
- Aspetta - lo fermo, più per disperazione che per altro. Ma che cosa gli dovrei dire? - Io... Come stai?
Peter torna a guardarmi, gli occhi socchiusi, sopreso... e, forse, perfino un po' arrabbiato. - Bene, Wendy - risponde, e mi sento quasi felice nell'avvertire quella nota di sarcasmo inesistente per un orecchio meno esperto. - Sto benissimo.
- D'accordo - mormoro, sentendomi una vera demente. - Era una domanda stupida...
Lui sospira. - Non è colpa tua.
Rimango di sasso. - Ah, no?
- Ho dato io inizio a tutto, giusto? - ribatte, e se prima mi era sembrato ironico, adesso è completamente sincero.
E non riesco proprio a capirlo. - E questo che cavolo c'entra? - chiedo, spiazzata.
Peter mi ricambia con la stessa espressione. - C'entra che è normale che tu ce l'abbia a morte con me.
- Io non ce l'ho a morte con te - replico, indignata.
Inarca un sopracciglio. - Ah, no?
Sento il rossore invadermi le guance. - Be', forse un po' all'inizio...
- E hai fatto bene - conviene lui, interrompendomi. - Per le cose che ti ho detto, avresti dovuto trattarmi anche peggio.
- Peter, non... -. Non so cosa dirti. Come fai a sembrare così convinto di quello che dici?
- Anzi - continua lui, scendendo con un salto dalla quercia per mettermisi davanti, - mi domando perché sei qui a perdere tempo con me, adesso... a fingere di essere gentile. Non devi essere gentile con me. Non lo merito.
- Peter, basta! - sbotto. Non posso sentirlo parlare così. - Perché insisti a colpevolizzare te stesso? Metti da parte la tua spropositata presunzione e riconosci che è anche colpa mia. È assurdo che debba essere io a dirtelo!
Peter si incupisce. - Mi sto solo assumendo le mie responsabilità. Non sono più un bambino.
- Nemmeno io, e lo vedo che non stai bene -. Deglutisco a fatica. - Lo vedo che scappi da tutti, anche di notte, e che hai due occhiaie che fanno un'incredibile rassomiglianza con Dracula. Credi che non sappia che è colpa mia? Anche se ci ho messo un po' per arrivarci, e anche se non capisco perché diavolo le mie parole contanto tanto per te, mi rendo conto di aver esagerato!
Perché? - ripete, fremente. Sembra stia per esplodere, con le mani lungo i fiatti convulsamente strette a pugno... Ma poi fa un lungo respiro. I muscoli tesi si rilassano, e la calma sembra tornare. - Perché siamo amici - risponde alla fine, serio. - Perché mi dispiacerebbe perderti. Mi é dispiaciuto. E continua a farmi male.
Mi guarda negli occhi con uno sguardo intenso che non vedevo da tempo, ormai. Tra noi corre una distanza minuscola, eppure così immensa.
- Anche a me dispiace - sussurro, la voce spezzata, il cuore in gola.
E poi, Peter fa esattamente l'ultima cosa che pensavo avrebbe potuto fare in questo momento.
Mi abbraccia.
Annulla quella misera distanza e mi avvolge tra le sue braccia, facendomi sentire ancora una bambina, bisognosa di protezione. È lui a consolare me, e non il contrario. È assurdo. Eppure, è un abbraccio che riesce a far sciogliere il ghiaccio che mi si era insediato nelle ossa. 
Con la testa nell'incavo tra la sua spalla e il collo, sento un breve singhiozzo scuotermi il petto. E una sensazione di calore ancora più forte invadermi da capo a piedi, e ancora il cuore che batte più forte. E il suo profumo che mi invade, familiare e buonissimo. - Scusami... - mormoro, ricacciando indietro gli aghi che mi pungono gli occhi. - Devi avermi odiata.
- Non riuscirei ad odiarti nemmeno volendo - risponde lui a bassa voce, una mano tra i capelli e l'altra a cingermi le spalle. - E poi - aggiunge, il sorriso avvertibile anche dalla voce - quando mi ricapita di sentirti chiedere scusa?
Anche a me scappa un sorriso, ma quando mi ritraggo appena per guardare Peter la mia faccia non potrebbe essere più seria. - Mai più - rispondo chiaramente. - Perciò zitto e goditi il momento.
- Agli ordini - ridacchia lui. Il suo viso, da pallido che era, sembra aver recuperato colore, gli occhi si sono illuminati. - Che dici, torniamo al Rifugio?
- Ma sì - sospiro, sciogliendo definitivamente l'abbraccio. - Mi sembrano passati secoli dall'ultima volta che ho passato un po' di tempo con John e Michael.
- Ed io sento che non riuscirò a sopportare i commenti di Matt - borbotta lui. - Ha detto che la mia barba è scandalosa.
- A me piace.
Io e Peter ci voltiamo a guardarci, entrambi sbalorditi; chi ha parlato? Ma quando mi rendo conto che, nelle vicinanze, non c'è nessun altro oltre a noi, mi rendo conto di essere stata io a dirlo.
Oddio, l'ho detto davvero?
Torno a guardare Peter, terrorizzata di me stessa e ancora scossa. Ma che diamine avevo per la testa? Eppure, lui sembra un po' compiaciuto, e sorride. - Grazie - risponde. - Ricordati di dirlo a Matthew, quando lo vedi.
Ricambio il sorriso, un po' riluttante. E non solo per l'orrida prospettiva di dover parlare a Matthew. Sul serio, a cosa stavo pensando quando il mio cervello ha ben creduto che sarebbe stato divertente farmi fare un vero complimento a Peter Pan?
Però, devo ammettere che quella barbetta non gli sta male davvero. Per niente.





schifoschifoschifo.
perdonatemi, è che quando l'ho scritto mi sembrava tanto carino!
invece, riscrivendolo qua... ugh. avevo immaginato qualcosa di completamente diverso.
i'm so sorry D:



 


 

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Capitolo 23
*** Minacce d'Aiuto. ***


Noah's.

- Dunque - comincio, ben deciso a fare il punto della situazione. - Stai dicendo che, adesso, tu e Wendy siete diventati... cosa, di preciso?
- Amici - ripete Peter, esasperato, per l'ennesima volta. - Siamo diventati amici, Noah.
Lo guardo con espressione vacua. Non c'è traccia di scherzo sul suo viso. 
Ci rifletto un attimo.
- No - mi arrendo, scuotendo la testa. - No, non riesco proprio a capire.
- Penso stia cercando di dire che hanno fatto pace - interviene Matthew, divertito, - ma che lui non può ancora perseguire il suo scopo principale.
- E sarebbe? - domanda Peter, torvo.
- Scopar...
- D'accordo, è chiaro. Dovevi proprio chiederglielo? - domando a Peter, irritato.
- Che ne so - borbotta lui. - Di solito, le persone normali non hanno il sesso come unica priorità e idea fissa.
- Hai appena ammesso di non essere normale - gli fa notare Matthew, ammirato. - Facciamo progressi.
- Oh, andiamo - sbotta Peter, - il sesso non è la mia unica priorità. Hai davvero questa bassa opinione di me?
Io e Matt ci scambiamo uno sguardo. Poi guardiamo lui, che inarca le sopracciglia.
- Be' - comincio.
- Lasciate stare - mugugna Peter, immusonito. - Non è la mia priorità, va bene? E anche se lo fosse, ora come ora sarebbe piuttosto improbabile da attuare.
- E perché?
- Non lo so. È tutto un po' strano - mormora lui, sovrappensiero. - Io e Wendy siamo molto... cortesi, tra di noi. Capite?
- Cortesi - ripeto, un sopracciglio alzato.
- Sì - conferma Peter. - Voglio dire, parliamo, scherziamo e tutto il resto, ma non come facevamo prima, con me che ci provo e lei che mi insulta... siamo cortesi. Come se fossimo imbarazzati.
Lei è imbarazzata? - domando bruscamente.
- No, entrambi lo siamo - ripete, accigliato. - Noah, mi stai ascoltando o no?
- Ti ho sentito benissimo - replico infastidito. - Sto dicendo che... insomma, se Wendy è imbarazzata qualcosa dovrà pur dire, no?
- Ecco che comincia... - sospira Matthew, rassegnato.
- Oh, eddai - insisto, entusiasta, - quante volte hai davvero visto Wendy imbarazzarsi?
- Non saprei - sghignazza lui, divertito, - quando la guardavo male, negli ultimi tempi, direi che tanto tranquilla non era.
Perché guardavi male Wendy? - domanda Peter, minaccioso.
- Lascia perdere - mi affretto a dire. - Il punto è che lei non ha motivo di essere in imbarazzo con te.
- Non so. Mi è sembrata abbastanza consapevole di avermi fatto stare come un cane - replica Peter, ironico. - Magari sarà per quello.
- Ne dubito - ribatto io, che al contrario sono serissimo. - Una volta capito che ti eri ripreso, secondo le sue norme di azione, avrebbe dovuto ricominciare a comportarsi come al solito. E invece - concludo vittorioso - non è così. Parole tue.
- Magari è solo psicopatica - suggerisce piano Matt. Peraltro, senza uno straccio di logica apparente, considerando il discorso.
Peter gli rivolge un'occhiata assassina, ma per il resto preferisce la linea di condotta dell'indifferenza. - Tu stai solo cercando di volgere la situazione a tuo favore - mi dice, socchiudendo gli occhi.
- Scusa - ribatto indignato, - casomai andrebbe a tuo favore.
- Invece no; tu vuoi solo avere ragione - mi accusa. - Ti si legge in quei dannati occhietti azzurri che sei convinto che io... le piaccia, o chissà quale altra idea malata ti propina il tuo cervello macchinoso da sotto quei rasta innocenti.
- Tu sei matto - decreto. - E comunque sia, io comprendo le persone. Avevo capito che eri innamorato di Wendy secoli prima che ci arrivassi tu!
- Fino a prova contraria, io non ho ancora ammesso niente.
- Oh, ti prego - sbuffa Matthew, scettico.
- Visto? - dico, inarcando un sopracciglio. - Renditi conto che l'ha ammesso perfino Matt.
- Sebbene - aggiunge lui, disgustato - ancora non riesco del tutto a concepirlo. Voglio dire, tu sei pazzo e su questo non ci piove, ma lei è anche peggio, come fai a...?
- Abbiamo capito! - sbottiamo noi all'unisono, per poi rivolgerci un'occhiataccia. 
Ma Peter ha lo sguardo risoluto di quando non potrebbe essere smosso da un'idea nemmeno con una ruspa. - Ti stai sbagliando.
- Certamente non su di te.
- Come ti pare. Ma su Wendy sì.
- Questo è ciò che credi tu.
- Sappi che non ho la minima intenzione di correre da lei e urlarle che la amo finché non mi finiscono i polmoni come se non ci fosse un domani.
- Tu no - sorrido, - ma io sì.
L'aria, nella stanza di Peter, sembra d'un tratto raggelarsi. Lui e Matt smettono persino di respirare.
Mi guardo intorno, sorpreso di aver generato tanto raccapriccio con una frase tanto semplice. Ma nessuno dei due si degna di spiccicare parola.
- Che c'è? - domando alla fine, irritato.
TU AMI WENDY? - sbraita Peter, viola in volto, sull'orlo di una crisi di nervi.
Mi immobilizzo, ripensando alle sue parole e alle mie, raccapricciato. - Ma che avete capito, idioti! Io non intendevo in quel senso!
- Allora hai un modo molto strano di esprimerti! - sbotta Peter, fuorioso. - Razza di...
- Cretino - conclude Matthew, massaggiandosi il petto con aria drammatica. - Non avrei mai potuto sopportare che i miei due migliori amici fossero innamorati della stessa matta...
- Finiscila! - Sono ancora scandalizzato dall'idea. - Io volevo solo dire che se tu non vuoi dirle quello che provi, né tantomeno intende farlo lei... be', vorrà dire che dovrò essere io a darvi una spintarella.
Matt si raddrizza, come un cane che fiuta la preda. - Questo mi sembra divertente.
- Questo mi sembra folle e fuori discussione - ribatte Peter, minaccioso. 
- Che male c'è? - gongolo io, soddisfatto.
- Ah, be', così rischi soltanto di rendere vano tutto quello che ho dovuto passare nelle ultime settimane - spiega, sarcastico, - di farla arrabbiare come ho fatto io, se non di più. Hai ragione, che male c'è?
Sospiro. - La differenza, Pet, è che tu non sei dotato del minimo tatto... né strategia, a volerla dire tutta. Invece, io ho entrambi. Lascia fare a me.


Peter's.

Su quest'ultima nota, forse avrei dovuto preoccuparmi un po' di più. Ma in fondo, gli ho fatto capire in tutti i modi gentili che conosco che, se mi mette in una situazione anche solo vagamente imbarazzante e pericolosa, lo martorio di calci. Dovrebbe aver capito. Dovrebbe bastare, no?
No?





stavolta sono stata brava. due capitoli a nemmeno due giorni di distanza l'uno dall'altro. sono fiera di me stessa :3

 

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Capitolo 24
*** Mezze Confessioni. ***


Io lo sapevo. Sapevo di aver ragione a non fidarmi di Noah e delle sue stupide idee. Ma ovviamente se non ne vengo messo completamente a parte, poi mi ritrovo in queste situazioni del cavolo. È così che mi hanno fregato, lui e quell'altro bastardo suo complice.
"Devi andare a cercare della legna" mi ha annunciato Noah tutto allegro. 
"Per cosa?" ho chiesto io. 
Lui e Matthew si sono guardati.
"Accendere il fuoco" hanno risposto in coro.
"Il fuoco in estate?"
"Non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta" mi ha consigliato Matt, facendo l'occhiolino.
Ed io da vero idiota non le ho fatte, perché immaginavo che stessero tramando qualcosa che non volevano io vedessi. Tipo appendere Josh a testa in giù dal ramo più alto dell'Albero; sembra che la cosa li diverta molto. 
Ma come ho fatto a non rendermi conto che era questo lo scopo? Un secondo prima di uscire mi sono ritrovato Wendy accanto che mi chiedeva perché ci avessi messo tanto a prepararmi. E adesso siamo nel bosco a raccogliere pezzi di legna che non verranno mai utilizzati per niente di utile. Fortunatamente, lei questo non lo sa. Però vorrei sapere cosa le hanno raccontato per convincerla.
- Giusto per curiosità - mi chiede ad un certo punto, dopo un silenzio orribile che temevo si sarebbe protratto all'infinito, - perché Matthew ha avuto l'improvviso desiderio di costruirsi delle spade di legno?
Ah. Ecco cosa. E adesso? - Arti marziali - rispondo di getto, sparando la prima cosa che mi passa per la mente. - È un appassionato e ce ne sono alcune che usano questo tipo di armi.
- Ah - commenta, alzando le sopracciglia. - E non poteva venirci da solo a cercarsi la legna?
Dannazione. - Be'... No. - Wendy mi guarda con aria interrogativa. Dio, io li ucciderò. - Ehm, io... Cioè, lui, si è slogato una caviglia.
- Come ha fatto? - domanda stupita, raccogliendo un ramoscello mezzo secco.
- Io... gli ho fatto lo sgambetto. È inciampato e si è fatto male.
- Oh - commenta. Vedo spuntarle un sorrisetto furtivo sulle labbra. - Spero non sia niente di grave.
- Oh, non lo è. - Per ora sta benissimo. Aspetta solo che lui e quel simpaticone del suo amico Noah mi capitino tra i piedi. Allora sì che ci sarà da preoccuparsi.
Okay, Peter, calmati un secondo. In fondo, non è la fine del mondo: ti trovi soltanto nel bosco - come se negli ultimi tempi non ne avessi avuto abbastanza - insieme a Wendy. Non è niente di che. Due classiche frasi alla Pan buttate lì e hai risolto la situazione strana ed estremamente imbarazzante, anche se magari lei poi ti staccherà la testa per quello che dirai. Niente di più facile.
Già, non fosse per questo dannato silenzio che sembra risucchiare anche le parole che ho in testa lasciandomela totalmente vuota.
No, no, niente panico, coraggio. Tanto Wendy è già dieci passi davanti a me; probabilmente si è anche già dimenticata della mia presenza.
Il che non fa altro che darmi la possibilità di guardarla industurbato, anziché togliermela dalla testa. Non mi ero mai accorto che avesse dei capelli così lunghi; quasi fino alla vita, in effetti. Meno male: le ragazze coi capelli corti non mi sono mai piaciute. E poi hanno quel colore così particolare: non sono esattamente castani, è un castano scuro con una miriade di riflessi rossicci, che si fanno più forti quando intrappolano la luce del sole. E non ho mai visto delle gambe così dritte, quasi troppo perfette per esistere davvero. E la linea della schiena leggermente concava, con un portamento così eretto e fiero...
D'un tratto Wendy si volta, cogliendomi nell'esatto frangente in cui i miei occhi hanno cominciato a spalancarsi per la meraviglia. - Tutto bene? - domanda, nervosa e vagamente ironica.
Sbatto le palpebre, come un perfetto cretino. - Sì - rispondo velocemente, abbozzando un sorriso. - E tu?
Wendy distoglie lo sguardo. - Benissimo - risponde, riprendendo a camminare. 
Mh. Qualcosa non quadra. Ma forse dovrei solo farmi i fatti miei.
- Sei sicura? - domando invece, incapace di dare reta alla parte razionale e saggia del mio cervello, praticamente correndo per affiancarla. - Perché in effetti è un po' che mi sembri... silenziosa. - Stavo per dire strana, ma non avrebbe avuto alcun senso: lo è sempre. E siccome lei stessa pensa di esserlo, sarebbe stata la prima a rinfacciarmelo.
Soppesa un altro ramo, pensierosa. - Be'... Diciamo che è un periodo di riflessione.
Il cuore mi perde un battito. Stupido allarmista. - Su cosa?
- Sui cambiamenti - spiega, sempre senza guardarmi. - Sai, cambiamento d'opinione, di pensiero, di comportamento, di... emozioni - conclude, esitando per un attimo.
Mantieni un tono di voce normale, Peter, stai calmo, non agitarti. - E le conclusioni quali sono? - chiedo, studiando l'ennesimo pezzo di legno.
- Che se prima ero sempre convinta di quello che dicevo e facevo, di come mi comportavo con gli altri, di essere sempre nel giusto facendo e pensando determinate cose... - Sospira. - Adesso non lo sono più così tanto. È come se mi fossi stufata di seguire sempre e solo il mio istinto, perché pare che fin'ora abbia voluto mandarmi soltanto nel verso sbagliato. Ma senza quello sono persa.
Non. Agitarti. - Be', non esiste solo l'istinto. Puoi ascoltare anche quello che ti dicono la testa e... il cuore. - Deglustisco.
Lei accenna un sorrisino. Ormai ci siamo fermati. - Pare che, nella maggior parte dei casi, anche il cuore si sbagli. E di grosso.
- Ma non sempre - mormoro, abbassando gli occhi. È quasi come se il battito impazzito del mio cuore mi impedisse di sentire la mente che urla di stare zitto, di non farlo. Ma parlo. - Senti, Wen, c'è qualcosa che io... dovrei dirti già da un po'...
Un fruscio, un movimento tra le foglie. Ci voltiamo di scatto. Il suono di qualche passo, e dai cespugli compare Snoki, affannato e visibilmente scocciato.
- Snoki - lo saluta Wendy, trasalendo. - Qualche problema?
- Ma no - risponde lui, pesantemente sarcastico. - A parte il fatto che è soltanto più di un'ora che ti cerco, Peter.
E non potevi aspettare altri dieci minuti? Che tu sia maledetto. - Cos'è successo? - domando.
Wendy alza le sopracciglia, sentendo il mio tono brusco.
E nemmeno Snoki ne sembra troppo entusiasta. - Le Sirene - spiega, torvo. - A quanto pare, c'è un gruppo di Tritoni che sembra ben intenzionato a non lasciarle in pace.
Ma che diavolo... - Non può occuparsene Marlowe? - chiedo esasperato.
- Lo conosci, il Re. Il vecchio non vuole alzarsi dal suo dannato trono subacqueo nemmeno per andare a tavola; gli portano il cibo in vassoi che tiene sulle ginocchia.
Lo sguardo di Snoki è inequivocabile. E anche quello di Wendy, che sembra chiedermi con gli occhi perché la stia facendo tanto lunga.
Dannazione. - E va bene - sbotto, trattenendomi dal digrignare i denti, - ci andrò. Wendy, fammi il sacrosanto favore: raccogli alla svelta il ramo più grosso che riesci a trovare nelle vicinanze, torna a casa subito e usalo per picchiare Noah e Matthew.
- Nessun problema - risponde lei, ironica. - Ho sempre sognato di picchiare Matthew.
- Già, è liberatorio. Ma sul serio, torna a casa.
- Sì, sì, va bene - sbuffa. - Te lo giuro - aggiunge esasperata, vedendo la mia espressione.
- Così va meglio. Ci vediamo dopo.
Dio. Mio. Che. Odio. Spero vivamente di trovarmi costretto a dover picchiare qualche Tritone, perché penso che mi metterò ad urlare se non mi sfogo in qualche altro modo.





tadadadan, questo è uno dei capitoli che mi piace di più, forse anche perché l'ho riscritto millemila volte e alla fine era da tempo che lo avevo pronto :3 e sto aggiornando alla velocità della luce, questa è una sorpresa per tutti! ma non è nemmeno l'unica, perché... ho trovato il mio Noah!



sì, è una foto sola perché non ne ho trovate altre, e nemmeno so chi sia questa persona :S però è lui, I feel it in my bones! è il Noah della mia immaginazione, anche con quella nappa un po' ingombrante *-* do u like him? ce lo vedete? 
per la cronaca, mi sto sfiancando totalmente per cercare Wendy e Matthew... vi assicuro che per Wendy è uno smatto continuo, non riesco proprio a trovare una tizia qualsiasi che soddisfi la mia fantasia troppo esigente... e anche Matthew è arduo: anche quando credo di averlo trovato, ad una seconda occhiata mi rendo conto che non ci siamo, gli manca sempre qualcosa. perciò... sigh, portiamo pazienza. prima o poi (spero) arriveranno.

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Capitolo 25
*** Le Disgrazie Non Vengono Mai Sole. ***


Sirene. Puah. Sempre detestate. E adesso ho soltanto l'ennesimo motivo in più per farlo. Per una benedetta volta che Peter ed io stavamo conducendo una conversazione umana e civile, devono arrivare loro a rompere le uova nel paniere. Il fatto poi che sembrava che Peter stesse per dirmi qualcosa di quantomento serio, se non addirittura importante, è solo secondario. In fondo, posso aspettare e farmela raccontare più tardi. Perché non sono affatto curiosa. No no.
Okay, Wendy, fai un respiro profondo. Insultare le Sirene in ogni lingua che conosci non ti servirà a niente. Ucciderle, quello sì che sarebbe utile...
Non puoi uccidere le Sirene. Scordatelo.
Maledizione.
Cosa mi resta da fare, allora? Purtroppo, seguire il consiglio di Peter, per quanto mi pesi farlo, resta la strada più sensata da seguire. Devo tornare a casa. In fondo, ho dei seri dubbi che a Matthew servisse davvero tutta quella legna; lui e Noah avevano un'aria troppo cospiratrice e divertita per risultare credibili. O magari sono io ad essere esageratamente sospettosa.
Forse mi trattengo un altro po'. Giusto per raccogliere qualche altro ramo, nel caso ne abbiano davvero bisogno. E se così non fosse, tornata al Rifugio seguirò interamente il consiglio di Peter, e verranno usati contro di loro. Dritti in testa. Reiterate volte.
Mi metto a svolazzare pigramente rasoterra, guardando di tanto in tanto se per caso vi sia qualche ramoscello caduto. Alla fine, mi ritrovo in una piccola radura quasi quadrata dall'aspetto promettente: tutt'intorno, solo alberi che avrebbero bisogno di una bella potata, a meno che non desiderino che i loro rami si stacchino uno ad uno. E in effetti, alcuni sono già caduti al suolo. Chinandomi, ne esamino un paio, probabilmente abbastanza robusti sia per una spada che per essere usati come arma non lavorata contro due certi Ragazzi; poi, il mio sguardo viene catturato da uno sprazzo di blu brillante. Il mare? Non credevo di essermi allontanata così tanto. 
Mi avvicino un po' per dare un'occhiata, sempre mezza piegata come una povera demente, gli occhi fissi su quell'unica macchia marina... Fino a che qualcosa di interpone tra il mio piede e il passo che stava per compiere. Rovino a terra con uno strillo molto poco elegante. Un sasso. Una maledetta pietra che mi ha fatta inciampare. Per un secondo, sento solo il dolore delle escoriazioni sui gomiti e le ginocchia; be', mi è andata bene. E invece, un istante dopo il dolore arriva tutto insieme, tutto concentrato sulla caviglia. Perfetto. Storta, slogata, o quel diamine che è. Davvero meraviglioso.
Mi metto faticosamente a sedere, serrando i denti per non far caso al dolore. Mi guardo attorno, spaesata e furiosa con la mia distrazione; e adesso come diavolo torno a casa?
Tra gli alberi, dei movimenti. Per un attimo, e con immenso sollievo, penso che sia Snoki, ancora vagante per il bosco sulla via dell'Accampamento. Almeno lui in qualche modo può darmi una mano, dovesse anche trascinarmi fino all'Albero. Ma poi mi rendo conto che sono troppe le ombre che si muovono tra i tronchi, da troppe direzioni. E quando emergono e mi circondano, è troppo tardi anche solo per maledirmi nuovamente per essermi fatta male negandomi la possibilità di volare.
Un paio di teste fasciate da bandane, qualche lobo ornato da orecchini. Sciabole e pugnali ad ogni cintura. Ma sarebbe bastata anche solo quella decina di facce un po' istupidite, per capire che si trattava di Pirati. Tutti più giovani di quanto li ricordassi dall'ultima volta che li avevo incontrati, anche se questo avrei dovuto aspettarmelo. Nientemeno che la proverbiale ciliegina sulla torta.
Quelli mi guardano, un po' confusi e imbambolati. Ma tra loro borbottano talmente piano da rendermi impossibile trovare un'ancora di salvezza dialettica cui aggrapparmi. Quando sento mugugnare le parole "portarla dal Capitano..?" apro la bocca, pronta a sparare una qualsiasi buffonata con la forza e l'idiozia della disperazione pur di guadagnare tempo, ma dal fitto degli alberi esce l'ultima figura.
Alto, imponente e dal portamento fiero, gli occhi di ghiaccio incastonati come pietre preziose e lucenti su un viso abbronzato, se non per la cicatrice bianca come neve che, dal sopracciglio sinistro allo zigomo, lo sfigura, come la tela graffiata di un quadro. I capelli neri sono quasi del tutto nascosti dal tricorno, non abbastanza calato da celare l'espressione di superiorità che lo accompagna come una seconda pelle.
Al suo incedere elegante nella radura, la ciurma ammutolisce. Lui li guarda uno per uno, i begli occhi velati dal disprezzo. 
- Cosa sta succedendo, qui? - domanda con studiata lentezza.
Uno degli uomini gli fa un semplice cenno con la testa per indicarmi. Con la stessa calma - una calma spietata su cui gli abitanti dell'Isola narrano innumerevoli storie -, Alec si volta a guardarmi dall'alto in basso, sebbene io sia ancora mezza distesa sul terreno polveroso. E questo continua a fare per diversi secondi, forse minuti: guardarmi, studiarmi come si potrebbe fare ad una festa con qualcuno che ci attrae e non si conosce. Ma c'è qualcosa di molto più inquietante, nel modo in cui lo fa lui.
Alla fine, il secondo ufficiale di Hook si avvicina a me. E da questa bassezza sembra ancora più spaventoso di quanto avessi pensato a prima vista.
- Dalla dettagliata descrizione fornitami da Capitan James Hook - esordisce, estraendo di colpo la spada dal fodero per puntarmela al petto, facendomi sussultare, - posso spingermi ad affermare che chi giace ai miei piedi sia Wendy Darling?
- Avreste ragione nel dirlo - confermo piano, a contrasto con la sua voce altisonante. - Noto che avete... buon occhio, Alec.
Non deve aver apprezzato più di tanto la battuta; all'improvviso, sento la punta della spada premere un po' più forte. Ma il viso rimane una maschera compatta di indifferenza. - Forse, un po' più impertinente - mormora con voce glaciale. - Ma a questo si può sempre porre rimedio. Vi conviene non muovervi, madamigella, o sarò costretto a mostrarvi quanto può essere agile questa lama.
- Be', allora sono fortunata; caso vuole che non possa muovere un passo neanche volendo.
- Fortuna, dunque, è proprio la parola giusta - commenta Alec, mentre sulle labbra gli si apre un ghigno. - Il Capitano sarà estasiato nel rivedervi. - Serro la bocca; la sua, per contro, sorride ancora di più, disgustosamente divertita. - Prendetela - ordina, mentre si gira e comincia a percorrere la radura a passi lunghi e lenti. - Torniamo a bordo.
- E il Tesoro? - domanda qualcuno, mentre altri due arrivano alle mie spalle per tirarmi su - provocandomi una fitta lancinante alla caviglia - e legarmi le mani dietro la schiena con una corda spessa.
Alec si volta di scatto a guardarlo, gli occhi che mandano lampi. - E cosa credi sia più importante, l'oro o qualcuno che conosce a memoria ogni singola informazione su Pan? - ringhia. - Rimani pure sulla terraferma, se t'aggrada; ma non osare risalire sulla nave sprovvisto di Tesoro.
Riprende bruscamente a camminare, appena più velocemente, senza degnare più nessuno di un solo sguardo. Il Pirata che, così stoltamente, ha osato aprire bocca, borbotta torvo: - Stavo solo chiedendo. - Si affretta poi a seguirlo.
E tutti gli altri dietro di lui. Me compresa, sospinta dai due ceffi che mi hanno legata. Alzo lo sguardo al cielo, sperando di scorgervi un segno, un messaggio degli dèi, una lama che piove dalle nuvole... perché non so proprio in quale altro modo potrei uscire da questa dannatissima situazione, adesso.

 

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Capitolo 26
*** Attese. ***


Peter's.

Dannati, dannatissimi Tritoni. Non bastava che mi facessero perdere la più grande occasione della mia vita, no: dovevano pure tenermi un'ora allo Scoglio prima che si decidessero a sloggiare. Odio, odio e ancora odio.
Okay. Non fa niente. In fondo, probabilmente hanno solo contribuito a salvarmi le chiappe. Se Snoki non fosse mai arrivato e io avessi finito di dire a Wendy quanto avevo cominciato, a quest'ora mi ritroverei con qualche arto spezzato, o magari rintanato nella mia stanza preda dell'umiliazione e la delusione. E non so quale delle due ipotesi sia la peggiore.
No. Tutto sommato, stavolta la provvidenza mi è stata amica. 
Eppure, rientrando al Rifugio, non mi sento affatto sollevato. Né contento di avere ancora le ossa di braccia e gambe al loro posto.
La prima cosa che noto, stranamente, è che i Ragazzi ci sono tutti; ultimamente avevano preso il vizio di dividersi in gruppetti e andare in giro - a far cosa non è dato saperlo - senza dirmi assolutamente niente. Non che non mi fidi di loro - li ho istruiti bene -, ma non si sa mai.
Vedendomi arrivare, Matthew alza gli occhi, e un ghigno gli si disegna sul volto. - Ahi. Riesci sempre a rovinare anche i migliori piani.
Reduce da accese discussione e anche una piccola rissa con delle creature che non sono nemmeno completamente umane, dunque ancora piuttosto nervoso, mi scaldo all'istante, decisamente non intenzionato a farmi prendere in giro. - Quel piano era il più idiota che mi abbiate mai costretto a mettere in atto.
- Era perfetto - precisa Noah, sussiegoso. - Sei tu che, ovviamente, l'hai mandato a monte.
- Ma davvero? - replico, incrociando le braccia al petto. - E cosa te lo fa pensare?
- Be', se avessi fatto il bravo non saresti tornato a casa da solo - osserva Matt, indicando gli spazi vuoti ai miei lati.
- Si dà il caso che, a differenza di voi perdigiorno che non avete di meglio da fare se non giocare a scacchi da mattina a sera, io sia stato impegnato con dei maledetti Tritoni fino a dieci minuti fa - replico torvo, andando a sedermi vicino a loro.
- Mh - commenta Noah, sovrappensiero, - e li hai convinti a togliersi di torno offrendogli Wendy come merce di scambio, o cosa?
Mi volto a guardarlo, stranito. - Non ho proprio idea di cosa cavolo tu stia parlando.
Wendy - ripete lui, come rivolgendosi a qualcuno di un po' sordo. - Hai presente, piccolina, occhi chiari...?
- Aspetta - dico, iniziando a guardarmi meglio intorno. All'improvviso sento come un rivolo d'acqua gelida scendermi giù per la schiena e poi propagarsi per tutto il corpo insieme ai brividi. - Stai dicendo che non è qui?
- La vedi da qualche parte? - ribatte Matthew, le sopracciglia inarcate.
Per un secondo rimango zitto, preda dello shock. - Cazzo! - esclamo poi rialzandomi, facendo trasalire Josh seduto poco distante. - Le avevo detto di tornare subito qui!
- Ehi, rilassati - mi dice Matt, sorpreso. - Wendy non fa mai quello che le dici tu, giusto? Starà facendo una passeggiata...
- Certo. Come no - ribatto sarcastico.
Noah mi guarda, preoccupato. - Stai tranquillo - dice piano. - Vedrai che tra poco ce la vedremo comparire davanti agli occhi come se niente fosse.
- Be', quando succede fatemi un fischio - replico, irritato e improvvisamente molto, molto stanco. - Io vado un po' a stendermi.
- Sicuro? - chiede Matthew. - Stavamo pensando di fare un giro all'Accampamento, sai, per fae sorridere un po' quei musoni di Indiani... Quando non hanno bevuto almeno tre boccali di quella loro birra schifosa, sono davvero una noia.
- Già - commento assente. - Be', cercate di non fare troppo casino, va bene? Ne sto avendo già abbastanza, per oggi.


Wendy's.

- Capitano! - Alec bussa con insistenza alla porta della cabina di Hook. - Capitano!
Fa' che non ci sia. Magari si è buttato in mare.
Alec sembra mezzo intenzionato a buttarla giù a suon di pugni, quella porta, piuttosto che aprirla senza permesso. - Capitano!
- Alexander. - La voce di Hook, da dentro, suona stanca e seccata; cionondimeno mi fa salire un brivido lungo la spina dorsale, e infrange ogni mia speranza di una sua assenza. - Ti assicuro che, se non è per un motivo estremamente importante che mi stai disturbando, prenderemo il largo e ti getterò in pasto ai pescecani!
- È importante - ribatte Alec, sorpreso e imbronciato. Sembra quasi voler aggiungere "altrimenti perché diavolo starei urlando?", ma a quanto pare sceglie - saggiamente - di trattenersi.
- Allora entra - sbotta Hook, irritato, - e che sia una cosa veloce.
Traendo un sospiro soddisfatto, forse perfino trionfante, Alec spalanca finalmente la porta ed entra, trascinandomi dietro di sé senza un minimo di delicatezza. Una fitta alla caviglia, l'ennesima.
La cabina del Capitano è come la ricordavo: arredata da pochi mobili massicci - una scrivania di quercia, sedie imbottite di velluto scuro dall'alto schienale -, spaziosa e di un'eleganza antica e austera. La differenza è solo una: il buio. Una stanza immersa nel buio per le pesanti tende, anch'esse di velluto, appese agli svariati oblò. Solo le fiammelle di un candelabro d'oro poggiato all'angolo estremo della scrivania permettono una lieve penombra, scacciando l'oscurità più nera.
Per qualche secondo regna il silenzio, interrotto solo dal crepitio delle candele e dallo sciabordare delle onde. Poi, in tono alquanto minaccioso, Hook prende la parola.
- L'unica cosa che vorrei sentire in questo istante - dice a bassa voce - è che, finalmente, siete riusciti a recuperare il mio Tesoro. Ma dato che non mi sembra che tu stia trascinando una cassa di legno marcito, né oro né gioielli, mi vedrò costretto ad avvertire il timoniere che faremo rotta verso l'oceano.
- E invece - replica Alec, e il suo sorrisetto è percepibile anche solo dalla voce - credo che sarete molto soddisfatto di ciò che abbiamo conseguito oggi.
Hook rimane un attimo in silenzio. - Avete trovato l'Albero dell'Impiccato? Vi crederei molto più intelligenti di quanto non abbia mai fatto, se così fosse.
- Ancora meglio - risponde Alec, sebbene forse un po' seccato dall'ultima frase. Non si volta neanche, mi dà soltanto uno strattone per costringermi a mettermi davanti a lui, facendomi inciampare, dove la luce comincia a schiarire l'ambiente. Mi lascio scappare un brusco respiro spezzato dal dolore, prima di ritrovarmi a fissare gli occhi incredibilmente azzurri del Capitano.
All'inizio, la sua espressione non cede di una virgola; rimane fredda, distaccata, solo vagamente incuriosita. Ma poi, con la calma di chi crede di avere tutto il tempo del mondo, le sue labbra cominciano a curvarsi verso l'alto, rivelando alla fine un sorriso dietro allo studiato sipario di impassibilità. 
Io non muovo un muscolo, sebbene riesca quasi a sentire le esclamazioni di esultanza nella testa di Hook.
Ma l'autocontrollo non lo costruisci in cinquant'anni per perderlo in cinque secondi, e quando parla di nuovo il suo tono è gelido. - Puoi lasciarci soli, Alexander - commenta, senza smettere di tenermi gli occhi addosso. - Ma per dio, toglile quelle corde. Non siamo dei barbari.
Seppur con un secondo di riluttanza, Alec esegue l'ordine. Mentre mi si accosta mormora, in modo praticamente inudibile: - Te le ritroverai ai polsi molto presto. - Esce, sbattendosi la porta alle spalle.
Il che non sembra intaccare minimamente l'improvviso buonumore di Hook. - Suscettibile - commenta, sventolando una mano e rilassandosi appena su quella sua specie di poltrona. - Sedetevi pure, Wendy; mi sembrate un po' malferma.
Faccio come dice, sempre muta, sempre senza tradire alcuna emozione, ma con la gamba che trema incontrollabilmente per il peso che deve sostenere. Sedermi è un sollievo, sebbene contribuisca solo a fermi sentire più in trappola di quanto già non sia. 
- Be', dite qualcosa - continua Hook allegramente. - Immaginavo che un nostro nuovo incontro sarebbe stato ben più loquace di così.
- Dite che non siete dei barbari, ma fate rapire le persone e le tenete prigioniere - commento, senza inflessioni, fissandolo. - Mi avete fatta seguire?
- Non ne avevo bisogno - replica lui, neanche lontanamente scalfito dalle accuse. - Sapevo benissimo che un giorno, per sorte o volontà, i nostri cammini si sarebbero incrociati ancora. A quanto pare, oggi ho avuto fortuna.
- Fin troppa - mormoro amara.
Il Capitano sorride. - Voi non siete mia prigioniera, ma ospite. Non ho alcuna intenzione di farvi del male. Potreste anche sforzarvi di essere più bendisposta nei miei confronti.
- Oh, ma naturalmente - sbotto. - Volete anche offrirmi del tè coi pasticcini o aspettiamo le cinque?
- Sembrate di cattivo umore - osserva, le sopracciglia inarcate.
- Mi avete rapita - preciso.
- Allora sarebbe meglio una camomilla al posto del tè. - Gli lancio un'occhiata di fuoco, ma lui non smette di sorridere. Non ha smesso nemmeno per un istante. - Dovreste avere un briciolo di fiducia in più in me, Wendy; io non voglio esservi nemico.
- Mi fiderei di più se la finissimo coi convenevoli e voi arrivaste al punto, Capitano. Comincio già a stufarmi.
- Ragazza sveglia. E impaziente, aggiungerei - commenta divertito. - Be', in effetti ci sarebbe un punto cui vorrei arrivare.
- Non dirò dove si trova il Rifugio - dico subito, risoluta. - Non ho intenzione di tradire Peter Pan in alcun modo.
- A quello sarei arrivato dopo, con calma - replica Hook, - ma dal momento che mi sembrate un tantino irrequieta... Ho una proposta per voi.

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Capitolo 27
*** D'incendi e racconti brevi. ***


Wendy's.

Lo guardo, seria, in attesa di sentire che era tutto uno scherzo e che Hook non ha la minima intenzione di contrattare con me. Ma lui non apre bocca.
Perciò lo faccio io. - Sappiate che non ho alcun interessa ad accettare una qualsivoglia proposta proveniente dalle vostre labbra, Capitano.
- Io penso che l'avrete, se aveste la compiacenza di ascoltarmi - replica lui, un sorriso vagamente compiaciuto. - A rischio di annoiarvi immensamente, Wendy, temo che dovrò cominciare a spiegare da un periodo piuttosto lontano. Prima di approdare su quest'Isola, ero un giovane uomo privato della sua famiglia, della sua dignità, e dell'unico amico che avesse mai avuto. - Fa una breve pausa, alzandosi in piedi e iniziando, lentamente, a camminare attorno alla scrivania. - Ero pieno di rabbia, come potrete immaginare, e di rancore e sete di vendetta verso chi mi aveva privato di quel poco che avevo, come può esserlo solo un ragazzo di a malapena vent'anni. Mi imbarcai su una nave pirata non appena compresi che l'unica cosa di cui avevo bisogno era un briciolo di libertà, se non potevo avere nient'altro. E non potevo. Per farla breve, viaggiai per i Sette Mari svariate volte, sostando nei porti più squallidi che occhio umano abbia mai visto per rubare, razziare e uccidere. All'inizio ero inebriato dalla sensazione di potere che ne ricavavo, ma cominciò a non bastarmi più; volevo vedere posti sconosciuti e trovare tesori mistici. Riuscii a radunare un piccolo gruppo di uomini che condividevano i miei sogni e le mie ambizioni, e ci mettemo in viaggio per conto nostro, con mezzi assolutamente illegali, s'intende. Quando, in una bettola dove ci venne servito del rhum più simile ad acido che a alcol, udimmo il racconto di una donna che descriveva un posto mitico e meraviglioso, conosciuto come Neverland, non potemmo non cogliere l'occasione: ci facemmo spiegare come, si supponeva, potesse essere possibile raggiungere quel luogo, e il mattino seguente, accompagnati da fischi e derisioni di uomini che ci credevano matti, levammo le ancore e partimmo. Ero eccitato come non mi capitava da anni, e sebbene ci sia voluto molto tempo prima di farcela, arrivammo a destinazione, pieni di meraviglia per un mondo diverso da quello che avevamo conosciuto, e colmi di rinnovate speranze. Voi non avete idea della vastità di questi luoghi, Wendy, ma se l'aveste, potreste immaginare a quali livelli estesi la mia fama e le mie imprese. Divenni l'uomo più temuto di queste terre... Fin quando il vostro caro Peter Pan decise che non poteva più tollerare la mia presenza, e mi sfidò. - Il suo volto si indurisce, attraversato da un'ombra, gli occhi persi in ricordi lontanti, antichi. - Una volta tagliatami la mano, divenni lo zimbello di tutti, sconfitto da un ragazzino, e seppur in seguito riacquistai il rispetto che mi era dovuto, sentivo che qualcosa si era spezzato. Sentivo che mi mancava qualcosa che Pan si era portato via assieme alla mia mano destra, sparita nello stomaco senza fondo di quello stupido coccodrillo. E mi duole ammetterlo, ma non mi sono più ripreso; quel diavolo dalle fattezze d'uomo continua a sfuggirmi, e io sono sempre meno il ragazzo che ero a vent'anni, per quanto crudele potesse essere. Ma adesso... adesso mi sono stancato. Ed è qui, che entrate in gioco voi.
Si ferma per guardarmi con lo stesso sorrisetto che aveva all'inizio. Io inarco le sopracciglia. 
- Il tutto è molto affascinante, davvero. Ma non vedo come tutto questo possa avere a che fare con me. Né, francamente, voglio scoprirlo.
- Io so osservare, Wendy - risponde lui, ignorando completamente la mia ultima frase. - Non avrò la capacità di Alec di comprendere con una parola dove le persone avvertano maggiormente il dolore fisico, che pure è molto utile, ma so osservare, capire le persone, i loro desideri e bisogni, che a volte può rivelarsi ancor più utile. In tutti questi anni in cui siamo rimasti ancorati qua, a cercare di catturare qualcuno che è poco più che un'ombra per noi, un fantasma che sa rendersi invisibile, sono arrivato ad odiare il mio equipaggio, la mia nave, me stesso e il mio nome in particolar modo. Gran parte di una vita gettata al vento, mi dicevo sempre. Ma ora mi si presenta l'occasione di rifarmi il vento amico, e riprendermi tutto quanto ho perso. Grazie a voi.
Mi irrigidisco appena. - Continuo a non capire.
- Noi non siamo poi così diversi - spiega Hook, e in fondo ai suoi occhi vedo accendersi una luce. - Voi mi ricordate me stesso quando salpai su una nave per la prima volta: il bisogno di avventura, possibilmente di pericolo, di vedere il mondo nei suoi angoli più nascosti, in altre parole, di libertà. Anche - e fa una risatina mentre io impallidisco - se con una tendenza un tantino meno spiccata agli spargimenti di sangue. La mia proposta, come avrete potuto intuire, è molto semplice: unitevi a me. Abbandonate la vostra vita, il vostro passato, e diventate pirata. Insieme governeremmo questa nave, andremmo alla ricerca dei segreti della vita e della morte, e nessun altro sarebbe al di sopra di voi e me. In cambio - mormora, mettendosi con calma alle mie spalle per parlarmi all'orecchio, posandomi una mano lieve sulla spalla - ti chiedo di aiutarmi a risolvere l'ultima, piccola faccenda in sospeso che mi è rimasta in questo posto maledetto...
- Peter - concludo io, atona, lo sguardo perso nel vuoto. - Tu vuoi che io ti consegni Peter.
Hook annuisce, soddisfatto. Sento il suo respiro sul collo. - Un prezzo ragionevole da pagare, considerato quanto il ragazzo sia sempre stato meschino con te.
Alzo la testa di scatto. - Cosa vorresti dire?
- Le voci corrono, Wendy, ma anche se non lo facessero, non è un mistero che Peter Pan non abbia esattamente delle buone intenzioni, nei tuoi confronti. E poi, chiedo venia... quanti anni ci ha messo, prima di tornare davvero a prenderti?
- Non sono affari che ti riguardano - sbotto, sentendo tremare non più solo la gamba, che pur fa un male cane, ma anche il resto del corpo, adesso.
- È ammirevole che tu lo difenda, ma mi vedo costretto ad insistere perché tu prenda una decisione - ribatte lui, la voce appena alterata.
Mi volto a guardarlo, ritrovandomi il suo viso a pochi centimetri di distanza. Per un secondo, il blu straordinario di quegli occhi mi colpisce ancora una volta. - Rifiuto - scandisco piano, la voce bassa, fissandolo. - Se la scelta deve essere tra diventare una traditrice e assassina, o morire, allora scelgo di morire. Quelli sono ruoli che lascio volentieri a te.
Il Capitano si ritrae di scatto, tornando nuovamente verso il suo trono, ma senza sedersi. Lo sguardo, che prima si era illuminato, adesso è colmo di tenebre, le mani che stringono il bordo del tavolo. - La lealtà... un sentimento inutile, se riposto nelle persone sbagliate. Tradisci davvero, se tradisci qualcuno a cui non importa niente di te? Immagino - aggiunge alla fine, gelido - che non ti dispiacerà, quantomeno, avere un po' più di tempo per rifletterci meglio. - Prima che possa anche pensare di rispondere, Hook batte le mani e grida: - Alec!
Come se fosse stato ad origliare dietro la porta per tutto il tempo - cosa probabile -, il secondo ufficiale la spalanca all'istante ed entra teatralmente nella cabina. - Capitano?
- Accompagna giù la signorina Darling - risponde Hook, in tono di ghiaccio, guardandomi dall'alto della sua notevole statura. - Temo abbia bisogno di rimanere un po' sola coi suoi pensieri.


Peter's.

Giungo all'Accampamento quando il sole ha già iniziato, lentamente, a calare. Sarei arrivato molto prima, se Snoki non si fosse lamentato che in volo sarei arrivato prima di lui, o, ancora peggio, non fosse stato terrorizzato all'idea di farsi portare in volo; sono dovuto andare con lui a piedi. E forse è stato anche meglio così, perché se fossi arrivato immediatamente, com'era mia intenzione, probabilmente i Ragazzi a quest'ora sarebbero già stecchiti. Dal primo all'ultimo.
Trovo quei maledetti idioti impietriti di fronte ai resti di diverse tende fumanti; attono a loro gran parte della tribù, molti coi visi ricoperti di fuliggine o tossenti, altri sbalorditi, alcuni bambini in lacrime silenziose. Tra tutti spicca Toro in Piedi, sebbene leggermente in disparte, le braccia incrociate e il cipiglio minaccioso. Mi dirigo verso di lui, ammutolito.
Matthew è il primo di loro ad accorgersi del mio arrivo. Il suo sguardo è praticamente supplicante; spettacolo inusuale. - Peter, noi... noi non volevamo, davvero...
- Taci - ringhio. - Con te farò i conti dopo. - Si zittisce come se gli avessi tirato un pugno allo stomaco.
Quando gli arrivo di fronte, l'espressione di Toro in Piedi non cede di un millimetro.
- Non appena la mia meditazione pomeridiana è stata interrotta da una sospetta puzza di bruciato, ero irrimediabilmente intenzionato a spellare vivi quei tuoi piccoli criminali, Peter Pan - mi comunica torvo. - Ringrazia le forze della natura che la mia gente sia misericordiosa e mi abbia convinto a frenare la mia collera e a non toccarli.
- Io ti avrei lasciato fare - replico, gettando loro un'occhiataccia che gli fa abbassare le teste. - Sono mortificato, Grande Capo. Ci sono stati... gravi danni?
- Metà Accampamento è andato distrutto - ruggisce lui, gli occhi che mandano lampi, - e ci sono parecchi ustionati. Le Curatrici se ne stanno occupando in questo momento.
- Sono desolato - ribadisco, desiderando ardentemente di potermi sotterrare per un po'. - Posso sapere, ehm, com'è accaduto?
- Stavamo giocando - interviene un ragazzino, al massimo di undici anni, i grandi occhi neri spalancati e il viso sporco. - I tuoi amici ci stavano insegnando alcuni numeri con le torce. Ne facevano ruotare quattro o cinque tutte insieme e correvano in giro mentre lo facevano. - L'espressione gli si accende d'entusiasmo. - Erano grandiosi.
Mi immobilizzo, annichilito. Mi volto piano per guardarli. - Voi... avete fatto... che cosa?!
- A nostra discolpa - mormora Andrew, - dobbiamo dire che all'inizio quel numero ci stava venendo maledettamente bene.
- Ma siete idioti? Qua praticamente è fatto tutto di legno e voi vi mettete a correre in giro facendo i pagliacci con le fiaccole?!
- Le tende sono fatte di pelle - puntualizza Toro in Piedi, compunto.
Torno a guardare lui, allibito. - Scusa, ma tu da che parte stai?
Alza le spalle. - Bisogna essere precisi. L'idea di abitazioni di legno è chiaramente ridicola.
Alzo gli occhi al cielo, ben poco incline a spiegargli un paio di cosette sull'utilità del legno. - Sta di fatto che la pelle è infiammabile, o sbaglio? Perciò, che vi piaccia o meno, è stata una cosa da irresponsabili imbecilli! Sono imbarazzato per ciò che è successo, Toro in Piedi, e ti prometto che per domani sera riavrete l'Accampamento come nuovo. I Ragazzi penseranno a tutto.
- Aspetta - interviene Josh, gli occhi spalancati, - dobbiamo fare tutto da soli?
Lo fulmino con un'occhiata. - Volevate anche gli assistenti? Voi avete fatto il danno e voi lo ripulite. 
L'espressione di Toro in Piedi si ammorbidisce appena. - La tribù vorrebbe contribuire, ovviamente. Si sentono in dovere di ricostruire ciò che è loro. E poi, questi piccoletti non ce la faranno mai da soli.
Vedo le facce di Quentin e Andrew ribellarsi di fronte all'espressione "piccoletti", ma li zittisco con un'occhiata. - Non lo trovo giusto, Capo. Loro non sono responsabili. Non potresti semplicemente dir loro di non aiutarli?
- Posso provarci - risponde lui, dandomi l'impressione di non avere neanche l'intenzione di farlo, - ma non ti assicuro che mi daranno retta.
- Be', fai in modo che lo facciano - ribatto seccato. - E voi - aggiungo, con uno sguardo di fuoco in direzione dei Ragazzi, - vi conviene scappare, se non volete essere ridotti in cenere come queste tende. E non vi azzardate ad accettare aiuto da chicchessia, chiaro?
Loro corrono via all'istante. 
Sospiro. - Be', spero proprio che nessuno si intrometta. Adesso, dovrei proprio...
- Ah, Peter Pan - commenta Toro in Piedi, aprendosi finalmente in un sorriso, - non penserai davvero di tornartene in quel tuo Rifugio sperduto nella foresta, dopo essere stato così duro con i tuoi Spiriti Liberi? In fondo, essendo il loro Capo, avresti dovuto tenerli d'occhio.
- Ma - ribatto incredulo - veramente avrei delle... cose da fare... - La sua espressione, però, è fin troppo eloquente. Sbuffo. - Ma suppongo che resterò qui a fare da supervisore, giusto?
- Bravo - approva lui, battendomi una mano sulla spalla prima di sparire tra le rovine ancora bollenti.
Mi giro di scatto, esasperato, e mi ritrovo praticamente solo in uno spiazzo che fino a poco fa era gremito. Perfetto, hanno già cominciato a contravvenire agli ordini. Saranno due giorni molto rilassanti.
- Peter?
Una voce ancora giovane mi chiama. Guardandomi attorno, vedo Michael spuntare fuori da un albero a passi piccoli.
Alzo le sopracciglia. - Non ti dirò che da te non me lo aspettavo, perché so che tu sei abbastanza furbo da non averle nemmeno toccate, quelle torce.
- Ti lascerò il beneficio del dubbio, allora - risponde lui, accennando un sorrisetto. Che però sparisce com'è arrivato; immediatamente. - Wendy? - domanda invece, il tono preoccupato.
Avverto un tuffo al cuore, e scuoto la testa. - Non ho la minima idea di dove sia - ammetto scoraggiato.
- Be', arriverà, no? - replica lui, fiducioso. - Non può non aver visto le fiamme; erano piuttosto altine. Vorrà venire a vedere cos'è successo.
- Sì - rispondo, molto più dubbioso di lui. - Probabilmente sì.





anche se non c'entra niente col capitolo, volevo salutare insieme a voi Robin Williams.
rest in peace. 

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Capitolo 28
*** Claustrophobia. ***


Fatemi uscire. Per favore, per favore, fatemi uscire subito di qui. Mi manca l'aria, mi manca la luce, mi manca perfino la ragione. Aprite quella cazzo di porta.
Maledizione, devo contenermi. Vorrei urlare a pieni polmoni e buttare giù la porta, scappare, anche a nuoto se necessario, ma devo darmi un contegno. Posso farcela. Un respiro profondo. Da quant'è che sono qua dentro? Un'ora, cinque, tre giorni? 
Respira. Pensa positivo. Rifletti. 
C'è un lato buono in questa dannata faccenda: non è ancora venuto nessuno. E sì, è un lato buono - anche se sto impazzendo -, perché chiunque osasse venire qui, fossero i miei fratelli o Peter o Chuck Norris, si farebbe sicuramente del male. E non voglio che nessuno si faccia male per venire a salvare me. Lo saprei se fosse arrivato qualcuno. Come minimo Alec sarebbe venuto a gongolare; probabilmente mi avrebbe portata ad assistere. Probabilmente al momento avrei un compagno di prigionia, a meno che non si trattasse proprio di Peter, e in tal caso Hook e la ciurma avrebbero già dato fuoco al mondo per festeggiare. 
Quindi, sì; per un certo verso, va tutto bene. Per ora.
In compenso, ci sono ottomila lati negativi, tra cui il fatto che mi sento morire e sono nel panico più totale. Questo buco è troppo piccolo. Qui dentro è troppo buio, un buio così fottutamente fitto non pensavo nemmeno potesse esistere. È tutto troppo chiuso, troppo pesante, è troppo troppo. E sto finendo col rimetterci la sanità mentale, ammesso e non concesso che ne abbia mai avuta una. Maledizione, maledizione e ancora maledizione.
All'inizio, quando Alec ha aperto la porta e illuminato questa sottospecie di stanza con una vecchia lampada a olio, ho pensato che avrei potuto sopportare mille giorni di questa tortura a bocca chiusa e senza batter ciglio, purché gli altri non si facessero vedere nei dintorni della Jolly Roger. Adesso, non ne sono più così sicura. Insomma, mille giorni sono un po' tanti. Almeno un buchetto nella parete a mo' di finestra potrebbero anche aprirmelo, se davvero fossi costretta a rimanere qui per sempre.
Non dirò comunque niente. Altrimenti potrei bollarmi definitivamente come idiota sovrana mondiale e andare a vivere sul fondo dell'oceano, dove da vivere avrei ben poco. E me lo meriterei pure. Sarebbe difficile perfino per me essere così meschina nei confronti dei Ragazzi e di Peter, di lui che è così idiota, così insopportabile, e a cui devo così tanto. 
D'accordo. Adesso sto letteralmente impazzendo.
Non so se siano passati pochi minuti o parecchie ore, se stessi dormendo o fossi sveglia, con gli occhi aperti o chiusi; so solo che a un certo punto ho sentito la serratura scattare e il cigolio dei cardini, e adesso la stanza, ringraziando il cielo, è illuminata. Una luce molto scarsa, è vero, l'aria fa sempre schifo, ma almeno ci vedo. 
Be', forse era meglio quando stavo diventando matta. 
- Mio malgrado, devo ammettere di essere colpito - commenta Alec, il bel volto attraversato da un piccolo sorrisino colmo di soddisfazione; chissà che bello, per lui, vedermi accasciata a terra, sporca e malandata, probabilmente più simile ad uno zombie che a un essere umano. - Forse sei un po' più tosta di quanto la tua minuta figura non lasci intendere; di solito, a quest'ora si notano i primi segni di squilibrio, grida, tentativi di sfondare la porta. 
Quale ora? Quant'è che mi tieni qua dentro? - Nah - rispondo, spaventandomi nel sentire quanto roca e stanca sembri la mia voce, - sono ancora abbastanza lucida. A questo proposito, mi sono ricordata che Matthew ti manda i suoi più taglienti saluti.
Il primo schiaffo arriva ancor prima che possa accorgermi del movimento di Alec; sento solo lo schiocco, e tre secondi dopo il bruciore che lascia sulla guancia. Riapro gli occhi che non sapevo di aver chiuso, volto la testa: non sorride più. 
- Ho l'impressione - mormoro - che di questo non farai parola al Capitano. Non sarebbe tanto felice di sapere che non ti comporti da gentiluomo con un'ospite, no?
- Me lo sarei risparmiato - soffia a denti stretti - se l'ospite in questione non fosse tanto sfacciata da parlare di cose che neanche conosce.
- Ah, vedo che brucia ancora. - Inarco un sopracciglio, sentendomi estremamente potente e, al contempo, estremamente stupida e incosciente. - Una cicatrice in viso non si dimentica, immagino. Per non parlare di quelle che non si vedono, che ti ricordano di essere stato battuto da un bambino...
- Attenzione, Darling - mi avverte, portando una mano alla cintura, sull'elsa scoperta della spada. - Non costringermi a farti subire lo stesso duro colpo. - Mi zittisco, anche se con un sorrisetto. Alec mi fissa, senza abbandonare la presa. Poi, lentamente, riprende: - Seppur parlando con un certo scetticismo, il Capitano mi ha spedito quaggiù per domandarti se per caso hai cambiato idea.
- Fa bene ad essere scettico - mormoro indifferente.
- Be', mi sembra giusto essere leali verso qualcuno che non si prende nemmeno la briga di venire a salvarti.
Non ascoltarlo. - Forse non ti è chiaro che un giochetto psicologico da quattro soldi non riesce a scalfirmi come, evidentemente, sembra fare con te. Oltretutto, l'ultima cosa che voglio è essere salvata. Non ho quattro anni e non mi credo una damigella bisognosa d'aiuto.
Alec mi guarda per un secondo, gli occhi imperscrutabili. - Sai cosa penso, Darling?
- Probabilmente che me ne importi - rispondo, - o non l'avresti chiesto. 
- Penso - continua, ignorandomi - che tu sia soltanto un'arrogante ragazzina presuntuosa, troppo sicura di sé per rendersi conto che un paio di paroline messe in croce non sempre sono sufficienti a salvarla; d'altronde, da quei cialtroni dei Bimbi Sperduti non potresti aver imparato nient'altro. Ricordo che Matthew, in particolare, ha questa tendenza. Ma lui, perlomeno, ha la fortuna di saper usare una spada, cosa che non si può dire di te.
- Altrimenti mi avresti sfidata a duello? - ridacchio piano. - Non sarebbe cortese.
- Purtroppo per me, Hook è dello stesso avviso - sospira, in modo abbastanza teatrale da mettermi all'erta. - Devi credermi, l'unica cosa che vorrei al momento sarebbe avere l'occasione di insegnarti un po' d'umiltà, ma il Capitano sta perdendo conti, e dice di lasciarti stare. Si è lasciato incantare da un paio di occhioni azzurri, sebbene un tempo fosse innamorato soltanto dei suoi. 
Fa una pausa, ne approfitta per guardarmi con puro odio.
E il mio buon proposito di stare zitta va a farsi benedire. - Non mi dirai che sei geloso, Alec.
- Troppo scontata - commenta, e stranamente sorride. - Ma temo che per una volta sarò costretto a contravvenire agli ordini; per i miei gusti, sei esageratamente sfrontata e insopportabile.
- Ma certo - sussurro sprezzante, - eppure non hai neanche il coraggio di andare a cercare Matthew, una volta per tutte, e batterti da uomo...
Il secondo schiaffo riecheggia nella piccola stanza, inaspettato quanto il primo, e molto più forte. Mi porto una mano alla bocca, sentendo un rivolo caldo scivolarne via. Sangue sulle dita.
E capisco che non è finita quando, con un movimento tanto aggraziato quanto fulmineo, estrae la spada.
- È un peccato - mormora avvicinandomela al petto, lievemente chinato in avanti - non poterti uccidere personalmente adesso, anche se ti assicuro che il giorno arriverà. Ma dal momento che ti permetti di dare a me del codardo, sono curioso di vedere come ti comporterai tu dopo questo.
Nella frazione di un secondo, la spada risale verso il viso, sotto la bocca; in quella successiva, sento la lama incidermi velocemente il labbro inferiore e pochi centimetri di pelle. Mi trattengo dall'urlare, ma sento un gemito sfuggirmi di bocca, gli occhi inumidirsi. Alec si raddrizza, soddisfatto; pulisce il poco sangue rimasto sulla lama usando la camicia, mi guarda, ripone la spada. Recuperando la lampada e la chiave, si avvicina alla porta, ma prima di aprirla si volta nuovamente a guardarmi. E sorride.
- Dimenticavo... Desolato di doverti deludere, ma il Capitano è riuscito a far recapitare un messaggio al tuo amico Pan, giusto per fargli sapere dove ti trovi. Chissà, magari per una volta abbandonerà le gesta eroiche e si terrà lontano dalla sua spada.
Ride, esce e chiude a chiave. 
Di nuovo al buio. Di nuovo senz'aria, di nuovo disperata. Ma assieme alla pazzia, adesso c'è qualcos'altro che non mi lascia sola: la paura.





sono un'idiota, l'ammetto. è da Ferragosto che cerco di scrivere questo capitolo, ma non mi venivano mai le parole adatte, c'era sempre qualcosa che non tornava. poi, stasera, stanca di sprecare fogli su fogli per non concludere niente, ho deciso di dare una sfogliata ai miei vecchi quaderni. ne ho dovuti guardare parecchi, questo è vero, ma alla fine l'ho trovato: questo capitolo, (quasi) esattamente come avevo intenzione di scriverlo. è stata una manna dal cielo. dovrei tenere più a portata di mano i miei vecchi scritti, invece di lasciarli a prender polvere nell'armadio; sicuramente non lascerei passare settimane tra un capitolo e l'altro. 

 

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Capitolo 29
*** Emozioni. ***


Peter's.

- Peter? - Qualcuno mi chiama, e con un tono decisamente cauto. Con aria molto minacciosa, mi volto verso Matthew, che trasporta cataste di legna da una parte all'altra dell'Accampamento; lo vedo distintamente deglutire, anche alla scarsa luce del crepuscolo. - Ecco... Noi abbiamo, ehm, capito la lezione... e siamo davvero dispiaciuti... Non è che potremmo, che so, fermarci per un po' e magari tornare domatt...?
Comincio a ringhiare come un gatto al cane, dal prondo della gola. Matthew chiude di scatto la bocca, e preferisce dileguarsi.
Saggia scelta.
- Peter, sii ragionevole - interviene Noah, fermandosi a pochi passi da me con almeno una ventina tra pelli e pellicce in braccio. - Non ce la faremo mai da soli!
- Ve lo meritate - ribatto accigliato. - Avete fatto voi il danno, e rendetevi conto che, se vi mettete a fare i cretini con le fiaccole nel bel mezzo di una tendopoli, non siete normali.
- Stavamo soltanto giocando - puntualizza, - e per tua norma e regola, i bambini si stavano divertendo da matti.
- Bene, adesso tocca a voi divertirvi. Cosa c'è di meglio che spaccarsi la schiena sotto il peso di legna e sudore? Adesso, ti muovi o a lavorare devo spedirtici io a calci nel...
Prima che possa finire Noah si allontana, ma lo sento borbottare qualcosa di molto simile a "despota", "tiranno" e "esagerato". Freno l'istinto di rincorrerlo e prenderlo sul serio a calci; in fondo, è già abbastanza stressante stare dietro a loro e agli Indiani che cercano in tutti i modi di aiutarli - anche quelli rimasti feriti - senza doverci aggiungere anche il senso di colpa per aver picchiato uno dei miei migliori amici. Per non parlare del fatto che io non dovrei per niente essere qui. Dovrei essere in volo, a cercare Wendy con una torcia in mano. E sicuramente io riuscirei a non dar fuoco a tutta l'Isola nell'impresa.
Insomma, io voglio sapere dove cavolo è finita. Voglio sapere se perlomeno sta bene.
Be', sì, starà bene. Wendy sa cavarsela. È più tosta di molti di noi, più tosta degli Indiani. Qualche volta, perfino di me. Non dovrei preoccuparmi.
Ma potrei sempre andare a casa a dare un'occhiatina... il caso non voglia che abbia fatto un giro (parecchio) largo e non si sia accorta del putiferio che è scoppiato qui. Magari Toro in Piedi non noterà la mia assenza; non può accorgersi di tutto.
Faccio già per alzarmi, finalmente sollevato di aver trovato qualcosa di concreto da fare, quando sento, di nuovo, qualcuno che mi chiama. - A-Aquila Volante?
È un bambino che non avrà più di sei anni; il viso arrossato e gli occhi sgranati lo fanno sembrare un pomodoro un po' troppo maturo e decisamente spaventato. Appena ricordo il nome, abbozzo un sorriso. - Che succede, Ashkii? Hai incontrato il lupo cattivo?
Ashkii annuisce freneticamente. Io aggrotto le sopracciglia; i bambini faranno anche incontri strani, ma i lupi non sono mai stati da questa parte della foresta. Sull'orlo delle lacrime, Ashkii mi porge quello che ha tutta l'aria di essere un rotolo di pergamena, e mi acciglio ancora di più; da quando in qua gli Indiani usano la pergamena? 
Quando mi accorgo del nastrino di velluto bordeaux che lo tieni legato, sento il cuore cominciare a battere più forte. Con un movimento rapido lo strappo via e srotolo il foglietto.
Ad ogni parola, le lettere, vergate in una grafia perfetta da penna stilografica, comiciano a farsi meno distinte. Ad ogni accento sento solo la mente svuotarsi e le mani tremare. E lo rileggo un'altra volta, altre due, fin quando perdo il conto, sperando che il contenuto cambi.
Non cambia.
- Peter Pan? - Qualcuno mi cerca, per la terza volta. Mi costringo ad alzare gli occhi, e mi trovo davanti un ragazzo di vent'anni a malapena. Skah, mi pare si chiami. Mi fissa con aria preoccupata e tiene in braccio Ashkii, che adesso piange per davvero. E chi se n'era accorto. - Qualcosa non va?
Senza dire una parola, gli porgo il foglietto; lo so già a memoria. 
Skah lo prende, accigliato; quando finisce di leggerlo spalanca gli occhi. - Non avrai intenzione...
- Sì - lo interrompo, asciutto. - Di' a Toro in Piedi che sono dispiaciuto e di controllare che i Ragazzi facciano quel che devono. Tornerò appena posso.
- Peter Pan, non puoi. Non hai neanche una spada!
- Se ne hai una che ti avanza sarò ben lieto di accettarla, Skah, ma altrimenti mi stai solo facendo perdere tempo.
- E come pensi di fare, allora? Quel pugnale ti servirà a molto poco.
- Non lo so - sbotto, stufo. - Che dovrei fare, lasciarla là sopra? È in pericolo!
- Non puoi salvare tutti, Aquila Volante. Non è tua responsabilità.
- Oh, eccome se lo è. - Furioso, mi piego sulle ginocchia per prendere lo slancio, e dopo tre secondi sono già in volo, la strada offuscata solo dalle stelle e da quei caratteri eleganti che mi ballano davanti agli occhi come luci al neon rimaste impresse nelle retine.
 
Non preoccuparti, con me la tua bella è al sicuro.
Ma nel caso ti andasse di rivederla, e possibilmente viva,
sai cosa fare.
                                                                                                 H.


 
Wendy's.

Sorrido. Ho ancora i polsi legati, un labbro sanguinante, la caviglia a pezzi, ma sorrido. Perché non sono più rinchiusa. E, ormai, si è fatto buio.
Hook mi osserva, in piedi accanto a un oblò, le mani dietro la schiena. Tira le tende solo di notte, dice, perché il mare è più oscuro, più affascinante. - Quanto ingenuo mi considereresti, se pensassi che quel sorriso possa significare un tuo ripensamento riguardo all'offerta che ho avanzato?
- Più di quanto ti farebbe piacere - rispondo, incapace di celare il velo di soddisfazione che ricopre il mio tono. - Piuttosto, stavo pensando che Peter è molto meno sciocco di quanto lasci credere. 
Stavolta, è lui a sorridere. - Davvero pensavi a questo? Il mio sospetto è, invece, che sia diventato solo un po' più saggio. Deve aver pensato che non vali la pena.
Cerco di rimanere impassibile, chiudo la bocca. Ma se avesse ragione? 
- Non dici niente? - continua, volgendo lo sguardo fuori, verso l'acqua e l'orizzonte. - In effetti, deve far male la consapevolezza di non essere importante per qualcuno. Suppongo che avresti dovuto immaginarlo, però. D'altronde, entrambi sappiamo com'è fatto Peter.
Alzo di scatto la testa. - Cosa vorresti dire? - domando piano.
Hook alza le spalle, senza giarsi. - Volubile. Frivolo. Sempre in cerca dell'avventura, anche se stavolta deve aver messo al primo posto la sua, di vita. Inaffidabile, per farla breve. Qualcuno da cui è meglio aspettarsi il peggio.
- È molto meglio di così - mormoro, quasi senza rendermene conto.
Finalmente Hook si volta, le sopracciglia inarcate. - Prego?
- Non lo conosci - continuo, atona, senza più guardarlo. - Non l'hai mai capito. È l'unico che abbia mai avuto il coraggio di sfidarti, su quest'Isola, e si è sempre fatto avanti per proteggere chi gli stava a cuore. È nobile.
Rimane in silenzio per qualche secondo. - Incantevole, la lealtà. Davvero difendi il tuo nobile amico, pur sapendo che ti ha abbandonata a ciò che, per chiunque, equivarrebbe a morte certa?
- So che non hai intenzione di uccidermi - ribatto stancamente. - Ti sono più utile viva, e sotto svariati aspetti. E sì, lo difendo, perché preferisco che per una volta quello stupido non rischi la sua vita per salvare quella di qualcun altro. Specialmente se si tratta di me.
Silenzio. Una pausa che sembra protrarsi all'infinito. Anche senza vederli, sento i perforanti occhi di Hook su di me, così limpidi per una persona tanto più torbida. 
- Non mi dire - commenta poi, piano e a bassa voce, avvicinandosi alla sua scrivania. Lo sento sbuffare una risata. - Devo ammettere di essere deluso. Tu, perlomeno, mi sembravi abbastanza intelligente.
Quando mi accorgo che non è intenzionato a proseguire, alzo gli occhi. - Non ti seguo.
Lui li abbassa, i suoi, con un sorrisetto scettico e amaro. - Le eroiche gesta sentimentali di Pan non sono un segreto neanche a bordo della Jolly Roger, Wendy, e ormai non mi stupisco più quando circola una nuova storia di qualche fanciulla troppo credulona che si è lasciata sedurre e abbandonare nel giro di un'ora. In fondo, su quest'Isola sono tutte così, facili da ingannare. Ma tra tutte, che proprio tu ci cascassi...
- Ora basta - sbotto. - Quale assurdo volo pindarico ha fatto la tua mente in soli trenta secondi per farti saltare a una conclusione del genere? Ho soltanto detto...
- So cosa hai detto - mi interrompe, secco, - e il fatto che ti stia impegnando così tanto per smentire le mie parole, non fa altro che darmi ulteriore conferma. Ma non è stato solo quello. Ti si legge negli occhi, Darling. Provi qualcosa per quel volatile senza piume.
- Le conosco anch'io, le storie - ribatto, guardandolo negli occhi. Tremo. - Lo so come si comporta in questi casi. So cosa vuole. Non potrei mai interessarmi a qualcuno così.
- Davvero? - replica, scettico. - Perciò non dovrebbe importarti se adesso Pan arrivasse, si battesse con me e io dovessi tagliargli un braccio, rendendogli peraltro pan per focaccia. Ti dispiacerebbe, ma non ne soffriresti.
Rimango in silenzio, impallidisco di fronte alla sua espressione. Per la prima volta da quando ho messo piede su questa nave, ho l'impressione che Hook stia facendo sul serio.
- O ancora peggio - soffia, chinato in avanti, le mani sul piano della scura scrivania come appoggio, - non sentiresti il tuo piccolo cuore andare in frantumi, se non si presentasse affatto.
Vorrei poter rispondere, trovare le parole adatte per dargli torto. Ma non arrivano.
E da sopra, si sente scalpicciare, qualcosa che cade, grida.
Hook alza la testa nello stesso momento in cui lo faccio io. E, come colpiti dall'identico pensiero, dopo un secondo torniamo a guardarci l'un l'altro. Lui trionfante, io atterrita.
E a riprova dell'intuizione, sentiamo passi affrettati per le scale. La porta si spalanca.
Un Alec trafelato e chiaramente euforico, a spada sguainata, fa il suo ingresso.
- Capitano - ansima, un sorriso da lupo sulle labbra, - è qui.

















ps.
ho cambiato carattere perché sì. è figo. 
cia'. xx





 

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Capitolo 30
*** Sfide. ***


Dalla crocetta dell'albero maestro, ad altezza considerevole, i Pirati sembrano tante piccole formichine indaffarate e, probabilmente, un po' brille. Immagino che se non fossero stati allertati del mio imminente arrivo, a quest'ora sarebbero sottocoperta a smaltire la sbronza dell'ennesima serata priva di eventi. E invece sono costretti sull'attenti, lo sguardo ben aguzzato e fisso sull'orizzonte nell'attesa di avvistare una piccola figura avvicinarsi sempre di più... senza neanche sospettare della mia presenza proprio sopra le loro teste. Potrei rimanere qua, perfettamente visibile, e gli vorrebbero comunque delle ore per accorgersene.

Ma non sono qua per questo, non ho tempo da perdere. Salto agilmente sul pennone, premurandomi di fare più rumore possibile nell'atterraggio. Qualche testa si alza, le espressioni confuse che mi suscitano un sorrisetto. Alla fine qualcuno, rapidamente, si avvicina all'albero, un ringhio stampato in faccia.

- Pan! - urla, quasi trionfante. - Hai avuto abbastanza fegato per venire qui senza la tua banda di mocciosi? Impressionante, ma non puoi rimanere là sopra per sempre!

- Avevano di meglio da fare, Chase, ma ci tengo a farti sapere che Noah è molto deluso da te - rispondo, guardando indifferente quegli occhi verde scuro, specchio di quelli del fratello. - Aspetta ancora le tue scuse per quella piccola occasione in cui sei quasi riuscito ad ammazzarlo. - Il suo viso sbianca, gli occhi spiritati. Un traditore. Un traditore testardo e pieno di sensi di colpa... che non riuscirò mai a perdonare per quello che ha fatto. - Ah... noto con disgusto che ti è rimasto un minimo di umanità, pur circondato da un branco di esseri senz'anima e scrupoli. Allora, dato che sei talmente inutile da non darmi neanche la soddisfazione di reagire, perché almeno non vai a chiamare il tuo Capitano? Avrei una certa fretta.

- Non serve che ti disturbi, Chase - interviene un'altra voce, più fredda e spietata di quanto non l'abbia sentita per molto tempo. - Sono qui.

Mi volto di scatto, rischiando per un secondo di perdere l'equilibrio, e dal boccaporto vedo comparire tre nuove figure: Hook, che con passo lento e deciso si avvicina a Chase, mettendogli una mano sulla spalla nell'orribile e sbagliata imitazione di un gesto paterno; Alec e Wendy, l'una racchiusa nella morsa delle braccia dell'altro, preda atterrita sotto il ghigno famelico del lupo. 

Sul ponte, cala il silenzio.

- Non è garbato da parte tua prendertela con i più deboli, Pan - commenta Hook, calmo come può esserlo una pistola prima di lasciar partire il colpo. - Dovresti sapere che il nostro Chase è piuttosto sensibile.

E quel nostro è il proiettile, che attraversa il corpo e ne recide dei pezzi, senza ucciderlo, facendo solo un male dell'anima. - Curioso - ribatto, le mani chiuse a pugno perché smettano di tremare - che proprio tu parli di scortesia, dopo aver preso in ostaggio una ragazza sola e disarmata. Facciamola breve, Hook; non ho tutta la notte.

- Non vuoi neanche che ti racconti del soggiorno della tua amica presso le nostre camere d'élite? Credevo che ci tenessi a sapere che pensava tu fossi tanto intelligente da non venire neanche a salvarla.

Dimentico per un istante dove mi trovo, e la guardo. - Sei impazzita? - domando, perplesso. - Avrei dovuto lasciarti qui?

- Pensavo fossi abbastanza furbo, sì - risponde Wendy, e mi stupisco di vederla davvero convinta, e, soprattutto, arrabbiata. - Ma fai sempre a tempo a diventarlo. 

- Lei dimentica la tua straordinaria capacità di ficcarti sempre nelle situazioni più pericolose, Peter - continua Hook, con l'aria di chi sta tenendo una tranquilla discussione in un salotto parigino. - E, nondimeno, il tuo spiccato senso dell'eroismo banale ed estremamente stupido. Strano, perché di solito è quello che fa innamorare le ragazze di te, sbaglio? Dev'essere una delusione che con lei questo non funzioni. Quali altre armi ti rimangono?

Mi immobilizzo, fulminato per un secondo. Il cuore che accelera.

- Non ascoltarlo - sento mormorare Wendy, distintamente come se avesse urlato. Un sussurro più forte di un uragano.

Mi riscuoto. Non è il momento. - O, piuttosto, dovresti chiederti quali armi rimangono a te, Capitano. Tu, che non hai neanche l'eroismo, ma solo una passione per rapimenti e manipolazioni, che speranze hai di arrivare al suo cuore? Nella tua situazione, sarebbe più consono lasciarla andare senza inscenare questo pietoso teatrino.

Sento Wendy trattenere il fiato, vedo perfino Alec congelarsi. Hook, semplicemente, abbandona il suo sorriso; estrae la spada, la punta in alto, su di me.

- Non intendo - esordisce, in un sussurro lento e mortale - lasciarmi insultare ancora una volta da te, ragazzino. Se la vuoi, devi venire a prendertela.

Ed io non aspettavo altro.

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Capitolo 31
*** Salvezza ***


- Peter! - urlo, un secondo prima che schizzi giù, pronto al duello. Un grido disperato. un grido nella speranza di dissuaderlo, un vano tentativo di salvare qualcuno che è disposto a farsi uccidere per te, che non te lo meriti. Un avvertimento per farlo tornare in sé e capire che, contro una spada e un'abilità decennale, un misero pugnale non può nulla, neanche se in mano a Peter Pan.
- Taci - mi sibila Alec all'orecchio- se non vuoi che i suoi sacrifici vadano in fumo.
A riprova delle sue parole, mi preme la spada sulla gola, ferro gelido contro la pelle che mi zittisce e crea un nodo di terrore.
Perché d'accordo, Peter tiene testa a Hook. È così dannatamente bravo che, in possesso di un'arma migliore, lo costringerebbe alla resa nel giro di pochi minuti. Ma, con quel semplice giocattolino, tutto si riduce ad una danza di sopravvivenza, un mulinare di lame sincronizzato e ipnotico, uno spettacolo spaventoso e, all'apparenza, quasi premeditato tanto è perfetto.
Ma questa non è una farsa. Sta succedendo davvero, e anche se è talmente surreale da far sembrare il frastuono del ferro contro il ferro lontano chilometri, la paura di non sapere come andrà a finire è paralizzante.
Persino Alec, come anche il resto della ciurma, pare essere incantato da tanto maestria. Se solo fossi più lucida, se solo riuscissi a pensare a qualcosa di diverso dal panica che mi attanaglia e non mi lascia, se solo Peter non fosse stato tanto stupido...
E poi lo sento. Lo percepisco forte come se mi avesse chiamata ad alta voce in una stanza piccola e vuota: il suo sguardo su di me. E lì rimane quando lo guardo a mia volta. Nonostante sembri uno di quei momenti cruciali dei film, in cui tutto va al rallentatore, vedo ancora il suo braccio roteare per difendersi e affondare, senza mancare un colpo, senza distrarsi. Eppure mi guarda, fissa. Ed è come se una scarica di energia pura e vitale mi attraversasse, scuotendomi. La sua, che con una sola occhiata urla: aiutami.
Non può farcela.
E torna così velocemente a fissare l'avversario che potrei pensare di aver immaginato tutto, di aver avuto un'allucinazione dovuta al dolore ormai sordo, se non avessi impressa a fuoco nella mente la stanchezza dei suoi occhi, e non sentissi ancora quel brivido in corpo.
C'è poco tempo.
E come se quell'energia, che tante volte lo ha salvato da situazioni disastrose, fosse davvero stata trasmessa a me per pura volontà, obbedisco a un istinto immediato: con la minaccia della spada di Alec ormai allentata e lontana, riesco a chinarmi in avanti, e con una forza che neanche avrei mai immaginato di avere, le mani ancora strette dalla corda, riesco a scaricargli una violenta gomitata a due braccia nello stomaco. Immediatamente molla la presa del tutto, e lascia cadere la lama con un lamento di dolore. Il fragore sembra risvegliare tutti, me compresa, che torno a rendermi conto di tutto, l'accozzarsi delle spade, gli insulti e gli incitamenti, il dolore alla caviglia e al labbro. Mentre Alec è ancora in ginocchio mezzo agonizzante, afferro la sua spada e la uso per tenerla sotto tiro, di fronte al suo sguardo furioso e sconvolto, cercando di non pensare a quanto entrambi siano pensanti da reggere.
Intorno, la ciurma è stupefatta. Quando mai rivedranno il loro secondo ufficiale minacciato da una ragazza?
- Vi lasciate intimorire da una ragazzina? - sbraita Hook, l'espressione stravolta dalla rabbia. - Prendetela, idioti!
Alec, dal canto suo, si riprende. Si alza in piedi e accenna un sorriso. - Di nuovo troppo imprudente, Darling - sogghigna. - Non hai nemmeno idea di come si impugni.
Fulmineo, dà un calcio alla spada, facendola volare in alto con una rotazione perfetta, e riprendendola al volo con impeccabile coordinazione.
Sgrano gli occhi, indietreggio. Sono nella merda.
- Wendy - sento Peter chiamarmi, la voce affannosa. Non lo ascolto. Mi guardo intorno, continuando a indietreggiare, Alec che mi asseconda, lento e inesorabile.
- Wendy - ripete Peter, - maledizione, scappa!
- Non ti lascio qui!
- Forse ti converrebbe - sghignazza Alec, sadismo puro nello sguardo.
- Arrenditi, Pan - ringhia Hook, il sudore che cola in piccole gocce lungo la fronte, - sappiamo entrambi che con quel ridicolo bastoncino non hai la minima speranza!
- Ah no? - 
Mi volto di scatto, il fiato sospeso.
Con l'ennesimo, immenso sforzo, Peter riesce a sferrare l'ultimo attacco, dritto alla spalla dell'avversario. Urlando di dolore, Hook si porta l'unica mano rimasta alla ferita, abbandonando la sua preziosa arma. In un gesto istintivo, Peter la raccoglie, la tiene stretta e puntata contro i Pirati. Salta, e spicca il volo.
Cerco di imitarlo, Alec che ormai avanza sempre più veloce, l'espressione di trionfo tramutata in collera per la sconfitta del suo Capitano. Ma è come se il sollievo della vittoria mi avesse svuotata, lasciandomi dentro solo la stanchezza e il dolore, che pesano sulla caviglia e la fanno tremare incontrollata, e mi tengono incollata a terra. Tento di raccogliere ogni briciolo di energia che mi è rimasto, disperata.
- Wendy! - grida Peter dall'alto. Per la prima volta, una nota di spavento nella sua voce.
- Non... ce la faccio - rispondo, le gambe che cedono, la voce un sussurro. Ormai Alec mi sovrasta, di nuovo come in quella dannata cella, la lama pronta a fendere. Serro gli occhi per non guardare quel ghigno.
E, d'un tratto, mi sento sollevare. Rialzo le palpebre, sbalordita. Un paio di braccia che mi sollevano, l'opaco baluginare della spada di Hook fin troppo vicino al mio viso. 
Peter, che mi porta in salvo ancora una volta.
L'ennesimo grido, straziato, quasi animalesco, il grido della sconfitta. Che si trasforma in grido di dolore. E rimango sconvolta nell'accorgermi che viene da me, che la spada di Alec, qualche metro più sotto, è ora coperta di sangue, e che quel sangue è il mio. 
Sento bruciare. Il corpo, il sangue, l'aria che respiro. E poi il buio.

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Capitolo 32
*** Ritorno. ***


Buio, silenzio. E una buona, massiccia dose di tranquillità. Potrei rimanere qua per sempre e, forse, non annoiarmene mai.
Ma anche solo rendendomi conto di esserci, in questo buio e silenzio, significa aver già cominciato a tornare. E si aggiunge il respiro delle onde che sempre più distintamente si infrangono sulla sabbia. E anche la luce, forte e bianca, che attraverso le palpebre brucia. L'enorme luna piena di Neverland. E dei lievi movimenti al mio fianco, accompagnati da piccoli respiri, veloci e affannosi. D'un tratto, mi ricordo di non essere sola. Non del tutto.
Perciò sospiro. E lentamente, come se fino ad ora fossero rimasti incollati, inizio ad aprire gli occhi.
- Dio, grazie -. Un'esclamazione a bassa voce colma di sollievo, un grande sospiro di liberazione dall'ansia. - Non... fare mai più una cosa del genere, Darling. Seriamente.
Pur sentendola pesante come un macigno, provo a girare la testa verso destra, da dove arriva la voce. Sento lo stomaco che quasi si ribalta, ma stringo i denti. - Di preciso, che avrei fatto?
- Sei... sei rimasta svenuta per oltre dieci minuti, dannazione - sbotta Peter, incredulo e furente al tempo stesso. - Pensavo fossi in coma!
- E invece - commento, cercando di abbozzare un sorriso - rimarrò qua ancora un po' a rompere le scatole.
- Non è divertente - ribatte severo. - Stavi perdendo una marea di sangue da quella maledetta gamba. Ringrazia che le Indiane mi abbiano insegnato qualcosa di erboristeria...
- Grazie, dottore - esclamo tragicamente. - Mi dica, potrò ancora camminare?
Peter mi rivolge una lunga, penetrante occhiataccia, ma non risponde. Dopo qualche minuto, bruscamente, domanda: - Allora. Si può sapere come diavolo ci sei finita, su quella nave?
Lo guardo, stupita. - Ero in gita di piacere, non avevi capito?
- Non riesci ad essere seria neanche in fin di vita?
- Non sono in fin di vita - ribatto, cercando molto delicatamente di mettermi a sedere senza vomitare. - Secondo te com'è successo? Mi hanno catturata.
- Grazie tante - ribatte, acido. - Quel che vorrei sapere è come, dato che ti avevo espressamente detto di filare a casa.
Arrossisco un po', ricordando la stupidità della situazione. - Mi sono... slogata una caviglia - ammetto, imbarazzata. - Sono inciampata in un sasso.
La sua espressione si fa scettica. - Mi ritieni così tonto da crederci?
- È la verità - replico, ancora più rossa in viso. - Non ti è mai capitato di farti male in qualche modo cretino?
Evidentemente si rende conto che non lo sto prendendo in giro, perché sgrana gli occhi. - Vuoi scherzare. Non avresti potuto, che so, stare più attenta?
- Oh, naturale - sbotto, - perché io sapevo che nei paraggi c'era un gruppetto di Pirati matti pronto a rapirmi, giusto? E mi sono anche divertita molto a passare la giornata là sopra, no?
- Non ho detto questo - ribatte. - Ho detto che sei sbadata. E anche un tantino irresponsabile.
Mi irrigidisco. - Irresponsabile io?
Peter si volta a guardarmi, un'espressione interrogativa.
Prendo un respiro profondo. Non voglio urlare. Urlare danneggia la gola e potrebbe attirare qui vicino ospiti indesiderati, sebbene i più pericolosi probabilmente si staranno ancora leccando le ferite. Dunque, per contrasto, sento la voce che mi si abbassa ad un sussurro. - Chi è, tra noi due, che ogni volta gli si presenti un'occasione utile per scontrarsi coi Pirati, fa di tutto per coglierla? Chi è che ha accettato in un batter d'occhio di andare a sconfiggere dei Tritoni non appena gli è stato chiesto? Chi è l'idiota che alla minima provocazione di Hook si è precipitato sulla Jolly Roger come se non ci fosse stato un domani?!
Rimane in silenzio per qualche secondo. - Idiota? - ripete, furioso e sconvolto. - Io sono venuto solo per aiutare te!
- Ma chi ti ha chiesto di farlo?
- Oh, scusa tanto - sbotta sarcastico. - Cos'è, avevi già pronto un piano di fuga? O magari pensavi di restare qualche tempo, come damigella di corte di Hook?
- Non puoi davvero credere che sia giusto mettere in pericolo te stesso per salvare qualcun altro! Non tutto è una tua responsabilità, Peter! Io meno degli altri. Non ho bisogno di essere salvata.
- Lo vedo - replica gelido. - Ti hanno tenuta là per quanto, mezza giornata?, e hai un labbro gonfio, la caviglia slogata e una gamba distrutta e sanguinante.  
- E tu avresti potuto essere messo peggio! Non avevi neppure una spada...
- Non ne ho bisogno. Io so combattere.
- Eri stanco morto, con quello stupido pugnale! Hook avrebbe potuto ferirti in qualsiasi momento...
- Non è successo, e non stiamo parlando di me, Wendy. Stiamo parlando di te che sembri avere una straordinaria capacità di metterti nei guai, e non sei neanche disposta ad accettare che qualcuno te ne tiri fuori! Io non riesco a lasciare le persone in pericolo, non quando so di poterle aiutare. Non è nella mia natura, è sempre stato così, e tu lo sai bene! Specialmente quando si tratta di qualcuno a cui voglio bene, come diavolo faccio a non toglierlo dai casini?!
Rimango in silenzio. Lo guardo, le sopracciglia aggrottate, un'espressione seria in viso. Ma dentro, sento il cuore battere all'impazzata.
- Hai appena detto che mi vuoi bene? - gli faccio notare, non senza lasciar trapelare una nota di stupore. Uno stupore che, per qualche breve istante, si riflette nei suoi occhi, e viene poi cancellato da un bagliore, una luce che non ha niente a che vedere con la luna che ci sovrasta.
- Sì - risponde, - ma non era questo che volevo dire -. Prende un respiro profondo; sento l'agitazione nella sua voce, nell'aria, nel suo respiro, nel mio cuore e anche, soprattutto, nel suo. - Quello che volevo dire è che ti amo.





#sonounapersonaorribileenesonopienamenteconsapevoleperdonatemifaccioschifoholasciatolastoriaalculmineperunmesemenevergognointensameneteabbiatepietàdellamiaanimanonuccidetemiancheperchécoltempochevihofattoaspettarequestocapitoloètroppotroppobreveperchévoipossiateperdonarmichiedoscusalapidatemifatequalsiasicosamelomerito

spero di avervi rintontiti abbastanza con quello che spero sia l'hashtag più lungo della storia :D nel frattempo che voi avrete finito di districarvene, io sarò già scappata, perché mi starò ancora vergognando troppo e cercherò di fuggire dalle vostre maledizioni cino-aramaiche (?) e, soprattutto, dalle armi nucleari che vorrete usare contro di me dopo questo capitolo.

chiedo ancora venia. venissima. venierrima. love u all!

 

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Capitolo 33
*** La Verità. ***


La osservo. Sento il cuore battere a tamburo nel petto, mosso dall'euforia. Percepisco ogni dettaglio con precisione infinitesimale: l'aria di mare, leggera e salata, il profumo del bosco, dei fiori, delle foglie degli alberi, il chiarore della luna che sbiadisce e rende perfetto il viso di Wendy, che illumina anche la lentiggine più piccola e scolorita, sul naso, la bocca appena schiusa, ogni singolo guizzo degli occhi, in cui si inseguono mille emozioni: sconcerto, incredulità, divertimento, indulgenza, sospetto, un accenno di rabbia. D'improvviso, quella sicurezza che mi pervadeva fino a qualche minuto fa inizia a vacillare.
E io comincio a rendermi conto.
Come se tornassero concretamente in aria, ad aleggiare davanti ai miei occhi, rivedo le ultime parole che ho pronunciato, eteree, inaferrabili. "Ti amo." Io ho detto ti amo. E non ad una che avrebbe potuto crederci anche se, nel mentre, avessi avuto in testa un cappello da giullare e stessi eseguendo un numero da giocoliere sul monociclo. Ho detto ti amo a Wendy Darling. 
Oh. Oh, merda. Tanta, grandissima merda, cosa diavolo ho combinato? Ho rovinato tutto! Adesso, proprio ora che le cose stavano cominciando ad andare bene, che stavamo diventando amici, sono riuscito ad incendiare il fragile castello di carte che stavo costruendo prima ancora di arrivare a metà dell'opera - un castello che una volta terminato avrebbe avuto la forza di sostenermi - con l'ingenuità che solo un bambino o un deficiente possono avere. E non ho neanche più il deterrente del bambino, ormai.
Rialzo gli occhi su Wendy; la magica atmosfera che prima mi era sembrata tanto carica di speranze si frantuma in mille pezzi che mi piovono addosso, schegge di realtà che feriscono, fanno male. Lei, ancora, non dice una parola; guarda soltanto nel vuoto, in un punto poco distante dalla mia testa, in attesa, forse solo sconvolta. 
Mi schiarisco la gola, dolorosamente grattata dall'amarezza e la vergogna che precedono le mie parole. - Darling - comincio, stupendomi io stesso del mancato tremore nella mia voce. - Mi dispiace. Io non... non so cosa mi sia preso.
- Già - commenta lei con un fil di voce, - nemmeno io.
Dinanzi al suo tono assente, le rivolgo un'occhiata sospettosa, di sottecchi; lei neanche sembra accorgersene. Dov'è la rabbia che, fino a pochi secondi fa, sembrava averla resa pronta a picchiarmi con anche l'ultima briciola di forza che le fosse rimasta in corpo, ricoprendomi nel frattempo dei più pesanti improperi conosciuti dall'uomo? Mi rifiuto di accettare lo shock; poteva andar bene all'inizio, quando ancora la notizia poteva non essere stata assimilata, ma adesso, se devo essere umiliato, esigo almeno che sia fatto in grande stile, con scene da film d'azione anche un po' splatter.
Eppure continua a non dir nulla, quasi la voce le fosse sparita tutta d'un colpo. Ma so che non è mai successo che Wendy Darling rimanesse a corto di parole, e non ho intenzione di lasciar cadere così il discorso.
- Il fatto - riprendo, calibrando le parole sul monito costante del cuore che batte veloce in petto - è che non riuscivo più a tenerlo per me. Era come... come portarsi sulle spalle il peso di un intero grattacielo di trenta piani, invisibile e insostenibile. Avrei voluto dirtelo stamattina, sai, prima che venissimo interrotti. Dopo sono stato quasi felice di non esserci riuscito. - Rido, amaro. - Tutto inutile, in fin dei conti.
Wendy annuisce, sempre persa, immobile, quasi non mi avesse ascoltato neanche per sbaglio. Probabilmente perché è proprio così.
Allora comincio a irritarmi seriamente. - Sai, ho sempre avuto vagamente sospettato, da quando ho capito cosa provavo, che nel momento in cui te l'avrei fatto sapere non saresti stata particolarmente entusiasta, ma decidere deliberatamente di ignorarmi mi sembra eccessivo anche per i tuoi standard.
Finalmente, pur sempre senza guardarmi, Wendy si decide ad aprir bocca. - Io non ti sto ignorando.
Inarco le sopracciglia. - Oh, perdonami. A casa mia, quando parli con qualcuno e costui si rifiuta di rispondere o dar segni di vita, o ti sta ignorando o è deceduto. Dal momento che, nonostante tu non sia messa particolarmente bene, comunque respiri ancora, ho dedotto a logica che mi stessi ignorando.
- Ho sentito ogni singola parola del tuo discorso, Pan - ribatte, cominciando a dar cenno di una rinnovata umanità negli occhi spenti, e di colore sulle guance pallide. - Ciò non significa necessariamente che io debba appagare il tuo bisogno quasi compulsivo di sicurezze e egocentrismo illimitato.
- Il mio... cosa? - sbotto, sbalordito e indignato. Forse era meglio quando rimaneva zitta. - Qui non c'entra niente il mio ego... Ti ho appena detto che ti amo!
- E cos'è che ti fa pensare che io sia tenuta a crederti? - esclama lei, tornando finalmente a guardarmi, gli occhi ardenti come i tizzoni di un falò. - Perché non dovrei credere che tu stia semplicemente agendo come hai fatto con chissà quante altre? Perché non dovrei pensare che tu mi stia solo prendendo in giro?
Di nuovo rimango sconvolto, senza fiato, come se mi avesse dato un pugno. - Perché dannazione, Wendy, tu non sei proprio come le altre! Non sono mai andato da una qualunque a dirle che l'amavo solo per portarmela a letto una volta... non sono mai andato in generale a dire a qualcuna che l'amavo! Parlandoci onestamente, ho decine di altri metodi molto più efficaci a disposizione... Ma hai anche solo una vaga idea di come sia non provare altri sentimenti diversi dall'attrazione fisica, non riuscire a sentirsi totalmente presi al punto di desiderare soltanto la presenza di un'altra persona... sai cosa significa credere che non riuscirai mai a innamorarti? È così che mi sono sentito, troppo a lungo, fin quando non sei tornata tu nella mia vita! Hai un'intelligenza, una forza mostruosa che non riesco minimamente a spiegarmi, ma che mi ha completamente mandato in tilt. Non capisco più nulla quando si tratta di te. Perchè ci avrei messo tanto a capirlo? E credi che non sapessi quanto dannatamente stupido fosse prentendere di poter sconfiggere Hook con solo un pugnale? È solo per te che l'ho fatto, perché sapevo che perdendoti sarei tornato ad essere ciò che ero prima, privo di senso e sentimenti.
Ansimo, sentendomi la testa ronzare come uno sciame d'api impazzito, vedendo il suo sguardo furioso e sperso. È fatta. Ora mi ammazza.
E invece, spiazzandomi definitivamente, scuote la testa, gli occhi chiusi e il respiro corto, le mani tremanti. - Io non ho niente di quel che hai detto - mormora, la voce incredibilmente bassa e carica, come se avesse un nodo in gola. - Non sono neanche lontanamente la persona formidabile che tu credi io sia. Sono soltanto... un casino. Di sentimenti, ideologie, pregiudizi, e non hai idea di quanto io mi odi per questo, per essere così maledettamente antipatica con tutti... Ha ragione Matthew a non sopportarmi. Neanche io mi sopporto.
Rimango basito dal suo discorso. - Non sta a te giudicarti - ribatto, cercando di mantenere ferma la voce. - Nemmeno io ti sopporto, a volte. Sei una delle persone più irritanti che conosca. E comunque, questo non cambia quel che provo.
- Dovrebbe - replica, prendendo un profondo respiro. - Insomma, Peter, cosa diavolo ci faccio io con te? Tu sei buono... ogni tanto sei un grandissimo stronzo, ma fondamentalmente buono. Chiunque, che ti conosca o no, ti ama, anche solo sapendo quello che tu fai per gli altri. Sei la persona migliore che quest'Isola potesse avere, e che chiunque qua potrebbe conoscere. E se c'è del buono, in me, ho almeno la certezza che a trasmettermelo sia stato tu.
La guardo, ammutolito per un secondo. - Credo che tu mi abbia appena fatto un complimento. Ti è salita la febbre?
Non ti sto facendo dei complimenti. Ti sto dicendo che, per come sei, io non ho alcun valido motivo per cui non amarti. Sei una delle poche persone oltre ai miei fratelli che abbia mai dimostrato di tenere minimamente a me. E non puoi immaginare quanto ciò sia capace di irritarmi.
Sento, nel petto, un guizzo di speranza, simile a un predatore che alza la testa dopo aver fiutato la preda. E viene seguito subito dopo da un fiotto di euforia, la stessa che avevo prima, subito dopo le fatidiche parole. Forse, tanto male non hanno fatto. 
- Darling - dico, ma poi non riesco a continuare.
Wendy alza la testa, un'unica espressione turbata e confusa. - Cosa - domanda, senza la minima inflessione.
Apro la bocca, ma non ne esce suono. Cerco di raccogliere l'aria necessaria ad esprimere concretamente le parole che rimangono a pungermi la lingua, oltre ad un tono abbastanza serio da non lasciar filtrare un filo di compiacimento. Ma l'unica cosa che riesco a fare è incurvare un angolo della bocca, un sorriso storto che cerca invano di trattenersi. Lei inarca le sopracciglia, in attesa. Alla fine, dopo un lungo respiro che non riesce a portar via il ghigno dalle labbra, riesco a parlare.
- Darling - ripeto, lo sforzo evidente nella voce per trattenere una risata. - Tu hai detto che mi ami.
La vedo sgranare gli occhi, in cui, di nuovo, si rincorrono rabbia e incredulità in pari misura; perfino alla luce sbiadita della luna vedo le sue guance tingersi di un rosso intenso. Riesco quasi a sentire la lotta interna in corso nella sua testa, ma l'unica cosa che riesce a balbettare scompostamente alla fine è: - C-cosa?
Il sorriso si allarga, nonostante gli immani tentativi di trattenerlo. - Oh, te lo giuro. Se non erro, le parole sono state, "non ho alcun motivo per non amarti".
Il colorito porpora si estende alle orecchie. - Be', non voleva certo dire che debba farlo per forza.
- A me, invece, sembrava una confessione piuttosto evidente.
Non riesce a rispondere, né ad emettere alcun suono, ma solo ad aprire la bocca un paio di volte, a vuoto, fino ad arrendersi con l'espressione di chi è stato beccato a fare una cosa molto stupida dopo averla creduta estremamente intelligente.
E allora avverto un senso di certezza, e di vittoria, e ancora più grande, immensa, la felicità, che diventa parte integrante di ogni atomo che mi compone.
- HA! - urlo, facendola trasalire e lasciandomi sfuggire un inconsulto slancio del braccio verso il cielo. Devo concentrare tutta la mia forza di volontà per non alzarmi in piedi e lanciarmi in una danza celebrativa. - Lo sapevo! - continuo, incapace di trattenermi. - L'avevo detto fin dall'inizio che sarebbe successo! Nessuno resiste al fascino di Peter Pan!
L'espressione disgustata di Wendy è quanto di più soddisfacente potesse capire in una serata come questa. Più di vedere Hook sconfitto. Più di liberarsi del fardello di un sentimento represso per troppo tempo. E scoppio a ridere senza il minimo ritegno.
- Fossi in te - commenta Wendy dopo un po', a voce abbastanza alta da sovrastare la mia risata - non sarei poi tanto esaltato.
- E perché mai? - ribatto, assumendo un tono di cortese divertimento.
- Perché altrimenti - replica, e ora è a lei che spunta un sorrisetto sul viso - sarei costretta a ricordarti della piccola scommessa che abbiamo fatto qualche tempo fa... e che, non per smontarti, hai clamorosamente perso.
Di colpo, sento il mio sorriso scemare, il volto distendersi, mentre lei chiaramente gongola come se non esistesse un domani.
- La scommessa - dico veloce - era su chi si sarebbe innamorato per primo; per quanto ne so, potresti essere stata tu e non averne fatto parola.
- O magari è il contrario, ma nessuno dei due può saperlo - continua lei, sempre più divertita. - Forse l'unico modo sicuro di averne la certezza sarebbe di chiedere a Noah o Matthew, ma mi rifiuto di coinvolgere quei due in un simile affare. Perciò, alla luce delle recenti dichiarazioni, che sono gli unici fatti su cui possiamo basarci... direi proprio che hai perso. Spiacente.
- Be' - commento, guardandola con un sorrisetto e avvicinandomi. La sento rabbrividire quando le sussurro all'orecchio: - Magari abbiamo vinto entrambi.
- Molto comodo - ridacchia. - Ma, come ipotesi, è piuttosto persuasiva.
Mi rivolge il primo, vero sorriso dal suo risveglio, che si riflette nel mio mentre le poso una mano sulla guancia. 
E fra l'elettricità nell'aria, e le onde che si rifrangono piano sulla sabbia, si fondono i nostri respiri, e s'incontrano le nostre labbra, per dare inizio, finalmente, alla storia che avrebbe sempre dovuto esistere.





dadadadaaaaaaan.
musichetta di catastrofe imminente dovuta a due eventi: 1. sono riuscita a pubblicare un capitolo entro un tempo decente (yeeee) 2. purtroppo (credo più per me che per voi, perché io poi non so più cosa scrivere ç_ç), probabilmente questo capitolo sarà anche l'ultimo.
okay, sono molto indecisa se aggiungere anche un epiloghino finale (che però uscirebbe molto scialbo e segalitico, e soprattutto entro chissà quale anno); in ogni caso, vi assicuro che deciderò nei prossimi giorni. oddio, non so quanto le mie rassicurazioni siano affidabili, ma... mi ci impegnerò :3
be', che dire. nel caso in cui questo fosse davvero l'ultimo capitolo, ci sono un paio di considerazioni che devo fare.
1. se devo essere onesta, non ricordo neanche come mi sia venuto in mente di scrivere una fanfiction del genere. come sta già scritto nella presentazione, da piccola detestavo davvero il personaggio di Peter Pan. solo scrivendone, e un po' anche immedesimandomi in Wendy, sono riuscita a farmi conquistare da lui. perciò, devo ringraziare il giorno malsano che mi ha fatto partorire questa idea.
2. questa è la prima fanfiction che porto a termine. ne ho cominciate tante e su svariati telefilm/gruppi/qualsiasicosa, ma facevano talmente schifo a livello di trama che le ho abbandonate da un pezzo. nonostante "Back in a new past" sia stato una sorta di esperimento, dove ci saranno almeno millemila incoerenze ed errori e cazzivari, sono davvero felice di essere riuscita, finalmente, a finire qualcosa di più lungo di un tema scolastico (nonostante ci abbia messo più di un anno, lol). il che, mi porta al punto 3.
3. devo ASSOLUTAMENTE e CATEGORICAMENTE ringraziare tutte quelle persone che hanno deciso di aprire questa storia e addirittura leggerla; siete coraggiose, lo ammetto c: ma senza di voi che l'avete seguita, messa tra i preferiti, e soprattutto recensita, non sarei mai andata avanti e questi 33 benedetti capitoli sarebbero finiti nel dimenticatoio. perciò, davvero, grazie, perché ogni vostra piccola azione ha contribuito a darmi un po' di forza in più per continuare, per non abbandonare, per non lasciarmi sopraffare dall'idea del "questa roba fa tutta schifo". grazie, grazie, grazie. 
e niente, se continuo un altro po' quasi piango. non credo di aver ancora realizzato che è (quasi?) tutto finito. me ne accorgerò quando mi ritroverò tra qualche pomeriggio a pensare che dovrò fare un salto qui, e mi ricorderò che sarà per vedere se è stata aggiunta qualche recensione, e non per aggiungere un nuovo capitolo. la mia moleskine finirà in un angolo dell'armadio, me lo sento. ç_ç
d'accordo, qui finisco per fare un tema più lungo del capitolo. che dire, spero vivamente che tutto questo ambaradàn vi sia in qualche modo piaciuto, che vi abbia lasciato qualcosa dentro, magari fatto sognare un po'. ancora, un grazie immenso a tutti. xxxxx

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