L'ultimo Erede

di _Fedra_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un segreto inconfessabile ***
Capitolo 2: *** Horcrux e profezie ***
Capitolo 3: *** Alto tradimento ***
Capitolo 4: *** Mangiamorte all'attacco ***
Capitolo 5: *** La fuga del Principe ***
Capitolo 6: *** Dopo la battaglia ***
Capitolo 7: *** L'agguato ***
Capitolo 8: *** Sotto scorta ***
Capitolo 9: *** Mostro ***
Capitolo 10: *** La scelta di Jane ***
Capitolo 11: *** Convalescenza ***
Capitolo 12: *** Cambi di programma ***
Capitolo 13: *** La casa sull'oceano ***
Capitolo 14: *** La Seconda Profezia ***
Capitolo 15: *** Allenamenti ***
Capitolo 16: *** L'attentato ***
Capitolo 17: *** La leggenda dei tre fratelli ***
Capitolo 18: *** Mont Saint Michel ***
Capitolo 19: *** La Pietra della Resurrezione ***
Capitolo 20: *** Famiglia ***
Capitolo 21: *** I ribelli ***
Capitolo 22: *** Il ritorno dell'Erede ***
Capitolo 23: *** La Camera dei Segreti ***
Capitolo 24: *** Harry deve morire ***
Capitolo 25: *** La fine di Voldemort ***
Capitolo 26: *** La fine e l'inizio ***



Capitolo 1
*** Un segreto inconfessabile ***





Capitolo 1

UN SEGRETO INCONFESSABILE

~

 
 
 
 
 
Addlestone, gennaio 1991
 
Un leggero fruscio ruppe il silenzio della torrida notte estiva, facendo rabbrividire le foglie degli alberi del boschetto.
Dall’oscurità emerse un’alta figura ammantata di scuro.
Esitò un attimo, fissando l’imponente sagoma bianca dell’abitazione che sorgeva a un centinaio di metri da lei, poi si incamminò lentamente verso l’entrata.
I suoi passi leggeri scricchiolarono sul legno della veranda.
La donna si fermò dinanzi alla porta, allungò una mano e suonò.
C’era quasi una punta d’imbarazzo nel suo timido gesto, quasi come se temesse di essere stata seguita.
Voci sommesse esplosero dall’altra parte, poi la porta si aprì, rivelando il volto pallido e magro di una ragazzina sui tredici anni, i lunghi capelli arruffati di un acceso color fucsia.
Nel vedere la donna immobile sulla soglia, ella si irrigidì di colpo, sgranando gli occhi per il terrore, mentre i capelli diventavano all’istante di un bianco perlaceo.
−Non dovresti essere qui! – farfugliò.
−Non dire sciocchezze, ragazzina! Tua madre e io dobbiamo parlare! – la liquidò lei in tono secco.
−Va tutto bene, Dora – la rassicurò una voce femminile dall’interno dell’abitazione. –Falla entrare.
La ragazzina lanciò un’occhiata di puro odio alla figura ammantata che aveva di fronte, poi si scostò per lasciarla passare.
La donna la oltrepassò con fare altezzoso, facendo ingresso nel soggiorno. Non appena fu sparita oltre la soglia, Dora si dileguò senza fare troppi complimenti.
Seduta su un sofà, una donna di una bellezza sconvolgente la stava aspettando.
La sua pelle era di un candore immacolato, contrastando con il mare nero dei riccioli castani sciolti sulle spalle.
Le labbra erano rosse e carnose, contratte in un’espressione carica di severità.
−Allora, − esordì – cos’è che dovevi dirmi con tanta urgenza, Alhena?
L’ospite si sedette di fronte a lei, togliendosi il mantello e il cappuccio.
Era una donna se possibile ancora più affascinante di quella che aveva davanti, ma la sua era una bellezza selvaggia, perversa, esaltata dal volto magro e spigoloso, i grandissimi occhi neri, le labbra vermiglie dischiuse in un’espressione indecifrabile: una grottesca maschera di follia.
Le sue lunghe dita sottili si chiusero attorno al ventre.
L’espressione severa sul volto dell’altra divenne ancora più grave.
−Allora è vero? – chiese.
Alhena strinse le labbra sottili.
−Sì – rispose a voce bassissima, quasi un sibilo.
−Chi è stato?
La donna abbassò il capo.
La contrazione del suo volto divenne ancora più accentuata.
−Non credevo fosse possibile. Non nelle sue condizioni – mormorò.
A quelle parole, l’altra scattò in piedi, profondamente sconvolta.
−Che cosa significa, Alhena? Che è suo figlio?
La donna annuì.
L’altra rimase interdetta per diversi secondi, il labbro inferiore che le tremava incessantemente.
−Tu…sei…
−…la madre dell’ultimo dei Serpeverde? Sì.
−E lui lo sa?
A quel punto, Alhena tacque.
Annuì rapida, come per scacciare un pensiero doloroso.
−Allora?
−Non lo vuole.
L’altra si risedette lentamente. Le sue marcate sopracciglia nere erano aggrottate.
−Cosa intendi fare? – chiese.
Le dita della donna accarezzarono ancora una volta il ventre appena rigonfio.
−È mio figlio – sussurrò, quasi volesse cullare con quelle parole il bambino che cresceva dentro di lei. – Per questo sono venuta da te, sorella.
−Vuoi disubbidirgli?
−Sarebbe la prima volta. Sono confusa.
−Perché sei venuta da me e non dalle nostre altre sorelle? Sai che io non posso aiutarti.
−Tu sei l’unica che conosce la profezia! – tuonò Alhena. – Eri lì quando Sibilla Cooman ha parlato per la seconda volta. E sai che la profezia riguardava l’erede di Serpeverde: mio figlio!
−E con questo? Vuoi che ti passi informazioni che potrebbero tornare utili al tuo signore?
−No, te lo giuro! Per favore, Andromeda! Solo tu puoi aiutarmi!
−Perché dovrei crederti?
Quella risposta la congelò.
Alhena si accucciò sul divano, prendendosi la testa fra le mani.
I suoi lunghissimi capelli neri le ricaddero sulle spalle esili simili a una cascata di velluto.
−Se non volessi proteggere mio figlio, − gemette – non sarei venuta da te. Me ne sarei liberata immediatamente, come il Signore Oscuro mi aveva ordinato. Invece io voglio che viva. E voglio essere sicura che ciò ne valga la pena.
−In che senso?
−Sai che cosa intendo. Quella profezia parla di un potere sconosciuto. Questo bambino potrebbe diventare un mago molto più grande di suo padre.
−Quindi non vorresti distruggerlo proprio perché lo diventi.
Alhena annuì.
−Già – rispose. – Ed è per questo che lui mi ha ordinato di sbarazzarmene.
−Ma tu non lo farai.
Gli occhi di Alhena si illuminarono di una luce sinistra.
−Credo che diventare madre dell’Erede di Serpeverde sia l’onore più grande a cui una Black possa aspirare. Nostra madre ne sarebbe fiera.
Andromeda fece un gesto brusco con la mano.
−Sì, sì, lasciamo perdere cosa penserebbe nostra madre – si affrettò a cambiare discorso.
−Voglio solo sapere a che cosa andrà incontro mio figlio – riprese l’altra con decisione.
La sorella scoppiò a ridere.
−Di che cosa hai paura, Alhena? Che faccia amicizia con i Babbani? – la canzonò.
A quelle parole, l’altra le scagliò un’occhiata omicida.
−Non dirlo neanche per scherzo! – ringhiò. – Oh, quale disonore, sarebbe!
−In ogni caso, non posso aiutarti – ribatté Andromeda con decisione. – Ho fatto il Voto Infrangibile, per evitare proprio ciò che mi stai chiedendo.
La sorella sgranò gli occhi per la rabbia.
−Come sarebbe a dire il Voto Infrangibile? – tuonò.
−Voglio dire che il segreto mi seguirà nella tomba, che tu lo voglia o no. È inutile che ti accanisci su di me con le tue inutili maledizioni: morirei prima ancora di poter parlare – la freddò l’altra, notando che la sorella stava già cacciando una mano sotto le vesti per estrarre la bacchetta.
Alhena si afflosciò sullo schienale del divano.
Sembrava una belva ferita.
−Ma per te posso fare un’eccezione – continuò Andromeda. – Vedi, sorella, da una parte speravo  che me lo avresti chiesto. Ti chiedo solo una cosa in cambio. Un altro Voto Infrangibile.
Alhena levò il capo lentamente.
−Spiegati – disse.
−Io ti svelerò il contenuto della profezia – rispose la donna congiungendo le mani. – In cambio tu, qualunque cosa udirai dalle mie parole, prometti di non uccidere il bambino e di proteggerlo affinché possa andare incontro al proprio fato. E, inoltre, ti proibisco di rivelare la profezia a qualcun altro, neanche se costretta. Pensi di riuscirci?
Alhena abbassò lo sguardo sul suo ventre.
Per un attimo, tra lei e il suo bambino sembrò instaurarsi una sorta di dialogo silenzioso, fatto solo dei battiti all’unisono dei loro cuori, poi la donna levò nuovamente il capo.
Un’espressione nuova, intrisa di umanità, le segnava il volto magro.
−D’accordo – disse decisa.




Angolo Me

Salve a tutti! :)
Ebbene sì, sono tornata con il capitolo conclusivo della Trilogia dell'Erede. Come vi avevo già accennato su Facebook, la storia sarà incentrata soprattutto su Edmund e Jane, il cui amore verrà messo in pericolo dall'inevitabile e terribile verità che emergerà nei prossimi capitoli.
Nel frattempo, ho voluto esordire con questo breve prologo in cui ho voluto sottolineare ancora una volta tutta la perversa ambiguità di Alhena Black, dietro la cui maschera mostruosa si nasconde una donna fragile e disposta a tutto pur di proteggere il suo unico figlio. Nei prossimi capitoli, però, vedremo quanto questa umanità prevarrà su di lei.
Ricordo infine che questo sarà il capitolo più dark della saga, quindi preparatevi: ci saranno delle scene con un certo tasso di violenza e, molto più avanti, le atmosfere potrebbero diventare leggermente hot. Lo so, non è la mia specialità né intenzione quella di dare scandalo. Diciamo che ho voluto scrivere una storia un po' più adulta del solito. Spero solo che non vi dispiaccia!
Colgo l'occasione per salutare tutti voi lettori, che da ormai un anno mi seguite con tanto entusiasmo e passione e mi spingete a cercare sempre nuove strade nella creazione delle mie storie.
In particolar modo vorrei mandare un fortissimo abbraccio alla mia ormai grandissima amica Joy_10, che ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere proprio grazie a questa fanfiction e con cui passiamo ogni lunedì a parlare di quei pazzi sclerati dei nostri personaggi: ti consiglio di prenotare un posto letto vicino a Ben per il povero Edmund. Temo ripercussioni da Amnesty International ;)
Per tenerci sempre in contatto, vi lascio come sempre l'indirizzo della mia pagina Facebook: 
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Gli aggiornamenti, come sempre, saranno ogni martedì.
Visti i capitoli che ci aspettano (tutti rigorosamente pronti), ne avremo fino a Natale!
Un bacio a tutti :)

F.

 

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Capitolo 2
*** Horcrux e profezie ***





Capitolo 2

HORCRUX E PROFEZIE

~

 

 
 
 
 
 
Hogwarts, 17 anni dopo…
 
 
Dense nuvole grigie si addensavano nel cielo basso e tempestoso.
Una brezza carica di pioggia increspava la superficie plumbea del lago, spettinando i capelli neri di un ragazzo accovacciato sulle sue rive.
Le sue lunghe dita bianche strappavano distrattamente ciuffi d’erba mentre i suoi occhi vagavano verso l’alto.
A pochi metri da lui, la sagoma nera di un enorme cavallo alato lo osservava silenziosamente, ondeggiando appena la grossa testa simile a quella di un drago.
Di tanto in tanto, la creatura raspava nervosamente il terreno con lo zoccolo.
−Non ho voglia di volare oggi, Tenebrus – disse il ragazzo distrattamente.
In tutta risposta, il Thestral lanciò un lugubre richiamo acuto a mo’ di protesta.
Sentendosi in colpa, il ragazzo gli si avvicinò, prendendo a grattargli le orecchie con la mano.
−Tu lo sai che sono preoccupato per Jane – gli sussurrò piano.
Tenebrus emise un gorgoglio sordo, mordicchiandogli affettuosamente una manica.
In quel momento, un nitrito acuto vibrò nell’aria.
Con il cuore in gola, il ragazzo guardò verso l’alto e fu subito travolto da una sensazione di sollievo nel vedere il grande pegaso bianco come la neve planare verso di loro.
Non appena la creatura toccò il prato con gli zoccoli, una piccola figura bruna scivolò giù dal suo dorso, tuffandosi direttamente tra le braccia del ragazzo.
−Edmund – sussurrò dolcemente, la testa premuta contro il suo petto.
−Mi hai fatto stare in pensiero, Jane – rispose lui accarezzandole i lunghi riccioli scuri e ribelli. – Non tornavi più.
−Lo so. Sono stata intrattenuta a Hogsmeade più del solito.
−Hai avuto problemi con i Mangiamorte?
−Per fortuna no.
I due ragazzi si sedettero sulla riva del lago.
A pochi passi da loro, i loro destrieri pascolavano placidamente uno accanto all’altro.
Jane si rannicchiò contro il petto di Edmund, prendendo a disegnare cerchi invisibili sul suo petto, gli occhi verdi persi nel vuoto.
−Hai scoperto qualcosa? – domandò il ragazzo dopo un po’.
−No, è stato un viaggio a vuoto – rispose Jane cupamente. – E tu, sei riuscito a pedinare Malfoy?
−Non ho fatto altro per tutto il pomeriggio, ma né io né Harry siamo riusciti a entrare nella Stanza delle Necessità. Non abbiamo la minima idea di che cosa combini lì dentro.
−Non mi piace. E la cosa peggiore è che Silente continua a ribadire la sua innocenza, nonostante tutti gli incidenti che ci sono stati quest’anno. Se solo penso che per poco Ron non muore avvelenato…
−Ho seguito tutti gli spostamenti di Malfoy, ma il suo comportamento è tutto meno che sospetto, quando si trova nel dormitorio – disse Edmund – Anche Adam lo sta pedinando, ma finora ha trovato tutto regolare.
−State attenti, voi due. Lo sai benissimo che il suo bersaglio potresti essere tu – osservò Jane preoccupata.
−Se fossi davvero il suo bersaglio, a quest’ora Malfoy avrebbe trovato mille e uno modi per farmi fuori. Siamo nello stesso dormitorio, trascorriamo insieme tre quarti della giornata. Di certo per lui sarebbe un gioco da ragazzi venire a farmi la festa mentre dormo – il ragazzo si interruppe subito, notando l’espressione allarmata di Jane. – Quindi credo di non essere il destinatario di tutti quei manufatti altamente letali. Se ci pensi bene, sia la collana maledetta che il vino avvelenato dovevano essere consegnati a Silente.
−Dimentichi chi è la zia di Malfoy – disse la ragazza fissandolo dritto negli occhi.
−Bellatrix Lestrange, lo so.
−Quella donna l’estate scorsa ti ha riconosciuto. Scommetto che ora Voldemort sa dove ti trovi.
−Voldemort non può venire qui finché c’è Silente. Stai tranquilla.
Jane sospirò, rannicchiandosi ancora di più contro di lui.
Edmund le circondò dolcemente la vita con il braccio.
−Ehi, non starmi così giù – cercò di consolarla il ragazzo.
Jane levò lo sguardo verso di lui, sfoderando una delle sue solite smorfie maliziose.
−Ti sembra che sto diventando musona, ultimamente? – gli chiese nervosamente.
−Un po’ – rispose Edmund sul vago.
−Un po’ quanto?
−Livello Mirtilla Malcontenta, direi.
−NON È VERO! – strillò Jane allungandogli un pizzicotto sul fianco.
Edmund lanciò un urlo e scoppiò a ridere divertito, prendendo a farle il solletico a tradimento.
−Ehi, non vale! Ahi, smettila, dai! – esclamò la ragazza scoppiando a ridere.
In un attimo, i due si erano lanciati in una vera e propria lotta sul prato umido di pioggia, ridendo come matti nonostante fossero ormai completamente zuppi e sporchi di terra.
−Che diavolo state combinando, voi due? – esclamò in quel momento una voce alle loro spalle.
Sia Edmund che Jane sbiancarono.
Si erano bloccati una sopra l’altro, lei seduta a cavalcioni sulla pancia di lui, tenendogli bloccati i polsi con le mani.
−Spero di non aver interrotto niente – proseguì la voce di Harry, rivolto in particolar modo verso sua sorella.
Jane si rimise in piedi d’istinto, spazzolandosi alla meglio la terra dai vestiti.
−Ciao, fratellone! – lo salutò profondamente imbarazzata.
Edmund la imitò timidamente.
Da quando lui e Jane stavano insieme, si era trovato più volte a disagio nei confronti di Harry.
Era come se fra i due fosse improvvisamente nata una sottile ostilità.
Forse perché, mentre la vita sentimentale di sua sorella andava finalmente bene, il ragazzo si trovava a combattere contro la gelosia verso l’innumerevole stuolo di spasimanti che correvano dietro a Ginny Weasley.
Edmund sperava tanto che le cose sarebbero cambiate una volta che i due si erano messi finalmente insieme, ma dall’espressione a un tempo sorpresa e sconcertata dipinta sul volto di Harry si vedeva benissimo che era inutile farsi tante illusioni.
−Ti ho vista arrivare dalla finestra della biblioteca – proseguì il ragazzo indicando il castello alle loro spalle. – Devo parlarti urgentemente. Silente mi ha detto delle cose mentre eri via.
−Va bene.
 Jane lanciò un’occhiata eloquente a Edmund.
Era tutto l’anno che i gemelli Potter venivano ricevuti in segreto da Silente, senza poter rivelare a nessuno ciò che veniva detto in quelle riunioni.
Da ciò che gli avevano accennato, il ragazzo sapeva che il Preside stava confidando loro informazioni di massima importanza per sconfiggere Voldemort.
Il problema era che, non potendo sapere nulla di tutte queste riunioni, in presenza di Harry Edmund era costretto il più delle volte a sloggiare per non sentire i loro discorsi.
La cosa stava diventando sempre più irritante.
−Ci vediamo a cena, okay? – borbottò il ragazzo, le mani affondate nelle tasche.
−Non farò tardi, te lo prometto – lo rassicurò Jane lanciandogli uno dei suoi sorrisi a settantadue denti.
−Ti aspetto nella Sala di Ingresso. Ciao, Harry!
−Ciao.
Mentre Edmund si arrampicava alla volta del castello, una grossa goccia d’acqua si posò sul naso di Jane, seguita a ruota dalle compagne.
−Ne parliamo alle serre, okay? – propose la ragazza richiamando Ulisse, il suo pegaso.
−D’accordo – rispose Harry seguendola a ruota.
Con una folle corsa, i due gemelli raggiunsero la piccola stalla costruita da Hagrid vicino alle serre.
Harry restò a fissare nervosamente Jane mentre dissellava e strigliava Ulisse, la schiena incollata alla parete.
−Tutto bene, Harry? – domandò la ragazza notando la sua espressione torva.
Per qualche attimo, il ragazzo non rispose.
I suoi gelidi occhi verdi non avevano il coraggio di incontrare quelli gemelli.
–L’ha trovato – rispose a voce bassissima, quasi un sussurro.
–Dunque, Silente ha trovato un altro Horcrux – intervenne Jane. – E dov’è?
–Non me l’ha detto. Tu, invece?
–Non è andata come speravo. Sono riuscita a fissare un incontro con AndromedaTonks non appena ho saputo della profezia, ma lei non ha potuto dirmi nulla a riguardo. Ha fatto il Voto Infrangibile e l’unica persona a cui era concesso conoscere il segreto secondo una clausola del giuramento è morta.
–Chi era?
–Sua sorella, Alhena Black.
Harry rabbrividì.
Lei? – sussurrò col fiato mozzo.
Per un attimo, l’agghiacciante ricordo del loro rapimento avvenuto anni prima da parte di quella donna orribile rivisse nelle menti di entrambi.
Quel volto bellissimo, deformato dalla follia dei suoi immensi occhi neri e dalle labbra vermiglie stirate in un ghigno, tormentava ancora i loro sonni.
–Lei – rispose Jane in un sussurro. – È stato Voldemort a ucciderla, ne ho la conferma – proseguì Jane. – È accaduto subito dopo il suo ritorno.
–Ma perché? Da quello che sappiamo, questa Alhena era una delle sue seguaci più devote, forse ancora peggio di Bellatrix Lestrange!
–È proprio la tua ultima affermazione a preoccuparmi – ribatté la ragazza. – Io e te sappiamo fin troppo bene a che livello possa spingersi la sconsiderata devozione che Bellatrix nutre verso Voldemort. A quanto pare, la sua sorella maggiore era in grado di fare molto peggio.
–Cosa vuoi dire?
Jane si morse il labbro nervosamente.
Ogni suo pensiero la riportava a Edmund: la notte in cui lo salvò, era prigioniero proprio della Black.
Il suo passato era un mistero che si faceva sempre più inquietante man mano che i Potter andavano avanti nella loro caccia agli Horcrux.
Tutto era cominciato l’estate precedete, quando Silente aveva parlato in privato ai gemelli dell’esistenza di una seconda profezia.
Una profezia che avrebbe sconvolto l’intera storia della loro comunità.
E che conteneva il segreto per sconfiggere Voldemort.
Sulle prime, la ragazza aveva pensato che si trattasse del settimo Horcrux, quello più potente.
Ed era per questo che, non appena aveva scoperto che l’unica testimone oculare rimasta era proprio Andromeda Tonks, madre della sua grandissima amica Ninfadora, la strega si era precipitata da lei, sicura di apprendere la verità.
Peccato che invece avesse riportato solo una cocente delusione.
E la cosa peggiore era che la sua paura per Edmund cresceva di attimo in attimo.
Jane  si era affezionata a lui più di chiunque altro all’interno di Hogwarts.
Era stata lei a trovarlo e a salvarlo da una morte certa. Si ricordava delle agghiaccianti condizioni in cui versava durante la sua prigionia.
Molti bambini erano stati rapiti da quella donna orrenda prima di lui, i due gemelli compresi.
Fin troppi non erano mai tornati indietro.
L’unica loro colpa era quella di avere il sangue sporco, come dicevano quei malati mentali che si facevano chiamare Mangiamorte.
Che cosa importava se poi Edmund, al contrario di ogni aspettativa, era stato spedito a Serpeverde non appena il Cappello Parlante aveva sfiorato la sua testa?
E il fatto che Harry non potesse avvicinarsi a lui senza essere accecato dalle fitte di dolore alla cicatrice?
Non poteva essere semplicemente un segno della rabbia di Voldemort per avergli sottratto una vittima, come accadeva di solito?
–Forse lei aveva l’Horcrux più importante – tagliò corto Jane, sperando con quelle parole di fugare i suoi terribili presentimenti.
–Nel frattempo, devo pensare a questo.
–Quando si parte?
–Andremo io e Silente, stanotte.
Jane sgranò gli occhi stupefatta.
Quella risposta l’aveva completamente spiazzata.
–Come sarebbe a dire “io e Silente”? – chiese esterrefatta.
–Hai capito benissimo: partiamo io e lui.
La strega incrociò le braccia sul petto con stizza.
–Perché? – esclamò, il tono della voce improvvisamente alto e minaccioso. – Non pensate che dovrei venire anch’io?
–Silente ha insistito perché andassi da solo.
–Ah, certo! Come se non fossi tua sorella!
–Per favore, Jane…
–NO!
La ragazza scattò in piedi, fissando il fratello dall’alto in basso, le iridi verdi che emanavano lampi.
Sapeva fin troppo bene cosa succedeva quando lei e suo fratello venivano divisi.
–Da quando Silente ha tirato fuori quella storia del Prescelto, tra me e te si è come aperto un abisso. Prima ti seguivo ovunque, Harry. Abbiamo rischiato gli stessi pericoli insieme. Io ho sempre sostenuto la tua causa, la nostra causa, e non ho mai indugiato quando si trattava di rischiare la vita. Ma adesso? Sono cosciente che Voldemort ha ucciso i nostri genitori. Sono cosciente che la nostra missione è distruggerlo. E che siamo gli unici in grado di poterlo fare.
–Jane…
–Tu non hai idea di quanta fatica ho fatto ad accettare l’idea di essere orfana, di avere un altro cognome e di essere dotata di poteri soprannaturali quando per undici anni credevo di avere una famiglia tutta mia, che mi amava e che mi proteggeva!
Questa volta, la ragazza era andata ben oltre il limite di sicurezza.
Aveva appena centrato il punto debole di Harry.
–Appunto per questo è giunto il momento che le nostre strade si dividano! – tuonò il ragazzo, balzando in piedi a sua volta inferocito. – Per quanto abbiamo lavorato insieme in tutti questi anni, io e te siamo rimasti divisi per troppo tempo per riuscire a ricostituire la nostra famiglia. È inutile negarlo, io sono sempre stato immerso in questa situazione infernale il doppio di te! Tu non hai cicatrici brucianti sulla fronte! Tu non ti sei mai sentita davvero orfana! Tu non hai mai passato l’incubo che ho passato io, almeno finché non è venuta quella strega a prenderti a forza nel cuore della notte!
A quel punto, la vena di orgoglio tipica dei Potter esplose anche nel cuore di Jane.
–Mi stai dando della codarda? – ruggì furibonda. – O forse non ricordi che, mentre tu rischiavi la vita nel Torneo Tremaghi, io ero rinchiusa in un sotterraneo puzzolente a lottare tra la vita e la morte fino a quando non sono riuscita a salvarmi la pelle, oltre che quella di Edmund?
–Un atto eroico, davvero. Ma non te la sei mai vista da sola con Voldemort.
–Ma non vedo l’ora di fargliela pagare per avermi rovinato la vita comunque, razza di egoista che non sei altro!
–Egoista io? No, no, cara sorella, è chiaro che non ci siamo capiti. La profezia non parlava di gemelli, ma solo di me. Sono io colui che è stato prescelto e io porrò rimedio a questa situazione, mi sono spiegato? E non mi serve l’aiuto di una persona di cui per undici anni ho ignorato l’esistenza.
Nonostante stesse lottando come una furia per non darlo a vedere, gli occhi di Jane si riempirono di lacrime.
Ti odio! – ringhiò prima di uscire dalla stalla.



Angolo Me

Buongiorno a tutti! :)
Oggi per me è il primo giorno di vacanza (anche se per poco) e ne ho approfittato per aggiornare con qualche ora d'anticipo...
Come vedete, la situazione si è leggermente evoluta rispetto al prequel.
Edmund e Jane stanno ormai insieme, ma la cosa sembra alimentare una spaccatura che si è creata tra lei e Harry.
Cosa accadrà ora che il ragazzo partirà da solo per la caccia agli Horcux, lasciando Hogwarts completamente in balìa di Malfoy?
E qual è il vero obiettivo del giovane Mangiamorte, oltre l'omicidio del Preside?
Premetto che dalla battaglia in poi mi distaccherò molto dalla versione della Rowling.
Ergo, tenetevi forte! ;)
Ci aggiorniamo martedì prossimo!
Grazie mille per tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo :)

Come sempre, ecco il link della mia pagina Facebook, con tutti gli aggiornamenti in tempo reale: 
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F.
 

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Capitolo 3
*** Alto tradimento ***





Capitolo 3

ALTO TRADIMENTO

~

 

 
 
 
 
 
 
A Edmund ci volle qualche secondo per accorgersi che la figura ammantata di scuro con i lunghi capelli fradici incollati al volto era proprio Jane.
Non appena lo vide, la ragazza fece per dileguarsi su per la scale, ma lui fu più veloce, afferrandola per un polso.
−Che cosa è successo? – le domandò preoccupato.
Solo in quel momento il ragazzo si rese conto che aveva il volto rigato dalle lacrime.
–Niente, niente.
–Riguarda la vostra missione, vero?
Jane scosse il capo.
–Non mi va di parlarne – si schermì.
–Se non ne parli, nessuno potrà aiutarti.
La ragazza lo fissò con tanto d’occhi, poi, inaspettatamente, gli gettò le braccia al collo, prendendo a singhiozzare sommessamente sul suo petto.
Il ragazzo sussultò, sorpreso da quella richiesta d’affetto, ma non la lasciò, stringendo dolcemente le braccia intorno alle esili spalle di lei.
–Oh, Edmund! – gemette. – Sapessi quanto mi sento emarginata dal mio stesso mondo, alle volte, come vorrei essere nata Babbana!
–Jane, che succede?
–Harry – singhiozzò lei. – Ho litigato con Harry.
Gli raccontò ogni singola parola che si erano scambiati poco prima, poi, spinta da un sottile desiderio di vendetta, gli rivelò anche la questione degli Horcrux.
Nello scoprire la tremenda realtà dell’anima dilaniata di Voldemort, il ragazzo sciolse l’abbraccio, restando a fissare Jane turbato.
Sette? – mormorò. – Sette pezzi?
L’altra annuì.
–E la profezia – aggiunse. – Quella in cui si parla di un’arma con cui Voldemort può essere sconfitto. Peccato che l’unica persona che conosceva la verità sia morta.
–Chi era?
Jane scosse il capo.
–Non so se è il caso di parlarne – rispose, pentendosi all’istante di aver fatto prendere una simile piega a quel discorso.
–Per favore, voglio sapere.
La ragazza trasse un profondo respiro.
–È la donna da cui ti ho salvato – rispose.
Il volto di Edmund, già di per sé dall’incarnato chiarissimo, divenne cereo.
L-lei? – gemette terrificato.
Jane annuì.
Il ragazzo incassò la testa fra le spalle, lo sguardo perso nel vuoto.
–E sui miei genitori? – chiese a un certo punto. – Hai scoperto qualcosa su di loro?
La ragazza scosse il capo.
Nell’ultimo anno, la strega non aveva fatto altro che spulciare registri su registri nei sotterranei del Ministero, munita di tutti i permessi speciali fornitegli dall’Ordine della Fenice, alla disperata ricerca delle sue vere origini, senza alcun risultato.
Nessun bambino chiamato Edmund sembrava sparito negli ultimi diciassette anni.
Sembrava quasi che il ragazzo non fosse mai nato.
–Resto della mia tesi sugli Auror, per il momento – rispose alzando le spalle. – Sai, prima della caduta di Voldemort, molti maghi erano entrati in clandestinità. È probabile che lui stesse dando la caccia ai tuoi genitori, quando sei nato. Per questo non sei registrato in nessuna anagrafe: volevano proteggerti.
–Il figlio di un Auror…di Serpeverde?
–Finché non sapremo la storia dei tuoi genitori, non saprò darti una risposta certa. Magari uno di loro era un Mangiamorte pentito. Chi lo sa. Comunque, di una cosa siamo certi: Voldemort ce l’ha con te per qualche motivo, perciò non puoi che essere dei nostri.
Edmund le rivolse un largo sorriso, grato per quelle parole.
–Sono contento che tu mi dica questo – disse. – Sai, alle volte vengo sopraffatto da una terribile sensazione, come se avessi un mostro nascosto dentro di me.
Jane gli sorrise, scuotendo il capo.
–Se fossi stato un mostro, me ne sarei accorta da moltissimo tempo – rispose ponendogli una mano sulla fronte. – Io non avrò cicatrici brucianti o la capacità di parlare ai serpenti come mio fratello, ma in cambio ho un dono meraviglioso: quello di poter leggere l’anima delle persone. E la tua è quanto di più perfetto e puro che abbia mai percepito.
Edmund le sorrise dolcemente.
–Quindi non pensi che io sia un mostro?– le chiese.
Lei scosse il capo.
Il suo volto si avvicinò impercettibilmente a quello del ragazzo.
–Anche se lo fossi, io ti prometto che resterò sempre al tuo fianco, qualunque cosa accada. Solo tu mi hai sempre accettata per quella che sono, senza giudicare mai. Anche tu sei un emarginato come me. Io mi fido di te.
A quelle parole, Edmund avrebbe tanto voluto mettersi a gridare per la felicità.
Nessuno sapeva mettere in fuga i fantasmi del suo oscuro passato quanto Jane.
−E cosa faresti se scoprissi una verità diversa da quella che ci aspettavamo? – le chiese trepidante.
−Mi basta quello che sei, non da dove vieni – rispose Jane decisa, sfiorandogli le labbra con le sue.
Improvvisamente, il sorriso di sempre era tornato a brillare sul suo viso.
Non riusciva a essere triste per troppo tempo, quando si trovava con Edmund.
−Ti va se stiamo insieme, stasera? – le chiese lui. – Perlomeno ti distrai un po’, in attesa del ritorno di Harry.
Jane parve pensarci un attimo, poi annuì piano.
−D’accordo.
In quel momento, Edmund parve notare qualcuno oltre la spalla della ragazza.
−Ehi, un momento! Ma quello non è Caspian?
Anche Jane si girò, scostandosi una ciocca di capelli scuri che le era scivolata sul volto.
Un giovane di poco più di vent’anni era appena entrato nella Sala d’Ingresso, asciugandosi gli abiti intrisi di pioggia con un colpo di bacchetta.
Al suo passaggio, più di una ragazza gli lanciò un’occhiata furtiva per poi fuggire via ridacchiando.
Nell’ultimo anno, Caspian era cambiato moltissimo.
I capelli erano più lunghi e i tratti esotici sembravano più marcati, come se il ragazzo portasse il segno delle lunghe ore di ronda insieme ai colleghi Auror.
Gli occhi neri erano solcati da aloni scuri e sul mento spuntava una rada barba non curata.
−Ciao, Caspian! – lo salutò Jane correndogli incontro. – Come mai qui?
−Silente aveva bisogno di rinforzi per stanotte – rispose lui scostandosi i capelli dal volto con un gesto stanco. – Avete visto Susan, per caso?
−Quando siamo usciti, era ancora in biblioteca a studiare. Pare sia decisa a giocarsi la salute, per questi G.U.F.O.
Caspian si lasciò sfuggire una risata divertita.
−Vedrò di distrarla un attimo, allora – commentò.
−Attento: sai quanto può essere pericolosa quando si trova sotto esame.
−Come se non lo sapessi! Ci vediamo dopo, ragazzi!
−Ciao!
−Stanotte – osservò Jane qualche minuto dopo, ripensando a ciò che avevano appena udito. – Che Silente si aspetti qualcosa in particolare?
Edmund scrollò le spalle con falsa spavalderia.
−Precauzioni – rispose, più che altro per tranquillizzare se stesso. – Semplici precauzioni.
 
***
 
Draco Malfoy spalancò l’anta dell’Armadio Svanitore.
Uno spiffero d’aria fredda si scaturì dal suo interno buio, senza fondo.
Con un brivido di eccitazione, il ragazzo vi saltò dentro, gli occhi serrati.
Gli sembrò di precipitare nel vuoto per un tempo interminabile, fino a quando i suoi piedi non toccarono qualcosa di solido.
Quando riaprì gli occhi, si ritrovò circondato da alte figure incappucciate.
L’unica ad avere il volto scoperto era una donna di una bellezza selvaggia, i grandi occhi neri pervasi da un’espressione di perversa euforia.
Ben fatto, Draco – sussurrò pizzicandogli la guancia. – Il Signore Oscuro ti ricompenserà lautamente, se stasera porterai a termine la tua missione.
Il ragazzo non disse nulla, limitandosi a scrutare gli incappucciati con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto pallido.
−Tuttavia, egli vuole che tu faccia un altro piccolo sforzo per lui – proseguì Bellatrix Lestrange.
−Non crede che uccidere un uomo sia già abbastanza? – rispose Malfoy, diventando sempre più cereo di attimo in attimo.
La strega scoppiò in una risata stridula.
−Oh, a quello ci penserà lui stesso, ma di certo non può introdursi a Hogwarts di persona per fare giustizia – proseguì. – Vedi, caro, ciò che il Signore Oscuro cerca è qualcuno del tuo stesso dormitorio. Un ragazzo senza famiglia, di cui nessuno conosce le origini.
−Stai per caso parlando di quello sporco filo-Babbano di Pevensie? – esclamò Malfoy, pronunciando il cognome di Edmund come se avesse appena detto una parolaccia particolarmente volgare.
−Ha tradito il suo sangue insudiciando con la sua sola presenza il nome stesso di Salazar Serpeverde. Il Signore Oscuro vuole eseguire lui stesso la condanna, dal momento che gli è già sfuggito una volta.
A quelle parole, Malfoy rabbrividì per l’orrore.
Pochi mesi prima, quando Voldemort in persona era venuto da lui per incaricarlo della sua terribile missione, il ragazzo aveva assistito con i suoi occhi a quello che accadeva a coloro che venivano considerati traditori del proprio sangue.
Smembrati un pezzo alla volta, davanti a una folla di Mangiamorte che li deridevano e li insultavano.
Una tortura lenta e agghiacciante, che terminava nel momento in cui quei miseri resti divenivano il pasto di Nagini, il serpente di Voldemort.
Quella era la fine che spettava a Edmund.
−Pevensie è solo un impiccione, nulla di veramente pericoloso – si lasciò sfuggire Malfoy, inorridendo al solo pensiero di essere costretto a vedere un suo compagno di Casa fare una fine così orrenda.
Bellatrix si lasciò sfuggire una risata che gli fece rizzare tutti i capelli sulla testa.
−Tu credi? – domandò in tono zuccheroso. – Ciò che ti chiede il Signore Oscuro non è un prigioniero qualunque. Ti ricordi la tua adorata zia Alhena? Lei è morta per portarlo in salvo, disobbedendo al Signore Oscuro. Quel ragazzo non è un mago come tutti gli altri. È quanto di più pericoloso possa esistere nel mondo magico.
−Ma non era Harry Potter, quello pericoloso? – protestò Malfoy.
−Non è il solo, purtroppo. E capisci che un’amicizia così profonda tra Potter e questo ragazzo potrebbe significare la fine di tutti noi. Forse lo Sfregiato sarà dotato di buon cuore, ma il suo amico è pur sempre un Serpeverde e vorrà la sua vendetta, quando gli si presenterà l’occasione.
−Lui non si darà pace finché non lo avrà catturato, vero?
−Esattamente. Ma non temere: stanotte siamo qui per aiutarti a non fallire.
Malfoy deglutì.
Non poteva tirarsi indietro in nessun modo.
Edmund Pevensie era ufficialmente condannato a morte.
−Allora, − incalzò Bellatrix passandosi la lingua sui denti in modo osceno – da che parte si entra a Hogwarts?




Angolo me

Buonasera a tutti :)
Come vedete, siamo tornati ai vecchi toni dark dell'anno scorso, anche se in questa storia saranno decisamente più accentuati in vista dello scontro finale.
Spero che questa fanfiction continui a piacervi come i capitoli precedenti!
Vi mando un forte abbraccio e alla prossima!

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F.
       

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Capitolo 4
*** Mangiamorte all'attacco ***




Capitolo 4

MANGIAMORTE ALL’ATTACCO

~






 
Edmund emerse dalla vasca, cercando a tentoni l’asciugamano tra i vapori del bagno dei Prefetti e annodandoselo alla vita.
Si passò una mano davanti agli occhi per tirare indietro una ciocca ribelle e caracollò davanti allo specchio.
Questo gli restituì l’immagine di un ragazzo di sedici anni dal corpo slanciato e flessuoso, il cui incarnato chiarissimo appariva quasi spettrale alla luce della luna.
I tratti del volto erano aristocratici e affilati, con gli zigomi alti e gli occhi grandi e scuri, leggermente allungati all’estremità, come quelli di un cerbiatto, le labbra carnose quel tanto che bastava a donare loro una sfumatura di rosea sensualità.
I corti capelli neri erano lisci e ordinati, fatta eccezione di un ciuffo ribelle che gli scendeva puntualmente sugli occhi in una frangia spettinata.
Edmund sospirò.
Dalle languide occhiate che spesso qualche giovane strega gli lanciava di sottecchi, comprese le sue compagne di Serpeverde, il ragazzo sapeva di essere un mago dotato di un fascino irresistibile.
Tuttavia, in quel momento, davanti allo specchio, egli non riusciva a cogliere la sua bellezza.
Da sempre, era cresciuto con l’idea di essere il frutto di un errore, qualcosa che nessuno aveva desiderato.
Non riusciva a capire come una cosa tanto disprezzata potesse essere in qualche modo bella.
Il ragazzo sbuffò e prese a rivestirsi rapidamente, prendendo gli indumenti puliti dalla sedia su cui li aveva diligentemente impilati prima del bagno.
Indossò velocemente una camicia bianca, sistemandosela sopra i pantaloni grigio scuro della divisa scolastica.
Per quella sera, niente camicione a quadri lunghe fin sotto al sedere o jeans strappati come faceva di solito nei momenti liberi.
Quella era una delle regole fondamentali per non sfigurare con una certa persona.
Edmund afferrò un pettine e prese ad aggiustarsi i capelli sulle tempie.
In un primo momento, provò a pettinarseli all’indietro, poi ebbe un ripensamento e lasciò che la frangia gli celasse buona parte della fronte come al solito.
Una volta finito il lavoro, si chinò sul lavandino e prese a lavarsi frettolosamente i denti.
I suoi gesti erano incerti e nervosi.
Era quasi un anno che lui e Jane stavano insieme.
Non avrebbe mai creduto che un altro essere umano accettasse di dividere la propria esistenza con uno come lui senza considerarlo un mostro.
E non una persona qualunque.
Era stata Jane a salvarlo dalle grinfie di Alhena Black due anni prima.
Era stata lei a svelargli che esisteva un mondo al di là delle pareti della sua prigione.
Era stata lei a fargli capire che la magia in realtà non era solo dolore.
Era stata lei a insegnargli a vivere.   
Gli improvvisi rintocchi provenienti dalla torre dell’orologio lo riscossero dall’ennesima valanga di cupi pensieri.
Il tempo per riflettere era scaduto.
Doveva andare.
Sospirando rassegnato, il giovane mago fece rotolare i panni sporchi giù per lo scivolo nascosto a fianco al lavandino e si mise la bacchetta in tasca.
Era pronto.
Si allacciò le stringhe delle scarpe e si affacciò per un attimo nella camera che divideva con Adam Johnson.
Il ragazzo era completamente immerso nel suo manuale di Incantesimi, pronunciando a mezza voce una formula e tre bestemmie.
Levò per un attimo il capo verso Edmund per lanciargli un distratto “divertiti”; poi sprofondò nuovamente nello studio.
Il ragazzo lanciò un’ultima occhiata circospetta alla sala comune ormai deserta e si defilò nei sotterranei.
A ogni passo verso il piano di sopra, il suo cuore sembrava accelerare sempre di più.
Sembrava assurdo, ma Edmund aveva paura dell’amore.
Molte volte, la persona con cui aveva vissuto per quattordici anni gli aveva mostrato affetto ed altrettante volte quello stesso affetto si era trasformato in una violenza incontenibile verso di lui.
Da quando aveva conquistato la libertà, il ragazzo sapeva che quella donna era folle e malata, eppure, nei momenti in cui Jane lasciava trapelare un qualsiasi gesto di tenerezza nei suoi confronti, si metteva immediatamente in stato di allerta, temendo che quelle stesse labbra rosse che tanto amava potessero scatenargli nuovamente contro quel dolore inimmaginabile che in passato gli aveva lacerato le carni per minuti interminabili, come se fosse divorato da fiamme invisibili.
Si infilò rapidamente nel dedalo di corridoi e scale del castello, fino a giungere all’ultimo piano.
Jane non era ancora arrivata.
In compenso, davanti a lui c’era il dipinto più irritante di tutta Hogwarts.
–Aha, fellone! – gridò Sir Cadogan a mo’ di saluto, balzando giù dal suo grasso pony, che continuava a brucare come se niente fosse. – Allievo fuori dalle camerate, eh?
Edmund sospirò.
Con quel tipo di matti, non c’era altra alternativa che parlare la loro stessa lingua.
–Sono qui per una nobile causa – si schermì.
–Ah, davvero? – lo incalzò il cavaliere. – E quale sarebbe? Furto? Rapina? Omicidio? Importunare una donzell…
–Buonasera! – esclamò una voce squillante in quel momento.
Entrambi trasalirono nel momento in cui Jane fece ingresso nel corridoio.
Nel vedere la giovane strega, Sir Cadogan si tolse immediatamente l’elmo e prese a lucidarlo febbrilmente con il braccio protetto dalla spessa armatura, con l’unico risultato di ricoprirlo di graffi.
–Madamigella Potter! – esclamò inchinandosi sull’orlo della cornice. – Qual buon vento vi porta qui? Sapete che non potete girare per il castello a quest’ora…
–Non preoccupatevi, signore. Lo faccio per una nobile causa.
Il vecchio cavaliere strabuzzò gli occhi sporgenti, spostando lo sguardo ora su Jane ora su Edmund.
–Anche voi, madamigella?
–Sì, e ora, se permettete, dobbiamo andare o faremo tardi – intervenne il ragazzo prendendo l’altra sottobraccio con fare cavalleresco. – Buona serata, Sir Cadogan.
–Buona serata a voi, messeri – li salutò lui, non senza tradire una sfumatura di delusione nella voce.
I due ragazzi avanzarono sottobraccio per tutto il corridoio, poi, appena svoltato l’angolo, Jane scoppiò in una fragorosa risata.
–Sei incredibile, Ed! – esclamò.
–Io quel tizio proprio non lo sopporto – si schermì lui facendo le spallucce.
–In ogni caso, sei un vero gentiluomo! – ridacchiò Jane stampandogli un bacio spettacolare sulla guancia.
I due presero a incamminarsi per il corridoio deserto, fermandosi vicino a una grande finestra che dava sul lago.
La pioggia aveva finalmente smesso di cadere e le nubi tempestose sembravano essersi diradate, lasciando intravedere a tratti il lago illuminato dalla luna piena.
Edmund e Jane si sedettero sul davanzale, prendendo a contemplare il paesaggio mozzafiato, tenendosi per mano.
Le dita della ragazza erano serrate attorno al quarzo rosa che portava al collo.
–Come stai? – chiese Edmund a un certo punto.
–Bene, bene – mentì Jane, la mano ancora serrata attorno al ciondolo. – Tra poco Harry dovrebbe essere di ritorno…
–Pensi che stia andando tutto bene?
–Credo di sì. L’amuleto è ancora freddo. Se mio fratello fosse in pericolo, lo saprei immediatamente.
Edmund annuì.
Il quarzo rosa era il regalo più fenomenale che Hermione avesse fatto ai due gemelli nell’ultimo anno.
Ne avevano uno ciascuno e non se ne separavano mai.
Se uno dei due si trovava in pericolo, la pietra dell’altro prendeva improvvisamente a scottare, mettendolo in allarme.
Un dono estremamente utile, vista la vita piena di rischi che i fratelli Potter conducevano.
Restarono in silenzio per diversi minuti.
Jane, di solito allegra e sempre pronta allo scherzo, era di una serietà spaventosa.
I suoi occhi scrutavano ansiosi il cielo stellato, come se sperasse di veder apparire Harry da un momento all’altro.
Dal canto suo, Edmund non se la sentì di interferire con le sue ansie, restandole accanto come una presenza solitaria e silenziosa.
All’improvviso, Jane si tirò indietro di scatto.
Le sue dita erano di nuovo strette attorno al quarzo.
Nell’arco di una frazione di secondo, la ragazza lasciò andare bruscamente la pietra, lanciando un gemito di dolore.
I suoi occhi erano sgranati per il terrore.
–Harry!– gridò.
Edmund ebbe l’improvvisa sensazione di aver appena ricevuto una secchiata d’acqua gelida.
Per diversi secondi, non riuscì a capacitarsi della gravità della situazione.
–Cosa succede? – balbettò.
–Gli sta accadendo qualcosa di terribile e io non sono con lui! – esclamò lei mettendosi le mani nei capelli con rabbia. – E non so neanche dov’è!
–Come, non te l’ha detto?
Jane lanciò un grido di dolore.
La pietra aveva preso a sfrigolare, bruciandole la pelle.
Ciò bastò a riscuotere Edmund dal torpore.
Con un balzo in avanti, il ragazzo le strappò la catenella dal collo, liberandola dal quarzo incandescente.
–Come sarebbe a dire non sai dov’è andato? – esclamò sconvolto, prendendola per le spalle e guardandola dritta negli occhi.
–Lui n-non ha voluto d-dirmi n-niente – boccheggiò Jane.
–Quel maledetto idiota… – ringhiò l’altro sconsolato.
Il quarzo continuava a sfrigolare sempre più forte sulla pietra ruvida del pavimento.
–Sta morendo… – gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime mentre fissavano l’amuleto bruciare. – HARRY STA MORENDO E IO NON SONO CON LUI!!!!
Edmund imprecò tra i denti.
Non sapeva come avrebbero potuto affrontare quella terribile situazione.
Erano lì a guardarsi negli occhi, immobili e impotenti, mentre Harry Potter moriva chissà dove.
Il ragazzo era sul punto di dare sfogo alla disperazione, quando improvvisamente lo sfrigolio cessò e la pietra tornò improvvisamente fredda.
Entrambi presero a osservarla sbigottiti.
–È…? – il ragazzo non riusciva a pronunciare quella frase terribile.
Con sua enorme sorpresa, Jane scosse lentamente il capo, ancora visibilmente sconvolta.
–No, deve avercela fatta altrimenti la pietra sarebbe distrutta – sentenziò in tono innaturale.
Edmund trasse un sospiro di sollievo.
La ragazza raccolse il quarzo con le mani tremanti e se lo rimise nuovamente al collo, nascondendolo sotto la maglietta.
In quel momento, il cupo brontolio di un tuono scosse l’aria caliginosa della notte.
Jane si irrigidì di colpo sul davanzale. Le sue braccia erano strette attorno al torace, come se fosse scossa da brividi.
I suoi capelli erano dritti e scompigliati da un’energia invisibile, le narici dilatate e i muscoli tesi.
Edmund rabbrividì.
Sapeva che la ragazza aveva captato qualcosa con i suoi poteri. Qualcosa di terribile.
Un’esplosione di passi rimbombò alle loro spalle.
Un gruppo di persone stava arrivando a tutta velocità nella loro direzione.
Riscossasi da quella improvvisa trance, Jane scattò in piedi, una mano stretta attorno alla bacchetta appena sguainata, l’altra reggeva in mano il Mantello dell’Invisibilità che aveva tenuto gelosamente nascosto sotto la divisa fino a quel momento.
–Sotto! – sibilò fra i denti, gettando il tessuto magico sulle loro spalle. In un attimo, entrambi scomparvero dal corridoio.
Un frazione di secondo dopo, davanti a loro comparve il corteo più terrificante che avessero mai potuto immaginare.
I loro mantelli neri sfioravano il terreno, i volti protetti da delle maschere metalliche a forma di teschio, le bacchette sguainate.
In quel momento, una dozzina di Mangiamorte si stava aggirando indisturbata per i corridoi di Hogwarts.
In cima al corteo, Draco Malfoy, pallido e tremante, faceva loro strada, la mano inguantata del primo della fila serrata in una morsa ferrea sulla sua spalla. Accanto a lui, Edmund avvertì chiaramente la rabbia di Jane esplodere da ogni suo poro, insieme a tutto l’orrore per ciò che stava accadendo davanti ai loro occhi.
Il drappello superò di corsa il punto in cui due maghi si erano nascosti e proseguì spedito nell’oscurità.
–Dobbiamo dare l’allarme! – sussurrò Jane da sotto il mantello.
–L’ES! – esclamò Edmund a bassa voce. – Usiamo le monete di Hermione, così guadagneremo tempo!
–Ottima idea! E come facciamo con i professori?
Jane si bloccò di colpo.
La pietra stava tornando calda a vista d’occhio.
–Harry – mormorò. – Io cercherò di prenderli alle spalle.
–No!
–Tu avverti quelli della tua Casa e cerca Piton, poi mettiti al sicuro! – ordinò la ragazza facendo per uscire da sotto il Mantello. – Io vado di sopra. Devo sapere che cosa sta succedendo.
–Io non ti lascio da sola con quei pazzi assassini!
–Non sono da sola – tagliò corto l’altra, indicando la torre di Astronomia con un dito. Sulla sua sommità, una tenue luce si era appena accesa.
–Sono tornati.





Angolo Me

Buongiorno a tutti! :)
Spero che anche questo capitoli vi sia piaciuto come i precedenti.
Mi dispiace interromperlo così, ma volevo evitare di lasciarvi un mattone!
In ogni caso, purtroppo non potrò aggiornare per le prossime due settimane.
Se lo desiderate, però, posso postare in anticipo il capitolo sulla battaglia di Hogwarts, dal momento che è già pronto, così non vi lascio con l'ansia addosso.
Fatemi sapere cosa preferite: io mi comporterò di conseguenza ;)

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A prestissimo! :)
Baci

F.

 

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Capitolo 5
*** La fuga del Principe ***




Capitolo 5

LA FUGA DEL PRINCIPE

~






 
Ulisse inarcò il collo verso il basso, planando leggero sulla torre di Astronomia.
Le sue ali spalancate nel vuoto emettevano appena un fruscio mentre sfidavano le correnti ascensionali.
Seduta sul suo dorso, i capelli neri scompigliati dalla brezza fredda della notte, stava Jane, guidandolo dolcemente verso la loro pericolosa destinazione.
Tutto attorno, il cielo violaceo era rischiarato continuamente dal lampeggiare dei fulmini che riempivano l’aria ferma di elettricità.
Il cavallo alato era nervoso, la ragazza poteva sentire chiaramente la paura tendergli i muscoli del collo e del dorso.
Cercando di controllare a sua volta le proprie emozioni, la giovane strega si chinò su di lui, accarezzandolo dolcemente.
−Coraggio – sussurrò con voce ferma, nonostante avesse improvvisamente la sensazione che il respiro stesse per morirle in gola.
A quelle parole, Ulisse sembrò tranquillizzarsi, perché si inclinò verso il basso, avvicinandosi all’obiettivo.
Lì, le spalle incastrate fra i merli di pietra, stava un’alta figura vestita di lilla, più curva e vecchia di quanto Jane l’avesse mai vista.
Ai suoi piedi, Harry fissava la scena impotente.
Accanto a lui c’era Piton, la bacchetta puntata in avanti, un’espressione impassibile sul suo volto cereo.
I Mangiamorte si stringevano tutti attorno a lui, la testa di Malfoy che spiccava in quella massa nera come una macchia argentea, in attesa di qualcosa.
−Severus, − sussurrò Silente in tono di supplica – ti prego.
Fu una frazione di secondo.
Quell’attimo troppo breve perché il cervello umano possa rendersi conto di ciò che sta effettivamente accadendo, quell’istante a metà strada fra il sogno e la realtà.
Piton levò la bacchetta con freddezza.
Avada kedavra.
Un lampo di luce verde abbagliò la notte, poi il corpo di Silente cadde oltre la balaustra, fluttuando nel vuoto per secondi interminabili come uno spettrale insetto portato dal vento, prima di schiantarsi al suolo con un tonfo sordo.
Nello stesso istante, un lampo di luce accecante squarciò la notte, esplodendo in un gigantesco teschio di fumo nero, dalla cui bocca fuoriuscì un lungo serpente scintillante.
Atterrito da quella orrenda visione, Ulisse scartò di lato, impennandosi nell’aria e tentando la fuga.
La sua reazione violenta riscosse Jane dal torpore allucinato in cui era caduta nel momento in cui Piton aveva lanciato la maledizione, rischiando di precipitare di sotto a sua volta.
Si aggrappò all’ultimissimo istante alla criniera argentea del cavallo, stringendo le gambe attorno ai suoi fianchi e spronandolo a scendere.
−Guardate lassù! – urlò proprio in quell’istante Bellatrix, additandoli. – Prendetela!
Decine di maledizioni balenarono attorno alla ragazza e al pegaso, mancandoli per un soffio.
Ulisse prese a tracciare ampi cerchi, cambiando continuamente direzione per evitare di essere colpito dai lampi mortali.
Jane lo guidava con maestria, cercando disperatamente di avvicinarsi il più possibile allo torre. In tutta quella confusione di mantelli neri e bagliori verdi, non riusciva più a trovare Harry.
Dopo aver tracciato una piroetta nell’aria, Ulisse si abbassò di scatto, portando Bellatrix a tiro.
Stupeficium! – gridò Jane a pieni polmoni.
Una scarica di scintille rosse si scaturì dalla sua bacchetta di salice, polverizzando un merlo a pochi centimetri sopra la spalla della strega, che le rispose prontamente con un Anatema che Uccide.
La ragazza lo schivò per un pelo, appiattendosi sul dorso del suo destriero, per poi lanciarsi alla carica contro i Mangiamorte.
Due di loro caddero sotto i colpi micidiali dei suoi zoccoli, mentre altri aggressori venivano travolti dalla pioggia di scintille rosse che balenava ovunque attorno al corpo di Jane.
Ogni istante che passava, la consapevolezza che Silente fosse morto le lacerava le viscere come tante lame incandescenti.
E tutto questo per colpa di due traditori che lei conosceva benissimo.
Due volti che sembravano scomparsi nel nulla, mentre le prime gocce d’acqua iniziavano a precipitare dal cielo, nascosti dall’intrico di mantelli neri che si accalcavano attorno a lei, crollando sotto i suoi colpi. Jane sapeva essere una guerriera terribile quando la rabbia e il dolore prendevano il sopravvento sui suoi sentimenti.
−HARRY! – gridò con quanta forza aveva nei polmoni.
−Sono qui, Jane! – in una frazione di secondo, il fratello le fu accanto.
Il suo volto era pallido e sporco e un rivolo di sangue rappreso gli colava dal naso fino al collo.
Senza attendere oltre, la ragazza si sporse in avanti, afferrandolo per il torace e aiutandolo a salire dietro di lei.
Con un ultimo Schiantesimo, gettò a terra un Mangiamorte che stava per colpire Harry alle spalle.
–Dove sono Piton e Malfoy? – chiese poi voltandosi verso il fratello.
Harry sembrava fuori sé dallo shock.
–Scappati – fu tutto quello che riuscì a dire con la voce che tremava.
−Non andranno lontano! – esclamò Jane furente, facendo voltare Ulisse e spronandolo con un colpo di talloni.
Il cavallo s’impennò con violenza, nitrendo forte prima di lanciarsi nel vuoto.
La pioggia sferzò il volto dei due ragazzi mentre perdevano rapidamente quota, planando leggeri sul castello.
Da dietro le sue alte finestre, bagliori rossi e verdi lampeggiavano dietro i vetri opachi.
−Pare stiano dando battaglia – osservò Jane. – Mio Dio, ma quanti sono?
−Piton – continuava a ringhiare Harry a pochi centimetri dal suo orecchio, le mani strette attorno alla vita di lei così spasmodicamente da farle male. − È stato Piton…
−Dobbiamo trovarli! – tagliò corto la sorella. – Non permetterò mai che fuggano impuniti!
In quel momento, il fratello sussultò.
−Eccoli! – gridò, indicando il parco. – Sono laggiù!
−Fine della corsa!
Con un altro colpo di talloni, Jane fece planare con grazia Ulisse nel prato di fronte al castello, nello stesso attimo in cui alte fiamme rossastre si alzarono dal tetto della capanna di Hagrid.
Le urla del guardiacaccia echeggiarono nella notte, mentre questi si lanciava con furia fuori dalla sua abitazione per fronteggiare i nemici.
−HAGRID, NO! – gridò Jane lanciandosi per prima all’attacco. – Stupeficium!
L’incantesimo bastò a far dimenticare ai Mangiamorte il loro bersaglio, concentrandosi sui Potter che erano appena smontati da cavallo.
−Scappa, Hagrid! – lo incalzò ancora Harry, ma il mezzogigante non si mosse di un millimetro.
−ULISSE! – esclamò allora Jane, fischiando forte.
A quel richiamo, il pegaso superò con un nitrito selvaggio i Mangiamorte schierati contro di loro, andando a sbattere contro Hagrid, che perse l’equilibrio, finendo proprio sul collo dell’animale, che si alzò in volo con due potenti colpi d’ala, portandolo via con sé verso la Foresta Proibita.
Nel frattempo, i due Mangiamorte che avevano di fronte si erano voltati.
Malfoy e Piton.
Mai tanto odio era balenato dagli occhi verde brillante dei Potter.
Tu! – ringhiò Jane puntando Malfoy. – Sei solo uno sporco, viscido traditore!
Detto questo, si scagliò con rabbia contro di lui, determinata ad arrecargli quanto più dolore potesse immaginare.
Il ragazzo non tentò neppure di difendersi, come se non si rendesse pienamente conto di quanto avesse fatto, ma l’assalto della strega fu stroncato sul nascere da Piton, che la centrò in pieno petto con uno Schiantesimo.
La ragazza crollò sull’erba senza neppure un lamento.
−No! – tuonò Harry nel vedere la sorella esanime a terra. – Lei NO! Sectumsempra!
L’incantesimo gli venne bloccato a metà da Piton, che lo gettò a terra con un solo movimento della bacchetta, disarmandolo.
Un dolore incandescente gli invase le membra, divorandogli i muscoli fino a impedirgli di urlare.
−Come osi usare contro di me i miei incantesimi? – ringhiò l’uomo torreggiando su di lui.
−I suoi…?
Piton aveva appena levato la bacchetta, facendo sparire il dolore veloce come era comparso.
–Sì, Potter, io sono il Principe Mezzosangue.
Prima ancora che Harry potesse rendersi conto del significato di quelle parole, il mago si voltò, afferrò Malfoy con un braccio e scomparve nel nulla in un mulinare di fumo nero.
Il ragazzo restò solo sul prato su cui si allungavano lunghe ombre spettrali proiettate dalla luce aranciata del fuoco.
Con le membra indolenzite, Harry si trascinò accanto al corpo di sua sorella, che giaceva a pochi metri da lui con gli occhi sgranati, simile a una brutta statua di cera.
Innerva – disse piano mentre un fascio di luce invisibile colpiva la fronte della ragazza.
A quell’effluvio di vita, Jane trasalì, scattando a sedere come se avesse preso la scossa.
−Harry! – esclamò. – Dove sono andati?
−Sono scappati – rispose il fratello in tono innaturale.
−Come sarebbe a dire scappati? No, non è possibile! – la ragazza scattò in piedi, guardandosi intorno febbrilmente, le dita strette attorno alla bacchetta con tale forza da far sbiancare le nocche.
In quel momento, una tremenda esplosione echeggiò dalle viscere del castello, come se un’enorme vetrata fosse appena andata in frantumi.
−Hanno bisogno di noi – disse Harry ponendo una mano sulla spalla della sorella. – Il castello è cinto d’assedio e i nostri amici sono tutti là dentro.
Una tremenda scarica elettrica percorse Jane da capo a piedi nel sentir proferire quelle parole.
Il ragazzo sussultò per il dolore, mentre la sorella si slanciava con foga verso la porta del castello.
Una luce assassina le brillava negli occhi verdi.
−Aspetta, Jane! – la richiamò lui, prendendo a correre dietro di lei.
In pochi minuti, furono nel cuore della battaglia.
L’interno del castello era rischiarato dai sinistri bagliori delle maledizioni, mentre nei corridoi echeggiavano grida selvagge.
La maggior parte dei contendenti si era ammassata nell’atrio e nella Sala Grande, la cui parete di fondo era quasi completamente crollata.
Studenti, professori e fantasmi combattevano con ferocia contro uomini e donne avvolti da mantelli neri, che sciamavano contro di loro con macabra grazia.
Non appena fecero ingresso nell’atrio, i due gemelli per poco non inciamparono nel corpo livido di Neville, steso sulla schiena sul pavimento di pietra.
−Neville! – esclamò Harry scartando di lato. – Dove sono gli altri?
−Stanno bene, credo – rispose lui soffocando a stento una smorfia di dolore. – C’è un corpo a terra però, non riesco a capire chi sia. Sono intervenuti anche quelli dell’Ordine.
−L’Ordine della Fenice è qui? – esclamò Jane sorpresa.
Neville abbozzò un’espressione soddisfatta.
−È tutto merito di Edmund – rispose.
Come se quel nome avesse avuto su di lei l’effetto di una doccia fredda, la ragazza scostò con violenza i riccioli scuri che le erano andati davanti al volto e trottò decisa verso la mischia, incrociando subito la sua bacchetta con il primo Mangiamorte.
Anche Harry non stette a indugiare oltre e seguì a ruota la sorella.
Jane abbatté il suo avversario con un solo colpo di bacchetta, poi ritornò alla carica.
I suoi occhi mandavano lampi di rabbia in risposta a tutto il dolore e l’umiliazione che era stata costretta a subire quella notte.
Ma c’era ancora una persona contro cui in quel momento desiderava combattere, l’unica donna al mondo la cui sola presenza le faceva esplodere nel cuore una rabbia irrefrenabile, incandescente ed eccitante, proprio come la natura perversa di quell’essere demoniaco.
−Bellatrix! – tuonò non appena vide quella donna selvaggia svettare fra il turbinio di lampi verdi che si scaturivano dalla sua bacchetta.
In quel preciso istante, Luna Lovegood si tuffò dietro un’armatura, che andò in pezzi  a contatto con l’anatema mortale.
−Lasciala stare! – tuonò una voce decisa.
A Jane si gelò il sangue nelle vene.
Edmund si fece avanti con coraggio, nonostante le gambe gli stessero tremando in maniera incontrollata, deciso ad affrontare il pericolo.
In quel momento, nulla lo divideva da Bellatrix Lestrange.
Nel vederlo così risoluto, la strega ghignò, levando la bacchetta per finirlo, quando il suo gesto si bloccò a mezz’aria.
Anche Edmund si fermò lì dov’era, come congelato.
I loro sguardi si incrociarono in una gelida sincronia, gli occhi del ragazzo sgranati da un orrore che si faceva sempre più vivo, quelli della strega dilatati da un’euforia quasi demoniaca, come se avesse scorto in lui qualcosa di più di un gracile ragazzino spaventato.
Quell’espressione raggelò Jane più di qualunque anatema scagliato dalla Lestrange.
C’era qualcosa di orribile nell’aria, un tremendo pericolo contro cui i suoi poteri la stavano mettendo disperatamente in guardia, percuotendole la pelle di brividi incandescenti.
−NO! – urlò scagliandosi in avanti e spingendo via Edmund.
La violenza della sua spinta fu talmente forte, che il ragazzo crollò a terra, ma fu sufficiente a spezzare quell’inquietante contatto visivo che si era instaurato fra lui e Bellatrix.
−Prendi Luna e mettetevi in salvo! – ordinò la ragazza. – ADESSO!
Il ragazzo si rialzò barcollando, fissando Jane con aria supplichevole, ma la tremenda paura che aveva avuto in quel momento fu più forte di qualsiasi cosa.
Con un immenso sforzo, Edmund raccolse Luna da terra e insieme fuggirono per il corridoio.
Jane si voltò verso Bellatrix.
Lei le rivolse un’occhiata sprezzante.
Nonostante si sentisse divorare dalla paura al solo tentativo di sostenere quello sguardo deformato dalla follia, la ragazza scagliò uno Schiantesimo.
L’altra lo attese paziente, poi con un solo movimento della bacchetta lo condensò fra le sue mani, facendolo esplodere con un crepitio di fiamme invisibili.
Jane si preparò a un nuovo tentativo, ma la Lestrange la precedette.
Con una impercettibile rotazione del polso, la donna riuscì a gettarla dolorosamente a terra, poi, con un altro movimento, il braccio sinistro della ragazza si piegò innaturalmente all’indietro, formando un angolo retto.
Jane urlò a pieni polmoni mentre avvertiva l’omero spezzarsi in due come un grissino.
Bellatrix, implacabile, agitò la bacchetta e il corpo della ragazza venne scagliato con violenza contro il muro.
−Jane! JANE!
La ragazza vide con la coda dell’occhio un giaccone di pelle viola superarla con un balzo, mentre Tonks incrociava la sua bacchetta con la zia.
−Che cosa le hai fatto, puttana? – esclamò la giovane strega prendendo a scagliare incantesimi con rabbia.
Ma improvvisamente Bellatrix sembrava aver perso la voglia di combattere, come se il suo obiettivo fosse cambiato.
Fece un rapido cenno ai suoi compari, poi si voltò con grazia e si dileguò lungo il corridoio, fino a svanire per i prati bui argentati dalla pioggia.
I suoi compagni la seguirono, lasciando insieme la battaglia.
Tonks e gli altri si lanciarono al loro inseguimento.
Altri incantesimi rischiararono la notte, ma i loro bersagli erano ormai fuori tiro.
Jane rimase distesa sul pavimento.
Il dolore le rendeva impossibile pensare a qualsiasi altra cosa.
Sentiva le forze abbandonarla e la vista farsi sempre più debole.
Udiva delle urla indistinte e percepiva la presenza di tanti piedi che correvano attorno a lei.
Poi tutto divenne buio.




Angolo me

Buonasera! :)
Come promesso, oggi aggiornamento anticipato!
Che ne pensate della battaglia di Hogwarts?
E cosa farà ora Bellatrix, visto che Edmund è riuscito a sfuggirle ancora una volta?
Come vi accennavo ieri sulla mia pagina Facebook, gli aggiornamenti rimarranno regolari anche per questa storia, a meno che non sorgano imprevisti per cause di forza maggiore che vi verranno comunicati per tempo.

Proprio per questo vi invito a tenere d'occhio questo link: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A presto!

F.

 


 

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Capitolo 6
*** Dopo la battaglia ***




Capitolo 6


DOPO LA BATTAGLIA

~

 
 
 
Si risvegliò accarezzata dalla luce del sole sul viso.
Qualcuno doveva averla portata in infermeria durante la notte.
Il braccio non le faceva più male.
Provò a muoverlo con circospezione e notò con sollievo che Madama Chips era già riuscita ad aggiustarglielo, ma il senso di indolenzimento per le percosse della sera prima ancora non la abbandonava.
Provò a voltare il capo a destra e a sinistra e si accorse con sorpresa di avere a fianco la compagnia dall’assortimento più assurdo che si potesse immaginare.
Da una parte c’era Harry, il volto nascosto fra i gomiti mentre dormiva con la testa appoggiata sul comodino; dall’altra, abbandonato su una sedia, anche lui profondamente addormentato, stava Edmund.
La cosa suscitò in lei un tale sgomento da farle scappare una risata secca, alla quale entrambi i ragazzi si svegliarono sussultando.
−Jane!
−Oh, Jane!
Harry fu più rapido, prendendole una mano fra le sue.
Nel rivedere di nuovo suo fratello accanto a sé come se fra loro non ci fosse stato alcun litigio, riempì il cuore della ragazza di un’emozione indescrivibile.
−Oh, Harry…Che cosa è successo? Com’è finita la battaglia? State tutti bene?
−Più o meno tutti – rispose lui.
−Che vuoi dire?
−Vedi, si tratta di Bill – il ragazzo indicò un letto circondato da tende alle sue spalle. – Greyback l’ha aggredito. Le ferite al volto lo lasceranno sfigurato, purtroppo.
A quelle parole, Jane si portò una mano alla bocca, soffocando un moto di orrore.
−E…gli altri? – domandò con voce flebile.
−Stanno bene, anche se tutti con qualche taglio e un bel po’ di lividi – rispose Harry; poi alzò lo sguardo verso Edmund. – Comunque, è stato tutto merito di Edmund se siamo ancora vivi – commentò soddisfatto. – Se non fosse stato per lui, non so come avremmo fatto a resistere.
A quelle parole, l’altro si schermì con una disinvolta alzata di spalle.
−Ora è tutto finito – disse abbozzando un sorriso, anche se non riusciva a celare tutto il suo imbarazzo.
Jane riuscì finalmente a regalargliene uno dei suoi, facendolo letteralmente sciogliere come neve al sole.
−Quand’è che voi due vi deciderete ad andare finalmente d’accordo? – chiese scagliando occhiate maliziose ora in direzione di Edmund, ora del fratello.
−Sai, il fatto che la cicatrice cominci a bruciarmi tutte le volte che il tuo amico si avvicina mi rende tutto un po’ complicato – rispose Harry massaggiandosi la fronte.
−Ciò non ti esime dal comportarti gentilmente con lui – lo rimproverò Jane.
−Io non lo tratto male!
La ragazza sbuffò in maniera vistosa, sollevando in aria buona parte della frangia.
−Io credo che la signora Weasley mi stia chiamando… − si affrettò a svignarsela Edmund, capendo che l’argomento si stava facendo scottante, come del resto finiva tutte le volte che ci andava di mezzo lui.
I due fratelli rimasero soli, uno accanto all’altra.
−Dovrò stare qui ancora per molto? – domandò la ragazza.
−Non credo – rispose Harry. – Madama Chips passerà tra poco per assicurarsi che ti sia ripresa dallo shock, poi potrai uscire.
−Cos’è successo dopo che sono svenuta?
Harry si bloccò per un attimo.
Sapeva che dietro quella domanda si nascondeva la risposta che nessuno dei due avrebbe mai voluto udire.
−Allora è vero? – domandò con la voce spezzata. – Silente è morto, non è così?
Harry trasse un profondo respiro, poi annuì lentamente.
Quel muto gesto fece più male di qualunque anatema.
Fino all’ultimo, Jane aveva sperato di essere stata ingannata dai suoi stessi occhi, che tutto ciò che stava accadendo non fosse altro che l’ennesima messinscena del Preside di Hogwarts per cavarsela, com’era accaduto in passato, tante volte.
Ma quella volta non era andata come sperava.
Albus Silente, la persona che li aveva sempre guidati sin dal loro ingresso nel mondo magico, non c’era più.
E loro erano soli, soli contro un esercito senza volto disposto a tutto pur di distruggerli.
Sembrava il peggiore degli incubi, eppure era la realtà.
Jane non voleva accettarlo.
Non poteva.
Tuffò il volto fra le mani, prendendo a singhiozzare sommessamente.
L’unica cosa che ritornò come tutte le volte che si era sentita sola e aveva avuto paura, fu il calore delle braccia di suo fratello che le circondarono le spalle, stringendola a sé con quella dolce timidezza che sapeva mostrare solo all’unica parte della sua famiglia su cui poteva ancora contare.
Avvertendo di nuovo Harry accanto a sé, il suo porto sicuro e la sua forza, Jane riuscì per un attimo a dimenticare il dolore atroce che la consumava, capendo di non essere ancora del tutto sola in quel mondo ostile che l’aveva strappata alla sua tranquilla vita tra i Babbani a cui aveva sempre creduto di appartenere.
−Harry! – singhiozzò. – Se non fosse per te, io…non so proprio che cosa farei! Scusami per ieri, davvero, scusami!
−Stai tranquilla, Jane – la rincuorò lui battendole un timido colpetto sulla spalla. – Piuttosto sono io quello che si deve scusare per essermi fatto accecare dall’ira, ieri sera. Non volevo che venissi con me perché temevo per la tua vita. Non sai le cose orribili che sono accadute in quella caverna…
 Jane si discostò violentemente da lui.
 −Ieri sera il quarzo è diventato improvvisamente incandescente – disse guardandolo dritto negli occhi.
 −Sono stato attaccato da degli Inferi. Se non fosse stato per Silente, probabilmente sarei morto.
A quelle parole, la sorella sbiancò.
−E l’Horcrux? Siete almeno riusciti a distruggerlo?
Harry fece una smorfia amara.
Si infilò una mano nella tasca della felpa, estraendovi un vecchio medaglione arrugginito e facendolo ricadere sulle coperte.
La sorella trasalì, scrutando l’oggetto con sospetto.
−È un falso –spiegò il ragazzo con la voce che tremava dalla rabbia. – Un certo R.A.B.  si è introdotto nella caverna prima di noi e lo ha sostituito. C’era un biglietto assieme a questo coso.
Harry riprese il falso medaglione, facendolo sparire nuovamente nella tasca.
−Per prenderlo, Silente si è sacrificato al posto mio bevendo una pozione che lo ha ridotto allo stremo delle forze – chiuse gli occhi per un attimo, come se stesse cercando di cancellare una terribile visione che fosse ritornata improvvisamente nei suoi pensieri. – Ed è così che non ha potuto difendersi da Piton.
Nel sentirlo rievocare i fatti della sera prima, Jane soffocò a stento una nuova ondata di lacrime.
–Allora è stato davvero Piton? – chiese sgomenta.
−Silente lo stava supplicando, ma lui non ha mostrato alcuna pietà. Lo ha ucciso a sangue freddo quando sapeva che non avrebbe potuto difendersi in alcun modo.
La ragazza si mise le mani nei capelli.
Quella versione dei fatti era più di quanto potesse sostenere.
Severus Piton, uno dei loro professori più qualificati, per quanto severo, che li aveva istruiti per ben sei anni, nonché fedele membro dell’Ordine della Fenice, disposto a mettere a repentaglio la sua stessa vita pur di aiutarli.
Senza contare che durante il loro primo anno non aveva esitato a proteggere Harry dallo stesso Voldemort, quando questi aveva trovato il modo di entrare a Hogwarts.
Nonostante in tutti quegli anni il professore aveva mostrato tutt’altro che benevolenza verso i due gemelli, in realtà Jane sapeva che in lui si nascondeva una brava persona su cui contare, una creatura molto più straordinaria di quanto il suo aspetto repellente volesse far credere.
Lei non poteva sbagliare, lei lo  sentiva.
Questa sua improvvisa constatazione le fece montare la pelle d’oca.
−Piton? – ripeté allibita. – Non può essere, non può…I miei poteri avrebbero dovuto percepirlo!
−Jane, quell’uomo nuota nella Magia Oscura da quando era poco più di un ragazzo! È stato un Mangiamorte! Non credere che non conosceva il modo di ingannarti, quando sapeva che avresti potuto scoprirlo da un momento all’altro!
−Ma tutto questo non ha senso! Voglio dire, avrebbe potuto fare quello che ha fatto molto tempo fa! Senza contare che non ha esitato a salvarti la vita quando Raptor ha tentato di ucciderti!
−Faceva parte della commedia, che cosa credi? Sorella, perché ti ostini a fare lo stesso errore di Silente? Come puoi pretendere di vedere del bene in tutti, anche in coloro in cui non ne esiste neanche una briciola?
La ragazza gli scoccò un’occhiata carica di severità.
−Dimentichi la nausea che mi prende tutte le volte che intercetto l’energia malefica di Bellatrix Lestrange. O lo schifo che provo nei confronti di Draco Malfoy – ribadì risoluta. – Per non parlare delle vertigini che avevo ogni volta che mi trovavo nelle vicinanze di Barty Crouch junior. Perché Piton non ha fatto la stessa cosa?
Harry levò gli occhi al cielo.
−È inutile farti ragionare – sospirò. − È ovvio che Piton non poteva usare la stessa tattica, altrimenti avrebbe immediatamente rivelato la sua posizione. Abbiamo a che fare con un attore molto bravo.
−Io non riesco a crederci, Harry! Sento che le cose non stanno esattamente come dici!
−Piton o non Piton, abbiamo ancora degli Horcrux là fuori, nonché la ricerca dell’unica arma che ci aiuterebbe ad avere la meglio su Voldermort. E, non so se ci hai fatto caso, non abbiamo più nessuno a guidarci in quest’assurda ricerca – tagliò corto il ragazzo.
Jane incrociò le braccia.
−Che cosa vuoi fare, ora? – chiese.
−Lascerò la scuola e mi metterò alla ricerca degli Horcrux. Se vuoi, vorrei tanto che venissi con me. Sei l’unica persona che vorrei al mio fianco in un momento del genere.
A quelle parole, Jane saltò su in preda al panico.
−Lasciare la scuola? – squittì.
−Hogwarts non è più un posto sicuro e in ogni caso le lezioni ci rallenterebbero le ricerche. È una questione tra noi e Voldemort e gli altri faranno bene a restarne fuori – decretò Harry. – Ormai è chiaro che il nostro nemico mira a distruggere quanto abbiamo di più caro al mondo per indebolirci. Non abbiamo altra scelta che proseguire da soli, per non offrirgli altri punti deboli. Per questo motivo ho lasciato Ginny.
Quella notizia lasciò la sorella senza parole.
−Come sarebbe a dire hai lasciato Ginny? – tuonò inviperita, incapace di credere che il fratello avesse osato un tale affronto nei confronti di una delle sue migliori amiche. – Sei proprio un deficiente!
A quelle parole, Harry le scoccò un’occhiata di ghiaccio.
–L’ho fatto perché la amo, Jane!
–Ah, sì? Bel modo di dimostrarlo, complimenti!
–Se così non fosse, l’avrei portata con noi, così sarebbe stata libera di farsi ammazzare come Sirius o Silente!
–Sei una cosa impossibile, lasciatelo dire!
–Non avevo scelta! Non sai quanto sto male in questo momento! E ti consiglio caldamente di fare lo stesso con Edmund.
Quell’ultima affermazione bastò a far arrossire Jane fin sopra le orecchie.
–Non capisco che cosa c’entri Edmund in questa storia…– balbettò sulla difensiva.
–C’entra eccome, sorella – rispose Harry severo. – Si vede benissimo che cosa sta passando per la testa a voi due. Non vorrai mica portarlo con noi per questo motivo!
–Ma Edmund ci serve! – tuonò Jane furibonda. – È l’unica persona che può aiutarci a far luce sulla profezia. Pensaci, Harry. Per anni è stato prigioniero di Alhena Black, sorella di Bellatrix Lestrange, nonché l’unica persona a essere a conoscenza dell’arma segreta.
–Alhena Black è stata uccisa la sera stessa del ritorno di Voldemort e la sua villa ridotta in cenere, ricordi? Penso che tutto quello che riguarda quella donna ci conduca a un binario morto, ormai.
–Ma c’è ancora un testimone! Voglio dire, ci sarà un motivo per cui Edmund è stato segregato per anni. Forse aveva visto qualcosa che non doveva.
–E come pensi che possa ricordarselo? Forse hai dimenticato quello che ha detto Madama Chips la notte che l’hai portato qui: quel ragazzo ha subìto dei traumi indicibili, il suo cervello ha come resettato ogni cosa avesse a che fare con la sua prigionia. Ti ricordi quanto ci ha messo a rammentarsi come si chiamava? Insomma, lo sai meglio di me che cosa significa essere prigionieri di una donna del genere…
 –È proprio per questo che ha bisogno del nostro aiuto. Lui non ha altri che noi. Non possiamo lasciarlo solo, non ora che si sta ricostruendo una vita.
–Avrà l’intera famiglia Pevensie a prendersi cura di lui mentre staremo via e, credimi, conoscendolo sarà molto meno stressante per lui vivere con un tetto sopra la testa piuttosto che trascorrere un tempo incalcolabile alla ricerca di qualcosa che forse non troveremo mai, con il rischio di essere ammazzato da un momento all’altro.
–Perché ti ostini a trattarlo come uno stupido quando sai benissimo che non lo è?
–Non sto dicendo questo. Sto cercando di fare la scelta migliore per tutti. Insomma, farlo venire con noi significherebbe solo rendere le cose più difficili. Non vedi che non riesco a scambiare neanche due parole con lui senza che mi faccia male la cicatrice? Senza contare il fatto che Edmund comincia a tremare come una foglia non appena sente pronunciare la parola Mangiamorte.
–Ti ricordo che è stato grazie a lui se ieri notte non ci siamo fatti ammazzare tutti – sottolineò Jane. – E poi sono convinta che lui c’entri in questa storia molto più di quanto crediamo. E che anche Voldemort lo sappia. Io non mi fiderei a lasciarlo da solo.
Harry sbuffò esasperato.
–Ti ho già detto che non starà da solo, ma a casa dei Pevensie. Sono i suoi genitori adottivi!
–Ma lui lo sa?
    Prima ancora che la frecciata andasse a segno, il silenzio ovattato dell’infermeria venne infranto da un’esplosione di passi inferociti sul pavimento di marmo.
Un attimo dopo, di fronte al letto comparve Hermione, i lunghi capelli castani talmente arruffati da sembrare percorsi da elettricità, seguita a ruota da Ron, Susan ed Edmund.
–Che cos’è questa storia? – tuonò la ragazza inferocita. – Non solo lasci Ginny di punto in bianco, ma pretendi anche di svignartela senza di noi?
–Hermione, parla piano! – le intimò Ron indicando le tende tirate che nascondevano il letto di Bill.
–Ah, sta’ zitto, Ronald! – lo rimbeccò lei; poi soggiunse a voce più bassa, rivolta a Harry:
–Tu non vai da nessuna parte senza di noi!
Il ragazzo sgranò gli occhi allibito.
–Come sapete…?
–Non credere che la tua ragazza potesse tenere nascosta una cosa simile proprio a noi! – esclamò Hermione. – Già il modo in cui hai trattato tua sorella ieri sera è a dir poco vergognoso, ma adesso sei andato ben oltre il limite, caro mio! Come pensi di tenerci fuori dopo tutto quello che abbiamo affrontato insieme, sin da quando eravamo bambini?
–Io lo faccio solo per proteggervi – si difese Harry.
–Non capisci che è proprio quello che Tu-Sai-Chi vuole, razza di testone? – lo interruppe la ragazza. – Se siamo divisi, sarà uno scherzo venirci a cercare uno per uno e farci fuori con calma. Se  lavoriamo insieme, invece, come una vera e propria squadra, avremo qualche speranza di batterlo sul tempo. Non hai pensato a questo?
Harry abbassò il capo, le spalle curve e l’aria afflitta dopo quella lavata di capo.
Sentiva lo sguardo di tutti i presenti bruciare su di lui con severità.
In fondo, avevano ragione.
Era lui dalla parte del torto, non poteva negarlo.
Del resto, se aveva scelto di portare Jane con sé, la persona più cara che aveva al mondo, come poteva lasciare indietro gli altri?
–E va bene – si arrese. – Come vogliamo fare?
–Bill e Fleur si sposano in concomitanza con il vostro diciassettesimo compleanno – rispose Ron per tutti.
A Jane si illuminò lo sguardo.
–Si sposano? – esclamò entusiasta.
Ron fece una smorfia.
–A quanto pare, Flebo ama sul serio mio fratello – sospirò in tono rassegnato.
–Te lo avevo detto! – disse l’altra sfoderando un sorrisetto malizioso.
–Ma torniamo a noi – intervenne Hermione decisa. – Abbiamo ancora due settimane prima del matrimonio per tornare a casa, salutare i nostri genitori e ritrovarci tutti alla Tana come base. Non diremo nulla agli altri, per evitare che ci blocchino. Una volta arrivato il 31 luglio, la Traccia svanirà anche a te e Jane e perciò potremo girare liberamente senza correre il rischio di venire intercettati.
–Chi saremo? –azzardò Harry.
–Noi cinque, che domande! – tagliò corto la ragazza.
Da dietro la spalla di Ron, Edmund gli lanciò un sorriso imbarazzato.
Per un attimo, la cicatrice fu percorsa da una fitta acuta, ma Harry era troppo arrabbiato per darvi peso.
–Vi ricordo che questo non è un gioco – li avvertì severo.
–Se l’avessimo preso come tale, a quest’ora non saremmo qui a parlare – ribatté Jane. – Pensate che Ulisse possa servirci?
–Certo che sì – rispose Hermione. – In passato si è mostrato di grande aiuto e poi non credo che vorrai lasciare da solo il tuo cucciolo.
La ragazza le lanciò un’occhiata carica di gratitudine.
–Che cosa state facendo ancora qui? L’ora delle visite è finita! – tuonò improvvisamente la voce di Madama Chips alle loro spalle.
Un attimo dopo, l’anziana strega emerse dalle tende tirate di fronte al letto di Bill.
–Andate subito di sotto per il pranzo – ordinò burbera. – Signorina Potter, lei resti qui, che preferirei aspettare questo pomeriggio per dimetterla.
–Va bene – rispose Jane in tono rassegnato.
–A dopo, sorella – la salutò Harry lanciandole un sorriso di incoraggiamento e accodandosi con gli altri per scendere di sotto.
Madama Chips non aveva neanche fatto in tempo a sedersi accanto alla ragazza per verificare le sue condizioni, che una voce imbarazzata ruppe il silenzio che era appena calato.
–Non è che potrei restare? – domandò Edmund timidamente.
–Signor Pevensie, credevo di essere stata abbastanza chiara – lo rimproverò la strega aggrottando le folte sopracciglia grigie.
–Per favore, signora.
Lo sguardo eloquente con cui Jane accompagnò quelle parole fu più efficace di qualsiasi supplica.
–Ah, i giovani – borbottò l’anziana infermiera. – E va bene, Pevensie, può restare, ma a patto che mi lasci lavorare.
I due ragazzi si lanciarono uno sguardo complice a quelle parole.
Madama Chips si allontanò borbottando per prendere dei medicinali.
Edmund ne approfittò per sedersi sul bordo del letto.
Le sue dita si intrecciarono delicatamente con quelle di Jane.
–Sono contenta che vieni con noi – mormorò la ragazza con gli occhi che brillavano.
–Anch’io, Jane – rispose Edmund con il cuore che gli batteva all’impazzata. – Ovunque andrai, io ti seguirò.





Angolo Me

Buonasera! :)
Come vedete, sono riuscita ad aggiornare!

Vi informo che questo sarà l'ultimo capitolo in cui seguirò passo passo la versione della Rowling.
Credete forse che Bellatrix si sia arresa al mancato rapimento di Edmund?
Lo scoprirete martedì prossimo, anche se vi premetto che sicuramente non aggiornerò a un orario umano...
Tenete d'occhio la mia pagina Facebook, mi raccomando!
Un bacio

F.

 

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Capitolo 7
*** L'agguato ***




Capitolo 7

L’AGGUATO

 ~

 
 
Per Jane, l’estate era il breve momento in cui la sua vita sembrava ritornare alla normalità.
Dormiva finalmente nel suo letto, nella sua piccola stanza dalle pareti candide ricavata in una mansarda, dove poteva ritrovare i suoi quintali di CD schiacciati sugli scaffali, i peluche impolverati, i poster giganti delle sue band babbane preferite, i romanzi fantasy che divorava con avidità ogni settimana.
E poi c’erano i profumi, quei profumi confortanti con cui era cresciuta: quello del pane tostato che mamma Wendy metteva su tutte le mattine, quello di caffè e tabacco di papà Albert, quello di erba tagliata di Dennis, quello di frutti di bosco di Cecilia.
I Collins erano una famigliola di campagna che sedici anni prima aveva accettato di adottare Jane.
Erano Babbani, ma ciò non aveva impedito loro di lasciare andare la loro figlioccia quando, il giorno del suo undicesimo compleanno, le era arrivata la fatidica lettera da Hogwarts.
Una lettera attesa, dato che pochi mesi prima Jane aveva subìto lo shock si scoprire le sue vere origini in modo tutt’altro che piacevole, oltre al fatto di avere un fratello gemello di nome Harry.
Certo, la ragazza amava la magia e non avrebbe mai potuto immaginare un mondo che ne fosse stato privo, tuttavia accusava di tanto in tanto un crescente malessere, dovuto per lo più ai pericoli mortali che tale scoperta aveva portato.
Ogni anno, il suo mese a casa era fonte di un sospiro di sollievo.
Era quella, in fondo, la sua vera famiglia, il posto a cui apparteneva.
Lei era una Collins.
Era una nuvolosa mattinata di metà luglio.
Ancora pochi giorni e avrebbe raggiunto suo fratello alla Tana.
Le restava davvero poco tempo per stare con la sua famiglia adottiva.
Jane si tirò su a sedere e caracollò fino in bagno, dove si sistemò le lenti a contatto sugli occhi verdi; poi, una volta vestita, trotterellò al piano di sotto.
Lì trovò gli altri già seduti al tavolo per la colazione.
Wendy stava ai fornelli, mentre Albert leggeva il giornale con le gambe accavallate sopra a una sedia.
Dennis e Cecilia stavano finendo rapidamente la loro generosa razione di latte e biscotti.
La ragazza si accomodò fra loro, cominciando a versarsi i cereali nella tazza.
Gli altri due le sorrisero dolcemente.
Dennis era un ragazzone biondo di ventidue anni.
Tenace giocatore di football, studiava medicina e quell’anno sarebbe finalmente riuscito a sostenere il tanto attesto stage negli Stati Uniti.
Cecilia, invece, aveva nove anni ed era una pestifera ragazzina dai lunghi capelli castano ramato e il lentigginoso naso all’insù.
Jane sospirò tristemente nel vivere quella scena ancora una volta.
Lo stesso atteggiamento pacato che avevano assunto i Collins in quegli ultimi giorni era una chiara conferma che anche loro erano presi dagli stessi pensieri.
Quella sarebbe stata l’ultima estate che la ragazza avrebbe trascorso con loro.
Dopo il 31 luglio, la Traccia sarebbe scomparsa e con lei anche la protezione che celava la casa ai Mangiamorte.
Per evitare che la stessa famiglia diventasse un bersaglio, da quella data in poi nessuno avrebbe più abitato lì fino a quando Voldemort non fosse stato sconfitto.
Cosa che avrebbe potuto protrarsi per molto tempo.
–Ci hanno appena dato la conferma per la casa a New Orleans – disse Albert in quel momento, come leggendole nel pensiero. – Ci aspettano per il 23 sera.
Jane continuò a rigirare i corn-flackes nel latte, ignorando la tremenda fitta che le aveva serrato lo stomaco in quel momento.
−È bella? – chiese Cecilia con una lieve punta d’ansia nella voce.
−Avremo il giardino, non preoccuparti.
−Perché Jane non può venire?
−Ho da fare con la scuola, ma prometto che verrò non appena sarò un po’ più libera – si affrettò a rispondere la ragazza.
−La nostra studiosa! – scherzò Dennis battendole una pacca sulla spalla, anche se in cuor suo non avrebbe mai permesso che la sorellastra restasse sola in una situazione così drammatica.
−Ci scriverai? – incalzò Cecilia.
−Ogni settimana, promesso – assicurò Jane.
La bambina si accovacciò sulla sedia con fare imbronciato.
–Non voglio andarmene senza di te – brontolò.
L’altra le cinse le spalle con un braccio, baciandole i capelli intenerita.
−Passerà presto, vedrai – tentò di rassicurarla. – Sarà esattamente come quando vado via per la scuola. Non te ne accorgerai neanche.
−Ma se poi mi trovo male? Se non riesco a fare amicizia con gli altri bambini, nella nuova scuola?
−Ci sarà Laura a farti da sorella grande – Jane strizzò un occhio a Dennis.
Il ragazzo arrossì vistosamente.
Quell’anno, infatti, c’era stata una grande novità ad attendere la giovane Potter nel suo ritorno a casa: Laura Jenckins, la sua inseparabile amica d’infanzia, si era fidanzata con Dennis.
Non che Jane ignorasse la cosa, anzi, erano parecchi anni che attendeva il passo decisivo di quelle due eterne tortorelle, ma non credeva che potesse capitare in un momento così difficile per lei e la sua famiglia.
−Jane, − disse a quel punto Dennis – potrei parlarti un attimo, per favore?
La ragazza annuì.
Entrambi si alzarono e si diressero in giardino.
A pochi metri da loro, Ulisse pascolava placidamente vicino alla staccionata, mentre Ralf gli trotterellava attorno alle zampe, richiamando inutilmente la sua attenzione.
Nel veder uscire i due ragazzi, il cane si lanciò con foga verso di loro, saltando letteralmente in braccio a Dennis.
−Per quanto siano nobili le tue ragioni, sono sempre più tentato a farti venire con noi – disse il ragazzo, serio in volto.
−Non capisci che loro mi seguiranno anche in capo al mondo? Preferisco restare qui e affrontarli, se è questo che vogliono – rispose Jane in tono deciso.
−Per anni ho condiviso il tuo segreto insieme a mamma e papà, accettando qualsiasi conseguenza. Ma questo è davvero troppo. Non posso permetterti di metterti ancora in pericolo per colpa di questi pazzi assassini.
A quelle parole, la ragazza lo fissò dritto negli occhi, furibonda.
−Ascoltami bene, − disse – purtroppo nessuno di noi ha avuto scelta, ma cerca di metterti in testa che questo è un paese in guerra e poco importa di chi sarà a farne le spese. Almeno tu hai avuto la fortuna di vincere quel concorso negli Stati Uniti e grazie a questo potrai portare mamma, papà e Cecilia lontano da qui, al sicuro. Non tutti avranno questa possibilità.
−Ma tu non ci sarai.
Jane rivolse lo sguardo all’orizzonte.
−Tu mi hai sempre conosciuta come una sorella a tutti gli effetti – rispose. – Dimentichi una parte non indifferente della mia identità. Io sono una strega e come tale ora devo prendermi le mie responsabilità. Tornerò, Dennis. È una promessa.
Il ragazzo scosse il capo sconsolato.
−Mamma e papà non avrebbero mai dovuto permetterti di andare in quella scuola – disse in tono amaro.
Jane scoppiò in una risatina.
−E a che cosa sarebbe servito fingere che non fosse accaduto nulla? – osservò. –Purtroppo, ho ancora delle radici nella mia vecchia famiglia che non posso in alcun modo estirpare.
−Ciò non toglie il fatto che sei mia sorella.
A quelle parole, la ragazza si sentì stringere lo stomaco.
Dopo tutti quegli anni, neppure Dennis era riuscito ad accettare del tutto il fatto che sarebbero rimasti divisi per sempre da una barriera invisibile costruita dalle loro stesse bugie.
L’errore più grande che i Collins avessero fatto con lei, pensò, era stato quello di nasconderle le sue vere origini, crescendola come se facesse davvero parte della loro famiglia.
E lei continuava ad appigliarsi a un legame che ormai non aveva più alcun valore.
Ciononostante si tolse il quarzo rosa che portava al collo, estraendo la bacchetta e puntandola dritta al centro della pietra.
Reducto – sussurrò piano.
Il ciondolo vibrò impercettibilmente, poi si spaccò in due metà perfettamente identiche.
Jane ne prese una e la depose fra le mani di Dennis, riallacciandosi l’altra al collo.
−Con questa pietra saprai sempre dove sarò. Portala con te. Io ho l’altra metà. Resteremo sempre in contatto, anche se saremo divisi da chilometri e chilometri di oceano.
Il ragazzo nascose il prezioso frammento nella tasca.
I suoi occhi azzurri si accesero di un sorriso commosso.
Jane lo abbracciò forte, lasciando che i suoi poteri gli dessero la forza necessaria ad accettare quella separazione imminente.
−Ovunque tu andrai, qualunque cosa tu stia facendo, tu per me sarai sempre Jane Collins – sussurrò Dennis.
−E tu sarai sempre il mio fantastico fratellone – rispose l’altra, lottando per non abbandonarsi alle proprie emozioni. – Abbi cura della nostra famiglia.
−Lo prometto.
In quel momento, la loro attenzione fu attirata da Ralf, che si era lanciato scodinzolando verso il cancello.
Lì, una ragazza dai lunghi capelli castani li salutava allegramente con la mano.
−Laura! – esclamarono i due ragazzi, lieti di vederla.
Dennis fu più veloce, superando Jane e tuffandosi tra le braccia della sua ragazza.
Le loro labbra si incontrarono nel bacio più dolce che si potesse immaginare.
Jane rimase in disparte, osservandoli intenerita.
Il suo cuore galoppò oltre la collina, dove sapeva esserci Edmund.
Per un attimo, immaginò lei e il ragazzo nella stessa identica situazione.
Era una settimana che non si vedevano.
Jane sospirò.
Ancora pochi giorni e sarebbero stati di nuovo insieme.
 
***
 
Una cupa atmosfera aleggiava su casa Pevensie.
Sembrava di essere ritornati ai tempi del divorzio tra i genitori dei ragazzi, quando nella piccola villetta regnava un silenzio irreale, carico di tensioni mal celate.
Come era avvenuto anni prima, c’era di nuovo aria di partenza a tradimento.
Di tutta la famiglia, solo Peter sapeva che Susan ed Edmund stavano per andarsene.
Lucy era stata tenuta all’oscuro di tutto, dal momento che la sua spiccata propensione a ficcare il naso dove non doveva avrebbe potuto spingerla a fare mosse azzardate e pericolose.
Il piano era semplice: con la scusa di andare al matrimonio di Bill e Fleur, i due fratellastri si sarebbe dileguati insieme ai Potter subito dopo la cerimonia.
Peter avrebbe coperto loro la fuga, dal momento che da un anno a quella parte aveva preso a lavorare per l’Ordine, senza però abbandonare la sua doppia vita da studente di Medicina.
Il ragazzo avrebbe fatto da tramite tra i due mondi, stando vicino alla sua famiglia fino a quando anch’essa non avrebbe lasciato l’Inghilterra per un posto più sicuro.
Persino Caspian ignorava che Susan stava per svignarsela sotto il suo naso.
−Il mio ragazzo ha troppa poca fiducia in me – aveva dichiarato la giovane strega con freddezza. – Sono stufa di essere tenuta da parte. Voglio combattere gli assassini di mio fratello. Anche a costo di non vedere Caspian per qualche anno.
−Stai dicendo che vuoi piantarlo? – aveva esclamato Peter esterrefatto.
−Harry l’ha fatto – aveva risposto Susan con freddezza.
−Non ti piace più?
−Non essere sciocco, Pete! Certo che mi piace. Solo che non può andare avanti così, tra me e lui. Già l’anno scorso ho tirato avanti a fatica. Ora basta. Ho cose più importanti da sbrigare e devo farlo da sola.
Improvvisamente, la ragazza si era interrotta.
La voce aveva preso a tremarle in maniera innaturale.
Peter le aveva cinto le spalle con le braccia, stringendola a sé con tutta la dolcezza che un fratello maggiore potesse mostrare.
−Non vergognarti di piangere, Sue. Sei davvero la donna più coraggiosa che conosco – le aveva sussurrato in un orecchio, mentre la ragazza sfogava finalmente i suoi sentimenti.
Mancavano ormai pochi giorni alla partenza e la tensione cresceva di ora in ora.
Peter era riuscito a trovare un rifugio sicuro per il resto della sua famiglia tramite i membri dell’Ordine, che l’avrebbero scortata in un luogo sicuro protetto da potenti incantesimi.
Il problema ora era quello di convincere anche zia Alberta a seguirli.
L’odio della donna verso la magia stava crescendo in maniera smisurata negli ultimi tempi, dal momento che la marea di brutte notizie al telegiornale era puntualmente causata dai Mangiamorte in circolazione.
Essendo una persona di poche vedute, era fermamente convinta che tutti i maghi fossero inevitabilmente inclini all’assassinio e per questo si rifiutava categoricamente di lasciare la sua impeccabile casa per un luogo dimenticato da Dio.
−Dovremmo farle conoscere gli zii di Harry – aveva proposto Jane durante una telefonata. – Lui mi ha detto che verranno messi sotto scorta. Potrebbero andare a vivere insieme!
L’incontro sarebbe stato fissato per la settimana seguente.
In casa Pevensie si era potuto finalmente trarre un sospiro di sollievo.
A tre giorni dalla partenza, la tensione era ormai alle stelle.
Sia Edmund che Susan avevano trascorso la settimana seguente a svuotare i bauli di scuola e a preparare di nascosto i bagagli con tutto quello che sarebbe servito loro durante la caccia agli Horcrux.
Era il pomeriggio dell’antivigilia quando Edmund e Susan rientrarono verso casa con le braccia cariche di buste della spesa.
Quel giorno, Peter sarebbe rimasto fuori fino a tardi, i loro genitori erano impegnati con il lavoro e di far uscire Lucy non se ne parlava.
Dal momento che in quei giorni tempestosi il frigo si era svuotato senza che nessuno se ne accorgesse, era toccato ai due fratelli andare a rimediare insieme, le bacchette nascoste sotto gli abiti.
Si era ormai sul fare del tramonto e basse nubi striate di rosso segnavano il cielo terso come tante strisce di sangue incandescente.
−Aspetta – disse Susan improvvisamente, afferrando Edmund per l’avambraccio.
−Cosa c’è? – domandò il ragazzo allarmato, la mano serrata attorno alla bacchetta.
Ma ormai era troppo tardi.
Susan si gettò a terra appena un attimo prima che un lampo di luce verde si abbattesse sulla staccionata alle loro spalle, mandandola in mille pezzi.
−Dammi la mano, Ed! – esclamò la ragazza abbandonando le buste a terra.
Edmund fece per raggiungerla, quando un muro invisibile lo spinse a terra un attimo prima di afferrare le dita di Susan, che si Smaterializzò senza di lui.
La figura incappucciata a pochi passi da lui scoppiò in una risata stridula.
Il ragazzo si sentì congelare nel riconoscerla: era Bellatrix Lestrange.
In preda al panico, le puntò contro la bacchetta, la mano che tremava in maniera incontrollata.
Stupeficium! – gridò con quanta forza aveva nei polmoni.
Bellatrix si lanciò di lato, schivando l’incantesimo.
Il ragazzo ne approfittò della sua momentanea distrazione per precipitarsi lungo il vialetto della prima casa che gli capitò a tiro, sperando di seminarla.
Una grigia donna di mezza età stava innaffiando le peonie sulla veranda, ignara di tutto.
−Aiuto! – gridò Edmund. – AIUTO!
Una morsa di ferro gli bloccò le gambe, gettandolo faccia a terra.
Urlando di terrore, il ragazzo riuscì a voltarsi, afferrando il cappuccio dell’aggressore e riuscendo a strapparglielo via.
Il volto di Bellatrix Lestrange brillò a pochi centimetri dal suo naso alla luce della luna appena sorta.
−Non così in fretta! – esclamò con un ghigno deformato dalla follia, prima di puntargli la bacchetta in mezzo agli occhi.
Ci fu un lampo accecante, poi tutto scomparve.





Angolo Me

Buon pomeriggio a tutti! :)
Scusate l'aggiornamento in ritardo, ma ieri sera mi hanno perso i bagagli all'aeroporto e quindi sono rientrata a casa tardissimo.
Spero che vi consolerete con questo lungo capitolo, in cui iniziamo a distaccarci dalla storia della Rowling per concentrarci meglio su Edmund e Jane.
Sì, avete notato che la nostra streghetta fa un incantesimo di fronte a un Babbano senza riportare alcuna conseguenza: secondo me, visto che comunque gli allievi di Hogwarts devono poter fare i compiti per le vacanze, praticare la magia di fronte a un famigliare non è perseguibile a norma di legge.
Voi che ne pensate?
Vi aspetto per il prossimo capitolo, che verrà aggiornato regolarmente martedì prossimo in serata.
Teniamoci d'occhio sulla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

Un abbraccio!

F.

 

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Capitolo 8
*** Sotto scorta ***




Capitolo 8


SOTTO SCORTA

~

 
 
 
 
 
 
Erano quasi le undici quando il telefono di casa squillò.
Jane, già in pigiama e con i capelli raccolti dietro la nuca, andò a rispondere.
Quasi stentò a riconoscere la voce di Susan dall’altro capo.
−J-Jane?
Qualcosa nel suo tono di voce le gelò il sangue nelle vene.
−Che cosa è successo? – domandò la ragazza, anche se un atroce sospetto si faceva già largo nella sua immaginazione.
L’improvviso silenzio dall’altro capo del ricevitore venne scosso da un singhiozzo soffocato.
−Edmund – rispose a un certo punto Susan. – Hanno preso Edmund.
 
*** 
 
Quella notte, Jane non chiuse occhio.
Per prima cosa, controllò ancora una volta i confini della loro tenuta dalle finestre come faceva ogni sera prima di andare a dormire, temendo di trovare qualche alta figura incappucciata a spiarla dall’altra parte della staccionata, in attesa che varcasse inconsapevolmente i confini della Traccia.
Per sicurezza, accese le luci nelle stanze principali, fingendo che in casa fossero ancora svegli.
Poi si rifugiò in camera sua, sedendosi sul letto ed estraendo la bacchetta dalla tasca dei pantaloni del pigiama.
Expecto Patronum– sussurrò.
Un cavallo argenteo si scaturì dalla punta, galleggiando con grazia a pochi centimetri dalla testa della ragazza.
–Edmund è stato rapito circa mezz’ora fa da Bellatrix Lestrange – disse lei. – Per favore, porta questo messaggio a mio fratello Harry Potter. Digli di chiamare subito aiuto e di venire qui il prima possibile. Vai!
Il Patronus si impennò nell’aria e attraversò la stanza di gran galoppo, oltrepassando la finestra e sparendo nell’oscurità del giardino.
Jane rimase seduta sul letto, incapace di prendere alcuna decisione logica.
Per interminabili minuti, non riuscì a muoversi da lì, trasalendo al minimo rumore, fino a quando non udì uno scampanellio nervoso provenire dall’ingresso.
La ragazza fece un balzo di diversi centimetri, il cuore che le pulsava dolorosamente in gola.
Tremante di paura, si appostò dietro la finestra, scostando di poco le tende.
Con suo enorme sollievo, vide Harry in piedi sulla veranda.
Scese di sotto in punta dei piedi, la bacchetta sempre pronta in mano, sbirciando dallo spioncino.
–Come ti chiamavo prima di scoprire che eravamo fratelli? – chiese.
Dall’altra parte, Harry soffocò a malapena una smorfia imbarazzata.
–Potter Quattrocchi – rispose. – Non avevi una domanda di riserva?
Non aveva neanche finito la frase, che Jane spalancò la porta, gettandogli le braccia al collo.
–Oh, Harry! – singhiozzò. – Ho così tanta paura!
–Stai tranquilla, sorella – la rincuorò lui, portandola dentro. – Ci sono io qui con te.
Si accomodarono entrambi nel soggiorno.
Jane si precipitò a preparare una tisana per entrambi.
Le mani le tremavano così tanto che per poco non si rovesciò addosso l’acqua bollente del bricco.
In tutto questo, la ragazza prese a raccontare quanto appreso da Susan.
–Ho avvisato Ron, Hermione e l’Ordine – disse Harry alla fine del racconto. – Saranno qui per domani mattina. Io invece ho preferito venire subito. Non potevo lasciarti da sola.
Jane gli sorrise.
–Grazie – mormorò. – Non credo che avrei resistito fino all’alba.
–Due maghi armati in casa sono meglio di una. Gli altri dormono?
–Sì. Non mi va di svegliarli. Ho paura di spaventarli, soprattutto Cecilia.
–Capisco.
Ci fu un attimo di silenzio, rotto solo dal girare dei cucchiaini sul fondo delle tazze; poi Jane aggiunse:
–Perché credi che l’abbiano fatto?
–Cosa?
–Edmund. Già è stato prigioniero di Alhena e adesso la sorella se lo è ripreso. Non capisco che cosa c’entri lui in tutta questa storia.
–Per me ci è immerso fino al collo, il ragazzo. Oggi pomeriggio, la cicatrice mi ha fatto male come non accadeva da mesi. Non ho mai avvertito Voldemort così arrabbiato in vita mia. Se non sbaglio, coincideva proprio con l’ora in cui Edmund è stato rapito.
–Ma perché proprio lui? È solo un ragazzo, in fondo.
–Non lo so. Forse non è proprio quello che vuole farci credere.
–Che cosa vuoi dire con questo? Che Edmund è forse malvagio?
–Di una cosa siamo certi: a Voldemort serve e tanto.
Jane sospirò.
–Non posso aspettare fino all’alba – disse decisa. – Voglio andarlo a cercare ora.
–Tu sei pazza!
–Non posso chiudere occhio, sapendolo nelle mani di quella donna!
–Jane, tranquilla, sono certo che per il momento è ancora in vita. Se Voldemort lo avesse ucciso, me ne sarei accorto.
–Ma possibile che non te ne importa un accidente di lui? – sbottò la ragazza fra i denti. – Alhena gli lanciava la maledizione Cruciatus per divertirsi! Credi che forse sua sorella lo tratti meglio?
–Ma almeno non è morto, no?
–Fammi stare zitta o rischi veramente di ritrovarti il naso rotto.
Jane si alzò in piedi, prendendo a misurare la stanza a grandi passi.
–Jane, lo so benissimo che cosa provi per Edmund, non credere che sia cieco – intervenne Harry. – Ma ti posso assicurare che, almeno per il momento, sta bene.
–Come fai a esserne così certo? – lo rimbeccò la sorella. – Hai forse imparato a leggere le foglie di tè?
–No, ho solo bisogno di qualcosa per il mal di testa.
La ragazza si voltò per rispondere per le rime a quell’ennesima provocazione, quando si accorse dell’aria terribilmente sofferente di suo fratello.
Una mano era premuta spasmodicamente sulla fronte.
–Che diavolo succede? – chiese allarmata.
–Indovina? – rispose Harry in tono sarcastico. – Ti dico solo che Hermione non approverebbe.
–Tu…stai cercando di stabilire un contatto con la mente di Voldemort? – domandò la ragazza sbigottita.
–Certo, sto spiando le sue mosse. Per il momento sta aspettando, solo aspettando.
–Sei un incosciente!
Jane schizzò in cucina, tornando con una borsa del ghiaccio in mano.
–Interrompi subito, prima che venga qui – ordinò, schiaffandola sulla fronte del fratello.
–Tranquilla, non verrà – la rassicurò Harry. – Per stasera, ha cose più importanti a cui pensare.
–Sì, per caso sai se in agenda aveva un rapimento questo pomeriggio?
–Sto solo cercando di aiutarti.
–Tu mi aiuti solo se ti metti tranquillo e mi aiuti a proteggere la mia famiglia.
Harry le scoccò una profonda occhiata di rimprovero.
Jane lo ignorò.
–Sei esaurita – le disse. – Forse è il caso che ti riposi. Faccio io il primo turno di guardia.
L’altra vuotò con un sorso la tazza con ciò che rimaneva della tisana.
–Sto bene – si schermì.
–Come vuoi.
Restarono seduti uno accanto all’altra sul divano fino alle due e mezza del mattino, scambiandosi di tanto in tanto qualche parola, poi, malgrado le loro nobili intenzioni, si addormentarono entrambi uno sulla spalla dell’altra, dimenticando per qualche ora ciò che li attendeva là fuori.
 
***
 
L’alba li sorprese pallida e brumosa, annunciando quello che per i fratelli Potter sarebbe stato uno dei giorni più lunghi e terribili che avessero mai vissuto.
La prima difficoltà fu quella di spiegare ai Collins la situazione senza coinvolgerli troppo in quella situazione.
Come previsto, la famiglia si allarmò moltissimo alla notizia del rapimento di Edmund e Albert si offrì di accompagnare Harry e Jane dai Pevensie per il primo sopralluogo.
Al loro arrivo, trovarono una volante della polizia parcheggiata sul vialetto ghiaioso e un capannello di persone alla porta.
In quel momento, Charlie stava congedando l’ispettore capo, affiancato da un bell’uomo di colore e una giovane donna con un paio di occhiali scuri a cavallo del lungo naso all’insù.
I due gemelli riconobbero al volo Kingsley e Tonks, che vennero loro incontro non appena li notarono.
 –Ragazzi, – li salutò Tonks stringendoli in un abbraccio – dovete venire con noi. Gli altri ci stanno aspettando in un luogo sicuro.
–Avete scoperto qualcosa? – domandò Harry.
–Non molto, ma è meglio parlarne in privato – intervenne Kingsley. – Signor Collins – aggiunse poi, stringendo la mano ad Albert, che era rimasto in disparte accanto alla portiera della macchina.
–È un piacere conoscerla – rispose lui composto.
–Spero non sia un problema per voi se prendiamo sotto custodia i fratelli Potter per oggi.
–Nessun problema.
Il tono di Albert, però, tradiva tutt’altri pensieri.
Lanciò un’occhiata preoccupata in direzione di Jane.
–Non correranno nessun pericolo, signor Collins – assicurò Tonks prendendo a braccetto i due gemelli. – Il fatto è che, con certa gente in giro, è meglio tenere al sicuro eventuali bersagli.
–Grazie, Tonks! – la rimbeccò Jane.
L’altra le fece la linguaccia.
–Meglio chiarire subito, no? – si schermì.
–Starò bene, papà – soggiunse lei avvicinandosi ad Albert.
L’uomo le pose le mani sulle spalle.
–Lo sai che a casa non smettiamo un attimo di preoccuparci per te – disse in tono preoccupato.
–Lo stesso vale per me. Promettete che resterete in casa fino al mio ritorno e non supererete i confini della Traccia. Lo farete?
–Qualsiasi cosa, pur di riaverti di nuovo sana e salva tra noi.
Albert le baciò la fronte, poi la lasciò andare.
Harry aveva finto di ignorare tutta la scena, continuando a parlare con Kingsley.
Non poteva sopportare tutto questo.
Era uno di quei momenti in cui non poteva fare a meno di odiare sua sorella.
I due gemelli seguirono Tonks nella sua vecchissima utilitaria color prugna, sedendosi sui cigolanti sedili di pelle abrasa, mentre Kingsley apriva loro la strada con un’altra automobile.
Lo strano gruppo si allontanò così sul vialetto, puntando verso Finchley.
Nel tentativo di tirar su il morale, Tonks azzardava di tanto in tanto a fare un po’ di conversazione, ma la tensione era talmente alle stelle che in poco tempo si ritrovarono tutti e tre immersi nel silenzio, rotto solo dal gracchiare impertinente dell’autoradio.
Soprattutto Jane sembrava essersi chiusa in un silenzio di tomba, restando a osservare con il capo abbandonato contro il finestrino il dispiegarsi di campi e staccionate all’orizzonte.
Ogni suo pensiero era fisso su Edmund.
Dov’era in quel momento, come stava?
Ogni volta che provava a darsi una risposta, la ragazza lo rivedeva sepolto vivo in quel cupo sotterraneo, con il volto macchiato di sangue e l’aria terrorizzata.
In quel momento, stava pregando con tutto il cuore che quella donna orribile non gli facesse nulla di male, ma sapeva che quello era un pensiero vano: Bellatrix non avrebbe perso tempo a riprendere ciò che la sorella aveva lasciato.
A quel pensiero, una fastidiosa stretta allo stomaco la fece gemere per il dolore.
Erano le dieci e mezza.
Erano già le dieci e mezza.
Quante cose potevano essere accadute in dodici ore?
Jane non voleva neppure pensarci.
Tonks accostò di fronte a quello che pareva un antico casale abbandonato e intimò ai passeggeri di scendere.
Costeggiarono la vecchia abitazione fino a raggiungere una scala esterna, arrampicandovisi sopra e spalancando una porticina che permetteva l’accesso al primo piano.
L’interno era semplice e polveroso, occupato per la gran parte da un vecchio divano tarmato.
Lì, vi erano radunati i migliori elementi dell’Ordine della Fenice: i coniugi Weasley, Lupin, Bill, Fleur, Peter, Susan, Lucy e, naturalmente, Ron e Hermione.
Questi ultimi saltarono immediatamente al collo dei due fratelli non appena misero piede nella stanza.
–Possibile che non possiamo lasciarvi da soli neanche cinque minuti? – commentò Ron ansioso.
–E che ne sapevano? Che ne sapevano? – fece eco Hermione.
–Coraggio, ragazzi, i convenevoli lasciamoli per dopo. Abbiamo un ragazzo da salvare – li redarguì Kingsley, richiamando l’attenzione anche degli altri.
Si accomodarono tutti al centro della stanza, accalcandosi come meglio potevano sul divano o seduti sul pavimento.
Solo Tonks e Kingsley rimasero in piedi.
–Dove possono averlo portato? – chiese Jane.
–Questo è difficile da stabilire – rispose Tonks. – Un tempo la base preferita per nascondere le persone rapite era la villa di mia zia Alhena, ma è andata distrutta la stessa notte in cui venne assassinata.
–La tenuta dei Lestrange è stata sequestrata dal Ministero dopo il loro arresto – aggiunse Kingsley. – A questo punto, non ci resta che villa Malfoy.
–Io credo che si trovi lì – dichiarò Tonks. – La maggior parte dei Mangiamorte transita da quelle parti e sono certa che la stessa Bellatrix abbia trovato rifugio lì.
–A questo punto ci manca un piano – disse Lupin.
–Noi andremo immediatamente sul posto a controllare – decretò Kingsley. – Non appena ci saremo accertati che il ragazzo si trova effettivamente lì, attaccheremo. In caso di emergenza, chiameremo rinforzi.
–Verremo anche noi? – chiese Harry.
–Certo che no! – sentenziò la signora Weasley. – Voi resterete qui insieme a Fleur fino al nostro ritorno. La casa è protetta tramite la magia, non possono trovarvi.
–Ma non è giusto! Voglio dire, Edmund…
–No, Jane – questa volta fu Hermione a intervenire.
La ragazza le lanciò un’occhiata ferita.
–Quello che è accaduto poche settimane fa è più che sufficiente – aggiunse lei. – È meglio se per una volta diamo ascolto a chi ha più esperienza di noi.
–Stai tranquilla, Jane – la rassicurò Tonks. – Te lo riporteremo sano e salvo.
La ragazza le rivolse un rapido cenno rassegnato con il capo, ma in realtà in quel momento la sua mente stava galoppando alla disperata ricerca di un piano b. 
–Bene, – decretò a quel punto Kingsley – sono le undici passate. È ora di muoverci.






Angolo Me

Buonasera a tutti! :)
Come vedete, la tensione sta iniziando ad alzarsi sempre più: Edmund è ormai nelle grinfie di Bellatrix Lestrange e presto Voldemort arriverà a bussare alla sua porta. 
Riuscirà Jane a restare con le mani in mano?
Immagino che conosciate già la risposta ;)
In ogni caso, martedì prossimo vi aspetta un capitolo bello tosto, un pochino oltre i miei standard di narrazione gotica.
Insomma, se vi piace "Il Trono di Spade", allora  non avrete nessun problema!
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto...il calo di recensioni mi sta un pochino preoccupando, ma sono anche consapevole che molti di voi sono ancora al mare :)
Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook, con tutti gli aggiornamenti: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
Vi informo inoltre che da oggi ho anche un account personale: mi trovate sotto Fedra Efp :)
Un bacio e a presto!

F.

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Capitolo 9
*** Mostro ***





Capitolo 9

MOSTRO

~

 
 
 
 
Ulisse avanzava lentamente fra gli alberi, i suoi passi attutiti dall’umido sentiero che si dipanava nel fitto della foresta.
Jane teneva le redini con una mano sola, gettandosi continuamente intorno occhiate circospette, le dita strette attorno alla bacchetta.
Era una follia pensare che se ne sarebbe restata tranquilla ad attendere le decisioni degli altri, non quando c’era di mezzo la vita di una persona che amava così tanto.
Non era stato difficile eludere la sorveglianza dei suoi amici: era bastato chiedere di andare in bagno per poi Materializzarsi di fronte al cancello di casa sua, prendere Ulisse e Smaterializzarsi ancora una volta.
Quando gli altri si fossero accorti della sua scomparsa, lei sarebbe già stata lontana.
Ora doveva solo stare attenta a non farsi scorgere dai membri dell’Ordine, sicuramente appostati lì intorno, oltre che da potenziali Mangiamorte.
Villa Malfoy doveva essere molto vicina.
Dopo un centinaio di metri, riuscì a distinguerne il profilo candido emergere fra la boscaglia.
Un brivido di freddo le attanagliò lo stomaco.
Non avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe osato avvicinarsi di nuovo a una delle loro tenute infernali.
Cercò subito di soffocare il senso di nausea che le diede immediatamente quella vista: la presenza del male nell’aria era fin troppo palpabile per i suoi gusti.
Si avvicinò ancora di più, fino a dominare l’intera radura in cui sorgeva l’immensa tenuta.
Sembrava una delle ville rinascimentali che aveva visto qualche anno prima, quando era andata in vacanza in Italia con i suoi genitori adottivi: una grande costruzione squadrata dalle sobrie forme classicheggianti racchiusa in due ampie ali che si fondevano con il giardino.
L’ingresso era evidenziato da un alto portico, dal quale partiva un lunghissimo viale costeggiato da siepi che terminava con un gigantesco cancello di ferro battuto.
Quella gabbia dorata pareva imprendibile.
Era perfetta, come prigione.
Jane deglutì vistosamente, poi scese da cavallo.
Si avviò guardinga fra gli alberi, prima di emergere nel verdissimo prato della radura, completamente allo scoperto.
Si accovacciò immediatamente sull’erba, prendendo a strisciare ventre a terra fino all’altissimo muro di cinta, trasalendo al minimo rumore.
Solo quando fu al sicuro sotto la sua ombra minacciosa riuscì a rimettersi in piedi, tirando un sospiro di sollievo.
Tutto sembrava tranquillo.
Sempre con la bacchetta sguainata, Jane procedette lentamente verso destra, alla ricerca di un punto vulnerabile da cui entrare, quando improvvisamente un dolore atroce alla gamba le mozzò il fiato.
Nello stesso momento, il mondo si capovolse con un fruscio sinistro.
Grosse sbarre di ferro le piombarono sulla testa.
La ragazza urlò spaventata, mentre la bacchetta le sfuggiva di mano, perdendosi fra i ciuffi d’erba.
D’istinto, Jane si tuffò in avanti per recuperarla, ma si ritrasse immediatamente, colta da un nuovo, intenso dolore alle mani: le sbarre della gabbia dentro cui era prigioniera erano irte di aculei di ferro, che le avevano lacerato le carne dei polpastrelli.
Altro sangue le stava sgorgando copioso dalla gamba destra, bloccata dal laccio metallico che aveva fatto scattare la trappola.
−Ma guarda che cosa abbiamo – cinguettò una voce acuta a pochi metri da lei.
Jane trasalì terrorizzata.
Davanti a lei, giocherellando con la sua bacchetta appena raccolta, stava Bellatrix Lestrange.
Alla vista di quel demonio, la ragazza si scagliò con rabbia contro le sbarre di ferro, ignorando le nuove fitte di dolore che le trapassarono tutto il corpo.
−Tu, MOSTRO! – ruggì. – Che cosa ne hai fatto di Edmund? Lo so che è con te, maledetta megera!
−Ci avrei scommesso il mio braccio sinistro che saresti venuta per il tuo dolce amico – proseguì Bellatrix con un ghigno ironico stirato sulle labbra vermiglie. – Non temere, ti porterò da lui, se è questo che desideri.
Con un rapido movimento del polso, la strega librò la sua bacchetta in aria.
Nello stesso istante, il fondo della gabbia si aprì, facendo precipitare Jane a faccia in giù nell’erba.
−Perdonami per questa brusca accoglienza – chiocciò Bellatrix. – Del resto, non è cortese da parte tua infilarti nelle case altrui in questo modo.
Jane rimase immobile, senza osare muovere un muscolo: sapeva che qualsiasi cosa avrebbe fatto in quel momento, sarebbe andata tutta a suo svantaggio.
Bellatrix agitò nuovamente la bacchetta in aria, rivoltando la ragazza sulla schiena.
Questa volta, trattenere un gemito di dolore fu impossibile.
−Dunque, piccola, sei da sola o hai qualcuno dei tuoi amichetti nascosto qua intorno? – chiese senza abbassare la bacchetta di un millimetro.
−Sono da sola – balbettò Jane.
−Questo rende tutto più semplice – commentò Bellatrix con un ghigno. – Avanti, tu, in piedi!
−Che cosa vuoi farmi? – chiese la ragazza atterrita.
−Il tuo amico si è raccomandato di trattarti con il massimo riguardo – rispose l’altra in tono sbrigativo. – Perciò, non complicare le cose e fai come ti dico.
−Tu che prendi ordini da un prigioniero? Non ci credo!
−Guarda caso, coincidono proprio con quelli del mio signore, per ora. Perciò, alzati!
Jane scoppiò in una risata.
–E dove vuoi che vada, con questa gamba? – sogghignò.
−Tipico di voi Mezzosangue, l’essere così schizzinosi – commentò Bellatrix levando la bacchetta.
Un attimo dopo, la ferita sulla coscia di Jane smise all’istante di bruciare, lasciando solo uno squarcio insanguinato sulla superficie dei jeans.
La ragazza si tirò goffamente su a sedere.
–Mi chiedo dove vorrai arrivare, questa volta – disse in tono acido mentre si levava in piedi.
−Oh, tu non lo immagini neanche – rispose Bellatrix senza smettere di sorridere.
Le due donne fecero il giro del muro di cinta, fino a trovarsi di fronte all’imponente cancello, che si spalancò non appena la Lestrange schioccò le dita.
Presero così ad avanzare lungo il viale ghiaioso che conduceva alla villa, attraversando l’immenso giardino costeggiato da siepi.
Se non fosse stato per il fatto che appartenesse a una delle famiglie più sanguinarie del mondo magico, Jane si sarebbe fermata ad ammirare le meraviglie di quel posto, paragonabile a una delle più belle ville del Palladio.
Il parco era lussureggiante di piante e fiori esotici, tra i quali si aggiravano pavoni dalle lunghe piume candide.
Qua e là, si intravedevano i profili marmorei di statue allegoriche e grandi ninfei seminascosti dalla vegetazione.
Bellatrix la condusse verso l’ingresso principale, sormontato da un timpano classicheggiante e un profondo portico dalle colonne ioniche.
Lo attraversarono senza indugiare oltre ed entrarono in un ampio salone marmoreo ricco di stuccature dorate.
Si inerpicarono poi su un grande scalone in pietra serpentina, accedendo alle stanze superiori.
Jane continuava a gettare occhiate furtive alla sua rapitrice.
Non capiva: le volte precedenti era sempre stata tenuta nelle segrete di casa Black, molto simile a villa Malfoy.
Perché in quel momento sembravano invece dirette verso l’ala più signorile dell’edificio?
Proprio mentre stava facendo queste considerazioni, Bellatrix si fermò davanti a una porta laterale, spalancandola.
L’interno si rivelò essere una ricchissima camera da letto arredata con un’elegante tappezzeria color verde brillante.
−Tra mezz’ora ti porterò il pranzo – disse Bellatrix invitandola a entrare.
Jane rimase interdetta.
Perché improvvisamente tutta quella cortesia?
A quale gioco stava giocando quel demonio, che in quel momento aveva preso a recitare così pateticamente la parte della cameriera servizievole?
−Che cosa significa tutto ciò? – domandò esterrefatta.
−Ritengo che questo sia l’alloggio più adatto a te, in attesa di stasera. Fossi in te, mi godrei questo momento – rispose la strega in tono sibillino.
−Un momento…stasera? Che cosa succede stasera?
−Oh, lo saprai presto! In fondo, sei la nostra ospite d’onore.
−Un momento, no! – gridò la ragazza con rabbia, prima che Bellatrix avesse il tempo di chiudere la porta. – Voglio la verità, adesso! Tanto lo so che ci ucciderai, ci ucciderai tutti e due! Non ha senso tutto questo!
−Oh, molto presto lo avrà, stai tranquilla, bocconcino! – trillò la strega. – Sappi che per adesso gli ordini sono quelli di farvi vivere e trattarvi con riguardo. Poi si vedrà.
Detto questo, Bellatrix chiuse la porta senza troppi complimenti.
Il rumore secco di una serratura che scattava fece capire alla ragazza di essere in trappola come un topo.
−Oh, mio Dio, no, no, NO! – implorò terrorizzata, afferrando la maniglia e scuotendola con forza. – Che cosa significa? Non capisco, continuo a non capire! Dov’è Edmund, che cosa ne è stato di lui? Voglio risposte, RISPOSTE!
Ma le risposte non arrivarono.
Rimase solo il silenzio, rotto dai singhiozzi irregolari che prorompevano di continuo dal petto di Jane, rannicchiata contro la porta, paralizzata dal terrore e dalla rabbia.
Ancora una volta, era prigioniera di quella famiglia di mostri, sola, senza nessuno a cui chiedere aiuto.
In quel momento, immagini terribili presero a materializzarsi nella sua mente, un miscuglio di ricordi e di dettagli letti in qualche racconto del terrore tanti anni prima, quando ancora non credeva all’esistenza di streghe cattive e mostri assetati di sangue.
Non capiva perché, invece di venire rinchiusa in un buio sotterraneo, si trovava imprigionata in una stanza lussuosissima, trattata alla stregua di un’ospite d’onore.
Forse progettavano di sottoporla a un interrogatorio e volevano che fosse abbastanza in salute per sopportare chissà quale tortura.
Al solo pensiero, la ragazza si sentì svenire.
Mi uccideranno, continuava a ripetersi. Stanno progettando di uccidermi in modo spettacolare, dopo aver giocato con me come il gatto col topo!
Non osava guardarsi intorno, per paura di veder comparire qualche trappola infernale, come succedeva nei film dell’orrore: magari la stanza era collegata a qualche marchingegno che avrebbe fatto restringere le pareti e il soffitto fino a schiacciarla o forse da un momento all’altro avrebbero introdotto tramite le conduttore del riscaldamento un gas velenoso che l’avrebbe uccisa dopo atroci sofferenze…
Dopo circa mezz’ora, un vassoio d’argento con un bel piatto di zuppa ancora fumante, una fetta di arrosto con patate e una torta ai mirtilli comparve dal nulla sulla console addossata al muro.
Temendo che tutto quel ben di Dio fosse in realtà avvelenato, Jane non toccò nulla, nonostante la fame e la stanchezza la stessero divorando da diverso tempo, lasciandosi torturare dal profumo invitante che si scaturiva da quelle vivande fino a quando la porta non si aprì di nuovo, rivelando il volto accigliato di Bellatrix.
–Avanti tu, smettila di startene rannicchiata lì come un sacco della spazzatura e vieni con me – disse in tono sbrigativo, dopo aver lanciato una rapida occhiata al pranzo intonso.
–Dove andiamo? – chiese Jane spaventata.
–Non volevi vedere il tuo amico?
A quelle parole, una morsa d’acciaio strinse lo stomaco della ragazza.
Non avrebbe voluto alzarsi per nulla al mondo, ma viste le circostanze, non poteva augurarsi di meglio che morire al fianco della persona che amava.
–D’accordo – borbottò levandosi in piedi con le gambe tremanti.
Bellatrix le fece strada verso l’esterno, conducendola attraverso i lunghi corridoi della villa fino a uscire da una porta che dava sul retro, verso una parte del giardino circondata da alte mura che sembravano risalire a una costruzione precedente, di cui rimaneva una torretta cuspidata.
Si sedettero all’ombra di un’alta aiuola di fiori blu, poi la Lestrange fece un rapido cenno rivolto alla torre.
Un attimo dopo, la porticina alla base della costruzione si aprì lentamente, rivelando una sottile figura bruna che avanzava a testa china verso di loro.
–EDMUND! – gridò Jane, ignorando lo sguardo di fuoco di Bellatrix che le bruciava sulla schiena, correndogli incontro e gettandogli le braccia al collo.
Con sua enorme sorpresa, il ragazzo non ricambiò affatto l’abbraccio come si sarebbe aspettata, irrigidendosi come se avesse appena ricevuto una secchiata d’acqua gelida addosso, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
–Edmund? – chiese la ragazza, spaventata dalla sua reazione così fredda. – Sono io, sono Jane!
Lui non rispose. I suoi occhi neri erano persi nel vuoto, sgranati dal terrore, evitando in tutti i modi possibili il suo sguardo.
Sembrava sotto shock.
–Edmund… – la ragazza si discostò da lui, gli occhi che le si riempivano lentamente di lacrime. – È stato torturato, non è vero? – esclamò poi con rabbia, voltandosi verso Bellatrix. – Che cosa gli hai fatto, razza di mostro?
–Oh, io niente – rispose l’altra con una scrollata di spalle.
–BUGIARDA! – gridò Jane con rabbia. – Credi forse che io sia cieca? Lo vedo benissimo com’è ridotto! Che cosa gli hai fatto?
Drogato, torturato, ipnotizzato o chissà cos’altro, le rispose la sua mente con perfidia.
−Avanti, chiediglielo di persona, se non ci credi – la provocò perfidamente la strega.
Lottando contro le lacrime che avevano preso a rigarle il volto, Jane si rivolse ancora una volta al ragazzo.
–Edmund, – lo implorò – ti prego, rispondimi! Non mi riconosci? Che cosa ti hanno fatto?
Dopo un tempo che parve interminabile, il mago abbassò lo sguardo verso di lei.
Nel momento in cui incontrò i suoi luminosi occhi verdi, grosse lacrime presero a scorrergli lungo le guance.
Scosse il capo, come a volerla scacciare con un solo gesto da quel posto orribile.
–Penso che per ora basti così – tagliò corto Bellatrix, facendo un rapido cenno a Edmund.
A quelle parole, il ragazzo chinò il capo e fece per riavviarsi verso la porta da cui era comparso.
–No! – gridò Jane, cercando invano di trattenerlo.
–Avrete tutto il tempo per parlare questa sera – ghignò la Mangiamorte. – Per ora, sarà meglio che torniate tutti e due nelle vostre stanze.
In quel momento, la porta della torre si chiuse definitivamente alla spalle di Edmund.
Rimase solo un silenzio carico di dubbi e rabbia.
 
***
 
Jane trascorse l’intero pomeriggio rinchiusa nella sua stanza, tormentata da dubbi atroci che stavano diventando sempre più laceranti, come la fame e la sete che aumentavano di ora in ora.
Non capiva perché Edmund si era comportato in quel modo con lei poche ore prima e il tono sibillino che Bellatrix assumeva ogni volta che si accennava al loro destino.
A quale gioco perverso stava giocando?
Ho cercato in tutti i registri possibili e immaginabili, ma non c’è nessuna traccia di un bambino chiamato Edmund…Il Cappello Parlante l’ha assegnato a Serpeverde non appena ha sfiorato la sua testa, come se non avesse alcuna possibilità…
Il passato, tutto ciò che sapeva, sferzava crudele la sua memoria.
Ti ricordi quanto ci ha messo a ricordare il suo nome?
Quasi non lo sapesse nemmeno lui… In quattordici anni non è mai uscito da quella casa, mai, mai!
Forse è addirittura nato lì, nonostante lui affermi il contrario…e poi, ti sei mai chiesta perché Alhena Black non l’ha mai ucciso?
Era come se fosse in attesa di qualcosa, qualunque cosa…

Jane si affondò le dita nei capelli, soffocando a fatica un gemito di dolore.
No, non poteva essere così.
Edmund era l’essere più puro che avesse mai conosciuto, una persona completamente esente dal male.
Mai aveva dubitato di lui, mai…
La ragazza levò il capo.
Le ombre erano mai scese e il parco al di fuori della finestra riluceva dei bagliori rossastri delle torce.
Intravedeva delle figure scure muoversi all’esterno, ma non riuscì a capire chi fossero, anche se non era poi così difficile immaginarlo.
Pochi minuti dopo, Bellatrix venne a prenderla.
Jane la seguì di sotto senza protestare, instupidita dal terrore.
La condusse fuori, nel giardino arrossato dalla luce del fuoco, nel quale si ammassavano tante ombre scure, ciò che la ragazza temeva di più al mondo: uomini e donne incappucciati, come l’ombra che sette anni prima era arrivata a portarla via da tutto ciò che credeva fosse il suo mondo.
Mangiamorte, Mangiamorte da ogni lato che la osservavano, la circondavano, alcuni addirittura la schernivano.
A ogni passo sul prato, Jane iniziava a comprendere sempre di più in che cosa consisteva il gioco perverso che le avevano preparato.
E cominciava a immaginare ciò che l’attendeva alla fine di quel terribile corteo.
La ragazza tenne la testa alta, nonostante avvertisse quelle decine di sguardi dilatati dalla follia che le bruciavano addosso.
Avrebbe tanto voluto fuggire, ma le sue gambe erano come stregate, trascinandola inesorabilmente verso il suo destino. 
Alla fine, si fermò di fronte a uno spiazzo illuminato quasi a giorno dai bracieri, lasciato stranamente libero.   
Tra le tante teste che le si ammassavano attorno, Jane distinse per un attimo gli occhi grigi di Draco Malfoy, lasciati volontariamente scoperti dalla maschera.
Nell’incrociare il suo sguardo instupidito, la ragazza si sentì attanagliare da un moto di rabbia incontenibile, facendo per voltarsi di scatto e scagliarglisi contro, ma qualcosa di ben più terribile la bloccò lì dov’era.
Bellatrix si era infatti scostata da lei e aveva fatto qualche passo in avanti, sbucando nella zona di prato rimasta libera.
Si tirò su la manica della tunica, denudando il braccio sinistro, su cui era tatuato un teschio che vomitava un serpente dalla bocca.
Jane serrò gli occhi per il terrore, sapendo che cosa stava per accadere.
Un attimo dopo, nel prato calò un silenzio di tomba.
La ragazza non si era mai ritrovata completamente sola alla mercé di Voldemort.
Solo in quel momento capì cosa doveva aver provato suo fratello due anni prima.
Alto, emaciato, gli occhi iniettati di sangue, infossati in quel cranio completamente privo di capelli e di naso: un morto tornato dagli inferi.
Nell’avvertire la presenza di ciò che restava della sua anima completamente corrosa dal male, Jane si sentì svenire.
Accanto ai piedi dello stregone, Nagini, il suo fedele serpente, strisciava sinuosamente sul prato, sferzando la lunga lingua nera in direzione dei presenti, soffiando minaccioso.
–Spero che tu abbia una motivazione accettabile per avermi fatto venire qui in questo modo – disse Voldemort a Bellatrix, che lo fissava con un raccapricciante sguardo di adorazione. – Siete per caso riusciti a catturare Potter?
–Oh, non proprio Potter – rispose la strega con un ghigno. – Ma in compenso abbiamo due ospiti d’onore che non vi dispiacerebbe affatto interrogare – si fece da parte in modo teatrale. – La signorina Jane Potter, che è stata così gentile da farsi catturare senza opporre resistenza, e… – levò la mano, facendo un rapido cenno a qualcuno dietro le sue spalle.
Due Mangiamorte emersero tra la folla, spingendo in avanti Edmund, che cercava disperatamente di nascondere il volto nel colletto della camicia, le mani legate dietro la schiena.
Jane soffocò un gemito.
–Chi è mai costui? – sbottò Voldemort, chiaramente spazientito.
–Ma come, non riconoscete questo bel faccino? – rispose Bellatrix in tono malizioso, avvicinandosi al ragazzo e costringendolo a levare il capo.
Non appena lo stregone lo vide in faccia, i suoi occhi gelidi furono percorsi da un bagliore rossastro.
Avanzò a grandi passi, afferrando il viso di Edmund con tanta violenza da lasciargli cinque graffi sulle guance, portandolo a pochi centimetri dal suo.
–Riconosco quegli occhi… – sibilò. –TU! – esclamò poi con rabbia, lasciando la presa. – Come fai a essere ancora vivo?
–A quanto pare, qualcuno è riuscito a portarlo via poco prima che voi veniste a sistemarlo, mio signore – rispose Bellatrix, spostandosi verso Jane. Ora il suo gioco era riuscito alla perfezione. – Qualcuno che non aveva la minima idea di che cosa stesse facendo.
Voldemort si voltò verso la ragazza.
Nonostante fosse completamente paralizzata dalla paura, Jane riuscì a sostenere il suo sguardo.
Finalmente avrebbe avuto le risposte che cercava, quelle risposte che non aveva mai trovato il coraggio di ammettere.
–Sì sono stata io! – rispose decisa. – E non mi importa minimamente di chi sia Edmund!
–Oh, ne sei proprio sicura, piccola Mezzosangue? – chiese Voldemort con un ghigno. – Nemmeno se ti dicessi che è mio figlio?
Il fiato le morì in bocca.
Il cuore cessò per un attimo di battere.
Tante volte quel pensiero l’aveva tormentata, altrettante lo aveva scacciato.
No, non era possibile, Edmund Pevensie, una persona meravigliosa come lui, il figlio di Voldemort, l’Erede di Serpeverde, il Male incarnato!
La ragazza levò lo sguardo verso Edmund.
Il ragazzo era crollato in ginocchio sull’erba, il capo chino per la vergogna.
–No…
–È curioso quanto possa essere ingannevole l’amore, non è così? – disse Voldemort avvicinandosi a lei. – Migliaia di maghi e streghe, per quanto fossero dotati di straordinari poteri, sono stati catturati dalla sua rete. Persino coloro che si pensava fossero abbastanza forti da resistergli. Come Alhena, la mia serva prediletta, una strega dai poteri eccezionali che per anni ha fatto scorrere il sangue di decine di Nati Babbani – dietro le sue spalle, Bellatrix fece una smorfia spazientita. – Grazie a lei, presto il mondo sarebbe stato finalmente ripulito dalla vostra sozzura. Ma non avevo considerato un fattore importante. Tutta la sua devozione, l’eccessivo attaccamento che aveva nei miei confronti, non era semplice fedeltà verso il suo signore, ma qualcosa di ben più subdolo – fissò la ragazza dritta negli occhi.
–Alhena Black mi amava. E, in maniera altrettanto subdola, riuscì a farsi amare a sua volta da me. Fu punita dalla la sua stessa stupidità. Improvvisamente, sparì senza lasciare traccia, ritirandosi in un posto dove nessuno avrebbe potuto raggiungerla. Credeva di riuscire a nascondere il suo segreto agli occhi del mondo, tuttavia non vi sarebbe mai riuscita senza un aiuto. Fu perciò così sciocca da rivolgersi alla sua sorella più fidata, Bellatrix.
Inutile dire che fui immediatamente informato da lei che quella cagna traditrice aspettava un figlio che, secondo una leggenda, sarebbe stato in grado di spodestarmi. Era chiaro che il bambino doveva sparire. Mi presentai io stesso alla sua presenza, facendole giurare di provvedere il prima possibile, pena la morte più atroce che potesse desiderare. Incaricai il mio fidato servitore Greyback di occuparsi della faccenda non appena fosse nato.
Tuttavia, la malfidata disobbedì ai miei ordini. Sostituì il bambino con una pietra trasfigurata, abbandonata nella foresta, e fuggì con lui nella sua casa, dove lo tenne segregato per quattordici lunghi anni, protetto da potenti incantesimi che mi avrebbero impedito di trovarlo. Poco tempo dopo la sua nascita, io caddi e questa storia venne dimenticata. Eppure, la paura che un giorno o l’altro tornassi era così viva nella mente di Alhena da condurla a una lenta e inesorabile follia, che la torturò per il resto della sua vita, dandole modo di riflettere sulla sua stupidità fino al giorno in cui io, appena ripresi i miei poteri, misi a tacere la sua lingua biforcuta una volta per tutte.
Prima di ucciderla, cercai di sapere dove fosse il ragazzo: avevo trovato il sotterraneo vuoto e ogni traccia del suo passaggio. Lei mi disse che era morto. Io le credetti. Errore impagabile. Come poteva essere possibile che proprio la sorella gemella di Harry Potter fosse così ingenua da cadere anch’ella nella trappola che quattordici anni prima era costata la vita a sua madre? Ma ora, grazie a lei, ogni cosa è tornata al suo posto. E io potrò finalmente assicurarmi di non avere più nessuno a ostacolare il mio cammino.
Si voltò lentamente, avviandosi a grandi passi verso Edmund.
–Molte volte mi sono chiesto cosa ti rendesse tanto temibile – commentò disgustato. – E invece che cosa trovo? Un ragazzino piagnucoloso amico dei Babbani! Un essere come te non merita altro che la morte, la peggiore. Crucio!
Edmund crollò a terra, prendendo a contorcersi dal dolore.
Le sue urla attirarono risate di scherno da parte dei Mangiamorte, che osservavano la scena come se si trattasse di uno spettacolo particolarmente divertente.
Nagini continuava a girare attorno al ragazzo, aspettando solo un ordine da parte del padrone per attaccare.
Jane era rimasta pietrificata.
Non sapeva cosa fare.
Le grida di Edmund si facevano sempre più alte, ma lei non riusciva a muovere un muscolo.
Era il figlio di Voldemort, apparteneva al male, era giusto che morisse, le diceva la coscienza.
Jane, che cosa stai facendo lì impalata?
Non ricordi più che è veramente, come l’hai conosciuto in realtà, al di là di quello che possono farti credere gli altri?
Non ricordi quanto sia pura la sua anima, quanto egli sia immune dal male?
Non è forse per questo che lo vogliono uccidere?
Ma, al di là di tutto questo, ricordati, Jane: tu lo ami!

Non si rese neppure conto di ciò che stava facendo.
Con un balzo in avanti, la ragazza si gettò contro Bellatrix, trascinandola a terra.
Accio bacchetta! – gridò mentre tentava di immobilizzarla.
Un attimo dopo, stringeva la sua bacchetta fra le dita.
Expecto Patronum! – urlò, puntandola contro Voldemort.
Immediatamente, un cavallo argenteo si scaturì dalla punta, piantandosi davanti a Edmund.
Un attimo dopo, una pioggia di scintille rosse piovve dal cielo, mentre una serie di crepitii annunciò un numero incredibile di Materializzazioni all’interno del giardino.
I membri dell’Ordine della Fenice si riversarono fra i Mangiamorte, dando vita a una terribile battaglia.
Approfittando del disordine, Jane si gettò in una folle corsa, cercando di raggiungere Edmund.
Lo trovò abbandonato sul prato, più morto che vivo.
–Ed! – esclamò la ragazza cingendolo con un braccio e aiutandolo a tirarsi in piedi. – Coraggio, ci sono qua io! Andiamo via!
Non aveva neppure finito di dire la frase, che il passo le fu sbarrato da Bellatrix Lestrange.
Il suo volto era una maschera di follia.
–Questo dimostra che io non sono Alhena – sibilò levando la bacchetta e muovendola in avanti come se fosse un pugnale.
Un attimo dopo, Edmund si accasciò a terra senza un lamento.
Sulla sua camicia bianca prese ad allargarsi una macchia rossa che in meno di un attimo lo ricoprì completamente.
–QUI! – gridò la ragazza, mentre il suo Patrunus tornava indietro al galoppo, nascondendoli entrambi alla vista della strega.
Jane si inginocchiò a terra, aprendo la camicia di Edmund.
Ciò che vide per poco non la fece vomitare.
Il ventre del ragazzo era stato squarciato dallo sterno all’ombelico, facendo intravedere i visceri grigiastri che fuoriuscivano dall’orrida ferita.
–Oh…mio…Dio! – gemette la ragazza, levando la bacchetta. –V-vulnera Sanentur – balbettò.
In un attimo, la ferita si richiuse, ma dopo alcuni istanti nuovo sangue prese a fuoriuscire lungo tutta la cicatrice.
In preda al panico, Jane finì di strappare la camicia del ragazzo e gliela legò stretta attorno al tronco, cercando disperatamente di fermare l’emorragia.
–Devi portarlo immediatamente via da qui! – disse improvvisamente una voce sopra la sua testa.
Jane levò lo sguardo.
Hermione era apparsa accanto a lei, la bacchetta levata, pronta a combattere.
Un attimo dopo, Ulisse li raggiunse scalpitando.
Sul suo dorso, Susan abbatteva con le sue frecce chiunque provasse ad avvicinarsi.
–Ci pensiamo noi, a loro. Edmund deve vivere – proseguì la ragazza.
−Io vengo con voi! – esclamò Susan saltando a terra e chinandosi su Edmund.
L’altra annuì.
Afferrò Edmund e prese Ulisse per le redini; poi chiuse gli occhi.
Un attimo dopo, si trovava distesa a faccia in giù su un prato profumato di rugiada, sul fianco di una collina sulla quale nessuno avrebbe potuto farle del male.





Angolo Me

Buonasera a tutti! :)
Spero di non avervi traumatizzati troppo con questo lungo (e un po' splatter) capitolo!
Ringrazio moltissimo Soleil Jones per lo splendido banner che ha realizzato per questa storia: è davvero un capolavoro!
Non poteva venire più perfetto ;)

E ora cosa pensate che accadrà?
Come farà Edmund a sopravvivere e, soprattutto, che scelte faranno Harry e i Pevensie una volta scoperta la verità?
E Jane?
Riuscirà ancora a tirare avanti con la sua storia d'amore, sapendo che il ragazzo è in realtà il figlio di chi le ha ucciso i genitori?
Questo ed altro saranno i temi affrontati nella prossima puntata.
Nel mentre, vi lascio come sempre il link della mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
A martedì prossimo, dunque!

F.

 
 

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Capitolo 10
*** La scelta di Jane ***





Capitolo 10

LA SCELTA DI JANE

~

 
 
 
 
Quando Jane aprì gli occhi quella mattina, come prima cosa desiderò con tutto il cuore di essere nata Babbana, così che tutto ciò che era accaduto negli ultimi sette anni non fosse stato altro che un brutto incubo.
Ma il fatto che si fosse risvegliata sul divano del salotto e non in camera sua, occupata da un ragazzo in stato di incoscienza, era indice che doveva trovare il coraggio di alzarsi e affrontare tutto ciò che l’aspettava là fuori.
Non sapeva che cosa ne fosse stato degli altri, mentre lei se l’era elegantemente svignata insieme al figlio del suo nemico numero uno, lasciando tutti in balia dei Mangiamorte.
Era atterrata a poche centinaia di metri da casa sua, riuscendo a trovare a malapena le forze per trascinare Edmund, Susan e Ulisse oltre i confini della Traccia, dove sarebbero stati al sicuro.
Il ragazzo aveva perso conoscenza e la bocca era impastata di sangue.
Stava per morire.
Senza perdere altro tempo, Jane era balzata in sella a Ulisse e aveva galoppato fino in cima alla collina, chiamando aiuto a gran voce.
Pochi minuti dopo, suo padre e Dennis si erano precipitati fuori, seguendola fin quasi alla staccionata e aiutandola a portare Edmund all’interno della casa.
Ciò che era accaduto immediatamente dopo era degno di un film dell’orrore della peggior specie.
Non appena era entrata nel pianerottolo, Jane era caduta in preda a un vero e proprio attacco di panico, prendendo a piangere e a urlare senza freni, mentre Albert adagiava Edmund per terra ed esaminava la sua ferita.
–Deve essere operato immediatamente – aveva decretato. – A meno che tu non lo porti in qualche ospedale gestito dai tuoi simili, come mi hai accennato una volta.
In tutta risposta, la ragazza aveva preso a urlare ancora più forte, sostenendo che no, Edmund non si sarebbe mosso di lì, ovunque sarebbero andati lo avrebbero ammazzato senza pensarci due volte.
Alla fine Albert, rendendosi conto che sarebbe stata comunque una follia tentare di muoverlo da lì, aveva deciso di ricorrere alla forza della disperazione.
Aveva fatto chiamare due dei suoi assistenti più fidati dall’ospedale e li aveva pregati di raggiungerlo al più presto a casa sua, dando loro istruzioni precise.
Poi aveva fatto distendere Edmund sul tavolo del salotto, facendosi aiutare da Dennis.
Nel frattempo, Jane, ormai completamente fuori di sé, era stata fatta accomodare in cucina, dove il fratellastro le aveva medicato le ferite alle mani e le aveva preparato una tisana calda.
Dieci minuti dopo, un deciso scampanellio alla porta aveva annunciato che i rinforzi erano finalmente arrivati, seguiti a ruota da Peter, che aveva lasciato in fretta e furia il campo di battaglia per fornire il suo aiuto.
In pochi istanti, i quattro uomini si erano asserragliati nel salotto, trasformato in una grottesca sala operatoria arredata in stile IKEA.
Dal suo cantuccio, Jane udiva chiaramente il borbottio concitato dei medici al lavoro, interrotto da interminabili pause di silenzio.
Ogni tanto, Dennis si affacciava in cucina per assicurarsi che la ragazza stesse bene, cercando di distrarla, ma inutilmente. Jane era ancora sconvolta e non riusciva ad allontanare dalla sua mente l’orrenda visione del ventre squarciato di Edmund.
Il pungente odore del sangue pareva esserle penetrato nelle ossa.
Verso l’una, Cecilia aveva provato a curiosare al piano di sotto, ma era stata prontamente acciuffata e riportata in camera sua prima che vedesse anche un solo frammento di quella scena da mattatoio.
Solo intorno alle tre parve tornare la calma.
Albert era entrato lentamente in cucina, aveva accennato un rapido sorriso alla figlioccia e si era andato a sciacquare le mani nel lavello.
–Il nostro Edmund è un osso duro – aveva commentato. – Per ora, non è più in pericolo di vita, ma dobbiamo aspettare che riprenda conoscenza. Inoltre quella ferita è strana. Sembra che il sangue faccia fatica a coagulare. Non ci resta che attendere.
A quelle parole, Jane lo aveva ringraziato in tutte le lingue possibili e gli aveva gettato le braccia al collo, dando libero sfogo a nuove lacrime.
Dopo minuti interminabili, Albert era riuscito a convincerla a darsi una rinfrescata e ad andare a dormire, non prima però di averle somministrato una sana dose di calmanti, dal momento che non riusciva a trovare requie.
Jane finì di spazzolarsi i denti e si avviò verso la sua camera da letto.
Il sole era già alto nel cielo, argentando le colline al disotto del cielo plumbeo.
La ragazza caracollò fino in camera sua e sbirciò dentro.
Disteso nel suo letto, seminascosto da un intrico di tubicini trasparenti collegati alle vene delle braccia, stava Edmund.
I tratti del volto apparivano distesi e le labbra ceree sembravano quasi accennare a un sorriso, come se stesse semplicemente dormendo e non fosse sotto l’effetto della morfina.
La ragazza non osava immaginare che cosa sarebbe potuto passargli per la testa nel momento in cui avrebbe ripreso conoscenza.
Nemmeno lei osava chiederselo.
Dennis stava seduto sulla poltrona accanto alla finestra, sonnecchiando con il capo appoggiato alla scrivania.
Nel vederlo lì, Jane si sentì improvvisamente rassicurata. Si avvicinò a lui, ponendogli una mano sulla spalla.
A quel contatto, il ragazzo sussultò vistosamente.
−Oh, sei tu – esclamò una volta levato il capo. – Come stai?
−Bene – mentì Jane sedendosi sul pavimento. – Novità?
−Continua a dormire. L’effetto dell’anestesia deve ancora svanire – rispose Dennis stropicciandosi gli occhi. – Non so davvero come abbia fatto a sopravvivere. Una persona normale sarebbe morta nell’arco di pochi minuti. Forse è vero che quelli come voi sono più resistenti.
−Già.
Jane mandò giù nuove lacrime, mentre levava lo sguardo su Edmund.
Per forza sei sopravvissuto, pensò con rabbia. Probabilmente è stato perché anche tu non hai un’anima.
A quel pensiero, non le fu più possibile contenere il dolore.
Nascose d’istinto il volto tra le mani, vergognandosi di se stessa: se non fosse stato per lei, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto.
−Jane? – in un attimo Dennis le fu accanto, cingendole le spalle con un braccio. – Perché piangi? Ma che cosa è successo ieri notte? Temo che tu non mi abbia raccontato tutto.
La ragazza scosse il capo violentemente.
–Non…mi…va…di…parlarne – singhiozzò.
−Si risolverà tutto, vedrai – la rassicurò lui. – Sei preoccupata per tuo fratello?
−Sì – mentì lei, anche se fu proprio in quel momento che si rese conto di avere ancora una persona là fuori.
−Tranquilla, ha telefonato stamattina. Sta bene – rispose Dennis sorridendo.
−Harry? Sei proprio sicuro che fosse lui?
−Di certo quei terroristi che vi danno la caccia non sanno usare il telefono.
−Giusto.
Jane si pulì nervosamente il volto con la manica della felpa e si levò in piedi.
−Perdonami, Dennis – disse con rabbia. – Ho sbagliato tutto nella mia vita. Tutto.
−No, non è vero. Non immagini neanche che razza di persona sei. Hai portato felicità in molte vite. Edmund dovrebbe essere il primo a ringraziarti.
−Era quello che credevo anch’io.
La ragazza si avvicinò ancora una volta al letto.
Nonostante la ragione le stesse imponendo di odiare quell’essere disteso a pochi centimetri da lei, non riusciva a calmare il cuore, che continuava a battere con forza, più potente della paura che la paralizzava.
Dopo tutto quello che aveva passato in quegli anni, Jane non si sarebbe mai immaginata di restare accanto al figlio del suo nemico mortale, incantata dalla sua straordinaria bellezza, travolta da un sentimento così grande da non riuscire a contenerlo.
Per due anni non aveva fatto altro che avere di lui un’immagine del tutto sbagliata, un ritratto dettato solo dal suo cieco egoismo, qualcosa che, anche senza volerlo, non aveva fatto che alimentare ogni giorno.
E quello era il tremendo risultato.
Perché non riesco a smettere di amarti?, pensò tra le lacrime, mentre gli sfiorava la fronte con le labbra senza provare un minimo di vergogna.
 
***
 
Il giorno seguente la situazione non solo non migliorò, ma trovò anche il modo di peggiorare.
Verso mezzogiorno, infatti, la quiete ovattata di casa Collins venne interrotta da un brusco scampanellio alla porta.
Fu Wendy ad andare ad aprire e, prima ancora che Jane avesse potuto fermarla, Harry aveva fatto irruzione nel pianerottolo.
Era più pallido che mai e un brutto graffio gli attraversava tutta la guancia sinistra fino al collo.
−Harry! – esclamò la sorella, avvicinandoglisi intimorita, notando immediatamente l’espressione omicida nei suoi occhi verdi. – Stai…?
−Stiamo tutti meravigliosamente, grazie al cielo! – tuonò lui, fuori di sé dalla rabbia. – Abbiamo solo riportato una buona quantità di lividi, graffi e ossa rotte, senza contare il fatto che me la sono dovuta vedere ancora una volta da solo con il nostro nemico numero uno!
−Harry, io…
−Non scusarti! Non voglio ascoltare le tue scuse! Ti rendi conto di quello che hai fatto?
A quelle parole, Jane montò su tutte le furie.
–Quello che ho fatto? – sbottò. – E che ne sapevo io che era il figlio di Voldemort, eh? Tu non immagini in che condizioni si trovava, quando l’ho portato via da quel sotterraneo! Insomma, l’avresti fatto anche tu, se fossi stato al mio posto!
−Già, peccato che però l’altra sera sapevi perfettamente con chi avessi a che fare, eppure non hai esitato ad abbandonare il campo di battaglia per salvarlo, mettendo ulteriormente a repentaglio la vita di tutti noi!
−Per tua informazione, è stata Hermione a dirmi di salvargli la vita!
−Hermione è anche quella che ha sempre difeso Piton, ricordi?
−Per l’ultima volta, EDMUND NON È MALVAGIO! Ho percepito la sua aura, è quanto di più esente dal male possa esistere. Io mi fido dei miei poteri.
−E allora perché non sei riuscita a capire che Piton ci aveva traditi, anzi, continuavi a insinuare che lui era la persona più affidabile del mondo, che ci voleva proteggere? Sei solo un’ingenua!
−Non so che cosa sia passato per la testa di Piton, ma ti posso assicurare che per Edmund non è così!
−Certo, dici così solo perché non vuoi arrenderti alla verità, perché vuoi ancora credere che lui sia ancora il cucciolo abbandonato che ti sei voluta portare a casa! Non capisci che quel ragazzo è un pericolo per tutti noi, persino per la tua famiglia adottiva?
−No, non lo ammetterò mai! Io lo amo, Harry, e non lo abbandonerò mai, per quanto possa rappresentare tutto ciò che odio! Tu non capisci!
−Sei proprio andata fuori di testa! Non lo sai nemmeno tu quello che stai dicendo!
Jane scosse la testa, mentre nuove lacrime prendevano a rigarle il volto.
–Non capirai mai – singhiozzò. – Perché sei venuto qui?
−Per portarti al sicuro, dal momento che non sei abbastanza matura per farlo da sola – rispose Harry asciutto. – Manca solo una settimana al nostro compleanno e presto la Traccia svanirà. I Mangiamorte ci stanno dando la caccia ovunque e non credo che si arrenderanno facilmente, non se sanno che con noi c’è un obiettivo così importante. Devi immediatamente venire con me alla Tana e lasciare quel coso al suo destino.
−Cosa? NO! Edmund ha bisogno di me, non lo lascerò da solo! Dove andrà una volta guarito, te lo sei chiesto? E se i Mangiamorte riuscissero a trovarlo?
–Forse la sua morte sarebbe la cosa migliore – sentenziò il ragazzo. 
−Ma come fai a dire una cosa del genere su un essere umano? – sbottò Jane sconvolta. – Dov’è finito l’Harry Potter che conoscevo, il ragazzo leale privo di pregiudizi verso gli altri, anche i più emarginati? Mai avrei creduto di sentir dire una cosa del genere da mio fratello!
−E cosa dovrei dire io di te, sorella? Un tempo tremavi di rabbia solo a sentir nominare la parola Voldemort e ora ti trovo a gridare amore per suo figlio come la protagonista di una telenovela! Non si chiama tradimento, questo?
−Sei solo cieco – disse la ragazza fissandolo con odio. – Non è solo l’amore che mi fa dire queste cose. C’è qualcosa su Edmund che mi è sempre sfuggito e su cui lo stesso Silente mi stava spingendo a fare ricerche, poco tempo prima di morire. Sono sicura che abbia a che fare con la profezia perduta, quella della Black. Lo stesso Voldemort ha affermato di voler uccidere suo figlio perché altrimenti sarebbe stato spodestato da lui. Devo vederci chiaro. È la mia missione.
−Ancora una volta insisti a far quadrare per forza cose che invece dovrebbero essere solo abbandonate al loro destino – rispose Harry. – L’ho pensato molte volte, in questi mesi, ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Ora, però, non mi lasci altra possibilità. Scegli, Jane: o vieni con me e portiamo a termine insieme la nostra missione, oppure resta con Edmund, ma sappi che se prenderai quest’ultima decisione io non vorrò sapere più nulla di te, né ti considererò ancora mia sorella. Pensaci bene. Non ti concederò altre possibilità.
Jane chiuse gli occhi, incassando mentalmente il colpo.
Il cuore le faceva male per la durezza di quelle parole e per il peso che stava per caricarsi volontariamente sulle spalle, tuttavia ormai sapeva che il suo percorso era stato ormai tracciato da tempo.
−Il mio posto è accanto a Edmund – rispose lentamente. – Mi dispiace.
−Bene, allora non abbiamo altro da dirci. Addio, Jane. E buona fortuna. Prego solo di non essere costretto a ucciderti, se mai ci rincontreremo.
Detto questo, Harry si voltò e aprì la porta, richiudendosela con violenza alle spalle.
Jane non fece nulla per fermarlo. Restò in piedi nel mezzo del pianerottolo, immobile come se fosse pietrificata.
Non riusciva a trovare nemmeno la forza di piangere.
Solo la mattina precedente aveva desiderato che tutto quello non fosse mai accaduto.
Ma non aveva mai pensato che potesse concludersi in quel modo.



Angolo Me

Buongiorno a tutti! :)
Come vedete, la situazione si fa sempre più drammatica: Edmund è in fin di vita e per di più Jane ha dichiarato apertamente guerra a Harry senza sapere se il ragazzo che ama sia buono come sembra o nasconda in realtà la stessa anima dilaniata di suo padre.
Come pensate stiano le cose?
Edmund resterà sempre dalla parte dei buoni o verrà tentato dal lato oscuro?
E i gemelli Potter troveranno mai il modo di riappacificarsi?
A Jane non resta altro che cercare insieme a noi le risposte contenute nella Seconda Profezia: che la caccia abbia inizio!

Ringrazio ancora tutti voi per il sostegno e la passione con cui state continuando a leggere questa storia, nonostante le vacanze estive.
Spero che continuiate a farlo anche in futuro :)

Nel mentre, vi lascio come al solito il link della mia pagina Facebook, dove potrete essere sempre informati su aggiornamenti, curiosità e anteprime delle nuove storie: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A martedì prossimo! :)

F.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Convalescenza ***




Capitolo 11

CONVALESCENZA

~






 
−Come sarebbe a dire partire senza di te? Non se ne parla nemmeno! – sbottò Dennis inferocito.
−La situazione è diventata troppo pericolosa – rispose Jane risoluta. – Dovete anticipare la trasferta e poco importa quanto possa costare. Ne va della vostra vita.
−E alla tua non pensi?
−Io resterò qui con Susan a occuparmi di Edmund.
−Jane, non essere ridicola! Non sei un medico e le sue condizioni sono troppo gravi per farcela da sola. Non può restare qui a lungo, devi portarlo in un ospedale o qualcosa del genere che ha la tua gente! Forse negli Stati Uniti…
−No, ti dico che me la so cavare perfettamente da sola – sentenziò la ragazza per l’ennesima volta. – La questione ormai riguarda me. Non permetterò che altra gente soffra a causa mia. Voi…non potete capire, okay? Resta poco tempo, nemmeno una settimana!
−Io…
Jane gli gettò le braccia al collo, stringendolo nell’abbraccio più forte che una sorella potesse riservare al suo fratello maggiore, il suo unico porto sicuro, la sua roccia.
−Io starò benissimo – promise. – So quello che faccio.
 
***
   
Quando Edmund riprese conoscenza, in un primo momento fu convinto di trovarsi nella piccola stanzetta che condivideva con Peter.
Pochi istanti dopo, però, la lontana ma lancinante fitta di dolore che gli percorse tutto il corpo gli fece piombare addosso la tremenda verità che aveva tentato di cancellare in tutti quegli anni.
Immagini confuse, fatte di sangue e di volti incappucciati, presero a torturarlo nella sua mente.
Tentò di gridare, ma dalla sua bocca fuoriuscì solo un flebile gemito.
Un attimo dopo, udì due voci femminili che lo chiamavano da uno spazio e da un tempo lontanissimi.
−Edmund? – il ragazzo la riconobbe all’istante: era Susan.
−Jane! JANE! Edmund si sta svegliando!
Nel sentire quel nome, seppure confuso e ovattato, il ragazzo avvertì che il suo cuore instupidito dalla morfina stava accelerando disperatamente i battiti.
Udì la sua voce che lo chiamava da quella dimensione lontana, le sue piccole mani che gli accarezzavano il volto.
Jane!, pensò disperatamente, perché sei ancora accanto a me? Non lo sai che sono un mostro, il tuo nemico? Perché mi fai questo, quando invece dovresti fuggire il più lontano possibile e odiarmi?
Improvvisamente, gli venne una voglia terribile di piangere, ma il suo corpo non gli ubbidiva.
Avvertiva ancora le mani di lei che gli accarezzavano il volto.
−Edmund… − lo stava chiamando.
Ti amo, Jane, pensò il ragazzo, come se lei potesse sentirlo. Ti ho amata dal primo istante in cui sei entrata nella mia prigione e mi hai portato via. Per anni mi hai fatto credere che potesse esistere un mondo diverso, un mondo dove ci sarebbe stata la felicità e in cui io non sarei stato trattato come un mostro. Mi hai fatto capire che esistono persone meravigliose in grado di far del bene e di insegnarlo anche agli altri. Persone che in realtà hanno la luce di un angelo, proprio come te. Ma io non sono destinato a condividerla. Io appartengo al male. Per questo devi lasciarmi, anche se dentro di me non voglio, perché tu sei troppo bella, troppo pura per amare uno come me, un reietto della peggior specie che non merita neppure di vivere!
Rivide chiaramente il volto scarno di sua madre comparire nei suoi ricordi, ghignando rabbiosa, i capelli scarmigliati e lo sguardo folle.
Lo fissava e rideva, una risata senza gioia, ricordandogli la maledizione che li aveva legati entrambi.
−Sei la mia dannazione, Salazar! – gridava con voce stridula. – Sei un mostro! È tutta colpa tua se tuo padre mi ha rinnegata, se siamo imprigionati qui, tutti e due, e non potremo uscire mai più! Non porti altro che male e non meriti alcuna pietà!
Mentre questi terribili pensieri lo tormentavano, una voce che conosceva benissimo lo chiamò ancora una volta da quella dimensione lontana, che in qualche modo conduceva alla luce.
Edmund, lo implorò, non lasciarmi. Io credo in te.
Improvvisamente, un infinito senso di pace lo invase, come una carezza dolcissima che lo avvolgeva stretto in un abbraccio caldo e sicuro, restituendogli una forza che non credeva di conoscere. 
Un attimo dopo, perse nuovamente conoscenza, precipitando in un sonno senza sogni.
 
***
 
Nel momento in cui Susan aveva urlato a pieni polmoni, Jane si trovava di sotto, intenta a preparare un pasto veloce per entrambe.
La casa sembrava diventata improvvisamente enorme e silenziosa, da quando la sua famiglia era partita per l’America.
Solo Susan era rimasta ad aiutarla, dopo aver convinto Peter a ritornare a casa per prendersi cura del resto della famiglia.
Il giorno fatale in cui Jane avrebbe perso la protezione magica era ormai alle porte.
Nell’udire la voce dell’amica che la chiamava dal piano di sopra, Jane si era precipitata nella sua camera da letto.
Effettivamente, Edmund si stava agitando, anche se in maniera quasi impercettibile.
Si era subito chinata su di lui, accarezzandogli il volto e cercando nel mentre di capire che cosa stava accadendo tramite la ragnatela di macchinari che lo mantenevano in vita.
Si concentrò più che poteva, mentre le sue mani si affrettavano a cambiare la sacca della flebo e a controllare la fasciatura.
In pochi attimi, la sua mente era entrata in contatto con quella del ragazzo.
Ciò che vi lesse le fece gelare il sangue nelle vene.
Le parve di vedere un altro Edmund, lo stesso che aveva incontrato due anni prima nel sotterraneo, piccolo e terrorizzato, che la pregava di fuggire, di abbandonarlo al suo destino.
Eppure i suoi occhi sgranati sembravano implorarla di restare, perché in loro brillava una luce diversa, lontana da tutto ciò in cui gli avevano fatto credere fino a quel momento.
Io ti amo, Jane!, sentì la sua voce che la chiamava da lontano, come portata via dal vento.
Doveva fare qualcosa o lo avrebbe perso: si stava lasciando morire, non voleva che lo aiutasse.
Doveva dargli una speranza, ancora una speranza, quella che avrebbe salvato entrambi.
Edmund, non lasciarmi, lo pregò accarezzandogli la fronte bollente. Io credo in te.
Poi, aveva lasciato che la sua stessa energia lo avvolgesse, facendogli sentire quanto gli fosse ancora vicina, nonostante tutto, che nulla fosse cambiato fra loro.
Era l’unico modo in cui poteva raggiungerlo nella fortezza di ghiaccio che si era costruito attorno.
Aveva avvertito il suo essere abbandonarsi a quell’abbraccio, restituendo pace alla pace, poi il ragazzo era ricaduto nel sonno, anche a causa di nuovi farmaci che avevano preso a scorrergli nelle vene.
Jane si sedette ai piedi del letto, completamente esausta.
−Comincia a svegliarsi – rispose all’occhiata carica di speranza che le lanciò Susan. – Ma non so cosa fare. La ferita non guarisce. Deve essere stata maledetta.
Da aspirante infermiera, Susan controllò per l’ennesima volta la fasciatura, già sporca di sangue.
−Si è infettata – commentò con una nota di disgusto nella voce.
−E non si rimargina – aggiunse Jane prendendo una boccetta di vetro dal comodino e prendendo a svolgere lentamente la fasciatura, preparandosi al peggio.
Cercò di resistere il più possibile all’ennesima vista della ferita, spalmandovi sopra una generosa quantità di unguento e applicandovi subito delle bende pulite.
−I punti non reggono – spiegò amaramente. – Per ora, l’unica cosa che sembra tenere a bada l’emorragia per qualche ora è il dittamo. Ma non so per quanto dureranno le mie scorte. E io che le conservavo per Pozioni!
−Dobbiamo portarlo dai nostri simili – incalzò Susan per la terza volta in quella giornata. – Non lo vedi che non ce la fa? Solo loro possono curarlo!
−I nostri simili mi hanno ufficialmente rinnegata. Sono una Babbana con conoscenze magiche – tagliò corto Jane. – Non ci resta che aspettare che si risvegli, poi deciderò. Per adesso, posso solo aiutarti a fare i bagagli e tornare dai tuoi. Lucy e tua madre hanno bisogno di te.
−E tu? – gli occhi chiari di Susan si stavano riempiendo di lacrime.
Non voleva lasciare la sua migliore amica da sola.
−Il tuo posto è con i Pevensie, i veri Pevensie – rispose l’altra con un sorriso. – Coraggio, andiamo a chiudere la valigia!
 
***
 
Il piano di fuga era stato programmato al decimo di secondo.
Susan aveva tempo fino a mezzanotte per lasciare casa Collins e arrivare a Londra.
Jane aveva tenuto pronta una piccola scorta di Pozione Polisucco che aveva preparato non appena erano iniziate le vacanze estive, in previsione di un’emergenza come quella.
L’avrebbe ceduta volentieri all’amica, che avrebbe potuto così mascherare la propria identità dal momento in cui il taxi sarebbe venuto a prenderla fino all’arrivo a destinazione.
Era perfetto.
Verso le cinque del pomeriggio, Edmund si risvegliò completamente.
Era ancora stordito dalla morfina e dalla febbre.
Nel vederlo di nuovo cosciente, Jane rimase per un attimo spaesata.
Non era ancora pronta psicologicamente ad affrontare una cosa del genere, combattuta com’era tra l’amore e la paura.
Si limitò a svolgere tutti i medicamenti in silenzio, fingendo di ignorare le occhiate che il ragazzo continuava a lanciarle: sapeva che Edmund aveva la sua stessa identica espressione, in quel momento.
Ogni tanto gli rivolgeva qualche sporadica domanda su come stesse e o se sentisse male da qualche parte.
Lui si limitò a risponderle per monosillabi.
Sempre più turbata, Jane cercò di limitare il più possibile le sue visite, lasciando il grosso del lavoro a Susan, mentre lei controllava gli ultimi preparativi per la sua fuga.
Verso le sette, le due ragazze cenarono insieme nella piccola cucina, illuminata da una pallida luce elettrica.
Non parlarono quasi per niente, fingendo di concentrarsi sul brodo di verdura che Jane aveva preparato in fretta e furia.
−Il frigo è quasi vuoto – osservò Susan a un certo punto. – Come farai ad andare a fare la spesa?
−Ci sono sempre le galline – rispose Jane senza guardarla. –E la vicina dovrebbe passare ogni giorno a portarmi qualcosa.
−Come hai fatto a convincerla?
−Le ho detto che sono bloccata a casa con una gamba rotta dopo essere caduta da cavallo e che i miei non possono prendersi cura di me perché sono partiti. Ho dovuto un po’ infarcire la cosa…
−Sei completamente fuori di testa.
−Sono una strega. Fa parte del contratto.
−A proposito… − Susan si alzò rapidamente, correndo al piano di sopra e ritornando un paio di minuti dopo. – So che non è carino dartelo in anticipo, ma poi non so se ci saranno altre occasioni… − le fece scivolare un pacchetto di carta colorata tra le mani. – Tanti auguri, Jane!
Gli occhi della ragazza si illuminarono di commozione.
–Oh, grazie! – esclamò mentre l’ultimo album degli Oasis le brillava tra le dita.
Un regalo tutto Babbano.
Senza magia.
Nuove lacrime presero a scorrerle sul volto.
Negli ultimi anni, Susan si era davvero rivelata la sua migliore amica, affrontando insieme situazioni terribili, in cui chiunque sarebbe fuggito a gambe levate.
E neppure in quel momento l’avrebbe abbandonata, a meno che non fosse stata proprio lei a dirle di andare via, proprio perché non voleva perderla per sempre.
L’avrebbe rivista, un giorno: di questo ne era certa.
Doveva vincere la battaglia.
E lo avrebbe fatto.
−Grazie mille! – esclamò, abbracciandola con tutta la forza che aveva. – Non so che cosa farei senza di te!




Angolo Me

Buonasera, gente! :)
Come vedete, anche questo capitolo non è stato proprio una passeggiata: Jane è sola con Susan alle prese con una maledizione che non riescono a dominare (per l'esattezza, quella sadica di Bellatrix ha lanciato un ibrido tra il Sectumsempra e la Maledizione Espellivisceri, non so se mi spiego) e i sentimenti della giovane Potter sono ancora divisi tra ciò che è giusto e ciò che è facile.
Certo, Jane è molto determinata a lasciar andare tutte le persone che la circondano per evitare che diventino a loro volta un facile bersaglio, tuttavia vi lascio immaginare come si sente in realtà in queste terribili ore.
Che dite, Susan riuscirà a prendere il taxi che la riporterà dalla sua famiglia?
O sta per scatenarsi un macello incredibile che costringerà le nostre amiche a rivedere i loro piani?

Tra una supposizione e l'altra, ho purtroppo una comunicazione da fare a chi segue "L'ultima notte": giovedì infatti sarò via fino a tardi e quindi non potrò aggiornare. 
Vi chiedo quindi di resistere fino a venerdì sera per leggere il nuovo capitolo.
Mi dispiace lasciarvi a bocca asciutta, soprattuto voi che siete davvero i lettori più stroardinari che una scrittrice in erba e un po' pasticciona possa desiderare, ma purtroppo il periodo di esami è così.

Per tutte le comunicazioni, vi lascio come sempre il link della mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A prestissimo, dunque!
Un abbraccio grande

F.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Cambi di programma ***





Capitolo 12

CAMBI DI PROGRAMMA

~

 
 
 
Jane spalancò gli occhi nell’oscurità, i nervi tesi mentre ascoltava il silenzio della notte.
Le era sembrato di aver sentito un rumore, qualcosa che l’aveva svegliata di soprassalto.
Ai suoi pensieri, rispose soltanto il fruscio del vento e il cupo ululare di un gufo in lontananza.
Si fece coraggio e si girò di fianco.
I numeri elettrici della sveglia indicavano le undici e cinquantanove.
Intravide un debole bagliore provenire da sotto la porta della camera di Susan.
Il taxi sarebbe dovuto arrivare a momenti.
Poi, improvvisamente, il rumore tornò, più secco e forte di prima.
Un grattare sordo e continuo proveniva dal piano di sotto, sempre più forte.
Questo non è il taxi, pensò Jane prendendo a sudare freddo.
Scattò a sedere d’istinto e afferrò la bacchetta dal comodino, poi strisciò accanto alla finestra, sbirciando all’esterno.
Ciò che vide per poco non le fece prendere un infarto.
Cinque alte figure ammantate di nero stavano avanzando lentamente nel prato davanti a casa sua.
Di tanto in tanto, un bagliore accecante si levava dalle loro bacchette, centrando in pieno la porta.
La Traccia stava cedendo!
Lottando per non perdere la calma, Jane si infilò al volo felpa e scarpe da ginnastica e si precipitò da Susan, che in quel momento se ne stava seduta sul letto a leggere, ignara di tutto.
−Ci attaccano! – esclamò Jane, distogliendola dal suo romanzo. – Dobbiamo andare via subito di qui!
A quelle parole, l’altra impallidì.
−Come facciamo? – squittì.
−Non lo so! Sbrigati, dobbiamo andare da Edmund!
Senza farselo ripetere due volte, Susan schizzò fuori dal letto, afferrò il trolley e seguì Jane nel corridoio, precipitandosi nella stanza di Edmund.
Il ragazzo dormiva profondamente, ignaro di tutto ciò che stava per scatenarsi da un momento all’altro.
Dal piano di sotto, il grattare stava diventando sempre più simile a un boato sordo.
−Stanno per entrare! – gemette Jane. – Svegliati, Ed!
Il ragazzo spalancò gli occhi a fatica.
−Che succede? – farfugliò ancora stordito.
−Abbiamo visite – rispose Jane. – Ti dobbiamo solo chiedere l’ennesimo sforzo.
In quel preciso istante, la radiosveglia sul comodino lanciò un sonoro bip!, che in una simile circostanza sembrò avere la potenza di uno sparo: mezzanotte!
Nello stesso istante, un tremendo boato scosse la casa da capo a piedi, come se una buona parte di parete fosse appena crollata sotto gli incantesimi lanciati dai Mangiamorte.
Le due ragazze urlarono all’unisono.
−Muoviamoci! – esclamò Jane afferrando Edmund per un braccio e aiutandolo a levarsi in piedi.
In quel preciso momento, un distinto rumore di passi echeggiò per il pianerottolo.
Erano entrati!
−Susan, ascoltami bene – disse la strega con decisione. – Prendi Edmund e andate verso la soffitta. Io vi raggiungerò fra qualche istante. Correte!
Detto questo, la ragazza si precipitò in corridoio, fermandosi solo in camera sua per agguantare lo zaino con tutti i suoi averi e appiattendosi all’ombra delle scale, la bacchetta levata, pronta all’attacco.
I passi fruscianti dei Mangiamorte sulla moquette sembravano farsi sempre più vicini.
Una luce azzurrognola prese a danzare spettrale lungo le pareti bianche, fino a quando il primo cappuccio nero emerse dall’oscurità.
Jane si appiattì ancora di più nell’ombra, cercando disperatamente di prendere tempo.
−Non credo che ci abbiano sentiti – disse il primo della fila, un uomo dalla voce roca e profonda.
Jane lo riconobbe al volo: era Macnair, un ex impiegato del Ministero incaricato di fare a pezzi animali considerati pericolosi.
A quanto pareva, Voldemort aveva scelto con cura i membri di quella spedizione.
−Meraviglioso – commentò in  quel momento una voce ancor meno rassicurante, quella di Fenrir Greyback, il lupo mannaro. – Vuol dire che li sorprenderemo nel sonno.
−Perquisite la casa! – ordinò Macnair. – Avery, Dolohov, cercate al piano di sotto. Nott, controlla il giardino. Io e Greyback ci occuperemo delle camere da letto.
−E ricordatevi, − sogghignò il lupo mannaro – il bastardello è mio!
Gli ultimi tre della fila scomparvero nuovamente nell’oscurità, mentre Macnair e Greyback facevano un passo avanti.
Improvvisamente, il lupo mannaro si immobilizzò al centro del corridoio, prendendo a fiutare l’aria.
−Che cosa succede, Fenrir?
−A quanto pare, i cuccioli non sono andati a nanna. Ce n’è uno nascosto proprio qui vicino!
Stupeficium! – gridò Jane, sgusciando fuori dal suo nascondiglio.
Lo Schiantesimo colpì Macnair in pieno petto, facendolo ruzzolare rovinosamente giù dalle scale.
−Maledetta ragazzina! – latrò Greyback, gettandosi al suo inseguimento.
Jane strillò quando il lupo mannaro le si avventò contro con violenza.
Scagliò un altro Schiantesimo, ma venne bloccato a mezz’aria.
In compenso, si ritrovò schiacciata con violenza contro il muro, una mano che le stringeva la gola in una morsa d’acciaio.
−Andavi forse di fretta? – ghignò il Mangiamorte facendo per colpire, ma in tutta risposta Jane gli assestò un potente calcio nello stomaco, facendolo crollare a terra.
−I metodi babbani sono sempre i migliori! – esclamò piena di orgoglio, scostandosi i capelli dal volto con un deciso movimento del capo.
−Maledetta!
Greyback si rialzò di scatto, partendo di nuovo all’attacco, ma stavolta la ragazza era già pronta.
Con uno schiocco, si Smaterializzò dal corridoio, riapparendogli alle spalle.
−Ehi, sacco di pulci! Sono qui! – lo canzonò prima di scagliargli uno Schiantesimo in piena faccia.
Il lupo mannaro emise un debole guaito, poi si accasciò inerte sulla moquette rossa.
−Che cosa succede lassù? – esclamò in quel preciso istante la voce di Avery dal piano di sotto. – Andiamo a vedere, Anthony!
Perché la mia vita deve sempre assomigliare a un film dell’orrore?, pensò Jane esasperata, preparandosi a un nuovo attacco.
Doveva assolutamente raggiungere Ulisse prima che fosse stato troppo tardi.
Ma le restavano ancora due Mangiamorte da sistemare.
Stupeficium! – gridò mentre si precipitava giù dalle scale. – STUPEFICIUM!
Avery e Dolohov pararono l’incantesimo e risposero a loro volta.
Jane si Smaterializzò con destrezza e ricomparve alle loro spalle, decisa a riutilizzare il trucco di prima.
Doveva assolutamente allontanarli dal piano di sopra.
−Eccola lì! Prendiamola!
I due Mangiamorte la inseguirono fino in cucina, dove Jane aveva preparato loro una bella sorpresa.
Non appena fecero ingresso nella stanza, trovarono la ragazza ad attenderli, piccola e inerme, con le spalle attaccate alla credenza.
Sembrava terrorizzata.
−Sei in trappola, finalmente! – esclamò Dolohov in tono di trionfo.
In tutta risposta, Jane sfoderò il sorriso più largo che conoscesse, schioccando le dita con decisione.
In quel preciso istante, tutti i cassetti della credenza si aprirono di scatto, mentre coltelli, forchette, piatti e bicchieri schizzavano fuori dai loro ripostigli, piombando con violenza sui due Mangiamorte.
Dolohov venne aggredito dall’intera partita di pentole di Wendy, i cui coperchi presero a colpirlo ripetutamente sulla testa fino a quando non cadde a terra, completamente tramortito.
Jane rimase per un attimo a contemplare soddisfatta il suo piccolo capolavoro di Trasfigurazione, quando di colpo un dolore atroce le mozzò il fiato. Solo allora si rese conto di avere la testa completamente in fiamme.
Era stato Avery, che in quel momento la fissava soddisfatto con la bacchetta ancora levata.
Aguamenti! – gridò la ragazza, mentre l’incendio si spegneva appena in tempo.
Il dolore delle ustioni era insopportabile, ma doveva continuare a combattere.
E, soprattutto, farla pagare a quel maledetto bastardo.
Le bastò schioccare le dita e un attimo dopo una normalissima scopa schizzò fuori dal ripostiglio dietro la porta, colpendo Avery a tradimento sulla nuca.
Il Mangiamorte raggiunse immediatamente il compagno nel mondo dei sogni.
−Quattro Mangiamorte battuti da una Nata Babbana – commentò Jane in tono acido mentre li scavalcava. – Dovreste vergognarvi.
 Senza attendere oltre, la ragazza si Smaterializzò nuovamente, atterrando nella stalla.
Lì, stava avvenendo un’autentica battaglia tra Nott e Ulisse.
Il cavallo alato era riuscito a sfondare la porta del box a suon di calci e stava tracciando ampi cerchi sul soffitto del fienile, schivando gli anatemi mortali che il Mangiamorte gli stava scagliando e tentando a sua volta di colpirlo con i suoi zoccoli micidiali.
Il baccano creato dai suoi nitriti furibondi e dal battito delle sue immense ali fu sufficiente per consentire a Jane di colpire Nott alle spalle.
−Fuori cinque! – commentò soddisfatta. – Qua, bello!
Il pegaso atterrò immediatamente sulla paglia.
La ragazza lo sellò in fretta e furia e montò con agilità, conducendolo all’esterno, per poi spiccare il volo verso il tetto.
Un attimo dopo, raggiunsero la finestra circolare della soffitta, grande abbastanza per farci passare una persona.
Susan la stava attendendo con ansia, gli occhi azzurri sgranati dal terrore e il piccolo naso lentigginoso premuto contro il vetro.
−Apri! – urlò Jane, cercando di avvicinarsi il più possibile. – Dammi la mano! E cerca di tenere stretto Edmund!
Prima ancora che Susan avesse avuto il tempo di chiedere ulteriori spiegazioni, tutto scomparve in un vortice di colori in cui la terra e il cielo si mescolarono turbinosamente tra loro, prendendo a precipitare in una sorta di immenso tubo senza fine.
Un attimo dopo, si trovarono tutti faccia in giù in un immenso prato bagnato dalla brina.
−D-dove siamo? – chiese Susan sputacchiando ciuffi d’erba.
Era più pallida che mai e aveva una tremenda voglia di vomitare.
Al suo fianco, Edmund aveva perso nuovamente conoscenza.
Jane era caduta da cavallo e si stava rialzando dolorante, mentre Ulisse vagava stordito a pochi metri da loro.
−Benvenuti a Mégeve – biascicò la strega sforzandosi di sorridere.
−Che razza di posto è? – domandò Susan mentre si alzava in piedi.
Attorno a loro si stagliavano i profili scuri di altissime montagne.
In fondo al prato dove erano atterrati, apparivano le prime luci di un piccolo paesino, le cui case di legno dai tetti spioventi sembravano appena uscite da una cartolina natalizia.
−Ci venivamo sempre con mamma e papà durante l’estate, prima che scoprissi di essere una strega. Siamo al confine con l’Italia, sul versante francese. Penso che per ora siamo sufficientemente lontani da casa.
−In Francia? – gemette l’altra in preda allo sconforto. – E adesso che facciamo?
−Per prima cosa, andiamo alla ricerca di un posto per dormire. Poi si vedrà.
Susan si lasciò sfuggire un singhiozzo.
−Oh, povera me! – mormorò.
−Coraggio – la rassicurò Jane abbracciandola forte. – Ce la caveremo, in modo o nell’altro.
Fu solo a quel punto che l’amica avvertì la puzza di bruciato sulla testa dell’altra.
−Jane! – esclamò inorridita. – I tuoi capelli!
−Oh! – la ragazza si portò una mano sul capo. Lunghe ciocche nere e bruciacchiate le ricaddero inerti tra le dita. – Non è niente…
−Dobbiamo trovare subito un posto dove ripararci!
−Sì, hai ragione.
Cercando di apparire il più calma possibile, Jane caricò l’amica e l’ancora svenuto Edmund su Ulisse, poi prese a condurli a mano verso il paese.
Nonostante fossero passati sette anni, la ragazza si ricordava bene l’hotel in cui aveva dormito l’ultima volta insieme alla sua famiglia adottiva e, dopo aver vagato per una decina di minuti, riuscì a trovarlo.
Mandò Susan in avanscoperta, armata della carta di credito che suo padre le aveva previdentemente lasciato, e attese che l’amica la chiamasse dalla finestra aperta al primo piano dell’albergo per parcheggiare Ulisse in un prato lì vicino e introdursi nella camera insieme a Edmund tramite una scala di emergenza.
Nel momento in cui scavalcò la finestra aperta, la ragazza seppe che stava per scatenarsi l’ennesima scena da film dell’orrore.
Edmund aveva tutto il pigiama sporco di sangue e la febbre era altissima.
Jane non stava di certo meglio.
Nell’istante in cui incontrò la sua immagine riflessa nello specchio dell’armadio, la ragazza si lasciò sfuggire un urlo.
I suoi lunghi riccioli neri e ribelli si erano ridotti a un ammasso di capelli bruciati che non le arrivavano nemmeno alle spalle.
Con le mani che le tremavano, Jane aiutò Susan a mettere a letto Edmund, poi si chiuse in bagno, costringendosi a prendere una decisione che non avrebbe mai voluto considerare.
Cercò di ignorare il groppo alla gola mentre ciò che restava dei suoi capelli cadeva nel lavandino sotto i colpi delle forbici.
Quando levò lo sguardo verso lo specchio, si ritrovò a fissare una copia perfetta di suo fratello, se non si contavano i tratti del volto più graziosi, le ciglia lunghe e le labbra appena più carnose.
Dalla stanza accanto, la voce di Susan echeggiava ovattata mentre parlava con Peter al telefono.
La ragazza sospirò, pulendo il lavandino e rientrando in camera da letto.
In quel preciso istante, l’amica riagganciò, restando a fissarla con aria sbigottita.
−Stento a riconoscerti, conciata così – sussurrò sconvolta.
−Almeno adesso ho un taglio alla moda – scherzò Jane, anche se i suoi occhi si riempirono immediatamente di lacrime. – Coraggio, ora proviamo a riposare un po’.
 
***
 
Clack!
Jane si svegliò di soprassalto, con il cuore in gola.
No, non era possibile!
Come avevano fatto a trovarli?
Anche Susan era in ascolto.
Erano entrambe strette nel grande letto matrimoniale sotto strati di coperte.
Il silenzio era rotto solo dal respiro irregolare di Edmund, steso sul divano lì a fianco.
−Dev’essere entrato qualcuno. Ascolta! – sussurrò Jane mentre afferrava la bacchetta. – Vado a vedere. Tieniti pronta a fuggire.
−Ma Jane!
−Ssssssttttt!!!!
La ragazza sgusciò fuori dalle coperte, rabbrividendo non appena i suoi piedi nudi incontrarono il pavimento gelido, e sgattaiolò verso la porta.
Le sembrava già di percepire il respiro affannoso dell’invasore, immobile sull’uscio, quasi come se fosse anche lui in attesa di qualcosa.
Il cuore le martellava furiosamente nel petto e Jane sapeva perfettamente di non essere in grado di gestire l’ennesima crisi di nervi.
Fu per questo che, senza starci a pensare oltre, fece il gesto più ovvio che avrebbe fatto quando era bambina e i veri mostri erano solo quelli che si leggevano nelle favole: accese la luce.
Ciò che vide la lasciò sbigottita lì dov’era, con la bacchetta levata e il pigiama rosa che negli anni le aveva lasciato scoperti gli stinchi.
Invece di ritrovarsi davanti l’ennesima figura incappucciata, la ragazza si trovò a fissare i piccoli occhi vitrei di un anziano signore dall’aria distinta, molto alto e magro, vestito con un elegante completo marrone che sembrava risalire a un secolo prima, la testa calva perfettamente lucida.
Sembrava un incrocio fra un vecchio professore e un investigatore della Londra vittoriana.
Sicuramente non era un Babbano.
−Si può sapere chi diavolo è lei? – lo accolse Jane, tremando da capo a piedi.
−Jane Potter? – domandò l’uomo imperturbabile.
−Credevo di averle fatto una domanda ben precisa! – ribatté la ragazza.
−Perdonami la scortesia, ma non ho avuto altra scelta – si scusò lo strano personaggio. – Il mio nome è Gregory Walpole. Sono uno scienziato. Ed ero molto amico di Albus Silente.
−Ah, ah, ah, certo! E io invece sono la Fata Morgana! Ma per chi mi ha presa?
−Ascoltami, ti prego! In questo momento siete in grave pericolo!
−Che novità, eh?
−Per favore, non scherziamo! Lui dov’è?
Lui? Se si riferisce a mio fratello, sappia che abbiamo tagliato i ponti!
−Non è mio compito occuparmi della missione di tuo fratello, ma di quella dell’Erede di Serpeverde. Una missione di cui ti stavi occupando anche tu.
−Eeeeeeh?
Walpole estrasse una lettera da sotto la giacca.
−Leggila molto attentamente – disse mentre gliela porgeva.
Jane afferrò il documento con riluttanza e lo aprì.
La familiare grafia sottile bastò a convincerla a leggere tutto d’un fiato.
 
Mio caro Gregory,
sono ormai molti anni che non ricevo più tue notizie, tuttavia non so a chi altri rivolgermi per il delicato compito che sto per assegnarti.
Ricordi quando le nostre strade si divisero, nel momento in cui imboccammo le due diverse vie per trovare un’arma in grado di sconfiggere Lord Voldemort?
Io scelsi quella indicata nella Prima Profezia, mentre tu, incallito appassionato di arcane materie, scegliesti la Seconda.
Spero che in questi lunghi anni di esilio in Europa tu abbia finalmente trovato la risposta che cercavi, perché a breve ti invierò un grande aiuto.
Il suo nome è Jane Potter.
Sì, si tratta proprio della sorella gemella del più noto Harry, a cui ho affidato la ricerca degli Horcrux.
Ma questa giovane possiede un dono altrettanto straordinario.
Ella non lo sa, ma due anni fa ha introdotto inconsciamente dentro le mura di Hogwarts nientemeno che l’unico figlio di Tom Riddle e Alhena Black, al quale è legata da un legame d’affetto come ne esistono pochi.
Nonostante sia a conoscenza della vera identità del ragazzo, non ho mai voluto rivelarla ai fratelli Potter: l’animo di Harry è particolarmente volubile e una simile scoperta lo porterebbe a dar vita a dei pregiudizi che lo svierebbero inevitabilmente dal suo cammino.
Ma sono ora giunto alla conclusione che non potrò nascondere loro la cosa in eterno e, quando ciò accadrà, Jane e l’Erede potrebbero trovarsi improvvisamente soli e vulnerabili.
Per questo ti chiedo di prendere il mio posto nel guidarli sulla strada della Seconda Profezia, affinché possano risolvere il mistero e unire il loro cammino con quello di Harry in modo indissolubile, fino a sconfiggere il nostro nemico. So che posso fidarmi di te.

Aspetto una tua risposta.
In fede,
Albus Silente
 
Jane rimase con la bocca spalancata mentre leggeva le ultime parole.
Silente sapeva tutto.
Come al solito.
E aveva anche capito che Harry si sarebbe arrabbiato.
E che Edmund era innocente.
Peccato che lo pensasse anche di Piton.
−Come faccio a sapere che non sta mentendo? – domandò in tono di sfida.
−Pochi giorni prima di morire, Silente mi confidò che tu possiedi il dono di leggere l’anima delle persone. Se volessi ingannarti, sarei così incauto da presentarmi qui?
−È già stato sufficientemente incauto nell’introdursi in una camera d’albergo in piena notte come un furfante qualunque!
−Chiedo scusa per questa effrazione, ma non potevo certo aspettare domattina per informarvi dei fatti. Anche perché qualcuno potrebbe non arrivarci.
A quelle parole, Jane rabbrividì.
−Come fa a sapere di Edmund? – domandò.
−Mi sono rivolto giorni fa all’Ordine della Fenice per chiedere di voi. Mi hanno detto tutto. E tuo fratello è stato sufficientemente scostante da farmi avere un quadro preciso della situazione.
Nel sentir nominare Harry, Jane si lasciò sfuggire un gemito.
−Se è in grado di guarire Edmund, − sussurrò – allora mi segua. Ma l’avverto: ha sofferto abbastanza.
Detto questo, la ragazza lo condusse in camera da letto.
Gli fece vedere Edmund e si discostò per qualche attimo mentre Walpole gli sentiva la fronte e controllava la ferita.
Quando si levò lo sguardo, l’uomo era semplicemente paonazzo.
−Voi siete due pazze! – esclamò furibondo. – Che razza di pasticcio avete combinato?
−E dove potevamo portarlo, altrimenti, con tutti i Mangiamorte alle calcagna? Ringrazi il cielo se ho un padre chirurgo, invece!
−La ferita è maledetta. Solo un mago può curarla – spiegò Walpole. – Dovete venire con me immediatamente. Se partiamo stanotte, forse il ragazzo avrà qualche speranza in più.
−E dove andremo, si può sapere?
−In uno dei posti più magici della Terra: la Normandia.




Buonasera, gente :)
Il capitolo di oggi è stato carico di colpi di scena e adrenalina, ma ora finalmente i nostri personaggi avranno un attimo di respiro.
Che ne pensate del professor Walpole, la nostra nuova new entry?
Preparatevi all'aggiornamento di martedì prossimo: vi aspetta un capitolo pieno delle atmosfere da sogno della costa normanna :)

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
Sono in arrivo tante belle anteprime: non perdetele!

A martedì prossimo, dunque, con un nuovo aggiornamento :)
Baci

F.

 
 
 

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Capitolo 13
*** La casa sull'oceano ***




Capitolo 13

LA CASA SULL’OCEANO

 ~





 
 

Edmund levò lo sguardo dal grande librone rilegato in cuoio che teneva sulle ginocchia, lasciando che i suoi pensieri si perdessero lontano, trasportati nel cielo plumbeo dalla brezza marina e dal richiamo dei gabbiani.
In quelle ultime due settimane la sua salute era migliorata a vista d’occhio.
Non aveva più febbre e la ferita ora sembrava solo un brutto graffio scuro che gli attraversava l’addome.
Un paio di giorni prima, era riuscito persino ad alzarsi dal letto e a farsi un giro per il corridoio senza barcollare.
Era ovvio che ormai era completamente fuori pericolo.
Mrs Walpole, la donna che si era presa cura di lui in quei giorni interminabili, lo aveva sempre trattato gentilmente, quasi fosse il suo terzo figlio.
Non voleva ancora dirgli quanto stava accadendo, come stessero gli altri e, soprattutto, che fine avrebbe fatto lui.  
Sapeva che anche Jane si trovava nella stessa casa: più di una volta aveva udito distintamente la sua voce squillante echeggiare dal piano di sotto.
Eppure non era ancora venuta a trovarlo, nonostante fosse già in grado di sostenere una conversazione civile per più di cinque minuti.
L’ultima volta che l’aveva vista era stata la notte dell’assalto dei Mangiamorte, quando era stato svegliato di soprassalto e trascinato di peso al piano di sopra. Lei era arrivata un attimo dopo in sella a Ulisse e aveva teso la mano verso di lui.
Poi il buio.
Nel ripensare alla ragazza, Edmund emise un lungo sospiro.
Non gli era difficile immaginare perché Jane non si fosse fatta ancora viva: quella dei Mangiamorte era stata sicuramente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Ed era stato ancora una volta per causa sua se quei mostri erano venuti a prenderla nell’ultimo posto in cui si sentiva ancora al sicuro, respirando il barlume di una cosa simile a una famiglia vera e propria.
E ora aveva perduto anche quell’ultimo appiglio.
Mi ha abbandonato, continuava a ripetersi trattenendo a stento le lacrime.  
Alla fine ha capito che sono uno mostro.
In quel preciso istante, un bussare deciso alla porta lo riscosse dai quei tristi pensieri.
−Avanti – rispose il ragazzo timidamente.
Invece di incontrare gli occhietti vispi di Mrs Walpole, Edmund si trovò faccia a faccia con un anziano signore calvo dall’aria distinta.
La presenza di uno sconosciuto dopo così tanto tempo lo fece montare immediatamente sulla difensiva.
 −Chi è lei? – chiese nervosamente.
−Un amico. Il mio nome è Gregory Walpole. – rispose l’altro con un sorriso mentre gli si sedeva di fronte. – Come va?
−Meglio. Credo meglio…
−Noto con piacere che mia moglie ha fatto un ottimo lavoro, in questi giorni. È sempre stata una Guaritrice molto dotata.
−Sì, è stata molto gentile con me. Passa spesso a trovarmi.
Walpole allargò ancora di più il suo sorriso cordiale.
La cosa mise Edmund ancora più a disagio.
−Perché siete tutti così gentili con me? – chiese esasperato. – Io non capisco…sono o non sono un mostro?
A quelle parole, l’uomo gli pose una mano sulla spalla.
−Tu non sei un mostro – gli disse con sincerità. – Altrimenti non saresti qui.
−Come fa a dirlo con così tanta sicurezza?
−Io ero uno degli amici più fidati di Albus Silente. Ci conoscevamo sin dalla più tenera infanzia e non esitai a seguirlo quando decidemmo insieme di combattere il male. Una scelta che è costata anche a me privazioni ed emarginazione.
−Perché? – il fatto di avere di fronte una persona che era stata perseguitata come lui destò immediatamente la sua curiosità.
−Solitamente la gente pensa che il modo più ovvio di combattere il male sia quello di metterlo di fronte al bene – rispose Walpole in tono pensoso. – Ma non è l’unica via. Alle volte, capita che per sconfiggerlo bisogna usare le sue stesse armi.
−Non capisco.
−Io sono fermamente convinto che in natura nulla accade per caso e che anche nell’eccesso più estremo si arriva a un punto in cui subentra un equilibrio. Un esempio è Lord Voldemort, tuo padre. Egli è quanto di più corroso dal male possa esistere: nato senza amore, incapace di amare a sua volta, consumato dalla paura della morte che lo porta a seminarne altrettanta. Eppure, che cosa è accaduto? Senza rendersene conto, ha ricevuto l’amore di una donna, un essere malvagio che improvvisamente ha trovato la sua redenzione proprio in ciò che aveva sempre rinnegato. Ricordati, Edmund: tu non sei come tuo padre. Con te, è accaduto l’esatto opposto: sei nato con l’amore, quell’amore che tua madre non ha potuto dare completamente a tuo padre perché non è stata mai ricambiata ed è per questo che, in qualche modo, lo ha tramandato a te. Non vedi quanto sei diverso dai tuoi genitori? E quanto la gente sia influenzata da te in senso positivo?
Edmund annuì debolmente.
Quelle parole lo avevano sconvolto.
−Io non so cosa pensare – mormorò. – Il fatto è che prima non ci avevo mai pensato. Certo, ho notato che, da quando ho riconquistato la libertà, improvvisamente avevo degli amici sinceri al mio fianco, delle persone che mi volevano bene… − una fitta al petto gli bloccò il respiro. – Ma ora, dove sono tutti? Sono stato rinnegato, da una parte e dall’altra.
−No, Edmund – lo rassicurò Walpole. – C’è qualcuno che ancora continua a lottare al tuo fianco ed è anche disposto ad affrontare la solitudine, pur di difendere i propri ideali – gli indicò fuori dalla finestra.
In quel momento, sulla spiaggia ghiaiosa che si estendeva a pochi metri dalla grande casa, un cavallo bianco galoppava a tutta velocità, le grandi ali appena discostate dal corpo sinuoso.
Sul su dorso c’era un ragazzino esile dai corti capelli scuri scompigliati dal vento.
Un ragazzino dall’aspetto molto famigliare.
−Harry? – chiese Edmund intimorito.
Poi osservò meglio.
Il ragazzino non portava gli occhiali e i tratti del volto erano più sottili, più dolci, a partire dal naso, piccolo e aggraziato.
Senza contare che la maglietta a righe bianche e blu, gonfiata dal vento, lasciava intravedere delle curve tutt’altro che maschili.
−Jane?!
Walpole annuì.
−Non ti ha mai abbandonato. Quella ragazza ti vuole un bene che neanche immagini. E il che, conoscendo il suo raro dono di poter leggere l’anima delle persone, è tutto dire.
−Ma allora perché non è mai venuta a trovarmi in tutto questo tempo?
−Anche lei ha paura. Come tutti gli esseri umani.
−Paura di me?
−Paura di perderti. Paura che tu l’allontani. Paura di aver scelto la via sbagliata.
−È stata Jane a dirle tutte queste cose?
−No, ma l’ho intuito.
Edmund restò a contemplare la ragazza con aria sognante.
Era così bella, così pura.
Aveva la forza di un uomo e la grazia di una donna: un angelo.
E le mancava terribilmente.
Amava la sua voce squillante e la sua fragorosa risata che irrompeva anche nei momenti più difficili.
Amava i suoi grandi occhi verdi e dolci, che si illuminavano di una luce avvolgente e sensuale tutte le volte che incontravano quelli di lui.
Amava le sue labbra carnose e le sue piccole mani che lo facevano sempre rabbrividire quando sfioravano la sua pelle.
In quel momento poteva osservarla senza paura che lei fuggisse, nascosto com’era dal vetro della finestra.
Era terrorizzato dall’idea che quegli occhi, quelle labbra e quelle mani che tanto amava fossero cambiate in quel lungo tempo, che lo scacciassero.
−Vorrei tanto parlarle – si lasciò sfuggire quasi involontariamente.
−Sarà fatto – rispose Walpole.
Edmund si girò di scatto.
−Cosa?
−Ti stupisci? In fondo, è la cosa più normale del mondo.
Il ragazzo abbassò il capo, rosso fino alle orecchie.
Non era abituato a sbandierare i suoi sentimenti in quel modo davanti ad estranei.
−Nell’attesa, ti ho portato un regalo – proseguì l’uomo porgendogli un involto di velluto.
Edmund lo prese titubante e lo srotolò sulle ginocchia.
Un antico libro dalla rilegatura rossa gli scivolò fra le mani.
−La Divina Commedia di Dante Alighieri illustrata da Gustave Doré – spiegò Walpole con orgoglio. – Lo so, è un testo babbano che sicuramente non conoscerai, ma credo che la sua lettura ti aiuterà a comprendere ciò che ti ho detto poco fa. Sai, mia moglie Meredith è nata da una famiglia babbana e suo padre era un importante professore di letteratura medievale. Questo libro le è stato regalato quando ha compiuto diciotto anni. È stata lei a chiedermi di passarlo a te.
Edmund prese a sfogliare delicatamente le pagine sottili profumate d’inchiostro.
Davanti ai suoi occhi, scorrevano immagini di angeli e demoni su uno sfondo costellato da montagne e vapore, nubi e cieli immensi al tramonto e all’alba.
I suoi occhi furono percorsi allo stesso tempo da paura e meraviglia.
−Di che cosa parla? – domandò.
−Leggi – rispose Walpole con un sorriso. – Leggi e lo saprai.
 

***

 
Jane saliva nervosamente le scale, il cuore che le batteva all’impazzata nel petto per l’emozione.
Finalmente, dopo settimane, avrebbe rivisto Edmund, avrebbe udito di nuovo la sua voce, forse sarebbe persino riuscita a tenergli la mano fra le sue.
Le mancava, il ragazzo, le mancava terribilmente, ma in tutto quel tempo non aveva mai trovato il coraggio di andare da lui.
Aveva dovuto subire troppi traumi tutti insieme perché le sue forze potessero sopportarli.
Era troppo agitata, spaventata e triste per poter essere d’aiuto a una persona messa se possibile ancora peggio di lei.
Era giusto che si occupassero di lui persone più competenti.
Come la cordiale e grassoccia Mrs Walpole, che si era occupata dei ragazzi con la dolcezza di una vera mamma adottiva.
Persino più affettuosa di Wendy, che ogni tanto, di fronte alle difficoltà, si limitava a stringere le labbra e a chiudersi nel silenzio.
E poi, Jane non aveva ancora trovato la forza di andare a trovare Edmund perché temeva le loro rispettive reazioni quando ciò sarebbe successo.
In fondo, l’ultima volta che lo aveva visto pienamente cosciente, era stato cinque minuti prima che Bellatrix Lestrange lo sventrasse come un pesce.
Non osava pensare a un dopo.
Aveva troppa paura.
Nel mentre, aveva preferito occuparsi di se stessa, per essere abbastanza in forze quando sarebbe giunto il momento di affrontare la realtà.
Si era rimessa a studiare la magia, passando lunghe ore nell’enorme biblioteca di casa Walpole in compagnia di quei libri che avrebbe dovuto portare nell’ultimo anno di scuola.
Già, Hogwarts.
Chissà cosa stava succedendo in quel momento, nel grande castello perso fra le montagne scozzesi in cui, nonostante tutto, aveva trascorso molti momenti felici insieme alla sua gente.
Immaginava i suoi compagni, che quell’anno sarebbero stati tutti presi a studiare per i M.A.G.O.
Come le sarebbe piaciuto essere preoccupata anche lei per gli esami imminenti, invece che restarsene confinata a centinaia di chilometri di distanza per prepararsi a salvare il mondo.
Era ovvio che una vita normale le era preclusa persino fra i maghi.
Molte volte si domandava che cosa stesse succedendo a casa.
Dopo Silente, chi sarebbe stato nominato Preside?
E i suoi amici, compagni e professori?
Pensavano ancora a lei, nonostante fosse fuggita insieme al figlio del loro nemico?
E Harry?
Al solo pensiero del fratello, la ragazza si sentiva stringere il cuore in una morsa d’acciaio.
Non era più abituata a trascorrere un compleanno senza di lui, nonostante si ritenesse una Collins al novanta per cento.
Albert e Wendy erano riusciti a convincere i Dursley a mandare Harry a casa loro per una settimana, quando si avvicinava il 31 luglio.
Di solito, sempre in quella settimana trovavano il modo per andare tutti insieme a farsi una bella vacanza da qualche parte.
I primi anni andavano al mare, poi, non appena i due ragazzi erano diventati un po’ più grandicelli, avevano preso a visitare le grandi capitali d’Europa.
Harry si divertiva sempre da matti, gustando quella libertà che in casa degli zii gli era sempre stata preclusa.
Si volevano bene, i due gemelli, nonostante fossero stati separati per più di nove anni.
Harry somigliava molto a Jane: carattere scontroso, con una battuta pungente sempre pronta a uscire dalle labbra, ma con un senso della lealtà pari a pochi.
Non si lamentava di nulla ed era sempre attratto dalle novità.
Non riusciva mai a stare un attimo fermo.
Gli volevano tutti un gran bene e lui ne voleva altrettanto a loro.
Per Jane, Harry era più di un fratello: era il suo migliore amico, il suo porto sicuro in un mondo che ancora non conosceva.
E ora, tutto ciò che li aveva legati in tutti quegli anni era finito per sempre.
E il motivo la stava aspettando appena dietro una porta chiusa.
Jane si fermò davanti all’uscio della camera di Edmund, prese un profondo respiro e bussò.
−Avanti! – rispose chiaramente quella voce che conosceva fin troppo bene.
La stanza era inondata dalla luce del pomeriggio che entrava dalla finestra aperta sul mare.
Edmund era seduto alla scrivania, vestito normalmente, tutto preso nella lettura di un enorme librone rilegato in pelle.
Non era più pallido e febbricitante come lo aveva visto l’ultima volta.
La carnagione aveva ripreso un colorito normale, i tratti del volto erano rilassati in un sorriso sereno.
Era più o meno lo stesso Edmund di sempre.
Quella constatazione le fece salire immediatamente le lacrime agli occhi.
−Ed! – esclamò la ragazza, avvicinandoglisi timidamente.
−Oh, ciao! – rispose lui sorridendo.
Jane afferrò una sedia e si sedette di fronte a lui.
In quel momento avrebbe tanto voluto abbracciarlo forte per la gioia, ma qualcosa dentro di lei la bloccava.
−Come stai? – disse invece.
−Molto meglio, grazie – rispose lui serenamente. – Devo tutto alle cure di Mrs Walpole. È una donna eccezionale!
−È vero. È stata davvero molto gentile con noi.
−Tu come stai?
−Bene, grazie. Ho ripreso a studiare. Devo tenermi in forma. Il professor Walpole mi ha proposto di continuare la missione.
−Missione?
−Quella della Seconda Profezia, ricordi? Silente l’ha incaricato personalmente.
 –Sì, mi ha accennato una cosa del genere, stamattina.
 Edmund si era improvvisamente incupito.
Non gli era mai piaciuta, quella faccenda della profezia.
Aveva come la netta sensazione che la cosa lo riguardasse di persona.
Il che avrebbe potuto allontanarlo ulteriormente da Jane.
−Cosa c’è? – chiese prontamente Jane, percependo il suo malumore.
−Sono sempre preoccupato, quando vai in missione – sospirò lui. – Hai visto che cosa è successo l’ultima volta? Io…non voglio perderti, Jane. In questo momento, sei tutto ciò che mi rimane al mondo.
A quelle parole, gli occhi verdi della ragazza si illuminarono.
Per la prima volta dopo settimane, non ebbe paura di allungare la mano e sfiorare le dita di Edmund.
Lo sentì chiaramente rabbrividire nell’avvertire il suo tocco.
−Il professore mi ha parlato a lungo di te, in questi giorni – disse sorridendo. – E che in questa missione avrai una parte importante anche tu, Edmund. Non mi ha ancora detto tutto, perché voleva che ci fossi anche tu, ma mi ha spiegato che la Seconda Profezia ti riguarda al pari della Prima nei confronti di Harry. E che sei una persona straordinaria. Dovresti essere fiero di te stesso.
−Davvero pensa queste cose?
−Sì. E io non posso che confermarle per l’ennesima volta. Se ci pensi, chi ti odia è solo accecato dalla paura. Io mi fido dei miei poteri. E del mio cuore.
A quelle parole, un sorriso sollevato tornò a distendersi sulle labbra di Edmund. Jane credeva in lui.
E forse, dal sorriso e dalla dolcezza con cui gli stava parlando, lo amava ancora.
−Posso chiederti una cosa? – chiese improvvisamente Jane.
Edmund trasalì.
−Cosa?
−Lo sapevi? Voglio dire, sapevi chi fossero i tuoi veri genitori?
A quella domanda, il ragazzo sbiancò.
−Il mio vero nome è Salazar – rispose fingendo di guardare fuori dalla finestra per mascherare la vergogna. − È così che mi ha sempre chiamato…mia madre. Lei parlava spesso di Vold…mio padre. Iniziava sempre a ricordarlo con aria sognante, poi di colpo si arrabbiava e cominciava a urlare che io ero la causa di tutti i nostri problemi, che ero un mostro e non meritavo di vivere. E poi arrivava puntualmente la Maledizione Cruciatus, se mi andava bene. Una volta finita la rabbia, scoppiava a piangere, diceva che ero tutto per lei e mi abbracciava. Per poi ricadere nella follia da un momento all’altro. Ero consapevole che quella era la mia vita, anche se dentro di me sentivo che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato. E poi, una notte, sei arrivata tu e mi hai detto che tutto ciò che stavo vivendo era una menzogna.
−Non volevo mentirti! – gli occhi di Jane erano pieni di lacrime.
−Non mi hai mentito – la rassicurò Edmund. – Negli ultimi due anni, ho sperato fino alla fine di essere figlio di Auror. Non era vero, ma in compenso ho capito la cosa più importante: c’è davvero del bene, in questo mondo. Alla fine, ho deciso di accettare la realtà delle cose: i miei genitori saranno anche i maghi più sanguinari della storia, ma è altrettanto vero che io non sono come loro. Sono diverso. E sei stata tu a farmelo capire. Grazie.
A quelle parole, Jane non riuscì più a contenere la propria emozione.
Gli gettò d’istinto le braccia al collo, stringendolo forte a lei.
Con suo enorme sollievo, avvertì che anche lui le aveva circondato le spalle, affondando il capo nella sua spalla.
Lei gli accarezzò i capelli delicatamente.
Le sembrava quasi di potergli sentire battere il cuore, appoggiato al suo.
Il suo respiro era una carezza dolcissima sul suo petto.
Avrebbe voluto restare così per sempre.
Non aveva mai percepito una gioia così intensa in tutta la sua vita.
Quasi si dispiacque quando, dopo attimi interminabili, sciolsero l’abbraccio.
−Ora fammi capire una cosa – chiese a un certo punto Jane. – Se sapevi di chiamarti Salazar, perché non mi hai detto subito il tuo vero nome?
−Avevo l’impressione che non sarebbe stato gradito. E poi, allora credevo che non fosse neanche il mio vero nome, perciò…
−E dove hai preso l’idea di Edmund?
−Era un nome che mi piaceva, tutto qui.
−Non ci credo!
−Be’, se preferisci, puoi sempre chiamarmi Salazar…
−Oh, no! Edmund mi va benissimo! E, ora che mi hai detto questo, mi piace ancora di più!
−Ora anch’io voglio farti una domanda – disse Edmund. La sua voce aveva assunto un’inclinazione leggermente nervosa. – Non so se hai avuto modo di parlarne con il professore. Io me lo sono chiesto spesso, da quando mi hai parlato degli Horcrux. Non è che per caso anche la mia anima è…?
Il sorriso che Jane gli rivolse in quel momento lo rassicurò all’istante.
–È stata una delle prime cose che gli ho chiesto quando siamo arrivati qui – rispose la ragazza. – Walpole mi ha assicurato che la tua anima è perfettamente integra. Non poteva andare diversamente.
Edmund sospirò di sollievo.
−Meno male! – esclamò. – Non so come avrei fatto a sopportare anche l’idea di non avere un’anima.
−Se non l’avessi avuta, ora saresti molto diverso da come ti conosco – rispose Jane.
Il ragazzo annuì.
In quel momento, gli occhi gli caddero sul libro che teneva appoggiato sul tavolo.
Raffigurava la lotta fra un angelo e un demone, al disotto del cielo in tempesta.
La sola vista bastò a farlo rabbrividire.
−Cosa leggi di bello? – chiese puntualmente Jane.
−La Divina Commedia di Dante Alighieri – rispose Edmund.
−Oh, la conosco benissimo! – esclamò inaspettatamente la ragazza. – L’ho studiata per conto mio in tutti questi anni e a casa ho persino un’edizione originale in italiano. Me l’ha regalata Dennis quando è andato in vacanza a Firenze con gli amici.
−Davvero?
−Oh, sì! Tra i Babbani è il classico dei classici! A me piace moltissimo, è il mio poema preferito. Ed è ancora più incredibile il fatto che sia stato scritto tutto per amore di una donna.
−Beatrice.
−Sì, Beatrice. Conosci la storia? Loro due si conoscevano da ragazzini, ma poi lei è morta prematuramente. Lui ha deciso di non scrivere più fino a quando non sarebbe riuscito a cantare di lei ciò che nessuno aveva mai fatto prima nei confronti di nessuna donna. Ed è così che è nata la Commedia.
−Allora lei è diventata un angelo?
−Sì, una mezza specie.
−Lui era un peccatore…e lei lo salva?
−Sì, nonostante tutto.
I loro occhi si incontrarono con un brivido.
–Sai, Ed, − disse Jane – io sono convinta che tutto ciò che ci accade avviene per un motivo. Anche se apparentemente sembrano delle cose terribili. In fondo, non stiamo facendo anche noi un viaggio come Dante? Bisogna arrivare prima in fondo all’inferno per poter godere appieno delle gioie del paradiso.
−Hai ragione.
−Ehi, ma questa è l’edizione illustrata da Gustave Doré! Ma è meraviglioso!
−Conosci anche lui?
−Lo sai bene che, se non fossi stata una strega impegnata a salvare il mondo, mi sarei iscritta al college e avrei studiato Storia dell’Arte. Avrei tanto voluto viaggiare per l’Europa, soprattutto in Italia. Sarebbe stato meraviglioso potermi occupare di arte medievale. Ti immagini che cosa sarebbe vivere a Firenze per un periodo?
Il suo tono sognante era velato di malinconia.
Quante vite Voldemort aveva sconvolto in tutti quegli anni.
Eppure, da quando aveva parlato con Walpole e Jane, Edmund si era sentito montare nel cuore un sentimento del tutto nuovo, qualcosa di molto simile alla speranza.
−Può darsi che tu ci riesca – le venne da dire in modo spontaneo. – Quando tutto questo finirà.
−Tu dici? – chiese Jane.
−Sì. E io verrò con te, se mi vorrai.
La ragazza gli sorrise dolcemente.
−Grazie, Ed – mormorò a voce bassissima.
Lo sguardo del ragazzo cadde fuori dalla finestra.
Dopo interi giorni di pioggia, un caldo sole estivo brillava nel perfetto cielo azzurro, illuminando le onde del mare di una luce incandescente.
Attratto da quel paesaggio da sogno, Edmund si alzò, spalancando la finestra e lasciando entrare nella stanza la fresca brezza marina e il profumo di salsedine.
−Dio, è un secolo che non metto il naso fuori! – esclamò.
−Se ti senti abbastanza in forze, possiamo arrivare fino alla spiaggia. Gli Incantesimi di Protezione ci coprono fino alle case che vedi laggiù, prima che la scogliera faccia una curva.
−Davvero, possiamo?
−Come no! E, tu in particolare, avresti proprio bisogno di prendere un po’ di sole!
Il ragazzo si voltò, rivolgendole un largo sorriso.
−E allora andiamo! – esclamò raggiante.




Angolo Me

'sera a tutti :)
Lo so che è tardi, ma sono appena reduce da un esame e la giornata è stata fin troppo turbolenta per sedermi al computer cinque minuti e aggiornare questo luuuungo capitolo di passaggio.
Che ne pensate del luogo da sogno in cui sono finiti i nostri protagonisti?
E come scopriranno il contenuto della Seconda Profezia?
Come sempre, ecco il link della mia pagina Facebook, da dove potrete restare sempre aggiornati sulle mie prossime mosse: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

A martedì prossimo :)

F.

 

 
 
 

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Capitolo 14
*** La Seconda Profezia ***




Capitolo 14

LA SECONDA PROFEZIA

~

 
 
 
 
 
 
Era stato il pomeriggio più bello che Edmund avesse trascorso da tanto tempo.
Dopo mangiato, Jane aveva fatto di nuovo irruzione in camera sua e lo aveva trascinato fin sulla spiaggia insieme a Céline e Colin, i figli dei Walpole, due ragazzi lentigginosi poco più grandi di loro, entrambi con le inconfondibili guance paffute e il sorriso raggiante della madre, e, ovviamente, a Susan, che non appena vide Edmund scendere le scale gli saltò letteralmente al collo, soffocandolo nell’abbraccio più caloroso che una sorella possa dare.
Ulisse li aveva seguiti trottando fin sulla spiaggia, dove avevano trascorso due ore intere a rincorrersi e ad avventurarsi sulle scogliere.
A un certo punto, i due fratelli Walpole si erano messi in costume e si erano lanciati tra le acque gelide dell’oceano, seguiti a ruota da Susan, alzando spruzzi e risate.
Jane aveva declinato educatamente l’invito, per non lasciare da solo Edmund, il quale non aveva alcuna intenzione di farsi vedere in mutande da nessuno, specie con quella cicatrice spaventosa sulla pancia.
I due erano rimasti così seduti sulla ghiaia a osservare il mare, chiacchierando animatamente e mettendosi di tanto in tanto a giocare con Ulisse, che si divertiva a sorprenderli alle spalle leccando loro i capelli a tradimento con la lunga lingua rosea.
Verso le sette, i cinque ragazzi si erano avviati nuovamente verso casa, pregustando già i manicaretti della signora Walpole che li attendevano per cena.
Per la prima volta, si trovarono tutti insieme seduti allo stesso tavolo, imbandito nel grande salone che dava sul mare.
Consumarono un pasto come ne esistono pochi, in cui Mrs Walpole, aiutata dalla figlia Céline, deliziò i propri ospiti con una vasta gamma di pasticcio di carne con patate e dolci al cioccolato e alla frutta degni di far sfigurare persino le pietanze di Hogwarts.
Fu allora che Edmund si rese veramente conto di quanto gli fosse mancata la compagnia in tutti quei giorni di convalescenza.
E di come ci si sentisse quando si è circondati dagli amici.
Jane e Susan non lo mollavano un attimo, continuando a ridere e a scherzare con lui come se nulla fosse accaduto.
Anche i fratelli Walpole erano molto cordiali con lui e in breve tempo erano diventati ottimi amici.
Entrambi studiavano a Beauxbatons e la cosa incentivò una sequela di battute liberatorie nei confronti dell’imponente Madame Maxime, la loro Preside.
−Ma davvero ha una storia con Hagrid? – chiese improvvisamente Céline.
−Oh, sì! Pare che si siano proprio trovati!
−Speriamo che almeno ora si dia una calmata, con il suo rigore – sospirò Colin. – Il vostro Hagrid sembra un tipo molto simpatico.
−Ma sì! In fondo, la vostra Preside è una romanticona!
−E Fleur Delacour? Mi avete detto che la conoscete molto bene.
−Oh, sì! Si  è fidanzata con il fratello di Ron Weasley, il migliore amico Harry. Dovevano sposarsi proprio…
Jane non se la sentì di terminare la frase.
Proprio il giorno del nostro compleanno, concluse mentalmente.
Il professor Walpole dovette intuire la malaparata, perché smise immediatamente di fumare il sigaro e disse:
−Bene, ragazzi, direi che per stasera basta così. Ho bisogno di parlare in privato con Jane ed Edmund.
I due ragazzi si lanciarono una rapida occhiata carica di tensione.
Finalmente, era giunto il momento in cui avrebbero saputo ogni cosa.
Le dita di Jane scattarono immediatamente sotto il tavolo, alla ricerca di quelle di Edmund.
Trovarle fu di un conforto indescrivibile.
La signora Walpole finì di sparecchiare, mentre i figli e Susan si avviavano al piano di sopra.
−Poi ti racconto tutto! – esclamò Jane mentre l’amica spariva su per le scale.
Lei e Edmund si alzarono dal tavolo e si accomodarono nel salotto attiguo, da cui si potevano intravedere le ultime luci del giorno che svanivano lentamente nel mare.
I due ragazzi si accomodarono su un imponente divano verde scuro, di fronte alla poltrona in cui si era seduto Walpole, le spalle rivolte verso la finestra, intento a scrutarli mentre fumava uno dei suoi sigari.
−Credo che sia infine venuto il momento di svelarvi la vostra missione – disse il mago in tono serio. – Ma prima dovremo fare delle precisazioni. Da quanto mi avete detto, Silente non è stato molto chiaro a riguardo.
−In effetti, sappiamo pochissimo – rispose Jane. – All’inizio dello scorso anno, Silente ha convocato me e Harry nel suo ufficio e ci ha affidato due incarichi precisi. Mio fratello avrebbe dovuto occuparsi della caccia agli Horcrux, mentre io avrei dovuto scoprire il significato della Seconda Profezia. Entrambi abbiamo visto i ricordi di Voldemort, ma nessuno di essi conteneva allusioni ad Alhena Black. Ed Edmund è sempre stato tagliato fuori da tutto questo.
−Infatti temo di essermi perso qualcosa – intervenne il ragazzo. – Oltre agli Horcrux e alle mie origini, mi sfuggono parecchie cose. Che cos’è questa Seconda Profezia? E che cosa c’entro io?
Il professor Walpole chiuse gli occhi per qualche istante, come se stesse scegliendo le parole giuste, poi iniziò quel delicato discorso.
−La maggior parte delle persone crede che esista solo una profezia, quella su Harry Potter. In realtà, circa un mese dopo la Prima, Sibilla Cooman ebbe un’altra visione che riguardava direttamente Lord Voldemort. L’unica testimone di quell’evento fu Andromeda Black, venuta da lei per chiederle consiglio in seguito alla sua relazione clandestina con Ted Tonks. Incredibile a credersi, ma le due donne sono tuttora molto legate. Sapendo che ciò che era stato detto avrebbe potuto far gola ai Mangiamorte, Andromeda fece il Voto Infrangibile, affinché il segreto fosse protetto da orecchie indiscrete. Eppure ci fu una persona sola a cui questo segreto venne rivelato: sua sorella Alhena. Se la strega fosse ancora viva, potrebbe dirci come andarono le cose, ma, da quel poco che sappiamo, possiamo procedere solo per ipotesi.
Una cosa è certa: Harry Potter da solo non è sufficiente per sconfiggere Voldemort. C’è qualcosa, o forse potremmo dire qualcuno, direttamente connesso con la profezia che al momento della battaglia finale sarà indispensabile. In un primo tempo, si era pensato a Neville Paciock, nato qualche giorno prima di Harry, o a te, Jane, in quanto la sua gemella, ma allora perché Andromeda avrebbe dovuto rivelare il contenuto della profezia proprio all’amante del nemico? Sì, lei sapeva che la sorella aveva simili rapporti con Voldemort, la cosa non era un mistero nella sua cerchia, e i Black ne andavano particolarmente fieri. Ma sarebbero stati altrettanto fieri di un erede? Lo stesso Voldemort non voleva neanche saperne, a costo di estinguere la sua intera casata.
−Per forza, ha scoperto l’immortalità! – obiettò Edmund.
−Non credo che la cosa sia sufficiente. Vedi, Voldemort non è il primo mago oscuro a tentare di governare le forze della natura e ciò lo fa chiaramente temere di non essere neppure l’ultimo. Pochi anni prima della sua ascesa, un altro mago, chiamato Grindewald, aveva creato nell’Europa dell’Est lo stesso impero di sangue in cui l’altro ha trasformato l’Inghilterra. Chi gli avrebbe assicurato che suo figlio, erede di due maghi così potenti e ambiziosi, non sarebbe riuscito a superarlo? Forse un giorno gli stessi Mangiamorte, altrettanto avidi di potere, avrebbero potuto utilizzarlo per rovesciare il suo potere. Era un rischio che non poteva permettersi di correre.
Accanto a lei, Jane avvertì chiaramente Edmund rabbrividire per la rabbia e il ribrezzo.
−Il fatto che Voldemort avesse un figlio non era un mistero – continuò Walpole. – Bellatrix Lestrange ebbe la premura di farlo sapere a tutta la comunità magica non appena lo apprese dalla sorella, per vendicarsi. Sapete, le sorelle Black erano note per le loro lingue biforcute. Era impossibile mantenere un segreto, con loro. Alhena sapeva che Andromeda era a conoscenza di una profezia che avrebbe potuto essere preziosa per lei. Peccato che fuggì pochi giorni prima che lei trovasse il tempo di cavarle fuori la verità. E, allo stesso tempo, Bellatrix non vedeva l’ora di prendere il posto della maggiore come favorita.
−Che cosa? – esclamò Jane scandalizzata. – Ma Bellatrix è sposata!
−Con tutte le atrocità che combinano quelli della sua cerchia, c’è poco da stupirsi – commentò Edmund esasperato.
−Il fatto che Voldemort avesse un figlio ha improvvisamente acceso molte speranze nel mondo magico, sia da una parte che dall’altra, quella di quei pazzi sognatori come me e Silente. Io e Albus infatti stavamo coltivando una teoria ben precisa: tutto in natura trova il suo equilibrio. E anche il male più estremo attuato dai Serpeverde nel corso dei secoli avrebbe infine ritrovato la via della luce. La conferma sei proprio tu, Edmund.
Il ragazzo sussultò per la sorpresa.
−Io? – domandò esterrefatto.
−Ormai ti è fin troppo chiaro quanto tu sia lontano dai tuoi genitori. Sei un Serpeverde, è vero, ma molto diverso da quelli che conosciamo. Non pensi che possa significare qualcosa?
Il ragazzo nascose il volto tra le mani, massaggiandosi le tempie pensoso.
−Non ho mai accettato pienamente il fatto di essere un Serpeverde. E non ho mai perdonato il Cappello Parlante per non avermi dato l’opportunità di scegliere, come è accaduto con Harry. Io ho sempre voluto essere un Grifondoro – disse piano.
−Lo hai sempre voluto, ma non ti sei mai sentito un Grifondoro – lo corresse Walpole.
In tutta risposta, Edmund rimase in silenzio.
−Non pensi che una persona come te porti un grande onore alla propria Casa? Ci hai mai pensato? – lo incalzò il professore. – Mi dispiace, Edmund. Forse avresti potuto avere una vita migliore. Ti abbiamo cercato a lungo, io, Silente e altri folli come noi. Sapevo che Alhena era fuggita all’estero, lontano dal mondo civilizzato, ed è per questo che ho abbandonato l’Inghilterra, per trovarla prima di Voldemort e convincerla ad affidarti a me, affinché potessi crescerti in un luogo sicuro. Ma tuo padre è arrivato prima. Poche ora prima che giungessi a destinazione, seppi della tua morte e vi credetti. E così, per quattordici anni la nostra più grande speranza svanì completamente.
−Speranza? Che speranza può darvi un bambino qualunque? – domandò Edmund sconvolto.
−È la stessa cosa che disse Harry Potter, quando seppe la verità. Non vedi che tutto torna? Un Grifondoro e un Serpeverde. I due opposti che in qualche modo si alleano. Harry tende verso l’oscurità nello stesso modo in cui tu tendi verso la luce.
−Non sono convinto. Magari il fatto che, nonostante tutto, io sia rimasto immune dal male è stata solo una coincidenza. Come fate a ricollegarmi alla profezia? Non le sembra che la cosa sia gonfiata un po’ troppo?
−Andromeda Black ha fatto in modo che solo sua sorella venisse a sapere del contenuto della profezia. Non ti basta questo? Senza contare che tu e Harry avete molte cose in comune, proprio come le due profezie.
−Quando eravamo in secondo anno, Harry mi disse che lui e Voldemort avrebbero anche potuto essere amici, se avessero avuto la stessa età – osservò improvvisamente Jane con un brivido, ripensando a quando suo fratello aveva avuto a che fare con la versione sedicenne del loro mortale nemico.
−Certo, amico di mio padre sì, ma di me no, eh? – commentò Edmund sarcastico.
−Il punto rimane sempre lo stesso – proseguì Jane. – Non sappiamo nulla di che cosa dicesse la profezia.
−L’unica cosa che sappiamo, è che mio padre mi odia perché io potrei in qualche modo rovesciarlo, giusto? – proseguì Edmund. – Mi chiedo come, però. Lo ha detto lui stesso che non sono altri che un ragazzino spaventato. Ed è vero. Ho paura di tutto ciò che ha a che fare con lui. Senza contare che io non ammazzo nessuno.
−Tutto dipende da te, Edmund – rispose Walpole. – Non conosciamo nulla del contenuto della profezia, è vero, ma in compenso abbiamo te. Esiste una leggenda, di gran lunga anteriore a tutte queste profezie, che racconta che un giorno sarebbe giunto un Erede di Serpeverde del tutto diverso da coloro che l’avevano preceduto, dotato di un potere straordinario e sconosciuto. Negli anni passati, questo mago è stato sempre più spesso associato a Voldemort, ma io sono pienamente convinto che questo potere non sia connesso con le forze del male. Come potrebbe altrimenti essere diverso dai propri avi? Leggenda o no, io in questo momento mi trovo di fronte a un Erede molto diverso dagli altri ed è in lui che voglio riporre le mie speranze. E lo stesso Harry Potter dovrebbe fare altrettanto.
−Va bene, ormai sono sicuro di essere diverso da mio padre – commentò Edmund. – Ma non credo di avere dei poteri straordinari. Insomma, come mago sono abbastanza mediocre e alle volte sono spaventato dalla mia stessa natura. Mia madre mi ha insegnato qualcosa di magia, ma non l’ha mai coltivata a fondo.
−Albus mi ha detto che sei un ottimo studente, nonostante tu abbia iniziato a frequentare Hogwarts a quindici anni – lo corresse il professore.   
−Sono solo veloce a imparare, tutto qui.
−Il fatto che tu non conosca ancora a fondo i tuoi poteri, non significa che non ne abbia.
−Questo è vero. E una volta scoperti che cosa farò? Mi sta forse chiedendo di uccidere mio padre? – gli mancò il fiato per l’orrore. – Anche se mi vuole morto, io non priverei mai un essere umano della vita. Nemmeno uno come lui.
−Nessuno ti chiede di uccidere, Edmund.
−E allora ci spieghi come riusciremo a cavarcela. So perfettamente che una delle due parti dovrà soccombere, in un modo o nell’altro.
A quelle parole, Jane si raggomitolò ancora di più nel divano, fissando le mattonelle del pavimento.
Non sarebbe stato Edmund a uccidere Voldemort.
Quello era compito di Harry.
Lei lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
Sarebbe stato mai possibile amare la sorella dell’assassino del proprio padre?
Per un attimo, le era sembrato che le loro strade si fossero unite definitivamente, ma quella nuova incognita ora rischiava di mandare nuovamente tutto all’aria.
Edmund continuava a fissare dritto davanti a sé, le sopracciglia aggrottate, perso nei suoi pensieri.
−Voldemort ha scelto Harry Potter come suo nemico mortale – stava continuando Walpole. – Le loro bacchette sono unite da un potente incantesimo. Persino le loro menti riescono a entrare in contatto. L’esito della battaglia finale può essere deciso solo da loro. Ma il tuo fato è altrettanto connesso con quello del Prescelto. Vedi, non basterà sconfiggere Voldemort. Dopo la battaglia, ci saranno tante altre cicatrici da sanare. Ferite che, se lasciate infettate dalla sete di vendetta, possono dar vita a uno stregone altrettanto malvagio. Tutto quello che puoi fare per ora è guardare dentro di te, alla ricerca di quel misterioso potere che ti rende così diverso dagli altri. Jane, con il suo dono di saper leggere l’anima, sarà la tua guida.
Edmund lanciò una rapida occhiata a Jane, a cui lei rispose con un timido sorriso, poi annuì piano.
Dentro di sé aveva una voglia terribile di fuggire da quell’incubo, ma qualcosa gli imponeva di restare con i piedi per terra e combattere.
In quei giorni di buio e dolore aveva avuto tutto il tempo per riflettere.
Non si sentiva più come all’inizio, quando era stato liberato dal sotterraneo e aveva solo voglia di cancellare tutto quello che era accaduto, a partire dal suo stesso nome.
Sapeva che non sarebbe stato sufficiente e che i fantasmi del passato avrebbero continuato a perseguitarlo.
No, se voleva davvero riprendersi la sua vita, se voleva restare al fianco di Jane, allora doveva conciliare ogni aspetto di sé, anche il più oscuro, il più orrendo, e dargli un senso, qualcosa di completamente inaspettato.
Non aveva potuto scegliere a quale Casa appartenere, ma poteva sempre decidere che cosa fare della sua vita.
Anche se era un Serpeverde.
−Allora sappia che non la deluderò – disse deciso. – Il mio posto è con voi. Con Harry.
Il professor Walpole gli rivolse un largo sorriso compiaciuto.
−Sei davvero un grande mago – disse, non senza tradire una vena di ammirazione nella voce.
 
***
 
Erano quasi le undici quando i due ragazzi si avviarono al piano di sopra, con ancora le parole di Walpole che ronzavano nelle loro teste.
Dal giorno seguente, ci si sarebbe rimessi al lavoro.
Avrebbero dovuto incrementare i loro poteri e conoscere nuovi Incantesimi di Difesa.
Li attendevano lunghe ore di studio in biblioteca, in compagnia di colossali manoscritti pieni di rune e antiche leggende di maghi oscuri e Magia Bianca.
E, soprattutto, avrebbero dovuto scoprire qual era il misterioso potere di Edmund.
Il tutto per aiutare Harry a fare secco suo padre.
Al solo pensiero, Jane voleva solo piangere.
Edmund intuì al volo il suo malumore: quando qualcosa la turbava, la ragazza incurvava sempre le spalle, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni, e prendeva a mordicchiarsi il labbro inferiore.
−Jane? – la chiamò dolcemente.
−Sembrava troppo facile, non è vero? – la voce della ragazza tremava in modo innaturale.
−Che cosa succede?
−Non lo hai realizzato? Sono la sorella di chi ucciderà tuo padre.
A quelle parole, Edmund rabbrividì.
Senza pensarci oltre, cinse le spalle della ragazza con un braccio, stringendola forte a sé nell’oscurità del pianerottolo.
−Sai, ho pensato molto a Harry, in questi giorni – disse piano – e mi sono reso conto che anche lui, come me e te, non ha avuto l’opportunità di scegliere. Pensi che mi sia scordato la sua espressione disperata la notte in cui ha saputo di essere il Prescelto? Pensi che non sia rimasto scioccato anch’io quando ci ha detto che sarebbe stato costretto a uccidere per sopravvivere? È stato come se lo avessero affidato a me, quell’incarico. Tuo fratello è un ragazzo con una forza d’animo pari a pochi e ha tutta la mia stima. Io, dal mio canto, non ho potuto scegliere i miei genitori, ma in compenso ho deciso come vivere la mia vita. Siete voi la mia famiglia e io vi difenderò fino alla fine. Siete voi quelli che mi amano e io amo voi con la stessa intensità. Per questo non voglio che vi venga fatto alcun male. E sono disposto ad accettare la mia missione, qualunque essa sia. Voglio davvero essere ricordato come un Serpeverde di gran lunga diverso da tutti gli altri.
Jane sollevò leggermente il capo verso di lui.
Le sue guance erano rigate di lacrime, eppure i suoi grandi occhi verdi continuavano a brillare, carichi di speranza.
−Davvero lo pensi? – sussurrò.
−Ti sembrerà assurdo, – rispose lui – ma è così. 




Angolo Me

Eccoci arrivati al nostro consueto appuntamento del martedì, anche se questa volta un po' in là con l'orario...Spero comunque che siate ancora tutti svegli :)
Come mi ha fatto notare più di qualcuno, non sono riuscita a trattenermi dal tenere Edmund e Jane troppo separati: in fondo, stanno attraversando entrambi un periodo difficile e la sola idea di dividerli avrebbe reso tutto molto più difficile.
Il problema ora sarà affrontare Harry..ma andiamo con ordine!
Come pensate che faranno i nostri eroi a scoprire il contenuto della Seconda Profezia?
Se ci pensate bene, la risposta non è molto difficile.
In ogni caso, posso darvi un piccolo suggerimento: prendete l'ultimo romanzo della saga di "Harry Potter" e rifletteteci sopra.
Poi mi dite ;)
Come sempre, vi ricordo l'indirizzo della mia pagina Facebook, dove in questi giorni sono attese tante anteprime per chi sta aspettando la pubblicazione della mia nuova storia: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
Ci vediamo martedì prossimo con il nuovo capitolo :)
Grazie come sempre a tutti per le recensioni e l'entusiasmo con cui seguite: siete fantastici! 

F.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Allenamenti ***




Capitolo 15

ALLENAMENTI

~

 
 
 
 
 
La ripresa dell’azione fu segnata la mattina seguente alle sette in punto, al suono trillante della sveglia.
Dopo una sostanziosa colazione preparata dalla signora Walpole, Edmund e Jane si chiusero nella monumentale biblioteca della casa sull’oceano, dove sarebbero rimasti per un lungo periodo.
I due ragazzi alternavano lo studio di magie altamente avanzate a ore e ore di pratica su ciò che avevano imparato durante la giornata, testando i loro poteri e cercando di percepire qualche evoluzione rispetto al giorno prima.
Edmund in particolare fu costretto ad affrontare materie che mai avrebbe voluto prendere in considerazione in tutta la sua vita.
Walpole sosteneva che, come degno Erede di Serpeverde, il ragazzo dovesse prima conoscere a fondo tutti i suoi poteri, prima di poterne ricavare i lati positivi.
Il che trasformò il ragazzo in una sorta di cavia umana.
Il primo giorno dovette affrontare la sua fobia peggiore: i serpenti.
Nulla terrorizzava Edmund quanto quelle schifose bestie striscianti e la sola idea di trovarsene uno davanti gli faceva venire le vertigini per la paura.
Ma il professor Walpole era convinto che il ragazzo fosse un esperto conoscitore del Serpentese e fu per questo che, il primo pomeriggio di lezioni, il poveretto si ritrovò una lunga biscia verde che lo fissava con i suoi grandi occhi tondi da dietro il vetro di un terrario, posto su un tavolo al centro della biblioteca.
Non appena si rese conto di quanto stava accadendo, Edmund divenne se possibile ancora più pallido di quello che era e per poco non svenne.
Era solo con il professore (Jane era di sopra a ripassare alcuni incantesimi) e non aveva alcuna possibilità di fuga.
Il serpente continuava a fissarlo, levando appena il capo dalle foglie secche del terrario e mostrando la lunga lingua nera.
−I serpenti sono tuoi amici – disse il professor Walpole come se fosse la cosa più naturale del mondo. – Non possono farti del male.
In quel momento, Edmund avrebbe tanto voluto sputargli in faccia un bel po’ di parole tutt’altro che gentili, ma la paura gli paralizzava persino le labbra.
Alla fine, riuscì solo a domandare:
−Che cosa vuole che me ne faccia?
−Parlagli.
Il ragazzo si voltò verso il professore, convinto che lo stesse prendendo in giro.
−Che cosa devo fare? – ripeté perplesso.
−Di’ qualcosa a quella bestiola. Anche Harry ha cominciato così.
Edmund deglutì.
Conosceva il testardo rigore del professor Walpole e sapeva che sarebbe riuscito a tenerlo chiuso lì dentro fino a quando non avrebbe ottenuto ciò che voleva.
Non aveva molta scelta.
Che cosa si dice a un serpente? – domandò ad alta voce, rivolgendosi alla biscia.
A quelle parole, il professore trasalì e il serpente rimase come pietrificato.
Era evidente che Edmund aveva fatto qualcosa di inconsueto, ma lui non avrebbe saputo dire cosa.
Non si era accorto che la sua voce di sempre si era improvvisamente trasformata in un sibilo basso e sordo, da far venire i brividi.
So di non esserti simpatica, gli rispose a sorpresa una voce femminile, così nitida che per un attimo il ragazzo fu convinto che fosse davvero entrata una donna nella stanza.
Si rese conto solo pochi secondi dopo che quelle parole coincidevano perfettamente con le oscillazioni della testa del serpente.
Sei stata tu a parlare? – chiese terrificato.
Certo, che cosa ti aspettavi?, rispose la serpentessa in tono piccato. Del resto, tu non hai fatto altro che rivolgermi una domanda.
Sì, sì, scusami, hai ragione – in quel momento, Edmund avrebbe tanto voluto poter chiedere a Harry come si era sentito quando, da un momento all’altro, si era trovato a chiacchierare con un pitone allo zoo.
E di come gli fosse saltato in testa di aizzarlo contro il cugino.
Insomma, che cosa vuoi da me?, proseguì il serpente, frustando la lunga coda verde sul fondo del terrario. Stamattina me ne stavo tranquilla per i fatti miei a prendere il sole su una pietra e un attimo dopo, puf!, mi sono ritrovata prigioniera dietro questa cosa di vetro. Voi umani dovreste solo vergognarvi!
Sì, scusa, hai ragione. Finita questa pagliacciata, dirò al professore di liberarti immediatamente.
Pagliacciata? Non mi piacciono le pagliacciate.
Neanche a me. Pensa, io ho paura dei serpenti, tu neanche immagini quanto. Però il professore vuole che parlo con te. Sai, il fatto è che vengo da una famiglia di Rettilofoni…
Mai sentito parlare di Rettilofoni che hanno paura dei serpenti. Sei sicuro di sapere tutto su di noi?
Per la verità, non è che ho avuto molto a che fare con i serpenti, anche se di recente ho rischiato di essere divorato da uno di loro…
Addirittura divorato? Probabilmente, è stato perché non ti sei fatto gli affari tuoi…
Veramente mi è stato aizzato contro da mio padre.
Tuo padre?
Lord Voldemort.
Che mi venga un colpo! Tu quindi sei l’Erede di Serpeverde!
Sì, tecnicamente.
Be’, spero almeno che tu abbia un tantino più di rispetto verso la nostra specie. La fama di tuo padre è giunta fino a qui e non mi sembra che sia stato molto gentile con i miei simili.
Quella rivelazione lasciò Edmund a bocca spalancata.
Ma come! – esclamò perplesso. – Non dovrebbe avere una sorta di…devozione per quelli come te?
Ma quale devozione! Sin dalla più tenera età il tuo adorato paparino si divertiva a stregare i serpenti per gli scopi più ignobili, dal semplice scherzetto a qualche moccioso dell’orfanatrofio fino alle diavolerie che ha messo in atto più tardi. Senza contare che, quando è caduto, è arrivato fino in Albania possedendo un numero indicibile di poveri serpentelli che avevano avuto la sfortuna di imbattersi nel suo cammino, che puntualmente morivano dopo pochi giorni tra atroci sofferenze. L’unico rettile che ancora riesce a sopravvivergli è quel pitone lungo dodici metri che si porta sempre appresso e sai perché? Perché quella povera bestia non è più in sé da anni, dal momento che è stata scelta per ospitare un pezzo della sua anima.
Ehi, ehi, frena! Vuoi dire che Nagini è un Horcrux?
Voi umani chiamate così quella roba? In ogni caso, sì.
Ma come fai a esserne così sicura?
Le nostre lingue biforcute corrono. Siamo tutti in guardia, contro l’Uomo Nero.
Edmund si mise le mani nei capelli, sconvolto.
In pochi minuti erano successe troppe cose tutte insieme.
Non solo stava parlando con un serpente, ma questo gli aveva appena rivelato delle cose di vitale importanza per tutti loro.
Sì, conosci davvero poco su di noi, commentò la serpentessa in tono rassegnato. Coraggio, di’ a quel tuo amico professore che mi tratti con riguardo. Temo che dovrò restare qui ancora per molto tempo…
 
***
 
Jane non si stupì quando Edmund fece irruzione in camera sua pochi minuti dopo, raccontandole della bizzarra conversazione avuta in biblioteca.
Uno dei primi poteri che si era manifestato nella strega sin dall’inizio era stata la capacità di comprendere il linguaggio degli animali, fatta eccezione dei serpenti, che per lei erano sempre rimasti un affascinante mistero.
La scoperta che Edmund potesse comunicare con loro l’aveva mandata immediatamente in fibrillazione e, con viva costernazione del ragazzo, lo incoraggiò a proseguire con quel bizzarro esperimento.
Ma la notizia che ricevette poco dopo sulla natura di Nagini bastò a cancellarle immediatamente il sorriso dalle labbra.
−Se Harry fosse qui, avrebbe già una pista in più – sussurrò tristemente.
−Probabilmente, Harry ci è già arrivato da solo, a questa conclusione – disse Edmund sedendosi sul letto accanto a lei e cingendole le spalle con un braccio. – Del resto, sospettava questo già da tempo, no?
Jane annuì lentamente.
In quegli ultimi giorni, il pensiero del fratello era diventato una costante.
Molte volte la ragazza si chiedeva dove fosse e che cosa stesse facendo.
Da quando avevano litigato, il frammento di quarzo rosa giaceva abbandonato sul fondo del suo zaino.
Non aveva ancora avuto il coraggio di tirarlo fuori e riallacciarselo al collo.
Temeva di sentirlo bruciare sulla pelle da un momento all’altro.
 
***
 
 Nelle settimane che seguirono, ci furono ulteriori progressi, ma nessuno portò a una svolta vera e propria.
Edmund stava finalmente iniziando a vincere la sua paura dei serpenti e stava prendendo sempre più confidenza con Sissy (era così che si chiamava la loro ospite), che, meglio di qualsiasi manuale erpetologia, stava insegnando pazientemente al ragazzo tutti i segreti di quella specie animale con cui avrebbe dovuto avere così tanta confidenza.
Fu così che il ragazzo scoprì che i serpenti sono in realtà degli animali molto paurosi, che preferiscono nascondersi se si sentono minacciati, ma che, una volta costretti a combattere, sanno vender cara la pelle.
Inoltre, Sissy gli spiegò i lati positivi della sua specie, come il fatto di dare la caccia ad animali pericolosi per gli uomini (i ratti, per esempio) e la possibilità di fabbricare potenti antidoti con il veleno dei loro denti.
Senza contare che la serpentessa era profondamente orgogliosa della loro discrezione, prudenza e pazienza.
Le sue parole lo stupivano ogni giorno di più.
Nel frattempo, i suoi studi proseguivano anche in altri campi.
Per tutto il resto dell'estate, Edmund non fece altro che fare ricerche sui suoi avi, sulle loro gesta e le leggende che li circondavano.
Si informò su altri maghi oscuri che avevano preceduto suo padre e persino sulla famigerata stirpe dei Black.
Si sorbì ogni genere di trattato sulla Magia Nera e la Magia Bianca e dei modi in cui esse avrebbero potuto interagire tra loro.
Inutile dire che tutte queste diavolerie lo facevano star male tutte le volte per il ribrezzo e la nausea.
Per fortuna c’erano i momenti interamente dedicati alla Magia Bianca, in cui restava solo con Jane, il suo angelo custode.
La ragazza era stata incaricata di aiutarlo a trovare il suo potere nascosto e per farlo era necessario che gli leggesse l’anima ogni giorno, alla ricerca del minimo cambiamento.
Si mettevano sulla spiaggia, verso sera, sedendosi su una delle grandi rocce a strapiombo sul mare che si ergevano a pochi metri dalla casa.
Il mormorio delle onde e il richiamo dei gabbiani erano la loro unica compagnia.
Edmund mostrava a Jane tutti i nuovi incantesimi che aveva appreso, poi i due ragazzi si sedevano uno davanti all’altro tenendosi per mano, con gli occhi chiusi, lasciando che la strega facesse il suo lavoro.
Il ragazzo amava quel momento: aspettava l’intera giornata per provare ancora una volta quell’infinito senso di pace che annunciava l’entrata in azione dei poteri di Jane.
Sapeva che, quando lei gli leggeva l’anima, non aveva nulla da temere.
Qualunque cosa vi avesse scorto, lo avrebbe accettato così com’era.
Era come essere nudi, ma senza provare vergogna.
−Ti sento più forte – disse una sera la ragazza dopo averlo ascoltato a lungo. – Sei più sereno. La paura è quasi del tutto scomparsa. È come se stessi finalmente accettando ciò che sei.
Edmund aggrottò le sopracciglia pensieroso.
−Riesci a sentire solo questo? – domandò.
−E lo chiami niente?
−Non lo so. Dopo tutte queste settimane di lavoro, mi aspettavo di riuscire finalmente a tirare fuori quel potere nascosto di cui tutti parlano.
−Io non sento nessun nuovo potere. Ma in compenso, posso dire che hai rafforzato te stesso. La tua magia è più adulta. Il cambiamento c’è e non è poco.
−Ma non siamo ancora giunti a una svolta definitiva. E le settimane passano.
Jane si mordicchiò il labbro.
I suoi occhi verdi furono velati dalla tensione.
−Purtroppo, per queste cose ci vuole tempo – disse pensierosa – e a noi non resta che aspettare, esercitarci e aspettare ancora, fino a quando i risultati non verranno.
Edmund si abbracciò le ginocchia con fare torvo.
−Pazienza – sibilò piccato, mentre il suo sguardo si perdeva nel mare dorato dalla luce del tramonto.




Angolo Me

Buonasera :)
Spero che questo capitolo di passaggio non vi abbia annoiati troppo: era comunque necessario per capire quanto sta accadendo nella casa sull'oceano e come Edmund sta iniziando ad accettare la sua identità di Erede di Serpeverde, nella speranza che ciò lo porti sulla strada della Seconda Profezia.
Cosa credete che contenga?
In ogni caso, martedì prossimo si tornerà all'azione.
Nel mentre, infatti, abbiamo un po' abbandonato il resto della famiglia Pevensie, che ora si prepara a tornare a Hogwarts.
Le sorprese e i colpi di scena non mancheranno!

Per tutti coloro che seguono anche "L'ultima notte", vi ricordo che l'aggiornamento sarà domani e non giovedì.

Per restare sempre aggiornati sulle storie edite e inedite, vi invito a passare sulla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

Auguro una buona serata a tutti voi :)
Baci

F.

 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 16
*** L'attentato ***




Capitolo 16

L’ATTENTATO

~

 
 
 
 
Adam fissò la lapide con aria assente, come se il corpo martoriato che giaceva sotto i suoi piedi non fosse quello di suo padre.
In pochi giorni, il ragazzo sembrava invecchiato di vent’anni.
Il volto pallido e scavato era nascosto da un lungo ciuffo di capelli castano chiaro e gli occhi blu avevano perso la vivacità di un tempo, apparendo lividi e opachi, come privi di vita.
Per poco non ebbe un infarto quando avvertì il tocco di una mano gelida sulla spalla.
Trasse un sospiro di sollievo quando si accorse che era solo sua madre, entrata nella cripta di famiglia senza far rumore.
Da quando i Mangiamorte avevano rapito, torturato e ucciso il signor Johnson, la donna sembrava diventata qualcosa di più simile a uno spettro che a un essere umano.
−La macchina è pronta, tesoro – disse la vedova Johnson con aria assente. – Sicuro di voler partire?
−Il mio posto è a Hogwarts, mamma – rispose Adam stringendo la piccola e fragile strega tra le sue braccia. – Non temere: è ancora un luogo sicuro, nonostante tutto.
La donna si lasciò sfuggire un sospiro.
−Non potrei sopportare di perdere anche te – mormorò.
−Non accadrà. Tornerò presto. L’importante è che ora tu vada in un posto sicuro, dove quei pazzi assassini non potranno più farti nulla di male.
La signora Johnson annuì piano.
I suoi grandi occhi scuri passarono in rassegna le eleganti architetture gotiche della cappella.
C’erano voluti secoli per costruire e abbellire la tenuta di campagna dove vivevano, simbolo dell’immenso prestigio della famiglia Greengrass, una delle più antiche di Inghilterra che potevano vantare il titolo di Purosangue.
Ora, gli ultimi due membri superstiti erano accusati di alto tradimento per aver sporcato il proprio sangue con quello di un volgare Babbano di nome Johnson.
Tutto ciò che i loro antenati avevano così faticosamente costruito si era dissolto nel nulla.
Ora, madre e figlio non avevano più scelta.
L’auto nera del Ministero li attendeva nel giardino, sotto la pioggia battente, in attesa di varcare i cancelli della villa per l’ultima volta.
−Stai attento – sussurrò la donna tra le braccia di suo figlio; poi tutto svanì tra i singhiozzi.
 
***
 
−Tranquilla, mamma. Hogwarts è ancora protetta, nonostante Silente non ci sia più.
Erano state quelle le ultime parole che Peter aveva detto a sua madre poco prima di mettere in moto la macchina e scortare Lucy fino alla stazione di King’s Cross.
La ragazzina stava raggomitolata sul sedile anteriore, fissando con aria assente le case del loro quartiere che scorrevano via attorno a loro.
Pioveva a dirotto e faceva un freddo davvero insolito per essere solo il primo settembre.
−Notizie da Susan? – domandò a un certo punto.
−Sta bene – rispose Peter, continuando a guardare la strada.
−Quando tornerà?
−Non lo so.
Lucy restò in silenzio, tornando a osservare distrattamente il paesaggio fuori dal finestrino.
−Pete, credi che Edmund sia davvero cattivo? – domandò a un certo punto.
Era la prima volta dalla sua scomparsa che Lucy osava affrontare l’argomento.
Peter non rispose, la mascella improvvisamente contratta.
−Silente si fidava di lui – disse a un certo punto. – E io mi fidavo di Silente.
I due fratelli non parlarono più per tutto il resto del tragitto, ciascuno perso nei propri cupi pensieri.
Una volta arrivati alla stazione, Peter scortò Lucy fino al binario nove e tre quarti, lanciandosi intorno continue occhiate sospette.
Per fortuna, la zona era pattugliata in ogni dove da Auror in borghese, che controllavano a vista il transito di studenti e bagagli sulla banchina.
Appena passati al di là della barriera, Lucy intercettò subito Nigel Creewey, il suo migliore amico.
I due non avevano ancora finito di salutarsi, che un ragazzo alto dai folti capelli castani si avvicinò a grandi passi a Peter, seguito a ruota da una ragazza dai lunghi riccioli viola.
−Ehi! Sei il fratello di Edmund, giusto? – domandò questi.
Nel sentir nominare il fratellastro dopo settimane, il maggiore dei Pevensie si sentì raggelare.
−Chi sei? – domandò sospettoso.
−Sono Adam Johnson, un suo amico – rispose lo sconosciuto tendendogli la mano.
Peter gliela strinse senza troppa enfasi.
−Johnson, Johnson… − pensò ad alta voce. – Ora ricordo! Sei il ragazzo di Serpeverde, vero? Edmund mi ha parlato più volte di te.
−Lui dov’è?
A quella domanda, Peter trasalì.
Al suo fianco, Lucy impallidì all’istante.
−Non hai saputo? – domandò il ragazzo.
Adam scosse il capo.
−Non ricevo sue notizie da giugno.
Peter sospirò; poi, facendo appello a tutto il suo autocontrollo, gli disse la verità.
−Cosa? Edmund…suo figlio? Non è possibile! – esclamò Adam sconvolto.
−Mi dispiace. Dispiace a tutti noi – mormorò Peter tristemente.
−Voglio che tu sappia una cosa, amico. Edmund era a posto, davvero. Anche se le cose stanno così, lui per me sarà sempre un grande mago.
L’altro annuì.
−Forse è meglio ricordarlo così.
A pochi passi da loro, il treno fischiò.
Era il momento di salire a bordo.
−Se vuoi, Lucy e il suo amico possono venire con me e Natalie. In gruppo siamo più al sicuro – propose Adam.
−Ti ringrazio – fece Peter.
−Va tutto bene, Pete – lo rassicurò Lucy.
Suo fratello le sorrise; poi i due si abbracciarono forte.
−Mi raccomando, stai attento! – sussurrò la ragazzina nel suo orecchio.
Un attimo dopo, i due si separarono e Lucy zampettò dietro ai compagni, dritta verso casa.
Pochi istanti dopo, l’Espresso di Hogwarts iniziò la sua corsa, sparendo nella nebbia.
 
***
   
Sul treno regnava un silenzio innaturale.
Non si avvertiva il consueto cicaleccio degli studenti, gli scoppi provocati da qualche incantesimo maldestro e il noto cigolio del carrello dei dolci.
Era come se a bordo non ci fosse nessuno. Adam, Natalie, Lucy e Nigel si trovarono uno scompartimento vuoto, lontano da sguardi indiscreti.
−Allora è vero? – domandò Adam quando finalmente si furono accomodati. – Edmund è davvero l’Erede di Serpeverde?
Lucy annuì.
−Ho sempre detto che quel ragazzo aveva qualcosa di strano – osservò Natalie in tono perentorio.
−Nat, per favore! – la interruppe Adam accennando a Lucy.
La ragazza stava aprendo la bocca per rispondere, quando un cigolio sinistro proruppe da sotto i loro piedi.
Un attimo dopo, tutti i presenti furono scaraventati violentemente a terra, mentre tutte le luci del treno si spegnevano di colpo.
Nello scompartimento accanto qualcuno urlò.
−Chi diavolo ha tirato il freno di emergenza? – esclamò Adam riemergendo da sotto il sedile.
Lucy si tirò su a sedere barcollando, incollando il nasino all’insù al vetro del finestrino.
Fuori la pioggia cadeva talmente fitta che era impossibile distinguere alcunché.
−Via di lì! – esclamò Natalie scaraventandola indietro e tirando giù le tende.
Sia lei che Adam avevano sguainato le bacchette.
−Ascoltate! – esclamò la ragazza tendendo l’orecchio. – Qualcuno sta salendo sul treno!
Lucy non si trattenne e sbirciò da dietro le tendine tirate.
Con suo sommo orrore, notò alcune figure incappucciate inerpicarsi su per i vagoni.
In quel preciso istante, la porta dello scompartimento si aprì con un tonfo.
Per poco, Neville non venne centrato da due maledizioni diverse, potenzialmente letali.
−Cosa diavolo ti è saltato in mente, razza di imbecille? – tuonò Adam con il suo solito tatto.
−Zitti! Ci sono i Mangiamorte sul treno! – esclamò il ragazzo, poggiandosi l’indice sulle labbra.
−E adesso che facciamo?
Neville non rispose.
Con sommo orrore di tutti, un’alta figura incappucciata era appena sbucata alle sue spalle, sbarrando loro ogni via di fuga.
−Bene, bene, bene – disse la voce di Greyback rivolta a un’altra figura ammantata nell’ombra. – Questi li portiamo via con noi.
 
***
   
Era stata una giornata lunga ma ricca di soddisfazioni.
Dopo aver trascorso tutto il pomeriggio sui libri, Jane si concesse finalmente una doccia rilassante, andandosi poi a godere il tramonto sull’oceano dalle grandi finestre della biblioteca.
Lì vi trovò Susan ancora china sul manuale di Incantesimi che aveva iniziato a leggere quella mattina.
Sissy dormicchiava pigramente nel terrario posto al centro della stanza, lanciando di tanto in tanto un sibilo infastidito per via delle note stridenti che provenivano dalla radio.
Anche Edmund era tutto preso dallo studio, sprofondato fino al collo in una grande poltrona.
Jane si raggomitolò ai suoi piedi, lanciandogli di tanto in tanto un’occhiata di sottecchi.
Dalla terribile notte in cui la verità era venuta a galla, nessuno dei due aveva più osato baciare l’altro.
Certo, l’affetto che nutrivano uno verso l’altro era quello di sempre, anche se ora il terribile fantasma dell’Erede di Serpeverde e di ciò che avrebbero dovuto affrontare di lì a poco aveva posto fra loro dei limiti invalicabili.
La paura per ciò che li aspettava era ancora troppo forte per pensare ai sentimenti, nonostante fossero miracolosamente intatti.
Improvvisamente, la musica alla radio si interruppe, lasciando posto alla sigla del notiziario.
Susan alzò istintivamente il volume.
Buonasera. Continuano le ricerche in Inghilterra dopo l’attentato avvenuto questa mattina all’Espresso di Hogwarts, a pochi chilometri da Londra…
−CHE COSA? – esclamò Jane in preda all’orrore, venendo subito zittita dagli altri due.
…il convoglio è stato dirottato da un gruppo di Mangiamorte, che ne ha preso il totale controllo per alcune ore. Il treno ha poi ripreso la sua corsa verso Hogsmeade, ma al suo arrivo mancavano cinque studenti. Neville Paciock, Adam Johnson, Natalie Prewett, Nigel Creewey e Lucy Pevensie sono ricercati in tutto il Paese, anche se le speranze di trovarli vivi sono state ormai smentite dal Ministero…
Non riuscirono ad ascoltare altro.
L’intera stanza venne attraversata dal grido di Susan, che si accasciò a terra con le mani conficcate nei capelli, il volto paonazzo deformato da un dolore indicibile.
−SUE! – esclamò Jane accorrendo al suo fianco, tentando in tutti i modi di farla tornare in sé.
−NO! NOOOOOOOOOOOO! LUCY, LUCYYYYY!
−Susan, ti prego!
In un attimo, anche il volto di Jane fu inondato dalle lacrime.
Si strinse forte all’amica, le loro teste premute l’una contro l’altra, singhiozzando abbracciate sul pavimento polveroso.
Era come se improvvisamente l’intero mondo fosse precipitato sulle loro teste, schiacciandole.
Il notiziario sparato a tutto volume sembrava solo un borbottio lontano.
Solo Edmund rimase in disparte, immobile come una statua.
Un’espressione di cieca rabbia gli solcava il volto, indurendogli i tratti a tal punto da solcarli di un’inquietante bruttezza.
Jane rabbrividì, incrociando il suo sguardo.
In quel momento, il ragazzo somigliava in maniera impressionante a suo padre, anche se non c’era traccia del bagliore rossastro nei suoi occhi.
−Edmund… − sussurrò spaventata.
−Me la pagheranno – rispose lui stringendo il pugno fino a far sbiancare le nocche. – La pagheranno fino all’ultimo, quei bastardi.




Angolo Me

Ypieeeeeee mi hanno rimesso Internet!!!!! :D
Lo so, il grido di esultanza non si addice molto a questo capitolo luttuoso, ma andiamo per ordine.
Innanzitutto, non potevo di certo trascurare i nostri amici rimasti a Hogwarts, che inevitabilmente sono finiti nel mirino dei Magiamorte.
Non è un caso che i ragazzi scompaiano proprio durante il viaggio in treno, come avviene ne "L'ultima battaglia"...attenzione, però! * spoiler!!!!! * ho detto scomparsi, non morti ;)
Ciò non toglie che da adesso in poi le atmosfere diventeranno sempre più cupe, dal momento che si avvicina sempre di più lo scontro finale.
Per i nostri eroi non sarà affatto una passeggiata, ma noi siamo con loro fino alla fine, giusto? ;)
Piccola precisazione: essendo il Ministero sotto il controllo dei Mangiamorte, l'auto usata dai Johnson per scappare è stata data in dotazione dal governo babbano.

Domani, se Dio vuole, potrete leggere il terzultimo capitolo de "L'ultima notte".
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A presto!
Un bacio grande :)

F.








     
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 17
*** La leggenda dei tre fratelli ***




Capitolo 17

LA LEGGENDA DEI TRE FRATELLI

~

 
 
 
 
Quell’anno il Natale sembrò arrivare alla velocità di un cavallo al galoppo.
In pochi giorni, la grande casa sull’oceano si era riempita di luci e rami di vischio e la quantità di dolci provenienti dalla cucina di Mrs Walpole sembrava magicamente triplicata.
L’atmosfera che aleggiava nella sue stanze polverose si era fatta improvvisamente più calda e familiare di quanto già lo fosse, in contrasto con la neve che continuava a cadere incessantemente da giorni, imbiancando completamente tutta la spiaggia.
In quegli ultimi mesi, Edmund, Jane e Susan erano rimasti gli unici ragazzi della casa.
Ai primi di settembre, infatti, Céline e Colin erano tornati a scuola e sarebbero rientrati solo per le vacanze di Natale.
In Francia, l’emergenza Voldemort giungeva più attenuata e Beauxbatons poteva ancora vantare di una certa sicurezza nei confronti dei propri studenti.
La stessa cosa non si poteva dire dei tre ospiti che, con un esercito di Mangiamorte alle calcagna, non aveva mai lasciato la barriera protettiva che circondava casa Walpole.
Persino Susan, ancora profondamente scossa per l’attacco subìto l’estate precedente, aveva preferito rimandare la partenza per Londra a quando le acque si sarebbero un poco calmate.
La sua più grande salvezza erano le lettere che inviava ogni settimana a Peter per via babbana, dal momento che telefono e posta elettronica erano totalmente inutilizzabili in una casa di maghi.
Jane non riusciva a trattenere lacrime di commozione ogni volta che realizzava quali sacrifici stesse facendo la sua amica per lei.
Era davvero più di quanto potesse sopportare.
La notte di Natale fu allietata dalla cena più sontuosa a cui i tre ragazzi avessero mai partecipato.
La signora Walpole superò se stessa in manicaretti e decorazioni. La compagnia fu perennemente allegra e, per una volta, non si fece alcuna menzione di spietati assassini e profezie perdute.
Per poche ore, ci si poté prendere il lusso di dimenticare ciò che stava accadendo là fuori.
Ci fu persino il momento dei regali (che i ragazzi ricevettero con un certo imbarazzo, dato che, non potendo uscire di casa, non avevano avuto modo di ricambiare).
Dopo essersi scambiati gli auguri a mezzanotte, ciascuno rientrò nelle proprie camere, felice dopo una serata serena come non accadeva da tempo.
Solo quando Jane si chiuse la porta alle spalle si rese conto che le mancava qualcosa.
La compagnia di una vera famiglia, la sua.
Si ricordava benissimo i suoi primi Natali, quando era Wendy a cucinare e la casa era invasa da parenti e amici festanti.
Passavano sempre nel primo pomeriggio, una volta finito il pranzo e scartati i regali.
E, naturalmente, c’era anche Harry, sin da quel fatidico Natale, quando Jane aveva trovato incartata la sua prima bacchetta magica sotto l’albero.
Era andata a sceglierla da Olivander insieme a Harry, ma Wendy aveva pensato che sarebbe stato più bello incartarle insieme e fargliele scartare per Natale, dal momento che le precipitose circostanze avevano fatto in modo che i due gemelli non aspettassero la lettera da Hogwarts per entrare a far parte della loro gente.
E poi c’erano Ron e Hermione, con cui aveva sempre modo di trascorre quel giorno da tanti anni.
Ma ora, tutto questo non era che un lontano ricordo.
Jane si trovava a centinaia di chilometri dalle persone che amava, ignorando se fossero ancora vive e pensassero in qualche modo a lei, alla traditrice.
Improvvisamente, la ragazza si sentì lontana anni luce dalla gioia e dall’affetto che aveva ricevuto quella sera.
Era sola.
Terribilmente sola.
E per di più a casa di estranei.
Era tutto così tremendamente sbagliato!
Sconsolata, la ragazza si fece coraggio e si chinò sul suo grande zaino abbandonato sul pavimento della stanza.
Le ci volle un bel po’ per riacciuffare il suo frammento di quarzo rosa fra tutte le cianfrusaglie che aveva ammassato la notte della sua fuga, ma alla fine lo trovò, liscio e opalescente come sempre.
E, cosa più importante di tutte, freddo e immobile.
Significava che andava tutto bene.
Con il cuore che le batteva forte, Jane baciò la pietra con tutte le sue forze, sperando che un’eco di quel gesto colpisse dritte al cuore le persone che amava, ovunque si trovassero.
Harry, fratello mio, torna a casa, pensò carica di nostalgia.
Con il cuore che le batteva forte per l’emozione, si infilò sotto le coperte e vi rimase a lunga distesa, al buio, fissando il pallido cielo stellato al di là della finestra fino a quando non si addormentò, il quarzo rosa ancora stretto tra le dita.
 
***
 
Si svegliò urlando.
Il quarzo rosa bruciava e sfrigolava nel palmo aperto della sua mano.
Jane lo scagliò lontano, restando poi a fissare instupidita la sua luce incandescente che pulsava nel buio della stanza come una fiamma viva.
Non solo il minerale la stava avvisando del pericolo mortale, lei lo aveva 
visto.
Era stato più nitido di qualsiasi altro sogno: suo fratello e Hermione che fuggivano tra le stradine innevate di un piccolo villaggio inseguiti da un gigantesco serpente.
Aveva avvertito la loro paura, il loro orrore, li aveva sentiti palpitare dentro di lei mentre le sue urla si univano alle loro.

Improvvisamente, il quarzo rosa smise di bruciare e si spense con un sibilo.
Jane scattò in avanti, afferrandolo e stringendoselo spasmodicamente al petto.

Parlami. Ti prego, PARLAMI!
La pietra restò silenziosa, ma dentro di sé la ragazza non avvertì alcuna lacerazione, alcun dolore che le annunciava la morte del fratello.
Harry ce l’aveva fatta ancora una volta.
Sconvolta dal dolore e dalla paura, la ragazza si afflosciò sul pavimento, prendendo a piangere senza più freni.
In quella gelida notte d’inverno, la solitudine la stava schiacciando. Aveva bisogno di affetto, di calore, di conforto.
Era una persona forte e lo sapeva, ma in quel momento ciò non sarebbe bastato.

La ragazza levò lo sguardo verso la porta chiusa.
Un groppo le serrò dolorosamente la gola, mentre il cuore accelerava spasmodicamente i battiti.
No, non era sola.
Semplicemente, ora era lei ad avere bisogno della sua protezione.

Lentamente, in punta dei piedi, la ragazza sgusciò in corridoio e si fermò due porte più avanti.
Dalla stanza di Edmund non proveniva alcun rumore.
Jane esitò un attimo sulla soglia, poi entrò.

−Ed? – sussurrò. – Edmund?
−Jane? – rispose dopo un po’ il ragazzo in tono allarmato. – Che cosa succede?
−Il quarzo…Harry si è trovato in pericolo di vita pochi minuti fa…Io l’ho visto! – in preda ai giramenti di testa, la ragazza si appoggiò allo stipite della porta. – Ho…paura!
Lumos!
Una pallida luce si accese all’altezza del comodino di Edmund, illuminando la stanza di una delicata luce azzurrina.
E adesso, come sta? – chiese il ragazzo preoccupato.
−Credo bene – rispose Jane tremante. – Se fosse…morto me ne sarei accorta, lo avrei sentito.
−Speriamo bene.
−Ho tanta paura per lui, Ed, anche se non gliene frega più niente di me. E mi manca, mi manca tantissimo. Vorrei solo che fosse qui, come se nulla di tutto questo fosse mai accaduto!
Calde lacrime ripresero a scorrerle lungo le guance.
Jane nascose il volto d’istinto dietro la manica del pigiama.
Odiava mostrare la sua debolezza a Edmund, non quando lui aveva così bisogno di lei per superare le sue paure.
Eppure fu proprio il ragazzo a stupirla.

−Vieni qui – le disse timidamente, quasi in imbarazzo.
Jane si sentì ribollire il sangue nelle vene.
Non voleva ammetterlo, ma in realtà era proprio ciò che sperava le chiedesse in quel momento.
Con passi incerti, la ragazza si avvicinò al letto e si infilò sotto le coperte.
Edmund la strinse a sé, lasciando che si rannicchiasse contro il suo petto per darle forza.
La ragazza chiuse gli occhi, aggrappandosi a lui e lasciandosi avvolgere da quell’abbraccio.

Improvvisamente, si ritrovò in paradiso, al caldo fra le braccia della persona che amava di più al mondo.
Solo loro due, lontani dal mondo gelido e inospitale che li aspettava là fuori.
Avvertiva il cuore di Edmund pulsare dolcemente a pochi centimetri dal suo orecchio, il suo respiro regolare cullarla dolcemente ogni attimo di più.
Lentamente, la calma ritornò.
In quel momento, Jane capì che ora non sarebbe potuto accaderle nulla di male.

−Sei ancora decisa a restare al mio fianco? – le chiese Edmund timidamente.
−La promessa di una strega non si infrange tanto facilmente – rispose la ragazza stringendolo ancora più forte. – Ovunque andrai, io ci sarò sempre. 

 
***
 
La mattina seguente, una violenta bufera di neve accompagnò un ospite inaspettato fin davanti alla porta.
Il professor Walpole lo aveva visto arrivare sulla spiaggia, stretto nel suo consunto cappotto grigio, e gli aveva permesso di oltrepassare la barriera, invitandolo poi a entrare in casa.
Jane rimase completamente di sasso quando riconobbe Remus Lupin in piedi in mezzo al pianerottolo, liberandosi dalla neve che gli era entrata fin dentro agli occhi.
−Professore! – esclamò radiosa andandogli incontro e stampandogli due calorosi baci sulle guance. – Come mai da queste parti? Come ha fatto a trovarci? E Tonks, come sta? Ci sono notizie da mio fratello?
−Calma, calma – rispose il professore con un sorriso stanco. – Kingsley è riuscito a trovare l’indirizzo nell’archivio di Silente.
−Era la mia sorpresa di Natale – annunciò Walpole comparendo alle sue spalle. –Pensavo che avere a pranzo un vecchio amico sarebbe stata una cosa molto gradita ai ragazzi.
−Altroché! – esclamò Jane al settimo cielo. – Aspetti che vado a chiamare gli altri! Ehm…nessun problema se viene anche lui? Sono sicura che sarà felicissimo di rivederla.
−Puoi stare tranquilla per Edmund, Jane – la rassicurò Lupin. – Piuttosto, come sta?
–Possiamo definirlo un miracolato – rispose Walpole sorridendo. – Coraggio, ragazzi! Accomodatevi di là. Mia moglie vi sta già aspettando in salotto. Tutti a tavola!
In pochi minuti, l’intera comitiva si radunò in salotto.
L’atmosfera era distesa e festosa, ma c’era qualcosa di diverso nell’aria rispetto alla sera prima.
Lupin aveva finalmente fatto entrare il mondo esterno nel loro rifugio sicuro.
−Le cose non vanno bene – disse in tono serio alla puntuale domanda dei presenti. –Scrimgeour è stato ucciso pochi giorni dopo la vostra fuga. Voldemort ora ha in mano il Ministero della Magia e la stessa Hogwarts.
−CHE COSA? – esclamarono Edmund e Jane all’unisono.
−Purtroppo è così. Il nuovo Ministro della Magia è un mago controllato da Tu-Sai-Chi in persona. Il governo ha dato inizio a una vera e propria pulizia etnica fra i maghi e le streghe d’Inghilterra. Si è scatenata la caccia ai Mezzosangue. Ci sono delle pattuglie addestrate a scovarli, processarli e gettarli ad Azkaban, nella migliore delle ipotesi.
−È orribile – gemette Jane.
−Che ne è stato di Hogwarts? – intervenne Edmund.
−La scuola ora è controllata dai Mangiamorte. Ovviamente, nel nuovo ordinamento si lascia spazio soprattutto alle materie oscure, anche se sono rimasti tutti i professori della vecchia guardia. E Piton è il nuovo Preside.
−PITON?!
Quella notizia sconvolse i presenti ancora di più della precedente.
−Pulizia etnica e Hogwarts in balìa della Magia Oscura. Non avrei mai creduto di vedere un simile scempio in vita mia – commentò il professor Walpole indignato. 
−E Harry? – chiese Jane. – Sa qualcosa di lui? E gli altri?
−Non vedo tuo fratello dal giorno del matrimonio di Bill Weasley, quando siamo stati attaccati da un gruppo di Mangiamorte. Non ti preoccupare, il nostro Harry è riuscito a fuggire insieme a Ron e Hermione appena in tempo. Credo che ora stiano girando l’Inghilterra a caccia di Horcrux.
A quella notizia, Jane si prese il capo tra le mani, lottando contro la voglia disperata di mettersi a urlare.
Suo fratello…disperso.
E lei se ne stava lì al calduccio, a rigirarsi i pollici.
−Immagino non abbia mai parlato di me, in quel frangente. Né lui, né gli altri – disse amaramente.
−No. Mi dispiace, ma ci è stato impossibile farlo ragionare – rispose Lupin costernato.
Jane si lasciò sfuggire un gemito.
Edmund si precipitò a circondarle le spalle con un braccio.
–Il suo comportamento è stato una vera delusione per tutti noi – intervenne il ragazzo. –Mai avrei creduto che Harry Potter fosse in grado di presentare dei pregiudizi degni del peggiore dei Mangiamorte. Men che meno verso sua sorella.
−Condivido il tuo sdegno, Edmund, ma devi capire che Harry sta attraversando quello che forse è il momento più terribile della sua vita. Come tutti, del resto – rispose il professore. – E io sono certo che, al di là di tutta la rabbia che possa provare, in realtà sia ancora profondamente legato a Jane. Vedi, cara, tuo fratello ti vuole un bene che neanche immagini. Del resto, sei l’unico elemento della famiglia che gli è rimasto, una persona di cui si poteva fidare. La sua ostilità in realtà cela tutta la paura che prova per te. Non vuole che qualcuno ti faccia del male. Credimi, è così. E scommetto che proprio in questo momento ti sta pensando, proprio come te.
Jane annuì piano.
Sapeva che in fondo Lupin aveva ragione, ma aveva troppa paura di illudersi.
Lo sguardo omicida che le aveva lanciato Harry quando si erano salutati per l’ultima volta ancora lampeggiava nella sua memoria.
−Ron e Hermione? – si affrettò a cambiare discorso.
−Sono partiti insieme a Harry. Non abbiamo più notizie neppure di loro.
−È una follia che facciano tutto questo da soli – commentò Edmund con rabbia. – Se solo ci avessero dato la possibilità di unire le forze…
−Anche se non siete insieme, state comunque seguendo due piste diverse che troveranno il loro modo di unirsi, alla fine – rispose Lupin. – Non stavate indagando sulla Seconda Profezia?
−Sì, anche se non abbiamo scoperto un granché – ribatté il ragazzo.
−Ci manca la materia prima, ovvero la testimonianza di Alhena Black, l’unica che avrebbe potuto rivelarci il contenuto della profezia – spiegò Jane. – Io ed Edmund ci siamo esercitati per mesi, ma, senza una pista, non concluderemo mai nulla. E dubito che esista un incantesimo in grado di riportare in vita i morti.
−Un incantesimo forse no, ma esistono altri oggetti magici in grado di ottenere ciò che desiderate – rispose Lupin. – Si tratta di manufatti estremamente rari, la cui esistenza è avvolta da un’aura leggendaria. Silente vi ha mai parlato della Pietra della Resurrezione?
−Oh, andiamo, Remus! – intervenne Walpole stizzito. − È solo una fiaba per bambini, niente di più.
−Silente la pensava in modo diverso – lo interruppe l’altro. – E potrei metterci la mano sul fuoco se mi chiedessi dove trovare almeno un altro degli altri Doni della Morte.
−Ehi, aspettate un attimo! – esclamò Jane. – Di che cosa state parlando?
−Non conoscete i racconti di Beda il Bardo? – domandò Lupin.
−Un momento…io credo di averli già sentiti da qualche parte – disse Edmund a sorpresa. – Ma certo! Mia madre me li leggeva, qualche volta.
Jane rimase sconvolta dalla naturalezza con cui il ragazzo aveva menzionato Alhena.
In quelle ultime settimane era molto cambiato: era diventato più consapevole, più adulto, un cambiamento che si riscontrava anche nel fisico e nella postura.
Si era fatto più alto, i capelli più lunghi e ribelli, lo sguardo profondo, libero da qualsiasi paura.
Le guance non erano più quelle di un bambino, lasciando trapelare un accenno di barba vicino agli zigomi.
–Ricordi la storia dei Tre fratelli? – gli chiese Lupin.
Alle sue spalle, Walpole sbuffò esasperato.
−Mi suona familiare, ma temo di non ricordarla bene.
−Per caso avete una copia del libro? – chiese il professore rivolgendosi a Walpole.
L’altro aggrottò le folte sopracciglia grigie.
−Non vorrai sul serio riempire la testa di questi ragazzi di simili sciocchezze! – tuonò severo.
−Per favore, Gregory. Ogni minuto perso a discutere, Voldemort semina altra morte e distruzione. Dobbiamo fermarlo, a qualunque costo. Anche quello di cercare la risposta alle nostre domande nelle fiabe per bambini.
Walpole chiuse gli occhi, le labbra strette mentre frenava a malapena una serie di imprecazioni; poi si voltò verso Colin.
−Il libro dovrebbe essere ancora in camera tua – disse asciutto. – Potresti portarlo qui?
Il ragazzo annuì nervosamente e si defilò al piano di sopra.
Non appena i suoi passi svanirono sulle scale, una cappa di tensione scese sulla tavola.
La signora Walpole prese a sparecchiare febbrilmente, cercando di non incrociare per nessun motivo lo sguardo contrariato del marito, mentre Céline fingeva di controllarsi le unghie dei pollici e Susan fissava dritto davanti a sé, sconvolta.
Dopo minuti che parvero ore, Colin tornò indietro, reggendo tra le mani un piccolo volumetto rilegato in pelle verde.
−Eccolo qui – disse porgendolo a suo padre.
Il professore lo porse a Lupin.
−Ecco – disse freddamente.
−Grazie.
Il professore prese a sfogliare le pagine del libro, fino a quando non trovò il punto che gli interessava.
La fronte gli si corrugò in una ruga profonda nel momento in cui iniziò a leggere.   
C’erano una volta tre fratelli che viaggiavano lungo una strada tortuosa e solitaria al calar del sole. Dopo qualche tempo, i fratelli giunsero a un fiume troppo profondo per guadarlo e troppo pericoloso per attraversarlo a nuoto. Tuttavia erano versati nelle arti magiche, e così bastò loro agitare le bacchette per far comparire un ponte sopra le acque infide. Ne avevano percorso metà quando si trovarono il passo sbarrato da una figura incappucciata. E la Morte parlò a loro. Era arrabbiata perché tre nuove vittime l’avevano appena imbrogliata: di solito i viaggiatori annegavano nel fiume. Ma la Morte era astuta. Finse di congratularsi con i tre fratelli per la loro magia e disse che ciascuno di loro meritava un premio per essere stato tanto abile da sfuggirle.
Così il fratello maggiore, che era un uomo bellicoso, chiese una bacchetta più potente di qualunque altra al mondo: una bacchetta che facesse vincere al suo possessore ogni duello, una bacchetta degna di un mago che aveva battuto la Morte! Così la morte di avvicinò a un albero di sambuco sulla riva del fiume, prese un ramo e ne fece una bacchetta, che diede al fratello maggiore.
Il secondo fratello, che era un uomo arrogante, decise che voleva umiliare ancora di più la Morte e chiese il potere di richiamare altri dalla Morte. Così la Morte raccolse un sasso dalla riva del fiume e lo diede al secondo fratello, dicendogli che quel sasso aveva il potere di riportare in vita i morti.
Infine la Morte chiese al terzo fratello, il minore, che cosa desiderava. Il fratello più giovane era il più umile e anche il più saggio dei tre, e non si fidava della Morte. Perciò chiese qualcosa che gli permettesse di andarsene senza essere seguito da lei. E la Morte, con estrema riluttanza, gli consegnò il proprio Mantello dell’Invisibilità.
Poi la morte si scansò e consentì ai tre fratelli di continuare il loro cammino, e così essi fecero, discutendo con meraviglia dell’avventura che avevano vissuto e ammirando i premi che la Morte aveva loro elargito.
A tempo debito, i fratelli si separarono e ognuno andò per la sua strada.
Il primo fratello viaggiò per un’altra settimana o più, e quando ebbe raggiunto un lontano villaggio andò a cercare un altro mago con cui aveva da tempo una disputa. Armato della Bacchetta di Sambuco, non poté mancare di vincere il duello che seguì. Lasciò il nemico a terra, morto, ed entrò in una locanda, dove si vantò a gran voce della potente bacchetta che aveva sottratto alla Morte in persona e di come essa lo aveva reso invincibile.
Quella stessa notte, un altro mago si avvicinò furtivo al giaciglio dove dormiva il primo fratello, ubriaco fradicio. Il ladro rubò la bacchetta e per buona misura tagliò la gola al fratello più anziano.
E fu così che la Morte chiamò a sé il primo fratello.
Nel frattempo, il secondo fratello era tornato a casa propria, dove viveva solo. Estrasse la pietra che aveva il potere di richiamare in vita i defunti e la girò tre volte nella mano. Con sua gioia e stupore, la figura della fanciulla che aveva sperato di sposare prima della di lei prematura morte gli comparve subito davanti.
Ma era triste e fredda, separata da lui come da un velo. Anche se era tornata nel mondo dei mortali, non ne faceva veramente parte e soffriva. Alla fine il secondo fratello, reso folle dal suo disperato desiderio, si tolse la vita per potersi davvero riunire a lei.
E fu così che la Morte chiamò a sé il secondo fratello.
Ma sebbene la Morte avesse cercato il terzo fratello per molti anni, non riuscì mai a trovarlo. Fu solo quando ebbe raggiunto una veneranda età che il fratello più giovane si tolse infine il Mantello dell’Invisibilità e lo regalò a suo figlio. Dopodiché salutò la Morte come una vecchia amica e andò lieto con lei, da pari a pari, congedandosi da questa vita.
Nella sala da pranzo calò un silenzio di tomba, non appena Lupin richiuse il libriccino con un lieve tonfo.
−Per fortuna è solo una fiaba per bambini – commentò Susan rabbrividendo.
−Secondo la fiaba, questi sono i Doni della Morte – spiegò il professore. – La Bacchetta di Sambuco, la Pietra della Resurrezione e il Mantello dell’Invisibilità. Chi li possiede tutti e tre diventa Padrone della Morte.
−Un momento! – esclamò Jane. – Ha detto un Mantello dell’Invisibilità? Perché, guarda caso, mio fratello ne ha proprio uno!
−Non è un caso, – rispose Lupin – dal momento che è l’unico esemplare esistente al mondo.
Che cosa? – gridò la ragazza. − Io credevo che fosse una cosa comune tra i maghi, girare con questo tipo di manufatti! Insomma, è quello che ho pensato, specie se il suddetto Mantello è stato regalato a un ragazzino di undici anni, quasi fosse un giocattolo!
−Il Mantello dell’Invisibilità non è un giocattolo ed è quanto di più lontano da una mano umana possa esistere nel mondo magico. Se ci pensi, quante persone conosci che ne hanno uno?
Jane ammutolì all’istante.
−Harry Potter possiede un Mantello dell’Invisibilità? – chiese Walpole incuriosito. – Non lo sapevo.
−Apparteneva a James, che l’ha ereditato a sua volta da suo padre – continuò Lupin. – Il Mantello appartiene ai Potter da generazioni e, da quanto ne so io, non si è mai mosso da Godrick’s Hollow, dove si dice dimorasse il terzo fratello.
−Oh, insomma, Remus! – tuonò Walpole. – Vorresti insinuare che i Potter siano imparentati con un personaggio di fantasia?
−Un Mantello dell’Invisibilità non si trova certo a Diagon Alley – lo zittì Lupin. – Ma non è finita. Pare che anche la Bacchetta di Sambuco esista, da qualche parte.
−Già, peccato che non si abbiano più sue notizie da secoli, altrimenti sarebbe un giochetto rintracciarla, dal momento che è necessario vincerla al proprietario precedente –  puntualizzò Walpole.
−Noto che anche lei è informato sulla storia, dunque – lo stuzzicò l’altro.
−Silente era un cieco sostenitore di questa fiaba, quasi come se conoscesse la locazione esatta di tutti e tre di Doni della Morte. Per farne cosa, poi…
−Tenere a bada mio padre, per esempio? – intervenne Edmund. – Insomma, è l’unica possibilità che ha Harry, se vuole tenergli testa in un combattimento. Se li avesse tutti e tre, riuscirebbe a controllare la Morte anche lui, senza dover tagliare a pezzi la sua anima.
−Senza contare che anche noi avremmo bisogno di una Pietra della Resurrezione – aggiunse Jane. – Solo così potremmo richiamare Alhena dal regno dei morti e farci rivelare la profezia – al solo pensiero di ritrovarsi nuovamente di fronte allo sguardo dilatato dalla follia di quella donna terrificante, la ragazza si sentì montare la pelle d’oca. – E, una volta a conoscenza della verità, potremmo raggiungere Harry, ovunque egli sia.
−Sarebbe un ottimo piano, se sapessimo dove trovarla – commentò Walpole, ancora scettico.
−Nello stesso modo in cui c’è gente che spera nella venuta di un erede di Serpeverde diverso dai predecessori, esistono anche maghi costantemente alla ricerca dei Doni della Morte – rispose Lupin. – E si dà il caso che uno di questi sia molto vicino a noi, mio caro Gregory. Le dice niente il nome di Xenophilius Lovegood?
−Lovegood? – chiese Jane. – Ha per caso a che fare con Luna?
−Suo padre, per la precisione – disse il professore con un sorriso.
−Quel vecchio pazzo direttore di quel periodico carico di ciarlatanerie? – esclamò Walpole scandalizzato. – Credevo fossi una persona più seria, Remus!
Lupin non si fece impressionare.
Infilò la mano in una tasca della giacca e vi estrasse un foglio di pergamena ordinatamente ripiegato in quattro, aprendolo sulla tovaglia immacolata.
Sembrava un albero genealogico miniato.
Aveva un’aria molto, molto antica.
−Qui c’è tutto ciò che c’è da sapere sui Peverell – spiegò soddisfatto. – Vedete, tutto comincia da qui, con Antioch, Cadmus e Ignotus: i tre fratelli.
−Come se a quell’epoca non esistessero famiglie di maghi con tre figli! – borbottò Walpole.
−Ingnotus è morto a Godrick’s Hollow – osservò Jane affascinata. – Il paese dove siamo nati io e Harry!
−Nulla nel nostro mondo avviene per caso – sorrise Lupin. – Ed ecco invece la strada che ha preso la Pietra.
−Ehi, aspetta un momento! – disse Edmund indicando con il dito il ramo centrale dell’albero genealogico, quello più corto di tutti. – Cadmus è morto proprio in Normandia!
−Eh, sì. Era qui che risiedeva – rispose il professore esaminando la pergamena con fare seccato.
−Ma non ha avuto eredi. La Pietra potrebbe trovarsi dovunque.
−Ti sbagli – intervenne Lupin, estraendo dalla tasca un altro foglio di pergamena. – Questa testimonianza è stata trovata solo di recente nell’archivio comunale di St-Malo. Si dà il caso che Beatrice, la donna amata da Cadmus, avesse un fratello. Fu lui a ritrovare il cadavere del mago, qualche giorno dopo il suo suicidio. Aveva ancora la pietra in mano. Quest’uomo si chiamava Guilliame Tournais. Da quanto è stato rilevato dai registri, possedeva un piccolo emporio vicino al porto. E, guarda caso, la Pietra compare proprio nella lista di oggetti in vendita. E, a quanto pare, il piccolo masso di fiume gli ha garantito una piccola fortuna…
−Acquistato da Etienne La Forge, abate dell’abbazia di Mont Saint Michel! – lesse Jane ad alta voce. – Com’è possibile una cosa del genere?
−A quell’epoca, non era raro trovare religiosi impegnati in studi di magia – spiegò Lupin. – Specie in un posto come quello, da sempre emblema dell’eterna lotta tra bene e male.
−Quindi è probabile che La Forge conoscesse la natura di un simile manufatto?
−Per averlo pagato una simile somma e portato via con sé dopo che è stato impilato su uno scaffale per quarant’anni? La mia risposta è sì.
−E che cosa può averne fatto dopo?
−Non si hanno più notizie della Pietra da allora. Il che significa una cosa sola: si trova ancora nell’abbazia, nascosta tra le sue mura.
−Come fa a esserne così sicuro?
−Possibile che, all’infuori di Beda il Bardo e di un vecchio registro di contabilità, non esistano più storie che narrino di una simile Pietra? È ovvio che i monaci conoscevano il grande potere di questo manufatto e delle disastrose conseguenze che avrebbe scatenato se fosse finito nella mani sbagliate. Per questo l’hanno nascosto.
−Certo, e ora questi ragazzi dovrebbero rischiare la vita per andarlo a tirare fuori? – commentò Walpole spazientito. – Non se ne parla nemmeno! È troppo pericoloso! Le Mont Saint Michel è uno dei luoghi più turistici di tutta la Francia e il solo avventurarsi per le sue viuzze equivale ad affrontare una bolgia infernale. Come si può passare al setaccio un’intera abbazia protetta da dispositivi antifurto babbani, sotto gli occhi di centinaia di persone? Senza contare che, con tutta quella calca, per i Mangiamorte sarà uno scherzo colpire senza essere notati. Ci hai pensato?
Lo sguardo che gli lanciò Jane gli fece morire le parole in gola.
I suoi occhi verdi pulsavano di un’energia selvaggia che non vi aveva mai scorto prima.
−Lo so, – disse la ragazza con fermezza – ma è l’unica possibilità che abbiamo.
 
***
 
−Dunque, è deciso – concluse Walpole parecchie ore dopo, quando la tavola era già stata sparecchiata da un pezzo e l’oscurità aveva celato il mare oltre la grande vetrata del salotto. – Non appena i ragazzi saranno pronti, partiremo col piano B. Anche se continuo a ritenere tutto ciò un’assurda follia.
−Sono contento che hai deciso di seguire questa pista – replicò Lupin mentre si rimetteva il cappotto sulle spalle.
−Non appena avremo la Pietra, io ed Edmund le invieremo un Patronus – ripeté Jane per l’ennesima volta.
−E io vi informerò sul posto più sicuro per raggiungerci. Al che, dovremmo cercare di contattare anche Harry e deciderci a collaborare tutti insieme, una buona volta – concluse Lupin.
−Grazie infinite per l’aiuto – disse Edmund. – Senza di lei, io e Jane saremmo ancora in alto mare.
−Ma figuratevi! Non appena ho saputo dei registri da Xenophilius, mi sono subito messo sulle vostre tracce.
−A presto, allora! – lo salutarono i due ragazzi.
−Arrivederci e grazie dell’ospitalità! Oh, Edmund, potresti accompagnarmi un attimo fuori?
−Sì.
Il ragazzo seguì Lupin all’esterno.
I suoi piedi affondarono subito nella neve.
−C’è una cosa che dovresti sapere – disse Lupin voltandosi verso di lui dopo aver fatto qualche passo. – Stai per diventare zio.
A quelle parole, Edmund arrossì fino alla radice dei capelli.
Z-zio? – balbettò.
−Ninfadora aspetta un bambino. Dovremmo esserci quasi.
Il ragazzo non sapeva cosa dire.
Solo allora si rese conto che Tonks era sua cugina.
−Oh! – esclamò emozionato. – Magnifico! Le mie congratulazioni!
−Dora mi ha detto di mandarti i suoi più grandi saluti – continuò Lupin mettendogli una mano sulla spalla. – Non immagini quanto possa essere sollevata nel sapere di avere una persona come te tra i parenti più stretti. Vorrebbe tanto che fossi tu a fargli da padrino, quando arriverà il momento del battesimo.
−Oh – Edmund soffocò a stento un moto di commozione. – Oh, sì, le dica che ne sarei felicissimo!
−Ti ringrazio.
−Grazie a voi. A presto, professore.
Si strinsero la mano cordialmente, poi Lupin si avviò lungo il prato che scendeva verso la spiaggia, fino a scomparire nella nebbia.
Edmund restò a osservarlo con il cuore che batteva forte, il gelido vento notturno che gli scompigliava i capelli sulle tempie e lo faceva rabbrividire per il freddo e l’emozione.
Non sapeva perché, ma, improvvisamente, sentiva che in quel momento non avrebbe potuto essere più felice.




Angolo Me

Buonasera! :)
Scusate l'ora tarda, ma la vostra Fedra si è buscata l'influenza ed è stata costretta a trascorrere la serata con la testa dentro una pignatta colma di camomilla, nella speranza di tornare a respirare almeno un po'...
Ma ora bando alle lamentele e via con il capitolo (che questa volta è stato davvero lungo, ma capite che era impossibile spezzarlo).
Jane inizia davvero a sentire la mancanza di Harry * il cui ritorno ufficiale è previsto nel capitolo 20 * e nel frattempo comincia a riavvicinarsi a Edmund.
Il loro rapporto sta iniziando a diventare più fisico e adulto.
Ma non è tutto.
Come faranno infatti a entrare nell'abbazia di Mont Saint Michel senza essere visti dai Mangiamorte?
E che cosa succederà nel momento in cui conquisteranno la pietra (ammesso che ci sia)?
E dopo ancora?
Insomma, prometto che non vi annoierete ;)
Nel mentre, vi ribadisco l'appuntamento di giovedì sera con il penultimo capitolo de "L'ultima notte" * no noooooo nooooooooooo! *
Per tutti gli aggiornamenti, comunicazioni e anteprime, potete sempre visitare la mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
Che dire ancora?
Alla prossima puntata! :D
Un bacio e grazie mille per tutti coloro che stanno leggendo e recensendo questa fanfiction: siete stupendi <3

F.




 

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Capitolo 18
*** Mont Saint Michel ***




Capitolo 18

MONT SAINT MICHEL

 ~

 
 
 
La calca di turisti per le anguste viuzze medievali della cittadina era soffocante: dal principio delle mura fin su all’abbazia era tutta una fila di teste vocianti, stipate fino all’ultimo grigio angoletto lastricato disponibile.
L’antica austerità dell’abbazia era stata soffocata dall’enorme quantità di negozi di souvenir e ristoranti, i cui proprietari lanciavano di tanto in tanto occhiate soddisfatte verso la folla, pronti ad adocchiare qualche entusiasta viaggiatore da spennare.
−Bibite e panini, menu a soli dodici euro! – stava esclamando un tizio fuori dalla porta di una bettola minuscola, rischiando quasi di venire travolto dalla folla di turisti, che in quella limpida giornata invernale assomigliava in maniera impressionante a una mandria di gnu.
Una filiforme ragazza con una coda di cavallo rosso fuoco e un paio di enormi occhiali rotondi per poco non gli cadde addosso.
−Buongiorno, signorina! – la salutò il ragazzo del ristorante. – Desidera qualcosa da mangiare? Qui con dodici euro puoi prendere una bibita, un panino e un dessert a scelta!
−Magari più tardi, grazie – balbettò lei con imbarazzo.
−Melody! – esclamò a quel punto un’energica voce maschile alle sue spalle.
Un ragazzone dai folti capelli castani e un paio di sfavillanti occhi celesti si stava facendo largo a gomitate tra la folla.
Sospirando di sollievo per aver ritrovato la compagna, spinta via pochi attimi prima da una comitiva di tedeschi, le circondò le spalle esili con un braccio muscoloso e la portò via con sé, lasciando il ragazzo del ristorante più sorpreso e deluso che mai.
−Proprio in tempo! – sospirò Jane sollevata, appoggiando il mento sull’avambraccio dell’incredibilmente alto e atletico Edmund.
−Questo posto mi dà sui nervi – disse il ragazzo fra i denti, cercando di rendere la sua voce più profonda del solito. – E pensare che c’è gente che ci trascorre intere vacanze…
Jane sorrise, scostandosi appena da lui, senza però lasciargli la mano: dovevano dare veramente l’impressione di essere una coppia in vacanza.
La razione di Pozione Polisucco che la ragazza teneva sempre con sé per le emergenze aveva finalmente trovato la sua utilità.
Per quella giornata, i due ragazzi avrebbero impersonato Melody Tatcher e Steve Hackney, una coppia di studenti in vacanza che in quel momento ronfavano beatamente in un bagno pubblico a pochi chilometri da lì, sorvegliati costantemente dal professor Walpole.
Il piano era semplice, ma allo stesso tempo irto di rischi: i due ragazzi avrebbero dovuto introdursi nell’abbazia, accodandosi a uno dei numerosi gruppi accompagnati, i cui membri sarebbero stati troppo occupati ad ascoltare la spiegazione della guida per far caso a loro.
Si erano preparati per un mese intero a quella missione, raccogliendo quante più informazioni possibile sulla struttura dell’abbazia e su edifici simili che in età medievale avevano ospitato manufatti magici.
Abbazia di Mont Saint Michel, stava ripassando mentalmente Jane. Costruita nel XII secolo, fu dedicata all’arcangelo Michele. Meta di pericolosi pellegrinaggi, in quanto isolata dalla terraferma da chilometri e chilometri di spiaggia perennemente in balìa di violente maree e irta di sabbie mobili, tuttavia non disdegnò mai le visite di illustri personaggi, come i reali di Francia. Per la comunità magica, l’abbazia ha sempre avuto un valore mistico e religioso fondamentale, rappresentando l’eterna lotta e vittoria della luce sulle tenebre. In età medievale, molti abati praticavano in segreto Magia Bianca e furono considerati dei grandi saggi…
−Siamo arrivati – la distolse dai suoi pensieri Edmund.
Avevano superato nervosamente l’entrata sinistra di uno pseudo museo della tortura, sul cui ingresso era stato piazzato un brutto manichino con la testa e i polsi immobilizzati in una gogna, si erano inerpicati su per un lungo scalone di pietra e si erano ritrovati di fronte a una colossale costruzione gotica puntellata da massicci contrafforti e mostruosi gargoyle che li squadravano dall’alto con i denti digrignati.
L’edificio, che si stagliava sul mare come un’aliena ombra scura, terminava con un altissimo campanile, la cui punta spariva alla vista per confondersi con l’immensità del cielo azzurro.
Nonostante quelle pietre fossero state poggiate su quella montagna per simboleggiare il trionfo del bene sul male, a Jane venne comunque la pelle d’oca.
C’era qualcosa celato fra quei bastioni, nascosto nella folla vociante, che la faceva tremare di paura.
Si strinse ancora di più a Edmund.
−Andrà tutto bene – le sussurrò lui all’orecchio.
Lei annuì nervosamente, poi si appellò a tutto il suo coraggio per ricomporsi: non dovevano assolutamente dare nell’occhio: i Mangiamorte avrebbero potuto essere benissimo appostati da quelle parti.
Si arrampicarono dunque su un’altra lunga scala di pietra che si perdeva in un antro scuro, sormontato da un vertiginoso arco gotico, per poi entrare in una grande sala luminosa, trasformata in biglietteria.
Edmund, che al momento era quello più disinvolto, prenotò una visita guidata per due.
Il gruppo sarebbe partito dopo un quarto d’ora.
Vedendo che Jane era comunque troppo nervosa per sembrare semplicemente una studentessa in vacanza con il proprio fidanzato, il ragazzo decise di intervenire.
La prese per mano e la condusse fuori, su una terrazza ricavata su uno dei bastioni, da dove si poteva vedere la grande distesa sabbiosa che si estendeva per chilometri.
−Non è bellissimo? – esclamò estasiato, indicandole il paesaggio.
−Sì. Sì, hai ragione…
−Avanti, Melody, fammi un sorriso: siamo in vacanza!
A Jane sfuggì una risata.
Nonostante avesse la nausea per la paura, Edmund riusciva sempre a farla ridere al momento giusto.
Si avvicinò a lui e gli gettò le braccia al collo.
−Lo so, lo so – disse sorridendo, anche i se i suoi momentanei occhi castani erano velati da un’espressione gelida. – E sono felice di essere qui con te.
In quel momento, provò l’improvviso impulso di baciarlo, ma lo represse all’istante: sapeva che sarebbe sembrato perfetto, agli occhi di chi li avrebbe osservati, e che lo stesso Edmund non avrebbe disprezzato quel gesto, ma Jane voleva che, nel momento in cui sarebbe accaduto, avesse di nuovo le sue sembianze e non quelle di un’estranea.
Si distaccò nuovamente da lui, prendendo a osservare il paesaggio seduta sulla balaustra di pietra.
−Dai, ti faccio una foto – disse Edmund tirando fuori la macchinetta digitale dallo zaino.
La cosa fece scoppiare Jane in un’altra risata.
−Ma dai! – esclamò divertita. – Guarda che è una Reflex ultimo modello: sei sicuro di saperla usare?
−Ti ricordo che è mia.
−Come vuoi, Stevie.
Jane si mise in posa, senza però trascurare di strizzare gli occhi e fare la linguaccia nel momento in cui Edmund inforcò la pesante macchina fotografica.
−Devi aprire l’obiettivo, prima – gli sussurrò tra i denti.
−Ah, giusto!
Nel momento in cui la ragazza avvertì lo scatto della Reflex, si sentì arrossire fin sopra la punta dei capelli.
In quel momento, si sentiva fin troppo strana.
Aveva già preso la Pozione Polisucco in precedenza, ma non le aveva mai causato quell’effetto straniante di essere un’emerita sconosciuta che girava mano nella mano con un altrettanto sconosciuto.
Si sentiva terribilmente ridicola con quell’aspetto da studentessa modello, così piccola e magra, a tal punto che vista di profilo aveva lo spessore di una tavola da surf, costretta in quello strettissimo cappottino grigio, con quel maglioncino giallo e le leggere calze della gonna che tiravano e pizzicavano in maniera inaudita, con quei capelli rosso carota così lisci e tirati da farla sentire una mezza specie di istitutrice ottocentesca in vacanza.
Per non parlare degli occhiali.
Jane odiava con tutta se stessa gli occhiali.
Quando a dieci anni il dottore le aveva diagnosticato la miopia, in casa Collins era stata una vera tragedia.
Nonostante Albert l’avesse aiutata a scegliere un paio di occhiali molto femminili, con delle piccole lenti rettangolari dalla montatura sottile decorata con tanti ghirigori argentei, Jane si sentiva terribilmente ridicola.
Nel corso di tre anni, aveva cambiato un numero infinito di paia, tutte rigorosamente distrutte negli incidenti più assurdi.
Per lei, l’arrivo delle lenti a contatto era stata un’autentica liberazione.
E ora le toccava impersonare quella specie di gufo, con quelle lenti rotonde che le nascondevano metà della faccia?
Chissà che cosa avrebbe pensato Edmund, nel vederla conciata così!
−Come ti sembra? – domandò il ragazzo porgendole la macchina fotografica, quasi a voler rispondere ai suoi interrogativi.
Jane afferrò la Reflex e spinse il pulsante con la freccetta.
Immediatamente, un’occhialuta ragazza dai capelli rossi le restituì una smorfia spaventosa, rovinando tutta la bellezza del paesaggio alle sue spalle.
−Semplicemente raccapricciante – commentò con una punta di soddisfazione nella voce.
Edmund scoppiò a ridere divertito.
Jane gli lanciò un’occhiataccia: a lui, il travestimento era andato decisamente meglio.
Anche se non era il solito Edmund, la sua versione giocatore di rugby era altrettanto affascinante.
La ragazza aveva perso il conto di quante turiste aveva fatto voltare, quella mattina.
−Oh, dobbiamo andare – disse improvvisamente il ragazzo controllando l’orologio da polso.
−Okay.
Con sommo dispiacere, Jane lo seguì di nuovo all’interno dell’abbazia, concentrandosi sulla loro missione.
Il gruppo si era già radunato ai piedi dello scalone d’ingresso, in attesa della guida.
Per loro fortuna, era numerosissimo: a occhio e croce erano almeno cinquanta persone di tutte le età e nazioni immaginabili.
Un capannello di vecchietti malfermi parlottava animatamente in un angolo.
La numerosa famiglia tedesca che mezz’ora prima aveva travolto Jane non mancava all’appuntamento.
In quel momento, la madre stava sgridando il suo terzogenito, che aveva tirato un pugno al fratello più piccolo.
C’erano coppie di mezza età dall’aria annoiata, studenti e boyscout.
A un certo punto, a loro si unì anche una famiglia di orientali e due suore.
Dopo pochi minuti, la guida arrivò.
Era una donna sui quarant’anni dai corti capelli castani, asserragliata in un severo tailleur color cachi.
Lo sguardo penetrante e le labbra strette suggerirono a Jane che avevano a che fare con una donna rigorosa e intransigente.
Al solo pensiero, la ragazza si morse il labbro: con un tipo del genere come accompagnatrice, non sarebbe stato facile fare le loro ricerche indisturbati.
Dopo essersi presentata, la guida fece le solite raccomandazioni di routine, ricordando ai presenti che era severamente vietato introdurre cibi e bibite all’interno dell’abbazia, che non si potevano toccare gli oggetti esposti e che le foto si potevano fare senza flash.
Dopodiché, il gruppo partì per la visita.
Jane ed Edmund rimasero in fondo, gettandosi continuamente occhiate intorno, mascherate di meraviglia e curiosità.
Con la scusa di fare foto, in realtà Edmund stava osservando ogni minimo dettaglio dell’ambiente che li circondava, in attesa del minimo indizio che avrebbe potuto condurli alla Pietra della Resurrezione.
Jane continuava a ripassare mentalmente quanto appreso in quelle settimane.
Avevano analizzato piante su piante dell’abbazia, da quelle medievali fino a quelle più recenti, e ormai conoscevano l’edificio come le loro tasche.
Da ciò che avevano letto, i luoghi più probabili in cui poteva essere nascosto qualcosa erano la cripta e la chiesa superiore.
Bisognava solo stare attenti nell’individuare simboli magici in determinati punti: una runa, la statua di una strana creatura, una pietra apparentemente fuori posto. Dovevano poi tenere conto della presenza di luce: molti meccanismi magici entravano in azione in momenti esatti del giorno o della notte.
Ne avevano abbastanza per passare l’esame di idoneità per diventare Auror.
La comitiva attraversò una serie di angusti passaggi segreti dalle nere pareti basse e strette, fino a entrare prima nella stanza degli ospiti e poi nella cripta.
Lì, la luce era quasi completamente assente e i muri erano illuminati da pallide lampade bluastre.
Jane lottò per non lasciarsi sfuggire un gemito di esasperazione.
Cercando di non dare troppo nell’occhio, lei ed Edmund si divisero, perlustrando l’ambiente da cima a fondo, attenti a ogni minimo dettaglio, una mano stretta attorno alla macchina fotografica o al taccuino, l’altra affossata nella tasca, dove era nascosta la bacchetta.
Camminavano rasenti al muro, saggiandolo con il palmo della mano alla ricerca di meccanismi nascosti, ma non accadde nulla.
Con una stretta allo stomaco, i due ragazzi lasciarono di malavoglia la stanza sotterranea, dirigendosi al piano superiore, verso la luce.
Ragioniamo, stava pensando Jane mentre saliva i gradini che conducevano alla chiesa superiore. Se La Forge era un mago dello stampo di Silente o Nicolas Flamel, di sicuro non avrà nascosto la Pietra in un posto banale. Magari è più facile di quello che sembra, sotto gli occhi di tutti, posta in modo tale che solo chi voglia trovarla possa effettivamente vederla…
L’illuminazione la colpì con violenza nel momento in cui entrarono nell’altissima navata gotica della chiesa, inondata di una luce bianca che penetrava dalle grandi finestre dell’abside, che la incorniciavano come un diadema.
Luce, pensò con il cuore carico di eccitazione.
Senza starci a pensare due volte, afferrò Edmund per il gomito e lo trascinò verso l’abside, staccandosi dal gruppo.
−Che stai facendo? – le sussurrò il ragazzo all’orecchio.
−Fidati, l’abbiamo in pugno!
Jane lo condusse dietro l’altare, dove si apriva una serie di cappelle radiali che si affacciavano sul mare.
Per loro fortuna, lì dietro non c’era ancora nessuno.
−Dev’essere qui: è il punto più luminoso – spiegò Jane.
−Sei sicura? – domandò Edmund perlustrando le pietre bianche del pavimento.
−La nostra seconda possibilità potrebbe essere il transetto, ma ti dico che questa non è una reliquia come tutte le altre. La sua collocazione deve avere un senso. Guarda: l’abside è posta a est. L’est è dove sorge il sole: resurrezione! E…oh, mannaggia!
−Che c’è?
−Siamo arrivati tardi: scommetto che qui c’è un meccanismo che funziona a luce solare. Ma, essendo esposto a est, siamo arrivati troppo tardi: il sole è già troppo alto. Doveva succedere all’alba.
I due ragazzi si lanciarono un’occhiata desolata.
Avevano buttato una giornata e gli effetti della Pozione Polisucco, per quanto massiccia fosse stata la dose, non li avrebbe coperti fino a quel momento.
Senza contare che prima o poi avrebbero dovuto liberare quei due poveretti dal bagno pubblico o i loro parenti si sarebbero insospettiti.
Erano di nuovo al punto di partenza.
−No, aspetta! – esclamò Edmund improvvisamente. – Non ricordi il modo in cui è stata ottenuta la Pietra? È stata sottratta alla Morte con l’inganno! Va contro il processo naturale delle cose!
Il ragazzo si sporse oltre l’abside, lanciando un’occhiata panoramica alla navata inondata di luce.
La porta d’ingresso era spalancata nella direzione opposta, facendo entrare la luce del sole che, trovandosi proprio sopra le loro teste, penetrava più debole, frammentata.
Rubedo – sussurrò Edmund, ricordando improvvisamente le pagine di un manoscritto di alchimia che aveva trovato in casa Walpole.
−Che cosa?
−Secondo gli alchimisti, è la fase in cui si ottiene la Pietra Filosofale, quella in cui si sconfigge la morte: il tramonto! Capisci, stiamo cercando una cosa che va contro la natura stessa! E se La Forge era un mago e un alchimista, doveva essere per forza a conoscenza di questa cosa.
−Non ci avevo pensato! – esclamò Jane. – Bella mossa! Ora il punto sta dove trovare la Pietra…
−La chiesa è stata progettata come se fosse un corpo umano…
−Quella è una concezione rinascimentale, Ed! Siamo lontani anni luce!
−No, aspetta. Siamo a febbraio, giusto? Il sole quindi non dovrebbe tramontare direttamente perpendicolare alla porta d’ingresso, ma leggermente spostato verso sinistra. Secondo me, è nella parte sinistra della navata, come il cuore. Il sole dovrebbe cadere in una zona che può colpire tutto l’anno.
−Mi sembra una follia, ma andiamo comunque a controllare.
Si spostarono verso la parte sinistra della navata, cercando in ogni angolo.
Improvvisamente, Jane la vide: era confusa con il grigio della pietra e della polvere, incassata in un anfratto nascosto del pavimento: a prima vista sembrava un cerchio, ma poi, guardandolo bene, si rivelò un serpente che si mordeva la coda.
−È un simbolo alchemico – spiegò Edmund soddisfatto. – La Pietra dev’essere qua sotto.
−E siamo anche fortunati: a occhio e croce, il sole dovrebbe posarsi qui sopra non prima delle quattro. Temo non accada tutto l’anno.
−Siamo in inverno. Stesso discorso del tramonto.
−Quando dici la fortuna, eh?
−Già.
Jane si guardò intorno nervosamente, temendo che qualcuno li avesse visti.
Il gruppo continuava ad ascoltare attentamente la guida, che si era spostata verso l’ingresso.
−Fammi una foto – disse nervosamente. – Così…ci ricorderemo dove siamo stati.
Edmund afferrò al volo il messaggio e inforcò la macchina fotografica.
Jane si mise in posa.
Era sicura di essere venuta ancora peggio di prima, con un’espressione irrigidita dal nervoso dipinta negli occhi.
−Raggiungiamo gli altri – disse poi, avviandosi lungo la navata.
Estrasse il biglietto dalla tasca del cappotto, analizzandolo attentamente.
−Oggi la fortuna continua a sorriderci: qui dice che possiamo rientrare anche più tardi – disse soddisfatta.
−Perfetto – annuì Edmund.
Le loro sagome furono avvolte dalla luce accecante del mezzogiorno mentre varcavano la soglia della chiesa.
 
***
 
Tre ore e una nuova dose di Pozione Polisucco dopo, i due ragazzi erano di nuovo all’ingresso dell’abbazia.
Avevano mangiato solo un panino e preso una tazzina di caffè (il tutto era costato dieci euro a testa), ma, nonostante ciò, Jane aveva le budella talmente attorcigliate per il nervoso da non fare caso ai morsi della fame che la tormentavano da ore.
In quel momento, era invece in preda a un dubbio ben più atroce: se aveva preso le sembianze di una Babbana, significava che aveva perso momentaneamente i suoi poteri?
Il solo pensiero, accompagnato da quello di un eventuale attacco di Mangiamorte, la faceva star male dalla paura.
Che cosa avrebbe provato se improvvisamente non avesse avuto più un briciolo di magia in corpo?
Sapeva che la Pozione Polisucco mutava solo l’esoscheletro di chi la prendeva (e il fatto che avesse mantenuto la sua voce di sempre ne era la conferma), ma se non fosse stato così per i suoi poteri?
Tremante di paura, Jane si mise per l’ennesima volta la mano in tasca, stringendo la bacchetta.
La sentì vibrare sotto le dita, come se avesse riconosciuto la sua padrona.
La cosa le diede un momentaneo sollievo.
Verso le tre e mezza, mentre il sole iniziava a calare all’orizzonte, i due ragazzi si incamminarono lungo lo scalone di pietra che portava all’interno dell’abbazia.
Attraversarono furtivamente tutte le sale, fino a giungere nuovamente nella chiesa.
Il disco solare era sempre più basso, illuminando le pietre bianche dell’edificio di una luce dorata.
Edmund e Jane si avvicinarono al punto stabilito, restando in attesa.
Passarono cinque, dieci minuti, fino a quando un raggio accecante di luce dorata penetrò dalla porta d’ingresso, attraversò la navata e si posò esattamente sulla pietra scolpita.
Jane ed Edmund estrassero prontamente le bacchette.
Alohomora!
Ci fu un tonfo sordo, poi, nel pavimento, si spalancò una grande fessura rettangolare, rivelando un profondo buco nero.
−Controlla che non arrivi nessuno – disse Jane rivolta a Edmund, mentre infilava la testa nel passaggio. – Lumos.
La luce della bacchetta danzò nell’apertura, fino a quando non si posò su una lastra di marmo immacolato posata sul terreno, illuminando le ultime lettere della parola FORGE.
−Ho trovato la tomba di La Forge! – esultò tra i denti.
La luce della sua bacchetta perlustrò la lapide più a fondo.
Il corpo dell’abate era stato scolpito direttamente nella lastra di marmo.
Aveva le mani giunte sul petto e sembrava stringere qualcosa tra le dita, appoggiato proprio sul cuore…
Jane represse a fatica un grido di gioia quando si rese conto che la cosa era una piccola pietra di fiume nera, liscia e lucente.
−La vedo! – esclamò soddisfatta. – Accio Pietra!
Si sentì una lieve vibrazione provenire dall’oscurità sottostante, poi la Pietra si staccò bruscamente dalle dita di marmo che l’avevano custodita in tutti quei secoli, balzando nel palmo proteso di Jane.
−Missione compiuta! – esclamò.
Ma Edmund non rispose.
Un attimo dopo, le sue mani erano strette attorno alle spalle della ragazza, gettandola violentemente a terra, mentre un lampo di luce verde esplodeva a pochi centimetri da loro, mandando in polvere un pilastro di pietra appena sopra le loro teste.
Acuminati frammenti polverosi piovvero su di loro.
Jane rotolò sul fianco, decisa a fronteggiare i suoi aggressori.
Un’apparente innocua vecchietta con uno scialle rosa torreggiava a pochi metri da loro, agitando in aria una lunga bacchetta scura.
Stupeficium! – esclamò la ragazza.
Un attimo dopo, un uomo di mezza età si avvicinò alla vecchietta, bloccando l’incantesimo a mezz’aria.
I capelli attorno alle tempie gli stavano tornando neri a vista d’occhio: era l’effetto della Pozione Polisucco che svaniva.
−Andiamocene via di qui, presto! – gridò Jane scattando in piedi, la pietra al sicuro nella tasca del cappotto, afferrando Edmund per il bavero e correndo verso la porta laterale che dava l’accesso alla chiesa.
Edmund lanciò un paio di Schiantesimi, poi si slanciò in una folle corsa dietro a Jane, le maledizioni dei Mangiamorte che esplodevano attorno a loro insieme alle urla dei turisti terrorizzati che cercavano riparo tra i banchi vuoti.
Per i ragazzi non furono che pochi metri, ma in quel momento parvero loro chilometri.
Una maledizione colpì il pilastro di pietra che sovrastava la porta laterale: mentre Jane la passava per ultima, un dolore accecante alla base del collo le tolse il respiro, mentre avvertiva il sangue caldo colarle lungo la schiena.
−JANE!
Edmund la prese per mano, aiutandola a correre.
La ragazza fece una smorfia di dolore, ma non si fermò: sapeva che i loro inseguitori erano a pochi metri da loro.
Si infilarono nella cripta, spintonando e scansando i turisti ignari che si ammassavano in quell’ambiente buio e angusto; l’oscurità permise loro di passare quasi del tutto inosservati.
−Sono dietro di noi! – sussurrò Edmund indicando la vecchietta con lo scialle che spintonava a sua volta una coppia di turisti americani.
−Corri, Ed, corri! – lo incalzò Jane con le lacrime agli occhi per il dolore e la paura.
Non avrebbe mai creduto che la follia dei Mangiamorte li avrebbe portati persino a violare un luogo sacro, seminando il panico tra la gente comune.
Solo sette anni prima le era stato detto che persino la stessa Alhena Black avrebbe avuto remore nel rivelarsi in pubblico, anche se la sua vittima fosse stata solo a pochi metri da lei.
E ora i due ragazzi stavano fuggendo a gambe levate da una delle località più turistiche della Francia.
Come al solito, sembrava di essere capitati dentro la sceneggiatura mal riuscita di un film horror.
Edmund e Jane continuarono a correre controcorrente nel sotterraneo, fino a quando non giunsero alla biglietteria.
Ignorando le urla dei custodi, scavalcarono le transenne e si precipitarono all’esterno.
−Sono ancora dietro di noi – annunciò Edmund dopo essersi lanciato un’occhiata veloce alle spalle.
−C’è troppa gente, non hanno il coraggio di esporsi – disse Jane. – Confondiamoci con la folla e vediamo di uscire di qui!
Nel frattempo, anche la vecchietta in rosa aveva preso a trasformarsi: davanti agli occhi orripilati di decine di persone, i suoi tratti rugosi si stavano trasformando a vista d’occhio in quelli irsuti di Rodolphus Lestrange.
Al suo fianco, Avery correva a perdifiato.
I due ragazzi si slanciarono all’esterno dell’abbazia, dileguandosi per le strette viuzze della cittadina.
La folla li premeva e spintonava da tutte le parti, rallentandoli drammaticamente e rischiando di separarli.
Spronati dall’istinto di sopravvivenza, presero ad assestare spinte e gomitate a chiunque intralciasse la loro corsa pur di mettere più terreno possibile tra loro e i Mangiamorte, ma quelli sembravano farsi ogni istante più vicini, nonostante la calca.
Finalmente, i due ragazzi intravidero la porta della città; la infilarono a rotta di collo, dirigendosi verso la fermata degli autobus.
La fortuna sembrò essere dalla loro: uno sferragliante bus stava arrancando lentamente verso di loro.
–Saliamo! SALIAMO! – gridò Jane, facendo per slanciarsi verso l’automezzo.
Maledisse per l’ennesima volta quelle gambe troppo esili e sottili in cui era rimasta imprigionata, incapaci di sostenere la corsa, impacciata dalla gonna e le scivolose ballerine di pelle.
Si accodò con decisione alla folla di turisti che stava salendo sull’autobus lentamente, troppo lentamente, quasi lo facesse apposta, quando, proprio nel momento in cui i due ragazzi sembravano nascosti da una buona quantità di teste, Edmund l’afferrò con decisione per le spalle e la scaraventò di lato, oltre la balaustra di cemento che li divideva dalla spiaggia.
Dopo un volo di un paio di metri, i due atterrarono faccia in giù nella sabbia fangosa.
−Sei impazzito, per caso? – esclamò Jane, liberandosi con un solo gesto degli occhiali rotti.
−Scusami, Jane, ma quell’autobus sarebbe stato una trappola mortale, per noi – rispose Edmund, intimandole di restare a terra.
Un attimo dopo, un tremendo boato confermò la sua ipotesi: l’autobus era appena saltato in aria.
Jane si rannicchiò a terra terrorizzata, mentre la terra tremava sotto l’onda d’urto e pezzi di lamiera incandescenti volavano ovunque attorno a loro.
La ragazza inghiottì le proprie lacrime miste a sabbia.
L’orrore le mozzò il fiato.
In quel momento, decine di persone innocenti erano appena morte senza alcun motivo.
−Andiamo via di qui – disse Edmund con la voce che tremava, aiutandola ad alzarsi in piedi e spingendola verso la spiaggia.
−Ma cosa fai? Non sai che è pericoloso? – protestò Jane.
−È più pericoloso usare la strada, credimi! È il primo posto in cui ci verranno a cercare.
I due ragazzi presero a correre a perdifiato lungo la piatta distesa sabbiosa che si estendeva per chilometri.
Il sole era sempre più basso all’orizzonte e lunghe ombre violacee si stavano allungando a vista d’occhio in quella lugubre distesa deserta.
In lontananza, si intravedevano le sagome scure dei primi alberi della terraferma.
Dovevano raggiungerla al più presto, ma la distanza sembrava non cambiare di un millimetro, nonostante stessero correndo già da diversi minuti nell’oscurità crescente.
Improvvisamente, Jane crollò a terra, stringendosi il ventre con le mani.
Aveva voglia di vomitare, mentre il suo intero corpo formicolava e si comprimeva dolorosamente.
In lontananza, proveniva il suono delle sirene.
Anche Edmund si era fermato, mentre le sue spalle si rimpicciolivano a vista d’occhio.
Un attimo dopo, il ragazzo si voltò: il suo vero aspetto fu illuminato dalla luce del tramonto.
Jane si fissò le mani: erano di nuovo le sue, piccole e sottili.
La vista le fu nascosta dal familiare ciuffo di capelli neri, che in quegli ultimi mesi si erano allungati di parecchi centimetri, facendola assomigliare in maniera impressionante a un elfo ribelle.
La ragazza non poté fare a meno di sorridere. In quel momento, sembrava che le cose andassero già meglio.
−Jane… − sussurrò Edmund.
Era sconvolto.
La ragazza si avviò verso di lui e gli gettò le braccia al collo.
−Coraggio − lo rincuorò. – Anche questa volta, ce la siamo cavata bene.
Non aveva neppure finito di dire la frase, che un gorgoglio sinistro ruppe la calma della sera.
Qualcosa di grosso stava schiumando a meno di un chilometro da loro, dando l’idea di avvicinarsi sempre di più.
−Che diavolo è? – chiese Edmund estraendo d’istinto la bacchetta.
Gli occhi di Jane si sgranarono per l’orrore.
−Oh, mio Dio, LA MAREA!
Le prime onde stavano arrivando nella loro direzione simili a cavalli al galoppo.
Altre stavano per tagliare loro la fuga da dietro.
I due ragazzi presero a correre come forsennati verso la terraferma, ma erano troppo lontani e il mare stava per inghiottirli.
Erano spacciati.
Ulisse, chiamò Jane disperatamente.
Era troppo stremata per Smaterializzarsi ed Edmund non aveva ancora sostenuto l’esame per farlo da solo.
ULISSE!
Avvertiva il gelo dell’acqua che le lambiva i piedi e intravedeva già delle onde molto più alte delle precedenti che si preparavano a trascinarli via, quando una gigantesca ombra scura planò sopra di loro.
Ulisse si abbassò fin quasi a sfiorare l’acqua, nitrendo forte per attirare l’attenzione.
Con le ultime forze che le erano rimaste, Jane spinse Edmund sulla sua groppa, poi, con un agile balzo, montò dietro di lui e prese le redini con una mano sola.
Non appena si rese conto che i due erano in sella, il cavallo alato si sollevò in aria con due potenti colpi d’ala.
Un attimo dopo, il mare si chiuse sopra la spiaggia.
Ulisse sorvolò il piccolo tratto di oceano.
Volava alto, nascondendosi tra le rare nubi che avevano preso ad addensarsi all’orizzonte.
Dopo minuti interminabili, il pegaso si abbassò all’altezza di un macchione di alberi e prese a galoppare agilmente fra i bassi cespugli della terraferma, costeggiando la strada asfaltata che veniva usata dagli autobus.
Mont Saint Michel, illuminata a giorno, era come un gioiello incantato in mezzo all’oscurità, torreggiando minacciosa sulle loro teste, ancora pericolosamente vicina.
Dopo una folle corsa, Ulisse rallentò e trottò verso un piccolo prefabbricato che sorgeva nel cuore della campagna, a poche centinaia di metri da un grande parcheggio.
Una figura ammantata di scuro li stava aspettando con gli occhi carichi d’ansia.
Quasi scoppiò a piangere di commozione quando vide Edmund e Jane smontare da cavallo e corrergli incontro.
−Oh, ragazzi! – esclamò senza fiato. – Una simile follia non si deve ripetere mai più, mai più, capito? Ho sentito l’esplosione e alcune persone che dicevano che è saltato in aria un autobus, che ci sono stati dei morti…Oh, quale follia!
−Si calmi, professore – intervenne Jane. – Abbiamo la Pietra.
Spalancò il palmo della mano, mostrando la minuscola pietra di fiume nascosta al suo interno.
Walpole la fissò con disprezzo.
−Quale follia… − commentò inorridito. – Forza, torniamo a casa. E riprendetevi i vostri vestiti: temo che non manchi molto al risveglio dei nostri ospiti.
−D’accordo.
Il professore restò di guardia all’esterno del bagno, mentre i due ragazzi sgusciavano all’interno per restituire ai veri Melody e Steve i loro effetti personali.
I suoi occhi grigi si posarono ancora una volta sull’abbazia di Mont Saint Michel, che si ergeva come un’isola tranquilla e silenziosa in mezzo alla campagna, nonostante le urla delle sirene non fossero cessate per un solo istante.
Mai dare retta alle idee di un Lupo mannaro, si segnò mentalmente con il cuore gonfio d’ira.




Angolo Me

Buonasera! :)
Avrei voluto aggiornare prima, ma i nuovi orari dell'università sono a dir poco terribili e rientro in casa sempre più tardi.
Spero che comunque abbiate trovato questo lungo capitolo abbastanza scorrevole e avvincente (prometto che questo è l'ultimo che sforerà le 7 pagine!).
Che dire?
I nostri amici si sono finalmente impossessati della Pietra della Resurrezione...eh, già, avete già capito che cosa vi attende la prossima settimana: il ritorno della nostra amata/odiata Alhena Black è ormai vicino.
Ma non avremo solo brividi di paura.
Ho infatti deciso di inserire una scena molto tenera tra Edmund e Jane...ma non voglio rovinarvi la sorpresa.

Per chi non ce la fa a restare digiuno fino a martedì prossimo, vi informo che giovedì ci sarà l'ultimo aggiornamento de "L'ultima notte".
Tenete d'occhio anche la mia pagina Facebook.
Sto infatti per pubblicare una nuova storia e potrete trovare tutte le informazioni e le anteprime a riguardo proprio lì.
Ecco il link: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

Un abbraccio a tutti voi :)
Vi lovvo!

F.




 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** La Pietra della Resurrezione ***




Capitolo 19

LA PIETRA DELLA RESURREZIONE

~

 
 
 
 
Il parco era buio e silenzioso.
Le luci della villa ne illuminavano a malapena le chiazze di neve bianca che nascondevano ampi quadrati di prato.
Jane osservava il panorama pensosa, seduta a gambe incrociate sul letto.
Avvertiva ancora il senso di umido provocato dall’asciugamano avvolto attorno alla testa come un turbante.
Dopo le cure provvidenziali della signora Walpole e una doccia salutare, si sentiva già meglio.
Per fortuna, le ferite erano superficiali e non c’era stato bisogno di interventi particolari o di riposo forzato.
Solo tanta, tanta paura.
Al solo pensiero di ciò che era accaduto quel giorno, Jane si sentiva stringere lo stomaco in una morsa gelida.
La ragazza si rigirò distrattamente la Pietra della Resurrezione tra le mani.
Era minuscola, poco più grande di una noce, così apparentemente fragile e innocua, eppure la strega avvertiva tutto il suo enorme potere defluire nelle sue vene, vibrando tra le sue dita e chiedendole subdolamente di essere usato.
La risposta al mistero della Seconda Profezia era tra le sue mani.
Sarebbe bastato un solo gesto e avrebbe saputo tutta la verità, per quanto terribile fosse.
Fremente d’eccitazione, Jane rigirò la Pietra tra le mani una volta, poi due, poi…
Si fermò all’istante, lo sguardo di nuovo proiettato fuori dalla finestra.
Dall’altra ala della casa si vedeva un rettangolo luminoso fuoriuscire dalla biblioteca.
Nonostante fosse mezzanotte passata, anche Edmund non riusciva a chiudere occhio.
Jane riconobbe distintamente la sua sagoma esile china su un grande manoscritto.
Erano entrambi tormentati dallo stesso interrogativo.
E la ragazza sapeva che, al momento della verità, avrebbe dovuto esserci anche lui.
Era un suo diritto.
Con un profondo respiro, Jane si alzò dal letto e si infilò una morbida felpa grigia sopra il pigiama, poi sgattaiolò in punta dei piedi verso la biblioteca.
−Ciao, Ed – disse sorridendo.
Il ragazzo levò il capo dal suo manoscritto.
In una teca poco più in là, Sissy dormiva beatamente acciambellata tra le sue spire.
−Ciao, Jane – disse piano. – Non riesci a dormire?
−No…Ed, io stavo pensando…forse ci conviene farlo adesso.
−Fare cosa?
−La Pietra…io penso non sia il caso di stare a perdere tempo. Dovremmo trovare il coraggio di evocare Alhena ora e sapere tutta la verità.
Al solo pensiero di trovarsi di fronte a sua madre, Edmund rabbrividì.
Per quanto fossero legati, non era sicuro di essere in grado di reggere un simile incontro.
−Ci penserò io a lei, – proseguì Jane, quasi leggendogli nel pensiero – ma voglio che ci sia anche tu.
Il ragazzo ci pensò un attimo, massaggiandosi le tempie con i pollici; poi annuì.
−D’accordo. Ma stammi vicina.
 
***
 
La casa sull’oceano era stata costruita intorno alla fine dell’Ottocento come residenza di villeggiatura per una ricca famiglia inglese.
L’abitazione era poi stata acquistata dai Walpole alla morte dell’ultimo proprietario dell’abitazione, un baronetto sprovveduto sommerso dai debiti.
Nonostante le vicissitudini, l’enorme villa a picco sul mare non aveva mai perso il suo originario splendore.
Sembrava una reggia, isolata in mezzo a quel luogo selvaggio irto di scogliere sferzate dal vento.
Nulla di tutto questo sembrava trapelare dalla calma del giardino, il cui silenzio era interrotto solo dallo scrosciare delle fontane nascoste tra i vialetti ghiaiosi e le bassi siepi ben tenute.
Il cielo era di un blu infinito e le stelle sembravano tanti piccoli diamanti incandescenti.
Edmund e Jane avanzavano stretti nei loro mantelli, i loro passi che scricchiolavano sulla ghiaia illuminata dalla flebile luce delle bacchette.
Il freddo penetrava fin dentro le ossa, alimentato da un gelido vento proveniente da nord.
−Qui – disse a un certo punto Jane, fermandosi al centro di un piccolo piazzale, di fronte a un fontana che raffigurava Diana cacciatrice.
I due ragazzi si disposero uno di fronte all’altra. Jane spalancò il palmo della mano.
La Pietra della Resurrezione brillò alla luce della luna piena.
−Io penso che debba farlo tu – disse a Edmund. – Era tua madre.
Lo sguardo del ragazzo si raggelò per il terrore.
Scosse il capo.
−Non ce la faccio…
−Ed, per quanto spaventoso possa essere, non può farci nulla di male! È solo un fantasma, niente più. Non abbiamo altra scelta.
Edmund si morse il labbro.
Per anni aveva sperato di non trovarsi mai più di fronte a quegli occhi deformati dalla follia, di non avvertire mai più quel dolore atroce…
La ferita sulla pancia gli formicolò dolorosamente, quasi dovesse riaprirsi da un momento all’altro.
Il suo sguardo si posò su Jane.
I suoi occhi verdi brillavano alla luce della luna.
Era coraggiosa, Jane, molto più coraggiosa di lui.
Aveva affrontato pericoli e sacrifici che lui non si sarebbe mai sognato di eguagliare e tutto mai per se stessa, ma per aiutare gli altri, sempre più importanti della sua stessa vita.
E ora gli stava porgendo la Pietra, come invito a seguirla, a restare al suo fianco ancora una volta.
Sarebbe stato ingiusto deluderla.
Non poteva tirarsi indietro proprio ora, a un passo dalla verità.
−D’accordo – disse allungando la mano.
Al tatto, la Pietra era liscia e fredda.
−Devi girarla tre volte nel palmo – spiegò Jane.
Edmund obbedì.
Rigirò la Pietra tre volte tra le dita, cercando di focalizzare nella sua mente il ricordo di Alhena Black, dei suoi grandi occhi neri spalancati in quell’espressione folle, il volto pallido dai tratti aristocratici, la bocca dalle labbra sottili e il sorriso bianchissimo.
Al solo pensiero, gli si chiuse lo stomaco per la paura, ma resistette.
Doveva riuscirci, doveva riuscirci…
Accanto a lui, Jane trattenne il fiato.
Apparve prima come una macchia argentea indistinta, che si fece rapidamente più grande, fino ad allungarsi e a dilatarsi.
Bella da far paura al pari di sua sorella Bellatrix, i lunghi capelli neri e lisci che le scendevano fino alla vita, l’abito nero di un’eleganza mozzafiato, Alhena Black mosse un passo verso di loro.
Nonostante fosse come osservarla al di là di un vetro appannato, la sua sola vista era più terrificante che mai.
I suoi enormi occhi sporgenti si posarono su Edmund.
−Salazar… − mormorò, tendendo le mani verso di lui; poi vide Jane al suo fianco.
Il suo volto perlaceo si trasformò in una maschera d’ira.
–SALAZAR! – gridò con una voce inumana, facendo per artigliargli il volto con le mani protette da due guanti neri alti fino al gomito.
Terrorizzato, Edmund si ritrasse di colpo, perse l’equilibrio e cadde lungo disteso a terra.
Jane si piazzò d’istinto tra lui e sua madre, la bacchetta levata.
–NO! – gridò con fierezza. – Non puoi più farci del male, ora! Non abbiamo paura di te!
−Levati di mezzo, sudicia Mezzosangue! – ringhiò Alhena.
−Non prendo ordini da un fantasma!
−Fantasma? Che cosa vuoi dire con questo, razza di…
Solo allora Alhena si guardò la punta delle dita.
La rabbia sui suoi occhi si trasformò immediatamente in disperazione.
Si afflosciò a terra come uno straccio bagnato, le spalle esili scosse da singhiozzi.
Jane immaginò che solo allora la strega doveva aver ricordato gli ultimi istanti della sua vita, ma non provò alcuna pietà verso la sua nemica.
Non ancora.
Accanto a lei, Edmund si stava rimettendo in piedi lentamente, il terrore ancora dipinto negli occhi neri, gli stessi di sua madre, se quelli di quest’ultima non fossero stati deformati dalla follia.
−Alhena Black, − esordì Jane facendo appello a tutto il suo coraggio – sappiamo tutto su di te. Voldemort ci ha rivelato di come lo hai amato e di come ciò ti ha portato un figlio che non hai mai voluto. Sono stata io a portarlo via con me tre anni fa, quando eravamo entrambi tuoi prigionieri. Ora vogliamo chiederti un’ultima cosa, che ancora non sappiamo: perché hai disobbedito al tuo signore?
A quelle parole, Alhena levò il capo verso di loro. Sembrava una belva ferita.
−E a voi che cosa interessa? – ringhiò.
−Tu sei a conoscenza della Seconda Profezia, giusto? – domandò Jane. – C’è una guerra in corso. Salazar è indispensabile per portarla a termine. Ma abbiamo bisogno del tuo aiuto.
Alhena distolse lo sguardo sdegnata.
−Ho avuto modo di parlare con tua sorella Andromeda – continuò la ragazza. – Mi ha detto che tu, all’inizio, non volevi sbarazzarti di Salazar, ma dopo aver saputo la verità lo hai cresciuto quasi a forza. Perché? Che cosa c’era di tanto terribile in ciò che ti è stato detto?
−Lei mi ha ingannato! Mi ha fatto prima giurare di non far del male al bambino e poi mi ha rivelato quella profezia. E io, stupida, le ho dato retta, tanto avida ero di scoprire quale destino avrebbe avuto l’ultimo erede di Serpeverde. Io che mi aspettavo gloria e grandezza…Tom mi aveva ingannata e tradita. Aveva usato il mio amore per poi rinnegarlo nel momento in cui gli ha fatto più comodo. Speravo tanto che mio figlio sarebbe stato abbastanza forte da rovesciarlo, un giorno, per prendere il suo posto. Saremmo stati i due maghi più potenti della Terra, io e lui.
−Ma, a quanto pare, il destino non ha voluto così! – intervenne Edmund.
Non sapeva come, ma improvvisamente avvertiva un immenso coraggio dentro di sé.
Era della sua vita che si parlava, di qualcosa di cui poteva decidere.
Aveva capito che anche lui, al pari di Harry, avrebbe avuto l’opportunità di scegliere.
Nel vedere suo figlio fronteggiarla in quel modo, Alhena trasalì.
Si levò in piedi lentamente, come un serpente che si prepara ad attaccare.
−Cosa c’è di glorioso nel disonorare quanto Salazar Serpeverde ha costruito nel corso dei secoli? – tuonò con rabbia. – Cosa c’è di onorevole nel cercare l’alleanza dei Nati Babbani e metterli contro gli ultimi maghi con il sangue puro, eh?
−È questa dunque la Seconda Profezia? Dovrò fare questo? – Edmund non riusciva a credere alle proprie orecchie. Era meglio di quanto avesse sperato.
−Ti odio! – ululò Alhena.
−Odiami pure, ma ciò non cambierà nulla. Io sono comunque destinato a sconfiggere mio padre. E a cambiare le cose. Come Erede di Serpeverde, non voglio che venga più sparso del sangue innocente per colpa di un ideale senza alcun fondamento, né che esistano spaccature e pregiudizi nel nostro mondo a causa di esso. E lo farò. Aspettavo solo una tua conferma.
−Tu non puoi…
−Io sono vivo e questo mi permette di andare avanti. E questo lo devo a te, che sei riuscita a proteggermi fino alla fine. Sbaglio o volevi proprio sbarazzarti di me in un modo non violento?
−Che cosa vuoi dire con questo?
Per Jane, fu come una secchiata d’acqua gelida in pieno volto.
Un’altra sconcertante verità stava venendo vertiginosamente alla luce.
−Sei stata tu? – esclamò con il fiato mozzo. – Tu hai fatto in modo che io trovassi Edmund e lo portassi via?
Alhena le rivolse un’occhiata carica d’odio.
−Hai finto di ignorare la mia fuga – continuò Jane desolata. – Lo hai fatto apposta.
−Se solo avessi voluto, tu non saresti mai uscita viva da quel sotterraneo – sibilò Alhena. –Poco tempo prima del ritorno del Signore Oscuro, una strega chiamata Jadis mi trovò. Grazie al suo aiuto, Lord Voldemort sarebbe tornato al potere. Io sapevo che, una volta avvenuto ciò, per Salazar non ci sarebbe stata più speranza. Sarebbe morto a causa mia. E io avevo giurato che non gli sarebbe accaduto niente. Così, sapendo del tuo legame con i Pevensie, ti attirai con una trappola. Sapevo che tuo fratello aveva scarse probabilità di sopravvivere al Signore Oscuro, ma tu, sin dal primo momento che ti ho vista tanti anni fa, hai qualcosa di diverso, un potere che non conosco. Ho pensato che, portando via Salazar, avresti allontanato anche la mancanza della mia promessa. Ormai sapevo quanto fosse inutile opporsi al destino. Ti ho lasciata vivere e ti ho dato i mezzi per fuggire. E ci sono riuscita, solo poche ore prima che lui tornasse e mi uccidesse.
Jane aveva ascoltato tutto questo con le lacrime agli occhi.
Alhena Black era stata la signora vestita di nero che quando aveva solo dieci anni era venuta a portarla via da quella che reputava la sua famiglia.
Aveva tentato di ucciderla nel peggiore dei modi.
E l’aveva inevitabilmente gettata in un mondo dal quale non sarebbe mai riuscita a tornare indietro.
Per anni l’aveva odiata con tutte le sue forze, insieme a Voldemort, senza riuscire neanche a pronunciare il suo nome senza tremare di paura.
Ma ora era tutto diverso. Cose inconcepibili stavano per fuoriuscire dalla sua bocca.
−Alhena, tu hai fatto di più – disse con voce rotta dall’emozione.
Sia Edmund che la Strega Suprema la fissarono stupefatti.
−Che cosa vuoi dire con questo, ragazzina? – sibilò Alhena scandalizzata.
 Jane cercò d’istinto la dita di Edmund.
Lui la strinse a sé con fare protettivo.
−Se non fosse stato per te, tutto questo non sarebbe mai successo – disse piano la ragazza.
Alhena scoppiò in una risata sprezzante.
−Che c’è, ora che ti ho fatto conoscere il tuo principe azzurro vuoi perdonarmi per tutto quello che ho fatto? – domandò in tono di sfida.
−Per quanto mi riguarda, no – rispose Jane inflessibile. – Non dimenticherò mai quello che hai fatto. Tuttavia, non posso non ringraziarti per averla messa nel sacco a tutti. E aver permesso alla Seconda Profezia di avverarsi, nonostante tutto.
−Ringrazia mia sorella Andromeda, piuttosto, per avermi ingannata.
−Ma, se avessi saputo prima della profezia, mi avresti tenuto lo stesso? – domandò improvvisamente Edmund.
Alhena gli lanciò un’occhiata indecifrabile.
Mille emozioni sembravano combattersi ferocemente nel suo sguardo di fuoco.
−Forse sì – rispose gelida. – Eri l’ultimo legame rimasto con Tom.
−Non ti obbligo a mentirmi.
−Io non ti ho mai mentito. Mai.
Edmund si avvicinò timidamente a lei, allungando una mano come per sfiorarla.
Jane rimase in disparte, pietrificata dal terrore.
Ora che li vedeva uno di fronte all’altra, si rendeva conto di quanto fossero simili.
Avevano gli stessi occhi.
Alhena levò piano una mano guantata, sfiorando quella del figlio.
I loro palmi si attraversarono con un brivido di freddo.
−Non farmi pentire di averti fatto vivere, una volta tornata dall’altra parte – disse la Strega Suprema.
−Non temere. Resterò per sempre il mostro che hai visto in me. E ne sono contento – rispose Edmund in tono indecifrabile.
La voce gli tremava in maniera innaturale.
La Strega Suprema stava iniziando a svanire lentamente.
In un ultimo slancio, le sue dita sfiorarono la guancia di Edmund.
−Arrivederci, Salazar. Ricordati di vendicare la mia morte, quando rivedrai Tom – sussurrò in modo che potesse sentirla solo lui.
−Arrivederci…mamma.
Improvvisamente, Alhena non c’era più.
Che fosse tornata all’inferno o in qualsiasi altra parte andasse un’anima dopo la morte, i ragazzi non poterono saperlo.
Restò solo il silenzio, interrotto appena dal gorgoglio della fontana.
−Edmund?
Jane era rimasta alle sue spalle, immobile e terrorizzata.
Il ragazzo si voltò lentamente.
Tremava da far paura, il volto pallido come quello di un cadavere.
−Edmund, stai bene?
Lui non disse nulla.
Avanzò di qualche passo verso di lei; poi, senza preavviso, le prese il volto tra le mani e la baciò come mai l’aveva baciata prima d’ora.
Jane non lo respinse, tuffando le braccia attorno al suo collo e affondandogli le dita nei capelli.
−Ti amo, Jane! – sussurrò Edmund con la voce rotta dall’emozione, ripetendo quella frase più e più volte come un mantra. – Ti devo la vita, l’anima, tutto!
Jane si immerse nelle sue labbra, assaporandone di nuovo quel sapore che aveva bramato per così tanti mesi, incapace di chiederne ancora dopo tutto quello che era accaduto.
Improvvisamente, avvertiva un sentimento completamente nuovo che ardeva dentro di lei.
Forse perché era da tanto tempo che non baciava Edmund; forse perché entrambi erano ormai diventati adulti.
Aveva una voglia irresistibile di possedere completamente il ragazzo, di toccarlo, di abbandonarsi totalmente a lui.
Nonostante si sottoponesse perennemente a un rigido autocontrollo, in quel frangente Jane aveva perso completamente ogni remore o timidezza.
−Vieni – gli sussurrò in un orecchio.
Lui annuì in silenzio, lo sguardo più luminoso che mai.
Si avviarono verso la spiaggia, dove si ergeva un’alta scogliera.
Lì, tra gli scogli aguzzi e pericolosi, c’era una piccola grotta nascosta.
Nonostante il freddo pungente, i due ragazzi vi si nascosero all’interno.
Jane si raggomitolò contro la nuda roccia, seguita a ruota da Edmund.
−Che diavolo ci succede? – domandò lui, esitando un attimo prima di avvicinarsi di nuovo al volto della ragazza.
Lei sorrise, reclinando il capo all’indietro fino a scoprire il collo bianco e perfetto.
−Forse è questo l’amore – rispose ridendo.
Edmund rise a sua volta, chinandosi su di lei e riprendendo a baciarla con trasporto.
Immerse le dita tra i suoi riccioli scuri, che stavano lentamente tornando alla bellezza di un tempo, e prese a percorrerle gli zigomi e il collo, avvertendola rabbrividire al contatto con le sue dita.
Jane rise di nuovo, passandogli un dito sulle labbra e scendendo sul suo petto.
Un attimo dopo, Edmund represse un gemito, ma non smise di baciarla: la mano fredda di Jane gli era scivolata sotto il pigiama, prendendo a tracciargli dei cerchi invisibili attorno all’ombelico.
−Ti faccio male? – domandò la ragazza titubante.
−No…no – rispose lui, ormai con la pelle d’oca.
Jane sorrise e continuò a sfiorarlo.
Lui si fece coraggio e provò a imitarla.
Avvertì la pelle morbida di lei sui polpastrelli e subito provò il desiderio di affondarvi le dita ancora e ancora, il suo profumo delicato che gli riempiva ormai le narici.
Nonostante la temperatura fosse abbondantemente sotto lo zero, nella piccola grotta faceva un caldo terribile.
Piccole nuvolette si alzavano dalle loro bocche ogni volta che si fermavano a riprendere fiato.
Quando Jane provò a togliergli il sopra del pigiama, però, Edmund le bloccò delicatamente la mano.
−Ehm…mi vergogno un po’ – disse a mezza voce.
−Ma se mentre te ne stavi svenuto io e Susan ti abbiamo cambiato e medicato decine di volte! Ormai per me non hai più segreti – rispose Jane ridendo.
Al solo pensiero, il ragazzo diventò rosso fin sopra le orecchie.
−Davvero lo avete fatto?
−Che scelta avevamo? Eravamo rimaste da sole. Dai, quella ferita non è poi così brutta come sembra. Anzi, io la trovo persino sexy.
Sexy?!
A quella rivelazione, Edmund si lasciò sfuggire una risata.
−E va bene, visto che ti piacciono le emozioni forti…
Jane gli fece la linguaccia, prendendo di nuovo a stuzzicargli le labbra e il collo.
−Attento a giocare con il fuoco, tu!
−Te la sei cercata!
 Edmund si abbandonò di nuovo tra le sue braccia, sprofondando in una dimensione paradisiaca di cui non avrebbe mai sospettato l’esistenza.
Fuori, il mare ruggiva lontano.




Angolo Me

Ah-ehm!...Buongiorno!
Spero che questo capitolo non finisca direttamente sulla pagina "Il peggio di efp".
Mi chiedo ancora se dovevo o meno risparmiarvi questo momento un tantino privato tra Edmund e Jane, ma dopo una scena pesante come l'incontro con Alhena ho pensato che potesse comunque distendere un tantino l'atmosfera...Spero solo che non sia venuto un disastro totale.
Prometto che d'ora in avanti tornerò alle care vecchie scene dark, con cui mi trovo decisamente più a mio agio :P
Siamo ormai arrivati agli ultimi 7 capitoli della storia * di già?! ebbene sì * e la battaglia finale si avvicina sempre di più.
Nel prossimo capitolo tornerà sia Harry he * rullo di tamburi * il nostro vecchio Caspian, che negli ultimi mesi è stato un tantino messo da parte...
Spero che abbiate ancora voglia di continuare a leggere :P
Per i più coraggiosi, vi informo che da giovedì sera sarà online la mia nuova storia: "The Phoenix".
Per saperne di più, tenete d'occhio la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
A presto! :)

F.



   
   
 

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Capitolo 20
*** Famiglia ***




Capitolo 20

FAMIGLIA

~






 
Jane si risvegliò con il rumore del mare e l’odore di salsedine che le penetrava nelle narici.
Improvvisamente, si rese conto di avere freddo.
Cercò istintivamente di stringersi nelle coperte, salvo scoprire di avere la testa poggiata sul petto nudo di Edmund.
Soffocando un grido, la ragazza scattò a sedere, rendendosi conto di essere nuda anche lei.
Poi i ricordi della notte precedente tornarono, facendola arrossire violentemente.
In tutta la sua vita non aveva mai provato niente del genere.
Era stato tutto tremendamente bello.
Chissà se un giorno avrebbero trovato il coraggio di rifarlo?
Rabbrividendo, Jane raccattò le sue cose e si rivestì.
Al suo fianco, Edmund si mosse appena nel sonno.
−Ehi – disse lei dolcemente stendendosi al suo fianco e prendendo ad accarezzargli il volto.
Lui mugugnò qualcosa, decidendosi ad aprire gli occhi dopo un po’.
−Buongiorno. Dormito bene? – la salutò con un sorriso.
Jane scoppiò a ridere.
−Siamo in una caverna, Ed! – lo prese in giro.
−Oh – di colpo il ragazzo appariva visibilmente imbarazzato.
−Ma certo che ho dormito bene – ridacchiò Jane stampandogli un rapido bacio sulle labbra. – E tu?
−È stato…figo!
La ragazza si raggomitolò al suo fianco, provando a scaldarlo.
La sua pelle era a dir poco gelida.
−Quanto credi che siamo rimasti qui dentro? – domandò a un certo punto.
−Non lo so, ma credo che sia ora di ritornare alla villa. Potrebbero essere preoccupati.
−Già.
Jane controllò che la Pietra della Resurrezione fosse al suo posto, mentre Edmund si rivestiva.
Quel frangente di paradiso era finito.
Bisognava tornare ad affrontare la vita di sempre, con tutti i pericoli che li attendevano.
−Da quando so che cosa diceva la profezia, mi sento più tranquillo – disse a un certo punto Edmund levandosi in piedi.
Jane si limitò a sorridergli.
−Io lo sapevo – disse tranquilla. – Sai che a me non sfugge nulla.
−Potevi dirmelo, allora! Sarei stato molto meno in ansia!
−Che ne sapevo che la profezia ne era la conferma?
Edmund ridacchiò.
−Andiamo, dai – disse, facendo per uscire dalla caverna. – Ormai saranno tutti svegli e non credo che prenderanno bene il fatto che non siamo nei nostri letti.
Jane lo seguì, stringendosi negli abiti per il freddo.
I due costeggiarono la spiaggia mano nella mano e risalirono verso la villa.
Susan li vide arrivare da lontano, i lunghi capelli sferzati dalla brezza del mattino.
I suoi occhi erano più gelidi che mai.
−Dove vi eravate cacciati? – esclamò furibonda. – Sono ore che vi cerchiamo dappertutto!
−Scusaci, Sue. Noi…ehm… − Jane scoccò un’occhiata imbarazzata verso Edmund, che arrossì vistosamente.
Nel vedere che i due erano ancora in pigiama e avevano l’aria visibilmente scarmigliata, Susan saltò subito alle conclusioni giuste.
−Insomma, avevate bisogno di un po’ di distrazione – commentò inacidita.
−No! Abbiamo anche concluso qualcosa! Abbiamo interrogato Alhena sulla profezia! – cercò di riparare Jane.
−Spero che ciò che avete appreso fosse di così buon auspicio da farvi fare una cosa del genere – ribatté Susan.
−In un certo senso…sì!
−Almeno questo. Forza, il professor Walpole vi sta aspettando dentro.
I tre ragazzi entrarono all’interno della casa.
Il professore li stava aspettando in salotto, fissando fuori dalla finestra con aria preoccupata.
−Abbiamo la profezia – esordì subito Jane, prevenendo l’inevitabile lavata di testa per la loro assenza.
In pochi istanti, i due ragazzi raccontarono quello che avevano udito da Alhena Black.
Il professor Walpole li ascoltò in silenzio, le mani giunte sotto il mento; poi disse:
−Credo che siamo riusciti a venire a capo a questa faccenda nel momento più propizio per tutti. Mentre eravate via, mi è giunto un messaggio da Remus Lupin. Pare che Harry sia tornato.
A quelle parole, il cuore di Jane fece una capriola all’indietro.
−Dov’è? – esclamò carica di speranza.
−A casa di Andromeda Tonks. Gli ho risposto che vi avrei accompagnati lì il prima possibile. È tempo che i gemelli Potter si riuniscano, che a tuo fratello piaccia o no.
Jane annuì comprensiva.
Per mesi aveva atteso quel momento, ma il solo pensiero di ritrovarsi davanti Harry dopo la lite furibonda che avevano avuto la faceva sentire male per l’ansia.
−Dice che accetterà come stanno le cose? – domandò incerta.
−Non gli resta altra scelta, se vuole davvero sconfiggere Tu-Sai-Chi. Vi consiglio di andare subito a preparare le vostre cose. Partirete prima di pranzo. Anche tu, Susan. Credo che tuo fratello Peter e una certa persona ti stiano aspettando.
−Una certa persona?
Susan arrossì violentemente, ripensando a Caspian.
Davvero le era rimasto fedele in tutti quei mesi di assenza?
−Non manca molto alla fine di questa battaglia – proseguì Walpole, lo sguardo saggio e consapevole. – Siete stati tutti messi a dura prova e siete stati costretti ad abbandonare chi vi era più caro. Per fortuna, questo terribile momento sta per finire.
I ragazzi annuirono.
Avevano davvero trascorso dei mesi di inferno, ma avevano come l’impressione che dovessero fare ancora qualche sforzo prima che le cose ritornassero alla normalità.
−Andiamo subito a fare i bagagli, allora – disse Jane levandosi in piedi.
Spero solo che Harry non sia ancora determinato a uccidermi, pensò con una stretta allo stomaco.
Lasciare la casa sull’oceano dopo tutto quel tempo fu molto più difficile di quanto i ragazzi si fossero aspettati.
In fondo, quel piccolo angolo di paradiso era stato per loro un luogo sicuro da tutto l’orrore che si stava scatenando all’esterno.
Ora, ciò che li attendeva sembrava uno spaventoso buco nero.
I saluti si prolungarono più del previsto.
Nel vederli sulla soglia di casa, la signora Walpole scoppiò in lacrime e li abbracciò uno ad uno, facendo loro promettere di passarla a trovare non appena le acque si fossero calmate.
Il professore era stato molto più formale, anche se si vedeva che era dispiaciuto e preoccupato per la loro partenza.
Strinse loro la mano in segno di rispetto, accompagnandoli sul limitare della barriera magica.
−Buona fortuna – disse loro pochi attimi prima che varcassero la soglia fatale.
−Arrivederci, professore.
I ragazzi si presero per mano (Jane teneva saldamente Ulisse per le redini); poi mossero un passo in avanti.
L’immensità dell’oceano attorniato dalle scogliere svanì nel nulla, sostituito pochi istanti dopo da una bassa casa dal tetto spiovente che sorgeva in quello che sembrava un paesino di campagna.
Tutti e tre sguainarono le bacchette, avanzando cautamente verso la soglia.
Per poco non venne loro un colpo nel momento in cui la porta si spalancò: la donna che era venuta ad aprire era la copia perfetta di Bellatrix Lestrange, anche se i capelli erano più lisci, di una delicata sfumatura castano chiaro.
−Oh, finalmente! – esclamò Andromeda Black con un sorriso candido, ben lontano dall’espressione perversa delle sorelle maggiori. – Entrate, entrate! Harry e gli altri sono già arrivati.
I ragazzi la seguirono titubanti.
La casa era piccola e accogliente.
Nel momento in cui fecero ingresso nel salotto, Jane si bloccò come congelata.
Anche la sua copia al maschile aveva avuto la stessa reazione, fissandola incredula da dietro le lenti degli occhiali.
Un velo di gelido imbarazzo si stese fra i due Potter, paralizzandoli.
Era difficile stabilire se si sarebbero picchiati o si stessero per lanciare uno tra le braccia dell’altra.
−Ho saputo che hai trovato la Pietra della Resurrezione – esordì Harry.
−E tu te ne sei andato a caccia di Horcrux da solo – ribatté Jane.
−Sai che non avresti dovuto! – esclamarono entrambi all’unisono, scambiandosi subito un’occhiata imbarazzata.
Gli occhi di Jane si riempirono all’istante di lacrime, mentre Harry si limitò a guardare per terra.
Un attimo dopo, i due gemelli si lanciarono uno verso l’altra, stringendosi nell’abbraccio più forte che si fossero mai scambiati in vita loro.
−Mi sei mancata tanto, Jane! – esclamò Harry, tremando da capo a piedi. – Non avrei mai dovuto abbandonarti!
−E io non avrei mai dovuto lasciarti andare, razza di zuccone! – rispose l’altra.
Alle loro spalle, Ron e Hermione li fissavano in silenzio, gli occhi di lei carichi di lacrime.
Poco dopo, Jane abbracciò anche loro, al settimo cielo nel vederli sani e salvi.
Anche Susan si unì ai saluti, mentre Edmund rimase in disparte, visibilmente imbarazzato.
−Sono contento di rivederti, Ed – disse Harry a sorpresa, avvicinandosi a lui con la mano tesa.
Il ragazzo gliela strinse titubante.
−Sei ancora determinato a uccidermi? – domandò in tono di sfida.
−Mi hanno convinto del contrario.
Edmund scosse la testa.
−Amici come prima? – chiese nervosamente.
−Possiamo provarci.
Harry sorrise; poi abbracciò anche lui.
−Non avrei mai creduto di diventare amico dell’Erede di Serpeverde – commentò ridacchiando, nonostante fosse molto provato.
−Un tempo ci eri quasi riuscito – osservò Edmund.
−Già, era decisamente molto meno simpatico di te.
In quel momento, Susan trattenne il fiato.
Caspian era appena entrato nella stanza, scostandosi dal volto una ciocca di capelli scuri.
Nonostante avesse tanto lottato per non cedere ai sentimenti, la ragazza gli saltò letteralmente al collo, stampandogli un bacio spettacolare sulle labbra.
Caspian trasalì, sorpreso, poi un’espressione di pura gioia si dipinse sul suo volto.
Le sue braccia forti si strinsero attorno a Susan, il volto affondato nel mare dei suoi capelli scuri.
−Non dovevi abbandonarmi così – le disse prendendole delicatamente il volto tra le mani. – Sapevi che ti avrei seguita.
−Servivamo tutti e due in posti diversi, Caspian – rispose lei con una scrollata di spalle. – Quando lo capirai?
La ragazza si discostò leggermente da lui.
Possibile che in tutti quei mesi non avesse ancora capito di non avere a che fare con una ragazzina?
Caspian fiutò il pericolo, perché si affrettò subito ad aggiungere:
−Mi sei mancata.
−Ma sono tornata lo stesso. Ora spero che non farai storie, visto che dovremo affrontare insieme il resto della missione.
−No, certo che no!
−Piuttosto, dove si è cacciato mio fratello?
−È andato in missione per conto del Ministero. Dovrebbe tornare a momenti…
Come ad averlo evocato, in quel momento si sentì un deciso bussare alla porta.
Andromeda corse ad aprire, tornando pochi istanti dopo con Peter al seguito.
Il ragazzo appariva visibilmente stanco e provato, i capelli più lunghi del solito e un accenno di barba sfatta sul mento.
Nel vedere Susan, il ragazzo si precipitò subito da lei.
Solo a quel punto la tremenda verità di aver perso un altro fratello piombò crudele sulle loro teste.
La ragazza scoppiò in un pianto silenzioso, al sicuro tra le braccia di lui.
−Almeno tu sei qui – mormorò Peter. – La più coraggiosa dei miei fratelli…
Poi il ragazzo notò Edmund.
Nel vederlo vivo e vegeto, il maggiore dei Pevensie corse ad abbracciare anche lui.
−Credevo di non rivederti mai più! – esclamò. – Non ho creduto a una parola di quello che mi hanno detto!
−Non so quanto ti convenga. Sono davvero l’Erede si Serpeverde – precisò Edmund imbarazzato.
−Non mi interessa chi sei. Ci hai dimostrato più volte di essere una persona molto diversa da tuo padre. Per questo io ti considero mio fratello, ora più che mai. Anche per mamma e Charlie è così. Hai bisogno di una vera famiglia, Ed. Non meriti nulla di quello che hai passato.
−Ti ringrazio, Pete! – esclamò Edmund sollevato.
−Hai davvero gli occhi di Alhena – commentò Andromeda a un certo punto, rivolta verso il ragazzo.
Lui arrossì.
−Davvero la profezia diceva che sarei stato diverso da mio padre? – domandò speranzoso.
Andromeda gli sorrise.
−Per fortuna, Alhena non è mai stata molto brava a mentire. Del resto, vista la vena ribelle che abbiamo avuto io e Sirius, mi aspettavo che anche suo figlio si sarebbe in qualche modo ribellato alle proprie origini – disse.
Edmund annuì sorridendo.
Per fortuna, tra i pochi parenti che gli erano rimasti c’erano Andromeda e Tonks.
Era bello sapere che almeno loro si discostavano dall’eredità di sangue dei Black.
−È vero che Tonks aspetta un bambino? – domandò emozionato.
−Oh, Teddy è già nato. È qui, in attesa che Ninfadora torni dal turno. Si è messa subito a lavorare, povera stella…Vuoi vederlo?
−Sì.
Edmund seguì titubante Andromeda nella stanza accanto.
Non si era mai sentito a proprio agio con i bambini.
Aveva sempre paura di fargli del male in qualche modo o che essi nel vederlo si mettessero a piangere.
Al centro della cameretta c’era una piccola culla.
Dentro, un neonato di appena un mese dormiva beatamente tra le lenzuola.
Come se avesse avvertito la presenza di estranei, il piccolo spalancò i grandi occhi neri, che subito cangiarono in un azzurro intenso.
−Ha ereditato il dono di sua madre – spiegò Andromeda.
Edmund si chinò sulla culla, accennando un lieve sorriso.
Ted lo fissò incuriosito, emettendo un lieve vagito e agitando le braccine verso di lui.
−Credo che abbia riconosciuto lo zio! – esclamò la strega.
Emozionato, il ragazzo tese una mano verso di lui.
−Ciao, Ted – disse intenerito.
Il bambino gli afferrò l’indice, stringendolo forte nella manina tozza.
Edmund lo lasciò fare, sorridendo intenerito.
Non lo aveva spaventato, anzi, sembrava che il nipote gradisse molto la sua presenza.
−A cosa pensi? – domandò Andromeda notando la sua espressione.
Edmund le sorrise, provando per la prima volta un calore che riteneva gli sarebbe stato per sempre precluso, quello che solo la presenza di una famiglia avrebbe potuto dare, la sua vera famiglia.
−Niente – rispose. – Niente, zia.
 
***
  
Dopo pranzo, i ragazzi restarono soli nel salotto, finalmente insieme dopo tanto tempo.
Harry fissava Jane tenere dolcemente Edmund per mano con un’espressione a metà strada tra l’infastidito e il rassegnato.
Susan si era accoccolata accanto a Caspian, che le cingeva dolcemente la vita con la mano.
Peter era seduto tra Ron e Hermione, l’aria stanca ma combattiva.
Harry, Ron e Hermione raccontarono rapidamente tutto quello che era avvenuto negli ultimi mesi.
Narrarono della loro spedizione al Ministero e alla Gringott, dei loro pellegrinaggi alla ricerca degli Horcrux e della loro distruzione, del rapimento da parte di Bellatrix e l’aggressione di Voldemort, dell’estremo sacrificio di Dobby nel tentativo di salvare le loro vite e dei Doni della Morte.
−Noi ne abbiamo uno – disse Edmund a un certo punto, tirando fuori la Pietra e consegnandola a Harry. – Abbiamo rischiato il collo per prenderla. Ma almeno ora sappiamo tutta la verità.
E raccontò loro della profezia e di tutti i pericoli che avevano corso a loro volta per venirne a capo, anche se non sarebbero stati mai paragonabili a quelli a cui era andato incontro Harry.
−E Nagini, il serpente, è un Horcrux − concluse Edmund.
−Ce ne siamo accorti – rispose Harry burbero. – Anzi, le cose stanno ancora peggio. Nagini non è un vero serpente, ma una strega. Vi ricordate di Jadis?
−La nuova Strega Suprema? – esclamò Jane.
Hermione levò gli occhi al cielo.
−Sì, chiamiamola così per comodità – replicò Harry in tono rassegnato. – Insomma, lei. È un Animagus al servizio di Voldemort. A quanto pare, i suoi servigi per accudirlo durante gli anni della caduta sono stati estremi.
−Non credi che Jadis sia innamorata di lui come Alhena? – domandò Jane inorridendo.
−Non c’è alcun pericolo – la rassicurò suo fratello. – Voldemort si guarda bene dal ripetere gli errori del passato e Jadis è comunque quanto più distante da un essere umano possa esistere, per provare dei sentimenti come l’amore. Il suo è solo un attaccamento morboso e adorante verso il potere del suo padrone. Ora che è un Horcrux, avrà perso anche ogni sua volontà.
−Che schifo – commentò Peter disgustato.
−E ora che si fa? – domandò Susan.
−Ci mancano solo due Horcrux. Il primo è Nagini, da cui Voldemort non si separa mai. Il secondo dovrebbe essere un oggetto appartenuto a Priscilla Corvonero. Non può trovarsi altrove che a Hogwarts – spiegò Harry.
−Hogwarts? Vuoi tornare a Hogwarts? Ma lo sai che per noi è il posto più pericoloso in assoluto, vero? – esclamò Jane.
−Se vogliamo fermare Voldemort, la strada è questa.
−La situazione non è così disperata come sembra – intervenne Caspian. – A Hogwarts, Voldemort ha lasciato solo Piton e i Carrow. Tutti gli altri professori sono rimasti per proteggere in segreto gli studenti. Se riuscissimo a entrare di nascosto, saremmo in netta maggioranza numerica per riprenderci la scuola.
−C’è un modo per entrare senza essere visti? – domandò Susan.
−Abbiamo delle conoscenze molto preziose a Hogsmeade – spiegò il giovane.
−Allora non c’è un minuto da perdere – disse Harry levandosi in piedi. – Dobbiamo partire il prima possibile.
−Sapevo che lo avresti detto. Io e Peter abbiamo già predisposto tutto – assentì Caspian. – Ora però vi consiglio da andarvi a riposare. Partiamo al calare del sole.




Angolo Me

Buonasera! :)
Sono felice di constatare che siete sopravvissuti allo scorso capitolo.
Per questo, l'aggiornamento di oggi è stato veramente molto tenero, lasciando spazio a momenti che molti di voi bramavano da tempo: il ritorno di Caspian e, soprattutto, la riappacificazione tra Harry e Jane.
Non adagiatevi troppo sugli allori, però.
I prossimi capitoli, infatti, saranno molto intensi e crudi.
In fondo, stiamo parlando della battaglia di Hogwarts.
Come credete che si comporterà Edmund durante quest'ultima prova?
Riuscirà a far avverare la profezia?
Nel mentre, mi sono resa conto che mancano solo sei capitoli alla fine della trilogia.
Le idee per il dopo sono già in movimento e non vi nascondo che mi piacerebbe molto continuare a scrivere su questo fandom.
Chissà, magari potrebbe venirmi in mente uno spin-off dedicato a qualcuno dei personaggi secondari.
Oppure potrei semplicemente buttarmi in un altro crossover.
Vedremo.
Nel frattempo, vi lascio con la mia ultima storia: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2898784&i=1
Se siete appassionati di "Lady Oscar" e qualsiasi cosa abbia a che fare con le avventure per mare, allora è la storia che fa per voi ;)
Per qualsiasi altra informazione, vi rimando come sempre alla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
Un abbraccio e al prossimo martedì :)

F.

 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 21
*** I ribelli ***




Capitolo 21

I RIBELLI

~

 
 
 
 
Era ormai l’ora del tramonto quando un gruppo di figure solitarie si allontanò furtivo dal villaggio e sparì nella nebbia.
Una attimo dopo, i loro piedi toccarono il suolo ghiacciato di Hogsmeade.
Un lungo ululato stridulo echeggiò ovunque attorno a loro, facendogli accapponare la pelle.
−Qui, sbrigatevi! – disse una voce burbera nascosta nell’ombra.
I ragazzi la seguirono, trovando riparo all’interno di una locanda.
Solo un attimo dopo, uno scalpiccio di passi sulla neve annunciò l’arrivo di un gruppo di Mangiamorte.
−Niente, non è niente! È solo il gatto! – disse loro il vecchio mago che aveva appena salvato i ragazzi dalla cattura.
−Che tu sia maledetto insieme a quel sacco di pulci, Aberforth! – rispose una voce maschile dall’esterno.
−Al diavolo! – ribatté lui una volta richiusosi la porta alle spalle.
−Aberforth? – esclamò Harry incredulo. – Lei è il fratello di Silente?
−Sempre sveglio, Potter, eh? – commentò lui in tono burbero. – Allora, come vi è saltato in testa di piombare qui in un momento del genere?
−Abbiamo una cosa da fare – ribatté il ragazzo.
−Oh, e immagino che ve l’abbia detto Albus, giusto?
−Sì.
−E che vi abbia omesso parte del piano, è così?
Nessuno dei ragazzi rispose.
Aberforth sospirò.
−Lo sospettavo – disse piano.
–Lo sospettava? – squittì Hermione. – Perché? C’è qualcosa che dobbiamo sapere?
−Mio fratello era un gran parlatore. Sapeva muovere le persone nel modo in cui più gli conveniva senza sporcarsi troppo le mani.
−In questi ultimi mesi non abbiamo fatto altro che sentire storie su di lui – protestò Harry furibondo. – Che in gioventù fosse fissato con le Arti Oscure. Che fosse molto amico di Grindewald, il secondo mago oscuro più sanguinario della storia. Che abbia assassinato sua sorella.
−E osi dubitarne proprio qui, di fronte a suo fratello? – tuonò Aberforth furibondo.
−Sono vecchie storie! Silente è cambiato! – ribatté Harry, fronteggiandolo nonostante fosse più basso di un palmo.
−A quanto pare, ha conquistato anche te.
−La sua è solo invidia. Silente era un grand’uomo.
Aberforth si sedette, profondamente rassegnato.
−Non starò a insistere più di tanto con te, Potter – disse. – Quello che voglio chiederti è solo questo: sapete voi tutti a che cosa state andando incontro? Albus vi ha mai spiegato tutto il piano nei minimi dettagli?
−Non c’è stato tempo. Che ne sapeva che sarebbe stato ucciso?
−Oh, lui sapeva tutto fin dall’inizio. Date retta a me. Lasciate perdere.
−Perché, lei forse ha le informazioni che ci mancano?
−Figuriamoci se mio fratello me ne ha fatto voce! È sempre stato un mistero, anche per me.
−Bene, allora non stia a fare tante storie! – ruggì Harry, ormai arrivato all’esasperazione. – Ci dica solo come arrivare al castello. Al resto ci pensiamo noi.
Aberforth lanciò un grugnito sommesso, poi borbottò:
−Come vuoi, ragazzo.
Detto questo, il vecchio mago caracollò fino al caminetto, sormontato da una grande tela a olio che raffigurava una bellissima fanciulla immersa in un paesaggio di campagna.
−Sono arrivati – disse.
La giovane gli sorrise e si voltò, scomparendo alla vista.
Tornò pochi minuti dopo, ma non era da sola.
Per un attimo, i ragazzi credettero di avere le allucinazioni.
Invece, il ragazzone alto che emerse da un buco dietro la cornice era proprio Neville, miracolosamente vivo e vegeto.
−Ciao, ragazzi! −  li salutò con il suo solito sorriso cordiale.
−NEVILLE!
In un attimo, tutti erano corsi ad abbracciarlo.
−Un momento, cosa ci fa lui qui? – domandò Peter esterrefatto.
Un’improvvisa speranza si era accesa nel suo cuore.
−So che mi davate per morto insieme agli altri, ma stiamo tutti bene – lo rassicurò Neville. – Quando i Mangiamorte sono entrati nel nostro scompartimento, siamo riusciti a Schiantarli e modificare la loro memoria, giusto il tempo necessario per nasconderci. Da lì ci siamo asserragliati in una stanza sotterranea del castello, cercando di spiare di nascosto le mosse di Piton. I professori hanno protetto il nostro nascondiglio. Col tempo, si sono aggregati molti altri studenti entrati in clandestinità, dal momento che ora possono frequentare Hogwarts solo i Purosangue.
−Che assurdità! – commentò Edmund.
Neville lo fissò con un’aria perplessa.
Anche lui ora sapeva chi fosse in realtà.
−Sei tornato – disse.
−Certo che sono tornato! – ribatté l’altro con decisione. – Credo che sia mio dovere andare a dare una bella tirata d’orecchie ai miei compagni di Casa. Se non vogliono ascoltare Edmund Pevensie, allora dovranno ascoltare l’Erede di Serpeverde.
Tutti trattennero il fiato, spaventati.
Negli ultimi mesi, in Edmund era avvenuta una trasformazione irreversibile.
Non c’era più traccia del ragazzino spaventato di una volta.
Quella che avevano davanti era la copia perfetta del giovane Tom Riddle, anche se qualcosa nel suo sguardo lasciava trapelare un’anima diversa, meno malvagia ma al contempo combattiva e determinata.
−Cosa hai intenzione di fare? – domandò Neville preoccupato.
−Dare una sistemata al casino che hanno combinato i miei antenati – rispose Edmund con decisione. – Questa follia del sangue puro deve finire.
L’amico annuì.
A pochi passi da lui, i gemelli Potter avevano entrambi la pelle d’oca.
−Non avrei mai creduto di sentir dire una cosa del genere proprio da te – commentò Harry.
−Ah, davvero? – replicò Edmund. – Allora ti conviene farci l’abitudine.
−Volete decidervi ad andare d’accordo sì o no? – sbottò Jane. – Se continuate a beccarvi per qualsiasi cosa, non concluderemo mai niente! Dovete essere uniti in questa battaglia, come ve lo devo dire?
Entrambi sospirarono, guardandosi in cagnesco.
Nonostante tutti i buoni propositi di poche ore prima, entrambi si sentivano ancora dalle parti opposte della barricata.
−Possiamo fare una piccola tregua finché tutto questo non sarà finito? Poi possiamo riparlarne, se vuoi – propose Edmund.
−D’accordo, piccola serpe – rispose Harry in tono tutt’altro che cordiale. – Ma non ti azzardare a fare passi falsi in mia presenza.
−Lo stesso vale per te.
I due si squadrarono; poi Harry si voltò verso Neville.
−Facci strada – disse con decisione.

 
***
 
Il buco dietro il ritratto si rivelò essere uno dei tanti passaggi che collegavano Hogwarts al villaggio di Hogsmeade.
Dopo un tempo interminabile trascorso ad arrancare dentro uno stretto cunicolo buio, finalmente i ragazzi emersero in una grande stanza sotterranea, le cui pareti erano tappezzate di brande e amache di fortuna.
−È lui! È LUI! – gridò più di una voce.
Al loro ingresso, tutti gli occhi erano puntati su Harry e su Edmund.
Un attimo dopo, una ragazza dai capelli color rosso fiamma si gettò tra le braccia del Prescelto, le loro labbra unite nel primo bacio dopo mesi di separazione.
−Ginny – mormorò lui abbracciandola forte.
−Sapevo che saresti tornato! – esclamò lei, gli occhi scuri che brillavano di gioia.
In quel momento, una figuretta dai capelli castano ramato superò tutti i presenti, gettandosi di corsa tra le braccia di Peter e Susan.
−LUCY! – esclamò la sorella scoppiando in lacrime. – Temevo di averti persa per sempre!
−E invece sono qui! Sto bene! – singhiozzò Lucy, poi i suoi grandi occhi celesti caddero su Edmund.
In un attimo, la testa di lei fu premuta contro il suo petto, stringendolo forte.
−Mi…sei…mancato!
−Tranquilla, Lu. Sto bene – la rassicurò lui accarezzandole la testolina fulva.
−Susan!
−Ciao, campione!
Nigel diede il cinque a Susan, entrambi felici di sapersi sani e salvi.
In quel momento, un ragazzo alto dai capelli castani molto più lunghi e incolti di un tempo si fece avanti, tendendo la mano verso Edmund.
−Sono felice di rivederti ancora vivo, Pevensie. O forse ti devo chiamare Riddle? – disse sfoderando il solito sorrisetto strafottente.
−Se ti azzardi a chiamarmi ancora Riddle, ti rinchiudo nella Camera dei Segreti, razza di idiota! – esclamò Edmund, correndo ad abbracciare Adam.
L’amico si lasciò sfuggire un singhiozzo di commozione, che represse quasi subito.
−Come stai? – domandò Edmund battendogli una pacca sulla schiena.
−Una schifezza, grazie. Mi sono ormai rassegnato al fatto di non avere più diritto a un letto normale – rispose il ragazzo indicando i filari di amache distese tra un pilastro e l’altro. – Però, almeno da quando sono a Hogwarts, le cose vanno un po’ meglio che a casa. E poi ho Natalie. Questo mi basta.
−I tuoi come stanno?
−Vaffanculo.
−Scusami.
–No, scusami tu. I Mangiamorte hanno preso mio padre una settimana dopo che sono rientrato per le vacanze. Torturato e ucciso in un modo che non sto neanche a ripeterti. Non riuscivano neanche a identificare il cadavere. Mamma è scappata dall’Inghilterra non appena sono tornato a Hogwarts. Sta bene, credo.
−Mi dispiace, Adam. Davvero.
−Non farti salire la bile, Pevensie. A quei figli di puttana voglio pensarci io.
−Non credo che ti lascerò andare da solo. La nostra sala comune è sempre dove l’abbiamo lasciata?
−Sempre quella. Che vuoi fare?
−Ricordargli chi sono e insegnargli un po’ di buone maniere.
−Auguri. Non ti conviene aspettare più tardi, quando andranno tutti a cena? Perlomeno, non ti ritroverai accerchiato da un esercito di Serpeverde incazzati.
−Cosa credi che facciano contro l’Erede di Serpeverde?
−Ah, non lo so. Mi hanno detto che i Mangiamorte hanno tentato di farti a pezzi. Credevo che dovessero idolatrarti, come minimo.
−Lasciamo perdere i Mangiamorte.
−Guarda che c’è anche Malfoy.
−Molto bene. Avevo giusto voglia di fare due chiacchiere con mio cugino.
Adam contrasse involontariamente la mascella con un brivido.
Non si aspettava una simile trasformazione nel suo fragile e pauroso amico.
−Davvero vuoi tornare in quel nido di serpi? – chiese perplesso.
−È il mio posto. Ed è anche il tuo. Vediamo di renderlo un po’ più a nostra misura. Non ti obbligo ad accompagnarmi. Preferisco saperti sano e salvo con gli altri.
−Non se ne parla nemmeno! Io vengo con te.
Edmund non poté fare a meno di sorridergli, grato.
−Aspetta, però – intervenne Harry. – Posso capire quanto le tue intenzioni siano nobili, ma non credo che i Serpeverde siano disposti a collaborare, non quando molti di loro hanno genitori Mangiamorte. La sala comune potrebbe trasformarsi in una trappola mortale. Io ho un altro piano.
−E quale sarebbe?
Harry gli lanciò un sorriso d’intesa.
−Fidati di me.




Angolo Me

Buonasera! :)
Piaciuta la sorpresa?
Ve l'aspettavate che Lucy e gli altri sopravvivessero?
Stasera sono davvero cotta, quindi sarò breve.
Volevo informarvi che da qualche giorno è su efp la mia nuova storia, che potrete leggere seguendo questo link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2898784&i=1
Se vi piacciono le storie di pirati, siete nel posto giusto ;)
"L'ultimo Erede" tornerà come sempre il martedì sera.
Per tenere d'occhio eventuali aggiornamenti e novità, vi rimando come sempre alla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
Spero che stiate tutti bene, specialmente le mie amiche toscane e milanesi: questa sera il mio abbraccio è tutto per voi <3 (e non solo, tanto lo so che ci siete!).
A presto! :)

F.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Il ritorno dell'Erede ***




Capitolo 22

IL RITORNO DELL’EREDE

~

 
 
 
La Sala Grande non era mai stata così tetra, nonostante gli stendardi delle Case brillassero come al solito sulla sommità delle pareti.
Piton e i Carrow osservarono in piedi l’ingresso degli studenti in fila indiana, a capo chino, mentre si distribuivano in ranghi serrati di fronte alle panche.
−Sappiate che non mi stancherò mai di ripeterlo finché qualcuno di voi non si deciderà a parlare – esordì Piton nel suo solito tono untuoso. – Sappiamo che Harry Potter è stato di recente visto a Diagon Alley e che questa notte i sensori di Hogsmeade hanno rilevato la presenza di un intruso. Per l’ultima volta, se qualcuno di voi sa dove si trova Harry Potter, gli consiglio di farsi avanti e parlare. Non costringetemi a usare le maniere forti.
Nell’intera Sala Grande regnò un silenzio di tomba.
−Nessuno? – abbaiò Amycus Carrow in direzione degli studenti. – E va bene, razza di mocciosi...Se non capite con le buone maniere, allora ci penserò io a sciogliervi la lingua!
Detto questo, afferrò per le orecchie un ragazzino del secondo anno di Grifondoro, gettandolo malamente e terra e facendo per levare la bacchetta.
−Non ce ne sarà bisogno! – gridò Harry, uscendo allo scoperto al seguito di Jane, Edmund, Ron , Hermione, Ginny, Neville, Susan, Peter e Caspian, le bacchette sguainate.
Una serie di Schiantesimi attraversarono la sala, centrando i Carrow.
Piton si voltò su se stesso e si Smaterializzò all’istante.
−CODARDO! – gli gridò dietro la McGranitt. – Potter! – esclamò non appena lo vide farsi largo tra gli studenti. – Non sono mai stata così felice di rivedervi, tutti quanti!
I suoi occhi poi caddero su Edmund, che le rivolse un timido cenno di saluto.
−Tutto a posto, è con noi. – la rassicurò Harry.
−Perfetto, allora.
A un solo gesto della bacchetta, funi invisibili si strinsero attorno alle braccia e le gambe dei Carrow, immobilizzandoli.
In quel preciso istante, qualcuno urlò.
Un’improvvisa atmosfera di gelo e di terrore era piombata sulla Sala Grande, schiacciando i suoi occupanti come formiche.
Harry crollò in ginocchio, le mani premute contro la cicatrice che aveva preso a bruciare a tal punto che in breve fu attraversata da tante piccole gocce di sangue. 
La voce fredda e stridula di Voldemort era ovunque, come se fuoriuscisse direttamente dal pavimento e le pareti.
Questo è l’ultimo avvertimento – sibilò, sollevando un coro di urla e gemiti. – So che Harry Potter è a Hogwarts. Avete un’ora per consegnarmelo senza che vi venga fatto alcun male, altrimenti darò battaglia e a quel punto non risparmierò nessun uomo, donna o bambino che oserà frapporsi tra me e lui. Un’ora.
Improvvisamente, così com’era comparso, il gelo svanì.
Tutti gli occhi ora erano puntati su Harry.
−Che aspettiamo? – gridò un ragazzo di Serpeverde. – Prendiamolo!
−Chiudi il becco, Zabini! – lo freddò la McGranitt con un’occhiata di fuoco. – La scuola è di nuovo nostra, ma dobbiamo difenderci. Tutti gli studenti seguano i loro Direttori verso le zone più sicure del castello. Grifondoro, con me. Signor Gazza, rinchiuda i Serpeverde nei sotterranei e faccia in modo che non escano. Non voglio che ci causino problemi.
Tutti si voltarono verso Edmund, che aveva fatto un passo avanti.
−Scusami? – lo interpellò la McGranitt, visibilmente contrariata per essere stata interrotta in quel modo.
−Mi perdoni, professoressa, ma così li sta condannando a morte. Saranno i primi a restare intrappolati, se dovessero attaccare la scuola.
−Mi dispiace, ma non posso permettere che ci tradiscano. Ci sono dei Mangiamorte tra loro.
−Allora fermiamo quelli sospetti, ma la prego di risparmiare gli altri. Silente non lo avrebbe mai permesso.
−Come osi nominare Silente, proprio tu?
−Se sono qui a combattere al fianco di Harry Potter un motivo ci sarà.
La McGranitt si voltò verso Harry, che assentì in silenzio.
–Edmund ha ragione, professoressa – disse. – Alcuni Serpeverde potrebbero aiutarci.
−Lo sai che è un grosso rischio, vero? – ribatté lei, perplessa.
−Col tempo ho imparato che non tutti loro sono uguali. A volte ne esistono di diversi, l’Erede compreso. Altrimenti, l’intera Casa avrebbe dovuto essere cancellata da Hogwarts.
−Vorrei sinceramente che lo fosse, dopo questa storia.
−Sono esseri umani, professoressa! Dei ragazzi!
La McGranitt scoccò un’occhiata torva a Edmund.
−Tuo padre sapeva raccattare molto bene i suoi seguaci – gli disse in tono gelido. – Vediamo se sei bravo a fare altrettanto.
Il ragazzo deglutì.
Il momento del suo ritorno era arrivato.
Improvvisamente, tutta la terribile responsabilità della profezia piovve sulle sue spalle.
Tremando da capo a piedi, Edmund si rivolse ai suoi compagni di Casa.
−Sapete tutti chi sono, vero? – domandò, lottando per mantenere fermo il tono di voce.
Dai Serpeverde si levò un coro di fischi e insulti.
−Sei un traditore del tuo sangue!
−Non ti vogliamo qui!
−Catturiamolo e consegniamo anche lui ai Mangiamorte!
−LA VOLETE SMETTERE CON QUESTA STORIA DEL SANGUE PURO? – ruggì Edmund, sovrastando le urla.
Il tono con cui aveva parlato e la terribilità del suo sguardo fecero rabbrividire tutti i presenti al pari dei suoi amici.
A parlare non era più Edmund Pevensie.
Era l’Erede di Serpeverde.
−Lo so che sembra strano detto proprio da me, che porto sia l’eredità di Voldemort che quella dei Black. Uno come me dovrebbe essere un privilegiato, una specie di principe o non so cos’altro e invece lo sapete che cosa voleva fare di me mio padre, una volta nato il suo degno erede, colui che avrebbe dovuto portare avanti la razza?
Sbranato da un Lupo mannaro, ecco cosa mi aspettava! Vi sembra un discorso umano, questo? Sensato? Certo, io avrei rovinato i suoi piani, questo lo sapeva. Forse, se mi avesse allevato come suo figlio, sarei venuto su diversamente. Ma, come è accaduto per Harry, anche con me mio padre ha commesso un enorme sbaglio, elevandomi a suo nemico mortale.
Per questo ho vissuto quattordici anni di prigionia, subendo le peggiori torture e assistendo ad atrocità che non sto neanche a raccontarvi. Io ho visto uccidere innocenti senza motivo, solo per soddisfare un ideale assurdo e inconsistente. Lo stesso Voldemort è un Mezzosangue. Lo sapevate? Sua madre (mia nonna!) era una Maganò.
In molti borbottarono, ma nessuno osò interromperlo.
La storia delle origini di Voldemort era evidentemente nota a tutti, anche se non volevano darlo a vedere per ovvi motivi.
−Per due anni ho vissuto con voi Serpeverde. Vi conosco, ormai. Molti di voi ostentano il sangue puro, ma non è così. Lo sapete. Avete perlomeno un parente Nato Babbano, nelle vostre famiglie. Inutile nasconderlo. Capita a tutti. Anche alla mia famiglia. E allora perché non vi ribellate? Lo so, avete paura. Anch’io ne ho avuta tanta, quando ero prigioniero.
Ma ora avete l’opportunità di scegliere. Tra poco si scatenerà una battaglia. Io sono il nuovo Erede. Sono qui, a fianco a Harry Potter, a cui devo tutta la mia gratitudine per avermi salvato la vita e la mia fedeltà per aiutarlo a combattere fino alla fine. Pensateci: se vinceremo, non ci saranno più paura o orrore. Tutto questo finirà. E, forse, riusciremo a dare finalmente l’immagine che la Casa di Salazar Serpeverde merita, dopo secoli di infamia!
Improvvisamente, nella Sala Grande era calato un silenzio irreale. Tutti gli occhi erano puntati verso Edmund. Persino i membri delle altre Case ascoltavano il suo discorso increduli. Mai avrebbero creduto di sentir profferire quelle parole proprio dall’Erede di Serpeverde. In quel preciso istante, il professor Lumacorono si avvicinò a lui, mettendogli una mano sulla spalla.
−Ciò che hai appena detto è senza precedenti nella storia di Hogwarts, ragazzo mio – disse con gli occhi lucidi per l’emozione. – Hai tutto il mio appoggio in questa lotta.
Adam gli lanciò un’occhiata d’intesa e si mise al suo fianco, scrutando la folla di presenti con aria di sfida.
A quel punto, un gruppetto di Serpeverde del primo anno lo raggiunsero timidamente, schierandosi dietro di lui.
Uno dopo l’altro, quasi tutti i suoi compagni di dormitorio si unirono a lui.
Edmund sorrise loro con gratitudine: non avrebbe mai creduto di riuscire a convincerli con così poco.
Solo Malfoy e la sua gang rimasero fuori, scrutando il ragazzo con aria torva.
−Signor Von Telmar, – disse la McGranitt rivolta a Caspian – si occupi lei di Malfoy, Tiger, Goyle e Parkinson. Faccia però in modo che non corrano rischi durante il combattimento.
−Certamente, professoressa – rispose questi con un cenno del capo. – Avanti, voi, seguitemi!
Non appena i Serpeverde ebbero lasciato la sala, la McGranitt tornò a rivolgersi a Harry.
−Immagino che tu abbia un piano, Potter.
−Sto cercando una cosa appartenuta a Priscilla Corvonero. So che è qui – rispose il ragazzo.
−Allora noi professori ti copriremo. Buona fortuna, Potter.
−Grazie, professoressa.
La McGranitt gli strinse la spalla, gli occhi che luccicavano per le lacrime; poi tornò a rivolgersi ai presenti:
−Preparatevi alla battaglia!




Angolo Me

Buongiorno a tutti :)
Come state?
Io distrutta, ammaccata e un po' depressa, ma è bastato Edmund a farmi tornare il sorriso.
Del resto, come fai a non amarlo, dopo un gesto simile?
Io stessa sono rimasta sorpresa da lui, mentre scrivevo: avevo pensato di far evolvere il personaggio in questo senso, ma non avrei mai creduto che prendesse l'iniziativa in questo modo.
Per caso, capita anche a voi che i vostri personaggi vi facciano questi graditissimi colpi di testa a sorpresa? ;)
In ogni caso, grazie mille, Eddie! 
La prossima settimana inizierà a tutti gli effetti la battaglia di Hogwarts...preparate i fazzoletti!
Nell'attesa, vi invito tutti a passare nella mia nuova storia, sul fandom di "Lady Oscar": http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2898784&i=1
Si tratta di un crossover tra ben quattro opere diverse e ci tengo a conoscere il vostro parere.
Ne mentre, sto già pensando a una nuova storia...ma non vi dico nulla! ;)
Per saperne di più, vi invito a passarmi a trovare sulla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
Colgo l'occasione per ringraziare tutti voi per la vostra presenza e il vostro sostegno.
In questi giorni difficili, sapervi vicini è per me una spinta smisurata ad andare avanti, nonostante tutto.
Grazie <3
A martedì prossimo!

F.

 
   
   
      
 
 
 

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Capitolo 23
*** La Camera dei Segreti ***




Capitolo 23


LA CAMERA DEI SEGRETI
~

 

 
 
 
 
−Allora, fratello, qual è la prossima mossa? – domandò Jane trepidante mentre lei, Edmund, Susan, Neville, Luna, Ron e Hermione si stringevano attorno a Harry.
−Dobbiamo distruggere la coppa di Tassorosso e trovare l’ultimo Horcrux appartenuto ai fondatori – rispose lui nervosamente.
−E tutto questo in meno di un’ora. Fantastico.
−Potremmo dividerci i compiti – propose Edmund.
−Prego? – fece Harry esterrefatto.
−Oh, andiamo!
−E va bene. Voi non sapete come si distrugge un Hocrux, vero?
−Certo, non facciamo altro dalla mattina alla sera!
−Non è il momento, Jane! Serve qualcosa di potente. Una è la spada di Grifondoro e quella ce l’ho qui con me – proseguì Harry indicando la borsetta stregata di Hermione. – Un altro metodo sono i denti di Basilisco.
−Stai dicendo che qualcuno di noi deve entrare nella Camera dei Segreti? – esclamò Jane.
−Suppongo che il cadavere sia ancora lì. Con l’Erede di Serpeverde al seguito, non credo che tu abbia problemi.
Edmund assentì nervosamente.
−D’accordo – disse Jane. – Allora io ed Ed penseremo alla coppa. Voi cercate quell’altro.
−Ora sì che riconosco mia sorella! – esclamò Harry accennandole un sorriso.
−Muoviamoci, però. Il tempo passa – li avvertì Hermione.
Attorno a loro fervevano i preparativi per la battaglia.
Fiumi di studenti accorrevano verso i dormitori, cercando riparo.
I professori erano tutti riuniti nel cortile, intenti a elevare una potente barriera protettiva che avvolse il castello come una gigantesca bolla argentea.
−Hai idea di come si fa a entrare nella Camera dei Segreti? – domandò Edmund mentre rincorreva Jane per i corridoi ormai semideserti.
−Oh, è semplicissimo! Io e Harry ci siamo già stati in secondo anno, ricordi?
−E avete ucciso il Basilisco.
−Sì. Almeno la parte di affrontare il serpente gigante te l’abbiamo risparmiata.
−Molto gentile da parte vostra.
I due ragazzi si intrufolarono in un bagno fuori servizio del secondo piano.
Da dentro un cubicolo provenivano i singhiozzi sommessi di una ragazza.
−Tranquillo, è solo Mirtilla Malcontenta – lo rassicurò Jane proseguendo verso i lavandini. – È stata uccisa da…be’, hai capito.
Nell’udire la sua voce, l’occhialuto fantasma smise all’istante di singhiozzare, uscendo allo scoperto.
Nel vedere Jane da sola, la sua espressione carica di speranza mutò in puro disappunto, che aumentò spaventosamente nel momento in cui notò Edmund.
Tu! – esclamò puntandogli contro il dito. – Ora ti riconosco, dopo cinquant’anni qui dentro!
−Calma, Mirtilla! Non è stato lui a ucciderti! – cercò di riparare Jane.
Edmund chinò il capo, profondamente a disagio.
−Ti chiedo scusa a suo nome. Io…lo conosco bene – disse piano.
−Certo che lo conosci! Siete come due gocce d’acqua! – ululò Mirtilla.  
−No, su questo non possiamo proprio darti ragione! – tagliò corto Jane trascinando Edmund verso i lavandini.
–Si entra da qui – disse indicando un piccolo serpente a rilievo nascosto su un rubinetto. – Devi dirgli di aprirsi in serpentese.
Edmund inspirò nervosamente, fissando il serpente.
Apriti – sussurrò.
La sua voce gli proruppe dalla gola come un sibilo sordo, facendo rabbrividire Jane.
Ci fu un tonfo, poi il lavandino si ritrasse di lato, svelando un lungo scivolo buio nascosto nella parete.
−Dobbiamo saltare – disse Jane facendo per inerpicarsi sull’apertura.
−No. Vado prima io – la bloccò Edmund.
Jane gli abbozzò un debole sorriso mentre lui si issava sullo scivolo e si lasciava cadere giù.
Le sue urla riempirono l’intero condotto, fino a quando non si udì un tonfo sordo molti metri più in basso.
−Via libera! – gridò la voce di Edmund nell’oscurità.
Con un sospiro di sollievo, Jane lo seguì.
La sua discesa fu così rapida che non riuscì a frenarsi in tempo, travolgendo letteralmente il ragazzo.
Entrambi ruzzolarono su una catasta di ossa abbandonate lì da secoli.
−Che schifo! – ululò Edmund balzando in piedi.
−Scusami – mormorò Jane imbarazzata.
−Da che parte si va?
−Seguimi.
I due ragazzi presero ad arrampicarsi lungo lo stretto tunnel scavato nella roccia, le luci delle bacchette che danzavano tremule davanti a loro.
Superarono la frana crollata anni prima a causa di un incantesimo andato male e arrivarono di fronte a una grande porta di bronzo fermata da un intrico di serpi aggrovigliate.
Questa volta non ci fu bisogno di dire a Edmund cosa dovesse fare.
Apriti – sibilò.
Le serpi sciolsero il loro groviglio e la porta si aprì.
Il ragazzo cercò d’istinto le dita di Jane, che gli strinsero la mano con dolcezza.
Stavano per entrare nel luogo in cui erano iniziati tutti i loro problemi.
Davanti a loro, una lunga stanza sotterranea grande come una cattedrale si apriva a perdita d’occhio fino a raggiungere un gigantesco volto barbuto scolpito nella roccia.
−Salazar Serpeverde – spiegò Jane mentre si avvicinavano.
−Non mi somiglia – si affrettò a commentare Edmund in tono sbrigativo.
Da qualche parte a centinaia di metri sopra le loro teste si udì un tremendo boato, che fece vibrare minacciosamente le pareti.
Frammenti di pietra si staccarono dal soffitto.
−È cominciata – disse Jane con un brivido. – Dobbiamo sbrigarci.
I due avanzarono fino ai piedi della scultura.
Lì, l’intero pavimento era ingombro di uno scheletro lungo più di dodici metri.
Nonostante il Basilisco fosse morto da anni, i suoi resti facevano ancora paura.
Jane ricordava come fosse ieri la terribile battaglia che Harry aveva dato contro il serpente mostruoso, rischiando di venire ucciso.
−Dobbiamo prendergli i denti – disse Jane inginocchiandosi accanto alla carcassa. – Attento a non ferirti.
Con uno strappo deciso, la ragazza staccò di netto una delle tante zanne affilate come sciabole.
Edmund la imitò.
A quel punto, Jane estrasse la coppa di Tosca Tassorosso dalla bisaccia che portava al collo.
L’Horcrux dovette capire quello che stava succedendo, perché prese a ticchettare e ad agitarsi con violenza.
La zanna tremò con veemenza tra le dita di Jane.
−Faccio io – disse Edmund risoluto.
−No, Ed! È tuo padre!
−Lo chiami padre uno che ha permesso tutto questo? – ribatté lui, mentre un altro boato scuoteva il soffitto.
−Insieme?
−Insieme.
Edmund pose la mano su quella di Jane; poi affondarono il colpo.
Un urlo spaventoso proruppe dalla coppa, scagliandoli a terra, le dita sporche di sangue che schizzava copioso dallo squarcio che avevano aperto sulla sua superficie.
La coppa continuava a urlare e a sanguinare, fino a quando la versione diciottenne e dilaniata di Tom Riddle non si erse al centro della stanza, tendendo le mani verso di loro.
La sua somiglianza con Edmund era spaventosa.
Un’orribile ferita gli squarciava il torace, schizzando sangue ovunque.
Jane rivide come se stesse accadendo di nuovo il ferimento di Edmund, le interiora sparpagliate sul prato, l’odore del sangue che sembrava penetrato nelle ossa…
Con un urlo selvaggio, la ragazza affondò un altro colpo sulla coppa.
Riddle urlò ed esplose.
Nella Camera dei Segreti tornò il silenzio.
Edmund fissava Jane terrorizzato, il cuore che sembrava dovesse schizzargli fuori dalle orbite.
La ragazza si voltò verso di lui e, senza pensarci, lo baciò.
−Ehi, ma ti sembra il momento? – esclamò il ragazzo, sconvolto.
−Avevo bisogno di assicurarmi che fossi quello giusto – si scusò lei.
Nonostante stesse cercando di dissimulare lo shock, la voce e le gambe le tremavano in maniera incontrollata.
Edmund le circondò le spalle con un braccio.
−Tu sei troppo coraggiosa – mormorò stringendola a sé.
Jane affondò le dita nella felpa di lui.
Faceva fatica perfino a stare in piedi.
−Te la senti di camminare? – domandò Edmund piano.
−Sì…Per favore, torniamo dagli altri!
Il ragazzo la scortò fuori dalla Camera dei Segreti; poi, prima di uscire, si voltò un’ultima volta verso il suo interno.
−Cosa fai? – domandò Jane notando che il ragazzo aveva sollevato la bacchetta.
−Voglio accertarmi che nessuno in futuro ripeta gli errori dei miei avi – rispose lui. – Diffindo maximus!
Ci fu un tremendo boato; poi l’intera Camera dei Segreti crollò su se stessa.
Edmund trascinò via Jane appena un attimo prima di venire travolti da un cumulo di macerie.
Si rialzarono dopo minuti che parvero ore, ricoperti di polvere e di sangue.
−Andiamo – tossì Edmund tendendole la mano. – Harry ha bisogno di noi.




Angolo Me

Buongiorno e bentrovati :)
Ve l'aspettavate questa visita nella Camera dei Segreti da parte di Edmund e Jane?
Senza nulla togliere a Ron e Hermione, * il cui bacio secondo me sarebbe venuto dieci volte meglio in occasione del salvataggio degli elfi domestici * non vedevo proprio l'ora di scrivere questa scena!
Spero solo che vi sia piaciuta, per quanto abbia un po' stravolto le cose...
Mi spiace dirlo, ma siamo arrivati al terzultimo capitolo * la mia vita non ha più senso! *
Se avete comunque voglia di cimentarvi nella lettura di qualche altra mia creazione, sono lieta di informarvi che sul fandom di "Lady Oscar" è appena uscita una nuova storia: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2925275
Per tutti gli avvisi, anteprime e aggiornamenti, invece, potete farmi visita sulla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
"L'ultimo Erede" tornerà come sempre martedì prossimo.
Un bacio e grazie a tutti voi per le vostre bellissime recensioni, i consigli e, specie in questo periodo un po' particolare, il sostegno.
Un abbraccio :)

F.

 
 
 

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Capitolo 24
*** Harry deve morire ***



 

Capitolo 24
 

HARRY DEVE MORIRE

~

 

 

 

 

Edmund e Jane non si sarebbero mai immaginati di trovare un simile spettacolo, una volta ritornati in superficie.
Gran parte del castello era crollata sotto gli incantesimi dei Mangiamorte e i corridoi erano disseminati di cadaveri, molti di essi irriconoscibili.
Urla ed esplosioni echeggiavano ovunque.
Il cortile era illuminato a giorno dai lampi degli incantesimi.
Maghi, giganti e ragni mostruosi combattevano all’ultimo sangue.
−Dobbiamo trovare Harry! – esclamò Jane in preda al panico, prendendo Edmund per mano.
I due si lanciarono in una corsa disperata per i corridoi, schivando incantesimi e affrontando più di un Mangiamorte che era riuscito a entrare fin dentro le mura interne.
L’aria caliginosa era diventata irrespirabile.
Improvvisamente, Edmund scivolò su qualcosa abbandonato sul pavimento, finendo lungo disteso.
Jane si fermò di colpo, le mani premute contro il volto, gli occhi sgranati per l’orrore.
−Cosa diav…?
Edmund abbassò gli occhi e per poco non svenne.
La cosa su cui era scivolato erano delle interiora umane, sparpagliate attorno al corpo privo di vita di Adam.
I suoi occhi blu erano ancora spalancati nel nulla, la bocca impastata di sangue.
Accanto a lui, le dita che ancora si sfioravano in quella morte atroce, c’era Natalie.
−No! NOOOOOO!
Edmund crollò sul corpo dell’amico, le spalle scosse dai singhiozzi.
Gli avevano fatto fare la stessa fine che spettava a lui.
Jane si precipitò al suo fianco, il volto rigato dalle lacrime, stringendolo in un forte abbraccio.
−La pagheranno! – ruggì il ragazzo scattando in piedi. – LA PAGHERANNO!
In quel momento, un nitrito acuto proruppe da sopra le loro teste.
Da uno squarcio nel muro erano appena atterrati Ulisse e Tenebrus, che raggiunsero al trotto i loro cavalieri.
I ragazzi montarono subito in sella, spronandoli a partire.
I due cavalli alati nitrirono e spiccarono il volo nella notte, sovrastando la battaglia.
La perdita del suo migliore amico aveva riempito Edmund di una furia cieca.
I suoi incantesimi spazzavano via qualunque cosa incontrassero.
Tutto il dolore accumulato in quei lunghi anni bui si riversava nella rabbia delle sue maledizioni, abbattendosi come una mannaia su coloro che gli avevano rovinato la vita.
Improvvisamente, tutti smisero di combattere.
La cappa di gelo era di nuovo piombata su di loro.
La voce di Voldemort tornò più sinistra e crudele che mai.
Avete combattuto con coraggio e avete perso. Lord Voldemort apprezza il coraggio e per questo vi concederà una tregua per permettervi di seppellire i vostri morti. Guarda, Harry, guarda i tuoi amici scegliere la morte per te. Non provi vergogna per questo, per aver permesso una cosa simile? Sì, Harry, queste vittime non ci sarebbero state se tu avessi scelto di consegnarti a me. Ora ti concedo un’ultima possibilità. Vieni ad arrenderti nella Foresta Proibita o ucciderò chiunque si trovi nel castello, fino all’ultimo uomo. A te la scelta. Io aspetterò.
Non appena la voce si placò, i Mangiamorte presero a ritirarsi, sciamando verso la Foresta Proibita insieme all’esercito di mostri che li avevano seguiti.
Nel castello piombò un silenzio carico di morte.
Jane virò verso il basso e atterrò di fronte a quello che un tempo era stato l’ingresso, ora ridotto a un cumulo di macerie.
Edmund la seguì, balzando giù da Tenebrus e prendendo a correre al suo fianco.
La Sala Grande era una distesa di cadaveri. Madama Chips passava in rassegna ciascuno di loro, coprendoli con un lenzuolo.
Studenti e membri dell’Ordine della Fenice piangevano in silenzio attorno alle barelle.
Caspian giaceva in un lago di sangue, mentre Susan tentava disperatamente di tergergli la fronte e pulirgli le ferite.
Lucy singhiozzava senza freno.
Stringeva qualcosa tra le dita, qualcosa di piccolo e fragile: era la mano di Nigel, il cui corpo senza vita giaceva sotto un lenzuolo bianco.
Peter la stringeva tra le braccia, la camicia stracciata e macchiata di sangue rappreso.
Jane si sentì gelare nel momento in cui vide la famiglia Weasley stretta attorno a qualcosa di disteso per terra.
Le urla di George riempivano l’intera Sala Grande.
Quando li raggiunse, scoprì che il lenzuolo steso a terra celava il corpo di Fred.
A pochi passi da lui, Lupin e Tonks giacevano senza vita in un angolo.
Nel vedere la cugina morta, Edmund lanciò un grido disperato, scoppiando in singhiozzi.
In quel momento, la porta della Sala Grande si aprì. Ron piombò ai piedi di George, gridando per la disperazione.
Harry e Hermione li raggiunsero.
Erano entrambi ricoperti di sangue.
Nel vederlo entrare, Jane lanciò un grido e si gettò tra le braccia del fratello, prendendo a singhiozzare sommessamente sulla sua spalla.
−L’Horcrux è distrutto – balbettò. – La Camera dei Segreti anche.
−Shhhh, calmati. Non abbiamo molto tempo – disse Harry. – Voldemort ha ucciso Piton.
Jane levò lo sguardo verso di lui.
−Perché?
−Aveva lui la Bacchetta di Sambuco. Ora Voldemort controlla uno dei tre Doni della Morte.
−E adesso che facciamo?
−L’unico modo per impossessarmene è andare nella foresta.
−NO!
−Ma prima c’è una cosa che devo controllare. È un ricordo di Piton. Me lo ha dato pochi istanti prima di morire.
Jane trattenne il fiato.
−Che cosa?
−Non lo so, devo controllare. Tu vieni con me?
−Certo che vengo con te!
−Allora seguimi.
Dopo aver lanciato un’occhiata nervosa a Edmund, Jane seguì il fratello fino nell’ufficio di Silente.
Insieme calarono il Pensatoio dal suo scaffale e lo posero al centro della scrivania, come era avvenuto molte volte nell’ultimo anno.
Harry sciolse il ricordo di Piton nel liquido argenteo.
−Andiamo? – domandò prima di immergervi il volto.
−Andiamo.
L’ufficio oscillò e scomparve mentre i due gemelli si immergevano nella memoria di Piton.
Due bambine giocavano in un parco illuminato dalla luce tersa del pomeriggio, mentre un ragazzino dai lunghi capelli scuri le osservava di nascosto.
Improvvisamente, una delle due bambine scappò via urlando.
−Mostro! Sei un mostro!
La sua compagna, quella con i capelli rossi, si rabbuiò, restando sola.
Harry e Jane ebbero un sussulto.
Quella era la loro vera madre all’età di undici anni.
Per la prima volta, Jane riconobbe i suoi tratti nel volto di lei: avevano lo stesso ovale del viso, gli stessi grandi occhi verdi velati di un’espressione a un tempo dolce ed energica.
Il ricordo cambiò.
Ora si trovavano sulla riva di un ruscello, il ragazzino con i capelli neri disteso accanto a Lily.
−Non devi darle retta. Tu sei speciale. Lei è solo invidiosa perché non lo sa fare – le stava dicendo lui.
−Sei cattivo, Severus – protestò Lily incrociando le braccia.
Il ricordo cambiò ancora.
Questa volta erano a Hogwarts, alla cerimonia dello Smistamento.
Lily e Severus erano uno accanto all’altra, lei più bella e radiosa che mai nonostante avesse appena undici anni.
−Evans, Lily! – chiamò una giovane professoressa McGranitt, i capelli ancora neri stretti nella crocchia di sempre.
Lei saltellò verso lo sgabello e si lasciò calare il Cappello Parlante sulla testa, che le scivolò fin quasi sugli occhi.
−Grifondoro! – annunciò questi dopo pochissimi istanti.
Lily saltò subito giù dallo sgabello e raggiunse di corsa i nuovi compagni di Casa, ma non prima di aver rivolto uno sguardo speranzoso a Severus, che stava ancora aspettando il suo turno.
−Piton, Severus! – disse la McGranitt dopo aver nominato diversi studenti.
Il giovane Piton caracollò verso lo sgabello con le spalle curve e si lasciò mettere il Cappello sulla testa.
−Serpeverde! – fu il verdetto di quest’ultimo.
Stupefatto e confuso, il ragazzo abbandonò lo sgabello a testa bassa, rivolgendo uno sguardo deluso verso il tavolo dei Grifondoro.
Lily stava parlando con un ragazzino dai folti capelli scuri scompigliati: era James Potter, il suo futuro marito.
Profondamente ferito, Piton si aggregò definitivamente ai Serpeverde, che lo accolsero con un applauso…
Una spirale di ricordi nebulosi prese a dipanarsi davanti agli occhi esterrefatti dei gemelli Potter.
Piton e Lily passeggiavano insieme per i corridoi, ridendo, quando improvvisamente James e i suoi amici li superarono di corsa, urtandoli.
I libri di Lily caddero a terra; Piton glieli raccolse educatamente, rivolgendo un’occhiata di fuoco a quella banda di teppisti…
Piton osservava in disparte James che chiacchierava con Lily.
Lei sorrideva e si arrotolava distrattamente una ciocca di capelli rossi attorno alle dita.
Improvvisamente, James si fece avanti e la baciò.
Tutto divenne buio…
James e i suoi amici si divertivano a torturare Piton appendendolo a testa in giù a un albero in riva al lago.
Il ragazzo tentava inutilmente di liberarsi, tra le risate di scherno dei presenti.
Lily urlava a pieni polmoni di smetterla…
−Chi vuole vedermi togliere le mutande a Severus?
Lily stava urlando contro Piton nel corridoio semideserto.
−Non chiedermi di tollerare le tue nuove amicizie, Severus. Sai bene chi non sopporto chi si proclama al disopra degli altri per la purezza del sangue. E poi chi sono veramente, questi Mangiamorte? Dai retta a me, lascia perdere…
Tutto tornò buio, a tal punto che i gemelli credettero che il ricordo fosse terminato.
Poi, improvvisamente, si ritrovarono nell’ufficio di Silente.
−Crede che il bambino della profezia sia il maschio dei Potter, il figlio di Lily! – stava supplicando Piton.
Sembrava disperato.
−La prego, signore, li protegga! Lui li ucciderà sicuramente! Sono pronto a fare qualunque cosa per proteggerli!
Silente lo studiava con freddezza.
−Davvero saresti disposto a fare qualunque cosa, Severus? – chiese dopo quella che parve un’eternità.
−Sì, signore.
Il ricordo tornò buio.
Quando l’immagine si ricompose, erano ancora nell’ufficio di Silente, ma sembravano trascorsi molti anni dalla scena precedente.
Il Preside appariva più vecchio e stanco che mai, la mano annerita dalla maledizione distesa sulla scrivania.
Piton gli si avvicinò reggendo un calice colmo di una pozione fumante.
−Ecco, beva questo. Serve a far circoscrivere la maledizione, ma solo per poco.
Col tempo, finirà per espandersi in tutto il corpo.
−Quanto mi resta?
Piton si lasciò sfuggire un sospiro.
−Un anno – rispose freddamente.
−Allora non abbiamo più tempo, Severus. Ho bisogno del tuo aiuto, ora più che mai. Pare che Voldemort abbia ordinato al giovane Malfoy di uccidermi. Se fallirà, allora si rivolgerà a te. Non ti impedirò di obbedirgli.
A quella richiesta, gli occhi neri di Piton si colmarono di orrore.
−No, non potete! – esclamò scandalizzato.
−Che altra scelta ho? Ormai sono condannato a morte. Ma se tu mi ucciderai, allora otterrai la piena fiducia di Lord Voldemort, che sicuramente ti consegnerà l’intera scuola di Hogwarts. Da lì, nessuno ti impedirà di proteggere Harry nella sua impresa, seppure a distanza.
−Ma perché proprio io? Potter, testardo com’è, non si farà mai aiutare da un assassino quale diventerò!
−Ascoltami, Severus. C’è una cosa di fondamentale importanza che dovrai rivelare a Harry solo ed esclusivamente quando Lord Voldemort si troverà al massimo della sua vulnerabilità. La notte in cui venne colpito dall’Anatema Che Uccide, un pezzo dell’anima di Voldemort si staccò e si conficcò nell’unico essere vivente rimasto nella casa: Harry stesso. Ecco il perché del suo dono di parlare ai serpenti o della sua connessione con la mente di Voldemort. Harry è un Horcrux.
−Che cosa mi sta dicendo? Che il ragazzo deve morire?
Entrambi i gemelli sbiancarono nell’ombra, pietrificati dall’orrore.
−Sì, Severus – rispose Silente con calma. – Deve morire. Ma è importante che sia Voldemort a farlo. È fondamentale per la riuscita del piano.
−Vuol dire che ha cresciuto quel ragazzo come un animale da macello in attesa del momento opportuno?
Piton era livido.
−Non è stata una mia scelta. Non è dipeso da nessuno. Ci sono cose, purtroppo, a cui non possiamo opporci, dal momento che sono di gran lunga più grandi e potenti di noi. Tu stesso ne hai fatto le spese, Severus. È stato il tuo amore per Lily a portarti fino a questo punto.
Con somma sorpresa dei due gemelli, gli occhi di Piton erano colmi di lacrime.
−Forse le cose sarebbero andate diversamente, se Minus non avesse tradito Lily e James – continuò Silente implacabile. – Poco tempo prima di morire, Lily mi confessò che ti avrebbe perdonato, se un giorno fossi tornato dalla sua parte. Aveva da poco avuto i gemelli. Voleva che fossi tu il padrino di Jane.
Piton si lasciò sfuggire un singhiozzo, che represse con un gesto sprezzante della mano.
−Somiglia così tanto a sua madre – disse in tono innaturale. – E quel Pevensie…continua a restare al suo fianco, nonostante sia un Serpeverde.
−Pevensie non è il suo vero cognome. In realtà, il ragazzo che riveste il suo nome non è altri che l’unico figlio di Lord Voldemort.
A quelle parole, Piton sbiancò.
−Come sarebbe a dire il figlio del Signore Oscuro? Ma non ha niente a che fare con lui!
−Sono lieto di sentirmelo dire da te. Jane somiglia molto a sua madre. In qualche modo, la dolcezza e l’attenzione di Lily verso i più deboli vivono ancora in lei. Stalle vicino, se puoi. Aiutala a restare sulla strada giusta quando scoprirà la verità.
−Lo prometto, signore, lo prometto…
Tutto sbiadì in una nuvola di vapore. I gemelli Potter si ritrovarono di nuovo nell’ufficio di Silente, deserto e devastato dalla battaglia, gli sguardi di entrambi orripilati e sconvolti.
−Vecchio…STRONZO! – ululò Jane scagliando una potente manata contro il Pensatoio.
Il bacile di pietra cadde a terra con violenza e si ruppe in mille pezzi.
La ragazza scoppiò in un pianto isterico, prendendo a calciare via e distruggere tutto quello che le capitava a tiro.
Non poteva credere a tutto quello che aveva appena udito.
Suo fratello…un Horcrux!
Ma la cosa peggiore era il modo in cui Silente aveva detto tutto questo a Piton, con quella irritante freddezza, giocando sui suoi sentimenti.
−Dove vai? – gridò, notando che Harry stava uscendo furtivamente dall’ufficio.
Il ragazzo non rispose, continuando a camminare a capo chino.
−NON VORRAI ANDARE NELLA FORESTA, VERO?
−Che alternativa ho? E pensare che facevo tante storie nel vederti fidanzata col figlio di Voldemort, io che ne ospito un pezzo da tutta la vita! Sai come si chiama, questo? Incesto! Ah, ah, ah!
Scoppiò in una risata priva di gioia, folle come il suo sguardo spiritato.
−Harry, per favore, no! È una follia! Voglio venire con te! TI PREGO!
Jane scoppiò in singhiozzi, strattonandolo disperatamente per la manica della felpa.
Ormai era in preda a un vero e proprio attacco di panico.
−Jane…per favore…JANE!
Harry l’afferrò per le spalle, costringendola a sedersi a terra.
Jane tremava in maniera incontrollata, afferrandogli gli abiti a singhiozzando forte contro la sua spalla.
Suo fratello, il suo unico vero fratello, stava per morire.
Sette anni vissuti insieme, in quel modo magico e ostile, che sarebbero scivolati via verso il nulla…
−No! Noooo! NOOOOOO! – gridò Jane non appena Harry fece per alzarsi.
Il profondo legame che la univa alla sua parte gemella le impediva di vedere le cose razionalmente, a costo di impedire la fine di tutto quell’orrore, anche se comportava il sacrificio più terribile.
−Harry, che cosa sta succedendo?
Edmund si fermò sulla soglia dell’ufficio, incredulo.
Evidentemente, era salito per assicurarsi che non fosse accaduta qualche altra catastrofe.
Nel voltare la testa verso di lui, Harry sentì la cicatrice bruciare più forte che mai.
−Sono un Horcrux, Edmund – disse con la voce rotta.
−COSA SEI TU?
Harry scoppiò in una risata stanca.
−Perdonami, Ed. Sono stato un vero pezzo di merda con te, proprio io che porto dentro di me un frammento dell’anima di tuo padre.
Si levò in piedi, lottando per ignorare le urla di Jane.
Quando lei fece per seguirlo, la Schiantò con un solo colpo di bacchetta.
Edmund lanciò un grido.
−Perché l’hai fatto? – esclamò indicando il corpo inerte della ragazza.
−Gli addii non sono mai stati il mio forte. Preferisco andarmene così, senza che lei veda.
−Cosa vuoi dire con questo?
−Non ho altra scelta. Sono un Horcrux. Se vogliamo fermare Voldemort una volta per tutte, allora deve essere lui a distruggermi con le sue mani. Solo allora potrà essere definitivamente sconfitto.
−NO!
Gli occhi scuri di Edmund erano sgranati nella stessa espressione di orrore che aveva assunto Piton nel Pensatoio.
−Ascoltami, Ed – proseguì Harry ponendogli una mano sulla spalla. – Questa battaglia non finisce con la mia morte. Resta solo il serpente da distruggere. Usate la spada o le zanne del Basilisco.
Una volta eliminata Jadis, Voldemort sarà un mortale come tutti gli altri.
Il volto di Edmund era rigato dalle lacrime.
−Sei davvero il mago più coraggioso che abbia mai conosciuto – disse il Prescelto abbozzando un sorriso. − Forse anche più magnanimo di Silente – soggiunse ripensando a quanto aveva visto nel Pensatoio. − Abbi cura di mia sorella, Ed. Non vorrei nessun altro uomo al suo fianco se non te.
−Avrò cura di lei meglio di chiunque altro, Harry. Te lo prometto! Lei…
Edmund non ce la fece a terminare la frase, la voce rotta dai singhiozzi.
−Buona fortuna – lo salutò Harry.
Si chinò un attimo sul corpo privo di sensi di Jane, sfiorandole la fronte con un rapido bacio; poi sparì nella notte.
Edmund si accoccolò al fianco della ragazza, stringendola tra le sue braccia e singhiozzando con il volto immerso nei suoi capelli.
Stava lottando furiosamente contro l’istinto di seguire Harry nella Foresta Proibita, ma sapeva che non aveva altra scelta se non quella di aspettare che il destino si compisse.
Fuori dalla finestra, una perfetta notte stellata risplendeva crudele sopra ciò che restava della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Improvvisamente, un lampo di luce verde illuminò l’oscurità.
Uno stormo di uccelli si levò in volo dalle cime degli alberi.
Poi tornò il silenzio.




Angolo Me

Ehm...buonasera!
Sono perfettamente consapevole che dopo questo capitolo mi odierete con tutta l'anima, ma purtroppo non ho potuto farci nulla: siamo nel bel mezzo di una battaglia e, si sa, in guerra la gente muore.
Già, ma perché proprio Adam, Natalie, Nigel e gli altri?
Sapete benissimo che io volevo molto bene a questi personaggi, alcuni dei quali sono stati presenti nella trilogia sin dall'inizio, tuttavia siamo prossimi a una fine e loro hanno scelto di salutarci così.
Lo so, stasera sono parecchio malinconica, ma vi prometto che questo è l'ultimo capitolo triste!
Nel prossimo, infatti, ci sarà la battaglia finale e decisiva.
Come immaginate lo scontro tra Voldemort contro suo figlio e il Prescelto finalmente alleati?
Con questa domanda, vi lascio all'attesa fino al prossimo martedì.
Purtroppo, questo è anche il penultimo capitolo della storia * di già?? eh, sì! *, ma non temete: ho già altri lavori in cantiere.
Se vi piacciono i thriller storici, potete dare un'occhiata a questa fanfiction, iniziata da poco: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2934251
Per restare aggiornati su tutte le altre anteprime e inziative, invece, vi invito come sempre a tenere d'occhio la mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
Un abbraccio e a martedì prossimo :)

F.




 

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Capitolo 25
*** La fine di Voldemort ***




Capitolo 25

LA FINE DI VOLDEMORT

~

 

 

 

 

Per Jane fu come risvegliarsi da un lungo e tormentato sonno.
Aprì gli occhi lentamente, le ossa indolenzite come se avesse appena ricevuto delle terribili percosse.
Solo allora si rese conto di trovarsi accoccolata contro il fianco di Edmund, le braccia di lui strette attorno al suo corpo fragile e smagrito, il mento appoggiato alla sua testa.

La ragazza sbatté gli occhi verdi nervosamente.
Fuori albeggiava e una debole luce grigiastra illuminava quello che un tempo era stato l’ufficio di Silente.
Solo allora ricordò quello che era appena accaduto.

Harry.
−NO! – gridò cercando di divincolarsi dalla presa di Edmund.
Il ragazzo cercò di trattenerla, non senza temere di farle male.
−È troppo tardi, Jane – disse prendendole il volto tra le mani. – Se n’è andato,
La ragazza scoppiò in singhiozzi, affondando le unghie nelle sue spalle.
Sapeva che il suo comportamento era folle ed egoista, che l’unica soluzione per fermare quell’orrore era il sacrificio di Harry.
Eppure questa nuova realtà senza di lui le risultava ostile e vuota, ben distante da quel mondo senza magia a cui aveva tanto desiderato ritornare solo pochi mesi prima.

−Harry voleva che continuassimo quello che aveva iniziato – cercò di consolarla Edmund. – Penso che non ci sia altro modo per onorare la sua memoria.
Jane annuì, le lacrime che scorrevano copiose sul suo volto pallido e insanguinato.
−Che facciamo? – chiese con la voce che tremava.
−Raduniamo gli altri e prepariamoci a riprendere la battaglia. Non so quanto manchi al ritorno di Voldemort.
Lei fece nuovamente un cenno d’assenso con il capo.
Edmund l’aiutò a rialzarsi in piedi, cingendole le spalle esili con un braccio.
In quel momento, Jane sembrava più piccola e fragile che mai.
Il ragazzo aveva quasi paura di spezzarla in due, se non fosse stato attento.

Nella Sala Grande nulla sembrava cambiato da quando erano sgattaiolati di sopra.
A quanto pareva, Harry si era allontanato senza essere visto, nascosto sotto il Mantello dell’Invisibilità.
Era evidente che non volesse affrontare un’altra scena straziante come quella dell’addio a sua sorella.

Nel vedere di nuovo i suoi compagni e la distesa di lenzuoli bianchi sul pavimento polveroso, Jane si sentì mancare.
Edmund la sorresse un attimo prima che le sue ginocchia cedessero, cercando di farle forza.

−Ciao, ragazzi. Che succede? – disse in quel momento Neville, venendo loro incontro.
Le loro facce furono sufficienti a fargli capire che era appena accaduta una cosa terribile.
−Harry… − provò a rispondere Jane, lottando contro nuove lacrime che lottavano per uscire. – Harry…
Non finì la frase.
In quel momento, la fredda voce acuta di Voldemort tornò a risuonare attraverso le pareti del castello.

Harry Potter è morto. I miei uomini lo hanno finito mentre tentava di fuggire dal castello, proprio nel momento in cui tutti voi vi sacrificavate per lui. Non c’è più speranza, ma il Signore Oscuro odia versare invano sangue di mago. Per questo vi offro la mia misericordia. Inchinatevi a Lord Voldemort e vi sarà risparmiata la vita. Continuate a ribellarvi a me ed io non risparmierò nessun uomo, donna o bambino della vostra famiglia. A voi la scelta.
Fu come se l’intero castello stesse collassando su se stesso, spaccato in due dall’urlo di disperazione che proruppe da ogni gola. Ron e Hermione si precipitarono verso il cortile, seguiti a ruota da Ginny e Luna. Jane si accasciò sul pavimento, svenuta, sorretta a malapena da Edmund e Neville. Le ci vollero diversi minuti per riprendere conoscenza. Era pallida come un lenzuolo e tremava dalla testa ai piedi.
−Harry… − continuava a ripetere, lo sguardo fisso nel vuoto. – Harry…Harry…Harry…
−Stanno arrivando i Mangiamorte – disse Neville lanciando una rapida occhiata verso l’esterno.
Nel sentir nominare gli assassini di suo fratello, Jane si levò in piedi barcollando.
−Portatemi da loro! – gridò sfoderando il suo peggior sguardo omicida. – Voglio vederli in faccia, quei luridi figli di puttana! Voglio dar loro una lezione esemplare!
−Non correre troppo – intervenne Edmund accompagnandola fuori, nell’alba grigia.
Sei una testa calda proprio come Harry, avrebbe tanto voluto aggiungere, ma al solo pensiero la gola gli fu scossa da un singhiozzo.
I Mangiamorte sciamavano come tanti pipistrelli neri nel cortile devastato del castello.
Voldemort apriva quel lugubre corteo, l’incarnato del volto simile a un teschio appariva più bianco che mai alla pallida luce dell’alba.
Ai suoi piedi, Nagini strisciava con un sibilo minaccioso.
Alle sue spalle, il torace poderoso scosso dai singhiozzi, stava Hagrid, sorreggendo il cadavere di Harry tra le braccia.

−NOOOOO!
Edmund dovette fare appello a tutta la sua forza per evitare che Jane si scagliasse dritta contro Voldemort.
Un lampo d’odio percorse i suoi occhi scuri mentre fissava suo padre.
La sua gioia perversa lo disgustava sopra ogni altra cosa.
Tra le braccia di Hagrid, Harry sembrava più piccolo che mai, un pupazzo privo di vita a cui avevano tagliato i fili.

−Mettilo ai miei piedi, Hagrid, dove ha il diritto di stare – disse Voldemort con un ghigno compiaciuto.
Il Mezzogigante obbedì tra i singhiozzi, deponendo il ragazzo sulla nuda pietra.
Nagini lo saggiò con la lingua, prendendo a girargli intorno minacciosamente.
Al fianco di Edmund, Jane strinse con rabbia la zanna di Basilisco nascosta nella tasca dei jeans.

−Ecco la fine del grande Harry Potter! – gridò Voldemort. – Un ragazzo come tutti gli altri che ha osato sfidarmi e ha perso. La battaglia è finita. Arrendetevi e sposate la mia causa. Non avete più alcuna scelta.
−SÌ, INVECE!
Tutti gli occhi erano puntati su Neville, che si era fatto avanti improvvisamente, da solo contro centinaia di Mangiamorte.
Nel vederlo così risoluto, Bellatrix scoppiò a ridere sguaiatamente.

−Paciock, vero? – disse Voldemort con calma. – Un discendente di una delle più illustri famiglie di Purosangue. Non ti disdegnerei tra le mie fila di Mangiamorte.
−Te lo puoi scordare! – gridò il ragazzo risoluto. – Credi di averci sconfitti con la morte di Harry, ma non è così! L’Esercito di Silente continuerà a lottare al suo posto fino alla fine!
Un coro di acclamazioni seguì il suo discorso.
Gli occhi di Voldemort furono percorsi da un fremito color rosso sangue, la bacchetta pronta a scattare.

−Molto bene.
Neville sapeva cosa stava per accadere.
Estrasse la bacchetta e si mise in posizione di attacco, quando notò qualcosa tra le macerie, a pochi centimetri dai suoi piedi: un vecchio cappello consunto…

Non fece in tempo a raccoglierlo, che Voldemort lo pietrificò con un solo gesto della sua Bacchetta.
−Ora avrete tutti la dimostrazione di quello che succede a chi si ribella a Lord Voldemort – disse avvicinandosi a lui.
Afferrò il Cappello Parlante e glielo schiaffò con malagrazia sulla testa.
−Non ci saranno più Case a Hogwarts, ma solo il verde e l’argento di Serpeverde.
Detto questo, Voldemort agitò nuovamente la bacchetta. Neville fu improvvisamente circondato da una palla di fuoco.
Finitus! – ruggì qualcuno tra la folla.
Le fiamme si spensero e Neville crollò a terra, annerito dal fuoco, mentre Edmund usciva allo scoperto con la bacchetta levata.
−Ancora tu? – sibilò Voldemort minaccioso.
−Sì, caro padre – rispose il ragazzo risoluto.
Voldemort non gli faceva più paura.
Solo ribrezzo e orrore.
E, ora che lo osservava dritto negli occhi, capiva quanto anche suo padre provasse gli stessi sentimenti verso di lui.

−Non so che razza di scherzo della natura sia tu, né come quella cagna traditrice di Alhena possa aver generato una simile feccia! – proseguì lo stregone. – Stavolta però non mi sfuggirai tanto facilmente. Avada kedavra.
Edmund chiuse gli occhi, aspettando il peggio.
Se lo era aspettato.
Eppure, in quel momento non accadde nulla.
L’Anatema Che Uccide gli era rimbalzato addosso.
Aprì gli occhi.
Jane era al suo fianco, la bacchetta levata, fissando Voldemort con odio.

−Con lui non funziona, bello mio – disse la strega con freddezza. – Non fintanto che la protezione di mia madre vive ancora dentro di me.
−Dimenticavo di avere una Potter ancora in vita – sibilò lo stregone in tono annoiato.
−Hai trascurato troppe cose, ultimamente – replicò Jane. – La tua totale impossibilità di comprendere l’amore ti ha reso cieco di fronte a cose che avrebbero potuto benissimo evitare tutta questa follia.
−Ancora con questa storia dell’amore? – Voldemort scoppiò in una risata fredda, senza gioia. – A che serve, l’amore, quando esistono magie di gran lunga più potenti?
−È proprio questo a fare di te una mezza sega – rispose Jane sprezzante.
Più di un Mangiamorte le scagliò contro un insulto osceno.
−Come, prego? – domandò Voldemort, la mano che gli tremava pericolosamente attorno alla bacchetta.
−Ti ha chiamato mezza sega – spiegò Edmund con calma. – E ha ragione. Nessuna magia è potente come l’amore. Guarda mia madre. Tu la desideravi e basta. Non hai mai capito che cosa provava, cosa avrebbe fatto per te. Io lo so come si è sentita. Lo vivo tutti i giorni, proprio grazie a una persona che dovrei chiamare nemica. Capisco perché, quando l’hai abbandonata e rinnegata, la sua mente già di per sé malata è capitolata nella follia. E capisco anche che cosa l’abbia spinta a tenermi, nonostante tutto, visto che in qualche modo per lei sarei sempre rimasto un pallido riflesso di te.
−Tutte sciocchezze! – gridò Voldemort, ma Edmund parve non ascoltarlo.
I suoi occhi guizzarono su Neville, che si era chinato sul Cappello Parlante e vi aveva appena estratto la spada di Grifondoro, prendendo a strisciare carponi verso Nagini.
Aveva urgentemente bisogno di concentrare tutti gli sguardi su di sé per allontanarli dall’amico.

−So che tu sei completamente privo di amore e per questo non lo capirai mai – proseguì. – Ma ciò ti ha portato a trascurare quanto avevi di più importante. Hai anteposto ad esso cose che ritenevi fondamentali. Immortalità. A che serve vivere per sempre, se resterai per sempre solo, senza nessuno di cui poterti fidare? Senza nemmeno un amico? Quante cose ti sei precluso. Persino l’amore di una donna, che, se solo avessi ricambiato almeno un po’, ti avrebbe forse reso un uomo diverso. Mi dispiace per te, per tutto quello che ti sei perso mentre eri intento a dilaniarti l’anima.
−Non una parola di più, lurido mostriciattolo!
Voldemort stava già alzando la bacchetta.
In quel momento, un grido atroce squarciò l’aria.
Neville abbassò la spada, lorda di sangue scuro, mentre la testa di Nagini rotolava sulle pietre del cortile.
L’ultimo Horcrux era stato eliminato.
Voldemort lanciò un urlo selvaggio, affondandosi le unghie nel petto.
Edmund fece da scudo a Jane con il suo corpo, preparandosi ad affrontare la sua ira.

In quel preciso istante, Harry balzò in piedi, la bacchetta levata.
Tutti ebbero un attimo di smarrimento, incapaci di rendersi conto se ciò che avevano di fronte fosse un sogno o la realtà.

−A noi due, Tom! – esclamò il ragazzo con decisione.
Ci fu un lampo di luce rossa; poi uno dei Mangiamorte stramazzò a terra privo di sensi.
Subito, la battaglia riprese più violenta che mai.
La rabbia e il dolore per le perdite subite aveva reso gli studenti e i professori più agguerriti che mai.
Nella calca infernale, Edmund notò con la coda dell’occhio Draco Malfoy dileguarsi verso i cancelli.
La strada gli fu sbarrata da Fenrir Greyback, che lo afferrò per il bavero e lo inchiodò a terra.

−Non così in fretta, piccolo traditore – disse il lupo mannaro passandosi la lingua sulle labbra.
Edmund non seppe neanche che cosa faceva.
In un attimo, un fiotto di luce rossa investì Greyback, scagliandolo lontano da Malfoy.
Il ragazzo si levò in piedi spaventato, mentre suo cugino lo superava per dare manforte agli altri.

In quel momento, Jane aveva appena Schiantato Yaxley e si preparava a correre in aiuto di Harry, che cercava Voldemort nella calca, quando il passo le fu sbarrato da Bellatrix Lestrange.
La ragazza non ebbe neanche il tempo di fermarla, che la strega la colpì con una maledizione.
Il dolore esplose in ogni singolo centimetro del suo corpo, schiacciandola a terra. Bellatrix rideva sguaiatamente, divertendosi a guardarla mentre urlava e si contorceva tra le macerie.

−Lasciala stare, puttana! – gridò Edmund, prendendola alle spalle.
La strega si girò con violenza, inchiodandolo a terra e piantandogli la bacchetta tra le costole.
Un dolore nauseante gli esplose dalla ferita per espandersi in tutto il corpo.

−Stavolta ti strangolo con le tue stesse budella, piccolo…
Ma Bellatrix non fece in tempo a finire la frase.
Tenebrus era piombato su di lei, le ali spalancate e gli zoccoli protesi in avanti.
Con un nitrito acuto, simile al lamento di uno spettro, il Thestral la colpì ripetutamente al volto, fino a quando la strega non stramazzò a terra, sfigurata e irriconoscibile, priva di vita.
Edmund e Jane si strinsero l’un l’altro, terrorizzati.
Il gigantesco cavallo alato ripiegò le ali sui fianchi, colpendo il ragazzo con il muso.

−G-grazie – balbettò lui sconvolto.
In quel momento, Harry aveva raggiunto Voldemort.
I due avevano preso a girarsi intorno come due belve, le bacchette pronte a colpire.

−Non intervenite, devo farlo io! – gridava Harry, lo sguardo fisso verso il suo mortale nemico.
−Perché non sei morto? – gridò Voldemort.
−Mia sorella e tuo figlio hanno ragione. Non hai proprio capito niente. La notte in cui tentasti di uccidermi, un pezzo della tua anima si attaccò a me, trasformandomi in un Horcrux, che hai distrutto poco fa. Ma ti dirò di più. Usando il mio sangue per risorgere, hai esteso la protezione di mia madre a te stesso. Ecco perché prima l’Anatema Che Uccide mi è rimbalzato addosso. Quella notte, tu non mi hai privato della protezione. L’hai solo resa più forte. E adesso siamo alla pari, uomo a uomo, mortale contro mortale.
−Non è ancora detta l’ultima parola! Con la morte di Severus Piton, sono diventato il legittimo possessore della Bacchetta di Sambuco, la più potente che ci sia!
−Quella bacchetta non ti darà mai obbedienza perché non è mai appartenuta a Severus Piton! Silente era d’accordo con lui, la notte in cui è morto. Ma c’è ancora un piccolo particolare che ti deve essere sfuggito. La notte in cui fu ucciso, Silente venne disarmato da Draco Malfoy, che a sua volta venne disarmato da me. Ora, indovina un po’ a chi deve adesso la sua fedeltà, la Bacchetta di Sambuco?
Per la prima volta, gli occhi rossi di Voldemort si colmarono di paura.
Expelliarmus!
Avada kedavra!
Un lampo accecante di luce investì il cortile.
Molti urlarono.
Poi, improvvisamente, tutto tornò visibile.
Harry reggeva tra le sue mani la Bacchetta di Sambuco.
Ai suoi piedi, i resti di Lord Voldemort giacevano abbandonati e privi di vita, senza più fare paura a nessuno.




Angolo Me

Ebbene sì, siamo giunti al penultimo capitolo :"(
Lo so, non me lo dite...SONO TRISTISSIMA!!!!!
Ergo, visto che ormai manca solo una settimana al Natale (che tra l'altro segna il dodicesimo anniversario da giorno in cui ho trovato il primo libro di Harry Potter incartato sotto l'albero, con tutte le devastanti conseguenze che ne sono derivate * tra cui questa fanfiction * ), cercherò di chiudere in bellezza con un capitolo che sicuramente vi lascerà con un sorriso sulle labbra.
E poi, tra le altre cose, non dobbiamo dimenticare di farci gli auguri!^^
Avrei tantissime cose da dirvi, ma preferisco tenermele per martedì prossimo...eh no, non voglio finire per ripetermi! ;)
Nel frattempo, vi lascio volentieri il link della mia altra storia aperta, sul fandom di Lady Oscar: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2898784&i=1
Neanche a farlo apposta, si tratta di un altro crossover, questa volta tra i film di avventura che mi sono rimasti più nel cuore.
Ci terrei davvero tanto se passaste a leggerla :3
Vi lascio anche il link della mia pagina Facebook, dove potrete tenere d'occhio le mie varie follie a tempo perso: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
Un abbraccio a tutti voi e a presto <3

F.










 

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Capitolo 26
*** La fine e l'inizio ***




Capitolo 26

LA FINE E L’INIZIO

~

 
 
 
 
Era finita.
Era davvero finita.
Jane non riusciva a crederci.
Era stordita, incredula, spaventata.
Tutto le scorreva attorno come in un sogno.
Vedeva la folla di Mangiamorte sciamare e cadere sotto gli ultimi incantesimi; avvertiva le braccia forti di Edmund che le cingevano le spalle in un abbraccio protettivo, le urla di trionfo che l’attorniavano in ogni dove.
Voldemort non c’era più.
L’incubo era finito.
Spiaccicati, stritolati,
ben tritati, poi frullati
e oplà... eccoli spariti!
Non sapeva né come né perché, ma l’unica cosa che le veniva in mente in quel momento era la disgustosa canzoncina con cui iniziava Le Streghe di Roald Dahl, quel macabro racconto per ragazzi che aveva letto solo qualche giorno prima che la sua vita cambiasse per sempre.
Allora la Strega Suprema era solo una sua fantasia.
Non credeva che potesse esistere davvero una donna così spaventosa.
Né tantomeno che potesse essere la madre del ragazzo che amava.
−Jane, − sussurrò Edmund a pochi centimetri da lei, il volto più luminoso che mai bagnato dalla luce dell’alba – è finita.
La ragazza gli gettò le braccia al collo e lo baciò con tutta la passione e l’amore che ardevano dentro di lei, immergendo le dita nel mare scuro dei suoi capelli.
In quella interminabile notte di orrori aveva dimenticato che cosa fosse la felicità.
Per un attimo, aveva creduto di non poterla provare mai più.
Ora avrebbe avuto tutta l’eternità per viverla a fondo.
−Ti amo! – gridò con il capo rivolto al sole nascente, la voce scossa da una risata argentina per la prima volta dopo tanto tempo.
Edmund rise con lei e la circondò con le braccia, baciandola ancora.
−È finita! È FINITA!
In quel momento, gli occhi di Jane incontrarono quelli di Harry.
Le iridi gemelle brillarono all’unisono.
Un attimo dopo, la ragazza travolse il fratello con così tanta foga che entrambi rotolarono a terra, scoppiando a ridere come se avessero avuto ancora dieci anni.
−Ce l’hai fatta, ce l’hai fatta! – gridò Jane scompigliandogli i capelli per gioco.
Subito vennero sommersi dalle braccia di Ron, Hermione, Susan, Luna, Ginny e Neville.
Hagrid li raggiunse a grandi passi, afferrando i due gemelli con tanta foga da staccarli da terra.
−Non provare mai più a farmi uno scherzo del genere, Harry! – gridò assestandogli una potente manata sul capo.
Harry rideva, nonostante fosse letteralmente distrutto.
I suoi occhi si posarono su quelli di Edmund.
Per la prima volta da quando lo conosceva, la cicatrice non bruciò.
−Sono fiero di te – gli disse posandogli una mano sulla spalla. – Tutta la Casa di Serpeverde lo deve essere.
 
***
   
 
Restare soli in quella bolgia fu davvero difficile, per i due gemelli.
Ovunque andassero, la gente li fermava e li abbracciava.
Dopo quella terribile notte, entrambi non avevano molta voglia di parlare.
Per questo, non appena fu possibile, si gettarono il Mantello dell’Invisibilità sulle spalle e si defilarono verso il parco, trovando un attimo di tranquillità presso il vecchio albero sotto cui avevano trascorso momenti indimenticabili insieme a Ron e Hermione.
Le rovine del castello erano una sagoma scura che si specchiava nel lago.
−È tutto così strano – commentò Harry.
Improvvisamente, non esisteva più un Voldemort da combattere, Horcux da cercare, pericoli da affrontare.
L’incubo durato sette anni era svanito.
La cicatrice non gli avrebbe mai più fatto male.
Era solo un brutto segno rosso sulla fronte.
Tutto questo lo inquietava.
Il vuoto che gli si apriva davanti lo rendeva nervoso e insicuro.
−Non è del tutto finita – rispose Jane. – Ora ci saranno tutti i processi contro i seguaci di Voldemort, a cui temo che dovremo testimoniare. C’è Hogwarts da ricostruire, i funerali da celebrare…
La voce le tremò in gola.
−Sembrerà una passeggiata, in confronto a quello che abbiamo vissuto – osservò Harry.
−Sì – Jane gli sorrise, prendendogli la mano. – Credevo di averti perso per sempre, fratello mio.
−Sono stato un coglione, devo ammetterlo. Non avrei mai dovuto lasciare te ed Edmund da soli. Il modo per proteggervi c’era! Avrei voluto tornare, ma non ne avevo il coraggio. E poi sono dovuto scappare via di corsa quando i Mangiamorte ci hanno attaccato durante il matrimonio di Bill e Fleur. Sono stati dei mesi di inferno e avrei tanto voluto che ci fossi tu al mio fianco, specie quando Ron e Hermione hanno litigato…
−Tanto lo sapevo che tornavi – lo interruppe Jane ridendo. – Sei mio fratello. Ti conosco, ormai.
Harry arrossì lievemente.
−Avresti dovuto capire che Voldemort non mi aveva ucciso per davvero – commentò.
−Ah, sì? E come?
−Il quarzo. Se fossi morto, si sarebbe spezzato.
Jane si frugò sotto la maglietta e vi estrasse il quarzo rosa.
Era ancora intatto.
−Ti pare che in una situazione del genere sarei stata dietro a un ciondolo? – rispose aggrottando le sopracciglia.
Harry scoppiò a ridere.
−Mio fratello…un Horcrux. Questo è il colmo.
Ero un Horcrux, vorrai dire.
−Meno male – Jane gli sfiorò la cicatrice con le dita. – Almeno da adesso in poi ti lascerà in pace. Peccato però che hai perso la capacità di parlare con i serpenti. Era figo.
−Ci penserà Edmund a fare da interprete.
La ragazza gli sorrise.
A qualche centinaio di metri da loro, la famiglia Pevensie era riunita sulla riva del lago, finalmente insieme.
Susan e Caspian erano seduti sull’erba, mano nella mano, osservando i fratelli che giocavano con Lucy.
Edmund rideva, sollevando la sorellina tra le braccia e crollando puntualmente a terra.
Il suo viso illuminato di gioia era veramente bello, limpido e puro come avrebbe dovuto essere quello di Tom Riddle se non fosse stato corroso dal male.
−Quel ragazzo è un miracolo – disse Harry osservando la scena divertito.
−Alla fine, avremo sempre qualcosa a che fare con Voldemort – fece Jane con una scrollata di spalle.
−Siete proprio decisi a restare insieme, voi due?
−Che domande! Mi sembra un ottimo proposito per ricominciare, no? Grifondoro e Serpeverde insieme.
−Sempre di larghe vedute, vedo.
−Ma è vero!
Harry rise, il vento che gli scompigliava in capelli neri e arruffati.
−Ma sì, in fondo credo che andremo d’accordo.
−Hai ancora dubbi su di lui?
Il ragazzo le fece l’occhiolino.
−Sappi che non smetterò mai di tenerlo d’occhio.
−Non cambierai mai!
I due gemelli si distesero entrambi sull’erba, contemplando il cielo azzurro.
Ulisse pascolava a pochi metri da loro.
Un’aria di primavera accarezzava le montagne per la prima volta dopo il lungo inverno.
Tutto era immerso nella calma più totale.
−Quale sarà la nostra prossima mossa, ora che è tutto finito? – mormorò Jane.
−Per adesso ci riposiamo. Poi, si vedrà. Credo che ne abbiamo abbastanza per una vita intera – rispose Harry, le palpebre sempre più pesanti.
Jane lo imitò, chiudendo gli occhi e rilassando la mente.
Il sonno arrivò dopo pochi minuti, cancellando lentamente gli ultimi rimasugli degli orrori che era stata costretta a vivere negli ultimi tempi.
Sognò di essere di nuovo a casa, tra i Babbani.
Era ancora una bambina di dieci anni, convinta che la magia esistesse solo nelle fiabe.
 
 
 
 
Diciotto anni dopo
 
 
 
 
La station wagon metallizzata si fermò sotto la pioggia battente.
Una donna minuta dalla fluente chioma di capelli scuri controllò per un attimo il suo riflesso nello specchietto retrovisore, gli occhi verdi che brillavano da dietro le lenti degli occhiali da sole.
La radio gracchiava un pezzo rock che andava molto di moda nell’ultimo periodo.
In quel momento, una folla di bambini prese a riversarsi sul marciapiede.
Jane riconobbe al volo suo figlio: era sempre l’ultimo, con la divisa stropicciata nonostante le cure e i corti capelli scuri arruffati dal vento.
Entrò in macchina con passi pesanti, schiaffando la cartella in mezzo alle gambe.
−Qualcosa non va, David? – domandò Jane dolcemente.
−Ho litigato con Eileen – rispose il bambino in tono imbronciato. – Le ho dato della strega.
Sua madre non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
−Ma no, poverina! Lo sai che nel mondo babbano è un insulto.
−Io ho provato a spiegarle che non è così, che anche mia madre è una strega. Lei l’ha detto alla maestra e io mi ha messo una nota. Che bel regalo di Natale!
−Immagino che Mrs Cheater abbia convocato me e papà per un colloquio.
−Esattamente.
Jane sospirò divertita.
Suo figlio era indolente e orgoglioso proprio come lei e Harry, ma aveva anche la stessa lingua biforcuta di Edmund.
Sarebbe stato un Serpeverde perfetto, l’anno successivo.
In fondo, era l’esatto opposto di Adam, il suo fratello maggiore, spedito a Grifondoro non appena il Cappello Parlante si era posato sulla sua testa.
−Quando mi arriverà la lettera da Hogwarts? Sono stufo di questi Babbani! – piagnucolò Adam mentre Jane metteva in moto e si dirigeva verso Hogwarts.
−Con calma, David. In fondo, il tuo compleanno è domani.
−Ma io voglio andarci! So già parlare ai serpenti.
Jane scoppiò a ridere.
−Se vuoi, durante le vacanze di Natale andiamo tutti insieme a Diagon Alley, così inizi a sceglierti il manico di scopa. Ma prima devi promettermi che chiederai scusa a Eileen per il tuo comportamento.
−Ma io…
−Non fare il testone con me. So che le vuoi bene.
David sbuffò.
I suoi occhi verdi erano velati di dispiacere malcelato.
−E va bene. Quando vado a casa posso telefonarle? Tu però stammi vicina.
−Certo che ti sto vicina.
La pioggia crebbe di intensità mentre madre e figlio si avviavano lungo i binari di King’s Cross e oltrepassavano furtivamente il binario nove e tre quarti.
Nel fumo della banchina, c’erano Harry e Edmund, entrambi ancora vestiti con le loro divise da Auror.
Ginny stava parlottando con Ron e Hermione, anche loro in attesa dei figli di ritorno da Hogwarts per le vacanze di Natale, e i due maggiori dei Pevensie.
Non appena la vide arrivare, Edmund si staccò dal gruppo e corse a salutarla con un rapido bacio sulle labbra.
Aveva i capelli di poco più corti rispetto ai tempi della scuola e si era lasciato crescere quel poco di barba che bastava a renderlo ancora più affascinante.
−Come sta il nostro campione? – domandò sollevando David tra le braccia.
−Si è preso una nota per aver dato della strega alla sua migliore amica – rispose Jane ridacchiando.
−Un’altra? Sei proprio il degno nipote di tuo zio! – esclamò Edmund divertito, alludendo a Harry.
−Piccola serpe! – fece lui scompigliando i capelli del bambino.
Al suo fianco, Ginny sorrideva radiosa, tenendo per mano Lily e Albus, i figli minori.
In quel momento, l’Espresso di Hogwarts arrivò fischiando.
In pochi minuti, una folla di studenti si riversò sulla banchina.
Alto, dinoccolato e arruffato, Adam Pevensie li raggiunse a grandi passi sulla banchina, gli occhiali storti sul naso lentigginoso.
Al suo seguito c’era James Potter, che si fiondò subito tra le braccia dei genitori.
Pochi istanti dopo li raggiunsero anche Evelyn e Igor, rispettivamente i figli di Peter e Susan.
−Sono stato preso anch’io nel Grifondoro! – annunciò Adam in tono orgoglioso. – Sono un Cacciatore!
−Ottimo lavoro, campione! Tu e James gli darete una bella lezione ai Serpeverde, quest’anno!
−HARRY!
−Scusa, sorellina.
−Non date retta a vostro zio. È sempre molto di parte… − intervenne Edmund scherzosamente.
−Cosa vorresti dire con questo, caro collega?
Lui e Harry finsero di guardarsi con aria di sfida, ma smisero subito.
−Allora stasera vi aspettiamo dai miei – disse Jane rivolta a Ginny, Ron, Hermione, Susan e Peter. – Ci saranno anche Dennis e Laura con i figli. Sarà una bellissima festa.
−Caspian mi ha appena mandato un gufo. Stasera ci sarà anche lui – rispose Susan raggiante.
Da quando era stato assunto a Hogwarts come insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, stare dietro a tutti gli impegni del marito era diventata un’impresa, soprattutto per non creare disagi a Igor, il loro unico figlio.
Susan, che nel mentre aveva iniziato a lavorare come avvocato in uno studio babbano, faceva continuamente la spola tra la scuola e Londra, anche se era ormai in cantiere il progetto di chiedere il trasferimento in posto più vicino alla sede lavorativa del marito.
−Allora ci vediamo stasera – salutò Jane baciando gli amici sulle guance. – A dopo!
I Pevensie e i Potter si allontanarono sulla banchina, David che aveva già preso a tempestare Adam di domande su tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi di assenza.
Jane ed Edmund si presero per mano con un sorriso mentre avanzavano di nuovo verso la barriera, pronti a confondersi ancora per poche ore nel mondo dei Babbani completamente ignari della meraviglia che si nascondeva proprio davanti ai loro occhi.
−Tuo fratello Dennis mi ha già fatto recapitare il suo regalo di Natale – disse Edmund mentre tornavano alla stazione.
−Che cos’è? – domandò Jane.
−Dovrebbe essere una torcia. L’avrò smontata e rimontata una ventina di volte, ma non sono ancora riuscito a capire come diavolo funziona!
Jane scoppiò a ridere.
−Appena arriviamo a casa, te lo spiego – rispose scuotendo il capo.
Non appena accostarono con l’automobile il vialetto della piccola villetta di periferia, Jane non poté fare a meno di notare un gufo appollaiato sul tetto.
Aveva una lettera vergata di verde stretta attorno alla zampa.
La strega sorrise.
Sicuramente, David non avrebbe mai dimenticato quel giorno.
 
 
 
 
 
 
FINE


 
 
 



Ringraziamenti

 
 
Ebbene sì, siamo arrivati alla fine di questa avventura iniziata lo scorso marzo, ma le cui radici affondano nel lontano Natale del 2001, quando trovai sotto l’albero una copia di Harry Potter e la Pietra Filosofale.
Da lì è iniziato il mio viaggio nel mondo della magia.
Ho divorato la saga in pochissimo tempo, aspettando con impazienza l’uscita di un nuovo libro o di un nuovo film.
Ho fangrilleggiato come una pazza insieme a parenti e amici prima ancora che questa parola diventasse parte del vocabolario di ogni adolescente che si rispetti, con somma preoccupazione di genitori e insegnanti
Per anni ho conservato foto e ritagli di articoli di giornale (persino dei vecchi Topolino!) in cui annunciavano qualsiasi anteprima.
E sì, ho sempre desiderato avere un ragazzo che assomigliasse a Harry.
Le Cronache di Narnia sono arrivate qualche anno dopo.
Le ho scoperte per caso, quando mi trovavo in quarto ginnasio, e subito non ho potuto fare altro che accostarle all’universo creato dalla Rowling.
Senza contare il mio amore a prima vista per Edmund, il mio unico vero alter ego letterario.
Abbiamo lo stesso carattere, in fondo.
Come non spedire anche lui nella Casa del famigerato Salazar Serpeverde?
L’idea di unire le due saghe mi è ronzata per anni nella testa, fino a quando, a ridosso della laurea, ho deciso di darle finalmente vita.
E così è nata questa trilogia, quasi per gioco; eppure questo gioco è stato assai serio.
La gioia più grande è stata quella di condividere questa avventura con voi lettori, che mi avete accompagnata in ogni singola tappa senza stancarvi mai, anzi, incoraggiandomi a scrivere ancora e ancora, per non giungere mai alla fine.
Un’avventura che mi ha portata anche a conoscere delle persone meravigliose come Joy, Annalisa, Alice e tanti altri, con cui sono nate tanto altrettante meravigliose amicizie.
Un’avventura che mi ha permesso di crescere sia a livello artistico (se artistico si può definire) e personale, scavando in profondità nelle psicologie spesso contorte dei miei personaggi per scoprire cose fantastiche e, talvolta, terribili.
Un’avventura con cui sono cresciuta e che ora saluto con gioia come una “vecchia amica”, consapevole di tutto ciò che mi ha dato, che spero di far fruttare negli anni che verranno.
Per questo il mio ringraziamento più speciale va a J. K. Rowling per avermi permesso di viverla appieno, trasmettendomi sin dall’infanzia quei valori che dovrebbero essere considerati parti imprescindibili di noi stessi, come l’amicizia, il coraggio, la forza di affrontare i pregiudizi e comprendere il diverso…ma soprattutto l’importanza dell’amore, la cui forza è imprevedibile quanto potente.
Grazie anche a C. S. Lewis, per aver dato vita a una delle saghe fantasy più belle della letteratura inglese, e a tutti gli artisti che hanno ispirato ogni singola scena: The Ark, Elisa, i Litfiba, Ivan Torrent, Alexandre Desplat, Sia e molti altri che non sto qui a menzionare perché temo che la lista continuerebbe per molte pagine.
Grazie infine a tutti voi lettori, per il vostro sostegno e la vostra presenza costante che hanno reso possibile tutto questo.
Sono felicissima di avervi avuti accanto per quasi due anni e spero che continueremo a sognare insieme.
Il mio abbraccio più grande, insieme ai miei auguri di Natale, va tutto a voi! <3
Grazie di cuore per tutto!
Vostra
 
Fedra
 
 
   
   
    
   
    
 

    
   
   
   
   
 

       
    

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