Raccontami l'autunno. di BooksAnchor (/viewuser.php?uid=687700)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - November rain. ***
Capitolo 2: *** First Chapter - Hello,darkness, my old friend. ***
Capitolo 1 *** Prologue - November rain. ***
Salve ragazzi!
Prima che cominciate a leggere, vorrei dirvi un paio di cose: nulla di
estremamente lungo, ma che potrebbe servirvi per capire al meglio la
storia. Allora, come leggerete, la storia è stata scritta in
terza persona, ma la prima parte è scritta, invece, in prima
persona: è una cosa voluta. Quel primo pezzettino serve per
dare il via alla storia e per far capire quanto sia importante
l'autunno in questo racconto, per questo ho ritenuto che sarebbe statoo
molto più efficace scrivere in prima persona e al presente,
mentre tutto il resto è scritto in terza persona e al
passato: sono sempre pensieri della protagonista, quelli. Inoltre,
questo è solo un prologo: ancora niente è
definito. So che la storia potrebbe risultarvi molto confusa,
così come i personaggi e ciò che hanno passato,
but don't worry, più avanti capirete tutto. Infine, il
fratello di Nadia, Ansel, è ispirato all'attore Ansel
Elgort, che io adoro e che mi è sembrato azzeccatissimo per
il personaggio che avevo in mente. Ultima cosa: i titoli di tutti i
capitoli saranno ispirati a testi o titoli di canzoni che
citerò, ovviamente, ogni volta nelle note, come è
giusto fare. Il titolo di questo capitolo è ripreso
dall'omonima canzone dei Guns N' Roses.
BooksAnchor.
Prologue
- November rain.
Ho sempre pensato che l'autunno
fosse la stagione migliore di tutte. I colori tenui smorzati dal vento,
le foglie secche calpestate dalla distrazione di un passante, il cielo
plumbeo. Tutto ciò potrebbe risultare terribilmente triste e
malinconico a chiunque. Invece a me dà un senso di
protezione, di casa. E' coem se io sia destinata all'autunno, con i
miei occhi grandi color nocciola, i capelli scuri come la corteccia di
un olmo e la pelle chiara con delle lentiggini in corrispondenza del
naso. Come se uno sconosciuto avesse racchiuso tutto l'autunno che
c'è nel mondo e lo avesse versato dentro di me, come la
pioggia di Novembre. Ed è per questo che quando anche
l'Agosto di quella calda e torria estate finì e il primo
sole di Settembre fece capolino dalle montagne ancora verdi davanti a
me, una sensazione di gioia si irradiò dal profondo del mio
cuore. Certo, sarebbe ricominciata la scuola, ma stavo ritornando a
casa mia. Stavo ritornando nelle braccia dell'autunno. Nelle braccia di
quel rosso e di quell'arancione che solo le foglie secche che stanno
per cadere hanno, di quella pioggia che stropiccia il tuo animo e lo
rinchiude sotto le coperte con un buon libro in mano. Mi piaceva farmi
cullare dall'autunno.
***
Ci sono notti, e sono molte, che non sono state create per
i sogni ad occhi chiusi,ma per gli incubi ad occhi aperte. E tu non
puoi fare niente per evitarle, perché semplicemente, in
quelle notti, non sei più te stesso: diventi un'altra
persona. E non sono la luna, le stelle, le cicale o il vento che soffia
tra le fronde degli alberi: sei tu. Queste notti, ci rendono fragili.
Queste notti, ci rendono ancora più soli di quanto non
siamo.
E quella notte era una
di queste.
Nadia era rimasta tutta la notte distesa sul letto, con le
braccia lungo i fianchi, a fissare il soffitto e a lasciare che i
pensieri prendessero il sopravvento. Parole e ricordi si insinuavano
nei labirinti della sua mente fino ad arrivare alla sua anima, al suo
cuore. Ammesso che ce lo avesse ancora, un cuore. Quello vero era
sempre lì, certo: sano e giovane che pompava sangue alle sue
gambe stanche e alle sue mani rovinate. Ma quello dell'anima, quello
dei sentimenti, quello che si fa carico di ogni ricordo e di ogni
cicatrice, probabilmente era stato schiacciato e polverizzato dal peso
del suo passato. Non sentiva niente. Non sentiva e non provava niente.
La sua mente era così in sovraccarico di pensieri che
sembrava essere vuota. Era come sotto anestesia, come un black-out
dell'anima. Come se nulla potesse sfiorarla. Spostò
lentamente lo sguardo verso la sveglia, dove le cifre illuminate
segnavano le 5:42 del mattino. Restò un altro buon quarto
d'ora in quella posizione passiva, con i muscoli intorpiditi, senza
riuscire a muoversi. Si sentiva come un puntino bianco in un oceano di
nero: senza via di scampo. Con movimenti molto brevi e meccanici si
alzò dal letto. Avanzò verso il davanzale dove,
durante la notte, aveva gettato la maglia del pigiama, che in
realtà non era nient'altro che la t-shirt dei Pink Floyd di
suo fratello. La riprese, la indossò e restò in
pidi davanti alla finestra, davanti a quell'alba che andava a
rischiarare il cielo, con una sola domanda che le rimbombava in testa:
e adesso? E adesso niente. Come sempre. Era passato Agosto,
così com'era passato Luglio, così come sarebbe
passato Settembre. Era passata un'estate e nemmeno ci aveva fatto caso.
Stava passando la vita e nemmeno ci stava facendo caso. Indossate anche
le sue ciabatte celesi, decise di andare in soggiorvo a leggersi un
buon libro sul divano, con la voglia di lasciare in fretta il posto in
cui aveva appena passato "una di quelle notti".
Era così immersa nella lettura di quel libro che quasi non
si accorse del tempo che passava. Quando leggeva, entrava in un mondo
tutto suo: un mondo in cui poteva accedere solo attraverso le parole di
chi era riuscito ad entrarle nel cuore senza nemmeno conoscerla.
Così, quando sentì un tonfo provenire dal piano
superiore, quasi non cadde dal letto. Richiuse il libro e lo ripose con
cura sulla scrivania per poi dirigersi verso la stanza da cui era
provenuto il rumore: la stanza di sua madre. Passando accanto alla
porta della camera di suo fratello vide che stava ancora dormendo e
decise di non svegliarlo: aveva le labbra semichiuse e il volto
rilassato, come un bambino. Sorrise spontaneamente per poi dirigersi da
sua madre. Bussò ritmicamente due volte: nessuna risposta.
Bussò altre due volte: un flebile lamento che poteva essere
tranquillamente scambiato per il verso di un gatto in agonia. Lo prese
come un permesso ad entrare. Aprendo la porta, entrò in
quella che una volta era stata la camera dei suoi genitori, ma che ora
era solo il luogo in cui sua madre squallidamente, si rifugiava per
l'intera giornata, sola, senza parlare, senza mai togliersi il pigiama.
-Sarah- sussurrò sommessamente. Erano due anni ormai che
aveva preso a chiamarla con il suo nome di battesiomo: era sua madre e
qundo doveva parlare con lei usava, ovviamente, l'appellativo "mamma",
ma quando parlava con lei provava un così grande ribrezzo
che la sua mente faceva fatica a realizzare che quella fosse davvero
sua madre. Non che fosse mai stata una grande donna, anzi: era una
donna senza dignità e senza amore, da dare o da ricevere, e
già solo il fatto che avesse sposato un uomo come suo padre
e che avesse lasciato che trattasse in quel podo i suoi unici due figli
per 11 anni, lo dimostrava.
-Che è successo?-chiese. la donna non rispose. Si
limitò ad alzarsi e a dirigersi verso la porta, andandosene
via. Nadia rimase lì, stordita dalla densitù
dell'aria in quella stanza: non era aria consumata, erano ricordi.
Pesanti e invisibili ricordi che galleggiavano nell'aria, come bolle di
sapone, tutte intorno a lei. Scappò via prima che i pensieri
potessero prendere il sopravvento. Nel correre verso il soggiorno si
scontrò contro il petto di suo fratello Ansel.
-Che è successo, sorellina?- mi disse dolcemente, con uno
dei suoi sorrisi sbilenchi, bellissimi e sbilenchi, che raramente
sorgevano sul suo viso. Non le venne da sorridere, perché
ultimamente non le veniva proprio da vivere, ma quel sorriso le
trasmise comunque una sorta di serenità.
-Niente, avevo sentito un tonfo e... Vabbè, niente, senti..
la solita storia.- Il viso del ragazzo si rabbuiò per un
attimo, poi distolse lo sguardo.
-Andiamo a fare colazione, Nadia.- disse. La ragazza annuì e
entrambi si diressero verso la cucina.
-E chi ti avrebbe dato il permesso di prendere quella?- chiese Ansel a
Nadia, indicando la sua maglietta che la ragazza stava indossando, con
un'espressione corrucciava. La ragazza sorrise. Lei amava indossare
maglie,felpe o maglioni molto più grandi di lei. Le piaceva
perché la facevano sentire protetta, al sicuro, al caldo.
Come se niente potesse attaccarla. Più o meno la stessa
sensazione che provava ogni volta che si rifugiava tra le braccia di
suo fratello. Sembrerà una cosa strana, sì, ma
Ansel era già riuscito a darle una spiegazione, come faceva
con ogni cosa: il suo comportamento era probabilmente dovuto alla
mancanza di affetto. Ed era probabilmente vero, dato che l'unico
affetto che la ragazza aveva conosciuto fin da piccola, era il suo. Non
che non le bastasse, anzi. Lui era l'unica cosa per cui era grata a sua
madre: sapeva che avrebbe dato la vita per lei, esattamente come lei
l'avrebbe data per lui. Ma
se esistesse una legge che regoli la quantità di affetto che
un essere umano dovrebbe ricevere nell'arco della sua vita, qualcuno
avrebbe già dovuto prendere provvedimenti su di me, e su mio
fratello, si ritrovò a pensare la
ragazza. Non rispose nemmeno alla sua domanda,
perché sapeva che non ce ne era bisogno, e si sedette vicino
a lui, che stava inzuppando i biscotti nel suo latte. Lui lo beveva
così, senza niente: ne' caffè, ne' zucchero, ne'
niente di niente. Latte allo stato puro. A Nadia aveva sempre fatto un
po' schifo, ma a lui sembrava piacere un mondo. La ragazza
appoggiò la testa sulla spalla del fratello: aveva spalle
grandi, Ansel. Spalle che l'avevano sorretta da piccola, spalle che
avevano preso il posto di quelle dei loro genitori. E lui era grande:
non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Di viso aveva, in
realtà, dei tratti molto dolci e armoniosi, quasi infantili,
che lo facevano sembrare un ragazzo del Nord-Europa: occhi marroni
grandi da cerbiatto, capelli mossi sempre castani, pelle chiara chiara,
quasi come il latte che stava bevendo, labbra carnose e un sorriso
meraviglioso, ma che faceva capolino molto raramente. E non era nemmeno
una persona troppo seria, anzi: era un pazzo, sempre con la battuta
pronta, sempre pronto allo scherzo, un pazzo spiritoso e
intraprendente. Ma quello era solo il suo modo di essere esteriormente,
davanti al mondo: nel suo profondo, una parte di lui era stata rovinata
per sempre dall'obbligo di doversi prender cura di una sorellina
più piccola di lui, mentre i suoi coetanei pensavano a
prendersi cura della nuova playstation. E mentre tutte le ragazze che
gli andavano dietro trovavano questo suo lato misterioso terribilmente
irresistibile, Nadia lo trovava terribilmente ingiusto.
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Capitolo 2 *** First Chapter - Hello,darkness, my old friend. ***
First Chapter
Salve
ragazzi! Eccoci qua con il primo vero capitolo della storia. Ci ho
messo un po' ad aggiornare (sorry) perché tra cenoni,
parenti, pranzi, feste e ultime interrogazioni (maledetti professori)
non ho avuto davvero il tempo di mettere insieme le idee e scrivere, e
infatti il capitolo che ne è uscito non mi convince per
niente, ma vabè. Su questo primo capitolo avrei due cosucce
da dirvi:
Questo è il capitolo che dà il via all'intera
storia. Scoprirete un pochino del passato dei due fratelli, ma molto
ancora c'è da scoprire, quindi non preoccupatevi se la
storia vi risulta ancora un po' confusa. Purtroppo sto avendo dei
problemi con l'impaginazione e, come mi è anche successo nel
capitolo precedente, può darsi che vedrete l'intero capitolo
scritto in corsivo. E questo è un bel problema, dato che
c'è una parte (quella dell'incubo) che ho scritto in corsivo
apposta per farla distaccare dalla narrazione, ma purtroppo, non so per
quale assurdo motivo, me la dà tutta interamente in corsivo.
E' per questo che ho deciso di racchiudere la parte dell'incubo fra due
asterischi, per farvi capire il perché del brusco
cambiamento da narrazione al passato a narrazione al presente e il
distacco tra l'incubo e il resto della storia. Cercherò poi
di risolvere questo problema.
Come capirete dal testo, i due fratelli sono nati in Italia,
è per questo che hanno molte abitudini tipicamente italiane,
tipo fare colazione con latte e cornetto. Lo dico perché nel
capitolo precedente a qualcuno era sorto questo dubbio.
Infine, il titolo del capitolo è preso dalla canzone "The
sound of silence"- Simon & Garfunkel.
Buona lettura! E recensite se vi va, mi farebbe molto piacere <3
BooksAnchor.
First Chapter - Hello,
darkness, my old friend.
Era
una mattinata grigia e plumbea, con un cielo
così pesante che sembrava quasi voler schiacciare sotto il
suo
peso tutte le case di quella piccola cittadina del Sud
dell'Inghilterra. Le temperature si erano abbassate bruscamente e un
lieve venticello freddo soffiava tra le foglie degli alberi del
giardino di quella piccola casa dalle mura giallo limone. Solo una
delle sette finestre di quella casa portava le tapparelle alzate: era
quella di Nadia, che si stava apprestando, come tutti i suoi coetanei,
ad affrontare il primo giorno di scuola. Sua madre e suo fratello
ancora dormivano nelle loro rispettive stanze, mentre lei, in piedi
davanti all'armadio, sceglieva i vestiti da indossare quel giorno.
Scelse im fretta, senza perdere molto tempo: fare una buona impressione
nella sua nuova classe era l'ultima cosa di cui si curava,
perché lei non era semplicemente tipo di curarsi di fare
buona
impressione in nessuna circostanza. Era dell'idea che se una persona
è destinata ad entrare nella tua vita, ci entrerà
comunque,a prescindere da come è vestita, da come
è
truccata, dall'acconciatura che porta o dalla musica che ascolta.
Perché ci sono persone che sono semplicemente destinate a
incontrarsi e a tenersi, o a incontrarsi e non tenersi. Ci sono cose
che sfuggono al nostro controllo, nonostante l'essere umano si ostini
ad ammettere il contrario.
In cinque minuti si lavò e andò in salotto, in un
silenzio che le entrava nel cervello facendole sentire la testa pesante
come piombo. Si era lavata il viso quattro volte, ma sentiva ancora gli
occhi assonnati e le palpebre che si ostinavano a chiudersi. Non era
sicura che sarebbe riuscita a dirigersi fino alla sua scuola a piedi.
Afferrò al volo il cornetto al cioccolato dal vassoio che
suo
fratello una volta al mese, quando i soldi glielo permettevano,
riforniva di ogni tipo di dolci, rigorosamente non-anglosassoni ne'
americani: era un modo per ricordare l'Italia. Già,
perché loro non erano nati e cresciuti in quella piccola
cittadina inglese dimenticata da Dio. Le loro radici erano in Italia,
grazie a loro padre che era nato nella bellissima e dannata
città che altro non era che Napoli. Fino all'età
di 11
anni Nadia era cresciuta lì, tra mare e salsedine, vento e
sabbia. E molto probabilmente era proprio per questo che, se c'era una
cosa che Nadia amava più dell'autunno, quella era il mare.
Poteva restare ore a fissare il movimento delle onde, la schiuma che si
infrange contro gli scogli, il cielo che si fonde con l'acqua. Era una
cosa che faceva spesso, quando era in Italia: scappava nella spiaggia
del Golfo di Napoli, si sedeva sulla sabbia asciutta e rimaneva
lì, immersa nei pensieri e nell'aria di mare. A volte,
quando il
tempo lo permetteva, si immergeva nell'acqua e restava a galla,
lasciandosi trasportare e cullare dal movimento delle onde. Ovviamente
sempre con suo fratello vicino, attento ad osservare che non si
allontanasse troppo. Trovava rifugio in quell'acqua
trasparente e fredda, trovava rifugio in quell'aria che le pizzicava le
guance e le scompigliava i capelli. Non aveva orari: poteva restare
lì ore e ore e andarci di mattina, di pomeriggio, o
addirittura di sera. Con suo fratello vicino e il mare come orizzonte,
si sentiva libera di pensare che qualcosa di bello nella vita, prima o
poi, sarebbe arrivato anche a lei. Ma ora, lontana dal mare e da quella
speranza che le riempiva il cuore di bambina, Nadia sentiva che quel
qualcosa non sarebbe mai arrivato. O forse sarebbe arrivato, ma troppo
tardi per goderselo al meglio.
Napoli era stata la città culla dei suoi ricordi peggiori.
Napoli era stato il luogo dove suo padre le aveva rovinato la vita, e
dove sua madre gli aveva dato il permesso di farlo. Ed era per questo
che se ne erano andati: l'Inghilterra doveva rappresentare la speranza
di una vita migliore, di un nuovo giorno. Ma, nonostante questo, il
giorno prima di partire per l'Inghilterra, i due fratelli si
ripromisero che prima o poi sarebbero ritornati lì, almeno
per un giorno, almeno per un'ora, per rivedere quel mare che fu loro
tanto amico negli anni peggiori della loro vita.
Le ore sembravano non passare mai. Ogni ticchettio dell'orologio appeso
al muro bianco di fronte a lei sembrava un passo in più
verso l'agonia. Tutto sembrava immobile, tutto sembrava inanimato. I
professori si susseguivano davanti a lei come marionette in uno
spettacolo di burattini, vedeva le loro labbra muoversi senza capire
ciò che stessero dicendo. Passò la giornata da
sola: pranzò da sola, se ne rimase in classe da sola. Non
aveva amici: non ne aveva avuti in Italia e le cose non erano cambiate
in Inghilterra. E Nadia nemmeno si sforzava di farle cambiare. Non era
come suo fratello: lui era bravo a farsi degli amici, era bravo ad
essere gentile con tutti anche quando il mondo gli stava crollando
addosso. Nadia avrebbe pagato oro per avere almeno un briciolo della
sua forza.
Finite le lezioni, a passo spedito si diresse verso casa, che non
distava molto dalla sua nuova scuola. Da quando era arrivata in
Inghilterra, esattamente 5 anni, aveva cambiato scuola già
due volte. All'inizio la mamma aveva fatto lo sforzo di recarsi in una
scuola privata per iscrivere sia lei che Ansel, affidandosi alle
ricchezze che i genitori le avevano lasciato. Ma ora i soldi stavano
finendo e Nadia era stata costretta ad andare in una scuola pubblica,
mentre Ansel aveva lasciato la scuola per andare a lavorare in uno
squallido e sporco pub di periferia già dall'anno
precedente. In dieci minuti si ritrovò davanti all'uscio di
casa. Aprì la porta e accese le luci, notando che tutto era
buio. Guardò l'orologio di gomma che portava al polso: Ansel
ancora non aveva staccato da lavoro. Posò la borsa sulla
sedia del piccolo tavolo di legno che si trovava al centro del salotto
e si buttò sul divano, senza nemmeno togliersi il
giacchetto: a causa della mancanza di riscaldamenti adeguati, la loro
casa era sempre e perennemente fredda. Distese le gambe e fece un
grande respiro, come a riprendere fiato dopo una lunga apnea. Si
sciolse i capelli che fino ad allora aveva portato legati in una coda e
li smosse con le mani: passandoli fra le dità senti dei nodi
e i capelli arruffati a causa dell'alta umidità.
Decise che la sera stessa si farebbe fatta una doccia. In quel momento
non ne aveva le forze.
Chiuse gli occhi. Aveva un grande desiderio di addormentarsi e
lasciarsi alle spalle quella lunga giornata, chiudere gli occhi e
dimenticarsi di tutto e risvegliarsi la mattina dopo. Ma sapeva che era
lunedì, il giorno in cui doveva occuparsi di pulire
e mettere a posto la casa, e che dopo avrebbe dovuto
preparare la cena per lei e suo fratello. Sentiva di dovergli almeno un
pasto caldo dopo tutto quello che lui faceva per lei.
Si concesse venti minuti. Prese il cellulare e mise la sveglia, per
evitare di non svegliarsi nel caso si sarebbe addormentata.
Poggiò la testa sul cuscino rosso cremisi che mal si
abbinava al divano verde acido e richiuse gli occhi stanchi. Sentiva
uno strano torpore salirle dai piedi fino alle ginocchia. Tutto era
silenzioso intorno a lei, il buio era l'unica cosa che la circondava.
Voleva dormire. Anche solo per quei pochi venti minuti, voleva dormire.
Era sempre stato traumatizzante per lei il ritorno a scuola dopo le
vacanze estive, come per la maggior parte degli studenti, dopotutto.
Era difficile abituarsi al fatto che non avrebbe più avuto
la libertà di svegliarsi quando voleva e che non avrebbe
più avuto pomeriggi interi da passare insieme a suo fratello
o con un buon libro in mano. Ma purtroppo i giorni passavano,le
stagioni si susseguivano e anche il primo giorno di scuola era
arrivato. L'unica cosa che la consolava era che presto sarebbe
subentrato l'autunno.
Nel giro di pochi minuti si addormentò.
*
E' buio. E' tutto
interamente e terribilmente buio. Non c'è una fonte di luce
nel giro di centinaia di metri. E' li, sola e al buio. Al buio.
L'oscurità la circonda, il silenzio le entra nelle orecchie
e le fa esplodere il cervello. Ha paura. Ha freddo. E' sola.
Un lampo. Una luce accecante squarcia il buio e l'acceca. Si alza in
piedi. Cerca di muoversi. Non può. Ha i piedi come incollati
a terra, le gambe pesanti come piompo, la testa le gira. Non riesce a
vedere niente. Luce e buio si susseguono velocemente. Stringe i pugni.
Alcune immagini cominciano a correre velocemente davanti ai suoi occhi.
Un uomo. Un uomo ubriaco. La chiave che gira dentro la serratura. E'
sera. Una piccola bambina dai capelli marroni e lunghi sgattaiola fuori
dal suo letto per andare in quello che deve essere di suo fratello. Il
ragazzo le parla. Le sta raccontando una storia. Una storia che parla
di draghi e oceani lontani.
Urla. Una donna seduta sulla sedia guarda fisso davanti a se'. L'uomo
è in compagnia di un'altra donna. Una ragazza. Giovane,
bella, in salute.
I loro volti cominciano a deformarsi. Gli occhi diventano grandi buchi
neri. Le bocche sono come orbite senza fine. Il naso diventa piccolo
piccolo, i capelli come serpenti.
Cerca di urlare. Quello è suo padre, lei è la
piccola bambina,sua madre è la donna sola e vuota, suo
fratello le sta raccontando una storia.
Cerca di urlare ma non ci riesce.
Sente il sapore del sangue dentro la bocca. Si accascia a terra.
L'oscurità la risucchia.
Buio.
*
Nadia urlò e si mise di scatto a sedere. Gli
occhi spalancati, la bocca aperta, spalancata, il respiro
affannoso. Cercava di parlare ma non ci riusciva. Sentì due
mani forti e salde premerle contro le braccia. Qualcuno stava cercando
di scuoterla, qualcuno stava cercando di parlarle. Non capì
chi fosse fin quando non alzò lo sguardo sul suo volto. Era
suo fratello.
-Nadia, Nadia! Che succede, sorellina?- Nadia percepì le sue
parole confuse, a tratti, come quando si sta ascoltando la radio ma il
segnale è motlo debole.
-Era solo un incubo, Nadia. Solo un incubo, d'accordo? Solo un incubo-
continuò a sussurrarle Ansel, cullandola fra le braccia.
-Solo un incubo-
-Stavo.. Stavo..- cercò di spiegare Nadia, staccandosi e
guardandolo negli occhi. -Era nostro padre. Era una di quelle sere. Una
di quelle in cui.. in cui lui portava le ragazze a casa e io ero
costretta ad andarmene e.. - Ansel cercò di zittirla,
dicendole che andava tutto bene, che non c'era bisogno che spiegasse,
ma lei continuò -e venivo nel tuo letto, perché
lui se le doveva scopare, quelle puttane. E se le doveva scopare nel
mio letto. perché certo, scoparsele nel letto suo e di mamma
era irrispettoso nei suoi confronti, certo.. E tu mi raccontavi una
storia, ricordi? Una di quelle storie che mi raccontavi e poi.. E poi
c'era tanto buio Ansel, tanto buio-
-Basta così Nadia.. E' tutto okay. Era solo un incubo-
ripetè Ansel nel tentativo di calmarla, vedendo i suoi occhi
spalancati e iniettati di sangue e la sua bocca aperta nel tentativo di
prendere più ossigeno possibile. - Hai fame?- Nadia scosse
la testa. - Voglio solo andare a dormire- rispose. Ansel
annuì e la fece alzare lentamente, ma vedendo il tremore che
la percorreva dalla testa ai piedi, decise di prenderla in braccio e
portarla a letto. Fece le scale lentamente stando attento a non cadere,
anche se Nadia era leggerissima e piccolissima rispetto a lui. Spinse
la porta della stanza di lei con il fianco facendola aprire e la
adagiò sul letto, accendendo la piccola lucina da notte
vicino al suo letto, senza la quale Nadia non riusciva a dormire.
-Ecco qui, sorellina- le disse dolcemente. - E' tutto passato, ora
dormi.- e le rimboccò le coperte, come un padre fa con la
sua bambina. Fece per alzarsi ed andarsene, ma Nadia lo
bloccò per un braccio.
-Mi racconti una storia?- gli chiese. Ansel tentennò un
attimo dinanzi a quella richiesta. Era solito quando erano piccoli.
Quando suo padre si impossessava del suo letto per portarci una delle
sue solite puttanelle, e allora lei sgattaiolava nel suo letto e lui,
per calmarla, si inventava delle storie: storie d'amore, storie
d'avventura, storie di fantasia che permettevano alla sua sorellina di
non pensare alla realtà. Era per questo che Nadia gli aveva
sempre detto che era grazie a lui che adesso lei amava così
tanto leggere. E non era un caso che il genere preferito di Nadia fosse
proprio il fantasy.
Ansel si risedette sul bordo del letto e prese ad accarezzarle i
capelli.
-Non me le ricordo bene, sorellina- le disse.
-Fa niente, basta che mi racconti qualcosa- rispose lei. -E vieni qui-
gli disse, spostando le coperte e facendogli posto accanto a lei. Non
era una cosa rara che Nadia chiedesse a suo fratello di dormire vicino
a lei. Nadia aveva paura del buio. Così lui si
sdraiò nel suo letto, la fece accoccolare sul suo petto e le
raccontò una delle tante storie che da piccoli era solito
raccontarle. E Nadia ascoltò con occhi e orecchie aperte,
facendosi cullare dalla voce dolce del fratello. Dopo un quarto d'ora
si addormentò. E Ansel rimase vicino a lei.
E Nadia non aveva più paura del buio.
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