Kimi Monogatari

di Vavi_14
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'inizio ***
Capitolo 3: *** Salite e discese ***
Capitolo 4: *** Un percorso a ostacoli ***
Capitolo 5: *** Novità ***
Capitolo 6: *** Melodia ***
Capitolo 7: *** Di palestre, sanguisughe vanitose e cugini gay ***
Capitolo 8: *** Incertezze ***
Capitolo 9: *** Incontri ***
Capitolo 10: *** Cambiamenti ***
Capitolo 11: *** Incidente ***
Capitolo 12: *** Perchè a noi? ***
Capitolo 13: *** La tirocinante ***
Capitolo 14: *** Solo un bacio...o forse due. ***
Capitolo 15: *** Un bicchiere di troppo ***
Capitolo 16: *** La telefonata ***
Capitolo 17: *** Una tempesta in arrivo ***
Capitolo 18: *** Il piano di Shisui ***
Capitolo 19: *** La storia di Aoko ***
Capitolo 20: *** Fine dei giochi ***
Capitolo 21: *** Nelle tenebre ***
Capitolo 22: *** Niente più bugie ***
Capitolo 23: *** La svolta? ***
Capitolo 24: *** Prendere o lasciare ***
Capitolo 25: *** L'ultimo giorno ***
Capitolo 26: *** Gatoo ***
Capitolo 27: *** Corsa contro il tempo ***
Capitolo 28: *** In ospedale ***
Capitolo 29: *** Watashitachi ***
Capitolo 30: *** Sayonara ***
Capitolo 31: *** Kimi Monogatari ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-Pronto, parlo con Itachi Uchiha?-

Itachi attese qualche secondo prima di replicare.

-Chi vuole saperlo?-

-Non importa. Chi tace acconsente, si suol dire. -

-Ma chi è lei?-

-Non occorre che tu lo sappia, Itachi. Ti basterà sapere che sono un'abile uomo d'affari e che non ti conviene metterti contro di me-

Itachi guardò in cima alle scale per assicurarsi che Sasuke non stesse origliando. Avvicinò di più la cornetta alla bocca.

-Che cosa vuole da me?-

-Vedo che ci intendiamo, ragazzo. Ebbene, voglio fare un accordo. Diventiamo soci, Itachi, dividiamo i profitti della tua Azienda.-

-Ma che sta dicendo? Secondo lei dovrei associarmi con uno sconosciuto che si rifiuta perfino di rivelare il suo nome?-

Sentì una risata roca dall'altra parte.

-Tutto a tempo debito. Mi basta una tua conferma e vedrai che mi conoscerai presto.-

-E se io rifiutassi?-

Ci fu un lungo minuto di silenzio.

–Beh, allora le conseguenze le vedrai con i tuoi occhi.-

Non gli diede il tempo di replicare e riagganciò.












Ho deciso di modificare il prologo inserendo un piccolo spoiler dei capitoli successivi, che in realtà costituisce il motore dell'intera vicenda.
Sperando di avervi invogliato a proseguire nella lettura,

Vavi

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Capitolo 2
*** L'inizio ***


Capitolo 2
L'inizio










Restò per qualche minuto ad osservare quel “59” digitale che lampeggiava sulla radiosveglia. Erano ormai diversi mesi, dal giorno dell'incidente, che si svegliava sempre molto tempo prima che quella suonasse. Anzi, a dire la verità, poteva ritenersi fortunato se riusciva ad addormentarsi per qualche ora, giusto il necessario per non rischiare di presentarsi in classe con due occhiaie che rasentavano il pavimento. Quel giorno, quindi, era iniziato meglio del previsto, visto che il suo sonno si era protratto fino alle quattro del mattino, quando poi, come spesso gli succedeva, era stato svegliato da un terribile incubo. Si trattava sempre di quel baratro buio, profondo, freddo come il ghiaccio, che gli faceva accapponare la pelle e sudare freddo al solo pensiero. Non aveva confidato a nessuno di questi sogni notturni, nemmeno a suo fratello, pensando che non fosse il caso di turbarlo inutilmente con problemi che lui stesso riteneva infantili o comunque di poca importanza.
Guardò l'orologio scoccare le sei e, dopo aver interrotto bruscamente il suono incessante della sveglia, si alzò a sedere sul bordo del futon. Sentì i passi di suo fratello al piano di sotto assieme ad un rumore indefinito di stoviglie ed immaginò che stesse preparando la colazione. Da quando erano rimasti soli, Itachi aveva preso l'abitudine di alzarsi all'alba, cucinare qualcosa da mangiare a suo fratello e poi uscire per andare all'Università. Lo trovava lì, ogni mattina, con quel sorriso debole stampato sul volto. Non era ancora riuscito a capire se si trattasse di un sorriso di circostanza o meno, ma era sicuro di poter leggere nei suoi occhi lo stesso dolore che ormai da tempo animava anche il suo cuore. E lui, da sempre poco incline a mostrare le sue emozioni, proprio non riusciva a ricambiarlo, quel sorriso. Lo ringraziava per la colazione, mangiava svogliatamente qualcosa per non morire di fame ed usciva. Sapeva bene che quell'atteggiamento distaccato non faceva altro che alimentare la sofferenza di suo fratello, ma d'altronde era l'unico mezzo che aveva a disposizione per difendersi dal passato, da quei ricordi che a volte gli piombavano addosso come cannonate e che gli toglievano anche la forza di respirare. E in quei momenti, quando sembrava mancargli la terra sotto i piedi, quando sembrava che non potesse andare peggio di così, aveva voglia di urlare, di mandare all'aria qualunque cosa gli capitasse sotto mano, di disfarsi di quella maledetta casa e di tutti i ricordi che conteneva. Spesso pensava, in preda ad emozioni contrastanti, che anche la vicinanza con suo fratello contribuiva a farlo stare peggio e che forse un distaccamento graduale da lui lo avrebbe aiutato a superare quel momento. Ma poi, quando stava solo a casa, quando sentiva che la malinconia gli attanagliava il petto e la solitudine prendeva il sopravvento, allora non poteva far altro che aggrapparsi a lui, a l'unica certezza che gli rimaneva in quella vita ormai priva di senso.

“Oggi non vai in Azienda?” chiese ad Itachi, mentre lo aiutava a ripulire il tavolo.
Il fratello scosse la testa. “Shisui mi ha detto che sarebbe passato lui.”

Dopo la morte dei genitori, l'Azienda di famiglia era passata direttamente nelle mani di Itachi in quanto primogenito del Clan Uchiha. Totalmente impreparato al repentino cambio di proprietà, Itachi aveva tentato di prenderne in mano le redini, cercando di far fronte all'inevitabile caduta dei profitti che aveva seguito la scomparsa di suo padre Fugaku. Suo cugino Shisui, decisamente più pratico, si era offerto di aiutarlo nella gestione, preferendo di gran lunga dedicarsi agli affari piuttosto che restare tutto il giorno seduto ad ascoltare le lezioni. Così Itachi aveva potuto riprendere a frequentare Medicina, consapevole però che forse non sarebbe mai riuscito a terminare gli studi ed a realizzare quel sogno che rincorreva dai tempi del liceo. L'Azienda Uchiha, affiliata con un'importante impresa di Computer, aveva contribuito ad arricchire tutta la famiglia, garantendo ai due figli una vita agiata e priva di sforzi. Tuttavia, nessuno dei due aveva avuto voglia di adagiarsi sugli allori ed entrambi avevano preferito continuare a studiare per poter esercitare una professione che li soddisfacesse da tutti i punti di vista. In caso di necessità avrebbero avuto un posto sicuro in Azienda, ma né Itachi né Sasuke sembravano voler approfittare di questa piccola facilitazione.

Il minore andò al piano di sopra a recuperare il suo zaino e lanciò uno sguardo sfuggente ad Itachi.
“Ci vediamo stasera” gli disse, con un piede già fuori dalla soglia di casa.
“A stasera” rispose Itachi, quando ormai l'altro si era già chiuso la porta alle spalle.






****

Salve a tutti!
Una piccola nota per anticiparvi che i primi capitoli saranno perlopiù introduttivi e volti ad illustrare la situazione generale in cui si svolgeranno gli avvenimenti principali. Spero possiate apprezzare!

Ps. Inserita una piccola fanart. L'ho salvata molto tempo fa e purtroppo non ricordo l'artista. Se qualcuno lo conosce, mi illumini per favore. :)


Vavi


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Capitolo 3
*** Salite e discese ***


Capitolo 3
Salite e discese

 

 

 


Alla fine, paradossalmente, era proprio a scuola che riusciva a scacciare i pensieri per qualche ora. Se non altro perché il suo eccentrico compagno di banco, nonché migliore amico, non faceva altro che tormentarlo da quando mettevano piede in classe fino al suono della campanella dell'ultima ora.
Ogni scusa era buona per attaccare conversazione: dal programma che avevano dato la sera prima in tv, al compito in classe della settimana successiva, fino ad arrivare alle solite lamentele per essersi scordato la merenda a casa. Così, come al solito, Naruto finiva col chiedere un “prestito” a Sasuke, prestito che sapeva non gli avrebbe mai restituito. Ma a Sasuke non importava niente dei soldi, o almeno non in quel particolare momento della sua vita. Sapeva bene che Naruto, a differenza sua, non navigava nell'oro, e poteva immaginare i disagi che questo gli procurava. Ma proprio lui, quel ragazzo biondo dall'aria un po' svampita, gli aveva voluto bene dal primo momento che si erano conosciuti, senza sapere quale fosse la sua situazione familiare, soltanto cogliendo nei suoi occhi un'empatia che li avrebbe legati fino all'adolescenza e anche oltre. Un'amicizia, la loro, che non aveva bisogno di molte parole per essere alimentata. O meglio, Naruto spesso si addentrava in lunghe conversazioni, la maggior parte delle volte prive di senso logico, che Sasuke si limitava a far finta di ascoltare; però quando si presentava un problema, un problema vero, bastava osservare il volto di Naruto per capire che qualcosa non andava, senza che ci fosse bisogno di uno dei suoi sermoni. E così, segretamente, anche se Sasuke gli rinfacciava spesso di non sopportarlo, di averne abbastanza di lui e delle sue crisi logorroiche, in fondo ne aveva bisogno e non riusciva ad immaginare come sarebbe stata la sua vita se non ci fosse stato quel terremoto biondo a scuoterla nel profondo.

Oltre a Naruto, c'era un'altra persona che con il tempo si era guadagnata la sua fiducia; una ragazza all'apparenza timida, dalla strana capigliatura rosa che nascondeva di poco due grandi occhi verdi. Sakura, da sempre innamorata di Sasuke, aveva cercato di avvicinarlo come meglio poteva e, dopo poco tempo, quello che era iniziato come un tentativo di “conquista” si era trasformato in un'amicizia duratura. Sasuke le aveva confessato più volte di considerarla “solo” come una cara amica, stroncando di netto tutte le speranze che lei riponeva in un possibile loro fidanzamento. Nonostante questo gli era rimasta vicina, aveva cercato di mettere da parte i sentimenti che provava per lui e, soprattutto in quel momento così difficile, aveva dimostrato di saper gestire la situazione e aveva tentato di arginare l'isolamento del ragazzo.

“Perché non venite a studiare da me oggi pomeriggio?” sussurrò la ragazza, coprendosi la bocca con una mano per non farsi sentire dalla professoressa.
Sakura era sempre stata un'alunna modello, prestava la massima attenzione durante le lezioni, aveva i quaderni pieni zeppi di appunti ordinati in modo quasi maniacale e mirava a prendere il massimo dei voti in tutte le discipline. Nell'ultimo periodo però, troppo presa dal disagio di Sasuke, le sue prestazione scolastiche erano notevolmente diminuite, provocando il disappunto di entrambi i genitori. Lei aveva deciso di non curarsene sicura che, una volta passata quella burrasca, le acque si sarebbero calmate e avrebbe potuto tranquillamente recuperare le sue carenze. Così quella mattina, ignorando la spiegazione di latino, preferì rivolgersi ai suoi due migliori amici, invitandoli a passare da lei quel pomeriggio.
Prima che Naruto sbottasse in un'esplosione di felicità, Sasuke decise di precederlo.
“Ti saremo solo d'intralcio”
Evitò accuratamente di precisare che in realtà solo Naruto sarebbe stato d'intralcio in un lungo e noioso pomeriggio di studio, approfittandone per rifiutare l'invito della ragazza.
Sakura capì al volo che quella risposta doveva significare l'ennesimo rifiuto da parte di Sasuke, l'ennesimo tentativo di chiudersi in se stesso, di evitare il più possibile di stare in mezzo agli altri. Eppure decise di non demordere.
“Dai, faremo qualche pausa, sono sicura che Naruto ce la farà” replicò con un sorriso, ottenendo come risposta un assenso vigoroso da parte del biondo. Ma oltre questo Sasuke non parve cambiare idea e tutto ciò che Sakura riuscì a guadagnare fu una sgridata da parte della professoressa che la invitò a ripetere la versione da cima a fondo.

****

A dire la verità, la facoltà di medicina non era un ambiente nel quale Itachi si sentiva a proprio agio. Passeggiando per i corridoi si potevano incontrare gruppetti di due o tre studenti, riuniti a chiacchierare sottovoce, quasi non volessero farsi sentire dagli altri. Si respirava un'aria di competizione, dove tutti cercavano di ingraziarsi il professore di turno in vista di un futuro tirocinio negli ospedali più prestigiosi. Erano davvero poche le persone che, come lui, non avevano parenti che potessero avviarli alla professione di medico.
Le amicizie che era riuscito a costruire durante quel primo anno di Università si riducevano a qualche ragazzo con il quale scambiava poche parole e talvolta qualche appunto, nonché una ragazza di nome Mitsuki che aveva conosciuto il primo giorno di lezione e con la quale era andato subito d'accordo.
La ragazza gli aveva chiesto alcune informazioni riguardo l'orario dei corsi e si era mostrata spaesata tanto quanto lui. Da quel momento avevano iniziato a parlare del più e del meno, a frequentare insieme le lezione e talvolta anche a studiare assieme all'Università in vista degli esami. Da subito gli era sembrata una ragazza seria, forse un po' timida ma molto generosa, mai invadente e sempre disponibile all'ascolto. Con il passare del tempo aveva poi scoperto un lato di lei che non conosceva, una determinazione e una tenacia che sembravano quasi cozzare con il suo viso dolce, quasi da bambina, che teneva incorniciato da lunghe onde nere spesso raccolte in cima alla testa.
Con lei riusciva ad aprirsi più che con chiunque altro, le aveva raccontato particolari della sua vita che non aveva mai detto a nessuno e che pensava non avesse mai avuto il coraggio di tirar fuori. Così Mitsuki era al corrente della sua situazione familiare, dell'incidente che qualche mese prima gli aveva portato via entrambi i genitori e della situazione difficile che stava passando l'azienda di famiglia. Le aveva raccontato tutto diverse settimane dopo l'accaduto, una volta superato il primo momento di choc durante il quale gli riusciva difficile persino alzarsi dal letto.
Lei non l'aveva mai compatito, anzi aveva da subito cercato di rafforzarlo, di proporre il suo aiuto se mai ne avesse avuto bisogno, di coinvolgerlo nei suoi scrupolosi programmi di studio che poi si risolvevano sempre in chiacchierate ad oltranza fino a notte tarda. Tant'è che suo cugino Shisui aveva cominciato ad insospettirsi e a pensare che tra loro ci fosse qualcosa di più di una semplice amicizia, soprattutto quando alla domanda “Cosa avete fatto fino alle undici di notte?!” Itachi rispondeva tranquillamente: “Parlato”.
Non c'era niente che riusciva a rilassarlo tanto quanto le ore passate con lei a discutere del più del meno, dal complesso tomo di Anatomia che aveva dato loro del filo da torcere all'ignoranza dei concorrenti del Talk Show che avevano trasmesso quella sera in TV. Quando stava con lei aveva l'impressione di trovarsi con un'amica di vecchia data, gli sembrava di conoscerla da sempre. Era stata proprio Mitsuki a proporgli di scambiarsi i numeri di telefono, in modo da poter comunicare più velocemente in caso di bisogno per "questioni universitarie" ; o almeno questa era stata la scusa che aveva avanzato la ragazza quando lui l'aveva guardata tra il perplesso e l'imbarazzato, incerto se accettare o meno quell'ulteriore passo in avanti per il loro rapporto.
In realtà Itachi usava molto poco il cellulare ed ancora meno lo utilizzava per scrivere messaggi, ad eccezione delle rare volte in cui doveva comunicare con suo fratello e spesso si ritrovava a preferire un SMS piuttosto che la solita chiamata durante la quale Sasuke rispondeva per monosillabi, mettendo a dura prova la sua sacrosanta pazienza di fratello maggiore.
Itachi, soprattutto durante l'ultimo periodo, aveva preferito evitare di far andare Mitsuki a casa sua, sapendo che per Sasuke sarebbe stato meglio non avere “estranei” attorno, almeno fino a quando la situazione non si fosse stabilizzata.
Non era raro infatti che il fratello minore scoppiasse in improvvisi attacchi di collera, per poi chiudersi subito dopo in camera sua senza uscire fino al giorno successivo. In quei casi era meglio lasciarlo stare, sebbene Itachi avesse avuto più volte l'istinto di tirarlo fuori a forza pur di non lasciarlo solo a gestire quel dolore troppo grande. Ma poi si arrendeva e preferiva rimandare il discorso al giorno seguente quando però, puntualmente, Sasuke gli rivolgeva appena la parola, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. In quei momenti si sentiva totalmente impotente, inutile, come se ormai non potesse fare più nulla per risollevare il morale di Sasuke e allora, solo allora, anche il suo finiva sottoterra e gli ci volevano giorni e giorni di lavoro mentale per ristabilire quell'equilibrio che, seppure precario, era riuscito a costruirsi dopo la morte dei genitori. Sasuke purtroppo non era stato in grado di fare lo stesso e bastava un nonnulla per mandarlo in escandescenza o per vederlo chiudersi a riccio e non spiccicare parola durante tutta la settimana. A volte gli sembrava persino che cercasse di evitarlo, di parlargli il meno possibile, forse perché stare con lui gli ricordava troppo la vita in famiglia, la vita normale che aveva condotto fino a qualche mese prima. E così per un certo periodo si era fatto da parte, aveva cercato di lasciargli i suoi spazi, di non pressarlo a mangiare o ad uscire dalla sua stanza.
Contrariamente alle sue previsioni però, Sasuke non si era mostrato affatto sollevato da questo suo atteggiamento, anzi sembrò soffrirne di più e diventare ancora più irascibile del solito. Così capitava che, mentre un attimo primo gli aveva intimato di lasciarlo in pace, un secondo dopo gli rimproverava di non esserci mai quando lui ne aveva bisogno, di essere sempre occupato con lo studio e di non avere mai tempo da dedicargli. Ma Itachi era pur sempre un ragazzo e non era facile per lui mostrarsi più forte del minore, perché era sicuro che di questo Sasuke aveva bisogno, di un appiglio solido al quale aggrapparsi nei momenti di malinconia e con il quale scontrarsi nei momenti di rabbia. D'altronde, lo ripeteva spesso anche a Mitsuki, non era questo il ruolo dei fratelli maggiori? La ragazza puntualmente annuiva e gli rispondeva con un sorriso, ricordandogli però che avrebbe dovuto pensare anche un po' a sé stesso, altrimenti avrebbe finito con l'annullarsi completamente in funzione dei bisogni di Sasuke.
Ma forse quel giorno, quell'usuale venerdì mattina passato all'Università, poteva davvero segnare l'inizio di una lenta risalita dal baratro. Sentì il cellulare vibrargli nella tasca e fu realmente sorpreso di leggere il mittente del messaggio: Sasuke. Mitsuki fu quasi sicura di scorgere sul suo volto un'espressione di sollievo, quasi si fosse finalmente liberato di un'enorme macigno che gli gravava sulla schiena da troppo tempo.
 

Resto a studiare da Sakura.
A più tardi,
Sasuke

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Capitolo 4
*** Un percorso a ostacoli ***


Capitolo 4
Un percorso a ostacoli








“Senti Sakura-chan..ti spiacerebbe ripetere l'ultimo concetto? Credo di essermi perso”
La ragazza sbuffò, tirandosi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio e lasciò andare il pesante libro di latino sul tavolo della cucina. Poi, armandosi di tutta la pazienza che aveva, lo riprese in mano sollevandolo lentamente e rivolgendo il suo sguardo a Naruto.
“E dov'è, precisamente, che ti saresti perso?” chiese, con tono pacato.
Il biondo spalancò gli occhi, per poi spostare la sua attenzione sulla versione di latino. Parve scorrere tra le righe per cercare chissà cosa, dopodiché alzò lo sguardo, si grattò la nuca e parlò timidamente.
“Ecco...non ho capito dov'è che starebbero combattendo la Guerra...”
Ma ancora prima che finisse la frase vide Sakura sbattere violentemente il libro sul tavolo e fulminarlo con un'occhiata che non prometteva niente di buono.
“Per l'amor del cielo, Naruto! - esclamò, in preda alla collera – sei rimasto alla seconda riga! L'ho tradotta circa mezz'ora fa!”
Il ragazzo socchiuse gli occhi quasi ad incassare il contraccolpo delle grida isteriche di Sakura, poi abbassò il capo in segno di sincero dispiacere.
“Hai ragione Sakura-chan, scusa, è che mi sono distratto...fuori è una così bella giornata e questa versione è così noiosa..”
“Se vuoi uscire, prego.” sbottò la ragazza, indicando la porta.
Agli occhi di un estraneo il comportamento di Sakura sarebbe potuto sembrare scortese e maleducato, ma agli occhi di Sasuke fu decisamente troppo accondiscendente. Lui stesso si stava trattenendo per non spedirlo fuori dalla finestra a calci del sedere e finì col pentirsi più e più volte di aver accettato quel maledetto invito. Aveva pensato, in un primo momento, che avrebbe almeno potuto provare a riprendere le vecchie abitudini di un tempo, per cercare di tornare gradualmente alla normalità. Purtroppo però c'era sempre qualcosa che non andava, qualcosa che probabilmente era dentro di lui e che avrebbe dovuto cercare di risolvere da solo. Neanche quello scemo di Naruto sarebbe riuscito a farlo riemergere, se prima non avesse fatto un'analisi accurata di sé stesso, delle emozioni che provava e che gli impedivano di condurre una vita come tutti gli altri.
Nel frattempo Naruto stava ancora pregando Sakura di scusarlo e promise che da quel momento in poi sarebbe stato attento.
“D'accordo – sbuffò lei – ma se ti perdi un'altra volta io non lo ripeterò più e se domani prenderai un quattro non voglio nessuna responsabilità”
Lui le regalò un sorriso sincero di ringraziamento e si sporse con il busto in avanti per dimostrare che era pronto all'ascolto. Prima di ricominciare con la traduzione la ragazza lanciò uno sguardo a Sasuke. Dapprima incerta se fare quella domanda o meno, poi decise di provare, almeno per tentare di coinvolgerlo nella conversazione.
“Tu, Sasuke-kun?”
Lui alzò lo sguardo dalle mani che teneva poggiate in grembo e le rispose con un minimo cenno della testa.
“Puoi andare avanti”


Sulla strada di ritorno a casa si ritrovò a pensare al pomeriggio appena passato. Mentre fingeva di ascoltare i monologhi di Naruto sulle possibili giustificazioni che si sarebbe inventato il giorno successivo con la professoressa di latino, sopraggiunse nuovamente quella sensazione di vuoto che lo tormentava spesso negli ultimi tempi. Durante le poche ore passate assieme ai suoi amici era riuscito a non farsi prendere dalla tristezza e, sebbene non fosse stato poi molto partecipativo, almeno aveva provato ad evitare emozioni spiacevoli per un po' di tempo.
Ma ora che stava per rientrare a casa lo sentiva di nuovo sopraggiungere, quel dolore lancinante al petto che gli faceva venire la nausea al solo pensiero. Era quasi tentato di tornare indietro, di addentrarsi tra le vie più sperdute della metropoli, pur di non mettere di nuovo piede in quell'abitazione. Naruto gli chiese se andava tutto bene e, dopo qualche secondo di titubanza, lo salutò svoltando l'angolo della strada per raggiungere il quartiere desolato nel quale viveva con lo zio paterno. Sasuke rimase diverso tempo a fissare la serratura del cancelletto che portava a Villa Uchiha. Quando trovò il coraggio di entrare era ormai arrivato ad una conclusione. Una conclusione dolorosa, che però aveva ritenuto l'unica alternativa possibile. Non sarebbe più andato a casa di Sakura. Avrebbe cercato di tenersi il più lontano possibile dai suoi amici. Stare con loro gli faceva bene, troppo bene; ma era una sensazione illusoria, che spariva dopo poco tempo per lasciare il posto ad un dolore ancora più grande, ad una sofferenza ancora più insopportabile.


“Sasuke-chan, esci da quella stanza oppure butto giù la porta!”
“Shisui, smettila. Non serve a niente.”
Quella sera Itachi non aveva nessuna voglia di ascoltare le grida di suo cugino. Voleva solo starsene in pace a studiare sul divano, immergendo la mente nei tomi di medicina, senza permettere a nessun altro pensiero di entrare.
“Ma Itachi – borbottava Shisui dal piano di sopra – se gli lasci sempre fare come vuole non imparerà mai!”
“Lascialo stare” fu la risposta del cugino, mentre cercava di tirare una linea dritta per sottolineare la prima riga del capitolo. Il ragazzo scese le scale, un po' deluso per non essere riuscito ad imporsi sul minore, e si sedette accanto ad Itachi, lasciandosi cadere pesantemente sul cuscino.
“Ma insomma, ti pare normale? - continuò – per una volta che riesce a passare il pomeriggio fuori casa poi torna la sera con il morale sotto i piedi. Tuo fratello ha qualche rotella fuori posto”
Itachi continuò a leggere il suo libro, ignorando il poco tatto del cugino.
Dopo alcuni secondi di silenzio, il tono di Shisui parve farsi più serio.
“E' dimagrito dall'ultima volta che l'ho visto.” commentò, agguantando il telecomando per accendere la televisione. Itachi alzò un poco gli occhi dal libro.
“Lo so” mormorò, puntando anche lui lo sguardo sullo schermo luminoso.
Guarda che se diventi uno scheletro nessuna ragazza ti vorrà più!” urlò subito dopo Shisui, posizionando le mani ai lati della bocca per farsi sentire anche da Sasuke.
Itachi sospirò e tornò ai suoi studi.
“E questo vale anche per te” aggiunse il cugino, puntandogli un dito contro. “Cos'è, non sai più cucinare?”
Il ragazzo sospirò di nuovo e chiuse il libro. Quella sera non sarebbe riuscito a studiare, era inutile continuare a prendersi in giro.
“Ultimamente non ho appetito” si limitò a rispondere.
Shisui sbuffò. “Eccone un altro. Va beh ho capito va, stasera cucino io. Vedrai come ti torna l'appetito. Almeno riprendi qualche chilo e smetti di sembrare uno zombie ambulante”
“Grazie per avermelo fatto notare, Shisui.”
Il ragazzo si alzò dal divano lasciando la televisione accesa e si mise a frugare nella credenza alla ricerca delle pentole.
“Ah, a proposito...”
Non c'era speranza che mantenesse il silenzio per più di cinque minuti.
“Dovresti venire in palestra con me, qualche volta.” propose ad Itachi, mentre accendeva il fuoco.
“Sai, ci sono un sacco di belle ragazze...”
Ah ecco, era questo il vero motivo. Itachi lo raggiunse al piano cottura e si appoggiò al frigorifero.
“Ho altro a cui pensare, al momento.”
“Tipo Mitsuki?” lo incalzò subito Shisui.
Itachi alzò un sopracciglio. “No, non mi riferivo a quello...”
Il cugino lo guardò con l'aria da chi la sa lunga, rischiando di far bruciare l'aglio nella pentola. “Se, ma raccontala a qualcun altro Itachi. Io ti conosco da quando eri un pargoletto così quindi è inutile che cerchi di nascondermi le cose!”
Il ragazzo incrociò le braccia e guardò davanti a sé. “In ogni caso non potrebbe funzionare.”
Shisui parve realmente sorpreso dalle parole del cugino. “Perché no?”
“Non adesso. Non voglio coinvolgerla nei miei problemi.”
Neanche a farlo apposta il cellulare di Itachi, poggiato sopra al tavolo, vibrò. Si sporse un poco per afferrarlo ed aprì il messaggio che gli era appena arrivato.

Ciao.
Come stai?
Tuo fratello sta un po' meglio?

Shisui sorrise. “E' Mitsuki vero?”
Itachi annuì e mise di nuovo il cellulare sul tavolo.
“Che fai? - sbottò Shisui, con gli occhi di fuori – rispondi!!”
Il cugino parve più interessato a cosa bolliva in pentola.
“Più tardi”
“No! - sbottò Shisui, afferrando il cellulare e sventolandoglielo davanti alla faccia – tu rispondi adesso!”
Con Shisui era meglio parlare chiaro.
“Adesso non me la sento. Risponderò dopo cena”
Il cugino colse finalmente il disagio negli occhi di Itachi e posò il cellulare dov'era prima, tornando ai fornelli.
“D'accordo – concesse – ma se non mantieni la tua parola sarò io a scriverle al posto tuo.”


Terminarono la cena guardando un noioso documentario in tv, ma di Sasuke non si vedeva neanche l'ombra. Poi, mentre stavano sparecchiando, sentirono il cigolio di una porta che si apriva e poco dopo lo videro scendere le scale. Aveva l'aria stanca, come sempre, sembrava quasi trascinarsi, giù per quei gradini di marmo che portavano alla sala principale.
“Ti ho lasciato un po' di riso in pentola.” disse Itachi.
Il minore si buttò sul divano e afferrò il telecomando per cambiare canale.
“Grazie – rispose in modo distratto – ma adesso non ho fame.”
Itachi, ovviamente, non si aspettava che lo mangiasse davvero. Ripose la pentola in frigo e lanciò uno sguardo eloquente a Shisui, che stava per iniziare l'ennesima ramanzina contro suo fratello minore. Averli in casa insieme lo metteva a disagio, visto che due volte su tre finivano per litigare. Non fece neanche in tempo a voltarsi in direzione di suo cugino, che quello era già schizzato vicino a Sasuke, pronto di nuovo all'attacco.
“Per quanto ancora hai intenzione di fare l'orso solitario?” iniziò, storcendo il naso per la canzone che stavano dando in tv.
Sasuke non rispose. Itachi non sapeva se sarebbe stato meglio portarlo via subito con una scusa o decidere di ignorarli. Tanto ormai il danno era fatto.
“Stai solo facendo male a te stesso, Sasuke. E anche a tuo fratello”
“Shisui..” lo riprese Itachi, contrario al fatto che avesse tirato in mezzo anche lui.
Sasuke cambiò canale. La musica pop lo stava innervosendo parecchio.
“Non puoi vivere dentro quella dannata stanza, Sasuke. Devi provare ad uscire.”
“Ci ho provato” rispose lui, quasi in un sussurro.
“Una volta non basta. Non puoi mollare al primo tentativo. Non ti facevo così vigliacco.”
Sasuke spense la tv.
Che cosa ne puoi sapere, tu?” sbottò, alzandosi e puntando le iridi nere direttamente in quelle di Shisui.
“Niente, probabilmente. Ma ti sto dicendo cosa vedo. Vedo un adolescente che sta buttando via la sua vita.”
Sasuke salì le scale, non aveva intenzione di ascoltare oltre.
“Perché non vai in letargo, Sasuke? Così ti sveglierai tra qualche mese, quando probabilmente tuo fratello avrà già ricominciato a vivere, i tuoi amici si saranno scordati di te e nessuno ti vorrà più intorno.”
“Shisui, basta” gli intimò Itachi.
Il minore aprì la porta della sua camera e se la richiuse alle spalle con un tonfo. Stranamente non sentirono la chiave girare nella serratura.
Nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare fino a quando, cinque minuti dopo, sentirono la porta aprirsi nuovamente. Sasuke scese al piano di sotto, con indosso il giacchetto.
“Dove vai?” gli chiese subito Itachi, allarmato.
“Esco” rispose l'altro.
“Esci? - ripeté Itachi, incredulo – Sasuke, sono le undici di notte! Dove vorresti andare a quest'ora?”
“Non sono affari tuoi. Volevi che uscissi? Bene, adesso uscirò. A più tardi.”
“Sasuke!”
Shisui si era alzato dal divano, sconvolto quanto Itachi per l'uscita del minore, ma nessuno dei due riuscì a muovere un muscolo quando lo videro varcare la soglia di casa ed andarsene.






****
Salve a tutti! Mi intrometto una seconda volta solo per annunciare che da questo capitolo in poi termina la fase "descrittiva" e si entra nel vivo della storia. Spero possiate apprezzare! :)

Vavi



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Capitolo 5
*** Novità ***


Capitolo 5
Novità








Itachi aveva dovuto pregare più volte suo cugino per evitare che quest'ultimo si precipitasse fuori casa all'inseguimento del minore.
“Non è un irresponsabile – aveva provato a spiegargli – non andrà lontano.”
“L'hai notato il suo sguardo, Itachi? Se non lo fermiamo chissà che combinerà quel deficiente! E' andato completamente fuori di testa!”
“Shisui, adesso calmati”
Il cugino lo fissò sempre più incredulo. “Calmarmi? Ma che dici, sei tu quello strano, non io! Come fai a non preoccuparti per tuo fratello? E' solo un moccioso, dopotutto. Qualche mese fa non ti saresti comportato così! Si può sapere che cosa-”
“Finiscila!”
L'improvviso cambiamento nel tono di voce di Itachi lo convinse finalmente a stare zitto. Si sedette sul bracciolo del divano ma continuò a guardarlo, in attesa di una spiegazione.
“Shisui...per favore” riprese Itachi. Non sarebbe voluto arrivare a quel punto ma suo cugino sembrava troppo determinato a fare di testa sua.
“Credo di sapere dov'è andato mio fratello...”
Shisui balzò in piedi. “Davvero? Allora che aspettiamo, forza...”
“Aspetta.” lo fermò di nuovo Itachi, bloccandolo per le braccia. “Andrò io, tu torna a casa.”
“Perché?!- protestò subito l'altro- non è meglio che ti accompagni?”
Itachi sospirò. “No, davvero. Grazie.”
Il suo sguardo lo convinse a non insistere. Uscirono insieme dalla villa e, prima di separarsi, Shisui tirò fuori il suo cellulare.
“Se ti serve qualcosa...lo sai” mormorò, con il volto illuminato appena dallo schermo a led.
Itachi annuì e, dopo averlo salutato con un cenno, si allontanò.


Camminò per pochi isolati fino a quando lo vide, seduto proprio sulla panchina sotto al grande ciliegio, nell'angolo sinistro del parco. Si avvicinò a passo tranquillo, preferendo percorrere un sentiero più piccolo e cercando di non farsi notare. Quando fu a pochi passi da lui era sicuro che Sasuke avesse percepito già da un po' la sua presenza. Si sedette con cautela, senza dire una parola, e alzò un poco la testa per osservare un ramo che pendeva proprio sopra di loro.
“E' molto bello questo ciliegio” mormorò a voce bassa, senza guardare il fratello.
“Come sapevi che ero qui?” chiese Sasuke, voltando di poco il volto verso di lui.
Itachi abbozzò un sorriso. “Ti conosco da sedici anni, otouto”
Il minore sembrò apprezzare quella risposta, tanto che annuì debolmente e per un po' non disse niente. Fu Itachi a riprendere il discorso.
“Quindi hai preso la tua decisione.”
Sasuke si chiuse la zip del giacchetto fino al mento. Nonostante fossero in Primavera inoltrata, l'aria della sera continuava ad essere rigida e pungente.
“Anche tu pensi che stia sbagliando?”chiese, incrociando le braccia.
Itachi alzò le spalle. “Non sono io a doverti dire cosa fare, Sasuke. Solo tu puoi sapere cos'è meglio per te”
“E' una risposta scontata” replicò l'altro.
“Sì, lo è” confermò Itachi. “Ma se ti dicessi cosa fare, tu agiresti solo per far contento me.”
“Sempre meglio che brancolare nel buio.”
Questa volta Itachi lo guardò. “Mi stai chiedendo un consiglio?”
In realtà neanche Sasuke sapeva se era di un consiglio che necessitava, oppure semplicemente di una guida, di qualcuno fidato che lo aiutasse ad affrontare quella situazione. Finalmente ci aveva provato, era riuscito a parlarne con qualcuno, senza tenersi tutto dentro.
Poteva essere il primo passo per la lunga risalita verso la luce.
“Forse” rispose, cercando di non sbilanciarsi troppo.
Itachi poggiò entrambi i gomiti sulle ginocchia. “Credo che tu abbia fatto la cosa giusta. Quando hai deciso di andare a casa di Sakura, ho subito pensato che forse le cose avrebbero cominciato ad aggiustarsi. Adesso ti sembra di stare peggio, ma non per questo devi abbandonare la strada che hai deciso di percorrere. Forse è troppo presto, Sasuke. Forse hai bisogno di più tempo per guardarti intorno, per tornare alla tua vita di sempre, per accettare quello che è successo ed andare avanti. Se adesso non ti senti pronto per ricominciare a frequentare i tuoi amici, allora non farlo. Sono sicuro che loro capiranno e ti staranno vicino, perché lo hanno sempre fatto quando ne avevi bisogno. Quindi il mio consiglio è quello di non aver fretta, di prenderti i tuoi tempi e poi, solo quando ti sentirai pronto, di ricominciare a vivere.”
Sasuke sospirò e si strinse di più nella giacca leggera che indossava.
“Tu come fai, nii-san?” gli chiese poco dopo.
“Io? - ripeté Itachi – io ho delle responsabilità, otouto.” rispose, scompigliando i capelli al fratello minore.
Sasuke si girò perplesso verso di lui. Lo guardò per un lasso di tempo interminabile, per poi scostare tristemente lo sguardo. Si diede dello stupido per non aver mai pensato che suo fratello stesse mascherando il dolore soltanto per non far soffrire lui. Probabilmente lo aveva sopravvalutato, non era così forte d'animo come pensava; stava solo fingendo, come aveva sempre fatto, per proteggerlo.
“Che succederebbe se decidessi di mollare?”
Itachi lo guardò stupito. “Non posso. Anzi, non voglio mollare. La vita è un dono Sasuke..non sprecarlo.”
Ecco, si era sbagliato di nuovo. Forse stava mentendo per cercare di proteggerlo, ma di sicuro nascondeva dentro do sé una forza di volontà che lui non riusciva neanche ad immaginare.
Si alzò, inducendo il fratello maggiore a fare lo stesso. “Torniamo a casa"


****


Quella mattina Itachi arrivò a lezione con quindici minuti di ritardo. Trovò Mitsuki ad aspettarlo al solito posto, seduta in seconda fila verso il centro del corridoio. Appena lo vide gli sorrise e gettò un'occhiata all'orologio.
“Perbacco, Uchiha-san. Stavo quasi per chiamare la polizia. Dove sono finiti i tuoi soliti venti minuti di anticipo?”
Itachi si scusò e posò la sua roba vicino ai piedi del tavolo. La ragazza lo osservò mentre tirava fuori foglio e penna. “Itachi-san...è successo qualcosa?”
Lui sembrò quasi risvegliarsi dal torpore e si girò subito verso di lei. “Ah sì, Mitsuki. Scusa per il messaggio di ieri sera, ma ho avuto da fare e...”
“Non mi importa niente del messaggio – replicò lei, con una sicurezza che lo fece tentennare – ma ti vedo strano. Sicuro che vada tutto bene?”
Itachi esitò, prima di annuire. “Sono solo un po' stanco, tutto qui.”
Nel frattempo il professore aveva già preso posto in cattedra e, come tutte le mattine, aveva appena iniziato a litigare con il videoproiettore.
“L'ho sempre detto che le lavagne in ardesia sono la miglior cosa. Ma no, ostiniamoci a voler fare le persone all'avanguardia. Almeno mettessero un proiettore che funziona!” borbottava, tra le risate sommesse degli studenti.
“Ti pare che un professore di medicina non riesca nemmeno ad utilizzare un computer?” sussurrò Mitsuki nell'orecchio di Itachi, mentre si gustava la scena.
“Mi meraviglio che abbia ancora la forza per insegnare” commentò Itachi, riferendosi all'aspetto piuttosto malconcio dell'anziano professore.
“Secondo te quanti anni ha?” domandò Mitsuki, coprendosi la bocca con la mano.
Itachi alzò le spalle. “Ad essere ottimisti, ne avrà centocinquanta.”
La ragazza soffocò una risatina e tornò composta quando finalmente “il vecchio decrepito”, soprannome con il quale era stato etichettato all'interno della facoltà, riuscì a trovare il tasto d'accensione per il videoproiettore.
“Giuro che il prossimo anno lo farò togliere questo dannato aggeggio” brontolò, assicurandosi che le immagini sullo schermo fossero nitide.
“Che ne dici, potrebbe aver fatto un contratto col diavolo in cambio della sua anima?” azzardò di nuovo Mitsuki, quella mattina troppo allegra per riuscire a seguire la lezione. Una ragazza seduta di fronte a lei si girò e le fece segno di stare zitta poiché l'ammirabile professore aveva appena iniziato a spiegare, con ben mezz'ora di ritardo sulla tabella di marcia. Mitsuki la guardò di traverso, afferrò la sua penna e si mise in ascolto. Ancora prima che potesse scrivere qualcosa sentì Itachi avvicinarsi al suo orecchio.
“Ipotesi interessante, non ci avevo pensato.”
La ragazza sorrise senza staccare gli occhi dal foglio. “Vuoi finirla di assecondare tutte le mie cavolate, Itachi-san?” sussurrò, un po' imbarazzata.
Il ragazzo la guardò perplesso. “Perchè?”
Mitsuki continuò a fissare il foglio a righe che aveva davanti a sé.
“Beh perché – iniziò, cercando di nascondere l'imbarazzo – potresti anche iniziare a piacermi”.




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Capitolo 6
*** Melodia ***


Capitolo 6
Melodia








Nelle settimane che seguirono, Itachi si trovò molte volte a rimuginare su quello che le aveva confessato Mitsuki a lezione. Lì per lì non era stato in grado di replicare, aveva semplicemente continuato a guardarla finché entrambi avevano deciso che sarebbe stato meglio concentrarsi sulla spiegazione del Vecchio. Per il resto della giornata si erano parlati meno del solito e nessuno dei due aveva fatto cenno a quello che era accaduto. Itachi, dal canto suo, avrebbe voluto parlarne, ma un po' per l'imbarazzo della ragazza, un po' perché non riusciva a trovare le parole giuste, alla fine decise di lasciar perdere. Così i giorni passarono e la questione rischiò di finire nel dimenticatoio. Mitsuki era tornata a chiacchierare come faceva sempre, a volte evitando di incrociare direttamente lo sguardo di Itachi, ma il suo atteggiamento non era cambiato.
Un lunedì mattina, tornato in anticipo dall'Università, Itachi si fermò a lungo ad osservare quell'enorme scatola nera che primeggiava al centro del suo soggiorno. Fino a quel momento l'aveva ignorata, facendo finta che non esistesse, eppure adesso gli si era parata bruscamente davanti agli occhi, come per dire “ehi, io sono ancora qui”.
Posò la sacca con le sue cose su una sedia della cucina e si avvicinò con cautela all'oggetto misterioso. Man mano che accorciava le distanze, nella sua mente cominciò a delinearsi l'immagine di ciò che era veramente: uno splendido pianoforte a coda. Era stata Mikoto a trasmettergli la passione per la musica, proprio lei che da giovane amava suonare il violino. Sasuke aveva sempre preferito fare sport, mentre il primogenito della famiglia Uchiha, più tranquillo e riflessivo, aveva da subito accolto con gioia l'idea di poter imparare a suonare uno strumento e alla fine aveva scelto il pianoforte. Suonava per se stesso, per i suoi amici, per la sua famiglia e soprattutto per sua madre,che era più fiera di lui ogni giorno che passava. Eppure, da quando i suoi non c'erano più, Itachi non aveva avuto il coraggio di tornare a sedersi sullo sgabello di velluto nero. Una volta, qualche mese dopo l'accaduto, ci aveva provato. Era rimasto a lungo ad osservare i tasti bianchi e neri, senza riuscire a muovere un dito: tutte le emozioni che sentiva mentre suonava erano svanite, lasciando il posto ad una sensazione di vuoto spaventosa.
Osservò lo spartito e quello che riuscì a vedere fu un insieme di simboli strani, insignificanti. Quegli stessi simboli che pochi mesi prima gli risuonavano nelle orecchie senza che dovesse suonarli, che sembravano quasi uscire dal foglio bianco e formare la melodia davanti ai suoi occhi. Da allora aveva deciso di lasciar stare e aveva cominciato ad ignorarlo, come se il pianoforte non avesse mai fatto parte della sua vita. Però quel pomeriggio,quando rientrò a casa, sentì il bisogno di guardarlo, di accertarsi che fosse ancora lì, paziente, ad aspettare il momento in cui lo avrebbe di nuovo sfiorato con le sue dita e vissuto con la sua musica.
Quando Sasuke rientrò a casa si lasciò letteralmente cadere lo zaino di spalla. Rimase immobile per qualche secondo sulla soglia della porta, per poi muovere qualche passo in direzione di suo fratello. Lo vide con uno straccio bianco in mano, mentre spolverava delicatamente il piano, stando attento a non tralasciare neanche un angolino. Fino a quel giorno era toccato a lui occuparsi di quella parte del soggiorno, perché Itachi non aveva voluto saperne.
“Nii-san...- sussurrò, incredulo-..che stai facendo?”
Il maggiore finì la sua opera rimettendo lo sgabello al suo posto. “Stavo solo dando una ripulita, Sasuke. Tutto qui” mormorò distrattamente, allontanandosi. “C'era uno strato di polvere che avrei potuto vedere anche ad occhi chiusi”
Il fratello lo guardò con aria perplessa. Era sicuro che non fosse quello il vero motivo e che forse, prima o poi, quel piano avrebbe smesso di essere solo un mobile come tutti gli altri.


Quella sera stessa Itachi, come preso da un istinto irrefrenabile, tornò a frugare tra alcuni cassetti della sua stanza, che pensava ormai di aver archiviato da tempo. Trovò al loro interno moltissimi spartiti, alcuni dei quali ingialliti, altri più nuovi ma ugualmente stropicciati, come se fossero stati assorbiti fino all'ultima nota. Finché non arrivò a quel foglio, uno dei più rovinati in assoluto, al bordo del quale una calligrafia stentata, da bambino, aveva scritto “to my mum”. Adagiò il plico sul suo letto ed andò ad aprire la finestra; aveva bisogno di respirare aria fresca. Quando si girò trovò Sasuke poggiato allo stipite della porta, che si era accidentalmente dimenticato di chiudere. Non riuscì a far altro che sorridergli, per poi tornare a sedersi sul bordo del futon.
“Vuoi provarci di nuovo?”
Itachi non rispose e gli porse il foglio che aveva trovato poco prima. Dopo un attimo di esitazione il minore lo prese e gli bastò leggere le parole al bordo dello spartito per capire di cosa si trattava. Anche se non sapeva interpretare le note, quel brano gli era talmente familiare che quasi riusciva a rievocarne la melodia soltanto guardando quei simboli vuoti.
“Mamma ti chiedeva di suonarla almeno due volte al giorno” sussurrò. “Era uno strazio” aggiunse, con un sorriso amaro.
“Già” confermò Itachi.
Quella melodia l'aveva composta lui, dopo appena due anni di studio del pianoforte. Erano dei suoni piuttosto elementari, ripetitivi e a volte anche fastidiosi, ma lui l'aveva dedicata a sua madre e Mikoto, da quel momento, non aveva mai voluto smettere di ascoltarla. Così, anche dopo diversi anni, quando Itachi l'aveva migliorata, sua madre preferiva sempre la versione originale, nata dalle giovani dita del figlio.
Dopo alcuni minuti di silenzio, Itachi iniziò a riporre i fogli nel cassetto.
“Credo che ricomincerò a fare sport” disse Sasuke, all'improvviso.
Itachi si fermò, stupito da quella notizia. “Beh, è un'ottima idea. Andrai con Shisui?”
“Sì, ma non in palestra. Nella stessa struttura hanno anche delle piscine, perciò pensavo di andare lì.”
“E il taijutsu?”
Sasuke sospirò. Aveva praticato le arti marziali per molto tempo, soprattutto durante la scuola elementare e per i primi anni di liceo.
“Voglio provare qualcos'altro” rispose, guardando suo fratello.
Itachi annuì. “D'accordo.” Il minore decise di non approfondire il discorso, perciò Itachi tornò di nuovo a sistemare le sue cose. Quando finalmente richiuse il cassetto, deciso a scendere al piano di sotto per preparare la cena, Sasuke parlò di nuovo.
“Non dovresti abbandonarlo così. La mamma non avrebbe voluto che tu smettessi.”
Si fermò sulla porta, senza oltrepassarla. Guardò Sasuke e gli poggiò una mano sulla spalla.
“Grazie, otouto.”


****


“Che cosa?! Ti sei iscritto in palestra e non mi hai detto niente?!”
La faccia di Naruto viaggiava tra il Paonazzo e il Viola scuro.
“Per quale motivo avrei dovuto dirtelo?” chiese Sasuke, noncurante, mentre addentava il suo panino alle verdure.
Naruto aprì la bocca senza riuscire ad emettere alcun suono. Dopo averla richiusa puntò i piedi a terra e rischiò di accecargli un occhio con l'indice.
“Tu! - esclamò, irato – stai solo cercando di farmi sfigurare con Sakura-chan, non è vero?”
Sasuke si sedette sul banco, poggiando i piedi sulla sedia di Naruto.
“Figuriamoci” borbottò tra un boccone e l'altro.
“Ah, ma stavolta non mi freghi. So benissimo in quale palestra andrai, perciò vedremo chi dei due avrà la meglio!”
Il moro rimase zitto, pensando che fosse meglio ignorare i deliri di Naruto, piuttosto che provare ad arginarli. Ovviamente evitò anche di dirgli che si era iscritto in piscina e non nell'area attrezzi, così da averlo tra i piedi il meno possibile.
Notando che tra i due non tirava aria buona Sakura ritenne, dall'alto della sua autorità, che fosse stato meglio intervenire.
“Si può sapere che hai da urlare, Naruto?”
Inveendo sempre sul biondo, chiaramente.
Il sopracitato sbuffò, lanciando un'occhiata di fuoco all'amico. “Sasuke è un bastardo”
“E tu sei un cretino” rispose l'altro, fermamente convinto di stare nel giusto.
“Ma insomma!” esclamò la ragazza, mettendo le mani sui fianchi. “Perché dovete sempre litigare? Naruto, scommetto che hai esagerato come tuo solito, vero?”
Il biondo negò vistosamente ed incrociò le braccia. “Questa è una questione tra me e lui, Sakura-chan.” dichiarò con fare superiore.
Sasuke scese dal banco. “No, la questione riguarda solo te e la tua stupefacente cretinaggine.”
“Brutto....” ma Naruto non fece in tempo a finire il suo fantasioso insulto poiché il professore di matematica era appena entrato in classe e, con un simpatico ghigno di soddisfazione negli occhi (poiché la bocca era perennemente coperta da una mascherina in plastica), aveva additato proprio il giovane ragazzo e l'aveva invitato ad andare alla cattedra.
“Uzumaki...interrogato”

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Capitolo 7
*** Di palestre, sanguisughe vanitose e cugini gay ***


Capitolo 7
Di palestre, sanguisughe vanitose e cugini gay








Sasuke rimase un minuto buono davanti all'entrata della palestra, senza sapere bene cosa fare. Al banco informazioni gli avevano detto che i corsi di nuoto primaverili sarebbero iniziati la settimana successiva e per scusarsi del disagio gli avevano regalato sette ingressi per la sala attrezzi. Non che morisse dalla voglia di usarli, ma dato che quel giorno Shisui avrebbe avuto da fare in Azienda e Naruto non aveva trovato ancora la voglia di iscriversi, decise di provare. Fece appena in tempo a mettere un piede sul tapis-roulant e le cuffie nelle orecchie che udì una voce cristallina urlare il suo nome. Chiuse gli occhi e sperò di essersi sbagliato ma il grido lo raggiunse questa volta molto più velocemente e, prima che potesse rendersene conto, si ritrovò il collo avvolto tra le braccia di una ragazza bionda.
“Sasuke-kun!” esclamò la novella arrivata, senza staccarsi da lui.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e la allontanò da sé, scocciato.
“Ino...che ci fai qui?” chiese, cercando di mandar via quel profumo nauseante nel quale la ragazza aveva fatto il bagno.
“Potrei farti la stessa domanda” replicò lei, allegra.
Sasuke restò un attimo a guardarla, senza capire cosa stesse succedendo. Per qualche strano motivo aveva ritenuto altamente improbabile che qualcuno della sua classe potesse frequentare quella palestra. Soprattutto se si parlava dell'insopportabile e vanitosa compagna di banco di Sakura. La ragazza, a giudicare dal succinto top fucsia che indossava a mò di reggiseno e dai pantaloncini blu stile coulotte, aveva appena terminato una lezione di Step nella sala adiacente a quella degli attrezzi.
Neanche un'ora di esercizio estremo era servita a placare la sua straripante energia.
“Hai deciso di tenerti in forma, Sasuke-kun? - trillò, facendogli la radiografia - non che a te serva, eh...” si affrettò ad aggiungere per poi prendere posto sul tapis-roulant accanto a lui. Sasuke, rassegnato, arrivò alla conclusione che allontanarsi sarebbe stato inutile, visto che Ino l'avrebbe seguito in ogni caso senza farsi troppi problemi. Non c'è quindi da meravigliarsi se Sasuke avesse associato nella sua mente l'immagine della ragazza a quella di una sanguisuga troppo interessata al proprio aspetto fisico; immagine che, con il passare del tempo, aveva finito per estendersi a tutto il genere femminile.
“C'è anche Kiba, più in là” comunicò Ino, aumentando la velocità.
Sasuke non represse il sarcasmo. “Fantastico”
Era entrato da appena dieci minuti e voleva già andarsene. Non avrebbe potuto iniziare peggio di così. Ci mancava pure il cane, pensò, così poi avrebbero potuto aprire uno zoo. Sì perché Kiba, nonostante all'apparenza fosse un ragazzo normale, la maggior parte delle volte finiva per comportarsi più come un animale, che come un umano. La situazione era aggravata dal fatto che il suddetto passava quasi tutto il suo tempo libero assieme al fidato cucciolo Akamaru, un simpatico cagnolone alto più delle sue gambe. Così aveva finito per diventare il Mogli della città, sempre pronto a urlare, fare casino e dominare i compagni con la sua insopportabile arroganza. Sasuke, insomma, non lo aveva mai sopportato e aveva cercato di starne alla larga già dal primo giorno di scuola.
Non che le persone che Sasuke sopportava fossero tante, s'intende.
Approfittò dei cinque minuti di silenzio di Ino per infilarsi le cuffie dell'ipod nelle orecchie ed alzare la musica a tutto volume; avrebbe volentieri sacrificato un timpano pur di non stare a sentire le assurdità di quella ragazza. Dopo qualche minuto sentì Ino affondargli una mano nei capelli e scompigliarli in modo fin troppo confidenziale, dopodiché la vide mormorare qualcosa che non riuscì a sentire e si allontanò.
Lui, dal canto suo, continuò a correre fino a quando le gambe gli chiesero umilmente pietà.

****

Quando rientrò a casa erano ormai le otto passate. Mentre si toglieva le scarpe, sentì più di una voce provenire dal soggiorno e non gli fu molto difficile capire a chi apparteneva.
“Ciao,Sasuke” lo salutò Itachi, appena lo vide.
“Ehilà, marmocchio! - lo seguì allegro Shisui – come è andato il primo giorno di palestra?”
Il minore lasciò andare la sacca per terra e si gettò letteralmente sul divano.
“Sei stanco eh? Beh non mi stupisce, con quelle gambe poco muscolose che ti ritrovi.”
Quella sera Sasuke non era proprio in vena di stare dietro a suo cugino. I legamenti e i tendini gli facevano talmente male che credette di non riuscire più ad alzarsi.
“Toh – sbottò Shisui, indicando la tv con il telecomando – li vedi quegli scemi che cantano? L'antitesi della virilità per eccellenza. Sembrano delle giovani donzelle con i livelli di testosterone sballati. Suvvia, e quelli sarebbero uomini? Sasuke-chan, vedi di mettere su un fisico rispettabile e non ti azzardare a spiaccicarti i capelli sulla faccia a quel modo.”
Itachi scosse la testa senza farsi vedere, mentre Sasuke guardò perplesso suo cugino, senza sapere cosa rispondere.
“Mh” fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Dopo aver indugiato un po' sul canale musicale, permettendosi ancora qualche insulto verso i poveri pop idol, Shisui decise di cambiare genere, cercando qualche film che avrebbe potuto attirare la sua attenzione.
“Ah, Itachi – ricominciò poco dopo, mentre l'amico era intento ad apparecchiare – la tua segretaria mi ha chiesto di uscire.”
Itachi posò un piatto sulla tavola e guardò suo cugino. “La mia segretaria?”
Anche Sasuke sembrò improvvisamente destarsi dallo stato di sonno veglia in cui era piombato appena aveva sfiorato il divano.
Shisui sorrise beffardo.
“Sì proprio lei. Perché, tecnicamente, Mayuri era la segretaria di tuo padre, ma visto che ora l'azienda è passata a te, lei diventa automaticamente la tua segretaria. O forse dovrei dire la mia, visto che ormai sono io a gestire il tutto. Comunque, non è questo il punto. Stavo dicendo...dopo diversi giorni di corteggiamento sfrenato, finalmente ho deciso di farla contenta e così domani sera usciremo insieme. Sai, sembra una tipa con la testa a posto. Beh, diciamo che ha un po' tutto al posto giusto, ecco.”
Sasuke si lasciò scappare un sospiro di rassegnazione, mentre Itachi pensava che suo cugino avesse vivacizzato il racconto storpiando gli eventi come faceva sempre.
“Però sai, sono un po' preoccupato. Un imprenditore serio come me non dovrebbe uscire con la sua segretaria, no? Se poi le cose vanno male, come farei a restare impassibile dal punto di vista professionale?”
Ecco che Mayuri era magicamente diventata la sua segretaria. Comunque Itachi, al di là delle idiozie che stava sparando suo cugino, si trovò d'accordo almeno sull'ultima questione.
“Credo che non sia una cosa raccomandabile, Shisui. Specialmente adesso che l'Azienda non se la passa troppo bene, almeno dovremmo evitare litigi all'interno”.
Il cugino si sedette a tavola insieme a Sasuke ed iniziò a mangiare.
“Sai Itachi, credo tu abbia ragione. Forse ho sbagliato ad illuderla in quel modo...domani le dirò che non può funzionare” sentenziò in tono solenne, capovolgendo nel giro di un secondo tutto ciò che aveva affermato poco prima. In realtà Shisui non aveva mai accennato ad una possibile relazione seria tra i due, ma nella sua mente la dolce Mayuri doveva già essere follemente innamorata di lui, per cui occorreva trovare un modo semplice e indolore per non spezzarle il cuore.
“Magari potrò dirgli che sono gay” se ne uscì ad un certo punto, dopo aver mandato giù un bel bicchiere di sakè.
Itachi alzò un sopracciglio. “Non ti crederebbe mai, Shisui”
“Già, forse hai ragione. Però se mettessi su una commediola presentandole un ipotetico fidanzato, forse...”
“E chi sarebbe lo sfortunato a dover recitare la parte?” chiese Sasuke noncurante, fingendo di non conoscere la risposta.
Lo sguardo di Shisui passò da Sasuke ad Itachi con una lentezza fuori dal normale. Quando il maggiore si rese conto di ciò che stava succedendo si alzò dal tavolo, pronto a sparecchiare.
“Scordatelo” dichiarò, con un tono che non ammetteva obiezioni.
Shisui scoppiò a ridere talmente forte che per poco non rischiò di rovesciarsi dalla sedia. Quando ebbe finito la scenetta esilarante si asciugò le lacrime ed aiutò i due fratelli a mettere via le stoviglie.
“Sto scherzando Itachi, non preoccuparti. Avresti dovuto vedere la tua faccia...” continuò, scoppiando a ridere di nuovo. “Nessuna persona al mondo crederebbe mai ad una panzana del genere. Io, l'amante delle donne per eccellenza, in giro con un uomo. Mah, piuttosto la morte!” dichiarò con una mano sul cuore e l'altra sospesa per aria a reggere pericolosamente i bicchieri.
“Sì, vale anche per me” confermò Itachi, lanciando un'occhiataccia a Sasuke che, di nascosto, si stava divertendo quasi quanto Shisui.
Alla fine, tra una cosa e l'altra, il cugino rimase a casa loro fino alle undici passate, raccontando sprazzi di relazioni amorose andate male e continuando a sfottere Itachi per tutto il resto della serata. A mezza notte finalmente decise di sgomberare e Sasuke, ormai stanco morto, riuscì ad addormentarsi in modo tranquillo, come non riusciva a fare da tempo immemore.

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Capitolo 8
*** Incertezze ***


Capitolo 8
Incertezze








Itachi, a differenza di suo cugino, non era mai stato un asso nel trattare con le ragazze. Incerto su quale fossero le parole giuste da dire, su come si sarebbe dovuto comportare per non essere troppo invadente o troppo indifferente, alla fine concludeva ben poco e così decideva di allontanarle. Insomma, il ragazzo si poneva decisamente troppi problemi e forse un periodo di “apprendistato” sotto la sorveglianza di Shisui non gli avrebbe fatto male. Tuttavia Mitsuki sembrò rappresentare l'eccezione che conferma la regola e non gli fu per niente facile ignorare le parole che gli aveva sussurrato a lezione. Così, i giorni seguenti, si era scoperto ad osservarla forse più di quanto faceva di solito, mentre si raccoglieva i capelli con la prima penna che trovava sottomano e socchiudeva di poco le labbra nell'atto di concentrarsi mentre scriveva le parole del professore, stando attenta a non tralasciare neanche una virgola. La ragazza però reagì in modo inaspettato e, forse intimidita dall'improvviso interesse di Itachi, non tornò neanche una volta sull'argomento, limitandosi anche lei ad osservarlo da lontano, quando lui non poteva vederla. Entrambi si crogiolavano nelle loro riflessioni e nel dubbio preferivano rimanere zitti, impedendo ai loro sentimenti di sbocciare.
“Itachi, è ora che tu ti dia una svegliata” aveva commentato Shisui, quando il ragazzo gli aveva parlato della situazione complicata che era costretto a gestire ogni volta che metteva piede in facoltà. “Se vuoi una cosa, allora datti una mossa e prenditela!”
L'argomento era saltato fuori proprio mentre Itachi si stava recando in Azienda con Shisui, un sabato mattina.
Itachi guardò la coda infinita di macchine che sfilavano davanti ai suoi occhi. Shisui sbuffò, suonando il clacson ad un motorino che gli era passato a pochi centimetri dallo specchietto.
“Le ragazze non sono oggetti, Shisui”
“Certo che no, cugino. Ma ascoltami bene: ti piacerebbe vedere la tua adorata Mitsuki nelle braccia di un altro?”
Itachi sospirò. “Non è la mia ragazza Shisui, non ho il diritto di...”
“Rispondi!” lo incitò l'altro con tono impaziente.
“No.”
“Ecco, appunto! - esclamò il cugino, soddisfatto – quindi non capisco cosa stai aspettando! Hai intenzione di farti scappare anche lei?”
Shisui non conosceva mezze misure quando si trattava di ragazze e di certo non era il perfetto esempio da seguire, ma almeno poteva vantare una certa esperienza “in materia”.
“Infondo non ha mai detto esplicitamente di essere interessata a me” continuò Itachi, parlando più a se stesso che con il cugino.
“Aaahhh, che ricominci? Cosa ti aspettavi, una dichiarazione d'amore con tanto di inchino e anello di fidanzamento? Itachi, quello che ti ha detto è più che sufficiente per capire che vuole stare con te. Come fa un ragazzo così perspicace a perdersi su questi dettagli?!”domandò incredulo, accelerando bruscamente per coprire quei pochi metri di distanza che lo separavano dalla macchina davanti alla sua. Dopo qualche minuto trascorso ad ascoltare il rombo delle automobili ed il debole suono della radio di sottofondo, Itachi riprese con le sue paranoie.
“Rimane il fatto che non voglio coinvolgerla nei miei problemi, né in tutto ciò che riguarda l'azienda. E poi non credo che Sasuke...”
“Eh no Itachi, non tirare fuori pure tuo fratello – sbottò il cugino, dopo aver frenato all'improvviso – questa cosa riguarda la tua vita e non la sua.”
“Non ho escluso a priori la possibilità, sto solo dicendo che questo non è il momento”
“E allora quando lo sarà, Itachi? Lei non ti aspetterà per sempre. Se tuo fratello tiene veramente a te, allora capirà. Smettila di trattarlo come un bambino”.
L'atteggiamento iperprotettivo di Itachi nei confronti di Sasuke era stato spesso un argomento di discussione tra i due cugini. Shisui sosteneva che una tale attitudine avrebbe rischiato di deresponsabilizzare il minore, con il rischio che non sarebbe mai diventato autonomo nel fare le sue scelte. In questo modo si sarebbe creato un rapporto di dipendenza totale dell'uno dall'altro, senza che nessuno dei due avrebbe potuto vivere le sue esperienze. Itachi, come al solito, aveva pensato che suo cugino stesse esagerando, poiché sosteneva di essersi offerto come supporto solo quando suo fratello l'aveva richiesto, senza invadere i suoi spazi o immischiarsi nei suoi problemi. La questione comunque rimaneva aperta e ogni tanto tornavano a parlarne, scontrandosi in un loop senza fine nel quale ognuno continuava ad argomentare la sua tesi senza voler cambiare idea.
Per tutto il resto del viaggio Itachi evitò di riaprire la conversazione e si limitò a scrutare il susseguirsi di grattacieli dal finestrino.


Erano ormai diversi giorni che Sasuke trascorreva intere giornate dentro casa, uscendo solo per andare a scuola o a sbrigare qualche commissione nel quartiere. La conversazione avuta con suo fratello nel parco dei ciliegi non sembrò rassicurarlo sulla via da percorrere e quindi, nell'incertezza, aveva preferito continuare a condurre la sua vita di sempre, lontano da tutto e da tutti. Come se ciò non fosse stato abbastanza, da qualche tempo aveva anche smesso di parlare con Naruto, il quale aveva deciso che l'avrebbe ignorato fino a quando l'Uchiha non avesse cambiato atteggiamento.
“Anche oggi hai intenzione di rimanere nella tua caverna?” gli aveva chiesto il biondo, all'uscita di scuola.
“Non ti riguarda” si era limitato a rispondere Sasuke, caricando lo zaino in spalla e avviandosi alla fermata dell'auto. Naruto, approfittando dell'assenza di Sakura, l'aveva seguito, con l'intenzione di chiudere una volta per tutte quella faccenda.
“Senti Teme, vedi di darci un taglio. Questa storia sta diventando pesante anche per me”
Naruto non aveva peli sulla lingua e non si faceva problemi ad esternare ciò che gli passava per la testa, mancando completamente di empatia nei confronti del suo interlocutore.
“Lo sai perché Sakura-chan non è venuta a scuola oggi?”
Il moro gettò un'occhiata alla fine della strada per controllare se ci fosse qualche auto in arrivo.
“Magari avrà l'influenza” buttò lì con noncuranza.
Naruto lasciò cadere di peso lo zaino a terra, attirando finalmente l'attenzione di Sasuke, il quale si girò a guardarlo tra il perplesso e l'infastidito.
“No, Sasuke. Perché non ce la fa a vederti mentre trascini quei dannati piedi ogni santo giorno su per quelle fottute scale, né tanto meno a reggere quel tuo sguardo assente per otto ore di scuola.”
“Non è un mio problema.” si limitò a replicare l'altro, distogliendo nuovamente lo sguardo alla ricerca dell'autobus che l'avrebbe salvato.
“Sì che lo è, invece! - sbottò Naruto, paonazzo – noi tre abbiamo sempre condiviso tutto, anche nelle situazioni peggiori. Perché adesso stai cercando di allontanarti?”
Sasuke sbuffò ed allungò un braccio per segnalare all'autista di fermarsi. Prima di salire in vettura lanciò un ultimo sguardo a Naruto, questa volta deciso a troncare la conversazione.
“Smettila di starmi addosso, Naruto. Io non ho mai chiesto né a te né a Sakura di accollarvi i miei problemi e non voglio che lo facciate né adesso, né mai”.
Detto questo lo vide scomparire dietro le porte dell'autobus, senza nemmeno salutare.


Quando Itachi rientrò a casa, alla sette passate, trovò suo fratello chiuso in camera a ripassare la lezione per il compito in classe del giorno dopo. Senza dire niente posò le sue cose ed iniziò a preparare la cena. Non aveva fatto in tempo ad accendere il gas che sentì squillare il telefono e fu costretto a lasciare i fornelli per andare a rispondere.
“Pronto?”
“Ehm..Itachi-san? Sono Sakura.”
“Ah, ciao Sakura. Vuoi mio fratello?”
“Ecco..se può venire sì, grazie.”
Itachi allontanò il microfono dalla bocca e lo chiamò a voce alta, in modo che potesse sentire anche dal piano superiore.
Dopo qualche secondo lo vide comparire in cima le scale e negare con la testa.
“In questo momento non può venire al telefono. Vuoi che gli riferisca qualcosa?”
Il lungo silenzio che ne seguì fece gli fece pensare che la ragazza avesse messo giù.
“Sakura? Tutto bene?”
“Sì, scusami. Digli solo che se ha voglia può richiamarmi.”
“D'accordo”
“Grazie, Itachi-san”
“Buonanotte Sakura”
Detto questo attaccò e lanciò un'occhiata al fratello, che era rimasto a guardarlo.
“Dovresti chiamarla, otouto.”
Sasuke alzò le spalle e fece dietrofront per tornare nella sua stanza. Si sdraiò sul futon e osservò a lungo il cellulare che teneva poggiato sulla scrivania. Lo afferrò malamente e premette il tasto di accensione, sperando di non trovare il sistema intasato dalle chiamate e dai messaggi dei suoi amici. Contro ogni previsione fu solo una busta delle lettere a lampeggiare sullo schermo.

Naruto mi ha detto che avete litigato e che per ora non ha intenzione di parlarti. Mi dispiace che alla fine siate arrivati a questo e sento che metà della colpa è mia, non avrei dovuto reagire marinando la scuola. So di essermi comportata da vigliacca, ma non sapevo neanche io cosa avrei dovuto fare in quella situazione. Non voglio che tu faccia finta di star bene, perché so che non è così, ma almeno potresti provare a fidarti di noi e a non escluderci dalla tua vita.

Sasuke alzò gli occhi al cielo e pensò che i messaggi di Sakura superavano di gran lunga la dimensione standard di un SMS. Se c'era una cosa che detestava era proprio star lì a tormentare i caratteri del suo touchscreen, specialmente se doveva farlo prima di andare a dormire e specialmente se il mittente del messaggio era proprio la strana ragazza dai capelli rosa.
Impostò la sveglia alle sette di mattina e ripose il cellulare sul comodino accanto al letto. Anche quella sera aveva detto ad Itachi di non preparare la cena per lui, nonostante il suo stomaco non fosse della stessa idea. In quei momenti non gli sarebbe mai passato per la testa di mangiare e neanche i crampi che gli attanagliavano lo stomaco sarebbero riusciti a convincerlo. In quei momenti il suo cervello lavorava più del dovuto e riportava alla luce degli episodi che non avrebbe mai voluto ricordare e che cercava con tutto se stesso di cancellare dalla memoria.

Quando si guardò intorno riuscì a vedere solo volti sconosciuti, di gente mai vista prima, che manteneva sul viso un'espressione di falso rammarico, per adeguarsi alla circostanza. Erano pochi i parenti presenti quel giorno e Sasuke riuscì a cogliere il vero dolore solo negli occhi di suo fratello, che non l'aveva lasciato solo neanche un minuto dall'inizio della cerimonia. Quando vide le due bare in legno arrivare, le sue gambe fecero istintivamente un passo indietro, come se gli suggerissero di scappare lontano per fuggire da quella sofferenza. Prima che potesse dar loro ascolto sentì la mano di suo fratello stringergli il polso e riportarlo accanto a lui. Nel suo sguardo spento riuscì a captare le grida di disperazione e le lacrime che ancora non aveva avuto il coraggio di versare, nonché la richiesta di stargli vicino, di non lasciarlo da solo proprio in quel momento, perchè era di lui che aveva bisogno, di suo fratello, e di nessun altro. Così decise di restare e di vivere assieme a lui l'addio definitivo a Mikoto e Fugaku, mentre nelle orecchie gli risuonava il saluto personale che Shisui aveva voluto fare agli zii, promettendo loro che si sarebbe preso cura fino alla fine "dei due scapestrati che si ritrovavano come figli.”










****

Eccomi di nuovo qui!
Arrivati al capitolo otto, dunque neanche a metà della storia, mi rendo conto che la fic non è riuscita a destare particolare interesse nei lettori. L'ho scritta diverso tempo fa, perciò mi rendo conto che rispetto ad adesso lo stile di scrittura era leggermente diverso, forse meno scorrevole.
Non avendo avuto alcun tipo di riscontro pensavo di chiudere con questo capitolo.
Non vorrei fosse un addio definitivo, poiché tengo molto a questa storia e mi dispiace abbandonarla. Pensavo quindi di rivederla, correggerla, aggiustare qualcosa e poi magari provare a pubblicarla più in là.
Se qualcuno ha degli appunti da fare, dei suggerimenti, delle critiche, oppure pensa che io debba proseguire, è libero di esprimere la propria opinione.
Sono qui per crescere e migliorare! :)


Un saluto a tutti e a presto!

Vavi


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Capitolo 9
*** Incontri ***



Questa volta voglio iniziare da sopra, tanto per cambiare! Allora, in teoria il precedente capitolo avrebbe dovuto essere l'ultimo, poichè avevo deciso di sospendere la storia. Tuttavia negli ultimi giorni sono tornata sui miei passi e questo lo devo specialmente ad alcuni lettori che mi hanno dimostrato di voler continuare a leggere. Ringrazio quindi ImnotaMuggle e SweetSmile per aver inserito la storia tra le seguite e monaco per averla inserita tra le seguite/preferite/ricordate.
Il fatto di non aver ancora ricevuto feedback diretti mi fa comunque rimanere nel dubbio, perciò non sono ancora sicura del destino che riserverò a questa storia.
Per adesso vi lascio al capitolo nove, Buona lettura. :)




 Capitolo 9
Incontri








Si presentò sulla porta della stanza di Sasuke con un grande sorriso sul volto e le mani tese in avanti a mostrare il motivo di tanta contentezza. Il minore si avvicinò con cautela e afferrò incerto quello che la madre gli stava porgendo.
“Perché?” chiese, sinceramente stupito da quel gesto.
Mikoto alzò le spalle mantenendo un'espressione gioviale.
“Un Uchiha che si rispetti non può non avere questo capo nel suo armadio!” trillò, accarezzando i capelli del figlio.
“Mamma, ne ho almeno tre ugua-”
“Ah no Sasuke-chan! - lo interruppe Mikoto, alzando un dito – non dire che sono uguali! Quelle tre camicette scialbe che utilizzi come uniforme scolastica non possono essere paragonate a questa!” e sottolineò l'ultima parola afferrando il capo e mostrandoglielo nuovamente.
In realtà si trattava di una normale camicia nera, seppur elegante nella sua semplicità.
“E poi a te non piaceva questo colore?” chiese rivolgendo al minore un altro sorriso.
Sasuke decise di arrendersi ed annuì. “Sì, grazie” mormorò, andando a riporre il capo nel suo armadio.
Mikoto lo guardò amorevolmente. “Però voglio vederti indossarla qualche volta! Non so, magari in qualche occasione speciale! Un compleanno, un'uscita con una ragazza...”
Il minore alzò gli occhi al cielo e sistemò la camicia su una stampella accanto a quelle che era costretto a mettersi per andare a scuola. La guardò per attimo prima di chiudere le ante, chiedendosi se un giorno o l'altro sarebbe davvero uscita da lì.

E così quel giorno la indossò per la prima volta da quando Mikoto gliel'aveva regalata. Non rigirò le maniche come faceva di solito e lasciò libero soltanto il bottone più vicino al collo. Mentre camminava affianco a suo fratello, a cerimonia finita, cercò di convincere se stesso che infondo si trattava solo di una semplice camicia, eppure nulla valse a far sparire i sensi di colpa per non averla mai potuta mostrare a sua madre.


A scuoterlo dalle sue riflessioni fu una leggera pacca sulla spalla che contribuì a riportarlo alla realtà. Girò la testa da un lato e riuscì a mettere a fuoco solo un ammasso di capelli biondi spettinati, che si muovevano a destra e a sinistra in modo fastidioso.
“Naruto, perché...” stava per chiedergli come mai si trovasse proprio nel suo stesso posto, ma poi si ricordò che infondo un supermercato era pur sempre un luogo pubblico e, per quanto avesse desiderato non averlo tra piedi, gli sembrò una domanda inopportuna.
“Ti hanno mandato a fare spese?” bofonchiò il biondo con tono allegro, mentre cercava di afferrare la quinta confezione di Ramen istantaneo.
Sasuke gli rifilò un'occhiata disgustata per la pessima robaccia che teneva tra le mani, dopodiché concentrò la sua attenzione sullo scaffale che si ritrovava davanti, cercando di ricordarsi cosa avrebbe dovuto prendere.
“Non eri tu ad aver giurato di non rivolgermi più la parola, Naruto?” mormorò, senza guardarlo.
Non gli diede neanche il tempo di rispondere e continuò. “E non eri sempre tu quello che manteneva ad ogni costo la parola data?”
Il biondo si limitò a sogghignare, constatando che l'hobby preferito di Sasuke rimaneva sempre quello di punzecchiarlo ad oltranza.
“Non ho mai giurato di farlo, Teme – replicò, facendo un cenno allo zio che, invece di avvicinarsi col carrello, sembrava intento a rimorchiare una giovane ragazza al reparto surgelati – e poi, orgoglio e amicizia e volte non vanno molto d'accordo”.
Detto questo lanciò un urlo in direzione del suo tutore che, evidentemente infastidito, dovette rinunciare alla sua conquista per andare ad aiutare il nipotino.
“Cos'è quella roba, Naruto?” esclamò una volta averlo raggiunto, impedendogli di vuotare le mani nel suo carrello.
“Ramen istantaneo, mi pare ovvio!” rispose il biondo, impaziente.
Il grande omone dai capelli bianchi scosse la testa in segno di disapprovazione. “Nah Nah. Non ci siamo. Non ti lascerò comprare quelle schifezze. In casa mia si mangia sano!”
Naruto, nella foga di rispondere, finì per lanciare per aria le confezioni di ramen, provocando un grande scompiglio nel reparto. Sasuke, nel frattempo, cercava di allontanarsi come meglio poteva.
“Mangiare sano, dici?- sbottò il biondo, in preda ad una crisi di nervi – e allora cosa sarebbero quelli, eh?!?” urlò, indicando tre barilotti di sakè che lo zio aveva cercato di nascondere sotto le verdure. Ma quello lo ignorò e, sorpassandolo con due grandi falcate, riuscì a raggiungere Sasuke e decise di salutarlo con una affettuosa pacca sulla schiena che rischiò di spezzargli la spina dorsale.
“Ehilà giovane Uchiha! Come butta, eh?” chiese allegro, continuando ad infierire sulla spalla di Sasuke.
Il ragazzo si voltò ed alzando la testa incontrò il grosso faccione di Jiraya, che continuava a sorridergli in modo amichevole.
“Stavo meglio prima” mormorò, massaggiandosi la zona dolorante. L'omone scoppiò in una sonora risata facendo girare metà del reparto.
“E' proprio divertente il tuo amico, eh?” disse a Naruto, continuando a ridere di gusto. Il biondo sbuffò spazientito e cominciò a raccogliere i barattoli di ramen per poi metterli nel carrello.
“In ogni caso moccioso, vedi di sbrigarti – riprese, cambiando tono di voce - per colpa tua ho perso l'occasione di abbordare una deliziosa fanciulla che avrebbe potuto fare da musa per i miei libri. Ma se facciamo presto, magari potrebbe essere ancora-”
“Ah, ne ho abbastanza dei tuoi libri, vecchio pervertito!” sbottò Naruto, spingendo il carrello verso le casse. Prima di allontanarsi definitivamente scoccò un'occhiata a Sasuke.
“Ci vediamo” disse, per poi sparire assieme allo zio dietro lo scaffale dei dolciumi.


****


Era un'insolita mattina, quella. Nella facoltà di medicina si udiva solo un timido brusio di sottofondo, poiché la maggior parte degli studenti, approfittando della pausa pranzo, aveva deciso di riunirsi all'aria aperta per scaldarsi sotto i tiepidi raggi di mezzogiorno.
Mitsuki, seduta sul muretto che costeggiava l'entrata, era intenta a leggere un piccolo libricino che, a giudicare dalla sua espressione concentrata, sembrava coinvolgerla parecchio.
“Studiare in una bella giornata come questa?”
Al suono di quella voce si voltò di scatto e trovò il volto di Itachi a pochi centimetri dal suo.
“Oh, Itachi-san – lo salutò, con un sorriso – non stavo studiando” aggiunse, mostrando al ragazzo la copertina del libro. Lui si avvicinò di poco per poter leggere gli astrusi caratteri corsivi che formavano il titolo.
“Le metamorfosi di Ovidio? - chiese, interessato – hai degli ottimi gusti anche in fatto di letteratura.” commentò, sorridendole.
Lei annuì timidamente e poi, forse presa dall'atmosfera del momento, abbassò il libro e lo guardò negli occhi.
“Itachi-san...dobbiamo parlare.”
Il ragazzo fece il giro del muretto e si andò a sedere accanto a lei.
“Ecco – iniziò Mitsuki, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio- non so davvero da dove cominciare.” confessò, sperando che le sue guance le avessero fatto la grazia di rimanere pallide.
Entrambi rimasero per un po' ad osservare il via vai di studenti nel cortile dell'Università, fino a quando la ragazza si decise a riprendere il discorso.
“Quello che ti ho detto a lezione, qualche tempo fa...- sussurrò, a voce molto bassa -...era vero”
Ad Itachi venne da sorridere per la semplicità e la timidezza con le quali aveva confessato quella verità ormai abbastanza evidente.
“L'avevo capito” replicò infatti, facendo crescere di più l'imbarazzo della ragazza, che a quel punto abbassò la sguardo e non riuscì a trovare le parole per continuare. Anche Itachi si rese conto di non aver dato una risposta appropriata, per questo dopo la sua affermazione calò di nuovo il silenzio.
Nel frattempo la maggior parte dei ragazzi cominciava a rientrare, lasciando a malincuore quel fresco vento primaverile per andare a rinchiudersi dentro le immense ed asettiche aule della Facoltà.
Mitsuki si guardò in giro e, prima che potesse afferrare il suo libro e saltar giù, Itachi la fermò posandole una mano sulla sua. La ragazza si voltò verso di lui, sorpresa. Ma lo stupore crebbe ancora di più quando il ragazzo le accarezzò dolcemente una guancia, scostandole un ciuffo ribelle che il vento aveva frapposto tra di loro.
“Credo di non poter fare più a meno di te” gli sussurrò avvicinandosi al suo orecchio. Mitsuki continuò a fissarlo con gli occhi sbarrati e il cuore che minacciava di uscirle dal petto. Totalmente incapace di reagire, riuscì solo a sentire le labbra di Itachi premergli sulla fronte, per poi vederlo allontanarsi e farle segno di raggiungerlo in facoltà poiché, per la prima volta nel corso di due anni, avrebbero fatto ben quindici minuti di ritardo per la lezione pomeridiana.

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Capitolo 10
*** Cambiamenti ***


Capitolo 10
Cambiamenti








Shisui picchiettò distrattamente l'indice sulla sigaretta, facendo cadere la cenere a terra.
“Non avevi deciso di smettere?” gli chiese Itachi, posando il menu davanti a sé.
Shisui annuì e tirò un'altra boccata. “Ma sì ma sì, sto smettendo Itachi. Se dico una cosa poi la farò, puoi starne certo. Piuttosto, quand'è che dovrebbero arrivare?”
Itachi diede un'occhiata all'orologio. “Tra cinque minuti, più o meno”
Il cugino non replicò e spense la sigaretta nel posacenere. Era un pomeriggio molto soleggiato e la temperatura rasentava i ventiquattro gradi; un clima insolito per una giornata di Primavera.
“Ecco, sono loro?” domandò Shisui, rizzandosi sulla sedia. Aveva adocchiato o, per meglio dire, fiutato, due ragazze camminare nella loro direzione. Anche Itachi si sporse per vedere meglio.
“Sì, sono loro” confermò, una volta messi a fuoco i volti.
“Aspetta aspetta, lasciami indovinare” intervenne Shisui, bloccando Itachi prima che potesse rivelare la loro identità. Entrambe avevano i capelli neri; una di loro li teneva lisci e sciolti a ricadere sulle spalle, mentre l'altra li aveva raccolti in una crocchia disordinata, tenendo libero solo il ciuffo a coprirle parte della fronte.
“Mitsuki è...quella a destra con i capelli legati” dichiarò Shisui, incrociando le braccia ed appoggiando la schiena alla sedia.
Itachi annuì. “Sì, è lei.”
Il cugino sorrise. “Ho tirato a indovinare”
“Non ne sarei così sicuro”
Questa volta Shisui scoppiò a ridere. “Ah, mi conosci troppo bene Itachi. D'accordo, ho puntato su quella che mi piaceva di più.”
Poco dopo furono costretti ad interrompere la conversazione poiché le due ragazze li avevano finalmente raggiunti al tavolo.
Entrambi si alzarono e le salutarono con una flessione del capo.
“Sono Mitsuki, piacere di conoscerti” intervenne la prima, guardando Shisui. “Lei è Aoko” aggiunse presentando la sua amica, che annuì timidamente. Una volta finite le presentazioni decisero di ordinare un aperitivo per tutti e, come sempre succedeva nella situazioni imbarazzanti, fu Shisui a rompere il ghiaccio per primo.
“Anche tu frequenti medicina, Aoko-san?” chiese alla ragazza, che fino a quel momento non aveva spiccicato parola.
“Sì, sono nello stesso corso di Itachi e Mitsuki”rispose meccanicamente lei, bevendo un altro sorso di Coca Cola.
“Aoko è un anno più piccola di noi, ma non ha perso neanche un esame fino ad adesso. Ogni tanto mi spaventa” scherzò Mitsuki sfiorando il gomito dell'amica, nella speranza di farla sorridere.
“Nel nostro corso si litigano continuamente i suoi appunti” aggiunse Itachi, confermando l'ottima reputazione di cui godeva Aoko.
“Ma guarda te se oggi dovevo trovarmi a banchettare con tre secchioni. Roba da matti” borbottò Shisui, poggiando sul tavolo il suo bicchiere ormai vuoto.
Mitsuki ridacchiò. “Tu perché non studi, Shisui-san?”
Il ragazzo alzò le spalle. “Nah, non fa per me. Io sono più un tipo pratico. L'Azienda da un gran bel da fare, ma in ogni caso lo preferisco ai libri.”
“L'anno scorso si era inscritto ad Ingegneria Aerospaziale” buttò lì Itachi, sapendo che a Shisui non piaceva tirare fuori l'argomento.
Mitsuki ed Aoko lo guardarono stupite.
“E' stata solo una perdita di tempo” commentò il cugino con indifferenza.
“Quella è una facoltà per-” cominciò Mitsuki, ma Shisui non la lasciò finire.
“Pazzi? Fuori di testa? Reietti della società? Sono assolutamente d'accordo, infatti ho mollato dopo un semestre.”
La ragazza sorrise e scosse la testa. “Io volevo dire...per geni”
Shisui non riuscì a nascondere un'espressione compiaciuta. “Si beh, quello che è. Comunque non avevo voglia di star dietro agli esami, perciò ho lasciato perdere. Vorrà dire che userò la mia indole geniale in altri modi”
Questa volta anche Aoko si lasciò scappare un timido sorriso, mentre Mitsuki lanciò un'occhiata divertita ad Itachi, seduto proprio davanti a lei.
“Vi da fastidio se fumo?” domandò ad un tratto Aoko, afferrando il manico della sua borsa. Itachi e Shisui negarono con il capo e la ragazza tirò fuori un pacchetto di sigarette. Shisui osservò prima il bicchiere di Coca Cola mezzo vuoto, poi di nuovo i movimenti della ragazza, che aveva appena afferrato l'accendino e tentava di coprirsi dal vento con una mano.
L'eleganza con la quale teneva il filtro tra le labbra e, con un gesto lento, lo allontanava per espirare il fumo, tennero Shisui occupato per cinque minuti buoni. Gli sembrò come se quella ragazza avesse improvvisamente cambiato personalità, trasformandosi da fanciulla timida a donna provocante. Fu allora che notò anche lo spacco della gonna attraverso il quale poteva scorgere le gambe accavallate l'una sull'altra. A quel punto sentì Itachi tirargli una gomitata sotto al tavolo e ne dedusse che probabilmente era rimasto a fissarla più di quanto si fosse reso conto. Aoko però, concentrata sulla sua sigaretta, non parve accorgersi di nulla o, perlomeno, ciò che accadde non sembrò turbarla in alcun modo. Almeno fino a quando terminò il mozzicone e tornò a posare entrambi le mani sulla borsa, lanciando uno sguardo timido a tutti i presenti.
Nel frattempo Mitsuki si era gustata la scena e aveva condiviso con Itachi uno sguardo complice e un sorriso beffardo per la reazione del cugino. Entrambi conoscevano lo strambo carattere di Aoko e sapevano altrettanto bene che tipo di effetto facesse sulle persone che non l'avevano mai vista.
Ordinarono un'altra portata di salatini, continuando a parlare della bravura di Aoko e di quanto, in un certo senso, assomigliasse all'estro geniale di Shisui.
“Scusate, vado un attimo alla toilette.” avvertì la ragazza, lanciando uno sguardo a Mitsuki per invitarla ad andare con lei. Shisui le seguì con lo sguardo fino all'entrata del bar e, dopo essersi accertato che non potevano sentirli, si girò verso il cugino.
“Ehi, cos'è questa storia?” domandò tra il perplesso e il divertito.
Itachi alzò le spalle. “Non so di cosa tu stia parlando”
“Avanti Itachi, ti sembra normale quella ragazza? Tu sei nel corso con lei, quindi ne saprai senz'altro più di me”
“E' solo il suo carattere, Shisui”
“Soffre di bipolarismo?” azzardò il cugino, sempre più interessato.
“Non credo proprio. Aoko tende a sciogliersi se è in compagnia di persone che conosce da molto. E quando fuma le sigarette”
Shisui annuì, tirando fuori il suo pacchetto. “Sì, questo l'avevo notato. E comunque quella donna sarà mia, prima o poi.”
Itachi sospirò. “E Mayuri?”
“Ah sì! - esclamò Shisui, balzando sulla sedia – poi alla fine non ti ho più raccontato. Visto che hai mandato in frantumi l'idea di fingermi gay, ho dovuto mollarla senza troppi preamboli, dicendole che essendo impiegati nello stesso ufficio sarebbe stato meglio evitare eventuali delusioni amorose.”
“E lei?”
Shisui si accese un'altra sigaretta. “Ha detto che non aveva nessuna intenzione di iniziare una relazione seria. Voleva solo venire a letto con me”
Itachi fissò suo cugino incredulo, fino a quando lo sguardo fermo dell'altro gli fece capire che non si trattava delle sue solite buffonate.
“Tutte tu le trovi, Shisui”
Il ragazzo alzò le spalle. “Mah, meglio così alla fine. Non è che mi interessasse poi così tanto. Adesso ho trovato qualcuno di molto più intrigante” finì la frase in un sussurro, visto che le due ragazze erano già di ritorno.
“Itachi-san, Shisui-san – iniziò Mitsuki, guardando entrambi – per noi si è fatto un po' tardi.”
Itachi si alzò. “Volete un passaggio a casa?”
“No, nessun problema. Aoko ha la macchina parcheggiata qui vicino. Grazie, Itachi-san”
Anche Shisui si alzò per salutare e, nel giro di qualche minuto, le videro sparire dietro l'angolo della strada.


Itachi rientrò a casa quando il sole era già sparito dietro la linea dell'orizzonte e si stupì di non trovare Sasuke in camera sua. Fece un giro per casa chiamandolo due o tre volte, ma non ricevette risposta, quindi scese al piano inferiore ed iniziò a preparare qualcosa da mettere sotto i denti.
Circa mezz'ora dopo sentì la chiave girare nella serratura e adocchiò suo fratello mentre lanciava stancamene lo zaino sul divano e lo raggiungeva in cucina.
“Ciao, otouto.” lo salutò, con un sorriso. “Sei stato fuori?”
Quasi faceva fatica a credere che Sasuke non avesse passato il pomeriggio chiuso in casa.
“Sono stato da Naruto – borbottò l'altro, scocciato – mi ha pregato di andare ad aiutarlo a sistemare casa.”
“E jiraya?” chiese Itachi, sapendo che il biondo viveva assieme al suo padrino.
“Ubriaco fradicio – commentò il fratello – la sera prima ha messo a soqquadro tutto invitando non so che gentaglia e stamattina non si reggeva in piedi.”
Itachi sospirò. “E un brav'uomo, Jiraya. Ma il vizio dell'alcool lo ucciderà.”
“Quel cretino mi ha detto che l'altra sera ha passato la notte fuori pur di non starlo a sentire” raccontò, riferendosi a Naruto.
“Come sarebbe?” domandò Itachi, spegnendo il fuoco.
Sasuke si appoggiò al tavolo. “Non ha speranza, deve avere qualche neurone difettoso. Gli ho detto di venire qui, se mai gli passasse di nuovo per la testa l'idea di vagabondare per strada”
Itachi cercò di nascondere lo stupore per il comportamento di suo fratello. Gli sembrò che fosse diventato un'altra persona nel giro di due giorni.
“Hai fatto bene. Digli che può venire quando vuole” aggiunse sorridendo.
Sasuke lo aiutò a mettere le stoviglie in tavola. “Sì, senza esagerare, che poi quello ti prende in parola e ce lo troviamo tra i piedi un giorno sì e l'altro pure”
Ecco che ritornava il ragazzo scorbutico e arrogante di sempre.







****
E qui fa la comparsa un nuovo quanto strambo personaggio, Aoko. Il suo ruolo nella vicenda non sarà fondamentale ma chissà, forse riuscirà a conquistare il cuore di Shisui, prima o poi.
Sasuke invece sembra finalmente intravedere uno spiraglio di luce in questa situazione poco favorevole. Sarà un primo segnale verso la risalita?
Con questo vi lascio e ringrazio ancora una volta tutti coloro che stanno continuando a leggere la storia.
Siate fiduciosi, non mancherà un pò d'azione!
Qualsiasi commento, consiglio o critica sarà ben accetto, ormai lo sapete :)

A presto,

Vavi

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Capitolo 11
*** Incidente ***


Capitolo 11
Incidente








Mentre usciva dal cancello dell'Università, Itachi adocchiò una macchina parcheggiata sul lato sinistro della strada, proprio di fronte al grande edificio che ospitava la facoltà di Medicina. Salutò Mitsuki con un gesto sbrigativo e si avvicinò alla Mini Cooper con le quattro frecce azionate. Non appena scorse un braccio con una sigaretta accesa penzolare dal finestrino, ebbe la certezza di aver visto giusto.
“Shisui, da quando in qua vieni a prendermi all'Università?” domandò, aprendo lo sportello della macchina e accomodandosi sul sedile anteriore.
Il cugino calò gli occhiali da sole sul naso e lo guardò di traverso.
“Perché, ti dispiace?”
Itachi ricambiò lo sguardo con l'aria da chi la sa lunga. “E' piuttosto insolito”
In effetti, poco dopo, Shisui riprese ad osservare il cancello d'entrata attraverso le lenti scure dei Rayban e non sembrava intenzionato a voler girare la chiave per mettere in moto.
“Non è venuta oggi, Shisui.” lo informò Itachi, sospirando.
Il cugino gettò la sigaretta nel tombino lì accanto e finalmente si decise a partire. Mentre facevano inversione ad U scorsero Mitsuki chiacchierare lì davanti con un gruppo di ragazze del corso e, proprio quando Shisui stava per suonare il clacson, Itachi lo fermò.
“Per favore. Evita”
Così il cugino accostò al marciapiede e non appena la ragazza si accorse di loro li salutò con un sorriso e un gesto della mano. Shisui ricambiò alzando il braccio fuori dal finestrino, mentre Itachi si imitò a sorriderle di rimando.
“Sai Itachi, penso di essermi preso una cotta per Aoko.” disse ad un tratto Shisui, mentre imboccavano l'autostrada per andare in Azienda.
“Ma se l'hai vista solo una volta”
Il sole cominciò a nascondersi dietro le nuvole e Shisui ripose i suoi occhiali nel cruscotto.
“Beh, è quello che si chiama colpo di fulmine, no?”
Itachi alzò le spalle, senza replicare.
“Eppure a vederla si direbbe una classica ragazza giapponese. Capelli neri, di media lunghezza, tenuti lisci sulle spalle. Occhi a mandorla, naso piccolino e abbigliamento casual ricco di accessori. Però c'è qualcosa in lei....”
Dopo qualche minuto di silenzio Shisui accese la radio e abbassò il volume in modo che non coprisse le sue parole.
“Invece, Mitsuki... - riprese, questa volta attirando l'attenzione di Itachi, che si girò lievemente verso di lui – lei è diversa. Non so, i suoi lineamenti..sembra quasi...”
“Americana” finì il cugino, in un sussurro.
“Sì, ecco...no, aspetta! Che hai detto?! Americana?!”
A Shisui strabuzzarono gli occhi e per poco non tamponò la macchina che aveva di fronte.
Itachi annuì senza troppa enfasi.
“Suo padre è nato in America ed ha sposato una donna giapponese. Dopodiché si sono trasferiti ad Osaka ed hanno comprato casa lì. Mitsuki comunque è nata a Tokyo.”
“Lo sapevo io, che c'era qualcosa! - sbottò Shisui, sterzando in malo modo – e quindi metà del suo fascino proviene dall'America. Questa sì che una notizia!” esclamò, più allegro che mai. “E di dov'è suo padre?”
“Los Angeles”
Shisui continuò ad annuire, sempre più entusiasta, ma non si accorse che Itachi lo stava guardando con un'espressione preoccupata.
“Perché stiamo andando in Azienda, Shisui? C'è qualcosa che non va?”
Il cugino sospirò e inforcò di nuovo gli occhiali da sole, sebbene le nuvole avessero cominciato a farsi sempre più fitte.
“Qualche problema con i magazzinieri, Itachi. Credo sia il caso di fare una riunione e ho pensato che fosse meglio portare anche te.”
“Perché non me l'hai detto subito?” domandò, perplesso.
Shisui azionò la freccia ed entrò nel parcheggio. “Non volevo rovinarti il viaggio”


****


Aveva iniziato a piovere già da un po', quando Sasuke decise di tornare a casa a piedi. Quel giorno Naruto non si era presentato a scuola e lui non aveva nessuna voglia di aspettare ore e ore alla fermata dell'autobus. Così si era incamminato, senza neanche un ombrello, sulla via che lo avrebbe condotto a casa. Sakura aveva cercato di convincerlo a farsi dare un passaggio da sua madre, ma lui aveva prontamente rifiutato, ringraziando e proseguendo per la sua strada.
La pioggia cadeva debole ma incessante, giusto quel poco che bastava per solleticare il volto e bagnare i vestiti.
Mentre si trascinava lungo il marciapiede gli tornò alla mente l'immagine di suo fratello, seduto sullo sgabello di velluto a scrutare i tasti del piano senza riuscire a produrre alcuna melodia.
Era successo qualche giorno prima ed Itachi, inizialmente, gli era sembrato molto determinato a non voler mollare. Ma anche quella volta non aveva ottenuto risultati e così entrambi avevano iniziato la mattinata con un senso di delusione addosso, che non li aveva abbandonati per tutta la giornata.
Forse fu proprio per quel motivo che nelle sue orecchie risuonò, quasi come fosse vero, il suono della scala che suo fratello maggiore, molto tempo addietro, stava cercando di insegnargli.

“Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do”
Itachi aveva toccato ogni tasto con un dito e l'aveva fatto lentamente, accertandosi che Sasuke lo avesse seguito fino in fondo. Il bambino, stretto sullo sgabello assieme al maggiore, si era tirato su le maniche e aveva steso le braccia vicino a quelle del fratello, pronto per provare anche lui.
Itachi gli guidò l'indice fino all'ultima nota quando, con un sorriso, Sasuke esclamò di volerlo rifare da solo.
“Hai visto?! Ci sono riuscito!” disse non appena ebbe terminato la sua esibizione, sorridendo ad Itachi.
Il maggiore annuì. “Sei stato bravo. Adesso vuoi provare a farlo con tutte le dita?”
Questa volta Sasuke lo guardò un po' dubbioso, ma subito dopo acconsentì, convinto che se poteva farlo suo fratello allora ci sarebbe riuscito anche lui. Suo malgrado il tentativo non andò a buon fine e poco dopo Sasuke proclamò che per quel giorno poteva bastare.
“Nii-san, mi sono stancato. Perché non giochiamo a nascondino?” esclamò, saltando giù dello sgabello.
Itachi rimase ad osservare ancora qualche secondo lo spartito vuoto che avrebbe voluto riempire con una melodia tutta sua.
“D'accordo, otouto” affermò poi, cercando di stare dietro a suo fratello che era già schizzato in direzione del cortile.

Ad un tratto quel ricordo sfumò e tutto divenne nero.
A Sasuke sembrò quasi di essersi addormentato, poiché tutto quello che riusciva a vedere era una coltre buia davanti a sé.
Quando aprì gli occhi fu costretto a sbattere le palpebre due o tre volte per riuscire a mettere a fuoco i contorni. Vedeva il bordo del marciapiede e, sopra di esso, decine di piedi che si muovevano a destra e a sinistra. Poi, quando anche il suo udito tornò, riuscì a sentire diversi borbottii lontani, qualcuno che urlava e i clacson di alcune macchine suonare. Capì di trovarsi sdraiato su un fianco e sentì l'asfalto caldo che gli graffiava la guancia. Solo quando abbassò lo sguardo e vide il pantalone del ginocchio sinistro completamente lacerato, allora una fitta di dolore lancinante gli fece girare la testa e lo costrinse, istintivamente, a coprirsi la rotula con la mano. Anche il braccio però gli doleva e si trovò a stringere i denti per non urlare.
“Ha ripreso conoscenza!” sentì esclamare da una voce molto vicino a lui.
Nel frattempo tutto il corpo cominciava a risvegliarsi ed il dolore gli impediva di respirare. Capì che doveva trattarsi di un incidente e che, come suo solito, a causa dei ricordi che troppo spesso gli tornavano in mente, non si era accorto di ciò che gli succedeva attorno. Cercò di parlare ma dalla bocca non uscì alcun suono e non pote fare altro che stringere la presa sul ginocchio, il quale non voleva smettere di sanguinare, imbrattando l'asfalto circostante.
“Non muovetelo!” urlò un signore sbracciandosi a più non posso sull'orlo della strada.
Sentì una mano femminile scostargli i capelli dal viso e riuscì a scorgere l'espressione conciliante di una signora di mezza età.
“Stai tranquillo tesoro, abbiamo appena chiamato l'ambulanza. Arriveranno a momenti.”
"Fanculo l'ambulanza!" pensò Sasuke, contorcendosi dal dolore. L'unica persona che avrebbe voluto vicino in quel momento era suo fratello. Con il braccio ancora sano cercò di recuperare il cellulare dalla tasca e la signora, appena capì le sue intenzioni, lo aiutò a tirarlo fuori.
“Vuoi avvertire qualcuno, figliolo?” lo incoraggiò, tenendo il telefono tra le mani.
Sasuke annuì debolmente ed utilizzò tutta la forza che aveva per pronunciare quella parola.
“Itachi”
La signora cercò il nome in rubrica e spinse il tasto verde.
“Parlerò io per te” gli disse, alzandosi in piedi senza però allontanarsi. Sasuke ovviamente non era d'accordo, ma non si trovava nella posizione di poter rifiutare. Sentì la signora raccontare ciò che era successo e, prima che potesse terminare la chiamata, si forzò di respirare più profondamente e tirare fuori la voce.
“Mi passi il telefono” mormorò.
La signora lo guardò preoccupata, ma poi si decise ad accostarglielo all'orecchio.



“Nii-san...”
“Sasuke! Perché stai parlando? Non devi sforzarti! Resisti, io sto-”
“Scusa...”
“Scusa?! Ma che stai dicendo? Smettila di parlare, o peggiorerai!
“Scusa, nii-san.”
Questa volta sentì il tono di voce di Itachi vacillare.
“Sto arrivando, otouto.”









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Capitolo 12
*** Perchè a noi? ***


Capitolo 12
Perchè a noi?








I corridoi dell'ospedale erano deserti; lungo i pavimenti asettici si respirava un forte odore di varechina e medicinali. Sasuke era stato trasferito in una stanza privata al piano superiore.
Erano passate esattamente sei ore dal suo arrivo in ospedale e meno di due da quando i medici avevano deciso di tenerlo sotto osservazione. Itachi aveva chiarito fin da subito di parlare chiaro con lui, poiché camuffare una diagnosi non sarebbe servito niente. E infatti il medico non tralasciò nessun dettaglio nel descrivere la frattura scomposta che aveva fatto guadagnare a Sasuke un gesso al braccio sinistro e la contusione della rotula sinistra, con annessa lesione esterna e venti punti di sutura.
“Sarebbe potuta andare peggio” buttò lì il primario, mantenendo la sua professionalità.
Itachi annuì, non molto convinto, e lo ringraziò per la schiettezza.
Mentre era uscito a passeggiare nell'atrio in fondo al corridoio sentì dei passi svelti salire le scale e si immobilizzò proprio in cima alla rampa. Vide la ragazza fiondarsi su di lui e, senza neanche avere il tempo di rendersene conto, si ritrovò a stringerla sul suo petto.
“Itachi-san...mi dispiace” mormorò lei, ansimando ancora per la lunga corsa.
Lui continuò a tenerla tra le braccia, senza dire niente. Dopo un po' Mitsuki si allontanò e gli sfiorò una guancia con le dita.
“Lui come sta?”
Itachi indicò col capo una stanza poco più avanti.
“Sta dormendo.”
Poi tornò a guardarla. “Ma tu non saresti dovuta venire. E' tardi...”
Lei scosse il capo e gli prese una mano.
“Non avrei dovuto dirtelo” aggiunse lui con un soffio di voce, abbassando lo sguardo.
Nel frattempo la porta della stanza si aprì ed entrambi videro Shisui uscire in punta di piedi e richiudersela alle spalle un secondo dopo. Appena si accorse di loro sorrise ad entrambi, per poi allontanarsi dalla parte opposta con una sigaretta fra le labbra.
“Non l'ho mai visto così” disse Itachi preoccupato, riferendosi all'umore di suo cugino.
Mitsuki, non sapendo come replicare, guidò Itachi fino alle panchine in plastica addossate lungo il muro del corridoio e lo invitò a sedersi assieme a lei. Nessuno dei due disse niente fino a quando la ragazza poggiò il capo sulla sua spalla e intrecciò la mano con la sua.
“Cosa posso fare per voi, Itachi-san?”
Lui sospirò. “Stai già facendo abbastanza”.


Intorno alle undici di sera Itachi pregò i due amici di tornare a casa, dicendo loro che sarebbe rimasto per la notte. L'infermiera di turno, vedendolo camminare avanti e indietro davanti alla porta della stanza, gli aveva ricordato che l'orario di visita era finito da un pezzo e che non avevano brandine disponibili per farlo dormire. Itachi replicò che non aveva nessuna intenzione di dormire e la pregò di farlo rimanere assieme a suo fratello almeno per quella notte. Al ché la ragazza, più grande di lui di qualche anno, acconsentì, a patto che restasse dentro la stanza evitando di girovagare per i corridoi. Il ragazzo la ringraziò di cuore e prese posto su una sedia accanto al lettino di Sasuke. Studiò le fattezze della stanza così a lungo che avrebbe potuto muoversi al suo interno ad occhi chiusi. Quando ormai le palpebre avevano iniziato a chiudersi senza che lui potesse opporsi, poggiò entrambe le braccia sul lettino e, adagiandovi sopra la testa, si addormentò.
Quando Sasuke aprì gli occhi erano le quattro di mattina. Il primo istinto fu quello di premere le dita sulle tempie, ma non vi riuscì a causa della robusta fasciatura del braccio sinistro e l'ago della flebo nel braccio destro. Non si perse d'animo e provò a muovere i piedi, ma una fitta al ginocchio lo fece gemere di dolore e finì per svegliare suo fratello.
“Sasuke...- mormorò lui, alzandosi – come ti senti?”
Il minore si guardò in giro e il suo respiro diventava sempre più agitato man mano che i ricordi gli riaffioravano alla mente e cominciava a rendersi conto della situazione.
“Merda!” esclamò, facendo leva sul cilindro metallico della flebo, per cercare di mettersi a sedere.
Itachi lo fermò all'istante, bloccandogli entrambe le braccia.
“Sasuke, non puoi muoverti adesso. Devi riposare.”
Ma l'altro non sembrava volersi calmare ed alcune gocce di sudore freddo cominciarono a rigargli la fronte.
“Nii-san...portami via da qui” lo supplicò, con un'espressione implorante che Itachi non gli aveva mai visto.
Il maggiore lasciò la presa e lo guardò con apprensione.
“Mi dispiace Sasuke. Lo farei se potessi...ma devono tenerti sotto controllo.”
A quelle parole Sasuke spostò lo sguardo verso la porta della stanza e in lui cominciò a radicarsi la certezza che suo fratello, quale studente di medicina, non l'avrebbe mai aiutato a fuggire da quell'inferno prima del tempo.
Itachi girò attorno al letto e si avvicinò alla finestra. “Un po' d'aria ti farà bene”
E questa, se il maggiore non avesse avuto i riflessi pronti, si sarebbe rivelata come l'occasione perfetta per peggiorare le condizioni del minore. Sasuke infatti, approfittando della temporanea lontananza di suo fratello, aveva afferrato la flebo e aveva cercato di mettersi in piedi facendo pressione sulla gamba sana. Ma il suo corpo, ancora troppo debole, non aveva retto allo sforzo e si era sbilanciato in avanti. Itachi aveva fatto uno scatto nella sua direzione e l'aveva afferrato sotto le braccia, impedendogli così di finire con la faccia a terra.
“Si può sapere cosa pensavi di fare?! - esclamò, cercando di rimetterlo a sedere sul lettino – sei un incosciente!”
Sasuke, per tutta risposta, si aggrappò alla sua maglietta con l'unica mano che riusciva ad usare ed affondò il capo sulla sua spalla. Poco dopo sentì chiaramente le lacrime di suo fratello bagnargli la maglia e i muscoli del suo corpo abbandonarsi a dei singhiozzi silenziosi. Non disse niente ma continuò a sorreggerlo, come aveva sempre fatto e come non avrebbe mai smesso di fare.
Perché a noi...?” lo sentì sussurrare con voce rotta.
Neanche Itachi, per quanto ci avesse provato, era riuscito a dare una risposta a quella domanda. Molte volte aveva cercato di convincersi che forse si trattava solo del destino e quindi sarebbe stato impossibile opporsi al corso degli eventi; ma una simile idea avrebbe significato arrendersi, lasciarsi andare definitivamente alla sofferenza e non riuscire più a riemergere. Così aveva abbandonato quest'ipotesi, aggrappandosi ai lievi barlumi di speranza che dal qualche tempo avevano iniziato a risplendere nella sua vita. “Non lo so” disse solo, poggiandogli una mano sul capo e lasciando che finalmente sfogasse tutto il dolore che fino a quel momento si era tenuto dentro.







****
Capitolo di transizione, un pochino più corto degli altri. Per questo motivo ho pensato di pubblicarne due questa settimana e credo che l'altro arrivi nel week-end.
Grazie di cuore a tutti coloro che continuano a seguire la storia e a recensire. :)

Hope you like it!

A presto,

Vavi






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Capitolo 13
*** La tirocinante ***


Capitolo 13
La tirocinante








“Che figata!”
Erano più di venti minuti che Naruto giocherellava con il telecomando della TV.
“Che figata! - ripeté, per l'ennesima volta – hai un televisore di ultima generazione in una stanza tutta tua! Ma che vuoi di più, eh, teme?”
Sasuke ignorò sia lui sia il fastidioso apparecchio appeso alla parete di fronte al lettino. Sakura sedeva accanto a lui, sulla sedia che aveva usato Itachi qualche sera prima.
“Sasuke-kun, sei sicuro che non hai bisogno di niente?”
Il moro sbuffò, meditando di far volare in aria il suo amico biondo assieme all'oggetto che destava in lui così tanta ammirazione. Sakura, sorvolando sul fatto che Sasuke aveva completamente ignorato la sua richiesta, rifilò uno scappellotto sulla nuca al povero Naruto che, dopo infiniti borbottii, si decise finalmente a spegnere la TV.
“Ma che fai tutto il giorno qui?” si lamentò, accomodandosi sulla poltrona accanto alla finestra. “Sembra addirittura peggio che stare seduto al banco.”
Non riusciva proprio a trattenersi dal peggiorare lo stato d'animo del suo migliore amico. E il bello era che non lo faceva neanche apposta.
“Per favore, lasciatemi solo” fu l'unica cosa che uscì dalla bocca di Sasuke.
Gli altri due si scambiarono uno sguardo perplesso, dopodiché decisero di accontentarlo e con un cenno della mano si dileguarono.


Suo fratello sarebbe arrivato assieme a Shisui qualche ora più tardi; stava facendo il possibile per cercare di conciliare visite frequenti in ospedale e presenza alle lezioni obbligatorie in facoltà.
L'orologio segnava le sette e trenta, orario in cui l'infermiera di turno, solitamente una quarantenne piuttosto acida, si occupava di medicargli la ferita al ginocchio e in fretta e furia controllava che le fasciature fossero al suo posto, per poi augurargli la buonanotte e dileguarsi. Quella sera, come sempre, sentì le sue décolleté ticchettare sul pavimento, ma stavolta riuscì ad udire anche altri passi, più svelti ed incerti, che si dirigevano verso di lui.
“Buonasera Sasuke” esordì, bussando solo dopo essere già entrata.
Dietro di lei trotterellava una ragazza giovane, con una pila di scartoffie in mano, che gli rivolse uno sguardo imbarazzato attraverso la sottile montatura nera. Aveva i capelli color rosso acceso e negli occhi color nocciola brillavano delle curiose sfumature mogano. Il suo sguardo era tanto inquietante quanto magnetico.
“Lei è una tirocinante” spiegò la donna a Sasuke, vedendo la sua espressione perplessa. “Mi aiuterà per qualche giorno, se non ti dispiace.”
Il ragazzo non rispose, anche perché la sua opinione sarebbe comunque stata irrilevante.
“Karin, disinfetta la ferita che ha sul ginocchio, io vado in magazzino a prendere le fasciature” spiegò alla ragazza per poi allontanarsi sempre con il solito andamento frettoloso.
Karin posò i documenti su una sedia lì vicino e si avvicinò timidamente a Sasuke. Slegò l'aggancio della benda e cominciò a srotolarla lentamente. Non sembrò particolarmente turbata dallo stato della lesione ed afferrò sicura il disinfettante dal carrello ai piedi del letto. Nel fare questi brevi passaggi aveva spostato più volte lo sguardo dalla gamba al volto di Sasuke, distogliendolo subito dopo per evitare di incrociare il suo.
“C'è qualche problema?” chiese ad un tratto il ragazzo, infastidito da quell'atteggiamento.
La ragazza sobbalzò e fece cadere il cotone a terra. “Oh no! Tutto apposto – si sbrigò a rispondere, raccogliendo il batuffolo e gettandolo nel secchio – la ferita si sta rimarginando bene.”
Sasuke riuscì a cogliere solo le prime quattro parole, poiché il resto era stato pronunciato ad una velocità tale che neanche il più abile dei linguisti sarebbe riuscito a capirlo.
“Siete così poco professionali da queste parti?”
Stavolta l'uscita di Sasuke non la colse impreparata.
“Beh, se i pazienti fossero tutti come te, allora sarebbe un problema.”
Il ragazzo scostò lo sguardo da lei. “Tzk...sei anche sfacciata”
Karin sorrise e versò una quantità maggiore di disinfettante sulla ferita, facendo sussultare il ragazzo.
“Ma che fai?” sbottò lui.
“Ti ho forse dato il permesso di prenderti tutta questa confidenza?”
Sasuke la fissò con gli occhi sbarrati ma non riuscì a replicare. Lei sogghignò, soddisfatta di aver avuto l'ultima parola.
“Ricordati che da adesso sarò io ad occuparmi di te. Quindi sarà meglio che tu non mi faccia arrabbiare” aggiunse, avvicinandosi a lui e puntandogli il contenitore del disinfettante sulla tempia, a mò di pistola.
“Tu sei fuori” si limitò a commentare Sasuke, scostandosi da un lato.
Lei rise. “Può darsi. In ogni caso sono più grande di te, quindi per te sarò Karin-san, se non ti dispiace.”
“Per me sarai solo un infermiera fastidiosa con qualche rotella fuori posto. E comunque, quanto ci metti per fare questa medicazione?”
In quel momento entrò di nuovo la signora Gonzales (soprannome scelto da Shisui, in memoria del famoso Speedy) e Karin fece piombare sul suo volto una maschera di innocenza da far invidia ad un bambino.
“Tutto bene?” si accertò, iniziando a fasciare il ginocchio di Sasuke.
La ragazza riprese i documenti e annuì vistosamente. “Benissimo”
Sasuke evitò di commentare per salvaguardare i suoi nervi già a pezzi. Prima di lasciare la stanza Karin gli fece segno di tenerlo d'occhio e si chiuse la porta alle spalle con un sorriso che la signora Gonzales avrebbe fatto meglio a non vedere.
Qualche secondo dopo, senza che Sasuke avesse il tempo di riprendersi, piombò nella stanza l'uragano Shisui, assieme ad un silenzioso Itachi che cercava di contenere la furia del cugino.
“Oh Sasuke-chan! Ma chi era quella che è appena uscita dalla tua stanza?!” fu la prima domanda che rivolse al minore, afferrando con entrambe le mani i pomelli ai piedi del letto.
Sasuke lanciò uno sguardo a suo fratello e poi rivolse uno sbuffo infastidito a Shisui.
“L'infermiera e la nuova tirocinante”
“Per la miseria, era una bomba!” sbottò quello, alzando ancora di più il tono di voce.
Itachi cercò di dargli un freno.
“Shisui, vedi di finirla una buona volta. Siamo in ospedale.”
Il cugino sembrò ridimensionare il suo entusiasmo e ispezionò con attenzione le fasciature di Sasuke.
“Che ti ha detto il medico? Quando potrai scendere dal letto?”
Il minore alzò finalmente lo sguardo.
“Potrò camminare solo quando mi toglieranno i punti.”
“La contusione come va?” domandò Itachi.
“Abbastanza bene. Sta guarendo molto più in fretta del braccio” rispose il fratello, alzando di poco l'arto ingessato.
Il maggiore annuì e appese il manico del suo zaino alla sedia. Sasuke si accorse di quel gesto e, per l'ennesima volta, cercò di convincerlo a non rimanere per la notte.
“Non devi restare con me, nii-san. Non puoi aiutarmi in nessun modo, lo sai.”
Itachi gli sorrise debolmente.
“Sai, forse non lo sto facendo solo per te. Anzi, dire che è soprattutto per me che sono qui.”
Il minore sbuffò. “Allora contieni il tuo egoismo e tornatene a casa.”
“Ehi moccioso – intervenne Shisui – modera i toni, per favore”
Nessuno dei due fratelli aveva intenzione di rivedere il proprio punto di vista e così, per tutto il tempo che Shisui rimase con loro, evitarono accuratamente di rivolgersi la parola. Il cugino li dichiarò solennemente due casi disperati e dopo aver dato una pacca sulla spalla ad Itachi se ne andò portando con sé quel poco  di buon'umore che era riuscito a creare.
Nelle ore successive Sasuke si limitò a bere qualche sorso d'acqua, fare zapping tra i canali e sonnecchiare di tanto in tanto. Itachi sedeva accanto a lui, scoccandogli ogni tanto un'occhiata preoccupata ed impiegando quasi tutto il suo tempo a studiare.
“Perché ti ostini a voler restare?” chiese ad un tratto Sasuke.
Itachi rispose senza staccare gli occhi dalle pagine. “Perché sei mio fratello.”
“Non ha senso che continui a volermi accudire come fossi un bambino. So cavarmela da solo.” continuò il minore, ignorandolo.
Il maggiore non alzò lo sguardo neanche questa volta.
“Sai bene che non si tratta di questo.”
Quella discussione andava avanti ormai da diversi giorni e il comportamento di Sasuke si era fatto sempre più scostante, soprattutto dopo l'ultimo sfogo avuto con suo fratello.
Itachi lo vide stringere il lenzuolo cercando di contenere la rabbia che minacciava di esplodere.
“Perché continui a prenderti cura di me? - sussurrò tra i denti – sono sempre stato solo un peso per te. Faresti meglio a lasciarmi stare”
Il maggiore non tardò molto a capire che era proprio il senso di colpa nei suoi confronti a distruggere l'animo di Sasuke.
“Beh, ammetto che essere tuo fratello non è un compito facile. Ma con il tempo ci si abitua, no?” replicò Itachi, provocando lo stupore del minore. Dopodiché chiuse il libro con un gesto netto e rivolse al fratello un sorriso rassicurante.
“Non ti libererai di me tanto facilmente, Sasuke. E adesso mangia la tua deliziosa zuppa di patate, altrimenti si fredderà.”
Dopo un attimo di perplessità il minore sembrò rilassarsi e lanciò un'occhiata disgustata al contenitore in plastica sul suo comodino. Se c'era una cosa che non poteva proprio sopportare erano i pasti terribili che propinavano ai convalescenti.
“Penso che andrò a letto senza cena” dichiarò, tirandosi le coperte fino al collo.
Itachi sorrise e si voltò a prendere qualcosa nel suo zaino. Sasuke lo guardò dubbioso e dopo poco lo vide sventolare un contenitore dal tappo blu di cui non riusciva a capire il contenuto. Il maggiore lo aprì e gli porse un cucchiaio.
“Zuppa di pomodori con crostini di pane” dichiarò fiero, come se stesse illustrando il menu del giorno.
Il minore afferrò incerto il porta pranzo ancora caldo. “Nii-san, ma che...”
“Sta tranquillo otouto. Puoi mangiarlo. Sarà senz'altro meglio di quella roba, no?”
Entrambi rifilarono per l'ennesima volta un'occhiataccia al liquido giallastro e quasi inodore che avrebbe dovuto sfamare Sasuke per quella sera.
“Grazie nii-san” mormorò, iniziando a mangiare quel pasto che, seppur nel suo piccolo, aveva dato una svolta alla sua giornata.












****

Ciao a tutti e buona domenica!
Pubblicare questo capitolo mi ha fatto venire in mente un dettaglio che mi ero dimenticata di specificare: le età dei personaggi. I riferimenti al grado di scuola frequentato danno comunque un' idea, ma pensavo di dover essere più precisa. Dunque, Itachi frequenta il secondo anno di Medicina, anche se è indietro con alcuni esami per via dell'Azienda, perciò ha 21 anni. Sasuke invece ne ha cinque di meno, dunque 16. Aoko e Mitsuki frequentano lo stesso anno di Itachi, infatti hanno la stessa età, mentre Shisui va per i trenta. Karin frequenta il primo anno di Infermieristica, dunque dovrebbe avere sui 19 anni. Lei è un personaggio piuttosto controverso; inizialmente mi piaceva, ma poi Kishimoto ha esasperato alcuni punti del suo carattere che me l'hanno fatta detestare.
Dunque qui l'ho ritratta col suo lato peggiore! XD

Una nota un pò noiosa, lo so, ma ci tenevo a chiarire questo punto.
Grazie per aver letto fino a qui e al prossimo aggiornamento!




Vavi









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Capitolo 14
*** Solo un bacio...o forse due. ***


Capitolo 14
Solo un bacio...o forse due.

 

 

 


Negli ultimi tempi Villa Uchiha sembrava aver acquisito le fattezze di una casa spettrale; l'ampio giardino era spesso immerso nella penombra e l'edera fiorita che circondava i muri pareva assumere le sembianze di uno spaventoso serpente che sibilava al soffiar del vento.
L'interno era quasi sempre vuoto, illuminato talvolta dalla debole abajour del soggiorno o dalla luce intermittente della televisione. Itachi cercava di starle alla larga, trascorrendo gran parte del suo tempo assieme a suo fratello, in facoltà, oppure in Azienda a dare una mano.

Si sentiva incredibilmente solo, come non gli era mai successo prima, e per arginare quel senso di malinconia cercava di tenersi impegnato il più possibile.
Quella sera, mentre scendeva le due rampe di scale che l'avrebbero portato all'uscita dell'ospedale, fu quasi tentato di presentarsi a casa di Shisui, sebbene lo considerasse un gesto avventato e poco corretto nei confronti del cugino.

A sconvolgere i suoi programmi fu il suono di un clacson che proveniva dal parcheggio dell'ospedale, a soli cinquanta metri dall'entrata del pronto soccorso. Quasi sobbalzò udendo quel rumore e, senza neanche pensarci, si diresse alla fonte che lo aveva provocato. Si trattava di una vecchia Suzuki blu, nella quale poté scorgere due candide mani femminili aggrappate allo sterzo e, poco più sopra, un dolce sorriso che gli sembrava familiare.
“Sali, Itachi-san” lo invitò la ragazza, sbloccando la sicura.
Itachi, ancora perplesso per quell'incontro inaspettato, aprì meccanicamente la portiera e si sedette accanto a lei. Passò qualche secondo prima che le sue iridi stanche si posassero sul viso di lei, ancora girata a guardarlo.
“Mitsuki, perché sei venuta?”
La ragazza gli sorrise e abbassò lo sguardo sui pedali. “Non mi va di farti tornare a casa con i mezzi a quest'ora della notte.”
Itachi non si aspettava quella risposta e inarcò entrambe le sopracciglia. “Ma questo non ha senso, Mitsuki. Insomma...”
“Non voglio lasciarti solo, Itachi-san. Vieni a casa mia, per questa sera.”
Stavolta il ragazzo la guardò ancora più incredulo. La patina di stanchezza che gli calava lentamente sulle palpebre e la sorpresa per quella richiesta non fecero altro che farlo cadere nella confusione più totale. Mitsuki, dal canto suo, strinse con più forza la presa sul volante, senza replicare.
“Non...non posso accettare Mitsuki” si decise finalmente a rispondere lui, dopo aver acquistato un po' di lucidità.
La ragazza alzò il volto, contrariata. “Perché no, Itachi-san? Sono stata io a proporlo, non devi sentirti in difficoltà. E poi ho una stanza per gli ospiti, anche la mia casa è grande, sai?”
Itachi rimase in silenzio, senza sapere come rispondere. Se avesse accettato si sarebbe sentito in colpa per aver approfittato della gentilezza di Mitsuki, mentre se avesse rifiutato era quasi certo che poi se ne sarebbe pentito in seguito.
Prima che potesse formulare una risposta appropriata Mitsuki girò la chiave e partì in direzione di casa sua.
Itachi la guardò stupito, ma un po' per l'imbarazzo e un po' per il sonno che minacciava di rapirlo da un momento all'altro, non fu in grado di opporsi in alcun modo. Solo a metà del tragitto riuscì ad alzare lo sguardo su di lei e a sorriderle sinceramente.
“Ti ringrazio, Mitsuki”
Lei fece un debole cenno con la testa e continuò a guidare in silenzio fino a casa sua.


L'abitazione della ragazza sorgeva all'interno di una palazzina, poco al di fuori del centro di Tokyo. Aveva due piani, era spaziosa ed arredata con mobili moderni ed essenziali. La cucina era collegata al soggiorno attraverso un arco in pietra e proprio sulla sala principale si affacciava un enorme terrazzo dal quale si scorgeva la città in tutta la sua bellezza.
Itachi entrò con cautela, guardandosi furtivamente attorno. Le luci erano soffuse e i contorni quasi sdoppiati, ma l'atmosfera che si respirava era totalmente diversa da quella di casa sua. Sebbene non fosse mai stato in quel posto, gli sembrò di conoscerlo da sempre e si sentì accolto molto più che a Villa Uchiha. Mitsuki gli sorrise e gli fece segno di seguirla al piano di sopra.
“La camera degli ospiti è da questa parte”
Itachi fece qualche passo, ma poi si fermò al primo scalino.
“Mitsuki, non c'è bisogno. Dormirò sul divano, andrà benissimo”
La ragazza si aggrappò al corrimano e guardò nella sua direzione.
“Vuoi scherzare Itachi-san? E perché mai dovrei lasciarti dormire sul divano?”
Ma non fece in tempo a finire di pronunciare questa frase che il ragazzo era già crollato sui soffici cuscini del soggiorno, con lo zaino ancora stretto tra le mani.
Mitsuki gettò un'occhiata per vedere se si fosse veramente addormentato, dopodiché salì in camera sua a recuperare una coperta e gliela adagiò fino alle spalle. Si sedette sul pavimento accanto a lui, ad osservarne il petto che si muoveva lentamente al ritmo del respiro ed i lineamenti del viso illuminati dai deboli raggi della luna. Si sollevò un poco facendo leva sulle ginocchia e spostò i capelli da un lato per impedire che ricadessero sul volto di Itachi. Con un mano gli sfiorò una guancia e le sue labbra si fecero sempre più vicine a quelle del ragazzo. Quando ormai i loro nasi si sfioravano, la ragazza si tirò indietro, ricadendo seduta sul tappeto.
 Poggiò la schiena al bordo del divano e si strinse le ginocchia al petto.
“Che vigliacca che sei, Mitsuki.” sussurrò a bassa voce, ridendo di sé stessa. “Vorresti davvero farlo quando lui non può vederti?”
Affondò la testa tra le braccia e rimase accucciata su se stessa fino a quando poté scorgere il sole spuntare all'orizzonte.


Sasuke lanciò un'occhiata al medico in piedi davanti a lui, dopodiché poggiò entrambi i piedi sul pavimento freddo. Mosse lentamente prima uno e poi l'altro, senza voler essere aiutato da nessuno. Dopo alcuni attimi di incertezza arrivò a percorrere tutto il perimetro della stanza per poi ritornare al suo letto e guadagnarsi un sorriso soddisfatto dal dottore.
“Bene, Sasuke. Vedo che stai decisamente meglio. Tra poco manderò l'infermiera per medicarti la ferita un'ultima volta, dopodiché potrai toglierti le fasciature e potremmo dimetterti. Vedrai che domani sarai a casa tua, anche se per il braccio ci vorrà più tempo.”
Il ragazzo annuì, decisamente sollevato da quella notizia, e si sedette sul bordo della brandina, aspettando con impazienza l'arrivo del suo peggiore incubo.
La signora Gonzales arrivò puntuale come un orologio svizzero, con a seguito Karin, quel giorno meno festosa del solito. Stavolta non si degnò nemmeno di controllare le fasciature, scambiò qualche parola con la tirocinante e la lasciò sola insieme al ragazzo.
Karin sollevò la coperta, slegò la benda ed afferrò il disinfettante con rabbia, destando la curiosità di Sasuke.
“Oggi sei stranamente silenziosa” la stuzzicò lui.
La ragazza non rispose e continuò a fare il suo lavoro ignorandolo.
“Cos'è, ti hanno rimproverata per come tratti i tuoi pazienti?”
“Sta zitto” esclamò a denti stretti, fulminandolo con quegli occhi dai riflessi rossi.
Sasuke non nascose un ghigno di soddisfazione per averla infastidita ed aspettò paziente che finisse la sua medicazione per darle l'addio definitivo e levarsela finalmente di torno.
Karin sistemò l'occorrente sul carrello e si raddrizzò la montatura degli occhiali.
“Ti auguro una pronta guarigione, Uchiha” gli disse, assumendo un tono professionale.
Il ragazzo alzò un sopracciglio e le rispose con la stessa falsa educazione.
“Ti ringrazio, Karin-san
Fu a quel punto che la ragazza scoppiò inaspettatamente a piangere e gli puntò un dito tremante sul petto.
“Sei un bastardo, Sasuke Uchiha!”
“Cosa?” il ragazzo rimase decisamente perplesso da quello sfogo inaspettato.
Lei continuò a singhiozzare ed arrivò a pochi centimetri dal viso di lui.
“Chi ti ha dato il permesso di farmi soffrire in questo modo?! Nessuno può sedurre Karin-san e poi abbandonarla!”
Sasuke si spostò sul bordo esterno del letto.
“Ma che vai dicendo, io non ho sedotto proprio nessuno. Tu sei matta”
La ragazza si asciugò le lacrime con la manica del camice bianco e, in una frazione di secondo, posò le sue labbra ancora bagnate su quelle di Sasuke. Non fece in tempo a sfiorarle che il ragazzo la spinse prontamente lontano da sé, più furioso che mai.
“Che cosa pensavi di fare?” gli urlò contro, passandosi una mano sulle labbra per togliersi qualche traccia di lucido alla fragola che la ragazza gli aveva lasciato.
“Sparisci Karin, mi hai scocciato”
Lei abbassò il capo, asciugandosi un'ultima lacrima che le aveva sporcato gli occhiali.
“Addio, Uchiha” furono le ultime parole che sussurrò prima di uscire dalla stanza.

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Capitolo 15
*** Un bicchiere di troppo ***


Capitolo 15
Un bicchiere di troppo

 

 

 


Finalmente a casa è di norma il primo pensiero di una persona che rientra dall'ospedale dopo una lunga settimana di degenza. Il profumo dei fiori del giardino, il cordiale sorriso dei vicini e le accoglienti mura della sua camera erano lì ad aspettarlo con impazienza. Eppure Sasuke non riusciva a gioirne ed a godersi la tanto agognata libertà. Infondo si trattava sempre di casa sua, quel luogo che segretamente cercava di evitare per via dei ricordi che conteneva.
Il medico gli aveva raccomandato di stare a riposo e provare a muovere qualche passo per almeno una o due ore durante la giornata. A scuola non poteva andare ed in palestra nemmeno, così finì  di nuovo rinchiuso lì dentro, anche se non era stato il suo volere, questa volta.
Itachi temeva che la convalescenza di suo fratello non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, mandando a rotoli tutto ciò che erano riusciti a guadagnarsi con fatica in quei mesi difficili. Sembrava quasi che fossero tornati al punto di partenza.

“Maledizione!”
Sasuke stava combattendo con una maglietta, cercando di far passare il gesso per il buco stretto della manica. Dopo cinque minuti buoni passati a litigare con strani improperi decise di rinunciarci e la gettò con rabbia sul bordo del letto.
Fottiti” dichiarò gentilmente al capo di abbigliamento.
Itachi, incuriosito da tutto quel borbottare, si affacciò alla porta di camera sua.
“Vuoi una mano?”
Sasuke lo guardò di traverso e sbuffò. “No” rispose con decisione.
Figuriamoci se avesse chiesto l'aiuto di suo fratello per un'operazione così elementare. Piuttosto sarebbe andato in giro in mutande.
Il maggiore sorrise. “D'accordo. Come preferisci”
Sasuke annuì continuando a fulminare con lo sguardo la povera maglietta nera, come se fosse lei la responsabile di tutte le sue sventure.
Dopo aver sistemato la sua stanza saltando da una parte all'altra per non lasciare troppo peso sul ginocchio dolorante, decise di scendere al piano di sotto per fare uno spuntino. Proprio mentre stava aprendo il frigorifero sentì il campanello suonare due volte. Agguantò le stampelle ed arrivò in un baleno alla porta, che aprì di scatto senza neanche controllare dallo spioncino.
“Ah, Sakura...sei tu” fu il saluto che rivolse alla ragazza dai capelli rosa, il cui sorriso timido si trasformò in un'espressione imbarazzata quando realizzò che Sasuke le si era presentato a torso nudo.
Il ragazzo, dal canto suo, si limitò ad osservarla con impazienza, senza nascondere una punta di irritazione per quella visita inaspettata.
“Ehm...” cominciò lei, rivolgendo lo sguardo alle spalle di Sasuke.
A vederla da lontano sarebbe sembrata di certo una scena esilarante. Entrambi erano immobili sul ciglio della porta, gli occhi di lui fissi sul viso dell'altra in attesa di una risposta, gli occhi di lei intenti ad ispezionare il lampadario del soggiorno.
“Ciao Sakura! Perché non entri invece di stare lì fuori?”
Le parole di Itachi riuscirono a scuotere entrambi, dando una svolta alla situazione.
“Oh, Itachi-san -  sobbalzò lei, spostando lo sguardo sul maggiore – ecco, ti ringrazio, ma ero venuta soltanto per dare questi a Sasuke” disse, porgendo al ragazzo una cartellina piena di fogli scritti.
Il minore la afferrò e gli diede un'occhiata veloce.
“Sono appunti?” chiese.
Sakura alzò le spalle. “Sì. Ho pensato che potessero servirti per non rimanere indietro”
Il ragazzo annuì. “Grazie”
“Sicura che non vuoi entrare a bere qualcosa?” chiese ancora Itachi.
Sakura gli sorrise e negò con la testa. “Sono solo di passaggio. Grazie comunque” detto questo salutò entrambi con un cenno della testa e si allontanò.
In quello stesso momento suonò il telefono ed Itachi proclamò che dall'altra parte della cornetta c'era un Naruto piuttosto incazzato con suo fratello per essere quasi sparito subito dopo esser stato dimesso dall'ospedale.
“Adesso non mi va di parlare – rispose il minore – digli che sono morto”
Itachi sospirò e si scusò con il biondo chiedendogli di pazientare ancora un po', poiché era sicuro che prima o poi sarebbe stato suo fratello a ricontattarlo, non appena fosse riuscito a liberarsi da quella morsa che minacciava di condurlo nuovamente verso la solitudine.

Dal punto di vista degli affari, invece, le cose sembravano andare piuttosto bene. Shisui era riuscito a risollevare l'impresa, arginando tutti i possibili disagi interni e rilanciando i prodotti sul mercato internazionale. Almeno su quel fronte la fortuna sembrava finalmente girare dalla loro e il cugino non perdeva occasione di far notare ad Itachi come le sue innate abilità di imprenditore avessero reso possibile la rinascita dell'Azienda di famiglia.
Itachi era tornato due o tre volte a casa di Mitsuki per studiare insieme ed il loro legame sembrava crescere ogni giorno di più, anche se entrambi continuavano a comportarsi come due amici di vecchia data.
 Le "questioni di cuore" non sembravano andare altrettanto bene per Shisui, il quale stava cominciando a perdere colpi da quando si era invaghito di Aoko.

“E' una cosa inaudita!” si lamentava con Itachi, una delle tante sere che passava a casa dei cugini.
“Ho accompagnato sotto casa questa ragazza che avevo conosciuto, lei mi ha chiesto se volevo salire e io sai cosa ho risposto?”
Sasuke alzò il volume della televisione, cercando di ignorare il racconto del cugino.
“Le ho detto di no!” urlò Shisui, tenendosi la testa tra le mani. “Lei mi ha chiesto se volevo salire e io le ho detto di no!” ripeté per l'ennesima volta, quasi come se non credesse alle sue stesse parole.
Itachi lo guardò senza sapere bene come reagire.
“E perché lei hai detto di no?” provò a chiedere, credendo che fosse ciò che il cugino volesse sentirsi dire.
Shisui sospirò. “Mi sono inventato che avevo un altro appuntamento con alcuni amici ed ero in ritardo. Ma la verità è che pensavo a lei, Itachi.”
Il minore lanciò un'occhiata a suo cugino. Gli sembrò che avesse usato un tono di voce più serio del solito.
“Ad Aoko?” chiese Itachi, quasi divertito dall'atteggiamento di Shisui.
L'altro annuì, sempre più afflitto. “Tu non capisci. Quella donna finirà per distruggermi dentro!”
Detto questo si alzò da tavola ed andò a recuperare i due barili di sakè che aveva portato quella sera per “festeggiare” il ritorno a casa di Sasuke.
“Non avrai intenzione di berli tutti, vero?” chiese Itachi, ispezionando con disapprovazione tutto quell'alcool.
“Oh no, non sono mica scemo. Mi aiuterete voi” dichiarò il cugino, lanciando un'occhiata al minore.
Itachi recuperò due boccali dall'armadietto del soggiorno.
“Mio fratello è minorenne, perciò non può bere. Ed io non ho nessuna intenzione di ubriacarmi”
Shisui fece finta di non sentire, riempì metà bicchiere e lo portò a Sasuke, piazzandosi proprio davanti allo schermo della tv.
Il minore alzò lo sguardo su di lui, infastidito, per poi rivolgere l'attenzione a quel liquido dall'odore nauseante che non aveva mai osato assaggiare.
“Meglio che lo faccia davanti a te, Itachi”
Il maggiore scosse la testa. “Meglio che non lo faccia e basta.”
Shisui alzò gli occhi al cielo ed incoraggiò Sasuke ad afferrare il bicchiere.
“Non è mai morto nessuno per un po' di sakè. Gli zii erano troppo severi con voi...io alla sua età avevo già avuto la mia prima sbornia, sai?”
“Non mi pare sia il caso di vantarsene”
Mentre i due cugini continuavano a tergiversare, Sasuke si era finalmente deciso ad infrangere la severa regola della famiglia Uchiha ed a bere quel “veleno” dal quale suo padre si era tanto impegnato a tenerlo lontano.
Posò il bicchiere sul tavolino rotondo davanti a sé e tornò a guardare la tv.
“Fa schifo”  fu il suo giudizio finale, al quale seguì un tacito sospiro di sollievo da parte di Itachi.
Shisui ingoiò quell'ennesima delusione passandosi una mano sul viso, ancora non del tutto sconfitto. Quella sera avrebbe costretto suo cugino Sasuke a staccare la spina almeno per qualche ora, e se l'unico modo per riuscirci era quello di farlo ubriacare, non si sarebbe di certo tirato indietro.
“Non sapevo che lo zio vi tenesse così sotto pressione”
In realtà Shisui era a conoscenza da tempo dei numerosi divieti che Fugaku aveva imposto a suoi due figli e di come si impegnasse anima e corpo per farli rispettare. Perciò era sua consuetudine infastidire i cugini ricordando loro l'atteggiamento accondiscendente che entrambi erano soliti mostrare davanti a qualsiasi richiesta del padre, per quanto stramba potesse essere.
Di solito era Itachi il più obbediente e spesso gli era toccato litigare con suo fratello per convincerlo ad accettare le regole della famiglia.
“Non bere fino a diciotto anni non mi sembra una condizione così dura da rispettare” commentò Itachi, mentre suo fratello beveva noncurante un altro sorso di quella roba che pochi minuti prima aveva definito una schifezza.
“Papà non c'è più, Itachi”
Sasuke lasciò cadere rumorosamente il bicchiere sul tavolino, attirando l'attenzione del maggiore.  Era la prima volta, dopo molto tempo, che si decideva a parlare di suo padre. Anche quando Fugaku faceva parte della famiglia tra i due non scorreva buon sangue, e le volte in cui erano riusciti a conversare senza litigare si potevano contare sulle dita delle mani.
Fugaku ribadiva sempre che avrebbe sacrificato la sua vita per quella dei suoi figli, che riponeva una grande fiducia in loro e che un giorno avrebbero preso il suo posto a capo dell'Azienda. Peccato che poi, nella pratica, Fugaku elogiasse solo i successi raggiunti dal maggiore, mentre a Sasuke toccava ascoltare continui incoraggiamenti a fare sempre meglio, perché i suoi traguardi non sembravano mai essere abbastanza, se confrontati con quelli del primogenito.
“Ma ci sono io, Sasuke. E non voglio che tu faccia sciocchezze.” replicò il maggiore con aria tranquilla. Le sue parole però non parvero scalfirlo, poiché se lo ritrovò davanti con il bicchiere rivolto verso Shisui.
“Versami un altro po' di quella roba.”
Il cugino sogghignò ed afferrò la bottiglia.
“Te l'ho detto, dopo un po' ci si abitua. E poi vedrai che ti aiuterà – scoccò un'occhiata ad Itachi che, ne era certo, gli avrebbe voluto rovesciare in testa l'intero barile – dovreste cominciare a godervi la vita. Trasgredire le regole fa salire l'adrenalina. Dubito che voi due sappiate di cosa si tratta.”
“Ormone prodotto dal surrene, che una volta in circolo accelera la frequenza cardiaca, dilatando il calibro dei vasi muscolari e delle le vie aeree bronchiali.”
“Certo, certo, dizionario di medicina ambulante, sono sicuro che nella teoria tu sappia di cosa sto parlando” cantilenò Shisui, sbuffando appena.
Nel frattempo Sasuke si era seduto al tavolo con loro e continuava a fissare a testa bassa il bicchiere mezzo pieno. Dal suo sguardo attento ma distante, Itachi capì che gli era tornato alla mente qualcosa e che probabilmente non si trattava di bei ricordi.
“Non cercare di negarlo, nii-san.” disse a un certo punto, dando voce ai suoi pensieri.
Né Itachi né Shisui replicarono.
“Papà ci teneva al guinzaglio come due cagnolini obbedienti. E tu eri indubbiamente il suo cucciolo preferito.”
Shisui si affrettò a togliere il sakè dalle mani di Sasuke.
“Ehi ehi moccioso, quanti bicchieri ti sei bevuto? Non posso distrarmi un attimo che-”
“Non sono ubriaco” replicò l'altro duramente, riappropriandosi della sua bevanda.
Itachi lo guardò con severità. “Che intendi dire?” chiese, anche se era consapevole di cosa si nascondesse dietro quell'insinuazione.
Il minore si versò un altro sorso, ignorando l'espressione di disapprovazione del cugino.
“Avanti, lo sai. Ci ha addestrato come fossimo soldati, nonostante la mamma non fosse mai stata d'accordo. Non era lui quello che voleva dar vita alla famiglia perfetta? Una bella casa, una bella macchina, due figli modello, una moglie accondiscendente. Aveva tutto quello che voleva. Ma dimmi, Itachi. Ha mai pensato veramente a noi?”
L'ultima volta che lo aveva sentito parlare così tanto era stato alla recita di Natale delle elementari. Forse era l'alcool che cominciava ad entrare in circolo, o forse era solo arrivato il momento di tirar fuori quella rabbia repressa, ma adesso suo fratello gli sembrava una mitragliatrice carica e pronta a sparare. Sapeva che avrebbe dovuto dosare con cautela le parole.
“Certo, Sasuke. Se non fosse per lui adesso saremmo a vagabondare per strada.”
“Stai ricominciando a parlare di cose materiali. Ti ho chiesto se gli è mai importato qualcosa di noi...di ciò che volevamo veramente.”
Si fermò un attimo e alzò lo sguardo verso Itachi.
“O forse non capisci di cosa parlo, perché qualunque cosa tu facessi era sempre motivo di orgoglio per tutta la famiglia.”
Il volto di Shisui si fece paonazzo. Non gli capitava spesso di sentirsi in imbarazzo ma questa volta si trattava forse di problemi troppo personali, dei quali neanche lui era a conoscenza.
“Mentre qualunque cosa io facessi non era mai abbastanza. Non era mai sufficiente per raggiungerti.”
Shisui bloccò la mano di Sasuke sul manico del barile.
“Ok cuginetto, adesso dacci un taglio, va bene? Per stasera direi che può bastare”
Il minore si divincolò con un gesto maldestro dalla presa di Shisui e tornò a fissare il suo bicchiere, sospirando. Forse per il cugino si trattava solo di deliri senza senso, ma Itachi si sentì tagliare da quelle parole come fossero lame affilate.
“Mi dispiace” fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Shisui gli rivolse un'occhiata stralunata.
“Ma che avete tutti e due stasera? A voi l'alcool fa uno strano effetto. Dovreste urlare, ridere, cantare a squarciagola, sparare stronzate una dopo l'altra, ma non piangervi addosso come due vecchie comari vedove. Per favore ragazzi. Altrimenti mi metto a piangere anch'io, ok?”
Entrambi lo osservarono con la coda dell'occhio, senza dire niente. Poi Sasuke si alzò facendo leva sul bordo del tavolo. Prima di allontanarsi rimase qualche secondo fermo ad aspettare che la stanza smettesse di girare bombardandogli le tempie.
“Sai Shisui, a volte ti invidio.” sussurrò, afferrando la stampella. “Forse sarebbe stato più semplice nascere figlio unico”
Si diresse al piano di sopra salendo le scale lentamente e lasciando dietro di sé la scia incandescente delle parole che aveva appena pronunciato.

 

 

 


 ****

Buonasera a tutti!
Oggi pubblicazione “straordinaria”, nel senso che avevo intenzione di postare questo capitolo nel week-end, ma poi ho deciso di anticipare, dato che tra poco la storia inizierà a movimentarsi.
Itachi e Sasuke non se la passano troppo bene, l'incidente ha segnato entrambi in maniera negativa, e a desso il loro legame è di nuovo in bilico.

Grazie di avermi seguito fino a qui, spero che i prossimi capitoli riusciranno a coinvolgervi maggiormente ed ovviamente, se vi va, potete lasciarmi un vostro pensiero ora che siamo giunti più o meno a metà della storia. Mi farebbe davvero tanto, tanto piacere! ^^


A presto!

 

Vavi

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Capitolo 16
*** La telefonata ***


Capitolo 16
La telefonata








“No, aspetta...fammi capire bene”
Shisui piantò in asso il cesto con i panni da lavare sul tavolo della cucina e guardò Itachi come se avesse appena ricevuto un affronto.
“Tu – disse, puntandogli un dito contro da sopra la montagna di camicie bagnate – sei stato a dormire da Mitsuki e non mi hai detto niente?”
L'altro alzò le spalle e sospirò. “Non era necessario che tu lo sapessi.”
Shisui spostò in modo maldestro il cesto che gli copriva la visuale e si sporse di più verso di lui.
“Certo che era necessario!” sbottò adirato, per poi girarsi di scatto a recuperare i muffin che aveva messo a scaldare in forno e che probabilmente avevano ormai raggiunto la tostatura di una bruschetta.
In quello stesso momento Itachi udì dei passi leggeri, di piedi scalzi, avvicinarsi alla cucina e quando si voltò trovò una piccola ragazza dai capelli color carota osservarlo timidamente.
“Shisui – iniziò, cercando di mantenere la calma – non mi avevi detto di avere compagnia”
L'ennesimo scatto del cugino segnò l'addio definitivo alla colazione, che finì spiaccicata sui tatami in legno. Shisui si sbrigò a raccogliere il danno in fretta e furia, per poi correre verso la strana ospite ed afferrarla per le spalle.
“Julia, non ti avevo detto di rimanere in camera?” le sussurrò in un orecchio, cercando di non farsi sentire da Itachi.
La ragazza mormorò qualche scusa tormentandosi una ciocca di capelli che le ricadeva dalla crocchia in cima alla testa. Indossava solo una lunga canotta nera che riportava a caratteri cubitali la scritta “Nirvana”. Gli occhi azzurri erano incorniciati da una linea di eye liner ormai sfumata, mentre sul viso si potevano scorgere decine di lentiggini.
Itachi la vide sorridere a Shisui e saltellare come una libellula fino a raggiungere la camera da letto.
“Shisui...” cominciò a mò di rimprovero, guardando severamente il cugino.
“Se ne sta andando” si affrettò a rispondere l'altro, mettendo le mani avanti.
Attesero che la ragazza uscisse dalla porta principale senza spiccicare parola, dopodiché Shisui pensò che fosse arrivato il momento di dare qualche spiegazione.
“E' in Erasmus a Tokyo per sei mesi – iniziò, sedendosi di fronte ad Itachi – l'ho conosciuta qualche giorno fa in un Pub qui vicino.”
Si prese del tempo per studiare la reazione di Itachi, poi continuò.
“E' svedese e dice di avere una grande passione per la nostra cultura”
“Allora sarà stata contenta di conoscere un giapponese che per colazione le propina del cibo americano” buttò lì il cugino con una punta di acidità.
Shisui sbuffò. “Avanti Itachi, non tenermi il broncio adesso. Non è da te”
“Ti avverto Shisui – replicò l'altro, questa volta in tono fermo - Aoko è anche una mia amica, perciò vedi di non combinarne una delle tue.”
Il cugino lo guardò come se avesse detto un'eresia.
“E adesso che c'entra Aoko?” domandò perplesso.
Itachi si alzò dallo sgabello e costrinse Shisui a fare lo stesso.
“Se deciderai di impegnarti con lei, dovrai farlo seriamente. Non voglio che tu la prenda in giro.”
“D'accordo, d'accordo – rispose l'altro, invitandolo a sedersi – ma adesso calmati, per favore. Lo sai che non ho mai costretto nessuna a fare niente.”
Itachi, dopo un attimo di esitazione, si adagiò nuovamente sullo sgabello, ma non smise di guardare il cugino con un'espressione poco amichevole.
“Te l'ho detto, Aoko mi interessa veramente, ma è difficile avvicinarsi a lei. Mi serve del tempo per studiarla e adesso non saprei proprio che tipo di approccio usare.”
Poggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani davanti a sé.
“Senti, perché non parliamo di te, invece? Sbaglio o non hai finito di raccontarmi cos'è successo con  Mitsuki?”
Il volto di Itachi parve rilassarsi e i suoi occhi vagarono altrove, fermandosi in ultimo sulla cesta di panni che attendeva speranzosa di essere portata in lavatrice.
“Non ho neanche iniziato, Shisui. Non c'è niente da raccontare.”
Il sorriso eloquente del cugino gli fece capire che non avrebbe mai accettato una risposta simile. Prese in considerazione l'idea di mentirgli, tanto per metterlo a tacere, ma per sua sfortuna non era per niente bravo a dire bugie.
“Mi è venuta a prendere all'ospedale un venerdì sera.”
Shisui annuì, invitandolo a continuare.
“Ha detto che voleva farmi compagnia”
Il cugino si lasciò scappare un sospiro di sollievo. “Finalmente! Uno dei due doveva svegliarsi prima o poi. E dimmi Itachi, non avrete mica passato la serata a guardare le repliche di Desperate Housewives con tanto di bibite e pop corn?”
“Non mi piacciono i telefilm”
Shisui gli mollò una pacca sulla spalla. “Avanti, non fare il finto tonto.”
Itachi si preparò psicologicamente alla scenata che gli avrebbe fatto suo cugino di lì a poco, dopodiché decise di sputare il rospo.
“Non dormivo da due giorni, Shisui. Non ho neanche avuto il tempo di ringraziarla per il passaggio”
Lo vide sbarrare gli occhi e per un secondo ebbe paura che gli uscissero fuori dalle orbite.
“Vuoi dire che ti sei semplicemente...addormentato?” pronunciò l'ultima parola sottovoce, come se non volesse crederci.
“Sì. Come un sasso” confermò Itachi, che quasi cominciava a divertirsi davanti alla reazione esagerata di suo cugino.
L'altro lasciò cadere la testa sul tavolo, rassegnato.
“Santi Kami, vi prego, ditemi cos'ho fatto di male per meritarmi questo. Eppure sono un bravo ragazzo. Un po' vivace forse, ma ho i miei principi, i miei-”
“Dacci un taglio Shisui” lo fermò Itachi, deciso a troncare la conversazione.
A quel punto anche il cugino tornò in sé e dichiarò che in quel modo non sarebbero andati da nessuna parte. Si alzò con decisione e chiese ad Itachi di aspettarlo al tavolo, mentre portava i panni da lavare in un'altra stanza. Quando tornò il suo sguardo era più serio che mai.
“Allora, facciamo così, Itachi. Tu sai che ti voglio bene come un fratello minore...”
“Saltiamo la parte smielata, per favore”
Shisui si finse offeso, ma continuò.
“...voglio che entro questa settimana tu chieda a Mitsuki di uscire a cena fuori”
“Cosa?”
“Uffa, possibile che tu non te ne accorga, Itachi? Solo quando sei con lei sembra che tu riesca veramente a vivere. Lo vedo dai tuoi occhi.”
Il cugino sospirò, spostando lo sguardo.
“Avanti, è solo una cena. Non prenderlo come un vincolo..si tratta solo di un tentativo.”
Questa volta Itachi tornò a guardarlo. Sapeva benissimo cosa provava quando era vicino a lei e forse era proprio la paura di perdere quelle sensazioni a bloccarlo. Ma ormai erano arrivati ad un punto cieco non sarebbe servito a niente continuare a fingere di essere amici.
“Va bene – concesse, dopo un attimo di esitazione – ma nel frattempo non apriamo più la questione, d'accordo?”
Shisui sorrise soddisfatto ed annuì. Adesso poteva finalmente fare la lavatrice con l'animo in pace.


Il ritorno a scuola di Sasuke era stato piuttosto caotico. Il primo giorno l'aveva passato a lanciarsi occhiatacce con il suo fedele compagno di banco, ancora arrabbiato con lui per non essersi fatto sentire durante il periodo di riposo a casa. Fino a quando, nel quarto d'ora d'intervallo, Naruto si era quasi strozzato con il suo panino alla frittata dopo aver sentito uno strano borbottio provenire dalla bocca di Sasuke.
“Cos'hai detto?!?” bofonchiò, sputacchiando briciole ovunque.
Anche Sakura guardò perplessa il suo compagno, pensando di aver sentito male.
Lo videro sbuffare, come al solito, ma stavolta le sue parole sembravano sincere.
“Ho detto che mi dispiace” ripeté, stando attento a non alzare troppo il tono di voce.
Naruto lo fissò incredulo, con un sopracciglio alzato.
“Ehi, chi sei tu? Che ne hai fatto del mio migliore amico?”
Sasuke non parve apprezzare quella battuta e tornò ad essere il ragazzo scorbutico di sempre fino al suono della campanella, quando il professore di matematica, un certo Hatake, lo fermò sulla soglia della porta e lo invitò a restare in aula per chiarire alcune cose.  Naruto e Sakura si fermarono a guardarli, non sapendo cosa fare, ma dopo poco Sasuke fece loro segno di non aspettarlo e di tornare a casa.
Lo strano uomo dai capelli bianchi era il più giovane tra il gruppo docenti e, a detta della classe, anche il più stronzo.
Si sedette sulla cattedra ignorando le buone maniere e sventolò sotto gli occhi di Sasuke l'ultimo compito in classe che avevano fatto qualche giorno prima.
Il ragazzo spostò lo sguardo da lui al foglio a quadretti, incerto se parlare o meno.
“Cosa pensi di fare, Uchiha?”
Sasuke alzò le spalle, fingendo di non capire.
“Sbaglio o su questo foglio vedo un sei e mezzo?” chiese con il suo solito tono di voce calmo. “Pensi che basti per partecipare alle olimpiadi matematiche di quest'anno?”
Sasuke fece per replicare ma Hatake lo fermò, afferrando in mano il compito e puntandolo verso di lui.
“Ho parlato di te alla commissione, Sasuke. E credimi, non è una cosa che faccio per tutti. Ora si aspettano grandi cose da te. E tu torni dopo un mese di assenza con una media spaventosamente al di sotto del tuo rendimento?”
“Beh sa, sono umano anch'io”
“Non puoi permetterti di adagiarti sugli allori – riprese il professore, ignorando la battuta di spirito – non se ci tieni ad essere il migliore. Perché è questo che vuoi, dico bene?”
Sasuke lo guardò. “Potrei non volerlo più”
Detto questo si avviò alla porta e salutò senza neanche voltarsi. “Arrivederci, professore.”
Hatake sospirò. “Arrivederci”


Quella sera fu una cena più silenziosa del solito. Né Itachi né Sasuke trovarono le parole per raccontare le loro giornate, sebbene entrambi sentivano il bisogno di condividere ciò che era successo negli ultimi giorni. L'ultima silenziosa litigata aveva convinto Itachi a farsi da parte per un po' lasciando Sasuke a se stesso. Sembrava quasi che l'uno ignorasse la presenza dell'altro pur vivendo nella stessa casa.
Intorno alle dieci il telefono di Villa Uchiha squillò. Sasuke si era già ritirato in camera sua, mentre Itachi fu costretto ad interrompere lo studio per andare a rispondere.
 

- Pronto? -
- Parlo con Itachi Uchiha? -

Itachi attese qualche secondo prima di replicare.
- Chi vuole saperlo? -
- Non importa. Chi tace acconsente, si suol dire. -
- Ma chi è lei? -

- Non occorre che tu lo sappia, Itachi. Ti basterà sapere che sono un'abile uomo d'affari e che non ti conviene metterti contro di me. -
Itachi guardò in cima alle scale per assicurarsi che Sasuke non stesse origliando. Avvicinò di più la cornetta alla bocca.
- Che cosa vuole da me? -
- Vedo che ci intendiamo, ragazzo. Ebbene, voglio fare un accordo. Diventiamo soci, Itachi, dividiamo i profitti della tua Azienda. -
- Ma che sta dicendo? Secondo lei dovrei associarmi con uno sconosciuto che si rifiuta anche di rivelare il suo nome? -

Sentì una risata roca dall'altra parte.
- Tutto a tempo debito, Itachi. Mi basta una tua conferma e vedrai che mi conoscerai presto. -
- E se io rifiutassi? -

Ci fu un lungo minuto di silenzio.
– Beh, allora le conseguenze le vedrai con i tuoi occhi. -
Non gli diede il tempo di replicare e riagganciò.










 

****

Buona domenica a tutti!
Ecco a voi il fantomantico capitolo, quello che da inizio alla seconda parte della storia.
Itachi ha ricevuto una telefonata misteriosa...ma ci sarà davvero da preoccuparsi, oppure si tratta solo di uno stupido scherzo?
Lo scopriremo presto nei prossimi capitoli!
Intanto ringrazio coloro che mi hanno seguito fino a qui e che spero continueranno a farlo sino alla fine. Date a questa storia una piccola possibilità! :)
Grazie e alla prossima!



Vavi

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Capitolo 17
*** Una tempesta in arrivo ***


Capitolo 17
Una tempesta in arrivo








Una doccia fredda era proprio ciò di cui aveva bisogno. Ogni goccia che gli cadeva sulla pelle sembrava lavar via i brutti pensieri per portarli lontano, in un angolo sperduto della mente da cui forse, presto o tardi, sarebbero riusciti a scappare. Ma non ora, non in quel momento, non in quei cinque gelidi minuti di evasione dal mondo esterno.
Il contatto con l'asciugamano caldo lo fece tornare alla realtà più in fretta di quanto pensasse e il suo cervello riportò alla mente la misteriosa telefonata che aveva ricevuto qualche giorno prima. Uno sconosciuto aveva chiamato a sera tarda, mostrando di conoscere il suo nome e l'esistenza dell'Azienda Uchiha. Non era la prima volta che assisteva ad un episodio simile; anche Fugaku si era trovato ad affrontare situazioni del genere e il più delle volte aveva sporto denuncia contro ignoti, guadagnando soltanto decine di casi aperti e mai risolti. Pensò che anche questa volta doveva trattarsi di qualche stupido scherzo o magari di qualcuno che nutriva vecchi rancori nei confronti di suo padre. Non aveva ancora raccontato a nessuno l'accaduto ed era quasi tentato di lasciar perdere per evitare di scatenare ulteriori preoccupazioni. Decise che ci avrebbe riflettuto da solo per qualche tempo, esaminando tutte le alternative possibili ed agendo di conseguenza.
Il suo stato d'animo era in quei giorni più ansioso del solito, tanto che perfino Sasuke rinunciò al muro che aveva eretto tra di loro per capire cosa stesse succedendo.
“Nii-san...va tutto bene?” gli chiese con cautela quando lo vide uscire dal bagno con le labbra viola e il colorito più smorto del solito.
Itachi si affrettò ad annuire. “Ho solo fatto una doccia fredda. Dovevo schiarirmi le idee”
Questa volta Sasuke dovette trattenersi per chiedere che diamine di idee avrebbe dovuto schiarirsi e si limitò ad accettare quella risposta sparendo dalla circolazione così come era apparso.
Shisui invece non tardò a fiutare che qualcosa non andava ed un lunedì mattina lo costrinse a vuotare il sacco durante la pausa pranzo delle lezioni. Mitsuki era rimasta in Facoltà assieme ad Aoko, mentre loro due avevano preferito rintanarsi in un fast food poco lontano da lì.
Itachi raccontò per filo e per segno ciò che gli era successo, senza tralasciare nemmeno una parola della telefonata. Il responso di Shisui lo convinse a lasciar perdere in modo definitivo e a cercare di metterci una pietra sopra senza dargli troppa importanza. Anche il cugino convenne che non era la prima volta che l'Azienda affrontava simili “buffonate” e che di certo non avrebbe dovuto arrovellarsi il cervello per uno “stupido scherzo”. Sebbene non ne fosse ancora del tutto convinto, Itachi finì per assecondare Shisui e tornò a seguire le lezioni del pomeriggio con l'animo decisamente più leggero.
Durante le ultime ore passò metà del tempo a chiacchierare con Mitsuki, perdendosi di fatto quasi tutta la spiegazione e beccandosi due o tre occhiatacce da parte del professore. Quando finalmente poterono alzarsi per tornare a casa, Itachi si decise a fare il grande passo. La fermò prima che potesse uscire dall'aula, quando ormai la maggior parte delle sedie erano rimaste vuote.
“Mitsuki – iniziò, caricandosi lo zaino in spalla – hai da fare questo week end?”
Lei lo guardò sorpresa. “No, ma non credi sia troppo presto per iniziare a studiare? Quel tonto del professore non ci ha neanche detto la data dell'esame, ma dico, sono cose da pazzi...”
“Volevo invitarti a cena”
La ragazza rimase a bocca aperta senza riuscire a concludere ciò che stava dicendo. Spostò il suo sguardo su Itachi, poi si guardò nervosamente intorno e sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
“A cena?” ripeté, questa volta sorridendogli. “Intendi...solo noi due?”
Itachi ricambiò il sorriso ma era in imbarazzo almeno quanto lei.
“Non devi sentirti obbligata ad accett-”
“Eddai Itachi-san, non rovinare tutto!” sbottò Mitsuki all'improvviso, ridacchiando.
“Certo che accetto” aggiunse subito dopo, in tono più pacato. “Vogliamo fare venerdì?”
Di certo Itachi non si aspettava quell'entusiasmo, né una tale disinvoltura nell'organizzare il tutto. Tirò silenziosamente un sospiro di sollievo ed accettò il giorno proposto da Mitsuki.
L'accompagnò all'uscita come era solito fare ogni giorno e, prima di separarsi, la ragazza gli stampò un timido bacio sulla guancia e corse via più in fretta del solito. Non era la prima volta che si scambiavano gesti affettuosi, ma entrambi erano consapevoli che quella cena avrebbe segnato l'inizio di qualcosa di nuovo, qualcosa che era sempre stato nell'aria e che ora, finalmente, poteva palesarsi senza alcun tipo di barriera.

 

Quella sera Shisui lo tenne al telefono per più di mezz'ora e, prima di riagganciare, gli fece giurare solennemente, croce sul cuore, che lo avrebbe chiamato il giorno dopo per raccontargli dettagliatamente com'era andata la cena e tutto ciò che ne sarebbe seguito.
Così Itachi, mentre rovistava nel suo armadio per decidere cosa mettere, aveva già esaurito la pazienza a disposizione e pensò che non fosse un buon modo per iniziare la serata.
“Dannazione!” esclamò, chiudendo entrambe le ante e accasciandosi sul futon.
Sasuke si affacciò sulla porta della camera e diede una rapida occhiata in giro.
“Non sono le ragazze ad avere problemi per cosa indossare?” domandò, leggermente sorpreso per il comportamento di suo fratello.
Itachi evitò di rispondere, anche perché il suo dilemma, in quel momento, non era certo la scelta del capo da mettere. La sua mente era semplicemente andata in tilt e le infinite raccomandazioni di suo cugino non lo avevano di certo aiutato.
“Al diavolo i vestiti” borbottò, agguantando un paio di pantaloni e una camicia dall'armadio. Sasuke osservava la scena con aria fin troppo divertita ed Itachi non tardò ad accorgersene.
“Quando toccherà a te sarò io a ridere” gli disse a mò di minaccia, allontanandosi in direzione del bagno.
Prima di uscire si accertò un'ultima volta che la casa fosse in ordine e che Sasuke riuscisse davvero a cucinarsi da solo qualcosa di commestibile.
“Se hai bisogno di qualcosa, chiama”
Sasuke gli passò il cellulare. “Tanto sai che non lo farò”
Il maggiore rispose con un sorriso preoccupato, afferrò al volo la giacca dall'appendiabiti e fece per aprire la porta di casa, quando un grugnito di disapprovazione da parte del fratello lo costrinse a voltarsi.
“Che c'è?” gli chiese nervosamente, scoccando un'occhiata all'orologio.
“Non avrai mica intenzione di uscire con quel capotto da universitario figlio di papà?”
Itachi guardò suo fratello più confuso che mai e lo seguì con la coda dell'occhio mentre si recava più in fretta che poteva al piano superiore. Qualche secondo dopo lo vide sventolare una giacca nera dal taglio corto con due cinghie ai polsi.
Afferrò il capo al volo e lo squadrò poco convinto.
“Sono anni che non la metto più...”
Sasuke lo guardò con aria saccente affacciandosi dal corrimano del piano superiore.
“E' ora che tu ti tolga di dosso quell'aria da bravo ragazzo, Itachi.” si limitò a commentare.
Il maggiore si concesse ancora qualche secondo per decidere, dopodiché si sfilò al volo la giacca beige da universitario per sostituirla con quella nera da bad boy.
“Sei sicuro?” chiese ancora, con una mano sulla porta.
Sasuke sbuffò. “Sbrigati! Ci vediamo più tardi”
Lo vide annuire finalmente convinto e scattare fuori più veloce di un fulmine.

Per l'occasione Itachi aveva recuperato dal Garage la macchina di suo padre ed era passato a prendere Mitsuki alle nove in punto.
L'aveva vista scendere i tre scalini del portone in perfetto equilibrio sui tacchi, mentre si stringeva al petto il copri spalle nero, che lasciava intravedere un semplice vestito color daino scendere stretto in vita e morbido fin sopra il ginocchio.
Il resto della figura era esaltato dai voluminosi capelli neri, lasciati sciolti ad accarezzare la schiena sino a raggiungere la parte alta del bacino.
Non riuscì a distogliere gli occhi da lei fin quando la vide aprire lo sportello ed accomodarsi sul sedile accanto a lui.
“Hai intenzione di oscurare la luna, Mitsuki?” fu il saluto che riservò alla ragazza.
Lei gli sorrise timidamente e lo ringraziò del complimento con un bacio sulla guancia.
“Possiamo andare” disse subito dopo, allacciandosi la cintura di sicurezza.
Con venti minuti di viaggio raggiunsero il Ristorante del centro che Itachi aveva scelto come fulcro del loro appuntamento. Si trattava di un locale non troppo elegante ma estremamente curato nei dettagli e nell'atmosfera. La luce era soffusa ed il profumo delle pietanze invadeva piacevolmente l'aria attorno a loro.
Una rosa rossa aspettava Mitsuki al suo posto, assieme ad un grazioso origami realizzato con il tovagliolo di stoffa. Entrambi si sedettero e la ragazza afferrò il gambo del fiore per sentirne l'odore.
“Itachi-san, non sono abituata a tutto questo” gli confessò poco dopo, guardandolo negli occhi.
Lui le afferrò dolcemente la mano. “Ho aspettato anche troppo, Mitsuki”.
A metà serata, dopo aver assaggiato i gustosi piatti della casa, entrambi iniziarono finalmente a sciogliersi, mostrando un'intesa ed una complicità che c'era sempre stata ma che nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di accettare.
Fu così che tra una chiacchiera e l'altra si fece mezza notte passata e se Mitsuki non avesse dato un'occhiata all'orologio probabilmente sarebbe stato il responsabile del locale a buttarli fuori. Proprio mente Itachi stava aggiungendo gli ultimi spicci per lasciare la mancia al cameriere sentì il telefono squillare. Il suo istinto percepì subito guai in vista ed invitò Mitsuki ad uscire dal ristorante. Quando lesse il nome sul display ne ebbe la certezza: era successo qualcosa di grave.

 

 

- Shisui? Che succede? -
- Itachi, mi dispiace. So che mi odierai per aver interrotto un momento così importante, ma devi raggiungermi subito in Azienda.-
- A quest'ora?-

Mitsuki guardò Itachi, preoccupata. Riusciva a sentire il tono di voce allarmato di Shisui all'altro capo del telefono e, contemporaneamente, leggeva anche negli occhi di Itachi una tragedia imminente.
- Il piano inferiore e i magazzini sono in fiamme. Raggiungimi il prima possibile.-

 

 







****
Salve a tutti!
Volevo solo informarvi che da questo momento in poi pubblicherò un capitolo a settimana, non più due come facevo ultimamente.
Non credo ci sia un giorno preciso, perchè tanto poi so che non riuscirò a rispettare la scadenza e me ne dispiace!
Ringrazio infinitamente coloro che stanno continuando a leggere questa storia, perchè senza di voi non sarei arrivata fino a qui! Grazie! :)



A presto,


Vavi

 

 

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Capitolo 18
*** Il piano di Shisui ***


Capitolo 18
Il piano di Shisui

 

 

 


Era come se, all'improvviso, fosse entrato dentro un'enorme campana di vetro. Vedeva le fiamme ballare a ritmo continuo davanti a sé come fossero un'ombra vacua, quasi incorporea. I suoni gli giungevano alle orecchie con qualche secondo di ritardo ed il via vai dei pompieri gli aveva offuscato la mente, impedendogli di pensare. Sentì Shisui strattonarlo due o tre volte per poi portarlo via, lontano da quell'incubo. Lo vide scambiare qualche parola con la Polizia e discutere animatamente con il guardiano che era di turno quella notte.
Fu allora che realizzò finalmente cosa stava succedendo.
“Shisui! - esclamò, afferrando suo cugino per un braccio – hanno visto qualcuno uscire o entrare dall'Azienda stanotte?”
L'amico lo guardò stralunato. “I pompieri dicono sia scoppiato un generatore”
“I generatori hanno sistemi di sicurezza molto avanzati.”
Il cugino sospirò.
“So a cosa stai pensando, Itachi. Riferiremo della telefonata una volta arrivati in Centrale. Adesso la situazione è troppo caotica e potrebbe sfuggirci di mano.”
Itachi annuì e il suo pensiero andò a Mitsuki, che qualche ora prima lo aveva pregato di portarla con sé fino allo sfinimento, ma che poi aveva dovuto rinunciare ad insistere ed accontentarsi di una telefonata quando Itachi sarebbe riuscito a sistemare le cose.
Afferrò il cellulare e scorse i numeri in Rubrica fino ad arrivare a quello di suo fratello.
“Lascialo dormire” lo fermò Shisui, non appena lo vide. “Gli spiegherai tutto domani mattina”
Prima di accompagnarlo alla macchina scorse la stanchezza che animava il suo sguardo.
“Sta tranquillo – gli disse, tirandogli una pacca sulla spalla – ce la faremo anche stavolta”

 

“Perchè non me l'avete detto subito?”
L'Ufficiale di Polizia, un uomo di mezza età con una fitta barba nera, sembrò particolarmente stupito del fatto che Itachi non avesse riferito della telefonata.
“Beh, non era la prima volta che succedeva” si affrettò a spiegare Shisui, notando che suo cugino non sembrava intenzionato a voler parlare.
L'uomo squadrò entrambi da dietro la scrivania. Si dondolò qualche secondo sulla sedia con una penna alla bocca, dopodiché piombò con le braccia sul tavolo, risvegliando Itachi dal torpore.
“D'accordo, penso sia il caso di indagare più a fondo. Potrebbe trattarsi di incendio colposo, ma per ora non abbiamo nessun elemento che lo provi. Il guardiano è l'unico testimone dell'accaduto ed ha affermato di non aver visto niente di strano. Quando si è accorto dell'incendio ha chiamato immediatamente i pompieri.”
“Non è stato il guardiano” si affrettò ad aggiungere Itachi, temendo che l'indagine stesse prendendo una piega sbagliata.
L'uomo alzò un sopracciglio.
“Questo è ancora da vedere. In ogni caso la telefonata che hai ricevuto apre un'altra pista importante, perciò credo sia necessario intercettare le chiamate che riceverà in futuro sulla tua linea ”
Itachi annuì, questa volta più tranquillo.
“Se l'uomo che ti ha chiamato voleva aprire una trattativa, di sicuro si farà sentire di nuovo, ed immagino che non sarà così stupido da chiamare con il suo telefono, perciò rintracciarlo potrebbe essere molto difficile. Inoltre, una volta localizzata la cabina telefonica, potremmo non aver risolto nulla, dato che non abbiamo nessun indizio su dove si trovi il colpevole”
Shisui si lasciò scappare un sospiro di disapprovazione.
“Ma la Polizia non dovrebbe tranquillizzare i cittadini?”
“Io sono solo realista, ragazzo – si affrettò a rispondere l'Ufficiale – quello che sto cercando di dirvi è che potrebbe essere un'indagine molto lunga. Nel frattempo manderemo qualche uomo in borghese a tenere d'occhio il vostro quartiere. Se vedete qualcosa di strano, qualsiasi cosa, chiamateci subito, siamo intesi?”
Entrambi annuirono e si alzarono per stringergli la mano.
“Potete andare”

 

Sasuke aveva ascoltato per filo e per segno il racconto di suo fratello, stando attento a non perdersi  nemmeno un dettaglio, sebbene fossero appena le quattro di mattina.
Shisui lasciò andare la testa sullo schienale del divano e si massaggiò le tempie.
“Potrebbe trattarsi di un vecchio creditore di papà?” azzardò il minore, lanciando un'occhiata ad entrambi.
Itachi, a dirla tutta, non aveva nessuna voglia di mettersi a fare congetture sul colpevole, almeno non in quel momento.
“Ho già parlato di questa possibilità alla Polizia. Mi ha detto che faranno dei controlli” gli rispose stancamente.
Sasuke non parve soddisfatto di quella risposta e, poggiando il mento sul dorso delle mani come era solito fare quando rifletteva, passò ad esaminare tutte le ipotesi che avrebbero potuto spiegare in qualche modo quello che era appena successo.
“Non scervellarti Einstein – lo riprese Shisui, guardandolo con la coda dell'occhio – lascia fare il lavoro ai poliziotti. Sono pagati per questo, no?”
Sasuke lo ignorò e rimase immobile nella sua posizione. Nessuno disse niente per qualche minuto, quando finalmente il minore lasciò andare le braccia ed espose la sua teoria.
“Avete mai sentito parlare della Yakuza?”
Itachi e Shisui pensarono che Sasuke avesse bisogno di qualche ora di sonno in più.
“Non vi sembra strano che un uomo chiami a casa nostra nel bel mezzo della notte, minacciandoti come se niente fosse? Io direi che uno così o è un gran cretino oppure non ha nulla da temere.”
Questa volta i due ragazzi si scambiarono un'occhiata perplessa.
“Se così fosse, cuginetto, saremmo nella merda fino al collo.”
Itachi guardò Shisui con aria preoccupata, per poi spostare lo sguardo su suo fratello.
“Resta il fatto che da soli non possiamo fare niente.”
Sasuke sbuffò. “Oh sì, aspettiamo che ci vengano ad incendiare casa.”
Shisui si alzò con uno slancio per andare ad aprire la finestra.
“Manderanno degli agenti in borghese a tenere d'occhio il quartiere.” Poi si girò verso i cugini, con l'aria di chi sta escogitando qualcosa di losco e poco raccomandabile.
“Però – iniziò, guardando Sasuke – forse qualcosa possiamo fare. Ho un amico fidato che lavora in una discoteca qui vicino. Lui ha, beh..dei precedenti in quell'ambiente e penso che il suo locale sia ancora in piedi grazie a qualche aiuto dai piani alti.”
Inutile dire che Itachi si rifiutò prontamente e non mancò di far notare a suo cugino che forse avrebbe dovuto rivedere la sua cerchia di amicizie.
La reazione di Sasuke, invece, rivelò intenzioni diametralmente opposte.
“Perché non provare? Mentre la Polizia farà le sue indagini, noi faremo le nostre.”
“Ehi, frena giovane Detective Conan. Sto parlando di una semplice chiacchierata, tutto qui. Solo che rintracciarlo non è un'impresa facile, perciò dovremmo recarci direttamente al locale, sperando di essere fortunati.”
Itachi sospirò, continuando a pensare che fosse una pessima idea.
“Ho bisogno di te, Itachi. Sarà meglio andare in due...non si sa mai.”
“Ma che razza di posto è?” sbottò il maggiore, che cominciava ad essere stufo di tutta quella faccenda ancora prima che iniziasse.
“Il problema non è il locale in sé...ma la gentaglia che lo frequenta. Comunque se non accetterai andrò da solo.”
“Ti accompagno io” si propose Sasuke, quella mattina più sveglio che mai.
Prima che Itachi riuscisse a sottolineare l'assurdità della proposta di suo fratello, fu Shisui ad intervenire per frenarne l'entusiasmo.
“No cuginetto, non credo sia il caso. E poi possono entrare solo i maggiorenni”
La pazienza di Itachi era già arrivata al limite della sopportazione e decise che la scelta migliore sarebbe stata di accettare e finirla lì, almeno per quella sera.
“D'accordo, adesso sarà meglio andare a dormire. Shisui, tu dovresti tornare a casa. Domani pomeriggio abbiamo la riunione con i dipendenti e poi...se dobbiamo andare in questo stramaledetto locale sono sicuro che faremo di nuovo tardi.”
Il cugino si alzò e così fece anche Sasuke, afferrando la stampella che teneva poggiata sul bordo del tavolo.
“Hai ragione. Ci vediamo domani allora. E cercate di dormire.”
Itachi annuì, pur sapendo che gli sarebbe stato impossibile anche solo pensare di chiudere occhio quella notte. Salutò Shisui con un cenno della mano e in poco tempo era già sdraiato sul futon, con i vestiti ancora indosso ed il cellulare in mano, deciso a scusarsi con Mitsuki per la pessima serata che le aveva fatto passare e, naturalmente, per cercare di tranquillizzarla.

Anche Sasuke, nelle stanza affianco, non aveva nessuna intenzione di dormire e anzi, al contrario, sembrava aver ritrovato la voglia di mettere in moto i neuroni al massimo delle sue possibilità. Sebbene fosse stato tagliato fuori dalla “misteriosa” spedizione di Shisui e di suo fratello, avrebbe di certo fatto la sua parte senza aspettare di essere surclassato dai due ragazzi solo perché più grandi di lui. Quel fatto riguardava la sua famiglia e non avrebbe permesso a nessuno di distruggere ciò per cui Itachi aveva lasciato gli studi, né di far del male alle persone a cui teneva. Per la prima volta, dopo tanto tempo, desiderava con tutto se stesso di ricominciare a lottare.


****


Quando riuscirono ad entrare nel locale era ormai mezza notte passata. Non appena varcarono la soglia vennero investiti da una coltre di fumo all'odore di Rum e per poco non rischiarono di inciampare nei loro piedi. La musica faceva vibrare i bassi con violenza e le luci soffuse contribuivano a generare una sensazione di assuefazione.
Lo spazio era occupato quasi interamente da divanetti e tavolini rotondi, ai quali avvenenti ragazze seminude cercavano di intrattenere gli ospiti. La pista da ballo, evidentemente poco usata, era stata relegata ad un angolo del locale, mentre la maggior parte della clientela era appostata sotto un palco rialzato per godere dello spettacolo di lap dance.

Shisui si voltò verso il cugino, invitandolo a seguirlo. “Non dire niente” buttò lì, notando il lampo omicida che aveva animato i suoi occhi.
Cercarono di farsi strada tra le cameriere che tentavano di persuaderli a rimanere con loro, fino a che Shisui adocchiò un uomo sulla trentina nel retro del bancone del bar, mentre chiacchierava di qualche malaffare con alcuni soci.
“E' lui!” esclamò, girandosi indietro per indicarlo a suo cugino. Ma con suo grande stupore notò che stava parlando da solo e che Itachi era stato fermato qualche metro più indietro da una ragazza con tanto di reggicalze in pizzo e corpino dalle decorazioni rosse talmente stretto che Shisui si chiese come diavolo facesse a respirare lì dentro.

“Scusa, mi dispiace, ma non posso fermarmi. Davvero.”

Rimase qualche secondo ad osservarli senza farsi vedere, godendosi la scena con una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere.

“Ma dai, non dirmi che sei timido? - intervenne la ragazza, avvicinandosi a lui con le forme prosperose bene in vista – mi basta qualche minuto sai, mi accontento lo stesso. Vedrai che non te ne pentirai.”

Inutile dire che Shisui era diventato paonazzo e probabilmente aveva attirato l'attenzione di metà locale, perciò cercò di assumere un'aria seria e accorse in aiuto del suo povero cugino.

“Ehilà, Itachi! Cosa fai, ti intrattieni con questa bella fanciulla e non mi avverti?”
La ragazza sorrise maliziosamente al nuovo arrivato e gli fece l'occhiolino.
“Forse al tuo amico non piaccio...” sussurrò sfiorando il mento di Itachi e mettendo un falso broncio.
“Oh no dolcezza – si affrettò ad aggiungere Shisui – è solo che vedi, lui non è interessato alle ragazze, mi capisci vero?”
Itachi piantò un calcio sugli stinchi di suo cugino, approfittando della confusione. “Shisui!”
L'altro cercò di mascherare il dolore come meglio poteva e continuò nella sua farsa improvvisata.
“Io mi fermerei volentieri con te ma vedi, sono appena stato con la tua amica laggiù – indicò una ragazza a caso tra quelle sedute al bancone – quindi sarà per un'altra volta.”
Amaya, così recava scritto il cartellino che la ragazza portava attaccato a una bretella, accarezzò una guancia a Shisui, mentre riservò ad Itachi un altro sguardo dispiaciuto.
“E' davvero un peccato...” sussurrò scomparendo dietro di loro e picchiando il palmo della mano sul fondo schiena della sua conquista mancata.
“Ehi! - sbottò Itachi, voltandosi per cercare la ragazza – mi ha toccato il sedere!”
Shisui alzò le spalle.
“Voleva togliersi una soddisfazione. Dai andiamo, abbiamo perso fin troppo tempo.”
Detto ciò afferrò suo cugino per un braccio e lo trascinò fino al bancone del bar, scoccando di tanto in tanto un'occhiata alle belle signorine che lo guardavano dai bordi dei tavoli.
“Tu aspettami qui”
Non gli diede il tempo di rispondere e scomparve dietro una colonna, lasciando Itachi nuovamente da solo.

Attese all'incirca venti minuti, dopodiché si accomodò su uno sgabello lì vicino, sperando di non essere abbordato da nessun'altra ragazza assetata di attenzioni.
Guardò lo schermo del suo cellulare: erano le due e mezza. Il locale sembrava farsi sempre più affollato ogni ora che passava e la calca nei pressi del palco cresceva in modo spropositato. Decise di controllare a cosa fosse dovuto quell'accanimento e non tardò ad accorgersi che la ragazza in piedi accanto al palo non era la stessa di prima. La sua corporatura era più esile, il seno meno prosperoso, ma le gambe sode giocavano con quell'asta di ferro con stupefacente maestria. I capelli erano mossi e raccolti in una mezza coda, il trucco pesante lasciava intravedere due occhi tristi, spenti, mentre il rossetto rosso nascondeva le labbra sottili, incurvate in un falso sorriso.
Fu allora che se ne rese conto. Fu allora che riuscì ad intravedere tra le linee di eyeliner, tra i boccoli finti e i movimenti sicuri, quella ragazza che aveva sempre creduto di conoscere e che ora gli si presentava davanti sotto una veste completamente diversa.
Si alzò di scatto dallo sgabello e cercò di farsi largo tra la folla di ammiratori. Quando fu arrivato abbastanza vicino non aveva più alcun dubbio. Si trattava di lei.

“Aoko!”

Cercò di chiamarla sovrastando il volume della musica, ma non ottene alcun risultato.
Poi i loro occhi, per una frazione di secondo, si incrociarono.
Lei continuò a fare il suo lavoro in modo impeccabile, ma Itachi giurò di essere riuscito a leggere sulle sue labbra un flebile: “Mi dispiace”.
In quel momento Shisui gli piombò alle spalle con un'espressione delusa dipinta in volto.
“Credo che non ci possa aiutare, Itachi.” cominciò, cercando di condurlo lontano dalle casse.
Itachi diresse suo cugino verso l'uscita.
“D'accordo, ma adesso andiamocene. Ne parleremo a casa.”
“Ehi, come mai tutta questa fretta? Dì la verità, questo locale ti sta cominciando ad interessare. Ho visto come guardavi la cubista...”
Tirò una gomitata ad Itachi e si voltò per ammirare anche lui quella ragazza alla quale suo cugino aveva riservato così tante attenzioni. Itachi tentò di tirarlo via per un braccio, ma il corpo del ragazzo era rimasto immobile, incapace di muoversi anche solo di un millimetro. L'aveva vista anche lui adesso, ballare con così tanta disinvoltura sopra quel sudicio cubo, mentre banconote di carta volavano sul palco insieme ad apprezzamenti della peggior specie.

Shisui, ti prego. Andiamo

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Capitolo 19
*** La storia di Aoko ***


Capitolo 19
La storia di Aoko








Passarono tre giorni dalla visita dei due ragazzi al locale. La Polizia continuava ad indagare cercando indizi all'interno dell'Azienda, mentre un gruppo di operai specializzati aveva già iniziato a lavorare per rendere di nuovo agibili i piani inferiori. Ci sarebbe voluto del tempo, ma Itachi era sicuro che l'Azienda si sarebbe ripresa, tornando come nuova. Il problema principale però rimaneva aperto e nessuno riusciva a spiegarsi il motivo di quella telefonata. I poliziotti avevano già iniziato a tenere la linea telefonica di Villa Uchiha sotto controllo, attendendo il fatidico giorno in cui l'uomo si sarebbe fatto risentire e sperando che non decidesse nel frattempo di combinare qualche altro guaio.
Itachi aveva ripreso a frequentare le lezioni, mentre Sasuke non faceva altro che metterlo in guardia su quanto la situazione non fosse da prendere sotto gamba. In realtà anche il maggiore pensava che nessuno dei due fosse veramente al sicuro, perciò decise di limitare le uscite al minimo indispensabile. Finché un sabato mattina, intorno alle dieci, qualcuno si attaccò al campanello in modo talmente insistente che anche i vicini di casa si affacciarono per vedere cosa stesse succedendo. Itachi si recò ad aprire in fretta e furia e scaraventò suo cugino dentro casa.
“Shisui, ma che diavolo ti prende?”
Sasuke adocchiò i due ragazzi dalla cucina, mentre finiva di togliere dal tavolo gli avanzi della colazione. “Sembra che tu non dorma da una settimana” commentò non appena il cugino gli apparve davanti.
Shisui si gettò sul divano occupando tre piazze e poggiò entrambi i piedi sul bracciolo senza neanche degnarsi di togliere le scarpe.
Itachi fece cenno a suo fratello di lasciarli soli per un attimo, al ché Sasuke afferrò le sue stampelle e volò al piano superiore alla velocità della luce. Per poter ascoltare dalla serratura di camera sua, ovviamente.
“Shisui...posso immaginare come ti senti...”
“No Itachi, credimi. Stavolta no”
Erano davvero poche le volte in cui Itachi aveva visto suo cugino buttarsi giù in quel modo. Sebbene Aoko non costituisse la principale questione in quel momento, di certo non avrebbe permesso che Shisui si riducesse ad una canna di bambù con due paia di occhiaie lunghe fino al pavimento.
“Va bene, allora preparati. Andremo da lei.”
A quelle parole Shisui alzò la testa. “Andare da lei? Sei matto?”
“So dove abita – continuò Itachi, afferrando il suo cappotto – e so che vuoi parlarle, Shisui. Sarà meglio farlo adesso, oppure potrai pentirtene”
Il cugino sbuffò e lasciò ricadere il capo sul cuscino. “Non vorrà neanche vederci.”
Itachi lo afferrò per un braccio e lo costrinse ad alzarsi. “Dobbiamo provare. Muoviti”
E in men che non si dica lo aveva già trascinato fuori di casa, sulla via che portava alla metro di Tokyo.

 

Rimasero immobili sulla soglia della porta ad aspettare che qualcuno si degnasse di andare ad aprire. Shisui si massaggiò le tempie e fece dietrofront.
“No Itachi, mi dispiace. Non ce la faccio”
Il cugino lo bloccò per una spalla e proprio in quell'esatto momento sentirono lo scricchiolio della sicura sbloccarsi. La porta si aprì tanto quanto bastava per mostrare un naso piccolino e due occhi stanchi coperti da una sottile frangia nera. Il cuore di Shisui perse un battito.

“Che cosa volete?”

La sua voce era talmente flebile che quasi venne coperta dal rumore delle macchine dietro di loro.
“Vorremo parlarti, Aoko.” iniziò Itachi, notando che suo cugino non era momentaneamente in grado di intendere e di volere.
La ragazza abbassò lo sguardo e fece per richiudere la porta. “Non ho niente da dirvi”
Ma Itachi fu più veloce e riuscì ad aggrapparsi alla maniglia. “Aspetta Aoko, ti prego. Vogliamo solo aiutarti.”
“Nessuno può aiutarmi” sussurrò lei, tirando la porta verso di sé. “Andate via. Per favore” il suo tono si fece quasi una supplica e una lacrima le solcò la guancia destra.
A quel punto anche Shisui si era avvicinato alla porta ed il suo sguardo faceva trapelare che l'avrebbe sfondata pur di entrare e saperne di più.
“Ti chiedo solo cinque minuti.”
L'espressione preoccupata di Itachi finì per convincere la ragazza, che alla fine si decise a togliere la catena per lasciarli entrare. L'appartamento era un esiguo monolocale, poco illuminato ma sorprendentemente ordinato e pulito. I numerosi incensi sparsi per la casa erano un tentativo malriuscito di coprire l'odore della muffa, che aveva colonizzato quasi tutte le mura.
Aoko li invitò a sedersi sui tatami del soggiorno, accanto ad un basso tavolino rettangolare.
“Posso offrirvi qualcosa?” chiese timidamente, tenendo entrambe le mani giunte in grembo.
Itachi scosse la testa e lanciò una gomitata a suo cugino affinché si sforzasse almeno di rispondere alle domande. Shisui fece cenno di no e cercò di ringraziarla con un sorriso.
Lei si avvicinò a passi lenti e si sedette proprio di fronte a loro. Teneva sempre lo sguardo basso e continuava a tormentarsi una ciocca di capelli neri, stavolta tenuti lisci al naturale.
Il suo viso era pulito, non un filo di trucco a disegnarne i lineamenti, nessuno strato di rossetto a coprirne le labbra, solo la vera, autentica Aoko.
“Ti va di parlarne?” cominciò Itachi, cercando di metterla a proprio agio.
Lei respirò profondamente ed afferrò una sigaretta da un pacchetto che teneva a portata di mano. L'accese velocemente e già la sua attenzione si spostò dai capelli al filtro che teneva stretto in bocca.
“Vi dispiace se fumo?” chiese, quando ormai aveva già tirato due o tre boccate.
Itachi e Shisui scossero la testa, in silenzio.
“Sono andata a vivere da sola qualche anno fa – cominciò, questa volta guardandoli negli occhi – ed il motivo principale è che non sopportavo più di stare assieme ai miei genitori. Se fosse stato per loro a quest'ora sarei nell'ufficio di un avvocato a portargli il caffè e ad ingraziarmelo per farmi lasciare il posto di lavoro”
Itachi lanciò un'occhiata a suo cugino. Per un attimo dovette accertarsi che stesse ancora respirando.
“Volevano che facessi l'avvocato. O quello o niente, mi dissero. Ebbene, io scelsi niente. Il giorno dopo mi ritrovai le valigie fatte fuori dalla porta e settantamila yen in mano. Gli sbattei i soldi in faccia e me ne andai.”
Prese una lunga boccata chiudendo gli occhi per inspirare a fondo ogni più piccola particella di nicotina.
“Pensavo di potercela fare da sola, di poter realizzare il mio sogno contando solo sulle mie capacità. Volevo essere un medico e il resto non mi importava”
Entrambi continuarono a seguirla senza interrompere il contatto visivo.
“Ora, ditemi, credete davvero che una ragazza di Kyoto, sola e senza soldi, potesse costruirsi una vita a Tokyo e studiare all'Università? Beh, io lo credevo. Ho dormito per strada una settimana intera, fino a quando una vecchietta del quartiere mi ha presa con sé. Per pietà, più che altro.”
Lo sguardo di Shisui era concentrato e non si distrasse nemmeno una volta a guardare la sigaretta. Erano le espressioni del suo volto ad interessargli, questa volta.
“Ma non potevo restare da lei, dovevo assolutamente trovarmi un lavoro. Ho provato di tutto, credetemi. Ma i soldi erano pochi e bastavano solo per farmi vivere una vita dignitosa nella bettola di quella signora. Non volevo appoggiarmi a nessuno, volevo rifarmi una vita, volevo studiare.”
Itachi annuì, esortandola a continuare.
“E così un giorno ho trovato quel locale. Ho parlato con il responsabile, abbiamo organizzato un colloquio e alla fine mi ha preso. Con quel lavoro posso pagarmi l'affitto di questo buco di casa, la spesa per un mese intero e le rate dell'Università. A volte mi permetto anche qualche straordinario fino alla mattina.”
Interruppe il suo racconto per osservare i due ragazzi.
“So a cosa state pensando. Che il mio lavoro equivale a quello di una puttana.”
“Aoko, non abbiamo mai detto che...”
“Avete ragione, Itachi. Loro possono guardarmi. Possono toccarmi, strusciarsi e anche spogliarmi se vogliono. Ma non sono una puttana. Non lascerò mai che un sudicio maiale mi tolga ciò che ho di più prezioso.”
Shisui parve ingoiare quelle parole con fatica, senza riuscire a nascondere l'incredibile confusione che aveva in testa.
“Devo farlo, Itachi. E' l'unico lavoro che mi permette di guadagnare così tanto pur frequentando l'Università e di conservare quel poco di dignità che mi rimane. Potete pensare quel che volete di me, non importa. Io continuerò a fare come ho sempre fatto. Un giorno diventerò medico e manderò tutto a 'fanculo.”
Gettò la sigaretta nel posacenere e tornò a chiudersi in se stessa.
“Tutto questo non è necessario, Aoko. Ti ho detto che voglio aiutarti e lo farò. Lo sai  che da diversi mesi ho ereditato l'Azienda da mio padre e che la gestisco assieme a mio cugino. Perché non me l'hai detto subito? Avrei potuto assumerti all'istante.”
“Perché? - domandò lei, questa volta adirata – solo perché sono amica tua? Non voglio regali, Itachi. So cavarmela da sola. L'ho sempre fatto prima di conoscerti e continuerò a farlo anche adesso”
Aoko era una ragazza orgogliosa e questo non lo si poteva negare. Ma Itachi aveva giurato a se stesso che sarebbe uscito da quella casa ottenendo qualcosa di concreto.

“Ti prego, Aoko”

Stavolta era stato Shisui a parlare, per la prima volta da quando erano entrati. La ragazza lo guardò tristemente.
“Vieni a stare con noi. Adesso l'Azienda sta passando un brutto momento, ma quando ci rialzeremo  potrai entrare a far parte dello staff e ti garantisco che trattiamo bene i nostri dipendenti.”
Aoko sorrise, stupita da tutto quel parlare all'improvviso. Era un sorriso dolce.
“Non ti mancherà niente, vedrai. Abbiamo delle palazzine accanto all'Azienda che mettiamo a disposizione per agevolare alcuni dipendenti che vengono da lontano. Potrai prendere un appartamento e stare lì.”
A quel punto le guance della ragazza erano interamente bagnate dalle lacrime e, con entrambe le mani sul volto, cercava invano di domare i singhiozzi. Shisui ammutolì, non avendo la più pallida idea di cosa fare. Itachi si sporse verso di lei e le afferrò una mano con delicatezza, cercando di scoprirle il volto.
“Puoi fidarti di noi, Aoko. Dacci solo un po' di tempo e ti tireremo fuori da quella merda.”
Il tono di Itachi era duro e non ammetteva spazio a repliche. Continuò a stringere la mano della ragazza con presa sicura e le parve che quel gesto la aiutasse a calmarsi. Credeva fermamente in ciò che aveva detto e avrebbe dato tutto se stesso pur di riuscirci. Anche Shisui annuì con decisione ed entrambi riuscirono a scorgere un debole sorriso sulle sue labbra.
“Grazie ragazzi. Grazie di cuore.”


Passò un'altra settimana senza che il telefono di casa Uchiha squillasse per ricevere strane telefonate. Shisui aveva ricominciato ad andare in Azienda tutte le mattine e si era messo in testa di aiutare gli operai a rimetterla a nuovo. Tutto sembrava procedere senza particolari intoppi fino a quando, un martedì pomeriggio, il postino suonò al campanello di Itachi dicendo che aveva un pacco da consegnare. Il maggiore, istintivamente, si girò a guardare suo fratello, ed ebbe la certezza che anche lui avrebbe volentieri chiuso la porta in faccia al povero uomo senza vedere cosa c'era dentro quella dannata scatola. Invece afferrò la penna, firmò il foglio e, facendosi coraggio, portò il pacco dentro casa. Sasuke si affrettò a raggiungerlo in cucina per vedere di cosa si trattasse. Il maggiore lo aprì lentamente, quasi come fosse una bomba sul punto di esplodere. La scatola di cartone recava su un lato la scritta “FRAGILE”, ma al suo interno c'era solo una gran quantità di polistirolo e nient'altro. Frugò con circospezione in tutti gli angoli, finché riuscì a trovare un foglietto di carta sul quale primeggiava una scritta in corsivo, realizzata al computer.
Sasuke si avvicinò a suo fratello ed entrambi lessero il contenuto del biglietto.




 


So che hai coinvolto la Polizia e questa cosa non mi piace per niente.
Ti avverto Itachi: lascia gli sbirri fuori da questa storia o sarà peggio per te.
Ti do un'ultima possibilità: vieni venerdì 13 al Casale abbandonato di Toshikawa road alle 13 in punto, lì concluderemo le trattative per la tua Azienda e la questione verrà risolta senza che nessuno si faccia male.
Firmato, il tuo futuro socio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Fine dei giochi ***


Capitolo 20
Fine dei giochi









Itachi dovette discutere a lungo con suo fratello per convincerlo che avvertire la Polizia fosse la scelta migliore. Da solo si sarebbe messo nei guai e probabilmente avrebbe finito per peggiorare la situazione, senza concludere nulla di concreto. Fu così che il giorno stesso si recò in Centrale e mostrò il biglietto all'Ufficiale con il quale aveva parlato la volta precedente; quest'ultimo ne discusse a lungo con i colleghi, costringendo Itachi ad aspettare fuori dalla stanza per una buona mezz'ora. Alla fine il verdetto non fu molto diverso da quello che si aspettava: avevano deciso all'unanimità che Itachi si sarebbe dovuto presentare a quell'incontro e che un corpo di Polizia lo avrebbe scortato in segreto.
“E' proprio quello che si aspetta.” aveva commentato il ragazzo, un po' scosso al pensiero del rischio che avrebbe dovuto correre.
“Non sappiamo se quest'uomo vuole realmente stringere un accordo con te oppure farti fuori, Itachi. Mandarti lì da solo è fuori discussione.”
Il ragazzo sospirò. “Sa che verrete, ne sono certo.”
L'uomo annuì sbattendo una mano sulla scrivania.
“Se è una guerra che vuole, noi siamo pronti – urlò, facendo girare metà dei dipendenti-  non li ho mai sopportati questi mafiosi della malora!”

Itachi uscì dalla Centrale ancora più demoralizzato di prima e quasi si pentì di non aver ascoltato i consigli di suo fratello. La Polizia sembrava aver preso tutto alla leggera, senza pensare minimamente alle conseguenze.

“Hanno un infiltrato lì in mezzo, ne sono sicuro.”
Aveva commentato il minore, non appena Itachi aveva fatto ritorno a casa.“ Anche la Polizia è corrotta in questa merda di città!”
“Non abbiamo molte alternative. La giustizia privata non esiste, Sasuke”
Itachi cominciava a pensare che suo fratello avesse preso la questione troppo di petto e adesso gli sembrava di sentirlo parlare come un vecchio reduce di guerra.
“Oh, certo che esiste – aveva replicato, chiudendo il libro di letteratura – ma a nessuno è mai venuto in mente di considerare la possibilità.”
Di solito il maggiore tendeva ad evitare l'argomento “scuola”, poiché sapeva che in quell'ambito suo fratello aveva sempre svolto un ottimo lavoro. Ultimamente però gli era capitato poche volte di vederlo con un libro in mano ed in lui si fece strada la preoccupazione che non riuscisse a passare l'anno. Ovviamente decise di tenerlo per sé, almeno fino a quando non fossero riusciti a mettere la parola fine a quella brutta avventura.
In ogni caso mancavano solo tre giorni all'incontro con l'uomo misterioso ed Itachi sarebbe dovuto andare tutti i pomeriggi in centrale per discutere con i poliziotti i dettagli della spedizione. L'Ufficiale gli aveva garantito la massima protezione e, allo stesso tempo, si era raccomandato di seguire alla lettera gli ordini dei suoi subordinati senza replicare.
Anche il più piccolo errore avrebbe potuto determinare il fallimento dell'impresa.

Shisui, dal canto suo, aveva passato gli ultimi due giorni a rimuginare su quello che era successo a casa di Aoko, assillando il cugino con le sue lamentele su quanto fosse combattuto tra l'idea di ricontattare la ragazza oppure lasciar perdere per un po' di tempo qualsiasi legame con lei.
“Sai Shisui, preferivo la tua vecchia versione” gli aveva confessato Itachi la sera prima del fatidico incontro a Toshikawa Road, quando l'amico gli era piombato a casa giusto in tempo per la cena.
“Anch'io” confermò Sasuke, già stufo di stare a sentire le delusioni amorose di suo cugino.
Shisui non sembrò per niente confortato dalle parole dei due ragazzi ed annunciò al mondo che quella sera avrebbe dormito da loro, poiché troppo stanco per guidare fino a casa.
“Me ne andrò domani mattina senza fiatare. E dormirò sul divano, non dovete preoccuparmi per me” cantilenò piazzandosi davanti alla tv.
Itachi sbuffò e gli lanciò il telecomando.
“Lo sai che ci sono due camere degli ospiti in questa casa. E adesso smettila di piangerti addosso”.
Sasuke afferrò le stampelle e fece per salire al piano di sopra.
“C'è una vaschetta di gelato al cioccolato nel freezer, perciò puoi ingozzarti quanto vuoi.”
Il maggiore lanciò un'occhiataccia a suo fratello, ma poi dovette ricredersi quando Shisui si degnò anche di rispondere.
“Grazie, cuginetto. Tu si che ti preoccupi per me.”
Sasuke guardò il maggiore e si sbrigò a salire al piano di sopra.
“Sta proprio fuori” sussurrò affacciandosi alla ringhiera, mentre roteava il dito vicino alla tempia.
Itachi alzò le spalle e pensò che un cugino distrutto dalle pene d'amore era proprio l'ultima cosa che avrebbe desiderato quella sera. Si sdraiò sul futon cercando di portare alla mente ricordi felici, ma non fece in tempo a socchiudere gli occhi che il cellulare vibrò. Lo afferrò di mala voglia rischiando di far cadere la luce dal comodino ed osservò il numero sul display.
Sapeva che prima o poi avrebbe chiamato e che sarebbe stato costretto ad affrontarla.

- Itachi-san, sono io.
- Ciao Mitsuki.
- Dobbiamo parlare di molte cose, sai?

Itachi sospirò. Non aveva scampo.
- Da dove preferisci cominciare?
- Aoko. Mi ha chiamata qualche giorno fa in lacrime. Sono corsa da lei mollando tutto e nel giro di mezz'ora mi aveva raccontato la sua vita per filo e per segno. Sono   rimasta zitta come un'imbecille. Non sapevo che cavolo dire.

Itachi mantenne il silenzio, aspettando che continuasse.
- Poi vengo a sapere che c'era il vostro zampino e che un bel giorno siete piombati a casa sua pretendendo di sapere tutto. Ma cosa vi salta in mente?
- Cerca di capire Mitsuki, l'abbiamo vista in quel locale e Shisui...

- Ah già, quel locale. Poi un giorno o l'altro dovrai raccontarmi il perché vi trovavate in quello schifo di posto.
Entrambi rimasero zitti per qualche secondo.
- Scusa Itachi-san, non voglio farti l'interrogatorio. E' solo che sono preoccupata per voi. Sta succedendo tutto così in fretta...
- Lo so, è stato uno shock per tutti. Shisui stava male e così andare lei è stata la prima cosa che mi è venuta in mente. Sono stato troppo impulsivo.

Sentì Mitsuki sospirare dall'altra parte.
- Mi aveva detto di lavorare in un bar come cameriera. Non ho mai pensato che potesse essere una bugia.
- Non potevi saperlo, Mitsuki.
- So che volete aiutarla e di questo ve ne sono grata. Ma non so se riuscirete a convincerla...Aoko ha la testa dura.

Di nuovo silenzio. Questa volta Itachi capì che la discussione si sarebbe spostata su qualcos'altro.
- Ed anche tu. Vuoi dirmi perché devi andare a quell'appuntamento domani? Non possono andarci solo quelli della Polizia? Ti stanno usando come esca!
- E' l'unico modo per cercare di ottenere qualcosa. Sarebbe stupido non provarci.
- No, sarebbe stupido presentargli ciò che vuole su un piatto d'argento. Non è così che ne verrete a capo.
Itachi non rispose.
- Ti prego Itachi-san. Non andare.

Era sicuro che glie l'avrebbe chiesto. Sapeva anche che non avrebbe cambiato idea per nessuna ragione.
- Devo.
- No, non devi. E' troppo rischioso.
- Mi spiace, Mitsuki. Ho già deciso.

Anche lei sapeva che sarebbe stato un tentativo vano.
- La solita stupida ostinazione. Sappi che se succederà qualcosa non te lo perdonerò mai.
Lui sorrise e pensò che fosse arrivata l'ora di andare a dormire.
- Buonanotte Mitsuki
Lei riagganciò senza nemmeno salutare.

 

Quel venerdì mattina il cielo di Tokyo era oscurato da nuvole nere come la pece che annunciavano pioggia imminente. Itachi aveva percorso la strada per arrivare al casale con una decina di agenti in borghese alle calcagne, ma si sentiva lo stesso terribilmente solo. Prima di prendere la metro per arrivare in periferia aveva accompagnato Sasuke a casa di Naruto, accertandosi che entrasse nel portone senza fare deviazioni. La decisione era stata presa senza neanche consultare il minore, che altrimenti si sarebbe opposto iniziando una discussione infinita.
“E' solo per sicurezza” gli aveva detto Itachi prima di vederlo scendere dall'auto sbattendo la portiera. Ad essere sinceri gli dispiaceva più per Naruto, il quale aveva accettato senza batter ciglio anche se sarebbe stato costretto a sorbirsi le lamentele del suo migliore amico per una giornata intera.

Quando giunse nei pressi del luogo stabilito, istintivamente, rallentò il passo. Si guardò in giro con circospezione, pur sapendo di essere scortato. Il Casale prescelto per la trattativa era un edificio enorme con una porta d'ingresso alta tre volte un normale portone di città. Il tetto sembrava cadere in pezzi e tutt'intorno non v'era altro che erba secca e costruzioni in rovina. I poliziotti erano stati costretti a rimanere più lontano del previsto, dato che attorno al Casale regnava la più totale desolazione.
“Un posto davvero strategico” pensò Itachi, avvicinandosi all'entrata.
Lanciò un'ultima occhiata alle nubi che lo sovrastavano, dopodiché si fece coraggio ed entrò. Sapeva che a quel punto i poliziotti si sarebbero dovuti avvicinare il più possibile per poter intervenire qualora ce ne fosse stato bisogno.
All'interno c'era un forte odore di chiuso e dalle finestre sulle pareti filtrava solo una debole luce bianca. Proprio in mezzo alla sala era visibile una cattedra universitaria, abbandonata ormai da diverso tempo. Nell'esatto momento in cui si rese conto che in quella stanza non c'era anima viva sentì un rumore sordo provenire da fuori e qualcuno che apriva la porta con violenza.
Era l'Ufficiale di polizia ed aveva una pistola in mano.
“Qua non c'è nessuno!” urlò al ragazzo, intimandogli di uscire.
Itachi annuì e si avvicinò al tavolino. Scorse un altro foglio di carta con la stessa grafia del biglietto che aveva ricevuto via posta. Cercò di leggerlo senza farsi vedere dagli altri.


Ero qui dalle quattro di questa mattina ed ho visto chiaramente le tue sentinelle appostarsi vicino al Casale. Pensavate davvero di incastrarmi in questo modo? Mi meraviglio di te, Itachi. Eppure la vostra famiglia è rinomata per avere una capacità d'intuizione fuori dal comune. Comunque ti avevo avvertito: questa era la mia ultima proposta.
E adesso daremo inizio alla guerra di cui parlava il tuo Ufficiale. Che vinca il migliore!

Itachi trasalì. A colpirlo non era stata l'ulteriore minaccia ricevuta, quanto il fatto che quell'uomo  conosceva il contenuto della conversazione tra lui e il Comandante di Polizia. E questo, purtroppo, voleva dire solo una cosa: suo fratello ci aveva preso in pieno.
L'uomo misterioso aveva una spia all'interno della Centrale.

I poliziotti insistettero per accompagnare Itachi fino a casa, dopodiché, su sua esplicita richiesta, si recarono a casa di Naruto per recuperare suo fratello. Era sicuro che gliene avrebbe dette quattro quando sarebbe tornato, ma la sicurezza non era mai troppa e, visto le ultime minacce, sarebbe stato meglio non rischiare. Questa volta aveva tenuto il biglietto ben nascosto nella tasca, deciso a parlarne prima con Shisui e poi, dopo aver preso le dovute precauzioni, con l'Ufficiale, contattandolo in privato. Il fatto che ci fosse una spia in Centrale creava un dilemma ancora maggiore ed obbligava ad agire con la massima discrezione.
Era rimasto seduto su una sedia a contemplare quel foglio di carta, fino a quando sentì il campanello suonare. Quando aprì la porta si trovò davanti un poliziotto giovane, la cui espressione smarrita non lasciava presagire nulla di buono.
“C'è stato un imprevisto” iniziò, con il fiato corto.
Itachi uscì in veranda e, guardando oltre le siepi, poté scorgere due macchine della polizia appostate davanti al cancello ed altre tre che si allontanavano imboccando la via principale. Quella che portava a casa di Naruto.
“Quando siamo entrati la serratura era stata forzata. Abbiamo trovato due persone a terra, prive di sensi. Hanno riportato delle ferite alla testa, ma se la caveranno.”
“Chi erano?” sbottò Itachi, che a quel punto aveva smesso di ragionare.
Il ragazzo tentennò. “Un ragazzo biondo e un signo-”ma prima che potesse terminare la frase Itachi lo afferrò per le spalle ed il suo tono di voce cominciò ad alzarsi.
“Dov'è mio fratello?! Vi avevo chiesto di andarlo a prendere, dannazione!”
Il poliziotto lo guardò e nei suoi occhi si leggeva l'immenso dispiacere che provava nel dovergli dare quella notizia. Era chiaramente un novizio alle prime armi.
“Mi dispiace davvero, ma suo fratello non c'era. I miei colleghi sono già all'opera per cercare di...”
Si fermò notando la confusione sul volto di Itachi. Gli afferrò saldamente una spalla.
“Le prometto che lo troveremo”
Erano parole sincere, dettate dalla forte convinzione di poterci riuscire. Ma Itachi non era un sognatore ed aveva sempre affrontato le situazioni con i piedi per terra. Si fiondò dentro casa a cercare il cellulare e in un batter d'occhio aveva composto il numero di Shisui. Non avrebbe fatto stupidaggini, non sarebbe entrato nel panico. Avrebbe mantenuto la calma, come suo padre gli aveva insegnato a fare. Ma non da solo, non questa volta.

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Capitolo 21
*** Nelle tenebre ***


Capitolo 21
Nelle tenebre








E così si ritrovava a dover percorrere i corridoi di quel maledetto ospedale ancora una volta, con un peso enorme che gli gravava sulle spalle e che sapeva non si sarebbe mai alleggerito.
Naruto giaceva sul lettino con una spessa fasciatura che gli circondava la fronte, mentre Jiraya, accanto a lui, cercava invano di allungarsi per aprire la finestra, sopportando in silenzio le dolorose fitte alla spalla.
Quando Itachi entrò nella stanza accompagnato da Shisui, entrambi si voltarono e sui loro occhi calò una patina di immenso dispiacere.
“Itachi-san, io..” cominciò Naruto, tentando di mettersi a sedere.
Lui lo fermò con un gesto della mano e salutò Jiraya con una rapida flessione della testa, dopodiché si accomodò su una sedia accanto a loro.
Shisui rimase fuori dalla porta ad aspettare.
“Non so davvero come scusarmi con voi”
Il suo tono di voce era più basso del solito. “E' colpa mia se siete qui dentro.”
Naruto strabuzzò gli occhi e cominciò ad agitarsi.
“Ma che dici, Itachi-san? Non sono neanche stato capace di aiutare il mio migliore amico, non mi merito le tue scuse”
Sul volto di Itachi si aprì un debole sorriso poiché, sebbene conoscesse Naruto da molto tempo, ogni volta riusciva sempre a stupirlo. Sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per suo fratello.
“Erano in tre” cominciò Jiraya, massaggiandosi la spalla lussata. “So che è difficile da credere ma..da come erano vestiti, avrei giurato fossero-”
“Ninja!” concluse Naruto, con un dito alzato.
Itachi guardò entrambi, senza sapere bene come rispondere.
“Ninja?!?” sentirono esclamare subito dopo, da una voce che proveniva da fuori. Videro una testa fare capolino da dietro lo stipite della porta.
“Scusate – disse Shisui, ignorando l'occhiataccia di suo cugino – è che non ho potuto fare a meno di ascoltare. I ninja non esistono più da diversi secoli ormai.”
Si era avvicinato a loro, deciso a prendere parte alla conversazione.
“Hanno usato degli strani fumogeni e poi sarei pronto a giurare che uno mi ha piantato in testa una katana. Con tutto il fodero, per fortuna.”
Se fosse stata una situazione diversa, Shisui sarebbe sicuramente scoppiato a ridere. Invece guardò Naruto, indeciso se credergli oppure dare la colpa alla forte botta che aveva ricevuto.
“Sono riusciti a seguirmi mente accompagnavo Sasuke da voi, eludendo i poliziotti che perlustravano la zona. Senza dubbio sono veloci ed addestrati” commentò Itachi, cercando di far quadrare le informazioni.
“Ma insomma Itachi – sbottò Shisui, che non riusciva più a trattenersi – delle katane? Mi sembra alquanto surreale.”
Il cugino sospirò. Aveva sperato che parlando con Naruto e Jiraya sarebbe riuscito a mettere insieme i pezzi, ma adesso la sua mente sembrava più confusa di prima.
“Che hai intenzione di fare adesso, Itachi-san?” gli chiese ad un tratto Naruto, interrompendo il silenzio. Era difficile ragionare mentre il suo cervello stava ancora elaborando ciò che era successo qualche ora prima. L'ultima cosa che avrebbe desiderato era proprio mettere a repentaglio la vita di altre persone accanto a lui, ma la situazione si era fatta insostenibile e senza l'aiuto di qualcuno, ormai lo aveva accettato, non sarebbe andato da nessuna parte.
“L'uomo che mi ha contattato vuole stringere un accordo. Se la Polizia non dovesse riuscire a trovarlo, allora sarò costretto ad accettare.”
“Cosa?!” esclamò Shisui, destando l'attenzione di un infermiera che passava lì vicino. Si guardò intorno furtivo per accertarsi di non aver svegliato mezzo ospedale, dopodiché continuò.
“Non puoi metterti alle dipendenze di quel farabutto, Itachi. Qui è di mafia che stiamo parlando, se accetterai il suo patto per te sarà finita.”
“Qual'è l'alternativa?” gli domandò il cugino.
Naruto spostò lo sguardo dall'uno all'altro, senza sapere come intervenire. Era già stufo di rimanere sdraiato su quel lettino con le mani in mano. Voleva aiutare Itachi nel trovare una via d'uscita, un'alternativa alla peggiore delle ipotesi, ovvero quella di diventare socio con l'uomo la cui identità rimaneva ancora segreta.
“Ci penseremo – intervenne il biondo, battendo un pugno sul palmo della mano – Sasuke mi ha detto che la Polizia ha messo sotto controllo anche le Poste locali. La linea telefonica è continuamente sorvegliata e, a meno che non abbia un elicottero, sarà difficile per lui contattarti.”
Shisui annuì. “Questo è vero. E se ci tiene a fare questa trattativa, di sicuro dovrà trovare un modo per parlare con te, anche se questo metterà a repentaglio la sua sicurezza. Quindi prima o poi riusciremo a scovarlo.”
Jiraya aveva ascoltato i ragionamenti dei tre ragazzi in silenzio, fino a quando Itachi scorse sul suo volto un'aria austera che per un momento gli ricordò suo padre.
“Dobbiamo considerare anche un'altra possibilità. So che può sembrarvi assurdo ma...potrebbe anche decidere di mandare all'aria tutto e non concludere l'accordo.”
Naruto guardò suo zio come se non condividesse quell'ipotesi. “E che ne sarebbe di Sasuke?”
Itachi lanciò un'occhiata al ragazzo e gli fece capire che, sebbene neanche lui avrebbe voluto considerare quella possibilità, non avrebbero di certo potuto escluderla a priori. Era necessario agire con cautela per evitare di commettere errori fatali.
“Ti conviene dormici su, Itachi – disse Jiraya – so che è difficile, ma domani potrai ragionarci a mente fresca. Inoltre avrai le prime notizie dalla Polizia e potrai regolarti di conseguenza. E non preoccuparti per noi, staremo benone.” concluse, scompigliando i capelli al suo biondo compagno di sventure.
Itachi, dopo un attimo di esitazione, annuì e, ringraziando entrambi per aver condiviso con lui ciò che sapevano, si congedò assieme a Shisui.

Quando arrivarono a Villa Uchiha erano le dieci e mezza passate. Itachi sentiva le palpebre pesanti ed un continuo pulsare nelle tempie come se avesse un tamburo nel cranio. Era stanco di fare congetture, non aveva neanche più la forza per pensare. Shisui avrebbe voluto salutarlo senza tormentarlo oltre, ma aveva un interrogativo che gli frullava nella testa e non riuscì a fare a meno di esternarlo.
“Mitsuki lo sa?”
Si sedettero entrambi al tavolo della cucina. Itachi appoggiò i gomiti sul legno e cercò di mantenere la testa alta per diminuire la nausea. Fece un'enorme sforzo di volontà per rispondere a quella domanda.
“Le manderò un messaggio per dirle che il piano della Polizia non ha funzionato e che sto bene. Il resto non è necessario che lo sappia, non adesso.”
Shisui annuì, aveva immaginato una simile risposta e non disse altro. Insistette per rimanere a dormire lì quella notte, ma Itachi lo pregò di tornare a casa sua e di lasciarlo solo per qualche ora. Sarebbe stato difficile, forse, ma l'indomani avrebbero di nuovo affrontato la faccenda a testa alta. Insieme.

 

Quando gli tolsero la benda dagli occhi, attorno a sè non vide altro che mura sgretolate, una minuscola finestra dalla quale penetrava una debole luce artificiale ed una lampadina fulminata appesa al soffitto. Nella stanza non c'era altro. Lo adagiarono a terra, in un angolo della camera e si dileguarono nel giro di qualche secondo. A giudicare dall'odore di chiuso che permeava quell'ambiente, doveva trattarsi di un edificio abbandonato e quella stanza, immersa nella penombra, sembrava quasi trovarsi in un sotterraneo.
Sbatté le palpebre due o tre volte per cercare di mettere a fuoco i contorni. Quando i sensi ricominciarono a funzionare gli arrivò una fitta dolorosa ai polsi, gravemente scheggiati dal ferro delle manette. Sentiva anche le braccia doloranti e un gran mal di testa che lo manteneva in uno stato di semi coscienza. Inoltre non aveva più le stampelle, ma fortunatamente negli ultimi giorni il ginocchio era migliorato molto e poteva riuscire a camminare da solo.
Ad un tratto scorse, tra le ciocche sudate che gli coprivano il viso, due persone che si avvicinavano lentamente alla stanza. I primi due piedi portavano un paio di scarpe nere col tacco, gli altri due dei mocassini laccati con una cinghia argentata sopra.
Decise di rimanere immobile a testa basta. Avrebbe tenuto d'occhio i movimenti dai loro piedi e niente di più.

“E' giovane” sentì dire da una voce femminile.

Il proprietario dei mocassini entrò nella stanza, appostandosi accanto ad un muro, con le braccia conserte. “Avrà più o meno la sua età, signorina.”
La ragazza che aveva parlato portava un lungo abito blu elettrico con uno spacco sulla coscia destra. Il suo sguardo era curioso e negli occhi dorati le brillava un'innocenza da bambina. Teneva i capelli castani raccolti in uno chignon in cima alla testa e sembrava ondeggiare sui tacchi con grande maestria. Lanciò un'occhiata allo strano bodyguard che l'aveva accompagnata e fece qualche passo verso Sasuke. Lo strambo omone portava un ridicolo paio di occhiali da sole, completamente inutili in un luogo tenebroso come quello. La sua enorme stazza faceva pensare che gli abiti eleganti che indossava fossero stati fatti su misura per lui. Aveva un tono di voce profondo e fermo.
“Non le consiglio di avvicinarsi a lui, signorina” intervenne, intuendo le intenzioni della ragazza.
Lei restò qualche minuto ad osservare Sasuke, dopodiché si girò verso l'omone, perplessa.
“Come mai è ridotto così male? Di solito lo zio tratta bene la sua merce di scambio.”
Iwao, così si chiamava lo strano uomo, si tirò su la manica della giacca, mostrando un livido rosso che si estendeva per buona parte del braccio.
“E' stato lui ad iniziare, signorina. Se non avesse fatto resistenza, non avremmo dovuto usare la forza.”
Lei annuì, per poi tornare a rivolgere la sua attenzione al nuovo arrivato.
“Sei proprio un cretino” gli disse alzando la voce.
Sasuke non accennò ad un minimo movimento, fino a quando la vide avanzare a passi decisi verso di lui fino a chinarsi alla sua altezza. Gli afferrò il mento e lo sollevò per poterlo guardare in viso. Lui si liberò dalla presa con un gesto netto e, per la sorpresa, la costrinse ad indietreggiare. Iwao si era avvicinato a lei, intimandole di lasciarlo stare.
“Non..toccarmi”
Fu l'unico suono che riuscirono a udire dalle sue labbra. La ragazza, superato lo spavento iniziale, tornò a sorridere.
“Ah, ma allora non sei muto!” esclamò, non nascondendo un po' di soddisfazione. “Sentiamo, ce l'hai un nome, Intouchable?”
Anche questa volta Sasuke non reagì. Lei sospirò, rassegnata.
“E va bene. Vorrà dire che per il tempo che starai qui ti chiamerò Intouchable.”
L'uomo sospirò. “Signorina Kaori, quante volte dovrò ripeterle che non è saggio fare amicizia con gli ostaggi?”
La ragazza sbuffò e cominciò ad allontanarsi assieme al suo accompagnatore.
“Non sto mica facendo amicizia. Sto solo cercando di passare il tempo, Iwao-san!”
Sentì i loro passi allontanarsi ed il rumore dei tacchi farsi sempre più flebile, fino a quando il mondo divenne nuovamente nero e perse conoscenza.
















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Ciao a tutti, sono di nuovo qui! :)
In questo capitolo abbiamo un primo squarcio di ciò che sta succedendo a Sasuke, più avanti continuerò a dividere la storia in due parti, per darvi una panoramica della situazione di entrambi i fratelli. Spero tanto che continuiate a seguirmi, dato che adesso siamo proprio nel bel mezzo della vicenda. Colgo l'occasione per ringraziare coloro che sono arrivati fin qui e vi ricordo nuovamente che, qualora vi faccia piacere, sarei onorata di ricevere la vostra opinione su cosa sta accadendo, su come per voi sta procedendo la storia, su quello che vi piace o quello che non vi convince. Per un autore l'opinione dei propri lettori è la cosa più importante! :)
In ogni caso spero abbiate apprezzato il capitolo, vi auguro un buon fine settimana e a presto!



Vavi

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Capitolo 22
*** Niente più bugie ***


Capitolo 22
Niente più bugie

 






Non avrebbe saputo dire da quante ore ormai era chiuso lì dentro. La stanza si era oscurata completamente due volte ed era rimasto solo per la maggior parte del tempo, ad eccezione di quando un tipo smilzo dall'aspetto trasandato gli aveva lasciato cadere accanto un piatto con una brodaglia dal pessimo aspetto. Ovviamente Sasuke si era guardato bene dal mangiarla e il suo stomaco continuava a brontolare ad intervalli regolari come a ricordargli che purtroppo era umano anche lui e che quindi avrebbe dovuto sfamarsi, prima o poi. Gli avevano portato una sedia e un tavolo, ma aveva ancora le mani legate. Quando voleva andare in bagno doveva suonare un campanello fuori dalla stanza e lo stesso signore smilzo che gli portava da mangiare lo avrebbe accompagnato fino alla porta, aspettandolo fuori.
Era una situazione davvero surreale, umiliante, difficile da credere. Se non fosse stato per il dolore ai polsi avrebbe giurato si trattasse solo di un brutto sogno, uno strano viaggio all'inferno dove era costretto a scontare una punizione per i peccati che aveva commesso in terra.

Cominciò a chiedersi come stesse suo fratello e se finalmente si fosse reso conto di non poter fare affidamento sulla Polizia. Lui, da lì dentro, poteva fare molto poco. Aveva cercato di captare i rumori, le conversazioni che avvenivano ai piani superiori, ma non era riuscito a concludere niente. Era solo un misero ostaggio che sarebbe servito chissà quando per concludere un accordo. Sapeva che suo fratello sarebbe arrivato prima o poi e sperava che le sue intenzioni non fossero solamente  quelle di arrendersi e firmare il patto con l'uomo misterioso.
A dire la verità contava molto sull'influsso del cugino Shisui, affinché convincesse Itachi a pensare ad una strategia, piuttosto che rinunciare senza neanche provare.

Rimase seduto a terra per molto tempo, fino a quando sentì delle voci familiari confabulare in modo sempre più nitido. Non vedeva quelle due persone da molto tempo ormai, forse due giorni, e non riusciva a spiegarsi il motivo di queste visite saltuarie, dato che le loro conversazioni e, soprattutto, i loro abiti, facevano pensare che non si sarebbero mai abbassati a far visita ad un prigioniero.
“Allora, hai mangiato giovane Intouchable?”
La ragazza entrò con un sorriso, che sparì subito dopo aver adocchiato la ciotola di zuppa ancora piena fino all'orlo.
“Ma insomma – borbottò, incrociando le braccia – quando ti deciderai a comportarti come si deve? Lo zio vuole che tu sopravviva, altrimenti come potrà fare lo scambio?”
Neanche questa volta Sasuke si sforzò di alzare lo sguardo verso la sua interlocutrice. Sembrava quasi si divertisse a tormentarlo, un po' come se si trattasse di un hobby per passare il tempo.
Lui, dal canto suo, non intendeva di certo darle corda, perciò continuò ad ignorarla, come aveva fatto dall'inizio con chiunque gli avesse rivolto parola.
“Vuoi vedere che mi toccherà imboccarlo?”
Sbuffò voltandosi verso Iwao.
“Suo zio non lascerebbe mai farle fare una cosa del genere, signorina Kaori.”
Lei annuì, alzando gli occhi al cielo. “Non sa neanche che sono qui, adesso. E sarà meglio che non lo sappia, perciò Iwao-san, fammi il favore di tenere la bocca chiusa.”
“Il Boss vorrebbe solo che lei si dedicasse ad attività più proficue e stimolanti.” replicò l'omone con aria solenne, cercando di farla ragionare.
Lei sbuffò di nuovo e tornò a guardare Sasuke. “Come studiare, ad esempio? E a che serve, tanto se resto con lui non avrò mai una carriera. Lo sai Iwao-san, non mi è permesso andare via da qui. Perciò, già che ci sono, perché non fare qualcosa di diverso?”
L'uomo le riservò un'occhiata di rimprovero.“E di preciso, cos'è che vorresti ottenere da lui?”
Lei si avvicinò di nuovo a Sasuke, piegandosi sulle ginocchia. Questa volta rimase a debita distanza.
“Beh, vorrei sapere come si chiama, ad esempio. Per adesso so solo che ha un fratello. Non è vero, Intouchable?”
Questa volta Sasuke alzò lo sguardo e le lanciò un'occhiata d'odio che, inaspettatamente, la fece balzare in aria.
“Bingo!” esclamò la ragazza, voltandosi verso Iwao.
L'uomo si abbassò gli occhiali da sole, realmente perplesso. “Cosa c'è signorina?”
Kaori si avvicinò al ragazzo di qualche centimetro in più rispetto a prima.
“Adesso sappiamo che non sopporta essere toccato e che ha un fratello del quale non vuole che si parli. Siamo già a buon punto, no?”
Il suo monologo venne interrotto da un grugnito da parte di Sasuke, che già cominciava ad essere stanco di quella situazione. Preferiva rimanere solo o in compagnia dell'ometto smilzo, piuttosto che dover assistere ai siparietti della ragazzina logorroica.
“Smettila di darmi fastidio. Vattene.”
A quelle parole l'entusiasmo della ragazza salì nuovamente alle stelle.
“Oh, hai parlato di nuovo!”
Sasuke sbuffò e facendo leva sui gomiti si alzò in piedi. Iwao fece uno scatto per tirare via la ragazza, la quale però gli fece segno di non muoversi. Rimase immobile fino a quando il ragazzo gli arrivò a pochi centimetri dal viso. Alzò di poco la testa per poterlo guardare negli occhi. Non aveva mai visto delle iridi così scure in vita sua.
“Vattene” ripeté Sasuke, scandendo le lettere.
Sul volto di Kaori si aprì un sorriso eloquente.
“Altrimenti che fai?”
I loro occhi rimasero fissi in quelli dell'altro per un tempo indefinito.
“Non ho paura della tua guardia del corpo. E neanche di quegli scagnozzi lì fuori”
Lei non rispose e rimase ad osservare la sua espressione, come per capire se veramente, in quello sguardo severo, non ci fosse ombra di paura.
“Ed io non ho paura di te” replicò Kaori, incrociando le braccia.
Le labbra di Sasuke si incurvarono impercettibilmente in quello che si sarebbe potuto definire un sorriso strafottente. Non ebbe il tempo di risponderle poiché Iwao l'aveva già tirata via caricandosela su una spalla e ignorando i lamenti acuti della ragazza che rimbombavano per tutto il corridoio.
 

*****


Quella mattina Itachi ricevette una telefonata dalla centrale di Polizia: il corpo di guardia che aveva perlustrato gli interni dell'Azienda era riuscito a rilevare tracce di DNA umano nei pressi dei generatori principali. Questo confermava l'ipotesi d'incendio colposo ma, ancora una volta, apriva un'ulteriore pista d'indagine piena di diverse alternative. L'Ufficiale gli aveva comunicato che avrebbero iniziato interrogando tutti i dipendenti dell'Azienda, nessuno escluso e, qualora ci fossero stati dei sospetti, avrebbero immediatamente preso le impronte digitali per confrontarle con quelle appena ritrovate.
Nel frattempo Itachi aveva raccontato all'Ufficiale del biglietto trovato a Toshikawa Road e l'uomo, dopo aver riferito i fatti a due uomini fidati, aveva dato il via alle indagini segrete all'interno della Centrale. Sembrava che tutto si reggesse sul filo del rasoio ed ancora nessuno aveva ottenuto delle informazioni rilevanti per poter rintracciare il covo del Boss.

Nel frattempo Itachi aveva smesso di frequentare le lezioni; la sua routine quotidiana consisteva nell'alzarsi alle otto, fare colazione, recarsi in Azienda per controllare se tutto stava procedendo come previsto, passare alla Centrale di Polizia per informarsi sugli ultimi dettagli dell'indagine e spesso cenare assieme a Shisui, parlando di lavoro oppure discutendo su cosa avrebbero potuto fare nell'attesa di buone notizie da parte delle autorità.

Un sera, mentre stavano sdraiati sul divano a guardare svogliatamente un reality show, sentirono il campanello suonare. Entrambi scattarono seduti e si scambiarono uno sguardo complice. Non capitava tutti i giorni di ricevere visite alle dieci di sera, senza prima averne avuto preavviso.
Itachi si alzò e si avviò cautamente ad aprire.

“Uchiha Itachi. Le tue bugie finiscono oggi. Fammi entrare

Il ragazzo rimase immobile a guardare la sagoma della ragazza dinanzi a lui, che picchiettava nervosamente un piede sul pavimento e lo fissava piuttosto adirata.
“Ma certo, Mitsuki.” replicò spostandosi per la lasciarla passare.
Shisui osservò la ragazza sorpreso quasi quanto Itachi. Lei si fermò sulla soglia della porta e lanciò un'occhiata furtiva in giro. Non era mai stata in quella casa e si sentiva tremendamente a disagio per essere piombata lì senza preavviso. Ma Itachi continuava a mandarle messaggi, non rispondeva quando provava a chiamarlo e, come se non bastasse, aveva anche smesso di frequentare le lezioni, con la scusa di sentirsi poco bene.

“Vieni Mitsuki, puoi accomodarti nel soggiorno.”
Itachi la aiutò a sfilarsi la giacca e la accompagnò fino al divano dove sedeva Shisui.
“Ciao” disse lei, lanciando un'occhiata al ragazzo.
Shisui salutò con un cenno della testa. Sarebbe stato meglio non farla arrabbiare rischiando di dire cose stupide.
Itachi si sedette su una sedia di fronte a loro.
“Mi dispiace, Mitsuki. Volevo solo...”
“Tenermi fuori da tutto questo? - concluse lei – sì, lo so, come hai sempre fatto da quando ci conosciamo, Itachi-san.”
Shisui cominciò a pensare che la sua presenza fosse di troppo, ma prima che potesse alzarsi per andare a prendere le sue cose la ragazza lo fermò.
“Non ho niente da nascondere, Shisui-san. E poi sono io quella ad essersi presentata qui senza preavviso, quindi non pensarci nemmeno.”
Il ragazzo annuì e tornò a poggiare la schiena sul cuscino.
“Quindi adesso sputa il rospo” dichiarò lei, incrociando le gambe e tendendo le orecchie.
Itachi evitò di incrociare lo sguardo di suo cugino e sospirò.
“Hanno preso Sasuke.”
Mitsuki inarcò le sopracciglia, come se quella frase le fosse stata detta in una lingua che lei non comprendeva. “Hanno...preso...tuo fratello? Chi l'ha preso? Che significa, Itachi-san?”
Il suo tono di voce tremava e il suo cervello si rifiutava di accettare quello che aveva appena sentito.
“L'ha preso lui. Con ogni probabilità intende usarlo come ostaggio per costringere Itachi ad accordarsi sul futuro dell'Azienda.”
Shisui aveva parlato facendo le veci di suo cugino, facilitandogli così il compito di raccontare tutto da capo.
“Ma come è successo?” esclamò lei, spostando lo sguardo dall'uno all'altro.
Fu Shisui a rispondere anche questa volta.
“Hanno seguito Itachi e l'hanno rapito mentre era da Naruto. Anche lui è rimasto coinvolto, ma per fortuna niente di grave.”
Mitsuki sentì la sua mente cadere in uno stato confusionario e non riuscì a chiedere più niente. Gli ultimi ricordi di cui aveva memoria erano una splendida cena con Itachi, i gesti dolci che aveva riservato solo per lei, le accortezze che aveva mostrato nel programmare tutto nei minimi dettagli, gli sguardi complici che si erano scambiati quella sera e che forse avrebbero segnato l'inizio di qualcosa di importante. Poi, all'improvviso, più nulla. Solo rabbia, tristezza, preoccupazioni e notti insonni. Tutto le era crollato addosso, quasi come per ricordarle che quella non era vita, ma una stupida illusione di felicità e che prima o poi avrebbe dovuto svegliarsi per affrontare la realtà. E quella sera aveva deciso di farlo, sebbene sapeva che sarebbe stato ancora più doloroso accettarlo.
Neanche Itachi fu in grado di replicare, poiché gli bastò un'occhiata per scorgere la sofferenza di quella ragazza lì seduta, la stessa ragazza che aveva cercato di proteggere attraverso la lontananza e che aveva iniziato ad amare senza neanche rendersene conto.
“Io non so cosa dire, Itachi-san” sussurrò Mitsuki, cercando il coraggio per guardarlo negli occhi.
Lui le sorrise debolmente. “Non devi dire niente”
Shisui capì che era arrivato il momento di sloggiare ed annunciò che sarebbe andato alla toilette e poi avrebbe tolto il disturbo. Mitsuki disse che lo avrebbe aspettato e si avvicinò all'attaccapanni per recuperare le sue cose. Itachi la accompagnò alla porta e ben presto si ritrovarono soli l'uno di fronte all'altro con gli occhi rivolti verso il basso ed incerti su quale sarebbe stata la cosa più giusta da dire.
“Conoscermi è stata la tua rovina, Mitsuki” ammise Itachi, infondendo in quelle parole tutta la tristezza accumulata nell'ultimo periodo.
Lei alzò lo sguardo di scatto e fece un passo verso di lui.
“Non dire scemenze, Itachi-san. Lascia che ti aiuti. Non voglio essere tagliata fuori da tutto...a me piaci come sei e sono pronta ad accettarne le conseguenze.”
Lui le sorrise e le asciugò con il pollice una lacrima che scivolava verso il basso. Le accarezzò i capelli, poi la spinse verso di se per accoglierla tra le sue braccia.
“Non voglio mettere in pericolo anche la tua vita, Mitsuki” le sussurrò affondando il volto tra i suoi capelli. La ragazza si strinse di più a lui e cercò di fermare le lacrime premendo il viso sul suo petto.
“E io non voglio starti lontano, Itachi-san”
Lui si allontanò lentamente e le baciò la fronte. “Sei cocciuta, lo sai vero?”
Lei annuì e mantenne un'espressione seria per fargli capire che non aveva intenzione di cambiare idea. Poi sobbalzò, come se si fosse appena ricordata di una cosa importante.
“Ah già...scusa per essere venuta senza avvisare! Sono stata davvero-”
Il resto della frase venne fermato dalle labbra di Itachi, che racchiusero dolcemente le sue in un bacio leggero ma deciso, nel quale proiettò il suo desiderio di averla accanto, in quel momento e in  tutto ciò che ne sarebbe seguito. Lei, dopo un primo momento di stupore, ricambiò quel tocco delicato e gli intrecciò le mani dietro la nuca.
Non appena sentirono dei passi al piano superiore si allontanarono e l'imbarazzo per ciò che era appena accaduto impedì loro di guardarsi negli occhi. Shisui scese le scale in gran fretta e, dopo aver lanciato un'occhiata furtiva ad entrambi, convinse Mitsuki a seguirlo fuori dalla porta.
Itachi li salutò con un cenno della mano e cominciò a prepararsi per trascorrere un'altra lunga, interminabile nottata.

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Capitolo 23
*** La svolta? ***


Capitolo 23
La svolta?








A giudicare dai piatti di zuppa che si erano susseguiti, dovevano essere trascorsi circa tre giorni dall'ultima visita di Kaori e il suo accompagnatore. A dire la verità, la fame cominciava a divorarlo e non riusciva più a pensare ad altro. Non avrebbe mai accettato un pasto da coloro che lo avevano rapito, ma sapeva di non poter più resistere a lungo. Sentiva le gambe tremare sotto il peso del suo corpo, passava la maggior parte del tempo a sonnecchiare e, quando si svegliava, camminava delineando il perimetro della stanza, costringendo se stesso a rimanere vigile. In lui cominciò a nascere il dubbio che forse non sarebbe mai uscito da lì dentro.
Per quanto poteva saperne, avrebbe potuto trovarsi a due isolati da casa sua o dall'altra parte del Giappone. Era difficile cercare di mantenere viva la speranza dentro un posto del genere. Anche la solitudine cominciava a farsi sentire e per un momento desiderò che quell'odiosa ragazzina e il suo insolito bodyguard tornassero a fargli visita. Era l'unico modo che aveva per cercare di sentirsi ancora parte del mondo reale e non vittima di un'orribile incubo.

Quasi a conferma dei suoi pensieri udì dei passi avvicinarsi alla stanza. Ma non era il solito ticchettio di décolleté, sembrava più un fruscio di piedi scalzi che zampettavano verso di lui. Quando vide una sagoma comparire sulla soglia della porta ne ebbe la certezza; Kaori aveva stampata sul volto un'espressione colpevole e teneva nella mano destra entrambe le scarpe col tacco.
Fanno rumore” bisbigliò entrando e voltandosi indietro per controllare che nessuno l'avesse seguita.
“Dov'è il gigante?”chiese Sasuke, osservandola con circospezione.
Lei gettò le scarpe da un lato e si avvicinò a lui, questa volta senza timori.
“Iwao, dici? Ah no, lui non sa che sono qui” detto questo tirò fuori da una coppa del reggiseno una minuscola chiave in metallo.
Sasuke indietreggiò di qualche passo. “Che ti sei messa in testa?”
Lei lo ignorò e gli afferrò i polsi per tenerlo fermo. “Ti libero, idiota.” detto questo fece scattare il meccanismo delle manette e Sasuke poté finalmente sgranchirsi le braccia.
“Va meglio, no?” domandò lei, sorridendogli.
Lui ispezionò le ferite ancora aperte che gli circondavano i polsi. Quando alzò il volto scorse Kaori frugare nuovamente nella scollatura e tirare fuori due garze bianche.
“Ma quanta roba hai lì dentro?” sbottò, istintivamente.
Lei gli sorrise soddisfatta. “Il vantaggio di essere donna, Intouchable. E ora fammi vedere.”
Senza aspettare una risposta cominciò ad arrotolare la benda attorno ai polsi di Sasuke il quale, ancora sconvolto per quello che stava accadendo, rimase immobile senza replicare.
Poi però, non appena ebbe finito, si allontanò da lei e ricominciò a guardarla come se non accettasse la sua presenza.
“Stammi a sentire...Kaori” iniziò, mentre la ragazza tentava in qualche modo di nascondere anche le manette nelle sue coppe stile borsa di Mary Poppins.
“Io...ti ringrazio per questo. Ma non devi più venire qua.”
Lei sbuffò, mandando al diavolo quegli stupidi cerchi di ferro. “Non sei tu a dirmi quello che devo fare.” replicò in modo distratto, recuperando le scarpe che aveva lanciato ad un angolo.
Lui fece un respiro profondo per cercare di rimanere calmo. Si allontanò di un altro passo.
“Non so cosa tu abbia in mente, ma non mi interessa. Fai parte di quel gruppo di luridi bastardi che ha rovinato la vita a me e a mio fratello. Non voglio avere niente a che fare con te.”
Lei lo guardò un po' dubbiosa. “Non farti strane idee. Mio zio ha dato il permesso a Iwao di liberarti le mani, perciò ho solo svolto il suo incarico con qualche ora di anticipo. Vedrai che non si arrabbierà per questo.”
Aveva un tono sicuro mentre lo diceva, ma Sasuke riuscì a scorgere un velo di tristezza animare i suoi insoliti occhi dorati.
“Quindi non pensare che io abbia una preferenza per te, Intouchable. E poi, se proprio vuoi saperlo, a me piacciono i biondi”.
Sasuke la guardò, ancora una volta incapace di replicare.
“In ogni caso – continuò lei, recuperando la ciotola di zuppa ancora piena – la prossima volta ti porterò qualcosa di commestibile. A tuo fratello non piacerà vederti ridotto ad un ossicino quando verrà a prenderti.”
L'espressione di Sasuke si fece rigida.
“Non parlare di mio fratello. Tu non sai niente di noi. Non lo lascerò entrare in questo covo di delinquenti malati. Troverà un' altra soluzione, ne sono sicuro.”
Kaori scosse la testa e si avviò all'uscita.
“Oh no, lui verrà a prenderti. Ne sono sicura.” Fece una pausa, prima di allontanarsi definitivamente. “Io lo avrei fatto, per mia sorella.”
 

****
 

Itachi si alzò dalla sedia girevole, destando la sorpresa dell'uomo che aveva davanti.
“Mio fratello è sparito da due settimane ormai. Non avete neanche uno stralcio di indizio su dove possano averlo portato. Che razza di indagini state facendo?”
Shisui poggiò una mano sulla spalla di suo cugino e lo invitò a tornare seduto. Ultimamente Itachi era diventato più irascibile del solito e si ritrovava spesso a discutere con l'Ufficiale di Polizia.
“Cerca di capire, ragazzo. Abbiamo tre piste da seguire contemporaneamente. Stiamo facendo tutto il possibile, te lo garantisco.”
Itachi sospirò e lasciò andare la schiena all'indietro.
“Non mi ha più ricontattato – riprese, questa volta con tono più calmo – chi ci da la certezza che voglia ancora fare quell'accordo?”
L'Ufficiale si sporse verso di lui.
“Ragazzo. Faccio questo mestiere da quasi trent'anni ormai. Se quell'uomo avesse voluto davvero farla finita, sono sicuro che avrebbe prima provato a uccidere te. “
Shisui pensò che quella confessione non avrebbe di certo fatto tranquillizzare suo cugino.
“Vedrai che presto si farà vivo...e noi lo prenderemo” concluse l'uomo, sbattendo una mano sul tavolo come era solito fare quando si esaltava per qualcosa.
“Ah, stavo quasi per dimenticarmi!” esclamò, frugando nei cassetti nella scrivania. Fece scivolare un cospicuo fascicolo sotto gli occhi dei due ragazzi.
Kumami Takao? - domandò Shisui, osservando la foto dell'uomo in prima pagina – è uno dei nostri migliori impiegati.”
L'Ufficiale sorrise con l'aria di chi la sa lunga. “E' il maggior sospettato al quale hanno portato le indagini. Se il test del DNA sarà positivo, avremo il colpevole. E potremmo iniziare ad interrogarlo.”


“Quel figlio di puttana!” esclamò Shisui, facendo quasi rovesciare il suo bicchiere di sakè.
Itachi si sedette sul divanetto di fronte a suo cugino e gli fece segno di abbassare la voce. Si erano fermati a mangiare in un Sushi bar vicino alla Centrale di Polizia.
“Era un impiegato modello!” continuò, facendo girare due ragazze accanto a loro.
Itachi sospirò e staccò le sue bacchette.
“Non abbiamo ancora la certezza che sia stato lui.”
Shisui lo ignorò ed iniziò a mangiare il suo pasto di malavoglia.
“Sono stato uno stupido a non accorgermene. Sempre disponibile per qualsiasi turno, propositivo, preciso. Un ottimo lavoratore. Che bastardo!”
Aveva preso la notizia di Takao come fosse una questione personale. Era lui a gestire l'Azienda, perciò quella sarebbe stata una sua responsabilità.
Itachi sospirò. Tutta quella situazione cominciava a stancarlo. Non riusciva più a sopportare l'incertezza di dove fosse suo fratello, l'attesa lo stava uccidendo. Una notte su tre la passava in bianco per cercare di dare una spiegazione a quel mistero, ma poi la mattina si alzava più scoraggiato che mai, con due paia di occhiaie più marcate del solito.
“Sai, ho incontrato Aoko l'altra sera.” disse ad un tratto Shisui, destandolo dalle sue riflessioni.
Itachi bevve un sorso d'acqua e lo guardò, pronto ad ascoltarlo.
“Davvero?”
Shisui annuì.


Camminava a passo svelto rasentando il muro, come se qualcuno la stesse seguendo. Aveva ai piedi due Converse blu, ma il suo abbigliamento lasciava intendere che non sarebbe andata a fare jogging.
“Aoko!”
Si sentì chiamare dall'altra parte del marciapiede e quando si voltò vide un ragazzo alto dalle spalle larghe, con un braccio steso a salutarla.
Lei si fermò e ricambiò timidamente il saluto. Aspettò che attraversasse la strada per raggiungerla.
“Shisui-san..” mormorò, stringendo a sé il manico della borsa. “Mi..mi dispiace ma non posso fermarmi adesso. Sono in ritardo per...”
“Ti accompagno.” la fermò lui, facendole segno di proseguire. “A quest'ora le strade sono deserte.”
Lei abbassò lo sguardo e, dopo un'istante di incertezza, si decise a riprendere il passo.
Camminarono in silenzio per diversi metri, dopodiché fu Shisui a parlare per primo.
“Non vorrei tu fossi arrabbiata per quella visita inaspettata...”
Lei lo guardò con la coda dell'occhio e scosse la testa, sforzandosi di sorridere.
“Ma no, figurati. Io e Itachi ci conosciamo da diverso tempo ormai e...ci tenevo a chiarire le cose.”
Shisui annuì, cercando di sorvolare sul fatto che Aoko non aveva minimamente accennato a lui.
“Voi volete aiutarmi..e io lo apprezzo, davvero” continuò, quando ormai erano a pochi isolati dal locale. “Ma questa è la mia vita...”
“Prenditi tutto il tempo che ti serve.”
Erano fermi davanti l'insegna lampeggiante della discoteca.
Lei sorrise timidamente e frugò con foga nella borsa. Recuperò un foglietto di carta stracciato e vi scrisse sopra qualcosa con una matita.
“Questo è il mio numero” disse, porgendolo a Shisui.
Lui lo afferrò, non troppo convinto che fosse una buona idea.
“Io e te ci conosciamo poco, Shisui. Ma Itachi è una bella persona e tu, beh....” fece una pausa, prima di riprendere. “vuoi aiutarmi anche se non sai quasi niente di me. Non posso di certo ignorarlo.”
Shisui riuscì solo ad annuire.
“Beh..a presto allora.” detto questo gli lasciò un leggero bacio sulla guancia e sparì dietro la porta girevole del locale.


 

“Shisui?”
Itachi sventolò una mano davanti allo sguardo perso di suo cugino. “Sei tra noi?”
Il cugino scrollò il capo e mandò giù un intero bicchiere di sakè.
“Cosa pensi voglia dire questo?” chiese ad Itachi, una volta risvegliatosi dallo stato di trance che gli aveva procurato esternare quei ricordi.
L'altro alzò le spalle, facendo segno alla cameriera di portar loro il conto. Ormai erano le tre passate e sarebbe stato meglio sgomberare.
“Che si fida di te, Shisui” rispose, tornando a guardarlo. “Solo Mitsuki è riuscita ad avere il suo numero dopo appena un mese che si conoscevano. Devi averla colpita.”
Shisui non riuscì a trattenere un'espressione compiaciuta.
“Comunque, non montarti la testa – continuò Itachi, smorzando tutto il suo entusiasmo – perché potrebbe anche decidere di non risponderti. Aoko è fatta così.”
Si alzarono entrambi, lasciarono qualche spicciolo di mancia e raggiunsero la macchina di Shisui, parcheggiata a pochi metri da lì.
“Sai, a volte penso sia una specie di punizione” borbottò Shisui, mentre apriva la portiera della sua Mini per mettersi al volante. Itachi si accomodò accanto a lui e aspettò che continuasse con il suo sfogo giornaliero.
“I Kami hanno deciso di mettere un freno al mio spirito libero. Questa ragazza è come una maledizione.”
Itachi alzò gli occhi al cielo. “Non essere così cattivo con te stesso, Shisui.”
“Oh no, invece. Forse me lo merito.” riprese subito l'altro, afferrando gli occhiali da sole nel cruscotto e ingranando la prima.
Per tutto il resto del viaggio nessuno dei due disse niente. Sembrava che entrambi fossero entrati nel circolo vizioso del senso di colpa senza trovare in alcun modo uno spiraglio per uscirne. Ognuno aveva i suoi pensieri, le sue preoccupazioni ed era sempre più difficile riuscire a gestire tutto senza andare fuori di testa.


Itachi si trovava in Azienda, quando ricevette la telefonata dall'Ufficiale di Polizia. Era trascorsa appena una settimana dall'ultima volta che aveva fatto visita alla Centrale.
“Takao ha confessato. Adesso abbiamo un colpevole. E un luogo da perlustrare.”

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Capitolo 24
*** Prendere o lasciare ***


Capitolo 24
Prendere o lasciare








Da quando Kaori gli portava gli avanzi che sgraffignava dal pasto del Boss, Sasuke aveva lentamente ricominciato a mangiare. Era molto affamato, ma dopo appena due o tre cucchiai gli sembrava già che il suo stomaco stesse per scoppiare e non riusciva ad andare oltre. Si sentiva debole, non si alzava quasi mai e, quando la ragazza andava a fargli visita, si limitava ad ignorarla oppure a lanciarle strane occhiate se proprio non riusciva a smettere di parlargli.

Talvolta raccontava di come era fuggita dalle lezioni private che le organizzava suo zio, o di quanto si divertisse ad andare lì di nascosto, eludendo il controllo del gigante Iwao.

Un giorno, durante l'ennesima visita di Kaori, Sasuke si decise finalmente a parlare.
“Perché lo fai?” domandò, mentre la ragazza era intenta a recuperare i suoi tacchi da sotto il tavolo.
Si sistemò una forcina che le stava per cadere sul collo. “Te l'ho detto, mi annoio.”
Il suo tono di voce era indifferente e, in un primo momento, lasciava credere che fosse veramente quello il motivo. Dopo essersi ricomposta per poter tornare da Iwao, la sua espressione si incupì.
“E' dura non avere nessuno con cui parlare, Intouchable. Sai, la nostra situazione non è poi così diversa. E' vero, io sono servita e riverita, ma rimarrò per sempre prigioniera di questo mondo. Tu invece...- fece una pausa per alzare gli occhi su Sasuke – presto te ne andrai di qui. E potrai ricominciare a...”
“Non dirlo.” sbottò Sasuke, alzandosi da tavola e allontanandosi bruscamente da lei.
“Non dire che potrò ricominciare a vivere, perché sai che non è così. Non dopo questo. Non dopo quello che tuo zio farà alla nostra Azienda.”
Lei tenne lo sguardo basso e non rispose.
“Pensi che tuo fratello abbia davvero qualcosa in mente?”
Neanche gli sguardi di fuoco che gli lanciava Sasuke erano valsi a farle capire che non avrebbe dovuto tirare fuori quell'argomento. Il ragazzo sospirò.
“Non voglio parlarne con te.”
Kaori annuì, ma non si mosse. Erano entrambi in piedi, l'uno davanti all'altra come su una linea retta invisibile. La porta della stanza era ancora chiusa.

“Beh, se non ti decidi a raccontarmi qualcosa di te, allora lo farò io.”

Tornò a sedersi al tavolo e invitò Sasuke a fare lo stesso, scostando di poco la sedia dal bordo. Il ragazzo fece qualche passo indietro fino ad arrivare a toccare il muro con la schiena. Lei capì che non aveva intenzione di muoversi, perciò tolse nuovamente le scarpe e strinse le ginocchia al petto, come se quella posizione aiutasse a lenire il dolore che provava.

“Ho anch'io una sorella. O meglio...l'avevo.”
Non aveva scelta, se non quella di starla a sentire. “Che vuoi dire?” le domandò.
Lei girò di poco la testa verso di lui.
“In realtà è una storia lunga, non so se...”
Sasuke sbuffò. “Sei tu che hai insistito. Quindi adesso fai poco la preziosa. ”
Kaori si lasciò scappare un sorriso divertito, dopodiché il suo volto tornò serio e ricominciò a raccontare.

“Vivo assieme a mio zio da quando avevo quattro anni. Mia madre è morta subito dopo aver dato alla luce mia sorella e mio padre, troppo debole per prendersi cura di due figlie, ci ha affidate a suo fratello e poi si è suicidato, nella speranza di farci vivere in modo dignitoso. Né lui, né noi eravamo al corrente del giro di affari in cui era immischiato mio zio. Fumiko, mia sorella, era ancora troppo piccola per capire, ma io cominciai a pensare che qualcosa non andava. Lo zio era sempre meno presente a casa, ero io a dovermi prendere cura di lei ogni santo giorno. Alla fine aveva iniziato a chiamarmi mamma.”

Si fermò per guardare la reazione di Sasuke. I muscoli del volto erano contratti e le fecero capire che la stava ascoltando.

“Nel corso di due anni i traslochi aumentarono e Fumiko diventava sempre più insofferente. Andava a scuola, ma non faceva in tempo ad entrare in confidenza con le maestre che subito dovevamo ripartire.”

Cominciò a tormentarsi un lembo del vestito e Sasuke intuì che di lì a poco avrebbe ascoltato la parte peggiore.

“Il giorno dei miei undici anni chiamò me e mia sorella e disse che doveva parlarci. Raccontò qualcosa sul lavoro che faceva, disse che si trattava di una faccenda delicata ma che da quel giorno saremmo entrate anche noi a far parte del gruppo. Insomma, voleva che diventassimo come lui. Ha cominciato a parlare di soldi, tanti soldi, di bella vita. Specificò che per avere tutto questo avremmo dovuto obbedirgli qualsiasi cosa fosse successa. Avremmo dovuto nasconderci sotto terra per tutta la vita e, una volta compiuti i 18 anni, anche noi avremmo iniziato ad entrare nel giro, ad essere responsabili dei loro affari sporchi.”

Scosse la testa e chiuse gli occhi.

“Non volevo quella vita per mia sorella. Non volevo che vedesse tutto questo. Sapevo che sarebbe finita male. Il giorno seguente le ho messo uno zaino in spalla e l'ho obbligata a fuggire. Lei piangeva, urlava, mi supplicava di accompagnarla, ma sapevo che non era la cosa giusta da fare. Lo zio è un tipo vendicativo. Ci avrebbe trovate e fatte ammazzare entrambe. Quando ha scoperto che Fumiko non c'era più è andato su tutte le furie. Ho ancora i segni di quel giorno.”

Si accarezzò una lunga cicatrice che nasceva dal gomito destro e finiva poco prima del polso.
Sasuke passò velocemente lo sguardo dal braccio al volto di Kaori. Cominciò a rivoltarglisi lo stomaco.

“Comunque alla fine riuscii a convincerlo. Avrebbe lasciato andare Fumiko, ormai lontana da noi, e avrebbe preso solo me. Ovviamente non avrei mai avuto il permesso di uscire dal covo. Sarei marcita qui, fino alla fine dei miei giorni. Furono queste le sue ultime parole.”

Lasciò andare le ginocchia e penzolò le gambe sotto al tavolo.

“Penso a lei ogni mattina quando mi sveglio ed ogni sera prima di addormentarmi. L'ho lasciata sola, non ho idea di dove possa essere. Le avevo detto di recarsi all'Orfanotrofio di Kyoto, ma era molto lontano da casa nostra. Mi chiedo continuamente se farla scappare sia stata la cosa giusta. Aveva solo nove anni. E' come se l'avessi condannata a morte.”

I suoi occhi cominciarono a inumidirsi e riuscì a fermare le lacrime strofinandosi velocemente un braccio sulle palpebre.
“Se tua sorella è come te, allora starà bene”
Kaori si voltò a guardare Sasuke, incerta se fosse stato lui a parlare oppure solo uno scherzo della sua immaginazione. Le iridi nere del ragazzo erano puntate su di lei e gli trasmettevano sicurezza.
Si alzò lentamente e si avvicinò a lui, a piedi scalzi. Gli sorrise.
“Non pensi che sia arrivata l'ora di raccontarmi qualcosa di te?” gli domandò con l'animo più leggero dopo quello sfogo.
Lui lasciò andare le braccia sui fianchi e la guardò scocciato.
“Sasuke.” sussurrò tra i denti. “Mi chiamo Sasuke.”
Vide il volto di Kaori illuminarsi e i suoi occhi dorati accendersi di nuovo. La ragazza però cercò di mantenere l'entusiasmo e gli lanciò un'occhiata delusa.
“Certo che hai una bella faccia tosta a dirmi solo questo, dopo tutto ciò che ti ho raccontato.”
Sasuke alzò gli occhi al cielo e tornò a sedersi. Per quel giorno poteva bastare.
“D'accordo, d'accordo.” concesse Kaori, aprendo la porta per andarsene. Prima di dargli le spalle gli regalò un ultimo sorriso.
“In ogni caso, penso che continuerò a chiamarti Intouchable.”

 

****

 

Itachi aveva percorso più volte la distanza che separava la scrivania dell'Ufficiale dalla porta d'entrata della stanza. Shisui sedeva su una sedia girevole e seguiva con gli occhi i movimenti di suo cugino.

“L'hanno fatto di nuovo – mormorò Itachi – ci hanno tagliati fuori.”

Shisui sbuffò ed evitò di sottolineare che era già la terza volta che lo ripeteva.

Il Corpo di Polizia era partito qualche ora prima per recarsi nel posto indicato da Takao. Secondo l'impiegato infatti, il covo del Boss doveva trovarsi proprio in quel luogo e aveva giurato che, se si fosse sbagliato, avrebbero potuto puntargli una pistola alla tempia e sparagli. Ovviamente nessun poliziotto avrebbe potuto fare una cosa del genere, ma la confessione di Takao era avvenuta dopo due intensi giorni di interrogatorio ed il posto da lui nominato sembrava avere tutte le caratteristiche per essere un covo di mafiosi. Tra l'altro Takao sembrava soddisfatto nel riuscire finalmente ad incastrare il proprio capo e aveva esclamato che avrebbe preferito di gran lunga passare la vita in prigione che un altro minuto sotto il comando di quell'idiota. Ovviamente L'Ufficiale aveva messo in conto la possibilità che l'uomo misterioso avesse deciso di cambiare dimora, ma non potevano permettersi di sprecare una tale opportunità.

“Ha detto che gli saremmo stati solo d'intralcio” continuò Itachi, appoggiandosi alla scrivania.
Shisui si massaggiò le tempie. “Hanno portato quaranta uomini, Itachi. Se in quel covo dovesse davvero esserci tuo fratello, non sarà un impresa facile. Li hai sentiti, avevano in mente un attacco a sorpresa. Che diavolo potremmo fare noi?  Non sappiamo neanche come si usa una pistola.”
Aspettare in quell'Ufficio lo faceva stare male, si sentiva completamente inutile ed aveva il brutto presentimento che anche questa volta affidarsi alla Polizia non avrebbe portato a niente.
“Come mai Mitsuki non è venuta?” domandò il cugino ad un certo punto.
Itachi afferrò il fascicolo di documenti che ritraeva il profilo di Takao ed iniziò a sfogliarlo in modo distratto, soffermandosi qualche secondo su ogni pagina.
“Le ho detto io di non venire.”
“Cosa?” sbottò Shisui, sporgendosi in avanti. “La stai di nuovo escludendo, Itachi?  Avanti amico, starai scherzando”
Il cugino rimase serio e non distolse lo sguardo da quello che stava facendo.
“La informerò di ogni cosa appena la Polizia sarà di ritorno.” si limitò a rispondere.
Shisui sbuffò di nuovo e fece per ripiombare sullo schienale della sedia, quando un rumore di passi piuttosto nitido invase la Centrale: il corpo di Polizia era di ritorno. A mani vuote, ancora una volta.


L'Ufficiale si passò una mano sul viso, fino a toccarsi la barba. Era chiaramente provato da quella spedizione e, soprattutto, dal dover dare ancora una volta brutte notizie.

“Quel luogo è stato un loro covo.” iniziò con voce roca, cercando di sostenere gli sguardi dei due ragazzi in piedi davanti a lui. “Abbiamo trovato questo - continuò, porgendo ad Itachi un biglietto - dice di rimanere fuori dal vostro accordo.”
Itachi cercò di inspirare ed espirare profondamente. Quell'uomo non voleva demordere e adesso si trovavano di nuovo al punto di partenza.
“Però stavolta abbiamo una pista per-”
“Basta.”
Le parole di Itachi riecheggiarono nella stanza come se avessero rimbalzato sulle pareti. Shisui guardò suo cugino, anche lui stupito quanto l'Ufficiale di quell'insolita reazione.
“Adesso basta” ripeté, lanciando il biglietto a pochi centimetri dal bordo del tavolo. “Voi continuate  pure a fare il vostro lavoro. Anzi, per quanto mi riguarda potete anche chiudere il caso. Farò quello che deve essere fatto, me la vedrò da solo.” detto questo uscì in fretta e furia dalla stanza, seguito a ruota da suo cugino, che gli gridava invano di fermarsi.
“Torno a piedi” lo sentì sussurrare prima di chiudersi la porta della Centrale alle spalle.

Mentre percorreva le strade che lo avrebbero condotto a Villa Uchiha uno strano fischio nelle orecchie gli impediva di ragionare. Camminava come un'automa a passo veloce, senza rendersi conto di ciò che faceva. Ad un tratto, mentre svoltava in una strada secondaria per accorciare, venne fermato da un uomo incappucciato, che lo spinse violentemente contro il muro piantandogli un gomito sulla gola.
“Sta zitto”sibilò tra i denti, coprendogli  la bocca con un fazzoletto. Provò a divincolarsi ma la presa era forte e riuscì solo a farsi male. Lanciò un'occhiata in giro e si rese conto che lì intorno non c'era anima viva. Fu allora che tornò a guardare negli occhi il suo assalitore, coperto dalla testa fino ai piedi da un insolito completo nero. Poi l'attenzione gli cadde su uno strano oggetto che teneva appeso alla schiena: dal manico giurò che si trattasse di una katana.
“Stammi a sentire, ragazzino”
Dalla voce doveva avere poco più di trent'anni.
“Questa è la tua ultima possibilità. Niente Polizia. Niente di niente. Solo tu e tuo cugino, Hotel Luxor ai piedi del Grattacielo centrale. Questo venerdì alle ore undici in punto. Lì concluderete l'accordo e, se tutto andrà liscio, riavrai tuo fratello. Prendere o lasciare.”
Itachi faceva fatica a respirare ed il fazzoletto gli impediva di parlare. Annuì debolmente e fece appena in tempo ad aggrapparsi al muro che quel ninja misterioso era già scomparso.

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Capitolo 25
*** L'ultimo giorno ***


Capitolo 25
“L'ultimo giorno”








Questa volta non poteva. Non avrebbe mai potuto nasconderglielo. Stava male all'idea di farla soffrire ma sapeva di fare la cosa giusta.
Lei aveva gli occhi pieni di apprensione. Si sforzava per gridare alle lacrime di non cadere, si sforzava per non crollare davanti a lui. Nelle sue parole sentì il gusto amaro della sconfitta.

“Questo è l'unico modo, vero?”

Guardava oltre la porta a vetri del soggiorno e gli dava le spalle.
Aveva deciso di andare a casa sua e raccontarle tutto. Questa volta avrebbe voluto che fosse lei a saperlo per prima. Glielo doveva.
Annuì per rispondere alla sua domanda quando lei si girò a guardarlo.
“Mi dispiace per tutto, Mitsuki.”
Lei si avvicinò, un passo dopo l'altro, lentamente, come se annullare la distanza fra di loro avrebbe significato l'abbattimento di ogni barriera, il libero fluire dei sentimenti.
Non appena gli fu vicino lo abbracciò forte cingendogli la vita con le braccia. Itachi lasciò andare il capo sulla sua spalla, e con esso anche tutta la sofferenza, tutto il dolore sopportato fino a quel momento. Lei gli sembrò l'unica sua certezza, l'unico appiglio sicuro al quale aggrapparsi prima di lanciarsi nel vuoto. Strinse la presa intrecciandole una mano nei capelli ed inspirando a pieni polmoni il profumo delicato della sua pelle. Lei fece salire entrambi le mani lungo i fianchi di lui, fino a sfiorargli le guance. Avvicinò le labbra alle sue e lo baciò come mai aveva fatto prima, senza dargli respiro, lasciando che le sue lacrime si mischiassero alla saliva come se in quel modo potesse suggellarle per sempre. Lo sentì ricambiare quella foga nel farla sua mentre gli accarezzava la schiena con movimenti decisi dal basso verso l'alto. Più si baciavano e più cresceva in lui la consapevolezza di quanto ardentemente la desiderava e di come avesse cercato di negarlo a se stesso per tutto quel tempo. Ma entrambi sapevano che non era quello il momento, non era così che avrebbero voluto che accadesse, non con la mente occupata da pensieri spiacevoli.
Si allontanarono dolcemente rimanendo vicini, i loro nasi si sfioravano per comunicare un desiderio ancora acceso ma che, in quel momento, non poteva essere alimentato.
Itachi aveva lo stomaco in subbuglio e la sua testa cominciava a lamentarsi per tutte quelle emozioni, belle o spiacevoli, accumulate in così poco tempo. La prese per mano e la condusse fino al divano letto del salone. Si stesero l'uno accanto all'altro senza dire una parola e dopo poco si addormentarono, abbracciati ancora una volta, ancora insieme per un ultimo saluto.

 

****



“Avanti, cerca di pensare ad altro” borbottò Shisui, esasperato dagli scatti nervosi di suo cugino. Lui, a differenza di Itachi, nutriva ancora un po' di fiducia nelle autorità e pensava, segretamente, che recarsi in quel posto da soli sarebbe equivalso ad un suicidio.
“Adesso sappiamo dov'è, potremmo far in modo che...”
Lo vide scuotere la testa. “Non possiamo fare più niente, Shisui. Non voglio più coinvolgere la Polizia, altrimenti questa storia non avrà fine. Andremo da soli e una volta lì decideremo il da farsi.”
Shisui lasciò andare la testa sulle braccia e fece un lungo sospiro di rassegnazione.
“E va bene, faremo come dici tu.”
Questa volta aveva preso una decisione e non avrebbe cambiato idea per nessun motivo.
Aveva paura, paura di non sapere cosa avrebbe trovato lì dentro, paura di mandare tutto all'aria per aver cercato di fare l'eroe. Ma una parte di lui sembrava sussurrargli che era nel giusto e che non avrebbe dovuto lasciarsi frenare dall'incertezza di cosa lo aspettava.

La sera prima aveva ricevuto una telefonata dal Liceo di Sasuke. Subito dopo il rapimento Itachi si era recato a scuola ed aveva raccontato ai professori, in accordo con Naruto e Sakura, che suo fratello aveva passato i test per frequentare una prestigiosa scuola d'inglese a Nord del Giappone. Disse che il corso sarebbe durato un mese e che, stando al ridotto numero di assenze che aveva fatto durante l'anno, non ci sarebbero dovuti essere problemi per il suo rendimento. Tutti i professori si erano mostrati entusiasti e favorevoli alla notizia, rassicurandolo sul fatto che Sasuke era sempre stato un allievo modello e fare quell'esperienza l'avrebbe senz'altro arricchito ulteriormente. Solo un professore non aveva proferito parola. Solo uno era rimasto a guardarlo in modo scettico, mentre lo ascoltava raccontare i dettagli del corso.
Ed era stato proprio lui, Kakashi Hatake, a chiamare quella sera e a confessargli, con non poco astio, che gli amici di Sasuke erano davvero pessimi a raccontare bugie e che solo un branco di idioti come i suoi colleghi avrebbe potuto abboccare ad una simile idiozia. Così Itachi fu costretto a raccontare tutto dal principio e a promettere anche a lui, come aveva fatto con Sakura e Naruto, che l'avrebbe tenuto aggiornato sulla situazione.
Naruto chiamava tutti i sabati, Sakura tutte le domeniche. Kakashi, invece, non disse affatto il giorno in cui avrebbe telefonato. Probabilmente lo avrebbe fatto quando più gli aggradava. Anche tutti i giorni, ora che sapeva la verità.

“Cosa vuoi fare stasera, cugino?”
La domanda di Shisui cozzò con l'atteggiamento preoccupato di Itachi.
“In che senso?” chiese lui, inarcando le sopracciglia.
Shisui si alzò dal tavolo e sul suo volto cominciò a delinearsi un leggero sorriso, stanco ma sincero.
“Beh, non vorrai passare la tua ultima sera da uomo libero a girovagare per casa?”
Itachi gli fece capire che non era proprio aria di mettersi in testa strane idee. Per quella sera aveva già programmato una notte insonne, carica di brutti pensieri e mille possibili congetture su come avrebbe avuto luogo quel dannato accordo.

Aveva tirato avanti cercando di convincersi che suo fratello stesse bene e che quell'esperienza non lo avrebbe segnato per il resto dei suoi giorni. Ogni mattina si alzava con un peso sullo stomaco, un senso di colpa dal quale non sarebbe mai riuscito a liberarsi, neanche nell'ipotesi remota che quella brutta faccenda fosse finita bene.

Ormai aveva smesso di pensare al futuro dell'Azienda; non gli importava più se avrebbe dovuto condividerla con uno sconosciuto, o se avrebbe dovuto rinunciare alla gestione per cederla a lui. Voleva solo rivedere suo fratello, accertarsi che non fosse ferito e risanare quel terribile vuoto che sentiva da quando lui non c'era più.

Pensò a Mitsuki, alla loro relazione, a quanti passi avanti erano riusciti a fare negli ultimi tempi e di come, per assurdo, era stata proprio quella situazione ad avvicinarli. E poi guardò Shisui, seduto sul divano con la testa ciondolante a guardare un noioso reality dove cantanti a dir poco sconosciuti si scontravano in una sfida all'ultimo sangue per guadagnarsi la fiducia di una casa discografica.
A lui, in quel momento, andò tutta la sua gratitudine. Perché senza di lui non sarebbe stato in grado di reggere un secondo di più. Perché non l'aveva lasciato solo un momento, non gli aveva neanche dato il tempo di buttarsi giù o anche solo di pensare di farlo. Ed era sempre lui con la sua enorme stazza, con il suo amore smisurato per le donne ma, soprattutto, con  la sua devozione alla famiglia, che l'aveva reso un uomo, che lo aveva aiutato a crescere rivestendo contemporaneamente il ruolo di cugino, padre, fratello maggiore e, più di tutti, amico.

“Itachi, per favore, smettila di guardarmi a quel modo. Mi stai mettendo a disagio.” borbottò Shisui, puntandogli contro il telecomando della tv. Poi vide le labbra del cugino incurvarsi leggermente a formare un sorriso e a quel punto si decise a spegnere la televisione per capire cosa stesse succedendo.
“Insomma, si può sapere che hai? Non è che ti sei fatto una canna mentre io mi sorbivo i pop - coglioni che si azzannavano a vicenda?”
Itachi si limitò a scuotere la testa. “Non è niente Shisui. Volevo solo...ringraziarti.”
La teoria della canna cominciava a farsi sempre più nitida nella testa del suo interlocutore.
“D'accordo Itachi, forse sei solo stanco” concluse, alzandosi per accompagnarlo al piano di sopra nel timore che crollasse giù per le scale.
Itachi si divincolò dalla mano del cugino che gli stringeva la spalla e lo invitò a tornare sul divano.
“Cos'è che stavi guardando?” chiese, afferrando il telecomando.
Shisui, sempre più perplesso, prese posto accanto a lui. “Mah, una roba da far venire il voltastomaco. Cerca un film horror. Ma di quelli pesanti, che non ti fanno dormire.”
Itachi cominciò a fare zapping. “Tanto non credo che chiuderò occhio stanotte.”
Shisui sospirò, con gli occhi fissi sullo schermo a Led che lampeggiava davanti a loro.
“Già, neanch'io.”

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Capitolo 26
*** Gatoo ***


Capitolo 26
Gatoo








Pensava che, dopo quella parentesi sulla sua vita privata, non l'avrebbe più rivista così spesso. E invece il giorno dopo era di nuovo lì, con i tacchi stretti nella mano destra ed un sorriso radioso ad illuminarle il viso. E lo stesso accadde nei giorni successivi, senza sosta. Gli portava la sua ciotola giornaliera di avanzi commestibili, raccontava strani aneddoti che coinvolgevano Fumiko, parlava di lei come se non se ne fosse mai andata, con l'animo leggero.

Lui si limitava a guardarla mentre gesticolava animatamente e gli lanciava timide occhiate tra una pausa e un'altra, quando si ricordava di respirare. Nella sua voce riuscì a leggere una voglia disperata di comunicare, di condividere con qualcuno le sofferenze della solitudine, di una vita che non le aveva mai regalato niente e che, proprio come era successo a lui, le aveva negato la possibilità di vivere un'adolescenza normale. Ma lui aveva ancora suo fratello e sapeva di poter sempre contare sul suo appoggio. Lei invece non aveva più niente, se non un'esistenza coronata da falsi agi e da un'eterna prigionia dalla quale non sarebbe mai riuscita a liberarsi.

Così si ritrovò a pensare, nei momenti in cui la voce di Kaori non arrivava più alle sue orecchie, che avrebbe voluto portarla via da lì, anche se il mondo là fuori non era poi tanto facile da affrontare. Ma poi quelle quattro mura scrostate dove era stato rinchiuso lo riportavano alla realtà e gli ricordavano che non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a salvarsi da quell'inferno, figuriamoci se avrebbe potuto pensare di aiutare qualcun altro.

“Ehi, Intouchable, mi stai ascoltando?”
Kaori lo fissava con insistenza, infastidita dalle ormai troppo frequenti distrazioni del suo interlocutore.
Sasuke rispose allo sguardo, ma la sua mente aveva abbandonato quel luogo ormai da molto tempo. Sapeva che senza di lei probabilmente sarebbe impazzito, ma i suoi nervi erano arrivati al limite della sopportazione ed era tanta la voglia di prendere a calci quella porta per buttarla giù e fuggire lontano.
Lei parve leggergli nel pensiero ed abbassò lo sguardo, interrompendo il suo racconto.
“E va bene Intouchable. Forse è arrivato il momento di dirtelo.”
Sasuke tornò finalmente con i piedi per terra ed il suo sguardo era di nuovo presente.
“Dirmi cosa?” domandò, staccando la schiena dal muro e facendo qualche passo verso Kaori.
Lei si alzò e gli andò incontro con andatura incerta.
“Tuo fratello sarà qui tra quarantotto ore esatte.”
Le iridi di Sasuke si spalancarono e le sue mani si chiusero in modo automatico sulle spalle della ragazza.
“Davvero?! Come l'hai saputo? Quando?! Kaori, parla!”
Lei parve spaventata e per qualche secondo non disse niente. Poi l'espressione ansiosa del ragazzo la convinse a vuotare il sacco.
“Ecco io...lo so da qualche giorno. M-ma...non volevo dirtelo perché...”
“Perché?! - sbottò lui, scuotendola avanti e indietro – perché me l'hai nascosto?!”
Nei suoi occhi riuscì a leggere una rabbia che non gli aveva mai visto. Intravide una vena sul suo collo pulsare a velocità sempre maggiore, il suo viso acquistare colore e sentì la sua presa stringersi in modo incontrollabile.
“Io..ecco...”
Anche il battito di Kaori aumentò e Sasuke scorse due lacrime solcarle le guance e ricadere decise verso il basso. Aveva la bocca socchiusa ed il labbro inferiore le tremava. Sembrava che volesse parlargli, ma l'agitazione le impediva di farlo. Decise di lasciarla andare, ma non smise di guardarla negli occhi in attesa di una risposta.
Kaori fece un respiro profondo ed alzò il capo.
“Io...- cominciò, cercando di mantenere un tono fermo. -..pensavo che se te l'avessi detto subito tu...non avresti più voluto ascoltare i miei racconti. Ma io ne avevo bisogno, capisci? Avresti voluto sapere solo di tuo fratello, magari mi avresti costretta a spiare lo zio ed io non posso farlo, lo sai. Così ho pensato di aspettare ancora un po' e...”
Si fermò quando vide Sasuke voltarsi dall'altro lato con le mani sul volto.
“Non..non avresti comunque potuto fare niente”
Lui fece qualche passo in tondo per cercare di sbollire l'agitazione, ma la rabbia ebbe di nuovo il sopravvento e si voltò di scatto verso di lei.
“Ma cosa diavolo ti è venuto in mente! - esclamò, ignorando l'ennesima lacrima che nasceva da quei pozzi dorati – sai quanto questo è importante per me! Lo sai Kaori, vero?”
Lei annuì.
“Maledizione, pensavo fossimo-”
Si fermò e il suo sguardo ricadde sulle folte ciglia della ragazza, impregnate di lacrime e mascara nero.
“Lascia stare” sospirò, dandole di nuovo le spalle.
Si tenne la testa fra le mani, come se quel gesto potesse impedirle di esplodere. Tra quarantotto ore esatte avrebbe rivisto suo fratello. Tra meno di due giorni avrebbe avuto luogo l'accordo e sarebbe calato il sipario su quella brutta avventura. Un sipario maledetto, l'inizio di un altro incubo senza fine, un incubo che però non avrebbe più dovuto affrontare da solo. Questa volta lo avrebbe fatto assieme a Itachi e giurò a se stesso che non avrebbe mai più tentato di allontanarlo o di tagliarlo fuori da tutto perché, per quanto cercasse di negarlo, lui era una parte importante della sua vita, forse la più importante, ed avrebbe rivestito quel ruolo fino alla fine.
“Mi dispiace Intouchable. Sono stata egoista” sussurrò Kaori, asciugandosi gli occhi.
Recuperò le sue scarpe, come sempre lanciate all'altro lato del tavolo, se le infilò in silenzio e si diresse alla porta.
“Non ti disturberò più. So che la tua vita era già abbastanza incasinata prima che mi conoscessi e non voglio rendere le cose più difficili. - le labbra arrossate dal pianto si incurvarono in un debole sorriso – Sono sicura che tutto andrà per il meglio. Abbi fiducia in tuo fratello. Addio, Intouchable.”
Prima che Sasuke potesse replicare lei era già schizzata via alla velocità della luce, lasciando la porta della stanza aperta e qualche forcina sul suo cammino.
Provò a chiamare il suo nome un paio di volte, ma l'unica risposta che ottenne fu l'eco della sua voce, mentre rimbalzava con prepotenza sulle pareti per poi tornare inesorabilmente al mittente.

 

**


Erano le undici e cinque. Pochi minuti di attesa che già gli sembravano ore. Entrambi si guardavano attorno, dandosi degli stupidi per non essere riusciti prima a scovare quel posto. Un Hotel in pieno centro di Tokyo, a pochi chilometri da Villa Uchiha: suo fratello si trovava davvero così vicino?
Nessuno dei due osò proferire parola, fino a quando videro un ragazzo dai capelli arancioni dirigersi verso di loro. Indossava un completo nero elegante e teneva i capelli pettinati all'indietro.
“Itachi e Shisui Uchiha?”
I cugini annuirono in modo automatico e l'uomo fece loro segno di seguirlo. Dopo pochi passi erano già lontani dal Grattacielo centrale ed avevano imboccato le strade secondarie che portavano in periferia.
“Pensavate davvero che vi avremmo detto dove si trova il Boss?”
L'uomo aveva parlato senza neanche voltarsi e subito dopo si era fermato davanti ad una macchina nera  con le quattro frecce azionate. Videro un altro vestito come lui aprire lo sportello, uscire dall'abitacolo e piantarsi davanti al motore con le braccia incrociate.
“Mani sul tettuccio.” fu il saluto che rivolse ai due ragazzi.
Shisui, sconvolto, guardò suo cugino e, per la prima volta da quando avevano lasciato l'Hotel, si decise a parlare.
“Cosa?”
Anche Itachi sembrò stupito da quella richiesta.
“Sei sordo, forse? Ha detto di mettere le mani sul tettuccio. In fretta.”
Era stato l'uomo dai capelli rossi a rispondere. Tutti e due li guardavano con impazienza e sembrava proprio che, se non avessero fatto quello che gli chiedevano, non sarebbero partiti.
Itachi fu il primo ad avvicinarsi alla macchina per obbedire agli ordini. Qualche secondo dopo anche Shisui imitò sui cugino e i due uomini iniziarono a perquisirli.
“Ehi, vacci piano!” esclamò Shisui, non gradendo quel contatto maldestro.
Itachi sospirò in modo impercettibile. “Finiscila – gli sussurrò, cercando di non farsi sentire – non siamo nella posizione di poterci lamentare.”
Quando ebbero terminato il controllo tirarono fuori due bende nere dal taschino della giacca e, con presa sicura, le legarono sugli occhi dei due ragazzi.
“E questo cosa significa?” sbottò di nuovo Shisui, cercando di fare resistenza mentre l'uomo dai capelli rossi gli piegava il capo per farlo entrare in macchina.
Sentirono tutti e quattro gli sportelli chiudersi e la chiave girare nella fessura. Poi un altro terribile rumore arrivò alle orecchie dei due ragazzi: la sicura di una pistola era appena stata sbloccata.
“Dì un'altra parola e giuro che ti sparo in testa.”
L'uomo al volante si lasciò scappare un ghigno, dopodiché premette sull'acceleratore e partirono.

Aveva teso le orecchie per tutto il viaggio, cercando di captare i suoni, gli odori, qualunque cosa gli potesse far capire dove stavano andando. Era straziante non poter vedere cosa gli succedeva intorno. Riusciva a sentire il respiro irregolare di Shisui proprio alla sua sinistra ed era sicuro che l'uomo sul sedile davanti tenesse ancora in pugno la pistola.
Dopo circa mezz'ora di viaggio la macchina si fermò. I due uomini scesero per primi, tirarono fuori Itachi e Shisui e sciolsero loro le bende. Si trovarono davanti ad un normale appartamento di città alto circa sei piani, probabilmente di recente costruzione dato il design moderno dei balconi.
Itachi si guardò attorno ma non riusciva a riconoscere nulla di quel posto. Sembrava una strada privata e la macchina era stata parcheggiata proprio davanti al portone.
“Seguitemi.”
L'uomo dai capelli rossi li guidò fin dentro al palazzo. Scesero sei rampe di scale e sentirono l'aria di chiuso invadere le loro narici con prepotenza. Si trovarono davanti un corridoio lunghissimo, i cui muri sembravano fatti di pietra; a destra e a sinistra si diramavano altri cunicoli ed ogni due metri c'era una porta che conduceva ad altre stanze. Sembrava quasi di trovarsi all'interno di un labirinto. Itachi rabbrividì e non seppe spiegare se quella reazione fosse dovuta al gelo di quel seminterrato, oppure all'idea che suo fratello fosse rimasto chiuso lì sotto per tutto quel tempo. Strizzò gli occhi per cercare di non pensarci e continuò a seguire i due uomini con Shisui alle calcagne.

Percorsero il corridoio in tutta la sua lunghezza, fino a quando giunsero in una stanza ampia, arredata con mobili antichi e decisamente più accogliente rispetto a tutte quelle che avevano visto fino a quel momento.
Quando entrarono si guardarono attorno e notarono due grandi librerie, una a destra e una a sinistra della grande scrivania che primeggiava proprio al centro della stanza. Lì dentro, nonostante non ci fossero finestre, si poteva respirare un piacevole odore di legno.

“Benvenuti”

Itachi alzò il capo e suoi occhi si incrociarono con quelli di un uomo basso, sulla sessantina, anch'egli vestito in tiro e con un enorme, irritante sorriso dipinto sul volto.
Avrebbe riconosciuto quella voce a chilometri di distanza.
“Sei tu.” fu l'unica cosa che riuscì a dire.
Shisui lanciò un'occhiataccia alle sentinelle che circondavano il perimetro della stanza, per poi avvicinarsi al fianco di suo cugino.
“Il mio nome è Gatoo” iniziò l'uomo. “Perché non vi sedete?” chiese con tono melenso, indicando le due poltrone davanti a sé. I due ragazzi obbedirono.
“Immagino che tu abbia molte domande da farmi, Itachi...”
“Dov'è mio fratello?”
Sapeva che sarebbe stato più saggio aspettare, ma quella frase gli uscì di bocca senza che potesse rendersene conto.
L'uomo sogghignò e si tolse i ridicoli occhiali scuri che gli nascondevano le rughe.
“Hai ragione, dopotutto è giusto che anche lui ascolti la storia dal principio. Juugo, portalo subito qui.”
Fece un cenno all'uomo dai capelli rossi che li aveva condotti nel covo e quello, dopo appena venti secondi, tornò trascinandosi dietro un ragazzo smilzo, pallido, quasi irriconoscibile.
L'istinto di Itachi fu quello di fiondarsi verso suo fratello, ma Shisui lo fermò stringendolo per un braccio. Aveva guardato con attenzione tutto ciò che li circondava e poteva giurare che ogni uomo in quella stanza fosse dotato di almeno due armi.

Una mossa azzardata e sarebbero saltati in aria tutti e tre.

Fu così che Itachi si limitò ad osservarlo cercando di reprimere l'impulso di alzarsi.
Juugo strattonò Sasuke per un braccio e lo portò accanto a Gatoo, in modo che i due ragazzi potessero vederlo in faccia. Dalle gocce di sudore che gli scendevano sulle tempie e dal leggero colorito delle guance Itachi dedusse che doveva avere la febbre alta.
Si costrinse a non guardargli i lividi sulle braccia e le ossa sporgenti delle gambe.
“Stai calmo” gli sussurrò Shisui.
A quel punto, finalmente, Sasuke sollevò lo sguardo ed incrociò il suo.
“Nii-san....come stai?”
Shisui dovette stringere la presa sul braccio di Itachi per l'ennesima volta, destando la curiosità dell'uomo davanti a loro.
“Ehi ragazzi, va tutto bene.” cominciò, con tono tranquillo. “Come vedi tuo fratello sta alla grande...”
Picchiò due o tre volte il palmo della mano sulla spalla di Sasuke.
“Non toccarlo, lurido bastardo!”
Se Shisui non gli avesse procurato una fitta dolorosa al polso destro, di sicuro Itachi gli sarebbe saltato al collo per strangolarlo.
Gatoo fece un lungo sospiro e scosse la testa.
“Così non ci siamo, ragazzo mio. Prima ti calmerai e prima concluderemo questo accordo.”
Lo sguardo di Itachi lo trafisse talmente a fondo che finì per convincerlo a vuotare il sacco senza troppi preamboli.
“Eravate troppo piccoli per ricordarvi di me” sospirò, incrociando le braccia e lasciandosi andare sulla comoda sedia di velluto nero. “Ma sono stato socio di vostro padre per diversi anni.”
Gli occhi di tutti e tre gli Uchiha erano puntati su di lui.
“A dire la verità, io e Fugaku abbiamo aperto l'Azienda insieme. Eravamo vecchi amici, sapete?”
Di nuovo quel sorriso spaventoso sulle labbra.
“Gli affari andavano alla grande, fino a quando non gli ho proposto di fare qualche taglio ai dipendenti. C'erano cinque o sei elementi indegni di stare in un'Azienda così prestigiosa, ma vostro padre non voleva saperne di mandarli via. E così l'ho fatto io.”
Sembrava che nessuno, oltre Gatoo, osasse respirare.
“Un gesto all'apparenza innocuo, dopotutto. Ma da quel momento in poi vostro padre ha perso la fiducia in me e dopo due anni di litigi ha deciso di mandarmi via.”
Riuscirono ad udire una nota di sdegno nel suo tono di voce.
“Ma non ne aveva il diritto!- sbottò, facendo sobbalzare Shisui – quella era la nostra Azienda! Non ne aveva il diritto!”
Itachi notò le orecchie dell'uomo colorarsi di rosso.
“La verità è che vostro padre teneva ai dipendenti più che all'Azienda stessa. Avrebbe trascurato il guadagno, pur di dar lavoro a quei disgraziati.”
Sasuke tentò di liberarsi dalla presa di Juugo, ma ottenne solo una dolorosa ginocchiata sui reni.
“Ha scelto loro, invece che il suo vecchio amico. Mi ha buttato in mezzo a una strada, non curandosi del fatto che avevo due nipoti a cui badare. E questo, ragazzi miei, è stato il più grande sbaglio della sua vita.”
Quel ghigno soddisfatto continuava a tormentargli le rughe del volto.

Sono stato io ad uccidere i vostri genitori.”

Pronunciò le parole con terribile calma, quasi provasse piacere nel leggere il dolore animare i loro occhi.
“Tu...cosa?”
Questa volta neanche Shisui trovò la forza per trattenere suo cugino. Era terrorizzato, non riusciva a muovere un muscolo.
Itachi osservò suo fratello serrare la mascella e stringere i pugni fino a far imbiancare le nocche.
“Sei solo un bugiardo!” gli urlò contro, destando la sorpresa di tutti. “Sei solo uno sporco bugiardo, non ti è mai importato niente né di Kaori, né di sua sorella! Era quello che volevi sin dall'inizio, era il tuo unico obiettivo! Volevi l'Azienda per te e chiunque ti avesse ostacolato sarebbe morto!”
I due ragazzi guardarono il minore senza capire.
“E' un bastardo Itachi. Non firmare quell'accordo. Sarà la nostra condanna!”
Gatoo fece un breve cenno con la mano e Juugo puntò la pistola sulla tempia di Sasuke.
“Fermo!” esclamò Itachi, alzandosi.
L'uomo fece un lungo sospiro. “Non ho finito di raccontare. Prego, accomodati Itachi.”
L'ennesimo sforzo di volontà e Itachi si sedette.
“E' vero, volevo l'Azienda per me. Non ho mai sopportato vostro padre e il suo assurdo modo di lavorare. Quindi l'unico modo era quello di farlo fuori, così i profitti sarebbero calati in modo vertiginoso ed io avrei avuto la mia occasione per appropriarmene.”
Gatoo poggiò entrambe le mani sul tavolo e si sporse verso di loro.
“Purtroppo vostra madre era in macchina con lui Il giorno che ho fatto manomettere il motore. Non era mia intenzione far fuori anche lei...ho sempre pensato che fosse una donna molto affascinante”
Mi fai schifo
Di nuovo Sasuke cercò di avventarsi su Gatoo, ma questa volta il pugno di Juugo gli tolse il respiro e lo costrinse a piegarsi su se stesso.
“D'accordo, firmerò il patto. La prego, lasci stare mio fratello.”
Il tono di Itachi era supplichevole. Non avrebbe resistito un secondo di più.
“Oh ma bene, vedo che preferisci velocizzare le cose. Hidan, dì a Kaori di venire qui con il foglio.”
L'uomo alla destra di Gatoo, quello che aveva accompagnato Juugo nel viaggio di andata, annuì con un veloce gesto del capo ed uscì velocemente dalla stanza.
“Firmando questo documento mi garantisci la metà dei profitti dell'Azienda. Il mio nome non figurerà né tra i proprietari, né tra i soci e la mia identità dovrà rimanere segreta. Manderai i soldi attraverso un bonifico ogni mese. Se ho bisogno ti farò contattare da uno dei miei uomini – abbassò la voce per farsi sentire solo da Itachi e Shisui – suvvia, non è un'offerta così malvagia, no? Sto solo cercando di riprendermi ciò che era mio.”
Sasuke riuscì a sollevare il volto. “Nii-san...ti prego. Non firmare.”
Itachi ricevette quell'ennesima coltellata senza fiatare. Infondo lo sapeva, stava per firmare un patto con un uomo deplorevole, un uomo che aveva ucciso i suoi genitori solo per vendetta e che adesso, per un puro capriccio, voleva rovinare la vita anche a loro. Ma quale altra alternativa aveva davanti? Era in trappola, nessuno era stato in grado di aiutarlo, nemmeno la Polizia. Avrebbe messo una dannata firma su quel foglio e se ne sarebbe andato assieme a suo fratello. Il resto non gli importava.
“E' tua.” disse ad alta voce, guardando Gatoo con severità. “Ti lascio l'intera Azienda, ma tu, in cambio, lascerai in pace me,mio fratello e tutta la mia famiglia.”
Sasuke lo guardò sconvolto, mentre Shisui si lasciò andare sulla sedia. Glielo aveva letto negli occhi qualche giorno prima, sapeva che prima o poi avrebbe mollato tutto.
“Oh no ragazzo mio, non è così semplice. Vedi, mi serve che tu risulti come proprietario, altrimenti si potrebbe sospettare qualcosa. Se vuoi puoi donarmi l'intero guadagno, ma sarai sempre tu a gestirla.”
Shisui si tenne la testa fra le mani. Era una proposta peggiore della precedente e in quel modo non avrebbero risolto nulla.
“Ma insomma – sbottò ad un certo punto Gatoo, rompendo il silenzio – arriva o no quel dannato foglio?! HIDAN!”
Chiamò l'uomo con tutto il fiato che aveva in gola e poco dopo se lo vide comparire sulla porta a mani vuote e con il fiatone.
“Mi dispiace signor Gatoo, ma non riesco a trovare la signorina Kaori da nessuna parte.”
Il Boss si alzò di scatto e si mise a frugare in uno degli scaffali della libreria.
“Per fortuna ne ho conservata qualche copia...quella ragazza mi farà andare in rovina”
Detto questo posò il documento davanti agli occhi di Itachi e Shisui e porse loro una stilografica.
“Sono indicate tutte le condizioni dell'accordo. E ora....firmate.”

 

 

 



 

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Capitolo 27
*** Corsa contro il tempo ***


Capitolo 27
Corsa contro il tempo








Sfogliava le pagine una dopo l'altra, vedeva i caratteri scorrergli davanti agli occhi ma non riusciva a comprendere nemmeno una parola di quelle scritte sul foglio. Spostava lo sguardo dall'alto verso il basso, alla ricerca di quella dannata linea dritta sulla quale avrebbe posto la sua firma. Shisui notò l'incertezza dei suoi movimenti e prese possesso del fascicolo. Arrivò alle penultima pagina, lo poggiò sul tavolo e porse ad Itachi la stilografica.

“Prima tu.”

Il cugino la afferrò lentamente e rimase con la penna a mezz'aria per qualche secondo. Era difficile ignorare i lamenti di Sasuke, che cercava invano di sfuggire dalla presa sicura di Juugo, il quale lo teneva stretto circondandogli le spalle con un braccio e chiudendogli la bocca con la mano libera.

Gatoo sbuffò. “Quanto si lamenta tuo fratello, Itachi. Non è stato per niente facile occuparsi di lui in questi giorni.”

Itachi lo ignorò e continuò a guardare quel foglio come se contenesse al suo interno una granata pronta ad esplodere. Il suo braccio destro era immobile, come se la parte razionale del cervello gli inviasse impulsi per impedirgli di firmare. Con uno scatto improvviso puntò la penna sul foglio e scrisse velocemente il suo nome e cognome. Era fatta.

Non fece neanche in tempo a passare la stilografica al cugino che un rumore assordante invase la stanza. Itachi sentì delle grida e scorse le sentinelle di Gatoo tirar fuori le armi. Shisui, istintivamente, lo tirò per un braccio e lo trascinò in un angolo. Da lì poterono capire cosa stava succedendo: decine di poliziotti armati di pistole e manganelli avevano invaso il covo e nel giro di poco tempo erano riusciti ad ammanettare la maggior parte degli uomini.

“La polizia? Ma che sta succedendo?!” esclamò Shisui, cercando di sovrastare gli spari.
Itachi lanciò un'occhiata in giro per cercare suo fratello in mezzo a quella confusione e poco dopo lo vide sbarazzarsi di Juugo e correre in direzione dell'uscita.
“Sasuke!” lo chiamò, allungando un braccio e cercando di raggiungerlo.
“Fermo, non andare!” lo trattenne Shisui, tirandolo per la maglia. “Se passiamo in mezzo a questo delirio potremmo essere colpiti”
Itachi non riuscì a sentire una sola parola di quello che disse il cugino, ma poté scorgere il labiale di suo fratello, prima di vederlo sparire nel nulla.
"Fidati di me"


Non sapeva neanche lui come aveva fatto a scampare agli spari ed ora si ritrovava a correre disperatamente per i corridoi del seminterrato, cercando di resistere ai deliri della febbre e alla debolezza per la fame patita in quei giorni. Sfrecciava da un lato a un altro, apriva ogni porta che gli si parava davanti con un calcio, lanciava un'occhiata al suo interno e riprendeva la sua corsa forsennata.

“Dannazione, dove sei?”

Un ricordo improvviso lo fece fermare bruscamente. Kaori gli aveva raccontato che spesso le capitava di nascondersi in uno “stanzino segreto” all'interno del quale leggeva dei libri che aveva rubato alla biblioteca proibita di suo zio. Gli aveva detto di aver inciso sullo stipite della porta il primo ideogramma del suo nome. Era l'unico indizio che aveva e, sebbene non avesse nessuna certezza che la ragazza fosse li, decise di provare a seguire il suo istinto.

Una volta superata la stanza dove era stato rinchiuso girò a destra e, seguendo le imprecise indicazioni che gli aveva fornito Kaori, riuscì a scorgere una porta più piccola e più arrugginita delle altre, sulla quale era stata delineata, probabilmente con una chiave, la sillaba “Ka”.
In quel momento si rese conto che la porta era socchiusa ed istintivamente rallentò il passo. Procedeva a rilento cercando di fare il minor rumore possibile. Si guardò alle spalle accertandosi che nessuno lo seguisse, dopodiché ricominciò a correre ed entrò nella stanza come una furia. Era buio, ma sul pavimento riuscì a scorgere la sagoma di una ragazza stesa a terra. Ci volle qualche secondo prima che le sue gambe si decidessero ad avanzare verso di lei. Inutile sperare che si trattasse di qualcun altro; aveva già riconosciuto i suoi tacchi vertiginosi e il lembo del vestito blu elettrico che le copriva le gambe. Aveva gli occhi chiusi ma il suo petto si muoveva ancora.

“Kaori?”

Si chinò su di lei e le sollevò la testa con cautela. Fu in quel momento che si accorse della macchia di sangue che continuava ad allargarsi sul pavimento e che gli aveva già imbrattato entrambe le mani.
“Kaori! Tu stai...”
Adagiò la testa della ragazza su una mano e con l'altra le abbassò una bretella del vestito per scovare l'origine della ferita. Nonostante l'oscurità vide chiaramente un buco all'altezza della spalla e, al suo interno, un proiettile ancora caldo di cartuccia.
“Sei...sei tu? Intoucha...”
“Non parlare Kaori, ti porto via da qui.”
Lei aveva aperto gli occhi e aveva girato di poco la testa verso di lui.
Sasuke cercò di afferrarla da sotto la schiena, ma non appena tentava di muoverla il sangue cominciava a scorrere sempre più veloce.
“Maledizione!”
Strinse gli occhi due o tre volte e scosse la testa per cercare di tornare lucido. La febbre gli stava offuscando la vista e i brividi gli impedivano di muoversi correttamente per non rischiare di peggiorare la condizione di Kaori.
“Devo..devo andare a chiamare Itachi.”
“No – sussurrò lei, alzando un dito – ti prego, resta con me. Tanto..tanto non servirebbe a niente, lo sai.”
I riflessi dorati dei suoi occhi sembravano spenti e la pelle si faceva sempre più pallida. Riuscì a sollevare una mano e ad adagiarla su quella di Sasuke.
“Tu...sei l'unico amico che io abbia mai avuto, Intouchable.”
“Sei stata tu, vero? Hai chiamato tu la Polizia?”
Lei chiuse gli occhi e parve fare uno sforzo enorme per continuare. “Non sono riuscita a salvare mia sorella. Non sono riuscita a salvare me stessa. Dovevo...con te dovevo almeno provarci.”
Lui cercò di sollevarle di più la testa. “Chi è stato a spararti?”
“Una sentinella di mio zio. Mi ha scoperta mentre stavo telefonando in Centrale...ho fatto appena in tempo a dire le coordinate.” Sul suo volto si aprì un debole sorriso. “Se tu sei qui, significa che quell'idiota non è riuscito ad avvertire lo zio in tempo. Si sarà perso per i corridoi...”
Tossì violentemente e il suo respiro cominciò a farsi più instabile. Stava perdendo conoscenza.
“D'accordo Kaori, ti tirerò fuori di qui.”
Non era quello il momento di farsi prendere dal panico. Se avesse voluto davvero portarla via lo avrebbe dovuto fare subito ed anche in fretta. Si sfilò la maglia che portava, la strappò in due ed attorcigliò un lembo attorno alla spalla di Kaori. Quando strinse il nodo la sentì sussultare, dopodiché la sua testa si fece più pesante e il suo battito più lento. La sollevò da terra con un gesto deciso, cercando di limitare la fuoriuscita di sangue. Uscì dalla stanza esattamente com'era entrato, correndo, e percorse quel labirinto in modo automatico, senza riuscire a pensare alla strada giusta da prendere.
Gli sembrò di correre ininterrottamente per dieci minuti, fino a quando, per miracolo, si trovò davanti Itachi e Shisui, i quali erano usciti dalla stanza per andare a cercarlo.

“Sasuke! - esclamò Itachi, andandogli incontro, e il suo volto sbiancò quando lo vide completamente sporco di sangue – che ti è successo? Chi è...?”
“Non c'è tempo nii-san! E' in pericolo di vita, dobbiamo portarla fuori da qui!”
Shisui li raggiunse in un lampo. “Sei impazzito?! Chi diavolo è questa ragazza? Faceva parte del gruppo?”
“Vi prego, dovete fidarvi. Aiutatemi a portarla in ospedale”
Entrambi lo guardarono senza riuscire a replicare. Si erano finalmente rivisti dopo interminabili settimane e poi, a seguito di un'intrusione da parte della Polizia, si erano dovuti separare di nuovo. Ed ecco che, qualche minuto dopo, Sasuke tornava tenendo in braccio una ragazza in fin di vita, senza dare nessuna spiegazione.
“Nii-san, ti prego – ripeté, stringendo Kaori al petto – dobbiamo aiutarla. Ti spiegherò tutto, ma adesso fidati di me.”
Itachi si chiese come ancora riusciva a rimanere in piedi senza rischiare di impazzire. Tutta quella situazione era assurda e ormai non sapeva più cos'era giusto o sbagliato fare.
“Va bene, Sasuke. Avvertiamo la Polizia.”
Con estrema sorpresa di Shisui, si recarono entrambi dall'Ufficiale e gli chiesero di chiamare un ambulanza per scortare Kaori in ospedale. L'uomo accettò, a patto che la ragazza fosse tenuta sotto controllo da un poliziotto per tutto il tempo e che, se mai fosse riuscita a riprendersi, sarebbe stata sottoposta ad interrogatorio come tutti gli altri uomini del covo.
I fratelli si videro costretti ad accettare ed aiutarono a caricare la ragazza sull'ambulanza.

“Vado con lei.” disse Sasuke ad Itachi, mentre i paramedici terminavano di agganciarla al lettino.
“Otouto, hai la febbre alta e non puoi andare in giro così – si tolse la giacca che indossava e gliela porse – per favore, non fare cazzate.”
Sasuke ricambiò il suo sguardo triste, come per scusarsi di tutto il dolore che gli aveva procurato.
“E' tutto apposto, nii-san – gli disse, stringendogli una spalla – io sto bene, non devi più preoccuparti per me, adesso me la caverò. So che è stata dura ma-”
Non riuscì a continuare poiché venne avvolto dalle braccia di Itachi, che lo aveva stretto fra le sue per trasmettergli tutta la gioia provata nell'averlo di nuovo con lui.
“D'accordo, adesso vai.” concesse, liberandolo da quel gesto che suo fratello non aveva mai sopportato più di tanto.
L'altro rispose con un cenno della testa e saltò al volo sull'ambulanza, appena in tempo prima della chiusura delle porte.

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Capitolo 28
*** In ospedale ***


Capitolo 28
In ospedale








Conosceva fin troppo bene gli interni di quella vettura. Si ricordava il rumore ovattato della sirena, i medici che gli giravano intorno maneggiando chissà quali strumenti e l'orrenda sensazione di sentirsi spacciato, assieme al desiderio di voler mollare tutto, di smettere di soffrire.
Una ragazza sui trent'anni si affrettò ad infilare l'ago della flebo nel braccio di Kaori, mentre un altro provvedeva a misurarle la pressione. Erano tutti chini su di lei ed il paramedico accanto all'autista gli stava intimando di accelerare. Parlavano sotto voce, si muovevano velocemente, davano l'idea di essere degli esperti.
Si accorse appena di una mano che gli sfiorava la fronte e gli porgeva un termometro.
“Sembri molto debole, ragazzo. Sei un suo parente?”
Sasuke alzò gli occhi ed incontrò quelli neri dell'infermiera di fronte a lui. Lo infastidì parecchio il fatto che si fosse distratta dall'accudire Kaori per preoccuparsi della sua misera febbre. Lei parve leggergli nel pensiero e gli rispose con un sorriso rassicurante.
“Abbiamo fatto quello che potevamo. Non ci resta che sperare nella bravura del chirurgo che la opererà – abbassò lo sguardo sulla ragazza e le fece una carezza sui capelli – e nella sua volontà di vivere.”
Sasuke sospirò e decise finalmente di prestarle attenzione.
“Sono solo un amico. E sto bene.” disse, restituendo il termometro all'infermiera senza averlo usato.
Lei lo afferrò con uno sbuffo di disapprovazione.“Come si chiama?” chiese, alludendo alla ragazza.
“Kaori”
Si avvicinò al suo volto e cercò di smuoverlo delicatamente con delle leggere pacche sulle guance.
“Kaori, riesci a sentirmi?”
Sasuke si accostò ad entrambe con il busto per poter vedere meglio. Dopo qualche secondo la ragazza socchiuse gli occhi e la mascherina per respirare cominciò ad appannarsi ad una frequenza maggiore.
“Stai tranquilla” le disse l'infermiera, facendole un'altra carezza. “Ti abbiamo fasciato la spalla cercando di limitare l'emorragia. Quando arriveremo in ospedale sarai sottoposta ad un'operazione per rimuovere il proiettile. Abbiamo solo bisogno di una firma da parte dei tuoi genitori, ma potremmo farlo una volta giunti a destinazione.”
Kaori sbatté le palpebre due o tre volte e cercò di scuotere la testa. I suoi battiti aumentarono.
“Non ha genitori” si affrettò a rispondere Sasuke. “Non ha nessun parente che possa garantire per lei.”
L'infermiera lo guardò incredula. “Neanche un tutore? “
Il ragazzo negò con il capo.
“Accidenti, questo è un problema. Se lei è minorenne, non possiamo operarla senza l'autorizzazione di un adulto.”
Sasuke cercò di mantenere la calma e rivolse la sua attenzione a Kaori. La ragazza era riuscita a muovere una mano verso il bordo del lettino, alla ricerca di quella di Sasuke. Quando la trovò, poco distante dalla sua, accarezzò le nocche chiuse a pugno e, lentamente, riuscì a slegare le dita da quella morsa per intrecciarle alle sue. Chiuse gli occhi e lasciò andare la testa all'indietro, come rassicurata da quel piccolo gesto d'affetto.
“Le ho già detto che non ha nessuno – replicò Sasuke, dopo qualche minuto di silenzio – ma mio fratello è maggiorenne e potrebbe firmare per lei. “
L'infermiera si alzò di scatto e fece cenno agli altri medici di aiutarla a far uscire il lettino: erano arrivati in ospedale.


Aveva perso il conto di quante volte era dovuto tornare in quel dannato posto. Ormai poteva passare da un piano a un altro senza alcuna esitazione, poteva dire di conoscere quell'ospedale quasi meglio di casa sua.
Era seduto assieme a suo fratello e a Shisui proprio davanti la porta della sala operatoria. Aveva portato a Sasuke una maglia, un felpa per coprirsi e qualche aspirina da prendere nell'attesa. Non aveva neanche provato a convincerlo di tornare a villa Uchiha, sarebbe stato un tentativo inutile. Così come giudicò inutile chiedere a Mitsuki di aspettarlo a casa dopo tutto quello che era successo. Per questo non rimase sorpreso nel vederla comparire dieci minuti dopo che le aveva telefonato, con una borsa a tracolla che le pendeva da un lato, la giacca sbottonata e i capelli completamente arruffati dal troppo correre. La vide in fondo al corridoio mentre si avvicinava a loro e, con una mano a coprirle la bocca, cercava di contenere le lacrime di felicità nel vederli tutti sani e salvi. Con estremo stupore di Shisui, la ragazza si fiondò ad abbracciare Sasuke, il quale attendeva notizie di Kaori accanto alla finestra. Il ragazzo indietreggiò e non seppe come rispondere a quel gesto che non si aspettava. Già il secondo nel giro di una giornata, sarebbe entrato sicuramente nel suo Guinness dei Primati personale.
“Ci hai fatto preoccupare” sussurrò lei, senza smettere di stringerlo. Lui non rispose fino a quando la ragazza decise di mollare la presa e ricomporsi.
“Tu devi essere...Mitsuki.” azzardò Sasuke, guardando prima lei e poi suo fratello.
Mitsuki si portò di nuovo una mano davanti alla bocca. “Oh, perdonami, non mi sono neanche presentata. È che...ero così in ansia e...”
Si fermò trovando nel sorriso di Itachi tutta la tranquillità di cui aveva bisogno. Abbracciò anche lui senza finire la frase e lo stesso fece con Shisui. Poi cercò una sedia e vi si adagiò sopra, cercando di frenare il tremore agli arti che non l'aveva abbandonata da quando era entrata in ospedale.
Nessuno disse niente fino a quando Mitsuki alzò la testa e provò a chiedere qualche informazione più dettagliata su ciò che era successo.
“Come..come diavolo ha fatto la Polizia a trovare quel dannato posto?”
“E' stata Kaori – rispose Sasuke, iniziando finalmente a dare qualche spiegazione – è stata lei a chiamare la Polizia.”
“Ma chi è? - sbottò Shisui, che proprio non riusciva a capire – come l'hai conosciuta?”
Sasuke lanciò un'occhiata ai presenti e si andò a sedere accanto a Mitsuki. “E' la nipote di Gatoo. Ha vissuto con lui per diversi anni, assieme alla sorella. Era solo un'altra vittima della crudeltà di quell'uomo. Ha cercato di salvarmi la vita, sacrificando la sua.”
“Vuoi dirmi che là dentro siete diventati amici?” chiese ancora Shisui, deciso ad ottenere delle risposte.
“Lei mi ha aiutato più volte. Gli sono debitore.”
Itachi lanciò un'occhiata a suo cugino per suggerirgli di non chiedere oltre e per fargli capire che quello era il modo strambo di suo fratello per dire che sì, quella ragazza era diventata sua amica e probabilmente teneva a lei più di quanto volesse dare a vedere.
In quel momento un'infermiera, la stessa che aveva accompagnato Kaori in ambulanza, uscì dalla sala operatoria.
Sasuke si alzò di scatto e le andò incontro. “Come sta andando?”
“Ha bisogno di una trasfusione. Immediatamente.”
Il volto teso della ragazza gli fece capire che si trattava di una questione di vita o di morte.
“AB positivo.”
Il cuore di Sasuke perse un battito e il suo braccio si alzò in automatico verso l'infermiera. “E' il mio gruppo sanguigno. Sbrigatevi.”
Lei scosse la testa e parve in difficoltà. Cercò lo sguardo di Itachi e Shisui, accorgendosi che erano gli unici adulti presenti.
“Non posso prenderlo da te, ragazzo. Sei troppo debole, potresti andare in arresto cardiaco.”
“Sto bene” sbottò Sasuke, tirando su la manica della felpa. “Prendete questo dannato sangue e facciamola finita.”
Lei sospirò. “Mi dispiace davvero, ma non posso farlo.”
Itachi fece un passo verso di loro ed abbassò il braccio di Sasuke. “Prendete il mio.” disse, guardando l'infermiera.
Sasuke si voltò verso suo fratello. “Nii-san, sono io a doverlo fare, non tu. Non hai nessun obbligo verso di lei, non sai neanche...”
“Mi hai detto di fidarmi di te. E' quello che sto facendo. Ed ora sarà meglio muoversi”
Detto questo seguì l'infermiera in un altra stanza, senza voltarsi indietro.


“Sei sicuro di sentirti bene?”
Mitsuki sedeva accanto ad un Itachi intento a rigirarsi tra le mani una barretta di cioccolato al latte.
“Devi mangiarla, ti hanno preso molto sangue” lo incoraggiò, indicando con una mano quel dolce poco invitante.
Itachi smise di esaminare la barretta e cercò lo sguardo di suo fratello, di nuovo in piedi vicino alla finestra. Aveva le braccia incrociate e il volto fisso in direzione della sala operatoria. Notò le sopracciglia inarcate e i muscoli contratti del suo volto. Accarezzò una spalla di Mitsuki e si alzò, allontanandosi di qualche passo per arrivare accanto a Sasuke. Si poggiò al muro anche lui ma dalla parte opposta, con i gomiti  sullo stipite della finestra e lo sguardo rivolto al cortile dell'ospedale.
“Avrei dovuto farlo io.” gli disse il minore a denti stretti, senza smettere di fissare la porta a vetri davanti a lui.
Sapeva che doveva parlargli, lo conosceva troppo bene.
“L'importante è che la tua amica sia fuori pericolo. Non importa quale sangue sia riuscito a salvarla.”
Sasuke sospirò. “Tu non la conosci. Non sai niente di lei. Se sono qui, adesso, lo devo solo a Kaori.”
Itachi si voltò dall'altro lato e gli sorrise debolmente. “Allora sono doppiamente felice di aver contribuito a salvarle la vita”
Il minore continuò a rivolgere lo sguardo altrove.
“Avrai altri modi per sdebitarti con lei, se è questo ciò che ti preoccupa. Neanche io potrò mai riuscire a ringraziarla abbastanza per quello che ha fatto, ma adesso la priorità è che si svegli e che sia fuori pericolo. Al resto penserai dopo, Sasuke.”
Entrambi vennero distratti dall'infermiera che, a due ore dall'inizio dell'intervento, li rassicurava sul fatto che l'operazione stesse andando bene e che il corpo della ragazza avesse accettato il sangue senza alcun problema.
“Il chirurgo ne avrà ancora per qualche ora, ma posso dirvi che Kaori se la caverà.”
Mitsuki si alzò e corse ad abbracciare Itachi, Shisui tirò un sospiro di sollievo, cadendo su una panca lì vicino, mentre Sasuke si passò una mano sul viso ed annunciò che sarebbe uscito a prendere una boccata d'aria.
Ma la tranquillità che sperava di trovare al di fuori di quel posto venne letteralmente infranta da una ragazza con i capelli rosa che gli si gettò al collo senza neanche dargli il tempo di rendersene conto. Cominciava veramente ad averne abbastanza di tutto quel contatto fisico nel giro di così poco tempo. La allontanò da se con delicatezza e non fu in grado di dire nulla davanti a quelle lacrime di gioia, né davanti all'espressione preoccupata ma raggiante del suo migliore amico, proprio dietro di lei.
“Sono felice di rivederti, Sasuke.” gli disse, non appena Sakura si decise ad allontanarsi per lasciarlo respirare. Gli diede una pacca su una spalla e gli trasmise, con qualche semplice parola, quanto era stata dura sopportare tutta quella situazione.
Annuì debolmente, rilassando i muscoli del viso.
“Anch'io, Naruto”.

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Capitolo 29
*** Watashitachi ***


Capitolo 29
Watashitachi








Passarono tre giorni dal ricovero di Kaori in ospedale. Sasuke trascorreva tutti i suoi pomeriggi accanto a lei per evitare di lasciarla sola nel momento in cui si sarebbe svegliata. Quando tornava a casa non spiccicava parola e se si decideva a mangiare era solo per far cessare il brontolio dello stomaco. Itachi decise di aspettare qualche settimana per vedere se la situazione fosse migliorata, altrimenti avrebbe preso in considerazione la possibilità di farlo aiutare da qualcuno.
I colpevoli erano stati presi, l'Azienda stava ricominciando a funzionare, la loro vita aveva ripreso a scorrere quasi normalmente, eppure Sasuke era di nuovo irraggiungibile, distante, come tormentato da qualcosa che non riusciva a condividere. Il suo migliore amico aveva cercato di andargli incontro proponendogli di restare qualche sera a casa sua, dato che l'appartamento di Jiraya distava pochi isolati dall'ospedale. Nessuno però era riuscito a convincerlo a tornare a scuola, non prima che Kaori si fosse svegliata e sarebbero riusciti a sistemare la faccenda con i poliziotti.

“Perché non prendi la specialistica in psichiatria, Itachi? Chissà, magari potrebbe aiutarti a capire cosa passa per la testa a quel marmocchio...” borbottava Shisui che, approfittando dell'assenza del minore, si era auto invitato a pranzo dal cugino.
Itachi, a dire la verità, avrebbe preferito evitare di affrontare il problema almeno nei momenti in cui suo fratello non era in casa.
“E comunque è un ingrato. Ci siamo fatti in quattro per aiutarlo e adesso lui a stento ci rivolge la parola. E tutto per una ragazzina mafiosa che ha conosciuto mentre quei bastardi lo tenevano prigioniero.”
“Non possiamo giudicarla, Shisui. Almeno fin quando non sapremmo la verità.”
“Sì beh, in ogni caso il suo silenzio stampa comincia a darmi sui nervi.”
Itachi sospirò. Per una volta fu costretto ad ammettere che suo cugino non aveva tutti i torti. Avrebbe rinunciato a tutto pur di salvare suo fratello e pensava di meritarsi almeno uno stralcio di spiegazione.
“Giuro che se nei prossimi giorni non vuota il sacco gli pianto un destro in faccia. E non cercare di fermarmi!”
Prima che Itachi potesse replicare il campanello di Villa Uchiha suonò. Sapeva che Mitsuki sarebbe passata nel pomeriggio per fargli compagnia, quindi non fu sorpreso quando andò ad aprire la porta. Non fece in tempo a lasciar entrare la ragazza che Shisui era già sulla soglia, pronto a sloggiare.
“Shisui! - esclamò Mitsuki, stupita – perché stai...”
“Me ne stavo andando, vero Itachi?” calcò le ultime due parole in modo fin troppo plateale ed ovviamente fuggì via senza lasciarlo rispondere, salutandoli entrambi quando ormai si era già richiuso il cancelletto alle spalle.
“Ma che gli prende?” domandò la ragazza, seguendo Itachi in soggiorno.
Si guardò attorno con attenzione, cercando di fissare i dettagli di quella casa che l'ultima volta aveva visto solo di sfuggita. Venne attirata subito dall'enorme pianoforte a coda, relegato nell'angolo più buio della stanza, eppure fonte di ammirazione per tutti coloro che entravano a Villa Uchiha.
“Oh ma è splendido!” esclamò, avvicinandosi e dimenticando la strana reazione che Shisui aveva avuto poco prima. Ci girò attorno, ispezionandolo in tutta la sua lunghezza.
“Non so come ho fatto a non accorgermene la scorsa volta...chi è il musicista?”domandò con un sorriso.
Itachi si avvicinò a lei. “Una volta lo suonavo io” ammise, con una nota di malinconia nella voce.
Lei si sedette sullo sgabello di velluto e lo guardò negli occhi. “Come sarebbe a dire 'una volta'?”
Il ragazzo non rispose e lei decise di non chiedere oltre. Sfogliò qualche spartito poggiato lì sopra e li rimise al suo posto.
“L'unico strumento che io abbia mai suonato è il flauto, in un saggio di terza media. Ed ero pure tra le peggiori della classe.”
Itachi si lasciò scappare un sorriso e le fece segno di farle posto accanto a lei. Tolse delicatamente il telo da sopra i tasti ed afferrò due fogli dal fascicolo che Mitsuki aveva appena guardato.
“Sai leggere le note?” le domandò, sistemando lo spartito di fronte a loro.
La ragazza si avvicinò per guardare meglio ed emise un breve sbuffo.
“Accidenti, non mi ricordo quasi niente. Questo è un DO?” chiese, indicando una nota a caso.
“Do diesis” la corresse lui, facendole notare il simbolo accanto alla chiave di violino.
“Ah, cominciamo bene. Ti avverto Itachi-san, se stai cercando di indottrinarmi su come si suona il piano ti consiglio di lasciar stare. E' una causa persa in partenza.”
Lo fece ridere di nuovo.
“Perché non mi suoni qualcosa tu?”
Quella domanda gli provocò una fitta all'altezza dello stomaco. Fra i due calò il silenzio, fino a quando Itachi, dopo un lungo respiro liberatorio, si decise a parlare.
“Cosa ti piaceva suonare con il flauto?”
Mitsuki, dapprima perplessa, iniziò a pensarci su.
“A dire la verità sapevo suonare solo We Wish you a Merry Christmas. E non ridere!” esclamò mentre puntava un dito sul petto di Itachi, infastidita dall'espressione di ilarità che aveva stampata in volto.
“Però da piccola impazzivo per il Canone Peachbel. Papà me lo faceva ascoltare per farmi addormentare.”
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso dolce, probabilmente scaturito dai ricordi di infanzia.
“Eri una bambina molto esigente”
Le parole di Itachi la fecero voltare di scatto, ma la sua risposta venne bloccata dal suono delle note che avevano già iniziato a riempire la stanza. Fu come se, all'improvviso, potesse vedere davanti ai suoi occhi la tinta verde dei muri della sua stanza e sentire la mano grande di suo padre accarezzarle i capelli per darle la buonanotte. Erano ricordi piacevoli, da tempo sopiti in un angolo della mente, e sentirli riaffiorare in modo così vivido le fece venire la pelle d'oca. Osservò le mani di Itachi muoversi sui tasti con estrema scioltezza, come se avesse suonato quel brano almeno mille volte, e i suoi occhi brillare al suono di ogni nota, come se in quel brano potesse lasciare una parte di anima. Non aveva mai sentito il suono di un pianoforte da così vicino e l'emozione di ascoltare una melodia a lei cara, per di più suonata da Itachi, la costrinse ad asciugarsi una lacrima in fretta, prima che lui potesse vederla.
“Non preoccuparti” gli disse lui, che ovviamente non se l'era fatto sfuggire.
Lei sorrise timidamente. “Succede spesso?” sussurrò.
Lui alzò le spalle. “Dipende dall'uditorio. Non se ad ascoltare è mio fratello Sasuke.”
Mitsuki ridacchiò. “Lo immaginavo. A lui cosa piaceva?”
“Ad otto anni mi chiedeva spesso la Sinfonia numero 5 di Beethoven”
“Quella mi spaventava.” commentò lei.
Itachi annuì. “E' molto intensa, in effetti. Non si addice ad un bambino.”
Lei rimase qualche secondo in silenzio a pensare. “Come definiresti il Canone, invece?”
“Di solito piace alle persone sensibili. E' una melodia sospesa.”
“Sospesa?”
Attese diverso tempo prima di rispondere. Non poteva credere di aver appena suonato un brano di tale calibro dopo tutti quei mesi. Aveva anche saltato qualche nota per l'agitazione, mancanza che ovviamente Mitsuki non era riuscita a notare. Dovette stringere i pugni per far smettere alle dita di tremare.
“Sospesa fra cielo e terra.” disse finalmente, voltandosi a guardarla.
Lei sembrò estasiata da quella risposta.
“Mia madre la chiamava il canto degli angeli. Penso che sia un nome molto appropriato.”
Mitsuki abbassò lo sguardo e raccolse le mani in grembo.
“Avrei tanto voluto conoscerla, Itachi-san.”
Lo disse piano, come se avesse paura di spezzare qualcosa in lui, di provocare una reazione non desiderata. Itachi si alzò lentamente e si allontanò per salire al piano superiore. Poco dopo lo vide scendere con qualcosa in mano e solo quando si sedette di nuovo accanto a lei riuscì a capire che si trattava di una foto. La afferrò con timore, quasi avesse paura di invadere quell'aspetto così doloroso della vita di Itachi. L'immagine mostrava una donna e un uomo, entrambi con i capelli scuri; il padre aveva una mano posata sulla spalla del maggiore, mentre il piccolo, in braccio alla madre, scalciava per poter scendere e stare anch'egli accanto a suo fratello.
Tutti sorridevano, sembravano davvero una famiglia felice.
“Sasuke ha il volto di tua madre.”
Itachi annuì.
“Mentre tu hai gli stessi lineamenti di tuo padre.”
Rimasero ad osservare quella foto senza aggiungere altro, fino a quando lei gliela restituì, intrecciando le sue dita con quelle di Itachi.
“Mi dispiace davvero” gli disse, stringendo la presa.
Lui se ne liberò e, cingendole il volto con entrambe le mani, avvicinò le sue labbra a quelle di lei e le stampò un soffice bacio.
“Tu sei la mia salvezza.” le sussurrò, a pochi millimetri dalla bocca. “Credo di amarti, Mitsuki.”



***



Il suo petto si muoveva in modo regolare ed il respiro era scandito dal fastidioso ticchettio del macchinario che le impediva di collassare. Le condizioni erano stabili, aveva detto il primario, perciò bisognava solo avere fiducia ed aspettare. Sasuke, per natura, non era mai stato un ragazzo paziente e, quando non era occupato a fissare il soffitto della camera di Kaori, si ostinava a pedinare medici e infermieri affinché gli dessero qualche informazione in più sullo stato di semi-coma in cui era sprofondata la ragazza dopo l'operazione.

Quel pomeriggio sedeva accanto a lei e seguiva distrattamente la linea elettronica che segnava i battiti del suo cuore. Aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e le dita incrociate. In quei giorni non aveva mai tentato di parlarle, anche se i medici gli avevano detto che poteva sentirlo. Lui replicava puntualmente che lo avrebbe fatto non appena si fosse svegliata.
L'aria afosa di inizio Giugno e la luce soffusa che penetrava dalle serrande gli conciliarono il sonno e provò a chiudere gli occhi per qualche minuto.

“Hai davvero una pessima cera, Intouchable.

Sobbalzò come se gli avessero buttato un secchio d'acqua fredda sulla testa e quando alzò il volto trovò la ragazza seduta con la schiena poggiata al muro.
La mascherina era stata gettata al lato del letto.
“Kaori...come...come ti senti?”
Quel risveglio improvviso aveva lasciato senza parole anche lui.
“Con un buco in una spalla.” rispose lei, indicando la fasciatura. Si stropicciò un occhio e provò a raddrizzare la schiena, ottenendo soltanto una dolorosa fitta al braccio.
“Quanto ho dormito?”
“Sei stata in coma per cinque giorni” rispose Sasuke, spostando la mascherina per respirare in un luogo più sicuro.
“Cosa?! - sbottò lei, emettendo un gracchio indefinito – Accidenti! Cos'è successo a mio zio?!  Che fine hanno fatto gli altri?!”
Sasuke sospirò. Si era appena svegliata e già aveva iniziato a bombardarlo di domande.
“Sono stati arrestati tutti. Vogliono interrogare anche te, ma aspetteranno fin quando ti sarai rimessa. Ho già spiegato loro come stanno le cose, ma a quanto pare non è così semplice.”
Lei abbassò lo sguardo sul tubo della flebo che le partiva dal dorso della mano e fece una smorfia.
Poi alzò la testa e finalmente incrociò le iridi nere di Sasuke.
“Ehi Intouchable, come mai sembri uno zombie?”
“Un semplice grazie basterebbe.”
Lei sbuffò. “Ti sei divertito a guardarmi mentre dormivo, di la verità?” incrociò le braccia in tono di sfida.
Lui le lanciò un'occhiata infastidita e un po' imbarazzata. “Non...non ti stavo guardando.”
“Ma va. Come se non sapessi cosa passa per la testa a voi ragazzi.”
“Ah, va al diavolo” sbottò lui, alzandosi dalla sedia.
Lei si mise una mano davanti alla bocca e trattene il fiato per non scoppiare a ridere. Lo vide voltarle le spalle ed avvicinarsi alla finestra della stanza. Non era stato molto corretto da parte sua trattarlo a quel modo, ma infastidirlo la divertiva e, soprattutto, le dava l'impressione che tutto andasse bene e che forse sarebbero riusciti a ricominciare.
“Sei rimasto con me per tutto questo tempo?”
Stavolta era seria e desiderava una risposta sincera.
Lui si limitò ad alzare le spalle, senza voltarsi. “Non ha importanza.”
Kaori sorrise ed abbassò la coperta. “Sì che ce l'ha, invece.”
“Pensa a riposare, adesso. Credo che stanotte tornerò a dormire a casa.”
Lei annuì convinta, mentre lo osservava avvicinarsi alla porta. Gli sorrise in modo spontaneo, senza più nascondere la stanchezza della condizione in cui si trovava.
“Grazie...Sasuke.”

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Capitolo 30
*** Sayonara ***


Capitolo 30
Sayonara








Nei giorni successivi al risveglio di Kaori, Sasuke era tornato a dormire a Villa Uchiha. Aveva ringraziato Naruto più volte per averlo ospitato, fatto che insospettì a tal punto il biondo da raccomandare a Itachi di tenerlo d'occhio. Aveva ricominciato a mangiare e a cena gli capitava di raccontare sempre qualche dettaglio della sua permanenza nel covo e, soprattutto, dell'incontro fortuito con Kaori. La ragazza, nel frattempo, si stava riprendendo in fretta e nel giro di una settimana era già in piedi a gironzolare per i corridoi dell'ospedale per fare compagnia agli altri ricoverati.


Prima vedi un gran pancione
 poi le scarpe che son scarpone
 e poi spunta un bel nasone
 tondo tondo arancione


Con un gesto veloce si infilò un nasone rotondo sopra il suo, provocando la risata genuina del bimbo che le stava davanti. Iniziò a fargli il solletico fino a quando una voce la costrinse ad interrompere quella lotta giocosa.

“Kaori...che stai facendo?”

Aveva osservato la scena fino all'ultimo, senza riuscire a trovare la forza per parlare. Entrare nel reparto oncologico era già stato un enorme sforzo di volontà, ma trovarla nell'ala dedicata alla pediatria fu davvero uno shock.
“Ti ho cercata per tutto l'ospedale. Dovresti riposare, invece di andare a zonzo.”
Lei si voltò a guardarlo e non mostrò alcun segno di sorpresa. “Non ora, Intouchable, non vedi che sono occupata? Io e Daiki-chan stavamo cantando la filastrocca del pagliaccio. Vero cucciolo?”
Il bambino annuì senza smettere di sorridere. “Anche lui deve mettersi il naso!” sentenziò, incrociando le braccia.
Kaori fece segno a Sasuke di avvicinarsi ed afferrò un'altra soffice pallina rossa dal comodino accanto al letto del bimbo. 
“Non coinvolgermi in queste cose. Noi non dovremmo neanche essere qui.”
Lo disse con tono nervoso, gettando rapidamente un'occhiata in giro. Non riusciva a capire come facesse Kaori, dove diavolo trovasse la forza per rimanere lì dentro.
“Avanti Intouchable, non fare l'asociale.” sventolò il nasone davanti a sé e Daiki rivolse al ragazzo un innocente sorriso sdentato, che gli provocò un indescrivibile morsa allo stomaco. Decise di avvicinarsi lentamente, mentre gli occhi curiosi di tutti i bambini della stanza erano puntati su di lui. Afferrò il naso di gomma e, cercando di ignorare lo sguardo divertito di Kaori, lo indossò. I ricoverati avevano osservato la scena con il fiato sospeso e subito dopo il fatidico gesto era scoppiato un applauso fragoroso.
Sasuke si sedette accanto a lei. “Giuro che me la pagherai.” le sussurrò a denti stretti.

 

Lo aveva portato sul tetto dell'ospedale, con la scusa di voler respirare un po' d'aria fresca. Non c'era stato verso di convincerla a tornare in camera sua; zampettava per i corridoi come una bambina e si portava dietro la sua flebo con noncuranza, ignorando le occhiate di rimprovero che le lanciavano gli infermieri.
“Cosa ti ha detto il poliziotto?”
Lui se ne stava seduto sul cornicione ad osservarla mentre apriva le braccia e inspirava a fondo la brezza fresca che tirava al tramonto. Lei si affacciò per guardare il panorama e nel suo sguardo comparve un'ombra di tristezza.
“Libertà vigilata fino a quando non si saranno concluse le indagini.”
Sasuke inarcò le sopracciglia e fece un salto giù per raggiungerla. Si appostò accanto a lei e rivolse anch'egli lo sguardo ai palazzi illuminati dai flebili raggi del sole.
“Ma che farai una volta uscita dall'ospedale?”
Lei alzò le spalle e abbassò lo sguardo.
“A quanto pare la Polizia ha scoperto che ho dei lontani cugini nella provincia di Akita. Essendo i miei unici parenti in vita sono automaticamente costretti a farmi da tutori, visto che sono minorenne. Il viaggio sarà a spese dello Stato e nel frattempo sarò tenuta d'occhio dalla Polizia locale, mentre qui continueranno le indagini sull'accaduto.”
“Akita?!” sbottò Sasuke, che non si aspettava un tale risvolto. “Ma è a migliaia di chilometri da qui! E poi per stare con dei parenti che neanche conosci e che finora non sapevano della tua esistenza?!”
Lo aveva detto tutto d'un fiato, alzando la voce più di quanto avrebbe voluto fare. Poi il suo sguardo ricadde nelle iridi dorate di Kaori, colme fino all'orlo di lacrime calde che poco dopo le ricaddero sulle guance come una carezza. 
L'espressione radiosa di lei lo fece piombare nella confusione più totale. “Hanno....hanno trovato Fumiko.”
Riuscì a pronunciarlo con voce rotta, mentre cercava invano di smettere di piangere. Prima che lui riuscisse ad elaborare ciò che gli aveva detto, se la ritrovò fra le braccia, mentre continuava a versare lacrime sulla sua maglietta nera ed a stringerlo con tutta la forza che aveva.
“Ce l'ha fatta, Intouchable. Ha vissuto all'orfanotrofio di Kyoto per tutto questo tempo. Non ha mollato capisci, ha avuto fiducia in me. E adesso potrò riabbracciarla e insieme potremmo rifarci una vita. Lei verrà a stare ad Akita e fra qualche anno..”
Alzò il volto e si accorse che Sasuke le stava sorridendo ed aveva ricambiato la sua stretta improvvisa. Non disse niente ma la sua espressione le fece capire che riusciva a sentire anche lui quell'immensa felicità che aveva invaso il suo cuore.
“La polizia non è ancora certa della mia innocenza – aggiunse, allontanandosi lentamente – per questo dovranno controllare i miei movimenti per qualche tempo. Comunque non mi importa, fra poco potrò riabbracciare mia sorella ed è questo che conta.”
Lui annuì e la lasciò andare. Kaori si asciugò gli occhi e tornò a fissare l'orizzonte con un'espressione più seria. Anche Sasuke aveva smesso di sorridere e non osava voltarsi nella sua direzione. Rimasero così fino a quando la ragazza decise di prendere in mano la situazione.
“Ovviamente non sarà...un addio definitivo. “ azzardò, studiando la reazione di Sasuke. 
Lui non mosse un muscolo.
“Non appena questa faccenda si sarà risolta potrò muovermi liberamente e poi...magari...potrei pensare di tornare a Tokyo, un giorno.”
Neanche questo ebbe il minimo effetto.
Lei parve ferita dal suo comportamento e non aggiunse altro. Dopo un po' lo vide girarsi lentamente dalla sua parte per osservarla con la coda dell'occhio.
“Non illuderti, Intouchable - disse lei, mentre un'ennesima lacrima le si impigliava tra le ciglia - tra noi non sarebbe mai potuta funzionare.”
Le era arrivato talmente vicino che quasi il suo naso poteva sfiorare le labbra di lui.
“Te l'ho detto. A me piacciono i biondi
Ebbe il tempo di sussurrarlo prima che lui chinasse la testa verso di lei e la baciasse senza darle la possibilità di opporsi. La strinse a sé come mai aveva fatto con nessuna e nell'intensità di quel bacio capì quanto davvero aveva bisogno di lei. Quando trovarono la forza di reprimere il desiderio di restare uniti, fecero entrambi un passo indietro. Lei, dopo qualche attimo di esitazione, piantò le mani sui fianchi e lo guardò con un sorriso eloquente.
“E questo che significa?” domandò, con tono di accusa.
Lui evitò di nuovo di guardarla. “Ti auguro buon viaggio, Kaori.”
“Buon viaggio, eh? Dì un po', lo auguri a tutte così oppure usi diverse strategie?”
Questa volta non riuscì ad evitare di voltarsi verso di lei. “Stupida.”
Kaori scoppiò a ridere e si avvicinò di nuovo, cingendogli timidamente i fianchi. “Senti...non è che potresti auguramelo di nuovo? Devo aver sentito male...”
Stavolta fu lei a non lasciargli tempo per replicare e gli sfiorò le labbra per un altro bacio d'addio.

 

**

 

Quando suonò il campanello erano le dieci e mezza passate. Si alzò svogliatamente dal divano, sul quale stava sgranocchiando una confezione di popcorn, per dirigersi alla porta. Aveva i capelli arruffati ed indossava solo un paio di pantaloni di una tuta grigia ormai consumata. Pensò che fosse la signora dell'appartamento accanto che aveva qualche lampadina rotta o un tubo difettoso che perdeva acqua. Quando aprì la porta il suo cuore fece un balzo e la sorpresa fu talmente tanta che non riuscì a spiccare parola.
“Shisui-san...mi...mi dispiace di essermi presentata a quest'ora. Sono appena uscita da lavoro, o meglio...mi sono licenziata. Durante la sessione estiva non ci sono rette da pagare per l'Università e il proprietario della casa non farà storie per qualche mese di ritardo dell'affitto. Ho pensato che fosse il periodo migliore per...si beh, per cambiare vita. Ho preferito non disturbare Itachi, l'ho sentito qualche giorno fa ed immagino che voglia stare con suo fratello, perciò...”
Aveva parlato a testa bassa ed aveva letteralmente sobbalzato quando Shisui l'aveva circondata con le sue braccia, avvolgendola completamente in un abbraccio stritolante. Il corpicino di Aoko quasi scomparve fra quelle spalle e la ragazza arrossì vistosamente al contatto con la pelle calda di lui. Quando si rese conto dell'imbarazzo di Aoko, Shisui si allontanò immediatamente e si passò una mano fra i capelli.
“Perdonami Aoko, ma non riesco a descriverti a parole quanto sono felice. Vieni, entra pure, non stiamo sulla porta.”
La ragazza mosse qualche passo per entrare e mantenne la testa bassa in modo da nascondere la tinta rossa che le aveva colorato le guance. Lui afferrò al volo la maglietta che aveva lasciato su una sedia e se la infilò.
“Non fare caso alla confusione, è sempre così quando sono da solo.”
Spense la televisione e la invitò a sedersi sul divano accanto a lui. Dovette aspettare qualche minuto prima che ritrovasse il coraggio di tornare a guardarlo.
“Naturalmente penso che tu abbia fatto la cosa migliore, Aoko. La nostra Azienda si sta riprendendo lentamente, ma sono sicuro che dopo le vacanze riusciremo a trovarti una sistemazione. Hai mai lavorato come impiegata?”
Lei negò con il capo e si portò un ciuffo dietro l'orecchio. Portava i capelli lisci, con la frangetta che le ricadeva naturalmente sugli occhi a mandorla.
“Faremo qualche settimana di prova, così potrai ambientarti. E poi chissà, magari un giorno potresti anche diventare la mia segretaria...”
Aoko abbozzò a un sorriso e Shisui capì di aver azzardato troppo dalle sue guance che arrossivano di nuovo. Afferrò un pacchetto di sigarette che teneva sul bracciolo del divano e gliene offrì una. Lei ringraziò e la afferrò senza troppi preamboli, lasciando che fosse Shisui ad accenderla.
“Ci ho quasi litigato sai. Con il proprietario. Non voleva lasciarmi andare.” iniziò, tirando una prima boccata.
“E ci credo” commentò Shisui, senza riuscire a trattenersi.
Lei gli sorrise, ma questa volta la sua espressione era diversa e Shisui riuscì a cogliere una sfumatura di malizia in quel viso apparentemente innocente.
“Senti, perché non resti a dormire qui, stanotte? E' tardi e non mi va che tu vada in giro da sola. Ovviamente io starò sul divano eh, giuro!”
Alzò le mani come se gli avessero puntato una pistola contro, incrociò le dita di entrambe e se le baciò, per poi completare il tutto con una croce sul cuore.
Lei rise. “Ci credo, Shisui.”
Lui annuì con aria solenne, anche se nella sua mente l'aveva già infilata in un succinto corpetto nero con tanto di reggicalze in pizzo. Scosse la testa per imporsi di frenare quei pensieri. Per un attimo ebbe come l'impressione che anche la mente di lei fantasticasse qualcosa di non propriamente casto, ma ben presto la sigaretta finì e sul volto di Aoko ripiombò un atteggiamento di timido distacco. 
“Se per te non è un disturbo, resto.”
Lui si alzò e nel giro di qualche minuto tornò annunciando che il letto era pronto e che avrebbe potuto coricarsi quando voleva.
“Ti dispiace se guardiamo un po' di tv?” chiese lei, sorridendogli.
Lui si gettò accanto a lei con un balzo e le porse il telecomando.
“Stasera la padrona della casa sei tu.”













****
Eccoci giunti al penultimo capitolo di questa storia! Mi riservo le note "finali" stile papiro per la prossima settimana, tutto ciò che vorrei dirvi è che nell'ultimo capitolo inserirò un piccolo bonus, ma non vi anticipo di cosa si tratta!
Spero che la lettura vi sia piaciuta, ci sentiamo presto! :)


Vavi

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Capitolo 31
*** Kimi Monogatari ***


Capitolo 31
Kimi monogatari

 

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“E' la prima volta, vero? Che dormi nella stessa casa di una ragazza senza andarci a letto.”
Itachi aveva cominciato a preparare la cena per quella sera e, dopo aver ascoltato da suo cugino la descrizione della visita di Aoko, pensò che tormentarlo fosse un ottimo modo per passare il tempo.
“Vedi di non infierire – commentò l'altro, passandogli la busta con il pesce fresco che avevano appena comprato al mercato – te ne approfitti solo perché tu invece te la stai spassando con la tua ragazza, di la verità?”
L'espressione enigmatica del cugino lo convinse a non demordere.
“Avanti, non vorrai darmi a bere la storiella della serata romantica davanti al pianoforte? Una volta ho letto un'intervista dove si chiedeva ad un pianista se fosse meglio il pianoforte o il sesso.”
Itachi cominciò a spolpare il povero salmone.
“E sai cosa ha risposto lui?”
Il cugino negò con la testa, preparandosi al peggio.
“Che era meglio fare sesso sul piano”
Itachi ringraziò di non avere utensili taglienti per le mani. “E' una cosa squallida” replicò, senza nascondere un po' di disgusto.
Shisui alzò le spalle. “Beh, a me non sembra così male. E comunque non sarete rimasti tutta la sera a strimpellare Fra Martino Campanaro, quindi prima o poi ti
costringerò a vuotare il sacco, che tu lo voglia o no.”
“Ti spiacerebbe scolare il riso?”
Il cugino sbuffò e lo sorpassò per poter togliere la pentola dal fuoco.
“Ma sì, continua pure a cambiare discorso. Tanto quando arriverà Mitsuki lo chiederò direttamente a lei”

Itachi alzò gli occhi al cielo e gli passò una ciotola verde senza distrarsi dalla difficile operazione di pulizia del pesce. Non era mai stato un grande amante del sushi, ma decise di fare un eccezione per quella serata così speciale. Era la prima cena che organizzava dopo tanto tempo ed aveva tutta l'intenzione di renderla indimenticabile per ogni ospite che ne avrebbe preso parte. Si trattava di poche persone, le stesse che nell'ultimo periodo gli erano state vicino e lo avevano sostenuto in ogni momento difficile. Voleva ringraziare tutti per aver permesso a lui e a suo fratello di superare gli ostacoli sul loro cammino e, sebbene la strada non fosse ancora tutta in discesa, sentiva che adesso potevano davvero iniziare un nuovo percorso.

“Ma sei sicuro che bisogna cominciare a cucinare da adesso?” borbottò Shisui, che non era neanche riuscito a versare il riso nel contenitore senza farne cadere un po' sul tavolo. “Insomma, sono le sei di pomeriggio.”
Itachi pulì al volo la distrazione di suo cugino. “Il sushi richiede del tempo, Shisui. Se ti annoi perché non vai a chiamare mio fratello?”
“Se è chiuso in camera sua meglio lasciarlo stare, non credi? La partenza di quella ragazza deve averlo turbato parecchio.”
Itachi sorrise. “Forse. Ma ti stupirai di quanto è cambiato da quando l'ha conosciuta.”
Shisui alzò un sopracciglio e accolse quell'affermazione con poca convinzione. Comunque, visto che non aveva niente di meglio da fare e in cucina era sempre stato negato, decise di salire al piano superiore dal cugino minore. Quando arrivò all'ultimo scalino si accorse, stranamente, che la porta della stanza era rimasta socchiusa.

“Posso?” chiese, facendo capolino.
Sasuke posò uno straccio di cotone sul davanzale e tirò giù le serrande della finestra.
“Entra” gli disse, senza voltarsi a guardarlo.
Shisui fece qualche passo nella stanza e lanciò un'occhiata stralunata al panno bianco che suo cugino aveva appena finito di usare.
“Quello è un panno per spolverare?”
Sasuke lo guardò come se fosse stupido. “E' così strano pulire la propria stanza quando si ricevono degli ospiti a casa?”
Shisui rimase a fissarlo senza dire niente, anche se avrebbe voluto rispondergli che in effetti trovava un tantino insolito che lui si preoccupasse per lo stato della Villa al solo scopo di non fare brutta figura con gli invitati. Si sedette sul suo letto in modo meccanico e fu sorpreso ancora una volta del fatto che suo cugino non lo fulminasse con lo sguardo.

Che la sua trasformazione da orso solitario ad essere sociale fosse realmente ultimata?

Rimase ad osservarlo ancora un po' mentre sistemava le ultime cose e, dopo averci riflettuto per cinque minuti buoni, decise di buttarsi a capo fitto per testare questo nuovo comportamento di Sasuke.
“Non l'avrai mica lasciata andare così? Le hai dato almeno il numero di telefono, vero?”
L'argomento “ragazze” era di sicuro il più insidioso da affrontare con Sasuke, perciò tentò subito con la fase più pericolosa.
Lui alzò le spalle. “Il numero di casa nostra è sull'elenco telefonico. Se mai vorrà sentirmi, potrà chiamare quando vuole.”
Non aveva fatto scena muta. Non gli aveva urlato in faccia di farsi gli affari suoi. Quasi aveva paura di continuare a parlarci.
“Vuoi andare ad Akita quest'estate?”
Stavolta sbuffò. “No, l'ho già detto a mio fratello. Adesso non è il momento.”
Shisui annuì, meditando se fosse il caso di finirla lì, almeno per quella sera.
“Aoko ha accettato l'invito?” chiese l'altro, anticipando il cugino sul tempo.
“Sì, verrà assieme a Mitsuki. Naruto e Sakura, invece?”
“Solo Naruto. Sakura è fuori per un week end con i suoi.”
Erano entrati nella discussione ormai, tanto valeva provare a chiederlo. “Lei come ha preso la presenza di Kaori?”
Sasuke lo guardò negli occhi, incerto su come rispondere a quella domanda.
“Come avrebbe dovuto prenderla? Non devo chiedere il permesso ai miei amici per conoscere nuove persone.”
“Ma Kaori non è solo una conoscente, dico bene?”
La pazienza di Sasuke aveva iniziato ad esaurirsi. Troppe domande in una sola serata.
Si fermò in piedi davanti alla porta e sospirò. “Dove vuoi arrivare, Shisui?”
Il cugino si alzò e accostò la schiena all'armadio. “Vorrei capire quanto questa ragazza è importante per te.”
Il corpo di Sasuke era già per metà fuori dalla stanza, segno che avrebbe di gran lunga preferito andare a cucinare con suo fratello piuttosto che continuare quella conversazione.
Anche Shisui lo raggiunse e, prima che entrambi scendessero al piano inferiore, gli mise una mano su una spalla.
“Se tieni a lei, non aspettare che ti contatti. Fallo tu, per primo. Ogni tanto bisogna imparare a mettere da parte il proprio orgoglio per le cose che contano davvero.”


Naruto era stato il primo ad arrivare, con ben mezz'ora di anticipo rispetto all'orario concordato con Itachi. Per farsi perdonare contribuì ad apparecchiare la tavola assieme a Shisui, mentre Sasuke cercava di aiutare suo fratello per ultimare la preparazione degli antipasti.
“Ehi Itachi, sembri proprio la zia Mikoto con quel grembiule. Santi Kami, hai cucinato per un esercito!” sbottò Shisui, gettando un'occhiata ai vassoi con le pietanze che ancora aspettavano di essere sistemati sulla tavola.
“Avresti avuto un futuro come cuoco” commentò Naruto, che stava mangiando con gli occhi ogni singolo pezzetto di cibo, sebbene lì in mezzo non fosse presente il suo adorato ramen.
“Invece andrà a sbudellare ventri umani, che schifo!” Shisui sventolò le mani in segno di ribrezzo e si allontanò da Itachi come se il solo pensiero gli desse il voltastomaco.
Mancavano solo le bibite all'appello, dopodiché avrebbero potuto aspettare le due ragazze sedendosi in soggiorno.
“Com'è andato quest'anno scolastico, Naruto?” chiese Itachi, mentre finiva di ripulire la cucina dagli avanzi del pesce.
Lui mise su una faccia rassegnata e fece un lungo sospiro. “Con l'acqua alla gola, come sempre. Ho dovuto pregare in ginocchio il professore di fisica per non farmi mettere l'insufficienza.”
Sasuke, nonostante il lungo periodo di assenza, era riuscito a frequentare l'ultima settimana di scuola, recuperando le interrogazioni e i compiti in classe che gli mancavano. La media generale ed il voto in condotta risultarono più bassi rispetto agli anni precedenti, ma riuscì comunque a cavarsela egregiamente.
“Per fortuna Sakura-chan mi ha dato una mano in latino. Altrimenti sarei stato fottuto.” confessò, massaggiandosi la nuca.
Nessuno disse niente fino a quando Sasuke decise di spostare la discussione su suo fratello. “Ce la farai a dare tutti gli esami entro l'anno accademico, nii-san?”
Itachi si asciugò le mani sull'imbarazzante grembiule rosso di sua madre e si snodò il laccio dietro al collo. Tra una cosa e l'altra si erano fatte già le sette e mezza.
“Li darò tutti entro Gennaio. O almeno cercherò di farlo, lavoro in Azienda permettendo.”
“Ah no, Itachi, all'Azienda penso io. Tu sei giovane ancora, pensa a studiare, laureati con centodieci e lode e svolgi la professione che più ti piace.”
Il cugino sorrise a Shisui e poco dopo era già schizzato via per aprire la porta di casa. Mitsuki ed Aoko erano appena arrivate. La prima si presentò con un sorriso smagliante ed un enorme vassoio di pasticcini tenuto in bilico sui palmi delle mani, mentre la seconda salutò con un cenno della testa e porse ad Itachi una busta lunga con all'interno un'ottima bottiglia di sakè.
“Non dovevate” disse lui, spostandosi per farle entrare.
“Certo che dovevamo” gli rispose Mitsuki, stampandogli un bacio sulle labbra.
Posarono giacche e borse sull'attaccapanni, si presentarono ad un Naruto entusiasta e salutarono anche Sasuke e Shisui.
“Per tutti i Kami! Ha preparato da solo questa roba, Itachi?”
Mitsuki fissava la tavola con gli occhi spalancati e le sue iridi vagavano da una parte all'altra, incerte su dove posarsi.
“Sono stato aiutato” rispose lui, lanciando un'occhiata ai tre ragazzi.
Shisui si avvicinò all'orecchio di Mitsuki. “Sta solo facendo il modesto” gli sussurrò, coprendosi la bocca con una mano.

La cena proseguì meglio del previsto, che fosse merito del sakè oppure dei piatti prelibati non era ben chiaro, eppure nessuno rimase in disparte e continuarono a chiacchierare animatamente fino alle dieci passate. Alla fine della serata anche Aoko sembrava aver bevuto qualche bicchiere di troppo e, aiutata da qualche sigaretta, finì per risultare più logorroica della sua amica.  Mitsuki insistette per voler assaggiare un po' di tutto e passò la maggior parte del tempo a ridere delle battute di Shisui e dell'improvviso cambiamento di Aoko. Naruto, a metà serata, si fece coinvolgere in una gara di sakè assieme a Shisui e rischiò di rovesciarsi addosso il piatto con tutto il cibo già al terzo bicchiere. Itachi e Sasuke, oltre che assecondare le pazzie dei loro amici, osservarono ciò che stava accadendo con un occhio diverso. In loro si stava facendo strada la consapevolezza di esserne finalmente usciti, di aver superato un momento buio della loro vita e di essere finalmente pronti per mettere la parola fine ad un capitolo ed iniziarne uno nuovo.

Quando anche l'ultimo vassoio del tavolo fu svuotato, tutti si diedero da fare per aiutare a sparecchiare, così da potersi spostare nel soggiorno.
Proprio mentre stava impilando i piatti l'uno sopra all'altro, Mitsuki ricevette una telefonata. Sorrise leggendo il nome sul display e si allontanò verso la finestra per rispondere.

“Hi Daddy! How nice to hear your voice!”

Shisui lasciò un bicchiere sul lavandino e tirò una gomitata ad Itachi.
“Ehi, l'hai sentita?”
Il cugino guardò Mitsuki sorridere e gesticolare in modo inconsueto.
“Sta parlando con suo padre” rispose con tranquillità.

“This summer, you said? Oh, well..i don't know”

“Parla spesso in inglese?” continuò Shisui, come se non avesse mai sentito quella lingua in vita sua.
Itachi afferrò l'ultimo bicchiere che gli porgeva Sasuke.
“Solo con suo padre. E a volte quando è arrabbiata. Preferisce parlare il giapponese, comunque. Non chiederle di parlarti in inglese, potresti metterla in imbarazzo.”
Shisui incrociò le braccia. “Perché ci hai già provato eh, dì la verità?”
Itachi scosse la testa. “E' stata lei a dirmelo. Mi ha raccontato che la maggior parte delle persone le chiede come si pronunciano marche famose oppure nomi di vip americani. Non ne può più.”
In quel momento Mitsuki attaccò e si avvicinò ai due ragazzi più festosa che mai.
What's happened?” le domandò Shisui,con un pessimo accento inglese.
Lei ridacchiò, un po' imbarazzata. “Vi va di venire a Los Angeles, questa estate?”
Sasuke ed Aoko si voltarono verso di loro, mentre Naruto era troppo occupato a soppesare la sua testa per poter prestare attenzione.
“Los Angeles, hai detto?” scandì Shisui, incredulo.
Lei annuì. “I miei vanno a stare lì per il mese di Agosto. La casa è grande e possiamo ospitare almeno sei persone. Perché non venite tutti? Mi farebbe molto piacere!”
“Certo che veniamo!” sbottò Shisui, tirando una spinta sul braccio di Itachi.
A costo di sembrare sfacciato non si sarebbe perso l'opportunità di viaggiare in America per nessun motivo.
Aoko si avvicinò timidamente a loro. “Sarebbe molto bello, Mitsuki.  Ma non credo di avere i soldi per...”
“Aoko, tu sei la mia migliore amica e i miei genitori sanno quanto io sia affezionata a te. A questo non devi pensare, siamo intesi?”
Lei le sorrise, non del tutto convinta di voler andare.
Itachi guardò prima Mitsuki e poi suo fratello. Sapevano entrambi che quella sarebbe stata l'occasione giusta per poter staccare la spina, anche se Los Angeles non sembrava esattamente il posto adatto a Sasuke.
“Deve venire anche lui?” chiese il minore, indicando la testa bionda di Naruto.
La ragazza annuì con il capo. “Se ha voglia, perché no”
Naruto non dava cenni di essere ancora nel mondo reale e i movimenti scoordinati del suo corpo facevano pensare che di lì a poco sarebbe andato in bagno a vomitare.
“Che ne pensi, otouto?” chiese Itachi, contrario a voler dare una conferma senza prima aver sentito suo fratello.
Lui mollò Naruto a contorcersi sul divano e si avvicinò al gruppo. “Sei tu il maggiore.” gli rispose, accollandogli così tutta la responsabilità di decidere.
Mitsuki guardò entrambi e cercò di rassicurarli. “Non dovete decidere adesso. Pensateci su e dopo...”
"Verremo” la interruppe Itachi.
Se ci avesse pensato un altro po' sicuramente avrebbe rifiutato. Perciò decise, almeno per una volta, di seguire ciò che gli diceva l'istinto.
La ragazza accolse quella conferma abbracciandolo forte e ringraziando tutti i presenti per aver accettato l'invito.
Naruto, nel frattempo, aveva avvolto un braccio sulle spalle di Sasuke e stava cercando invano di camminare dritto.
“Shisui, potresti dargli un passaggio a casa?” chiese il moro, lanciandogli un'occhiataccia.
“Ma no, guarda che ce la faccio” soffiò l'altro a pochi centimetri dalla faccia, alitandogli sakè direttamente nel naso.
Il cugino annuì e cominciò a recuperare le sue cose. “Accompagnalo in macchina” rispose, indicando la sua Mini parcheggiata proprio davanti al cancello.
Nel frattempo anche Mitsuki ed Aoko si riappropriarono delle borse e ringraziarono Itachi per la cena.
“Era tutto buonissimo, Itachi-san. Davvero”
Sul volto di Aoko riuscì a leggere una spensieratezza che non vedeva in lei da molto tempo. Diede un timido bacio sulla guancia sia a lui che a Shisui, per poi uscire in giardino ad aspettare la sua amica.
Mitsuki si avvicinò ad Itachi e lo abbracciò di nuovo. Si alzò sulle punte e appoggiò il mento nell'incavo del suo collo.
“E' stata una splendida serata.”
Lui sorrise, stringendole la vita. “Grazie di essere venuta.”
Lei fece per andarsene ma lui la afferrò per una mano e la tirò di nuovo a sé, approfittando della momentanea assenza del fratello per baciarla. Shisui finse di guardare altrove e poco dopo uscì anch'egli in giardino. Sasuke stava ancora discutendo con Naruto per convincerlo ad entrare in macchina, fino a quando decise di spingerlo dentro con la forza e chiudere lo sportello mentre stava ancora protestando.
Osservarono le due auto allontanarsi fino alla prima curva, per poi vederle sparire nel buio della notte.

Si prepararono per dormire senza scambiare una parola ma, prima che Itachi potesse augurargli la buonanotte per poi ritirarsi in camera sua, fu proprio Sasuke a prendere l'iniziativa.

“Credo che la chiamerò”
Era poggiato al corrimano che affacciava sul piano inferiore. “Ma dopo l'estate.” precisò, guardando suo fratello.
L'altro annuì. “E' la cosa migliore.”
Il minore rimase affacciato accanto allo stipite della porta, in silenzio. Itachi decise di aspettare sulla soglia della stanza in attesa che parlasse di nuovo.
Lo vide abbassare lo sguardo, passarsi nervosamente una mano nei capelli e tornare a guardarlo.
“Possiamo farlo adesso, vero Itachi? Intendo...ricominciare.”
Il maggiore annuì e sorrise. “Certo.”
Il suo sguardo rassicurante provocò in lui una sensazione di tranquillità e, per la prima volta dopo tanto tempo, riuscì a ricambiare quel sorriso in modo sincero.
“Buonanotte, nii-san.”
“'Notte, otouto.”

 

 

Todoke todoke tooku e
 Ima wo kiss kaizen namida azukete
 Itsuka de kuru peiji ni
 Hito no takusan no hitokazu deru
 Hajimare, nagai nagai kimi monogatari

 

 Continua, continua, ad andare lontano
 Le mie lacrime di felicità per questo bacio sono solo tue.
 Un giorno ci sarà una pagina
 In cui innumerevoli nuove persone entreranno nella tua vita.
 E così inizia, la tua lunga, lunga storia.






 

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Ma buongiorno carissimi!
E così siamo arrivati anche all'ultimo capitolo! Mi mancherà la pubblicazione settimanale di questa long, non posso nasconderlo.
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno dato una possibilità alla storia e che l'hanno inserita tra le varie categorie; siete pochi, ma buoni, ed è solo grazie a voi che ho deciso di continuare nella pubblicazione.
Mi rendo conto che la scrittura è ancora un tantinino acerba; da quando l'ho scritta è passato del tempo e spero di aver fatto qualche miglioramento, nel frattempo.
Un ringraziamento speciale va a coloro che si sono fermati a lasciare un segno del loro passaggio, rendendomi partecipe delle sensazioni che questa storia ha suscitato loro. Può sembrare una banalità ma anche una o due righe possono fare la differenza, infondendo nell'autore una buona dose di autostima (che è sempre utile, soprattutto nel caso di persone insicure come me! ^^)
Passando al bonus, come avrete sicuramente notato, si tratti di disegni. Sono tre bozze che ho realizzato degli OOC inseriti in questa storia! Inizialmente ero indecisa se pubblicarli o meno, perchè credo che ognuno di voi si sia immaginato il personaggio in modo diverso, quindi non volevo scombinarvi le cose XD
Ma poi mi è venuta voglia di condividerli con voi e così mi sono fatta coraggio!
La strofa che avete letto a fine storia fa parte della ending di Naruto "Kimi Monogatari", dalla quale ho preso in prestito il titolo.
Bene, spero di aver detto tutto! ^^
E' stata una bella avventura e sono lieta che alcuni abbiano deciso di viverla assieme a me! Grazie di cuore!
Se vi fa piacere continare a seguirmi, ho in corso una Raccolta su Sasuke e Boruto, "An explosive combination", e un'altra incentrata su Sasuke e Naruto, "Nakushite Kotoba".

 Un saluto e a presto! ^^

 

 Vavi

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