Maternità/Paternità

di ellephedre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Minako (al settimo giorno) ***
Capitolo 2: *** Ami e Rei (prima della nascita) ***
Capitolo 3: *** Ami (a due mesi) ***
Capitolo 4: *** Yuichiro e Rei (alla nascita di Iria) ***
Capitolo 5: *** Usagi e Mamoru babysitter con Adam (cinque mesi) ***
Capitolo 6: *** Yuichiro e Iria (con Rei, ai cinque mesi di Iria) ***
Capitolo 7: *** Iria VS Adam (lei cinque mesi, lui otto) ***
Capitolo 8: *** Adam, Ami e Alexander (agli otto mesi di Adam). ***
Capitolo 9: *** Alexander e Gen (con Adam) ***
Capitolo 10: *** Minako (durante la gravidanza, settimo mese) ***
Capitolo 11: *** Makoto e Gen (nelle ultime settimane di gravidanza) ***
Capitolo 12: *** Mamoru con Chibiusa (due mesi) ***
Capitolo 13: *** Usagi e Mamoru (al sesto mese di Chibiusa) ***
Capitolo 14: *** Adam, sei anni, con la sua famiglia ***
Capitolo 15: *** SPOILER, Akiko e Shin (quattro anni) ***
Capitolo 16: *** 16 - Iria e Adam giocano (lei 6 mesi, lui 9) ***
Capitolo 17: *** Adam di notte (3/4 mesi) ***
Capitolo 18: *** 18 - GEN BABYSITTER (per Adam, 1 anno, e Iria, 8 mesi) ***
Capitolo 19: *** Profetessa (Iria, 7 mesi) ***
Capitolo 20: *** 20 - Nato per essere padre (Iria, 2 mesi) ***
Capitolo 21: *** Rei e l'istinto materno (sette mesi) ***
Capitolo 22: *** Halloween (Adam, 1 mese - Rei incinta di otto mesi) ***
Capitolo 23: *** San Valentino (Iria, due mesi, e Rei madre stressata) ***



Capitolo 1
*** Minako (al settimo giorno) ***


Maternità 1

 

Maternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


  

1 - Minako (al settimo giorno)

  

 

Era una sensazione strana.

Dopo sette giorni a volte le sembrava ancora di prendersi cura di un giocattolo prezioso, rarissimo, inquietante nella sua meraviglia.

Aveva visto il suo volto nella pancia, lo aveva sentito muoversi dentro di lei. Lo aveva visto uscire dal proprio corpo. Al primo contatto con lui si era sentita immensa, completa. Aveva dato un nome al suo bambino, ma ogni tanto lo guardava e aveva voglia di chiedergli, 'Sono io la tua mamma?'

Sei davvero mio, è di me che hai bisogno?

Si sentiva troppo piccola per tutto ciò che meritava l'essere magnifico che teneva tra le braccia. Lui prendeva da lei senza preoccupazioni, come in quel momento, con le sue minuscole labbra che si chiudevano forte attorno al suo capezzolo, succhiando per nutrirsi.

Lei gli teneva la mano chiusa nel pugno, con delicatezza, e quando sentiva le sue dita muoversi si allarmava e gioiva.

Hai bisogno di qualcos'altro? Saprò dartelo?

Non posso credere che tu sia qui.

Sentì che lui smetteva di succhiare e lo staccò dal seno, spostandolo con entrambe le mani. Aveva imparato a maneggiarlo e a rivestirsi; in qualcosa stava diventando brava.

Mentre si ricomponeva e puliva il latte dal seno, lui non fece quasi nulla. Nella penombra la guardò, si guardò attorno. Inerme, aspettava che la vita gli capitasse, o che lei decidesse cosa ne sarebbe stato di tutte le sue giornate.

«Che responsabilità...»

Sorrise. Quando gli parlava si sentiva meglio, le sembrava di comunicare con lui. Il suo piccolo la guardava quando sentiva il suono della sua voce.

«Facciamo una cosa?»

Allungò un braccio di lato e accese una piccola lampada. La luce tenue illuminò la parete accanto a loro.

«Non ti dà fastidio?» mormorò. Hermes la guardò ancora e lei studiò di nuovo il suo viso. Cambiava ogni giorno. Quella mattina c'era qualcosa di nuovo: le labbra sembravano meno paffute.

In aria disegnò la loro forma con un dito, per fissarla meglio nella mente.

Oh. Ora le vedeva meglio, le riconosceva. Quella bocca non era sua.

«Hai capito?» Avvicinò la fronte a quella di lui, ammirando i suoi occhi grigi. «Non è vero che somigli in tutto a mamma.»

Le pupille del suo bambino erano larghe. La stava ascoltando.

«A me non sembra nemmeno che queste siano le mie sopracciglia.» Quelle di lui erano chiare, ma lei non le aveva così grandi. «Sono bellissime. Quando sarai grande ti staranno molto bene.»

Tutti dicevano che Hermes aveva i suoi occhi. Il colore era ancora indefinito, ma il taglio - sembrava - era il suo. Lei non lo riconosceva: era difficile vedersi in un'altra persona. Ma da Usagi a Makoto, tutti i suoi amici dicevano che suo figlio aveva la sua faccia.

Il legame era straordinario, perché quando lei guardava il suo bambino vedeva solo... un'altra persona. Una persona nuova, diversa, unica, capace di reazioni che la sorprendevano, benché avesse imparato a rispondervi nella maniera giusta.

Il modo in cui lui piangeva era tenero e angustiante. Non era un pianto disperato e acuto - 'completamente diverso da Arimi', aveva detto Shun - ma una specie di miagolio sofferente che chiedeva attenzione.

Hermes la stava ancora guardando, sereno nelle sue certezze.

Minako lo portò al petto. «Io so solo che tu hai un odore buonissimo. E che ti voglio bene da morire.»

Proverò a non sbagliare, lo prometto.

Anche se, con ogni giorno che passava, le sembrava che comparisse una nuova cosa che non sapeva fare, un nuovo problema da affrontare.

«Ehi.»

Sollevò gli occhi. Shun era entrato nella stanza, camminando piano.

«Un'altra poppata?»

Minako annuì. Cominciò a massaggiare la schiena del loro bambino, per spingerlo a buttare fuori l'aria.

Shun si sedette nella poltrona davanti a lei. Sbadigliò, una mano davanti alla bocca.

«Va' a dormire» gli disse lei. Non era necessario che stessero alzati in due.

Lui meditò sul proprio sonno per qualche secondo, le palpebre gonfie. Le agitò. «No. Quante volte si è svegliato questa notte?»

«Due.»

«Questa è la terza.»

Non fu proprio una domanda, e il tono fu gentile, ma suonò come un'accusa, a lei o ad Hermes. Minako lo strinse più forte a sé, solo un pochino.

«Sei stanca.»

Oh, sì. Una parte di lei voleva gettarsi tra le braccia di Shun per dormire in eterno e chiedergli di sistemare tutto. Ma un'altra parte di lei - quella che era diventata madre - sapeva che non poteva farlo. Aveva delle responsabilità ora.

«Oggi possiamo provare con quel tiralatte» suggerì  Shun. «O col latte in polvere.»

«Non preoccuparti.»

«Hermes-chan si preoccupa. Vede che la sua mamma è stanca.»

Minako immaginò quelle parole in bocca al loro bambino e suo malgrado sorrise.

Shun allungò le braccia, chiedendole di passarglielo.

La invase un senso di inquietudine così sciocco e strano che seppe di doverlo combattere subito, perché non mettesse radici in lei. Diede suo figlio al padre. Guardandoli insieme si sentì subito più calma, priva di forze, come se avesse appena smesso di sostenere da sola un'enorme peso.

Hermes non lo era, ma... «Non mi sentivo così.»

«Hm?»

«Durante la gravidanza.» L'aveva vissuta come se fosse una divertente gita, una fase della sua esistenza completamente priva di preoccupazioni.

Shun stava massaggiando la schiena al loro bambino, un po' più forte di lei, con maestria. Nelle sue braccia Hermes le sembrò al sicuro, quasi più che con lei. Shun sapeva come crescere un neonato.

«Così come?» le chiese lui.

«In ansia.» Finché non era nato suo figlio aveva creduto di saper fare la mamma, solo perché da qualche mese faceva da madre a una bambina già grande, che camminava, mangiava da sola e si sceglieva persino i vestitini da indossare per l'asilo.

«Be', io non ero incinta.»

La frase di Shun la fece ridere.

«Ma sono stato in ansia anche io, qualche settimana dopo aver preso Arimi. È successo quando mi sono reso conto che sarebbe rimasta per sempre con me.»

Che cosa lo aveva fatto preoccupare?

«È solo...» Shun spostò Hermes, per guardarlo in faccia. «È la sensazione di avere potere assoluto su un'altra persona. Così che se sbagli, la colpa sarà solo tua e sai che non potresti mai perdonarti un errore.»

Shun appoggiò il loro bambino sulle ginocchia.

«Ma lui ha due persone, no? Non sbaglieremo in due, Minako.» Le prese la mano. «Comunque, tu te la caveresti da sola e io me la sono cavata da solo. Fai questi pensieri cupi solo perché sei stanca.»

Non abbastanza da sentire che era il momento per lei di dormire.

«Prova a mettere la testa sul materasso. Crollerai.»

«È mattina. Ormai posso restare sveglia.»

«Da che mondo è mondo, se uno può, dorme almeno fino alle otto.»

Già. Quella mattina erano appena le sei e un quarto.

Guardò di nuovo Hermes, che Shun aveva riappoggiato contro una spalla.

Lui si avvicinò, fino a permetterle di posare la guancia contro la nuca del loro bambino.

«Ti sembra che te lo stia rubando?» sorrise Shun.

Minako strofinò il viso contro la massa di sottili capelli biondi. «No. Mi sembra di rubare me stessa a lui.»

«È così pretenzioso?» Shun cercò gli occhi di Hermes. «Sei così pretenzioso? No, non è vero? Mamma è anche di papà, e di Arimi-chan...»

Oh. È vero, aveva promesso alla piccola che l'avrebbe portata lei a scuola quel giorno. Stavano cercando di farle capire che la sua vita non era cambiata, che lei era ancora importante.

Si sentiva uno straccio. E non sapeva se voleva uscire di casa senza Hermes. Naturalmente poteva portarlo con sé, ma se lo faceva doveva prepararlo, magari fargli un bagnetto, vestirlo bene...

Emise un lamento e nascose la faccia contro la spalla libera di Shun.

Lui le baciò la testa. «Dormi. Dopo sarà tutto come nuovo.»

«Veramente?» Non ci credeva.

«Veramente. Tutte le volte che mi hai dato fiducia, non ho sempre avuto ragione?»

... in effetti...

«Quindi, anche questa volta, lascia fare a me. Ho poteri sovrannaturali, non ricordi?»

Sì, lo avevano scoperto.

Lui scosse la testa. «Non quelli. Sono un super-papà. Se ti addormenti per ventiquattro ore di fila al tuo risveglio trovi lui splendente e sfamato e Arimi che ti fa un balletto nuovo di felicità. Poi sarò distrutto e te li mollerò entrambi, ma nel frattempo...»

Minako rise e tentò un passo verso la porta.

Shun diede un bacio alla guancia di Hermes. «Qui va tutto bene. Vedi? Si sta addormentando.»

Li smentì l'emissione di un suono importante dal corpo del loro piccolo.

Il ruttino era andato.

«Ora si addormenta» sorrise Shun. «Notte.»

Lei si allontanò di un paio di metri. «Se piange troppo svegliami.»

«Va bene.»

«Porto io Arimi all'asilo.»

«Lo so. Ma ora mettiti a letto e sogna cuscini di piuma d'oca e morbidi materassi.»

Il sorriso che le suscitò lui fu come una carezza verso il sonno. Camminò, allontanandosi.

Si fermò fuori dalla stanza.

Shun prese una manina di Hermes e la agitò piano.

Ciao ciao.

Minako si decise ad andare.

Perché non era rimasta capace di giocare come Shun? Perché non era più serena e meno stanca?

Sbadigliò, prendendo così tanta aria che dovette piegarsi in due per immagazzinarne abbastanza.

Tornata nella loro camera, si abbandonò sul letto a due piazze scompostamente, in orizzontale.

Del cuscino non le importò.

Di bello in quel letto c'era... l'odore, la sicurezza.

La calma.

Hermes sta bene, Arimi anche.

Dormi dormi, come se fossi tu una bambina.

Non lo era, ma... non era l'unica mamma in quella casa.

Sorrise, pensando a come riferire la battuta a Shun e...

si addormentò.

 

 

FINE

 

 


 

 

NdA: questa cosa ho dovuto scriverla perché dovevo scriverla :D Come ho sentito dire a una mia lettrice su Facebook, ero piena di 'feels' materni che dovevo mettere su file e quindi eccovi questa storia.

Ho deciso di farne una raccolta perché potrei tornare di umore simile in futuro e magari scrivo qualcosa sull'argomento anche per qualcun altro. Quindi, ecco la raccolta sfogo per questi casi :D

 

Ehm, spero che vi sia piaciuta.

 

Elle

 

P.S. Ho aperto un gruppo Facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Ami e Rei (prima della nascita) ***


Maternità 3

 

Maternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

3 - Ami e Rei (prima della nascita)

 

 

«Grazie per essere venute a casa mia, ragazze.»

«Andiamo!» Rei si sporse sul tavolo per guardare Ami negli occhi. «Non potevamo farti salire le scale del tempio nelle tue condizioni.»

«Esatto» le fece eco Makoto, tornando dalla cucina con una carraffa di tè freddo. Usagi mandò avanti il suo bicchiere e Rei la guardò male. Incurante, Usagi le fece una piccola linguaccia e, appena ebbe il bicchiere riempito, lo passò ad Ami.

«Grazie.» Ami si reclinò sulla sedia, spostando sulla schiena il peso della grossa pancia rotonda.

Rei strinse inconsciamente il proprio ventre. A trentasette settimane di gravidanza Ami era radiosa, ma anche enorme. Con le sue diciotto settimane appena compiute, Rei la guardava e vedeva il suo prossimo futuro in tutta la sua temibile realtà.

Appena ebbe il tè nel bicchiere, lo mandò giù in un colpo solo.

Accorgendosi della sua attenzione, Ami sollevò un sopracciglio. «Sì» dichiarò. «Forse diventerai anche tu una mongolfiera.»

«Ma tu non lo sei!» la rassicurò Usagi, mentre Rei deglutiva. La pacatezza di Ami diminuiva alla velocità con cui aumentava la circonferenza del suo punto vita.

Rei provò a sorridere. «Ormai sono le ultime settimane, no?»

«Scherzi?» fu lapidaria Ami. «Potrebbe mancare quasi un mese se lui tarda. Alla prima gravidanza è normale andare oltre il termine.»

Rei non seppe cosa dire.

Ami inspirò un'enorme boccata d'aria. «Perdonami. Con questo caldo, e con questo peso addosso...» Si massaggiò la pancia. «Scusa» ripeté, rivolgendosi al suo bambino. «È solo che... Ecco. Devo andare di nuovo in bagno.»

Usagi e Makoto le furono subito accanto. «Ti aiutiamo ad alzarti. Appoggiati.»

Sollevarla delicatamente fu una piccola operazione di scarico merci. In piedi, Ami emise un profondo sospiro. «Torno subito.» Deambulando lentamente, si diresse verso la toilette di casa.

Makoto si abbassò verso il centro del tavolo, chiamandole tutte a raccolta. «Ami è depressa» bisbigliò. «Forse dovremmo anticipare la festa pre-bebè.»

«Noo» si lamentò Usagi. «Minako non riesce a venire domani! Ha detto che è libera solo la prossima settimana.»

«Ma dobbiamo fare qualcosa.»

«Ami ha solo bisogno di più compagnia» disse Rei. «Stavo già per proporvelo, o meglio, stavo per dirlo a Usagi.» Guardò lei. «Makoto ha la sua pasticceria a cui badare, ma io e te dobbiamo solo prepararci per gli esami. Abbiamo del tempo libero. Ora che Ami è tornata da Izu, non è bene che stia da sola. Potrebbe partorire da un momento all'altro.»

Usagi annuì. «Però penso che Alexader non dovrebbe più lavorare così tanto.»

«Gliene ho parlato» sussurrò Makoto, chiudendo ancora di più con la testa il cerchio che avevano formato. «Ha detto che ha in mente qualcosa, ma preferisce dirlo ad Ami solo quando riuscirà a concretizzarla.»

«Che cosa vuole fare?»

Makoto scrollò le spalle.

Rei scosse la testa. «Non è importante. Ami non ha solo un marito, ha anche delle amiche. Le staremo vicine.»

Usagi le accarezzò una spalla. «Certo! E staremo vicine anche a te, Rei!»

«Io ora sto benissimo.»

«Lo so. Ma molto presto...»

Rei le coprì la bocca. «Non dirlo!» Era venuta a patti con l'incredibile rivoluzione che stava per sconvolgere la sua vita, ma l'idea di cambiare fisicamente era una cosa che stava ancora accettando, settimana per settimana.

Usagi annuì. «Allora io posso essere qui lunedì mattina. Lunedì pomeriggio puoi venire tu?»

«Certo. Mi distrarrà dalle pagine di Diritto Contrattuale.»

Alle loro spalle udirono un sorriso. «Lunedì pomeriggio viene a farmi compagnia Shoko-san.»

Rei, Usagi e Makoto saltarono in piedi.

Ami scostò tranquilla una sedia. «Mi fa piacere se state con me, ma non trascurate lo studio a causa mia.»

Rei la sostenne nel sedersi di nuovo. «Priorità, Ami. Adesso per noi è importante starti accanto.»

Ami guardò il soffitto. «Ma sono noiosa in questi giorni; Non è divertente stare con me. E poi... sto bene. Anche se entrassi in travaglio, ci vorrebbero ore perché succeda qualcosa. Avrò tutto il tempo di chiamare Alexander, voi, mia madre, i genitori di lui in America e persino Minako, prima di andare all'ospedale.»

Sorridendo, Usagi tirò fuori una salvietta umida dalla borsetta e bagnò la fronte di Ami. «Ecco, così stai più fresca.»

«Non c'è l'aria condizionata?» domandò Makoto.

«Mi sono dimenticata di accenderla. Fino a poco fa si stava bene.» Ami osservò mesta la finestra.

In quei giorni l'afa cominciava a farsi sentire già alle dieci di mattina. Nonostante stesse per iniziare settembre, il caldo non se n'era ancora andato.

Makoto si era diretta a prendere il telecomando dell'impianto di condizionamento.

Rei guardò l'abbronzatura delicata di Ami. «A Izu hai preso un bel colore.» Si picchiettò il braccio. «Grazie a te, anche noi ci siamo goduti dei bei weekend.»

Ami tornò con la mente a quei giorni. «Sarei rimasta là per il bel tempo che c'era, ma non volevo più stare lontana da Alex. Per lui era faticoso affrontare il traffico del fine settimana per venire a Izu.»

«Ma no» intervenne Makoto. «Due settimane lì con te sono state poche anche per lui. Prolungare lo svago e il mare gli ha fatto bene.» Si guardò intorno. «A proposito, perché stamattina non c'è? È sabato.»

«Non lo so» sbadigliò Ami. «Stanno lavorando a qualcosa di particolare. Ha detto che cercherà di tornare prima di cena.»

Usagi la guardava preoccupata. «Hai sonno?»

«Mi sono svegliata alle sei. Con questa luce mi alzo a quell'ora tutti i giorni, senza sveglia.»

Usagi fece una smorfia sofferente.

«Inoltre, devo sempre fare pipì. Non mi ricordo l'ultima volta che ho dormito per otto ore consecutive.»

Osservando la reazione costernata di Rei, Ami le prese la mano. «Non preoccuparti. Queste settimane non sono semplici, ma la sensazione che ne ricavi è unica.» Sgranò gli occhi e si sollevò. «Eccolo! Guarda, senti!» Posò la mano di lei sulla pancia e senza chiedere ebbe anche quelle di Makoto e Usagi.

«Dove?!» Usagi era entusiasta.

«Dove sto tenendo la mano di Rei» rispose Ami. Sorrise quando sentirono entrambe un colpetto da sotto la pelle.

Non era la prima volta che Rei sentiva i movimenti del figlio di Ami, ma più passava il tempo, più si inteneriva. Ormoni. «È il piede?»

«Sì. È forte, vero?»

«Tanto.» Meravigliata, ritrasse il palmo, lasciando che Usagi prendesse il suo posto.

C'era una persona dentro il corpo di Ami, così come dentro di lei.

Ami non aveva smesso di guardarla. «Da un giorno all'altro dovresti sentire la bambina anche tu.»

«Ti è venuta qualche altra idea per il nome?» le domandò Makoto.

«Ancora no.»  Era una scelta difficile. Non aveva ancora sentito muovere sua figlia, ma aveva una percezione di lei intensa, molto particolare: sentiva l'essenza della persona che la sua piccola sarebbe diventata, la forza di lei e il fatto stesso che, un giorno, sarebbe diventata una donna con un potere di preveggenza simile al suo. Più forte, temeva.

Voleva che la sua bambina fosse una creatura che non si sarebbe fatta intimorire dalla propria natura. Voleva crescerla decisa e meravigliosa.

Non aveva ancora un nome adatto a simili aspirazioni: non le sembrava che ce ne fosse uno all'altezza. Aveva cominciato a guardare liste di nomi in lingue diverse, spulciando significati, in cerca di qualcosa che la attirasse. Yuichiro non era d'aiuto: suggeriva nomi belli, ma troppo dolci. In fondo, a Rei non dispiaceva: quella loro figlia avrebbe avuto bisogno di dolcezza per diventare una persona sicura che si sarebbe sempre sentita amata. Non avrebbe avuto un padre come il suo a farla sentire ripetutamente un peso nella sua vita.

Ami le stava sorridendo. «Quando sentirai che si muove, potrai dedurre la sua personalità. Magari sarà più chiaro come chiamarla.»

Forse.

Notò Makoto, che dietro di loro era rimasta in silenzio e che solo in quel momento si stava avvicinando di nuovo alla pancia di Ami.

Con Usagi non dissero nulla. Quell'argomento era una sorta di tabù, perché se di Usagi potevano dire che un giorno - nel giro di qualche anno - sarebbe arrivata Chibiusa, per Makoto c'era solo la certezza che non avrebbe potuto avere figli con Gen. A prescindere, probabilmente non ne avrebbe avuti per molto tempo.

Anche per questo a suo tempo Rei si era sentita male: era stata lei a dire a Makoto che cose simili non contavano, che si stava benissimo anche senza figli. Lei e Yuichiro le avrebbero fatto da esempio, poiché sicuramente non ne avrebbero avuti prima dei trent'anni. Senza volerlo, assolutamente senza programmarlo, si era smentita da sola.

«Eccolo qui!» Makoto scoppiò in un sorriso sentendo sulla mano, attraverso il vestito di Ami, un piccolo colpo. «Sarà un calciatore!»

Ami annuì felice. «Magari. Di certo gli insegneremo a nuotare.»

Commossa, Makoto si sedette. «Sono sicura che vi somiglierà tanto, Ami. Avrà gli occhi di Alex, il tuo sorriso e i capelli di... Hm, facciamo un mix di tutti e due.»

«Anche a me piace immaginare queste cose!» Usagi saltellò sul divano vicino. «Per me avrà i capelli di Ami e una faccina che non si riconoscerà per niente all'inizio, perché lui sarà bellissimo e paffutello!» Arrossì nell'accorgersi della sua gaffe. «Non lo dicevo perché sei grossa, Ami!» Scattò a coprirsi la bocca con le mani.

Sorridendo, Ami sospirò. «Mako-chan, mi aiuti ad alzare le gambe su quella sedia?»

«Certo! Vuoi che ti faccia un massaggio ai piedi?»

«Oh... grazie.»

Rei si sistemò accanto a loro, posizionando le mani sulle spalle di Ami. Iniziò a muovere con delicatezza i pollici sui muscoli di lei. «Possiamo fare qualunque cosa per te.»

«Certo!» Usagi s riprese. Corse alla sua borsa e tirò fuori un ventaglio. «Guerriere Sailor alla riscossa! Ti tratteremo come un pascià!» Iniziò a fare vento ad Ami, che scoppiò a ridere.

«Non preoccuparti. Si sta già diffondendo l'aria fresca del condizionatore. Piuttosto, anche se fa caldo, possiamo comunque uscire da qualche parte tutte insieme.»

Makoto era perplessa. «Sicura di volerti muovere?»

«Sì. Magari più tardi, ma devo muovermi. Stare ferma non fa bene né a me né ad Adam.»

Rei si decise a essere schietta. «Ami, ma... tu come ti stai sentendo in questi giorni?» Voleva saperlo da amica e per curiosità personale.

«Mi sento come mi vedete, ragazze. Sono un pallone.» Zittì in anticipo la loro protesta. «Mi sento piena fino a scoppiare; non so come farò ad arrivare fino alla fine. Temevamo che potessi soffrire di qualche problema di salute, ma all'ultimo check-up la ginecologa ha confermato che sembro così grande perché Adam ha già un buon peso per lo stadio in cui si trova, e anche se non sono bassa, io ho un tronco abbastanza minuto. Coincidenze, Rei, vedi? Magari la tua che sarà una bambina sarà più facile da portare.»

Tipo una borsa?, pensò Rei, condividendo un sorriso segreto con Ami.

«A parte questo» continuò Ami, «ho sempre fame. Ho sempre voglia di andare in bagno. Voglio sempre dormire... Ma quest'ultima cosa non è così male: in questo stato mi sembra di poter ascoltare i bisogni del mio corpo quando voglio e come voglio. Se ho sonno, semplicemente... dormo.»

In passato Ami non si era mai permessa di essere tanto pigra.

Ora invece era serena. «Mi è passata la voglia di cibi specifici, per fortuna. Adesso mi va bene di tutto; mi è persino venuta voglia di provare cose nuove. E poi... be', anche se sono diventata il doppio di me stessa, forse Alexander non lo pensa.»

«Certo che no.» Makoto non capì la ragione del commento.

Ami guardò lei e le altre negli occhi prima di socchiuderli e mordersi le labbra. «Non vorrei che mi giudicaste troppo sfacciata...»

«Ma figurati!» Usagi era già curiosa.

Rei non se ne stupì. «Per Usagi non esiste una cosa del genere.»

Ami aveva ancora dei dubbi. «È solo che... mi sono sempre vergognata a parlare di cose 'fisiche', però...» Si accarezzò la pancia. «Da quando c'è lui mi sembra che il mio corpo non sia più una cosa tanto privata. E provo sensazioni che... Vorrei parlarne.»

Usagi le prese entrambe le mani. «Sì, per favore!»

Makoto era meravigliata. «Stiamo parlando di... sesso

Avvampando, Ami franò a terra con gli occhi.

«Oh, Ami, non ti vergognare! Tra donne possiamo dirci tutto.»

«Sì, sì!» le fece eco Usagi. «Vuoi che cominci io?»

Ami occhieggiò Rei in cerca di aiuto e Rei non si tirò indietro. «Ma se non sai neanche di cosa vuole parlarci.» 

«Ma è facile! Di sesso in gravidanza, no?» Usagi si sistemò compìta sulla sedia. «Voi due dovete insegnarmi, sono curiosa! Faccio io le domande!»

Rei non ebbe neppure il tempo di mandare avanti una protesta, Usagi si era già lanciata. «È vero che le sensazioni diventano più forti

Ami iniziò a giocare con le dita. «Ho letto che è diverso da persona a persona...»

Rei capì il dilemma di lei: Ami voleva parlare dell'argomento, ma essere la prima ad affrontarlo, e con riferimento alla propria relazione, andava oltre i suoi limiti.

Rei capì di doversi sacrificare. «Sì. E no. O almeno per me è così per ora. Fino a qualche settimana fa non era cambiato niente, anche se c'erano giorni in cui ero così scocciata che l'idea del sesso non mi passava nemmeno per l'anticamera del cervello. Ma da un mesetto a questa parte...»

«Ah!» sobbalzò Usagi. «Sei diventata una maniaca?»

Rei represse il rossore alle guance e sorrise con Usagi della battuta. «A giorni alterni. Il mio corpo segue la mia testa, o viceversa. Nei giorni in cui non penso ad altro, le sensazioni sono davvero molto più forti.» C'era una cosa che voleva chiedere a quell'enciclopedia vivente che era Ami. «Io sono solo agli inizi. È chiaro che c'entrano gli ormoni, però mi sembra di sentirmi già fisicamente diversa.»

Ami fu finalmente a suo agio col discorso. «Il muscolo uterino comincia a prendere più massa. L'aumentata vaso-congestione può amplificare le sensazioni.»

Usagi stava aggrottando la fronte. «Cioè? Siete troppo tecniche.»

Sorridendo, Makoto sospirò condiscendente. «Vogliono dire che, come durante certi periodi del mese, sono più strette.»

Costernata, Ami si coprì gli occhi con le mani.

Rei dovette deglutire il proprio ritegno per trattenerlo in sé. «Non è solo questo! È diverso quello che provo in tutto il corpo. Sembra che abbia più terminazioni nervose.»

Ami sollevò giusto un dito. «Se non stai parlando del seno, quelli probabilmente sono solo ormoni.»

«Uhi!» Usagi era affascinata. «Mi sembra che descriviate come mi sentivo quando avevo quelle strane crisi pro-concepimento-Chibiusa. Mamo-chan mi toccava e io mi sentivo un fuoco.» Guardò sconsolata il cielo. «Come mi mancano quei momenti.»

Makoto si divertì. «Ma se hai detto che non potevi controllarti.»

«Era questo il bello! Non lo apprezzavo abbastanza mentre stava succedendo. Cioè, lo apprezzavo, e molto vocalmente, ma...»

Ridendo, Makoto le indicò di fermarsi. Ci ripensò dopo un momento. «Be', anche io sono vocale. A volte.»

Rei ed Ami si scambiarono un'occhiata attonita.

Makoto non aveva intenzione di fermarsi. «Ci sono posizioni che sono davvero il meglio

Usagi stava scrutando Ami con occhi furbi. «Andiamo, so che vuoi liberarti e parlarne. A te non è mai successo?»

«... sì.» Fu un mormorio.

«Coraggio, un passetto in più: quando?»

Persino Rei non resistette dallo sporgersi verso Ami.

Lei tremava, guardandole tutte come se fossero i suoi carcerieri. «Quando...» Sprofondò nell'imbarazzo. «Quando... con la bocca lui... su di me...»

Usagi spalancò gli occhi. «Sì! Ti capisco, è normale! Esprimersi a voce aiuta perché lui non ti può sempre vedere in faccia.»

L'analisi tecnica spinse Ami ad aprire un occhio.

Usagi si batté piano il petto. «La vostra Sensei-Usagi ha molta esperienza.»

«Ma smettila» sbottò Rei. «Comunque questi discorsi mi sembrano troppo dettagliati.»

«La tua è solo finta vergogna! Da tutte le chiacchierate che abbiamo fatto quando siamo da sole, so che a te piace da morire stare sopra, sotto, a carponi, di lato...»

Rei le tirò una coda. «Ehi!»

Makoto non credette alle sue orecchie. «Perché questi cose non le dici mai a me, Rei?»

«Tu non insisti abbastanza!» spiegò Usagi. «Con Rei la tecnica è svelarsi per prime! Poi lei si scatena a parlare di sesso peggio che in uno di quei romanzi rosa che una volta ci hai prestato!»

Ami lanciò a Rei un'occhiata sghemba.

Rossa in volto, Rei mise le mani sui fianchi. «Io sono una persona passionale!»

«Io ti apprezzo per questo!» Usagi la abbatté al suolo con una pacca sulla spalla. «Ami! Ma tu cosa volevi sapere? Non ci saranno segreti tra noi - e Minako, che naturalmente dovrà venire a sapere tutto!»

Rei rimase seduta a terra, una mano sulla fronte. Anche Minako sapeva di lei?

Ami cercò di rimettersi dritta. «Non è che... volessi sapere qualcosa. Volevo parlare di...» Inspirando, si decise. «Be', con questa pancia mi sento sempre più ridicola. Fino a che era piccola mi sentivo quasi più bella, ma ora... Eppure mi piace davvero tanto avere relazioni di quel tipo in questi giorni. È come se lì avessi solo vasi sanguigni che... pulsano.» Divenne porpora in viso. «Però mi chiedevo se... Voi avete mai sentito che lui non ha molta... voglia?»

Makoto sollevò le sopracciglia.

Ami si incurvò nelle spalle. «Ho dei dubbi perché non so distinguere bene. Alex fa molto piano - chiaramente perché c'è il bambino -  ma prima non era così. Non so se viene da me perché lo vuole, o perché sa che lo voglio io. In questi giorni farebbe tutto quello che desidero, anche sforzandosi.»

Makoto era perplessa. Fu schietta. «Non succede praticamente mai, ma quando Gen non vuole - perché è troppo stanco - noi non lo facciamo. Per un uomo è ovviamente più difficile costringersi.»

«Lo so. Dico che... Alexander lavora molto di immaginazione. Se vuole convincere la sua testa a fare qualcosa, ci riesce.»

Stiamo parlando di 'testa'? meditò Rei. Comprese il problema. «Credi che non pensi a te durante quei momenti?»

Ami sospirò. «Per via della pancia, non riesco più a guardarlo in faccia. Non possiamo stare uno di fronte all'altra, perciò faccio fatica a capire.»

«Ma è assurdo!» Usagi disse quello che tutte stavano pensando. «Non serve il contatto di occhi per comprendersi, no? Lui non ti accarezza? Non ti bacia sulle spalle, sul collo? Non dice il tuo nome?»

«Sì, ma...»

«Sono tutte tue idee, Ami-chan! Scommetto che ti osservi allo specchio e pensi che sei inguardabile!»

Rei si sorprese: quando Usagi voleva essere spietata...

Usagi afferrò Ami per le spalle. «Sei rotonda, ma è perché hai un regalo per lui là dentro! Non posso credere che Alexander non la veda in questo modo. Inoltre...» Si allontanò, seria. «Gli uomini hanno una mente selettiva, soprattutto quando fanno sesso. Vedono quello che vogliono vedere! Lui non si sta immaginando te qualche mese fa o chissà quale altra cosa che ti è venuta in mente!» Infervorata, la squadrò. «Starà pensando a quella quarta di seno che ti è cresciuta sul petto!»

Ami spalancò la bocca, mortificata.

«Seriamente, Ami-chan! A parte la pancia, è la prima cosa che noto quando ti vedo! Come stai facendo coi reggiseni?»

«Prendo quelli pre-maman...»

«Nonono. Sono tutti bianchi e di cotone! Comodi, certo, ma devi prenderne almeno uno carino. Te lo regalo io! Devi bearti al massimo delle tue qualità temporanee!»

Colpita, Ami iniziò a ridere.

Rei non resistette e la abbracciò. «Ha ragione lei. Comunque, in questi giorni sei davvero carina, Ami. Hai la pelle più bella che abbia mai visto.»

«È vero.» Makoto la sfiorò su un braccio. «Sei così morbida...»

Ami si rannicchiò su se stessa, contenta. «Grazie. Mi ha fatto bene parlarne con voi.»

Usagi era fiera di se stessa. «Si capisce. E appena ti va di uscire, andiamo a prenderti quel regalo!»

Ami provò ad alzarsi. «Mi è venuta voglia di muovermi. Adesso.» Si appoggiò a Makoto per tirarsi su. «Prima che arrivi il caldo di mezzogiorno, coraggio. Se ci coglie fuori, possiamo sempre mangiare in qualche ristorante.»

Usagi fece brillare un sorriso. «Ti abbiamo fatto venire energia!»

«Sì.» Ami si picchiettò la pancia. «Ne approfitto finché ancora posso camminare bene.» Scuotendo la testa, strinse il pugno. «Ma presto sarò di nuovo agile e scattante! Girerò per la città da sola con Adam!»

«Yay!» Usagi le fece battere il cinque. «Così, si parla! Ragazze, andiamo!»

Mentre Ami andava in camera sua a prepararsi, Usagi puntò Rei con un dito. «Visto come funzionano bene i miei discorsi?»

«Brava.»

«Se ti sentirai insicura, dovrai venire da me anche tu.»

«Penserà Yuichiro a farmi sentire sicura.» O lei lo avrebbe strozzato con le proprie mani.

«Buh» rifletté Usagi e abbassò la voce. «Com'è che Alexander lascia che Ami si faccia venire certe idee?»

«Sta per diventare un papà anche lui» le ricordò Makoto. «Avrà tante cose per la testa.»

«Inoltre» disse Rei. «Ho l'impressione che Ami avrà bisogno di sentire discorsi come questi tutti i giorni, fino alla fine.» Lei ne sapeva qualcosa. «Ormoni. Ti fanno venire strane insicurezze.»

Usagi si indignò. «Ma non avevi detto che tu non avevi problemi?»

«Usagi, io sono ancora nel pieno delle mie facoltà. E se ho qualcosa da dire, lascia che almeno ne parli a Yu, prima.»

«Ma poi ne parlerai anche con me, vero?»

Rei non riusciva a resistere di fronte a quegli occhi da coniglietto. «Certo.»

«Non posso saperti infelice.»

«Non sono infelice.»

«Non sei nemmeno un pochino depressa?»

«No» decretò Rei.

«Guarda che se mi nascondi qualcosa, lo scopro.»

Rei la spinse via con un dito sulla fronte. «Tu non hai idea dei limiti personali, vero? Anzi, ce l'hai quando si tratta di te.»

«Eh?»

«Makoto. Tutte le volte che non ci ha parlato dei suoi mille pensieri?»

«Hai ragione.»

«Ma quelle erano cose diverse!» protestò Usagi.

«Erano cose importanti.  Mi sa che attuerò questa tattica: niente discorsi sul sesso finché tu non parli di tutto. Crollerai in pochi giorni.»

Ami era tornata in salotto e rise. «Parliamo mentre camminiamo.»

«Ecco la borsa» Makoto gliela passò.

Usagi danzò verso la porta. «Io sono un osso duro.»

Rei rise. «La vedremo.»

Sorridendo, uscirono tutte e quattro di casa.

FINE

 


NdA: Oh. Questa storiella mi piace. Se vi ha fatto venire qualche pensiero, mi piacerebbe un mucchio sentirlo :)

 

Elle

 

 

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

 

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Capitolo 3
*** Ami (a due mesi) ***


Maternità 2

 

Maternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

2 - Ami (a due mesi)

 

 

«Oggi vorrei fare un esperimento. Mi serve la tua collaborazione.»

Sistemato nel seggiolino, immerso nella sua tutina gialla, Adam la guardò. Se qualcuno gli rivolgeva la parola, lui si zittiva e ascoltava grave, gli occhi grigio scuro bene aperti.

Ami gli fece vedere cosa teneva in mano. «Questa è una macchina fotografica. Guarda quanto è grande l'obiettivo. Esce fuori, visto?» Lo avvicinò a lui e Adam allungò le piccole mani per toccarlo.

«Ce lo hanno regalato per te» gli sussurrò. «Può fotografare con grande precisione soggetti in rapido movimento, incapaci di stare fermi. Cosa ne pensi?»

Adam stava accarezzando l'oggetto misterioso, in un'accurata esplorazione tattile.

Ami gli pettinò i capelli azzurri, sistemando di lato una ciocca che gli cadeva sulla fronte. «Vorrei fotografare i tuoi primi sorrisi. Mi aiuti?»

Lui perse interesse nella macchina fotografica, emettendo un grosso sospiro che gonfiò per intero il suo piccolo petto.

«No!» si intenerì lei. Non lo aveva mai visto con un'espressione così mesta! «Cosa c'è?»

Il suo bambino si era già distratto. Ora guardava le profondità della stanza.

«Vuoi che giochi coi pupazzi davanti a te invece di parlare tanto? Lo faccio presto, ma prima...» Agitò rapidamente le dita sotto i calzini bianchi di lui, causandogli una smorfia a metà tra sorriso e indignazione.

C'era qualcosa che non andava.

«Okay.» Lo prese in braccio. «Sei di cattivo umore?» Lo tenne stretto al petto mentre guardava l'ora e ricordava. «Ah. È passato un po' di tempo dall'ultima pappa.» Era possibile che ci fosse un problema di pipì. Tastò il pannolino.

Sì, il peso era decisamente aumentato.

«Tutto a posto, ora sistemiamo.»

Camminò verso la stanza di lui, dirigendosi verso il fasciatoio.

Quando appoggiò Adam sul ripiano morbido, lui allargò di riflesso braccia e gambe, spingendola a dargli un bacio sulla fronte. «Non preoccuparti, non cadi.»

Attenta a tenere le mani nelle vicinanze di Adam, inquadrò rapidamente cosa le serviva per cambiarlo. Salviettine, pannolino nuovo, la crema... No, quella non c'era.

«Dove l'ha messa papà...?» rimuginò. Aprì il primo cassetto sotto il fasciatoio e trovò il tubetto immerso nella pila di tutine.

«È un disordinato!» accusò. Comincio a ridere, affondando la faccia nello stomaco del suo bambino. «Tu ci rendi disordinati!»

Sollevò gli occhi per guardare Adam e vide che lui accennava a sollevare gli angoli della bocca, troppo incerto per continuare.

«Capito, basta.»

Sbottonò la parte inferiore della tuta gialla di lui e gli liberò le gambe, sollevando il tessuto fino ad avere libero accesso a tutta la parte inferiore del suo corpo.

Ora sarò rapida. Nella stanza faceva freschino, appena finito doveva alzare il termostato.

Sollevò le linguette laterali del pannolino, tenendo già pronto quello pulito. Sollevò le gambe di Adam bene in alto, usando il pannolino che indossava per pulirlo di eventuali residui, che risultarono assenti.

«Bene» mugugnò. Quasi in contemporanea si liberò del pannolino usato e sistemò sotto di lui quello nuovo, appena in tempo perché non- In aria partì un fiotto.

«Ah!» Lo coprì appena in tempo.

Immobile, sorrise. «Lo fai apposta.»

Lui allargò le braccia sopra la testa, con tutta la calma di un neonato.

Cambiami.

Immaginando il comando, Ami si divertì. «Eseguo. Ma volevo pulirti meglio. Dici che riesco a...?» Prese una salvietta umida e con attenzione la infilò dentro il pannolino ancora aperto, pulendo a memoria il suo bambino.

«Sembra sia tutto a posto. Ora un po' di crema.» Coprendosi un dito d'unguento, ripeté l'operazione.

Nelle sopracciglia distese di Adam - uguali alle sue - scorse una nuova calma.

«Non ti piace sentirti bagnato, hm?» Terminò di cambiarlo e chiuse la tutina gialla. «Ora siamo a posto.»

Riportò Adam in salotto, dove aveva preparato la luce giusta per le foto che voleva fargli.

«In realtà...» Lo risistemò sul seggiolino. «Ne vorrei solo una, ma dev'essere bella. Potremmo usarla come cartolina di auguri per l'anno nuovo. Manco poco, siamo già a dicembre.»

Adam si stava mangiucchiando le dita. Sbadigliò.

Oh, no. «Hai sonno?» Abbassò la voce. «Dovrei lasciarti dormire.»

In risposta le palpebre di Adam iniziarono a calare.

Sospirando, Ami prese i ganci sul seggiolino e li incastrò con attenzione. Appoggiò seggiolino e bambino al suolo, su un lato del divano, in un angolo in ombra.

Notando il movimento, Ale-chan -  sdraiato sui cuscini - mosse la coda folta e le lanciò un'occhiata annoiata, felina.

«So che non ti piace quando piange» gli disse Ami. «Ma ora si sta preparando a dormire. Non ti disturberà.»

Sentì crescere nel petto uno sbadiglio e lo liberò.

Gatto e bambino l'avevano contagiata.

Eppure erano solo le sei di sera e lei aveva pensato di leggere un po' prima di-

Delle chiavi girarono nella porta d'ingresso.

Ami si prese del tempo per stiracchiarsi. Poi si mosse lentamente, ma non fece in tempo ad arrivare in corridoio: Alexander era già entrato in salotto. Da quando era nato Adam, lui aveva sempre fretta quando tornava a casa.

«Dov'è?» esordì.

In silenzio, lei gli indicò il punto dietro il divano.

Lui la baciò velocemente sulla guancia prima di fare il giro del mobile.

«Ah, eccolo.» 

Ami li raggiunse e sgranò gli occhi. Corse ad afferrare la macchina fotografica.

«Ride!» esclamò Alexander.

«Shh» gli disse lei, afferrando con delicatezza il manico sopra il seggiolino. Sollevò Adam, spostandolo di nuovo sotto la luce. «Come hai fatto?» sussurrò ad Alexander.

«Ho parlato» sorrise lui, poi entrambi guardarono increduli la bocca del loro bambino che si deformava in un perfetto sorriso sdentato.

Ami provò uno scatto. «Di' di nuovo qualcosa!»

Raggiante Alexander si rivolse ad Adam, solleticandolo piano sulla pancia. «Sei felice di rivedermi?»

Con le palpebre aperte a fatica, Adam rispose contento al sorriso di suo padre.

Ami scattò una decina di fotografie in mezzo secondo. Incredula, appoggiò di lato la fotocamera. «Look at that...»

Alexander stava baciando Adam sulla guancia. «Anche tu mi sei mancato.»

Lei si inginocchiò vicino a loro. «Quindi sorride a chi gli manca, non a chi lo cura tutto il giorno.» Trovò un bacio sulla fronte del suo piccolo mentre lui sbadigliava.

«Questa è l'ingratitudine di noi Foster.» Alexander tirò su il seggiolino e lo riportò nell'angolo in penombra accanto al divano. «Diamo per scontato chi ci sta vicino.» Ridendo piano, si chinò verso di lei per un saluto più adeguato.

Ami chiuse gli occhi per immergersi nel loro bacio da grandi. Staccandosi, sbadigliò in faccia ad Alexander.

«Ehi. Mi aspettavi per dormire?»

«No. Volevo leggere quello studio...»

Alexander picchiettò il divano vicino ad Adam. «Domani ci sto io con lui. Puoi fare un salto in biblioteca se vuoi.»

Senza dubbio, pensò lei.

Sentì lo stomaco gorgogliare. «Mi sta venendo fame.» Allattare era quasi peggio che essere incinta: non era mai stata tanto affamata come nell'ultimo anno della sua vita.

Alexander si era diretto in corridoio. «Sei fortunata.»

«Perché?»

«Ho comprato qualcosa di pronto da mangiare.»

Volle inginocchiarsi ai suoi piedi. «In quel ristorante?»

«Ah-ha.»

Quasi le vennero le lacrime agli occhi. In quei giorni amava mangiare, ma come sempre non aveva il tempo - o la voglia - di cucinare i piatti elaborati che il suo stomaco le esigeva.

«Oh, love. Sei commossa?»

«Di questi tempi mi bastano degli involtini di riso.»

Lui rise a basso volume e felice Ami gli prese di mano il sacchetto col cibo. «Per fortuna adesso non ingrasso.» Almeno quello.

«Non eri grassa. Avevi lui dentro.» 

Ma sembrava ce ne fossero stati due di Adam dentro il suo corpo.

Alexander cercò i suoi occhi. «Stavi tremendamente bene.»

Insomma. «Lo dici solo perché ti piacciono i seni grossi che mi sono venuti da allora.» 

Alexander recuperò lo stoviglie. «Not answering that.»

Divertita, lei scoperchiò i vassoi in alluminio che contenevano la loro cena. Il profumo le sconvolse il cervello.

«Hm. Più tardi potrei vedere un po' di questa lussuria?»

Lei tenne gli occhi bassi e scrollò le spalle. «Più tardi dormo. O leggo.»

«That hurts.»

Ami sorrise. «O potrei ricompensarti per questo buon cibo. Se è davvero buono.»

«Il migliore. Provalo.»

Ami si godette il primo boccone e il silenzio della casa, pacifico solo perché sapeva che Adam era lì con loro e dormiva tranquillo.

Osservò Alexander, la sua presenza, il modo in cui lui le sorrise quieto di rimando.

«Magari riposiamo insieme prima che si svegli» gli disse.

«Certo.»

«Parliamo.» Le mancava qualcuno che non le rispondesse con gorgheggi infantili.

«You did miss me.»

«A lot.»

Lui le prese la mano sopra il tavolo, portandola alla bocca. Le baciò il palmo. «Appena finito, facciamo tutto quello che vuoi.»

Forse lei voleva solo parlare, o dormire, o essere abbracciata. Forse aveva voglia di fare l'amore e addormentarsi, stremata di una stanchezza buona.

Alexander sbadigliò a bocca aperta. Quella notte lui si era svegliato due volte per Adam.

Forse dormiremo, pensò lei.

Sbadigliò nella propria testa, serena.

Ma sarà un buon sonno, per tutti e tre.

 

FINE

 


NdA: per questa storia e l'idea ringraziate il giorno di pioggia. Spero che la storia vi sia piaciuta :)

Piccola traduzione di alcuni dialoghi in inglese.

 

Ami

"Look at that" - "Ma guarda un po'..."

 

Alexander

"Not answering that" - "A questo non rispondo"

"That hurts" - "Questo fa male."

 

Ami e Alexander

"You did miss me" - "Ti sono mancato."

"A lot" - "Tanto."

 

Elle

 

 

P.S. Ho aperto un gruppo Facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

 

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Capitolo 4
*** Yuichiro e Rei (alla nascita di Iria) ***


Maternità 6

Maternità/Paternità

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


6 - Yuichiro e Rei (alla nascita di Iria)

  

Si era aspettato di vedere qualcuno di speciale e unico, dolcemente imperfetto. Una faccina rossa, il naso schiacciato, gli occhietti gonfi, la pelle raggrinzita.

Aveva visto dei neonati - sua nipote, il figlio di Ami e Alexander. Li aveva trovati curiosi e buffi nel loro aspetto di piccoli guerrieri che avevano combattuto la battaglia per la nascita. Gli erano parsi carini come ranocchi indeboliti, per nulla simili ai bambini che si vedevano nelle pubblicità. Si era detto che sua figlia avrebbe avuto quell’aspetto nei suoi primi giorni.

Oh, dai geni di Rei sarebbe dovuta venire fuori una creatura meravigliosa e delicata nei tratti, ma lui aveva contribuito per metà a quel nuovo essere e… lui non era nulla di che.

Qualunque cosa facesse, o creasse, aveva sempre un piccolo difetto, un errore. La perfezione non era cosa da Yuichiro Kumada.

Rei era eccellenza, lui la sufficienza con mezzo voto in più per l’impegno. Se c’era una cosa che era in grado di fare, tuttavia, era rovinare il risultato perfetto di lei.

Aveva affrontato la questione in modo diretto con Rei, per sua figlia.

«Se somigliasse di più a me?»

Lei aveva faticato ad accettare l’idea di diventare madre, da principio. Si sarebbe trovata molto meglio con una bambina bellissima, che avesse soddisfatto tutte le sue aspettative.

Rei non aveva capito la ragione della sua domanda. «Se somiglia a te, somiglia a te.»

Lui si era toccato la faccia. «Non ho un bel naso…»

«È un naso normale.»

Ma stava meglio sulla faccia di un uomo. «Se Iria-chan non fosse perfetta sin dal principio…»

«Cosa stai cercando di dire?»

Con Rei era impossibile girare intorno a una questione. «Non dovrai essere delusa.»

«Non ho intenzione di esserlo.»

«Anche se non sarà carina come la vorresti?»

«Mi hai preso davvero per una persona superficiale. Con mia figlia, Yu?»

No. «Ho solo paura che… tu possa guardarla come fai con me, a volte. Roteando gli occhi al cielo, sospirando rassegnata.»

«Quello è per il tuo atteggiamento. Infatti lo sto facendo adesso.»

Come al solito lui aveva affrontato male la questione. «Mi basta che non pensi mai che lei avrebbe potuto essere più bella.»

Rei non gli rispose, rimase a riflettere. «Quindi… credi che sia quello che penso di te?»

No. Sì. «Io non sono… bello.» Non gli sarebbe sembrato strano se, ogni tanto, Rei lo avesse guardato pensando che avrebbe potuto avere molto di più. Sarebbe stata solo la verità, ma non era quello il punto.

«Sei stupido.»

Yuichiro si grattò la nuca. «Non volevo parlare di me.»

«In realtà lo stai facendo, anche se ci hai messo di mezzo il nome di Iria.»

Interdetto, lui tardò a ribattere.

Rei era piccata. «Non ho lamentele sul tuo aspetto. Quindi non ne avrò per nostra figlia, fine del discorso.»

Quel giorno lei l’aveva lasciato solo e lui aveva impiegato tutta una sera per farsi perdonare.

Si era tranquillizzato per le aspettative di Rei, ma il fatto rimaneva: una bambina sua e di lei difficilmente avrebbe preso tutto dalla madre. Forse giusto nel carattere, e questo Yuichiro aspettava con trepidazione di scoprirlo.

Settimane dopo, davanti alla culla nella stanza dell’ospedale, era senza parole.

Iria aveva quattro ore di vita ed era… una bambolina.

La pelle era già morbida e liscia, il naso un po’ schiacciato, ma piccolissimo e delicato. Lei aveva lievi occhiaie di stanchezza per la prova appena superata, ma si notavano solo le sue lunghe e folte ciglia. La bocca era la cosa più carina, ben fatta e paffuta, rossiccia, con fossette sui lati.

Iria era nata perfetta, più bella di qualunque bambina lui avesse mai visto su una rivista.

Non gli somigliava e, incredibilmente, non sembrava aver preso neppure da Rei. Lui non vedeva nessuno di preciso nei tratti minuscoli del suo volto, solo lei stessa.

Facendo attenzione a togliere il flash, le scattò un’altra fotografia.

Mise da parte l’apparecchio e appoggiò il mento sul bordo della sua culla.

Che stupido, davvero.

O forse no.

Forse lei era la prima cosa perfetta a cui avesse mai dato vita. Un insegnamento.

«Quindi sono capace anche io, hm?» Parlò molto piano, per non svegliarla. «O forse sbaglierò ancora, ma tu… Tu non hai nessun errore, anche se sei nata da me. Non lo penserò mai, per tutta la nostra vita. Te lo prometto.»

«Non farle discorsi strani.»

Yuichiro si tirò indietro, sorridendo. «Sei sveglia?» Andò a prendere la mano di Rei.

Lei era devastata dalla stanchezza, ma lucida. «Che le stavi dicendo?»

«Cose.»

Divertita, lei si tirò indietro sul letto, sedendosi.

«Non muoverti tanto.»

«Sto bene. Portamela.»

Lui fece scorrere le rotelle della culla verso di loro.

Inesperto, impiegò un attimo a capire come prendere sua figlia. «Ehm…»

«Non si rompe, tienile la testa come ti hanno detto.»

«Va bene.» Facendo molta attenzione, riuscì a prendere Iria tra le mani.

Sentendosi sollevata, lei allargò le braccia per riequilibrarsi. Emise un vagito di spavento.

Yuichiro la appoggiò subito tra le braccia di sua madre.

«Shh» mormorò lei. «Poverina, lo so. È un bruto.»

«Ehm…»

«Tutti gli uomini lo sono. Non lo fanno apposta.»

Yuichiro non disse niente mentre vedeva Rei che sistemava la bambina la braccia, trovandole la posizione più comoda. Lei era cambiata: in quei pochi gesti stava infondendo una tenerezza sconosciuta.

Rei accarezzò la tempia di Iria. In risposta lei aprì gli occhi, per guardarla.

«Tuo padre non è così male, però. Ho scelto bene, sai? Hai la sua bocca.»

«Cosa?» Yuichiro si allungò per vedere.. «No.»

«Sì. L’ho guardata su di te abbastanza a lungo da riconoscerla.»

Lui provò a controllare meglio, ma non notò nessuna somiglianza. Rei stava solo cercando di essere gentile.

Si ritrasse.

Lei lo guardava. «Perché te ne stai lì, lontano?»

«Ecco…» Gli avevano detto che una nuova madre aveva bisogno dei suoi spazi, di tempo.

«Abbracciaci.»

Lo fece subito quando vide Rei piangere.

«Shh, no. Perché?»

«Non lo so. Sono felice ma ho paura.»

«Di cosa?»

Lei scosse la testa contro l’incavo del suo collo. Sospirò e lui non le offrì più parole, solo la propria vicinanza.

Iria si fece sentire con un pianto.

«È triste per te» disse a Rei.

Lei tirò su col naso. «Ha fame.» Si tirò indietro. «Ora vedo se ho capito come attaccarla al seno.»

Yuichiro andò a prendere la sua sedia, per sistemarsi vicino a loro.

«Se stai male, sono qui.»

Rei gli offrì un sorriso stanco. «Non so che cos’ho. È tutto nuovo, devo… abituarmi.»

Iria smise di gridare quando Rei se la appoggiò contro il petto. Lei trafficò per spostare di più il camice.

«Ti aiuto.»

Rei annuì e, dopo poco, la loro bambina stava provando a fare la sua prima poppata.

Yuichiro trovò un ginocchio di Rei sopra le coperte. Lo strinse.

Lei prese un respiro. «Rimarrai sempre con me, vero?»

«Sì» rispose lui, sorpreso.

«Allora non avrò paura di niente. Andrà tutto bene, se sei qui.»

Tanta fiducia lo rese umile, immenso.

Cercò il volto chinato di Rei, per capire se lei era ancora in ansia. Ma il suo sorriso si era disteso.

Era bella, perfetta come la loro bambina.

«Stai per dire qualcosa.»

«Hm…»

«Dopo, va bene? Ora siamo impegnate.»

Distratto dalla gioia nelle parole di lei, Yuichiro osservò.

E osservò ancora, la loro felicità, la sua famiglia, fino a che le palpebre non gli caddero sugli occhi.

Stremato, riposò accanto a loro.

FINE


NdA: L'avevo in mente da un po'. Doveva finire con Yuichiro che realizzava quanto troveva bella sua figlia, ma Rei mi ha imposto di andare avanti :)

Spero che vi sia piaciuta.

Elle

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Capitolo 5
*** Usagi e Mamoru babysitter con Adam (cinque mesi) ***


Maternità 13

 

 

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

Usagi e Mamoru babysitter con Adam

     

 

Tornando a casa dal lavoro quella sera Mamoru ebbe una sorpresa.

Usagi spuntò nel corridoio con un salto, finendogli addosso. Gli stampò un bacio sulla bocca. «Abbiamo un ospite!»

Lui provò a guardare oltre le sue spalle. «Chi è?»

«Non parla» lo informò Usagi.

Mamoru spremette le meningi. «È un animale?»

Lei scoppiò a ridere. «No! Ma si esprime a versi.»

Dubbioso, Mamoru la seguì in salotto. Squadrò rapidamente la stanza, senza vedere anima viva. «È in bagno?»

Sua moglie ridacchiò e fece il giro del divano. «È proprio qui!»

Non sapendo cosa aspettarsi Mamoru si sporse oltre lo schienale. Appena vide dei piedini che sporgevano da un seggiolino, capì. «Ah, ciao.»

Adam Foster piegò la testa all’indietro, per scoprire chi aveva parlato. Usagi lo prese in braccio, stringendolo contro il petto. «Ami ce l’ha prestato!»

Mamoru fu sul punto di chiedere quanto sarebbe durato quel prestito, ma si tranquillizzò subito: Adam aveva appena cinque mesi ed era improbabile che i suoi genitori volessero lasciarlo con altri per tutta la notte.

Usagi massaggiò il bambino sulla schiena, mentre Adam provava a girare la testa sulla sua spalla. «Vengono a riprenderlo stasera, verso le undici. Non è un amore?»

«Sì.» Mamoru si avvicinò per vederlo meglio, lievemente preoccupato. L’ultima volta che Usagi si era presa cura di un bambino aveva avuto bisogno del suo indispensabile aiuto. Certo, da allora erano passati molti anni, ma…

Arrivò alle spalle di lei e riuscì a guardare il figlio di Ami e Alexander faccia a faccia. Non riuscì a trattenere un sorriso: Adam era davvero carino, con enormi occhi blu e guance paffute. «Ciao. Vuoi venire in braccio a me?»

Estatica, Usagi glielo passò subito. Mamoru lo ricevette con cautela: come aveva già notato, Adam ormai riusciva a tenere la testa dritta da solo, ma a lui sembrava ancora molto fragile. Notando che stava scomodo sospeso per aria, lo appoggiò su una spalla. «Come mai te lo hanno lasciato?»

«Oggi raccontavo ad Ami del ristorante dove siamo andati insieme l’altra volta. Ricordi? Volevo che lo provasse anche lei, ma mi ha detto che con Adam le uscite serali in coppia sono una cosa a cui lei e Alexander devono rinunciare per un altro po’.» Usagi fece il giro, per guardare Adam in viso. «Questo patatino occupa tutto il loro tempo. Vero, piccolino? Lo amano alla follia, ma credo che un po’ di tempo da soli faccia bene a tutti e due. Così ho detto ad Ami che per stasera potevamo prenderci cura noi di Adam.»

«Non hai insistito troppo, vero?»

«Perché dici così?»

«Magari non era pronta a lasciare suo figlio con estranei.»

«Ma quali estranei, io sono la sua zietta Usagi! Comunque... sì, Ami era un po’ titubante. Ma quando me l’ha lasciato sembrava quasi che non credesse di poter avere una serata completamente libera. Naturalmente, siccome è lei, mi ha scritto un foglio di raccomandazioni lungo due facciate.»

Mamoru sorrise, poi sentì una strana sensazione sulla spalla. «Cosa sta facendo?»

«Oh, ciuccia la tua camicia! Per forza, guarda l’ora! Ha fame!»

Erano le otto di sera. «Non gli hai dato il suo biberon?»

«Prima devo dargli l’omogeneizzato che ha preparato la sua mamma.»

Mamoru seguì Usagi in cucina. «Usako, di solito i bambini mangiano molto presto. Penso che tu abbia scombinato i suoi orari.»

«Be’ ma non ha pianto. Quindi non stava morendo di fame, no?»

«Ho sentito dire ad Ami che lo ha abituato a mangiare e dormire ad orari precisi.»

Usagi raccolse un foglio dal tavolo, rimuginando. «Questo non c’era scritto nelle istruzioni. Vediamo… ‘Dare l’omogeneizzato per cena’. Vedi, non dice niente sull’ora.» Lesse più avanti e fece una smorfia. «Massimo alle sette. Ihhh!»

Mamoru staccò il bambino dalla spalla, facendo attenzione a non tirare troppo sulla bocca che ancora masticava la sua camicia. Appena poté vederlo in faccia, notò l’espressione contrariata di Adam. «Povero, ti stanno affamando.»

«Ma non ha pianto!»

«Niente scuse, Usako. Tira fuori quell’omogeneizzato.»

Lei trafficò velocemente in cucina. «Eccolo, è già pronto. Oh, mi dispiace, Adamino!»

Mamoru rise piano. «Adamino?»

«Adam-chan suona strano. Mi mangio la emme quando lo dico.»

In effetti.

Mamoru si sistemò sulla sedia, facendo sedere il bambino sull’incavo del braccio. Usagi aveva già pronto un cucchiaio di plastica per lui. «Guarda cos’ho qui! Di’ ‘ahh!’»

Mamoru sospirò. «Manca il bavaglino.»

Usagi scattò in piedi. «Hai ragione, corro a prenderlo!»

Lui rimase da solo in cucina con Adam. Giocò coi suoi piedi, piegandosi per vedere che effetto gli faceva la carezza. Adam sollevò la testa verso di lui, offrendogli un sorriso contenuto, molto più maturo dei suoi pochi mesi.

«Sei molto tranquillo» gli sussurrò Mamoru. «Come i tuoi genitori.»

«Uh.»

«Sì, proprio così. Sono calmi come te. Da poco è arrivata un’altra bambina nel nostro gruppo, sai? Sarà tua amica quando crescerà, ma temo che ti farà soffrire coi suoi pianti.»

«Ah-uhh.» Adam sollevò le braccia, per esplorare il suo viso. Mamoru lo lasciò toccare, godendosi il momento.

«Eccomi!» Usagi era tornata di corsa. «Oh, siete già ridiventati amici! Sapevo che non ti sarebbe dispiaciuto avere Adam qui. Ti piacciono i bambini!»

Mamoru lo confermò con un cenno della testa. Usagi annodò il bavaglino al collo di Adam. «Non riesco a credere di non avertelo mai chiesto, ma perché ne sai tanto sui neonati? Volevo domandartelo tutte le volte che ti ho visto insieme a lui, ma poi vedendo come gli sorridevi, mi scioglievo e me lo dimenticavo.»

Mamoru si divertì. «Per la casa famiglia, no?»

Usagi fermò il cucchiaino pieno di cibo a mezz’aria. «Ospitavano anche neonati?»

Mamoru annuì. «Per poco tempo.»

Adam si sporse in avanti, afferrando il cucchiaio con la mano e rovesciandosi addosso il contenuto.

Usagi lo pulì rapidamente con un fazzoletto, mortificata. «Per fortuna che ha un cambio.» Nutrì velocemente il piccolo, per evitare altri disastri. Mamoru rimase a guardare la purea di verdure che spariva nella sua piccola bocca.

«Ti occupavi dei bambini piccoli?»

«Solo negli ultimi tempi. Lo chiedevo io. Vedevo quanto fossero tutti troppo occupati coi ragazzini più grandi, quindi se c’era da fare qualcosa mi offrivo.» Accarezzò un braccio di Adam, beandosi della morbidezza dell’arto minuto. «Davano i neonati a noi come soluzione di emergenza. I bambini molto piccoli venivano adottati presto, perché c'è molto richiesta per loro. Quelli un po’ più grandi - da uno a due anni - a volte rimanevano per un paio di mesi. Cercavo di non affezionarmi, anche se era difficile.»

Usagi lo ascoltava in silenzio.

«Era ancora più complicato coi bambini che potevano già parlare. Siccome ero il più grande, mi chiamavano fratellone.» Per un momento, gli si chiuse la gola. «Ne ho salutati almeno… quindici, venti. Ero contento che avessero trovato una famiglia, ma verso la fine mi sentivo come se continuassero a venirmi portate via le uniche persone a cui mi affezionavo.» Guardò Adam, contemplandolo. «Non so perché mi affezionassi di più ai bambini. Forse perché non mi chiedevano niente.»

«… sul tuo passato?»

«No, su… tutto. Non pretendevano da me nulla che non volessi dargli. E quando giocavo con loro, tornavo piccolo anche io. A volte mi sembrava di ricordare cose che avevo fatto quando ero stato bambino come loro.»

Smise di parlare e notò che Usagi si era fatta silenziosa mentre nutriva Adam. Lui si agitò tra le sue braccia, sollevando le gambe. «Ahh-uh.»

«Vuole altro cibo» disse piano Mamoru.

Usagi si risvegliò. «Oh… l’omogeneizzato è finito. Passo al biberon.»

Mamoru controllò la situazione del bavaglino, poi usò la parte pulita del tessuto in spugna per pulire la faccia di Adam. Si avvicinò al lavello per lavarlo con dell’acqua. Durante l’operazione gettò un’occhiata a Usagi. Lei era mesta.

«Usako… sono cose che non ti ho raccontato finora proprio per non vedere quella faccia.»

Lei tirò su col naso. «È una storia così triste!»

«Ma io sono felice adesso.»

«Mi fai venire voglia di avere Chibiusa subito!»

«Ehm... Sarò molto contento quando arriverà, ma adesso sto lavorando troppo per potermi dedicare a lei. Abbiamo già poco tempo per noi, no?»

Usagi lo raggiunse, appoggiandosi alla sua spalla per abbracciarlo. «È vero, ma lei ti farebbe ancora più felice. Tu ti meriti tutto l’amore di questo mondo, Mamo-chan.»

Intenerito, Mamoru si voltò per abbracciarla.

«Ahi!»

«Che c’è?»

Usagi staccò una manina di Adam dal suo braccio. «Mi ha pizzicato!»

«Ahh!» protestò Adam. Il suo non era un pianto, bensì un vocalizzo di rabbia.

Mamoru rise. «Non gli stai dando il suo biberon!»

Usagi strofinò il naso contro il bambino. «Sei vendicativo. Carinissimo, ma cattivello! Questo l’hai preso dal tuo papà!»

Mamoru non ne era sicuro. «Ami è molto decisa quando vuole qualcosa.»

Usagi si impegnò nella preparazione del latte in polvere. «Sì, ma Ami-chan è molto gentile di natura.»

«È una facciata» disse Mamoru. «Cioè, è gentile, ma ora che la vedo in questa famiglia che si è costruita, mi sembra più…»

«Autoritaria?»

«Sì. Autoritaria e arrendevole.» Avrebbe dovuto essere un controsenso, ma non era così.

Usagi capiva cosa lui stava cercando di dire. «Ami comanda Alexander a bacchetta quando si tratta di Adam. Ma quando Alexander si decide a dire qualcosa, lei gli dà subito ragione. Gli si affida.»

Era una buona cosa per Ami. Mamoru girò suo figlio tra le mani, sollevandolo in aria per avere i suoi piedini all'altezza della bocca. Li mordicchiò piano, cercando di guadagnarsi un sorriso. «Non ero sicuro che fosse una buona idea per loro avere un bambino così presto, ma si stanno gestendo bene.»

«Già» concordò Usagi. «Adesso vedremo come se la caveranno Rei e Yuichiro. Iria sembra molto più peperina di Adam. Oh, cosa fai?»

Aveva notato come lui stava tenendo il piccolo. «Cerco di farlo ridere, ma è un duro!»

Usagi corse verso di loro. «Anche io, anche io! Me lo mangio di baci!»

Adam scelse quel momento per urlare.

Mamoru lo riportò rapidamente contro il petto. «I nostri giochi non gli vanno a genio.»

«Buh! Prima me lo ha fatto qualche sorriso!»

«Col suo latte abbiamo qualche speranza.»

Usagi tornò di corsa a prepararlo.

Mamoru accarezzò Adam sullo stomaco. «È questo che vuoi? Latte, il latte?»

Adam sollevò gli angoli della bocca.

«Ah! Ci vuole la parola giusta per farti sorridere!»

Usagi era sorpresa. «Dici che capisce già?»

«Certo. Latte, mamma, papà. Nanna, pappa, bagno… Concetti chiave come questi sono comprensibili anche da bambini così piccoli, se ripetuti tante volte davanti a loro.»

Adam produsse un grande sbadiglio.

«Vedi? Vorrebbe già andare a dormire.»

Usagi saltellò sul posto. «Non mettermi fretta! Latte in arrivo!»

Mamoru condivise col piccolo le sue impressioni. «La zia Usagi non ha molta esperienza. La prossima volta chiederò che ti lascino con noi un pomeriggio, quando ci sarò anche io fin dall’inizio. Sarai trattato come si deve.»

Usagi non se la prese. «Allora lo vuoi di nuovo?»

«Certo.»

«Magari con Iria!»

Mamoru sospirò. «La vicinanza a tutti questi bambini ti sta facendo male, Usako.»

«Tirano fuori il mio istinto materno! Vorrei circondarmi di neonati!»

«Questo bambino è un’eccezione. Invita Iria a casa nostra, tra qualche mese, e ti passerà la voglia di avere un neonato accanto giorno e notte.»

«Dici che sono così terribili?»

«Quando vogliono qualcosa e gli adulti non capiscono cos’è, sì.»

Adam iniziò a tremare, stringendo forte il tessuto della sua camicia. «UaaaaaaaaaAHHHHHHHHHH!»

Ecco, pensò Mamoru. Peggio della sirena di un’ambulanza.

Usagi quasi fece cadere di mano il biberon. «Arrivo, è pronto!» Lo infilò in bocca al piccolo, appena prima che partisse un altro urlo.

Nel silenzio della poppata, lui e Usagi si scambiarono uno sguardo.

Mamoru parlò a bassa voce. «Questo è niente.»

Usagi tirò fuori la lingua. «Non mi scoraggerai! Zia Usagi è pronta ad andare in soccorso di mamme stressate!»

Mamoru fece spallucce. Finché non si stressava lei…

Tenendo in braccio Adam, calibrò il biberon in modo che non gli uscisse di bocca, poi si alzò e uscì dalla cucina.

«Non vuoi cenare?» gli domandò Usagi.

«Prima lo faccio dormire.»

Una volta in salotto udì un sussurro, in lontananza - qualcosa che suonava come ‘bravissimo papà’.

Sorridendo, si sistemò sul divano, sollevando i piedi sul tavolino.

Per ora era un bravo babysitter e... gli andava bene così.

Appoggiò un baciò sulla testa di Adam Foster e accese la tv, per guardare il telegiornale.

 

 

Usagi e Mamoru babysitter con Adam - FINE

 

 


 

NdA: Quando l'ispirazione chiama, Elle si fa trovare (e parla in terza persona :D).

Fatemi sapere che ne pensate di questo pezzo!

 

Elle

 

 

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Capitolo 6
*** Yuichiro e Iria (con Rei, ai cinque mesi di Iria) ***


Maternità 9

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

 


 

9 - Yuichiro e Iria (con Rei, ai cinque mesi di Iria)

 

«La tieni sempre in braccio.»

Per Yuichiro era impossibile non farlo. Appoggiata alla sua spalla Iria era comoda e felice, le gambine paffute ben sistemate nell’incavo del suo gomito, la schiena forte e sempre più dritta nonostante i cinque mesi di età. Lei adorava esplorare il mondo dall’alto e ogni tanto lui doveva fermarla perché non si buttasse in avanti, intenta com’era a cercare di toccare qualunque cosa catturasse il suo interesse. «Le piace stare quassù.»

«Certo che le piace» sospirò Rei, infilando una camicia. «Ma io non posso tenerla tutto il tempo in quel modo. Inizia a pesare.»

«Anche con quella fascia che te la stringe al petto?»

«Yu.» Rei si fece seria. «Dobbiamo insegnarle a essere autonoma.»

Ma era così piccola.

«Anche il nonno inizia a lamentarsi. Iria piange appena lui la mette giù.»

«Il passeggino non la calma?» Col maestro si trattava praticamente della stessa altezza.

«Iria vuole il calore del petto.» Rei indicò con un cenno del mento il modo in cui lui la teneva stretta. «Chissà come mai.»

Sì - ammise Yuichiro - era colpevole. Ma Iria si sentiva al sicuro quando la prendeva in braccio. La stretta delle sue piccole mani che si aggrappavano ai vestiti era rassicurante per entrambi.

Sentendosi osservata, lei girò la testa e sorrise d’istinto nel rivederlo. Prima ancora che Yuichiro si fosse sciolto come neve al sole, dalla gola le uscì uno di quei piccoli suoni allegri, da neonata.

«Ehi!» Premette la fronte contro la sua, chinandosi per baciarle la guancia rosa, dal sapore gustoso. «Ti piace stare in braccio, vero? È una bella giornata, ti porto fuori!»

«Coprile il collo.»

«Ma fa caldo.»

«Tira vento. Non ho detto di usare una sciarpa, fa’ solo in modo che non prenda aria alla gola.»

Rei si preoccupava troppo. Iria aveva ereditato da lui la costituzione resistente e l’amore per le basse temperature. «Va bene» le disse comunque, «creerò un foulard con qualcosa. Oppure» si illuminò, «posso comprarlo!»

Rei alzò gli occhi al cielo. «Con me non avevi questa mania di spendere.»

Non era vero. «Ti ho comprato un sacco di cose quando eri incinta.»

«Solo perché c’era già lei di mezzo.» Rei scrollò le spalle, ma Yuichiro intuì la serietà dello scherzo.

Le andò vicino, con Iria in braccio. «Guardala. Ha i tuoi occhi.» Non il colore, ma il taglio era identico, aggraziato e incredibilmente dolce in un viso così diverso da quello di lei, piccolo e infantile. Lui non aveva mai visto una bambina più bella, o con un sorriso più grande quando la si faceva felice.

Rei abbandonò il suo finto disappunto con una smorfia intenerita. Si sporse in avanti, per dare un bacio delicato a Iria. «Torno più tardi, okay? Non dimenticarmi anche se stai tanto con papà.»

«Sei la sua preferita.»

«Che bugia.»

Yuichiro fece fare un saltello a Iria, sistemandola sul braccio. «Lei è come me. Ti adoriamo da lontano, e quando ti abbiamo vicino l’emozione è tanta che non sappiamo cosa fare.»

Rei stava scuotendo la testa, divertita. «Non hai ancora capito com'è lei, hm?»

Come sempre, per lui fu magico vedere il nuovo incontro di sguardi tra Iria e Rei. Con un passo indietro lei tornò dalla loro bambina, per sussurrare qualcosa al suo orecchio. Iria si gettò tra le sue braccia.

«Sì» disse Rei sorridendo, poi con un ultimo bacio alla tempia di Iria e una carezza ai capelli castano scuro, la riportò in equilibrio su di lui. «A più tardi, a tutti e due.»

A lui offrì una carezza del braccio, ma Yuichiro la trattenne per la mano. «Ha il tuo spirito.»

«Lo dici pensando a quando urla.»

No, lo diceva perché era sicuro che Rei fosse stata uguale da piccola, avventurosa e desiderosa di qualcuno che le donasse tutta l’attenzione di cui aveva bisogno.

Comunque, l'ironia di Rei aveva un significato. Era il modo in cui lei aveva imparato a comunicare bisogni che sentiva di non poter esprimere a voce.

«Oggi giocherò con Iria tutto il giorno, così quando torni sarà stanca e potremo stare da soli io e te.»

Rei tirò su la cerniera della gonna. «Yu... non sono gelosa.»

Al posto suo lui lo sarebbe stato, se non si fosse sentito tanto libero di esprimere quello che provava. Lui e Iria si comprendevano talmente bene che di tanto in tanto Rei era esitante a entrare nel loro cerchio. Lei non sapeva se era la madre che cercava di essere, e quella che Iria poteva adorare. Inoltre, il cambiamento nelle loro vite - il fatto che non fossero più in assoluto le persone più importanti l’uno nella vita dell’altra - l’aveva un po’ destabilizzata.

A volte, quando pensava di non essere vista, Rei abbracciava Iria con un’intensità che lui riconosceva, quella che sembrava chiedere, ‘Amami disperatamente, come ti amo io.’

Era un sentimento che poteva esistere tra lei e la loro bambina, tra lui e Iria, tra loro due, come e più di prima. Rei provava talmente tante cose tutte insieme da non sapere ancora come gestirle.

«Perché questo silenzio?» Lei aveva terminato di allacciare la cintura.

Yuichiro sorrise. «Non sei gelosa, sono io che sento la tua mancanza. Troppe lezioni all’università.»

«Istruirmi mi aiuterà a mantenerti.»

Sorrisero insieme, poi Rei fece un passo verso la porta, il respiro che si bloccava per un sentimento che lei stava cercando di frenare. «Più tardi sarò felice di passare la serata con te. Anche se stessimo tutto il tempo a guardare lei.»

«Ho altre idee.»

Il rossore di Rei fu inaspettato. «La amo, Yu. Ti amo.»

Lui fece per raggiungerla, ma Rei uscì in corridoio. «Niente baci, o non esco più di casa. Ci vediamo!»

La sua felicità fu così grande che valse quanto mille contatti fisici.

Rimasto solo, Yuichiro guardò Iria con un sospiro. Lei era rimasta tranquilla e silenziosa durante la loro conversazione.

«Mi piace quando la tua mamma fa così, sai? Ma le fa male non essere certa di poter fare tutto quello che vuole con noi due. Colpa del suo papà, che era cattivo. Per questo» prese un polso di sua figlia, «farò di tutto perché tu sia sicura che ti amiamo tanto, anche quando piangi.» Agitò la mano di lei, con Iria che guardava incuriosita il movimento. «E ti prenderò in braccio più a lungo che posso, promesso. Nessuno mi fermerà. Sei d’accordo?»

Iria rise. «Yah!»

Per Yuichiro fu un sì.

 

FINE

 


NdA: spero di aver reso bene quello che volevo trasmettere.

Ho sempre pensato che per Rei la transizione a madre non sarebbe stata facilissima, per il carattere di lei che ho descritto in tutta la mia saga. Naturalmente in questa storia ho dato solo brevi anticipazioni di questo, ho ancora tanto da dire.

Questa fanfic è nata pensando a Iria e Yuichiro insieme, perciò è stato bello poterli ‘vedere’ così.

Sarei felice di sentire cosa pensate di questa one-shot :)

Elle

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Capitolo 7
*** Iria VS Adam (lei cinque mesi, lui otto) ***


Maternità 10

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

10 - Iria VS Adam (lei cinque mesi, lui otto)

     

 

Il giocattolo era rosso. Stava per terra, vicino. Era bello, brillante.

Lei voleva prenderlo!

Provò a gattonare. Non riusciva a muoversi bene da sola e urlò.

Sentì una carezza sul pannolino. Mamma. La mamma era vicina. Era brava e capì subito dove lei voleva essere messa.

«Hai visto? Tra non molto inizierà a spostarsi da sola.»

«Da un giorno all'altro, vedrai. Con quella gonna sarà così carina mentre si muove. Dove l'hai presa?»

«È stato Yu. Non fa che comprarle cose. L'altro giorno sono dovuta tornare indietro a cambiare una magliettina perché lui ne aveva presa una uguale.»

Le mamme ridevano.

Iria arrivò al giocattolo con la mano, toccandolo. Ah, era duro! E liscio, non era facile prenderli quando erano così. Ma le piacevano tanto, avevano un buon odore.

«Le interessa il camion dei pompieri.»

«Già. La madre di Yu le ha regalato qualche giocattolo vecchio stile... Sai, bambole, orsetti, sonagli... Sono molto belli e adatti alla sua età, ma non le interessano. Lei vuole cose di plastica.»

«I colori accesi attirano i bambini. Anche Adam è così, per questo gli ho preso quel camion.»

Il giocattolo non si lasciava abbracciare, pensò Iria. Era grosso e scivolava dalle mani. Ma lei ce l'avrebbe fatta!

Provò a mettere le dita sulle parti grigie e rotonde. Oh, si spostavano? Era quasi riuscita a sollevare tutto il giocattolo quando lo sentì cadere per terra. Qualcuno lo aveva spinto via.

Iria alzò gli occhi. Bambino azzurro.

«Adam.» La mamma di bambino azzurro lo accarezzava sulla testa. «Lascia giocare Iria-chan. Vuole solo guardare il tuo camion. Scusa, Rei, ancora non ha imparato a condividere.»

«Figurati. Iria non può vedere qualcuno che tocca qualcosa che crede suo. L'altra volta, per esempio...»

Bambino azzurro non ascoltava più la sua mamma, guardava fisso lei, sfidandola.

Lui era il suo nemico. Piangeva quando lo faceva lei, solo per avere l'attenzione dei grandi. Ma loro dovevano pensare a lei, lo facevano sempre - tranne quando c'era lui.

La volta che Iria lo aveva visto in braccio a papà non aveva creduto ai suoi occhi. Solo lei poteva stare lì in alto! Aveva pianto tantissimo.

E ora bambino azzurro non la lasciava giocare. Perché era così cattivo?

Iria si buttò sul giocattolo. Era suo, lo aveva visto prima lei!

Bambino azzurro la toccò su un braccio. Poi... poi la coprì con tutto il corpo!

Pesava! Così il petto le faceva male!

Iria urlò.

«Adam!»

Bambino azzurro venne tirato via, ma Iria pianse più forte. 

Era stato bruttissimo!

«Shh, va tutto bene.»

Si abbracciò al petto della mamma, che l'aveva presa.

Perché era successa una cosa così brutta?

«Adam, no!»

Iria si voltò. La mamma di bambino azzurro aveva usato una voce cattiva con lui.

«Non si fa!»

Iria nascose la faccia contro la sua mamma. Basta, voleva andare via. 

«Non mi sembra pentito.»

Perché la mamma era allegra?

«Non ha capito. Però non può fare così con gli altri bambini.»

Iria si sentì sollevare. La mamma si era messa in piedi.

«Si stanno annoiando. Usciamo, su. Li mettiamo nel passeggino, così almeno hanno qualcosa da guardare e si distraggono.»

«Hai ragione.»

Stavano andando via. La mamma aveva messo sulla spalla la sacca, quella che prendeva sempre quando uscivano. Che bello, tornavano a casa!

«Rei, puoi guardare Adam un attimo? Per uscire devo prima-»

«Certo, vai.»

Quando si inginocchiarono di nuovo sul tappeto, Iria urlò. Lei non voleva più vedere bambino azzurro!

«Ehi, calma. Adam non l'ha fatto apposta, vero? Hai preso il suo giocattolo.»

Iria scalciò. Voleva tornare a casa!

«Basta, su.» Una mano la accarezzò sulla schiena. «Non puoi fare così, Adam è tuo amico. Non gli piace sentirti piangere.»

I baci sulla guancia erano belli. Iria ne ricevette un altro e si sentì meno triste. 

Si voltò verso la mamma, ma lei non la stava guardando. Faceva qualcosa con la mano.

Perché giocava con bambino azzurro?!

Iria gridò.

«Okay, okay!» Tornarono in piedi e Iria si lasciò cullare. Gli abbracci di mamma erano solo per lei.

«È stanca?»

«Sì, stanotte non ha riposato bene. Durante la passeggiata si addormenterà.»

«Povera Iria-chan.»

La mamma di bambino azzurro la accarezzò sulla fronte. Era buona, come tutti i grandi.

«Sei distrutta anche tu, vero, Rei?»

Iria sentì che il petto della mamma si sollevava e lei faceva quel suono... Iria aprì la bocca nello stesso modo.

«Oh. Sta sbadigliando come te!»

La sua mamma rise. «Andiamo, prima che mi addormenti qui. Mi era venuta la tentazione...»

La mamma di bambino azzurro si mosse verso un passeggino. Era blu, bello. Stavano per uscire...

«Lasciami Iria uno di questi giorni. Un pomeriggio, anche solo per darti il tempo di dormire.»

«Sei troppo gentile, Ami. Ma in casa possono aiutarmi in tanti...»

«Non è la stessa cosa, no? Se sei lì e la senti piangere, non riesci a riposare.»

«... già.»

«Tu mi hai tenuto Adam. Voglio ricambiare.»

«Ma tuo figlio è un angelo. È così facile curarlo, non fa mai i capricci.»

Le voci delle mamme erano come canzoni...

«Adam sa con chi farli. Ma è vero, con gli estranei è tranquillo.»

«Iria non è una bambina semplice. »

«Ha il suo carattere. Io la trovo molto dolce. Vuole solo attenzione.»

«Se hai voglia di una sfida...»

La risatina della mamma di bambino azzurro la fece addormentare.

«Non preoccuparti, lasciamela quando vuoi. Vorrei che lei e Adam interagissero il più possibile. Farà bene a entrambi.»

«Hm... Va bene, uno di questi giorni sfrutterò la tua offerta. Ora usciamo. È una bella giornata.»

«Vieni, Adam. Andiamo nel passeggino.»

«Ehh!»

 

Uscivano, che bello! Col passeggino lui si muoveva da solo, senza stare in braccio a nessuno. Ormai era grande!

Oh, veniva anche la mamma dai capelli neri?

Con quella bambina.

... perché? 

Non aveva mai sentito nessuno urlare come lei.

«Mi osservi?» disse la mamma dai capelli neri, sorridendo.

Era una brava adulta, ma quella bambina... Quando veniva a trovarli non poteva lasciarla a casa?

Era fastidiosa. 

La mamma sorrideva. «Ha uno sguardo molto intenso, vero? Sembra che voglia dirti mille cose.»

«Wa-wa-waaa...» Non svegliarla, o si mette a piangere.

Invece di comprenderlo, le mamme si misero a ridere.

Rassegnato, Adam si lasciò allacciare nel passeggino.

Le cose che doveva sopportare...

«Non fare quel faccino. Stiamo per andare in strada, su!»

Oh, sì! Strada! Case, macchine, persone...Tanti colori e forme!

La mamma lo baciò sulla fronte. «Sei un bravo bambino.»

Sì, lui era sempre bravissimo!

Il passeggino si mosse, per portarlo verso nuove cose da esplorare.

Adam saltellò per la felicità.

 

 

FINE


NdA: Hehehehe. Ispirazione fulminante, ho dovuto seguirla.

Come forse avrete notato, per questo episodio ho preso spunto dal discorso che Ami faceva ad Alexander nel capitolo 7 di questa raccolta. Iria è un personaggio a cui avevo già dato voce in uno spoiler pubblicato solo nel gruppo Facebook. E' stato troppo divertente usare di nuovo il suo punto di vista :) Invece, questa è la prima volta che do vita ai pensieri di Adam.

Ho riso tanto nello scrivere questo pezzo, spero che per voi sia stato altrettanto bello leggerlo :)
 

Elle

 

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 8
*** Adam, Ami e Alexander (agli otto mesi di Adam). ***


Maternità 6

Maternità/Paternità

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


7 - Adam, Ami e Alexander (agli otto mesi di Adam)

 

Non era semplice imporre qualcosa a suo figlio. Lui aveva gli occhi grandi di sua madre, lo stesso sguardo da cerbiatto indifeso che chiedeva, ‘Perché mi fai questo?’

Ma Alexander era determinato. Non avrebbe permesso ad Adam di commettere gli errori di Ami: negarsi i piaceri della vita, ritardando l’inevitabile, non era cosa da creature intelligenti come loro.

«Apri la bocca, su. Ah-ham.»

Le piccole labbra di lui rimasero sigillate. Seduto sul seggiolino Adam lo fissava imperturbato da sotto la frangia azzurra, deciso a non gustare il contenuto del cucchiaino in plastica. Aveva cambiato atteggiamento da qualche giorno: ogni volta che arrivava l’ora di cena nutrirlo era una battaglia.

Alexander gli sventolò il cibo sotto il naso. «Non senti che buon odore?»

Più avvicinava il cucchiaio, più Adam si ritraeva. A otto mesi non piangeva né si lamentava quando non voleva fare qualcosa: imponeva la sua volontà col silenzio.

«Allora lo mangio io.» Alexander fece volare il cucchiaio verso la propria bocca, deviando all’ultimo minuto verso il piatto di minestra. Raccolse il cucchiaio più grande che vi aveva posato dentro e mangiò da quello.

Il cibo era davvero buono. «Io ho fame» sorrise a suo figlio, sperando di ispirargli pietà. «Se tu adesso mangi, poi io e la mamma ceniamo tranquilli.»

«Da quando le suppliche funzionano?» Ami arrivò sul tavolo con due scodelle fumanti. «Lasciamo che faccia il testardo. Finché non piange…» Scrollò le spalle e passò ad Alexander una porzione di katsudon. «Intanto mangiamo.»

Alexander abbandonò a malincuore la minestra, rivolgendo un ultimo sguardo a suo figlio. «Non cresci se non mangi.»

Lui si era appoggiato in avanti sul seggiolone, per studiare i disegni della tovaglia.

«Ba-ba-ba…»

Era un bambino curioso, troppo sveglio per la sua età.

Lui ed Ami avevano iniziato coi primi due bocconi della loro cena quando Adam si espresse in una protesta vocale.

«Ora lo vuoi, eh?»

Ami spostò dalla propria parte la minestra. «Faccio io.» Si mosse con la sedia vicino al loro bambino. «Allora? Adesso lo mangi questo cibo buonissimo?»

Adam tornò incerto, scrutando con attenzione il viso di sua madre.

La voce di lei era musicale. «Certo che lo mangi! Così mamma è felice, papà è felice… e tu hai il pancino pieno!»

Ami fece volare in un cerchio tortuoso il cucchiaio di plastica fino ad Adam, ma lui si scostò di nuovo, questa volta con un sorriso.

«Si è fatto furbo» commentò Alexander.

Ma Ami non era preoccupata. «Se faccio le smorfie giuste, non mi resiste.» Come un pesce iniziò a boccheggiare. Pop. «E poi ah-ham!» Schioccò di nuovo le labbra e Adam si sciolse in una risatina, la testolina sempre più incassata nelle spalle.

«Ah-ham?» gli domandò Ami.

Suo figlio sospirò. Poi rivolse a sua madre un’espressione mai vista, un sopracciglio alzato sopra gli occhi blu e un minuscolo sorriso sghembo.

«Cos’è quello?» si divertì Alexander.

Ami era entusiasta. «Hai visto? Chi ti ricorda?» Non perse tempo e infilò il cucchiaino di plastica dentro la bocca del loro bambino, che finalmente accettò il cibo.

Alexander non aveva capito lo scambio. «Si è arreso? Così?»

«Quella è la sua espressione da ‘Va bene, ti accontento ma ho vinto io.’»

Alexander rise.

Ami raccolse altra minestra. «Non l’ha ereditata da me.»

«Io non ho quella faccia.»

«Non ti vedi quando la fai. Per te vuol dire più… ‘Sapevo che non mi potevi resistere, sono troppo affascinante’.»

Alexander non smise più di ridere. «Quando?»

«Tutte le volte che mi convinci di un tuo piano.» Ami picchiettò il cucchiaino sul bordo del piatto di minestra, rivolta al loro bambino. «E tu stai imparando, non è vero? Mi fai vedere quel faccino quando ti faccio fare qualcosa.» Nutrì di nuovo Adam. «Nel momento in cui cede, tiene a farmi sapere che l’ha deciso lui, perché è stato magnanimo.»

Erano tutte cose nuove, pensò Alexander, apprese in pochissimi giorni. Adam non finiva mai di cambiare e bastava che lui stesse lontano qualche ora in più la sera, per un progetto impegnativo, e si perdeva tanti progressi.

Malinconico, prese un polso di suo figlio, accarezzandolo. «Sono fiero di te.»

Adam lo ignorò, la sua attenzione fissa sulla minestra.

Ami tradusse. «Adesso ha deciso di mangiare, perciò mangia.»

Sì, il suo bambino era sempre concentrato all’inverosimile, come la madre.

Era una sfida. «Imparerò a convincerlo.»

Ami aveva qualche dubbio. «Voi vi intendete meglio quando giocate. Ora lui sta diventando più testardo, ma fatico a vedere te che diventi più rigoroso. Ti distrai.»

Non era così. «Seguo le sue inclinazioni. È brillante, perciò quando gli viene un’idea lo incoraggio. Giusto?»

Adam lo guardò. «Da-da-da-da…» La minestra cominciò a colargli dalla bocca.

Ami la raccolse. «La sua prossima idea sarà quella di non mangiare mai. Ha sempre qualcos’altro a cui pensare.»

«Per quello ci siamo noi. Lui è già sulla strada, ‘Prima viene lo studio’.»

Ami offrì ad Adam con un’altra cucchiaiata piena. «Domani potrai fare un corso intensivo. La mattina vado in biblioteca.»

«Okay.»

«Nel pomeriggio le ragazze mi hanno invitato ad uscire.»

«Va bene. Non preoccuparti.»

Ami era pensierosa. «Trova un tuo metodo per convincerlo a mangiare. Ora che fa i capricci è importante che si abitui a essere gestito da più persone. Altrimenti soffrirà all’asilo nido.»

Lei stava cambiando idea sul farglielo frequentare? Da qualche giorno faceva quel tipo di annotazioni.

«Sai che non deve andarci sempre» le ricordò.

Ami emise un sospiro. «Socializzare gli farà bene. Vedremo. Se sarà felice di frequentare l'asilo, nessun problema. Altrimenti studierò qui.»

Lei si stava sacrificando prima del tempo. «Vedrai che si troverà bene con gli altri bambini. Iria gli piace, no?»

Ami fece silenzio. «L’altro giorno le è salito addosso.»

«Eh?»

Adam si stava mangiando le dita, mugugnando.

«Iria-chan ha allungato la mano verso un suo giocattolo e Adam è andato a schiacciarla.»

Ah.

Ami rifletteva, mesta. «All'asilo, al primo diverbio su un gioco, sarà rissa.»

Alexander scoppiò a ridere.

«Non è divertente!»

Ma se rideva anche lei! «Deve imparare i suoi limiti, no? Al nido sarà uno dei più piccoli, quindi i bambini più grandi gli insegneranno cos’è il rispetto.»

L’idea innervosì Ami.

«Andiamo, la maestre impediranno spargimenti di sangue. Inoltre lui si farà valere.»

Adam stava stringendo una manica di sua madre.

Lei si voltò. «Scusa. Ora la mamma ti dà di nuovo da mangiare.»

Lui fu felice di aver riavuto la sua attenzione. «Ma-ma.»

In due rimasero a bocca aperta.

«Ma ha detto…?»

«Mamma.» Ad Ami vennero gli occhi lucidi. «Hai parlato.» Baciò forte Adam.

«Ma-ma-ma-ma-ma…»

Lei rise e non se la prese. «Forse non era una parola.»

Alexander non ci credette. «Ti stava guardando quando l’ha detto.» Con fierezza gli accarezzò i capelli.

Ami era ancora commossa. «Presto dirà più cose. Anche ‘papà’.»

Ci sarebbe voluto più tempo. «Io lo confondo. Uso sia ‘Papa’ che ‘Daddy’ riferendomi a me stesso.» Non sapeva decidersi; quando erano soli tendeva a parlare ad Adam in inglese.

Ami approvava. «Sarà bilingue in futuro.»

Già, sospirò Alexander.

Ami tornò a offrire la minestra ad Adam. «Sei deluso che non abbia detto prima 'papà'?»

«No.» Gli era solo venuto in mente che avrebbe dovuto aspettare tanto per sentirsi chiamare in quel modo.

Ami lo guardava con tenerezza. «Sei deluso.» La sua non era più una domanda.

«Non perché sei venuta prima tu, love. È normale.» Ami passava più tempo con lui. «Vorrei solo... non dover aspettare.»

«Sono cose che succedono da un momento all’altro.» Ami guardò il loro bambino con una nuova consapevolezza. «E se facesse qualcosa di nuovo mentre si trova all’asilo? I suoi primi passi, magari.»

Alexander sentì la sofferenza di lei. «Ehi… Appena finisci di studiare, potrai andare a prenderlo quando vuoi. Se vuoi stare un giorno con lui, lo tieni a casa. O lo mandi al nido solo per mezza giornata.»

«Hai ragione.»

Ami non era ancora contenta. Non lo sarebbe stata finché non avesse trovato un equilibrio tra la sua vecchia vita e quella nuova.

«Sto facendo la sciocca.»

«No. Anche a me non piace separarmi da lui.»

«È solo che è così piccolo…»

Paziente, Alexander fece il giro del tavolo e si sedette. «Ami. Vuoi davvero sostenere i prossimi esami?» Forse lei si sentiva costretta dal fatto che avessero pagato la retta di quell’anno.

«Lo voglio» chiarì lei.

«Allora non sentirti in colpa, non hai due cervelli. È giusto che tu abbia un po’ di tempo per te.» Cercò di farla voltare verso di lui. «Al nido Adam starà benissimo. Gli faranno provare giochi che a noi non verrebbero in mente.»

«… è vero.»

«Comunque, puoi cambiare idea domani stesso. Si fa quello che vuoi tu.»

D’improvviso, Ami sorrise. «Non è la prima volta che me lo dici.»

«Hm?»

Gli indicò Adam col mento. «Anche quando abbiamo deciso di avere lui me l’hai detto.»

Già.

Ami raddrizzò le spalle e riprese in mano il cucchiaino di plastica. Raccolse una delle ultime cucchiaiate di minestra e Alexander pensò che fosse tutto a posto. Fu sul punto di alzarsi, ma Ami si voltò per baciarlo.

Il loro bambino iniziò a protestare.

Alexander si staccò. «Non ho capito se non gli piace che ci baciamo o vuole da mangiare.»

«Spero sia la seconda.»

Sentirglielo dire lo fece sentire bene.

Ma lei non aveva finito. «Dopo voglio baciarti ancora. Tanto.»

Felice, lui faticò a tornare al proprio posto. «Allora mangio in fretta. Poi, ragazzo» picchiettò la schiena di Adam, «a letto presto stasera.»

Ami era divertita. «Non dirglielo, o non ti darà retta.»

Adam gridò e picchiò il piatto di minestra, rovesciandosela addosso.

«No!» Balzarono in piedi nello stesso momento.

Ami afferrò il bambino e Alexander andò in cucina a prendere uno strofinaccio.

Mentre puliva il seggiolone, lui sentì dalla stanza il lamento di lei.

«Puzza di cibo! Dobbiamo fargli un bagno.»

Alexander digrignò i denti. «Portamelo, lo faccio io.»

Ami riapparve in salotto con Adam. «Vuoi che lavi io i piatti?»

Non era quello il punto. «Sono più efficiente col bagnetto. Adam sarà pulito e rivestito in cinque minuti.»

Quasi indignata, Ami non gli passò il bambino. «Ma è il suo momento preferito. Piangerà.»

Non era vero, lei aveva il cuore troppo tenero.

Ami scuoteva la testa. «Riempio la vasca. Useremo tutti e tre l’acqua calda.»

Cosa? «Ci vorrà un’ora!»

Ami lo rimproverò con gli occhi. «Stai esagerando.»

Sì, ma loro non facevano l’amore da una settimana, tra lei che era stanca e lui che era distrutto. E dopo il modo in cui l’aveva sentita parlare…

Ami aveva intuito i suoi pensieri. «Adam si addormenta facilmente dopo un bel bagno, no? Se ci coordiniamo bene, io l’avrò fatto dormire e avrò finito quel che resta della mia cena per quando tu avrai terminato di rilassarti nell'acqua. Poi sarò pronta.»

Pronta?

«Per quello che abbiamo entrambi in mente» sorrise Ami, mordendosi un labbro. «Magari anche dentro la vasca, se ti va. Ora lava le pentole.»

Sedato, Alexander si dedicò con gioia all’uso del detersivo.

E anche quella fu una bella serata per la loro famiglia.

 

FINE


NdA: Avere una nipotina di due anni e mezzo in casa mi ispira in questo modo :)

Spero abbiate gradito!

Elle

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 9
*** Alexander e Gen (con Adam) ***


Maternità 10

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

Alexander e Gen (con Adam)

     

 

Gen era contento. Una serata tra uomini ogni tanto era necessaria.

Passare del tempo con Makoto era grandioso, ma ora più che mai lei aveva in mente solo l'organizzazione del loro matrimonio. Lui contribuiva volentieri con un'opinione, quando richiesta, ma discorsi su decorazioni, tovaglie, fiori e pizzi gli stavano uscendo dalle orecchie. Makoto aveva detto di voler passare quella domenica sera tra ragazze. Gen aveva nascosto a stento il sollievo: avrebbe potuto guardare la gara del motomondiale in pace. Aveva progettato di andare in un locale, per non stare tra i piedi di Makoto e le sue amiche, ma Alexander gli aveva proposto di gustarsi la corsa a casa sua.

Perfetto. Birra, amici e sport in tv. Quanto ne aveva bisogno.

Suonò il campanello di casa Foster. Era un peccato che Yuichiro non fosse venuto, ma si era fatto convincere a tenere la bambina per quella sera, quindi non poteva muoversi di casa.

La porta si aprì. «Ciao!»

Gen sollevò nella mano il sacchetto con le due bottiglie che aveva comprato. «Per la serata.»

Alexander gli fece spazio. «Entra.»

Per fortuna, pensò Gen, Alexander era stato più fortunato con suo figlio Adam. Con un ragazzino di meno di un anno in casa sarebbe stato difficile concentrarsi sulla gara.

Entrando in salotto, si fermò di colpo.

Adam Foster era seduto sul tappeto del salotto, circondato dai suoi giochi.

Gen cercò di essere diplomatico. «Come mai lui è qui?»

Alexander era tranquillo. «Ami è andata da Makoto, no?»

E non si era portata dietro il bambino?

«Adam non farà storie. Tra poco va a dormire.» Alexander sparì in cucina.

Lasciato solo, Gen appoggiò le bottiglie sul tavolino più vicino. Il bambino girava la testa nella sua direzione, seguendo silenziosamente ogni suo movimento.

«Ciao» lo salutò Gen.

Adam mise in bocca un pupazzo, masticandolo.

Gen riteneva di essere simpatico ai ragazzini, ma li preferiva quando erano in compagnie delle loro madri. I pianti spacca-orecchie erano sempre in agguato.

Alexander tornò indietro con due bicchieri. La tv era già sintonizzata sulla gara, le moto schierate in pista assieme a giornalisti, addetti ai lavori e ragazze che reggevano ombrelli. Il Gran Premio del Mugello, tappa italiana del motomondiale, stava per iniziare.

Gen si vide passare un apribottiglie.  Gli venne un dubbio. «Tu puoi bere?»

«Hm?»

Gen indicò Adam.

Alexander sorrise. «Un bicchiere non mi farà niente. Anzi, vuoi vedere una cosa? Apri e versa la birra.»

Incuriosito, Gen lo fece mentre Alexander si inginocchiava sul tappeto, vicino a suo figlio. Gli passò il bicchiere pieno. Alexander lo mise sotto il naso del bambino.

Sul punto di protestare, Gen si zittì: Adam Foster si era sporto in avanti, attaccando la bocca al bordo in vetro.

«Questo vuole già bere.»

Alexander rideva. «È uno spasso, vero?» Allontanò l'alcol dalla portata di suo figlio e lo prese in braccio. «Lo fa col vino, con le bibite gassate... con tutto quanto. È curioso.» Strofinò la faccia contro il naso del piccolo, che subì con una smorfia perplessa.

Gen si divertì. «Se continui, inizia a piangere.»

«Nahh!» Alexander lo sistemò con fare esperto sulle ginocchia, sostenendogli la schiena con l'incavo del braccio. «Lui fa i versi. Piange solo quando ha fame, ma ormai ha i suoi orari. Ah, e naturalmente piange quando gli fa male qualcosa. Un paio di settimane fa per esempio non ha smesso per un'ora. Pensavamo fossero coliche, ma massaggiarlo sulla pancia non funzionava. Era un problema digestivo, ma ne abbiamo avuto la certezza solo quando l'ha fatta nel pannolino, perché la consistenza era completamente diversa dal solito. Voglio dire...» Cercò le parole per descrivere.

Gen fece una smorfia. «Non ho bisogno di saperlo.»

Alexander rise. «Giusto!» Prese il telecomando e alzò il volume. «Guardiamoci la gara.» Direzionò l'attenzione al televisore, mentre con l'altra mano prendeva un mazzo di chiavi giocattolo e la muoveva davanti ad Adam. 

Gen continuò a sentirsi in un asilo nido, ma fece finta di niente. Finché il ragazzino non piangeva...

«Ho chiesto a Yuichiro di venire» riprese Alexander. «Ma muoversi con Iria è complicato.»

Già. Quell'esserino era un monito divino per chiunque volesse avere figli. Pensaci prima due volte. La voce di Iria Kumada era come un'unghia che scivolava dolorosamente su una lavagna.

Alexander si alzò. «Devo scaldare il latte.» Appoggiò suo figlio sul divano, tra due grossi cuscini. «Attento a che non cada.»

Ecco, era stato ridotto a babysitter.

Gen offrì un cin-cin al bambino. «Te la cavi da solo, giusto?»

Adam distolse l'attenzione dalle sue chiavi giocattolo e lo fissò. Il suo piccolo sguardo - una copia di quello di Ami Mizuno - si fece penetrante. Sorridendo tra sé, Gen mantenne il contatto visivo. Caparbio, Adam Foster non smise di guardarlo per altri cinque secondi buoni. «Uah!» protestò infine. Come hai osato?

Gen gettò la testa all'indietro in una risata.

Alexander lo udì dalla cucina. «Che c'è?!»

«È un grande!»

Gen mise una mano sulla testa del bambino, scompigliandogli i capelli azzurri. «Goldie» lo soprannominò. Degno figlio di Golden Boy.

Adam si era sporto in avanti, a gattoni. Avanzò verso di lui, muovendosi senza cura lungo il bordo del divano. Gen allungò una gamba per fargli da barriera col vuoto. «Sono le nove. Non è ora di dormire?»

Adam aveva raggiunto il braciolo. Faticava a scavalcarlo.

«Coraggio. Un uomo affronta le difficoltà.»

Alexander tornò di nuovo indietro, un biberon in mano. «Hai visto che non dà fastidio?» 

Gen percepì il suo tono fiero. «Sì. Ora lo metti a dormire?»

«Aspettiamo l'inizio della gara. Partono tra un paio di minuti.»

Gen bevve un sorso di birra. «E Chiba?»

«Al lavoro.»

Di domenica sera. Brutta la vita in politica.

«Volevi che fosse qui?»

Uno in più non faceva mai male, specie se era un fan delle corse in moto. Ma a parte quello... «A te e a Yuichiro ho spiegato cos'è successo con Makoto. Non sono ancora riuscito a parlare con Chiba. Lui è suo amico. La conosce da tanto.»

«Hm.» Alexander comprese il suo dilemma. Portò alla bocca qualcosa da bere e si ritrovò la tettarella del biberon sulle labbra.

Scoppiarono a ridere.

«Che complessi hai?!»

«L'ho confuso per birra!»

«AhH-ah!» Il bambino batteva le mani sul braciolo del divano, entusiasta. 

Gen abbassò lo sguardo. «Allora ride! Bravo Goldie!»

«'Goldie'?»

«È figlio tuo, no?»

«He's no Goldie. È un nome da cane.» Alexander lo riportò vicino a sé, massaggiandogli le spalle. «Lui è... un super-eroe!» Gli sollevò un braccio, facendolo roteare in aria.

Gen ebbe una nuova comprensione della loro relazione. «È il tuo giocattolo.»

«È questo il bello. Li curi, ma puoi fargli fare tutto quello che vuoi finché sono piccoli.»

Un giorno il piccolo Foster si sarebbe vendicato. «Per ora è tranquillo, ma gli piace già la birra. A diciotto anni organizzerà party selvaggi che ti distruggerano la casa.»

Alexander aprì la bocca per rispondere, poi guardò pensieroso suo figlio.

Gen lanciò un'occhiata al televisore. «Ehi! La bandiera rossa!»

Tesi, lui e Alexander guardarono in trepidante attesa. 

«Peccato che non hai visto le altre.»

«Eh?»

«Ho seguito le gare della 125 e 250. Quegli italiani lì, Biaggi, Capirossi, e quello nuovo, Rossi... quando arriveranno in 500 sarà una grande sfida!»

Okay, ma la 500 stava iniziando! «Lasciami vedere cosa fa Okada!»

Semafori rossi... Partenza!

Le moto scattarono in avanti, facendo saltare Gen sul divano. «È andato in testa!»

«Noo! Ma Doohan che fa?!»

Gen sfoderò il pugno. «Perde! Grande Okada!»

Nel salotto risuonò un pianto infantile.

Ridendo, Alexander prese in braccio Adam. «Noo, va tutto bene! Era solo la partenza, nessuno è arrabbiato!» Fece saltellare il bambino. «Guarda zio Gen! Non fa paura, no?»

«Yeeh» offrì Gen senza entusiasmo, mimando un saluto con la mano, cercando di tornare a guardare la gara. Ora era diventato pure zio.

Anche se aveva ancora le lacrime agli occhi, Adam si stava già calmando. Suo padre gli afferrò la mano nel pugno. «Tifiamo insieme Doohan, okay?»

«Perderà. Forza Honda.»

Alexander continuava a parlare a suo figlio. «Gli faremo mangiare la polvere.»

Sorridendo, Gen non disse più nulla.

Finché Adam non si addormentò, guardarono tutti e tre insieme la gara.

  

FINE


NdA: Non sto rileggendo perché tra poco mi arriva in casa un uragano di due anni e mezzo. Godetevi la lettura e ditemi che ne pensate :)

P.S. - A proposito, durante quella gara Okada si ritirò e Doohan recuperò finendo primo ;P

 

Elle

 

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 10
*** Minako (durante la gravidanza, settimo mese) ***


Maternità 4

 

Maternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation. 

 

 


  

4 - Minako (durante la gravidanza, settimo mese)

 

  

Minako osservò la linea del proprio corpo allo specchio. Sollevò le braccia e si girò di lato, valutando la rotondità voluminosa del proprio ventre.

Niente da fare, era sempre più bella - e vanitosa - anche incinta di sette mesi. Si sentiva da dio: non aveva nessuno fastidio, non le mancavano le energie, mangiava come le pareva e l'aumento di peso si concentrava solo al livello della pancia. Era stata graziata dalla fortuna.

Udì una risatina infantile che proveniva dal salotto.

«Mi-chan! È finito il tuo cartone?» gridò.

«Sìì!!»

Lo aveva intuito dal suono dei suoi salti sul tappeto. «Arrivo!»

Arimi - tre anni e mezzo - le venne incontro rimbalzando per il corridoio, tutta guance rosa e codine nere. «Voliamo!»

La storia di fatine la esaltava tutte le sere. Conoscendo la sua passione, Minako si era ingegnata per farle una sorpresa. «Ho un regalo per te, sai?»

Nel vederla Arimi spalancò la bocca. «Adesso la tua pancia è più enorme!»

«Furbetta!» La acchiappò prima che potesse scappare. La tormentò col solletico, beandosi delle sue risatine. «Certo che la mia pancia è grande, dentro c'è un bebé! Ohi.» Un calcio la colpì dall'interno del ventre. Si piegò sulle ginocchia, lasciando andare Arimi. «Ecco che si muove.»

La bambina era ignara, stava toccando il tessuto del suo abito. «Che bello!»

«Grazie.» Aveva comprato l'abito premaman bianco e blu solo quel pomeriggio, assieme a un'altra decina di modelli - uno più carino dell'altro. Pur di consolarsi non si era risparmiata. «Per te ho un abito ancora più fantastico, vedrai.» Si massaggiò la schiena. «Ti ricordi che ti ho promesso di renderti una fata?»

Arimi sgranò gli occhioni. Annuì con reverenza.

«Hai rimesso a posto la tua poltroncina in salotto?» La spinse ad andare in quella direzione per controllare. «Dobbiamo liberare il campo, poi cominciamo.»

«Il 'campo'?»

«Lo spazio, dobbiamo fare spazio! Prima che arrivi il tuo papà!»

«Okay!»

Anche il loro prossimo erede era entusiasta, non smetteva di muoversi e calciarla al fianco. «Ahi-ahi.»

«Stai male?» Arimi tornò indietro.

«Non preoccuparti. Senti qua.» Provò a metterle la mano dove colpiva il bambino, ma lui smise di colpire in quel momento. «Che dispettoso!»

«L'ho sentito!» gridò Arimi e anche se era improbabile, Minako si intenerì nel vederla appoggiare l'orecchio al suo stomaco.

«Si trasforma in femmina!»

Ridere fu naturale. Stavano cercando di spiegare ad Arimi che doveva rassegnarsi ad avere un fratello. «È un maschietto, Mi-chan. Tu sarai una fata e lui un maghetto che ti aiuterà. Su, è l'ora del tuo costume.»

«Lo voglio, lo voglio!»

«Ci vuole la cerimonia giusta.» Aiutò Arimi a rimettere a posto la poltroncina su cui si sistemava per vedere i cartoni animati. Il salotto - valutò - era scenograficamente sgombro. Per abbellire l'atmosfera decise di abbassare l'intensità delle luci. «È tempo di magie!» annunciò, posizionandosi al centro della stanza. «Signorina Arimi, io ti chiamo! Mettiti qui al centro!»

A bocca aperta la bambina seguì le sue istruzioni.

Minako allargò le braccia. «Questa settimana hai compiuto il tuo dovere? Sei stata buona con Agatha?»

Arimi annuì in silenzio.

«Il tuo papà dice che hai imparato a mettere le scarpe.»

«È vero!»

«È una cosa magica, da bambine grandi! Ti sei meritata un premio! Solleva in alto le braccia!»

Arimi si allungò come un elastico.

«Ora chiudi gli occhi!»

Appena lei strinse forte le palpebre, Minako le applicò una rapida magia: il vestitino che aveva disegnato nel tempo libero ricadde sul suo piccolo corpo di bambina in tante onde. «Fatto!»

Arimi aprì gli occhi. Impazzì di gioia. «Sono una fata!»

Vederla correre in giro per il salotto fu il vero regalo per Minako. «Guardati allo specchio!»

Arimi non si fece pregare. «Ho le ali!»

«Complimenti!»

«Voglio volare!»

Meglio di no. In teoria avrebbe potuto accontentarla, ma far galleggiare in aria una bambina di quell'età non era una buona idea, a meno di non volere poi mille tipi di incidenti diversi in sua assenza. «Vola con la fantasia, Mi-chan. Stai molto bene!»

Arimi si osservò allo specchio con occhio critico. Minako non ne capì la ragione finché non la vide correre verso la sua stanza. Arimi tornò indietro, sventolando una delle sue bambole in una mano. «Sono più bella io ora!»

Minako ridacchiò. La vanità era una caratteristica di famiglia. «Su, è ora di cenare!»

«Noo, io voglio giocare!»

«Non hai fame? Mangiamo, su.»

Testarda, Arimi scosse la testa e scappò. Minako la seguì finché non fu certa che fosse al sicuro nella sua stanzetta. Non discusse oltre: aveva sbagliato a trasformare Arimi prima di cena, era ovvio che l'avesse distratta. D'altronde c'era ancora da riscaldare il cibo.

Mentre si dirigeva in cucina, le venne l'acquolina in bocca. Quella mattina aveva ordinato piatti divini nel suo ristorante di fiducia e aveva passato la giornata a fantasticare sul loro gusto. Nel pomeriggio un pezzo di torta - o due - a stento l'avevano saziata.

Mise le portate a scaldare nel forno e nel microonde. Aspettò davanti allo specchio dell'ingresso, accarezzandosi la pancia.

«Come chiamarti, Yama-chan? Oggi sentivo il nome Rafael. Rafi.»

Il suo piccolo non ne fu impressionato, rimase immobile.

«Lo so, ci vuole qualcosa di più alto. Un nome da principe.» Vagliò per l'ennesima volta una lista infinita di nomi di cui aveva già consultato il significato, provandone di nuovo il suono sulla lingua. Niente, nessuno le sembrava giusto.

Sapeva solo che il suo bambino doveva nascere felice, perciò era giunto il momento di dare un taglio agli impegni ufficiali. Quel giorno - durante il dibattito pubblico - essere presa di mira le aveva fatto salire la rabbia dal centro dello stomaco fino al cervello. Non potersi sfogare a dovere non l'aveva aiutata.

Sentì girare la serratura e trovò un motivo per sorridere. «Arimi! Guarda chi è arrivato!»

Shun entrò in casa. Nel vederla si sorprese. «Ehi.»

Minako cercò di dargli un bacio, ma Arimi arrivò per prima. «Papà!»

Osservarli insieme era una gioia. La piccola si arrampicava, cercava baci, abbracci, rideva. La sua felicità di bambina era così bella che a Minako venne da piangere. Si diresse verso la cucina.

«Minako?»

Quei cavoli di ormoni! «Ho deciso di tornare a casa prima.» Controllò il singhiozzo nella voce.

«Agatha è già andata via?»

«Sì, le ho detto di non venire domani. Ha bisogno di riposare, la stiamo sfruttando.»

Shun smise di seguirla, rimanendo in corridoio. «Che cos'è questo costume?» Il commento era rivolto ad Arimi.

«Me lo ha regalato Mi- La mamma.»

Minako si commosse di nuovo. Era Shun a spingere Arimi a chiamarla in quel modo; per parte sua Minako la considerava già come una figlia, ma si sentiva ancora strana a farsi chiamare mamma. 'Mina' le era sembrato tanto tenero, già sufficiente. Tuttavia, con la nascita del nuovo piccolo, era giusto che Arimi non percepisse una differenza tra loro due.

«Ho immaginato quel vestito per Arimi mentre tornavo a casa!» disse ad alta voce.

Udì Shun. «Su, tra poco ceniamo. Va' a rimettere a posto i tuoi giocattoli.»

«No, io voglio giocare!»

Dai passetti veloci di Arimi, Minako seppe che si era ripetuta la fuga di prima.

Le era venuta voglia di dolce, perciò ricevette Shun con un barattolo di gelato in mano.

Fermò la risata di lui sul nascere. «Non puoi dire a una donna incinta che mangia troppo.»

Shun si strinse le spalle, innocente. «Non una sola parola è uscita dalla mia bocca.»

«Bene.» Provò a fare la sostenuta, ma appena sentì le labbra di lui sulla fronte, tutta la tensione della giornata si accumulò nella sua gola, minacciando di farla scoppiare. Nascose le lacrime nel petto di lui.

«No, shh.»

«Hai visto?» singhiozzò.

«Sì. Che bastardo.»

Esatto! Quel politico americano era una delle persone più infide che avesse mai incontrato. «È stato più convincente lui!»

«Non è vero. E poi volevo applaudirti quando ti sei trasformata.»

«Non avrei dovuto farlo.» Lo scopo di quelle loro apparizioni pubbliche era proprio quello di mostrarsi come un'autorità amichevole, che non avrebbe imposto nulla. Lei che spaventava la gente comune era una sconfitta.

Shun la prese piano per le spalle. «Ehi. Guarda che ti ha offeso. Hai fatto bene a fargli sentire il tuo giudizio divino.»

Le sfuggì una risata. Il dibattito per il divieto di reintroduzione delle armi da fuoco in territorio statunitense era importante - nel giro di tre settimane ci sarebbe stata una votazione che poteva influenzare anche l'opinione pubblica di altri paesi. Era evidente al mondo intero che una presa di posizione contraria a quella che volevano loro - il circolo del protettorato di Serenity - sarebbe stata una sorta di sfida, ma Usagi aveva promesso. "Siamo qui per proteggere, non per imporre."

Usagi veniva contraddetta da azioni che aveva commesso in prima persona, pur senza farlo apposta. Far sparire tutte le armi da fuoco dalla faccia del pianeta - ad eccezione di quelle in dotazione agli eserciti - era stata una delle molte mosse che l'avevano resa immediatamente temibile e divina agli occhi delle persone.

Minako si era offerta di partecipare al posto suo nel più importante dibattito televisivo che si sarebbe tenuto sulla questione in suolo americano.

Negli Stati Uniti la politica era spettacolarizzata, intensa e spietata e forse solo in Giappone la popolarità di Minako era alta quanto negli Stati Uniti. Lei aveva pensato che potesse essere un fattore utile. Si era ripromessa di presenziare e dire solo poche parole finali - per ricordare a tutti che avrebbero rispettato le loro scelte democratiche, ma che al contempo era importante tenere a mente i fatti: quanto era calato il loro tasso di criminalità, per cominciare.

Era stata tirata in ballo prima che venisse il suo turno.

Il deputato Matheson l'aveva indicata come l'origine di tutti i mali - lei e le Serenity del mondo, che scendevano sulla Terra dall'alto della loro superiorità facendo sparire tutte le armi dal sacro suolo americano

"Con quale diritto! Come possiamo fidarci? Che esperienza hanno queste persone per parlare, o anche solo per essere qui? Ecco chi ci hanno mandato oggi, un'attricetta che crede che la fama sia un endorsement politico!"

Minako era scattata in piedi, avvampando di potere davanti agli occhi di tutti. Su di lei erano calati abiti nuovi, principeschi, e le persone vicine si erano ritratte. Il deputato era sbiancato.

"Vi hanno mandato Venere, signore. Ora che lo ricorda, può continuare a parlare.»

Si era zittita a forza durante il resto del discorso. Era cascata in una sorta di trappola - quell'uomo aveva voluto provocarla apposta, per far pensare a tutti che di fatto lei e le altre stessero imponendo il loro punto di vista con la forza. In quel modo lui legava la propria posizione a una sorta di lotta per la libertà, contrapposta alla 'dittatura di Serenity'. Ci era mancato poco che lo dicesse a chiare lettere. Minako non gli aveva dato il piacere di confermare le sue assurdità: aveva incassato il resto delle accuse in silenzio, dimostrando di saper sopportare argomentazioni ragionate che non fossero offensive. Almeno, lui non era più scaduto nella maleducazione.

Il discorso finale che aveva fatto lei era stato accorato e semplice, ma non riusciva a valutarlo in maniera oggettiva. Era ancora troppo arrabbiata e non voleva più pensare a quella storia.

Shun le accarezzò i capelli. «Avevi preparato quell'abito?»

«No. Mi sono trasformata senza pensare. Sono stata fortunata che non sia saltato fuori il costume Sailor.»

Ridendo, Shun le accarezzò il ventre. «Con questa pancia... Come sta lui oggi?»

«Era immobile mentre stavo seduta su quella sedia, fumando di rabbia. Credo che sia arrivato il momento di fermarmi, Shun.»

«Se è questo che vuoi. Ma-» Li interruppe il suono del microonde, che segnalava il termine della cottura. Shun spense l'apparecchio e la portò alle sedie più vicine. «Mina, credimi. Oggi non hai sbagliato. Quel tizio sembrava una specie di bullo che se la prendeva con una povera donna incinta.»

Ma non era quella l'immagine che lei aveva voluto dare. «Così è come mi vedi tu.»

«Io volevo spaccargli la faccia, ma, oggettivamente, tu avevi un atteggiamento sereno e pacifico finché lui non ha cominciato ad attaccarti. Poi, da vera lady, gli hai ricordato di abbassare il tono e sei stata in silenzio rispettando la sacralità del dibattito.»

Davvero era andata così? «Hanno già tirato fuori dei sondaggi, vero?»

Shun annuì. «Il dibattito ha influito poco. Le persone la pensano ancora come prima. Quell'uomo era disperato, per questo ti ha attaccato.»

Minako sospirò. «A volte mi chiedo se la gente capisca che abbiamo ragione, oppure abbiano solo paura di quello che faremmo se non ci dessero ragione.»

Lui le massaggiò le spalle. «Lo scopriremo presto, con tutto quello che si sta decidendo quest'anno. Per ora non pensiamoci.»

Lei iniziò a mugolare. «Le tue mani sono divine. Premi di più lì...»

«Ma guarda che frasi interessanti.»

«Se mi massaggi ancora ne sentirai altre. Ne avevo proprio bisogno.» Gli offrì la schiena. Il modo in cui le dita di lui andarono a snodarle i nervi la fece sciogliere da capo a piedi. «Hmm...»

Shun sorrideva. «Portare Yama-chan pesa, eh?»

«Dobbiamo trovargli un nome.»

«Ovvio. Sarà Shun II.»

Minako lo colpì su un ginocchio.

«Basta che non lo chiami Cupido» rise Shun.

«Eh?»

«Oggi al laboratorio mi dicevano che era il figlio della dea dell'amore Venere.»

Ah, sì? «Quel nome no, ma... Magari potrei cominciare a guardare tra nomi antichi. Un nome divino sarebbe adatto a lui, non trovi?»

«Megalomane. Arimi!» Shun alzò la voce. «Cosa stai facendo?»

«Gioco con le bambole!»

Controllare la bambina era una necessità periodica.

Suonò il timer del forno.

Shun non credette alle sue orecchie. «Quanta roba stai preparando?»

«Tutta quella che mi serve. Io sono una meravigliosissima donna incinta che deve nutrire il suo primogenito.»

Shun si era già alzato a controllare le due portate. «Roba leggera.»

«Non criticare il mio cibo. Piuttosto, servilo.»

«Schiavo!» aggiunse lui, e Minako rise.

«Hai capito la tua posizione.» Si sollevò dalla sedia prima che Shun potesse raggiungerla. «Dunque, servo, cosa pensi dei nuovi abiti della tua padrona?»

«Sono adeguati, mia signora.»

«Non calarti troppo nella parte.»

«Torno allo stato di pari?»

«Basta che mi fai dei complimenti.»

Lui si divertì. «Mi piace come sei diventata pretenziosa.»

Non la capiva! «Sto da ore davanti a te con questo vestito e non hai fatto un solo commento su quanto è carino!»

«Prima dovevo consolarti. Se mi concentravo su come l'abito cadeva su questa deliziosa pancia...» La strinse tra le braccia e giocò a fingere di darle un bacio sulla bocca, solo per imprimerglienene uno sulla guancia, sul mento... Si inginocchiò. «Figlio, sapessi quanto sono stato intelligente. Non potevo sceglierti geni materni migliori. Quando sarai grande, anche tu sarai un dio di bellezza.»

Minako rise.

Shun continuò la sua conversazione col bambino. «Farai strage tra donne e mi dovrai ringraziare. Ho fatto tutto solo per te.»

«Nel suo esclusivo interesse» sottolineò Minako.

«Certo. Già che ci sei, piccolo, nascondi per bene lì dentro le tue molto future sorelle. Io ne ho già una cui fuori dietro cui impazzire tra qualche anno.»

«Le insegnerò a truccarsi» dichiarò Minako. «A vestirsi bene, a valorizzarsi...»

«L'ultima cosa soprattutto, se significa che le farai capire che vale quanto mille uomini.»

«Che fate?!» Arimi era sbucata alle loro spalle. «Anche io parlo al bimbo, anche io! Bimboo!»

Minako cercò di non far tremare la pancia dalle risate mentre Arimi ci appoggiava sopra la faccia. Shun accarezzava la piccola testa di lei.

«Esci presto, bimbo! Non esce mai!»

Per le sue lamentele fu travolta da un abbraccio congiunto. «Sei troppo tenera!» Minako la inondò di baci.

Arimi si divincolò dal suo abbraccio. «No, no! Io ho fame!»

«Ah, hai sentito l'odore dello sformato. Mi-chan, ne mangeremo a volontà! Io e te non ingrassiamo, cresciamo!»

«E io?» indagò Shun.

«Con tutto questo cibo tu diventerai un pallone di ciccia. Ma ti vorrò bene lo stesso.»

Lui rise. «Certo che sì. Farò di te la mia moglie trofeo, non lo sai? Sto per diventare ricco.»

Minako si illuminò. «Ci siete quasi?»

«Sì, si passa ai collaudi finali. Presto diventerò papà anche di un'invenzione.»

Il teletrasporto! «Sei un genio, tutti quanti lo siete!» Rise e si gettò tra le sue braccia. Avevano lavorato tanto a quel progetto! «Sarò con piacere la vostra moglie-trofeo!»

«Ehi, io non condivido.»

Lei si portò una mano alla fronte. «La mia bellezza è troppa per essere sopportata da un unico uomo.»

«Arimi, queste cose non ascoltarle.»

«Io ho fame!»

«La voce della ragione» sorrise Shun. Sospinse Minako verso il tavolo, facendola accomodare su una sedia. «Signore dee, mettetevi a vostro agio.» Sistemò anche Arimi al suo posto. «Questa sera sarò il vostro maître.»

Minako lo seguì con gli occhi mentre andava a prendere il cibo.

Aveva una persona meravigliosa che la amava e la consolava, una bambina bellissima che le riempiva le giornate, un altro piccolo in arrivo... Cominciò a singhiozzare di felicità.

Ridendo Shun tornò vicino a lei, scostandole la frangia. «Ehi, shh. Sei davvero troppo incinta.»

«Non è colpa mia!»

«Lo so, è mia. Una di quelle soddisfazioni...»

Minako uccise le lacrime con le risate.

Seduta all'altro capo del tavolo, Arimi era in apprensione. «Piangi, mamma?»

«Di gioia!» esclamò lei, prima di struggersi di commozione anche per l'appellativo usato da Arimi. «È tempo di felicità!»

Smettendo di fare la sciocca, si concesse una serata di tranquillità con la sua famiglia.

 

FINE

   


 

NdA: Sto sorridendo a trentadue denti, perché questa storia non voleva proprio saperne di uscirne fuori dalla mia penna virtuale, ma appena ho superato l'ostacolo della spiegazione su cosa aveva scocciato Minako, il resto della fanfic mi è uscito dalle mani senza colpo ferire. Ringrazio Elisa 'Ecate', che mi ha sostenuta durante la stesura coi suoi consigli :)
Come al solito, questo è solo uno spaccato del futuro di Minako, ma avevo davvero bisogno di scriverne.

  

Elle

 

  

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

  

 

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Capitolo 11
*** Makoto e Gen (nelle ultime settimane di gravidanza) ***


Maternità 8

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


8 - Makoto e Gen (nelle ultime settimane di gravidanza)

Nota: devo avvertire. Questa piccola storia contiene spoiler molto grossi e importanti. Se non volete avere sorprese, sarebbe meglio che la leggeste solo se avete già letto gli spoiler che ho postato nel gruppo Facebook 'Lo spoilerone di Elle'.

   

In quel primo weekend di Giugno il caldo era disceso su Tokyo come la bocca dell’inferno. Lui e Makoto non avevano fatto in tempo a installare l’aria condizionata nel loro appartamento. A maggio avevano discusso se risparmiare prendendo un impianto portatile, ma era parso a entrambi inutile, considerando che la casa era predisposta per un impianto fisso. Era uno dei motivi per cui l’avevano scelta.

Quella mattina Gen aveva proposto a Makoto di comprare subito un condizionatore con un paio di split, per farlo installare l’indomani. Lei si era impuntata.

«Non sappiamo per quanto rimarremo a vivere qui. È una spesa inutile.»

Lui non aveva capito come lei potesse preoccuparsi del denaro. «Vuoi morire di caldo proprio in queste ultime settimane?» Nelle sue condizioni?

«Il meteo non ha detto se questa afa continuerà. Sai quanto dovremo spendere dopo? Pannolini, accessori, vestiti…»

Non navigavano nell’oro, ma avevano abbastanza da permettersi delle basiche comodità. «Mako… Pensa a stasera. Stai già facendo fatica a trovare una posizione per dormire.»

«Grazie di avermelo ricordato!»

Di tanto in tanto lei era intrattabile. «Lo dico per te.»

«Magari durerà solo un paio di giorni e intanto noi avremo speso una fortuna. Non posso pensare che rimanere fresca mi costi centomila yen a notte! Non si può buttare così il denaro, è... irrispettoso. Non parliamone più!»

Gen aveva smesso di discutere. In quei giorni sapeva quali battaglie affrontare con lei. Quando Makoto era infastidita da qualcosa, non c’era buon senso che tenesse. Tutto quello che lei voleva era avere ragione, perché… sì. Non le era mai piaciuto litigare e e ora che si portava addosso dieci chili di peso in più, la minima discussione la irritava.

La mattina dopo si sarebbe arresa all’evidenza e avrebbero comprato il loro condizionatore, ne era convinto. Forse sarebbe servito per poco tempo, ma a lui non importava: Makoto era incinta e non doveva subire l’afa dell’estate, così come i loro due bambini, sia dentro la pancia che fuori, appena fossero nati. Dalla comodità di tutti e tre lui avrebbe a sua volta tratto giovamento.

Davanti al ventilatore, chiuse gli occhi. Il venticello generato dalle pale in movimento era fantastico. Si allontanò e direzionò il soffio dell’aria verso il letto. A tre metri di distanza, anche se il ventilatore fosse rimasto acceso tutta la notte, non avrebbero preso il raffreddore.

Makoto entrò in camera, nuda con l’eccezione di un paio di mutandine. Tutto quello che vedeva lei - Gen lo sapeva - era la protuberanza tesa della pancia. Lui trovava molto più interessante la maniera incredibile in cui si erano gonfiati i suoi seni. Ne aveva visti di simili solo in certi video, e non per merito di madre natura.

Makoto si coprì il petto con l’indumento che portava in mano. «Non guardarmi.»

Lei era di cattivo umore. No, era triste. «Cosa c’è?»

«Non mi sta il pigiama.»

Gen guardò il pezzo di stoffa bianco tra le sue braccia.

Makoto lo allargò di fronte al corpo. «Era il più fresco che avevo! Non mi entra più!»

«Mi dispiace. Domani ne compriamo uno nuo-…» Non concluse. Makoto era vicina alle lacrime. «Ehi…»

«Non so neanche se mi stanno gli altri! L’estate è arrivata troppo presto, fa troppo caldo!»

Non era il quel modo che lui avrebbe voluto avere ragione.

Avvicinandosi, provò a stringerla.

Makoto si scostò. «E mi sto comportando da strega!»

«Non è ve-»

«Non mentire!»

Dire la cosa giusta stava diventando un percorso a ostacoli. «Sarei infastidito anche io se avessi tanto peso addosso da…» Si rese conto del suo errore.

Makoto abbassò lo sguardo sul proprio stomaco, abbattuta. «È enorme. E mancano ancora tante settimane. Non possono uscire prima.»

Gen la prese per un braccio. Delicatamente, la portò davanti all’aria generata dal ventilatore. «Così si sta meglio, no? Andiamo, si risolve tutto.»

Lei cominciò a perdere energia. «Mi ammalerò.»

«No, mi alzerò a spegnerlo dopo che ti sarai addormentata. Il meteo dice che tra poco arriva un po’ di aria fresca.» Era una speranza.

Makoto teneva la testa china. Si accarezzò lo stomaco. «Mi dispiace, non ce l’ho con voi. Vi voglio bene.»

La singola lacrima che le bagnò la guancia gli causò dolore al petto.

«Cosa c’è che non va?»

«… tutto.» Lei ce l’aveva con se stessa. «Non sappiamo se rimarremo a vivere qui. Non voglio spendere tanto in vestiti che poi non userò più. Vorrei avere il tempo di cucirmi qualcosa, ma…»

Certo, lei aveva ancora troppi impegni. Era restìa a metterli da parte, ma quello era un discorso da rimandare al giorno seguente: era troppo complicato. «Sediamoci.»

Makoto non protestò. Si sistemarono sul bordo del letto.

«Dobbiamo risolvere una cosa alla volta. Per i vestiti… Comprali. Non stai spendendo solo per degli abiti, ma per stare bene e rilassarti. Lo stai facendo per te stessa e per loro, quindi è una cosa importante.»

Con le labbra unite, strette per l’infelicità, Makoto considerò il suo ragionamento.

«Per la casa… mi dispiace, è anche colpa mia. Domani ci mettiamo davanti al tavolo e prendiamo una decisione insieme. Non importa se non sarà perfetta o se spenderemo di più.»

«Magari dovremo solo restare qui.»

«Ne parliamo domani. Oggi pensiamo al problema immediato: il pigiama. Vuoi che ti presti una delle mie magliette?»

Makoto sospirò. «Speriamo che mi stia.»

«Certo, ne ho alcune larghe.»

Lei fece una smorfia.

«Non lo intendevo in quel modo.» Andò a toccarle la pancia e detestò il modo in cui lei si irrigidì.

Perché Makoto era diventata tanto suscettibile su quel punto? In precedenza non le era importato. «Se i bambini sono grandi, vuol dire che sono sani e forti, no?»

«Lo so. Anche io voglio che crescano bene.»

Lei si stava ancora coprendo. «Sei cambiata, ma non in peggio.»

«La pancia non è il vero problema, è tutto il mio torso che… Con queste mammelle sembro una mucca!»

Lui cercò di non ridere. «Ma no.»

«Sono sgraziata e brutta!»

«Non è vero.»

«Ho letto in una rivista che poi il seno non torna più come prima. Più si allatta e peggio è. E io dovrò farlo per due!»

Ora stava esagerando. «Makoto… tu non sei una donna normale.»

A quello lei non rispose.

«Hai il tuo potere che ti guarisce e fa tante cose sul tuo corpo. Comunque, anche se non rimettesse a posto le cose… Io non ti trovo brutta. Anzi, da una settimana a questa parte sei cambiata in un modo che trovo molto interessante.»

Lei se la prese per il suo tono allusivo. «Non ho un seno solo per te.»

Certo, no.

Makoto si abbatté di nuovo. «Comunque, non saranno belle da sgonfie. Tutta questa carne ballonzolerà!»

«Non importa.»

Lei non lo ascoltò, appoggiò la testa sul suo petto. Iniziò a singhiozzare.

Gen si sentì incompetente. «Torneranno come prima, vedrai.» Era quello che lei voleva sentirsi dire, inoltre... «Avrai un aspetto fantastico in ogni momento.» Lo pensava davvero e la circondò con le braccia.

Lei pianse ancora un po’, poi si scostò piano. Tirò su col naso. «Devo smetterla. Per loro.»

Non era necessario essere forte. «Non sono ancora qui. Non ti sentono.» 

«Per fortuna.» Makoto rilasciò un lungo sospiro, ma dal suo volto era sparita la malinconia. «Io… forse avevo bisogno di piangere. Mi sento meglio.»

… era quella la soluzione? «Allora puoi piangere tute le volte che vuoi.»

La fece sorridere, una vittoria che lo fece sentire un gigante.

Sentì la mano di lei sulla guancia, poi sui capelli.

«Vai a prendermi una tua maglietta. La provo.»

  

Sdraiata su un fianco, sul cuscino per il corpo che aveva preso, Makoto provò a rasserenarsi. Era più facile con la brezza del ventilatore sulle gambe, una maglietta di cotone intrisa dell’odore di Gen e la sensazione quotidiana, a quell’ora, dei loro piccoli che si muovevano nella pancia.

Fece una smorfia. Uno dei bambini stava premendo contro un suo rene. Si massaggiò la parte bassa della schiena, tenendo la mano dove l’altro suo piccolo stava calciando. Sentiva il suo piede. Voleva prenderlo in mano e stringerlo forte, portandolo alle labbra per baciarlo. Se solo li avesse avuti tra le braccia, forse sarebbe stata più tranquilla.

Era nervosa e preoccupata per tante cose. L’idea di non avere ancora scelto la casa in cui i loro figli sarebbero cresciuti, le difficoltà che aveva nel gestire il suo tempo…

Come Sailor Jupiter aveva tanti doveri ora, verso tante persone. Aveva diritto di prendersi del tempo per sé, ma si sentiva in colpa a preoccuparsi solo della sua piccola vita, mentre al mondo tante persone soffrivano e attendevano solo il suo aiuto. Inoltre, anche se non avesse avuto tutte quelle responsabilità, forse avrebbe sentito lo stesso che le cose non erano completamente a posto.

Sarebbe stata una buona madre? Sapeva cucinare, era affettuosa, di solito calma, ma… Due bambini. Sarebbe stato difficile crescerne uno, ma due?

Non voleva prendere qualcuno che la aiutasse, era compito suo fare la madre. Lo aveva desiderato così tanto. Voleva essere lì per ogni sorriso, per ogni pianto, per ogni minimo malessere.

Come poteva qualcun altro sapere di cosa avessero bisogno i suoi bambini? Era lei che li sentiva muoversi dentro di sé, era lei che già conosceva il loro carattere. Con il pianto avrebbero cercato la loro mamma, non una persona estranea.

Sotto la mano sentì la forma di una testolina, mentre uno dei piccoli - impossibilmente - trovava ancora lo spazio per girarsi.

Si riempì di un amore così assoluto da farle spavento e si abbracciò lo stomaco, rannicchiandosi anche se era fastidioso.

Si lasciò accarezzare dall’aria fresca, chiuse gli occhi. Mentre massaggiava i suoi figli da sopra la pancia, si beò di essere ancora un tutt’uno con loro. Nel silenzio, provò a percepire il loro battito.

    

Uscendo dal bagno, Gen non tornò in camera. Afferrò il cordless e prese la strada del balcone. Una volta fuori, chiuse la porta dietro di sé e verificò che il telefono avesse segnale.

Compose il numero di casa Kumada-Hino.

«Pronto?»

Bene, aveva beccato proprio Hino. «Ciao, sono Gen.»

«Ah. Ciao.»

Sì, una comunicazione tra loro due era insolita. «Ti chiamo per Makoto.»

«Sta bene? I gemelli sono a posto?»

«Sì. Non è un problema di salute.»

«Okay» si tranquillizzò lei. Si incuriosì. «Cosa, allora?»

«Mi chiedevo se avevi un pigiama estivo che ti avanzava. Di quando eri incinta, ma solo se è di buona qualità.»

«Che?»

Gen alzò gli occhi al cielo notturno. A cosa si era ridotto? «Makoto oggi ha scoperto che il suo pigiama preferito non le sta più. Le ho prestato una mia maglietta, ma con quella suderà con tutto questo caldo.»

«Ma certo, poverina! Possibile che tu non abbia ancora installato l’aria condizionata?»

Gen strinse i denti. «Stiamo discutendo se metterla. Domani riuscirò a convincere Makoto.»

«È lei che non la vuole?»

«Non vuole spendere soldi.»

«La solita. Non si può pensare a risparmiare su queste cose!»

Gen non poteva essere più d’accordo. «Il problema è solo per stanotte. Domani cercheremo qualcosa di nuovo.»

«Non tu. Domani mi libero e la porto fuori con le altre. Qui stanno tutte impazzendo tra il caldo, quelle pance e… tutto il resto. Abbiamo bisogno di comportarci da persone normali. Lo shopping ci aiuterà.»

In effetti, tra donne si sarebbero intese meglio. E Makoto aveva bisogno delle sue amiche, non solo come compagne nel loro nuovo destino di responsabilità verso il pianeta. «Glielo dico io?»

«No, le farò una sorpresa domattina. Comunque non dovrà comprare un pigiama: ne ho uno perfetto per lei.»

«Io intendevo un prestito…»

«Non vedo a cosa debba servirmi un pigiama extra-large che non metterò mai più. Sei fortunato, sai? È un regalo di Yuichiro, ma lui lo ha preso della taglia sbagliata. A sei mesi ci cadevo dentro, poi è finita l’estate e non ne ho avuto più bisogno. È praticamente nuovo.»

«Se è un regalo, Yuichiro non vorrà che tu lo dia via.»

«Mi ha fatto mille regali in quei mesi e stavo già cercando qualcuno a cui dare questo pigiama. Non era facile scegliere chi favorire tra tutte le ragazze. Mi hai risolto un problema.»

Era felice di esserle stato d’aiuto, ma… «È di cotone leggero e fine?»

Udì la risata di Hino. «Sentirti parlare così mi fa morire dal ridere. Sì, è perfetto per questo caldo. Ora lo senti anche tu.»

Lei chiuse la chiamata e Gen si scostò di lato sul balcone. Doveva farle spazio.

Rei Hino non si fece attendere: col teletrasporto apparì, in pieno costume Sailor, a un metro da lui.

«È così che giri per casa?»

«A quest’ora ero in pigiama anche io, non mi sembrava la mise adatta per questo incontro.» Gli mise in mano un indumento di stoffa bianca.

Gen non poté credere alla sua fortuna: il tessuto era uguale a quello dell’adorato pigiama di Makoto, di cui lei decantava le lodi da anni. «Grazie.»

«Continui a sorprendermi, sai? Ti sei proprio ammansito.»

«Makoto era triste. Volevo fare qualcosa per lei.»

Hino si incupì. «Stalle vicino, sarà nervosa in queste settimane. Poi cambierà tutto. Non sarà facile, soprattutto per voi che ne avrete due.»

Sì, il mondo intero continuava a ricordarglielo, ma lui era ottimista.

Hino sorrise furba. «Ci scambieremo favori di babysitteraggio col tempo, così avrete modo di respirare.»

«Grazie» ripeté lui. 

«Non vedo l’ora di vederti con le occhiaie, prostrato da due neonati urlanti.»

Lei era sadica. «Resisterò.»

«Certo. Se vedo Makoto più stanca di te, ti farò camminare sui carboni ardenti.»

Gen strinse gli occhi. «Carboni ardenti veri?»

«Ne sarei capace. Il potere non mi manca.»

Stava lì il punto. «Ormai neanche a me. Un giorno…»

«Chissà tra quanto. Per allora sarò molto contenta di raccogliere la tua sfida. Marte non teme rivali.»

«Neanche Ganimede.»

«Sei giusto più piccolo di un milione di chilometri rispetto a me. Ci vede, Gen.»

Hino sparì, togliendogli il gusto dell’ultimo parola.

  

Makoto sentì rientrare Gen nella stanza. Lui aveva fatto una doccia molto lunga: sicuramente moriva di caldo.

«Ho una sorpresa per te.»

Prima che fosse riuscita a voltarsi, sentì le mani di lui sui fianchi, che le sollevavano la maglietta. Quella sera lei non aveva energie per fare sesso, ma forse l'avrebbe fatta stare bene sentirsi amata.

Gen la stava tirando a sedere, spogliandola con delicatezza, come fosse fragile o malata.

Non era così che lui iniziava un approccio.

«Dormire nuda non è una buona soluzione, sai?» Si coprì il seno, cercando di sorreggerlo per intero con le mani.

Gen scuoteva la testa. «Alza le braccia, metti questo.»

Ritrosa, Makoto sollevò le mani in aria. Gen non abbassò neppure per un istante gli occhi sul suo corpo, si limitò a far scivolare su di lei un indumento leggero.

Quando lo ebbe indosso, Makoto si osservò, incredula. Un pigiama. Era... delizioso, perfetto.

«Dove lo hai preso?»

«L’ho chiesto a Hino. Ha detto che è un regalo.»

Oh. Rei era stata gentilissima, ma lui…

Gen era felice come un ragazzino. Spense la luce sul soffitto. «Visto? Con questo pigiama e col ventilatore… quasi non sembra che faccia caldo, vero?»

Makoto si commosse così tanto che non riuscì a piangere. Gen era il suo eroe.

Sentì un nuovo calcio al ventre e le uscì una piccola smorfia.

Gen guardò il suo stomaco. «Sono di nuovo agitati?»

«È l’ora.» Mentre camminava i bambini si sentivano cullati, ma appena si sdraiava un momento… La sera era il loro momento di gioco.

Gen afferrò il cuscino lungo da dietro le sue spalle e lo sistemò tra loro. «Sdraiati qui.»

Per quanto era stanca, Makoto obbedì senza protestare. «Il pigiama è un regalo meraviglioso.»

«Te lo meritavi. Ora vediamo se riesco a fare qualcosa anche per...» Lui aveva posato una mano sul suo stomaco e si interruppe sentendo un colpo contro il palmo. «Ah, eccolo. Chi è dei due?»

«Indovina.»

Sorridendo, Gen si sdraiò su un fianco, mettendosi col volto all’altezza del suo petto. «Meglio che non lo sappia, così non saprò chi punire per farti tanto male. Vostra madre ha bisogno di dormire, sapete?»

Nella sua pancia non vi furono più movimenti.

«Li hai zittiti.»

«È il giusto tono di voce. Ci vuole disciplina.»

In risposta il pigiama fluttuò su un punto teso della sua pancia.

«Ah, un ribelle. Lì dentro si annoiano.»

Makoto sorrise e abbassò le palpebre sugli occhi.

«Quando uscirete» continuò Gen, «vi porterò in giro tutto il giorno, così la sera sarete stanchi. È bello anche dormire, sapete? Lì lo fate a volontà, lo so. Magari, appena sarete fuori, continuate così per un po’. Dovrete avere pazienza. Tra voi due vi capite con un tocco, con noi sarà un po’ più difficile…»

Makoto passò una mano tra i suoi capelli, immergendo le dita in lui e nella sua voce. Si lasciò cullare nel sonno.

  

Nel silenzio della loro camera, Gen combatté per tenere gli occhi aperti.

Doveva spegnere il ventilatore.

Mosse la testa nella mano di Makoto, abbracciando piano la sua pancia.

C’era un buon odore, di lei e di qualcos’altro che doveva ancora arrivare, ma che era già presente tra loro.

Udì il ticchettio lontano delle lancette dell’orologio. Makoto respirava piano, addormentata.

Contro la mano sentì un movimento. Non un calcio, ma una passata leggera di piede, l’orma così piccola da stare tre volte nella sua mano.

… era felice di essere vivo. Era felice che lo fossero tutti.

Dormì.

FINE


NdA: Non preoccupatevi, dopo un po' Gen si è svegliato e ha spento il ventilatore :P

Una cosina sola: non ho ancora deciso il sesso di questi bambini. Due maschi, un maschio e una femmina... Può essere tuto. Non ho nemmeno escluso che siano due femmine, anche se mi sembra sempre più improbabile. Nel caso, tornerei a correggere al femminile quanto scritto qui :D

Per il resto... be', ho inserito tante piccole chicche in questa storia, vorrei sapere da voi se sono state colte :)

Elle

 

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 12
*** Mamoru con Chibiusa (due mesi) ***


Maternità 9

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


 

11 - Mamoru con Chibiusa (due mesi)

 

 A volte, quando Mamoru si svegliava all’alba, assisteva a un raro momento di quiete assoluta. Ascoltava il respiro soffice di Usagi, poi si alzava e si spostava per la casa, godendosi il silenzio.

Quando tornava indietro, si avvicinava alla culla e affinava l’udito: a poche settimane di vita Chibiusa espirava pochissima aria, velocemente.

Lui si tratteneva dal toccarla. Da sveglia lei non era sempre di buon umore: si ricordava di volere la sua mamma e piangeva, piccoli vagiti delicati che lo lasciavano incredulo. Da grande lei sarebbe stata capace di tali urla…

La notò sbattere le ciglia, un esserino che scopriva di nuovo il mondo nel ritrovarlo intorno a sé.

«Ehi» mormorò.

In risposta lei emise un suono breve, di conferma.

Ehi.

Mamoru le accarezzò la testa. Molto piano, la prese in braccio. «Buongiorno» bisbigliò. «Andiamo di là.»

Attaccata al suo petto Chibiusa tentò una risposta, che lui interpretò come una domanda.

«Non dobbiamo svegliare la tua mamma.»

La portò con successo in salotto, sistemandosi vicino alla finestra. Si intravedevano i primi raggi del sole oltre le tende.
Muovendosi sicura nelle sue mani, Chibiusa cercò di spostarsi verso la luce. «Uh.»

Lui rimase a sentire la morbidezza dei suoi capelli fini sui polpastrelli.

«Ci sarà tanto sole oggi.»

Chibiusa tornò a guardarlo, attratta dalla sua voce.

Mamoru non parlò più: rimase a osservare il viso di lei. I tratti di Usagi si erano riprodotti in miniatura su un’altra persona.

Ma il carattere era di lui: con nessun altro aveva sentito tanta affinità immediata. A Chibiusa era piaciuto sin dal primo momento in cui l’aveva percepito. Nella pancia lei si era calmata ascoltando le sue parole. Al vederlo per la prima volta aveva spalancato gli occhi, incantata.

Oh. Eccoti.

Mamoru provava le stesse cose. Erano padre e figlia, persone che si somigliavano e che esistevano per volersi bene.

Infilò il mignolo nel piccolo pugno di lei. Sentendo la stretta, fece dondolare le loro mani unite.

«Ti aiuterò ogni volta che avrai bisogno.»

«Uh.»

«Ti capirò.» Come lei capiva lui, pur piccola com’era.

Chibiusa abbozzò un sorriso. Stava imparando.

D’un tratto, la sua espressione virò sull’incertezza, poi sulla disperazione.

Mamoru comprese. «Shh, okay. Non preoccuparti.»

Chibiusa stava già piagnucolando quando la appoggiò sul fasciatoio. Appena sentì la freschezza della salvietta umida sulla pelle, lei iniziò a calmarsi, sollevata. Mamoru terminò di pulirla, aggiungendo un po’ di talco. Per Chibiusa fu la felicità completa.

«Basta poco» sorrise lui.

La riportò in camera. Era un piacere poterla presentare tranquilla alla sua mamma.

Usagi era molto paziente con lei. Tuttavia, svegliarsi coi suoi pianti le metteva fretta e a volte la oberava. Usagi rinunciava volentieri al sonno per la loro bambina, ma ogni tanto lui la vedeva sospirare per la troppa stanchezza, e soffriva per lei.

Avevano molti impegni in quel periodo. La loro vita in famiglia era la gioia più pura e semplice che fosse loro concessa. Lui voleva prolungare ogni momento di serenità.

Si risdraiò sul letto, Chibiusa in braccio, a pochi centimetri da Usagi.

Non c’erano Re e Regine su quel letto. Solo una madre, un padre, e quanto di più caro avevano al mondo.

Chibiusa emise un vagito incerto, muovendo le braccia. La fame cominciava a farsi sentire.

Lui le coprì la pancia con una mano, massaggiando.

Usagi aveva aperto gli occhi. «Oh.»

«Ciao.»

Lei creò un sorriso con le labbra, sporgendosi ad abbracciare la loro piccola. «L’hai calmata. Sei un angelo, Mamo-chan.»

«Non si è svegliata piangendo.»

«Ma ha fame. Non è vero?» domandò a Chibiusa. L’aveva già avvicinata al petto, abbassando il pigiama per porgerle il seno. Le diede il latte che bramava e sbadigliò. «Che bello.»

«Cosa?» sorrise Mamoru.

«Svegliarmi così bene. In pace.»

«Usa-chan sta crescendo. Piano piano piangerà sempre meno.»

Un sorriso, a bassa voce. «Ha solo due mesi.»

«Due mesi in meno di pianti.»

Usagi sbadigliò ancora. Cercò un suo braccio con la mano libera. «Mamo?»

«Hm?»

«Puoi preparare anche una colazione meravigliosa?»

Mamoru si divertì. «Dobbiamo riconsiderare l’idea dei servitori.»

Usagi si stiracchiò. «Non voglio gente per casa.»

Nemmeno lui. Ma in futuro non gli sarebbe dispiaciuto non doversi più occupare dei pasti. Dopotutto, il suo mondo esigeva molto da lui e Usagi. Piccole comodità sarebbero state d’aiuto.

«Mamo-chan?»

Lui era già sulla porta.

«Ti amo tantissimo.»

Mamoru rise. «Quando ti preparo la colazione?»

«In quei momenti di più.»

Scuotendo la testa, felice, lui si diresse in cucina.

 

 

FINE

 

 

 


NdA: viva le ispirazioni fulminanti e le idee semplici, che mi permettono di scrivere anche quando mi sento bloccata :)
Spero vi sia piaciuta!

 

Elle

 

 

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 13
*** Usagi e Mamoru (al sesto mese di Chibiusa) ***


Maternità 5

 

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation. 

 

 


  

5 - Usagi e Mamoru (al sesto mese di Chibiusa)

 

  

Quel Natale era diverso dagli altri. Gli orizzonti di Usagi negli ultimi sei mesi si erano ampliati: aveva girato il mondo ed era cambiata profondamente come persona. Laddove prima aveva considerato il venticinque dicembre solo come un momento speciale da passare con Mamoru, ora aveva visto con i suoi occhi un’atmosfera diversa, in paesi dove quel giorno era una festa da celebrare in famiglia. Non c’era sentimento che lei condividesse di più in quel momento.

«Non agitarti tanto!»

Maneggiò i piedini della sua Usa-chan, infilandone uno nella tutina rossa.

«Vuoi che la mamma ti vesta con la magia? Lo vuoi?»

La risatina infantile di Usa-chan fu argento vivo per le sue orecchie.

Afferrò i pugnetti della sua bambina e li baciò in coppia. «No! Poi la nonna dice che non ti fai vestire perché io lo faccio sempre con la magia! E poi voglio metterti questo costumino da Babba Natale con le mie mani. Così ti faccio il solletico al pancino, ti abbraccio tutta, ti strapazzo di baci...»

Usa-chan rilasciò un gridolino acuto.

«Shh! Okay, okay, non vuoi più stare sdraiata?» Usagi la sollevò fino ad appoggiarla sul materasso, seduta. Si meravigliò ancora una volta di quel piccolo miracolo di sei mesi, la sua piccola che teneva la schiena dritta, muovendo la testa da sola per guardarsi intorno.

«Ti piace, hm?»

Usa-chan le mostrò un sorrisino gigante e sdentato.

«Non tentarmi!» Usagi dovette trattenersi con tutte le sue forze per non travolgerla d’amore. «Sai cosa devo fare oggi!»

Non volle perdere altro tempo e si fece comparire nella mano due nastrini rossi e un piccolo pettine. «Questo è un momento storico, riservato a noi Usagi.» Per distrarla, diede a Usa-chan il peluche di un cavalluccio bianco. Iniziò a pettinarle i capelli rosa da un lato. «C’era una volta un piccolo coniglietto umano» intonò. «Era nata da una regina coniglio e da un…» Tentò di trovare un corrispettivo animale per Mamoru. «E da un lupacchiotto sovrano. Insieme i due genitori animali furono felicissimi quando arrivò la loro piccolina. Lei era un coniglietto vorace come la mamma e intelligente come il papà. I due genitori sognavano il giorno in cui avrebbero potuto parlarle di nuovo, ma nel frattempo era così bello vederla crescere. Poi arrivò il Natale e fu il momento della coniglizzazione ufficiale!»

Rise della sorpresa con cui Usa-chan la guardò.

«Non preoccuparti, non ti farà male. Ma se ti tiro troppo i capelli, grida, eh?»

Tranquilla, Usa-chan tornò a studiare la forma del suo pupazzo.

«Ora annodo il nastrino qui… Finalmente hai abbastanza capelli per farlo.» Erano pochi e fini, ma sufficienti a creare un mini-chignon.

A odango ultimato, Usagi resistette e non guardò. «Prima faccio l’altro.» Voleva godersi l’effetto finale.

Mentre lavorava sull’altro lato della testa di Usa-chan, cominciò a canticchiare. «We wish you a merry Christmas, we wish you a merry Christmas, we wish you a merry Christmas…» Le si bloccò il fiato mentre legava il secondo nastrino. «And a happy new year!»

Si tirò indietro e gridò di gioia. «Ahh! Sei bellissima, sei tu!»

Usa-chan sobbalzò.

«Scusa, scusa… ma sei Chibiusa!» Ridacchiò: aveva fatto la rima!

Si affrettò a sistemare i bottoni sulla schiena di Usa-chan.

«Come sono scomodi… ma non vedo l’ora di portarti da papà e devi essere pronta! Vuoi fargli una bella sorpresa?» Prese in braccio la sua bambina. «Una sorpresa di Natale! Andiamo a fargliela!»

 

«Mamo-chan…»

Mamoru si svegliò nel torpore del mattino, la guancia appoggiata sul cuscino.

«Mamoru, svegliati. Buon Natale. Guarda chi ti ho portato.»

La voce di Usagi era leggera e dolce.

Sulla schiena lui sentì un peso morbido, con arti minuscoli che si muovevano impazienti.

Si voltò piano, con un sorriso sulla bocca. «Chi è arrivata?»

La loro piccola Usagi appoggiò le mani paffute sul suo petto, sghignazzando felice. Solo lei riusciva a farlo in quel modo.

«Ciao! Sei contenta? Ma…» Smise di parlare quando vide meglio sua figlia. Lei aveva due codine rosa in testa.

«Ehi!» Scattò a sedere, portandola incredulo con sé. «Cos'hai qui?»

Usagi era estatica quanto lui. «Gliele ho fatte io, sono venute benissimo! Era tempo. I primi odango della sua vita!»

«Macché odango!» Mamoru baciò la fronte della sua bambina. «Questi sono chignon. È l’unico nome adatto per un’acconciatura da principessa.»

Usagi sollevò un sopracciglio. «Quindi ora anche i miei si chiamano così?»

«No. I tuoi rimangono sempre degli odango.»

Usagi lo colpì sulla spalla, poi lo abbracciò. «Buon Natale.»

Lui strofinò il naso contro la sua guancia. «Ehi, hai messo su un profumo?»

«Uh? Sarà eau de Usagi. Non c’è niente di più ricercato sul pianeta, sai?»

La modestia di lei diminuiva al crescere della sua regalità.

Usagi scoppiò a ridere. «Scherzavo, è un profumo che ho comprato. Speravo che mangiassi di baci anche me stamattina.» Si alzò, incrociando le braccia. «Ma vedo che le attenzioni sono per una sola Usagi…»

«Hm.» Mamoru sistemò Usa-chan sulla spalla, uscendo dal letto. «Allora per chi avrò preso quel regalo che ho nascosto in salotto?» Si deliziò della sorpresa di lei ma fu lesto e le impedì di correre via. «Buon Natale, Usako. E guarda che sei tu quella che non mi ha ancora baciato a dovere stamattina.»

Usagi rimediò in un baleno. «Preparati. Abbiamo una festa a cui andare!»

Mamoru se lo ricordava, ma quello era già un ottimo Natale per lui.

Mentre Usagi spariva dalla stanza, osservò la sua bambina. «Ma ti ha vestito da Babbo Natale?» Sapeva che Usagi e Minako si erano organizzate per dei costumi, ma lui aveva una miglioria da apportare. «Ecco» dichiarò. Fu così bravo da creare istantaneamente una bella gonnellina rossa per sua figlia.

«Al primo colpo, visto? Non si batte l’abilità di noi Chiba.»

Si sciolse quando Usa-chan lo abbracciò più forte, per sostenersi.

«Buon Natale anche a te. Andiamo a vedere se il regalo è piaciuto alla tua mamma.»

Uscì dalla stanza con sua figlia, per il loro primo Natale a tre.

 

 

FINE

 

 


 

 

NdA: Buon Natale a tutti voi! Ci tenevo a farvi questo piccolo regalo.

Spero che abbiate gradito e tanti auguri a tutti!

  

Elle

 

  

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

  

 

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Capitolo 14
*** Adam, sei anni, con la sua famiglia ***


Maternità 13

 

Note: Traduco in anticipo un termine che uso nella storia. 'Li'l champ' significa 'piccolo campione' ed è il modo in cui Alexander chiama ogni tanto suo figlio Adam.
 

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

Adam, sei anni, con la sua famiglia

(SPOILER ENORME per chi non ha letto le info date nel gruppo Facebook 'Lo spoilerone di Elle')

     

 

Adam Foster, sei anni, aveva una domanda per i suoi genitori.

«Cosa vuol dire fidanzarsi?»

Suo padre fermò la forchetta col riso appena fuori dalla bocca. Stavano cenando.

«Ah... due persone si fidanzano quando si vogliono bene.»

Ma lui voleva bene a tanta gente. «Allora si possono avere tanti fidanzati?»

Sua madre rise piano. «No, solo una fidanzata o un fidanzato, Adam. Dev'essere la persona a cui vuoi più bene di tutte.»

Lui ci rifletté su. «Allora no.»

Sporgendosi, suo padre tagliò in pezzettini più piccoli la carne nel suo piatto. «No, cosa?»

«Iria vuole che ci fidanziamo.»

Vide il sorriso di entrambi i suoi genitori. Ma non era divertente! «Mi sta sempre appiccicata, come Miri.» Indicò sua sorella dall'altro lato del tavolo.

«Miri è tua sorella, vuole solo giocare con te.»

Con la bocca piena di cibo, Miri annuì vigorosamente.

«Ma Iria non è mia sorella!»

«Per questo può fidanzarsi con te.»

«Io non voglio!»

Suo padre alzò una mano. Significava che doveva lasciarlo finire di parlare. Adam fece silenzio.

«Volevo dire che quando si vuole molto bene a qualcuno, gli si può chiedere di fidanzarsi se non si fa parte della stessa famiglia. E l'altra persona può rispondere di no, se non è d'accordo.»

Allora andava bene. «A me piace giocare con Iria, perché lei è brava a nascondino e a correre. Ma non voglio fidanzarmi con lei. Non le voglio così bene.»

«Diglielo con gentilezza.»

Sua madre e suo padre ripresero a mangiare. Adam aveva un'altra domanda per loro.

«Cosa succede dopo che ci si fidanza?» Voleva capire.

Fu sua madre a rispondergli. «Lo si fa sapere agli altri, così tutti sanno che quelle due persone sono speciali l'uno per l'altra. Poi, dopo un po' di tempo, ci si sposa.»

Adam si arrabbiò. «Non posso sposarmi con Iria!» Lei come aveva potuto pensarlo?

Suo padre tornò a ridere. «Non devi, ma... perché non puoi?»

«Perché il matrimonio è una cosa importante!»

I suoi genitori lo ascoltarono con attenzione.

Adam aveva imparato tutto dalle favole che raccontavano a lui e a Miri. «Col matrimonio le principesse diventano regine, giusto? Allora io sposerò Chibiusa-chan, che è una principessa. Così quando lei diventerà regina io sarò re!»

La risata di suo padre riempì il salotto.

Adam si offese. «Non posso diventare re se non sposo una principessa!»

Il suo papà provò a smettere di ridere, battendosi il petto e tossendo. «Ma... tu vuoi bene a Chibiusa più di tutti, Adam?»

«No, ma lei è carina come zia Usagi. E fa tutto quello dico io.» Anche più di Miri, che a volte si ribellava.

Perché suo padre continuava a ridere?

Anche mamma era divertita, e scuoteva la testa. Avvicinò la sedia alla sua, per scostargli la frangia dalla fronte. «Tesoro, è bello voler essere importanti. Ma non è necessario diventare re o regine per essere felici da grandi. Guarda me e il tuo papà.»

Con un grosso sospiro, suo padre tornò normale con la faccia. Annuì.

«Ci basta stare bene insieme con voi, avere una casa nostra e dei bei lavori.»

Ad Adam fare il re sembrava un bel lavoro. «Okay» disse comunque, perché era quello che loro volevano sentire.

Miri aveva la faccia piena di riso. «Anche io voglio diventare una regina!»

La mamma sospirò. «Dobbiamo raccontare loro favole diverse.»

«Non so, c'è qualcosa di affascinante nel modo in cui vogliono fare gli arrampicatori sociali.»

Mamma aveva messo il broncio, ma non stava guardando lui.

«Cosa vuole dire 'arrampicatori'?» domandò Adam.

«Persone che passano sopra tutto e tutti per ottenere quello che vogliono.» Suo padre gli scompigliò i capelli. «Stavo scherzando, li'l champ, bisogna essere gentili con gli altri. Non è necessario sfruttarli per arrivare a diventare importanti e ammirati. E' quello che vuoi tu, giusto?»

«Sì!»

«Ti dirò io come fare, col tempo. Adesso non devi preoccuparti di queste cose, pensa solo a giocare coi tuoi amici e ad andare bene a scuola.»

Adam ci pensò su.

Miri appoggiò la forchetta nel piatto di plastica. «Io ho tanti amici!»

«Yes, sweetie. Però non hai mangiato abbastanza. Un altro boccone, su. Ahh--»

Miri spalancò la bocca per papà, accettando la forchetta piena di cibo. Era ancora una bambina piccola.

«Anche tu devi finire di mangiare la tua carne» gli ricordò la mamma.

«Poi voglio il dolce.»

«Il dolce!» gridò Miri. «La torta al cioccolato!»

«Sì, la torta. Dopo. Prima finite di mangiare.»

Adam masticò veloce. Voleva il dolce. Anzi, un giorno voleva mangiare la torta al cioccolato prima dell'altro cibo. Voleva decidere lui tutto quanto.

Sua madre era rimasta a guardarlo, mangiando distrattamente.

«Di cosa ti stai preoccupando, love?»

«Di come rifiuterà Iria-chan.»

«Non possiamo mettergli parole in bocca. Sono bambini, hanno diritto a essere sinceri.»

Adam deglutì quello che stava mangiando. «A me non piace mentire!»

«Oh, non voglio che menti, tesoro. Ma è bello essere gentili quando si dicono verità... dure.»

Adam non capì.

«Iria ti vuole bene e ci resterà male quando le dirai che non vuoi fidanzarti con lei.»

Adam si intristì. La mamma non era contenta con lui. «Allora devo dirle di sì?»

Adam cercò anche gli occhi di suo padre, che stava sollevando le sopracciglia, rivolto alla mamma.

«No» disse lei. «Ehm... per un po' Iria non vorrà giocare con te, ma non preoccuparti. Poi capirà che voi due siete grandi amici e che va bene così.»

Adam si tranquillizzò. «Io ho già detto a delle bambine che non le amo.»

«Come?»

«Quando?»

«A scuola. Tante mi vogliono bene, perché sono il più bello della classe!»

Suo padre rilasciò una nuova enorme risata.

Adam si sentì preso in giro. «E' la verità! Lo dicono tutti!» Anche le maestre! Dicevano che i suoi occhi erano unici!

«Ma sì, certo!» Papà respiro forte per calmarsi. «Sei very handsome, li'l champ. Ma è meglio lasciarlo dire agli altri e non dirselo da soli.»

«Perché no, se è la verità?»

Suo padre rifletté. «Non fa una piega.»

«Alex.» Mamma lo stava avvertendo.

Miri saltellò sulla sedia. «Anche io sono bellissima!»

Papà si piegò in due, affondando con la testa sotto il tavolo.

«God» sospirò la mamma.

Papà saltò su, afferrando Miri tra le braccia. «Ma certo, sweetie. You are the prettiest!» Tornò a guardare lui e la mamma, e fece quella faccia di quando si sentiva in colpa. «Cosa c'è, love?»

«Sai da chi hanno preso» rispose lei.

«La bellezza? Non essere modesta.»

«L'arroganza.»

«Io la chiamo consapevolezza.»

«Cos'è arroganza?» domandò Adam.

Sua madre gli spiegò. «Arroganza è vantarsi delle proprie qualità, anche quando sono vere. E' meglio essere umili»

«Perché?»

«Perché gli altri vedono comunque che hai qualcosa in più, ma non si sentono male pensando che loro abbiano qualcosa meno di te. Comunque, Adam, tutti sono speciali e belli a modo loro.»

«Hm.» Però lui era lo stesso il più bello della sua classe. Forse della sua scuola.

Papà era tornato a sedere con Miri. «Sai qual è la cosa più soddisfacente, Adam? Dire alle persone che apprezzi cos'hanno di speciale. Per esempio io penso che Miri sia gentile, e molto intelligente con tutte le parole che sta imparando.»

Sua sorella stampò un bacio sulla guancia di suo padre. «Papà è stupendo e mi vuole tanto bene!» Si beccò un abbraccio.

«Ecco! Ora tu, piccolo.»
Adam guardò sua madre. «Mamma non sbaglia mai, mi spiega tutto ed è dolce.» Le causò un sorriso. «Tu, papà... tu inventi sempre giochi nuovi e sai un sacco di cose.» Era forte e alto e Adam voleva diventare come lui da grande. Ma suo padre dava troppa attenzione a Miri e a volte Adam voleva che fossero solo loro due, senza sorelle di mezzo.

Si concentrò su di lei - Miri, in realtà Mireille, un nome difficile. Cercò di pensare cose buone su sua sorella. «Miri è brava a giocare.» Si ricordò di quando aveva fatto la cattiva mentre lui la attaccava come supereroe. Avevano corso per tutta la casa.

Miri non si rifiutava mai di rifare quel gioco e lui si divertiva tanto con lei. «E' davvero simpatica. E affettuosa»

Sua madre si abbassò a dargli un bacio sulla fronte. «Noi vi adoriamo tutti e due. Oggi il dolce arriva prima.»

Lui e Miri gridarono per la gioia.

Mentre mangiavano tutti insieme la torta al cioccolato, Adam si fermò a pensare.

Hmm. Fidanzarsi, voler bene a qualcuno più di tutti... Ma quella persona non doveva essere della propria famiglia.

«E se non volessi mai fidanzarmi?» domandò a suo padre.

«Non è obbligatorio fidanzarsi. Lo farai solo se lo vorrai.»

Okay. «Devo allenarmi a dire no.»

Quello che diceva divertiva il suo papà.

«Di solito è il ragazzo che chiede alla ragazza se lei vuole fidanzarsi con lui.»

Oh. Iria non seguiva mai le regole.

Meglio così, in futuro gli sarebbe bastato non fare mai quella domanda a nessuna ragazza.

Papà lo osservava intensamente.

Adam volle chiedere. «Dico cose strane?»

«No. Fai domande interessanti, importanti. Io e tua madre diamo così tante cose per scontate che non ci facciamo più le domande che ti fai tu.»

Hm. Lui avrebbe preferito essere come loro, che sapevano tutto. Ma gli piacevano i complimenti e papà gli aveva appena detto una cosa buona. Sorrise.

Suo padre era contento di lui. «Domani usciamo solo io e te? Miri rimane con la mamma.»

Adam quasi saltò sul tavolo. «Sì!»

Suo padre si alzò e gli porse le braccia. Adam si lasciò prendere, stringendosi al suo collo.

«Hai finito la torta?»

Adam annuì. Non gli importò rendersi conto che stava facendo come Miri, comportandosi da bambino piccolo. La mamma gli sorrideva. «Andate a lavarvi i denti.»

Miri si agitò sulla sua sedia, scendendo per essere presa in braccio. «Anche io, non lasciatemi a terra!»

«Ci pensa la mamma, sweetie.» E papà non le badò più, perché fu la mamma a mettersi Miri sulle ginocchia, distraendola con la torta rimasta.

Di solito mamma era di lui e papà era di Miri, ma Adam poteva condividere. Così passava un po' di tempo da solo con suo padre.

Lui lo lasciò scendere sul pavimento del bagno, prendendo gli spazzolini mentre Adam si sistemava davanti al lavandino e apriva il rubinetto.

«Non mi fai più andare sulle tue spalle.»

«Quando?»
Adam mostrò la posizione, fingendo che ci fossero delle gambe attorno al suo collo. «Con Miri lo fai ancora.»

«Perché tu stai diventando pesante.»

Oh. Non voleva diventare pesante.

«Significa che stai crescendo.» Suo padre mise una mano sopra la sua testa, senza toccarlo. «Adesso sei così. L'anno scorso eri così.» Fece scendere la mano. Poi tornò a far salire il braccio, sempre più su. «Diventerai più grande ogni anno che passa.»

Adam era felice. «Alto come te!»

«Certo.»

«Più alto di zio Gen!»

«Uh, forse. Se mangi tuttele verdure senza lamentarti.»

Bastava dirglielo prima. Non vedeva l'ora di diventare grande! Anche se... «Poi non passeremo più tempo insieme.»

«Perché dici questo?»

«Non stai quasi mai col nonno.» Che era il papà del suo papà, glielo avevano detto.

Suo padre fece una faccia... seria. Un po' triste.

«Il nonno è occupato. Ma io avrò sempre tempo per te.»

Adam sorrise. «Domani andiamo al parco. Giochiamo a baseball?»

«Tutto quello che vuoi. Ora laviamoci i denti. Apri la bocca così...» Allargarono al massimo le labbra, insieme, le loro bocche uguali mentre appoggiavano gli spazzolini sopra i denti sporchi di cioccolata. «Via!»

Premettero i pulsanti degli spazzolini elettrici. Fu un gioco lavarli insieme, copiando quello che faceva il suo papà.

Adam voleva imparare tante altre cose da lui. Non vedeva l'ora che arrivasse domani.

 

 

Adam, sei anni, con la sua famiglia - FINE

 

 


 

NdA: Ieri ho passato più di 24 ore con la mia nipotina, e questo è il risultato. Lei ha quasi quattro anni, che sarebbe l'età di Miri/Mireille in questa storia. Ad un certo punto mi è parso di aver dato a Miri un vocabolario troppo ridotto, ma la verità era che la piccola stava mangiando ed è una bambina che ascolta molto. Quando parla però non la ferma più nessuno :P

Con questa storiella ho voluto iniziare a concretizzare il carattere di Adam quando ormai è più grandino. Dicevo nei vari spoiler che lo immaginavo un pochettino arrogante, molto sicuro di sé. Volevo anche lasciar intendere che Mireille, la seconda figlia di Ami e Alexander, è quella che somiglia più a suo padre e per questo i due se la intendono in maniera speciale, perché lei è molto affettuosa e aperta, mentre Adam è sempre stato un pochino più riservato e simile ad Ami. Adam percepisce questa cosa, perciò è un po' geloso.

Spero che la storia vi sia piaciuta, fatemi sapere :)

 

Elle


Traduzione di termini/frasi inglesi, utilizzate:

- Li'l champ = sarebbe 'little champion', piccolo campione. Un'espressione abbastanza comune negli USA per i maschietti.

- Sweetie = Tesoro/amore

- You are the prettiest = Sei la più carina

- Very handsome = molto affascinante/bello


 

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

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Capitolo 15
*** SPOILER, Akiko e Shin (quattro anni) ***


Maternità 15

Maternità/Paternità

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

15 - SPOILER, Akiko e Shin (quattro anni)

 

A volte Gen si preoccupava per suo figlio. Shin era un bambino dalla natura mite e conciliante, che rifuggiva il confronto con la sorella. Akiko gli aveva appena strappato di mano un pennarello. Come già accaduto altre volte, Shin non aveva protestato, scegliendo piuttosto di usare un colore diverso per il proprio disegno.

Gen si inginocchiò accanto a loro, intervenendo. «Akiko, no.» Porse la mano verso la sua bambina di quattro anni e mezzo, chiendendole il maltolto.

Lei strinse nel pugno il pennarello, rifiutandosi di lasciarlo andare senza proteste. «Perché? Lui non lo usa!»

«Non è un buon motivo per toglierglielo senza chiedere. Ridaglielo e se lo vuoi...»

Sbuffando, Akiko ridiede il pennarello a Shin, solo per velocizzare il processo. «Me lo dai, per favore?» Si apprestò a riprenderlo prima ancora di ascoltare la risposta.

«Akiko!»

Davanti al rimprovero di suo padre lei tremò con le labbra. «Non ha detto no!»

Gen si rivolse a suo figlio. «Shin.» Si sedette, per far capire a entrambi i suoi bambini che sarebbe rimasto con loro finché la questione non fosse stata risolta. «Ti serve questo pennarello giallo? Lo avevi preso per disegnare il sole?»

Shin sgranò gli occhi scuri, concentrandosi sulle sue parole come se si fosse accorto solo in quel momento che era con loro nella stanza. «Sì» rispose, rigirando il pennarello giallo tra le piccole mani. «Ma disegno il sole dopo Aki-chan.»

Raggiante, Akiko si riprese il proprio premio. «Grazie!»

Gen sospirò, incurvandosi nelle spalle: suo figlio era pacifico per natura. Provò l'impulso di spiegargli che doveva dimostrare più carattere, ma vedendo che i suoi bambini erano tornati a disegnare, rimase a osservarli.

Akiko stava attaccando il foglio con slancio, disegnando lunghe righe orizzontali. Si trattava di un qualche tipo di campo di grano? Intuì di essersi sbagliato quando sua figlia afferrò il pennarello rosso e iniziò a disegnare delle nuvole in cielo. I colori per Akiko erano un concetto relativo: utilizzava quelli che più le aggradavano sul momento.

A differenza sua, Shin stava ancora riflettendo su cosa disegnare. Era una concentrazione notevole per un bambino di quattro anni.

Gen lo vide prendere in mano il pennarello rosa, disegnando un cerchio in mezzo al foglio. Sotto al cerchio seguì la figura di un triangolo allungato verso il basso. Shin vi aggiunse quattro lineette, che fecero capire a Gen che si trattava di un corpo umano stilizzato.

«Chi disegni?»

«La mamma.» Shin afferrò il pennarello marrone e colorò i capelli di Makoto, dando vita ad una rudimentale coda. Col verde riempì la parte bassa del triangolo.

«È la gonna?» domandò Gen.

«Sì.» Shin era soddisfatto. Quando si trattò di scegliere un nuovo colore, si mostrò in dubbio. «Di che colore sono i fulmini?»

Gen trattenne una risata. «Bianchi.»

Suo figlio allungò una mano verso l'astuccio dei pennarelli, poi mise su un broncio. «Non c'è il bianco!»

Gen decise di aiutarlo. «L'interno di un fulmine è bianco, ma per i contorni puoi usare l'azzurro.» Prevedendo la difficoltà nel disegnare tale soggetto, avvicinò lui stesso il pennarello al foglio.

Shin si arrabbiò. «Faccio io!» Prese il pennarello e tracciò delle linee arzigogolate che presto si incrociarono tra loro senza alcun ordine. Tremò di rabbia. «Noo! Devo rifarlo!»

Gen gli impedì di appallottolare il foglio. «Non preoccuparti, i fulmini sono così: confusi. Sono difficili da disegnare. Guarda: si fa così... e così...»

Shin osservò il suo operato con impazienza: se c'era una cosa per cui mostrava decisione era il suo lato artistico. Pretendeva da se stesso di riuscire al primo colpo e quando non era contento del risultato buttava tutto per ricominciare daccapo.

Vedendo il fulmine che stava prendendo vita nel foglio, un sorriso si espanse nel suo piccolo volto. «Che bello!»

Akiko si sporse verso di loro. «Cosa? Anch'io, anch'io!» Fece per prendere il pennarello di mano a suo padre, ma Gen lo ritrasse in tempo.

«Per favooore!» si lamentò lei.

«No. Sto insegnando a tuo fratello.»

«Per favooore!»

Assicurandosi che il pennarello azzurro finisse in mano a Shin, Gen sollevò sua figlia tra le braccia, facendola salire in aria. «Non posso dire sempre di sì, topolina!»

Akiko si espresse con una risatina di gioia, godendosi la giravolta.

Gen tornò serio, stringendola tra le braccia. «'Per favore' è per chiedere, ma a volte la risposta è no.»

Indispettita, Akiko si agitò tra le sue braccia. «Perché non ho pennarelli tutti per me?»

«Certo che li hai. In quell'astuccio ci sono due set completi. Due pennarelli per ogni colore.»

«Non funzionano!»

Gen premette un dito sul suo minuscolo naso. «Chi si è dimenticato di rimettere il tappo?»

Akiko si incurvò nelle spalle, rilasciando una risatina deliziosa. Gen non resistette e le stampò un bacio sulla guancia, lasciandola tornare a terra.

Lei corse a osservare il disegno di suo fratello. «Quanti fulmini!»

Gen abbassò lo sguardo e rimase impressionato: nel tentativo di copiare meglio la forma che gli aveva mostrato, Shin aveva riempito il foglio di fulmini di diverse dimensioni.

«È una tempesta» commentò Gen.

Akiko saltò in piedi. «Facciamo boom!» Saltò con tutta la sua forza sul pavimento, più volte, producendo solo piccoli tonfi col suo peso piuma.

Shin la guardava affascinato. «Sì, boom!» Con incredibile ingegno andò ad afferrare dei libri e li sbatté l'uno contro l'altro, creando molto più rumore di sua sorella.

Akiko gridò e si apprestò subito a copiarlo.

«Bambini!»

A tuonare era stata la voce di Gen ed entrambi i suoi figli si immobilizzarono.

«I libri si rompono se fate così. Andiamo in giardino a fare rumore.»

Entusiasti, i suoi piccoli si aggrapparono alle sue braccia, facendosi sollevare come scimmiette.

Arrampicata sulla sua spalla, Akiko se ne venne fuori con una nuova idea mentre attraversavano la casa. «Perché io non ho il mio compleanno?»

Gen si domandò quale altra novità stesse per ascoltare. «Certo che hai un compleanno.»

«No! Miri ha un compleanno tutto suo, Chibiusa ha un compleanno tutto suo, Hermes ha un compleanno tutto suo...»

Gen comprese il concetto. «Perché tu non ha un compleanno da sola?»

«Sì! Non è giusto! Non voglio che il mio compleanno sia anche di Shin!»

Gen provò a spiegarle in maniera semplice. «Il compleanno è il giorno in cui si è nati. Tu e Shin avete lo stesso compleanno perché siete nati lo stesso giorno. Eravate nella pancia di mamma insieme.»

«Ma io voglio un compleanno tutto mio!»

A Gen venne in mente una soluzione. «Volete che facciamo due feste separate per ciascuno?»

«Sì!» L'esultanza di Akiko fu contagiosa. «Io voglio il party delle principesse!»

«Ma certo.» Gen si girò verso suo figlio, facendo scendere a terra Akiko. Ormai erano arrivati in giardino e la sua piccola corse veloce verso l'altalena. Aveva imparato a spingersi avanti e indietro da sola, perciò Gen sapeva che non avrebbe chiesto aiuto. «E tu, Shin?» si rivolse a lui, sistemandolo meglio nell'incavo del braccio. «Vuoi che per il tuo compleanno i tuoi invitati si travestano da cavalieri?»

Shin aveva una mano vicino alla bocca. Bofonchiò. «Posso fare la principessa anche io?»

Per qualche secondo Gen non disse niente. «... Perché?»

Suo figlio nascose la faccia contro la sua spalla. «Non voglio fare una festa tutta mia.»

Gen cercò di non rilasciare un sospiro di sollievo troppo grande. «Vuoi festeggiare con Akiko?»

Più che vedere, percepì il movimento della testa del suo bambino - un assenso.

Gli strofinò la schiena, consolandolo. «Ascolta... Akiko a volte vuole fare le cose da sola. Ma tu puoi avere una festa più grande e bella. Così lei vorrà venire alla tua.»

Shin tornò dritto, illuminandosi.

Provando a sospendere qualunque giudizio, Gen sentì il bisogno di chiedere delucidazioni. «Vuoi vestirti lo stesso da principessa?»

«Hmm., no. Le gonne lunghe sono scomode.»

Lasciando perdere altre domande, Gen gli arruffò i capelli e lo mandò a correre sul prato. «Su, raggiungi tua sorella.»

Si sedette sui gradini della veranda, osservando il modo in cui i suoi bambini giocavano. Akiko si era arrampicata fino alla cima della struttura in ferro che lui aveva fatto piantare sul loro prato solo da due settimane. Era ostica per dei bambini così piccoli, ma Akiko era indomita e si era stufata presto della sfida offerta da un semplice scivolo. Non aveva timore di affrontare le altezze, né di spingersi oltre i propri limiti. Dal basso suo fratello la guardava con ammirazione, tentando a sua volta la scalata, solo per imitare il suo coraggio.

I suoi figli lo costringevano ad affrontare i suoi pregiudizi: nel suo mondo ideale Shin avrebbe avuto il carattere di Akiko e lei sarebbe stata mite e tranquilla come il fratello. Ma alla fine, in cosa ciò avrebbe reso le loro vite più semplici? Era lui che si sarebbe sentito meno destabilizzato se fossero stati più convenzionali. Per loro non cambiava nulla: conoscevano solo il proprio modo di essere e si esprimevano con naturalezza secondo la propria indole.

Gen non aveva intenzione di incarnare la parte di mondo che non li capiva, spingendoli a comportarsi in una maniera più adatta al loro genere sessuale.

Erano preconcetti che i suoi figli ancora non avevano e non sarebbe stato lui, come padre, a rafforzarli nelle loro menti. Con la storia delle principesse Shin gli aveva fatto salire un brivido lungo la schiena, ma era importante essere preparati. Non sapeva cosa poteva riservargli il futuro, né con Shin né con Akiko. Voleva essere pronto ad accettare qualunque loro scelta.

Probabilmente la questione si esauriva col concetto che il suo amico Alexander continuava a ripetergli: lui aveva avuto idee troppo definite su cosa significasse essere maschio e femmina. Le deviazioni dallo standard lo confondevano.

Sulla struttura Akiko stava tendendo una mano verso il basso, per aiutare Shin a salire al suo stesso livello. Gen fu sul punto di alzarsi per impedire una manovra che sembrava pericolosa, ma con l'agilità di tutti i bambini i suoi figli si destreggiarono da soli, salendo insieme sulla cima della torre. Lo salutarono in coppia con una mano alta, i loro sorrisi da fratelli identici nella loro gioia.

Erano bambini unici, speciali qualunque cosa facessero. Su di loro lui non avrebbe pensato nulla di diverso in futuro, mai.

Sui volti di Akiko e Shin si dipinse una gioia immensa. «Mamma!»

Gen sentì lo schiocco di dita prima di girarsi.

«Tsk! Mi hanno rovinato la sorpresa!»

Con l'abilità di un genitore lui controllò la discesa sicura dei propri figli con la coda dell'occhio mentre si voltava a baciare Makoto. Sulle gambe entrambi vennero investiti da due piccoli uragani.

«Mamma, sai cos'ho fatto oggi?»

«Mamma, mamma, sai che farò una festa di compleanno tutta mia!»

Abituati a non avere un momento solo per loro appena rientravano a casa, Gen e Makoto si allontanarono e lei si dedicò ai suoi figli. «Raccontatemi tutto!»

Akiko ballava attorno alle gambe di sua madre. «Papà mi farà una festa di compleanno con le principesse!»

Shin non volle essere da meno. «Io farò la festa dei guerrieri Sailor!»

Gen si strozzò con la saliva.

«Cosa?» Makoto scoppiò a ridere.

Shin adorava la propria idea. «Voglio essere forte come te, mamma! Ti ho disegnato coi fulmini!»

A quel punto Gen capì che il problema non erano i suoi pregiudizi, ma la mancanza di alternative che stava presentando a suo figlio. «Non vuoi essere forte come papà?»

Shin lo guardò con fare interrogativo. «Tu non hai un costume.»

Makoto si abbassò ad abbracciare il suo bambino. «Hai capito, Gen, caro? Non hai un costume.»

«E mamma è più forte!»

Eh, no! «Vostro padre vi deve ancora far vedere quanto è potente! Prima della vostra festa vi presenterò il mio costume e... vi mostrerò il mio grande potere!»

«Ohhh!»

La meraviglia dei suoi figli lo rincuorò.

Makoto accarezzò le teste di entrambi. «Ma certo, tesoro, anche vostro padre è fortissimo. Dài, andate a prendermi i vostri disegni. Fatemeli vedere.»

Si liberò in un colpo solo dei loro terremoti, almeno per qualche secondo. «Il tuo costume, eh?»

Gen la strinse per la vita. «Me ne inventerò uno.»

«Sono ansiosa di vederlo.»

«Bleahhh!» Akiko era tornata prima del previsto e si stava lamentando delle loro smancerie. «Che schifo, basta baciarvi!!»

Gen la acchiappò prima che potesse scappare. «Ogni volta che lo dici tempesto di baci te!» Non lasciò andare Akiko finché le sue risatine non gli riempirono le orecchie. Per non fare differenze afferrò anche Shin e lo sottopose allo stesso trattamento, ma per suo figlio non fu una tortura. Era un bambino affettuoso, che gradiva le dimostrazioni fisiche di affetto.

Gen lo tenne in braccio per un momento mentre di lato Akiko confabulava con sua madre, spiegandole i dettagli del proprio disegno.

«Quale pensi che sia il potere speciale di papà?» gli domandò.

«Hmm... non lo so!»

«Te lo farò vedere tra qualche giorno. Sarai sorpreso.»

«Hmm... Sei più forte di zio Mamoru?»

Era meglio non mentire eccessivamente. «No. Ma sono il più forte dopo zio Mamoru.»

Shin trasalì. «Arimi dice che il suo papà è il più forte di tutti!»

Gen non ne dubitava. «Zio Shun racconta tante storie.»

«Tu lo batti?»

«Sì!» esagerò Gen.

Shin era affascinato. «Voglio vedervi combattere!»

Akiko scattò con la testa verso di loro. «Chi combatte? Chi?»

«Papà e zio Shun!»

Akiko spalancò la bocca. «Anche gli altri zii? E le zie?»

Makoto stava ridendo. «Hai organizzato un torneo?»

«Be', magari, per gioco...»

I suoi figli esultarono. «Sìììì!»

La loro sete di sangue lo rese orgoglioso. «Su, adesso andate a lavarvi le mani! O niente merenda!»

«Yeahhh!»

Appena i bambini scapparono in bagno, lui e Makoto furono di nuovo soli.

Lei scuoteva divertita la testa. «Non devo lasciarti con loro. Guarda di cosa finite a parlare.»

Lui si finse offeso. «Tu li istruisci su origami e ricette di cucina.»

«Be', ma Shin è bravissimo. È davvero dotato. Purtroppo Akiko...»

Notando il sospiro desolato di sua moglie, Gen si ricordò che anche le aspettative di lei erano state sovvertite dal carattere dei loro gemelli.

«Dài. Anche tu non eri femminile in una maniera convenzionale...»

Makoto sospirò. «Akiko mi batte. Sai? Credo che lei abbia preso il lato più aggressivo e determinato di entrambi, mentre Shin ha la mia creatività per le piccole cose e la tua capacità di disegnare.»

Gen se n'era accorto. «È preciso quando disegna. Potrebbe diventare un grande architetto.»

«O un guerriero Sailor.»

Senza farsi scrupoli, Gen inseguì Makoto per metà salotto, solleticando il suo stomaco fino a riempire la stanza della sua risa.

 

FINE

 


 

NdA: Akiko e Shin... spero che vi siano piaciuti :) Questi sono i caratteri che avevo in mente da tempo per i due figli di Makoto e Gen. Volevo che fossero poco convenzionali, per mettere alla prova il padre.

Akiko si chiama così in onore del padre di Gen, Akito Masashi. Il -ko finale è un suffisso femminile classico nella lingua giapponese. Associato ad 'Aki' suona come qualcosa tipo 'bambina di luce'.

Sul nome di Shin... l'ho scelto solo stasera. 'Shin' significa 'vero', 'onesto' e nella lingua giapponese, a quanto ho capito, è un nome elegante e gentile, di una persona tipicamente sensibile e riservata. Penso che sia stata Makoto a sceglierlo, per il tipo di figlio che sognava di avere. Sogno avverato :P Shin è definito in maniera splendida dal proprio nome. Penso che Gen avrà fatto resistenza agli inizi su un nome maschile come questo, ma Makoto ha fatto in modo di convincerlo. Sarà divertente raccontare come.

Intanto, fatemi sapere che ne pensate di questi bambini e di questa famiglia :).

Elle

 

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Capitolo 16
*** 16 - Iria e Adam giocano (lei 6 mesi, lui 9) ***


Maternità 15

Maternità/Paternità

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.


16 - IRIA E ADAM GIOCANO (lei 6 mesi, lui 9)

 

«Sorridi, piccola!»

No! Non c'era niente da ridere!

«Andiamo! Sorridi per la mamma!»

Aveva fame, perché non le davano da mangiare? Soprattutto, perché l'avevano messa accanto a bambino azzurro?

Lui continuava a spostarsi lontano, ma la sua mamma lo rimetteva a posto accanto a lei.

«Su, Adam, anche tu! Sorridi! Sei vicino a Iria-chan!»

Le mamme avevano in mano quelle strane scatole nere che accecavano. Quando ne usava una papà, Iria poteva fare quello che voleva mentre lui la seguiva dappertutto con la scatola davanti alla faccia.

«State usando la strategia sbagliata.»

Il papà di bambino azzurro si mise davanti alle mamme, venendo vicino ad Iria. Le mise davanti un dito... rosso? Hmm, profumava di buono!

«Cos'è?» chiese la sua mamma.

«Marmellata. Posso dargliela?»

«Dal tuo dito?»

«Mi sono lavato le mani.»

Il papà di bambino azzurro le strofinò la buonissima salsa rosa sulla bocca. Col suo bambino fu più cattivo: gli mise il dito davanti al naso, poi... strofinò la salsa sulla guancia di Iria.

«Li stai sporcando tutti» sorrise la mamma di bambino azzurro.

«Adesso vedrai cosa fa Adam.»

Papà di bambino azzurro si allontanò mentre Iria muoveva la bocca per mangiare tutta la salsina che le era finita sulle labbra.

Ad un certo punto la colpì una sensazione schifosa: bambino azzurro aveva attaccato la bocca alla sua faccia!

Quasi urlò, ma la salsa rossa sulla sua bocca era troppo buona per mettersi a piangere. Se non si sbrigava a mangiarla tutta, bambino azzurro avrebbe preso anche quella.

Le mamma stavano gridando in silenzio, facendo 'clic clic' con le scatole nere.

«Che teneri!»

«Sono sporchi, ma sono bellissimi!»

«Sporchi?» Papà tornò da dov'era andato e fece una faccia strana. «Che sta facendo vostro figlio a mia figlia?»

«La mangia» rise papà di bambino azzurro.

«E lei non protesta» commentò papà. Si inginocchiò. «Iria-chan, basta un po' di marmellata per corromperti?»

Ne voglio ancora, pensò Iria.

Non sopportò più la bocca di bambino azzurro sulla sua faccia e si gettò di lato, verso papà.

Alla sua mamma non piacque. «Yu, perché non sei rimasto di là? Quando ti vede, Iria vuole sempre starti in braccio.»

«Che problema c'è? Prendo in braccio anche Adam, così li metto vicini.»

«Con te di mezzo la foto non è altrettanto bella.»

Il suo papà rise, ma Iria non ci trovò nulla di divertente quando bambino azzurro fu messo davanti a lei, nell'altro braccio di papà.

«AHHHHHHHHH!»

«Si è ricordata di odiare Adam.» Ridendo, papà di bambino azzurro riprese il suo bambino, mettendolo dove doveva stare: lontanissimo dalle braccia del papà di Iria-chan, che era suo e solo suo!

La sua mamma non teneva più la scatola nera davanti agli occhi. «Usagi ha detto che non fanno così quando stanno con lei.»

«Mamoru è bravo a intrattenerli.»

«Bene, daremo a loro le macchine fotografiche. Queste pesti crescono troppo in fretta, tra una settimana avranno già un aspetto diverso.»

«Ma quale peste!» Iria sentì che tutta la sua faccia si strofinava contro quella di papà e fu felicissima: lui aveva un odore così buono e i suoi baci erano bellissimi!

«So che non era previsto» stava dicendo la mamma di bambino azzurro. «Ma sono molto contenta che Adam abbia un'amica con cui crescere.»

«Ehhhh!» La mamma rise in quel modo strano di quando non era molto felice. «Non era per niente previsto, ma in tutto questo la presenza di Adam mi tranquillizza. Iria avrà qualcuno con cui giocare. Poi verrà anche Chibiusa e forse così non mi chiderà mai di avere fratelli. Per questo decennio io ho già dato.»

Mamma e papà di bambino azzurro risero ad alta voce.

Nelle braccia del proprio papà, bambino azzurro la guardava male, con una luce negli occhi.

Ce l'aveva con lei?

Voleva litigare?

Iria era pronta!

Papà la baciò un'ultima volta sulla guancia, poi la posò a terra, sul tappeto. «Torna a giocare ora. Con Adam, okay? Lui ti vorrà bene se non piangi sempre.»

 Iria non capiva nulla di quello che dicevano i grandi, ma un paio di suoni venivano ripetuti sempre quando c'era bambino azzurro. 

A-am, a-am.

Era il suo nome? Che brutto!

Bambino azzurro fu messo anche lui sul tappeto, ma la ignorò, gattonando lontano. Era un bambino noiosissimo, ma se lui se ne andava Iria non aveva nulla da fare lì per terra, tutta da sola.

Sollevò le mani in aria per chiedere al suo papà di tornare in braccio, ma l'unica cosa che ottenne fu una carezza sulla spalla. Anche a bambino azzurro impedirono di scappare, riportandolo davanti a lei.

I grandi non badavano più a loro, parlavano e parlavano.

Iria si sporse in avanti, cercando di muoversi da sola. Non sapeva come fare, provava e riprovava ma rimaneva sempre ferma!

Bambino azzurro la osservava ridacchiando, sentendosi superiore.

Ma un giorno! si ripromise Iria.

«Ba-ba!» le disse bambino azzurro, muovendo il braccio.

Iria strinse gli occhi. «Uah!» Tra loro finirono due pupazzi.

Ohh, erano nuovi!

Non aveva tempo di preoccuparsi di bambino azzurro se c'era un nuovo pupazzo!

«Ecco, stanno giocando felici!»

«Non sono sicuro che stiano giocando insieme...»

«Non importa, prima o poi si abitueranno l'uno all'altra. Basterà continuare a farli incontrare.» Iria si sentì osservata e alzò lo sguardo verso le mamme e i papà. Percepiva che avevano un piano per lei e bambino azzurro, ma dovevano rassegnarsi.

Vide che bambino azzurro li guardava nello stesso modo.

Bene, almeno su qualcosa erano d'accordo!

Tornarono a badare ai loro giocattoli.

FINE


NdA: Storiellina che ho concepito l'altro giorno sul gruppo Facebook. Mi fa troppo piacere far interagire Adam e Iria. Non vedo l'ora di poterlo fare anche in Zenit :)

Cosa avete pensato di loro? E dei quattro genitori?

Elle

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

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Capitolo 17
*** Adam di notte (3/4 mesi) ***


Maternità 17

Maternità/Paternità

 

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

17 - ADAM DI NOTTE (3/4 mesi)

  

Le notti erano spaventose. Quando Adam si svegliava era tutto tutto buio e non vedeva nulla. Si muoveva, ma non c'era nessuno con lui, era solo.

Qualcosa sotto era bagnato, gli dava fastidio. Era orribile essere bagnati - era freddo! Ed era orribile che il mondo fosse così nero. Perché non poteva esserci sempre la luce quando si svegliava?

Ora era costretto a piangere ed era brutto anche quello.  Poi era spaventosissimo poi quando non arrivava nessuno e doveva piangere più forte!

«Shhhh.»

Si avvicinò una voce cupa e sopra di lui diventò ancora più buio - una forma grossa che allungava le mani.

«It's all right, I'm here.»

Adam singhiozzò mentre veniva preso in braccio.

Papà andava bene, ma lui avrebbe voluto la mamma.

Papà lo mosse su e giù, su e giù, ma non era quello che lui voleva!

«Okay, non piangere, sono qui. Hai fatto la pipì? Your nappy's is all wet. Guarda com'è pesante. I'm changing you, okay? Shh, shh, it's all right.»

Papà si spostò con lui, poi... magia: la luce! 

«Ti piace la lampada, hm?»

Papà lo sdraiò sopra qualcosa e Adam cercò di non farsi male agli occhi guardando la luce. Era tanta, ma era bella.

«Ligh is beautiful, right?»

Sì, ma era ancora bagnato, perché lo faceva piangere?

Le mani di papà si mossero sopra il suo corpo e Adam riconobbe dei suoni: la tutina che si apriva. Smise di piangere, perché stava per sentirsi meglio. 

Con una mano papà gli sollevò le gambe in alto, poi fece quella strana cosa che facevano lui e la mamma che lo faceva stare bene. Si mise a cambiare tante cose là sotto, dove lui non vedeva, ma finalmente il bagnato sparì. Adam aspettò con curiosità un'altra sensazione di bagnato - piacevole - con papà che passava qualcosa sotto di lui.

«Così sei tutto pulito. Non fare pipì ora, okay? Non addosso a me.»

Adam rimase in silenzio, cercando di capire cosa provava. Papà lo spruzzò di polvere bianca, che sapeva di buono, poi chiuse i vestiti sulla parte inferiore del suo corpo, lasciandolo di nuovo al caldo. Lo sollevò tra le braccia, tenendolo forte.

«All good, now? Non è che magari ti va di tornare a dormire?»

Ora Adam sapeva perché gli mancava la mamma. Papà non aveva l'odore giusto sul petto e lui, lui... lui aveva male alla pancia! Voleva ciucciare!

Pianse.

«Vana speranza. Okay, okay, I'm taking you to mom.»

Mom! Voleva dire mamma, giusto?

Adam non pianse troppo forte mentre papà si muoveva per la casa con lui. Entrarono in una stanza dove c'era un'altra luce e... la mamma!

«Era quasi l'ora della poppata.»

Adam provò a girarsi verso di lei, ma non era abbastnza forte. Papà si piegò in avanti e lo diede in braccio alla mamma.

«Ciao,little love. Hai fame?»

Fame! Fame significava latte!

Mamma lo sdraiò all'indietro, tra le sue braccia, vicino al petto. «Adesso ti do da mangiare.»

Sì, adesso, subito!

Col suo peso papà mosse il letto, sedendosi vicino a loro.  «Oggi ha resistito fino alle due.»

«Già, un'ora in più.»

La mamma mise la parte di sé a punta, che usciva il latte, nella sua bocca e Adam mangiò con tutta la sua forza.

«Ahu!»

«Cosa?»

«Ha succhiato forte.  Dormire un'ora in più gli ha fatto venire tanta fame.»

«Forse era meglio se si svegliava prima. Mi ha interrotto la fase REM.»

«Perché hai dormito tardi.»

«Il libro era interessante.»

«Non so come fai a restare sveglio la sera. Io crollo.»

«Questo baby ti succhia l'anima. Hm, 'lil prince?»

Lascia stare il mio piede.

«Guarda, muove la gamba. Non vuole che lo tocchi.»

«Non gli piace nemmeno quando lo bacio troppo. È triste, io vorrei spupazzarlo per tutto il tempo, ma non gradisce.»

La mamma si mise a ridere. Adam chiuse gli occhi. Era un bel suono.

«Ha già il suo carattere, vero?»

«Oh, sì.  È... altero. È difficile farlo ridere.»

«È solo concentrato.»

«Certo. I love him, comunque sia. Devo impegnarmi per farlo divertire, ma quando lo vedo ridere... he has the cutest smile, con quelle guanciotte piene.»

«La bocca è la tua.»

«Ma no, ha la tua faccia.»

«I miei occhi, le mie sopracciglia...»

«La tua serietà.»

«Come se tu non fossi terribile quando sei serio.»

«Io non sono mai serio qui a casa.»

«Invece sì. Proprio con lui, sai? Quando ti sembra che pianga per niente, ti arrabbi e fai un'espressione... per lui è spaventosa.»

«Sto facendo pratica per farmi rispettare. Alla fine gli do quello che vuole, solo che è difficile capirlo. Tu hai più pazienza di me, love.»

«Non è solo questo... Anche tu hai pazienza, ma penso che ti aspettassi un bambino diverso. Più dolce e affettuoso.»

Adam si stava addormentando. I suoni che uscivano dalla bocca di mamma e papà lo calmavano. Non gli dava più nemmeno fastidio la mano di papà che giocava col suo piede.

«Io e lui dobbiamo solo capirci un po' meglio. Non è il pupazzino che mi aspettavo, ma è tanto tenero quando vuole... Oggi hai visto come rideva quando sono tornato a casa?»

«Ti vuole bene.»

«And I love him. Non cambierei niente di lui, love. He's perfect.»

«Perché non dormi? Gli faccio fare io il ruttino.»

«Ma è così che leghiamo.»

«Per una volta...»

«Dici?»

«Sì, dormi, my love.»

Dormire... era bellissimo dormire con la pancia piena. Mamma lo spostò sull'altra punta, ma Adam non aveva più voglia di mangiare. Era pronto a lasciarsi andare tra le braccia della mamma...

Lei si mise in piedi, tirandolo su e cambiando qualcosa dentro il suo corpo. Ora aveva un peso dentro! Piagnucolò.

«Lo so, lo so.»

Oh, no, i pat pat sulla schiena. Perché non lo lasciavano mai in pace dopo mangiato?

Mamma camminò per la casa, cominciando a cantare.

La sua voce era bella, ma quel peso...

«Rghh!»

Oh, se n'era andato.

Mamma iniziò a correre per prendere qualcosa, poi gli pulì tutto il viso. Sorrise. «Hai fatto troppo in fretta, ho il pigiama tutto sporco.»

Ora la mamma aveva il suo odore! Rise anche lui.

Mamma mise il naso contro il suo nasino. Era tanto bello.

«Perché non ridi sempre così anche con papà, hm? He loves you so much. È perché non ti dà il latte? Vuoi più bene a chi ti dà il latte?»

Il suo respiro gli faceva il solletico!

La mamma gli accarezzò la testa e tutto il corpo.

«Forse presto ti daremo il latte in bottiglia, sweetie. Non ce la faccio più a svegliarmi così. Non mi vorrai meno bene, vero?»

Adam si accoccolò contro la mamma. Il suo odore era il più buono, gli faceva venire voglia di dormire.

La mamma gli baciò la testa. Lo portò nella sua stanza, camminando piano, poi lo mise giù sul lettino.

Una volta Adam piangeva, ma ora sapeva che la mamma rimaneva con lui a tenergli la mano, cantando e accarezzandolo, fino a che...

Zzz.

 

17 - ADAM DI NOTTE (3/4 mesi) - FINE

 


 

NdA: Una chicca dall'infanzia di Adam. Avevo bisogno di un po' di zuccherò. È stato troppo? :P

 

Elle

 

 

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Capitolo 18
*** 18 - GEN BABYSITTER (per Adam, 1 anno, e Iria, 8 mesi) ***


Maternità 18

Maternità/Paternità

 

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

18 - GEN BABYSITTER (per Adam, 1 anno, e Iria, 8 mesi)

  

Quel sabato, in teoria, Gen non avrebbe potuto passare la giornata con Makoto: si era prenotato per un lavoro di ristrutturazione, per dare una mano alla ditta per cui erano andati a lavorare i vecchi dipendenti di suo padre. Ogni tanto sostituiva qualcuno di loro, quando c'era di mezzo una malattia o un impegno. Gli piaceva racimolare qualche extra, per non continuare a tirare fuori soldi dalla quota del rimborso assicurativo che sua madre gli aveva destinato. 

I piani per il lavoro erano saltati quel giorno stesso: la moglie di Sato si era ammalata e così, invece di andare in gita in famiglia, Sato aveva la giornata libera. 

Gen gli aveva ceduto volentieri il posto. Con due bambini e un solo stipendio, Sato aveva sempre bisogno di qualche entrata in più.

Invece di chiamare Makoto, per avvertirla, Gen pensò di andare da lei senza dire nulla, per farle una sorpresa. Makoto gli aveva detto che avrebbe passato la giornata in casa, a rassettare e stirare, magari guardando qualche film romantico. Lui non avrebbe scombinato troppo i suoi piani. L'avrebbe aiutata a pulire e avrebbe guardato volentieri quello che andava a lei: dopotutto, non era quello che faceva un buon futuro marito? Suonò al citofono di casa sua.

«Sì?»

«Mako, sono io.»

«Gen?»

«Già.» Non udì più risposta.. «Non mi apri?»

«Oh, certo! Sali, sali!»

Divertito, lui percorse gli scalini due a due, arrivando rapidamente a destinazione. Quando Makoto tirò a sé la porta, lo salutò con un sorriso nervoso. «Non ti aspettavo.»

Gen si chinò a baciarla, entrando. «Che c'è? Ti ho beccato con l'amante?»

«Ghu.»

Il gorgoglio era uscito da un esserino alto meno di un metro che si teneva in piedi contro il divano. Adam Foster lo scrutava da sotto la frangia azzurro scuro. 

Makoto serrò la porta, cercando di non ridacchiare per il senso di colpa. «Ho un paio di ospiti in casa.»

Gen si tranquillizzò subito. «C'è Ami?» Guardò in direzione del bagno.

«Uhm, no. Iria è là sul letto che dorme.»

Cavolo. Makoto si era messa a fare da babysitter a entrambi i figli dei suoi amici. «E così hai realizzato il tuo sogno.»

Ridacchiando, lei si diresse dal piccolo Adam, prendendolo in braccio. «Mi sto divertendo un sacco. Avevo offerto ad Ami di tenere il bambino quando voleva nel weekend. Me lo ha portato oggi, perciò ho provato a chiedere a Rei se per caso volesse un pomeriggio libero da Iria...»

«Te l'avranno lasciata in un baleno.»

«Non essere cattivo! Vieni a guardarla, su. Hai visto com'è tenera mentre dorme?»

Ai piedi del letto, Gen offrì a Makoto il sorriso di rito, quello che lei si aspettava di vedergli in faccia.

Makoto mise su il broncio. «Come fai a non trovarla bellissima?»

Lui tenne bassa la voce. «Certo che è una bella bambina. A spaventarmi sono i suoi pianti.»

«I bambini piangono. Non sempre poi, guarda Adam. È tranquillissimo.»

Il piccolo Foster osservava la figura dormiente della giovane Iria Kumada con un luccicchio di sfida negli occhi. 

«Non dovremmo parlare più piano?»

«Iria-chan ha il sonno pesante, nessun problema. Comunque, che ci fai qui?»

«Oggi alla fine non lavoro, Sato si è liberato.»

Makoto lanciò un'occhiata al piccolo Foster, che la osservò pensieroso di rimando.

«Se vuoi rimanere sei il benvenuto, ma l'ultima volta, con Iria...»

Gen ricordava bene cos'era successo: la figlia di Rei e Yuichiro aveva pianto a squarciagola per mezz'ora di fila. Non c'era stato verso di calmarla, pareva che la stessero torturando. Era un miracolo che i vicini non avessero chiamato i servizi sociali.  «Era la prima volta che stava da te. Magari oggi farà meno storie.» Pur rischiando l'incolumità delle sue orecchie, voleva essere ottimista.

Makoto apprezzò la sua buona disposizione. «Sicuramente andrà così. Ehi, non ti ho nemmeno salutato come si deve.» Si avvicinò per baciarlo sapientemente sulla bocca. Quando si staccò, una minuscola mano rimase aggrappata alla felpa di lui.

«Oh, ti vuole. Lo prendi in braccio?»

«Massì.» Ricevette il bambino contro il petto. Col figlio di Golden Boy non si trovava male, era un piccolo che non faceva storie e soprattutto non piangeva quasi mai. Lo sistemò nell'incavo del gomito, guardandolo nei profondi occhi blu. «Tu sei un piccolo adulto in miniatura.»

Il bambino gli batté lo sterno col palmo. «En!»

«Sì, io sono Gen. Tu sei Adam?»

Goldie esplose in un sorriso, guardando da lui a Makoto. 

Che bravo, conosce il mio nome!

Gen cercò di non ridere troppo forte.

A Makoto brillarono gli occhi. «Gli piaci.»

«È un bambino sveglio.» E soprattutto calmo. «Se avessi un figlio, vorrei che fosse come lui.»

Il sorriso di Makoto morì per un attimo al ricordo dei figli biologici che non avrebbero potuto avere insieme.  «Un giorno sarai un bravo papà per qualunque bambino.» Lo aveva affermato con un pizzico di tristezza.

Lui non voleva più vedere quell'espressione sulla sua faccia. «Ti è passata, vero? Ora hai capito che non mi dispiacerà adottare.»

Lei annuì più volte. 

Per lui era importante farla stare meglio. «Mi basta solo che passino un po' di anni.» 

Makoto si intenerì. «Anche io non sono ancora pronta a diventare mamma. Sfogo i miei istinti materni con questi nipotini onorari.»

«Che cosa stavi facendo fare ad Adam? Esercizio di camminata per la casa?»

«In realtà me l'hanno lasciato solo venti minuti fa. Quando hai suonato, credevo che Ami e Alex fossero tornati indietro perché avevano dimenticato qualcosa. Volevo mettermi a cucinare con lui.»

«Cucinare?»

«Sì, sul tavolo basso. Lo avrei fatto divertire con l'impasto, come col pongo.»

Era un'idea. 

«Mi stavo disperando perché mi manca la farina. Ti rendi conto? Ne compro talmente tanta per il negozio che la dimentico per casa mia.»

«Vuoi che vada a prenderla io?»

Makoto si illuminò. «Lo faresti? In realtà mi mancano un po' di cose, dovrei farti una lista.»  Scalpitando, lei girò per la stanza in cerca di un foglio e quando lo trovò faticò a recuperare una penna. «Perché da qualche tempo non trovo mai niente?» Era in difficoltà e mentre scriveva cercava di darsi una mossa. Probabilmente quel giorno avrebbe dovuto fare la spesa, ma si era lasciata conquistare dall'idea di gestire Adam e Iria insieme.

Gen sapeva che si sarebbe pentito dell'offerta, ma non poteva vederla così nervosa. «Vuoi andare tu al supermercato? Rimango qui io.»

Makoto si lasciò sfuggire un enorme sospiro di sollievo. «Davvero? Vado e torno subito.» Si diresse come un fulmine verso l'ingresso.

«Prendi quello che ti serve, non correre. Cioè, non correre, ma cerca di tornare prima che...»

«Prima che Iria-chan si svegli» terminò per lui Makoto. Si immobilizzò. «Se si sveglia, cosa fai?»

Gen puntava su un'arma segreta. «La distraggo con questo ometto qui. Insieme sono due terremoti, no?»

Makoto rise. «Infatti.» Aveva già indossato la borsa. «Ah, se piange troppo, controllale il pannolino.»

Chiuse la porta dietro di sé, non lasciandogli modo di rispondere alla minaccia.

Nel silenzio della casa, Goldie girò la testa verso di lui, in cerca di risposte.

Gen però aveva a sua volta una domanda. «Adesso che si fa?»

Il figlio di Alexander si guardò intorno e si gettò d'improvviso in avanti, incurante dell'altezza. Gen afferrò il suo peso con la mano libera, comprendendo le sue intenzioni. «Vuoi scendere? Vai.» Lo depositò sulla moquette, rimanendo a osservare cosa faceva. Aveva sentito che il piccolo Adam, che si avvicinava all'anno di età, aveva iniziato a camminare da due settimane. A quanto pareva, per quante volte cadesse, si stava esercitando con determinazione a procedere sulle sue sole gambe, lontano da qualunque supporto. Lo vide deambulare a braccia aperte verso uno zainetto colorato depositato accanto al divano.

«È roba tua?»

Adam la indicò col dito. «Muu!»

Mu?

Gen si chinò per aprirgli la cerniera, per agevolarlo in qualunque cosa volesse prendere. 

Il bambino tirò fuori un orsetto di peluche. Senza degnarlo di un'occhiata, lo gettò a terra. Poi afferrò da dentro lo zaino, con entrambe le mani, una specie di pianola per bambini, strattonando con così tanta forza da ricadere sul sedere. Non si lamentò: lo aveva protetto il pannolino e aveva il suo trofeo. «Muu!»

Gen capì cosa intendeva dire solo quando Adam sollevò la mano per premere un tasto col disegno di una mucca. La scena avvenne come al rallentatore, con lui che si sporgeva per bloccarlo.

«MUUU!»

Il suono elettronico, squillante, riempì l'intero appartamento.

«Ueehhh....»

Oh, no, no.

«UehhheeeeeeeeeAAAAAAAHHHHH!»

Maledizione.

Si voltò verso l'esserino che agitava mani e gambe sul letto.

«Ehi, calma....»

Nell'udire la sua voce, Iria Kumada lo individuò e gridò più forte.

Gen sollevò Adam da terra, in fretta. «Guarda chi ho qui.»

Glielo appoggiò sul letto, accanto, sperando che la vicinanza sortisse qualche effetto. Quello che successe fu che, quando Iria vide il suo amico, si voltò di lato con tutto il corpo, con incredibile energia, per sfuggirgli, rotolando verso il bordo del materasso. 

«Merd-!» Gen saltò in avanti, afferrandola all'ultimo momento con la mano. Per un istante Iria dondolò con metà corpo per aria.

Lui riuscì a tirarla a sé. «Non ti suicidare!»

«UAHHHHHHHHHH!»

Lo spavento l'aveva traumatizzata. Non sapendo che fare di lei, per un momento la lasciò sdraiata, ma vedendo che la piccola cercava di tirarsi su, la aiutò con una mano dietro la schiena. Toh, era cambiata dall'ultima volta che l'aveva vista: era più stabile - meno neonata e più bambina. Il suo amico Adam si avvicinò per consolarla.

«Ecco, fa' qualcosa.»

Ma il giovane Foster diede alla sua compagna piangente una spintarella sul petto, che la zittì di colpo.

«Ehi, sii gentil-»

Prima che fosse riuscito a finire, Adam aveva spinto Iria all'indietro con entrambe le mani, mandandola a gambe all'aria.

«UAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!»

Gen afferrò Adam e lo esiliò sul pavimento. «Eccheccavolo!» Si torturò da solo prendendo Iria tra le braccia, con le sue urla a pochi centimetri dalle orecchie.

«Su, dài. Non è successo nulla!» 

Dondolò come un deficiente.

«UAHHHHHHHHHHHHHHH!»

Per l'esperienza accumulata la volta precedente, si sedette per terra e mise Iria seduta davanti a lui, maneggandola con la delicatezza di un pacco bomba.

«È stato cattivo, lo so!»

«UAHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!»

Recuperò uno dei giochini di Adam - il peluche. «Ecco, tieni questo. Glielo rubiamo.»

Iria passò dal pianto al singhiozzo.

«Bello, hm?»

Cercò un fazzoletto da passarle sulla faccia bagnata mentre lei rigirava tra le mani l'orso.

Adam osservava la scena indignato. «Uah!»

Zitto, tu. Per evitare una seconda catastrofe, non sgridò Goldie. Si sporse a prendere la sua pianola e la mise tra i due contendenti, per evitare che Adam raggiungesse la sua nemica.

«Sotto sotto sei dispettoso. Come tuo padre.»

Adam crollò a terra sul pannolino e si dedicò a digitare sulla pianola.

«MUUU!»

«BEEHH!»

«MIAO!»

Gen cercò disperatamente i tasti del volume, ma quando si accorse che Iria aveva smesso di piangere, affascinata, abbassò il suono di una singola tacca. Intravide il prossimo problema nel momento in cui lei mollò l'orso di peluche, per dirigersi gattonando verso la pianola.

Adam vi si gettò sopra con tutto il corpo, per impedirle l'accesso. «NAHH!» Nell'aria si diffusero i versi di tre animali contemporaneamente.

Il viso della piccola Kumada si deformò in una smorfia disperata.

Gen dovette imprimere forza per tirare via dal giocattolo il suo proprietario. «Non sai condividere, hm? Facciamo così.» Con una mano premette quella di Adam su un tasto nuovo, quello che emetteva il verso del cavallo.

«IH-HIIII!»

«Ih-hiii!»

Sentendolo ripetere il verso, i bambini voltarono entrambi la testa nella sua direzione.

Gen non si era mai sentito più cretino in vita sua. 

Afferrò una mano di Iria e la posò sulla figura di un maiale.

«OINK-OINK!»

Deglutì la propria dignità e imitò il suono. «Oink oink.»

Il piccolo Foster applaudì i suoi sforzi, battendo scordinatamente le mani. Gen sperò che la sua performance fosse stata sufficiente. «Visto come si fa? Uno alla volta.»

Tenendo i polsi di entrambi, usò prima la mano di Adam per far partire di nuovo il verso della pecora e poi permise a Iria di liberare il miagolio del gatto. Sul faccino della piccola Kumada spuntò un primo sorriso.

«Okay. Riuscite a gestirvi da soli ora?»

Quando li lasciò andare, si buttarono entrambi sulla pianola.

«No!» Con estrema pazienza, annoiandosi a morte, stette a coordinarli mentre pigiavano a turno sui tasti. Ancora non aveva asciugato la faccia di Iria.

«Se mi alzo, scatenate l'inferno?»

Adam non lo ascoltava più. Dopo aver premuto per l'ennesima volta il verso del gatto, provò infruttuosamente a imitare il suono. «Mii! Mii-!»

Gen comprese. «Tu hai un gatto, vero? Lo hai sentito fare miao?»

Adam ripeté il vocalizzo, sentendosi intelligentissimo.

La piccola Kumada si era appropriata della pianola, schiacciando in libertà tutti i tasti.

Fidandosi del maggiore autocontrollo del figlio di Ami e Alexander, Gen lo sollevò da terra. «Lasciala giocare un attimo, io e te dobbiamo cercare dei fazzoletti.»

Adam però si sporgeva verso il pavimento, col braccio allungato. «Ahhhh....»

Gen non ci stette. «No.» Gli parlò da uomo a uomo. «Prima hai fatto male a buttare Iria giù. Capito? Non si buttano giù le bambine.» Aveva reso la voce dura mentre lo diceva e Adam non rispose, fissandolo con un misto di senso di colpa e risentimento. A Gen non importava che non capisse quello che diceva, era convinto che il succo del messaggio stesse passando. 

Riuscì ad avere qualche secondo di pace mentre rovistava nei cassetti di Makoto. Trovò i fazzoletti, ma prima di tornare da Iria depositò Adam accanto al proprio zaino. Lo svuotò del contenuto davanti a lui, per distrarlo. «Ecco a te.»

Il piccolo Foster ispezionò con attenzione i vari giochi.

Da due metri di distanza, Iria si era accorta della profusione di nuovi giocattoli. Mise da parte la pianola e gattonò in avanti, decisa, verso il suo obiettivo. Gen fermò anche lei. «Aspetta.»

Le passò il fazzoletto su tutta la faccia, con Iria che si agitava per allontanarsi.

«Un po' di pazienza.»

Sentì che la bambina spingeva via la sua mano per abbattersi sui giocattoli, senza alcun rispetto, e capì che era il momento di un po' di disciplina anche per lei. «No.» La afferrò con un braccio e si sedette a gambe incrociate sul pavimento, mentre Iria già ricominciava a piangere. «No» ripeté, manovrandola per averla davanti. «Si gioca bene o non si gioca, è chiaro?»

Il tono perentorio aveva incatenato gli occhi viola della piccola Kumada ai suoi. Le tremavano le labbra. Gen la mise a terra, tenendola sul petto con una mano. «Puoi giocare senza avere per te tutte le cose.» Afferrò un mazzo di chiavi di plastica colorate e gliele mise in mano. «Ecco, prova.»

Iria girò le chiavi tra le piccole dita, poi le reputò troppo noiose per attirare la sua attenzione. Le buttò via.

Gen pescò un altro dei giochi che Adam stava ignorando, selezionando questa volta delle ciambelle che andavano infilate su un palo, per comporre una piramide. «Questo ti piace, no?»

Iria vi si intrattenne solo per dieci secondi, poi buttò via una delle ciambelle, lontano.

Gen comprese. «Sei pretenziosa!» 

Ridendo la girò tra le mani, per guardarla di nuovo in faccia, e nella sua espressione scocciata, nel suo modo di essere, vide in toto Rei Hino. «Io so a chi somigli, sai?»

Iria sembrò cogliere un pizzico dello scherzo, sollevando un angolo della bocca. Quando non piangeva e non urlava era davvero carina.

«Somigli alla mamma!» terminò lui e strofinò il naso contro la sua pancia, senza riuscire a fermarsi.

«Alla mamma!» continuò a ripetere Gen mentre la tormentava, causandole un cumulo di risa.

Distratto dal silenzio, guardò oltre le spalle di Iria.

Adam Foster li fissava da seduto, con in mano una macchinina, convinto di trovarsi davanti due idioti.

Gen si schiarì la voce. «Ora capisco perché non andate d'accordo.» Liberò Iria nelle vicinanze dell'amico assieme a cui sarebbe cresciuta. «Il tuo papà e la sua mamma non si sono mai piaciuti troppo, non sono compatibili. Ma loro si sono conosciuti da adulti, voi siete praticamente nati insieme. Fate vincere le metà migliori di voi, okay? Tu la mamma» indicò Adam. «E tu il papà» disse ad Iria, che lo ignorò bellamente andando a strappare l'automobilina di mano ad Adam.

Il figlio di Alexander non gridò, non ne aveva bisogno. Con la sua maggior forza trattenne la macchinina e allontanò le dita della sua rivale con una manata.

Iria ricominciò a piagnucolare. Gen sollevò gli occhi al cielo, rassegnandosi all'inevitabilità del suo intervento.

Mettendosi in mezzo ai due bambini, direzionò i loro giochi, evitando altri spargimenti di sangue.

Venti minuti dopo, Makoto tornava trafelata a casa. Si precipitò all'interno dell'appartamento con le chiavi. «Com'è andata, tutto bene?!»

Gen era sdraiato a terra, come morto, con Iria sopra di lui che gli tirava le labbra.

Makoto scoppiò a ridere. «Cosa ti sta facendo?»

«Mi uccide» bofonchiò lui a occhi chiusi. 

Adam girava attorno al tavolo con un aereoplanino in mano, tentando di non cadere mentre camminava. Makoto andò a salvare Iria da Gen - o viceversa.

«Si è svegliata? Ha pianto tanto?» Udì un lamento dalla bambina proprio mentre la prendeva in braccio.

«Ha pianto poco. L'ho distratta.»

«Davvero?» Ma Iria-chan stava cambiando idea proprio in quel momento.

«No, tesoro, non essere triste! Guarda cos'ho qui per te!» Makoto andò al frigorifero e le fece vedere uno yogurt per bambini. La figlia di Rei smise subito di lamentarsi.

«Hai visto? Lo so che ti piace! È buonissimo, vero? Adesso cerchiamo un cucchiaino...»

Adam aveva visto cosa teneva in mano. «Ah! Ah!» Ne voleva a sua volta e per il cibo retrocesse a vocalizzi adatti a un bambino della sua età.

Gen si mise seduto. «Perché non mi hai detto di questo trucco?»

«Mi è venuto in mente adesso. Puoi prendere Adam in braccio? Li nutriamo insieme, così non piangono.»

Lui non poté far altro che osservare la felicità con cui Makoto si apprestava a far mangiare i bambini. Per Adam gli passò un bavaglino, perché a quanto pare il piccolo Foster già pretendeva di mangiare da solo.

«Mako?»

«Hm?» Lei si era sistemata accanto al tavolo con Iria in braccio, imboccandola estatica. 

«Ho tenuto questi due per un quarto d'ora e volevo spararmi.»

Makoto non gli credette neppure per un istante. «Ti stavi facendo fare di tutto da Iria! Ti aveva sottomesso.»

«Sì, ma... avere a che fare con un bambino è come dover imparare una nuova lingua. Alla fine non è così divertente.»

«Mi stupirei se ti piacesse fare il babysitter, ma di che ti preoccupi? Sarà una cosa che succederà al massimo una volta al mese e non devi venire ad aiutarmi.»

«Lo dicevo perché... Magari ti veniva in mente di adottare tra due o tre anni.»

Lei diventò seria mentre dava da mangiare alla figlia della sua amica, che accoglieva vorace ogni boccata. «Non credo, è troppo presto. Non avremo tempo per un bambino. Inoltre, quando diventeremo genitori, dovremo volerlo entrambi. Aspetteremo fino a che non sarai pronto. Anche se secondo me non ci metterai tutto il tempo che credi.»

Gen sapeva che sarebbe finita così. «Perché?»

«Perché stavi ridendo mentre Iria ti stropicciava la faccia. E da fuori la porta ti ho sentito fare dei versi, per farla ridere.»

Gen si dedicò a pulire la bocca di Adam, senza ingannare Makoto. 

Lei iniziò a parlare ad Iria. «Cosa ti ha fatto lo zio Gen? Ha giocato con te? Ti ha coccolato? Ti vuole un mondo di bene, lo sai?» Strofinò la faccia contro quella di Iria, riempiendola di baci.

L'immagine intenerì talmente tanto Gen che per un momento pensò che, forse, non gli sarebbe dispiaciuto se...

Ma per fortuna, per loro, mancava tanto tempo.

 

18 - GEN BABYSITTER (per Adam, 1 anno, e Iria, 8 mesi) - FINE

 


 

NdA: DEVO sapere cosa pensate di Gen in queste vesti :P Ditemelo! :D

 

Elle

 

 

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

 

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Capitolo 19
*** Profetessa (Iria, 7 mesi) ***


Maternità 19

Maternità/Paternità

 

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

19 - Profetessa (Iria, 7 mesi)

  

La faccia della sua mamma era tanto morbida. La tastò con le manine.

La sua mamma era morbida e tanto tanto bella, soprattutto quando apriva gli occhi.

Iria vocalizzò il suo interesse, per svegliarla il più presto possibile. Si stava annoiando sdraiata sul letto, voleva giocare.

Le palpebre della sua mamma si aprirono con uno scatto.

«Tu dormi troppo poco.» Sbadigliò - uno sbadiglio enorme, lunghissimo.

Iria avrebbe voluto capire cosa diceva. Le infilò una mano nella bocca aperta, per acchiappare le parole.

La sua mamma tremò dalle risate. «No. Adesso infilerai quelle ditina in bocca, prendendoti chissà quali germi. Ecco, appunto. Dammi la mano, la pulisco.»

La mamma continuava a strofinarle addosso delle salviettine bianche. Era ossessionata, chissà perché le piacevano tanto.

«Uh.» Iria ne afferrò una, sperimentando ancora una volta che non facevano rumore come la carta normale. Le piaceva la carta, stropicciarla era divertente.

La mamma la afferrò e la portò contro il petto, per spupazzarla. A Iria non dispiacevano le coccole, soprattutto quando stava vicino a un profumo buono come quello della mamma.

Sentì un altro sbadiglio contro i capelli.

«Perché non dormi di più, tesoro mio? Sei una bambina che dorme pochissimo durante il giorno. Prendi esempio dal tuo amico Adam. Lui si fa di quei sonnellini il pomeriggio...»

Iria cominciò a spingere contro il suo petto. Gli abbracci andavano bene solo per poco, lei voleva avere mani e piedi liberi, per giocare. La mamma la girò, regalandole la sua libertà.

Iria emise un gridolino di gioia. C'era papà a fianco a loro sul letto! Se n'era dimenticata!

La mamma sussurrò al suo orecchio. «Perché non hai svegliato prima lui oggi?»

Lei cercò di divincolarsi, per andare dal suo papà.

«No no, adesso lo lasciamo dormire. Così stanotte sarà riposato per quando ti metterà a letto. E io andrò a dormire alle nove.»

Iria non capiva tutti quei discorsi, sapeva solo che voleva il suo papà. «AhhH...»

Si ritrovò sollevata tra le braccia della mamma, con lei che si alzava. «No, non urlare. Non si urla, si ride. Guarda come ti faccio il solletico...»

Iria si dimenò per le risate mentre sua mamma saltava via, portandola fuori dalla stanza.

Si ritrovò in corridoio. Erano rimasti a dormire nella casa del nonno minuscolo, quello da cui la portavano quando avevano troppo da fare. Iria non era felice quando mamma e papà andavano via e la lasciavano lì - anche se il nonno minuscolo era divertentissimo, così come le zie dai capelli strani. La sua preferita era zia Palla!

Comunque le mancavano sempre mamma e papà ed era felice quando passavano la giornata tutti insieme.

In quel momento la casa era silenziosa, come se non ci fosse nessuno.

Mamma sussurrava. «Mi sa che gli altri sono andati al santuario... che pace.»

Mamma smise di camminare. Iria agitò le gambe e la mamma le raccolse col braccio, sollevandole le ginocchia per farla sedere meglio nella sua presa.

«Sai che sono cresciuta qui? Quando ci torno non vorrei mai andare via... poi torniamo a casa nostra e non vorrei mai andare via da lì.»

Iria piegò il collo, per cercare di guardare in faccia la sua mamma. Perché rideva?

La mamma posò un bacio sulla sua fronte. «Tu sei come me. Per fortuna non sei sola come lo sono stata io. Ti insegnerò giorno dopo giorno a gestire la tua energia... tutte le tue capacità.»

Ad Iria sembrava che stesse facendo un discorso importante. Rimase a guardarla fissa negli occhi.

«Hai uno sguardo da piccola adulta quando mi guardi così. Magari un giorno potrò chiederti chi sei. Perché ci hai scelto. Perché sei nata ora.»

Iria sollevò le braccia, afferrando una ciocca dei lunghissimi capelli della sua mamma.

«Avrei aspettato almeno altri dieci anni, sai? Se avessi potuto scegliere. Ma se penso che tra dieci anni poteva nascere una bambina che non sei tu... va bene così. Anche se a volte è ancora strano essere la tua mamma.»

Iria si stava stufando di stare ferma. Troppe parole, non andavano bene finché non le capiva!

La sua mamma ridacchiò e riprese a camminare. «Okay. Ti porto dai tuoi giocattoli.»

Giocattoli!

La mamma danzò mentre entravano nella sua cameretta al tempio. La depositò su un tappetino colorato.

Seduta, Iria batté le manine a terra, esaltata. Finalmente si giocava!

Mamma rovesciò la cesta di giocattoli per terra, causandole un gridolino di gioia.

Iria corse subito a prendere il suo gioco preferito, un animaletto con le orecchie. Coniglio, giusto? Lo morse, masticando.

Mamma sospirò e si sdraiò sdraiata accanto a lei, per osservarla. «Almeno è appena lavato.»

Iria liberò la bocca, protestando. «Ua-ua uè-u wa wa wa!» Dovevano giocare insieme, funzionava così! Papà era più bravo a divertirsi coi giochi.

Mamma sorrise, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte. «Parlerai tra poco, me lo sento. Cosa dirai per prima? Mamma? Papà?»

Latte. Aveva fame, voleva il latte. O la frutta, o le cose salate. Bastava mangiare!

Masticò forte il suo coniglietto, sperando che la mamma capisse prima che lei si mettesse a urlare. Avrebbe voluto non piangere, ma se non le davano quello che voleva, cos'altro poteva fare?

«Hai fame, hm?»

Sì, fame. «Gnnnn....»

Mamma rise di nuovo - rideva troppo di lei. «Okay, andiamo a farti qualcosa da mangiare.»

Mamma si alzò in ginocchio mentre qualcosa frusciava alle loro spalle. Si immobilizzò. «Ehi» sussurrò, con un tono di voce diverso da quello che usava con lei.

Iria aveva trovato un punto del coniglietto che sapeva di buono e non si voltò.

«Ci porti un omogeneizzato?»

«Hm-mh.»

Le era parso di udire un mormorio del suo papà, ma quando si voltò il corridoio era vuoto.

Il suo pancino gorgogliò.

La mamma glielo massaggiò. «Adesso arriva il cibo.»

Cibo, cibo, cibo.

Guardò la mamma dritto negli occhi viola, chiedendosi perché non si desse una mossa.

La distrasse il suo sguardo intenso - una cosa che riusciva solo alla mamma.

Voglio comunicare con te.

Sapeva che era quello che le stava chiedendo con gli occhi e guardandola di rimando Iria le disse la stessa cosa.

Un giorno ti dirò tante cose.

Cose come... Il destino. Il passato. Il pericolo, quello enorme. Quando ci pensava diventava triste, aveva paura e voleva solo essere abbracciata forte.

Mamma la strinse al petto. «Shh, shh. Sono divinazioni. Non ti succederà niente.»

Iria si aggrappò alla sua felpa.

«Non permetteremo che ti succeda nulla. Sei la nostra bambina. Ti amano tutti. Ti vuole bene anche l'essere più potente di questo universo. E anche se io non lo sono, morirei per te, Iria-chan. Tranquilla, hm? Andrà tutto bene.»

Iria si sentì al sicuro.

Non le importò più della fame, della paura. Nemmeno del papà.

Alla sua mamma voleva bene in un modo speciale. Loro erano... uguali.

Profetesse, fu la parola che spuntò nella sua mente.

Ma è lei ad aver ereditato la divinazione da te. E sarai tu a doverla guidare.

Sbatté le palpebre.

«Guardate cos'ho portato.»

La voce del suo papà la fece tornare bambina. Si girò verso di lui, alzando le braccia per raggiungerlo.

Tutto il resto fu dimenticato.

 

19 - Profetessa (Iria, 7 mesi) - FINE

 


 

NdA: Ho voluto scrivere di Iria, per mostrarvi un goccio della consapevolezza che questa piccola si porta dietro, senza ancora capirne il significato.

 

Elle


 

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Capitolo 20
*** 20 - Nato per essere padre (Iria, 2 mesi) ***


Maternità 20

Maternità/Paternità

 

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

20 - Nato per essere padre (Iria, 2 mesi)

  

Lui, Yuichiro Kumada, non era mai stato più felice nella sua vita. Si approcciò alla culla da cui sentiva provenire i primi gorgoglii, allungando le mani per agguantare il suo tesoro. «Eccola!» mormorò. Sollevò per le ascelle la bambina più bella e dolce del mondo, usando le mani per sostenerle la testa; era così piccola da stargli in un palmo.

Avvicinò sua figlia alla faccia, premendole la bocca su entrambe le guance, sonoramente. I baci suscitarono in Iria una smorfia confusa, poi una specie di sorriso. A due mesi stava imparando a mostrarsi felice.

«Presto sorriderai tutto il tempo.» La appoggiò sulla spalla, non resistendo e baciandole i capelli.

Esisteva un odore più buono di quello di un neonato?

La cullò, dondolando. Non voleva ancora portarla da Rei, anche se si era svegliata per la fame. Non erano mai abbastanza i momenti che passava solo con lei.

«Ah... uuh...»

Incavò il mento per poter guardare il suo faccino. Colse la macchia d'umido sul pigiama, dove la piccola aveva tentato di succhiare.

Era cattivo, le negava il suo latte.

«È solo per lasciare dormire la mamma ancora un po'.» Rei riposava da quattro ore; ogni minuto in più di sonno era prezioso. Yuichiro stava sperimentando la tecnica dell'autoconsolazione: voleva che Iria imparasse che esistevano altre cose belle nella vita oltre al seno di sua madre, così si poteva concentrare su quelle senza tirare giù la casa in attesa della poppata. «Ad esempio è bello stare un po' col papà, giusto?» Giocò a far scontrare i loro nasi, con Iria che apriva e chiudeva gli occhi per la sorpresa. 

Afferrò una copertina pesante e gliela avvolse per bene attorno alla schiena e alla testa, facendo attenzione a coprirle le piante dei piedi. Il mondo esterno non si poteva affrontare senza precauzioni.

Aprì la porta del balcone, per farle vedere la bellezza di quella mattina. «Guarda, è tutto bianco.» Strinse Iria contro il petto, per tenerla calda. «L'ultima neve di questo inverno. Sai, la neve... be', è molto fredda e non bisogna toccarla senza guanti. Ci si può giocare in tanti modi... facendo pupazzi di neve o lanciando palle. Il gelo che senti stimola la circolazione.»

«Tu sei pazzo.»

Si strinse nelle spalle udendo la voce minacciosa di Rei.

«Chiudi quella porta e accelera la tua di circolazione! Vuoi farle venire una polmonite?»

Tornò dentro, offrendo Iria alla sua mamma. Rei se la riprese tra i brividi, premendo le guance contro le sue. «Guarda com'è fredda. Stava per piangere.»

Veramente Iria era serafica; ora si stava agitando solo perché percepiva nelle vicinanze l'odore del latte. «Sarà come me» dichiarò Yuichiro, chiudendo l'anta scorrevole. «Amerà le basse temperature.»

«Ha! Aspetta almeno due anni prima di fare altri esperimenti, altrimenti andrai a vivere in pianta stabile sul balcone.»

Lui si mangiò una risata.

Rei portò Iria sul letto, sedendosi e denudando un seno. Iria vi si attaccò come una sanguisuga tenuta a stecchetto da settimane. Normalmente lui trovava paragoni più poetici per la sua bambina, ma quando Iria mangiava lo faceva con la voracità di uno spirito che succhiava l'anima. Rei sospirò, sistemandosela meglio tra le braccia, rassegnandosi a farle da biberon umano. Amava Iria, ma non amava particolarmente quel momento di condivisione fisico. Le piaceva solo a sprazzi e quasi per niente quando Iria faceva i capricci e voleva stare tutto il tempo attaccata.

Lui tornò a sdraiarsi con loro, sistemandosi di traverso per poter accarezzare la testa di sua figlia. Era così morbida... Le carezze le causavano piccoli gorgoglii di risposta.

«Vorrei che avessi delle tette anche tu» sentenziò Rei. «Scommetto che saresti felicissimo di farti mangiare vivo.»

Indubbiamente. «Ma stanno meglio su di te.»

Rei mugolò d'infelicità. «Lo pensavo anche io prima di quest'esperienza.»

Yuichiro la guardò dal basso verso l'alto, sdraiato. «Sai che possiamo passare al latte in polvere.»

«No. No» ribadì lei, come se le avesse proposto una sconfitta. «Il latte materno è migliore. Si sta scoprendo che aiuta con lo sviluppo del cervello, col sistema immunitario e... con chissà quante altre cose. Voglio che lei viva per mille anni in piena salute.»

Yuichiro evitò di ribattere, per non causarle altro stress.

Rei scivolò lungo il letto, sistemando meglio la nuca contro la testata soffice alle sue spalle. «Non voglio essere una madre che non sa sacrificarsi.»

A lui pareva che lei stesse sacrificando molto - sonno, tempo e metà della sua identità nel tentativo di adeguarsi ad aspettative sul ruolo materno che si erano rafforzate di prepotenza appena era nata Iria.

Aveva trascorso mesi a rassicurarla sul fatto che non doveva cambiare in un modo che la rendeva infelice. Ora non stava insistendo solo per non metterla ulteriormente in difficoltà, ma prima o poi doveva dire qualcosa. «... Ogni tanto ti sembra di poter comunicare con Iria.»

Rei voltò la testa, per guardarlo.

«Come se lei sentisse quello che provi.»

Senza ribattere Rei abbassò lo sguardo verso la loro bambina, che poppava a occhi chiusi.

«Penso che tu debba fare ciò che ti fa sentire meglio... Non esiste bambina che cresca meglio di quella che ha accanto persone felici.»

Non si sorprese di non sentirla rispondere: Rei era troppo stanca per dargli ragione o anche solo per riflettere sulle sue parole. Ci avrebbe pensato nel pomeriggio, quando Iria le avrebbe concesso almeno cinque ore di sonno.

Il suo viso si addolcì. «Ci sei tu ad essere felice per tutti e due.»

Sorridendo, Yuichiro si rigirò su se stesso e la raggiunse. «Perché sei con me.» Posò un bacio sulla sua guancia.

Rei scosse piano la testa. «Perché c'è lei.»

Lui non lo negò. «Se non fosse nostra - mia e tua - sarei felice la metà.»

«Dici? Secondo me tu sei proprio nato per essere padre.»

Poteva darsi, lo aveva pensato anche lui in quei mesi.

«È lei che muori dalla voglia di riabbracciare quando ci vedi insieme.»

«Se stritolo te in un abbraccio poi ti faccio male al seno.»

Rei sussultò in una risatina. «Poi schizzo latte dappertutto, come una mucca!»

«No, come una mamma.» Posò la fronte sulla sua tempia, per offrirle tutta la consolazione di cui era capace. «Certo che muoio dalla voglia di riabbracciare anche te. Ogni volta che stringi Iria ti amo di più. Ogni volta che ti vedo stanca ti amo di più. E ti amerei nello stesso identico modo anche se ti sacrificassi di meno - proprio come Iria-chan.»

«L'amore di una madre dev'essere anche sacrificio» la sentì mormorare.

«Ma non dev'essere principalmente sacrificio. Dev'essere amore e basta, quello che ti senti di dare.»

«Magari non è abbastanza...»

«No... no. Il tuo amore sarà sempre abbastanza.»

Rei lasciò andare via il senso di colpa con un lungo respiro. «Come madre varrei la metà senza di te.»

«Io non lo penso.»

«Perché sei il solito modesto. Se Iria sarà buona ed equilibrata, sarà soprattutto merito tuo.»

«Okay.»

«Cosa?»

«Sono il papà dell'anno.»

Le suscitò una risata leggera. «Sei uno spasso quando decidi di mostrare un po' d'orgoglio.»

«Il papà dell'anno poteva scegliere solo la donna migliore del mondo per fare da madre alla sua bambina.» Fece silenzio, ricordando. «Lo sai, vero? Non avrei avuto figli con qualcuna che non fossi tu. Mai. È una parte di me che potevo condividere solo con te. Non avrebbe senso essere padre senza di te.»

Rei si voltò, colpita. «Che scemo.» Non poteva abbracciarlo perché aveva le mani impegnate con Iria, ma gli donò per intero le sue labbra, con impeto, commossa.

Si staccò rasserenata, con gli occhi privi di ombre. «Sei scemo perché dici le cose più carine e al contempo più tristi che esitano. Ma ti autorizzo a dirmele di tanto in tanto. Mi piacciono.»

Yuichiro era contento. «A me piace dirtele.»

«Ogni tanto hai paura di ciò che verrà, hm?»

Per forza, dopo l'ultima previsione di lei. «Ci penso soprattutto quando sono più felice.» Doveva scacciare con forza la paura di perdere tutto quanto troppo presto.

Rei aveva occhi solo per lui e per un momento non prestò attenzione ad Iria, che si era staccata. Quando sentì un piagnucolio che minacciava di diventare un urlo la girò tra le braccia. «Fortuna che abbiamo lei. Nonostante le mie lamentele-»

«Non sono lamentele.»

«Sono felice che sia nata. Che sia qui. Da sola starei cercando di non farti cadere nel panico. Lei invece distrae.»

«Be', se non ci fosse Iria-chan... sì, starei tutto il tempo a letto, abbracciandoti forte. E facendo altre cose.»

Rei lo trovò comico. «Stiamo tutto il tempo a letto lo stesso. Solo che coi capelli arruffati e le occhiaie, in pigiama, con me che sono desiderabile come una settantenne...»

«Non è vero.»

«Be', allora con la libido di una settantenne.»

«Per me non è un problema. Tanto con la tecnica giusta ti faccio cambiare idea.»

Per la prima volta lei rise forte. «Ah, ora la tua sarebbe una tecnica?»

Lui annuì convinto. «La tecnica della tenerezza. Ti accarezzo, ti massaggio... ti faccio sentire così bene che alla fine mi lasci fare quello che voglio.»

Rei non lo prese come uno scherzo, si preoccupò. «Ti andrebbe bene così? Prima o poi ritornerò come prima, ma chissà quanto tempo ci vorrà...»

«Tu mi vai bene in qualunque forma, con qualunque aspetto, di qualunque umore...»

«Bugiardo, quando ero incinta ho dovuto costringerti come all'inizio del nostro rapporto.»

«Non perché non ti trovavo eccitante, perché pensavo a lei.» La indicò, rabbrividendo al ricordo di quanto si era dovuto trattenere.

«Lo so, lo so... per assurdo adesso tu hai tanta voglia e io ne ho poca...»

«Se smetti di allattare probabilmente torni prima, be', come prima.»

Rei finse di indignarsi. «Me lo stai chiedendo per accontentare le tue voglie? Egoista!»

Finse di esserlo per lei, sollevando le spalle. Se poteva darle una scusa per porre fine a una cosa che non voleva più fare...

Rei accarezzò la testa di Iria, amandola anche con quel singolo gesto. «Ci penso.»

«Crescerà benissimo lo stesso. Il latte conta, ma i geni... i geni non si cambiano e quelli dal lato materno sono perfetti.»

«Esagerato.» Ma le aveva suscitato un attimo di delizia.

«Conterà anche come la cresciamo. E col papà migliore del mondo...»

«Adesso non ti allargare. Volevi congelarla.»

«Col papà che si impegnerà di più al mondo, e una madre bravissima, andrà tutto bene. Sarà tutto meraviglioso, Rei.»

Rei si sistemò nel suo abbraccio e gli credette.

 

  

20 - Nato per essere padre (Iria, 2 mesi) - FINE

 


 

NdA:  Melassa a gogò! L'ho pubblicata sul gruppo di FB (link sotto) il giorno della festa del papà, per festeggiare anche con le mie fanfic. Finalmente nella storia principale di questa coppia Iria sta per entrare di prepotenza nelle loro vite. Manca poco :)

Nota importante: a causa dell'attuale situazione in Italia e nel mondo mi sto ritrovando in una situazione finanziaria poco felice. Ma si fa di necessità virtù e mi è venuta un'idea: scrivere fanfic su commissione. È legale anche se il tema è Sailor Moon, mi sono informata. Si tratta di un lavoro artigianale realizzato in un unica copia - al pari di una fanart come se ne vendono tante in Italia. Ci sarebbero problemi se scrivessi delle fanfic e le vendessi al mondo intero, ma siccome non è questo il caso... :)

Se volete saperne di più visitate la mia pagina Patreon.


  

Elle


 

P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie storie: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

 

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Capitolo 21
*** Rei e l'istinto materno (sette mesi) ***


Maternità 20

Maternità/Paternità

 

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

21 - Rei e l'istinto materno (sette mesi)

  

Adam Foster era venuto alla luce da venti ore. Andando a trovarlo in ospedale per la seconda volta, Rei scoprì che non era cambiato rispetto al giorno prima: aveva ancora un naso enorme, il volto arrossato, gli occhi gonfi e la pelle raggrinzita.

Ami lo teneva sulle ginocchia unite, parlandogli mentre giocava con le sue mani minuscole, incapaci di stare ferme.

«Ti piace così?» mormorava. «Hai freddo? No, vero, è ancora estate. Fa meno caldo adesso, si sta proprio benissimo. O forse stavi meglio dentro la mia pancia? Ma stavi crescendo, avevi bisogno di uscire.» Posò un bacio soffice sulla sua fronte, rimirandolo come se tutto in lui fosse un miracolo.

Senza sapere perché, Rei toccò il proprio addome rigonfio. «Stai meglio.»

Ami si voltò, accorgendosi della sua presenza. «Ciao!»

«Ciao. Hai riposato.»

«Sì. Adam è stato buono, gli ho appena dato da mangiare.»

Rei si avvicinò al letto. «Ho portato un tutina per lui.»

«Capita a proposito.» Ami allungò le mani. «Ha macchiato le altre, Alex è andato a prenderne una nuova.»

«Lo abbiamo incontrato all'ingresso. Yu si è fermato a parlare con lui.»

Annuendo Ami tornò a prestare attenzione al suo bambino, spostandosi sul materasso come se stesse maneggiando un vaso di cristallo. «Okay» mormorò rivolta a lui. «Ora ti appoggio sopra il letto e togliamo questa tutina sporca, hm?»

Era madre da meno di un giorno, ma sembrava che lo fosse da tutta la vita.

Rei si avvicinò con cautela, per imparare. Ami stava svestendo suo figlio partendo dal basso. Gli sollevò la tuta fino all'inguine, scoprendo due gambe arcuate simili a quelle di un ranocchio. Al posto dell'ombelico il bambino aveva... Rei scostò lo sguardo per un secondo.

Ami notò il suo disagio. «È il moncone del cordone ombelicale. Cadrà tra qualche giorno.»

«Sembra una ferita. Non gli farà male?»

«No, basta non toccarla troppo.»

Rei smise di commentare, lasciandola al suo lavoro. Adam aveva aggrottato la fronte nel ritrovarsi nudo, coperto solo dal pannolino. Il suo viso era deformato in un piccolo grugno che gli conferiva un aspetto perennemente arrabbiato.

Rei tolse la nuova tuta dalla busta, passandola ad Ami. Lei adorò la scritta che campeggiava sul petto. «The best boy.» Si illuminò e parlò ad Adam come se lui potesse capirla. «È giusto, sei il best boy. Il più intelligente! Stai già provando a capire cosa si prova a venire vestiti, hm? Vediamo se questa tutina va bene o è troppo stretta.»

Troppo stretta? «L'ho presa di taglia zero.»

Ami distolse per un istante l'attenzione da suo figlio. «Non preoccuparti, è lui che è grande. Per questo è uscito un po' prima. Ma per fortuna sta bene, era solo ansioso di vedere il mondo.»

Rei si stupì nel rendersi conto che Ami era letteralmente... innamorata. Aveva le guance rosate e le brillavano gli occhi. Il suo universo roteava intorno all'esserino di tre chili e mezzo che si agitava senza scopo sopra le lenzuola.

Cercò di sorridere quando la nuova madre le mostrò con fierezza bambino e tuta.

«Grazie. È il regalo più utile.»

«Di niente.»

Restarono per un momento in silenzio, Ami di nuovo persa nella contemplazione di suo figlio. Quando accennò a spostarsi all'indietro sul letto, Rei la aiutò a sistemare i cuscini dietro la schiena. «Riesci già a camminare?»

«Sì, da ieri. Poi se vuoi ti racconto tutto.»

Non era sicura di voler sapere.

Ami si divertì. La capì senza bisogno di parole. «Non è stato così terribile. E ne è valsa la pena.»

Per lei senza dubbio, era evidente.

Ami accarezzò una guancia di suo figlio, facendogli aprire la bocca. Di secondo in secondo lui dava vita a una smorfia nuova, come se stesse testando il funzionamento dei muscoli facciali.

Ami amava ogni sua espressione. «Ha un faccino un po' strano, vero?»

Rei non glielo avrebbe confermato nemmeno sotto tortura.

Ma la sua amica non la stava guardando. «Stamattina è venuta Eve-san. Ha detto che da piccolo Alexander era identico - tutto corrucciato, proprio come Adam.»

Ah, allora c'era una spiegazione. Sapeva che i neonati cambiavano dopo i primi giorni, ma non si era aspettata che da due persone avvenenti come Ami e Alexander saltasse fuori qualcosa di così... poco carino, per essere gentili. Quindi era genetico dal lato paterno.

Ami aveva interpretato i suoi pensieri, ma non se l'era presa. «Sai, anche se rimanesse così... io lo troverei sempre bello. Hai visto come cerca di toccare tutto con le mani? È perfetto, è proprio come lo avevo immaginato.»

A Rei venne un groppo alla gola. «Sei una mamma splendida, Ami.»

«Lo sarai anche tu.»

Prima che potesse rispondere venne interrotta dall'arrivo di Alexander e Yuichiro. Il nuovo padre la salutò velocemente e fece il giro del letto, indaffarandosi a mostrare ad Ami i nuovi acquisti.

Yuichiro guardava da lontano, come se non volesse intromettersi. «Ehi, quant'è cambiato!»

Alexander gli fece segno di avvicinarsi, estasiato. «È sempre meno un piccolo Alien.»

«Dài» protestò Ami.

Alexander si era inginocchiato, tenendo a coppa la testa di suo figlio. «Piano piano tornerà ad avere il faccino che abbiamo visto quand'era nella pancia. E se somiglia veramente a me, diventerà il bambino più bello che sia mai esistito nella specie umana.»

Yuichiro scoppiò a ridere e Alexander si bloccò dal prendere in braccio suo figlio, per non toglierlo ad Ami. Ci fu un istante in cui comunicarono con uno sguardo, poi lei gli cedette Adam volontariamente, in apprensione all'idea di allontanarsi da lui. Alexander rimase nei paraggi, mostrando con fierezza il suo tesoro. «Vedi? Questo è il mio naso.»

Yuichiro si era avvicinato a guardare.

«Dovrebbe avere gli occhi di Ami, solo che ancora non si vede bene. Però ci somiglia già come carattere, osserva tutto.»

«È veramente bello.»

Yuichiro era sincero nel complimento. Guardava il bambino dei loro amici come se fosse una creatura rara che non vedeva l'ora di conoscere da vicino. I suoi occhi brillavano appena un po' meno di quelli dei nuovi genitori, solo perché Adam non era suo.

Rei non disse più niente e dieci minuti dopo lei e Yu lasciarono l'ospedale, per lasciare ad Ami e Alexander un minimo di tranquillità prima dell'arrivo degli altri.

L'ingombro della sua pancia non era mai stato tanto pesante in quei sette mesi.

Cercò di non pensarci e continuò a camminare. Yu la teneva per mano senza guardarla, perso nei suoi sogni a occhi aperti. Giunsero nello spiazzo d'ingresso dell'ospedale, deviando verso un vialetto alberato.

Rei non resistette più e lo tirò piano, imponendogli di fermarsi.

Girandosi, lui la guardò in faccia. Non si sorprese di vederla con gli occhi bagnati. Si allungò di tre passi e si sedette sulla panchina più vicina. Allungò le braccia nella sua direzione. Rei lo strinse e poté singhiozzare piano, senza drammi, con la faccia tra i suoi capelli.

Lasciò uscire il dolore, lentamente, e questo le permise di dargli un nome. «È...» Si passò una mano sul naso. Yuichiro recuperò un fazzoletto, porgendoglielo. Le uscì un ultimo sospiro di pena. «È un galletto spelacchiato.»

Lui cercò di non ridere troppo forte, tenendole il viso tra le mani.

«Lo è» insistette lei.

«Sì» le concesse lui. «Per ora sì.»

«Ami lo ama da morire.»

Lui pensò di capire dove volesse arrivare, ma la lasciò finire.

«Se Iria sarà uguale, non so se riuscirò a essere come lei.»

«Non devi.»

«Ma è bello che Ami lo ami così tanto... E anche se io voglio bene a Iria, ho l'istinto materno di un blocco di ghiaccio. Non dovrebbero già piacermi i neonati?»

«Be'... non per forza.»

«A te piacciono.»

«Io immaginavo la nostra.»

Appunto. «Se Iria sarà come il figlio di Ami... forse non vorrò abbracciarla tanto, Yu.»

«Andrà bene lo stesso.»

«Non sentirà che non la amo abbastanza?»

«A quell'età secondo me stanno ancora cercando di capire cosa sia la fame.» Vedendo che lei soffriva ancora, la consolò premendo la bocca contro la sua guancia. «La abbraccerò tanto io, finché non diventerà per forza più carina. È figlia tua.» Si mangiò un sorriso. «Non ero io quello che si preoccupava che non venisse fuori troppo bella, per via dei miei geni?»

Non era quello il punto. «Tutte le foto di bambini di tre o quattro mesi che ho visto mi fanno già più tenerezza. Sono belli così, quando sono... paffuti. Non pensavo che alla nascita sembrassero così poco umani.»

«Dei piccoli Alien» ripeté Yuichiro.

Nonostante tutto Rei rise piano.

«Hai visto quant'è vanitoso Alexander? Eppure ama lo stesso il suo bambino. Tu sarai uguale e se non sentirai la stessa cosa... andrà bene comunque. Stai già facendo tanto ogni giorno per Iria.»

Non sentiva più di sacrificarsi. Non così tanto. «Sto aspettando che da un giorno all'altro si risvegli in me l'istinto materno.» Sperava tanto di averlo, perché al momento vagava in alto mare. Aveva imparato ad accettare e ad amare la presenza di Iria, ma le capitava ancora di guardarsi allo specchio e di non riconoscersi nel suo nuovo aspetto - di non vedersi né immaginarsi come una madre, né ora né nel prossimo futuro.

Perlomeno non stava ingrassando tanto.

Yuichiro attirò la sua attenzione prendendole entrambe le mani. «Ho io l'istinto materno. Non vedo l'ora di darle il latte, di cambiarle il pannolino, di coccolarla... Invece tu non vedi l'ora di giocarci, vero? Quando Iria riuscirà a capirti e a risponderti. Possiamo chiamarlo istinto paterno. Da che mondo e mondo i bambini crescono benissimo con questa combinazione nei genitori.»

Non suonava così astruso come ragionamento. Sospirò. «Speriamo.»

«È una certezza.» Yuichiro si batté una mano sul petto. «Farò andare tutto bene.»

La cosa bella era che lei si fidava.

Le aveva fatto bene sfogarsi. «Questo è il pianto numero...?»

«Duecentonovantaquattro.»

Gli schioccò un dito sul naso per il numero gigante che si era inventato. «Fortuna che non tieni il conto.»

«Ma li sto memorizzando tutti.»

Lei si era allontanata verso il centro del vialetto, ma Yuichiro la riprese tra le braccia. «Mi piace come ti senti bene dopo. Ora non ti sembra più una sconfitta farmi sapere come ti senti.»

No, non più. E forse, quando avesse sfornato la bambina e fosse tornata se stessa, sarebbe diventata una persona più centrata ed equilibrata, che non aveva più bisogno di frignare ogni due per tre. Ma per il momento, adorava essere consolata e non sentirsi giudicata.

Inspirò aria, sentendo che era carica di umidità. «Sta per piovere.» Gli ultimi temporali estivi. «Corriamo.»

Yuichiro posò una mano sulla sua pancia. «Non troppo, stai attenta.»

Rei roteò gli occhi al cielo. «Se non mi muovo divento una balena.» E non avrebbe preso la cosa bene come Ami.

Iria doveva proprio farle il favore di toccare al massimo i tre chili o lei si sarebbe rifiutata di partorirla.

«Non diventerai una balena.»

Su quel punto i complimenti non le interessavano, contava solo il responso della bilancia. «Vedremo.»

«Basta che mangi quello che ti senti.»

Non si limitava certo con le cose nutrienti. «Basta che tu smetti di portarmi torte.»

«Ma ti aiutano quando sei di cattivo umore...»

«Sarò ancora più di cattivo umore se prendo troppo peso. A quel punto mi porterai altre torte, ingrasserò ancora di più e il circolo vizioso non avrà fine!»

Yuichiro ormai rideva senza ritegno.

Rei voleva accopparlo. «Guarda che poi ti darò tutta la colpa!»

«È la mia parte in tutto questo. Sono qui per essere incolpato.»

«Me la prendevo io la colpa se tu ti prendevi la pancia.»

«Sai che lo avrei fatto.»

Non era nemmeno uno scherzo. Riflettendoci su, lo rese tale lei mentre camminavano di buona lena. «Non sarei venuta a letto con te se fossi stato incinto.»

Una smorfia gli deformò la faccia.

«Mi avresti fatto senso.»

Lui impiegò un attimo a decidere di sorridere. «Superficiale.»

«Non ho mai negato di esserlo. È chiaro che tu non puoi permetterti lo stesso difetto.»

«Il mio problema non eri tu...»

Sì sì. Era stata la bambina. Per un periodo si era fatto desiderare come se ce l'avesse d'oro. «Meglio che te lo ricordi nei prossimi due mesi.»

«Ma ieri non avevi voglia.»

«Perché Iria si muoveva troppo.»

Questa volta la smorfia di lui fu più genuina. «Cerchiamo di non parlare più di lei mentre parliamo di...»

Schizzinoso che non era altro. «Stabilisco qui e ora che dovrai essere pronto a comando. Il tuo ruolo sarà quello di schiavo sessuale!»

Yuichiro le tappò la bocca. «Shh!»

Lei lo attirò a sé per le orecchie. «Capito?»

«Anche se non me lo ordini...»

Ora diceva così. «Non ci saranno scuse. Anche se diventerò disgustosa.»

Lui intuì la serietà dietro lo scherzo. «Non lo sarai mai.»

«Te lo farò ripetere. A partire da ora.»

«Ora?»

«Ah-ah. Muoviamoci, ho pianto e ora sono arrapata. Tra due ore ti odierò con tutto il mio cuore e per le otto sarò crollata dal sonno. Impara a cogliere le tue occasioni.»

Felice, lui ingranò la marcia con le gambe. «Allora corriamo.»

Finalmente.



21 - Rei e l'istinto materno (sette mesi) - FINE

 


 

NdA:  tre giorni fa sono diventata zia per la seconda volta, di una bambina. Era inevitabile che fossi ispirata per un'altra storia di questa raccolta. Ho scelto Rei perché volevo spoilerarvi un pochino (come al solito) su come si era ripresa dopo i capitoli che sto scrivendo in questo periodo in Di fiamme e quiete. La strada sarà lunga e non priva di difficoltà, ma piano piano si appianerà, sia per lei che per Yuichiro.

  

Elle


 

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Capitolo 22
*** Halloween (Adam, 1 mese - Rei incinta di otto mesi) ***


Maternità 22

Maternità/Paternità

 

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

22 - Halloween (Adam, 1 mese - Rei incinta di otto mesi)

  

Un anno fa, ad Halloween, Rei indossava un costume da diavolessa rosso fuoco e aderente, con stivali al ginocchio e una gonnellina corta vaporosa. Nello scegliere il costume per il party con le sue amiche aveva potuto scatenarsi con la fantasia - qualunque modello le era calzato alla perfezione.

Passati dodici mesi, stava valutando se buttarsi addosso un lenzuolo e fare il fantasma, come Ami l'anno prima. Non le entrava più niente e dubitava di poter trasformare un abito premaman in un costume di Halloween credibile. Ne aveva parlato ad Ami, che ormai le chiedeva di rivolgersi a lei se aveva qualche problema. Perciò ora era a casa sua, a guardarla mentre vestita il suo bambino di un mese per uscire a fare compere insieme.

Da esserino informe quale era stato alla nascita, il piccolo Adam Foster si stava trasformando piano piano in un pupazzino straordinario, con radi capelli azzurri e grandi occhi blu. Ami gli stava infilando una tutina, muovendo con molta attenzione le sue piccole membra dentro l'indumento.

«Oh, non ti ho fatto vedere il costume che ho fatto per lui!» Ami lasciò il bambino sul letto e si diresse all'armadio. 

Per un istante Rei rimase sola col piccolo, sfiorandogli la manina con le nocche mentre lo vedeva agitarsi senza scopo - un bambolotto col meccanismo inceppato che non sapeva da che parte guardare.

«Eccolo!» Ami tornò da loro con un lenzuolino candido che non sembrava affatto un costume. Era solo della stoffa di pizzo con un disco mancante sulla cima, per infilare la testa. Rei cercò di astenersi dal dire che le sembrava piuttosto misero come travestimento - non che un bambino di un mese ne avesse già bisogno - poi notò che Ami aveva recuperato anche un cerchietto in fil di ferro, ai cui lati erano stati applicati i disegni di due ondine verticali.

Rei si addolcì. «Ma è il tuo costume dell'anno scorso.»

«Adattato alla sua taglia.» Ami lo fece indossare a suo figlio, che non poté far altro che subire inerme il trattamento. 

A vestizione terminata, il piccolo Adam arricciò le labbra e aggrottò la fronte minuscola, come se non potesse sopportare di apparire tanto tenero.

Purtroppo per lui, lo era proprio.

«Anche se è scocciato, ti somiglia tanto, Ami. Solo che tu mentre indossavi questo costume eri una specie di vedova inconsolabile.»

«Be', pensavo che avrei avuto la conferma di aver perso Alex. Quante cose sono cambiate nell'ultimo anno, hm?» Si chinò a sfiorare con un bacio la fronte del suo bambino.

Massaggiandosi il pancione di otto mesi che le imponeva di sedere reclinata all'indietro, Rei non poté che concordare.

Il citofono dell'appartamento suonò. Visto che sapeva chi era, Rei sarebbe anche andata ad aprire personalmente - per non disturbare la padrona di casa - ma si muoveva con la velocità e la grazia di un elefante. Le era già capitato di far cadere a terra suppellettili nel suo cammino.

Si preparò mentalmente all'uragano che stava per affrontare.

Usagi non la deluse e apparve dentro casa nel giro di mezzo minuto. «REII!!» Le fu addosso, abbracciandola e tempestandola di bacetti sul viso. Più o meno da due mesi Rei aveva smesso di tentare scrollarsela di dosso, tanto non serviva a nulla.

«Anche oggi sei profumata e bellissima, Rei-chan! Come questo cosino qui!» La voce di Usagi crebbe di un'ottava nell'inquadrare il neonato che si dimenava sul letto. «Ohh, che cosa ha addosso questo piccolino?! È un fantasmino? È tenerissimo, lo amo, voglio che mi infesti la casa!»

Ami ridacchiava mentre le raggiungeva. Era ancora lievemente rotonda dopo la gravidanza. Aveva conservato circa cinque chili di peso in più, distribuiti su tutto il corpo - in particolare sul seno gonfio. Stava benissimo e anche se per ora Rei non era ingrassata come lei nell'ultimo trimestre, sperava di avere la sua stessa fortuna a parto archiviato.

Usagi stava stringendo al petto il piccolo Foster. «Riesci a crederci, Rei? Tra un mesetto avremo un'altra bambolotta come lui!»

«La fai facile tu. Fai la zia, te li godi quando è il momento di giocarci. È Ami a svegliarsi nel cuore della notte per sfamarlo, è lei che cambia i pannolini, è il suo seno ad essere diventato una latteria vivente aperta ventiquattrore su ventiquattro....» Smise di parlare quando vide come la stavano guardando le sue amiche.

Usagi passò il bambino ad Ami e si sedette al suo fianco, di nuovo appoggiando la bocca sulla sua guancia.

Rei non finse più che non le piacessero quelle smancerie. La faceva sentire bene il contatto, l'affetto. Ne sentiva un tremendo bisogno in quel periodo.

Usagi le massaggiava una spalla. «Prometto che, se servirà, verrò a dormire a casa tua e mi occuperò io della bambina quando sarai stanca. Non è una promessa a vuoto: se starai per impazzire e Yuichiro non ti darà tutto l'aiuto che ti serve, potrai contare su di me.»

«La solita esagerata.»

«Non sto mentendo. Oggi sei di cattivo umore perché la pancia continua a crescere, vero?»

«Già. E perché non c'è un maledetto costume di Halloween che riesca a infilare oltre l'ombelico! Possibile che nessuno pensi che a una madre incinta non servono solo colori pastello e vestiti larghi?»

«Perché non lo hai detto subito? Ci penso io!»

Rei stava per chiedergli da quando era diventata sarta, poi la vide infilare la mano nella borsa, tirandone fuori una penna spessa e rosa.

La penna lunare! Che stupida, se n'era dimenticata.

Usagi la sbandierava in aria. «Potremo inventarci il tuo costume già ora, ma perché non usciamo comunque? Andiamo per negozi, magari ne vediamo uno bello da modificare. Così Ami esce e fa fare una passeggiata al piccolo.»

Concordando, Rei chiese una mano per riuscire a tornare in piedi.

Usagi la tirò a sé tenendola per le braccia.

«Farà bene anche a te, così ti mantieni in forma. Una forma non troppo rotonda - hihihi!»

Voleva morire? «Non lo dimenticherò quando sarà il tuo turno. Visto quanto mangi diventerai una balena al nono mese. Anzi, una mongolfiera. No, un trasatlantico.»

«Uhh, che suscettibile!»

«Già ti vedo a piangere ogni cinque secondi per lo sconforto...»

«Per la felicità, vorrai dire. Chibiusa sarà un maialino rosa adorabile!»

Per il paragone che le era uscito, scoppiarono a ridere in tre.

Usagi volteggiò nella stanza, suscitando altra invida in Rei. 

«Ti troverò un costume meraviglioso, Rei-chan! Sarà persino sexy, come piace a te.»

«Voglio anche delle scarpe.»

«Ma certo.»

«Col tacco alto, non mi frega se le toglierò dopo cinque minuti. Anche solo per mezza serata vorrei sentirmi un pochino come.... come ero prima.»

Colse lo sguardo impietosito e comprensivo di Ami.

«Finirà tra poche settimane. Dopo non sarà tutto come prima, ma riavrai il tuo corpo. E lo sentirai di nuovo tuo, vedrai.»

C'era solo da sperarlo. 

Usagi era un concentrato di energia. «Sarai una Sailor mamma, Rei. E conquisterai il mondo!»

Rei fu scossa da un brivido. «Sailor mamma, mai! Sailor Mars!»

«Sailor mamma!»

«Sailor Mars!»

Ami sussurrò al suo bambino mentre lo spogliava del costumino di Halloween. «Non cambiano mai.»

 

22 - Halloween (Adam, 1 mese - Rei incinta di otto mesi) - FINE

 


 

NdA: Le storielle di questa raccolta spuntano sempre così nella mia testa, dal nulla. L'ispirazione in questo caso è venuta dopo che ho letto la scenetta di Halloween contenuta nella raccolta dedicata ad Ami e Alexander 'Per istinto e pensiero' (qui il capitolo).

Mi è saltato in mente il contrasto tra la situazione di Ami e Rei in quel periodo e poi un anno dopo. Per Rei, quando lo ha ricordato, il confronto è stato devastante, povera. Posso dirvi che un anno dopo ancora, quando Iria sarà ormai sfornata, tornerà a poter indossare i costumini aderenti da diavolessa - con sua gran felicità :)

Parlando d'altro, cosa sto elaborando in questo periodo? Preparatevi al capitolo 4 completo di 'Secondo intermezzo' - finalmente risolverò il dissidio tra Gen e Alexander!

   

Elle 

  

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Capitolo 23
*** San Valentino (Iria, due mesi, e Rei madre stressata) ***


Maternità 22

Maternità/Paternità

 

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


 

23 - San Valentino (Iria, due mesi, e Rei madre stressata)

  

Rei aprì gli occhi, con la mente intorpidita, al suono di un vagito. A volte sembrava un miagolio, a volte una nenìa arrabbiata. Stava imparando a distinguere i diversi pianti di sua figlia. Nel cuore della notte, a qualunque ora fosse, Iria aveva fame. Ma non era notte: in un qualche modo si era fatto giorno, tra due o tre risvegli che Rei non era stata a contare. I gemiti di sua figlia avevano una nuova tonalità quella mattina: nei suoi lamenti c'era una nota di paura. Rotolò su un fianco, allungando il braccio per toccare la culla aperta su un lato che avevano attaccato alla fiancata del letto. La sua mano toccò minuscole membra calde che si dimenavano con forza sorprendente.

«Eccomi» mormorò, senza neppure aprire gli occhi. Il sole non colpiva direttamente la loro camera, ma anche un lieve chiarore era doloroso per i suoi bulbi oculari, provati dalla mancanza di sonno. Si tirò su, arrancando, e a tastoni trovò il corpicino offeso dalla sua bambina, che reclamava attenzione.

Le offrì qualche mormorio di rassicurazione mentre sbadigliava a se la sistemava sopra un braccio, tirandosi su la maglia del pigiama. Il freddo del primo mattino le ricordò, confusamente, che un tempo non era stato familiare per lei scoprire i seni come se fosse normale sparare le tette al vento, senza alcuna remora. La vergogna andava a farsi benedire, rimuginò, quando con quel semplice gesto si poneva finiva ad un ululante vagonata di proteste infantili.

La boccuccia di sua figlia si attaccò al suo capezzolo, ponendo fine ai pianti.

Rei la cullò tra le braccia, sbadigliando con le palpebre ancora ostinatamente serrate. Voleva tornare a dormire.

Forse, se si fosse ben sistemata contro i cuscini del letto... Iria cominciò ad annaspare per la posizione sbagliata della testolina.

Svegliandosi del tutto, Rei adagiò più correttamente sua figlia contro l'incavo del gomito e usò le dita dell'altra mano per porgerle correttamente il capezzolo. La sua piccola bocca affamata si attaccò con voracità.

A parte la traccia di una lacrima, Iria era rosea e appariva ben riposata. Quando avrebbe imparato a concedere quel lusso anche a sua madre?

Senza forza, Rei vagò con lo sguardo per la stanza, registrando l'assenza di Yuichiro al suo fianco accanto al letto.

Era andato in bagno? Era uscito?

Controllò l'ora - sette del mattino - e si chiese se suo marito avesse colto l'occasione per tornare a correre. Non lo faceva da una vita - più precisamente, da quando era nata Iria. Al pensiero che si fosse concesso quello svago, Rei voleva strozzarlo.

Non era giusto. Anche se standole accanto probabilmente lui non avrebbe potuto fare nulla di più utile che passarle la bambina, non era giusto lo stesso. 

Perché doveva essere lei quella intrappolata? Perché Iria voleva stare in braccio solo a lei, e sembrava che volesse trascorrere la vita con la bocca attaccata al suo seno? Per Rei era una specie di prigione di cui non vedeva la fine. 

Avrebbe dovuto essere grata di avere una bambina sana che cresceva a vista d'occhio, ma da circa due mesi le sembrava di non avere più una vita propria. Era diventata un'estensione di Iria - la sua latteria personale e la sua fonte di coccole preferita, l'unica che accettava quando voleva andare a dormire.

Aprì gli occhi di una fessura minuscola, per osservare il visino dell'essere che la teneva incatenata.

Supponeva di non essere già impazzita solo perché non aveva mai visto ciglia più lunghe in un essere umano. Non aveva mai toccato capelli più morbidi, o una pelle altrettanto serica. Non aveva neppure mai visto occhi così grandi, pozze di dolcezzza. Inoltre nessuno, nessuno mai, aveva avuto bisogno di lei come se in sua assenza il mondo cessasse di essere un luogo buono e sicuro.

A due mesi Iria la stringeva con tutte le sue forze con le manine. E se da una parte sembrava dire 'mia!', reclamando una proprietà del suo corpo che la disturbava, dall'altra Rei ricambiava il sentimento, stringendola di rimando, beandosi occasionalmente, in una maniera che sorprendeva lei stessa, della comunione che avevano trovato in coppia. Si appartenevano, in un modo in cui non appartenevano a nessun altro.

In realtà non le sarebbe spiaciuto includere in quel circolo Yuichiro. Così, tanto per affidare Iria anche a lui, sapendo che la bimba non avrebbe iniziato a strillare dopo un quarto d'ora. Supponeva fosse un po' colpa sua - Yu aveva tentato di dirglielo. Non riusciva a resistere quando Iria piangeva e si allungava verso di lei, quasi buttandosi nel vuoto dalle braccia di suo padre. Si sentiva in colpa nel non accontentarla e, forse, così rafforzava in lei l'idea che solo nella sua stretta potesse trovare conforto e sicurezza.

Ma una bambina poteva capire davvero quei concetti? Aveva solo due mesi, non meritava che le dessero ciò di cui sentiva il bisogno?

Dondolò avanti e indietro, piano, a occhi chiusi, sperando con tutte le sue forze che il movimento cullasse sua figlia. Ma i piedini di Iria premevano contro il suo bicipite, come se stesse pedalando. Lei era bella sveglia.

Rei si destò con la sensazione di una spazzola che le scorreva tra i capelli. Si era addormentata. In mezzo secondo controllò che Iria fosse ancora viva tra le sue braccia mentra si voltava e si rendeva conto che Yuichiro aveva preso a spazzolarle la chioma. Registrò il pigiama che lui ancora indossava e i resti delle occhiaie sul suo volto. «Allora non eri uscito» decretò.

«Ero in bagno» rispose lui tranquillo, senza alzare la voce, per non agitare la bambina. «Stavo per uscire e venire a prendere Iria, poi ho sentito che ha smesso di piangere.»

Rei non replicò, confusa e stranamente cullata dai denti della spazzola che le scorrevano tra le ciocche. Non capiva il motivo del gesto. «Ho un aspetto così orribile?»

«Hm? No. Volevo fare qualcosa per te.»

Le venne da piangere. Lacrimò nella sua testa per non sembrare troppo patetica o bisognosa, anche se le sarebbe piaciuto da morire essere stretta e protetta da ogni avversità - come lei stava facendo con la bambina. Yuichiro la abbracciava spesso, senza risparmiarsi. Ma per quanto amore e sostegno le desse, a volte Rei sentiva di essere adagiata in un pantano di depressione da cui non poteva uscire. Al massimo guadava verso un punto poco profondo, dove le sembrava quasi di tornare ad essere una persona normale.

Con la spazzola Yuichiro districò un nodo, solleticandole la schiena piacevolmente mentre proseguiva nella sua opera.

«Saranno come paglia» dichiarò lei. «Non ci ho messo il balsamo ieri.»

«Sono morbidi lo stesso. Belli come al solito.»

Rilasciando in un unico sospiro un'ondata di stress che non aveva saputo di conservare nel petto, Rei girò la testa e la adagiò nell'incavo del collo di lui. Minacciò di non resistere ad un pianto sconsolato quando sentì lo schiocco di un bacio sulla fronte.

«Oggi usciamo» dichiarò Yuichiro.

«Hm? Dove? Perché?» Non sapeva lui quanto era complicato?

«Ci portiamo dietro Iria.»

Era scontato. «Non ho voglia di allattare in pubblico.» Sapeva che Ami ne era capace, ma lei non aveva la sua stessa bassa soglia del pudore.

«Andiamo in un posto isolato» ribatté lui.

«Sono stanca...»

«Più tardi, quando sarai riposata. Dopo il pisolino di metà mattina.»

«Perché...?» Forse Yu aveva voglia di girare da qualche parte, ma poteva andare da solo se gli andava.

«È San Valentino, Rei.»

Rei si tirò su. Non ebbe il tempo di reagire con una replica, perché Iria stava per piangere di nuovo: aveva esaurito il latte dalla tetta che aveva svuotato.

Spostandola, Rei strinse gli occhi stanchi, per provare a svegliarsi. «Ma non siamo il 12?»

«È già arrivato il 14. Ho pensato di andare in un posto di montagna, dove non c'è nessuno.»

Dannazione, lei non aveva avuto modo di fare piani... «Sarà uno stress....»

Lui scosse la testa. «Preparo io tutte le cose di Iria. E le tue. Se serve, andremo solamente a dormire in questa piccola baita. Sarà un po' di aria nuova per tutti. Così questa piccolina» le accarezzò la testa, «vedrà per la prima volta un luogo diverso dalla città.»

Yuichiro aveva voglia di far fare tante cose ad Iria. Voleva farle scoprire il mondo, se la immaginava già cresciuta.

Rei lo invidiava.

Aveva delle repliche sulla punta della lingua - sentiva di dimenticare qualcosa, come se ci fosse qualche variabile che non stavano prendendo in considerazione pensando di spostarsi di casa, da dove uscivano a stento per fare la spesa. Ma con la spazzola Yuichiro tornò a pettinarle i capelli e, dopo un attimo, Rei dimenticò ogni obiezione. Voleva rimanere così, con qualcuno che si prendeva cura di lei per tutta la vita.

Iria stava battendo il suo petto con le manine. Non aveva più fame, teneva il suo capezzolo in bocca come un mero ciuccio, succhiando senza voglia.

Rei la allontanò, per asciugarsi col pigiama e poi pulirle le gocce di latte dal viso. Si sorprese quando colse l'ombra di una curva nelle labbra di sua figlia -  poi il flash di un sorriso sdentato, pieno e consapevole, rivolto nella sua direzione.

"Ho mangiato! Grazie!"

«Guarda» commentò, per condividere il momento.

Yuichiro spuntò da dietro la sua testa. «Oh, che bellina!» Mollò la spazzola e afferrò Iria tra le grandi mani, come sapeva fare solo lui, sostenandola sotto le braccia e dietro tutta la testa. «Sei felice, hm? Sei felice?» Giocò ad avvicinarsi e ad allontanarsi dal volto di Iria, che lo osservava meravigliata ed estasiata. Le decantò dolcissime banalità, lodandola per essere tanto bella e una così brava bambina. Tra le risatine sue e della piccola la ammonì per non dormire di più, confermandole che a prescindere le voleva tanto bene.

Cambiò tono di voce quando si rivolse a Rei. «Hai visto che occhi meravigliosi?»

Già, erano stupendi; nemmeno nelle riviste lei ne aveva visti di tanto dolci ed espressivi.

«Ti somiglia un sacco, Rei.»

Davvero? «Ma ha la tua bocca. E le tue sopracciglia.»

«Ha il tuo naso. Per fortuna.»

«Ha le tue mani. I piedi, non riesco ancora a capire.» Li esplorò e mentre maneggiavano la loro bambina, si rese conto che ci stavano giocando come se fosse una bambola.

Quei momenti erano belli. Avrebbe voluto che l'intera esperienza materna si limitasse alla contemplazione di una neonata che non chiedeva e non pretendeva cose da lei, bensì imparava piano piano ad essere una persona separata.

Yuichiro portò la piccola contro il petto, appoggiandole il mento sopra la spalla. «Vediamo se oggi riesce a distrarsi un po'.»

«Da cosa?»

«Da te. Stando qui dentro, finisce col pensare che al mondo ci sia solo tu. E vuole assorbirti.»

Rei non se ne venne fuori con una risposta.

«Questo pomeriggio, quando piange, lasciamela un pochino. Le faccio vedere cose. E le insegno che al mondo può stare bene anche se c'è solo il papà.»

Lei volle piangere di gioia.

Yuichiro sapeva quale emozione le aveva provocato. «Vuoi che riprenda a pettinarti?»

Perché no? Fece per riprendere in braccio la bambina.

Lui gliela allontanò dalle mani. «Può stare ferma qui, sul letto, ad osservarci.»

«Ma piange» protestò Rei, mentre lui adagiava Iria sul piumino soffice.

«Perché non è abituata. Ma sta bene anche lì, non succede niente.»

Supponeva di sì, però...

Yuichiro quasi la tirò via, a più di un metro di distanza, mentre riprendeva a pettinarla. Rei all'inizio non si rilassò, mentre guardava con apprensione sua figlia che si guardava attorno e sembrava che da un momento all'altro stesse per iniziare a disperarsi. Ad un certo punto emise un paio di lamenti, ma Yuichiro la interruppe sovrastrandola con un canto.

Sgranando gli occhi, Rei ascoltò inebetita mentre suo marito si esibiva nell'ultimo successo pop del momento - una canzone trasmessa almeno venti volte al giorno in tv, durante una pubblicità.

Distratta, ci mise un attimo a notare che sua figlia aveva avuto la sua stessa reazione. Fissava attonita lo strano uomo che, dietro sua madre, emetteva versi stonati.

A Rei uscì una risata - la prima leggera che ricordasse di aver fatto da un po' di tempo a quella parte. 

Vide che un angolo della bocca di Iria la imitava in risposta, come se si rendesse conto lei stessa che c'era qualcosa da ridere.

La sua bambina pensava. Osservava. Reagiva. Cresceva, e presto non l'avrebbe più intrappolata.

Si sporse verso di lei, contro le proteste di Yuichiro, per prenderla e farla ballare tra le braccia.

Nonostante tutto, ti amo da impazzire.

Portò la sua guancia alla bocca, inspirando il suo profumo fino ad inebriarsene.

 
   

23 - San Valentino (Iria, due mesi, e Rei madre stressata) - FINE

 


 

NdA: Uh! Aveva avuto in mente di scrivere un episodio relativo al compleanno di Rei - un paio di mesi dopo questa occasione, ma ho pensato che mancasse il contesto dato da questa celebrazione precedente, che in realtà volevo già raccontarvi due mesi fa :P

E così sono tornata indietro ed è venuto fuori questo pezzo. Due mesi dopo Rei sarà più serena, non preoccupatevi. Riuscirà persino ad uscire fuori a cena senza sua figlia, lasciandola ad Ami (e approfittando di un riposino di 4 o 5 ore che la bimba si fa di solito a quell'ora).

Dopo aver passato sei giorni a curare le mie nipotine - di cui una di dieci mesi - mi sono fatta qualche osso e ho voluto scrivere un altro episodio di questa raccolta :)

Che ve n'è parso?

   

Elle 

  

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