STRANGE NIGHT HANGER di Alvin Miller (/viewuser.php?uid=112400)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Strange Delivery ***
Capitolo 2: *** A Strange Evening ***
Capitolo 3: *** A Strange Enemy ***
Capitolo 4: *** A Strange Weapon ***
Capitolo 5: *** An Ordinary Epilogue ***
Capitolo 1 *** A Strange Delivery ***
1:
A Strange Delivery
Era
un pomeriggio come tanti altri quello che stava scorrendo quel giorno
davanti alla Carousel Boutique. Ordinario, sereno e melodioso; non un
solo filo di erba fuori posto, nessun presagio di disavventure nel
corso della giornata. Insomma, un giorno di ordinaria Armonia nel
colorato villaggio dei pony.
«Caro
Spike, davvero non ho parole per esprimere la mia gratitudine per
l’aiuto che mi stai dando!» Civettò
Rarity, mentre lo stallone autista del suo trasporto stava terminando
di caricare sulla carrozza gli ultimi pacchi di vestiti per
l’imminente viaggio della giumenta.
«D-di
nulla. Lo sai che per te farei qualunque cosa.»
Pigolò il piccolo draghetto, stringendosi l’una
sull’altra le mani artigliate.
«Sì,
lo so. Sei il mio Spikeuccio adorato, ed io sarei davvero persa senza
di te!» Aggiunse lei, sorridendogli amorevolmente,
consegnandogli sulla guancia arrossita un soffice bacio affettuoso che
gli fece saltare per aria un paio di squame dalla schiena.
«Sweetie
Belle starà a dormire dagli Apple stasera e io non posso
assolutamente mancare a questa sfilata! Se la linea dovesse piacere
potrei ricevere richieste praticamente da tutta Baltimare! Riuscite a
immaginarlo?! Potrebbe essere la serata più importante di
tutta la mia vita!» Spiegò, rivolgendosi stavolta
a Twilight.
«Lo
sappiamo, Rarity, e spero con tutto mio cuore che tu ce la faccia! Mi
spiace soltanto di non poter trovare del tempo per badare alla tua
casa. Ho un sacco di lavoro a castello, e per giunta Princess Celestia
non fa che mandarmi copie di libri in sostituzione a quelli che perso
in biblioteca.» Rispose l’alicorno
dell’amicizia con voce rotta.
«Cielo,
non dispiacerti affatto tesorino, si tratta solo di un giorno! E
poi» si girò nuovamente verso il piccolo
assistente «mentre starò via so già che
la boutique sarà in ottime zampe.»
Il
drago si mise dritto di schiena, col petto all’infuori e le
braccia conserte, ghignando superbo per le lusinghe.
L’autista
della carrozza si schiarì la gola, richiamando alla sua
attenzione la pony bianco-perla. «Signorina, qui è
tutto pronto! Possiamo andare!»
«Arrivo
subito, mi dia solo un istante!» Estrasse da una valigetta
per i trucchi uno specchietto, e lo utilizzò per sistemarsi
il fondotinta.
«Sarò
di ritorno domattina, giusto il tempo di concludere
l’esposizione e di stipulare gli accordi con gli eventuali
acquirenti. Spike, le liste sono in cucina. Sai già quello
che devi fare, vero?.»
«Sissignora!
Chiaro come un ruscello, splendente come uno zaffiro!»
«Meraviglioso!...
oh, che sbadata!» Simulò il gesto di colpirsi alla
fronte. «Quasi me ne stavo dimenticando: in giornata dovrebbe
arrivare un pacco per me. Non è che ti
dispiacerebbe… » “ritirarlo
al posto mio?”, ma
non concluse la frase, perché subito la sua attenzione venne
attratta dal rumore di uno sbatter d’ali che si stava
avvicinando da lontano.
«Come
non detto, è già qui!»
Le
teste si sollevarono al cielo, dove presero a osservare una pegaso
postina dal manto grigio che stava calando di quota. La pony
andò a sbattere contro il ramo di un albero, finendo
invischiata tra le fronde della pianta; cadde poi rovinosamente di
fronte ai presenti.
«Bontà
Celeste! Derpy, ti sei fatta male?!» Rarity corse a
soccorrerla, ma la pegaso dalla chioma canarino fece chiaramente
intendere che era tutto a posto.
Come
se niente fosse (come se non fosse per nulla precipitata di muso da
cinque metri d’altezza) estrasse qualcosa dal suo borsello e
invitò la unicorno a firmare per l’avvenuta
consegna.
Rarity
la ringraziò, afferrando con la magia il pacco rettangolare
mentre la postina ripartiva per una nuova meta (finendo, manco apposta,
nuovamente abbracciata contro l’albero).
«Che
emozione! Non avrei mai creduto che arrivasse così
presto!» Esclamò saltellando sul posto.
«Di
che si tratta?» Fu la domanda di una curiosa Twilight.
«Questo,
amica mia, è il sogno col quale ogni stilista di Equestria
vorrebbe svegliarsi la mattina!» Rispondeva mentre scartava
con la magia i sigilli del pacco. «Pensa, ce ne sono
pochissimi in tutto il mondo! E infatti ordinarlo mi è
costato un occhio della testa, ma sapete che vi dico? Ne è
valsa ogni singola moneta!»
Il
rivestimento fu scartato con solenne eleganza e adagiato lì
di fianco mentre la unicorno si accingeva a levitare davanti a loro un
curioso bauletto di metallo decorato con trame arabesche, grande quanto
un portagioie.
«È…
uno scrigno?» S’interrogò Spike
interdetto.
«Sciocchino,
non è lo scrigno, ma quello che c’è
dentro!»
Le
carniere arrugginite stridettero lamentose mentre il coperchio si
apriva rivelando un’imbottitura rosso pallido sulla quale era
adagiata, come una perla, una gemma di taglio ovale grande quanto il
pugno del drago.
Tutti
si avvicinarono per osservarla meglio, persino l’autista, che
si concesse una sbirciata di straforo.
Le
pupille di Spike si accesero quando il vellutato aroma di silicati gli
invase le ghiandole olfattive, facendogli risalire
l’acquolina in bocca.
La
gemma era di color acquamarina, con numerosi riflessi viola lungo i
tagli che le conferivano un pattern allegro e sgargiante. Allo sguardo
si manifestava come la pietra preziosa più pregiata del
mondo.
«Visto?
Non trovate che sia semplicemente
divina?»
«Giaaà…»
annuì Spike ipnotizzato, con un rivolo di bave che gli
scendeva dalle fauci.
Al
contrario di lui, Twilight invece si fece cupa e nervosa. «Rarity…
d-dove l’hai trovata… quella?»
«Te
l’ho detto, cara! È stato il mio fornitore di
fiducia a parlarmene la scorsa settimana! Quando ho capito che poteva
sposarsi benissimo con un nuovo abito che sto disegnando questi giorni,
mi sono detta che dovevo averla a tutti i costi!»
Estrasse
la pietra dal suo letto di seta e fece per studiarla da vicino, ma una
forza magica più forte della sua si oppose riportandola nel
baule, e quindi richiudendone il coperchio.
«Sei
impazzita?! Hai almeno una vaga idea di che cosa sia veramente?!»
Tuonò l’alicorno d’improvviso,
disattivando il corno.
Spike
non fece caso al loro alterco, ma era dispiaciuto del non aver potuto
dare neppure un assaggio a quella mistica pietra.
«Credi
forse che non lo sappia? Mi offendi Twilight! Non sei la sola esperta
di gemmologia in questo villaggio!»
«Non
si direbbe, a giudicare dalla leggerezza con cui ne parli!»
«Beh,
c’è una ragione se ti ho fatta venire qui
oggi… » ribatté furbescamente
«voglio sottoporlo all’Incantesimo
Denaturalizzante, e
voglio che sia tu
a
farlo!»
L’alicorno
si accigliò «I-io? M-ma… »
«Per
il mio standard è una magia troppo complessa, lo ammetto.
Rischierei di combinare un pasticcio. Ma dopo le tue ultime imprese,
sono certa che per te sia un gioco da puledrini eseguirlo! Una volta
che avrai finito non ci sarà differenza tra questa gemma e
le altre, e io potrò finalmente dedicarmi alla realizzazione
del mio grande capolavoro!»
Poco
più in là il pony autista chiamò
spazientito la unicorno per “invitarla” a montare
in carrozza.
«Allora
Twi, che cosa ne dici? Lo farai per me?» Cinguettò
innocentemente, avvicinandosi al suo muso.
Twilight
mugugnò con poca convinzione, l’idea
dell’amica non la convinceva per niente. «Dovrei
avere qualcosa al riguardo a castello, sì, ma si tratta di
un incantesimo difficile anche per me, e se fallissi…
»
«Perfetto!!
Sapevo di poter contare su di te! Siete i migliori amici che una
stilista possa avere!»
La
Principessa si lasciò stringere dall’amica, ma
questo non la aiutò a dipanare i suoi dubbi.
«Sarà
meglio che vada adesso. Spikey tesoro, ti dispiacerebbe portare questa
in casa? Lasciala pure da qualche parte in laboratorio, dove ti
pare.» Gli chiese scaricandogli tra le braccia il baule
metallico.
«Oh,
ehm… sì. Nessun problema.»
L’assistente
di Twilight si barcamenò verso l’entrata,
incrociando lo sguardo diffidente dell’alicorno, che lo
seguì per alcuni secondi. Malgrado le dimensioni minute, il
peso del contenitore era notevole.
Seguendo
le istruzioni dell’amica unicorno – la quale nel
frattempo saliva finalmente sulla carrozza e si accingeva a partire per
Baltimare – Spike trasportò il carico nella sua
sala da lavoro, adagiandola poi sul piano di una delle numerose
postazioni per il trucco.
Ansimò
per riprendere fiato, mentre si asciugava il sudore dalla fronte.
Si
fermò a osservarne poi i dettagli degli intarsi del baule,
constatando in primo luogo che non aveva un foro per la serratura di
una chiave. Rimase poi stupito dal suo aspetto antiquato e vissuto,
cosa che gli conferiva un’aria anacronistica, come se il
contenitore e il contenuto avessero viaggiato insieme lungo le vie del
tempo per molti e molti secoli.
Attratto
dalla sua aura di mistico fascino, decise di aprirlo per osservare con
maggior attenzione quei riflessi di luce e quegli intagli da
prelibatezza che riverberavano dalla pietra.
L’aroma
dei migliori calderoni magmatici si liberò
nell’aria non appena il coperchio finì di stridere
dall’interno.
L’ovale
della gemma era inciso in modo impeccabile, la luce passava attraverso
la struttura in modo sublime, e non c’era traccia di
opacità in quell’azzurra acquamarina che sembrava
destinato al pasto di un Dio.
Per
Spike fu una tentazione troppo alta. Non avrebbe mai commesso a Rarity
il torto di mangiarla, no, ma nessuno al mondo, neppure Twilight, lo
avrebbe sottratto dalla brama incolmabile di concederle un assaggio.
La
agguantò con decisione e la sollevò dalla sua
imbottitura. Un forte fenomeno di reflazione luminosa, che lui
pensò fosse imputabile al sole, lo abbagliò per
un momento, mentre spalancava le fauci per adagiarsela sulla lingua.
La
tenne in bocca per alcuni secondi, estasiato dalla consistenza del
carbonio tra i suoi denti. Il sapore sul suo palato era quello degli
opali più pregiati, e poco per volta cominciarono a
liberarsi anche i retrogusti del vanadio, che lui aveva gustato solo
negli smeraldi più preziosi.
Non
era solo la gemma più bella che avesse mai visto, ma anche
la più squisita che avesse mai assaggiato, e non poteva
comprendere per quale ragione Twilight si fosse agitata in quel modo
fuori dalla boutique.
Questo
gli fece tornare alla mente che non poteva indugiare oltre nella
degustazione. Gli lambiva il cuore pensare di doversi sottrarre a quel
gusto divino, ma l’alternativa sarebbe stato affrontare la
furia di una Twilight alicorno inferocita.
La
sputò dalle zanne e le diede un’asciugata
superficiale, quindi la restituì al suo contenitore.
Un
crampo allo stomaco fulmineo e improvviso lo paralizzò
obbligandolo a stringersi il ventre, per poi passare subito, mentre
cercava di convincersi che più tardi avrebbe pasteggiato a
volontà con altre gemme.
Come
un razzo si diresse verso l’uscita del negozio, ma arrivato
nell’atrio finì per sbattere contro la zampa
anteriore della Principessa.
«Perché
stai correndo in quel modo?» Gli domandò con un
sopracciglio rialzato.
«Io?
No… cioè. Stavo uscendo… tutto
qui… »
Vide
quindi il sopracciglio abbassarsi, segno che (forse) se l’era
bevuta.
«Dove
hai messo la gemma?» Chiese poi apprensiva.
«È
lì, nell’altra stanza… ehm…
chiusa e al sicuro nel suo scrigno!» rispose sorridendo a
denti stretti, con i sudori freddi che gli piovevano dalla fronte.
«Bene,
fai in modo che ci resti allora!» Iniziò a
percorrere avanti e indietro il corridoio, nervosamente. «Non
posso credere che abbia portato quella… “cosa”
a
Ponyville! Deve essersi bevuta il cervello!»
«Che
ha di così sbagliato quella pietra? È
così… bella. Sembra molto rara, e…
molto costosa… » “e
pure incredibilmente saporita” ma
se lo tenne per sé.
Twilight
si arrestò, e guardò il suo assistente con tono
melanconico. «No Spike, non è come
credi» disse pensierosa «ti basti sapere che non
è niente
di
quello che sembra!»
Spike
la fissava in silenzio, ma non riusciva ad afferrare il punto.
«Insomma,
è complicato! Ed è pericoloso! Perciò
voglio che tu stia il più lontano possibile da quello
scrigno, chiaro? Non devi toccarlo, non devi aprirlo, non devi neppure
avvicinarti! Fai le cose che Rarity ti ha detto di fare e basta, almeno
fino a stasera!»
«Perché,
che succede sta sera?»
«Tornerò
qui e lo sottoporrò all’incantesimo! Sono certa di
avere quel libro da qualche parte tra gli scaffali. Meno tempo quella
cosa sarà a zoccolo libero, meglio sarà per tutti
noi!» Quindi si voltò di scatto a puntargli contro
lo sguardo. «Pensi di cavartela fino al mio
ritorno?»
Lui
sghignazzò borioso. «Ho mai combinato dei guai in
tua assenza?»
Lei
lo fulminò senza pietà.
«Voglio
dire… a parte quella volta, e…
quell’altra…»
«Spike,
questa è una faccenda seria, non si tratta solo di badare
alla casa di Rarity in sua assenza! Devo essere sicura di poterti
lasciare da solo con quello scrigno senza che ti vengano in mente
strane idee!»
«Ti
prometto che gli starò alla larga come un gatto starebbe
lontano dall’acqua!» La rassicurò.
Twilight
allora si prese qualche secondo per riflettere, e si distese.
«Bene, allora… ci rivediamo sta sera. Attieniti
alle liste e non fare danni, mi raccomando!» Concluse
avviandosi all’uscita.
«Tranquilla,
sono abituato a peggio!» Ironizzò lui. Una battuta
che non piacque all’alicorno, che infatti si voltò
subito.
«Dai,
su! Stavo scherzando! Hehehe!»
Cinque
minuti dopo, Twilight era sulla via del castello, e Spike, rimasto da
solo alla Carousel Boutique, si apprestava a leggere la prima delle due
pergamene lasciategli da Rarity sul tavolo della cucina.
“Lista
delle cose da fare” c’era scritto sopra, che si
estese per due metri a terra subito dopo aver rimosso il nastrino che
la legava.
Spike
iniziò a leggere il testo facendosi sempre più
affranto man mano che i punti scorrevano.
Arrivato
abbattuto come non mai all’ultimo punto, gli restava da
scoprire quale fosse il contenuto del rotolo secondo.
Sfilò
il nastro e lasciò scorrere anch’essa a terra.
“Lista
delle cose da fare dopo
la
lista delle cose da fare”.
«Grandioso…
» deglutì pesantemente. «Forza Spike.
Fatti coraggio e diamoci da fare… »
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Capitolo 2 *** A Strange Evening ***
2:
A Strange Evening
Le
quiete giornata come tante altre si era ormai avviata verso la sera, e
Spike, proprio in quel momento, terminava il penultimo punto della
“Lista delle cose da fare dopo
la
lista delle cose da fare”.
Finì
di allineare in perfette parallele le tende alle finestre, servendosi
di una squadra per avere la certezza che la linea fosse precisa.
Questo, insieme ad altre attività stimolanti, quali ad
esempio “Ordina i rotoli da cucito in base alla scala
cromatica e al volume del filo”, avevano animato la sua
giornata lungo tutto il pomeriggio, ed ora, tirata una riga sulla voce,
non gli restava che passare all’ultimo punto in programma.
La
fame di gioielli non gli dava tregua, e trovarsi letteralmente
circondato in una boutique piena di pietre preziose non aiutava certo
il suo appetito a quietarsi. Per sua fortuna, in frigo c’era
uno squisito parfait di gemme ad attendere le sue fauci, servito in un
mare di panna alla polvere di quarzi e con un rubino intagliato a forma
di ciliegia sulla cima.
Da
leccarsi le squame fino a sbiancarle!
Doveva
solo completare l’ultima voce e poi poteva gustarsi la sua
ricompensa in compagnia del nuovo numero dei Power
Ponies, fresco
di stampa.
Il
suo sorriso si spense quando lesse l’incarico: “Dai
da mangiare a Opal.”
«ANCORA?!?»
Ed esternò il suo disappunto ad alta voce. Era infatti la
sesta volta che gli cascava lo stesso comando.
Le
prime tre volte lo aveva completato senza emettere fiato, la quarta
invece aveva cominciato a notarne la ridondanza, e alla quinta sperava
solamente di non doverlo rivedere mai più.
Spazientito,
si disse solamente che doveva tener duro. Quello era l’ultimo
compito prima della cena, e a quel punto sarebbe toccato a lui.
In
cucina prese una nuova ciotola da uno dei vani (fosse mai che la gatta
si azzardasse a mangiare su un piatto sporco) e ripeté
quelle operazioni che oramai erano diventate per lui una routine: prima
di tutto, tenere la ciotola in ammollo nell’acqua calda per
qualche minuto, dopo di che scaldare metà del cibo a
35° (le abilità sputafuoco draconiche tornavano
utili in queste circostanze) e l’altra metà a
30°, mantenendo così
l’omogeneità termica delle due porzioni. A quel
punto, maledire con colorite espressioni nella lingua natia dei draghi
la gatta e servirle il cibo allontanandosi da lei seduta stante
(perché osservare una “signora”
nell’atto di pasteggiare era una scortese violazione del
galateo felino).
Oltretutto,
quel gatto mangiava come un bisonte della prateria e aveva la pretesa
di mantenere le linee aggraziate di un colibrì. Se mai un
giorno Rarity gli avesse chiesto di prendersene cura per un tempo
superiore alle 24 ore, sapeva già quale risposta le avrebbe
dato.
Quando
il suo pasto fu pronto, prese a chiamarla ad alta voce sgolandosi per
tutto il pianterreno. «Opal!...
Ehi, è pronta la ceena!... Ma dove ti sei
nascosta?!» Ma la gatta non si trovava, e per di
più, il cibo gli si stava raffreddando tra le mani. Era
facile immaginare le conseguenze di un tale misfatto.
La
cercò in lungo e in largo, perlustrando le stanze dove
sperava di trovarla raggomitolata nelle cuccette (ed erano molte), ma
niente da fare: di lei nessuna traccia.
Restava
da provare il piano superiore, che lui raggiunse con cautela, nel
timore di rovesciare parte del cibo sui gradini.
Vi
era una sola stanza in cui, per logica, poteva augurarsi di trovarla,
ed era la camera da letto della padrona di casa.
Spike
vi entrò con un misto d’inquietudine reverenziale
e senso di vergogna, nel violare senza i dovuti permessi quel sacro
angolo della vita privata dell’amica.
Nella
camera c’erano il letto a baldacchino e vari ripiani pieni di
stoffe e utensili da sarta, non mancavano neppure i numerosi manichini
per l’esposizione dei completi, che lei era solita utilizzare
per il suo caos organizzato, ma niente gatta.
Non
aveva altra opzione se non di provare nelle altre stanze,
nell’augurio di ritrovarla dovunque essa si fosse cacciata,
anche se una nuova paura stava cominciando a prendere zoccolo al posto
della vergogna nel ritrovarsi lì: quella scomparsa,
così improvvisa e inattesa, non era normale per lei. Non per
una gatta con una tale, malcelata voracità.
Fece
per voltarsi, quando un’ombra si dilungò dalle sue
spalle, estendendosi sul pavimento. Seguì un ringhio
infernale, che gli fece paralizzare i muscoli.
Allora
Spike girò la testa, con cautela, trovandosi a confronto
proprio con Opal; aveva ben poco da gioirne tuttavia, perché
quella felina non era la gatta che era abituato a conoscere.
I
suoi occhi erano di un rosso carnoso e oscuro, con una macchia nera
circolare nel centro a formarne la pupilla.
Gli
artigli erano esageratamente lunghi e si estendevano dalle zampe con
brama insaziabile di affondare nelle carni del prossimo.
Lo
stava fissando intensamente, con quell’atteggiamento tipico
dell’animale da preda, alternando soffi di sfida ad altri
versi intimidatori, non facendo sconto a esibire l’acuminata
dentatura delle zanne.
«Opal…
v-va tutto bene… ?» Tartagliò Spike
incerto sul come prenderla. Ma sapete, al mondo sono poche le domande
sensate che un drago potrebbe rivolgere a un gatto durante una
conversazione, tipo “dove hai nascosto il mio
tesoro?”, o “sei sicuro che i cani Stana-Diamanti
non ti abbiano seguito?” e quella che Spike chiese in quel
momento alla gatta di Rarity, non rientrava di certo tra queste.
Di
risposta, la felina gli balzò addosso sguainando gli artigli.
Spike
riuscì a schivarla all’ultimo momento, dopo aver
lasciato cadere per terra la ciotola col cibo (che diavolo, adesso era
lui la cena!) e si lanciò fuori dalla stanza con le ali ai
piedi.
«Ma
che ti prende?! Opal… sono io, Spike…
SPIKE!!» Ma era inutile tentare di ragionarci, la gatta non
lo riconosceva (o forse lo riconosceva fin troppo bene) e
continuò a inseguirlo con l’ovvio obbiettivo di
avventarsi su di lui.
Per
sua fortuna, era una cacciatrice grassa e impacciata, cosa che gli
diede il tempo necessario per raggiungere la rampa delle scale e
montare sul corrimano con un agile balzo. Coprì
così in breve tempo lo spazio che divideva i due piani
scivolandovi sopra sulle natiche, quindi si guardò
ansiosamente intorno, in cerca di un modo per difendersi dal predatore.
La gatta, infatti, era ancora convinta di fare di lui il suo banchetto.
Spike
corse verso un’altra stanza, mentre Opal inciampava su alcuni
gradini e completava la discesa rotolando su se stessa.
Mentre
fuggiva, il drago notò che sopra di lui qualcosa si stava
muovendo: un soprabito
maschile – probabilmente qualche progetto rimasto invenduto
di Rarity, dal momento che non lo si poteva certo corroborare tra i
suoi lavori più riusciti – ma perché
stava… volando?
Era
un’allucinazione? Il frutto della stanchezza e della paura
che gli stavano tirando un brutto scherzo suggerendogli cose che in
realtà non esistevano?
Di
qualunque cosa si trattasse, Opal era reale, e quella distrazione aveva
dimezzato le distanze che separavano la preda dal cacciatore.
Il
gioco del gatto col drago continuò fino a che Spike non si
trovò con la schiena rivolta alla porta dello sgabuzzino.
Opal era di fronte a lui, affamata e posseduta da chissà
quale forza maligna.
La
vide piegare le zampe anteriori e sollevare il bacino, preparandosi
all’assalto. Spike aveva davvero pochi istanti per escogitare
qualcosa prima che l’animale si gettasse su di lui.
La
gatta soffiò un’altra volta, esponendo i denti
affilati, e a quel punto…
«Aspetta!»
Spike si portò in avanti le braccia.
Opal
si arrestò di colpo e lo osservò con aria
interrogativa.
Per
il drago era la miglior occasione per mettere in moto il cervello.
«Ehm…
sì… » iniziò a farfugliare
in modo sconnesso «quindi tu… ahm…
»
“Forza, Spike! Pensa a qualcosa…”
«È
nuovo quel fiocco?»
Pessima
giocata.
Opal
ringhiò e si fece più che mai decisa a sbranarlo.
Gli piombò addosso con un balzo impreciso.
Per
fortuna Spike si rivelò molto più bravo a
improvvisare che non a pensare: in meno di un istante riuscì
ad afferrare il pomello della porta e a imprimere il movimento che la
fece spalancare, abbastanza in fretta da consentirgli di evitare
l’aggressione e chiudere la gatta all’interno.
Opal
cominciò a strillare e ribellarsi.
Spike
si oppose spingendo dalla parte opposta.
Udì
lo scatto della chiusura e finalmente poté tirare un sospiro
di sollievo.
Si
accasciò contro di essa, ansimando esausto. La corsa lo
aveva sfibrato, e oltretutto stava ancora morendo di fame.
“Per
fortuna i gatti non possono aprire i pomelli…” si
disse per consolarsi, ma come il pensiero abbandonò
l’anticamera della sua testa, quattro artigli affilati
perforarono il legno della porta, molto vicini a dove la sua guancia
destra si adagiava.
Il
messaggio fu forte e chiaro: si alzò in piedi e subito prese
le distanze dallo sgabuzzino.
Ora
che Opal non era più un suo problema, ma delle scope nello
stanzino, Spike aveva finalmente del tempo per riordinare le idee e
fare i punti della situazione.
Punto
1: la gatta indemoniata era… indemoniata. Ma
perché? Era stato qualcosa che le aveva dato da mangiare?
Oppure, al contrario, qualcosa che NON le aveva dato? Per quanto il
dubbio esitasse ad abbandonarlo, era abbastanza sicuro di aver
rispettato gli ordini delle liste con minuziosa attenzione.
Punto
2: era davvero un soprabito quello che aveva visto volteggiare sopra la
sua testa mentre scappava? E se così fosse, che senso aveva
la cosa?! Perché di colpo stava cominciando a diventando
tutto così strano?!?
Punto
3: lo stomaco brontolava, e la fame malgrado tutto restava ancora la
più impellente delle priorità. Quindi per prima
cosa avrebbe mangiato, e poi, mentre digeriva, avrebbe aspettato
l’arrivo di Twilight con la quale avrebbe cercato di venire a
monte del problema.
Il
suo pellegrinaggio lo riportò nell’atrio, dove una
notte priva di sicurezze, con solo un tenue bagliore lunare filtrato
dalle finestre che ne sfidava l’autorità
opprimente, aveva preso dominio del negozio e di tutte le sue merci.
Strani
rumori, simili a scricchiolii, si elevavano dall’arredamento.
Cose che strisciavano e oscure presenze che battevano sulle pareti
aggredivano le orecchie del drago gelandogli il sangue nelle vene.
Anche
queste erano solo allucinazioni? Burle della fantasia che si stava
divertendo alle sue spalle?
Di
colpo la fame smise di essere un problema. C’era qualcosa che
si muoveva lì intorno, e lui lo poteva ascoltare con estrema
chiarezza. Strisciava al liminare tra l’immaginazione e il
vero, celandosi negli anfratti della stanza, mentre sibilava tetre
minacce a danno dei suoi sensi.
Muovendosi
contro la parete, Spike tastò il buio alla ricerca
dell’interruttore che lo restituisse alla confortevole
certezza della luce.
Era
quasi sicuro che la “cosa”, qualunque essa fosse,
lo stava attendendo da qualche parte, pronta ad afferrarlo non appena
si fosse distratto.
Premuto
l’interruttore, scoprì con orrore che la luce
mancava, che qualcuno aveva troncato la corrente.
Provare
a insistere fu inutile, era condannato a restare nel buio.
Man
mano che la sua vista si abituava all’oscurità,
qualcosa d’impreciso iniziò a delimitarsi al
centro della stanza.
Si
trattava di un malconcio foulard marroncino maculato di nero
(così gli sembrava), che insieme a un berretto di lana
bianca, chissà come, erano finito nel bel mezzo del
pavimento.
Spike
non ricordò se i due capi si trovassero lì anche
prima, ma era certo che Rarity non fosse la pony da lasciare nello
sporco qualcuno dei suoi preziosi indumenti.
Tra
mille domande, la fantasia lasciò il porto.
“E
se quella fosse stata davvero opera di qualcun altro?”
Pensò. Significava che un intruso si era davvero intrufolato
all’interno della boutique approfittando della porta aperta e
dell’assenza della padrona!
Questo
fantomatico “qualcuno” potrebbe aver drogato la
gatta per tenerla a bada mentre operava.
In
seguito lei sarebbe impazzita – colpa
dell’intruglio – sino a spingersi ad attaccare
Spike senza un apparente motivo.
E
per quanto riguardava il soprabito svolazzante di poco prima?
Chissà, magari alla fin fine si era davvero trattato di un
miraggio prodotto dal panico.
Posto
così, il ragionamento filava senza una grinza, considerato
anche il gran numero di gemme conservate nella boutique.
Il
che significava che quel qualcuno poteva essere ancora lì!
Magari adesso si nascondeva, in attesa del momento propizio per
sgusciare fuori! O forse non si era ancora accorto di niente, impegnato
com’era a svaligiare i portagioie della stilista!
Spike
spalancò gli occhi, colto dal panico. “Lo
scrigno!”
Sia
Rarity che Twilight avevano palesemente fatto intendere che la gemma al
suo interno era molto più importante di quanto non
apparisse; forse conscio di questo, il ladro era entrato per prenderla!
La
situazione era più grave del previsto!
Nuovi
rumori riempirono la stanza, in aggiunta agli altri.
L’impressione
di non essere solo, ora si fece più forte.
Spike
si guardò intorno, cercando di capirne la provenienza prima
di essere localizzato a sua volta. Ma un dubbio lo prese in
contropiede: erano davvero fruscii quelli che sentiva vicino a
sé?! Che genere di ladro si mette a strisciare in
quel modo mentre si sposta?
Si
sarebbe aspettato di udire dei deboli clopettii di zoccoli, quando
invece era più come se che degli stracci stessero scorrendo
sul pavimento.
Spike
sollevò la testa e non seppe a cosa pensare quando vide il
foulard di poco prima inarcarsi verso di lui come vitalizzato da un
burattinaio invisibile.
Le
sue movenze erano quelle di uno strano serpente, che aveva
nell’estremità corrispondente alla testa il
berretto di lana con un batuffolo rosso sulla punta, il quale shakerava
in tutte le direzione come una lingua biforcuta.
L’essere
si mostrò fin da subito ostile a Spike, che senza avere il
tempo di collegare i neuroni, si vide di nuovo costretto a scappare
verso la prima direzione che riuscì a prendere.
Dietro
di lui, il serpente di foulard lo inseguì con la stessa
– e forse superiore – aggressività di
Opal.
La
sua reazione era forse stata estrema, in fondo che pericolo poteva mai
sussistere da un ofide fatto di sciarpe e cappellini invernali? Ma era
un esperimento al quale non intendeva prendere parte.
Si
rifugiò nella cucina, pensando in principio di nascondersi
sotto la tovaglia del tavolino sulla destra, ma non lo
reputò un rifugio sicuro. Invece, quel vano sotto il
lavello, le cui fessure sulle ante tracciavano i contorni di un cuore
nel legno, gli sembrò già una proposta
più saggia; certo avrebbe anche potuto salire le scale che
davano al piano di sopra, non fosse che il serpentone lo avrebbe
certamente inseguito fin lassù.
Vi
s’insinuò dentro spingendosi tra i numerosi
prodotti per l’igiene della cucina che Rarity era solita
stiparvi, acquattandosi tra uno sgrassatore per i fornelli e un
detergente per le stoviglie.
All’esterno,
il serpente di foulard fece capolino perlustrando con attenzione la
cucina.
Spike
cercò di trattenersi dal fare qualunque rumore, ma il buio
in cui si era immerso accentuava ancora di più il senso di
claustrofobia che avvertiva da ogni sua squama.
Cercò
di allontanarsi più che poteva dalla fessura sulle ante, e
questo lo portò a commettere un errore madornale, quando con
un piede urtò contro qualcosa che si rovesciò per
terra, provocando un forte baccano.
La
creatura guizzò subito verso la fonte del suono.
Spike
si schiacciò in un angolo, trattenendo il fiato e tappandosi
la bocca con entrambe le mani.
La
fessura gli forniva una discreta visuale dell’esterno, e
poteva vedere chiaramente il suo assalitore mentre
“annusava” con il batuffolo di lana
l’aria a pochi centimetri dal nascondiglio.
Il
drago calò la testa tra le gambe e pregò Celestia
che la creatura non si facesse venire l’idea di esplorare
più attentamente l’interno.
Si
dimenticò perfino di respirare, mentre il serpente voltava
il “collo” dirigendolo da un’altra parte.
Dopo
qualche secondo decise di rinunciare, pensando che forse il drago si
era infilato in un’altra stanza, e imboccò
l’uscita per proseguire la ricerca.
Prima
di svanire, Spike ebbe tempo di vederlo infilare la
“testa” sotto la tovaglia per verificare se si
fosse nascosto lì.
Avrebbe
voluto sospirare per l’intuizione che lo aveva salvato, non
fosse che questo lo avrebbe sicuramente tradito.
Rimase
nascosto ancora per un po’ mentre fuori tutto taceva. Nel
frattempo aveva ripreso a respirare, ma con lentezza, cercando di
limitare al minimo l’afflusso dei suoni.
Decise
di uscire solo quando ebbe la certezza assodata che l’ofide
non era più nei paraggi.
Qualcosa
in lui lo spingeva a rientrare nel nascondiglio, dove avrebbe potuto
aspettare il ritorno di Twilight in completa sicurezza, ma chi gli dava
la garanzia che l’amica avrebbe risolto la situazione una
volta rientrata?
Un
serpente fatto di vestiti era cosa da poco per un alicorno esperto di
magia come la Principessa dell’Amicizia, ma che ne sapevano
se in quella casa non si nascondesse qualcosa di ancora più
pericoloso? Qualcosa che nemmeno lei avrebbe saputo affrontare?
Forse
Spike si preoccupava troppo, restava il fatto che stavano succedendo
delle cose troppo inspiegabili quella sera, e lui doveva assolutamente
avvisarla prima che il tempo scadesse.
Quindi
doveva uscire da lì, avviarsi per la porta e correre con
quanta più velocità poteva verso il Castello
dell’Amicizia!
“Ma
prima ho bisogno di un’arma…”
Aprì
il primo cassetto scelto a caso dalla cucina e vi frugò
all’interno cercando di fare meno fracasso possibile (come se
fosse stato facile).
Non
aveva idea di cosa potesse reperire in quegli scomparti. Il massimo
sarebbe stato un coltello per la verdura, o qualcosa di abbastanza
affilato da usare come oggetto contundente.
Vi
trovò invece mestoli e vari utensili di legno ma nulla che
potesse considerarsi offensivo.
Un’altra
disattenzione, dettata dalla sua sbadataggine, e uno dei mestoli si
schiantò sul pavimento, echeggiando
un’impressionante cacofonia di suoni metallici per tutta la
casa.
A
quel punto si affrettò, decidendo che si sarebbe fatto
bastare la prima cosa che avesse trovato.
Tirò
quindi fuori un lungo forchettone a due punte, che si sarebbe distorto
non appena lo avesse puntato contro qualcosa di più solido
di un budino alla frutta, ma che forse poteva bastare contro una
creatura fatta di lana e cotone.
Presto
avrebbe avuto occasione di scoprirlo, perché il serpente di
foulard fece subito il suo rientro in scena per chiudere i conti con
lui.
Tentò
più volte di “morderlo” proiettandosi
con foga crescente.
Spike
provò a ferirlo con le punte del forchettone, ma come da
previsto l’attrezzo non sortì alcuna efficacia.
Il
serpente usò la sua testa-di-berretto come martello per
cercare di disarmare il draghetto.
Spike
per poco non si vide privato del suo unico strumento di difesa.
Ulteriori
tentativi di bucherellare la creatura ebbero risultati ancora
più deludenti.
“Se
soltanto avessi un’arma più
potente…” pensò
Spike, mentre si stava convincendo di avere bisogno di un piano di
riserva.
Improvvisamente
successe qualcosa, e dalla punta biforcuta dell’utensile
partì una saetta di elettricità ad alta tensione
che prima fulminò l’ofide e poi tramutò
il tessuto in una pila di stracci carbonizzati, che fumavano emanando
un acre odore di bruciato.
Spike
gettò a terra il forchettone, confuso ed esasperato dopo
aver realizzato cosa fosse successo; non voleva nemmeno provare a fare
supposizioni su quest’ennesimo fatto.
Si
lanciò verso l’uscita, incurante di quali orrori
si celassero ancora in quel luogo.
Evadere
divenne la sua priorità, e non aveva importanza se per
riuscirci avrebbe dovuto sgattaiolare tra legioni di strane creature
possedute da chissà quale entità. Nessuno lo
avrebbe trattenuto un secondo di più!
Per
sua fortuna, l’atrio era rimasto vuoto, nessun mostro
all’orizzonte, benché sentisse ancora lucidamente
i tonfi di passi attraverso le pareti e la presenza di ogni genere di
spauracchio scaturiti dall’immaginazione.
Si
tuffò verso la porta, non curante del rumore che produceva o
del rischio che qualcosa potesse sbucare da dietro i tendaggi, ma
apprese con terrore che il suo incubo era destinato soltanto a
dilungarsi. La porta d’entrata aveva due accessi, quello
inferiore era abitualmente usato dalla gatta oppure dalla sorellina di
Rarity, mentre lei si serviva di quella più grande. Spike
provò con la più piccola, ma questa non aveva
alcuna intenzione di aprirsi.
Non
c’era la chiave nella toppa, e inoltre sembrava che la
mandata non fosse neppure scattata, eppure per qualche ragione non
c’era modo di aprirla.
Allora
Spike provò con l’altra.
Riuscì
ad afferrarne la maniglia aggrappandosi con un balzo, ma
anch’essa, con panico incalzante, rimase testardamente
saldata nella sua posizione.
Capì
di essere in trappola, come un topo chiuso in gabbia, e un abissale
senso di sconforto prese ad assediarlo permeandogli i pensieri delle
immagini più tetre.
“Non
sarebbe mai più uscito da lì”, e
“Twilight lo avrebbe abbandonato a sé
dimenticandosi di lui”. “Sarebbe scomparso, e
nessuno avrebbe più avuto sue notizie, né
interesse a cercarlo”.
“No,
Spike! Niente panico! Concentrati!”
Si
scagliò un potente schiaffo sulla guancia.
«Ahi!»
Con troppa foga, forse.
La
sua sola possibilità per uscire dal negozio era di sgusciare
attraverso una delle finestre poste ad un metro e mezzo dal suolo, ma
per farlo doveva trovare qualcosa di abbastanza solido da poter
utilizzare come una palla da cannone.
Probabilmente
Rarity non lo avrebbe mai perdonato per quanto si apprestava a
compiere, ma rispetto alla prospettiva di rimanere intrappolato
chissà per quanto lì dentro, era un rischio che
era disposto a correre.
Si
mise in moto alla ricerca di un oggetto da lanciare; un pettine, per
esempio, se scagliato con forza, sarebbe bastato per rompere il vetro,
ma lì intorno incredibilmente, a parte camerini, specchi e
palchetti per la prova degli abiti, non c’era niente di
simile a quello che gli serviva.
Maledisse
la stilista per la sua ineguagliabile mania per l’ordine.
Poi
si girò, e nel momento in cui lo fece, il suo muso
sbatté violentemente contro una superficie solida e
curvilinea… qualcosa che prima non c’era.
Mentre
si rimetteva in sesto, stringendosi forte il naso e cercando di
trattenere il formicolio di uno starnuto che alla fine ebbe la meglio
detonandogli tra le mani, i suoi occhi esaminarono con inquieta
lentezza le forme dell’ostacolo che aveva di fronte.
In
esso vi assemblò le linee sinuose e familiari di un equino,
cui manto era incredibilmente liscio e dalle uniformi livree bianco
latte.
Quando
però il suo sguardo si fermò sul volto
inespressivo e statico della figura, si ritrovò a
contemplare la sagoma plastica di un manichino per esposizioni, cui
collo era minacciosamente chinato verso di lui.
La
figura era stata rimossa dalla sua piantana (o forse lo aveva fatto da
sé), al cui posto ora vi era un profondo foro nel ventre. Ma
la cosa più inquietante fu si muoveva sulle sue zampe, come
un lento e agiato stallone che sembrava godere di tutto il tempo del
mondo per completare il suo cammino.
Spike
aveva assistito a molte bizzarrie quella sera, ma anche
così, accettare di buon grado di trovarsi dinanzi a un
manichino per esposizioni che si animava di vita propria, era
un’esperienza alla quale avrebbe annuito solo se qualcuno gli
avesse detto che era colpa di un sogno che stava facendo.
Già
se la vedeva una Rarity in forma angelica che scendeva dal cielo (in
questo caso dal soffitto) per ammonirlo che era giunto il momento di
svegliarsi.
Probabilmente
avrebbe riaperto gli occhi sul faccione contrariato di Twilight, la
quale lo avrebbe strigliato per benino per essersi addormentato durante
le pulizie, per poi tornare ad occuparsi della faccenda della gemma.
Ma
allora perché non riusciva svegliarsi? E perché
più le stranezze s’accrescevano e più
s’innalzava l’impressione che in verità
quanto stava vivendo era reale almeno quanto la fame che stava sentendo?
A
complicare le cose ci pensò la presenza del secondo
manichino, che Spike notò solo in un secondo momento, tanto
era impegnato a farsi fuoriuscire gli occhi dalle orbite
nell’atto di fissarsi sul primo.
I
due figuri di plastica si mossero con adagio quando il drago
indietreggiò contro la porta.
I
loro visi privi di viso, terrorizzavano ancora di più per
l’incapacità di determinare quali fossero le loro
intenzioni.
«V-voi…
non siete qui per conservare
la mia fiamma vitale(*),
vero?»
I
due sintetici non reagirono in alcun modo alla sua domanda, ma
continuarono a incedere con quiete oppressiva.
«Immagino
di no…»
Sapendo
di non poter istaurare alcun dialogo con loro, si lanciò
verso la sua destra, in fuga dal pericolo e dalle domande senza
risposta.
Fuori
era buio pesto.
Gli
impegni al castello avevano trattenuto Twilight Sparkle più
di quanto temesse.
Quando
finalmente aveva terminato di riordinare gli scaffali e quindi di
ritrovare la formula che Rarity le aveva richiesto, le prese un colpo
nello scoprire che ora si era fatta.
Era
uscita di corsa per raggiungere il prima possibile la Carousel Boutique
e aveva incontrato per strada l’amica Pinkie Pie, la quale
aveva deciso di unirsi a lei senza spiegare le ragioni del
perché si trovasse all’aperto a
quell’ora di sera.
Semplicemente,
c’era.
«Grazie
per la compagnia, Pinkie. Ma non credi sia il caso di tornare a casa
adesso? Che diranno i Signori Cake della tua
assenza?»
«Ma
che vai dicendo sciocchina?! Loro lo sanno che io ADORO accompagnare le
amiche la sera al negozio di Rarity, è il mio
duecento-ventiquattresimo passatempo preferito!»
La
pony dal manto rosa continuava a ballonzolare come una molla
indemoniata, costringendo la Principessa a continui capogiri per
costringersi a guardarla.
«Se
lo dici te… » si arrese semplicemente
l’alicorno.
Raggiunte
le vicinanze della Boutique, Twilight da principio fu lieta di scoprire
che in apparenza il negozio sembrava integro e al suo posto…
ma un'altra sensazione prese subito zoccolo nei suoi pensieri: “Perché
le luci sono spente?”
Spike
sapeva che sarebbe arrivata, e a prescindere dal suo ritorno, non era
il tipo di drago che si coricava a letto così presto.
Si
sentì in forte disagio.
“E
se qualcosa fosse andato storto con la gemma?”
Supplicò
Pinkie di smettere di saltare e di fare silenzio, e con cautela si
avvicinarono all’entrata.
Allungò
la sua zampa per afferrare la maniglia, ma fu come se qualcuno avesse
voluto precederla, e la porta si spalancò verso
l’interno con un cigolio spettrale.
«Ahh
i fantasmi!!!» Strillò la pony di terra saltandole
tra le braccia.
«Dannazione
Pinkie, ti avevo detto di fare silenzio!!» La
sgridò a bassa voce allontanandola con la magia.
Dentro
era il buio più pesto che mai, tanto che lo si poteva quasi
cogliere tra gli zoccoli e spalarlo via, e il silenzio
che aleggiava era assolutamente incompatibile con una casa in cui
– in teoria – avrebbe dovuto trovarsi anche Spike.
Se
pure stava dormendo, l’eco del suo russare avrebbe prodotto
un rimbombo tale da spaventare un intero branco di lupi del legno, e
invece nulla, come se la stessa casa avesse il controllo della
rifrazione sonora assorbendo ogni più piccolo rumore.
A
quel punto i dubbi erano pochi. Qualcosa era successo in sua assenza, e
se davvero la forza che lei sperava di contenere si era scatenata nella
Boutique, Spike in quel momento poteva trovarsi in grave pericolo.
«Pinkie,
sentimi bene: qualunque cosa succeda, stammi sempre vicino! Non
dobbiamo separarci per niente al mondo!» Sussurrò,
e poi rimase in silenzio in attesa di una risposta. Che non ci fu.
«Pinkie
Pie, mi hai sentito?» Si girò rapidamente,
realizzando con orrore che la pony dal manto rosa era svanita.
Solo
allora una caotica baraonda di suoni che sembravano provenire da una
folla tutt’intorno esplose annegandole l’udito.
Con
un semplice incantesimo di luce sul corno, Twilight illuminò
la stanza, portando così allo scoperto le presenze che
l’avevano attorniata.
Le
sue pupille si restrinsero quando capì di essere caduta in
un’imboscata bella e buona.
Mentre
scappava disorientato dal buio, non sapendo se i manichini erano ancora
sulle sue tracce, un urlo di terrore squarciò
l’irregolare ritmo del suo fiato costringendo a fermarsi.
Ne
riconobbe nella tonalità la voce dell’amica
Twilight.
Significava
che era arrivata, ma anche che le presenze l’avevano colta di
sorpresa. Forse era stato un ingenuo a pensare che il suo intervento
potesse magicamente risolvere la questione.
Era
ovvio che si erano messe in gioco forze che nemmeno lei comprendeva.
Forze
che adesso probabilmente erano libere di riversarsi su tutta Ponyville.
Fece
per tornare da lei, ma qualcosa lo afferrò.
Non
capì cosa fosse, tanto fu immediato l’assalto.
Vide soltanto un’intensa luce accecante abbagliargli gli
occhi impedendogli di difendersi, e avvertì una forte
stretta di costrizione avvolgersi su tutto il corpo gettandolo a terra,
ricoprendolo fino alla bocca.
La
cosa lo trascinò poi con sé, verso recessi
segreti, dai quali non sapeva dirsi se ne sarebbe mai più
uscito…
(*)Citazione
da “Inanimus”, di Lantheros.
|
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Capitolo 3 *** A Strange Enemy ***
3:
A Strange Enemy
Non
potendo né parlare né muoversi, Spike
ruotò gli occhi in tutte le direzione, cercando di capire
dove lo stava portando il suo assalitore.
Fu
trascinato fino al laboratorio principale, dove ad attenderlo
trovò non solo le sue amiche, ma anche una variegata
congrega di abiti e manichini, che si voltarono in contemporaneo per
osservare l’entrata del nuovo arrivato.
Vi
si trovava di tutto, dalle vecchie felpe fuori stagione ai
più comuni abiti per uso quotidiano, fino ai molti e
innumerevoli completi da Gran Gala ed abiti da cerimonia disegnati da
Rarity nel corso dei mesi.
Gli
strani capi d’abbigliamento galleggiavano in aria assumendo
pose da creature bipedi, con movenze fluide e precise, come se dal loro
interno delle creature invisibili li stessero manovrando.
I
manichini, invece, incarnavano probabilmente il ruolo di guardie del
corpo, pronti a scattare qualora il vestiario avesse subito aggressioni
da parte dei prigionieri.
«Spike!»
Fu l’immediata reazione di Twilight quando il suo piccolo
assistente venne trascinato nella sala da un tubino a maniche lunghe
che lo aveva avvolto in uno scialle rosa, strumento del quale non era
da escludersi si servisse anche come frusta.
L’abito
sembrava infondere una certa aura di potere tra i suoi simili, che si
levavano dalla sua strada come se provassero per lui una paura marziale.
Era
ricoperto di lustrini azzurri, dai quali si rispecchiavano sfavilli
brillanti, che scaturivano dai loro riflessi illuminando la sala
malgrado in realtà non vi fosse alcuna altra fonte di luce.
Sbatté
il draghetto davanti a un appendiabiti su ruote, degli stessi tipi sui
quali altri abiti stavano legando le due pony.
«Twilight,
che sta succedendo qui?! Chi sono questi??» Cercò
di chiederle prima di essere afferrato per le braccia da due completi
merlettati, che lo tennero fermo mentre un terzo si avvicinata. Questo,
tra le pieghe della manica, teneva ben saldo un rotolo di filo da
cucito, di cui si servì per legargli i polsi
all’asta orizzontale dell’appendiabiti.
Davanti
a lui, la stessa operazione veniva completa su Pinkie Pie, che sembrava
incomprensibilmente a sua agio, malgrado la situazione.
«Eh-ehm!
Scusa, tu!» La sentirono chiamare in tono serio il maglione
che l’aveva appena legata. «Guarda che la sinistra
va stretta più forte!» Lo rimproverò
scuotendo la relativa zampa anteriore.
Il
maglione si consultò con un “collega”, e
andarono a rimediare all’errore commesso.
«Ecco,
così va molto meglio!» Aggiunse la pony ora che la
sua zampa era ferma e salda sulla sua asta.
Accanto
a lei Twilight, appesa come un salame, si rivolse preoccupata al drago.
«Spike,
stai bene?! Ti hanno fatto del male??»
«No…
c-credo sia tutto a posto. Ma non capisco, che tipo di magia
è in grado di fare questo?!»
Lei
tentò di strappare i nodi agli zoccoli, ma erano troppo
robusti. Le sue zampe anteriori stavano cominciando a formicolarle.
«Io te l’avevo detto di fare attenzione!
È accaduto esattamente quello che temevo! Perché
non mi hai dato retta?!»
Lui
spalancò le fauci, incredulo e gelato .
«M-ma… io non ho fatto nulla!
Cioè… ero qui… ho seguito alla lettera
le indicazioni di Rarity! Ho lavorato tutto il giorno e
basta!»
«E
della pietra che cosa ne hai fatto?!» Chiese
l’alicorno a voce alta, con un ciglio sospettoso.
«La
pietra? Io… » voltò il capo verso il
punto in cui l’aveva adagiata, ma fu sorpreso nel constatare
che qualcuno l’aveva rimossa da lì.
“Il
ladro?” Si
chiese, convinto che la causa di tutto fosse ancora imputabile a un
quarto incomodo.
«L’avevo
messa là, lo giuro sull’onore dei
draghi!!» Berciò. «Sono entrato,
l’ho appoggiata sul ripiano e poi sono tornato da
te…» ma ad’un tratto sembrò
capire «…oh!»
Twilight
se ne accorse. «Cosa? Che vuol dire
“oh”?!»
“Gulp!”
«Ehm…
niente! L’ho messa lì e basta!»
Lei
socchiuse gli occhi, e perseverò con calma.
«Spike…»
Messo
alle strette (letteralmente), il drago dovette cedere. «Ohh,
e va bene! L’ho assaggiata, ok?! L’ho presa e
l’ho messa in bocca!!»
Twilight
si curvò in avanti. «COS’HAI
FATTO?!?»
«Volevo
sapere che gusto aveva… i-insomma… era
lì… così brillante, così
succosa… avresti dovuto sentire che fragranze
emanava!» Tentò di spiegare, mentre sottili
lacrime gli inumidivano gli occhi.
«Accidenti
a te, sei incorreggibile!! Non ti si può lasciare da solo
mezzo pomeriggio che ne combini un’altra delle
tue!!»
«E
io che ne sapevo?! L’ho fatto prima che me lo dicessi!
E… e poi non l’ho nemmeno masticata!»
«Ma
non lo capisci, Spike?! Quella non era una gemma qualunque! Quella era
una Mimic!»
Quella
rivelazione lo lasciò basito e interdetto.
«Una… Mimic?»
Twilight
allora sospirò e decise di calmarsi; In fondo parte della
colpa era stata anche sua, per il modo vago e approssimato con il quale
aveva affrontato quel discorso in precedenza.
«Sono
delle gemme molto particolari… che ospitano al loro interno
uno spirito maligno. Un tempo erano molto diffuse nel regno. Erano
conosciute e temute per il loro potere di trasformare qualunque cosa
gli stava intorno in qualsiasi cosa desiderassero: trappole, armi,
serventi, di tutto; ed è per questo che ancora oggi sono
considerate estremamente pericolose. Spesso vivono dentro a degli
scrigni, e si nascondono in antiche roccaforti e castelli abbandonati
che trasformano in trappole mortali per chiunque tenti di entrare. Si
contano a decine il numero di pony che sono scomparsi dopo essersi
addentrati nei loro domini; viandanti, cacciatori di tesori, gente che
passava di lì per caso. È per questo che alcuni
secoli fa ne è stata ordinata la completa distruzione. Ho
letto che addirittura tutti i maghi di Equestria si sono riuniti per
sviluppare delle magie che consentissero di combatterle. Molte sono
state distrutte, ma talvolta capitava che qualche Mimic era troppo
potente perché si riuscisse ad affrontarla in uno scontro
diretto, così la addormentavano all’interno del
suo scrigno, in modo che col tempo perdesse i suoi poteri e i maghi
potessero sconfiggerla in seguito. Oggi si tende a considerarle
estinte, ma talvolta capita che qualcuna venga riportata alla luce,
come in questo caso.»
Forti
brividi di paura scossero le squame di Spike mentre ascoltava.
«Qu-quindi tu credi che questa Mimic… sia riuscita
a liberarsi?»
Twilight
fece di no con la testa. «Non da sola. Il sigillo era stato
lanciato sul suo scrigno in modo da tenerla prigioniera per sempre. Ma
quella magia ha un grave difetto… si scioglie non appena la
gemma viene rimossa dalla sua fodera… »
“GULP!!”
Deglutì
di nuovo Spike. Ora sì che si spiegava il forte bagliore che
si era riflesso sulla Mimic quel pomeriggio, quando l’aveva
presa tra le mani.
Questo
significava che non c’era alcun ladro in casa. Nessun capro
espiatorio da puntare e a cui scaricare le responsabilità
per quello che era successo.
La
colpa era stata sua.
Avidamente
sua.
Golosamente
sua.
Lussur…
«Dieci
e lode, piccola pony!» Disse una voce proveniente
dall’entrata, pronunciata da una strana creatura che fece la
sua comparsa alla soglia, al seguito di due manichini.
Entrò
con un passo laterale, come i granchi, attraversando lo stretto
ingresso su quattro esili e sgargianti gambette placate d’oro.
Ci
volle poco, infatti, per realizzare che la cosa altro non era che il
divano preferito di Rarity, quello con la federa rossa e
metà dello schienale più alto, che lei era solita
utilizzare quando doveva far mostra delle sue arti drammatiche.
Adagiato
comodamente al centro, come fosse la testa di quello strano corpo, si
poteva osservare lo scrigno con all’interno la Mimic, che
irradiava un lieve gioco di luci dagli intagli ad ovale.
«È
bello sapere che a distanza di secoli c’è ancora
qualcuno che si ricorda di noi.» Affermò
muovendosi a brevi passi verso il trio di prigionieri.
La
sua voce era femminile, a tratti stridula, e intervallata dai clangori
di ruggine della cerniera, che piagnucolava ogni volta che dallo
scrigno uscivano parole. La Mimic, infatti, apriva e chiudeva il
coperchio per simulare un movimento di labbra.
«Che
cos’abbiamo qui, un Alicorno?» Indugiò a
lungo su Twilight, come per studiarla, poi fece il giro intorno
all’appendiabiti, esaminandole con lo stesso interesse anche
le ali.
Con
le gambe del divano le afferrò la coda, passandole tra i
crini viola, finché lei per ribellarsi non la
tirò verso di sé.
«Uhm,
né è passato un po’
dall’ultima volta.» Disse, tornando a rivolgersi al
suo viso. «Ricordo che ai miei tempi le Principesse erano
molto più tenaci di così… »
quindi la squadrò da capo a zoccoli «e
anche più alte.»
«Dì
ai tuoi scagnozzi di liberarci subito, altrimenti…
» cercò d’intimorirla, ma venne taciuta
dal tubino azzurro, che la fustigò con il suo scialle
segnandole una riga rosa sulla guancia.
«Twilight!»
Gridò Spike, ma nessuno lo ascoltò.
«Altrimenti
cosa? Userai l’Incantesimo Denaturalizzante su di
me?» Continuò la Mimic.
L’alicorno
la fissò duramente, cercando di non mostrarsi debole.
«Ebbene
sì, so tutto delle vostre intenzioni!»
Esclamò la gemma. «Volevate privarmi dei miei
poteri per fare di me un accessorio d’alta moda, vi ho
ascoltato mentre dormivo! L’incantesimo potrà
anche avermi costretto in questa gabbia da oltre tre secoli, ma non mi
ha intorpidito i sensi!»
Si
spostò verso Spike. «Devo riconoscere che
è stata una vera fortuna essere capitata tra le tue mani.
Altri draghi non si sarebbero fatti remore a mandarmi giù in
un boccone. Immagino di doverti un favore.»
«Avvicinati
allora, così finiremo quello che abbiamo iniziato questo
pomeriggio!» La sfidò mostrandole i denti.
La
Mimic indietreggiò, come se quella minaccia
l’avesse realmente intimorita.
«Tze-tze,
abbassa la cresta piccolo drago.» Tornò a
spadroneggiare. «Sappi che se non ho ancora ordinato ai miei
fedeli di toglierti di mezzo è solo perché mi
sento in dovere di esserti grata per avermi liberata dal mio
sigillo!»
«Io
non ho paura di te, fatti sotto!» Mentì a lei e a
se stesso, anche se in realtà era terrorizzato, ma non
glielo avrebbe mai fatto intendere.
I
bordi dello scrigno si piegarono a formare un sorriso sprezzante.
«Non temere, faremo i conti più tardi. Ora se
permetti, ho altre formalità da sbrigare.»
Questa
volta si spostò verso Pinkie Pie, la quale non aveva cessato
neppure per un secondo di apparire gaia e vivace, con quello sfacciato
cipiglio che non si sarebbe alterato neppure nel più cupo
dei momenti.
«Vuoi
condividere con me la tua allegria, piccola puledrina?» Le
chiese, perché l’atteggiamento della pony le mise
una profonda curiosità.
«Hehehe.
Sei proprio buffa, lo sai? Mi fai morire dal ridere!»
Alcuni
abiti si fissarono viceversa sbigottiti, e i prigionieri rimasero di
sasso.
La
Mimic, invece, non seppe esattamente in quale modo considerarla.
«Stai cercando di prendermi in giro?» Le
domandò.
«Assolutamente
no, sono serissima! Ehi, ho avuto un’idea! Che ne dici se
diventiamo amiche?»
«Pinkie,
la vuoi piantare!!» Nitrì Twilight, a quel punto
seccata.
«Ohh
ma dai, è così divertente! Guardala, si muove
tutta quando parla, e poi fa tutti quei suoni di ruggine!»
Twilight
e Spike, se avessero potuto, si sarebbero sbattuti la fronte con una
zampata decisa.
Parlando
della Mimic, resasi conto che la pony, per quanto picchiatella,
sembrava fare sul serio col suo buffo modo di parlare, decise di
assecondare il suo atteggiamento gioviale.
«Sì,
concordo con te cara. Rimanere chiusi per secoli, senza
possibilità di muoversi e senza poter fare niente se non
dormire, dormire, e soltanto dormire! Una Signora di nobili origini
come le mie non dovrebbe subire un destino così infausto! Il
muschio che comincia a intaccare il tuo scrigno,
l’umidità che t’invade
dall’interno e ti riempie di polveri tossiche; oltretutto
credo di aver messo su un paio di carati da che sono bloccata! E poi la
ruggine, oh quella è la cosa peggiore! Ascolta cara,
ascolta…» fece l’azione di aprire e
chiudere il coperchio del baule, per accentuare così il
baccano prodotto dalle cerniere.
«Hahaha!
Forse dovresti metterci un po’ di olio, come quello che ci
rimane all’Angolo Zuccherino quando cuciniamo le frittelle!
È davvero miracoloso!»
Il
coperchio si richiuse per un’ultima volta, con un colpo
deciso e minaccioso. «Già, forse
dovrei.» Disse la gemma, ora molto seria. «Questi
anni mi hanno privato di gran parte del mio splendido vigore.
Avrò bisogno di molto impegno se voglio sperare di
recuperare tutto il mio smalto.» Si girò verso
Twilight. «Ma per fortuna, il fato ha voluto rendermi omaggio
con un dono moolto speciale.»
«C-cosa
vuoi dire?!» Farfugliò la Principessa, turbata da
quell’enfasi.
«Ma
non è evidente cara? Credevo che le alicorno trascorressero
anni di studi e di sacrifici accademici per ereditare i loro poteri;
non vi insegnano più niente prima di darvi la
corona?»
Malgrado
il suo sarcasmo, Twilight rimase in silenzio.
«Non
rispondi? Ahh è proprio il caso di dirlo: “Questa
gioventù bruciata di oggi”» La Mimic si
voltò di spalle, in fondo non c’era niente di male
a dare un po’ di teatralità al monologo.
Tornò a fissarla, e stavolta quando parlò, la sua
voce si fece più graffiante e mostruosa. «Intendo
succhiare via tutto il potere dal tuo piccolo ed insignificante
corpicino… »
“Oh
no… Twilight…”
Avendo
l’amica di fronte a sé e la gemma di fronte a lei,
Spike non riusciva a intravedere quale fosse l’espressione
che aveva assunto la Mimic in quel momento; poteva soltanto
immaginarsela dalle terribili tonalità della sua voce. In
compenso scorgeva meglio che bene l’alone spettrale tracciato
negli occhi della pony.
“Hai
combattuto contro Lord Tirek e l’hai sconfitto! Slega questi
legacci, forza! Affrontala a viso aperto! Perché non
reagisci?!”
«Certo
mi sarei anche accontentata di un magro spuntino di unicorno per
iniziare» proseguì la gemma, avvicinandosi di
qualche passo «del resto è così che
acquisii i miei primi poteri un tempo. Ma con la Magia di un alicorno
potrò ambire a traguardi che la mia famiglia si sarebbe
soltanto immaginata!» Si avvicinò ancora di
più, ormai completamente estasiata dalla superbia.
«Dominerò su tutta Equestria, e nessuno
avrà più modo di sfidarmi!! Hahaha!!!»
L’animo
di Twilight mutò d’incanto, e le linee del viso
s’indurirono. Il suo corno prese a frizzare.
«Non
così in fretta. Temo che dovrai aspettare ancora un bel
po’!»
«Uh?»
Anche la Mimic cambiò atteggiamento. Perplessa, prudente,
non aveva più così tanta voglia di parlare,
tantomeno di ridersela.
Allora
Spike capì che se la sua amica non aveva perso la
volontà di lottare, semplicemente stava aspettando il
momento migliore per tenderle un’imboscata; quando
cioè la Mimic si sarebbe trovata abbastanza vicina a lei,
distratta dal soliloquio e certa del suo trionfo.
Un
fascio di magia, di forma insolita e di colore celeste – si
suppone potesse trattarsi dell’Incantesimo Denaturalizzante
– partì come una saetta dalla punta del corno,
mirando dritto all’interno dell’apertura dello
scrigno; se avesse raggiunto il bersaglio sul quale
l’alicorno aveva puntato, tutta quella strana situazione si
sarebbe risolta in un istante.
Ma
qualcuno mise i bastoni tra le ruote.
Un
abito particolarmente agile guizzò tra fuoco e bersaglio
prima che questi lo raggiungesse, ed incassò per la sua
padrona il colpo che le era stato indirizzato.
L’abito
– un completo invernale, formato da giacca, maglioncino e
gonna lunghi – perse via via la propria vitalità
partendo dal colletto per poi afflosciarsi a terra, come la cera di una
candela che brucia a gran velocità.
«Bloccatela,
SUBITO!!» Ringhiò la voce da dentro il baule.
Un
manichino si avvicinò all’alicorno prima che
questa potesse riprovarci, e le coprì il corno con una calza
a righe orizzontali, nere e turchesi.
Quando
Twilight tentò di lanciare un nuovo incantesimo,
scoprì shockata che l’indumento le bloccava ogni
genere di sortilegio.
Non
sarebbe mai stato possibile, salvo che la Mimic non avesse
deliberatamente alterato la natura della calza per assolvere quello
scopo preciso.
Scostò
il manichino e tornò a rivolgersi a lei, con perfidia.
«Sei stata furba, te lo voglio concedere. Forse non sei
così sempliciotta come ti reputavo. Beh tanto meglio
così, per quando il tuo potere sarà parte di
me!»
«Non
te la caverai! Qualcuno un giorno verrà, e ti
fermerà… PER SEMPRE!»
«Dissero
la stessa cosa quando m’intrappolarono in questo bucolico
bauletto, e guardami ora, le tue minacce mi spaventano quanto quelle di
una mosca al ragno che l’ha agguantata! E a questo
proposito…» ora si girò verso un
gruppetto dei suoi serventi «portatemi gli inibitori
di volontà, e
fate alla svelta, per cortesia. Sto cominciando a perdere la pazienza
con queste qui.»
“E
ora che succede??” s’interrogò
Spike, piegato dalla paura e dall’impotenza.
Gli
inibitori di volontà, così come li aveva
soprannominati la Mimic, altro non erano che una coppia di caschi
asciugacapelli montati su una base a quattro ruote.
Rarity
ne aveva molti di quei così, ma questi dovevano avere
un’utilità di qualche ignoto tipo, altrimenti non
si sarebbe spiegata la loro presenza negli spregevoli piani della gemma
acquamarina.
Gli
abiti portarono il primo dei caschi sopra la testa di Twilight e la
costrinsero dentro mentre lei cercava inutilmente di rifiutarsi.
«No…
n-non voglio… lasciatemi stare…
lasciatemi!!» Ma per quanto lottasse, alla fine la forza del
gruppo ebbe la meglio su di lei. Attraverso la visiera di plastica
guardò in su, e poi intorno, per cercare di capire che ne
sarebbe stato di lei.
«Non
agitarti, piccola, finirai solamente per affaticarti di
più.» La rassicurò la Mimic con un tono
falso premuroso. «E poi ne soffrirei se quel limpido visino
dovesse deturparsi per la tua ostinazione.»
«Che
cosa le state facendo?!» Strillò Spike cercando
inutilmente di liberarsi.
«È
soltanto una precauzione per impedire che si faccia male. Non devi
temere per la tua amica: una volta succhiatole il potere magico la
liberemo e potrete tornarvene a casa.» Si avvicinò
al suo orecchio per sussurrarle qualcosa. «Chissà
come dev’essere amministrare un reame senza
un’oncia di Magia!»
E
finì con una risata melliflua.
Il
casco fu acceso, e cominciò a emettere un fievole soffio.
Twilight
e il drago si fissarono negli occhi mentre il tutto avveniva.
«Spike,
ascoltami bene! Se veramente hai provato a mangiare la Mimic, forse ora
le sue abilità sono… » ma non
arrivò alla fine della frase, perché la testa
cominciò a girarle.
«Smettila
di blaterale! Comincio ad averne abbastanza delle tue lagne!»
Esclamò la gemma, mentre il casco inibitore concludeva la
sua opera.
Gli
occhi dell’alicorno si spensero, e la palpebre si chiusero su
di loro quando la pony perse definitivamente i sensi. Il viso le si
piegò in avanti, sbattendo violentemente contro la visiera.
«Ohh
la pace dei sensi! Serenità dello spirito che mi accoglie
nel suo abbraccio! L’onnipotenza è
un’arte che si coltiva nel silenzio. Non sei
d’accordo con me, piccolo drago?» Si rivolse a lui
la Mimic, inebriata e quasi in trance.
«Ehi,
aspettate! E io?!»
Tutto
si fermò, e i presenti si girarono verso chi aveva appena
parlato: Pinkie Pie.
La
Mimic si batté con una gamba sul bordo della federa
«Già, che sciocca! Quasi mi dimenticavo di
te!» E impartì l’ordine ai suoi schiavi
di occuparsi anche di lei.
Allora
gli abiti ripeterono sulla pony dal manto rosa le stesse procedure
avute con la Principessa, ma incontrarono un grosso ostacolo quando si
resero conto che la sua folta criniera di cotone occupava tutto lo
spazio all’interno del casco.
Dopo
diversi tentativi andati a vuoto, Pinkie cominciò ad averne
abbastanza del loro maldestro impaccio.
«Uff
ma devo proprio insegnarvi tutto?!» Si lamentò con
voce stridula, e con una leggerezza che aveva
dell’incredibile si sfilò gli zoccoli dai nodi che
la teneva legata all’appendiabiti e atterrò con le
zampe per terra. Mentre la Mimic seguiva le sue azioni “a
bocca aperta” (il coperchio leggermente spalancato, come se
volesse chiudersi ma non ci riuscisse), con i serventi che si
lanciavano segni allarmati, lei si sistemò da sé
i crini e regolò il casco alla giusta altezza. A quel punto
balzò nuovamente sull’appendiabiti e gli zoccoli
tornarono al loro posto, saldamente avviluppati allo spago da cucito.
«Ecco
fatto, ora potete andare.» Disse infine da dentro il casco,
con parte dei ciuffi che sporgevano dai margini inferiori e altri che
le coprivano un occhio.
Gli
abiti si scambiarono dei segni. Erano disorientati; qualcuno non era
neppure sicuro se procedere o meno.
Alla
fine l’inibitore fu acceso, e anche la Pony della Gioia venne
indotta al sonno.
Solo
allora il coperchio della Mimic si chiuse, e l’atmosfera
tornò ad assumere l’aria semi-seria che
c’era all’inizio. «Beh…
l’importante è essere andati fino in
fondo… » si voltò dall’altra
parte « che dicevamo? Ah già: sembra che siamo
rimasti solo noi due, piccolo drago. Ehm…» si
fermò a riflettere «Spike, vero? È
così che ti ha chiamato la tua amica?»
Lui
aveva negli occhi un fiume di lacrime; la sofferenza per il fato in cui
aveva trascinato se stesso e le ragazze. «La pagherai,
Mimic!! Princess Celestia e Princess Luna…loro non ti
lasceranno neanche uscire da qui!»
«Sì,
sono certa che hai ragione.» Rispose lei, dandogli poco
credito. «Adesso se me lo concedi, però, devo
prepararmi per il mio grande ritorno. Se vuoi un mio consiglio, tieniti
pronto: presto Equestria conoscerà la sua nuova
sovrana!»
Chiamò
con un cenno della gamba il tubino a capo della congrega di abiti.
«Preparate la Principessa per il processo. La voglio su
quella pedana laggiù quanto prima.» Il tubino
annuì al suo ordine.
«E
per quanto concerne il nostro piccolo ospite squamato…
» gli rivolse un’occhiata spregevole
«fatene quel che vi pare. Ma andateci cauti. Non
dimenticatevi che è a lui che dobbiamo la nostra
libertà!» Concluse il congedo e quindi si
ritirò verso un angolo del laboratorio, con pochi fedeli al
suo seguito.
Gli
altri abiti, invece, obbedirono pedissequamente all’invito
della loro sovrana.
In
breve tempo Spike si ritrovò circondato da un folto
guardaroba di vestiari stregati, aggressivi e – aveva buone
ragioni per crederlo – assetati di sangue.
Chi
poteva sapere quale infausto futuro lo avrebbe atteso se li avesse
lasciati procedere? Ma soprattutto, quale futuro attendeva Twilight
Sparkle e Pinkie Pie, ora che la Mimic aveva rivelato il suo folle
obbiettivo?
Niente
Magia significava niente Rainbow Powers, quindi nessuna difesa per
Equestria. Di conseguenza, nessuna speranza di vittoria, non questa
volta!
“E
tutto questo soltanto perché avevo fame! Sì, ce
l’ho proprio con te, stupido stomaco!! Possibile che continui
a gorgogliare anche ora che la vita di tutti è appesa a un
filo?! E non venirmi a dire che questa è paura! La conosco
la mia paura! Questa non lo è!”
Ma
non aveva tempo per bisticciare col suo apparato digerente.
Doveva
liberarsi da quelle catene e trovare la maniera per fermare il nemico.
Soffiò
un lieve getto di fiamma sullo spago che teneva legata la sua mano
destra, quindi un’altra lingua di fuoco dalla parte opposta,
che rilasciò anche l’altro braccio.
A
quel punto il pandemonio si scatenò su tutto il laboratorio.
Spike
sgusciò con i riflessi di un ghepardo oltre il primo
assembramento di vestiti, rantolando faticosamente fino agli
appendiabiti delle sue amiche prigioniere.
«Non
statevene lì guardare! Catturatelo!!»
Strillò la Mimic balzando in aria.
In
men che non si dica il fuggitivo si ritrovò faccia a faccia
con un trio di manichini che si atteggiavano a bulli della situazione.
Spike
allora, presa coscienza che – almeno per il momento
– non c’era modo di soccorrere le pony prigioniere,
ripiegò la sua evasione verso l’unica direzione
che in quel momento gli sembrava attuabile.
Afferrò
il piedistallo di uno specchio girevole e lo rovesciò a
terra verso gli assalitori, facendo di esso una tempesta di schegge.
Mossa inutile, considerato il tipo di avversità chi gli
stava alle costole, ma per lo meno gli diede la grinta di andare fino
in fondo.
Il
secondo in comando degli abiti, il tubino, cercò di
accalappiarlo con il suo duttile scialle. Esso si avviluppò
alla gamba del drago, facendolo cadere disteso lungo a terra; allora
iniziò a tirarlo a sé, ma Spike fu più
svelto, e riuscì a slegarsi dalla sua presa prima di essere
soverchiato.
Imboccò
l’uscita e sparì dalla loro vista.
«Idioti!!
Straccioni buoni a nulla!! Come avete fatto a lasciarvelo
sfuggire?!?»
Uno
degli abiti scrollò le maniche delle spalle, imbarazzato.
«Come
sarebbe a dire “Non lo sapevate”?!? È un
drago, è naturale che sputi
fuoco!!»
La
veste mimò altri gesti, in risposta alla sua padrona.
«Grrr!!
D’accordo, non ha importanza. Abbiamo ancora la Principessa
con noi, il rito potrà comunque procedere!»
In
testa al gruppo dei serventi, il tubino era in attesa di nuovi ordini.
«Tu,
raduna un gruppo dei tuoi e andate a recuperare il drago! Non ha modo
di andarsene, ma non possiamo permettergli di muoversi a zonzo per la
casa facendo quello che gli pare!»
Il
leader fece un segno di assenso, e cominciò a distribuire
gli incarichi tra gli abiti e i manichini.
La
Mimic si mise in disparte, confabulando qualcosa tra sé.
«Ho
atteso fin troppo per permettere a quella piccola peste viola di
rovinare i miei piani! Fuggi quanto ti pare, piccolo Spike, fuggi! Ma
tanto non andrai da nessuna parte, perché entro stanotte io
e te avremo… »
…
chiuso. C’era da aspettarselo.
Né
uno né l’altro battente dell’uscita
volevano decidere ad aprirsi.
Come
avessero fatto Twilight e Pinkie ad entrarvi prima, rientrava
probabilmente nei contorti piani della gemma.
Spike
sentì il rumore degli zoccoli farsi incombente, e decise
quindi di nascondersi in uno dei camerini per la prova degli abiti.
Passò
sotto le due antine in stile saloon dello stanzino e tirò il
tendaggio magenta, sperando così di non essere scoperto.
Dal
tessuto, lasciò aperto solo uno spiraglio; quanto bastava,
cioè, per spiare il gruppo degli inseguitori che si faceva
strada nell’atrio: erano un paio di manichini e un numero
imprecisato di capi di vestiario, ma soprattutto il tubino decorato di
lustrini, che capitanava tutti.
Esso
fece gesto alla sua “truppa” di dividersi, per
mettere a soqquadro la casa, in cerca del fuggiasco.
Il
drago fu quindi costretto a rimanere bloccato lì, nella
speranza che a nessuno saltasse l’idea di controllare proprio
la sua cabina.
“Sembrava
un compito così facile, vero Spike? In fondo si trattava
soltanto di badare al negozio per un pomeriggio e una notte. Fare le
pulizie, annaffiare le piante, nutrire quel dispotico esempio felino di
Opalescence.
Unica
raccomandazione: stare alla larga da quella gemma recapitata stamattina
a casa Rarity; pena, il disastro! Tutto sommato: un giochetto da
puledrini, eh Spike... EH?! E invece no! Vai a ficcanasare dove non
dovresti! Vai a liberare una forza vecchia di secoli che vuole
succhiare la Magia di Twilight e prendersi il controllo di Equestria!
L’avessi almeno mangiata, quell’accidenti di
gemma!!”
Un
rumore lo mise in allerta; dopo un fugace controllo scoprì
che si era trattato soltanto di un abito che aveva urtato contro
qualcosa in corridoio.
“E
ora che cavolo faccio?! Come le salvo?? Se torno di là
quelli poi mi acciuffano ed è finita, se tento di uscire
rischio di fare la stessa fine e inoltre abbandono Twilight e
Pinkie… no, frena un secondo! Quella
frase…”
Ripensò
a cosa gli aveva detto l’amica in laboratorio:
-
“Spike, ascoltami! Se veramente hai provato a mangiare la
Mimic, forse ora le sue abilità sono… ”
-
“Sono
cosa?! Cambiate?! Diminuite?! Che cosa cercavi di dirmi
Twily?!?”
Ripercorse
a ritroso i fatti delle ultime ore:
Gli
schiavi della Mimic li avevano catturati; dopo che le sue amiche erano
state attirate in quella trappola; mentre lui fuggiva alla cieca
presumibilmente seguito da due manichini… e prima?
“Un
momento! ” Si
ricordò di un’altra frase.
-
“Erano
conosciute e temute per il loro potere di trasformare qualunque cosa
gli stava intorno in qualsiasi cosa desiderassero: trappole, armi,
serventi, di tutto… ” -
Rievocò
la scena del serpente di foulard, e del modo in cui lo aveva steso con
una saetta ad alta tensione… scaturita senza logica
apparente dalla doppia punta di un comunissimo forchettone da cucina!
Questo,
dopo che lui aveva supplichevolmente desiderato di ottenere…
“Un’arma
più potente… W-“ «WOW!!»
Esclamò ad alta voce, tappandosi all’istante la
bocca. Per poco non tradì la sua posizione.
Sbirciò
attraverso la fessura del tendaggio: nessuno in vista, per ora.
Riprese
da dove si era interrotto, e a quel punto tutti i nodi vennero al
pettine:
-
“Spike, ascoltami! Se veramente hai provato a mangiare la
Mimic, forse ora le sue abilità sono… ”
-
“…dentro
di me?”
Poteva
mai essere?
Aveva
davvero ereditato il potere di plasmare la realtà a suo
piacimento?
Ma
se così fosse, la Mimic non avrebbe fatto
l’impossibile per impedirgli di fuggire, magari
sottoponendolo per primo al trattamento dei caschi inibitori?!
“No!
Non se lei per prima non fosse al corrente di questa cosa! In fondo e
stata lei stessa a dirmelo: sono il primo nella storia delle Mimic ad
aver esitato a mangiarne una. Se anche in passato alcuni draghi
avessero ereditato i loro poteri, non ci sarebbero di certo state
testimonianze a ricordo degli effetti collaterali!”
Tra
l’altro, la storia draconica era zeppa di voci su possenti e
antichissimi draghi che nel corso della loro vita avevano accumulato
ricchezze a dir poco spropositate, perfino per gli standard di
razziatori del loro calibro, al punto che mentre se ne discuteva, non
si risparmiavano aspri commenti sul fatto che durante i loro saccheggi
fossero aiutati da forze magiche non meglio indicate.
E
se quei poteri li avessero ereditati proprio dall’aver
divorato una Mimic?
Tutto
quadrava, e ora forse Spike aveva un modo per salvare le sue amiche. Ma
se davvero voleva esserne sicuro, doveva prima portare a termine un
test, e per questo aveva bisogno di uscire da lì.
Mentre
pensava a come fare, decise di prendere due piccioni con una fava.
Poteva
alterare le cose a suo piacimento, no? Quindi a rigor di logica anche
la tenda che lo stava nascondendo.
Se
una porta non voleva aprirsi, si disse, ne avrebbe
“immaginata” un’altra lui!
Fece
per afferrarla e quindi scostarla, quando ad’un tratto si
arrestò.
“No,
aspetta! Com’è che funziona?! Apro la tenda e
questa mi porta da un’altra parte? E di là che ci
sarà?”
Ma
subito bocciò quel pensiero. Era inutile arrovellarsi il
cervello, doveva provarci e basta, specie nella situazione in cui
vessavano le sue compagne.
“Ok, farò così: penserò a
un’altra stanza dove sono certo ci siano delle tende uguali a
queste, e se ho ragione, verrò teletrasportato direttamente
lì. Poi penserò a come muovere il prossimo
passo!”
Posto
così, aveva già la parvenza di
“buon” piano, decise allora di tentare quella
strada.
Inspirò
profondamente per farsi coraggio, e ghermì con una presa
degli artigli gli orli del tessuto. A quel punto pensò
intensamente alla stanza in cui voleva trasferirsi e scostò
con uno slancio deciso la tenda.
La
attraversò, e immediatamente la via gli si aprì
sulla camera da letto di Rarity!
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Capitolo 4 *** A Strange Weapon ***
4:
A Strange Weapon
Saltellò
sul posto un paio di volte, ebbro d’entusiasmo.
Sapeva
di non potersi sbagliare quando credeva di aver intravisto un altro
camerino nella stanza di Rarity. Aveva sentito da lei che qualche tempo
prima ne aveva fatto installare uno nuovo per provare sul momento
qualche abito in fase di sviluppo.
Lo
stesso camerino Spike era certo di averlo notato la prima volta nel
momento in cui era entrato per cercare Opal, sebbene non si fosse preso
la briga di verificare con attenzione.
Fatto
stava che l’intuizione era giusta, e che ora poteva prendersi
un secondo di fiato mentre ragionava in tutta serenità sul
modo migliore per salvare Twilight e Pinkie.
Scostando
la tenda dello stanzino, era certo di piombare in una stanza vuota,
dove i suoi nemici portati alla vita avevano abbandonato la loro
naturale collocazione per prendere il posto nelle schiere della Mimic;
immaginatevi quindi la sua sorpresa quando, riaperti gli occhi dopo lo
schiamazzo iniziale e messo piede al di là della tenda, si
rese conto di essere in realtà circondato da un congrega
smisurata di abiti e manichini, che puntavano dritti la loro attenzione
su di lui.
Il
perché non li avesse notati fin da subito era da impuntarsi
al fatto che era troppo abituato a concepirli come parte
dell’arredamento, e non come una minaccia che potesse ledere
severamente alla sua vita.
Fosse
stato più prudente, sarebbe rientrato mogio, mogio e al
sicuro all’interno dello stanzino, e avrebbe ritentato
l’esperimento dirigendosi questa volta verso una via
più sicura, invece…
Tentò
lo stesso di tagliare la corda, ma prima di riuscirci, venne afferrato
con violenza da un manichino ed estratto a forza dalla nicchia.
La
creatura quadrupede lo lanciò contro un lato della stanza,
facendolo urtare contro vari elementi dell’arredo mentre per
terra si riversavano strumenti da sartoria dallo scopo più
disparato.
Gemette
di dolore quando alcune grucce appendiabiti di metallo –
fredde e pungenti – gli caddero sulla testa costringendolo a
riprendersi dalla confusione iniziale. Allora si rimise in piedi,
indolenzito e con le orecchie che gli fischiavano come l’eco
di un canto di sirena particolarmente stonato.
Vide
che i posseduti gli si stavano stringendo intorno, con passo lento e
risoluto, ormai certi che il draghetto non avesse altra via di scampo.
In
quella situazione, se voleva uscirne illeso, capì di dover
vendere care le proprie squame, e per farlo doveva servirsi dei suoi
rinnovati poteri, che a questo punto nessuno poteva mettere in dubbio
che avesse.
Ma
la domanda che ancora lo affliggeva fu: come?
Si
osservò intorno con la rapidità di un suricato
che sorveglia il territorio, in cerca di qualsiasi elemento potesse
adoperare per levarsi dai guai, ma più era alto il tempo che
sacrificava nella ricerca, maggiore era il vantaggio che ai posseduti
era concesso per avvicinarsi al rettile.
Impugnò
la prima cosa che gli capitò a tiro – una spazzola
per criniere – e senza pensarci due volte la
lanciò con fare deciso verso un gruppo di completi che si
stavano pericolosamente affacciando alla sua sinistra.
Quel
che successe fu che l’utensile scostò il vestito
ai bordi del tessuto, e la sua traiettoria terminò la corsa
a ridosso dell’imponente baldacchino, lasciando Spike con un
nulla di fatto e una minaccia ancora più incombente farsi
via, via più vicina.
“Cos’ho
sbagliato?!”
Si domandò ansiosamente, schiacciandosi con le spalle contro
il muro. “Perché
stavolta non ha funzionato?!”
Si
picchiò la testa per smuovere gli ingranaggi della ragione,
e ad un tratto capì. “Fantasia,
Spike! Usa l’immaginazione!”
Era
vero! Che stupido era stato!
Ora,
tutta la scena vissuta fino a quel momento si era svolta
nell’arco di non più di una decina di secondi, e
anche un solo istante di esitazione in più gli avrebbe
costato la libertà (o peggio), quindi si affidò
nuovamente al suo istinto, augurandosi che questa volta la sua prossima
mossa avesse funzionato.
Prese
in mano una delle grucce con cui la sua capoccia aveva da poco avuto
uno spiacevole contatto ravvicinato e si stupì nel
constatare la particolare forma che l’oggetto richiamava a
sé, se concedeva alla sua mente il permesso di divagare
nella creatività: quella sagoma triangolare, con
l’apice ad uncino che si stringeva da
un’estremità verso il centro, mentre una linea
verticale (od orizzontale, a seconda di come la si guardava) univa i
due vertici dalla parte opposta, gli ricordarono così tanto
la forma di un arco
che decise di stringerla tra le sue braccia nel medesimo modo cui
avrebbe fatto con l’omonima arma.
I
suoi assalitori nel frattempo avanzavano in barba ai suoi intenti, per
nulla colpiti dagli ultimi sviluppi, e questo gli ricordò
che oltre all’arco aveva bisogno anche di alcune frecce.
Ma
la solita domanda tornò a punzecchiarlo: cosa?
Si
guardò di nuovo intorno, col tempo che stringeva come una
morsa sul suo spazio vitale, finché non incappò
in un puntaspilli a forma di cuscino riverso sul pavimento che sembrava
aspettare non altro che di prestargli soccorso.
Da
esso Spike staccò un grosso ago appuntito che
afferrò per la cruna, e che quindi portò al
centro della sottile base metallica della gruccia, allineandolo con
essa e tendendola (incredibilmente) con la stessa facilità
che si sarebbe aspettato da una corda
di arco.
Non
era fondamentale quanto sensata fosse l’azione che stava
compiendo, purché si convincesse che la stava compiendo
nella maniera giusta. I poteri della Mimic avrebbero poi fatto il resto.
Quando
dunque accettò la logica dell’azione, e
rilasciò la corda
permettendo così all’arco
di proiettare la sua freccia
dritto sul bersaglio che aveva di fronte, l’ago
fluttuò nell’aria a gran velocità
ricoperto da una sottile patina di aura magica, che gli
conferì a tutti gli effetti l’aspetto di un dardo.
Esso
quindi si conficcò nel pieno petto di un manichino, che come
privato improvvisamente della sua “essenza vitale”,
si accasciò a terra tornando ad assumere le reali posizioni
della sua forma d’origine.
Gli
abiti e le altre figure equine a quel punto trasalirono, avendo
finalmente compreso che il piccolo drago aveva scoperto come difendersi.
Spike
si mosse più in fretta, stringendo in un unico pugno una
manciata di spilli con una destrezza resa possibile soltanto
dall’emozione; li lanciò uno dopo
l’altro con la sua gruccia verso ciascuno dei posseduti
attornianti, mirando nei punti in cui presumeva si sarebbero trovati i
loro “organi vitali”, stendendoli in questo modo
uno per volta senza dar loro il tempo di fare qualunque cosa, fino a
che nella stanza non rimase altri in piedi al di fuori di lui.
Alla
fine del contrattacco aveva calcolato tredici scocchi, che si erano
conficcati nei corpi di tre manichini e almeno una decina tra capi
d’abbigliamento e completi d’alta classe, che ora
tornavano ad essere solamente un’esanime massa di tessuti,
plastica e polistirolo.
Finalmente
salvo, il drago si mosse con circospezione verso i corpi, tendendo la
gruccia saldamente puntata contro di loro.
Ne
calciò alcuni con il piede, non ricevendo alcuna risposta, e
quindi si rilassò.
Era
stanco e con il cuore in subbuglio. I polmoni che annaspavano in cerca
di ossigeno.
Il
suo primo pensiero al termine di quel bizzarro combattimento fu di
cercare seduta stante un modo per andarsene da lì, quando
un’obbiezione lo fece tornare con i piedi per terra.
“No!
Twilight e Pinkie hanno ancora bisogno di me! Devo tirarle fuori in
qualche modo!”
In
fondo era lui il responsabile di tutto, aggiunse, ed era suo il dovere
di rimediare.
Guardando
con intensità la gruccia mentre la stringeva solidamente,
ora capì di avere tra le mani sia il modo che i mezzi per
farlo, e che altro non gli serviva se non di capire come congiungere le
due cose.
Cominciò
a rovistare in giro – sebbene la violazione degli spazi di
Rarity lo rendesse titubante e restio – in cerca di qualsiasi
strumento gli potesse tornare utile per l’operazione di
salvataggio.
I
cassetti in legno erano quasi tutti scoperti e svuotati, ma in qualcuno
vi si trovava ancora delle cose, e da uno di essi Spike
recuperò una piccola borsetta da viaggio con
un’applicazione a forma di diamante sulla chiusura, che
indossò a tracolla.
All’interno
v’infilò di tutto, dagli oggetti più
ovvi alle intuizioni più folli, provando ad immaginarsi i
mille possibili usi per ciascuno dei materiali che recuperava.
La
stanza del caos organizzato di Rarity era sì stata una
pessima scelta strategica per darsi alla fuga, visto il quantitativo
spropositato di capi che la unicorno era solita stiparvi giorno dopo
giorno, ma di contro, di tutto il negozio era anche il luogo migliore
per rifornirsi dell’equipaggiamento che gli serviva per la
missione.
Arraffato
tutto l’occorrente (cioè quanto la capienza della
borsetta gli aveva consentito; ormai non c’era più
spazio neppure per infilarci una monetina), Spike prese al fine una
matita per il trucco e si traccio due righe di nero sulle guance, per
suggellare in tal modo che era pronto a dar battaglia al nemico.
In
fondo alla rampa di scale per il piano terra la discesa era resa
impraticabile dalla presenza di un abito femminile in canottiera a
maniche corte e gonnellina, che faceva da palo dandogli le spalle.
Tentare
di aggirare quel blocco avrebbe richiesto più tempo di
quanto non ne avesse, e un tiro con l’arco da una tale
distanza avrebbe certamente rischiato di concludersi a vuoto, gettando
alle ortiche la sua speranza di un approccio pulito (dopotutto non era
un tiratore professionista), spingendo così il posseduto a
darsi alla fuga; Spike invece doveva agire d’astuzia, quanto
più ne era in grado.
Per
fortuna aveva una soluzione, a patto che il vestito non fosse
abbastanza sveglio da accorgersi del tranello: nella camera di Rarity
c’era un rotolo il cui colore era quasi della stessa
sfumatura violetta del draghetto, quindi si mise la gruccia di sbieco
sul collo e tornò indietro a recuperarlo.
Una
volta tornato, lo fece rotolare bruscamente sui gradini, fissando con
intensità il tessuto mentre questi si dispiegava;
immaginò in tutta fretta di tuffarsi sulla superficie di un
limpido mare tropicale, in cui avrebbe potuto liberamente sguazzarvi
per scendere al livello inferiore.
Detto
ciò, possiamo riassumere quanto successe nella seguente
maniera:
Spike
vi scomparve all’interno – letteralmente
– dopo essersi accertato di avere portato con sé
tutto l’occorrente.
Nel
frattempo il rotolo arrivava al piano inferiore passando da sotto la
gonna del vestito, che a quel punto sobbalzò allarmato. Esso
di principio vide il cilindro di cartone disfarsi e fermarsi contro la
parete, e quindi si voltò verso le scale in stato
d’allerta.
Quando
vide che in cima alla rampa non c’era nessuno, si prese la
libertà di abbassare la guardia, e si mise a tastare con
puerile curiosità il tessuto, ma fu proprio questa
serenità, alla fine, a costargli il prezzo maggiore: due
mani squamate emersero dalla tela afferrandolo per le pieghe della
canottiera, mentre una lo tirava a sé e l’altra
brandiva saldamente una lima per zoccoli (neppure così
affilata, a voler essere onesti).
L’abito
fu trascinato all’interno della stoffa, dentro la quale si
tenne una breve ed imprecisata lotta dalla quale ne emerse solo Spike,
affaticato ma trionfale.
Durante
la zuffa aveva perduto la lima, ma in borsa aveva sufficiente materiale
per sopperire a qualunque necessità futura.
Si
scrollò di dosso alcune fibre di tessuto viola come fossero
perline d’acqua e avanzò lungo il percorso una
volta accertatosi che nessuno lo stesse osservando.
Proseguire
nel corridoio gli causò non poca inquietudine.
Era
lì che aveva avvistato l’insolito soprabito
volante durante le prime ore della serata (e a questo proposito,
chissà che ora si era fatta?), ed era sempre lì,
in quello sgabuzzino laggiù, che aveva rinchiuso
un’indemoniata Opal prima di comprendere la reale
entità della situazione (e a questo proposito: era ancora
là dentro? Stava bene? Non è che sentisse
freddo?!)
“Oh,
ma a chi accidenti importa?! Ho problemi più seri
ora!”
Stretta
tra le mani la gruccia, carica, tesa e pronta a scoccare alla prima
avvisaglia di pericolo, mentre lui avanzava a passo felpato passando
davanti allo sgabuzzino, udì distintamente i soffi isterici
della gatta che strillava e grattava sulla porta dandogli per lo
più la certezza che l’animale era ancora
intrappolato all’interno.
Aveva
completato metà del percorso quando gli parve di udire un
eco di zoccoli rimbalzare lungo le pareti.
Immediatamente
svoltò l’angolo, e trovò riparo proprio
in prossimità di quel varco oltre il quale si celava il
predatore dalla pelliccia bianca, il quale forse accortosi del suo
arrivo, iniziò ad emettere lamenti e schiamazzi ancora
più rintronanti.
«Insomma,
vuoi startene un po’ zitta, stupida… » “gatta?!”
Disse
a sussurri, ma s’interruppe all’improvviso quando
qualcuno imboccò il corridoio iniziando pericolosamente ad
avvicinarsi.
Sporgendo
la testa per sbirciare al di là, vide un altro di quegli
inquietanti manichini seguito a ruota da un elegante completo, che lui
riconobbe come uno di quelli facenti parte del guardaroba personale di
Rarity: era giallo canarino con drappi che si schiarivano
sull’estremità inferiore, una gemma levigata ad
ovale sul colletto e un ampio cappello a larghe tese con rose e fiocco
azzurro che levitava sostenuto al di sopra della veste, come sorretto
da una qualche testa invisibile che lo indossava.
La
gatta non si sarebbe quietata in nessun caso, e le due figure quasi
sicuramente stavano intervenendo per indagare sul baccano, pertanto
Spike era in trappola… salvo che non fosse stato lui primo
ad attaccare la coppia.
Preso
un altro spillo dalla borsetta, stringendolo tra il dito medio e
l’anulare, mentre con il pollice e l’indice tendeva
la gruccia, decise che avrebbe puntato per primo al manichino, essendo
tra i due l’avversario più pericoloso.
Così facendo, con la giusta distanza e un po’ di
fortuna avrebbe superato incolume anche questo nuovo ostacolo.
Respirò
a fondo e provò a rilassarsi. Le braccia gli dolevano ora
come non mai, ma non era quello il momento per lasciarsi distrarre da
futili lamentele.
Rimase
in attesa che i posseduti avanzassero ancora di qualche metro,
abbastanza da assicurarsi un tiro sicuro, e quando fu convinto della
sua azione, uscì allo scoperto scoccando a bruciapelo il
primo dei dardi.
Un
istante dopo, tre metri più in là, una serie di
spasmi e il manichino fu messo fuori gioco, centrato sul collo
dall’ago, cui l’aura magica ora si spense.
Spike
passò dunque il secondo ago tra le dita e lo
lanciò verso l’abito, che invece di lasciarsi
colpire, lo evitò con gran beffa compiendo
un’agile mossa ondulatoria nell’aria.
Il
drago non se l’aspettò, e per poco non ci rimise
le squame quando l’avversario gli scagliò a sua
volta il cappello, alla maniera di un frisbee.
Per
scansarlo dovette sdraiarsi a terra, mentre il copricapo si piantava
sull’angolo alle sue spalle come l’affilata lama di
un disco rotante.
Mentre
rivolgeva lo sguardo ad esso, con il cuore che si gonfiava a mille mila
nel petto, il posseduto si defilò dalla direzione di
provenienza andando probabilmente a richiamare i rinforzi, o peggio
ancora, avvisare la Mimic della sua posizione.
“Tanti
cari saluti all’approccio Stealth, congratulazioni
Spike!” si
rimproverò da sé intanto che si rialzava da terra.
«Piano
con quello!… Muoviti con cautela!… sciocco, stai
spargendo l’olio su tutto il pavimento!… No!
Cautela ho detto!!»
A
nulla valsero gli avvertimenti della gemma stregata: la latta di
lubrificante che il manichino tentava di stringere con impaccio tra gli
zoccoli anteriori, per oliare le cerniere dello scrigno vetusto,
finì per scivolargli di zampa rovesciandosi il contenuto su
tutto il lastricato.
La
Mimic imprecò, affondando una gamba di divano sul suolo
macchiato di grasso. «Inutili abomini! Ma perché
non vi producono con le corna, perché?!»
Pensò
allora di doversi rivolgere a un altro dei suoi serventi, una canotta
bianca di candida seta: «tu, vieni qui! Prendi il suo
posto!»
La
veste sussultò esterrefatta: sebbene allietata
dall’opportunità di accontentare la sua sovrana,
il compito che le venne richiesto si rivelava impraticabile dal
semplice fatto che essa in realtà NON possedeva le maniche,
e quindi nessun modo per brandire la tanica.
«Come
non detto, lascia perdere!» Grugnì avvilita.
«Dovunque mi volto sono circondata da idioti!»
Poi
aggiunse dell’altro sottovoce. «Quando me ne
andrò, farò in modo di rifilarvi tutti ad un
banco dei pegni! È una promessa!»
In
quel momento la porta del laboratorio si spalancò ed
entrarono in processione il tubino insieme ad una truppa dei restanti
posseduti.
«Portami
buone notizie almeno tu: dimmi che l’avete trovato e che ora
si trova di là con voi!»
Sfortunatamente
per lei, la risposta fu negativa.
La
Mimic ruggì con un verso che era in parte di bestia e in
parte di lamiera corrosa. «È possibile che di
cinquanta individui non siate in grado di mettere insieme un solo
cervello?!»
Il
secondo in comando dei posseduti incassò la critica in
devoto contegno.
«D’accordo.
Andrà a finire che quando avrò i miei pieni
poteri, lo cercherò da me.»
A
un fianco della stanza, un trio di tuniche da cerimonia stava
tracciando con delle penne d’oca alcuni simboli rituali,
sopra una pedana rialzata sulla quale le due pony stavano dormendo
nell’ignavia di ciò che le circondava.
«Voi,
laggiù, quanto altro vi occorre per quelle rune?!»
Di
questi, uno rivolse alla gemma dei gesti sgraziati, che si potevano
tradurre parafrasandoli con: “manca ancora un po’
”
«Siete
più lenti a concludere voi che un giaccone invernale ad
asciugarsi al coperto! Vedete di sbrigarvi, per cortesia!»
Chissà
cosa avrebbero ribattuto le tuniche, se avessero avuto il dono della
parola.
«E
per quanto riguarda voi… » minacciò ora
la schiera del tubino: «Tornate fuori e vedete di restarci!
Non voglio rivedervi fino a quando il drago non sarà in
manica vostra, e assicuratevi che rimanga legato, stavolta!»
La
porta si spalancò di nuovo, e l’abito giallo
fluttuò davanti a tutti con movenze scombinate, come se a
sospingerlo vi fosse una violenta bora autunnale.
Oltrepassò
con poco garbo anche il suo Generale in lustrini, e rivoltasi alla
gemma acquamarina, prese a mimare gesti inconsulti davanti
all’attenzione sgomenta dei presenti.
«Adagio,
adagio! Che cosa è successo?» Chiese la Mimic
nell’intento di capirlo.
Ma
lui continuò, come se non avesse recepito la domanda.
«Un
momento, vai con calma! Ripeti tutto dopo: “manica sollevata
sinistra”.»
L’abito
giallo allora sollevò e poi abbassò la manica,
quindi ripeté – stavolta con più enfasi
e meno clamore – le gestualità di ciò
che tentava di comunicare; in sostanza: un sunto riassuntivo
dell’incontro ravvicinato con il drago fuggiasco.
La
Mimic annuì e mormorò, attendendo la fine.
«E
così il piccolo Spike è pieno di sorprese, eh?
Chi lo avrebbe immaginato. Il confronto si fa dunque
interessante.»
Dietro
la veste gialla, il tubino si stava sfregando le maniche con impazienza.
Lo
guardò e gli disse semplicemente: «Sai cosa
fare.» E lui confermò con un sicuro cenno di
assenso.
Uscì
dal laboratorio portandosi appresso i suoi, e la porta si richiuse da
sé.
La
frenesia nel laboratorio divenne totale: qualcuno che usciva per dare
manforte ai serventi di fuori, qualcun altro che rientrava per adunarsi
tra le guardie della Mimic.
E
la sovrana al suo posto, superba e magnifica, sorrideva pregustandosi
di già lo spettacolo imminente.
«Caro,
piccolo eroe, la tua tenacia rende giustizia alla tua stoltezza, ma
vedremo ora se i tuoi trucchi avranno la stessa efficacia sul campo
aperto. Io nel frattempo me ne starò qui, e ti
attenderò con pazienza… » la sua
espressione si congelò in un ghigno tronfio ed aberrante, di
cui si sarebbe potuto narrare per i secoli a venire «in
fondo, sono abituata ad attendere.»
Si
dice che il cuore dei rettili non riesca mai ad ossigenare ben bene il
loro organismo, colpa forse della struttura del ventricolo che non ne
garantisce una corretta areazione dei tessuti.
Poteva
darsi che era questa la ragione dell’affanno che stava
sentendo Spike, oppure, poteva trattarsi della più banale
paura, che lo costringeva come in una gabbia gettandogli negli occhi
flutti di confusione.
“Ho
riposto troppa fiducia nelle mie capacità e nei poteri dalla
Mimic?”
Si chiedeva mentre avanzava. “Sono
davvero pronto ad affrontare quello che mi attende dall’altra
parte?”
La
borsetta a tracolla gli provocava fitte sulla spalla, a metà
tra un torcicollo e un crampo muscolare, e le dita costantemente
strette sul filo della gruccia piangevano e lo supplicavano di
lasciarle rilassare; e dove non bastavano i segnali del suo corpo, ci
pensavano le emozioni, contrastanti, a persuaderlo di cedere.
Ma
era ormai nel bel mezzo della partita, con premi e penalità
troppo alti per decidere una strada diversa da quella che stava
seguendo.
Davanti
a sé poteva palesarsi la sua condanna oppure la redenzione,
ma se si fosse rifiutato di avanzare, c’era un solo epilogo
al quale avrebbe assistito.
E
quindi si fece coraggio, tra sé e sé,
mormorandosi frasi di conforto e sistemandosi alla bell’e
meglio la borsa addosso; la gruccia allineata con il suo avambraccio.
Avanzò,
oltrepassando quei pochi metri che separavano la codardia dalla dura
realtà…
E
lì li trovò, come se li sarebbe immaginati nel
diorama più tetro del suo pessimismo.
Gli
abiti, informati del suo arrivo, erano posizionati a macchie
disorganizzate su tutto l’atrio, intervallati dai manichini
che mai come adesso apparivano tutti così uguali e pallidi
come spettri.
Vi
vide, in quell’esercito, tutte le personalità che
aveva incontrato nel corso di quella notte: gli abiti che avevano
legato lui e le sue amiche, il Generale in lustrini blu armato di
scialle, e con essi la stragrande maggioranza dell’intero
guardaroba di Rarity.
Nessuno
si mosse nel tempo intercorso durante quel momento, a parte un sospiro
amareggiato di Spike, che con esso espirò tutto
d’un fiato la nube venefica che componevano le sue ansie.
«D’accordo…»
fece per innalzare la sua arma «se proprio dobbiamo
combattere, così sia… »
Ma
che successe all’improvviso?
Qualcosa
lo afferrò da dietro! Qualcosa che le sue orecchie non
avevano neppure captato, che la coda dell’occhio non aveva
intravisto!
Il
soprabito volante!
Le
sue maniche si erano avvolte intorno alle sue braccia come le spire di
un serpente. Lo sollevarono da terra, costringendolo ad abbandonare la
sua preziosissima gruccia.
Lo
condusse verso il centro della hall, in mezzo al più
affollato assembramento dei posseduti.
Da
questo Spike ne dedusse che non si sarebbe limitato a sganciarlo
laggiù per poi lasciarlo alla mercé dei compagni;
come in una rissa, esso lo avrebbe adagiato a terra trattenendolo,
mentre gli altri si sarebbero divertiti con lui come meglio credevano,
senza cedergli alcuna possibilità di difesa.
Sollevò
allora il collo, cercando di rovesciarlo all’indietro quanto
più gli era possibile, e sbuffò una timida
fiammetta arancione sulla superficie interna del soprabito, sperando
così di riuscire a bruciarlo. Ma non funzionò:
troppo piccola era la vampata e molta la sua stanchezza, dopo una
giornata trascorsa a pulire, ordinare… e scappare.
Sbracciando
per liberarsi dalla presa dell’assalitore, si
dondolò in tutte le direzioni fino a che non
riuscì a liberarsi della manica destra, ed infilare
rapidamente la mano all’interno della borsetta.
Ne
venne fuori armato di una piastra per criniere, che sapeva benissimo
come avrebbe utilizzato, avendone già pianificato lo scopo
come di ciascuno degli strumenti contenuti in bisaccia.
Malgrado
il cavo dell’alimentazione stesse penzolando inutilmente
dall’estremità inferiore, al drago
bastò immaginarsela accesa per far si che lo strumento si
riscaldasse dall’interno. Rivolse allora la parte arroventata
verso il tessuto, e lo sferzò impetuosamente brandendola
come fosse una spada!
La
piastra bruciò con la facilità di un panetto di
burro l’estensione del soprabito, aprendo una linea obliqua
che divise l’avversario in due parti, una delle quali
utilizzò per paracadutarsi in sicurezza a livello del
pavimento.
Quando
atterrò, nell’atrio si accese un turbinio di caos.
Non il tempo di un’esaltazione o di una qualche esclamazione
ad effetto, che gli altri posseduti gli furono tutti addosso.
Spike
brandì coraggiosamente la piastra, servendosene per
affettare gli avversari ogni volta che tentavano di bloccarlo. Ma ero
troppi, una legione inestinguibile dalle sue sole ed esigue forze.
Il
puzzo di tessuto bruciato e il fumo gli colmarono il naso e gli occhi,
facendoli lacrimare. Dopo un po’ poté
già considerarsi fortunato se riusciva a respingere a
malapena gli assalti più impetuosi.
Sprizzò
del fuoco per allontanarli da sé, quindi rimise in borsa
l’allisciacriniera, estraendo al suo posto il secondo dei tre
oggetti più ingombranti dall’interno: un phon a
batteria!
Lo
accese, e puntando il bocchettone sul primo gruppo di avversari
schiacciò la regolazione corrispondente al massimo grado
d’intensità, investendoli tutti d’un
poderoso gettito di
plasma infiammato!
Il
fascio termico si proiettò dalla strumento ed
aprì buchi sugli aggressori, come fossero fogli di carta.
Spike
ruotò poi su se stesso il phon di 360° gradi, e si
aprì un varco nelle fila nemiche investendo i restanti con
una spirale concentrica.
Questa
mossa gli fece guadagnare qualche metro di vantaggio, ma non una
rimonta, perché tanti erano gli abiti e i manichini che
ancora erano sugli zoccoli, che le schiere dell’esercito si
erano già rinfoltite di nuovi rimpiazzi.
Alcuni
abiti corsero a spegnere le fiamme che stavano dipanandosi per tutta la
stanza, e che rischiavano di dare fuoco all’intera
abitazione, occupanti inclusi.
Da
questo Spike fu costretto a convenire che un uso ulteriore del phon era
da considerarsi fuori questione.
Corse
a recuperare la gruccia, unica alternativa come arma a distanza
rimastagli nell’inventario. Ma fu proprio allora che qualcosa
gli piombò a pochi passi, scavando un alveare di piccoli
fori asimmetrici nel bel mezzo del pavimento.
Alcuni
abiti, più accorti degli altri sul netto vantaggio del drago
sulle loro schiere, si erano muniti di scatole di applicazioni per
cucito, bottoni e fibbie per cinturini, che ora stavano raccogliendo e
lanciandogli contro a grappoli. Questi, per giunta, probabilmente
alterati nella loro struttura per effetto della Magia, quando colpivano
una qualunque superficie, agivano come le schegge di una bomba
frammentaria,
scavandovi in essa solchi profondi anche diversi centimetri.
Spike
dovette sgambettare a zig zag come una gazzella per sfuggire alla
pioggia di proiettili che gli stavano scaricando contro, e si
rintanò rannicchiato dietro una pedana stringendo tra le
mani la sua preziosa gruccia.
Parte
dei frammenti riuscirono a beccarlo, causandogli dolori atroci sulla
sua povera e ammaccata testa.
Si
lanciò al contrattacco, rischiando di esporsi al fuoco
nemico, e fu in grado di metterne al tappeto alcuni (principalmente
manichini che cercavano di trottare verso di lui) scoccandogli addosso
una manciata di dardi, ma per la maggior parte erano ancora tutti al
loro posto. Anzi, nel giro di pochi secondi altri abiti si unirono ai
lanciatori, portandosi appresso nuovo scatolame pieno di cianfrusaglie
catapultabili.
“Così
non va bene per niente, devo fare qualcosa!”
Per
giunta la sua scorta di aghi stava andando esaurendosi.
Per
avere una speranza di cavarsela, Spike dovette ricorrere ad una
drastica soluzione, che fino all’ultimo si era augurato di
poter evitare.
Le
sue dita tastarono a fondo la borsa, estraendo stavolta una matassa e
due rocchetti di filo da cucito.
Li
srotolò uno ad uno di qualche centimetro, sperando di non
sforare con le tempistiche, e quando ritenne di averne abbastanza, ne
incendiò gli apici in simultanea con il suo fuoco
lanciandoli alla cieca verso le postazioni nemiche.
Chiuse
poi gli occhi e le orecchie, e si rannicchiò in posizione
fetale aspettando che succedesse.
BOOOM!!
BOOOM!!
BOOOM!!
Tre
esplosioni si susseguirono ad intervalli irregolari, accompagnati da
crepitii di vetri infranti e mobilio che si sfasciava.
Il
drago uscì allo scoperto, trovandosi nel bel mezzo di un
pandemonio fatto di cocci di finestre, arredamento in macerie e stracci
di abiti sparpagliati dovunque.
Il
corridoio conservava ancora le sue quattro mura, ma ben poco del resto
era rimasto integro.
“Ops…
forse ho un po’ esagerato…”
Una
testa mozzata di manichino poggiata diritta sulla sua base, lo fissava
all’altezza del suolo con espressione piatta e monotona, ma
dovunque fosse il resto del corpo, nessuno poteva dirlo.
“Rarity
stavolta mi ammazza. Altro che Mimic…”
In
quell’attimo, dal disordine scomposto dell’atrio,
alcuni posseduti riemersero danneggiati, ma ancora frementi di
vitalità. Non gli ci volle molto perché
rinsavissero e tornassero alla carica del povero ed esaurito drago.
“Oh,
ma andiamo!”
Spike
ingaggiò lo scontro tranciandoli uno alla volta con la
piastra per criniere, fino a che da un cumulo di stracci davanti ai
suoi occhi non si materializzò la massima espressione del
suo incubo peggiore, sottoforma di un acuto bagliore azzurro che oramai
conosceva tanto bene quanto le sue unghie.
Rimasti
da soli nell’atrio, Spike da una parte e il tubino di
lustrini dall’altra, questi (che era sì un
po’ bruciacchiato ma assolutamente in gran forma) prima lo
accecò con i fulgori del suo decoro, poi utilizzò
lo scialle per disarmarlo dalla piastra, che quindi getto lontano fuori
dal campo di battaglia.
Infierì
su di lui frustandolo con spietatezza, ogni qualvolta il drago non
riusciva ad evitare una sua sferzata (ed erano molte, più di
quante non riuscisse a scansarne; era così stanco che a
malapena aveva le forze per provare dolore).
Dopo
l’ennesima distrazione si ritrovò nuovamente
disteso lungo a terra.
La
sciarpa si avvolgeva sulle sue gambe e lo trascinava con sé,
come un tentacolo di cefalopode verso il proprio becco.
Questa
volta la stretta era fin troppo decisa perché bastasse
scioglierla con le mani, e Spike non aveva alcun modo di liberarsi.
Ma
un momento? Cos’era quella cosa sfavillante sulla quale i
lustrini del completo si riflettevano nella maniera di un faro in una
notte tempestosa? Bontà Celeste! Poteva forse trattarsi
di… ma sì! Erano senz’altro
delle…
“…
delle forbici!”
Non
perdere tempo a pensarci, forza Spike, prendile e usale!
Quasi
al cospetto – oramai – del diabolico tubino, il
rettile estese il suo piccolo arto sulla direzione
dell’utensile abbandonato e lo ghermì
strenuamente, poiché dalla sua apparente insignificanza
dipendevano le sorti di un intero regno.
Ma
attenzione a questo: perché Spike non se ne servì
nella maniera più ovvia, usandolo per dividere il cordone
che lo univa al suo carceriere! Scelse invece di lanciarglielo contro,
alla maniera di un tomahawk! No, aspettate! Non un tomahawk!
Poiché essi non compiono quella volata a ferrò di
cavallo quando vengono sferrati!
Se
si volesse cercare una corrispondenza al moto ellittico che la forbice
compì nel girare intorno alla stanza, quando poi
tornò indietro conficcandosi sul dorso del vestito, allora
quello fu proprio l’effetto che ci si sarebbe aspettato da un
efficentissimo boomerang!
Ed
era stata la sua scelta migliore, dato che a scagliarla
nell’altro modo sicuramente il tubino avrebbe intercettato
l’arma sul momento dell’arrivo e gli avrebbe
così negato la sua unica possibilità di toglierlo
di mezzo una volta per tutte.
Andò,
invece, che il Generale delle truppe della gemma acquamarina fu colpito
alle spalle da quell’abile lancio, e si spense di fronte a
Spike accovacciandosi al suo cospetto, quando invece tale destino era
serbato al drago.
Spike
aveva vinto, o per meglio dire, aveva trionfato in quella battaglia, ma
la sfida che lo attendeva nel laboratorio della boutique sarebbe stata
ancora più temibile, ora che la Mimic era bene informata del
suo valore.
Si
ripulì di dosso la polvere e il lerciume incollatisi alle
squame, cercando di non arrovellarsi per il putiferio indicibile che
aveva provocato nella Hall dell’amica.
Le
armi che si era perso per strada rientrarono al loro posto, e prima di
proseguire, decise di fare tappa in una stanza adiacente, dove un conto
in sospeso attendeva da diverse ore di essere saldato.
Cucina.
Aprì
il frigo con una serietà nello sguardo che era quasi
maestosa.
Il
parfait di gemme che da tempo si era promesso di mangiare era
lì, nella fedele raffigurazione del suo languorino
più fastasticheggiante.
Prendere
in mano la ciotola fu per lui come vivere un sogno, del quale
però ne andavano deliziati anche l’olfatto e ben
presto il gusto.
Spalancò
le fauci così tanto che avrebbe potuto insinuarvi
l’intero contenitore, fosse stato anch’esso
scolpito nel diamante, e vi rovesciò dentro il contenuto
gustandone appieno i sapori.
A
questo rito dovette concedere solo pochi secondi, poiché
altre faccende richiedevano impellenti la sua attenzione, ma
ciò non gli negò di distrarsi un po’,
almeno per alcuni istanti, in quella deliziante consolazione.
Ingurgitò
la cena con un filo di mestizia mentre gli scendeva in gola, e come
atto finale adagiò il rubino intagliato a ciliegia sul
palato, prendendo a succhiarlo come un lecca-lecca, nel frattanto che
la sfida finale lo attendeva al di là, nel laboratorio
principale.
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Capitolo 5 *** An Ordinary Epilogue ***
5:
An Ordinary Epilogue
Entrò
nella stanza con la sgradevole sensazione di avere gli occhi di tutti
puntati addosso.
Due
file parallele di manichini, disposti come a formare uno schieramento
di Guardie Reali in una sala imperiale, culminavano lungo il finire
della stanza con la Mimic ben adagiata sul suo trono, che attendeva
l’arrivo del suo giovane ospite.
Sorrideva
mostruosamente, curvando i bordi dello scrigno in un modo che dava a
Spike più di un brivido di timore.
Tra
gli abiti, chi non era uscito per affrontarlo in precedenza, ora
attendeva in disparte il proprio momento, e un gruppo più
corposo circondava la piattaforma sulla quale erano adagiate le due
pony.
Vedere
le sue amiche in quello stato pietoso gli provocò una
lacerante fitta di dolore al cuore, e si ripromise, ora e per sempre,
che mai al mondo avrebbe permesso alla gemma di adempiere al suo piano
crudele con loro.
Avanzò
con prudenza, seguendo il percorso che stavano delimitando i manichini;
la gruccia-arco, pronta a colpire, gli dava un’illusoria
sensazione di coraggio.
La
Mimic lanciò un segnale a uno dei finti equini, e questo si
spostò accanto al suo corpo-divano. Allora
cominciò a battere ritmicamente gli zoccoli anteriori,
completando quel gesto che i pony sono soliti fare quando devono
applaudire a qualcosa.
«Ho
combattuto contro i più potenti maghi unicorni di tutta
Equestria.» Cominciò lei, ordinando di cessare i
battiti. «Il fatto più divertente è che
nessuno di loro era mai stato capace di sorprendermi. Persino nella
sconfitta, già sapevo che nessuno sarebbe tornato a
cercarmi. Ma tu, Spike, cucciolo di drago, che hai trovato il coraggio
di fare ciò che invece gli altri avevano sempre
evitato… mi sento quasi onorata di averti
incontrato.»
Spike
strinse tra i denti il rubino intagliato a ciliegia, guardandosi
attentamente dall’abbassare la guardia verso i nemici
attorno, ma contemporaneamente, cercando di imporsi la calma. Sapeva
benissimo che se avesse attaccato per primo, probabilmente non gli
avrebbero concesso uno spiraglio di fuga.
Spezzò
il “dolcetto” in piccole parti, e lo
mandò giù prima di decidersi a parlare.
«Sono qui per riprendermi le mie amiche! Non
m’importa di te o di quali siano le tue
intenzioni!» Cercò di apparire posato.
«Le
riavrai, come ti ho già detto. Il tempo di consacrare il mio
ritorno e non avrò più ragioni per
trattenervi.»
«E
poi che farai? Invaderai il regno e ti prenderai tutta la Magia dei
pony? No, grazie. Ci siamo già passati.»
Lei
si mise a sogghignare con poca convinzione, come dopo una barzelletta
di mediocre qualità.
«Se
anche fosse, cosa ti aspetti di fare? Ti stai barcamenando in
un’impresa che va oltre la tua portata. Alla fine, tutto il
dispiego di energie che ti è costato sarà valso a
niente, e finirai per fare del male soltanto a te stesso!»
Nel
frattempo i manichini ruppero lo schieramento e si andarono a disporre
alle spalle del drago. Lui se ne accorse, e li intimò di
stargli alla larga sbuffandovi un arco di fuoco.
«I-io…
non riesco a capirvi.» Balbettò guardandosi
intorno.
La
Mimic mugugnò perplessa.
«Voi
“cattivi”, intendo… avete sempre tutto
questo potere… potreste compiere imprese leggendarie se
soltanto lo desideraste! Essere ricordati nei libri di storia per il
vostro buon cuore! Ma allora perché scegliete sempre la
strada del Male! Per quale motivo? L’odio? Il disprezzo?
Perché sentite sempre il bisogno di distruggere ogni cosa?!
Non potreste semplicemente per una volta, che ne so… amare?»
Tra
i manichini si accese una muta discussione, e gli abiti gesticolarono.
La
Mimic chiuse il coperchio, assumendo un atteggiamento serio, pensoso.
«Non
hai tutti i torti, in effetti… » disse
«… mi fai rammentare quella volta, quando la mia
famiglia decise d’invadere il Regno
del Grande Freddo…
»
Spike
non capì a quale regno si riferiva, ma di certo non poteva
trattarsi dell’attuale Regno di Cristallo,
perciò…
Oh!
Non divaghiamo!
«…
quattro delle mie sorelle vennero annientate… »
continuò «distrutte dai Cavalieri
dell’antico ordine dell’Armonia…»
Anche
qui, il nome non lo rimandava a nulla che avesse presente.
«…
bada, non è che non avessero un piano! Si erano infiltrate a
corte come gioielli della corona Reale, e mirarono a conquistare
l’impero attraverso il controllo sulle menti dei regnanti. Un
piano perfetto sulla carta, ma commisero l’errore di farsi
scoprire, e quando entrarono in campo i Cavalieri
dell’Ordine, l’incantesimo denaturalizzante fece
per loro il resto. Erano i primi anni dall’inizio delle
persecuzioni delle Mimic, e quelle sciocche non avevano fatto altro che
inasprire ulteriormente le tensioni tra i pony e la nostra razza. Il
lato divertente è che credo siano ancora incollate a quella
corona.»
Il
drago ascoltava perplesso la storia della gemma.
«Perché mi stai raccontando questo?»
«Noi
obbediamo al nostro potere, piccolo Spike.» Rispose.
«Manipoliamo e soggioghiamo la materia perché
questo è ciò che la nostra natura ci impone di
fare. Non provo odio verso i maghi unicorno che secoli fa mi hanno
imprigionato in questo scrigno. In verità, non mi sento
neppure animata da alcun sentimento di vendetta.»
La
nota di rammarico nelle sue parole accese nel rettile una luce di
speranza, ed era come se tutta la stanza brillasse un poco di
più. «Vuol dire che hai cambiato idea? Non
t’interessa più conquistarci?»
La
Mimic voltò lo scrigno-testa da un lato, guardando verso un
gruppetto di posseduti. «Sei coraggioso e anche saggio,
piccolo eroe. Potresti essere un grande esponente della tua razza un
giorno… »
Per
la prima volta, la gruccia smise di puntare il bersaglio, e si
rilassò.
«Peccato
che non arriverai mai a vedere quel giorno.»
Minacciò a bassa voce.
La
gruccia si raddrizzò.
«Cosa?!
M-ma… io pensavo che… »
«Non
avere timore, mi ricorderò di te come di
un’amabile distrazione lungo la scalata della mia ascesa. Ma
ora, per cortesia, vedi di farti catturare, e non intralciarmi mai
più!»
I
posseduti presero a muoversi reagendo al cenno della loro padrona.
«Maledetta!
Sei sleale, sei una vigliacca!»
«No!
Sono una Mimic! Sono uno spirito maligno che abita il nucleo di una
gemma stregata! Non ho bisogno di un corpo di carne che limiti la mia
eternità, tantomeno di un cuore
buono
che m’imponga come comportarmi!» E concluse la
frase con una risata isterica.
Di
nuovo punto e a capo: i serventi si avventarono su Spike, obbligandolo
a combattere per la vita.
Per
un po’ si limitò a eludere i loro assalti,
sgusciando sotto gli zoccoli dei manichini e allontanando gli abiti
troppo audaci con incerti sbuffi di fuoco, che erano per lo
più fumo; non poteva fermarsi a mettere a segno un colpo di
freccia o estrarre un’altra arma.
Il
suo corpo minuto, per lo meno, lo rendeva un bersaglio difficile da
agguantare.
Tentò
un ripiego verso la porta, e per poco non si tagliò la
pianta del piede con i cocci dello specchio quando vi passò
sopra, ma questo gli diede anche lo spunto per una nuova, disperata
idea.
Curvò
all’indietro e si diresse a tutta birra verso un altro
specchio, che angolò sul supporto in modo che il riflesso
puntasse verso il centro della stanza. Lì evitò
di essere afferrato da una delle vesti cerimoniali, scoccando
l’unico ago che tendeva sul filo della gruccia.
Allora
si precipitò verso un altro specchio, ruotandolo allo stesso
modo del primo, e ripetendo la medesima operazione con tutti gli altri
sei attorno alla stanza, evitando ogni volta la cattura per il rotto
della cuffia.
Da
parte loro, la Mimic e i suoi schiavi stavano allentando
l’impeto con il quale tentavano di bloccarlo, incapaci di
visualizzare l’ignoto disegno che si stava tracciando nelle
sue azioni.
Quando
finì, non cercò la salvezza attraverso la
ritirata, bensì, fece ritorno al centro della sala.
Aveva
il fiatone e i nervi tesi come le corde di un violino, ma anche un
sorriso che gli coloriva l’espressione.
«Ebbene,
e con questo che hai dimostrato?» Gli domandò la
Mimic, ancora dubbiosa.
Il
sorriso gli si dilatò fino a spalancarsi. «Ma
come? Non eri tu quella che non si sorprende mai? Tipico dei cattivi!
Parlate e parlate, ma quando si tratta di agire, siete soltanto fumo e
niente arrosto!»
«Pensi
forse di incutermi timore con le frasi da repertorio? Io ho
un’intera armata dalla mia parte, e tu? Quanti ancora pensi
di riuscire ad abbatterne prima di esaurire tutte le frecce al tuo
stupido arco?»
«Ed
è qui che ti sbagli, mia cara!»
«Uhm?!»
Mormorò la Mimic, inarcando la parte destra del coperchio.
«Intendi fare il misterioso ancora per lungo?»
«Non
ti preoccupare di questo, bella. Anzi, il meglio deve ancora
arrivare!»
E
schioccò le dita.
Fu
allora che la gemma, spostando lo sguardo in direzione di uno degli
specchi, ne comprese le reali intenzioni: i riflessi del drago
proiettati all’interno delle lastre si animarono di vita
propria, scostando quelli degli abiti che si frapponevano fra loro e il
bordo esterno delle stesse, uscendo dal loro mondo a due dimensioni per
entrare in quello dello Spike originale, al quale si unirono
raggruppandosi al centro.
«Come
la mettiamo adesso?» Chiese il drago originale, sghignazzando.
La
Mimic digrignò la “bocca”, esitando un
istante, per poi prorompere con tutta la potenza di un grido:
«Attaccateli!! Fateli fuori tutti!!».
Strillò
così forte che buona parte del suo esercito
sobbalzò di paura.
«Forza,
ragazzi! Facciamogli vedere chi siamo!!
All’attacco!!» Incitò lo Spike
originale, e le copie si dispersero avventandosi contro i serventi
della gemma stregata.
Fu
una battaglia senza esclusione di colpi, durante la quale i combattenti
di una e dell’altra sponda cadevano e si rialzavano in
continuazione sotto colpi di zoccoli, artigliate, morsi e strozzamenti
che piovevano da ogni dove e che si avventavano su ogni cosa.
Dalla
loro, i posseduti avevano i numeri nettamente superiori, ma i draghi
avevano il fuoco, e se un posseduto cadeva ferito a morte dalle
copie-Spike, questi ultimi, al contrario, parevano praticamente
invincibili, incassando colpi su colpi e tornando in carreggiata come
se niente fosse, con più grinta di prima.
«Non
così!! Gli specchi, dovete distruggere gli
specchi!!»
La
Mimic trottò col suo corpo-divano verso uno dei supporti, e
lì scagliò un colpo di gamba che finì
per aprire una profonda spaccatura sulla superficie della lastra.
In
quell’esatto momento, una delle copie-Spike si ruppe in mille
frammenti, sfumando in una vampata di essenza magica.
«Avete
visto?!? È così che dovete fare!! Fermateli prima
che mandino tutto in malora!!»
Qualcuno
colse il suo messaggio, e nei minuti seguenti il numero di specchi era
già drasticamente diminuito, così come le copie
di Spike.
Anche
la fazione della Mimic aveva però subito delle perdite
considerevoli: gran parte degli abiti erano stati stracciati o arsi
“vivi”, e oramai solo i manichini proseguivano la
lotta contro i cloni del drago.
La
Mimic puntò di fretta verso un altro specchio, quando uno
degli Spike tentò di balzarle addosso per coglierla di
sorpresa.
Rovesciò
il corpo-divano esattamente di novanta gradi facendosi leva su due
gambe e sollevandosi per aria, evitando il suo assalto.
Tornata
dritta, rimasero a fissarsi per qualche secondo, odiandosi
reciprocamente e augurandosi l’un l’altro la
disfatta, mentre intorno la battaglia infuriava senza dare segno di
fermarsi.
Il
drago la puntò con occhi feroci, mostrandole la dentatura
aguzza e affilata; in mano teneva la gruccia tesa e in carica.
La
gemma capì allora di trovarsi dinanzi allo Spike originale.
«Finiamola
qui, Mimic! Questa follia è durata anche troppo!»
Lei
quindi gli rise addosso, nel suo tipico modo di fare da cattiva
esaltata. «Il
buio ti rende cieco, piccolo! Io non ho neppure cominciato a mettermi
in mostra per intero!» Come ulteriore sfregio,
abbatté lo specchio che aveva adocchiato in precedenza,
togliendo di mezzo un altro clone. «Prima di quanto immagini,
striscerete ai miei piedi invocando il mio perdono! E io ve lo
negherò col supplizio!! Patirete – ve lo prometto
– nei fiumi che avrete riempito con le vostre lacrime, fino
quando la vita non avrà deciso di abbandonare per sempre i
vostri miseri corpi di carne e sangue!!»
Era
impazzita, nel modo più assoluto, totalmente fuori controllo
e smarrita nei dedali della sua stessa boria! Secoli
d’isolamento l’avevano privata della pur minima
traccia di coscienza, riducendola a una voce che vomitava calunnie ad
un mondo che non le era mai appartenuto.
Ma
era un mondo che bramava, e che desiderava conquistare per riscattarsi
di una famiglia che l’aveva da sempre accentuata come
l’elemento più debole del clan.
Una
piccola gemma destinata al nulla, e che malgrado ciò, su
tutti avrebbe prevalso.
Ma
questo Spike non poteva saperlo. Non poteva comprendere la tristezza
del suo passato e il dolore che aveva patito ogni volta che aveva
appreso della scomparsa di un suo famigliare. Gli stessi che si
burlavano di lei ad ogni piè sospinto, ricalcando la sua
inferiorità, seppure lei li scongiurasse in ogni momento di
darle retta.
Distratto
dalle sue parole, Spike non si accorse che la Mimic aveva approfittato
di quel momento per evadere dal laboratorio.
Fece
per seguirla, ma un manichino gli sbarrò la strada
frapponendosi fra lui e la porta.
Con
una zoccolata, il sintetico era pronto a pestarlo, quando una
copia-Spike intervenne da fuori montandogli in groppa e stringendolo
per il collo.
Lo
Spike originale approfittò di quel momento per piantare un
nuovo dardo sulla fronte del posseduto, che si
“spense” rimanendo immobile in quella postura.
«Grazie
dell’aiuto!» Disse, battendo con il suo clone un
cinque. «Teneteli a bada mentre sto via, che nessuno esca di
qui!»
La
copia taciturna annuì, lanciandosi immediatamente verso il
prossimo bersaglio.
La
Mimic corse, per quanto le esili gambe le consentivano, ma era
ugualmente lenta, e presto Spike riuscì a raggiungerla.
Si
trovarono nella Hall, a pochi metri dall’uscita della
boutique.
Il
drago frugò nella bisaccia, estraendovi il phon. Era il
più pericoloso dei gadget che teneva con sé, ma
nulla se messo a confronto con il pericolo di lasciarla uscire dal
negozio; era un azzardo che andava corso per forza!
Chi
poteva predire quali conseguenze avrebbe prodotto su Ponyville se le
avesse concesso il tempo di raggiungere l’esterno!
Prese
dunque la mira, augurandosi di centrarla al primo colpo, altrimenti
avrebbe dovuto giustificare a Rarity l’ennesimo enorme
crepaccio scavato sul pavimento della sua casa.
Deglutì
quanto gli restava nella gola secca e trattenne il fiato per
bilanciarsi, spingendo la sua concentrazione oltre il limite mai
raggiunto, supplicando Luna e Celestia di essere caritatevoli con lui
quella sera.
*SWISS!*
*CRASH!*
Il
fascio di plasma troncò di netto uno dei piedi del divano,
carbonizzandolo come sterpaglia, e lo scrigno fu scalzato via dal suo
corpo, rimbalzando bruscamente per alcuni metri sulle piastrelle.
La
Mimic finì scaraventata fuori dalla fodera, e Spike la
poté udire mentre rantolava di dolore stramazzando.
Si
avvicinò a lei, con attenzione. Nell’impatto, la
cerniera arrugginita dello scrigno aveva definitivamente ceduto alle
intemperie del tempo, ed ora il coperchio giaceva
all’insù strappato dal resto del contenitore. Un
po’ come la Mimic, che “smembrata” dal
corpo, ora sembrava a tutti gli effetti una misera ed indifesa gemma
acquamarina.
Spike
si chinò per prenderla, ottimista e convinto di averla
finalmente in pugno.
Ma
che successe? La gemma si rianimò, emettendo una serie di
gemiti doloranti!
Per
un istante fu come se si girasse per esaminare il drago, quindi,
cogliendolo impreparato, iniziò a rotolare in direzione del
corridoio alla fine della hall (in questo, la sua forma ovale le
semplificò di molto la fuga).
Spike
fece per afferrarla con un salto, ma si rese conto, suo malgrado, che
qualcosa gli stava tenendo bloccati i piedi: era lo stesso pavimento,
che per volontà della Mimic stava agendo su di lui come una
colla a presa rapida!
Vani
si rivelarono i molti tentativi di staccarsi, e se la Mimic avesse
trovato il modo di fuggire, altrettanto lo sarebbero stati tutti gli
sforzi compiuti per fermarla!
Bloccato
in una posizione che era tutta fuorché comoda,
sfilò dalla spalla la sua leale gruccia e –
neanche a farlo apposta – prese dal puntaspilli
l’ultimo ago che gli era rimasto a disposizione.
Lo
scocco fu preciso al millimetro, quasi come se la freccia seguisse un
binario prestabilito dall’arciere, che collegava
l’arco al suo bersaglio ultimo, infallibile nonostante le
tante piccole variabili che avrebbero potuto alterarne la traiettoria.
Ma quando, infine, l’ago arrivò al guscio lucente
della fuggiasca nemica, esso ne venne sbalzato all’indietro
come respinto da un campo di forza opponente, sussurrando un timido
tintinnio prima di trovare quiete nel più completo silenzio
a terra.
La
Mimic si arrestò e si mise diritta, e voltandosi su di lui
reagì come se aveva appena assistito all’azione
più sconsiderata compiuta sulla Terra.
«Fai
sul serio?!» Chiese per mezzo di una voce eterea che
scaturiva dal nucleo della pietra. Aveva lo stesso timbro che dava
suono alla bocca dello scrigno, ma senza i clangori del metallo
ossidato che s’intercalavano alle parole. «Davvero
pensavi che un banale spillo potesse intaccare il mio guscio?!
Svegliati, sono una gemma! Sono fatta dei materiali più duri
al mondo, hahaha!!»
Giusto!
Era stato un ingenuo a illudersi che bastasse così poco per
metterla K.O., stupido che non sei altro, Spike! Non sei riuscito a
combinarne una giusta neanche stavolta! Twilight aveva ragione a
dubitare di te!
Ah,
se soltanto ci fosse stato qualcosa che avresti potuto fare per
rimediare al tuo casino!
Come?
Ce l’hai?! E cosa diavolo… oh, già!
Ebbene,
ricordate quando vi era stato accennato che nella borsa vi erano
contenuti tre
oggetti
ingombranti?
L’allisciacriniera
(la lama) era stata la prima a essere rivelata. Il phon
(l’arma da fuoco) la seconda. Ma come ogni buon cacciatore
sa, per catturare la preda, a volte ci vuole anche… la
rete.
«Una
gemma, già.» Ripeté Spike, contemplando
il pavimento. «E immagino che sei anche di ottima
caratura… »
«La
più sgargiante del vostro miserabile regno!»
Rispose vanagloriosamente la Mimic.
Spike
increspò leggermente le labbra. «Quindi
immagino che non ci siano problemi se per esempio ti mettessimo alla
prova… » e lì estrasse il Terzo oggetto
«… con questo!»
Si
trattava di un utensile elettronico di forma rettangolare, lungo sui
quindici centimetri, con una scocca nera che terminava con una punta a
penna e un piccolo indicatore pieno di luci, che si estendevano per
tutta la sua lunghezza: un tester di purezza per diamanti.
Per
un attimo la Mimic passò dal suo splendido riflesso
acquamarina e viola, ad una tonalità più opaca e
smorta. «No!
Non puoi farlo! Non osare!!»
«Oh
sì invece! Coraggio, vieni da Papà, fatti
esaminare!».
Quando
lo attivò, il tester si mise in funzione, e un fascio di
luci cominciò a salire attraverso l’indicatore a
lato del dispositivo.
La
Mimic tentò la fuga, sbraitando e lottando, ma fu trattenuta
da un reticolo di filamenti di Magia che si avvolsero intorno a lei
risucchiandola sempre più vicino a Spike, tagliando uno per
uno i metri che li separavano dalla resa dei conti.
Il
drago si sentì i piedi liberi di muoversi; la gemma doveva
aver pensato che in questo modo avrebbe potuto svincolarsi
più facilmente dalla cattura, ma ogni suo impeto non
portò a nulla.
Alla
fine, Spike la bloccò a terra con un piede, confutando il
risultato del tester dopo che questi ebbe emesso alcuni bip.
«Come
pensavo, sei solo bigiotteria da due soldi!» La
schernì con orgoglio.
Sotto
la pianta, lei si dibatteva ancora. «Credi di avermi battuto,
povero illuso! Guardati in giro! Guarda dove sei!»
Guardò,
e non si sa come, né quando, il corridoio si era affollato
di nuovi serventi della Mimic.
Stavolta
la gemma non aveva assunto il controllo solo degli abiti e dei
manichini rimasti, ma anche di tutto l’arredo facente parte
del negozio.
I
robusti armadi e il solido tavolo in legno della cucina, in
particolare, erano le entità che più di tutti gli
dettero ragione di preoccuparsi, qualora avessero deciso di attaccarlo
in gran massa.
«Ho
il controllo su tutta la casa!» Gridò la
catturata. «Anzi, no! Io SONO la casa!! Qualsiasi cosa tu
faccia non varrà NIENTE in confronto al mio potere!!
NIENTE!! Hai perso, piccolo Spike!! Hahahah!! Oh, e scordati pure di
rivedere le tue amiche salve!! Quando avremo concluso con te, le
divorerò in un sol boccone, e di loro… non si
saprà… più…
NIENTE!!!»
Un
altro “niente” e avrebbe dato di stomaco.
“Oh,
ma stai zitta un po’!”
Ad
un certo punto decise di prenderla tra le mani, senza proferir
parola…
«C-che
vuoi fare?! Mettimi subito giù, è un
ordine!!»
Ma
poteva strillare quanto voleva.
Spike,
senza tanti complimenti, se la infilò in bocca e la “divorò
in un solo boccone!”
Masticò
di fretta, sbriciolandola tra i denti prima che qualche servente
prendesse l’iniziativa di entrare in azione.
Lo
volete sapere? Era deliziosa, esattamente come gli era parso la prima
volta. Sfortunatamente, però, il tempo per godersela gli era
disdetto.
Trangugiò
l’impasto di granuli e saliva e si rannicchiò per
terra in posizione fetale, aspettando chissà quali
ripercussioni dal mobilio furente.
Ma
non accadde nulla.
O
meglio, avvertì nello stomaco una sgradevole sensazione di
fastidio simile al brontolio avvertito quel pomeriggio, ma nessuno che
sembrava avere intenzioni ostili verso di lui.
La
Hall era silente, quindi si azzardò a sollevare lo sguardo,
accorgendosi che nulla, ma proprio nulla si muoveva più nei
dintorni, da quando la Mimic aveva trovato nuova culla nel tiepido
torpore del suo pancino.
Era
finita per davvero stavolta. Distrutto il burattinaio, non
c’era più nessuno a tendere i fili dei posseduti.
Gli
abiti volanti e le folli bramosie di conquista della pietra erano ora
solo un ricordo del passato. Dello Spike del passato.
“CI
SONO RIUSCITO! DA SOLO!! HAHAHA, MITICO!!! COME LA METTIAMO ADESSO,
TWILIGHT?? CHI E’ L’INAFFIDABILE?!?”
Poco
importava se mentre esultava per tutta la stanza, urtava contro il
disordine e i rimasugli della battaglia che aveva ingaggiato pocanzi.
“Aspetta
un momento…” si
ricordò in quel momento
“Twilight!… Pinkie! O.O !! Devo andare da
loro!!”
Le
trovò sedute lì dove le aveva lasciate, con le
teste che danzavano frastornate.
L’alicorno
si massaggiava una tempia con uno zoccolo, mentre un gruppetto di
stelline brillanti ruotavano intorno all’orbita della pony
rosa.
«Ragazze,
ditemi qualcosa! State bene?!» Chiese Spike, percuotendo la
Principessa sul fianco.
«C-cred-o
d-di s-s-sì.» rispose, scostandolo subito per
riuscire a parlare. «Dov’è la Mimic
adesso?»
«Distrutta
per sempre! Ci ho pensato io!»
Twilight
allargò gli occhi perplessa . «Tu? Non
è possibile! Come ci sei… »
La
interruppe subito e le fece un rapido resoconto di tutto ciò
che aveva passato fino a quel momento, compresa
l’abilità con la quale era riuscito a servirsi dei
suoi poteri, e la drastica soluzione adottata alla fine.
Questo
diede tempo alle due giumente di rimettersi in sesto sulle proprie
zampe.
«Te
la sei mangiata?!» Commentò la Principessa al
termine. «Sei proprio incorreggibile, Spike!»
«Ma
sono stato bravo, non è vero?» Sorrise squeettendo.
“Certamente!”,
se si sorvolava sulla causa dell’incidente, ma questo
Twilight scelse di non dirlo. Malgrado tutto, se l’era
giostrata bene, anche senza il suo aiuto.
«Sì!»
Si limitò a rispondergli con un dolce sospiro, sfregandosi
la guancia contro la sua. «Ma adesso dobbiamo rimettere tutto
in ordine prima che torni Rarity!»
«Sono
d’accordo. Metà della sua casa è in
fiamme, l’altra metà a pezzi…
*gulp!*… non oso pensare a cosa sia peggio: una Mimic con
manie di conquista... o Rarity inferocita!»
«Un
modo lo troveremo, non disperare. La notte è ancora
giovane.» Disse l’amica, mentre urtava
accidentalmente un manichino privo di vita, che cadde spezzandosi a
metà una zampa.
«*stragulp!*…
Pinkie, non è che per caso possiedi un cannone in grado di
riordinare le stanze in un attimo?» Chiese il drago, che a
quel punto stava già considerando di compilare la lista
delle sue ultime volontà.
«Oh,
aspetta un po’ che controllo!» La pony
cavò dal nulla il suo consueto party cannon, ma quando fece
per sparare l’unica cosa che ottenne fu di riempiere il
laboratorio di coriandoli, addobbi e festini, sconquassando ancora di
più la stanza.
Con
la medesima tranquillità, lo fece sparire tra le pieghe
della sua ombra, rispondendogli poi: «No, mi dispiace,
l’ho lasciato a casa!»
“*ultragulp*!”
Oramai
al drago non gli rimaneva quasi più niente da deglutire.
«Lascia
perdere, Spike. Ho io quello che ci vuole qui, stai a
vedere… »
Twilight
allora si cimentò in un nuovo tipo d’incantesimo:
il manichino azzoppato fu riportato in posa eretta, issato da un
sottile alone dell’incanto levitazione. La stanza poi si
riempì di luce, costringendo i presenti a coprirsi gli occhi
con quel che potevano. Quando tutto finì,
l’assistente osservò che l’equino
sintetico non solo era di nuovo integro, ma addirittura era tornato a
posare sorretto dalla sua piantana.
Ma
Twilight Sparkle non si limitò soltanto a quello! Lo stesso
incantesimo lo ripeté anche ad alcuni stracci spappolati, da
cui rivoli di fumo scaturivano dalle pieghe in disfacimento, e anche a
uno degli specchi sfondati durante la rissa. Due forti espansioni di
luce ed entrambi tornarono com’erano in origine.
Twilight
si strofinò il sudore, e Spike ammirava il realizzarsi di
quel miracolo con le lacrime che gli gonfiavano gli occhi.
«È la cosa più bella che abbia mai
visto… » disse commosso.
«Davvero
pensavi che ti avrei lasciato badare al negozio senza prepararmi una
contromisura?» Insinuò lei.
In
effetti…
Riordinarono
per buona parte della notte da soli, senza prendersi quasi mai un
momento di riposo.
Pinkie
aiutò Spike lì dove era richiesto spostare i
mobili, e per ripulire da terra lo sconquasso (e la sua folta criniera,
stile “panno elettrostatico”, era
l’ideale per raccogliere la polvere anche negli angoli
più impossibili), mentre Twilight aggiustava per mezzo della
magia qualsiasi cosa fosse andata distrutta durante gli scontri.
Ma
il lavoro si rivelò molto più arduo di quanto
temessero.
Dopo
tre ore di pulizie ininterrotte e neanche metà del lavoro
concluso, votarono all’unanimità (a Pinkie sarebbe
andata bene qualsiasi decisione, poiché in ogni caso si
divertiva un mondo) di rivolgersi a un’agenzia specializzata
in interventi domestici e incidenti casalinghi.
Gli
unicorni in divisa blu che si presentarono alla Carousel Boutique un
quarto d’ora più tardi presero il loro posto con
il quintuplo dell’efficienza e un decimo del tempo, e con le
medesime formule riuscirono ad aggiustare anche i più
pesanti danni edili, restituendo al negozio il suo splendore naturale.
Al
sorgere dell’alba, nessuno avrebbe sospettato che durante la
notte, tra quelle mura ora linde ed intonse, si era combattuta una
lotta senza quartiere contro una gemma con manie di grandezza e il suo
esercito di leccazoccoli ambulanti.
Ogni
manichino era ricostruito e riportato in stanza, ogni abito ricucito e
riposto negli armadi, aghi e grucce recuperati e riappese.
Il
conto delle ricostruzioni fu salato, ma Twilight deglutendo la bile si
prese l’impegno di accollarsi tutta la spesa, fino
all’ultima moneta.
Sapeva
già quale punizione avrebbe inflitto a Spike per farsi
sdebitare: presto altri libri si sarebbero aggiunti a quelli
già stipati in biblioteca, e senza l’aiuto della
sua magia, gli ci sarebbero voluti dei mesi per mettere in ordine ogni
singolo volume nel giusto ripiano.
Mandati
via gli unicorni delle pulizie, il trio passò in rassegna
stanza per stanza, per verificare che fosse tutto in ordine.
«È
perfetta!» Commentò Twilight trottando tra Spike e
Pinkie Pie. «Sembra come nuova!»
«Ed
è stato arci-super-spassoso! Vi andrebbe di rifarlo da
capo?»
«Ahm…
magari la settimana prossima, Pinkie.»
«Hmm,
non saprei.» Disse il drago dubbioso «Qualcosa non
mi torna. È come se mi stessi dimenticando…
» poi si batté la fronte con il palmo della mano
«Per Celestia, Opal!!» E corse via.
«Da
quanto tempo è chiusa lì dentro?!»
Domandò la Principessa, di fronte alla porta dello
sgabuzzino.
«Ti
dirò, è stata la prima cosa che ho incontrato
stanotte quando tutto è cominciato… »
«Allora
sarà furente, fai attenzione!» Si
raccomandò, arretrando d’un passo insieme alla
pony di terra.
Spike
allungò la mano verso il pomello, girandolo con molta
cautela.
Sì
aprì un varco che dava ad un anfratto buio e nefando, e vide
i segni dei graffi che ricoprivano non solo l’interno della
porta ma anche per terra, dovunque la luce del giorno rifletteva con i
suoi raggi solari.
Due
occhi gialli, dalle pupille a taglio, strette e penetranti, si
agganciarono a Spike da dietro un ripiano in alluminio.
«Opal…
ehm… sono qui per farti uscire… »
tartagliò Spike, stretto su di sé
«scusami se ti ho chiuso qui dentro, io… n-non
sapevo come altro fare… mi dispiace davvero, io …
so che puoi capirmi, e so anche sicuramente mi hai già
perdonato… in fondo… s-siamo amici…
non è vero?» Per essere più
convincente, allungò verso di lei anche il palmo della mano,
con molta reticenza «…non è
vero?»
Opal
però non si fece incantare da quelle parole. In
quell’istante riuscì soltanto a pensare a una
cosa: VENDETTA!
Balzò
fuori dallo stanzino gridando la sua collera con il sangue negli occhi,
rovesciando dietro di sé un secchio e un paio di scope.
Anche
Pinkie balzò, nel suo caso, in braccio a Twilight.
«Ahh, aiuto!!! È ancora posseduta!!»
Ma
Spike tenne a precisare. «No, non lo è.
È soltanto affamata.»
Opal,
infatti, dopo essere uscita, voltò il capo
dall’altra parte, offesa col gruppo, e se ne andò
in cucina, snobbandoli completamente.
Un’ora
dopo.
«Com’è
che si dice in questi casi? Tutto è bene quel che finisce
bene?» Chiese Spike, mentre con Twilight si trovavano fuori
dal negozio in attesa del ritorno di Rarity.
«Certo
che hai una bella faccia tosta a parlare così dopo quello
che hai combinato!»
«Ssì,
mi sembra di ricordare qualcosa del genere.»
Asserì, accucciandosi per raccogliere una foglia dal prato.
«Ma guarda i lati positivi: la Mimic non
c’è più e il negozio è
tornato in ordine. Merito mio, modestamente, che sono riuscito da
solo a
salvare la situazione!»
«Oh,
già, lode al grande guerriero!» Ruotò
gli occhi «ma non dimenticare che una volta tornati a casa
non esci da lì finché non avrai catalogato la
biblioteca da capo a zoccoli!»
«Farò
questo sforzo, che sarà mai? E poi, con questi poteri sono
certo che finirò in un lampo… »
lanciò la foglia verso la corteccia di un albero, dove si
piantò come la lama di un coltello.
«Centro!» Esultò alzando i pugni.
«Ho
deciso, da oggi ci sarà un nuovo supereroe ad Equestria!
Correrò tra i tetti di Manehattan! Salverò pony
indifese dai vicoli malfamati! Avrò anche
un’identità segreta… e tu,
Twilight… » la puntò contro il dito
«sarai la “mia”
assistente! Ti occuperai di relazioni pubbliche, parlerai coi
giornalisti, e se per caso qualcuno dovesse andare vicino a svelare la
mia identità, tu negherai tutto!»
«Oh,
non vedo l’ora!» Finse entusiasmo, mentre si fece
comparire alle spalle un arcano tomo d’incantesimi
dimenticati.
«…
ah! E dovrò chiedere a Rarity di prepararmi un costume su
misura! La calzamaglia tutta colori col mantello rosso ormai
è fuori moda, meglio uno oscuro trench da vigilante
tenebroso. Già mi ci vedo! Mi
chiamerò… Squama
Nera!
E probabilmente faranno di me anche dei fumetti, magari in
collaborazione con i Power Ponies! Potrei prendere il posto di Humdrum
e diventare la loro nuova spalla!»
«Hehe,
guarda qui piuttosto, stupidone!»
Twilight
attese che il draghetto si girasse e a quel punto gli toccò
la fronte con il corno.
Un’irradiazione
magica lo ricoprì sollevandolo temporaneamente da terra, e
quando ricadde, a Spike fu sufficiente esaminare il pesante volume
portato dall’alicorno per capire che cosa gli era successo.
«M-ma…
perché?» Piagnucolò gettandosi sulle
ginocchia.
«Pensaci,
non ti ha insegnato niente quest’esperienza?»
Spike
ci rimuginò sopra. «Beh… immagino che
la lezione sia… “che certi poteri, specie se non
si sa controllarli, è meglio perderli che
trovarli…”»
«Sbagliato!
“Non assaggiare le cose degli altri senza
permesso”. Questa è lezione, non te lo dimenticare
la prossima volta!»
La
foglia impiantata sulla corteccia si ammosciò sotto il suo
sguardo abbattuto. «Se lo dici te, Twilight…
»
C’era
di buono che per lo meno ora non si sentiva più lo stomaco
sottosopra… anche se gli era tornato l’appetito.
Poco
dopo, una batteria di zoccoli in avvicinamento cominciò a
farsi udire dal sentiero che dall’aperta campagna si
dispiegava su Ponyville.
Rarity
si stava sporgendo dal vano sinistro del cocchio, e salutava la coppia
di amici con aria radiosa.
«Yuhhuu!»
Scendendo
dal mezzo, li accolse calorosamente tra le sue braccia, manifestando la
sua gioia. Era al settimo cielo.
Scambiati
i convenevoli, quando Twilight le chiese come fosse andata la
presentazione, lei subito si accinse a rispondere:
«Oh
amici, non potete immaginare! È stata davvero…
com’è che direbbe Rainbow?
DI.VI.NA!! I
clienti sono rimasti estasiati dalla nuova linea e mi hanno richiesto
ordinazioni per tutto l’anno che verrà!»
Continuò ancora: «Ci pensate?! Grazie a questo
forse riuscirò finalmente ad ampliare la mia
attività, estendere il negozio!»
E
qui Twilight e Spike si lanciarono un’occhiata furfante.
«Hehe-ehm…
sono proprio contenta, Rarity. Te lo sei meritato!» Rispose
l’alicorno, mettendosi indosso la più plateale
faccia di bronzo che mai le si era visto fare da tempi immemori.
«Naturale,
mon
trésor,
del resto quando una ha occhio per la bellezza!»
Agli
stalloni chiese garbatamente di scaricare le sue valige, quindi
tornò a dedicarsi a loro. «Amici,
c’è qualcosa che non va? Vi vedo un po’
tesi? Opal vi ha creato problemi forse?»
Twilight
e Spike si affrettarono a negare.
«E
con la gemma com’è andata? Te ne sei occupata,
Twilight?»
La
Principessa s’irrigidì, come se un grosso
calabrone le avesse appena punto il didietro. «Certo che
sì, è lì in casa che ti
aspetta!» Sorrise tanto forzosamente che le gengive
iniziarono a dolerle. A Spike era invece tornato il brontolio alla
pancia.
«Oh
magnifico! Non vedo l’ora di mettermi al lavoro!
Sarà l’abito più sensazionale della
storia degli stilisti di Equestria!» Disse, non sospettando
di nulla.
Il
cocchio era ripartito, e la unicorno dal manto perla si stava avviando
verso l’entrata della Carousel Boutique.
«Spikey
tesoro, ti dispiacerebbe portare le mie valige in casa? Sai, lo farei
io, ma sono troppo impaziente di ammirare la mia splendida
pietra!»
«Oh…
ehm, sì… nessun problema.»
Bofonchiò il piccolo assistente, mentre la guardavano
allontanarsi oltre la porta canticchiando.
«È
FINITA, SONO UN DRAGO MORTO!!» Scattò per aria
stropicciandosi le creste tra le mani.
«Che
scema che sono stata!! Ero così impegnata con le pulizie che
mi sono completamente scordata della Mimic!!»
«E
ora che cosa si fa?! Dove mi nascondo?!»
«Tranquillo,
Spike, una soluzione la troveremo, vedrai che… »
Sia
il drago che la pony udirono distintamente la voce di Rarity chiedere a
gran voce dove fosse.
«Ok,
ho un piano… tu trattienila quanto più a lungo
puoi… »
«E
tu che farai invece?!»
«Mi
cercherò una barca e salperò per
l’oceano!»
In
quel momento le fitte allo stomaco si fecero più acute, e un
rigurgito convulso gli risalì lungo il gargarozzo
espletandosi in un baritonale rutto: *BURP*,
seguito
da una fiammata verde e dalla comparsa di una pergamena di Celestia.
Ma
non fu questo per lui una ragione per provare sollievo,
perché insieme ad essa ne venne fuori, accidentalmente
rigurgitata, anche una piccola, infinitesimale (ma cacchio se
eloquente!) scheggia di Mimic, in cui erano inconfondibili sia la
prevalenza dei riverberi acquamarina, che le sfumature violette.
«Mi
potreste dire dove l’avete messa, ragazzi?»
Arrivò Rarity, ripetendo la domanda, giusto in tempo per
vedere Twilight prendere la pergamena e svanire alla loro vista
teletrasportandosi via. «Mi sono appena ricordata che ho
delle faccende importanti a castello, ci vediamo più
tardi!» Annunciò, un momento prima di svignarsela.
«No,
non mi lasciare solo con lei, Twilight!!»
Ma
era inutile lamentarsi, perché Twilight era ormai bella che
lontana.
«Che
le è preso?» s’interrogò la
unicorno, accorgendosi solo ora di avere pestato qualcosa con lo
zoccolo.
«Ma
questa è… »
Spike
non seppe descrivere l’insieme di sensazioni che lo
investirono in quel momento, né l’enorme massa di
materiale indefinito che deglutì subito dopo.
«Rarity…
t-ti giuro che… p-posso spiegarti tutto…
perché non andiamo a-a fare c-colazione,
t-t-ti va?»
Rarity
osservò a lungo quella cosa per terra senza emettere verso...
«TORNA
SUBITO QUI DELINQUENTE DA STRAPAZZO!! CRIMINALE!! MOSTRO!!»
Gli corse dietro per tutto il villaggio.
«Ti
prego, cerca di calmarti!! Non è come credi!!»
«VOLEVI
LA COLAZIONE?!? VOLEVI MANGIARE?!? ECCO, TIENITI QUESTA, BON
APPÉTIT!!» Preso con il corno un intero tavolo
all’aperto di un bar, Rarity glielo scagliò contro
completo di sedie, e se non fosse stato per la pratica appresa in
combattimento durante la notte, quasi sicuramente l’avrebbe
steso. Ma lui riuscì ad evitarlo, e al suo posto venne
colpito un ignaro pony di terra dal manto verde che passava di
lì solo per caso.
«Ma
perché capitano tutte a me!! Che ho fatto di male per
meritarmelo?!? Rivoglio i miei poteri!! Rivoglio la mia gruccia!!
TWIIILIIIIGHT!!!»
E
si rincorsero così a lungo, ancora per molte ore.
Secondo
le leggende che si narrarono negli anni a seguire, Rarity ad un certo
punto riuscì ad acciuffarlo, e preda della rabbia, chiese a
Celestia di bandirlo per sempre sulla luna, dove da allora lui risiede,
piangendo la fame che ancora oggi non trova sollievo.
Qualcuno,
invece, tifando per lui, è pronto a giurare che alla fine
raggiunse la costa, e imbarcandosi in fretta e furia per il grande
mare, trascorse il resto dell’esistenza navigando sui flutti
e scoprendo così nuove terre oltre l’orizzonte.
Altri
invece, più razionali, sostengono che alla fine
l’equivoco si sia chiarito, e che il piccolo Spike trascorse
il resto dell’anno a riordinare la biblioteca del Castello
dell’Amicizia, col divieto assoluto di rivolgere la parola
alla pony bianco-perla fino a data da destinarsi.
A
detta di lui, questa fu la peggiore punizione che avessero mai potuto
infliggergli.
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THE
HAPPY ENDING
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