Hope And Destiny

di yelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Choiche of a New Life ***
Capitolo 2: *** This Is Not The End ***
Capitolo 3: *** I Will Survive ***



Capitolo 1
*** Choiche of a New Life ***


Lacrime come perle le illuminavano il volto. Scendevano lentamente sulle sue gote soffermandosi un attimo agli angoli della bocca prima di cadere e morire sulle sue ginocchia nude. Il viso era chinato, ma conoscevo bene i suoi lineamenti morbidi e delicati che rendevano belli quei suoi sorrisi tristi che tanto amavo. Quando alzò la testa e vidi le sue guance bagnate, mi innamorai di lei per la seconda volta nella mia vita.
Mi avvicinai a lei, cauto…lei sentì i miei passi e si voltò, donandomi il suo sguardo triste.
- Rei… - sussurrò sommessamente – abbracciami…- il tono era supplichevole. - Oh, Rei… non mi lascerai mai sola, vero?-
- No, Kira. Non ci riuscirei, lo sai –
La sua mano arrivò ad accarezzarmi la schiena, mentre le mie le accarezzavano i capelli. Uno strano silenzio calò su di noi: qualcosa non andava.
- Kira…-la guardai – cosa c’è?- Un muro di silenzio si alzò tra di noi prima che lei mi rispondesse: - Sono incinta .-
Ancora il silenzio calò dopo questa rivelazione, ma questa volta era carico di tensione. Kira era incinta. Incinta. Mia moglie aspettava un bambino NOI aspettavamo un bambino! Avevo la mente svuotata, non riuscivo a pensare ad altro che al bambino di cui ero improvvisamente appena venuto a conoscenza. Era stato un colpo inaspettato che mi aveva stordito, mi aveva tolto lucidità. Continuai a guardarla con uno sguardo che, capii, la spaventava. Cercai di dire qualcosa per rompere quel silenzio, ma non ci riuscii. Ci pensò Kira ad annullare quella tensione che si era creata tra di noi. Mi prese una mano e la appoggiò sulla sua pancia. In quello stesso istante mi sentii pervaso da un’ondata di calma e serenità. Lei continuava a guardarmi, ansiosa e preoccupata, in attesa di una mia reazione che le fosse facile comprendere. Le sorrisi, semplicemente. La presi in braccio e insieme tornammo a casa.

Il turbamento iniziò quella sera, mentre Kira era fuori a far la spesa. Un figlio. Mia moglie aspettava un bambino… Era normale che marito e moglie desiderassero un’eredità genetica, ma questo figlio era arrivato inaspettatamente, ed io non ero pronto ad un tale passo. Quando tornò, Kira vide il mio sguardo perso che rifletteva i miei pensieri.
- Rei…a cosa stavi pensando?- chiese preoccupata.
- A noi…al bambino…alla nostra vita…-
Lo sguardo di mia moglie era sempre più preoccupato. – Cosa intendi dire?-
- E’ chiaro cosa intendo, no? Insomma, che vita faremo noi tre?- stavo dando sfogo alle mie preoccupazioni - Io sono appena maggiorenne, e il mio lavoro non garantisce molto…- - Garantisce la felicità! – Era la prima volta che vedevo Kira scaldarsi così tanto – Di cosa hai paura, Rei? -
Strinsi la testa tra le mani…non sapevo cosa pensare, cosa dire… - Non ho paura! – sbottai – Mi sto solo preoccupando -
- Ma non delle cose giuste! – mi interruppe, ormai preda di un attacco d’ira.
La guardai stralunato – Le cose giuste? Quali sarebbero? La felicità che provo mentre corro? Ma lo sai che ogni volta che provo quella felicità penso anche che non potrei provarla più? Che potrei non tornare più a casa? -
Lei mi si avvicinò e mi accarezzò la guancia con la mano, lo sguardo afflitto: - Cosa credi che faccia ogni domenica mentre ti guardo impegnarti per vincere ogni volta? Penso a quell’angelo e a quel diavolo che convivono in ogni circuito…e prego…prego che sia l’angelo a sorriderti, prego che tu possa tornare a casa sano e salvo, e che continui ad essere felice, senza dovertene mai pentire! Ma se questo bambino – e nel dirlo spostò la sua mano dalla mia guancia alla sua pancia – se questo bambino per te è solo un peso, allora ho pregato per niente – concluse delusa.
Lasciandomi amareggiato e contrito se ne andò sbattendo la porta. Era la prima volta che lo faceva da quando ci conoscevamo. Ormai era diventata la Kira adulta che tanto era stata repressa. Ancora timida e impacciata, tra noi due si dimostrava invece come la più forte.
Mi alzai dal divano con l’idea di farmi una doccia, ma quando vidi le chiavi della mia Ducati mi venne un’irrefrenabile voglia di fare un giro in moto.
Pochi minuti dopo ero in strada. La mia moto correva sotto di me a 120 Km/h, ma ero solo all’inizio. Sentivo l’aria sferzarmi la maglietta: volevo correre sempre più veloce, correre e lasciarmi dietro i pensieri che mi affollavano il cervello. La moto rispondeva ad ogni mio minimo tocco: ora ero a 160, poi 180, 200… correvo come impazzito per le strade buie, male illuminate dalla luce artificiale.
Passai diverse volte con il semaforo rosso e più di una volta schivai per pura fortuna qualche passante ubriaco che attraversava la strada senza riguardarsi degli altri. Cercai di calmarmi e continuai a vagare senza meta per ore. Alla fine presi la direzione di casa, triste e stanco. D’improvviso vidi una figura umana attraversare la strada, ma ormai la stanchezza aveva offuscato la mia lucidità. La mia mente non rispondeva all’impulso di evitare quella figura. Sterzai all’ultimo momento, ma ormai era troppo tardi: colpii in pieno il malcapitato. Mentre ero ancora steso a terra udii le ruote di una macchina avvicinarsi: voltandomi ne vidi i fari farsi sempre più vicini. Cercai di alzarmi, ma la botta mi aveva intontito e il mio corpo non ne volle sapere: pochi secondi prima dell’impatto ebbi la certezza assoluta che la vettura non avrebbe frenato.

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Capitolo 2
*** This Is Not The End ***


Ho sentito parlare di gente che, mentre era in coma, sognava un buio tunnel e una luce lontana. Era vero. In quel sonno forzato vedevo la mia luce in fondo al lungo tunnel. Volevo raggiungere quella luce, ma più procedevo più mi allontanavo.
Fu, anche questa volta, Kira a salvarmi: la vidi in fondo al tunnel, la mano tesa verso di me, anche questa volta ad esortarmi di tornare a casa insieme a lei. Ma stavolta non fu così facile. Non riuscivo a raggiungerla….correvo, ma il buio rimaneva fitto e Kira si faceva sempre più lontana. Cominciai a sentirmi stanco e spossato: caddi non riuscendo a stare in piedi.Cominciai a sentirmi stanco e spossato. Ormai mi sentivo perso.
- Non è ancora finita – mi sussurrò Kira, apparsa improvvisamente al mio fianco. Mi tese di nuovo la mano e stavolta la afferrai. Con una forza che non sospettavo avesse mi alzò in piedi e mi baciò. Improvvisamente divenne tutto buio e persi ogni percezione di dove fossi.


Aprii gli occhi e mi ritrovai in una luminosa stanza che non conoscevo, bianca asettica, presumibilmente d’ospedale. La mia mente era annebbiata: faticavo a ricordare cosa mi avesse portato in quel luogo. Cercai di alzarmi a sedere, ma provavo un dolore lancinante al petto, per cui rinunciai. Rimasi sdraiato e chiusi gli occhi: ciò facilitò l’afflusso di immagini… un vicolo… il buio… la festa… cominciavo a ricordare…la sera del mio matrimonio… Riaprii gli occhi per far riposare la mente. Quando si aprì la porta rimasi a fissare il soffitto: la testa mi doleva troppo solo nel cercare di muoverla.
Il viso di Kira mi apparve davanti agli occhi. Le sorrisi, felice di vederla.
- Ciao – mi sussurrò sommessamente. Non le risposi, se non con lo sguardo. Tentai di sollevare la mano per accarezzarla, sentire la sua pelle sotto le mie dita… ma non vi riuscii.
- Che cosa c’è? – mi chiese mentre sedeva accanto a me.
- Dov’è… Makio? – le chiesi affannosamente. Respiravo a fatica.
- Makio Kirishima? Perché lo vuoi sapere? -
- E’ stato… lui… stato… -
- Lui? E’ stato lui a fare cosa? -
- Ad accoltellarmi! – dissi tutto d’un fiato. A quelle parole vidi una punta di preoccupazione nei suoi occhi. - Cosa c’è? – stavolta fui io a chiederlo.
- Cosa ti ricordi dell’incidente? -
- Non molto, in verità… Ricordo solo la festa, un vicolo buio… Makio ed un coltello..-
- Ma questo è l’incidente che hai avuto il giorno del nostro matrimonio… ed è successo più di sei mesi fa! - Rimasi allibito. Erano passati sei mesi dall’incidente, eppure io non ricordavo altro. Nella mia testa c’era solo il viso di Kirishima.
- Sei mesi fa… sei mesi? -
- Sì, ricordi? Hai subito un difficile intervento, ma sei sopravvissuto. E Makio è tornato in clinica senza memoria. -
- Come sono finito qui, allora? -
- Sei caduto dalla moto mentre sopraggiungeva una macchina che ti ha travolto. Sei rimasto in coma per due settimane con ferite che ti hanno dato seri problemi, ma per fortuna è tutto finito! – Kira mi abbracciò con un affetto così forte che riuscii a percepirlo a pelle.
Quando si staccò da me la osservai bene: era pallida e profonde occhiaie scure cerchiavano i suoi occhi rossi e gonfi. Era molto più magra di quanto la ricordassi e il suo sguardo tradiva la stanchezza che appesantiva il suo portamento. Venni intenerito al pensiero di quella figura apparentemente così fragile, ma in realtà così forte. - Davvero non ricordi niente? -
- Nulla… nella mia testa c’è solo buio completo… -
Kira mi dedicò uno sguardo che non riuscii a spiegare. – Ti lascio riposare, ne hai bisogno – disse. Quando si alzò dalla sedia scorsi sul suo volto una smorfia di dolore che cerco invano di dissimulare.
- Che cos’ hai? – Le chiesi preoccupato.
- Niente, non preoccuparti. – Mi sorrise – Riposati. Verrò a trovarti più tardi- Mi baciò e se ne andò.

Quella sera feci un sogno strano. Sognai di assistere ad un incidente. Mia moglie travolta da un motociclista. Venni svegliato da un rumore forte: Kira aveva appena rotto un bicchiere.
- S…scusami… non volevo svegliarti… -
- Non preoccuparti – le risposi, notando che la sua voce tremava. Alla luce del sole mattutino che faceva capolino dalla finestra vidi delle lacrime sulle sue guance. Le chiesi perché stava piangendo.
- Oh… - esclamò asciugandosele vigorosamente con la manica della maglietta – Semplicemente, ancora non riesco a credere di poter di nuovo parlare con te. Ormai i dottori avevano perso ogni speranza -
- Mai disperare -
- Già. E ora, fra qualche giorno, verrai dimesso e potremo tornare a casa… -
- E finalmente potremo sposarci in chiesa – aggiunsi io, felice.
Lei sgranò gli occhi: – Rei… non ricordi? Ci siamo sposati il 29 maggio… -
- Cosa? Ci siamo… siamo già sposati? -
Kira assentì.
- E io non lo ricordo… - sussurrai disperatamente.
- Rei, non preoccuparti: vedrai che la memoria ti tornerà, col tempo… devi solo avere pazienza!– mi guardava dolcemente, e io non me la sentii di creare ulteriori problemi. Sperai solo avesse ragione.

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Capitolo 3
*** I Will Survive ***


Lasciai l’ospedale qualche giorno dopo, costretto a trascinarmi con delle stupide stampelle. Le avrei gettate via immediatamente, ma Kira non me lo permise e, anzi, sembrò arrabbiarsi quando solo accennai alla cosa. Così lasciai perdere e utilizzai quello che secondo me era uno strumento di tortura. Kira, arrivati a casa, mi dedicò mille attenzioni mentre mi guardava con quegli occhi che emanavano una tristezza infinita, spiazzante e disarmante. La osservai con attenzione mentre cucinava per me: notai che la sua postura si era appesantita, come se sulle sue spalle fosse stato posto un altro peso che si aggiungeva a quelli che già portava. Era diventata più adulta di come la ricordassi.
Mi alzai per andare a baciarla, a godere di nuovo di lei, ma mi accorsi che qualcosa in me non andava… la mia gamba destra non sosteneva il mio peso… non so come, ma mi ritrovai disteso sul pavimento. Kira mi soccorse immediatamente con uno sguardo spaventato.
- Rei… che cos’ hai? -
- Non lo so… non sento più l gambe… non mi sorreggono più… -
Lei dolcemente mi tirò in piedi e mi sorresse sino al letto, dove mi buttai completamente vestito e mi addormentai.
Al mio risveglio mi accorsi immediatamente che avevo riacquistato sensibilità alle gambe. Kira dormiva seduta sul pavimento con la testa appoggiata sul letto. La mia mano stringeva la sua. La strinsi dolcemente e quel piccolo contatto la svegliò da qual sonno leggero in cui si era rifugiata.
- Buongiorno – mi sorrise – Come stai oggi? -
- Ragazza mia, non potrei stare meglio!- e con uno scatto repentino mi sollevai e la presi in braccio per poi sdraiarla sul letto.
- Allora, mia adorata moglie, cosa vuoi fare per iniziare bene questa giornata? – La mia era una domanda ironica in quanto mi aspettavo un’unica risposta, ma Kira non colpì il bersaglio.
- Sicuramente una bella colazione! – esclamò sgusciando via dal mio abbraccio – E tu faresti bene a farti una bella doccia: non la fai da almeno due settimane!- Mi fece l’occhiolino.
- E con questo cosa vorresti dire?- le chiesi mentre cercavo di afferrarla. Lei si rifugiò in cucina, ridendo. - A proposito – mi gridò – Ieri sera ho telefonato al dottore e mi ha spiegato che il tuo attacco è abbastanza frequente in un ragazzo abituato a fare sport e appena uscito dal coma. Non dovresti averne più -
Rimasi stupito dalla solerzia di mia moglie, dall’affetto che mi dimostrava. Davvero l’avevo fatta preoccupare così tanto?
- Mi ha anche chiesto – continuò poi, sempre urlando – della tua memoria. Come va? -
Già, la mia memoria. – Non lo so… non riesco a ricordare, ma il peggio è che non so cosa devo ricordare… - Lei tornò dalla cucina per guardarmi dritto negli occhi: - Non preoccuparti, vedrai che tornerà- Il suo tono era rassicurante, e questa volta ero certo che avesse ragione.

Quando uscii dalla doccia subito mi colpì il forte odore di bruciato.
- Kira! Cosa stai combinando con quella colazione? -
Mi vestii e seguii la puzza, entrando in cucina.
- Kira! – chiamai mia moglie con un filo di disperazione nella voce. Kira era sdraiata sul pavimento della cucina, priva di sensi. Il bacon stava bruciando nella pentola e le uova erano cadute, sporcando parte della cucina. Corsi da mia moglie e la presi in braccio. Continuai a chiamarla mentre la adagiavo sul letto. Le diedi dei bufetti sulle guance per cercare di farla rinvenire, ma invano. Il colorito del suo volto era pallido, cereo. Tornai in cucina a prendere i sali per farla rinvenire, ma qualcosa mi bloccò. Sul primo ripiano, perfettamente visibile, c’era un test di gravidanza che una scatola di sciroppo non riusciva a nascondere. Sembrava gettato lì di fretta, quasi a nasconderlo. Lo presi insieme ai sali e corsi in camera. Stavo per cercare di farla rinvenire ma, non so come né perché, guardai prima il test. Mi ci volle il foglietto d’istruzioni per scoprire che era positivo. Chiunque l’avesse fatto, era incinta. Non era difficile capire chi avesse comprato e fatto quel test. Mi immaginai Kira, la mia Kira tanto timida e impacciata, entrare in farmacia e chiedere un test di gravidanza. Mi misi quasi a ridere al pensiero della scena, ma mi fermai immediatamente. La mia Kira aspettava un bambino. Noi avremmo avuto un figlio. Ero perplesso.
Un gemito soffocato mi distolse da quei pensieri. Kira si svegliò e mi guardò. Aveva lo sguardo spento, fragile. L’impulso fu quello di abbracciarla, ma riuscii solo a sussurrarle: - Sei incinta… - Non era una domanda. Lei sgranò quei suoi occhi dolci, aprì la bocca e la richiuse subito dopo. Una lacrima amara e innocente… la vidi scendere lungo la sua guancia sinistra.
- Ehi… - cercai di rassicurarla – ehi, non preoccuparti… non devi aver paura… cresceremo nostro figlio, gli daremo un’educazione… crescerà felice con il nostro amore… -
Inspiegabilmente,lei scoppiò in un piano irrefrenabile che mi gelò il cuore e a cui non sapevo dare una spiegazione logica.
- Rei… - un sussurro impercettibile… altrettanto inspiegabilmente fu il mio nome sussurrato a bagnare le mie guance: mi scoprii a piangere nel vedere la sua espressione di disperata tristezza spegnerle il volto. La abbracciai e cercai di consolarla, ma invano: il pianto non accennava a spegnersi.
- Rei… - sentì la sua voce mormorare tra i singulti – ricordi la sera dell’incidente? -
- No… - le risposi triste.
- Quella sera te lo avevo confidato… -
- Che cosa? -
- La mia gravidanza. Te ne avevo parlato quello stesso giorno, ma la tua reazione è stata ben diversa… quella sera abbiamo litigato. – Capii che parlava a fatica, ma la lasciai continuare. Volevo, avevo il bisogno di sapere! – Quella sera mi feci arrabbiare e uscii sbattendo la porta. Vagai per la città con la mente non più lucida… quando arrivò la macchina non mi scansai e mi prese in pieno - I singhiozzi si facevano sempre più forti mentre una tremenda verità iniziava a far capolino nella mia testa, straziandomi il cuore.
- Sono rimasta in ospedale 5 giorni.. ma non c’è stato nulla da fare… -
Si staccò dolcemente da me, mentre con quegli occhi rossi di pianto mi rivelò: - Ho perso il bambino – concluse. La sua voce tradiva la disperazione che aveva nel cuore. La abbracciai di nuovo.
Non avevo la percezione del tempo. Rimanemmo immobili per diversi minuti, due anime ferite lontane dalla realtà e dal quel mondo che in quel momento ci sembrava così gelido. - E’ la più strana – sussurrò debolmente Kira – e la più pura delle cose, la sofferenza -
Non seppi rispondere.

Quella notte sognai di nuovo l’incidente che già avevo sognato qualche giorno prima. Kira stava attraversando la strada quando sopraggiunse una moto. Io, spettatore inerme, non potei far altro che guardarla essere travolta da quel motociclista. Vidi sopraggiungere una macchina a folle velocità dalla stessa direzione da cui proveniva la moto, il cui proprietario venne travolto dall’auto. Quando l’uomo scese dalla macchina e tolse il casco alla sua vittima vidi chiaramente quel profilo… quel ragazzo in moto ero io.
Madido di sudore mi risvegliai nel mio letto in una giornata splendente di sole. Kira dormiva accanto a me con un’espressione che sembrava quasi serena. Mi alzai, mi vestii e uscii di corsa. Vidi il profilo della mia moto, ma per la prima volta non ne volli sapere di usarla. Non dopo quello che era successo.

Ero stato io. Avevo ucciso io nostro figlio. Dio, perché era capitato proprio a noi? Non avevamo già sofferto abbastanza?
Vagavo per la città senza meta, con le lacrime agli occhi, mentre i passanti si voltavano a guardarmi, forse spaventati. Non me ne importava. I miei pensieri, il mio sguardo, il mio essere… il mio vivere erano solo per lei, la mia Kira. La mia Kira che continuava ad amarmi nonostante ciò che le avevo fatto. Non avevo dubbi: lei sapeva. E nonostante ciò i suoi sguardi per me erano d’amore, mai di dolore o di rimprovero. Ed io l’amavo. L’amavo per questo come solo un prigioniero poteva amare la libertà, come solo un condannato poteva amare la vita.

Raggiunsi il parco e vi entrai. Mi sedetti sulla panchina e lì vi rimasi, immobile, per tutto il giorno. Verso sera Kira arrivò, trafelata, ma felice nel vedermi.
- Rei! – mi gridò da lontano – Rei, cosa ci fai qui? Perché non sei tornato a casa? E’ tutto il giorno che ti cerco, ero preoccupata! -
- Perché mi ami? - Le chiesi quando fu vicina. Avevo bisogno di quella risposta, avevo bisogno di saperlo...
Lei mi guardò stranamente: non capiva la mia domanda. – Ti prego, rispondimi… -
Seppur sorpresa, mi rispose: - Ti amo per come sei, Rei. Così pieno di vita, allegro anche ferito nel profondo. E poi… mi hai accettata come sono… non ti aspetti nulla da me, ti basta amarmi. E per questo io ti amo. Lo sai perché sei l’unico uomo che non ho mai immaginato di uccidere? - La guardai.
- Perché conosci la disperazione. Conosci il dolore di una ferita che non può rimarginarsi – La fissai, grato di quelle parole. Non meritavo quell’amore così puro che Kira era disposta a donarmi, sempre e comunque. Le presi il viso tra le mani e le baciai la fronte.
- E lo sai io perché ti amo? –le chiesi – Perché il tuo è un amore sincero, puro. Mi ami per ciò che sono, nonostante tu conosca il mio passato. Non sono perfetto… anzi! Ho un sacco di difetti, ma tu mi ami per ciò che di bello c’è in me… e un giorno dovrai spiegarmi cos’è… -
Lei sorrise con un sorriso sincero come il suo affetto. - Riuscirai a perdonarmi? – le chiesi.
- Sai… avevo fatto un patto con te, due settimane fa: ti avrei perdonato se tu ti fossi svegliato…direi che il problema non sussiste più…. -
Tornammo a casa insieme, abbracciati mentre passeggiavamo per le strade della città. Molti si giravano a guardarci, ma a nessuno importava nulla di noi, e a noi non importava niente di loro.

Quella sera bruciammo la nostra passione. Incominciò una nuova pagina della nostra vita, e mentre la cullavo tra le mie braccia giurai a me stesso che quella stessa sera le avrei ridato ciò che le avevo portato via. Poche settimane dopo Kira mi avrebbe rivelato che avevo tenuto fede alla promessa.


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