Clarity di Stephanie86 (/viewuser.php?uid=131302)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Clarity ***
Capitolo 2: *** Wedding ***
Capitolo 3: *** Another Journey ***
Capitolo 4: *** The Queen of Amazons ***
Capitolo 5: *** The Seelie Court ***
Capitolo 6: *** Choices ***
Capitolo 7: *** A Gift or a Curse ***
Capitolo 8: *** Blackrose ***
Capitolo 9: *** A World so Cold ***
Capitolo 10: *** The White Witch ***
Capitolo 11: *** Together ***
Capitolo 12: *** Love is Just a Word ***
Capitolo 13: *** The Most Powerful Magic ***
Capitolo 14: *** The Battle ***
Capitolo 15: *** Going Home ***
Capitolo 16: *** Pirates ***
Capitolo 17: *** Secretly ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Clarity ***
DISCLAIMER
'Questi personaggi non
mi appartengono, ma sono proprietà dei creatori
della serie tv “Once Upon a Time” e di
“Frozen – Il Regno di Ghiaccio”,
nonché
di C.S. Lewis e, nel caso di un personaggio, di Licia Troisi; questa
storia è
stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.
Clarity
“If our love’s
insanity, why are you my clarity?”
[Clarity, Zedd]
Quella
sera Elsa stentò a prendere sonno e quando ci
riuscì ebbe un incubo.
Nel
sogno era buio. Lei correva nel bosco, seguendo la voce di sua sorella,
che la
chiamava e le chiedeva aiuto.
“Elsa,
aiutami, ti prego”.
-
Anna?
“Elsa,
aiutami!”.
-
Anna, dove sei?
La
vedeva. Vedeva Anna pochi metri
più avanti rispetto a lei, ma tutte le volte che le sembrava
di averla
raggiunta si allontanava ancora, veniva trascinata nell’ombra
da mani
invisibili. Elsa continuava a correre, seguitava a chiamarla e sentiva
la sua
stessa voce frammentarsi in una moltitudine di echi. Costruì
la scalinata di
ghiaccio con i suoi poteri per attraversare il baratro che la separava
da Anna,
ma quando fu a metà strada sua sorella svanì di
nuovo, preda delle tenebre.
Andò
avanti così per un tempo che
le parve infinito. Il bosco era un labirinto e le ombre la
circondavano, si
allungavano per acciuffarla, si ritraevano e poi si rifacevano avanti.
-
Anna!
“Elsa!
Elsa, ti prego, aiutami!”
Aiutami.
Aiutami.
Aiutami.
Aiutami.
Aiut-
Poi
dal nulla apparvero le catene.
E le catene le serrarono i polsi.
-
Tua sorella non è qui, Elsa. Stai
inseguendo il nulla. Non la troverai mai – Non
c’era nessuno intorno a lei, ma
la voce che udiva era paurosamente simile a quella della Regina delle
Nevi.
Calma, pacata, fredda. – E poi guardati:
c’è così tanta paura in te.
Così
tanta. Se solo sapessi controllarla...
-
La controllo. Sì. Io non ho
paura.
-
Elsa – le disse un’altra voce, incalzante,
all’orecchio. Era sempre Anna, ma
stavolta era molto vicina. – Elsa, stai sognando. Svegliati.
Elsa!
Anna
la scuoteva per le spalle ed Elsa sollevò di colpo le
palpebre, riconoscendo
all’istante la sua stanza nel palazzo di Arendelle. Era senza
fiato, con le
lenzuola aggrovigliate intorno al corpo e una moltitudine di fiocchi di
neve
che svolazzavano sopra di lei e pian piano cadevano. La sua pelle era
gelata. E
non solo la pelle. Anche il cuore, lo stomaco, le ossa, il sangue nelle
vene. Tutto
sembrava essersi ghiacciato. Vedeva ancora il bosco intricato, il buio,
Anna
trascinata lontano da forze superiori. Vedeva le catene. Le sentiva ai polsi. Udiva la voce della
Regina delle Nevi. La rivedeva inginocchiata davanti a lei, la rivedeva
mentre
si faceva beffe di lei, con quell’espressione imperturbabile
e quel tono
assolutamente blando, privo di inflessioni. Quel suo modo di
muoversi... come
se non conoscesse la fretta, come se niente potesse fermarla o
scalfirla. Come
la neve che cade, senza essere sospinta dal vento e non è
impaziente di posarsi
al suolo. E Anna prigioniera dell’incantesimo malvagio di
Ingrid. Anna che le
diceva tutte quelle cose e poi apriva l’urna...
“Fai
quello che vuoi, ma sappi che
qualsiasi cosa accada, Anna... ti voglio bene”.
-
Anna... era un sogno. Sembrava molto reale – Si interruppe e
la guardò.
Sua
sorella indossava ancora gli abiti della cena, un po’
spiegazzati, come se si
fosse messa a letto senza cambiarsi per la notte, e alcune ciocche di
capelli
rossi erano sfuggiti alle trecce. Le sue mani indugiarono sulle spalle
di Elsa.
– Non era reale. Era un incubo e adesso è finito.
Cos’hai sognato?
Elsa
distolse gli occhi, fissandoli sulla finestra e sul cielo di Arendelle,
punteggiato di stelle. Erano tornate a casa solo da qualche settimana,
ma
c’erano ancora notti in cui, in un modo o
nell’altro, riviveva la perdita di
Anna o le disavventure con Ingrid.
Regina
di Panna, come
l’aveva chiamata Emma.
-
Non è necessario che tu lo sappia – rispose Elsa.
-
Invece sì. Voglio saperlo. Lo sai che puoi dirmi qualsiasi
cosa, no? – Anna
allungò una mano e le toccò la treccia, facendola
scorrere tra le dita. Si era
addormentata senza disfarsela e ora anche i suoi capelli erano un
po’
arruffati.
Elsa
protese le dita verso il suo viso, in una carezza leggerissima. Voleva
assicurarsi che fosse davvero reale,
che non fosse quello il sogno.
– Ho sognato
che ti avevo persa di nuovo... e che ti stavo cercando. Nel bosco, a
Storybrooke e... non riuscivo a raggiungerti.
-
Elsa...
-
Sono solo sogni. E passeranno, lo so. – Era turbata e il suo
stesso turbamento
era la linfa per il suo potere. I fiocchi di neve si erano fatti
più densi e
roteavano più veloci. Alcuni finirono tra i capelli di Anna
e sulle spalle,
coperte dalla mantella rossa. Lei rabbrividì a causa del
freddo.
Allora
Elsa si costrinse a ricacciare la sua paura in qualche angolo del suo
animo.
Strinse i pugni, sui quali si era formato uno strato di ghiaccio e
chiuse gli
occhi.
Non
ho paura. Posso controllarlo.
Posso controllarlo.
Anna
osservava sua sorella. I suoi occhi si erano abituati
all’oscurità della
stanza; nel buio, la pelle di Elsa aveva assunto un candore quasi
innaturale e
i suoi capelli erano argentei. Vide i fiocchi dissolversi pian piano,
la patina
bianca che aveva ricoperto le sue mani evaporare e il freddo che le
aveva
circondate trasformarsi lentamente in un confortevole tepore. Il viso
di Elsa
si rilassò e, alla fine, riaprì gli occhi.
-
Scusami, io ero... sono...
-
Bella – concluse Anna per lei. Ed era seria. –
Cioè, voglio dire... sì, volevo
dire questo. Sei bella.
Bella.
C’era
qualcosa di strano, qualcosa di... incredibilmente dolce e intenso in
quella
parola. Sembrò librarsi tra loro, mentre esitavano.
Elsa
si schiarì la gola. – Dove... dove sei stata?
Perché sei ancora vestita?
-
Oh, sono stata fuori. Volevo fare una passeggiata.
-
Di notte? Da sola?
-
Kristoff dorme, non mi andava di svegliarlo. Ed io, invece, ho cercato
di
dormire ma non ci sono riuscita. Quindi ho pensato che una passeggiata
notturna
mi avrebbe aiutata. Ho fatto anch’io un brutto sogno, sai?
Davvero brutto. –
Anna parlava a raffica, come al solito, facendo vagare lo sguardo da
tutte le
parti. – Sono stata nelle stalle, ma Sven non è di
molte parole. Mugugnava
qualcosa e non vedeva l’ora che me ne andassi per mettersi a
dormire, anche
lui. Non che mi sorprenda. E i soldati... beh, nemmeno loro avevano
voglia di
chiacchierare. Mai pensato di addestrare soldati un po’
più loquaci?
-
No, mai.
-
Peccato. Uno dormiva. Era molto carino, ma ho dovuto svegliarlo.
-
Cos’hai qui? – Elsa le sfiorò
l’angolo delle labbra con la punta dell’indice.
-
Ah, qui. Credo sia... cioccolata?
Elsa
si accigliò.
-
Sono andata anche a fare un giro nelle cucine. Non ho svegliato
nessuno. Sono
stata attenta. Ne è avanzata ancora un po’,
nonostante tu mi abbia preparato un
banchetto degno di un esercito. Ancora mi chiedo come ho fatto a non
scoppiare.
Sapeva
di cioccolata, in effetti, il respiro di Anna. Il respiro di Anna sul
suo viso.
Elsa
si chiese come fosse possibile che si fossero avvicinate
così tanto e senza
quasi accorgersene. Si chiese se fosse stata lei ad essere proiettata
in avanti
o se l’avesse fatto Anna per prima. E si chiese anche
perché le sue, di labbra,
tremassero.
Elsa
si scostò un po’, sbattendo le palpebre.
– É... è meglio che tu vada a dormire.
È molto tardi.
-
Sì. Va bene. Tu riuscirai a dormire?
Le
sorrise. – Certo. Ora sì. Non preoccuparti per me.
-
Mi preoccupo sempre per te. Sono tua sorella.
***
-
Cosa stai facendo? – domandò Anna.
Aveva
cercato Elsa per tutta la mattinata, ma aveva trovato solo servi
nervosi e
indaffarati nei preparativi del matrimonio. Vagavano di qui e di
là per le sale
del palazzo, scambiandosi commenti, ordini e infondendo agitazione in
chiunque
fosse nei paraggi.
Quando
la trovò, vide che Elsa era china su delle carte ingiallite,
sulle quali erano
stampati simboli incomprensibili.
-
Mi hanno portato queste. Non ho idea di cosa dicano, esattamente, ma la
lingua
è la stessa del messaggio riportato... sull’urna
– Lo sguardo di Elsa si
adombrava sempre, quando parlava dell’urna in cui era stata
rinchiusa. – Forse
riuscirò a capirci qualcosa.
-
E cos’hai capito? Fino ad ora, intendo.
-
Quasi niente. Solo alcune parole.
Anna
si accostò e osservò l’intreccio di
frasi, appoggiando le mani sulla carta
vecchia e ruvida dispiegata sul tavolo. – Per esempio...?
-
Per esempio... qui, vedi? – Elsa indicò una
parola. – C’è scritto: Wunjō.
-
Ossia?
-
Credo voglia dire
“gioia”. – Nel dirlo girò la
testa verso Anna, mentre le sue dita si
soffermavano sul dorso della mano della sorella.
-
Bene, allora è una
bella parola. La gioia che dovrei vedere qui dentro, quando invece
percepisco
solo confusione, agitazione, nervosismo...
-
Perché voglio che
sia tutto pronto per il tuo matrimonio.
-
Uh. Quindi sei
stata prepotente.
-
Non sono
prepotente. Sono la regina.
-
Certo. Appunto. Tanto,
per quanto tu possa fare la prepotente, sappiamo tutti che hai un cuore
tenero.
Lo pensa anche Kristoff.
-
Kristoff... e
cos’altro ti ha detto l’uomo delle renne?
-
Oh, niente. Mi ha
raccontato di nuovo quello che è successo con Hans quando
avete trovato l’urna
con nostra zia dentro. Parola per parola. Mi ha detto di come
l’abbia spiato
anche se tu gli aveva chiesto... ordinato, non chiesto... di non farlo.
E mi ha
detto che ti sei sempre sentita sola anche se avevi una sorella,
perché io non
sono come te, non ho la magia, mentre tu...
Elsa
la fissava,
improvvisamente seria.
-
No, non è che
Kristoff abbia detto proprio così... – si corresse
Anna, sfuggendo il suo
sguardo. - O meglio, sì, l’ha detto...
-
Anna...
-
Non ce n’è bisogno.
Ho capito. Davvero... so che hai sempre voluto trovare qualcuno che
fosse simile
a te.
Il
tono di Anna era
tranquillizzante, ma in Elsa c’era qualcosa che non poteva
essere
tranquillizzato facilmente.
-
Non ho mai avuto
intenzione di ferirti.
-
Elsa, tu non mi hai
ferita. Non devi...
-
Pensavo di essere
l’unica... l’unica con questi poteri. Trovare
qualcuno come me sarebbe stato...
Credevo mi avrebbe fatta stare meglio. – La voce di Elsa
tremò. - Mi sono
lasciata ingannare come una sciocca solo perché possedeva i
miei stessi poteri.
Anna
non disse
niente.
-
Avrei dovuto capirlo
subito, che c’era dell’altro.
-
Beh, consolati: io
mi sono fidata subito di Hans e ho accettato di sposarlo esattamente
dieci
minuti dopo averlo incontrato. Sì, posso dire a mia discolpa
che ero più
giovane e ingenua... ma se ci ripenso... ancora non posso credere che
fosse in
quell’armadio, congelato...
Elsa
accennò un sorriso. Ma tornò subito seria.
– Tu sei la mia famiglia, Anna. Sei
l’unica famiglia che ho. Non importa se non sei come me...
perché sei parte di me.
Stavano
l’una di fronte all’altra, adesso. Il fiato di Elsa
le agitava leggermente una
ciocca di capelli.
-
Non permetterò più a nessuno di separarci. E non
andrai più in nessun luogo in
cui io non possa raggiungerti – continuò Elsa.
-
Questo suona tanto come un finché
morte
non ci separi – disse, quasi senza riflettere.
-
Sì, è...
Anna
vide con una strana chiarezza la luce soffusa del salone riflettersi
negli
occhi di lei, scivolare sui capelli e sulla pelle del collo. Vide con
una strana
chiarezza la sua gola palpitare, il petto che si alzava e si abbassava
al ritmo
del respiro.
Voleva
abbracciarla. Avrebbe voluto sollevare le braccia e stringerla,
lasciando che
la sua testa riposasse nella curva della sua spalla. Elsa, invece, le
strinse
la mano nella sua e le mise l’altra sulla guancia, passandole
delicatamente il
pollice sullo zigomo.
Questo
suona tanto come un ‘finché
morte non ci separi’
-
Ma non credo che andrò da qualche parte, sai? Ne ho
abbastanza di viaggi, per
il momento. E poi non è facile liberarsi di me. Mi avrai tra
i piedi per
parecchio tempo.
Elsa
non rispose. Aveva... la stessa sensazione della notte precedente,
quando Anna
era entrata nella sua camera, sentendola gridare nel sonno. La
sensazione che
fossero molto vicine.
Più vicine che
in qualsiasi altra occasione. Incrociando gli occhi di Anna vi si
immerse.
Erano a pochi centimetri dai suoi. Erano grandi e sinceri, sembravano
in attesa
di qualcosa. Le labbra rosse erano curvate in un sorriso. Ad Elsa
sembrò quasi
naturale soffermarsi un attimo su di esse, mentre le dita di Anna si
intrecciavano alle sue. La mano di Elsa si spostò dal viso
al collo e da lì
alla nuca, sempre toccandola senza fare pressione, solo accarezzando la
pelle,
in modo incerto.
Proprio
quando udì i passi in corridoio, Elsa si rese anche conto
che il suo cuore
batteva un po’ troppo veloce, che il suo respiro era
accelerato e che le formicolavano
le dita con le quali la stava toccando. Si scostò
bruscamente da Anna, mentre
un membro della servitù si fermava sulla soglia.
-
Maestà...
-
Sì... cosa? – biascicò Elsa, confusa.
-
Ci sono delle missive per Voi. Ve le ho portate. – Il giovane
reggeva un piatto
d’argento, sul quale c’erano delle lettere chiuse
con sigilli di ceralacca.
-
Sì, certo. Grazie.
Le
guance di Anna si erano colorate di rosso. Sorrideva ancora, ma
sembrava
vagamente perplessa, gli occhi grandi che fissavano le scritte
incomprensibili
sulla carta ingiallita.
***
Che
cosa sta succedendo?
Elsa
si era rifugiata nei giardini di Arendelle, vicino al palazzo, dopo
essersi
distrattamente occupata delle missive. Si era seduta sulla stessa
roccia sulla
quale si era fermata dopo aver scoperto il diario di sua madre in
soffitta,
quel diario che le aveva fatto pensare che la morte dei suoi genitori
fosse
solo colpa sua, perché era per lei che avevano lasciato il
regno e si erano
recati a Misthaven.
Come
quel giorno, come la notte appena trascorsa dopo essersi svegliata di
soprassalto, intorno a lei fluttuavano i fiocchi di neve. Ingrid le
aveva
insegnato a controllarsi, ma in quel preciso momento non voleva
concentrarsi
quel tanto che sarebbe bastato per evitare quella piccola nevicata.
“Non
permetterò più a nessuno di
separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non
possa raggiungerti”.
“Questo
suona tanto come un finché
morte non ci separi”.
Più
di una volta era stata molto vicina ad Anna, così vicina che
avrebbe desiderato
non separarsene mai. E quando erano state separate, quando era stata
rinchiusa
nell’urna e poi era finita a Storybrooke, avrebbe dato
qualsiasi cosa per
rivederla, per sapere che stava bene. Aveva costruito una barricata di
ghiaccio
con il suo potere, dicendosi che nessuno avrebbe lasciato la
città fino a che
lei ed Anna non sarebbero state di nuovo insieme. Aveva temuto di non
ritrovarla, aveva dubitato e creduto, per qualche istante, che sua
sorella
l’avesse davvero intrappolata nell’urna e che non
volesse essere trovata. E si
era sentita morire dentro. Era vero che l’aveva intrappolata,
ma la colpa non
era di Anna. Era di Ingrid. E sua, perché aveva
sottovalutato la zia quando
aveva elaborato il piano contro di lei. Si era sentita... come se
stesse
perdendo i pezzi. Aveva trovato Emma, un’amica che non
avrebbe mai smesso di
ringraziare e alla quale pensava spesso, ma c’era sempre
quella parte mancante.
Quel vuoto. Poi era finito tutto e l’aveva rivista.
L’aveva stretta forte a sé,
quasi volesse inglobarla e i pezzi erano tornati al loro posto.
Ma
nel salone, così come quella notte, quella strana sensazione
si era fatta più
pressante. L’aveva toccata in un modo... diverso. Adorando la
delicatezza e il
tepore della sua pelle. Adorando la fitta che l’aveva colta
nell’incrociare i
suoi occhi.
Non
avrebbe dovuto toccarla così.
Non era
giusto. Era...
-
Elsa!
Sollevò
la testa. Vide Anna precipitarsi lungo il sentiero, verso di lei. La
vide
inciampare in una radice sporgente. Rischiò di finire lunga
distesa sul prato,
lanciò un’esclamazione di sorpresa, ma
miracolosamente recuperò l’equilibrio e
la raggiunse.
-
Elsa, finalmente! Dov’eri finita?
-
Volevo stare un po’ qui, da sola – Con un gesto
della mano fece sparire i
fiocchi bianchi.
-
Cos’è successo?
-
Non è... non è successo niente.
-
Deve per forza essere successo qualcosa. L’ultima volta che
ti sei rifugiata
qui avevi appena trovato il diario di nostra madre.
Elsa
esitò. – Stavo solo... pensando.
-
Pensando a cosa?
-
A tutto quello che è successo. Ci penso spesso.
-
Allora possiamo pensarci insieme! Sono tua sorella, il che vuol dire
che se
pensiamo insieme è molto meglio!
-
Stai per sposarti. Per davvero, stavolta. Dovresti occuparti solo del
matrimonio,
non di... di cose che intristiscono.
-
Beh, se mia sorella è triste non ho altra scelta.
Elsa
si sforzò di sorridere. Quello di Anna, di sorriso, era
vivace e luminoso, come
sempre. Un sorriso che ti spingeva a concederle una fiducia
incondizionata. Che
ti spingeva a raccontarle ogni frammento della giornata. Che ti
spingeva ad
essere ottimista e ti faceva credere che nulla potesse andare male.
Non
se esisteva un sorriso simile nel mondo.
-
Non è niente, Anna. Mi passerà –
concluse Elsa. Non poteva proprio dirle che il
modo in cui l’aveva toccata in salone l’aveva
turbata nel profondo.
Ma
poi Anna aveva percepito qualcosa di diverso
nell’atteggiamento della sorella,
mentre l’accarezzava?
-
Piuttosto, che cos’hai lì? – chiese,
anticipando qualsiasi altra domanda.
Anna
sembrò ricordarsi solo in quel momento del libro che aveva
in mano. – Oh! Me
l’ha dato Belle prima che ce ne andassimo. Mi ha portato in
quella libreria e
mi ha detto di scegliere quello che volevo, in realtà. Un
po’ complicato, dato
che non conoscevo nessuna di quelle storie!
-
E per quale motivo hai scelto questa?
-
Perché il titolo è bello: Grandi
Speranze. Non so chi sia questo Dickons…
cioè, no, aspetta... Dickens. Charles
Dickens. Però era bravo a raccontare storie. –
disse, aprendolo sulla prima
pagina. C’era una dedica, poco sotto il titolo.
Ad
un’amica che
non dimenticherò e che ha saputo perdonarmi.
Belle.
-
E cosa c’è di divertente? –
domandò Elsa. – Ti ho vista altre volte mentre lo
leggevi e ridevi.
-
I nomi dei personaggi. Pip, Joe Gargery, Bentley Drummle... non ti
sembrano
assurdi? Te ne leggo un pezzo? – Anna non aspettò
che Elsa rispondesse. Si
sedette di fronte a lei e aprì il libro al punto in cui era
arrivata. – “L’amavo
a dispetto della ragione, a
dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto della
speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni
possibile
scoraggiamento”. Come ti sembra? Deve essere vero
amore.
Elsa
avrebbe voluto risponderle che le sembrava bello. Le stava cercando, le
parole
giuste. Le stava cercando, ma non riusciva ad afferrarle. Le uniche
cose che capiva
erano il sorriso di Anna, la sua voce che ancora sembrava aleggiare
tutt’intorno, quella voce chiara e limpida che diceva: L’amavo a dispetto della ragione, a
dispetto di ogni promessa...”
“Questo
suona tanto come un finché
morte non ci separi”.
Elsa
si alzò di scatto e si allontanò di qualche
passo, voltandole le spalle.
-
Elsa, dove vai?
Si
fermò. Anna la seguì e allungò una
mano, stringendole il polso. La costrinse a
girarsi di nuovo. Nel tentativo di liberarsi dalla sua stretta Elsa
l’attirò
ancora più vicina a sé. Il viso di sua sorella fu
a pochi centimetri dal suo.
Avvertì ancora il suo fiato sulla pelle, il fiato che
improvvisamente si
spezzava. E il profumo dei suoi capelli. E quel sorriso che vacillava,
restando
sospeso tra la perplessità e la sorpresa.
Non
le venivano in mente più parole. Neanche una. Per lo meno
nessuna che avesse
senso.
C’era
solo lo sguardo di Anna, che si incatenò al suo,
paralizzandola.
Elsa
non si era mai sentita tanto calamitata verso qualcosa... qualcuno. Ed
Anna non
le era mai sembrata così bella.
Il
mondo parve crepitare e poi dissolversi, diventare improvvisamente
bianco e
scintillante, mentre Elsa si piegava in avanti e toccava le labbra di
Anna con
le proprie. Le dischiuse appena, portando le dita sulla sua nuca come
per
trattenerla, serrando le palpebre e udendo soltanto un costante ronzio
nelle
orecchie, nonché il potere che si agitava dentro di lei.
Anna mugugnò qualcosa
contro la bocca della sorella e, all’inizio, si
irrigidì per l’incredulità. Il
libro cadde con un tonfo.
È
una follia, ebbe
il tempo di pensare la regina di Arendelle.
Poi
Anna appoggiò una mano sul braccio di Elsa e
l’altra sulla sua schiena,
stringendo il tessuto azzurro dell’abito. Mosse le labbra,
piano ma premendole
di più sulle sue. Inclinò leggermente la testa di
lato.
Elsa
si separò un istante da lei e sollevò le
palpebre. Anna le sollevò nel medesimo
istante, mostrandole occhi che erano appannati, confusi... non identici
ai
suoi, possedevano una sfumatura verde leggermente diversa. Ma erano simili ai suoi.
Elsa
l’allontanò bruscamente da sé,
lasciandosi sfuggire un rantolo e
indietreggiando di qualche passo. – No... Anna, no. Mi
dispiace...
Fiocchi
di neve ricominciarono a volteggiare intorno a lei.
Barcollò. Allungò una mano
per mantenere l’equilibrio e trovò la corteccia di
un albero alle sue spalle.
Vi fu un sinistro scricchiolio, poi il tronco ghiacciò e il
gelo salì rapidamente
fino ad intaccare il ramo più basso, che si
spezzò, precipitando rovinosamente.
-
Elsa!
-
Stai lontana da me, Anna... stai lontana, ti prego! – Elsa
capì di non avere
più il controllo di niente, tanto era sconvolta. Due fasci
biancoazzurri
esplosero dalle sue mani e congelarono parte del prato.
Controllalo,
impose
una voce interiore. Controllalo. Puoi
farlo.
Elsa
chiuse gli occhi, come aveva fatto quella notte. Strinse le dita a
pugno e
inspirò. Inspirò una volta, due, tre. La magia si
agitò vorticosamente, spinse
per uscire, ma lei non glielo permise.
Quando
li riaprì, il cuore batteva ancora forte, ma sentiva di aver
recuperato il
controllo sul suo potere. Non aveva fatto altri danni. Anna la fissava.
Sorrise
quando si rese conto che Elsa stava meglio e fece per avvicinarsi.
-
Non... – cominciò sua sorella, alzando una mano
per fermarla. – No, devo... non
posso. Perdonami.
Scappò
via, ignorando la voce di Anna che le urlava di aspettarla.
***
Riuscì
ad evitarla per il resto della giornata e per buona parte del giorno
seguente.
Anna
la cercò, la seguì e ovviamente la
trovò, ma Elsa fece in modo di essere sempre
impegnata, o con le vecchie pergamene in futhark antico oppure in altre
faccende che avrebbero anche potuto aspettare, ma che diventarono
improvvisamente molto urgenti. Soprattutto, evitò
di farsi trovare da sola. Alcuni
ambasciatori provenienti dalle Isole del Nord, in questo, le diedero
una mano.
Indossò
i guanti magici per sicurezza. Non si sentiva padrona di se stessa e
preferì
non rischiare di commettere qualche disastro, come congelare una
guardia o,
peggio, un’intera sala.
Non
ci furono incubi quella notte, anche perché non
dormì quasi per niente.
Continuò a rimuginare su ciò che era successo nei
giardini. Su un bacio che non
aveva nulla di fraterno, su un bacio che le aveva lasciato il sapore
delicato
di Anna sulle labbra.
Forse
sto diventando pazza.
Era
possibile. Forse era colpa di tutto quello che era accaduto negli
ultimi tempi.
Ingrid era rimasta intrappolata nell’urna per anni e la sua
mente e il suo
cuore ne avevano indubbiamente risentito. Stava capitando la stessa
cosa anche
a lei?
Il
punto era che, per quanto si rendesse conto che era sbagliato, se ci
ripensava
la pervadeva una sensazione dolcissima e appagante; avvertiva ancora la
pressione della mano di Anna sulla schiena, le dita che stringevano il
tessuto,
il sangue che scorreva più rapido nelle vene, il fiato della
sorella nella sua
bocca... e non riusciva a non pensare che fosse stato qualcosa di
bello. Da una
parte, comprendeva l’assurdità del suo gesto,
temeva di aver in qualche modo
sporcato l’innocenza di Anna con quel bacio e
l’idea ancora la turbava nel
profondo, ma se ci rifletteva, si accorgeva che quella
sensazione era qualcosa che aveva cercato e che non aveva
trovato in nessun altro.
Ma
Anna avrebbe sposato Kristoff.
Ecco.
Quello era giusto. Sua sorella
amava
Kristoff. Ed Elsa era felice che lui l’amasse nello stesso
modo. Oh, l’aveva
messo alla prova, l’aveva fatto sudare... perché
nessuno poteva avere il cuore
di Anna senza prima affrontare lei. Però l’uomo
delle renne, quelle prove, le
aveva superate. Kristoff non aveva nulla che non andasse... certo, non
le dava
retta, si prendeva gioco dei suoi ordini, ma era anche vero che grazie
a lui
aveva saputo di Hans e dell’urna e che lei, a sua volta, non
gli aveva dato
retta quando l’aveva messa in guardia riguardo al magico
contenitore nel quale
il principe delle Isole del Sud avrebbe tanto voluto imprigionarla.
Elsa
richiuse le porte delle sue stanze con un colpo secco e si
lasciò cadere sul
letto. Era stanca. La notte insonne iniziava a farsi sentire.
“L’amavo
a dispetto della ragione,
a dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto
della
speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni
possibile
scoraggiamento”.
“Questo
suona tanto come un ‘finché
morte non ci separi’.
“Fai
quello che vuoi, ma sappi che qualsiasi
cosa accada, Anna... io ti voglio bene”.
Le
molle del letto cigolarono. Elsa aggrottò la fronte e
alzò la testa di scatto.
Prima che potesse muoversi o dire qualsiasi cosa Anna le fu addosso e
si mise
proprio sopra di lei, con le mani posizionate ai lati della sua testa.
Il
ciondolo che aveva al collo dondolò per qualche istante,
mandando barbagli
argentei nella penombra.
-
Anna, ma cosa...?
-
Ti ho presa – disse lei, con diverse ciocche di capelli che
le ricadevano
malamente sul viso e le guance rosse. – Ti prego, non dirmi
di andare via,
perché tanto non me ne vado. Non puoi continuare ad
evitarmi. E detesto quando
mi sbatti le porte in faccia.
-
Io non ti ho... – Elsa s’interruppe. – Da
dove sei venuta fuori?
-
Da sotto il letto. E no, magari non mi hai sbattuto la porta in faccia,
ma è
vero che mi hai evitata.
-
Sono la regina, ho molte cose a cui pensare.
-
Sono solo scuse.
-
Anna...
-
Sei arrabbiata con me? – Anna aveva assunto un’aria
tra il preoccupato e
l’imbronciato, che la rese terribilmente adorabile.
Ma
Elsa distolse lo sguardo. – No. Certo che no.
-
Allora guardami.
-
No.
-
Cosa sono tutti questi no? Basta con i no, Elsa. Guardami.
Elsa
teneva il viso girato verso la parete. Chiuse un attimo gli occhi. Ed
Anna si
chiese che cosa vedesse sua sorella dietro le palpebre. Che cosa stesse
guardando, in tutto quel nero.
-
Elsa... per favore. Non chiudermi fuori – mormorò
Anna.
Riaprì
gli occhi e la guardò. Anna si scostò, mettendosi
a sedere sul letto e guardando
Elsa fare lo stesso, guardandola mentre si sporgeva verso di lei, senza
toccarla, solo stando incredibilmente vicina. Sollevò una
mano per toccare il
viso di Anna, che le prese il polso e poi le sfilò il guanto
azzurro.
-
Che cosa fai?
-
Ti tolgo i guanti. Non che ti stiano male, ma non ti servono, adesso.
Elsa
la lasciò fare. Anna gettò i guanti per terra
senza troppi complimenti e
afferrò le sue mani, stringendole forte.
-
Sono io che dovrei chiederti se sei arrabbiata con me.
-
Per cosa?
-
Per cosa? Anna, quello che ho fatto...
-
Non è successo niente. Cioè... sì,
qualcosa è successo, ma non era niente di male.
E di sicuro non sono arrabbiata con te. Come potrei? È
stato... bello.
Elsa
rimase in silenzio per un lungo momento, fissandola nel minuscolo
spazio che le
separava. Le sarebbe bastato sporgersi un poco per toccare le sue
labbra. Di
nuovo. – Non dovresti dire così.
-
Ma lo è stato. Insomma, lo so che è strano... e
forse dovrei dirti che è
sbagliato. Ma mentre stava succedendo mi è sembrato tutto
fuorché... sbagliato.
Non ero nemmeno così sorpresa...
-
Non lo eri?
Scosse
la testa.
Elsa
sospirò. - Tu sei mia sorella. Il mio sangue. La mia
famiglia. Dovrei volerti
bene e proteggerti. – Le scostò le ciocche di
capelli che le ricadevano sugli
occhi. – Non pensare di...
Anna
deglutì. – Di fare cosa?
Un
trasalimento nel respiro di Elsa. Fece scorrere le dita dalla guancia
alle
labbra di Anna, ne tracciò il profilo. Nei suoi occhi
c’era una luce diversa,
più tormentata, come se stesse lottando contro se stessa.
Poi
Elsa si chinò, posò le labbra sulla sua guancia,
la sfiorò leggermente. La
baciò vicino all’orecchio e sotto
l’occhio sinistro.
-
Elsa...
-
Sì, devo fermarmi...
Ma
Anna non glielo disse; la prese e spostò il viso quel tanto
che bastava perché
qualsiasi cosa lei stesse dicendo si perdesse sulle sue labbra. Elsa la
baciò
con delicatezza, con attenzione, quasi temesse di farle del male.
Gemette piano,
in fondo alla gola, quando Anna le circondò il collo con le
braccia e non poté
che avvolgerla a sua volta, protraendo quel bacio. Elsa se la strinse
ancora di
più contro. Socchiuse leggermente le labbra, approfondendo
un po’ il contatto.
Le sembrava che il mondo si fosse annullato; percepiva solo Anna. Tutto
ciò
che, in quel momento, sentiva, vedeva, desiderava... era Anna.
Nient’altro
contava. Il suo corpo era incredibilmente vivo, il suo cuore batteva
incredibilmente forte e il respiro di Anna nella sua bocca le faceva
perdere il
controllo. Qualsiasi cosa avesse pensato riguardo a quella situazione
totalmente sbagliata era scivolato via, come acqua. Era evaporato. Non
riusciva
ad essere lucida.
-
Uhm... Elsa...
-
C-Cosa? Ti... ti sto facendo male? – chiese, allarmata, le
labbra ancora
incollate alle sue.
-
No. Non... non respiro.
-
Oh!
Anna
scoppiò a ridere, affondando il viso nell’incavo
del suo collo. Elsa le
accarezzò le schiena e, quando lei si scostò,
seguì con le dita la catenina
d’argento fino al ciondolo, tracciandone il contorno con la
punta dell’indice. Le
appoggiò quella stessa mano all’altezza del cuore,
sentendolo palpitare forte
come il suo. Anna vi posò sopra la sua, di mano,
coprendogliela.
Ed
Elsa vide baluginare l’anello che le aveva regalato Kristoff.
Tornò
improvvisamente seria e distolse lo sguardo, abbassando la testa. Anche
la
sorella sembrava essersi accorta del cambiamento repentino e aveva
smesso di
sorridere.
Rimasero
in silenzio per un po’. Forse ci sarebbero state molte cose
da dire, ma ciò che
avevano fatto andava ben al di là della normale
capacità di comprensione.
-
Posso restare qui con te, stanotte? Per favore – le chiese
Anna, sfiorandole il
naso con il suo.
Elsa
si sporse per darle un bacio sull’angolo delle labbra.
– Sì. Certo che puoi.
***
Anna
si sistemò meglio l’abito da sposa, lisciando
pieghe inesistenti e chiedendosi
quanto ci sarebbe voluto prima che, durante il ricevimento, ci versasse
sopra
qualcosa. Avrebbe cercato di fare attenzione, di ricordarsi che quello
che
indossava non era solo il suo abito da sposa, ma anche
l’abito di sua madre. Avrebbe
cercato di ricordarsi del gran numero di invitati presenti. E forse non
sarebbe
servito comunque.
“Sei
arrabbiata con me?”.
“No.
Certo che no”.
“Allora
guardami”.
“No”.
Rimirò
il suo riflesso nello specchio e vide Elsa giusto dietro di lei, che la
osservava.
-
Ti sta d’incanto – le disse, avvicinandosi.
– La scorsa volta non ho avuto modo
di dirtelo.
-
Beh, meglio tardi che mai. E non hai ancora visto l’abito di
Sven.
-
Non oso nemmeno immaginare come possa essere vestita una renna.
Già il solo
fatto che io debba andare fino all’altare con Sven...
-
Sarà divertente. Cioè... con divertente non
intendo dire che sembreresti
ridicola vicino ad una renna. Divertente. In senso buono. E poi Sven sa
benissimo come comportarsi. Kristoff gli ha insegnato tutto.
-
Questo mi preoccupa più del resto. L’uomo
cresciuto dai troll che insegna ad
una renna come comportarsi durante un matrimonio...
-
Andrà tutto bene. L’abito è perfetto.
Sven sarà perfetto. Kristoff anche. Ci
saranno un sacco di dolci al cioccolato e tu... beh, tu sarai bella
come il
resto.
Elsa
aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse. Anna
faticava a
concentrarsi davvero sul matrimonio dato che la sua testa era piena del
ricordo
di quei baci.
“Tu
sei mia sorella. Il mio sangue.
La mia famiglia. Dovrei volerti bene e proteggerti...”
Quando
alzò di nuovo lo sguardo vide che Elsa era molto vicina a
lei. Le sue dita
indugiarono su una spallina del vestito per sistemargliela, anche se
non aveva
bisogno di essere sistemata.
Anna
si rese conto di quanto le sarebbe sembrato naturale se Elsa si fosse
chinata
per darle un bacio sul collo o nel punto in cui esso si congiungeva con
la
spalla. Il solo pensiero la fece rabbrividire. E, per un attimo,
pensò che la
sorella l’avrebbe fatto davvero, perché
accostò le labbra al suo orecchio, come
per sussurrarle qualcosa. Poi, però, si allontanò
di qualche passo.
C’era...
c’erano molte emozioni, riflesse negli occhi della regina di
Arendelle. C’era
commozione e felicità di vederla in abito da sposa, ma
c’era anche tristezza,
rassegnazione, titubanza e...
Desiderio.
Anna
arrossì violentemente, pensandoci. Pensando al modo in cui
era stata baciata,
alla leggera carezza della sua lingua, alle mani che la toccavano,
risvegliandole i nervi e coprendola di brividi. Alle sue parole prima
di
baciarla...
“Sì,
dovrei fermarmi”.
-
Sì... – disse Elsa, quasi un’eco delle
sue riflessioni. La sua voce non era
affatto ferma. – Andrà tutto bene.
***
Angolo
autrice:
Salve
a tutti ^_^
La
citazione tratta dal romanzo di Charles Dickens, Grandi
Speranze, è presente anche in un’altra
serie televisiva che
sto seguendo, Pretty Little Liars. Chi
la segue saprà che è una citazione importante,
che sta alla base della storia
di una delle coppie più gettonate, le Emison (Alison
& Emily). Non c’entra
niente con OUAT, ma il pezzo in sé mi sembrava adatto alla
situazione, quindi
l’ho inserito nella fic.
La
canzone citata all’inizio della One Shot è
“Clarity” dei Zedd. Vi consiglio di
ascoltarla.
|
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Capitolo 2 *** Wedding ***
2
“Ma
ora sei
divisa, sei spaccata in due,
Carne della sua
carne, ma cuore del mio cuore;
E profonda per
l’una è la radice amara,
E dolce per
l’altro il fiore eterno”
[Algernon
C. Swinburne, Il Trionfo del Tempo]
Sì, il matrimonio andò davvero
bene.
Vi
furono una serie di interessanti
miracoli.
Prima
di tutto Anna riuscì a
camminare fino all’altare, lungo il corridoio centrale della
sala del trono
gremita di invitati, fino a Kristoff che l’aspettava, senza
inciampare né dare
l’impressione di essere troppo goffa. E riuscì a
dire tutto ciò che doveva dire
senza dimenticarsi niente.
Anche
Sven si comportò bene.
Avanzò, impettito e fiero, di fianco ad Elsa, lanciando
qualche occhiata alla
gente che fissava la scena, a volte attonita, a volte incuriosita o
perplessa.
Di sicuro nessuno di loro aveva mai visto una renna accompagnare una
regina, il
giorno del matrimonio di sua sorella. Una renna che, tra
l’altro, era amica
dello sposo.
Il
secondo miracolo fu che, durante
il ricevimento, il vestito da sposa rimase immacolato. Incredibile.
Anna era
convinta che ci avrebbe rovesciato sopra qualcosa. Invece non accadde.
Ed Elsa
si era persino ricordata di servire soprattutto bevande chiare, anche
se
c’erano dolci al cioccolato in gran quantità e che
avrebbero potuto causare danni
inimmaginabili.
Era
tutto come doveva essere. E dopo
ciò che avevano passato ancora se ne stupiva. Prima il
diario della madre che
Elsa aveva trovato in soffitta, poi il suo viaggio a Misthaven che
aveva
portato ad un rinvio delle nozze, poi tutta la faccenda di Ingrid, Elsa
intrappolata in quell’urna, Storybrooke, la maledizione...
per non parlare di
quando, tornate ad Arendelle, erano state costrette a vedersela con
Hans e con
i suoi dodici fratelli, che avevano occupato il trono. Era stato un
vero spasso
guardare l’espressione di Hans, quando aveva posato gli occhi
su Elsa.
“Tu?!
Non è possibile! L’urna... come hai fatto ad
uscirne?”
“Pensavi
di esserti liberato di me?”
“No,
forse si riferisce anche a me, visto che mi ha chiusa in un baule. Ma
certo che
lo pensava. È un idiota, quindi non poteva che pensarlo. E
scommetto che non conosce
nemmeno la differenza fra un’urna ed un baule. Ma davvero
intendevo sposarti?
Se ci penso mi vengono i brividi. Te l’avevo detto che Elsa
te l’avrebbe fatta
pagare...”
Aveva
detto un mucchio di altre
cose.
E
ovviamente era stato uno spasso
anche avere la meglio su di lui.
Sì,
era tutto perfetto.
Anche
se...
Si
sporcò la punta del naso e
Kristoff le diede un bacio per tirarle via lo sbuffo di cioccolato.
-
Sbaglio o il vestito è ancora
bianco? – le disse Kristoff, mentre Anna si portava alle
labbra un’altra
cucchiaiata di gelato.
-
Oh, sì! Ma la giornata non è
ancora finita e c’è così tanto da
mangiare. Sento che questa volta scoppierò.
Oppure starò male. Oppure starò male e poi
scoppierò. Hai visto Elsa?
-
No. È da un po’ che non la vedo.
Sarà stata risucchiata da tutta questa gente. Chi ha
invitato così tante
persone? Tua sorella?
-
Credo di sì. Io di sicuro non
l’ho fatto. Elsa non mi ha lasciato fare niente.
-
Tipico delle regine. Vogliono
avere la situazione in pugno. In questo caso il matrimonio in pugno.
Anna
sbirciò in mezzo alla folla
per cercare la sorella e non la vide.
***
Elsa
appoggiò le mani alla
ringhiera della terrazza, osservando le luci di Arendelle sparse sotto
di lei. Dall’interno
venivano il chiacchiericcio rumoroso degli invitati, le risate, il
tintinnio di
piatti e bicchieri e il suono della musica.
Anche
lei pensava che il matrimonio
fosse davvero riuscito.
“Non
posso andare all’altare se non sei felice come lo sono
io”.
“Anna,
io sono... molto felice”.
E
lo era.
Felice
per sua sorella, per quel
matrimonio. Felice che tutto si fosse concluso per il meglio.
Eppure
c’era anche qualcos’altro.
Qualcosa
che non era tristezza, ma
le andava vicino. Qualcosa che l’aveva portata ad
allontanarsi un attimo da
tutta quella confusione. Qualcosa che premeva, ma non usciva. Come...
-
Anna si stava appunto chiedendo
dove fossi finita... – La voce di Kristoff la colse alla
sprovvista.
-
Ero solo... uscita a prendere una
boccata d’aria.
Kristoff
si avvicinò, mettendosi
vicino a lei. – Devo farti i complimenti per
l’organizzazione. Non c’è niente
che non vada in questo matrimonio.
-
Pensavi che ci sarebbe stato?
-
No. Sei la regina. E anche se hai
un cuore tenero, la tua prepotenza riesce a fare miracoli.
-
Anche i sarti fanno miracoli. Non
l’avrei mai detto, ma stai molto bene.
Kristoff
si lisciò pieghe
inesistenti sulla giacca scura con i bottoni dorati. – Sono
felice di averti
sorpreso. E vogliamo parlare di Sven?
-
Di Sven che sfila vicino a me
oppure di Sven con un abito da cerimonia?
-
Entrambe le cose. Ma la prima è
la più divertente.
Elsa
sollevò un sopracciglio,
lanciandogli un’occhiata.
-
In senso positivo, intendo – si
corresse lui, in fretta.
-
Certo.
-
E hai preso il bouquet al volo!
Vuol dire che presto organizzerai il tuo, di matrimonio?
-
Non penso che succederà tanto
presto.
-
E perché no? Ci sarà pur qualche
principe prepotente e dal cuore tenero disposto a sfidare la sorte e a
portarti
all’altare.
-
Sfidare la sorte?
-
Sfidare la sorte. O sfidare la
prepotenza. Non sarà difficile. C’è
così tanta gente a questa festa. A
proposito, da dove sono sbucati tutti?
-
Li ho invitati. Sono amici di
famiglia... anche se alcuni non li vedo da un po’.
-
Oh! Trent’anni sono sicuramente
parecchi. Solo che noi li portiamo... molto bene. Ma vogliamo tornare
al punto
di partenza?
-
Quale sarebbe?
-
Perché hai lasciato la festa? –
Kristoff si sporse leggermente verso Elsa.
-
Te l’ho detto. Avevo bisogno di
una boccata d’aria.
-
Chissà perché, credo che ci sia
qualcos’altro. Non sei molto brava a nascondere le cose.
-
Vedo che ricominci ad essere
impertinente, uomo delle renne.
-
E io vedo che voi, Maestà, state
evitando l’argomento. Forse non volete raccontare
così vi preoccupa all’uomo
delle renne?
No,
pensò
Elsa. Non posso. Non questo.
Non
avrebbe mai potuto raccontarlo
a nessuno. Non avrebbe mai potuto parlare apertamente di ciò
che sentiva senza
causare sgomento. Non avrebbe potuto parlarne nemmeno con
un’amica come Emma,
se fosse stata lì. O forse, se gliene avesse parlato,
l’avrebbe sconvolta per
sempre.
Non
avrebbe mai potuto parlare di
quanto fosse stato bello baciare Anna nei giardini di Arendelle. Di
quanto fosse
stato bello stringerla a sé e respirare il suo fiato. Di
quanto fosse stato assurdamente
bello. Di quanto avesse
desiderato poter trovare la forza di distogliere lo sguardo da lei che
raggiungeva Kristoff all’altare. Di come si fosse sentita
cedere le ginocchia
quando l’aveva vista con il vestito bianco che era
appartenuto a Gerda.
“Non
è successo niente. Cioè... sì,
qualcosa è successo, ma non era niente di male.
E di sicuro non sono arrabbiata con te. Come potrei? È
stato... bello”.
-
Non c’è niente che mi preoccupa.
Sta tranquillo. Torna dentro. Anna starà cercando anche a
te, a questo punto.
Arrivo tra un attimo.
Kristoff
non insistette, le posò
una mano sulla spalla come per rassicurarla e la lasciò
sulla terrazza.
***
Più
tardi Anna notò uno strano
individuo occupato a parlare con sua sorella.
Era
molto alto, vestito di verde,
calzava un paio di lucidi stivali di cuoio, aveva i lineamenti del viso
un po’
affilati e le orecchie lievemente a punta. I lunghi capelli scuri gli
ricadevano
sulle spalle. Non avrebbe saputo dire se fosse attraente o meno, sapeva
solo
che era strano. Non per via delle orecchie. E che i suoi occhi azzurri
avevano
qualcosa di magnetico e di... innaturale. Qualcosa di non umano.
Qualcosa di
malizioso, anche.
Beh,
certo, non è umano. Se lo fosse non avrebbe le orecchie a
punta.
Aveva
anche la carnagione
chiarissima e la pelle sembrava sottile come carta.
Vicino
a lui c’era una creatura
minuta, con il mento aguzzo, un cappello calcato sul capo e... e aveva
anche
lui le orecchie a punta, più lunghe rispetto a quelle del
suo compare.
Spuntavano in mezzo a ciuffi castani e scompigliati.
Aspetta,
che? Non posso crederci.
-
Oh, ecco la sposa – disse
l’individuo, porgendo la mano piena di anelli ad Anna, che la
prese, perplessa.
Lui le sfiorò il dorso con le labbra. – Sono lieto
di conoscervi. Il mio nome è
Oberon.
-
Oberon, il sovrano delle fate? – domandò
Kristoff.
L’uomo
sorrise, compiaciuto. – Re
degli elfi, prima di tutto. Ma sì. Colto sul fatto.
-
Elsa, abbiamo invitato il sovrano
delle fate?
Elsa
aprì la bocca per rispondere,
ma Oberon la precedette. Non sembrava per niente irritato dal tono di
Anna.
Anzi, era più che altro divertito. - Siete davvero
incantevole, Anna. Mi
ricordate molto vostra madre.
Kristoff
roteò gli occhi.
Sven,
che ruminava poco distante,
sbuffò.
-
Aspettate... che? Voi conoscevate
mia madre?
-
Oh, sì. Ho assistito alla sua
incoronazione e anche al suo matrimonio. Conoscevo anche le sue
sorelle, a dire
il vero. Beh, conoscevo la sorella minore. La maggiore non la si vedeva
in giro
tanto spesso. Per questo mi sono permesso di presentarmi. Erano anni
che non
presenziavo ad un matrimonio. Mi piacciono i matrimoni, sapete? E
questo è
così... perfetto. Come chi l’ha organizzato, del
resto. – Si voltò di nuovo
verso Elsa. Il folletto accanto a lui borbottava qualcosa di
incomprensibile e
ogni tanto allungava una mano per sgraffignare cibo dai piatti.
– Mia cara
regina... quello che si dice su di voi è vero: ve
l’hanno mai detto che
l’appellativo Vostra
Maestà è troppo
poco? Dovrebbero chiamarvi Vostro
Splendore. O Vostra Magnificenza.
Anna
lo guardò di sottecchi. Era un
borioso. Non lo sopportava. Il semplice fatto che guardasse Elsa in un
certo
modo e che le stesse un po’ troppo vicino era già
di per sé sufficiente a
renderglielo antipatico.
-
Credo che stiate esagerando –
rispose Elsa, nel frattempo, allontanandosi di un passo
dall’elfo che
troneggiava accanto a lei. – Dove avete lasciato vostra
moglie?
-
Titania avrebbe tanto voluto
essere presente, ma ha preferito occuparsi di una noiosa riunione con
altre
fate. E mi ha rifilato questo dannato folletto, solo perché
non vuole che gli
rovini la seduta, combinando qualche pasticcio. Cosa in cui Puck
è molto bravo,
non è vero?
-
Sì, mio signore. Come volete voi
– rispose Puck, sgranocchiando delle noccioline. Aveva occhi
grandi, verde
bosco, nei quali scintillava l’astuzia.
-
Ancora mi chiedo perché mi sono
lasciato convincere. E smettila di mangiare, ingordo!
-
Titania... è proprio una fata,
vero? – chiese Anna, incuriosita sua malgrado.
-
Sì, lo è, mia cara.
-
Credevo che le fate non si
innamorassero.
-
Non lo fanno, infatti. E nemmeno
mentono, principessa. Non che non esistano le eccezioni...
-
E lei è un’eccezione?
-
No. Non direi.
-
Perché vi ha sposato, allora?
-
Essere sposati non significa
amare follemente il proprio o la propria consorte. Oh, non
fraintendetemi... provo
affetto per Titania. Quando non mi fa uscire dai gangheri. E credo che
lei ne
provi per me.
Anna
lo fissò, con la fronte
aggrottata.
-
C’è altro che desiderate sapere?
– chiese Oberon.
-
Perché non gli raccontate di
quando Titania si è invaghita del somaro? – disse
Puck. La sua voce era
stridula. Anna sobbalzò nel sentirla.
-
Invaghita di un somaro? –
Kristoff cominciava a chiedersi, a sua volta, che cosa stesse
succedendo. Era
stato catapultato in mezzo a due individui assurdi, sbucati dal nulla.
-
É una storia interessante – disse
Oberon. – Avete tempo?
-
Avete appena detto che le fate
non si innamorano – replicò Anna.
-
Infatti Puck ha detto invaghita.
Non innamorata. Quella parte
lasciatela alla fata rosa. Come si chiamava, a proposito?
-
Nova, mio signore – rispose Puck.
-
Già, Nova. Mia moglie si è
invaghita di un somaro e Nova di un nano. Non so cosa sia peggio.
-
Il somaro, mio signore.
-
Non esserne tanto sicuro, Puck.
Ma consideriamo anche il fatto che, nel caso di Titania, si trattava di
un
incantesimo...
-
E poi era colpa vostra. È stata
una vostra idea.
-
Era solo uno scherzo.
Anna
non riusciva a raccapezzarsi. –
Quindi voi avete fatto invaghire vostra moglie di un somaro? E come?
-
Succo del fiore vermiglio di
Cupido. Dovreste provarlo. È molto efficace. Basta spremerlo
sugli occhi di una
persona addormentata e quella s’innamora del primo che vede,
al risveglio.
-
É orribile.
-
No, mia dolce Anna, è stato
divertente.
-
E Titania ha visto un... somaro?
-
In realtà ha visto Nick Bottom,
un tessitore. Un comune essere umano, al quale Puck ha dato una testa
d’asino,
perché è un folletto maligno. Mi sbaglio?
Non
ci furono repliche da parte del
folletto.
Anche
perché Puck era sparito.
***
Puck
si era infilato sotto una
delle tavolate senza farsi vedere dal suo signore, Oberon. Tutto il
cibo e le chiacchiere
l’avevano stufato. Aveva voglia di divertirsi un
po’ e aveva approfittato di un
momento di distrazione del re degli elfi per defilarsi.
“Non
combinare guai, al matrimonio, dannato folletto”, aveva
raccomandato la sua signora, Titania.
Ma
era più forte di lui. C’erano
delle... pulsioni proibite in quella sala. Le percepiva. A lui
piacevano le
pulsioni proibite, ma non gli piaceva per niente il fatto che non
venissero
espresse come meritavano.
Le
due sorelle, per esempio.
La
regina di Arendelle e la
principessa che si era sposata con quell’essere umano
cresciuto dai troll... aveva
scordato il nome del marito. Pazienza. Aveva scordato anche il nome
della
renna. Comunque... tra le due sorelle c’erano delle...
pulsioni interessanti.
Vibrazioni. C’era una tensione inusuale, molto inusuale
proprio perché avevano
lo stesso sangue. Ma a Puck non dava fastidio. Lui proprio non vedeva
la fonte
del problema.
Spaccate
in due. Sono spaccate in due.
Eccola,
la fonte del problema.
Si
infilò una mano nella tasca
della giubba e ne estrasse una fiala, che brillava di una vaga luce
verdognola.
Non
succo del fiore vermiglio di
Cupido. Qualcosa di meglio.
Svitò
il tappo e si apprestò a fare
quello che doveva.
***
Alcuni
invitati avevano già
iniziato a lasciare il palazzo.
Di
Puck nessuna traccia, nonostante
Oberon si fosse impegnato a cercarlo insieme a due guardie che Elsa
aveva messo
a sua disposizione.
-
Quando possiamo cacciarlo? –
domandò Anna alla sorella.
-
Il folletto o Oberon?
-
Tutti e due. Ma prima Oberon.
Elsa
sospirò. - Non posso
permettermi di cacciarlo, Anna. È il sovrano delle fate.
-
Beh, il sovrano delle fate è...
irritante. E pieno di sé. E non è nemmeno stato
invitato. Ed è irritante.
-
L’hai già detto, irritante.
-
E Puck si è mangiato tutte le
palline di cioccolato.
Elsa
sorrise, intenerita. Era anche
per questo che adorava sua sorella. Perché a volte sembrava
una bambina. Una
bambina che potevi rendere felice con poco.
-
Te ne faccio portare delle altre,
se vuoi.
-
No, Elsa... è meglio di no.
Scoppierò.
-
É una sorpresa che non sia ancora
accaduto.
Anna
afferrò il bicchiere pieno di
limonata e se lo portò alla labbra, bevendone qualche sorso.
– Cos’è questa
roba?
-
Limonata?
-
Ha uno strano sapore, per essere
solo limonata.
***
-
Dove ti eri cacciato, folletto
dei miei stivali?! – esclamò Oberon, quando Puck
sbucò dal nulla per mettersi
di nuovo al suo fianco.
-
Scusatemi, mio signore.
-
Ti ho fatto una domanda.
-
Ho mangiato molto, mio signore.
Tutto delizioso. Tutto! – Si sistemò meglio il
berretto sulla testa e intrecciò
le dita delle mani. – Ma stava per scapparmi un gigantesco
rutto, quindi mi
sono nascosto. Non è educato. Siamo in presenza di una
regina.
-
Bugiardo! So benissimo che non ti
sei nascosto solo per questo. Cos’hai fatto? Dimmelo subito!
– Gli occhi
azzurri di Oberon lampeggiavano d’ira. Lo prese per un
orecchio e glielo torse.
-
Oh! Mio signore, il mio povero
orecchio!
-
Non avrai più un orecchio se non
mi dici che cos’hai combinato!
***
Anna
si sentiva terribilmente
accaldata, per questo si allontanò dal salone per uscire
all’aperto. Alcune
ciocche di capelli rossi erano sfuggite all’acconciatura. Si
fece aria con
entrambe le mani. Guardandosi intorno, si rese conto che i colori del
giardino
sembravano più brillanti. Che il bianco del suo stesso abito
sembrava ancora
più bianco. Il sole stava tramontando e il suo arancione era
particolarmente
intenso.
Anna
inspirò profondamente.
“Mia
cara regina... quello che si dice su di voi è vero: ve
l’hanno mai detto che
l’appellativo Vostra Maestà è troppo
poco? Dovrebbero chiamarvi Vostro
Splendore. O Vostra Magnificenza”.
Quanto
lo detestava. Erano bastate
poche parole. Anna l’aveva già inquadrato. Che
razza d’uomo era... anzi, che
razza d’elfo, nel suo caso... colui che si portava un
folletto ad un matrimonio
e permetteva che la moglie si invaghisse di un poveretto trasformato in
un
somaro? Aveva voglia di tornare dentro e cantargliele.
Sì,
ecco. Sarebbe rientrata e
gliene avrebbe dette quattro. Poco importava che fosse il sovrano delle
fate!
Lui
era il sovrano delle fate, ma
lei era Anna di Arendelle e quello era il suo matrimonio!
Si
girò di scatto per tornare su
suoi passi e finì addosso ad Elsa.
-
Anna...
-
Ah, sei... sei tu.
Persino
Elsa sembrava accaldata. Un
effetto strano e bellissimo. Il lieve rossore sugli zigomi, gli occhi
nei quali
le sembrava di specchiarsi perfettamente, i capelli argentei nella
penombra. La
curva della bocca le appariva pura e perfetta. Era come guardare un
dipinto.
-
Stavo... stavo per rientrare,
sai... volevo... – iniziò Anna. Ma si rese subito
conto di essersi scordata il
motivo per cui voleva rientrare. Si era scordata di Oberon, del
folletto, degli
invitati. Di tutto. Non voleva affatto rientrare.
Voleva
restare lì, con Elsa china
su di lei, dolorosamente vicina.
Anna
rimase immobile per un
istante, poi si liberò dei guanti bianchi, gettandoli via,
le allacciò le
braccia intorno alle spalle e premette il viso contro il suo collo.
Chiuse gli
occhi, per escludere il mondo con le sue sfumature troppo accese, per
escludere
la luce al di là delle finestre, lo scintillio del cielo, il
chiacchiericcio
distante. Respirò l’odore di Elsa, sentendo il
battito del suo cuore contro il
proprio.
-
Anna. – ripeté lei.
Alzò
gli occhi sui suoi, adagio,
sperando di non trovarvi un rifiuto.
E
avrebbe dovuto trovarlo, il
rifiuto. Sarebbe stato meglio. Sarebbe stato giusto.
Non
lo trovò. Lo sguardo di Elsa
era fisso nel suo ed era uno sguardo chiaro, trasparente come vetro,
pieno di
desiderio. La regina di Arendelle sollevò una mano e
cominciò a toglierle le
forcine dai capelli, lasciando che le ciocche ricadessero sulle spalle
scoperte.
È
una follia, si
disse Anna, senza sapere che Elsa
aveva pensato la stessa cosa quando l’aveva baciata per la
prima volta, nei
giardini, non molto lontano da dove si trovavano in quel momento.
Ma
a lei piacevano le follie. Le
piaceva quella follia.
Elsa
accostò la guancia alla sua.
Il respiro contro il suo orecchio la fece rabbrividire. –
Anna... sei così
bella. Sei assolutamente perfetta.
Anna
cercò di parlare, ma emise
soltanto un gemito.
-
Volevo farlo quando ti ho vista
in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a
smettere di
guardarti... – Le parole uscivano dalla bocca di Elsa senza
alcun freno. Se
faceva una pausa tra una frase e l’altra era solo
perché aveva il respiro
corto, affannato. – Ma lo sai già, vero?
-
So... che?
Elsa
la baciò. L’aveva già baciata,
ma sempre con molta attenzione, in modo incerto, prudente, come se
temesse di
farle del male.
Questo
bacio era diverso. Era più
profondo, più frenetico. Ad Anna bruciavano le labbra e le
bruciava anche il
sangue nelle vene. Il piacere era intenso ed era anche struggente, una
sensazione spaventosamente pressante che dilagava e la sommergeva.
***
Oberon
diede a Puck un bel calcio
nel sedere, colpendolo proprio con la punta dello stivale. –
Imbecille! Cosa ti
è saltato in mente? Non riesci a renderti conto di quello
che hai fatto, vero?!
-
Mio signore, siate magnanimo –
implorò Puck, rialzandosi in piedi e incassando la testa
nelle spalle. – Volevo
solo aiutare.
-
Aiutare? Nessuno te l’ha chiesto!
-
Ma non ce n’era bisogno, mio
signore. Non avete visto anche voi...
-
Ho visto molto chiaramente, Puck!
E ti avevo raccomandato di non combinare pasticci!
-
Posso... posso porvi rimedio, se
il mio signore lo desidera.
-
Certo che lo desidero! Ma ci
penso io a porvi rimedio. Sei capace di complicare ancora di
più le cose. E non
sia mai che qualcuno si accorga di quello che sta succedendo. Maledetta
Titania! Mi sentirà, te lo assicuro.
-
Che cosa sta succedendo?
Oberon
si voltò, con i grandi occhi
azzurri dilatati. – Ah, salve, Christopher.
-
Veramente il mio nome è Kristoff
– lo corresse lui.
-
Certo, naturalmente.
-
Mi è sembrato di capire che avete
dei problemi.
-
No, è tutto a posto. Questo
maledetto essere mi era sfuggito e ha rischiato di combinare un guaio.
Ma non
vi preoccupate. L’ho riacciuffato.
-
Vedo.
Ci
fu silenzio. Poco più in là la
renna di nome Sven ciondolava, con l’aria assonnata.
-
Se state cercando vostra moglie,
credo che... sia di sopra – disse Oberon.
Puck
osservò Kristoff, sbirciando
da dietro la schiena del re.
-
Di sopra?
-
L’ho vista salire le scale. Starà
ancora cercando Puck insieme alla regina. Ho chiesto loro di aiutarmi.
Vi
prego, informatele che è tutto sotto controllo e che me ne
sto andando. Non ho
intenzione di permettere a questo folletto di... combinare qualche
pasticcio
ben più serio. Titania me la pagherà, oh se me la
pagherà! È stata un’idea sua.
Kristoff
non vedeva l’ora che se ne
andasse, in effetti. – Bene, allora...
-
Ah! Non disturbatevi ad
accompagnarmi, Krusoff. Conosco la strada.
-
Non intendevo affatto
accompagnarvi. – Evitò di correggerlo di nuovo.
Aveva l’impressione che il
sovrano delle fate avesse capito benissimo il suo nome, ma lo
sbagliasse di
proposito.
***
-
Aspetta... che? Cos’è successo?
Cos’ho fatto ai capelli? Lo sapevo che avrei dovuto farmi le
trecce. E dove ho
messo i guanti? Perché non ho più i guanti?
– Anna parlava a raffica. Aveva la
testa leggera, come se avesse bevuto troppo.
Elsa
scosse il capo. Si chiese
immediatamente per quale motivo fosse in giardino, sdraiata sul prato
vicino a
sua sorella, la cui acconciatura si era disfatta. Ora i capelli
ricadevano
liberi sulle spalle. Inoltre il vestito da sposa non era più
così immacolato.
-
Che cosa ci facciamo qui fuori? –
chiese la regina di Arendelle, frastornata. Aveva avuto
l’impressione di udire
uno scampanio nelle orecchie prima di rendersi conto di non essere
più in salone.
L’ultima cosa che ricordava era Anna che le diceva che il
folletto di Oberon si
era mangiato tutte le palline di cioccolato. Dopo... il vuoto. Un buco
nero.
-
Oh, signore mie... è colpa di
Puck e sono davvero rammaricato – Oberon porse la mano ad
Elsa per aiutarla ad
alzarsi e fece lo stesso con Anna. Sorrideva, mettendo in mostra denti
lucenti
e perfetti. – Avete bevuto quella limonata, vero? Questo
essere ci ha messo
dentro un po’ di polvere elfica. Una di quelle polveri che...
vi fa fare cose
che altrimenti non fareste di certo. Tipo... tipo danzare. Stavate
danzando al
chiaro di luna.
-
Danzando? – Elsa si sforzò di
scacciare la confusione. Si portò le dita alle labbra. Non
seppe nemmeno dire
perché lo fece. Le toccò e basta. –
Anna, stai bene?
-
Credo... credo di sì. Ho trovato
i guanti. Davvero stavamo ballando?
-
Sì, sì – rispose Oberon, in
fretta e annuendo vigorosamente. Persino Puck annuiva, stringendo il
suo
berretto fra le mani. – Stavate danzando ed era un bellissimo
spettacolo, ma
non avrei mai voluto che qualcuno vi vedesse... così.
Anche
Anna si portò le dita alle
labbra dopo essersi rimessa i guanti. Notandola, Elsa si chiese se
Oberon
stesse dicendo loro la verità o se stesse tralasciando
qualcosa di proposito.
Ma
cosa?
I
pensieri che le attraversarono la
mente veloci come lampi la riempirono di sgomento. Spalancò
gli occhi, fissando
quelli azzurri del sovrano delle fate. Fiocchi bianchi comparvero
intorno a
lei.
-
Tutto bene – rispose Oberon. –
Sarà meglio che io... me ne vada. E alla svelta. Vi
ringrazio per l’ospitalità,
Vostro Splendore. È
stato un
matrimonio... con i fiocchi. Le fate non avrebbero saputo fare di
meglio. Lo
dirò a Titania. E con te, stupido folletto, facciamo i conti
dopo. – Rifilò un
altro calcio nel sedere a Puck, costringendolo a mettersi in moto.
-
Pensavo che avessimo già fatto i
conti, mio signore.
-
Ti sbagli di grosso. Non abbiamo
neppure incominciato. Cammina!
Quando
non ci fu più alcuna traccia
di Oberon, Anna guardò Elsa, che fece sparire i fiocchi con
un gesto seccato
della mano.
-
Wow... beh... fortuna che nessuno
ci ha viste... ballare. Penso che sarebbe stato davvero imbarazzante.
Avevo
capito subito che quel... come si chiama... Oberon avrebbe portato solo
guai.
Lui e il suo folletto. Voglio dire, non che abbia qualcosa contro i
folletti.
Figurati, perché dovrei? Sono solo folletti... –
Il tono di Anna non era per
niente convinto. L’ultima cosa che ricordava era se stessa
intenta a bere un
bicchiere di limonata e a dire ad Elsa che quella bevanda aveva un
sapore
strano. – Tu... ricordi qualcosa?
Elsa
frugò nella sua mente, ma fu
inutile. Non c’era niente.
Osservò
Anna; aveva gli occhi
scintillanti, le guance arrossate, i capelli disordinati, quasi
qualcuno vi
avesse infilato le mani. Si passava la lingua sulle labbra, come se, su
di
esse, fosse rimasto qualcosa... la traccia di un sapore. Un...
“Cos’è
questa roba?”.
“Limonata?”.
“Ha
uno strano sapore, per essere solo limonata”.
-
Elsa? Stai bene?
Non
ne era sicura.
-
Sì...
-
Forse dovremmo...
-
Rientrare... certo.
-
Mai più elfi e folletti alle
feste, ti prego. Mai più elfi e folletti ai matrimoni. Anzi,
che ne dici di:
mai più elfi e folletti ad Arendelle?
“Ma
lo sai già, vero?”.
“So...
che?”.
Elsa
si chiese da dove venisse
quello stralcio di conversazione. Dal buco nero, forse. Dal vuoto che
si era
creato nella sua mente a causa della polvere elfica.
Cos’altro c’era in quel
vuoto? Cos’aveva fatto? Cos’avevano
fatto?
Forse si stava preoccupando inutilmente e Oberon aveva detto la
verità? Non
sembrava... sconvolto. Sembrava rammaricato e, al tempo stesso,
divertito,
anche se aveva preso a calci il suo folletto.
Si
girò verso la sorella e le tese
la mano. Anna gliela strinse.
-
Sì, mai più elfi e folletti ad
Arendelle. D’accordo.
***
Angolo
autrice:
La
citazione all’inizio del
capitolo è presente anche in Shadowhunters:
Il principe di Cassandra Clare, così come il
riferimento alla polvere
magica che scioglie le inibizioni è ispirato ad un episodio
del romanzo. In
quel caso si trattava di polvere stregonesca e non di polvere elfica.
Oberon
e Puck, così come anche
Titania, sono personaggi di Sogno di una
Notte di Mezza Estate di Shakespeare. Nel capitolo ci sono
diversi
riferimenti all’opera originale (per esempio, il succo del
fiore di Cupido che
ha fatto invaghire Titania di Nick Bottom, trasformato in un somaro da
Puck).
E niente. Spero che la storia vi
piaccia e che continuerete a seguirla.
|
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Capitolo 3 *** Another Journey ***
3
“Se
queste ombre vi hanno offeso, pensate
(e
cada ogni malinteso)
Di
aver soltanto sonnecchiato
Mentre
queste visioni vi hanno allietato.
E
questo tema ozioso e futile
Non
più di un sogno vi sarà utile”
(William
Shakespeare, Sogno di una Notte di Mezza
Estate)
“Avete
bevuto quella limonata, vero? Questo essere ci ha messo dentro un
po’ di
polvere elfica. Una di quelle polveri che... vi fa fare cose che
altrimenti non
fareste di certo. Tipo... tipo danzare. Stavate danzando al chiaro di
luna”.
Elsa
ricordava l’esitazione nelle
parole e nello sguardo azzurro di Oberon. All’inizio non ci
aveva badato, era
troppo concentrata a cercare di ricordare cosa fosse successo in quel
giardino.
Era troppo concentrata sul timore di aver fatto qualcosa di... sbagliato. Ma c’era stata
un’esitazione.
“Vi
fa fare cose che altrimenti non fareste di certo”.
Elsa
fissava le pergamene in futhark
antico dispiegate sul tavolo del salone. Era riuscita a tradurre
qualche parola
in più e iniziava ad intuire che potesse trattarsi del
resoconto di una
battaglia avvenuta centinaia di anni prima. Tuttavia non era proprio in
grado
di studiare quelle pergamene. Erano trascorsi già alcuni
giorni dalla sera del
matrimonio ed Elsa non poteva levarsi dalla testa la faccenda della
polvere
elfica nella limonata.
“Credevo
che le fate non si innamorassero”.
“Non
lo fanno, infatti. E nemmeno mentono, principessa. Non che non esistano
le
eccezioni...”
Le
fate non potevano mentire. E gli
elfi? Oberon era il sovrano delle fate, ma era un elfo. Elsa non aveva
mai
sentito nulla riguardo alla capacità degli elfi di mentire.
Potevano farlo? A
lei sembrava che Oberon ne fosse capace. O forse era una delle
eccezioni di cui
lui stesso aveva parlato.
“Ma
lo sai già, vero?”.
Quello
stralcio di conversazione...
quello stralcio che veniva dal buco nero nella sua memoria. La
sensazione che
aveva percepito quando era tornata in sé. La sensazione...
che qualcuno
l’avesse baciata. Quel qualcuno le aveva anche morso le
labbra. E dato che
c’era solo sua sorella lì con lei...
Anna
aveva tutti i capelli in
disordine, le guance arrossate e gli occhi brillanti.
“Ma
lo sai già, vero?”.
Perché
aveva chiesto ad Anna una
cosa simile? Che cosa sapeva?
“Stavate
danzando ed era un bellissimo spettacolo, ma non avrei mai voluto che
qualcuno
vi vedesse... così”.
...che
qualcuno vi vedesse così.
***
Il
soldato finì gambe all’aria e
perse anche l’elmo, che rotolò sui ciottoli del
cortile, fino ai piedi di
un’altra guardia, che sorrideva.
Anna
strinse l’elsa della spada. – Siete
stanco?
-
No, principessa – rispose il
soldato, alzandosi e scuotendo il capo. – Non sono stanco, ma
voi siete troppo
brava per uno come me.
-
Ma non potete arrendervi! Abbiamo
appena cominciato!
-
In realtà abbiamo cominciato
mezz’ora fa. Perdonatemi se ve lo faccio notare. –
Si rimise l’elmo,
calcandoselo sul capo.
-
Oh! Davvero?
-
Sì, davvero – intervenne
Kristoff, avvicinandosi a sua moglie. – Anche
perché sono qui da quando hai
iniziato. Il tuo soldato ha ragione.
Sollevato,
l’uomo raggiunse il suo
compagno e insieme tornarono sui bastioni del palazzo.
-
Gli hai dato una bella lezione. È
stato... divertente – disse Kristoff, circondandole la vita
con le braccia e
posandole un bacio sulle labbra.
-
Lo so. E mi hanno insegnato loro
ad usare la spada. Credo che serva anche ai soldati scaldarsi un
po’ i muscoli.
Sai che alcuni dormono durante il turno di guardia? Elsa non vuole
assumere nuovi
soldati. Non che questi siano così male, però...
forse hanno bisogno di qualche
distrazione per non mettersi a dormire.
-
Rimarranno svegli a lungo dopo
questa batosta. Come te, stanotte. Sbaglio o non hai fatto altro che
rigirarti?
-
Sì... mi dispiace, ti ho
disturbato?
-
No. Ma dove sei andata? Ad un
certo punto mi sono svegliato e non c’eri...
-
Da Sven.
-
Sven?
-
Da Sven. Abbiamo... parlato un
po’. Voglio dire, io ho parlato, Sven è rimasto ad
ascoltare. Spero di non
averlo annoiato troppo. Forse voleva dormire.
-
Quindi preferisci la compagnia di
Sven alla mia. Devo essere geloso?
-
Credo che Sven preferisca la tua compagnia.
-
Farò due chiacchiere con lui. In
fondo possiede un certo fascino. Un fascino da renna.
La
verità era che non aveva fatto
altro che rigirarsi perché si era permessa di ripensare alla
sera del
matrimonio. A quel borioso di Oberon e al suo folletto. Sarebbe stato
tutto
perfetto se non fosse stato per quei due.
Le
scocciava moltissimo non ricordare
che cosa fosse accaduto. Si era detta che non era importante, che se
nessuno
l’aveva vista fare qualcosa di imbarazzante come ballare al
chiaro di luna
allora poteva lasciar perdere. Se con lei, in giardino, ci fosse stato
qualcun
altro, qualcuno che non aveva mai visto in vita sua, avrebbe potuto, se
non
fingere che non fosse successo, almeno convincersi che non
c’era nulla di cui
preoccuparsi, nulla per cui tormentarsi. Avrebbe potuto dirsi che si
era trattato
di un sogno e niente di più. Uno sogno che, come molti
sogni, al mattino era
svanito, risucchiato dalla luce intensa del giorno.
Ma
si trattava di sua sorella. E
non era sicura di aver solo ballato al
chiaro di luna. Nemmeno Elsa lo era. Tutte le volte che i loro sguardi
s’incontravano anche solo casualmente, Anna aveva
l’impressione che sua sorella
avesse dei sospetti, che condividesse i suoi stessi pensieri e le sue
stesse
preoccupazioni.
Prima
di tutto avrei dovuto farmi le trecce. Poi mi chiedo perché
il re delle fate si
sia dovuto presentare al mio matrimonio. Terzo, mia madre, oltre a
conoscere un
pirata, conosceva anche un elfo irritante e borioso. Quarto, non
berrò mai più
limonate in vita mia.
***
-
Elsa!
La
regina di Arendelle distolse lo
sguardo dalle pergamene. Anna entrò in salone, correndo e
con un foglio ingiallito
arrotolato e stretto nella mano destra.
-
Anna, cos’è successo?
-
Elsa... sei ancora su quelle
pergamene?
-
Ehm, sì.
-
Sono stata da Gran Papà. Gli ho
parlato della polvere elfica e...
Elsa
la fissò con gli occhi
sgranati. – Hai parlato a Gran Papà di quello
che... è successo al matrimonio?
-
No, certo che no... cioè, sì,
gliene ho parlato, ma non gli ho raccontato tutto. Gli ho solo detto
che
qualcuno ha messo della polvere elfica nella mia limonata e che, a
causa di
quella polvere, mi sono comportata... in modo strano, ma non ricordo
cosa sia
successo esattamente. Volevo che mi aiutasse a ricordare.
-
E... hai ricordato?
-
No. Gran Papà ci ha provato, ma
ha detto che la magia elfica può essere annullata solo da un
elfo. Quindi da
Oberon. Non possiamo ricordare, ma... abbiamo ottenuto qualcosa.
È pur sempre
un inizio.
-
Non abbiamo ottenuto niente,
Anna.
-
Invece sì. Sappiamo che solo un
elfo può annullare l’incantesimo sulle nostre
menti. Un elfo o una fata. Ma non
hai ancora sentito la parte migliore... Gran Papà mi ha
detto anche come
trovare Oberon. Mi ha dato una mappa.
-
So anch’io dove vive Oberon. Alla
Corte Seelie.
-
Già. E Gran Papà mi ha anche
detto come entrare, anche se mi ha sconsigliato di andarci. Conosce
Oberon e lo
giudica una persona... irritante e poco affidabile. E ha ragione. Ma se
non ci
andiamo non sapremo mai cos’è successo.
– Anna era entusiasta. Sembrava che non
stesse parlando di un viaggio in chissà quale regno
sconosciuto, ma di qualcosa
di emozionante, che non comportava pericoli di alcun genere.
– É a Misthaven.
-
Oh... Misthaven!
-
In realtà la nave dovrebbe
approdare più a est rispetto al punto in cui sono approdata
la scorsa volta.
-
Non posso, Anna. Sono la regina.
Mi è impossibile abbandonare il regno.
-
Non è vero, è solo una scusa.
-
Una scusa? Abbiamo sconfitto
Hans, ma prima o poi potrebbe anche riprovarci. Lui o uno dei suoi
fratelli...
-
Non ci riproverà. Non ora. Sono
sicura che si sta ancora leccando le ferite. E il suo occhio nero non
sarà
neppure guarito. Te lo ricordi, il suo occhio, no? Insomma, io ho
ancora i
lividi!
-
Anna...
-
Hai anche mandato delle spie
nelle Isole del Sud. Puoi sempre rivolgerti a loro per sapere che cosa
sta
combinando.
-
E Kristoff? Cos’hai intenzione di
raccontare a Kristoff?
-
Gli ho già detto che il folletto
di Oberon ha fatto qualcosa alla mia mente. Vorrebbe venire con me ma
l’ho
convinto a non farlo. Qualcuno deve pur rimanere qui.
“E
quanto ci metterai a tornare indietro, stavolta?”.
“Poco.
Davvero. Dammi due... no, due settimane no. Facciamo un mese”.
“Un
mese?”.
“Tre
settimane? Questa volta la situazione è diversa”.
“Ma
il posto è lo stesso, se non sbaglio. Misthaven. E questa...
come si chiama...”
“Corte
Seelie. E il re si chiama Oberon. E la regina Titania”.
“D’accordo,
lasciamo perdere i loro nomi. Potrebbe essere pericoloso”.
“Sai
che me la caverò. E poi la scorsa volta sono tornata sana e
salva. Ho persino...
dato una lezione a quel mago malvagio con problemi alla pelle,
perché, al
contrario di lui, io sono molto più carina e
gentile”.
“Ah,
su questo non c’è dubbio. Penso che tutti
sarebbero d’accordo”.
“Non
Belle, probabilmente. Lei proprio no. Scommetto che a lei non danno
fastidio i
suoi problemi alla pelle. Devo andare laggiù, Kristoff. So
che mi capisci”.
“É
davvero così importante? Cosa pensi che sia
successo?”.
“Sì che
lo è. Insomma, è frustrante avere dei
vuoti di memoria. Potrei aver fatto qualcosa di cui... dovrei pentirmi.
Mi rende
nervosa e mi irrita. Come mi irrita Oberon. E il suo folletto, anche.
Un folletto
non mi ha mai irritato tanto quanto Puck. Non che io abbia spesso a che
fare
con dei folletti... beh, a parte Tremotino. Sai, lui ha qualcosa dei
folletti.
Gli occhi, forse. Anche la statura. Non è molto
alto”.
-
Se non vuoi venire con me, posso
andarci da sola. Tornerò con i miei ricordi e anche con i
tuoi – disse Anna.
-
Non andrai da sola. Toglitelo
dalla testa! – La voce di Elsa salì di tono.
Risuonò secca e dura. Le ricordò
quando era venuta a trovarla nella cella in cui Ingrid
l’aveva rinchiusa.
Allora era una finta, solo un tranello per ingannare la Regina delle
Nevi, ma
Anna aveva avuto paura che Elsa non le credesse, che fosse realmente
arrabbiata
con lei. Erano stati minuti terribili.
Anna
la fissò, senza dire niente.
-
Non voglio che tu parta da sola –
continuò sua sorella.
-
Hai solo paura di scoprire che
cos’è successo davvero quella sera!
Fu
Elsa a rimanere in silenzio,
stavolta.
-
Scusa... non volevo dire... –
iniziò Anna, arrossendo. – Anzi, sì.
Volevo dirlo. Perché è quello che penso. Forse
non avrei dovuto dirlo in quel modo, ma l’ho detto, quindi...
e se è così, lo
capisco. Me lo puoi dire. Perché sono tua sorella e puoi
dirmi qualsiasi cosa,
ma anche perché anch’io ho paura. Per me non
è diverso.
Elsa
la guardò per un lungo istante,
continuando a tacere. I suoi occhi scrutarono intensamente il viso di
Anna. Grazie
alla luce del sole che giocava con le ombre del salone lo sguardo della
regina
sembrava possedere una sfumatura più azzurra.
Per
qualche istante parve lottare
contro se stessa. Poi colmò la distanza che la separava da
Anna e le prese
entrambe le mani.
-
Sì, io... – iniziò Elsa. Le
sfuggì, distogliendo lo sguardo. – Sento che
è tutto qui, nella mia mente. Ma
non sono sicura di volerlo sapere. Ho paura di aver fatto... di averti fatto qualcosa di male.
-
Perché sei convinta di essere
l’unica colpevole? Qui nessuno è colpevole, a
parte quella maledetta polvere
elfica. E Puck. E Oberon, naturalmente. Non sai quanto vorrei prenderlo
per le
orecchie a punta e sbatterlo giù dal suo trono... Oberon,
intendo.
-
E Puck no?
-
Anche. Ma prima Oberon. Sia per
la polvere elfica che per il modo in cui si è rivolto a te.
-
Come si sarebbe rivolto a me?
-
Non l’hai sentito? Tutti quei... Vostro
Splendore. Vostra Magnificenza. È
un borioso.
Elsa
si concesse un sorriso. – Non
so bene quante volte l’hai già ripetuto.
-
Non lo consideri un borioso?
-
Credo che volesse solo essere
cordiale.
Anna
aggrottò la fronte. –
Cordiale? Voleva essere tutt’altro che cordiale, infatti ti
stava sempre
appiccato. E non era stato invitato. Ricordami di dirglielo quando lo
vedrò.
Cioè, quando lo vedremo.
Elsa
posò le dita sulla sua nuca e
l’attirò più vicina a sé.
Appoggiò la fronte contro quella della sorella. Anna
chiuse gli occhi e trattenne il respiro, destabilizzata
dall’improvvisa
vicinanza.
-
Va bene – disse Elsa.
-
C-Cosa?
-
Verrò con te a Misthaven. Alla
Corte Seelie.
-
Sul serio? – Anna si scostò
leggermente e guardò Elsa con occhi grandi e pieni
d’entusiasmo.
-
Ti ho detto che non saresti più
andata in nessun posto in cui io non possa raggiungerti. Credevi che
scherzassi?
-
No... una regina come te non
scherzerebbe mai su una cosa del genere.
***
Partirono
tre giorni dopo.
Le
spie di Elsa inviate nelle Isole
del Sud dopo la sconfitta di Hans non portarono notizie preoccupanti.
Il
principe si stava ancora leccando le ferite, come aveva sperato Anna, e
i suoi
dodici fratelli erano occupati fra taverne, bordelli o erano intenti a
rimuginare su quanto era accaduto. Si diceva che alcuni di loro si
sarebbero
rifiutati di seguire Hans in un’altra impresa suicida come
quella che li aveva
quasi condotti alla morte.
Quasi
nessuno seppe che la regina
stava lasciando il regno. La mattina della partenza si imbarcarono su
una nave
mercantile piccola e anonima, usando due nomi falsi. Anna si
presentò come Joan
e scelse per sua sorella il nome Eiry.
-
Eiry? – esclamò Elsa, dopo che
furono salite sulla nave.
-
Stavo improvvisando e ho detto il
primo nome che mi è venuto in mente. O forse l’ho
letto in qualche storia. Ti
sta benissimo, Eiry.
-
Oh... sì?
-
Preferivi qualcos’altro? Qualcosa
tipo... Christine... o Henrietta?
-
Henrietta? Che nome sarebbe?
-
Non lo so. Un nome orribile.
Voglio dire, un nome orribile da dare a te. Chi ha il coraggio di
chiamare la
propria sorella Henrietta?
Elsa
sorrise.
-
Forse preferivi che ti chiamassi
Emma.
Un
attimo di silenzio.
-
Perché mi dici questo? – volle
sapere Elsa, guardandola con il sopracciglio aggrottato.
-
Beh, perché Emma è un nome da
Salvatrice. È un bel nome. Sono sicura che tu
lo consideri un bel nome. E lo è. È mille volte
meglio di Henrietta. Poi visto
che ti fidavi tanto di Emma...
-
Tu no?
Ad
Anna occorse qualche secondo per
rispondere. – Certo. È stata così
gentile con te. L’ho ringraziata, sai?
-
E allora?
-
Niente. Cioè, no, è che... non ho
potuto fare a meno di notare quanto foste legate. Non che questa sia
una brutta
cosa. Trovo sia molto bello. Eri da sola, in un mondo che non conoscevi
e, per
fortuna, c’era qualcuno disposto ad aiutarti. Scommetto che
hai lasciato un gran
vuoto nel cuore di Emma... o meglio, se io fossi Emma sentirei un gran
vuoto
perché non ci sei più. Magari avrebbe voluto
tenerti con sé a Storybrooke...
-
Anna.
-
Sì?
-
Respira.
-
Lo sto facendo.
Elsa
abbassò il cappuccio della mantella
che aveva indossato quella mattina, prima di lasciare il palazzo.
– Non pensavo
che ti desse fastidio.
-
Non mi dà fastidio! – si affrettò
a dire Anna. Poi roteò gli occhi. – Okay, va bene.
Forse un po’ sì. Ma non devi
spiegarmi niente.
-
Emma era un’amica. La sentivo
molto vicina perché eravamo... siamo
molto
simili. Mi ha aiutata quando ho usato i miei poteri per intrappolare la
città.
Avrebbe potuto non farlo, ma si è fidata di me. È
per questo che tra noi si è
creato un legame.
-
É la stessa cosa che ha detto
Kristoff.
-
Kristoff?
-
Beh, anche lui l’ha notato. E
credo abbia notato che io l’avevo notato. Insomma, hai
capito, no?
Elsa
aveva capito benissimo, per
questo l’aveva abbracciata
***
La
nave fece rotta verso Misthaven
e vi approdò una mattina soleggiata, due giorni dopo aver
levato l’ancora ad
Arendelle. Il capitano, un uomo di poche parole e che era abituato a
non fare
domande, aveva detto loro che c’era la possibilità
di attacchi da parte di navi
pirata durante la traversata.
-
Non vi voglio indorare la
pillola. Abbiamo avuto seri problemi mentre ci dirigevamo verso
Arendelle.
Siamo riusciti a respingerli perché i miei uomini sono tutti
addestrati e
perché erano in pochi. Ma non so come sarà, nel
tornare indietro.
-
Oh, pirati! – aveva esclamato
Anna. – Vi supplico, no. I pirati no. L’ultimo
pirata che ho conosciuto mi ha
chiusa in un baule. Con l’aiuto di... beh, di qualcun altro.
Non era l’ultimo
che ho conosciuto, in realtà. Ne ho conosciuto un altro,
dopo, solo che...
Il
capitano aveva aggrottato le
folte sopracciglia scure.
-
Sì. In un baule. Ci credereste?
Volevano che morissi annegata. Anzi, che morissimo.
C’era anche Krist... ehm, voglio dire... un mio
amico.
-
Oh.
Elsa
aveva interrotto la sorella
prima che potesse parlare troppo. – É una storia
complicata.
Non
ci furono attacchi da parte di
navi pirata, comunque.
Anna
consultava spesso la mappa che
le aveva fornito Gran Papà, borbottando frasi sconnesse fra
sé e sé.
Quando
giunsero a Misthaven tenne
sempre la mappa sott’occhio, soprattutto quando la foresta si
chiuse su di loro
e si ritrovarono a camminare fra sassi, rovi, sentieri coperti di
erbacce,
alberi secolari e a tendere le orecchie ogni qualvolta udivano un
rumore
provenire dal folto della boscaglia.
-
Quanto dovrebbe mancare? – chiese
Elsa, ad un certo punto, mentre osservavano un enorme tronco caduto,
che
sbarrava loro il passaggio.
-
Non molto. Almeno, non molto
secondo la mappa. Il lago dovrebbe essere vicino.
-
Il lago?
-
Giusto. Non ti ho detto come si
entra alla Corte Seelie. Dal lago. Dobbiamo attendere che cali la notte
e
quando la luna piena si rifletterà sulle acque del lago...
beh, allora potremo
entrare.
-
Nel senso che vedremo una porta
magica?
-
No. Si entra attraverso il
riflesso della luna. Insomma, sì, il riflesso sulle acque
è una porta.
-
Dobbiamo tuffarci nel lago?
-
Ehm... lo so che non è un’idea
grandiosa. L’acqua sarà sicuramente fredda
– Anna, dopo aver cercato di
aggirare il tronco caduto, decise di provare a scavalcarlo. –
E quindi sarà
spiacevole. Per me, voglio dire. Non per te. Ma non
c’è un altro modo per
entrare, Gran Papà è stato molto chiaro.
Anna
stava per aggiungere qualcos’altro
riguardo alla Corte, al riflesso che diventava una porta al momento
giusto e
riguardo a quanto le dispiacesse doversi immergere nell’acqua
gelata, ma
scivolò sul muschio che ricopriva il tronco e cadde
dall’altra parte,
accompagnando la caduta con un gridolino di sorpresa e uno svolazzo di
gonne
blu e mantella rossa.
-
Anna! Ti sei fatta male? –
domandò Elsa, allarmata, raggiungendola e scivolando a sua
volta.
Lei
si sollevò, portandosi una mano
alla testa. – Ouch. No. Credo di no.
Elsa
la prese per mano e l’aiutò a
rialzarsi. Un lungo ciuffo di capelli rossi le pendeva davanti al viso,
scompostamente. Le sarebbe di sicuro uscito un livido sul fianco e si
era
sbucciata un po’ le nocche.
-
Sei ferita – le fece notare sua
sorella.
-
Oh. Non è niente. Sono abituata
alle cadute. Avresti dovuto vedere quella dal ciglio della montagna.
Elsa
non commentò. Anna alzò la
testa per guardarla e vide che la sua espressione era tesa.
-
Va bene. Forse è meglio non
parlare di cadute. Soprattutto di cadute come... come quella.
Ogni tanto, di notte, sogno ancora di cadere, sai? Qualche
notte prima del matrimonio ho sognato di essere di nuovo sul ciglio
della
montagna. Sapevo che sarei caduta, ma continuavo a camminare.
È stato la notte
in cui anche tu hai avuto quell’incubo ed io sono venuta
nella tua stanza a
svegliarti.
Elsa
sfiorò le sbucciature sulle
nocche con la punta delle dita, poi si portò la sua mano
alle labbra e vi
depositò un bacio. Un bacio leggero, ma stranamente
prolungato.
Anna
rimase là, a guardarla, con la
bocca semiaperta. E gli occhi incollati a quelli di Elsa.
Così... simili ai suoi.
Incollati
alle sue labbra.
Desiderò
ardentemente che Elsa la
baciasse. Voleva che l’attirasse a sé e la
baciasse, come aveva fatto quel
giorno, nei giardini di Arendelle. Un bacio. Anzi, no. Più
di uno. Sulla bocca,
sul collo, sulla guancia. Doveva baciarla
e basta.
E
rendendosi conto che Elsa, forse,
non l’avrebbe fatto, si sporse per farlo lei stessa. La
sorella non si
ritrasse, emise solo un sospiro. Un sospiro che sapeva di
rassegnazione, di
sconfitta. E di attesa.
Un
ramo si spezzò con uno schiocco
secco.
Risuonò
un TUMP.
Udirono
entrambe dei passi in
avvicinamento.
Elsa
si girò di scatto, portando
subito una mano avanti, pronta a scagliare il suo potere contro
chiunque avesse
tentato di far loro del male, mentre con l’altro braccio
spingeva Anna più
indietro.
-
Elsa! – iniziò Anna.
C’erano
tre persone davanti a loro,
sbucate dal nulla.
Erano
donne ed erano armate. Due
impugnavano le lance, la terza aveva un’ascia appesa alla
cintura, l’arco e la
faretra piena di frecce agganciate alla schiena. A giudicare dagli
abiti, erano
delle guerriere. Avevano braccia forti e fisici atletici,
nonché l’aria di chi
non si lasciava intimorire facilmente.
Aspetta,
che?
Non
credeva ai suoi occhi. Per la
seconda volta in pochi giorni Anna non credeva ai suoi occhi.
-
Chi siete? – domandò la donna con
l’ascia, venendo avanti di un passo.
Le
sorelle restarono un attimo
interdette.
Chi
siamo noi?, pensò
Anna. No, chi siete VOI?
-
Ho chiesto chi siete – E questa
volta non era più una domanda. Gli occhi neri le scrutavano,
aspettandosi
qualcosa e subito.
-
Oh. Beh, dunque... mi chiamo
Joan. E questa è mia sorella Eiry – rispose Anna,
venendo avanti di un passo,
mentre stringeva il braccio di Elsa. Arrotolò la mappa e
offrì loro un sorriso
che avrebbe dovuto risultare incoraggiante.
-
Joan, eh? Che strano nome. Non
sembrate del posto – le fece notare la donna con
l’ascia, guardinga.
Le
due compari abbassarono un po’
le lance.
-
Infatti non lo siamo. Noi veniamo
da Ar... – Anna si interruppe appena in tempo. – Da
nord.
-
Da nord? Ci sono molte cose a
nord.
-
Ci dispiace molto – intervenne
Elsa. – Non volevamo entrare senza permesso nel vostro
territorio. Siamo
dirette a...
-
Nel loro territorio? –
disse Anna.
La
guerriera con l’ascia allungò
una mano, fulminea, e strappò la mappa dalle mani di Anna.
-
Ehi! Ma che...?
Con
un fruscio la mappa venne
srotolata.
-
Che cos’è, Varja? – chiese una
delle due guerriere bionde che reggevano le lance.
-
Una mappa. La Corte Seelie! –
Varja alzò gli occhi. Sembrava molto divertita. –
E cosa c’è di così importante
per voi alla Corte Seelie?
-
Beh, i nostri... – cominciò Anna.
Sbatté le palpebre. – Qualcosa che ci appartiene e
che... dobbiamo riprenderci.
Quindi, se volete scusarci... noi andremmo.
Alle
loro spalle vi furono dei
movimenti. Tramestii, passi, foglie secche schiacciate dalle suole
degli
stivali. Le tre guerriere non erano venute da sole.
Presumibilmente
erano circondate.
Nel
girarsi, Elsa colse il balenio
di una punta di lancia che le parve un po’ troppo vicina al
corpo di sua
sorella.
-
Ferma! – gridò. Le sue dita
sfiorarono l’arma della guerriera.
Anna
ebbe il tempo di contare altre
sei donne, tutte con abiti in pelle o in cuoio, tutte con le armi in
pugno e
tutte in atteggiamenti poco amichevoli.
Poi
la punta della lancia cominciò
a ghiacciare. Il gelo si diffuse lungo l’asta in legno,
minacciando le mani
della guerriera, che lanciò un’imprecazione e
gettò via la sua arma.
-
Che cosa sta succedendo? – gridò
Varja.
Fiocchi
di neve presero a turbinare
intorno ad Elsa.
Le
voci si sovrapposero, in una
cacofonia che si fece subito preoccupante.
-
Varja!
-
É magia!
-
State indietro!
-
É un mostro!
-
Non date del mostro a mia
sorella!
Una
freccia sbucò dal folto degli
alberi, seguita subito da una seconda. Sibilarono, tagliando
l’aria e
dirigendosi verso il bersaglio.
Elsa
sollevò entrambe le mani.
Esplose un fascio di luce biancoazzurra e le frecce congelarono
all’istante,
precipitando sull’erba.
Altre
guerriere uscirono allo
scoperto. Puntarono asce, lance, spade e incoccarono altre frecce.
-
Dì a tua sorella di fermarsi –
ordinò Varja, rivolta ad Anna. – Qualsiasi cosa
stia facendo, dille di smettere
o le mie compagne vi attaccheranno. Non credo che possa affrontarle
tutte e,
anche se potesse... non glielo consiglio. Dovrà combatterci
e, allo stesso
tempo, proteggere te. E non ha l’aria di una donna che uccide
senza farsi
problemi.
-
Io non voglio farvi del male. Mi
dispiace... – iniziò Elsa, sconvolta da
ciò che stava accadendo. I fiocchi
continuavano a roteare intorno a lei. Le guerriere la fissavano con gli
occhi
sbarrati, ma non indietreggiavano. Anzi avanzavano, un passo alla
volta, pronte
a colpire.
-
Silenzio! – gridò Varja.
Anna
afferrò saldamente la mano
della sorella, intrecciando le proprie dita alle sue. Le rivolse
un’occhiata. Voleva
rassicurare Elsa, ma era convinta che i suoi occhi trasmettessero
angoscia e
non sicurezza.
Tuttavia
Elsa agitò una mano e i
fiocchi scomparvero.
Le
guerriere si avvicinarono
ancora, formando un cerchio intorno a loro.
-
Adesso venite con noi – annunciò Varja,
freddamente.
-
Venire con voi... dove?
– chiese Anna.
-
Dalla regina. Legate bene le mani
della bionda. Non voglio sorprese.
-
Non potete legare mia sorella!
Non voleva farvi male! E se legate mia sorella allora dovrete legare
anche me.
Pensate che io non possa darvi una lezione se...
-
Avete sentito cos’ha detto Joan, se
è davvero questo il suo nome? Vuole essere legata!
Alcune
ridacchiarono.
-
Accontentiamola. Asteria,
Agave... legate anche lei. Abbiamo un po’ di strada da fare,
ma credo che la
regina avrà molte domande per voi.
-
Ma quale regina? – chiese Anna,
osservando le due guerriere che erano apparse con Varja armate di lance
unire i
polsi di Elsa per potervi passare la corda intorno.
-
Ippolita – Varja parlò come se si
stesse rivolgendo ad una povera stupida. – La Regina della
Amazzoni. Camminate!
***
Angolo
autrice:
Ciao
a tutti e buon anno, cari
lettori!
Primo
capitolo di questo 2015. Urge
qualche spiegazione:
La
citazione iniziale, tratta da Sogno di Una
Notte di Mezza Estate, appartiene
al folletto Puck ed è parte della battuta che chiude
l’ultimissimo atto della
commedia.
Asteria
e Agave sono nomi di
Amazzoni e pure Ippolita, che è, come Oberon, Titania e
Puck, un personaggio di
Sogno di Una Notte di Mezza Estate.
Varja,
invece, è un nome che mi sono inventata di sana pianta. Non
ha un significato
particolare, o almeno non credo. Mi piaceva semplicemente il suono.
Eiry,
il falso nome di Elsa, è di
origina nordica e significa “neve”. Me
l’ha suggerito un amico. Mentre
Christine ed Henrietta non sono messi lì a caso. Sono i nomi
di personaggi
interpretati da Georgina Haig in altre serie/film.
L’idea
del riflesso della luna
sulle acque del lago come porta per accedere alla Corte Seelie
è presente anche
in Shadowhunters – The Mortal Instruments.
E niente. Penso sia tutto. Mi
auguro che la storia sia di vostro gradimento. Ovviamente ogni critica,
anche
la peggiore, è gradita. ^_^
|
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Capitolo 4 *** The Queen of Amazons ***
4
«A
volte non
sono le risposte, che si cercano»
«E cosa si
cerca?»
«Qualunque cosa
ci faccia sentire meglio»
[Once Upon a
Time, Family Business, Anna e Belle]
Camminarono.
Camminarono
per un bel pezzo.
Anna
venne legata proprio come Elsa
ed entrambe furono affiancate da due Amazzoni, che stringevano loro un
braccio,
spingendole in avanti quando inciampavano o rimanevano indietro. Varja
era
accanto ad Elsa, mentre l’Amazzone chiamata Asteria teneva
d’occhio Anna. Altre
guerriere procedevano stando davanti e dietro di loro, tra sentieri
invasi
dalle erbacce e cespugli pieni di spine.
Le
guerriere si muovevano con
sicurezza, conoscevano la foresta palmo a palmo e non parlavano molto.
Anna
borbottava continuamente e si lamentava, ma veniva zittita dalla voce
grossa di
Varja o da qualche Amazzone che la pungolava con la lancia.
-
Si può sapere dove ci state
portando? – chiese Anna, forse per la decima volta da quando
erano state fatte
prigioniere.
-
Siamo quasi arrivate – rispose
Varja.
-
Questo l’avete già detto
parecchio tempo fa. Ore fa, credo!
-
Sì e allora?
-
E allora, se fossimo quasi
arrivate dovremmo...
-
Intendi tenere la bocca chiusa
per più di due passi, Joan,
oppure
vuoi essere imbavagliata?
Ad
Elsa non piacevano affatto gli
sviluppi della situazione. Lanciava occhiate allarmate a sua sorella ed
Anna la
ricambiava con sguardi altrettanto preoccupati, sebbene cercasse di
tenere
testa a Varja e alle sue compagne.
È
colpa mia se siamo in questa situazione, pensava
la
regina di Arendelle, muovendo i polsi tenuti uniti dalle corde. Se non avessi usato il potere, ci avrebbero
lasciate andare.
Quando
aveva visto le guerriere
aveva capito subito che si trattava di Amazzoni. Aveva letto storie
incentrate
su di loro nella biblioteca di famiglia e le aveva riconosciute per via
delle
armi e degli abiti che indossavano. Tuttavia non sapeva che cosa
aspettarsi
dalla regina. Ippolita.
Giunsero
sul ciglio di un burrone.
Varja ordinò a tutte di fermarsi. Per attraversare il
baratro occorreva usare
il ponte sospeso che univa le due sponde. Un ponte fatto di assi marce,
stretto
e lungo, che dondolava sopra quel vuoto terrificante.
-
Dobbiamo attraversarlo? – domandò
Anna, fissando il ponte con gli occhi sgranati.
-
Naturalmente. O preferisci
volare, Joan? – le chiese Varja, osservandola con il
sopracciglio aggrottato.
-
Potrebbe non reggere – le fece
notare Elsa.
-
L’abbiamo attraversato molte
volte. Reggerà, se camminate con calma e se lo attraversiamo
due alla volta.
Vi
fu una breve pausa.
Elsa
deglutì.
-
Joan, visto che hai tanta voglia
di chiacchierare, perché non chiacchieri attraversando per
prima il ponte?
Asteria, vai con lei.
L’Amazzone
bionda le diede una
spintarella. Anna vide il ponte ballare, colpito da una folata di vento
e udì
lo scricchiolio delle vecchie assi.
-
No! – esclamò Elsa. – Posso creare
un altro ponte. Più resistente. Lasciate che lo faccia,
è...
-
Non ci provare – Varja sganciò
l’ascia dalla cintura e la puntò contro di lei.
– Non mi fido del tuo potere.
Prima hai rischiato di uccidere le mie sorelle.
Anna
stava per intervenire, stava per
dire a quell’antipatica di togliere l’ascia da
sotto il naso di Elsa, ma
Asteria aumentò la stretta sul suo braccio e la costrinse a
voltarsi verso il
ponte.
-
Non volevo farvi del male.
-
Sì, beh, questo lo dici tu, mia
cara... Eiry. – Varja mise via l’ascia.
-
El... Eiry. – disse Anna,
sforzandosi di ricordarsi il falso nome di sua sorella. Non era per
niente
facile con una guerriera che la minacciava e un burrone che
l’aspettava a
braccia aperte. - Non preoccuparti. Non sarà poi
così difficile. Camminare con
calma, avete detto? Sì, camminare con calma. Io non sono
così pesante. Reggerà.
-
Muoviti, Jane – la interruppe
Varja.
-
Mi chiamo... Joan.
-
Qualunque sia il tuo nome, datti
una mossa. La regina ci aspetta.
Le
fronde degli alberi frusciarono
sopra le loro teste. Anna avanzò di qualche passo e mise un
piede sul ponte.
Non
guardare in basso. Non guardare in basso. Tanto non è
così alto. Non lo è. È
solo...
Guardò
in basso.
Non
era alto, infatti.
Era
altissimo. Un abisso di roccia che
sembrava non avere fondo.
Anna
udiva lo scrosciare delle
acque di un fiume, ma lontano. Lontanissimo. In confronto la sua caduta
dal
ciglio della montagna, quando era andata a far visita a Gran
Papà insieme a
Belle, non era niente. Era un salto da poco.
Asteria
le mise una mano sulla
spalla, pronta a darle un’altra spintarella. Anna
salì sul ponte.
Scricchiolii
sinistri. Un mulinello
di vento che saliva dal basso le scompigliò qualche ciocca
di capelli. I ciuffi
le finirono davanti agli occhi, ma non li sistemò. Era
troppo impegnata a
mantenere l’equilibrio. Avrebbe tanto desiderato non avere i
polsi legati,
almeno avrebbe potuto aggrapparsi alle corde. O forse era meglio non
aggrapparsi a niente. Forse, se si fosse aggrappata, avrebbe solo
peggiorato la
situazione.
Due
passi in avanti. Asteria la
seguiva e lei aveva l’impressione che l’Amazzone
sogghignasse. Non poteva
voltarsi per vederla, ma lo percepiva.
L’altra
sponda del burrone sembrava
distante miglia e miglia. Come se il ponte si fosse allungato per magia.
Altri
due passi.
Elsa
seguiva la traversata di Anna
con il cuore in gola. Cercava anche di controllare il proprio potere
per non
innervosire ulteriormente le Amazzoni, ma lo sentiva agitarsi e premere
per
uscire.
Controllalo.
Puoi farlo.
Anna
mise un piede su un’asse di
legno pericolante. Essa si spezzò con uno schiocco secco. Il
ponte vacillò.
-
Anna!
Lei
barcollò. Vide una metà
dell’asse che penzolava nel vuoto e poi si staccava,
precipitando nell’abisso.
Rimase là, ipnotizzata, a fissare il baratro, colta da una
terribile ondata di
vertigini.
-
Vai avanti – le intimò Asteria.
La sua voce era ferma, come se non fosse accaduto niente.
-
Avanti... sì, vado avanti, certo
– rispose Anna, raddrizzandosi. Chiuse un attimo gli occhi e
prese un bel
respiro prima di continuare.
Fiocchi
di neve avevano
ricominciato a volteggiare intorno ad Elsa.
Un
passo. Poi un altro. E un altro
ancora.
Quando
arrivò dall’altra parte fu
travolta dal sollievo e le ginocchia cedettero. Finì lunga
distesa. Davanti a
lei c’era un sentiero che si snodava nella foresta,
improvvisamente più ombrosa
e fitta.
-
Tocca a te, Eiry – disse Varja,
spingendo Elsa verso il ponte. – Non sei ansiosa di
raggiungere la tua
sorellina?
Elsa
deglutì a vuoto, ignorando la
forza di attrazione sprigionata dal baratro che voleva costringerla a
guardare
giù, come aveva fatto Anna.
-
Sempre che si tratti di tua
sorella – sussurrò Varja. – Ho i miei
dubbi anche su questo.
Da
quanto tempo le stavano
seguendo, prima di uscire allo scoperto? Da quanto tempo le Amazzoni le
osservavano?
Si
sentì affluire il sangue alle
guance. Se erano là da molto, era possibile che si fossero
accorte di quella
che stava per succedere fra lei e Anna. Anzi, a giudicare dal tono
divertito di
Varja, immaginava che avessero assistito all’intera scena.
-
Avanti. Non possiamo restare qui
tutto il giorno – disse Varja, pungolandola con il manico
della sua ascia.
Elsa
iniziò la traversata. Le assi
crepitavano sotto i suoi piedi e il ponte dondolava, mandandole in
subbuglio lo
stomaco. Si rifiutò di abbassare lo sguardo e lo rivolse
alla sorella, che si
era rialzata in piedi faticosamente.
Tutto
ciò le ricordava molto il suo
sogno. Il suo incubo. Quello in cui si ritrovava a cercare Anna nei
boschi di
Storybrooke. Sentiva la sua voce che la supplicava di aiutarla, ma non
riusciva
mai a raggiungerla.
“Elsa,
aiutami, ti prego!”
“Anna,
dove sei?”
“Aiutami!”
E
le ricordava anche il momento in
cui aveva creato la scalinata di ghiaccio con i suoi poteri, mentre la
visione
che Ingrid aveva plasmato con la magia per farle credere che sua
sorella fosse
veramente là continuava a chiamarla. Aveva quella stessa
espressione
spaventata, tesa. Elsa si aspettava quasi che Asteria trascinasse Anna
nel
folto della boscaglia. Si aspettava che forze invisibili
l’afferrassero e la
portassero via, lontano da lei.
Si
riscosse e continuò a camminare,
prima che Varja le intimasse di darsi una mossa.
Ci
mise un’eternità. O almeno a lei
parve un’eternità. E anche ad Anna. Ma alla fine
toccò l’altra sponda del
burrone. Aveva il fiato corto, come se fosse reduce da una lunga corsa.
-
Non è stato poi così terribile,
no? Ora andiamo. Siamo vicine. Dico sul serio, stavolta –
disse Varja.
***
Poco
dopo, infatti, il villaggio
amazzone si aprì davanti a loro.
Nell’aria
aleggiavano l’odore del
fumo, che proveniva da un focolare ormai spento, e di carne cotta.
Qualcuno
batteva sui tamburi.
Era
un villaggio piccolo, ma
affollato e, tra le Amazzoni che si spostavano a cavallo e quelle
occupate a
lucidare le armi o ad affilare spade, asce e punte di lancia, il luogo
ferveva
di vita. C’erano anche dei bambini. Bambine, a dire il vero.
Erano tutte
femmine. Mentre Anna ed Elsa venivano scortate verso la tenda della
regina,
seguite dagli sguardi delle altre guerriere, una di quelle bambine si
staccò da
un gruppetto e raggiunse Varja. Aveva i capelli biondi lunghi fino alla
vita,
ma gli occhi erano nerissimi. Varja la prese in braccio e, per la prima
volta
da quando Anna ed Elsa l’avevano incontrata, quella scontrosa
guerriera sorrise.
Doveva
essere sua figlia.
Anna
approfittò del momento di
distrazione per guardarsi in giro.
Non
c’erano molte vie di fuga. Non
c’era una di quelle guerriere che non girasse armata. Inoltre
era probabile che
ci fossero molte sentinelle ai confini del villaggio.
C’era
anche una gabbia. Una grande
gabbia di forma quadrata, appesa al tronco robusto di una quercia. E
nella
gabbia c’era uno scheletro. Anna ebbe la netta impressione
che quelle orbite vuote
e nere la stessero fissando, quindi girò la testa
dall’altra parte.
Ci
vogliono mettere in quella gabbia insieme a... a lui?, si
chiese.
Non
le misero nella gabbia per il
momento, ma le portarono davanti alla tenda della regina Ippolita.
Varja si
introdusse all’interno.
-
Ecco. Tenete – L’Amazzone di nome
Agave porse una borraccia piena d’acqua ad Anna.
-
Oh, beh... grazie.
-
Aspetta! – intervenne Elsa. – Non
berla.
-
Non è avvelenata, fanciulla. –
rispose Agave. Sollevò l’indice e
indicò la gabbia. – Non avveleniamo i
prigionieri. Troppo facile. Se hai dato un’occhiata
lassù capirai che cosa
intendo.
-
Che bello. Questo dovrebbe farci
stare più... tranquille? – domandò
Anna. Restituì l’acqua alla guerriera. –
Non
ho sete. O meglio, ce l’avevo, ma adesso mi è
passata. E mi è passata anche la
fame.
-
Badate a quello che dite. Non me la
farei nemica, se fossi in voi. – Parlava a voce bassa, come
se le stesse
rivelando un segreto.
-
Chi? Varja? – chiese Anna.
-
No. Ippolita.
-
Non siamo qui per farci dei
nemici – rispose Elsa.
-
Sempre meglio mettere le cose in
chiaro.
-
Avete qualche altro consiglio da
darci, magari? – chiese Anna. Non che se lo aspettasse,
ovviamente.
-
Parla. È la cosa che sai fare
meglio, mi sembra.
Varja
uscì dalla tenda pochi
istanti dopo, seguita dalla regina delle Amazzoni.
Me
l’aspettavo più alta, pensò
Anna.
Ippolita
non era alta. Anzi, era
più bassa di lei e di sua sorella, ma aveva un fisico
scattante e asciutto. La
frusta arrotolata e legata alla cintura, i pugnali infilati negli
stivali e i
suoi penetranti occhi verdi le conferivano una certa
autorità. Aveva anche
diversi tatuaggi; due farfalle sul braccio destro e, quando si
girò rivolgendo
loro un cenno del capo per “invitarle” ad entrare,
videro un uccello rosso
sulla spalla e un altro disegno in mezzo alle scapole, in parte coperto
dai
capelli scuri.
-
Puoi slegarle, Varja – disse, non
appena furono all’interno. – E poi vai.
***
Non
appena Varja le ebbe lasciate
sole con Ippolita, quest’ultima prese la mappa sottratta ad
Anna, la srotolò e
la studiò per qualche momento, aggrottando le sopracciglia.
-
La Corte Seelie – disse. – Siete
state invitate dalla regina Titania?
-
In-Invitate? – chiese Anna. Non
appena la guerriera che le aveva scortate fino al villaggio aveva
tagliato le
corde che legavano loro i polsi, le sorelle si erano istintivamente
prese per
mano, intrecciando le dita.
-
Serve un invito per entrare alla
Corte Seelie, Joan. –
spiegò
Ippolita, come se fosse una cosa ovvia e loro fossero le idiote che non
ci
avevano pensato.
-
Beh, ecco... noi non abbiamo
nessun invito. Il sovrano delle fate si è presentato al mio
matrimonio senza
essere invitato e ha... combinato un pasticcio. È colpa sua
se adesso siamo qui.
Sono sicura che ci stanno aspettando.
In
realtà non ne era sicura. Per
niente.
-
Oberon è il re delle fate, va
dove vuole, non ha bisogno di inviti. Voi sì,
però. – Ippolita arrotolò di
nuovo la mappa. Spostò lo sguardo su Elsa. – Ma
forse... sarete in grado di
entrare comunque. Stando a quanto mi hanno detto le mie sorelle, una di
voi due
ha qualcosa di... speciale. Un potere magico. Il potere del ghiaccio.
Nessuno
parlò. Anna strinse di più
la mano di Elsa.
-
Ho sentito alcune storie. Una
regina con un potere straordinario. Un regno congelato per
vent’anni. –
Ippolita parlava lentamente, ma non staccava mai gli occhi da loro. E
non
avrebbero saputo dire che cosa pensasse. La sua espressione era
impassibile.
-
Veramente gli anni erano
trenta... – intervenne Anna.
-
Ma davvero? Eravate là?
-
Certo... che no. Naturalmente no.
Ma si sa che le storie girano in fretta.
Ippolita
sorrise. Sembrava si
stesse prendendo gioco delle sue parole. Girò loro le
spalle. In un angolo
c’era una faretra piena di frecce e un arco. Ma
c’era anche un vecchio baule
che, probabilmente, conteneva altre armi.
-
Non vi chiamate Joan. E vostra
sorella non si chiama Eiry.
Le
sorelle tentennarono. Negare
sarebbe stato inutile.
-
Siamo... in incognito. Ma i
nostri nomi non sono così importanti – disse Anna.
-
Chi può dirlo.
-
Noi...
Poi,
all’improvviso, più veloce di
quanto lo era stata Varja quando aveva strappato la mappa dalla mani di
Anna, la
regina si abbassò, afferrò l’elsa di
uno dei pugnali che teneva negli stivali e
si voltò, scagliandolo nella loro direzione.
Anna
non ebbe nemmeno il tempo di
gridare.
Elsa
la spinse più indietro e
lanciò il suo potere. Un fascio di luce biancoazzurra
esplose e avvolse il
pugnale. Ippolita si fece da parte, prima che la magia potesse
investirla.
L’arma
cadde a terra, congelata. Il
gelo rapì anche il baule e una buona fetta di pavimento.
-
E a quanto pare le storie sono
vere – osservò Ippolita, con un sorrisetto.
-
Ma... perché avete cercato di
ucciderci? – gridò Elsa.
-
Il mio sai non vi avrebbe uccise.
Vi avrebbe solo sfiorate. Non uccido le persone se non ho un valido
motivo. Chiedetelo
all’uomo nella gabbia.
In
effetti l’arma di Ippolita non
era un pugnale. Il sai era dotato di un lungo bastone arrotondato e
appuntito e
da due sottili proiezioni attaccate al manico. Anna aveva
già visto quel tipo
di oggetto nell’armeria del palazzo. Tuttavia aveva sempre
preferito maneggiare
una spada.
-
L’avete... l’avete messo voi là
dentro? – chiese Anna, guardando Ippolita, sbalordita. Poi si
riscosse. –
Voglio dire, certo che l’avete messo voi là
dentro, altrimenti non avreste
detto ciò che avete appena detto...
-
Ce l’ho messo io perché ha ucciso
una delle mie sorelle, a tradimento. L’ha colpita alle
spalle. – Ippolita si
chinò e sfiorò il sai con la punta delle dita.
Aveva uno sguardo duro, adesso.
I suoi occhi verdi sembravano più scuri. Erano occhi da
leader. Gli occhi di
una regina guerriera che era disposta a tutto pur di difendere la sua
gente.
Anche ad essere crudele.
Silenzio.
-
Ho dei sai di riserva – concluse
Ippolita. – Avete attaccato le altre Amazzoni, nella foresta?
-
Non intendevo far loro del male –
disse Elsa. La sua voce tremava visibilmente e il suo corpo era in
tensione. –
Pensavo che volessero ferire mia sorella.
-
Loro non feriscono né attaccano
se non hanno un valido motivo, ve l’ho detto.
-
Non potevo saperlo! – Elsa cercò
lo sguardo di Anna. - Ho agito d’istinto.
-
Come riesci a farlo? Pronunci
degli incantesimi nella tua mente? O sei stata maledetta?
-
Io non pronuncio incantesimi. E
non sono stata maledetta. Sono... sono sempre stata così.
-
La tua famiglia ha lo stesso
potere?
-
No. Non i miei genitori e nemmeno
mia sorella. Solo... mia zia.
-
Chi ha congelato il regno? Tu?
-
In realtà no. È stata nostra zia
a congelare il regno per trent’anni. – intervenne
Anna, parlando in fretta. – E
non ha congelato solo il regno, ma anche me... e Kristoff. Voglio
dire... ovvio,
se ha congelato l’intero regno non può che avere
congelato anche noi, ma il
punto non è questo. Noi dobbiamo andare alla Corte Seelie.
È molto importante.
Hanno qualcosa che ci appartiene. E abbiamo bisogno della mappa. Gran
Papà ha
detto che...
-
Gran Papà? Chi sarebbe? Tuo
padre?
Anna
avrebbe trovato quella domanda
davvero divertente, se non fosse stato per la situazione in cui erano
finite. –
No! Gran Papà è un troll.
-
Oh! Un troll?
-
Non un troll del ponte! – si
affrettò a rispondere Anna. - Troll di pietra. Gran
Papà è un troll di pietra. I
troll di pietra sono... molto più gentili. E più
piccoli, anche. E decisamente
più carini.
-
Trovo difficile credere che dei
troll possano essere carini. Ma d’accordo. Lasciamo perdere
le vostre
amicizie... dubbie. – tagliò corto Ippolita.
– Cosa cercate alla Corte Seelie?
Anna
stava per rispondere, ma poi
ci pensò un istante e lei ed Elsa si scambiarono
un’occhiata.
-
Allora?
-
I nostri ricordi – rispose Elsa,
infine.
-
Oberon vi ha rubato dei ricordi? Non
sembra un atteggiamento da elfo. Ma forse c’è
anche lo zampino di un certo
folletto?
-
Aspettate... quindi conoscete
Puck? – chiese Anna.
-
Tutti lo conoscono. Ha combinato
un sacco di pasticci e Oberon ha dovuto metterci una pezza. Se non lui,
la
regina Titania. Polvere elfica, vero? Quale delle tante?
-
Oh, quella che... non lo
sappiamo. Non ne abbiamo la minima idea. Anche perché non
ricordiamo niente.
Per questo stiamo andando là.
-
Capisco. – concluse Ippolita. Si
avvicinò di più a loro. – Devono essere
dei ricordi importanti, se avete fatto
tutta questa strada per recuperarli.
“Ma
lo sai già, vero?”
“So...
che?”
Oh,
certo che erano ricordi
importanti. Ma non avrebbero mai potuto spiegarlo ad una regina come
Ippolita.
Non avrebbero potuto spiegarlo a nessuno, a dire il vero.
Perché nessuno
avrebbe capito. Nessuno avrebbe capito qualcosa che loro stesse
stentavano a
comprendere.
-
State cercando davvero i vostri
ricordi o cercate qualcosa che vi faccia sentire meglio? –
domandò Ippolita.
Elsa
si chiese se l’Amazzone avesse
letto i loro pensieri.
-
Beh... di solito è proprio questo
che si cerca – disse Anna. – Qualcosa che ci faccia
sentire meglio.
-
Quello che troverete potrebbe
anche farvi stare molto peggio. Ci avete pensato?
-
Sì... – mormorò Elsa, così,
senza
rifletterci.
Ippolita
raccolse il sai
ghiacciato, scrutandolo per qualche momento. Poi lo gettò in
un angolo, vicino
alla faretra e all’arco.
-
Varja! – gridò.
-
No, aspettate... – iniziò Elsa,
sicura che l’Amazzone volesse rinchiuderle da qualche parte o
punirle.
Varja
scostò i lembi della tenda ed
entrò. Doveva essere sempre stata là fuori di
guardia oppure nei paraggi.
Spalancò gli occhi, vedendo il ghiaccio. –
Cos’è accaduto, qui dentro? Hanno
cercato di ucciderti?
-
Nessuno ha cercato di uccidermi,
Varja, non preoccuparti. Ho solo perso uno dei miei sai. –
rispose Ippolita,
con un sorriso. – Chiama Agave e Asteria. Dì loro
di accompagnare... Joan e sua
sorella fuori dal villaggio.
-
Accompagnarle fuori? – Sembrava
che Ippolita avesse appena detto un’assurdità.
– Ma...
-
Accompagnarle fuori. Sì.
-
Entrambe?
-
Ho forse detto accompagnarla, Varja?
– Nonostante tutto,
il tono di Ippolita non suonava come un rimprovero. – Ho
detto accompagnarle. Hanno ancora
un po’ di
strada da fare.
-
Certo... un po’ di strada. –
borbottò Varja, poco convinta. – Vado, mia regina.
-
Lo state facendo davvero? Quindi
non ci metterete in gabbia come quell’uomo? –
domandò Anna, incapace di
controllarsi.
-
Perché dovrei? La prossima volta
seguite la mappa, Joan... o qualunque sia il vostro nome.
-
L’ho seguita.
-
No, per niente. Avreste dovuto
costeggiare il fiume e quindi aggirare il nostro territorio. Invece
avete
sbagliato strada.
Anna
arrossì.
-
Grazie – disse Elsa.
-
Non vi conviene ringraziarmi. Se
fosse per me vi tratterrei e vi impedirei di entrare alla Corte Seelie
con o
senza invito. – Ippolita strinse le labbra, osservandole con
i suoi strani,
magnetici occhi verdi. – Ma questi non sono affari che mi
riguardano. Se è vero
che Oberon vi aspetta, allora conviene che troviate quello che state
cercando e
che io vi permetta di trovarlo. Non voglio avere problemi con il popolo
fatato.
Ne abbiamo avuti già abbastanza in passato.
-
Problemi? Che problemi? – chiese
Anna, incuriosita suo malgrado.
-
Problemi – tagliò corto Ippolita.
– Non mangiate il cibo delle fate. Mi raccomando. E se
doveste udire dei suoni
mentre raggiungete il lago... non badateci.
-
Suoni? – Elsa non capiva.
-
Suoni. Rumori di cose che
strisciano nella foresta. Non fateci caso. È normale. Non
molto lontano dal
lago c’è l’altra entrata.
-
Un’altra entrata? Credevo ci
fosse una sola entrata. – osservò Anna.
-
L’altra entrata, Joan. –
L’Amazzone aveva un’aria cupa e severa. -
L’ingresso della Corte Unseelie.
***
Agave
e Asteria le scortarono ai
confini del villaggio, seguite dagli sguardi perplessi delle altre
Amazzoni,
che avevano assistito al loro arrivo. Alcune di loro sedevano intorno
al fuoco.
Varja, con la figlia in braccio, le guardò fino a quando non
se ne furono
andate. Qualcuno continuava a battere sui tamburi, mantenendo sempre lo
stesso
ritmo.
Ormai
il sole era tramontato, le
ombre avanzavano nel bosco e il cielo si stava facendo scuro. Tra le
nuvole
faceva capolino la luna piena.
“Non
mangiate il cibo delle fate, mi raccomando”.
Questa
era una cosa che Gran Papà
aveva detto. Non mangiare il cibo delle fate per nessuna ragione, a
meno che
non desiderassero restare bloccate alla Corte Seelie. Anna sperava che
le fate
non servissero cioccolata e sandwitches o sarebbe stato assai
complicato
rifiutare. Per una come lei, soprattutto.
“Serve
un invito per entrare alla Corte Seelie, Joan”.
Invito.
No, niente inviti. Ma
sarebbero entrate comunque.
-
Da qui non vi ci vorrà molto per
raggiungere il lago. Sono pochi minuti di cammino – disse
Agave, indicando il
sentiero che si inoltrava nel bosco. La sua voce suonava blanda e del
tutto
ermetica.
Le
Amazzoni restarono là a
guardarle mentre si allontanavano.
“E
se doveste udire dei suoni mentre raggiungete il lago... non
badateci”.
Sentivano
i suoni della notte. Il
vento che faceva frusciare le fronde degli alberi. Grilli che
frinivano. Le
foglie secche che crepitavano sotto i loro piedi. Il richiamo dei gufi.
Ma
dopo essersi lasciate le
guerriere alle spalle e aver messo i piedi sopra un bel po’
di zolle erbose, si
accorsero che i loro piedi, i polpacci e le ginocchia sparivano in una
nebbia
grigia e densa che aderiva al terreno. L’aria era diversa.
Sembrava più...
luminosa, anche se ormai era buio. E più calda.
Chissà da dove veniva quella
nebbia? Era apparsa all’improvviso. Un attimo prima non
c’era assolutamente
niente.
Elsa
camminava molto vicina ad Anna
e la teneva sempre per mano. Aveva i nervi tesi come corde di violino.
Il
potere si agitò dentro di lei, come uno stormo di uccelli
che si preparava ad
alzarsi in volo al primo segnale di pericolo.
“E
se doveste udire dei suoni mentre raggiungete il lago...”
La
coltre di nebbia diventò meno
fitta, ma ancora non potevano vedersi le scarpe.
-
Siamo quasi arrivate. Là in fondo
sembra che gli alberi siano più distanti l’uno
dall’altro. E mi sembra di
vedere qualcosa che... scintilla. Forse è il lago
– disse Anna. Dopo tutto ciò
che era capitato le pareva impossibile esserci arrivata. –
È una bella notizia,
no? Finalmente...
Allora
udirono degli scricchiolii
nel sottobosco e uno spezzarsi di rami. Nel buio qualcosa si stava
muovendo.
Elsa
piegò la testa di lato e si
mise in ascolto, le mani appoggiate alle spalle di Anna, che si era
fermata per
ascoltare, a sua volta.
Il
rumore parve, dapprima, molto
distante. Poi più vicino. Minacciosamente vicino. Infine si
allontanò di nuovo
fin quasi a scomparire.
-
Elsa? Cos’è?
-
Non lo so.
-
Un orso? O magari non è un orso.
Magari è qualcosa di più piccolo. –
sentenziò Anna. - Per esempio... un
cucciolo di orso. O un cucciolo di lupo. Potrebbe persino essere un...
un... un
tasso. Una renna. No, okay, le renne no. Non credo ci siano renne, da
queste
parti. Un alce! Ci saranno alci in questa foresta?
Ora
la cosa che si spostava da quelle
parti si era avvicinata. Era
talmente vicina che Elsa si aspettava di vederla sbucare fuori
dall’oscurità.
Le parve... le parve che fosse giusto a pochi passi da loro.
Davanti
a loro.
Elsa
spinse la sorella dietro al
tronco di un enorme albero.
Non
stava pensando ad un orso.
Aveva
pensato a molte cose. Alle
Amazzoni che potevano averle seguite per tenerle d’occhio, ma
era sicura che
non si sarebbero fatte notare, se fossero state loro.
Anche
ad un lupo, certo. Era
possibile. Oppure un licantropo. Tra le tante storie che Anna aveva
sentito
durante il suo primo viaggio a Misthaven, c’era anche quella
di uomini che si
trasformavano in lupi nelle notti di luna piena e si muovevano in
branco.
Ma
qualcosa le diceva che non si
trattava nemmeno di lupi.
“Non
fateci caso. È normale. Non molto lontano dal lago
c’è l’altra entrata”.
Non
aveva idea di come fossero le
fate maligne che abitavano la Corte Unseelie. Alcune leggende dicevano
che l’aspetto
di quelle creature era terribile, brutto, appassito e che nascondevano
il loro
stato dietro potenti fascinazioni.
“Non
fateci caso. È normale”.
Una
risata stridula sgusciò dalla
tenebre, levandosi e ricadendo, forte e isterica.
Elsa
strinse di più la sorella
contro di sé. Aveva l’impressione che ogni parte
del suo corpo avesse
acquistato peso. Se avesse tentato di scappare era sicura che non
sarebbe
nemmeno riuscita a muoversi.
La
cosa rise di nuovo. Una risatina
agghiacciante che salì, diventò simile ad un urlo
e ricadde, mutando in una
specie di gorgoglio inumano. Il gorgoglio divenne un singhiozzo. Poi si
spense
del tutto e così anche i rumori che avevano accompagnato
l’avvicinarsi della
creatura.
Elsa
chiuse gli occhi,
abbandonandosi contro l’albero. Anna si sporse per guardare
il sentiero. Non
c’era niente. Intorno a loro era calato il silenzio.
-
Non so cosa fosse, ma... non c’è più.
– disse, pur non essendone certa.
Elsa
non rispose.
Anna
sollevò un po’ la testa,
guardando la sorella negli occhi. Sentiva anche il suo fiato caldo, il
respiro
accelerato sulla pelle.
Provava
una strana sensazione di deja vu. Era
qualcosa che veniva dal
buco nella sua memoria. L’impressione di essere
già stata così vicina a lei,
prima di quel momento. Nella stessa posizione, forse. La sera del
matrimonio.
Elsa portava i capelli raccolti e non la treccia come ora...
“Ma
lo sai già, vero?”
“So...
che?”
-
È meglio andare – disse Elsa,
sfiorando il profilo del suo volto con l’indice.
-
Che? – Anna si riscosse. – Uh.
Sì. Giusto.
***
C’era
un pendio poco più avanti. Un
pendio nel quale erano intagliati una ventina di gradini molto stretti
che
conducevano fino alle rive del lago. Il terreno sfuggiva via. Qui e
là le loro
scarpe slittavano sull’erba. Nel guardare in su, vedevano una
moltitudine di
stelle, la luna sospesa in mezzo a quel nero, simile ad un enorme
occhio che le
fissava e non più intralciata dalle nuvole.
-
Chissà chi ha fatto questi
scalini? Le fate? Oppure gli elfi? – domandò Anna,
più a se stessa che a
qualcuno in particolare.
Elsa
stava ancora pensando alla
cosa che avevano sentito muoversi nei boschi. Così vicina,
eppure non l’avevano
neppure intravista. Pensava alla risata agghiacciante della creatura.
E
pensava allo sguardo intenso di
sua sorella. Alla voglia altrettanto intensa di baciarla, nonostante il
pericolo che avevano appena corso o forse proprio per quello. Era
ansiosa di
riavere i suoi ricordi, ma li temeva anche. Aveva ragione Ippolita;
avrebbero
potuto scoprire qualcosa che le avrebbe fatte stare peggio. Eppure
dovevano
scoprirlo. Elsa era convinta che non avrebbe trovato pace se non avesse
saputo.
Alla
fine dei gradini vi era un
piccolo tratto erboso e, infine, il lago. Le acque erano scure e
immobili. Il
riflesso della luna piena scintillava.
-
Adesso... dobbiamo entrare nel
lago? – chiese Elsa.
-
Sì, dobbiamo entrarci e andare
verso il riflesso della luna. Non so bene quello che
succederà. O di come succederà.
Ma so che, in un modo o
nell’altro, ci ritroveremo alla Corte Seelie.
-
Senza invito.
-
Oh. Non credo che faccia
differenza. – Anna ci penso su qualche istante. –
Va bene, forse sì. Ma quel...
Oberon... non può non sapere che saremmo venute.
Può aver deciso di cancellare
i nostri ricordi per rimediare al pasticcio combinato dal suo folletto.
E
magari pensava che fosse la cosa migliore...
Elsa
non commentò.
-
Ma credo sappia che stiamo
arrivando. Sì, penso di sì. – concluse
Anna.
-
E come puoi esserne certa?
-
Non saprei... istinto?
Elsa
sorrise.
-
Non è molto, come spiegazione, ma
non ne ho un’altra al momento. – Anna tese la mano
alla sorella. – Spero che
l’acqua non sia troppo fredda né troppo alta, ma
sento che sarà sia fredda che
alta, quindi... vogliamo andare?
***
Angolo
autrice:
Allora...
Spieghiamo alcune cose.
Quando
ho pensato ad Ippolita e
all’incontro tra lei e le sorelle, mi è venuta in
mente un’unica attrice che
poteva fare da modello per la regina Amazzone ed è Lena
Headey. Quindi mi sono
basata su di lei.
Il fatto che non si debba mangiare
il cibo delle fate se non si vuole restare bloccati alla Corte Seelie
è
un’altra informazione che ho preso da Shadowhunters:
The Mortal Instruments.
La Corte Unseelie è il luogo in cui
vivono le fate cattive.
|
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Capitolo 5 *** The Seelie Court ***
5
“Alcune
persone
sono nate per essere regine”
(Merlin,
La
chiamata del Drago, Gwen)
-
Perbacco, se è fredda! – disse
Anna, non appena l’acqua del lago le arrivò alle
caviglie. Si fermò,
rabbrividendo violentemente.
Elsa
si mosse con grazia controllata,
increspando appena la superficie. Ovviamente lei non aveva freddo. Ben
presto
fu immersa fino alla vita, mentre sua sorella sguazzava in un profluvio
di
lamentele ed esclamazioni. Teneva le braccia strette intorno al corpo e
tremava
da capo a piedi.
-
Dobbiamo... dobbiamo r-raggiungere
il riflesso. A-abbiamo t-tempo fino a c-che la l-luna rimane immobile.
– spiegò
Anna, battendo i denti. Si chiese se ce l’avrebbe fatta ad
arrivare al riflesso
della luna o se avrebbe finito col morire di freddo.
-
Anna, stai bene?
-
S-sì, c-certo. V-voglio dire... p-potrebbe
andare m-molto meglio di c-così e v-v-vorrei tanto c-che ci
f-fosse un’altra...
entrata. Non s-sopporto gli elfi e le f-fate. È t-tutta
c-colpa di... Oberon e
del suo f-f-folletto. – In quel momento avrebbe tanto voluto
possedere un
potere come quello di Elsa per essere insensibile al gelo come lo era
lei.
Continuò a camminare, fino a quando l’acqua del
lago non le arrivò al petto.
Alla luce delle stelle scorse le scure sagome di alcuni pesci che si
muovevano
sotto la superficie.
Il
riflesso della luna era sempre là,
immobile. Anna sapeva che di solito non funzionava così. La
luna avrebbe dovuto
ritrarsi a mano a mano che loro si avvicinavano. Ma non succedeva.
Tuttavia non
scorgeva niente che assomigliasse ad un passaggio.
-
Bene. Vado io per prima – disse
Anna.
-
No. Andiamo insieme. – Elsa allungò
una mano verso di lei, mettendogliela sulla spalla e fermandola prima
che
potesse proseguire.
Riecheggiò
nuovamente quell’orribile,
isterica risata. Più lontana stavolta, nel cuore del bosco.
Entrambe si
voltarono di scatto, aspettandosi di scorgere la cosa che era stata
così vicina
a loro mentre camminavano verso il lago.
Non
videro niente. Solo ombre. E la
risata si spense.
Anna
non perse altro tempo e trascinò
Elsa in avanti, verso la luna. Per un istante non accadde nulla. Fu
come se si
trovassero in bilico su un gradino. Il freddo si intensificò
e uno sbuffo
d’aria le colpì in pieno viso.
Poi
qualcosa le tirò verso il basso.
Anna si lasciò sfuggire un grido e si aggrappò ad
Elsa.
Scesero
giù e tutto divenne ovattato.
Per qualche istante intorno non vi fu altro che oscurità.
Oscurità densa,
spaventosa. Sfiorano una massa di ombre informi e vaghe che avrebbero
potuto
essere tutto e nulla. Poi videro una luce verde che si avvicinava
sempre di
più.
Precipitarono
su una superficie
piatta e pavimentata. Erano entrambe bagnate fradice.
-
Anna? – chiese Elsa, aiutandola ad
alzarsi.
-
Tutto bene. Almeno credo. – disse.
In realtà stava tremando e avrebbe tanto voluto essere in un
posto più caldo,
magari a casa sua, ad Arendelle, davanti al fuoco scoppiettante con una
bella
tazza di cioccolata tra le mani. Non sottoterra, con i vestiti zuppi
che
sembravano pesare una tonnellata.
Erano
in una stanza illuminata da una
luce debole, ma calda ed accogliente. Le circondavano pareti di roccia
ricoperte di muschio e sulle quali scorrevano rivoli d’acqua.
C’era anche un
ingresso ad arco, protetto da lunghi tralci verdi che andavano a
formare una
sorta di tenda.
-
Non sembra un brutto posto. Se non
facesse così freddo... certo, fa freddo per me, non per te.
– puntualizzò Anna.
I
capelli biondi di Elsa erano quasi
incolori nei punti in cui le ciocche si erano incollate alla pelle.
Goccioline
d’acqua le solcavano il viso e il collo. La strana luce della
Corte Seelie
giocava con il colore dei suoi occhi, rendendoli più
azzurri.
Anna
batté le palpebre e si affrettò
a distogliere lo sguardo. – Beh, adesso...
Una
figura piccola scosse i viticci
dell’ingresso e piombò nella stanza, borbottando e
rotolando. Le sorelle si
fecero da parte, mentre Puck si rimetteva in piedi, la chioma castana
tutta
arruffata.
-
Il mio cappello... – prese a dire.
Iniziò a girare su se stesso. –
Dov’è il cappello? Dov’è?
L’avete visto?
-
È questo? – chiese Elsa,
porgendogli un berretto rosso.
-
Sì! Proprio questo, grazie! Mio
signore, sono qui. Sono arrivate! – Puck si
schiacciò il cappello sulla testa,
coprendo una delle sue orecchie a punta e lasciando fuori
l’altra.
Una
mano spostò i viticci e Oberon
comparve, sorridente e sereno, come se non aspettasse altro che un
annuncio da
parte del suo folletto. – Mia cara Anna e... Vostro
Splendore. Avevo percepito il vostro potere. Che piacere.
Devo ammettere che non vi aspettavo così presto.
-
E quando ci aspettavate? – chiese
Anna, guardandolo di sottecchi.
-
Non così presto
– ribadì Oberon. I suoi occhi azzurri
scintillavano,
maliziosi. Indossava una camicia verde con le maniche larghe e a
sbuffo, un
paio di pantaloni attillati, in pelle nera e stivali alti fino al
ginocchio. –
Pensavo avreste necessitato di più tempo per riflettere. Ma
sono lieto di
avervi qui, alla Corte Seelie.
-
Quindi possiamo entrare? – domandò
Elsa.
-
Vostro Splendore... voi non avete
bisogno di un invito. Siete una regina, proprio come mia moglie.
-
Non entro senza mia sorella –
precisò, quasi ce ne fosse bisogno.
-
Non avevo dubbi a riguardo, Vostro
Splendore. Come vi stavo dicendo un attimo fa, vi aspettavo. Entrambe.
Naturalmente anche Anna può entrare. Se non vi stessi
aspettando non vi avrei
nemmeno permesso di trovare l’ingresso attraverso il riflesso
della luna. Vogliamo
andare? Puck, hai perso anche una scarpa oltre al cappello. –
Oberon voltò le
spalle e si diresse verso l’ingresso ad arco, mentre Puck
raccoglieva la scarpa
perduta. Erano scarpe rosse con la punta arricciata. Gli conferivano
un’aria
ancora più ridicola.
Anna,
dal canto suo, era già stufa di
tutti quei Vostro Splendore.
Le
due sorelle seguirono il re degli
elfi al di là dei viticci. Si inoltrarono in un breve
corridoio, dove l’aria
era più luminosa e densa di profumi. Qualcuno, forse un elfo
oppure una fata,
pizzicava le corde di un’arpa, spandendo una musica dolce.
-
Ricordate: fate le domande giuste,
altrimenti non avrete le risposte che cercate – disse Oberon
all’improvviso,
mentre il corridoio terminava, aprendosi su una sala grande, sorretta
da
possenti colonne di marmo alle quali erano avviluppati tralci di fiori
colorati.
-
Che cosa? – chiese Anna.
-
Le fate non possono mentire. Certo,
le eccezioni esistono sempre, ma Titania non è
un’eccezione. Non sa mentire, ma
se non ponete le domande giuste non vi risponderà. O meglio,
vi risponderà, ma
non come volete voi.
Tutto
intorno a loro era luminoso e
verdeggiante. E nell’aria danzavano una miriade di luci
bianche, gialle,
azzurre, blu e scarlatte. Seguivano il ritmo della musica e...
tintinnavano
come campanelle.
In
realtà le luci erano fate. Fate che
vagavano per la corte. I tintinnii erano le loro risate. Quando una
passò
davanti al suo viso, Elsa vide le piccole ali trasparenti che
sbattevano,
vivaci. Alcune svolazzarono intorno alla testa di Puck, gli rubarono il
cappello, che lui cercò di riprendersi tra mille
imprecazioni e gesticolando
furiosamente, e poi lo lasciarono cadere. Puck lo prese al volo.
-
Bentornato, mio signore. Bentornato.
– disse una voce sopra di loro. – E benvenute
vicine!
Appeso
ad una liana che pendeva dal
soffitto c’era un essere dalle fattezze umane, ma piccolo e
tozzo, senza
capelli, con la pelle scura e un gran sorrisone stampato in faccia.
-
Non sono tue vicine. Vengono da un
regno lontano. – comunicò Oberon, passando oltre.
L’essere
si aggrappò alla colonna e
si arrampicò fino in cima.
-
Che cos’è? – domandò Anna.
-
Lui e quelli della sua specie si
chiamano Brownies. Sono simili agli esseri umani, ma hanno un
po’ di sangue
elfico.
-
Ma solo un po’, mio signore. Sono
esserini antipatici. – aggiunse Puck.
-
Così come tu sai essere uno
spiritello malefico! – lo punzecchiò il Brownie,
con una vocetta acuta.
-
E parlano troppo – continuò il
folletto.
-
Loro parlano troppo mentre tu
combini troppi pasticci. – gli ricordò Oberon.
Elsa
ed Anna vennero condotte dinanzi
ad una massiccia porta di legno, sulle quale crescevano altri fiori e
foglie.
La serratura scattò e il chiavistello si spostò
senza che nessuno toccasse
niente.
-
Puck, rimani fuori – ordinò Oberon.
-
Oh, mio signore! Non lasciatemi
qui. È così noioso aspettare fuori!
-
Non lamentarti. Ti ricordo che è
colpa tua se le signore sono state costrette a venire fino a qui.
-
Mio signore, lo so! Ma io volevo
soltanto aiutare.
-
Ed io ti avevo raccomandato di
starmi vicino e non combinare guai. Quindi ora rimani fuori. Tanto so
che per
te non è un problema: cercherai di origliare. –
Oberon oltrepassò le porte e le
sorelle lo seguirono. Esse si richiusero subito dietro di loro.
I
servitori presenti levarono le
tende non appena il sovrano delle fate condusse Elsa ed Anna al centro
del
salone. Erano tutti elfi o fate, ma c’era anche qualche altro
Brownie.
I
troni su cui sedevano lui e Titania
erano in legno di quercia, ricoperti di fiori. Avevano radici che
affondavano
nel terreno levigato, come alberi.
-
Mia moglie ci farà attendere ancora
un po’, a quanto sembra – disse Oberon, gettandosi
i capelli scuri dietro le
spalle. – Intanto vi ho fatto preparare qualcosa da mangiare.
Volete favorire?
Sarete sicuramente affamate.
Una
giovane fata bionda, vestita di azzurro,
apparve accanto ad Anna preceduta da un sfavillio. Reggeva un vassoio
con un
buon numero di leccornie e due tazze piene di uno strano liquido
rossastro.
-
No, grazie. – disse Elsa. – Non
vogliamo mangiare.
I
profumi e la musica della Corte
Seelie l’avevano inebriata a tal punto, che per qualche
istante Anna si era
completamente dimenticata dell’avvertimento di Gran
Papà e della regina delle
Amazzoni.
-
No? Davvero non ne volete? Pensavo
vi piacessero queste cose. – disse Oberon. E sembrava
sinceramente sorpreso.
Anna
gettò un’altra occhiata a ciò
che c’era sul vassoio. Proprio quello che temeva: un piatto
di sandwitches,
palline di cioccolato identiche a quelle che Puck si era mangiato senza
troppi
complimenti al suo matrimonio, frutta, dolci alla crema e quella
bevanda non
meglio identificata.
Deglutì
a fatica. Era anche peggio di
ciò che si immaginava. Resistere, quando ci si trovava alla
Corte Seelie, era
veramente difficile. Gli odori erano più intensi.
Le
venne l’acquolina in bocca.
-
Anna, guardami. – le disse Elsa,
afferrandola saldamente per il polso.
Lei
si voltò di scatto verso la
sorella, incrociandone lo sguardo ansioso, ma risoluto.
-
Oh! Già, giusto – si affrettò a
rispondere, cercando di scrollarsi di dosso quelle sensazioni.
– Non... non
abbiamo fame. Voglio dire, è tutto buonissimo, io adoro i
sandwitches e anche
quei... dolci al cioccolato. Ma sto bene così.
Sì, non potrei stare meglio!
Oberon
sorrise. – Beh, che peccato.
-
Sappiamo cosa potrebbe succederci
se li mangiamo, sapete? – continuò Anna,
stringendo di più la mano di Elsa. –
Ce l’hanno detto. Rimarremmo intrappolate qui per sempre.
-
Ah! Immaginavo che vi avessero
avvertito, ma io sono un elfo cortese. Soprattutto se si tratta di
ospiti
importanti come voi.
-
Un elfo cortese? Offrite del cibo
sapendo bene che se lo mangiassimo non potremmo lasciare la Corte!
– esclamò
Elsa.
-
Io non costringo nessuno a mangiare
ciò che offro. È solo cortesia, come vi ho detto.
Sono abituato a far sentire a
loro agio gli invitati. Certo, molti sono persone accorte e non cedono
alle... tentazioni.
– Oberon fece un cenno alla fata, che se ne andò
senza dire una parola. – Altri
lo fanno e devono rimanere qui. Ma ‘per sempre’ non
è esatto. Non sarebbe per
sempre. Solo per un po’. Fino a quando non sono disposti a
dare qualcosa in
cambio a Titania.
-
Questo mi ricorda un uomo che ho
incontrato molto tempo fa. Un uomo... con dei brutti problemi alla
pelle. –
disse Anna. – Si chiamava...
-
Tremotino – lo interruppe Oberon,
roteando gli occhi. – Lo conosco benissimo, mia dolce Anna.
Tutti conoscono
l’Oscuro, del resto. Ringraziamo che la maledizione ce
l’abbia portato via... beh,
a voler essere precisi era tornato, ma qualcuno l’ha chiuso
in gabbia e l’ha
reso incapace di nuocere a chicchessia.
-
Chiuso in gabbia?
-
Oh, Anna, è una storia abbastanza
lunga. E comunque, è tutto finito.
-
Dove sono i nostri ricordi? –
domandò Elsa, facendo un passo avanti.
-
Calma, Vostro Splendore. Eccoli,
sono qui. – Oberon chiuse la mano a pugno e, quando la
riaprì, sul palmo teneva
due pietre viola, identiche a quelle in cui Ingrid aveva racchiuso
alcuni
ricordi di Elsa e di Emma.
-
Sono lì dentro? – chiese Anna.
-
Li ho conservati con cura. Me ne
rammarico. Volevo rimediare al disastro che aveva combinato quel
maledetto
folletto. Pensavo di farvi un favore.
Elsa
fissò le pietre. Per un attimo,
il suo cuore tremò al solo pensiero di ciò che
potevano contenere. Era già
abbastanza difficile gestire quei sentimenti inspiegabili che
provavano...
-
Ma forse ho peggiorato la
situazione. – concluse Oberon.
In
quel momento una nuova luce più
intensa delle altre entrò nel salone. Era una luce bianca e
quasi accecante,
che procedette verso l’alto e poi scese in picchiata su
Oberon, ronzandogli
intorno al capo e infastidendolo. Il sovrano agitò una mano
come se stesse
scacciando una mosca. La fata che si muoveva in quella luce
evitò gli schiaffi
e si diresse rapidamente verso uno dei due troni, quello di destra. La
luce si
espanse, quasi fosse sul punto di esplodere e la fata assunse la forma
umana,
adagiandosi elegantemente sul trono a lei riservato.
-
Titania! Finalmente ci hai degnati
della tua presenza. Ti davamo per dispersa. –
asserì Oberon, sedendosi sul
trono accanto a lei.
-
Ti piacerebbe! – rispose la regina
delle fate. – Spero che tu non abbia cominciato senza di me.
-
Stavo appunto dicendo alle nostre
ospiti che i loro ricordi sono al sicuro. In realtà mi stavo
anche scusando.
Titania
osservò le due sorelle con un
certo interesse.
Elsa
si ritrovò a pensare che gli
occhi della sovrana fossero gli occhi dei veggenti. Gli occhi di chi
aveva vissuto
talmente a lungo da possedere, ormai, il potere di vedere qualsiasi
cosa. Erano
occhi grandi e di un verde molto chiaro, un verde che possedeva
sfumature
azzurrate. La pelle altrettanto chiara sembrava sottile come carta,
come quella
di Oberon ed era in netto contrasto con i capelli neri e ondulati
sistemati su
una spalla e con le labbra rosse. Indossava un abito violetto con una
sopravveste azzurra. Le maniche trasparenti erano strette,
all’altezza dei
gomiti, da due grossi bracciali.
-
Fai bene a scusarti, considerando
che è colpa tua. – continuò la regina.
– Non sai nemmeno tenere a bada un
maledetto folletto.
-
Colpa mia? Ti devo ricordare che è
stata tua l’idea di affidarmi quel folletto.
-
Io avevo una riunione importante
con altre fate, non potevo permettere che Puck rovinasse tutto con una
delle
sue trovate.
-
Certo, quindi hai pensato bene di
scaricarmelo! Che idea geniale, mia adorata
Titania.
Titania
si girò lentamente verso
Oberon. - Sicuramente più geniale della tua idea di versarmi
il succo magico
sugli occhi per farmi invaghire di un somaro.
-
Ancora con questa storia! Era
soltanto uno scherzo. Non sarebbe successo niente se fossi stata
più
ragionevole.
-
Io ragionevole? Ti avevo detto di
stare alla larga da quel paggio, perché era il figlio di
un’amica e avevo
promesso di proteggerlo.
-
Volevo solo farne un guerriero, un
combattente. Del resto era un elfo, proprio come me. Non un semplice
paggio di
corte!
-
Un mezzelfo. Forse saresti dovuto
essere tu quello ragionevole. Invece no, hai dovuto prendere iniziative
avventate solo per un capriccio.
-
Capriccio? Lo chiami capriccio? I
capricci li lascio a te, mia cara.
Titania
gli rivolse un sorriso
sarcastico. - Io proteggevo il figlio di un’amica. Questo
è tutto fuorché un
capriccio. Mentre il tuo... non ero a conoscenza della tua predilezione
per i
paggi giovani. Buona a sapersi. Lo terrò presente, nel caso
decidessi di usare
un po’ di quel succo mentre dormi.
-
Titania, vergogna! Come osi
insinuare, in presenza delle nostre ospiti per giunta, che io volessi
approfittarmi in quel modo del tuo
paggio!
-
Non ho bisogno di insinuare niente.
Credo che le nostre ospiti sappiano già con chi hanno a che
fare.
Anna
ed Elsa si chiedevano quanto
sarebbero andati avanti con quel battibecco.
-
I loro ricordi, Oberon. – disse
Titania. – Fammi vedere che cos’hai portato via
loro.
Le
pietre comparvero nella mano della
regina prima che avesse finito di parlare. Oberon scosse il capo,
seccato. Titania
toccò le pietre magiche con la punta delle dita e, per
qualche momento, il suo
sguardo si perse nel vuoto.
-
Ehi, aspettate un secondo... quelli
sono i nostri ricordi! – esclamò Anna. Ma
naturalmente la regina delle fate non
la stava nemmeno ascoltando.
-
È così divertente – disse Titania,
sorridendo, quando ebbe finito di sbirciare. – Comprendo, in
parte, perché mio
marito abbia deciso di cancellare queste cose dalla vostra mente. Ma
d’altra
parte non avrebbe dovuto farlo senza il vostro permesso.
-
Ecco che mi contraddice di nuovo.
Lo fa apposta! – intervenne Oberon.
-
Perché non prendi i ricordi della
principessa, mia caro marito, e non esci da questa sala? Lasciami sola
con la
regina Elsa. – Una delle due pietre tornò sul
palmo della mano di Oberon.
Titania si alzò.
-
Aspettate... che? – Anna non capiva
che cosa stesse succedendo. - Sola con mia sorella? Non se ne parla,
non vedo
perché dobbiate restare da sola con mia sorella. Io non ho
intenzione di
andarmene.
-
Invece lo farete.
-
Non... non me ne vado. Dovrete
trascinarmi.
-
Oberon, dammi una mano.
Oberon
si spostò così velocemente che
Anna nemmeno lo vide. Il re delle fate l’afferrò e
se la caricò in spalla.
-
Che cosa state facendo?! Lasciatemi
subito! – gridò Anna, dimenandosi e scalciando.
-
No! Che cosa volete fare? – domandò
Elsa, tendendo le mani verso la sorella.
-
Vi devo comunicare, Elsa, che i
vostri eccezionali poteri sono stati inibiti nel momento in cui avete
messo
piede nella mia Corte. – la informò Titania.
– Quindi non sforzatevi troppo.
Non che mi dispiacerebbe vedere Oberon trasformato in una statua di
ghiaccio...
deve essere uno spettacolo interessante.
Oberon
non rispose, ma levò gli occhi
al cielo, mentre trasportava Anna fuori dalla sala. Lei continuava a
prendere a
pugni la schiena dell’elfo, ma senza successo. Rivolse
un’occhiata preoccupata ad
Elsa.
-
Nessuno farà del male alla vostra amata
sorella. – la rassicurò Titania. –
Tranquillizzatevi.
Le
porte si chiusero tra le mille
proteste di Anna. Elsa udì anche Puck che berciava qualcosa.
-
Quel folletto meriterebbe una
lezione – commentò la regina delle fate,
voltandole le spalle. Giocherellò con
la pietra che conteneva i suoi ricordi. – Oberon non ha
voluto dirmi che cos’ha
visto quella sera, al matrimonio di Anna. Ha detto che
l’avrei scoperto presto,
perché sareste venute a cercare le vostre memorie perdute.
Lui era convinto che
ci avreste messo un po’ di tempo... ma a quanto pare su
questo avevo ragione
io.
Elsa
non rispose.
-
Una polvere elfica che toglie ogni
inibizione... sempre meglio che il succo del fiore vermiglio di Cupido.
–
asserì Titania, inarcando le sopracciglia.
Inclinò la testa di lato. Adesso
tutta la sua attenzione era rivolta ad Elsa. – Vorresti non
sentire più quello
che senti, vero?
-
Io... vorrei solo riavere i miei ricordi.
– disse Elsa, evitando di guardare Titania direttamente negli
occhi.
-
Risposte. Ecco quello che desideri.
Non solo i tuoi ricordi. Gli esseri umani sono sempre alla ricerca di
risposte.
– Titania fece il gesto di porgerle la pietra e, mentre Elsa
allungava una mano
per prenderla, da essa scaturì un fascio di luce magica.
I
ricordi la travolsero come una
marea.
Anna
rimase immobile per un istante, poi si liberò dei guanti
bianchi, gettandoli
via, le allacciò le braccia intorno alle spalle e premette
il viso contro il
suo collo. Chiuse gli occhi per escludere il mondo con le sue sfumature
troppo
accese, per escludere la luce al di là delle finestre, lo
scintillio del cielo,
il chiacchiericcio distante. Respirò l’odore di
Elsa, sentendo il battito del
suo cuore contro il proprio.
“Anna.”,
ripeté lei.
La
sorella levò lo sguardo per incontrare il suo. E... oh, i
suoi occhi erano
splendidi. Anna era splendida. Così bella e pura ed
innocente. Così
desiderabile che Elsa si chiese come avesse fatto a resisterle fino a
quel
momento.
La
regina di Arendelle sollevò una mano e cominciò a
toglierle le forcine dai
capelli, lasciando che le ciocche ricadessero sulle spalle scoperte.
“Volevo
farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono
più riuscita
a smettere di guardarti...” Le parole uscivano dalla bocca di
Elsa senza alcun
freno. Se faceva una pausa tra una frase e l’altra era solo
perché aveva il
respiro corto, affannato. “Ma lo sai già,
vero?”
“So...
che?”
Elsa
la baciò. L’aveva già baciata, ma
sempre con molta attenzione, in modo incerto,
prudente, come se temesse di farle del male.
Questo
bacio era diverso. Era ansioso ed era profondo. E Anna le rispose con
la stessa
intensità, aggrappandosi di più a lei, gemendo
contro la sua bocca quando Elsa
si staccò per riprendere fiato.
“Se
volevi farlo da quando mi hai vista in abito da sposa... allora non
smettere”,
le disse Anna, con il respiro affannato e le labbra vicine alle sue.
Elsa
le affondò una mano nei capelli e ricominciò a
baciarla. Improvvisamente non
contava più il fatto che fossero sorelle, che quello fosse
il matrimonio di
Anna, che qualcuno avrebbe potuto venire a cercarle e quindi scoprirle.
Non
contava più niente.
“Non
sopportavo più... tutto quei ‘Vostro
Splendore’, ‘Vostra Magnificenza’. Chi
pensa... chi si crede di essere?” Anna parlava in modo
strano, come se avesse
bevuto troppo, interrotta dai baci di Elsa.
“Ssh”,
le disse sua sorella, mettendole una mano sulla bocca. “Non
parlare”
Anna
disse qualcos’altro, ma si perse sulle labbra di Elsa, che le
scostò le ribelli
ciocche rosse per baciarle il collo e le spalle scoperte. Anna la
tirò di più
verso di sé, come se non fossero già abbastanza
vicine e, nel farlo, perse
l’equilibrio, trascinandola sul prato. Elsa cadde sopra di
lei, ma non smise di
baciarla. Presa dalla foga, Anna le morse il labbro superiore e glielo
succhiò
più volte. Le sue mani si mossero senza controllo e
cercarono di slacciare il
vestito di Elsa. La sorella continuava a ripetere il suo nome, come se
non
potesse farne a meno e ad Anna piaceva il modo in cui lo pronunciava,
sfiorandole l’orecchio con la bocca, il fiato corto.
Dicendolo come se non
esistesse nient’altro al mondo che desiderasse di
più.
Lontano,
molto lontano, una portafinestra si aprì. Rumore di passi.
“Hai
sentito qualcosa?”, chiese Elsa, sollevando la testa.
“Non
me ne importa niente”, rispose Anna, appoggiandole una mano
sulla nuca e
costringendola a concentrarsi ancora su di lei.
I
passi si avvicinarono.
“Ecco,
Puck, folletto malefico! È tutta colpa tua. Guarda
cos’hai fatto!”. La voce di
Oberon sembrava stridere con tutto il resto. Era una voce arrabbiata.
Elsa
si separò di scatto dalla sorella. Non riuscì ad
alzarsi in piedi perché le
cedettero le ginocchia e finì di nuovo sul prato.
“Adesso
mi tocca usare la magia elfica! Ah, ma questa me la paghi”.
“Mio
signore, non vedo proprio la fonte del problema, perdonatemi. Io volevo
solo
aiutare”.
“Tu
volevi aiutare! Volevi combinare pasticci, come al solito, non aiutare!
Ora
togliti dai piedi e lascia che mi occupi di... di... di
questo”.
Anna
riemerse dal mare di ricordi,
inspirando una boccata d’aria, come se fosse rimasta troppo
tempo sott’acqua e
fosse sul punto di soffocare.
Oberon
sedeva di fronte a lei, con i
gomiti appoggiati alle ginocchia e la pietra magica che, ormai, non era
che un
innocuo sasso senza valore. La gettò via. Puck, che sedeva
in un angolo, la
prese al volo e iniziò a giocherellarci.
-
Io... non... voi... – farfugliò
Anna, cercando di raccapezzarsi.
-
Sono i vostri ricordi, mia cara
Anna. Non era ciò che desideravate? –
domandò il re elfico, sorridendo,
divertito.
-
I ricordi che mi avete rubato! E mi
avete anche... anche... rubato mia sorella. Mi avete portata via,
caricandomi
in spalla come se fossi un... sacco di patate!
-
Oh, siete assai più leggera di un
sacco di patate. E nessuno vi ha rubato vostra sorella. Titania
è una fata che
trova interessanti le persone come Elsa. Non posso dire che trovi
interessante
anche voi, mi dispiace molto.
-
Voglio andare da Elsa!
-
Non siate impaziente, Titania non
avrà ancora finito.
-
Di fare cosa?
-
Qualsiasi cosa abbia in mente di
fare. Non preoccupatevi. Vostra sorella uscirà sulle sue
gambe da quella sala. Titania
sa essere assai dura con i suoi nemici. Ma voi non siete sue nemiche.
– Oberon
si alzò in piedi. L’aveva condotta in
un’altra parte della Corte Seelie, un
piccolo giardino sotterraneo pieno di piante coperte di fiori, con una
cascatella che sgorgava da un punto sopraelevato di una parete di
roccia,
formando un laghetto dove galleggiavano le ninfee. – Spero
che il posto vi
piaccia. È un luogo tranquillo, non trovate?
-
Non mi interessa quanto è
tranquillo questo posto. Sì, lo è, ma io voglio
vedere Elsa. Non potete
trattarmi così. E sono sicura che sapete che
cos’ha in mente di fare vostra
moglie. Immagino che siate sposati da molto tempo, non potete non
saperlo!
-
Duecento anni. Quindi sì, è molto
tempo. Ma vi assicuro che la mente di Titania, a volte, è
ancora un mistero per
me. Però so che non ucciderebbe mai senza un motivo valido.
Questo
le ricordò Ippolita, la regina
delle Amazzoni. E lo scheletro nella gabbia.
-
E comunque avete mai pensato di
contare le volte in cui pronunciate il nome di vostra sorella o vi
riferite a
lei?
-
Contare?
-
Contare, sì. Ma torniamo ai vostri
ricordi, mia dolce Anna. Ora capite perché ve li ho portati
via? Sono
rammaricato, credetemi, ma sulle prime ho pensato che fosse la cosa
più giusta
da fare. – Oberon non le aveva concesso il tempo per
replicare. – Pensavo
che... fosse più saggio dimenticare. Un rapporto come il
vostro... nessuno lo
comprenderebbe. Scommetto che non lo comprendete nemmeno voi. Siete
sorelle. Lo
stesso sangue. La stessa madre e lo stesso padre.
-
Non c’è bisogno che me lo
ricordiate! Lo so già. – La mente di Anna
continuava a vagare dietro ai quei
ricordi che aveva appena recuperato. La sconvolgeva la sola idea di
dove
sarebbero potute arrivare se Oberon non le avesse trovate. Eppure il
ricordo
era incredibilmente dolce e intenso, le metteva i brividi. –
E in ogni caso non
potete tenermi qui. Non è giusto.
-
Davvero non vi piace la Corte
Seelie, Anna?
-
Beh... non ho detto che non mi
piace, ho solo detto che... che non potete tenermi qui mentre mia
sorella deve
vedersela da sola con Titania. – In realtà trovava
che la Corte Seelie avesse
un certo fascino. Potere, soprattutto. I profumi e
l’atmosfera fatata le
annebbiavano un po’ la mente.
Oberon
si sedette di nuovo. – Ho
qualcosa da dirvi, mia cara. Qualcosa da chiedervi, a dire il vero.
-
E che cosa sarebbe? – Anna lo
guardò di sottecchi, guardinga. –
L’ultima volta che ho firmato un accordo,
l’ho firmato con Tremotino e non è stato affatto
divertente.
-
So di cosa parlate. Anche mia
moglie si è fatta aiutare da Tremotino, in passato. E...
-
Che? Vostra moglie? Perché?
-
Niente di importante, Anna. Un piccolo
aiuto. È tutto a posto. Ci è andata ben peggio
con Magnus e Amadan.
-
Chi sono Magnus e Amadan?
-
Non ne sapete niente? Non avete mai
sentito parlare di re Magnus? Nella biblioteca della vostra famiglia
non c’è
proprio nulla...?
-
Ho letto tutto quello che c’è là
dentro e vi assicuro che non ho mai sentito parlare di... personaggi
simili.
-
Che peccato. Neanche in certe
pergamene in futhark antico?
Anna
sbatté le palpebre.
“Mi
hanno portato queste. Non ho idea di cosa dicano, esattamente, ma la
lingua è
la stessa del messaggio riportato... sull’urna”.
“E
cos’hai capito? Fino ad ora,
intendo”.
“Quasi
niente. Solo alcune parole”.
-
Aspettate... che? Le pergamene che Elsa stava cercando di tradurre... quelle pergamene...
-
Sì, proprio quelle. Quando riuscirete a venirne a capo, vi
renderete conto che
è di me e di Titania che parlano. Nonché dei
nostri nemici, Magnus, il re che
mi ha preceduto, e suo figlio Amadan. Due intriganti manipolatori...
non vi sarebbe
piaciuto conoscerli. Abbiamo avuto un sacco di problemi a causa loro.
-
Avete letto le pergamene?!
-
Conosco molte lingue, mia dolce Anna. Compreso il futhark antico. Avrei
voluto
parlarne con la regina Elsa, ma non ne ho avuto il tempo.
-
Futhark! Anch’io lo conosco, mio signore! –
intervenne Puck, rimasto in
silenzio fino a quel momento.
-
Lo so bene, folletto dei miei stivali. Te l’ho insegnato io!
Quindi,
oltre ad essersi intrufolato
al suo matrimonio senza essere invitato con un folletto che aveva
combinato un
disastro e oltre ad aver passato buona parte del tempo a fare gli occhi
dolci a
sua sorella, si era anche permesso di sbirciare nelle altre stanze del
palazzo,
fino a trovare le pergamene che Elsa stava cercando di tradurre.
Avrebbe tanto
voluto acchiapparlo e dargli una lezione!
-
Ora veniamo al dunque. Come vi ho
detto, c’è qualcosa che voglio chiedervi. E mi
auguro che vi piaccia.
***
Elsa
era riemersa dalle memorie che
Titania le aveva ridato con la sensazione di aver vissuto per la
seconda volta
tutto ciò che era accaduto con Anna quella sera. Aveva
l’impressione che sulle
labbra le fosse rimasto il sapore della sua bocca, di quei baci
così caldi e
profondi... e sulla pelle la sensazione pressante delle sue carezze.
“Volevo
farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono
più riuscita
a smettere di guardarti...”
“Se
volevi farlo da quando mi hai visto in abito da sposa... allora non
smettere”.
Elsa
chiuse gli occhi, serrando le
palpebre e inspirando profondamente. Quando li riaprì,
Titania la stava
fissando.
-
È tipico degli essere umani
desiderare qualcosa che non è possibile avere. –
commentò la regina delle fate,
muovendosi con grazia verso di lei. – Anche di certe fate,
certo. Del resto,
nella nostra specie ci sono eccezioni. Poche, ma ce ne sono.
-
Io... so benissimo che è sbagliato.
-
Ma è quello che volete. E vi piace.
-
Ciò non significa che sia giusto.
-
Forse no. Le cose che si amano non
sempre sono giuste. – Titania prese a girarle intorno.
Elsa
avvertiva la forza di quello
sguardo su di sé. Le sembrava che tutto tendesse verso la
sovrana della Corte
Seelie, come se fosse stata lei a creare quel luogo perché
fosse un riflesso
della sua bellezza e del suo potere. Come se non fosse stata la Corte a
dare la
vita a Titania, ma l’esatto contrario.
-
Voi... cosa sapete dell’amore?
Siete una fata – disse Elsa, colmando il silenzio che si era
venuto a creare.
-
Il fatto che io non possa
innamorarmi non mi impedisce di riconoscere l’amore, se lo
vedo. – le rispose
prontamente Titania. – E onestamente sono viva da parecchio
tempo, se non
l’avete ancora capito. Da molto più tempo di voi.
Ho vissuto anche in mezzo
agli uomini. Quindi conosco i sentimenti.
Elsa
tacque.
-
E voi, invece, che cosa ne sapete
dell’amore? L’avevate mai conosciuto, prima
d’ora? E parlo del vero amore.
Dell’amore carnale. Avete mai desiderato qualcuno come
desiderate Anna?
“Avete
mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”
-
No.
-
No, certo. Siete vissuta in
isolamento per anni. Come potete averlo conosciuto?
-
Come sapete che...?
-
Io so molte cose. Ve l’ho detto,
sono viva da molto tempo. E alle orecchie delle fate giungono sempre un
sacco
di storie interessanti.
“Avete
mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”
Titania
le si parò dinanzi. Era più
bassa di Elsa, eppure, al tempo stesso, appariva più
imponente. – Oberon era
convinto che dimenticando avreste risolto i vostri problemi. Ha
annullato
l’effetto della polvere elfica e vi ha cancellato i ricordi
perché sapeva che
eravate ad un passo da quella linea di confine che due persone come voi
non
dovrebbero mai superare. Non che non vi siate già spinte
oltre, ma quella sera,
se mio marito non vi avesse trovate...
Elsa
non commentò. Sentì che il
sangue le affluiva alle guance, impetuoso. Il suo cuore batteva un
po’ più
veloce del normale.
-
Vorresti non provare quello che
provi, vero? – disse Titania, ripetendo la domanda che le
aveva già fatto. –
Vorresti... che fosse tutto più semplice. Una parte di te
vorrebbe non aver mai
imboccato questa strada, perché adesso è
difficile tornare indietro.
Elsa
continuò a restare in silenzio.
Non era sicura di poter controllare la propria voce se avesse parlato.
Era
furiosa con la regina della Corte Seelie perché
l’aveva separata da sua
sorella. Era preoccupata per Anna. Ed era spaventata. Spaventata
perché non
sapeva che cosa le aspettava e spaventata dalle parole e dagli occhi di
quella
fata.
-
Dimenticare non è la soluzione. Non
serve a niente. Voi avete dimenticato grazie ad un incantesimo, ma
avete
continuato a ripensarci e a tormentarvi. Cosa che vi ha spinte in
questo luogo.
Il segreto... non è nella mente.
-
Non lo posso dimenticare. – riuscì
a dire Elsa, con la voce ridotta a un sussurro. – Come posso
dimenticare
qualcosa di... qualcosa di simile? Anche se è sbagliato...
non saprei come
fare.
Titania
sembrò annoiata da questa
considerazione.
“Avete
mai desiderato qualcuno come desiderate Anna?”
“Se
volevi farlo da quando mi hai vista in abito da sposa... non
smettere”.
La
regina delle fate le sorrise,
angelica.
E
prima che Elsa potesse anche solo
rendersi conto di ciò che stava succedendo, lei
affondò una mano nel suo petto
e le strappò il cuore.
___________________________
Angolo
autrice:
Buonasera
e rieccomi.
Anche
questo capitolo necessita di
qualche spiegazione.
Dunque,
come avrete capitolo, la
citazione all’inizio viene da Merlin, precisamente
è una battuta di Gwen e, in
questo caso, si riferisce soprattutto alla regina Titania, ma anche ad
Elsa.
Anna
ed Elsa entrano nella Corte
Seelie così come ci sono entrati Clary, Jace e gli altri
personaggi di Shadowhunters – The
Mortal Instruments, ovvero
attraverso il riflesso della luna.
I
riferimenti a Re Magnus e suo
figlio Amadan vengono direttamente da The
Books of Magic, una miniserie a fumetti in lingua inglese
scritta da Neal
Gaiman.
|
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Capitolo 6 *** Choices ***
6
«Tu
che ne sai del vero amore?»
«Senza
dubbio ne so meno di te, cionondimeno ne
so più di quanto tu possa credere»
«Tu?
Tu hai amato qualcuno?»
«È
stata una breve e fugace scintilla in un
oceano di oscurità»
[Once
Upon a Time, Una terra senza magia, Azzurro
e
Tremotino]
-
Che cosa volete chiedermi? – domandò Anna al
sovrano delle fate, che era
rimasto in silenzio per un po’, come se stesse riflettendo.
-
Ci ho pensato a lungo, mentre vi aspettavo. Non ho messo ancora al
corrente
Titania, ma penso che sappia che sto tramando qualcosa. –
Sorrise, divertito.
Anna
lo fissava, guardinga.
-
Perché non restate? – suggerì Oberon,
candidamente.
-
Restare?
-
Restare, sì. Qui alla Corte Seelie. Voi e vostra sorella.
Non mi fraintendete –
disse Oberon, alzando entrambe le mani. – Non vi chiedo di
restare per sempre,
ma solo per un po’. Anche se... non mi darebbe fastidio se
decideste di restare
per sempre.
Anna
sgranò gli occhi. Non credeva alle sue orecchie. Per qualche
istante pensò che
il re elfico stesse scherzando. Non poteva essere altrimenti
perché la sua era
una richiesta assurda.
-
Voi... voi... – prese a dire Anna. Scosse il capo per
scacciare la confusione.
– Non dite sul serio. Insomma, certo... non potete dire sul
serio.
-
Non sono mai stato più serio di così, mia dolce
Anna.
-
No, beh... non può essere. Questa è la Corte
Seelie. Non accettereste mai degli
umani alla Corte Seelie.
-
E perché no? Lo abbiamo già fatto in passato.
Abbiamo nascosto degli umani in fuga.
Li abbiamo curati se erano feriti. Abbiamo fatto dei regali agli umani,
a
quelli che li meritavano, per lo meno. Quindi perché non
dovremmo accettarvi? –
Oberon usava un tono benevolo, accondiscendente. – Non credo
che Titania
avrebbe qualcosa da ridire. Soprattutto se consideriamo il potere di
vostra
sorella. Che adesso è inibito, ma solo momentaneamente. E il
popolo fatato...
non farebbe nemmeno caso a voi due. Loro fanno ciò che io e
mia moglie
comandiamo.
-
Perché mi state chiedendo una cosa... una cosa simile?
– domandò Anna.
Da
un angolo della stanza venne un lieve russare. Puck si era addormentato
con la
schiena appoggiata alle rocce e le mani abbandonate in grembo. La sua
testa
ciondolava di qui e di là.
-
Anna, lo faccio per aiutarvi.
-
Certo, come il vostro folletto.
-
Io sono un po’ più saggio di Puck. –
Lanciò un’occhiata alla creatura
dormiente. – Anna, quello che c’è tra
voi e vostra sorella... è qualcosa che il
mondo là fuori non sarebbe mai in grado di comprendere. Se
tornerete ad Arendelle
dovrete tornare alla vita che avete sempre vissuto. Voi avrete un
marito a cui
pensare. Sareste costrette a nascondere ciò che provate per
sempre! E prima o
poi... commettereste un errore irreparabile. Non si possono soffocare i
sentimenti, Anna.
Anna
aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun
suono.
-
Vedo che, per una volta, siete rimasta senza parole. Mi fa piacere.
Vuol dire
che la mia idea non vi dispiace.
-
No, io... non posso. Non possiamo lasciare Arendelle. È
assurdo! Sì, è un’idea
assolutamente assurda. Sono sicura che si tratta di una trappola, come
il cibo
che ci avete offerto prima. Voglio andare da mia sorella! –
Anna parlò a
raffica e la voce le uscì traballante e nervosa, oltre che
più acuta del
solito.
-
Ci andrete, tra poco. E questa non è una trappola. Se lo
fosse, non ve lo avrei
neppure chiesto. Vi avrei attirate in un altro modo. Conosco una
moltitudine di
incantesimi, mia cara. Incantesimi che vi farebbero dimenticare vostro
marito,
che vi annebbierebbero la mente al punto tale che non ricordereste
nemmeno il
motivo che vi ha spinte qui, né ricordereste per quale
ragione dovreste tornare
ad Arendelle. – Oberon era serio, adesso. E sapeva essere
molto persuasivo. Di
sicuro, era nato per essere un re, proprio come sua moglie era nata per
essere
regina. – Anna, qui alla Corte Seelie nessuno vi
giudicherebbe.
-
Non credo che sia così facile.
-
Titania è troppo vecchia e ha visto troppe cose per potersi
sorprendere. E lo
stesso vale per me. Anche se cinquecento anni nella vita di un elfo non
sono
poi molti. Un battito di ciglia. – Sbatté le
palpebre come per sottolineare
quel concetto.
-
Cinquecento anni?
-
Qualcosa di più, ad essere onesti. Ma non importa. Sono
ancora giovane.
Cinquecento anni sono tanti per voi, Anna.
E mia moglie è assai più vecchia di me.
– Oberon si avvicinò a lei, si chinò,
guardandola dritta negli occhi. – Quello che vi sto offrendo
dovrebbe
stuzzicarvi. Qui sareste libere, ve lo assicuro. Non dovreste
nascondere ciò
che provate.
Anna
vacillò. Oberon si portava dietro un odore di fiori appena
sbocciati. Di rose. Il
suo sguardo sembrava più azzurro che mai.
-
Ci volete qui... perché avete messo gli occhi su mia
sorella, vero? – disse la
principessa di Arendelle, scostandosi un poco. – Se credete
che non me ne sia
accorta...
-
Oh, certo che ve ne siete accorta! – Oberon rise. –
Chi non metterebbe gli
occhi su vostra sorella, del resto? Una regina così bella...
scommetto che,
nonostante il suo potere, quando vi bacia vi incendia il sangue.
Anna
si sentì infiammare le guance e riportò alla
mente ciò che era accaduto la sera
del matrimonio. I baci di Elsa, la vicinanza del suo corpo, il suo
profumo... era
vero, tutto le aveva incendiato il sangue. – Beh, voi...
io... questo è solo...
non potete comunque chiedermi di abbandonare Arendelle. È
casa mia ed Elsa non
lascerà mai il suo regno incustodito. È
l’unica che può governare Arendelle.
Senza di lei sarebbe tutto in balia di Hans, quel...
quell’idiota che ha avuto
la faccia tosta di rinchiudermi in un baule... e poi Kristoff... lui
verrebbe a
cercarmi! Ed io non intendo abbandonarlo. L’ho appena sposato
e lo amo.
-
Non ho mai detto che non lo amate. Ma ammetterete che i sentimenti che
vi
legano a vostra sorella siano molto forti. – L’elfo
roteò gli occhi. - E in
ogni caso... Klaus non entrerebbe mai in casa mia. Non è
invitato. Non
troverebbe neppure l’ingresso attraverso il riflesso della
luna. Per non
parlare degli uomini che, immagino, si porterà dietro. Le
fate della Corte
Unseelie si divertiranno un mondo a spaventarli! Sempre che venga con
degli
uomini. Conoscendolo, potrebbe portare un branco di renne o di troll di
roccia.
-
Si chiama Kristoff, non Klaus.
-
Quello che è. Voglio rassicurarvi anche su
un’altra cosa. Quel principe... Hans.
Lui e i suoi fratelli non metteranno piede ad Arendelle. Ci
penserò io a
tenerlo a bada. Vedete? Sono molto generoso. Non lascio niente al caso.
Anna
lo fissava, sbalordita.
In
quel momento Puck si svegliò di soprassalto, biascicando
qualcosa. Si sistemò
meglio il berretto in testa. – Oh... mio signore. Che offerta
generosa! Proprio
generosa, sì! Io accetterei. Accetterei subito,
così su due piedi.
Oberon
non gli disse di chiudere il becco.
***
Quando
Titania aveva affondato la mano nel suo petto per estrarre il cuore,
Elsa aveva
provato un dolore terribile. Aveva aperto la bocca per urlare, ma
l’unico suono
che era riuscita ad emettere era stato un rantolo strozzato,
agonizzante.
Caduta
in ginocchio, si portò una mano al petto e
sollevò lo sguardo sulla regina
delle fate, che teneva l’organo pulsante nella mano destra.
Il suo cuore era
rosso e palpitante, con una lieve sfumatura nera al centro.
Nel
petto Elsa non sentiva più niente, se non un vuoto strano,
inquietante.
-
Che cosa state facendo? Perché...? - disse a Titania.
-
Ecco. Vedete? Il segreto non è nella mente. È
qui. In questo spazio così
ristretto. – Si portò il cuore davanti al viso e
lo osservò con attenzione,
come se lo stesse studiando, come se volesse penetrarlo con i suoi
grandi occhi
di quel verde sfuggente. – Basterebbe veramente poco per
mettere fine ad una
vita umana. Basterebbe... stringere un po’.
Elsa
si aspettava che Titania stringesse il cuore in una morsa, facendole
del male.
Invece
si limitò a voltarle le spalle e a dirigersi verso il trono.
Si sedette,
accavallando le gambe, quasi non fosse accaduto nulla di particolare.
-
Avete mai sentito parlare della leggenda dei Gentiluomini? –
le chiese Titania,
cambiando improvvisamente argomento.
Non
ottenne risposta. Elsa era troppo sconvolta per capire di cosa stesse
parlando.
Non aveva più il suo cuore, non sapeva dove Oberon avesse
portato Anna né
tantomeno se Titania avesse intenzione di liberarsi di lei.
“Già.
I tuoi timori e la tua paura
sono quello che le serve, in questo momento”.
La
voce nella sua testa era ovviamente simile alla voce di Ingrid. Elsa
guardò la
regina Titania.
-
Demoni. I Gentiluomini sono demoni che strappano i cuori agli uomini.
Prima di
farlo, però, tolgono loro la voce. Non possono agire
altrimenti, perché le urla
li ucciderebbero. – Sfiorò il cuore con la punta
delle dita dell’altra mano. Aveva
l’aria distratta, pensosa. – E poi... arriva
l’eroina che li sconfigge proprio
con un grido.
Elsa
non conosceva nessuna leggenda simile. Si alzò in piedi.
– Cosa volete fare?
Volete... uccidermi?
“I
tuoi timori e la tua paura sono
quello che le serve, in questo momento. Sono quello che vuole vedere.
Si sta
divertendo”.
-
Uccidervi? L’avrei già fatto, non credete?
-
Scommetto che vi state divertendo.
-
Oh! Sì, in effetti mi sto divertendo molto. Non pensavate
mica di potervene
andare così, con i vostri ricordi, come se niente fosse
accaduto! Mi piace
conoscere meglio i miei ospiti... soprattutto ospiti come voi. Ho
sentito
parlare talmente tanto di Arendelle e della regina con il potere di
controllare
il ghiaccio, che quando mio marito è tornato dal matrimonio
dicendomi che Puck
aveva combinato uno dei suoi pasticci... ne sono stata persino felice.
In
parte.
Elsa
sostenne lo sguardo della regina delle fate.
-
Certo, a volte mi chiedevo se le voci parlassero di voi o di vostra
zia. Che
fine ha fatto la Regina delle Nevi?
-
È morta.
-
Che peccato! – Titania non sembrava particolarmente sorpresa.
Curiosa, sì. –
Sono sempre i più interessanti ad andarsene. E
com’è morta? Perché non è
successo in questo mondo, altrimenti lo saprei.
Elsa
tacque. I suoi occhi vagarono per la grande sala del trono, ai viticci
che si
arrampicavano sulle possenti colonne di marmo, ai fiori che emanavano
quel
profumo intenso, inebriante, per poi rivolgersi di nuovo al viso di
Titania,
all’espressione accigliata, in attesa di una risposta. Al
cuore. Al suo cuore
che pulsava.
-
Ho fatto una domanda. Gradirei ricevere una risposta – disse
la regina delle
fate, in tono calmo.
-
Cosa importa? – chiese Elsa, cercando di controllare il
tremito nella sua voce.
“Fate
le domande giuste o non
otterrete mai le risposte che volete”.
-
La conoscevate?
-
Purtroppo no – ammise Titania. Schioccò le dita e,
dove prima non c’era
assolutamente nulla, comparve un altro di quegli sfavillii. Una fata,
la stessa
che aveva offerto loro il cibo, porse un vassoio alla regina, un
vassoio sul
quale faceva bella mostra di sé un calice ripieno di un
liquido ambrato. Titania
lo prese e congedò la fata, che sparì.
– Ma mi interessa saperlo. Mi interessano
molte cose.
Elsa
la fissò. – Molte cose... come i cuori della gente?
Lei
le rivolse un blando sorriso. Poi bevve un sorso dal suo bicchiere.
– A volte mi
piace scoprire ciò che contengono. Intendete rispondermi?
Magari così potrete
ritornare dalla vostra amata sorella
e riavere il vostro cuore.
Elsa
rifletté ancora qualche istante. Pensieri, sospetti e
subitanee impressioni si
agitavano nella sua testa, tumultuosi, cozzando l’uno contro
l’altro. Chiuse
brevemente gli occhi, poi li riaprì di scatto.
Titania
si dimostrò realmente interessata
a
tutta la storia di sua zia Ingrid, della maledizione del riflesso
infranto, di
com’era stata scagliata, di quello che era successo agli
abitanti di
Storybrooke, di come l’incantesimo avesse tirato fuori la
parte peggiore di
loro. E di come tutto si era concluso.
-
Avrei tanto voluto assistere – rispose Titania. Mise
giù il calice e si sporse
in avanti. – Non alla morte di vostra zia, non
fraintendetemi. Ma alle zuffe
causate da quell’incantesimo sì. Oh, eccome se
avrei voluto esserci! E questa
storia è così... sentimentale. Ci sono sempre i
legami famigliari di mezzo. C’è
sempre il cuore di mezzo.
Elsa
osservò ancora il proprio, di cuore, nella mano della
sovrana. Rosseggiante,
vivo.
-
E proprio perché c’è sempre il cuore di
mezzo, anche voi dovreste fare una
scelta. – riprese il bicchiere e si alzò per
tornare da Elsa. Sollevò la coppa
in un brindisi e bevve quel che restava del liquido gorgogliante, che
le lasciò
una tenue macchia sull’angolo delle labbra. Se la tolse,
passandovi sopra la
lingua.
-
Che scelta?
Titania
scoppiò a ridere. - Pensavo l’aveste
già capito. Perché credete che abbia preso
questo cuore? Perché,
volendo, potete
rinunciarvi per sempre.
Elsa
la fissò con gli occhi spalancati. - Avete detto... avevate
detto che l’avrei
riavuto, se avessi risposto alle vostre domande.
-
Oh. Certe risposte sono assai utili. Hanno il valore delle
rarità, mia cara.
Meritano, in cambio, un buon prezzo. E comunque io ho detto magari. Se lo riavrete, sta a voi
decidere.
– Un diadema che aveva fra i capelli e le ricadeva sulla
fronte mandò un
barbaglio luminoso, colpito dalla luce della Corte. La pietra era dello
stesso
colore del suo sguardo. – Quello che provate nessuno lo
capirà mai. Non c’è
libertà là fuori per voi. Se tenete il vostro
cuore, questi sentimenti vi
accompagneranno per molto tempo. Forse per sempre. Pensate di poterlo
nascondere per sempre, Elsa?
Credete
di esserne capace? Scommetto di no. Nessuno ne è capace.
Elsa
indietreggiò di un passo, vedendola sopraggiungere.
– Io... così non sentirei
più niente.
-
No, è vero. – Titania si avvicinò
ulteriormente, puntando gli occhi nei suoi. –
Non sentireste più niente. E può sembrare una
vera tragedia, ma se considerate
la vostra situazione direi che non lo è, cara. Non vi
limitate a provare
sentimenti sconcertanti per una donna sposata. Per una donna sposata,
aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un uomo che si fida
di voi...
Oberon mi ha parlato del marito di Anna... quel... credo che sbagli di
proposito il suo nome. Mi ha detto che tutto sommato è un
uomo gentile e che
ama molto vostra sorella. Li avrete sotto gli occhi tutto il tempo.
Direi che
la situazione non potrebbe essere più miserevole, Elsa.
“Lui
è mio amico”, aveva
detto ad Ingrid, quando lei aveva puntato il dito contro Kristoff per
congelarlo come aveva fatto con Hans.
E
poi...
“Io
devo seguirla”.
“No”.
“Stai
dicendo di no alla tua
regina?”
“Sto
dicendo di no alla mia futura
sorella... cognata. E per un buon motivo. Amiamo Anna tutti e due e
sappiamo
che se la caverà”.
“Perché
non sei andato tu con
lei?!”
“Perché
non ha voluto. Pensava che
servissi qui”.
“Per
cosa?”
“Non
voleva che tu restassi sola”.
-
Non solo questo – continuò Titania. –
È vostra sorella la persona coinvolta. Non
vi capirebbero mai, neanche tra mille anni, se vi scoprissero. Qual
è la pena
nel vostro regno per due persone accusate di intrattenere... rapporti
non
consoni al legame di parentela che le lega? L’esilio? O
peggio?
Elsa
non rispose. Si sentiva cedere le ginocchia. Lo sguardo della sovrana
delle
fate si era fatto più penetrante. Aveva un potere. Un vero potere, perché le sue
gambe cedettero sul serio e lei si
ritrovò in ginocchio ai suoi piedi, come un attimo prima,
quando le aveva
strappato il cuore dal petto.
-
Voi pensate che questi sentimenti siano sbagliati. Ne siete certa. E
allora
liberatevene. – Titania si piegò sulle ginocchia.
-
Pensate davvero che sia così... facile liberarsi dei propri
sentimenti? – disse
Elsa, guardando il suo cuore.
-
Non ho mai detto questo. Ma vi sto offrendo una scelta.
-
E... cosa ne sarà del mio cuore?
Titania
inclinò la testa. – Resterà qui. A meno
che non desideriate portarlo con voi,
ma non credo che sia una buona idea. Lo nasconderei. Qui sarebbe al
sicuro.
-
Potreste usarlo contro di me.
-
E perché mai? Non sono così interessata al regno
di Arendelle da volerlo
controllare attraverso di voi. Troppo lontano, troppo freddo. Ho
già la Corte
Seelie a cui pensare e vi assicuro che non è affatto
semplice. - Lo sguardo si
perse per qualche istante, come se stesse ricordando qualcosa e
l’espressione
del suo viso divenne meno arrogante, meno regale, persino. Quasi umana.
Poi si
riscosse. - Allora, che cosa ve ne pare della mia offerta?
***
-
Aspettate, Anna! – gridò Oberon.
-
No, non aspetto. Voglio andare da mia sorella.
Puck
allungò una mano dalle unghie lunghe e
l’afferrò per la gonna, costringendola a
voltarsi di scatto. Il folletto sorrideva, furbescamente, muovendo la
punta
delle orecchie.
-
Non è da quella parte. Siamo arrivati di là.
– Il re indicò con il pollice il
passaggio alle sue spalle. – E Titania potrebbe non avere
ancora finito.
Anna
fece dietrofront, tenendo d’occhio la creatura che seguiva
Oberon a ruota. - Non
mi importa di vostra moglie. Come avete fatto a sposarla, piuttosto?
Perché
vedete lei è... bella, piena di sé,
insopportabile... e strana. Dimenticavo
strana. Ed è anche inquietante.
-
Oh, il nostro matrimonio è un’alleanza importante.
-
Vi siete sposato solo per stringere un’alleanza? È
orribile. – Anna camminava
in fretta tra le possenti colonne di marmo e il profumo che impregnava
l’aria.
Oberon non faticava a starle dietro.
Intorno
a loro svolazzavano tante fate, nelle loro bolle di luce colorata.
C’erano
anche alcuni di quei Brownies, per lo più impegnati in
faccende domestiche, e
le guardie, tutti elfi o fate maschio in forma umana, che indossavano
armature
d’argento o dorate.
-
A dire il vero apprezzo molto la bellezza di mia moglie. Se avesse
anche un
buon carattere sarebbe meglio. Ma non è sempre stata
così.
-
Ah, no?
-
No. La guerra contro Magnus e Amadan è stata molto dura.
Titania ha perso molte
persone a lei care.
Anna
stava per rispondere ma Oberon spalancò le porte della sala
del trono.
Con
sgomento Anna assistette ad una scena che non si sarebbe mai aspettata
di
vedere; Titania che spingeva il cuore rosso e pulsante nel petto di
Elsa, che
boccheggiò in cerca d’aria e rantolò.
-
Elsa!
-
Titania, hai forse perso il senno? – Il sovrano delle fate
sembrava realmente
incredulo, adesso. Aveva gli occhi sbarrati. Se avessero potuto
sprizzare lampi
l’avrebbero fatto.
-
Perso il senno? Non sono mai stata più lucida, mio caro.
Stavo facendo una
proposta alla regina di Arendelle.
-
Immaginavo volessi farle una proposta. Ma una proposta che prevede
cuori
strappati?
-
Di sicuro una proposta migliore della tua. E come puoi vedere
è stata comunque
rifiutata.
-
Come sai qual è stata la mia proposta? Non ti ho messa al
corrente, se non
sbaglio.
-
Conosco il genere di proposte che fai ai nostri ospiti, sta tranquillo.
Puck
si ritirò in un angolo. Era evidente che in presenza della
regina cercava di
tenere un basso profilo. Temeva molto di più Titania che
Oberon.
Anna
corse dalla sorella e la strinse forte a sé, circondandole
le spalle e serrando
le palpebre mentre appoggiava il viso contro il suo collo.
-
Che cos’ha fatto al tuo cuore? – chiese,
staccandosi da lei. Le mise una mano
sul petto di Elsa e lo sentì battere un po’
più veloce del normale. – Sembra
tutto a posto. Batte ed è nel tuo petto, quindi è
tutto a posto, no? Oppure ha
usato qualche strana magia? Forse ha usato una polvere elfica o qualche
polvere
fatata?
-
Anna... – cominciò Elsa.
-
Cosa volevate fare con il cuore di mia sorella? –
esclamò, voltandosi e facendo
un passo verso Titania, come se si stesse apprestando ad attaccarla.
– Il suo
cuore deve... deve restare dov’è. Non vi
appartiene. Oppure siete una di
quelle... inquietanti collezioniste di oggetti macabri? Collezionate i
cuori
dei vostri ospiti, per caso? Voi e vostro marito avete qualche armadio
che
contiene i cuori degli esseri umani che sono stati tanto sprovveduti da
mangiare il vostro cibo? Perché sapete,
c’è chi ha scheletri nell’armadio e
chi... colleziona cuori, suppongo. E sono entrambe cose davvero poco
igieniche... e orribili. Mia zia aveva dei brutti scheletri
nell’armadio e ne
aveva anche uno... vero. Beh, Hans era congelato, ma il suo corpo
conteneva uno
scheletro, perciò...
Elsa
allungò una mano e la prese per un braccio. – Anna.
Lei
si voltò a guardarla.
-
Non ho cuori in nessun armadio e a quello di vostra sorella non ho
fatto
niente. – rispose tranquillamente Titania, sedendosi di nuovo
sul suo trono. –
Ma Elsa sarà molto felice di raccontarvi tutto, immagino.
Domandateglielo. E
avete ragione sul fatto che non mi appartenga... appartiene a voi.
Anna
arrossì fino alla punta delle orecchie. Sbirciò
il viso di sua sorella, i cui
occhi guizzavano, irrequieti. I dorsi delle loro mani si sfioravano.
-
Beh – disse Oberon, dopo qualche istante di silenzio.
– Cuori non ne abbiamo.
Ma abbiamo qualche scheletro. Solo che non vi piacerebbe vederlo.
***
Oberon,
seguito come sempre da Puck, le accompagnò nel punto in cui
si erano incontrati
quando erano precipitate attraverso le acque del lago.
-
C’è una cosa che vorrei sapere – disse
Anna, osservando il re elfico.
-
E cosa?
-
Perché vi segue sempre. Puck, intendo. Vi sta sempre...
appiccicato. E voi non
lo trattate certo bene. Anzi. E non siete neanche capace di tenerlo a
bada.
Oberon
rise. Sembrava che non ci fosse niente che potesse dargli fastidio.
Forse solo
la moglie era in grado di offenderlo. – Oh, Anna. Vi ammiro,
sapete? Siete
dotata di una franchezza che è una cosa assai rara!
-
Sono molto grato al mio signore. Sì! Per questo gli sto
sempre vicino e sono
pronto a fare ciò che mi domanda. – disse Puck,
annuendo ripetutamente e
levandosi il cappello per poi rimetterselo subito, storto.
-
Gli ho salvato la vita molto tempo fa. – spiegò
Oberon. – A volte mi chiedo
perché, visto che non è affatto vero che fai
ciò che ti domando. Altrimenti
loro non sarebbero venute qui, folletto dei miei stivali!
-
Perché avete un cuore generoso, mio signore. Ecco
perché l’avete fatto –
suggerì Puck, stirando le labbra
all’insù, in un sorriso che andava da un
orecchio all’altro.
Oberon
roteò gli occhi. Poi si rivolse alle due sorelle.
– Beh, che peccato che per
voi sia giunto il momento di tornare indietro. Mi sarebbe piaciuto che
foste
rimaste ancora un po’. Ma comprendo che Arendelle abbia
bisogno di voi. Ha
bisogno... della sua regina. Spero che vi ricorderete di me.
-
Non credo sarà possibile dimenticare tutto questo
– disse Elsa.
-
Io certamente non mi dimenticherò del giorno in cui vi ho
conosciuta, Vostro
Splendore – rispose Oberon, regalandole un sorriso
insinuante. Poi le prese una
mano e si chinò per sfiorarla con le labbra.
Anna
pensò che quello poteva essere il momento buono per
appioppargli un bel calcio
nel sedere. Poi, magari, avrebbe dato un calcio nel sedere anche a Puck
che se
la rideva sotto i baffi.
-
Nauthannen
i ned ôl reniannen... –
disse Oberon, in una lingua che doveva essere elfico.
Ovviamente
Elsa non capì cosa le stesse
dicendo.
***
La
risalita fu molto peggio della discesa. L’acqua del lago le
avvolse e si fece
silenzio, un silenzio denso di ombre informi che danzavano. Nessuna
luce venne
loro incontro.
Anna
cercò le dita della sorella e le trovò. Vi si
aggrappò letteralmente, temendo
di essere risucchiata dal buio.
Quando
emersero era ancora notte, il cielo blu era punteggiato di stelle e...
faceva
molto freddo. O almeno Anna aveva freddo e abbracciò se
stessa, rabbrividendo,
mentre si dirigeva verso la riva. Cadde sull’erba,
sputacchiando acqua, ed Elsa
si inginocchiò vicino a lei.
-
Oh... oh, perbacco, è freddissima! È
l’acqua più fredda che abbia mai provato. Nemmeno
ad Arendelle l’acqua è così fredda.
Elsa, ti prego, dimmi che non ci entreremo
mai più. Voglio dire... io di sicuro non ci
entrerò mai più.
Elsa
avrebbe voluto scaldarla in qualche modo, ma non potendo farlo prese il
suo
viso fra le mani e le posò un bacio sulla fronte, indugiando
sulla sua pelle. E
sentendosi felice di essere uscita dalla Corte Seelie. Le sembrava di
essere
rimasta là sotto per un’eternità.
Quando
si staccò dalla sorella, Anna le sorrise. I suoi occhi
brillavano, mentre
rivoli d’acqua le scorrevano lungo le guance. Poi le
afferrò la nuca e le
restituì il bacio. Solo che glielo diede sulle labbra,
cogliendola di sorpresa.
-
Il tuo cuore sta davvero bene, vero? – disse Anna, ansiosa e
tornando a
metterle una mano sul petto. – Titania non mentiva quando
diceva che... che non
ha fatto niente? A parte strappartelo, il che è
già abbastanza orribile. Su
questo Oberon aveva ragione: doveva aver perso la testa.
Elsa,
ancora stordita dal bacio, scosse la testa e appoggiò la
sua, di mano, su
quella di Anna. – No... non mentiva. È una fata,
non può mentire. E ti
assicuro... che non ha perso la testa.
In
quel momento, dalla foresta che circondava il lago, sbucarono delle
figure
armate e che si muovevano silenziosamente, con le armi in pugno e le
torce per
illuminare il cammino.
Le
Amazzoni.
Videro
Ippolita con l’arco e la faretra piena di frecce sulle spalle
guidare il
gruppetto di cinque o sei guerriere, tra le quali anche Agave,
l’Amazzone che
aveva offerto l’acqua ad Anna quando erano giunte al
villaggio.
-
Eccovi, finalmente – disse la regina. Sembrava quasi sorpresa
di vederle. –
Pensavo non sareste riemerse mai più. Vi aspettiamo da una
settimana.
-
Una settimana? – Elsa si alzò in piedi, fissandola
incredula. – Non è possibile.
Dobbiamo essere state via solo qualche ora...
-
È trascorsa una settimana – ripeté
Ippolita. – Il tempo alla Corte Seelie
scorre in modo diverso.
Elsa
teneva stretta a sé la sorella, che tremava di freddo.
-
Forse sarà il caso di accompagnarvi al villaggio. Avete
bisogno di un posto
caldo.
Anna
aggrottò la fronte. – Sul serio?
-
Sì. Sul serio. – Ippolita guardò le sue
compagne, che stavano perlustrando la
zona con i loro sguardi attenti e guardinghi.
-
Un posto caldo... sì. E non solo un posto caldo, ma anche
del cibo caldo non
sarebbe una cattiva idea. – disse Anna. –
È stato estremamente difficile non
accettare il cibo delle fate. Ci hanno offerto dei sandwitches, capite?
Sandwitches e dolci al cioccolato. Ed io li adoro. I dolci, ma anche
sandwitches. Non so come ho fatto a resistere.
-
Sono felice che abbiate dato retta ai miei avvertimenti e a quelli del
vostro
amico troll – commentò Ippolita. – E per
quanto mi riguarda... non posso
offrirvi dei dolci al cioccolato, ma una cena calda sì.
Forza, seguitemi.
***
Angolo
autrice:
Salve,
salvino. ^_^
Come
al solito aggiungo qualche
piccola nota per spiegare alcune cose:
I Gentiluomini sono personaggi
della serie Buffy,
L’ammazzavampiri. Precisamente
compaiono nell’episodio Hush (L’urlo che uccide, in italiano)
e sono
creature demoniache che strappano i cuori agli umani dopo aver rubato
loro la
voce in modo che non possano gridare.
Nauthannen
i ned ôl reniannen. La
battuta di Oberon significa: “credevo di
essermi smarrito in un sogno”. Appartiene ad Aragorn,
personaggio de Il Signore degli Anelli.
Qui sotto il
dialogo originale tra lui ed Arwen:
arwen: Renich i lú i erui govannem?
aragorn: Nauthannen i ned ôl reniannen.
arwen: “Ti ricordi la prima volta
che ci incontrammo?”
aragorn: “Pensavo di essermi smarrito
in un sogno”
|
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Capitolo 7 *** A Gift or a Curse ***
7
"Devi
imparare a controllarlo. La paura sarà tua nemica”
[Frozen – Il Regno di Ghiaccio, Granpapà]
-
Avete detto che ci stavate
aspettando. Perché? – Elsa parlò alla
regina delle Amazzoni che guidava il
gruppo verso il villaggio, continuando però a perlustrare il
bosco intorno con
lo sguardo, attenta a qualsiasi cosa.
-
Non siete anche voi una regina? –
rispose Ippolita, abbassando la voce per non farsi sentire dalle altre.
-
È solo questo il motivo?
-
No – Ippolita spostò lo sguardo
su di lei per qualche momento, sorridendole. – L’ho
fatto perché pensavo che
fosse giusto. Così ho chiesto alle mie compagne di tenere
d’occhio il lago,
dopo il tramonto. Chi riemerge, riemerge sempre di notte. E onestamente
credevo
che non sareste tornate tanto presto. O che non sareste tornate affatto.
-
Pensavate che... ci avrebbero
trattenute laggiù con la forza?
-
Non con la forza. Ma avrebbero
potuto trattenervi in qualche modo. Facendovi mangiare il loro cibo,
offrendovi... qualcosa in cambio. Le offerte della Corte Seelie sono
molto
generose e molti, in passato, ne hanno approfittato, finendo col
perdersi nel
mondo delle fate.
Anna,
che camminava vicino alla
sorella, continuava a rabbrividire, a lamentarsi del freddo e degli
abiti
bagnati e a sproloquiare proprio per non pensare al fatto che stesse
congelando.
Beh,
non si stava trasformando in
una statua di ghiaccio come le era capitato una volta, ma batteva i
denti e
sognava un bel fuoco, nonché un’enorme tazza di
cioccolata calda. Si ripromise
che, una volta tornata ad Arendelle, la prima cosa che avrebbe chiesto
sarebbe
stata la tazza di cioccolata. Tante tazze
di cioccolata.
Giunte
al villaggio Ippolita fece
accendere un fuoco per loro e fece portare il cervo che aveva cacciato
quella
mattina. Era un bellissimo maschio, robusto e con delle corna maestose.
La
freccia di Ippolita l’aveva colpito dritto al cuore.
Dritto
al cuore, pensò
Elsa.
Credeva
che non avrebbe mai
dimenticato il momento in cui Titania le aveva strappato il cuore dal
petto,
tenendo la sua vita nelle proprie mani.
“Pensavo
l’aveste già capito. Perché credete che
abbia preso questo cuore? Perché,
volendo, potete rinunciarvi per sempre”.
Elsa
guardò sua sorella,
infagottata nei mantelli di pelliccia che le avevano dato per
scaldarsi. Uno
era stato dato a lei, ma non avendone bisogno l’aveva ceduto
ad Anna,
sistemandoglielo intorno al corpo. Si era disfatta le trecce e i suoi
capelli
erano una massa rossa e scompigliata che le ricadeva sulle spalle e
sulla
schiena.
“Se
tenete il vostro cuore, questi sentimenti vi accompagneranno per molto
tempo.
Forse per sempre. Pensate di poterlo nascondere per sempre, Elsa?
Credete di
esserne capace? Scommetto di no. Nessuno ne è
capace”.
Non
sapeva se ne era capace. Ma se
avesse rinunciato al suo cuore avrebbe perso tutto. Non avrebbe sentito
più
niente e sarebbe stato peggio.
Elsa
alzò la testa e colse lo
sguardo di Varja, la scontrosa Amazzone che le aveva spinte ad
attraversare
quel ponte pericolante sospeso sull’abisso. Non perdeva
occasione di fissarle,
anche se non aveva mai rivolto loro la parola da quando erano tornate
al villaggio
e nemmeno si era avvicinata. Il che andava più che bene.
***
Quella
notte Anna sognò di essere
ancora sul ciglio della montagna.
Quando
essa tremò lei cadde e
riuscì ad aggrapparsi alle rocce, ma sapeva che non avrebbe
resistito a lungo. Sentiva
i muscoli delle braccia in tensione, le dita che scivolavano sulla
pietra e
l’aria che crepitava, come se la magia stesse assumendo una
forma concreta
intorno a lei.
Sarebbe
caduta e ad aspettarla ci
sarebbe stata Ingrid.
Si
svegliava sempre nel momento in
cui precipitava e prima di colpire il suolo, per questo fu molto
sorpresa di
vedere una mano che si allungava verso di lei e afferrava la sua,
stringendo
forte e poi tirando.
Belle
era arrivata in tempo,
stavolta. Era arrivata in tempo e la stava salvando. Con i capelli
castani e la
mantella verde che svolazzavano, preda del vento, Belle
l’aiutò ad issarsi e lo
fece come se Anna pesasse quanto una piuma.
-
Oh... Belle – disse Anna,
fissando la ragazza che aveva accompagnato dai troll perché
potessero aiutarla
a recuperare i ricordi che riguardavano la morte della madre.
– Ce l’hai fatta.
Sei... riuscita a salvarmi. Ma tu... tu non sei veramente qui, vero?
Certo, è
ovvio, non puoi essere qui. Questo è un sogno e tu sei a
Storybrooke... o forse
era la Corte Seelie, il sogno?
-
No, Anna, io non sono qui – disse
Belle, sorridendole e prendendole la mano. – E non sono
riuscita a salvarti.
Non sono arrivata in tempo.
-
E allora perché...? È successo
qualcosa a Storybrooke? Sì, qualcosa deve essere successo.
Insomma, avrai
saputo che l’uomo con cui ti sei sposata ha mentito. Su di
me, intendo. Ci
conoscevamo, Belle. Ci siamo conosciuti... molto tempo fa. Non posso
credere
che tu l’abbia davvero sposato, sai?
-
Non devi preoccuparti per me. Io
sto bene.
-
Faccio fatica a crederlo. Pensavo
che l’uomo che ci aveva aiutati a tornare ad Arendelle fosse
una specie di...
fata padrino. Uno disposto ad aiutare. Ho persino detto ad Emma che
avrei tanto
voluto conoscerlo di persona... e poi David ha detto che si trattava di
Tremotino!
-
Anna – disse Belle,
interrompendola. – Un tempo ho sbagliato. Avrei dovuto essere
qui per aiutarti
invece di pensare solo a me stessa.
-
Si trattava dei tuoi ricordi. Io
so cosa significa perderli. E avevi bisogno di risposte. Me
l’hai detto anche a
Storybrooke e lo sai che ti ho perdonata. Non sono mai stata arrabbiata
con te,
ad essere sincera. Se avessi avuto un po’ più di
tempo ti avrei anche detto che
Tremotino è...
-
Le risposte non sono sempre ciò
che cerchiamo. Sei stata tu a farmelo notare. Cerchiamo qualcosa che ci
faccia
sentire meglio.
-
Sì...
-
E quello che hai cercato anche tu
alla Corte Seelie. Non i tuoi ricordi. Non solo. Ma qualcosa che ti
facesse stare
meglio. L’hai trovato?
Anna
non seppe che cosa rispondere.
Rivolse lo sguardo al cielo scuro sopra di lei, poi di nuovo a Belle.
– So che
cos’è successo la sera del matrimonio...
-
Hai trovato una risposta, allora.
Ti fa stare meglio?
-
So che cosa mi fa stare meglio.
Elsa. Elsa mi fa stare meglio. Sapere che è qui con me mi fa
stare meglio. Se
fossi partita da sola... credo che sarebbe stato più
difficile. L’ultima volta
che sono partita da sola non è andata molto bene e non sono
tornata con delle
buone notizie. E c’è qualcos’altro che
mi fa stare bene e non dovrebbe. È
sbagliato, vero?
Non
ottenne una risposta.
Gli
occhi di Belle erano azzurri
come lapislazzuli e Anna vide l’azzurro allargarsi a
dismisura, inondare il
mondo del suo sogno fino a ricoprirlo interamente, come un mare che
avanzava,
placido ma deciso, inghiottendo tutto.
***
Elsa
si svegliò la mattina seguente
quando il sole era già alto.
Le
occorse qualche istante per fare
mente locale e rendersi conto che non si trovava ad Arendelle, ma al
villaggio
Amazzone. Dall’esterno della tenda che Ippolita aveva
riservato per loro udiva
le voci delle guerriere, il rumore degli zoccoli dei cavalli in
movimento, di
sassi che affilavano le lame delle spade o le punte di lancia.
Spostò
lo sguardo sul giaciglio
della sorella e vide che Anna dormiva profondamente. Si era agitata un
po’
quella notte, forse in preda a qualche strano sogno, ma adesso il suo
viso era
rilassato. Un braccio e un piede spuntavano da sotto la coperta. I
capelli
rossi le ricadevano sul volto, scomposti.
Elsa
si avvicinò piano,
inginocchiandosi accanto a lei e le sistemò meglio la
coperta, scostandole
anche qualche ciocca. Anna mugugnò qualcosa, ma non si
svegliò.
“È
vostra sorella la persona
coinvolta. Non vi capirebbero mai, neanche tra mille anni, se vi
scoprissero.
Qual è la pena nel vostro regno per due persone accusate di
intrattenere...
rapporti non consoni al legame di parentela che le lega?
L’esilio? O peggio?”
Elsa
strinse le labbra, riandando con la mente al momento in cui aveva
baciato sua
sorella per la prima volta, nei giardini di Arendelle. E
ricordò anche
l’ultima. Il bacio di Anna in riva al lago. Così
improvviso da lasciarla
stordita.
Appoggiò
una mano sulla testa di Anna, piano, avvertendo il tepore della sua
pelle. Fu
presa dal forte impulso di stringerla fra le braccia, come avrebbe
potuto fare
con una bambina.
Solo
che non voleva svegliarla. Aveva bisogno di riposare, quindi Elsa si
rialzò e
uscì all’aperto.
Il
villaggio ferveva di vita, come sempre. Alcune Amazzoni stavano
strigliando dei
cavalli, altre affilavano le armi, saggiavano le corde dei propri archi
o
fabbricavano frecce, pronte per uscire a caccia. Qualche guerriera,
passandole
accanto, le rivolse un rapido e cordiale cenno del capo. Ippolita non
si vedeva
da nessuna parte. Elsa notò anche che lo scheletro
all’interno della grande
gabbia appesa al ramo dell’albero non c’era
più. Un vero sollievo. Aveva avuto
l’impressione che le orbite vuote di quello che una volta era
stato un uomo la
fissassero.
E
qualcuno la stava effettivamente fissando.
Elsa
abbassò lo sguardo e vide una bambina di forse quattro anni
che la osservava.
La osservava con i suoi grandi occhi neri che potevano essere solo gli
occhi di
Varja e aveva i capelli biondi tutti intrecciati. L’aveva
già vista in braccio
a sua madre, quando lei ed Anna erano arrivate al villaggio come
prigioniere.
Elsa
le sorrise.
-
È vero che sai fare magie con la neve? – le chiese
la bambina a bruciapelo e
come se fosse la cosa più normale del mondo.
Batté
le palpebre, sorpresa. – C-come?
-
Mia madre ha detto che sai fare magie con la neve. Che controlli il
ghiaccio. E
Ippolita ha anche detto che sei una regina, come lei. Le ho sentite.
Elsa
deglutì. Poi si inginocchiò di fronte alla
bambina. – Come ti chiami?
-
Pentesilea. È il nome di una regina amazzone –
disse, raddrizzando le spalle
esili.
-
È un bel nome.
-
Quindi lo sai fare?
Era
sicura che non avrebbe mollato fino a che non avesse ottenuto una
risposta.
-
Sì, lo so fare. – ammise Elsa, riluttante.
-
E anche tua sorella?
-
No. No, mia sorella no.
-
E chi te lo ha insegnato?
-
Non me l’hanno insegnato.
Pentesilea
rifletté qualche istante. – Posso vedere?
-
Vedere?
-
Come controlli il ghiaccio. Me lo fai vedere?
Elsa
restò interdetta. La bambina glielo aveva domandato senza
alcuna traccia di
imbarazzo. La sua sembrava la pura e semplice curiosità di
chi aveva solo
sentito parlare della magia, ma non aveva mai visto nulla di magico
prima
d’ora.
-
Oh, beh... credo che non sia una buona idea. – rispose Elsa.
-
Ma io non ho paura. Un giorno diventerò
un’Amazzone come mia madre e lei non ha
mai paura.
Avrebbe
dovuto dirle di no. Avrebbe dovuto dirle che non poteva farlo. Aveva
imparato a
controllare i suoi poteri anche grazie ad Ingrid, ma era comunque
restia a
mostrarli ad una bambina così piccola.
Una
bambina che la guardava con grandi occhi pieni di speranza e interesse.
Come se
già la trovasse speciale.
-
Va bene – acconsentì Elsa.
Gli
occhi di Pentesilea scintillarono e il sorriso le illuminò
il volto rendendola
ancora più dolce e adorabile.
Elsa
aprì la mano, rivolgendo il palmo
all’insù.
Per
qualche momento non accadde niente. Poi vi fu uno sfavillio
biancoazzurro e
comparve un grande cristallo di ghiaccio che fluttuò sospeso
sulla mano della
regina di Arendelle.
-
Oh... – fece la bambina, stupita. Non provò
nemmeno a toccare il cristallo, ma
avvicinò il viso ad esso e lo scrutò affascinata,
inclinando la testa di lato. –
È... così bello.
Il
cristallo ruotava, ammiccando. Si rifletteva negli occhi di Pentesilea,
conferendo loro una nuova lucentezza.
-
Come riesci a farlo? Pronunci una formula magica? –
domandò la bambina,
continuando a fissare il risultato di quella magia.
-
No... io non...
-
CHE COSA STAI FACENDO? STAI LONTANA DA
MIA FIGLIA! – L’urlo che
spezzò la sua risposta fu seguito da una feroce
imprecazione e, un attimo dopo, Varja piombò su di loro come
un uccello del
malaugurio. Afferrò la figlia, prendendola in braccio e
ignorando le sue
proteste e rivolse ad Elsa uno sguardo pieno di furia. Il nero dei suoi
occhi
bruciava. Teneva la mano libera sull’impugnatura della sua
ascia.
Altre
Amazzoni, attirate dalle grida di Varja, si misero ad osservare la
scena,
mormorando.
-
Mi... mi dispiace. Non volevo farle del male... –
farfugliò Elsa.
-
Questo lo dici tu – Varja si fece più vicina.
– Ho visto che non sai
controllare bene questo tuo... potere. Avresti potuto ferire mia figlia!
-
Non è vero, non avrei mai ferito la bambina.
-
Mamma, mi ha fatto vedere il cristallo di neve. Era bello! –
intervenne
Pentesilea.
Varja
la consegnò all’Amazzone Asteria, una delle
guerriere che avevano scortato le
sorelle al villaggio, e quest’ultima si allontanò
con Pentesilea che ancora
scalciava e agitava i pugni.
-
Non avvicinarti mai più a mia figlia. –
sibilò Varja, puntando un dito contro
di lei. – Posso accettare che tu rimanga qui con... tua
sorella... perché
Ippolita ha deciso così. Ma mia figlia... non devi nemmeno
provare ad alzare un
dito su di lei o la pagherai cara.
Anna,
svegliata dal trambusto, uscì per vedere che cosa stesse
succedendo. I capelli formavano
una matassa rossa e disordinata che ricadeva sulle spalle e negli
occhi. Se li
scostò dal viso. Aveva ancora la mente annebbiata dal sonno,
ma non appena
guardò Elsa e notò gli innumerevoli fiocchi
bianchi che le danzavano attorno
batté le palpebre e tornò ad essere
più che lucida.
-
Elsa... cosa succede? – Lanciò
un’occhiata di sottecchi a Varja.
Sua
sorella aprì la bocca per rispondere, ma lo sguardo
accusatore dell’Amazzone,
uno sguardo che aveva già visto altre volte su altre facce,
glielo impedì ed
Elsa corse via.
-
Elsa! Aspetta! – gridò Anna.
-
Ecco, seguila – disse Varja, togliendo la mano
dall’ascia. – Seguila e dille di
tenere a bada il suo potere. Lo stava usando davanti a mia figlia. Non
so
cos’avesse in mente, ma...
Anna
si voltò, fissando i suoi occhi sbarrati
sull’Amazzone. – Elsa non avrebbe mai
fatto niente di male a tua figlia! Non so che cosa tu
pensi che lei avesse in mente, ma... beh, dimenticatelo!
-
Non credo di potermi dimenticare che già una volta ha
tentato di ridurci a
tante statue ghiaccio.
-
Perché pensava che ci steste attaccando! Voleva proteggere
me. Lei non usa il
suo potere per fare del male! Di certo non l’avrebbe mai
usato contro una
bambina.
-
Non sa controllarlo. Me ne sono resa conto! – Varja aveva
quasi annullato lo
spazio che la separava da Anna. Era più alta di lei. Il viso
aguzzo, con le
guance leggermente incavate, era atteggiato in un’espressione
di sfida
mescolata allo scherno e al disprezzo. Gli occhi erano due buchi
scurissimi e
risucchianti, minacciosi come tenebre incombenti.
-
Sa controllarlo, invece! È più brava di quello
che pensi.
-
Tu sei sua sorella – osservò Varja. – O
almeno... è quello che continui a
ripetere. Avrai vissuto a lungo con lei e avrai imparato ad accettare
il suo...
il suo essere contro natura. Ippolita ha anche detto che Eiry
è una regina. Qui
non lo è. Qui c’è già una
regina e lei non può permettersi di...
...il
suo essere contro natura.
Anna
aveva smesso di ascoltarla a questo punto. Il sangue le
affluì alle guance. Le
andò alla testa. Dimenticò di usare il falso nome
della sorella quando parlò di
nuovo. – Elsa non è contro natura! Se vuoi proprio
saperlo, sì sono sempre
vissuta con lei e non ho mai voluto una sorella diversa! E a ben
pensarci, se
qui c’è qualcuno contro
natura quella
non è certo Elsa!
Le
Amazzoni che stava assistendo alla scena smisero di borbottare.
L’aria si fece
ancora più tesa, pesante, densa di cattive intenzioni.
Varja
non le staccò lo sguardo di dosso, uno sguardo ridotto a due
fessure nere.
Quando parlò la sua voce suonò bassa e fredda.
– Se sapessi usare un’arma ti
darei una lezione, Joan. O forse
dovrei dire Anna. Ti farei capire che non ti conviene rivolgerti a me
così.
-
Io la so usare un’arma! So usare la spada. Me
l’hanno insegnato i miei soldati.
Vuoi che te lo dimostri? Dicono che io sia abbastanza brava.
– Comprese di
essersi messa nei guai nel preciso istante in cui pronunciò
queste parole. Ma
era troppo tardi.
-
Tu sapresti usare la spada... ma davvero? – Varja sorrise.
– Sentito che cos’ha
detto questa ragazzina? Sa usare una spada! Dategliene una, forza!
Le
guerriere schiamazzarono un po’. Poi qualcuno
lanciò una spada che cadde a
pochi passi da Anna.
-
Prendi quell’arma e fammi vedere quanto sei brava –
disse Varja, facendosi
consegnare una spada dalla lama corta che impugnò e
mulinò sopra la testa con
estrema destrezza. I muscoli delle sue braccia guizzarono.
-
Varja... io credo che non dovresti – disse Agave, mettendole
una mano sul
braccio. – Ippolita non approverà.
-
Ippolita non è qui. E la fanciulla è stata
così poco astuta da sfidarmi. Che si
faccia avanti.
In
effetti Ippolita era uscita a caccia quella mattina e non era ancora
tornata.
Anna
prese la sua spada e la strinse saldamente. Il cuore batteva come una
grancassa. – Va bene. Anch’io voglio vedere che
cosa sai fare.
-
Non montarti troppo la testa. Ero molto più giovane di te
quando ho preso in
mano la mia prima arma.
-
Che ne sai di quanti anni avevo io quando ho imparato?
Varja
si scagliò con forza contro di lei, ringhiando come un lupo
che si getta contro
l’ambita preda. Anna arretrò di un passo, rispose
all’assalto e assestò un
fendente a due mani. L’Amazzone lo parò e rispose
con un colpo ben assestato.
L’urto la fece barcollare per un momento e Anna
sentì una potente scossa
risalire su per il braccio.
Se
si aspettava che Varja fosse soprattutto molto aggressiva e che
ciò l’avrebbe
portata a stancarsi presto, si sbagliava. La sua rapidità fu
una spiacevole
sorpresa.
Girarono
l’una intorno all’altra, scambiandosi una serie di
colpi. Entrambe restituivano
quello che ricevevano. All’inizio le guerriere che
assistevano allo scontro
incitavano la loro compagna, ma pian piano si zittirono tutte.
Anna
bloccò un altro fendente così forte da strapparle
un gemito e intorpidirle il
braccio. Puntò alle gambe dell’Amazzone che si
tirò indietro agilmente. Allora
tentò un colpo al polpaccio, ma Varja evitò la
lama e provò un affondo che
costrinse Anna ad arretrare ancora.
Oh,
perbacco, pensò,
avvertendo il freddo morso della lama.
L’Amazzone
la pressò. Era troppo forte e troppo veloce, ma Anna non
cedette. Continuò a
combattere, continuò a sferrare colpi e a parare quelli
della guerriera. Era
stanca, ormai. Varja aveva il respiro affannato a sua volta, ma non
sembrava
affatto intenzionata a mollare.
Un
ultimo colpo di rovescio di Varja la disarmò. La guerriera,
invece di mettere
fine al duello puntandole contro la spada, si lanciò in
avanti e addosso
all’avversaria. Caddero insieme, con le gambe intrecciate,
rotolando per un
breve tratto. Varja la colpì al mento, un manrovescio che le
fece vedere tutte
le stelle del firmamento. Anna cercò di divincolarsi e
pestò il proprio pugno
chiuso contro la sua spalla. In tutti quei movimenti furibondi Varja,
che aveva
perso la spada, finì sopra di lei e le serrò il
colletto della camicia,
spingendola contro il terreno.
-
Tutto sommato non combatti poi così male –
osservò l’Amazzone, respirando a
fatica. – Ma non è abbastanza. Fossimo in
battaglia a quest’ora saresti morta,
perché ti avrei tagliato la gola.
Anna
avrebbe voluto risponderle, ma le ronzava la testa e aveva la bocca
piena di
sangue. Anche il mento le faceva male, nel punto in cui Varja
l’aveva colpita.
L’Amazzone
si alzò, guardandola dall’alto, mentre Anna si
girava a fatica su un fianco e
si sollevava.
-
Avrei voluto che cadessi di faccia, così avresti assaggiato
la polvere. Sarebbe
stato più divertente. – continuò Varja.
E
stava per aggiungere qualcos’altro quando una mano
l’afferrò per i capelli,
tirandole indietro la testa. Varja lanciò un grido, colta
alla sprovvista e
alzò le braccia per difendersi.
Ma
incrociò lo sguardo severo della regina Ippolita.
Se
gli occhi di Varja erano neri e furenti, quelli di Ippolita parevano di
un
verde più acceso ed intenso del solito. Teneva le labbra
strette, la bocca
ridotta ad una linea piatta. Le dita stringevano le ciocche scure della
compagna, che si era zittita e la fissava, in attesa.
-
Ippolita... – cominciò Varja.
La
regina la lasciò andare all’improvviso e poi la
schiaffeggiò brutalmente. – Ti
avevo chiesto di controllarti e mi avevi detto che l’avresti
fatto.
-
Sua sorella si è avvicinata a mia figlia. Ha usato il suo
potere davanti a lei.
Poteva farle del male!
-
Avresti dovuto portare via Pentesilea e basta, non metterti a
combattere. Loro
non sono nostre nemiche! – Prese Varja per la mascella,
avvicinando il viso al
suo. – Adesso sparisci!
-
Anna!
Anna
pensò che la voce di Elsa fosse soltanto nella sua testa. Le
sembrava che si
frammentasse, disperdendosi nella mente confusa dai colpi ricevuti come
una
lunga eco.
Varja
gridò di nuovo. Anna ebbe il tempo di vedere i piedi della
guerriera che
rimanevano intrappolati nel ghiaccio, ghiaccio che le morse le
caviglie. Imprecò,
spingendo e strattonando nel disperato tentativo di liberarsi. Ippolita
guardò
la scena, incredula. Le altre Amazzoni indietreggiarono
precipitosamente, forse
credendo che il gelo si sarebbe allargato, espandendosi per acchiappare
anche
loro.
Poi
Elsa fu accanto di lei e la strinse in un abbraccio protettivo.
-
Elsa... – mormorò Anna, appoggiando la testa
contro il suo petto.
-
Tranquilla, Anna... ci sono io.
-
Liberami subito! – ordinò Varja.
Elsa
non le diede retta. Si formò del ghiaccio anche sotto i suoi
piedi. Avrebbe
potuto trattenere il potere, ma era troppo angosciata per riuscirci.
Era
scappata in fretta e furia, con le parole di Varja che le rimbombavano
dentro.
Scappata per non sentire altre accuse. Scappata com’era
scappata quando aveva
scoperto cosa conteneva il diario di sua madre. E quando aveva udito il
trambusto e le grida furiose di Varja aveva capito che stava succedendo
qualcosa di brutto.
-
Va tutto bene – ripeté.
-
Elsa – disse Ippolita, con una voce più calma.
– Elsa, liberala.
La
regina di Arendelle alzò la testa.
-
Liberala – ripeté Ippolita. – Ci penso
io.
Elsa
chiuse gli occhi per qualche istante. Poi allungò una mano
verso Varja. Sprizzò
un fascio di luce azzurra che costrinse l’Amazzone a serrare
le palpebre. Il
ghiaccio si ruppe e Varja barcollò in avanti.
***
-
Uscirà un livido, secondo te? – domandò
Anna, toccandosi il mento dolorante. –
Beh... voglio dire, sì, ovvio che uscirà un
livido, mi ha dato un pugno in
faccia. Sarà di certo un livido molto evidente. Un altro. Ho
perso il conto dei
lividi, ormai.
Elsa
non rispose. Aveva preso un panno bagnato e glielo aveva passato sul
viso,
indugiando nel punto in cui Varja l’aveva colpita, non senza
chiederle
continuamente se stesse bene o se sentisse dolore da qualche parte.
Adesso
stava semplicemente in piedi davanti a lei, abbracciando se stessa,
l’espressione
tesa.
-
Credi che Ippolita darà una lezione a Varja?
Perché se lo meriterebbe. Varja,
intendo. Sai, ha una di quelle facce che sembrano dirti: ti prego,
dammi un
pugno perché me lo merito.
Elsa
restò in silenzio.
-
Elsa? Per favore, puoi dire qualcosa? Anche che sono stupida, ma almeno
parla.
-
Non avresti dovuto farlo – le rispose di getto, senza
guardarla.
-
Sì... forse è vero.
-
Oh, forse?
-
Elsa, tu non hai sentito che cosa mi ha detto.
Elsa
sorrise, amaramente. – Posso immaginarlo.
“Tu
sei sua sorella. O almeno è
quello che continui a ripetere. Avrai vissuto a lungo con lei e avrai
imparato
ad accettare il suo... il suo essere contro natura”.
-
Beh, era troppo... e poi mi considerava un’incapace. Adesso
credo che sappia
che non lo sono. Le ho dato una lezione, no? D’accordo, mi ha
disarmata, è più
veloce di me ed è più forte, ma si aspettava di
battermi subito. Non mi ha
creduto quando le ho detto che sapevo usare la spada.
Elsa
abbassò lo sguardo sulle proprie mani. – Mi
dispiace così tanto...
-
Ti... cosa? Ti dispiace per cosa?
Sua
sorella sembrò farsi avanti come per toccarla, poi
sembrò ripensarci. Si
comportava come se non avesse idea di come lei avrebbe reagito a
ciò che stava
per dire. – Per averti ferita. È colpa mia.
Anna
era sinceramente sconcertata. – Che?
C’è... qualcosa che mi sfugge, perché
è
stata Varja a ferirmi, non tu.
-
È colpa mia. – ripeté. Le si
spezzò il fiato. – Non avrei dovuto mostrare il
mio potere a quella bambina. Me l’ha chiesto lei ed io... io
non dovevo.
-
Non hai fatto niente di male, Elsa. Niente. – Anna
allungò le mani e prese le
sue, attirandola più vicina a sé. - Non volevi
ferire nessuno. Io ne sono
sicura e sono anche sicura che lo pensino tutti. Tutto il villaggio.
Beh... a
parte Varja, ma lei non conta.
-
Non credo sia così, Anna.
-
Se anche non lo pensano tutti, Ippolita lo pensa e lei è la
regina! Lo farà
capire alle altre. E in ogni caso ti assicuro che non hai nulla di cui
rimproverarti.
Elsa
sciolse una mano dalla stretta e gliela mise sulla guancia. –
Sono fortunata ad
avere una sorella così fiduciosa.
-
Dovresti esserlo anche tu.
-
Così fiduciosa... e così folle.
Appoggiò
la mano sulla sua. - Mi piacciono le follie. E poi nessuno
può permettersi di
insultare mia sorella e di passarla liscia.
Elsa
l’abbracciò, stringendola forte. Anna le
posò qualche istante il viso contro la
spalla, crogiolandosi in quella stretta.
-
Ho pensato di farlo, sai? – mormorò Elsa, ad un
certo punto, senza staccarsi da
lei.
-
Che cosa?
La
sorella fece una pausa tanto lunga da farle pensare che non avesse
neppure
parlato. Stava per chiederle di nuovo che cosa intendesse, quando
sentì le sue
dita spostarsi dalla schiena alla nuca, sotto i capelli, accarezzandola
in modo
incerto. Anna deglutì. Le formicolava la pelle nel punto in
cui la stava
toccando e le batteva un po’ più forte il cuore.
-
Rinunciare al mio cuore – rispose Elsa. La lasciò
andare e le braccia ricaddero
lungo i fianchi. – Titania... voleva che rinunciassi al mio
cuore.
-
Sì, l’avevo immaginato. Quello che ho visto quando
sono rientrata in quel
salone mi è bastato.
-
Mi ha detto... che sarebbe stata una soluzione. Così avrei
smesso di sentire...
quello che sento.
-
E che fine avrebbe fatto il tuo cuore, nel frattempo?
-
Sarebbe rimasto alla Corte Seelie. Titania diceva che sarebbe stato al
sicuro. Ma
il punto è che... che io ci ho pensato. Ho pensato di
rinunciare al mio cuore.
Per un attimo ho creduto... che fosse giusto.
Così non avrei più...
Non
avrei più provato queste cose
per la mia stessa sorella. Ma
non c’era bisogno che finisse la
frase.
-
Ma non hai rinunciato. È questa la cosa più
importante. Non l’hai fatto. – Anna
le premette una mano all’altezza del cuore, sentendolo
battere. – È ancora qui,
dove dovrebbe essere. E dove resterà.
-
Non avrei potuto rinunciarvi. Non avrei più sentito niente,
per nessuno.
Nemmeno per te. Perdere tutto sarebbe stato peggio.
-
Oh, sì, molto peggio. Sono d’accordo.
-
Sarei diventata una persona orribile.
-
No. – Anna scosse il capo. – Non saresti diventata
orribile. Tu non puoi essere
orribile. Saresti stata solo... diversa, magari. Non so quanto diversa
né in
che modo. Saresti... cambiata. Con Kristoff, con me, persino con
Sven... ma
orribile no. La cosa orribile sarebbe stata... non vedere
più quello che vedo
adesso. Il modo in cui mi guardi... non sarebbe più stato lo
stesso. E non
credo che mi sarebbe piaciuto.
Elsa
sorrise. Sorrise anche se era in preda ad un’emozione quasi
troppo violenta per
lei.
“Il
modo in cui mi guardi... non
sarebbe più stato lo stesso”.
-
E comunque anch’io ci ho pensato. – aggiunse Anna,
di getto.
Le
rispose cercando di controllare il tremito della voce. - Oberon voleva
che tu
rinunciassi a qualcosa? Al tuo cuore?
-
No. Oberon voleva che io... che noi rimanessimo alla Corte Seelie. Per
un po’ o
per sempre, ma voleva che restassimo. Capisci? Mi ha chiesto di non
tornare ad
Arendelle. Il che è assolutamente folle... va bene, mi
piacciono le follie, ma
questo è troppo... troppo folle e basta. E poi so
perché voleva questo. Ha
parlato tanto di aiutarci, di generose offerte... ma in
realtà era per te. Così
avrebbe potuto averti sotto gli occhi tutti i giorni per
chissà quanto tempo!
Elsa
parve sorpresa. – E tu...?
-
Beh, sono qui. Però credo di averci pensato. Solo per
qualche secondo. Per
pochissimo! Ma ci ho pensato. E non avrei dovuto, è orribile
pensare ad una
cosa del genere. Non possiamo abbandonare Arendelle. Tu sei la regina e
il
regno ha bisogno di te. Ed io...
“...
e poi Kristoff... lui verrebbe
a cercarmi! Ed io non intendo abbandonarlo. L’ho appena
sposato e lo amo”.
“Non
ho mai detto che non lo amate.
Ma ammetterete che i sentimenti che vi legano a vostra sorella siano
molto
forti”.
-
Io sono tua sorella, Arendelle è casa mia e non potrei
abbandonare Kristoff. E
nemmeno Sven. Anche se è solo una renna penso che sentirebbe
la mia mancanza. E
anche la tua! – precisò Anna. – E non
sopporterei di vedere Oberon e quel suo
folletto tutti i giorni. Scommetto che Puck avrebbe combinato un sacco
di
pasticci. Ci avrebbe fatto finire in qualche guaio.
Era
stata molto più che tentata dalla proposta di Oberon, in
realtà. Per qualche
momento il profumo di rose emanato dal re degli elfi, la strana
lucentezza dei
suoi occhi azzurri e il potere contenuto nelle sue parole le avevano
annebbiato
la mente. Si era immaginata con Elsa alla Corte Seelie, immersa in
quell’atmosfera magica, fatata, circondata da quelle creature
svolazzanti e
dalla risata tintinnante e da quegli esseri piccoli e scuri che Oberon
aveva
chiamato Brownies. Si era immaginata tra le braccia di Elsa senza
nessuno che
le guardasse in modo strano, come se ciò che le legava non
fosse stato un
sentimento totalmente sbagliato, ma qualcosa che potevano vivere
liberamente.
Ed
era tornata bruscamente in sé. Non potevano farlo. Non
potevano... e basta.
-
Penso che Oberon ti abbia detto qualcosa come... sei bella come un
sogno –
disse Anna.
-
Quando?
-
Prima che ce ne andassimo. Quella frase in elfico... ho riconosciuto la
parola sogno. Sai, ho letto
praticamente tutto
ciò che c’è nella biblioteca del
palazzo e mi è capitato di trovare delle
parole elfiche... alcune me le ricordo. La parola ôl...
dovrebbe voler dire sogno. Quindi
conoscendolo potrebbe averti detto che sei bella come
un sogno. – Anna aveva assunto un cipiglio seccato. E aveva
ancora la mano
appoggiata al suo petto.
Elsa
incrociò i suoi occhi. - Non importa quello che
ha detto Oberon.
-
Davvero non importa? – Batté le palpebre e
rifletté. - Cioè... a me non importa.
Però se nemmeno a te importa... beh, mi
fa piacere, ecco.
Sorrise,
divertita. – No. Non mi importa.
***
Dopo
il tramonto le fiaccole si accesero lungo i
confini del villaggio. Alcune Amazzoni si prepararono a montare la
guardia,
altre invece si ritirarono o sedettero intorno al fuoco.
Ippolita
era nella sua tenda, impegnata ad affilare
la punta dei suoi sai con una pietra e a pensare a quello che era
accaduto quel
giorno, quando Varja entrò senza essere annunciata. Aveva
l’aria avvilita, la
fronte aggrottata ed era senza armi, fatta eccezione per la frusta che
teneva
in mano.
-
Cosa vuoi? – domandò Ippolita, senza nemmeno
alzare gli occhi e senza interrompere ciò che stava facendo.
Varja
rimase in silenzio.
-
Se sei venuta per recriminare o per chiedermi di
punire Anna o sua sorella, sappi che non accadrà. Sei tu
quella che merita un
castigo.
-
Lo so. È per questo che sono qui. –
Avanzò di
qualche passo e le porse la frusta dalla parte del manico.
Ippolita
la fissò. – Che cosa fai?
-
Tu sei la regina ed io non ti ho ascoltata. È
giusto che tu mi punisca. – Le tremava la voce, mentre lo
diceva. Era molto
orgogliosa, Varja, oltre che molto impetuosa. Lo era sempre stata, fin
da
ragazzina. Una ragazzina che era consapevole di essere stata
abbandonata dalla
propria madre nel bosco quando era ancora in fasce. Una ragazzina con
molta
rabbia in corpo. Forse la rabbia veniva dal pensiero di essere stata
rifiutata.
O forse era solo qualcosa che apparteneva a Varja. Aveva contestato gli
ordini
altre volte, sebbene non avesse mai davvero disobbedito né
messo in discussione
l’autorità della sua regina.
-
Giusto? La mia collera non ti basta? – domandò
Ippolita, alzandosi e afferrando la frusta. La soppesò
qualche istante e poi la
srotolò.
-
La tua collera è già molto, il modo in cui mi
guardi mi ferisce... ma se io fossi la regina punirei me stessa. Anche
se... io
non posso pentirmi. Sono sicura che se tornassi indietro rifarei
ciò che ho
fatto.
-
Non ne dubito.
-
Credevo che quella... Eiry, Elsa o in qualunque
modo si chiami... fosse pericolosa. Penso ancora che lo sia. Il suo
potere... a
volte non è in grado di controllarlo. L’ho visto.
E non avrebbe dovuto
mostrarlo a mia figlia.
-
Non voleva farle del male. E credo che per lei sia
difficile controllare il proprio potere quando ha paura. Quando ha
paura per
qualcuno, soprattutto. – Non guardava Varja. Osservava la
frusta. La esaminò,
come se volesse accertarsi che fosse l’arma giusta da usare
per punire una
giovane Amazzone troppo impulsiva e aggressiva come lei.
-
E Anna mi ha provocata.
-
E tu hai provocato Anna. – Ippolita spostò gli
occhi su Varja. – Si vede che non sa resistere alle
provocazioni. Proprio come
te.
-
Ho cercato di stare alla larga da quelle due, va
bene? Ho provato ad ignorarla. Ma quando l’ho vista usare
quel potere davanti a
Pentesilea... ho temuto per mia figlia. Ippolita, non è una
cosa normale. Non
riesco a vederla come una cosa normale.
-
No, non lo è. Ma Elsa non ha chiesto di nascere
con quel potere.
-
Può essere stata maledetta.
-
Non è una maledizione. Lei è così.
Me l’ha detto.
-
Ti fidi davvero così tanto di quello che dice?
-
Sì. Non mente. Può aver mentito sul suo nome e su
quello della sorella, ma non sul suo... dono.
Varja
era allibita. - Adesso lo chiami dono?
-
Immagino che molti lo considerino un dono. Altri una maledizione. Forse
è
entrambe le cose. – Ippolita avanzò di un passo.
– Quando l’hai scortata fino
al villaggio e mi hai parlato del suo potere ho pensato che lei
fosse... la
Regina delle Nevi. La donna che aveva congelato un intero regno per
trent’anni.
Ma parlandole ho capito che non poteva trattarsi della stessa persona.
La
Regina delle Nevi lo fece di proposito e avrebbe fatto la stessa cosa a
questo
posto. Avrebbe ridotto tutte noi all’impotenza. Elsa ha solo
un potere identico
al suo.
-
Sì, ma...
Ippolita
fece schioccare la frusta.
I
primi due colpi sfiorarono Varja, smuovendo l’aria e
agitandole qualche ciocca
di capelli. Il terzo colpo schioccò sopra la sua testa e il
successivo quasi la
raggiunse al viso, tanto che Varja chiuse gli occhi, preparandosi al
dolore.
Invece non arrivò. Poi la frusta si avvinghiò
alle sue gambe. Ippolita tirò
verso di sé e Varja cadde, con un grugnito.
Silenzio.
Varja
si sollevò sui gomiti, guardando la regina con gli occhi
sgranati, il respiro
affannoso, quasi fosse reduce da un altro combattimento.
Ippolita
gettò via la frusta. – Avrei potuto riempirti la
schiena di frustate. Ne avevo
molta voglia. Ma non desidero che tua figlia veda i segni. E non penso
tu abbia
bisogno delle mie frustate. Domani porterò qualcun altro a
caccia con me. Anche
nei giorni a venire, fino a quando non deciderò che ti
voglio ancora intorno.
-
Sono la più abile, a caccia. – osò
protestare Varja.
-
Sei la più abile in molte cose. – Le
offrì la mano e l’aiuto ad alzarsi. Ma la
spinse subito lontano da sé. – Adesso fuori.
***
Angolo
autrice:
Ecco
qua un nuovo capitolo. Mi ha fatto sudare abbastanza quindi spero che
il
risultato sia soddisfacente.
Ci
tengo a precisare che ci sono dei riferimenti a Frozen. La battuta di
Elsa,
“Tranquilla, Anna. Ci sono io”, viene dal cartone
animato e anche il modo in
cui Elsa abbraccia la sorella.
Come
scritto precedentemente, Oberon ha detto ad Elsa: pensavo
di essermi smarrito in un sogno. Ma Anna ha ragione. La
parola ôl
significa proprio
“sogno” in elfico. Me l’ha insegnato
Tolkien.
|
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Capitolo 8 *** Blackrose ***
8
“Ahimè, da quanto ho potuto leggere o udire di
racconti e
storie vissute,
la strada del vero amore non è mai piana”
[William
Shakespeare,
Sogno di una Notte di Mezza Estate]
Elsa
ed Anna lasciarono il villaggio Amazzone il giorno seguente, poco dopo
il
sorgere del sole.
Ippolita
le condusse presso il fiume e disse loro di costeggiarlo, seguendone il
corso
verso sud per raggiungere il villaggio più vicino e quindi
il porto, dove si
sarebbero imbarcate per tornare a casa. Nessuno accennò a
ciò che era accaduto
con Varja, che non si era vista da nessuna parte. Ippolita era
affiancata da
due giovani guerriere che non dicevano una parola, ma stavano ben
attente a non
abbassare mai la guardia.
-
Grazie per tutto ciò che avete fatto – disse Elsa
alla regina, prima che si
congedassero.
-
Non dovete ringraziarmi. Avrei voluto evitarvi qualche... fastidio. Ma
sono
lieta che abbiate trovato quello che stavate cercando.
Anna
pensava che Varja non fosse un semplice fastidio. Ovviamente le era
uscito un
bel livido sul mento, un livido che adesso era di un interessante
tonalità
violacea.
-
Mi dispiace per quello che è successo con la mia mamma. Non
volevo che si
arrabbiasse. – aveva detto Pentesilea quella mattina, quando
le aveva viste
andarsene con Ippolita.
-
Non importa. Non è stata colpa tua. – le aveva
risposto Elsa, sorridendole.
-
Mi ricorderò della magia che mi hai fatto vedere. Del
cristallo di neve. Era
bello...
Elsa
le aveva posato una mano sulla testa.
-
Se seguirete il corso del fiume come vi ho detto entro la fine della
giornata
sarete al villaggio. Non deviate per nessuna ragione. Potreste finire
nel
territorio dei troll.
-
Troll? Da queste parti ci sono dei troll? –
domandò Anna.
-
Ce ne sono. E non dei simpatici troll di roccia come quelli che dite di
conoscere. – Ippolita sollevò le spalle.
– Fate come vi ho detto e non avrete
problemi.
Non
ne ebbero, in effetti. Proseguirono per diverse ore accompagnate dal
rumore
delle scroscianti acque del fiume e da fruscii provenienti dal
sottobosco. Anna
camminava accanto ad Elsa, a volte tenendola per mano, a volte
consultando la
mappa che le aveva dato Gran Papà. Naturalmente chiacchierava a ruota libera
per sopprimere la
solitudine che le circondava, anche se badava a non accennare al suo
scontro
con Varja o alla Corte Seelie. Elsa l’ascoltava,
però i suoi pensieri tendevano
a perdersi. La mente vagava dietro ai ricordi ritrovati e legati alla
sera del
matrimonio, nonché a ciò che si erano dette dopo
il combattimento contro
l’Amazzone.
“Beh,
sono qui. Però credo di averci pensato.
Per pochissimo! Ma ci ho pensato. E non avrei
dovuto, è orribile
pensare ad una cosa del genere. Non possiamo abbandonare
Arendelle”.
No.
Lei era una regina e non poteva
abbandonare il regno. E Anna non poteva abbandonare Kristoff.
“Oberon
mi ha parlato del marito di Anna... quel... credo che sbagli di
proposito il
suo nome. Mi ha detto che tutto sommato è un uomo gentile e
che ama molto
vostra sorella. Li avrete sotto gli occhi tutto il tempo. Direi che la
situazione non potrebbe essere più miserevole,
Elsa”.
Chissà
per quanto tempo avrebbe
ricordato gli occhi penetranti e antichi della regina Titania. Per
quanto tempo
avrebbe continuato a pensare al proprio cuore pulsante nella sua mano.
Alla sua
offerta. Non aveva rinunciato al suo cuore ed era sicura che, tornando
indietro, avrebbe rifatto la medesima scelta. Ma era inevitabile
pensarci.
“La
cosa orribile sarebbe stata...
non vedere più quello che vedo adesso. Il modo in cui mi
guardi... non sarebbe
più stato lo stesso. E non credo che mi sarebbe
piaciuto”.
Non
riusciva ad immaginare di poter guardare sua sorella in un modo diverso
da come
la guardava. Magari non sarebbe diventata una persona orribile, ma
sarebbe
stato orribile non provare più niente per nessuno.
Sarebbe
stato orribile non provare più niente per Anna
***
Verso
il tramonto gli alberi
iniziarono a diradarsi, comparve un sentiero, che si allargò
a mano a mano che
procedevano, mentre il fiume curvava verso sinistra. Presto il sentiero
sbucò
sul villaggio attaccato al porto dov’erano approdate giorni
prima. Il posto
brulicava di vita, sembrava un formicaio in piena attività.
Il mare era
un’immensa distesa azzurra che si perdeva in lontananza, fino
a fondersi con il
cielo sulla linea dell’orizzonte.
Al
molo erano ancorate molte navi e
sulle passerelle una fiumana di gente si dava da fare per spostare,
caricare e
scaricare casse molto pesanti, lanciando ogni tanto colorite
imprecazioni.
Risuonavano ordini impartiti a gran voce, grida di incoraggiamento e
regnava
ovunque una notevole frenesia.
Anna
non si aspettava di trovare il
mercantile che le aveva portate a Misthaven. Il capitano aveva detto
loro che
avrebbe potuto aspettarle per alcuni giorni, ma era passata oltre una
settimana. Tuttavia chiese comunque qualche informazione per capire se
la nave fosse
effettivamente partita.
-
È partita due giorni fa – disse
loro l’uomo al quale si rivolsero. Anna immaginava che fosse
il capitano del
vascello che stava osservando con grande orgoglio, le mani piantate sui
fianchi, prima che lei gli rivolgesse la parola. – Ho avuto
l’impressione che
stesse aspettando qualcuno, a dire il vero. Siete arrivate un
po’ tardi.
-
Già – ammise Anna. – E che voi
sappiate non c’è nessuna nave diretta... beh, a
nord?
-
Quanto a nord, dolcezza? – chiese
l’uomo, squadrandola con i suoi occhi grigi. Aveva le spalle
larghe, braccia
forti e i capelli lunghi, neri come l’ala di un corvo, legati
con un laccio.
Doveva aver superato da poco i quaranta inverni.
Vi
fu una breve esitazione.
-
Ad Arendelle – disse Elsa, alla
fine. Non potevano rivelare chi erano, ma non pensava che non dovessero
rivelare anche da dove provenivano. La parte più rischiosa
del loro viaggio
ormai era dietro di loro. – Veniamo da Arendelle.
-
Un posto freddo. E molto a nord.
Beh, a parte il mio vascello, direi che non c’è
nessuna nave che fa rotta verso
Arendelle o verso nord.
-
Bene! – esclamò Anna. – Allora
potete darci un passaggio?
-
Un... cosa?
-
Un passaggio. Avete appena detto
che la vostra nave è diretta ad Arendelle.
-
Non è diretta ad Arendelle,
carissima. Approda alcune leghe più a est di Arendelle.
Avreste comunque
bisogno di un cavallo una volta giunte laggiù... o di una
renna. Sarà più
facile per voi trovare una renna, credo.
-
Abbiamo anche dei cavalli ad
Arendelle. E lo troveremo, se ci servirà. Anche se le renne
non sono affatto
male. Io conosco una renna...
-
Non vi do nessun passaggio. –
L’uomo incrociò le braccia al petto, lanciando
un’occhiata alla sua
imbarcazione. Era un grande e robusto vascello con tre alberi e le vele
legate
da funi. A prua faceva bella mostra di sé una figura
femminile intagliata nel
legno, con la chioma al vento e le braccia allargate, quasi volesse
abbracciare
tutto il mondo.
-
Perché mai?
-
Beh, perché siete donne. Non
accetto donne a bordo. Portano sfortuna e non ho la minima intenzione
di
mandare in malora il mio viaggio! E il mio vascello non trasporta
passeggeri.
-
Sfortuna? – Anna diventò rossa
per l’indignazione. – Le donne non portano sfortuna
affatto! Noi...
-
Anna – Sua sorella le mise una
mano sulla spalla.
-
No. Se questa nave va a nord,
allora può benissimo darci un passaggio. Trovo assurda
questa... questa...
superstizione.
-
Trasportiamo merci, non persone,
tesoro – Il puzzo di liquore che uscì dalla sua
bocca le investì in pieno, dato
che l’uomo si era fatto più vicino.
Anna
represse un gesto di disgusto
ed Elsa girò il viso dall’altra parte per
riprendere fiato.
-
Senza contare che non potreste
pagarlo, un simile viaggio.
-
Ah, no? Che cosa ne dite di
questi? – Anna infilò una mano in una tasca
interna della mantella ed estrasse
un sacchetto. Lo aprì, porgendolo al capitano
perché vi guardasse dentro.
Lui
si chinò in avanti,
incuriosito. Sbarrò gli occhi e aprì la bocca per
dire qualcosa, ma la richiuse
subito. Allungò una mano e la infilò nel
sacchetto, estraendone una moneta
d’argento. La morse per saggiarne la consistenza e
assicurarsi che fosse
autentica. - Dico che... sono veri, sì. Sono proprio monete
d’argento con lo
stemma di Arendelle. Dove... no, aspettate, non è la domanda
giusta. Non penso
siate delle ladre, a giudicare dalla stoffa dei vostri abiti. Venite da
qualche
famiglia importante?
-
Noi... può darsi – si affrettò a
rispondere Anna. – E ce n’è ancora.
Ancora denaro, intendo. Sia per voi che per
i vostri uomini. Potrete avere il resto quando la nave
attraccherà a nord.
Sul
volto dell’uomo comparve un
sorrisetto compiaciuto, incorniciato dalla barba corta. – Sei
brava a trattare,
tesoro.
-
Non chiamatemi tesoro – lo
rimbeccò Anna. – E... sì, diciamo che
lo sono. Brava a trattare, intendo.
-
Va bene – concluse, alla fine, il
capitano. – Va bene, la mia nave parte tra meno di
un’ora. Prima parlerò con i
miei uomini e poi potrete salire. Nel frattempo levatevi da qui
perché
rischiate di intralciare i lavori.
Quando
lui se ne andò per salire
sul vascello, Elsa si rivolse alla sorella. Sollevò un
sopracciglio. – Non
pensavo che avessi con te tutto quel denaro.
-
Neanch’io – ammise Anna. Roteò
gli occhi. – Cioè, sì, sapevo di avere
del denaro, ma non ricordavo di averne
preso così tanto. Immaginavo che ci sarebbe servito, ecco.
È una vera fortuna.
***
I
marinai le guardarono salire sul
ponte della nave, guidate dal capitano.
Alcuni
di loro erano incuriositi,
altri palesemente diffidenti, altri ancora ammiccavano, divertiti.
Erano tutti
uomini di mare, con visi cotti dal sole, in maniche di camicia e con la
capigliatura arruffata dal vento. Certe facce erano davvero poco
raccomandabili, ma dal canto loro si limitarono a seguire
l’uomo che comandava,
evitando di badare alle espressioni della ciurma.
-
Ecco qua le nostre ospiti. –
annunciò. – Vi raccomando ancora una volta di non
importunarle più del dovuto.
Trattatele con rispetto oppure non avrete il denaro promesso. Vi
butterò in
mare.
Cenni
d’assenso e borbottii.
Il
capitano le condusse su per una
breve scaletta che portava al piano rialzato sul quale si trovava il
timone.
-
Voglio mettere in chiaro alcune
cose, dolcezze – cominciò, lisciandosi la barba e
assumendo un’aria severa. –
Su questa nave comando io. Punto. Nel caso in cui io non possa
comandare perché
ferito o ammalato, il comando passa al nostromo. Ci sono delle regole e
vanno
seguite alla lettera. Se avete qualcosa da ridire, vi
converrà tenerlo per voi.
È chiaro?
-
Si tratta della vostra nave –
rispose Elsa, con calma. – Io e mia sorella non abbiamo
motivo di intralciarvi.
Lui
sorrise. – Siete sorelle. Ma
che carine. Ne sono lieto. Vi ho fatto preparare una cabina.
È vuota e non la
usa mai nessuno. È un po’ stretta, ma a voi non
dispiacerà stringervi, giusto?
Nessuna
delle due disse niente.
-
Bene. Ovviamente tutti hanno
diritto alla stessa dose di cibo, acqua e liquori, se ne vogliono. Chi
viene
sorpreso a rubare subisce l’amputazione delle mani. Di
entrambe le mani. Se
qualcuno dovesse importunarvi, il che lo escludo dato che conosco i
miei
uomini, non avrete che da dirmelo e me ne occuperò
personalmente. Finirà in
pasto agli squali.
-
Davvero? – chiese Anna.
-
Sì, davvero, mia cara. Io non
scherzo su queste cose. A proposito, non conosco i vostri nomi.
-
Joan. E mia sorella si chiama
Eiry.
-
Andranno bene. Immagino che
quelli veri siano altri, ma non mi interessano. Bel livido. Sei brava a
menare
le mani oltre che a trattare?
Anna
si sfiorò il mento. – Sì,
ho... sono... caduta. Sono caduta.
-
Caduta... certo. Come vuoi. Ecco,
tenete. – Il capitano diede loro una chiave. – Per
la vostra cabina.
Conservatela. E chiudetevi dentro. Come ho detto, mi fido dei miei
uomini e so
che mi obbediranno, ma le precauzioni non sono mai troppe. Del resto
loro non
hanno donne fisse e non hanno nemmeno la possibilità di
vederla, una donna,
quando navighiamo...
Istintivamente
Elsa strinse la mano
di Anna, mentre con l’altra prendeva la chiave. Lui le
condusse sottocoperta,
in un’angusta stanza che, minuscola già di suo,
risultava ancora più stretta
perché vi era stato aggiunto un letto. Il mobilio era
costituito da un paio di
bauli e da uno scrittoio inchiodato alle assi del pavimento per
resistere al
rollare della nave.
-
Mi spiace che siano stanze fatte
per accogliere un’unica persona. Non avevo nulla di meglio,
ma in fin dei conti
immagino che per voi l’importante sia arrivare a casa, no?
Non siete le regine
di Misthaven, quindi vi dovrà bastare.
Anna
resistette a stento all’impulso
di controbattere.
-
Avete fatto molto. Grazie –
rispose Elsa.
Rifiutò
il ringraziamento con un
cenno della mano. – Venite sul ponte, così
assisterete alla partenza. È sempre
una bella sensazione.
I
marinai erano indaffarati. La
marea cresceva e la nave rollava sotto i loro piedi, mentre il sole al
tramonto
faceva luccicare lo specchio d’acqua. Una vedetta scrutava
l’orizzonte, una
mano a schermarsi gli occhi, l’altra appoggiata alla
balaustra.
-
Bene, gente! È giunto il momento
di darsi da fare! Lasciamo queste noiose coste e abbracciamo il mare!
Issate
l’ancora! – gridò il capitano. Anna ed
Elsa, vicino a lui, sobbalzarono, colte
alla sprovvista dal suo vocione.
Urla
entusiaste accolsero l’ordine
e due giovani uomini azionarono l’argano. La catena
cominciò a scorrere,
sollevando la pesante ancora.
-
Alzate le vele!
Soffiava
una piacevole brezza,
quindi quando le vele vennero srotolate, esse si gonfiarono subito e il
vascello prese ad avanzare, aumentando pian piano l’andatura.
-
E adesso, issate quella bandiera!
Voglio che tutti si rendano conto che il capitano Samuel è
di nuovo in mare con
la sua Blackrose!
Blackrose?,
pensò
Anna, aggrottando la fronte. Non che fosse un brutto nome, ma...
suonava molto
strano. Suonava... inquietante.
Altre
grida di giubilo e battere di
mani. Un marinaio tirò la fune e sul pennone della nave
salì un vessillo
svolazzante che il capitano osservava, tronfio e orgoglioso.
-
Aspetta... che?! – esclamò Anna,
non credendo ai suoi occhi.
Anche
Elsa non riusciva a staccare
lo sguardo dalla bandiera che sventolava.
La
bandiera che esibiva uno stemma
fin troppo noto. Il teschio con due spade incrociate al di sotto su
sfondo
nero.
Lo
stemma dei pirati.
-
Cosa? Non siate così sorprese,
suvvia! Non mi avete fatto domande quando mi avete chiesto il
passaggio, perciò
a che pro dirvi su che tipo di nave vi stavate imbarcando? –
domandò il
capitano Samuel. Il sorriso sul suo volto era enorme. Aveva un dente
d’oro, che
brillò nel bel mezzo della barba scura. –
Benvenute a bordo della Blackrose,
belle fanciulle! Io sono il capitano Samuel, per voi, ma potete
chiamarmi...
Black Sam!
***
La
Blackrose procedette
placidamente sulle acque calme durante quella prima sera di
navigazione. Il
sole, tramontando, aveva dipinto il mare di un bellissimo color cremisi
che, un
po’ alla volta, l’oscurità aveva
inghiottito, ammantando il mondo con il suo
velo nero.
Nero
come il nome di quel vascello.
Nero come lo sfondo della bandiera che il vento sbatacchiava in cima al
pennone.
La
Blackrose era immersa nel
silenzio assoluto. Lanterne appese a qualche palo rischiaravano il
ponte
dell’imbarcazione. I pirati si erano ritirati sottocoperta,
anche il capitano.
Il nostromo, un ragazzo snello, con i capelli castani e molti anelli
alle dita
e nelle orecchie che Black Sam chiamava Koral, era in piedi davanti al
timone
di prua. Manteneva la rotta senza mai perdere di vista la Stella del
Nord,
quella più luminosa. Era stato gentile con le sorelle. Aveva
chiesto loro se
avevano bisogno di qualcosa e le aveva trattate con rispetto. Anche gli
altri
pirati si erano dimostrati rispettosi, pur mantenendo le distanze.
Evidentemente
Black Sam faceva rigare dritto tutti quanti.
Anna
se ne stava appoggiata con la
schiena al parapetto, a poppa. Guardava il vessillo piratesco di
sottecchi.
Elsa era accanto a lei.
-
Va bene, lo so, non è stata
un’idea molto saggia imbarcarsi su questa nave. Ma non
sembrava una nave
pirata! – disse Anna, all’improvviso.
-
No. È vero. Non potevi
immaginarlo, Anna. Stavi solo cercando di... trovare il modo per
tornare a
casa.
-
Pirati. Ti rendi conto? Pirati.
Di nuovo. Non avranno intenzione di rinchiuderci in qualche baule e di
buttarci
in mare, vero? Perché mi ribellerò. Non gli
permetterò di mettermi ancora in un
posto così stretto!
Elsa
allungò una mano e le posò
l’indice sulle labbra per intimarle di fare silenzio.
– Non credo che lo
faranno. Hai dato molti soldi al capitano Samuel.
-
Black Sam. – la corresse Anna,
abbassando un po’ la voce. Strinse il polso della sorella e
prese la mano nella
sua. – Chiamalo Black Sam. Gli si addice, non pensi? E poi
vuole essere
chiamato così. Non lo trovi... sgarbato? E non solo
sgarbato, anche rozzo. E ha
l’alito puzzolente, una cosa orribile. Ed è
sgarbato.
-
Sì, l’hai già detto che è
sgarbato. Ma non credo sia... un uomo crudele. È solo un
po’...
-
Sgarbato. E rozzo.
Elsa
sorrise.
-
Posso essere perdonata, allora? –
chiese Anna.
-
Perdonata?
-
Per averti fatta finire su una
nave pirata. Insomma, prima la Corte Seelie... anzi, prima le Amazzoni
che ci
costringono ad attraversare quel ponte sospeso. Varja ci ha costrette
ad
attraversare il ponte sospeso, veramente... poi Oberon, Titania... lei
ti ha
strappato il cuore! E ora la nave pirata. Non credo che questo viaggio
sia
andato secondo i piani.
-
Non è colpa tua, Anna. – Elsa
accarezzò il livido sul mento della sorella. – Ti
fa ancora male?
-
Non così tanto. Non mi sono
guardata quindi non so quanto sia grande e viola il livido. Ma aspetta,
non me
lo dire. Preferisco non saperlo.
Le
dita di Elsa indugiarono sul
viso della sorella. Anna non disse niente. Il suo sguardo si perse per
qualche
istante in lontananza, dove fino a poche ore prima c’era la
linea della costa
di Misthaven, mentre ora non c’è più
nulla. Solo l’acqua le circondava.
Quando
spostò di nuovo gli occhi su
Elsa, vide che anche lei osservava il mare e l’orizzonte,
l’espressione un po’
tesa. Ad Anna sembrò quasi una creatura eterea, con i
capelli resi argentei dal
buio, il profilo chiarissimo contro il cielo notturno.
Non
appena tornò a voltarsi, Elsa
si rese conto di essere molto più vicina ad Anna di quello
che immaginava.
-
Beh, forse questo viaggio è, in
parte, andato secondo i piani. – Anna si schiarì
la voce. – Abbiamo... sai,
abbiamo riavuto i nostri ricordi.
-
Già... – Elsa esitò.
“Non
sopportavo più... tutto quei ‘Vostro
Splendore’, ‘Vostra Magnificenza’. Chi
pensa... chi si crede di essere?” Anna parlava in modo
strano, come se avesse
bevuto troppo, interrotta dai baci di Elsa.
“Ssh”,
le disse sua sorella, mettendole una mano sulla bocca. “Non
parlare”
Anna
disse qualcos’altro, ma si perse sulle labbra di Elsa, che le
scostò le ribelli
ciocche rosse per baciarle il collo e le spalle scoperte.
Anna
deglutì, portandosi istintivamente
una mano al collo. – È stato strano... ricordare,
intendo. Non so bene che cosa
mi aspettassi... forse niente. Insomma, è stato un sollievo
poter colmare quel
buco nella memoria... non è affatto una bella sensazione,
avere un buco nella
memoria. È frustrante. È come... come quando ti
prude da qualche parte e non
riesci a grattarti.
Elsa
le posò una mano sul collo,
nel punto in cui lei si stava toccando fino ad un attimo prima.
– Non
credevo...
-
Cosa, non credevi?
-
Non credevo di poter provare
qualcosa di simile. Ho ricordato tutto ed è stato...
è stato terribile e, al
tempo stesso... non avrei mai pensato di potermi sentire
così. Così viva. – Si
interruppe, rendendosi conto di ciò che aveva detto.
– Mi dispiace, non dovrei
dire queste cose... non è giusto.
-
Puoi dirmi qualsiasi cosa.
Presa
dalla foga, Anna le morse il labbro superiore e glielo
succhiò più volte. Le
sue mani si mossero senza controllo e cercarono di slacciare il vestito
di
Elsa...
Aveva
davvero cercato di toglierle
il vestito? Anna ancora stentava a crederci.
“Volevo
farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono
più riuscita
a smettere di guardarti...”
Anche
adesso Elsa non smetteva di
guardarla. Aveva ancora la mano appoggiata al suo collo.
Un
odore fresco e aria fredda le
aleggiava intorno quando Anna posò il viso contro la sua
spalla ed inspirò.
-
Anna – La voce di Elsa era un
mormorio stentato e anche un avvertimento. Esprimeva il suo desiderio
di starle
vicina e di essere toccata, di starle vicina molto
più del dovuto.
Anna
si ritrasse e le mise una mano
sul petto: il cuore di Elsa batteva più forte, un frullio di
ali in trappola.
Anna si avvicinò per sfiorarle l’angolo delle
labbra con le proprie.
Per
lo meno l’intenzione era
quella. Voleva toccarla e voleva cercare di farlo in modo leggero, in
un modo
che potesse essere... consono. Elsa, invece, si sporse in avanti e i
suoi
movimenti cambiarono la situazione. Anna aderì al suo corpo
con più intensità
del previsto e le labbra non toccarono l’angolo della bocca,
ma il centro. Elsa
espirò per la sorpresa e un attimo dopo si stavano baciando.
Si baciavano con
lentezza e con trasporto, Elsa con una mano contro la base della sua
schiena,
come a volerla trattenere il più a lungo possibile, e Anna
con le dita dietro
la sua nuca. La pelle era diventata ipersensibile. Elsa avvertiva anche
il
proprio potere agitarsi, muoversi dentro di lei.
Quando
si separarono, avvenne con
calma e solo perché non avevano più fiato. Anna
ansimava come se avesse corso
ed Elsa sentiva il cuore persino nella testa. Strinse la sorella tra le
braccia, non riuscendo a dire o fare nient’altro.
***
Nonostante
gli avvenimenti di
quella giornata e le cose che aveva detto ad Anna, la regina di
Arendelle non
ci mise molto ad addormentarsi. E si ritrovò in uno strano
sogno.
Era
nei boschi di Storybrooke, ma
non cercava Anna, non c’era nessuna voce che la chiamava e le
chiedeva aiuto,
né catene che le mordevano i polsi.
C’era
Emma. Emma che indossava una
delle sue strane giacche e le dava le spalle.
Erano
strani, quei boschi. Gli alberi
erano completamente spogli, tutte le foglie giacevano a terra, formando
un
mando rosso e arancione che frusciava sotto i piedi e il vestito di
Elsa.
L’aria era tetra, pesante e aveva l’impressione che
una tremenda oscurità
stesse per avvinghiarle. Poteva percepirla ai margini del suo campo
visivo. Le
tenebre che si allungavano come braccia.
-
Emma?
Non
ci fu risposta. A parte una
risata malefica che non veniva da Emma. Ma lì non
c’era nessun altro. O forse
non erano in grado di vederlo.
Poi
Emma si girò e le lanciò
qualcosa.
-
Che...? – cominciò Elsa.
Il
qualcosa rotolò sulle
foglie e si fermò vicino alla punta delle sue
scarpe.
Elsa
si accorse che era una mela.
Una mela matura, rossa... e marcia.
Corrotta.
-
Emma? – chiamò di nuovo, con la
voce resa quasi stridula dalla paura. L’oscurità
opprimente sembrava essersi
fatta più vicina. Più palpabile.
Allora
vide il suo viso. La guardò davvero.
Le
stava sorridendo, Emma. Le
sorrideva, ma non era più il suo solito sorriso, quello puro
e luminoso che spingeva
anche lei a sorridere. Era malvagio, come la risata che aveva udito un
attimo
prima. I suoi occhi verdazzurri erano orlati di rosso e la fissavano
come se
lei fosse stata una preda caduta nel suo tranello, una preda che
avrebbe anche
potuto mettersi a correre ma non sarebbe andata tanto lontano.
Elsa
intravide anche altre cose. Il
lungo tentacolo di qualche mostro marino dietro ad Emma.
L’abbaiare furioso di
alcuni cani. Due corna da drago, nere come le tenebre incipienti.
Elsa
gridò il nome di Emma, poi il
buio la prese e la inghiottì.
***
-
Vascello a tribordo! Vascello a
tribordo, capitano!
Elsa
spalancò gli occhi,
ritrovandosi nella stretta cabina che il capitano Black Sam aveva
riservato
loro. Tanti fiocchi bianchi aleggiavano intorno a lei e si
affrettò a farli
sparire. Anna si agitò un poco, disturbata dalle grida che
provenivano dal
ponte della nave.
Non
ricordava quasi più niente del
sogno. Niente, a parte una mela marcia, rami spogli che si libravano
verso il
cielo e una sensazione cupa, opprimente. Era sicura di non aver sognato
di
inseguire sua sorella come le altre volte, ma qualunque cosa fosse le
era già sfuggita.
-
Avanti tutta! Preparatevi,
voialtri!
Black
Sam stava urlando ordini a
destra e a manca. I pirati che si erano destati da poco uscirono dalle
loro
cabine, sbattendo le porte, correndo lungo il corridoio e poi su per la
scaletta che conduceva al ponte.
La
confusione e il baccano
provocato dalla ciurma svegliarono Anna, che sbatté le
palpebre e borbottò
qualche protesta.
-
Insomma, datevi una mossa!
Scrollatevi di dosso il sonno, idioti! – Il vocione del
capitano era capace di
oltrepassare il frastuono. La nave virò improvvisamente ed
Elsa barcollò.
-
Che cosa sta succedendo? – chiese
Anna, tirandosi via i capelli dagli occhi.
-
Non lo so – rispose sua sorella.
Quando
arrivarono sul ponte si
ritrovarono immerse nel marasma più totale. Gli uomini
correvano da una parte
all’altra, gridando in preda all’eccitazione e al
nervosismo. Alcuni si
diressero verso i bauli posizionati a prua, li aprirono ed estrassero
le armi:
sciabole, spade corte, pugnali di vario genere, che baluginarono
colpiti dai
raggi del sole ancora basso all’orizzonte. Le vele vennero
liberate e subito si
gonfiarono, spingendo la Blackrose in avanti. Il capitano Samuel girava
il
timone, con i denti stretti e l’espressione concentrata.
Indossava una giacca
di pelle lunga e rossa che lo faceva sembrare più grosso di
quanto già non
fosse. Koral, il nostromo, gli stava vicino, con la sciabola in pugno,
gli
occhi che saettavano e i capelli ritti sulla testa.
-
Capitano, cosa succede? Stiamo
per subire un attacco? – volle sapere Elsa, una volta che
ebbe raggiunto Black
Sam.
-
Attacco? No, tesoro. Vedi laggiù?
Vedi quella bella nave? – le domandò, senza
degnarla di un’occhiata.
Le
sorelle seguirono la direzione
del suo sguardo e videro un’imbarcazione, ancora lontana. La
Blackrose le stava
andando incontro.
-
Sì, la vediamo – disse Anna,
osservandolo di sottecchi. – Vi prego, non ditemi che sono
altri pirati come
voi!
-
Non sono pirati. È un vascello
mercantile. Con tanta bella roba a bordo, se siamo fortunati.
– Black Sam
ghignò. Poi si rivolse al nostromo. – Koral, alza
la maledetta bandiera e
avvisiamo quella gentaglia che la Blackrose sta per abbattersi sulla
loro barchetta!
-
Intendete attaccarli? – domandò
Anna, sbarrando gli occhi. – Ma non potete fare una cosa
simile!
-
Possiamo e la faremo, bellezza.
-
Non chiamatemi ‘bellezza’!
-
Come preferisci. Adesso levatevi
dai piedi tutte e due. Questo non è uno spettacolo adatto a
voi. – Ovviamente
si trattava di un ordine.
La
nave presa di mira dai pirati si
avvicinava sempre di più.
-
È solo una piccola nave –
commentò Anna. – Non potete ucciderli.
È orribile.
-
Sarà anche piccola, ma a bordo mi
aspetto che ci sia un po’ d’oro. Armi, magari. E
qualche altra meraviglia. E
non intendo uccidere nessuno, a meno che non mi trovi costretto a
farlo. Adesso
sciò! E non mi voglio ripetere. Io odio ripetermi!
Gli
uomini erano armati di tutto
punto e aspettavano solo il momento dell’attacco. Koral
controllò i grappini,
legati saldamente alle funi, a loro volta fermate a grossi anelli.
Elsa
afferrò Anna per la mano e la
condusse di sotto.
-
Non posso credere che vogliano
attaccare quella nave! Li deruberanno – esclamò
Anna, indignata.
-
Sì, lo faranno. E potrei anche
impedirglielo, ma non posso usare i miei poteri davanti a loro.
-
Lo so. Ed io non ho una spada
quindi non posso fare niente. Però voglio vedere.
***
TUMP!
CRUNCH!
Un
tonfo sordo fu seguito dalla
scricchiolio delle assi della Blackrose nel momento in cui le navi
entrarono in
collisione. Il contraccolpo spinse Anna, acquattata sulla scaletta che
portava
sottocoperta, contro la parete opposta.
-
Anna!
-
Sto bene.
Il
silenzio innaturale che aveva
invaso il ponte mentre la nave di Black Sam filava verso il vascello si
ruppe e
i pirati gettarono grida di battaglia.
-
Lanciate i rampini! – ordinò il
capitano.
Molte
funi volarono sul vascello
attaccato. Non tutte centrarono il bersaglio, ma vennero prontamente
recuperate
e rilanciate. I marinai del vascello cercarono di tagliare le corde che
reggevano gli strumenti di abbordaggio, ma erano in
inferiorità numerica ed
evidentemente impreparati all’attacco pirata.
-
Le assi! Muoviti, Koral!
-
Ci sto provando, capitano –
rispose il nostromo.
Assi
di legno con ganci alle
estremità vennero usate per facilitare
l’attraversamento. Dagli alberi nei
quali erano state ammainate le vele, alcuni uomini si gettarono
sull’altra
nave, aggrappandosi a delle funi, con i coltelli fra i denti e gli
occhi fuori
dalle orbite.
Nel
giro di pochi minuti il
vascello mercantile venne invaso. Vi furono imprecazioni, grida di
panico,
cozzare di lame e ordini impartiti bruscamente, conditi con qualche
gemito di
dolore. Black Sam maneggiava la sciabola con grande abilità,
incalzando
chiunque gli si parasse dinanzi. I poveri marinai ebbero la peggio e
ben presto
i pirati della Blackrose li fecero prigionieri e li tennero
d’occhio puntando
le lame contro di loro.
-
Bene, bene – disse Black Sam,
sudato e tronfio. – Cos’abbiamo su questa bella
nave?
Un
uomo trattenuto da due pirati si
dimenò. Non rispose. Aveva riportato una ferita al braccio
che sanguinava
copiosamente.
-
Vi conviene darmi una risposta,
oppure ordinerò ai miei uomini di buttare in mare tutti i
vostri marinai... con
una pietra legata al collo!
L’uomo
smise di dibattersi. –
Beh... noi...
-
Sì?
-
A bordo ci sono stoffe...
abiti... molto cibo e anche casse di pietre preziose... spezie.
– ammise,
tenendo lo sguardo basso.
-
Oh, che bella notizia! Speravo in
qualcosa in più, ma me lo farò bastare. Koral!
Prendi un paio di uomini con te
e va di sotto a controllare che abbia detto la verità. Vanno
bene anche le
stoffe, se sono pregiate. Magari c’è qualcosa per
le nostre due amiche, che
pensano di non essere state notate!
Il
nostromo eseguì. Ben presto gli
uomini di Black Sam iniziarono a spostare le casse da una nave
all’altra.
Alcune casse vennero lasciate sul ponte in attesa di essere trasportate
nella
stiva. Qualche pirata le aprì per rovistarci dentro. Sete
pregiate e gioielli
brillarono nelle mani della ciurma, che ridacchiava e si passava il
bottino di
mano in mano.
-
Se pensavate che non vi avrei
viste vi sbagliavate di grosso. Quella testolina rossa non
può credere davvero
di passare inosservata. – disse il capitano, raggiungendo
Anna e sua sorella.
-
Non ci stavamo nascondendo...
stavamo... – prese a dire Anna. – Sì,
d’accordo, stavamo guardando. E forse
anche nascondendo. C’è qualcosa di male?
-
No. Ma credevo non voleste
assistere. – Black Sam sorrise, compiaciuto. Poi si mise a
gridare contro i
suoi uomini. – Fate attenzione con quella roba! Tanto ce
n’è per tutti.
Quando
Koral gli comunicò che le
operazioni di carico erano terminate il capitano si avvicinò
al parapetto.
-
Grazie di tutto – disse ai
marinai del vascello. – È stato un incontro molto
piacevole. Prendete la vostra
barchetta e andate a portare i miei omaggi al proprietario della merce.
Dove
stavate andando di bello?
-
Ad Arendelle.
Anna
ed Elsa si scambiarono
un’occhiata.
-
Allora dite alla regina di
Arendelle che la sua merce è in buone mani e che magari un
giorno ci
incontreremo! Dicono che sia una donna bella e assai giusta. Non vi
farà
niente. Ho sentito anche dire
che
controlla il ghiaccio. Ma scommetto che neppure vi
rimprovererà quando saprà
che è stato Black Sam ad alleggerirvi del carico. Che
potevate fare voi, del
resto? – Gettò indietro la testa e rise di gusto.
Se
avesse saputo che la regina di
Arendelle era a pochi passi da lui forse avrebbe evitato di
sghignazzare. Anna
avrebbe voluto replicare, ma Elsa le mise una mano sulla spalla,
stringendo.
Con
movimenti lenti e precisi il
nostromo fece girare la nave, che si allontanò dal vascello
conquistato e
riprese la sua rotta.
Black
Sam bevve un sorso di rum
dalla fiaschetta che portava sempre con sé. – Ne
gradite un poco?
-
No, grazie – rispose Elsa,
fissandolo duramente.
-
Suvvia, non rammaricatevi. Siete
più affascinante quando sorridete. Credo che
verrò a dare un’occhiata ad
Arendelle... a giudicare dalla roba che trasportava la nave, casa
vostra deve
essere un posto freddo ma interessante.
-
I pirati non sono ben accetti ad
Arendelle – intervenne Anna. – Io ci penserei due
volte prima di mettervi
piede... la regina potrebbe decidere di punire voi, anziché
quei poveri
marinai. Voi non la conoscete.
-
Perché voi sì?
Silenzio.
I
pirati stavano ancora frugando
nelle casse. Uno di loro aprì delle piccole sacche, tirando
fuori altri gioielli,
pietre verdi e azzurre indubbiamente di grande valore.
-
Avrei potuto prendermi anche le
spezie, adesso che ci penso. Le avrei vendute ad un buon prezzo. Ma
quello che
abbiamo è più che sufficiente.
La
ciurma levò le sciabole e le
spade verso l’alto, lanciando un altro urlo di approvazione
ed entusiasmo.
Un
pirata nerboruto rivoltò alcuni
sacchettini in cuoio per controllare il contenuto. Da uno di essi
sgusciarono
fuori dei piccoli anelli, che caddero sulle assi del ponte, tintinnando
e
rotolando fino ai piedi di Anna.
-
Vi ho detto di fare attenzione,
per tutti i mari! – lo rimbrottò Black Sam.
-
Non senti niente? – domandò Anna.
-
Sentire cosa? – chiese Elsa.
-
Un... come un ronzio.
Sulle
prime Elsa non sentì niente,
a parte le risate della ciurma e il mare che si scontrava con il legno
della
nave. Poi si accorse del ronzio. Basso, molto basso, come se una mosca
fosse
rimasta intrappolata sotto una campana di vetro.
Anna
si chinò istintivamente per
raccogliere gli anelli. Erano quattro. Due gialli e due verdi. E
sembravano
anelli comuni, niente che potesse essere venduto per guadagnarci
qualcosa.
-
Scusatemi, capitano. Stavo
solo... – iniziò il pirata che aveva lasciato
cadere gli strani gingilli.
Anna
toccò uno degli anelli gialli.
Non
vi fu alcun avvertimento. Non
vi furono lampi di luce. Il ronzio si fece solo un po’
più forte mentre lei si
stava chinando per prenderli.
Un
attimo dopo Anna scomparve nel
nulla.
***
Angolo
autrice:
Buon
sabato!
Come
per ogni altro capitolo, anche
per questo è necessaria qualche spiegazione ^_^
Samuel
Bellamy, detto Black Sam, è
un pirata britannico
realmente esistito, anche se la sua carriera nella pirateria
è stata veramente
corta, durò solo un anno. Però è un
pirata famoso e conquistò parecchie navi.
Il nome mi piaceva, quindi l’ho usato per il personaggio che
compare in questo
capitolo.
La
citazione iniziale, tratta da Sogno di una
Notte di Mezza Estate, penso
si adatti anche a Once Upon a Time.
Anzi, non lo penso. Ne sono certa! Nell’opera di Shakespeare
la battuta è
pronunciata da Lisandro, uno dei personaggi che subiscono
l’incantesimo di
Oberon e Puck. Credo che vada bene anche per le due sorelle,
indipendentemente
dal modo in cui uno le shippa.
|
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Capitolo 9 *** A World so Cold ***
9
“Non
preoccuparti, Anna. Io ti troverò”
[Once
Upon a Time, Storia di due sorelle, Elsa]
Nulla di così improvviso e così
orribile era mai capitato ad Elsa, nemmeno nei peggiori incubi in cui
inseguiva
Anna nei boschi di Storybrooke e poi veniva intrappolata dalle catene
della
Regina delle Nevi.
-
A-Anna...? – mormorò, la gola
chiusa e il cuore che minacciava di uscirle dal petto. I suoi occhi
sbarrati
fissavano il punto in cui la sorella era scomparsa. Allungò
una mano, come se
sperasse che fosse ancora lì, come se sperasse che fosse
solo un’illusione e
che Anna fosse ancora presente...
Le
dita toccarono solo l’aria. Anna
non c’era. Sul ponte c’erano solo gli anelli, due
gialli e due verdi.
Era
calato un silenzio di tomba.
-
Ma dove... dov’è andata? – chiese
Koral, il nostromo.
-
È sparita – osservò un altro
membro della ciurma.
-
Magia... questa è magia.
-
Sono gli anelli.
Il
capitano Black Sam avrebbe
voluto dire qualcosa che assomigliasse ad un ordine, ma gli costava
fatica
recuperare le redini della situazione. Aveva appena visto Joan... o
Anna, come
l’aveva chiamata sua sorella, sparire nel nulla dopo essersi
chinata a
raccogliere quegli affari. Lui era un uomo di mare, il mare era casa
sua,
quella nave era casa sua... di magia non se ne intendeva. Certo, aveva
sentito
parlare del Signore Oscuro, di creature che la magia la sapevano usare
molto
bene, come la regina di Misthaven, che aveva lanciato la prima
maledizione,
alla quale lui era scampato solo perché la sua nave in quel
momento navigava
nella zona protetta di quel mondo. Ricordava ancora
quell’enorme, divorante
nuvola viola che saliva sopra di lui, oscurando il cielo e la terra,
gettando
un’ombra malvagia su tutto. Ma non conosceva incantesimi. Non
conosceva né gli
interessava conoscere da vicino persone che erano in grado di praticare
le arti
magiche.
E
adesso... la magia aveva fatto
sparire Anna.
-
Ascoltatemi... – iniziò Black
Sam, cercando di controllare la propria voce.
Poi
si accorse che nevicava. Il che
era impossibile, perché il cielo era azzurro, senza nemmeno
una nuvola.
Splendeva il sole.
I
fiocchi bianchi cadevano solo
intorno ad Eiry.
Non
solo. Sotto i suoi piedi si
allargava il ghiaccio. Ghiaccio che fece scricchiolare le assi del
ponte.
L’aria si fece più fredda.
I
pirati si ritrassero
precipitosamente, come un solo uomo e qualcuno sguainò le
sciabole. Intorno a
lei si formò il vuoto. Black Sam fu l’unico a non
muovere un muscolo, ma solo
perché era troppo incredulo. Un goccia di sudore gelido gli
scivolò dalla
fronte alla guancia. Gli occhi grigi gli sporgevano dalle orbite.
“Allora
dite alla regina di Arendelle che la sua merce è in buone
mani e che magari un
giorno ci incontreremo! Dicono che sia una donna bella e assai
giusta”
Bella
lo era di certo, notò Black
Sam, avvolto da un’invisibile nube di sgomento e fascino.
Bella e lì di fronte
a lui. La regina di Arendelle che controllava il ghiaccio.
Elsa
non si accorgeva di niente. Né
dello sgomento di Black Sam, né tantomeno sentiva
ciò che dicevano i suoi
uomini. Era tutto confuso. L’unica cosa che vedeva era lo
spazio vuoto dove un
attimo prima c’era Anna.
Gli
anelli.
Elsa
si protese verso gli anelli
verdi. Era sicura che Anna avesse toccato quelli.
-
No, ferma... non toccateli! –
esclamò Black Sam, di nuovo padrone di sé.
Non
gli diede retta. Le dita sfiorarono
gli anelli e anche Elsa scomparve.
***
Quando
era sprofondata nel lago
insieme a sua sorella, Anna si era sentita tirare verso il basso ed era
stata
sfiorata da ombre nere e forme vaghe
nell’oscurità, prima di vedere la luce e
precipitare direttamente nella Corte Seelie.
Stavolta
era diverso. C’erano
tenebre, intorno a lei. Buio totale. Aveva toccato uno degli anelli e
il mondo
era subito scivolato via, precipitandola nel nulla.
“Non
senti niente?”, aveva
domandato ad Elsa
“Sentire
cosa?”
“Un...
come un ronzio”.
Aprì
gli occhi.
La
prima cosa che vide fu il cielo.
Un cielo blu e una bella luna piena che pareva osservarla. Non un cielo
alieno... semplicemente un cielo punteggiato di stelle, con qualche
straccio di
nuvola qui e là.
La
seconda cosa di cui si rese
conto fu che faceva molto freddo. E la terza... che di certo non si
trovava più
sulla Blackrose, perché non avvertiva il rollio della nave
né tantomeno il
rumore delle onde. Tutto era immobile e immerso nel silenzio
più profondo.
Profondo e strano. Inquietante, persino. Uno di quei silenzi che
sembrano più
il preludio di qualcosa di brutto.
-
Ahi! – borbottò Anna, portandosi
una mano alla testa e alzandosi lentamente. – Elsa?
Non
ottenne risposta. Ovviamente.
Neve.
Per
terra c’era molta neve. Neve
fresca che doveva aver attutito la caduta. C’era neve per
terra e anche
sulle... sulle statue di pietra che la circondavano.
Statue?
Scattò
in piedi. Il mondo vorticò
ed Anna si ritrovò a barcollare e poi a scivolare sul manto
bianco. Mantenne
l’equilibrio e rivolse lo sguardo alle statue. A pochi passi
da lei c’era un
grosso leone di pietra, immortalato nell’atto di saltare
addosso ad una preda.
Aveva le fauci spalancate e le zampe protese davanti a sé.
Sulla criniera e sul
naso c’era della neve gelata.
-
È di pietra. – osservò Anna,
sentendosi subito molto stupida per aver constatato l’ovvio
ad alta voce.
E
ce n’erano decine, di quelle
statue, disseminate per il cortile senza un ordine apparente.
C’erano due lupi
che ringhiavano, un orso, ragazze graziose che forse erano ninfe dei
boschi, ghepardi,
volpi... persino un cavallo alato e un uomo altissimo, armato di mazza,
che era
certamente un gigante. Tutti immobili. Naturali e terribili, ma
immobili.
-
Sono tutti di pietra... – ripeté
Anna. La verità era che stava parlando solo per colmare lo
strano silenzio che
ammantava il luogo.
Dov’era
Elsa? Dov’erano i pirati
della Blackrose? Se sua sorella l’aveva seguita toccando uno
degli anelli di
sicuro non era arrivata dov’era arrivata lei, altrimenti
sarebbe stata lì. O
forse era finita in un altro punto di quel mondo? E soprattutto... quel
mondo
che razza di mondo era? Era ancora il suo
mondo?
Subito
dopo Anna vide che il
cortile apparteneva ad un castello dall’aspetto austero e
oscuro. Un castello
con molte torri, ognuna delle quali terminava con una cuspide lunga e
sottile
che le ricordò il cappello appuntito delle streghe. Sembrava
disabitato, ma di
sicuro c’era qualcuno in casa. Qualcuno che forse la stava
spiando proprio in
quel momento.
Anna
rabbrividì, stringendosi nella
mantella rossa. Si mosse tra le statue, incerta, chiedendosi
perché capitassero
tutte a lei e ad Elsa, chiedendosi perché le fosse venuta la
brillante idea di
recarsi a Misthaven per recuperare i loro ricordi. Ma tanto sapeva
benissimo
che, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, avrebbe fatto la
stessa cosa.
Vivere senza ricordi era veramente frustrante.
Incrociò
gli occhi di una delle
ninfe. Occhi di pietra come tutti gli altri... eppure avevano qualcosa
che le
impose di fermarsi. Cosa, non avrebbe saputo dirlo.
Come
se... in un certo senso,
fossero vivi.
-
Vecchio scemo di un leone, come
ti senti ad essere di pietra? Ti credevi invincibile, vero?
La
voce la sorprese talmente tanto
che Anna spiccò un balzo e si lasciò sfuggire un
gridolino, voltandosi.
Anche
il ragazzino fermo davanti al
leone di pietra la fissò, sgranando gli occhi e poi
arretrando di un passo. –
Chi sei?
Anna
si avvicinò con cautela. –
Beh... potrei farla anch’io questa domanda. Anche se forse la
prima domanda da
fare dovrebbe essere un’altra... mi chiamo Joan.
-
Sei una... una ragazza anche tu,
vero?
-
Sì, penso proprio di esserlo.
Perché, non sembro una ragazza?
-
Certo. Ma qui... pare che qui non
ci siano molti esseri umani.
Una
pessima notizia.
Anna
si soffermò ad osservarlo. Era
più giovane di lei, forse non aveva più di dodici
o tredici anni, e vestiva
abiti troppo leggeri per la temperatura di quel posto. Non faceva che
sollevare
il bavero della giacca nel vano tentativo di coprirsi di più
la gola. Aveva
occhi scuri e sospettosi, un’aria ribelle ed aggressiva,
accentuata dalle
sopracciglia aggrottate. Era pallido e non particolarmente felice di
trovarsi
dove si trovava, eppure sembrava totalmente umano e anche intimorito,
sebbene
fingesse il contrario.
-
E tu chi sei? – domandò Anna,
sempre mantenendo le distanze.
-
Non sono tenuto a dirti il mio
nome. – rispose, seccamente. Si scostò qualche
ciuffo di capelli dalla fronte.
-
D’accordo. Di solito quando due
persone si incontrano in un posto freddo e in cui non
c’è nessuno dovrebbero
presentarsi... beh, in generale due persone che si incontrano per la
prima
volta si presentano. Ma sarebbe bello se mi dicessi almeno dove siamo.
-
Non lo sai?
Anna
si accorse in quel momento che
qualcuno aveva disegnato un paio di baffi da bellimbusto al leone e un
paio di
occhiali a cavallo del naso. – L’hai fatto tu?
-
Sì. Non fa così paura, giusto?
Tutti parlano del grande leone come se fosse una creatura terribile, ma
la
verità è che ormai è di pietra.
– Il ragazzo raddrizzò le spalle.
-
Grande leone... tutti chi? Hai
appena detto che non ci sono altri esseri umani, o almeno non
così tanti. E per
rispondere alla tua domanda precedente... ho avuto una giornata
difficile. Una serie
di giornate difficili, tra pirati, fate e guerriere – Si
toccò il livido sul
mento.
-
Pirati?
-
Pirati. Lunga storia.
Lui
batté le palpebre. Poi scosse
il capo. - Siamo al castello della Regina, ecco dove siamo. E lei mi
sta
aspettando, quindi devo andare.
-
Ehi, no, aspetta! Quale Regina?
Il
ragazzo le rivolse un’occhiata
che era un miscuglio di diffidenza e curiosità. –
Non sei passata anche tu dal
guardaroba, vero? No, altrimenti mi ricorderei di te. In casa dello zio
Digory
c’eravamo solo io e i miei fratelli. A meno che tu non sia
una di quelli che
sono venuti a visitare la casa.
Anna
faticava a seguire il
discorso. Ciò che era accaduto fino a quel momento era
assurdo. – Non ho visto
nessun guardaroba. E nessuna casa. Ce l’ho, una casa, ma
è molto lontana da
qui... credo. E vengo da una nave. Come si chiama questo posto, tu lo
sai? Ce
l’ha, un nome?
-
Questo posto si chiama Cair
Paravel. È la casa della Regina – disse il
ragazzo. Allargò le braccia come a
voler stringere il mondo intero. – E tutto questo
è il suo regno: è Narnia.
***
Il
suolo era coperto di neve
fresca. I rami spogli degli alberi si protendevano verso il cielo
notturno,
verso la luna che gettava una luce pallida sul paesaggio invernale,
creando
strani giochi di ombre. Sicuramente faceva molto freddo, ma ovviamente
non lo
percepiva.
-
Anna? – chiamò Elsa, anche se non
sperava di ottenere una risposta. Non c’era nessuno. Udiva
dei fruscii, sentiva
il vento sulla pelle... e nient’altro.
Pochi
passi più indietro c’era uno
di quegli aggeggi che aveva visto anche a Storybrooke; si accendevano
di sera e
illuminavano le strade.
Lampioni,
ecco come si chiamavano.
Un unico lampione in mezzo al bosco. Elsa si chiese per quale motivo si
trovasse lì.
E
si chiese anche se dovesse
seguire il sentiero che si inoltrava tra gli alberi. Non
c’erano orme che
potevano far pensare che da là fosse già passato
qualcuno, ma era sicura che
Anna fosse da qualche parte in quel mondo.
Elsa
si guardò le mani e vide che
erano coperte da una gelida patina bianca. Le strinse a pugno e si
concentrò per
trattenere il proprio potere. Inspirò profondamente,
cercando di calmare il
proprio respiro e i battiti del suo cuore.
Lo
so che sei qui, Anna. Ti troverò.
Qualcuno
veniva dalla sua parte.
Il
rumore dei passi era attutito
dalla neve, ma ora che era vicino Elsa li sentì. Si
girò ed estese il braccio
in avanti, preparandosi a difendere se stessa ma sperando che si
trattasse di
sua sorella.
Invece,
tra gli alberi e in piena
luce del lampione, apparve una figura piccola. Pensò che si
trattasse di un
bambino, ma quando si mosse verso di lei, Elsa vide le sue gambe. Dalla
cintola
in su sembrava un uomo come tutti gli altri, ma le gambe erano coperte
di peli
neri e terminavano con un paio di zoccoli. Aveva i capelli rossi e
ondulati,
tra i quali spuntavano due piccole corna. Il viso era aguzzo, giovane,
con la
barba corta e a punta.
Era
un fauno. Elsa non ne aveva mai
visto uno, se non nei libri della biblioteca del suo palazzo, ma non le
fu
difficile riconoscerlo.
-
Un’altra figlia di Eva. Credevo
fossero già arrivati tutti – osservò il
fauno, avvicinandosi.
-
Come?
-
Sei una ragazza, giusto? Un
essere umano, insomma. – Ormai era davanti a lei ed Elsa vide
che la sua testa
arrivava al suo petto.
-
Beh, io... sì. Dove sono? Che
posto è questo?
-
Narnia – rispose subito il fauno.
– E tu come ci sei arrivata qui? Forse vieni dai boschi
selvaggi? Oppure vieni
dalle terre al di là dell’Oceano, le terre di
Aslan?
Aslan?
Non
capiva di che cosa stesse
parlando. – Io... vengo da Arendelle. Mi chiamo Elsa e sto
cercando mia
sorella.
-
Arendelle... non sono molto
afferrato in geografia, però di certo non è una
città di Narnia.
Elsa
non rispose. Rifletté qualche
istante.
-
Hai detto di chiamarti Elsa? –
domandò la creatura.
-
Sì.
-
È uno strano nome. Il mio è
Tasch.
Anche
Tasch era uno strano nome e
se ci fosse stata Anna gliel’avrebbe fatto certamente notare.
-
Hai detto che sono arrivate altre
persone, oltre a me, vero? – riprese Elsa.
Il
fauno sembrava stupito. Roteò
gli occhi e si grattò il capo, scompigliandosi la massa di
capelli pel di
carota. – Beh, ne sono arrivati quattro, come diceva la
profezia. Due figli di
Adamo e due figlie di Eva. Tu sembri proprio una figlia di Eva, ma se
non stai
cercando loro...
-
Non so chi siano queste persone,
mi dispiace. Mia sorella si chiama Anna. Dovrebbe essere arrivata
subito prima
di me. Devo trovarla.
Tutta
quella situazione le
ricordava molto Storybrooke. Storybrooke e la prima maledizione, che
poteva
essere spezzata solo dalla Salvatrice, come diceva una certa profezia.
Emma
gliel’aveva raccontato.
-
Non credo sia passata di qui. Se così
fosse, me la ricorderei. Non è che si vedano molti figli di
Adamo e di Eva a
Narnia. E poi è un po’ che giro da queste parti.
Stavo cercando Tumnus, ma ho
visto l’avviso a casa sua. L’hanno già
portato via.
-
Chi l’ha portato via? – Teneva
ancora la mano protesa in avanti, anche se non pensava che Tasch fosse
una
minaccia.
“L’hanno
già portato via”. C’era
qualcosa, nelle parole di quella
creatura, che le aveva messo i brividi. Quel luogo era molto
pericoloso, lo
sentiva. E se Anna si trovava lì, allora poteva
già essere in pericolo.
-
Le guardie della Strega Bianca.
Quella che ha scagliato la maledizione su Narnia.
-
Maledizione?! C’è una maledizione
in corso?
-
Da tantissimo tempo. – Il fauno
assunse un’aria triste. – È sempre
inverno a Narnia. Sempre inverno e mai
Natale.
***
In
fondo al cortile c’era una luce
che veniva da una porta aperta. Per raggiungerla, Anna e il ragazzo
dovettero
salire una breve scalinata.
Sulla
soglia era sdraiato un lupo
dal pelo grigio e spelacchiato che aprì gli occhi non appena
avvertì le
presenze che incombevano su di lui. Occhi gialli e cisposi. Occhi
crudeli.
Mostrò i denti e ringhiò sommessamente. Anna
avrebbe tanto voluto avere una
spada, una qualsiasi arma con cui affrontarlo, perché era
chiaro che non aveva
buone intenzioni.
-
Chi va là? Voi chi siete? Cosa
volete?
Sulle
prime Anna fu certa che la
voce appartenesse ad una guardia che se ne stava nascosta oltre la
soglia.
-
Pre-prego, signor lupo – rispose,
invece, il ragazzo, tremando come una foglia. – Mi dispiace
molto disturbare il
vostro sonno. Il mio nome è... Edmund. Edmund Pevensie. Sono
un figlio di Adamo
e Sua Maestà mi sta aspettando. Ci siamo conosciuti nel
bosco alcuni giorni fa.
-
Il mio nome è Maugrim, non
‘signor lupo’.
-
Non sta parlando – commentò Anna,
non riuscendo a trattenersi. Era impossibile, certo. Gli animali non
parlavano.
Sven non parlava. I cavalli nelle sue stalle non avevano mai parlato.
– Non sta
parlando veramente.
-
Certo che parlo, figlia di Eva.
Parlo eccome! Sono Maugrim, capo della polizia segreta di Sua
Maestà, come
potrei non parlare?
-
Io non sono... – iniziò Anna.
-
Ripeto la domanda: cosa volete? –
la interruppe il lupo, drizzando i peli della schiena.
-
Sua Maestà mi sta aspettando –
riprese Edmund. – Mio fratello e le mie due sorelle sono
arrivati. Le avevo
detto che li avrei portati con me, ma...
-
Beh, ne hai portata una, di
sorella, vedo. – fece Maugrim, squadrando Anna e annusando
l’aria. – Non
muovetevi. Riferisco a Sua Maestà. Farete bene a non
oltrepassare quella porta
fino a quando non sarò di ritorno.
Maugrim
scomparve oltre la soglia.
Edmund
affondò le mani nelle tasche
dei pantaloni, infreddolito. Strascicava i piedi come se si aspettasse
di
essere condotto al patibolo. Tuttavia sembrava ancora deciso ad
entrare, se Sua
Maestà, chiunque fosse, l’avesse invitato.
-
Sai, non mi piace. Questo posto è
inquietante. E inospitale. – disse Anna. – Quel
lupo... non solo parlava, ma
era anche... beh, cattivo. Inquietante.
-
Inquietante l’hai già detto.
Perché ripeti le cose? – chiese Edmund.
-
Perché sembra che tu non te ne
renda conto. Noi non dovremmo essere qui. Io
non dovrei essere qui. Ho una sorella, sai? Potrebbe avermi seguita,
anche se
non so se sia un bene.
-
Anche tu hai una sorella?
-
Sì. Perché tu non sei con i tuoi
fratelli? Cos’hai promesso a questa Regina? Come fai a sapere
che non ti
ucciderà o torturerà oppure che non ti
torturerà per poi ucciderti?
-
Mi ha detto che mi avrebbe... che
mi avrebbe dato delle cose. – Edmund arrossì,
abbassando gli occhi.
-
Cioè cosa?
Un’esitazione.
Breve.
-
Diventerò un re. Mio fratello
invece sarà solo un conte o qualcosa del genere... e
dovrà prendere ordini da
me! E così anche le mie due sorelle. – Strinse la
bocca in una smorfia. – La Regina
non ha figli e ne vorrebbe uno come me per educarlo come un principe e
farlo
diventare re una volta che lei non ci sarà più.
Anna
lo fissò, trasecolata. –
Consegni le tue sorelle e tuo fratello... per un titolo? È
orribile.
-
Tu non hai visto la Regina. Non è
affatto orribile. Mi ha aiutato. È stata gentile con me.
-
Anche il mio primo promesso sposo
è stato gentile con me, sai? La prima volta che ci siamo
incontrati pensavo
fosse l’uomo della mia vita e credevo che per lui fosse lo
stesso. Invece ha cercato
di uccidere mia sorella. E di uccidermi! Mi ha fatto rinchiudere in un
baule e
mi ha gettata in mare! E voleva prendersi il... casa mia. Non potrei
mai
vendere mia sorella così, come se...
Edmund
la osservava, accigliato. –
Beh, tua sorella deve essere... molto meglio dei miei fratelli, se le
vuoi così
bene. Mio fratello Peter dice che sono cattivo.
-
Oh... che? Non ti sembra di
esagerare, Edmund?
-
Non lo conosci! E la Regina...
lei mi ha dato una delle sue pellicce perché si è
accorta che avevo freddo. Mi
ha fatto salire sulla sua slitta e mi ha offerto da mangiare e da bere.
Mi ha
detto che tutti parlano male di lei qui... tutti. Ma non sono cose
vere. La
verità è... la verità è che
la creatura mostruosa è Aslan, non la Regina!
-
Perché ho l’impressione che
nemmeno tu ci creda, chiunque sia questo Aslan?
Edmund
non rispose, anche perché in
quel momento tornò Maugrim. Il lupo si fermò
davanti a loro, scodinzolando.
-
Siete fortunati. La Regina vuole
ricevervi. Entrate. Pensandoci bene, non sono sicuro che sia una
fortuna...
Anna
non ebbe altra scelta se non
seguire Edmund e il lupo parlante all’interno del castello.
Attraversarono
corridoi e stanze, guidate dal fedele servo della Regina. Il ragazzo
era sempre
più impaurito e non riusciva neanche a nasconderlo.
“Beh,
tua sorella deve essere... molto meglio dei miei fratelli, se le vuoi
così
bene. Mio fratello Peter dice che sono cattivo”.
Elsa.
Doveva trovare Elsa. Sempre
che Elsa fosse a Narnia.
Avrebbe
dovuto svignarsela quando
ancora poteva farlo, ma non poteva lasciare che Edmund affrontasse da
solo la
Regina, chiunque fosse. Qualcosa le diceva che non era affatto la donna
gentile
di cui lui parlava. Era stata gentile per ottenere qualcosa e quel
qualcosa
erano il fratello e le sorelle di Edmund. Aveva fatto breccia
perché il giovane
era molto arrabbiato e ferito. Una parte di Edmund si rendeva conto che
erano
promesse vuote, ma andava contro la sua stessa ragione
perché ce l’aveva con la
sua famiglia.
Tutto
ciò le ricordava Ingrid.
Ingrid e il suo desiderio di avere due sorelle che fossero come lei,
Ingrid
disposta a lanciare una maledizione per fare in modo che gli abitanti
di
un’intera cittadina si ammazzassero fra di loro,
così da poter avere Emma ed
Elsa tutte per sé.
Ma
in quella Regina c’era qualcosa
di molto più sottile. Qualcosa di molto più
inquietante. La Regina voleva
Edmund per arrivare anche ai suoi fratelli. E per farci cosa? Per
crescerli
come futuri sovrani di Narnia? O per renderli schiavi? Se non peggio...
per
ucciderli? C’era davvero la possibilità che Edmund
avesse ragione e che la
Regina volesse solo qualcuno per colmare la solitudine, qualcuno che
prendesse
il suo posto sul trono, un giorno?
“Non
permetterò più a nessuno di separarci. E non
andrai più in nessun luogo in cui
io non possa raggiungerti”.
Aveva
un groppo in gola.
Maugrim
li condusse dentro ad un
salone molto grande, circondato da molte colonne e da un gran numero di
statue,
una delle quali faceva bella mostra di sé vicino
all’ingresso: un fauno di
pietra. La sua espressione pareva immensamente depressa. Una sola
lampada
illuminava il salone. E vicino alla lampada c’era una donna
avvolta in pellicce
bianche.
La
Regina di Narnia.
-
Maestà... – disse il lupo, in
tono deferente e abbassando gli occhi.
-
Lasciaci, Maugrim. – disse la
Regina, imperiosamente.
Il
lupo uscì in fretta.
-
Sono... sono tornato, Maestà.
Eccomi. Sono... sono desolato se vi ho fatta aspettare. –
bofonchiò Edmund,
muovendo due passi avanti, ma non di più. Teneva il capo
chino e si tormentava
le unghie. Ciocche di capelli scuri gli erano ricadute sulla fronte.
-
Non avevi detto di avere un
fratello e due sorelle? Perché ne hai portata solamente una?
– La Regina era
adirata. Si alzò in piedi ed Anna si rese conto che era
altissima. Molto più
alta di qualsiasi donna lei avesse mai visto. Doveva superare i due
metri.
Portava una corona d’oro sulla testa e d’oro era
anche la bacchetta che
stringeva nella mano destra. Aveva la pelle bianca. Bianca come le
pellicce che
indossava e come la neve. Il suo volto pareva scolpito nel marmo.
-
Maestà... mi dispiace. Ho fatto
del mio meglio... sono vicini. Si trovano nella casa del signor
Castoro, in
cima alla diga.
Il
signor Castoro?, Anna
si chiese se anche lui parlasse
come il lupo. Se aveva ospitato la famiglia di Edmund evidentemente ne
era
capace.
La
Regina spostò gli occhi su Anna.
Erano occhi chiari, ma freddi e duri. In essi lei vide solo cose
tremende. – È vero?
-
Direi di sì – rispose prontamente
Anna.
-
E io direi che sei proprio... una
figlia di Eva.
Io
sono figlia di Gerda di Arendelle. Non so chi sia questa Eva.
-
Veramente lei... – iniziò Edmund,
ma Anna gli lanciò un’occhiataccia.
-
Povera ragazza, devi avere molto
freddo – disse la sovrana, con una voce del tutto diversa.
Calma, pacata...
persino dolce. – E magari sei anche affamata.
-
Affamata? No... in realtà no.
Io...
-
È questo il modo di parlare ad
una Regina?
-
Chiedo scusa, Maestà. No, non ho
fame, ma vi ringrazio per l’offerta. – Non aveva
intenzione di accettare del
cibo da quella donna.
-
A proposito di cibo, Maestà...
scusate se mi permetto – disse Edmund, mordendosi il labbro.
– Non è che potrei
avere... qualche altra gelatina di frutta?
Gelatine
di frutta?
-
Tra poco, quando mi avrai
condotto dagli altri. E dimmi, figlia di Eva... ti piace questo posto?
Casa mia
ti piace?
-
Sì, Maestà... voglio dire, fuori
fa un po’ troppo freddo e credo che in cortile ci siano
troppe statue. Cioè,
non che non mi piacciano le statue, ma ecco... ah, gli animali parlano.
Da dove
vengo io... da dove veniamo noi non ci sono animali parlanti.
-
Già. Che seccatura possono essere
gli animali con il dono della parola. E le statue ti fanno paura, lo
capisco. –
Sollevò la bacchetta e, per un attimo, Anna pensò
che stesse per tramutarla in
una statua solo perché si era permessa di farle notare che
erano troppe.
Invece
quando scosse la bacchetta
davanti a lei apparve una coppa tempestata di gemme e contenente un
liquido
fumante. Sembrava cremoso e con tanta schiuma in superficie. Qualsiasi
cosa
fosse le fece venire l’acquolina in bocca. Si rese conto di
avere molta sete,
proprio come alla Corte Seelie.
-
Se non vuoi niente da mangiare,
accetta almeno qualcosa da bere. – disse la Regina.
Anna
guardò la coppia, incerta. Non
era alla Corte Seelie, dove non avrebbe mai potuto né
mangiare né bere niente.
Ma non sapeva quali fossero le regole di quel mondo. Forse, bevendo
quella
roba, si sarebbe trasformata in un animale parlante. Forse sarebbe
morta.
Spostò
gli occhi su Edmund, intento
ad ammirare la coppa. Il ragazzo deglutì e non si
curò di nascondere quanto
desiderasse un po’ di quella bevanda.
-
E... Edmund? Forse anche lui ne
vuole. Ha molto freddo. – replicò Anna.
-
Ha già avuto molte gelatine di
frutta e una bella coppa come la tua. Bevi, ti dico.
Anna
si rendeva anche conto che se
non avesse accettato il dono avrebbe potuto finire nei guai in ogni
caso. Prese
la coppa e bevve un lungo sorso. La sostanza cremosa era calda e molto
dolce.
Scese in gola e la riscaldò dalla punta dei capelli alle
dita dei piedi.
Aspettò
che accadesse qualcosa.
Qualsiasi cosa. Si guardò le mani, preparandosi a vederle
cambiare. Si guardò
anche i piedi. Ma non accadde niente.
La
Regina agitò la bacchetta e la
coppa sparì. Poi l’enorme donna si
chinò su di lei e le posò una mano sulla
testa.
-
Oh... beh, grazie. – disse Anna,
stupita.
-
Ora ditemi: sono solo queste le
novità? Oppure c’è
dell’altro? – La Regina ritrasse la mano e si
voltò verso
Edmund.
-
Sì, Maestà. Qualcosa ci sarebbe.
– Ed Edmund raccontò del grande leone di cui
già aveva parlato, un grande leone
di nome Aslan che stava arrivando. Di una profezia che parlava
“dei Figli
d’Adamo e del suo costato” e che avrebbero posto
fino al tempo del male.
Il
tempo del male.
La
Regina era il male. Non era
affatto come Ingrid. Forse c’era qualcosa nel suo modo di
muoversi, qualcosa in
certi suoi gesti... che ricordavano sua zia. Ma la sovrana di Narnia
era ben
diversa. Il suo sguardo parlava di crudeltà, di
incapacità totale di provare
pietà o compassione. La sua espressione era sempre dura e
altezzosa.
L’espressione
della Regina si era
fatta ancora più gelida, per quanto ciò potesse
sembrare impossibile. I suoi
occhi fiammeggiavano. Le pellicce si aprirono sul davanti rivelando un
elegante
vestito argentato. - Aslan? – gridò. - Hai detto
Aslan? Mi stai forse mentendo?
Perché se è così potrei anche...
-
No, no! Non vi sto mentendo, ve
lo giuro. Io ripeto quello che hanno detto –
farfugliò Edmund, facendosi
piccolo.
La
Regina urlò un ordine e batté le
mani. Subito comparve un uomo piccolo e tozzo, con la barba lunga,
imbacuccato
in un pelliccia d’orso e con un buffo cappello rosso calcato
sul capo. Un nano.
Si inginocchiò, rischiando di finire con la faccia sul
pavimento.
-
Preparami subito la slitta! – gli
disse la donna. Si sistemò meglio le pellicce. –
Ma non usare i finimenti con i
campanelli. Non voglio che mi sentano arrivare.
-
Vado, Maestà – disse il nano. Si
alzò e corse fuori su gambe corte e traballanti.
-
Edmund, tu vieni con me. In
quanto a te... Maugrim!
Pochi
secondi e il lupaccio che li
aveva condotti nel salone ricomparve. E stavolta non era solo. Dietro
di lui
venne una schiera di lupi. Lupi neri, rossicci, marroni. Lupi bianchi
come la
pelle e le pellicce della Regina. Lupi decisamente più
grossi del normale. Lupi
che avevano un’aria tutt’altro che amichevole. Il
salone si riempì di ringhi e
respiri affannosi. Di occhi luccicanti e di denti che bramavano di
affondare
nella carne.
-
Maugrim, qualcuno si diverte a
prendermi in giro. Sbatti questa ragazzina che si crede tanto furba in
una
delle prigioni sotterranee. – declamò la Regina.
-
Aspettate... che?! – gridò Anna.
– Le prigioni? Ma non potete mettermi in prigione, non ho
fatto niente!
Edmund
era diventato bianco come
ricotta.
-
Ah, no? Io direi proprio di sì,
invece. Sono una che fiuta le menzogne, ragazzina. Una delle cose che
so fare
meglio è fiutare le menzogne! E tu hai mentito dal primo
istante! Scommetto che
non sei la sorella di Edmund. Adesso non ho tempo per un interrogatorio
approfondito, devo occuparmi degli altri. – La Regina
ghignò, soddisfatta. – Di
solito non faccio prigionieri. Non mi interessano. I miei nemici
muoiono. Chi
trama alle mie spalle muore o diventa una statua di pietra. Tu morirai.
Ma più
lentamente. Morirai di fame e di sete, nelle mie prigioni. Non si
può uscire
dalle mie prigioni, mia cara. La magia le protegge. Chi cerca di
liberarti,
rimane intrappolato insieme a te! Portatela via!
***
Angolo
autrice:
Salve,
salve! Ebbene sì, questa
storia è diventata un crossover.
Quando ho iniziato a scriverla non
ci avevo pensato, è una cosa che è venuta dopo.
Spero che vi piaccia l’idea.
Se
non conoscete Le Cronache di Narnia, non
preoccupatevi. Potete comunque seguire questa storia. E in ogni caso,
pur
essendo un crossover, vi anticipo che non si addentrerà
moltissimo nella storia
di Narnia. Nel senso che non ripeterò tutto quello che
accade nel secondo libro
o nel film. Ci saranno delle variazioni, alcune cose non saranno
mostrate,
eccetera... Andando avanti capirete meglio.
|
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Capitolo 10 *** The White Witch ***
10
“Vivere
in
eterno con il cuore corroso dal male e dalla cattiveria
significa vivere
nella disperazione e nel dolore”
[C.S.
Lewis, Le
Cronache di Narnia: il nipote del mago, Aslan]
Anna
non fece altro che lamentarsi,
lanciare occhiate furiose e blaterare cose senza senso mentre Maugrim e
i suoi
compari, lupi che mostravano sempre i denti e minacciavano di
azzannarla se non
chiudeva il becco, la spingevano giù per una rampa di scale
che conduceva nei
sotterranei del castello di quella Strega. La Strega che, come se tutto
ciò che
stava accadendo non bastasse, le aveva strappato la collana con un
gesto secco,
prima di ordinare al suo scagnozzo lupesco di
“accompagnarla” nei sotterranei.
La
collana. La collana e anche
l’anello di Kristoff.
Non
era la prima volta che le
strappavano la collana e avrebbe tanto voluto essere forte abbastanza
per portarla
via alla sovrana di Narnia e riprendersi anche l’anello.
Ora
doveva guardare dove metteva i
piedi, perché a mano a mano che scendevano si faceva sempre
più buio. L’unica
luce veniva dalla porta in cima alle scale, lasciata aperta da Maugrim.
-
Smettetela di spingere, sto
camminando... e poi per quanto dobbiamo ancora scendere? Ce
l’ha un fondo
questo castello?
-
Ti ho già detto di chiudere
quella boccaccia, figlia di Eva – la rimbeccò
Maugrim. I suoi occhi
scintillavano nella semioscurità, feroci e cattivi.
Gli
amici che lo seguivano
ringhiarono in risposta.
-
Loro non sanno parlare? Sei
l’unico lupo che parla? – ricominciò
Anna, mentre le scale finivano e iniziava
un lungo corridoio. Le pareti erano di pietra nera, circondate da una
vaga,
magica luminescenza.
-
Fai troppe domande. E no, non
sanno parlare. Non tutti gli animali a Narnia hanno il dono della
parola,
figlia di Eva. – rispose Maugrim.
-
Si può sapere perché continui a
chiamarmi “figlia di Eva”? Mia madre si chiamava
Gerda, non Eva! Mio padre,
invece, si chiamava Kay e... – Stava per dire il nome di sua
sorella, ma si
trattenne. Lì nessuno poteva sapere chi fosse Elsa, ma non
voleva far sapere a
quelle belve che poteva esserci qualcun altro come lei nei paraggi.
Maugrim
svoltò a destra. – Non sai
chi è Eva? Non ti hanno insegnato niente, i tuoi istruttori,
se ne hai avuti?
Anna
aveva avuto diversi
istruttori, da piccola, che avevano insegnato a lei e a sua sorella a
leggere e
a scrivere. Avevano anche insegnato loro la storia di Arendelle, dalle
origini
fino alla salita al trono di sua madre, a riconoscere le stelle e a
chiamarle
con il giusto nome... ma non aveva mai sentito parlare di una certa
Eva. Né di
Eva né di Adamo, visto che Edmund, quando si era presentato
a Maugrim, si era
definito “figlio di Adamo”.
-
Assurdo. Non sai da dove proviene
la tua dannata specie? – Il lupo sembrava alquanto sorpreso.
– Eva, la prima
donna. La moglie di Adamo. La madre di tutti gli uomini...
-
Beh, mi dispiace, ma non so chi
sia e...
Maugrim
si fermò di colpo, davanti
ad una cella. Che non era propriamente una cella perché non
aveva sbarre. In
apparenza era aperta.
E
in realtà era solo
apparenza, perché guardando meglio
Anna notò i contorni di una barriera magica appena visibile
che emanava la
stessa luminescenza delle pareti del corridoio.
I
lupi avanzarono, compatti, con i
denti scoperti e gli occhi pieni di furia, costringendola a fare
qualche passo verso
la barriera.
-
Non so se Sua Maestà vorrà
parlare ancora con te. Potrebbe succedere, ma in ogni caso non
sarà piacevole.
Non ti verrà portato né da mangiare né
da bere. – declamò Maugrim. Sembrava
stesse recitando qualcosa che aveva già ripetuto molte altre
volte. – Questa
cella sarà la tua casa, d’ora in avanti e fino a
quando... beh, fino a quando
non sarà finita, per te. Questa è la punizione
per aver mentito a Sua Maestà
Imperiale Jadis, Regina di Narnia, Castellana di Cair Paravel,
Imperatrice
delle Isole Solitarie...
-
Basta con tutti questi inutili
titoli! Cercavo di aiutare quel ragazzino, Edmund. Era solo ed era...
arrabbiato. E comunque non ho mentito, sapete? Non proprio. Non ho mai
detto di
essere sua sorella. Questa è una cosa che hai detto tu
quando siamo arrivati...
-
Non hai nemmeno detto di non
esserlo. Hai evitato di dire la verità e questo è
sufficiente. Non so che cosa
ci fai qui a Narnia, figlia di Eva, dato che la profezia parlava solo
di
quattro presunti... Salvatori. O Liberatori. Ma sai una cosa?
È troppo tardi,
ormai. Sia per te che per Edmund.
I
lupi avanzarono ancora, compatti.
Anna fu costretta ad indietreggiare e dopo qualche passo il suo corpo
passò
attraverso la barriera magica. Ebbe la netta impressione che le
mancasse
l’aria, che i suoi polmoni venissero strizzati. Una
sensazione raggelante le
strisciò sotto la pelle. Pensò a quando si era
destata a Narnia, sdraiata sul
manto di neve fresca nel cortile del castello, con il vento freddo che
soffiava
intorno a lei e penetrava i suoi abiti. In confronto, quella era una
sensazione
davvero gradevole.
Anna
cadde dentro la cella e
allungò subito una mano per cercare un punto di appoggio.
Trovò la parete,
rocce nere come quelle dei muri del corridoio che aveva percorso.
Sollevando lo
sguardo si rese conto che al di là della barriera non
c’era più nessuno. O
meglio, lei non vedeva nessuno.
-
Buona permanenza – disse Maugrim,
invisibile dietro la magica entrata.
Anna
lo sentì allontanarsi con suoi
fedeli compagni.
***
-
Eccolo laggiù, lo vedi? – Il
fauno indicò un punto tra le colline innevate con il lungo
dito indice.
Elsa
guardò. C’era la luna piena
che, brillando sul candore della neve, illuminava la valle come se
fosse
giorno.
La
valle, ad un certo punto, si
apriva su una piana fiancheggiata dalle colline e là
c’era il castello della
Strega Bianca. Visto da dove si trovavano lei e Tasch, la dimora della
sovrana
di Narnia appariva come una casa in miniatura e sembrava fatta
esclusivamente
di torri che svettavano verso il cielo.
-
Sì, lo vedo. – disse Elsa. – Mia
sorella... potrebbe essere là dentro?
-
Non so dov’è tua sorella,
purtroppo. Potrebbe già essere al sicuro. Sai, con i figli
di Eva e di Adamo...
ma potrebbe anche essere caduta nelle mani della Regina. Tumnus
sicuramente è
là.
Elsa
osservò il fauno. Aveva
un’aria abbattuta. Si tormentava la punta della barba
rossiccia. – Tumnus
era... è un tuo amico?
-
Sì, siamo cresciuti insieme. Ero
andato a trovarlo perché non si era fatto più
vedere in giro e... e pensavo
stesse male, o qualcosa del genere. Sai, col fatto che è
sempre inverno e fa
sempre così freddo è facile ammalarsi. Anche per
i fauni.
-
Certo...
-
Ma non è malato. Maugrim è venuto
a prenderlo. L’avviso diceva che ha commesso un crimine
contro Sua Maestà.
-
Chi è Maugrim?
-
Il capo della polizia segreta.
Quando la Strega Bianca non c’è, lui sta di
guardia al castello con i suoi
lupacci.
-
L’avviso diceva anche che genere
di crimine avrebbe commesso?
-
Alto tradimento. Ma Tumnus non ha
commesso crimini. Semplicemente non ha fatto quello che la Strega gli
ha
ordinato di fare. – Tasch alzò gli occhi,
incrociando i suoi. – La Strega ha
paura della profezia. E ha chiesto a Tumnus di... tenere gli occhi
aperti.
Di... denunciare a lei la presenza dei figli di Eva e di Adamo, se li
avesse
visti. Ha avuto paura e le ha detto... che l’avrebbe fatto.
Che avrebbe portato
i ragazzi da lei.
Elsa
rabbrividì.
-
Ma non ha potuto, è evidente.
Altrimenti Maugrim non sarebbe venuto ad arrestarlo. Tumnus non
è cattivo.
-
No – disse Elsa, anche se non
aveva mai visto Tumnus in vita sua. Tasch ne era convinto e a lei
sembrava che
il fauno fosse assolutamente sincero.
Si
voltò verso la valle e la scrutò
attentamente. Era rocciosa, piena di arbusti, di tronchi caduti e, in
parte,
coperti dalla neve. Fece spaziare lo sguardo lungo il fiume ghiacciato
che
l’attraversava, scorse qualche casetta qui e là,
vide delle figure minute che
si muovevano in mezzo a tutto quel bianco, ma a giudicare dalla forma
nessuna
di quelle creature era umana. Il suo cuore palpitava.
-
Vedi qualcosa? – chiese Tasch.
-
No... niente.
-
La troverai. Non hai freddo? I
tuoi vestiti sono... molto leggeri. – Le sfiorò la
manica dell’abito azzurro.
-
Il freddo non è mai stato un
problema, per me.
-
Sei fortunata, allora.
Elsa
non si riteneva affatto
fortunata. Aveva perso di nuovo sua sorella. L’aveva seguita,
ma non aveva la
minima idea di come trovarla. Non conosceva minimamente quel mondo. E
stavolta
non aveva la sua collana a guidarla. Per un attimo il panico la invase.
La
invase come quando si era ritrovata a Storybrooke e non riconosceva
niente del
luogo che la circondava. Avvertì chiaramente
un’ondata di potere che minacciava
di sgorgare, ma serrò le palpebre, forte e si
conficcò le unghie nei palmi,
trattenendolo. Concentrandosi per non lasciarsi sopraffare dal terrore.
Ti
troverò, Anna. Ti troverò anche stavolta. Dovessi
perlustrare questo regno in
lungo e in largo.
-
Ti senti male? – domandò Tasch,
preoccupato.
-
Sto... sto bene. Mi dispiace.
Stavo... stavo pensando che devo arrivare a quel castello. Mia sorella
potrebbe
essere là e... e se non è là la
cercherò altrove.
-
La cercheremo. Io vengo con te.
Elsa
lo fissò, stupita. – Vuoi
venire con me?
-
Anche Tumnus è laggiù, nel
castello. La Strega Bianca l’avrà trasformato in
una statua di pietra... e
potrebbe averlo messo nel cortile... con le altre statue. O in una
delle sue
stanze. Devo trovarlo, proprio come tu devi trovare Anna. E dopo
cercheremo i
quattro Salvatori. Andrà bene, lo so. Perché
Aslan sta arrivando.
Quando
Tasch pronunciò quel nome,
Aslan, qualcosa intorno a loro sembrò cambiare.
L’aria parve farsi più densa,
il vento soffiò, i rami degli alberi scricchiolarono ed Elsa
notò che si
tendevano verso il fauno, in ascolto.
-
Che cosa succede? – chiese Elsa,
guardinga.
-
Narnia è stata creata da Aslan,
tantissimo tempo fa. La natura risponde quando sente il suo nome. Anche
questo
vuol dire che è molto vicino.
-
Aslan ha... creato questo regno?
-
Sì. Lui è un grande leone, il
figlio dell’Imperatore d’Oltremare. È da
molto che non si fa vedere in giro, ma
c’è. Esiste. Ora che i figli di Eva e di Adamo
sono arrivati, verrà anche lui.
Un
grande leone.
-
Un grande leone? Intendi dire che
è molto valoroso? – Elsa seppe che la domanda era
inutile non appena la
pronunciò.
Non
è un uomo.
-
Beh, sì. È molto valoroso. E
saggio. Così dicono, almeno... – Tasch
sembrò imbarazzato. Si grattò la barba.
– Ma è quello che ho detto: un leone.
Sconfiggerà la Strega Bianca, perché lei
non può sedere sul trono di Cair Paravel. Non è
la regina legittima. Solo i
quattro esseri umani possono diventare sovrani di Narnia. Il regno
è sempre
appartenuto a loro: ai figli di Eva e di Adamo. A quelli come te,
insomma...
Ed
Elsa, per Tasch, aveva proprio
l’aspetto di una regina. Perché era elegante nel
suo abito azzurro, anche se
non capiva come facesse a non soffrire il freddo. Era elegante anche
quando si
muoveva. Era gentile, aveva un viso dolce e giusto, il viso che avrebbe
dovuto
avere una regina. Tasch si sorprese ad ammirare i suoi tratti.
-
Hai detto... hai detto che il
regno appartiene agli esseri umani. Questa... Strega Bianca... non
è una donna?
Non è un essere umano anche lei? –
domandò Elsa.
-
Le piacerebbe! – esclamò il
fauno, dandosi una manata sulla fronte. – No, certo che no.
Lei dice di essere
una figlia di Eva ed è su questo che basa la sua pretesa al
trono. In realtà ha
preso questo luogo con la forza e l’ha imprigionato con la
maledizione. Non è
umana. È figlia di Lilith.
Vi
fu un breve silenzio.
-
Non... mi dispiace, non capisco,
Tasch.
-
Lilith... la prima moglie di
Adamo. Era un demone. Una creatura del male. Ed è la madre
della Strega Bianca.
Quando
aveva sentito parlare di
quella maledizione, Elsa si era istintivamente chiesta se la Regina di
Narnia
fosse davvero così spaventosa o se non avesse perso il
controllo dei suoi
poteri, magari. Si era chiesta se quell’inverno perenne non
fosse... un errore.
Ma Tasch appariva davvero troppo terrorizzato quando parlava della
donna... o
meglio, della creatura che aveva scagliato il sortilegio.
-
E... Lilith è malvagia. Quindi lo
è anche la Strega Bianca?
-
Certo! Certo che Jadis è malvagia!
Non è umana, Elsa. In nessun senso. Io l’ho vista,
sai? – Tasch rivolse gli
occhi chiari alla valle che li aspettava. Il suo tono era basso e
grave. La sua
voce tremava, come quella di chi si era appena trovato davanti ad uno
dei suoi
peggiori incubi. - È terribile.
***
Anna
si ingegnò per trovare una
soluzione e uscire da quella maledetta cella.
Era
una cella semplice, senza
nessuna finestra, non così fredda come se la sarebbe
aspettata, ma spoglia.
C’era una tavola di pietra nera che certamente fungeva da
letto e una coperta
sporca e sgualcita, gettata in un angolo. La vaga luminescenza prodotta
dalla
barriera magica le permetteva di scorgere i particolari. Uno
scarafaggio nero e
ripugnante si arrampicò lungo la parete e si
infilò in una crepa tra le rocce.
Anna
arricciò il naso.
Si
mosse rapidamente lungo i muri
della prigione, cercando una qualsiasi via d’uscita. Non che
sperasse di
scovare una parete mobile, un passaggio segreto che l’avrebbe
magicamente
condotta fuori dal castello... oh, beh, forse sì. Lo
sperava. Non avendo armi e
non potendo superare la barriera, poteva solo affidarsi alla fortuna
oppure
sperare che le venisse in mente qualche piano geniale.
Sono
stata in una situazione peggiore di questa, si
ripeteva.
Forse
non peggiore, ma ci andava
vicino. Era stata rinchiusa in un baule da Hans e da quel pirata,
insieme a
Kristoff. Il baule si riempiva d’acqua e lei era sicura che
sarebbero annegati,
che non avrebbe potuto avere il matrimonio che desiderava, quindi aveva
ben
pensato di celebrarlo in qualche modo mentre affogava, e che non
sarebbe riuscita
a salvare sua sorella, rinchiusa nell’urna.
-
Una situazione molto brutta, sì.
Anche questa è brutta, ma anche questa avrà una
soluzione – borbottò.
Se
non avesse seguito il ragazzino
di nome Edmund dentro il castello, probabilmente non si sarebbe
ritrovata
imprigionata sotto terra. Ma che cos’altro avrebbe potuto
fare? Edmund era poco
più che un bambino e stava andando incontro ad una donna che
ad Anna era
sembrata subito terribile e quando l’aveva vista si era
accorta che era molto
più che terribile. Edmund... era arrabbiato e ferito. Doveva
aver litigato con
i suoi fratelli e quindi... si era lasciato incantare dalla Regina. Le
aveva
ricordato... se stessa. Se stessa quando era sotto
l’incantesimo di Ingrid. Quell’incantesimo
aveva estratto la parte peggiore di lei e l’aveva messa
contro Elsa. La Regina
di Narnia non aveva fatto nessun incantesimo, aveva usato le parole e
qualche
dono, tuttavia... le aveva ricordato anche quando lei era stata
arrabbiata con
Elsa, perché la sorella le sbatteva le porte in faccia,
perché le diceva di
andarsene quando bussava alla sua porta. Lo faceva tutti i giorni, non
si era
mai data per vinta...
La
collana.
L’anello
di Kristoff.
Improvvisamente
il fatto di non
averli più sembrò pesare come un macigno sulle
spalle. Non aveva elaborato
subito la perdita perché era troppo furiosa con Maugrim e
con la Regina che,
non solo l’aveva privata di due cose a cui teneva, ma
l’aveva anche spedita in
prigione.
Con
la punta delle dita sfiorò la
mano che aveva portato l’anello.
“So
che ce la farai anche stavolta”, le
aveva detto Kristoff
il giorno in cui era partita. “Tornerai...
anzi, tornerete con quello che state cercando. Credo in te, anche se
sono
preoccupato. Posso permettermi di esserlo?”.
Le
aveva stretto quella stessa mano,
sfiorando l’anello con il pollice.
“Immagino
che lo sarei anch’io se tu partissi”.
Poi
la mano di Anna salì al collo.
“Manca
una cosa importante. Qualcosa di nuovo con qualcosa di
vecchio”.
Pensò
a Kristoff da solo ad
Arendelle, magari intento a guardare fuori da una delle finestre del
palazzo,
sperando di vedere una nave all’orizzonte. Oppure nella
stalla mentre parlava
con Sven e gli dava da mangiare.
Pensò
ad Elsa, che forse la stava
cercando in quel mondo come l’aveva cercata a Storybrooke.
Elsa che stavolta
non aveva nessuna collana ad aiutarla. Nessun desiderio da esprimere.
Pensò...
al momento in cui Elsa
l’aveva baciata nei giardini di Arendelle. Al momento in cui
l’aveva baciata a
bordo della Blackrose. Il mondo, allora, era sembrato perfetto. Tutti i
guai in
cui erano finite le erano sembrati di poco conto. Niente le era parso
sbagliato, anche se lo era in ogni caso.
Anna
si sentì cedere le ginocchia.
Barcollò e cadde vicino alla lastra di pietra nera.
“Di
solito non faccio prigionieri. Non mi interessano. I miei nemici
muoiono. Chi
trama alle mie spalle muore o diventa una statua di pietra. Tu morirai.
Ma più
lentamente. Morirai di fame e di sete, nelle mie prigioni”.
Anna
appoggiò la fronte contro la
pietra fredda. Il cuore pulsava forte nel suo petto.
Elsa,
dove sei?
Chiuse
gli occhi.
***
-
Oh, no... – mormorò Tasch
all’improvviso, fermandosi in mezzo alla neve e spalancando
gli occhi.
Elsa
si fermò a sua volta.
Stavano
camminando da un po’
diretti al castello della Regina di Narnia, avvolto da una leggera
nebbiolina e
da ombre scure. Non aveva ripreso a nevicare. Anzi, sembrava che in
alcuni
punti la neve si stesse persino sciogliendo. Cadeva dagli alberi a
blocchi, con
tonfi sordi e pesanti. Il cielo andava pian piano schiarendosi, segno
che non
mancava molto all’alba.
-
Che cosa c’è? – domandò Elsa.
Un
rumore. Un rumore aveva attratto
l’attenzione di Tasch. Il fauno si era messo in ascolto e
adesso anche Elsa
poteva udirlo. Qualcosa che filava svelto sul manto bianco che
ricopriva tutto.
Una voce che sembrava intenta ad incitare dei cavalli.
Tasch
spinse Elsa al riparo, dietro
una formazione rocciosa, a pochi passi da un enorme tronco caduto. Il
fauno le
fece segno di tacere. Le ciocche della sua chioma rossa sparavano in
varie
direzioni.
-
La Strega Bianca... – bisbigliò,
con voce tremante.
Elsa
vide la slitta comparire
dietro una curva, diversi metri più a sinistra rispetto al
punto in cui erano
nascosti. Una slitta argentea e trainata da due grandi renne bianche,
munite di
corna ramificate e color dell’oro. Le briglie erano di cuoio
scarlatto ed erano
nelle mani del cocchiere, un nano dall’aspetto burbero, con
una barba molto
lunga e folta che scendeva a coprirgli le gambe e un cappuccio rosso
con la
punta lunga e sottile calcato in testa. Frustava gli animali senza
alcuna
pietà.
Dietro
di lui c’era una donna
imponente, vestita di pellicce dal collo ai piedi. Nella mano destra
teneva un
oggetto lungo, che scintillava: certamente la sua bacchetta magica. Gli
occhi
fissavano l’orizzonte e il viso era teso in
un’espressione concentrata e dura.
-
Ferma! – ordinò Jadis.
Il
nano, colto alla sprovvista,
tirò le redini con molta forza e le renne si bloccarono di
colpo, sbandando e
roteando gli occhi.
Sulla
slitta c’era qualcun altro.
Per qualche assurdo secondo, Elsa fu sul punto di credere che si
trattasse di
Anna e il suo cuore perse un battito.
Ma
non era Anna, naturalmente. Era
un ragazzo. Un ragazzino con i capelli scuri tutti arruffati dal vento,
il viso
pallidissimo e l’aria terribilmente infelice.
-
Mia Regina... – iniziò il nano,
voltandosi verso di lei.
Jadis
scrutava la zona intorno a
lei. I suoi occhi perlustrarono il sentiero che la slitta stava
percorrendo. Perlustrarono
le rive del fiume, le colline, i tronchi caduti, il bosco... si
girarono per
osservare il castello.
Elsa
si era abbassata ancora di più
dietro le rocce. Tasch la fissava, terrorizzato. La regina di Arendelle
strinse
un pugno ed avvertì il potere che formava uno strato di
ghiaccio sulla pelle. Il
suo respiro era accelerato, incontrollabile. Jadis era... proprio come
Tasch
l’aveva descritta. Aveva un aspetto umano, eppure non era
affatto umana. La sua
figura appariva innaturale e non solo per via dell’altezza
spropositata. Il suo
sguardo era innaturale. La piega della sua bocca, che spiccava rossa in
mezzo
al biancore della carnagione, era innaturale. Il modo in cui si muoveva
era
innaturale.
Jadis
scese dalla slitta. Elsa
sentì i passi attutiti dalla neve.
-
Sento che c’è qualcosa qui... –
disse la Regina.
-
Che cosa, Maestà? – domandò il
nano.
-
Qualcosa. Non so bene cosa, ma
è... è potente.
-
Pensate che sia...
-
No, idiota. Non è Aslan! È un
potere ben diverso... Aslan non si nasconderebbe. Non se si trova
già qui a
Narnia. Anzi, fosse qui non vedrebbe l’ora di mostrarsi!
Tasch
aveva raccolto una pietra e
l’aveva stretta tra le dita. Non sarebbe mai riuscito a
fermare quell’essere
con un semplice sasso, ma era sempre meglio che restare lì
senza far niente. Era
meglio prepararsi. Magari sarebbe
riuscito a farle un po’ male prima di essere tramutato in una
statua.
Elsa
stava per scagliare un’ondata
della sua magia contro Jadis. Il suo corpo fremeva. Non sarebbe
riuscita a
trattenerla ancora per molto...
-
Allora forse sono... gli altri? I
fratelli del vostro prigioniero? – tornò a
chiedere il nano.
Il
ragazzo emise un verso basso
simile ad un singhiozzo.
-
Taci – sibilò la Strega Bianca.
Elsa
la udì avvicinarsi ancora.
Poi
ci fu un movimento alla sua
destra, un fruscio e una figura a quattro zampe sbucò da
sotto un cumulo di
neve. Una figura dello stesso colore dei capelli del fauno. Rossa, con
una
lunga coda che si mosse nervosamente.
-
Strega Bianca! – disse la volpe,
spaventata dall’apparizione. Forse stava dormendo e non aveva
udito la slitta.
Strega
Bianca.
Elsa
riuscì appena a registrare il
fatto che l’animale sapesse parlare. Poi...
-
Oh, maledetta... – cominciò
Jadis, irritata.
-
No, per favore! No! – gridò il
ragazzo.
Non
aveva ancora finito la frase
che già la volpe non era più una volpe, ma una
statua. Una creatura di pietra,
con una bocca di pietra socchiusa a mostrare i denti aguzzi e piccoli
occhi di
pietra che fissavano la sovrana di Narnia. E una coda di pietra. E
zampe di
pietra.
Elsa
la vide dalla sua posizione,
la schiena premuta contro le rocce e non poté fare a meno di
inorridire. Riuscì
a soffocare il gemito di sorpresa che le artigliava la gola.
-
Questo è un regalo per te! –
esclamò Jadis. Non stava guardando, ma Elsa sapeva che si
stava rivolgendo al
ragazzo. – Non osare mai più chiedere
pietà per delle creature come quella!
Sono spie e traditori!
Silenzio.
Elsa trattenne il
respiro.
-
Maestà... – disse il nano.
-
Cosa?
-
Credo sia meglio andare. Non so
che cosa abbiate sentito, ma... la neve si sta sciogliendo e se si
scioglie la
slitta non potrà andare avanti perché il terreno
sarà un pantano. E poi i
fratelli del prigioniero potrebbero essere già lontani...
-
Sciocchezze, imbecille! La neve
non si scioglie mai a Narnia!
-
Ma sta succedendo, Maestà.
Guardatevi intorno.
Ancora
silenzio. Più lungo,
stavolta.
-
Basta idiozie! – esclamò Jadis. I
suoi passi si mossero di nuovo verso la slitta. – Forza,
andiamocene! Qualsiasi
cosa fosse me ne occuperò quando avrò finito con
i figli di Eva e di Adamo. E
con Aslan! Perché su una cosa non hai torto, nano: non
voglio che vadano troppo
lontano.
***
Edmund
Pevensie non era solo
infelice, ma anche addolorato. Addolorato per se stesso e per le povere
creature come la volpe, ridotte a statue di pietra. Per quelle povere
creature
che aveva visto in cortile, compreso il leone al quale aveva donato un
paio di
baffi e di occhiali. L’aveva fatto per prendersi gioco di
lui, ma anche per
sentirsi forte e coraggioso. Era tristissimo vedere gli animali
trasformati in
figurine di pietra e pensare che sarebbero rimaste in quello stato di
immobilità, nella luce del sole o
nell’oscurità della notte, per anni e anni,
mentre la terribile sovrana di Narnia mieteva altre vittime.
È
colpa mia.
Certo
che lo era. Lui era stato
stupido e ingenuo. Era arrabbiato con Peter e questo l’aveva
portato a
comportarsi come un idiota. A fidarsi di una donna senza scrupoli che
lo aveva
incantato con gelatine di frutta e bevande calde e succose. Ma la cosa
peggiore
era che aveva ingannato anche se stesso e non solo gli altri. Edmund
sapeva...
oh, sì, lo sapeva benissimo che la Strega Bianca era
crudele. Lo sapeva
benissimo che era pericolosa. Lo sentiva che la sua gentilezza celava
qualcosa
di veramente terribile.
“Il
tempo del male”.
Mi
puniranno. Aslan, se verrà davvero, mi punirà.
Non può non farlo. Glielo
chiederanno tutti e dovrà punirmi. Sono un traditore e i
traditori non la
passano mai liscia. O forse sarà Peter a punirmi,
perché è il più grande.
Anche
ciò che era accaduto a quella
ragazza... Joan... era solo colpa sua. L’avevano sbattuta in
prigione oppure
Maugrim l’aveva divorata con l’aiuto dei suoi
compari. Insomma, Jadis la voleva
morta e qualcosa gli diceva che sarebbe stata capace di mentire,
dicendole che
sarebbe morta di fame, per poi farla uccidere dai lupi.
“Consegni
le tue sorelle e tuo fratello... per un titolo? È
orribile”.
Mentre
la slitta correva sulla
neve, Edmund rimuginava. E sperava di sopravvivere abbastanza a lungo
da poter
dire a qualcuno che Joan era prigioniera al castello della Regina.
***
-
Siamo arrivati – annunciò Tasch,
come se ce ne fosse bisogno.
Non
avevano parlato da quando era
scampati per un soffio a Jadis e alla sua bacchetta magica. Elsa
continuava a
ripensare a quella figura maestosa e gelida, al modo in cui la volpe si
era
trasformata in un essere di pietra e a quel ragazzino che moriva di
freddo a
bordo della slitta.
E
se avesse fatto una cosa simile anche ad Anna?
Fecero
il giro del castello, fino a
quando non trovarono l’ingresso, un’arcata immensa
con un cancello di ferro
appena socchiuso.
-
La Strega Bianca se n’è andata ma
potrebbe comunque esserci qualcuno. Maugrim, magari. Lui sta sempre di
guardia
o così dicono... beh, non ci sono mai venuto. È
la prima volta anche per me. –
disse Tasch.
-
Devo entrare.
-
Anch’io... Tumnus potrebbe essere
qui.
Elsa
si voltò, osservando il fauno,
che ricambiò l’occhiata con gli occhi sgranati e
pieni di paura. – Tasch...
puoi andare via. Non c’è bisogno che tu rimanga
con me.
-
C-come? No. Non posso andarmene
adesso – esclamò Tasch, scuotendo il capo con
decisione.
-
Certo che puoi. Ti ringrazio per
aver guidata fin qui, ma...
-
Sono venuto anche per Tumnus.
Probabilmente sarà una statua ed io non saprò
come aiutarlo, ma almeno devo
provare a cercarlo. – Il fauno si tolse alcune ciocche di
capelli dalla fronte.
– E poi là dentro è pericoloso.
-
Posso farcela. Sono stata in
situazioni peggiori di questa.
-
Preferisco rimanere... – Non le
diede il tempo di aggiungere altro. Avanzò di qualche passo,
appoggiandosi
all’arco per guardare all’interno. – Hai
visto quell’umano sulla slitta, vero?
La Strega Bianca ha trovato uno dei Salvatori. Adesso starà
andando a prendere
gli altri. Speriamo solo che Aslan arrivi presto e che loro si
nascondano
bene...
Tasch
spiccò un balzo improvviso
quando scorse il leone di pietra, lo stesso a cui Edmund aveva
disegnato i
baffi e gli occhiali. Era nella stessa posizione della belva che si
prepara a
saltare addosso ad una preda.
-
Oh, perbacco... è di pietra,
certo. – mormorò Tasch.
Elsa
fissò con il cuore in gola
tutte le statue nel cortile del castello. Non solo il leone, ma anche
le ninfe
dei boschi, il cavallo alato, il gigante... tutte pietrificate dalla
magia di
Jadis. Elsa le passò in rassegna una ad una, chiedendosi che
cosa avrebbe fatto
se avesse riconosciuto Anna in una di quelle statue. Si chiese che cosa
avrebbe
fatto se avesse scorto i suoi occhi che la guardavano senza
più vederla.
-
Tumnus qui non c’è. E tua
sorella? – si arrischiò a chiedere Tasch, mentre
sfiorava la criniera del leone
con la punta delle dita, guardingo, come se si aspettasse un attacco da
parte
sua.
-
Non... non la vedo – disse Elsa. I
suoi sensi erano all’erta. Aveva l’impressione che
qualcuno li stesse spiando.
-
Dovremmo... entrare. Credo.
-
Tasch...
-
Cosa?
-
Forse è meglio...
Un
ringhio basso e cupo spezzò a
metà la frase di Elsa. Tasch si irrigidì.
Alzò la testa giusto in tempo per
vedere un grande lupo nero proprio sulla groppa del leone, un lupo nero
con una
macchia bianca sul muso e gli occhi di ghiaccio. Scrutava i nuovi
venuti,
famelico, mentre un filo di bava scivolava dalla sua bocca.
-
Bene – disse il lupo, appoggiando
una zampa sulla testa di pietra. – Sono lieto di vedere che
è già arrivata la
nostra cena.
Parlava
anche il lupo, proprio come
la volpe. Ma ad Elsa non importava. Dal cancello alle loro spalle e da
una
porta aperta in fondo al cortile sbucarono altri lupi, con il pelo
ritto e le
zanne scoperte. Nel giro di un istante furono circondati.
Tasch
indietreggiò, raggiungendola.
-
Maugrim ci aveva avvertiti: ‘fate
la guardia perché, a quanto pare, la profezia non dice tutta
la verità. Ci sono
più di quattro umani a Narnia’ –
proseguì il lupo nero. Scese dalla schiena del
leone, atterrando silenziosamente e annusando l’aria.
I
suoi compari strinsero il cerchio
intorno alla “cena”. Alcuni di quei lupi erano
magri, evidentemente affamati e
avevano occhi iniettati di sangue.
-
Aveva ragione. Un’altra figlia di
Eva e un fauno. I fauni hanno un pessimo sapore, ma andrà
bene, per una volta.
***
Angolo
autrice:
Salve!
Ci
tengo a precisare alcune cose,
come al solito:
Il fauno Tasch non esiste nei libri
di C.S. Lewis. L’ho inventato io, perché mi
sembrava giusto che Elsa avesse una
sorta di... accompagnatore. Tutti gli altri personaggi nominati, invece
(Maugrim,
Tumnus, ovviamente Edmund e i suoi fratelli, Jadis, Aslan...) sono di
Lewis.
Insomma, per farla breve, Tasch è l’unico
personaggio inventato.
Anche
la parte delle prigioni
sotterranee con un’entrata protetta da una barriera magica
è una mia idea.
Spero
che vi sia piaciuto. Fatemi sapere.
|
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Capitolo 11 *** Together ***
11
“There is no sweeter innocence than
our gentle sin”
[Hozier, Take Me To
Church]
I lupi si assieparono intorno ad
Elsa e a Tasch, strinsero sempre di più il cerchio. I loro
occhi lampeggiavano,
furiosi e affamati.
-
Elsa? – iniziò il fauno,
deglutendo a fatica. – Che cosa possiamo fare?
Lei
sapeva che cosa fare. I
predatori erano in tanti, ma forse sarebbe riuscita a tenerli a bada.
-
Sono io che farò qualcosa, Tasch.
Tu scappa. – disse Elsa, allungano una mano verso i due lupi
più vicini. Uno di
loro spinse il muso in avanti e chiuse le fauci sull’aria.
Sentì l’alito caldo
sulle dita.
-
Cosa? No... no, sai che non posso
andarmene – balbettò Tasch, mordendosi il labbro.
– Insomma, vorrei poterti
aiutare.
-
Non puoi. Sono in troppi. Ma
io... io posso. Vai a cercare aiuto.
-
Tu puoi? Che vuol dire che puoi?
– Tasch la guardava sbalordito. – Sono in tanti
anche per te. Saresti da sola e
sei... beh, sei una figlia di Eva e...
-
No, non sono solo questo. Fidati
di me, Tasch. Corri. Vai a cercare qualcuno che possa aiutarci. Ti
copro le
spalle. Troverò mia sorella e troverò anche
Tumnus.
-
Ma...
Uno
dei lupi, un maschio dal pelo
grigio e con occhi rossi come braci ardenti, spiccò un balzo
con gli artigli
sguainati, pronto a dilaniare, a lacerare la carne.
Elsa
lo vide muoversi come a
rallentatore. Vide baluginare le zanne. Vide il guizzo folle nel suo
sguardo.
Vide la folta pelliccia mossa dal vento.
Liberò
il suo potere. Un fascio di
gelida magia azzurra esplose dalla sua mano protesa e raggiunse il lupo
in
pieno petto. L’animale lanciò un guaito di dolore
e precipitò al suolo. Si
contorse nella neve per qualche istante, poi si rialzò,
barcollò finendo
addosso ad uno dei suoi compari e prese a girare su se stesso, mentre
nel pelo
grigio comparivano delle ciocche bianche. Sul petto si formò
prima della brina
e poi del ghiaccio.
Gli
altri lupi si ritrassero,
ringhiando e raspando. Quello che aveva rivolto loro la parola fece
qualche
passo indietro, scrutando Elsa, malevolo, ma anche guardingo.
-
Corri, Tasch!
Il
fauno, troppo sbigottito per
poter ribattere, con gli occhi che sporgevano dalle orbite, corse.
Approfittò
del varco che si era formato quando i due lupi si erano scontrati fra
di loro e
corse verso il cancello aperto come se avesse avuto le ali ai piedi,
proprio
nel momento in cui Elsa sprigionava di nuovo la magia.
Grossi
spuntoni di ghiaccio
emersero all’improvviso dal manto bianco che ricopriva i
ciottoli del cortile.
Le punte acuminate ferirono il fianco di un lupo, che lanciò
un gemito di
dolore. Sprizzò sangue e le goccioline rosse macchiarono la
neve. Quello scappò
a gambe levate, comprendendo che le cose si stavano mettendo male.
Altri due lo
seguirono.
-
Dove andate, codardi?! – urlò il
loro capo.
I
predatori rimasti
indietreggiarono ancora, indecisi se imitare i loro compagni o
ascoltare la
voce grossa del lupo con gli occhi azzurri.
Restarono,
ma non osarono
avvicinarsi. Ripresero a girarle intorno.
“Maugrim
ci aveva avvertiti... fate la guardia perché, a quanto pare,
la profezia non
dice tutta la verità. Ci sono più di quattro
umani a Narnia”.
Era
a questo che Elsa pensava.
“Ci
sono più di quattro umani a Narnia”.
Dubitava
che quel Maugrim sapesse
della sua presenza. Però era possibile che il suo compagno
avesse visto o
sentito parlare di Anna. Era possibile che Maugrim si riferisse proprio
a lei e
che quindi Anna fossì lì, da qualche
all’interno del castello.
“Ci
sono più di quattro umani a Narnia”.
E
sapeva anche che quei lupi non
l’avrebbero lasciata passare a meno che non li avesse
sconfitti
definitivamente. La tenevano d’occhio, si muovevano intorno
alla preda perché
speravano che prima o poi si stancasse, perché speravano che
la sua magia
avesse un limite e che le risucchiasse le energie, privandola delle
forze. O
speravano che abbassasse la guardia.
Elsa
strinse forte i pugni.
Un
paio di lupi avanzarono, cauti,
giusto un paio di passi.
Fiocchi
bianchi iniziarono a cadere
intorno alla regina di Arendelle. La neve che ricopriva le statue di
pietra e i
ciottoli iniziò a sollevarsi, formando un turbine che
andò rapidamente
espandendosi.
I
lupi si ritrassero, guaendo,
ululando. Alcuni fecero ciò che i loro compagni avevano
fatto un attimo prima:
se la diedero a gambe.
“Ci
sono più di quattro umani a Narnia”.
Il
turbine di neve crebbe
d’intensità. Si trasformò in una
bufera. Il vento soffiò forte, vorticoso. La
neve accecò i predatori, che finirono l’uno contro
l’altro. Un lupo saltò alla
cieca in mezzo alla tormenta ed Elsa scagliò contro di lui
un fascio della sua
magia, che lo colpì al collo. Un altro guaito doloroso.
Fuggirono
tutti. Tutti, eccetto il
lupo con gli occhi di azzurri che aveva parlato a lei e a Tasch. Quanto
la
tormenta si placò, anche lui cercò di scappare ma
Elsa lo intrappolò. Gli
spuntoni di ghiaccio lo accerchiarono e le punte acuminate minacciarono
i suoi
fianchi e il collo.
-
Lasciami andare, qualunque cosa
tu sia! – gridò il lupo, inferocito. –
Non sei una figlia di Eva... avrei
dovuto capirlo subito.
-
No, non lo sono! – gli rispose
Elsa, guardandolo con gli occhi sbarrati e pieni di rabbia. –
Sto cercando mia
sorella. Si chiama Anna. Voglio sapere dov’è!
-
Non c’è nessuna Anna qui a
Narnia.
Uno
spuntone di ghiaccio premette
contro il fianco del lupo.
-
Ti ripeto che non ne so niente!
Dannazione, non c’è nessuno con quel nome!
-
Poco fa hai detto che... questo
Maugrim, il tuo capo...
-
Il capo della polizia segreta di
Sua Maestà – precisò lui, con lo stesso
tono di chi ha imparato le cose a memoria
e non può fare a meno di ripeterle.
-
Hai detto che lui ti aveva
avvertito. Che la profezia di cui tanto si parla non dice il vero...
che ci
sono più di quattro essere umani, qui – Elsa
teneva la mano protesa davanti a
sé. La sua espressione era dura e determinata. Non
l’avrebbe lasciato andare
fino a quando non le avesse rivelato tutta la verità.
-
C’è... c’è un altro essere
umano,
sì. – ammise il lupo. – Nelle segrete.
Ha mancato di rispetto alla Regina
Jadis, per questo si trova laggiù. Ma il suo nome
è Joan, non Anna.
Joan.
Elsa
si sentì quasi venir meno. –
È... è qui? Qui in questo castello?
-
Sì, giù nelle segrete, te l’ho
detto.
-
Dov’è l’ingresso delle segrete?
Il
lupo glielo spiegò. Ovviamente
lei non pensò affatto di liberarlo. Non intendeva rischiare
che lui la fermasse
in qualche modo o che andasse ad avvertire la sua Regina. Ed Elsa non
sapeva
neppure quanto tempo avesse prima che Jadis facesse ritorno al
castello. Doveva
sbrigarsi.
-
Non puoi lasciarmi qui,
maledetta! Dove credi di andare?
-
A salvare mia sorella – Elsa gli
voltò le spalle, ignorando le sue imprecazioni e i suoi
lamenti.
***
Proseguì
fino alla base di una
delle torri che svettavano verso il cielo. Sentiva ancora i ringhi
furiosi del
lupo, la sua voce che si alzava in mezzo alle statue di pietra,
chiamandola non
più “figlia di Eva”, ma
“mostro” oppure “creatura
maledetta”.
“Maugrim
ci aveva avvertiti... fate la guardia perché, a quanto pare,
la profezia non
dice tutta la verità. Ci sono più di quattro
umani a Narnia”.
“Ha
mancato di rispetto alla Regina Jadis, per questo si trova
laggiù. Ma il suo
nome è Joan, non Anna”.
Elsa
non riusciva a pensare ad
altro. Non poteva pensare ad altro
mentre ghiacciava la serratura della grande e vecchia porta di legno
come a suo
tempo aveva fatto con la porta del negozio di Tremotino, a Storybrooke.
Nel
mentre, un corvo appollaiato sulle mura che circondavano la dimora
della Strega
Bianca lanciò un gracchio e si levò in volo.
La
porta si aprì ed Elsa rischiò
subito di ruzzolare giù per una ripida rampa di scale. Una
rampa di scale che
si perdeva nell’oscurità e sembrava scendere fino
al centro della Terra.
“Ha
mancato di rispetto alla Regina Jadis, per questo si trova
laggiù”.
Cominciò
a scendere.
Percorse
la rampa per un tempo che
le parve infinito, tanto da iniziare a chiedersi se davvero ci fosse
una fine,
se ci fosse un fondo.
“Non
permetterò più a nessuno di separarci. E non
andrai più in nessun luogo in cui
io non possa raggiungerti”.
E
raggiunse il fondo, ad un certo
punto. Si accorse che le pareti in pietra nera emanavano uno strano
bagliore,
come se contenessero un residuo di qualche potente magia.
-
Anna? – La sua voce riecheggiò
nel corridoio che aveva davanti sé.
Non
ottenne risposta e quindi
avanzò, immergendosi nella semioscurità delle
segrete.
“Questo
suona tanto come un finché morte non ci separi”.
Avanzò
più spedita, sperando che
Anna stesse bene, pregando che non fosse ferita. Pensò anche
a Tasch. Si chiese
se il fauno sarebbe tornato al castello con dei rinforzi, con qualcuno
che
avrebbe potuto aiutarle.
Il
corridoio curvò bruscamente. Si
fermò, perlustrando le tenebre con lo sguardo. Il suo cuore
batteva un po’ più
forte.
“Questo
suona tanto come un finché morte non ci separi”.
***
- Anna?
Non
aveva idea di quanto tempo
fosse passato da quando era crollata accanto alla lastra di pietra.
Anna aveva
l’impressione che la sua coscienza si trovasse alla fine di
un lungo,
interminabile tunnel e che lei stesse camminando verso di essa
lentamente,
ciondolando, incespicando ogni tanto.
Aveva
ancora la fronte appoggiata
al braccio e gli occhi chiusi quando udì qualcuno che
chiamava il suo nome.
Sto
certamente sognando. Sì, ne sono sicura.
Non
poteva essere altrimenti. Era
sola, là sotto.
Era
sola e non aveva più né la
collana né l’anello. Non aveva più
niente. Solo se stessa e non sapeva come
avrebbe fatto ad uscire da quella prigione.
-
Anna?
Di
nuovo quel richiamo. Quella voce.
Più vicina. Più distinta.
Sollevò
di scatto la testa,
cercando di scacciare la confusione e lo stordimento.
-
Non... chi... Elsa? – mormorò.
Si
ricordò di una cosa importante.
Una cosa estremamente importante. Nessuno doveva entrare in quella
cella,
perché una volta entrati non era più possibile
uscirne. La barriera magica non
l’avrebbe permesso.
-
Anna... sei qui... – La voce di
Elsa ora era vicinissima.
-
No, Elsa... Elsa, aspetta...
Prima
che potesse aggiungere
qualsiasi altra cosa, sua sorella oltrepassò la barriera
invisibile e barcollò
dentro la prigione.
Anna
la vide. Ciocche di capelli
biondi che erano sfuggite alla treccia, gli occhi spalancati, dapprima
pieni di
sorpresa e curiosità, poi di consapevolezza.
Fu
come se una serratura fosse
scattata, nella mente di entrambe, e le avesse liberate. Un attimo dopo
Anna
era tra le sue braccia e la forza con cui Elsa la strinse fu tale che
le spinse
entrambe a terra. Anna teneva le braccia intorno alle sue spalle e
sussurrava
il suo nome. Lei l’abbracciò ancora più
stretta e le affondò il viso nel collo.
In quel momento il terrore di non rivederla mai più, di
trovarla ridotta ad una
statua di pietra dalla magia di Jadis, un terrore che l’aveva
accompagnata
lungo il tragitto che l’aveva condotta al castello,
allentò la presa e le
permise di respirare di nuovo.
-
Elsa... – disse Anna, scostandosi
per poterla guardare. Le sue dita le percorsero il volto, come se
volesse
assicurarsi che fosse vera, che fosse davvero lì con lei.
-
Stai bene? Sei ferita?
Scosse
la testa. Cominciò a parlare
a raffica. – No. No, io... sto bene. Non sapevo che cosa
pensare... non sapevo
se mi avessi seguita... non... non sapevo nemmeno se desiderassi
davvero che mi
avessi seguita... cioè, sì, lo volevo, ma adesso
siamo intrappolate qui ed io
non ho più la collana... e nemmeno l’anello! Me li
ha portati via lei... sai,
la Regina. Quella strega... è orribile.
-
Lo so, l’ho vista.
-
L’hai vista? Dove?
-
Mentre venivo qui. Mi sono
nascosta. Ma ho visto che cosa sa fare... con quella bacchetta magica.
-
Le statue... hai visto quelle
statue?
Elsa
annuì.
Gli
occhi di Anna erano sempre
fissi nei suoi. – Elsa... non so come tu abbia fatto ad
arrivare fino a qui...
voglio dire, so che c’entrano quegli anelli, ma non ho idea
di come...
-
Mi ha aiutato un fauno. Stava
cercando anche lui qualcuno.
-
Un fauno?
Elsa
le spiegò di Tasch, di tutto
ciò che le aveva detto riguardo a Tumnus e alla Strega
Bianca. Le parlò anche
della profezia, della maledizione scagliata su Narnia e dei presunti
Salvatori.
-
Edmund... quindi Edmund è uno di
loro. Oh, Edmund è un ragazzino che ho incontrato appena
arrivata qui. È anche
per questo che mi trovo in prigione. Cercavo di aiutarlo. Si era
ficcato in un
bel pasticcio.
-
L’ho notato. Sulla slitta della
Regina. Stava certamente andando a cercare gli altri.
-
Perciò è ancora vivo.
-
Sì. Lo è.
-
C’è un altro problema, Elsa.
-
Quale?
-
Questa cella... non è una comune
cella. C’è una barriera magica. Sembra aperta ma
c’è una barriera.
-
Credo di aver sentito qualcosa
entrando...
-
Si può solo entrare, ma non
uscire. Siamo bloccate qui tutte e due. – Anna si morse il
labbro, nel dirle
questo.
Elsa
si alzò e andò verso la
barriera. Quando la toccò con la punta della dita,
l’aria si increspò
leggermente, ma era molto solida, dura come il fiume ghiacciato che
attraversava la valle di Narnia. Vi sbatté contro il palmo
aperto della mano e
sulla barriera si diramò una serie di linee bianche. Il
potere di Elsa sembrò
sul punto di ghiacciare quel muro che impediva loro di uscire, ma
subito dopo
il ghiaccio si ritirò e scomparve.
-
Non ci posso credere... –
sussurrò Elsa. – Mi... mi dispiace tanto, Anna.
Avrei dovuto saperlo... mi
dispiace.
Anna
le afferrò un braccio. – Non
dire che ti dispiace. Non è stata colpa tua. Non hai idea di
che cosa... di
cosa significhi per me averti qui, adesso. Quando mi hanno strappato la
collana... lo sai, è stato come se mi avessero strappato via
anche te. Non
avevo più niente, Elsa... non sapevo che cosa fare. E
adesso...
-
Adesso ho intrappolato entrambe.
– Elsa evitò di guardarla.
-
No. Cioè, sì, in effetti siamo in
trappola, ma hai detto di non essere venuta da sola. Forse quel fauno
troverà
qualcuno e verranno qui a cercarci. Magari troverà proprio
quei ragazzi e
questo... leone... chiunque sia.
-
Gli avevo promesso che avrei
trovato anche il suo amico...
L’espressione
di Elsa era così
addolorata che Anna non poté fare a meno di allungare una
mano per
appoggiargliela sulla guancia. Le era mancato toccarla. Le era mancato
tutto di
lei. Si chiese come avesse potuto pensare che non l’avrebbe
più rivista. Elsa
la trovava sempre, in qualsiasi posto fosse. Gliel’aveva
detto, una volta, che
non sarebbe andata più in nessun luogo in cui lei non
potesse raggiungerla.
-
C’è un fauno di pietra nel salone
della Regina. L’ho notato quando ci sono arrivata. Aveva
un’aria molto triste.
Potrebbe essere lui, no?
-
Forse. Ma dovremmo uscire di qui,
prima. E non intendo starmene qui con le mani in mano.
-
Elsa...?
Elsa
diresse il suo potere contro
la barriera magica. L’esplosione di luce biancoazzurra fu
così intensa che Anna
dovette schermarsi gli occhi con un braccio.
***
Il
cocchiere della Strega Bianca
aveva perfettamente ragione. L’incantesimo stava svanendo.
Edmund,
sebbene legato, depresso e
pieno di sensi di colpa, con i capelli scompigliati dalla corsa sulla
slitta,
non aveva più freddo come quando aveva messo piede a Narnia
passando
dall’armadio e non poteva impedirsi di vedere ciò
che stava succedendo. La neve
che si scioglieva, rendendo difficoltoso, per le renne bianche,
trainare il
mezzo di trasporto della Regina... e poi l’erba verde che
spuntava in mezzo al
bianco. Passarono davanti ad un boschetto di betulle e là il
terreno era
cosparso di fiori gialli.
-
Mia signora! – Il nano tirò le
redini. – Non possiamo più proseguire con questa
slitta. Il terreno è un
pantano. Ci metteremo il doppio del tempo.
Parlava
in tono agitato,
tormentandosi la lunga barba. Scuoteva il capo. Le renne sembravano
felici di
aver ottenuto quel momento di pausa. La corsa, per loro, doveva essere
stata a
dir poco estenuante.
-
Lasciamo qui la slitta e
proseguiamo a piedi – annunciò Jadis, scendendo.
-
Ma così non li raggiungeremo mai,
mia Regina – protestò il nano.
-
Poche chiacchiere! Non sei il mio
consigliere quindi mettiti in moto! Prendi la frusta, lega le mani del
ragazzo... ma legale molto strette... e poi cammina. Ah, non
dimenticare di
tagliare le redini. Le renne sapranno tornare da sole al castello.
E
così la Strega Bianca costrinse
Edmund ad una marcia forzata. Lui avrebbe voluto fermarsi e accarezzare
quelle
povere renne che erano state frustate così a lungo. Avrebbe
voluto toccare le
loro maestose corna dorate e sussurrare parole di conforto. Parole di
conforto
per loro e per se stesso.
Correte.
Corri, Peter. Porta in salvo Susan e Lucy. Correte. Vi prego, correte, pensava,
sempre più angosciato. Aslan, se
sei
arrivato, per favore aiutali. E aiuta anche Joan.
Fu
proprio durante questa corsa per
raggiungere i fratelli del ragazzo e i castori che li avevano aiutati a
scappare che i segnali divennero palesi. Ora non si trattava solo di
notare i
fiori, le chiazze d’erba e i germogli sugli alberi. Vennero i
suoni; lo
scrosciare delle acque del fiume, un uccellino che cinguettava su un
ramo e un
altro che rispondeva al richiamo, trilli, gorgheggi, dapprima sommessi,
quasi
avessero paura di rompere il silenzio che a lungo aveva regnato su quel
luogo,
poi sempre più sicuri, sempre più allegri e
vitali. La nebbia era sparita e,
quando era sorto il sole, il cielo si era rivelato di uno splendido
azzurro. Il
vento era leggero, fresco e profumato.
-
Cammina più in fretta o il mio
nano userà la frusta! – lo incitò Jadis.
Un’ape
attraversò il sentiero,
ronzando. Il cocchiere la scacciò con una manata. Poi si
fermò di colpo,
paonazzo.
-
Cosa stai facendo? Perché ti sei
fermato?
-
È la primavera – disse. – Non il
disgelo... la primavera! Mia Regina, l’incantesimo sta
svanendo. È opera di
Aslan!
La
Regina afferrò il nano. O
meglio, Edmund non poteva dire che l’avesse afferrato.
La mano della Strega era sollevata e stringeva come se fosse
stata intorno
al collo dello sventurato cocchiere, che agitava i piedi sospeso a
mezz’aria.
Diventò rosso per un principio di asfissia.
-
Non pronunciare mai più quel nome
– sentenziò lei, lo sguardo furente, reso ancora
più duro dalle parole del suo
servo. La corona risplendeva sul suo capo colpita dai raggi del sole
ancora
basso. Il suo viso era una maschera di odio che costrinse Edmund a
voltarsi
dall’altra parte. Gli riusciva difficile persino guardarla.
– Se lo pronunci
un’altra volta... giuro che ti uccido!
Il
nano cadde a terra. Si affrettò
ad alzarsi e a tenere la testa china. – Sì...
sì, Maestà. Perdonatemi.
-
Lui ti sconfiggerà
– disse Edmund, riferendosi ad Aslan.
-
Come dici, figlio di Adamo? –
Jadis puntò la bacchetta contro di lui.
-
Dico... che lui ti sconfiggerà. I
cattivi come te fanno sempre una brutta fine.
Jadis
lo afferrò per il colletto
della camicia, attirandolo più vicino. I suoi occhi erano
affilati come
coltelli. – Anche i traditori, caro ragazzo. E tu sei un
traditore, per Narnia.
Aslan dovrà occuparsi di te. Dovrà punirti,
perché se non lo farà... questo
bellissimo posto sparirà per sempre.
-
S-sparire? Narnia? – balbettò Edmund, confuso.
Jadis
lo lasciò andare e rise. Rise
mentre lo spingeva a riprendere la marcia. Rise anche se
l’incantesimo stava
svanendo.
Rise
in un modo che gli fece
accapponare la pelle.
***
Elsa
aveva tentato a lungo di
infrangere la barriera, per così tanto tempo che Anna si era
chiesta se non
fosse sul punto di farsi del male. Alcune ciocche di capelli biondi
erano
sfuggite alla treccia e danzavano intorno al suo volto, un volto teso,
concentrato e persino rabbioso, illuminato dal bagliore
dell’ondata di potere
che aveva riversato contro ciò che le teneva segregate
là dentro. E per qualche
momento aveva addirittura pensato che la barriera si sarebbe infranta,
che
avrebbe ceduto sotto il peso del dono di Elsa.
Non
era successo. Con un gemito di
frustrazione, Elsa si era ritratta e il gelo era svanito.
-
Elsa... – cominciò Anna.
-
Non posso farcela – disse,
sconsolata. – Mi dispiace.
-
Per favore, non ricominciare a
scusarti. Non ricominciare a chiedere scusa per cose che non dipendono
da te. Troveremo
un altro modo. O ci troveranno. Edmund è ancora
là fuori... sono sicura che non
è... che è meglio di ciò che sembra.
È solo un ragazzino arrabbiato che avrà di
certo capito di aver combinato un guaio... ma la cosa che conta
è che lui sa
che sono qui. C’era quando la Regina mi ha spedita in
prigione...
-
Ma adesso anche lui è suo
prigioniero, Anna. – Elsa si portò una mano alla
testa, massaggiandosi la
tempia.
-
Sì, ma è vivo. È vivo,
perché
quella Strega ha bisogno di lui per arrivare agli altri. Forse vuole...
vuole
usarlo per prenderli tutti. E finché non li avrà
trovati non lo ucciderà.
-
È molto potente.
-
Lo so. Ma non è molto saggia. Me
ne sono accorta, sai Elsa? L’ho sentita parlare con Edmund e
poi ha parlato
anche con me. Non è per niente saggia! È... piena
di odio e di cattiveria e
di... desiderio di possesso. È una tiranna. Ed è
inquietante... e trasforma la
gente in statue di pietra! Ma non è saggia –
tornò a ripetere.
Elsa
non sembrava affatto convinta.
Continuava a rivedere la volpe trasformarsi in roccia, continuava a
vedere
quella figura altissima con la bacchetta in pugno e lo sguardo
più duro e
freddo che avesse mai conosciuto. Continuava a vedere quel ragazzino
rannicchiato sulla slitta, debole e scoraggiato. E vedeva Tasch che
scappava
dai lupi. Scappava per chiedere aiuto. Ma avrebbe davvero trovato
qualcuno?
Oppure avrebbe incontrato Jadis, diventando di pietra anche lui?
-
Elsa – disse Anna, stringendo la
sua mano e avvicinandosi così tanto che lei si vide riflessa
nei suoi occhi. –
Ti fidi di me, vero? Voglio dire... lo so che non è facile
avere fiducia perché
siamo in una prigione, sottoterra, in un mondo che non conosciamo, un
modo in
cui gli animali parlano. Parlano, capisci? E non possiamo uscire
perché c’è...
quella cosa che ce lo impedisce. E so che io sono stata la prima a
scoraggiarmi... insomma, quando mi hai trovata ero...
Elsa
le mise due dita sulle labbra.
– Sì. Certo che mi fido di te.
Anna
si sporse in avanti e
impulsivamente la baciò sulle labbra, socchiudendo appena le
sue e portando la
mano libera dietro la sua nuca, per trattenerla.
-
Anna... – mormorò Elsa, contro la
sua bocca, chiudendo gli occhi. Come quando erano sul ponte della
Blackrose...
appena un sussurro. Un avvertimento. Quel genere di contatto... era
così bello
da essere quasi doloroso.
Anna
non ascoltò. La baciò di
nuovo, con più intensità. Avvertì il
calore del suo respiro, il suo fiato
spezzato, un gemito strozzato che non riuscì a trattenere.
Elsa era contro di
lei. E sembrava forte e fragile al tempo stesso.
“Volevo
farlo quando ti ho vista in abito da sposa... e anche dopo. Non sono
più riuscita
a smettere di guardarti...”
-
Era vero? – mormorò Anna,
respirando con affanno, senza riaprire gli occhi.
-
Che... che cosa? – chiese Elsa.
-
La sera del matrimonio... mi hai
detto che non sei più riuscita a smettere di guardarmi. Era
vero?
Elsa
le sorrise. La fissò tanto a
lungo prima di risponderle che Anna si sentì cedere le
ginocchia. – Lo era. Ci
ho provato... a non guardarti. Ho fatto il possibile. Ma non ho
potuto...
Anna
si avvicinò ancora, come se
volesse ricominciare a baciarla, invece le strofinò il naso
contro la guancia,
le premette le labbra sull’angolo della bocca, poi sul
mento... e giù sulla
gola, spedendole una serie di brividi lungo il corpo. Quando si
scostò per
guardarla, Elsa non ebbe alcuna esitazione. Le aprì la bocca
con la propria,
trascinandola in un bacio che non aveva più niente di cauto.
“Scommetto
che, nonostante il suo potere, quando vi bacia vi incendia il
sangue”.
Anna
sapeva che avrebbero dovuto
fermarsi. Avrebbero dovuto fermarsi ora prima di spingersi troppo
oltre.
“Se
tornerete ad Arendelle dovrete tornare alla vita che avete sempre
vissuto. Voi
avrete un marito a cui pensare. Sareste costrette a nascondere
ciò che provate
per sempre! E prima o poi... commettereste un errore irreparabile. Non
si possono
soffocare i sentimenti, Anna”.
Non
si fermò. Nessuna delle due si
fermò.
Anna
le slegò il laccio e le
sciolse i capelli. Passò le dita tra le sue ciocche
biondissime, vi immerse il
viso e respirò il suo profumo.
***
Angolo
autrice:
Salve,
salve!
Dunque,
questo capitolo è un po’
più corto (mi pare) rispetto ai precedenti, ma è
anche uno di quelli che mi
hanno fatta più dannare. Spero vi piacerà
leggerlo, tanto quanto a me è
piaciuto scriverlo.
Take
Me To Church di
Hozier è una canzone che conoscerete
tutti, immagino. Trovo sia adatta ai sentimenti che Anna ed Elsa
provano l’una
per l’altra.
|
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Capitolo 12 *** Love is Just a Word ***
12
“Parole,
parole,
parole. L’amore è solo un’inutile parola.
E, mi dispiace
dirtelo, ma le parole non significano nulla per me”
[Once
Upon a Time, Cuore di Tenebra, Biancaneve]
“Pensate
di poterlo nascondere per sempre, Elsa? Credete di esserne capace?
Scommetto di
no. Nessuno ne è capace”.
Elsa
aprì gli occhi. La voce della
sovrana della Corte Seelie, Titania, le era sembrata fin troppo reale,
come se
la fata le stesse sibilando quelle parole in un orecchio. Era sicura di
aver
sognato qualcosa che la riguardava... solo che non ricordava
più che cosa.
“Pensate
di poterlo nascondere per sempre, Elsa?”.
Anna
era proprio accanto a lei.
Dormiva. Era imprigionata nel sogno immoto di chi è
completamento sfinito e
tuttavia sembrava stare bene, sembrava in pace. Un vago rossore
aleggiava sulle
sue guance, le ciglia tremolavano un po’, forse
perché anche lei stava
sognando, e il suo respiro era regolare, calmo. Si era addormentata con
la
testa sul suo braccio, rannicchiata come una bambina in cerca di
protezione.
Elsa aveva usato l’unica coperta disponibile in quella
prigione per coprirla,
dopo... beh, dopo.
Dopo
ciò che avevano fatto.
Elsa
deglutì a vuoto. Aveva la gola
secca e quando si portò una mano alla fronte per scostarsi
una ciocca di
capelli le sue dita tremavano visibilmente. Anna sembrava una bambina
in quel
momento, ma non lo era sembrata affatto mentre la baciava, mentre
cercava la
sua pelle sotto il vestito, mentre permetteva ad Elsa di sbottonarle la
camicia...
“La
sera del matrimonio... mi hai detto che non sei più riuscita
a smettere di
guardarmi. Era vero?”
Era
vero, così come era vero che
non riusciva a smettere di guardarla nemmeno ora. Soprattutto
ora. Ora che si erano spinte ben oltre quella linea di
confine che non avrebbero mai dovuto oltrepassare.
“Non
vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata.
Per una
donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un
uomo che
si fida di voi...”
Che
cosa aveva fatto? Cos’avevano
fatto? Com’era potuto
succedere?
“Voi
pensate che questi sentimenti siano sbagliati. Ne siete certa. E allora
liberatevene”.
Ma
Elsa sapeva che era inutile
porsi quelle domande. Si era lasciata trascinare da ciò che
provava. Non
c’erano state barriere, stavolta. Non c’erano stati
ostacoli. C’erano solo loro
due e il desiderio di essere vicine, più vicine che mai.
Ed
era sbagliato. Eppure era stato
così naturale e intenso...
Elsa
chiuse gli occhi. Le parve di
sentire qualcuno muoversi ai piani superiori del castello. Erano rumori
lontani, non distinguibili e lei pensò che forse Jadis era
tornata a casa, con
gli altri Salvatori oppure a mani vuote. O i rumori erano prodotti dai
servitori della Regina che si aggiravano per la dimora. Forse i lupi
che
avevano attaccato lei e Tasch erano rientrati.
Anna
mormorò qualcosa e poco dopo
si svegliò. Si mise seduta di scatto, gettando in
là la coperta e fissando la
sorella con gli occhi sbarrati.
-
Elsa...
-
Stai bene? – le chiese,
guardandola appena.
-
Sì... ho sognato qualcosa di
strano... animali parlanti. Molti animali parlanti. Persino un leone.
Elsa
si alzò e non le rispose. Prese
a fissare con insistenza la luminescenza emanata dalla barriera e dalla
pareti
di roccia nera.
-
Che cosa fai? – le domandò Anna.
Lei
seguitò a non rispondere.
-
Elsa, potresti voltarti, per
favore?
Non
lo fece subito. Ma poi Anna la
raggiunse, mettendole una mano sul braccio e costringendola a girarsi.
Elsa
incrociò i suoi occhi.
-
Vuoi... vuoi parlare? Parlare di
quello che è successo, intendo. – chiese Anna.
– Cioè, so che forse non
dovremmo parlarne adesso. Siamo ancora rinchiuse in questa prigione e...
-
Cosa pretendi che ti dica? – la
interruppe Elsa, più brusca di quanto avesse voluto.
-
Guarda che mi sento proprio come
te. Quindi sono... confusa, frastornata, strana e... mi sento in colpa.
E mi
sento... bene. Come se non aspettassi altro che questo. E confusa.
-
L’hai già detto, confusa.
-
Era per farti capire quanto mi
senta confusa. Ma non è
soltanto questo. È...
Lo
udirono entrambe. Rumore di
passi. Passi che si avvicinavano di corsa e anche il suono di alcune
voci.
-
C’è una barriera magica. State
indietro. Ci penso io – disse una di quelle voci. Una voce
maschile, molto profonda
e sicura di sé. Non assomigliava né alla voce di
Maugrim, il lupo che aveva
condotto Anna nei sotterranei, né tantomeno di Edmund o una
qualsiasi altra voce
conosciuta.
Elsa
si mise davanti alla sorella.
-
Chi c’è là fuori? –
domandò Anna.
-
Non ne ho idea.
-
So che ci siete. Non intendiamo
farvi del male. Siamo venuti a liberarvi. Sto per infrangere questa
barriera.
Fate attenzione. Allontanatevi – disse la stessa voce.
Siamo
venuti a liberarvi.
Anna
trascinò la sorella più
lontano, contro la parete in fondo alla cella. Giusto un attimo prima
che la
barriera magica andasse in frantumi.
Non
fu una cosa graduale. La
luminescenza che emanava parve intensificarsi, pulsare come un cuore
per alcuni
istanti, l’aria si fece più densa... e poi la
barriera esplose verso l’interno
della prigione, scagliando frammenti ovunque ed emettendo lo stesso
rumore di
una lastra di vetro molto spessa che cede dopo una lunga pressione.
Quei
frammenti si polverizzarono non appena toccarono il suolo. Anna si
lasciò sfuggire
un grido, prima di rivolgere lo sguardo all’entrata della
prigione.
C’era
un leone, sulla soglia.
Grande, irsuto e solenne, con occhi splendenti
dall’espressione grave e una
folta criniera dorata. Sembrava... un sole. Un sole ridente che
rischiarò la cella.
-
Ehm... uh. Wow... cioè... –
balbettò Anna, scuotendo il capo e sbattendo le palpebre.
Fissò la creatura per
qualche momento, ma poi qualcosa la spinse ad abbassare gli occhi,
intimidita.
Persino
Elsa era sbalordita, anche
se aveva sentito parlare di Aslan e sapeva benissimo che non era un
essere
umano.
Il
leone portava sulla sua groppa
una bambina di forse nove o dieci anni e una ragazzina con i capelli
scuri
raccolti in una crocchia, l’arco e una faretra piena di
frecce a tracolla. Ad
Anna ricordò molto Edmund, sebbene la sua espressione fosse
decisamente meno
aggressiva. C’era anche un giovane alto e biondo, di
bell’aspetto, che
stringeva una spada nella mano destra e si guardava intorno, come
studiando
l’ambiente, accigliato.
E
poi c’erano i due fauni. Uno di
loro corse subito verso Elsa e l’abbracciò, la
testa rossa che arrivava a
malapena al suo petto.
-
Elsa... ho trovato Tumnus. Aslan
l’ha liberato dall’incantesimo. E non
c’è stato bisogno che gli dicessi che eri
qui... lo sapeva già. – disse Tasch, in fretta.
L’altro fauno sorrise
timidamente. Come Tasch aveva la barbetta a punta, una folta massa di
capelli
castano scuri tra i quali spuntavano due piccole corna ed era giusto
una spanna
più alto dell’amico.
-
Lo... lo sapeva?
-
Elsa, Anna... sono lieto di
constatare che stiate bene. – disse il leone. La sua voce era
dolce e calma.
Abbozzò anche un sorriso, sebbene quel sorriso non
raggiungesse gli occhi. Ed
ovviamente erano occhi antichi, così antichi che potevano
appartenere solo ad
una creatura ultramillenaria. Non ci fu bisogno di chiedere come
facesse a
conoscere i loro nomi. Ad Aslan bastava forse uno sguardo per carpire
tutte le
informazioni necessarie.
-
E Edmund? Edmund sta bene? Voi
siete i suoi fratelli, vero? – chiese Anna.
-
Sì. Io sono suo fratello, Peter. Queste
sono le mie sorelle, Susan e Lucy. Edmund sta bene, ma era troppo
debole per
venire con noi. – rispose il giovane biondo, fissandola a
lungo.
-
Aslan ha mandato una pattuglia
contro la regina. – spiegò Tasch. –
Stava per uccidere il figlio di Adamo.
Voleva... aveva deciso di sacrificarlo. Voleva tagliargli la gola.
-
È ferito? – domandò Anna.
-
No, la pattuglia è arrivata giusto
in tempo.
-
E la Regina? – chiese Elsa.
-
Venite – Aslan si voltò, uscendo
dalla prigione. Il tono era sempre tranquillo, benevolo, come se non ci
fosse
niente di cui preoccuparsi. – Vi spiegheremo tutto strada
facendo.
Peter
continuava a fissare Anna.
-
Anna? – intervenne Elsa.
Lei
cercò di riscuotersi dallo
sbalordimento. - Sì?
-
Credo... dovresti abbottonarti la
camicetta.
Anna
abbassò lo sguardo, rendendosi
conto di avere ben quattro bottoni aperti. – Oh? Uh,
sì, giusto. Certo, io...
Peter
si girò dall’altra parte,
arrossendo violentemente, e si affrettò a seguire Aslan.
***
Il
leone li condusse nuovamente
all’aperto, dove le accolse un cielo così azzurro
da essere abbagliante. Il
sole era alto e la neve si stava sciogliendo.
-
Faceva molto più freddo, ieri –
disse Elsa. Ma era davvero il giorno prima, poi? Pareva trascorsa
un’eternità
da quando avevano messo piede a Narnia.
-
L’incantesimo sta svanendo –
disse Tumnus, sorridendo. – Ora che Aslan e tutti i figli di
Adamo sono qui, la
maledizione si spezzerà.
Il
cortile del castello era una
vera baraonda. Quelle che una volta non erano che statue di pietra
trasformate
dalla Regina, adesso erano creature reali, in carne ed ossa. Il leone
al quale
Edmund aveva disegnato i baffi da bellimbusto e gli occhiali scuoteva
la
criniera. Aprì la bocca per fare un potente sbadiglio, poi
alzò una zampa e la
riabbassò, come per accertarsi che fosse tutto a posto. In
quella festa di
colori spiccavano anche il corno color indaco di un unicorno, il
rossiccio
della pelliccia di alcune volpi, il bruno della groppa di un centauro,
il rosso
dei cappelli dei nani, che erano decisamente più simpatici e
socievoli del
cocchiere di Jadis, il bianco candido delle vesti indossate dalle ninfe
dei
boschi, donne alte e sottili, che si muovevano leggiadre e silenziose.
Il gigante
che era stato un’enorme statua come tutti gli altri aveva
sfondato il cancello
con un colpo di mazza.
Anna
ed Elsa seguivano lo
spettacolo con gli occhi sbarrati
-
Dov’è andata a ficcarsi quella
piccola strega? – domandò il gigante. –
Ce l’avevo proprio tra i piedi prima
che usasse la stramaledetta bacchetta magica. Dove si è
nascosta?
Qualcuno
gli spiegò che la Strega
Bianca non era lì in quel momento. Nessuno sapeva dove si
trovasse esattamente.
-
Lui è il gigante Fracassone –
spiegò Tumnus, con il naso all’insù.
– Viene dalla famiglia Fracassa. Gente per
bene, sapete. Non è molto intelligente, ma è
buono.
-
Fracassone? Che nome è
Fracassone? – chiese Anna.
-
Ascoltatemi tutti! – esclamò
Aslan, imponendo il silenzio. – L’incantesimo sta
svanendo, ma la Strega Bianca
non è ancora stata sconfitta. Ho avuto modo di parlare con
lei. E non ha la
minima intenzione di abbandonare la battaglia. Presto
attaccherà e noi abbiamo
bisogno dell’aiuto di tutti.
-
Possiamo combattere anche noi,
quindi? – chiese il centauro.
Anna
non aveva mai visto un essere
del genere, se non nei libri custoditi nella biblioteca del palazzo ad
Arendelle. Era una creatura imponente; umano fino
all’ombelico, lasciava poi il
posto al corpo di un cavallo massiccio e scuro, con i muscoli guizzanti
e una
folta coda nera.
-
Certo che combatterete. – rispose
Aslan, risoluto. - Se siete disposti a farlo. Ora, andiamocene dal
castello. Coloro
che non possono reggere il passo degli animali più grandi,
montino loro in
groppa. Coloro che possiedono un ottimo fiuto, vadano avanti e aprano
la strada
a tutti gli altri. Io sarò dietro di voi, con i figli di
Adamo ed Eva... e con
le nostre due ospiti speciali.
-
Che posto divertente – sussurrò Anna
ad Elsa. - Beh, forse... non proprio così divertente, ma
è pieno di creature
divertenti. E parlanti. Te lo immagini Sven con il dono della parola?
Elsa
le rivolse un sorriso.
***
Tutti
fecero come Aslan aveva
ordinato. Erano diretti al Guardo di Beruna, dove l’esercito
del leone si era
accampato in seguito al primo attacco dei lupi della Regina Jadis.
Peter spiegò
loro che Maugrim, il capo della polizia segreta della Strega, aveva
seguito le
loro tracce fino all’accampamento di Aslan e aveva tentato un
attacco a
sorpresa; i lupi avevano puntato dritto su di lui e sulle sue sorelle.
Molti
erano rimasti feriti, ma i lupi erano stati comunque allontanati e
decimati.
-
Peter ha ucciso Maugrim per
salvare me – disse Susan, osservando il fratello maggiore con
orgoglio. – È
stato molto coraggioso.
-
Non... non mi sentivo
particolarmente coraggioso. – confessò Peter,
arrossendo di nuovo. Aveva l’aria
stanca e provata. I capelli biondi erano tutti arruffati. – E
ho dimenticato di
ripulire la spada... dopo aver ucciso il lupo. Un cavaliere deve
ripulire la
propria spada...
-
Non importa. – disse Susan. – Non
lo dimenticherai più.
-
Ed ora lo chiamano tutti Peter
Flagello dei Lupi – aggiunse Lucy, la più piccola.
-
Flagello dei Lupi suona bene. È
un bel nome – commentò Anna. Camminava vicino al
leone e stringeva sempre la
mano di Elsa.
-
Credi? Ti piace davvero? – chiese
Peter.
-
Certo. E mi chiedevo se potessi
avere anch’io una spada.
-
Anna... – cominciò Elsa,
preoccupata.
-
L’avrai – rispose Aslan, senza
esitazioni. Girò la testa per guardarla ed Anna si
sentì nuovamente intimidita
da quegli occhi penetranti. – Abbiamo molte armi con noi.
Potrai scegliere la
spada che preferisci.
-
Oh, io... grazie.
-
Sai combattere? – Peter sembrava
sorpreso. – Intendo dire, mia sorella Susan è
bravissima con l’arco. Ma non
avevo mai sentito parlare di una ragazza che sa usare una spada. E...
cioè, non
si tratta di un’offesa, naturalmente.
-
Me l’hanno insegnato i miei
soldati – rispose Anna. Si chiese quanti anni potesse avere
Peter. Le era
sembrato più grande quando era entrato nella cella. Ora
pareva poco più che un
bambino. Doveva avere al massimo quindici anni.
-
I tuoi... i tuoi soldati?
Aslan
sorrise. – Anna è una
principessa. E sua sorella Elsa una regina. Anche se vengono da un
altro mondo.
Tutti
tacquero.
-
Beh, ecco... – iniziò a dire
Elsa. Non aveva detto una parola da quando avevano lasciato il
castello.
Appariva seria e pensierosa, distante. Anna sentiva la sua stretta
allentarsi
ogni tanto per poi tornare a stringere. Il suo sguardo si perdeva
spesso e lei
immaginava benissimo a cosa stesse pensando.
“La
sera del matrimonio... mi hai detto che non sei più riuscita
a smettere di
guardarmi. Era vero?” .
“Lo
era. Ci ho provato, a non guardarti... ma non ho potuto”.
Se
Aslan sapeva davvero tutto di
loro senza bisogno di fare domande, era possibile che sapesse... anche
il
resto. Anna lo fissò di sottecchi. Sentì di avere
il viso in fiamme per
l’imbarazzo e anche per il fastidio. Era davvero...
fastidioso che qualcuno
fosse a conoscenza di ciò che passava loro per la testa
senza che fosse
necessario parlarne apertamente.
-
Una regina? Una vera regina? –
Lucy guardava Elsa con occhi grandi ed increduli.
-
Come voi – rispose Aslan. – Voi
siete re e regine di Narnia. Elsa è la regina di Arendelle.
-
Come siete arrivate a Narnia? –
chiese Peter, sempre più curioso.
Anna
le spiegò la faccenda della
nave pirata e degli anelli magici. Raccontò anche del suo
incontro con Edmund e
con Jadis, senza tralasciare la parte in cui i lupi la trascinavano
nelle
prigioni, mentre Maugrim le ricordava che sarebbe morta presto di fame
e di
sete.
-
Gli anelli, già – commentò Aslan.
– Non ne sentivo parlare dalla notte dei tempi. Tutti si
chiedevano dove
fossero finiti. Il primo figlio di Adamo e la prima figlia di Eva sono
giunti a
Narnia tramite quegli anelli. Li fabbricò un mago di nome
Andrew. Anche Jadis è
qui a causa degli anelli.
-
Jadis...? Credevo fosse... voglio
dire, pensavo fosse nata in questo mondo. – disse Anna.
-
È stato il figlio di Adamo a
portare Jadis a Narnia. Non l’ha fatto di proposito,
naturalmente. – Aslan rallentò
il passo, sollevando la testa e rimirando l’orizzonte.
– Jadis è nata nel regno
di Charn. Un altro mondo. Molto diverso da questo e dal vostro. Molto
più
antico. Un mondo ormai in rovina per colpa della Strega Bianca e della
sua sete
di potere. La sorella di Jadis regnava a Charn, ma ovviamente la Strega
voleva
il trono solo per sé. Scoppiò una guerra e quando
anche l’ultimo soldato di
Jadis cadde... lei usò la parola deplorevole per ridurre in
cenere i suoi
nemici e il suo mondo.
-
Parola deplorevole? – Anna
sollevò un sopracciglio, perplessa.
-
Una parola magica di enorme
potenza. Distrusse ogni cosa e polverizzò la sorella di
Jadis, nonché tutto il
suo esercito e la popolazione di Charn. Preferì agire in
questo modo piuttosto
che arrendersi.
-
E se la usasse di nuovo? Potrebbe
farlo? – domandò Elsa, immaginandosi Narnia rasa
al suolo da un’unica,
terrificante parola magica.
-
No. Non può farlo. La parola
deplorevole può essere usata una sola volta.
-
Cos’è accaduto dopo? – volle
sapere Anna.
-
Rimasta l’unica persona vivente,
Jadis pronunciò un nuovo incantesimo e cadde in un sonno
incantato. Si
trasformò in una statua e sedette accanto agli antenati, i
re e le regine
venuti prima di lei. Si sarebbe risvegliata solo al suono di una
campana. Fu il
figlio di Adamo di nome Digory a suonarla. Ovviamente il figlio di
Adamo cercò
di sfuggirle, ma il risultato fu che se la portò dietro
attraverso i mondi,
fino a Narnia.
-
Il professor Digory! – esclamò
Lucy. – Ci ha ospitati in casa sua quest’estate.
-
Credevo che tutto ciò fosse
accaduto molto tempo fa. – osservò Anna.
-
Infatti, è così. – rispose Aslan.
– Ma il tempo a Narnia è ben diverso dal tempo dei
vostri mondi. Per Narnia
sono passati secoli. Per i vostri mondi... forse solo qualche decennio.
Anna
restò in silenzio per qualche
momento. Alzò gli occhi, fissando Elsa. – Ha
polverizzato sua sorella... è
orribile.
-
Terrificante – fu il commento del
fauno Tasch.
-
Deplorevole. Come la parola che
ha usato – aggiunse Tumnus.
Proseguirono
senza parlare per un
breve tratto. Peter aveva assunto un’aria grave come Aslan.
Susan si mordeva il
labbro.
-
E Edmund? Come siete riusciti a
salvarlo? – tornò a chiedere Anna.
Peter
raccontò ad Anna che dopo
l’attacco a sorpresa di Maugrim e dei suoi lupi Aslan aveva
mandato avanti una
pattuglia di salvataggio, formata da centauri,
cervi e unicorni, in cerca del ragazzino. L’avevano trovato
proprio pochi
attimi prima che Jadis gli tagliasse la gola con un coltello. Nel
trambusto che
era seguito, Edmund era stato liberato e la Strega Bianca era svanita
nel nulla
insieme al suo nano cocchiere, lasciando dietro di sé un
paio di creature
pietrificate.
-
E dove pensate che sia andata?
Insomma, al castello non c’era – osservò
Anna.
-
È tornata poco dopo. Ha inviato
un messaggero per chiedere udienza ad Aslan. – rispose Peter,
passandosi una
mano nei capelli.
Il
leone aveva un’aria sempre più
seria, meditabonda.
-
Udienza? Davvero voleva... solo
parlare? – chiese Elsa.
-
No... – fu Susan a rispondere,
stavolta. Aveva occhi azzurrissimi. Azzurrissimi e molto acuti. Adulti,
persino, sebbene lei fosse più giovane del fratello Peter. -
Non si può dire
che volesse solo parlare. Voleva Edmund, naturalmente. Lo voleva ad
ogni costo.
Nel
giro di pochi minuti la Strega Bianca apparve in cima alla collina,
lasciò la
sua bacchetta magica sotto la quercia, così come Aslan aveva
chiesto di fare,
attraversò il grande prato e raggiunse il leone.
Dalla
folla che circondava il luogo dell’incontro si levarono
sussurri e brontolii.
Anche se splendeva il sole tutti provarono un strano senso di freddo
improvviso.
-
Figlia di Lilith – esordì Aslan.
-
Figlio dell’Imperatore d’Oltremare –
rispose la Strega, regalandogli un
sorrisetto sprezzante. Eppure il suo sguardo non incontrava mai
direttamente
quello del leone. O se gli occhi si incrociavano, Jadis li distoglieva
quasi
subito. Era a conoscenza del potere di Aslan. Per quanto lo schernisse,
sapeva
benissimo che avrebbe potuto distruggerla. –
C’è un traditore, qui. Devi
consegnarmelo.
Edmund,
che sedeva pallido e silenzioso vicino ai suoi fratelli,
capì che alludeva a
lui ma non si scompose. Aslan l’aveva perdonato e
così anche Peter, Susan e
Lucy. Gli bastava quello.
-
Edmund non ti ha offesa in alcun modo – rispose il leone.
– A meno che tu non
consideri un’offesa aver tentato di riempire il suo cuore di
oscurità e non
esserci riuscita.
La
Strega Bianca sollevò un sopracciglio, irritata. –
È un traditore. Mi ha detto
dove si nascondevano i suoi fratelli. Quindi, a voler essere precisi,
ci sono riuscita.
-
Ma Edmund si è pentito. Ed è stato perdonato. Lui
sa riconoscere i propri
errori, al contrario di te. Tu non hai nemmeno idea di cosa significhi
pentirsi.
-
E di cosa dovrei pentirmi, io? – chiese, come se avesse
davvero il diritto di
porre quella domanda. Venne avanti di un passo.
Aslan
non si mosse. Lui e la Regina formavano un incredibile contrasto. Aslan
sembrava luminoso con la sua folta criniera dorata, la sua
regalità e la sua
aria solenne e saggia. Jadis, invece, possedeva il pallore di un
cadavere, la
durezza del ghiaccio e della roccia. Non indossava più le
pellicce bianche, ma
una cotta di maglia e i calzari argentati. Era abbigliata come chi sta
per dare
battaglia. La corona sul suo capo mandò un barbaglio,
colpita dai raggi del
sole.
-
Consegnami il traditore, Aslan. Devi farlo. O hai dimenticato la Grande
Magia?
Peter
aveva messo mano all’elsa della spada. Susan era pronta ad
afferrare una
freccia se fosse stato necessario.
-
Cos’è la Grande Magia? –
mormorò Lucy.
-
Perché non glielo spieghi, Aslan? – disse la
Strega Bianca, che l’aveva
sentita, nonostante fosse distante.
-
Parlamene tu, Jadis – rispose il leone, seriamente.
-
Oh, io? Sul serio? – La sua voce era improvvisamente
stridula. – Mi stai
facendo perdere tempo, Aslan. Devo davvero ripeterti le parole incise
sulla
Tavola di Pietra, che è proprio là, alle tue
spalle? Devo ripeterti quelle
parole che sono incise anche sullo scettro dell’Imperatore
d’Oltremare? Vuoi
che ti parli dell’incantesimo che il tuo adorato padre ha
lanciato su Narnia
all’inizio dei tempi, quando tu stesso l’hai
creata? Ogni traditore mi
appartiene. Edmund è un traditore. In quanto tale, va
consegnato a me ed io
potrò farne ciò che voglio!
-
Divertente – commentò un castoro, in tono ironico.
– Lei pensa di essere la
legittima sovrana di Narnia e quindi che ogni criminale o presunto tale
sia
suo. Le piace fare la parte del boia. Certo... come no. Come se il suo
fondoschiena meriti di piazzarsi su uno di quei troni. Non hai un
briciolo di
sangue umano nelle vene! Lilith era tua madre. E tuo padre era un
orribile
gigante!
Jadis
rise. – Oh, povero imbecille! Credi che questo cambi
qualcosa? Io sono la
Regina da centinaia di anni. Ho regnato da sola per un tempo
lunghissimo. E
Lilith fu la prima moglie di Adamo. È una regina, a sua
volta.
-
Prima moglie di Adamo! Oh, sì, ripudiata e cacciata.
Maledetta fin dal
principio! Partorita dalla Notte stessa! – gridò
un toro. La sua voce pareva un
profondo, lugubre muggito. – Ella è una regina
nella sua dimensione demoniaca. Non
qui a Narnia! Se vuoi essere regina, Strega Bianca... allora invoca tua
madre!
Invocala e se siamo fortunati la Terra si aprirà per
accoglierti!
-
Basta così – ordinò Aslan, mettendolo
subito a tacere.
-
Sono d’accordo, per una volta, Aslan. Basta con queste
chiacchiere. Consegnami
il ragazzo. Tu sai cosa stabilisce la Grande Magia: se non mi darai il
traditore, Narnia sarà distrutta dall’acqua e dal
fuoco!
-
Questo non è possibile – commentò
Peter. – Certamente sta mentendo.
-
I figli di Lilith sono bugiardi per natura e hanno una bella faccia
tosta, in
effetti – Il castoro che l’aveva apostrofata
rincarò la dose.
-
Lo neghi, Aslan? – disse Jadis, allargando le braccia.
-
Non lo nego – rispose il leone. – È vero.
Calò
un silenzio di tomba.
-
Oh, Aslan! – esclamò Susan, sconvolta. –
Non può essere! Non lo permetteremo!
Tu non lo permetterai.
Edmund
si alzò. Vacillò su gambe malferme. –
Se è vero, allora è giusto che io vada...
-
No, Edmund! – gridò Lucy, aggrappandosi a lui e
affondando il viso nel suo
petto.
Jadis
sorrideva, soddisfatta. Estasiata, persino.
-
Aslan... – mormorò Peter, venendo avanti.
-
Vi prego. Ritiratevi. Lasciatemi solo con la Strega. –
ribatté il leone.
-
Non... non avete intenzione di
consegnare Edmund, vero? – chiese Anna, allarmata.
– Perché lui non ha... no,
non è vero che non ha fatto nulla di male. Ha commesso un
errore, ma non è
cattivo. Non c’è niente che si possa fare contro
questo... incantesimo o
qualunque cosa sia? Perché c’è sempre
una soluzione, lo so. Anche quando sembra
impossibile, c’è.
-
Sei molto fiduciosa, Anna –
rispose Aslan, sorridendo vagamente. – Ed è vero.
Hai ragione. Per questo ti
dico che non devi preoccuparti. Ho raggiunto un accordo con la Strega.
***
Occorsero
diverse ore per giungere
al Guardo di Beruna, un punto in cui la valle si allargava parecchio e
il
fiume, ghiacciato fino a poco prima, si faceva più ampio.
Ovviamente l’esercito
di Aslan era formato da animali e creature straordinarie, che
circondarono le
due ospiti inaspettate, accogliendole con entusiasmo e profondendosi in
una
serie di inchini, sapendo che erano di sangue reale; volpi, lupi
dall’aria
mansueta, roditori, aquile, unicorni, centauri, castori, fauni e ninfe
dei
boschi erano accampati in quel luogo in attesa della battaglia.
-
E se lei ci attaccasse stanotte?
– disse Peter. – Forse è meglio spostare
l’esercito sull’altra sponda del
fiume.
Aslan
non rispose subito. Sembrava
immerso in tutt’altri pensieri. Poi scosse la criniera e
batté le palpebre. –
Come? Come dici, Peter?
-
Dicevo... la Strega potrebbe
attaccarci stanotte. Dovremmo spostare l’esercito
sull’altra sponda.
-
La tua idea è buona, Peter. È
un’idea degna di un vero cavaliere. Ma la Strega non ci
attaccherà stanotte.
Fidati di me. Ora vorrei che preparaste qualcosa da mangiare per gli
umani e
anche per Elsa ed Anna.
-
Loro non sono umane? Perdonami se
lo chiedo, Aslan – disse Tumnus, timoroso. –
Pensavo che lo fossero.
-
Sono umane. Ma non sono figlie di
Eva. – tagliò corto il leone.
Nessuno
fece altre domande.
-
Elsa sa fare una cosa bellissima
con il ghiaccio e la neve – disse Tasch, seduto a gambe
incrociate davanti al
fuoco acceso. – L’ho visto. Cioè, non
bene perché dovevo scappare... ma l’ho
visto.
Elsa
gli sorrise. Chissà che cosa
avrebbero pensato quelle creature se avesse raccontato loro che una
volta aveva
causato un inverno perenne, perdendo il controllo di quel potere bellissimo di cui parlava il fauno. Un
inverno perenne come quello provocato da Jadis. Era convinta che fosse
meglio
non approfondire la questione del potere, per ora.
-
Non c’è più ghiaccio né neve
a
Narnia. Una vera fortuna – osservò uno dei lupi.
Tasch
stava per aggiungere
qualcosa, ma Aslan intervenne. – Un bellissimo potere,
sì. Un grande dono.
E
una maledizione, anche. Questo
il leone non lo disse, ma
quando la guardò Elsa ebbe come l’impressione di
percepire il pensiero. Quasi
lui l’avesse appena depositato nella sua mente.
Mentre
la famiglia di castori che
aveva aiutato Peter e le sue sorelle a fuggire preparavano la cena,
Aslan disse
ad Anna di scegliere un’arma. Le mostrò tutte le
spade che avevano e anche le
lance, le mazze e i coltelli. Lei ne scelse una con la lama lunga e
sottile,
maneggevole e con l’impugnatura argentata.
Poi
Edmund venne da lei. Anna
l’aveva già notato in mezzo alla folla, ma non si
era avvicinata perché
immaginava che prima o poi l’avrebbe fatto di sua spontanea
volontà.
-
Ehm... ciao – esordì il
ragazzino. Si torceva le mani e teneva lo sguardo basso,
occhieggiandola ogni
tanto, come chi si prepara a ricevere una punizione.
Anna
non rispose. Elsa lo guardò
severamente.
-
Volevo... io volevo dirti che...
sono felice di sapere che stai bene. Sì, molto. E... volevo
dirti che mi
dispiace. Sono stato stupido. Sapevo che mi stava mentendo... ma le ho
dato
retta perché ero arrabbiato... non... non volevo che
accadesse niente di
male... – Edmund avanzò di un passo. Avevano dato
una spada anche a lui. La
teneva nel fodero appeso alla cintura. Nel complesso sembrava in forma,
solo
gli occhi erano un po’ segnati e arrossati.
-
Sì, in effetti, sei stato stupido
– rispose Anna, di getto.
Edmund
diventò rosso e strascicò i
piedi. Non c’era più traccia
dell’aggressività che aveva scorto sul suo viso
quando si erano incontrati. Rimaneva sempre quel cipiglio un
po’ ribelle, ma il
suo turbamento era evidente.
-
Voglio dire... sì, ecco, voglio
dire proprio questo. Sei stato stupido, ma hai capito di esserlo stato
e... non
volevi fare del male a nessuno, lo so.
-
Poteva andare molto peggio, lo
sai questo? – chiese Elsa, rivolgendosi al ragazzo.
-
Sì, io... sì. Me ne rendo conto.
E sono pentito. Sul serio. Ho cercato di dire ad Aslan che eri al
castello, ma
ero... troppo debole. Credo di aver solo farfugliato.
-
Non importa. Lui è... Aslan. Sa
tutto quello che c’è da sapere su Narnia,
immagino. – osservò Anna.
-
Oh, sì. Tutto! – confermò Edmund,
ammirato. – Anche se stasera è molto strano. Parla
poco e sembra triste.
Era
così.
Servirono
una cena deliziosa, ma
essa si svolse in un silenzio quasi completo. L’umore del
leone, sdraiato in
disparte, solo, impressionò più o meno tutti.
Peter gli lanciava occhiate
preoccupate. Lui stesso avanzò parte della cena e prese a
girare per
l’accampamento, forse tormentato dall’idea che
qualche inviato della Strega
Bianca potesse attaccarli. Immaginava che Aslan non si sbagliasse
quando gli
aveva assicurato che non sarebbe successo, ma la sua tetraggine lo
agitava.
Susan si ritirò presto nella sua tenda con la sorella
più piccola e con Edmund,
ma nessuno di loro era allegro.
-
Peter mi ha detto di darti
queste. Li hanno trovati nella pelliccia della Strega – disse
Elsa,
raggiungendola fuori dalla tenda che Aslan aveva riservato per loro.
-
Che cosa?
Elsa
aprì la mano ed Anna,
incredula, vide la propria collana e l’anello di Kristoff.
-
Ma... – iniziò.
-
Voleva darteli lui, ma ha pensato
che... toccasse a me.
Anna
prese l’anello, rimettendoselo
al dito. Lo fissò per qualche momento, sentendolo freddo
contro la pelle, ma anche
incredibilmente famigliare. Pensò a Kristoff e si chiese che
cosa stesse
facendo, quanto fosse preoccupato per lei, quanto avrebbe aspettato
prima di
andare a cercarle, senza sapere che non poteva trovarle nel suo
mondo...
Poi
alzò gli occhi e scrutò il viso
di Elsa. Lei seguitò a fissarla anche mentre le agganciava
la collana dietro al
collo. Anna avvertì il leggero tocco delle sue dita sulla
nuca.
-
Grazie – disse, con la bocca
improvvisamente asciutta.
Elsa
scosse il capo come a dire che
non doveva ringraziarla. Le sue mani indugiarono sul collo della
sorella, per
poi spostarsi sul suo viso. – Credo che tu l’abbia
conquistato.
-
Chi?
-
Peter.
-
Oh, davvero? - Il tocco di Elsa era
assolutamente delicato. Eppure Anna lo avvertiva come se lei stesse
cercando di
penetrarle la pelle, per raggiungere le ossa. Per raggiungere il suo
cuore,
forse. – È perché avevo la camicetta
aperta? Mi dispiace, sai, non me ne ero
accorta...
-
Lo so.
Anna
chiuse gli occhi, spostò un
po’ il viso, strusciando il naso contro il palmo della sua
mano e depositandovi
un bacio.
La
notte era straordinariamente
silenziosa, fatta eccezione per il tranquillo mormorio del fiume.
L’esercito
del leone dormiva, chi nella propria tenda e chi per terra, infagottato
nelle
coperte. Quindi Anna non si preoccupò del fatto che qualcuno
potesse vederle. Sollevò
il viso e le diede un bacio sulle labbra. Elsa le lasciò
scivolare un braccio
intorno alla vita, attirandola ancora più vicino. Le
restituì il bacio,
socchiudendo appena la bocca.
Anna
sospirò e si lasciò stringere.
Appoggiò il mento sulla spalla di Elsa, crogiolandosi in
quella stretta e
desiderando che durasse per sempre.
Poi,
però, aprì gli occhi e notò
qualcosa. In lontananza, dove finiva il grande prato su cui erano
montate le
tende e iniziava il bosco, due figure si muovevano, alla spicciolata.
Stavano
per inoltrarsi nel folto della boscaglia. Si spostavano sicure, come se
stessero cercando qualcosa. O seguendo qualcuno.
Susan
e Lucy.
-
Elsa...
-
Mmm? – La sorella si scostò da
lei, gli occhi ancora annebbiati.
-
Guarda.
Elsa
si voltò e le vide proprio nel
momento in cui si inoltravano nel bosco. Susan aveva con sé
la faretra piena di
frecce.
-
Dove stanno andando? È notte
fonda. Se lei è qui intorno... potrebbe essere pericoloso
– osservò Anna.
-
Lo è.
-
Non c’è nemmeno Aslan. Era
proprio là, vicino a Peter. – Anna
indicò le braci del fuoco, che illuminavano
vagamente la notte. Peter era sdraiato accanto ad Edmund. Dormivano
entrambi.
-
Sta succedendo qualcosa – disse
Elsa.
-
Non ne dubito. Edmund ha detto
che Aslan oggi era molto strano. Voglio dire, è
già strano perché è un leone
che sa parlare... ma a quanto pare è ancora più
strano del solito, ultimamente.
E dato che ha parlato con Jadis di qualcosa di cui nessuno è
al corrente...
temo che quel qualcosa stia per accadere.
-
Forse dovremmo seguirle.
-
Sì. Dobbiamo. Ma prima prendo la
spada.
***
-
Il pazzo è venuto davvero! – Per
un attimo persino la Strega Bianca era sembrata sbalordita. Ma poi
scoppiò in
una risata gelida e selvaggia. Mostruosa. – Prendetelo e
legatelo!
Anna
ed Elsa erano nascoste dietro
ad un folto ammasso di cespugli. Avevano seguito il leone per un lungo
tratto,
nel bosco e poi in radure rischiarate dal chiaro di luna, fino al luogo
in cui
si era incontrato con la Strega Bianca. Aslan aveva percorso quel
tragitto camminando
lentamente, come se tutto il peso del mondo fosse piombato di colpo
sulle sue
spalle. Teneva la testa bassa, trascinava la coda per terra e ogni
tanto
emetteva strani, lugubri lamenti. Susan e Lucy l’avevano
accompagnato, le mani
affondate nella sua splendida criniera dorata per trasmettergli un
po’ di
conforto. Poco prima del grande spiazzo in cima alla collina dove
sorgeva la
Tavola di Pietra, che aveva tutta l’aria di essere un altare
sacrificale, il
leone si era congedato dalle due Salvatrici, che l’avevano
abbracciato
un’ultima volta e poi erano corse a nascondersi.
-
Cosa state aspettando, imbecilli?
Legatelo! – urlò Jadis.
Intorno
alla Tavola di Pietra
c’erano creature di ogni tipo: uomini con la testa di toro
che reggevano le
torce, arpie, folletti dall’aria maligna che ad Anna
ricordarono Puck (solo che
Puck, sebbene fosse un pasticcione e avesse gli occhi piena di malizia,
non
aveva un aspetto così sinistro), orchi muniti di lunghe
zanne, serpenti alati e
altri incubi sbucati da chissà quale oscuro regno.
Alcune
di essi si mossero timorosi
verso Aslan. Lui non reagì quando le mani artigliate delle
arpie lo afferrarono
per ghermirlo e così anche gli altri si mossero per aiutare.
Rovesciarono il
leone sul dorso, legarono le zampe anteriori e quelle posteriori e poi,
su
ordine della Strega, gli tagliarono la criniera.
-
Non possono fare una cosa simile!
Perché non reagisce? – sussurrò Anna,
piena di sgomento.
Elsa
si sporse un po’. Il cuore nel
petto batteva velocissimo. Deglutì, scoprendo di avere la
gola secca. – Forse
ha un piano...
Ma
non era affatto convinta.
Avrebbe potuto sbarazzarsi di tutti quei mostri con poche zampate,
eppure era
mansueto e arrendevole. Un nemico che era stato sconfitto e accettava
il suo
destino.
L’orco
che si era messo a tagliare
la criniera di Aslan con un grosso paio di forbici lanciò
una volgare
risataccia, seguito a ruota dai suoi compari.
-
Un gatto, ecco che cos’è –
commentò la Strega. – Nient’altro che un
gattone.
Lo
sbeffeggiarono a lungo, con
frasi idiote e offensive. Infine gli legarono anche il muso con le
corde. Un
uomo con la testa di toro sferrò un calcio, colpendolo ad un
fianco. Un altro
gli affondò il tacco in una coscia. Lo issarono sulla Tavola
di Pietra.
-
Facciamo qualcosa... facciamo...
– prese a dire Anna. Era paralizzata. Non aveva mai visto una
simile brutalità.
-
No... – Susan comparve vicino a
loro. Camminava a quattro zampe per non farsi vedere dalle creature
della
Regina. – No, Aslan ci ha detto di non intervenire, per
nessuna ragione...
-
Ma vuole ucciderlo! – esclamò
Elsa, fuori di sé.
Lucy
piangeva sommessamente.
-
Aslan ha detto... – Susan si
morse il labbra, anche i suoi occhi erano pieni di lacrime. - Ha detto
di non
aiutarlo. Ha detto che... che non ha scelta. La Grande Magia...
-
Ci deve essere un’altra
soluzione. – commentò Anna.
-
Non c’è. Lui... non ci ha
permesso di dargli una mano. Non ci ha permesso di trovare
un’altra soluzione.
Jadis
si tolse il mantello che
indossava, rimanendo con le braccia nude e posando anche la sua
bacchetta.
Prese un coltello. – La Grande Magia sarà
rispettata con la tua morte, Aslan.
Povero pazzo. Sei venuto, sì. Hai mantenuto la promessa.
Morirai al posto del
ragazzo. E dopo... dopo io mi prenderò il tuo regno. Per
sempre questa volta! Credi
che sacrificarti servirà a qualcosa? È tutto
inutile. Questo amore non serve.
L’amore... è solo una parola!
Poi
la Strega Bianca sollevò il
pugnale e vibrò un unico, mortale colpo, affondando la lama
nella carne di
Aslan...
***
Angolo
autrice:
Ecco
il nuovo capitolo. Scusate se
ci metto tanto, non odiatemi.
Ovviamente,
essendo la storia un
crossover con Le Cronache di Narnia, ci sono scene riprese dal libro di
Lewis.
L’incontro tra Aslan e la Regina avviene anche nei libri
più o meno nelle
stesse circostanze, ma ho cambiato il contenuto dei dialoghi.
La
battuta della Strega Bianca, “L’amore
è solo una parola”, mi ha
ricordato quella di Biancaneve in quell’episodio di Once Upon
a Time, per
questo l’ho citata in questo capitolo.
Ah
e... come forse avrete capito io
sono molto affascinata da Lilith, per questo ho insistito, se
così si può dire,
su di lei.
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Capitolo 13 *** The Most Powerful Magic ***
13
“Il
vero amore
non è facile, ma vale le nostre battaglie
Perché quando
finalmente lo troviamo, nulla può sostituirlo”
[Once
Upon a Time, Che cos’è
successo a Frederick?, Azzurro]
-
No! – gridò Elsa, non appena
Jadis affondò la sua arma nel corpo di Aslan. Si
alzò in piedi, uscendo allo
scoperto, seguita da Anna che strinse saldamente
l’impugnatura della sua spada.
-
Aspettate! – urlò Susan, dietro
di loro.
Colte
alla sprovvista
dall’apparizione improvvisa, le creature da incubo che
circondavano la Tavola
di Pietra smisero di colpo di sghignazzare e guardarono le due sorelle
di
Arendelle con gli occhi sgranati. Elsa sprigionò la sua
magia e il fascio
azzurro si diresse verso due minotauri che le sbarravano la strada,
centrandoli
e scaraventandoli addosso ad altri due esseri dalle fattezze strane.
-
Idioti, quella è la mia
prigioniera! Fermatele, tutte e due! – gridò
Jadis, osservando gli uomini con
la testa di toro che si contorcevano, il ghiaccio che si allargava sui
loro
toraci.
I
lupi ulularono, ma non osarono
avvicinarsi ad Elsa. Molti di loro conoscevano quel potere e ne avevano
subìto
le conseguenze quando l’avevano attaccata nel cortile del
castello.
Indietreggiarono, ringhiando e rizzando i peli, le teste basse e gli
occhi che
guizzavano in ogni direzione. I folletti si nascosero dietro la Tavola
di
Pietra. Le arpie planarono sulla regina di Arendelle con gli artigli
protesi e
le bocche spalancate. Dalle mani di Elsa esplosero altri fasci di magia
gelida
e quei mostri alati piombarono al suolo, lanciando strida furiose e
piene di
dolore.
-
Elsa! – urlò Anna. Mulinò la
spada per liberarsi di un orco che aveva sollevato la mazza, pronto a
schiacciarla sotto di essa. Aprì un squarciò
nella sua enorme gamba. L’orco
lanciò un ruggito. Gli si rivoltarono gli occhi nelle
orbite.
Elsa
si diresse verso la Strega
Bianca, scagliando via chiunque cercasse di ostacolarla. Fiocchi
bianchi
turbinavano intorno a lei. Jadis la fissava, trasecolata, ma anche
evidentemente
colpita da tutto quel potere.
Anna
girò su se stessa per evitare
lo spadone impugnato da uno dei minotauri. Ci mettevano molta forza,
eppure
erano goffi e lenti.
Regnava
il caos.
Susan
Pevensie incoccava una
freccia dopo l’altra e, senza quasi prendere la mira, colpiva
ogni bersaglio in
movimento. Tentò di raggiungere Jadis un paio di volte, ma
le creature
diaboliche si mettevano sempre fra lei e la Strega che aveva pugnalato
così
brutalmente Aslan. Sua sorella Lucy era rimasta indietro. Susan le
aveva
intimato di restarsene nascosta. Era troppo piccola e non aveva
nessun’arma con
sé. Riusciva a vedere, in mezzo alla baraonda, le trecce
rosse di Anna, che
usava la spada come se non avesse mai fatto altro nella vita, e il
biondo
chiarissimo dei capelli di sua sorella.
Che
razza di magia è, la sua?, si
chiese, mentre puntava un altro
nemico con una delle sue frecce decorate con piume rosse.
Anna,
dal canto suo, stava quasi
per raggiungere Elsa, quando le si parò dinanzi un grosso
lupo grigio simile a
Maugrim, un lupo ringhioso e con i peli della schiena ritti come fili
di ferro,
che aprì le fauci per azzannarla. Anna si tirò
indietro e vibrò un colpo con la
spada. Il lupo si spostò, velocissimo, gli occhi che
fiammeggiavano d’ira, e
poi si lanciò nuovamente in avanti per addentarla. Anna
tornò all’attacco e con
il manrovescio successivo raggiunse il fianco della belva. Il lupo
guaì, ma non
si diede per vinto. Il sangue iniziò a scorrere, copioso.
L’animale balzò su di
lei, così accecato dalla furia che non si preoccupava
neanche più del fatto che
Anna avesse una spada e che sapesse usarla bene.
Seguì
un momento che a lei parve un
incubo. Istintivamente vibrò un affondo, mettendoci tutta la
forza che aveva
nel braccio. La lama penetrò nel petto della bestia, tra le
zampe anteriori.
In
quel momento Elsa si preparò a
scagliare ancora la sua magia contro la Strega Bianca.
-
Sapevo... ti ho sentita, piccola
sciocca. – sibilò Jadis, lasciando cadere il
coltello con cui aveva pugnalato
Aslan. Il leone giaceva sulla Tavola di Pietra, su un fianco, sporco di
sangue,
legato e privo di vita. I suoi occhi erano chiusi. Il vento
scompigliava ciò
che restava della maestosa criniera. – Sapevo che a Narnia si
nascondeva un essere...
magico. L’ho avvertito, mentre cercavo quei ragazzini.
Finalmente ti vedo. Che
peccato, speravo in qualcosa di meglio.
Elsa
guardò Aslan e poi ancora la
Regina di Narnia.
-
Oh, il grande leone non può più
aiutarvi. La Grande Magia doveva essere rispettata e lui si
è offerto.
Prendetevela con lui. Il suo sacrificio è vano. E con
Edmund. Il figlio di
Adamo è un codardo, oltre che un traditore. –
Sollevò la bacchetta magica, il
viso indurito dalla collera e dalla determinazione.
Elsa,
invece, sollevò le mani e
liberò il potere. Lo sentì defluire da dentro
come una gigantesca onda, pronta
ad abbattersi su Jadis. La Strega Bianca spostò la bacchetta
e da essa si
sprigionò un vago scintillio nerastro. L’onda
gelida restò sospesa ad un metro
dalla Regina, sospesa e immobile come a suo tempo lo erano state le
statue del
suo cortile. Non pietrificata, ma semplicemente immobile.
Tutto
attorno a loro due era
immobile. Susan con una freccia appena incoccata, Anna con la spada
affondata
nel petto del suo aggressore, un lupo grigio con la bocca spalancata e
gli
occhi in procinto di scoppiare nelle orbite, l’esercito
demoniaco di Jadis.
Orchi, folletti, arpie, mostri alati, minotauri... tutti immobili. Ma
non di
pietra. L’impressione era che Jadis avesse appena fermato lo
scorrere del
tempo.
Solo
Elsa poteva muoversi.
Jadis
rise di gusto. – Che ne pensi
di questo trucchetto, piccola principessina dei ghiacci? Scommetto che
non è
nulla che tu sia in grado di fare. Vedo quanto è... limitato
il tuo potere.
-
Che cos’hai fatto? – gridò Elsa,
sbalordita.
-
A loro niente. Il peggio è quello
che sta per accadere a te – Jadis puntò la
bacchetta contro di lei.
Elsa
fece per sollevare di nuovo le
braccia, ma la magia della Strega fu molto più rapida.
Vide
chiaramente le proprie dita
diventare di pietra. Pietra dura e fredda. Prima le dita, poi le mani e
poi le
braccia...
Anna,
pensò,
capendo di non poter fare niente per fermare
quell’incantesimo.
Il
tempo si sbloccò.
Anna
si ritrovò a battere le
palpebre, confusa. Il lupo fece scattare le zanne, un ultimo, immane
sforzo per
acciuffarla. Infine i suoi occhi divennero vitrei. Vuoti. Lei
tirò a sé la
spada con forza per estrarla dal corpo dell’animale. Le
sembrava che il mondo
fosse inondato di sangue. La sua vista era appannata. I capelli
scomposti le
ricadevano sul viso e sugli occhi, aveva la fronte imperlata di sudore
e il
cuore che rimbombava nel petto. Guardò l’arma con
cui aveva ucciso il lupo. Non
aveva mai avuto tra le mani una spada bagnata di sangue. Quella vista
le fece
venire la nausea. Barcollò.
E
aveva la sensazione... di essersi
persa qualcosa. Come se, per un brevissimo istante, non fosse stata in
sé.
Le
frecce di Susan sibilavano da
tutte le parti. Una di esse centrò la bacchetta di Jadis. La
Strega Bianca
buttò fuori un’imprecazione virulenta, prima di
recuperarla.
-
Andiamo via! – urlò la Strega
Bianca. – Andiamocene subito! Il leone è morto e
ho sistemato anche questa...
principessina dei ghiacci. Ritiriamoci e prepariamoci a sistemare gli
strascichi di questa guerra. Ti ucciderò, piccola figlia di
Eva! Ucciderò te,
tua sorella e i tuoi fratelli, stanne certa! Aslan non può
più proteggervi. Vi
ucciderò come ho fatto con lui. Tutti insieme!
Principessina
dei ghiacci.
Anna
inquadrò Elsa vicino alla
Tavola di Pietra, mentre la vile marmaglia seguiva la Regina,
buttandosi giù
per la collina, passando a pochi passi dal nascondiglio di Lucy e
riempiendo
l’aria di grida selvagge. La terra pulsava, scossa dal
galoppo dei minotauri
rimasti.
Elsa?
Quello
che vide non poteva essere
vero. Non poteva essere successo. Era totalmente impossibile.
-
Lucy, aspetta... – stava dicendo
Susan. – Non guardare.
Anna
non sentiva niente. Vedeva
solo Elsa. Quello che Elsa era diventata. Una statua di pietra vicino
al corpo
senza vita del leone.
-
Oh, perché? Perché ha fatto una
cosa del genere? Guarda. Guarda, cosa... – disse Lucy, da
qualche parte, in un
mondo che ad Anna sembrava non essere nemmeno quello, ma un mondo a
parte.
I
suoi piedi si mossero
meccanicamente e la sua mano lasciò cadere la spada. Era
come camminare
sott’acqua. Come camminare in un incubo, un incubo che ti
faceva essere lenta.
Incredibilmente lenta. Udiva il pianto sommesso di Lucy, che
accarezzava
dolcemente la testa di Aslan e vi posava qualche bacio... udiva i
singhiozzi di
Susan... eppure tutto ciò non la riguardava. Lo viveva come
se non stesse
davvero succedendo.
Raggiunse
Elsa e guardò i suoi
occhi... occhi di pietra. La osservavano, dilatati, ma senza
più vederla. Viso
di pietra. Labbra di pietra appena socchiuse. Braccia di pietra protese
in
avanti.
-
Cos’è successo ad Elsa? È una...
oh, Susan, è una statua! – gridò Lucy.
Non
ci fu risposta da parte di
Susan.
È
una statua.
Anna,
con il cuore che batteva con
colpi forti e pesanti, allungò le mani verso il volto della
sorella e gliele
posò sulle guance. Delicatamente, temendo di sbriciolarla
anche solo
sfiorandola.
La
pietra di cui era fatta era
fredda, come il ghiaccio che si piegava al suo volere.
-
Elsa... – mormorò, con la bocca
asciutta. Le lacrime le offuscarono la vista.
Il
cielo a oriente era più chiaro.
Le stelle si stavano spegnendo ad una ad una, tranne quella
più fulgida, che
brillava all’orizzonte. Nel bosco un uccello
lanciò un breve, timido richiamo. Sparsi
qui e là c’erano i cadaveri delle creature della
Strega. Alcuni si muovevano
ancora, gemevano, supplicavano, chiedevano la misericordia, ma nessuno
era in
grado di rialzarsi.
Anna
continuava a non sentire
niente, se non il freddo della pietra.
***
Passò
del tempo. Forse pochissimo o
forse un’eternità. Anna non avrebbe mai saputo
dirlo.
-
Susan! Che orrore... ci sono dei
topi! Camminano sopra il corpo di Aslan! - stava dicendo Lucy, con la
voce
rotta dal pianto.
-
Lucy, no... non è come sembra.
Guarda. Non vogliono fargli del male. Sembra stiano... rosicchiando le
corde.
-
Vogliono liberarlo.
Sollevò
leggermente il capo. Aveva
appoggiato la fronte contro la spalla di Elsa e le sue braccia
circondavano il
corpo di pietra. Socchiuse le palpebre e le sembrò che il
mondo fosse più
chiaro. Non era più inondato di sangue. Ma era gelido. E il
gelo pareva essersi
infiltrato tra i vestiti, sotto la pelle fino a raggiungere le ossa.
Avvertì
le dita di una mano che la
sfioravano. – Anna?
Non
si mosse. La voce di Susan
cercava di essere delicata, di aprire una breccia senza essere
invasiva.
-
Anna... io, ecco...
Anna
sollevò la testa e osò posare
lo sguardo sul viso di pietra di sua sorella. Si scostò quel
tanto che bastava
per vederla bene.
“Tu
sei la mia famiglia, Anna. Sei l’unica famiglia che ho. Non
importa se non sei
come me... Perché sei parte di me”.
Sembrava
che glielo avesse detto
almeno un’eternità prima.
“La
sera del matrimonio... mi hai detto che non sei più riuscita
a smettere di
guardarmi. Era vero?” .
“Lo
era. Ci ho provato, a non guardarti... ma non ho potuto”.
Adesso
udiva anche il suono di voci
in avvicinamento. Molte voci. Probabilmente l’esercito di
Aslan accampato lungo
la riva del fiume si era reso conto che era accaduto qualcosa.
-
Fa... molto freddo – commentò
Lucy. Era ancora presso la Tavola di Pietra e osservava il corpo del
leone. Le
corde che legavano le zampe e quelle che gli chiudevano le fauci erano
state...
rosicchiate. La bambina le prese e le gettò a terra. Con
rabbia. Poi posò una
mano sul corpo di Aslan.
-
Gli altri stanno arrivando –
mormorò Susan, volgendo lo sguardo verso il bosco.
-
Aslan... Aslan potrebbe aiutare
Elsa, se solo... se solo non fosse...
Morto.
Aslan
era morto, quindi non poteva aiutare più nessuno.
Allora
Anna, con il viso bagnato di
lacrime, si avvicinò di più al volto di Elsa e le
posò un bacio sull’angolo
delle labbra. Un bacio leggero.
Per
un secondo non accadde niente.
Per
un secondo Elsa le parve sempre
uguale.
Poi
apparve una striscia dorata
lungo il braccio destro. Una striscia dorata che si allargò
e allungò, guizzando
sul corpo di pietra. La luce si espanse e investì in pieno
Susan, che alzò un
braccio per proteggersi gli occhi e, indietreggiando, perse
l’equilibrio.
Lucy
si lasciò sfuggire un
gridolino di sorpresa. – Cos’è successo,
Susan?!
-
Non ne ho idea!
Anche
Anna aveva chiuso gli occhi
quando la luce era esplosa e non appena li riaprì si rese
conto di cosa fosse
successo.
-
Elsa?
Sua
sorella batté le palpebre
alcune volte. Qualche ciocca di capelli biondi dondolava ancora ai lati
del suo
viso. Elsa si guardò le mani. Si guardò intorno
come chi non ha idea di dove si
trova né di cosa sia accaduto. L’ultimo ricordo
che aveva erano le sue dita che
diventavano di pietra. E il ghigno sprezzante della Regina Jadis. La
grande
folla demoniaca.
Poi
i suoi occhi trovarono quelli
di Anna.
-
Elsa! Sei... sei di nuovo... beh,
sei di nuovo Elsa! In carne ed ossa... tu... –
iniziò a farfugliare. E le gettò
le braccia al collo.
-
Che cosa... che cosa hai fatto? –
chiese Elsa, sbalordita. Nel separarsi da lei, osservò il
suo viso bagnato di
lacrime. Le toccò anche le braccia e le spalle, come se
volesse assicurarsi
subito che non fosse ferita.
-
Ha fatto una magia – intervenne
Lucy. Anche la bambina aveva pianto. I suoi occhi scuri erano arrossati
e
gonfi. – Come Aslan al castello con le statue! Ha fatto una
magia! Le hai dato
un bacio magico!
-
Io credo fosse... – cominciò
Anna, senza staccare lo sguardo dal volto di Elsa.
In
quel momento parte dell’esercito
di Aslan, guidato da Peter, uscì dal bosco entrando nella
radura. Peter
impugnava la sua spada e correva davanti a tutti, chiamando a gran voce
Susan e
Lucy. Dietro di lui veniva Edmund. Poi fauni, ninfe dei boschi, nani e
lupi. Tumnus,
l’amico di Tasch, vide Aslan disteso sulla Tavola di Pietra e
gettò a terra la
sua arma, mettendosi le mani nei capelli. Tasch lo seguiva; aveva con
sé un
piccolo scudo, una spada corta e il suo petto era protetto dalla cotta
di
maglia.
Le
voci ruppero il silenzio che
precedeva l’alba e si scatenò il caos.
-
Cos’era quella luce? – domandò Edmund.
-
Susan, Lucy... state bene? Cos’è
accaduto ad Aslan? – Peter aiutò Susan ad alzarsi
in piedi. Atterrito, fissò il
corpo del leone. Poi spostò gli occhi sui vari corpi sparsi
sul prato. Il lupo
trafitto da Anna, diversi uomini con la testa di toro colpiti dalle
frecce di
Susan, persino un orco con la boccaccia spalancata a mostrare le lunghe
zanne.
-
Lui... lui ha... – prese a dire
Susan.
-
La Strega! La maledetta Strega! –
urlò un nano.
-
Dov’è? Dov’è andata?
-
Cos’è questa barbarie? Come ha
osato?
-
La Strega ha tradito Aslan! L’ha
attirato qui e poi l’ha ucciso!
-
Vendetta! Inseguiamola!
-
No! – Susan cercò di fermare quel
tafferuglio. – No, non è andata così.
Faceva parte... dell’accordo.
-
Quale accordo? – mormorò Peter. –
Aslan e la Strega avevano un accordo? Cioè, io... sapevo che
avevano discusso a
lungo quando lei ha chiesto udienza...
-
Ditemi che non l’ha fatto per
salvarmi – Edmund afferrò il fratello per un
braccio. Era improvvisamente
paonazzo. Sembrava invecchiato di colpo. – Ditemi che non
l’ha fatto per...
-
Edmund... lui non aveva scelta –
intervenne Susan. – Non poteva lasciare che tu morissi.
Né che Narnia venisse
distrutta dalla Grande Magia.
Mentre
Susan spiegava ciò che era
accaduto, Elsa continuava a stringeva a sé la sorella.
Quando aveva capito che
l’incantesimo di Jadis si era abbattuto su di lei e che non
avrebbe potuto
sfuggirgli, il suo ultimo pensiero era stato per Anna. Era sicura che,
una
volta trasformata in una statua di pietra, non ci sarebbe stato modo di
tornare
indietro. Aslan avrebbe potuto aiutarla, ma era morto.
Si
era dimenticata della magia più
potente di tutte.
-
Elsa... io credevo davvero che tu
non saresti... no, forse no. Voglio dire, forse non ho mai pensato che
non ne
saresti uscita... ecco, in realtà non ricordo più
bene cos’ho pensato, è successo
tutto troppo in fretta.
Elsa
l’attirò ancora più vicina e le
posò un bacio sulla fronte. Anna chiuse gli occhi,
stringendole i polsi.
-
Ho... ho combinato un disastro. –
ricominciò Anna. – Ho lasciato la spada da qualche
parte e ho... ucciso uno di
quei lupi. L’ho proprio trafitto. Voleva mangiarmi ed io
l’ho trafitto. Non ho
mai fatto niente di simile ad un lupo. In realtà non ho mai
fatto nulla di
simile a nessuno. È stato orribile. La spada era tutta
sporca di sangue...
-
Anna – la interruppe Elsa. – Non
importa. Lui ti avrebbe uccisa.
-
Oh... sì, l’avrebbe fatto di
certo. E anche gli orchi.
-
Sei sicura di non essere ferita?
C’era
del sangue sui vestiti di
Anna, ma non era suo. Apparteneva tutto al lupo. Si sentiva solo un
po’
indolenzita. Le sorrise, scuotendo la testa.
La
striscia rosa che già tingeva
l’orizzonte diventò color dell’oro e
dove mare e cielo si incontravano apparve
il bordo del sole. I primi raggi sfiorarono la collana di Anna e la
stella
d’argento mandò un barbaglio lucente.
Elsa
stava per aggiungere qualcosa,
ma un rumore fortissimo spezzò le sue parole e
zittì il vociare concitato che
aveva riempito il luogo. Un crack fragoroso, come di un lastrone che si
spacca
in due costrinse Peter e le creature arrivate con lui a voltarsi verso
la
Tavola di Pietra. Edmund era inginocchiato a terra, borbottava fra
sé e sé con
la testa fra le mani, ma quando sentì il fracasso
sollevò il capo di scatto.
Elsa ed Anna si girarono con tutti gli altri.
-
Che sta succedendo? – domandò
Anna. – Non riesco a vedere.
Nella
luce dell’alba sembrava tutto
molto diverso. I raggi del sole scintillavano sulle lame delle spade e
sulle
armature, le ombre si erano ritirate, i colori erano mutati, il gelo
maligno
portato dalla presenza della Strega Bianca si era dissolto; quindi
occorse un
istante a tutti quanti per rendersi conto di ciò che era
accaduto.
La
Tavola di Pietra si era spezzata
in due. E il corpo del leone era sparito.
-
Dov’è... dove diavolo è finito?
–
esclamò Peter, impallidendo. Stringeva ancora la sorella
Susan, mentre Lucy si
aggrappava al suo mantello, nascondendovi il viso.
-
L’hanno portato via! – gridò un
nano dell’esercito. – Hanno rubato il corpo!
-
Chi ha rubato il corpo? – chiese
Tasch. I suoi capelli rossi sparavano in varie direzioni. –
Io non ho visto
nessuno!
-
Una magia... – mormorò Susan. –
Questa deve essere un’altra magia.
-
Lo è – confermò una voce calma
alle loro spalle. – È una grande magia, mia cara.
Era
proprio là, luminoso nella luce
nascente.
Aslan
sembrava anche più grande di
come lo ricordavano, più maestoso, più nobile.
Agitava la coda e scuoteva la
folta criniera dorata. Piegò le zampe e spiccò un
balzo, atterrando su ciò che
restava della Tavola di Pietra e osservando i presenti con i suoi occhi
lucenti.
-
Aslan! – gridò Lucy, fissando il
leone impaurita e felice al tempo stesso. – Ma...
-
Com’è possibile? – esclamò
Anna.
– Non... era morto. Io l’ho visto.
L’abbiamo visto. Insomma, era là... voglio
dire, non che desiderassi che restasse morto, ma... lo era!
-
Era forse un’illusione? – domandò
Elsa, stringendo la mano della sorella e guardando Aslan come se fosse
un’allucinazione.
-
Nessuna illusione – spiegò Aslan,
riportando il silenzio. I membri del suo esercito avevano iniziato a
mormorare,
a lanciare esclamazioni di sorpresa e paura. Ora si raggrupparono
intorno alla
Tavola di Pietra. – Si tratta di qualcosa che nemmeno Jadis
conosceva. Lei
sapeva della Grande Magia, che risale all’alba dei tempi. Ma
non sapeva di ciò
che si celava dietro di essa, nelle tenebre più profonde.
-
Cioè? – volle sapere Anna,
sentendosi molto confusa.
-
Esiste una magia più grande, che
risale a prima dell’alba dei tempi. Se qualcuno si offre al
posto del
traditore, una vittima volontaria e innocente, allora la Tavola di
Pietra si
spezza al sorgere del sole e chiunque si sia sacrificato ritorna
indietro.
-
È bellissimo... sì, è bellissimo,
Aslan! – disse Lucy, meravigliata.
Ad
Elsa non parve solo bellissimo,
ma anche inquietante. Aveva sentito dire che c’erano cose che
nemmeno la magia
poteva fare. Come riportare in vita i morti. Cambiare il passato.
Forzare
qualcuno ad innamorarsi. Aveva già assistito alla rottura di
una di quelle
regole. Lei era venuta dal passato. L’urna in cui era
rinchiusa si trovava
nella stanza sotterranea del castello di Tremotino, prima che Emma e il
pirata,
caduti in un vortice temporale, la portassero nel loro presente, a
Storybrooke,
insieme alla donna che Emma aveva salvato. E sapeva che Tremotino
stesso era
tornato indietro, ma il prezzo era stato la vita del suo unico figlio.
-
Questa magia... – cominciò Elsa.
– Avrà delle conseguenze? So che la magia ha
sempre prezzo, Aslan.
-
Quello che dici è vero – ammise
il leone. – La magia ha un prezzo. Questo incantesimo viene
da prima dell’alba
dei tempi. È un incantesimo che contrasta la Grande Magia.
Ma come tutte le
magie potrebbe avere delle conseguenze, per questo dobbiamo uccidere la
Strega.
-
Perché è colei che ti ha ucciso?
-
Per questo. E perché non abbiamo
scelta. Se sopravvive e ci sfugge, getterà una nuova
maledizione prima o poi. O
finirà col distruggere Narnia.
Tutti
i membri dell’esercito si
inginocchiarono al cospetto del leone e di quella magia così
antica. Anche
Peter e le sue sorelle si inginocchiarono. Edmund, che era
già in ginocchio,
fissava Aslan come se ancora non potesse credere ai suoi occhi.
-
Aslan... quello che hai fatto per
me è... è... – Non trovava il termine
adatto. Annaspò, ma alla fine tacque.
-
Non preoccupartene, figlio di
Adamo. Tutto è finito. O meglio, è finita questa
parte. Il resto... quello che
ci aspetta finirà presto, ma dobbiamo muoverci.
Molti
levarono le armi in aria e si
dichiararono disposti a fare qualsiasi cosa fosse il loro potere per
ritrovare
la Strega.
-
I lupi e i cani da caccia
troveranno le tracce lasciate da Jadis e noi le seguiremo. Chiamate il
resto
dell’esercito. – disse Aslan. – Peter...
-
Vado Aslan.
-
Anna...
Sorpresa
che Aslan stesse
rivolgendo la parola proprio a lei, Anna sussultò.
– Sì?
-
Prendi la tua spada. E
ripuliscila. Un cavaliere deve farlo sempre – La voce del
leone era più severa,
ora.
Anna
arrossì d’imbarazzo, vedendo
la lama lucente così sporca di sangue. Tuttavia il tono di
Aslan la stizzì e
non poco. – Beh, io... sapete, non avevo tempo di ripulire la
spada. Mia
sorella era appena stata trasformata in una statua! Non ho pensato a
quanto
fosse sporca la spada né ho pensato... non ho pensato e
basta, ecco.
Alcuni
aggrottarono le sopracciglia,
guardandola come si guarda chi ha appena commesso una grave imprudenza.
Forse
si era rivolta ad Aslan con un tono un po’ troppo brusco.
-
Lo so, Anna – rispose il leone. –
E lo comprendo. Ma non te ne dimenticare più. Oggi hai
dimostrato molto
coraggio. Il coraggio di un cavaliere. Hai salvato anche tua sorella,
usando
una delle magie più antiche del mondo. Il vero amore.
-
Sì, ecco, io... – Anna, con la
fronte aggrottata, si diresse verso il punto in cui aveva lasciato la
spada e
la raccolse.
Edmund
strappò parte della stoffa
del suo mantello perché lei potesse ripulire
l’arma.
***
Poco
dopo Aslan e Peter disposero
l’esercito e si prepararono a marciare contro la Strega
Bianca.
I
segugi, le volpi e i lupi erano
davanti a tutti e si davano da fare con i nasi per trovare le tracce di
Jadis e
delle sue creature demoniache. Inizialmente non riuscirono a mettersi
d’accordo. Annusavano il terreno in varie direzioni,
camminavano per un breve
tratto e poi tornavano indietro. Discutevano fra di loro, a volte
ringhiavano
l’uno contro l’altro.
Infine
un grosso segugio mandò un
latrato e invitò i compagni a seguirlo. Gli altri annusarono
la pista e poi si
lanciarono dietro al compagno. Gli animali più veloci
corsero a più non posso,
mentre il resto dell’esercito cercava di star loro dietro
come meglio poteva.
Il
gigante Fracassone, che aveva
sfondato il cancello nel cortile della Regina, chiudeva il gruppo,
girando la
testa enorme da una parte e dall’altra; si portava una mano
alla fronte per
scrutare meglio l’orizzonte. La terra tremava ogni volta che
faceva un passo
avanti.
-
Mi raccomando – disse Aslan, ad
un certo punto. Portava Susan e Lucy sulla sua groppa. Aveva
riacquistato in
pieno le forze e la sua espressione era dura, concentrata. Gli occhi
scintillavano mentre osservava i volti degli umani. – Non
avvicinatevi troppo
alla Strega finché ha ancora la sua bacchetta. Non
affrontatela direttamente o
vi ridurrà ad un mucchio di inutili statue. Lasciatela a me.
Ci penserò io. Al
momento giusto saprò colpirla.
Nessuno
ebbe niente da ridire.
-
Elsa... dovrai aiutarci con il
tuo potere. Ma stai attenta a restare lontana dalla Strega.
-
Sì, lo farò – rispose Elsa. In
realtà non aveva nemmeno bisogno che Aslan sottolineasse
quel fatto. Era stato
imprudente da parte sua cercare di affrontare Jadis alla Tavola di
Pietra. Si
era avvicinata troppo, pensando di poter essere più veloce
della sua bacchetta
magica, ma l’aveva pagata cara.
-
Ehm... – prese a dire Anna. – So
che forse non dovrei chiederlo adesso... insomma, stiamo per affrontare
un
gruppo di creature mostruose e una Strega che si diverte a trasformare
le
persone in pietra e con la quale sono già molto arrabbiata
per quello che ha
fatto a mia sorella...
-
Chiedi pure, Anna – la interruppe
Aslan.
-
Beh, grazie. Mi stavo domandando
se c’è un modo per... lasciare questo posto. Per
tornare a casa nostra, ad
Arendelle. Perché io e mia sorella dovremo tornare... dopo
questa battaglia e
se saremo ancora vive... ma lo saremo, certo.
-
C’è, Anna. Ci ho già pensato.
-
L’armadio? – chiese Lucy. – Noi
siamo venuti da lì. Dall’armadio.
-
No, Lucy. L’armadio non va bene –
rispose Aslan. – Porterebbe Elsa ed Anna nel vostro mondo e
non è là che devono
andare. Ma c’è un altro posto. Un altro passaggio.
Grazie ad esso potrete
tornare nel vostro mondo. – Aslan sembrava molto
rassicurante. Come se non
stesse per dichiarare guerra alla Regina Jadis, ma stesse considerando
una
questione di ordinaria amministrazione. Una cosa che aveva
già fatto e che era
molto semplice per lui.
-
Mi piace ricevere belle notizie
prima di una battaglia – commentò Anna, guardando
la sorella. – Mi aiuteranno a
concentrarmi meglio.
-
Li vedo! – tuonò il gigante,
dietro di loro. – Vedo un sacco di... un sacco di gente in
una valle poco più
avanti. Vedo anche... strane cose alate. Vengono da questa parte!
Udivano
un rumore, infatti.
Sbattere di ali. Ma non solo. Si sentivano anche grida feroci, urla
stridenti.
Dapprima sembrarono distanti. Però a mano a mano che
proseguivano si facevano
sempre più forti.
Le
strane cose alate erano le arpie
di Jadis. Arrivarono lanciando strepiti assordanti e si gettarono
direttamente
sul gigante Fracassone. Lui sollevò la mazza per colpirle.
-
A terra! – gridò Aslan.
Susan
e Lucy si gettarono sul
prato. Anna fece la stessa cosa, mentre Elsa si preparò a
scagliare il suo
potere contro le arpie.
La
mazza del gigante ruppe l’ala di
una di quelle creature mostruose. L’essere con la testa di
una donna e il corpo
di un uccello precipitò rovinosamente, la bocca aperta in un
grido, l’ala
rimastale che si agitava, frenetica, le zampe che cercavano di
afferrarsi a
qualcosa.
Nel
frattempo l’altra arpia tentò
un nuovo attacco, questa volta contro l’esercito di Aslan.
Peter si scansò,
gettandosi a terra con gli altri e trascinando Edmund con
sé. Anna avvertì
chiaramente lo spostamento d’aria causato dalle sue ali.
Elsa
si alzò in piedi e liberò
un’ondata di potere che investì in pieno la
creatura. Quella mandò un urlo da
spaccare i timpani e cadde, il gelo che già si propagava sul
suo petto. Non
appena toccò il suolo alcuni nani, armati di asce da
taglialegna, si
avventarono sul corpo e lo fecero a pezzi. Anna vide il sangue
impiastricciare
le loro facce barbute.
-
Dannato essere malefico, eccoti
accontentata – disse uno di loro, dando un ultimo colpo
d’ascia.
Peter
era bianco come ricotta. Anna
non vedeva ciò che restava del corpo dell’arpia ed
era meglio così.
-
Toglietela da lì. – ordinò Aslan.
- Lucy, tu non guardare.
Un
centauro andato in avanscoperta
tornò indietro al galoppo, con la spada in pugno.
– Aslan... Peter, mio
signore... la Strega Bianca ha un esercito molto, molto numeroso. Sono
stanziati nella valle e ci stanno aspettando. I nostri lupi sono
già schierati
sulla collina. Si preparano ad attaccare.
-
Porta con te i centauri e gli
unicorni. Prepara la prima carica. Noi saremo dietro di te. Peter,
Edmund...
andate con loro. Ricordatevi ciò che vi ho detto: non
avvicinatevi troppo alla
Strega.
Peter
annuì. Edmund aveva un’aria
risoluta, ma ad Elsa sembrò più che mai un
ragazzino inesperto, allo sbaraglio.
-
Aslan... sei sicuro che...? –
cominciò a dire Elsa. Stava per dire ad Aslan di lasciarla
andare avanti. Quei
ragazzi le sembravano assurdamente giovani. Non avrebbero dovuti
trovarsi lì.
Erano più piccoli di Anna. Per non parlare di Susan che, per
quanto fosse brava
con arco e frecce, doveva avere al massimo tredici anni.
-
Peter è il re supremo. Come tale
deve essere in prima linea, a guidare l’avanzata –
spiegò Aslan. – Ma se lui
non vorrà andare...
-
No – intervenne Peter,
immediatamente. Estrasse la spada dal fodero. Suo fratello lo
imitò. – No, ci
vado.
***
Angolo
autrice:
Buongiorno
e... chiedo umilmente
perdono per averci impiegato così tanto ad aggiornare.
Purtroppo c’è stata una
scena che mi ha dato del filo da torcere quindi ci ho messo un
po’.
Qualche
precisazione, come sempre:
Ovviamente,
rispetto al romanzo,
alcune cose sono cambiate, per esempio la battaglia davanti alla Tavola
di
Pietra dopo il sacrificio di Aslan. Nel romanzo non avviene niente del
genere,
ma la presenza di Anna ed Elsa rimescola le carte, diciamo
così.
La scena in cui Elsa rimane
pietrificata ed Anna la salva con il bacio del vero amore è
un rimando a Frozen. Solo al
contrario.
|
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Capitolo 14 *** The Battle ***
14
“It’s funny how some
distance
Makes everything seems small
And the fears than once controlled me
Can’t get to me at all”
[Frozen,
Let
it Go]
Non
appena i seguaci di Aslan
uscirono dalla stretta valle sinuosa, videro l’esercito della
Strega Bianca.
Peter
ed Edmund avevano guidato il
primo attacco ed ora erano in mezzo alla mischia infernale, a
combattere. Anna
scorse la chioma bionda del maggiore dei fratelli Pevensie, impegnato
in una
lotta contro un minotauro, mentre Edmund era qualche metro
più avanti, alla
prese con uno degli orchi dalle zanne lunghe. Qui e là si
vedevano centauri,
lupi e unicorni che si facevano largo in mezzo ai nemici. Alla luce del
sole le
creature di Jadis sembravano molto più numerose
dell’esercito del leone, più
terribili e anche più orrende.
Urla.
Grida di rabbia e di dolore.
Clangore di spade contro scudi e di corpi che entravano in collisione.
A terra
c’erano già molti cadaveri, mentre altri che non
erano caduti erano stati
trasformati in statue dalla Strega, che sostava in mezzo al campo di
battaglia,
difendendosi con la bacchetta tutte le volte che si sentiva in
pericolo.
Susan
estrasse il suo corno e vi
soffiò dentro, producendo una lunga, lugubre nota, che si
espanse per il campo
di battaglia.
-
Lucy, rimani qui con la scorta
che ti ho affidato – disse Aslan, accucciandosi
perché la bambina potesse
scendere dalla sua groppa. – Alla fine della battaglia ci
sarà bisogno di te.
Hai ancora ciò che ti ho dato?
-
Sì, Aslan – Lucy mostrò una
bottiglietta trasparente. – Eccola qui.
-
Che cos’è? – volle sapere Anna.
-
Cordiale. Un liquore estratto dai
fiori di fuoco che crescono su quelle che noi chiamiamo Montagne del
Sole. Un
dono importante. Poche gocce bastano a guarire le ferite.
Tasch
aveva detto ad Elsa che Aslan
aveva donato qualcosa ad ognuno dei Salvatori. Uno scudo, sul quale era
impressa l’immagine di un leone, e una spada per Peter.
L’arco e la faretra
piena di frecce per Susan, più il corno che aveva usato un
attimo prima. Per
Edmund la spada con l’impugnatura d’argento. La
bottiglietta di cristallo per
Lucy, che aveva con sé anche un pugnale.
-
Hai dato un pugnale a Lucy? –
domandò Elsa, vedendo l’arma agganciata alla
cintura della bambina.
-
Lucy non combatterà – intervenne
Aslan, con aria grave. – Ma nel caso in cui avesse bisogno di
difendersi...
potrà usarlo.
-
Potrei combattere anch’io –
osservò Lucy. – Credo che... beh... sarei
coraggiosa.
-
Le battaglie diventano ignobili
quando combattono bambini così piccoli –
commentò il fauno Tumnus, mettendo una
mano sulla spalla della piccola Lucy. Le sorrise. Era terreo in volto.
Aveva
molta paura e non riusciva a nasconderla. Il suo amico Tasch era
già sceso in
battaglia. Faceva parte della prima ondata guidata da Peter.
Tutti
tacquero.
-
Elsa, Anna... seguiteci. E
ricordate tutti quello che vi ho detto: non avvicinatevi troppo alla
Strega
almeno finché avrà con sé la
bacchetta. – disse Aslan. – Gigante Fracassone, tu
chiuderai il gruppo.
-
Sì, signore – tuonò il gigante.
Nel muovere un passo in avanti sradicò una macchia di
cespugli.
-
I giganti non sono molto
intelligenti. È sicuro farlo scendere in battaglia?
– chiese un nano.
-
Guarda che ti ho sentito,
maledetto nano! – esclamò gigante. –
Potrei schiacciarti come un lombrico.
-
Ed io ti sfuggirei facilmente
visto che sono piccolo e più veloce.
-
Basta chiacchiere. – lo
interruppe Aslan, severo. – Andate!
I
nani lanciarono grida di guerra e
si buttarono giù per la china, brandendo asce e mazze,
seguiti da un gruppo di
centauri. Susan incoccò la prima freccia.
-
Non ho mai visto tanti mostri in
una volta sola – commentò Anna, con la netta
sensazione che lo stomaco le fosse
appena finito in gola.
-
Anna, puoi ancora restare qui,
con Lucy e la scorta di Aslan – le disse Elsa, avvicinandosi.
– Saresti al
sicuro. Questa è... è una follia.
-
Restare qui? – Anna fissò la
sorella, con gli occhi sgranati. – Non ci penso nemmeno. Io
vado laggiù con gli
altri. Ho una spada, la so usare... e ho anche infilzato un lupo di
recente, o
te ne sei già dimenticata? Mi piacciono le follie.
Elsa
non si era dimenticata niente.
Né il lupo, né gli occhi di Anna immersi nei suoi
dopo che l’aveva
ritrasformata in una persona in carne ed ossa con il suo bacio.
-
Anna...
Lei
la prese per la nuca,
avvicinandola quanto bastava perché potesse poggiare le
labbra contro il suo
orecchio. – Qualsiasi cosa succeda, non ti dimenticare che...
ti amo.
***
La
battaglia era come un vortice.
Un vortice fatto di facce mostruose e facce umane, di facce infuriate e
facce
risolute. Facce di pietra, anche. Le facce di chi era già
stato trasformato
dalla Strega Bianca. Era un vortice fatto di occhi spiritati, del
rumore delle
lame e delle armature che cozzavano, dell’odore metallico del
sangue che già
impregnava l’erba della valle, delle urla delle arpie e di
altre creature alate
che planavano per acciuffare e dilaniare i loro nemici con le zampe
munite di
artigli.
“Qualsiasi
cosa succeda non ti dimenticare che... ti amo”.
Dopo
averle detto quelle cose Anna
si era buttata nella mischia con la spada sguainata. Elsa
l’aveva seguita dopo
un attimo di esitazione ed ora si faceva largo in mezzo a quegli esseri
diabolici usando il suo potere. Alcune di quelle creature giacevano
già a terra
e si contorcevano mentre il ghiaccio iniziava a torturarli da dentro.
Un orco
allungò una mano, afferrandola per la caviglia, ma
l’ascia di un nano gli mozzò
di netto il braccio.
“Qualsiasi
cosa succeda...”
Cercava
Anna in mezzo alla calca.
Vide Peter, impegnato in un duello contro un altro minotauro, che lo
incalzava
con il suo spadone. Vide Edmund parare il fendente di un orco con il
suo scudo,
anche se fu costretto a piegarsi sulle ginocchia. Una freccia di Susan
si piantò
nella fronte dell’orco che lo minacciava e quello cadde
all’indietro, con gli
occhi sbarrati. Vide il fauno Tasch che combatteva contro un folletto
dall’aria
maligna. Vide la criniera dorata di Aslan e udì il suo
ruggito. Vide le sue
fauci aprirsi e chiudersi, scagliando il lupo che aveva acciuffato
molto
lontano. Vide Jadis che muoveva la sua bacchetta a destra e a sinistra,
mentre
nell’altra mano teneva il coltello con il quale aveva
assassinato Aslan.
Intorno a lei si era creato il vuoto. Sulla testa brillava la corona.
Vide il
gigante Fracassone abbassare la sua clava ai margini del campo. Altre
frecce di
Susan che colpivano i bersagli.
Elsa
scagliò un’ondata del suo
potere contro un minotauro che si era avventato contro Tumnus. Lo
colpì alla
testa, ma quello continuò ad agitare il suo spadone, fino a
quando non si
ritrovò con il corno bianco di uno degli unicorni conficcato
al centro del
petto.
-
Oh, ma guarda! È appena stato
impalato. – gridò uno dei centauri di Aslan, con
una luce folle e divertita
negli occhi scuri.
Elsa
distolse lo sguardo. Era senza
fiato. L’odore del sangue la nauseava. Notò che
molti dei nemici di Aslan la
evitavano, esattamente come loro evitavano la Strega Bianca.
Vide
Anna. La vide mentre sollevava
la spada per parare il colpo che un orco voleva infliggerle con la
mazza. Elsa
cercò di aprirsi un varco per raggiungerla ed aiutarla, ma
Anna ebbe il tempo
di sgusciare via prima che l’essere potesse calare nuovamente
la sua arma.
Poi
una mano l’afferrò per la
treccia ed Elsa si sentì strattonare all’indietro.
Lanciò un grido e allungò le
mani, ma prima che potesse sprigionare il suo potere avvertì
il morso freddo
della lama sulla gola. Sentì il fiato pestilenziale della
creatura sul collo.
La mano che stringeva l’impugnatura della spada era verde,
squamosa come quella
di un serpente.
-
Ho visto la Regina trasformarti
in pietra. Evidentemente non hai imparato la lezione – disse
una voce scura e
sibilante.
Sentì
la lama penetrarle
leggermente nel collo. Poi dalle sue spalle venne un suono carnoso. La
creatura
emise un gorgoglio, allentò la presa sull’arma,
che cadde a terra, e lentamente
si afflosciò. Elsa si girò di scatto, notando che
l’essere aveva un aspetto
vagamente umano, ma la pelle era ricoperta di squame verdi e gli occhi
erano
grandi e dorati, ormai vuoti.
Peter
l’aveva trafitto con la sua
spada. Il ragazzo era paonazzo. Era anche ferito, ma non sembravano
ferite
gravi: graffi sul viso e sulle braccia, per lo più. Un
labbro spaccato, un
taglio sul sopracciglio. Vacillò su gambe malferme. Elsa
annientò con il suo
potere l’arpia che si era gettata nella mischia per
acciuffarlo.
-
Peter – mormorò, chinandosi su di
lui.
-
Sto bene – rispose il ragazzo, togliendosi
ciuffi di capelli biondi dalla fronte sudata. – E sono...
molto stanco.
Una
delle frecce di Susan sfrecciò
sopra di loro e colpì Jadis. La colpì al collo,
anche se solo di striscio. La
Strega Bianca lanciò un grido furibondo e quando un centauro
si fece sotto per
ucciderla, approfittando del suo momento di distrazione, lei lo
trafisse con il
pugnale. Ridusse in pietra tre nani che avevano commesso
l’errore di
avvicinarsi troppo al suo raggio d’azione nella foga della
battaglia.
Ovunque
infuriavano i
combattimenti.
Il
nano cocchiere che aveva guidato
le renne bianche della slitta della sovrana le stava sempre vicino, con
uno
spadone in pugno. Era rosso in viso ed evidentemente spaventato, ma
sembrava
intenzionato a rimanere attaccato alle sottane della Regina fino alla
fine.
-
Nano traditore! – urlò un altro
nano. – Sei una vergogna per la nostra razza!
Le
frecce di Susan continuava a
sibilare intorno a loro. Elsa non sapeva più dove volgere lo
sguardo, perché
ovunque guardasse vedeva cose orribili. E non riusciva più a
scorgere Anna.
-
Via tutti! – urlò Aslan,
scavalcando con un balzo i corpi di alcune creature morenti.
– Andate via,
presto!
-
Aslan, maledetto! Dovresti essere
morto! – strillò Jadis.
Il
leone spiccò un altro balzo, con
le fauci spalancate.
Per
qualche momento nessuno capì
cosa stesse accadendo. Ad Elsa parve che fossero in gioco almeno tre
bacchette,
due coltelli e due giganteschi leoni identici ad Aslan. Non avrebbe
saputo dire
se fosse un’illusione magica di Jadis o se fosse opera della
confusione che si
era creata, ma vide chiaramente Edmund alla spalle della Regina. Era
incredibilmente piccolo rispetto a lei, incredibilmente pallido e
fragile,
eppure calò la spada con forza, tranciando la bacchetta
della Strega a metà.
Lei lanciò un nuovo grido di rabbia, mentre Edmund crollava
al suolo, lasciando
cadere la spada.
Poi
Aslan piombò su Jadis,
ruggendo.
Elsa
non poté più vedere niente, ma
udì. Udì le urla agonizzanti della Strega Bianca.
Il rumore dei denti che
strappavano e laceravano.
Vi
prego, basta, pensò
la regina di Arendelle.
-
Edmund! – Susan comparve con
l’arco in mano e la faretra ormai quasi vuota. Si diresse
verso il fratello.
Nessuno cercò di fermarla. I nemici erano stati presi dal
panico quando avevano
visto Aslan scagliarsi contro la sovrana.
Il
grande leone sollevò la testa
dopo un tempo che parve lunghissimo. Le urla di Jadis erano cessate.
Aslan
aveva il muso sporco di sangue, eppure non perse nemmeno un briciolo
della sua
regalità. Spalancò la bocca ed emise un nuovo,
roboante ruggito.
***
Nel
giro di poco la battaglia si
concluse. I nemici, non appena si resero conto che la loro Regina era
morta,
fatta a pezzi dal leone, avevano cominciato a guardarsi intorno,
confusi e
disorientati. Alcuni si erano arresi, gettando le armi e buttandosi in
ginocchio ai piedi dei loro avversari. Altri cercarono di darsela a
gambe.
Certi ci riuscirono, sebbene avessero i centauri e gli unicorni alle
calcagna,
ma non tutti. Quelli che vennero catturati furono subito ridotti
all’impotenza,
legati e imbavagliati. Il cocchiere di Jadis era tra questi. I nani che
lo
legarono come un salame gli inflissero anche una serie di pizzicotti.
Lo
pungolarono con le asce e risero delle sue imprecazioni.
-
Statemi lontani! Dannati, andate
via! Via!
-
Cocchiere, questo è solo
l’inizio. Sei fortunato a non essere stato ridotto in
poltiglia come la tua
amata sovrana. – rispose un nano, colpendolo con il manico
dell’ascia.
-
La mia Regina mi ha dato tutto.
Tutto quello che voi della mia razza non mi avete mai dato.
-
Ovvero?
-
Cibo. Un posto dove stare! Un
lavoro onorevole...
-
Quindi frustare le renne della
Regina era onorevole?
-
Mi ha scelto come suo cocchiere.
Io fra tanti!
-
Avrei preferito essere messo in
catene piuttosto che diventare il suo cocchiere!
La
discussione si protrasse per un
bel po’.
-
Elsa! – Anna venne verso di lei,
mentre Peter e Susan erano chini su Edmund.
Elsa
si accorse subito che la
sorella zoppicava vistosamente. Non aveva più la spada con
sé e zoppicava. E
perdeva sangue. Molto sangue. La ferita alla gamba le parve molto
seria.
Anna
le cadde addosso. Sollevò appena
le palpebre, osservandola con occhi velati dal dolore. – Ti
ho trovata,
finalmente...
-
Anna... che cosa ti hanno fatto?
-
Non l’ho visto arrivare, mi
dispiace...
-
Non devi preoccuparti, adesso. Ci
sono io. Andrà tutto bene. Guarirai. – Elsa la
strinse tra le braccia, premendo
le labbra contro la sua fronte. La strinse come l’aveva
stretta al villaggio
amazzone, dopo il combattimento contro Varja. La strinse
così come l’aveva
stretta quando erano bambine e lei l’aveva ferita
accidentalmente.
E
ad Anna, sua sorella sembrava
persino più bella del solito. Sapeva che la luce che vedeva
intorno a lei era
dovuta al fatto che stava per perdere conoscenza. Sapeva che era colpa
del
dolore terribile che le trafiggeva la gamba e la testa. Però
allungò una mano
con le ultime forze che le rimanevano e con la punta delle dita le
toccò la
guancia. Fiocchi di neve cadevano, posandosi sui suoi capelli rossi.
-
Elsa? – Era Peter. Titubante.
Lei
non rispose.
-
Elsa, credo che dovremmo portare
Anna nelle retrovie. Stiamo portando là tutti i feriti.
Anche Edmund...
Elsa
si rannicchiò su se stessa per
proteggere la sorella. Il cuore le batteva forte nel petto, le orecchie
fischiavano e l’unica cosa che contava era tenere stretta a
sé Anna, inglobarla
se necessario. Nessuno le avrebbe più fatto del male. Non
avrebbe dovuto
permettere che uno di quei mostri la riducesse in quello stato.
“Qualsiasi
cosa succeda, non ti dimenticare che... ti amo”.
Anna
aveva già perso i sensi.
-
Elsa – La voce di Aslan la
costrinse ad alzare la testa. Il leone era molto vicino. Non
c’erano più tracce
di sangue sul suo muso. Non sembrava nemmeno vagamente provato dalla
battaglia.
– Peter vuole aiutarti a portare Anna nelle retrovie.
Laggiù c’è Lucy. Ricordi?
Lei ha il cordiale. Con esso potrà guarire la ferita di tua
sorella e quelle di
tutti gli altri.
Elsa
guardò Peter. Sembrava molto
cambiato. Pallido, grave, la bocca ridotta ad una linea piatta,
decisamente più
adulto, anche se il viso era pur sempre quello di un ragazzino.
“Un
liquore estratto dai fiori di fuoco che crescono su quelle che noi
chiamiamo
Montagne del Sole. Un dono importante. Poche gocce bastano a guarire le
ferite”.
-
Sì... – mormorò Elsa. –
Sì, ti
prego. Aiutami, Peter.
In
quel momento la terra tremò. Si
scosse, come percossa dai piedi di una decina di giganti. Un albero si
piegò e
si schiantò al suolo. La valle si riempì di
gridolini di sorpresa e paura.
Aslan
girò la testa di lato,
mettendosi in ascolto.
-
Che sta succedendo? – domandò un
nano. – È un’altra magia?
-
No – rispose Aslan. – Nessuna
magia. È Lilith. Il demone piange la morte di uno dei suoi
figli. Così come ha
pianto la morte delle migliaia di figli che sono spirati non appena
hanno visto
la luce.
***
Nelle
retrovie c’era un gran
viavai. I feriti erano sistemati su barelle di fortuna, fatte di funi,
foglie e
rami, oppure sedevano contro le rocce o i tronchi degli alberi,
stringendosi
gli arti o le teste fasciate in qualche modo. Alcuni animali avevano
portato
delle coperte e si prodigavano per aiutare. Susan correva da una parte
all’altra con una borraccia piena d’acqua e un
panno bagnato.
Anna
venne adagiata con cura da
Peter ed Elsa le prese subito la mano, chiudendola nelle sue. Era in
preda
all’angoscia e le riusciva difficile controllare il suo
potere. I cristalli di
ghiaccio le svolazzavano intorno come tanti piccoli moscerini.
Le
palpebre di Anna tremolarono e
si sollevarono un poco. Il suo sguardo era distante. La guardava, ma
non
sembrava che vedesse davvero. – Elsa... sta nevicando.
-
No. Non nevica, Anna. Scusami,
sono io, non riesco...
-
Vuoi costruire un pupazzo di
neve?
Elsa
le sorrise e baciò le nocche
della sua mano. – Sì. Certo. Faremo tanti pupazzi
di neve. Li farò io per te.
-
E uno lo chiameremo Olaf. O
magari Sven. Potremmo farne uno... a forma di renna... e chiamarlo Sven.
-
Tutto quello che vuoi, Anna.
Adesso non parlare più. Tra poco starai bene.
Edmund
era lì vicino. Letteralmente
coperto di sangue, con il viso di un brutto colore verdognolo, le
labbra
socchiuse e il respiro affaticato.
-
Il cordiale, Lucy. Presto! –
esclamò Aslan.
-
Sì! Sì, Aslan. Ecco... – A Lucy
tremavano talmente tanto le mani che sulle prime non riuscì
ad aprire la
bottiglietta di cristallo.
-
Aspetta, ti aiuto io – si offrì
Peter.
-
Ce la faccio – Lucy svitò il
tappo e si chinò subito sul fratello, versandogli qualche
goccia di cordiale
sulla bocca.
Stettero
tutti a fissare
l’espressione di Edmund, aspettando un cambiamento.
Aspettando che aprisse gli
occhi e parlasse. Ma il ragazzo non si mosse.
-
Aslan... non funziona – mormorò
la bambina.
-
Certo che funziona, Lucy –
rispose il leone. – Abbi pazienza. Edmund starà
bene. Ora tocca ad Anna e agli
altri feriti.
Lucy
si riscosse e si avvicinò ad
Anna, facendo la stessa cosa che aveva fatto con Edmund.
Alzò la testa,
osservando Elsa, e poi si allontanò, seguendo Aslan.
***
Sulle
prime non accadde niente.
Anna non si muoveva, a parte gli occhi che si agitavano sotto le
palpebre. La ferita
le pareva sempre uguale. Il suo viso era sempre pallido e la mano che
stringeva
era fredda. Lo stesso valeva per Edmund, accudito da sua sorella Susan.
Dopo
una buona mezz’ora, mentre
Lucy era ancora impegnata a curare chi ne aveva bisogno e Aslan ridava
vita
alle statue di pietra con il suo soffio magico, Elsa vide che i graffi
sul viso
della sorella erano spariti e che lo squarcio nella gamba si stava
rimarginando
davanti ai suoi occhi.
-
Funziona – mormorò, sentendosi
inondare dal sollievo.
Edmund
si destò di soprassalto e si
mise a sedere. Si guardò intorno, disorientato. –
Dove sono? Dov’è la Strega?
-
La Strega è morta – gli rispose Susan,
offrendogli la borraccia perché potesse bere un sorso.
– Aslan l’ha uccisa.
-
E Peter? Lucy? Loro sono vivi?
Stanno bene, vero?
-
Sì, nessuno di loro è ferito. Ed
è merito tuo.
-
Mio? Io ho combinato solo
pasticci.
-
Niente affatto. Sei stato
coraggioso. Ho visto cos’hai fatto. Se non fosse stato per
te, la Strega
avrebbe trasformato tutti in statue! Tu l’hai disarmata.
Edmund
arrossì. – Credo sia...
credo sia stata fortuna. Era distratta. È Aslan che
l’ha sconfitta.
-
Grazie a te. – insistette la
sorella.
Edmund
volle a tutti i costi
alzarsi in piedi. Era decisamente in buona salute. Non solo non era
più ferito,
ma aveva un’aria diversa, più dolce e serena.
– E... Anna? Si riprenderà?
-
Sta già meglio. – rispose Elsa.
-
Edmund! – strillò Lucy, correndo
dal fratello e abbracciandolo stretto. Lui le scompigliò i
capelli e rise. –
Edmund, sei tornato...
-
A quanto pare sì.
Aslan
si avvicinò con Peter. Anche
il leone sorrideva. – Sono lieto di vederti di nuovo in
forze, figlio di Adamo.
Peter mi ha detto che in battaglia sei stato molto coraggioso. Anche se
non ce
n’era bisogno. Lo sapevo già.
Elsa
era felice di vedere i quattro
fratelli uniti. Erano giovani, ma era sicura che sarebbero stati degli
ottimi
sovrani per Narnia.
E
pensò a casa sua. Ad Arendelle.
Al suo regno così lontano. A Kristoff che aspettava il loro
ritorno. Aslan
aveva detto che esisteva un passaggio, in quel mondo, che avrebbe
permesso a
lei e ad Anna di tornare a casa.
-
Il passaggio esiste – disse
Aslan. Ovviamente non c’era bisogno di esprimere i propri
pensieri ad alta voce
quando era nei paraggi. – Non preoccuparti, Elsa.
Farò in modo che raggiungiate
presto il luogo di cui vi ho parlato, così che possiate fare
ritorno nel vostro
mondo.
-
Presto? – domandò Peter. Sembrava
dispiaciuto.
-
Elsa ha un regno che l’aspetta,
caro Peter. Come Narnia ha aspettato voi – precisò
Aslan.
-
Beh, sì... certo, naturalmente.
-
Scusalo, Aslan. Credo volesse
conoscerle meglio. Soprattutto vorrebbe conoscere meglio Anna.
– Susan sollevò
un sopracciglio, rimirando il fratello maggiore.
Elsa
sorrise.
-
No, non è questo! – esclamò
Peter, diventando rosso. – Pensavo solo... che... beh,
pensavo che sarebbero
rimaste ancora un po’... almeno per l’incoronazione
e la festa. E pensavo...
-
L’incoronazione avverrà domani,
Peter. – annunciò Aslan, quasi fosse la
normale routine.
-
Domani?
-
Ho già preparato tutto. Così
anche Elsa ed Anna potranno assistere quando siederete sui troni che vi
spettano.
In
quel momento alcuni nani
trasportarono delle barelle sui quali erano adagiati i corpi senza vita
di
alcuni membri dell’esercito di Aslan. I morti erano tanti e
quella sera i roghi
avrebbero illuminato a giorno la valle in cui si era svolta la
battaglia contro
Jadis.
Prima
Elsa vide Tumnus, il fauno
amico di Tasch. Aveva i capelli tutti arruffati, zoppicava e aveva il
viso
bagnato di lacrime. Poi vide un nano afferrare il lembo di una coperta
per
coprire il volto di uno dei caduti. Elsa intravide appena quella
faccia. Ma
quello che notò fu sufficiente.
-
Aspettate! – gridò.
Quando
si era accorta che Tasch non
era nei paraggi dopo la fine dei combattimenti, si era detta che
probabilmente
era rimasto ferito ed era stato trasportato nelle retrovie. Si era
detta che
probabilmente era tra le persone che Lucy aveva curato con il suo
cordiale. Era
troppo preoccupata per Anna e non si era fermata a riflettere sul fatto
che
potesse anche essere...
“Hai
detto di chiamarti Elsa?”.
“Sì”.
“È
uno strano nome. Il mio è Tasch”.
A
prima vista sembrava che il
giovane fauno stesse solo dormendo. Il suo viso era bianco come carta
ma
rilassato. I suoi capelli erano una zazzera rossa e scompigliata, ma
non
c’erano tracce di sangue. Però era evidente che
non c’era più traccia di vita
in quel corpo. Il petto era immobile. Le membra non erano semplicemente
rilassate ma rigide.
-
È morto per salvarmi. – mormorò
Tumnus, mordendosi il labbro inferiore. – Un orco mi aveva
disarmato e stava
per uccidermi... lui... lui è intervenuto. Non avrebbe
dovuto. Era troppo
grande e troppo forte per Tasch...
Elsa
non disse niente. Aveva la
gola serrata. Le sue dita sfiorarono gentilmente il viso del fauno, la
prima
faccia amica che aveva incontrato quando aveva messo piede a Narnia.
L’aveva
seguita anche se non aveva la minima idea di chi fosse.
L’aveva aiutata a raggiungere
il castello della Regina e a ritrovare Anna. Si erano dati una mano a
vicenda...
-
È... morto quasi subito... Lucy
non ha potuto aiutarlo... – continuò Tumnus. Aveva
ricominciato a piangere.
-
Oh, signor Tumnus! – esclamò la
bambina, stringendo la mano del fauno tra le sue. – Mi
dispiace così tanto!
Per
un attimo restarono tutti così,
immobili. Lucy con la mano in quella di Tumnus. Elsa con gli occhi
spalancati
che fissavano Tasch. Anna ancora priva di sensi dietro di lei. Peter,
Susan ed
Edmund vicini. Il leone che agitava la coda.
-
Preparate le pire – annunciò Aslan,
rompendo il silenzio.
***
Elsa
cercò di non pensare al corpo
senza vita di Tasch, mentre intorno a lei chi era in grado di farlo, si
prodigava per eseguire al meglio l’ordine di Aslan. Peter ed
Edmund davano una
mano, in silenzio, mentre Susan si distraeva affilando la punta delle
frecce
che le erano rimaste, seduta su un tronco caduto.
Anna
continuava a dormire. La
ferita era ormai completamente rimarginata.
Elsa
giocherellò con una ciocca dei
suoi capelli rossi. Si chinò per sfiorare la sua fronte con
le labbra,
leggermente, senza fare pressione.
-
Sai cosa mi ricorda tutto questo?
– le disse Elsa, rimanendo piegata su di lei, parlandole come
se potesse
sentirla. – Mi ricorda... quella volta in cui ti sei ammalata
e non sei venuta
a bussare alla mia porta.
Le
palpebre di Anna tremolarono.
Accanto a loro un giovane satiro con degli strani capelli ritti come
gli aculei
di un porcospino si rigirò sotto la coperta che gli avevano
dato, senza
destarsi.
-
Ero così... abituata a sentirti
bussare... ti fermavi sempre davanti alla porta della mia stanza,
bussavi, mi
chiedevi di uscire a giocare con te, mi chiedevi... se volevo costruire
un
pupazzo di neve... e ovviamente io ti rispondevo di andartene. Pensavo
fosse
troppo pericoloso per te. – Si interruppe qualche istante.
– Però il giorno in
cui non ti ho sentita bussare alla mia porta... ho capito che poteva
esserti
successo qualcosa. Tu non ti arrendi mai, Anna. Non ti sei mai arresa.
Ero...
ero preoccupata... e la mamma mi ha detto che ti eri ammalata.
Per
lei era difficile ricordare
quei momenti. I momenti in cui non faceva altro che scacciare la
sorella,
quando avrebbe solo voluto aprire quella porta e abbracciarla forte. I
momenti
in cui le diceva di andarsene, quando invece avrebbe voluto uscire in
giardino
e costruire quel maledetto pupazzo. Vederla sorridere. Vedere i suoi
occhi
brillare come quando giocavano da bambine, prima
dell’incidente.
-
Ho chiesto se potevo vederti. Non
ci ho nemmeno riflettuto. Dovevo assicurarmi che stessi bene.
– continuò Elsa,
toccandole la fronte e accarezzandola piano. – E la mamma mi
ha lasciato
entrare nella tua stanza. Eri... eri buffa. Dormivi in una posizione
assurda...
ed eri molto calda. Quando ti ho toccata... eri molto calda. Ma hai
sorriso. Perché
mi hai sentita... e il freddo della mia pelle ti ha dato un
po’ di sollievo.
“Vuoi
che ti lasci da sola con lei?”, le
aveva chiesto sua
madre.
Probabilmente
Gerda si era domandata
se fosse la cosa giusta da fare, lasciare la figlia da sola con la
sorella, pur
sapendo di quel potere, pur sapendo che era rischioso. Forse aveva
ripensato
alla sua, di sorella. Ad Ingrid che uccideva involontariamente Helga.
Elsa
ricordava anche la sua paura.
La paura di farle del male anche solo sfiorandola.
Ma
quella volta aveva cercato di non
avere paura.
-
Mi sono avvicinata al tuo letto e
ti ho dato un bacio... non te lo puoi ricordare, ma io sì.
Io me lo ricordo. Ti
ho dato un bacio anche se avevo paura. E ti ho detto che ti volevo
bene. Poteva
essere la mia ultima occasione...
L’aveva
fatto con il cuore in gola
e poi era scappata via.
Si
chinò di nuovo per baciarla in
mezzo agli occhi e poi scese più in basso, appoggiando le
labbra sulla sua
guancia, vicino alla bocca.
***
Angolo
autrice:
Buonsalve
a tutti!
Come
al solito mi scuso per i tempi
biblici con cui aggiorno e preciso alcune cose che riguardano questo
capitolo:
Nel
romanzo di Lewis non è Aslan a
donare quegli oggetti ai fratelli Pevensie, ma Babbo Natale. Dato che
non mi
sembrava proprio il caso di inserire Babbo Natale in questa storia
(niente
contro Babbo Natale ovviamente ^^ solo che mi sarebbe parso un
po’ ridicolo,
ecco), ho cambiato questo particolare.
Devo
ringraziare un mio amico Oncer
che, tempo fa, scrisse una piccola storia su Elsa ed Anna, in cui Anna,
appunto, si era ammalata e la sorella le faceva visita anche se aveva
paura di
farle del male. Il mio amico mi ha permesso di inserire la sua idea
nella mia
storia.
La
one shot si chiama “Oggi per
l’ultima volta”.
Il
bacio che Elsa dà ad Anna è un
piccolo rimando a La Regina delle Nevi, fiaba
di Andersen, in cui Kay viene incantato dalla Regina delle Nevi con un
bacio.
|
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Capitolo 15 *** Going Home ***
15
“In her eyes, the
sadness sings -
of one who was
destined, for better things”
[Lang
Leav, Love & Misadventure]
-
Quando si è re e regine di Narnia,
si è re e regine per sempre – proclamò
Aslan, non appena i quattro fratelli
Pevensie vennero incoronati e si sedettero sui quattro troni nella
grande sala
del castello di Cair Paravel. Era un ambiente immenso, luminoso, con il
soffitto d’avorio e la parete est che si apriva sul mare,
mentre la parete
ovest era tappezzata di piume di pavone. Dietro i troni capeggiava un
grande
arazzo sul quale era rappresentata una battaglia come quella che si era
da poco
conclusa.
Squillarono
le trombe. Gli amici e
alleati del leone acclamarono a gran voce i nuovi sovrani, che
elargirono
ringraziamenti e decretarono ricompense ed onori per coloro che si
erano
dimostrati coraggiosi nella valle contro la Strega Bianca. Ovviamente
Aslan
aveva organizzato un grande banchetto per celebrare la vittoria e non
aveva
permesso che mancasse qualcosa; Anna fu assai felice di trovare un
sacco di
dolci al cioccolato, persino quelle buonissime praline che
l’odioso folletto di
Oberon si era spazzolato la sera del suo matrimonio. Vi furono anche
danze,
vino che scorreva a fiumi e musica senza sosta.
-
Ti sembra davvero giusto tutto
questo? – domandò Anna a sua sorella, osservando
fauni, nani e altre creature
impegnate a ballare o a invitare Susan e Lucy. – Voglio dire,
non il
banchetto... quello lo trovo... beh, perfetto. Ci sono un sacco di
dolci al
cioccolato e persino i sandwitches! Intendo l’incoronazione.
Aslan ha detto che
saranno re e regine per sempre. Ma non dovrebbero tornare a casa loro?
Avranno
un mondo a cui tornare, dei genitori...
-
Credo che Aslan pensi che per ora
sia giusto così – le rispose Elsa.
-
E siamo sicure che quello che
dice Aslan sia sempre giusto? A proposito, dov’è
finito Aslan?
-
Se n’è andato – Il fauno Tumnus,
seduto in disparte con una coppa di sidro in mano aveva ancora
l’aria abbattuta
ed era già alticcio. Le pire accese da Peter, Edmund e da
altri volontari
avevano bruciato a lungo. Le fiamme si erano levate alte e il vento si
era
portato via le ceneri dei caduti. Tumnus aveva dato fuoco alla pira
sulla quale
era stato depositato il corpo di Tasch.
-
Come... andato? – domandò Anna,
sorpresa.
-
Lui è così. Va e viene
all’improvviso. Un attimo prima c’è e
l’attimo dopo è già sparito. E torna
quando meno te l’aspetti. Non gli piace sentirsi legato ad un
posto. Vuole
essere libero.
-
Credevo ci avrebbe accompagnate
al portale... – osservò Elsa.
-
Ha preparato tutto. Una scorta...
questo ho sentito dire almeno... una scorta vi porterà nel
luogo in cui
troverete la porta... il portale... o qualunque cosa sia. E ha
organizzato
anche un gran bel banchetto. Non fosse per questa musica continuerei a
pensare... e credo che non mi farebbe bene. –
Guardò il fondo della sua coppa.
-
Tasch... lui non vorrebbe vederti
triste. Né che tu ti senta in colpa per ciò che
gli è accaduto. – disse Elsa,
avvicinandosi un poco al fauno.
-
Già, lo so. Me l’ha detto anche
Lucy. Lei è... sarà un’ottima regina.
Eppure è morto per difendere me...
-
L’ha fatto perché ti voleva bene.
Tumnus, so che cosa significa perdere qualcuno... anche Anna lo sa. E
so che
cosa vuol dire sentirsi in colpa perché quel qualcuno non
c’è più.
Il
fauno sollevò gli occhi
arrossati. – Davvero?
Anna
non intervenne, ma lanciò
un’occhiata ad Elsa.
Lei
rivolse a Tumnus un sorriso
triste. – Sì. Pensavo che... una volta pensavo che
i miei genitori fossero
morti per colpa mia.
-
Come...? Intendo, come sono
morti?
-
La loro nave è affondata.
-
Mi... mi dispiace molto. Ma se
una nave affonda non è colpa di nessuno... o meglio,
può essere colpa di una
tempesta. O dei pirati, ecco.
-
Fu una tempesta, ma erano partiti
per me. Ero io la ragione del loro viaggio. Il mio potere li spaventava.
-
Il suo potere li preoccupava, ma
erano preoccupati per lei, non di lei – si affrettò
ad aggiungere Anna.
– Ne sono convinta.
-
In ogni caso partirono per me. E
quando scoprii la vera ragione della partenza... mi sentii in colpa.
Perché se
non fossero partiti... non sarebbe successo niente. Ho anche pensato
che... se
non fossi stata così... non sarebbe accaduto niente.
-
E lo pensi ancora?
Elsa
si voltò, incrociando lo
sguardo di sua sorella. Si ricordò di quella volta, dopo la
scoperta del
diario, quando era fuggita e si era rifugiata nei giardini. Si
ricordò di tutto
ciò che Anna le aveva detto. Che lei non era un mostro. Che
i suoi genitori non
pensavano che lo fosse. Che avrebbe dimostrato che ciò che
era stato scritto in
quel diario non era ciò che sembrava. Si ricordò
di quando aveva detto ad Emma
che i suoi genitori erano davvero meravigliosi.
-
Ci sono dei momenti in cui... in
cui penso che se non fossero partiti per trovare una soluzione che mi
aiutasse... sarebbero ancora qui. – rispose Elsa. Poi
allungò una mano,
cercando e trovando quella di Anna. – Ma so che tutto quello
che hanno fatto...
l’hanno fatto per me. Perché mi volevano bene.
Proprio come Tasch. Era tuo
amico. Era la tua famiglia. Si è sacrificato per te e tu
avresti fatto la
stessa cosa per lui.
Tumnus
scrutò ancora il fondo della
sua coppa. – Sì, credo... l’avrei fatto.
Sì.
-
Ne sono sicura.
-
Anche i miei genitori sono morti.
Ma loro sono stati uccisi dal freddo. – Non appena lo disse,
si chiese se fosse
stata la cosa giusta, visto che era in presenza di una regina che
controllava
il ghiaccio e per la quale il freddo non era certo un problema. O
meglio, lo
era stato per i genitori, a giudicare da quello che gli aveva appena
raccontato. Anzi, aveva usato il ghiaccio per liberarsi di alcune delle
creature mostruose di Jadis. Concluse che non avrebbe dovuto dirlo.
– Cioè,
quello che intendevo... è che li ha uccisi
l’inverno... sapete, la maledizione
di Jadis.
Maledetta
sia la mia linguaccia, piuttosto.
Quando
Tumnus aveva incontrato
Lucy, la prima dei quattro fratelli a mettere piede a Narnia, era
più che
convinto di essere un pessimo fauno, un fauno cattivo,
perché aveva pensato di
consegnare la figlia di Eva a Jadis, così come stabiliva
l’accordo che avevano
stipulato tempo addietro. Tumnus aveva avuto troppa paura della Strega
e così,
per non essere trasformato in una statua, aveva promesso che avrebbe
consegnato
a lei gli esseri umani, se mai fossero apparsi.
Adesso
non pensava più di essere
cattivo, ma certamente era un gran pasticcione.
-
Ho capito. – Elsa non sembrava
offesa dalle sue parole. Gli sorrise di nuovo e a Tumnus parve il
sorriso più
dolce che avesse mai visto.
***
La
festa si trasformò presto in una
baldoria estremamente chiassosa ed Elsa approfittò della
confusione per uscire
dal castello.
La
dimora di Cair Paravel si ergeva
sugli scogli. Quando ci era arrivata per la prima volta, alla ricerca
di sua
sorella, non aveva notato che il posto dava proprio sul mare. Ci era
arrivata
passando dalla valle allora innevata. Non aveva udito il fragore delle
onde, né
tantomeno si era fermata a pensare a dove potesse trovarsi esattamente.
Voleva
solo rivedere sua sorella. A destra e a sinistra del castello una
distesa di
sabbia bianca e fine, disseminata di piccole rocce e poi, fino
all’orizzonte
estremo, il mare scuro. Il rumore delle onde che si frangevano sulla
spiaggia
la rilassava. Il vento era fresco e piacevole sul viso.
Si
sedette sugli scogli.
Parlare
con Tumnus aveva riportato
a galla molti ricordi dei suoi genitori. Vedere il senso di colpa negli
occhi
scuri del fauno l’aveva spinta a ripensare a quando aveva
trovato il diario e
aveva scoperto la verità sul loro viaggio.
“Ma
so che tutto quello che hanno fatto... l’hanno fatto per me.
Perché mi volevano
bene. Proprio come Tasch. Era tuo amico. Era la tua famiglia”.
-
Sapevo che ti avrei trovata qui –
disse Anna, raggiungendola e sedendosi sugli scogli, accanto a lei.
-
Ed io sapevo che saresti venuta.
Ti stavo aspettando.
-
Sarei venuta anche prima, ma
Peter ha voluto a tutti i costi invitarmi a ballare. E poi anche
Edmund. Volevo
dir loro che non avevo tempo di ballare, ma non credo si possa dire di
no a due
re... sarebbe scortese. Non importa se i re sono ragazzini, giusto?
Cioè,
dovrebbe essere importante, ma non importa.
-
Credo che, se Peter potesse, non
ti chiederebbe solo un ballo, ma anche di... fare una passeggiata sulla
spiaggia con lui. E di sposarlo, magari.
-
Oh, non credo che pensi già a
cose così serie. E sa che sono sposata. Gliel’ho
detto. – Distese la mano e
osservò l’anello di Kristoff scintillare
nell’oscurità. Poi si riscosse,
rivolgendosi a sua sorella. – Sei triste?
-
No – Elsa spostò lo sguardo sul
mare. Il mare che aveva inghiottito la nave sulla quale viaggiavano
Gerda e
Kay. Il mare che aveva restituito la bottiglia con la lettera di Gerda,
la
lettera che Anna aveva letto e che aveva salvato tutti. Quello non era lo stesso mare, ma non contava, in quel
momento. – Stavo solo pensando a mamma e papà.
-
Quindi sei triste.
-
No, non lo sono. È che...
parlarne con Tumnus mi ha fatto pensare a loro. Mi mancano.
Anna
allungò una mano e intrecciò
le dita con quelle di Elsa. – Lo so. Anche a me. Sempre.
Restarono
in silenzio, a lungo. La
musica della festa giungeva fino a loro, ma ovattata, distante, come se
si
fosse aperta una breccia in un altro mondo e la breccia stesse
lasciando
passare delle note. Delle tracce di quella dimensione.
-
Dov’è andato Aslan, secondo te? –
chiese Anna.
Elsa
non seppe che cosa rispondere.
-
Poteva almeno salutarci. Insomma,
non ti sembra scortese, non salutarci? Credo sia scortese quanto
rifiutare
l’invito di un re che vuole ballare. Noi l’abbiamo
aiutato. Ed io lo aiuterei
ancora, davvero. Ma lui... se ne va così, come se niente
fosse...
-
Forse non poteva restare. Forse
ci sono altri posti... altre persone che hanno bisogno di lui.
Poi
Anna sentì la mano di Elsa
sciogliere la stretta e accarezzarle i capelli.
-
Non ti sei rifatta le trecce –
disse, lasciandosi scivolare una ciocca fra le dita.
-
No... me le farò domani. –
rispose Anna, godendosi la carezza della sorella. Si voltò a
guardarla. –
Perché? Avrei dovuto farmi le trecce? I capelli sciolti mi
stanno male? Mi
invecchiano?
Elsa
rise. – No... per niente.
Stanno benissimo.
Anna
arrossì. Non perché le aveva
appena detto che stava bene con i capelli sciolti, ma per il modo in
cui Elsa la
stava guardando. Avvertivi i suoi occhi su di sé, non
pressanti, ma delicati,
come la mano che le accarezzava i capelli.
Ad
un certo punto il suo sguardo
sfuggì e si fissò sul mare scuro. Sembrava che
stesse lottando per trovare la
parole. - Mi hai detto una cosa prima... prima della battaglia.
“Qualsiasi
cosa succeda, non ti dimenticare che... ti amo”.
-
Sì, l’ho detto... voglio dire, ho
detto molte cose, ero nervosa. – Anna accennò un
sorriso, cercando di sembrare
disinvolta.
Elsa
seguitò a fissarla.
-
Ho detto che ti amo. E l’ho detto
perché lo pensavo. Beh, è ovvio che lo penso
ancora.
-
Non devi dire queste cose.
“Non
vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata.
Per una
donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un
uomo che
si fida di voi... Oberon mi ha parlato del marito di Anna”. La
voce di Titania la sorprese. Suonava come la voce della coscienza,
molto severa
e arrogante, ma veritiera.
“Lui
è mio amico”.
-
È sempre meglio dirle, certe
cose. Soprattutto se sono vere. Quando le dici, ti senti un
po’ meglio. Almeno
di solito è così. Cioè, non so se io
mi sento meglio, però... – Parlava in
fretta, incapace di controllare il fluire delle sue parole. Anche
quando si era
destata dopo essere stata curata da Lucy non aveva fatto altro che
parlare.
Elsa le diceva di stare giù, di riposare ancora un
po’, di non stancarsi, ma
Anna si sentiva in forma e quindi non aveva potuto fare a meno di
parlare di
come quel mostro l’avesse sorpresa, ferendola. Di quanto
fosse felice che fosse
tutto finito, che la Strega fosse morta e che potessero tornare a casa.
Elsa
percorse dolcemente i suoi
lineamenti con la punta delle dita, scorrendo poi tra i capelli e lungo
la
curva del collo. – Tu ami Kristoff.
Anna
inclinò la testa per seguire
il tocco della sorella. – Sì, certo che lo amo. Ma
è anche vero che... so che
cosa provo per te. Ed ora penserai anche... che sono folle,
perché non si
possono amare due persone contemporaneamente. Hai mai sentito parlare
di un
cuore spaccato in due?
-
No.
-
Nemmeno io.
Elsa
si sporse verso di lei.
Dapprima le sfiorò l’angolo delle labbra,
prudentemente, poi premette la bocca
sulla sua. – Ti amo.
Anna
trattenne il fiato.
“Pensate
di poterlo nascondere per sempre, Elsa? Credete di esserne capace?
Scommetto di
no. Nessuno ne è capace”.
-
Anche se questo non sarà mai
possibile... non cambia quello che provo per te. – aggiunse
Elsa, parlando a
voce bassa, quasi stesse confessando il più terribile dei
segreti.
E
per molti... per chiunque lo
sarebbe stato. Un terribile segreto.
Anna
ricominciò a baciarla. Lo fece
con trasporto, appoggiando una mano sulla sua nuca e premendo per
attirarla
ancora di più vicino a sé. Elsa rispose nello
stesso modo, senza curarsi di
essere prudente come un attimo prima e infilandole una mano in quella
folta
chioma rossa. Quando le mancò il respiro si
separò lentamente da Anna e lei le
abbandonò la testa sulla sua spalla. Il tepore del corpo
della sorella era una
bella sensazione, la cullava come avrebbero potuto fare le onde del
mare di
Narnia.
-
Grazie per avermi raccontato di
quella volta che sei entrata in camera mia... quando ero ammalata
– le
sussurrò.
Elsa
batté le palpebre. – Mi stavi
ascoltando? Eri sveglia?
-
Beh, non proprio. Diciamo che ero
quasi sveglia. E ti ho sentita.
-
Oh.
-
Non è stata la tua ultima occasione,
come pensavi. Ne hai avute tantissime altre.
-
Già. Per fortuna. – Elsa prese
una delle mani di Anna e ne accarezzò il dorso con il
pollice. – Solo perché tu
non ti sei data per vinta.
-
Non mi do mai per vinta. Soprattutto
quando si tratta di mia sorella. E comunque... sei stata fortunata
anche per
un’altra ragione. Se mi fossi svegliata, quella volta che sei
venuta nella mia
stanza per vedere come stavo, sarebbe stato peggio per te. Non ti avrei
più
lasciata in pace. Non ti avrei proprio dato tregua...
-
Lo so. Per questo ho fatto
attenzione. Eri... eri così...
-
Così? – Anna sollevò un po’
la
testa. Si sentiva inebriata dal profumo di Elsa, dalla sua parole e
dalla sua
semplice presenza. I loro corpi sembravano cercarsi e combaciare
perfettamente.
Come se fosse una cosa assolutamente naturale e non sbagliata come
appariva
agli occhi del mondo.
-
Beh... fragile. Indifesa. –
rispose Elsa. – Così piccola eppure anche
così... adulta. Ero sorpresa perché
non immaginavo che fossi cresciuta tanto.
-
Non immaginavi che sarei
diventata più alta di te, vero?
Elsa
sorrise, divertita. Strusciò
il proprio viso fra i capelli di Anna, inspirando profondamente.
– Non sei poi
tanto più alta di me.
-
Non tanto... ma un po’ sì.
***
Il
mattino seguente Anna ed Elsa,
accompagnate da Peter, Susan e da due centauri, vennero scortate fino
al Guado
di Beruna, il luogo in cui Aslan aveva radunato il suo esercito prima
della
battaglia finale contro la Strega. Poco distante da lì
c’era l’ingresso ad
alcune grotte. Secondo quello che avevano detto loro, la grotta
nascondeva il
passaggio per tornare al loro mondo.
Ma
la verità era che il passaggio
non era dentro ad una delle grotte, bensì
all’esterno.
-
Che? Dite sul serio? Io non vedo
niente! – esclamò Anna. – Davvero. Io
vedo solo... niente, appunto.
-
Non è vero che non c’è niente
–
disse uno dei centauri. Con la punta della lancia indicò un
punto davanti a
lei. – Laggiù. Guardate. Tra i pali.
All’esterno
delle grotte c’erano
due lunghi bastoni di legno conficcati nel terreno, ad una distanza di
circa
tre metri l’uno dall’altro. Un palo più
sottile e leggero era stato sistemato
sopra agli altri due, in orizzontale, inquadrando una specie di porta.
Elsa
strinse gli occhi. In mezzo ai
pali vedeva l’erba, gli alberi e il cielo limpido di
Narnia... e qualcos’altro.
Niente di concreto, solo un vago tremolio, come se l’aria si
fosse concentrata
solo in alcuni punti e vibrasse.
-
Aslan ha detto che,
oltrepassandola, potrete tornare a casa – assicurò
Peter, quasi l’avesse provata
di persona e potesse confermarglielo. Lui e Susan risplendevano, forse
un po’
troppo, nei loro abiti pregiati, di seta e con finimenti dorati. Susan,
a parte
la sua faretra e l’arco, portava un diadema che le ricadeva
in mezzo alla
fronte e qualcuno le aveva acconciato i capelli scuri in una treccia.
Peter,
invece, indossava la cotta di maglia argentata, l’elmo e la
sua spada era
infilata in un fodero tempestato di gemme.
-
Come pensavate di tornare
indietro? Attraverso un armadio? – domandò
l’altro centauro che le aveva
accompagnate.
-
Beh, no. Attraverso... una porta.
L’ultima volta che siamo tornate a casa da un altro mondo
c’era... una vera
porta. – disse Anna. Poi scosse la testa. –
D’accordo, forse è meglio questa
porta rispetto al vortice che ha
trascinato me e Kristoff a Storybrooke.
Nessuno
capì a cosa si stesse
riferendo, ma Peter le condusse presso la strana soglia.
Allungò una mano,
esitante. La punta delle sue dita toccò il... il niente fra
i due stipiti. Le
dita affondarono e scomparvero brevemente. Peter ritrasse subito la
mano, come
se l’avesse appena piazzata sulle braci ardenti.
-
Peter? – Susan lo guardò,
interrogativa.
-
C’è qualcosa. Sì. Direi proprio
di sì. – Il Re Supremo annuì
più volte. Si schiarì la voce. –
Avanti. Tocca a
voi.
-
Quindi voi... rimarrete in questo
mondo? – chiese Anna, dubbiosa.
-
Rimarremo, sì. Sentiamo di dover
rimanere – rispose Peter. Lanciò
un’occhiata alla sorella. – Sono sicuro che
Narnia ha bisogno di noi, adesso.
Ci
fu silenzio. Anna avrebbe voluto
dire qualcos’altro, molte altre cose, a dire il vero. Per
esempio avrebbe
voluto chiedere ai due fratelli: E il
vostro mondo? Casa vostra? Non vi mancherà casa vostra? E i
vostri genitori?
Non vi staranno cercando, se li avete?
Ma
Elsa le prese la mano, sapendo
che era giunto il momento di andare e quindi lei si morse la lingua. Il
ragazzo
salutò entrambe, sfiorando i palmi delle loro mani con un
bacio leggero, ma
trattenne un po’ di più quella di Anna.
Non
vi furono altre parole di
congedo. Peter le guardò mentre oltrepassavano la soglia
magica. I centauri
erano rimasti più indietro e osservavano, pazientemente, un
po’ dubbiosi, con
le folte sopracciglia aggrottate.
Raggiunta
la soglia accadde
qualcosa di strano. Elsa ed Anna videro tre cose contemporaneamente: la
prima
era la radura di Narnia, le facce di alcuni animali venuti a vedere che
cosa
stesse succedendo e il barbaglio del sole alto nel cielo. La seconda
era
l’antro di una caverna che si affacciava su una spiaggia
bianca e sul mare blu.
E la terza era senza dubbio il ponte di una nave.
Anna
si aggrappò al braccio di
Elsa.
Peter
e Susan videro le due sorelle
ferme fra i due stipiti. Le videro scambiarsi un’occhiata.
Un
istante più tardi erano svanite
nel nulla. Era bastato un battito di palpebre e non erano
più lì.
-
Dove sono finite? Sono passate?
Sono... sono davvero passate dall’altra parte... qualunque
sia quella parte? –
farfugliò uno dei due centauri, confuso.
-
Siete sicuri che siano andate nel
posto giusto, vero? Perché... non si vede nessun nuovo mondo
attraverso quei
bastoni. Mi era sembrato di vedere qualcosa, ma ora non sono
più tanto sicuro. Scusate
se mi permetto, sire.
-
Sono tornate a casa loro – disse
Peter. – Sì. Aslan non si sbaglia mai.
-
Certo – gli fece eco Susan. – E
comunque sei tutto rosso in faccia.
-
Io? Non sono rosso. Sarà...
l’elmo. Dovrei toglierlo, adesso. Fa molto caldo.
-
Caldo, sì. Si sta benissimo,
invece. Chissà quanto ti dispiace che non faranno mai
più ritorno a Narnia...
Peter
diventò ancora più rosso. - Beh,
mi dispiace eccome! Perché, a te no?
-
A te molto di più. Soprattutto
per Anna...
***
L’atterraggio
non fu dei migliori.
Elsa
cadde malamente sul ponte
della Blackrose, più o meno nello stesso punto in cui Black
Sam e i suoi uomini
l’avevano vista per l’ultima volta. Non ebbe il
tempo di rialzarsi e Anna le
piombò addosso, schiacciandola quasi.
-
Uh! – esclamò Anna, fissando il
viso di sua sorella a pochi centimetri dal suo. – Ops.
-
Capitano! – gridò una voce
maschile. Molto alta e sbigottita. – Capitano, correte! Sono
qui!
Anna
cercò di raccapezzarsi e si
alzò, aiutando Elsa.
Non
erano tornate ad Arendelle ma
direttamente al punto di... partenza. Ovvero la Blackrose. La bandiera
pirata
era ancora issata in cima al pennone, sbatacchiata dal vento. Il cielo
era
tinto dei colori del tramonto.
Koral,
il nostromo, si fiondò giù
per i tre scalini di legno che conducevano al ponte, con i capelli
castani che
gli ricadevano sulla fronte e sulle orecchie. – Capitano!
-
Non sono sordo, Koral! Eccomi –
Black Sam, vestito con la stessa giubba rossa e gli stessi pantaloni di
pelle
nera del giorno dell’assalto alla nave diretta ad Arendelle,
apparve da
sottocoperta, guardando entrambe come se fossero appena precipitate dal
cielo.
-
Sono apparse dal nulla, capitano.
Dal nulla!
La
ciurma di Black Sam lo seguì sul
ponte. Alcuni avevano già una mano
sull’impugnatura della sciabola. Diverse
paia di occhi le scrutarono, sospettosi, perplessi, curiosi e
guardinghi.
Sembrava che non sapessero decidere quale fosse il modo giusto di
comportarsi.
-
Dove siete andate a cacciarvi,
per tutti i mari?! È da questa mattina che vi sto facendo
cercare come un
povero idiota! Come se mi aspettassi di trovarvi da qualche parte sulla
nave o
in mare. Che stregoneria è mai questa? – Il corpo
robusto del pirata era teso e
rigido come le assi di legno del ponte.
Impiegarono
del tempo per
assimilare la domanda e formulare la risposta. Solo un attimo prima
erano a
Narnia, una Narnia non più fredda ma immersa nella
primavera. Erano a Narnia con
un re, una regina e due centauri come scorta. Ora erano di nuovo nel
loro
mondo, sulla Blackrose. Circondate da pirati che avevano tutta
l’aria di non
trovare affatto divertente ciò che era accaduto.
-
Beh, ci dispiace molto, capitano
– intervenne Anna. – Ma sapete... non è
stata propriamente colpa nostra. E sul
dove siamo finite... ci sarebbe molto da dire.
-
Aye? – domandò.
-
Già... Aye – rispose Anna,
replicando il suo modo di parlare.
-
Avete detto... da questa mattina?
– chiese Elsa. – Ci state cercando da questa
mattina?
-
Sì! Che altro potevo fare dato
che siete sparite sulla mia nave? E non sono sparite due persone a
caso. Stiamo
parlando di una regina con tanto di sorella al seguito!
“È
da questa mattina che vi sto facendo cercare...”
A
Narnia erano trascorsi diversi
giorni, invece nel loro mondo non ne era passato nemmeno uno.
-
Dove sono gli anelli? – lo
interrogò Elsa.
-
Li ho raccolti e rimessi a posto.
Sono in una delle casse giù nella stiva. E vi assicuro che
nessuno metterà le
mani su quella cassa!
-
Raccolti?
Dopo
la scomparsa delle sue due
ospiti, Black Sam non aveva fatto altro che scervellarsi per capire che
cosa
potesse essere accaduto. Magia, certamente. Qualcosa di cui lui non
sapeva
niente. Magia che aveva trasportato le due sorelle da qualche parte,
dove non
era possibile raggiungerle. O peggio. Aveva anche pensato che gli
anelli
fossero delle armi terribili, che avevano polverizzato sia Elsa che
Anna. Per
questo nessuno si era azzardato a toccarli. Tranne lui.
-
Capitano, non fatelo – l’aveva
implorato Koral.
Black
Sam aveva indossato un paio
di guanti, non molto sicuro che fossero sufficienti contro quegli
affari. – Non
possiamo lasciarli qui, Koral.
-
Potreste sparire anche voi.
-
Se succederà, tu prenderai il
comando di questa nave.
La
ciurma era rimasta a guardare
mentre Black Sam si chinava e allungava una mano verso gli anelli. La
punta
delle dita li aveva sfiorati. Il ronzio proveniente dagli oggetti
magici si era
fatto di colpo più forte.
Quando
li aveva stretti nel pugno i
suoi uomini avevano trattenuto il fiato.
Non
era accaduto niente. C’era solo
quel costante, fastidioso ronzio. Resosi conto di non essersi
volatilizzato,
Black Sam si era affrettato a rimettere gli anelli nella sacchetta
dalla quale
erano sbucati e poi di nuovo nella cassa, una delle tante sottratte
alla nave
che avevano assaltato.
-
Non ci sono, capitano. Da nessuna
parte – gli aveva detto la sua vedetta.
Non
si era aspettato nulla di
diverso.
-
Non per fare il guastafeste,
capitano – era intervenuto uno dei suoi uomini. –
Forse è meglio che siano
sparite. Soprattutto la regina.
-
Erano sulla mia nave, idiota.
Probabilmente ad Arendelle si staranno chiedendo che fine hanno fatto.
– Black
Sam si era messo a masticare tabacco, con forza e a camminare lungo il
ponte
della nave, quasi lo stesse misurando. Notando le occhiate stranite dei
suoi
uomini si era fermato. – E di certo se le avessimo
riconsegnate noi stessi
avremmo fatto una bella figura. Ci avrebbero ricompensati, non credete?
Vi
assicuro che non me ne sarei andato senza una ricompensa adeguata.
-
Sono d’accordo, capitano. Ma quei
poteri... ecco, non so se conoscete la storia del regno di Arendelle,
congelato
per trent’anni...
-
Tutti la conoscono, razza di
testa vuota! Ed io so anche che a congelare il regno per
trent’anni è stata...
la regina delle nevi.
-
Sono la stessa persona,
capitano... almeno questo è quello che si dice.
-
Sono due persone diverse. Anche
questo si dice. – Black Sam contrasse brevemente la bocca.
– Se la regina Elsa
avesse voluto trasformarci tutti in statue di ghiaccio
l’avrebbe fatto ben
prima della scomparsa di sua sorella, non pensate? L’avrebbe
fatto non appena
saputo che si trovava su una nave pirata. Le sarebbe occorso ben poco
tempo per
darci una bella lezione.
Nessuno
aveva osato obiettare.
-
Stava cercando di tornare a casa
sua. Non so che cosa ci facesse lontana dal suo regno. Ma è
una regina,
suppongo che possa fare ciò che vuole. – aveva
concluso il capitano della
Blackrose.
“Allora dite alla
regina di Arendelle che la
sua merce è in buone mani e che magari un giorno ci
incontreremo! Dicono che
sia una donna bella e assai giusta. Non vi farà niente. Ho
sentito anche dire
che controlla il ghiaccio”.
Questo era quello che sapeva della sovrana di Arendelle. Di certo non
combaciava con il ritratto della donna che aveva intrappolato il regno
in una
morsa gelida per trent’anni. Eiry... Elsa... non gli era
sembrata poi così
pericolosa. Quando aveva accolto lei ed Anna sulla nave aveva pensato
che
fossero due ricercate in fuga da Misthaven. Avevano parecchio oro con
loro, il
che poteva significare che fossero di nobile lignaggio, ma anche che
fossero
delle ladre. Tuttavia non le aveva giudicate pericolose. La rossa era
una
ragazzina sproloquiante e che sapeva il fatto suo. Eiry era...
più taciturna,
più riflessiva, cercava di passare inosservata ma era troppo
di bella presenza
per riuscirci. Black Sam si era solo ripromesso di tenerle
d’occhio. Koral l’aveva
fatto insieme a lui.
-
Io dubito persino che siano
sorelle – aveva commentato il nostromo, poco prima
dell’assalto al mercantile.
-
Dubiti? Aye. In effetti non si
somigliano molto.
-
Non è solo questo, capitano.
Ho... ieri sera ero qui sul ponte e ho assistito ad una strana scena.
Non
volevo spiare, ma mi avete chiesto di tenerle d’occhio,
quindi l’ho fatto.
La
scena a cui aveva assistito
Koral era ben più che strana. Se davvero quelle due erano
sorelle, allora
avevano un’idea sbagliata di ciò che volesse dire
essere sorelle.
-
Ma forse a nord funziona così, se
davvero stanno andando a nord perché vivono là.
Non conosco quel posto,
potrebbe... beh, le loro tradizioni potrebbero essere diverse.
– aveva
continuato Koral. Aveva scrutato il mare, pensoso. – Presso i
Valyriani non
sarebbe stato... strano. Le pratiche dell’impero di Valyria
prevedevano il
matrimonio incestuoso. Per mantenere pura la linea di sangue.
-
Valyria non esiste più da
centinaia di anni, Koral.
Adesso
era certo che sul loro
legame famigliare non avevano mentito.
-
Oh – disse Anna, quando Black Sam
ebbe finito di raccontare che cos’era accaduto con gli anelli
dopo la loro
scomparsa. – Quindi eravate preoccupato per noi? Che pensiero
carino.
-
Preoccupato? Bah. – Il pirata
scosse il capo e rivolse loro un gesto noncurante. - Avevo capito che
c’era
sotto qualcosa fin da quando avete messo piede sulla mia nave. Sapevo
che non
eravate chi dicevate di essere... e immaginavo che prima o poi avreste
combinato un pasticcio, sebbene vi avessi avvisate di stare al vostro
posto.
-
Il pasticcio non l’abbiamo
combinato noi, ma gli anelli – replicò Anna,
irritata.
-
Certo. E vostra sorella ha quasi
scatenato su di sé i miei uomini.
-
Mi dispiace molto – disse Elsa,
osservando i membri dell’equipaggio. – Ero
sconvolta. Quando lo sono è più
difficile... controllare il potere. Non era mia intenzione farvi del
male.
Calò
il silenzio. I pirati
tentennarono. Black Sam si grattò la barba.
-
Penso che vogliate cenare – disse
il capitano, cambiando improvvisamente argomento. – Le storie
si raccontano
sempre davanti ad una cena fumante. Non possiamo offrirvi un banchetto
da
regine, naturalmente. Perciò dovrà bastarvi
quello che vi daremo.
-
Basterà – commentò Elsa,
sorridendo a Black Sam, riconoscente.
-
Ehm sì, certo – disse Anna. – Ma
se ci fossero dei sandwitches di qualsiasi tipo... sarei molto felice.
***
Angolo
autrice:
Sì,
questa volta ci ho messo
veramente tanto per aggiornare. Perdonatemi. ^_^
Qualche
precisazione, come al
solito:
Valyria
è
un riferimento alla serie tv (e alla saga fantasy) Il
Trono di Spade. È una città in rovina
del Continente Orientale
ed era la capitale di un grande impero, distrutto da un cataclisma. Da
lì
provengono alcune grandi casate, tra le quali quella dei Targaryen. I
matrimoni
incestuosi erano una pratica diffusa a Valyria e i Targaryen si
sposavano fra
di loro per mantenere pura la linea di sangue, come spiegato in questo
capitolo.
|
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Capitolo 16 *** Pirates ***
16
“Yo
ho ho!”
[Espressione
piratesca]
-
Per la barba di Barbossa! –
esclamò Black Sam, schiantando il boccale ancora pieno di
sidro sul massiccio
tavolo di legno. – Ho visto e sentito molte cose nella mia
vita, ma non mi
aspettavo una simile stregoneria. Come hanno fatto ad arrivare qui,
quei
dannati anelli, se non appartengono a questo mondo?
-
Non lo sappiamo. Ma credo sia
meglio che... ve ne liberiate in qualche modo –
osservò Anna.
-
Di questo potete starne certe! Un
viaggio tra i mondi non è quello che ho in mente per me e
per i miei uomini. –
Black Sam si grattò la barba scura. – Come non
è ciò che avete in mente voi,
con un regno da mandare avanti.
La
sala in cui i pirati della
Blackrose erano soliti consumare i loro pasti era stretta, un
po’ angusta,
illuminata da alcune lanterne appese alle pareti. Nell’aria
aleggiava l’odore
del rum mischiato a quello del tabacco e della carne bruciata. In quel
momento
era abbastanza affollata. Gli uomini del capitano parlottavano tra di
loro,
concitatamente; ogni tanto osservavano le loro ospiti appena ricomparse
da
chissà dove. Alcuni si erano seduti nei tavoli accanto al
loro per ascoltare la
storia. Sul ponte erano rimasti solo la vedetta, un paio di mozzi e
Koral, al
timone.
-
Non è la prima volta che
affrontiamo questo genere di cose – rispose Elsa, pensierosa.
-
Ma davvero? – disse il capitano,
sollevando un folto sopracciglio nero. – Beh, immagino vi
riferiate alla prima
maledizione... l’ho vista arrivare. So che ha portato un bel
po’ di gente in un
altro posto, certamente lontano da Misthaven. Mi sono salvato solo
perché mi
trovavo... dalla parte giusta. Quella protetta.
-
No, non si tratta della prima
maledizione. Ma... essere trasformati in statue di ghiaccio e rimanere
congelati per trent’anni è... una maledizione
altrettanto seccante, non
trovate? – disse Anna, rabbrividendo, quasi il solo nominare
il tempo trascorso
sotto la magia di Ingrid le facesse provare le medesime sensazioni.
-
Oh. Beh, suppongo che lo sia –
rispose Black Sam, osservandole attentamente. – I miei uomini
hanno
chiacchierato parecchio sul vostro... strano potere. E su
ciò che è accaduto ad
Arendelle con questa misteriosa... Regina delle Nevi.
-
Ingrid è... era nostra
zia – spiegò Elsa. – Aveva il mio stesso
potere.
Era
tua zia così come Anna è tua sorella?, si
ritrovò a pensare
Black Sam, sorseggiando il sidro. Non lo disse a voce alta,
perché non aveva la
minima intenzione di offendere la sovrana di Arendelle né
voleva immergersi più
del dovuto in faccende complicate e che non lo riguardavano. O che era
sicuro
di non poter capire. Siete tutti
così
strani in questa famiglia... che non so come prendere quello che mi
raccontate.
In
un angolo un paio di pirati
decisamente alticci facevano baccano. Uno, con i capelli che sparavano
in varie
direzioni e la benda che copriva un occhio, stava usando un piccolo
barile come
tamburo, battendovi sopra le mani piene di anelli e inseguendo un ritmo
che non
aveva nulla di sensato. L’altro cantava a voce alta,
sguaiatamente.
-
Invece di minacciare le mie
orecchie, perché non andate a cantare sul ponte? Koral non
se la prenderà...
magari spaventerete i mostri marini e le sirene che non vedono
l’ora di mandare
la Blackrose a schiantarsi contro gli scogli. –
commentò Black Sam.
Due
uomini afferrarono i pirati
ubriachi e li trascinarono su per una scaletta, sghignazzando.
-
Domani avvisteremo le coste del
nord. – riprese il capitano, finendo il suo boccale di sidro.
– Come vi ho
detto all’inizio, la mia nave approda qualche lega
più a est di Arendelle.
-
Troveremo un passaggio – disse
Anna.
-
Non ho dubbi in proposito,
considerando quanto sei brava a trattare... e a parlare, soprattutto.
Li
stordirai con le chiacchiere, così saranno costretti ad
aiutarti. – Black Sam
sorrise, mettendo in mostra il dente d’oro. Poi si
allontanò, lasciandole sole
al tavolo.
-
Sai, stavo per dirti che non è
così male come pensavo all’inizio, a parte il suo
alito, ovviamente... ma credo
che non lo dirò. - disse Anna, stizzita.
Elsa
le mise una mano sulla spalla.
– Credo fosse il suo modo di farti un complimento.
-
Davvero stordisco le persone a
furia di chiacchiere?
-
Beh, credo che tu abbia stordito
lui.
-
Oh! Dovevamo guadagnarci un
passaggio su questa nave. Almeno l’ho convinto. Forse non
è stata la migliore
delle mie idee, ma... stiamo tornando a casa e questa è la
cosa importante. E
in ogni caso questi pirati hanno preparato degli ottimi sandwitches.
-
Spero solo che non ci siano stati
problemi ad Arendelle, nel frattempo.
***
Il
giorno seguente, a metà
mattinata, la vedetta avvistò la costa, come aveva predetto
Black Sam.
La
bandiera in cima al pennone
scese. Il capitano voleva entrare in porto senza far notare che quella
nave
apparteneva ad una ciurma di pirati. Tutto ciò avrebbe
causato agitazione a
terra e lui voleva rivendere la merce sottratta al mercantile ad un
buon prezzo,
parlando con le persone giuste e che non facevano troppe domande.
Avrebbe anche
scambiato le cose che non sarebbe riuscito a piazzare con dei
rifornimenti.
Cibo, vino e rum, in modo particolare.
-
Le mie scorte stanno terminando –
disse Black Sam, mostrando la propria fiaschetta. – E su quel
mercantile non
c’era niente che assomigliasse a del rum di buona
qualità. I pirati diventano
nervosi senza il rum.
-
Vi farebbe bene all’alito,
invece. – commentò Anna, guardandolo di sottecchi.
– E magari anche alla mente.
-
Ti preoccupi per il mio alito,
dolcezza? Ho baciato molte donne e non si sono mai lamentate.
-
Forse sono morte dopo avervi
baciato.
Black
Sam rise fragorosamente. –
Sono vive e vegete, fidatevi, dolcezza. Stanno anche meglio di prima.
Quando
approdarono e alcuni uomini
azionarono l’argano per gettare l’ancora, il porto
era in fermento. C’erano
molte navi, piccole e grandi, vascelli mercantili come quello che Black
Sam
aveva attaccato, navi con lo stemma di Arendelle, imbarcazioni che non
mostravano alcun segno di riconoscimento. A terra i marinai scaricavano
e
caricavano, osservavano i lavori, arrotolavano funi, controllavano la
merce e
chiacchieravano tra di loro. Nessuno badò alla Blackrose.
Alcuni uomini passarono
davanti alla nave pirata mentre
trasportavano delle casse che davano l’impressione di essere
notevolmente
pesanti; lanciarono solo un’occhiata di apprezzamento e poi
proseguirono,
bofonchiando imprecazioni, con i muscoli che si gonfiavano sotto le
camicie.
-
Vediamo di sbrigarci. Koral, vai
giù nella stiva con qualcuno e porta su le casse con le
stoffe e i gioielli. Mi
raccomando, fate attenzione...
Black
Sam diede ordini a destra e a
manca. Elsa e Anna, dal canto loro, si prepararono a scendere e a
trovare il
passaggio di cui avevano bisogno per tornare ad Arendelle.
L’aria era più
fredda da quelle parti e alcuni membri della ciurma del capitano
indossarono
delle giacche prima di andare ad aiutare il nostromo con le casse.
-
Decisamente fa troppo freddo per
i miei gusti – commentò Koral, sfregandosi le
mani.
-
Se non batti la fiacca ce ne
andremo presto. – rispose Black Sam. Storse il naso e poi
sputò in mare un
pezzo di tabacco masticato. Infine alzò la testa, osservando
le due sorelle. –
Sì, immagino che questo non sia molto elegante, signore mie.
Non guardatemi con
quelle facce, suvvia! Del resto, dovreste provare un po’ di
tabacco.
-
No, grazie – rispose Elsa.
-
Giusto. Siete una regina e siete
certamente più raffinata. È che ogni tanto me ne
dimentico. Non capita tutti i
giorni di avere donne a bordo. Così come non capita tutti i
giorni di avere a
bordo... donne di una certa importanza. – Stava per
aggiungere qualcos’altro,
quando la nave che era appena entrata in porto accostandosi alla
Blackrose
attirò la sua attenzione. Scrutò il ponte, con le
mani sui fianchi e gli occhi
ridotti a due fessure.
-
Che succede? – volle sapere Anna.
-
Non ditemi che è davvero ciò che
penso... – mormorò il capitano, parlando tra
sé e sé.
L’altra
imbarcazione era più
piccola rispetto a quella di Black Sam e non sfoggiava nessuno stemma
particolare. Aveva la chiglia affusolata, la murata non molto alta ed
era
costruita in legno scuro, una tonalità che la rendeva
vagamente minacciosa. Una
nave velata di mistero e fatta per ghermire le prede, rapida e agile. E
aveva
anche passato dei brutti momenti; una delle tre vele (vele rosse, un
colore
davvero insolito) era stracciata, la fiancata sinistra era rovinata in
più
punti, come se si fosse scontrata ripetutamente con un’altra
nave. Gli uomini
che camminavano sul ponte lungo e spazioso avevano camicie lacere,
sguardi
furiosi, alcuni mostravano bendaggi di fortuna alle braccia o alle
gambe.
-
Ma tu guarda che bella sorpresa!
Dolcezza, non mi sarei mai aspettato di trovarti da queste parti
– esclamò
Black Sam, facendo sobbalzare sia Elsa che Anna.
-
È una bella sorpresa solo per te,
dolcezza – rispose,
piccata, la donna
a cui il capitano aveva rivolto la parola.
-
Vedo che ringhiamo più del
solito. Mi fa piacere. La tua nave se l’è vista
brutta, eh?
-
Una tempesta mi ha mandata fuori
rotta. – La donna si ravviò i lunghi capelli neri
e lisci che le arrivavano
alla vita. Era giovane, anche se non avrebbero saputo dire quanti anni
avesse.
Ed era indubbiamente il capitano della nave. Il capitano e un pirata
proprio
come Black Sam. Indossava un paio di pantaloni di cuoio, gli stivali e
teneva
un pugnale infilato nel fodero appeso alla cintura. Il seno era stretto
in un
corpetto di velluto. Metteva in mostra una generosa scollatura.
– E tu, invece?
Hai rapito due giovani fanciulle innocenti, vero?
-
Sono mie ospiti – replicò Black
Sam, che era tuttavia molto divertito. – E non credo che sia
stata solo una
tempesta a ridurre così la tua barchetta, Aires.
-
La mia barchetta stava benissimo
fino a quando non ha incontrato un’altra barchetta con cui ha
dovuto fare i
conti. - Aires roteò gli occhi. Aveva un piccolo taglio sul
mento e un’altra
ferita recente sulla fronte. - Ti dice niente il nome Jolly Roger, tu
che
conosci così bene i mari?
-
Non dirmi che Uncino ti ha dato
del filo da torcere!
Non
può essere stato Uncino perché non è
qui. È a Storybrooke, pensò
Elsa. Però ebbe la vaga sensazione di sapere che cosa stesse
per dire Aires.
Non era niente che le sarebbe piaciuto. Come non le piaceva la creatura
che
decorava la prua di quella nave, una figura mostruosa con serpenti al
posto dei
capelli e le fauci spalancate a mostrare i denti acuminati.
-
Non so chi sia questo Uncino;
l’uomo diceva di chiamarsi in un altro modo: Barbanera.
– Era decisamente
seccata. Ad Anna i suoi occhi neri come la pece ricordarono quelli di
Varja,
l’amazzone con cui aveva combattuto al villaggio. Solo che
quelli di Aires
parevano ancora più neri.
Barbanera!,
si
disse, poi, costernata. Lo sapevo.
I
ricordi di lei e Kristoff chiusi
in un baule riaffiorarono tutti in una volta sola, insieme alle facce
di quel
pendaglio da forca di nome Barbanera e di quell’idiota di
Hans. Anna stava per
dire qualcosa, ma Elsa le strinse una mano e scosse impercettibilmente
la
testa. Fu costretta a mordersi la lingua.
-
Edward Tench! Quella canaglia! Si
aggira da queste parti? – Black Sam aveva raddrizzato le
spalle e aggrottato le
sopracciglia.
-
Lungo le coste di Arendelle, non
molto lontano da qui. Quindi lo conosci? Sarà uno tuo caro
amico, suppongo.
-
Amico! Giammai. Ci ho avuto a che
fare e mi è bastato. – Tornò a
sorridere. – Ti ha lasciato un bel po’ di
ammaccature, dolcezza. Non che questo rovini il tuo fascino...
-
Ed io gliene ho lasciate
altrettante, fidati.
-
Non lo metto in dubbio. Tu mordi
sempre. E Barbanera è un pirata senza onore... e senza un
briciolo di cervello.
Aires
aveva tutta l’aria di chi non
si limitava a mordere, ma anche a farti cose ben peggiori se osavi
superare una
certa linea.
-
Elsa, è quello che mi ha
rinchiusa nel dannato baule! Io e Kristoff siamo quasi morti per colpa
sua! –
disse Anna, non riuscendo più a trattenersi e afferrando
Elsa per il braccio.
-
Che cosa stanno dicendo le tue
ospiti, Sam? – interrogò Aires.
-
Dicono che è una vera sfortuna,
ciò che è capitato, dolcezza. Arendelle
è casa loro. Stavano appunto andando a
cercare un passaggio. – rispose Black Sam, senza esitazioni.
-
Se Arendelle è casa loro, è
meglio che ci vadano via terra. I mari non sono sicuri. Se Barbanera
non ha
ancora saccheggiato tutte le navi della regina, chiunque ella sia,
manca
davvero poco.
E
noi che speravamo che fosse tutto a posto ad Arendelle, pensò
Anna.
-
E da quando, poi, accetti delle
donne a bordo? Credevo le considerassi portatrici di sventure. Cosa ti
hanno
offerto in cambio? – continuò la donna, sarcastica.
-
Mi hanno pagato bene. Un buon
affare, certamente. Spero di fare qualche altro buon affare in questo
luogo
così freddo... ho bisogno di rum! Le mie scorte hanno
proprio toccato il fondo.
Aires
sorrise e infilò una mano
nella tasca del mantello che portava sulle spalle. – Forse ho
qualcosa per te,
passerotto.
-
Ovvero?
Lei
gli lanciò una fiaschetta. –
Serviti pure. Io ne ho in gran quantità.
Black
Sam la prese al volo,
nonostante fosse stato colto alla sprovvista. Esaminò
l’oggetto per qualche
istante, poi tolse il tappo, avvicinando il naso. – Che roba
è? Viene dalla tua
terra in culo al mondo?
Aires
rise, ma non rispose alla sua
domanda. Si rivolse ad alcuni dei suoi uomini, ordinando loro di
occuparsi
della vela distrutta, poi tornò a rivolgersi al pirata.
– Bevi, Sam. Male non
ti farà di certo. Non è veleno. È
Squalo.
Dettò
questo si ritirò
sottocoperta.
-
Cosa intende con ‘è Squalo’? –
domandò Anna, stupita. – Hanno sciolto uno squalo
per metterlo nella
fiaschetta? E comunque non mi piace per niente questa storia. Elsa,
dobbiamo
tornare a casa alla svelta, prima che Barbanera rinchiuda qualcun altro
in un
baule. Spero solo che non ci sia anche Hans... altrimenti dovremo
fargli un
altro occhio nero!
Elsa
era preoccupata quanto lei,
tanto che alcuni fiocchi bianchi avevano iniziato a danzarle intorno.
Si
affrettò a farli sparire.
Black
Sam bevve un sorso della
strana bevanda. Fece una smorfia e poi sputò tutto,
infradiciandosi anche la
punta di uno stivale. – Corpo di mille balene, che schifo!
***
Riuscirono
a trovare un cavallo.
Anna fu abile nella trattativa con il mercante, che passò la
maggior parte del
tempo a mugugnare, a saggiare con i denti le monete con lo stemma di
Arendelle
e ad adocchiare sospettoso Koral, che seguiva la scena, in disparte.
Alla fine
cedette un cavallo alla principessa, un bell’esemplare bruno,
con una folta
criniera nera. Avrebbe dovuto cavalcare senza sella, ma Anna disse che
non
sarebbe stato un problema. O meglio, forse lo sarebbe stato, ma decise
di non
fare obiezioni.
-
È una bella bestia – commentò il
nostromo, accarezzando il collo del cavallo. Black Sam le aveva
salutate senza
troppe cerimonie, anche se era sembrato sinceramente dispiaciuto di
vederle
andare via. Aveva mandato Koral con loro per un tratto
perché controllasse che
la trattativa si svolgesse senza intoppi. – Non il migliore
che ha, ma vi
porterà fino a casa. E fareste meglio ad arrivarci in
fretta. Se quello che
dice Aires è vero... le vostre navi non se la passano molto
bene.
-
Anche Barbanera non se la passerà
bene quando lo troveremo. – rispose Anna, indispettita, mentre montava in sella. Si era
allacciata la
mantella rossa alla base del collo e aveva indossato i guanti.
– Se pensa che
io mi sia scordata di quando mi ha rinchiusa in quel baule, si sbaglia.
Ho già
sistemato Hans e spero davvero che non sia con lui anche stavolta... in
ogni
caso non intendo finire di nuovo in qualche baule.
-
Non ci finirai – disse Elsa,
risoluta. Anche lei aveva indossato un mantello e aveva sollevato il
cappuccio
per coprirsi il capo. – Prima che questo succeda
l’avrò già congelato.
-
Chi è Hans? – chiese Koral.
-
Il mio promesso sposo. Lo era,
voglio dire.
-
Fortuna che non l’avete sposato,
allora!
-
Ero solo un’ingenua. Adesso
sono... cresciuta. Ho un marito mille volte migliore di lui...
E
una sorella come amante, aggiunse
il nostromo, scostandosi i
capelli castani dalla fronte. Anche se era ancora giovane, aveva
sentito e
visto molte cose nella sua vita, soprattutto da quando Black Sam
l’aveva
accettato a bordo della sua nave. Prima non era altro che un mozzo;
peggio,
anzi... uno schiavo trattato a pesci in faccia dal capitano di un
mercantile.
Essere un pirata significava rischiare spesso la vita, ma Koral non
avrebbe mai
smesso di ringraziare Black Sam per averlo accolto sulla Blackrose.
Tuttavia...
due sorelle che avevano un simile rapporto erano una novità
anche per lui. Le
leggende che riguardavano il continente perduto chiamato Valyria, in
cui si
praticavano matrimoni incestuosi, erano sempre state solo storie,
niente di
più.
-
E ancora mi chiedo perché ho
accettato di sposarlo... ha le basette lunghe! – stava
dicendo Anna.
-
Fosse quello il suo unico
problema! – commentò Elsa.
-
Beh, ne ha di peggiori. Ma quelle
basette sono terrificanti, come avrò fatto a non notarle?
Koral
sorrise, divertito. – Ne avete
di storie da raccontare. Sarei curioso di ascoltarle tutte.
Elsa
salì in groppa al cavallo
dietro alla sorella e allacciò le braccia intorno alla sua
vita. – Ma non so se
vi piacerebbero tutte.
-
Oh. Credo di sì.
-
Un’ultima cosa: chi era quella
donna, Arya...?
-
Aires, in realtà. Un pirata, naturalmente.
E quella era la Demone Nero, la
nave
di suo padre, Rool. Ma è come se fosse già sua. – Koral aveva abbassato la
voce per non farsi sentire. – Sam l’ha
conosciuta qualche anno fa in una taverna... in un posto abbastanza
lontano dal
vostro regno. A dire il vero ci siamo azzuffati con i suoi uomini.
Black Sam e
Aires si sono accordati per... evitare un eccessivo spargimento di
sangue.
-
Anche voi avete molte storie da
raccontare, nostromo – gli fece notare Elsa, sorridendogli.
Koral
si allontanò dal cavallo e si
portò due dita alla fronte in segno di saluto. - Senza
dubbio.
***
-
Speravo proprio che oggi fosse
una bella giornata... e infatti lo è! –
esclamò Kristoff, non appena vide Anna
scendere da cavallo insieme alla sorella. Andò loro incontro
e prese la moglie
fra le braccia. – Hai rispettato i patti, stavolta. Sei
tornata dopo... due
settimane. E sembrate illese tutte e due.
I
soldati di guardia nel cortile
del palazzo sembravano altrettanto felici di rivedere la regina.
Tolsero gli
elmi e si inchinarono rispettosamente. Sven sbuffò e scosse
la testa. Anna si
chinò per grattagli il muso. Il viaggio a cavallo era durato
diverse ore e lei
si sentiva indolenzita, ma era felice di essere di nuovo a casa.
-
Siamo illese. – confermò,
sollevandosi sulle punte per baciare Kristoff. – E anche tu
sembri... illeso.
-
Lo sono. – Poi Kristoff sorrise
ad Elsa e allargò le braccia. – Non vieni ad
abbracciare l’uomo delle renne? Ti
assicuro che sono profumato, sorella. Ho fatto un bagno questa mattina.
-
Come hai detto, scusa? – domandò
Elsa, aggrottando un sopracciglio.
Sven
girò la testa per guardare
Kristoff.
-
Cognata? – si corresse lui. –
Così va meglio?
Elsa
accettò l’abbraccio.
“Non
vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata.
Per una
donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un
uomo che
si fida di voi... Oberon mi ha parlato del marito di Anna... quel...
credo che
sbagli di proposito il suo nome. Mi ha detto che tutto sommato
è un uomo
gentile e che ama molto vostra sorella”.
Si chiedeva per quanto
tempo la voce di Titania l’avrebbe accompagnata.
Si
scostò dall’abbraccio.
-
Mi sembri un po’ rigida –
commentò Kristoff. – Non mi dire che non ti sono
mancato neanche un po’.
Anna
incrociò gli occhi della
sorella, che esitò per qualche istante.
-
Non è questo. So che abbiamo un problema.
Barbanera. – disse Elsa.
Lui
ridivenne serio. - Vedo che
siete già informate.
-
Ci ha informate il pirata che
abbiamo incontrato dove siamo approdate. La sua nave si chiamava Demone Nero, ci crederesti? –
spiegò
Anna. – Beh, se ti parlassi del pirata che ci ha
accompagnate, invece...
-
Pirata? Un pirata vi ha portate
ad Arendelle? – Kristoff era sorpreso e fissava Anna in
attesa di spiegazioni.
Persino Sven drizzò le orecchie.
-
Ti spiegherò tutto quando avremo
risolto questo problema. – tagliò corto Anna.
-
Quante navi sono state attaccate?
– volle sapere Elsa, rivolgendo lo sguardo verso il mare.
-
Sei, da quando ve ne siete
andate. – Kristoff assunse un’aria cupa. - La buona
notizia è che Barbanera
è... da solo. Nel senso che quel tizio non è con
lui.
-
Hans?
-
Hans, sì. È rimasto a casa sua a
leccarsi le ferite. Le spie che hai mandato laggiù me
l’hanno confermato.
-
Qualcuno si è accorto che non ero
qui?
Kristoff
era felice di vedere che
la regina di Arendelle aveva di nuovo assunto il comando. Gli erano
mancati la
prepotenza e il tono risoluto di Elsa. – No. Me ne sono
assicurato. Non l’ha
saputo nessuno a parte la servitù e loro non hanno parlato.
Ho detto che avevi
lasciato il regno per risolvere una questione di vitale importanza.
Avete
trovato ciò che cercavate, piuttosto?
Anna
si sentì infiammare le guance.
– Sì. Alla fine, sì. Quella parte si
è rivelata... un po’ complicata, ma
l’abbiamo superata.
-
C’è una seconda parte, quindi?
-
Eccome.
Elsa
stava riflettendo. - Posso
fermare Barbanera prima che si avvicini troppo alla costa. Se
necessario lo
congelerò.
-
Mi sembra un’ottima idea, ma ne
ho una forse migliore – Kristoff estrasse una pergamena
arrotolata dalla tasca.
– Sono stato da Gran Papà e gli ho chiesto se ci
fosse una soluzione definitiva
per sistemare Barbanera, in mancanza... sai, del tuo potere.
-
Che cos’è? – Elsa prese la
pergamena e la srotolò.
-
Un incantesimo. Magia dei troll
di roccia.
-
Lo farà sparire? – chiese Anna,
adocchiando le parole scritte sulla carta ingiallita.
L’incantesimo
era trascritto in una
calligrafia minuta e arzigogolata. Elsa osservò quelle poche
frasi con
attenzione.
-
Lo imprigionerà. – rispose
Kristoff. - Con i suoi uomini e la sua nave. Non so dove né
come, ma Gran Papà
mi ha assicurato che è molto efficace.
***
Angolo
autrice:
Aires
è un personaggio de Le Cronache
del Mondo Emerso, di Licia
Troisi. Compare per la prima volta nel secondo libro, La
missione di Sennar.
|
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Capitolo 17 *** Secretly ***
17
“T’amo
come si
amano certe cose oscure,
segretamente,
tra l’ombra e l’anima”
[Pablo
Neruda, XVII
Sonetto]
-
Devo dire che è stato molto
divertente – ammise Anna. – Sei sicura di aver
sistemato la nave, vero? Voglio
dire... Barbanera non la ritroverà tanto facilmente.
-
No, Anna. La nave è stata imprigionata da
qualche parte. Non potrà mai
ritrovarla. A meno che qualcuno non sciolga l’incantesimo.
– rispose Elsa,
osservando il porto di Arendelle dai bastioni del palazzo.
Il
gorgo magico che si era aperto
non appena Elsa aveva pronunciato l’incantesimo aveva
afferrato la nave,
trascinandola con sé in una danza frenetica. Era un gorgo
maestoso,
inquietante, bello come potevano esserlo solo certe cose terribili, un
cerchio
perfetto avvolto da una luminosa luce verde e azzurra, che si tingeva
di nero
nel punto in cui sembrava tuffarsi in un abisso senza fondo. Dal luogo
in cui
si trovavano, erano riusciti a vedere la Jolly Roger che spariva pian
piano,
diventando sempre più
piccola ai loro
occhi. Barbanera e i suoi uomini l’avevano abbandonata quando
si erano resi
conto che non potevano fare nulla contro quella magia.
-
Un pirata senza nave non ha molto
da fare se non darsela a gambe. – aveva commentato Kristoff,
quando il gorgo si
era richiuso e il mare era tornato ad essere una distesa piatta e
tranquilla.
Un
vero peccato che non fossero
riusciti ad imprigionare anche Barbanera. Anna si era immaginata Black
Sam che
assisteva a quello spettacolo. Certamente avrebbe riso. Avrebbe riso
lui e
anche Koral, il nostromo. Nonché Aires a bordo della sua Demone Nero.
-
E nessuno scioglierà
quell’incantesimo – concluse Anna.
-
Io non lo farò di certo. –
rispose Elsa.
Era
sera. Tra le nuvole che
coprivano il cielo si intravedevano le stelle. Arendelle era
silenziosa. Solo alcune
luci brillavano qui e là.
Anche
i camminamenti del palazzo
erano silenziosi, a dire il vero. Una delle guardie si era addormentata
con la
schiena contro una delle torrette. Anna l’aveva scosso poco
prima, inducendolo
a svegliarsi e il soldato si era profuso in scuse, ma non aveva
recepito il
messaggio, evidentemente.
-
Continuo a pensare che dovremmo
prendere delle altre guardie. Perché per quanto siano
carini, si addormentano
troppo facilmente. – commentò Anna, lanciando
un’occhiata alla guardia
dormiente. L’elmo gli era cascato sugli occhi. - E hanno il
sonno pesante! Se
sparassero delle cannonate contro il palazzo non le sentirebbero!
-
Forse hai ragione – rispose Elsa,
prendendola per mano. – Ma non avrebbero il tempo di sparare
cannonate.
Congelerei i cannoni ben prima. E fortunatamente non tutte le guardie
dormono.
-
E ci sono le spie.
Elsa
sollevò un sopracciglio. - Una
regina deve avere qualche spia.
Anna
le sorrise. Mentre camminavano
in silenzio, osservò la sorella. Il suo viso, ogni tanto
illuminato dalle
fiaccole, sembrava marmo cesellato, non freddo, ma assolutamente
delicato, con
i lineamenti armonici. Le labbra parevano più rosse per via
del pallore lunare
che la sua pelle aveva assunto al buio.
Anna
si sorprese ad ammirare quei
tratti come se non l’avesse mai fatto prima. Come se
ciò che era accaduto tra
di loro in quella cella nei sotterranei del castello della Strega
Bianca
l’avesse cambiata in qualche modo. Come se quel sentimento
che condividevano
l’avesse resa ancora più bella.
-
Cosa c’è? – domandò Elsa,
fermandosi.
Non
rispose, ma si lasciò andare
contro di lei, tra le sue braccia, che la strinsero subito mentre lei
posava il
volto sul suo collo.
Elsa
sospirò, appoggiando il naso
fra i suoi capelli.
-
Possiamo restare così per sempre?
– domandò Anna. Poi si corresse in fretta.
– Cioè, non... non proprio per
sempre, ecco. Magari per un po’.
-
Oh, Anna... se fosse per sempre,
penso che non potrei mai chiedere di più. Eppure non sarebbe
giusto. Né
tantomeno saggio.
-
E a me piacciono troppo le
follie.
-
Questa è ben più di una follia. –
Elsa si scostò da lei e le posò le dita sulle
labbra. Gli occhi ora possedevano
l’azzurro intenso di un cielo tempestoso.
Anna
le cinse la vita con un
braccio. Si sentiva la testa leggera e aveva l’impressione
che le gambe non la
reggessero più. Elsa si chinò un po’ in
avanti e nel buio le loro bocche si
incontrarono prima che una delle due potesse ripensarci. Ad Anna
sfuggì un
ansito. Chiuse gli occhi. Serrò le palpebre, concentrandosi
solo sulle labbra
di Elsa, sulla sua pelle sotto le dita.
La
regina credeva di soffocare, di
essere trascinata nell’inesistenza. Era incapace di pensare.
Tuttavia, dopo un
lasso di tempo che le sembrò lungo ma anche fin troppo
breve, si scostò,
raddrizzandosi e umettandosi le labbra, ricercando il sapore di Anna.
Sua
sorella era diventata tutta rossa e respirava con affanno.
-
Non so... non so bene che cosa
c’è oltre la follia – disse Anna, con la
voce roca. – O meglio sì... credo di
saperlo, ormai. Tutto ciò
è oltre la
follia, l’hai detto tu. Ma può esserci
qualcos’altro ancora...
-
Forse qualche sortilegio. Se questo
lo fosse dovrei chiedere che ce ne liberino.
Non
capì se quella di Elsa fosse
una domanda. Anna incominciò a ridacchiare senza riuscire a
trattenersi. – So
come ci si sente quando si è colpiti da un incantesimo ed
è ovvio che questo
non lo è. Hai dimenticato la polvere elfica?
Anche
lei tornò a sorridere. - Non
potrei mai.
-
Già, nemmeno io. Non mi dimentico
né della polvere elfica né tantomeno di quel
folletto. Ancor di meno mi
dimenticherò di Oberon. E di Titania. Ma soprattutto di
Oberon, visto che non
faceva altro che ronzarti intorno! – Anna roteò
gli occhi, stizzita.
-
Questo te lo puoi anche
dimenticare – osservò Elsa, prendendola di nuovo
tra le braccia, ma con
dolcezza, come se temesse di romperla.
-
Non ci riesco – Scosse il capo. –
È impossibile. Sarà che non ho mai visto nessuno
guardarti in quel modo e con
tanta insistenza. Tantomeno un elfo. O forse... beh, forse
l’ho visto, ma non
ci ho fatto molto caso. O non erano così sfacciati come lui!
E comunque non è
piacevole. Fortuna che non lo rivedremo e se lo rivedremo mi
ricorderò di non
perderlo di vista. Metterò un guinzaglio al suo folletto se
lo porterà con sé.
Non ci sono altri matrimoni in programma, vero? E...
Avrebbe
voluto fermare quel fiume
in piena baciandola ancora, ma si trattenne.
-
E se penso al fatto che un giorno
potrebbero presentarsi dei pretendenti pronti a chiedere la tua mano...
Elsa
rise. – Non credo che
succederà tanto presto, Anna.
Immaginava
che, se anche ci fossero
stati dei pretendenti, il suo potere li avrebbe intimiditi abbastanza
da non
provarci neppure. Ed Elsa non desiderava alcun pretendente.
-
Oh, ma sono sicura che prima o
poi succederà. Alla regine succede sempre. Magari troverai
qualcuno che ti
piace. E io lo odierò, chiunque sia. Li odierò
tutti.
Pensava
fosse davvero adorabile. La
sua sorellina.
Il
suo unico vero amore. La sua
famiglia.
Non
riusciva nemmeno a figurarsi un
momento nel futuro in cui avrebbe amato qualcuno più di
quanto amava Anna.
-
Magari troverai qualcuno di tuo
gradimento tra i miei... pretendenti – commentò
Elsa.
-
Ne dubito. A meno che... a meno
che non sia perfetto, ecco! – Si morse il labbro e
alzò gli occhi al cielo. –
D’accordo, magari non perfetto, perché nessuno lo
è. Diciamo... alla tua
altezza, sì. A meno che non sia alla tua altezza. Allora
potrei evitare di
odiarlo.
-
Bene.
-
Avrei potuto accettare Emma, per
esempio. – Lo disse come se fosse solo un frase casuale.
Elsa
aggrottò la fronte. – Credevo
ti desse fastidio.
-
Infatti. Ma lei è... alla tua
altezza. La accetterei perché so che ti proteggerebbe, come
farebbe un
cavaliere con la sua regina.
-
Anna...
-
È vero, lo farebbe, ne sono
convinta.
-
Emma è solo una mia amica, te
l’ho già detto. – Elsa
sollevò lo sguardo per qualche istante, pensierosa.
Chiedendosi che cosa stesse facendo Emma in quel momento, dove fosse,
se stesse
bene. Immaginandosi gli occhi verdazzurri corrucciati, impegnati a
scrutare
qualcosa o qualcuno con attenzione, per decifrarlo. Ricordandosi del
modo in
cui l’avevano guardata, quegli occhi verdazzurri, durante il
loro primo,
turbolento incontro in mezzo al ghiaccio...
“Chi
sei tu?”
“Il
mio nome è Elsa!”
“Okay,
Elsa. Va tutto bene. Sono Emma”.
...A
come l’avevano guardata quando
Elsa era arrivata in quella casa e l’aveva convinta ad
accettarsi per ciò che
era. Non c’era mai stato il sospetto, negli occhi di Emma.
Non c’era mai stata
la paura verso il suo potere freddo e difficile da controllare, nemmeno
quando
Elsa aveva rischiato di ucciderla imprigionandola nella grotta. Non ce
l’aveva
mai avuta con lei. L’aveva sempre aiutata. Emma
l’aveva capita fin da subito. Si erano
capite fin da subito.
-
Però lo farebbe – continuò Anna.
– Ricordati che sono brava a giudicare le persone.
-
Sì, diciamo che sei diventata
brava... recentemente. Non lo eri quando hai sposato Hans. –
le ricordò Elsa,
accigliandosi.
-
Perché ero più ingenua.
-
Certo. E il giorno dopo hai
incontrato Kristoff.
Anna
sospirò. – Dimmi una cosa, tu
e lui vi siete messi d’accordo, vero? Kristoff mi ha detto la
stessa cosa.
-
Qualche volta la pensiamo allo
stesso modo. So che sembra strano, ma è così. E
in ogni caso, per quanto
riguarda Emma... lei appartiene a qualcun altro.
“Non
vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata.
Per una
donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un
uomo che
si fida di voi”.
Ci
aveva pensato fino allo
sfinimento.
Kristoff
non dovrebbe fidarsi di me. Lui non lo sa e non lo saprà
mai. Ma non dovrebbe
fidarsi di me. Io non merito affatto la sua fiducia.
Aveva
girato la testa, quasi senza
accorgersene, sfuggendo agli occhi di Anna. Ma la sorella le
posò una mano sul
viso, costringendola a voltarsi di nuovo.
-
Sei infelice? – le domandò, a
bruciapelo, Anna.
-
Cosa?
-
Voglio saperlo davvero. Al mio
matrimonio hai detto che eri felice per me. E tu lo sai che non posso
essere
felice se tu non lo sei.
Elsa
aveva le labbra così vicine a
quella di Anna che sarebbe bastato un minimo movimento per incontrarle
un’altra
volta. Posò gli occhi su di esse, guardandole schiudersi.
– Io... non sono
infelice, Anna. La mia felicità dipende anche dalla tua e so
che con Kristoff
sei felice. Lui ti ama ed io sono contenta che sia così.
-
Ma?
-
Non devo più toccarti. Lui non è
solo tuo marito. È mio amico. Non dovrei più
farlo.
Anna
non disse niente. Anche lei ci
aveva pensato fino alla nausea. E per quanto sapesse che Elsa aveva
ragione,
che non avrebbe più dovuto permetterle, né
permettersi, di toccarla in quel
modo... sapeva anche che non poteva prometterglielo.
“Sareste
costrette a nascondere ciò che provate per sempre! E prima o
poi...
commettereste un errore irreparabile. Non si possono soffocare i
sentimenti,
Anna”.
Anna
aprì la bocca per parlare, ma alla
fine non disse niente. Si strinse di nuovo a lei ed Elsa
l’abbracciò stretta.
“Se
tenete il vostro cuore, questi sentimenti vi accompagneranno per molto
tempo.
Forse per sempre. Pensate di poterlo nascondere per sempre,
Elsa?”.
Ho
scelta?, si
chiese Elsa.
“Credete
di esserne capace? Scommetto di no. Nessuno ne è
capace”.
Eppure
doveva esserlo. Amava Anna
in un modo che non era affatto lecito. L’amava profondamente,
più di quanto avrebbe dovuto
fare una sorella. Ed era consapevole che, se le avesse chiesto di
seguirla, in
quel momento non sarebbe stata in grado di resisterle.
“Volevo
farlo quando ti ho vista in abito da sposa. E anche dopo. Non sono
più riuscita
a smettere di guardarti...”
“Se
volevi farlo da quando mi hai visto in abito da sposa, allora non
smettere”.
-
Anna... – cominciò Elsa,
sottovoce. Ma s’interruppe.
-
Sì. Cosa?
-
Io... credo... – rispose lei,
sopraffatta dallo stupore. – Volevo soltanto dire il tuo nome.
***
Angolo
autrice:
Ebbene,
ormai siamo alla fine.
Manca soltanto l’epilogo. Sigh.
La
poesia di Neruda citata
all’inizio del capitolo:
Non
t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima.
T’amo
come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
T’amo
senza sapere come, né quando, né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che
così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
|
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Capitolo 18 *** Epilogo ***
Epilogo
“Il
tuo sorriso
dolce è così trasparente
Che dopo non c’è
niente.
È così semplice
e così profondo
Che azzera tutto
il resto e fa finire il mondo”
(Tiziano
Ferro, L’ultima
notte al mondo)
-
Elsa, non voglio farlo mai più!
Ricordami di non farlo mai più, ti prego!
Lei
le scostò qualche ciocca di
capelli dalla fronte. – Non preoccuparti, Anna. Presto
sarà tutto finito.
-
Questo l’hai detto anche un’ora
fa! – le rispose Anna, a voce alta.
-
No, l’ho detto dieci minuti fa.
-
Beh, io credo... – Un’espressione
stupita le passò sul viso. Si morse il labbro a sangue e poi
si lasciò sfuggire
un grido. L’ennesimo. – Io credo che
morirò.
-
Andrà tutto bene. Ormai non
dovrebbe mancare molto.
-
Anche questo l’hai già detto!
Stai diventando come me. Ripeti le cose più volte!
– Gli occhi di Anna erano
stanchi e arrossati.
Elsa
lasciò che le stringesse forte
la mano. Era vero, l’aveva già detto e ormai non
poteva quasi più nascondere la
sua preoccupazione. La levatrice non sembrava in ansia, anche se il
travaglio
durava da parecchie ore. La sua aiutante andò a mettere un
recipiente d’acqua
sopra il fuoco e nella stanza del parto si diffuse l’odore
delle erbe
medicinali che vi gettò. La finestra era aperta e i tendaggi
erano scossi da
una leggera brezza.
-
Vostra sorella ha ragione,
principessa. Tra poco sarà tutto finito. Dovete prepararvi a
spingere – disse
la donna che si era aggirata a lungo intorno al letto.
-
Non ho la forza per farlo –
commentò Anna, adagiando la testa sul cuscino e respirando
affannosamente.
Elsa
le tirò via qualche altra
ciocca dalla viso sudato. – Sì che ne hai, Anna. E
se pensi davvero di non
averne abbastanza allora prendi un po’ della mia, di forza.
Anna
riuscì a sorridere.
Un’altra
ragazza arrivata con la
levatrice aveva portato con sé un’arpa e si era
seduta in un angolo a
strimpellare un motivo rasserenante. E che sembrava rasserenante solo
per lei.
-
La musica, l’incenso... sembra
una festa, sapete? – ricominciò Anna. –
Un divertimento per chiunque, tranne
che per la diretta interessata, cioè io!
-
Non è incenso, principessa. Sono
erbe. Ve le daremo quando avrete dato alla luce vostro figlio. Vi
aiuteranno a
rilassarvi... – cercò di spiegarle la levatrice,
pazientemente.
Lei
non le diede retta. Seguitò a
parlare a ruota libera. – Perché non chiamate
anche qualche acrobata e delle
danzatrici, già che ci siete? Ah, trovate anche qualcuno che
esibisca una renna
con due teste, un mangiatore di fuoco e un ingoiatore di spade... ma
poi
abbiamo ingoiatori di spade ad Arendelle? Di certo sarà
difficile trovare un
mangiatore di fuoco...
-
Magari lo troveremo, Anna –
rispose Elsa, per calmarla.
-
Lo domanderò anche a Kristoff...
-
Sì, sono sicura che se scendessi
a domandarglielo te ne manderebbe uno.
-
E chi vi dice che sarà un maschio?
Potrebbe anche essere una femmina. Voglio dire, se fosse uno maschio
andrebbe
benissimo... andrebbe bene in ogni caso, ecco!
-
Naturalmente, principessa –
rispose la levatrice.
-
Elsa, come ha fatto nostra madre
a partorire due figlie...? – L’ultima parola
finì in un grido quando l’ennesima
contrazione colpì. – Questa è stata
davvero forte...
Alla
fine, poco dopo il tramonto, Anna
diede alla luce una bambina che dimostrò subito di essere
forte e sana
strillando a pieni polmoni. La levatrice l’avvolse in un velo
e la posò tra le
braccia della madre.
-
È una splendida bambina,
principessa. Ed è anche grande! –
osservò la donna, sorridendo. Poi invitò le
due aiutanti a seguirla fuori dalla stanza. Sarebbe tornata tra poco
per dare
ad Anna quell’intruglio di erbe che avrebbe dovuto aiutarla a
rilassarsi, come
aveva detto.
-
A me non sembra grande. –
commentò Anna, stringendo delicatamente la creatura e
sfiorandole la guancia
con la punta dell’indice. – Sembra piccola e
indifesa.
Elsa
le avrebbe anche risposto, se
non fosse stata così abbagliata dalla bambina e
così emozionata per ciò che
stava vedendo. La figlia di Anna singhiozzava ancora. Teneva gli occhi
strizzati e il suo viso era rosso e un po’ grinzoso, ma era
una meraviglia.
Elsa pensava che questo fosse un altro regalo. Uno di quei regali che
fino a
qualche tempo prima non si sarebbe aspettata di ricevere, isolata
com’era
all’interno del palazzo, incapace di controllare il suo
potere e di avvicinare
la sorella come avrebbe voluto.
Mentre
ora...
-
Vuoi tenerla? – chiese Anna,
rivolgendosi a lei e costringendola ad abbandonare le sue riflessioni.
Ora era
molto più rilassata, anche se esausta.
Elsa
esitò. Anna, invece, le diede
la bambina, mettendogliela tra le braccia.
La
levatrice aveva ragione; era
piuttosto grande per essere appena nata. Dischiuse lievemente le
palpebre, per
poi riabbassarle subito. Le dita minuscole si liberarono del velo che
le
copriva e la mano si sollevò, afferrando l’aria.
Elsa si protese per posarle un
bacio sulla fronte e la bambina spostò la mano quel tanto
che bastava per
appoggiarla sul suo naso. Emise un versetto gorgogliante.
Anna
sorrise. Notò quanto gli occhi
della sorella maggiore brillassero nel guardare la bambina. Entrambe
parevano
brillare, spandendo in quella stanza una nuova luce.
Poi
Elsa si riscosse e sollevò lo
sguardo. – Oh... dovrei... dovresti riposare, Anna. Vado da
Kristoff, a dirgli
che stai bene. Non oso immaginare quanto sia preoccupato.
-
Mmm... – rispose lei. Il peso del
mondo doveva esserle ricaduto sulle spalle, perché si
sentiva pesante e
assonnata. Non aveva bisogno di quelle orribili erbe.
Prima
di andarsene Elsa si chinò e
le diede un bacio leggero sull’angolo delle labbra. Anna vide
il suo viso da
molto vicino e si accorse che una lacrima le era scivolata sulla
guancia.
-
Elsa... stai piangendo? – le
domandò, con la voce roca e assonnata.
-
Sto bene. – Guardò ancora la
nuova vita che respirava contro il suo petto, fra il suo corpo e quello
di
Anna. – Sono molto felice.
Ed
era vero. Non avrebbe mai potuto
chiedere di più.
***
Angolo
autrice:
Ebbene
sì! Anche questa storia è
giunta al termine. Sono un po’ triste, come sempre quando
finisco una storia,
ma sono anche contenta.
Ringrazio
tutti coloro che l’hanno
letta. Spero amiate questo epilogo fluffoso... e probabilmente un
po’ ambiguo.
Ho
voluto inserire un piccolo
parallelo con una scena Rumple/Baelfire (quanto Elsa prende in braccio
la
bambina di Anna e lei gli tocca il naso).
E
niente. Grazie ancora!
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