Let's stay together

di AngyHufflepluffLewis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitulo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Katniss  e Peeta stavano per arrivare al caldo Distretto 4, a casa di Finnick e Annie. Lei aveva appena partorito un bel maschietto e, prima di decidere il nome, Finnick voleva coinvolegere i due innamorati sventurati. Inoltre la felicità del momento doveva per forza essere condivisa, e Katniss e Peeta erano stati molto felici di accettare. Stavano viaggiando sul treno già da un giorno e mezzo, passando tra i campi coltivati del distretto 11 e le foreste rigogliose del distretto 7. Peeta era in cucina e stava finendo la sua torta da donare ad Annie e Finnick, decorata di oceano per simboleggiare il sesso del nascituro. Katniss invece era in piena crisi riflessiva, nel salotto del treno…


Katniss POV.
Annie e Finnick hanno un bambino...
Effie ed Haymitch ne stanno cercando uno...
Per fino Flavius e Venia hanno avuto dei gemelli...
E io? Perchè sono così restia a non avere un figlio da Peeta? Lui è così dolce e così comprensivo, e non ci penserebbe due volte ad avere un bambino da me. Quando io gli ho detto però che non ero ancora pronta, lui non se la è presa...anzi mi ha capita e mi ha sorriso come sempre. Mi ha rassicurata dicendo che non mi dovevo preoccupare per lui e che mi avrebbe aspettata sempre. Da tempo però so come leggere i veri sentimenti dentro i suoi occhi blu, e so che questa mia decisione lo ha fatto soffrire. Come al solito faccio male agli altri se dichiaro il mio modo di pensare. E io vedo nel modo in cui Peeta guarda il terzo posto vuoto a tavola quando mangiamo a colazione, a pranzo e cena, quanto vorrebbe fare una porzione di cibo in più. Io non ho mai voluto dei figli, e non ho neanche pensato ad averli, per colpa degli Hunger Games e di tutto ciò che essi comportavano. Adesso però non esistono più, così come le mie scuse. Forse ho paura di quale disastro di persona possa venir fuori. Forse ho paura che prenda il mio carattere irritato e non quello sincero e gentile di Peeta, o che un giorno dovrò spiegargli il perchè di tutto: perchè la mamma urla tutte le notti, perchè è considerata un'eroina, perchè è ricoperta da cicatrici e da pezzi di pelle rosa pallido, o chi è quella bambina bionda e dal sorriso buono sulla mensola e perchè non c'è più...                                                                                                                                                                                           Difficile, molto difficile da concretizzare questo desiderio. Desiderio di Peeta, non mio. Eppure Finnick e Annie sembrano non avere problemi da come sono felici e da come è stato semplice per loro superare le ferite ancora aperte dei giochi della fame. Dovrò chiedere a Finnick un consiglio per affrontare questo problema, dato che è più o meno l'unico amico che mi rimane. Ho parlato anche con Haymitch ma non mi ha detto niente di utile, apparte dei consigli un'po' troppo espliciti.
Questo dilemma non mi fa dormire e credo che Peeta se ne sia già accorto. Ogni volta che mi chiede perché sono sveglia io mi limito a rispondere che non ho sonno, sorridendo falsamente. Meno male che sono abituata a non dormire per giorni, dati gli incubi ancora presenti, perché se no adesso starei crollando. Sono troppo confusa per essere stanca, troppo indecisa. Una cosa però è sicura: se voglio essere felice, Peeta deve esserlo di conseguenza.

Peeta POV.
Sono ancora in cucina, impegnato a decorare di glassa blu i contorni della torta. Mi rilassa molto questo passaggio di solito, ma adesso ho la testa da un’altra parte. Scorgo Katniss seduta davanti al finestrino, con la solita treccia scura che le contorna il viso, mentre guarda il paesaggio in movimento distrattamente. Si accarezza la cicatrice sul braccio seguendo il suo percorso ramificato con le dita, come ogni volta che è nervosa o riflette troppo. Da un'po’ di tempo a questa parte è molto pensierosa, non dorme quasi e neanche mangia, tanto che molte volte mi chiedo se ormai sia diventata un robot in fase di annullazione temporanea. Eppure mi sembra di non aver fatto niente, di averla assecondata e...non so proprio cosa le passa per la testa. Magari crede che io non sia giusto per lei, che non sarò mai come...come Gale per esempio.    
"Stupido" mi dico. Non è possibile, come può pensare a lui se ha ucciso Prim? Sua sorella, la parte migliore di Katniss, uccisa per colpa sua.... Un moto di rabbia mi attraversa completamente, e cerco di reprimerla con poco successo, premendo troppo sulla sacca di glassa. L’ultimo ricciolo che disegno sulla pasta di zucchero, infatti, è troppo marcato rispetto agli altri. Devo concentrarmi, infondo è per il bambino che sto facendo questa torta.                                                                                                                                                                                                                                                                                                   So però che se lei non mi dice niente, del perchè della sua insicurezza e della sua distrazione, rischio veramente di impazzire. Non riesco ad andare avanti, a vivere, senza un suo sorriso, uno vero non uno distratto. Mi sento perso senza la sua felicità...io vivo di lei.
Forse sto pensando troppo egoisticamente, troppo a me stesso. Devo sapere cosa le succede per il bene di Katniss, non per il mio. Ecco, questa è la mia missione. Farla star bene. Sempre. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il Treno era ormai arrivato alla stazione calda e sabbiosa del distretto 4, e Katniss e Peeta furono calorosamente accolti dalla vivacità di Finnick.                                                                                                                                                                                                                                                                     -Ragazzi, finalmente! Ormai non ci speravo più- disse sorridendo e abbracciando Katniss, e dando una pacca sulla spalla a Peeta.                                       -Il treno ha avuto qualche ritardo, ma niente di tanto scandaloso. Comunque ora siamo qui- rispose Peeta sorridendo a sua volta con gentilezza. Finnick accompagnò entrambi a casa sua, spiegando che non si trovava nel villaggio dei Vincitori perché non la sentiva come una vera e propria casa. Infatti era solo una piccola e semplice casetta in riva al mare cristallino, da sempre simbolo del distretto 4. Nel viaggio verso casa egli giustificò la non presenza di Annie che era ancora un’po’ debole per uscire, e che in più voleva occuparsi del bambino. L’eccitazione di Finnick era evidente, dal modo in cui gesticolava e parlava del bambino. Peeta si ritrovò a sorridere e annuire, mentre invece Katniss, che non riusciva mai a nascondere le proprie emozioni, era come al solito con la vista da un’altra parte.
Finnick POV
-Che hai Katniss, perché sei così silenziosa?-domando io giustamente. Lei mi guarda per un’po’ stranita, come per ricordare ciò che ho appena detto, e poi si gira verso Peeta che abbassa immediatamente lo sguardo. Forse dovevo stare zitto…oh si, da come Katniss guarda Peeta e da come lui distoglie prontamente lo sguardo dagli occhi di lei, si vede che ho parlato troppo. Devo tenere a freno questa lingua, o finirò per rovinargli la vacanza ad entrambi.   -Ho detto qualcosa di sbagliato vero?- ammetto io.                                                                                                                                                                     -No, stai tranquillo Finnick, non hai detto niente di male. Sono solo molto stanca- mi dice Katniss. Apprezzo molto il suo modo inutile di non farmi sentire in colpa e in imbarazzo, davvero, ma so che questa domanda è stata troppo pungente. So anche che non è la stanchezza a parlare al posto di Katniss, né la causa dei suoi occhi traslucidi.                                                                                                                                                                                                    -Questa quindi è casa tua, Finn?- mi dice Peeta dopo ben tre minuti di silenzio. Ero così preso dai miei pensieri che non mi sono neanche reso conto di essere già davanti alla porta di casa mia. Il rumore del mare. La sabbia nelle scarpe. L’odore di salsedine. Si, questa posso finalmente chiamarla casa. 
Katniss POV
Non doveva proprio farmi questa domanda, proprio no. A volte vorrei solo strappargli quegli occhi verdi dalle orbite, e poi vediamo se non si sta zitto. Comunque non è colpa sua, la domanda avrebbe fatto lo stesso effetto sia adesso che dopo. Se prima però non riuscivo a stare attenta, adesso sarà molto più difficile. Peeta non mi ha guardato neanche un secondo, e ogni volta che mi giro verso di lui, è come se mi pugnalassero allo stomaco. Il modo in cui distoglie lo sguardo e cerca evitarmi è assolutamente straziante per me. Se non fossi a casa di Finnick e Annie, scoppierei a piangere. Dato però che voglio essere gentile, ingoio le sensazioni e le lacrime, e cerco di sorridere il più possibile. Mi ritrovo in una casetta davvero deliziosa, tutta azzurra con il tetto bianco, le gardenie sulle finestre e la sabbia della spiaggia intorno che forma una specie di cuscino color oro. La cosa strana è che lo steccato è tutto pieno di spruzzi di colori diversi, alcuni rossi e altri gialli, altri blu e altri verdi. Strano ma divertente. Esprime gioia.                                                               Quando entriamo, l’odore dei frutti di mare mi attraversa completamente. Non mi sembrava così grande da fuori, e proprio non credevo ci fossero tante stanze.                                                                                                                                                                                                                                         -Bella casa Finnick, davvero!- mi complimento io. Lui mi sorride di rimando ma il suo sguardo dice più “So che stai fingendo”, che “Grazie mille”.  So che con lui dovrò parlare con lui, soprattutto per chiedergli dei consigli.                                                                                                                                           -Annie siamo a casa!- urla Finnick dall’entrata. La troviamo in cucina, intenta a preparare dei panini con ostriche e gamberetti.                                             -Devi riposare Annie, lo sai- dice Finnick dolcemente, abbracciandola e baciandola con altrettanta  dolcezza e intensità.                                                         -E tu dovresti sapere che abbiamo ospiti, e non ho proprio intenzione di restare in camera senza fare niente- dice lei, con la sua solita voce calma. Mi saluta con un abbraccio incerto, non che mi aspetti altro, non siamo state mai amiche per la pelle e nei suoi occhi vedo ancora un’po’ di instabilità placata dalla presenza di Finnick. Si vede che è stanca e un’po’ pallida, il che è normale dopo solo 48 ore di parto. La sua corporatura non è stata attaccata dalla gravidanza, infatti è sempre magra come un fiammifero, tranne una leggera pancia che si scorge dalla canottiera larga. Abbraccia Peeta con più calore, e anche se so che tra loro c’è sempre stato un legame forte dai dolorosi giorni di prigionia a Capitol City, un impeto di gelosia mi fa sobbalzare il cuore…

Annie POV
Katniss mi guarda un’po’ male. Forse crede che sia ancora pazza, più o meno come il resto delle persone, tranne Finnick e forse Peeta. Oppure si è infastidita dall’abbraccio di prima. Peeta e io però ci siamo affezionati, l’uno all’altra, perché entrambi sappiamo che se due persone condividono la stessa paura, ossia quella di perdere la persona che più ama , non possono che unirsi senza restare indifferenti. Come ha detto Johanna un’po’ di tempo fa “io conosco le sue urla e lui conosce le mie”, e per quanto questa frase mi faccia ancora rabbrividire, comincio veramente a capirne il senso. Comunque non voglio che Katniss e Peeta abbiano problemi a causa mia, quindi decido di invitarli a bere qualcosa e a mangiare i miei modesti panini in terrazza.

Peeta POV
Non credo di poter sopportare per così tanto tempo di stare lontano da lei . Ci sediamo vicini, ma mi sento come se fossimo lontani più di un chilometro.  Finnick comincia a scherzare con me e anche con Katniss e anche con me, ma la mia testa è altrove. Dopo un’po’ arriva il piccolo Odair a farci compagnia. -Stava dormendo prima, e non potevate vedere il meglio di lui così. Ah e grazie per la torta Peeta!- dice Annie. Le rispondo che è stato solo un piacere farla, per poi girarmi a osservare il bambino. Ha ragione: i suoi occhi, ancora un’po’ socchiusi, sono uguali e verdi come quelli di Finnick, ma hanno anche qualche ramificazione azzurra. I capelli sono di un castano ramato, come quelli di Annie e la carnagione è ancora rosa pallido.                                               -Che…ma…è meraviglioso- dice Katniss, senza parole e con uno strano luccichio negli occhi. Non mi aspettavo fosse così intenerita dal bebè. Sembra quasi che…che lo desideri. Eppure lei mi ha detto che non voleva assolutamente dei bambini. Che stesse cambiando idea? Bè posso solo dire che sarei l’uomo più felice dell’universo se avessi una piccola-Katniss tra le braccia.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Katniss POV
Che buffo vedere Finnick come padre, con in braccio quel batuffolo così simile a lui. È così bello quel bambino, e non può essere altrimenti se è nato da un amore come quello di Finnick e Annie. E io? E io mi sento una stupida ad avere paura di un essere piccolo così. Vedendo gli occhi del “piccolo Finn” ho immaginato un altro bambino, uno con gli occhi azzurri di Peeta, i capelli biondi della mia paperella Prim, o anche con gli occhi da giacimento. Un bambino nato dal nostro amore.
Finnick POV
-Come lo chiamiamo?- dice Peeta. Annie sta ancora dando da mangiare al bambino. Al mio bambino. Vorrei tanto accompagnarla e vederla accarezzare nostro figlio con le sue mani sapienti. Purtroppo, ho degli ospiti, e la domanda di Peeta mi ha preoccupato. È da ben più di 48 ore che è nato, e non gli abbiamo dato un nome?            
 -Non lo so…io lo avrei chiamato Mags, se non fosse che è un maschio  ma…non lo so- ammetto io.                                          
-Tobias- dice Katniss.                                                         
-Augustus- dice Peeta.                                                  
–No! Non voglio nomi disgustosi in questa casa – urla Annie, che ha finito di mettere il bambino a letto.          
 –Ok, voi due avete detto un nome, ora tocca a noi- dico io. Forse…Will, Patrick, Theo, Charlie, Jace, Isaac…                                                                       -Elias! È un bel nome no- dice Annie. È veramente un nome meraviglioso, d’altronde mia moglie è una donna sensazionale.                                                   –Mmmh…si è un bel nome- dice Katniss, prendendo il bicchiere di Gin davanti a lei. Brindiamo tutti, guardandoci complici e dicendo: -Benvenuto…Elias-
Katniss POV
Dopo aver deciso il nome, continuammo a mangiare e a parlare. Il forte distacco tra me e Peeta mi pesa ancora però. Il sole cala lentamente e il suo posto viene occupato dalla notte.
-Venite, vi mostro la vostra camera- dice Annie. Prendo le mie valigie e così anche Peeta. La camera per gli ospiti è molto semplice e androgena, con al centro il letto matrimoniale dalle coperte blu oceano e le tende delle finestre dello stesso colore.                     
–Che lampade meravigliose, Annie- dice Peeta gentilmente. Mi stupisce sempre quel suo modo automatico di complimentarsi o di far sorridere una persona. È sempre così premuroso…non mi sorprende che Annie parli più con lui che con me. Io non sono gentile, né altruista, né simpatica e men che meno premurosa. Chi mai farebbe una conversazione con me? Forse dovrei cambiare anche io, per Peeta. Magari è per questo che si è così allontanato. Devo essere migliore. Per lui.
Peeta POV
Dopo averci presentato la camera, Annie torna in salotto a parlare con Finnick. Io decido di andare a dormire, e così anche Katniss. È un’po’ strano, forse è stanca, ma di solito non va a dormire così presto, per paura che gli incubi ritornino. Ho la strana sensazione che stia cercando di assecondare ogni mia azione. Cosa starà cercando di dirmi?                                                  
Quando andiamo da Finnick e Annie per augurargli buonanotte, loro ci salutano di fretta, guardandosi complici e correndo verso la camera da letto, riempiendo la casa di risate. Mi viene automaticamente da sorridere: sembrano ancora ragazzini, come se non ci fosse ostacolo nel loro futuro.
Katniss si stende vicino a me, ma la sento comunque strana e lontana. Dopo un minuto imbarazzante, lei si decide a parlarmi:                                               -Dobbiamo parlare Peeta- afferma.                                                                  
 -Giusto-                                                         
Rimaniamo ancora in silenzio, con il rumore del mare di sottofondo.                                                                    
–Cos’hai?- le domando io infine, girandomi verso di lei per guardarla negli occhi, per la prima volta in tutta la giornata. Lei sembra non sostenere il mio sguardo.     
–Non lo so…sai tutta sta storia dei bambini mi confonde un’po’ le idee, ecco. E non voglio che tu prendi ciò che ho detto per la parte sbagliata- dichiara lei. Non mi stupisce affatto questa risposta. So che non dovrei prendermela con lei per questo, ma non riesco a trattenere il mio dissenso.                                        
–Se ti senti in colpa per quello che hai deciso…Smettila. Non sono un cucciolo da proteggere, lo sai. Odio quando pensi che io non possa sopportare niente. Gli ho fatti anche io gli hunger games-. La mia voce è bassa, ma è così ferma e decisa, che sembra un urlo.                                         
–Non ti considero debole, Peeta. So solo che certe mie decisioni ti fanno soffrire, lo vedo!- mi risponde lei. Ha gli occhi spalancati, ma non mi guarda ancora.                   
-Forse dovresti chiederti il perché! Perché alcune tue decisioni mi fanno soffrire, perché la maggior parte delle volte sono io che devo comprenderti e non tu che devi comprendere me. Pensaci, no?- le dico io. So di aver esagerato, ma proprio non sopporto questa situazione. Non posso andare avanti così.     –Peeta...ti prego non parlare così…- mi dice lei. Sta piangendo. Lo sento dalla sua voce incrinata e dal tremore della sua pelle che fa vibrare le coperte. Il mio primo istinto sarebbe quello di abbracciarla, coccolarla e baciarla per non far scendere quelle lacrime dal suo volto. Non posso però, non dopo quello che ho sentito, Mi giro dall’altra parte e cerco di addormentarmi, invano. Il rumore dei suoi singhiozzi rimbomba ancora nelle mie orecchie, anche se so che si è appena addormentata. Dopo alcuni minuti, che mi sembrano giorni, riesco a chiudere occhio, facendo sogni tormentati dell’immagine dolorosa di Katniss infelice…

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Katniss POV
Smetto di piangere e faccio finta di dormire affinché Peeta non si insospettisca e prenda qualche ora di sonno. Quando sono completamente sicura che stia dormendo scendo dal letto ed esco dalla stanza, diretta alla spiaggia. Ho bisogno di liberare la mia testa scombussolata dai pensieri. La luce chiara e rosea dell’alba risplende, facendo uno dolce gioco di luci con il mare. La sabbia bagnata mi accarezza i piedi nudi e la brezza marina mi solletica il viso, così come il suo profumo nelle mie narici. Proprio quando penso di essere finalmente in pace con me stessa, da sola, seduta tra le rocce di uno scoglio vicino, una figura conosciuta si avvicina a me .                                                                                                                                                                           -Katniss che ci fai qui?-.                                                 
La voce calda di Finnick mi attraversa piacevolmente. -Penso.- dico io semplicemente. Lui mi si siede accanto, e mi rendo conto che ha solo un paio di pantaloncini addosso. Per il resto, è a torso nudo.      
-È possibile che non riesci mai a metterti dei vestiti normali tu?-dico io scherzosamente.                                                    
-Bé, ti dirò, io avevo una maglietta prima, sol che Annie ha pensato bene di togliermela, e quindi…-.             
Lo interrompo ridendo e dicendo:                                 
-No, non lo voglio sapere, grazie-. Finnick scoppia ridere insieme a me, e per un’po’ non facciamo altro.                                                               
-Come fate voi due?- dico io infine.                                        
-A fare cosa?-                                                                     
-A essere così sicuri di tutto. Così d’accordo e sempre innamorati l’uno dell’altra senza dubbi. Per me è difficile andare oltre: oltre agli hunger games e alle perdite, alle cicatrici… Io non ho superato niente…io non…-  ed è qui che scoppio a piangere, disperata. Finnick mi guarda con compassione e mi abbraccia, dicendo:                                                                                           
-Katniss, come puoi credere che sia veramente così? Io non ho dimenticato. Il ricordo è ancora vivo in me, come in te, in Peeta e in Annie. Io e lei però cerchiamo di renderci felici a vicenda, ogni giorno. Magari con una nuotata fino alla scogliera, o dipingendo pazzamente lo steccato intorno alla casa, o dicendo che ci amiamo quasi sempre. Cerchiamo di essere felici insieme , io, lei e ora anche Elias. Se non riesci a essere felice tu, allora chi lo sarà? Peeta è felice se solo tu lo sei. Quindi vederti triste può solo fargli male.- E mentre io continuo a pendere dalle sue parole, lui continua:                                                                        
-Vedila così: se non vuoi essere felice tu, allora non è meglio far felice qualcun altro? Tipo un piccolo-Peeta o una mini-Katniss scorbutica?- dice scherzando.          
-E con Peeta, non vederla così complicata come cosa. Fai ciò che farebbe lui, ovvero, capire il suo dolore e cercare di diminuirlo. Il dolore che prova a vederti in questo stato e a sentirti dire che ti innervosiscono i bambini, quando sai quanto lui ne desideri uno…-                                                                   
-Hai sentito la nostra discussione!- lo accuso io.             
 -Vi ha sentiti tutto il distretto e per poco non svegliavate anche il bambino- mi risponde lui. Mi sento subito in imbarazzo. E io odio questa sensazione.                                                                   
-Scusate, non volevamo svegliarvi- dico io abbassando lo sguardo.                                                     
-Tranquilla Katniss. Tanto io e Annie eravamo tutto, tranne che svegli- dice maliziosamente. Gli do un pugno forte sulla spalla, anche se so che per lui è come una carezza sui suoi muscoli, e poi lo abbraccio, sussurrandogli un leggero grazie. Ora so cosa fare…
Peeta POV
Bene. A quanto pare Katniss non è tanto “distrutta”  dalla discussione di stanotte. Ero convinto che se ne fosse andata per sempre e che mi avesse abbandonato, quando ho sentito l’altra parte del letto fredda e vuota. Invece… Ora la vedo abbracciata a Finnick in spiaggia. Com’è possibile che questa ragazza mi faccia sempre soffrire così tanto? E io la amo come un deficiente. Un deficiente, come sono sempre stato d’altronde. Una lacrima salata scende sulla mia guancia, e neanche un secondo, che sono già scoppiato a piangere come una checca. Una checca, cosa sono sempre stato d’altronde. Attraverso il corridoio della stanza quasi correndo, con molta difficoltà data la mia gamba robotica,quando incontro Annie ancora in vestaglia e con i capelli più disordinati del solito.                                                      
-Peeta cosa ti succede?- mi domanda Annie, con voce un’po’ impastata. Non riesco a risponderle, se non con balbettii senza senso, e lei se ne accorge.     
-Vieni, andiamo nella camera di Elias. Dobbiamo parlare di Te.- dice dopo, prendendomi per mano. Non voglio parlare troppo però. Almeno non con lei di quello che ho visto. In quel piccolo stralcio di lucidità però mi chiedo cosa sia veramente giusto. Stare in silenzio, e fare come se non fosse successo niente o dire la verità? È sicuramente più dolorosa la consapevolezza che il proprio uomo abbraccia calorosamente qualcun altro. A questo pensiero un moto di rabbia mi fa desiderare il peggio. No, non mi sembra giusto ferire Annie, ma non mi sembra neanche giusto che lui la passi liscia. E poi, in questo esatto momento, non sono in condizioni precise per pensare ai sentimenti altrui.                                          
-Allora, vedo che ti sei calmato un poco- mi dice, sedendosi su una mini sedia per bambini. Elias dormiva ancora, e il suo leggero respiro ha una specie di effetto calmante su di me.                                                      
-Mi sento come se mi avessero buttato un secchio di acqua ghiacciata addosso. Dovevo immaginarlo no? Dovevo…-  non riesco più a dire una parola. La tristezza mi inghiotte piano piano.                                   
-Ho visto anche io Peeta, quello che hai visto tu- mi dice Annie quasi sussurrando. Quindi? Con questo mi fa solo stare più male. La sua tranquillità mi frustra e mi fa sentire fuori luogo.                                                              
-E tu? Tu ti fidi ancora di lui?-. I miei occhi si inondano di lacrime amare che mi offuscano la visuale. La mia Katniss. Voglio continuare a farla felice, in tutti i modi possibili. È tanto chiedere? Eppure non posso.                    
-Io mi fido di lui, si. So cosa prova quando mi guarda e so perché è andato da Katniss. Non ti dirò che so cosa stai passando perché non è così. Tu sei così diffidente. Molto diffidente. Era solo un abbraccio Peeta. Non voglio che tu fai crollare tutto per questo- mi risponde lei.                                                                  
-Un abbraccio uguale a quello che adesso ti darò io- continua lei, spalancando le braccia. Rispondo al suo modo affettuoso di consolarmi. Si, sono assolutamente sicuro che Annie sarà una perfetta mamma. Non sono ancora fiducioso, ma sto meglio. Devo solo parlare con Katniss e chiederle spiegazioni. Ora so esattamente cosa fare.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Katniss POV
Si, ho visto. Ho visto quello che mi aspettavo di vedere. Chi può non amare Peeta? Chi si lascerebbe sfuggire una persona così buona, così meravigliosa. Solo io. No, non provo odio, affatto. Non per Annie almeno. So che è stato un istinto quello di abbracciare Peeta, si vedeva nei suoi occhi che non era programmato. Lui. Le sue braccia forti e possenti, ma allo stesso tempo delicate, che mi fanno sentire protetta. Cosa devo dire? Magari doveva succedere. Forse è anche meglio per lui abbandonarmi, per non soffrire più. Io non me la merito la sua gentilezza, il suo amore… Forse è stanco di andare dietro ad una persona come me. Non lo biasimo per questo, anzi, anche io sarei stanca. Mi chiedo, quando avrebbe avuto il coraggio di dirmelo? Se io non lo avessi visto abbracciare fortemente Annie, come avrebbe fatto a dirmi: “No, basta. Con te non ci sto più”. Che frase forte. Molto dolorosa per un cuore solo. Un cuore che nonostante il mare di emozioni sgradevoli vissute nel tempo, ancora cerca l’amore e ancora ama. In parte è per lui tutto questo. Lui mi ha salvato da quel pozzo buio chiamato tristezza, che però, riemerge come per magia adesso. Come se non se ne fosse mai andato.                                                                   
“Rifletti, Katniss. Era un abbraccio, forse stai esagerando” mi dice una voce.                          
“Sempre colpa mia giusto?” le rispondo io. Non mi sembra molto sano rispondere a me stessa, ma non ci faccio caso. Molto simile a Prim questa voce, ma non ci faccio caso. Non ci faccio caso. Magari è questo il problema principale. Io non faccio caso a troppe cose. I dettagli, di cui Peeta è sempre consapevole. “Fantastico” penso. Mi fa proprio bene trovare altre cose negative in me. Forse dovrei farne una lista, anzi un libro, così per ricordarmeli. Tutto questo mi fa solo venir da piangere. Sono solo una ragazza disperata, e ho perso la mia consolazione. Peeta, lui è la mia consolazione. Il suo nome rimbomba come un eco nella mia testa, e solo adesso mi rendo conto di quanto mi manca il suo essere sempre al mio fianco. Il suo capire ogni mio dubbio e il suo modo consapevole di risolverlo. “Era solo un abbraccio” mi dice di nuovo quella voce. Ma perché non ha abbracciato me? Perché non ha cercato me?                                                                      
Basta. Non voglio più pensarci. Lui ha deciso di abbandonarmi. Anche io decido di abbandonare me stessa.                                                                                                                               
Sono ancora seduta sulla spiaggia. Dopo che Finnick se ne è andato da Annie, e dopo che ho visto quello che mi ha distrutto, sono tornata nello stesso posto di prima. Scorgo una barca sotto lo scoglio in cui sono seduta. Rossa e gialla. Molto carina, mi rassicura e dà un’idea di pace. Già, pace. Ho proprio bisogno di tranquillità. Decido di imbarcarmi in essa, anche se so nel profondo che non è una buona idea. Che ore sono? Non ne ho idea. Per me sembrano essere passati giorni, anzi settimane, dall’ultima volta in cui ho parlato con Peeta. L’acqua salata mi fa bruciare la pelle scoperta, soprattutto le braccia spellate. Comincio a remare, con molta difficoltà date le onde alte. Forse allontanarmi da tutto placherà ciò che sento. Credo stia per cominciare a piovere. Sto cominciando a pensare che non sia una buona idea questo, e ne ho la conferma quando la forza del mare mi spezza il remo. Mi volto e vedo a mala pena la casetta di Finnick e Annie.  Questo vuol dire che sono troppo lontana per chiedere aiuto. Ormai sono bagnata fradicia, e i vestiti mi si appiccicano sul corpo come una pellicola. Le onde si fanno sempre più forti ed aggressive. Sono spacciata. La barca si ribalta completamente, facendomi finire in acqua. Bevo acqua salata, che mi irrita la gola formando anche delle piaghe sul palato. Mi sembra di essere tornata sull’arena. “Tic Tac”. Ormai questa non sembra un’allusione ma più il suono di un orologio immaginario che sta contando gli ultimi minuti del mio stare su questa terra. Vengo sballottata di qua e di lá come una bambola di pezza, e cerco disperatamente di respirare. “Tic tac”.                                                                                        
Ultimo pensiero? Peeta.                                                                                                                
Ultima sensazione? Due braccia che mi prendono per la vita.                    
Peeta POV
Ora la vedo, lì sdraiata nel nostro letto, così candida e pacifica. Ho avuto paura, ho temuto il peggio. Perché lo ha fatto? Cosa le è mai passato per quella testa? Io dovevo essere lì con lei a proteggerla. E invece, ero troppo cieco per vedere che lei stava soffrendo.                         
-Il dottore dice che l’ho salvata per un pelo, e che crede che si sveglierà fra poco- dice Finnick appena entra. Si mette affianco ad Annie e la circonda per le braccia. Sono ancora restio a capire le sue vere intenzioni, ma non voglio pensarci. Adesso tutti i miei pensieri devono essere rivolti a Katniss, e soltanto a lei. E poi dovrei essergli grato per quello che ha fatto. Io ero in barca con lui, ma non so nuotare, almeno non così perfettamente. Finnick conosce come il palmo della mano il mare davanti al suo distretto, tanto che ha individuato velocemente dove si trovava Katniss. All’inizio credevo avesse solo una vista più acuta della mia, poi però lui mi ha spiegato un’insieme di coordinate e maree che portavano esattamente in quel punto. Il dottore ha ragione: se non ci fosse stato lui, tutto sarebbe diverso. Magari mi ritroverei una Katniss ormai inerme, senza vita. Al solo pensiero mi viene un conato di vomito, che reprimo velocemente. Devo essere forte per lei. Solo per lei.                                                                                                                          
-Perché crede? Non è sicuro?- domando io, con una nota di panico nella voce.                                      
-Non gli è dato sapere precisamente se si sveglierà o no. Dice che dipende solo da lei. L’unica cosa che possiamo fare è dare tempo al tempo, ed aspettare- risponde Finnick. È affranto, ma cerca di farsi vedere forte per Annie. Queste situazioni la turbano molto, si vede da come si tortura le unghie mangiandole a sangue. Nessuno però in questa stanza può mai capire quale dolore stia affrontando. Le tengo la mano, ancora ruvida e fredda. Non mi muoverò da qui, finché non si sveglierà. Perché lei si sveglierà. Punto.                       
-Vado a controllare Elias- dice Annie debolmente. Finnick fa per accompagnarla, ma poi le sussurra di aspettarlo. Mi da una pacca sulla spalla e mi dice:                                              
-Tranquillo, lei è una ragazza forte. Johanna mi ha chiamato. Mi ha detto che arriverà appena può. Era giá programmato che venisse, per vedere Elias. Adesso però c’è un altro motivo, no?-                                                                                                                     
Annuisco. Non voglio più che stia qui, ma non lo caccio. Insomma, sarebbe contrario a ciò che sono rispondere in modo brusco. Alla fine se ne va da solo, e io rimango finalmente solo, con Katniss. Le stringo di più la mano, disegnando cerchi concentrici col pollice.             
-Resto, ok?. Ti amo- sussurro impercettibilmente. Pochi minuti, e dalla stanchezza non riesco più a tenere gli occhi aperti. Mi accascio nella sedia, con ancora la sua mano nella mia.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Peeta POV
Mi ero addormentato sulla poltrona accanto a lei senza quasi rendermene conto. I soliti incubi, il solito sonno molesto e il solito risveglio dal respiro affannoso. La sua mano non si è mossa dalla mia e il suo viso non ha ancora risposto all’atmosfera circostante. Sono amareggiato si, molto amareggiato. Speravo quasi che si fosse svegliata in queste ore in cui non ero cosciente, anche se una parte di me sapeva che non sarebbe successo. Ho un torcicollo doloroso che a stento mi fa muovere il collo così resto per un’po’ con la fronte appoggiata nel bordo bianco nel letto.                                                                                                                                
-Hai dormito abbastanza non credi?-                                                                                             
 Un voce mi sorprende alle spalle. Insolente. Quasi aggressiva. Molto conosciuta. Johanna. Faccio lo sforzo di alzare la testa ancora intorpidita per girarmi verso di lei, che alla soglia della porta guarda Katniss in modo accondiscendente. La vedo bene, sempre magra e con un taglio di capelli improbabile, ma con l’aria sana. Strano per una ragazza come lei.                                                                                                                  
-Tutto ok?- continua lei -Bah…che domanda stupida, la tua fidanzata è mezza morta. Non darmi dell’indelicata però, ho già dovuto sorbirmi Annie e i sui rimproveri. La maternità le ha dato alla testa…comunque, come sta la fortunata?- dice sarcasticamente.                             
Non mi arrabbio con lei per quello che dice. Il dottore si è sbagliato enormemente quando gli ha detto che non doveva tenersi dentro niente. Adesso, tutto quello che le passa per la testa è pubblico.                                                                                                                                                 
-Grazie per essere venuta Johanna, davvero- dico io cercando di mostrarmi gentile.                                 
-Dio no-  protesta lei alzando gli occhi al cielo -Che brutta abitudine che hai Peeta! Non essere gentile in questi momenti, potresti sentirti fuori luogo rispetto agli altri. Se sei distrutto dillo no?-.                                                                                                                                    
Resto in silenzio. Non ho voglia di parlare molto, soprattutto se mi urlano contro per ogni cosa che dico. Anche se ho il sospetto che abbia ragione, non dovrei sempre essere così gentile se la situazione non favorisce il sentimento.                                                                                                                                       
-Wow, sei messa piuttosto male tu eh?- dice diretta a Katniss, avvicinandosi al letto. Le accarezza la testa con il volto che quasi esprime tenerezza, una espressione vista poche volte su Johanna. Ho parlato troppo tardi, che torna alla normale faccia da dura e infrangibile. Mi chiedo se veramente questo sia lo specchio di ciò che è o sia tutta una farsa.                                                                                                                                                           
-Il dottore mi ha raccontato tutto quello che è successo a lei, ma non quello che è successo a te. Adesso raccontami come hai passato questi giorni- mi dice guardandomi seriamente.                                                                                                                                        
-Bene. Annie e Finnick sono molto accoglienti e premu…- mi interrompe con un segno della mano.                                                                                                                                                 
-Cavoli, non ce la fai ad essere normale per una volta!-.                                                                  
 È abbastanza esasperata e mi rendo conto che devo parlare di tutt’altro che la casetta dei coniugi Odair.                                                                                                                                            
-Diciamo che ci sono state delle incomprensioni, si- confesso.                                                             
-Lo sapevo, continua-                                                                                                                              
-Bé, io l’ho vista strana in questi tempi. Poi abbiamo avuto una discussione perché, diciamo che mi sono innervosito un’po’. Non è da me credimi. Lei dopo la discussione se ne è andata in spiaggia, io dopo l’ho seguita e diciamo che l’ho vista…abbracciare Finnick, abbastanza amorevolmente- dico, torturando il filo delle lenzuola del letto con le dita. Johanna però sembra abbastanza tranquilla, come se non avesse capito la gravità della situazione.                         -Quindi sono andato da Annie che più o meno mi ha fatto ragionare e mi ha consolato. Poi però ho saputo di quello che ha fatto Katniss. Non so perché sia successo davvero-.  Credo di aver finito ma Johanna mi guarda in modo strano, quasi come fosse arrabbiata con me dopo il resoconto della giornata.                                                                                                    
-Come?- mi dice lentamente.                                                                                                                                     
-Come cosa?-                                                                                                                                                    
-Come ti ha consolato?-                                                                                                                            
-Bé, normalmente. Mi ha abbracciato e mi ha dato qualche pacca sulla spalla- rispondo.                              
-Quindi tu ti permetti di accusare Katniss di aver pomiciato con Finnick, e poi mi dici che stavi pomiciando con Annie- mi accusa scandendo bene le parole. -Ma no, non hai capito…pomiciare? Ma no, era solo un abbraccio!-                                                                   
-Certo, e cosa stava facendo Katniss? Lo abbracciava no? Come facevi tu…- mi dà un pugno di rimprovero sul braccio fortissimo.                                                                                       
-Ahi! Ma sei pazza?- dico massaggiandomelo.                                                                                    
-Sei un esagerato lo sai questo? Che ne sai se lei ha visto tu ed Annie e per questo se ne è andata eh?- assestandomi altri pugni più forti nel resto del corpo. Cercai di proteggermi con le braccia e di prendergli i polsi per fermarla, invano.                                                                    
-Basta Johanna, basta!-.                                                                                                                                           
Finnick entra quasi immediatamente nella stanza, prendendo Johanna per la vita e separandola da me. Annie la guarda con disapprovazione, controllandomi i lividi.                                                        
-Johanna ma che…?- domanda Annie. Johanna spiegò tutto quello che le avevo raccontato. Finnick mi guardò storto, e poi mi dice con fare minaccioso:                                                           
-Perché hai abbracciato la mia Annie?-                                                                                                            
-Era un abbraccio amichevole Finnick, per favore!- risponde Annie al posto mio.                                                                               
-E comunque, TU hai abbracciato la mia Katniss! Non puoi parlare se hai fatto lo stesso- dico io puntandogli un dito accusatorio.                                                                                                
-Era un abbraccio amichevole!- risponde lui facendo eco ad Annie.                                                                                            
-Infatti! Siete tutti e due dei deficenti, vi siete messi contro solo per questo? Per un abbraccio?- dice Annie, buttandosi a peso morto sulla poltrona.                                                                             
-Quindi tu eri d’accordo?- accusa lui.                                                                      
-Finnick, andiamo!- lo sgrida Annie.                                                                                                                       
-Ok, fermatevi tutti! La domanda che dobbiamo fare adesso è questa: chi si porta a letto chi?- dice Johanna.                                                                         -Johanna!- urliamo tutti. La situazione sta diventando imbarazzante.                                                                             
-E calmatevi pazzi!-.                                                                                                                                            
Johanna è esasperata; Annie è stanca ed indignata; Finnick mi guarda ancora sospettoso e io mi sto ancora massaggiando il braccio violaceo. Restiamo in silenzio ancora per un’po’, fino a quando Finnick non lo interrompe dicendo:                                                                                        
-Comunque Annie si porta a letto me e io mi porto a letto lei. Siamo sposati e abbiamo appena avuto un bambino. Questo è fuori discussione d’accordo?-   -Finnick ti sembra il momento!- dice Annie alzando gli occhi al cielo.                                                  
-Annie non ci chiamiamo tutti Elias! Non siamo dei bambini c***o!- urla Johanna.                                                                       
-Ma vi comportate come se lo foste!- protesta Annie.                                                                           
-Ehi…ragazzi-.                                                                                                                                                  
Una voce roca ci fa sussultare. Katniss si è svegliata.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Katniss POV
Mi girava forte la testa e sentivo come se la luce fosse molto più accecante del solito. Ero sveglia giá da un’po’, ma non riuscivo ad aprire gli occhi. Erano entrambi come incollati per volere di una forza superiore. Forse il mio subconscio mi diceva di non aprire per avvertirmi di qualcosa. Magari per dirmi “No! Non ti piacerà quello che vedrai! Meglio restare addormentati per sempre che affrontare la realtà”. Ero così stanca di lottare, che mi sono lasciata trasportare dal mio cervello e sono rimasta in una specie di fase di dormiveglia. Avevo fatto strani sogni mentre ero in coma: Peeta vestito da ghiandaia imitatrice; Rue e Prim che correvano in un prato pieno di rose bianche impregnate di sangue; Finnick invecchiato che rideva con un Elias ormai adulto; Annie e Johanna che facevano gara di rutti; una bambina tra le mie braccia che sorrideva e un bambino che mi correva intorno. Queste fantasie erano intervallate da attimi di buio totale o di luce abbagliante. I miei pensieri da sveglia (più o meno) erano per la maggior parte la paura di non trovare nessuno nella mia stanza ad aspettarmi. Nessuno a cui importasse un povero diavolo steso su un letto di ospedale. Però, per fortuna, quel pensiero fu subito sostituito dalla consapevolezza che almeno Peeta fosse lì. La sua mano calda e forte mi stringeva, anche se sentivo che stava dormendomi vicino dai suoi respiri profondi e regolari. La sua stretta però non aveva fatto ceduto nemmeno per un secondo, ed era rimasta salda a me, come se non volesse proprio lasciarmi andare. “Mi dispiace Annie, ma tu lui non lo avrai” mi dissi convinta. Un impeto di coraggio mi aveva quindi attraversato il corpo dopo quella affermazione, dandomi una carica elettrica su tutte le braccia e le gambe. Da lì cominciai a voler percepire il mondo circostante, per continuare a viverlo e per non sprofondare nella cecità completa. Dato, quindi, che i miei occhi non volevano proprio aprirsi, feci la mossa più logica, ossia attenuare di più gli altri sensi. Era già un  traguardo aver percepito la mano soave di Peeta, così cominciai a tastare le lenzuola ruvide del mio letto, per avere un riferimento. Poi feci respiri profondi e, per fortuna, sentii ancora il profumo piccante della salsedine pizzicarmi leggermente il naso, il ché voleva chiaramente dire che ero ancora nel distretto 4. L’udito si azionò quasi immediatamente quando la voce familiare di Johanna era rimbombata nelle pareti a mo’ di eco. Stesso sarcasmo, umore nero ed estrema sincerità, che vedendo la mia condizione, non poteva altro che farmi sorridere. Mi resi conto però che le mie labbra si erano appiccicate tra loro, e che non potevo quasi muoverle. Potevo fare un sforzo e staccarle ma, decisi di rimandare per dopo.                                                                                                                                                              
Johanna mi aveva difeso. La stessa Johanna che fino a pochi anni fa mi aveva esplicitamente detto che se sarebbe stato necessario mi avrebbe ucciso, mi ha difeso come una tigre infuriata. Gratitudine. L’unica cosa che potevo provare era quella per ciò che aveva detto.                                                                                             Poi fu tutto un susseguirsi di voci impazzite che discutevano come bambini piccoli: Peeta aveva una strana nota piccata e arrabbiata nella voce, Johanna faceva domande inopportune, Finnick la assecondava facendo dichiarazioni intime sul “meraviglioso” rapporto che aveva con Annie e lei rimproverava tutti quanti come una madre snervata. Tutte cose normali in fondo.                                                                                                             
Il sollievo maggiore per me però fu l’ascoltare un Peeta geloso ed una Annie che affermava con convinzione che il loro abbraccio era puramente amichevole. Mi sentii una stupida, e anche colpevole di tutto il casino che si era creato. Sono la solita egoista che pensa solo a se stessa.                                                                               Ed Elias? Sua madre era occupata con una sciocca come me, chi si sará occupato di lui nel frattempo?                                                                                             E Finnick? Lui che sperava di passare una tranquilla vacanza tra amici e famiglia, come si sará sentito vendendo che ormai io l’avevo rovinata?                                                               
E Johanna? Magari non era nei suoi programmi venire qui al distretto 4, magari voleva restare al distretto 7 con qualcun altro invece di vedere me stesa su uno stupido letto di ospedale per un altrettanto stupido atto di gelosia. Era stato tutto creato da me, come al solito. Dovevo rimediare, dovevo scusarmi per quello che avevo causato. Così aprii gli occhi e mi sforzai di parlare per fermare la discussione. 

E ora sono qui, a vedere Peeta immobilizzato e dagli occhi spalancati, osservarmi come se fossi un angelo venuto a dirgli che è incinto del messia (?). Ci fu un doveroso silenzio prima che…                                                                                                                           
-Katniss! Finalmente! Ormai speravo che fossi morta!- mi dice sorridendo Johanna. In questi momenti adoro il suo modo spontaneo di rompere il ghiaccio. Peeta allora si risveglia come da un sonno momentaneo e preme le sue labbra carnose sulle mie più e più volte, intervallando sorrisi increduli a sussurrati “ti amo”. Finnick esulta e prende in braccio Annie, baciandola con trasporto. All’improvviso arrivano il dottore e un infermiere giovane, accorsi sicuramente per il trambusto che avevamo creato. Il dottore sorride a trentadue denti, battendo le mani sulla cartellina medica a mo’ di bongo e l’infermiere viene occupato da Johanna che lo bacia violentemente prendendolo per la cravatta sopra il grembiule candido. La scena si sta facendo così buffa che ormai fermarsi a pensare è impossibile per tutti.                                   Quando alla fine Finnick posa  a terra Annie rossa in viso, Johanna lascia il povero infermiere dall’espressione sorpresa e Peeta smette di baciarmi come per assicurarsi che non fosse tutto un sogno, finalmente il dottore può parlare, avvicinandosi al mio letto.             
-Come ti senti Katniss?- mi domanda.                                                                                                   
-Imbambolata- rispondo io. La mia voce è incredibilmente roca, quasi come modificata. Solo dopo alcuni colpi di tosse riesco ad acquisire un tono decente.                                                    
-È normale, bambolina. Adesso è meglio lasciarti riposare, dopo due giorni sarai di nuovo in sesto, tranquilla- mi rassicura raggiante.                                                     Io guardo Peeta. Lui guarda me. Ci sorridiamo come degli idioti e dopo che il dottore se ne va, ci baciamo un’altra volta con più passione.                                                                          
Finnick ci guarda sorridendo ed Annie lo abbraccia, questa volta più dolcemente.                                   
-Ragazzi…vorrei scusarmi con tutti voi…sono stata una stupida a scappare così, davvero… mi dispiace- dico io, abbassando lo sguardo.                                               -Stai scherzando? Gesù, stare con Peeta ti sta influenzando troppo. Mi spieghi a cosa serve essere così gentili? Bah…non lo capirò mai. Non scusarti, non ne hai il diritto. È stato tutto un equivoco, può succedere d’accordo- mi dice Johanna. Rido mestamente, anche se so che qualunque cosa faranno, non mi fará stare meno in pena con me stessa. -Tranquilla Katniss, non c’è niente di che scusarsi. Riposati ok?- dice Finnick. Dopo avermi salutata, se ne va con Johanna per mostrargli una camera dove stare. Annie se ne va un poco dopo, dandomi un bacio sulla testa e sussurrandomi dolcemente:                                                                      
-È con Peeta che devi parlare. Buon riposo-                                                                                         
E così restiamo soli, io e lui. Decido di cominciare a parlare ignorando il dolore lancinante alla testa.                                                                                                   -Sono stata una stupida, io…-                                                                                    
-No, no affatto. Sono stato io lo stupido che ha frainteso tutto. Ho pensato che la discussione ti avesse dato la certezza, e che ti avesse fatto cambiare idea su…su di noi. E quando ti ho visto abbracciato con Finnick, bé sono uscito di senno. Sono io che devo scusarmi, non tu- mi interrompe rapidamente.                                           -Non cambierei per nulla al mondo il nostro rapporto. Non cambierei mai te, per nessun motivo. Starei delirando non credi! E poi anche io devo scusarmi, con te e anche con Annie per aver sospettato di lei. Giá, sono stata anche io una stupida. In quanto alla discussione, lì si che posso addossarti le colpe- dico io.                                                              
-E perché?- domanda lui, stranito.                                                                                                       
-Perché per la prima volta tu non mi hai capito. Hai subito pensato il peggio di me-.                                              
-Cosa avrei dovuto capire? Hai detto esplicitamente che non volevi bambini!-.                                               
-E invece no-.                                                                                                                                            
-No?-. Non sta capendo più niente, e devo dire che mi da una certa sensazione piacevole vederlo così confuso.                                                                                                                                 
-No, ho detto che mi innervosiscono perché non saprei cosa fare se mi ritrovassi una creatura così fragile tra le braccia. Non ho mai detto che non ne voglio uno Peeta, anzi, più ci penso e più mi convinco che dovremmo provare- dico convinta. La sua espressione è un misto tra il sorpreso e l’eccitato.                                                     -E quindi?-.                                                                                                                                                   
-E quindi facciamolo- affermo.                                                                                                                                      
-Facciamolo!-.                                                                                                                                                   
-Facciamolo!-.                                                                                                                         
Restiamo per un’po’ a guardarci con un certo luccichio negli occhi finché non mi bacia di nuovo freneticamente. Dopo si mette a ballare e a saltare come un pazzoide, urlando che mi ama a squarciagola. Vedendolo così felice mi viene solo da pensare che ho fatto la scelta più giusta.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Peeta Pov
Dopo che Katniss ebbe il suo famoso risveglio, e dopo che passarono i giorni di miglioramento della salute, ritornammo a vivere più o meno normalmente. Oggi è l’ultimo giorno in cui siamo ancora al Distretto 4, da Finnick e Annie, e insieme stiamo passando la giornata all’aperto, davanti al mare. Ho dovuto fare i salti mortali per convincere Katniss a venire, perché è da un’po’ di tempo che sta desiderando solo di tornare a casa, nel Distretto 12. Credo che non voglia più vedere il mare, dato il danno che le ha provocato. Ad ogni modo, sono già così abituato alla sua risolutezza e testardaggine che ormai so anche quali sono i suoi punti deboli per farla cedere. Insomma, chi resiste a questo faccino?                                                                                                                              
Comunque, è ancora molto turbata da tutti gli avvenimenti che sono venuti a succedere in quest’ultima settimana. Finnick è steso sulla sabbia, Annie ha in braccio Elias ed è stesa accanto al marito. Johanna, che parte verso il suo Distretto pochi giorni dopo di noi, è stesa sullo scoglio di fronte alla casa. Nuda. Io invece, ho Katniss stretta in un abbraccio, all’ombra del tetto sporgente della Casa Odair, steso con lei in una amaca molto comoda. Entrambi non siamo abituati al sole forte e cocente del Distretto 4, mentre Finnick, Annie e perfino Elias, lo sentono quasi come una seconda pelle. Inoltre, io e lei, volevamo un’po’ di tempo per noi due soli. Sentiamo come se avessimo perso qualche passaggio importante, qualcosa che dobbiamo per forza affrontare insieme.     -Non mi sento a casa- mi dice Katniss all’improvviso.                                                                                    
-Domani arriveremo al Distretto 12, tranquilla- le rispondo io, stringendola di più.                                                        
-Bene. Cosa definisci esattamente come casa, Peeta?- mi domanda lei, girandosi verso di me per guardarmi negli occhi.                                                       -In che senso?-                                                                                                                                        
-Bé, per Finnick e Annie la casa è sempre stata la stessa, ovvero il Distretto 4. Per Johanna è il Distretto 7. Per me è il distretto 12. Per te, Peeta? Dov’è la tua casa?-  
Il perché di questa domanda, non lo so, ma la sua serietà nel pormela è troppa per esserne indifferente.                                                                                                                                                               
-La mia casa è dove ci sei anche tu. Non importa se a Capitol City, o ai vari distretti- le rispondo io. Lei mi guarda più intensamente. Per tanto, tanto tempo. Dopo un’po’ si rilassa, e abbassa gli occhi per prendere un’po’ di sabbia tra le mani. E rimane così, in un silenzio stranamente familiare, doveroso come pochi. Vivendo ho capito che se qualcuno non ha parole per continuare la conversazione e sceglie stare muto, è meglio non invogliarlo a parlare. Vivendo ho capito anche però che Katniss è tutto tranne che una persona qualunque. Quindi…cosa faccio?Le parlo apertamente, dicendole per la milionesima volta tutto l’amore che provo per lei o lascio che resti tranquilla tra i suoi pensieri?                                                                                                                   …                                                                                                                                                  
…                                                                                                                                         …                                                                                                                                                 
Ho deciso. Faccio ciò che so fare meglio.                                                                                      
-Sai, mi è bastato soltanto un altro cappotto per capire che niente è come te. Che vivo di te. Che voglio solo te. Nel tanto strano ma sincero modo in cui mi fai capire anche tu che ci tieni e in ogni tuo singolo gesto d’affetto che mi dimostri, io vedo amore. Non l’amore della prima cotta, anche se in realtà la prima cotta che ho avuto sei stata tu. Neanche l’amore che si dimostrano al Distretto 12 è similare a quello che io provo. È inspiegabile ma…esiste. Ed è la cosa più bella che mi sia mai potuta succedere. Tu. È anche troppo dolce quello che ti sto dicendo per avere una risposta, ma non mi importa. A me basta solo dirtelo per essere felice-.                                                                                                                         
Ancora silenzio, e mi rendo conto che è davvero troppo. Troppo per che lei lo consideri vero. Così me ne vado, con i piedi che cercano di non scottarsi nella sabbia dorata, le mani che cercano di non tremare, i sensi che cercano di riappacificarsi e la mente che cerca di capire cosa sia il giusto modo per continuare. Per continuare a stare insieme, si intende.                                                                                                                                       
-Finnick! Annie! Johanna!-.                                                                                                                    
È Katniss quella che urla, e la sua voce è così allarmante che fa destare tutti da cosa stavano facendo. Loro corrono da lei mentre io, resto nel mezzo del percorso tra il mare e l’amaca in cui eravamo seduti, girato verso di lei. Johanna con solo la parte sotto del costume, e due mani per coprirsi il seno che cerca di contenersi dal strozzarla; Annie che posa Elias sull’amaca e Finnick che non sa se preoccuparsi o mettersi a ridere per la situazione buffa che stanno attraversando tutti nel vedere una Katniss ancora integra. Sicuramente si saranno preoccupati per lei, e avranno pensato il peggio. Io invece, sono curioso di sentire cosa ha da dire.                                                                                                
-Voglio un figlio da quell’uomo!- urla ancora indicandomi.                                                                                                
Rimango spiazzato, ma sorrido. Non mi aspettavo che lo dicesse apertamente. Non sapevo neanche se quello che aveva detto era solo un effetto collaterale dei farmaci e del coma, o dell’essere quasi morti. No, questo non me lo aspettavo proprio.                           
Finnick ha tutta un’altra reazione, perché scaccia anche lui un altro urlo di gioia e si mette a ballare una specie di conga sensuale muovendo le mani in alto. Annie, vedendo il marito ballare, comincia anche lei a ballare lo stesso tipo di ballo. Johanna invece, stritola Katniss in un abbraccio, non curante di avere il seno scoperto. Tanto chi no ha visto le tette di Johanna almeno una volta. E io, che dovrei essere il padre del futuro “bambino”, resto immobile? Perché?
Finalmente mi risveglio da questa specie di trans, e corro verso di lei per abbracciarla. Tutti applaudono e ridono, ma io non sento niente tranne che il ti amo che mi sussurra Katniss, insieme alla sua risata. Se solo sapesse quanto quel suono è per me.  E io che non mi stanco mai di sentirla, di amarla. Si, adesso posso ritenermi soddisfatto. Quando mi giro, Annie e Finnick stanno ancora ballando vicini come se fossero una cosa sola, e Johanna invece corre verso il mare liberamente e si tuffa. Non capisco tutta la loro felicità, ma l’apprezzo. Forse hanno perfino fatto una scommessa perché, nel mezzo della loro conga, Finnick riceve due monete d’argento del Distretto 4 da Annie ed esulta felice, mentre lei lo guarda divertita. Lo aspettavano davvero da tanto? Non lo so. Quello che so invece e che a me è parso impossibile sentire quelle parole da Katniss. La scorbutica, complicata e impulsiva Katniss, quella che non ha più lacrime da piangere né più sorrisi da fare. Già, tutti tranne lei potevano confessare un desiderio così importante in questo modo. Però lo ha fatto. Che ragazza strana che ho sposato.                                                      
Cosa penso adesso?                                                                                                                   
Bé con tutta questa euforia e tutti gli abbracci che sto ricevendo, credo che uno dovrebbe immaginare come sará il domani, l’universo positivo e le sere emozionanti che si vivranno da adesso ma, io non credo di essere ancora abbastanza sveglio per pensare a queste cose. L’unica frase comprensibile che adesso rimbomba nella mia mente è…Gale, spero tu sia felice con qualcun altro, ma Katniss…lei è mia. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Katniss POV
Le serate che seguirono dopo la mia…confessione, furono molto tranquille. Tornammo alla nostra vita di sempre, al distretto 12, salutando un’po’ nostalgici Finnick, Annie ed Elias. Anche Johanna mi mancava, appena partita, devo ammetterlo e pure ora mi manca. È l’unica persona più vicina ad una amica per adesso, e non credo che verranno molte amicizie in futuro. Non posso dire che quando siamo tornati a casa il clima che si respirava era dei più dolci e rilassanti. Io e Peeta eravamo sereni e, bé le serate erano sempre bellissime. Cercavamo di avere il bambino, e anche se molte volte ci ripensavo, poi capivo che era la cosa più giusta da fare. Paura? Si, perché ero assolutamente sicura che il mio lavoro non era certo la madre e che avrei sbagliato troppe volte, ma mi rassicurava sempre Peeta.                                          
Ne sono certa anche adesso, seduta nella mia solita sedia con in mano una tazza di cioccolata e cocco, mentre lo guardo salare con cura l’ennesimo impasto di focaccine al formaggio. Lui sicuramente sarà una padre modello, mentre io…io sarò il solito fiasco. Ma non importa, lui è felice. Madre perfetta non sarò, neanche una madre normale se è per questo e quando i domanderanno al bambino chi preferisce tra Mamma e Papà, non indugerà a dire che preferisce Papà. Non mi rammarico per questo però, anche se farò del mio meglio, so che non sarò mai come Peeta.
All’improvviso suona il telefono, io faccio per alzarmi, ma Peeta è più veloce di me. Resto seduta, e cerco di ascoltare un’po’ della conversazione. Parlano di “insurrezioni”, “capitolini”, “pacificatori” e “un mese circa”. Tutte parole rassicuranti, ovviamente. Capisco al volo che non si tratta di una festa di unicorni o di cagnolini felici, ma di qualcosa di serio. Mi avvicino proprio mentre la chiamata finisce, e Peeta si gira a guardarmi visibilmente preoccupato.                 -Che succede?- chiedo io.                                                                                                             
-Katniss, oggi devo partire con Haymitch a Capitol City- mi confessa con amarezza, poi si avvicina per prendermi la mano e continua -Mi dispiace tanto ma alcuni vecchi Pacificatori hanno cominciato a fare un’po’ di casino, e dobbiamo calmare le acque, diciamo. Ci saranno anche Johanna e Finnick, ma Plutarch mi ha severamente vietato di portarti anche te. Dice che sei stata attaccata troppo in questi ultimi mesi e anche io la penso così. Voglio che resti qui-.                                                        
Anche se la rabbia ribolle dentro di me, annuisco. Dal modo in cui però vado su per le scale, marcando ogni passo, e dal modo in cui sbatto la porto della mia camera, so che ho lasciato intuire cosa ne penso veramente. Quindi io sarei una debole? D’accordo, ma se proprio devo comportarmi da vecchietta in pensione, allora devo farlo per bene. Mi abbandono sul letto, con il volto dispiaciuto di Peeta ancora impresso nella mente e con la consapevolezza che non posso e non voglio consolarlo. Per quanto non lo vedró? Tre giorni? Una settimana? Un mese? O anche di più? Non lo so, ma per me anche un’ora senza di lui è uno strazio. E il bambino? Non avró possibilità di essere incinta in questi giorni.                                                                                                   -Katniss?-                                                                                                                                                    
Mi giro di scatto per lo spavento e lo vedo davanti alla porta, con gli occhi rossi e gonfi. Lo squadro, guardandolo in modo insensibile, anche se muoio dentro.                                                                                           
-Per quanto starai via?- domando io con voce piatta.                                                                          
-Circa un mese, forse anche meno o forse anche di più-.                                                                                    
-Quando parti?-.                                                                                                                                                 
-Stasera-.                                                                                                                                                                                                                                     -Bene-.                                                                                                                                                                                
Decido che la conversazione è finita, e faccio per andarmene via, ma lui mia afferra per un braccio per bloccarmi.                                                                                                                          
-Aspetta…per favore- dice a voce bassissima.                                                                                                  
Non resisto e lo abbraccio dolcemente, affondando il viso sul suo collo, beandomi del suo profumo rassicurante. Lui mi afferra il fianco con una mano, e con l’altra avvicina il mio viso al suo per donarmi uno dei baci più appassionati e romantici mai dati. Restiamo così, fino a quando io mi stacco repentinamente. Così come mi sono allacciata a lui, così mi separo, guardandolo di sottecchi, e alla fine non guardandolo neanche.                                           
Se non posso stare a casa senza che mi venga da piangere per la partenza di Peeta, allora mi rifugio nel mio bosco. Nella mia foresta. La mia vera casa.                                                                               
In pochi minuti raggiungo il fronte, afferro il mio arco e attraverso tutto ciò che mi separa dalla realtà. Cammino fino a che le mie gambe non cedono completamente. Mi arrampico su uno degli alberi più alti con le forze che mi rimangono, fino all’ultimo ramo, e osservo. Vedo casa mia, sia quella vecchia che quella nuova al Villaggio dei Vincitori. Forse Peeta stará piangendo adesso, e mi si spezza il cuore solo pensarci. Adesso però mi chiedo: chi mi consolerà in queste quattro settimane? Chi mi cercherà tra la gente per rassicurarmi? Chi manderà all’aria tutto il piano e tornerà a casa mia per dirmi, “tranquilla, io resto”? Chi se non Peeta?                                    
E mentre guardo le nuvole grigie all’orizzonte, la collina verde e rigogliosa, lì so mi rendo conto che non è tutto così semplice come sembra. Dietro una casa può esserci un omicida e dentro un’altra un’innocente. Nascosto tra i cespugli di fragole, puoi trovare un sacco di soldi come anche un sacco di patate. E così pure con le persone si fa questo ragionamento, perché si può anche fingere di stare bene, ma nessuno ci ha fatti così attori, e men che meno bugiardi, da non avere neanche una persona che ci possa decifrare nelle nostre finzioni. Quest’ultima la puoi amare con tutta te stessa, o puoi odiarla. A me è successo con Peeta e, con Gale. Ma lui è sangue versato inutilmente, mentre Peeta è pane quotidiano per me. Deduco quindi che…sono fritta, per una settimana. Sarò completamente irascibile, e la persona antipatica che sono in realtà, quella che scompare solo quando c’è lui.                                                                                          
Respiro per un’ultima volta l’aria che c’è intorno a me, quella della vegetazione incontrollata e libera, e scendo dall’albero per tornare a casa. Quando arrivo davanti al Villaggio dei Vincitori, Peeta è già fuori che parla con Finnick. Annie, furiosa, sta in disparte, mentre Johanna cerca di farla ragionare su qualche cosa. Peeta si avvicina a me, e mi dice lentamente:                                                                                                                                                       -Come stai?-                                                                                                                                               
-Bene grazie- e poi lo abbraccio, prima che un’urlo mi faccia destare immediatamente. Haymitch.                                                                                                                                              
-Andiamo dolcezza, vuoi farmi proprio andare così?- dice, scendendo le scale di casa sua con un volto frustrato. Dopo poco esce Effie, vestita da ragazza normale, ma con un pericoloso mestolo pieno di impasto in mano che inveisce contro di lui:                                         
-Non mi importa, non dovevi accettare!- urla lei. E se ne va sbattendo la porta. Haymitch si gira verso di noi, e dice:                                                                                                                           
-Spero solo che sia una cosa veloce, o quella donna mi ucciderà-                                                                
Nei suoi occhi però vedo un velo di tristezza, che tradisce i suoi veri sentimenti. Ci dirigiamo verso la stazione, e quando siamo arrivati è il momento dei saluti. Annie, che stranamente era stata lontana da Finnick per tutto il tragitto, adesso lo bacia improvvisamente. Johanna saluta tutti, anche me, con un abbraccio. E poi Peeta mi afferra, per poi baciarmi con trasporto.                                                                                                                                             “Fattene bastare per un mese, Katniss” mi dico a me stessa. Poi però, quando ormai il treno è arrivato e tutti stanno per partire, noto una cosa che non avevo notato prima. Una persona. Gale.
                            

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Katniss POV
C’era lui, l’uomo che mi aveva amato e che allo stesso tempo mi aveva rovinato la vita. Chiudo la porta immediatamente e corro per le scale, tremando e inciampando più volte. Mi butto nel letto e cerco invano di soffocare le immagini che invadono la mia testa pudicamente con il cuscino. Prim.  Morta. Bomba. Gale.                                                                               
Quasi perdo il respiro dalla forza con cui premo sul mio volto, che stacco la mia testa e mi dirigo verso il bagno. Lavo la mia faccia tante volte con l’acqua ghiacciata, poi mi guardo allo specchio e mi urlo rabbiosa:                                                                                                              
-Sei una codarda?!-                                                                                                                                            
Tiro un pugno forte alla parete, e creo una crepa minima ma significativa. Si, sono ossessionata dal mio coraggio, l’unica fonte di salvezza in casi di panico.                          
Ritorno all’entrata di casa e apro di nuovo la porta, lentamente. Johanna, Finnick, Peeta, Haymitch e Gale non ci sono, questo vuol dire che nessuno è venuto a cercarmi. Meglio. Non sopporterei proprio i loro sguardi su di me. Mi siedo sul cemento freddo, con il solletico dei miei capelli accarezzati dal vento. Chiudo gli occhi e abbandono la testa tra le ginocchia, liberando la mente e serrandola da tutti i problemi.                                                             
-Ehi-.                                                                                                                                                          
Di nuovo. La sua voce. Gale.                                                                                                                      
-Cosa ci fai tu qui?- riesco a dire con voce rotta, e gli occhi già gonfi dal pianto.                                       
-Sta per cominciare a piovere, vuoi farmi entrare?- mi chiese semplicemente. Che sfacciato! Come può solo pensare di poter entrare in casa mia, dentro la mia nuova vita, come se niente fosse? Eppure sembra che abbia ragione, perché io annuisco mestamente e lo lascio varcare la porta. Lui mi sorride, e senza indugiare, entra a grandi passi, sfiorandomi leggermente il braccio. Non capisco se lo abbia fatto apposta, per mandarmi brividi ad intermittenza in tutta la schiena, o se sia stato un gesto involontario. Forse ho ancora un debole per lui. Assolutamente non nel senso amoroso, ma più che altro in un modo più... inevitabile. Sono destinata a sentire affetto, per una persona che mi ha fatto soltanto capire quanta poca fiducia bisogna affidare alle persone.                             
-Non dovresti essere qui. Dovresti essere in stazione, verso Capitol, con Johanna, Finnick, Haymitch e mio Marito- dico rimarcando l’ultima parola con orgoglio. Gale mi guarda per un’po’ con la faccia sorpresa, ma poi si abbandona ad un sorriso strafottente. Lui mi conosce più di quanto vorrei, e sa che non avrei mai detto la parola “marito” davanti a Peeta, se non ci fosse stato lui ad obbligarmi. Anche questo, in qualche modo, è un modo per dargli importanza, a Gale intendo,  cambiando il mio modo di parlare solo perché c’è lui nei dintorni.                                      
Mi guarda ancora, e legge nei miei occhi ciò che non vorrei mai che leggesse. La verità. Ossia che io, purtroppo, non provo per lui l’odio che dovrei. Solo quando mi ricordo di mia sorella Prim, e del modo in cui lui senza pietá l’ha fatta morire, allora sì ,penso che non merita il mio perdono, e che non lo meriterà mai.                                                                      
-Dovevo parlarti. Senza tuo Marito nei dintorni- mi dice infine, con una nota divertita.                                       
-Non ho niente da dirti.- ribatto io quasi immediatamente.                                                                      
-Ma io ho da dire a te. Molto da dire-.                                                                               
All’improvviso si fa serio, ed io rimango in silenzio, valutando se ho veramente voglia di sentire ciò che ha da dirmi.                                                                                                                   
-Va bene. Ti ascolto. Ma ti avverto: se sono solo stronzate, ti do un pugno in faccia- dico.                       
Lui prende un respiro profondo, e abbassa lo sguardo, coprendosi con una mano. “È solo una messa in scena” mi dice una voce nella mia testa, molto simile a Johanna. Forse è vero, ma l’altra parte di me gli crede e ha voglia di sentire, di capire perché è successo tutto questo casino, perché non poteva andare diversamente… Mi chiedo anche perché le voci nella mia testa devono sempre associarsi a qualcuno che conosco…forse mi hanno influenzata, e ho cambiato ragionamenti a seconda delle loro personalità.                                                                          
-Mi dispiace. Per tutto, intendo. Per averti ferita e per aver contribuito a farti soffrire.- confessa.                                                                                                                                             
No, non è possibile. Tutto qui? Non ha da dire altro, che “mi dispiace”? Purtroppo non mi basta. Inoltre il suo essere qui, ha risvegliato in me quella dose di rabbia e di vendetta repressa per anni, dopo la fine della rivolta, nonché di parte della mia vita.                                        
-E? Cosa dovrei farmene con le tue scuse, accertarle? Credi davvero che sarei disposta a perdonarti? E a lei? A Prim non ci pensi?- sputo io, colpendo la porta così rumorosamente da far tremare i muri. Chiudo gli occhi e abbasso lo sguardo, per nascondere le lacrime amare che rigano il mio viso. Dopo, un altro tipo di rabbia mi colpisce il cuore così violentemente da farmi perdere il fiato.                                                                                                     
-Per che non parli?! Cosa hai da dire dopo quello che ti ho detto? Cosa puoi dire che non possa incolparti? Dimmi, perché sei venuto se non per ammettere le tue responsabilità? Pensavi che non ti avrei dato dell’assassino se ti fossi scusato?- domando, disperatamente. Mi accanisco contro di lui, dandogli pugni violenti sul suo petto, per farlo reagire. Lui però è imperturbabile, deciso a non difendersi, cosa che mi fa arrabbiare sempre di più:                                                                                                                              
-Avanti! Uccidici ad entrambe, che differenza fa!  Fai l’uomo per una volta!- urlo. Finché non mi stanco, e mi accascio sulla porta, mezza in piedi e mezza seduta. Tutto questo mi ha fatto girare la testa fortemente, come una trottola senza fine, aggiungendo anche degli strani crampi alla pancia.                                                                                                          
-Voglio farmi perdonare, Katniss- mi dice, avvicinandosi a me pericolosamente. Quando riacquisto un’po’ dell’equilibrio perduto, domando tremante:                                                                           
-Come?-                                                                                                                                     
-Così-.                                                                                                                                          
Questa volta la sua voce è quasi impercettibile, un sussurro, ma non conta. Adesso conta solo che ho le sue labbra sulle mie. E io, non so perché, rispondo con troppa foga al bacio, senza però perdere il controllo. Lui posa entrambe le mani sui miei fianchi, sollevandomi leggermente la maglietta per toccarmi la pelle nuda. Lo costringo ad andare in cucina, camminando goffamente a quattro gambe, senza però perdere il contatto tra le nostre labbra. A lui può sembrare un’idea eccitante. A me invece, sembra più che altro un buon pretesto per procurarmi dei coltelli. Mi posa sul piano lavoro della cucina, proprio di fianco al porta coltelli. Decido di cambiare le posizioni, mettendomi a cavalcioni su di lui. Senza che se ne renda conto, afferro un dei coltelli per tagliare il pane di Peeta.                                                                         
Gli uomini sono davvero stupidi, per certi versi.                                                                                             
E con un’agilitá sorprendente, lo punto sulla sua gola, godendomi la sua faccia sorpresa.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Peeta POV
Sul treno l’aria che si respira non è delle migliori. Nessuno è felice di essere qui, per il medesimo motivo. Io se solo chiudo gli occhi vedo il volto di Katniss. E sono sicuro che anche Finnick vede il volto di Annie, e allo stesso modo Haymitch vede il volto di Effie (forse un’po’ sfocato dato che sta cominciando ad ubriacarsi). L’unica più o meno a suo agio è Johanna, che non la smette di allenarsi con l’ascia nella sua stanza. Forse però credo più che altro che non sopporti i nostri musi lunghi, e che per questo si sia allontanata. Chissá cosa stará facendo adesso. Sono le otto di sera, sicuramente sta mangiando le focaccine al formaggio che le ho preparato questa mattina. Quanto mi mancherà fare la colazione, il pranzo e la cena con lei. Bé, a dirla tutta mi mancherà praticamente passare tutta la giornata insieme a lei…più ci penso però, píu sto peggio, e meno mi concentro. Non ci voleva proprio questo viaggio, anzi lo odio. Odio il fatto di stare lontano da Katniss, di non avere la possibilità di fare un bambino con lei. Odio Capitol City, con i suoi ribelli inutili e i vecchi pacificatori in depressione. Odio il fatto di dover condividere la stessa aria insieme a quell’idiota di Gale. Non sono stupido, ho visto come la guardava prima in stazione, e la rabbia che ho provato nel vederla scappare di paura per colpa sua è stata indescrivibile. Lui sa che è ancora molto fragile la mia Katniss, come ha potuto farsi vedere dopo così tanti anni davanti a lei con quella faccia da strafottente?
-A proposito, dov’è Gale?- dico ad alta voce, più come se fosse un pensiero scappato via dalla mia mente. Haymitch non risponde perché è già crollato, e sta dormendo come un ghiro, ma Finnick, lui si gira automaticamente. Dopo una lunga seduta di intrecciamento continuo di nodi, gli ci vuole un’po’ per accorgersi della mia domanda e del mondo circostante.                                                                                                                                                 
-Non lo so, cercalo nella sala attrezzi o nella sala allenamenti. O magari è già nella sua stanza- dice, per poi riprendere il lavoro interrotto con quel dannato pezzo di corda.                                                                                                                                             
Ho un bruttissimo presentimento, e scatto in piedi come una furia. Passo dal vagone ristorante al salotto, e poi arrivo in sala allenamenti. Lì trovo Johanna seduta su una delle panchine, sudata fino al midollo e con un asciugamano sul collo.                                                                                                                
-Ehi dolcezza che ci fai qui?- mi domanda.                                                                                                 
-Sai dov’è Gale?-                                                                                                                                           
-Secondo te? Io con quello non ci sto, bello. Perché non è da voi?-                                                                          
Non ho neanche la voglia di rispondere, e vado direttamente in sala attrezzi, non sorprendendomi affatto di trovarla vuota. E solo quando passo a setaccio tutte le stanze del treno che la realtà si conferma davanti ai miei occhi. Gale non c’è. È restato al distretto 12, e so già dov’è andato. Non ci vuole un genio per sapere che il modo in cui è ha visto Katniss era soltanto l’inizio di un piano fin troppo ben architettato. Come ho fatto ad essere così stupido da non accorgermi che non era nemmeno salito in treno?                                           
E adesso, non so cosa mi faccia più paura. Se il fatto di vedere Katniss parlare con Gale tranquillamente, o di vederla spaventata. Il Treno si ferma all’improvviso, ma so che è soltanto la sosta giornaliera per far riposare i motori. Di solito dura all’incirca sei minuti, e quindi ho soltanto la metá del tempo per decidere se continuare la corsa e fidarmi di Katniss ciecamente o se scendere da qui, senza portare a termine il mio compito a Capitol City. Certo, io sono una parte importante di questa missione e se abbandonassi tutto nelle mani di Finnick, Johanna e Haymitch, sono sicuro che non me lo perdonerebbero. Adesso mi chiedo però cosa sia più importante, e la risposta è così scontata che non perdo tempo a ripeterla. E quindi corro verso l’uscita laterale, sapendo perfettamente che non c’è più nessuno di guardia, e senza pensarci un attimo salto intrepido proprio mentre il treno parte.                                                                                                                                                            
“Johanna, Finnick, Haymitch, non prendetemi a male. So che farete il meglio in missione come e senza di me” penso intensamente, tra il suono assordante delle ruote ad alta velocità sulle rotaie. Le pietre intorno al percorso ferroviario che smorzano la mia caduta sono come rune ardenti sulla mia pelle, pungenti ma insignificanti rispetto al mio unico e vero obbiettivo: Katniss.

Katniss POV
Con ancora il coltello puntato sulla gola di Gale, penso ironicamente a quanto sia inutile. Non ho mai maneggiato un coltello per il pane, anzi ho sempre creduto che non esistesse un simile utensile, ma che si usassero solo le mani. A quanto pare però, ho partecipato agli Hunger Games per ben due volte, e coi coltelli apparentemente dovrei saperci fare. Quella sua espressione sorpresa, quei suoi occhi spaventati ma allo stesso tempo eccitati. Tutto questo mi fa sentire potente in qualche modo. Sono pericolosa. Sono aggressiva. Sono furba. Sono una ribelle.  Mi viene quasi da ridere, e mi sembra solo di essere pazza. Pazza quel tanto da saper impugnare perfettamente un’arma così quotidiana.                                                                                          
-Quindi? Che ti aspettavi? Pensavi veramente che avrei accettato così facilmente queste tue mani luride sul mio corpo? Queste stesse mani che hanno fabbricato una bomba in grado di ferire una povera bambina, cresciuta insieme ai tuoi stessi fratelli, alle tue stesse sorelle- dico con rabbia. Una lacrima cade esattamente sulla sua guancia sinistra, un’altra sulla lama del coltello che riflette la mia immagine imponente su di lui.                                                    
-Speravo almeno che avresti capito che mi sono pentito per quello che ti ho fatto- mi dice con voce tremante.                                                                                                                     
E io non posso fare a meno di credergli nel profondo del cuore, tanto da staccarmi completamente da  lui per lasciarlo libero di andare.                                                                     
-Vattene. Non ti voglio più vedere, ed è anche meglio per te. Dimenticati di me, dimentica tutto quello che è successo e vivi la tua vita. Il più lontano possibile da me però-.                                               
Con queste ultime parole, salgo per le scale con una velocità impressionante, senza però lasciare il coltello. Chiudo la mia stanza a chiave, per poi andare direttamente a farmi una doccia.  Sotto l’acqua fredda e carezzevole mi domando se la decisione che ho preso è stata quella giusta, o se avrei dovuto ucciderlo sul momento. Vendetta. No, non è un sentimento che mi appartiene completamente, non in questo momento della mia vita. Forse un tempo non avrei esitato a usare quel coltello, ma Peeta mi ha insegnato tante cose. Mi ha fatto capire che le persone che vivono di risentimento sono le più tristi. Dopo la vendetta c’è il senso di colpa, poi arrivano i “perché” senza risposta.                                                    
Peeta. Così bella la sua immagine nella mia mente, così nitida. Impressa come se fosse un incantesimo, una magia che ha la sua firma delicata.                                                                            
Mi asciugo rapidamente e mi infilo in una maglia di Peeta impregnata del suo odore. È troppo grande per me, ma me la farò bastare. Chissá cosa stará facendo adesso. Magari sta già dormendo, sono le dieci di sera, non lo biasimerei. Come farò a dormire senza la sua presenza costante?                                                                                                                  
La stanchezza però ha la meglio su di me, e quindi mi stendo beatamente sul letto, sul lato di Peeta, avvolgendomi tra le pesanti coperte.                                                                         
Dopo pochi istanti mi piego però dal dolore. Altri crampi alla pancia,come quelli avuti nel mezzo della discussione con Gale, ma molto più forti. Forse dovrei farmi vedere da qualcuno. Non faccio in tempo a pensare, che un altro crampo mi fa sboccare, fino a quando non corro direttamente in bagno, ritrovandomi a vomitare bile abbontante. 
              

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Peeta POV
Ora che ci penso, non so proprio come orientarmi in questi boschi. Ho camminato tantissimo da quando ho deciso di lasciare il treno per andare da Katniss, ma fino ad ora ho visto solo alberi e cespugli. Non ho mai voluto esplorare questo tipo di posto, anzi da piccolo mi faceva una paura tale da desiderare solo che scomparisse. Quando ho saputo che la ragazza che mi piaceva ci andava per dar da mangiare alla sua famiglia, non ho potuto fare a meno di affermare ulteriormente il mio odio. Volevo solo fare qualcosa per lei, ma sapevo anche di essere impotente davanti a quella situazione.                                      
Poi però sono stato estratto, e chiamato per gli Hunger Games. Ho cercato in tutti i modi di imparare su piante ed erbacce varie, invano, perché non ci capivo mai niente. Inoltre, nel vivo dei giochi, ho quasi sempre avuto Katniss al mio fianco. Neanche adesso che gli Hunger Games sono finalmente cessati, ho avuto la voglia di avventurarmi tra quelle chiome alberali.                                                                                                                     
Sto camminando alla cieca da almeno un’ora, e non c’è nessuna traccia di civilizzazione. Credo che il treno si sia fermato esattamente al confine tra il Distretto 11 ed il Distretto 12, il ché è a mio favore in parte. Funghi e cespugli spinosi dappertutto, tanto muschio che con il suo odore acre mi fa girare la testa. Non credo che resisterò ancora per molto, perché oltre ad essere stanco morto, non so dove sto andando. Mi ricordo che mio padre mi aveva detto qualcosa in proposito da piccolo:                                                                            
“Se ci si perde la cosa migliore è camminare sempre dritto. La strada giusta è sempre quella davanti ai tuoi occhi”                                                                                                  
Ora non credo molto alle sue parole, anzi più cammino e più mi sembra di star sbagliando direzione. Cavoli, a questo punto Gale avrá già parlato con Katniss e forse stará passando ad altre maniere...no ma che sto a pensare! Sicuramente non lo avrá fatto passare nemmeno sulla soglia di casa. Ho la strana sensazione di non avere ragione. Lei però si fiderebbe di me, e io devo fare altrettanto.                                                                                 
Sono sicuro che quando arriverò al distretto(semmai succederà) mi fará una ramanzina e si arrabbierà moltissimo con me.                                                                                        
Eppure lo sto facendo per il suo bene...                                                                                                                
È quasi l’alba, e tale velocità nel sorgere del sole mi sorprende. Non mi sono fermato un secondo da quando sono partito e il mio corpo sta cedendo. Sento i muscoli delle gambe ardere come fuochi ardenti, e sento la mia testa girare come una trottola. Nonostante i miei occhi siano completamente appesantiti scorgo uno specchio d’acqua dolce, e vicino ad esso una catapecchia abbastanza malaticcia, che dà l’impressione di crollare da un momento all’altro. “Almeno è qualcosa” penso. Adesso anche il ramo di un albero mi sembrerebbe comodo, inoltre ho la bocca così secca che a stento riesco a muoverla. Il freddo mi ha screpolato le labbra a tal punto da non sentirle più, e se quell’acqua è veramente potabile non posso che considerarla una salvezza.                                                                       
Mi avvicino cauto, trascinandomi lentamente sul suolo scivoloso a causa della neve sciolta. Quando arrivo alla casetta mi pento subito di averla giudicata così male dall’esterno. Nonostante sia un’po’ arrugginita si vede che viene ancora usata, solo che molto raramente. È un bel posto per uno come me, che ho camminato e camminato per tanti chilometri. Ciò che mi stupisce di più è che trovo anche della legna appena per fare del fuoco sul camino, insieme ad una coperta impolverata e piena di buchi. Deduco quindi che qualcuno è già stato qui, e anche recentemente. Non posso fare nulla però, devo riposare e anche se quel qualcuno ritornasse non avrei forze per affrontarlo.                                          
Quasi automaticamente chiudo gli occhi, accasciandomi a terra stremato.                                                                           
Katniss POV
Ho sentito tanto dolore nella mia vita, sia fisicamente che mentalmente, eppure questo è così diverso da non sembrare neanche vero. Le mie urla ora sono così forti da farsi sentire in tutto il distretto, se non in tutta Panem. Forse sto esagerando, forse non è altro che un mal di stomaco. Certo, un mal di stomaco così forte da farmi venire i brividi lungo tutta la schiena, da farmi accelerare il cuore ad un ritmo improponibile e da distruggermi le ossa dall’interno, ma è sempre un mal di stomaco. Cerco di asciugarmi la bocca con la manica della maglietta, in modo da togliermi il vomito dalla bocca. Gattono verso il mio letto, ma dopo un’po’ vengo fermata da un’altra fitta di dolore lancinante.                                   
All’improvviso sento dei passi nel corridoio, e subito dopo sento un tonfo. Delle voci, che spero di non stare immaginando, stanno urlando il mio nome. Delle voci conosciute.                                                                                                       
SBAM! Qualcuno dà un calcio alla porta, tanto da farla spalancare nonostante la chiusura a chiave. Annie. Insieme ad una Effie molto nervosa, con ancora i bigodini colorati in testa.        
-Katniss! Oh cielo cosa ti è successo!- esclama Annie, con ancora la gamba alzata.                 
Mi accorgo di essere in posizione fetale, per terra e di avere sicuramente una faccia corrucciata e ancora piena di bile giallastra. Effie cerca di farmi alzare, accarezzandomi dolcemente la testa in modo da tranquillizzarmi. Annie invece controlla la casa per vedere se c’è qualcuno di sospetto. Il dolore pian piano diventa sempre più lieve per poi sparire completamente, come se fosse stato solo un incubo affievolito dall’ambizione del risveglio.                                                                                                                   
Effie, sempre da madre affettuosa mi aiuta ad arrivare al letto, appoggiando nelle sue gambe la mia testa ancora pulsante di dolore. Le mie gambe e le mie mani tremano come foglie in autunno, e sia i miei muscoli che le mie ossa sono deboli.                                                                                                                      
-Dolcezza vuoi raccontarmi cosa succede?- mi domanda.                                                
No, “Dolcezza” non è una parola che userebbe Effie, l’unico motivo coerente che mi viene in mente è che si è Haymitchimizzata(?).                                                                                              
-Non lo so, stavo per andare a dormire e all’improvviso ho sentito questi dolori alla pancia molto forti. Il vomito ne è stato conseguente- spiego.                                                                    
Annie mi porge un fazzoletto per pulirmi e poi mi guarda in modo fisso e deciso, in modo molto strano per una ragazza così tra le nuvole come lei. Di solito il suo sguardo si perde in cose così futili per il resto di noi, cose che definiscono le cicatrici che la Capitale le ha inflitto. Adesso però è come se l’essere mamma le abbia quasi conferito un qualcosa di acuto e preciso, una specie di istinto in più di strana natura, così preciso da percepire sentimenti a me estranei.                                                                                                                                 
-Annie...tutto bene?- domando. Lei sembra riprendersi da una profonda riflessione, sempre però con lo stesso sguardo accondiscendente. Mi rendo conto che anche Effie mi sta guardando nello stesso identico modo, il ché mi riempie quindi di molta inquietudine.                         
-Mi volete dire cosa avete tanto da guardare voi due?-                                                                                         
Né Annie né Effie sembrano voler rispondere.                                                                                                  
Solo dopo tanti, irritanti ed odiosi minuti...                                                                                                             
-Katniss, tu e Peeta siete già abbastanza intimi giusto?- mi chiede Effie senza troppe cerimonie. Sento che uno spruzzo di rosso mi colora il pallore malato del mio viso. Che razza di domanda imbarazzante è?                                                                                                                         
-Io...io non lo so. Cosa intendi dire con abbastanza intimi?- dico balbettando.                                                   
-Intendo dire...avete già fatto le vostre esperienze, giusto? Non so se mi spiego...-                                                            
-Credo che abbia capito Effie, solo che non vuole rispondere- dice Annie.                                                     
Rimango allibita, con una faccia sicuramente da idiota. Io non ho mai parlato di cose di questo genere con nessuno, sono sempre stata fredda e apatica davanti a questi tipi di sentimenti amorosi. Solo Peeta con la sua estrema dolcezza ed il suo animo buono è riuscito ad ammorbidirmi. Se quindi è solo ed unicamente con PEETA che ho saputo aprire i miei sentimenti, allora è solo con lui che lo farò per il resto dei miei giorni.                                                                                                                                        
Adesso però queste due vogliono sapere ciò che io voglio invece nascondere, ciò che sento come qualcosa di mio e di Peeta, non di altri.                                                                                                                          
“Queste due vogliono solo aiutarti, Katniss. Una di loro è la moglie del tuo migliore amico, mentre l’altra è quasi una madre per te, quindi non devi fare altro che fidarti di loro” mi dice una voce nella mia testa. Tralascio il fatto che sia uguale a quella di Finnick, ormai mi sembra quasi normale immaginare conversazioni con persone al momento non presenti.                                    
-Si Effie, siamo già “intimi”- dico infine. Gli occhi di Effie e quelli di Annie si incontrano in un’uno sguardo di approvazione.                                                                                                          
-Forse è meglio se chiamiamo Johanna, lei ti spiegherà più chiaramente i nostri...diciamo sospetti- dice Annie.                                                                                                                             
Delicatamente Effie mi aiuta a scendere dal letto e mi accompagna in salotto insieme ad Annie, che mi sorride con una strana consapevolezza, un’po’ come a dire “so già cosa ti succederà e non sarà per niente facile”. Tutto questo è terribilmente irritante.                                                 
Arrivate in salotto vado verso il tavolino in cui è posizionato il telefono e consulto il foglietto che contiene tutti i numeri di telefono.                                                                                     
Chiamo.                                                                                                                                           
Non risponde.                                                                                                                                 
Mi incitano a richiamare.                                                                                                            
Richiamo.                                                                                                                                                                        
-Chi è l’idiota che mi chiama alle 6:00 di mattina?-                                                                                                         
*Johanna, sempre molto delicata e disponibile*                                                                                                                 
-Siamo noi Johanna! Sai io, Katniss ed Effie volevamo parlarti- dice Annie urlando un’po’ troppo forte. Effie mi incita a parlare, ed io faccio come dice meccanicamente solo perché non la voglio sentire lamentarsi.                                                                                                                  
-Johanna, ecco...la situazione è un’po’ complicata. Diciamo che ho sentito dei dolori alla pancia poche ore fa ed ho anche vomitato...Effie voleva che mi spiegassi esattamente ciò che nessuna di queste due mi vuole spiegare- dico io sottolineando l’ultima frase con stizza.                                                                                                                                                    
-Quando hai fatto BOOM BOOM con Peeta avevi il preservativo?- mi chiede esplicitamente. Questa è la seconda volta in tutta la giornata in cui mi sento profondamente imbarazzata. Perfino Annie ed Effie(che a quanto pare sono esperte) si sentono fuori luogo. Con poca sicurezza cerco di rispondere:                                                                       
-Nn...no-                                                                                                                                                           
-Allora sei incinta, idiota!- mi dice.                                                                                                                 

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Capitolo 13
*** Capitulo 13 ***


SALVE POPOLOOO!! Veniii(sono qui, come Sebastard). Il capitolo diciamo che é un'po' corto, non avevo molta ispirazione. Spero di riuscire a scrivere il piú presto possibile. Un besoo
Sempre vostra AngyHufflepluffOdair. 





Katniss POV
Corro. Scappo via perché ho paura, perché non riesco a comprendere. Effie ed Annie non provano neanche a seguirmi, e non credo che sia perché non hanno la capacità di correre velocemente quanto me.                                                                                                       
La sento ora. Quella sensazione di pura afflizione, indefinita ma motivata da ciò che purtroppo si conosce.                                                                                                                                       
Sono incinta, come volevano tutti no? Adesso però mi sorge il dubbio se era veramente ciò che volevo anche io.                                                                                                                                  
Vorrá il bambino avermi come mamma? Vorrá una come me, problematica e fredda?                                           
Io ho sempre criticato mia madre per ogni sua debolezza, ho perfino pensato di odiarla in un certo periodo della mia vita. Adesso però sono conscia di quanto dolore posso averle causato in tutti quegli anni con il mio comportamento. Forse anche il bambino che porto in grembo mi criticherà per ciò che sono, non mi amerá come madre. Ed io non potrei biasimarlo perché alla fine è così, io sono un difetto fatto persona.                                          
No, non posso essere quello che tutti vogliono che sia. Non posso essere la mamma che vorrá quel bambino malcapitato sfortunatamente dentro di me.                                     
I miei pensieri mi distraggono completamente da dove sto andando, infatti con sorpresa mi rendo conto di essere già arrivata nel bosco ancora innevato e so già che strada prendere: la casetta vicino al lago che ho conosciuto grazie a mio padre. La strada è lunga, di solito ci vorrebbe un’ora o un’ora e mezza di viaggio, ma io cammino così velocemente da percorrerla in pochissimo tempo.                                                                                               
Dopo quasi mezz’ora di strada lo specchio d’acqua mi si presenta davanti agli occhi come un’ancora di salvezza. Mi avvicino lentamente verso la casa, non so il perché, ma c’è qualcosa che mi impedisce di camminare in modo più rapido. La neve sciolta mi fa quasi scivolare al primo passo, poi al secondo prendo equilibrio fino a stabilire una camminata migliore. Mi avvicino al lago e lentamente mi sciacquo il viso. La mattina più sconvolgente  di tutta la mia vita, decisamente. Guardo la mia immagine riflessa sullo specchio e oltre alla mia faccia piena di occhiaie vedo che la mia maglietta è ancora piena di vomito incrostato. Me la tolgo bruscamente e rimango in reggiseno e mutande(tanto non c’è nessuno), per poi immergere dentro l’acqua fredda la maglietta di Peeta. La luce dell’alba è abbastanza calda per asciugarla rapidamente, e in più ho sempre un cambio di vestiti dentro la catapecchia. Mi avvicino rapidamente ad essa per cercarli, tremando in modo evidente per colpa del freddo. Quando sono davanti alla porta, vedo un ragazzo accucciato in un angolo con la testa tra le gambe tremanti. Capelli biondo oro. Mani di chi lavora farina e di chi coccola finti innocenti. Lo riconoscerei a distanze anche maggiori di queste. Peeta.
Il mio primo istinto è quello di picchiarlo a sangue, per poi abbracciarlo e baciarlo disperata. Ma stranamente, resto ferma e con i muscoli tesi come corde di violino. Vederlo in quello stato, con le mani piene di spine, i vestiti laceri e sporchi e in quella posizione da cucciolo ferito, mi fa tanto ripensare ai tempi in cui nell’arena si cercava di sopravvivere a quegli stupidi giochi. Sembra passato tanto tempo da quella rivoluzione, ma per chi come me ha sentito il sangue di altri mischiato al proprio sulla pelle, ormai è un’impronta indelebile nell’anima.                                                                                                         Perciò faccio ciò che ho fatto nell’arena: mi prendo cura di lui. È troppo addormentato per capire che adesso lo sto trascinando in modo un’po’ troppo brusco vicino al lago. Con una ciotola di pietra appoggiata nella mensola arrugginita della casa prendo un’po’ d’acqua dal lago ghiacciato. Cerco in giro per il bosco delle erbe medicinali abbastanza forti da disinfettargli e curargli le ferite superficiali alle braccia e alle gambe. Non vedo mia madre da tanto...tanto tempo, eppure i suoi pochi insegnamenti mi sono sempre stati di grande aiuto. Trovo u L’acqua accarezza la pelle di Peeta, togliendo incrostazioni e sangue dai graffi procurati sicuramente da un cespuglio di ortiche e spine. Apro la sua maglietta con uno strappo e osservo le bolle rosse e gli sfoghi che gli ricoprono il petto e l’incavo delle scapole, fino all’incontro della clavicola con il collo. “Giusto” penso “Lui è allergico alle ortiche”.                                                                                                                                                       
Uso la maglietta come straccio, la immergo delicatamente nell’acqua e la spremo sopra al suo corpo, procurandogli brividi. Non si sveglia però, e questo mi fa capire quale stanchezza deve star impedendo i suoi movimenti.                                                                 
Deve essere sceso dal treno di nascosto, più o meno vicino al distretto 11 e non poche ore fa. Il motivo di questo gesto mi è ancora sconosciuto però. “Forse gli mancavo e voleva vedermi” penso io. “No” mi contraddico “Lui non farebbe mai una cosa simile, lui non avrebbe mai e poi mai lasciato il treno per un capriccio”. E allora perché? Avrá saputo che sono incinta?                                                                                                                             
Panico. Lui non dovrebbe essere qui eppure è così, ed io sono incinta. Non c’è altra spiegazione.                                                                                                                                             
All’improvviso sento dei passi dietro di me, avvicinarsi piano piano. Afferro la ciotola(devo pur avere un’arma con cui difendermi)  e mi giro rapidamente. La ciotola colpisce con successo la testa dell’uomo a pochi passi da me, e per un momento mi sento davvero piena di me. Certo, finché non vedo che l’uomo è Gale.
Anche con lui il mio primo istinto è quello di picchiarlo a sangue, ma di abbracciarlo e baciarlo non se ne parla. Ho avuto troppo fuoco e sorprese per un giorno solo. Adesso ho due corpi stesi incoscienti e immobili al mio fianco, fantastico. Chiunque passi di qui penserà che sono un’assassina. Ed inparte lo sono. 
                                                                                                          

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Annie POV

Mi sento in colpa, non lo nego. Katniss non doveva sapere di essere incinta in modo così brusco, insomma non bisogna mai bere il brodo di pesce caldo tutto d’un fiato.                               
-Johanna, non era il modo più indicato per dirlo!- dice Effie sventolandosi la mano sul viso.      
-Oh ma smettetela, qualcuno doveva pur dirlo. Sarebbe stato brusco comunque!- protesta Johanna. Rimaniamo in silenzio, perché è la verità, sarebbe stato un brutto colpo anche senza l’aiuto di Johanna. All’improvviso si sente un rumore come di una porta aperta dall’altra parte del telefono, così forte da farmi sobbalzare.                                                                   
-Ma che cos...Finnick? Si può sapere cosa diavolo ci fai in camera mia?-                                 
Mi crolla quasi il telefono dalle mani al suono melodioso che quel nome mi provoca.                   
-Finnick? Si può sapere cosa ci fai da Johanna?- dico con una punta di gelosia nella voce.                       
-Annie! No, hai capito male c’è una notizia terribilie che devo darle...non puoi pensare davvero che io...-                                                                                                                                             
-Non dirmi cosa devo o non devo penare Odair!- lo interrompo brusca. Sento il telefono passare nelle mani di Finnick, con il sottofondo delle imprecazioni pocho fine di Johanna.             
-A quanto pare non ti fidi abbastanza di me, Cresta!- mi dice, rimarcando l’ultima parola con lo stesso tono usato da me poco prima.                                                                                  
-Non credo di meritarmi questo atteggiamento, Odair. Non sono io che sono nella camera di un’altra persona!-                                                                                                                     
Sento il sospiro offeso di Finnick, pronto a controbattere ma la conversazione viene di nuovo interrotta.                                                                                                                                          
-Smettetela voi due, non vi sopporto più!! Finnick, ora dimmi cosa diavolo ci sei venuto a fare qui!!- dice Johanna.                                                                                                                                      
-Peeta si è perso. Non è più dentro il treno- dice infine.                                                                                    
Effie trattiene a stento un’urlo, io faccio cadere di nuovo il telefono e Johanna impreca con un:                                                                                                                                                                        
-Porca merda!-

Peeta POV

Apro gli occhi con tanta difficoltà, e sento il freddo farmi accapponare la pelle. Non sono più rannicchiato nell’angolo dellea casetta, ma steso nella neve. Potrei essere morto, eppure qualcosa(non so cosa) mi dice che non è così. Forse è perché sento ancora il freddo della neve sciolta sulla schiena ed il calore di una persona distesa accanto a me. Quando cerco di alzarmi la testa mi gira.                                                                                    
-Non farlo. Peggiorerai solo le cose- mi dice la voce di Katniss. Katniss? Cosa ci fa qui Katniss?                                                                                                                                                      
Mi alzo di scatto facendo esattamente cosa mi era stato proibito di fare. Una fitta alla testa mi fa gemere dal dolore, e gli occhi grigi di Katniss si incontrano ai miei.                                     
-Ti ho detto di stare fermo- taglia corto lei, senza dolcezza né delicatezza, obbligandomi di nuovo a stare disteso sulla neve.                                                                                                       
-Cosa...cosa ci fai tu qui Katniss?- domando. Ha indosso un maglione logoro e pieno di polvere con sotto dei pantaloni nelle stesse condizioni. Ricordo vagamente di aver visto quei vestiti dentro la casa vicino al lago e di aver pensato di mettermeli, ma la mia forza fisica mi aveva abbandonato già chilometri prima.                                                                                
-Io? Si dà il caso che io tutte le mattine passeggi per il bosco, Peeta. La vera domanda è...cosa ci fai TU qui e non a Capitol City?- ribatte brusca.                                                                 
Cosa dovrei rispondergli ora? “Ma niente Katniss, volevo solo proteggerti dal tuo vecchio amico che ti ha delusa uccidendo tua sorella, ma adesso vedo che va tutto bene quindi...cosa vuoi che faccia oggi per cena tesoro?”                                                                         
No, mi sembra ridicolo dirgli la verità, ma anche mentirgli è assolutamente fuori discussione. Ci vuole una via di mezzo.                                                                                                         
-Ho fatto un capriccio. Non volevo andare senza di te, non volevo rinunciare a  vederti tutti giorni e in preda alla disperazione sono scappato via- butto fuori. In fin dei conti è vero, la sua mancanza mi doleva moltissimo.                                                                                                     
-Quindi tu non sei andato a Capitol nonostante il tuo ruolo importante davanti ad un problema solo perché volevi vedermi-                                                                                              
Mi guarda con faccia disgustata, un’espressione velenosa, qualcosa di mai visto prima. Con voce appena percettibile rispondo con:                                                                                                
-Si-                                                                                                                                                                                     
-Adesso ti odia di sicuro- dice una voce alle mie spalle. Mi giro e vedo la faccia sfrontata di Gale fissarmi divertito.                                                                                                                                                       
-Tu non parlare Gale, io non lo odio- ribatte Katniss.                                                                               
-Che...che ci fai tu qui, si può sapere?-                                                                                                        
-Vorrei tanto saperlo anche io-                                                                                                                
-Dopo che Katniss mi ha gentilmente cacciato da casa sua, non sapevo dove andare quindi sono venuto qui- risponde Gale con faccia annoiata. Non mi ricordo di aver mai sentito parlare di questo posto però, almeno non da Katniss, e sapere che lui ne è a conoscenza al posto mio mi fa venire una punta di gelosia.                                                                     
-Siete odiosi, tutti e due. Sapete cosa? Sono stanca. Di tutto. Sono stanca di non capire e di non essere capita. Sono stanca di non riuscire mai ad addormentarmi senza la persona che amo al mio fianco. Sono stanca di non essere una persona fidata per TE Peeta Mellark, perché sai, io non sono stupida e so che quando ti sei accorto che Gale non era più dentro il treno per Capitol hai pensato il peggio e sei corso qui. Sono stanca del tuo cinismo e della tua insensibilità Gale Hawerthorne. Sono stanca ok? Ed è per questo che ora voglio solo abbandonare quel tutto che non riesco a sopportare- dice con le lacrime agli occhi. La guardo con disperazione, perché mi sento distrutto a vederla piangere, ma a quanto pare a lei non interessa. Ormai non conta più niente.                                                              
-Catnip...-                                                                                                                                                                  
-Non osare chiamarmi così Gale, non ne hai il diritto- lo interrompe.                                                             
-Katniss io non...- cerco di parlare ma vengo anche io interrotto.                                                                          
-Stop! Non voglio sentire nessuno di voi due, d’accordo?-                                                                                                                 
E detto questo si volta e corre via, dandoci le spalle come se fossimo solo un brutto ricordo.        
                                                         
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Katniss POV

Non posso fare a meno di pensare che, adesso che sono finalmente fuori dal bosco, a centinaia di kilometri da Peeta e Gale, sarebbe tremendamente sbagliato tornare a casa nel Villaggio dei Vincitori. Sono così piena di domande su di me, su Peeta, e si anche su Gale, domande che riempiono la mia mente di una fitta foschia. E così non mi rendo neanche conto di stare già camminando, e di essere davanti all’entrata del Forno. Mi è già successo due volte in una stessa giornata, di stare in un limbo di pensieri così intenso da farmi fare cose inconsciamente. Entro, e trovo lo stesso ambiente familiare di sempre, solo che senza il movimento di una volta. Il distretto 12 non ha più la gente per fare un vero e proprio “Forno”. Le attività illegali si fanno ancora ovviamente, solo che senza la necessità di prima. La gente rimasta ha tutto il cibo che le serve, carne, legumi e anche del pane fresco, cosa completamente impensabile prima della rivoluzione.                                                                                                                                       
All’improvviso un odore ristoratore mi avvolge delicatamente, prendendomi di sorpresa. Ed ovviamente appena mi giro vedo Sae La Zozza intenta a girare con il suo mestolo centenario una zuppa in un’enorme e vecchio pentolone.                                                                                              
-Ciao zucchero! Che ci fai da queste parti?- mi domanda con la sua voce gracchiante.                         
-Tesoro, lo sai che stai tremando?- continua senza lasciarmi il tempo di rispondere -Con questo inverno non puoi mica andare in giro con solo un maglione di lana! Dai siediti e mangia questa zuppa di cervo, ti fará sicuramente stare meglio- mi dice. Prendo una sedia da uno dei tavoli sporchi e mi siedo, aspettando ansiosamente. Con tutto quel via vai, con le discussioni ed i pensieri, non mi ero accorta di quanta fame avevo. Il vomito di poche ore fa mi ha disidratata parecchio. Mi sembra strano, da quando ho saputo di essere incinta fino ad ora è come se fosse passata un intera settimana.                                                                           
Con il mestolo Sae aggiunge un’po’ di zuppa ad un piatto e della carne di cervo rossa ed invitante. Comincio a divorare tutto a cucchiaiate ed in meno di due minuti ho già finito.                                                                                                                    
-Katniss, sembra che non hai mangiato da mesi. Manco fossi incinta tesoro!-                                                      
E questo momento è troppo veloce per essere descritto.                                                                                                   
Io la guardo.                                                                                                                                                    
Lei mi guarda.                                                                                                                                 
Io abbasso lo sguardo.                                                                                                                              
Lei si tappa la bocca per non scacciare un’urlo.                                                                                                                                                  
-Oh...scusa zucchero, non credevo che... Peeta, giusto?- mi domanda sussurrando, come se ci fosse un’orda di persone in ascolto al posto di una sala deserta e piena di sporcizia.                                                                
-Si. Chi vuoi che sia?-                                                                                                                                           
-No, niente volevo solo essere sicura. Sai Gale è passato di qui, mi ha pure portato un sacco di carne di cervo e due scoiattoli belli grossi- mi dice sorridendo.                                                                
-Non voglio parlare di Gale in questo momento...-                                                                                         
Questa frase però mi fa riflettere. Non ha perso le vecchie abitudini a quanto pare, e la cosa mi fa  sentire un’po’ in colpa e non so perché.                                                                                                     
-Allora, spiegami Katniss, qual è il problema? Insomma, Peeta ti ama, ti protegge, ti coccola e non prova niente tranne che amore per te. Amerà quel bambino tanto quanto sono sicura che lo amerai tu. Ti immagini? Avrá i capelli biondi di Peeta, i nostri occhi grigi, mangierá l’ottimo pane di Peeta e le mie ottime zuppe di scoiattolo e verdure. Saprá cacciare nei boschi, pescare nei mari come Finnick e tante altre cose bellissime. Sarà una nuova splendida avventura, non uno disastro. E se proprio non sei convinta, consideralo come un terrificante, spaventoso ma splendido disastro. Non abbatterti Katniss, sei più forte di un’esserino di appena poche settimane-.                                                                                                     
Rimasi in silenzio, assimilando le sue parole e cercando di trovare qualcosa di sbagliato nel suo discorso, invano.                                                                                                                  
-È venuto. È sceso dal treno perché si era reso conto che Gale non c’era più ed ha camminato fino...bé fino a casa- dico di getto.                                                                                                                    
Sae scoppia così in una risata fragorosa, dando colpi sul tavolo ripetutamente. Con l’età che ha c’è il rischio che le venga un infarto, ma a quanto pare lei non se ne preoccupa affatto.                                                                                                                                                        
-Quel...quel ragazzo un pezzo di PANE- dice, ridendo della sua stessa battuta. Dopo un’po’ la sua risata contagiosa mi convolge e comincio a ridere sommessamente pure io.                 
-Devo andare a parlargli secondo te?- le domando.                                                                           
-Bé mi sembra ovvio no? Non vuoi mica rompergli le uova nel PANIERE!- disse ridendo di nuovo a crepapelle. Quelle battute erano proprio da Sae, una donna che nonostante guerre, ribellioni, devastazioni e mietiture sta ancora qui, a ridere di cose senza senso e a fare zuppe e brodi di carne imprecisati.                                                    
-Prima di andartene però- mi dice interrompendo i miei pensieri -Mangia un altro piatto della mia calda ed invitante zuppa, ti fará bene. Prendine un’po’ anche a portar via se vuoi, zucchero-                                                                                

Peeta POV

Odio non sapere cosa dire. Di solito sono bravo con le parole ed i discorsi, non per fare il modesto è chiaro. Con Katniss però non ho mai creduto davvero di poter mettere in pratica questa abilità, perché ogni cosa che le dico non è assolutamente costruita e nemmeno pensata, tutto viene da me e da ciò che sento per lei ogni giorno della mia vita. Oggi sono rimasto muto ed impotente facendo i conti con i miei sbagli davanti a Katniss, che mi comunicava con gli occhi la sua delusione, ed è ciò che più mi fa male in questo momento. Il fatto di averla delusa. Sono quindi seduto sulla neve bagnata, con in mano una mia vecchia maglietta piena di macchie di vomito, senza saperne neanche il motivo. Katniss l’ha portata qui? Se sí, perché è piena di questi aloni gialli? Sta bene? Sta male? Deve dirmi qualcosa?                                                                                                           
Domande senza risposta, che mi fanno diventare paranoico e senza via di uscita. Non capisco cosa sia la cosa migliore, se assecondarla e lasciarla sola o andare da lei e cercare di parlarle nonostante il suo esplicito ordine di allontanarmi per un’po’. Adesso tutto mi sembra un ammasso di estrema confusione, una cloaca di negatività assoluta e di delusione di me stesso.                                                                                                            
-Pensi di restare qui finché non ti si congelerà il sedere? Davvero pensi di risolvere qualcosa così?- mi dice all’improvviso Gale.                                                                                           
-Tu non parlare. Hai già fatto troppi danni per un giorno solo- gli rispondo con un moto di rabbia.                                                                                                                                              
-Senti Peeta, se non vai tu da lei ci vado io-                                                                                                                   
-TU non ci andrai da lei- dico alzandomi di scatto -È mia moglie non la tua, mi sembra ovvio che ci andrò io per primo. Poi se lei vorrà le parlerai anche tu, solo ed esclusivamente per chiederle scusa- chiarisco bruscamente.                                                                         
-Sai Peeta, mi stai molto più simpatico da quando non sei così coglione- mi dice con il solito sguardo arrogante.                                                                                                              
Non faccio caso al suo inutile commento, lo so che è per farmi arrabbiare. Da quando sono stato depistato a causa di quegli orribili mesi di tortura a Capitol City ho tanta di quella rabbia dentro. Sono meno calmo, più nervoso e alcune volte mi spavento anche solo per un rumore forte come una porta che sbatte o una persona che tossisce. Sono cambiato, e la cosa mi addolora, soprattutto perché so che nonostante cerchi di sforzarmi non sarò mai lo stesso ragazzo del pane agli occhi della gente, anche da quelli di Katniss.                                       
-Ti vuoi muovere o aspetti che ti escano i capelli bianchi- mi dice destandomi dalle mie riflessioni, dai miei ricordi e dalle mie paure. Mi alzo e comincio a correre, con chissà quale forza. Il fatto di obbedire a Gale non mi consola, anzi mi infastidisce parecchio, ma se è per vedere Katniss allora sono pure disposto a baciargli i piedi.                                        
Quando arrivo a casa ed apro la solita porta grigio scuro sento uno strano odore di zuppa, tipo quelle di Sae la Zozza. Ansimante mi dirigo verso la cucina, con i bicipiti ed i quadricipiti pulsanti, e lì la trovo, seduta sopra il mio tavolo da lavoro e con i mano un coltello per il pane. Ha un’aria pensierosa, come se quell’oggetto significasse qualcosa di più di un coltello. Ed è così bella, con il viso corrucciato, i denti che mordono l’interno della bocca, tutte cose che fa quando è estremamente nervosa o preoccupata. Mi raccontò una volta che nei primi Hunger Games si era morsa così tanto quell’interno da far uscire sangue a fiotti. Non voglio che ora però, succeda lo stessa di quella volta. Ogni cosa che fa male a lei automaticamente fa male anche a me, è così che vanno le cose.                                                         
-Katniss.- decido di parlarle, con voce tremante e roca. Lei però non si smuove da ciò che sta facendo, e mi preoccupa.                                                                                                        
-Katniss!-                                                                                                                                        
-Eh?...Oh, sei tu- dice abbassando lo sguardo. Non so cosa dirle adesso. Un mi “dispiace” non basterebbe, neanche un “scusa”, no non basterebbe niente in questo momento.                  
-Ti avevo detto di non cercarmi, che volevo stare sola, che volevo abbandonare tutto. Che ci fai qui ora?- mi chiede, senza distogliere lo sguardo dal coltello. Vorrei tanto che lo abbassasse, che lo rimettesse apposto, così non c’è il rischio che perda un occhio o un dito della mano.                                                                                                                           
-Lo so.- dico, deglutendo leggermente -Ma non mi sembrava giusto, sia nei miei che nei tuoi confronti, ecco.-                                                                                                                                      
-Io ti amo- dico infine, dopo un soffocante silenzio -E non ti lascerò andare, mai. Voglio restare nella tua vita, anche se non vuoi. Capisco se vuoi che me ne vada, che non hai più fiducia in me, che non mi vuoi più e tutto il resto ma...-                                                                                                                                                
All’improvviso mi salta addosso circondandomi la vita con le sue esili gambe, e preso di sorpresa quasi perdo l’equilibrio.                                                                                                      
-Zitto- mi sussurra. Faccio come dice, ovviamente, e dopo un bacio passionale e disperato, saliamo le scale e facciamo ciò per cui noi due siamo stati creati: Amarci.                                                     
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Scusate per il ritardo, davvero mi inginocchio per chiedervi perdono ma ho avuto molti problemi(sia scolastici che familiari) e non ho potuto aggiornare. Inoltre é il penultimo capitolo della storia e non volevo che finisse cosí rapidamente*eheheh*. Vabbé vi lascio al capitolo, ciao!
AngyHufflepluffLewis 

Katniss POV
Mi sveglio grazie alla luce del sole che dalla finestra punta direttamente verso i miei occhi, accecandomi leggermente. La mia testa è delicatamente appoggiata nel petto nudo di Peeta, che dorme tranquillo e mi accarezza i capelli sudaticci con il suo respiro continuo. Ho addosso solo un lenzuolo, lui pure, e quando mi rendo conto di ciò che ieri sera abbiamo fatto, arrossisco vistosamente. Ogni volta mi sembra sempre la prima, e soprattutto, sempre la migliore. I suoi capelli biondi sembrano quasi dorati a contatto con il sole, il suo dolce viso sereno mi fa pensare che non c’è niente di più bello al mondo.  Scendo dal letto cercando di far meno rumore possibile, indosso la mia vestaglia e poi vado in bagno, camminando in punta di piedi. Mantengo a stento le risa quando allo specchio vedo i miei capelli disordinati, il collo pieno di lividi rossi ed il viso accaldato.                                                                                                                          
“Ti sei divertita eh, Katniss?” penso tra me e me, sorridendo ancora.                                                                                
Entro nella doccia e l’acqua fredda mi accarezza la pelle ardente, e subito mi ricordo di non aver ancora messo la crema anti-erosione che mi hanno mandato per le vecchie bruciature, ma non mi importa. Tutti i problemi mi sembrano futili, quelli che prima mi tenevano così in ansia, per ora, sono scomparsi.                                                                       
Peeta mi ama, mi vuole bene e che solo Dio possa affermare il contrario!                                             
Mi sento stupida, una ragazzina di quindici anni che scopre che il ragazzo che le piace ricambia, ma penso sia normale. Mi sorprende sempre, il modo in cui Peeta mi ama. Scopro ogni volta più sfaccettature del nostro amore, sempre più intensità.                                
E mentre ripenso a tutte le cose che abbiamo fatto insieme, tutto il dolore che abbiamo provato entrambi, i mondi che abbiamo visto crollare e le vite che abbiamo visto cadere... Bé, mi sembra assurdo anche solo pesare di affrontare un’altra avventura senza di lui, senza il suo appoggio.                                                                                                                               
All’improvviso però una fitta dolorosa alla pancia mi fa stringere i denti e gridare, facendomi crollare a terra sotto il getto dell’acqua della doccia che mi impedisce la vista. Ancora quel dolore, ancora quella sensazione di venir prosciugata da dentro e di avere la punta di un coltello dritta nel cuore e nella gola. Urlo ancora, mi tengo la pancia tra le mani come se potesse solo minimamente alleviare il male. Inevitabilmente sento il rumore metallico dei passi di Peeta, e in poco tempo il suo volto mi si presenta davanti come ancora di salvezza.                                                                                                                             
-Katniss!-                                                                                                                                
Prova ad afferrarmi e a portarmi di peso fuori dalla doccia, avvolgendomi con un asciugamano, ma io li faccio segno di no. Ho paura di vomitargli addosso e il mal di pancia sta passando lentamente, anche i tremori ed i singhiozzi. Mi accascio a terra perché non ho più la forza di stare seduta con la schiena dritta, ma Peeta mi afferra di nuovo con le sue braccia possenti e familiari e mi avvolge, cullandomi e baciandomi la fronte sudata.                     
-Mi sei mancato...- sussurro debolmente.                                                                                                        
-Mi sei mancato...-                                                                                                                                           
E appena chiudo gli occhi, mi addormento stanca e tremante, lasciando che la pelle calda di lui mi intiepidisca.                                                        

Mi sveglio di nuovo tra le coperte calde, questa volta però senza Peeta al mio fianco. La mia testa pulsa dolorosamente, mi sento debole e non tanto sicura di ciò che mi è successo prima di adesso. Sento la porta cigolante aprirsi.                                                                                                              
-Buongiorno a te, bella addormentata-                                                                                        
Il viso di Peeta mi si presenta davanti agli occhi, accogliente e rassicurante , insieme a lui un vassoio pieno di croissant ed un bicchiere colmo di spremuta d’arancia. Tutte queste delizie emanano un profumo inebriante e il mio stomaco di conseguenza brontola. Peeta si siede di fianco a me, sul letto, e mi aiuta a sedermi, vedendomi in difficoltà. Appoggia il vassoio sulle mie gambe, e quasi immediatamente io comincio ad ingozzarmi.                                                                            
-Cosa è successo?- chiedo dopo aver mangiato metà dei croissant. Lui mi guarda preoccupato, e mi dice:                                                                                                           
-Questo dovrei chiedertelo io a te. Cosa ti è successo in questi ultimi giorni Katniss? Che hai?-                                                                                                                                                           
La realtà mi piomba addosso, e mi ricordo di tutto, anche le cose che vorrei dimenticare.              
Lui non sa. Non sa che ho un bambino in grembo, non sa cosa voglio fare di lui, e in verità non lo neanche io. Adesso però è ora di parlare, dopo due giorni durissimi che sono sembrati settimane, devo smettere di nascondermi dietro bugie e dubbi. E mentre penso tutto questo, sorpresa sorpresa, Peeta mi sta già baciando. È un bacio semplice, inaspettato e meraviglioso, senza un perché. Forse la mia faccia non era delle migliori, forse mi ha letto nel pensiero, più o meno come fa sempre.                                                                                                                
-E questo per cos’era?- dico ridendo all’improvviso. Ogni volta che Peeta fa queste cose, semplici e genuine, mi sento come se avessi proprio i diciannove anni che in teoria ho, ma che in pratica non sento di averne .                                                                                                                                      
-È un modo per dirti che qualsiasi cosa sia successa, io sono con te. Non voglio obbligarti a dirmi niente però voglio che tu sappia che sono disposto ad aiutarti, che voglio solo aiutarti- mi risponde.                                                                                                               
Ed è ciò di cui ho bisogno, penso io. Sicurezza. Vicinanza. Amore. Il suo amore.                          
-Peeta...-                                                                                                                                                            
-Capisco se non vuoi parlarmene, forse non ti fidi più di me, e ti do piena ragione. Quello che ho fatto...- mi interrompe lui, frettolosamente.                                                                                        
-Peeta ascoltami...-                                                                                                                       
-No, Katniss, ti capisco perfettamente se non vuoi dirmelo. Certo, un problema è sempre meglio condividerlo , ma non voglio obbligarti...-                                                                               
-PEETA!-                                                                                                                                                     
-Mmm, si?- mi chiede curioso, aggrottando la fronte in modo buffo. Faccio un ultimo respiro e...                                                                                                                                              
-Sono incinta.-              

Peeta POV
Non riesco ad esprimere in parole ciò che sto provando ora, forse perché non c’è nemmeno un numero abbastanza grande da riassumere il turbine di emozioni che senza senso mi pervadono la testa. Senza senso perché ancora non ho capito la situazione. Con quel briciolo di stabilità che mi è ancora rimasta in corpo ho la forza di chiedere:                           
-Abbiamo...abbiamo fatto un...un bambino?- balbetto io.                                                                            
E quando vedo che lei annuisce, abbassa lo sguardo e tocca inconsapevolmente la sua pancia, un’po’ come a dire “Non siamo soli in questa stanza”, in quel momento mi rendo conto. Sono diventato padre. Ho un figlio. Da Katniss.                                                                                                 
Quindi urlo, salto e scoppio a ridere con lo sguardo basito di Katniss su di me. Applaudo, la abbraccio, la bacio più e più volte. Corro per la stanza, comincio a sognare, comincio a crearmi un futuro. Insieme a lei, insieme al bambino.                                                                                   
-Sono diventato PADRE!- urlo estasiato.                                                                                                                             
E lei scoppia a ridere con me, mi guarda come se fossi un bambino che scarta i regali la mattina di Natale.                                                                                                                                 
Abbiamo un figlio. Ditemi se posso essere più felice di adesso.
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Scusatemi tanto per il ritardo, volevo aggiornare tipo tre settimane fa ma il computer era completamente andato e non c’è stato modo di ripararlo! Ecco a voi l’ultimo capitolo della storia, spero vi piaccia!
AngyHufflepluffLewis
 
EPILOGO
Il vento freddo mi scompiglia i capelli castani legati dalla solita treccia scomposta, il crepuscolo crea ombre curiose tra i pini e gli abeti della foresta e io sono seduta in questo tronco di cedro tagliato, profumato e straordinariamente comodo, pensando a quella che era, e che è, la mia storia. Non fa mai male, a mio parere, riflettere ogni tanto sul proprio percorso in questo mondo, vedere se il tempo che ci è stato concesso è stato usato nel modo giusto. E mentre vedo mia figlia correre leggera tra le foglie secche di inizio autunno, danzare insieme al vento che le smuove e ridere allegramente, in questo momento, mi rendo conto che il mio tempo non è mai stato usato meglio. Non è possibile comprendere quanto la mia bambina possa avermi cambiato la vita, così come è difficile capire l’amore incondizionato che provo per lei. Non è paragonabile all’amore che provo per Peeta, o per la mia piccola Prim e per Rue. Insomma, mia figlia è unica e speciale, e alcune volte la paura che le possa succedere qualcosa di male mi distrugge dentro.   
Ora come ora penso che, come potrei chiedere una vita migliore di questa? Come potrebbe andare meglio?                                                       
Insomma, sarebbe assolutamente pretenzioso da parte mia chiedere di più di quello che già ho, cercare la felicità quando ce l’ho già davanti ai miei occhi.                                                                                                                              
E poi io ho preso parte a così tante realtà.                                                                           
Ho visto la morte più e più volte.                                                                               
Ho visto il male secondario infondere valori raccapriccianti e tirannia tra la popolazione.                                                                                                              
Ho visto decisamente troppo.                                                                                                               
Ma guardate ora, io e il mio ragazzo del pane felici come non mai, insieme alla nostra bambina, nonostante le cicatrici profonde del nostro passato che ogni giorno si fanno sentire, in un modo o nell’altro.                                                                                                         
All’improvviso sento Peeta al mio fianco, seduto sull’erba alta e incolta, che mi guarda chiedendosi probabilmente cosa mi passa per la testa. Mi giro verso di lui e un sorriso mi spunta automaticamente in viso, come d’incanto. La sua presenza è sempre più essenziale per me. A volte il mio ruolo di madre viene sopraffatto dal mio egoismo, dal mio voler scappare da tutto e da tutti, dai miei incubi, e ogni qual volta mi succede Peeta mi fa reagire e mi aiuta come sempre a non farmi annientare dalla parte buia di me.                                                                                                                                  
-Non è meravigliosa, Katniss?- mi dice, interrompendo i miei lungi pensieri e osservando la nostra piccola creatura saltare e giocare in lontananza.                                                                                                                 
-Alcune volte penso di non meritarla- mormoro io, abbassando di conseguenza lo sguardo. Dopo un lungo silenzio, continuo:                                                           
-Penso che quei suoi capelli biondi cenere, i suoi begli occhi grigi così simili ai miei, sono troppo per una persona come me. In lei vedo la tua stessa automatica gentilezza verso il prossimo e il mio temperamento, vedo la leggerezza di Rue e colgo nella sua voce il tono con cui Prim mi parlava una volta, vedo pura bellezza. È tremendamente fragile la mia bambina, ma anche straordinariamente forte. Un’po’ come le piume. Al primo impatto sembra come se potessero spezzarsi da un momento all’altro ma in realtà sono molto di più. Hai mai provato a spezzare una piuma? L’hai vista volare, l’hai ammirata, l’hai amata e l’hai vista con nostalgia andare via trasportata dal vento, non hai mai fatto niente per eliminarla. E sai perché? Per quanto c’è di bello in quel bianco candido, in quella delicatezza indistruttibile. E lei è così. È lei è vulnerabile ma, troppo bella per essere distrutta-                                                                                                              
Peeta mi guarda per un attimo sorpreso, stupito da ciò che ho appena detto, poi mi sorride come solo lui sa fare e mi dice:                                                             
-Poi mi chiedi perché ti amo così tanto, sei meravigliosa.-                                                                     
E nell’accecante bellezza della parola “amore”, lui mi posa una dolce e lento bacio, quelli che fanno letteralmente invidia al mondo, assaporo le sue labbra colme del suo calore e della sua soavità, metto le mani tra i suoi morbidi capelli biondo cenere striati di grigio e mi godo questo momento in cui sembra che esistiamo solo io e lui, nient’altro che noi.                                                                                                                                            
-Mamma, Papà per favore basta!- dice una vocina candida, che buffamente si copre gli occhi con le manine ancora piene di fango. Entrambi la guardiamo sorridendo, quanta innocenza in un essere così piccolo!                                                  
-Capirai quando sarai più grande paperella- le dico io, dandole un buffetto affettuoso sulle guance rosee dal freddo gelido.                                                                    
-Io non credo che farò mai una cosa del genere, e anche Elias è d’accordo con me!-                                                                                                                  
Io e Peeta scoppiamo a ridere, e lei come al solito ci fa il broncio che dura più o meno fino a quando non trova un altro argomento di cui parlare. È quello il bello dei bambini, si scordano facilmente dei problemi e delle litigate, non riescono ad evitare di essere felici. -Su, basta con le chiacchiere, dobbiamo tornare a casa dolcezza, si sta facendo tardi- afferma Peeta prendendola in braccio e posandola sulle sue possenti spalle. Nonostante le sue proteste riusciamo ad incamminarci, nel mentre la mia bambina mi mostra tutte le foglie aranciate e le piante secche che ha raccolto, mi racconta come alcune di quelle siano presenti nel libro che un tempo era di mio padre e che io e Peeta abbiamo deciso di continuare. Arriviamo nel confine tra la folta foresta e il distretto 12, ormai senza la recinzione elettrificata. Il distretto è stato quasi completamente ricostruito, gli edifici sopravvissuti al bombardamento sono stati ristrutturati, le bombe non esplose rimaste ancora libere per le strade sono state eliminate, la scuola è stata riaperta e nonostante niente sia come prima, è comunque meglio della tristezza che emanavano le macerie e i resti di ciò che era stata la rivoluzione.                                                          
Appena arriviamo al Villaggio dei Vincitori vediamo Haymitch che cammina avanti indietro per il vialetto, il viso caratterizzato dalla sua solita espressione annoiata e adirata, con la boccetta di whisky incendiario svuotata completamente.                                                                                                        
-Zio Haymitch!-                                                                                                              
La mia piccolina scende dalle spalle del suo papà e corre ad abbracciare quella figura incavolata, nonostante i soliti grugniti di protesta.                                                                                    
-Hai di nuovo litigato con Effie, Haymitch? Non puoi mai dare pace a quella povera donna vero?- domanda Peeta, riprendendo tra le braccia la bambina.            
-È lei quella che non mi da mai pace, mica io! Non posso fare o dire qualcosa che quella testa calda subito mi sbraita contro! Basta io ho chiuso con quella donna!- dice sbiascicando le parole.                                                                                   
-Vedrai che fra un’po’ tornerai da lei di nuovo, strisciando e chiedendo perdono. Non puoi fare a meno di lei- dico io, guardandolo con aria di sfida.                                                  
-E tu cosa cavolo c’entri, dolcezza?                                                                                  
-Basta Haymitch, cerca di smaltire la sbornia e vedrai che si risolverà tutto come sempre!- esclama Peeta, dandogli una pacca poco gentile sulla spalla. Emette un altro grugnito in risposta, e poi si allontana camminando verso il Forno non prima di strofinare affettuosamente la testolina bionda della bambina e di lanciarmi un ultimo sguardo truce dettato dall’alcol.                                                               
Appena entrati in casa, la piccola corre subito a farsi un bagno e Peeta comincia a preparare la cena. Lui è così familiare ai miei occhi, la sua figura accovacciata davanti al forno della cucina, la mascella e i muscoli contratti e lo sguardo attento, in attesa delle sue deliziose focaccine al formaggio, non può essere più gratificante. Più o meno nove anni fa io vedevo in lui sempre una nota di amarezza all’ora dei pasti, lo leggevo nei suoi occhi ed era appena percettibile e subito cancellato dal suo solito sorriso. Sapevo, nonostante cercasse di nasconderlo, il perché del modo in cui osservava il terzo posto a tavola, un tempo sgombro. Ora invece non può essere più felice di vedere lei occupare quel vuoto nella sua vita, quella sedia mancante. Il suo viso si illumina ogni volta che lei gli chiede di disegnare qualcosa nelle sue torte, un cuore o un fiore avvistato nella foresta, o quando aiuta a preparare i biscotti all’essenza di primule o le focaccine.                                                                                               
E io non posso che essere grata a chiunque mi abbia mandato una creatura così meravigliosa che rende felice l’unica persona che abbia mai veramente amato e che amo, a farmi compagnia nel corsa ad ostacoli che è la vita e a farmi innamorare sempre di più della piega del suo sorriso sincero. Mi ricordo che nove anni fa io non mi credevo pronta, e anche prima ero sempre più convinta che non avrei mai avuto un bambino. Ma Peeta, con il suo amore, mi ha convinta ad andare avanti nonostante tutto, nonostante la mia riluttanza.        
La notte è ormai scesa, la luna argentea ha preso il posto del sole, gli alberi sembrano figure avvolte in mantelli neri, gli occhi cangianti dei gufi sembrano luminarie nell’oscurità e il silenzio regna, tranne che per i rimproveri di Effie e le bestemmie di Haymitch che, nonostante provengano dall’altra parte del villaggio, si sentono fino a qui. La bambina dorme beata, o almeno è quello che ci vuole far credere, ed io e Peeta stiamo insieme nel letto abbracciati aspettando che Morfeo ci accolga e sperando che gli incubi non abbiano la meglio su di noi. Parliamo, nell’attesa, di tutto quello che ci è successo durante il giorno, ci coccoliamo e ridiamo anche.                                                                                                
Dopo qualche tempo Peeta pronuncia l’ultimo “Ti amo, Katniss” del giorno, a mio parere quello più importante, e si addormenta. Io invece rimango sveglia, appoggiata delicatamente al suo petto che si alza e si abbassa regolarmente. Penso a questa vita come in un libro, non è né la fine né l’inizio, solo la parte della mia storia preferita, quella che vorresti rileggere più e più volte.              
Ci sono ancora tante di quelle sorprese da vivere, ma anche tante delusioni, tante frasi ancora da dire, tante scoperte da fare, come il fatto che sono incinta. Di nuovo. Ma ci vorrà tempo per questo, per la prima volta nella mia vita sento che non sto per morire da un momento all’altro, che posso fare e agire, dire e capire, e soprattutto amare, in tranquillità. Ed è una sensazione bellissima.                                                                                                     
Quindi questa sono io? È questa la vita? Domande come queste mi perseguitano.                                                                                                                                
Infiniti cortei di infedeli.                                                                                      
Città gremite di stolti.                                                                                                                
Che v’è di nuovo, che v’è di buono in tutto questo, o me o vita?                                  
Risposta:                                                                                                              
Che io sono qui, che la vita esiste e l’identità.                                                                                  
Che il potente spettacolo continua e io posso contribuire con un verso.                                             
Che il potente spettacolo continua e io posso contribuire con un verso.                   

Quale sarà il mio verso?
 
 
 
 
 
Allora innanzitutto voglio ringraziare l’unica persona per cui darei la vita, la persona più importante per me: mia sorella, che nonostante non abbia mai letto la mia storia(non volevo fargliela leggere u.u) mi ha sempre sostenuta. Poi voglio ringraziare una mia carissima amica, nonché la mia parabatai, Alice. Ti amo tanto, lo sai.                                                                                                       
Infine volevo ringraziare voi, miei cari lettori, che mi avete alzato l’autostima molte volte e mi avete fatto sentire speciale quando nessuno lo faceva. Non pensate di esservi liberati di me facilmente, io tornerò!*voce da cattivo disney*                                                               
Vi amo tributi, shadowhunters, nascosti, divergenti, velocisti e maghi(vi amo tutti)!                                                                                                                                
Dopo tutto questo tempo?

Sempre.    
AngyHufflepluffOdair                                                                                  

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