Botton-Borrower

di TheUncertaintyprinciple
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Elaine Greene ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo - Viaggio in Treno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo: Inaspettatamente. ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo: Alla stazione. ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto: Consapevolezza ***



Capitolo 1
*** Prologo-Elaine Greene ***


Prologo: Bottoni.

 ‘’ Elì, Elì, lemà sabactàni?’’

Elaine era perfetta sul palco. Nel ruolo dell’Infelice che urlava il proprio dolore ai piedi della croce, con voce straziata e soffocata dal pianto, il viso rigato dalle lacrime e le mani al petto in una morsa stretta che brandiva la veste sporca della polvere sollevata dal figlio, immolato per volere del Divino, Elaine riusciva a far trasparire vero dolore solo con lo sguardo, così dolce, penetrante, ma anche meschino, e viscido, pieno di egoismo. Lei non aveva una personalità: interpretava un ruolo ogni giorno, sempre diverso, ed era capace di stupire chiunque le si presentasse. Lei poteva essere un Uomo, crudele e senza scrupoli, accecato dal potere e privo di ogni sensazione, dal sorriso sarcastico; poteva diventare la Prostituta dal corpo invitante, che cerca una preda facile per guadagnare qualche moneta; poteva essere la Vedova Nera, intrigante nei suoi abiti succinti, in cerca di una nuova vittima da mietere; ed infine la Madre, quella che più è rappresentativa di questo ruolo, che piange per il dolore e l’umiliazione del suo unico figlio, l’Eletto.
Voltandosi dall’alto della croce verso la donna e il ragazzo arrivato poco dopo di lei, Cristo disse:

‘’Ecco tuo figlio!’’

E poi:

‘’Ecco tua madre! ‘'

E si chiusero gli spalti per la fine della prima parte di quello grandioso spettacolo, chiamato ‘’Crucifige’’, ‘’Crocifiggilo’’.
La Madonna si tolse il velo per respirare in quei 15 minuti di pausa, ed io la ricoprii di lodi e lusinghe per il lavoro svolto deliziosamente. Lei si complimentò con me per la realizzazione della scena. Alan, il Giovanni, mi chiese di preparare la scena della morte del Cristo: la sgarbataggine delle sue espressioni mi inorridirono parecchio, ma decisi di non occuparmene al momento; avrei risolto la cosa a posteriori, con o senza civiltà. E spesso la civiltà veniva a mancare nelle mie conversazioni con quell’uomo, troppo scurrile per i miei gusti. Non che io fossi una dama, una signora a modo, posata e sempre perfetta in ogni sua occupazione, ma la volgarità, quando non è richiesta espressamente dalla situazione, è bene tenerla per sé o evitarla del tutto.
Mi diressi verso quello che ho sempre chiamato ‘’Angolo della Strega’’, conosciuto comunemente dai restanti membri della compagnia come ‘’lo sgabuzzo’’. Che volgari! Era un così bel posticino! Riservato, pulito, e perfino spazioso. Il posto dove si riponevano, certo, le scope, ma che mi ha sempre riservato esperienze buffe, infantili, passionali. Insomma: indimenticabili.
Presa la scopa migliore che trovai, cominciai a spazzare via la polvere utilizzata per la realizzazione della fatidica scena del trasporto della croce. Il mio impiego nella compagnia consisteva nel preparare scene e costumi, ma la mia vera passione era la pittura e la scultura.
Immersa nei miei pensieri, trovai, guidata da un brillio insolito, un piccolo oggetto coperto di polvere. Un bottone. Era un bottoncino grazioso, brillante: avrei voluto tenerlo. Ma, ahimè, essendo una persona onesta, decisi di restituirlo alla sua legittima proprietaria: Elaine. Il bottone apparteneva al cappotto che usava ogni singolo giorno d’inverno, regalatole dalla madre, quando lei aveva solo tredici anni. La settimana dopo, morì.
Buffo vedere come si tiene di più agli oggetti che alle persone. Io non voglio tenere a nessuno: amando si perde sempre qualcosa, che sia la propria ragione o la propria emotività, si perde ugualmente. In amore non esiste il vincitore, esiste chi patisce dolori meno intensi, e chi le pene dell’Inferno, nel girone più terribile, divorato dall’angoscia e dalla paura di perdere altro, dalla delusione, dalla solitudine che si fa più accentuata ogni giorno di più, che accende la fiamma della desolazione. Ci si attacca così alla materialità delle cose, per avere un appiglio cui aggrapparsi, anche se ben sappiamo che lasceremo la presa solamente perché non abbiamo abbastanza forza per reggerci tutta la vita. Preferisco la passione del momento, all’amore: quella passione che ti porta alla carnalità, quella che puoi trovare in chiunque, in qualunque momento della tua vita, quella di cui bisognerebbe approfittare più spesso, poiché la sola attrazione fisica non nuoce all’animo. Passata la notte, entrambi torneranno alla vita di tutti i giorni, ma senza dimenticare quella notte assieme.
‘’Elaine..!(!!!). Venite, ho trovato qualcosa che vi appartiene di certo!’’
Si girò di scatto facendo muovere sinuosamente i lunghi capelli rossi, liberati dalla parrucca castana indossata precedentemente.
‘’Quante volte ti ho detto di darmi del tu!’’
Scoppiò in una risata portandosi la mano alla bocca e socchiudendo leggermente gli occhi, lasciando vedere il trucco leggero azzurro che aveva sulle palpebre morbide. Si diresse verso di me e mi guardò con aria interessata cercando di scoprire col solo sguardo cosa avessi da dirle. Gli occhi grandi e blu del cielo mi si posarono addosso come farfalle, e cominciarono a esaminare la mia mente, spulciando ogni dettaglio. Come resistere! […!]
‘’E’ questo un bottone del vostro cappotto?’’
Dissi, mostrandole il piccolo oggetto luccicante, passandomelo sulle dita e sui polpastrelli, poi sul palmo per farglielo vedere con più chiarezza, e identificare se fosse o meno di sua proprietà, o se mi stessi sbagliando completamente.
‘’Oh si, è il bottone caduto la settimana scorsa! Come lo hai trovato? Pensavo fosse smarrito!’’
‘’Spolverando qua e là, Elaine. Nulla di particolare: è il mio lavoro.’’
Osservò il bottone ancora qualche secondo con quei grandi occhi blu, anche lei se lo passò sui polpastrelli, mordendosi un labbro e increspando le sopracciglia fini, e poi disse:
‘’Puoi tenerlo.’’ La guardai nascondendo lo stupore. ‘’Ho visto come lo guardavi: lo desideri.’’ Sempre più stupefatta, la sua gentilezza mi fece rabbrividire.’’Fanne buon uso.’’ Sorrise, mostrando i denti bianchi e perfetti e, posando il bottone sul palmo della mia mano, si voltò facendo muovere ancora una volta la chioma flessuosa e fiammante.
Rimasi lì impalata un po’ di tempo, quando la voce di Alan mi fece ritornare all’orrida realtà. ‘’Lavora, Evangeline! O non ti paghiamo, questa settimana!’’
Fanne buon uso
Elaine, saresti fiera di me.






Angolo dell'autrice: Questa storia è stata ritrovata qualche settimana fa in una cartella dispersa del mio PC sotto il nome di ''Blah, blah, blah, scienza, scienza, scienza...Più grosso!'', ispirata al film Piovoto Polpette, e così ho deciso di cominciare a rivederla e di pubblicarla qua. Anche questa come la storia che ho in corso al momento, dettata dal ''Dio del Cazzeggio'', non è un granchè, ma spero che vi piaccia, almeno un po'.
Spero che non ci siano errori! ''Se sbaglio, mi corriggerete!'', per citare Papa Giovanni Paolo II.
Baci, e un ringraziamento al mio Carissimo, che mi ha sempre sostenuta e aiutata e che spero continuerà a farlo.

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo - Viaggio in Treno ***


Capitolo Primo - Viaggio in Treno.
Nanny * stava stendendo i panni, quando fu chiamata dalla signora Hamilton, la padrona indiscussa di casa, per un ‘’affare importante’’. Così fu definito il mio destino dalle due signore, un ‘’affare importante’’. Il fatto che mi riguardasse rese la conversazione tra le due ancora più origliabile, e, dall’alto delle imponenti scale a chiocciola di casa Hamilton, stetti ad ascoltare cosa quelle due rispettabili dame avessero da dirsi di così tanto rilevante.

‘’Mr. Windsor richiede la presenza di Evangeline al teatro Campbell Palace di Londra! Fitzgerald è suo cugino di secondo grado, e, come tale, quindi parente, gli affiderò Evangeline, sperando che la tuteli dato che le ha permesso di andare a lavorare nella sua compagnia teatrale. Dovrà pur trovare un impiego, quella piccola astuta! Guadagnare qualcosa, e, magari -prego Dio che succeda- farsi una famiglia prima dei trent’anni! Dopo sarà difficile sistemarsi, vista la predilezione dei giovani d’oggi per le ragazze giovanissime! Nanny, Nanny cara … cosa ne pensi? Sto facendo la cosa giusta?’’

Nanny aveva ascoltato ogni singola parola fuoriuscita dalle labbra carnose e screpolate della signora Hamilton, ma, per dare un responso degno di tale nome, rifletté un istante, arricciando il lato sinistro della bocca e inclinando leggermente la testa verso il basso, con fare enigmatico.
Passato quell’infinito minuto, Nanny rispose, sorridendo dolcemente, come era solita fare quando parlava con la signora Hamilton:

‘’Secondo me, state facendo la cosa giusta: la ragazza ha bisogno di vivere la vita con passione e non rinchiusa in questa casa per tutta la vita. Sarà sicuramente entusiasta della vostra scelta giudiziosa, Milady: siete stata saggia.’’

‘’Lo spero, Nanny, lo spero con tutto il cuore.. l’ultima cosa che voglio è che la bambina che mi è stata affidata venga trattata male o soffra per causa mia.’’

‘’State tranquilla’’ la rassicurò Margaret (il nome di Nanny).

Ero al settimo cielo! Finalmente, compiuti i diciotto anni, avrei lasciato casa Hamilton per andare a lavorare, per farmi una vita, per vivere! La realtà si stava colorando pian piano, e i miei colori erano pronti a coprire un qualunque spazio lasciato vuoto da dimenticanze o dispiaceri, e a ornare la mia vera dimora, che è l’anima, di toni sgargianti e intensi. Sfumature nuove del mondo, mai viste prima di quell’istante, così lontano nel tempo, oramai.. […]

‘’Partirà domani mattina presto, è bene che prepari i propri bagagli. Ricorda Nanny: lo stretto necessario, se possibile! Meno prende, più sarà leggera in viaggio! Battle* dista 65(,3) miglia* da Londra! Ci vorrà circa un’ora e mezza di treno, salvo imprevisti. ‘’

‘’Questi treni diventano sempre più veloci!’’ Nanny rise, e venne verso di me, salendo le scale con disinvoltura e sempre con un delizioso sorriso stampato tra le labbra fini e delicate.
Io mi rifugiai velocemente in camera mia, fingendo di non aver sentito alcuna delle parole proferite da Margaret e Ann -nome della signora Hamilton, si fa chiamare Ann solamente dalla sorella Lily; lo stesso marito la chiama ‘’signora Hamilton’’, piuttosto che utilizzare il suo primo nome- e cercando di restare in silenzio mentre Nanny si avviava verso la mia camera da letto. Preso un libro a caso, feci finta di leggere.
Nanny entrò senza bussare, malgrado la porta fosse chiusa, esclamando:’’Allora, siete felice, Evangeline?’’

‘’Oh, per cosa, Nanny?’’ le chiesi, cercando di non lasciar trasparire l’imminente risata.

‘’Non fate finta di non aver udito! E da quando leggete libri al contrario?’’ domandò sorridente, indicando con la punta del dito l’edizione di Mansfield Park* che avevo in mano.
Scoppiai a ridere, lasciandomi cadere tra le coperte morbide del mio letto, girandomi da un lato e poi dall’altro con energia. Anche Margaret scoppiò in una sonora risata. ‘’Nanny, io sono più che felice! Non riesco a descrivere il mio entusiasmo!’’

‘’Allora, signorina, è bene che facciate i vostri bagagli! Prendete lo stretto necessario, così riferisco per conto della signora Hamilton. Se volete potete aggiungere ancora qualcosa di non necessario, ma fate attenzione al peso! Non fate si che la borsa si impesantisca troppo. Sarebbe scomoda da trasportare!’’

Nanny si diresse così fuori dalla mia stanza e mi lasciò sola, in modo da poter scegliere cosa portare e cosa no. Oh che delizia fu quel momento così intenso! Pagherei per poterlo rivivere anche solo per un istante, solamente per assaporare ogni attimo, ogni lampo! Anche solo un minuto, anche solo un secondo! Ma, ahimè, a questo segno, è troppo tardi per ricominciare. E’ troppo tardi per scappare dalla realtà. Oh, Elaine.. Elaine.. queste pagine si fanno sempre più dolorose!  Vorrei che allontaniate da me questo calice!* Vorrei poter cambiare il destino imminente, la morte che si avvicina viscida e subdola al mio collo per poterne strappare le vene con morsi violenti! Tornare indietro sarebbe la soluzione a tutti i miei mali, ma se non avessi fatto ciò che ho effettivamente fatto, non sarei stata felice ed avrei deluso Elaine, cosa che mai avrei voluto fare e vorrei, se fosse possibile tutt’ora, fare. Continuerò ad ingannare la morte, e a scrivere questi fogli, bagnati di disperazione.
Rimasi ferma davanti al mio armadio per decidere il da farsi: cosa avrei fatto laggiù, a Londra? Una piccola donna in una grande città. O forse, non così piccola, o non così grande.
Riflettei a lungo su cosa prendere e su cosa lasciare a casa Hamilton, ma alla fine, fui certa di cosa avrei portato con me oltre allo stretto necessario: una radio, un piccolo specchio, una bambola di porcellana appartenuta alla signora Hamilton. Era una bambola estremamente bella, e rispecchiava nel modo più assoluto la fragilità della ceramica; aveva una piccola imperfezione sull’occhio destro, più chiaro dell’altro, ma non era così visibile, ed io trovavo il piccolo errore dell’artigiano, affascinante.  
Scorrendo sul corpicino magro e ben delineato della bambola, si potevano trovare due splendidi bottoni argentati. Sono ancora qui, ed hanno il loro ruolo. Sono diventati occhi di donna; gli occhi della passione e dell’amicizia senza fine, che inganna ogni cosa. Anche la morte.
Infilando con forza (e, lo ammetto, con molta poca grazia) vestiario, la radio e lo specchio e la bambola, terminai di preparare quella che sarebbe stata la borsa che avrei portato con me in viaggio. Sembrava tutto pronto, tutto al proprio posto.. guardai l’orologio: le 20:20. Un poco tardi; l’indomani mi sarei dovuta svegliare piuttosto presto per le mie abitudini. Decisi quindi di andare a letto: avendo ormai mangiato (eravamo soliti mangiare verso le 18:30), e non avendo alcuna impiego cui occuparmi, pensai che non avesse senso rimanere alzata sino a tardi se non per ammirare il cielo stellato, quella sera ricoperto di nuvole bigie e perlacee, probabilmente cariche di pioggia. Sperai con tutto il cuore che l’indomani non piovesse: non era di certo mia intenzione arrivare a Londra grondante d’acqua, gocciolare sul treno e probabilmente su Campbell Palace, non era il mio scopo.
 Mi crogiolai tra le soffici coperte del mio letto, e probabilmente mi addormentai all’istante dato che ricordo ben poco di quella notte e dei pensieri che attraversarono l’anticamera della mia mente. Certamente erano pensieri soavi, data la serenità del momento che stavo passando; dell’ultimo momento che avrei passato a casa Hamilton prima di incamminarmi verso un nuovo sentiero di vita. Si aprirono così ampie strade, in quel solo unico istante, tante possibilità.. l’opportunità era da prendere al volo, carpe diem! Cogli l’attimo! Eppure, tentando di prendere la palla al balzo, mi ferii.


Elaine, perché ho imboccato la strada cui sapevo bene che mi avrebbe portato alla sventura?
 
 
  • Nome utilizzato dagli inglesi per parecchio tempo che sta ad indicare la tata o la nutrice.
  • Battle, paesino di circa 7000 abitanti nelle vicinanze di Hastings, famosa città medioevale, nota per la Battaglia tra Guglielmo di Normandia e Harold Godwineson, cognato di Edward figlio di Alfred I, re di Mercia e Wessex. E’ la cittadella nella quale Evangeline vive con la signora Hamilton e la sua famiglia.
  • 105,090 km.
  • Famoso romanzo della narrativa pre-romantica, di Jane Austen. Scritto nel 1814.
  • Riferimento al Vangelo, in particolare al dolore di Cristo provato sul colle degli Ulivi.



Angolo dell'autrice: salve lettori di questa storiella infantile! Ecco il primo capitolo vero e proprio di questa storia. Rivisitato, dato che la versione scritta tempo fa non era di mio gradimento. Chiedo scusa per possibili errori (di qualsiasi natura).
Un bacio!

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo: Inaspettatamente. ***


Capitolo Secondo:  Inaspettatamente.
La luce del sole cominciò a penetrare lentamente nella mia stanza, e man mano che arrivava, io, comodamente aggrovigliata nel mio cumulo di coperte, mi svegliavo sempre di più, con l’entusiasmo che aumentava gradualmente, proprio come la luce solare. Quando la luce raggiunse appena i miei occhi socchiusi, capii che era ormai tempo di alzarsi, e fare colazione.
Mi diressi, dopo aver indossato velocissimamente le pantofole e scaraventato le coperte che mi ricoprivano con la furia di un animale inferocito, nel salotto di casa Hamilton, dopo aver sceso altrettanto repentinamente le scale ed essere scivolata su un gradino per la fretta e l’emozione. Che sbadata! Mi ricordo quel momento come se fossero passati pochi giorni. Sono sempre stata abbastanza sbadata: ricordo che 3 anni prima della fatidica partenza da Battle per la grande e sontuosa Londra, rovesciai una minestra sul vestito migliore che la signora Hamilton possedeva. Povera signora Hamilton! Ma non lo feci di certo di proposito! ‘’Evangeline Harvey…’’ disse dapprima con calma, prima di sbottare in un rumoroso ruggito ‘’PULISCI!!’’ Non mi sono mai spaventata così tanto! E speravo con tutto il mio cuore che non avrei ripetuto il medesimo errore con il the! Anche perché ho sempre odiato sprecare e si direbbe che versare addosso ai vestiti altrui minestre e the fosse il modo migliore per riuscire a sprecare il cibo. Provocava certo risate incessanti, ma, a mio discapito,anche il mio imbarazzo e la furia incontrollata e incontrollabile della signora Hamilton.
Elaine ha sempre riso tanto in quelle occasioni, e ogni volta che qualcuno mi sgridava per aver commesso una qualche stoltezza lei si apprestava a difendermi. Era sempre dolce e gentile Elaine, sembrava quasi un sogno averla incontrata. L’inizio della guerra cambiò ogni cosa e anche il più leggiadro dei sogni si tramutò in un orribile incubo: la morte dilaniava in ogni dove, e una maledizione si abbatté sul teatro. Non ho mai creduto nelle maledizioni, ma è così che la signora Hamilton chiamò i misfatti che si susseguirono in teatro, uno dopo l’altro, una vita dopo l’altra, un bottone dopo l’altro. Sempre si più sino a che ala misura non fu colma, sino a che non riuscii più a sopportare di dover vivere nell’incubo di qualcun altro. Non volevo più far parte di quel mondo, iniziata la guerra. Non volevo più vedere nessuno, ad eccezione di Elaine, il mio piccolo sole luccicante che illuminava la via e rendeva anche i giorni più angoscianti sopportabili. La personalità di Elaine illuminava chiunque le stesse vicino: era una donna magicamente sublime in ogni sua arte. Mi sarebbe piaciuto essere come lei, ma sin dai tempi della mia partenza sono sempre stata estremamente diversa dalla donna che lacrimava miele e sorrideva di stelle.
 
‘’Evangeline! Oggi è il giorno della tua partenza e non lascerò certamente che ti presenti davanti al Campbell Palace conciata così!’’
 
La signora Hamilton mi portò davanti alla specchio del salone ed io, sconvolta, feci una faccia schifata: non avevo mai avuto i capelli talmente in disordine da quando un gatto mi assalì molto tempo prima di quel giorno! Ricordammo entrambe l’episodio, tant’è che la signora Hamilton si lasciò sfuggire nelle sue parole una nota di disappunto.
 
‘’Evangeline, Evangeline … ti ricordi bene il giorno in cui quel gatto ti assalì 5 anni fa, mentre eravamo ad un ballo organizzato da Sir John? Eri proprio una favola, davvero!’’
‘’Ricordo esattamente, signora Hamilton!’’
 
‘Anche se preferirei che non mi ricordassi episodi di tale imbarazzo!!!’ Aggiunsi dentro di me. Non lo dissi apertamente per il semplice fatto che la signora Hamilton mi diceva certe cose per il mio bene. Di certo non agiva di proposito quando mi offendeva con le sue involontarie frasi sarcastiche e spesso pungenti come il peperoncino. Ma non era una donna cattiva, non lo era mai stata, cercava sempre di farmi avere il meglio per quello che le sue possibilità poteva offrire.
 
‘’Vedi di pettinare questa orribile chioma increspata!”
‘’Subito, signora Hamilton!’’
‘’E chiama Nanny per farti intrecciare i capelli!’’
 
Corsi frettolosamente in cucina e chiamai Nanny; le chiesi un favore, poiché mancava solo un’ora e poco più alla partenza del treno, e per non arrivare tardi in stazione avrebbe dovuto aiutarmi con i capelli. Nanny stava cucinando quando arrivai in cucina per chiederle aiuto: stava preparando del the che probabilmente, per la fretta, non sarei mai riuscita a bere. Che buon profumo di rose si sentiva dalla teiera preparata da Nanny.
 
‘’Nanny! Mi aiuteresti con i capelli? Se mi facessi due trecce nel mentre che mangio qualcosa a colazione te ne sarei eternamente grata!’’
 
Mi sedetti e con me si sedette Nanny. Cominciai a mangiare dei biscotti, e bevvi il the tutto d’un fiato per paura di poter tardare. Mi asciugai delicatamente le labbra mentre assaporavo il the appena preparato; lo si preparava sempre allo stesso modo, ma aveva ogni volta un sapore differente dalla volta precedente. Un giorno era forte e rinvigorente, un giorno leggero come petali di magnolia, un giorno ancora dal sapore cullante, un sapore che innescava una certa calma in chi lo sorseggiava, e bere assieme in famiglia quel tipo di the aveva un effetto ristorante e creava un’atmosfera di serenità. Nanny intanto mi acconciava i capelli: mi fece due trecce perfette che fermò in uno chignon proprio al centro del capo; adornò il piccolo capolavoro con dei deliziosi fiori di tessuto. Due rose gialle, qualche foglia verde e dei piccoli fiorellini bianchi, dai petali quasi impercettibili, ma dal colore sgargiante. Un bianco abbagliante che rallegrava i miei capelli.
Corsi su per le scale e mi diressi verso la mia camera a cui, dolce Elaine, ho dedicato una poesia nelle pagine di dolore che mi trascino con inerzia verso l’oblio. Guardai per l’ultima volta la mia dimora a casa della signora Hamilton: lo specchio sempre sporco che cercava di riflettermi; le mie coperte sempre in completo disordine che non mettevo mai al loro posto; il piccolo tavolo sempre ingombro di ogni cosa che si ergeva sul lato sinistro della stanza .. quanti ricordi, piccola dimora ..
 
 
Addio mio piccolo guscio di farfalla
Del quale devo ancora scoprire le
Avventure
E metter chiarezza nel suo avvolgente involucro.
Addio all’acqua
che culla i pesci del fiume,
fa risalire i salmoni,
innaffia il cuore del contadino.
E addio alle pezze dell’animo
Di quella stella che mi ha sempre
Illuminata per mostrarmi la via
E guidare il mio cuore verso un inizio.
Addio piccolo guscio di farfalla.
 
 
 
Chiusi la porta: non vi erano lacrime sul mio viso, solo un sorriso appena accennato, falso, perché il mio animo piangeva dentro di sé e sentiva la mancanza di quella casa, che era stata la mia culla da infante, la mia bambola da bambina, la mia roccia da donna.
È stato tutto così inaspettato. L’iniziale frenesia si era trasformata in tormento interiore per quello che sarebbe avvenuto dopo. Un’avventura, una vera avventura, ma ricca di insidie e di luoghi e persone che non conoscevo. Notai come ero cambiata, dalla bambina spensierata che ero, alla ragazza colma di paura per l’ignoto che tuttavia desidera comunque scoprire, alla donna seduta a raccontare con il nero ciò che ha passato. Col tempo tutto cambia. Inaspettatamente.
 
E fu così che mi lasciai dietro il mio piccolo guscio di farfalla.
 
 
Angolo dell'autrice: Scusate per il ritardo, ma ho avuto molto da fare con la scuola e tra i traslochi e le delusioni sentimentali miste a una buona dose di lavoro per scuola, non sono riuscita a scrivere ne' molto ne' bene. Vi chiedo di scusarmi e di dirmi cosa ne pensate di questo capitolo perchè scriverlo è stato davvero noioso (volevo subito passare al capitolo 4). Perdonate evetuali errori e il fatto che il capitolo sia una cacchetta. Arrivederci.  

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo: Alla stazione. ***


Capitolo Terzo: Alla stazione.
Alla stazione si potevano incontrare genti di ogni genere, dalle spensierate ragazze che come me partivano per Londra, alle loro famiglie che piangevano la loro lontananza prima ancora che essa fosse avvenuta; dai soldati che si recavano nei luoghi in cui si sarebbero addestrati, alle loro mogli, disperate, che non avrebbero saputo contenere la loro tristezza; dagli orfanelli che si dirigevano nell’orfanotrofio della grande Londra, sino a uomini e donne scuri di carnagione che venivano quasi costretti ad entrare nei vagoni del treno. E poi c’ero io, che sì, mi recavo a Londra, ma non spensierata quanto le altre ragazze, che sì, sarei andata ad ‘’addestrarmi’’, ma non mi lasciavo dietro nessuno che potesse piangere la mia mancanza, che sì ero orfana, ma ero diversa come quelle persone con la carnagione scura. Ero, insomma, diversa da tutti coloro che abbondavano nei vagoni del treno e nella stessa stazione e che aspettavano, esattamente come me, che il capostazione li facesse salire sulle carrozze a loro assegnate, che desse loro un posto in cui sedersi durante il viaggio e che facesse partire il treno.
La mia intenzione al tempo era quella di attendere in un modo diverso, non semplicemente aspettando davanti alle rotaie arrugginite che trasportavano i vagoni del treno di Battle, ma qualcosa me lo impedì: avevo scordato il biglietto! Il treno sarebbe partito con o senza di me, e probabilmente se non avessi trovato una soluzione più senza che con!
Per Diana! Solamente io ero capace di combinare tali disastri in occasioni tanto importanti! Cosa avrei dato per avere un biglietto in quel momento, anche il mio bagaglio a chiunque avesse saputo procurarmene uno in più velocemente possibile.
Ma la sorte non è mai stata solita sorridermi, e tu Elaine, ovunque tu sia, lo sai meglio di me.
È sempre stato così: perseguitata da una perpetua sfortuna, non riuscivo ad adempiere ai miei doveri nel modo migliore possibile, tantomeno in quello più dignitoso, dato che riuscivo sempre a rovinare qualunque altro progetto, disegno o prospetto ideato o organizzato da altri, rimpiangendo il giorno in cui sono nata!
Un po’ circospetta, affinché, se un membro della mia famiglia si fosse trovato alla stazione per qualche arcano motivo, nessuno notasse il panico che serbavo tra le labbra e soprattutto, oserei dire, tra le mani, tutte tremolanti, mi diressi verso la biglietteria, che sembrava essere aperta da lontano. Sia lodato il Redentore: lo era! Feci i salti di gioia quando mi accorsi che la biglietteria era aperta, e che per questo motivo poteva, sostanzialmente, vendermi un biglietto, tanto ero spaventata all’idea di perdere il treno proprio quel giorno, troppo importante per essere rovinato da una tale dimenticanza.
Mi avvicinai con la contentezza negli occhi alla biglietteria, sicura che avrei comprato il biglietto e sarei salita sul treno in poco tempo. Poggiai le mani sul bancone della biglietteria e chiamai il bigliettaio per poter acquistare i biglietti.
 
‘’Scusate il disturbo, Sir, ma dovrei acquistare un biglietto per il treno di oggi verso Londra.’’
 
Il bigliettaio si girò di scatto sentendo la mia voce che lo chiamava, quasi fosse spaventato: sembrava un uomo sulla trentina, o poco più, e pareva che fosse leggermente paranoico a quanto vedetti quel giorno, dal modo in cui si era girato di scatto verso di me; aveva dei lunghi capelli biondicci raccolti in una crocchia morbida ed elegante, da cui spuntavano fuori alcune ciocche mal messe, ma pur sempre raffinate nel loro essere disposte in modo del tutto casuale; i suoi vestiti erano di ottima fattura, e sopra la camicia e la giacca che pareva essere di una morbidezza incalcolabile, indossava uno scialle di seta, annodato in modo da formare quello che più assomigliava ad una grossa cravatta delicata; aveva un viso dalle fattezze tenere come quelle di un adolescente, ma i suoi occhi erano il segno della sua età: di un castano chiaro, color del bosco autunnale, erano spenti e circondati da occhiaie violacee, segno del continuo lavoro; sul naso portava con eleganza una gobba pronunciata, probabilmente creatasi per l’uso degli occhiali, che in quel momento non portava, ma che ero sicura che indossasse.
Per un momento si incantò appena, vedendomi, ma lo riscossi:
 
‘’Sir! Mi serve un biglietto per il treno di oggi verso Londra, e alla svelta! Ne avete uno? Non posso tardare!”
 
Costui, intorpidito per la sorpresa e preso da un forte attacco di ansia, si riprese repentinamente e fece per rispondermi. Accanto a me un signore mi osservava con aria interessata.
 
‘’Milady.. non abbiamo più biglietti! Non posso farglielo stamane, dovrete aspettare a domani!’’
 
‘’Domani?!!? Sir, non posso aspettare a domani, vi prego, vi scongiuro!’’
 
Mi guardò con un’aria comprensiva posandomi con leggerezza una mano sulla spalla destra.
 
‘’Milady, mi dispiace, veramente non so cosa dire..’’
 
‘’Io lo saprei, in verità, signorina’’
 
Mi girai per capire da dove provenisse quella voce, e notai che apparteneva al signore che stava osservando la scena dietro di me. Sembrava interessato alla vicenda, e così si avvicinò ancora a me e al ragazzo che avevo di fronte. Quindi mi parlò ancora, con un sorriso sul viso:
 
‘’Signorina, potete tornare a prendere il biglietto a casa facendo in fretta’’
 
La calma con cui lo disse era rasserenante, ma mi fece adirare sul momento poiché pensavo non riuscisse a capire l’urgenza della situazione in cui mi ero cacciata. Troppa calma, cosa che il quell’istante possedevo a malapena.
 
‘’Non posso, non c’è tempo, perderò il treno!’’
 
Gli risposi evidentemente disperata.
 
‘’Tornate con calma a prendere il vostro biglietto: decido io quando il treno parte o no.’’
 
E mostrò un cartellino sulla divisa, lucido di metallo che risplendeva ad ogni piccolo movimento. Capostazione.
Lo guardai come se fosse stato nostro Signore- e per me in quel momento lo era diventato- e dopo averlo ringraziato corsi con foga verso la mia abitazione, dalla quale alla stazione ero giunta a piedi e nella quale mi apprestavo a tornare con estrema rapidità di gambe e anche di mente, dato che nel mentre che correvo pensavo a dove potesse essere stato riposto il famigerato biglietto.
 
‘Il tavolo della cucina’
 
Individuato il luogo in cui la signora Hamilton ebbe poggiato il biglietto qualche giorno prima, nascondendomi le vere intenzioni di quel misero, alla vista, pezzo di carta, mi avviai verso la porta del cortile che aprii con la ferocia di un animale pronto a lanciarsi sul proprio pasto. Raggiunta la porta di casa mi feci largo fra il salotto e mi diressi repentina verso la cucina.
La prima cosa che pensai fu:’’Eccolo’’ e la seconda ‘’Ti sei fatto desiderare, noto con dispiacere’’ e lo guardai piena di speranza: non avrei perso il treno e tutto sarebbe andato liscio come l’olio, o almeno così ero convinta.
Lo afferrai come solo io ero capace di fare e corsi via trascinandomi rumorosamente il bagaglio dietro. Mi sentivo libera come l’aria mentre correvo a gran velocità alla stazione che mi avrebbe portato nell’irruenta Londra che nel 1912, quello stesso anno, era un pullulare di vita, compresa la mia che si sarebbe aggiunta a quella mescolanza di vite. Si sentiva aria di guerra in quegli anni, come se stesse per arrivare la catastrofe da un momento all’altro: ero giovane, ancora non realizzavo che la vera catastrofe sarebbe giunta a solo due decenni da lì.
Arrivata in stazione intravidi il capostazione con un sorriso compiaciuto tra le labbra: il suo volto di vecchio poteva sembrare quello stesso di un bambino, tanta la giovinezza vi era in quegli occhi carichi di bontà. Lo salutai con un cenno della mano e afferrai saldamente il corrimano delle scalette che mi avrebbero condotta al mio vagone: sapevo di non essere sola nel vagone, ma la cosa non mi preoccupò affatto.
È lì che la incontrai la prima volta.
Non mi aspettavo di incontrare un angelo aperta la porta che mi avrebbe portata al mio temporaneo alloggio, perciò quando la intravidi spalancando la porta e mi voltai, spalancai gli occhi piena di stupore per la meraviglia che mi si parava davanti alla vista: una ragazza bellissima.
Aveva gli occhi di un blu intenso, spettacolare, e come ricoperti da una dolce schiuma di azzurro pallido verso il centro, e inondati da un oceano di solitudine ai lati; i suoi capelli cremisi erano lucenti alle luci delle mattine inglesi, e prendevano sfumature arancioni, ed io mi perdevo in quell’infinità di capelli, così lunghi, e lucenti; le sue labbra erano d’incanto, due morbidi cuscini rosei e infantili, risaltati dal viso tondo e poco squadrato, femminile e seducente; le gambe, leggermente scoperte sulla parte bassa erano di un rosa impercettibile, colmo del bianco della neve di Gennaio.
La guardai per quanto potessi: vi era troppa grazia in una singola creatura. Sentivo che sarebbe stata mia a qualunque costo.
Mi sedetti con noncuranza al mio posto e poggiati i bagagli al mio fianco, osservai chi era seduto nella stanza con me: Elaine, un uomo alto e piuttosto bello, un uomo di mezza età e una donna anziana, che mi apprestai ad osservare, fingendo negligenza.
 
‘’Questo silenzio è talmente spinoso.. perché non perderci in chiacchiere almeno per un poco?’’
 
La voce si levò squillante nella stanzetta. Era stata Elaine a prendere la parola e infrangere in mille pezzi quell’imbarazzante silenzio che avvolgeva la stanza.
Fu così che presi il coraggio di rivolgere la parola a quella creatura angelica.
 
‘’Salve, mademoiselle’’ sperai che il francese potesse stupirla ‘’mi chiamo Evangeline e vengo da Battle. La mia meta è il Campbell Palace di Londra, nel quale andrò a lavorare per conto di un mio lontano parente. Direi che..’’
 
Fui interrotta dalla voce squillante della stessa Elaine.
 
‘’Anche io lavorerò al Campbell! È sempre stato il mio sogno! Sono un’attrice. Oh, scusatemi, mi chiamo Elaine, Evangeline’’
 
E mi strinse la mano con energia. Era l’inizio di tutto, l’inizio di me.


Elaine, ti ho amata dal giorno in cui ti ho vista in quella cabina. Perdonami.



Angolo dell'autrice: Perdonate il ritardo catastrofico, stavo per mandare questo libro allo sfacelo.
Ringrazio Lunadelpassato, mia sostenitrice
Perdonate ancora e ditemi cosa ne pensate. Cercherò di aggiornare ogni mese.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto: Consapevolezza ***


~~Capitolo quarto: Consapevolezza.
(Lettera agli spiriti)
Più imbratto di corvino la mia tela, più i pensieri si fanno deboli, come la volontà di continuare. Eppure sono solo all’inizio, ma sono così stanca.. e comincio ad invecchiare.. ho 39 anni, ormai, la vita però quasi più non mi appartiene. Elaine, torna da me, torna.. voglio solo rivederti felice. Non fuggire dalla mia presa, non ho cattive intenzioni, non voglio farti del male. Elaine, ti prego.. torna da me..

Codeste furono le parole di quella lettera sciagurata che scrissi dopo lo sfacelo che colpì la vita ridondante del teatro, soprattutto dopo la scomparsa di Elaine. Ingiustizie, iniquità, sciagure.. si presentavano sempre nella porta della mia dimora, ogni dì, ed erano sempre più simili a spettri sibilanti, smaniosi di nutrirsi della mia anima, talmente affamati che cominciarono ben presto a diventare reali in quegli anni funesti.
Prima della gravosa perdita, scrissi invece una lettera che mai fu recapitata. Forse gli spettri che assalgono con collera il mio cuore la recapiteranno per me, io non farò altro che riportarla così come è stata scritta.

Mia alma Venere,

mirarti mentre armeggi armoniosa con il trucco per diventare chissà quale altra persona è sempre una gioia per i miei occhi di mera peccatrice, ed è sempre disprezzo verso me stessa quello che provo ripensando a ciò che vorrei realmente vedere di te, così sgargiante di virtù, dalle più ordinarie alle più particolari, dalla tua bellezza diafana alla tua incalcolabile intelligenza. Ed è sempre così incantevole la tua immagine davanti allo specchio che tenta disperatamente di allacciare il corsetto che andrà a cingerti quelle tue forme sinuose e che con fare infantile borbotta parole candide e innocenti quasi a giustificare il fatto che per te allacciare quelle corde sia difficoltoso.
La tua incomparabile bellezza farebbe invidia alla più bella delle Muse Elicone e la tua mente alla più sagace delle Dee Olimpie.
Scrivo questa lettera per confessarti che oramai sei diventata la mia ragion d’essere: non c’è giorno a teatro che non passi osservandoti, tentando disperatamente di reprimere quello che provo per te, cercando di rivolgerti la parola, passandomi sempre tra le dita quel bottone così luminoso che mi ricorda i tuoi occhi, più splendenti della luce del sole, più di quella della luna e delle stelle del cielo.
Candido fiore di maggio, mea Lesbia, mia condanna.. scappa insieme a me da questo stato intollerante. Andiamocene, o se resteremo, dimmi d’amarmi ed io resterò per te se lo vorrai.
Sono parole confuse quelle che cadono sulla carta, inchiostrandola, e non meravigliarti delle lacrime sulla carta.
Elaine.. Elaine.. perché continuo ad imboccare la strada che mi condurrà alla morte? Perché mi rendo ancella di un’empia dottrina? Dio solo lo sa e mi perdoni per ciò che penso.
Splendore di grazia, mia stella del mattino che ogni giorno ti ergi dal buio della notte per illuminare il mio peccaminoso volto, rispondimi il prima possibile.
Accetterò persino il tuo rifiuto come un angelico dono del cielo.
Con passione, tua E.

Non so quali ragioni mi abbiano spinto a scrivere una lettera tanto ardita, e anche se ce ne fossero state, non le avrei mai ricordate perché non così importanti rispetto a tutto quello che provavo per quella donna, quell’angelo. So solo che non fu mai consegnata ad Elaine poiché fui troppo pudica per potermi anche solo avvicinare a lei con un tale scempio in mano. Tenni in ogni caso la lettera poiché portatrice della consapevolezza raggiunta: amavo Elaine ed era oramai inutile negarlo. L’ho amata sin dal giorno in cui mi persi nelle sue parole quel giorno in treno.



Angolo dell'autrice: Scusate il ritardo, spero di aggiornare al più presto, ma ecco a voi il capitolo quarto! Spero vi piaccia.






 

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