Love Turns to Ashes

di xX__Eli_Sev__Xx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Programmi ***
Capitolo 2: *** Passeggiata al parco ***
Capitolo 3: *** La caccia ***
Capitolo 4: *** Convalescenza ***
Capitolo 5: *** Il nuovo arrivato ***
Capitolo 6: *** Pranzo coi vampiri ***
Capitolo 7: *** Visita a domicilio ***
Capitolo 8: *** Al chiaro di luna ***
Capitolo 9: *** Questione di punti di vista ***
Capitolo 10: *** La Coppa Mortale ***
Capitolo 11: *** Sotto attacco ***
Capitolo 12: *** Nuovamente insieme ***
Capitolo 13: *** Fraintendimenti ***
Capitolo 14: *** Nuova direzione ***
Capitolo 15: *** Trasformazione ***
Capitolo 16: *** Da New York a Idris ***
Capitolo 17: *** Dimenticare ***
Capitolo 18: *** Schegge ***
Capitolo 19: *** Questione di scelte ***
Capitolo 20: *** Cenere ***
Capitolo 21: *** Trappola ***
Capitolo 22: *** La battaglia ***
Capitolo 23: *** Punto di rottura ***
Capitolo 24: *** Tentazioni ***



Capitolo 1
*** Programmi ***


Love turns to ashes
 
I
Programmi
 
 
 - RAGAZZI! - una voce proveniente dal piano inferiore penetra le pareti e la porta della mia camera da letto all’Istituto di New York. Il sole accarezza delicatamente le pareti rocciose dell’edificio, facendo penetrare il suo calore e i suoi raggi all’interno.
 Mi stropiccio gli occhi e sbadiglio. Mi metto a sedere sul letto desiderando di dormire ancora qualche ora. 
 Forza, Ellie. O Hodge ti ucciderà, mi dico.
 Controvoglia mi alzo dal letto a baldacchino e, infilandomi le ciabatte, mi dirigo verso il bagno della mia stanza.
 Le pareti della camera, dipinte interamente di azzurro, sono illuminate dai raggi del sole che penetravano dalla finestra.  
 Quando entro nel piccolo bagno osservo la mia immagine riflessa nello specchio e i miei occhi azzurro-grigi incontrano quelli del mio riflesso. I capelli biondi e corti sono spettinati, perciò cerco una spazzola e comincio a sistemarli. Alla fine, mi arrendo al fatto che sono impossibili da domare; prendo il piccolo barattolo di gel poggiato accanto allo spazzolino e raccogliendone un po’con le dita, li sistemo.
 Quando ho finito, mi infilo un paio di jeans attillati, una camicia bianca e i miei stivaletti preferiti: quelli che uso quando vado a caccia di demoni. Prendo gli anelli e i braccialetti sul comodino e mi avvicino alla finestra. La apro e inspiro per un momento l’aria primaverile.
 New York, con i suoi rumori e suoni è sveglia già da un paio d’ore. Le auto sfrecciano davanti all’Istituto senza vederlo per quello che è veramente. L’Hudson riflette il sole e i grattaceli facendoli sembrare tremolanti e insicuri.
 Sorrido davanti a quello spettacolo così famigliare e poi, ricordandomi che il direttore, nonché mio tutore, Hodge Starkweather mi ha chiamata dal piano di sotto, mi allontano dalla finestra ed esco chiudendomi la porta alle spalle.  
 Svolto l’angolo e mi incammino lungo il corridoio. Le pareti sono tappezzate di dipinti e quadri di ogni genere: raffigurano angeli, battaglie, cacciatori di demoni come me… Alte e inquietanti armature stanno in piedi tra una porta e l’altra a fare la guardia.
 Non mi ci abituerò mai. Sono troppo tetre.
 Percorro a grandi passi il corridoio freddo.
 Superata la stanza di Hodge, svolto a destra dove la strada si incrocia con il corridoio che conduce all’ala che comprende le stanze maschili.
 Rallento vedendo una figura venirmi incontro.
 Un ragazzo moro e alto, mi sta salutando con la mano alzata.
 - Buongiorno, Ellie. - dice, quando mi raggiunge.
 - Ciao, Alec. - lo saluto; è il mio migliore amico da quando siamo bambini e tutte le mattine ci incontriamo per andare a fare colazione insieme.
 Ci incamminiamo verso la cucina, da cui proviene un profumo di frittelle molto invitante.
 - Dormito bene? - domando.
 - Sì, tu? - chiede lui sorridendo.
 - Non male. - ribatto, sorridendo a mia volta. - Dove sono Izzy, Jace e Henry? -
 - Credo che stiano arrivando. - annuncia lui, volgendosi indietro per controllare se uno dei miei amici è dietro di noi.
 
 Arrivati in cucina, vediamo che Hodge è seduto al tavolo e si sta gustando la sua colazione. Hugo, il suo corvo, è appollaiato sulla sua spalla, come sempre.
 - Buongiorno, Hodge. - lo saluta Alec.
 - Buondì, Hodge. - aggiungo io.
 - Buongiorno, Alexander. Ciao, Eleanor. - nonostante odi essere chiamata con il mio nome completo, quando lo fa Hodge non ci faccio più caso. Non riesce a chiamarci con abbreviativi, preferisce i nomi per intero. Ciò non toglie che odio essere chiamata con il mio nome completo. Nessuno lo fa mai. Mi chiamano tutti Ellie, proprio come facciamo con Isabelle, la sorella di Alec, chiamandola Izzy, anche se lei adora il suo nome.
 - Dove sono gli altri? - domanda ancora lui.
 Io e Alec facciamo spallucce. - Non li abbiamo visti. - aggiunge Alec.
 Cominciamo a servirci le frittelle e Alec dopo essersi versato una tazza di caffè, fa lo stesso anche per me.
 - Grazie. - dico.
 Lui sorride e si siede accanto a me. Da quando siamo venuti a vivere all’Istituto di New York, siamo diventati inseparabili. Maryse e Robert Lightwood, i genitori di Alec, sono spesso in viaggio e quando vengono a far visita ai due figli maggiori nella Grande Mela, non sono soliti restare per molto tempo.
 I miei genitori, invece, sono morti dieci anni fa, quando avevo solo sette anni; uccisi da un Demone Superiore, proprio come quelli di Henry, il mio parabatai.
 La porta della cucina si apre.
 Una ragazza snella, dai lunghi capelli corvini, vestita di tutto punto entra avanzando elegantemente.
 - Buongiorno, Isabelle. - la saluta Hodge.
 - Buongiorno a te, Hodge. - dice lei, muovendosi verso suo fratello e me. - Ciao, ragazzi. - dice e noi le regaliamo un grande sorriso.
 Mi chiedo come faccia ad essere sempre così bella. Ogni volta che la guardo, la sua bellezza sembra aumentare. È sempre elegante, aggraziata e femminile. Il contrario di me: maldestra e sportiva nei modi e nel vestire. Una vera Cacciatrice.
 
 Dopo mezz’ora, delle risate riempirono l’aria.
 La porta della cucina si spalanca ancora. Questa volta ad entrare sono Jace e Henry.
 Il primo è biondo, alto e attraente e l’amico non è da meno.
 Henry ha la stessa età di Alec e me, e due anni in più di Isabelle e Jace, è alto, moro e ha due profondi e penetranti occhi neri.
 - ’Giorno. - dicono in coro i due.
 - Finalmente, ragazzi. Credevamo foste scomparsi. - esclama Hodge alzandosi e poggiando la tazza nel lavello.
 I due si siedono al tavolo, davanti a noi e cominciano a servirsi frittelle e succo d’arancia. Non rispondono al direttore, sono abituati alle sue ramanzine e non ci fanno caso da tempo, ormai.
 Lui li osserva per un momento e poi esce per andare a rintanarsi in biblioteca, dove rimarrà probabilmente per il resto della giornata.
 - Che facciamo oggi, ragazzi? - domanda Isabelle spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
 - Che ne dite di andare a cercare qualche demone? - propone Jace, sorridendo.
 - Non c’è bisogno di andare a cercarli, Jace. Ci trovano loro già troppo spesso. - ribatto.
 Alec e Henry ridono, mentre Jace sbuffa annoiato.
 - Che ne dite di un po’ di allenamento, allora? - propone Isabelle.
 - Io ci sto. - dice Alec, sorridendo alla sorella. Jace annuisce, conscio che non sarà entusiasmate quanto combattere contro un demone vero, ma almeno non si annoierà a morte.
 Henry scosse il capo. - Io opto per una passeggiata. Voglio riposarmi almeno oggi e soprattutto fuggire prima che a Hodge venga la brillante idea di mandarci in missione. -
 - Vengo con te. - dico e lui mi sorride.
 
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! ;D
Innanzitutto premetto che stavo lavorando a questa long da un po’ e finalmente – anche se non è ancora finita – mi sono decisa a pubblicarla. E’ la mia prima storia su questo fandom, perciò abbiate pietà.
Sono una fan sfegatata di Shadowhunters: ho letto i libri, i racconti… tutto. Amo particolarmente Le Origini, ma ho deciso di buttarmi sulla saga principale per questa ff e scrivere una seconda long ambientata nell’epoca vittoriana (che è solo all’inizio, per ora).
Anyway, so che vi sto annoiando parecchio, perciò la farò breve.
Fatemi sapere cosa ne pensate (anche se è qualcosa di negativo).
xX__Eli_Sev__Xx
P.s. Pubblicherò un capitolo alla settimana, probabilmente il lunedì, perciò, imn via del tutto eccezionale, dato che oggi è domenica, pubblicherò il prossimo domani!

 

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Capitolo 2
*** Passeggiata al parco ***


Love Turns to Ashes

II
Passeggiata al parco
 
 - Dove andiamo? - chiedo quando io e Henry siamo fuori dall’Istituto.
 Il sole sfiora i nostri visi con i suoi raggi delicati e dobbiamo strizzare gli occhi più volte per abituarci alla luce. Un auto ci sfreccia accanto e un taxi accosta a qualche metro da noi. Scendono due turisti, probabilmente francesi, che ammarano per un attimo la cattedrale davanti a loro, ignorando che in realtà sia un Istituto in cui gli Shadowhunters studiano per diventare Cacciatori.
 Il mio parabatai mi sorride - Central Park? - propone dopo averci pensato su mentre osserva divertito i due turisti.
 - Ok. - rispondo io e ci allontaniamo.
 
 Raggiungiamo il parco in meno di mezz’ora. Le panchine e i prati verdi brulicano di famiglie e persone che passeggiano tranquillamente. Quando troviamo un posto isolato per rimanere soli, ci sdraiamo sulla soffice erbetta verde ad ascoltare i rumori di New York. Le fronde degli alberi proiettano ombre sul terreno che ci proteggono dai raggi del sole.
 Avremmo potuto usare delle rune per renderci invisibili ai mondani, ma dato che non diamo fastidio a nessuno, abbiamo deciso di non farlo.
 - È bellissimo. - sbotto osservando il paesaggio.
 - Già, è una bellissima giornata. - conferma Henry, sollevandosi sui gomiti.
 - È da un po’ che Hodge non ci affida missioni. Strano, no? - continuo.
 Lui annuisce e si mette a sedere accanto a me. - Scommetto che entro questa sera ci manderà ad ammazzare qualche demone. -
 Rido. Henry è il più simpatico dei miei amici e con Alec è uno dei miei migliori amici. Non per niente siamo parabatai.
 - Mi ricorda Idris. - sbotta ad un tratto.
 Io annuisco di rimando. È vero, i prati verdi, il sole, gli alberi… Ogni cosa qui ricorda Idris. I grattacieli assomigliano molto alle Torri Antidemoni di Alicante, che proteggono la città dalle creature oscure. Il lago del parco riflette la luce e il sole esattamente come il lago Lyn fa con la foresta di Brocelind.
 - Ti manca molto? - chiedo.
 Lui volge lo sguardo verso di me e annuisce, quasi impercettibilmente. - A te no? - domanda di rimando, tornando ad osservare il lago che luccica come miliardi di stelle, alla sua destra.
 - Un po’. - rispondo. In fondo non ne sento molto la mancanza. Lì sono morti i miei genitori a causa di un malfunzionamento delle Torri Antidemoni. Sto bene qui a New York, all’Istituto con Hodge e i miei amici.
 - Ci torneremo, un giorno. Ti ci porterò io e ti piacerà di nuovo, te lo prometto. - mi dice lui, sorridendo, intuendo a cosa stavo pensando.
 Sorrido e annuisco. Forse è così, basterà tornarci e tutto sarà come prima.
 
 Arriva l’ora di pranzo e decidiamo di lasciare Central Park per raggiungere il locale dove mangiamo di solito. Percorriamo le strade della Grande Mela senza prendere l’autobus: una camminata può solo farci bene. I passanti camminano sui marciapiedi da soli o in compagnia, parlano al cellulare o semplicemente guardando le vetrine dei negozi con aria sognante.
 Arriviamo al locale dopo un’ora; all’interno altre persone stanno pranzando, li osservo e vedo che sono perlopiù Nascosti.
 Quando entriamo, ci sediamo a un tavolo accanto al bancone e una ragazza dagli occhi completamente blu senza iridi o pupille, una fata della corte Seelie, si avvicina con un taccuino e sorride.
 - Ciao, ragazzi. - saluta - Cosa vi porto? - 
 - Il solito. - risponde Henry.
 - Anche per me. - aggiungo io.
 - Ok. - ribatte lei e si allontana.
 Vedo Henry guardarsi intorno, due Lupi Mannari stanno bevendo un boccale di birra seduti al bancone e quando lui posa lo sguardo su di loro, tornano ad osservare i loro bicchieri facendo qualche commento su di noi.
 - Questo posto brulica di Nascosti. - mi dice, voltandosi verso di me.
 Sorrido. - È il miglior locale della città. -
 - Non per i mondani. - precisa ridacchiando e io sorrido ancora.
 Quando la cameriera ci porta i nostri hamburger con patatine, cominciamo a mangiare e in poco tempo finiamo e ordiniamo due caffè. Il bar si è lentamente svuotato, lasciando me e Henry soli.
 - Izzy si vede con il principe dalla corte Seelie. - sbotto lasciando scivolare lo zucchero dalla bustina alla tazza di cartone. I granelli bianchi cadono sulla schiuma marrone chiaro, come la neve cade sull’asfalto durante l’inverno; lentamente affonda e comincio a mescolare.
 - Stai scherzando?! - esclama allarmato.
 - No. Me lo ha detto ieri. Meliorn… Credo che si chiami così. -
 - Accidenti, allora è proprio vero che le piace uscire con persone che i suoi genitori non approvano. - constata accostando il bicchiere alle labbra.
 - Già. -
 - E Alec? - chiede dopo un momento di silenzio.
 Sollevo lo sguardo dalla tazza e chiedo di rimando: - Alec, cosa? -
 - Ce l’ha la ragazza? - domanda - Non ne parla mai. -
 - Non lo so. -
 - Sei la sua migliore amica. -
 - Ciò non vuol dire che non può avere dei segreti. - mi giustifico.
 In verità, so tutto. Alec non ha una ragazza. Non perché non sia carino o simpatico, tutto il contrario, ma a lui non piacciono. Da un po’ di tempo mi ha confessato di essere gay, io sono molto felice che abbia accettato di parlarne con me, ma gli ho promesso che non l’avrei detto a nessuno.
 - Capisco. - ribatte Henry.
 
 - Dovremmo tonare. - dico dopo mezz’ora, guardando l’orologio appeso alla parete sopra il bancone. Le lancette segnano le 4 e mezza.
 - Sì, vado a pagare. - ribatte alzandosi e quando gli porgo i soldi, lui mi liquida con un cenno della mano.
 Dovrò sdebitarmi, prima o poi.
 
 L’Istituto non è mai stato così silenzioso. Io e Henry entriamo e prendiamo l’ascensore che ci porta all’armeria dove i nostri amici si stanno allenando.
 - Ciao! - dico entrando.
 - Ehi, siete tornati finalmente. - esclama Jace.
 - Che c’è, ti mancavo Wayland? - domanda Henry, avvicinandosi per abbracciarlo.
 - Non molto, Faircross. - risponde l’altro sollevando la spada che tiene in mano. Io e Isabelle ridiamo.
 Alec, invece, sembra turbato; perciò mi avvicino e gli parlo all’orecchio.
 - Tutto ok, Alec? - domando.
 Lui annuisce e dice che va a farsi una doccia. Ha sicuramente qualcosa che non va.
 - Ma che gli prende ultimamente? - chiede Jace, una volta che Alec ha lasciato la stanza.
 Io e Isabelle ci lanciamo uno sguardo d’intesa e torniamo alle nostre occupazioni senza rispondere al nostro amico.
 
 - Alec? - sono fuori dalla stanza di Alec e sto bussando insistentemente da più di due minuti. Entrerò lì dentro a costo di usare una runa di apertura. - Alec, sono Ellie. Apri, per favore. - rimango in attesa, sperando che lui mi abbia sentita, o che almeno mi dica di andarmene.
 Dopo pochi secondi, la porta si apre e dallo spiraglio compare uno degli occhi azzurri del mio amico.
 - Cosa c’è? - domanda.
 Gli rivolgo un sorriso. - Posso entrare? - chiedo.
 Lui sembra pensarci qualche istante, poi apre la porta per lasciarmi entrare. - Vieni. -
 Una volta dentro, me la chiudo alle spalle e aspetto che parli.
 - Siediti. - mi dice, indicando il letto.
 Mi tolgo gli stivaletti e mi metto seduta a gambe incrociate, lui fa lo stesso, così da essere di fronte a me.
 - Cosa ti è preso, prima? - domando, riferendomi alla sua improvvisa fuga dall’armeria.
 - Nulla. Volevo farmi una doccia. -
 - Certo. - ribatto.
 - Davvero, Ellie. - insiste.
 - A me puoi dirlo, lo sai. -
 - Lo so. -
 - Allora parla. - lo incalzo dandogli un buffetto sulla guancia. Si è sempre confidato con me, ma adesso sembra restio. Non vorrei aver fatto qualcosa che l’ha turbato.
 Gli angoli della bocca si incurvano in un sorriso. - Mi piace una persona. - confessa infine.
 Sorrido. - Ma è fantastico! - esclamo - Com’è? Descrivimelo. - dico con calma, tentando di contenere l’entusiasmo. È bellissimo che gli piaccia qualcuno.
 - Ehm… - comincia lui.
 - Aspetta. - lo blocco - Lo conosco? - chiedo.
 - Sì. - risponde e poi abbassa lo sguardo.
 - Dai, Alec. Puoi dirmelo. - lo incalzo. Sorrido per incoraggiarlo a parlare, ma lui continua a stare zitto.
 - Io… è complicato… So che è sbagliato… - esordisce.
 Aggrotto le sopracciglia. Ma cosa sta dicendo?
 - Lui… - fa una pausa e poi riprende - È Jace. - sputa fuori tutto d’un fiato.
 La sua espressione cambia quando vede che la mia non è mutata. Forse si aspettava che dessi in escandescenza, o che lo schiaffeggiassi… non lo so.  
 - È un disastro. - conclude infine.
 Si alza dal letto e si avvicina alla finestra.
 Io abbasso lo sguardo.
 Mi dispiace per lui.
 È bello che provi qualcosa per Jace, il problema è che lui non prova la stessa cosa. E poi sono parabatai: i legami sentimentali con il proprio guerriero fratello sono proibiti.
 Scendo dal letto e mi avvicino a lui. È più alto di me di qualche centimetro, così gli circondo la vita con le braccia e poggio la testa alla sua schiena.
 Alec stringe le mie mani e sospira; si volta e lo abbraccio forte per fargli sentire che sono lì. A questo servono gli amici.
 - Grazie, Ellie. - mi sussurra all’orecchio.
 - Per cosa? -
 - Per non aver reagito male. -
 - Ehi, è bellissimo che provi qualcosa per qualcuno. - faccio notare.
 - Ma non potrò mai averlo. Lo sai anche tu. - dice - Lui non ricambia ed è il mio parabatai. -
 Mi blocco. Cosa posso dirgli per farlo sentire meglio? Quello che ha detto è vero. Se dicessi il contrario servirebbe solo a deprimerlo di più. - Troverai qualcuno che ricambierà quello che provi. Sei speciale. Tutti vorrebbero un ragazzo come te. - concludo accarezzandogli una guancia.
 Lui rimane immobile per qualche secondo poi sorride e mi abbraccia forte. - Grazie, Ellie. Ti voglio bene. -
 - Anche io ti voglio bene, Alec. –
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti!
Ecco che come promesso pubblico il secondo capitolo della mia long!
Il prossimo lo posterò lunedì!
Fatemi sapere,
Eli, xX__Eli_Sev__Xx

 

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Capitolo 3
*** La caccia ***


Love Turns to Ashes
 

III
La caccia
 
Indosso la mia tenuta da cacciatrice e raggiungo Henry all’armeria.
Quando entro, vedo che è intento ad affilare due spade angeliche trasparenti come cristalli, sono armi letali per i demoni e sono bellissime, oltre che maneggevoli.
Quando mi vede entrare, sul suo volto si dipinge un sorrise. Poggia una spada sul tavolo di legno accanto a lui e la indica. I suoi capelli neri brillando sotto la luce della lanterne di stregaluce che illuminano la stanza.
- Quella è la tua. - dice puntando i suoi occhi neri nei miei.
Sorrido - Grazie, Henry. -
Come aveva previsto durante la nostra passeggiata a Central Park, Hodge, appena tornati, ci ha chiamati in biblioteca e ci ha affidato una missione. Jace, Alec e Izzy sono partiti per una caccia al Pandemonium club, mentre a me e Henry toccherà raggiungere il Bronx dove sono stati avvistati un paio di demoni.
- Hodge non ci ha detto che tipo di demoni dovremo affrontare. Siamo sicuri che queste bastino? - domando indicando le due spade angeliche.
- Sì. - risponde lui, in tono rassicurante.
 
Usciamo dall’Istituto venti minuti più tardi. La notte è scesa da un po’ e in meno di mezz’ora arriviamo sul luogo in cui è stata registrata attività demoniaca.
- Be’? Dove sono? - domanda Henry, guardandosi intorno.
- Non lo so. - rispondo.
Prendo il sensore dalla tasca interna della giacca e lo accendo. Quello comincia ad emettere un rumore flebile, ritmico e molto lento. – Se c’erano adesso se ne sono andati. – affermo, alzando lo sguardo verso di lui.
Lui sbuffa, visibilmente deluso - Per una volta in cui potevamo divertirci. –
Proprio mentre ci voltiamo per andarcene un rumore ci costringe a fermarci. Qualcosa alle nostre spalle si sta muovendo. È umano?
È un animale o una creatura oscura?
- Cos’è stato? - domanda lui, voltandosi verso di me, ma senza guardare indietro.
- Non lo so. Sembrava un fruscio. - rispondo.
Lentamente mi volto verso il vicolo buio. Prendo tra le mani la stregaluce e la accendo. La luce bianca illumina la strada.
Indietreggiamo entrambi, di colpo.
Davanti a noi, accanto al muro umido e incrostato, sta strisciando un demone grande la metà di un uomo. Il corpo è interamente coperto da squame blu e termina con una lunga coda gialla munita di aculeo. Assomiglia molto a un serpente. Gli occhi sono esattamente come quelli dei rettili: piccoli, gialli e acquosi.   
- Oh, per l’Angelo. - mi lascio sfuggire.
Henry mi rivolge uno sguardo interrogativo. – Che c’è? È piccolo, non ci vorrà molto. - constata, osservandolo avvicinarsi.
- Henry, quello è un Demone Superiore! Un Marbas. - esclamo.
È tipico dei miei amici sottovalutare i demoni.
La prima cosa che ci insegnano è di non sottovalutarli mai. Soprattutto quando sono piccoli e sembrano innocui.
- Quella roba è un Demone Superiore?! - sbotta lui, incredulo, soffocando una risata.
- Sì! - ribatto.
Non ho il tempo di aggiungere nient’altro, che il demone balza in avanti. Ci scostiamo e lui si ritrova al centro del vicolo, tra me e Henry. Per un momento ci osserva entrambi, facendo passare lo sguardo da lui a me, da me a lui.
Sollevo la spada e penso a un nome da darle. - Saraquael! - dico infine.
- Yahoel! - grida Henry.
Le armi cominciano ad emettere luce. Il vicolo viene illuminato interamente.  
Il demone sibila facendoci trasalire e poi Henry lo attacca con un fendente.
Lui si sposta saltando sul muro, alle mie spalle.
Mi volto appena in tempo per vederlo balzare verso di me. Rotolo a terra, verso destra, schivando l’aculeo per poco. Mi rialzo e torno ad osservare attentamente ogni movimento della bestia.
Henry si muove verso il demone e lo ferisce con la spada, accanto alla gola. Emettendo un sibilo quello si solleva; l’altezza aumenta: adesso è alto più di due metri.
- Oh, cavolo. - sibila tra i denti Henry. Con un colpo della coda, il demone manda al tappeto il mio parabatai facendolo cadere qualche metro più indietro. Lui atterra sulla schiena lanciando un gemito di dolore.
- Henry! - grido.
Tento di avvicinarmi a lui, ma il demone mi sbarra la strada. Spicco un salto e gli atterro alle spalle. Tento di colpirlo con la spada, ma lui è più svelto.
Si muove verso Henry e lo solleva, stringendolo tra le spire della coda; striscia verso di me e, prima che io possa trafiggerlo, mi salta addosso.
La spada mi cade, producendo un rumore secco, per fortuna è infrangibile, altrimenti sarebbe andata in mille pezzi.
Prendo il pugnale appeso alla cintura e lo trafiggo sul torace, ma lui sibila senza dissolversi. Le rune non sono abbastanza potenti. Lo pugnalo ancora e ancora, ma il potere angelico contenuto nella piccola arma sembrava non fare effetto.
Ad un tratto, però, poco prima di attaccarmi, il demone si blocca. Rimane immobile e la sua espressione muta. Una smorfia di dolore gli si dipinge sul muso. Poi come è comparso, si dissolve.
La pressione sulla vita di Henry, fino a quel momento circondata dalla coda del demone, si allenta. Lui, sospeso a due metri da terra, cade su di me e anche se tento di trattenerlo mi sfugge un gemito; il suo peso mi sta schiacciando.
Henry è atterrato sul morbido, ma io per il contraccolpo ho sbattuto la schiena contro l’asfalto bagnato e freddo.
I nostri visi si trovarono a poca distanza l’uno dall’altro, i nostri occhi sono incatenati. I nasi si sfiorano e posso sentire il suo respiro caldo al sapore di cannella.
- Henry, mi stai schiacciando. - dico dopo un momento.
- Oh. Scusami, Ellie. - si scusa lui, si alza e mi porge la mano.
Io la afferro e la stringo, è calda e famigliare. Quando mi solleva, per un momento, i nostri corpi si sfiorano ancora. Una scossa, simile alla corrente elettrica, mi attraversa la schiena. Dev’essere la conseguenza del colpo sull’asfalto.
- Stai bene? - domanda scostandomi un ciuffo di capelli dal viso.
Annuisco. – Sì, grazie. Tu stai bene? –
Lui annuisce e mi lascia la mano. – Be’, per essere piccolo era tosto. – constata.
Sorrido – Te lo avevo detto che era un Demone Superiore. – lo rimbecco.
Henry sorride e parla ancora. - Torniamo all’Istituto? Qui abbiamo finito. -
Annuisco e insieme ci avviamo verso casa.
 
Arriviamo al limitare del quartiere e svoltiamo a sinistra. Imbocchiamo la via che ci porterà all’Istituto e finalmente possiamo respirare aria pulita, non più contaminata dal puzzo demoniaco.
Henry mi cammina di fianco, ma ad un tratto si blocca e si poggia al muro che sta fiancheggiando.
Mi fermo accanto a lui e gli poggio una mano sulla spalla.
- Henry, ti senti bene? - domando.
Lui annuisce. – Mi gira solo un po’ la testa. – confessa.
- Siediti .- dico.
Lui si lascia scivolare contro la parete in mattoni e poggia la testa al muro, un rivolo di sudore scivola lungo la sua tempia facendolo trasalire; ha freddo, nonostante gli abiti che indossa siano adatti per la stagione.
Mi inginocchio accanto a lui e gli poggio una mano sulla fronte: scotta.
- Henry, scotti! - affermo preoccupata. Quando Hodge ci ha affidato la missione non aveva detto di non sentirsi bene. Sarei potuta andare con Alec. – Avresti dovuto dire a Hodge che non ti sentivi bene. - lo rimprovero dando voce ai miei pensieri.
- Non stavo male quando siamo usciti. - ribatte lui con voce flebile. I suoi respiri si fanno corti e irregolari.
- Dai, andiamo. Ti aiuto io a camminare. - dico dopo un momento di silenzio. Lui annuisce e io gli sfilo le armi dalla cinta, così che non debba portarsi dietro un peso in più. Quando afferro la spada angelica, noto che la divisa di Henry è sgualcita. Scosto il lembo di stoffa che ormai è rovinato e solo in quel momento la vedo.
È una ferita superficiale, simile al segno che potrebbe lasciare una caduta dalla bicicletta. Ma Henry non è caduto dalla bicicletta, ha combattuto contro un demone e non un demone qualunque, un Demone Superiore. Il sangue ormai coagulato ha coperto la ferita, ma nonostante sia piccola sta peggiorando. Un grande livido si sta allargando sul fianco del mio amico, che adesso sta osservandomi con curiosità.
- Henry, il Demone ti ha colpito. - sbotto, senza riuscire a dire nient’altro.
- È solo un graffio. -
- Era un Demone Superiore. Non è solo un graffio. - constato.
Lui mi rivolge uno sguardo stanco. Profonde occhiaie circondano i suoi occhi e i capelli corvini, il viso e il collo sono madidi di sudore.
Estraggo lo stilo dalla tasca e lo faccio sdraiare. Lui geme quando la schiena tocca l’asfalto umido e ancora bagnato a causa della pioggia caduta la sera precedente. Scopro la ferita e quando lo stilo sfiora la pelle lancia scintille azzurre; traccio linee scure e sinuose fino a che l’iratze non è completo. La runa comincia immediatamente a fare effetto: la ferita scompare lasciando il posto ad una leggera cicatrice argentea, ma la condizione di Henry non sembra migliorare.
- Fatto. - dico riferendomi alla runa di guarigione – Come ti senti? –
- Meglio. - risponde lui, incurvando gli angoli della bocca.
Lo osservo meglio. Sta mentendo ed è evidente.
- L’iratze non basta. Andiamo all’Istituto. Hodge saprà cosa fare. - concludo.
Lo aiuto ad alzarsi, raccolgo le armi e le appendo alla mia cintura. Cingo la vita di Henry con un braccio e lui circonda le mie spalle esili con il suo. È qualche centimetro più alto di me, ma sono allenata ad affrontare certe situazioni.
Ci incamminiamo lungo le vie della città e muovendoci lentamente imbocchiamo la strada per raggiungere l’Istituto.   
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti!
Chiedo scusa per il ritardo nel pubblicare, ma ieri la mia connessine internet aveva deciso di prendersi una pausa!
Anyway, eccovi il terzo capitolo! Spero che vi piaccia.
Grazie a coloro che leggono e alla povera anima che ha cominciato a seguirmi! ;D Lasciate qualche recensione, se vi va, mi farebbe piacere. I consigli e i pareri sono sempre bene accetti, anche perché ho ancora molto da imparare! ;-*
A lunedì prossimo!
Un bacio,
xX__Eli_Sev__Xx
 

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Capitolo 4
*** Convalescenza ***


Love Turns to Ashes
 
IV
Convalescenza
 
 
 - Hodge! Hodge! - le mie grida fendono l’aria e rimbombano nell’ingresso dell’Istituto. La grande struttura sembra completamente vuota, ma so bene che a causa di una maledizione lanciatagli dal Conclave come punizione, Hodge non può lasciarla nemmeno per una passeggiata.
 Continuando a reggere Henry, ormai sempre più pallido e debole, percorro i grandi corridoi che portano alla biblioteca. Le torce di stregaluce illuminano con una pallida luce bianca i quadri e le armature che adesso sembrano fantasmi emersi dalle pareti.
 Quando raggiungo la grande sala, apro la porta con una gomitata ed entro.
 Il mio tutore, seduto alla scrivania e intento a leggere un libro, solleva lo sguardo.
 - Eleanor! - esclama - Cos’è successo? -
 - Nel Bronx - comincio - era un Demone Superiore. Ha ferito Henry. Ho provato a guarirlo con un iratze, ma non funziona. - mi avvicino ad un divanetto e faccio sedere Henry, ormai quasi privo di sensi.
 - D’accordo. Portiamolo in infermeria. Aiutami. - mi dice Hodge dopo averlo osservato per un momento.
 Lo prendo per la vita e mi isso un braccio sulle spalle e con l’aiuto del mio tutore lo sollevo.
 
 Dopo un’ora Hodge si allontana dal letto su cui Henry è sdraiato. Sta dormendo e le cure del direttore sembrano far effetto.
 - Quell’iratze gli ha salvato la vita. Se non ti fossi accorta della ferita, non so se Henry sarebbe ancora vivo. -  mi dice, poggiandomi una mano sulla spalla. Annuisco, continuando ad osservare il mio amico.
 - Ora deve riposare. - conclude.
 - Rimango qui con lui. - affermo decisa.
 - Anche tu dovresti riposare. - mi consiglia Hodge con apprensione.
 - Sto bene. Riposerò qui. - concludo e mi siedo sulla sedia accanto al letto dove è disteso il mio parabatai.
 Hodge annuisce, mi augura una buona notte ed esce chiudendosi la porta alle spalle.
 
 Sono rimasta seduta per più di un’ora, così, per sgranchirmi le gambe, mi alzo dalla sedia e mi avvicino alla finestra.
 Il buio avvolge ogni cosa. I lampioni illuminano le strade creando cerchi argentati sull’asfalto e la città e totalmente vuota.
 Sospiro e torno a sedermi.
 Osservo il viso di Henry, illuminato dalla debole luce delle lanterne dell’infermeria. Le sue guance sono di color rosso vivo, così sfioro la sua fronte con una mano. La febbre è ancora alta, ma con le cure di Hodge, entro domani mattina starà meglio.
 L’orologio sopra la porta segna la mezzanotte. Il ticchettio rimbomba nella sala producendo un rumore quasi assordante, ma comunque rilassante.
 Dopo mezz’ora, stanca per la lunga giornata, poggio la testa sul materasso accanto a quella di Henry e mi addormento.
 
 Mi sveglio di soprassalto qualche ora dopo.
 Henry, muovendosi, deve avermi sfiorata con un braccio. Vedo che si muove convulsamente, il respiro è affannoso e il suo corpo è madido di sudore.
 Sono le quattro del mattino e quindi non posso svegliare Hodge, anche perché ha già fatto tutto il possibile per aiutarlo; così mi alzo dalla sedia e mi dirigo verso l’armadio. Devo tenere la testa di Henry al fresco per abbassare la febbre. Apro le ante e prendo una delle bacinelle impilate ordinatamente alla mia destra, la riempio d’acqua e prendo un pezzo di stoffa.
 Poggio il contenitore sul comodino accanto al letto di Henry, intingo il fazzoletto nell’acqua fresca, lo strizzo per far uscire quella in eccesso e lo poggio sulla fronte del mio amico.
 Lui, sentendo freddo, apre gli occhi.
 - Ellie… Dove…? - ansima.
 - Shh. Stai tranquillo, siamo all’Istituto. Hodge ha sistemato la ferita, ma ci vuole un po’ perché le cure facciano effetto. - spiego, continuando a tenere il fazzoletto sulla sua fronte - Hai freddo? - aggiungo.
 Lui annuisce, così prendo una coperta dal letto accanto e la stendo su di lui.
 - Non andartene. - mi sussurra, vendendo che mi sto alzando nuovamente dalla sedia.
 Intingo ancora il fazzoletto e lo pongo nuovamente sulla sua fronte, facendolo trasalire. - No, Henry. Non me ne vado. Rimango qui. - lo rassicuro e mi siedo sulla sedia.
 Lui annuisce ancora, rincuorato. - Puoi sdraiarti qui con me? - domanda ad un tratto.
 Io esito. Sdraiarmi con lui? Non siamo più bambini. Siamo cresciuti e da un po’ non dormiamo nello stesso letto.
 - Ti prego. Ho freddo. - mi implora.
 Dopo un altro momento di esitazione, annuisco e quando lui solleva le coperte, mi sfilo gli stivali, la cintura e la giacca. Indosso una canottiera bianca e i pantaloni da battaglia che non ho ancora avuto il tempo di togliermi.
 Mi infilo sotto le coperte e Henry mi circonda con un braccio facendolo passare sotto la schiena e io appoggio la testa nell’incavo del suo collo.
 Sento il calore del suo corpo bollente per la febbre; poggio una mano sul suo petto scolpito e come lui, pochi minuti dopo, mi addormento.
 
 - Ellie? - mi sento chiamare.
 Quando apro gli occhi, vedo che Alec è in piedi accanto al letto. Avvolta dal torpore del sonno, mi sollevo su un gomito. Henry, accanto a me è steso sulla schiena e continua ad avvolgermi con un braccio.
 Mi metto a sedere.
 - Alec. - dico, ancora assonnata - Ciao. -
 - Hodge mi ha detto di Henry. Come sta? - domanda.
 Scuoto il capo per scacciare via il sonno e poi parlo. - Aveva ancora la febbre, ma adesso dovrebbe stare meglio. -
 Lui annuisce e mi porge la mano; l’afferro e mi metto in piedi.
 - Tu come stai? - domanda ancora lui, reggendomi mentre mi infilo gli stivali.
 - Bene. Insomma, un po’ indolenzita, ma non è nulla. - spiego.
 Mi porge la giacca e quando mi muovo per infilarla, una fitta di dolore mi costringe a fermarmi.
 - Tutto ok? - domanda lui.
 Annuisco, ma un’altra fitta al petto mi colpisce.
 - Devi avere qualche costola rotta. - afferma - Sdraiati, così posso dare un’occhiata. -
 Obbedisco e mi stendo sul letto accanto a quello di Henry, ancora profondamente addormentato.
 Alec mi solleva la canottiera fino a scoprirmi la pancia. Tasta le costole con le mani e sentendomi gemere, diminuisce la pressione.
 - Hai una costola rotta e una incrinata. - constata. Mi dice di sfilarmi la canottiera.
 Il reggiseno nero spicca sulla mia pelle pallida e costellata di lividi causati dalle innumerevoli cadute.
 Alec prende lo stilo dalla tasca e lo impugna. Traccia un iratze sul mio addome e quando il disegno ha preso forma, solleva lo stilo e lo ripone nuovamente nella tasca dei pantaloni. - Devo bendarti, così non rischi di romperle mentre si ristabilizzano. -
 Annuisco; lui mi aiuta ad alzarmi e mi dice di rimanere in piedi.
 Alec si avvicina all’armadio delle scorte e prende delle bende. Mi si avvicina e mi chiede di sollevare le braccia, poi comincia a fasciarmi: le bende proteggeranno le costole da altri urti.
 Poggio le mani sulle sue spalle e attendo che lui finisca il lavoro. Fa un nodo sulla schiena, per tenerle ferme e liscia lo strato di bende facendo scorrere le mani sui miei fianchi.
 - Ecco fatto. - dice.
 - Grazie, Alec. - lo ringrazio.
 Un rumore ci costringe a voltarci.
 Henry si è svegliato e ci sta osservando perplesso.
 Allontano di scatto le mani dalle sue spalle e lo stesso fa lui.
 - Henry. - comincio - Come ti senti? -
 Lui inarca le sopracciglia scure. - Bene. Tu che cos’hai? - domanda con voce flebile, vedendo che, a parte bende e pantaloni, il mio unico indumento è una capo di biancheria.
 - Qualche costola incrinata. - spiego, voltandomi.
 Alec, intanto, ha riposto le bende nell’armadio e si è avvicinato nuovamente per porgermi la canottiera. La prendo dalle sue mani e sorrido. - Grazie. - dico.
 Lui si schiarisce la voce, saluta Henry con un cenno della testa ed esce lanciandomi un ultimo sguardo fugace, mentre sono ancora intenta ad infilarmi la canottiera.
 Una volta che Alec è uscito dall’infermeria, mi siedo sulla sedia accanto al letto di Henry e poggio la mano sulla sua fronte, poi sorrido.
 - La febbre è passata. - affermo.
 - Grazie per essere rimasta, questa notte. - sbotta lui.
 Sorrido ancora. - Nessun problema. - rispondo.
 Lui si solleva sulle braccia e si mette a sedere. - Sai com’è andata la caccia al Pandemonium? - domanda.
 - Sicuramente meglio della nostra. - affermo sicura.
 - Senza dubbio. - ride lui.
 Rimaniamo ad osservarci per un po’.
 Alla fine, dato che nessuno dei due parla o dà segno di volerlo fare, mi alzo lentamente dalla sedia e verso l’acqua, che era nella bacinella sul comodino dalla sera precedente, nel lavandino in marmo bianco. 
 - Vado a prenderti dei vestiti puliti. - dico prima di uscire chiudendomi la porta alle spalle.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Come promesso, rieccomi qui con il quarto capitolo!
Spero tanto che vi piaccia!
Fatemi sapere.
E lunedì.
Eli, xX__Eli_Sev__Xx
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Il nuovo arrivato ***


Love Turns to Ashes

V
Il nuovo arrivato
 
 Raggiungo la stanza di Henry e dopo avergli preso dei vestiti puliti torno in infermeria.
Li porgo al mio parabatai e lo aiuto a cambiarsi dato che è ancora debole. In una ventina di minuti, dopo aver finito di sistemare il letto e ciò che avevamo utilizzato per le medicazioni, usciamo dall’infermeria diretti verso la cucina per fare colazione.
 Quando entriamo troviamo Alec, Izzy e Jace intenti a mangiare latte e cereali.
 - Ciao. - ci dicono in coro.
 - Come stai, Henry? - chiede Izzy sorridendo.
 - Bene, grazie. Hodge mi ha sistemato. - afferma lui sedendosi e servendosi latte e cereali.  Mi porge una tazza e mi siedo accanto a lui. Immergo i cereali nel latte e comincio a mangiarli con un cucchiaio.
 - Hodge vi ha già dato la notizia? – domanda Izzy. Sembra elettrizzata.
 - No, non l’abbiamo ancora incontrato. - rispondo - Quale notizia? -
 - Arriverà un nuovo Cacciatore, questa mattina. - spiega sorridendo. - Un ragazzo. - aggiunge sorridendo maliziosamente e io non posso fare a meno di sorridere a mia volta.
 - Ah, Iz. Non riesci a pensare a nient’altro? - domanda Alec, rivolgendole un’occhiata spazientita.
 - Perché? Se è carino dimmi che c’è di male. - dice lei, mettendo il broncio e incrociando le braccia al petto.
 - Sei infantile, Isabelle. - si intromette Jace imitando la voce di Alec.
 - Ah, ah. - ribatte lui - Divertente. - si alza e poggia la tazza nel lavandino. Rivolge un’ultima occhiata alla sorella e al parabatai ed esce dalla cucina con passo spedito.
Scuoto il capo - Jace. - lo rimprovero, finendo i miei cereali e servendomi del succo d’arancia.
 - Che c’è? - chiede lui, come se non fosse successo niente. Allontana la tazza da davanti a lui e si raddrizza sullo sgabello.
 - Sei sempre il solito. - constato.
 - Io? - dice, indicandosi con aria di chi non ne sa nulla - E lui, invece? Non so che gli prende ultimamente, ma lo trovo fastidioso. -
 - Non potresti essere un po’ più comprensivo? - domando. Non sai che gli prede? È innamorato di te, idiota e tu non fai altro che prenderlo in giro.
 Lui sbuffa spazientito e io scuoto il capo, rassegnata.
 Jace è fatto così. Puro sarcasmo e sfacciataggine.
 
 Io e Henry varchiamo la soglia della biblioteca alle due del pomeriggio. Church è entrarono nella stanza di Henry mentre stavamo chiacchierando e ci ha fatto capire che avremmo dovuto seguirlo e di solito dopo Church a stanarci arriva sempre Hodge. E non è una bella cosa.
 - Secondo te cosa vorrà Hodge? – chiedo in un sussurro.
- Forse è arrivato il ragazzo nuovo. -
 Il nostro tutore, infatti, è seduto alla scrivania e davanti a lui, in piedi, che ci dà le spalle, c’è un ragazzo.
 Avanziamo e sorridiamo a Hodge, attendendo che parli.
 - Buongiorno, ragazzi. Henry, come ti senti? - chiede alla fine.
 - Meglio, grazie Hodge. - risponde lui.
 - Eleanor? - continua lui.
 - Bene. Tu come stai? - domando cordiale.
 - Bene, grazie. - sorride - Volevo aspettare che arrivassero anche Jace, Alexander e Isabelle, ma a questo punto possiamo cominciare. -
 Mi volto e vedo che anche il nuovo ragazzo si è voltato per osservarci.
 È alto quanto Henry e il fisico è allenato e scolpito, al contrario del mio parabatai che è molto più magro. Gli occhi sono verdi come uno smeraldo e la pelle olivastra mette in risalto i suoi capelli biondi.
 - Ragazzi, questo è Thomas Greenstorm. - il ragazzo muove il capo in segno di saluto - E rimarrà qui con noi per un po’. - conclude.
 - Ciao. – diciamo noi in coro.
 - Ciao. Piacere di conoscervi. - replica lui.
 - Piacere nostro. Io sono Henry. - il mio parabatai allunga una mano verso di lui e Thomas la stringe.
 - Io sono Ellie. - aggiungo sorridendo.
 Thomas mi sorride. I suoi occhi di smeraldo percorrono ogni centimetro del mio corpo e così abbasso lo sguardo per evitare di arrossire.
 Hodge si schiarisce la voce e parla ancora. - Eleanor? - mi volto e sorrido al mio tutore. - Potresti accompagnare Thomas nella sua camera? - chiede.
 Annuisco, rivolgo un sorriso al mio parabatai e mi allontano insieme al nuovo ragazzo.
 Quando usciamo dalla biblioteca e imbocchiamo il corridoio, lui parla. - Questo è l’Istituto più bello che abbia mai visto. -
 - Grazie. - dico e svolto a sinistra per raggiungere l’ala in cui ci sono le stanze da letto.
 - Dunque, Eleanor… - comincia lui.
 Subito lo interrompo - Ellie. -
 - Ellie, d’accordo. - dice lui - Quanti anni hai? - chiede.
 - Quasi diciotto. - rispondo e indico al ragazzo di svoltare a destra. - Tu? -
 Lui sorride. - Ventuno. -
 - Ah, sei vecchio. - scherzo.
 - Non so se debba offendermi o ritenerlo un complimento. Sai, la vecchiaia vuol dire saggezza… - dice ridendo.
 Io faccio lo stesso e quando arriviamo davanti alla porta della stanza mi fermo.
 - Siamo arrivati? - chiede.
 Annuisco e sorrido. - Quando hai finito di disfare i bagagli ci trovi in armeria. Ti ricordi la strada? - domando indicando il corridoio, è facile perdersi qui, è talmente grande.
 - Certo. - assicura.
 - Allora a dopo, Thomas. - lo saluto.
 - Tom. - mi corregge lui proprio come ho fatto io poco fa.
 - A dopo, Tom. –
 
 Raggiungo l’armeria e vedo che Henry, Izzy e Jace sono impegnati in un combattimento a tre, con spade e bastoni.  Nonostante lei sia più magra e di qualche centimetro più bassa di entrambi, è in netto vantaggio e sta dando loro del filo da torcere.
 Li saluto con un – Ciao - e poi raggiungo Alec che è in piedi in un angolo e sta lucidando la sua spada angelica. Sembra turbato e ovviamente so perché.
 - Ehi, Alec. - dico avvicinandomi.
 - Ciao, Ellie. - risponde sorridendomi.
So che è ancora arrabbiato per quello che gli ha detto Jace. A volte quel biondino sa essere davvero irritante. Osservo la sua spada, ormai lucidissima e poggio una mano sulla sua, che sta ancora sfregando la lama, per fermarlo.
- Mi dispiace per quello che ti ha detto Jace, ma sai com’è fatto. Non farci caso. - dico sorridendo solidale.
 Lui mi sorride e poggia la spada al tavolo davanti a lui. - Lo so, grazie, El. -
 - Che ne dici se andiamo da Taki a mangiare qualcosa, solo io e te? - propongo.
 Lui sorride sollevato. Ha sempre preferito rimanere solo che stare con gli altri. - Va bene. - risponde.
 Io gli accarezzo la guancia e lui mi stringe a sé. Mi sollevo in punta di piedi per coprire i pochi centimetri che ci separano.
 In quel momento, la porta dell’armeria si apre.
 - Ciao. - saluta Tom e dopo essersi presentato a Izzy e Jace, viene verso di noi.
 Io mi allontano da Alec e sorrido.
 I raggi del sole illuminano i suoi capelli e i suoi occhi rendendoli ancora più verdi. Somigliano molto all’erba mossa dal vento in primavera.
 - Ciao, Ellie. - mi dice.
 - Ciao, Tom. - ricambio sollevando una mano.
 Poi si rivolge a Alec. - Ciao, sono Tom. -
 - Alec. - dice lui, allungano una mano per stringere quella del nuovo Shadowhunter.
 - Piacere. - ribatte Tom. - Tu e Isabelle…? - tenta di domandare, ma lui lo interrompe.
 - Sì, siamo fratelli. - dice. Si assomigliano così tanto che anche chi non lo sa capisce che c’è sicuramente in legame di parentela.
 Tom sorride e annuisce. - Posso prendere una spada per esercitarmi? - domanda volgendosi verso la parete su cui sono appese le armi.
 - Certo. - rispondo io.
 Lui mi sorride e si allontana. Prende una spada e raggiunge Henry.
 Lui lo sta aspettando e ha negli occhi quello sguardo furbetto che ha prima di ogni combattimento. Crede di essere imbattibile.
 Tom sorride a sua volta e quando cominciano a combattere, non posso credere a ciò che vedo. Non so in quale Istituto sia stato prima, ma lo hanno allenato davvero bene.
I suoi movimenti sono fluidi e veloci ed è quasi impossibile prevedere le sue mosse.
In meno i venti secondi, Henry finisce a terra, disarmato.
 - Oh, oh! Complimenti, Faircross! - esclama Jace, ridacchiando.
 - Stai zitto, Wayland. - ringhia lui.
 Mi lascio sfuggire una risata e prima che qualcuno possa fare domande, io e Alec usciamo diretti da Taki per gustarci delle buone patatine fritte.  
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Come promesso, pubblico il quinto capitolo della mia long! Lo so, è di passaggio, ma è tutto funzionale alla vicenda, credetemi!
Come avrete capito adoro i Nuovi Personaggi, tanto che ne ho introdotti tre in cinque capitoli!
Grazie a chi mi legge/recensisce/segue/preferisce/ricorda! Grazie davvero!
A lunedì, Eli :-*

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Capitolo 6
*** Pranzo coi vampiri ***


Love Turns to Ashes
 
VI
Pranzo coi vampiri
 
 Io e Alec stiamo camminando verso Taki a braccetto. Non abbiamo usato rune per renderci invisibili, ma nessuno sembra fare davvero caso a noi per la strada. Parliamo poco, lui ha la testa fra le nuvole, sembra che non sia realmente lì.
 Gli stringo il braccio con la mano e poggio la mia testa alla sua spalla.
 Lui sorride debolmente, cingendomi la vita con il braccio.
 Quando arriviamo al locale ci sediamo ad un tavolo in disparte e la cameriera, dopo aver preso le ordinazioni si avvia verso la cucina.
 Osservo Alec. Mi sembra strano che sia ancora turbato per quello che ha detto Jace, così decido di spronarlo a parlare. – Com’è andata al Pandemonium, ieri sera? – chiedo.
 Lui solleva la testa e la scuote. – Bene, fino a che una mondana non ci ha visti. –
 - Una mondana? - chiedo.
 - Già. -
 - Forse le rune avevano esaurito il loro effetto. - ipotizzo, è già accaduto, sia con le persone che con le armi. Basta un momento e tutto svanisce.
 - No, nessun altro poteva vederci. - ribatte lui.
 Mmm. Strano. - Forse era una mondana con la vista. - alcuni mondani nascono con questo dono, anche se sono veramente pochi. Spesso li assumono per lavorare negli Istituti così che possano sfruttare i loro doni.
 - Non lo so. Ma Jace sembra ossessionato da quella ragazza. – spiega. - Questa mattina è andato a cercarla. - ah, è questo il problema. Jace è ossessionato da una ragazza. Alec è geloso.
 - Davvero? - chiedo, vaga - E cos’ha scoperto? -
 - Non l’ha ancora trovata. - risponde - Si caccerà nei guai. -
 - Sai che è inutile avvertirlo, lascia che sbatta il naso. - dico. È così, è inutile parlare con Jace, fa sempre e comunque quello che vuole.
 - Spero solo che non ci cacci tutti nei guai. - aggiunge dopo un momento di silenzio. La cameriera intanto ci porta le nostre ordinazioni e cominciamo a mangiare le patatine fritte sorseggiando una bibita.
 - Che ne pensi di Tom? - domanda rompendo il silenzio.
 La domanda mi prende alla sprovvista.
 Cosa penso di Tom? Non lo so. L’ho appena conosciuto. – Che è ben addestrato. Ha atterrato Henry con poche mosse. - dico alla fine, ridacchiando ripensando alla scena.
 Lui sorride, per la prima volta da quando siamo usciti. – Già. È stato bravo. - morde un’altra patatina, probabilmente ridendo al ricordo di Henry atterrato da Tom e poi continua - Secondo me, Henry è geloso. -
 - Di Tom di sicuro. Chiunque l’abbia addestrato è stato molto bravo. - ribatto.
 - Non per questo. -
 Lo guardo perplessa. - Per cosa? - domando.
 - Questa mattina, mentre ti stavo sistemando le costole, ci ha visti. -
 - E allora? - chiedo sempre più confusa. Cosa intende dire?
 - Credo che pensi che io e te stiamo insieme. - conclude sorridendo divertito. - D’altronde non sa che sono gay. -
 - Sì, ma anche se fosse, non avrebbe motivo di essere geloso. - ribatto. - È il mio parabatai è come un fratello da quando avevo due anni e dovrebbe essere felice per me. -
 Alec alza le spalle e io decido di lasciar perdere.
 Ad un tratto, la porta del locale si apre e vedo entrare, con una camminata inconfondibile, il sommo stregone di Brooklyn. Dimostra all’incirca ventitré anni, ha gli occhi ambrati simili a quelli di un gatto e i capelli neri sono stati sistemati con il gel per formare delle punte dritte sulla testa.
 Quando mi vede, mi sorride e si avvicina scuotendo una mano in segno di saluto.
 - Ciao, Magnus! - dico alzandomi in piedi e scoccandogli un bacio sulla guancia.
 Lui mi abbraccia e sorride. Lo conosco da quando me ne sono andata da Idris, quando i miei genitori vennero uccisi fui affidata a lui per qualche mese, per poi essere mandata con Henry e i Lightwood qui a New York.
 - Buon pomeriggio, signorina Nightshade. - mi dice sorridendo beffardo. - Come state? - chiede cordiale.
 - Bene e tu come stai? - chiedo ridendo.
 Lui sorride scoprendo i denti bianchi. - Magnificamente. -
 - Magnus, lui è Alec Lightwood, un mio caro amico. - dico indicando Alec.
 Lui si alza in piedi e stringe la mano allo stregone.
 - Alec, lui è Magnus Bane. Credo che la sua fama lo preceda. - concludo.
 - Molto piacere, Magnus. - dice Alec sorridendo amichevole e per un momento mi sembra di vedere i suoi occhi illuminarsi.
 - Piacere mio. - chiede – Alec? Diminutivo di Alexander, immagino. –
 Il mio amico annuisce e lo stregone sorride.
 - Come mai qui? - domanda tornando a rivolgersi a me.
 Sorrido. - Ci siamo presi una pausa dall’Istituto. -
 - Come sta Hodge? - chiede.
 - Bene. Sempre rintanato in biblioteca. -
 Annuisce e sorride ancora.
 Da che mi ricordo, non c’è una volta in cui l’abbia visto arrabbiato o preoccupato. Se è successo, l’ha nascosto davvero bene.
 Proprio mentre sta per salutarci, vediamo entrare un gruppo di vampiri.
 È già tramontato il sole, quindi non è strano vederli gironzolare per le strade. Ridono e si spintonano e poi si avvicinano alla cameriera. Lei raggiunge il bancone, prende il vassoio e proprio mentre sta per portarlo al tavolo, uno la tira a sé, facendole cadere tazze e bicchieri che si infrangono sul pavimento.
 I Vampiri ridono.
 - Guarda. - dico sfiorando il braccio di Alec.
 Lui scuote il capo.
- Dai, tesoro! Vogliamo divertirci un po’! - esclama uno dei Figli della Notte.
 La cameriera si dimena e tenta di liberarsi dalla sua presa, ma lui è molto più forte. - Lasciami! - grida.
 Alec, a quel punto, si avvicina. – Ehi! – grida per richiamare l’attenzione del vampiro – Ti ha detto di lasciarla. –
 - Oh, ma guarda! Un Nephilim! - strilla lui, mostrando le zanne bianche.
 - Sì e ti ripeto che devi lasciarla andare. - continua Alec.
 Il vampiro molla la presa e si avvicina al mio amico.
 La cameriera corre in cucina, asciugandosi le lacrime e chiudendo la porta.
 - Cerchi rogna, Cacciatore? - lo stuzzica il vampiro.
 A quel punto mi avvicino anch’io. Non voglio che scoppi una rissa. E soprattutto non voglio che distruggano il locale: si mangia troppo bene e dovremmo anche pagare i danni.
 - È meglio che tu e i tuoi amici ve ne andiate. - dico gentilmente fermandomi di fianco ad Alec.
 Il vampiro mi squadra dall’alto in basso e sorride malizioso. – Wow, tesoro, se non fossi una Nephilim, saresti un bel bocconcino. – sbotta, dopo un momento di silenzio e i suoi amici ridono facendo altri commenti poco carini a cui non faccio caso.
 Sono così monotoni.
 Vorrei dargli un pugno, ma causeremo solo guai, così mi limito a scuotere il capo.
 - Come ti permetti, vampiro? - Alec pronuncia quella parola con tanto disprezzo da far venire i brividi, parandosi davanti a me.
 Oh, no, ecco che diventa protettivo.
 - Come ti permetti tu, Nephilim! - esclama il vampiro avvicinandosi ancora - Vieni qui e pretendi di dare ordini? Ma chi ti credi di essere? -
 Sento il mio amico ringhiare, così lo tiro per un braccio; esploderà e quando lo fa è ancora peggio di Jace. Combinerà un casino.
 - Un rappresentante del Conclave. - replica Alec.
 - Che paura. - il vampiro ringhia e ride, scatenando le risate dei compagni.
 - Andatevene, adesso. - ripete il mio amico.
 - Andatevene voi. - ribatte l’altro.
 - Non ci penso nemmeno. - risponde Alec.
 Adesso basta mi hanno stancato. - Andiamo, Alec. - dico, tirandolo per un braccio - Lascia perdere. -
 - No, non finché loro non se ne vanno. - insiste lui.
 Sa essere davvero ostinato.
 Vede guizzare una scintilla negli occhi del vampiro, poi, senza preavviso, sferra un pugno ad Alec, facendolo indietreggiare.
 - Alec! - esclamo.
 Tento di avvicinarmi, ma un altro vampiro mi trattiene per le braccia. Tento di divincolarmi, ma sono forti anche per un Cacciatore allenato. - Levami le mani di dosso! - esclamo.
 - Lasciala! - strilla Alec, ma il vampiro gli sferra un pungo all’altezza delle costole, gettandolo a terra.
 Appena sento la pressione sul mio braccio diminuire, sferro una gomitata in pieno volto al vampiro dietro di me; voglio raggiungere Alec e dargli una mano, ma un altro Figlio della Notte è già pronto a partire all’attacco. Mi stringe le braccia, ringhiando minacciosamente, con la sua presa di ferro.
 - Levami le mani di dosso! - dico.
 - Perché, tesoro? Potremmo divertirci, io e te. - mi sussurra all’orecchio.
 - Lasciami o te ne faccio pentire, idiota! - ringhio.
 Mi hanno davvero stancato.
 Continuo a dimenarmi fino a che non sento un dolore lancinante al fianco, così forte da togliermi il respiro. Sento che le gambe non possono più sorreggermi. Mi allontano di scatto dal Vampiro.
 Ma cosa sta succedendo?
 Abbasso lo sguardo e vedo che tra le mani ha un pugnale. Dalla lama cola del sangue e solo in quel momento realizzo che è il mio sangue.
 Mi ha pugnalata.
 Quell’idiota mi ha pugnalate.
 Sento il sangue defluire dalla ferita e prima che possa anche solo pensare di dargli un pungo, cado in ginocchio reggendomi il fianco destro e gemendo dal dolore.
 Sono pur sempre umana, una pugnalata ben direzionata avrebbe potuto uccidermi, ma ovviamente i vampiri non sono così idioti da infrangere gli Accordi uccidendo un Cacciatore.
 - Allontanati da lei! - sento gridare dietro di me.
 È Magnus.
 Non dovrebbe intervenire, scatenerà una guerra tra vampiri e stregoni.
 Il vampiro mi afferra per i capelli e mi dà uno strattone così forte, da scagliarmi contro il tavolo vicino e farmi cadere a terra.
 Gemo dal dolore e mi tocco la fronte con il dorso della mano per tentare di recuperare la lucidità.
 - Vattene! - grida ancora Magnus, muove una mano e come per magia tutti i vampiri si allontanano da noi e dopo essersi guardati intorno un’ultima volta, escono dal locale.
 Alec si alza in piedi e mi raggiunge.
 - Ellie! - esclama sollevandomi delicatamente la testa. - Stai bene? -
 - Sì. - sussurro, tamponandomi il fianco. - È tutto ok. - mi aiuta a sollevarmi e poi mi controlla il fianco sollevando la maglietta ormai impregnata di sangue.
 - Sanguini. - constata.
 - Prova con un iratze. - consiglia Magnus che intanto si è avvicinato.
 - Non abbiamo uno stilo. - dice Alec scuotendo la testa.
 - Fa lo stesso, sto bene. - dico, ma le ginocchia mi cedono ancora.
 I miei due amici mi sorreggono per le braccia prima che possa cadere nuovamente a terra.
 Vorrei ringraziarli, ma non ci riesco.
 - Andiamo all’Istituto. - dice Alec. Mi solleva da terra e io avvolgo il suo collo con le braccia, poggiando la fronte al suo capo.
 - Fatemi sapere. - dice Magnus.
 Alec annuisce e poi ci allontaniamo.
 Dopo pochi minuti, la vista mi si appanna e comincio a sentire i rumori ovattati, come se mi trovassi in una campana di vetro. Un brivido mi percorre la colonna vertebrale facendomi tremare. Indosso solo una t-shirt, ma è giugno, non dovrei avere freddo.
 - Hai freddo? - chiede Alec.
Annuisco. Doveva esserci qualcosa nel pugnale. Qualche veleno, qualcosa che ha accelerato l’infezione. Non è possibile che una ferita si infetti così in fretta.
 E poi fa malissimo. Sono già stata pugnalata, è doloroso, ma non così tanto.
 - Siamo quasi arrivati. - mi rassicura - Resisti. -
 Prendiamo una strada secondaria in modo che nessuno ci veda e raggiungiamo l’Istituto.
 Quando entriamo, percorriamo la navata centrale della chiesa e imbocchiamo il corridoio che porta all’infermeria.
 L’Istituto sembra vuoto.
 Chissà dove sono Henry, Izzy e Jace…
 I miei pensieri sembrano ingrovigliati in una matassa, faccio fatica a metterli in ordine, a concluderli…
 Tutto è avvolto da una fitta nebbia, come quella che sta avvolgendo il mio campo visivo.
 Quando siamo quasi davanti alla biblioteca, la porta si spalanca e Hodge esce. Quando vede Alec con me tra le braccia, si avvicina velocemente.
 - Alexander, cos’è successo? - chiede, poggiandomi una mano sulla fronte e sfiorandomi la guancia con la mano.
 Ansimo sentendo la sua mano fredda sulla mia pelle, ormai bollente a causa della febbre.
 - Un vampiro l’ha pugnalata. - spiega lui - Non avevamo gli stilo e… -
 - Portala in infermeria, io arrivo subito. - lo interrompe.
 
 Quando arriviamo in infermeria, Alec mi adagia sul letto e mi sfila la camicetta scoprendo il bendaggio fatto questa mattina. È già la seconda volta che finisco in infermeria in due giorni. Non voglio che diventi un’abitudine.
 Quando vedo che sta per allontanarsi, ho paura che se ne vada, così gli afferro la mano. - Non andartene, Alec. - sussurro.
 - Non me ne vado, El. - mi rassicura - Prendo solo un panno e un po’ d’acqua. -
 Infatti si avvicina all’armadio e dopo aver preso un panno e una bacinella, riempie quest’ultima d’acqua. La poggia sul comodino accanto al mio letto, prende il panno, lo immerge, lo strizza e lo poggia sulla mia fronte scostando i capelli attaccati a causa del sudore. Poi si avvicina al letto accanto al mio, prende una coperta e la adagia su di me. Si siede sulla sedia accanto al mio letto e mi prende la mano.
 - Non preoccuparti, Hodge sta arrivando. -
 Annuisco.
 Ad un tratto, sento dei passi provenire dal corridoio. È un rumore sommesso, ma lo sento comunque. Qualcuno entra nell’infermeria, ansimando per la corsa.
 - Ellie! - esclama. È Henry, lo riconoscerei ovunque. - Cos’è successo? - domanda, rivolgendosi ad Alec. 
 - Un gruppo di vampiri ci ha attaccato. - solo ora mi accorgo voltandomi che Alec sembra avere il viso tumefatto. Devono averlo preso a pugni dopo avermi pugnalata.
 - E non sei stato capace di impedire che la pugnalassero?! - esclama Henry, rabbioso.
 - Henry… - sussurro.
 - Sono qui, Lea. - dice inginocchiandosi accanto a me. Sorrido: solo lui mi chiama così. Lo fa quando siamo soli, sa che mi fa sentire a casa, anche mio padre mi chiamava Lea, prima di morire…
 - Lascialo stare. Lui mi ha aiutato, non è colpa sua. - sussurro.
 Lui annuisce e si zittisce, continuando ad accarezzarmi la guancia.
 Quando Hodge arriva, io sono già sprofondata in un profondo sonno.
 
 Quando mi sveglio è mattina. La luce penetra dalle finestra illuminando i letti e il lampadario, che scintilla producendo riflessi di ogni colore sulle pareti. Mi sollevo sui gomiti. Mi sento meglio, il freddo e il dolore se ne sono andati. Abbasso lo sguardo e sollevo la canottiera che qualcuno deve avermi fatto indossare mentre dormivo. Il bendaggio è scomparso. Vedo che sul mio fianco c’è una piccola cicatrice dove il vampiro mi ha pugnalato. Accanto alla cicatrice c’è un iratze, le linee nere sono ancora visibili sulla mia pelle e rimarranno fino a che il marchio non avrà fatto completamente effetto.
 Mi volto e solo ora mi accorgo che nel letto accanto al mio c’è una ragazza sdraiata. Ha i capelli rosso fuoco ed è profondamente addormentata. Seduto accanto a lei, su una sedia, c’è un ragazzo. Ha i capelli ricci e castani e indossa un paio di occhiali. Mi sta osservando e quando i nostri occhi si incrociano, parla.
 - Ciao. - mi dice, sollevando una mano.
 - Ciao. - dico, perplessa. Non è un Cacciatore, non ha i marchi, proprio come lei. Quindi sono sicuramente mondani. - Tu chi sei? -
 - Ehm… - esita - Simon. -
 - Piacere, Simon. - dico mettendomi seduta, poi sorrido. - Io sono Ellie. -
 - Molto piacere, Ellie. - risponde.
 Mi alzo in piedi e mi avvicino al letto. - Chi è? - chiedo, indicando la ragazza.
 - Oh, lei è Clary. - mi spiega. - Jace l’ha salvata da un Demone che tentava di ucciderla dopo aver rapito sua madre. -
 - Cavolo, ehm… Ma come siete entrati qui? - domando un po’ confusa. Mi farò raccontare tutto più tardi.
 - Sempre Jace. -
 - Oh, quindi l’avete già conosciuto. - sorrido. Di solito non fa una buona impressione.
 Lui annuisce. - Già. Ho incontrato anche Alec, Isabelle, Henry e Tom. -
 Sorrido ancora. - Come sta? - domando, sempre riferendomi a Clary.
 - Dicono che si riprenderà, gli hanno fatto quel disegno sul braccio, anche se non vogliono spiegarmi cos’è. - dice, indicando l’iratze inciso sul suo avambraccio.
 - È una runa. - spiego - Servono per ogni cosa. Per aumentare la velocità, la forza, la vista, per protezione… Questa è specifica per la guarigione rapida. -
 - Oh, che bellezza. - dice lui con un sospiro di sollievo.
 Credeva che la stessero uccidendo? - Già, sono molto utili. - ribatto senza dar voce ai miei pensieri.
 - No, intento: che bello incontrare qualcuno simpatico, qui dentro. - dice indicando l’edificio con un gesto della mano. Gli rivolgo uno sguardo interrogativo, così lui continua - Sono tutti un po’… ostili, verso noi… come ci chiamate? Mondani? -
 Rido. - Sì, tendiamo ad esserlo con i mondani. -
 - Be’, tu non lo sei. - mi ripete.
 - Grazie. -
 - Figurati. -
 Dopo un momento di silenzio, parlo. - È la tua ragazza? - chiedo, riferendomi a Clary.
 Lui scuote il capo vigorosamente. - Oh, no. - risponde - Lei è… solo un’amica. Una cara amica. Ci conosciamo da quando siamo bambini. - annuisco e la osservo. È gracile. Magra quando me, più bassa… e sembra anche molto debole, ma se un’iratze non la uccide, in lei c’è sicuramente qualcosa di speciale.
 - Ellie. - una voce ci interrompe. Vedo Jace che entra in infermeria e gli sorrido. I suoi capelli biondi sono arruffati come sempre. - Come ti senti? -
 - Bene, grazie. - rispondo.
 - Vedo che hai conosciuto Clary e il mondano. - Simon sembra voler protestare per quella discriminazione, ma si blocca.
 - Sì. - rispondo. - E il mondano ha un nome, Jace. Si chiama Simon. - lo rimprovero. Non può trattarlo come uno zerbino, è una persona, per la miseria!
 - Sì, sì… - ribatte con noncuranza.
 È una causa persa.
 - Vado a farmi una doccia. Ci vediamo più tardi. – dico dopo un momento.
 Jace annuisce. - Ciao. -
 - A dopo, Simon. - aggiungo, rivolta all’altro ragazzo.
 - Ciao, Ellie. –
 
ANGOLO DEL MOSTRICCIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Ecco, come promesso il sesto capitolo!
Spero vi piaccia!
A lunedì prossimo, Eli

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Capitolo 7
*** Visita a domicilio ***


Love Turns to Ashes

VII
Visita a domicilio
 
 Dopo aver fatto una doccia ed essermi cambiata, esco dalla mia stanza. Mi chiudo la porta alle spalle, prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e mentre cammino scrivo un SMS.
 
 Ciao, sto meglio, grazie per averci aiutato con quei vampiri.
 xoxo Ellie
 
 Cerco il nome di Magnus in rubrica e quando lo trovo premo INVIA.  
 Imbocco il corridoio che porta alla biblioteca. È poco illuminato e caldo come sempre. Non ci sono finestre e le camere, essendo sempre chiuse, non fanno penetrare nemmeno un po’ d’aria fresca. Svolto a destra e quasi mi scontro con Tom che sta venendo nella mia direzione.
 - Oh, vedo che stai bene. - mi dice sorridendo. I suoi occhi verdi sono luminosi come sempre. Sono veramente meravigliosi, non avevo mai conosciuto nessuno con degli occhi così.
 - Sì, sto bene. - ribatto tentando di non far trapelare che stavo pensando ai suoi occhi. Spero che il rossore sulle mie guance non mi tradisca.
 - Stai andando in biblioteca? – chiede indicando il corridoio.
 - Sì. -
 - Vuoi che ti accompagni? -
 - No, conosco la strada. - dico sorridendo.
 Lui ride. - Non vorrei che ti perdessi. -
 Lo saluto con un cenno della mano e quando arrivo davanti alla biblioteca apro la pesante porta con una spinta. Il profumo del legno degli scaffali mi pervade, è così famigliare che mi tranquillizza quando sono preoccupata o mi fa stare meglio quando sono giù di morale.
 Hodge è in piedi accanto alla scrivania, intento a consultare un libro. I suoi occhi si muovono velocemente sulla pagina, soffermandosi solo qualche secondo su qualche frase o parola. Anche questo mi è famigliare. Sono abituata a stare in biblioteca a leggere e spesso con me c’è anche Hodge: l’ho osservato spesso e quando lo fa, sembra quasi ringiovanire, come se le parole lo rinvigorissero.
 Hugo è appollaiato sul suo trespolo e sta sonnecchiando.
 Detesto quel pennuto e credo che lui detesti me. Cerco sempre di evitarlo, ma sembra che lui voglia infastidirmi, infatti quando mi sente, solleva la testa e gracchia facendomi sobbalzare.
 Il mio tutore si volta e quando mi vede sorride. I suoi occhi si illuminano.
 - Eleanor. - dice poggiando il libro sulla scrivania e venendomi incontro. Scendo le scale e quando lo raggiungo mi stringe forte a sé. - Come stai? - mi accarezza i capelli. So quanto tenga a noi e so che quando stiamo male si preoccupa.
 - Grazie a te molto meglio. - rispondo ricambiando la stretta venendo pervasa dal suo profumo di sapone e legno.
 Ci separiamo e lui mi scosta un ciuffo di capelli dagli occhi. - Mi hai fatto preoccupare. -
 - Lo so, scusami. - dico. Mi dispiace davvero, non che farmi pugnalare da un vampiro mi sia piaciuto, ne avrei volentieri fatto a meno. Comunque non do voce ai miei pensieri.
 I suoi occhi grigi mi osservano cercando la conferma che sto veramente bene. Lo fa ogni volta che torno da una missione. Mi aveva detto che aveva promesso ai miei genitori di proteggermi nel caso in cui fossero morti e quando è successo, dopo aver passato due mesi con Magnus, il mio amico stregone mi ha portata qui da lui, insieme a Henry. Devo dire che Hodge ha preso seriamente il suo compito.
 Mi accarezza una guancia e sorride. - Hai già incontrato i nostri due ospiti? -
 - Sì. - si riferisce a Clary e Simon. - Be’, solo Simon era cosciente. -
 - Lo so. Clary è stata attaccata da un Demone Superiore, ma credo che tra poco si sveglierà. -
 - Ho visto l’iratze. Deve avere sangue di Cacciatore se non l’ha ancora uccisa. - spiego. Altrimenti come minimo sarebbe già impazzita. 
 - Infatti è così. Anche se sembra che lei non lo sappia. -
 - La conosci? - chiedo. Sa che è una Cacciatrice, deve conoscerla sicuramente.
 - Conoscevo i suoi genitori. Sua madre, in particolare. -
 - Sua madre? Quella che è stata rapita? - domando.
 - Sì. Si chiama Jocelyn Fray. Anche lei viveva a Idris, una volta. Il suo cognome era Fairchild. -
 - Perché è venuta a New York? -
 - Fuggiva da Valentine. -
 Oh.
 Questo spiega tutto.
 Valentine era pazzo. Ovvio che fuggisse da lui, come molti altri. Aveva tentato di uccidere molti Shadowhunters per creare una razza pura.
 - La aiuterete a cercarla? - domando ancora.
 Lui annuisce e si volta verso la scrivania.
 Quando faccio per avviarmi verso la scrivania e seguirlo, una fitta mi attraversa il fianco. Mi sfugge un gemito e reggendomi il fianco, quasi perdo l’equilibrio.
 Hodge è immediatamente accanto a me e mi sorregge per le spalle. Nonostante passi la maggior parte del suo tempo in biblioteca, non ha perso il suo allenamento da Shadowhunter e la sua prontezza di riflessi.
 - Stai bene? - mi domanda preoccupato.
 Annuisco anche se non è vero. La ferita mi fa male. Infatti gemo ancora.
 - Eleanor. - dice con fermezza.
 - Non preoccuparti. – rispondo. Non voglio che si preoccupi.
 Lui scuote il capo e quando tenta di aiutami ad avvicinarmi alla poltrona, cado in ginocchio.
 Ok, non sto bene.
 Ma perché? La ferita non dovrebbe essere guarita?
 La vista mi si appanna ancora, poi sento il famigliare cigolio della porta che si apre.
 - Hodge? - una voce irrompe, ma mi sembra che sia distante centinaia di chilometri. - Che succede? – chiede dopo un momento.
 - Thomas, vieni qui. - dice il mio tutore.
 In un attimo il Cacciatore è accanto a me.
 - Prendila. -
 Lui mi afferra per le spalle, mi fa voltare e poi mi solleva tra le braccia.
 Gli circondo il collo con le mie e i nostri occhi si incrociano, riesco a vederli anche attraverso la foschia che li annebbia. Sono così luminosi…
 - Portala in camera sua. - dice Hodge - Ti raggiungo. -
 - D’accordo. - dice lui semplicemente.
 Quando usciamo dalla biblioteca, sorrido debolmente. - Che cavaliere. - sussurro - Sei immediatamente accorso in mio aiuto. – ma che sto dicendo? Per favore, qualcuno mi fermi, ho perso tutti i freni inibitori.
 - Sono un vero eroe. - ridacchia.
 Quando arriviamo alla mia camera apre la porta con una spinta e mi adagia delicatamente sul letto. Mi sorride, si siede accanto a me e mi scosta una ciocca di capelli dagli occhi.
Quando le sue dita mi sfiorano, ho una fitta al cuore. La fitta più piacevole che abbia mai provato.
 Dopo cinque minuti, dalla porta fa capolino Henry.
 - Lea. - dice, poi quando vede Tom, si blocca. - Cosa fai qui? - chiede rude.
 - L’ho portata qui. Me l’ha chiesto Hodge. - risponde lui, mantenendo la calma.
 - E pensi di rimanere? -
 - Henry! - intervengo io. - Non essere scortese. Voleva solo aiutarmi. – dico con voce flebile.
 Nei suoi occhi vedo un luccichio. - Ha già fatto abbastanza. -
 Tom si alza e mi sorride. - Me ne vado, non preoccuparti. A dopo. - ed esce.
 - Henry. – dico a mo’ di rimprovero.
 Lui si siede accanto a me. - Non mi piace quel Tom. - ringhia sulla difensiva sedendosi accanto a me. Mi sfiora la fronte e io sorrido.
 - Solo perché ti ha atterrato con qualche mossa? -
 - No, non solo per quello. È una sensazione. - spiega.
 Scuoto il capo. Lui e le sue sensazioni…
 - Che succede? - chiede.
 - Niente. La ferita mi fa un po’ male. Nulla di grave. -
 - Be’, Hodge mi sembrava molto preoccupato. - mi fa notare.
 - Lo è sempre. -
 - Be’, tiene molto a te. -
 - Lo so, ma sono quasi maggiorenne. - aggiungo. Non potrà sempre trattarmi come una bambina. Sa che i Cacciatori corrono rischi ogni giorno.
 - Sarai sempre la sua bambina. - ribatte con voce melensa.
 - Ah. Ah. - rido divertita, ma un’altra fitta interrompe la mia risata.
 Lui mi prende una mano e la stringe tra le sue disegnandomi piccoli cerchi sul dorso.
 Sorrido, ricomponendomi. - Henry, non preoccuparti, sto bene. - dico. Anche se so che è impossibile non preoccuparsi. Quando il Demone Superiore l’aveva ferito era preoccupata anche io.
 Un rumore di passi ci costringe a voltarsi.
 Questa volta a varcare la soglia della mia camera sono Hodge e Magnus.
 I suoi occhi di gatto traboccano di preoccupazione e mi osservano con apprensione. Mi sbagliavo, non nasconde così bene la preoccupazione.
 - Magnus. - dico - Perché sei qui? -
 - Il dottor Bane è venuto per una visita a domicilio. - scherza. - Potresti spostarti, Henry? - chiede a Henry.
 Lui riluttante lascia spazio allo stregone che allunga le braccia su di me e apre le mani con i palmi rivolti verso il mio corpo. Rimane immobile un attimo, chiudendo gli occhi, per poi riaprirli e parlare. - Il pugnale era avvelenato. – spiega. - Comunque basterà un po’ di riposo e qualche goccia di questo. - apre la mano e sul palmo compare una piccola boccetta.
 - Grazie, Magnus. - dice Hodge.
 - Nulla. - sorride e poi si rivolge a me - Fortunatamente stai bene. Immagina se stessi male. - scherza.
 - Infatti prima stavo bene. - dico accennando un sorriso.
 - Riposa. - mi consiglia e dopo avermi sfiorato la fronte con le labbra esce.
 Hodge mi fa bere lo strano intruglio di Magnus e mi aiuta a sdraiarmi sotto le coperte. Mi dice che potrò dormire quanto vorrò e chiudendo la porta se ne va insieme a Henry che prima di uscire mi sorride e mi fa l’occhiolino.
 
 Quando mi sveglio, mi volto verso la finestra e vedo che è giorno. Un raggio di sole penetra la finestra e colpisce la coperta che mi copre le gambe. La sveglia sul mio comodino segna le sette del mattino, ma nonostante sia così presto, il rumore del famigliare traffico di New York penetra la finestra e raggiunge le mie orecchie.
 Ho dormito per quasi un giorno, l’intruglio di Magnus ha avuto l’effetto di due sonniferi.
 Quando mi volto vedo che accanto al mio letto, seduto su una sedia, c’è Tom. Quando i nostri sguardi si incrociano, sorride e si mette a sedere composto. Cosa fa qui?
 - Ehi! Ben svegliata. - mi dice sorridendo.
 - Da quanto tempo sei qui? - chiedo con voce flebile.
 - Un’ora. Più o meno. -
 - Avresti potuto dormire ancora. - spiego sollevandomi sui gomiti. Non avevo bisogno che mi sorvegliassero. Sto bene. Stavo solo riposando.
 - Non avevo sonno. - mi dice – Come ti senti? –
 - Bene. - rispondo, mettendomi a sedere e poi sorrido.
 I suoi occhi scrutano ogni centimetro del mio corpo, come per assicurarsi che io stia bene. Poi quando vede che sto tentando di scendere dal letto, scatta in piedi e mi porge una mano. - Ti aiuto. - mi dice.
 Io scuoto il capo. - Ce la faccio. -
 Butta le mani in aria e ridacchia. - Una donna indipendente e autonoma. - sbotta - Mi piace. -
 Sorrido. È uno strano ragazzo, ma mi piace. È un misto tra Alec, Henry e Jace: responsabile, disposto a dare una mano e simpatico. Un vero Shadowhunter.
 
 Dopo aver dormito tanto ho bisogno di una buona colazione e dato che tutti stanno ancora dormendo Tom mi propone di andare a fare colazione fuori. Accetto felice di poter prendere un po’ d’aria. Scrivo per avvertire gli altri che siamo fuori e poi lascio l’Istituto insieme a Tom.
 
 Dopo aver consumato un’abbondante colazione, decidiamo di andare a fare una passeggiata a Central Park.
 Il sole illumina gli alberi e il prato verde e il lago scintilla, in superficie, come se fosse coperto da diamanti e pietre preziose. IL solito spettacolo magnifico e mozzafiato.
 Io e Tom osserviamo le persone passeggiare e quando troviamo un posto all’ombra ci sdraiamo sull’erba come faccio spesso con Henry. L’aria ci sferza i visi e ci libera dal caldo asfissiante dell’estate.
 - New York è davvero fantastica. - dice lui, rompendo il silenzio.
 - Già. - affermo. È vero, è davvero bellissima soprattutto durante l’inverno e l’estate.
 - Ma nulla in confronto a Idris. - mi fa notare subito dopo. Qualsiasi Shadowhunter, sia che sia nato a Idris, sia che ci sia stato una sola volta, la considera casa propria e soprattutto la vede come una terra meravigliosa.
 - Be’, Idris è inimitabile. - ribatto sorridendogli. I suoi occhi mi osservano curiosi e lo vedo sorridere. - Da quale Istituto vieni? - domando. Nessuno glielo ha ancora chiesto.
 - Stoccolma. - spiega - Clima freddo e uggioso, come Londra. -
 - Non sono mai stata a Londra e neanche Stoccolma. - non sono mai stata in nessun posto, a dire il vero, a parte Idris, ovviamente. Londra l’ho vista solo in fotografia o nelle illustrazioni, me la sono immaginata, certo, ma vederla davvero sarebbe diverso. Da sempre sogno di vivere in un posto come l’Inghilterra.
 - Allora dovremmo andarci. - propone - Potrai utilizzare un portale, una volta maggiorenne. - sorride.
 - E dovrei venire con te? - chiedo.
 - Ovvio. -
 - Non mi sembra così ovvio. - lo punzecchio divertita - Dammi un buon motivo, prima. -
 - Be’ - comincia portandosi un dito alle labbra per pensare - sono attraente, simpatico, forte e sorprendentemente intelligente. -
 - E non dimenticare modesto. - aggiungo.
 - Giusto! Quella me la dimentico sempre. -
 Ridiamo insieme, poi lui si interrompe e sfoggiando il suo luminoso sorriso, aggiunge: - No, sul serio. - continua – Mi piacerebbe davvero andarci con te. -
 Abbasso lo sguardo e sento il sangue affluire alle guance.
 Lui sembra notarlo e mi solleva i mento con due dita. - Sei bellissima quando arrossisci. - aggiunge.
Dopo un momento passato ad osservarci, mi schiarisco la voce, sorrido e poi mi alzo in piedi. - È ora di andare. - dico. Sono già le undici.
 E poi la situazione stava diventando abbastanza imbarazzante.
 Lui annuisce e si alza in piedi.
 Usciamo da Central Park e, in silenzio, ci avviamo verso l’Istituto.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Come va?
Ecco a voi il settimo capitolo! Spero vi piaccia!
A Lunedì! ;-*
Eli
 

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Capitolo 8
*** Al chiaro di luna ***


Love Turns to Ashes

VIII

Al chiaro di luna

 
 
 Quando rientriamo all’Istituto, percorriamo la navata centrale della chiesa; i nostri passi rimbombano producendo un rumore sordo. Svoltiamo a destra e dopo aver sorpassato la biblioteca, raggiungiamo l’armeria. Entriamo e vediamo che è vuota, nessuno si sta allenando, così decidiamo di prendere due spade e improvvisare un combattimento.
Non sono spade angeliche, perciò sono meno pericolose; certo, potremmo perdere un arto, ma meglio che essere colpiti da una lama angelica.
 Mentre scaglio un fendente contro Tom, lui parla rompendo il silenzio e sormontando il rumore delle spade che cozzano l’una contro l’altra producendo un clangore metallico.
 - Tu e Alec state insieme? - chiede.
 Io sorrido, ma continuo a combattere senza perdere la concentrazione. - Io e Alec? - davvero lo pensa? Certo, siamo molto intimi e non sapendo che è gay potrebbe aver frainteso i nostri abbracci, ma… io e Alec? - No. - concludo.
 - Sicura? - chiede ancora sorridendomi con malizia.
 Schivo un fendente e lo attacco dato che ha la guardia abbassata. Lui però mi afferra per un braccio, mi fa voltare e mi ritrovo con la schiena poggiata al suo petto. I nostri toraci si alzano e si abbassano contemporaneamente e velocemente.
 - Sì, perché? - chiedo. Mi dimeno per liberarmi dalla sua presa, ma è veramente forte. Mi afferra il polso destro e fa cadere la mia spada. Mi tira a sé e i nostri visi sono a pochi centimetri l’uno dall’altro. Sento il suo respiro caldo sul mio viso, i suoi occhi sono puntati nei miei.
 Ha vinto.
 Sorride compiaciuto. - Per sapere se posso chiederti di uscire. - continua.
 Rido. - Uscire? – ci conosciamo da poco.
 - Mhm. - annuisce, poi mi lascia andare e io recupero la mia spada dal pavimento. - Ma se esci già con Henry o Jace… - azzarda.
 Io scuoto il capo, ridendo. - Henry è il mio parabatai. E Jace… beh, non fa per me. - concludo. Sono miei amici, ma non potrebbe mai esserci nulla tra noi. Jace, come ho già detto, non fa per me: troppo sarcastico e poco serio. E i legami con il proprio parabatai sono proibiti, perciò…
 - Quindi sei single. Fantastico. - dice Tom interrompendo il corso dei miei pensieri.
 Annuisco e mi avvio verso il tavolo in legno, dove poggio la spada. Lui fa lo stesso.
Mi scosto una ciocca di capelli dagli occhi. Sono tutta sudata, ho bisogno di una bella doccia. Rimetto le spade al suo posto e poi mi volto verso il nuovo Shadowhunter.
 - Allora non vedo perché dovresti rifiutare il mio invito. – mi fa notare poggiandosi al tavolo e incrociando le braccia.
 Ha ragione. Mi farà bene uscire un po’. Uscire davvero, come una ragazza ‘normale’. - D’accordo. - rispondo.
 - Bene! - esclama - Usciamo questa sera, ti va? -
 Annuisco e sorrido. - Va bene. E dove mi porti, mio cavaliere? - scherzo.
 - Sorpresa. - mi risponde con aria misteriosa.
 Scuoto il capo e lo saluto con un cenno della mano, avviandomi, rassegnata, verso la mia camera per farmi una doccia.
 
 Quando esco dalla doccia mi avvolgo un asciugamano sotto le spalle e dopo essermi pettinata i capelli esco dal bagno ed entro in camera mia.
 Quasi mi viene un infarto quando vedo Henry in piedi accanto al mio letto.
 Mi sorride e mi guarda dall’alto in basso.
 Anche se indosso solo un asciugamano non mi sento in imbarazzo, ho condiviso tutto con lui, è come un fratello. Siamo cresciuti insieme, non mi faccio troppi problemi; ma sarebbe potuto essere chiunque. Avrei anche potuto fargli male.
 - Henry! - esclamo - Vuoi farmi morire di crepacuore? Credevo fossi un demone. -
 - No, sono molto più bello di un demone. - mi fa notare, indicandosi.
 - Certo. - dico avvicinandomi. - Come mai sei qui? -
 - Ti stavo cercando. - sorride
 - Perché? -
 - Volevo sapere come stavi. - spiega.
 - Bene, grazie. - sorrido - Magnus fa miracoli con i suoi intrugli. -
 - Vedo. - sorride e mi scompiglia i capelli.
 - Ehi! - esclamo facendogli il solletico - Li ho appena pettinati! -
 - Oh, davvero? - dice -A me sembrano ribelli come sempre.-
 - Ah, ah. Divertente. -
 Continuo a fargli il solletico e lui per fermarmi mi cinge i fianchi. - Il solletico no! - esclama ridendo. Mi tira a sé e insieme cadiamo sul letto. Sento le coperte fredde sfiorarmi le spalle. Il viso di Henry è a pochi centimetri dal mio e i nostri respiri seguono lo stesso ritmo. I nostri occhi sono incatenati; sento le sue mani scorrere sui miei fianchi, sopra l’asciugamano.
 Il battito del mio cuore aumenta.
 Arrossisco.
 Ho appena detto che non mi sono mai sentita in imbarazzo con Henry. Ma che mi prende?
 Mi sfiora la guancia con una mano e sorride.
 Io mi schiarisco la voce e mi alzo in piedi, lui rimane per un po’ dov’è e poi si mette seduto per guardarmi negli occhi.
 - Stasera andiamo da Magnus per levare un blocco mentale dalla mente di Clary. - dice rompendo il silenzio. - Vieni anche tu? - chiede.
 Scuoto il capo. - Mi piacerebbe, ma ho già un impegno. - sorvolo su quale sia per evitare che mi faccia domande e mi risistemo l’asciugamano che stava scivolando.
 - Quale? –
 Ecco, appunto, me lo aspettavo.
 - Esco. - rispondo vaga.
 - Con Tom? - chiede. Probabilmente anche lui ha rifiutato di andare da Magnus dicendo che aveva un impegno.
 - Sì. - dico.
 - Immaginavo. - si alza in piedi e si avvia verso la porta.
 - Tutto qui? - domando. È venuto qui per chiedermi questo e ora se ne va senza nemmeno salutare? Non ha mai avuto un caratteraccio simile.
 - Sì, è tutto. - conclude e poi esce sbattendo la porta, lasciandomi sola.
 
 Alle otto esco dalla mia camera dopo aver sistemato, o meglio tentato di sistemare, il disastro che la invadeva da giorni. Indosso dei jeans attillati, degli stivali e una canottiera nera con una scollatura a V sulla schiena. Mi sono vestita “da ragazza”. Izzy usa ricordarmi spesso che mi vesto troppo da maschiaccio e che dovrei rifarmi il guardaroba, ma a me non interessa molto.  
 Quando raggiungo la biblioteca, vedo che Tom è lì davanti che mi aspetta. Mi vede avvicinarmi e mi sorride. Anche lui è vestito bene, ha dei jeans neri e una camicia bianca che lascia intravedere i muscoli scolpiti.
 - Ciao. - dico fermandomi a qualche passo da lui.
 - Ehi. Sei bellissima. - mi dice.
 Sorrido e sento di nuovo le guance avvampare di rossore. - Grazie. Anche tu stai benissimo. –
 - Vogliamo andare? -
 Annuisco e insieme ci avviamo verso l’uscita.
 
 Mezz’ora dopo arriviamo davanti ad un piccolo locale e dopo esserci seduti e aver ordinato consumiamo un’abbondante e raffinata cena a base di hamburger e patatine.
 Tom mi descrive ogni angolo di Londra e Stoccolma. Mi parla dell’Istituto, del clima uggioso e dei demoni che ha ucciso con il suo parabatai. Se fossi una ragazza normale, sentir parlare di queste cose mi annoierebbe, invece, in quanto Shadowhunter, le trovo meravigliose.
 Una volta finito, Tom si offre di pagare, nonostante io mi opponga, e dopo usciamo per una passeggiata.
 - Dove andiamo? - chiedo.
 Lui sorride. - Long Island? -
 - D’accordo. - dico dopo averci pensato.
 
 Quando raggiungiamo la spiaggia, mi tolgo gli stivali e immergo i piedi nell’acqua. È fredda, ma è piacevole. Le onde del mare producono un rumore regolare e rilassante.
 Tom mi si avvicina e quando mi volto, vedo che mi sta sorridendo.
 - Per essere uno che arriva da Stoccolma, te ne intendi di New York. - dico.
 Fa spallucce. - Sono sempre stato bravo in geografia. -
 Rido.
 Cominciamo a camminare lungo il mare osservando la luna che si riflette sulla superficie creando dei disegni argentei. Proprio come il lago di Central Park, è uno spettacolo bellissimo. Il vento caldo ci scompiglia i capelli e quando uno ciocca mi cade davanti agli occhi, Tom me la scosta, portandola dietro l’orecchio.
 Sorrido e abbasso la sguardo.
 - Hai degli occhi bellissimi. - mi dice.
 - Grazie. - rispondo, ma non so come ribattere. Anche i suoi sono bellissimi, ma sarebbe troppo imbarazzante dirglielo. Così mi limito a sorridere. Lui ricambia il sorriso e poi riprende a camminare. - Ehi? - sbotto rompendo il silenzio alquanto imbarazzante. - Ce la facciamo una corsa? -
 Tom si volta e mi guarda di sottecchi. - Bella idea. -
 Mi infilo gli stivali e mi fermo accanto a lui. Gli sorrido e poi parlo. - Al tre? - chiedo.
 Lui annuisce.
 - Uno. - comincio. - Due… Tre! -
 Cominciamo a correre e dopo pochi secondi lo supero. I miei stivali affondano nella sabbia e mi rallentano la corsa, ma sono sempre stata abbastanza veloce, perciò in poco tempo ci siamo allontanati parecchio.
 - Sei lento! - grido, voltandomi.
 Lo vedo ridere a crepapelle. - Io sarei lento?! -
 - Sì! -
 - Questa me la paghi! - esclama.
 Io rido e accelero ancora di più il passo. Quando penso di averlo seminato, lui è di nuovo lì accanto a me. È velocissimo, non capisco come possa avermi raggiunta. Mi afferra per i fianchi, bloccandomi e facendomi perdere l’equilibrio. Insieme cadiamo a terra sulla sabbia. Lui atterra di schiena e io gli cado addosso poggiandogli le mani sul petto. Posso sentire il suo cuore battere attraverso la camicia sottile; il mio viso è così vicino al suo che posso vedere tutte le sfumature dei suoi occhi verdi.
 - Ti ho presa. - mi sussurra e poi ribalta le posizioni, facendomi sdraiare sulla schiena.
Sento il suo corpo premere contro il mio. Mi sfiora la guancia con una mano per pulirla dalla sabbia e io gli sorrido.
 - Sì, mi sbagliavo. Sei davvero veloce. - sussurro osservando ogni centimetro e ogni angolo del suo viso.
 Alla fine si alza in piedi e mi tende una mano; mi aiuta a mettermi in piedi e poi parla: - Dovremmo rientrare. -
 Ha ragione. È già mezzanotte.
 
 Torniamo all’Istituto tentando di non fare rumore per non svegliare tutti con il nostro fracasso. Stiamo ancora ridendo per la corsa e perché continuo a prendere in giro Tom. Lui sta al gioco, è divertente. Ho scoperto che andiamo molto d’accordo, è carino, simpatico e stranamente normale per essere un Cacciatore.
 Attraversiamo la chiesa illuminata dalle torce di stregaluce e oltrepassiamo la biblioteca per raggiungere il corridoio che porta alle nostre stanze. Non incontriamo nessuno nel tragitto, il che è un sollievo, almeno non rischiamo che ci vengano poste domande imbarazzanti.
 Quando arriviamo al bivio che separa il corridoio delle stanze maschili da quello delle stanze femminili e dobbiamo separarci, ci fermiamo.
 Tom poggia una spalla al muro e incrocia le braccia davanti al petto.
 Mi volto verso di lui e sorrido. - Grazie per la serata. - dico.
 Lui mi sorride a sua volta. - Grazie a te. Sono stato benissimo. -
 - Anche io. - ribatto. È vero, mi sono divertita. Anche con Henry, Jace e Alec mi diverto, ma è diverso. Facciamo cose da Shadowhunter e abbiamo anche un rapporto diverso. Con Tom mi sono sentita come una ragazza normale, una ragazza di quasi diciott’anni che si diverte con un amico correndo sulla spiaggia.
 - Spero lo rifaremo. - aggiunge staccandosi dal muro e avvicinandosi.
 - Certo. – dico. - Mi farebbe piacere. - lo vedo sorridere ancora. Ha un sorriso che gli illumina il volto e che farebbe sentire bene e a suo agio chiunque. - Beh, buona notte. - concludo.
 - Anche a te. - sussurra lui.
 Poi, proprio mentre sto per voltarmi per allontanarmi, mi afferra per un braccio. Esercita una leggera pressione per attirare la mia attenzione, poi aumenta la presa e quando mi volto, mi tira a sé. Poggia le sue labbra sulle mie e prima che possa accorgermene, ci stiamo baciando. Le nostre labbra si muovono a ritmo e si incastrano perfettamente le une sulle altre; gli circondo il collo con le braccia e mi alzo in punta di piedi per coprire i centimetri che ci separano. Mi circonda la vita con le braccia e poi mi accarezza i fianchi con le mani. Gli sfioro le guance con le mani e mi stringo a lui ancora di più.
 Quando ci separiamo, i nostri occhi si incatenano.
 L’ho baciato. Ho appena baciato un ragazzo.
 È stato… fantastico.
 - Ora sarà una buona notte. - sussurra Tom e poi si allontana.
 
 Quella notte non riesco a chiudere occhio.
 Il bacio mi ha sconvolta; in positivo ovviamente.
 Ho il cuore che galoppa nel petto, le farfalle nello stomaco e sento le guance bollenti.
 Era la prima volta che baciavo un ragazzo, la prima in assoluto, non avevo mai pensato davvero all’amore o all’avere un ragazzo. Non avevo nemmeno mai preso in considerazione che potesse piacermi Tom.
 Lo conosco da così poco tempo, appena qualche giorno…
 Ma adesso, non riesco a comprendere come potessi vivere prima senza averlo baciato, senza averlo stretto a me, senza averlo anche solo sfiorato…  
 Sento qualcosa, all’altezza dello stomaco. Una sensazione meravigliosa…
 Oh, per l’Angelo.
 Credo di essermi innamorata.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti!
Rieccomi qui, come promesso, con l’ottavo capitolo della mia long.
Che dire? Non c’è nulla da spiegare, credo: è tutto incentrato sui nostri due amici, Ellie e Tom e il loro primo appuntamento… *.* Aaaaw, quanto mi è piaciuto scrivere questo capitolo! ;)
Anyway, spero che vi piaccia, ci ho messo molto impegno, anche se so bene che potrebbe migliorare ancora.
A Lunedì con il prossimo, baci,
Eli

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Capitolo 9
*** Questione di punti di vista ***


Love Turns to Ashes
 
IX
Questione di punti di vista
 
 - Buondì! - dico entrando in cucina. Ero sveglia da un po’, ma non potevo certo scendere alle cinque del mattino: avrei svegliato tutti.
 Jace, Izzy, Alec e Henry sono seduti attorno al tavolo e stanno parlottando tra loro.
 - Com’è andata da Magnus? - chiedo con un po’ troppo entusiasmo. Devo calmarmi o capiranno che è successo qualcosa. Tento di allontanare il pensiero del bacio e mi concentro su Magnus e sul blocco mentale di Clary.
 - Bene. I vampiri hanno rapito il mondano e l’hanno trasformato in un topo. La missione di salvataggio all’hotel Du Mort è stata molto divertente e istruttiva. - ridacchia Jace.
 - Cosa?! E sta bene? - domando allarmata riferendomi a Simon; dev’essersi preso un tale spavento... I vampiri non hanno altro da fare che infastidire chiunque e piantare grane?
 - Sì, benissimo. L’ho lasciato che stava sgranocchiando formaggio in compagnia di Church. - continua.
 - Cosa?! - esclamo. L’ha davvero lasciato con Church?! Ne sarebbe capace, ne sono certa. Ma sarebbe davvero così idiota? Il panico mi assale.
 - Calmati, Ellie. Scherzo. È con Clary, in camera sua. - mi rassicura.
 Gli do un pungo alla spalla e mi siedo accanto a lui. Quando la finirà di comportarsi come un bambino?
 - Magnus ha detto di salutarti. - mi dice Alec, sorridendo. Mi porge una tazza di latte e i cereali e comincio a mangiare colazione osservando Izzy e Jace che si punzecchiano.
 - Grazie. - dico, rivolta ad Alec.
 Per fortuna nessuno ha ancora nominato la mia serata. Spero che non facciano domande, anche se dopo probabilmente racconterò tutto ad Alec.
 Dopo pochi minuti la porta della cucina si apre ed entra Tom. Quando lo vedo gli sorrido e poi abbasso lo sguardo; lui mi sorride e ci saluta con un - Ciao. -
 Gli altri ricambiano e dopo avergli offerto un caffè, decidono di andare ad allenarsi in armeria, Tom è diventato l’avversario migliore per gli allenamenti: è forte e ha una tecnica fantastica. Gli unici a rimanere sono Alec e Henry, che non ha ancora aperto bocca da quando sono entrata.
 Quando siamo soli, Alec si avvicina e si siede accanto a me. - Allora? - chiede.
 - Allora, cosa? - chiedo di rimando.
 - Com’è andata ieri sera? -
 - Oh. - dico - Bene. Mi sono divertita. -
 - Che avete fatto? -
 - Abbiamo mangiato qualcosa e poi abbiamo fatto una passeggiata a Long Island. - racconto, tralasciando il dettaglio del bacio. Spero solo che non sospetti…
 - E vi siete baciati? - sbotta, lasciandomi a bocca aperta.
 Non posso più negare a questo punto.
 Annuisco.
 - Lo sapevo! - esclama Alec sorridendo. Scommetto che lo sa da quando ho varcato la soglia della cucina. Mi conosce bene.
 Vedo Henry irrigidirsi. - Vi siete baciati? - ringhia.
 Mi volto completamente verso di lui e scuoto il capo. - Sì, perché? -
 - Nulla. -
 - Henry, qual è il problema? - chiedo. Ma che gli prende? Capisco che voglia proteggermi, ma così esagera.
 - Te l’ho detto. Quel Tom non mi piace. - pronuncia il suo nome con disprezzo.
 - Smettila, Henry. - lo interrompe Alec - Non fare il bambino. Tom è un bravo ragazzo. -
 - Che ne sai? - chiede il mio parabatai.
 Adesso basta. - Smettila, Henry! - esclamo - A me piace molto. E tu non hai il diritto di giudicarlo… -
 - Solo perché è stato dolce con te cadi ai suoi piedi? Se per questo, anche Alec è carino con te. Sarebbe meglio se ti mettessi con lui. - dice indicando il mio amico.
 Vedo Alec abbassare lo sguardo.
 - Adesso basta. – dico nuovamente, per tentare di deviare il discorso prima che la conversazione volga su Alec e il fatto che non esca con nessuna ragazza. - C’è stato solo un bacio, non intendiamo sposarci domani. Quindi calmati. -
 - Sono calmissimo! -
 - Vedo. - dico con una vena di sarcasmo nella voce.
 - Cerco solo di proteggerti. - spiega.
 - Non puoi proteggermi da ogni cosa. - ribatto - È la mia vita. Sono le mie scelte. -
 - Fai come ti pare, ma se ti spezzerà il cuore non venire a piangere da me. - si alza ed esce.
 Scuoto il capo arrabbiata e poggio la tazza nel lavandino con tanta violenza da sbeccarla. Mi reggo al piano della cucina con le mani e tento di calmarmi per evitare di seguirlo e dargli un pugno. Il suo comportamento mi fa infuriare.
 - Calmati, El. - mi dice Alec cingendomi la vita con le braccia.
 - Perché fa così? -
 - Ha paura che tu possa soffrire. -
 - Non può proteggermi da ogni cosa. -
 - Lo so, ma vuole provarci. Tiene molto a te. - dice - Gli passerà. -
 Mi volto e gli circondo le spalle con le braccia. - Grazie, Alec. - sussurro.
 - Ma adesso raccontami com’è andata la serata. - ovviamente la curiosità ha preso il sopravvento. – Voglio i dettagli. –
 
 Nel pomeriggio decido di andare in biblioteca per leggere un po’.
 Stranamente Hodge non c’è, la sala è completamente vuota e silenziosa, anche perché a nessuno dei miei amici piace leggere.
 Dopo aver trovato un libro abbastanza interessante da distrarmi e da far sbollire la rabbia nei confronti di Henry, mi sdraio su uno dei divanetti e comincio a leggere.
 Le parole mi danno un sollievo che nient’altro riesce a concedermi. Basta qualche pagina e mi sono calmata.
 Sento la porta aprirsi, ma non sollevo nemmeno lo sguardo, dev’essere Hodge.
 Poi quando la figura si avvicina e si siede accanto a me, mi costringo ad alzare gli occhi dal libro per controllare chi è. Incontro due occhi verde smeraldo e non posso fare a meno di sorridere e poggiare il libro sul divanetto, accanto alle mie gambe.
 - Ciao, Ellie. - mi saluta.
 - Ciao, Tom. - dico. Sono felice di vederlo, non abbiamo ancora parlato e devo ammettere che non vedevo l’ora di rivederlo.
 Sta sorridendo e mi sta osservando con il suo sguardo attento e scrutatore. - Come stai? - mi domanda.
 - Bene e tu? - chiedo di rimando.
 - Benissimo, direi. - risponde sorridendo. - Come mai sei qui tutta sola? -
 - Cercavo di far sbollire la rabbia. - spiego portandomi le ginocchia al petto.
 Lui solleva le gambe allungandole accanto alle mie. - Chi è stato a farti arrabbiare? -
 Mi aspettavo questa domanda. Non glielo nasconderò, d’altronde non c’è niente di male a parlare dei propri problemi con qualcuno. - Henry. - rispondo.
 - Perché? - non posso certo dirgli che non sta simpatico al mio parabatai, non sarebbe carino. - Una cosa da nulla. - dico alla fine.
 - C’è qualcosa che posso fare per tirarti su di morale? - mi domanda sorridendo di sbieco.  
 Siamo così vicini che riesco a vedere le sfumature dei suoi capelli e dei suoi occhi.
 Sorrido. - Non lo so. -
 - Mmm… - dice pensieroso. - Avrei un’idea… - si avvicina a me e poggia le sue labbra sulle mie. Mi circonda la vita con le braccia e mi tira a sé. Avvolgo il suo collo con le braccia e muovo le labbra a ritmo con le sue.
 Quando ci separiamo mi sfiora la guancia con una mano.
 - Va meglio? - chiede.  
 Rido. - Molto meglio. - mi avvicino ancora a lui e mi inginocchio sul divano. Lo bacio delicatamente e sento le sue mani scorrere sui miei fianchi per tirarmi a sé. I nostri corpi aderiscono perfettamente e posso sentire il suo petto alzarsi e abbassarsi prima regolarmente e poi sempre più velocemente.
 Qualcuno dietro di noi si schiarisce la voce, costringendoci a separarci.
 È Hodge.
 Mi sembrava strano che non fosse qui a leggere o a riordinare i libri.
 - Ciao, Hodge. - dico allontanandomi da Tom e mettendomi in piedi. Mi sistemo la maglietta e sorrido imbarazzata.
 - Eleanor. Thomas. - ribatte lui a mo’ di saluto. - Questa è una biblioteca, non… -
 - Lo so, scusa. - lo interrompo. - Non succederà più. - prometto.
 Lui rimane in silenzio, osservando sia me che Tom, che intanto si è alzato in piedi e si è fermato al mio fianco. - D’accordo. - concede infine.
 Sorridiamo e dopo averlo salutato, prendo Tom per mano e usciamo dalla biblioteca.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Cucù! Rieccomi qui per la gioia dei miei pochi ma buonissimi lettori!
Spero che questo capitolo vi piaccia, anche se è solo di passaggio. So che avrete già intuito cosa succederà, ma non anticipo comunque nulla: lo scoprirete leggendo!
A lunedì prossimo.
Kiss kiss, Eli

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Capitolo 10
*** La Coppa Mortale ***


Love Turns to Ashes

X
La Coppa Mortale
 
 - Simon! - esclamo vedendolo in piedi. Ha recuperato la sua forma umana, finalmente. - Vedo che stai bene. -
 Lui mi sorride. - Sì. – annuisce. - Fortunatamente. Essere un topo non mi piaceva per niente. -
 Rido. - Non credo piacerebbe a nessuno. - affermo.
 Quando mi avvicino, vedo che i suoi occhi, nonostante stia sorridendo, traboccano tristezza. Anche quando Clary stava male sembravano colmi di speranza, ma adesso sembra cambiato qualcosa.
 - Ehi. Tutto ok? - domando sfiorandogli il braccio con una mano per fermarlo.
 - Sì. - afferma lui, sbrigativo.
 - Sicuro? Mi sembri giù di morale. - asserisco.
 - È solo che… - si lascia sfuggire e poi abbassa lo sguardo.
 - È per Clary? - domando. Mi sembra che, nonostante la considerasse solo un’amica, tenesse davvero tanto a lei e non come un amico tiene ad un’amica. Più come un ragazzo tiene alla ragazza di cui è innamorato. Anche se Clary non sembrava al corrente di tutto ciò.
 Solleva lo sguardo di scatto. - Come fai a saperlo? - domanda.
 Sorrido. - Si vede che ti piace. -
 - A quanto pare sembrano averlo notato tutti, tranne la diretta interessata. -
 Scuoto il capo. - Scommetto che se glielo dicessi, lei… -
 - Ha baciato Jace. - mi interrompe.
 - Cosa? Aspetta. Quando? - dico passandomi una mano tra i capelli.
 - Ieri sera. - risponde.
 - Oh, cavolo. - mi sfugge. Mi dispiace per lui. E non oso immaginare quando Alec lo verrà a sapere. - Te lo ha detto lei? - chiedo ancora.
 Scuote il capo. - Li ho visti. -
 Abbasso lo sguardo. Ancora peggio. Deve avergli spezzato il cuore. - Mi dispiace, Simon. -
 - È la vita. - dice - Credo. -
 - Se avessi bisogno di qualcuno con cui parlare… Voglio dire, so che ci conosciamo da poco, ma… -
 - Grazie, Ellie. - sorride.
 Sorrido di rimando e lo osservo. Ha indossato la sua giacca e tiene in mano la borsa contenente i suoi vestiti che Clary gli aveva portato. - Te ne vai? - domando.
 - Sì, credo sia la cosa migliore. -
 - Non sei costretto. - affermo - Sei il benvenuto qui. Sei nostro amico. - quando pronuncio quella parola, vedo un’espressione stupita attraversargli il volto. Forse credeva che tutti lo odiassero.
 - Grazie, sei molto gentile. - ripete - Ma credo che tornerò a casa. Mia madre sarà preoccupata. -
 Annuisco. - Fatti sentire. -
 - Certo. - sorride e poi mi abbraccia. Lo stringo e sorrido. - Grazie di tutto. -
 - Ti pare. – rispondo e poi lo osservo allontanarsi.
 
 - Ellie! - mi sento chiamare. Stavo leggendo il Codice comodamente seduta su uno dei divani della biblioteca. Sollevo lo sguardo dalle pagine ingiallite e osservo Henry entrare di corsa e avvicinarsi. - Abbiamo scoperto dov’è la Coppa. - ansima.
 Scatto in piedi e lascio cadere il pesante tomo sul divano, sollevando una nuvola di polvere. -Dove? - chiedo. Valentine, che a quanto pare sta tornando all’attacco, sta cercando la Coppa per creare una razza pura di Shadowhunters, ma possiamo impedirglielo, se riusciamo a trovarla per primi.
 - È a casa di Clary. -
 - Scusa? - domando perplessa. Era a casa di Clary e lei non lo sapeva?
 - Nascosta in una delle carte da chiromante che sua madre aveva dipinto. - afferma e mi fa segno di seguirlo - Andiamo in armeria. Gli altri ci stanno aspettando lì. Vogliamo andare a prenderla. - spiega.
 Annuisco e lo seguo attraversando di corsa i corridoi dell’Istituto.
 
 Quando arriviamo con il furgone di Simon davanti a casa di Clary, scendiamo tutti dalla porta laterale. Tom mi porge una mano e io la afferro per tenermi in equilibrio. Controllo di avere tutte le mie armi: la Spada Angelica, l’arco, la faretra e la scure.
 - Mondano, rimani qui. - dice Jace, rivolgendo un’occhiataccia a Simon, ancora seduto al posto di guida.
 - Ho un nome, belloccio. - ribatte lui.
 Io scuoto il capo e quando Jace mi passa accanto, gli tiro una gomitata. - Vedi di essere più gentile, Jace. - lui sorride e mi supera. Scuoto il capo e Tom sorride rassegnato. Mi sporgo all’interno del furgone. - Grazie del passaggio, Simon. - affermo sorridendo - Rimani qui e chiuditi dentro. -
 - Entro quanto tornerete? - domanda spingendosi gli occhiali sul naso, scivolati sulla punta a causa del sudore.
 - Non molto. - rispondo.
 - Se tutto va bene. - aggiunge Tom.
 - Se le cose dovessero mettersi male che devo fare? Chiamare qualcuno? - azzarda.
 Tom scuote il capo. - Non credo che dei poliziotti con delle pistole potrebbero fronteggiare un eventuale Demone nascosto in quella casa. Siamo cinque Shadowhunters, credo che siamo in grado di farcela da soli. - conclude.
 Annuisco.
 Almeno lui è stato gentile con Simon.
 Chiudiamo il portellone e ci avviamo all’interno della casa.
 Intreccio le mie dita a quelle di lui. - Grazie. - sussurro.
 Lui mi sorride. - Per cosa? -
 - Per essere stato gentile con Simon. - spiego - Non merita di essere trattato come uno zerbino. -
 Lui annuisce e mi sfiora le labbra con le sue prima di varcare la soglia.
 
 - Le carte le ha Madame Dorothea. - afferma Clary bussando insistentemente alla porta bianca nell’ingresso.
 Noi attendiamo.
 Ad un tratto, questa si apre e vediamo il volto della donna spuntare dallo spiraglio.
 - Dorothea, dobbiamo parlarti. - dice Clary.
 La donna ci studia tutti quanti e poi indicando le nostre armi parla. - Qui non si può entrare con quelle. -
 Ci scambiamo sguardi preoccupati. Entrare in un posto sconosciuto senza armi sarebbe azzardato.
 - Jace, perché non entri tu? Noi ti aspettiamo qui. - propone Alec.
 Il biondo annuisce e dopo aver riposto le armi sul portaombrelli nell’ingresso entra seguendo Clary e si richiude la porta alle spalle.
 - Avremmo dovuto entrare con lui. - sbotta Izzy, sedendosi sulle scale.
 - Sa cavarsela anche da solo. - afferma Henry.
 Lei gli rivolge uno sguardo carico d’odio e torna ad osservare il lampadario sul soffitto.
 
 Sentiamo un grido provenire dell’interno dell’appartamento di Dorothea e scattiamo in piedi.
 - Cosa diavolo è stato? - chiede Tom.
 - Qualcuno che gridava? - azzarda Henry, sarcastico.
 Tom scuote il capo, rassegnato alle battutacce del mio parabatai.
 - Sembrava Clary. - dico preoccupata. È una Shadowhunter, ma non è allenata e se fosse successo qualcosa a Jace non saprebbe come difendersi.
 Sentiamo qualcosa andare in frantumi e senza attendere oltre, lasciamo che Alec apra la porta con un calcio. Jace è steso a terra e un enorme demone sta tenendo Clary tra i tentacoli sollevata a un metro da terra.
 - Oh, per l’Angelo! - si lascia sfuggire Isabelle.
 Henry avanza e colpisce il Demone con la Spada Angelica, ma questo lo scaglia contro il pianoforte semplicemente muovendo un tentacolo.
 - Henry! - esclamo e tento di raggiungerlo, ma Tom mi trattiene per le braccia.
 Il demone scaglia Clary dall’altra parte della stanza e lei cade a terra gemendo dal dolore. Io prendo il mio arco e incocco una freccia, colpisco il demone dritto all’occhio e questo grida in preda al dolore.
 - Bel colpo! - si complimenta Tom e scaglia un fendente.
 Dandomi la spinta contro la parete, amputo il tentacolo che spunta dal collo del demone con la mia scure. Questo cade a terra contorcendosi e il demone grida.
 Izzy e Alec intanto, alle spalle del demone, tentano di scagliare fendenti con le Spade Angeliche, ma il demone sembra immune, non gli fanno neanche il solletico.
 Prima che possiamo intervenire, si muove verso Clary, che, solo ora l’ho notato, ha in mano la Coppa.
 Ecco cosa vuole quel mostro.
 Do una gomitata a Tom. - La coppa! - esclamo.
 Lui annuisce e si prepara ad attaccare, ma prima che muoversi, lo fa Alec. Con il suo pugnale trafigge il demone tra le scapole e poi si rivolge a Clary. - Vattene! - grida.
 Scaglio un’altra freccia all’altezza del cuore, ma il demone allunga un tentacolo verso di noi e scaglia me e Tom contro la parete. La urtiamo violentemente e poi cadiamo a terra gemendo dal dolore.
 - Stai bene? - mi domanda lui appena si rialza.
 Io annuisco e tento di rialzarmi. Sollevo lo sguardo appena in tempo per vedere un tentacolo del demone colpire Alec all’altezza del collo. Il suo corpo si irrigidisce e vedo i suoi occhi farsi vuoti e vitrei. Cade a terra sulla schiena.
 - Alec! - grido e scatto in piedi.  
 Isabelle grida, rabbiosa, e trafigge il demone all’altezza del cuore con la Spada Angelica. Lo stesso fa Tom, incrociando la sua lama con quella di Izzy.
 Il mostro rimane immobile e poi si dissolve in una nuvola di fumo nero.
 Vedo Izzy immobile, sconvolta, osservando Alec, ancora a terra privo di sensi.
 - Oh, mio Dio. - sussurro. Corro verso il mio amico e lo scuoto leggermente. - Alec… - lo chiamo con un filo di voce. - Alec, ti prego… - una lacrima mi solca la guancia.
 Non può morire, non posso perderlo.
 Tom mi si avvicina e mi poggia una mano sulla spalla.
 - Ho bisogno di uno stilo. - dico e mi volto verso il mio parabatai - Henry, lo stilo. - vedendo che ha gli occhi fissi sul corpo di Alec, ripeto quello che ho detto - Henry! Lo stilo! -
 Lui, come se fosse un automa, allunga una mano, la infila in tasca e poi mi passa lo strumento che gli ho chiesto.
 Lo afferro e comincio a tracciare un iratze sul collo di Alec, accanto alla ferita.
 Izzy si inginocchia di fronte a me. È pallida. - Le rune non ce la fanno. - afferma con voce rotta.
 Dietro di me ci sono Tom, Clary e Henry e anche Jace è in piedi che osserva la scena. Sono tutti pallidi e spaventati. Perché tutti si fanno prendere dal panico in situazione come queste?
 - Andiamo all’Istituto. – sbotto. - Jace, Henry prendetelo. - ordino dato che non sembrano in grado di fare nulla da soli.
 Si muovono entrambi e dopo averlo sollevato da terra escono dalla palazzina di corsa. Lo caricano sul furgone e poi salgono. Lo seguono Isabelle e Tom e poi io e Clary che saliamo davanti.
 - Simon, vai! Alec sta male. - dico e lui annuisce sgommando. Ormai è una corsa contro il tempo.
 
 Henry e Jace adagiano Alec su uno dei letti dell’infermeria e io e Tom gli togliamo la giacca della divisa da Cacciatore. È sempre più pallido ed è bollente.
 Clary è immobile ai piedi del letto e sta osservando i nostri movimenti con attenzione.
 - Io… - comincia - Mi dispiace, non avrei mai voluto che succedesse qualcosa ad Alec. Se posso fare qualcosa… -
 - Hai già fatto abbastanza. - esclama Izzy, scontrosa, dandole una spinta per scostarla.
 - Isabelle! - esclamiamo io e Jace in coro, per interromperla prima che urti nuovamente la sensibilità di Clary. Non è colpa sua se quel demone era là ad aspettarci.
 Clary muove una mano per fermarci ed esce.
 Cominciamo a disinfettare la ferita e ad apporre altre rune, ma nessuna è abbastanza potente.
 Quando sollevo lo sguardo vedo che Jace sta osservando la porta dell’infermeria. Mi chino su Alec, in modo da essere più vicina, così che possa sentirmi solo lui. - Vai da lei. - sussurro, riferendomi a Clary - Trovala, era sconvolta. -
 Lui sembra esitare. - Alec ha bisogno… -
 - Ci siamo noi, qui. - lo rassicuro.
 Lui alla fine annuisce e la segue.
 
 Dato che le rune non funzionano, ho chiesto a Hodge di chiamare Magnus. Lui sa sicuramente come aiutarlo. Non voglio che Alec muoia, il solo pensiero mi distrugge.
 Quando lo stregone arriva, ci fa uscire tutti in modo da potersi concentrare.
 Io, Izzy, Henry e Tom siamo immobili nel corridoio, in attesa che esca e ci dica che Alec sta bene, che si riprenderà.
 Mi volto verso il mio parabatai, è ancora sotto sotto shock, si capisce dal pallore cadaverico del suo volto. Alec è anche suo amico e vederlo in quello stato a causa di un demone…
 Mi avvicino e mi siedo accanto a lui, poggiando la schiena alla parete. - Ehi. - lo chiamo, sussurrando dolcemente - Stai bene? -
 Lui si ridesta, sobbalzando. – Sì. – dice.
 Gli prendo il volto con una mano e lo volto delicatamente verso il mio. Vedo che un rivolo i sangue gli sta colando lungo il collo. - Sei ferito. - constato.
 Lui scuote il capo. - È solo un graffio. - afferma.
 Lo ripete ogni volta. Anche se fosse in punto di morte e l’avessero trafitto al cuore con una Spada Angelica direbbe lo stesso.
 - Fammi dare un’occhiata. - insisto.  
 Lui annuisce rassegnato e si volta.
 Osservo il suo collo e la sua testa. I capelli sono macchiati dal sangue ormai rappreso. Prendo lo stilo che mi ha prestato a casa di Clary e traccio un iratze sulla pelle del suo collo.
 Quando ho finito rimetto a posto la sua divisa e sorrido quando si volta verso di me e i nostri sguardi si incrociano. - Ecco fatto. -
 Lui mi sorride debolmente.
 Quando sfioro il suo braccio, sento che è gelido, così mi alzo in piedi e gli porgo una mano. - Vieni. - dico dolcemente.
 Lui afferra la mia mano e si mette in piedi.
 Mi volto verso Tom e gli sussurro che porto Henry in camera sua per metterlo a letto.
 Lui annuisce e mi sfiora le labbra con le sue. - Ci vediamo dopo. - mi dice.
 Isabelle sorride debolmente e mi saluta tentando a fatica di trattenere le lacrime.
 
ANGOLO DEL MOSTRICCIATTOLO CHE  SCRIVE
Ciao!
Ok, lo so, questo capitolo procede molto velocemente e molti elementi sono condensati tutti insieme, ma doveva essere solo di passaggio, perciò…
Fatemi sapere. :)
A Lunedì prossimo, Eli
      
 

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Capitolo 11
*** Sotto attacco ***


Love Turns to Ashes

XI
Sotto attacco
 
 Trascino Henry nella sua stanza e mi chiudo la porta alle spalle. Lo accompagno nel bagno e lo faccio sedere sul bordo della vasca; gli sfilo la maglia della divisa da Cacciatore e osservo la schiena in cerca di altre ferite, dato che è coperta di sangue. Quando ho constatato che non ha nessun altro taglio profondo, prendo una spugna e dopo averla immersa nell’acqua e strizzata, la passo sulla sua schiena per eliminare i residui di sangue. La sua pelle pallida emerge quando lavo via il sangue e sopra spiccano cicatrici argentee, i residui delle rune da combattimento. Poi passo ai capelli. Li lavo e dato che sono corti, non ci metto molto a ripulirli. Quando ho finito, asciugo la schiena con un asciugamano e lo stesso faccio con la testa.
  -   Ho finito.  -   annuncio e lui annuisce debolmente.  -   Vieni.  -   gli prendo la mano e lo guido fuori dal bagno per farlo sdraiare. Ha bisogno di riposo.
 Quando siamo nuovamente nella sua stanza, mi fermo e lui fa lo stesso.
  -   Come ti senti?  -   chiedo.
 Lui fa spallucce.  -   Insomma.  - 
  -   Sei sotto shock. È normale che ti senta un po’ strano.  -   spiego.
 Lui annuisce  -   Sarà.  -   conclude diffidente.
 Scuoto il capo. È sempre il solito.  -   Mettiti a letto. Io vado a vedere se Magnus…  - 
 Mi interrompe  -   Non andare.  -   dice e mi stringe il polso con una mano.
  -   Henry, devo…  -   tento di ribattere.
  -   Non lasciarmi solo.  -   mi implora.
  -   Henry.  -   lo blocco.
 Mi sfiora una guancia con la mano e incatena i suoi occhi ai miei.  -   Non lasciarmi, Lea.  -   sussurra e dopo avermi cinto i fianchi con le mani mi tira a sé.
 Sento i nostri corpi a contatto.
  -   Henry, sarò solo in infermeria.  -   gli faccio notare e intanto mi scosto poggiando le mani sul suo petto.
 Lui nota il mio gesto e si rabbuia.  -   Non posso nemmeno più toccarti?  -   tento di parlare, ma lui continua  -   Esiste solamente Tom, adesso?  -   sbotta rabbioso.
  -   Henry, no.  -   lo interrompo  -   Ma come ti viene in mente?  - 
  -   Appena mi avvicino ti scansi. Devo pensare che mi odi o che hai paura di me?  - 
 Scuoto il capo, incredula di fronte a quella domanda.  -   Ma cosa stai dicendo? Non ti odio. Non potrei mai odiarti.  - 
  -   Ma preferisci lui a me.  -   ribatte e si avvicina, i nostri corpi sono nuovamente a contatto.
  -   Il nostro rapporto è diverso. Siamo come fratelli.  -   dico abbassando lo sguardo. Ma cosa gli prende?
 Lui scuote il capo.  -   Come fratelli…  -   ripete, come se avesse bisogno di convincersi.
  -   Sì, Henry. Adesso mettiti a letto. Sei sotto shock. Non sai quello che dici.  -   lo faccio sdraiare e lo copro con un lenzuolo.  -   Riposati.  -   sussurro accarezzandogli i capelli e prima che possa aggiungere altro gli scocco un bacio sulla fronte e poi esco dalla sua stanza chiudendo la porta.
 
  -   Ehi. Come sta Henry?  -   mi domanda Tom quando entro nella sua stanza.
  -   Meglio. Ha solo bisogno di riposo.  -   rispondo. Non si può dire lo stesso di Alec. Magnus sta facendo il possibile ma il Demone Superiore che l’ha ferito era molto potente, perciò le lesioni sono più difficili da curare rispetto a quelle procurate da demoni “normali”.
  -   Anche Alec si rimetterà.  -   dice Tom, captando i miei pensieri.
 Annuisco e mi avvicino a lui che è in piedi accanto al baldacchino.  -   Grazie.  -   sussurro e lo abbraccio. Indossiamo ancora la tenuta da Cacciatori però quando lo abbraccio non sento le armi cozzare contro di me dato che le abbiamo riportate in armeria. I nostri corpi aderiscono perfettamente dato che non ci sono ostacoli che lo impediscono.
 Quando ci separiamo, lui sfiora le mie labbra con le sue e mi cinge i fianchi. Mi tira a sé e, non so come, ci ritroviamo sdraiati sul materasso. Io sono sopra di lui, con le mani poggiate sul suo petto, a cercare le sue labbra con le mie.
 Tom ribalta le posizioni e mi ritrovo sdraiata sulla schiena. Lui continua a baciarmi, sulle labbra, sulle guance, sul collo. Sento le sue mani che sfiorano la pelle sotto la mia maglietta e quando sento che sta per sfilarmela, lo blocco poggiandogli le mani sul petto.
  -   Aspetta, Tom.  -   dico a fior di labbra  -   Non voglio correre troppo.  -  
 Sento le sue labbra incresparsi in un sorriso.  -   D’accordo. Non c’è problema. Abbiamo tutto il tempo.  -   afferma.
 Ho paura che sia deluso.  -   Sicuro?  -   domando.
  -   Certo.  -   afferma e si mette a sedere  -   Non voglio forzarti.  - 
 Sorrido e lo abbraccio.  -   Grazie.  -   adoro questo ragazzo.
 
 Io e Tom scendiamo in cucina, dato che Magnus non ci permette di vedere Alec.
  -  Ti va una tazza di tè?  -   mi chiede avvicinandosi al lavello e prendendo il bollitore.
 Annuisco  -  Sì, grazie. -   mi siedo al tavolo e attendo osservando i suoi movimenti aggraziati, rapidi e precisi.
 Isabelle entra qualche minuto dopo e si siede accanto a me. Ha i capelli raccolti in una coda e il volto è ancora pallido.
  -  Magnus ha finito? -   domando.
 Lei scuote il capo.  -  Non vuole lasciarmi entrare. - 
  -  È fatto così. -   replico e le poggio una mano sulla spalla per rassicurarla. Lei accenna un sorriso e io ricambio. So che è preoccupata, ma Magnus sa quello che fa: mi fido di lui.
  -  Ecco a voi, signorine. -   dice Tom mettendoci davanti due tazze di tè e riportandoci alla realtà.
  -  Grazie. -   diciamo noi in coro e cominciamo a mescolare la bevanda calda.
 Mentre stiamo per bere, sentiamo il pavimento tremare sotto i nostri piedi.
  -  Qualcuno ha attraversato il Portale. -   afferma Izzy riferendosi al Portale nella biblioteca.
 Sollevo lo sguardo verso Tom e poi scatto in piedi.  -  Vado a controllare. - 
 
 Mi dirigo verso la biblioteca camminando velocemente. Svolto a sinistra e mi ritrovo nel corridoio poco illuminato che conduce ad essa. Vedo due figure camminare verso di me e solo quando sono a pochi passi da loro mi rendo conto di non averli mai visti.
Sono due energumeni coperti da rune. Shadowhunters.
  -  Ciao, tesoruccio. -   dice uno vedendomi e ghignando.
 Chi li ha fatti entrare?
  -  E voi chi cavolo siete? -   chiedo.
  -  Amici. - 
  -  E di chi, se posso chiederlo? -   domando indietreggiando. Devo raggiungere l’armeria, lì posso prendere le mie armi e metterli al tappeto.
  -  Di Valentine. -   risponde l’altro  -  Siamo qui per la Coppa. Ma l’unica che può tirarla fuori da quella carta è fuggita. - 
  -  Se ha visto voi due, non la biasimo. -   dico sollevando le sopracciglia.
  -  Oh, la ragazza è scontrosa! -   esclama quello dai capelli ricci  -  Mi piace. Peccato che morirai. -   tira fuori la spada e la punta verso di me.
 Poco dopo, l’altro lo imita.
 Accidenti!
 Sono disarmata, sola e non posso tenerli a bada entrambi contemporaneamente.
 Ma devo provarci.
 Sono una Shadowhunter.
 Sferro un calcio alla spada dell’uomo riccioluto, in modo da distrarlo. L’altro avanza e gli sferro un pugno dritto al volto. Sento delle braccia afferrarmi da dietro e vedo l’altro Cacciatore dietro di me.
  -  Lasciami andare, idiota! -   grido dimenandomi.
 L’altro si solleva da terra e sorride. Ha i denti macchiati di sangue. Il pugno è andato a segno. Si avvicina e mi afferra il volto con una mano.
  -  Non avresti dovuto farlo, tesoro. -   mi dice con un ghigno tremendo sul volto.  -  La paghe… -   non gli lascio nemmeno finire la frase, che gli sferro un calcio dritto al bassoventre. Lui si piega in due e grida dal dolore.
 Quello dietro di me, aumenta la pressione attorno al mio corpo, facendomi gemere dal dolore. Poi mi getta a terra. Le ginocchia e i gomiti cozzano contro il pavimento in legno producendo un rumore secco. Gemo ancora.
 Lo Shadowhunter a cui ho sferrato un pugno mi solleva per i capelli e mi punta un coltello alla gola.  -  Adesso vieni con noi, amore. -   
  -  Neanche per idea. -   replico e gli sferro un calcio alle caviglie. Lui grida e poi mi solleva per un braccio. Mi sbatte contro la parete mozzandomi il respiro. Preme una mano sul mio collo e con l’altra mi dà uno schiaffo. È così forte da disorientarmi e il contraccolpo mi fa sbattere la testa contro la parete un’altra volta. Sento il sangue uscire dal naso e un forte dolore alla nuca.
  -  Andiamo. -   gli sento dire e poi mi trascinano in biblioteca.
 
  -  Finalmente! -   esclama Valentine.
 Jace è accanto a lui, il volto pallido e gli occhi vuoti. Quando vede che i due mi stanno trasportando tenendomi per le braccia, fa per avvicinarsi.
 Valentine lo blocca stendendo un braccio davanti a lui.  -  Fermo, figliolo. - 
 Aggrotto le sopracciglia. Figliolo? Che significa?
 Rivolgo uno sguardo interrogativo a Jace, che punta gli occhi verso il pavimento.
  -  Chi è lei? -   domanda ancora Valentine indicandomi con un cenno del capo.
  -  L’abbiamo trovata in corridoio. -   risponde uno dei due.
  -  Fate in modo che non mi dia fastidio. -   dice e poi si volta verso Jace.
 I due mi trascinano fino alla statua dell’Angelo Raziel e proprio quando sto per dimenarmi nuovamente, mi blocco.
 All’ingresso della biblioteca, vedo Hodge. Chiude la porta e scende le scale.
  -  Hodge. -   sussurro. È venuto per aiutarci.
 Forse fermerà Valentine, ma la cosa che mi preoccupa è che è disarmato.
 Lui avanza verso Valentine.  -  Ho fatto quello che mi avevi chiesto. -   sbotta  -  La Maledizione. Cancellala. - 
 Cosa? Ha fatto quello che voleva Valentine? Lo sta… aiutando?
 L’altro ghigna, come se la sapesse lunga.  -  Non c’è nessuna Maledizione. -   afferma  -  Ti sei maledetto da solo, Hodge Starkweather. -   sussurra e poi muove una mano.
 Vedo il mio tutore sospirare di sollievo e vedo un liquido nero colare dalle sue braccia come se fosse sangue, ma più denso e scuro. Scende lungo le braccia e cade sul pavimento formando due grandi chiazze sul legno scuro.
  -  No, Hodge… -   sussurro ancora. Sta dalla parte di Valentine, lo ha aiutato per far cancellare la maledizione... Perché? Quando cammina verso di noi, per raggiungere l’uscita sul retro, gli grido contro, furiosa  -  Mi fidavo di te! Credevo che tenessi a noi! Come hai potuto tradirci? -   sento le lacrime spingere contro i miei occhi, ma le respingo.
  -  Eleanor… -   tenta di dire avvicinandosi.
  -  Stammi lontano! Sei disgustoso! -   grido ancora e poi cado in ginocchio, stremata. Mi porto una mano all’altezza del cuore.
 Credevo che ci volesse bene. Lo consideravo come un padre.
 Credevo che ci avrebbe protetti da Valentine.
 Perché l’ha fatto?
 Singhiozzo.
 Non mi importa cosa pensano Valentine e i suoi amici. Non mi interessa.
 Ho voglia di rompere tutto, ma le forze mi hanno abbandonata.
 Che mi succede? Proprio adesso che dovrei combattere e ribellarmi, mi lascio sconfiggere da queste cose?
 Devo reagire. Devo combattere.
 I due Cacciatori sono ancora dietro di me, ma mi hanno lasciata andare. Devo approfittarne.
 Sollevo lo sguardo. Davanti a me, spade e lance sono state disposte in modo da formare un pentacolo. Lo osservo. Forse se ne spostassi anche solo una, riuscirei a interrompere qualsiasi cosa Valentine stia tentando di fare.
 Sento le forze tornare.
 Volgo lo sguardo verso Jace e dopo una sua occhiata, capisco che ha avuto la stessa idea.
Sferro un calcio alle gambe di uno dei Cacciatori dietro di me e scatto in piedi, prima che l’altro possa acciuffarmi di nuovo gli sferro una gomitata dritta al volto. Corro verso il pentacolo e sfilo una delle spade dal pavimento, poi la lancio dall’altra parte delle stanza.
  -  NO!  -   grida Valentine e quando Jace tenta di bloccarlo, lo stende con un pugno. Indietreggio in cerca di un’arma e, dato che non c’è nessuna Spada Angelica o qualsiasi altra arma a portata di mano, ne prendo un’altra dal pentacolo. Quando Valentine si avvicina, vedo che ne sfila una dalla cintura.
  -  Sei solo una ragazzina. Cosa pensi di poter fare? -   mi dice ghignando.
 Non lo degno di una risposta, mi limito a scagliare un fendente.
 Lui lo blocca senza problemi e dopo aver tentato di attaccarlo nuovamente con un fendente, mi disarma con facilità facendo volare la mia spada dietro di me.
 È davvero bravo come dicono.
 Indietreggio.
 La mia schiena cozza contro la parete in pietra. Valentine avanza verso di me con l’arma sollevata.
 Sono in trappola.
  - Stupida ragazzina. -   ringhia  -  Non avresti dovuto immischiarti. - 
 Prima che sia troppo vicino, gli sferro un calcio al basso ventre per farlo indietreggiare, poi corro verso Jace, ancora privo di sensi.
 Mi inginocchio accanto a lui.  - Jace! -   lo chiamo scuotendolo.
 Mi volto.
 Valentine è ancora steso a terra. Non abbiamo molto tempo.
 Forza Jace! Se non si sveglierà, Valentine ucciderà entrambi.
 Sento due mani afferrarmi per le spalle e sollevarmi da terra. È lui.
 Mi sbatte contro una colonna in pietra per immobilizzarmi.
 - Lasciami! -   grido dimenandomi, ma prima che possa sferrargli un altro calcio mi trafigge  
con la spada. Sento un dolore lancinante attraversarmi il fianco e cado in ginocchio gemendo dal dolore.
 
 Sono inginocchiata a terra, con una mano mi tampono il fianco ferito. Il sangue esce copioso macchiando la divisa e il pavimento.
Osservo Valentine, che torreggia su di me con la spada insanguinata ancora in pugno.
 -  Stupida ragazzina. -   ringhia, poi mi sferra un calcio e io cado a terra sulla schiena. Non sono più un pericolo per lui, mi lascerà qui a morire dissanguata.  -  Trovate gli altri. -   ordina ai due Shadowhunters che mi hanno portata qui.
 Vedo Jace sollevarsi sulle braccia.  -  Cos’hai fatto? -   grida avvicinandosi a me e reggendomi la testa. Io gli prendo la mano e la stringo con la mia.  -  Mi dispiace, Ellie. Mi dispiace. -   dice in un sussurro.
 La porta della biblioteca si apre ancora. - Valentine! -   è la voce di Clary. Sollevo leggermente la testa e la vedo scendere le scale di corsa.
 -  Clarissa. -   risponde lui  -  Finalmente sei tornata. - 
 Lei brandisce una spada e la punta alla gola di lui.
 Sento Jace irrigidirsi e dopo avermi fatto poggiare il capo a terra, si alza di scatto e la disarma.  - Ferma! -   dice  -  Ascolta quello che ha da dire. - 
 -  Jace, ma cosa stai…? -   protesta lei, ma lui indica Valentine e le fa cenno di ascoltarlo.
 -  Si riferisce a quello che gli ho appena rivelato. -   afferma l’uomo.
 -  Come? Di cosa stai parlando? -   domanda Clary, confusa.
 -  Mi dispiace, Clary. -   afferma Jace abbassando lo sguardo.
 La ragazza aggrotta le sopracciglia.  -  Cosa…? - 
 - Voglio che veniate con me. Che la nostra famiglia sia nuovamente riunita. -  spiega Valentine avvicinandosi. Vedo uno degli uomini che sono entrati con lei avanzare verso di loro.
 -  No. -   sbotta Clary, voltandosi verso Jace.
 -  I miei due figli. -   continua Valentine.
 -  Figli… -   le sfugge in un sussurro  -  No. Luke mi ha detto che mio fratello è morto in un incendio. Tu sei figlio di Michael Wayland. - 
 Clary e Jace sono figli di Valentine? Sono fratelli?
 Impossibile. Nemmeno si somigliano. Come potrebbero essere…?
 Valentine si avvicina e poggia una mano sulla spalla a entrambi.  -  Quando inscenai la mia morte, portai Jace con me. Quelle ossa erano di un bambino ucciso dai lupi. -   spiega.
Vedo Jace chinarsi verso Clary e sussurrarle qualcosa all’orecchio. Le lacrime le rigano le guance e annuisce mestamente.
  -  Non lo accetta perché è innamorata di te, Jonathan. -   continua Valentine.
 Clary sussulta.  -  Credevo che ti chiamassi Jace. - 
  -  È un diminutivo. -   risponde il mio amico.
 Clary si allontana da lui.  -  Jonathan Christopher. - sussurra  - J. C. Jace. -   conclude con voce rotta. 
 Valentine le si avvicina e la trascina fino alla scrivania.  -  Tira fuori quella coppa, Clarissa. -   lei scuote il capo. Vedo Valentine tremare e poi grida  -  Tira fuori quella coppa! Io voglio quella coppa! -   le afferra la testa e la avvicina pericolosamente al tavolo in legno.
 - No! -   sbotta Jace  -  Avevi detto che non le avresti fatto del male! - il padre digrigna i denti e gli sferra un pugno in pieno volto. Lui ne approfitta, si allontana e distrugge il pentacolo che quel pazzo aveva ricostruito. - Ora basta! Basta! - grida a sua volta.
 Valentine spinge Clary e la sua testa cozza contro il tavolo in legno, poi sferra due pugni nello stomaco a Jace, facendolo cadere a terra.
 Il mio amico si alza e comincia a combattere con il padre scagliando fendenti e parandone altrettanti.
 È furioso, Valentine ha sbagliato a fare del male a Clary.
 
 Clary sta tenendo la Coppa tra le mani, è davanti al portale, immobile.  -  Fermo! -   grida vedendo che Valentine sta per trafiggere Jace  -  O la butto nel portale! -   minaccia.
 -  Non è vero, non lo farai. -   replica Valentine.
 -  Non dargliela, Clary. -   dice Jace, poi il padre lo atterra con un pugno.
 L’uomo si avvicina a Clary che intanto ha immerso la mano nel liquido di cui è fatto il portale.
 Comincio a vedere tutto sfocato, la ferita si sta infettando.
 -  Clary, devi ascoltarmi. Sono tuo padre. -   dice tentando di fermarla, avanzando lentamente e con cautela. Quando arriva davanti a lei, immerge la mano accanto alla sua, ma non riesce a toccare la Coppa.
 -  Se fossi stato un vero padre, adesso immagineresti dove potrebbe trovarsi la Coppa. Dove la nascondono i miei pensieri più profondi. -   afferma  -  Ma fortunatamente non sai nulla di me. Non sei mio padre e mai lo sarai. -   conclude.
 Il padre sembra essere spiazzato di fronte a quella dichiarazione, probabilmente perché è vera. - Scomparirò dalla tua vita, te lo prometto. Ma dammi la Coppa. -   replica scandendo ogni parola. Lei la tira fuori e gliela porge.
 Ma cosa diavolo fai, Clary?
 -  Grazie, Clary. -   dice Valentine  - Senza questa Coppa eravamo perduti. - 
 Lei scuote il capo.  -  Non noi. Tu! -   poi gli sferra un calcio dello stomaco e lo fa cadere nel portale. Lui grida, ma è troppo tardi.
 Devo distruggere il pentacolo. Raccolgo tutte le mie forze e mi trascino fino alle spade e alle lance incrociate, ne afferro una con due mani e la estraggo dal pavimento. Il flusso magico si interrompe con una sorta di tonfo. Getto la spada lontano da me e sento che le forze stanno svanendo di nuovo. Mi lascio cadere sulla schiena, stremata e senza forze.
 
 Vedo un uomo avvicinarsi a me.
 -  Ehi, stai tranquilla, sono un amico di Clary. -   mi dice  -  Mi chiamo Luke. - 
 Annuisco debolmente.  -  Ellie. -   rispondo.
 - Ok, Ellie. Andrà tutto bene. - mi rassicura - I tuoi amici stanno arrivando. - mi accarezza una guancia con fare paterno e mi scosta una ciocca di capelli dal viso. Poi mi solleva tra le braccia e mi porta su uno dei divani. Mi fa sdraiare e studia la ferita.
 Sento dei passi e vedo un’altra figura avvicinarsi. Non riesco a distinguerla perfettamente, ma quando mi chiama, capisco che è Henry.
 Si inginocchia accanto a me e sorride a Luke.
 - Grazie, Luke. -   dice e poi tira fuori lo stilo. - Sono qui, Ellie. Va tutto bene. - afferma e comincia a tracciare un iratze sul mio fianco. Sento il dolore diminuire e le forze ritornare lentamente.
 Quando la runa è completa, mi metto a sedere lentamente e poi Henry e Luke mi aiutano ad alzarmi.
 -  Come ti senti? -   mi domanda l’uomo.
 Annuisco.  -  Molto meglio, grazie. -   rispondo anche se barcollo e non credo che riuscirei a reggermi in piedi. Tutto attorno a me è imbiancato dai resti del portale che è stato distrutto da Clary per impedire a Valentine di portarla con sé.
 Mi volto in cerca di Jace. Non l’ho più visto e spero che stia bene. Quando lo vedo venire verso di me, allargo le braccia e lui mi stringe a sé. - Stai bene? - chiedo. Lui annuisce contro la mia spalla. - Mi dispiace, Jace. Mi dispiace tanto. - sussurro.
 Lui si allontana da me, mi accarezza una guancia e poi esce dalla biblioteca diretto chissà dove. Spero solo non faccia stupidaggini.
 
 ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! :D
Chiedo perdono per il ritardo ma l’Università mi impegna davvero tanto e non sono più padrona del mio tempo libero. -.-“
Comunque, eccovi l’undicesimo capitolo. Ho deciso di riprendere la scena del film nonostante preferisca quella del libro per una questione di comodità e perché mi serviva per la trama! ;D Capirete!
A Lunedì con il prossimo. Prometto che tenterò di essere puntuale! ;)
Eli

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Capitolo 12
*** Nuovamente insieme ***


Love Turns to Ashes
XII
Nuovamente insieme
 
 
 
 - Magnus! -  lo chiamo vedendolo uscire dall’infermeria. Lui si volta e mi sorride. È un buon segno.  - Come sta, Alec? -  domando.
 - Bene. -  afferma sfregando le mani una contro l’altra  - È sveglio. -
Sorrido e sento il mio cuore farsi più leggero. Alec sta bene.  - Posso vederlo? -  domando speranzosa.
 - Ma certo. -  risponde.
Prima che se ne vada, lo abbraccio di slancio. Lo stringo forte a me e lui mi cinge i fianchi con le braccia affondando il viso nella mia spalla.  - Grazie. -  sussurro al suo orecchio.
Quando ci separiamo, lui mi sorride, mi accarezza la guancia e poi si allontana, sollevando il cappuccio.
 
 
 - Alec. -  lo saluto vedendolo sveglio. Mi avvicino e gli prendo la mano sedendomi sulla sedia accanto al letto, gli sfioro la fronte con le labbra e tento di trattenere lacrime di gioia.  - Come ti senti? -
Lui mi sorride debolmente.  - Meglio. Magnus fa miracoli. -
Annuisco.  - Avevo paura che… -  mi interrompo perché un groppo mi si forma in gola.
 - Sono una roccia. -  dice e io rido.
Poi gli racconto quello che è successo tra Jace e Clary e la faccenda di Valentine e della Coppa che è riuscito a portarsi via e poi aggiungo la storia del tradimento di Hodge. Non vorrei che lo scoprisse da solo. Dopotutto Hodge era anche suo tutore.
 - Tu stai bene? -  chiede, vedendo che la mia divisa è macchiata di sangue.
Annuisco.  - Sì, sto bene. Ci ha pensato Henry. -
Sentiamo la porta scattare e Henry, Isabelle e Tom entrano sorridendo.
 - Ehi, Alec! -  lo salutano. Lui solleva una mano e sorride di rimando.
Quando vedo il mio ragazzo gli corro incontro e lo abbraccio.  - Stai bene? -  mi domanda.
 - Sì, sto bene. -  rispondo. Ma non è così. Il tradimento di Hodge mi ha distrutta. Mi ha consumata dentro. Credevo di aver trovato qualcuno che tenesse a me come i miei genitori, ma alla fine anche lui si è rivelato un traditore.
 
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Eh, lo so, è un capitolo breve, ma il prossimo sarà più lungo lo prometto. ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate.
A Lunedì prossimo,
Eli
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Fraintendimenti ***


Love Turns to Ashes


XIII
Fraintendimenti

 

 Attraverso l’Istituto di corsa. Quando arrivo davanti alla biblioteca tento di ricompormi e poi busso. La voce di Maryse Lightwood risuona dall’interno.
  - Posso? -  chiedo, aprendo la porta.
 Lei annuisce, è seduta alla scrivania e sta leggendo dei documenti probabilmente consegnati dal Conclave all’Istituto. Adesso è lei la direttrice.
  - Siediti. -  mi dice con voce severa. Mi siedo davanti a lei e attendo che parli.  - Stanno arrivando atri membri del Consiglio. -  mi informa  - Dobbiamo farti qualche domanda. -  conclude.
 Domande? Su cosa?
 Non chiedo spiegazioni perché ho l’impressione che non me le darà. Alec mi ha detto che è molto nervosa ultimamente, perciò decido di tacere e aspettare l’interrogatorio.
 
 Quando i membri del Consiglio arrivano, stringo la mano a tutti.
 Loro mi rivolgono sguardi carichi di apprensione o preoccupazione. C’è anche Robert Lightwood che mi sorride rassicurante.
 - Allora, Eleanor. -  comincia l’Inquisitore, Imogene Herondale,  - Parliamo della battaglia con Valentine. Come ti sei accorta che era entrato nell’Istituto? -  la sua voce severa mi fa rabbrividire.
 - Mi trovavo in cucina con Isabelle e Tom e qualcuno ha attraversato il Portale della biblioteca. Così sono andata a vedere chi potesse essere stato e ho trovato Valentine. -  spiego.
 - E c’era anche Jonathan con lui, vero? -  domanda.
 Mi ci vuole un momento per capire a chi si riferisca, poi ricordo la storia di Jace.  - Sì. -  confermo.
 - Prima di raggiungere la biblioteca hai incontrato qualcun altro? -  
 - Sì, due Shadowhunters seguaci di Valentine. -
 - Come si chiamavano? -  chiede.
 Ma che domanda è? Che ne so, io?  - Non lo so. Non si sono presentati, prima di sguainare le spade. -  dico.
 - Dopo la colluttazione, cos’è successo? -  sta prendendo appunti su un taccuino. 
 - Ho tentato di fermarli, ma ero disarmata. Così mi hanno messa al tappeto e poi mi hanno portata in biblioteca e lì ho visto Valentine e Jace. -  racconto. A testimonianza delle botte ricevute ci sono ancora i lividi sul mio volto.
 - Adesso parliamo di Hodge Starkweather. -  quando pronuncia il suo nome sento una fitta allo stomaco. Nessuno ne ha più parlato dopo quello che è successo. È farlo ora, dopo una settimana, mi fa male. Risveglia tutte le brutte sensazioni che ho provato quando ho capito che ci aveva traditi.  - Lui ha aiutato Valentine, non è così? -  annuisco  - Cosa ha fatto quando ha visto che i due Cacciatori ti avevano fatto del male? -
 Sento un groppo formarsi in gola e l’immagine di Hodge che mi passa accanto senza fare nulla mi balena nella mente.  - Nulla. -  sussurro e una lacrima mi riga la guancia.
 La donna lo nota.  - Su via, in quanto Shadowhunter dovresti essere preparata e questo tipo di situazioni. La perdita fa parte della vita dei Cacciatori. -  dice.
 Sollevo lo sguardo e vorrei tanto insultarla, urlare addosso, ma mi trattengo. Distolgo lo sguardo per non vedere il suo ghigno disgustato quando a quella lacrima ne seguono altre.
 - Credi che sia stato lui a far entrare Valentine nell’Istituto? -  domanda.
 - Forse. Non lo so. -  concludo.
 - Credi che vi abbia usato per tutto questo tempo? -  ipotizza cercando i miei occhi.
 Usato? Il pensiero non mi aveva sfiorato. Insomma, lo considero un traditore, ma l’idea che possa avermi usata e che non abbia veramente mai provato vero affetto nei miei confronti è come una pugnalata al cuore. - Non lo so. -  affermo, voltandomi nuovamente verso di lei  - Ma resta il fatto che ci ha traditi. -
 - Già. -  conferma  - Forse il tuo errore è stato considerarlo come un padre. -  mi dice, come se fosse una confidenza  - Come ho detto la morte e la perdita fanno parte della vita dei Cacciatori. Essendo a conoscenza di questo, non ci si dovrebbe affezionare così tanto alle persone. -  conclude.
 Sollevo lo sguardo di scatto.  - Chiunque abbia un briciolo di cuore si affeziona a qualcuno. Non si può passare la propria vita da soli. Anche l’amore e i sentimenti fanno parte della vita degli Shadowhunters. -  ribatto.
 - Sei solo una ragazzina. Non puoi sapere come va il mondo. -  afferma lei  - Questa è solo una delle prime persone che perderai. Succederà molte altre volte. -
 Vedo Maryse e Robert abbassare lo sguardo.
 I volti dei miei genitori mi balenano nella mente. Io non so nulla? Adesso basta.
 - Non è la prima persona che perdo. I miei genitori sono morti a Idris. Li ho visti morire. -  replico  - So cosa vuol dire perdere una persona. E credo che sia legittimo sentirsi furiosi quando qualcuno tradisce la tua fiducia. -  concludo, poi senza attendere oltre mi alzo, saluto ed esco dalla biblioteca. Appena mi sono richiusa la porta alle spalle, mi metto a correre.
 
 Raggiungo la serra sul tetto dove posso dare sfogo alla mia rabbia.
 Piango tutte le lacrime che ho. Grido e sbraito, tanto so che nessuno, a parte gli abitanti dell’Istituto, possono sentirmi. Sento un dolore tremendo alla bocca dello stomaco.
 Perché, Hodge?
 Perché l’hai fatto?
 Lo consideravo come un padre. Credevo di potermi fidare di lui.
 Gli volevo bene e lui aveva detto di volerne a me.
 Era tutta una bugia. Una grande menzogna.
 Perché ha scelto di tradirci?
 
 - Ehi, stai bene? -  mi chiede Tom abbracciandomi. Sono davanti alla porta della mia stanza, mi sono appena fatta una doccia e stavo uscendo per andare a cenare.
 - Sì. -  sussurro. Mi sono sciacquata il volto più volte per cancellare i segni delle lacrime, ma sembra che questi non se ne siano andati completamente.
 - Sicura? -  domanda ancora  - A me puoi dirlo, lo sai. -
Annuisco e sfioro le sue labbra con le mie.  - Grazie, Tom. -
 
 Io e Tom siamo nella sua camera all’Istituto. Siamo sdraiati sul suo letto e stiamo riposando. Lui mi osserva e mi accarezza una guancia. Mi scosta una ciocca di capelli dalla fronte e poi torna ad accarezzarmi il volto.
 - Mi dispiace per Hodge. -  sbotta.
 Io gli rivolgo un sorriso accennato e annuisco.
 - Lui ti voleva bene. -  aggiunge.
 Io però non ne sono certa. Tutte le mie certezze sono crollate in pochi secondi. Tutto potrebbe essere falso. Anche la cosa più piccola e insignificante. Sento gli occhi pizzicare ancora.
 Prima che possa rispondere, Tom avvicina il suo volto al mio e mi bacia. Gli circondo il collo con le braccia e lo tiro a me. I nostri corpi aderiscono perfettamente l’uno all’altro. Le sue labbra cercano avidamente le mie e la sua lingua le sfiora, quasi mi stesse chiedendo il permesso di proseguire oltre. Dischiudo le labbra e le nostre lingue si accarezzano delicatamente, come se avessero paura di trovarsi.
 Sento le sue mani cingermi i fianchi e tirare il mio corpo verso il suo. Si sdraia sopra di me e continua a baciarmi. Io gli accarezzo i capelli e le guance, poi sento le sue dita sfiorare la pelle della mia schiena.
 Mi fa scorrere la maglietta lungo il corpo e la sfila lasciandola cadere a terra, io faccio lo stesso con la sua, poi gli accarezzo la schiena le spalle.
 Sento le sue mani raggiungere i miei pantaloni, che in un momento se ne vanno insieme ai suoi, proprio come la maglietta.
 Lo tiro a me e lui mi sfiora il collo con le labbra facendomi rabbrividire. Le sue mani scendono dalle mie spalle ai miei fianchi e quando la sua bocca incontra nuovamente la pelle del mio collo, inarco la schiena. Le sue mani scorrono fino al gancio del reggiseno, ma proprio quando sta per sganciarmelo, la consapevolezza si fa strada in me.
 È sbagliato.
 Tutto questo è frutto della disperazione che provo adesso.
 Sono distrutta e sto cercando un modo per dimenticarlo.
 E io non voglio che il nostro rapporto diventi solo un modo per dimenticare il dolore.
 Lui nota che mi sono fermata e si blocca.  - Ellie, che succede? -  mi domanda.
 - Io… -  sussurro  - Scusami, io non ce la faccio… -  singhiozzo, scendo dal letto e raccolgo i miei vestiti, ma prima che possa andarmene mi prende la mano.
 - Ehi, va tutto bene. -  mi dice dolcemente  - Capisco che è il momento sbagliato. Non preoccuparti. -  sussurra accarezzandomi le guance.
 - Tom, io… -  tento di dire che mi dispiace, vorrei dirgli che se non mi vuole può lasciarmi… Lo capisco.
 Lui mi blocca coprendo la distanza che ci separa e baciandomi con passione. Fa scorrere le sue mani sulla mia schiena nuda e tenendomi per i fianchi mi tira a sé. Sento i muscoli del suo addome premere contro i miei e posso sentire il suo cuore battere a ritmo con il mio. Poggio le mie mani contro il suo petto e le faccio risalire per accarezzargli le guance e intrecciare le mie dita ai suoi capelli.
 Quando ci separiamo, si allontana da me di qualche centimetro e sorride.  - Aspetterò. Aspetterò tutto il tempo necessario per averti. Io ti amo, Ellie, e aspetterei anche tutta la vita, per te. -  sussurra alla fine.
 Sorrido e abbasso lo sguardo. Ha appena detto che mi ama.  - Anche io ti amo, Tom. -  sussurro abbracciandolo e quando lui mi stringe fra le sue braccia, sussurro  - Grazie. -
 - Rimani qui, stanotte. -  mi propone  - Almeno non sarai sola. -
 Dopo un momento di esitazione annuisco.
 Lui si sdraia sul letto a baldacchino e poi solleva le coperte per invitarmi a stendermi accanto a lui. Mi accoccolo accanto a Tom e poggio la testa nell’incavo del suo collo.
Lui mi stringe tra le braccia e poco dopo entrambi ci addormentiamo.
 
 Il mattino seguente veniamo svegliati dall’insistente bussare alla porta. Prima che possiamo rendercene conto, Henry fa irruzione nella stanza.
 - Tom, il Consiglio vuole… -  dice entrando, poi quando ci vede si blocca  - Ellie…? -  io sono sdraiata accanto a Tom, con un braccio poggiato sul suo petto e la testa sulla sua spalla.
 Mi metto a sedere di scatto, sollevando il lenzuolo per coprirmi dato che indosso solo la biancheria. Perché Henry non può aspettare che gli si dica di entrare? Deve sempre fare irruzione in questo modo?
 Tom scatta in piedi e si infila i pantaloni.
 Vedo Henry cambiare espressione.
 Ha frainteso. Ha frainteso tutto.
 - Henry… -  tento di calmarlo prima che esploda.
 Lui si avvicina a Tom.  - Che diavolo fai? -  esclama.
 - Henry, non è come… -  prima che possa finire la frase, il mio parabatai gli sferra un pugno dritto al volto. Lo colpisce alla tempia e lo fa indietreggiare. Tom si porta una mano al volto e reprime un gemito. Solleva lo sguardo, ma non reagisce, anche perché sono io a scattare in piedi.
 - Henry! -  grido poggiando le mani sul suo petto. Che importa se indosso solo la biancheria, non voglio che si prendano a pugni.
 Lui mi cinge i fianchi per scansarmi e torna accanto a Tom.  - Sei disgustoso! Approfittarsi di lei in questo momento! Solo perché ha bisogno di conforto non significa che… -  Henry viene zittito da un pugno.
 Tom sta reagendo.  - Non ti permettere! -  sbotta, non l’ho mai visto perdere le staffe in questo modo  - Non mi approfitterei mai di lei! -
 - Sei un brutto… -  riprende Henry, ma un altro pugno lo colpisce nello stomaco.
 - No! Fermi! -  grido e mi frappongo fra di loro.  - Smettetela! -
 Henry mi rivolge uno sguardo interrogativo, rivolge un’ultima occhiataccia a Tom e poi esce.
 Mi volto verso il mio ragazzo.  - Mi dispiace, Tom. -  dico e osservo il livido lasciato dal pugno  - Ti do una mano a… -
 - Non preoccuparti. -  mi rassicura  - Credo che ne abbia più bisogno lui. -  afferma e indica la porta.
 Annuisco, è vero. Tom è più alto e più forte di Henry, perciò decido di vestirmi e andare a controllare come sta. Devo spiegargli tutto.
 
 - Henry? -  lo chiamo entrando nella sua stanza.
 È seduto sul letto, immobile, con lo sguardo fisso davanti a sé.
 Mi avvicino e gli poggio una mano sulla spalla per osservare il suo viso. Ha un brutto livido e un taglio sul sopracciglio sinistro che sta sanguinando.
 - Cosa vuoi? -  mi chiede, scontroso.
 - Aiutarti con quella. -  affermo indicando la ferita ed entro in bagno. Prendo la cassetta del pronto soccorso e comincio a medicare la ferita.  - Dovevi proprio fare a pugni con lui? -  chiedo.
 - Si è approfittato di te. -
 - Henry. -  dico  - Credi che io sia così sciocca? Sto male per Hodge, ma non lascerei mai che qualcuno si approfittasse di me, nemmeno Tom. -
 - Ma… -  riprende.
 - Hai frainteso tutto. -  lo interrompo.
 Vedo la stupore attraversargli il volto.  - Cosa? -  domanda  - Ma se eravate… -
 - Ho passato la notte lì, ma non è successo nulla. -  gli assicuro. Finisco di disinfettare la ferita e poi ripongo tutto nella cassetta. È un brutto taglio, ma non userò un iratze -anche perché dovrei stamparglielo sulla fronte- guarirà da solo in poco tempo.
 - Quindi -  riprende  - non sei andata a letto con lui? -
 - No, ma certo che no. -  rispondo.
 - Allora mi spieghi perché avevi addosso solo la tua biancheria? -  domanda ancora sospettoso.
 - Non avevo un pigiama. -  dico. So che è una spiegazione stupida, ma non posso raccontargli cos’è successo davvero.
 - Non potevi prendere una delle sue magliette? -
 Accidenti. Sì, buona domanda.  - Henry… -
 - Ma certo, è ovvio. -  sbotta alzandosi in piedi  - Non sei andata a letto con lui, ma stava per succedere. -
 Sospiro, ma non nego.  - Mi sono accorta che sarebbe stato sbagliato. -  sento le guance avvampare di rossore  - Non era il momento giusto, con tutto quello che è successo con Hodge e Alec. -
 - Ah, quindi se non fosse successo nulla, l’avresti lasciato fare. -
 - Henry. -  lo blocco, ma lui sembra non farci caso.
 - Lo conosci da meno di un mese. -
 - Noi siamo innamorati, Henry. -
 - Che ne sai tu, dell’amore? -  chiede.
 Sento la rabbia crescere dentro di me.  - Tu invece sei un esperto. -
 - Ne so qualcosa più di te. -
 Mi sfugge una risata ironica.  - Davvero? -  chiedo  - Ti sei mai innamorato? Hai mai provato qualcosa per qualcuno? Da quando ti conosco, non ti ho mai visto occuparti di nient’altro se non della caccia e dei demoni. -
 - Tu che ne sai? -
 - Non hai mai avuto una ragazza! -  esclamo.
 - Non vuol dire che non posso essere innamorato! -  ribatte.
 Di fronte a quella dichiarazione rimango spiazzata. Credevo che ci dicessimo tutto. Credevo che se si fosse mai innamorato me lo avrebbe detto. Io quando ho baciato Tom, l’ho subito detto sia a lui che a Alec.
 - La scelta, in ogni caso, è mia. -  replico riferendomi alla storia tra me e Tom.
 - Non lo conosci. Potrebbe non essere chi credi. Guarda Hodge. Credevamo di conoscerlo e invece… -
 Abbasso lo sguardo.  - Grazie per avermelo ricordato. -
 Lui sospira.  - È la verità. E poi non hai notato che durante l’attacco Tom non c’era? Non era con me, Isabelle, Clary e Simon e nemmeno con te e Jace. -
 - Forse stava tentando di fermare qualche altro seguace di Valentine… -
 - Sempre che non gli stesse dando una mano. -  azzarda.
 Questo è troppo.  - Smettila! Tom non è un seguace di Valentine. Ma perché ti comporti così? Perché non vuoi che io sia felice? -
 - Io voglio proteggerti. -
 - So cavarmela da sola! -  sbotto. L’ho sempre fatto, perché adesso dovrebbe essere diverso?
 - Tzè. -  
 - Mi hai stancato, Henry! -  grido e mi dirigo verso la porta. Non rimarrò qui a farmi insultare. La apro e me la richiudo alle spalle. Che idiota, credevo che fosse migliore di così.
 
 Mi dirigo verso la mia stanza, ma quando arrivo davanti alla stanza di Alec, vedo la porta spalancarsi.
 - Ciao. -  mi saluta il mio amico.
 - Ehi. -  dico tentando di sorridere e nascondere la rabbia.
 - Tutto ok? -
 - Sì. -  rispondo.
 - Vi ho sentiti gridare da qui. -  afferma riferendosi a me e Henry.
 - Ah. -  abbasso lo sguardo. Così ha sentito tutto.
 - Ma che vi prende ultimamente? -  domanda. 
 - Non lo so. Continua a dirmi che devo stare attenta con Tom, che vuole proteggermi, che non si fida. E, sinceramente, mi ha stancato. -  
 Vedo Alec annuire.  - Lui tiene a te e vuole proteggerti. -  mi dice.
 - So badare a me stessa, Alec. -  replico.
 - Lo so. -  ribatte sorridendo  - Ma ciò non vuol dire che non possiamo preoccuparci. -  annuisco. Discutiamo sempre sulle stesse cose, alla fine.
 Sento la rabbia ribollire in me. Sento la testa pulsare e le gambe farsi molli. Che mi prende? Poggio una spalla alla parete accanto alla porta.
 - Stai bene? -  chiede Alec.
 Annuisco.  
 - Non è vero. -  esce dalla stanza e si mette davanti a me. Mi osserva per qualche secondo e poi solleva il mio volto con due dita.  - Andiamo in infermeria. -
 - No, sto bene. -  rispondo, mi porto una mano alla fronte.
 - Certo. -  dice. Poi mi prende per un braccio e comincia a trascinarmi per il corridoio. Io lo seguo, senza opporre resistenza. Non servirebbe a nulla. Alec è testardo.
Svoltiamo a destra e sento il terreno mancarmi sotto i piedi.
Proprio mentre sto per cadere, Alec mi solleva tra le braccia, mettendomi un braccio sotto le spalle e uno sotto le ginocchia. Gli circondo il collo con le braccia e mi stringo forte a lui.
 - Scusa, -  sussurro  - non so cosa mi succede. -
 - Sarà un calo di zuccheri. Non preoccuparti. -  mi rassicura e quando entriamo in infermeria mi adagia su un letto.  - Ti prendo un po’ di acqua e zucchero. -
 Annuisco.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Eccomi qui, con il 13esimo capitolo! Come promesso è più lungo del precedente e succedono parecchie cose. Come arco temporale ci troviamo all’inizio del secondo libro. :)
Spero che vi piaccia, io sono quasi soddisfatta! ^.^
A Lunedì prossimo,
P.s. Chiedo scusa perché ho notato solo ora di aver commesso un errore: nella prima stesura avevo scritto "Will" al posto di "Henry". Will inizialmente era il nome che avevo scelto per il parabatai di Ellie, poi ho deciso di cambiarlo con Henry. Scusate ancora. Eli<3

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Capitolo 14
*** Nuova direzione ***


Love Turns To Ashes

XIV
Nuova direzione
 
 Entro in biblioteca camminando spedita. Spalanco la porta con tanta forza da far sobbalzare Maryse, che solleva la testa dalla scrivania e mi rivolge uno sguardo di rimprovero al quale nemmeno faccio caso.
 - Eleanor! - esclama.
 - Come hai potuto? - chiedo avanzando verso di lei.
 - Di cosa stai parlando? - domanda.
 - Di Jace! - dico - Come hai potuto cacciarlo? Questa è casa sua. Tu non hai il diritto di… -  protesto, ma lei mi interrompe.
 - Ho dovuto. -  replica.
 - Dovuto? -  chiedo di rimando  - Hai cacciato tuo figlio perché lo ritieni un traditore e adesso lui è nella Città Silente, prigioniero in una cella come un criminale! -
 Lei scatta in piedi.  - Che altro potevo fare? -  chiede  - Ho fatto ciò che l’Inquisitrice mi ha ordinato. -  spiega.
 Le sue parole sembrano non avere senso. Jace è suo figlio. O almeno, lo considera tale. Allora perché non gli crede? Perché lo ha accusato di essere in combutta con Valentine? Che cosa le passa per la testa?
 - Tu sei la direttrice dell’Istituto, ora. -  affermo  - Avresti dovuto spiegarle che Jace… -
 - Ho difeso il difendibile. -  mi dice e io le rivolgo uno sguardo carico d’odio  - Jace è un sospettato. -  aggiunge con un tono che non ammette repliche.
 Io scuoto il capo.
 - Mi dispiace, Eleanor. -  sussurra abbassando lo sguardo  - Anche io voglio bene a Jace. Dopo che l’avranno interrogato con la Spada ne sapremo di più. -
 La spada? Vogliono interrogarlo con la spada? Sarà una tortura. Alla fine annuisco, consapevole che discutere è inutile e, senza salutare, esco.
 Come accidenti hanno fatto a mettere Maryse a capo dell’Istituto? Voglio bene a Alec e Isabelle, ma non posso credere che dopo essere stati esiliati in quanto traditori, lei e Robert possano ricoprire una carica così importante. 
 
 Il giorno seguente veniamo a sapere che i Fratelli Silente sono stati uccisi da Valentine.
Riuscito a penetrare nella Città Silente, ha rubato la Spada dell’Anima e se n’è andato lasciandosi dietro i cadaveri dei poveri Fratelli Silenti che erano stati colti di sorpresa, troppo per riuscire a reagire o tentare di fermarlo.
 Tutto ciò deve avere a che fare con le misteriose morti avvenute poco tempo fa. Sono stati trovati uccisi una Fata e uno Stregone e so che non è niente di buono. Soprattutto perché adesso Valentine ha due dei tre Strumenti Mortali.
 
 Busso alla porta dell’appartamento di Magnus, seguita da Tom e da Henry.
 Lo Stregone ci apre la porta e ci rivolge un sorriso.
 - Ciao, Magnus. -
 - Ciao, Ellie. -  dice e mi scocca un bacio sulla guancia  - Ragazzi. -  li saluta.
 Loro sollevano un mano e lui si fa da parte per farci entrare. Sul divano c’è Alec. Adesso tutti sanno, a parte Robert e Maryse, che ha una relazione con Magnus. Mi ritengo complice in questa cosa, soprattutto perché sono stata io a farglielo conoscere.
 - Ciao, Alec. -  lo saluto e lui mi sorride.
 - Siete qui per vedere Jace? -  mi chiede lo Stregone.
 Annuiamo e lui ci indica una delle porte.
 - Grazie. -  rispondo.
 Quando entriamo troviamo Jace sdraiato sul letto intento ad osservare il soffitto.
 - Ciao, Jace. -  lo salutiamo in coro e lui si mette a sedere.
 - Salve a voi. -  dice sorridendo.
 Henry si siede sulla scrivania in legno lasciando penzolare le gambe.  - Come va la tua prigionia, criminale? -  domanda scherzoso.
 L’altro ride.  - Sono confinato qui con Magnus Bane, vedi un po’ tu. -
 - Non puoi uscire da questa stanza? -  domanda Tom.
 Lui scuote il capo  - Certo che posso. -
 - Allora perché te ne stai rinchiuso qui dentro? -  intervengo io.
 - Be’, assistere allo scambio di effusioni tra il mio parabatai e Magnus non è la mia massima aspirazione. -
 Io rido.  - Mi sembra giusto. -
 Tutti ridono e poi il silenzio cala sulla stanza.
 - Novità dall’Istituto? -  chiede Jace, rompendo il silenzio.
 - Nessuna. -  risponde Henry scendendo dalla scrivania e avvicinandosi alla finestra.
 - Fantastico. -  si lascia sfuggire e torna a sdraiarsi.
 - Vedrai che tutto si risolverà. -  aggiungo e lui annuisce.
 Dopo un’ora, io, Tom e Henry usciamo salutando Jace, Alec e il padrone di casa.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Mi scuso per il ritardo e per essermi fatta attendere, ma con l’università non si è più padroni del proprio tempo!
Comunque eccomi qua con il nuovo capitolo, anche se ovviamente è di passaggio, quindi molto breve e rapido.
Spero comunque che vi piaccia! :)
A Lunedì con il prossimo, Eli
 
 
 

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Capitolo 15
*** Trasformazione ***


Love Turns to Ashes

XV
Trasformazione
 
 - Henry? Dove sono Alec, Isabelle e Clary? -  chiedo avanzando verso Henry nell’armeria.
 Lui solleva lo sguardo e sorride vedendomi avanzare.
 Ultimamente sembra aver accettato ciò che c’è tra me e Tom. Ne sono felice, non avrei sopportato ancora a lungo di essere in lite con il mio parabatai.
 - Non lo sai? -  chiede di rimando.
 Io mi blocco. Dovrei?
 Vedendo il mio sguardo interrogativo, lui continua.  - Sono alla corte Seelie. -  risponde e per un momento mi sento mancare.  - La Regina ha chiesto di vederli per parlare di Valentine. -
 - E loro ci sono andati? -  chiedo.
 - Sì. -
 - Che idioti! -  esclamo portandomi le mani al viso.
 - Lo so. -  afferma  - Per questo sono rimasto qui. -
 Le Fate sono le creature più malfidate e maliziose che esitano nell’universo. Faranno sicuramente qualcosa per metterli uno contro l’altro. Ma che passa per la testa ad Alec? Credevo che almeno lui avesse un po’ di buon senso.
 
 Il campanello dell’Istituto suona insistentemente. Io, Henry e Tom, intenti ad allenarci nell’armeria, decidiamo di andare a prendere a calci chiunque abbia deciso di disturbare la quiete dell’Istituto.
 Quando apriamo la porta non possiamo credere a ciò che vediamo.
 - Simon! -  esclamo vedendolo a terra, coperto di sangue.  - Oh, per l’Angelo! Ma cos’è successo? -  domando a Raphael, in piedi davanti a noi.
 Lui mi osserva come se fossi un’aliena per come ho perso la calma e poi parla  - L’ho appena salvato da un’orda di vampiri famelici. -  spiega.
 - L’avete ucciso. -  esclama Henry, inginocchiandosi accanto a me e osservando il corpo esanime del ragazzo.
 Sentiamo un grido alle nostre spalle.
 Clary sta fissando con occhi colmi di lacrime il corpo del suo migliore amico.  - Simon! -  lo scuote  - Simon, ti prego! -  mi scanso per lasciarle spazio e anche Henry si mette in piedi accanto a me e Tom.
 - Clary! -  la chiama Isabelle, tirandola per le spalle.  - Ferma, aspetta! -
 - No! Lasciami! -  grida lei  - Cosa gli hai fatto? -
 - Io? -  chiede Raphael vedendo che la ragazza sta indicando lui  - L’ho salvato. -
 - È morto! -  grida Clary  - Non l’hai salvato, l’hai ucciso! -
 - Non è morto. -  spiega lui con aria di sufficienza  - Sta completando la trasformazione. -
 - Co-cosa? -  balbetta la rossa.
 Lui annuisce.  - Dobbiamo seppellirlo. -
 - COSA?! -  grida lei  - Non se ne parla! Tu sei pazzo! -  singhiozza.
 Ad un tratto ricordo. Per completare la trasformazione deve essere sepolto e solo quando sarà riemerso dalla terra, sarà un vampiro. Un vero vampiro. Ma quando è stato morso? Non ricordo che avesse accennato a nessun morso di vampiro.
 - Clary, devi ascoltarlo. -  affermò destandomi dai miei pensieri. La priorità, adesso, è salvare Simon.
 - Voi siete matti, siete tutti matti! -  ripete.
 - No, ascolta! -  mi inginocchio davanti a lei e la prendo per le spalle  - Se non lo seppellirai morirà. Deve completare la trasformazione. Credimi. -  aggiungo per convincerla.
 - Ecco una Cacciatrice con un po’ di buon senso! -  esclama Raphael indicandomi, ma io non ci faccio caso.
 - Ellie ha ragione. -  accorre in mio aiuto Tom e io lo ringrazio con lo sguardo.  - Dobbiamo seppellirlo o morirà. Per davvero. -
 Clary abbassa lo sguardo e alla fine annuisce.  - D’accordo, andiamo. -  si alza e Tom si carica Simon sulle spalle. Clary e Isabelle lo seguono, mentre io e Henry ci proponiamo per rimanere a guardia dell’Istituto.
 
 Quando la trasformazione di Simon è completa, Isabelle mi avverte con un SMS e io tiro un sospiro di sollievo. Se fosse morto mi sarebbe dispiaciuto davvero molto, è un bravo ragazzo, non avrebbe meritato questo.
 - Simon sta bene. -  dico, rivolgendomi a Henry.
 Lui mi sorride.  - Fantastico. -
 
 Passano alcuni giorni.
 Io, Henry, Alec, Tom e Isabelle ci stiamo allenando nell’armeria quando veniamo a sapere che Simon è stato rapito da Valentine.
 - Cosa? Quando? -  domanda sconcertata, rivolgendosi a Jace e Clary.
 - Questa mattina. -  spiega la ragazza  - Dobbiamo trovarlo. -
 Tutti annuiscono e dopo esserci incisi delle rune sulle braccia e sulle spalle ed esserci armati, usciamo dall’Istituto diretti dal nostro Stregone in cerca di aiuto.
 
 Adesso ne ho la certezza. I buoni, alla fine, trionfano.
 Dopo la battaglia con Valentine sulla sua barca sull’Hudson, siamo riusciti a salvare Simon prima che quel pazzo completasse il rituale per evocare i Demoni per il suo esercito.
 In seguito ci siamo accorti che grazie al sangue che Jace aveva dato a Simon è diventato l’unico della sua specie a poter vivere alla luce del sole senza morire bruciato.
 Alla fine della battaglia, feriti, ma fieri siamo tornati all’Istituto.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Scusatemi per il ritardo, ma come promesso ricompaio sempre! ;D
Capitolo breve e rapido, ma vi assicuro che presto torneranno quelli lunghi e ricchi di avvenimenti! ;D
 A presto, Eli
 

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Capitolo 16
*** Da New York a Idris ***


Love Turns to Ashes

XVI
Da New York a Idris
 
 Avanzo verso l’armeria insieme a Henry.
 Lui mi sta raccontando cos’è successo durante la battaglia, mentre io e Isabelle stavamo cercando Simon.
 Io annuisco anche se non sto davvero ascoltando.
 Ho la testa da un’altra parte.
 Valentine.
 Il sangue di quattro Nascosti.
 Un esercito di Demoni.
 È davvero questo quello che ci aspetta?
 Sapevo che avremo dovuto combattere una guerra, ma non pensavo che Valentine potesse essere così spietato da evocare un esercito di Demoni per distruggere gli Shadowhunters.
 Ho paura, lo ammetto.
 Ho paura dell’imminente guerra.
 Ho paura di perdere ancora le persone che amo. Ho paura di morire. Anche se uno Shadowhunters non dovrebbe averne.
 - Mi stai ascoltando, Lea? -  mi chiede Henry, interrompendo il corso dei miei pensieri.
 Io annuisco.  - Sì. -  rispondo  - Stavi dicendo di Jace e del sangue. -
 - Esatto. -  afferma e riprende, ma la sua voce si perde nuovamente in un angolo recondito della mia mente per lasciare spazio a quella di Luke, l’amico di Clary.  - Si sta preparando una battaglia. Dovremo combattere. -
 Allontano quel pensiero dalla mia mente e inspiro profondamente.
 Basta.
 Adesso pensiamo ad allenarci.
 Quando entriamo, vediamo che Isabelle e Tom si stanno già affrontando in un corpo a corpo sui materassi colorati. Non sembrano notare il nostro ingresso, perciò ci dirigiamo verso il quadro svedese per esercitarci con l’arrampicata.
 - Comincio io? -  chiedo al mio parabatai e lui annuisce.
 Mi sfrego le mani una contro l’altra e poi mi isso sul quadro. Sposto le mani e i piedi velocemente da una parte all’altra, salgo sempre più su senza curarmi dell’altezza. Mi sento libera, in questo momento. Vorrei potermi sentire così sempre. Quando sono arrivata in cima inspiro e scavalco per scendere dall’altra parte. Mi lascio scivolare verso il basso osservando Henry, di tanto in tanto.
 Lui mi sorride, rimanendo a braccia incrociate.
 Quando tocco nuovamente terra, sorrido e mi avvicino.
 - Non male. -  si congratula.
 - Grazie. -  dico tentando di riprendere fiato.
 - Tocca a me, adesso. -  afferma avvicinandosi al quadro  - Vedrai cos’è la vera velocità. -
 Rido.  - Certo, Mister Modestia. -
 Lui ride e comincia a salire rapidamente, come se ogni piolo in legno scottasse e non potesse poggiarci sopra manie piedi più di qualche secondo.
 Sorrido. Nonostante la poca modestia, è davvero bravo, bisogna dirlo. Mi volto. Isabelle e Tom stanno ancora combattendo e, strano a dirsi, è lei ad essere in vantaggio. La vedo atterrare il mio ragazzo con un calcio alle caviglie e poi bloccarlo tenendolo per un braccio.
 Quando mi volto, forse troppo velocemente, la vista mi si oscura.
 Inspiro profondamente e sbatto più volte le palpebre.
 Che mi succede?
 Mi massaggio gli occhi con pollice e indice e attendo che la vista ritorni normale.
 Non può essere un calo di zuccheri: ho mangiato parecchio.
 Che mi prende ultimamente?
 - Ellie? -  mi chiede Henry  - Tutto bene? -  sento che si è avvicinato, anche se non posso vederlo.
 - Sì, io… -  non ho tempo di dire altro, che sento la voce affievolirsi, come se fosse scomparsa di colpo. Le gambe non mi reggono più, si fanno molli e non riescono più a sorreggere il mio peso. Ansimo e prima che possa cadere sento due braccia che mi afferrano saldamente.
 - Ellie! -  esclama il mio parabatai.
 Vorrei dirgli di non preoccuparmi, ma non ci riesco, così l’unica cosa che faccio è lasciarmi scivolare a terra.
 - Che succede? -  chiede Tom anche lui adesso è accanto a me, sento le sue mani sulle mie spalle.
 - Non lo so. -  risponde Henry e poi il silenzio mi avvolge.
 
 Quando mi sveglio e apro gli occhi, noto con piacere che la vista è ritornata. Sospiro di sollievo: per un momento avevo creduto di essere diventata cieca.
 Attorno al mio letto ci sono Alec, Henry e Tom.
 Inspiro profondamente e Alec si fa avanti, vedendomi sveglia.  - Ellie, come ti senti? -  mi chiede. I suoi occhi azzurri sono colmi di preoccupazione.
 Annuisco  - Meglio, grazie. -  e mi metto a sedere lentamente, reggendomi sulle braccia.
 - Ci hai fatto preoccupare. -  dice Tom prendendomi la mano e stringendola tra le sue.
 Sorrido.  - Sto bene. -  lo rassicuro e ricambio la stretta. Quando mi volto verso Henry vedo che ha lo sguardo fisso sulle nostre dita intrecciate.
 D’istinto ritraggo la mia mano, anche se non so perché. Mi scosto i capelli dalla fronte e poi mi faccio aiutare da Tom ad alzarmi.
 Quando mi metto in piedi, prima di lasciar andare il mio ragazzo, mi assicuro che le gambe possano reggermi. Quando so di poter rimanere in equilibrio lo lascio andare e insieme usciamo dall’infermeria.
 
 Sono le sette del mattino.
 Scendo in cucina per fare colazione e sospiro. Da quando Alec, Jace e Izzy sono partiti per Idris insieme a Maryse, Robert e il fratellino Max, l’Istituto sembra vuoto. Non posso più parlare con Alec o andare da Taki per mangiare qualcosa con lui. Non c’è più Izzy ad invogliarmi a truccarmi o a vestirmi da “ragazza” e Jace a farmi arrabbiare con le sue battute sarcastiche.
 Prendo una tazza dalla credenza e dopo essermi servita del latte prendo la scatola di cereali dal mobiletto dei biscotti.
 La porta della cucina si apre proprio mentre sto per gustare una cucchiaiata di cioccolato e fiocchi d’avena. Il cucchiaio si blocca a metà strada.
 Quello che vedo non può essere reale. Eppure non sono pazza e nemmeno ubriaca.
 Davanti a me c’è una ragazza con indosso solo una camicia che avanza sorridendo. Non è il fatto che sia mezza nuda a sconvolgermi, ma il fatto che sia una mondana.
 E i mondani, se non in caso di estrema necessità – e non credo sia il suo – non possono e non devo entrare nell’Istituto.
 - Ciao. -  mi dice tendendomi la mano.
 Io rimango interdetta. Lascio ricadere il cucchiaio nella tazza e sorrido a mia volta, tentando di celare il mio stupore.  - Ehm… Ciao. -  dico  - Tu sei…? -
 - Vicky. -  mi risponde completando la frase.
 Annuisco e poi, prima che possa chiederle cosa diavolo ci fa qui, la porta si spalanca ancora e questa volta ad entrare è Henry.
 - Ehi. -  saluta.
I o sollevo una mano, ma capisco che quell’“ehi” era rivolto più a lei che a me. A dimostrazione di questo, vedo il mio parabatai avvicinarsi a lei e baciarla.
 Adesso capisco. È stato lui a farla entrare.
 - Come stai? -  le chiede.
 Lei sorride.  - Bene, tesoro. -  risponde.
 Tesoro? Tesoro a Henry?
 Lui la prende per i fianchi e la tira a sé, baciandola ancora, così io per non sembrare una guardona mi immergo nei miei cereali.
 Perché cavolo ha fatto entrare una mondana nell’Istituto? Non ho nulla contro di loro. Assolutamente nulla. Ma non possono stare qui. È contro le regole.
 - Ti va un caffè? -  chiede Henry massaggiandole i fianchi sollevando leggermente la camicia bianca che probabilmente le ha prestato lui.
 Lei annuisce scompigliandogli i capelli.  - Dopo questa notte ne ho davvero bisogno. -
 Trattengo un verso di disgusto e tento di concentrarmi sui movimenti che fa il cucchiaio per arrivare dalla tazza alla mia alla mia bocca.
 Il mio amico comincia a preparare la caffettiera e lei, intanto, si siede di fronte a me.
 - Non ho capito come ti chiami. -  mi dice.
 Certo che non l’hai capito. Non te l’ho detto.  - Ellie. -  mi limito a dire.
 - Bel nome. -  
 Annuisco.  - Grazie. -
 Dopo questa notte… e poi Henry biasimava me perché credeva che io e Tom… chissà da quanto la conosce. Un rantolo mi sfugge dalla gola e tento di coprirlo con un colpo di tosse.
 La porta si apre ancora.
 Tom entra e dopo avermi scoccato un bacio sulle labbra si siede accanto a me.  - Buongiorno. -  dice. Quando vede Vicky ha la mia stessa reazione.  - Ehm… Buongiorno anche a te… -  lascia la frase in sospeso.
 Lei intuisce e la completa  - Vicky. -
 Tom le stringe la mano e poi osserva me.
 Faccio spallucce e gli offro una cucchiaiata di latte e cereali che lui accetta volentieri.
 - Sono un’amica di Henry. -  spiega lei, quando Henry le cinge le spalle con un braccio.
 - Be’, -  esordisce lui  - dopo questa notte, più di una semplice amica. -  conclude sorridendo e scoccandole un bacio sulle labbra.
 Scuoto il capo e mi sfugge un sospiro. Questa notte… Questa notte… perché continua a ripeterlo? Se vuole farci capire che hanno passato la notte insieme, è stato abbastanza chiaro. Mi volto verso Tom e lui scuote il capo a sua volta. Poi mi metto in piedi e poggio la mia tazza nel lavello.  - Vado ad allenarmi. -  affermo  - Piacere di averti conosciuta, Vicky. -
 - Piacere mio. -  la sento dire mentre esco.
 
 Sto prendendo a pugni il sacco da boxe nell’armeria. Sferro calci e gomitate per sfogare la mia rabbia e lo faccio ondeggiare avanti e indietro.
 Tento di regolare il mio respiro.
 Inspiro, sferro un pugno, espiro.
 Inspiro, tiro un calcio, espiro.
 Ma perché Henry ha portato qui una mondana?
 E soprattutto, perché non si è vestita prima di scendere per colazione?!
 Accidenti! Mi fa andare fuori di testa, pensarci.
 Continuo a tirare pungi e calci talmente forti che non sento nemmeno la porta dell’Armeria aprirsi.
 Me ne accorgo solo quando vedo Tom che mi sorride e si piazza davanti al sacco per tenerlo fermo.  - Ehi. -  mi saluta.
 Sorrido.  - Ciao. -  dico e mi fermo.
 - Sfoghi la tua rabbia? -  mi chiede.
 Annuisco.  - Non capisco come gli è venuto in mente di portare qui una mondana. -  sbotto  - Se lo sapesse Maryse lo caccerebbe seduta stante. -
 Lui scuote il capo.  - Aveva bisogno di divertirsi. -  afferma  - Credo. -
 - Infrangendo le leggi del Conclave? -
 - È fatto così. -
 Scuoto il capo a mia volta.  - Avrebbe dovuto rimanere fuori di qui se voleva divertirsi con lei. -  dico  - Chissà cosa si è inventato per giustificare il fatto che viviamo in una Cattedrale. -
 - Qualcosa di molto convincente. -  replica Tom.
 - Che vuoi dire? -
 Lui sorride.  - Era convinta che fosse una scuola privata per ragazzi dotati. -
 Sgrano gli occhi.  - Scusami? -
 Ride.  - È così, te lo giuro. -  conclude poggiando una mano sul cuore.  - E credeva che fossimo i membri di una setta. -  spiega  - Sai, per le rune. -  sorride divertito.
 Sorrido debolmente anche io.
 Devo ammettere che Henry ha dell’inventiva e che lei, ovviamente, si è fatta ammaliare dal suo fascino. Oppure è estremamente credulona.
 Allontano il pensiero e torno seria.
 Ciò non toglie che ciò che ha fatto sia una stupidaggine in piena regola.
 Ma che cosa prende a Henry, ultimamente?
 E poi… nemmeno mi aveva detto di avere una ragazza.
 
 Busso alla porta della stanza del mio parabatai.
 Ho deciso di chiedergli spiegazioni, prima di saltare a conclusioni affrettate. Tom mi ha consigliato di parlargli e chiedergli perché l’ha fatto e soprattutto se è una cosa seria.
 - Avanti. -  sento dire dall’interno.
 Giro la maniglia ed entro chiudendomi la porta alle spalle.
 - Ciao, Ellie. -  mi saluta mentre sistema la camicia bianca che aveva prestato a Vicky nell’armadio in legno di ciliegio.
 - Ciao. -  lo saluto.  - Posso parlarti? -  chiedo avanzando.
 Lui annuisce e si volta verso di me.  - Di cosa? -
 - Di Vicky. -  vado dritta al punto, anche se forse non è una buona idea.
 Lui aggrotta le sopracciglia.
 - È una mondana. -  affermo.
 - Lo so. -  replica.
 Bene. Almeno se n’è accorto.  - Non avrebbe dovuto essere qui, Henry. -  continuo.
 Lui fa spallucce.  - Ci siamo solo divertiti un po’. -  dice.
 - Sì, ma infrangendo le regole dell’Istituto e del Conclave. -  faccio notare. Ma come fa a non capirlo? Come fa a non capire che se qualcuno lo venisse a sapere potrebbe essere cacciato?
 Henry aggrotta le sopracciglia e poi avanza.  - Non mi sembra che abbiate fatto molte storie quando Simon era qui. -  fa notare.
 Sgrano gli occhi. Adesso cosa centra Simon?  - Era diverso. -  ribatto.
 - Non vedo in quale modo. -  asserisce.
 - Era qui con Clary. Lei era stata attaccata da un demone e sua madre era stata rapita. -  spiego  - Non era qui perché qualcuno di noi aveva bisogno di ‘divertirsi’, come dici tu. -
 - Sta di fatto che era qui. -  
 Scuoto il capo.  - Da quanto la conosci? -  chiedo.
 - Un settimana. -  risponde.
 Indietreggio stupita.  - Una settimana?! -  sbotto  - E avete passato la notte insieme? -
 Scrolla le spalle.
 - Quando hai saputo che avevo passato la notte nella camera di Tom ne hai fatto una tragedia perché ci conoscevamo da pochi mesi. E adesso mi vieni a dire che ti sei ‘divertito’ con una ragazza che conosci da una settimana?! -  esclamo.
 Lui ride.  - Stiamo bene insieme. -
 - Questo cosa centra? -
 - Lei mi piace, io le piaccio… -
 - Sì, ma resta una mondana. -  dico  - Vuoi costringerla a prendere i marchi? -
 - No. -  risponde  - Non voglio che faccia parte del nostro mondo. -
 - Allora non potete stare insieme. -  affermo  - Tu sei un Cacciatore e lei una mondana. Uno dei due dovrà rinunciare alla sua vita se volete… -
 - Allora lo farò io. -  mi interrompe.
 - Cosa? -  sussurro.
 - Rinuncerò ad essere un Cacciatore. -  afferma  - Diventerò un mondano e potremo stare insieme. -
 - Ma… -  balbetto  - Henry… -  il pensiero di perdere il mio parabatai e migliore amico mi fa sentire vuota. Non può davvero volersene andare. Non può.
 - È una mia scelta. -
 - Non puoi andartene, io… noi… -  dico, ma non riesco ad aggiungere altro.
 L’espressione di Henry cambia. Vedo dipingersi un sorriso malizioso sul suo volto.  - Adesso capisco. -  afferma  - Sei gelosa. -
 Torno in me rapidamente e mi sfugge una risata.  - Gelosa? -
 Annuisce.
 - Credi che dovrei essere gelosa? -  non lo sono, di questo sono certa. Sono felice che lui abbia una ragazza, anche se è mondana. L’unica cosa che contesto è il fatto che l’abbia fatta entrare qui, in un posto precluso ai mondani e che abbia deciso di abbandonare la sua vita da Cacciatore per lei. La conosce da una settimana! Credo che sia una scelta un po’ affrettata.
 - Non lo so. -  replica  - A me sembra che tu lo sia. -
 - Credimi, Henry, non ho motivo di essere gelosa di Vicky. -  affermo e mi sembra che i suoi occhi vengano attraversati da un’ombra di delusione  - Solo non concepisco come tu abbia potuto… -  un botto e una scossa interrompono la nostra conversazione.
 Mi volto verso la porta.
 - Cos’era? -  mi chiede il mio amico.
 Io scuoto il capo perplessa.  - Credo un portale. -
 - Qualcuno è entrato nell’Istituto? -  esclama Henry preoccupato.
 Ci scambiamo uno sguardo fugace e poi usciamo di corsa dalla stanza dimenticandoci del nostro litigio.
 Incontriamo Tom alla fine del corridoio.
 - Avete sentito? -  chiede.
 Noi annuiamo e ci dirigiamo verso la biblioteca. Entriamo e vediamo che non c’è nessuno. Tutto è in ordine, esattamente come lo ha lasciato Maryse.
 Scendiamo la scale e ci avviciniamo al portale. È chiuso. Nessuno è entrato o uscito dall’Istituto. Almeno, non utilizzando questo portale.
 - Forse veniva da fuori. -  fa notare Henry.
 Io e Tom annuiamo e insieme usciamo diretti verso il giardino interno.
 
 Prima di svoltare l’angolo che porta al portichetto coperto vediamo una strana luce illuminare la stradina che si irradia nell’erbetta verde.
 Ci blocchiamo.
 Qualcuno ha aperto un portale qui fuori.
 Quando svoltiamo l’angolo, vediamo che davanti al Portale c’è una persona. È in controluce perciò non riusciamo a capire chi è fino a che non si volta.
 - Magnus? -  esclamo vedendo il suo volto e i suoi inconfondibili occhi da gatto.
 - Ciao, Ellie. -  mi saluta sollevano una mano.
 - Si può sapere cosa sta succedendo? -  chiede Henry avanzando.
 - Stai calmo, Henry. -  lo rassicura.
 - Magnus, Henry ha ragione. -  dico  - Perché hai aperto un Portale? -  chiedo.
 Lui scuote il capo.  - Non sono stato io. -
 A quel punto interviene Tom.  - Be’, ci sei solo tu, qui. -
 - Sei perspicace, amico. -  risponde lo Stregone  - Davvero bravo. -  si complimenta  - Ad aprirlo è stata Clary. -  conclude con tono duro.
 - Clary? -  esclamiamo in coro.
 Annuisce.
 - Fantastico. -  si lascia sfuggire Henry  - Adesso che ha scoperto questi suoi fantastici poteri li usa per spostarsi da casa sua all’Istituto? -
 Ha ragione. Clary è sempre stata avventata, ma perché aprire un portale? Non credo che lo utilizzerebbe per qualcosa di futile, perciò…
 - Veramente non è andata a casa sua. -  interviene Magnus.
 - E dov’è? -  chiedo. Non ci sto capendo più nulla.
 - A Idris, credo. -  dice in un sussurro.
 - Cosa?! -  grido.
 Lui solleva le mani per farmi capire che non centra nulla, ma io sono già fuori di me.
 - Non si è nemmeno mai allenata per attraversare i portali! -  dico  - Ma come le è venuto in mente di andare lì da sola? -  sbraito.
 - Non è sola. -  mi rassicura Magnus  - C’è Luke con lei. -
 Sospiro di sollievo.  - Bene, almeno questo. -  mi passo una mano sul volto.
 - Spero solo che siano riusciti ad arrivarci. Clary non aveva mai visto Idris, no? -  interviene Henry.
 Annuisco.
 - Come faceva visualizzare Idris se non l’aveva mai vista? -  chiede Tom.
 Henry fa spallucce.
 Come le è saltato in mente? Come può pensare di andare a Idris insieme a Luke? E poi per fare cosa? Capisco che voglia salvare sua madre, ma come può aiutarla lasciandola a New York da sola?
 - Dobbiamo andare anche noi. -  afferma Tom.
 - Cosa? -  il mio ragazzo si è totalmente ammattito  - Tom, ma che stai…? -
 - È l’unico modo per proteggere i nostri amici. -  spiega  - Sono tutti là e se è vero che si sta preparando una guerra, saremo più utili a Idris che qui a combattere con delle spade di legno. -
 Mi volto verso Henry, ha la mia stessa espressione dipinta sul volto.
 Entrambi sappiamo che, in fondo, Tom ha ragione.
 Non possiamo abbandonarli.
 - D’accordo. -  concorda il mio parabatai e io mi ritrovo ad annuire.
 - Magnus, puoi portarci a Idris? -  chiedo volgendomi verso il mio amico Stregone.
 Lui annuisce.  - Certo. -
 - Allora partiamo questa sera. -  afferma Tom  - Vieni qui alle sette in punto. -  
 Magnus annuisce.  - Agli ordini, capitano. -  saluta con un cenno della mano e se ne va.
 
 Sto indossando la mia tenuta da Cacciatrice.
 Vorrei non dover combattere questa guerra. Vorrei vivere normalmente qui all’Istituto, con Hodge, con i miei amici…
 Ma non posso.
 Devo andare a Idris. Devo combattere. Devo vincere. E proteggere i miei amici; morire per loro, se necessario.
 La paura che sto provando adesso non si addice ad uno Shadowhunter, noi non dovremmo avere paura. Dovremmo essere coraggiosi, dei veri guerrieri, pronti a combattere per proteggerci a vicenda e proteggere il mondo.
 Ma io non lo sono.
 Perché no?
 Mi sento un’egoista. Una stupida ragazzina che pensa solo a se stessa e a nient’altro.
 Qualcuno bussa alla porta, interrompendo i miei pensieri.
 - Ciao. -  la testa di Tom fa capolino.
 - Ciao, Tom. -  dico  - Entra. -
 Lui mi sorride dolcemente e quando mi ha raggiunto mi abbraccia.  - Sei nervosa? -  chiede.
 - Un po’. -  ammetto. Sto per tornare a Idris. A parte la guerra, rivedrò il posto in cui sono nata e in cui i miei genitori sono morti. Ho un po’ paura di questo. Non vorrei che tutto il dolore e il vuoti della perdita riaffiorino.
 - Andrà tutto bene. -  mi rassicura e io non posso fare a meno di sorridergli. Gli ho parlato dei miei genitori e sa che sono morti per un malfunzionamento delle Torri Antidemoni, sa che forse è proprio dal ritorno a casa che sono spaventata.
 Si allontana leggermente da me, mi prende il volto fra le mani e mi bacia.
 Ricambio accarezzando le sue labbra con le mie e poi gli sfioro la guancia con una mano.  - Grazie. -  sussurro abbracciandolo ancora.
 Sorride.  - Ti amo, Ellie. -  sussurra al mio orecchio, stringendomi di nuovo tra le braccia.  - E ti starò accanto. Sempre. -
 Sorrido a mia volta.  - Anche io ti amo. -  ed è come se una mano fredda mi si fosse poggiata sul cuore.
 
 - Ti va una tazza di tè, prima di partire? -  mi chiede Tom quando entriamo in cucina, mano nella mano.
 Annuisco.  - Per voi il tè è d’obbligo, vero? -  chiedo sedendomi al tavolo e osservandolo mentre maneggia con il bollitore.
 Lui ride.  - Be’, a Londra il tè è sacro. -  spiega.
 L’avevo immaginato. Anche noi qui sorseggiamo tè, ma non così tanto. Preferiamo il caffè, ci dà la giusta carica per affrontare le sfide quotidiane.
 Quando il bollitore sbuffa, Tom versa il tè nelle tazze e poi me ne porge una sedendosi accanto a me. Mi porge la ciotola con le zollette di zucchero e io ne immergo una dopo aver aggiunto del latte.
 - Grazie. -  dico.
 E poi sorseggiamo la nostra bevanda nel più completo silenzio.
 
 Raggiungo la camera di Henry e busso.
 Lo sento muoversi all’interno e quando mi invita ad entrare apro la porta e sorrido.
 - Magnus sta arrivando. -  annuncio e lui annuisce.
 Chiude la finestra della stanza, prende il suo stilo e la sua Stregaluce e si avvicina.
 - Pronta a partire? -  mi domanda.
 Sospiro e poi annuisco.  - Diciamo di sì. -
 - Ehi. Stiamo per tornare a casa. -  mi dice  - Ti avevo promesso che ci saremo tornati insieme, no? -  mi chiede.
 Sì, l’aveva fatto. Ma sono successe così tante cose che sembra accaduto una vita fa. Prima dell’arrivo di Tom, Clary e Simon, del tradimento di Hodge, di Valentine, della battaglia sulla barca, della morte di quei Nascosti… sembra tutto così lontano e inverosimile, che non riesco nemmeno a concepire come potessimo passare il tempo a parlare di cose così futili e banali. Annuisco.  - Sì. -  ribatto.
 Lui mi sorride.  - Andiamo? -
 - Tom ci sta aspettando in giardino. -  dico.
 Il mio parabatai annuisce e mi segue nei corridoi dell’Istituto.
 
 Quando arriviamo in giardino, vediamo che Magnus sta per evocare il Portale e Tom lo sta osservando curioso, quasi potesse imparare qualcosa da lui.
 Mi sorride, vedendomi avanzare.  - Sei pronta? -  mi sussurra all’orecchio quando mi stringo a lui e gli cingo il fianco con un braccio.
 Annuisco.
 Henry si rivolge a Magnus.  - È pronto? -  chiede impaziente.
 Lo stregone si volta e gli rivolge uno sguardo misto tra l’indignato e il divertito.  - La calma è la virtù dei forti, Henry Faircross. -
 Il mio amico sbuffa a me sfugge una risata.
 Tom sorride e mi stringe ancora di più a sé.  - Sappiamo dove ci condurrà esattamente il portale? -  chiede.
 Magnus annuisce.  - Nella foresta di Brocelind. -  risponde  - Non possiamo comparire direttamente ad Alicante, perciò dobbiamo rimanere fuori. Attraverseremo la foresta e raggiungeremo la città. -
 Sgrano gli occhi.  - Vieni con noi? -
 Lui annuisce  - Ovvio. -  replica  - Se vi lasciassi soli sono sicuro che combinereste un disastro. -
 Rido  - Questo è davvero scorretto, Magn… -  la mia voce di rompe a causa di un attacco di tosse, non so se a causa delle polveri che l’incantesimo di Magnus sta sollevando o se perché mi è andato di traverso qualcosa.
 Tossico convulsamente coprendomi la bocca con una mano.
 - Ellie, ti senti bene? -  chiede Tom, reggendomi per le spalle.
 Annuisco. È solo un po’ di tosse.
 Henry si avvicina e mi poggia una mano sul braccio.  - Sicura che sia tutto ok? -
 Proprio mentre sto per rispondergli, scostando la mano dalla bocca, vedo che la pelle è macchiata di sangue. Impallidisco.
 - Ellie… -  dice Henry  - Cosa…? -
 - Oh, per l’Angelo… -  mi sfugge in un rantolo.
 - Siediti. -  mi consiglia il mio ragazzo e mi accompagna accanto ad un panchina in pietra.
 Mi siedo e quando mi porge un fazzoletto mi pulisco il viso dal sangue. Cosa mi sta succedendo?
 - Ellie… -  comincia Henry.
 So dove vuole arrivare  - Sto bene. -  mi affretto a dire con voce strozzata e proprio in quel momento mi coglie un altro attacco di tosse.
 Il Portale si apre con un botto simile a quello di un’esplosione.
 Ci voltiamo tutti e tre appena in tempo per vedere Magnus venire verso di noi.  - È tutto ok? -  chiede.
 - No. -  risponde Henry  - Ellie sta tossendo sangue. -  risponde  - Ti sembra tutto ok? -
 Lui gli rivolge uno sguardo spazientito e poi si volta verso di me.  - Fai vedere. -  mi dice e poi solleva il mio volto con due dita.  - Quando è cominciata? -
 Scuoto il capo  - Adesso. -  rispondo  - Non mi era mai successo prima. -
 - Mmm… -  gli sfugge mentre riflette.
 - Forse dovresti rimanere qui. -  afferma Henry  - Non è sicuro andare a Idris utilizzando un portale, nelle tue condizioni. -
 Scuoto vigorosamente il capo  - No! È escluso che io rimanga qui mentre i miei amici rischiano la vita. -
 - Potresti sempre partire domani o dopodomani. -  fa notare Tom.
 Perché sono tutti contro di me? Non rimarrò di certo qui.  - No. -  ripeto  - Non se ne parla. Sto bene. -
 - Be’, considerano che stai sputando sangue, letteralmente, non credo che… -  interviene Magnus.
 Lo fulmino con lo sguardo e lui si zittisce immediatamente.
 - D’accordo. -  acconsente Henry.  - Andiamo, dato che non c’è verso di farti cambiare idea. -
 Annuisco e mi alzo insieme a Tom.
 Magnus ci precede e quando arriviamo davanti al porta ci fermiamo.
 - Prendiamoci per mano. -  consiglia lo stregone  - Almeno saremo sicuri di arrivare nello stesso luogo. -
 Prendo le mani di Tom e di Henry e inspiro profondamente, nonostante l’addestramento, è la prima volta che attraverso un portale. Spero che non sia qualcosa di tremendo o doloroso.
 - Pronti? -  chiede Magnus.
 - Sì. -  rispondiamo in coro.
 - Al tre. -  annuncia  - Uno. Due. Tre! -  insieme corriamo verso l’apertura davanti a noi. Sembra di saltare in una vasca piena d’acqua.
 Sento un rumore simile a quello di un sasso che affonda e poi un vortice mi risucchia. Avverto ancora le mani dei miei amici incollate alle mie. Sembra che siano state messe sotto vuoto.
 Un altro tonfo e sento l’aria sferzarmi nuovamente il viso.
 Atterriamo sul morbido di un manto erboso.
 Gemo quando il mio corpo cozza contro il terreno.
 Tom è subito accanto a me per aiutarmi a rialzarmi.  - Stai bene? -  chiede.
 Io annuisco e mi metto in piedi cercando Henry e Magnus con lo sguardo.  - Tu stai bene? -
 - Tutto ok. -
 - Henry! -  lo chiamo.
 Sento un gemito dietro di me, mi volto e lo vedo che tenta di mettersi in piedi.
 - Sto bene. -  mi dice con un cenno della mano.
 Magnus sta avanzando verso di noi e si sta spazzolando i pantaloni con le mani.
 - È tutto ok, Magnus? -  domando.
 Lui mi sorride.  - Sì. -  afferma, poi dopo essersi guardato intorno ci incita a muoverci  - Andiamo. La foresta di Brocelind non è propriamente sicura di notte. -
 E ci incamminiamo.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti :D
Rieccomi qui con un capitolo, finalmente, più lungo degli altri! ;)
Spero tanto che vi piaccia e che si capisca, perché succedono molte cose tutte insieme ^_^”
Fatemi sapere.
A presto,
Eli
 

 

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Capitolo 17
*** Dimenticare ***


Love Turns to Ashes

XVII
Dimenticare

 
 Dopo aver camminato per più di un’ora, arriviamo al limitare della foresta.
 Le luci della città sono pallide all’orizzonte.
 Sento il mio cuore accelerare.
 Stiamo per arrivare ad Alicante. La casa dei Nephilim. La mia casa.
 Magnus ci dice di seguire il sentiero, che è l’unico modo per arrivare in città.
 - Tu non vieni? -  chiedo voltandomi verso di lui, anche se faccio fatica a mettere a fuoco la sua figura.
 Lui scuote il capo e i suoi occhi da gatto brillano nell’oscurità della notte  - Devo prima fare una cosa. -  afferma. Annuisco e lui mi scocca un bacio sulla guancia.  - Ci vediamo. -
 - Fai attenzione. -  mi raccomando e lui mi sorride  - Grazie. -  aggiungo.
 Lui solleva una mano e sparisce nell’oscurità della notte.
 - Bene. -  esordisce Henry facendoci trasalire.  - Andiamo? -
 Io e Tom annuiamo e riprendiamo il cammino.
 
 - Per l’Angelo! -  esclama Henry  - Ma quanto ci vuole? -  chiede  - Non ricordavo che il tragitto fosse così lungo. -  siamo distrutti, camminare così a lungo è faticoso, soprattutto di notte, dato che non vediamo nulla di ciò che ci circonda.
 Tom scuote il capo  - Avrebbe potuto farci comparire un po’ più vicini. -  si lamenta ansimando.
 - Ehi. -  li rimprovero entrambi  - Ha fatto il possibile. -  spiego  - È già tanto che abbia deciso di aiutare dei Nephilim. -  Magnus non prova simpatia per noi Cacciatori. Mi vuole bene, certo, e anche ad Alec, ma per il resto… non siamo tra le creature che più adora a questo mondo.
 Henry sospira.  - Lo ha fatto per te. -  fa notare  - Se glielo avesse chiesto qualcun altro, non avrebbe sicuramente accettato. -
 Sorrido e arrossisco, certa che nell’oscurità della notte non potranno vedermi.  - A parte Alec. -  aggiungo, per lui farebbe qualsiasi cosa.
 - Già. -  concorda Tom  - Sono una bella coppia. -  aggiunge qualche secondo dopo.
 Stringo più forte la sua mano, sapendo che tutti devono ancora abituarsi all’idea di una relazione tra i due. Ma hanno fatto un grande sforzo, a parte lo shock iniziale. Non accade tutti i giorni che un Cacciatore e un Nascosto escano insieme, non è una cosa brutta, anzi, ma i Cacciatori vecchio stampo non la vedono di buon occhio.
 La strada sterrata si interrompe per lasciare il posto ad un ciottolato. Ci fermiamo per un momento perché ci sembra impossibile di essere quasi arrivati.
 Acceleriamo il passo e quando le prime case cominciano a comparire sospiriamo di sollievo. Siamo arrivati. Non ci posso credere.
 Il buio ha accolto ogni cosa, e a parte la luna e le stelle non c’è nient’altro a illuminarci la strada. Ormai saranno le dieci o le undici passate.
 Siamo tutti stanchi e abbiamo bisogno di riposare e quando finalmente i nostri piedi incontrano il terreno regolare e piastrellato della piazza, non possiamo che sospirare di felicità.
 Due schiere di case si stagliano alla nostra sinistra e alla nostra destra. Le torce di Stregaluce illuminano debolmente la strada, rendendo più facile avanzare senza farsi del male inciampando.
 Stringo ancora la mano di Tom, che sembra incantato come noi da questo spettacolare paesaggio.
 - È proprio come me la ricordavo. -  mi lascio sfuggire.
 - Già. È solo più buio. -  fa notare Henry e io non posso fare a meno di sorridere.  - Allora… dove passeremo la notte? -  chiede Henry.
 - Non lo so. -  affermo  - Dove sono Alec, Izzy e Jace? -  non ci avevo pensato prima di partire. Non sappiamo dove sono e chi li ha ospitati, altrimenti avremmo potuto raggiungerli.
 Lui scrolla le spalle.  - Non ne ho idea. -  afferma  - Domani dovremo cercarli. -
 - Non c’è qualcuno che conoscete che possa ospitarci? -  interviene Tom.
 Io e Henry riflettiamo, ma è parecchio tempo che non veniamo ad Alicante. Non conosciamo nessuno e nemmeno sappiamo se qualche conoscente dei nostri genitori sarebbe disposto ad ospitarci anche solo per una notte.
 - Che facciamo? -  chiede Henry alla fine.
 Increspo le labbra come se potesse aiutarmi a riflettere meglio. Casa mia non si può usare: è semidistrutta ed è troppo lontana da qui.
 Poi ho un lampo.
 - E se andassimo a casa tua, Henry? -  propongo.
 Lui aggrotta le sopracciglia ed esita.
 So che risveglierà brutti ricordi, ma non abbiamo dove andare. È un’emergenza. A meno che preferisca dormire per strada.
 - Non è lontana da qui e ha varie stanze. -  faccio notare.
 - Va bene. -  conclude  - Seguitemi. -
 
 La porta della casa di Henry si apre con uno scatto.
 Incredibile, c’era ancora la chiave di scorta sotto lo zerbino.
 L’ingresso non è molto ampio, davanti a noi c’è la rampa di scale che conduce al piano superiore, alla nostra sinistra il salotto e a destra la piccola cucina.
 - Prego. -  Henry ci fa cenno di entrare e io varco la soglia seguita da Tom.
 - Bella casa. -  si congratula il mio ragazzo guardandosi intorno.
 Il mio parabatai ringrazia con un cenno del capo e dice che ci mostrerà le camere in cui potremo riposare.
 Saliamo le scale e raggiungiamo il piano superiore.
 Le camere sono disposte le une accanto alle altre, tranne il bagno che è in fondo al corridoio.  Le pareti sono sobrie, dipinte di bianco anche se ormai il colore è stato sostituito dalla muffa e dai segni che l’umidità ha lasciato nel corso degli anni.
 Ricordo ogni particolare di questo posto. Quand’ero bambina passavo più tempo qui che a casa mia. Henry era il mio migliore amico, prima di essere il mio parabatai e i suoi genitori erano anche i miei in fin dei conti.
 - Io prendo la stanza dei miei. -  annuncia Henry  - Il letto è molto scomodo. -  
 Annuisco. Mi ricordo che non ci si poteva saltare sopra per quanto era duro.
 - Tom, puoi usare la mia stanza. -  dice e poi indica la porta  - Seconda porta. -  
 Tom annuisce  - Grazie, Henry. -
 Il mio amico si volta verso di me e indica l’ultima porta.  - Ellie, puoi usare la stanza di Abbie. -  conclude.
 Annuisco e lo ringrazio.
 Dopo essere andata in bagno a cambiarmi entro nella stanza della sorella di Henry e mi sdraio sul letto.
 Mi ricordo bene Abbie. È morta con i suoi genitori nel corso della prima guerra contro Valentine. Un demone li massacrò in una notte d’inverno. Non so se lo avesse mandato Valentine, o se fosse arrivato da solo, ma le difese di Alicante erano cadute ed è riuscito a raggiungere la città.
 Fu proprio Abbie a nascondere Henry prima che il demone lo trovasse e uccidesse anche lui.
Lo ricordo perché la notte seguente fu la volta dei miei genitori e io, pur non avendo una sorella, riuscii a nascondermi. Sentii le urla, i colpi dei fendenti, gli artigli e i sibili del demone… udii ogni cosa. Ma non feci nulla. Era impaurita e troppo piccola per fronteggiare un demone. Quando uscii dal mio nascondiglio vide i cadaveri dei miei genitori e rimasi loro accanto fino a che Magnus non venne a portarmi via. È l’ultima immagine che ho della mia famiglia e…
 Basta, devo smettere di pensarci.
 Adesso devo riposare.
 
 Mi sveglio un’ora prima dell’alba. I raggi del sole che penetrano dagli spiragli della finestra chiusa mi accarezzano il viso e io socchiudo gli occhi per abituarmi alla luce.
 Sbadiglio, mi stropiccio gli occhi e decido di alzarmi.
 Rimango per un momento seduta sul bordo del letto ad osservare la porta, poi mi alzo, mi sistemo i capelli con la mano e dopo essermi guardata allo specchio e aver visto che sono presentabile, mi avvio verso le scale.
 Le scendo lentamente ed entro un cucina.
 Henry è già seduto al tavolo; è pallido e sembra perso nei suoi pensieri. Immobile come una statua greca. Non osso fare ameno di notare che ha anche le fattezze di una statua: zigomi perfetti, pelle pallida, occhi penetranti e magnetici, capelli lisci e soffici…
 Mi avvicino e gli poggio una mano sulla spalla. - Henry? - lo chiamo.
 Lui si desta e voltandosi mi sorride.  - Ciao. -
 - Stai bene? -  domando dolcemente, mi sembra diverso.
 Lui annuisce, ma io non sono molto sicura che mi abbia detto la verità.
 - Sicuro? -  chiedo ancora chinandomi per osservarlo meglio.
 Annuisce ancora.  - Sì, stai tranquilla, Lea. -  mi rassicura sfoggiando uno dei sui migliori sorrisi.
 Sorrido a mia volta al pensiero che con quel sorriso convincerebbe chiunque. È sempre stato persuasivo e bellissimo. Di una bellezza spigolosa, ma non fastidiosa, di cui non ci si stanca. A tratti delicata, ma anche piena di vitalità.
 I suoi occhi sembrano illuminarsi e sento che anche le mie labbra si sono increspate a formare un sorriso.
 Decido di credergli. Decido di credere, almeno per ora e fino a prova contraria, che va tutto bene. Gli accarezzo una guancia con la mano e mi metto a cavalcioni sulle sue ginocchia in modo che i nostri occhi siano alla stessa altezza. Il nero della sue iridi e il grigio-azzurro delle mie quasi si fondono e i nostri sguardi si incatenano. Sento le sue mani percorrermi i fianchi e una scossa elettrica attraversarmi la colonna vertebrale.
 Gli circondo il volto con le mani e lo sento sospirare.
 - Ti avevo promesso che ci saremo tornati. -  mi sussurra.
 Io sospiro.  - Speravo che non fosse per una guerra. -
 Lui sorride.  - Tutte le guerre finiscono, prima o poi. -
 Annuisco. Forse ha ragione.  Spero solo che questa guerra non finisca con la morte di coloro a cui voglio bene. Non lo sopporterei. Ho già troppi brutti ricordi legati a questo posto.
 - Quando sarà finita andremo a fare una bella passeggiata nella foresta di Brocelind e a raccogliere i fiori come quando eravamo bambini. -  mi promette.
 Rido.  - Te lo ricordi. -  faccio notare.
 - Mi ricordo che mi facevi una coroncina di fiori praticamente ogni giorno. -
 Ridiamo insieme.
 - Be’, ti stavano bene. -  affermo  - Non dicevi di voler essere il re della foresta? -  mi ricordo che me lo ripeteva in continuazione.
 - Già. -  conferma  - E volevo che tu fossi la mia regina. -  aggiunge in un sussurro.
 Mi sfiora la guancia con i polpastrelli e io sento il sangue affluire al viso. Il cuore mi pulsa violentemente nel petto premendo contro la cassa toracica e l’eco del battito rimbomba nelle mie orecchie.
 Henry poggia la sua fronte alla mia e tenendomi stretta per i fianchi avvicina i nostri corpi.
 Per un momento mi manca il respiro.
 Perché ho l’impressione che tutto questo sia sbagliato?
 Non sta succedendo nulla in fondo.
 Henry è sempre stato un fratello per me.
 Eppure, non so perché, ho l’impressione che qualcosa sia cambiato, che il suo rapporto con me sia diverso. Sarà per gli screzi che abbiamo avuto ultimamente, ma sento che c’è qualcosa di insolito.
 - Henry… -  sussurro senza fiato e con il cuore in gola. Non so cosa sta succedendo, ma di una cosa sono certa: dobbiamo fermarci.
 Devo allontanarmi da lui.
 - Ellie, devo dirti… -  comincia.
 Sto per interromperlo dicendogli di non dire nulla, ma qualcun altro lo fa al posto mio.
 - Buongiorno. -  ci saluta Tom entrando in cucina.
 Io e Henry ci scostiamo immediatamente, ma io rimango seduta sulle sue ginocchia.
 - Ciao, Tom. -  lo saluto con un gran sorriso e pregando che il rossore sulle mie guance sia scomparso.
 Poi mi alzo e lo raggiungo per scoccargli un bacio sulle labbra, che lui ricambia accarezzandole con le sue e poggiandomi una mano sulla schiena.
 Henry si schiarisce la voce dietro di noi e io e Tom ci voltiamo per osservarlo.  - Andiamo a cercare i Lightwood? -
 Annuisco.  - Buona idea. -  affermo e dopo aver chiuso a chiave la porta ci avviamo verso la piazza.
 
 Dopo aver vagato per ore in cerca della casa dove alloggiano i nostri amici, decidiamo di chiedere ad un passante. Sulla piazza, vicino alla via che porta al sentiero per raggiungere la foresta, vedo due persone. Sono un uomo e una donna. Lui non indossa abiti da Cacciatore o tipici di questo posto, ma lei sembra di Alicante, perciò mi avvicino.
 - Mi scusi! -  dico e quando lui si volta, dato che era di spalle, mi blocco  - Luke? -  esclamo.
 È il capo del clan dei Lupi Mannari di New York o i miei occhi mi stanno ingannando?
 - Ellie? -  esclama a sua volta, stupito di vedermi lì  - Cosa fai qui? Non eri rimasta all’Istituto? -
 - Sì, ma ho saputo che Clary era venuta qui insieme a te e io, Henry e Tom vi abbiamo seguiti. -  spiego.
 - Ma… come avete fatto? -  domanda perplesso.
 - Magnus ci ha trasportati con un portale nella foresta di Brocelind. -  spiego.
 Lui annuisce.
 - Abbiamo passato la notte nella vecchia casa di Henry. -  aggiungo.
 Lui si volta verso la donna e le indica me e i miei amici, che intanto si sono avvicinati.  - Ragazzi, lei è Amatis, mia sorella. -  dice  - Amatis, loro sono Ellie Nightshade, Henry Faircross e Tom Greenstorm, alcuni dei Cacciatori dell’Istituto di New York. -
 La donna annuisce.  - Piacere di conoscervi. -
 Sorrido.  - Piacere nostro, Amatis. -  poi noto che sugli avambracci ha i marchi. Com’è possibile che sia una Cacciatrice se Luke è un Nascosto? Allontano quel pensiero, abbiamo altre priorità.
 Mi volto verso di lui  - Luke, dov’è Clary? -  chiedo.
 Lui indica la strada.  - Stava andando da Jace e dai Lightwood. -
 Quindi sa dove sono. Fantastico.  - Sai dove stanno? -
 Lui annuisce  - Dai Penhallow. -  risponde.
 - Grazie. -  dico e gli rivolgo un sorriso  - Rimarrai qui a Alicante? -
 Annuisce ancora.  - Sì. Non posso lasciare Clary da sola. -
 - Allora credo che ci vedremo spesso. -  affermo, poi mi rivolgo alla sorella  - Piacere di averti conosciuta, Amatis. -  lei sorride  - A presto. -
 Mi volto verso Henry e Tom e ci avviamo verso la casa dei Penhallow.
 
 - I Penhallow abitano qui ad Alicante? -  domanda Tom mentre saliamo le scale della piccola villa dipinta di azzurro e suoniamo alla porta.
 - Sì. -  risponde Henry  - Anche se vengono spesso all’Istituto. -
 La porta si apre con uno scatto e ci troviamo davanti a Isabelle.
 - Ragazzi? -  esclama stupita.
 - Ciao, Izzy. -  la salutiamo in coro.
 - Ma non dovevate rimanere a New York? -  chiede.
 Dato che nessuno sembra voler dare spiegazioni, lo faccio io  - Dato che abbiamo saputo che Clary è venuta qui, l’abbiamo seguita. Vogliamo renderci utili. -
 Lei annuisce e sospira  - Già. Vedere Clary è stata una sorpresa. -
 - Ehm -  sento dire da Henry alle mie spalle  - Pensi di farci entrare o ci dobbiamo accampare sulla soglia? -
 - Venite. -  ci invita e si scosta per permetterci di entrare nel piccolo atrio.
 Come la casa di Henry, anche questa non è molto ampia, ma i muri dipinti di verde acqua e i mobili di legno chiaro la rendono accogliente e piacevole.
 Raggiungiamo il salotto dove, sul divano stanno seduti Alec e un altro ragazzo dai capelli neri.
 - Alec. -  lo chiama la sorella  - Guarda chi c’è. -
 Lui si volta e sul suo viso si dipinge un sorriso.  - Ellie! -  esclama.
 - Ciao, Alec. -  lo saluto e quando mi viene incontro lo abbraccio forte cingendogli le spalle.
 - Sono felice di rivederti. -  mi sussurra all’orecchio.
 Io sorrido e quando ci separiamo si rivolge a Henry e Tom.  - Come va, ragazzi? -
 Loro sorridono e rispondono  - Bene. -
 - Ragazzi, questo è Sebastian Verlac, il cugino di Aline. -  dice Isabelle indicando l’altro ragazzo, che intanto si è alzato e si è avvicinato.
 - È un piacere conoscervi. -  dice stringendo la mano a tutti.
 Dopo esserci presentati, ci sediamo sui divani appena in tempo per veder entrare Aline.
 Quando ci vede sorride.  - Ciao! -  ci saluta  - Cosa ci fate qui? -
 Io mi alzo in piedi e la abbraccio forte.  - Siamo venuti a dare manforte, no? -  
 Lei ricambia la stretta e poi stringe la mano a Henry e lo stesso fa con Tom, che si presenta.
 - È tutto a posto? -  chiede Sebastian.
 - Sì. -  risponde lei, poi abbassa lo sguardo.  - Allora, che ne dite di un tè? -
 
 Mentre stiamo gustando il nostro tè, sentiamo qualcuno correre giù per le scale.
 Quando mi volto vedo che è Clary che dopo averci rivolto uno sguardo fugace esce di corsa sbattendo la porta.
 Mi volto verso i miei amici, perplessa.
 - Oh, cavolo. -  si lascia sfuggire Aline  - Spero non sia per quello che ha visto. -
 Aggrottiamo le sopracciglia uno per uno.
 - Cosa avrebbe visto? -  chiede Isabelle.
 - Be’, credo me e Jace mentre ci baciavamo. -  risponde l’altra.
 Sgrano gli occhi. Cavolo. Jace l’ha dimenticata in fretta.
 - Forse qualcuno dovrebbe andare a parlarci. -  propone Alec  - Isabelle. -  aggiunge indicandole la porta.
 Lei ride.  - Certo. -  afferma  - Come se fossimo così amiche da scambiarci delle confidenze. -
 - Andiamo, Iz. -  insiste - Potrebbe fare qualche sciocchezza e poi ci troveremo a dover rimediare. -
 - Non se ne parla. -
 Dato che Tom e Sebastian sono immersi in una conversazione sulle armi da usare in battaglia, mi alzo.  - Vado io. -  neanche io sono sua amica, ma credo che sia d’obbligo almeno chiederle come sta e se ha bisogno di qualcosa.
 - Grazie al cielo. -  sussurra Isabelle e io la fulmino con lo sguardo prima di uscire.
 
 Quando apro la porta vedo che Clary sta camminando velocemente verso la piazza, probabilmente diretta verso la casa di Amatis.
 - Clary! -  la chiamo sollevando una mano.
 Lei si volta e si asciuga le lacrime.  - Ellie? Cosa ci fai qui? -  chiede.
 - Potrei farti la stessa domanda. -  dico raggiungendola e accennando un sorriso.
 - Dovevo vedere una persona. -  spiega.
 - Jace? -  chiedo. Se era dai Penhallow, era sicuramente per lui.
 Scuote il capo.  - A lui volevo solo farlo sapere, ma ha… -  abbassa lo sguardo e vedo che altre lacrime le rigano il volto.
 - Lo sai com’è fatto. -  le dico. Sono certa che l’ha trattata come uno zerbino, com’è solito fare con tutti.
 Lei annuisce e poi si asciuga nuovamente le lacrime.  - Già, avrei dovuto saperlo. Non so nemmeno perché ho provato a parlarci. -  conclude.
 Mi volto per osservare alcune persone che attraversano la piazza e le propongo di sederci su un muretto per parlare un po’, così che si calmi.
 Una volta sedute, riprendo.  - Posso chiederti, se non sono indiscreta, chi dovevi incontrare? -
 Lei solleva lo sguardo.  - Uno stregone. Ragnor Fell. -  replica.
 Annuisco. Sapevo che stava qui a Idris, anche se non si sa esattamente dove.  - L’hai trovato? -  nessuno sa dove risieda, credo che non voglia essere disturbato.
 Scuote il capo.  - No. Non so nemmeno da dove cominciare a cercarlo. -
 - Hai provato a chiedere ad Amatis? O ai Penhallow? -
 - No. -  risponde  - In ogni caso, spero di trovarlo. Lui sa come svegliare mia madre. -
 Sollevo lo sguardo di scatto.  - Davvero? -  esclamo.  - Ma è fantastico, Clary! -
 - Spero solo che voglia aiutarmi. -  confessa.
 - Ti aiuterà. -  la rassicuro poggiandole una mano sulla spalla.
 Mi sorride e poi solleva lo sguardo  - Adesso devo tornare da Amatis. -  afferma saltando giù dal muretto  - Sarà preoccupata. -
 Sorrido a mia volta.  - Ci vediamo. -
 Prima che possa allontanarmi, la sua voce mi costringe a voltarmi nuovamente.
 - Ellie? -  mi chiama  - Grazie. -
 Sorrido e sollevo una mano.
 
 Vedo Tom seduto sui gradini di casa Penhallow, intento ad osservare il paesaggio. Il suo volto è rilassato e sembra felice. Vedo i suoi occhi brillare sotto la luce del sole.
 Sorrido e mi avvicino.  - Ciao. -  saluto e lui solleva lo sguardo verso di me.
 - Ehi. -  mi dice facendomi spazio.
 Mi siedo accanto a lui e osservo la strada.
 - Com’è andata con Clary? -  mi domanda.
 Faccio spallucce.  - Ovviamente Jace l’ha trattata male, ma credo che ci sia abituata. -  spiego  - Le passerà. -
 Lui annuisce.  - Certo, dev’essere brutto. -  mi dice.
 Mi volto verso di lui.  - Il fatto che Jace sia così maleducato? -  chiedo  - Sì. -  ho sempre odiato la sua sfacciataggine.
 Tom sorride.  - No. Il fatto che si amino nonostante il loro amore sia proibito. -  chiarisce.
 Sospiro.  - Sì, dev’essere tremendo. -  non so se riuscirei a resistere come fanno loro.
 Aggrotta le sopracciglia.  - Credo che non si supererà mai davvero una cosa del genere. -
 - Be’, Jace stava baciando Aline quando Clary è arrivata. Credo che l’abbia presa piuttosto bene. -  concludo.
 Tom ride.  - Così sembra. Anche se credo che stia solo tentando di dimenticarla. -  spiega  - Anche se si trova un ‘passatempo’ non è detto che si sia dimenticato della persona che ama. -
 - Io non credo che potrei trovarmi un passatempo, se amassi ancora una persona. -  faccio notare.
 - C’è chi lo fa per non soffrire. -  aggiunge.
 Annuisco. Forse ha ragione. Probabilmente per Jace è tutto più semplice così.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Rieccomi con il 17esimo capitolo.
Finalmente siamo a Idris! *.* E la guerra si avvicina! ^.^”
Comunque, spero che il capitolo vi piaccia.
Fatemi sapere.
A Lunedì,
Eli ^_^

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Capitolo 18
*** Schegge ***


Love Turns to Ashes
 
XVIII
Schegge
 
 Sono accoccolata sotto le coperte nel letto della stanza di Abbie da meno di un’ora quando sento un fracasso terribile venire dal piano inferiore.
 Mi metto a sedere di scatto e tendo l’orecchio.
 Cosa diavolo è stato?
 Rabbrividisco.
 Qualcuno è entrato in casa?
 L’ultima volta che ho sentito un trambusto simile è stato quando il demone che ha ucciso i miei genitori aveva fatto irruzione in casa mia.
 Sento il sangue gelarsi nelle vene e per un momento sembra che anche il mio cuore abbia smesso di battere per permettermi di captare ogni rumore, ogni suono.
 Mi alzo poggiando i piedi sul freddo pavimento e prendo la spada angelica che ho lasciato accanto alla porta.
 Non posso nemmeno chiedere l’aiuto di Tom dato che è dovuto andare alla riunione del consiglio con Maryse e Robert.
 Lascio la porta della mia stanza aperta e percorro il corridoio.
 Mi avvicino alla porta della stanza di Henry e la apro lentamente.
 Entro e mi avvicino al letto matrimoniale per svegliarlo e chiedergli di accompagnarmi di sotto. Quando scosto le coperte vedo che il mio parabatai non c’è.
 Ho un tuffo al cuore.
 È sceso ad affrontare l’intruso da solo?
 Non poteva chiamarmi?
 Esco socchiudendo la porta e scendo le scale lentamente prestando attenzione a non fare rumore per non attirare l’attenzione del misterioso visitatore. Sento un tonfo e poi qualcosa cadere a terra. Un oggetto di vetro si infrange contro il pavimento e tento di trattenere un gemito di paura.
 Quando arrivo all’ultimo gradino prendo un bel respiro e avanzo ancora. Giro a sinistra ed entro nel piccolo salotto, dove vedo una luce accesa. Proprio mentre sto per sollevare la spada, vedo che non c’è nessun demone. Anzi, la persona che mi sta davanti è qualcuno che conosco.
 È Henry.
 Ci sono libri sparsi ovunque e vari soprammobili rotti attorno a lui.
 - Henry… -  sussurro.
 Lo vedo muoversi convulsamente per la stanza. Si avvicina alla libreria, prende altri libri e li getta a terra, sferra loro un calcio e poi con la mano spazza via alcune statuine in vetro che si infrangono sul pavimento.
 Sobbalzo.
 Ma cosa gli prende?
 Lo sento sussurrare qualcosa di incomprensibile, sembra un lamento. Si porta le mani alla testa e le preme sulle tempie.
 - Henry. -  dico più forte e mi avvicino a lui.
 Non sembra fare caso a me, infatti continua a spaccare tutto e a sferrare pugni alla libreria in legno.
 Lo raggiungo e lo afferro per le braccia costringendolo a voltarsi verso di me.  - Henry, fermo! -  esclamo.
 Lui scuote il capo e abbassa lo sguardo.  - No… No… -  bofonchia  - A…ie -  mormora premendosi le mani sulle orecchie.
 Aggrotto le sopracciglia. Cosa sta dicendo? - Henry, ti prego, calmati. -  lo imploro, mi sta spaventando  - Che succede? -
 Lui scuote nuovamente il capo e poi parla più forte  - È colpa mia… Abbie… il demone l’ha uccisa… la mamma voleva che i-io… -
 Oh, no.
 Sento il cuore fermarsi.
 Abbie. È questo che lo tormenta.
 Oh, per l’Angelo… sapevo che venire qui avrebbe risvegliato in lui dei brutti ricordi. Sapevo che l’avrebbe fatto soffrire.
 Perché non siamo rimasti dai Penhallow? Accidenti a me.
 Aumento la pressione sulle sue braccia.  - Henry. -  lo chiamo  - Adesso calmati. -
 - No… io non… -  balbetta  - Abbie… devo aiutarla… -
 Sento gli occhi pizzicare  - Henry, Abbie non c’è. Calmati. -
 - Il demone… lui li ha già uccisi tutti… -  scuote il capo e singhiozza come se avesse realizzato che i suoi genitori sono morti.
 Sento una morsa al petto così dolorosa da farmi gemere.  - Henry… -  sussurro con voce strozzata, ma subito tento di ricompormi. Non devo piangere. Devo aiutare Henry.
 Il mio parabatai poggia la schiena contro la libreria e si lascia scivolare a terra. Aumenta la pressione delle mani sulle orecchie, sento i muscoli delle braccia che si tendono sotto i miei polpastrelli.
 Mi inginocchio davanti a lui e gli poggio una mano sulla spalla. Cosa posso fare per aiutarlo? Come posso far cessare il dolore che lo tormenta?
 - Ellie… -  sussurra come se si fosse reso conto che sono lì solo in quel momento.  - Ellie. -
 Poggia la testa sulla mia spalla e, dopo averlo avvolto con le braccia, lascio che pianga.  - Va tutto bene, Henry. -  sussurro accarezzandogli i capelli  - È tutto ok. Sono qui. -
 Mi circonda le spalle con le braccia e affonda il viso nell’incavo del mio collo.  - Lea, mi dispiace tanto… -  singhiozza  - Non volevo… non sono stato un buon Cacciatore… -
 Scuoto il capo.  - No. Non è vero e lo sai. Sei il migliore. -  lo rassicuro.
 - No… -  ripete  - Avrei dovuto proteggerli. Avrei dovuto affrontalo… -
 - Come avresti fatto? Eri solo un bambino. -
 - Non sono degno di essere un Nephilim… -
 - Sai bene che non è vero. Adesso calmati. -  gli dico e gli accarezzo la guancia. Lo aiuto ad alzarsi e poi mi dirigo verso il divano, sposto alcuni cuscini e poi mi siedo incrociando le gambe. Lo tiro per un braccio e lui si sistema accanto a me. Continuo ad accarezzargli una guancia e ad asciugare le lacrime che gli rigano il volto.
 È così doloroso vederlo così. Mi fa male, terribilmente male.
 Henry è sempre stato forte e determinato, mostrava raramente la debolezza e forse è proprio per questo che adesso ha reagito così.
 - Non lasciarmi… -  mi implora.
 - Non ti lascio. -  replico  - Rimango con te quanto vuoi. -  sussurro.
 Lui si avvicina e mi stringe tra le braccia.  - Per sempre. -  sussurra contro il mio collo  - Rimani con me per sempre, Lea. -
 Un brivido mi percorre la schiena e un gemito sfugge dalle mie labbra. - Henry… -  ansimo. Sento le sue labbra sfiorare il mio collo e le sue dita incontrare la pelle della mia schiena accarezzandola delicatamente e sollevando la maglietta.
Con una mano gli accarezzo la schiena e circondo la sua vita con le gambe.
Sento il cuore galoppare nel petto. La testa potrebbe scoppiarmi da un momento all’altro.
 Henry solleva la testa e punta i suoi occhi nei miei.  - Lea… -  lo sento sussurrare ancora. Mi tira a sé e sento il mio bacino aderire al suo.
 Non riesco a staccare gli occhi dai suoi, sono come legata a lui da una forza invisibile. Sollevo una mano e gli sfioro la guancia con i polpastrelli. Il suo viso è freddo e pallido e mi sembra di potergli trasmettere il mio calore solo sfiorandolo.
 Avvicina il suo volto al mio e mi accarezza l’angolo della bocca con le labbra, poi scende sul collo e si sofferma sulla clavicola fino ad arrivare alla runa che ci lega come parabatai.
 - Henry. -  lo fermo, allontanando di scatto le sue mani dal mio corpo.
 - Lea, cosa…? -
 - Fermati. -  sussurro. Sento una stretta al cuore nel pronunciare quelle parole.
È sbagliato, la mia mente mi dice che tutto questo è sbagliato, che io ce l’ho un ragazzo, che io e Henry siamo parabatai… ma il mio corpo dice il contrario. Le mie membra, ogni singola cellula del mio corpo desidera che lui continui.
 Ma non possiamo.
 - Noi… io… -  tento di dire.
 - Lea, va tutto bene. -  mi rassicura accarezzandomi una guancia.
 - No. -  mi impongo  - No. Noi siamo parabatai, io sto con Tom e… e tu sei solo un po’ confuso. -  concludo e mi alzo in piedi.
 Lo vedo irrigidirsi.  - Ellie, ti assicuro che… -  si alza per bloccarmi.
 - Henry, ti prego. -  lo imploro, mi allontano ancora da lui e prima che possa fermarmi salgo di corsa le scale e mi chiudo in camera di Abbie.
 Solo ora mi accorgo che sto ansimando e che le lacrime hanno cominciato a rigarmi le guance.
 Tutto sta andando in pezzi.
 Questa casa.
 Questo paese.
 La nostra vita.
 Tutto.
 Di noi non rimarranno altro che schegge.
 
 ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO RITARDATARIO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Mi scuso per l’enorme ritardo nella pubblicazione, ma l’università si intromette continuamente nei miei piani! ^_^ chiedo venia.
Spero che questo capitolo vi piaccia. È breve, ma denso di avvenimenti.
Ovviamente qualcuno di voi aveva già previsto ciò che sarebbe successo, dato che era abbastanza prevedibile ;)
In ogni caso, spero davvero che vi piaccia. Fatemi sapere, mi raccomando. :)
A Lunedì, spero, con il prossimo.
Eli ^_^

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Capitolo 19
*** Questione di scelte ***


Love Turns to Ashes

XIX
Questione di scelte

Cammino avanti e indietro per la stanza.
Per l’Angelo.
Non riesco a crederci.
Non è possibile.
Non posso averlo fatto.
Ma che cavolo mi prende?
Mi porto le mani al volto e le premo sulle tempie.
Accidenti!
Sento la porta scattare.
Mi volto e sto già per cacciare Henry a calci, ma subito mi blocco.
 - Tom. -  dico vedendo il mio ragazzo fare capolino dalla porta.
 - Ehi, Ellie. -  mi saluta e si chiude la porta alle spalle  - Credevo che dormissi. -
Scuoto il capo e tento di ricompormi.  - No. -
 - Cos’è successo di sotto? Sembra che sia esplosa una bomba. -  mi dice.
Abbasso lo sguardo e mi impongo di recuperare la lucidità, di non pensare alle mani di Henry su di me, alle sue labbra, al suo corpo premuto contro il mio…
 - Henry. -  rispondo  - Tornare qui ha risvegliato in lui brutti ricordi. -  spiego.
Lui annuisce.   - Forse dovremmo trasferirci dai Penhallow. -  propone lui  - Almeno non dovrebbe convivere con i ricordi. -
 - Sì. È una scelta saggia. -  concordo. Avrei dovuto accettare subito la proposta di Aline. Non so perché non l’ho fatto.
Vedendo che ho le guance arrossate Tom si avvicina.  - Sicura di stare bene? -  chiede apprensivo accarezzandomi il volto con il dorso della mano.
Annuisco e prima che possa chiedermi qualsiasi altra cosa lo tiro a me circondandogli il collo con le spalle. Poggio le mie labbra sulle sue, cercandole avidamente e aspettando una sua risposta, che non tarda ad arrivare.
Mi circonda la vita con le braccia e mi tira a sé. I nostri corpi aderiscono anche se, mi rendo conto, non perfettamente come il mio e quello di Henry.
No.
Non dovrei pensare a Henry.
Non mentre bacio il mio ragazzo.
Non mentre assaporo ogni centimetro delle labbra di colui che mi ha detto più volte di amarmi.
Adesso c’è Tom.
Io e Tom.
Quando ci separiamo, lui mi osserva sorridendo.  - Come mai questa accoglienza? -  mi domanda in un sussurro.
Sorrido forzatamente.  - Mi sei mancato. -  in parte è la verità.
Mi è mancato, ma avevo anche bisogno di provare che quello che ho sentito poco fa con Henry era diverso, che non era così intenso come con Tom.
Ed è stato diverso.
Totalmente diverso.
Anche se non so se è una cosa positiva.
Sono troppo confusa.
 - Anche tu mi sei mancata. -  sussurra poggiando la sua fronte contro la mia. Poi si allontana  - Andiamo a dormire. -  dice  - Domani diremo ai Penhallow che andiamo a stare da loro. -  afferma.
Annuisco, gli sfioro nuovamente le labbra con le mie.
 - Buonanotte. -  sussurra.
 - Buonanotte, Tom. -  lo saluto e poi esce dalla stanza.
 
Quando il mattino seguente scendo al piano di sotto, vedo che né Henry né Tom sono ancora in piedi. Il mio ragazzo è tornato tardi dalla riunione del Consiglio e non so quando Henry sia andato a letto, ma suppongo tardi quanto me.
Entro in salotto e comincio a risistemare il disastro lasciato dal mio parabatai. I libri sono ancora intatti, ma non si può dire la stessa cosa dei soprammobili in vetro e ceramica. Dopo aver constatato che sono da buttare, li ammucchio in un angolo e mi occupo dei libri.
Dopo aver riempito il primo scaffale con alcuni manuali sui demoni, probabilmente appartenenti al padre di Henry, mi chino nuovamente per raccoglierne altri. Trovo il codice e alcuni romanzi mondani della madre del mio parabatai. Li prendo tra le mai formando una pila tentando di non farli cadere nuovamente.
Quando mi rimetto in piedi e mi volto, mi trovo davanti Henry.
Sobbalzo e i libri cadono a terra con un tonfo.
Abbasso lo sguardo sui volumi ai miei piedi, per poi risollevarlo sul volto del mio amico. I miei occhi incontrano i suoi.
Per un momento nessuno dei due parla. Rimaniamo in silenzio, ad osservarci.
 - Ellie… -  esordisce lui alla fine.
Io sospiro e lo blocco.  - No. -  non voglio che tenti di giustificarsi.
 - Ellie, ti prego… -  mi implora  - Dobbiamo parlare. -
 - No. -  mi impongo.
 - Quello che è successo… -  riprende, ignorando le mie proteste.
 - Non è successo nulla. -  lo interrompo facendo un passo indietro e osservandolo da capo a piedi.
 - Vuoi negarlo? -  chiede  - Vuoi negare che ieri sera noi due… -
Scuoto il capo  - Non c’è nessun noi, Henry. -  mi rendo conto di essere crudele. Ma spero di averlo ferito. Spero che capisca che nulla di tutto questo ha senso.
Sul suo volto vedo dipingersi un’espressione prima di sorpresa e poi di delusione.  - Ellie, noi… -  si sposta i capelli dal viso con un gesto della mano.
 - Basta, Henry. -  lo interrompo ancora duramente  - Smettila. -  Raccolgo i libri finiti a terra, li poggio a casaccio sulla mensola e lo oltrepasso per uscire dal salotto.
 - No. -  dice e mi afferra per un braccio tirandomi a sé  - Non ti permetto di andartene. -
Quando la sua mano incontra la pelle del mio braccio, sento una scossa elettrica attraversarmi. Mi sfugge un gemito che subito tento di soffocare mordendomi il labbro inferiore.
 - Non puoi impedirmelo. -  dico, ma la voce mi muore in gola quando sento le sue dita scorrere sul mio braccio provocandomi un brivido.
 - Non vuoi andartene. -  afferma sicuro.
I nostri occhi sono incatenati.
Ha ragione. Non voglio andarmene. Ma devo.
Non posso affrontare questo argomento. Non voglio affrontarlo.
 - Lasciami andare, Henry. -  ripete quasi ringhiando, anche se sto lottando per trattenere le lacrime.
Scuote il capo.  - Non finché non avremo parlato. -
 - Lasciami. -  ripeto tentando di liberarmi dalla sua presa.
I suoi occhi neri mi scrutano. Percorrono il mio corpo in cerca di un segno che riveli che ciò che sto dicendo non è quello che voglio davvero.
Sento dei passi giù dalle scale.
Tom compare sulla soglia del salotto.
 - Buongiorno. -  saluta.
Grazie al cielo è arrivato. Henry sarà costretto a lasciarmi andare.
Io mi volto.  - Ciao, Tom. -  sorrido e Henry molla il mio braccio lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
Mi avvicino al mio ragazzo e lo bacio. Lui ricambia e mi sorride.
 - Che ne dite se andiamo dai Penhallow? -  propone.
Io annuisco e lui si volta verso il mio amico  - Henry? -  chiede.
Lui solleva lo sguardo e vedo la sua espressione mutare.  - Vacci tu se vuoi, Greenstorm. -  risponde quasi ringhiando.
 - Sarebbe meglio andare via di qui. -  fa notare Tom.
 - Che ne sai tu? -  ribatte il mio parabatai.
 - Tutto questo è la prova che qui non possiamo più rimanere. -  replica indicando il disastro in salotto.
Henry ride  - Allora vai. -  ci invita  - Io rimango qui. -
Il mio ragazzo abbassa lo sguardo e poi si rivolge a me  - Ti aspetto fuori. -  
Annuisco e poi torno ad osservare Henry.  - Henry. -  dico e mi avvicino  - Sai bene che è meglio andarsene. -
Scuote il capo.  - Perché dovrei? -  domanda.
 - Perché quello che è successo ieri sera, quel crollo che hai avuto… -  mi interrompo  - Più lontano stai da qui, meglio è per te. -
 - E dove dovrei andare, di grazia? -
 - Con me e Tom dai Penhallow. -  rispondo con ovvietà.
Lui ride. Una risata amara  - Per vedere te e Tom stare insieme? -  esclama.
 - Credevo avessi accettato ciò che c’era tra me e lui. -  affermo ignorando le sue ultime parole.
 - Accettato? -  chiede muovendo un passo verso di me  - Io lo odio, Ellie. Lo odio con tutto il mio cuore. -
Le sue parole mi feriscono. Penetrano a fondo nella mia anima ferendomi come una lama affilata. Sento le lacrime premere contro i miei occhi.  - Come puoi dire questo sapendo cosa provo per lui? -
 - Tu non provi nulla per lui. -  ribatte  - E la prova di questo è ciò che è successo la scorsa notte tra me e te. -
Le immagini di me e Henry avvinghiati sul divano tornano a galla.
Le respingo prima che possano farsi troppo vivide.
 - Non è successo nulla. -  affermo, anche se sto mentendo alla grande anche e soprattutto a me stessa.
 - Davvero? -  chiede stuzzicandomi  - A me non sembra. -
 - Basta, Henry. -  sbotto, sono stufa  - Devi scegliere. Vieni con noi o rimani qui? -
 - Io ho già scelto. -  risponde  - La scelta è tua. Vai con Tom o rimani qui con me? -
Aggrotto le sopracciglia. Non so perché ma ho l’impressione che la scelta non riguardi solo il posto dove passeremo i nostri giorni a Idris, ma anche il nostro rapporto.
Non posso scegliere.
Non voglio perdere nessuno dei due.
Ma sono consapevole di trovarmi di fronte ad un bivio.
Tom o Henry.
Abbasso lo sguardo e poi inspiro profondamente.
Faccio un passo indietro verso la porta.
Sento il mio parabatai sospirare.  - Certo. Ovvio. -  dice scuotendo il capo.
 - Henry, ti prego. -  lo imploro con voce spezzata  - Nessuno ti costringe a… -
 - Vattene. -  ordina voltandosi e cominciando a sistemare alcuni libri.
 - Henry… -
 - Vattene! -  ringhia.
Indietreggio e senza aspettare che mi butti fuori a calci, esco chiudendomi la porta alle spalle.
 
Sono seduta sui gradini nel piccolo giardino di casa Penhallow. Le lacrime scorrono sulle mie guance come una cascata, impossibili da arrestare. Ho pianto così tanto che adesso sembrano corrodermi la pelle, sono dolorose, terribilmente dolorose.
Ho aspettato che non ci fosse nessuno a casa per piangere, non voglio che mi vedano così. Non voglio che mi chiedano il perché di queste lacrime, sarebbe troppo difficile per me spiegare e per loro capire.
Ogni qualvolta vedo comparire qualcuno dal fondo della strada, penso, spero che sia Henry, ma lui non arriva.
Ha deciso di rimanere a casa sua e mi ha cacciata via.
Non potrò più tornare, non perché non ne avrei il coraggio, ma perché non ci riuscirei dopo tutte le cose che mi ha detto.
 - Ellie? -  una voce mi costringe a voltarmi.
 - Ciao, Alec. -  saluto senza neanche preoccuparmi di asciugare le lacrime che stanno scivolando sulle mie guance pallide. Non mi interessa nascondere che ho pianto. Non al mio migliore amico.
Si siede accanto a me e senza dire nulla mi cinge le spalle con un braccio tirandomi a sé.  - Va tutto bene, El. -  mi sussurra e mi sfiora i capelli con le labbra.
 - No. -  singhiozzo  - Niente va per il verso giusto. -
 - Che succede? -  domanda.
 - Non devi raccontarlo a nessuno, Alec. -  esordisco  - Promettimelo. Promettimi che se ti metterò al corrente di tutto, non dirai nulla a nessuno. Neanche ai nostri amici. -
Lui aggrotta le sopracciglia, ma alla fine annuisce.  - Lo prometto. -  dice  - Ellie, mi stai facendo preoccupare. -
Prendo un bel respiro e gli racconto tutto tra lacrime e singhiozzi. Gli racconto di tutte le sfuriate di Henry, del fatto che odia Tom, di quello che è successo ieri sera, di quello che ho provato e del nostro litigio questa mattina.
Lui ascolta e annuisce, senza mai interrompermi.
Alla fine parla.  - Mi dispiace per quello che ti ha detto Henry. -
Scuoto il capo.  - Mi ha ferita. Come può chiedermi di rinunciare a lui? È il mio migliore amico. -
Alec sospira.
Io mi volto e osservo il suo volto.
Ha lo sguardo abbassato e si sta torturando le mani.
 - Alec. -  lo chiamo  - È tutto ok? -  per un momento credo che sia combattuto riguardo al raccontare tutto al Consiglio, in quanto Cacciatore maggiorenne, o al tenerlo segreto. Dopotutto, quello che è successo tra me e Henry è una trasgressione alle leggi del Conclave.
 - Sì. -  risponde.
 - Dovrai dire tutto al Consiglio? -
Lui solleva lo sguardo di scatto.  - Oh, per l’Angelo, no! -  esclama e mi sfugge un sospiro di sollievo  - Non lo farei mai. -  
 - Grazie. -  sussurro.
Lui mi poggia una mano sulla spalla e sorride.  - L’hai raccontato a Tom? -  chiede.
Scuoto il capo.  - No. Non ho avuto il coraggio. -  abbasso lo sguardo.
 - Se ne sarà accorto. -  afferma Alec.
Mi volto nuovamente.  - Tu credi? -  domando preoccupata.
 - Be’, credo che se ne siano accorti tutti. -  afferma.
Aggrotto le sopracciglia.  - Come? -
 - Era abbastanza evidente che Henry provava qualcosa per te. -
Scatto in piedi.  - Cosa? -  ansimo, improvvisamente senza fiato  - No, lui non… Era solo confuso, aveva bisogno di qualcuno che gli desse una mano… -  balbetto.
Alec si mette in piedi e mi prende una mano.  - Ellie, ma non ti sei accorta di nulla? -
 - Di cosa avrei dovuto accorgermi? -  domando.
 - Non ti sei mai accorta dei suoi sguardi, dei suoi atteggiamenti e di come si comportava quando era con te? -  chiede stupito.
Io scuoto il capo confusa.  - No. Non è possibile. -
 - Henry è innamorato di te. -  
Quelle parole mi trafiggono definitivamente. Sento che i miei polmoni si svuotano. Non riesco a respirare.
Ma… adesso capisco la sua ostilità verso Tom.
Era geloso.
Oh, per l’Angelo…
Come ho fatto a non vedere?
 - No. Non può essere. Non deve essere. -  sussurro e le lacrime riprendono a rigarmi il volto.
 - Anche tu provi qualcosa per lui. -  mi fa notare il mio amico.
 - No. -  rispondo sicura  - Lui è come un fratello per me. -
 - Sai che non è così. Altrimenti non saresti qui a crucciarti per ciò che è successo, perché non gli avresti dato alcuna importanza. -
 - Io sto con Tom. Amo Tom. -  sbotto.
Lui inclina il capo da una parte.  - Ne sei certa? -
Se ne sono certa?
No.
Non sono più certa di nulla, è inutile mentire a me stessa.
 - Sì. -  mi ritrovo a rispondere alla fine, nonostante la confusione che attanaglia la mia mente.
Alec fa spallucce.  - Allora dillo a Henry. -
 - Non ce n’è bisogno. -  replico  - Mi ha cacciata da casa sua e credo che mi abbia allontanata anche dalla sua vita. -
 - Ellie… -
 - Ed è giusto così. -  riprendo prima che possa interrompermi  - Siamo parabatai. -
Alec annuisce. Anche lui, quando era innamorato di Jace aveva capito che l’essere parabatai non aiutava e che sarebbe stato un ostacolo invalicabile.
 - Vieni. -  dice alla fine  - Andiamo a bere una tazza di tè. -  propone tirandomi per un braccio.
Scuoto il capo.  - No. -  rispondo  - Ho bisogno di stare un po’ da sola. -  spiego.
Il mio amico annuisce.  - Ok. -  
 - Ci vediamo più tardi. -  dico  - Vado a fare una passeggiata. -
Annuisce e io mi allontano.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Ecco a voi il 19esimo capitolo, come promesso, ovviamente con un giorno di ritardo ^_^”. Abbiate pietà di me!
Spero che vi piaccia e che ripaghi l’attesa.
A lunedì, Eli
 
 
 

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Capitolo 20
*** Cenere ***


Love Turns to Ashes

XX
Cenere
 
 Vago per più di un’ora senza meta tra le vie di Alicante.
 Non so dove andare, non so cosa fare.
 Sono troppo confusa.
 Avrei bisogno di qualcuno con cui parlare.
 Da bambina lo facevo sempre con mia madre, ma lei è morta e…
 Mi blocco in mezzo alla piazza dell’Angelo.
 So dove potrei andare.
 Non ci sono più stata dopo la morte dei miei.
 Ho deciso.
 Andrò nella mia vecchia casa.
 
Quando varco la soglia, lo spettacolo che mi trovo davanti è lo stesso di undici anni fa.
 I mobili sono distrutti e riversi sul pavimento. La libreria è bruciata e con lei tutti i libri riposti al suo interno.
 I vetri sono andati in frantumi, sia quelli delle finestre, sia quelli delle teche dentro le quali mio padre teneva i modellini dei demoni e delle armi da Cacciatore con i quali mi ha istruito nei primi sette anni della mia vita.
 Salgo al piano superiore.
 Quando imbocco il piccolo corridoio vedo ancora la macchia di sangue rappreso sulla moquette, proprio nel punto in cui mia madre è morta.
 Mi fermo ad osservarla volutamente. Voglio che l’immagine mi rimanga impressa nella mente. Non so perché, ma lo voglio e basta.
 Quando sono sicura che le immagini del sangue e del corpo di mia madre straziato dagli artigli del demone mi abbiano ferito abbastanza e siano penetrate a fondo, avanzo.
 Arrivo sulla porta della mia stanza e vedo il mio lettino, la mia piccola scrivania, i miei peluche distrutti sugli scaffali e l’armadio in legno di ciliegio, simile a quello dell’Istituto, aperto e ricoperto di ragnatele.
 La mia bellissima stanza.
 Ho così tanti ricordi qui.
 Non varco la soglia per paura che possano travolgermi.
 I ricordi di me e Henry.
 Di me e la mamma e di me e mio padre.
 Proseguo diretta nella stanza dei miei genitori.
 Quando l’ho raggiunta entro e mi siedo sul letto.
 Osservo i mobili, la specchiera, l’armadio, la scrivania, la porta che conduce al ripostiglio dove mio padre teneva le armi.
 Una fitta terribile mi attraversa il petto e sento le lacrime sgorgare prima di poterle trattenere.
 Mi mancano così tanto i miei genitori.
 Una volta avevo Hodge, ma quando anche lui ci ha traditi, a parte i miei amici, non mi è rimasto più nessuno. Maryse e Robert Lightwood sono più dei conoscenti. Non potrei mai confidarmi con loro.
 Un senso di nausea mi invade.
 Perché deve essere tutto così complicato?
 Un attacco di tosse mi coglie alla sprovvista togliendomi il respiro. Mi porto una mano alla bocca e prima che possa raggiungere la porta per uscire a prendere un po’ d’aria, crollo in ginocchio sul pavimento in legno.
 Scosto la mano dal viso e vedo che è macchiata di sangue.
 Continuo a tossire e a sputare sangue. Cerco un fazzoletto nella tasca e quando lo trovo mi copro la bocca, non so se per coprire il rumore dei singhiozzi e della tosse che ormai è diventato fastidioso, o se per evitare di vedere il sangue, che mi ricorda tanto quello di mia madre incrostato sul pavimento del corridoio.
 In questo momento vorrei tanto essere morta con loro.
 Nulla sarebbe stato difficile.
 Henry non si sarebbe innamorato di me, non mi avrebbe ferita, non mi avrebbe cacciata e non sarei costretta a combattere questa guerra.
 Se potessi scegliere, se potessi tornare indietro vorrei non essere una Cacciatrice. Vorrei avere una vita normale. Vorrei essere qualcun altro.
 Sento dei passi su per le scale.
 Non ho nulla per difendermi, ma non mi interessa.
 Chiunque sia, che mi prenda. Voglio che ponga fine al mio dolore. Voglio che mi liberi dai fardelli che devo portare.
 - Ellie. -  è una voce famigliare.
 Sollevo lo sguardo, ma prima che possa dire qualcosa, un altro accesso di tosse mi zittisce costringendomi a piegarmi in due.
 Magnus si inginocchia accanto a me e mi cinge le spalle con un braccio esercitando una leggera pressione.
 - Ellie, devi calmarti, altrimenti non smetterai di sanguinare. -  mi dice.
 Scuoto il capo.  - Non… ci… riesco… -  bofonchio, soffocata dal sangue e rimasta quasi senza aria nei polmoni.
 - Respira. -  mi dice, poi mi prende per le spalle e mi fa sdraiare su un fianco. Mi rannicchio portandomi le ginocchia al petto e tentando di calmarmi come mi ha detto.
 È tutto inutile.
 L’attacco di tosse continua.
 Sento le mani dello stregone percorrermi la schiena per tranquillizzarmi e solo dopo alcuni minuti riesco finalmente a rimettermi seduta e a respirare normalmente.
 - Va meglio? -  chiede Magnus.
 Annuisco mentre le lacrime continuano a bagnarmi le guance.
 - Perché sei venuta qui? -  chiede.
 - Io… -  mi blocco  - Volevo tornare a casa mia e vederla. -
 - Volevi vedere il luogo dove sono morti i tuoi genitori? -  domanda perplesso.
 Non ha senso, ne sono consapevole, ma volevo tornare. Forse ne avevo bisogno.
 Annuisco ancora.
 Magnus scuote il capo.  - Perché ti fai del male, Ellie? -
 Singhiozzo.  - Perché non ce la faccio più, Magnus. -  rispondo semplicemente e spero che capisca. Spero che capisca che sono stanca di tutto questo dolore.
 - Non è questo il modo per andare avanti. -
 - Forse non voglio andare avanti. -  sbotto  - Non so nemmeno più quello che voglio. Sono così confusa… -  i miei singhiozzi si fanno più convulsi.
 Lo stregone mi abbraccia stringendomi a sé e io, come una bambina, piango contro la sua spalla affondando il viso nella sua giacca morbida.
 - Shh. -  sussurra  - Va tutto bene. -  
 - No. -  dico  - Nulla va bene. Nulla. -
 - Adesso andiamo a casa. -  mi dice dopo un momento di silenzio.
 Mi allontana leggermente e mi asciuga le lacrime con le dita lunghe e affusolate.
 Non so come sia entrato ad Alicante senza permesso, ma in questo momento non ho la forza di chiederlo, perciò mi limito ad annuire.
 Sento le sue braccia cingermi le gambe e passare sotto le mie spalle. Mi solleva da terra e io gli circondo il collo con le braccia, poggiando il capo alla sua spalla.
 Senza aggiungere altro, scende le scale e usciamo di casa.
 Continuo a singhiozzare e a tremare contro di lui per tutto il tragitto e gli sono grata perché me lo permette senza chiedere nulla di più.
 
 - Magnus? -  esclama Alec, fermo sulla soglia di casa Penhallow.
 - Ciao, Alexander. -  lo saluta lo stregone senza mettermi a terra.
 Il mio amico si avvicina e mi sfiora la guancia con una mano.  - Ellie… -  sussurra  - Cos’è successo? -  domanda rivolgendosi a Magnus.
 - Portiamola dentro. Poi ti spiego. -  risponde.
 Lo stregone varca la soglia e Alec lo guida al piano di sopra nella stanza che Aline mi ha offerto.  
 Magnus mi adagia sul letto e mi accarezza una guancia.  - Va tutto bene, Ellie. -  poggia una mano sulla mia fronte e poi si rivolge ad Alec  - Scotta. Porta una bacinella con un po’ d’acqua e un panno. -  
 Alec annuisce ed esce dalla porta.
 - Stai tranquilla, Ellie. -  mi sussurra Magnus sedendosi sul letto e prendendomi la mano.  - Siamo qui. -
 Ho freddo e sento che il mio corpo trema in preda a piccole e repentine convulsioni. Non so cosa mi sta succedendo, ma so che l’unica cosa che voglio è dormire, cadere nel limbo dei miei sogni e rimanerci intrappolata per molto, moltissimo tempo.
 - Sono stanca, Magnus. -  sussurro con la voce rotta dal pianto.
 - Allora dormi, tesoro. -  dice.
 Anche se non intendevo stanca in quel senso, annuisco e chiudo gli occhi sperando che mi aiuti a non sentire più niente, a non sentire più il dolore che mi percuote le membra, la stretta al cuore e il freddo che ha avvolto le mie ossa e ogni cellula del mio corpo esausto.
 
 Un fruscio leggero. Un tonfo. Un fruscio leggero. Un altro tonfo.
 Qualcosa striscia sulla moquette e poi si ferma a pochi passi dalla mia porta.
 Apro gli occhi.
 Mi sollevo di scatto, mettendomi a sedere.
 Sono nella stanza della mia vecchia casa. Perché ho l’impressione di aver vissuto questo momento?
 So di conoscere la risposta, ma non riesco a portarla a galla.
 Sento un grido tremendo.
 Una donna sta gridando.
 Mia madre sta gridando.
 Sussulto e mi copro la bocca con una mano per non fare rumore.
 C’è qualcuno in casa. O qualcosa.
 Scendo dal letto e mi avvicino alla porta. La luce penetra dallo spiraglio creando un disegno sul pavimento in legno.
 Apro la porta e mi affaccio.
 Un’ombra enorme è proiettata sul muro di fronte a me.
 Oh, per l’Angelo.
 Esco dalla stanza e lo vedo.
 Sento la paura diffondersi in ogni cellula del mio corpo.
 È un Demone enorme.
 Un Demone Superiore.
 Mi sfugge un gemito e quello si volta mostrandomi i suoi acquosi occhi gialli iniettati di sangue. Sibila e si scosta dalla sua preda.
 Osservo il corpo di mia madre, ormai privo di vita e sento le lacrime rigarmi le guance.
 Il demone avanza. Viene verso di me e io non posso fare altro che indietreggiare.
 Ad un tratto inciampo e sento il terreno mancarmi sotto i piedi. Cado sulla schiena con un gemito e sollevo lo sguardo appena in tempo per vedere il demone saltarmi addosso.
 Mi copro il viso con le mani sperando che non mi faccia del male, anche perché non ho nulla con cui difendermi, ma lui sta già facendo scorrere i suoi tentacoli sulle mie braccia e la sua lingua suo mio volto.
 Grido di terrore sperando che qualcuno possa sentirmi, ma l’unica risposta che sento è il ringhio di quel mostro.
 - Basta… -  ansimo, priva di forze.
 Poi grido ancora e ancora.
 Con le mani tento di strapparmi di addosso i suoi tentacoli con l’unico risultato di ferirmi le braccia con le mie stesse unghie.
 
 Mi sveglio di soprassalto, gridando di terrore.
 Muovo convulsamente le mani tentando di allontanare i tentacoli del demone da me. Ansimo e sento le lacrime rigarmi le guance e scendere sulle braccia nude e ormai ricoperte di graffi.
 Sento una leggera pressione sulle braccia e tento di divincolarmi. Non posso lasciare che il demone mi porti via.
 - Ellie! -  qualcuno mi chiama. Qualcuno sta venendo a salvarmi.  - Ellie, calmati! -
 Sgrano gli occhi quando vedo che a stringermi non è il demone, ma Magnus. Incontro i suoi occhi di gatto e ansimo, mettendomi a sedere.
 - Stai tranquilla. -  mi dice  - Sei al sicuro. -
 - Magnus? -  chiedo, incredula.
 - Sono io. -  conferma  - È stato solo un incubo. -
 - No. -  controbatto  - No, lui stava per… -
 - No, Ellie. -  mi interrompe  - Ci siamo solo io, te e Alec, qui. -  afferma.
 Io mi volto e incontro gli occhi blu del mio amico.
 - Alec… -  singhiozzo e lui senza dire nulla si siede sul letto accanto a me e mi stringe tra le braccia.  - Alec. -  ripeto per assicurarmi che sia reale.
 Fa scorrere le sue mani sulla mia schiena e mi sfiora la nuca con le labbra.
 Poi scoppio nuovamente a piangere.
 
 - Ellie? -  una voce mi costringe a voltarmi.
 - Ciao, Clary. -  la saluto con un mezzo sorriso.
 Lei avanza e si posiziona accanto a me, seduta al tavolo.  - Come ti senti? -  chiede con sguardo indagatore.
 - Meglio, grazie. -  mento  - E tu come stai? -
 - Bene. Mia madre si è svegliata. Magnus ha utilizzato il Libro Bianco e l’ha liberata dall’incantesimo. -  mi racconta sorridendo radiosa.
Sorrido.  - Che bello! -  esclamo  - Sono felice per te. -  almeno una di noi sta bene.
 - Grazie. -  replica.
 - A proposito -  dico  - Come ha fatto Magnus a entrare a Alicante senza il permesso del Consiglio? -  chiedo.
 - Le torri Antidemoni hanno ceduto. -
 - Cosa?! -  esclamo.
 Annuisce mestamente.  - Valentine si prepara ad attaccare. -
 Inspiro ed espiro lentamente. La guerra sta per cominciare.
 Clary mi saluta poco dopo dicendo che raggiungerà sua madre a casa di Amatis. Luke e Jocelyn la stanno aspettando là.
 La ringrazio e la saluto
 
 Quando Tom e Alec tornano a casa dalla riunione del Consiglio, corro tra le braccia del mio ragazzo.
 - Come stai? -  mi domanda sussurrando al mio orecchio.
 Annuisco.  - Meglio. -  dico  - Com’è andata la riunione? -  chiedo.
 Lui fa spallucce.  - Come sempre. -  afferma  - Abbiamo parlato della battaglia. -
 - Cosa hanno deciso? -  domando e anche Izzy si fa avanti e osserva Alec, che è stranamente silenzioso.
 - I Nascosti combatteranno con noi, in cambio di un posto nel Consiglio a guerra conclusa. -  spiega Tom  - E hanno anche deciso che coloro che non hanno compiuto diciotto anni non parteciperanno alla battaglia. -
 Mi allontano da lui.
 Non potrò combattere? Manca solo un mese al mio compleanno. Non è giusto, volevo rendermi utile.
 - Cosa? -  sbotta Izzy furiosa  - Non è giusto! Io voglio combattere! -
 - Mi dispiace, Isabelle. -  replica lui.
 - No! -  sbotta lei  - Adesso vado al Consiglio e gliene dico quattro. -  si muove verso la porta, ma le braccia di suo fratello la bloccano.
 - Iz, fermati! -  le dice tenendola stretta  - Non puoi fare nulla. Così è stato deciso. -
 - Ma non è giusto! -  riprende lei, dimenandosi  - Per cosa ci saremmo allenati fino ad ora? -
 Tom, intanto, torna a rivolgersi a me  - Ellie, tutto ok? -  mi accarezza una guancia e cerca il mio sguardo.
 Annuisco, anche se non è vero.
 Avrei voluto combattere, dare una mano ai miei amici. E invece sarò costretta a guardarli mentre muoiono, senza poter fare nulla per impedirlo.
 Alec e Isabelle continuano a discutere, ma io non ci faccio caso.
 - Henry lo sa? -  chiedo. È di due mesi più grande di me, potrà combattere.
 Alec annuisce.  - Era alla riunione. -
 Annuisco a mia volta. Vorrei tanto combattere al suo fianco, ma non posso, anche perché nemmeno so se mi vorrebbe.
 
 Dopo la cena, blocco Alec. Devo parlargli, domani comincerà la battaglia e non so se lo vedrò. Non so se lo rivedrò più.
 - Alec! -  lo chiamo.
 Lui si volta accennando un sorriso.  - Che succede? -  chiede.
 - Devo chiederti un favore. -  sussurro prendendolo per un braccio e guidandolo in salotto lontano da tutti.
 Lui aggrotta le sopracciglia  - Se vuoi intrufolarti nella battaglia non te lo permetto. -  dice con voce ferma.
 Scuoto il capo.  - No. Anche se è quello che voglio, non te lo chiederò. -  affermo  - Voglio chiederti un favore. -
 Annuisce  - Quale? -
 - Devi vegliare su Henry. -  spiego  - Tienilo d’occhio. Non voglio che gli accada nulla. -
 - Lo farò. -  mi promette.
 - E ti prego, fai la stessa cosa con Tom. -  aggiungo  - Non voglio che accada nulla e nessuno di loro. -  
 Annuisce ancora, poi si muove per uscire.
 - Aspetta. -  lo blocco tirandolo per un braccio. Quando si volta lo abbraccio di slancio. Sento la sue mani sui miei fianchi e la sua guancia contro la mia.  - Fai attenzione. -  mi raccomando in un sussurro  - Non voglio perderti. -
 Lui sorride.  - Starò attento. -  promette.
 Io lo stringo più forte.  - Ti voglio bene, Alec. -  sussurro.
 - Anche io ti voglio bene, Ellie. -  quando ci separiamo gli accarezzo una guancia e poi gli do la buonanotte.
 
 È molto tardi, i miei amici stanno già dormendo, perciò raggiungo la mia stanza.
 Quando entro vedo Tom sdraiato sul mio letto, intento ad osservare il soffitto, coperto di stelline adesive fluorescenti.
 Mi chiudo la porta alle spalle e sorrido.
 - Ciao, Tom. -  lo saluto in un sussurro.
 Lui si mette a sedere e mi sorride a sua volta.  - Ciao. -
 - Come mai sei qui? -  chiedo avvicinandomi.
 - Volevo vederti. -  afferma  - Domani dobbiamo andare via presto. -
 Annuisco. Devono prepararsi per la battaglia. Sento una stretta al cuore. Ho paura che non rivedrò più i miei amici.
 Tom lo nota e si alza in piedi  - Ehi, che succede? -  chiede.
 - Ho paura di non rivedervi più. -  confesso.
 Lui sorride.  - Andrà tutto bene. -
 Scuoto il capo.  - Non potrò nemmeno essere lì con voi. -
 - È meglio così. -  mi dice  - Almeno ti saprò al sicuro. -
 Sorrido debolmente. È sempre così premuroso.
 Prima di potermi bloccare, di pensare al fatto che sia sbagliato e sconveniente in questo momento, parlo ancora  - Resta con me stanotte. -
 Lui sembra sorpreso.  - Ellie… Sei sicura? -
 Annuisco.  - Domani comincerà la battaglia e ho paura che… -  mi interrompo  - Voglio stare con te. Almeno questa notte. -
 Vedo gli angoli delle sue labbra incresparsi.  - Come desideri. -  sussurra sulle mie labbra.
 Sorrido e lo tiro a me.
 Poggio le mie labbra sulle sue e lascio che mi stringa a sé.
 Sento le sue mani scorrere sulla mia schiena e sfilarmi la maglietta, per poi lasciarla cadere sul pavimento.
 Sbottono la sua camicia e la faccio scivolare lungo le sue braccia muscolose. Accarezzo il suo petto scolpito coperto di rune e poi faccio scorrere le dita tra i sui capelli.
 Con le braccia mi solleva e io gli circondo la vita con le gambe, lasciando che mi trasporti fino al letto, senza mai smettere di baciarlo.
 Mi fa sdraiare sulla schiena e poi si mette sopra di me.
 - Sei bellissima. -  sussurra baciandomi le guance.
 Rido.  - Ti amo. -  
 - Anch’io ti amo. -  replica e poi mi sfila i pantaloni.
 Quando anche io ho fatto lo stesso, prende a baciarmi il collo. Scende sulla clavicola e poi sul ventre, poi risale e mi stuzzica con le labbra e la lingua. Gemo e poggiando le mani sulla sua schiena faccio aderire i nostri corpi.
 Mi accarezza i fianchi con le mani e continua a sfiorarmi il collo con le labbra.
 Ansimo ancora  - Henry… -
 Poi mi accorgo di quello che ho detto.
 No.
 Non è possibile.
 Tom si blocca e si allontana da me.
 - Come? -  chiede.
 Oh, per l’Angelo… ho detto il nome di Henry.
 Com’è possibile?
 Come?
 Non so che dire.
 Non so come potrei giustificarmi.
 - Tom… -  
 - Te la fai con Henry? -  chiede e per la prima volta vedo una scintilla di rabbia nel suo sguardo.
 - No, Tom, aspetta… -  tento di dire, ma so che non potrò mai spiegare una cosa del genere.  Non ci sono scuse.
 Non mi lascia concludere. Mi dà uno schiaffo lasciandomi senza fiato.
 Si alza dal letto e mi solleva stringendo il mio collo con una mano.  - Sapevo che alla fine avresti ceduto. -  ringhia  - Sapevo che Henry ti avrebbe sedotta. -
 - Tom, no, ti prego… -  ansimo senza fiato.
 - Sapevo che alla fine avrebbe avuto la meglio. -  afferma  - L’amore quand’è proibito ha un altro sapore, vero? -  dice e vedo un guizzo nei suoi occhi.
 Ma che gli prende? Non l’ho mai visto così.
 - Lasciami! -  dico senza fiato.
 Lui allenta la presa sulla mia gola e io cado in ginocchio.
 Si inginocchia accanto a me e mi osserva. Un ghigno perverso gli attraversa il volto, poi mi afferra per i capelli e mi tira indietro la testa. - Sai, vi ho visti quella mattina in cucina. -  mi dice in un sussurro  - E anche la sera in cui ha distrutto il salotto. -
 Ho un tuffo al cuore. Ci ha visti. Ci ha visti mentre…
 - Ho visto come ti baciava, come ti stringeva… -  continua  - E ho visto te. Non ti sei opposta. -
 - Non è vero. -  sputo fuori  - Gli ho chiesto di fermarsi. -
 - Ma era troppo tardi. -
 - No. -  affermo. Ci siamo fermati prima di andare troppo oltre.  - Torna in te, Tom. Che ti prende? -
 - A me? -  chiede  - Nulla. Sto benissimo. -  lascia andare i miei capelli e poi ride  - Avevo intenzione di ucciderti durante la battaglia, quando tutti sarebbero stati impegnati a combattere, ma adesso che ci penso, non credo che resisterei fino ad allora. -
 - Tom… -  sussurro incredula. Uccidermi? Cosa sta dicendo?
 Prima che possa chiedere qualsiasi altra cosa mi colpisce alla testa con un oggetto e tutto intorno a me si fa scuro.
 
ANGOLO DEL MOSTRICCIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Ecco che dopo mesi di attesa, finalmente pubblico il 20esimo capitolo! *.*
Con l’università sono stata impegnatissima e non avevo più tempo nemmeno per rileggere e rivedere ciò che avevo già scritto. ^.^”
Comunque spero che l’attesa sia stata ripagata.
A presto con il seguito,
Eli
 
 

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Capitolo 21
*** Trappola ***


Love Turns to Ashes

XXI
Trappola
 
 Apro gli occhi e la prima cosa di cui mi rendo conto è che ho un gran mal di testa. Non so dove sono e non so come ci sono arrivata. Ricordo solo che sono andata a letto per ultima a casa Penhallow e poi… il vuoto.
 Mi metto a sedere lentamente, reprimendo la nausea che mi ha colta all’improvviso.
 Sembra… una grotta.
 - Ben svegliata. -  dice una voce alle mie spalle.
 Mi volto di scatto con il solo risultato di aumentare il dolore alla testa  - Tom? -  chiedo perplessa, poi ad un tratto ricordo.
 Ho chiesto a Tom di passare la notte con me.
 Mi ha baciata.
 Ho chiamato il nome di Henry.
 Mi ha picchiata.
 E mi ha detto di volermi uccidere.
 Mi si gela il sangue nelle vene. Vuole uccidermi. Tom vuole uccidermi. Mi ha portata via da casa Penhallow e sono sola e disarmata. Non so nemmeno dove mi trovo, non potrei nemmeno scappare.
 - Come ti senti, tesoro? -  chiede con il suo ghigno tremendo ancora dipinto sul volto. Avanza, ma rimane comunque a distanza.
 Sento la rabbia crescere dentro di me.  - Perché mi hai portata qui? -  chiedo mettendomi in piedi e reggendomi alla parete rocciosa che ci circonda.
 Lui ride.  - Per ucciderti, ovvio. -  risponde con ovvietà.
 - Allora fallo. -  lo sfido avanzando verso di lui.
 Scuote il capo.  - No. -  ribatte  - Non è ancora il momento. -
 Aggrotto le sopracciglia, ma prima di poter chiedere spiegazioni, vengo interrotta da qualcuno.
 - Ah, bene! -  dice un’altra voce alle mie spalle  - Vedo che anche Ellie si è unita a noi. -
 Mi volto di scatto e sgrano gli occhi.  - Sebastian? -  esclamo incredula trovandomi davanti il cugino di Aline.  - Cosa fai qui? -  chiedo e poi noto che è diverso. I suoi capelli non sono più neri come prima, ma bianchi, quasi argentei.
 Lui sorride e indica Tom.  - Stiamo aspettando il momento opportuno per cominciare. -
 Scuoto il capo. Ma che cosa sta dicendo? È diventato matto? Tom deve averlo convinto, deve averlo plagiato, non c’è altra spiegazione. E poi cominciare cosa?
 - Sebastian, che stai…? -  comincio.
 Lui mi interrompe sollevando una mano e scuotendo il capo per zittirmi  - Chiamami pure Jonathan Christopher Morgenstern. -
 Jonathan Christopher…?
 Non sto capendo nulla. Non è il nome di Jace? Cosa sta succedendo? Valentine ha un altro figlio? Ma non è possibile. E poi perché dovrebbe chiamarsi come Jace?
 Vedendo il mio sguardo perplesso lui continua.  - Sono il figlio di Valentine. -  spiega  - Il figlio legittimo. -  precisa alla fine.
 Scuoto il capo.  - Jace è figlio di Valentine. -
 Ride e anche Tom fa lo stesso.  - Davvero lo hai creduto? -  chiede Sebastian o come si chiama  - Io sono suo figlio e fratello di Clary. Valentine ha cresciuto Jace, è vero. Ma lui è figlio di Stephen e Celine Herondale. -  conclude.
 Rimango spiazzata. Jace è un Herondale? Quindi l’inquisitrice era sua nonna. Per questo l’ha salvato sulla nave di Valentine, durante la battaglia sull’Hudson.
 Un brivido mi attraversa la schiena.  - Tu sei il cugino di Aline… -
 - No. -  ribatte  - Ho solo finto di esserlo. Ancora mi chiedo come abbia potuto non capire che non ero il vero Sebastian. -  dice.
 Scuoto il capo, disorientata da tutte quelle informazioni e rivelazioni. Quindi è stata tutta una farsa. Fin dall’inizio.
 - Lavorate per Valentine… -  sussurro  - Entrambi. -  era solo una recita per poter entrare a Idris indisturbati. Ecco perché le Torri Antidemoni hanno ceduto. Le hanno fatte cedere dall’interno. Loro due, insieme.
 - Cento punti a Ellie. -  ghigna Sebastian e in quel momento vedo la somiglianza che c’è tra lui e Valentine. Il padre aveva lo stesso ghigno quando era entrato all’Istituto.
 Mi volto verso Tom.  - Era tutta una presa in giro? -  chiedo  - La nostra storia, la nostra amicizia… -
 Fa spallucce e a quel punto non riesco più a trattenermi.
 Mi muovo verso di lui e gli do uno schiaffo talmente forte da farlo indietreggiare.
 - Schifoso traditore! -  grido, ma prima che possa sferrargli un pugno, Sebastian mi afferra per le braccia e mi trattiene.  - Lasciami, sei disgustoso! -  grido furiosa.
 Tom si ricompone e poi ride.  - Sei stata facile da adescare. -  fa notare  - Avevi così tanta voglia di trovare qualcuno che ti amasse dopo la morte dei tuoi genitori, che sono bastati pochi complimenti per ammaliarti. -  
 - Bastardo! -  gli grido contro e sento Sebastian ridere dietro di me.
 Anche Tom ride, sinceramente divertito.  - Solo Henry aveva capito che c’era qualcosa di strano. È un ragazzo sveglio. Ma non abbastanza. -
 Scuoto il capo. Come ho potuto essere così cieca? Come ho potuto non credere a Henry? Lui aveva capito tutto. Lui sapeva e io non gli ho creduto, anzi l’ho anche insultato perché non accettava che potessi amare qualcuno.
 Sento le lacrime premere contro i miei occhi.  - Come hai potuto? -  chiedo.
 - Come hai potuto tu essere così ingenua? -  domanda di rimando.
 - Credevo di potermi fidare! -  urlo  - Credevo che fossi nostro amico! -
 - Hai creduto male. -  ribatte.
 Vorrei rispondergli per le rime, ma un attacco di tosse me lo impedisce. Mi piego in due e mi porto le mani alla bocca.
 Sebastian molla la presa sulle mie braccia e io cado a terra in ginocchio. Tossisco sempre più forte e sento il sangue macchiarmi le mani e la camicia bianca che Tom mi ha fatto indossare dopo che sono svenuta.
 - Quel veleno funziona davvero. -  sento dire da Sebastian.
 Veleno? Quale veleno?
 - Sì, è portentoso. Anche se ci ha messo un po’ ad entrare in azione. -  afferma il mio ex-ragazzo.
 Quando la tosse si calma, sollevo lo sguardo verso Tom, che mi sorride.
 - Mi hai dato del veleno? -  chiedo con voce strozzata.
 - Sì. Più o meno dalla prima volta in cui ci siamo conosciuti. -  afferma  - Non ti sei chiesta perché ero sempre io a prepararti il tè? -
 Oh, per l’Angelo. Mi ha avvelenata. Non ci posso credere.
- È il veleno di un Demone Superiore. -  spiega Sebastian  - Debilita l’organismo e lo corrode dall’interno. Per questo i tuoi polmoni sanguinano. Ed è anche la causa degli svenimenti. -  spiega.
 Scuoto il capo. Sono stata così stupida a fidarmi di un ragazzo che avevo appena conosciuto. Sono stata avventata e ingenua. E adesso ne sto pagando le conseguenze. Me lo merito.
 - E poi è stato facile somministrartelo durante tutte le notti che abbiamo passato insieme, abbracciati… -  dice con tono melenso  - È bastata una siringa e voilà. -  conclude.
 Scuoto il capo e vengo scossa da un altro attacco di tosse.
 Li sento ridere entrambi.
 Sono disgustosi.
 Un grido tremendo lacera l’aria.
 Sollevo lo sguardo di scatto.
 Cos’è stato?
 - Ah! -  esclama Sebastian  - La battaglia deve essere cominciata. -
 Ho un tuffo al cuore. Quanto sono rimasta priva di sensi se la battaglia è cominciata? Credevo che fosse l’alba, ma forse è già il tramonto. Spero che Henry e Alec stiano attenti. Spero che riescano a sconfiggere i demoni e Valentine.
 - Padre, finalmente. -  dice Sebastian.
 Io inorridisco. Padre? Valentine è qui?
 Mi volto e lo vedo. Capelli chiarissimi, occhi altrettanto chiari ed espressione seria e determinata. Sorride al figlio poggiandogli una mano sulla spalla.
 - La battaglia è cominciata. -  annuncia e poi volge lo sguardo verso di me.
 - Ah, questa dev’essere la tua amica, Thomas. -  mi esamina, percorrendo il mio corpo con il suo sguardo penetrante.
 Tom avanza e sorride.  - Esatto. -
 Valentine annuisce e si avvicina.  - Portala via. Noi dobbiamo cominciare. -  conclude.
 Cominciare cosa?
 Tom annuisce, si avvicina a me e mi solleva per le braccia. Tento di dimenarmi, ma gli accessi di tosse e tutte queste rivelazioni mi hanno reso debole, infatti riesce e tenermi ferma senza problema.
 Senza nessuno sforzo, il mio ex-ragazzo mi solleva sulle spalle, tenendomi ferma per le gambe. Usciamo dalla caverna e vedo che ci troviamo in una piccola radura. Poco lontano vedo un gruppo di alberi e capisco che ci troviamo vicino alla foresta di Brocelind.
 - Lasciami. -  ringhio muovendomi.
 Lui aumenta la pressione sulle mie gambe.  - Dai, Ellie. -  mi dice  - Adesso andiamo a divertirci un po’. -
 
 Tom mi lascia cadere a terra sulla schiena e per un momento mi si mozza il respiro. Quando riesco nuovamente a respirare, mi sollevo sulle braccia e tento di mettermi in piedi.
 Lui mi blocca, spingendomi nuovamente a terra.  - È inutile che ti ribelli. -  mi fa notare  - Sei troppo debole. Mentre eri priva di sensi ti ho iniettato una dose doppia di veleno. -
 Ci mancava anche la dose doppia di veleno.
 Idiota. Lo penderei a calci molto volentieri, ma devo ammettere che ha ragione, sono troppo debole per fronteggiarlo da sola. È più alto di me e per quanto possa essere allenata, lui è molto più forte di me.
 Tento di trascinarmi lontano da lui, ma mi afferra per una caviglia e mi trascina accanto ad un albero.
 - Dove credi di andare? -  chiede.
 - Se vuoi uccidermi, fallo subito. -  affermo quando mi ha lasciata andare.
 Lui ride.  - No. -  dice  - Voglio che lui ti veda morire. -
 Aggrotto le sopracciglia.  - Lui? -  chiedo. Di chi sta parlando?
 Annuisce.  - Henry. Chi, altrimenti? -
 Il mio cuore si ferma. Vuole che Henry…?
 - Tu sei pazzo. -  ho ancora una carta da giocare.
 Devo provarci, non posso lasciare che faccia del male a Henry attirandolo qui  - Lui mi odia. Non vuole più vedermi, me lo ha detto chiaramente. E odia anche te. -  spiego con amarezza  - Non verrà. -  non so se quello che dico è vero, non so se Henry mi odi davvero o se mi abbia cacciato in un momento di rabbia. L’unica cosa che so è che in questo momento vorrei che mi odiasse davvero. Vorrei che non venisse.
 Tom ride e si inginocchia davanti a me.  - Credi davvero che ti lascerebbe qui? -  chiede  - È innamorato di te. Non ti abbandonerebbe mai, non se sapesse che sta per succederti qualcosa. -
 Scuoto il capo.  - E allora che vuoi fare? Correre nel campo di battaglia e attirarlo qui? Bel piano. Auguri, spero ti uccidano nel tragitto. -
 Ride ancora.  - Pensavo più a qualcosa di diverso. -  affermo  - Voi siete parabatai. Ciò significa che, se dovessi farti del male, anche lui ne risentirebbe. -  conclude.
 Sento il sangue gelarsi nelle vene. Non ero preparata a questo. Credevo che volesse fare del male solo a me. Non a Henry.
 - Perché lo fai? -  chiedo esasperata, non c’è modo per fargli cambiare idea. Non è stupido.
 Increspa le labbra.  - Sì, credo che una spiegazione sia d’obbligo. -  poi continua  - Voglio vendicarmi. -
 - Vendicarti? -  domando perplessa  - Nessuno di noi ti ha fatto un torto. -
 - È qui che ti sbagli. -  afferma  - È vero, forse tu e i Lightwood non avete fatto nulla, ma la famiglia Faircross ha fatto un torto a noi Greenstorm. -  spiega  - Uno di quelli che non si dimenticano facilmente. -
 Scuoto il capo.  - Non capisco. -
 - Non importa. Quello che devi sapere è che questa notte morirete entrambi. Ucciderò te per prima, così che lui ti veda morire. -
 Scuoto il capo e prima che possa alzarsi in piedi gli sferro un calcio dritto sul naso. Non era molto potente, ma grazie all’effetto sorpresa riesco comunque a farlo cadere a terra.
 Geme dal dolore e poi scatta in piedi.  - Piccola puttana! -  grida e si scaglia su di me, premendomi una mano sul collo e costringendomi a sdraiarmi sulla schiena.
 Mi manca l’aria, ma non imploro. Non voglio dargli questa soddisfazione. Lascerò che mi uccida, piuttosto.
 In ogni caso non lo farà adesso, vuole che ci sia anche Henry.
 - La pagherai per questo. -  ringhia.
 Vedo un rivolo di sangue colare dal suo naso. Probabilmente gliel’ho rotto. Tento di sferragli un pugno allo stomaco, ma lui mi blocca con il suo corpo, mettendosi a cavalcioni sopra di me.
 - Adesso -  sbotta  - È meglio invitare anche Henry, altrimenti si offenderà! -  esclama con un ghigno stampato in faccia.
 Scuoto il capo.  - Non provare a toccarlo! -
 - Altrimenti? -  domanda  - Mi uccidi? La vedo complicata, dato che non riesci nemmeno a liberarti dalla mia presa. -
 Odio ammetterlo, ma ha ragione.
 Muove un braccio e lo porta alla cintura, dietro la schiena. Vedo luccicare qualcosa nella sua mano, appena prima di sentire il filo della lama contro la mia gola. Trattengo il respiro.
 - Potrebbe farti un po’ male, amore. -  sussurra chinandosi su di me.
 Con la mano libera mi sbottona la camicetta. Non posso fare nulla o mi taglierà la gola. Non posso ribellarmi. Odio non poter fare nulla.
 Scosta un lembo macchiato di sangue e scopre la runa parabatai posta appena sopra al cuore, a sinistra. Rigira più volte la lama tra le mani e poi lentamente la fa scorrere sulla runa.
Grido di dolore.
 - Stai ferma, tesoro. -  mi dice dolcemente.
 Mi dimeno, ma il solo risultato che ottengo e far aumentare il dolore. Sento il sangue scorrere sul mio petto imbrattando ulteriormente la camicetta.
 Quando ha finito sorride soddisfatto.  - Così è molto più bella. -  afferma rigirandosi il coltello tra le mani.
 - Sei… un… bastardo… -  ansimo, quando le lacrime mi rigano le guance.
 Lui ride a squarciagola.  - Forse. -  
 
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Ciao a tutti! Scusate, lo so, sono imperdonabile, ma l’università e lo studio si intrometto sempre nei miei progetti e hanno il potere di togliermi l’ispirazione. Grrrr
Comunque, rieccomi qui con il 21esimo capitolo.
Spero che vi piaccia, anche se è breve e rapido! ;D
Fatemi sapere! :)
A presto,
Eli

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Capitolo 22
*** La battaglia ***


Love Turns to Ashes

XXII
La battaglia
 
 Non riesco a muovermi.
 Le forze mi hanno abbandonata.
 Non riesco nemmeno più a gridare o a ribellarmi.
 Tom mi ha torturata con quel coltello per un tempo che mi è sembrato infinito. Ho ferite e tagli ovunque, ho perso così tanto sangue che non mi sorprenderei se dovessi svenire. Sento la gola dolere. Ho gridato così forte da farla bruciare come se fosse percorsa dalle fiamme, ma ovviamente nessuno mi ha sentito. Sono sola, completamente sola.
 Vorrei che Henry fosse qui, anche se so che è egoista da parte mia. Tom vuole ucciderlo, vuole fargli del male e io non dovrei voler mettere la sua vita in pericolo, ma non voglio nemmeno morire da sola.
 Sono ancora sdraiata sulla schiena, ai piedi dell’albero sotto cui mi ha trascinata Tom. Sento l’erba fredda sulla schiena anche se indosso una camicetta. Non so quanto tempo sia passato, da quanto siamo qui, ma so che Henry, presto o tardi, arriverà e Tom lo ucciderà.
 Vorrei provare ad impedirglielo, ma so che non ci riuscirei. Non ho la forza per impedire una cosa del genere. Lui morirà e sarà tutta colpa mia, della mia ingenuità e stupidità.
 Sento le lacrime rigarmi il volto.
 Oh, Henry… mi dispiace così tanto… penso, come se lui potesse sentirlo. Ma so che non è così. Ho paura di non poterglielo dire. Ho paura che l’ultima cosa che possa aver sentito dalle mie labbra sia un rimprovero o qualcosa di brutto.
 - Non preoccuparti, tesoro. -  sento dire da Tom che sta camminando avanti e indietro impaziente  - Sarà una cosa rapida e indolore. -  mi assicura.
 Vorrei prenderlo a calci per avermi presa in giro, per averci traditi… ma in fondo è stata tutta colpa mia. Avrei dovuto essere più prudente, notare tutti quei dettagli che mi avrebbero fatto capire che Tom era un traditore. Il fatto che Valentine fosse entrato nell’Istituto così facilmente, il fatto che durante le battaglie il mio ragazzo scomparisse magicamente per andare chissà dove… tutti segni della sua colpevolezza, del fatto che fosse marcio dentro.
 Sono stata una stupida e adesso a pagarla non sarò solo io, ma anche Henry.
 Qualcosa si muove tra le fronde poco lontano da noi.
 Sento Tom lamentarsi dal desiderio di cominciare a combattere.
 Spero solo che Henry non sia venuta da solo. Forse se ci fosse qualcuno con lui, sarebbe più facile sconfiggere Tom.
 Un figura emerge dall’oscurità. È alta e allampanata. È Henry. Ed è solo. Altre lacrime mi rigano il volto.
 - Faircross, eccoti finalmente! Cominciavo a chiedermi se saresti mai venuto! -  esclama Tom avanzando a braccia aperte con la spada stretta in pugno.
 Henry lo osserva e gli rivolge un’occhiata truce, poi lo vedo rivolgere lo sguardo verso di me. Ha il braccio sinistro macchiato di sangue, proprio come il mio. Quando Tom mi ha ferito direttamente sulla runa parabatai ha fatto del male anche a lui.
 Impallidisce e tenta di avvicinarsi a me. - Ellie! - grida.
 Tom, però, lo blocca sollevando la lama.  - Dove credi di andare, Henry? -  chiede sorridendo sornione.
 - Che cosa le hai fatto, bastardo? -  ringhia il mio parabatai sollevando la spada a sua volta e puntandogliela contro.
 L’altro fa spallucce e poi indietreggia fino ad arrivare a me.  - Ci siamo solo divertiti un po’. -  
 Mi solleva da terra tenendomi per un braccio e sento il mio corpo aderire al suo. Ho il fiatone e la vista mi si è appannata, ho perso molto sangue a causa dei tagli provocati dalla lama; sento una fitta di dolore attraversarmi.
 - Lasciala andare! -  urla Henry.
 - Non prima di averla uccisa. -  ringhia Tom puntandomi la spada alla gola.
 - Se provi a toccarla… -  tenta di dire.
 Tom ride  - Cosa, Faircross? Mi uccidi? -  chiede  - Come? Sei solo e io ho lei. -
 La labbra del mio parabatai si contraggono in una linea sottile.
 Sento il petto di Tom alzarsi e abbassarsi contro la mia schiena.
 - Uccidilo, Henry. -  dico flebilmente, ma vedendo il corpo del mio amico irrigidirsi, capisco che ha sentito. - Non pensare a me. -
 Scuote il capo.
 - Ma che carini! -  esclama Tom.
 - Ti prego, lasciala andare. -  riprende Henry e adesso sta implorando.
 L’altro ride.  - No. Voglio che tu la veda morire. -  afferma.
 Vedo Henry sollevare un sopracciglio e avanzare.
 Tom preme la lama sulla mia gola e sento un rivolo di sangue scendere sulla mia pelle fredda. Sussulto.
 - Fermo! -  sbotta Henry avanzando ancora  - Ti prego. Se ce l’hai con me non prendertela con lei. -
 - Sarebbe troppo facile uccidere te. -  spiega  - Devi vederla morire. Tu e i tuoi stupidi sospetti, avete quasi mandato a monte il mio piano. -  ribatte Tom furioso. – Ma per fortuna la mia Ellie non ti ha creduto. Non tutto è perduto. –
 Henry sta cercando di guadagnare tempo. Devo fare qualcosa, devo allontanarmi da Tom in modo che possa attaccarlo. Sollevo lo sguardo. I rami sono troppo lontani perché possa arrampicarmi. Ci sono alcune armi non lontano da me, ma non sono abbastanza vicine perché possa raggiungerle senza farmi beccare da Tom.
 Sento la presa sul mio braccio diminuire gradualmente. Se riuscissi a sferrargli una gomitata e ad allontanarmi, darei il tempo a Henry di avanzare.
 Aspetto di sentire le dita di Tom sfiorarmi appena la pelle, poi sollevo il braccio e gli sferro una gomitata sul naso, proprio dove poco prima l’avevo colpito con un calcio.
 Lo sento gridare di dolore.
 Mi allontano da lui e quando si piega in due per tamponarsi il naso gli sferro un calcio dritto al ginocchio.
 Cade in avanti reggendosi con le mani e lascia cadere la spada.
 La afferro e gliela punto contro.
 - Cosa credi di fare? -  ringhia sollevando lo sguardo su di me  - Sei solo una ragazzina! -
 - Sta’ zitto! -  urlo. Non voglio ascoltarlo.
 Vedo Henry avanzare verso di noi, ma prima che possa raggiungerci, Tom, approfittando di un momento di distrazione, mi atterra sferrandomi un calcio all’altezza delle ginocchia. Cado sulla schiena e rimango senza fiato. Batto forte la testa, ma riesco comunque a risollevarmi sui gomiti.
 Tom riprende la spada e me la punta contro.  - Come ho detto, sei solo un ragazzina. -  conclude. Si avvicina e mi sferra un calcio dritto alle costole, mozzandomi il respiro.
Mi porto le mani al petto e lo circondo tentando di prendere aria. Sono troppo debole per combattere.
 Henry non attende oltre. Scaglia un fendente mentre Tom è distratto, ma lui riesce a pararlo senza problemi. Si volta e allontana il mio parabatai con uno spintone.
 Lui rimane in piedi e solleva nuovamente la lama. – A noi due, Greenstorm. – ringhia.
 Tom ride – Morirete entrambi. – sibila – E lei soffrirà particolarmente. –
 Un brivido mi percorre la schiena. Non posso lasciare che ci uccida e vinca. Non devo. Prima di poter intervenire, un attacco di tosse mi scuote le membra. Mi porto una mano alla bocca e tossisco sangue imbrattando ulteriormente la camicia e il braccio. Prendo un bel respiro per tentare di calmarmi, ma un altro accesso di tosse mi costringe a piegarmi in due.
 Intanto Tom scaglia un fendente e Henry lo para. Combattono alla pari, almeno fino a che Tom non riesce a sbilanciare il mio parabatai e lo fa cadere a terra facendogli perdere la spada.
 Lui geme e poi indietreggia per recuperare l’arma.
 - Non riuscirai a battermi. -  comunica Tom  - Non sei abbastanza forte. -
 Mi sdraio su un fianco come mi ha insegnato Magnus e attendo che la tosse si calmi, altrimenti non riuscirei nemmeno a rimanere in piedi.
 Henry para un altro colpo e sferra un pugno in pieno volto a Tom, che indietreggia ma continua a ridere come se non gli avesse nemmeno fatto il solletico.
 - Patetico. -  commenta  - Combatti come un bambino! -  lo stuzzica.
 Henry rimane concentrato tentando di non fare caso alle sue parole e avanza scagliando un altro fendente dall’alto.
 Tom lo para e Henry cade a terra sulla schiena gemendo ancora dal dolore.
 Tom gli punta la spada alla gola e continua  - Potrei ucciderti velocemente con un colpo ben direzionato, ma non sarebbe divertente. -
 - Va’ all’inferno! -  ribatte Henry e poi lo sento gridare di dolore.
 L’attacco di tosse è finito, perciò riesco a sollevarmi sulle braccia appena in tempo per vedere Tom che trafigge Henry all’altezza della spalla.
 Devo fare qualcosa subito o lo ucciderà. Volgo lo sguardo e vedo che accanto alle radici dell’albero ci sono un paio di armi, così mi avvicino. Una è una spada angelica, l’altra una semplice lama ricoperta di rune.
 Vedo Tom sferrare un calcio a Henry e so che devo intervenire adesso, prima che sia troppo tardi.
 Sollevo la lama: è leggera e maneggevole. La faccio roteare più volte nella mano e poi mi avvicino di corsa a Tom. Quando sono a pochi passi da lui sollevo la spada e mi preparo a colpire.
 Lui però si volta. – Cosa credi di fare? – mi chiede ghignando e parando il colpo.
 - Lascialo stare! -  grido riferendomi a Henry.
 Lui ride e mi costringe a indietreggiare.
 Scaglia un fendente e io lo paro senza troppi problemi, ma sento la debolezza riappropriarsi di ogni singola cellula del mio corpo.
 - Come puoi combattere in queste condizioni? -  chiede con una nota di ironia nella voce  - Riesci a malapena a tenere in mano la spada, come puoi pensare di battermi? -
 La rabbia si impossessa di me, perciò mi lancio in avanti e scaglio un fendente dall’alto con tutta la forza che ho nelle braccia.
 Lui lo para e poi contrattacca, ma riesco comunque a bloccarlo.
 Quando sferro un altro colpo, Tom mi disarma facendo volare la spada lontano da me. Questa si conficca nel terreno, troppo lontano perché possa afferrarla. Sono disarmata. Indietreggio e lui mi punta l’arma contro.
 - Sei ridicola. -  mi dice  - E saresti una Cacciatrice? -
 Sollevo un sopracciglio e poi sferro un calcio alla sua lama. Se non posso avere un’arma non l’avrà nemmeno lui. La lama salta via dalla sua mano e cade poco lontano dalle radici dell’albero: non riuscirà mai a prenderla. Almeno non potrà usarla contro di me.
 Ringhia dalla rabbia e comincia a correre verso di me.
 Quando mi raggiunge gli sferro un pugno dritto al volto e lo colpisco alla tempia, anche se non ottengo un gran risultato. Non si ferma, perciò io indietreggio.
 - Sei una puttana! -  mi grida contro, ma io non ci faccio caso.
 Gli sferro un calcio al basso ventre e lo faccio indietreggiare.
 Grida dalla frustrazione e poi scatta verso di me.
Prima che possa raggiungermi, mi abbasso e rotolo a destra. Con un salto mi rimetto in piedi e attendo che attacchi ancora.
Lo sento ridere.  - È inutile che tentiate di battermi. Siete troppo deboli. -  fa notare.
 E forse ha ragione. Io sono ferita e Henry è ancora a terra. Ma è anche vero che non possiamo arrenderci. Continuo a mantenere alta la guardia, pronta al prossimo colpo. Stiamo girando in tondo, tentando di captare ogni movimento dell’altro, anche se è troppo buio per riuscire a vederci perfettamente.
 Qualche secondo dopo lo vedo avanzare, allunga le mani verso di me e io indietreggio. La mia schiena cozza contro il tronco di un albero.
Accidenti, non l’avevo visto! Sono bloccata.
 Sento la sua mano circondarmi il collo ed esercitare una pressione talmente potente da mozzarmi il respiro. Tento di allontanare le sue mani da me, ma con scarsi risultati.
 - Se prometti di non ribellarti, ti assicuro che non sentirai tanto dolore. -  mi assicura.
 Vorrei rispondergli per le rime, ma non riesco nemmeno a respirare, figuriamoci a parlare.
 Estrae il suo coltello dalla cintura e me lo punta alla gola.  - Sai, mi piace quando le vittime mi implorano. -  dice in un sussurro al mio orecchio  - Forse potrei risparmiarti se implorassi pietà… -  
 - Mai. -  dico con voce strozzata.
 - Allora morirai di una morte lenta e... -  si interrompe. I suoi occhi si spalancano per la sorpresa.
Ma che gli prende?
La pressione sulla mia gola diminuisce. Gli occhi di Tom si riversano all’indietro.
Solo quando abbasso lo sguardo capisco perché si è interrotto: dal suo petto fuoriesce una lama.
Guardo dietro di lui e vedo che Henry è in piedi e sta tenendo saldamente l’elsa della spada con cui l’ha trafitto appena sotto il cuore. Con uno strattone lo allontana da me e dopo aver estratto la spada sulla sua schiena, Tom cade a terra con un tonfo sordo.
È morto. Tom è morto. È tutto finito.
Sollevo lo sguardo e i miei occhi azzurri incontrano quelli neri di Henry. Non c’è bisogno che dica nulla. Mi getto tra le sue braccia e lascio che mi stringa a sé.
 - Henry… -  singhiozzo  - Oh, Henry… Mi dispiace… -
 - Shh. Va tutto bene, Lea. -  mi rassicura accarezzandomi i capelli  - È finita. -
 - Scusami, avevi ragione su tutto. -  dico - Avrei dovuto crederti. -
 Mi allontana di qualche centimetro e mi scosta una ciocca di capelli dal viso.  - Stai tranquilla. -  mi sorride per tranquillizzarmi. - Stai bene? - domanda poi - Stai sanguinando. -  
 Osservo la camicetta e vedo che i tagli inferti dal coltello stanno ancora sanguinando, ma la maggior parte del sangue è rappreso. Annuisco.  - Sto bene. Basterà un iratze per… -  un attacco di tosse mi costringere a portarmi una mano alla bocca e zittirmi.
 - Lea. -  lo sento dire.
 Cado in ginocchio scossa dall’accesso di tosse.
 Henry mi poggia una mano sulla spalla e tenta di tranquillizzarmi. - Calmati, respira. -  mi consiglia.
 Continuo a tossire senza riuscire a fermarmi. Sento gli occhi pizzicare e poi le lacrime bagnarmi le guance. Mi sdraio su un fianco e mi rannicchio portandomi le ginocchia al petto. Voglio che smetta. Voglio solo che smetta di fare così male. Sento il sangue macchiarmi la mano e le guance, ma fa troppo male per preoccuparmene.
 - Va tutto bene, Lea. -  mi sussurra Henry chinandosi su di me. Mi accarezza la schiena con una mano, provocandomi un brivido lungo la colonna vertebrale  - Tranquilla. -
 Poco dopo, la tosse si calma. I muscoli si rilassano lentamente e posso tornare a respirare.
 Le dita di Henry incontrano le mie e vi si intrecciano.
 - È passato. - mi dice e poi mi aiuta a mettermi seduta - Va tutto bene? -
 Annuisco e lui mi accarezza dolcemente una guancia. Per un momento vorrei abbracciarlo, stringermi a lui, lasciarmi cullare e sentire le sue mani sulla mia schiena… ma la consapevolezza del fatto che siamo parabatai mi spinge immediatamente a mettermi in piedi e allontanarmi da lui. Tento di cambiare argomento per sviare la sua attenzione, anche se so che non potrò evitare l’argomento per sempre.  
 - La battaglia! - esclamo - Dobbiamo andare. -
 Lui scuote il capo - Devo portarti a casa. – afferma. - Non puoi combattere così. E hai bisogno di un iratze.
 Scuoto il capo. - Dobbiamo aiutare gli altri. Non possiamo rimanere qui e… - sento le gambe farsi instabili.
Henry mi afferra prima che cada nuovamente a terra e mi solleva tra le braccia.  - No. Adesso andiamo a casa. - sussurra.
 Vorrei ribattere, ma non ci riesco, perciò mi limito a circondargli il collo con le braccia e lasciare che si avvii verso il fitto del bosco.
 
 ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Bonjour! Come state, mie cari lettori?
Per la vostra gioia, pubblico il 22esimo capitolo della mia long. Questa cosa sta diventando eterna! La mancanza di ispirazione e lo studio combinate sono tremende, non ne posso più!
Comunque… fatemi sapere cosa ne pensate, spero che vi piaccia!
:) A presto, Eli
 

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Capitolo 23
*** Punto di rottura ***


Love Turns to Ashes
 
XXIII
 
Punto di rottura
 
 Quando mi sveglio, mi trovo nella stanza di Henry. Appena apro gli occhi vedo che accanto al letto ci sono tutti i miei amici. Henry è seduto su una sedia e accanto a lui, in piedi, ci sono Alec, Isabelle, Simon – che non sapevo nemmeno fosse arrivato ad Alicante – Jace, seduto sul letto accanto a me, Clary e Aline.
 - Ellie! -  esclama Clary  - Come ti senti? -
 - Meglio. -  rispondo con voce impastata.
 - Ci hai fatti preoccupare. -  interviene Alec.
 Sorrido e lentamente mi metto seduta.
 Henry osserva e studia ogni mio movimento.
 - Scusate. -  dico  - In ogni caso, adesso sto bene. -  continuo  - Voi come state? La battaglia…? -
 Aline mi interrompe  - È finita. Abbiamo vinto. -
 Sorrido, decisamente sollevata.  - Fantastico. -
 - Valentine e Sebastian… cioè Jonathan, sono morti. - annuncia Isabelle - Inoltre abbiamo scoperto che Jace non è figlio di Valentine, ma di Stephen Herondale. -  spiega tutto d’un fiato.
 Annuisco.  - Sì. Sebastian me lo aveva detto. – mi volto e vedo la mano di Clary poggiata sulla spalla di Jace. Sorrido. – Congratulazioni, ragazzi. -
 Lui mi sorride e poi mi abbraccia. - Mi hai fatto preoccupare. -  mi sussurra all’orecchio.
 Sorrido alla sua premura e quando ci separiamo gli accarezzo una guancia. Sono contenta che stiano tutti bene.
 
 Sono appena tornata dal funerale di Max Lightwood e delle altre vittime della guerra; sono immobile nella stanza di Abbie. È stato straziante, terribile, quasi impossibile da sopportare. La loro morte è stata ingiusta, causata da pazzi come Tom, Valentine e Sebastian. Da persone che avrebbero voluto purificare la razza per crearne una migliore, ma in realtà avrebbero solo creato una stirpe di assassini spietati, assetati di sangue ed ebbri di potere.
 Mi impongo di muovermi per cambiarmi. Indosso ancora gli abiti bianchi del funerale, così me li sfilo e dopo averli piegati li ripongo nell’armadio di Abbie da dove li avevo presi. Mi infilo la mia camicetta azzurra, i miei jeans e i miei stivaletti, poi mi siedo sul letto.
 Osservo un punto indefinito sul muro di fronte a me. Mi sento svuotata dopo il tradimento di Tom. Mi sento diversa, sono stata tradita dalla persona che credevo di amare. Invece, nel giro di poche ore è diventata la persona che odiavo più al mondo. Tutto è crollato in così poco tempo…
 Qualcuno bussa alla porta.
 - Avanti. - dico automaticamente e lentamente volgo lo sguardo.
 La porta si spalanca e Henry entra nella stanza. Mi sorride e si avvicina.
Io scatto in piedi. - Henry. - dico.
 - Ciao, Ellie. -  mi saluta.
 Mi sforzo di sorridere, ma so di avere ancora gli occhi arrossati da pianto, perciò che senso ha fingere?
 - Come stai? -  chiede.
 Faccio spallucce.  - Sono stata meglio. -
 Annuisce.  - Mi dispiace per quello che ti ha fatto Tom. -
 Scuoto il capo.  - Non c’è bisogno che fingi. -  dico. So che odiava Tom, non deve nascondermelo fingendo di essere dispiaciuto  - So che odiavi Tom. -
Lui scuote il capo. - Infatti. Odiavo e odierò sempre Tom, ma sono dispiaciuto per te. Per il dolore che ti ha causato. -
 Abbasso lo sguardo.
 - Ellie, mi fa male vederti così. -  aggiunge avvicinandosi a me.
 Trattengo il respiro e sento il cuore accelerare. Quando ormai è a pochi centimetri da me, sollevo lo sguardo e incontro i suoi occhi. Sono neri come la notte, famigliari, caldi, dolci, belli da togliere il fiato. Osservo il suo volto, ogni centimetro della sua pelle candida.
 Lo vedo sollevare una mano. La fa scorrere sul mio viso accarezzandolo delicatamente come un fiocco di neve che si deposita sul terreno.
 Il mio respiro accelera. Forse Tom aveva ragione. Forse anche io provo qualcosa per lui. Forse è per questo che ho trovato tanto difficile chiedergli di fermarsi la sera in cui aveva distrutto il salotto.
 - Ho provato un’immensa soddisfazione ad ucciderlo. - riprende - Non potevo sopportare l’idea che ti avesse fatto del male. -
 - Henry… -  dico in un sussurro.
 - Ti ha usata per arrivare a me e mi sento in colpa. -
 - No. -  lo blocco ritrovando la fermezza  - Non è colpa tua. Tom era completamente pazzo. –
 - Avrei dovuto proteggerti. -  insiste.
 Scuoto il capo.  - Hai fatto anche più del necessario. -
 La sua mano scende lungo il mio zigomo, poi percorre la linea del mento e la clavicola provocandomi un brivido lungo la colonna.
 - Se ti avesse uccisa, io… -  
 Lo interrompo.  - Sto bene. -
 Annuisce e accenna un sorriso.  - Lea… -  si interrompe.
 Vorrei dirgli di continuare, ma sono incantata dai suoi occhi, dai suoi movimenti, dalle sue labbra.
 Sento le sue mani percorrermi i fianchi e poi risalire lungo il mio petto.
Faccio scorrere le mie sulle sue braccia sfiorando ogni centimetro della sua pelle. È fredda, stranamente fredda.
 Il mio parabatai avvicina il suo volto al mio tanto che posso sentire il suo fiato sulle mie labbra. – Desidero così tanto baciarti… –  sussurra.
 Per un attimo ho le vertigini. Anche io voglio baciarlo. E in quel momento non esiste più nient’altro. Tutto scompare e rimaniamo solo io e lui, uno accanto all’altra e le nostre labbra, i nostri occhi. Solo io e Henry.
 È lui ad annullare la distanza che ci separa e a poggiare le sue labbra sulle mie.
 Sento il cuore fermarsi e poi ripartire di colpo, quasi togliendomi il respiro. Ogni cellula del mio corpo vibra dal desiderio. Voglio le sue labbra, voglio assaporarne ogni centimetro. Mi aggrappo alle sue spalle e mi stringo a lui; muovo le labbra sulle sue approfondendo il bacio. Il loro sapore è dolce, sembra vaniglia. Non avrei mai immaginato che le labbra del mio migliore amico avessero questo sapore. Le immaginavo diverse.  Anzi, per la verità non mi ero mai soffermata a pensarci.
 Henry mi accarezza la schiena tirandomi a sé. Gemo contro le sue labbra e lui mi accarezza le guance, i capelli e le braccia. Sfiora la mia lingua con la sua provocandomi un brivido che mi attraversa il corpo.
 Lo tiro verso di me, ma perdo l’equilibrio inciampandomi sul tappeto. Cadiamo sul letto, ma non mi importa se il suo peso mi sta schiacciando. Non mi interessa. Muovo le mie mani sulla sua schiena sollevando la maglietta e sfilandogliela dalla testa con un movimento veloce e quando le nostre labbra si separano per un momento, torno subito a cercarle, come se senza potessi morire soffocata, come se fossero il mio ossigeno. Circondo la sua vita con le mie gambe e lui comincia a sbottonarmi la camicetta lasciando per un momento la mia bocca per riuscire a riprendere fiato. Mi sfila la camicetta e poi percorre il mio petto con le labbra, baciando la mia pelle pallida e le rune che la decorano.
 - Sei stupenda. -  sussurra mentre avvicina il mio bacino al suo facendoli aderire.
 - Baciami, Henry. - è tutto quello che riesco a dire. Non voglio sentire nient’altro che le sue labbra sulle mie. Ne ho bisogno. Ho bisogno di questo contatto, ho bisogno di Henry per colmare il vuoto che si era creato in me. Sapevo in cuor mio che il mio parabatai era l’unico che sarebbe stato in grado di riempirlo.
 I nostri corpi si muovono sincronicamente uno contro l’altro, aderendo perfettamente, come se fossero nati per stare a contatto, per colmarsi e completarsi a vicenda.
 - Ti amo. -  bisbiglia al mio orecchio.
 Ho un tuffo al cuore.
 - Fermati. -  è la mia risposta. Sento un dolore all’altezza del cuore. Non era così che sognavo di rispondere ad un  “ti amo”  sincero quanto il suo.
 Sento il suo corpo irrigidirsi contro il mio.  - Lea… -  dice con voce dolce.
 - No. -  mi impongo - Lasciami, Henry. -  sento un groppo in gola. Non avrei mai voluto pronunciare quelle parole, ma… ma è tutto sbagliato. Non avrei dovuto perdere il controllo. Siamo parabatai, per noi non c’è futuro insieme. Non avrei dovuto lasciare che…
 - Ellie, ma che ti prende? -  chiede scostandosi e mettendosi a sedere sul materasso.
 Scatto in piedi e raccolgo la mia camicetta sul pavimento. - Sai bene che tutto questo è sbagliato. -
 Lui scuote il capo e si mette in piedi a sua volta.  - Cosa è sbagliato? Amarsi? -
 - Henry, ti prego… -  tento di protestare.
 Lui mi blocca  - Ellie, io ti amo. -  ripete e la sua voce mi trafigge provocandomi un dolore ancora peggiore di quello causato dal coltello con cui Tom mi ha torturato.
 - No, Henry. - riprendo con voce spezzata - Non c’è futuro per noi. Lo sai. -
 - Perché no? -
 - Se il Conclave lo scoprisse… -
 - Non devono saperlo. -  mi interrompe.
 Tenerglielo nascosto è ciò che propone?
 - Siamo parabatai. - mi impongo. - I legami sentimentali non sono permessi. -
 - Non mi interessa. -
 - A me sì! -  esclamo.
 - Ti importa della legge, adesso? -  chiede stupito.
 - No. -  replico  - Mi importa del fatto che se lo scoprissero ci allontanerebbero. E io non voglio perderti. -
 - Nemmeno io. -  asserisce.
 - Allora non possiamo. -
 - Perché no? -
 Scuoto il capo - Abbiamo troppo da perdere. - faccio notare. - Non sopporterei starti lontana, lo sai. Non voglio che ci separino. -
 Henry scuote il capo  - Nemmeno io, ma non potrei sopportare di starti vicino e non poterti sfiorare, non poterti baciare… -  si avvicina e mi sfiora la guancia con una mano.
 Mi allontano da lui e mi infilo la camicetta.  – Henry, per favore. – tento di protestare.
 - Troverò un modo. - insiste. - Troverò un modo per poter stare insieme. Chiederò al conclave di rompere il legame parabatai… -
 Questa volta sono io a interromperlo.  - Sai meglio di me che non si può. -
 - Ci sarà un modo per… -
 Scuoto il capo.  - No. - riprendo. - Per quanto mi faccia male, io… non possiamo. –
 - Ma… -
 - Non c’è nessun ma. - replico quasi ringhiando. - Basta, Henry. Saremo parabatai, amici, fratelli… ma nulla di più. Non posso darti nulla di più, non se il prezzo da pagare è perderti o dover rinunciare a te. –
 Prima che possa fermarmi e farmi cambiare idea esco dalla stanza, scendo al piano di sotto ed esco di corsa dalla casa. Quando raggiungo la strada comincio a correre mentre le lacrime mi rigano il volto. In meno di cinque minuti raggiungo casa Penhallow. Alec è sui gradini d’ingresso della casa insieme a Magnus. Quando mi vedono arrivare interrompono la loro conversazione e si alzano in piedi.
 Li abbraccio entrambi e loro mi circondando le spalle e la vita con le braccia, stringendomi forte. Non spiego nulla e loro non fanno domande. L’unica cosa che fanno è abbracciarmi forte e rassicurarmi, anche se non sanno cos’è accaduto.
 
 ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Buonjour, bonjour! Rieccomi qui con il 23esimo capitolo della mia long.
Credo che non ci sia nulla da spiegare, perciò non vi annoio ulteriormente! :)
Fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto, Eli
 
 

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Capitolo 24
*** Tentazioni ***


Love Turns to Ashes

XXIV
Tentazioni

 Un settimana dopo torno all’Istituto di New York insieme ai Lightwood, Henry, Magnus, Jace, Clary, Luke e Jocelyn.
 Andare ad Idris non è stato come mi aspettavo. Ho sofferto molto, sto continuando a soffrire e l’unica cosa che vorrei è che tutto finisse. Fra qualche settimana compirò diciott’anni e spero che almeno il festeggiamento del mio compleanno mi tiri su di morale.
 Appena arriviamo a casa mi chiudo in camera mia, mi faccio una doccia e poi dopo essermi cambiata mi rintano in biblioteca, non perché abbia voglia di leggere, ma perché so che Henry non ci viene mai e in questo momento più stiamo lontani meglio è.
 
 Sono seduta ad un tavolo da Taki, da sola. Non ho chiesto a nessuno di venire, volevo prendermi un po’ di tempo per pensare. Non voglio parlare con nessuno, nemmeno con Alec. Voglio solo rimanere sola con la mia confusione e il mio dolore.
 Sto mescolando il mio caffè da più di cinque minuti persa nei miei pensieri, troppo aggrovigliati e confusionali perché riesca a venire a capo di qualcosa.
 - Posso? - chiede una voce, distogliendomi dai miei pensieri.
 Mi volto e vedo dei famigliari occhi da gatto che mi osservano.
 - Ciao, Magnus. - lo saluto accennando un sorriso. - Certo, siediti. -
 Lui si accomoda di fronte a me e quando arriva la cameriera ordina una tazza di tè. Quando gli viene servita mescola e poi beve un sorso. Non sembra intenzionato a parlare, perciò comincio io.
 - Come mai sei qui? - domando bevendo un sorso del mio caffè ormai tiepido.
 Fa spallucce. - Volevo parlarti. - replica poggiando la tazza davanti a lui e intrecciando le dita sul tavolo.
 - Di cosa? -
 - Di te. - risponde.
 Aggrotto le sopracciglia. Di me?
 Lo vedo sospirare. - Ellie, vedo che non stai bene. - mi fa notare e io volgo lo sguardo. - Che succede? -
 Scuoto il capo.  - Nulla. È tutto a posto. -  lo rassicuro.
 - Certo, come no. - si lascia sfuggire.
 - Se stessi male lo sapresti. - mento.
 - Hai ancora avuto degli attacchi? - chiede tornando a bere un sorso di tè.
 Scuoto il capo. - No. La cura che mi hai dato funziona. -
 - Fortunatamente il veleno che Tom ti ha iniettato non era abbastanza per creare un effetto permanente. Gli serviva solo per debilitarti per il tempo necessario a ucciderti. - mi spiega.
 Annuisco.
 - Ma c’è qualcos’altro. - continua lo stregone e questa volta sono io a sospirare. - E scommetto che è qualcosa che riguarda Henry. -
 Mi volto di scatto e i miei occhi incontrano i suoi. - Come fai a…? -
 - È venuto da me. - risponde senza lasciarmi concludere.
 - Sei diventato il suo confidente? - chiedo. Non sono gelosa, ma mi sembra strano che Henry abbia deciso di parlare dei suoi problemi con qualcuno.
 - No. – dice. – È venuto per chiedermi se esiste un modo per rompere il vostro legame parabatai. - spiega.
 Abbasso lo sguardo. Cosa ha fatto? Vuole farsi beccare da Maryse? O ancora peggio, da qualche membro del Conclave?
 - Ellie? - mi chiama e io torno ad osservarlo. - Sei innamorata di lui? -
 - No. – sbotto. - Non voglio parlarne, Magnus. -
 Lui cerca i miei occhi. - Ellie… -
 - No. – insisto. - Non c’è nulla che si possa fare per cambiare. Siamo parabatai e i legami sentimentali sono severamente proibiti. -
 Magnus sbuffa  - Non devono per forza saperlo. -
 - Non ti ci mettere anche tu. - lo rimprovero. - Non possiamo fingere che non ci sia nulla e poi stare insieme all’oscuro di tutti, nascondendoci come dei criminali. -
 - Allora come pensate di uscirne? - domanda.
 - Continueremo a comportarci come abbiamo sempre fatto. - non c’è altro modo. Ma come fanno a non capirlo?
 - Così soffrirete entrambi. - asserisce sporgendosi leggermente verso di me.
 - Lo supereremo. -
 - Non credo. – afferma. - Se fosse una cotta passeggera Henry non sarebbe venuto da me per tentare di trovare un modo per rompere il vostro legame. -
 Abbasso nuovamente lo sguardo. Non possiamo stare insieme… Se ci scoprissero le conseguenze sarebbero catastrofiche. Non voglio che ci separino. Preferisco rimanere solamente sua amica, piuttosto che rinunciare a lui per sempre.
 - Non importa. – replico. - Adesso scusami, ma devo tornare all’Istituto. - mi alzo in piedi e dopo aver pagato esco dal locale diretta verso casa.
 
 Dopo aver indossato una T-shirt e degli shorts, mi dirigo verso l’armeria. Voglio allenarmi un po’, almeno riuscirò a distrarmi e a non pensare a tutti i problemi che mi tormentano.
 Prendo dei coltelli e mi avvicino al bersaglio dipinto sul muro di legno. Prendo in mano un coltello, lo sollevo sopra la testa, e muovo il braccio come se dovessi lanciarlo per prendere la mira. Quando sono sicura che la lama sia allineata con il bersaglio, la lancio con tutta la forza che ho. Il coltello si conficca nel centro del bersaglio. Sorrido e comincio a lanciare le altre quattro lame una dopo l’altra. Colpiscono tutte il bersaglio.
 - Complimenti. -  sento dire alle mie spalle.
 Mi volto e vedo che dietro di me c’è Henry.
 - Ciao. -  lo saluto.
 - Posso allenarmi con te? -  chiede.
 Sono tentata di dirgli di no. Non voglio stargli troppo vicino, non vorrei perdere di nuovo il controllo, ma è solo un allenamento, che può succedere? Alla fine, quindi, annuisco.
 - Certo. -
 Prendiamo due spade e ci mettiamo al centro della sala.
 Quando cominciamo a combattere, mi sento meglio, come se nulla fosse successo tra di noi. Mi sembra di avere ancora tredici anni, quando eravamo appena diventati parabatai e ci allenavamo insieme.
 Scaglio un fendente e lui lo para senza problemi; poi è il suo turno di attaccare. Solleva la spada e la fa ricadere dall’alto, io sollevo la mia e paro il colpo facendo roteare la lama e spingendo la sua lontano, che cade sul pavimento con un clangore metallico.
 Sorrido. - Hai perso. - dico puntandogli contro la mia arma.
 Lui sorride malizioso. - Non credo proprio. - si avvicina a me, ma dato che non posso colpirlo con la spada, mi volto e tento di scappare trattenendo a stento le risate.
 Lui ridendo mi afferra per i fianchi e mi blocca.
 La mia spada cade a terra e quando mi volto i miei occhi incontrano i suoi. Indietreggio, ma Henry non mi lascia andare, continua a cingermi i fianchi con le braccia e segue i miei movimenti tentando di non pestarmi i piedi o farmi male.
 - Adesso anche tu sei disarmata. – dice. - E sai che nel corpo a corpo il migliore sono io. -  
 Ha ragione: nel corpo a corpo vince sempre lui. Non sono mai riuscita a batterlo, è troppo forte per me che sono troppo magra per riuscire a tenergli testa. Alla fine finisco sempre per farmi male, mentre lui gioisce per aver vinto.
 Mentre indietreggio le mie gambe incontrano il materasso che usiamo per allenarci e perdo l’equilibrio. Cado sulla schiena tirandomi dietro il mio parabatai, sento il suo corpo aderire al mio e i nostri occhi si incatenano.
 Il mio respiro accelera quando sento le sue mani percorrermi i fianchi. I nostri volti sono così vicini che posso sentire il suo fiato sulle mie labbra e sulle mie guance. Ha degli occhi così belli… Gli sfioro le labbra con le dita per poi farle salire fino ai capelli ai quali si intrecciano.
 Henry preme le sue labbra sulle mie, cercandole con voracità. Sento la sua lingua accarezzare la mia e subito mi ritrovo a rispondere al bacio. In questo momento l’unica cosa che desidero è abbracciarlo, stringerlo, baciarlo…
 Gli circondo la vita con le gambe per far sì che i nostri corpi siano ancora più vicini; le sue mani salgono dai miei fianchi alle mie braccia e poi al mio volto dove si soffermano per accarezzare la mia pelle ormai bollente. Sento le labbra di Henry sul mio collo, sulla clavicola e poi nuovamente premere sulle mie. Gemo contro la sua bocca e quando sento le sue mani sull’orlo della mia maglietta inarco la schiena. Sento i suoi polpastrelli sfiorarmi la pelle della schiena facendomi rabbrividire.
 Qualcosa dietro di noi cade a terra producendo un clangore metallico fortissimo. Ci fermiamo e ci voltiamo per vedere chi è entrato in armeria e per prepararci a giustificare ciò che ha visto. Una figura piccola si muove nell’ombra, salta sulla panca e si siede.
 Church. Quel gattaccio muove la coda lentamente e ci osserva leccandosi i baffi, fiero di averci interrotti.
 - Maledetto gatto. -  ringhia Henry.
 Senza perdere tempo libero Henry dalla mia presa, mi allontano da lui e scatto in piedi. Non dico una parola, semplicemente mi volto e me ne vado. Non voglio parlare, non voglio nemmeno pensare di aver perso il controllo di nuovo. Che stupida che sono!
 - Ellie! - mi chiama lui venendomi dietro. - Ellie, aspetta! - mi afferra per un braccio costringendomi a voltarmi.
 - No, Henry, ti prego… - protesto tentando di liberarmi dalla sua presa.
 - Ellie, va tutto bene, era solo Church… - mi rassicura con un sorriso.
 Io scuoto il capo. - E se fosse entrato qualcun altro? -
 - Non è successo. -  
 - Ma sarebbe potuto accadere. Pensa se fosse entrata Maryse! - sento rizzarsi i capelli sulla nuca. Ci avrebbe denunciati al Conclave.
 Lui scuote il capo. - La prossima volta staremo più attenti. - afferma.
 Indietreggio.  - La prossima volta? - chiedo allibita. - Non ci sarà una prossima volta, Henry. -
 - Ellie… -
 - No, Henry. - lo blocco sollevando una mano per tenerlo lontano. - È tutto sbagliato. Siamo parabatai, non possiamo… -
 - Perché no? – chiede. - Io ti amo. -
Il mio cuore perde un battito. - No, Henry… - dico senza fiato. Sento lo stomaco aggrovigliarsi e contorcersi dentro di me. Perché mi fa quest’effetto? Quando Tom aveva detto di amarmi, anche se stava mentendo, non avevo mai provato una cosa del genere.
 Mi prende una mano e con l’altra mi accarezza una guancia. - Sì, ti amo. -
 - Smettila, ti prego. Non rendere tutto così difficile… - sussurro. Se continuerà così non riuscirò a dimenticare e andare avanti. Sento il sangue affluire alle guance e il cuore pulsare in ogni parte del mio corpo. Potrei svenire da un momento all’altro.
 - Non è difficile. – replica. - Non reprimere ciò che provi, Lea. -
 - Non provo nulla. - affermo decisa. Devo fargli cambiare idea anche a costo di ferirlo. Anche a costo di farmi odiare. Sto mentendo a lui, ma soprattutto a me stessa: in fondo so che lui ha ragione.
 - Stai mentendo. - dice come se mi avesse letto nel pensiero.
 Scuoto il capo e sospiro. - No. -
 - Sì, invece. - insiste. - Altrimenti non reagiresti così ogni volta che mi avvicino. -
 Oh, Henry, non sai quanto hai ragione… È tutto vero. La vicinanza di Henry mi fa sentire così bene, così al sicuro… ma è sbagliato. Terribilmente, ingiustamente sbagliato. Non vorrei doverlo reprimere, vorrei poterlo baciare, accarezzare, anche solo sfiorare e invece non posso. Non devo.
 - No, Henry. - mi impongo tentando di mantenere la voce ferma. - Adesso basta. Devi finirla. -
 - Ti prego, aspetta… - mi implora.
 Lo interrompo. – No! – sbotto. – Non potrà mai esserci nulla fra noi. –
 - Non se troviamo il modo per rompere questo legame. -
 - Non esiste un modo! - esclamo. In realtà ci sarebbero dei modi, ma sono tutti troppo pericolosi, rischieremo di morire e io non voglio perderlo.
 - Lea… -
 - Basta! - strillo esasperata. - Basta! Non capisci che mi fai soffrire? Non possiamo, Henry! Ti ho già spiegato che non è possibile. Possiamo essere solo amici. - concludo, mi libero dalla sua presa con uno strattone e prima che possa vedere le lacrime rigarmi le guance mi allontano.
 
ANGOLO DEL MOSTRICIATTOLO CHE SCRIVE
Hello, everyone! Rieccomi qui con il 24esimo capitolo della mia long.
Fatemi sapere cosa ne pensate, non credo ci sia nulla da spiegare… ;)
A presto, Eli

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