Ti stupisci che io provi un'emozione? di ElPsyCongroo (/viewuser.php?uid=69204)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pochi istanti in cui ci sentivamo vivi. ***
Capitolo 2: *** Come un pianoforte con un tasto rotto. ***
Capitolo 3: *** I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole. ***
Capitolo 1 *** Pochi istanti in cui ci sentivamo vivi. ***
Capitolo
1. Pochi istanti in cui ci sentivamo vivi
Il fuoco
divampava
nel buoi di quella notte, illuminando la piccola radura e sciogliendo
la neve
che a fatica riusciva a posarsi sul terreno. Il sergente si
avvicinò cauto alle
squadre di soccorso intente a domare l’incendio e
oltrepassò i cancelli
diventati roventi. Si fermò al centro del cortile e
osservò senza troppo
interesse l’edificio che davanti ai suoi occhi si stava
consumando pian piano.
Avanzò di alcuni passi ancora per seguire meglio le
operazioni della polizia.
Avevano trovato il corpo di una ragazza in mezzo alla neve,
probabilmente era
caduta dal tetto dell’edificio morendo sul colpo. Il fuoco
che bruciava alle
loro spalle le illuminò il viso, e lui poté
notare la bellezza di quel viso,
sembrava di porcellana, messo in risalto dal netto contrasto con i
capelli scuri.
Ma la cosa che più attirò la sua attenzione fu il
sorriso felice che sembrava
dipinto talmente era perfetto. Altri due uomini erano impegnati a
portare sulla
barella un altro corpo trovato tra le rose del cortile: era un ragazzo,
anche
lui con un debole sorriso sul volto.
«Ma
che avevano
tanto da sorridere questi due? Sono morti, non pensavo fosse
divertente…»
Entrò
in quel poco
che restava dell’atrio, straziato dalle fiamme.
L’edificio non era ancora del
tutto agibile, in molte aree il fuoco era ancora nel pieno della sua
violenza,
ma era incuriosito da quel luogo. Sul muro annerito di fronte a lui,
accanto a
un orologio a pendolo consumato dall’incendio, lesse una
frase scritta di rosso
“I matti sono apostoli di un Di che non li vuole”.
«Macabro. Inizio a dubitare
della validità di questo posto.» Solo allora
notò il cadavere carbonizzato ai
piedi dell’orologio. «E siamo a tre. Non credo che
sia rimasto qualcuno vivo.»
«Sergente!»
Un
poliziotto si avvicinò a lui di corsa, stringendo al petto
quella che sembrava
essere una cartella clinica.
«Ho
trovato questi
documenti, è poco ma purtroppo l’incendio non ha
risparmiato molto. Li abbiamo
trovati in quello che doveva essere l’ufficio del direttore,
in una delle zone
in cui è divampato uno degli incendi.»
«Uno
degli
incendi?»
«Sì
sergente. I
vigili del fuoco affermano che si è trattato di vari incendi
provocati in
momenti diversi e in zone diverse, probabilmente per creare
più danni
possibili.»
«Capisco.»
Il sergente
prese i documenti che erano scampati alla furia delle fiamme e li
studiò con
cura. Era un elenco dei pazienti lì ricoverati, con foto,
nome, età e breve
background. Infine vi era riportata la patologia di ognuno.
D.Gray
Hospital
Casa
di cura e accoglienza per gli apostoli speciali di Dio
Lenalee Lee
Sesso: femmina
Data di nascita: 11 maggio
(età al momento del ricovero: 16)
Background: dopo
numerosi abusi subiti da parte della famiglia e di alcuni conoscenti di
essa la
ragazza è stata presa in custodia dal fratello Komui Lee,
direttore del D.Gray
Hospital, ed è stata ricoverata all’interno della
struttura.
Patologia:
attacchi di panico, disturbo ossessivo compulsivo, psicosi.
Road Kamelot
Sesso: femmina
Data di nascita: 20 giugno
(età al momento del ricovero: 14)
Background: non si
conosce molto del passato della paziente a causa della non
collaborazione da
parte della stessa di fornire dati su di sé. Si
presentò al D.Gray Hospital di
sua iniziativa.
Patologia:
schizofrenia.
Miranda Lotto
Sesso: femmina
Data di nascita: 1 gennaio
(età al momento del ricovero: 26)
Background: rimasta
sola al mondo dovette iniziare a lavorare sin da piccola. Dopo aver
lavorato a
lungo come cameriera fu assunta come domestica dalla famiglia Lee.
Lavorò alle
loro dipendenze per alcuni anni finché decise di andarsene
non potendo
sopportare le condizioni in cui la piccola Lenalee Lee era costretta a
vivere.
Da quel momento non riuscì più a trovare lavoro a
causa delle maldicenze
diffuse dalla famiglia Lee.
Patologia:
depressione maggiore.
Lavi Bookman
Junior
Sesso: maschio
Data di nascita: 10 agosto
(età al momento del ricovero: 18)
Background: orfano di
guerra fu cresciuto da un amico di famiglia che lo portò in
giro per il mondo.
Il ragazzo, a causa delle numerose guerre e morti a cui
assisté, inizio a
essere “problematico”, e l’ormai anziano
tutore lo affidò alle cure del D.Gray
Hospital.
Patologia:
personalità multipla (ancora da verificare: autismo)
Yu Kanda
Sesso: maschio
Data di nascita: 6 giugno
(età al momento del ricovero: 19)
Background: visse in
un laboratorio di ricerca sin da bambino, e fu lui stesso soggetto di
alcuni
esperimenti. Raggiunta la maggiore età sperava di poter
lasciare quel luogo ma
gli fu impedito, e riuscì nel suo intento solo a causa di un
incidente che
portò alla morte di tutti i ricercatori. Ancora oggi si
rifiuta di fornire
spiegazioni in merito.
Patologia:
non è stata individuata una patologia psichiatrica definita,
si può individuare
sociopatia e crisi aggressive fuori controllo. Possibile individuo
borderline.
Allen Walker
Sesso: maschio
Data di nascita: 25
dicembre (età al momento del ricovero: 15)
Background:
abbandonato dai genitori a causa di una deformità al braccio
sinistro è stato
cresciuto inizialmente dagli artisti di un circo, in seguito
è stato adottato
da uno di essi con il quale ha viaggiato per il mondo. Dopo la morte
del padre
il ragazzo ha vissuto solo in mezzo a una strada.
Patologia:
grave forma di dissociazione di personalità, accompagnata da
deliri e
allucinazioni.
«Interessante
ricettacolo di pazzi…» Il sergente
tornò nel cortile e si mise a guardare l’edificio
in fiamme, una casa a due
piani adibita a centro di accoglienza per coloro che soffrivano di
disturbi
mentali. Si trattava di un centro di piccole dimensioni
poiché il direttore, il
dottor Komui Lee, voleva prendersi cura della sorella in un luogo il
più
possibile accogliente e pacifico, e non riteneva che un ospedale
psichiatrico
di grandi dimensioni fosse adatto. Nel piccolo centro in cui lavorava
aveva
deciso di accogliere anche coloro che non potevano permettersi cure
psichiatriche, ed era aiutato da un medico di grande fama, il dottor
Cross
Marian, e da alcuni collaboratori accuratamente scelti tra coloro che
avevano
fatto richiesta.
«Sergente
Link!
Sergente! Abbiamo trovato un superstite!» Link si
girò di scatto verso il
poliziotto che l’aveva chiamato e che gesticolando
freneticamente tentava di
attirare la sua attenzione verso la squadra medica che trasportava
qualcuno su
una barella. Corse in quella direzione, intenzionato a ottenere
risposte su
cosa fosse accaduto il prima possibile. Quando vide il ragazzo sulla
barella
restò un attimo perplesso: era stretto in un lungo cappotto
bianco, e il
cappuccio lasciava spuntare solo alcune ciocche di capelli, che al buoi
sembravano di un rosso scuro. Aveva il viso macchiato di sangue e
fuliggine, e
non riuscì ad associarlo a nessuno dei pazienti ricoverati.
«Ehi
ragazzo, come
ti senti? Io sono Howard Link, sergente di polizia chiamato sul posto
per
indagare su quanto avvenuto. Saresti in grado di rispondere ad alcune
domande?»
Il ragazzo lo guardò per un momento, respirando a fatica.
«Sergente
Link,
non crediamo sia opportuno interrogare il ragazzo adesso. È
miracolosamente
scampato all’incendio, ma non sappiamo se ha riportato ferite
di altra entità.
Occorre visitarlo quanto prima.» La ragazza che
parlò, la dottoressa Four da quanto poteva
leggere dal suo tesserino, lo
guardò perentoria, con occhi di chi non avrebbe permesso a
nessuno di toccare
un suo paziente.
«Non
si preoccupi…
signorina, davvero. È molto gentile, ma oltre alla
stanchezza… non sento altro,
quindi non credo sia necessario far aspettare il sergente Link.
Può farmi le
domande che desidera.» La dottoressa e il sergente si
guardarono per un attimo
in cagnesco, sul viso di Link un piccolo ghigno di vittoria.
«Bene.
Allora, che
ne dici di dirmi il tuo nome innanzi tutto, così la smetto
di chiamarti
ragazzo?»
«Neah
D. Campbell,
piacere» sorrise allegramente, mentre la luce delle fiamme
gli illuminavano il
viso creando ombre che gelarono il sangue nelle vene di Four e Link,
senza che
riuscissero a capirne il motivo.
«Tutto
è
cominciato ieri, alla vigilia di Natale…»
Il
giorno prima – 24 dicembre
Lenalee danzava
con leggerezza davanti al fuoco del camino, seguendo le note che il
giradischi
diffondeva nell’istituto, i lunghi capelli neri sciolti a
seguire delicatamente
i suoi movimenti. Komui la osservava appoggiato allo stipite della
porta,
sorridendo felice nel vedere la sorella così allegra. Un
tempo non avrebbe mai
danzato in quel modo, sia a causa delle catene che le appesantivano le
gambe
sin da bambina che a causa delle rigide e assurde regole imposte dalla
loro
famiglia. Consideravano Lena come una specie di dea, pura e
intoccabile, e non
le permettevano di uscire di casa o anche semplicemente dalla sua
stanza,
impedendole di fare qualunque cosa poiché ritenevano che il
mondo esterno
avrebbe rovinato la sua bellezza. Non aveva mai avuto la
possibilità di
leggere, scrivere, ascoltare musica, o anche solo osservare un quadro.
Ogni
genere di distrazione le era stata negata, Lenalee doveva essere
preservata, e
quindi era rinchiusa in una stanza come una bambola di porcellana.
Komui scosse
la testa per allontanare quei brutti pensieri e quando la musica
terminò
applaudì piano, attirando l’attenzione della
sorella.
«Fratellone!
Che
ci fai qui, non dovresti lavorare?»
«Non
ti ci mettere
anche tu Lena, sono già stato sgridato da Reever! Volevo
passare la vigilia con
te, non con quei burberi dei miei assistenti!»
«Dai
fratellone,
stasera ceniamo tutti assieme, ora devi lavorare. Vuoi che ti faccia un
po’ di
caffè?»
«Sììì!
Grazie
Lena, sei adorabile!» Komui stritolò la sorella,
mentre lei si diresse a fatica
in cucina per preparare una tazza fumante di caffè a quello
sfaticato del
fratello.
«Ehi
Lena! Che
cosa stai facendo qui? Oh, direttore, non l’avevo
vista!»
«Ciao
Allen, sto
andando a preparare del caffè, ne vuoi un
po’?»
«No,
sono apposto
così, Jerry mi sta preparando la cioccolata.»
«Ecco
tesoro,
cioccolata con panna e cacao per te!» Il cuoco, dalla dubbia
sessualità, poggiò
una tazza enorme di cioccolata calda davanti ad Allen, e lui ci si
fiondò sopra
come un morto di fame. Komui restava sempre sconvolto dal pozzo senza
fondo che
era quel ragazzo, dall’aspetto così gracile e
debole da rendere quasi un
miracolo il fatto che fosse ancora vivo. La vita con lui era stata
particolarmente ingiusta: maltrattato da un circo, cresciuto da un uomo
che faceva
il clown, e morto questo rimasto solo per strada, a morire di freddo e
fame. Il
suo corpo ne aveva risentito parecchio, e anche la sua psiche.
Ricordava ancora
quando l’aveva visto la prima volta, portato lì
dal dottor Cross Marian che lo
aveva trovato in un cimitero a piangere di fronte alla tomba del padre.
Inizialmente non credeva che sarebbe sopravissuto: magro, con la febbre
alta,
una terribile ferita mal curata che gli percorreva il lato sinistro del
volto,
il braccio deforme come se fosse stato divorato dalle fiamme. Ma
ciò che più lo
aveva lasciato sbalordito, pur essendo il minore dei problemi, era il
colore
dei capelli: bianchi, candidi come la neve. Eppure aveva solo 15 anni,
era un
ragazzino, non era normale. Doveva aver subito un shock non da poco per
aver
perduto il colore dei capelli. Contro ogni previsione però
Allen si riprese
dalla febbre e dalla debolezza, e quando tornò cosciente la
prima cosa che fece
fu di saltare al collo di Cross, in preda a uno strano delirio. Quando
si calmò
non ricordò niente, e ringraziò con fare da vero
gentlemen tutto l’istituto per
averlo soccorso. Con il tempo Komui aveva capito che il ragazzo era
affetto da
un grave disturbo di personalità, causato da
chissà quale ragione. Era comunque
un bravo ragazzo, ed era stato accolto da tutti senza
difficoltà...
«La
mammoletta si
fa ancora preparare la cioccolata? Sicuro di non avere ancora 5
anni?» …Quasi
tutti.
«Ma
guarda chi
c’è! Il vecchio mangiatore di soba! Finita la
pennichella oggi, Ba-Kanda?»
Ba-Kanda, o per meglio dire Kanda, era un ragazzo taciturno e asociale,
solitamente ben disposto verso tutti, tranne verso Allen. I due si
erano odiati
sin da subito, e qualunque cosa era buona per iniziare ad attacar briga.
«Sono
esercizi di
concentrazione mammoletta, e la soba è un piatto nutriente e
leggero. Non sono
una fogna come te, capelli da vecchio.»
«Tsh,
parla quello
con i capelli da donna.»
«Senti
tu, cos’hai
da ridire sui miei capelli?»
«Niente,
solo che-
Uahhh, ma che diavolo?!? Lavi, che stai facendo?!»
«Vi
faccio tacere,
non è possibile che ogni giorno dovete sottoporci alla
stessa scenetta, giusto,
principessa?» L’ultimo arrivato, Lavi, un ragazzo
dai capelli rossi e un occhio
bendato, sorrise allegro a Lenalee, che nel frattempo se la rideva
godendosi la
scena.
«Fate
troppo
casino, me ne torno nella mia stanza.» Kanda si
affrettò a lasciare la stanza,
come suo solito quando doveva avere a che fare con Lena. Non che la
odiasse,
anzi, era l’unica che lui lasciasse avvicinare, ma non sapeva
come interagire con
lei, quindi preferiva non starle accanto quando non sapeva che era
presente, come
se avesse bisogno di prepararsi mentalmente a incontrarla.
«Mh?
Dove se ne va
l’antipatico?» L’assenza di Kanda fu
subito rimpiazzata da Road, la più piccola
dei ricoverati al D.Gray Hospital.
«Fugge
dal sesso
femminile come sempre.»
«Mh,
fifone. Non
come il mio Allen, vero, amore?» La ragazza gli
saltò in braccio e si strinse
forte a lui, facendo le fusa come un gatto. Lui in tutta risposta
continuò a
mangiare la sua cioccolata completamente indifferente alla situazione.
Era così
da quando si erano conosciuti: per qualche ragione, quella ragazzina
dall’aspetto di una bambola di porcellana, si era invaghita
di lui sin dal
primo istante, e ogni volta che poteva gli saltava addosso esplicitando
il suo
amore per lui senza vergogna.
«Ma
che dolci
piccioncini, perché non andate in una stanza ad amoreggiare?
Così io posso
restare solo con Le- AAAHHHHH, BRUCIA!!!» Lavi
scattò all’indietro dopo aver
ricevuto in piena fronte una cucchiaiata di cioccolata da Allen, che
tornò a
mangiare con tranquillità.
«Ragazziii,
non
dovete litigar-ehhhh!» Miranda fece il suo classico ingresso
cadendo a terra,
iniziando a piagnucolare. Komui si avvicinò a lei e la
aiutò a rialzarsi, e lei
si affrettò a raccogliere da terra i fogli che portava e che
erano destinati al
direttore. Era così che Miranda combatteva la sua
depressione, aiutando gli
operatori dell’istituto con alcune piccole faccende. Era
sempre stata una donna
volenterosa, ma non aveva mai ottenuto molto dalla vita, e aveva
cominciato a
deprimersi a causa della mancanza di un lavoro e della sua bassa
autostima.
Komui l’aveva sempre aiutata, anche perché in
parte si sentiva in colpa per le
sue sfortune, e quindi aveva deciso di farla lavorare lì,
così che lei si
sentisse realizzata.
«Ecco
direttore,
questi li manda la sede centrale. Sono le cartelle cliniche di alcuni
pazienti
che vorrebbero che fossero trasferiti qui. Il dottor Cross Marian
dovrebbe
arrivare questo pomeriggio per parlare con lei e decidere cosa
fare.»
«Ancora
richieste
eh? Non hanno ancora capito che non prendo nessuno qui? Vabbeh, gli
darò
un’occhiata, giusto per curiosità. Grazie
Miranda.» Komui si avviò verso il suo
ufficio, con una calda tazza di caffè tra le mani, lasciando
dietro di sé i
ragazzi che in cucina continuavano passavano i pochi istanti in cui si
sentivano vivi, senza notare che al sentire che Cross Marian sarebbe
arrivato
nel giro di poche ore Allen era sbiancato, iniziando a fissare il vuoto.
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Capitolo 2 *** Come un pianoforte con un tasto rotto. ***
Capitolo
2. Come un pianoforte con un tasto rotto
«Non
se ne parla
Cross, lo sai. Provo un rispetto enorme per te e per le tue scelte, ma
non ho
intenzione di accogliere nuovi pazienti qui, e ancor meno ho intenzione
di
dimettere Allen.»
«Komui,
quel
ragazzo ha bisogno di cure differenti, più mirate al suo
caso. Credevo anch’io
che stando qui si sarebbe ripreso con il tempo, ma sono passati due
anni ed è
ancora come quando te l’ho portato, se non peggio. Devo
rispettare la volontà
del padre e occuparmi di lui.»
«So
che eri amico
di Mana e che se Allen è ancora vivo lo dobbiamo solo alla
lettera che ti ha
spedito chiedendo il tuo aiuto quando aveva capito che sarebbe morto a
breve.
Ma se porterai Allen via da qui gli toglierai quel minimo di
stabilità che è
riuscito a trovare, e di certo questo non lo aiuterà a
guarire. Piuttosto tu
dovresti restare qui più a lungo e occuparti di lui, lo sai
che ti vede come un
maestro, come una guida.»
Cross
tirò un
lungo tiro dalla sigaretta che stringeva tra le dita e
contemplò le volute di
fumo quando lo espirò. Non era nei suoi piani che il ragazzo
si affezionasse a
lui, se l’avesse saputo si sarebbe limitato a lasciarlo
davanti alla porta
dell’istituto e poi se ne sarebbe andato. Invece, per affetto
verso l’amico
ormai morto, aveva deciso di restare finché Allen si era
completamente
ristabilito, almeno fisicamente parlando, firmando così la
condanna di
entrambi. Allen per qualche ragione si era affezionato a lui, lo vedeva
davvero
come un maestro, e si rivolgeva a lui per qualunque esigenza. Cross non
era
fatto per occuparsi di un ragazzino, così una notte se
n’era andato, ed era
tornato pochissime volte. Ora era intenzionato a portare Allen con
sé nella
sede centrale per sottoporlo a cure più adeguate, ma sapeva
che non sarebbe
stato facile convincere né Komui, né Allen, che
ormai per lui aveva iniziato a
provare odio.
Mentre
rifletteva
sentì un dolce melodia risuonare nell’istituto.
Restò un attimo in ascolto per
tentare di capire cosa fosse.
«Dev’essere
Allen
che suona il piano» disse Komui, quasi avesse letto nella
mente del collega.
«Allen?
Ma lui non
sa suonare il piano.»
«Scherzi?
Ormai è
da circa un anno che ha iniziato a suonarlo, ed è davvero
bravo. Per questo gli
abbiamo comprato un piano. È stato un po’
difficile trovarlo, per qualche
strana ragione ne voleva una bianco con la tastiera nera.»
«Un
pianoforte…
bianco…» Restò ancora un po’
in silenzio, e quando sentì una voce femminile
seguire la melodia suonata da Allen scattò in piedi, in viso
un’espressione
preoccupata.
«Che
ti prende
Cross?»
«Dov’è?»
«Dov’è
cosa?»
«Il
piano! Dov’è
Allen che suona quel fottuto piano?!?» Komui lo
guardò confuso e gli fece
strada per i corridoi dell’istituto. La saletta con il piano
era al piano
sopra, nel piccolo atrio che separava l’ala maschile da
quella femminile.
Quando arrivarono la scena che gli si manifestò davanti fu
come una visione:
Lenalee cantava con una voce soave e Allen suonava in modo divino, e le
due
cose messe insieme creavano qualcosa simile a un incantesimo.
«Perché
sei voluto
venire qui Cross? Lo sai che Allen non sarà contento a
vederti così
all’improvviso» Komui parlò a bassa voce
per non farsi sentire dal ragazzo, ma
non servì. Allen infatti si fermò premendo con
una forza esagerata una delle
ultime note, facendo uscire dal piano uno strano suono.
«Allen,
che
succede? Perché ti sei fermato? Oh, fratellone, dottor
Cross, non vi avevo
sentiti entrare!» Lenalee andò a salutarli
sorridendo felice di vederli.
«Ciao
principessa,
come stai?»
«Molto
bene dottor
Cross. Sa, mi sto prendendo cura delle rose che ha lasciato qui, stanno
diventando bellissime!»
«Oh
sì, le ho
viste, sono quelle che hai piantato in cortile vero?»
«Sì,
sono felice
che le abbia notate.» Lena era davvero felice che Cross
avesse riconosciuto il
suo impegno. L’ultima volta che era stato lì le
aveva lasciato alcune rose
bianche di cui occuparsi, e lei si era messa con impegno per farle
crescere
sempre più numerose. A volte, se vedeva che non crescevano
come desiderava lei,
aveva delle vere e proprie crisi isteriche, ma la aiutavano a non
pensare, a
dimenticare i più piccoli dolori che aveva provato nella sua
vita, quindi Komui
non si l’era sentita di toglierle quella piccola ossessione.
«Brava
ragazza.
Cosa stavi facendo qui?»
«Cantavo
una ninna
nanna che mi ha insegnato Allen. Ha detto che se
n’è ricordato in sogno, è una
canzone che aveva inventato con suo padre. Le piace?»
«Eri
molto brava
Lena. Ora vado a complimentarmi con Allen.»
Cross si avvicinò al ragazzo, che nel frattempo
carezzava delicatamente
il tasto rotto del pianoforte, con aria turbata.
«Perché
l’hai
rotto?»
«Non
è stato
intenzionale.»
«Capisco.
È vero
quello che ha detto la principessa?»
«Cosa?»
«Che
stavi
suonando una canzone che hai imparato da Mana.»
«Non
me l’ha
insegnata lui, l’abbiamo inventata insieme quando giravamo
per le strade alla
ricerca di soldi.»
«Non
sapevo che
sapesse suonare il piano.»
«Sapeva
fare molte
cose, doveva essere così, altrimenti morivamo.»
«Ha
senso. E come
mai solo adesso hai iniziato a suonarla?»
«Perché
me la sono
ricordata poco tempo fa.»
«E da
quando suoni
il piano?»
«Un
annetto circa.»
«Anche
quello
l’hai ricordato all’improvviso?»
«Sì.»
«Come
procedono le
tue crisi?»
«Bene.»
«Sicuro?»
«Sì.»
«Non
mentirmi.»
«MA
CHE CAZZO
VUOI?!?!» Allen lo prese per il colletto della giacca e lo
strattonò con forza.
Era infuriato, e in quel momento non avrebbe risparmiato nessuno, per
questa
ragione Komui si tenne a distanza stringendo forte a sé la
sorella.
«Arrivi
qui con la
tua solita arroganza, dopo secoli che non ti fai vedere, e inizi a
farmi il
terzo grado sul perché di ogni cosa che faccio! Magari se
fossi rimasto qui
invece di andare in giro a fare il coglione sapresti cosa mi succede,
sapresti
che gli incubi la notte mi tormentano, che ora non mi limito a vedere
in sogno l’altro
me, ma che lo vedo quando mi guardo allo specchio, quando mangio,
quando sto
per dormire, in ogni fottuto istante della giornata! Sapresti che
è da quando lui
è diventato una presenza sempre più
costante che ho imparato a suonare il piano, che l’altra
notte mi sono alzato
all’improvviso seguendo la sua
voce
fin qui e che mi sono messo a cantare questa maledetta canzone! La
sento tutto
il giorno in testa, e niente, NIENTE, mi aiuta a placare lo strazio che
provo!
Forse se tu, che tanto dicevi di essere amico di Mana, che continuavi a
ripetermi che mi avresti aiutato a guarire, che avrei potuto seguirti
come se
fossi il mio maestro, mi fossi rimasto accanto tutto ciò non
sarebbe successo!
NON OSARE MAI PIÙ FARTI VEDERE DA ME!» Allen lo
scansò con forza e se ne andò,
seguito da Lenalee. Cross vide che i due raggiunsero
l’esterno e che la ragazza
lo abbracciava con forza, mentre lui tentava di fuggire in preda alle
lacrime,
finché non si abbandonò tra le sue braccia.
«Resterò
qui per
questa notte, domani sera io e Allen partiamo.»
«Cosa?
Ma sei
impazzito? Cross, quel ragazzo ti odia a morte, non lo capisci? Non
l’ho mai
visto così, è la prima volta che si arrabbia
seriamente con qualcuno! Come
pensi di poter portarlo via con te, me lo spieghi?»
«Può
scalciare e
urlare quanto vuole, potrà anche passare il tempo a
insultarmi, ma deve venire
via con me. Davvero non capisci?»
«Cosa?»
«Sai
perché io e
Mana eravamo amici?»
«No,
non me lo hai
mai detto. In realtà non hai mai parlato di lui
finché non è arrivato Allen.»
«Avevo
in cura il
fratello di Mana. Quello sì che era un pazzo. Non ho mai
capito cos’avesse,
schizofrenia di sicuro, ma c’era dell’altro. Sai,
anche Allen lo conobbe. Anzi,
si può dire che Mana lo prese con sé come
rimpiazzo del fratello, ormai troppo
malato. Morì infatti poco tempo dopo aver conosciuto Allen,
a Natale, giusto
per essere simpatico. Mana non si riprese mai dalla morte del fratello,
ed era
ossessionato dall’idea che Allen fosse responsabile.
Così decise di trasformare
il bambino che aveva appena adottato nel fratello che aveva perso. Gli
insegnò
tutto ciò che serviva per renderlo il più
possibile uguale al fratello, dal
modo di comportarsi, di parlare, alle conoscenze generali, come suonare
il
piano. Quella melodia che lui dice di aver inventato con Mana in
realtà è
frutto di Mana e del fratello, ed era ovviamente quest’ultimo
a suonare il
piano. E indovina? Suonava sempre un pianoforte bianco dalla tastiera
nera.»
Fece un pausa, per vedere la reazione del collega. Komui sembrava
completamente
perso, come se non volesse credere a ciò che sentiva.
«Modellò
la mente
di quel povero ragazzo in modo tale da renderlo una copia del fratello
in
miniatura» riprese Cross, vedendo che non otteneva nessuna
risposta dall’amico.
«Tentai di convincerlo che non serviva, ma non mi diede
ascolto, anzi, non si
fece più sentire. Quando mi arrivò la sua lettera
arrivai troppo tardi e mi
ritrovai davanti ad Allen, con i capelli diventati bianchi a causa
dello shock
per la morte dell’unica persona che mostrava affetto per lui,
e sempre a causa
di quella perdita aveva la memoria come resettata. Per quel che
riguardava il
carattere era come il fratello di Mana, ma non ricordava nulla di
ciò che gli
aveva insegnato. Pensai che tutto sommato era un bene, almeno era
più educato,
un vero gentlemen, ma non è servito molto tempo per capire
che semplicemente
aveva sviluppato un doppia personalità, che per qualche
ragione aveva mischiato
le peculiarità del “vero” Allen con
quello del “falso” Allen. Ora però il
falso
sta emergendo, e non è un bene. Non lo è
affatto.»
«Non
capisco.
Cioè, ho capito ciò che ha fatto Mana, e non
è stato di sicuro un atteggiamento
degno di un padre per il proprio figlio. Capisco anche che
così facendo ha
creato vari danni alla psiche di Allen, ma penso che se
riuscirà a far emergere
distintamente l’altra personalità sarà
più semplice farla sparire.»
«Su
questo non hai
torto, eccezion fatta per un dettaglio non da poco. Non ne avresti il
tempo.»
«Che
significa?»
«Che
il fratello
di Mana era un pazzo assassino, e Allen ha imparato anche questo. Per
quale
ragione secondo te avrebbe ucciso suo padre, a cui voleva tanto bene?
Perché
proprio Mana gli aveva inculcato istinti omicidi, e quando essi hanno
attecchito il primo su cui si sono manifestati fu proprio il nostro
clown. Mana
sapeva che correva quel rischio, per questo mi aveva
contattato.»
«Non
ci credo…»
«Fai
come vuoi
Komui, questa è la verità, per quanto sia
assurdo. Non posso permettere che
ricominci a uccidere, non solo perché ero amico di Mana, ma
anche perché, per
quanto mi costi ammetterlo, io ci tengo a quel ragazzo, e non
permetterò che si
rovini la vita. Ora vado nella mia stanza, non mi farò
vedere fino a domani
sera, fammi portare la cena in camera e non dire nulla ad
Allen.» Cross se ne
andò senza aspettare una risposta da Komui, che nel
frattempo si era lasciato
cadere a terra in preda alle lacrime, conscio che non avrebbe potuto
fare
niente per quel povero ragazzo.
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Capitolo 3 *** I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole. ***
Capitolo
3. I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole
«Tu
sei pazzo.»
«Ma
davvero?
Credevo di essere qui in vacanza premio.»
«Non
sto
scherzando. Quello che vuoi fare non ha senso.»
«Da
quando ti fai
tanti problemi? Ho chiesto a te proprio perché so che non ti
importa di niente
e di nessuno, non credevo che avresti fatto storie.»
«Ok
che sono un
po’ distaccato dal mondo, ma non ho mai pensato a nulla di
simile.»
«Quanto
la fai
lunga stupido coniglio. Allen ci chiede aiuto e tu che fai? Diventi
improvvisamente un santarellino?»
«Senti
mocciosa,
non rompere. Già non capisco cosa c’entri tu in
tutta questa storia, quindi non
hai diritto di parola.»
«Io
amo Allen, per
lui farei qualunque cosa. Tu invece? Non dicevi di essere il suo
migliore
amico?»
«Sì…
Ok, va bene,
lo farò, per quanto mi sembri assurdo.»
«Perfetto.
Inizieremo a mezzanotte. Tu Lavi occupati di Kanda e Miranda, Road del
personale e di Lenalee, io penserò al resto. A
più tardi. Ah, e se per qualche
ragione dovremo anticipare il tutto vi avviserò suonando il
piano, ok?» Allen
si avviò verso la cucina con nonchalance, canticchiando
allegramente. Dopo la
visita del suo adorato maestro si era chiuso nella sua stanza e dopo
aver
distrutto la maggior parte della mobilia aveva avuto
un’illuminazione. Avrebbe
preferito fare tutto da solo, ma sapeva che sarebbe stato troppo
difficile, e dunque
aveva chiesto alle persone di cui più si fidava. Poteva
sembrare strano ma fra
tutti Lavi e Road erano i migliori su cui poteva contare. In fin dei
conti
odiava Kanda, e lui di rimando, Lenalee era troppo pura per una cosa
simile, e
Miranda… Beh, era Miranda, che per quanta buona
volontà ci mettesse non era in
grado di non compiere disastri. E poi sapeva che gli altri non
avrebbero avuto
motivo per aiutarlo, mentre Road era mossa da vero e proprio amore, e
Lavi da
un affetto quasi fraterno.
Erano quasi le
undici di sera, avevano finito di cenare alle nove circa, e Allen aveva
ancora
fame, dunque aveva deciso di rubacchiare un po’ di cibo. Vide
alcune delle
inservienti intente a mettere in un vassoio alcuni dei piatti che
avevano
preparato per loro quella sera, e una di loro prese una bottiglia del
miglior
vino che avevano. Il cuore di Allen perse un battito, e si nascose
dietro lo
stipite della porta per origliare ciò che le due dicevano.
«Non
capisco però
perché il dottor Cross non ha voluto mangiare con gli altri.
Era molto tempo
che non si fermava qui.»
«Zitta
stupida!
Oltre al dottor Komui e noi due nessuno sa che il dottor Cross si
è fermato per
la notte. Da quel che ho capito domani sera ripartirà
portando con sé Allen, ma
penso che anche tu oggi abbia sentito le urla del ragazzo. Credo che il
dottore
abbia finto di andarsene per far calmare Allen, fino a domani sera
quando
probabilmente si servirà di una camicia di forza per
portarlo con sé.»
«Povero
ragazzo…
Mi dispiace per lui.»
«Non
pensarci, per
Allen è meglio così.»
«Cosa
è meglio per
me?» Allen entrò in cucina fingendo di non aver
sentito niente. Sorrise alle
due ragazze, riuscendo a rassicurarle.
«Abbiamo
pensato
di tenerti da parte del cibo. Sappiamo che il direttore non sarebbe
d’accordo
dopo il disastro che hai combinato nella tua stanza, ma secondo noi
mangiare ti
fa bene.» La ragazza gli porse un piatto con vari avanzi
della cena sorridendo
tranquilla, sperando di aver convinto Allen.
«Grazie,
siete
state gentili a pensare a me. Avevo giusto un po’ di
fame!» Lui sorrise ancora,
ma non prese il piatto, anzi si avviò verso il lavabo dove
ancora erano
presenti i piatti sporchi. Fingendo di prendere un bicchiere nascose un
coltello nella manica della camicia, e dopo aver bevuto
tornò dalle ragazze.
«Grazie
ancora,
ladies. Siete state gentilissime» e con un rapido gesto
recise la giugulare di
entrambe. Non si accorsero di nulla, i loro corpi si accasciarono a
terra senza
far rumore. Allen buttò il coltello su pavimento e prese il
vassoio destinato a
Cross, avviandosi al piano di sopra. Indossò il lungo
cappotto bianco che
Lenalee gli aveva regalato per natale ma che aveva aperto
già alla vigilia per
accontentare la ragazza, e prima di raggiungere la stanza del suo
maestro andò
a suonare alcune note nella saletta del pianoforte, le prime della
melodia che
aveva inventato con Mana. Road e Lavi, in attesa, sentirono
immediatamente la
musica, e si avviarono verso i loro obiettivi.
Road
vagò per un
po’ alla ricerca di Lenalee, non trovandola nella sua stanza.
La trovò in una
della ultime stanze del piano terra, dove conservava i vasi di rose che
più le
piacevano.
«Ehi
Lena, cosa
fai qui?»
«Non
riuscivo a
dormire, così ho deciso di occuparmi di loro» Lena
spruzzò un po’ d’acqua sui
fiori, canticchiando allegramente. Road si chiuse la porta alle spalle
e iniziò
a fissarla.
«Road?
Hai bisogno
di qualcosa?» Lenalee la osservò confusa mentre la
ragazzina si rigirava tra le
mani uno dei vasi contenente una bellissima rosa bianca.
«È
davvero bella…
Però starebbe meglio con un po’ di
rosso» e così dicendo sbatté con
violenza il
fondo del vaso contro la tempia di Lenalee. La ragazza si
accasciò a terra,
intontita. Road la trascinò verso un termosifone e con una
corda la legò con
forza, per impedirle di fuggire.
«Road?...
che…
fai? Liberami!» Lena iniziò ad agitarsi, mentre
Road iniziò ad accendere alcune
candele che si era portata dietro, sistemandole nei vasi di rose. Ne
prese
alcuni e li piazzò attorno a Lenalee, per assicurarsi che il
fuoco arrivasse
anche a lei.
«No!
Le mie rose!
Road, cosa stai facendo?! Così le brucerai!»
«Capiamoci:
ti ho
colpita in testa per tramortirti, ti ho legata per non farti scappare,
ho dato
origine a un bel falò e tu ti preoccupi delle rose? Tu sei
proprio pazza!» Road
rise di gusto mentre il fuoco prendeva sempre più forza
alimentandosi con le
numerose piante presenti nella stanza.
«Sai,
sono felice
di averti trovata qui. Almeno ho potuto distruggere anche queste cose. Le ho sempre odiate, ovunque
c’era
la loro puzza, e Allen ne soffriva perché gli faceva tornare
alla mente Cross,
ma non osava dirti niente perché è un ragazzo
troppo gentile. Pazienza, tanto
ora non importa più. Presto sarà tutto finito e
Allen sarà finalmente libero.
Ora vado, sennò rischio di morire bruciata anche io. Mi
piacerebbe restare qui
e sentire le tue urla di dolore. È un peccato non poter
sentire il canto di un
angelo legato a un termosifone in attesa della morte»
saltellò via, salutando
la ragazza in preda alla disperazione con un gesto di mano.
Arrivò
nell’atrio
d’ingresso poco dopo, lasciando alcune candele in giro per
corridoio, e trovò
Lavi ad aspettarla.
«Già
finito?»
«Sì,
è stato
facile. A Kanda ho avvelenato la soba che gli ho gentilmente portato
come
regalo di Natale, è morto in pochi minuti riuscendo
però a insultarmi un po’, e
con Miranda non c’è stato nemmeno gusto, non ha
fatto un fiato.»
«Anche
con la
principessa è stato facile.»
«Come
l’hai
uccisa?»
«Ho
dato a fuoco
alle sue adorate rose in quella stanzetta in cui si rinchiude sempre, e
ho
chiuso lei dentro.»
«Sadica.»
«Lo
so.» Road si
avvicinò al muro di fronte a lei, incuriosita da qualcosa
che c’era per terra,
davanti all’orologio a pendolo. Scoprì che si
trattava del cadavere di Miranda,
con la testa fracassata. Si girò a guardare il suo collega,
leggermente
dubbiosa. «Non guardarmi così! Stava pulendo il
suo adorato orologio e ho
pensato che le avrebbe fatto piacere morire con lui!» Lavi si
giustificò con
quella che per Road era una ragione valida, e intinse le dita nel
sangue che formava
una larga pozza sul pavimento. Passò le dita sul muro,
scrivendo una frase che
adorava ripetere, “I matti sono apostoli di un Dio che non li
vuole”, in netto
contrasto con quella che campeggiava all’entrata
dell’istituto, che faceva
credere che loro fossero apostoli “speciali” di Dio.
«Perfetto,
ora
possiamo andare. Dai, aiutami a uccidere gli inservienti, prima finiamo
meglio
è.»
«Oook.»
I due si
divisero di nuovo, e continuarono con il loro massacro.
«Dottor
Cross, ho
portato il cibo per lei.»
«Finalmente,
stavo
morendo di fame.» Cross si alzò e aprì
la porta, poi tornò a sedersi sul
davanzale della finestra.
«Ecco
a lei» la
ragazza appoggiò il vassoio sul tavolo e si
accasciò a terra, mentre una
chiazza di sangue iniziava a colare dal lato della sua testa. Cross
rimase
impietrito quando vide chi aveva appena ucciso quella povera ragazza:
Allen lo
guardò sorridendo divertito, pulendosi le mani sul bianco
cappotto.
«Allen,
ma che
diavolo-! E quella dove l’hai presa?» Cross
seguì con lo sguardo la pistola che
Allen gli puntò addosso, continuando a sorridere.
«Non
è stato
difficile procurarmela, basta avere le conoscenze giuste.»
«E ora
che
vorresti fare?»
«Secondo
te?»
«A
cosa ti
servirebbe uccidermi?»
«Soddisfazione
personale? Non so, ho voglia di farlo e basta. In fin dei conti
chiedere a un
assassino perché uccide è come chiedere a uno
sportivo perché fa sport. Perché
gli piace, non c’è altra spiegazione.»
«Tu
non sei un
assassino Allen.»
«Chiedilo
a lei, e
alle altre due in cucina. Secondo me sono di altro parere.»
«Smettila
Allen.»
«Invocare
quel
nome non ti servirà a molto, Cross, pensavo che non fossi
così stupido.»
«Allen,
riprenditi! Tu non sei un assassino e lo sai!»
«Lui
forse no, ma
io sì.» Allen sorrise sempre di più,
divertito dalla situazione.
«È
solo una
questione mentale Allen, non lasciare che le idee malate di Mana ti
trasformino
in un pazzo!»
«Ma io
sono già un
pazzo! La mia mente è divisa in due, è come avere
due persone in un corpo solo!
Da una parte il dolce, gentile e sensibile Allen, dall’altra
in pazzo omicida
che sono io. Capisci che già questo mi rende un pazzo?
Uccidere qualcuno non fa
differenza.»
«Allen,
tu-»
«E
smettila di
chiamarmi Allen. Lui ora sta facendo la nanna, non svegliarlo. Quando
ero un
tuo paziente mi chiamavi per nome no? Su, non te lo ricordi?»
Cross non
rispose, si limitò a guardarlo.
«Che
noioso che
sei Cross, davvero.» Allen, o qualunque fosse il nome che
voleva che fosse
usato, abbassò la pistola e sollevò gli occhi al
cielo. Cross scattò in avanti
nel tentativo di disarmarlo, ma non servì a nulla: un
proiettile lo raggiunse
in pieno volto, uccidendolo sul colpo.
«Davvero
noioso.
Vabbeh, ho guadagnato tempo, è ora di raggiungere gli
altri.»
Raggiunse il
tetto, luogo d’incontro prestabilito. Lavi e Road erano
già lì, e si godevano
lo spettacolo delle fiamme che stavano pian piano divorando
l’edificio. Avevano
risparmiato giusto le scale che si raggiungevano dal tetto,
così da poter
fuggire.
«Ehi
Allen, hai
finito.»
«Sì,
e mi sono
annoiato a morte. Komui mi ha implorato, idem Johnny, Reever ha tentato
di
reagire ma non è servito a molto, ma il più
noioso è stato Cross, si è limitato
a farmi la predica e ha tentato un inutile mossa per disarmarmi. Uff,
speravo
che almeno lui mi divertisse un po’.»
«Sei
strano Allen,
più del solito.»
«Ovvio,
adesso non
sono Allen. Sarebbe strano se fossi come sempre.»
«In
che senso non
sei Allen?»
«Sei
il fratello
di Mana vero?» Road lo guardò con occhi fermi,
indagatori.
«Wow,
e tu come lo
sai?»
«So
molte cose.
Così però non mi piaci.»
«Perché
no?»
«Sei
come un morto
che cammina. In un corpo non tuo non sai come agire, e la cosa appare
grottesca. Mi piace di più Allen.» Road
andò verso il cornicione e si mise in
piedi sul bordo, osservando la neve che aveva iniziato a scendere piano.
«Beh,
ammetto che
mi hai lasciato un po’ perplesso. Non credevo che qualcuno
conoscesse la mia
storia.»
«Te lo
ripeto, io
sono una ragazza curiosa, so molte cose.» Continuava a
camminare avanti e
indietro sul cornicione, sorridendo felice.
«Perché
sorridi?»
«Perché
sono
felice.»
«Mi
stupisci
sempre di più pensavo che una pazza come te non provasse
emozioni. Nemmeno io
le provo.»
«Bugia.
Anche noi
proviamo emozioni, solo che le manifestiamo in maniera…
errata.» La ragazza
fece una piroetta e si fermò rivolta verso i ragazzi,
osservandoli con i suoi
occhioni viola, i corti capelli neri spettinati dal vento.
«Continui
a
sorprendermi. Non ti facevo tanto sentimentale.»
«Allora
sorprenditi
di nuovo perché ora vedrai che noi possiamo anche
volare» mormorò qualcos’altro
e si lasciò cadere nel vuoto, senza lasciare a nessuno il
tempo di reagire. Il
suono del suo corpo che si schiantava al suolo sembrò quello
di una bambola
caduta a terra. I due ragazzi, dopo un attimo di immobilità,
corsero giù dal
tetto, ma fu ovviamente inutile. Road era morta sul colpo, ma sul viso
aveva un
bellissimo sorriso. Allen si abbassò dolcemente a posare un
bacio sulla bianca
e sempre più fredda fronte, per poi chiuderle gli occhi per
sempre.
«Perché
si è
buttata?»
«Per
farmi
tornare.»
«Come
scusa?»
«Sono
tornato a
essere Allen. Road sapeva anche questo: vedendo qualcuno morire sarei
tornato
indietro.»
«Come
faceva a
saperlo?»
«Non
ne ho idea…»
Allen sollevò il cappuccio del cappotto e diede le spalle
all’edificio. L’odore
di bruciato e dei corpi carbonizzati si stava mischiando a quello delle
rose,
creando un odore orribile.
«E ora
che si fa?»
Lavi si avvicinò all’amico, stringendosi per il
freddo.
«Beh,
tu muori»
Lavi non ebbe il tempo di reagire che Allen lo pugnalò in
pieno petto. «Scusami,
ma anche se sei il mio migliore amico so che mi potresti tradire. Dormi
bene.»
Gli occhi di Lavi si spensero e il sul suo viso rimase un piccolo
sorriso
soddisfatto. Allen adagiò il suo corpo tra le rose, sapendo
quanto il ragazzo
amasse Lenalee e il profumo di fiori che sempre l’avvolgeva.
«Bene,
e ora che
si fa?» sentì in lontananza delle sirene, e
sorrise divertito mentre il suono
delle campane annunciava l’inizio del Natale. Si
strofinò con foga i capelli
con le mani sporche di sangue, sperando che bastasse a coprire il
bianco. Il
suo sorriso si allargò mentre pensava a come avrebbe fatto
la vittima, il
povero ragazzo sopravvissuto a quel terribile incendio. Si sarebbe
presentato
come Neah D. Campbell, nella speranza che nessuno di quella gente
ricordasse il
nome di quel pazzo, e dopo avergli raccontato tutta la storia, godendo
del
sospetto che pian piano cresceva sui loro volti, avrebbe ucciso tutti.
«Buon
compleanno,
Allen» mormorò ripetendo le ultime parole
sussurrate da Road, mentre calde
lacrime gli scorrevano sul viso deformato da un sorriso agghiacciante.
___________
Nota
d’autrice: e
come sempre buon Natale a tutti, soprattutto al nostro Allen! No,
dubito che io
riuscirò mai a scrivere una robina dolce e tenera, non
rientra nei miei
interessi. Su quattro storie che ho pubblicato di D.G-m quattro hanno
un bel
finale da dramma, ma vabbeh. Per quel che riguarda la storia: forse
qualcuno l’ha
notato ma sono stata ispirata dalla canzone di Simone Cristicchi
“Ti regalerò
una rosa”, infatti i vari titoli e alcune delle frasi
presenti nella storia
sono proprie della canzone, ma oltre a quello non
c’è altro, la storia
sicuramente non rispecchia quello che Cristicchi voleva trasmettere con
la sua
canzone, quindi non prendetela come un’interpretazione
perché non lo è! Mi
scuso se qualcuno con più conoscenze di me sulla psichiatria
è morto leggendo
le cose che ho scritto, ma io mi sono basata su quel poco che ricordo
dagli
studi delle superiori, quindi chiedo perdono. La divisione in tre
capitoli è
stata una scelta più che altro dettata dalla lunghezza della
storia che mi
contava 16 pagine di Word, il che mi pareva esagerato. Bon, penso che
non ci
sia altro da dire, quindi buone feste a tutti, ancora auguri al nostro
Allen
See
ya,
ElPsyCongroo
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