Saremmo potuti essere

di Mikirise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mondo Uno: il sarei grifondoro... ***
Capitolo 2: *** Mondo Due: Sarei rimasto Leo Valdez… ***
Capitolo 3: *** Mondo Tre: La lista delle cose non fatte ***
Capitolo 4: *** Mondo Quattro: Il giglio e la rosa ***
Capitolo 5: *** Mondo Cinque: Orient Express ***
Capitolo 6: *** Mondo Sei: Un romanzo sugli zombie ***
Capitolo 7: *** Mondo Sette: La causa femminista ***
Capitolo 8: *** Mondo Otto: È solo una leggenda ***
Capitolo 9: *** Mondo nove: Una vita per una vita ***



Capitolo 1
*** Mondo Uno: il sarei grifondoro... ***




Note pre-testo e credit: Non sono una tipa molto pratica delle challange. Nel senso: non riesco ad immaginarmele perché di solito con i prompt e tutte quelle robe vedo tutto distaccato e l'unico modo per scrivere mi sembra scrivere tante storie che sono staccate tra loro in una raccolta che non so se abbia senso per me. Quindi quando ho trovato qesta challange - Dei, miti ed eroi , indetto dalla community di campmezzosangue su livejournal, alla quale sono iscritta ma ancora non so usare, un bel problema, e sul forum di EFP-, ho pensato “Sì, vabbe, un'occhiata veloce così mi leggo le raccolte e basta” eeee invece… mi sono trovata davanti dei set carinissimi, con dei prompt che… insomma, sono qui a scrivere sul set Leo/Calipso, ho nove prompt incredibili, mi sono piaciuti anche altri set e boh, eccomi qua…

Nonostante questo, ho cercato di dare un filo conduttore alla fanfiction. Anche se si parla di numerose AU.

E, che altro?, spero il tutto vi piaccia :)







 

Saremmo potuti essere

Di quando Leo superò Aladino, portando a volare Calypso in un modo tutto nuovo (senza usare Festus o far esplodere qualcosa, grazie agli dèi)

Mondo Numero Uno: Io sarei stato un Grifondoro, perché fino a prova contraria, sono io l'eroe





L'argomento era uscito fuori senza che Leo nemmeno se ne accorgesse.

Un minuto prima stava lì, seduto per terra, tra l'erba dell'isola, senza preoccuparsi minimamente del mondo circostante a lui, l'attimo dopo Calypso aveva iniziato a raccontargli della sua infanzia con Atlante -grande
papi Atlante, per quel che aveva sentito dire Leo. Raccontava anche la favola della buonanotte, quand'era di buon umore. Peccato fosse un titano. Cioè, come fai ad entrare nella stanza di tua figlia, aprire un libro ed iniziare a leggerle un libro, quando le pareti nemmeno ti riescono a contenere? E non per niente, come fai a raccontare la favola della buonanotte, se devi pensaredi tenere sulle tue spalle l'intero cielo? "Papi, mi racconti la storia di Tremotino?" "Amore di papà, adesso no, devo ingannare un eroe, così prende il cielo al posto mio e posso portarti al Luna Park". Dev'essere stato irritante-.

La ragazza aveva un sorriso nostalgico parlandogliene e ogni tanto si accarezzava la parte di pelle dietro l'orecchio sinistro, con fare un po' imbarazzato.
La mia infanzia col Titano, comunque, ebbe una vita piuttosto breve, non perché Leo avesse interrotto la narrazione di lei -lui sarebbe stato tutto il giorno tutti i giorni a sentirla parlare, non gli importava minimamente l'argomento, quanto la sua voce e quel sorriso, che la faceva splendere di luce propria-, ma perché Calypso si rese conto di non avere molto da ricordare, un po' perché la sua infanzia risaliva a millenni prima -Leo aveva sorvolato sul fatto-, un po' perchè, sì beh, Atlante non era stato poi un così buon padre, in fondo -certamente non migliore di Efesto, che, a proposito, vedeva più spesso Calypso che il suo proprio figlio. Leo non seppe se sentirsi offeso ad apprendere la notizia-.

Quando il ragazzo si era reso conto che Calypso stava entrando nel panico, non riuscendo a trovare dei buoni ricordi che la collegassero a suo padre, le prese velocemente le mani nelle sue e con un sorriso dolce le disse: "Facciamo un gioco. Lo facevo sempre con mia mamma, quando ero piccolo" strinse le mani leggermente callose della ragazza, cercando di trasmetterle un po' di calore -stava diventando quasi bravo con la storia dell'empatia- "Allora, io sceglierò un luogo, un tempo, una situazione e immaginerò come saremmo potuti essere in quel mondo. Lo potrai fare anche tu, ovviamente, scegliendo un posto, un luogo ed una situazione. Sarà un po' come dare una sbirciatina a le nostre vite nei mondi paralleli. Sarà divertente"

"Lo facevi con Esperanza?"

"Lei era fantastica nell'inventare storie" si grattò il naso Leo, strizzando l'occhio destro "Allora inizio io?"

Calypso annuì, sorridendo.

"Allora inizierei con...
Harry Potter. Ma sì, dai, noi due ad Hogwarts"

"Harry chi?"

Leo sbattè le palpebre, per poi scuotere la testa e sospirare "Mi doveva piacere la ragazza fuori dal mondo" allungò le gambe, nello stesso modo in cui lo avrebbe fatto un gatto "Adesso tu capirai per quale motivo J. K. Rowling ha vinto il premio Andersen ed è la seconda donna più influente del Regno Unito"

"Premio cosa? Regno come?"

Leo aggrottò le sopracciglia, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza, che inclinò la testa con fare interrogativo.

Sarebbe stata una luuuunga spiegazione.


☆★☆★



Forse Leo avrebbe preferito essere un babbano.

Sicuramente non si sarebbe lamentato ad essere solo un babbano, che andava a scuole babbane e parlava con babbani di roba babbana.

Nel senso che si sentiva un pesce fuor d'acqua in quel mondo di magia, stregoneria ed illogicità.

Come poteva il suo adorato Festus diventare un calice di cristallo? Come poteva una bacchetta scegliere una persona? Come poteva una persona volare su una scopa?

Come poteva una pozione creare l'amore?

Ogni giorno, qualcosa senza ragione succedeva e Leo diventava matto, ricercando un motivo, un meccanismo, un qualcosa che facesse funzionare tutto. Perché anche se suo padre era un mago, cavolo, aveva deciso di lavorare nella parte più babbana del Ministero, circondando i suoi figli di oggetti meccanici, oggetti che avevano senso, un proprio meccanismo ed un proprio perché.

Affascinanti i babbani. Creavano oggetti che s'incastravano tra loro, creando un movimento armonico e con un origine. Una vera origine, non il fatto che qualcuno scuotesse la bacchetta e puff!, succedeva qualcosa di straordinario.

I babbani, per dire, non facevano sì che esistesse il Big Bang -Bum! Esplosione senza ragione, tieniti l'Universo, non me ne frega niente della tua vita-, ma tutto quello che ne conseguiva. Loro erano il moto delle stelle e la rotazione della Terra. Erano la forza gravitazionale ed il susseguirsi del giorno e della notte.

E quando per la prima volta Leo si era dovuto svegliare a mezzanotte per seguire la lezione di Astronomia -e già questo era un affronto- e scoprire che neanche le stelle avevano un loro perché, aveva avuto l'istinto di iniziare a gridare e prendere a testate il castello, per soccombere sotto la potenza di così antichi mattoni gotici. La sua rabbia e frustrazione fu sfogata, comunque, su Jason, che, innocentemente, gli porse il cannocchiale per osservare quelle traditrici delle stelle e Leo, ringhiando, aveva sbattuto il piede a terra, chiedendo per quale motivo il mondo lo odiasse.

"Non lo so" aveva risposto il biondo, con un sorriso, nascondendo il naso nella sua sciarpa rossa e dorata, a causa del freddo "Ma, se ti fa sentire meglio, io non ti odio"

E, anni dopo, i due riconobbero quello come l'inizio della loro lunga amicizia, destinata a superare per durata le storie di Jason ed i malumori di Leo. Pur avendo i suoi alti e bassi, è da ammettere.

Comunque, col tempo, Leo aveva iniziato a tollerare, in minima parte, la non-logica della magia, accettando la spiegazione di Annabeth alla domanda "Perché le scale si muovono? ", che sarebbe "A loro piace cambiare" -lo faceva diventare matto, si era quasi strappato i capelli, cercando di mantenere la calma alla risposta della ragazza più intelligente in quella scuola. A loro piace cambiare. A loro piace cambiare? Alle scale? Sono scale! Per le mutande di Merlino! Scale!-, ed i piani di Percy, che puntavano a scassinare porte a forza di Alohomora e cambiare aspetto grazie alla pozione Polisucco, solo per far fare brutte figure a Jason o, quando si sentiva molto sicuro di sè - doveva bere molta Fortuna Liquida, quell'idiota... oh, Leo sembrava essere matto per parlare in quel modo-, nei panni del Preside D., l'ubriacone che pensava fosse bene studiare Alchimia solo per trovare il modo di trasfigurare qualsiasi cosa in vino.

Hogwarts era una gabbia di matti. E Leo lo stava accettando. Stava accettando l'idea si essere un mago, di aver fatto andare a fuoco una casa solo perché era arrabbiato con Charles -perché era quello che era successo. Non c'erano maghi cattivi, su, Efesto- e di essere finito in una scuola per maghi. Accettava il fatto di essere figlio di un mago. Stava accettando il fatto che, con un Gratta e Netta, Jason riusciva a riordinare la loro stanza in un batter d'occhio.

Anzi.

Dov'era Jason quando aveva bisogno di lui? A giocare a quidditch, probabilmente, insieme a quell'idiota di Percy e quell'armadio di Frank. Sicuro, sicurissimo. E lui dov'è che si trovava?

"Alla guferia" Calypso nascose le sue mani nelle tasche del mantello, dopo essersi coperta per bene le orecchie col cappello verde ed argento "A lavare la cacca di gufo"

"Sei venuta a gongolare?" chiese Leo, con in mano paletta e scopa, cercando, per lo meno, di togliere un po' di polvere, prima d'iniziare a lavare la cacca bianca degli uccelli, che, comunque, quasi avessero capito l'intento di pulire di lui, avevano iniziato a fare più cacca, quasi per infastidirlo. Il Grifondoro si era spogliato di mantello, cappello, sciarpa e qualsiasi cosa fosse collegata alla scuola o alla sua Casa, per non sporcarla e non doverle lavare entro il giorno dopo, ed era rimasto con una semplice maglietta bianca ed i suoi pantaloni macchiati di marmellata, che usava sempre a casa, quando veniva messo in punizione. Beh, visto che adesso doveva considerare Hogwarts casa sua, stava indossando gli abiti giusti.

"Ho chiesto in giro dove fossi e..." la ragazza si guardò intorno schifata, per poi incrociare le braccia e guardare il ragazzo, che, con un pezzo di stoffa si stava coprendo la testa, nella speranza che i gufi non decidessero di usarlo come water "Perché lo stai facendo?"

"Cosa?" nonostante la pelle abbronzata, la ragazza riuscì a vedere il naso arrossato di Leo, che tirò leggermente su col naso, per poi ricominciare a spazzare per terra "Lavare questo schifo? Sono in punizione"

"Sappiamo bene che non parlavo di questo"

Calypso, Serpeverde, purosangue convinta della sua superiorità, non lo aveva degnato di uno sguardo durante i suoi primi quattro anni ad Hogwarts, fino a che, per uno strano allineamento degli astri -stelle traditrici!- non aveva posato il suo sguardo sul rachitico Grifondoro, mentre osservava con devozione i Thestral, accarezzando con una delicatezza troppo eccessiva la testa di uno di questi.

Non gli si era presentata, non gli aveva detto nemmeno il suo nome, la sua Casa, nemmeno il cognome, eppure chiese al ragazzo, con una certa bruschezza "Chi ti è morto?" lasciando di stucco Leo, che si pietrificò con la mano a mezz'aria e la bocca semi-aperta.

"Chi è morto a te?" la risposta, sotto forma di domanda.

E Calypso sorrise, sistemandosi meglio il mantello e camminando verso la Foresta Proibita, dando le spalle al Grifondoro, che la osservava con le sopracciglia aggrottate "Non sei così stupido, per essere un Grifondoro"

Il rapporto trai due divenne più stretto -se stretto si può definire la relazione tra colleghi-, quando divennero compagni di studio proprio per il corso di Astronomia -stelle traditrici!- . E comunque, un rapporto come il loro, basato sul sapere che qualcuno era morto all'altro -senza neanche sapere chi- e sul dover condividere un telescopio, li portava a litigare come dei bambini -"No, cavolo, è il mio turno per usare il telescopio!" "Che ti costa scrivere te al posto mio?" "Mi hai... ehi, sta lontano da me, maniaco!" "Ma chi ti vuole! Senti Ragazzina Viziata, ne potrei avere milioni migliori di te" "E chi te lo dice? La tua mammina?", silenzio. Quella volta Leo prese in mano il telescopio per poi gettarlo a terra con una rabbia che mai nessuno gli aveva visto negli occhi. Jason era corso verso di loro, mentendo, per coprire l'amico e dicendo che era stato lui a rompere il telescopio, giocando con la bacchetta, visto che si annoiava: "Dev'essermi uscito uno schiantesimo...". Calypso aveva sbattuto un paio di volte le palpebre, rivedendo davanti ai suoi occhi la rabbia che era capace di provare Leo. E Leo, lui se n'era andato in Infermeria, dicendo di non sentirsi molto bene e che avrebbe preferito riposare. Non chiese di cambiare compagno per il corso, però, anche se aveva ridotto le parole scambiate con la Serpeverde a pochi monosillabi: "Mi passi la penna?" "Sì" "Scrivi tu?" "Va bene" "I Grifondoro fanno schifo" "No", ma il mutismo durò poco. Lo sanno tutti quanto logorroico sia Leo e quanto gli sia sempre stato impossibile frenare la sua lingua dal fare battute, anche se, l'Incidente non fu qualcosa che nè lui, nè Calypso dimenticarono- ragione per cui, la professoressa Artemide, aveva preso la mano nel togliere punti a Serpeverde e Grifondoro per ogni minima stupidaggine -quella donna si divertiva a punire Leo ed i ragazzi in generale, chissà per quale motivo-

Niente sembrava volerli portare ad un vero rapporto d'amicizia.

"Mi stai coprendo" lo accusò la ragazza, poggiando la sua spalla sul muro esterno della guferia.

"Non per essere scortese, Raggio di Sole" Leo si passò tra le mani arrossate a causa del freddo il barattolo di ingenizzante, che avrebbe dovuto gettare per tutto il pavimento, nella speranza che non si gelasse a terra "ma non farei mai niente per aiutare te, nello specifico, quindi..."

"Lo stai facendo" sbattè il piede a terra lei "E non so perché. Per cavalleria? Perché devi far vedere che sei un bravo Grifondoro? Per far vedere che sei buono? Io non ti capisco. Noi non siamo amici"

"Ovviamente no" convenne Leo, prendendo lo straccio ed immergendolo nell'acqua che avrebbe riscaldato con la magia. Si portò la mano sulla cintura, cercando la sua bacchetta, per poi lanciare un incantesimo.

L'acqua prese a rilasciare vapore acqueo in meno di un secondo.

"Da quando sei bravo negli incantesimi non verbali?"

"Quante domande" Leo prese lo straccio con le mani, per poi gettarlo a terra e vedere con disgusto la cacca di gufo sciogliersi "Qual è la più urgente?"

"Perché mi stai coprendo?"

Leo incastrò la sua bacchetta nella cintura, che portava sempre con sè, prese in mano il palo per muovere lo straccio ed iniziò a scrostare, con perseveranza una piccola parte del pavimento.

Calypso gli aveva chiesto, dopo l'incidente di Astronomia, chi fosse la persona che aveva visto morire. Era stata perseverante e testarda, nel suo chiedere e chiedere e chiedere, ma Leo era stato bravo a non rispondere, non rispondere, non rispondere -"Perché ci tieni tanto a saperlo?" "Perché sei l'unico, oltre a me, a riuscire a vederli" "Se sono collegati con la morte, è una buona cosa, no?" "Sì, ma a volte ci si sente soli, nel dolore"-

Almeno finché Leo Valdez non si ruppe il braccio e non arrivò in Infermeria con un occhio nero ed il labbro spaccato.

Aveva provato, nella sua ingenua ingenuità di quindici anni, a costruire un oggetto meccanico entro i confini di Hogwarts, cosa completamente inutile, visto che, i meccanismi babbani, lo sanno tutti, non funzionavano dentro le mura della scuola. Prendendo un suo vecchio cellulare, inutilizzabile, alcuni meccanismi di un suo orologio ed una pinzetta, per lavorare delicatamente e minuziosamente, in una sola notte, saltando il corso di Astronomia, era riuscito a costruire un oggetto meccanico simile al boccino d'oro, che, però, era guidato dalla logica meccanica e non dall'incomprensibile magia.

Non c'è bisogno di dire che lo pseudo-boccino d'oro andò in tilt non appena Leo cercò di accenderlo, colpendolo ripetutamente e facendolo cadere dalle scale del dormitorio dei Grifoni.

Però ci voleva poco così, anzi forse meno di così, per arrivare ad avere un boccino logico, una spiegazione logica per un gioco illogico.

Calypso, che aiutava spesso Monsieur Apollo, più per imparare qualcosa in più di erbologia, che per altro, al vederlo sul letto, malconcio, aveva riso, chiedendogli quale santo lo aveva pestato per bene. Leo aveva mostrato lo pseudo-boccino e poi aveva sospirato, gettando la sua testa sull'enorme cuscino dell'Infermeria.

"Perché vuoi trovare una logica nella magia?" aveva chiesto la ragazza, sedendosi accanto alle gambe, coperte dal lenzuolo bianco, di lui "La magia non ha una logica. Dovresti saperlo. Ci sei cresciuto"

"Tutto ha un'origine ed un perché. Anche la magia" aveva intrecciato le dita delle mani, senza giardare niente in particolare, visto che i suoi occhi erano appannati dal sonno "Se trovo la sua origine, forse, saprò perché è morta mamma"

"Perdere un genitore è difficile, ma non per questo devi rinunciare a quello che sei" Calypso lo aveva colpito con un foglio di giornale in testa, per poi guardare verso l'entrata dell'Infermeria "Oggi probabilmente salterai le lezioni, ma sappi che, per tutta la prossima settimana, sarai tu a fare i nostri compiti di Astronomia"

"Perché?"

"Perchè salterai quello di oggi, solo per una stupidaggine babbana” mentre la ragazza parlava, Leo le sventolò davanti lo pseudo-boccino e glielo legò al polso -non per niente, la sua incredibile invenzione derivava da un orologio.- Calypso sventolò la mano, come a scacciare una mosca od un ragno dalla sua mano “Ah, tienimela lontana! Toglimi di dosso le tue diavolerie babbane! Le fai sempre esplodere e guarda come sei ridotto tu!” Leo trattenne a stento una risata, guardando la faccia indignata di lei “E inizia a pensare ai compiti di Astronomia!" terminò Calypso, sbuffando ed alzandosi dal letto.

Leo sentì le palpebre diventare più pesanti, sentendo il sonno, rimandato per trentasei ore, chiedere con prepotenza il suo attimo di gloria. Ma, prima di addormentarsi, pensò che, di Astronomia, non ne sapeva niente -stelle traditrici!-

"Non vuoi rispondermi?" chiese, mordendosi le labbra la ragazza, sempre sulla soglia della guferia "Bene"

Ed a questo punto, Leo pensò che la ragazza se ne sarebbe andata, magari a sparlare di lui con qualche sua amica, ribadendo quanto idiota potesse essere, e, invece, la ragazza coi capelli cannella, aveva iniziato a spogliarsi di giacca, sciarpa e cappello, posandoli sopra quelli del Grifondoro.

"Che fai?"

"Sono in punizione" rispose lei, cercando uno straccio negli angoli della guferia, non trovandone un altro, prese il palo dalle mani di Leo e, con la mano, gli fece cenno di andarsene.

"Io sono in punizione!" gridò Leo, riprendendo il palo dalle mani di Calypso, che assottigliò lo sguardo, per tirare di nuovo il manico verso il suo petto, in un chiaro atto di sfida.

"Io sono in punizione" scandì bene le parole, parlando lentamente, nemmeno stesse parlando con un idiota.

"Senti" lasciò il manico, facendo in modo che la ragazza, per riprendere l'equilibrio, dovette fare qualche passo indietro "sono stato io ad entrare nel bagno delle ragazze, sono stato io a farlo esplodere, va bene? E comunque, hanno beccato me, quindi, in punizione ci sto io"

"Hai fatto esplodere il bagno perché non beccassero me"

"No!" gridò Leo "Ho fatto esplodere il bagno perché non riesco a controllare la mia magia. Io faccio esplodere sempre le mie pozioni, le mie penne di oca, faccio prendere fuoco alle tende del mio letto, ai miei vestiti, ai miei libri...alla mia casa e..." Leo respirava affannosamente e prova ne era il vapore acqueo che usciva dalla sua bocca, in maniera irregolare e frustrata "Non so perché. Il fuoco esce dalla mia bacchetta senza che io faccia niente, a volte. A volte, non esce dalla mia bacchetta. Esce da me. E deve esserci un motivo ma, in realtà, non c'è"

Calypso abbassò il suo sguardo sulle mani del ragazzo. Le punte delle sue dita erano ricoperte da piccole fiammelle che scoppiettavano allegramente, contro la temperatura invernale "Incredibile" mormorò, senza aprire troppo la bocca "Che bacchetta hai?"

"N-nucleo di piuma di f-fenice e..."

"Incredibile" ripetè la ragazza, formando una o con le sue labbra rosa e leggermente carnose.

Leo, con il naso che stava inziando a prendere fuoco e le orecchie che tiravano scintille, prese dalle mani della ragazza il manico e riprese a scrostare con forza a terra, mentre lei sbatteva le palpebre, osservando i suoi movimenti ed il suo leggero broncio, mentre puliva a terra, le scure pietre, di probabile origine vulcanica.

I gufi e le civette, intorno a loro, seguivano con i loro enormi occhi dorati i movimenti del ragazzo, esattamente come faceva Calypso, con un sorriso divertito.

"Che hai da guardare?" chiese il ragazzo, di malumore, tenendo lo sguardo basso "Non sono un fenomeno da baraccone"

"Tu mi hai voluto coprire" sorrise lei, unendo le mani davanti alla sua bocca, a triangolo "Perché una magia del genere viene solo dai sentimenti. E tu hai voluto con tutto il tuo cuore che il bagno scoppiasse. È solo da capire perché"

"Che cosa illogica" borbottò lui, senza alzare gli occhi dal pavimento, poi si fermò, colpito da una domanda che voleva porre alla ragazza da giorni, ma che aveva dimenticato nella foga della punizione, e poggiò il suo gomito sul manico "Perché stavate facendo un Amortentia? Volevi darla da bere a Percy?"

Le fiamme nelle sue mani stavano estinguendosi lentamente, e così anche quella del naso, nonostante alcune scintille scoppiettassero ancora vicino alle sue orecchie. Il ragazzo sorrise, cercando di incalzare Calypso, che, però, sembrava essere molto calma, con le braccia incrociate ed un sorriso astuto sulle labbra.

"Volevo darla a te, per vedere come ti saresti comportato da ragazzo innamorato"

E di nuovo, le fiamme sulle punta delle dita del ragazzo si espansero tanto da comprendere le mani intere, e Leo, preso alla sprovvista, lanciò il manico di legno a terra, lontano da lui, prima che potesse prendere fuoco "Tu ci scherzi, ma avrei potuto ucciderti"

"Certo che no" rise lei "Sei un Grifone, non avresti ucciso nessuno, perché non volevi uccidere nessuno. Solo distrarre. Ed infatti, hai distrutto solo un paio di lavandini. Certo, il tuo fuoco è sotto il tuo controllo irrazionale, sotto le emozioni. Come hai fatto a tenere nascosto questo potere? Incredibile"

"Non è sotto il mio controllo"

"Cosa hai pensato prima di far esplodere il bagno? Quando è arrivata la professoressa Atena, a cosa stavi pensando?"

Leo arricciò le labbra, sbattendo le palpebre, nel guardare la ragazza sorridere ed attendere una risposta da lui, come se fosse obbligato a dirle tutto quelo che gli succedeva.

Calypso anche troppe cose sapeva su di lui, senza essere veramente amica di Leo. E Leo sapeva tanto di lei, forse più di quanto chiunque altro sapesse, pur non essendo veramente suo amico.

Ma parlarle della sua anomalia col fuoco? Ma dirle quello che gli era successo davanti agli occhi alla tenera età di otto anni? Parlarle di sua madre? Dell'incendio che, era sicuro, aveva appiccato lui? Parlarle della morte di Esperanza Valdez e di quell'ombra che gli era apparsa tra le fiamme?

La sua parte irrazionale diceva di credere a suo padre: era Gea, era la strega più potente di sempre, più forte di Voldemort e Harry Potter, più pericolosa del più pericoloso mago di tutti i tempi, e voleva testare gli eroi con cui si sarebbe dovuta misurare un giorno, metter loro paura, e toglier loro la forza d'animo. Come faceva a sapere chi impaurire? Divinazione. Perché tra loro c'era anche Leo? Mistero.

Ma era stata lei ad uccidere sua madre.

La sua parte razionale, che ormai stava scomparendo e diventando un ramo della parte irrazionale, gli ripeteva una cosa: tu sai creare il fuoco e tua madre è morta in un incendio. Anche nel mondo della magia, due più due fa quattro.

Ma se lui fosse riuscito a trovare un'altra logica... se avesse trovato un perché, forse...

Se era vero che la magia era fortemente legata alla sfera emotiva della persona, a cosa stava pensando Leo, quando Atena era entrata nel bagno delle ragazze?

Non stava pensando.

Si era avvicinato al calderone in peltro in mezzo alla stanza, più per curiosità, che per altro. Il fumo a spirale usciva da quello in maniera dolce e delicata e Leo aveva iniziato ad odorare, con tanta naturalezza da sembrargli strano un simile comportamento da parte sua.

Calypso lo guardava incuriosita, con un foglietto in mano, non gli aveva neanche gridato contro.

Lui aveva chiuso gli occhi, percependo quell'odore non essere più solo un odore, ma un gusto, una percezione sulla pelle, un suono.

Ecco cos'era successo quando Atena era entrata nel bagno. C'era stato panico per due cose completamente diverse, che avevano portato il ragazzo a strizzare gli occhi e distruggere un calderone -rendendolo polvere- e dei poveri lavandini -di ottima manifattura, a proposito-.

"Top secret" rispose il ragazzo, strizzando l'occhio, riprendendo il manico da per terra e ricominciando a strofinare a terra, con forza "Se te lo dicessi, dovrei ucciderti"

Calypso si grattò la guancia, per poi sospirare "Certo che tu sei un bel rompicapo" mormorò, prendendo la sua bacchetta da accanto il fianco.

"Che fai?"

"Restituisco il favore"

Ed ecco a voi, un favoloso Gratta e Netta, che fece quasi splendere la guferia, se solo i gufi non avessero iniziato a muovere la testa a scatti e ricominciato a fare cacca, quasi immediatamente.

Leo non osò alzare lo sguardo. Prese le sue cose e quelle di Calypso, la prese per i fianchi, spingendola fuori, dove i gufi non si sarebbero azzardati a fare i loro bisogni, coprendola col suo mantello e, usciti, vedendo che aveva iniziato a nevicare -forse era per il suo sangue caldo e latino, ma Leo odiava la neve-, le diede il mantello pulito, perché si coprisse dal freddo.

"Allora?" fece la ragazza, infilandosi il cappello sulla testa "Siamo pari?"

Leo storse il naso, guardando verso l'interno, dove qualcosa di simile ad una nevicata stava avendo luogo "No, non direi" borbottò, accarezzandosi il collo "Senti, io..."

"Prima o poi mi dovrai dire a cosa pensavi, Valdez. E lo saprò. Quindi" Calypso si sistemò la sciarpa intorno al collo, con un sorriso "sta sicuro che me lo dirai"

Il ragazzo si grattò il naso tiepido, a causa del fuoco che lo riscaldava poco prima "Pensavo a..." echiladas di mamma, alla sabbia di un'isola, all'odore di cannella. Sono queste le cose a cui pensavo. E, oh, due dei tre profumi che ho sentito a causa dell'Amortentia mi riportavano a te. Chissà perché, eh? "...quanto sei disperata per voler dare un filtro d'amore a Percy"

La ragazza sbuffò, sbattendo il piede sulla soffice neve "Che non era per Percy! "

"E io ci credo..." Leo la salutò con un sorriso strafottente, mentre lei si girava per andarsene via, nel suo dormitorio, sotto il Lago Nero "Però una cosa: ti sei affezionata a me, per tutte queste attenzioni che mi dai, eh!"

Calypso fece spuntare le sue labbra dalla sciarpa "Dopo un anno, ci si affeziona anche ad un topo"






SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»
COMPLETATE: 1/10

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Capitolo 2
*** Mondo Due: Sarei rimasto Leo Valdez… ***



Note pre-testo: Ho provato a non… essere malinconica, per questa storia, ma, Hunger Games non si presta molto bene alla risate. Per niente.

Ho dovuto… sapete quando diamo agli scrittori degli assassini? Mi sento nello stesso modo. Questa non è la storia per chi vuole lieto fine. Proprio no.

Speriamo di ritrovare il sorriso col prossimo aggiornamento. 
 
(È per questo che ho voluto scrivere subito su questo Fandom!AU, perché è gennaio, tra poco arrivano le pagelle e mamma capirà che non sto lavorando alla mia tesina quando sto al computer, e tutti dicono che l'orso va in letargo d'inverno e l'uomo diventa triste. Oh, sole, riportami la felicità!) 

Vorrei ricordare, inoltre, da dove vengono questi meravigliosi prompt/AUseggerimentszzz (oh, sì, l'ho scritto. Alla faccia di chi pensava non avessi il coraggio di farlo) cioè dalla community Campmezzosangue su LJ e la sua challange Dei, miti ed eroi . Lo dico perché se qualcuno si sa muovere su LJ, la community è piuttosto carina, con molte iniziative degne di un semidio. (*cofcof* E anche perché se qualcuno sa usare LJ, magari lo può insegnare anche a me, lo prenderei come un maestro di vita *cofcof*)
Dicevamo?
Ah, sì. Situazione triste.







 

Saremmo potuti essere

Di quando Leo superò Aladino, portando Calypso a volare in un modo tutto nuovo (senza usare Festus o far esplodere qualcosa, grazie agli dèi)

Mondo Due: Rimarrei Leo Valdez, per te





Calypso si sdraiò a terra, posando i capelli color cannella sull'erba, tenuta tiepida dal calore del sole, che spuntava sulla spiaggia, mischiandosi con la sabbia "Sembra una bella storia.”

Leo, con le gambe incrociate, la guardò, per poi annuire distrattamente "Sembra soltanto? Guarda che sono stato fantastico, mi sono spremuto le meningi fino all'ultimo per..."

"Ti fa tanto male la testa, adesso? Ti potrebbe far male pensare troppo.” chiese con un falso tono preoccupato la ragazza, invitando il ragazzo a sdraiarsi accanto a lei, con un gesto del dito, e ridendo, tanto che i suoi sottili occhi a mandorla si ridussero a due fessure, delineate dalle sue ciglia nere e Leo avrebbe tanto voluto rimanere lì e guardarla per tutta la vita ridere.

“Allora?” distolse lo sguardo, grattandosi la nuca ed arrossendo leggermente, mentre posava il suo sguardo verso l'orizzonte, coprendo il suo viso e la sua espressione alla ragazza “Continuiamo? Conosci Hunger Games?”

Oh, sì!” la ragazza spinse sui palmi delle mani, per alzarsi e sedersi, avvicinandosi al viso di Leo “Il gioco di Percy e Jason, no? Quello dei marshmallows!”

Il ragazzo inclinò la testa e aggrottò la fronte, cercando, malamente di trattenere una risata “Come?” chiese coprendosi la bocca con la mano chiusa.

Calypso abbassò le spalle, mettendo su il broncio “Qualcosa mi dice che non è quello.” borbottò, incrociando le braccia ed abbassando lo sguardo.

“Beh” sorrise Leo, passandole un braccio intorno alle spalle “Non è una storia molto felice, comunque, questa volta”



🔅🔆🔅🔆




Il Tour del Vincitore non era mai stato un tour particolarmente felice. Per nessuno.

Piper aveva il fiato corto, guardando tutte quelle persone guardarla, mentre lei era lì, in alto sul palco, con davanti quel microfono, che avrebbe tanto voluto fosse il suo scudo contro gli sguardi truci di tutti, e cercando di non guardare le famiglie, di non guardare le immagini che venivano proiettate dietro di loro ancora, e ancora, e ancora, e ancora. Come se non le fosse bastato avere una memoria perfetta.

Il momento in cui un Tributo diventa un Vincitore. Il momento in cui un Tributo diventa un Assassino. Contro la persona che è stata tua alleata. Contro un amico.

Strinse i pugni, sbatté le palpebre, guardò in alto e sperò che nessuno vedesse le lacrime che volevano uscire dai suoi occhi. Perché sarebbe stato crudele. Sarebbe stato ingiusto per quelle persone che lo avevano conosciuto davvero, per anni, non per quelle poche settimane a Capitol City e poi nell'Arena.

Piper riconobbe gli amici del suo alleato, di cui lui le aveva parlato fino alla nausea. Sua sorella Nyssa, sua madre Esperanza, suo padre Efesto, il suo miglior amico Jason, tra la folla, che la guardava assente, forse incolpandola della morte del ragazzo -avrebbe avuto tutti i torti? Non era morto, Leo, proprio a causa sua? Per lasciarla vincere?- e gli occhi della sua ragazza, Calypso, che la guardavano con quell'odio che Leo le aveva detto avrebbe provato e che sarebbe esploso, peggiore di qualsiasi ira di Jason, o di un padre, privato del secondo figlio.

Il cuore di Piper iniziò a pesare nel suo petto e, per un momento, desiderò essere morta lei, al posto di Leo. Desiderò non essersi offerta volontaria come tributo. E la tasca del suo pantalone le iniziò a bruciare la pelle, mentre sentiva vampate di calore intorno al collo, alle guance, al petto. Doveva leggere il discorso. Doveva fare il suo lavoro da Vincitore.

Gli occhi di Calypso continuavano a perforargli il corpo, come tanti pugni. Era l'unica a non piangere, delle persone care a Leo. Era incredibile il fatto che il ragazzo lo avesse già intuito sei mesi prima: Calypso non piangerà, non è quel tipo di persona, ma sarà arrabbiata. Probabilmente con me. Lei ha scommesso su di me. Le avevo detto di non farlo, chissà quanti soldi sta perdendo in questo momento, non sono mai stato un buon investimento… però, le potresti dare un messaggio? Uno da parte mia?

“Io” disse, mentre la folla la guardava, con quegli occhi vuoti e quella tristezza, che tante volte Leo le avva descritto, quando lei, al confine tra vita e morte, delirava per il dolore delle sue ferite e la sensazione di essere finita, abbandonata “Io” ripeté, deglutendo, mentre gli occhi di Calypso si assottigliavano, irritati, e quelli di Jason iniziavano ad accendersi di una strana luce. Ripetere io, non era il modo migliore per chiedere scusa ad un intero Distretto per la perdita di due loro figli, e nemmeno a dei Valdez per aver perso un tesoro come lo era Leo. Non era il modo migliore, non era il modo di fare. Piper abbassò lo sguardo e infilò la mano destra della tasca del pantalone, strinse l'oggetto tra le due mani e lo portò al petto, chiudendo gli occhi e respirando pesantemente.

Anche con gli occhi chiusi, riusciva a sentire l'indignazione di Calypso. I disperati singhiozzi di Esperanza. Il dolore negli occhi di Efesto. La colpa nel cuore di Jason. La solitudine nei gesti di Nyssa. Il fantasma di Charles, che chiedeva vendetta. Riusciva a sentire tutto. E tutto era causato dal fatto che lei fosse lì, che non fosse Leo a fare il giro dei Distretti, con quell'etichetta da Vincitore. Tutti avrebbero preferito lui. Anche Piper.

“Mentre tutti mi davano per morta, nel mio Distretto, perché Drew mi aveva avvelenato con quella stupida boccetta d'acqua, alla Cornucopia, mentre tutti correvano via, nei boschi, cercando un rifugio e degli alleati, che poi avrebbero dovuto uccidere con le loro mani, Leo ha smesso di correre e mi ha aiutato a rialzarmi. Il che è stato stupidissimo. Avrebbe dovuto lasciarmi lì, a terra, a morire. Sarei stata un avversario in più, una volta ripresa completamente. Non ero, forse, una dei Favoriti? Un suo possibile assassino?” Piper vide Afrodite, accanto al palco, scuotere la testa, come ad avvertirla di non continuare quello che aveva iniziato. Rise amaramente, stringendo ancora di più quel che aveva tra le mani contro il petto “Divertente. Perché alla fine sono stata proprio io a ucciderlo. Con queste stesse mani. Le vedete?” gli occhi iniziavano a pizzicare ancora di più, mentre lei sbatteva le palpebre e guardava su, perché nessuno vuole vedere una bella ragazza col trucco disfatto: glielo aveva insegnato Afrodite, quando era piccola “Leo era una brava persona, un alleato fantastico e il primo amico che io abbia mai avuto. L'unica persona che mi ha fatto ridere nell'Arena. Insomma, come fai a voler ridere nell'Arena? Aveva un senso dell'umorismo tutto suo, un modo di vedere il mondo fantastico ed un modo di raccontare incredibile. Io non vi ho mai visto, ma lui raccontava continuamente di sua madre e le sue enchiladas, di Jason, che non so perché collegava ad una lampadina, e di Calypso.” ora bruciava anche l'interno del naso. Voleva piangere. Sarebbe scoppiata a piangere in pochissimo tempo “Sto rubando il termine amico. Ma non saprei come altro definire Leo Valdez. Lui che, dopo tutto quello che aveva fatto per me, mi ha chiesto solo una cosa. Una sola. E per me è morto. Ha preferito morire, piuttosto che uccidermi. E mi ha lasciato questo messaggio. Voleva lasciarne uno anche per la sua famiglia e Jason ma, ha detto, che lei ne avrebbe avuto più bisogno.” Calypso, tra la folla, si dimenava, cercando di avanzare verso Piper, che non sapeva esattamente cosa doveva aspettarsi da lei.

La castana decise di aprire il foglietto che aveva tra le mani, sporco di sangue e terra, ma che era stato consegnato con un sorriso ingiusto da parte del ragazzo. Non c'era scritto poi granché, ma Piper sentì il suo petto diventare ancora più pesante e avrebbe tanto voluto cadere in ginocchio e iniziare a piangere, piangere, piangere e continuare a piangere.

Leo le aveva raccontato tutto di Calypso: È l'unico pensiero che mi spinge a voler rimanere Leo Valdez, aveva detto una volta, mentre puliva una sua ferita dal fango, perché non s'infettasse.

I Distretti, sono posti piccoli, un grande paesino, in cui i vecchi spettegolano e le mogli chiacchierano. E loro si erano conosciuti in una lezione di Meccanica Elementare e si erano trovati antipatici. Che Leo avesse avuto sbandamenti, o meglio, cotte, per quasi tutte le ragazze del Distretto Tre, comunque, non toglieva il fatto che l'unica ragazza che rimaneva nella sua vita, sempre, come una Stella Polare, un Punto Fisso, oltre a sua sorella Nyssa, era Calypso, il suo cattivo umore e la sua straordinaria bellezza.

C'era una notevole differenza tra Calypso e Leo. Lei, figlia del sindaco, ben vestita, con i suoi capelli curati e la sua apparente puzza sotto il naso. Lui, figlio di un operaio qualunque, si vestiva come un barbone, non si pettinava ed adorava lavorare tra le macchine e l'alta tecnologia che caratterizzava il loro Distretto. Lei, ricca e con una sola sorella, viziata e riverita. Lui, di famiglia media, con due fratelli e con l'istinto di un combina-guai. Lei, isolata nella sua nobile bellezza. Lui, circondato da persone -non da amici-, nel suo essere un buffone. Lei, che vedeva il suo nome comparire nella Mietitura solo tre volte. Lui, che, di nomine, ne aveva venti.

Che tra loro non si trovassero caratterialmente, era giustificato. Almeno così era per un osservatore superficiale.

Finché, pochi anni prima, i loro fratelli maggiori non furono pescati come Tributi. Zoe e Charles. Un anno buio per tutto il Distretto.

Dicono che è il dolore ad avvicinare le persone. E forse è vero, perché, quando un Leo tredicenne vide suo fratello, ucciso da un'esplosione, Calypso, che aveva visto sua sorella morire, gettata tra le rocce di un fiume, capì perfettamente cosa voleva dire perdere una persona cara. E insieme piansero. Fu un anno doloroso. Molto doloroso.

Il tentativo di lui di alleggerire le situazioni, cercando di farla ridere, di vederla ridere, o sorridere, faceva sentire ancora più triste Calypso, perché, lui era abbastanza forte per dire no al dolore. Come se lui potesse decidere quando essere triste e quando no.

Leo amava Charles, nello stesso modo in cui un fratello minore ama un fratello maggiore. E gli tolsero quel pezzo di vita e di sorriso. Leo, aveva notato Calypso, sorrideva solo da un lato, come se una parte delle sue labbra fosse sempre in lutto, sempre triste per la morte di suo fratello.

Conoscersi non solo come la Figlia del Sindaco, o il Buffone della Classe, li portò ad essere amici, scoprendosi sotto luci e prospettive che non avrebbero mai pensato.

Vedere Calypso in un'officina, sporca di olio sulla guancia e Leo pettinato, seduto su un tavolo a prendere civilmente il tè, sorprese e divertì i pettegoli del Distretto, che iniziavano a pensare a come celebrare le possibili nozze dei ragazzi, discutendo chi, trai due, avrebbe portato i pantaloni in casa.

Jason aveva messo su un bel giro di scommesse, con il quale guadagnava parecchi soldi, che condivideva con l'amico, pur tenendolo all'oscuro di quel losco affare. Chi avrebbe fatto il primo passo? Chi avrebbe detto per primo ti amo? Leo avrebbe fatto esplodere qualcosa, chiedendo la mano di Calypso? E come sarebbe stato il suo primo incontro col papà di Calypso, il Sindaco Atlante?

I goffi passi di Leo Valdez in amore portavano sempre un sorriso in tutti gli abitanti del Distretto Tre. Lui era un po' l'emblema del buon umore, dell'umorismo e del Lieto Fine.

Fu Calypso a fare la prima mossa, baciandolo mentre Leo bofonchiava qualcosa su una possibile Macchina del Tempo e la relatività dello spazio. Era stato un modo per farlo star zitto. L'unico metodo che aveva funzionato, anche se per poco tempo, visto che il ragazzo, subito dopo il bacio, aveva iniziato a balbettare battute, che mettevano in imbarazzo entrambi - “Ah” aveva detto “Mi hai dato la verginità delle tue labbra” e lei gli aveva dato uno schiaffo dietro la nuca, mentre a lui andava di traverso la saliva-.

E quel giorno Jason guadagnò, più o meno, 354 dollari.

Nessuno aveva scommesso su una prima mossa di Leo, ma alcuni pensavano che ci avrebbero messo, per stare insieme, almeno un altro anno, o, peggio, cinque lunghissimi anni, piene di brutte figure del ragazzo e frustrazioni.

Invece, all'età di quattordici anni, Leo Valdez era felice e senza nessuna frustrazione. Il suo migliore amico sempre al suo fianco, la sua ragazza pronta a sorridere, la sua famiglia che si stava stabilizzando economicamente ed emozionalmente. Certo, sentiva ancora il vuoto nella sua camera, quando andava a dormire e si aspettava d'iniziare a sentire Charles russare la notte. Certo, sentiva la mancanza di suo fratello maggiore, ma sembrava aver già pagato quella piccola fortuna che la vita gli stava donando. Sembrava che tutto sarebbe andato a finire bene.

E tutti al Distretto erano felici. Perché lui era l'esempio che, anche così, anche se dovevano stare sotto gli ordini di Capitol City, a volte, un miracolo, un lieto fine, esiste.

Leo era la loro speranza.

Fino alla Mietitura dei suoi quindici anni.

Leo aveva tirato un sospiro di sollievo, quando né il nome di Calypso, né il nome di Nyssa -che ormai aveva diciotto anni: era salva dalla Mietitura e dagli Hunger Games- fu pescato, per diventare il Tributo femminile del Distretto Tre. E quando toccò ai ragazzi, era completamente rilassato, aveva sorriso verso Jason e aveva aspettato che venisse proclamato il nome dello sventurato di quell'anno.

E non fu il nome di Leo ad essere pronunciato, ma il nome di Jason.

Jason Grace, avevano detto.

Jason Grace, avevano ripetuto. E Leo aveva visto il sorriso del suo miglior amico inclinarsi, gli occhi chiusi, a parare il colpo morale, il respiro corto, che cercava di calmare in ogni modo. Ma non fece in tempo a superare l'amico, che lui già aveva alzato la mano, senza aver veramente capito per quale motivo lo stava facendo, sapendo solo di non riuscire a sopportare un'altra perdita, come quella di suo fratello.

Mi offro volontario!” aveva detto, correndo verso il palco e spingendo indietro Jason, poco elegantemente. "Mi offro volontario come tributo!"

No” mormorò Jason.

No” singhiozzò Esperanza.

Efesto e Nyssa abbassarono la testa, scuotendola tristemente.

No!” aveva gridato Calypso, rompendo le righe delle ragazze e correndo verso lo spazio della piazza vuota, allarmando i Pacificatori, che puntarono in fretta i fucili contro di lei. Jason le fu accanto, tenendola dalle braccia e calmando quegli stupidi soldati, cagnolini di Capitol City, con quel semplice gesto.

No.” continuò lei lamentosamente, cercando di liberarsi dalla stretta di Jason “No, no, no.” ripeté, scuotendo la testa disperata ed alzò la mano e prese fiato per gridare. “Io…” iniziò, ma una mano di Jason le tappò la bocca perché non dicesse niente, perché non potesse gridare quel che aveva in mente di gridare. Voleva offrirsi come Tributo anche lei. E allora Leo avrebbe sentito di aver perso tutto.

La ragazza tirò calci e pianse lacrime nervose ed arrabbiate contro il biondo, che semplicemente chiuse gli occhi, nascondendo il suo viso dietro una mano, e accettò tutta la rabbia di Calypso e la sua tristezza.

Vedendo Leo Valdez su quel palco, presentato come Tributo, nessuno ebbe il coraggio di dire o fare niente.

Sembrava strano, ma tutta la speranza di un intero Distretto era stata strappata dai petti delle persone e l'unica immagine che riuscivano a vedere era Charles, in piedi come in piedi era Leo, che non era più tornato a casa. E, in quel momento, chi aveva voluto bene a Leo capì che neanche lui sarebbe più tornato a casa.

Sei un idiota.” aveva gridato Calypso quando le avevano persmesso di vederlo, prima che partisse “Un fottuto idiota.

Che linguaggio scurrile.” Leo le prese le mani cercando il suo sguardo “Io nemmeno sapevo che tu conoscessi le parolacce.” sorrise, come se non sapesse a che destino stesse andando incontro.

Jason aveva molte più probabilità di vincere di te. Te ne rendi conto, vero?” sbottò lei, allontanando le sue mani da quelle di lui, che arricciò le labbra.

Oh, beh, grazie”

“Sai cosa intendo

Leo sospirò, inclinò la testa e avvicinò il suo viso a quello di Calypso, per essere sicuro che i loro sguardi s'incatenassero. “Sono probabilità. Probabilmente Jason aveva più speranze di sopravvivere, ma parliamo di un ragazzo contro altri ventitré. Avrebbe avuto solo un ventiquattresimo di possibilità. E i Favoriti? Jason ha troppo buon cuore per uccidere. Se fosse tornato poi cosa… ma non c'è problema, adesso. Perché ora Jason sicuramente vivrà.”

“Anche tu hai troppo buon cuore.” borbottò lei, senza aprire le labbra “Ti prego torna a casa. Le persone scommettevano, là fuori, su chi tra voi potrà tronare a casa. Leo. Leo, io ho scommesso su di te

Leo le accarezzò le mani, muovendo i pollici, leggermente “Ehi, scampare alla morte? È uno dei miei passatempi preferiti!

Ed era vero. Ci era riuscito molto bene. Grazie alla sua furbizia e alla sua bravura nello scappare era arrivato fino alla finale a due, portandoci anche Piper, trascinata a forza, viste tutte le volte in cui lei aveva rischiato di morire. E chiunque avrebbe scommesso su Leo, nonostante la sua corporatura gracile e la completa mancanza di brutalità del suo sguardo.

Le sue battute facevano impazzire gli spettatori di Capitol City, il suo buon cuore lo faceva amare dagli altri Distretti e il Distretto Tre organizzava collette per poterlo aiutare a trovare cibo, o acqua, o calore. Leo Valdez era diventato il Tributo preferito di quell'edizione degli Hunger Games. E se non fosse stato…

Se non fosse stato per Piper…

“Se non fosse stato per te” gridò Calypso sotto il palco, agitando le mani e con un ringhio feroce su quel così nobile viso “Se non fosse stato per te, Leo sarebbe stato a casa! Tu ci hai rubato Leo. Tu lo hai ucciso!”

Piper chiuse gli occhi ed una lacrima cadde direttamente sulle sue mani “Il messaggio che mi ha lasciato dice: Raggio di Sole, non te l'ho mai detto, ma il rosso ti sta molto bene. Farò tardi. Scusa.”

“Gli hai tolto la possibilità di vivere. Magari sarebbe tornato cambiato. Ma sarebbe tornato. Avrebbe avuto la possibilità di andare avanti. E tu gliel'hai tolta!” la voce di Calypso era roca, spezzata, ma potente e Piper girò leggermente la testa, senza il coraggio di guardarla. “Tu che non hai fatto niente per sopravvivere! E ci hai rubato qualcuno che amavamo”

“Sono viva” Piper aveva ricacciato le lacrime indietro, anche se sentiva ancora tutto il suo corpo voler cadere nella tristezza più profonda, senza tornare mai più. “Sono viva perché ero amica di Leo. E Leo non avrebbe mai lasciato un amico morire. Altrimenti non sarebbe stato Leo. Se fosse tornato lui, uccidendo me, non mi avresti incolpato lo stesso di averti ucciso Leo?” si allontanò dal microfono, portando finalmente lo sguardo sulla ragazza e la vide rispondere, prima che i Pacificatori la portassero via, per essere punita a causa del suo dolore manifesto.

“Ma sarebbe stato vivo”

Piper diede le spalle alla folla ed entrò nell'enorme palazzo, quando chiusero le porte e sua madre l'accolse con le braccia aperte, per poterla abbracciare, scoppiò a piangere, singhiozzando come una bambina che ormai non era più.




 
SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»✔️
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»✔️
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»
COMPLETATE: 2/10

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Capitolo 3
*** Mondo Tre: La lista delle cose non fatte ***




Note:

Ci ho messo una vita, ma questo è il terzo mondo. Uff. Per scegliere l'universo ho cambiato la storia mille volte.

I prompt provengono da Dei, miti ed eroi
AVVERTENZE! Questo capitolo è pieno di dialoghi. Nel senso che più che narrare, questa volta faccio parlare. E spero che la cosa vi convinca!
Ultima cosa: ho un profilo su Wattpad con un nome completamente diverso. Mi piace vedere le ff con tutti quei don't diversi e sfogliarle sul mio tablet come se fossero libri. Lo uso in questo modo: lascio le bozze di quello che pubblicherò. Non so, magari solo il primo capitolo, o l'inizio dell'idea. Lo dico perché non escano cose come: "Stai copiando!" Nah, nah. Questa qui ( Giadavsr ) sono io. Sempre detto: ho due nomi :)





 

Saremmo potuti essere

Di quando Leo superò Aladino, portando Calypso a volare in un modo tutto nuovo (senza usare Festus o far esplodere qualcosa, grazie agli dèi)

Mondo tre: La lista delle cose non fatte






L'infrangersi delle onde sembrava diventare, per la prima volta, assordante. Soprattutto quando Calypso non parlava.

Lei se ne stava lì, seduta, ginocchia leggermente piegate, mani posate sugli stinchi e occhi sull'oceano. E non diceva una parola.

Non sentirla dire qualcosa di antiquato o vagamente offensivo non sembrava essere rassicurante per Leo. E tirò un sospiro di sollievo quando la ragazza si girò verso di lei e sorrise.

"Tocca a me."

Poi il vento si alzò e lei cominciò a raccontare.


•●•


Nel buio dell'Auditorium, Leo e Calypso, con le mani intrecciate, aspettando che nessun rumore si manifestasse, iniziarono a ridere e ridere e ridere e ridere.

Una risata nata da un sorriso e cresciuta tanto bene da dover essere stata commemorata e incoronata.

Nel buio dell'Auditorum, i ricci neri di Leo si confondevano con il nero e gli occhi scuri di Calypso sembravano essere ombre sfuggevoli di foglie. Eppure, nessuno nel campus li avrebbe visto più chiaramente di così. Emanavano luce.

Calypso, in una notte sola, aveva vissuto più di quanto avesse vissuto nei suoi diciotto anni di vita. Alla vigilia del suo diciannovesimo compleanno aveva finalmente fatto quello che non aveva fatto da ex-adolescente. Grazie a Leo.

“Ci beccherà il custode.” La sua voce era un sussurro leggero accanto all'orecchio del ragazzo, che girò la testa, con ancora in faccia quell'enorme sorriso da scoiattolo; o da folletto, dipendeva dalla luce.

“Sarebbe eccitante essere beccati dal custode proprio ora, proprio adesso” rispose ad alta voce, e il suono rimbalzò da una parte all'altra, riempendo lo spazio vuoto anche tra loro. “Non c'è nella tua lista? Farsi beccare durante atti osceni da un vecchio custode?”

“Non farò cose oscene con te, Omuncolo.”

“Uno ci prova.”

Ma le loro dita continuavano ad essere intrecciate fra loro, non si volevano staccare. Poco prima, Leo le aveva preso la mano, dicendo che aveva paura di perderla nel buio. E forse era vero. Per la prima volta Calypso aveva sentito le mani callose del ragazzo sulle sue e si era chiesta se mani del genere potessero in effetti appartenere ad un ragazzo come Leo. Lui era piccolo, rachitico, un po' basso -diceva rispetto a quelle di altri ragazzi, come Percy. Le sue mani, però, erano grandi e forti, non ci aveva messo niente ad avvolgere interamente quelle piccole di lei. Ed era stato piacevole.

“Questa era la ventesima cosa.”

“L'ultima?” Leo guardava verso la cupola, col naso all'insù e il pomo d'Adamo che saliva e scendeva.

“L'ultima” mentì sommessamente Calypso, girandosi verso di lui. “Quindi spunterei Scasso dell'Auditorium in piena notte.”

“Non è stato semplice con una non-ninja dietro.”

“Il non-ninja sei tu.”

“No, tu!”

“Sono per caso caduta io in mezzo al fango di sedere con le braccia all'insù?” La mano di Calypso scivolò lentamente fuori da quella di Leo, per andarsi a premere contro il suo stesso petto. La ragazza aveva incrociato le braccia e, se solo l'avesse potuta vedere, se solo avesse visto il suo volto, Leo avrebbe visto quel sorriso che aveva quando pensava di aver vinto una discussione. Solo gli dèi sapevano quante volte lui avesse visto quello sguardo, in sole sei ore in giro per il campus.

Calypso si era pentita immediatamente di aver lasciato la mani di lui. Nel buio non vedeva niente di niente. Lo aveva perso nell'oscurità che non veniva rischiarata nemmeno dalle finestre lasciate aperte, forse perché la luna in cielo non c'era, quella notte. Forse perché erano finestre così piccole che non lasciavano entrare la luce nemmeno di giorno.

C'erano due aspetti del buio contrastanti. Da una parte Calypso lo stava temendo: Leo non le era accanto e aveva paura di perderlo tra quelle ombre. Dall'altra si sentiva accettata e parte di quelle stesse ombre. Leo era lì, con lei, la sua voce continuava a risuonare anche se non riusciva a vederlo.

Se lo avesse conosciuto in quel modo, come voce e non come Leo in Leo, probabilmente tutte quelle liti dell'inizio della loro amicizia non ci sarebbero mai state. È incredibile quanto la voce dica più di una persona, rispetto al viso.

“Sono caduto perché tu stavi cadendo di sedere.” La voce di Leo era vicina, ma lei non avrebbe saputo localizzarla. Lottò con l'istinto di allungare la mano ed afferrare il pigiama rosso di lui. Certe cose, con Leo, le sembravano più imbarazzanti di quanto non fossero realmente. “Se non fossi caduto io, saresti caduta tu. Sono… dovresti consideri il tuo eroe.”

Leo rise. Calypso sorrise.

“Quindi.” Di nuovo la voce venne da qualche parte nel buio e lei dovette girare la testa, alla ricerca del ragazzo. “Oggi abbiamo…”

“Scassinato l'Auditorium. Numero Venti.”

“Ricoperto di carta igienica blu la stanza di Jason e Percy. Numero Diciannove. Eri carina con tutta quella carta igienica in mano.”

“Che bel complimento.” Calypso rise. Ma dov'era finito Leo? “Abbiamo lasciato lettere mino-romantiche* a Rachel, Frank e Will. Numero Diciotto. Però dovremo continuare lo scherzo per almeno tre settimane, eh!”

“Avevo paura che Reyna si svegliasse e mi uccidesse.”

“Chi lo avrebbe mai detto che è sonnambula? Quando ti ha sbattuto contro il muro non sapevo se: a) ti voleva baciare; b) ti voleva spezzare il collo; c) se ridere e filmare tutto.”

“Raggio di sole. Tu non hai il cellulare. Hai un piccione viaggiatore per comunicare con tuo padre.”

“Non prendere in giro il mio Pierre!”

“Oh, dèi. Io scherzavo e tu ce l'hai per davvero!”

Leo si era allontanato? Dove era andato a finire? Calypso azzardò un passo avanti, per poi farne uno di lato. Perché cavolo aveva lasciato la mano di quell'idiota?

“Abbiamo fatto il bagno di notte nel Lago. Numero Diciassette.”

“Fatto il bagno? Mi hai buttata là dentro! Presa in braccio e gettata al freddo! Ho ancora i capelli umidi!”

“E il tuo pigiama non è diventato trasparente. Un punto per i pigiami anti-stupro.”

“Maniaco.”

“Sono un ragazzo” rise lui, e qualcosa cadde a terra, a pochi metri da Calypso. “Auch” si lamentò Leo. “E comunque grazie al cielo avevamo portato a termine il Numero Sedici.”

“Partecipare ad un falò. Devo dire che, però mi è mancata la chitarra. Ho sempre pensato che il mio primo falò sarebbe stato sulle rive di un lago, con dei marshmallows, tante persone e qualcuno che suonava la chitarra. Avremmo cantato tutti insieme sotto la luce della luna.”

“I marshmallows c'erano. E abbiamo fatto un falò, io e te, sulle rive del Lago. E prima, per farti felice, abbiamo anche cercato di chiamare Kayla perché suonasse la chitarra.”

“Il Numero Quindici: vagare per i corridoi in piena notte, cercando di convincere qualcuno a far qualcosa di quasi illegale. Almeno al college.”

“Questo dopo il Numero Quattordici: abbiamo letteralmente fatto una serenata a Kayla, tirandole prima i sassolini sulla finestra, poi iniziando a cantare Cielito Lindo, senza chitarre.”

“Tu non sai cantare.”

“Invece tu sì. Faremmo una bellissima coppia.”

Di nuovo, Calypso rise. Leo si muoveva per la stanza, probabilmente appoggiandosi al muro per non cadere. Seriamente. Lì dentro non si vedeva nulla, nemmeno ad un palmo dal proprio naso. Come aveva fatto Leo a finire laggiù?

“Ma sai lo spagnolo.” Non era una domanda.

“Già.”

E, per un po', non dissero niente, risucchiato dal buio e dal silenzio. Il microfono dietro le quinte, lasciato acceso, faceva un rumore strano di sottofondo. Un fiii, a volte, un tzz, altre.

“Numero Tredici” riprese a parlare lei, iniziando a tremare leggermente, per il freddo e l'eccitazione. “Lasciare topi morti nei cassetti delle ragazze che mi stanno antipatiche.”

“Ero sicuro che mi volessi uccidere con quella roba per acchiappare topi.” Leo sembrava essere molto lontano. Come se stesse dall'altra parte della stanza. “E non eri tu che dicevi Io non posso far male agli uccellini! Stai attento, spaventi gli uccellini!” Le stava facendo il verso e, ancora, la sua voce sembrava star scomparendo.

Calypso si mosse di nuovo in avanti, presa quasi dal panico di non ritrovare nel buio Leo. Andò a sbattere contro una sedia di plastica, che cadde a terra, con un rumore secco. Bop, bo, bo bo fece la sedia gettata a terra. “Aho” mormorò lei, abbassandosi per accarezzarsi il ginocchio.

“Ti verrei a dare il bacetto per la bua, ma non riesco proprio a capire dove sei.”

“Mi farebbe piacere non essere presa in giro quando mi faccio male.”

“E chi ti prendeva in giro?” Leo sembrava realmente muoversi nel buio, e la sua voce stava diventando leggermente più vicina. “Comunque non sapevo che Drew ti stesse antipatica. Tanto da tre topi tra le mutande. Cosa ti ha fatto?”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Diciamo che prende le pillole per aumentare la taglia del reggiseno* e non un libro in mano per aumentare l'utilità del suo cervello.”

“Ah.” Leo alzò le spalle. O almeno così lei pensò. “Ce l'hai con lei perché ha il seno più grosso del tuo.”

Calypso sospirò, irritata. “Ma che ne puoi sapere tu” borbottò.

“Per lo meno adesso tu hai un ghiro e lei no. Ha sempre voluto un cane. O qualcuno che l'amasse. Non per dirvi niente. Siete un po' cattive con lei.”

“È una puttana.”

“Cosa?”

“Cosa?”

“Hai detto una parolaccia!” gridò Leo, facendo cadere alcune cose accanto a lui. La storia del buio gli avrebbe causato un sacco di lividi, sicuramente. “Tu non dici mai le parolacce!”

“Ovvio che tu difenda quella figlia di…” Calypso si trattenne, stringendo i pugni. “I ragazzi sono così. Dalla parte della prima che gliela dà.”

“Questo modo di parlare… da quando parli così?” Leo sembrava sovrappensiero. “Ma… non dirmi che sei gelosa!”

“Non sono gelosa!”

“Sei gelosa!” Leo stava sicure te saltellando. Riusciva a immaginare la sua faccia da idiota mentre gongolava. “E comunque. Voglio ricordarti che io posso stare dalla parte di chi voglio. Le tue esatte parole di quando io e il tuo ghiro stavamo litigando. Stasera, eh.”

“Ma non ti sembra ridicolo che tu abbia litigato con un ghiro?”

“Non ti sembra strano che tu abbia preso le difese di un ghiro?”

“È il mio Numero Dodici. Abbiamo faticato per trovarlo tra giardinetti del Campus. Lasciamelo viziare.”

“Mi devi cinque cerotti e tre bacetti contro la bua, per il tuo Numero Dodici.”

“Due” contrattò Calypso, senza nemmeno avere l'intenzione di baciare Leo. Trovava comunque adorabile che lui continuasse a dire bua. Si chiese se era stata Esperanza a lasciargli questo modo di dire. “Scaliamo quello che non mi hai dato per il ginocchio.”

“Quindi ti sei fatta male al ginocchio.”

Lei alzò gli occhi al cielo, ma sorrise. Si mosse di nuovo, a tentoni, cercando il ragazzo nel buio.

“Non per questo manderò Pierre da papà.”

“Perché dovresti?”

“Vuole sapere sempre tutto. Chiamalo papà protettivo.”

“È per questo che non dicevi parolacce. Stai diventando una ragazzaccia. Manderò io un messaggio a tuo padre attraverso Pierre.” Stette per un po' zitto. Poi parlò di nuovo: “Qual era il tuo Numero Undici?”

“Ubriacarsi a una super-festa-del-college. Ma non c'è stata nessuna festa ieri sera-barra-questa mattina.”

“Non ti perdi niente, comunque.”

“Tu lo hai provato?”

“Non esattamente la notte di cui sono più fiero, ecco.”

“Hai corso nudo per il Campus?”

“Sì. Ma quella volta ero sobrio. Diciamo che Eco e io abbiamo avuto notti migliori.”

“Eco?”

Silenzio. Non doveva andare veramente fiero.

“Detto questo.” Calypso aveva avuto paura che Leo non avrebbe più ripreso la parola. Tirò un sospiro di sollievo a risentire la sua voce. Era la sua unica guida per ritrovarlo là dentro. “Numero Dieci. Ti ho portato a fare una bella passeggiata sulla mia moto trai corridoi.”

“Ho temuto per la mia vita.”

“Qualcosa contro Festus?”

“Qualcosa contro tu che lo guidi. Il corridoio è piccolo così e noi lo abbiamo percorso a zig-zag!”

“Amo il pericolo.”

“Bugiardo.”

“Mi piaceva che mi abbracciassi da dietro.”

“Smielato.”

“Ma vero.”

“È per questo che abbiamo unito anche il Numero Nove e hai guidato con un lenzuolo davanti agli occhi?”

“Eravamo dei fantasmi!” Leo doveva essere lì vicino. La sua voce proveniva da destra. Calypso si mosse a destra, mettendo avanti le mani e piegandosi leggermente. Se le luci si fossero accese in quel preciso momento, sicuramente, l'avrebbero presa in giro per tutta la vita.

“L'unica a spaventarsi è stata Lacey. Povera piccola.”

“Ci ha lasciato i suoi marshmallows. Punto per Valdez, direi.”

La testa di Calypso andò a sbattere contro il petto di Leo e lei afferrò la maglietta del ragazzo, alzando la schiena e facendo sbattere la sua fronte contro il mento di lui. “Trovato” esclamò.

“Ciao.”

“Ciao.”*

“Ti sono mancato, sento.”

“Oh, stai zitto.”

“Va bene.”

Silenzio. Nessuna parola riempiva nessuno spazio e ancora quello stupido microfono faceva tzz dietro le quinte e la mano di Calypso non lasciava il pigiama di Leo.

“Leo?”

“Sì?”

“Sei in pigiama.”

“Sì.”

“Perché sei venuto in camera mia, gridando che dovevamo vivere la vita in pigiama?”

“Perché se mi fossi dato il tempo di cambiarmi, avrei perso il coraggio di venirti a prendere per campeggiare sul giardino del Campus.”

“Sei un maledetto idiota. Tu non sapevi niente di Annabeth che mi ha cacciato dalla stanza perché aveva da fare con Percy?”

“Definisci aveva da fare.

Calypso gli assestò un pugno sul petto, sbuffando, ma senza lasciare che una delle due mani perdesse la presa dalla maglietta di Leo.

“Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?” rise Leo, piegandosi leggermente in avanti.

“È stata la prima cosa mi hai detto, quando ci siamo conosciuti.”

“Hai iniziato a urlarmi contro senza motivo.”

“Avevi distrutto Charlotte!”

“Avevi dato un nome a una pianta?”

“Tu hai dato un nome alla tua moto e nessuno ti ha detto niente.”

Di nuovo silenzio. Però Calypso si sentì più tranquilla, sentendo il tessuto sotto le sue dita. Leo si muoveva appena. Sicuramente i suoi occhi erano posati sui capelli di Calypso, senza colore in quel momento senza luce.

“Mi sei stata subito antipatica.”

“Eppure hai scelto di passare con me questa notte.”

“Direi mattina. Sono le cinque.”

“Perché?”

“Il tempo è un gran mistero.”

“Sai di che parlo.”

“Perché ti ho conosciuta. Mi sembra scontato, no?”

Silenzio.

Calypso alzò la testa e sentì il respiro di Leo sul naso. Lui faceva parte di quei ragazzi che crescono tanto dopo il liceo, o almeno così Piper. Se lei avesse conosciuto il ragazzo due anni prima, sarebbe stata traumatizzata dalla repentina crescita di lui. Dieci centimetri in un'estate. Quel tanto che bastava per superare Calypso.

“Leo?”

“Sì?”

“Se fosse stato Percy a chiedermi di campeggiare sul giardino e di fare un falò sul Lago, non avrei accettato.”

“Ma noi amiamo Percy! Fai parte del suo fanclub!”

“Ho cambiato team.”

Silenzio. Leo era sveglio per alcune cose, ma era molto ingenuo.

Le mani di Calypso salirono verso il viso di lui, e lui aprì la bocca, preso da un'illuminazione.

“Oh.”

“Oh” gli fece eco lei, sorridendo.

“Team Leo?” chiese lui stupidamente. La ragazza annuì, anche se nessuno riusciva a vedere l'altro, distante qualche millimetro. “Da quando?”

“Non lo so.”

“Perché?”

“E che cavolo ne so!”

“Va bene.”

“Va bene.”

Le guance di Leo erano diventate molto calde. La cosa faceva ridere Calypso.

Avvicinò le sue labbra dove pensava che ci sarebbero state le labbra di Leo, ma si ritrovò a lasciare un bacio al suo mento. Scoppiò a ridere.

Leo poggiò le sue mani sulle guance di Calypso. Erano grandi, callose e calde. Erano piacevoli.

“Ti posso fare una maglietta con su scritto Leo Valdez è un figo?”

“Perchè mai?”

“Dietro scriveremo Team Leo e la mia foto con i pollici alzati.”

“Col cavolo.”

E quelle furono le ultime parole prima di ricevere un bacio sulle labbra di Leo Valdez. Il primo con lui. Il primo in assoluto. Il suo Numero Ventuno. Essere baciata da un ragazzo che mi ama e che mi ami.

E la lista delle Cose da fare prima dei vent'anni era quasi completa. L'aveva stilata quando aveva dodici anni, l'apparecchio e una pettinatura ridicola. Ai tempo avea pensato che le avrebbe fatte in diverse giornate, magari una con l'intervallo di mesi l'una dall'altra. Invece.

Leo si staccò da Calypso, per riprendere fiato. “Ciao” disse e Calypso sentiva il suo sorriso nella sua voce.

“Ciao” rispose a sua volta. E sorrise.

Comunque, qualche ora dopo Leo piombò nel corso di Filosofia Moderna con una maglietta rossa in mano e gridando: “Team Leo è vita!”

Ed era uscito dall'aula saltando dalla finestra. Davanti a Calypso la maglietta recitava Sono innamorata di Leo Valdez.

Quel narcisista. Neanche la soddisfazione di farglielo dire in faccia aveva!










*Sono due i miei consigli.

Guardatevi Due Fantagenitori per ricordarvi quanto era bello essere bambini dolci e simpaticosi :3

(Le lettere mino-mantiche sono lettere romantiche e minacciose insieme. Mi hanno sempre fatto ridere.)

John Green. No, no, no. Non Colpa delle Stelle. Teorema Catherine. Città di carta. Quando avrete finito di farlo, vi sfido a capire cosa c'entra lui con quello che ho appena scritto.

Ah, sì. All'ospedale ho scoperto che le donne che prendono la pillola anticoncezionale hanno il seno più grosso. Nel senso che cresce loro. Ora capisco molte cose.















SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»✔️
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»✔️
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»✔️
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»
COMPLETATE: 3/10

 

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Capitolo 4
*** Mondo Quattro: Il giglio e la rosa ***


Note:
A dirla tutta pensavo che oggi sarei comparsa con il mondo degli zombie. A tutti piacciono gli zombie. E invece…
Invece, la rilettura de Il linguaggio segreto dei fiori mi ha portata a questo.
Io odio il voi. L'ho sostituito quasi completamente con il lei. Perché… non lo so… no me gusta…
Questo capitolo è pieno di sottintesi. E anche di fiori col loro significato. E anche di pettegolezzi falsi. Essendo cresciuta nella letteratura con scrittrici come Jane Austen (è stata una fase), Emily Brontë (sono ancora in questa fase) e Charlotte Brontë, mi chiedo quanto io abbia rispettato l'ambientazione…
Ricordo che i prompt vengono da Dei, miti ed eroi .
Eeeeee, basta. Dovrei smetterla di rompere le scatole.





Saremmo potuti essere

 

Mondo Quattro: Il giglio e la Rosa






Chi ti ha parlato dei college?”

Calypso arricciò le labbra, alzando gli occhi verso l'angolo sinistro. “Non lo so” ammise, schioccando la lingua sul palato. “Forse Percy.”

Perché mai Percy avrebbe dovuto parlarti del college?”

Non lo so.” Calypso sbatté le palpebre innocentemente, per poi sorridergli. “Se vuoi essere geloso, puoi pensare a Drake che mi ha raccontato ogni particolare del suo tempo e della sua vita prima di essere un pirata.”

Insomma.” Leo le restituì il sorriso. “Potresti essere un perfetto Capitan Uncino.”

“Anche una perfetta Elizabeth.” Calypso sospirò e abbassò la testa. “Per una volta” aggiunse a bassa voce.

Leo le strinse una mano, con fare rassicurante. “Ti preferisco come Calypso.” Sorrise. E lei gli sorrise dietro.







•••





“Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto.” La signorina Calypso Nightshade era piegata sulle ginocchia, alla stessa altezza dei fiori che odorava, diventando lei stessa un fiore trai fiori. Il suo vestito, largo alla base, stretto alla vita e sobrio, nascondeva la sua pelle pallida, che usciva dalle maniche solo parzialmente e mostrando solo le pallida dita affusolate e il collo bianchissimo. Le si vedevano anche le vene, tanto era pallida. Sangue blu. Vene blu. Un ombrello a coprirle anche i capelli cannella, nonostante il sole fosse già calato da un pezzo e la più pallida luna si era affacciata sul cielo, accompagnata dalle sue ancelle stelle.

Leo trovava tutto questo piuttosto noioso, ma non disse niente, nonostante fosse chiaro che la signorina stesse parlando con lui. Si limitò ad alzare le spalle e guardare verso la galleria del palazzo.

“Queste sono rose, non è così?” Calypso continuava a parlare nonostante il signor Valdez non rispondesse alla maggior parte delle sue domande. “Conosce il linguaggio dei fiori? È un linguaggio molto in voga negli ultimi tempi. Secondo quel che si dice a Londra, la Regina Vittoria li utilizza per mandare messaggi segreti ai suoi amanti.”

“In città si dicono molte brutalità.” Leo sorrise. “E mi chiedo come questo sia possibile, se nessuno mai ha neanche visto le caviglie della nostra regina.” Stava ridacchiando, portandosi una mano sulle labbra e alzando il suo sguardo verso il cielo.

“Non so. Non ci sono mai stata, in città.” La ragazza alzò le spalle, continuando ad accarezzare i petali delle rose. “Ma mia sorella dice che può essere un modo molto divertente per comunicare. Come il linguaggio del ventaglio.”

“È divertente scoprire quanti linguaggi voi donne abbiate, quando noi uomini, per comprenderci, usiamo le sole parole.”

“Forse è per questo motivo che molti cuori vengono spezzati. E penso che solo uomini altamente idioti, come lei, non si renderebbero conto di certi messaggi.” Il cappello di paglia di Calypso lottava per rimanere sulla testa della signorina, che lottava per mantenere il suo sguardo basso sui fiori.

“Ha appena insultato gli uomini con una lieve apostrofe a me. Ma quanto è gentile, signorina.”

“Sono sincera.” Calypso alzò i suoi occhi scuri sul signor Valdez, rendendosi conto di quanto buio fosse intorno a lei e di quanto Leo Valdez sembrasse far parte del buio circostante.

Non era un signorotto comune, quell'uomo, con i suoi riccioli neri e la sua carnagione scura, molto simile agli umili, piuttosto che alla classe dirigente di cui faceva parte. Signor Heathcliff, a volte la signorina Chase lo chiamava così, con troppo affetto, abbracciandolo intorno al collo e scompigliandogli i capelli già scompigliati di suo. E forse con Heathcliff Leo Valdez aveva molto in comune.

Nonostante i suoi natali fossero sulla bocca di ogni popolano, -figlio della cameriera della mansione, una certa Esperanza, che, rapita dalle sue terre d'origine si era ritrovata sulle rive dell'Inghilterra senza famiglia, casa o prole. Finché il signor Efesto, che di cognome faceva Efesto e di nome Efesto, non l'incontrò e non le diede una casa.-, poco si sapeva della sua condizione attuale. Un personaggio pieno di fascino e di mistero, commentavano le servette in cucina.

Sembrava che da piccolo non si trovasse bene tra tutti i figli illegittimi del signore e della signora Efesto -donna di una straordinaria bellezza, la signora Afrodite Efesto-, e avesse più volte tentato la fuga, finché, ai suoi dodici anni non era riuscito ad andarsene con l'intento di non tornare più, spezzando il cuore a sua madre. Quando, però, il signor Valdez -che aveva mantenuto il cognome della madre- compì i suoi diciotto anni tornò, con amicizie potenti -il signor Grace e il signor Jackson, nonché, certo, la temibile signorina Chase-, soldi e abbastanza tranquillità nell'animo per potersi ripresentare davanti a sua madre e comprarle una casa in campagna tutta per lei.

Che il signor Valdez fosse anche riuscito ad accettare i suoi fratellastri, fu qualcosa di sorprendente e allo stesso evidente, quando le voci pettegole dei popolani lo accusarono d'incesto con la figlia illegittima della signora Efesto. Male lingue, tutte false. La signorina McLean godeva ancora di tutte le sue virtù, per quel che Calypso sapeva. Anche se a volte di chiedeva se effettivamente il rapporto tra fratello e sorella potesse essere così stretto come lo era tra quei due. Lei non lo sapeva. Era l'ultima di una catena di sorelle e mai nessun ragazzo l'aveva neanche abbracciata con quell'affetto che il signor Valdez esplicitava per la signorina McLean.

E la signorina Calypso lo sapeva, conosceva queste loro abitudini, perché la sua residenza estiva confinava perfettamente con la residenza comprata dal signor Valdez per sua madre.

Calypso poco voleva avere a che fare con i nuovi vicini di casa, avrebbe preferito starsene nel suo giardino, bevendo tè e facendosi raccontare le meraviglie di Londra dalla signorina Dare. Ma era l'ultima figlia, la più piccola e l'unica non sposata. Pochi anni prima riusciva a tenersi al di fuori delle pretese del signor Atlante padre, perché sua sorella Zoe rifiutava ogni possibile pretendente, ma, da quando quella aveva deciso di diventare suora, lasciando il nominativo di signorina Nightshade a lei e solo a lei, tutti gli occhi erano di nuovo puntati su di lei, sulla sua dote, sulla sua bellezza e sulla sua inclinazione ad innamorarsi di uomini già sposati.

Il signor Valdez non era sposato. Il signor Valdez era ricco. Il signor Valdez era un buon partito. Ma era anche incredibilmente infantile e insopportabile. Atlante padre, nonostante apprezzasse il suo lavoro, detestava profondamente Leo Valdez, tanto da lasciar cadere, dopo i primi tempi, i rapporti di buon vicinato, con sollievo dell'uomo e gran divertimento della figlia.

“La sincerità uccide, in questo paese.”

“Lei è stato in qualche altro paese?”

“Se glielo dicessi non mi crederebbe.”

“Mi sottovaluta sempre, signor Valdez. Non ho sempre creduto nelle sue incredibili storie? Non l'ho guardata con meraviglia durante i suoi racconti?” Calypso indicò una rosa, una rosa blu, dipinta da qualche giardiniere, l'unica tra le rose bianche. “Se le donassi questa rosa, cosa penserebbe?”

“Penserei che ama molto le rose, e che dovrei essere io ad ossequiarla. Altrimenti suo padre mi darebbe del rivoluzionario senza motivo.”

“Come era da dimostrare. Lei è alquanto ottuso.”

“È sicura?” Leo Valdez S'inginocchiò accanto a lei, con movimenti goffi, per non calpestare l'enorme gonna intorno a lei. Le tolse l'ombrello tra le mani, poggiandolo a terra, poiché con quello la signorina era riuscita a infilzarli quasi un occhio. Lo fece con poca rudezza, con una delicatezza che non pensava potesse essere sua.

Calypso sapeva di non essere esattamente la bellezza più fine e voluta del tempo. Se nessuno aveva mai deciso di chiederla in sposa era per questo. Vita troppo stretta. Fianchi troppo piccoli. Non era neanche portata per la tessitura, cosa che aveva fatto propendere Ulisse e la sua industria tessile per Penelope.

Si era anche detta che sarebbe finita zitella a continuare così. Ma, ehi, andava tutto bene. Dopo essere stata vicina di Leo Valdez, tutto le sembrava più accettabile. Quell'uomo aveva quella strana capacità di riappacificarti con se stessa. Lei che non era all'altezza delle aspettative del padre, o delle sorelle, o di qualunque uomo del quale s'innamorava.

“Vede?” Il signor Valdez indicò la rosa che Calypso continuava ad accarezzare con delicatezza. “Quel colore non esiste in natura, per una rosa. È l'unica rosa blu perché il signor Jackson trovava odioso che io avessi nel mio enorme giardino pieno dei colori preferiti del signor Grace e il mio, mentre del suo ce ne sono pochissime tracce. Se devo essere sincero, i fiori non sono qualcosa che mi entusiasma. La parte preferita del mio giardino è il labirinto che io è la signorina Chase abbiamo progettato e dal quale solo noi due sappiamo come uscire.”

“C'è molto affetto tra lei e la signorina Chase.”

“Spero non si senta gelosa di lei.”

“Per quale motivo mai dovrei sentirmi gelosa?”

“Vede, se non fosse stata gelosa della signorina Chase, o di Piper…” Calypso trasalì a sentire il primo nome della signorina McLean e fissò il signor Valdez con aria stupita, cosa che lui non sembrò nemmeno notare “… avrebbe apprezzato di più il mio bellissimo labirinto. Comparabile al labirinto di Dedalo nell'antichità. Invece, lei, tutte le volte che ne parlo guarda quest'unica rosa blu. Se non fosse stata gelosa” ripeté con un sorriso troppo grande. “Avrebbe scelto la rosa rosa. O, chissà, il giglio della valle.”

Caltpso alzò un sopracciglio e spinse leggermente il signor Valdez, che iniziò a ridere. “Lei è un bugiardo!”

Leo Valdez scoppiò a ridere, mantenendo il suo equilibrio con la mano puntata a terra. “E perché mai?”

“Aveva detto che non sapeva il significato del linguaggio dei fiori!”

“Mi chiedo chi sia più ingenuo tra noi, signorina Calypso Nightshade, se io per prendervi in giro un po', o lei, per credere che Piper non mi abbia insegnato un linguaggio tanto noioso e che credevo senza utilità. Finché non ho ricevuto la sua rosa rossa.”

“Da quanto tempo sta giocando con me, signor Valdez?”

“La stessa domanda potrei farla a lei, signorina Nightshade.” Il signor Valdez non la smetteva di sorridere e Calypso avrebbe tanto voluto prenderlo a pugni sul petto, se solo il tutto non fosse stato poco adatto a una signorina. “Da quanto tempo sta giocando con me?”

“I suoi messaggi non avevano alcun senso. Mi ha mandato un giglio giallo. Non significa niente!”

“Lei dice?”

“E un giglio bianco quando Zoe è diventata suora.”

“Il mondo ha perso un gran bel partito quel giorno.”

“Sta parlando di mia sorella.”

“Sto scherzando.”

Calypso sospirò, sedendosi definitivamente sul prato, circondata dalle rose bianche, rosa e rosse. Sembrava lei stessa, nell'oscurità della notte un fiore da non cogliere, circondata da ancelle colorate e devote.

“Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto” sospirò, risistemandosi il cappello e alzando sulla sua testa l'ombrello, quasi avesse paura di scottarsi con la sola luce della luna.

Leo Valdez si alzò in piedi e sorrise. “Direi che adesso è perfetto” rispose.







SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»✔️
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»✔️
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»✔️
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»✔️
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»
COMPLETATE: 4/10

 

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Capitolo 5
*** Mondo Cinque: Orient Express ***


Note:
Come sempre ripeto che i prompt vengono da Dei, miti ed eroi .
Lo steampunk mi ha dato non pochi problemi, va bene? Soprattutto con la frase del Dottor Who! Non mi potete confondere così! Ci sono vari cambiamenti di POV, che passano senza dire niente a nessuno da Calypso a Leo. Perché loro possono. Credo.
E tu che segui questa storia e leggi le note. Tu. Proprio tu. Grazie per sopportarmi e supportarmi ❤️




Mondo Cinque: l'Orient Express







Mi stai dicendo che conosci Supernatural …” iniziò Leo, alzando il sopracciglio con fare scettico, mentre la ragazza giocava con la sabbia sotto di loro.

Conoscerlo… ho visto una puntata… forse due. Piper diceva che Sam era carino e Annabeth diceva che invece era più carino Dean. Me lo hanno fatto vedere per decidere chi era più carino dei due e… Castiel non è male, sai?”

Il ragazzo alzò il palmo della mano, fermandola e scuotendo indignato la testa. “E non hai mai visto il Dottor Who? Stiamo scherzando? Tipo, se io ti dico… non so… River Song? Ti è totalmente sconosciuta?”

Chi?”

Clara Oswald? Preferisci lei?”

“Non so di cosa tu stia parlando…”

“Donna Noble?

Leo…”

Non sapresti dirmi nemmeno qual è il tuo Dottore preferito? Tipo, l'Undicesimo, o il Dodicesimo, o, a sorpresa, il Nono, o…”

Non conosco il Dottor Who. Fattene una ragione.”

Penso io debba seriamente scegliere le mie priorità. Ho promesso a Jason che avrei sposato solo una ragazza che conosce il Dottore. Penso di doverti lasciare.”

Non guarderò un'altra serie televisiva perché te e Jason avete avuto una conversazione da idioti la notte.”

Non per offenderti, ma, alla fine, mi pare che il Re Leone ti sia piaciuto.”

“E cosa c'entra questo, adesso?”

“Scoprirai che la Disney, come la Marvel, c'entra sempre in tutto.”

Ho la sensazione di sapere già come andrà a finire tutto questo…”

Per adesso ti perdono” tagliò corto il messicano, come se stesse dicendo a un bambino che non ha imparato le tabelline che aveva fatto qualcosa di molto grave. “Ma ne riparleremo più avanti. Senti questa, i miei fratellastri sono dei fan dello steampunk. Io volevo parlare del Dottore, ma ok, sì, va bene. Conosciamo Supernatural ma non il Dottore, ma ok, sì, ti perdono…”

“La cosa continuerà per molto tempo?”

Leo alzò gli occhi al cielo. “Vedo che finalmente ti senti in colpa!”

Calypso sospirò, esasperata. “Ti odio quando fai così…”











🚂🚃🚋



La storia dell'Orient Express iniziò con la brillante idea di una giovane architetto dello stato di New York, la quale pensava di poter collegare l'intero paese con un treno a vapore, contenente le più alte tecnologie del tempo. Che il treno andasse a vapore, diviso in vagoni piuttosto grandi, con la zona di ristorazione e la zona ballo, e, all'interno le più alte tecnologie riuscivano a stupire anche i più grandi scienziati, con un solo click, era stata una sorpresa anche per lei, che non pensava un simile progetto potesse diventare realtà, in così poco tempo.

Sarebbe stata una sola idea, quella, se solo sua madre e un suo vecchio amico, Leo, non le avessero messo a disposizione denaro, materia prima e ingegno.

Annabeth, alla stazione dei treni di Houston, ne era consapevole, e allo stesso tempo, guardava la sua creazione con un misto di spavento e orgoglio.

Si sfilò con la punta delle dita dei piedi parte della scarpa destra, in un gesto nervoso che pochi riuscivano a notare, per poggiare le mani sui fianchi e continuare a mordersi le labbra rosse del tanto essere disturbate dai suoi denti.

“Andrà tutto bene” la rassicurò, con un sorriso spensierato Leo, sistemandosi il cappello grigio sui suoi capelli neri usando entrambe le mani. “Questo gioiellino lo abbiamo costruito noi due. Non per essere troppo modesto, ma tutto quello che tu immagini e io rendo realtà è fantastico e sicuro.”

“Ci credi per davvero?”

“No, amo andare a sbattere contro le montagne prima di mezzogiorno, non vedo l'ora di suicidarmi, guidando questa delizia. Scrivi sulla mia lapide che avevo un buon senso dell'umorismo e dì a mia mamma che non mi sono mai piaciute le sue torte di mela. Non ho ma avuto il coraggio di dirglielo...”

“Scriverei, piuttosto, qualcosa come Tutte le ragazze gli hanno detto no.”

“Crudele!”

“Ti voglio bene.”

Leo le diede una pacca sulla spalla, scoppiando a ridere e voltandola verso la folla agitata di persone, che, incuriosita, guardava il treno fermo, chiuso, che la bionda avrebbe dovuto presentare. “Anch'io ti voglio bene.” La spinse letteralmente in mezzo alle persone, mentre lei inciampava sulle sue scarpe, slacciate, e lo fulminava con lo sguardo.

“Ah, sì, ecco…” iniziò lei, prendendo un enorme respiro e cercando di tranquillizzarsi. Chiuse gli occhi grigi per mezzo secondo e quando li riaprì, puntandoli verso i funzionari del governo, gli ambasciatori, i proprietari terrieri e ricchi investitori, già non era la Annabeth che stava parlando con Leo, nervosa e tremante. Era la Annabeth che Atena aveva allenato tutta la vita, per essere la sua pupilla ed erede. “Questo, signori e signore, è l'Orient Express.”










Calypso non riusciva a chiudere la bocca davanti a una tale meraviglia.

Atlante non si fidava di Atena. Tanto meno di Efesto. E che i loro due figli avessero deciso di costruire qualcosa insieme era, ai suoi occhi, l'orrore più grande di tutti.

Essere uno dei discendenti dei vecchi aristocratici, inviati per controllare l'amministrazione della colonia più importante del Regno Unito, non solo gli aveva lasciato in eredità un grande podere nei pressi della California Orientale, ma anche la continua paranoia di poter essere per i nuovi americani, traditori del loro sangue inglese e che si erano uniti con francesi e olandesi, un possibile elemento di fastidio. Rappresentare il Vecchio Potere nel Nuovo Mondo, non gli sembrava essere la cosa più sicura per vivere bene e in pace. Per questo non voleva accettare l'invito della signorina Chase e il signor Valdez di viaggiare su quella trappola mortale.

Sapeva, tuttavia, che non poteva mancare ad un simile evento, sarebbe stato uno sgarbo troppo grande, come anche un suicidio sociale in un mondo potenzialmente contro di lui. Necessitava, quindi, che un membro della sua famiglia fosse presente su quel treno, per salvare la faccia, e che questo membro della famiglia non fosse poi così importante, considerando un'eventuale perdita in una possibile azione omicida da parte di Atena.

La scelta, dopo un'attenta riflessione, poteva ricadere su le sue figlie più piccole. Zoe o Calypso. Che poi Calypso avesse pregato il padre di prendere le sue veci, per poter viaggiare insieme alla sua amica Rachel, quello gli semplificò la scelta.

Certo, Calypso non sapeva di poter essere, agli occhi del padre, solo un sacrificio utile per la sua famiglia. Ed era felice di non saperlo, mentre la signorina Chase spiegava le attrattive del treno a vapore, dando i meriti della realizzazione ad un ragazzo, sporco di fuliggine e coperto da un cappello grigio, che, quando nominato, faceva un cenno al suo pubblico, con un sorriso smagliante.

“È carino, quel Valdez” sussurrò al suo orecchio Rachel, più entusiasta di una possibile gita con un'amica che delle rivoluzioni scientifiche che la signorina bionda stava enumerando. “Sembra anche simpatico.”

Calypso gli lanciò un'occhiata, mentre si toglieva il cappello e lasciava che i suoi ricci neri e ribelli fuoriuscissero in un'imprevidibilità razionale. “Niente di che.” Alzò le spalle e tornò ad ascoltare la signorina Chase. “Ho visto di meglio.”





Annabeth invitò il suo pubblico ad entrare nell'Oriente Express, evitando d'inciampare sulle sue scarpe di nuovo. “Io posso parlarvi di quel che riguarda la teoria della scienza” aveva annunciato, prima di entrare. “Ma il mio collega e amico, Leo Valdez, è un'esperto conoscitore di scienza, meccanica e fisica, nonché, ovviamente, d'ingegneria meccanica. Se voleste chiedergli qualcosa, potrete fare molte domande anche a lui. Sarà felice di rispondervi.”

Leo non pensava che queste parole fossero prese come: rimanete con lui, vi farà il tour del suo treno. Ma così fu.

Un ragazzo biondo, alto, con gli occhi grigi di Annabeth, si avvicinò a lui non appena la ragazza portò verso l'interno del vagone un gruppo di funzionari. Malcolm era uno studente diligente, come Leo ebbe modo di scoprire, durante il viaggio, e non era neanche l'unico studente a essere rimasto lì, nell'attesa che il messicano dicesse qualcosa e iniziasse la sua spiegazione riguardante… eh, bella domanda. Riguardante che cosa?

Una ragazza coi capelli cannella, affiancata da un'altra ragazza, questa coi capelli color rosso fuoco, disse: “Mi dispiace constatare che questo treno non sia poi così diverso dagli altri. L'unica cosa che, forse, lo contraddistingue dagli altri treni della compagnia, ad esempio, di TrainCastellan, è che questo treno è molto più piccolo.”

L'amica accanto a lei aprì la bocca, stupita, per poi tirargli una gomitata sui fianchi, mentre Malcom apriva la bocca, con un'aria offesa, quasi avessero offeso un suo lavoro. Leo lo fermò posando una mano sulla sua spalla e girandosi verso la ragazza, con una smorfia buffa sul viso.

“Vuole essere sorpresa, signorina? Le posso dare un solo consiglio, allora.” Porse la mano in avanti, in un invito teatrale. “Entri nell'Orient Express con me.”








Cosa l'avesse spinta a essere così odiosa, era un mistero per Calypso stessa, che si stava sistemando un ciuffo dei capelli dietro l'orecchio, constatando che il suo chignon si era scomposto e aveva abbandonato delle ciocche di capelli liscissimi e color cannella.

Ignorando la mano del ragazzo, sporca e nera, forse più di quanto lo sarebbe stata in condizioni normali, poggiò il piede sullo scalino che l'avrebbe portata all'interno del treno. Si girò verso il riccio, che sorrideva, non di un sorriso puro, quanto un sorriso di vittoria, spingendola con poca grazia all'interno del vagone.

“È…” Calypso deglutì, guardando davanti a lei, raddrizzando la schiena e girandosi verso Valdez. “È più grande all'interno” sussurrò, cercando di riprendere a respirare normalmente.

“Amo quando lo dite” rispose lui, posando il suo sguardo su Malcom e facendogli un occhiolino complice. Il biondo si nascose dietro il suo quadernino, per nascondere una risata divertita.

“Com'è possibile?” La voce di Calypso reclamò l'attenzione di Leo, che dovette alzare la voce, perché la ragazza era corsa in mezzo al vagone, per essere sicura che non fosse tutto un effetto ottico. Girò su se stessa, tenendo il naso all'insù e sbattendo velocemente le palpebre.

“Adesso potrei tagliare molte spiegazioni se tu conoscessi il Dottor Who…” borbottò il ragazzo, alzando gli occhi al cielo.

“Cosa?”

“Niente. Spiegavo al ragazzo che io e Annabeth abbiamo dovuto rinchiuderci nel mio appartamento per un mese intero, cercando la possibilità anche solo matematica di poter controllare la dimensione spazio temporale. Una volta teorizzata, abbiamo soltanto giocato con l'esterno. Conosce la possibilità di due dimensioni una accanto all'altra?”

“Incredibile” borbottò Malcom, iniziando a scrivere come un ossesso con la sua matita, che perse la punta a causa del suo tanto entusiasmo.

“Ci saranno degli effetti collaterali.” Di nuovo Calypso reclamava l'attenzione del ragazzo, con qualcosa che sembrava prepotenza e disperazione. Come se avesse avuto il bisogno che lui guardasse lei sola. “A voler manipolare spazio e tempo, penso ci sia sempre.”

“Non lo sa che il tempo è relativo?” Leo posò le sue mani sui fianchi, con un sorriso entusiasta. “In questo treno è ancora più relativo. Da quanto tempo siamo entrati?”

“Due minuti?”

“Non ne sarei così sicuro.” Indicò la finestra, fuori dalla quale un orologio segnalava le ore 9 e 10.

“Non capisco.” Malcom indicava il suo prezioso quadernino, con aria confusa e con le sopracciglia che avrebbero potuto toccare il naso, per quanto erano aggrottate.

“Lo capirebbe se rimanessimo in questa stazione per più di mezz'ora. Quell'orologio non si muoverebbe nemmeno per segnalare un minuto. Tempo relativo.”

“E nella pratica, questo cosa vuol dire?”

“Che arriveremo a New York più in fretta di quello che voi crediate, mentre avrete tutto il tempo di scoprire le meraviglie del treno.”

“A quanto viaggeremo?” Le domande di Malcom e Calypso arrivavano una dopo l'altra, facendo girare Leo in continuazione e dovendo spiegare troppe cose con poche parole. Non succedeva mai che lui dovesse spiegare qualcosa, anche perché non era mai stato un bravo insegnante. Per questo, anche nel collegio, era sempre stato affiancato da Annabeth, più brava a riportare quello che avevano fatto in semplici parole.

“Viaggeremo al quintuplo della velocità di un aliante. Sa che, in contemporanea a noi, abbiamo chiesto al signor Grace, un nostro vecchio amico, di guidare un aliante verso New York, lo ha spiegato Annabeth prima, per dimostrare la veridicità delle nostre parole. Se tutto andrà bene, treni come l'Oriente Express saranno il futuro dell'America.”

“E…” Questa volta non fu Malcom a parlare, e nemmeno Calypso, ma la rossa, Rachel, che si stava divertendo a premere tutti i pulsanti intorno alla finestra, guardando come questa si apriva, si chiudeva, rimaneva semiaperta e cambiava l'immagine dell'ambiente al di fuori di quella. “E tutto questo lo ha progettato lei?”

“No!” La risposta di Leo fu molto frettolosa e brusca, tanto che anche gli studenti più distratti dalla meraviglia del vagone si girarono verso di lui, incuriositi. “Io non ho progettato niente! Tutto quello che vedete è un'idea di Annabeth, io l'ho solo realizzata con la mia squadra.”

“Dice che realizzare questo non sia niente?”

“Leo” chiamarono.

“Ecco la mia ragazza quasi preferita!” rise lui, girandosi verso Nyssa, che compariva dalla porta del vagone, con un fare apparentemente aggressivo. A Leo la cosa poco importò, aprì le braccia, quasi la volesse abbracciare, ma fu fermato dalle mani callose di lei, che lo afferrarono dal retro del colletto, come un gatto.

“Sai che ore sono?”

“Le ore di un abbraccio?”

“L'ora di lavorare. Jason è già partito.”

Leo si raddrizzò, sbattendo la testa contro il mento della ragazza, che lo colpì in testa di riflesso. “E Percy?”

“A capo dell'Argo II, sta raccogliendo gli invitati per i tragitto da New York a Houston e ci ha mandato un messaggio: batti il Ragazzo Scintilla.”

Il ragazzo sorrise, e prese a correre fuori dal vagone, prima che Nyss potesse dire niente. Anche Calypso avrebbe voluto chiedere qualcosa, mentre Malcom si era seduto su un tavolo, di fronte a Rachel e, come uno psicopatico scriveva sul suo quadernino, borbottando qualche cosa tra sè e sè.

Nyssa sospirò, seguendo Leo. E fu allora che Rachel si abbandonò a un verso strano, che faceva tutte le volte che vedeva un uccellino volare su un ramo, o un cucciolo.

Calypso si girò verso di lei, alzando un sopracciglio, come a chiedere spiegazioni. Rachel sorrise, dalla sua scomoda e scomposta posizione sul sedile.

“Carino Valdez, eh?” cinguettò felicemente, guadagnandosi un'occhiataccia dalla castana.









Quando il treno partì, nessuno dei passeggeri se ne rese conto, e Leo stava indossando la sua divisa da macchinista, spostando il carbone all'interno del grande camino che originava vapore, accanto a Frank, che, silenziosamente, seguiva i suoi gesti in automatico, distraendosi soltanto quando il texano, invece di chinarsi sul carbone, controllava le lancette del termometro, del barometro e che tutti i meccanismi intorno a loro funzionassero alla perfezione.

In poco tempo, entrambi erano diventati neri dalla testa ai piedi e l'unico punto pulito, bianco come le perle del mare, erano i loro occhi, che ridevano alle loro battute e si affievolivano quando uno dei due doveva sembrare ferito.

“Hai intenzione di goderti almeno una notte nel tuo treno, o vuoi che Annabeth si prenda tutta la gloria?” chiese ad un certo punto Frank, asciugandosi il sudore della fronte con uno straccio, anche quello logoro, ormai.

Leo alzò le spalle, sorridendo. L'amico interpretò quel gesto come un Non m'importa tanto della gloria. Vero a metà.

"E hai visto qualcuno che ti è piaciuto?" continuò a punzecchiarlo il ragazzone.

Il texano alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. "Se non ti conoscessi, penserei che vuoi dei nipoti."

"Sai che sono un sostenitore di tutte le coppie che ti implicano e che non implicano la mia ragazza."

L'altro ridacchiò, togliendosi il cappello dalla testa per farsi un po' di vento. "Sarò il vostro terzo incomodo per tutta la vita."

Bugia. Già stava pensando a qualcun'altro.









“L'ha sorpresa, alla fine, questo piccolo treno?”

Calypso, seduta accanto alla finestra, giocherellava con le sua dita, quando Leo, ricoperto di cenere, entrò nel vagone del treno e parlò, facendo sobbalzare la ragazza sul suo sedile. “Mi ha spaventato!” lo accusò, girandosi verso il macchinista e nascondendo il fiatone che le era venuto al sentire la sua voce.

“Già. Mi dicono spesso cose così…” Leo alzò le spalle, sorridendo. “Allora? Le piace l'Orient Express?”

Calypso sospirò un sorriso, invitandolo a sedersi accanto a lei, nonostante la cenere che aveva addosso il ragazzo. Lo stupore iniziale non l'aveva abbandonata per un secondo, da quando era salti sul treno. Aveva contemplato le meraviglie, con una maliziosa Rachel che le ricordava come probabilmente tutti gli ingranaggi che lei stava toccando erano stato costruiti da Valdez, prendendola in giro perché poteva fantasticare, in quel modo, di tenergli la mano oliosa e guardare i suoi occhi concentrati. Rachel era odiosa quando voleva. Ciò non toglie che, sì, Calypso avesse amato la prima parte del viaggio solo perché poteva vedere Leo correre da una parte all'altra del treno, e parlargli e contraddirlo. Quello che più aveva amato dell'Orient Express era stato Leo Valdez. “Vorrei non dover scendere” rispose, censurando tutti i suoi pensieri, con un sorriso gentile, mentre il ragazzo si sedeva accanto a lei.

“Può sempre tornare insieme a noi a Houston. Da lì sono sicuro sia più facile per lei e la sua amica tornare i. California.” Le parole di Leo erano sempre spontanee e prive di qualsivoglia malizia, invece. Non stava flirtando con lei. Non stava facendo in modo che lei si potesse innamorare di lui, eppure…

“Lo potremmo fare. Se lei mi promette che mi darà lezioni private di Fisica. Su questo treno mi sento più ignorante delle peggiori capre. Scusi la schiettezza. Mi sento più ignorante di lei, e questo è inconcepibile.”

“Questo mi offende.” Leo guardò fuori dalla finestra, come se si dovesse sbrigare a fare qualcosa. Poi si girò verso Calypso e chiese: “Il treno è già arrivato a New York. Abbiamo battuto il Ragazzo Scintilla di ore.” Ridacchiò, mordendosi il labbro.

“Non voglio scendere.”

“Vuoi ritornare a Houston con me?” Una proposta seria. La prima. Non necessitava neanche una risposta.

Lei sorrise. Ovviamente.







SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»✔️
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»✔️
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»✔️
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»✔️
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»✔️
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»
COMPLETATE: 5/10

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Capitolo 6
*** Mondo Sei: Un romanzo sugli zombie ***


Note:
Quando ero piccola ho sognato uno zombie che mi mangiava il cervello. Ho anche sognato un vampiro che mi succhiava il sangue e una volta io ero lo zombie che distruggeva il paesino in cui vivevo. Forse perché ho sempre odiato il paesino in cui vivevo ai tempi.
I prompt vengono da Dei, miti ed eroi e devo dire che tra poco li finisco. Yuppi yuppi duuuu!
La mia influenza mi ha attaccato al computer e al quadernino degli appunti.
MAMMA VOGLIO DEL TÉ INGLESE! La mia mami non c'è *sigh*








 

Saremmo potuti essere

Mondo Sei: Un romanzo sugli zombie



Sai cos'altro mi piace?” Leo sembrava aver dimenticato temporaneamente tutta la faccenda del Dottor Who, con grande sollievo di Calypso, che temeva di doversi sorbire altre maratone di serie televisive di tutti i tipi. In questo fronte, non solo aveva odiato Jason e la sua fissazione per gli eroi e i supereroi, ma anche Piper con il suo amore per i vampiri e i licantropi e Will. Dèi immortali, Will! Insieme a lui e a Leo si era dovuta sorbire tutto Star Trek, in versione televisiva e cinematografica. In più, c'erano le fissazioni sul fantasy del suo ragazzo. Il suo cervello scoppiava di informazioni completamente inutili. E avrebbe tanto voluto strozzare chiunque le dicesse di guardare anche solo una serie televisiva in più -soprattutto una che va in onda da cinquant'anni-. Ancora non sapeva che, finita la maratona di storie, avrebbe dovuto vedere otto film di Harry Potter e tre film di Hunger Games.

I Chupacabras?” Come risposta aveva senso: la prima leggenda che Leo le aveva raccontato, rispettando il folklore del Nord America, era stata appunto di questo mostro.

“Quasi.” Leo sorrise, portando le sue mani dietro la nuca. “Gli zombie.”

Calypso roteò gli occhi: alla sola parola di zombie nella sua testa erano comparse informazioni derivanti da Supernatural e The Walking Dead.

Integrarsi distrugge le persone.




🔆🔅🔆



L'Apocalisse Zombie iniziò di domenica. Il che era stato incredibilmente ironico, perché la prima persona alla quale fu mangiato il cervello fu un prete.

O, almeno, fu la prima persona che Leo vide essere mangiata dagli zombie. Non se ne crucciò tanto: odiava quel prete e nella sua innocenza da ragazzino-appena-uscito-dall'infanzia pensava fosse giusto così. Gli anni che seguirono, fecero in modo che invidiasse don Ramon. Almeno per lui era tutto finito.

Detto questo, Leo aveva nella sua testa varie informazioni su come uccidere uno zombie già da prima che questi si svegliassero dalle loro tombe. Non per niente, era considerato un Nerd di prim'ordine. Classe A.

Una delle cose che non sapeva, però, era che delle piante potessero difendere una casa. Nel senso: lo sanno tutti che Piante vs Zombie non è un videogioco tratto da una storia vera, no? Se avesse piantato un girasole, dubitava fortemente che questo iniziasse a produrre piccoli soli con i quali pagare altre piante. O che le piante di piselli sputassero sugli zombie. O che le ciliegie potessero scoppiare.

Quel giardino, però, sembrava avere la funzione di difendere la casa sopra il monte. Una casa grande. L'unica che non sembrava essere abbandonata.

Mentre correva per il giardino, lanciando sguardi dietro di lui e tenendo ben stretta la borsa marrone con all'interno le scorte di cibo che avrebbe dovuto portare alla Base, dove Hazel li stava aspettando per essere sicura che tutti loro fossero tornati a casa sani e salvi, vedeva gli zombie fermarsi, come presi da paura davanti alle spine di rose rosse e l'odore forte della lavanda. La cosa gli sembrava stupida e assolutamente fuori dal mondo: erano anni che fuggiva dagli zombie e anni che prendeva in mano fucili, pistole, qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano, per ucciderlo. Certamente non sapeva che sarebbe potuto bastare un paio di hippie muniti di fiori per fermarli.

Pensò che forse quella casa sopra il monte, così ben protetta, potesse essere la nuova Base. Continuò a correre pensando a quanto bello potesse essere avere una casa normale, con tutti i ragazzi che avrebbero avuto un Punto Fisso a cui tornare.

Odiava vedere gli sguardi preoccupati di Piper, o Hazel, quando Percy, Frank, Jason o Annabeth non tornavano per giorni. E odiava non riuscire a trovare parole di conforto. Roba come Tornerà. Roba come Non ti preoccupare. Se avessero avuto una Base più alla portata, avrebbero potuto non perdersi così tanto per così tanto tempo.

Lo sanno tutti: la prima cosa che perdi durante un'Apocalisse è il cellulare. Il traditore si scarica subito e gli operatori telefonici avevano chiuso subito dopo che i loro maggiori esponenti erano diventati zombie. A trovarla una ricarica, oggigiorno!

Leo arrivò davanti alla porta e non si degnò neanche di suonare. Cercando di calmare il respiro, spinse le ante, scoprendo quanto facile potesse essere entrare nella grande casa.

Non odorava di vecchio, o di chiuso, o di sporco, o di abbandonato. Sembrava veramente che quella casa fosse anche in quel momento abitata. Niente era fuori ordine, anzi, le cose erano sistemate in maniera maniacale.

Sicuramente lì dentro non c'erano topi. Quando Leo era tornato a casa sua, aveva visto che migliaia di topi avevano fatto del suo letto il loro nido. Quella volta si era chiesto per quale motivo gli zombie non mangiassero il cervello di topo. Poi li aveva uccisi e li aveva portati alla Base come cena.

Era buia, però, la casa. Forse perché l'elettricità è la seconda cosa a cui dici addio durante un'Apocalisse. Ma Leo aveva inventato, con l'aiuto di Annabeth un convertitore di energia che va energia rinnovabile. Non ci sarebbe voluto molto ad installarlo lì. Con un po' di luce e turni di guardia ben organizzati, sarebbero stati al sicuro.

Avrebbero potuto anche accendere un fuoco intorno alla casa. Uno controllato, s'intende. Leo non era un piromane, ma ne sapeva abbastanza da saper controllare qualche fiamma e gli zombie sono un po' come i cani: odiano il fuoco.

Prese la torcia dalla borsa, puntandola verso l'alto e poi davanti a lui. Non una ragnatela. Non un granello di polvere.

Era preso ad osservare uno strano quadro, appeso sopra le scale, quando sentì una voce accanto a lui. Non ebbe il tempo nemmeno di girarsi -lui che si vantava di essere sopravvisuto grazie ai suoi riflessi pronti-, che fu colpito in testa. Ma non perse i sensi, perché, come dice sempre Percy, i tuoi capelli, Leo, servono da casco incorporato.

“Ma che…?”

“Chi sei? Cosa vuoi? Come sei arrivati, eh? Ho una pistola e non ho paura di usarla!”

Una ragazza, a pochi passi da lui, teneva in mano una scopa, minacciosamente. Piccola. Visibilmente deboluccia. Sembrava essere in Versione da Leo, come avrebbe detto Annabeth, che era più alta di lui di più di una quindicina di centimetri e si divertiva a prenderlo in giro continuamente. In più, la ragazza davanti a lui indossava un pigiama rosso che le arrivava fino alle caviglie.

Un pigiama.

Leo non vedeva un pigiama da anni, da quando gli zombie si erano risvegliati. Perché i piagiama si usavano di notte per dormire e, in quel momento, la notte si doveva vegliare per proteggere il proprio cervello e si dormiva di giorno, con i vestiti luridi, pronti a fuggire, pronti a sparare, pronti a macchiarsi di sangue.

La ragazza aveva detto di avere una pistola, ma, per il colpo che aveva ricevuto, Leo sapeva che non era pronta a sporcarsi di sangue. Come avesse fatto a mantenersi così pura, quando anche una ragazza come Hazel aveva imparato ad uccidere.

“Eeeeehi.” Quando Leo deve parlare con una bella ragazza e si ritrova per caso in una situazione imbarazzante, dice ehi, con almeno quattro e più del normale, lo diceva sempre Jason, scherzando intorno al fuoco della Base. “Non sono uno zombie.” Poi dice qualcosa di estremamente stupido. Jason lo conosceva bene, di vedeva.

“Ovviamente non lo sei.” La ragazza roteò gli occhi, lasciando cadere la scopa a terra e avvicinandosi un po' a lui. “Gli zombie non esistono. E nemmeno i licantropi e i vampiri. Sono creature che vivono nei libri. Non essere sciocco.”

Leo sbattè le palpebre. Cosa? “Cosa?” Puntò la torcia sul viso della ragazza, che assottigliò lo sguardo, prima di coprirsi il viso con la mano. “Come fai a non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?”

La ragazza fece una smorfia annoiata, facendogli cenno di abbassare la luce. “Non c'è nessuna Apocalisse fuori di qui.” Si mosse verso la finestra, sempre tenendolo sotto occhio. “Perché sei qui?”

“Perché degli zombie mi stavano inseguendo e non so perché non sono entrati in questo giardino.”

“Potresti essere serio?”

“Più che serio. Perché gli zombie non entrano nella proprietà?”

“Non ci sono zombie.” Girò la testa, aprendo le finestre e mostrando un panorama tranquillo, rilassato, pacifico. Leo giurò di riuscire a sentire degli uccellini cantare tra gli alberi. Era sicuro di non averne sentito uno da millenni. “Magari sei solo sonnambulo. Dov'è che vivi?”

Il ragazzo alzò un sopracciglio. “Non… mi accompagni?” Non aspettò che lei rispondesse, la prese per il polso e la trascinò fuori dalla casa.

Lei aveva i piedi nudi, un pigiama leggero e cercava di porre resistenza alla presa forte di lui. Si aggrappò alla porta di casa e, poco dopo, ad alcuni lampioni, gridando che non la poteva portare via dalla sua casa.

Il riccio la ignorava senza farsi troppo problemi morali, anzi, ad un certo punto l'aveva dovuta sollevare come un sacco di patate, compiacendosi del fatto che la ragazza fosse abbastanza piccola da poterla sollevare senza farle toccare la terra con la fronte. Insomma, una volta aveva dovuto portare Piper come un sacco di patate alla Base e lei aveva sbattuto la testa un po' ovunque a causa della sua bassezza. Invece la piccoletta qui…

“Com'è che ti chiami?”

“Ah, sì, certo. Perché io dico il mio nome a uno che mi vuole rapire.”

“Perché no? A me sembra un gran bel primo appuntamento.”

“Spero tu non conti questo come un primo appuntamento.”

“Scherzi?” Sbuffò, facendola rimbalzare sulla sua spalla. “Durante un'Apocalisse non si pensa agli appuntamenti.”

“Nei romanzi c'è sempre tempo per gli appuntamenti.”

“Ci stai provando con me?”

“No.”

Leo si fermò poco prima delle rose, davanti alle quali alcuni zombie continuavano, da bravissimi idioti, a cercare di oltrepassare alcune siepi, senza riuscirci.

“Quelli sono…”

La lasciò scendere dalle sue spalle, cercando di fare il più delicatamente possibile, mentre la ragazza afferrava la sua maglietta sudicia, facendo qualche passo indietro.

“…sono…”

“Tu sei mai uscita da quella casa?”

“S-sono…?”

“Zombie. La domanda è: perché non entrano in casa tua?”

“Com'è successo?”

Leo si morse le labbra, sentendo comunque la presa della ragazza diventare sempre più forte, mentre il suo respiro diventava sennò te più affannoso.

Aggrottò le sopracciglia. “Com'è possibile che tu non lo sapessi?”

Lei lo guardò con gli occhi sbarrati, per poi posare il suo sguardo sugli zombie, che lentamente si allontanavano dalla sua casa. “Calypso.”

“Cosa?”

“Calypso. Il mio nome. È Calypso.” Continuava a parlare con gli occhi sbarrati e le unghie infilate nella maglietta di Leo.

“Ah, ok. Io sono Leo. E… mmmhm. Eeeeehi. Vivi da sola, Calypso?” Di nuovo quel'ehi con migliaia di e. Cavolo, il fatto che gli zombie si fossero risvegliati prima della sua adolescenza stava presentando i suoi conti. Forse era per questo che era l'unico del gruppo a non avere una ragazza?

“Cosa vuoi dire con questo?”

“Questa è una casa sicura. Io ho degli amici che non sono molto al sicuro… ecco pensavo, so che ci conosciamo da pochissimo. Tipo dieci minuti. Ma posso portarli qui? So che prima di convivere dovrei averti conosciuto almeno per qualche mese, ma sai meglio di me che durante le Apocalissi i tempi si accorciano molto, no?”

Calypso annuì lentamente, continuando a guardare i confini del suo giardino.

“Davvero? Fantastico! Appena sorgerà il sole… sarà fantastico! Finalmente protremmo dormire e…” Si bloccò, sentendo le dita della ragazza allentare la presa su di lui. “Che hai?”

“Non ci sono molti romanzi sugli zombie.”

Leo sorrise. “C'erano un sacco di serie tv. Prima. Sai?”

















SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»✔️
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»✔️
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»✔️
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»✔️
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»✔️
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»✔️
COMPLETATE: 6/10
 

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Capitolo 7
*** Mondo Sette: La causa femminista ***


Note:
So di essere un mostro, perché avevo promesso di tornare con una AU tipo i pirati e la guerra, che comunque arriveranno. Perché si, dai, la devo finire questa raccolta.
E sono tornata col Modern!au. Forse è stata la stessa cosa di quando volevo fare l'au sugli zombie e mi sono beccata la Regency. Neanche io dico a me stessa di mettere in ordine la mia camera.
E i prompt vengono da Dei, miti ed eroi .
E vi amo tutti, voi che continuare a leggermi, per qualche motivo :)







Saremmo potuti essere

Mondo sette: La causa femminista



Calypso sorrise, tenendo le ciglia socchiuse e guardando verso il basso. Prese la mano del ragazzo, che continuava a stare sdraiato, mentre fili d'erba gli sfioravano il naso.

Sentire la stretta anche di lui, intorno alla mano di lei, le fece chiudere gli occhi, nascondendo il sorriso che era arrivato anche a quelli.

"Tocca a te" le ricordò Leo, bisbigliando appena, la voce roca e gli occhi puntati verso il cielo.

Calypso si sdraiò accanto a lui, senza smettere di sorridere. "Nel mondo moderno ti avrei odiato."





★☆★






Quello che Zoe non era riuscita a fare da sola, con parole amare e insulti verso gli uomini, erano stati gli uomini a farlo, col loro essere stupidi e la loro idiozia.

Calypso, nella sua cameretta rosa, col suo peluche stretto al petto, aveva sempre creduto che gli uomini fossero la metà mancante della donna. Che la donna fosse attratta dall'uomo per una mancanza nel proprio animo, che sarebbe stata completata dalla mancanza nell'animo della donna. Due esseri umani di pari dignità, di pari umanità e di pari amore, che, insieme, creavano l'essere perfetto. Lei credeva in questo.

Zoe odiava gli uomini. Punto. Nient'altro da dire, nient'altro da aggiungere. Niente interviste. No comment.

Calypso sapeva il perché di questa presa di posizione. Sapeva anche che il problema con gli uomini aveva un nome. Sapeva che il nome era Eracle. O Pompato, per gli amici. Ma pensava fosse semplicemente un esempio isolato di cattivo ragazzo. Pensava che non tutti i ragazzi fossero così idioti da usare una ragazza, da farla volontariamente soffrire, da… da essere così poco umano.

La storia di Zoe e Eracle non arrivò mai alle orecchie di Calypso nella sua interezza, ma aveva visto le scene di quella tragedia che si ambientavano a casa sua. E vedeva quella maschera, sul viso di sua sorella maggiore, che teneva dentro le lacrime di frustrazione, mentre gridava e gridava e gridava.

Nonostante questo, gli uomini non potevano essere tutti uguali. Calypso non ci voleva credere. No. E che Zoe ogni notte -ogni singola notte- entrasse nella sua cameretta rosa, attraverso la sua porta rosa guardando appena il suo letto rosa, per puntare il suo sguardo oltre la finestra e chiedersi se effettivamente il mondo dovesse girare così come girava, non la smuoveva dalla sua idea: Eracle non era la metà di Zoe. Era questo. Tutto qui. Fine. Non poteva essere colpa del genere maschile.

Che la saggezza avesse abbandonato Calypso durante la crescita, era un fatto appurato e che aveva fatto saltare di gioia sua sorella maggiore, perché poteva andare con lei a cavalcare verso l'orizzonte, sparlando dei maschi e idolatrando Artemide che blablabla.

Calypso non si era convertita al femminismo estremista -chiamato anche Artemidismo- perché amava Artemide. Anzi. Trovava Artemide un po' tonta e banalista, cioè che banalizzava. Cioè una che non capiva fino in fondo il mondo e che aveva le potenzialità ma non si applicava, ecco. Qualcosa in più di fare convegni su quanto i maschi siano idioti, aprendo una scuola completamente femminile, alla quale i maschi non si potevano nemmeno avvicinare, perché sono stupidi, poteva farlo. Ecco.

E non era questo il punto.

Calypso aveva iniziato a odiare gli uomini perché non uno, non due, ma ben tre uomini, davanti a lei che offriva il suo cuore, davanti a lei che si mostrava essere la dolcezza fatta in persona, avevano avuto la stessa reazione: mostrarsi innamorati di lei, per poi scegliere un'altra.

E la prima volta, con Ulisse, okay, va bene, scusa, capita. Non doveva essere lui la sua metà. Poteva accettarlo. Penelope era una bella ragazza, dolce, fedele. Ci era rimasta male, sì, ma aveva cercato di giustificare i comportamenti di tutti nonostante il Ti ha usata di Zoe, che era vero, in un certo senso, perché quando Ulisse era solo e triste e nessuno voleva aiutarlo, c'era stata Calypso e nessun altro a sorridergli.

La seconda volta, con Francis, poteva essere una coincidenza. E con Elizabeth avevano una storia-non-storia. E lei aveva faticato a mandare giù il boccone amaro, tra le braccia di sua sorella maggiore che ripeteva Gli uomini sono solo porci. E forse nemmeno lui era la sua metà. E magari lui aveva trovato la sua metà in qualcun altro. Ma era già la seconda volta. E faceva male.

La terza volta, con Percy, il suo cuore già lacerato era andato in pezzi. E chi cavolo se ne frega di lui e di Annabeth. E chi cavolo se ne frega di metà e anime gemelle e completamenti e mancanze. Quell'idiota, quegli idioti erano tutti uguali. Sempre la stessa storia, sempre la stessa Zoe a consolarla, sempre la stessa fine. E a quel paese allora.

Se gli uomini erano tutti uguali, lei non ne voleva nemmeno uno accanto a lei. E se li doveva vedere, li voleva veder soffrire. Voleva vederli in ginocchio e distrutti. Perché questo si meritavano.

E quello che Zoe aveva provato ad inculcargli, gli uomini lo avevano portato a termine.

Per questo aveva provato in tutti i modi ad essere autosufficiente. Dallo sport alla meccanica. E se doveva chiamare un idraulico, che l'idraulico fosse femmina! Come l'antennista, come l'elettricista, la ragazza della pizza e qualsiasi cosa che nell'immaginario comune fosse un lavoro maschile.

Ecco, sì.

E per questo, Calypso si era ritrovata in mezzo alla strada, lanciando sassi su ogni macchina con un uomo al volante che si fermava sotto il sole cocente per poterla aiutare. Si era alzata le maniche della maglietta -rigidamente a quadri rossi e blu, come un boscaiolo, perché doveva andare a costruire case, lei, mica roba da maschietti- e aveva infilato le mani nel cofano.

La macchina perdeva olio. Di nuovo. Sicuramente poi si sarebbe scaricata la batteria e nemmeno vicino ad una discesa. Dei.

Stupide stupide stupide stupide macchine d'epoca.

“Pronto? Garage Valdez?” sbuffò, alzando lo sguardo verso il sole cocente di mezzogiorno. Le mani sui fianchi, tenendo le dita lontane dalla sua maglietta. “Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla.”

C'erano diverse officine in città, ma l'unica di cui si fidava era il Garage Valdez e c'era un perché: Esperanza Valdez era la donna più intelligente e paziente che avesse mai incontrato nella sua vita. Era stata lei, la prima volta che la sua Matiz-Rottame si era fermata, a farla ripartire, accendendola in seconda in una discesa, facendole l'occhiolino e dicendole di passare da lei quando voleva.

Ecco. Per Zoe l'esempio da seguire era Artemide? Per Calypso lo era Esperanza. Una tosta. Una che lavora e batte gli uomini. Una che sorride dolcemente.

E sua figlia, Nyssa, una ragazza col sorriso raro e la malinconia negli occhi, era una ragazza che, in un certo senso, capiva le parole di Calypso, anche se gli studi non li aveva finiti, anche se non capiva certi apprezzamenti culturali, aveva un'intelligenza unica. E Calypso l'apprezzava, davvero.

Ed era lei che aspettava. Un piccolo angelo che comparisse tra le strade desolate del Texas.

Abbassò tutti i finestrini, perché l'aria era afosa e sentiva di star facendo bollire il proprio sangue.

“Fammelo un'altra volta e giuro, giuro, che ti rottamo” borbottò, abbandonando la testa contro il sedile e sbuffando, tirando il sedile all'indietro, per poter tenere d'occhio la strada dietro di lei. E quell'erbetta solitaria che attraversava la strada deserta, tra due deserti, le stava facendo salire i nervi peggio di… di… degli uomini.

Poi eccolo, il cavallo bianco, travestito da un auto di rimorchio, o roba così.

C'era poco da fare. Calypso si buttò giù dalla macchina, e prese a sbracciarsi come una naufraga, nell'intento di farsi vedere, e a saltare come un'idiota, perché, cavolo, lei desiderava tanto andare a costruire case per i bambini poveri! E, in mezzo al nulla, si annoiava.

E quel “Oh, Nyssa! Grazie al cielo sei arrivata, ché mi sa che qua Rachel mi uccide!” le morì in bocca. E si pentì del suo sorriso. E donò al ragazzo davanti a lui una smorfia così odiosa da sentirsi odiosa anche per se stessa. “Scusa. Non ho spicci.”

Il ragazzo, che ancora non era sceso dalla macchina, alzò un sopracciglio. “Scusami?”

“Non ho spicci. Quindi puoi continuare per la tua strada e non tornare mai più indietro.” E sorrise. E mosse la mano perché il ragazzo se ne andasse. “Sto aspettando una persona.”

“Un appuntamento in mezzo al niente?” Il ragazzo rise, scendendo in mezzo alla strada e stiracchiandosi pigramente. “Romantico” commentò. “Non sei Calypso Nightshade del gruppo di Artemide, ferma in una Matiz rossa?” Guardò la Matiz-Rottame, poi alzò un sopracciglio, in un modo molto eloquente. E Calypso si ritrovò a sperare che gli partisse e cadesse a terra. Perché che odio!

“No” fu l'unica risposta che lei riuscì a dare e, okay, non la miglior risposta del mondo.

E lui scoppiò a ridere. E chissene frega di questa ragazza strana che voleva Nyssa e non voleva lui. Quello che importava a lui era la macchina.

“Ho un'amica con origini Cherokee, che guida una Jeep Cherokee.” E di nuovo a ridere come un idiota. Mentre si avvicinava alla macchina con l'olio tanto anelato da Calypso e con un passo saltellato, e sembrava diverso agli occhi della ragazza. Vero, un po' tonto e… cavolo, no!

“E questo me lo dici perché…?”

“Così” alzò le spalle. Dopo aver svuotato la bottiglietta di olio, passò a controllare le ruote, poi la batteria -e arricciò le labbra, a questo punto-, poi qualcosa del motore. E aveva finito tutto in meno di cinque minuti, sotto quello stupido sole cocente, sudando. E sotto lo sguardo annoiato della ragazza, che, ad ogni suo movimento, alzava gli occhi al cielo. Mise in moto la macchina e poi la spense. “Fatto.” Sorrise, scese dalla Matiz. “Mamma dice di passare quando puoi in officina. E tanti saluti.” Fece il saluto militare con una mano e corse di nuovo nella sua macchina.

“Mamma?”

Lui sorrise di nuovo, mettendo in moto. Che c'era da sorridere glielo doveva spiegare.

“Gruppo di Artemide?”

Calypso assottigliò lo sguardo. E avrebbe tanto voluto ucciderlo. Ma i bambini poveri avevano la priorità.









Esperanza si stava lavando le mani dal nero dell'olio, quando Calypso arrivò in officina. E stava parlando con Sono-tutto-sorrisi Valdez.

“La tua macchina sarebbe da buttare” la salutò il detto ragazzo. E lei alzò gli occhi al cielo.

“Matiz-Rottame tu non la tocchi mai più” lo avvisa lei, puntandogli il dito contro, con un'espressione minacciosa e sbattendo le palpebre troppo velocemente. “Mai più” mise in chiaro, perché quel ragazzino sembrava davvero stupido.

Non che tutti gli uomini non lo fossero.

“Io lo dico per te.” Alzò le mani e non sembrava in vena di litigare, perché si alza dal fianco di sua madre e se ne andò. Niente sorriso o battute questa volta. E, forse, aveva lanciato un'occhiataccia, non soltanto a Calypso, ma anche a sua mamma.

“I rischi di avere un figlio maschio” rise Esperanza, accarezzandosi la fronte con due dita, in un chiaro gesto imbarazzato.

La ragazza alzò le spalle. “Sicuramente tutto finirà bene.”

“A volte vorrei semplicemente che parlasse.”

E la cosa finì lì.










Calypso sarebbe voluta morire. Perché, davvero Artemide? Le donne hanno la testa più grossa perché sono più intelligenti? Cresci.

Zoe applaudì entusiasta e Calypso si chiese se non fosse caduta dalla culla quando era piccola.

Perché l'uomo è stupido. Perché l'uomo non esprime. Perché l'uomo non ci merita.

Calypso non ce la fece. Si alzò e uscì dalla conferenza. E artemidista deve essere proprio una brutta parola. E sembra stupida la causa. Anche per lei, perché c'è qualcosa che non va in quello che Artemide dice. Forse lo capisce anche Artemide, perché ha un fratello gemello. O forse è per colpa di Apollo che Artemide dice solo cose stupide.

La donna troppo forte è maschiaccio. L'uomo troppo emotivo è una femminuccia.

E Orlando di Virginia Woolf è sia maschio che femmina. E la Regina Elisabetta I era amata dal suo popolo perché era re e regina.

E c'era qualcosa che non andava.

Vide anche il figlio di Esperanza Valdez seduto sui gradini della piazza, con gli occhi vuoti e la guancia poggiata sul pugno della sua mano. Niente sorriso nemmeno questa volta. Doveva star pensando. Chissà che fatica. A Calypso veniva una battuta su sfondo Artemidiano, ma la ingoiò in gola, perché, seriamente, a lei il pensiero Artemidiano fa schifo.

“Tua madre?” lo salutò, avvicinandosi a lui e rimanendo in piedi sulle scale, senza cercare il suo sguardo.

“Il gruppo di Artemide?” Nemmeno lui cercava il suo sguardo. Era troppo occupato a non far niente, senza guardare niente. O forse era il contraccolpo del troppo pensare di prima. Magari era solo stanco di pensare. Di nuovo, Calypso alzò gli occhi al cielo per i suoi pensieri.

“Tutti i maschi sono stupidi.” Contenta Artemide? Porto le tue parole al mondo.

“Immagino.”

Questa volta fu lei ad alzare un sopracciglio, abbassando la testa verso di lui. “Non protesti? Perché non protesti?”

“Se gli uomini potessero essere più emotivi, le donne potrebbero essere meno arrendevoli” borbottò. “Sono nello HeforShe. Ma trovo che le Cacciatrici siano stupide. Ho provato a parlare con loro, ma…” Alzò le spalle. “Non tutti capiscono.”

Calypso si sedette accanto a lui, lisciando bene le pieghe della sua gonna. “Emma Watson. Sì, questo lo conosco.”

“Non tutti capiscono.”

“Io capisco.”

Leo girò la testa, guardandola e alzando di nuovo quel cavolo di sopracciglio. Andava bene quando alzava il sopracciglio, però. Sì, dai, andava bene. Sapeva di normalità. “Tu? La quasi Cacciatrice del gruppo di Artemide?” Rise e si alzò in piedi. Come dire Certo, come no. “Sono un macho latino. E sono stupido come tutti i maschi. E Thalia-odio-gli-uomini è uscita dalla vostra stupida conferenza. La devo accompagnare a casa. Ciao Raggio di Sole.”

E niente di più.











Calypso dovette ingoiare il suo orgoglio, per fare quello che stava facendo.

Il suo orgoglio da sono una donna indipendente. E la sua dignità di Sono capace di fare quello che fanno gli uomini.

Eppure lo fece. Perché sentiva che era la cosa giusta da fare. E gli dei vogliano che ogni tanto le cose che sente giuste da fare non siano anche umilianti! Ma va bene così, si disse. Adesso ho capito, si disse.

“Garage Valdez? Ho un problema con la macchina. Eh, sì. Non parte. Sono… okay. Cinque minuti?” Cosa cavolo stava facendo?

Poi iniziò ad aspettare, con le spalle poggiate sulla sua Matiz-Rottame e i jeans vecchi macchiati di olio. Non era stupida. Sapeva cambiare una ruota. Sapeva anche camminare fino al benzinaio più vicino per della benzina. Sapeva mettere olio alla sua macchina. Ma non sapeva come ricontattare Sono-dalla-parte-di-Emma-Watson Valdez. E quindi qui cadeva la sua dignità da donna forte e indipendente. Però non da donna determinata, dai. Quel titolo se lo poteva ancora permettere.

In fondo, aveva volontariamente bucato una ruota della sua macchina, aveva speso tutta la benzina e fatto in modo che cadesse tutto l'olio del il motore. E tutto da sola! Se quella non era determinazione!

Ma aveva chiesto scusa a quella prima donna della sua macchina. Perché, cavolo, le faceva male al cuore farle fisicamente del male -anche se a volte voleva ancora rottamarla-, oltre che all'orgoglio, perché ancora sentiva le vampate di calore attorno al collo, per aver chiamato l'officina per una cosa così stupida -e auto-inflitta.

“So cosa succede” sputò fuori non appena vide il ragazzo mettere piede fuori dalla macchina.

Lui la guardò e sorrise. “Io non posso toccare la tua macchina” rise, come se le parole che Calypso gli aveva dedicato all'officina non fossero minacce, ma una barzelletta.

“Hai il cuore spezzato” continuò imperterrita lei, alzando un braccio, a fermarlo dal muoversi dalla sua posizione e alzando la voce, solo per farsi sentire. “E ti dà sui nervi, perché sai riparare tutto ma non il tuo cuore spezzato. E senti di non poterne parlare con nessuno.”

“Ti chiamerò Sherlock Holmes, d'ora in poi.” Alzò gli occhi al cielo e al diavolo le buone maniere e la Matiz rossa e il lavoro. Rimase lì seduto, guardandola per qualche secondo, prima di decidere che voleva mettere in moto la macchina e andarsene. E lo avrebbe fatto.

No, davvero, lo avrebbe fatto.

“Ne puoi parlare con me” bisbigliò la ragazza, mordendosi il labbro. “Se vuoi” aggiunse.

“Saresti la mia migliore amica? La mia amichetta del cuore?” chiese sarcastico.

“Sarei quella che ti batte a riparare più velocemente un condizionatore.”

Lui scoppiò a ridere. E cosa c'era da ridere? Questo ragazzo ride troppo.

“Ho la sensazione che non hai tanti amici” continuò lei, mordendosi il labbro.

“Ho la stessa sensazione di te.” Poi Leo, perché prima o poi il suo nome lo avrebbe dovuto dire, Calypso, le sorrise e lei voleva morire davvero, perché un meccanico dovrebbe andare in giro a torso nudo… cosa? Cosa? Cancellate l'ultima considerazione. Detto niente. “Mi piacciono le ragazze che non hanno paura di sporcarsi le mani” e indicò le sue mani piene di olio -era già la seconda volta. “Lo hai fatto per attirarmi qui?”

“Ah, non dire stupidaggini. Mica sei così importante.”

“No?”

“No!” Sbattè il piede a terra, come una bambina viziata che litiga con qualcuno, chiunque, per i suoi dolcetti. “La macchina si è fermata di colpo. E non avevo il tuo numero di telefono, altrimenti mica avrei martoriato la mia Matiz-Rottame!”

“Hai appena confessato, lo sai, vero?”








Quindi Zoe era di nuovo molto delusa da lei, perché gli uomini, per lei, fanno schifo. E non ci si dovrebbe innamorare degli uomini. Perché fanno schifo. Eh.

Leo a queste parole diceva che qualcuno doveva pur dare un nipotino ad Atlante, visto che, se entrambe fossero entrare nelle Cacciatrici sarebbero rimaste zitelle. E Atlante, inutile dirlo, lo voleva uccidere con le sue stesse mani.

“Siamo solo amici!” gridava poi Calypso e nessuno ci credeva. Nemmeno lei.

E la causa femminista non l'aveva abbandonata. Quindi, Zoe non sarebbe dovuta esser così delusa.

Non era questione chi tra gli uomini e le donne è più intelligente. O gli uomini fanno schifo. O gli uomini sono tutti uguali.

Era questione di Calypso aiutando all'officina e facendo un lavoro che per tutti era considerato da uomini, mentre mandava Leo a cucinare e prendersi cura dei suoi fratellini, come nello steriotipo dovrebbe fare una donna. Era questione di poter credere in se stessa e altre cose imbarazzanti che però Calypso diceva, perché finalmente aveva recuperato la giovane saggezza della sua infanzia. E poi chissene frega.

Leo poteva fare l'emotivo e lei poteva fare l'arrogante. Tutto in perfetto equilibrio mentale e fisico.

“La batteria della tua Matiz è andata.” Leo alzò le spalle, lanciando un'ultima occhiata alla macchina rossa, che giaceva nell'officina per l'ennesima volta. “Dovresti cambiarla. Non so, rottamarla?”

“Non ne possiamo costruire un'altra?” Calypso arricciò le labbra. I capelli tirati all'indietro e la maglietta rossa lurida, mentre poggiava le sue braccia sul cofano della Matiz e alzava gli occhi verso Leo. “Di batteria, intendo.”

“Meglio di spingerla in discesa” sospirò lui.

E, dei, quanto amava Leo.



SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»✔️
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»✔️
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»✔️
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»✔️
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»✔️
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»✔️
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»✔️
COMPLETATE: 7/10

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Capitolo 8
*** Mondo Otto: È solo una leggenda ***



Note:
Oggi sono di perfetto umore. Più o meno. E quindi niente, sto aggiornando quello che posso aggiornare, prima di inabissarmi di nuovo nello studio, per l'orale.
Questo AU è stato, tipo, un parto. Perché non ti sei scritto da solo? Rivedendo i Pirati dei Caraibi, mi sono divertita a pensare a Calypso e Leo. Quindi ci sono dei riferimenti a Johnny Depp, al Doctor Who, per la gioia di molti di voi, e il momento della storia in cui è stata ambientata la OS, è completamente di fantasia, nonostante io avessi pensato all'età Elisabettiana, di nuovo… mmmm
I prompt vengono da Dei, miti ed eroi Eeeeee… buona lettura :3
















Saremmo potuti essere

Mondo Otto: È solo una leggenda




A Leo stavano per chiudersi gli occhi e forse non si sarebbe svegliato prima del giorno dopo. Vederlo lottare col sonno, sdraiato, la luna che sorgeva timidamente -quello spicchio di luna, così romantico e patetico- era, in un modo o nell'altro, tenero. Calypso sorrise, passandogli una mano trai ricci.

Sarebbe stato un gesto dolce, se solo le sue dita non si fossero incastrate trai rovi di Leo e lui aveva preso a ridere come un matto, mentre lei cercava un modo di togliergli le dita da sopra la testa.

"Che noia" sbuffò piano piano Calypso. "Tutto con te diventa così." Aveva ancora le dita incastrate.

Il ragazzo la guardò con quel sorriso divertito. C'era comunque un po' di stanchezza nel suo sguardo. Forse perché tutto il tempo che poteva passare a dormire e ricaricarsi, tra tutte le sue responsabilità al Campo, lo passava sveglissimo solo per lei. Questo era un gesto dolce a prescindere.

"A volte mi chiedo cosa..." Calypso sorrise, riuscendo finalmente a far scivolare via la mano. "Cos'avresti fatto al mio posto."

Leo alzò gli occhi su di lei e sorrise. "Non molto. Avrei costruito una casa di metallo e mi sarei dato alla Geologia -che non è una vera Scienza."

"Cosa?"

"Cosa?" Leo scoppiò a ridere, stropicciandosi un occhio. "La lista di Serie Tv diventa sempre più lunga."

Calypso fece finta di non aver sentito niente.








🌊🌊




Quando era piccola, il Ritrovo dei Pirati Nobili non era la Riunione Spettegoliamo sui Membri del Ritrovo. Calypso aveva controllato.

Quando era piccola i nove Pirati Nobili si conoscevano da abbastanza tempo da non fidarsi l'uno dell'altro e continuavano a controllarsi le tasche, sotto-tasche, i cappelli, gli occhi finti, per controllare che nessuno sapesse niente del loro tesoro o di quello che avevano scoperto durante l'anno o chissà che cosa. In effetti, è così che si dovrebbero comportare i pirati.

Quando, uno dopo l'altro, i Pirati Nobili precedenti erano scomparsi -nel mare, o a causa di una pallottola conficcata nel petto-, i loro figli o pupilli avevano preso il loro posto, dimenticando alcune tradizioni fondamentali, perché tutti loro si conoscevano dalla prima volta in cui avevano messo piede per la prima volta in una nave, e si conoscevano da così tanto tempo da affidare agli altri la propria vita. Cosa non consigliabile. Non si fa.

Ma quando Annabeth aveva visto la prima volta Percy, lui si stava scaccolando a tribordo della nave del padre. E quando Percy aveva conosciuto Frank, lui stava ancora imparando a nuotare. Thalia li aveva praticamente visti crescere a tutti. E Nico, Reyna, Silena e Gwen erano nati sulle navi degli altri pirati nobili.

Per quanto fosse contro le tradizioni dei pirati, era più forte di loro: dovevano conbattere insieme, ognuno per la salvezza dell'altro. A questo era mirata la Riunione, prima che i Pirati Nobili non decidessero di ficcare il naso nelle faccende di Calypso. Nelle faccende amorose di Calypso.

Il capitano Nightshade, che tamburellava i polpastrelli delle dita contro il tavolo di legno marcio, guardando quella riunione degenerare - "Qui il problema è che Calypso non dovrebbe avvicinarsi a uomini come voi" "Oh, capisco, Miss-Odio-Gli-Uomini, dovrebbe sposarsi con un ananas?" "Io ho un ananas!" "A me piace di più il mango" "Bene, Cal. Ti sposerai con un mango!" "Meglio di avere a che fare con voi!"-, era perfettamente consapevole di essere l'elemento decisivo, l'ago della bilancia per prendere quella decisione che avrebbe segnato il destino non solo dei Nove Pirati Nobili, ma di tutti quanti i pirati.

Arricciò le labbra e per l'ennesima volta da quando era diventata Capitano di Ogigia desiderò avere un secondo in comando, una ciurma, qualcuno a cui parlare prima di proclamare una decisione. Ma lei aveva l'Ogigia e nient'altro. Le decisioni, a volte, le devi prendere da solo.

“Lo farò” disse, come se fosse la cosa più ovvia e stupida da dire. Non guardava nessuno in particolare, teneva i suoi occhi puntati verso il soffitto, sperando che nessuno si rendesse conto dei suoi pensieri.

“Oh, bene.” Percy alzò gli occhi al cielo, per poi battere una mani contro il tavolo. “Adesso dobbiamo solo trovarti un vestito bianco e sacrificarti allo Spirito del Mare.”

Piper, in piedi alle spalle di Annabeth, da buon Primo Ufficiale, sbattè le mani sul tavolo, porgendosi verso il Capitano della Blackjack con occhi di fuoco e un ringhio represso sulle labbra. "Nessuno di noi la vuole sacrificare, Testa d'Alghe."

"Qui qualcuno deve ricordarsi i diritti d'autore" ringhiò il Capitano in risposta e si sarebbe alzato dalla sua sedia, per poter fronteggiare bene la ragazza, se solo Jason non gli avesse posato una mano sulla spalla, consigliandogli di sedersi e calmarsi, per una buona volta.

La discussione sarebbe comunque continuata, perché Frank e Nico erano della stessa idea di Percy: non volevano sacrificare un'amica per qualcosa che non minacciava neanche tutti quanti i Nove Pirati Nobili, anche se questo avrebbe voluto dire morire. D'altra parte la ciurma di Annabeth, come quelle di Reyna e Thalia, era già minacciata dal Governo Inglese e da un dio pagano che neanche qualche mese prima era stato ignorato da tutti loro -un certo Ipno-, spalleggiato dalle Sirene, che, prima d'allora, non avevano mai neanche toccato le donne sulle navi. Se il Governo aveva dalla sua parte un dio, anche se minore, i Pirati, per proteggersi, necessitavano di un dio dalla loro parte.

"Non posso permettere che una ragazza si sacrifichi perché noi non sappiamo fronteggiare un dio da due soldi." Thalia scosse la testa, lanciando sguardi dubbiosi al tavolo e a Phoebe, che annuiva alle sue parole. "Questo spirito del mare ha già quasi ucciso Calypso e..."

"Leo è buono" la interruppe Calypso, attirando di nuovo l'attenzione su di lei. "Non mi sto sacrificando. Non mi sto neanche andando a sposare, Silena" aggiunse, lanciando un'occhiataccia alla ragazza, che ridacchiava. "Sto salvando degli amici."

"Ti ha quasi ucciso!" gridò Thalia con quel tono da ma quanto può essere stupida questa ragazza? Anche detto il tono sono preoccupata per te, cavolo.

Calypso prese un respiro profondo, cercando di calmarsi e odiando il fatto di non avere un Primo Ufficiale come tutti gli altri, qualcuno che la potesse far respirare, poggiando una mano sulla sua spalla. Voleva solo non essere sola. "Leo è buono." E la discussione si fermò lì.











Calypso non era pirata perché sembrava una cosa cool essere pirati.

Se avessero chiesto alla se stessa piccola, probabilmente avrebbe detto che la cosa più cool in questo mondo era il giardinaggio e rotolarsi nel fango. Il suo sogno era aprire una locanda in mezzo al niente, o accanto al mare, per poter accogliere suo padre dai suoi lunghi viaggi e cantare, nelle sue lunghe gonne e raccogliere pomodori. Sognava una vita tranquilla, lei.

Ma suo padre non le aveva lasciato in eredità una locanda, e l'Ogigia non era mai stata una nave come tutte le altre. Calypso lo sapeva da quando le sue sorelle maggiori guardavano il padre salpare verso tramonti tristissimi e avventure solitarie, da quando suo padre le aveva detto di sentire, sulle sue spalle, il peso di mille mondi.

Non salivano marinai sull'Ogigia, solo suo padre, Atlante. Non si vedeva l'Ogigia comparire, la ci si trovava davanti e basta. Il Capitano non era invecchiato, era morto.

C'era un compito da svolgere, se si era il Capitano dell'Ogigia e un giorno Atlante non ha potuto più farlo e la nave si era materializzata davanti alla casa delle figlie, pretendendo che una di loro, solo una, salisse e diventasse colei che custodiva i confini del mondo e la linea che divideva il Regno dei Vivi da quello dei Morti, aiutando, delle volte, le anime perse in mare a trovare la strada per tornare a casa.

Era salita Calypso, perché le sue sorelle erano abituate ad altri tipi di vita, loro credevano ancora di poter trovare la felicità, e, arrivata in coperta, aveva sentito il suo petto diventare pesante e sul suo braccio un marchio nero e indelebile proclamare la sua appartenenza alla nave.

Aveva iniziato a viaggiare, gridando ordini al nulla, ma che stranamente venivano eseguiti da mani invisibili. Il suo primo compito era stato portare suo padre nel Regno dei Morti e da lì, l'Ogigia, come un essere cosciente, la guidava dove era necessaria e non dove voleva. Non aveva più rivisto le sue sorelle. Si ritrovava molto spesso nella rotta dei Pirati Nobili, di cui era un membro a tutti gli effetti. A volte si chiedeva se era lei a guidare la nave, o se fosse il contrario. Perché i posti in cui si fermava non erano mai i posti in cui sarebbe voluta andare, e bastava un pisolino, una piccola distrazione, perché l'Ogigia cambiasse definitivamente rotta.

Calypso non si lamentava. Gli piaceva essere un Capitano, ma gli sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui viaggiare, con cui litigare e a cui dare ordini. Lo disse ad alta voce solo una volta, consultando delle mappe con aria distratta e facendo segni perché le vele fossero spiegate.

Una volta bastò perché l'Ogigia rispondesse alle sue preghiere e Calypso cadde a terra, svenuta, senza che nessuno potesse dire o fare niente -perché sull'Ogigia non c'era nessuno oltre a lei- e la nave la guidò nell'unico posto che i pirati consideravano una leggenda.

Calypso aveva aperto gli occhi perché qualcuno le stava dando schiffetti sulle guance. Si stropicciò gli occhi, accigliata, per poi grugnire qualcosa di poco carino.

"Non per niente, ma hai distrutto i miei studi sulla spiaggia."

La ragazza con credeva di aver sentito bene, continuò a stropicciarsi l'occhio. "Uno studio?"

"Tipo dove uno fa proggetti!" spiegò esasperata la voce di quel qualcuno che stava iniziando a stare molto antipatico al Capitano. "Non so se hai presente."

Calypso si era tirata su a sedere, i suoi pantaloni pieni di sabbia, come i capelli e la vecchia bandana di suo padre. Ovviamente l'Ogigia scomparsa -aveva una vita propria, quella nave-. "Dove sono?" chiese, guardandosi intorno.

"Nell'ultimo posto che i pirati vedono prima di morire."

Era una battuta? Non sembrava una battuta. Decisamente, quel ragazzo le stava antipatico.










I preparativi per la partenza non sarebbero stati lunghi, se solo Primi Ufficiali e Capitani non l'avessero interrotta continuamente, con quello sguardo preoccupato e quell'addio velato, che proprio non volevano dire ad alta voce.

Era una cosa stupida. Calypso sarebbe tornata con Leo al suo fianco. E avrebbe salvato degli amici. E anche Leo. Era il patto. O, meglio, era la promessa.

Ma la prima volta che era arrivata ad Argo, era stata Ogigia a portarcela. Questo la preoccupava. Nonostante i preparativi fossero già a metà, chi le avrebbe assicurato che la sua stupida e capricciosa nave l'avrebbe portata dov'era necessario essere? Se non fosse stato necessario che lei andasse da Leo? Aveva aspettato a lungo, cercando di capire in quale momento sarebbe potuta tornare e… e se neanche questa volta fosse la volta giusta?

“Vedi di tornare.” Percy si rifiutava di salire sull'Ogigia. Non perché avesse paura o non lo avesse mai fatto. Semplicemente perché sentiva che se fosse salito sulla sua nave, avrebbe dovuto dirle addio. Darla vinta al Fato non era mai stata una sua intenzione. E quindi se ne stava lì, a guardarla dal porto, mentre Jason correva di qua e di là, sgridando qualche mozzo imbranato.

“Torno sempre, Jackson. Altrimenti devi dirmi chi vi salva il fondoschiena.”

Percy sorrise. “Finalmente impari il gergo piratesco, eh?”

Risero. E prima che Calypso potesse dirgli addio, l'Ogigia, così, da sola, salpò.











“Cosa vuol dire?”

“Quello che ho appena detto.” Il ragazzo ai pulì i vestiti, alzandosi da terra e guardando verso l'orizzonte, prima di lanciare uno sguardo a una vecchia casa atta di legno e metallo. “Il mare manda qui i pirati non voluti e li lascia qui finché non muoiono. Devi essere proprio fastidiosa per avertici mandato. Qui, dico.”

Calypso sbatté le palpebre e guardò il ragazzo. “Tu sei stato mandato qui?”

“Io? Oh, no.” Non disse altro, andò verso la sua casetta, lasciando lì una ragazza confusa e molto molto frustrata.

La prima cosa che Calypso pensò fu: Devo uscire da qui. Semplicemente, non sembrava poi così impossibile e l'Ogigia sarebbe ricomparsa, visto che necessitava un capitano -il marchio sul suo braccio non era scomparso, anche se Calypso sapeva poteva scomparire solo nel momento della sua morte, quindi la sua nave non poteva abbandonarla. Farle qualche scherzo, magari. Stupide navi con coscienza propria.

Per questo iniziò a mettere insieme degli stupidi pezzi di legno per fare una zattera. E prese del cocco, delle banane e dell'acqua di un piccolissimo fiume accanto al mare. Mettere insieme i tronchi risultò molto difficile, soprattutto per le sue mani. Si ferì più volte. Sanguinò più volte. E quel ragazzo la guardava, le chiedeva se non voleva un po' di riso, delle bende per le ferite, dei vestiti puliti. La verità era che Calypso voleva tutto quello che le offriva, tutto, niente escluso, ma era stata cresciuta da un pirata orgoglioso, e lei era orgogliosa a sua volta. Quindi: “No, grazie. Tieniti le tue schifezze per te!”, al che il ragazzo se ne andava, alzando le spalle.

Poi, un giorno, la zattera di Calypso era pronta e lei, tutta felice, ci salì sopra. Non doveva affondare e da qualche parte -verso Est, continuava a ripetersi la ragazza- doveva andare.

E quindi prese il largo. Beh, il largo… prese un'onda, poi la zattera si rovesciò, quando l'isola sulla quale era intrappolata sembrava un puntino nell'orizzonte, lei cadde in acqua e venne trascinata verso il basso, senza speranza di ritornare a galla e bevve molta acqua. Bevve così tanta acqua da pensare che sarebbe morta lì, l'acqua nei polmoni e la sua nave lontana, chissà dove.

Svenne. E poi si risvegliò. I capelli bagnati sulla sabbia caraibica e abbastanza aria dei polmoni per respirare.

E ancora il ragazzo, che la guardava riprendere conoscenza.

“Come…?” iniziò a chiedere lei.

“Mi spiace Calypso” l'interruppe lui. “Non posso lasciarti andar via. È il mio compito.”











C'era quest'enorme tempesta. E l'Ogigia si stava dirigendo dentro l'enorme tempesta. E questa sembrava la volta buona in cui il suo capitano sarebbe morto.

“Cosa stiamo andando a fare?”

Ovviamente nessuno rispose e la nave continuava la sua rotta verso la tragedia. Lenta, inesorabile.

La tempesta arrivò all'Ogigia e l'Ogigia alla tempesta.

Le onde colpivano la nave da tribordo, babordo, da poppa, da prua e l'Ogigia oscillava pericolosamente, mentre l'acqua iniziava a bagnare Calypso, che si attaccava a qualsiasi cosa, pur di non cadere a terra, o peggio in mare. L'intento delle onde sembrava appunto quello di rovesciare la nave, e l'infrangersi delle onde sembrava una voce straziante. Qualcuno che gridava un'ordine.

Poi, eccola, la sirena davanti a lei, innalzata dal mare, con un tridente tra le mani e una smorfia sulle labbra. “Nessuno” iniziò. “Nessuno torna all'Argo per due volte.”

“Ulisse è stato un mio fudanzato.” Il capitano ordinò col braccio di spiegare le vele e andare in avanti. “Trovo ingiusto che lui possa tornare da Leo e io no.”

La sirena fu travolta dall'Ogigia, ma le onde continuavano ad infrangersi contro il viso della ragazza, quasi volessero affondare sia lei che la nave.

“Ne pagherai le conseguenze.” Una voce che si levava dal mare. “Ne pagherai le conseguenze.”

L'Ogigia si piegò in orizzontale e Calypso cadde, trascinata da prua verso poppa. Cercava di tenersi, di reggersi a qualcosa, ma sembrava inutile.

Intorno a lei la tempesta tuonava e l'Ogigia decise che poteva cavarsela da sola, facendole sbattere la testa.










Lasciando da parte il fatto che l'aveva quasi annegata, Leo era una brava persona. O spirito. O dio delle correnti marine. Brava a modo suo, certo.

“No” rispose un giorno, alla domanda di Calypso, che si chiedeva se lui fosse nato su Argo. “No. Io sono nato mortale, come te. Ma sono morto nell'Oceano Atlantico, durante una traversata insieme a mio fratello, quando non avevate neanche dato il nome all'Oceano. Mio fratello ha chiesto a un dio pagano di riportarmi in vita, e sembra abbia pianto tantissimo, perché alla fine eccomi. Una specie di dio minore. E da quel giorno, il giorno in cui sono stato messo qui… quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile. Ho visto succedere cose che… per colpa mia.”

“Dio minore?”

Leo alzò le spalle. “Più forte di te, succube degli dei più grandi. Una vera rottura.”

“Hai mai pensato di scappare?” Calypso si era decisa ad aiutare Leo a tenere in ordine quel macello che erano i suoi studi all'aperto, e segnalava, con certo stupore, i marchingegni inventati da lui, piccoli, a volte addirittura inutili, per chi vive in un'isola deserta e semi-mitica.

“E andare dove?” Leo sospirò. “Io non ho nessuno a cui tornare. E qui ho il wifi.”

“Nemmeno io,” Calypso ignorò l'ultima parte delle parole di Leo. Era una cosa che aveva imparato a fare, dato che il ragazzo continuava a fare riferimenti a cose che non esistevano, che non avevano senso e che, secondo lui, un giorno sarebbero successe. “Ma a stare qui da sola sarei diventata matta. Non c'è nessun modo per andarsene?”

A quello Leo non rispose. Continuò a lavorare e a mettere in ordine roba che non gli sarebbe mai servita.







Ogigia è una nave che fa un po' quello che gli pare. Calypso batte i pugni contro la porta che l'avrebbe dovuta portare in coperta e si fa male alla mano.

Stupida mano.

Stupida nave.

Stupida tempesta.

Stupida Calypso.







Fuggire fu semplice. No, forse non così semplice.

Ma non perché Calypso non trovasse il modo per andarsene, l'Ogigia arrivò a lei quella mattina in cui si era risvegliata con le dita di Leo intrecciate tra le sue di dita. L'Ogigia ha bisogno di un Capitano.

“Ma tu non puoi lasciarmi andare. È il tuo compito, no?” Sembrava disperata, Calypso, guardando il mare e Leo, invece, sembrava così calmo, da farle salire i peggiori istinti, da volerlo colpire ripetutamente in faccia, da volerlo spingere in acqua e fargli male, perché sei così indifferente?

“Questa nave, penso sia molto più potente di me. E ha bisogno di un Capitano.” Sorrise. “È, tipo, non so, mai visto Pirati dei Caraibi?”

“Non so di che parli.”

“Mea culpa. Troppo presto.” Sorrise ancora. “Il tempo qui è difficile…”

“Ti sentirai solo…”

“Ho una cosa chiamata televisione. Voi ancora non la conoscete, ma è una delle cose più…”

Calypso lo zittì, premendo con una dolce violenza le labbra su di lui e allontanandosi prima ancora che lui potesse reagire. “Tornerò a prenderti.”

“Nessuno torna due volte ad Argo.”

“Non capisco perché tutti pensiate che Ulisse sia così fantastico…” Calypso alzò un lato delle labbra, guardando il ragazzo che cercava di capire di cosa stesse parlando. Quando il suo cervello mise insieme i pezzi, scoppiò a ridere, scuotendo la testa.

“Meno male che lo hai lasciato, quello lì” disse. “Quando è arrivato qua, ci ha spudoratamente provato con me. Credo sia il mio fascino da oltreoceano.”

“Oh, taci.”

Scappare da Argo fu facile, ma alla fine non così tanto.







La porta si apre e la mano di Calypso continua a sanguinare.

“Raggio di Sole, ma che cavolo…?” Leo s'inginocchiò accanto a lei, guardando più da vicino la ferita. “Non è che ti tagli, vero? Perché sarebbe eccessivamente ante-litteram. Se soffri, potresti pure parlarne con me, invece di…” continuava a blaterare.

Calypso alza gli occhi verso di lui e sorride. “Sono tornata a prenderti.”

Lui si guarda intorno, l'Ogigia che navigava placidamente verso lei solo sapeva dove e lei, con un sorriso eccessivamente felice, che continuava a guardarlo. “Sì, beh, abbiamo sopravvalutato Ulisse.”

“Ma non è una visita di piacere. Abbiamo bisogno di te.”

Leo sorride e alza le spalle. “Me lo aspettavo.”

Sul suo braccio era stato impresso, come dal fuoco, il marchio di Ogigia.





SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»✔️
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»✔️
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»✔️
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»✔️
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»✔️
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»✔️
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»✔️
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»✔️
COMPLETATE: 8/10

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Capitolo 9
*** Mondo nove: Una vita per una vita ***


Note:
Okay. Dopo, tipo OTTO MESI ho finito la tabella. Ciao tabella! Ah! Sono così fiera di me!
Beh, relativamente. Alcune storie sono così bah. Ma non importa! Perché… non so, troverò un perché.
Allora, ringrazio il Campmezzosangue con i suoi prompt (perché altrimenti non avrei scritto un accidenti e non mi sarei divertita così tanto) e ricordo la challange Dei, miti ed eroi , chiunque, con tanta pazienza, mi abbia seguita fin qui. E io ho apprezzato tanto. Quindi, beh, grazie!











Saremmo potuti essere

Mondo Nove: Una vita per una vita











Leo si era addormentato, e sembrava un piccolo angioletto, quando non parlava, quando non si muoveva, quando non russava.

Ma Leo russava, e Calypso sorrideva. Una storia gliela doveva. Una sola, che un giorno gli avrebbe raccontato. Una sola. Allora Calypso si sdraia accanto a lui e aspetta.

Sente una storia prendere forma nella sua testa e guardò Leo, dormire con la bocca aperta e in una posa scomposta.

Poi si addormentò anche lei.






○●○







È una bomba -forse solo il rimbombo di un ricordo- a svegliare Calypso, che si alza velocemente guadagnandosi un dolore lancinante al petto. E il dolore si mischia con i tonfi assordanti e, per istinto, la ragazza cerca il suo fucile accanto al suo corpo, come se si trovasse a casa sua, o in trincea, pronta a sparare a sconosciuti, in quel caos di colori e rumori. Chissà se ha ucciso. Chissà se ucciderà.

Una mano gentile, di una ragazzina di colore, troppo piccola per essere un dottore, la spinge a sdraiarsi. E Calypso non riesce nemmeno a protestare. Perché il petto fa troppo male.

"Si è svegliata" mormora l'infermiera. "Quindi è fuori pericolo, no?"

Calypso affonda la testa nel cuscino.

E nessuno è fuori pericolo.














Non ci vuole tanto per capire che Calypso non è nell'ospedale giusto. È finita nel campo nemico e non si sa bene per quale motivo.

Annabeth, una ragazza che il dottore lo fa solo perché non ce ne sono abbastanza di dottori veri in giro, le controlla giornalmente le fasciature e dice sempre: "Quando Leo tornerà sarà molto felice di vederti sveglia."

Calypso la guarda e si chiede perché non ricordi nessun Leo. E perché queste persone, pur avendo visto la sua piastrina, continuano a volerla curare, a fare in modo che lei stia bene.

"No che non lo conosci Leo" ride un giorno la bionda e Calypso sta guarendo veramente molto bene. Adesso si può sedere senza stare troppo male. "Ma è stato lui a portarti qui."

Non risponde sulla questione del perché la stiano curando. Ma glielo vede negli occhi. Quella ragazza pensa che sia un errore, ma non lo dice ad alta voce.

Suonano gli allarmi e Annabeth se ne va.













Questo Leo è un ragazzo con i capelli ricci e un sorriso troppo luminoso per trovarsi in mezzo ad una guerra. Un giorno Calypso si sveglia e se lo ritrova lì, coperto di terra, addormentato su una scomodissima sedia pieghevole. Ovviamente lei lo ha solo guardato male finché lui non si è svegliato.

Beh, sembra devastato. Un po' da tutto. Ma al vederla sveglia sorride.

"Sarà colpa tua se andrò ad uccidere alcuni tuoi amici in guerra" dice Calypso, portandosi le ginocchia al petto e spiegazzando le lenzuola bianche.

Ci sono le voci di tante persone che gridano. Leo deve aver portato tante altre persone con sé. Probabilmente molti bambini. Anche perché si sentono tanti pianti, tanti mamma che volano in aria.

"Non m'interessa del tuo schieramento." Alza le spalle e sorride, nonostante tutto. "Ti abbiamo dato una seconda possibilità. Scegli tu quello che devi fare. Noi qui non siamo soldati, Caramba."

"Calypso."

"Quello che è."

E Leo se ne va di nuovo a salvare vite.












La ragazzina che ha visto la prima volta si chiama Hazel e le porta tutti i giorni cibo. Anche lei porta delle cicatrici sulla pelle e cerca di sorridere, ma a volte se ne dimentica e sembra guardare in altri posti lontani, come se avesse perso qualcosa di molto importante.

"Ovviamente." Si appoggia accanto al suo letto, mentre cerca di convincerla a mangiare, parlando -si mangia a casa, certamente non in altri posti. "Leo è così. Cerca la persona, mica la macchina da guerra. Come prima della guerra. È una bella cosa, non tutti sono riusciti a rimanere così umani. A dirtela tutta, ucciderti è stata un'opzione valida, ma non potevamo farlo, non a sangue freddo." Inclina la testa. "Leo ce lo ha ricordato."

Calypso mangia un po' di zuppa -perché ha fame, non per altro. “Insegnami come aiutarti.”

Hazel sorride.












"Ti vedo meno pallida!" Leo saltella verso di lei. È una cosa che fa perché è un folletto e ovunque va porta degli enormi sorrisi, che ormai non sembrano tanto brillanti. Calypso inizia a pensare che sia una maschera, ma non glielo ha mai detto. Lei sa che ognuno di loro ha un modo diverso per affrontare la guerra, e questa sembra quella di Leo. “L'amore di Hazel guarisce ogni male” continua lui.

E lei sorride. “Ti vedo meno sporco di terra.”












Leo passa molto tempo con lei, forse perché Annabeth non sopporta che rompa così tanto le scatole in giro per l'ospedale arrangiato, soprattutto quando, Calypso scopre, lo stesso Leo è in convalescenza per una stupida infezione ad una stupida ferita. Per questo, non per altro, Calypso e il ragazzo parlano tanto e un po' di tutto. Perché Annabeth caccia sempre lì il texano.

Il sottofondo della guerra sembra ferire Leo, per questo, quando un bambino piange, chiedendo della sua mamma, Calypso alza un po' la voce e gli racconta di sua sorella Zoe, l'unica, tra le sue sorelle, che l'abbia mai fatta sentire in famiglia.











“Perché hai iniziato a salvare vite?”

Leo ci pensa un po', prima di ripondere. Giocherella con i suoi pantaloni e poi dice: “Nessuno ha salvato mio fratello. Non volevo che altre persone passassero per la stessa cosa.”

“Tante altre persone avrebbero cercato vendetta…”

“Sì, ma non so se mi hai mai visto, non sono bravo nei panni di Joker.”

Lei non capisce il riferimento, si limita ad annuire.












“Che ci fa una ragazza come te nell'esercito?”

“Mio padre è uno dei generali di Crono. Non potevo non schierarmi con lui.” Omette il fatto che Zoe lo abbia fatto e che le abbia chiesto di combattere al suo fianco. Omette il fatto di aver preferito suo padre alla sua unica famiglia.

“Quindi, uscita di qui, continuerai a combattere.”

Calypso abbassa la testa. “Non lo so.” Si gratta la nuca. “Non lo so.”








"Annabeth ti vuole molto bene."

Leo sorride e le passa una merendina -di quelle che ormai sembrano un miraggio, perché la guerra distrugge le cose dolci. "È il mio migliore amico. Ma non dirlo a Jason: diventa geloso. Una volta lui e Percy..."

E quel giorno Calypso impara veramente tanti nomi.














"Zoe deve essere molto preoccupata per te."

Calypso fa un mezzo sorriso e nom dice niente. Non è una cosa di cui vuooe parlare. Non è una cosa di cui poteva parlare.











Appena Annabeth decide che Leo può anche non rompere più le scatole in ospedale, il ragazzo decide di andarsene di nuovo a salvare vite umane -si sentiva in colpa per non aver fatto niente per settimane, Calypso lo aveva intuito.

Vederlo prepararsi per salire su quel coso che i ribelli usano come macchina e ambulanza fa venire una stretta alla bocca dello stomaco della ragazza.

“Ci vediamo la prossima settimana!” saluta lui. Poi si gira verso un biondo che lo abbraccia con la stessa forza di un orso.

Hazel sospira e le dice: “Tornerà.” Ma nessuna delle due ne è convinta al cento per cento.











Quella stessa settimana Annabeth dice a Calypso che se vuole può andarsene, oppure rimanere ad aiutare in ospedale -è così che ha iniziato lei.

Calypso non sa che fare e guarda la sua piastrina, sempre conservata sotto il suo cuscino.

Continua a non sapere che fare.











Quando Leo torna, Calypso non c'è.

“Abbiamo salvato una vita che ucciderà miliardi di vite” si sfoga Annabeth.

Hazel aggrotta le sopracciglia e lascia tra le mani una lettera a Leo. L'ha letta, perché quella ragazzina è un'impicciona, ecco cosa. Ma non importa.

Quando il ragazzo finisce di leggere quel pezzo di carta, non dice niente. Getta il tutto nel fuoco e nessuno pronuncia più il nome di Calypso.

Tranne Hazel.












La cerca. Ha paura di trovarla trai feriti di guerra.

E così anche lei lo cerca, con la paura di trovarlo trai morti in battaglia.

Però lei ha scelto di non combattere per Crono o Zeus. Ha scelto di combattere per le persone. E scrive che tornerà a trovare Leo, un giorno, con sua sorella.

Durante la sua ricerca, aiuta i malati, come Hazel le ha insegnato a fare. E la sua piastrina, quella che la vedeva come un soldato -una macchina da guerra- è sepolta da qualche parte, insieme alla se stessa soldato. 









SET LEO/CALISPO DI MICHIGR
Hogwarts!verse, «Toglimi di dosso le tue diavolerie Babbane»✔️
Pirate!AU, «Quest'isola ha cessato di essere un posto rispettabile»✔️
War!AU, «Non mi interessa il tuo schieramento»✔️
College!AU, «Questo caratterino lo riservi a chiunque ti rivolga la parola o è un trattamento speciale?»✔️
Steampunk!AU, «È più grande all'interno!»✔️
Regency!AU, «Il vostro è il giardino più bello che io abbia mai visto»✔️
HungerGames!AU, «Ho scommesso su di te»✔️
Modern!AU, «Pronto? Garage Valdez? Mi si è rotta la macchina in mezzo al nulla»✔️
Zombie!AU, «Come fai non sapere che è in corso un'Apocalisse Zombie?!»✔️
COMPLETATE: 9/10

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