Amabili resti

di kateausten
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di scope e Dissennatori ***
Capitolo 2: *** Di acromantule e baci ***



Capitolo 1
*** Di scope e Dissennatori ***


E non avere paura di perdere.
Se è la cosa giusta, accadrà.
La cosa più importante è non avere fretta.
Le cose belle non scappano via.



14 Novembre 1993
Ore 15:45 p.m.


Il cielo di quel freddo pomeriggio di Novembre era scuro e sembrava pronto a mostrare cosa sapeva fare con pioggia, fulmini e saette.
Katie Bell scoccò un’occhiata ansiosa alle nuvole grigiastre e con un certo rammarico virò dolcemente verso destra, per cominciare la discesa sul terreno.
Era stata sulla sua amata Tornado per almeno un’ora, svolazzando sopra il campo da Quiddicht e le torri più alte del castello, ma non si era azzardata a superare i limiti imposti dal professor Silente.
Non che si considerasse una rammollita, ma lo sentiva. E non ce la faceva.
Il freddo, il gelo.
Anche se i Dissennatori non erano nella scuola, Katie era scossa un brivido che le andava su e giù per la spina dorsale non appena si avvicinava al Lago Nero.
Sospirò mentre planava lentamente sul terreo erboso del campo e, con mani maldestre, sciolse la coda fatta preventivamente per evitare che i lunghi capelli biondi le finissero negli occhi o in bocca mentre volava: volare era sicuramente una delle cose che amava di più al mondo.
Volare, la torta di zucca, Incantesimi e Oliver Baston erano i punti principali della sua piccola lista e non necessariamente in questo ordine.
A Katie scappò un sorrisino: Baston era in cima ai suoi pensieri da quando era diventata Cacciatrice due anni prima e lo aveva ammirato tanto quando respingeva con estrema eleganza Bolidi infuriati e incattiviti, tanto quando strillava improperi a Fred e George Weasley.
Alzò lo sguardo e notò come gli anelli enormi del campo da Quiddicht sembrassero paurosamente soli senza nessuno impegnato a proteggerli.Un altro brivido le passò lungo la schiena e non seppe se era per l’atmosfera che aleggiava intorno al castello o semplicemente per il vento freddo di novembre; l’unica cosa che desiderava in quel momento era rientrare nel suo caldissimo dormitorio, farsi una doccia bollente e buttarsi su una poltrona di fronte al fuoco.
O forse no.
Katie sbattè le palpebre stupita, mentre il cuore cominciava a batterle più velocemente. Una figura abbastanza massiccia stava camminando velocemente verso di lei, con in una mano quella che sembrava una scopa e nell‘altra mano quello che sembrava il baule contente Pluffe, Bolidi e Boccino.
Avrebbe riconosciuto quella figura fra mille e tentò di calmarsi, nonostante Oliver Baston avesse evidentemente deciso di farle prendere un infarto, dato che le sorrise illuminandosi.
“Katie,” disse mentre cercava di riprendere fiato. “Meno male che dalla finestra della Biblioteca ti ho visto!”.
Il cuore di Katie continuò una corsa accelerata verso la sua probabile morte.
“Davvero?” chiese stupita.
“Certo!” Baston le dedicò un altro sorriso folgorante. “Sei l’unica a cui questo tempo non fa paura ed è pronta per un piccolo allenamento di Quiddicht”.
“Oh”.
“Sei qui per questo, no?” chiese Baston, dedicandole un’occhiata distratta.
Katie non rispose, sperando che la sua espressione rimanesse neutrale, mentre il piccolo palloncino di felicità si stava sgonfiando, Baston apriva il baule tirando fuori una pluffa e, senza tante cerimonie, si allontanava verso il centro del campo.
Il ragazzo non sembrò aver notato che Katie strascicasse i piedi, per nulla convinta a seguirlo in quel cielo che minacciava una pioggia torrenziale da li a qualche secondo.
“Avanti, Katie!” gridò girandosi e vedendola ancora lontana da lui. “Qui tra un po’ viene giù anche il cielo”.
Ma dai.
Katie sbuffò, ma alla fine- poiché era Oliver, solo e soltanto perché era Oliver-, montò nuovamente in sella alla scopa mentre si legava nuovamente i capelli.
Volò fino ad arrivare allo stesso livello di Baston, guardandolo con espressione corrucciata.
“Sai Oliver, questo non è esattamente il tempo ideale per farsi una partitina”.
Oliver le sembrò confuso.
“E allora perché eri qui?” chiese e stavolta sembrò interessato alla risposta. “Ti ho visto e ho pensato…”.
Katie scosse la testa e alzò gli occhi al cielo con un mezzo sorriso.
“Sei sempre il solito fissato per il Quiddicht. Magari ero qui per un altro motivo”.
Oliver aprì la bocca ma Katie lo precedette prima che potesse dire qualche stupidaggine.
“Dai,” disse prendendogli velocemente da sotto il braccio la pluffa. “Facciamo qualche tiro”.

***


Ore 16:30 p.m.

“Perché eri qui?”.
Il tono di Baston era curioso e guardava con i suoi grandi occhi scuri il viso pallido di Katie. Adesso sembrava veramente concentrato sulla domanda, ma soprattutto sembrava interessato alla risposta di Katie.
Il tempo, incredibile ma vero, li aveva graziati anche se il vento era troppo freddo, -soprattutto per volare-, e loro non erano vestiti abbastanza per quella che sembrava una lama ghiacciata che li trapassava da parte a parte.
Si erano seduti sul prato vicino all’entrata, nella zona più riparata, avvolti nei mantelli, con le mani ghiacce e i capelli scompigliati dal vento. A Katie non sembrava vero di essere li da sola con Oliver e cercava di non chiedersi perchè il ragazzo non avesse ancora proposto di andare in Sala Comune per riscaldarsi.
Incrociò lo sguardo di Oliver e cercò disperatamente di non arrossire.
“Avevo voglia di volare un po‘”.
“Ma non di allenarti” suggerì Oliver con un sorriso un po’ colpevole.
Katie rise e scosse la testa.
“Vabbè, diciamo che non era nei miei programmi,“ rispose sinceramente. “E’ che volare mi rilassa tantissimo. Però non mi ha fatto male, no? Allenarmi, dico. Posso sempre migliorare”.
Baston emise uno sbuffo.
“Oh, andiamo. Sei una delle Cacciatrici più brave che abbia mai visto, Katie” disse e la sua aria divenne vagamente depressa. “Abbiamo una squadra eccezionale questo anno e sicuramente non vinceremo la Coppa”.
Katie represse un sorriso.
“Dai, Oliver. Abbiamo una grande squadra, lo hai detto tu stesso. Questa volta andrà tutto bene”.
“Abbiamo già perso contro Tassorosso,” gli rammentò Baston con aria meditabonda “Dovresti ricordarlo”.
Katie lo guardò sorpresa.
“Certo che lo ricordo,” disse “C’ero anch’io quando i Dissennatori sono arrivati e Harry è precipitato dalla scopa”.
“No, non dicevo per quello,” Baston sembrava in procinto di picchiarsi da solo per essersi fatto scappare quella frase, perché arrossì e fissò un punto indefinito di fronte a se.
“Cosa?” chiese confusa Katie “Non credo di..”.
“Dicevo,” cominciò Baston guardandola con espressione torva “Che c’era il vostro bel Diggory nella squadra avversaria. Tu, Angelina e Alicia mi sembravate piuttosto.. Ehm.. Felici di ciò”.
Katie spalancò la bocca in un perfetta ‘o’, mentre le guance le si coloravano per la milionesima volta.
“Oliver,” mormorò, mentre si rimetteva una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Io..”.
Una folata di vento più forte la fece tremare violentemente.
“Vuoi rientrare?” chiese Baston imbarazzato.
Katie scosse la testa sperando di riprendere il discorso, ma Baston stava guardando il cielo con espressione pensierosa.
“Secondo te questo freddo è normale?”.
Katie lo guardò improvvisamente guardinga.
“No. Credo di no” rispose in tono piatto.
Baston si girò verso di lei.
“Anch’io ho paura di loro” disse semplicemente.
Katie aprì la bocca per dire qualcosa, ma si rese conto di non saper rispondere all’affermazione del ragazzo.
Quel pomeriggio aveva volato per sentirsi libera, per cercare di evadere da quella cappa di tristezza e disperazione che i Dissennatori sembravano alitare con le loro putride bocche in tutti i corridoi del castello.
Erano i Dissennatori la sua paura più grande; era terrorizzata da loro e da ciò che potevano fare. Esseri che ti succhiavano via l’anima dopo averti fatto impazzire di disperazione.
E il freddo.
Il freddo.
“Non.. Non è normale,” disse dopo qualche secondo con voce tremante. “Questo freddo, questa disperazione che non ci lascia respirare”.
Oliver annuì.
“Lo so, credo che..”.
“E poi,” Katie continuò, come se ormai avesse rotto un argine e non potesse contenerlo. “Mi danno la sensazione, anzi, la certezza che non abbiamo.. Non abbiamo abbastanza tempo, Oliver. Come se potesse succederci qualcosa prima di realizzare quello che abbiamo in mente di fare. Come se fosse in loro potere farci vivere o morire, come se non avesse senso fare qualcosa di costruttivo perché loro ce la toglieranno comunque. Come se fossero loro a dettare il ritmo, il tempo della nostra vita. Come se potessero ridurci a dei miserabili resti umani”.
Katie si fermò perché aveva l’orrenda sensazione di poter scoppiare in lacrime se avesse detto anche solo un’altra parola.
Oliver sembrò ammutolito dal discorso e dagli occhi pericolosamente lucidi della ragazza. Con molta, molta incertezza le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse leggermente.
“Katie, non sono loro a decidere il nostro tempo,” disse con voce bassa ma ferma. “Noi vivremo anche se loro ci passeranno vicino, costruiremo tutto quello che vorremo costruire e avremo il tempo di fare tutto quello che vogliamo fare”.
Katie, che stava cercando di imprimersi al meglio il calore e il peso del braccio Oliver nella memoria, alzò lo sguardo e con lentezza annuì.
“E poi, non mi ridurrebbero in un resto così.. Come hai detto? Ah, si. Miserabile. Io sono adorabile. Anzi, amabile. Sarei un amabile pezzetto di carne”.
La ragazza fece un sorrisetto poco convinto, ma ripeté le parole di Oliver: “Avremo tempo”.
“Certo” confermò lui.
Restarono qualche secondo in silenzio.
“Avremo tempo per volare” suggerì Katie con un piccolo sorriso.
“Avremo tempo per bere Burrobirre a Hogsmade” replicò Oliver.
“Per le punizioni” disse Katie ridacchiando.
“Per i banchetti di Halloween”.
“Per le vacanze di Natale”.
“Per vincere la Coppa di Quiddicht” concluse Oliver e Katie scoppiò a ridere.
“Esatto, mio Capitano” esclamò stranamente rincuorata dalla fissa sportiva di Baston.
Oliver sorrise e levò il braccio dalla spalla di Katie.
“Avremo tempo, Katie. Avremo tempo per fare tutto quello che vuoi, te lo prometto” disse guardandola dritta negli occhi e Katie sentì il cuore mancare un battito perché le parole e lo sguardo di Oliver sembravano una promessa. Una di quelle che fai e che mantieni, a tutti i costi.
Una goccia di pioggia spezzò bruscamente il momento e l’atmosfera che si era creata fra loro.
“Accidenti!” esclamò Katie balzando in piedi mentre Oliver la imitava.
Corsero fino all’inizio delle scalinate, cercando di evitare Gazza e le sue ramanzine “sulle sudice impronte che lasciavano” (Katie era fermamente convinta che il custode avesse bisogno di una gran bella vacanza per farsi togliere quella irritante fissa sul pulito).
La ragazza stava per salire le scale quando Baston la fermò per un braccio.
“Che c’è? Non vieni in Sala Comune?” chiese sorpresa.
Baston scosse la testa.
“Ho praticamente mollato tutti i libri in Biblioteca per venire da te. Devo andare a riprenderli,” spiegò con  un sorriso. “Ammesso che Madama Pince me li abbia lasciati li”.
Katie alzò gli occhi al cielo, sbuffando divertita.
“Tu hai qualche problema con il Quiddicht, Oliver. Veramente”.
“Probabile” ammise lui allegramente mentre gli lasciava il braccio.
Stettero un altro minuto in silenzio, poi Oliver aprì la bocca, mentre le guance gli si coloravano di un bel rosso vermiglio.
“Per quella Burrobirra a Hogsmade,” cominciò e Katie sgranò gli occhi.
Oddio. Non stava succedendo davvero. Oliver non era mai stato un asso con le ragazze e questo lo si notava dal fatto che stava stringendo il manico della sua scopa con tanta forza da farsi sbiancare le nocche.
Stava per chiederle di uscire.
Stava per chiederle di uscire?
Un urlo improvviso li fece sobbalzare.
“Dove siete stati per insudiciare il pavimento in questo modo, ragazzi perversi?”
Argus Gazza era di fronte a loro, mentre l’immancabile Miss Purr gli si strusciava ai piedi; il custode aveva i capelli sporchi e unti come al solito e un ghigno diabolico sul viso.
“Guardate che sudice impronte state lasciando!” sbraitò ancora. “Adesso vi porto dal Preside e…”
Katie e Oliver si guardarono con un sorrisetto e si separarono velocemente.
Baston si incamminò velocemente verso la Biblioteca e mentre lei cominciava a salire le scale (con un ritmo sostenuto, ignorando gli schiamazzi e i richiami di Gazza), sentì la voce di Baston.
“Mi raccomando Katie, puntuale all’allenamento di martedì. I Corvonero sono difficili da battere e con i centoventi punti di vantaggio..”.
La sua voce si perse negli ampi corridoi, insieme a quella del custode, mentre un sorriso radioso avrebbe fatto compagnia a Katie Bell per tutta la serata.

 

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Capitolo 2
*** Di acromantule e baci ***


2 Maggio 1997
Ore 00:03


Stava crollando tutto. O forse era già crollato tutto.
Oliver Baston non distingueva più quello che era ancora in piedi e quello che invece era diventata polvere o macerie. Lasciò vagare gli occhi esausti per la Sala Grande. La bellissima, grandissima, pulitissima Sala Grande dove ogni mattina per sette anni aveva fatto colazione, ricevuto i nuovi orari, pranzato, cenato, escogitato tattiche, parlato con persone che adesso non respiravano più perché maledizione c’era la guerra, era arrivata anche li, a Hogwarts e niente e nessuno poteva salvarli in quel momento.

“Avete combattuto valorosamente. Lord Voldemort sa apprezzare il coraggio”.

Oliver stava guardando i corpi del buon professor Lupin e di Fred Weasley. L’aria piena di polvere e detriti gli stava comprimendo i polmoni e, mentre si obbligava a staccare gli occhi da quello che era stato un suo compagno di squadra e amico, cercò di mantenere il pranzo nel suo stomaco.

“Se entro un’ora non ti sarai consegnato a me, la battaglia riprenderà. E questa volta vi prenderò parte io stesso, Harry Potter, e ti troverò e punirò fino all’ultimo uomo, donna o bambino che abbia cercato di nasconderti a me. Un’ora”.

Bene. Aveva ancora un’ora di vita, quindi. Gli venne da ridere, mentre si alzava dai gradini dove si era seduto, solo per prendere un maledettissimo attimo di respiro da tutto quell‘inferno.
Gli venne da ridere perché quella mattina si era alzato nella sua casa a Londra, aveva fatto colazione, si era sbarbato, si era lavato e pettinato ed era uscito. Come faceva tutte le mattine da quando aveva lasciato Hogwarts. Sembrava tutto normale, per quanto potesse essere normale quel periodo.
Poi aveva guardato il cielo nero ed era rabbrividito per lo spiacevole freddo, inusuale per i primi di maggio; era rientrato per pranzo, quando aveva notato un gufo che non conosceva  picchiettare insistentemente alla finestra.
Ancor prima di leggere la lettera, sapeva già cosa stava per succedere. Si smaterializzò immediatamente, provando una leggera stretta al cuore quando riconobbe il familiare profilo di Hogsmade, mettendosi subito a correre verso il castello, incespicando da quanto andava veloce.
E adesso era li, tra macerie e cadaveri, in una sala che sembrava sconosciuta, piena di voci stridule, respiri spezzati e pianti incontenibili.
Avanzò barcollando.
Non l’aveva ancora vista da quando erano usciti dalla Stanza delle Necessità.
Mentre scuoteva inutilmente la polvere dai pantaloni la individuò dall’altra parte della sala, dove una volta stava il tavolo dei Tassorosso. Attraversò a grandi passi la distanza che lo separava da lei e finalmente gli sembrò di ricominciare a respirare meglio, con i polmoni che tornavano a fare il loro lavoro.
Katie Bell sembrava più magra e pallida da quando l’aveva vista l’ultima volta, un caldo pomeriggio di giugno di quasi due anni prima. Era accanto a Sibilla Cooman e cercava di aiutarla a curare Lavanda Brown, ancora più pallida di Katie e immobile in un modo inquietante.
La ragazza alzò lo sguardo e quando lo vide, per quanto fosse assurdo, riprese un minimo di colore sulle guance e si tirò su dal pavimento raggiungendolo in un angolo della Sala .
“Oliver,” mormorò e gli occhi le si riempirono di lacrime, calde e amare, come sarebbero state quelle del ragazzo se si fosse concesso di piangere.
“Ehi, Katie” rispose lui. Poi si avvicinò e l’abbracciò forte, in maniera quasi dolorosa, premendo le dita tra le vertebre della schiena di lei, coperta da una leggera maglietta color lavanda.
La lasciò piangere per tutto il tempo di cui ebbe bisogno, perché Oliver Baston credeva fermamente che certe volte le cure migliori fossero un buon pianto (e lui lo sapeva, soprattutto dopo le delusioni delle partite di Quiddicht, ma nessuno sarebbe mai dovuto venirne a conoscenza) e un forte abbraccio (in questo poteva migliorare, ma,- fece un sorriso triste ricordando una vecchia conversazione-, adesso non aveva più tempo).
Quando Katie si staccò, aveva gli occhi rossi e cerchiati e Oliver notò un taglio fresco sulla guancia destra. Ci passò lentamente le dita.
“Sei ferita” disse, anche se si sentì un po’ sciocco quando lei scrollò le spalle.
“Niente a che vedere con altri. Lavanda ci è quasi rimasta” rispose con voce spenta.
Si guardò intorno e i suoi occhi si riempirono nuovamente di lacrime.
“Mi sembra tutto così assurdo Oliver,” sussurrò con voce tremante. “E poi io.. Io non ti vedevo più e ho pensato che qualche Mangiamorte ti avesse ucciso,” Altre lacrime cominciarono a cadere sul volto di Katie. “E poi ho visto Angelina e Alicia combattere, ma tu no..”.
Oliver la abbracciò nuovamente, perché quel semplice gesto non solo faceva stare meglio lei, ma faceva stare meglio lui.
“Sono sempre stato dalla parte destra della Sala combattendo a fianco di Neville,” disse in un sussurro fra i capelli sporchi e pieni di fuliggine di lei. “Ed ho aiutato a evacuare la scuola dai minorenni ”.
Katie annuì, con il volto nascosto nel suo petto. Non sembrava volersi spostare da li e a Oliver la cosa non dispiaceva affatto. Non volle dirle che aveva visto i resti di quelli che una volta erano esseri viventi, pezzi abbastanza grossi risparmiati dai Mangiamorte, forse per passare ad altri esseri che ancora respiravano.
Vide alcune persone trasportare corpi che non si muovevano più ma che lui aveva conosciuto, nel mezzo della Sala Grande e per non mettersi a urlare, chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e staccò il corpo caldo di Katie dal suo.
Questo, prima di prenderle velocemente il volto tra le mani e baciarla con disperazione, gioendo internamente quando sentì la ragazza rispondere al bacio con altrettanta forza.
Non avevano avuto il coraggio di farlo durante quello strano pomeriggio di qualche anno fa, quando potevano avere tutto il tempo del mondo, ma Oliver decise che non era il momento giusto di starci a rimuginare e cercò di godersi quegli ultimi attimi di vita.
Almeno non sarebbe morto con il rimpianto di non aver poggiato le sue labbra su quelle di Katie e questo, considerando tutto quello che stava succedendo, poteva essere considerata una grande vittoria personale.
Quando si staccò, tenne gli occhi chiusi e poggiò la fronte su quella della ragazza, cercando di stabilizzare il respiro; aveva ancora le mani sulle guance di Katie quindi sentì gli angoli della sua bocca piegarsi in un sorriso.
“Secondo te è sbagliato?” chiese lei sussurrando.
“Sbagliato?”.
“Molte persone sono morte. E probabilmente noi le seguiremo fra poco” disse.
Baston la guardò con un mezzo sorriso.
“Proprio per questo, credo che non ci sia niente di sbagliato” replicò, prima di baciarla nuovamente.
Anche questa volta lei rispose al bacio senza nessuna esitazione, abbracciandolo forte, quasi spingendolo contro il muro di pietra che stava alle sue spalle; Baston le passò le mani fra i capelli e seguì la linea del suo collo fino a fermarsi nel mezzo delle sue clavicole e poi da li, scendere ancora, fino a posare la mano destra sul cuore di Katie.
“Penso che mi stia per venire un infarto” mormorò lei staccandosi da Oliver, leggermente in imbarazzo.
Oliver sorrise.
“Almeno non la daresti vinta ai Mangiamorte” disse e Katie quasi ridacchiò.
“Uccisa da un bacio. Che cosa dolce e patetica,” Katie roteò gli occhi. “Angelina e Alicia mi scaricherebbero dietro una valanga di Bolidi”.
Anche Oliver riuscì a simulare una risatina e poi la abbracciò forte.
“Devo andare Katie” disse.
Lei non si mosse.
“Katie” la chiamò dolcemente Baston.
Quando lei alzò lo sguardo, Oliver ebbe seriamente paura di venire affatturato.
“E dove credi di andare? Ci siamo appena ritrovati e vuoi andare a fare l’eroe da qualche parte..”.
Oliver fece uno sbuffo e intrecciò le mani con le sue, stringendole forte, perché erano calde e rispondevano al suo tocco e questo significava che erano vivi anche se il buio pareva inghiottirli.
“Devo andare ad aiutare con i corpi,” disse in tono dolce “Poi torno, cosa credi?”.
Katie lo guardò dubbiosa.
“Fuori ci sono i Dissennatori,” disse improvvisamente. “Non andare nel parco, per favore”.
Oliver scosse la testa e le lasciò le mani.
“Non mi faranno diventare un miserabile resto” disse con un sorrisetto.
Katie lo guardò perplessa ma poi ricordò e ridacchiò, in maniera stanca.
“Anche perché tu saresti amabile, giusto?”.
“Esatto,” rispose. “Se la cosa può consolarti, non sei malaccio. Sei amabile anche tu”.
Katie roteò gli occhi, nel vecchio e tenero modo di fare che aveva quando lui la spazientiva.
“Saremo amabili resti insieme, allora” concluse e lui sorrise.
Provò uno strano e improvviso brivido di freddo senza il corpo della ragazza appiccicato al suo e mentalmente si diede dell’imbecille, del troll, del tonto perché sapeva di piacere a Katie durante gli anni della scuola e non aveva mai fatto nulla.
Aveva tentato di chiederle di uscire, una volta, ma Gazza li aveva interrotti bruscamente e lui non aveva più trovato il coraggio e adesso, adesso sembrava così semplice invece, così facile stare con lei, così normale accarezzarle le piccole lentiggini che aveva sul collo e diventare dipendente dal sapore della sua bocca.
Oliver chiuse gli occhi e si avviò verso il corridoio, prima che la forza di volontà gli venisse a meno e non riuscisse più ad andarsene da lei.
Raggiunse Neville nel corridoio principale e lo vide chino su un corpo: era Colin Canon e Baston sentì nuovamente il pranzo cercare di uscire dalla sua bocca. Era minorenne, dannazione. Cosa diavolo ci faceva li, in terra?
“Morto,” disse Neville con voce tremante. “Penso sia stata una maledizione senza perdono”.
Il corpo e il viso di Colin erano abbastanza puliti, quasi come se il ragazzo stesse semplicemente dormendo.
Oliver scosse la testa e guardò Neville caricarsi sulle spalle, con evidente fatica, il corpo di Colin.
“Sai cosa? Ce la faccio da solo, Neville” e con delicatezza prese quel piccolo ragazzino incosciente e coraggioso e lo mise sulle sue di spalle, avviandosi in Sala Grande.
Lo mise accanto al professor Lupin ed evitò di guardare gli altri corpi. Incrociò lo sguardo di Katie e sentì una stretta allo stomaco.
L’ora di tregua era quasi finita.

Ore 04:25 p.m.

“Harry Potter è morto! Lo capite adesso, illusi? Non è mai stato altro che un ragazzo che contava sul sacrificio degli altri!”


Baston sbattè gli occhi, incredulo. Non poteva essere. Harry morto. No, semplicemente non poteva..
Sentì Alicia e Katie trattenere uno strillo e automaticamente strinse la mano di Katie.
“Scusami” sussurrò.
Katie gli rivolse uno sguardo impaurito, confuso e stralunato.
“Cosa?” chiese.
“Ti avevo fatto una promessa,” rispose velocemente Baston “Ti avevo detto che avremmo avuto tempo per fare quello che volevi e adesso…”.
Katie fece un sorriso tremulo e gli strinse la mano più forte.
“Ma tu l’hai mantenuta, Oliver. Quello che più volevo fare, lo abbiamo fatto. Ci siamo baciati”.
Oliver non replicò, guardandola poi trattenere il fiato mentre Neville aveva evidentemente deciso di uccidersi prima del tempo scagliandosi contro Voldemort, che lo disarmò senza nessuna difficoltà.
“Mi unirò a te quando l’inferno gelerà,” urlò Neville e Oliver sentì improvvisamente qualcosa di infuocato strizzargli le viscere. “Esercito di Silente!”.
Era il momento; tutto l’orgoglio Grifondoro che era in lui emerse (insieme a una buona dose di incoscienza, paura ed esaltazione) e strinse nuovamente la mano di Katie, la quale gli restituì uno sguardo febbricitante ma splendente.
“In bocca al lupo, Katie”.


Ore 06:45 a.m.

Era un po’ strano, tutto sommato.
Sembrava quasi che fosse capitato ad un’altra persona, non certo a lui, di aver combattuto contro decine e decine di Mangiamorte, aver contribuito a salvare il mondo magico e essere li, adesso, seduto per terra sull’erba ancora bagnata di rugiada, vicino all’ingresso semidistrutto della scuola.
Oliver Baston si grattò il mento con aria distratta mentre il sole appena sorto lo illuminava dolcemente. Non pensava che lo avrebbe visto, il sole. Pensava che quella notte così buia si sarebbe protratta in eterno e lui sarebbe affogato in quel nero cupo e amaro che aveva avvolto tutti loro e aveva il suono di maledizioni senza perdono e di amici che adesso non respiravano più.
Fece rotolare la sua bacchetta di abete e crine di unicorno, tredici pollici e mezzo, da una mano all’altra osservandola pensieroso.
Avevano vinto.
Voldemort era morto, i Mangiamorte sarebbero stati imprigionati e Hogwarts sarebbe riemersa dalle ceneri; undicenni pieni di entusiasmo e aspettative-, come era stato lui, come erano stati tutti-, avrebbero preso il treno a King’s Cross quel 1 settembre e avrebbero avuto anni meravigliosi. Anni pieni di magia, di risate, incantesimi, tuffi nel Lago e tranquillità. Nessun Basilisco che pietrificava la gente, nessun Dissennatore pronto a banchettare con la tua anima. Nessun cadavere da tirarsi su in spalla, anche se era quello di un sedicenne che raggiungeva a fatica i cinquanta chili ma che era così peso, da morto.
Oliver era convinto che avrebbe sentito il peso e la pressione dei cadaveri che aveva trasportato sulle spalle per tutta la vita.
“Sei qui”.
Baston non si girò, ma sorrise lievemente mentre Katie si metteva a sedere accanto a lui, senza prestare attenzione alle chiazze scure che l’erba bagnata stava immediatamente cominciando a lasciare sui suoi pantaloni.
Stettero qualche secondo in silenzio, poi Katie sospirò.
“Sembra che ce l’abbiamo fatta”.
“Così pare” rispose Oliver, girandosi verso di lei.
Katie scosse la testa appoggiando il mento sulle ginocchia.
“E’ tutto così surreale. Mi sembra che sia successo a qualcun altro”.
“Già,” rispose lui. “Ho la stessa identica sensazione”.
Katie lo guardò di sottecchi, mentre lui faceva ancora rotolare la bacchetta da una mano all’altra, con aria pensierosa.
“Oliver, cosa c’è?” chiese ma rendendosi immediatamente conto dell’idiozia della domanda cercò di correggersi. “Cioè, voglio dire, so cosa c’è ma..”.
“Avery a un certo punto mi ha disarmato”.
Katie sgranò gli occhi.
“Cosa?” chiese con un filo di voce.
“Pensavo di morire, Katie. Ero veramente convinto che non ti avrei più rivisto” spiegò, con un leggero sorriso.
“Ma…” sussurrò Katie.
Oliver la guardò, mettendosi finalmente la bacchetta in tasca.
“Un’acromantula,” continuò. “Penso che a un certo punto non abbiano più fatto distinzione tra noi e i Mangiamorte, così una di loro è saltata addosso ad Avery e io ho avuto tempo di riprendere la bacchetta. Una botta di fortuna che non ti dico”.
“Altro che botta di fortuna,” replicò con voce tremante la ragazza. “E’ stato ancora meglio di un sorso di Felix”.
Baston sorrise e stettero un altro po’ in silenzio, beandosi di quella tranquillità che poche ore prima sembrava non dovesse più esistere. Quando il sole cominciò a rischiarare anche gli angoli di quel piccolo pezzo di giardino Oliver si alzò, porgendole la mano.
“Allora,” cominciò Katie mentre, una volta in piedi si levava fili d’erba dalle gambe. “Pare che adesso ne abbiamo”.
“Di cosa?” chiese Oliver momentaneamente disorientato.
“Di tempo, Oliver” rispose lei, roteando gli occhi, come se fosse una cosa ovvia.
Oliver Baston ridacchiò, sentendo la tensione delle ultime ore sciogliersi lentamente, proprio come la rugiada sulle foglie d’erba.
“Sembrerebbe di si” rispose mentre le metteva un braccio intorno alle spalle e si avviavano verso il castello.
Katie sospirò brevemente, mentre cercava di rallentare i battiti del suo cuore.
Fino a poche ore prima, sembrava che quel muscolo volesse esplodere dalla paura e dal terrore, mentre adesso era bello, era meraviglioso che battesse così forte per una cosa così sciocca come il braccio di Oliver Baston sulle spalle.
Certe cose, fortunatamente, non cambiano mai.
“Cosa fai domani?” chiese Oliver improvvisamente.
“Oh. Uhm.. Niente di che” rispose Katie, cercando di non sorridere troppo.
Mentre il cielo si faceva azzurro e sereno, Oliver si girò e le diede un piccolo bacio sul naso.
“In questo caso, c’è una Burrobirra che sono quattro anni che aspetta di essere bevuta..”.
 

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