STRANGE NIGHT HANGER

di Alvin Miller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Strange Delivery ***
Capitolo 2: *** A Strange Evening ***
Capitolo 3: *** A Strange Enemy ***
Capitolo 4: *** A Strange Weapon ***
Capitolo 5: *** An Ordinary Epilogue ***



Capitolo 1
*** A Strange Delivery ***


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1: A Strange Delivery


Era un pomeriggio come tanti altri quello che stava scorrendo quel giorno davanti alla Carousel Boutique. Ordinario, sereno e melodioso; non un solo filo di erba fuori posto, nessun presagio di disavventure nel corso della giornata. Insomma, un giorno di ordinaria Armonia nel colorato villaggio dei pony.

«Caro Spike, davvero non ho parole per esprimere la mia gratitudine per l’aiuto che mi stai dando!» Civettò Rarity, mentre lo stallone autista del suo trasporto stava terminando di caricare sulla carrozza gli ultimi pacchi di vestiti per l’imminente viaggio della giumenta.

«D-di nulla. Lo sai che per te farei qualunque cosa.» Pigolò il piccolo draghetto, stringendosi l’una sull’altra le mani artigliate.

«Sì, lo so. Sei il mio Spikeuccio adorato, ed io sarei davvero persa senza di te!» Aggiunse lei, sorridendogli amorevolmente, consegnandogli sulla guancia arrossita un soffice bacio affettuoso che gli fece saltare per aria un paio di squame dalla schiena.

«Sweetie Belle starà a dormire dagli Apple stasera e io non posso assolutamente mancare a questa sfilata! Se la linea dovesse piacere potrei ricevere richieste praticamente da tutta Baltimare! Riuscite a immaginarlo?! Potrebbe essere la serata più importante di tutta la mia vita!» Spiegò, rivolgendosi stavolta a Twilight.

«Lo sappiamo, Rarity, e spero con tutto mio cuore che tu ce la faccia! Mi spiace soltanto di non poter trovare del tempo per badare alla tua casa. Ho un sacco di lavoro a castello, e per giunta Princess Celestia non fa che mandarmi copie di libri in sostituzione a quelli che perso in biblioteca.» Rispose l’alicorno dell’amicizia con voce rotta.

«Cielo, non dispiacerti affatto tesorino, si tratta solo di un giorno! E poi» si girò nuovamente verso il piccolo assistente «mentre starò via so già che la boutique sarà in ottime zampe.»

Il drago si mise dritto di schiena, col petto all’infuori e le braccia conserte, ghignando superbo per le lusinghe.

L’autista della carrozza si schiarì la gola, richiamando alla sua attenzione la pony bianco-perla. «Signorina, qui è tutto pronto! Possiamo andare!»

«Arrivo subito, mi dia solo un istante!» Estrasse da una valigetta per i trucchi uno specchietto, e lo utilizzò per sistemarsi il fondotinta.

«Sarò di ritorno domattina, giusto il tempo di concludere l’esposizione e di stipulare gli accordi con gli eventuali acquirenti. Spike, le liste sono in cucina. Sai già quello che devi fare, vero?.»

«Sissignora! Chiaro come un ruscello, splendente come uno zaffiro!»

«Meraviglioso!... oh, che sbadata!» Simulò il gesto di colpirsi alla fronte. «Quasi me ne stavo dimenticando: in giornata dovrebbe arrivare un pacco per me. Non è che ti dispiacerebbe… » “ritirarlo al posto mio?”,  ma non concluse la frase, perché subito la sua attenzione venne attratta dal rumore di uno sbatter d’ali che si stava avvicinando da lontano.

«Come non detto, è già qui!»

Le teste si sollevarono al cielo, dove presero a osservare una pegaso postina dal manto grigio che stava calando di quota. La pony andò a sbattere contro il ramo di un albero, finendo invischiata tra le fronde della pianta; cadde poi rovinosamente di fronte ai presenti.

«Bontà Celeste! Derpy, ti sei fatta male?!» Rarity corse a soccorrerla, ma la pegaso dalla chioma canarino fece chiaramente intendere che era tutto a posto.

Come se niente fosse (come se non fosse per nulla precipitata di muso da cinque metri d’altezza) estrasse qualcosa dal suo borsello e invitò la unicorno a firmare per l’avvenuta consegna.

Rarity la ringraziò, afferrando con la magia il pacco rettangolare mentre la postina ripartiva per una nuova meta (finendo, manco apposta, nuovamente abbracciata contro l’albero).

«Che emozione! Non avrei mai creduto che arrivasse così presto!» Esclamò saltellando sul posto.

«Di che si tratta?» Fu la domanda di una curiosa Twilight.

«Questo, amica mia, è il sogno col quale ogni stilista di Equestria vorrebbe svegliarsi la mattina!» Rispondeva mentre scartava con la magia i sigilli del pacco. «Pensa, ce ne sono pochissimi in tutto il mondo! E infatti ordinarlo mi è costato un occhio della testa, ma sapete che vi dico? Ne è valsa ogni singola moneta!»

Il rivestimento fu scartato con solenne eleganza e adagiato lì di fianco mentre la unicorno si accingeva a levitare davanti a loro un curioso bauletto di metallo decorato con trame arabesche, grande quanto un portagioie.

«È… uno scrigno?» S’interrogò Spike interdetto.

«Sciocchino, non è lo scrigno, ma quello che c’è dentro!»

Le carniere arrugginite stridettero lamentose mentre il coperchio si apriva rivelando un’imbottitura rosso pallido sulla quale era adagiata, come una perla, una gemma di taglio ovale grande quanto il pugno del drago.

Tutti si avvicinarono per osservarla meglio, persino l’autista, che si concesse una sbirciata di straforo.

Le pupille di Spike si accesero quando il vellutato aroma di silicati gli invase le ghiandole olfattive, facendogli risalire l’acquolina in bocca.

La gemma era di color acquamarina, con numerosi riflessi viola lungo i tagli che le conferivano un pattern allegro e sgargiante. Allo sguardo si manifestava come la pietra preziosa più pregiata del mondo.

«Visto? Non trovate che sia semplicemente divina?»

«Giaaà…» annuì Spike ipnotizzato, con un rivolo di bave che gli scendeva dalle fauci.

Al contrario di lui, Twilight invece si fece cupa e nervosa. «Rarity… d-dove l’hai trovata… quella?»

«Te l’ho detto, cara! È stato il mio fornitore di fiducia a parlarmene la scorsa settimana! Quando ho capito che poteva sposarsi benissimo con un nuovo abito che sto disegnando questi giorni, mi sono detta che dovevo averla a tutti i costi!»

Estrasse la pietra dal suo letto di seta e fece per studiarla da vicino, ma una forza magica più forte della sua si oppose riportandola nel baule, e quindi richiudendone il coperchio.

«Sei impazzita?! Hai almeno una vaga idea di che cosa sia veramente?!» Tuonò l’alicorno d’improvviso, disattivando il corno.

Spike non fece caso al loro alterco, ma era dispiaciuto del non aver potuto dare neppure un assaggio a quella mistica pietra.

«Credi forse che non lo sappia? Mi offendi Twilight! Non sei la sola esperta di gemmologia in questo villaggio!»

«Non si direbbe, a giudicare dalla leggerezza con cui ne parli!»

«Beh, c’è una ragione se ti ho fatta venire qui oggi… » ribatté furbescamente «voglio sottoporlo all’Incantesimo Denaturalizzante, e voglio che sia tu a farlo!»

L’alicorno si accigliò «I-io? M-ma… »

«Per il mio standard è una magia troppo complessa, lo ammetto. Rischierei di combinare un pasticcio. Ma dopo le tue ultime imprese, sono certa che per te sia un gioco da puledrini eseguirlo! Una volta che avrai finito non ci sarà differenza tra questa gemma e le altre, e io potrò finalmente dedicarmi alla realizzazione del mio grande capolavoro!»

Poco più in là il pony autista chiamò spazientito la unicorno per “invitarla” a montare in carrozza.

«Allora Twi, che cosa ne dici? Lo farai per me?» Cinguettò innocentemente, avvicinandosi al suo muso.

Twilight mugugnò con poca convinzione, l’idea dell’amica non la convinceva per niente. «Dovrei avere qualcosa al riguardo a castello, sì, ma si tratta di un incantesimo difficile anche per me, e se fallissi… »

«Perfetto!! Sapevo di poter contare su di te! Siete i migliori amici che una stilista possa avere!»

La Principessa si lasciò stringere dall’amica, ma questo non la aiutò a dipanare i suoi dubbi.

«Sarà meglio che vada adesso. Spikey tesoro, ti dispiacerebbe portare questa in casa? Lasciala pure da qualche parte in laboratorio, dove ti pare.» Gli chiese scaricandogli tra le braccia il baule metallico.

«Oh, ehm… sì. Nessun problema.»

L’assistente di Twilight si barcamenò verso l’entrata, incrociando lo sguardo diffidente dell’alicorno, che lo seguì per alcuni secondi. Malgrado le dimensioni minute, il peso del contenitore era notevole.

Seguendo le istruzioni dell’amica unicorno – la quale nel frattempo saliva finalmente sulla carrozza e si accingeva a partire per Baltimare – Spike trasportò il carico nella sua sala da lavoro, adagiandola poi sul piano di una delle numerose postazioni per il trucco.

Ansimò per riprendere fiato, mentre si asciugava il sudore dalla fronte.

Si fermò a osservarne poi i dettagli degli intarsi del baule, constatando in primo luogo che non aveva un foro per la serratura di una chiave. Rimase poi stupito dal suo aspetto antiquato e vissuto, cosa che gli conferiva un’aria anacronistica, come se il contenitore e il contenuto avessero viaggiato insieme lungo le vie del tempo per molti e molti secoli.

Attratto dalla sua aura di mistico fascino, decise di aprirlo per osservare con maggior attenzione quei riflessi di luce e quegli intagli da prelibatezza che riverberavano dalla pietra.

L’aroma dei migliori calderoni magmatici si liberò nell’aria non appena il coperchio finì di stridere dall’interno.

L’ovale della gemma era inciso in modo impeccabile, la luce passava attraverso la struttura in modo sublime, e non c’era traccia di opacità in quell’azzurra acquamarina che sembrava destinato al pasto di un Dio.

Per Spike fu una tentazione troppo alta. Non avrebbe mai commesso a Rarity il torto di mangiarla, no, ma nessuno al mondo, neppure Twilight, lo avrebbe sottratto dalla brama incolmabile di concederle un assaggio.

La agguantò con decisione e la sollevò dalla sua imbottitura. Un forte fenomeno di reflazione luminosa, che lui pensò fosse imputabile al sole, lo abbagliò per un momento, mentre spalancava le fauci per adagiarsela sulla lingua.

La tenne in bocca per alcuni secondi, estasiato dalla consistenza del carbonio tra i suoi denti. Il sapore sul suo palato era quello degli opali più pregiati, e poco per volta cominciarono a liberarsi anche i retrogusti del vanadio, che lui aveva gustato solo negli smeraldi più preziosi.

Non era solo la gemma più bella che avesse mai visto, ma anche la più squisita che avesse mai assaggiato, e non poteva comprendere per quale ragione Twilight si fosse agitata in quel modo fuori dalla boutique.

Questo gli fece tornare alla mente che non poteva indugiare oltre nella degustazione. Gli lambiva il cuore pensare di doversi sottrarre a quel gusto divino, ma l’alternativa sarebbe stato affrontare la furia di una Twilight alicorno inferocita.

La sputò dalle zanne e le diede un’asciugata superficiale, quindi la restituì al suo contenitore.

Un crampo allo stomaco fulmineo e improvviso lo paralizzò obbligandolo a stringersi il ventre, per poi passare subito, mentre cercava di convincersi che più tardi avrebbe pasteggiato a volontà con altre gemme.

Come un razzo si diresse verso l’uscita del negozio, ma arrivato nell’atrio finì per sbattere contro la zampa anteriore della Principessa.

«Perché stai correndo in quel modo?» Gli domandò con un sopracciglio rialzato.

«Io? No… cioè. Stavo uscendo… tutto qui… »

Vide quindi il sopracciglio abbassarsi, segno che (forse) se l’era bevuta.

«Dove hai messo la gemma?» Chiese poi apprensiva.

«È lì, nell’altra stanza… ehm… chiusa e al sicuro nel suo scrigno!» rispose sorridendo a denti stretti, con i sudori freddi che gli piovevano dalla fronte.

«Bene, fai in modo che ci resti allora!» Iniziò a percorrere avanti e indietro il corridoio, nervosamente. «Non posso credere che abbia portato quella… “cosa” a Ponyville! Deve essersi bevuta il cervello!»

«Che ha di così sbagliato quella pietra? È così… bella. Sembra molto rara, e… molto costosa… » “e pure incredibilmente saporita” ma se lo tenne per sé.

Twilight si arrestò, e guardò il suo assistente con tono melanconico. «No Spike, non è come credi» disse pensierosa «ti basti sapere che non è niente di quello che sembra!»

Spike la fissava in silenzio, ma non riusciva ad afferrare il punto.

«Insomma, è complicato! Ed è pericoloso! Perciò voglio che tu stia il più lontano possibile da quello scrigno, chiaro? Non devi toccarlo, non devi aprirlo, non devi neppure avvicinarti! Fai le cose che Rarity ti ha detto di fare e basta, almeno fino a stasera!»

«Perché, che succede sta sera?»

«Tornerò qui e lo sottoporrò all’incantesimo! Sono certa di avere quel libro da qualche parte tra gli scaffali. Meno tempo quella cosa sarà a zoccolo libero, meglio sarà per tutti noi!» Quindi si voltò di scatto a puntargli contro lo sguardo. «Pensi di cavartela fino al mio ritorno?»

Lui sghignazzò borioso. «Ho mai combinato dei guai in tua assenza?»

Lei lo fulminò senza pietà.

«Voglio dire… a parte quella volta, e… quell’altra…»

«Spike, questa è una faccenda seria, non si tratta solo di badare alla casa di Rarity in sua assenza! Devo essere sicura di poterti lasciare da solo con quello scrigno senza che ti vengano in mente strane idee!»

«Ti prometto che gli starò alla larga come un gatto starebbe lontano dall’acqua!» La rassicurò.

Twilight allora si prese qualche secondo per riflettere, e si distese. «Bene, allora… ci rivediamo sta sera. Attieniti alle liste e non fare danni, mi raccomando!» Concluse avviandosi all’uscita.

«Tranquilla, sono abituato a peggio!» Ironizzò lui. Una battuta che non piacque all’alicorno, che infatti si voltò subito.

«Dai, su! Stavo scherzando! Hehehe!»


Cinque minuti dopo, Twilight era sulla via del castello, e Spike, rimasto da solo alla Carousel Boutique, si apprestava a leggere la prima delle due pergamene lasciategli da Rarity sul tavolo della cucina.

“Lista delle cose da fare” c’era scritto sopra, che si estese per due metri a terra subito dopo aver rimosso il nastrino che la legava.

Spike iniziò a leggere il testo facendosi sempre più affranto man mano che i punti scorrevano.

Arrivato abbattuto come non mai all’ultimo punto, gli restava da scoprire quale fosse il contenuto del rotolo secondo.

Sfilò il nastro e lasciò scorrere anch’essa a terra.

“Lista delle cose da fare dopo la lista delle cose da fare”.

«Grandioso… » deglutì pesantemente. «Forza Spike. Fatti coraggio e diamoci da fare… »

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Capitolo 2
*** A Strange Evening ***


2: A Strange Evening


Le quiete giornata come tante altre si era ormai avviata verso la sera, e Spike, proprio in quel momento, terminava il penultimo punto della “Lista delle cose da fare dopo la lista delle cose da fare”.

Finì di allineare in perfette parallele le tende alle finestre, servendosi di una squadra per avere la certezza che la linea fosse precisa. Questo, insieme ad altre attività stimolanti, quali ad esempio “Ordina i rotoli da cucito in base alla scala cromatica e al volume del filo”, avevano animato la sua giornata lungo tutto il pomeriggio, ed ora, tirata una riga sulla voce, non gli restava che passare all’ultimo punto in programma.

La fame di gioielli non gli dava tregua, e trovarsi letteralmente circondato in una boutique piena di pietre preziose non aiutava certo il suo appetito a quietarsi. Per sua fortuna, in frigo c’era uno squisito parfait di gemme ad attendere le sue fauci, servito in un mare di panna alla polvere di quarzi e con un rubino intagliato a forma di ciliegia sulla cima.

Da leccarsi le squame fino a sbiancarle!

Doveva solo completare l’ultima voce e poi poteva gustarsi la sua ricompensa in compagnia del nuovo numero dei Power Ponies, fresco di stampa.

Il suo sorriso si spense quando lesse l’incarico: “Dai da mangiare a Opal.”

«ANCORA?!?» Ed esternò il suo disappunto ad alta voce. Era infatti la sesta volta che gli cascava lo stesso comando.

Le prime tre volte lo aveva completato senza emettere fiato, la quarta invece aveva cominciato a notarne la ridondanza, e alla quinta sperava solamente di non doverlo rivedere mai più.

Spazientito, si disse solamente che doveva tener duro. Quello era l’ultimo compito prima della cena, e a quel punto sarebbe toccato a lui.

In cucina prese una nuova ciotola da uno dei vani (fosse mai che la gatta si azzardasse a mangiare su un piatto sporco) e ripeté quelle operazioni che oramai erano diventate per lui una routine: prima di tutto, tenere la ciotola in ammollo nell’acqua calda per qualche minuto, dopo di che scaldare metà del cibo a 35° (le abilità sputafuoco draconiche tornavano utili in queste circostanze) e l’altra metà a 30°, mantenendo così l’omogeneità termica delle due porzioni. A quel punto, maledire con colorite espressioni nella lingua natia dei draghi la gatta e servirle il cibo allontanandosi da lei seduta stante (perché osservare una “signora” nell’atto di pasteggiare era una scortese violazione del galateo felino).

Oltretutto, quel gatto mangiava come un bisonte della prateria e aveva la pretesa di mantenere le linee aggraziate di un colibrì. Se mai un giorno Rarity gli avesse chiesto di prendersene cura per un tempo superiore alle 24 ore, sapeva già quale risposta le avrebbe dato.

Quando il suo pasto fu pronto, prese a chiamarla ad alta voce sgolandosi per tutto il pianterreno. «Opal!... Ehi, è pronta la ceena!... Ma dove ti sei nascosta?!» Ma la gatta non si trovava, e per di più, il cibo gli si stava raffreddando tra le mani. Era facile immaginare le conseguenze di un tale misfatto.

La cercò in lungo e in largo, perlustrando le stanze dove sperava di trovarla raggomitolata nelle cuccette (ed erano molte), ma niente da fare: di lei nessuna traccia.

Restava da provare il piano superiore, che lui raggiunse con cautela, nel timore di rovesciare  parte del cibo sui gradini.

Vi era una sola stanza in cui, per logica, poteva augurarsi di trovarla, ed era la camera da letto della padrona di casa.

Spike vi entrò con un misto d’inquietudine reverenziale e senso di vergogna, nel violare senza i dovuti permessi quel sacro angolo della vita privata dell’amica.

Nella camera c’erano il letto a baldacchino e vari ripiani pieni di stoffe e utensili da sarta, non mancavano neppure i numerosi manichini per l’esposizione dei completi, che lei era solita utilizzare per il suo caos organizzato, ma niente gatta.

Non aveva altra opzione se non di provare nelle altre stanze, nell’augurio di ritrovarla dovunque essa si fosse cacciata, anche se una nuova paura stava cominciando a prendere zoccolo al posto della vergogna nel ritrovarsi lì: quella scomparsa, così improvvisa e inattesa, non era normale per lei. Non per una gatta con una tale, malcelata voracità.

Fece per voltarsi, quando un’ombra si dilungò dalle sue spalle, estendendosi sul pavimento. Seguì un ringhio infernale, che gli fece paralizzare i muscoli.

Allora Spike girò la testa, con cautela, trovandosi a confronto proprio con Opal; aveva ben poco da gioirne tuttavia, perché quella felina non era la gatta che era abituato a conoscere.

I suoi occhi erano di un rosso carnoso e oscuro, con una macchia nera circolare nel centro a formarne la pupilla.

Gli artigli erano esageratamente lunghi e si estendevano dalle zampe con brama insaziabile di affondare nelle carni del prossimo.

Lo stava fissando intensamente, con quell’atteggiamento tipico dell’animale da preda, alternando soffi di sfida ad altri versi intimidatori, non facendo sconto a esibire l’acuminata dentatura delle zanne.

«Opal… v-va tutto bene… ?» Tartagliò Spike incerto sul come prenderla. Ma sapete, al mondo sono poche le domande sensate che un drago potrebbe rivolgere a un gatto durante una conversazione, tipo “dove hai nascosto il mio tesoro?”, o “sei sicuro che i cani Stana-Diamanti non ti abbiano seguito?” e quella che Spike chiese in quel momento alla gatta di Rarity, non rientrava di certo tra queste.

Di risposta, la felina gli balzò addosso sguainando gli artigli.

Spike riuscì a schivarla all’ultimo momento, dopo aver lasciato cadere per terra la ciotola col cibo (che diavolo, adesso era lui la cena!) e si lanciò fuori dalla stanza con le ali ai piedi.

«Ma che ti prende?! Opal… sono io, Spike… SPIKE!!» Ma era inutile tentare di ragionarci, la gatta non lo riconosceva (o forse lo riconosceva fin troppo bene) e continuò a inseguirlo con l’ovvio obbiettivo di avventarsi su di lui.

Per sua fortuna, era una cacciatrice grassa e impacciata, cosa che gli diede il tempo necessario per raggiungere la rampa delle scale e montare sul corrimano con un agile balzo. Coprì così in breve tempo lo spazio che divideva i due piani scivolandovi sopra sulle natiche, quindi si guardò ansiosamente intorno, in cerca di un modo per difendersi dal predatore. La gatta, infatti, era ancora convinta di fare di lui il suo banchetto.

Spike corse verso un’altra stanza, mentre Opal inciampava su alcuni gradini e completava la discesa rotolando su se stessa.

Mentre fuggiva, il drago notò che sopra di lui qualcosa si stava muovendo: un soprabito maschile – probabilmente qualche progetto rimasto invenduto di Rarity, dal momento che non lo si poteva certo corroborare tra i suoi lavori più riusciti – ma perché stava… volando? Era un’allucinazione? Il frutto della stanchezza e della paura che gli stavano tirando un brutto scherzo suggerendogli cose che in realtà non esistevano?

Di qualunque cosa si trattasse, Opal era reale, e quella distrazione aveva dimezzato le distanze che separavano la preda dal cacciatore.

Il gioco del gatto col drago continuò fino a che Spike non si trovò con la schiena rivolta alla porta dello sgabuzzino. Opal era di fronte a lui, affamata e posseduta da chissà quale forza maligna.

La vide piegare le zampe anteriori e sollevare il bacino, preparandosi all’assalto. Spike aveva davvero pochi istanti per escogitare qualcosa prima che l’animale si gettasse su di lui.

La gatta soffiò un’altra volta, esponendo i denti affilati, e a quel punto…

«Aspetta!» Spike si portò in avanti le braccia.

Opal si arrestò di colpo e lo osservò con aria interrogativa.

Per il drago era la miglior occasione per mettere in moto il cervello.

«Ehm… sì… » iniziò a farfugliare in modo sconnesso «quindi tu… ahm… »

“Forza, Spike! Pensa a qualcosa…”

«È nuovo quel fiocco?»

Pessima giocata.

Opal ringhiò e si fece più che mai decisa a sbranarlo. Gli piombò addosso con un balzo impreciso.

Per fortuna Spike si rivelò molto più bravo a improvvisare che non a pensare: in meno di un istante riuscì ad afferrare il pomello della porta e a imprimere il movimento che la fece spalancare, abbastanza in fretta da consentirgli di evitare l’aggressione e chiudere la gatta all’interno.

Opal cominciò a strillare e ribellarsi.

Spike si oppose spingendo dalla parte opposta.

Udì lo scatto della chiusura e finalmente poté tirare un sospiro di sollievo.

Si accasciò contro di essa, ansimando esausto. La corsa lo aveva sfibrato, e oltretutto stava ancora morendo di fame.

“Per fortuna i gatti non possono aprire i pomelli…” si disse per consolarsi, ma come il pensiero abbandonò l’anticamera della sua testa, quattro artigli affilati perforarono il legno della porta, molto vicini a dove la sua guancia destra si adagiava.

Il messaggio fu forte e chiaro: si alzò in piedi e subito prese le distanze dallo sgabuzzino.


Ora che Opal non era più un suo problema, ma delle scope nello stanzino, Spike aveva finalmente del tempo per riordinare le idee e fare i punti della situazione.

Punto 1: la gatta indemoniata era… indemoniata. Ma perché? Era stato qualcosa che le aveva dato da mangiare? Oppure, al contrario, qualcosa che NON le aveva dato? Per quanto il dubbio esitasse ad abbandonarlo, era abbastanza sicuro di aver rispettato gli ordini delle liste con minuziosa attenzione.

Punto 2: era davvero un soprabito quello che aveva visto volteggiare sopra la sua testa mentre scappava? E se così fosse, che senso aveva la cosa?! Perché di colpo stava cominciando a diventando tutto così strano?!?

Punto 3: lo stomaco brontolava, e la fame malgrado tutto restava ancora la più impellente delle priorità. Quindi per prima cosa avrebbe mangiato, e poi, mentre digeriva, avrebbe aspettato l’arrivo di Twilight con la quale avrebbe cercato di venire a monte del problema.

Il suo pellegrinaggio lo riportò nell’atrio, dove una notte priva di sicurezze, con solo un tenue bagliore lunare filtrato dalle finestre che ne sfidava l’autorità opprimente, aveva preso dominio del negozio e di tutte le sue merci.

Strani rumori, simili a scricchiolii, si elevavano dall’arredamento. Cose che strisciavano e oscure presenze che battevano sulle pareti aggredivano le orecchie del drago gelandogli il sangue nelle vene.

Anche queste erano solo allucinazioni? Burle della fantasia che si stava divertendo alle sue spalle?

Di colpo la fame smise di essere un problema. C’era qualcosa che si muoveva lì intorno, e lui lo poteva ascoltare con estrema chiarezza. Strisciava al liminare tra l’immaginazione e il vero, celandosi negli anfratti della stanza, mentre sibilava tetre minacce a danno dei suoi sensi.

Muovendosi contro la parete, Spike tastò il buio alla ricerca dell’interruttore che lo restituisse alla confortevole certezza della luce.

Era quasi sicuro che la “cosa”, qualunque essa fosse, lo stava attendendo da qualche parte, pronta ad afferrarlo non appena si fosse distratto.

Premuto l’interruttore, scoprì con orrore che la luce mancava, che qualcuno aveva troncato la corrente.

Provare a insistere fu inutile, era condannato a restare nel buio.

Man mano che la sua vista si abituava all’oscurità, qualcosa d’impreciso iniziò a delimitarsi al centro della stanza.

Si trattava di un malconcio foulard marroncino maculato di nero (così gli sembrava), che insieme a un berretto di lana bianca, chissà come, erano finito nel bel mezzo del pavimento.

Spike non ricordò se i due capi si trovassero lì anche prima, ma era certo che Rarity non fosse la pony da lasciare nello sporco qualcuno dei suoi preziosi indumenti.

Tra mille domande, la fantasia lasciò il porto.

“E se quella fosse stata davvero opera di qualcun altro?” Pensò. Significava che un intruso si era davvero intrufolato all’interno della boutique approfittando della porta aperta e dell’assenza della padrona!

Questo fantomatico “qualcuno” potrebbe aver drogato la gatta per tenerla a bada mentre operava.

In seguito lei sarebbe impazzita – colpa dell’intruglio – sino a spingersi ad attaccare Spike senza un apparente motivo.

E per quanto riguardava il soprabito svolazzante di poco prima? Chissà, magari alla fin fine si era davvero trattato di un miraggio prodotto dal panico.

Posto così, il ragionamento filava senza una grinza, considerato anche il gran numero di gemme conservate nella boutique.

Il che significava che quel qualcuno poteva essere ancora lì! Magari adesso si nascondeva, in attesa del momento propizio per sgusciare fuori! O forse non si era ancora accorto di niente, impegnato com’era a svaligiare i portagioie della stilista!

Spike spalancò gli occhi, colto dal panico. “Lo scrigno!”

Sia Rarity che Twilight avevano palesemente fatto intendere che la gemma al suo interno era molto più importante di quanto non apparisse; forse conscio di questo, il ladro era entrato per prenderla!

La situazione era più grave del previsto!

Nuovi rumori riempirono la stanza, in aggiunta agli altri.

L’impressione di non essere solo, ora si fece più forte.

Spike si guardò intorno, cercando di capirne la provenienza prima di essere localizzato a sua volta. Ma un dubbio lo prese in contropiede: erano davvero fruscii quelli che sentiva vicino a sé?!  Che genere di ladro si mette a strisciare in quel modo mentre si sposta?

Si sarebbe aspettato di udire dei deboli clopettii di zoccoli, quando invece era più come se che degli stracci stessero scorrendo sul pavimento.

Spike sollevò la testa e non seppe a cosa pensare quando vide il foulard di poco prima inarcarsi verso di lui come vitalizzato da un burattinaio invisibile.

Le sue movenze erano quelle di uno strano serpente, che aveva nell’estremità corrispondente alla testa il berretto di lana con un batuffolo rosso sulla punta, il quale shakerava in tutte le direzione come una lingua biforcuta.

L’essere si mostrò fin da subito ostile a Spike, che senza avere il tempo di collegare i neuroni, si vide di nuovo costretto a scappare  verso la prima direzione che riuscì a prendere.

Dietro di lui, il serpente di foulard lo inseguì con la stessa – e forse superiore – aggressività di Opal.

La sua reazione era forse stata estrema, in fondo che pericolo poteva mai sussistere da un ofide fatto di sciarpe e cappellini invernali? Ma era un esperimento al quale non intendeva prendere parte.

Si rifugiò nella cucina, pensando in principio di nascondersi sotto la tovaglia del tavolino sulla destra, ma non lo reputò un rifugio sicuro. Invece, quel vano sotto il lavello, le cui fessure sulle ante tracciavano i contorni di un cuore nel legno, gli sembrò già una proposta più saggia; certo avrebbe anche potuto salire le scale che davano al piano di sopra, non fosse che il serpentone lo avrebbe certamente inseguito fin lassù.

Vi s’insinuò dentro spingendosi tra i numerosi prodotti per l’igiene della cucina che Rarity era solita stiparvi, acquattandosi tra uno sgrassatore per i fornelli e un detergente per le stoviglie.

All’esterno, il serpente di foulard fece capolino perlustrando con attenzione la cucina.

Spike cercò di trattenersi dal fare qualunque rumore, ma il buio in cui si era immerso accentuava ancora di più il senso di claustrofobia che avvertiva da ogni sua squama.

Cercò di allontanarsi più che poteva dalla fessura sulle ante, e questo lo portò a commettere un errore madornale, quando con un piede urtò contro qualcosa che si rovesciò per terra, provocando un forte baccano.

La creatura guizzò subito verso la fonte del suono.

Spike si schiacciò in un angolo, trattenendo il fiato e tappandosi la bocca con entrambe le mani.

La fessura gli forniva una discreta visuale dell’esterno, e poteva vedere chiaramente il suo assalitore mentre “annusava” con il batuffolo di lana l’aria a pochi centimetri dal nascondiglio.

Il drago calò la testa tra le gambe e pregò Celestia che la creatura non si facesse venire l’idea di esplorare più attentamente l’interno.

Si dimenticò perfino di respirare, mentre il serpente voltava il “collo” dirigendolo da un’altra parte.

Dopo qualche secondo decise di rinunciare, pensando che forse il drago si era infilato in un’altra stanza, e imboccò l’uscita per proseguire la ricerca.

Prima di svanire, Spike ebbe tempo di vederlo infilare la “testa” sotto la tovaglia per verificare se si fosse nascosto lì.

Avrebbe voluto sospirare per l’intuizione che lo aveva salvato, non fosse che questo lo avrebbe sicuramente tradito.

Rimase nascosto ancora per un po’ mentre fuori tutto taceva. Nel frattempo aveva ripreso a respirare, ma con lentezza, cercando di limitare al minimo l’afflusso dei suoni.

Decise di uscire solo quando ebbe la certezza assodata che l’ofide non era più nei paraggi.

Qualcosa in lui lo spingeva a rientrare nel nascondiglio, dove avrebbe potuto aspettare il ritorno di Twilight in completa sicurezza, ma chi gli dava la garanzia che l’amica avrebbe risolto la situazione una volta rientrata?

Un serpente fatto di vestiti era cosa da poco per un alicorno esperto di magia come la Principessa dell’Amicizia, ma che ne sapevano se in quella casa non si nascondesse qualcosa di ancora più pericoloso? Qualcosa che nemmeno lei avrebbe saputo affrontare?

Forse Spike si preoccupava troppo, restava il fatto che stavano succedendo delle cose troppo inspiegabili quella sera, e lui doveva assolutamente avvisarla prima che il tempo scadesse.

Quindi doveva uscire da lì, avviarsi per la porta e correre con quanta più velocità poteva verso il Castello dell’Amicizia!

“Ma prima ho bisogno di un’arma…”

Aprì il primo cassetto scelto a caso dalla cucina e vi frugò all’interno cercando di fare meno fracasso possibile (come se fosse stato facile).

Non aveva idea di cosa potesse reperire in quegli scomparti. Il massimo sarebbe stato un coltello per la verdura, o qualcosa di abbastanza affilato da usare come oggetto contundente.

Vi trovò invece mestoli e vari utensili di legno ma nulla che potesse considerarsi offensivo.

Un’altra disattenzione, dettata dalla sua sbadataggine, e uno dei mestoli si schiantò sul pavimento, echeggiando un’impressionante cacofonia di suoni metallici per tutta la casa.

A quel punto si affrettò, decidendo che si sarebbe fatto bastare la prima cosa che avesse trovato.

Tirò quindi fuori un lungo forchettone a due punte, che si sarebbe distorto non appena lo avesse puntato contro qualcosa di più solido di un budino alla frutta, ma che forse poteva bastare contro una creatura fatta di lana e cotone.

Presto avrebbe avuto occasione di scoprirlo, perché il serpente di foulard fece subito il suo rientro in scena per chiudere i conti con lui.

Tentò più volte di “morderlo” proiettandosi con foga crescente.

Spike provò a ferirlo con le punte del forchettone, ma come da previsto l’attrezzo non sortì alcuna efficacia.

Il serpente usò la sua testa-di-berretto come martello per cercare di disarmare il draghetto.

Spike per poco non si vide privato del suo unico strumento di difesa.

Ulteriori tentativi di bucherellare la creatura ebbero risultati ancora più deludenti.

“Se soltanto avessi un’arma più potente…” pensò Spike, mentre si stava convincendo di avere bisogno di un piano di riserva.

Improvvisamente successe qualcosa, e dalla punta biforcuta dell’utensile partì una saetta di elettricità ad alta tensione che prima fulminò l’ofide e poi tramutò il tessuto in una pila di stracci carbonizzati, che fumavano emanando un acre odore di bruciato.

Spike gettò a terra il forchettone, confuso ed esasperato dopo aver realizzato cosa fosse successo; non voleva nemmeno provare a fare supposizioni su quest’ennesimo fatto.

Si lanciò verso l’uscita, incurante di quali orrori si celassero ancora in quel luogo.

Evadere divenne la sua priorità, e non aveva importanza se per riuscirci avrebbe dovuto sgattaiolare tra legioni di strane creature possedute da chissà quale entità. Nessuno lo avrebbe trattenuto un secondo di più!

Per sua fortuna, l’atrio era rimasto vuoto, nessun mostro all’orizzonte, benché sentisse ancora lucidamente i tonfi di passi attraverso le pareti e la presenza di ogni genere di spauracchio scaturiti dall’immaginazione.

Si tuffò verso la porta, non curante del rumore che produceva o del rischio che qualcosa potesse sbucare da dietro i tendaggi, ma apprese con terrore che il suo incubo era destinato soltanto a dilungarsi. La porta d’entrata aveva due accessi, quello inferiore era abitualmente usato dalla gatta oppure dalla sorellina di Rarity, mentre lei si serviva di quella più grande. Spike provò con la più piccola, ma questa non aveva alcuna intenzione di aprirsi.

Non c’era la chiave nella toppa, e inoltre sembrava che la mandata non fosse neppure scattata, eppure per qualche ragione non c’era modo di aprirla.

Allora Spike provò con l’altra.

Riuscì ad afferrarne la maniglia aggrappandosi con un balzo, ma anch’essa, con panico incalzante, rimase testardamente saldata nella sua posizione.

Capì di essere in trappola, come un topo chiuso in gabbia, e un abissale senso di sconforto prese ad assediarlo permeandogli i pensieri delle immagini più tetre.

“Non sarebbe mai più uscito da lì”, e “Twilight lo avrebbe abbandonato a sé dimenticandosi di lui”. “Sarebbe scomparso, e nessuno avrebbe più avuto sue notizie, né interesse a cercarlo”.

“No, Spike! Niente panico! Concentrati!”

Si scagliò un potente schiaffo sulla guancia.

«Ahi!» Con troppa foga, forse.

La sua sola possibilità per uscire dal negozio era di sgusciare attraverso una delle finestre poste ad un metro e mezzo dal suolo, ma per farlo doveva trovare qualcosa di abbastanza solido da poter utilizzare come una palla da cannone.

Probabilmente Rarity non lo avrebbe mai perdonato per quanto si apprestava a compiere, ma rispetto alla prospettiva di rimanere intrappolato chissà per quanto lì dentro, era un rischio che era disposto a correre.

Si mise in moto alla ricerca di un oggetto da lanciare; un pettine, per esempio, se scagliato con forza, sarebbe bastato per rompere il vetro, ma lì intorno incredibilmente, a parte camerini, specchi e palchetti per la prova degli abiti, non c’era niente di simile a quello che gli serviva.

Maledisse la stilista per la sua ineguagliabile mania per l’ordine.

Poi si girò, e nel momento in cui lo fece, il suo muso sbatté violentemente contro una superficie solida e curvilinea… qualcosa che prima non c’era.

Mentre si rimetteva in sesto, stringendosi forte il naso e cercando di trattenere il formicolio di uno starnuto che alla fine ebbe la meglio detonandogli tra le mani, i suoi occhi esaminarono con inquieta lentezza le forme dell’ostacolo che aveva di fronte.

In esso vi assemblò le linee sinuose e familiari di un equino, cui manto era incredibilmente liscio e dalle uniformi livree bianco latte.

Quando però il suo sguardo si fermò sul volto inespressivo e statico della figura, si ritrovò a contemplare la sagoma plastica di un manichino per esposizioni, cui collo era minacciosamente chinato verso di lui.

La figura era stata rimossa dalla sua piantana (o forse lo aveva fatto da sé), al cui posto ora vi era un profondo foro nel ventre. Ma la cosa più inquietante fu si muoveva sulle sue zampe, come un lento e agiato stallone che sembrava godere di tutto il tempo del mondo per completare il suo cammino.

Spike aveva assistito a molte bizzarrie quella sera, ma anche così, accettare di buon grado di trovarsi dinanzi a un manichino per esposizioni che si animava di vita propria, era un’esperienza alla quale avrebbe annuito solo se qualcuno gli avesse detto che era colpa di un sogno che stava facendo.

Già se la vedeva una Rarity in forma angelica che scendeva dal cielo (in questo caso dal soffitto) per ammonirlo che era giunto il momento di svegliarsi.

Probabilmente avrebbe riaperto gli occhi sul faccione contrariato di Twilight, la quale lo avrebbe strigliato per benino per essersi addormentato durante le pulizie, per poi tornare ad occuparsi della faccenda della gemma.

Ma allora perché non riusciva svegliarsi? E perché più le stranezze s’accrescevano e più s’innalzava l’impressione che in verità quanto stava vivendo era reale almeno quanto la fame che stava sentendo?

A complicare le cose ci pensò la presenza del secondo manichino, che Spike notò solo in un secondo momento, tanto era impegnato a farsi fuoriuscire gli occhi dalle orbite nell’atto di fissarsi sul primo.

I due figuri di plastica si mossero con adagio quando il drago indietreggiò contro la porta.

I loro visi privi di viso, terrorizzavano ancora di più per l’incapacità di determinare quali fossero le loro intenzioni.

«V-voi… non siete qui per conservare la mia fiamma vitale(*), vero?»

I due sintetici non reagirono in alcun modo alla sua domanda, ma continuarono a incedere con quiete oppressiva.

«Immagino di no…»

Sapendo di non poter istaurare alcun dialogo con loro, si lanciò verso la sua destra, in fuga dal pericolo e dalle domande senza risposta.


Fuori era buio pesto.

Gli impegni al castello avevano trattenuto Twilight Sparkle più di quanto temesse.

Quando finalmente aveva terminato di riordinare gli scaffali e quindi di ritrovare la formula che Rarity le aveva richiesto, le prese un colpo nello scoprire che ora si era fatta.

Era uscita di corsa per raggiungere il prima possibile la Carousel Boutique e aveva incontrato per strada l’amica Pinkie Pie, la quale aveva deciso di unirsi a lei senza spiegare le ragioni del perché si trovasse all’aperto a quell’ora di sera.

Semplicemente, c’era.

«Grazie per la compagnia, Pinkie. Ma non credi sia il caso di tornare a casa adesso?  Che diranno i Signori Cake della tua assenza?»

«Ma che vai dicendo sciocchina?! Loro lo sanno che io ADORO accompagnare le amiche la sera al negozio di Rarity, è il mio duecento-ventiquattresimo passatempo preferito!»

La pony dal manto rosa continuava a ballonzolare come una molla indemoniata, costringendo la Principessa a continui capogiri per costringersi a guardarla.

«Se lo dici te… » si arrese semplicemente l’alicorno.

Raggiunte le vicinanze della Boutique, Twilight da principio fu lieta di scoprire che in apparenza il negozio sembrava integro e al suo posto… ma un'altra sensazione prese subito zoccolo nei suoi pensieri: “Perché le luci sono spente?”

Spike sapeva che sarebbe arrivata, e a prescindere dal suo ritorno, non era il tipo di drago che si coricava a letto così presto.

Si sentì in forte disagio.

“E se qualcosa fosse andato storto con la gemma?”

Supplicò Pinkie di smettere di saltare e di fare silenzio, e con cautela si avvicinarono all’entrata.

Allungò la sua zampa per afferrare la maniglia, ma fu come se qualcuno avesse voluto precederla, e la porta si spalancò verso l’interno con un cigolio spettrale.

«Ahh i fantasmi!!!» Strillò la pony di terra saltandole tra le braccia.

«Dannazione Pinkie, ti avevo detto di fare silenzio!!» La sgridò a bassa voce allontanandola con la magia.

Dentro era il buio più pesto che mai, tanto che lo si poteva quasi cogliere tra gli zoccoli e spalarlo via, e il silenzio che aleggiava era assolutamente incompatibile con una casa in cui – in teoria – avrebbe dovuto trovarsi anche Spike.

Se pure stava dormendo, l’eco del suo russare avrebbe prodotto un rimbombo tale da spaventare un intero branco di lupi del legno, e invece nulla, come se la stessa casa avesse il controllo della rifrazione sonora assorbendo ogni più piccolo rumore.

A quel punto i dubbi erano pochi. Qualcosa era successo in sua assenza, e se davvero la forza che lei sperava di contenere si era scatenata nella Boutique, Spike in quel momento poteva trovarsi in grave pericolo.

«Pinkie, sentimi bene: qualunque cosa succeda, stammi sempre vicino! Non dobbiamo separarci per niente al mondo!» Sussurrò, e poi rimase in silenzio in attesa di una risposta. Che non ci fu.

«Pinkie Pie, mi hai sentito?» Si girò rapidamente, realizzando con orrore che la pony dal manto rosa era svanita.

Solo allora una caotica baraonda di suoni che sembravano provenire da una folla tutt’intorno esplose annegandole l’udito.

Con un semplice incantesimo di luce sul corno, Twilight illuminò la stanza, portando così allo scoperto le presenze che l’avevano attorniata.

Le sue pupille si restrinsero quando capì di essere caduta in un’imboscata bella e buona.


Mentre scappava disorientato dal buio, non sapendo se i manichini erano ancora sulle sue tracce, un urlo di terrore squarciò l’irregolare ritmo del suo fiato costringendo a fermarsi.

Ne riconobbe nella tonalità la voce dell’amica Twilight.

Significava che era arrivata, ma anche che le presenze l’avevano colta di sorpresa. Forse era stato un ingenuo a pensare che il suo intervento potesse magicamente risolvere la questione.

Era ovvio che si erano messe in gioco forze che nemmeno lei comprendeva.

Forze che adesso probabilmente erano libere di riversarsi su tutta Ponyville.

Fece per tornare da lei, ma qualcosa lo afferrò.

Non capì cosa fosse, tanto fu immediato l’assalto. Vide soltanto un’intensa luce accecante abbagliargli gli occhi impedendogli di difendersi, e avvertì una forte stretta di costrizione avvolgersi su tutto il corpo gettandolo a terra, ricoprendolo fino alla bocca.

La cosa lo trascinò poi con sé, verso recessi segreti, dai quali non sapeva dirsi se ne sarebbe mai più uscito…


(*)Citazione da “Inanimus”, di Lantheros.

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Capitolo 3
*** A Strange Enemy ***


3: A Strange Enemy


Non potendo né parlare né muoversi, Spike ruotò gli occhi in tutte le direzione, cercando di capire dove lo stava portando il suo assalitore.

Fu trascinato fino al laboratorio principale, dove ad attenderlo trovò non solo le sue amiche, ma anche una variegata congrega di abiti e manichini, che si voltarono in contemporaneo per osservare l’entrata del nuovo arrivato.

Vi si trovava di tutto, dalle vecchie felpe fuori stagione ai più comuni abiti per uso quotidiano, fino ai molti e innumerevoli completi da Gran Gala ed abiti da cerimonia disegnati da Rarity nel corso dei mesi.

Gli strani capi d’abbigliamento galleggiavano in aria assumendo pose da creature bipedi, con movenze fluide e precise, come se dal loro interno delle creature invisibili li stessero manovrando.

I manichini, invece, incarnavano probabilmente il ruolo di guardie del corpo, pronti a scattare qualora il vestiario avesse subito aggressioni da parte dei prigionieri.

«Spike!» Fu l’immediata reazione di Twilight quando il suo piccolo assistente venne trascinato nella sala da un tubino a maniche lunghe che lo aveva avvolto in uno scialle rosa, strumento del quale non era da escludersi si servisse anche come frusta.

L’abito sembrava infondere una certa aura di potere tra i suoi simili, che si levavano dalla sua strada come se provassero per lui una paura marziale.

Era ricoperto di lustrini azzurri, dai quali si rispecchiavano sfavilli brillanti, che scaturivano dai loro riflessi illuminando la sala malgrado in realtà non vi fosse alcuna altra fonte di luce.

Sbatté il draghetto davanti a un appendiabiti su ruote, degli stessi tipi sui quali altri abiti stavano legando le due pony.

«Twilight, che sta succedendo qui?! Chi sono questi??» Cercò di chiederle prima di essere afferrato per le braccia da due completi merlettati, che lo tennero fermo mentre un terzo si avvicinata. Questo, tra le pieghe della manica, teneva ben saldo un rotolo di filo da cucito, di cui si servì per legargli i polsi all’asta orizzontale dell’appendiabiti.

Davanti a lui, la stessa operazione veniva completa su Pinkie Pie, che sembrava incomprensibilmente a sua agio, malgrado la situazione.

«Eh-ehm! Scusa, tu!» La sentirono chiamare in tono serio il maglione che l’aveva appena legata. «Guarda che la sinistra va stretta più forte!» Lo rimproverò scuotendo la relativa zampa anteriore.

Il maglione si consultò con un “collega”, e andarono a rimediare all’errore commesso.

«Ecco, così va molto meglio!» Aggiunse la pony ora che la sua zampa era ferma e salda sulla sua asta.

Accanto a lei Twilight, appesa come un salame, si rivolse preoccupata al drago.

«Spike, stai bene?! Ti hanno fatto del male??»

«No… c-credo sia tutto a posto. Ma non capisco, che tipo di magia è in grado di fare questo?!»

Lei tentò di strappare i nodi agli zoccoli, ma erano troppo robusti. Le sue zampe anteriori stavano cominciando a formicolarle. «Io te l’avevo detto di fare attenzione! È accaduto esattamente quello che temevo! Perché non mi hai dato retta?!»

Lui spalancò le fauci, incredulo e gelato . «M-ma… io non ho fatto nulla! Cioè… ero qui… ho seguito alla lettera le indicazioni di Rarity! Ho lavorato tutto il giorno e basta!»

«E della pietra che cosa ne hai fatto?!» Chiese l’alicorno a voce alta, con un ciglio sospettoso.

«La pietra? Io… » voltò il capo verso il punto in cui l’aveva adagiata, ma fu sorpreso nel constatare che qualcuno l’aveva rimossa da lì.

“Il ladro?” Si chiese, convinto che la causa di tutto fosse ancora imputabile a un quarto incomodo.

«L’avevo messa là, lo giuro sull’onore dei draghi!!» Berciò. «Sono entrato, l’ho appoggiata sul ripiano e poi sono tornato da te…» ma ad’un tratto sembrò capire «…oh!»

Twilight se ne accorse. «Cosa? Che vuol dire “oh”?!»

“Gulp!”

«Ehm… niente! L’ho messa lì e basta!»

Lei socchiuse gli occhi, e perseverò con calma. «Spike…»

Messo alle strette (letteralmente), il drago dovette cedere. «Ohh, e va bene! L’ho assaggiata, ok?! L’ho presa e l’ho messa in bocca!!»

Twilight si curvò in avanti.  «COS’HAI FATTO?!?»

«Volevo sapere che gusto aveva… i-insomma… era lì… così brillante, così succosa… avresti dovuto sentire che fragranze emanava!» Tentò di spiegare, mentre sottili lacrime gli inumidivano gli occhi.

«Accidenti a te, sei incorreggibile!! Non ti si può lasciare da solo mezzo pomeriggio che ne combini un’altra delle tue!!»

«E io che ne sapevo?! L’ho fatto prima che me lo dicessi! E… e poi non l’ho nemmeno masticata!»

«Ma non lo capisci, Spike?! Quella non era una gemma qualunque! Quella era una Mimic!»

Quella rivelazione lo lasciò basito e interdetto. «Una… Mimic?»

Twilight allora sospirò e decise di calmarsi; In fondo parte della colpa era stata anche sua, per il modo vago e approssimato con il quale aveva affrontato quel discorso in precedenza.

«Sono delle gemme molto particolari… che ospitano al loro interno uno spirito maligno. Un tempo erano molto diffuse nel regno. Erano conosciute e temute per il loro potere di trasformare qualunque cosa gli stava intorno in qualsiasi cosa desiderassero: trappole, armi, serventi, di tutto; ed è per questo che ancora oggi sono considerate estremamente pericolose. Spesso vivono dentro a degli scrigni, e si nascondono in antiche roccaforti e castelli abbandonati che trasformano in trappole mortali per chiunque tenti di entrare. Si contano a decine il numero di pony che sono scomparsi dopo essersi addentrati nei loro domini; viandanti, cacciatori di tesori, gente che passava di lì per caso. È per questo che alcuni secoli fa ne è stata ordinata la completa distruzione. Ho letto che addirittura tutti i maghi di Equestria si sono riuniti per sviluppare delle magie che consentissero di combatterle. Molte sono state distrutte, ma talvolta capitava che qualche Mimic era troppo potente perché si riuscisse ad affrontarla in uno scontro diretto, così la addormentavano all’interno del suo scrigno, in modo che col tempo perdesse i suoi poteri e i maghi potessero sconfiggerla in seguito. Oggi si tende a considerarle estinte, ma talvolta capita che qualcuna venga riportata alla luce, come in questo caso.»

Forti brividi di paura scossero le squame di Spike mentre ascoltava. «Qu-quindi tu credi che questa Mimic… sia riuscita a liberarsi?»

Twilight fece di no con la testa. «Non da sola. Il sigillo era stato lanciato sul suo scrigno in modo da tenerla prigioniera per sempre. Ma quella magia ha un grave difetto… si scioglie non appena la gemma viene rimossa dalla sua fodera… »

“GULP!!” Deglutì di nuovo Spike. Ora sì che si spiegava il forte bagliore che si era riflesso sulla Mimic quel pomeriggio, quando l’aveva presa tra le mani.

Questo significava che non c’era alcun ladro in casa. Nessun capro espiatorio da puntare e a cui scaricare le responsabilità per quello che era successo.

La colpa era stata sua.

Avidamente sua.

Golosamente sua.

Lussur…

«Dieci e lode, piccola pony!» Disse una voce proveniente dall’entrata, pronunciata da una strana creatura che fece la sua comparsa alla soglia, al seguito di due manichini.

Entrò con un passo laterale, come i granchi, attraversando lo stretto ingresso su quattro esili e sgargianti gambette placate d’oro.

Ci volle poco, infatti, per realizzare che la cosa altro non era che il divano preferito di Rarity, quello con la federa rossa e metà dello schienale più alto, che lei era solita utilizzare quando doveva far mostra delle sue arti drammatiche.

Adagiato comodamente al centro, come fosse la testa di quello strano corpo, si poteva osservare lo scrigno con all’interno la Mimic, che irradiava un lieve gioco di luci dagli intagli ad ovale.

«È bello sapere che a distanza di secoli c’è ancora qualcuno che si ricorda di noi.» Affermò muovendosi a brevi passi verso il trio di prigionieri.

La sua voce era femminile, a tratti stridula, e intervallata dai clangori di ruggine della cerniera, che piagnucolava ogni volta che dallo scrigno uscivano parole. La Mimic, infatti, apriva e chiudeva il coperchio per simulare un movimento di labbra.

«Che cos’abbiamo qui, un Alicorno?» Indugiò a lungo su Twilight, come per studiarla, poi fece il giro intorno all’appendiabiti, esaminandole con lo stesso interesse anche le ali.

Con le gambe del divano le afferrò la coda, passandole tra i crini viola, finché lei per ribellarsi non la tirò verso di sé.

«Uhm, né è passato un po’ dall’ultima volta.» Disse, tornando a rivolgersi al suo viso. «Ricordo che ai miei tempi le Principesse erano molto più tenaci di così… » quindi la squadrò da capo a zoccoli  «e anche più alte.»

«Dì ai tuoi scagnozzi di liberarci subito, altrimenti… » cercò d’intimorirla, ma venne taciuta dal tubino azzurro, che la fustigò con il suo scialle segnandole una riga rosa sulla guancia.

«Twilight!» Gridò Spike, ma nessuno lo ascoltò.

«Altrimenti cosa? Userai l’Incantesimo Denaturalizzante su di me?» Continuò la Mimic.

L’alicorno la fissò duramente, cercando di non mostrarsi debole.

«Ebbene sì, so tutto delle vostre intenzioni!» Esclamò la gemma. «Volevate privarmi dei miei poteri per fare di me un accessorio d’alta moda, vi ho ascoltato mentre dormivo! L’incantesimo potrà anche avermi costretto in questa gabbia da oltre tre secoli, ma non mi ha intorpidito i sensi!»

Si spostò verso Spike. «Devo riconoscere che è stata una vera fortuna essere capitata tra le tue mani. Altri draghi non si sarebbero fatti remore a mandarmi giù in un boccone. Immagino di doverti un favore.»

«Avvicinati allora, così finiremo quello che abbiamo iniziato questo pomeriggio!» La sfidò mostrandole i denti.

La Mimic indietreggiò, come se quella minaccia l’avesse realmente intimorita.

«Tze-tze, abbassa la cresta piccolo drago.» Tornò a spadroneggiare. «Sappi che se non ho ancora ordinato ai miei fedeli di toglierti di mezzo è solo perché mi sento in dovere di esserti grata per avermi liberata dal mio sigillo!»

«Io non ho paura di te, fatti sotto!» Mentì a lei e a se stesso, anche se in realtà era terrorizzato, ma non glielo avrebbe mai fatto intendere.

I bordi dello scrigno si piegarono a formare un sorriso sprezzante. «Non temere, faremo i conti più tardi. Ora se permetti, ho altre formalità da sbrigare.»

Questa volta si spostò verso Pinkie Pie, la quale non aveva cessato neppure per un secondo di apparire gaia e vivace, con quello sfacciato cipiglio che non si sarebbe alterato neppure nel più cupo dei momenti.

«Vuoi condividere con me la tua allegria, piccola puledrina?» Le chiese, perché l’atteggiamento della pony le mise una profonda curiosità.

«Hehehe. Sei proprio buffa, lo sai? Mi fai morire dal ridere!»

Alcuni abiti si fissarono viceversa sbigottiti, e i prigionieri rimasero di sasso.

La Mimic, invece, non seppe esattamente in quale modo considerarla. «Stai cercando di prendermi in giro?» Le domandò.

«Assolutamente no, sono serissima! Ehi, ho avuto un’idea! Che ne dici se diventiamo amiche?»

«Pinkie, la vuoi piantare!!» Nitrì Twilight, a quel punto seccata.

«Ohh ma dai, è così divertente! Guardala, si muove tutta quando parla, e poi fa tutti quei suoni di ruggine!»

Twilight e Spike, se avessero potuto, si sarebbero sbattuti la fronte con una zampata decisa.

Parlando della Mimic, resasi conto che la pony, per quanto picchiatella, sembrava fare sul serio col suo buffo modo di parlare, decise di assecondare il suo atteggiamento gioviale.

«Sì, concordo con te cara. Rimanere chiusi per secoli, senza possibilità di muoversi e senza poter fare niente se non dormire, dormire, e soltanto dormire! Una Signora di nobili origini come le mie non dovrebbe subire un destino così infausto! Il muschio che comincia a intaccare il tuo scrigno, l’umidità che t’invade dall’interno e ti riempie di polveri tossiche; oltretutto credo di aver messo su un paio di carati da che sono bloccata! E poi la ruggine, oh quella è la cosa peggiore! Ascolta cara, ascolta…» fece l’azione di aprire e chiudere il coperchio del baule, per accentuare così il baccano prodotto dalle cerniere.

«Hahaha! Forse dovresti metterci un po’ di olio, come quello che ci rimane all’Angolo Zuccherino quando cuciniamo le frittelle! È davvero miracoloso!»

Il coperchio si richiuse per un’ultima volta, con un colpo deciso e minaccioso. «Già, forse dovrei.» Disse la gemma, ora molto seria. «Questi anni mi hanno privato di gran parte del mio splendido vigore. Avrò bisogno di molto impegno se voglio sperare di recuperare tutto il mio smalto.» Si girò verso Twilight. «Ma per fortuna, il fato ha voluto rendermi omaggio con un dono moolto speciale.»

«C-cosa vuoi dire?!» Farfugliò la Principessa, turbata da quell’enfasi.

«Ma non è evidente cara? Credevo che le alicorno trascorressero anni di studi e di sacrifici accademici per ereditare i loro poteri; non vi insegnano più niente prima di darvi la corona?»

Malgrado il suo sarcasmo, Twilight rimase in silenzio.

«Non rispondi? Ahh è proprio il caso di dirlo: “Questa gioventù bruciata di oggi”» La Mimic si voltò di spalle, in fondo non c’era niente di male a dare un po’ di teatralità al monologo. Tornò a fissarla, e stavolta quando parlò, la sua voce si fece più graffiante e mostruosa. «Intendo succhiare via tutto il potere dal tuo piccolo ed insignificante corpicino… »

“Oh no… Twilight…”

Avendo l’amica di fronte a sé e la gemma di fronte a lei, Spike non riusciva a intravedere quale fosse l’espressione che aveva assunto la Mimic in quel momento; poteva soltanto immaginarsela dalle terribili tonalità della sua voce. In compenso scorgeva meglio che bene l’alone spettrale tracciato negli occhi della pony.

“Hai combattuto contro Lord Tirek e l’hai sconfitto! Slega questi legacci, forza! Affrontala a viso aperto! Perché non reagisci?!”

«Certo mi sarei anche accontentata di un magro spuntino di unicorno per iniziare» proseguì la gemma, avvicinandosi di qualche passo «del resto è così che acquisii i miei primi poteri un tempo. Ma con la Magia di un alicorno potrò ambire a traguardi che la mia famiglia si sarebbe soltanto immaginata!» Si avvicinò ancora di più, ormai completamente estasiata dalla superbia. «Dominerò su tutta Equestria, e nessuno avrà più modo di sfidarmi!! Hahaha!!!»

L’animo di Twilight mutò d’incanto, e le linee del viso s’indurirono. Il suo corno prese a frizzare.

«Non così in fretta. Temo che dovrai aspettare ancora un bel po’!»

«Uh?» Anche la Mimic cambiò atteggiamento. Perplessa, prudente, non aveva più così tanta voglia di parlare, tantomeno di ridersela.

Allora Spike capì che se la sua amica non aveva perso la volontà di lottare, semplicemente stava aspettando il momento migliore per tenderle un’imboscata; quando cioè la Mimic si sarebbe trovata abbastanza vicina a lei, distratta dal soliloquio e certa del suo trionfo.

Un fascio di magia, di forma insolita e di colore celeste – si suppone potesse trattarsi dell’Incantesimo Denaturalizzante – partì come una saetta dalla punta del corno, mirando dritto all’interno dell’apertura dello scrigno; se avesse raggiunto il bersaglio sul quale l’alicorno aveva puntato, tutta quella strana situazione si sarebbe risolta in un istante.

Ma qualcuno mise i bastoni tra le ruote.

Un abito particolarmente agile guizzò tra fuoco e bersaglio prima che questi lo raggiungesse, ed incassò per la sua padrona il colpo che le era stato indirizzato.

L’abito – un completo invernale, formato da giacca, maglioncino e gonna lunghi – perse via via la propria vitalità partendo dal colletto per poi afflosciarsi a terra, come la cera di una candela che brucia a gran velocità.

«Bloccatela, SUBITO!!» Ringhiò la voce da dentro il baule.

Un manichino si avvicinò all’alicorno prima che questa potesse riprovarci, e le coprì il corno con una calza a righe orizzontali, nere e turchesi.

Quando Twilight tentò di lanciare un nuovo incantesimo, scoprì shockata che l’indumento le bloccava ogni genere di sortilegio.

Non sarebbe mai stato possibile, salvo che la Mimic non avesse deliberatamente alterato la natura della calza per assolvere quello scopo preciso.

Scostò il manichino e tornò a rivolgersi a lei, con perfidia. «Sei stata furba, te lo voglio concedere. Forse non sei così sempliciotta come ti reputavo. Beh tanto meglio così, per quando il tuo potere sarà parte di me!»

«Non te la caverai! Qualcuno un giorno verrà, e ti fermerà… PER SEMPRE!»

«Dissero la stessa cosa quando m’intrappolarono in questo bucolico bauletto, e guardami ora, le tue minacce mi spaventano quanto quelle di una mosca al ragno che l’ha agguantata! E a questo proposito…» ora si girò verso un gruppetto dei suoi serventi «portatemi gli inibitori di volontà, e fate alla svelta, per cortesia. Sto cominciando a perdere la pazienza con queste qui.»

“E ora che succede??” s’interrogò Spike, piegato dalla paura e dall’impotenza.

Gli inibitori di volontà, così come li aveva soprannominati la Mimic, altro non erano che una coppia di caschi asciugacapelli montati su una base a quattro ruote.

Rarity ne aveva molti di quei così, ma questi dovevano avere un’utilità di qualche ignoto tipo, altrimenti non si sarebbe spiegata la loro presenza negli spregevoli piani della gemma acquamarina.

Gli abiti portarono il primo dei caschi sopra la testa di Twilight e la costrinsero dentro mentre lei cercava inutilmente di rifiutarsi.

«No… n-non voglio… lasciatemi stare… lasciatemi!!» Ma per quanto lottasse, alla fine la forza del gruppo ebbe la meglio su di lei. Attraverso la visiera di plastica guardò in su, e poi intorno, per cercare di capire che ne sarebbe stato di lei.

«Non agitarti, piccola, finirai solamente per affaticarti di più.» La rassicurò la Mimic con un tono falso premuroso. «E poi ne soffrirei se quel limpido visino dovesse deturparsi per la tua ostinazione.»

«Che cosa le state facendo?!» Strillò Spike cercando inutilmente di liberarsi.

«È soltanto una precauzione per impedire che si faccia male. Non devi temere per la tua amica: una volta succhiatole il potere magico la liberemo e potrete tornarvene a casa.» Si avvicinò al suo orecchio per sussurrarle qualcosa. «Chissà come dev’essere amministrare un reame senza un’oncia di Magia!»

E finì con una risata melliflua.

Il casco fu acceso, e cominciò a emettere un fievole soffio.

Twilight e il drago si fissarono negli occhi mentre il tutto avveniva.

«Spike, ascoltami bene! Se veramente hai provato a mangiare la Mimic, forse ora le sue abilità sono… » ma non arrivò alla fine della frase, perché la testa cominciò a girarle.

«Smettila di blaterale! Comincio ad averne abbastanza delle tue lagne!» Esclamò la gemma, mentre il casco inibitore concludeva la sua opera.

Gli occhi dell’alicorno si spensero, e la palpebre si chiusero su di loro quando la pony perse definitivamente i sensi. Il viso le si piegò in avanti, sbattendo violentemente contro la visiera.

«Ohh la pace dei sensi! Serenità dello spirito che mi accoglie nel suo abbraccio! L’onnipotenza è un’arte che si coltiva nel silenzio. Non sei d’accordo con me, piccolo drago?» Si rivolse a lui la Mimic, inebriata e quasi in trance.

«Ehi, aspettate! E io?!»

Tutto si fermò, e i presenti si girarono verso chi aveva appena parlato: Pinkie Pie.

La Mimic si batté con una gamba sul bordo della federa «Già, che sciocca! Quasi mi dimenticavo di te!» E impartì l’ordine ai suoi schiavi di occuparsi anche di lei.

Allora gli abiti ripeterono sulla pony dal manto rosa le stesse procedure avute con la Principessa, ma incontrarono un grosso ostacolo quando si resero conto che la sua folta criniera di cotone occupava tutto lo spazio all’interno del casco.

Dopo diversi tentativi andati a vuoto, Pinkie cominciò ad averne abbastanza del loro maldestro impaccio.

«Uff ma devo proprio insegnarvi tutto?!» Si lamentò con voce stridula, e con una leggerezza che aveva dell’incredibile si sfilò gli zoccoli dai nodi che la teneva legata all’appendiabiti e atterrò con le zampe per terra. Mentre la Mimic seguiva le sue azioni “a bocca aperta” (il coperchio leggermente spalancato, come se volesse chiudersi ma non ci riuscisse), con i serventi che si lanciavano segni allarmati, lei si sistemò da sé i crini e regolò il casco alla giusta altezza. A quel punto balzò nuovamente sull’appendiabiti e gli zoccoli tornarono al loro posto, saldamente avviluppati allo spago da cucito.

«Ecco fatto, ora potete andare.» Disse infine da dentro il casco, con parte dei ciuffi che sporgevano dai margini inferiori e altri che le coprivano un occhio.

Gli abiti si scambiarono dei segni. Erano disorientati; qualcuno non era neppure sicuro se procedere o meno.

Alla fine l’inibitore fu acceso, e anche la Pony della Gioia venne indotta al sonno.

Solo allora il coperchio della Mimic si chiuse, e l’atmosfera tornò ad assumere l’aria semi-seria che c’era all’inizio. «Beh… l’importante è essere andati fino in fondo… » si voltò dall’altra parte « che dicevamo? Ah già: sembra che siamo rimasti solo noi due, piccolo drago. Ehm…» si fermò a riflettere «Spike, vero? È così che ti ha chiamato la tua amica?»

Lui aveva negli occhi un fiume di lacrime; la sofferenza per il fato in cui aveva trascinato se stesso e le ragazze. «La pagherai, Mimic!! Princess Celestia e Princess Luna…loro non ti lasceranno neanche uscire da qui!»

«Sì, sono certa che hai ragione.» Rispose lei, dandogli poco credito. «Adesso se me lo concedi, però, devo prepararmi per il mio grande ritorno. Se vuoi un mio consiglio, tieniti pronto: presto Equestria conoscerà la sua nuova sovrana!»

Chiamò con un cenno della gamba il tubino a capo della congrega di abiti. «Preparate la Principessa per il processo. La voglio su quella pedana laggiù quanto prima.» Il tubino annuì al suo ordine.

«E per quanto concerne il nostro piccolo ospite squamato… » gli rivolse un’occhiata spregevole «fatene quel che vi pare. Ma andateci cauti. Non dimenticatevi che è a lui che dobbiamo la nostra libertà!» Concluse il congedo e quindi si ritirò verso un angolo del laboratorio, con pochi fedeli al suo seguito.

Gli altri abiti, invece, obbedirono pedissequamente all’invito della loro sovrana.

In breve tempo Spike si ritrovò circondato da un folto guardaroba di vestiari stregati, aggressivi e – aveva buone ragioni per crederlo – assetati di sangue.

Chi poteva sapere quale infausto futuro lo avrebbe atteso se li avesse lasciati procedere? Ma soprattutto, quale futuro attendeva Twilight Sparkle e Pinkie Pie, ora che la Mimic aveva rivelato il suo folle obbiettivo?

Niente Magia significava niente Rainbow Powers, quindi nessuna difesa per Equestria. Di conseguenza, nessuna speranza di vittoria, non questa volta!

“E tutto questo soltanto perché avevo fame! Sì, ce l’ho proprio con te, stupido stomaco!! Possibile che continui a gorgogliare anche ora che la vita di tutti è appesa a un filo?! E non venirmi a dire che questa è paura! La conosco la mia paura! Questa non lo è!”

Ma non aveva tempo per bisticciare col suo apparato digerente.

Doveva liberarsi da quelle catene e trovare la maniera per fermare il nemico.

Soffiò un lieve getto di fiamma sullo spago che teneva legata la sua mano destra, quindi un’altra lingua di fuoco dalla parte opposta, che rilasciò anche l’altro braccio.

A quel punto il pandemonio si scatenò su tutto il laboratorio.

Spike sgusciò con i riflessi di un ghepardo oltre il primo assembramento di vestiti, rantolando faticosamente fino agli appendiabiti delle sue amiche prigioniere.

«Non statevene lì guardare! Catturatelo!!» Strillò la Mimic balzando in aria.

In men che non si dica il fuggitivo si ritrovò faccia a faccia con un trio di manichini che si atteggiavano a bulli della situazione.

Spike allora, presa coscienza che – almeno per il momento – non c’era modo di soccorrere le pony prigioniere, ripiegò la sua evasione verso l’unica direzione che in quel momento gli sembrava attuabile.

Afferrò il piedistallo di uno specchio girevole e lo rovesciò a terra verso gli assalitori, facendo di esso una tempesta di schegge. Mossa inutile, considerato il tipo di avversità chi gli stava alle costole, ma per lo meno gli diede la grinta di andare fino in fondo.

Il secondo in comando degli abiti, il tubino, cercò di accalappiarlo con il suo duttile scialle. Esso si avviluppò alla gamba del drago, facendolo cadere disteso lungo a terra; allora iniziò a tirarlo a sé, ma Spike fu più svelto, e riuscì a slegarsi dalla sua presa prima di essere soverchiato.

Imboccò l’uscita e sparì dalla loro vista.

«Idioti!! Straccioni buoni a nulla!! Come avete fatto a lasciarvelo sfuggire?!?»

Uno degli abiti scrollò le maniche delle spalle, imbarazzato.

«Come sarebbe a dire “Non lo sapevate”?!? È un drago, è naturale che sputi fuoco!!»

La veste mimò altri gesti, in risposta alla sua padrona.

«Grrr!! D’accordo, non ha importanza. Abbiamo ancora la Principessa con noi, il rito potrà comunque procedere!»

In testa al gruppo dei serventi, il tubino era in attesa di nuovi ordini.

«Tu, raduna un gruppo dei tuoi e andate a recuperare il drago! Non ha modo di andarsene, ma non possiamo permettergli di muoversi a zonzo per la casa facendo quello che gli pare!»

Il leader fece un segno di assenso, e cominciò a distribuire gli incarichi tra gli abiti e i manichini.

La Mimic si mise in disparte, confabulando qualcosa tra sé.

«Ho atteso fin troppo per permettere a quella piccola peste viola di rovinare i miei piani! Fuggi quanto ti pare, piccolo Spike, fuggi! Ma tanto non andrai da nessuna parte, perché entro stanotte io e te avremo… »


… chiuso. C’era da aspettarselo.

Né uno né l’altro battente dell’uscita volevano decidere ad aprirsi.

Come avessero fatto Twilight e Pinkie ad entrarvi prima, rientrava probabilmente nei contorti piani della gemma.

Spike sentì il rumore degli zoccoli farsi incombente, e decise quindi di nascondersi in uno dei camerini per la prova degli abiti.

Passò sotto le due antine in stile saloon dello stanzino e tirò il tendaggio magenta, sperando così di non essere scoperto.

Dal tessuto, lasciò aperto solo uno spiraglio; quanto bastava, cioè, per spiare il gruppo degli inseguitori che si faceva strada nell’atrio: erano un paio di manichini e un numero imprecisato di capi di vestiario, ma soprattutto il tubino decorato di lustrini, che capitanava tutti.

Esso fece gesto alla sua “truppa” di dividersi, per mettere a soqquadro la casa, in cerca del fuggiasco.

Il drago fu quindi costretto a rimanere bloccato lì, nella speranza che a nessuno saltasse l’idea di controllare proprio la sua cabina.

“Sembrava un compito così facile, vero Spike? In fondo si trattava soltanto di badare al negozio per un pomeriggio e una notte. Fare le pulizie, annaffiare le piante, nutrire quel dispotico esempio felino di Opalescence.

Unica raccomandazione: stare alla larga da quella gemma recapitata stamattina a casa Rarity; pena, il disastro! Tutto sommato: un giochetto da puledrini, eh Spike... EH?! E invece no! Vai a ficcanasare dove non dovresti! Vai a liberare una forza vecchia di secoli che vuole succhiare la Magia di Twilight e prendersi il controllo di Equestria! L’avessi almeno mangiata, quell’accidenti di gemma!!”

Un rumore lo mise in allerta; dopo un fugace controllo scoprì che si era trattato soltanto di un abito che aveva urtato contro qualcosa in corridoio.

“E ora che cavolo faccio?! Come le salvo?? Se torno di là quelli poi mi acciuffano ed è finita, se tento di uscire rischio di fare la stessa fine e inoltre abbandono Twilight e Pinkie… no, frena un secondo! Quella frase…”

Ripensò a cosa gli aveva detto l’amica in laboratorio:


- “Spike, ascoltami! Se veramente hai provato a mangiare la Mimic, forse ora le sue abilità sono… ” -


“Sono cosa?! Cambiate?! Diminuite?! Che cosa cercavi di dirmi Twily?!?”

Ripercorse a ritroso i fatti delle ultime ore:

Gli schiavi della Mimic li avevano catturati; dopo che le sue amiche erano state attirate in quella trappola; mentre lui fuggiva alla cieca presumibilmente seguito da due manichini… e prima?

“Un momento! ” Si ricordò di un’altra frase.


- “Erano conosciute e temute per il loro potere di trasformare qualunque cosa gli stava intorno in qualsiasi cosa desiderassero: trappole, armi, serventi, di tutto… ” -


Rievocò la scena del serpente di foulard, e del modo in cui lo aveva steso con una saetta ad alta tensione… scaturita senza logica apparente dalla doppia punta di un comunissimo forchettone da cucina!

Questo, dopo che lui aveva supplichevolmente desiderato di ottenere…


“Un’arma più potente… W-“ «WOW!!» Esclamò ad alta voce, tappandosi all’istante la bocca. Per poco non tradì la sua posizione.

Sbirciò attraverso la fessura del tendaggio: nessuno in vista, per ora.

Riprese da dove si era interrotto, e a quel punto tutti i nodi vennero al pettine:


- “Spike, ascoltami! Se veramente hai provato a mangiare la Mimic, forse ora le sue abilità sono… ” -


“…dentro di me?”

Poteva mai essere?

Aveva davvero ereditato il potere di plasmare la realtà a suo piacimento?

Ma se così fosse, la Mimic non avrebbe fatto l’impossibile per impedirgli di fuggire, magari sottoponendolo per primo al trattamento dei caschi inibitori?!

“No! Non se lei per prima non fosse al corrente di questa cosa! In fondo e stata lei stessa a dirmelo: sono il primo nella storia delle Mimic ad aver esitato a mangiarne una. Se anche in passato alcuni draghi avessero ereditato i loro poteri, non ci sarebbero di certo state testimonianze a ricordo degli effetti collaterali!”

Tra l’altro, la storia draconica era zeppa di voci su possenti e antichissimi draghi che nel corso della loro vita avevano accumulato ricchezze a dir poco spropositate, perfino per gli standard di razziatori del loro calibro, al punto che mentre se ne discuteva, non si risparmiavano aspri commenti sul fatto che durante i loro saccheggi fossero aiutati da forze magiche non meglio indicate.

E se quei poteri li avessero ereditati proprio dall’aver divorato una Mimic?

Tutto quadrava, e ora forse Spike aveva un modo per salvare le sue amiche. Ma se davvero voleva esserne sicuro, doveva prima portare a termine un test, e per questo aveva bisogno di uscire da lì.

Mentre pensava a come fare, decise di prendere due piccioni con una fava.

Poteva alterare le cose a suo piacimento, no? Quindi a rigor di logica anche la tenda che lo stava nascondendo.

Se una porta non voleva aprirsi, si disse, ne avrebbe “immaginata” un’altra lui!

Fece per afferrarla e quindi scostarla, quando ad’un tratto si arrestò.

No, aspetta! Com’è che funziona?! Apro la tenda e questa mi porta da un’altra parte? E di là che ci sarà?

Ma subito bocciò quel pensiero. Era inutile arrovellarsi il cervello, doveva provarci e basta, specie nella situazione in cui vessavano le sue compagne.

“Ok, farò così: penserò a un’altra stanza dove sono certo ci siano delle tende uguali a queste, e se ho ragione, verrò teletrasportato direttamente lì. Poi penserò a come muovere il prossimo passo!”

Posto così, aveva già la parvenza di “buon” piano, decise allora di tentare quella strada.

Inspirò profondamente per farsi coraggio, e ghermì con una presa degli artigli gli orli del tessuto. A quel punto pensò intensamente alla stanza in cui voleva trasferirsi e scostò con uno slancio deciso la tenda.

La attraversò, e immediatamente la via gli si aprì sulla camera da letto di Rarity!

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Capitolo 4
*** A Strange Weapon ***


4: A Strange Weapon


Saltellò sul posto un paio di volte, ebbro d’entusiasmo.

Sapeva di non potersi sbagliare quando credeva di aver intravisto un altro camerino nella stanza di Rarity. Aveva sentito da lei che qualche tempo prima ne aveva fatto installare uno nuovo per provare sul momento qualche abito in fase di sviluppo.

Lo stesso camerino Spike era certo di averlo notato la prima volta nel momento in cui era entrato per cercare Opal, sebbene non si fosse preso la briga di verificare con attenzione.

Fatto stava che l’intuizione era giusta, e che ora poteva prendersi un secondo di fiato mentre ragionava in tutta serenità sul modo migliore per salvare Twilight e Pinkie.

Scostando la tenda dello stanzino, era certo di piombare in una stanza vuota, dove i suoi nemici portati alla vita avevano abbandonato la loro naturale collocazione per prendere il posto nelle schiere della Mimic; immaginatevi quindi la sua sorpresa quando, riaperti gli occhi dopo lo schiamazzo iniziale e messo piede al di là della tenda, si rese conto di essere in realtà circondato da un congrega smisurata di abiti e manichini, che puntavano dritti la loro attenzione su di lui.

Il perché non li avesse notati fin da subito era da impuntarsi al fatto che era troppo abituato a concepirli come parte dell’arredamento, e non come una minaccia che potesse ledere severamente alla sua vita.

Fosse stato più prudente, sarebbe rientrato mogio, mogio e al sicuro all’interno dello stanzino, e avrebbe ritentato l’esperimento dirigendosi questa volta verso una via più sicura, invece…

Tentò lo stesso di tagliare la corda, ma prima di riuscirci, venne afferrato con violenza da un manichino ed estratto a forza dalla nicchia.

La creatura quadrupede lo lanciò contro un lato della stanza, facendolo urtare contro vari elementi dell’arredo mentre per terra si riversavano strumenti da sartoria dallo scopo più disparato.

Gemette di dolore quando alcune grucce appendiabiti di metallo – fredde e pungenti – gli caddero sulla testa costringendolo a riprendersi dalla confusione iniziale. Allora si rimise in piedi, indolenzito e con le orecchie che gli fischiavano come l’eco di un canto di sirena particolarmente stonato.

Vide che i posseduti gli si stavano stringendo intorno, con passo lento e risoluto, ormai certi che il draghetto non avesse altra via di scampo.

In quella situazione, se voleva uscirne illeso, capì di dover vendere care le proprie squame, e per farlo doveva servirsi dei suoi rinnovati poteri, che a questo punto nessuno poteva mettere in dubbio che avesse.

Ma la domanda che ancora lo affliggeva fu: come?

Si osservò intorno con la rapidità di un suricato che sorveglia il territorio, in cerca di qualsiasi elemento potesse adoperare per levarsi dai guai, ma più era alto il tempo che sacrificava nella ricerca, maggiore era il vantaggio che ai posseduti era concesso per avvicinarsi al rettile.

Impugnò la prima cosa che gli capitò a tiro – una spazzola per criniere – e senza pensarci due volte la lanciò con fare deciso verso un gruppo di completi che si stavano pericolosamente affacciando alla sua sinistra.

Quel che successe fu che l’utensile scostò il vestito ai bordi del tessuto, e la sua traiettoria terminò la corsa a ridosso dell’imponente baldacchino, lasciando Spike con un nulla di fatto e una minaccia ancora più incombente farsi via, via più vicina.

Cos’ho sbagliato?!” Si domandò ansiosamente, schiacciandosi con le spalle contro il muro. “Perché stavolta non ha funzionato?!

Si picchiò la testa per smuovere gli ingranaggi della ragione, e ad un tratto capì. “Fantasia, Spike! Usa l’immaginazione!”

Era vero! Che stupido era stato!

Ora, tutta la scena vissuta fino a quel momento si era svolta nell’arco di non più di una decina di secondi, e anche un solo istante di esitazione in più gli avrebbe costato la libertà (o peggio), quindi si affidò nuovamente al suo istinto, augurandosi che questa volta la sua prossima mossa avesse funzionato.

Prese in mano una delle grucce con cui la sua capoccia aveva da poco avuto uno spiacevole contatto ravvicinato e si stupì nel constatare la particolare forma che l’oggetto richiamava a sé, se concedeva alla sua mente il permesso di divagare nella creatività: quella sagoma triangolare, con l’apice ad uncino che si stringeva da un’estremità verso il centro, mentre una linea verticale (od orizzontale, a seconda di come la si guardava) univa i due vertici dalla parte opposta, gli ricordarono così tanto la forma di un arco che decise di stringerla tra le sue braccia nel medesimo modo cui avrebbe fatto con l’omonima arma.

I suoi assalitori nel frattempo avanzavano in barba ai suoi intenti, per nulla colpiti dagli ultimi sviluppi, e questo gli ricordò che oltre all’arco aveva bisogno anche di alcune frecce.

Ma la solita domanda tornò a punzecchiarlo: cosa?

Si guardò di nuovo intorno, col tempo che stringeva come una morsa sul suo spazio vitale, finché non incappò in un puntaspilli a forma di cuscino riverso sul pavimento che sembrava aspettare non altro che di prestargli soccorso.

Da esso Spike staccò un grosso ago appuntito che afferrò per la cruna, e che quindi portò al centro della sottile base metallica della gruccia, allineandolo con essa e tendendola (incredibilmente) con la stessa facilità che si sarebbe aspettato da una corda di arco.

Non era fondamentale quanto sensata fosse l’azione che stava compiendo, purché si convincesse che la stava compiendo nella maniera giusta. I poteri della Mimic avrebbero poi fatto il resto.

Quando dunque accettò la logica dell’azione, e rilasciò la corda permettendo così all’arco di proiettare la sua freccia dritto sul bersaglio che aveva di fronte, l’ago fluttuò nell’aria a gran velocità ricoperto da una sottile patina di aura magica, che gli conferì a tutti gli effetti l’aspetto di un dardo. Esso quindi si conficcò nel pieno petto di un manichino, che come privato improvvisamente della sua “essenza vitale”, si accasciò a terra tornando ad assumere le reali posizioni della sua forma d’origine.

Gli abiti e le altre figure equine a quel punto trasalirono, avendo finalmente compreso che il piccolo drago aveva scoperto come difendersi.

Spike si mosse più in fretta, stringendo in un unico pugno una manciata di spilli con una destrezza resa possibile soltanto dall’emozione; li lanciò uno dopo l’altro con la sua gruccia verso ciascuno dei posseduti attornianti, mirando nei punti in cui presumeva si sarebbero trovati i loro “organi vitali”, stendendoli in questo modo uno per volta senza dar loro il tempo di fare qualunque cosa, fino a che nella stanza non rimase altri in piedi al di fuori di lui.

Alla fine del contrattacco aveva calcolato tredici scocchi, che si erano conficcati nei corpi di tre manichini e almeno una decina tra capi d’abbigliamento e completi d’alta classe, che ora tornavano ad essere solamente un’esanime massa di tessuti, plastica e polistirolo.

Finalmente salvo, il drago si mosse con circospezione verso i corpi, tendendo la gruccia saldamente puntata contro di loro.

Ne calciò alcuni con il piede, non ricevendo alcuna risposta, e quindi si rilassò.

Era stanco e con il cuore in subbuglio. I polmoni che annaspavano in cerca di ossigeno.

Il suo primo pensiero al termine di quel bizzarro combattimento fu di cercare seduta stante un modo per andarsene da lì, quando un’obbiezione lo fece tornare con i piedi per terra.

“No! Twilight e Pinkie hanno ancora bisogno di me! Devo tirarle fuori in qualche modo!”

In fondo era lui il responsabile di tutto, aggiunse, ed era suo il dovere di rimediare.

Guardando con intensità la gruccia mentre la stringeva solidamente, ora capì di avere tra le mani sia il modo che i mezzi per farlo, e che altro non gli serviva se non di capire come congiungere le due cose.

Cominciò a rovistare in giro – sebbene la violazione degli spazi di Rarity lo rendesse titubante e restio – in cerca di qualsiasi strumento gli potesse tornare utile per l’operazione di salvataggio.

I cassetti in legno erano quasi tutti scoperti e svuotati, ma in qualcuno vi si trovava ancora delle cose, e da uno di essi Spike recuperò una piccola borsetta da viaggio con un’applicazione a forma di diamante sulla chiusura, che indossò a tracolla.

All’interno v’infilò di tutto, dagli oggetti più ovvi alle intuizioni più folli, provando ad immaginarsi i mille  possibili usi per ciascuno dei materiali che recuperava.

La stanza del caos organizzato di Rarity era sì stata una pessima scelta strategica per darsi alla fuga, visto il quantitativo spropositato di capi che la unicorno era solita stiparvi giorno dopo giorno, ma di contro, di tutto il negozio era anche il luogo migliore per rifornirsi dell’equipaggiamento che gli serviva per la missione.

Arraffato tutto l’occorrente (cioè quanto la capienza della borsetta gli aveva consentito; ormai non c’era più spazio neppure per infilarci una monetina), Spike prese al fine una matita per il trucco e si traccio due righe di nero sulle guance, per suggellare in tal modo che era pronto a dar battaglia al nemico.


In fondo alla rampa di scale per il piano terra la discesa era resa impraticabile dalla presenza di un abito femminile in canottiera a maniche corte e gonnellina, che faceva da palo dandogli le spalle.

Tentare di aggirare quel blocco avrebbe richiesto più tempo di quanto non ne avesse, e un tiro con l’arco da una tale distanza avrebbe certamente rischiato di concludersi a vuoto, gettando alle ortiche la sua speranza di un approccio pulito (dopotutto non era un tiratore professionista), spingendo così il posseduto a darsi alla fuga; Spike invece doveva agire d’astuzia, quanto più ne era in grado.

Per fortuna aveva una soluzione, a patto che il vestito non fosse abbastanza sveglio da accorgersi del tranello: nella camera di Rarity c’era un rotolo il cui colore era quasi della stessa sfumatura violetta del draghetto, quindi si mise la gruccia di sbieco sul collo e tornò indietro a recuperarlo.

Una volta tornato, lo fece rotolare bruscamente sui gradini, fissando con intensità il tessuto mentre questi si dispiegava; immaginò in tutta fretta di tuffarsi sulla superficie di un limpido mare tropicale, in cui avrebbe potuto liberamente sguazzarvi per scendere al livello inferiore.

Detto ciò, possiamo riassumere quanto successe nella seguente maniera:

Spike vi scomparve all’interno – letteralmente – dopo essersi accertato di avere portato con sé tutto l’occorrente.

Nel frattempo il rotolo arrivava al piano inferiore passando da sotto la gonna del vestito, che a quel punto sobbalzò allarmato. Esso di principio vide il cilindro di cartone disfarsi e fermarsi contro la parete, e quindi si voltò verso le scale in stato d’allerta.

Quando vide che in cima alla rampa non c’era nessuno, si prese la libertà di abbassare la guardia, e si mise a tastare con puerile curiosità il tessuto, ma fu proprio questa serenità, alla fine, a costargli il prezzo maggiore: due mani squamate emersero dalla tela afferrandolo per le pieghe della canottiera, mentre una lo tirava a sé e l’altra brandiva saldamente una lima per zoccoli (neppure così affilata, a voler essere onesti).

L’abito fu trascinato all’interno della stoffa, dentro la quale si tenne una breve ed imprecisata lotta dalla quale ne emerse solo Spike, affaticato ma trionfale.

Durante la zuffa aveva perduto la lima, ma in borsa aveva sufficiente materiale per sopperire a qualunque necessità futura.

Si scrollò di dosso alcune fibre di tessuto viola come fossero perline d’acqua e avanzò lungo il percorso una volta accertatosi che nessuno lo stesse osservando.


Proseguire nel corridoio gli causò non poca inquietudine.

Era lì che aveva avvistato l’insolito soprabito volante durante le prime ore della serata (e a questo proposito, chissà che ora si era fatta?), ed era sempre lì, in quello sgabuzzino laggiù, che aveva rinchiuso un’indemoniata Opal prima di comprendere la reale entità della situazione (e a questo proposito: era ancora là dentro? Stava bene? Non è che sentisse freddo?!)

“Oh, ma a chi accidenti importa?! Ho problemi più seri ora!”

Stretta tra le mani la gruccia, carica, tesa e pronta a scoccare alla prima avvisaglia di pericolo, mentre lui avanzava a passo felpato passando davanti allo sgabuzzino, udì distintamente i soffi isterici della gatta che strillava e grattava sulla porta dandogli per lo più la certezza che l’animale era ancora intrappolato all’interno.

Aveva completato metà del percorso quando gli parve di udire un eco di zoccoli rimbalzare lungo le pareti.

Immediatamente svoltò l’angolo, e trovò riparo proprio in prossimità di quel varco oltre il quale si celava il predatore dalla pelliccia bianca, il quale forse accortosi del suo arrivo, iniziò ad emettere lamenti e schiamazzi ancora più rintronanti.

«Insomma, vuoi startene un po’ zitta, stupida… » “gatta?!” Disse a sussurri, ma s’interruppe all’improvviso quando qualcuno imboccò il corridoio iniziando pericolosamente ad avvicinarsi.

Sporgendo la testa per sbirciare al di là, vide un altro di quegli inquietanti manichini seguito a ruota da un elegante completo, che lui riconobbe come uno di quelli facenti parte del guardaroba personale di Rarity: era giallo canarino con drappi che si schiarivano sull’estremità inferiore, una gemma levigata ad ovale sul colletto e un ampio cappello a larghe tese con rose e fiocco azzurro che levitava sostenuto al di sopra della veste, come sorretto da una qualche testa invisibile che lo indossava.

La gatta non si sarebbe quietata in nessun caso, e le due figure quasi sicuramente stavano intervenendo per indagare sul baccano, pertanto Spike era in trappola… salvo che non fosse stato lui primo ad attaccare la coppia.

Preso un altro spillo dalla borsetta, stringendolo tra il dito medio e l’anulare, mentre con il pollice e l’indice tendeva la gruccia, decise che avrebbe puntato per primo al manichino, essendo tra i due l’avversario più pericoloso. Così facendo, con la giusta distanza e un po’ di fortuna avrebbe superato incolume anche questo nuovo ostacolo.

Respirò a fondo e provò a rilassarsi. Le braccia gli dolevano ora come non mai, ma non era quello il momento per lasciarsi distrarre da futili lamentele.

Rimase in attesa che i posseduti avanzassero ancora di qualche metro, abbastanza da assicurarsi un tiro sicuro, e quando fu convinto della sua azione, uscì allo scoperto scoccando a bruciapelo il primo dei dardi.

Un istante dopo, tre metri più in là, una serie di spasmi e il manichino fu messo fuori gioco, centrato sul collo dall’ago, cui l’aura magica ora si spense.

Spike passò dunque il secondo ago tra le dita e lo lanciò verso l’abito, che invece di lasciarsi colpire, lo evitò con gran beffa compiendo un’agile mossa ondulatoria nell’aria.

Il drago non se l’aspettò, e per poco non ci rimise le squame quando l’avversario gli scagliò a sua volta il cappello, alla maniera di un frisbee.

Per scansarlo dovette sdraiarsi a terra, mentre il copricapo si piantava sull’angolo alle sue spalle come l’affilata lama di un disco rotante.

Mentre rivolgeva lo sguardo ad esso, con il cuore che si gonfiava a mille mila nel petto, il posseduto si defilò dalla direzione di provenienza andando probabilmente a richiamare i rinforzi, o peggio ancora, avvisare la Mimic della sua posizione.

“Tanti cari saluti all’approccio Stealth, congratulazioni Spike!” si rimproverò da sé intanto che si rialzava da terra.


«Piano con quello!… Muoviti con cautela!… sciocco, stai spargendo l’olio su tutto il pavimento!… No! Cautela ho detto!!»

A nulla valsero gli avvertimenti della gemma stregata: la latta di lubrificante che il manichino tentava di stringere con impaccio tra gli zoccoli anteriori, per oliare le cerniere dello scrigno vetusto, finì per scivolargli di zampa rovesciandosi il contenuto su tutto il lastricato.

La Mimic imprecò, affondando una gamba di divano sul suolo macchiato di grasso. «Inutili abomini! Ma perché non vi producono con le corna, perché?!»

Pensò allora di doversi rivolgere a un altro dei suoi serventi, una canotta bianca di candida seta: «tu, vieni qui! Prendi il suo posto!»

La veste sussultò esterrefatta: sebbene allietata dall’opportunità di accontentare la sua sovrana, il compito che le venne richiesto si rivelava impraticabile dal semplice fatto che essa in realtà NON possedeva le maniche, e quindi nessun modo per brandire la tanica.

«Come non detto, lascia perdere!» Grugnì avvilita. «Dovunque mi volto sono circondata da idioti!»

Poi aggiunse dell’altro sottovoce. «Quando me ne andrò, farò in modo di rifilarvi tutti ad un banco dei pegni! È una promessa!»

In quel momento la porta del laboratorio si spalancò ed entrarono in processione il tubino insieme ad una truppa dei restanti posseduti.

«Portami buone notizie almeno tu: dimmi che l’avete trovato e che ora si trova di là con voi!»

Sfortunatamente per lei, la risposta fu negativa.

La Mimic ruggì con un verso che era in parte di bestia e in parte di lamiera corrosa. «È possibile che di cinquanta individui non siate in grado di mettere insieme un solo cervello?!»

Il secondo in comando dei posseduti incassò la critica in devoto contegno.

«D’accordo. Andrà a finire che quando avrò i miei pieni poteri, lo cercherò da me.»

A un fianco della stanza, un trio di tuniche da cerimonia stava tracciando con delle penne d’oca alcuni simboli rituali, sopra una pedana rialzata sulla quale le due pony stavano dormendo nell’ignavia di ciò che le circondava.

«Voi, laggiù, quanto altro vi occorre per quelle rune?!»

Di questi, uno rivolse alla gemma dei gesti sgraziati, che si potevano tradurre parafrasandoli con: “manca ancora un po’ ”

«Siete più lenti a concludere voi che un giaccone invernale ad asciugarsi al coperto! Vedete di sbrigarvi, per cortesia!»

Chissà cosa avrebbero ribattuto le tuniche, se avessero avuto il dono della parola.

«E per quanto riguarda voi… » minacciò ora la schiera del tubino: «Tornate fuori e vedete di restarci! Non voglio rivedervi fino a quando il drago non sarà in manica vostra, e assicuratevi che rimanga legato, stavolta!»

La porta si spalancò di nuovo, e l’abito giallo fluttuò davanti a tutti con movenze scombinate, come se a sospingerlo vi fosse una violenta bora autunnale.

Oltrepassò con poco garbo anche il suo Generale in lustrini, e rivoltasi alla gemma acquamarina, prese a mimare gesti inconsulti davanti all’attenzione sgomenta dei presenti.

«Adagio, adagio! Che cosa è successo?» Chiese la Mimic nell’intento di capirlo.

Ma lui continuò, come se non avesse recepito la domanda.

«Un momento, vai con calma! Ripeti tutto dopo: “manica sollevata sinistra”.»

L’abito giallo allora sollevò e poi abbassò la manica, quindi ripeté – stavolta con più enfasi e meno clamore – le gestualità di ciò che tentava di comunicare; in sostanza: un sunto riassuntivo dell’incontro ravvicinato con il drago fuggiasco.

La Mimic annuì e mormorò, attendendo la fine.

«E così il piccolo Spike è pieno di sorprese, eh? Chi lo avrebbe immaginato. Il confronto si fa dunque interessante.»

Dietro la veste gialla, il tubino si stava sfregando le maniche con impazienza.

Lo guardò e gli disse semplicemente: «Sai cosa fare.» E lui confermò con un sicuro cenno di assenso.

Uscì dal laboratorio portandosi appresso i suoi, e la porta si richiuse da sé.

La frenesia nel laboratorio divenne totale: qualcuno che usciva per dare manforte ai serventi di fuori, qualcun altro che rientrava per adunarsi tra le guardie della Mimic.

E la sovrana al suo posto, superba e magnifica, sorrideva pregustandosi di già lo spettacolo imminente.

«Caro, piccolo eroe, la tua tenacia rende giustizia alla tua stoltezza, ma vedremo ora se i tuoi trucchi avranno la stessa efficacia sul campo aperto. Io nel frattempo me ne starò qui, e ti attenderò con pazienza… » la sua espressione si congelò in un ghigno tronfio ed aberrante, di cui si sarebbe potuto narrare per i secoli a venire «in fondo, sono abituata ad attendere.»


Si dice che il cuore dei rettili non riesca mai ad ossigenare ben bene il loro organismo, colpa forse della struttura del ventricolo che non ne garantisce una corretta areazione dei tessuti.

Poteva darsi che era questa la ragione dell’affanno che stava sentendo Spike, oppure, poteva trattarsi della più banale paura, che lo costringeva come in una gabbia gettandogli negli occhi flutti di confusione.

“Ho riposto troppa fiducia nelle mie capacità e nei poteri dalla Mimic?” Si chiedeva mentre avanzava. “Sono davvero pronto ad affrontare quello che mi attende dall’altra parte?”

La borsetta a tracolla gli provocava fitte sulla spalla, a metà tra un torcicollo e un crampo muscolare, e le dita costantemente strette sul filo della gruccia piangevano e lo supplicavano di lasciarle rilassare; e dove non bastavano i segnali del suo corpo, ci pensavano le emozioni, contrastanti, a persuaderlo di cedere.

Ma era ormai nel bel mezzo della partita, con premi e penalità troppo alti per decidere una strada diversa da quella che stava seguendo.

Davanti a sé poteva palesarsi la sua condanna oppure la redenzione, ma se si fosse rifiutato di avanzare, c’era un solo epilogo al quale avrebbe assistito.

E quindi si fece coraggio, tra sé e sé, mormorandosi frasi di conforto e sistemandosi alla bell’e meglio la borsa addosso; la gruccia allineata con il suo avambraccio.

Avanzò, oltrepassando quei pochi metri che separavano la codardia dalla dura realtà…


E lì li trovò, come se li sarebbe immaginati nel diorama più tetro del suo pessimismo.

Gli abiti, informati del suo arrivo, erano posizionati a macchie disorganizzate su tutto l’atrio, intervallati dai manichini che mai come adesso apparivano tutti così uguali e pallidi come spettri.

Vi vide, in quell’esercito, tutte le personalità che aveva incontrato nel corso di quella notte: gli abiti che avevano legato lui e le sue amiche, il Generale in lustrini blu armato di scialle, e con essi la stragrande maggioranza dell’intero guardaroba di Rarity.

Nessuno si mosse nel tempo intercorso durante quel momento, a parte un sospiro amareggiato di Spike, che con esso espirò tutto d’un fiato la nube venefica che componevano le sue ansie.

«D’accordo…» fece per innalzare la sua arma «se proprio dobbiamo combattere, così sia… »

Ma che successe all’improvviso?

Qualcosa lo afferrò da dietro! Qualcosa che le sue orecchie non avevano neppure captato, che la coda dell’occhio non aveva intravisto!

Il soprabito volante!

Le sue maniche si erano avvolte intorno alle sue braccia come le spire di un serpente. Lo sollevarono da terra, costringendolo ad abbandonare la sua preziosissima gruccia.

Lo condusse verso il centro della hall, in mezzo al più affollato assembramento dei posseduti.

Da questo Spike ne dedusse che non si sarebbe limitato a sganciarlo laggiù per poi lasciarlo alla mercé dei compagni; come in una rissa, esso lo avrebbe adagiato a terra trattenendolo, mentre gli altri si sarebbero divertiti con lui come meglio credevano, senza cedergli alcuna possibilità di difesa.

Sollevò allora il collo, cercando di rovesciarlo all’indietro quanto più gli era possibile, e sbuffò una timida fiammetta arancione sulla superficie interna del soprabito, sperando così di riuscire a bruciarlo. Ma non funzionò: troppo piccola era la vampata e molta la sua stanchezza, dopo una giornata trascorsa a pulire, ordinare… e scappare.

Sbracciando per liberarsi dalla presa dell’assalitore, si dondolò in tutte le direzioni fino a che non riuscì a liberarsi della manica destra, ed infilare rapidamente la mano all’interno della borsetta.

Ne venne fuori armato di una piastra per criniere, che sapeva benissimo come avrebbe utilizzato, avendone già pianificato lo scopo come di ciascuno degli strumenti contenuti in bisaccia.

Malgrado il cavo dell’alimentazione stesse penzolando inutilmente dall’estremità inferiore, al drago bastò immaginarsela accesa per far si che lo strumento si riscaldasse dall’interno. Rivolse allora la parte arroventata verso il tessuto, e lo sferzò impetuosamente brandendola come fosse una spada!

La piastra bruciò con la facilità di un panetto di burro l’estensione del soprabito, aprendo una linea obliqua che divise l’avversario in due parti, una delle quali utilizzò per paracadutarsi in sicurezza a livello del pavimento.

Quando atterrò, nell’atrio si accese un turbinio di caos. Non il tempo di un’esaltazione o di una qualche esclamazione ad effetto, che gli altri posseduti gli furono tutti addosso.

Spike brandì coraggiosamente la piastra, servendosene per affettare gli avversari ogni volta che tentavano di bloccarlo. Ma ero troppi, una legione inestinguibile dalle sue sole ed esigue forze.

Il puzzo di tessuto bruciato e il fumo gli colmarono il naso e gli occhi, facendoli lacrimare. Dopo un po’ poté già considerarsi fortunato se riusciva a respingere a malapena gli assalti più impetuosi.

Sprizzò del fuoco per allontanarli da sé, quindi rimise in borsa l’allisciacriniera, estraendo al suo posto il secondo dei tre oggetti più ingombranti dall’interno: un phon a batteria!

Lo accese, e puntando il bocchettone sul primo gruppo di avversari schiacciò la regolazione corrispondente al massimo grado d’intensità, investendoli tutti d’un poderoso gettito di plasma infiammato!

Il fascio termico si proiettò dalla strumento ed aprì buchi sugli aggressori, come fossero fogli di carta.

Spike ruotò poi su se stesso il phon di 360° gradi, e si aprì un varco nelle fila nemiche investendo i restanti con una spirale concentrica.

Questa mossa gli fece guadagnare qualche metro di vantaggio, ma non una rimonta, perché tanti erano gli abiti e i manichini che ancora erano sugli zoccoli, che le schiere dell’esercito si erano già rinfoltite di nuovi rimpiazzi.

Alcuni abiti corsero a spegnere le fiamme che stavano dipanandosi per tutta la stanza, e che rischiavano di dare fuoco all’intera abitazione, occupanti inclusi.

Da questo Spike fu costretto a convenire che un uso ulteriore del phon era da considerarsi fuori questione.

Corse a recuperare la gruccia, unica alternativa come arma a distanza rimastagli nell’inventario. Ma fu proprio allora che qualcosa gli piombò a pochi passi, scavando un alveare di piccoli fori asimmetrici nel bel mezzo del pavimento.

Alcuni abiti, più accorti degli altri sul netto vantaggio del drago sulle loro schiere, si erano muniti di scatole di applicazioni per cucito, bottoni e fibbie per cinturini, che ora stavano raccogliendo e lanciandogli contro a grappoli. Questi, per giunta, probabilmente alterati nella loro struttura per effetto della Magia, quando colpivano una qualunque superficie, agivano come le schegge di una bomba frammentaria, scavandovi in essa solchi profondi anche diversi centimetri.

Spike dovette sgambettare a zig zag come una gazzella per sfuggire alla pioggia di proiettili che gli stavano scaricando contro, e si rintanò rannicchiato dietro una pedana stringendo tra le mani la sua preziosa gruccia.

Parte dei frammenti riuscirono a beccarlo, causandogli dolori atroci sulla sua povera e ammaccata testa.

Si lanciò al contrattacco, rischiando di esporsi al fuoco nemico, e fu in grado di metterne al tappeto alcuni (principalmente manichini che cercavano di trottare verso di lui) scoccandogli addosso una manciata di dardi, ma per la maggior parte erano ancora tutti al loro posto. Anzi, nel giro di pochi secondi altri abiti si unirono ai lanciatori, portandosi appresso nuovo scatolame pieno di cianfrusaglie catapultabili.

“Così non va bene per niente, devo fare qualcosa!”

Per giunta la sua scorta di aghi stava andando esaurendosi.

Per avere una speranza di cavarsela, Spike dovette ricorrere ad una drastica soluzione, che fino all’ultimo si era augurato di poter evitare.

Le sue dita tastarono a fondo la borsa, estraendo stavolta una matassa e due rocchetti di filo da cucito.

Li srotolò uno ad uno di qualche centimetro, sperando di non sforare con le tempistiche, e quando ritenne di averne abbastanza, ne incendiò gli apici in simultanea con il suo fuoco lanciandoli alla cieca verso le postazioni nemiche.

Chiuse poi gli occhi e le orecchie, e si rannicchiò in posizione fetale aspettando che succedesse.


BOOOM!!

BOOOM!!

BOOOM!!


Tre esplosioni si susseguirono ad intervalli irregolari, accompagnati da crepitii di vetri infranti e mobilio che si sfasciava.

Il drago uscì allo scoperto, trovandosi nel bel mezzo di un pandemonio fatto di cocci di finestre, arredamento in macerie e stracci di abiti sparpagliati dovunque.

Il corridoio conservava ancora le sue quattro mura, ma ben poco del resto era rimasto integro.

“Ops… forse ho un po’ esagerato…”

Una testa mozzata di manichino poggiata diritta sulla sua base, lo fissava all’altezza del suolo con espressione piatta e monotona, ma dovunque fosse il resto del corpo, nessuno poteva dirlo.

“Rarity stavolta mi ammazza. Altro che Mimic…”

In quell’attimo, dal disordine scomposto dell’atrio, alcuni posseduti riemersero danneggiati, ma ancora frementi di vitalità. Non gli ci volle molto perché rinsavissero e tornassero alla carica del povero ed esaurito drago.

“Oh, ma andiamo!”

Spike ingaggiò lo scontro tranciandoli uno alla volta con la piastra per criniere, fino a che da un cumulo di stracci davanti ai suoi occhi non si materializzò la massima espressione del suo incubo peggiore, sottoforma di un acuto bagliore azzurro che oramai conosceva tanto bene quanto le sue unghie.

Rimasti da soli nell’atrio, Spike da una parte e il tubino di lustrini dall’altra, questi (che era sì un po’ bruciacchiato ma assolutamente in gran forma) prima lo accecò con i fulgori del suo decoro, poi utilizzò lo scialle per disarmarlo dalla piastra, che quindi getto lontano fuori dal campo di battaglia.

Infierì su di lui frustandolo con spietatezza, ogni qualvolta il drago non riusciva ad evitare una sua sferzata (ed erano molte, più di quante non riuscisse a scansarne; era così stanco che a malapena aveva le forze per provare dolore).

Dopo l’ennesima distrazione si ritrovò nuovamente disteso lungo a terra.

La sciarpa si avvolgeva sulle sue gambe e lo trascinava con sé, come un tentacolo di cefalopode verso il proprio becco.

Questa volta la stretta era fin troppo decisa perché bastasse scioglierla con le mani, e Spike non aveva alcun modo di liberarsi.

Ma un momento? Cos’era quella cosa sfavillante sulla quale i lustrini del completo si riflettevano nella maniera di un faro in una notte tempestosa? Bontà Celeste! Poteva forse trattarsi di…  ma sì! Erano senz’altro delle…

“… delle forbici!”

Non perdere tempo a pensarci, forza Spike, prendile e usale!

Quasi al cospetto – oramai – del diabolico tubino, il rettile estese il suo piccolo arto sulla direzione dell’utensile abbandonato e lo ghermì strenuamente, poiché dalla sua apparente insignificanza dipendevano le sorti di un intero regno.

Ma attenzione a questo: perché Spike non se ne servì nella maniera più ovvia, usandolo per dividere il cordone che lo univa al suo carceriere! Scelse invece di lanciarglielo contro, alla maniera di un tomahawk! No, aspettate! Non un tomahawk! Poiché essi non compiono quella volata a ferrò di cavallo quando vengono sferrati!

Se si volesse cercare una corrispondenza al moto ellittico che la forbice compì nel girare intorno alla stanza, quando poi tornò indietro conficcandosi sul dorso del vestito, allora quello fu proprio l’effetto che ci si sarebbe aspettato da un efficentissimo boomerang!

Ed era stata la sua scelta migliore, dato che a scagliarla nell’altro modo sicuramente il tubino avrebbe intercettato l’arma sul momento dell’arrivo e gli avrebbe così negato la sua unica possibilità di toglierlo di mezzo una volta per tutte.

Andò, invece, che il Generale delle truppe della gemma acquamarina fu colpito alle spalle da quell’abile lancio, e si spense di fronte a Spike accovacciandosi al suo cospetto, quando invece tale destino era serbato al drago.

Spike aveva vinto, o per meglio dire, aveva trionfato in quella battaglia, ma la sfida che lo attendeva nel laboratorio della boutique sarebbe stata ancora più temibile, ora che la Mimic era bene informata del suo valore.

Si ripulì di dosso la polvere e il lerciume incollatisi alle squame, cercando di non arrovellarsi per il putiferio indicibile che aveva provocato nella Hall dell’amica.

Le armi che si era perso per strada rientrarono al loro posto, e prima di proseguire, decise di fare tappa in una stanza adiacente, dove un conto in sospeso attendeva da diverse ore di essere saldato.


Cucina.

Aprì il frigo con una serietà nello sguardo che era quasi maestosa.

Il parfait di gemme che da tempo si era promesso di mangiare era lì, nella fedele raffigurazione del suo languorino più fastasticheggiante.

Prendere in mano la ciotola fu per lui come vivere un sogno, del quale però ne andavano deliziati anche l’olfatto e ben presto il gusto.

Spalancò le fauci così tanto che avrebbe potuto insinuarvi l’intero contenitore, fosse stato anch’esso scolpito nel diamante, e vi rovesciò dentro il contenuto gustandone appieno i sapori.

A questo rito dovette concedere solo pochi secondi, poiché altre faccende  richiedevano impellenti la sua attenzione, ma ciò non gli negò di distrarsi un po’, almeno per alcuni istanti, in quella deliziante consolazione.

Ingurgitò la cena con un filo di mestizia mentre gli scendeva in gola, e come atto finale adagiò il rubino intagliato a ciliegia sul palato, prendendo a succhiarlo come un lecca-lecca, nel frattanto che la sfida finale lo attendeva al di là, nel laboratorio principale.

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Capitolo 5
*** An Ordinary Epilogue ***


5: An Ordinary Epilogue


Entrò nella stanza con la sgradevole sensazione di avere gli occhi di tutti puntati addosso.

Due file parallele di manichini, disposti come a formare uno schieramento di Guardie Reali in una sala imperiale, culminavano lungo il finire della stanza con la Mimic ben adagiata sul suo trono, che attendeva l’arrivo del suo giovane ospite.

Sorrideva mostruosamente, curvando i bordi dello scrigno in un modo che dava a Spike più di un brivido di timore.

Tra gli abiti, chi non era uscito per affrontarlo in precedenza, ora attendeva in disparte il proprio momento, e un gruppo più corposo circondava la piattaforma sulla quale erano adagiate le due pony.

Vedere le sue amiche in quello stato pietoso gli provocò una lacerante fitta di dolore al cuore, e si ripromise, ora e per sempre, che mai al mondo avrebbe permesso alla gemma di adempiere al suo piano crudele con loro.

Avanzò con prudenza, seguendo il percorso che stavano delimitando i manichini; la gruccia-arco, pronta a colpire, gli dava un’illusoria sensazione di coraggio.

La Mimic lanciò un segnale a uno dei finti equini, e questo si spostò accanto al suo corpo-divano. Allora cominciò a battere ritmicamente gli zoccoli anteriori, completando quel gesto che i pony sono soliti fare quando devono applaudire a qualcosa.

«Ho combattuto contro i più potenti maghi unicorni di tutta Equestria.» Cominciò lei, ordinando di cessare i battiti. «Il fatto più divertente è che nessuno di loro era mai stato capace di sorprendermi. Persino nella sconfitta, già sapevo che nessuno sarebbe tornato a cercarmi. Ma tu, Spike, cucciolo di drago, che hai trovato il coraggio di fare ciò che invece gli altri avevano sempre evitato… mi sento quasi onorata di averti incontrato.»

Spike strinse tra i denti il rubino intagliato a ciliegia, guardandosi attentamente dall’abbassare la guardia verso i nemici attorno, ma contemporaneamente, cercando di imporsi la calma. Sapeva benissimo che se avesse attaccato per primo, probabilmente non gli avrebbero concesso uno spiraglio di fuga.

Spezzò il “dolcetto” in piccole parti, e lo mandò giù prima di decidersi a parlare. «Sono qui per riprendermi le mie amiche! Non m’importa di te o di quali siano le tue intenzioni!» Cercò di apparire posato.

«Le riavrai, come ti ho già detto. Il tempo di consacrare il mio ritorno e non avrò più ragioni per trattenervi.»

«E poi che farai? Invaderai il regno e ti prenderai tutta la Magia dei pony? No, grazie. Ci siamo già passati.»

Lei si mise a sogghignare con poca convinzione, come dopo una barzelletta di mediocre qualità.

«Se anche fosse, cosa ti aspetti di fare? Ti stai barcamenando in un’impresa che va oltre la tua portata. Alla fine, tutto il dispiego di energie che ti è costato sarà valso a niente, e finirai per fare del male soltanto a te stesso!»

Nel frattempo i manichini ruppero lo schieramento e si andarono a disporre alle spalle del drago. Lui se ne accorse, e li intimò di stargli alla larga sbuffandovi un arco di fuoco.

«I-io… non riesco a capirvi.» Balbettò guardandosi intorno.

La Mimic mugugnò perplessa.

«Voi “cattivi”, intendo… avete sempre tutto questo potere… potreste compiere imprese leggendarie se soltanto lo desideraste! Essere ricordati nei libri di storia per il vostro buon cuore! Ma allora perché scegliete sempre la strada del Male! Per quale motivo? L’odio? Il disprezzo? Perché sentite sempre il bisogno di distruggere ogni cosa?! Non potreste semplicemente per una volta, che ne so… amare?»

Tra i manichini si accese una muta discussione, e gli abiti gesticolarono.

La Mimic chiuse il coperchio, assumendo un atteggiamento serio, pensoso.

«Non hai tutti i torti, in effetti… » disse «… mi fai rammentare quella volta, quando la mia famiglia decise d’invadere il Regno del Grande Freddo… »

Spike non capì a quale regno si riferiva, ma di certo non poteva trattarsi dell’attuale Regno di Cristallo, perciò…

Oh! Non divaghiamo!

«… quattro delle mie sorelle vennero annientate… » continuò «distrutte dai Cavalieri dell’antico ordine dell’Armonia…»

Anche qui, il nome non lo rimandava a nulla che avesse presente.

«… bada, non è che non avessero un piano! Si erano infiltrate a corte come gioielli della corona Reale, e mirarono a conquistare l’impero attraverso il controllo sulle menti dei regnanti. Un piano perfetto sulla carta, ma commisero l’errore di farsi scoprire, e quando entrarono in campo i Cavalieri dell’Ordine, l’incantesimo denaturalizzante fece per loro il resto. Erano i primi anni dall’inizio delle persecuzioni delle Mimic, e quelle sciocche non avevano fatto altro che inasprire ulteriormente le tensioni tra i pony e la nostra razza. Il lato divertente è che credo siano ancora incollate a quella corona.»

Il drago ascoltava perplesso la storia della gemma. «Perché mi stai raccontando questo?»

«Noi obbediamo al nostro potere, piccolo Spike.» Rispose. «Manipoliamo e soggioghiamo la materia perché questo è ciò che la nostra natura ci impone di fare. Non provo odio verso i maghi unicorno che secoli fa mi hanno imprigionato in questo scrigno. In verità, non mi sento neppure animata da alcun sentimento di vendetta.»

La nota di rammarico nelle sue parole accese nel rettile una luce di speranza, ed era come se tutta la stanza brillasse un poco di più. «Vuol dire che hai cambiato idea? Non t’interessa più conquistarci?»

La Mimic voltò lo scrigno-testa da un lato, guardando verso un gruppetto di posseduti. «Sei coraggioso e anche saggio, piccolo eroe. Potresti essere un grande esponente della tua razza un giorno… »

Per la prima volta, la gruccia smise di puntare il bersaglio, e si rilassò.

«Peccato che non arriverai mai a vedere quel giorno.» Minacciò a bassa voce.

La gruccia si raddrizzò.

«Cosa?! M-ma… io pensavo che… »

«Non avere timore, mi ricorderò di te come di un’amabile distrazione lungo la scalata della mia ascesa. Ma ora, per cortesia, vedi di farti catturare, e non intralciarmi mai più!»

I posseduti presero a muoversi reagendo al cenno della loro padrona.

«Maledetta! Sei sleale, sei una vigliacca!»

«No! Sono una Mimic! Sono uno spirito maligno che abita il nucleo di una gemma stregata! Non ho bisogno di un corpo di carne che limiti la mia eternità, tantomeno di un cuore buono che m’imponga come comportarmi!» E concluse la frase con una risata isterica.

Di nuovo punto e a capo: i serventi si avventarono su Spike, obbligandolo a combattere per la vita.

Per un po’ si limitò a eludere i loro assalti, sgusciando sotto gli zoccoli dei manichini e allontanando gli abiti troppo audaci con incerti sbuffi di fuoco, che erano per lo più fumo; non poteva fermarsi a mettere a segno un colpo di freccia o estrarre un’altra arma.

Il suo corpo minuto, per lo meno, lo rendeva un bersaglio difficile da agguantare.

Tentò un ripiego verso la porta, e per poco non si tagliò la pianta del piede con i cocci dello specchio quando vi passò sopra, ma questo gli diede anche lo spunto per una nuova, disperata idea.

Curvò all’indietro e si diresse a tutta birra verso un altro specchio, che angolò sul supporto in modo che il riflesso puntasse verso il centro della stanza. Lì evitò di essere afferrato da una delle vesti cerimoniali, scoccando l’unico ago che tendeva sul filo della gruccia.

Allora si precipitò verso un altro specchio, ruotandolo allo stesso modo del primo, e ripetendo la medesima operazione con tutti gli altri sei attorno alla stanza, evitando ogni volta la cattura per il rotto della cuffia.

Da parte loro, la Mimic e i suoi schiavi stavano allentando l’impeto con il quale tentavano di bloccarlo, incapaci di visualizzare l’ignoto disegno che si stava tracciando nelle sue azioni.

Quando finì, non cercò la salvezza attraverso la ritirata, bensì, fece ritorno al centro della sala.

Aveva il fiatone e i nervi tesi come le corde di un violino, ma anche un sorriso che gli coloriva l’espressione.

«Ebbene, e con questo che hai dimostrato?» Gli domandò la Mimic, ancora dubbiosa.

Il sorriso gli si dilatò fino a spalancarsi. «Ma come? Non eri tu quella che non si sorprende mai? Tipico dei cattivi! Parlate e parlate, ma quando si tratta di agire, siete soltanto fumo e niente arrosto!»

«Pensi forse di incutermi timore con le frasi da repertorio? Io ho un’intera armata dalla mia parte, e tu? Quanti ancora pensi di riuscire ad abbatterne prima di esaurire tutte le frecce al tuo stupido arco?»

«Ed è qui che ti sbagli, mia cara!»

«Uhm?!» Mormorò la Mimic, inarcando la parte destra del coperchio. «Intendi fare il misterioso ancora per lungo?»

«Non ti preoccupare di questo, bella. Anzi, il meglio deve ancora arrivare!»

E schioccò le dita.

Fu allora che la gemma, spostando lo sguardo in direzione di uno degli specchi, ne comprese le reali intenzioni: i riflessi del drago proiettati all’interno delle lastre si animarono di vita propria, scostando quelli degli abiti che si frapponevano fra loro e il bordo esterno delle stesse, uscendo dal loro mondo a due dimensioni per entrare in quello dello Spike originale, al quale si unirono raggruppandosi al centro.

«Come la mettiamo adesso?» Chiese il drago originale, sghignazzando.

La Mimic digrignò la “bocca”, esitando un istante, per poi prorompere con tutta la potenza di un grido: «Attaccateli!! Fateli fuori tutti!!».

Strillò così forte che buona parte del suo esercito sobbalzò di paura.

«Forza, ragazzi! Facciamogli vedere chi siamo!! All’attacco!!» Incitò lo Spike originale, e le copie si dispersero avventandosi contro i serventi della gemma stregata.

Fu una battaglia senza esclusione di colpi, durante la quale i combattenti di una e dell’altra sponda cadevano e si rialzavano in continuazione sotto colpi di zoccoli, artigliate, morsi e strozzamenti che piovevano da ogni dove e che si avventavano su ogni cosa.

Dalla loro, i posseduti avevano i numeri nettamente superiori, ma i draghi avevano il fuoco, e se un posseduto cadeva ferito a morte dalle copie-Spike, questi ultimi, al contrario, parevano praticamente invincibili, incassando colpi su colpi e tornando in carreggiata come se niente fosse, con più grinta di prima.

«Non così!! Gli specchi, dovete distruggere gli specchi!!»

La Mimic trottò col suo corpo-divano verso uno dei supporti, e lì scagliò un colpo di gamba che finì per aprire una profonda spaccatura sulla superficie della lastra.

In quell’esatto momento, una delle copie-Spike si ruppe in mille frammenti, sfumando in una vampata di essenza magica.

«Avete visto?!? È così che dovete fare!! Fermateli prima che mandino tutto in malora!!»

Qualcuno colse il suo messaggio, e nei minuti seguenti il numero di specchi era già drasticamente diminuito, così come le copie di Spike.

Anche la fazione della Mimic aveva però subito delle perdite considerevoli: gran parte degli abiti erano stati stracciati o arsi “vivi”, e oramai solo i manichini proseguivano la lotta contro i cloni del drago.

La Mimic puntò di fretta verso un altro specchio, quando uno degli Spike tentò di balzarle addosso per coglierla di sorpresa.

Rovesciò il corpo-divano esattamente di novanta gradi facendosi leva su due gambe e sollevandosi per aria, evitando il suo assalto.

Tornata dritta, rimasero a fissarsi per qualche secondo, odiandosi reciprocamente e augurandosi l’un l’altro la disfatta, mentre intorno la battaglia infuriava senza dare segno di fermarsi.

Il drago la puntò con occhi feroci, mostrandole la dentatura aguzza e affilata; in mano teneva la gruccia tesa e in carica.

La gemma capì allora di trovarsi dinanzi allo Spike originale.

«Finiamola qui, Mimic! Questa follia è durata anche troppo!»

Lei quindi gli rise addosso, nel suo tipico modo di fare da cattiva esaltata. «Il buio ti rende cieco, piccolo! Io non ho neppure cominciato a mettermi in mostra per intero!» Come ulteriore sfregio, abbatté lo specchio che aveva adocchiato in precedenza, togliendo di mezzo un altro clone. «Prima di quanto immagini, striscerete ai miei piedi invocando il mio perdono! E io ve lo negherò col supplizio!! Patirete – ve lo prometto – nei fiumi che avrete riempito con le vostre lacrime, fino quando la vita non avrà deciso di abbandonare per sempre i vostri miseri corpi di carne e sangue!!»

Era impazzita, nel modo più assoluto, totalmente fuori controllo e smarrita nei dedali della sua stessa boria! Secoli d’isolamento l’avevano privata della pur minima traccia di coscienza, riducendola a una voce che vomitava calunnie ad un mondo che non le era mai appartenuto.

Ma era un mondo che bramava, e che desiderava conquistare per riscattarsi di una famiglia che l’aveva da sempre accentuata come l’elemento più debole del clan.

Una piccola gemma destinata al nulla, e che malgrado ciò, su tutti avrebbe prevalso.

Ma questo Spike non poteva saperlo. Non poteva comprendere la tristezza del suo passato e il dolore che aveva patito ogni volta che aveva appreso della scomparsa di un suo famigliare. Gli stessi che si burlavano di lei ad ogni piè sospinto, ricalcando la sua inferiorità, seppure lei li scongiurasse in ogni momento di darle retta.

Distratto dalle sue parole, Spike non si accorse che la Mimic aveva approfittato di quel momento per evadere dal laboratorio.

Fece per seguirla, ma un manichino gli sbarrò la strada frapponendosi fra lui e la porta.

Con una zoccolata, il sintetico era pronto a pestarlo, quando una copia-Spike intervenne da fuori montandogli in groppa e stringendolo per il collo.

Lo Spike originale approfittò di quel momento per piantare un nuovo dardo sulla fronte del posseduto, che si “spense” rimanendo immobile in quella postura.

«Grazie dell’aiuto!» Disse, battendo con il suo clone un cinque. «Teneteli a bada mentre sto via, che nessuno esca di qui!»

La copia taciturna annuì, lanciandosi immediatamente verso il prossimo bersaglio.

La Mimic corse, per quanto le esili gambe le consentivano, ma era ugualmente lenta, e presto Spike riuscì a raggiungerla.

Si trovarono nella Hall, a pochi metri dall’uscita della boutique.

Il drago frugò nella bisaccia, estraendovi il phon. Era il più pericoloso dei gadget che teneva con sé, ma nulla se messo a confronto con il pericolo di lasciarla uscire dal negozio; era un azzardo che andava corso per forza!

Chi poteva predire quali conseguenze avrebbe prodotto su Ponyville se le avesse concesso il tempo di raggiungere l’esterno!

Prese dunque la mira, augurandosi di centrarla al primo colpo, altrimenti avrebbe dovuto giustificare a Rarity l’ennesimo enorme crepaccio scavato sul pavimento della sua casa.

Deglutì quanto gli restava nella gola secca e trattenne il fiato per bilanciarsi, spingendo la sua concentrazione oltre il limite mai raggiunto, supplicando Luna e Celestia di essere caritatevoli con lui quella sera.


*SWISS!*

*CRASH!*


Il fascio di plasma troncò di netto uno dei piedi del divano, carbonizzandolo come sterpaglia, e lo scrigno fu scalzato via dal suo corpo, rimbalzando bruscamente per alcuni metri sulle piastrelle.

La Mimic finì scaraventata fuori dalla fodera, e Spike la poté udire mentre rantolava di dolore stramazzando.

Si avvicinò a lei, con attenzione. Nell’impatto, la cerniera arrugginita dello scrigno aveva definitivamente ceduto alle intemperie del tempo, ed ora il coperchio giaceva all’insù strappato dal resto del contenitore. Un po’ come la Mimic, che “smembrata” dal corpo, ora sembrava a tutti gli effetti una misera ed indifesa gemma acquamarina.

Spike si chinò per prenderla, ottimista e convinto di averla finalmente in pugno.

Ma che successe? La gemma si rianimò, emettendo una serie di gemiti doloranti!

Per un istante fu come se si girasse per esaminare il drago, quindi, cogliendolo impreparato, iniziò a rotolare in direzione del corridoio alla fine della hall (in questo, la sua forma ovale le semplificò di molto la fuga).

Spike fece per afferrarla con un salto, ma si rese conto, suo malgrado, che qualcosa gli stava tenendo bloccati i piedi: era lo stesso pavimento, che per volontà della Mimic stava agendo su di lui come una colla a presa rapida!

Vani si rivelarono i molti tentativi di staccarsi, e se la Mimic avesse trovato il modo di fuggire, altrettanto lo sarebbero stati tutti gli sforzi compiuti per fermarla!

Bloccato in una posizione che era tutta fuorché comoda, sfilò dalla spalla la sua leale gruccia e – neanche a farlo apposta – prese dal puntaspilli l’ultimo ago che gli era rimasto a disposizione.

Lo scocco fu preciso al millimetro, quasi come se la freccia seguisse un binario prestabilito dall’arciere, che collegava l’arco al suo bersaglio ultimo, infallibile nonostante le tante piccole variabili che avrebbero potuto alterarne la traiettoria. Ma quando, infine, l’ago arrivò al guscio lucente della fuggiasca nemica, esso ne venne sbalzato all’indietro come respinto da un campo di forza opponente, sussurrando un timido tintinnio prima di trovare quiete nel più completo silenzio a terra.

La Mimic si arrestò e si mise diritta, e voltandosi su di lui reagì come se aveva appena assistito all’azione più sconsiderata compiuta sulla Terra.

«Fai sul serio?!» Chiese per mezzo di una voce eterea che scaturiva dal nucleo della pietra. Aveva lo stesso timbro che dava suono alla bocca dello scrigno, ma senza i clangori del metallo ossidato che s’intercalavano alle parole. «Davvero pensavi che un banale spillo potesse intaccare il mio guscio?! Svegliati, sono una gemma! Sono fatta dei materiali più duri al mondo, hahaha!!»

Giusto! Era stato un ingenuo a illudersi che bastasse così poco per metterla K.O., stupido che non sei altro, Spike! Non sei riuscito a combinarne una giusta neanche stavolta! Twilight aveva ragione a dubitare di te!

Ah, se soltanto ci fosse stato qualcosa che avresti potuto fare per rimediare al tuo casino!

Come? Ce l’hai?! E cosa diavolo… oh, già!


Ebbene, ricordate quando vi era stato accennato che nella borsa vi erano contenuti tre oggetti ingombranti?

L’allisciacriniera (la lama) era stata la prima a essere rivelata. Il phon (l’arma da fuoco) la seconda. Ma come ogni buon cacciatore sa, per catturare la preda, a volte ci vuole anche… la rete.


«Una gemma, già.» Ripeté Spike, contemplando il pavimento. «E immagino che sei anche di ottima caratura… »

«La più sgargiante del vostro miserabile regno!» Rispose vanagloriosamente la Mimic.

Spike increspò leggermente le labbra.  «Quindi immagino che non ci siano problemi se per esempio ti mettessimo alla prova… » e lì estrasse il Terzo oggetto «… con questo!»

Si trattava di un utensile elettronico di forma rettangolare, lungo sui quindici centimetri, con una scocca nera che terminava con una punta a penna e un piccolo indicatore pieno di luci, che si estendevano per tutta la sua lunghezza: un tester di purezza per diamanti.

Per un attimo la Mimic passò dal suo splendido riflesso acquamarina e viola, ad una tonalità più opaca e smorta. «No! Non puoi farlo! Non osare!!»

«Oh sì invece! Coraggio, vieni da Papà, fatti esaminare!».

Quando lo attivò, il tester si mise in funzione, e un fascio di luci cominciò a salire attraverso l’indicatore a lato del dispositivo.

La Mimic tentò la fuga, sbraitando e lottando, ma fu trattenuta da un reticolo di filamenti di Magia che si avvolsero intorno a lei risucchiandola sempre più vicino a Spike, tagliando uno per uno i metri che li separavano dalla resa dei conti.

Il drago si sentì i piedi liberi di muoversi; la gemma doveva aver pensato che in questo modo avrebbe potuto svincolarsi più facilmente dalla cattura, ma ogni suo impeto non portò a nulla.

Alla fine, Spike la bloccò a terra con un piede, confutando il risultato del tester dopo che questi ebbe emesso alcuni bip.

«Come pensavo, sei solo bigiotteria da due soldi!» La schernì con orgoglio.

Sotto la pianta, lei si dibatteva ancora. «Credi di avermi battuto, povero illuso! Guardati in giro! Guarda dove sei!»

Guardò, e non si sa come, né quando, il corridoio si era affollato di nuovi serventi della Mimic.

Stavolta la gemma non aveva assunto il controllo solo degli abiti e dei manichini rimasti, ma anche di tutto l’arredo facente parte del negozio.

I robusti armadi e il solido tavolo in legno della cucina, in particolare, erano le entità che più di tutti gli dettero ragione di preoccuparsi, qualora avessero deciso di attaccarlo in gran massa.   

«Ho il controllo su tutta la casa!» Gridò la catturata. «Anzi, no! Io SONO la casa!! Qualsiasi cosa tu faccia non varrà NIENTE in confronto al mio potere!! NIENTE!! Hai perso, piccolo Spike!! Hahahah!! Oh, e scordati pure di rivedere le tue amiche salve!! Quando avremo concluso con te, le divorerò in un sol boccone, e di loro… non si saprà… più… NIENTE!!!»

Un altro “niente” e avrebbe dato di stomaco.

Oh, ma stai zitta un po’!”

Ad un certo punto decise di prenderla tra le mani, senza proferir parola…

«C-che vuoi fare?! Mettimi subito giù, è un ordine!!»

Ma poteva strillare quanto voleva.

Spike, senza tanti complimenti, se la infilò in bocca e la “divorò in un solo boccone!”

Masticò di fretta, sbriciolandola tra i denti prima che qualche servente prendesse l’iniziativa di entrare in azione.

Lo volete sapere? Era deliziosa, esattamente come gli era parso la prima volta. Sfortunatamente, però, il tempo per godersela gli era disdetto.

Trangugiò l’impasto di granuli e saliva e si rannicchiò per terra in posizione fetale, aspettando chissà quali ripercussioni dal mobilio furente.

Ma non accadde nulla.

O meglio, avvertì nello stomaco una sgradevole sensazione di fastidio simile al brontolio avvertito quel pomeriggio, ma nessuno che sembrava avere intenzioni ostili verso di lui.

La Hall era silente, quindi si azzardò a sollevare lo sguardo, accorgendosi che nulla, ma proprio nulla si muoveva più nei dintorni, da quando la Mimic aveva trovato nuova culla nel tiepido torpore del suo pancino.

Era finita per davvero stavolta. Distrutto il burattinaio, non c’era più nessuno a tendere i fili dei posseduti.

Gli abiti volanti e le folli bramosie di conquista della pietra erano ora solo un ricordo del passato. Dello Spike del passato.

“CI SONO RIUSCITO! DA SOLO!! HAHAHA, MITICO!!! COME LA METTIAMO ADESSO, TWILIGHT?? CHI E’ L’INAFFIDABILE?!?”

Poco importava se mentre esultava per tutta la stanza, urtava contro il disordine e i rimasugli della battaglia che aveva ingaggiato pocanzi.

“Aspetta un momento…” si ricordò in quel momento “Twilight!… Pinkie! O.O !! Devo andare da loro!!”


Le trovò sedute lì dove le aveva lasciate, con le teste che danzavano frastornate.

L’alicorno si massaggiava una tempia con uno zoccolo, mentre un gruppetto di stelline brillanti ruotavano intorno all’orbita della pony rosa.

«Ragazze, ditemi qualcosa! State bene?!» Chiese Spike, percuotendo la Principessa sul fianco.

«C-cred-o d-di s-s-sì.» rispose, scostandolo subito per riuscire a parlare. «Dov’è la Mimic adesso?»

«Distrutta per sempre! Ci ho pensato io!»

Twilight allargò gli occhi perplessa . «Tu? Non è possibile! Come ci sei… »

La interruppe subito e le fece un rapido resoconto di tutto ciò che aveva passato fino a quel momento, compresa l’abilità con la quale era riuscito a servirsi dei suoi poteri, e la drastica soluzione adottata alla fine.

Questo diede tempo alle due giumente di rimettersi in sesto sulle proprie zampe.

«Te la sei mangiata?!» Commentò la Principessa al termine. «Sei proprio incorreggibile, Spike!»

«Ma sono stato bravo, non è vero?» Sorrise squeettendo.

“Certamente!”, se si sorvolava sulla causa dell’incidente, ma questo Twilight scelse di non dirlo. Malgrado tutto, se l’era giostrata bene, anche senza il suo aiuto.

«Sì!» Si limitò a rispondergli con un dolce sospiro, sfregandosi la guancia contro la sua. «Ma adesso dobbiamo rimettere tutto in ordine prima che torni Rarity!»

«Sono d’accordo. Metà della sua casa è in fiamme, l’altra metà a pezzi… *gulp!*… non oso pensare a cosa sia peggio: una Mimic con manie di conquista... o Rarity inferocita!»

«Un modo lo troveremo, non disperare. La notte è ancora giovane.» Disse l’amica, mentre urtava accidentalmente un manichino privo di vita, che cadde spezzandosi a metà una zampa.

«*stragulp!*… Pinkie, non è che per caso possiedi un cannone in grado di riordinare le stanze in un attimo?» Chiese il drago, che a quel punto stava già considerando di compilare la lista delle sue ultime volontà.

«Oh, aspetta un po’ che controllo!» La pony cavò dal nulla il suo consueto party cannon, ma quando fece per sparare l’unica cosa che ottenne fu di riempiere il laboratorio di coriandoli, addobbi e festini, sconquassando ancora di più la stanza.

Con la medesima tranquillità, lo fece sparire tra le pieghe della sua ombra, rispondendogli poi: «No, mi dispiace, l’ho lasciato a casa!»

“*ultragulp*!”

Oramai al drago non gli rimaneva quasi più niente da deglutire.

«Lascia perdere, Spike. Ho io quello che ci vuole qui, stai a vedere… »

Twilight allora si cimentò in un nuovo tipo d’incantesimo: il manichino azzoppato fu riportato in posa eretta, issato da un sottile alone dell’incanto levitazione. La stanza poi si riempì di luce, costringendo i presenti a coprirsi gli occhi con quel che potevano. Quando tutto finì, l’assistente osservò che l’equino sintetico non solo era di nuovo integro, ma addirittura era tornato a posare sorretto dalla sua piantana.

Ma Twilight Sparkle non si limitò soltanto a quello! Lo stesso incantesimo lo ripeté anche ad alcuni stracci spappolati, da cui rivoli di fumo scaturivano dalle pieghe in disfacimento, e anche a uno degli specchi sfondati durante la rissa. Due forti espansioni di luce ed entrambi tornarono com’erano in origine.

Twilight si strofinò il sudore, e Spike ammirava il realizzarsi di quel miracolo con le lacrime che gli gonfiavano gli occhi. «È la cosa più bella che abbia mai visto… » disse commosso.

«Davvero pensavi che ti avrei lasciato badare al negozio senza prepararmi una contromisura?» Insinuò lei.

In effetti…


Riordinarono per buona parte della notte da soli, senza prendersi quasi mai un momento di riposo.

Pinkie aiutò Spike lì dove era richiesto spostare i mobili, e per ripulire da terra lo sconquasso (e la sua folta criniera, stile “panno elettrostatico”, era l’ideale per raccogliere la polvere anche negli angoli più impossibili), mentre Twilight aggiustava per mezzo della magia qualsiasi cosa fosse andata distrutta durante gli scontri.

Ma il lavoro si rivelò molto più arduo di quanto temessero.

Dopo tre ore di pulizie ininterrotte e neanche metà del lavoro concluso, votarono all’unanimità (a Pinkie sarebbe andata bene qualsiasi decisione, poiché in ogni caso si divertiva un mondo) di rivolgersi a un’agenzia specializzata in interventi domestici e incidenti casalinghi.

Gli unicorni in divisa blu che si presentarono alla Carousel Boutique un quarto d’ora più tardi presero il loro posto con il quintuplo dell’efficienza e un decimo del tempo, e con le medesime formule riuscirono ad aggiustare anche i più pesanti danni edili, restituendo al negozio il suo splendore naturale.

Al sorgere dell’alba, nessuno avrebbe sospettato che durante la notte, tra quelle mura ora linde ed intonse, si era combattuta una lotta senza quartiere contro una gemma con manie di grandezza e il suo esercito di leccazoccoli ambulanti.

Ogni manichino era ricostruito e riportato in stanza, ogni abito ricucito e riposto negli armadi, aghi e grucce recuperati e riappese.

Il conto delle ricostruzioni fu salato, ma Twilight deglutendo la bile si prese l’impegno di accollarsi tutta la spesa, fino all’ultima moneta.

Sapeva già quale punizione avrebbe inflitto a Spike per farsi sdebitare: presto altri libri si sarebbero aggiunti a quelli già stipati in biblioteca, e senza l’aiuto della sua magia, gli ci sarebbero voluti dei mesi per mettere in ordine ogni singolo volume nel giusto ripiano.

Mandati via gli unicorni delle pulizie, il trio passò in rassegna stanza per stanza, per verificare che fosse tutto in ordine.

«È perfetta!» Commentò Twilight trottando tra Spike e Pinkie Pie. «Sembra come nuova!»

«Ed è stato arci-super-spassoso! Vi andrebbe di rifarlo da capo?»

«Ahm… magari la settimana prossima, Pinkie.»

«Hmm, non saprei.» Disse il drago dubbioso «Qualcosa non mi torna. È come se mi stessi dimenticando… » poi si batté la fronte con il palmo della mano «Per Celestia, Opal!!» E corse via.


«Da quanto tempo è chiusa lì dentro?!» Domandò la Principessa, di fronte alla porta dello sgabuzzino.

«Ti dirò, è stata la prima cosa che ho incontrato stanotte quando tutto è cominciato… »

«Allora sarà furente, fai attenzione!» Si raccomandò, arretrando d’un passo insieme alla pony di terra.

Spike allungò la mano verso il pomello, girandolo con molta cautela.

Sì aprì un varco che dava ad un anfratto buio e nefando, e vide i segni dei graffi che ricoprivano non solo l’interno della porta ma anche per terra, dovunque la luce del giorno rifletteva con i suoi raggi solari.

Due occhi gialli, dalle pupille a taglio, strette e penetranti, si agganciarono a Spike da dietro un ripiano in alluminio.

«Opal… ehm… sono qui per farti uscire… » tartagliò Spike, stretto su di sé «scusami se ti ho chiuso qui dentro, io… n-non sapevo come altro fare… mi dispiace davvero, io … so che puoi capirmi, e so anche sicuramente mi hai già perdonato… in fondo… s-siamo amici… non è vero?» Per essere più convincente, allungò verso di lei anche il palmo della mano, con molta reticenza «…non è vero?»

Opal però non si fece incantare da quelle parole. In quell’istante riuscì soltanto a pensare a una cosa: VENDETTA!

Balzò fuori dallo stanzino gridando la sua collera con il sangue negli occhi, rovesciando dietro di sé un secchio e un paio di scope.

Anche Pinkie balzò, nel suo caso, in braccio a Twilight. «Ahh, aiuto!!! È ancora posseduta!!»

Ma Spike tenne a precisare. «No, non lo è. È soltanto affamata.»

Opal, infatti, dopo essere uscita, voltò il capo dall’altra parte, offesa col gruppo, e se ne andò in cucina, snobbandoli completamente.

Un’ora dopo.


«Com’è che si dice in questi casi? Tutto è bene quel che finisce bene?» Chiese Spike, mentre con Twilight si trovavano fuori dal negozio in attesa del ritorno di Rarity.

«Certo che hai una bella faccia tosta a parlare così dopo quello che hai combinato!»

«Ssì, mi sembra di ricordare qualcosa del genere.» Asserì, accucciandosi per raccogliere una foglia dal prato. «Ma guarda i lati positivi: la Mimic non c’è più e il negozio è tornato in ordine. Merito mio, modestamente, che sono riuscito da solo a salvare la situazione!»

«Oh, già, lode al grande guerriero!» Ruotò gli occhi «ma non dimenticare che una volta tornati a casa non esci da lì finché non avrai catalogato la biblioteca da capo a zoccoli!»

«Farò questo sforzo, che sarà mai? E poi, con questi poteri sono certo che finirò in un lampo… » lanciò la foglia verso la corteccia di un albero, dove si piantò come la lama di un coltello. «Centro!» Esultò alzando i pugni.

«Ho deciso, da oggi ci sarà un nuovo supereroe ad Equestria! Correrò tra i tetti di Manehattan! Salverò pony indifese dai vicoli malfamati! Avrò anche un’identità segreta… e tu, Twilight… » la puntò contro il dito «sarai la “mia assistente! Ti occuperai di relazioni pubbliche, parlerai coi giornalisti, e se per caso qualcuno dovesse andare vicino a svelare la mia identità, tu negherai tutto!»

«Oh, non vedo l’ora!» Finse entusiasmo, mentre si fece comparire alle spalle un arcano tomo d’incantesimi dimenticati.

«… ah! E dovrò chiedere a Rarity di prepararmi un costume su misura! La calzamaglia tutta colori col mantello rosso ormai è fuori moda, meglio uno oscuro trench da vigilante tenebroso. Già mi ci vedo! Mi chiamerò… Squama Nera! E probabilmente faranno di me anche dei fumetti, magari in collaborazione con i Power Ponies! Potrei prendere il posto di Humdrum e diventare la loro nuova spalla!»

«Hehe, guarda qui piuttosto, stupidone!»

Twilight attese che il draghetto si girasse e a quel punto gli toccò la fronte con il corno.

Un’irradiazione magica lo ricoprì sollevandolo temporaneamente da terra, e quando ricadde, a Spike fu sufficiente esaminare il pesante volume portato dall’alicorno per capire che cosa gli era successo.

«M-ma… perché?» Piagnucolò gettandosi sulle ginocchia.

«Pensaci, non ti ha insegnato niente quest’esperienza?»

Spike ci rimuginò sopra. «Beh… immagino che la lezione sia… “che certi poteri, specie se non si sa controllarli, è meglio perderli che trovarli…”»

«Sbagliato! “Non assaggiare le cose degli altri senza permesso”. Questa è lezione, non te lo dimenticare la prossima volta!»

La foglia impiantata sulla corteccia si ammosciò sotto il suo sguardo abbattuto. «Se lo dici te, Twilight… »

C’era di buono che per lo meno ora non si sentiva più lo stomaco sottosopra… anche se gli era tornato l’appetito.

Poco dopo, una batteria di zoccoli in avvicinamento cominciò a farsi udire dal sentiero che dall’aperta campagna si dispiegava su Ponyville.

Rarity si stava sporgendo dal vano sinistro del cocchio, e salutava la coppia di amici con aria radiosa.

«Yuhhuu!»

Scendendo dal mezzo, li accolse calorosamente tra le sue braccia, manifestando la sua gioia. Era al settimo cielo.

Scambiati i convenevoli, quando Twilight le chiese come fosse andata la presentazione, lei subito si accinse a rispondere:

«Oh amici, non potete immaginare! È stata davvero… com’è che direbbe Rainbow? DI.VI.NA!! I clienti sono rimasti estasiati dalla nuova linea e mi hanno richiesto ordinazioni per tutto l’anno che verrà!» Continuò ancora: «Ci pensate?! Grazie a questo forse riuscirò finalmente ad ampliare la mia attività, estendere il negozio!»

E qui Twilight e Spike si lanciarono un’occhiata furfante.

«Hehe-ehm… sono proprio contenta, Rarity. Te lo sei meritato!» Rispose l’alicorno, mettendosi indosso la più plateale faccia di bronzo che mai le si era visto fare da tempi immemori.

«Naturale, mon trésor, del resto quando una ha occhio per la bellezza!»

Agli stalloni chiese garbatamente di scaricare le sue valige, quindi tornò a dedicarsi a loro. «Amici, c’è qualcosa che non va? Vi vedo un po’ tesi? Opal vi ha creato problemi forse?»

Twilight e Spike si affrettarono a negare.

«E con la gemma com’è andata? Te ne sei occupata, Twilight?»

La Principessa s’irrigidì, come se un grosso calabrone le avesse appena punto il didietro. «Certo che sì, è lì in casa che ti aspetta!» Sorrise tanto forzosamente che le gengive iniziarono a dolerle. A Spike era invece tornato il brontolio alla pancia.

«Oh magnifico! Non vedo l’ora di mettermi al lavoro! Sarà l’abito più sensazionale della storia degli stilisti di Equestria!» Disse, non sospettando di nulla.

Il cocchio era ripartito, e la unicorno dal manto perla si stava avviando verso l’entrata della Carousel Boutique.

«Spikey tesoro, ti dispiacerebbe portare le mie valige in casa? Sai, lo farei io, ma sono troppo impaziente di ammirare la mia splendida pietra!»

«Oh… ehm, sì… nessun problema.» Bofonchiò il piccolo assistente, mentre la guardavano allontanarsi oltre la porta canticchiando.

«È FINITA, SONO UN DRAGO MORTO!!» Scattò per aria stropicciandosi le creste tra le mani.

«Che scema che sono stata!! Ero così impegnata con le pulizie che mi sono completamente scordata della Mimic!!»

«E ora che cosa si fa?! Dove mi nascondo?!»

«Tranquillo, Spike, una soluzione la troveremo, vedrai che… »

Sia il drago che la pony udirono distintamente la voce di Rarity chiedere a gran voce dove fosse.

«Ok, ho un piano… tu trattienila quanto più a lungo puoi… »

«E tu che farai invece?!»

«Mi cercherò una barca e salperò per l’oceano!»

In quel momento le fitte allo stomaco si fecero più acute, e un rigurgito convulso gli risalì lungo il gargarozzo espletandosi in un baritonale rutto: *BURP*, seguito da una fiammata verde e dalla comparsa di una pergamena di Celestia.

Ma non fu questo per lui una ragione per provare sollievo, perché insieme ad essa ne venne fuori, accidentalmente rigurgitata, anche una piccola, infinitesimale (ma cacchio se eloquente!) scheggia di Mimic, in cui erano inconfondibili sia la prevalenza dei riverberi acquamarina, che le sfumature violette.

«Mi potreste dire dove l’avete messa, ragazzi?» Arrivò Rarity, ripetendo la domanda, giusto in tempo per vedere Twilight prendere la pergamena e svanire alla loro vista teletrasportandosi via. «Mi sono appena ricordata che ho delle faccende importanti a castello, ci vediamo più tardi!» Annunciò, un momento prima di svignarsela.

«No, non mi lasciare solo con lei, Twilight!!»

Ma era inutile lamentarsi, perché Twilight era ormai bella che lontana.

«Che le è preso?» s’interrogò la unicorno, accorgendosi solo ora di avere pestato qualcosa con lo zoccolo.

«Ma questa è… »

Spike non seppe descrivere l’insieme di sensazioni che lo investirono in quel momento, né l’enorme massa di materiale indefinito che deglutì subito dopo.

«Rarity… t-ti giuro che… p-posso spiegarti tutto… perché non andiamo a-a fare c-colazione, t-t-ti va?»

Rarity osservò a lungo quella cosa per terra senza emettere verso...


«TORNA SUBITO QUI DELINQUENTE DA STRAPAZZO!! CRIMINALE!! MOSTRO!!» Gli corse dietro per tutto il villaggio.

«Ti prego, cerca di calmarti!! Non è come credi!!»

«VOLEVI LA COLAZIONE?!? VOLEVI MANGIARE?!? ECCO, TIENITI QUESTA, BON APPÉTIT!!» Preso con il corno un intero tavolo all’aperto di un bar, Rarity glielo scagliò contro completo di sedie, e se non fosse stato per la pratica appresa in combattimento durante la notte, quasi sicuramente l’avrebbe steso. Ma lui riuscì ad evitarlo, e al suo posto venne colpito un ignaro pony di terra dal manto verde che passava di lì solo per caso.

«Ma perché capitano tutte a me!! Che ho fatto di male per meritarmelo?!? Rivoglio i miei poteri!! Rivoglio la mia gruccia!! TWIIILIIIIGHT!!!»

E si rincorsero così a lungo, ancora per molte ore.

Secondo le leggende che si narrarono negli anni a seguire, Rarity ad un certo punto riuscì ad acciuffarlo, e preda della rabbia, chiese a Celestia di bandirlo per sempre sulla luna, dove da allora lui risiede, piangendo la fame che ancora oggi non trova sollievo.

Qualcuno, invece, tifando per lui, è pronto a giurare che alla fine raggiunse la costa, e imbarcandosi in fretta e furia per il grande mare, trascorse il resto dell’esistenza navigando sui flutti e scoprendo così nuove terre oltre l’orizzonte.

Altri invece, più razionali, sostengono che alla fine l’equivoco si sia chiarito, e che il piccolo Spike trascorse il resto dell’anno a riordinare la biblioteca del Castello dell’Amicizia, col divieto assoluto di rivolgere la parola alla pony bianco-perla fino a data da destinarsi.

A detta di lui, questa fu la peggiore punizione che avessero mai potuto infliggergli.


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THE HAPPY ENDING

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