Ti stupisci che io provi un'emozione?

di ElPsyCongroo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pochi istanti in cui ci sentivamo vivi. ***
Capitolo 2: *** Come un pianoforte con un tasto rotto. ***
Capitolo 3: *** I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole. ***



Capitolo 1
*** Pochi istanti in cui ci sentivamo vivi. ***


Capitolo 1. Pochi istanti in cui ci sentivamo vivi

Il fuoco divampava nel buoi di quella notte, illuminando la piccola radura e sciogliendo la neve che a fatica riusciva a posarsi sul terreno. Il sergente si avvicinò cauto alle squadre di soccorso intente a domare l’incendio e oltrepassò i cancelli diventati roventi. Si fermò al centro del cortile e osservò senza troppo interesse l’edificio che davanti ai suoi occhi si stava consumando pian piano. Avanzò di alcuni passi ancora per seguire meglio le operazioni della polizia. Avevano trovato il corpo di una ragazza in mezzo alla neve, probabilmente era caduta dal tetto dell’edificio morendo sul colpo. Il fuoco che bruciava alle loro spalle le illuminò il viso, e lui poté notare la bellezza di quel viso, sembrava di porcellana, messo in risalto dal netto contrasto con i capelli scuri. Ma la cosa che più attirò la sua attenzione fu il sorriso felice che sembrava dipinto talmente era perfetto. Altri due uomini erano impegnati a portare sulla barella un altro corpo trovato tra le rose del cortile: era un ragazzo, anche lui con un debole sorriso sul volto.  

«Ma che avevano tanto da sorridere questi due? Sono morti, non pensavo fosse divertente…»

Entrò in quel poco che restava dell’atrio, straziato dalle fiamme. L’edificio non era ancora del tutto agibile, in molte aree il fuoco era ancora nel pieno della sua violenza, ma era incuriosito da quel luogo. Sul muro annerito di fronte a lui, accanto a un orologio a pendolo consumato dall’incendio, lesse una frase scritta di rosso “I matti sono apostoli di un Di che non li vuole”. «Macabro. Inizio a dubitare della validità di questo posto.» Solo allora notò il cadavere carbonizzato ai piedi dell’orologio. «E siamo a tre. Non credo che sia rimasto qualcuno vivo.»

«Sergente!» Un poliziotto si avvicinò a lui di corsa, stringendo al petto quella che sembrava essere una cartella clinica.

«Ho trovato questi documenti, è poco ma purtroppo l’incendio non ha risparmiato molto. Li abbiamo trovati in quello che doveva essere l’ufficio del direttore, in una delle zone in cui è divampato uno degli incendi.»

«Uno degli incendi?»

«Sì sergente. I vigili del fuoco affermano che si è trattato di vari incendi provocati in momenti diversi e in zone diverse, probabilmente per creare più danni possibili.»

«Capisco.» Il sergente prese i documenti che erano scampati alla furia delle fiamme e li studiò con cura. Era un elenco dei pazienti lì ricoverati, con foto, nome, età e breve background. Infine vi era riportata la patologia di ognuno.

 

D.Gray Hospital

Casa di cura e accoglienza per gli apostoli speciali di Dio

Lenalee Lee

Sesso: femmina

Data di nascita: 11 maggio (età al momento del ricovero: 16)

Background: dopo numerosi abusi subiti da parte della famiglia e di alcuni conoscenti di essa la ragazza è stata presa in custodia dal fratello Komui Lee, direttore del D.Gray Hospital, ed è stata ricoverata all’interno della struttura.

Patologia: attacchi di panico, disturbo ossessivo compulsivo, psicosi.

Road Kamelot

Sesso: femmina

Data di nascita: 20 giugno (età al momento del ricovero: 14)

Background: non si conosce molto del passato della paziente a causa della non collaborazione da parte della stessa di fornire dati su di sé. Si presentò al D.Gray Hospital di sua iniziativa.

Patologia: schizofrenia.

Miranda Lotto

Sesso: femmina

Data di nascita: 1 gennaio (età al momento del ricovero: 26)

Background: rimasta sola al mondo dovette iniziare a lavorare sin da piccola. Dopo aver lavorato a lungo come cameriera fu assunta come domestica dalla famiglia Lee. Lavorò alle loro dipendenze per alcuni anni finché decise di andarsene non potendo sopportare le condizioni in cui la piccola Lenalee Lee era costretta a vivere. Da quel momento non riuscì più a trovare lavoro a causa delle maldicenze diffuse dalla famiglia Lee.

Patologia: depressione maggiore.

Lavi Bookman Junior

Sesso: maschio

Data di nascita: 10 agosto (età al momento del ricovero: 18)

Background: orfano di guerra fu cresciuto da un amico di famiglia che lo portò in giro per il mondo. Il ragazzo, a causa delle numerose guerre e morti a cui assisté, inizio a essere “problematico”, e l’ormai anziano tutore lo affidò alle cure del D.Gray Hospital.

Patologia: personalità multipla (ancora da verificare: autismo)

Yu Kanda

Sesso: maschio

Data di nascita: 6 giugno (età al momento del ricovero: 19)

Background: visse in un laboratorio di ricerca sin da bambino, e fu lui stesso soggetto di alcuni esperimenti. Raggiunta la maggiore età sperava di poter lasciare quel luogo ma gli fu impedito, e riuscì nel suo intento solo a causa di un incidente che portò alla morte di tutti i ricercatori. Ancora oggi si rifiuta di fornire spiegazioni in merito.

Patologia: non è stata individuata una patologia psichiatrica definita, si può individuare sociopatia e crisi aggressive fuori controllo. Possibile individuo borderline.

Allen Walker

Sesso: maschio

Data di nascita: 25 dicembre (età al momento del ricovero: 15)

Background: abbandonato dai genitori a causa di una deformità al braccio sinistro è stato cresciuto inizialmente dagli artisti di un circo, in seguito è stato adottato da uno di essi con il quale ha viaggiato per il mondo. Dopo la morte del padre il ragazzo ha vissuto solo in mezzo a una strada.

Patologia: grave forma di dissociazione di personalità, accompagnata da deliri e allucinazioni.

 

 «Interessante ricettacolo di pazzi…» Il sergente tornò nel cortile e si mise a guardare l’edificio in fiamme, una casa a due piani adibita a centro di accoglienza per coloro che soffrivano di disturbi mentali. Si trattava di un centro di piccole dimensioni poiché il direttore, il dottor Komui Lee, voleva prendersi cura della sorella in un luogo il più possibile accogliente e pacifico, e non riteneva che un ospedale psichiatrico di grandi dimensioni fosse adatto. Nel piccolo centro in cui lavorava aveva deciso di accogliere anche coloro che non potevano permettersi cure psichiatriche, ed era aiutato da un medico di grande fama, il dottor Cross Marian, e da alcuni collaboratori accuratamente scelti tra coloro che avevano fatto richiesta.

«Sergente Link! Sergente! Abbiamo trovato un superstite!» Link si girò di scatto verso il poliziotto che l’aveva chiamato e che gesticolando freneticamente tentava di attirare la sua attenzione verso la squadra medica che trasportava qualcuno su una barella. Corse in quella direzione, intenzionato a ottenere risposte su cosa fosse accaduto il prima possibile. Quando vide il ragazzo sulla barella restò un attimo perplesso: era stretto in un lungo cappotto bianco, e il cappuccio lasciava spuntare solo alcune ciocche di capelli, che al buoi sembravano di un rosso scuro. Aveva il viso macchiato di sangue e fuliggine, e non riuscì ad associarlo a nessuno dei pazienti ricoverati.  

«Ehi ragazzo, come ti senti? Io sono Howard Link, sergente di polizia chiamato sul posto per indagare su quanto avvenuto. Saresti in grado di rispondere ad alcune domande?» Il ragazzo lo guardò per un momento, respirando a fatica.

«Sergente Link, non crediamo sia opportuno interrogare il ragazzo adesso. È miracolosamente scampato all’incendio, ma non sappiamo se ha riportato ferite di altra entità. Occorre visitarlo quanto prima.» La ragazza che  parlò, la dottoressa Four da quanto poteva leggere dal suo tesserino, lo guardò perentoria, con occhi di chi non avrebbe permesso a nessuno di toccare un suo paziente.

«Non si preoccupi… signorina, davvero. È molto gentile, ma oltre alla stanchezza… non sento altro, quindi non credo sia necessario far aspettare il sergente Link. Può farmi le domande che desidera.» La dottoressa e il sergente si guardarono per un attimo in cagnesco, sul viso di Link un piccolo ghigno di vittoria.

«Bene. Allora, che ne dici di dirmi il tuo nome innanzi tutto, così la smetto di chiamarti ragazzo?»

«Neah D. Campbell, piacere» sorrise allegramente, mentre la luce delle fiamme gli illuminavano il viso creando ombre che gelarono il sangue nelle vene di Four e Link, senza che riuscissero a capirne il motivo.

«Tutto è cominciato ieri, alla vigilia di Natale…»

 

Il giorno prima – 24 dicembre

Lenalee danzava con leggerezza davanti al fuoco del camino, seguendo le note che il giradischi diffondeva nell’istituto, i lunghi capelli neri sciolti a seguire delicatamente i suoi movimenti. Komui la osservava appoggiato allo stipite della porta, sorridendo felice nel vedere la sorella così allegra. Un tempo non avrebbe mai danzato in quel modo, sia a causa delle catene che le appesantivano le gambe sin da bambina che a causa delle rigide e assurde regole imposte dalla loro famiglia. Consideravano Lena come una specie di dea, pura e intoccabile, e non le permettevano di uscire di casa o anche semplicemente dalla sua stanza, impedendole di fare qualunque cosa poiché ritenevano che il mondo esterno avrebbe rovinato la sua bellezza. Non aveva mai avuto la possibilità di leggere, scrivere, ascoltare musica, o anche solo osservare un quadro. Ogni genere di distrazione le era stata negata, Lenalee doveva essere preservata, e quindi era rinchiusa in una stanza come una bambola di porcellana. Komui scosse la testa per allontanare quei brutti pensieri e quando la musica terminò applaudì piano, attirando l’attenzione della sorella.

«Fratellone! Che ci fai qui, non dovresti lavorare?»

«Non ti ci mettere anche tu Lena, sono già stato sgridato da Reever! Volevo passare la vigilia con te, non con quei burberi dei miei assistenti!»

«Dai fratellone, stasera ceniamo tutti assieme, ora devi lavorare. Vuoi che ti faccia un po’ di caffè?»

«Sììì! Grazie Lena, sei adorabile!» Komui stritolò la sorella, mentre lei si diresse a fatica in cucina per preparare una tazza fumante di caffè a quello sfaticato del fratello.

«Ehi Lena! Che cosa stai facendo qui? Oh, direttore, non l’avevo vista!»

«Ciao Allen, sto andando a preparare del caffè, ne vuoi un po’?»

«No, sono apposto così, Jerry mi sta preparando la cioccolata.»

«Ecco tesoro, cioccolata con panna e cacao per te!» Il cuoco, dalla dubbia sessualità, poggiò una tazza enorme di cioccolata calda davanti ad Allen, e lui ci si fiondò sopra come un morto di fame. Komui restava sempre sconvolto dal pozzo senza fondo che era quel ragazzo, dall’aspetto così gracile e debole da rendere quasi un miracolo il fatto che fosse ancora vivo. La vita con lui era stata particolarmente ingiusta: maltrattato da un circo, cresciuto da un uomo che faceva il clown, e morto questo rimasto solo per strada, a morire di freddo e fame. Il suo corpo ne aveva risentito parecchio, e anche la sua psiche. Ricordava ancora quando l’aveva visto la prima volta, portato lì dal dottor Cross Marian che lo aveva trovato in un cimitero a piangere di fronte alla tomba del padre. Inizialmente non credeva che sarebbe sopravissuto: magro, con la febbre alta, una terribile ferita mal curata che gli percorreva il lato sinistro del volto, il braccio deforme come se fosse stato divorato dalle fiamme. Ma ciò che più lo aveva lasciato sbalordito, pur essendo il minore dei problemi, era il colore dei capelli: bianchi, candidi come la neve. Eppure aveva solo 15 anni, era un ragazzino, non era normale. Doveva aver subito un shock non da poco per aver perduto il colore dei capelli. Contro ogni previsione però Allen si riprese dalla febbre e dalla debolezza, e quando tornò cosciente la prima cosa che fece fu di saltare al collo di Cross, in preda a uno strano delirio. Quando si calmò non ricordò niente, e ringraziò con fare da vero gentlemen tutto l’istituto per averlo soccorso. Con il tempo Komui aveva capito che il ragazzo era affetto da un grave disturbo di personalità, causato da chissà quale ragione. Era comunque un bravo ragazzo, ed era stato accolto da tutti senza difficoltà...

«La mammoletta si fa ancora preparare la cioccolata? Sicuro di non avere ancora 5 anni?» …Quasi tutti.

«Ma guarda chi c’è! Il vecchio mangiatore di soba! Finita la pennichella oggi, Ba-Kanda?» Ba-Kanda, o per meglio dire Kanda, era un ragazzo taciturno e asociale, solitamente ben disposto verso tutti, tranne verso Allen. I due si erano odiati sin da subito, e qualunque cosa era buona per iniziare ad attacar briga.

«Sono esercizi di concentrazione mammoletta, e la soba è un piatto nutriente e leggero. Non sono una fogna come te, capelli da vecchio.»

«Tsh, parla quello con i capelli da donna.»

«Senti tu, cos’hai da ridire sui miei capelli?»

«Niente, solo che- Uahhh, ma che diavolo?!? Lavi, che stai facendo?!»

«Vi faccio tacere, non è possibile che ogni giorno dovete sottoporci alla stessa scenetta, giusto, principessa?» L’ultimo arrivato, Lavi, un ragazzo dai capelli rossi e un occhio bendato, sorrise allegro a Lenalee, che nel frattempo se la rideva godendosi la scena.

«Fate troppo casino, me ne torno nella mia stanza.» Kanda si affrettò a lasciare la stanza, come suo solito quando doveva avere a che fare con Lena. Non che la odiasse, anzi, era l’unica che lui lasciasse avvicinare, ma non sapeva come interagire con lei, quindi preferiva non starle accanto quando non sapeva che era presente, come se avesse bisogno di prepararsi mentalmente a incontrarla.

«Mh? Dove se ne va l’antipatico?» L’assenza di Kanda fu subito rimpiazzata da Road, la più piccola dei ricoverati al D.Gray Hospital.

«Fugge dal sesso femminile come sempre.»

«Mh, fifone. Non come il mio Allen, vero, amore?» La ragazza gli saltò in braccio e si strinse forte a lui, facendo le fusa come un gatto. Lui in tutta risposta continuò a mangiare la sua cioccolata completamente indifferente alla situazione. Era così da quando si erano conosciuti: per qualche ragione, quella ragazzina dall’aspetto di una bambola di porcellana, si era invaghita di lui sin dal primo istante, e ogni volta che poteva gli saltava addosso esplicitando il suo amore per lui senza vergogna.

«Ma che dolci piccioncini, perché non andate in una stanza ad amoreggiare? Così io posso restare solo con Le- AAAHHHHH, BRUCIA!!!» Lavi scattò all’indietro dopo aver ricevuto in piena fronte una cucchiaiata di cioccolata da Allen, che tornò a mangiare con tranquillità.

«Ragazziii, non dovete litigar-ehhhh!» Miranda fece il suo classico ingresso cadendo a terra, iniziando a piagnucolare. Komui si avvicinò a lei e la aiutò a rialzarsi, e lei si affrettò a raccogliere da terra i fogli che portava e che erano destinati al direttore. Era così che Miranda combatteva la sua depressione, aiutando gli operatori dell’istituto con alcune piccole faccende. Era sempre stata una donna volenterosa, ma non aveva mai ottenuto molto dalla vita, e aveva cominciato a deprimersi a causa della mancanza di un lavoro e della sua bassa autostima. Komui l’aveva sempre aiutata, anche perché in parte si sentiva in colpa per le sue sfortune, e quindi aveva deciso di farla lavorare lì, così che lei si sentisse realizzata.

«Ecco direttore, questi li manda la sede centrale. Sono le cartelle cliniche di alcuni pazienti che vorrebbero che fossero trasferiti qui. Il dottor Cross Marian dovrebbe arrivare questo pomeriggio per parlare con lei e decidere cosa fare.»

«Ancora richieste eh? Non hanno ancora capito che non prendo nessuno qui? Vabbeh, gli darò un’occhiata, giusto per curiosità. Grazie Miranda.» Komui si avviò verso il suo ufficio, con una calda tazza di caffè tra le mani, lasciando dietro di sé i ragazzi che in cucina continuavano passavano i pochi istanti in cui si sentivano vivi, senza notare che al sentire che Cross Marian sarebbe arrivato nel giro di poche ore Allen era sbiancato, iniziando a fissare il vuoto.

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Capitolo 2
*** Come un pianoforte con un tasto rotto. ***


Capitolo 2. Come un pianoforte con un tasto rotto

«Non se ne parla Cross, lo sai. Provo un rispetto enorme per te e per le tue scelte, ma non ho intenzione di accogliere nuovi pazienti qui, e ancor meno ho intenzione di dimettere Allen.»

«Komui, quel ragazzo ha bisogno di cure differenti, più mirate al suo caso. Credevo anch’io che stando qui si sarebbe ripreso con il tempo, ma sono passati due anni ed è ancora come quando te l’ho portato, se non peggio. Devo rispettare la volontà del padre e occuparmi di lui.»

«So che eri amico di Mana e che se Allen è ancora vivo lo dobbiamo solo alla lettera che ti ha spedito chiedendo il tuo aiuto quando aveva capito che sarebbe morto a breve. Ma se porterai Allen via da qui gli toglierai quel minimo di stabilità che è riuscito a trovare, e di certo questo non lo aiuterà a guarire. Piuttosto tu dovresti restare qui più a lungo e occuparti di lui, lo sai che ti vede come un maestro, come una guida.»

Cross tirò un lungo tiro dalla sigaretta che stringeva tra le dita e contemplò le volute di fumo quando lo espirò. Non era nei suoi piani che il ragazzo si affezionasse a lui, se l’avesse saputo si sarebbe limitato a lasciarlo davanti alla porta dell’istituto e poi se ne sarebbe andato. Invece, per affetto verso l’amico ormai morto, aveva deciso di restare finché Allen si era completamente ristabilito, almeno fisicamente parlando, firmando così la condanna di entrambi. Allen per qualche ragione si era affezionato a lui, lo vedeva davvero come un maestro, e si rivolgeva a lui per qualunque esigenza. Cross non era fatto per occuparsi di un ragazzino, così una notte se n’era andato, ed era tornato pochissime volte. Ora era intenzionato a portare Allen con sé nella sede centrale per sottoporlo a cure più adeguate, ma sapeva che non sarebbe stato facile convincere né Komui, né Allen, che ormai per lui aveva iniziato a provare odio.

Mentre rifletteva sentì un dolce melodia risuonare nell’istituto. Restò un attimo in ascolto per tentare di capire cosa fosse.

«Dev’essere Allen che suona il piano» disse Komui, quasi avesse letto nella mente del collega.

«Allen? Ma lui non sa suonare il piano.»

«Scherzi? Ormai è da circa un anno che ha iniziato a suonarlo, ed è davvero bravo. Per questo gli abbiamo comprato un piano. È stato un po’ difficile trovarlo, per qualche strana ragione ne voleva una bianco con la tastiera nera.»

«Un pianoforte… bianco…» Restò ancora un po’ in silenzio, e quando sentì una voce femminile seguire la melodia suonata da Allen scattò in piedi, in viso un’espressione preoccupata.

«Che ti prende Cross?»

«Dov’è?»

«Dov’è cosa?»

«Il piano! Dov’è Allen che suona quel fottuto piano?!?» Komui lo guardò confuso e gli fece strada per i corridoi dell’istituto. La saletta con il piano era al piano sopra, nel piccolo atrio che separava l’ala maschile da quella femminile. Quando arrivarono la scena che gli si manifestò davanti fu come una visione: Lenalee cantava con una voce soave e Allen suonava in modo divino, e le due cose messe insieme creavano qualcosa simile a un incantesimo.

«Perché sei voluto venire qui Cross? Lo sai che Allen non sarà contento a vederti così all’improvviso» Komui parlò a bassa voce per non farsi sentire dal ragazzo, ma non servì. Allen infatti si fermò premendo con una forza esagerata una delle ultime note, facendo uscire dal piano uno strano suono.

«Allen, che succede? Perché ti sei fermato? Oh, fratellone, dottor Cross, non vi avevo sentiti entrare!» Lenalee andò a salutarli sorridendo felice di vederli.

«Ciao principessa, come stai?»

«Molto bene dottor Cross. Sa, mi sto prendendo cura delle rose che ha lasciato qui, stanno diventando bellissime!»

«Oh sì, le ho viste, sono quelle che hai piantato in cortile vero?»

«Sì, sono felice che le abbia notate.» Lena era davvero felice che Cross avesse riconosciuto il suo impegno. L’ultima volta che era stato lì le aveva lasciato alcune rose bianche di cui occuparsi, e lei si era messa con impegno per farle crescere sempre più numerose. A volte, se vedeva che non crescevano come desiderava lei, aveva delle vere e proprie crisi isteriche, ma la aiutavano a non pensare, a dimenticare i più piccoli dolori che aveva provato nella sua vita, quindi Komui non si l’era sentita di toglierle quella piccola ossessione.

«Brava ragazza. Cosa stavi facendo qui?»

«Cantavo una ninna nanna che mi ha insegnato Allen. Ha detto che se n’è ricordato in sogno, è una canzone che aveva inventato con suo padre. Le piace?»

«Eri molto brava Lena. Ora vado a complimentarmi con Allen.»  Cross si avvicinò al ragazzo, che nel frattempo carezzava delicatamente il tasto rotto del pianoforte, con aria turbata.

«Perché l’hai rotto?»

«Non è stato intenzionale.»

«Capisco. È vero quello che ha detto la principessa?»

«Cosa?»

«Che stavi suonando una canzone che hai imparato da Mana.»

«Non me l’ha insegnata lui, l’abbiamo inventata insieme quando giravamo per le strade alla ricerca di soldi.»

«Non sapevo che sapesse suonare il piano.»

«Sapeva fare molte cose, doveva essere così, altrimenti morivamo.»

«Ha senso. E come mai solo adesso hai iniziato a suonarla?»

«Perché me la sono ricordata poco tempo fa.»

«E da quando suoni il piano?»

«Un annetto circa.»

«Anche quello l’hai ricordato all’improvviso?»

«Sì.»

«Come procedono le tue crisi?»

«Bene.»

«Sicuro?»

«Sì.»

«Non mentirmi.»

«MA CHE CAZZO VUOI?!?!» Allen lo prese per il colletto della giacca e lo strattonò con forza. Era infuriato, e in quel momento non avrebbe risparmiato nessuno, per questa ragione Komui si tenne a distanza stringendo forte a sé la sorella.

«Arrivi qui con la tua solita arroganza, dopo secoli che non ti fai vedere, e inizi a farmi il terzo grado sul perché di ogni cosa che faccio! Magari se fossi rimasto qui invece di andare in giro a fare il coglione sapresti cosa mi succede, sapresti che gli incubi la notte mi tormentano, che ora non mi limito a vedere in sogno l’altro me, ma che lo vedo quando mi guardo allo specchio, quando mangio, quando sto per dormire, in ogni fottuto istante della giornata! Sapresti che è da quando lui è diventato una presenza sempre più costante che ho imparato a suonare il piano, che l’altra notte mi sono alzato all’improvviso seguendo la sua voce fin qui e che mi sono messo a cantare questa maledetta canzone! La sento tutto il giorno in testa, e niente, NIENTE, mi aiuta a placare lo strazio che provo! Forse se tu, che tanto dicevi di essere amico di Mana, che continuavi a ripetermi che mi avresti aiutato a guarire, che avrei potuto seguirti come se fossi il mio maestro, mi fossi rimasto accanto tutto ciò non sarebbe successo! NON OSARE MAI PIÙ FARTI VEDERE DA ME!» Allen lo scansò con forza e se ne andò, seguito da Lenalee. Cross vide che i due raggiunsero l’esterno e che la ragazza lo abbracciava con forza, mentre lui tentava di fuggire in preda alle lacrime, finché non si abbandonò tra le sue braccia.

«Resterò qui per questa notte, domani sera io e Allen partiamo.»

«Cosa? Ma sei impazzito? Cross, quel ragazzo ti odia a morte, non lo capisci? Non l’ho mai visto così, è la prima volta che si arrabbia seriamente con qualcuno! Come pensi di poter portarlo via con te, me lo spieghi?»

«Può scalciare e urlare quanto vuole, potrà anche passare il tempo a insultarmi, ma deve venire via con me. Davvero non capisci?»

«Cosa?»

«Sai perché io e Mana eravamo amici?»

«No, non me lo hai mai detto. In realtà non hai mai parlato di lui finché non è arrivato Allen.»

«Avevo in cura il fratello di Mana. Quello sì che era un pazzo. Non ho mai capito cos’avesse, schizofrenia di sicuro, ma c’era dell’altro. Sai, anche Allen lo conobbe. Anzi, si può dire che Mana lo prese con sé come rimpiazzo del fratello, ormai troppo malato. Morì infatti poco tempo dopo aver conosciuto Allen, a Natale, giusto per essere simpatico. Mana non si riprese mai dalla morte del fratello, ed era ossessionato dall’idea che Allen fosse responsabile. Così decise di trasformare il bambino che aveva appena adottato nel fratello che aveva perso. Gli insegnò tutto ciò che serviva per renderlo il più possibile uguale al fratello, dal modo di comportarsi, di parlare, alle conoscenze generali, come suonare il piano. Quella melodia che lui dice di aver inventato con Mana in realtà è frutto di Mana e del fratello, ed era ovviamente quest’ultimo a suonare il piano. E indovina? Suonava sempre un pianoforte bianco dalla tastiera nera.» Fece un pausa, per vedere la reazione del collega. Komui sembrava completamente perso, come se non volesse credere a ciò che sentiva.

«Modellò la mente di quel povero ragazzo in modo tale da renderlo una copia del fratello in miniatura» riprese Cross, vedendo che non otteneva nessuna risposta dall’amico. «Tentai di convincerlo che non serviva, ma non mi diede ascolto, anzi, non si fece più sentire. Quando mi arrivò la sua lettera arrivai troppo tardi e mi ritrovai davanti ad Allen, con i capelli diventati bianchi a causa dello shock per la morte dell’unica persona che mostrava affetto per lui, e sempre a causa di quella perdita aveva la memoria come resettata. Per quel che riguardava il carattere era come il fratello di Mana, ma non ricordava nulla di ciò che gli aveva insegnato. Pensai che tutto sommato era un bene, almeno era più educato, un vero gentlemen, ma non è servito molto tempo per capire che semplicemente aveva sviluppato un doppia personalità, che per qualche ragione aveva mischiato le peculiarità del “vero” Allen con quello del “falso” Allen. Ora però il falso sta emergendo, e non è un bene. Non lo è affatto.»

«Non capisco. Cioè, ho capito ciò che ha fatto Mana, e non è stato di sicuro un atteggiamento degno di un padre per il proprio figlio. Capisco anche che così facendo ha creato vari danni alla psiche di Allen, ma penso che se riuscirà a far emergere distintamente l’altra personalità sarà più semplice farla sparire.»

«Su questo non hai torto, eccezion fatta per un dettaglio non da poco. Non ne avresti il tempo.»

«Che significa?»

«Che il fratello di Mana era un pazzo assassino, e Allen ha imparato anche questo. Per quale ragione secondo te avrebbe ucciso suo padre, a cui voleva tanto bene? Perché proprio Mana gli aveva inculcato istinti omicidi, e quando essi hanno attecchito il primo su cui si sono manifestati fu proprio il nostro clown. Mana sapeva che correva quel rischio, per questo mi aveva contattato.»

«Non ci credo…»

«Fai come vuoi Komui, questa è la verità, per quanto sia assurdo. Non posso permettere che ricominci a uccidere, non solo perché ero amico di Mana, ma anche perché, per quanto mi costi ammetterlo, io ci tengo a quel ragazzo, e non permetterò che si rovini la vita. Ora vado nella mia stanza, non mi farò vedere fino a domani sera, fammi portare la cena in camera e non dire nulla ad Allen.» Cross se ne andò senza aspettare una risposta da Komui, che nel frattempo si era lasciato cadere a terra in preda alle lacrime, conscio che non avrebbe potuto fare niente per quel povero ragazzo.

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Capitolo 3
*** I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole. ***


Capitolo 3. I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole

«Tu sei pazzo.»

«Ma davvero? Credevo di essere qui in vacanza premio.»

«Non sto scherzando. Quello che vuoi fare non ha senso.»

«Da quando ti fai tanti problemi? Ho chiesto a te proprio perché so che non ti importa di niente e di nessuno, non credevo che avresti fatto storie.»

«Ok che sono un po’ distaccato dal mondo, ma non ho mai pensato a nulla di simile.»

«Quanto la fai lunga stupido coniglio. Allen ci chiede aiuto e tu che fai? Diventi improvvisamente un santarellino?»

«Senti mocciosa, non rompere. Già non capisco cosa c’entri tu in tutta questa storia, quindi non hai diritto di parola.»

«Io amo Allen, per lui farei qualunque cosa. Tu invece? Non dicevi di essere il suo migliore amico?»

«Sì… Ok, va bene, lo farò, per quanto mi sembri assurdo.»

«Perfetto. Inizieremo a mezzanotte. Tu Lavi occupati di Kanda e Miranda, Road del personale e di Lenalee, io penserò al resto. A più tardi. Ah, e se per qualche ragione dovremo anticipare il tutto vi avviserò suonando il piano, ok?» Allen si avviò verso la cucina con nonchalance, canticchiando allegramente. Dopo la visita del suo adorato maestro si era chiuso nella sua stanza e dopo aver distrutto la maggior parte della mobilia aveva avuto un’illuminazione. Avrebbe preferito fare tutto da solo, ma sapeva che sarebbe stato troppo difficile, e dunque aveva chiesto alle persone di cui più si fidava. Poteva sembrare strano ma fra tutti Lavi e Road erano i migliori su cui poteva contare. In fin dei conti odiava Kanda, e lui di rimando, Lenalee era troppo pura per una cosa simile, e Miranda… Beh, era Miranda, che per quanta buona volontà ci mettesse non era in grado di non compiere disastri. E poi sapeva che gli altri non avrebbero avuto motivo per aiutarlo, mentre Road era mossa da vero e proprio amore, e Lavi da un affetto quasi fraterno.

Erano quasi le undici di sera, avevano finito di cenare alle nove circa, e Allen aveva ancora fame, dunque aveva deciso di rubacchiare un po’ di cibo. Vide alcune delle inservienti intente a mettere in un vassoio alcuni dei piatti che avevano preparato per loro quella sera, e una di loro prese una bottiglia del miglior vino che avevano. Il cuore di Allen perse un battito, e si nascose dietro lo stipite della porta per origliare ciò che le due dicevano.  

«Non capisco però perché il dottor Cross non ha voluto mangiare con gli altri. Era molto tempo che non si fermava qui.»

«Zitta stupida! Oltre al dottor Komui e noi due nessuno sa che il dottor Cross si è fermato per la notte. Da quel che ho capito domani sera ripartirà portando con sé Allen, ma penso che anche tu oggi abbia sentito le urla del ragazzo. Credo che il dottore abbia finto di andarsene per far calmare Allen, fino a domani sera quando probabilmente si servirà di una camicia di forza per portarlo con sé.»

«Povero ragazzo… Mi dispiace per lui.»

«Non pensarci, per Allen è meglio così.»

«Cosa è meglio per me?» Allen entrò in cucina fingendo di non aver sentito niente. Sorrise alle due ragazze, riuscendo a rassicurarle.

«Abbiamo pensato di tenerti da parte del cibo. Sappiamo che il direttore non sarebbe d’accordo dopo il disastro che hai combinato nella tua stanza, ma secondo noi mangiare ti fa bene.» La ragazza gli porse un piatto con vari avanzi della cena sorridendo tranquilla, sperando di aver convinto Allen.

«Grazie, siete state gentili a pensare a me. Avevo giusto un po’ di fame!» Lui sorrise ancora, ma non prese il piatto, anzi si avviò verso il lavabo dove ancora erano presenti i piatti sporchi. Fingendo di prendere un bicchiere nascose un coltello nella manica della camicia, e dopo aver bevuto tornò dalle ragazze.

«Grazie ancora, ladies. Siete state gentilissime» e con un rapido gesto recise la giugulare di entrambe. Non si accorsero di nulla, i loro corpi si accasciarono a terra senza far rumore. Allen buttò il coltello su pavimento e prese il vassoio destinato a Cross, avviandosi al piano di sopra. Indossò il lungo cappotto bianco che Lenalee gli aveva regalato per natale ma che aveva aperto già alla vigilia per accontentare la ragazza, e prima di raggiungere la stanza del suo maestro andò a suonare alcune note nella saletta del pianoforte, le prime della melodia che aveva inventato con Mana. Road e Lavi, in attesa, sentirono immediatamente la musica, e si avviarono verso i loro obiettivi.

 

Road vagò per un po’ alla ricerca di Lenalee, non trovandola nella sua stanza. La trovò in una della ultime stanze del piano terra, dove conservava i vasi di rose che più le piacevano. 

«Ehi Lena, cosa fai qui?»

«Non riuscivo a dormire, così ho deciso di occuparmi di loro» Lena spruzzò un po’ d’acqua sui fiori, canticchiando allegramente. Road si chiuse la porta alle spalle e iniziò a fissarla.

«Road? Hai bisogno di qualcosa?» Lenalee la osservò confusa mentre la ragazzina si rigirava tra le mani uno dei vasi contenente una bellissima rosa bianca.

«È davvero bella… Però starebbe meglio con un po’ di rosso» e così dicendo sbatté con violenza il fondo del vaso contro la tempia di Lenalee. La ragazza si accasciò a terra, intontita. Road la trascinò verso un termosifone e con una corda la legò con forza, per impedirle di fuggire. 

«Road?... che… fai? Liberami!» Lena iniziò ad agitarsi, mentre Road iniziò ad accendere alcune candele che si era portata dietro, sistemandole nei vasi di rose. Ne prese alcuni e li piazzò attorno a Lenalee, per assicurarsi che il fuoco arrivasse anche a lei.

«No! Le mie rose! Road, cosa stai facendo?! Così le brucerai!»

«Capiamoci: ti ho colpita in testa per tramortirti, ti ho legata per non farti scappare, ho dato origine a un bel falò e tu ti preoccupi delle rose? Tu sei proprio pazza!» Road rise di gusto mentre il fuoco prendeva sempre più forza alimentandosi con le numerose piante presenti nella stanza.

«Sai, sono felice di averti trovata qui. Almeno ho potuto distruggere anche queste cose. Le ho sempre odiate, ovunque c’era la loro puzza, e Allen ne soffriva perché gli faceva tornare alla mente Cross, ma non osava dirti niente perché è un ragazzo troppo gentile. Pazienza, tanto ora non importa più. Presto sarà tutto finito e Allen sarà finalmente libero. Ora vado, sennò rischio di morire bruciata anche io. Mi piacerebbe restare qui e sentire le tue urla di dolore. È un peccato non poter sentire il canto di un angelo legato a un termosifone in attesa della morte» saltellò via, salutando la ragazza in preda alla disperazione con un gesto di mano.

Arrivò nell’atrio d’ingresso poco dopo, lasciando alcune candele in giro per corridoio, e trovò Lavi ad aspettarla.

«Già finito?»

«Sì, è stato facile. A Kanda ho avvelenato la soba che gli ho gentilmente portato come regalo di Natale, è morto in pochi minuti riuscendo però a insultarmi un po’, e con Miranda non c’è stato nemmeno gusto, non ha fatto un fiato.»

«Anche con la principessa è stato facile.»

«Come l’hai uccisa?»

«Ho dato a fuoco alle sue adorate rose in quella stanzetta in cui si rinchiude sempre, e ho chiuso lei dentro.»

«Sadica.»

«Lo so.» Road si avvicinò al muro di fronte a lei, incuriosita da qualcosa che c’era per terra, davanti all’orologio a pendolo. Scoprì che si trattava del cadavere di Miranda, con la testa fracassata. Si girò a guardare il suo collega, leggermente dubbiosa. «Non guardarmi così! Stava pulendo il suo adorato orologio e ho pensato che le avrebbe fatto piacere morire con lui!» Lavi si giustificò con quella che per Road era una ragione valida, e intinse le dita nel sangue che formava una larga pozza sul pavimento. Passò le dita sul muro, scrivendo una frase che adorava ripetere, “I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole”, in netto contrasto con quella che campeggiava all’entrata dell’istituto, che faceva credere che loro fossero apostoli “speciali” di Dio.

«Perfetto, ora possiamo andare. Dai, aiutami a uccidere gli inservienti, prima finiamo meglio è.»

«Oook.» I due si divisero di nuovo, e continuarono con il loro massacro.

 

«Dottor Cross, ho portato il cibo per lei.»

«Finalmente, stavo morendo di fame.» Cross si alzò e aprì la porta, poi tornò a sedersi sul davanzale della finestra.

«Ecco a lei» la ragazza appoggiò il vassoio sul tavolo e si accasciò a terra, mentre una chiazza di sangue iniziava a colare dal lato della sua testa. Cross rimase impietrito quando vide chi aveva appena ucciso quella povera ragazza: Allen lo guardò sorridendo divertito, pulendosi le mani sul bianco cappotto.

«Allen, ma che diavolo-! E quella dove l’hai presa?» Cross seguì con lo sguardo la pistola che Allen gli puntò addosso, continuando a sorridere.

«Non è stato difficile procurarmela, basta avere le conoscenze giuste.»

«E ora che vorresti fare?»

«Secondo te?»

«A cosa ti servirebbe uccidermi?»

«Soddisfazione personale? Non so, ho voglia di farlo e basta. In fin dei conti chiedere a un assassino perché uccide è come chiedere a uno sportivo perché fa sport. Perché gli piace, non c’è altra spiegazione.»

«Tu non sei un assassino Allen.»

«Chiedilo a lei, e alle altre due in cucina. Secondo me sono di altro parere.»

«Smettila Allen.»

«Invocare quel nome non ti servirà a molto, Cross, pensavo che non fossi così stupido.»

«Allen, riprenditi! Tu non sei un assassino e lo sai!»

«Lui forse no, ma io sì.» Allen sorrise sempre di più, divertito dalla situazione.

«È solo una questione mentale Allen, non lasciare che le idee malate di Mana ti trasformino in un pazzo!»

«Ma io sono già un pazzo! La mia mente è divisa in due, è come avere due persone in un corpo solo! Da una parte il dolce, gentile e sensibile Allen, dall’altra in pazzo omicida che sono io. Capisci che già questo mi rende un pazzo? Uccidere qualcuno non fa differenza.»

«Allen, tu-»

«E smettila di chiamarmi Allen. Lui ora sta facendo la nanna, non svegliarlo. Quando ero un tuo paziente mi chiamavi per nome no? Su, non te lo ricordi?» Cross non rispose, si limitò a guardarlo.

«Che noioso che sei Cross, davvero.» Allen, o qualunque fosse il nome che voleva che fosse usato, abbassò la pistola e sollevò gli occhi al cielo. Cross scattò in avanti nel tentativo di disarmarlo, ma non servì a nulla: un proiettile lo raggiunse in pieno volto, uccidendolo sul colpo.

«Davvero noioso. Vabbeh, ho guadagnato tempo, è ora di raggiungere gli altri.»

 

Raggiunse il tetto, luogo d’incontro prestabilito. Lavi e Road erano già lì, e si godevano lo spettacolo delle fiamme che stavano pian piano divorando l’edificio. Avevano risparmiato giusto le scale che si raggiungevano dal tetto, così da poter fuggire.

«Ehi Allen, hai finito.»

«Sì, e mi sono annoiato a morte. Komui mi ha implorato, idem Johnny, Reever ha tentato di reagire ma non è servito a molto, ma il più noioso è stato Cross, si è limitato a farmi la predica e ha tentato un inutile mossa per disarmarmi. Uff, speravo che almeno lui mi divertisse un po’.»

«Sei strano Allen, più del solito.»

«Ovvio, adesso non sono Allen. Sarebbe strano se fossi come sempre.»

«In che senso non sei Allen?»

«Sei il fratello di Mana vero?» Road lo guardò con occhi fermi, indagatori.

«Wow, e tu come lo sai?»

«So molte cose. Così però non mi piaci.»

«Perché no?»

«Sei come un morto che cammina. In un corpo non tuo non sai come agire, e la cosa appare grottesca. Mi piace di più Allen.» Road andò verso il cornicione e si mise in piedi sul bordo, osservando la neve che aveva iniziato a scendere piano.

«Beh, ammetto che mi hai lasciato un po’ perplesso. Non credevo che qualcuno conoscesse la mia storia.»

«Te lo ripeto, io sono una ragazza curiosa, so molte cose.» Continuava a camminare avanti e indietro sul cornicione, sorridendo felice.

«Perché sorridi?»

«Perché sono felice.»

«Mi stupisci sempre di più pensavo che una pazza come te non provasse emozioni. Nemmeno io le provo.»

«Bugia. Anche noi proviamo emozioni, solo che le manifestiamo in maniera… errata.» La ragazza fece una piroetta e si fermò rivolta verso i ragazzi, osservandoli con i suoi occhioni viola, i corti capelli neri spettinati dal vento.

«Continui a sorprendermi. Non ti facevo tanto sentimentale.»

«Allora sorprenditi di nuovo perché ora vedrai che noi possiamo anche volare» mormorò qualcos’altro e si lasciò cadere nel vuoto, senza lasciare a nessuno il tempo di reagire. Il suono del suo corpo che si schiantava al suolo sembrò quello di una bambola caduta a terra. I due ragazzi, dopo un attimo di immobilità, corsero giù dal tetto, ma fu ovviamente inutile. Road era morta sul colpo, ma sul viso aveva un bellissimo sorriso. Allen si abbassò dolcemente a posare un bacio sulla bianca e sempre più fredda fronte, per poi chiuderle gli occhi per sempre.

«Perché si è buttata?»

«Per farmi tornare.»

«Come scusa?»

«Sono tornato a essere Allen. Road sapeva anche questo: vedendo qualcuno morire sarei tornato indietro.»

«Come faceva a saperlo?»

«Non ne ho idea…» Allen sollevò il cappuccio del cappotto e diede le spalle all’edificio. L’odore di bruciato e dei corpi carbonizzati si stava mischiando a quello delle rose, creando un odore orribile.

«E ora che si fa?» Lavi si avvicinò all’amico, stringendosi per il freddo.

«Beh, tu muori» Lavi non ebbe il tempo di reagire che Allen lo pugnalò in pieno petto. «Scusami, ma anche se sei il mio migliore amico so che mi potresti tradire. Dormi bene.» Gli occhi di Lavi si spensero e il sul suo viso rimase un piccolo sorriso soddisfatto. Allen adagiò il suo corpo tra le rose, sapendo quanto il ragazzo amasse Lenalee e il profumo di fiori che sempre l’avvolgeva.

«Bene, e ora che si fa?» sentì in lontananza delle sirene, e sorrise divertito mentre il suono delle campane annunciava l’inizio del Natale. Si strofinò con foga i capelli con le mani sporche di sangue, sperando che bastasse a coprire il bianco. Il suo sorriso si allargò mentre pensava a come avrebbe fatto la vittima, il povero ragazzo sopravvissuto a quel terribile incendio. Si sarebbe presentato come Neah D. Campbell, nella speranza che nessuno di quella gente ricordasse il nome di quel pazzo, e dopo avergli raccontato tutta la storia, godendo del sospetto che pian piano cresceva sui loro volti, avrebbe ucciso tutti.

«Buon compleanno, Allen» mormorò ripetendo le ultime parole sussurrate da Road, mentre calde lacrime gli scorrevano sul viso deformato da un sorriso agghiacciante.

 

 

___________

Nota d’autrice: e come sempre buon Natale a tutti, soprattutto al nostro Allen! No, dubito che io riuscirò mai a scrivere una robina dolce e tenera, non rientra nei miei interessi. Su quattro storie che ho pubblicato di D.G-m quattro hanno un bel finale da dramma, ma vabbeh. Per quel che riguarda la storia: forse qualcuno l’ha notato ma sono stata ispirata dalla canzone di Simone Cristicchi “Ti regalerò una rosa”, infatti i vari titoli e alcune delle frasi presenti nella storia sono proprie della canzone, ma oltre a quello non c’è altro, la storia sicuramente non rispecchia quello che Cristicchi voleva trasmettere con la sua canzone, quindi non prendetela come un’interpretazione perché non lo è! Mi scuso se qualcuno con più conoscenze di me sulla psichiatria è morto leggendo le cose che ho scritto, ma io mi sono basata su quel poco che ricordo dagli studi delle superiori, quindi chiedo perdono. La divisione in tre capitoli è stata una scelta più che altro dettata dalla lunghezza della storia che mi contava 16 pagine di Word, il che mi pareva esagerato. Bon, penso che non ci sia altro da dire, quindi buone feste a tutti, ancora auguri al nostro Allen

See ya,

ElPsyCongroo

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