I 42 Hunger Games

di walliejoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Mietitura ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Trip to Capitol City ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Era una giornata di sole a Capitol City.
Il presidente Johnson era comodamente seduto sulla sua poltrona di vimini in terrazza, un bicchiere di champagne nella mano e un sorriso stampato sul volto.
-Presidente, siamo pronti.
Si voltò appena, senza dare troppa importanza al ragazzo che era appena uscito sulla terrazza e che al momento si trovava dietro di lui.
-Bene.- disse.
Il ragazzo se ne andò annuendo.
-E che i 42 Hunger Games abbiano inizio.

UNA SETTIMANA DOPO

-Johnson vuole più azione.
-Cosa possiamo fare?
-Dice che i favoriti sono troppo gentili. Dobbiamo spingerli ad andare a caccia.
-Possiamo provare con qualcosa che punti a tutti i tributi.
-So cosa fare. Sarà felice di saperlo.

La ragazza stava correndo verso il biondo.  Era finalmente riuscita ad abbattere uno di quegli uccelli enormi, difficili da prendere.
-Finalmente! Pensavo che gli alieni ti avessero rapita. 
-Non rompere il cazzo Dux. Ho la tua cena. Dovresti ringraziarmi.
Rispose lei freddamente.
Lui rise.
-Attenzione, la signorina si é arrabbiata.
Urlò in modo da farsi sentire.
-Direi più incazzata.
-Dai Vale, non te la prendere! Piuttosto mi dici cos'hai? 
-Ho voglia di uscire da sta merda.
Disse con un ringhio.
Lui alzò un sopracciglio.
-Pensavo che i giochi ti piacessero.
-Pensavo che avremmo fatto più in fretta.
Lui sorrise con un ghigno.
-Vuoi fare fuori la Row vero?
-Quella stronza conoscerà il mio pugnale molto bene.
Lui rise e le si avvicinò ulteriormente.
-Mi piace quando ti arrabbi. Sei eccitante.
Le accarezzò una guancia.
-E io odio quando fai questa voce del cazzo.
-Scherzi? Al distretto sono riuscito a portarmi un sacco di gente a letto parlando così.
-Beh, sappi che non sei sensuale. 
-Gelosa?
No. Lei non poteva essere gelosa. Dux le piaceva, ma non ne era innamorata.
-Affatto.
-A me sembra di si.- le sussurrò vicino alle orecchie. Un brivido le percorse la schiena, ma riuscì a controllarsi.
-Non me ne fotte un cazzo delle tue puttane. Io voglio trovare i 12.
Lui rise.
-Penso che presto saranno loro a trovare noi.
-Come ne sei convinto?- chiese lei aggrottando le sopracciglia.
-I Giochi stanno diventando noiosi, gli strateghi troveranno il modo di farci incontrare.- disse lui sbrigativo.
-Dio mio, da quando fai un discorso serio Dux?- rise.
-Vale, ho un sacco di doti nascoste- le disse avvicinandosi ancora.
La ragazza puntò gli occhi in quelli azzurri del ragazzo, non riusciva a resistergli.
-Il cibo! Vale!-
Gridò in quel momento Jacques.
I due si allontanarono, non prima che Dux lanciasse un ultimo sguardo malizioso alla ragazza.
-Ho cacciato- disse semplicemente Vale, contrariata per l'interruzione, ma anche sollevata nel vedere il suo migliore amico ritornare.
-Muoviti, ho fame.- fu invece il commento di Rose.
Valérie dovette contenersi dal mandarla a fanculo.
-Dux, aiutami a spennarlo, poi gli taglieremo via la testa-
-Sarò anche figo a fare qualsiasi cosa, ma il macellaio non mi ispira un cazzo-
-Doveva far ridere?- chiese Vale sorridendo.
-No, ma tanto lo so che ti attizzerei in qualsiasi caso. La cosa migliore sarebbe senza vestiti ma gli Hunger Games li guardano anche i minorenni.- 
Non mancò nemmeno il classico sorriso ammiccante tipico del ragazzo dell'1.
Riuscirono a pulire l'animale e lo mangiarono alla cornucopia. 
Quella sera faceva freddo. Probabilmente a Capitol City si stavano divertendo a cambiare continuamente la temperatura nell'arena.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Mietitura ***


DISTRETTO 11
L'intera Panem si alzò all'alba quella mattina, chi di buon umore, chi non.
Per i 12 distretti appartenenti a Capitol City sarebbe sicuramente stata una giornata impegnativa. Era un po' come il Capodanno o il Natale, era un evento che succedeva una volta l'anno e nessuno se lo sarebbe mai perso. 
Valérie scese dal letto imprecando, lei odiava questo giorno, ma sapeva di non essere l'unica.
'E lo chiamano evento dell'anno, che vadano tutti a farsi fottere.'
Cercò l'armadio nel buio, sua madre le aveva messo da parte un vestito di quelli belli, per le occasioni speciali.
Onestamente non ne capiva il motivo, era proprio necessario apparire bella davanti alla morte?
In ogni caso, optò per indossare il vestito cucito dalla nonna per evitare ulteriori litigi, era l'ultima cosa che le sarebbe servita in quel momento.
Lasciò che i lunghi e mossi capelli castani le cadessero sciolti sulle spalle ad incorniciarle il volto dagli occhi verdi scuri.
Andò in cucina dove sua madre stava preparando del latte in un tegamino. Valérie prese l'unica mela rossa del cesto e la addentò mentre cercava l'unico paio di scarpe che aveva.
-Papà?- chiese.
-Al frutteto- rispose brevemente sua madre.
Sbuffò spazientita.
-Anche oggi?- domandò.
-Ormai dovresti sapere come funzionano le cose.-
Stava per replicare quando fu interrotta dal suono insistente di qualcuno che stava bussando alla porta. 
Quando l'aprì si trovò davanti i suoi migliori amici, Jacques e Margherita.
-Muoviti Vale, dobbiamo andare.- disse il ragazzo.
-Si ma, stai calmo.- rispose sorridendo.
Fece per uscire di casa quando una voce la fermò.
-Avevi promesso che mi avresti svegliato!-
Suo fratellino Fil le corse in contro.
-Scusami, hai ragione.- si chinò alla sua altezza e gli spettinò i capelli.
-Ci vediamo dopo?- chiese ingenuamente. La ragazza si rabbuiò a quelle parole. Cercò di non pensare al futuro e di sperare che tutto sarebbe andato bene. Fanculo.
-Certo, ci vediamo dopo.
Cercò di sorridere.
Uscirono di casa in silenzio, guardandosi attorno, Vale e Margherita si stavano tenendo per mano. Percorsero insieme la strada sterrata che portava alla piazza principale, così come molti altri ragazzi. Salutò alcuni di loro, mentre ad altri ricolse solo brevi cenni. Valérie si preparò alla solita routine: la coda, la puntura per il prelievo del sangue, la divisione per età.
Jacques si staccò dal gruppo delle ragazze per raggiungere i suoi amici.
-E muoviti madonna!-
-Fine come al solito Vale- disse Marghe ridendo.
-Oh, se anche quest'anno Dalia si rompe un tacco penso che potrei iniziare a bestemmiare in ungherese sul palco.- le rispose sorridendo.
La piazza era gremita di gente, genitori dietro le barricate, Pacificatori in uniforme bianca ai lati del palco, e un corridoio in mezzo ai due gruppi lasciato libero.
Quando Dalia, iniziò a camminare sulle lastre di pietra, tutti i ragazzi si zittirono.
Vale odiava quel momento. 
Le sembrava di riuscire ad avvertire la paura degli altri. Rumore di tacchi. Cercò Jacques nella folla, non lo trovò. Rumore di tacchi. Margherita le strinse ancora di più la mano. Rumore di tacchi. Non resisteva più, troppo silenzio. 
In quel momento Dalia arrivò sul palco.
Passarono dieci minuti durante i quali la voce del presidente raccontava gli eventi passati.
-E come sempre, prima le signore!-
-Muoviti cazzo..- commentò Vale in un sussurro.
-E il tributo femmina che avrà l'onore di rappresentare il distretto 11 ai 42 Hunger Games é Valérie Prew!-
La ragazza sgranò gli occhi.
Era successo davvero? Quando vide le lacrime agli occhi di Margherita capì di non avere scelta.
-Dio.-
Si voltò in direzione dei genitori, ma non riusciva a vedere i propri. Non volava una mosca. Valérie Prew, una delle ragazze più conosciute del distretto 11, mietuta.
Mietuta. Mietuta. L'unica parola che si stava ripetendo mentalmente.
-Coraggio tesoro, fatti vedere!-
La voce di Dalia riportò l'attenzione sul palco, e le ragazze intorno a Valérie si fecero da parte. Prese un respiro più profondo, smosse i capelli con una mano e a testa alta raggiunse il palco. Dentro stava morendo, ma non voleva darlo a vedere. Era sempre stata così, chiusa, scontrosa, soprattutto nei confronti di quelle persone che conosceva poco. Era rispettata dai suoi coetanei al distretto, e il rispetto era sempre meritato, perché dietro quella maschera che si ostinava a portare c'era una ragazza dolce e gentile.
-Passiamo ai ragazzi!-
Valérie strinse il vestito nelle mani e si voltò cercando facce conosciute nella folla. Parecchie ragazze piangevano, Margherita era circondata da amiche che la consolavano, i genitori avevano iniziato a rassicurare il padre e la madre di Vale.
Lei era come svuotata da ogni emozione. Non riusciva a pensare a niente.
Era come se fosse stata rinchiusa in una bolla e stesse guardando la scena dall'esterno. 
-Il tributo maschio del distretto 11 é Jacques Lerois!-
-No! Dio mio vi prego no!-
L'urlo di Margherita fu di quanto più disumano avesse mai sentito. Valérie si portò le mani alla bocca, scuotendo la testa e riprendendo coscienza di quello che le stava accadendo. Il suo migliore amico. Era stata mietuta con il suo migliore amico. Una smorfia di dolore mista a disgusto si disegno sul suo viso.
Jacques arrivò sul palco lentamente, passandosi una mano tra i capelli con aria disperata.
Alzò la testa giusto in tempo per guardare gli occhi verdi di Vale velati di lacrime.
Si strinsero in un abbraccio, durante il quale la ragazza si concesse di versare qualche lacrima che bagnò la maglietta bianca di Jacques.
La gente in piazza iniziò a bisbigliare.
-Che cosa dolce!-
Gridò invece Dalia con voce acuta.
I due si separarono ma continuarono a tenersi la mano.
-Vi conoscete ragazzi?- chiese la donna.
-Lui é il mio migliore amico- disse Vale con voce piatta e spenta.
La ragazza non si ricordava di un pubblico della mietitura così silenzioso. Nessuno fiatava, Margherita piangeva in silenzio accasciata in terra. A Valerie si strinse lo stomaco a vederla così. Nel migliore dei casi uno dei suoi migliori amici sarebbe tornato a casa. Nel peggiore li avrebbe persi entrambi. Pensava che avrebbe pianto come una fontana, invece non stava versando neanche più una lacrima. Si complimentò con se stessa per il suo autocontrollo. Poi, quando Dalia ebbe pronunciato le ultime frasi di rito, i tributi, tenendosi per mano, entrarono nel municipio dietro il palco.
Qui vennero indirizzati a due diverse stanze dovrebbero potuto salutare i familiari e gli amici.
Valérie si sedette sulla poltrona che era in un angolo della sala. 
Margherita spalancò la porta, le corse incontro e si buttò letteralmente su di lei. Le due amiche si abbracciarono piangendo e gridando, non curandosi delle occhiate di sufficienza dei pacificatori fuori dalla sala. 
-Ti prego Vale, ti prego. Vinci, ti prego. Non abbandonarmi. Vinci, ti prego.-
-Marghe come cazzo faccio? I Favoriti Dio mio.. Gli sponsor, l'allenamento.. Non posso sopportare tutto questo..-
-Non metterti a sparare minchiate okay? Sei una ragazza forte. Credi in te stessa. Non abbandonarmi ti prego.-
-Dio mio Marghe non voglio morire.-
-Non morirai.-
-E Jacques? Vince uno solo. Lui é un ragazzo, ha più possibilità.-
-Vale non farmici pensare.. Sto perdendo due delle persone più importanti della mia vita.-
-Io sto perdendo la mia vita.-
-Tempo!- gridò il pacificatore.
-No, no! Ti prego! Valérie Prew devi vincere okay?-
-Okay.-
-Ti voglio bene migliore amica.-
-Anche io Marghe.-
Il pacificatore la trascinò fuori dalla stanza.
Valerie non ebbe il tempo di sedersi di nuovo che entrarono i suoi genitori e Fil, che gridava e piangeva. La ragazza non l'aveva mai visto così. Non le diedero molto tempo. Cosa si diceva in situazioni simili? Buona fortuna? Non era mai stata fortunata. Puoi farcela? Aveva sempre odiato le bugie. Non mollare? Si, era sicura, non avrebbe mollato. L'ultimo abbraccio di Fil fu qualcosa di veramente straziante, cercò di stringerlo il più possibile, lo guardò per l'ultima volta cercando di cogliere tutti i particolari del suo volto. Le lentiggini sul naso, le pagliuzze verdi nei suoi occhi, i capelli biondo scuro troppo lunghi e spettinati. Ne era certa, prima di morire in quella fottutissima arena, avrebbe pensato  a lui.
    
DISTRETTO 12
La ragazza strinse i denti quando l'ago affondò nel polpastrello.
Si scostò dalla fila di ragazzi vestiti in maniera semplice, conosceva bene le regole, ormai erano cinque anni che doveva ripetere questa routine. 
Si guardò intorno per cercare di focalizzare qualche faccia conosciuta tra la folla, vide Lauren, la sua migliore amica, nonché sorella del suo fidanzato e la raggiunse.
-Eccoti, pensavo non saresti più arrivata.
Lauren era una bellissima ragazza, i capelli chiari, il corpo formoso, la pelle candida e vellutata, esattamente l'opposto di Lizzy. Lei aveva i capelli scuri, lisci, la carnagione più abbronzata e gli occhi scuri come la pece. Era alta e slanciata, ma non così bella come Lauren.
-Scusa, ma non fremevo dalla voglia di venire qua.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, Lauren fissava il palco allestito da Capitol City, dove erano pronte due bocce giganti di vetro, dentro erano contenuti migliaia di bigliettini con i loro nomi e solo il destino sapeva quello che sarebbe successo.
-Sei pronta?
Lizzy guardò l'amica, ovvio che non era pronta, che domande faceva Lauren? Esattamente un anno prima i giochi le avevano ucciso il ragazzo, portando via da Lizzy il suo amore più grande. Josh era stupendo, pieno di voglia di vivere e l'amava, era il fratello di Lauren, per questo lei e l'amica erano così legate.
Questo era ciò che gli strateghi a Capitol City cercavano, il dolore, l'eccitazione del ferire qualcuno. Gli Hunger Games erano dei giochi allestiti per distruggere l'anima delle persone, per bruciare ogni speranza.
Non poteva soffrire di nuovo, non era previsto altro dolore nella sua vita.
-Lauren- rispose -sono qui solo per un motivo, mi hanno costretta con la forza. Non sono stata invitata e neanche accompagnata con un tappeto in velluto rosso. Sono obbligata a fare questa scelta, sono una di quei tanti ragazzi che vedono la loro vita come un continuo incubo. Probabilmente se tutto ciò si potesse scegliere io non lo farei, per cui no, non sono pronta, come tutti coloro che preferiscono la vita alla morte.
Lauren annuì leggermente, conosceva Lizzy, una ragazza che aveva sofferto molto e che era molto più debole di tanti altri.
-Eccola!
La folla si voltò a guardare verso la direzione indicata. Eleanor Simond stava facendo la sua spettacolare entrata. Tacchi a spillo, sorriso smagliante e vestiti sgargianti erano sempre stati il suo forte. Portava un taglio a caschetto appena sotto le orecchie e le sopracciglia erano troppo scure rispetto ai capelli color biondo cenere.
La donna salì la scaletta che portava al palco e prese il microfono in mano. Aveva l'attenzione di tutti su di sé.
Nella piazza regnava il silenzio, Lizzy non osava neanche respirare, quel momento era arrivato, come tutti gli anni il cuore iniziò a martellarle nel petto. C'erano due possibilità, la prima di sentire sollievo e di essere salvata parzialmente, la seconda di sentire un fitta straziante al petto. 
Prese la mano di Lauren e gliela strinse, non voleva neanche perdere la sua migliore amica.
-Salve Distretto 12!- la voce di Eleanor venne amplificata da delle casse enormi ai lati della piazza -Finalmente sono arrivati i 42 Hunger Games e siamo tutti in fibrillazione per sapere chi saranno i due giovani fortunati che avranno l'onore di servire Capitol City e tutta Panem!
Lizzy trattenne un verso strozzato di disprezzo, come poteva la morte di due ragazzi innocenti provocare tanto interesse ed esaltazione?
-Bene, non soffermiamoci ulteriormente, siamo già in ritardo a causa delle strade poco curate in questo posto che hanno rallentato il camion con l'attrezzatura.- squittì fastidiosamente, emettendo un gridolino di isteria.
-Prima le signore.
Si avvicinò alla boccia alla sua destra ed estrasse una strisciolina bianca.
-Il tributo femmina che parteciperà ai 42 Hunger Games è...-
Lizzy stava trattenendo il respiro, fissava le sue scarpe consumate e teneva gli occhi chiusi. 
Aveva paura, non che fosse lei, ma aveva paura dei giochi e basta. Aveva il terrore di quell'arena, sentiva le gambe tremare, il respiro diventare irregolare.
-Lizzy Row!
In quel momento non provò né sollievo, né dolore, ma solo vuoto. Non sentiva niente, assolutamente nulla.
Lauren aveva gli occhi sbarrati, la mano libera sulla bocca spalancata. Lizzy allentò la presa sull'amica e sollevò lo sguardo. 
Gli occhi di tutti erano fissati su di lei, sulla ragazza che stava per lasciare la sua migliore amica esattamente un anno dopo rispetto a ciò che aveva fatto anche il fratello, il quale, non era tornato vincitore.
Lizzy era fragile, una foglia facile da spezzare.
Camminò verso il palco lentamente, doveva realizzare cosa sarebbe successo. Sentì gli occhi inumidirsi, la voce mancare, la gola secca. Si portò una ciocca dei capelli castani e mossi dietro l'orecchio. Le labbra erano gonfie e rosse, il suo fisico, alto e slanciato, in quel momento sembrava essere fatto di porcellana. 
Raggiunse il palco dove si aiutò con la ringhiera a salire gli scalini.
Era lì, davanti al Distretto 12, era veramente lì. Non era un sogno, non era un incubo. 
-Molto bene cara! Vuoi dire qualcosa?
Lizzy guardò Eleanor, non aveva mai notato quanto fosse perfetta. Deglutì e scosse leggermente la testa. La donna annuì.
-Il tributo maschio sarà invece...- infilò nuovamente la mano nell'altra boccia ed estrasse un nome.
-Charlie McCurry!
Lizzy vide Lauren piangere, sua madre che abbracciava suo padre tra la folla. I suoi genitori, doveva lasciare anche loro.
Un ragazzo biondo si fece spazio tra la folla, guardava dritto verso il palco, il volto impassibile. 
Per un momento Lizzi ebbe paura, quel brivido che le fece comprendere che quel ragazzo sarebbe stato il suo compagno di morte, lui avrebbe cercato di ucciderla. 
Mantenne il respiro quando lui la sorpassò sul palco, era più alto di lei e anche più sicuro. In quel momento si sentì come se stesse per svenire, realizzò che non sarebbe mai più tornata a casa, il suo destino era lì, nell'arena, non avrebbe mai potuto competere con gli altri concorrenti. 
Eleanor fece la stessa domanda di Lizzy anche a lui.
-Vuoi dire qualcosa Charlie?
Lui annuì. -Certo che ho qualcosa da dire.- disse, stringendo la mandibola -Non posso promettere che quest'anno il distretto 12 avrà un vincitore, ma sono sicuro che sia io sia Lizzy ci metteremo in gioco fino all'ultimo.
Sussultò a sentire il suo nome, perchè avrebbe dovuto parlare anche a suo nome?
-Bene abbiamo dei ragazzi combattivi! - Squittì Eleanor battendo le mani. -Ora stringetevi le mani!
Lizzi si voltò verso la mano tesa del ragazzo biondo. Lo guardò negli occhi, erano azzurri come l'oceano, bellissimi.
Allungò la mano e gliela strinse, sentì come scossa lungo la spina dorsale a quel contatto e lui sembrò accorgersene.
Le si avvicinò abbastanza da poterle parlare in un orecchio.
-Tranquilla Liz, i giochi devono ancora incominciare.
Si allontanò nuovamente, un ghigno dipinto sul volto e le fece l'occhiolino.
Fu a quel punto che Lizzy capì con chi si sarebbe dovuta mettere contro.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Trip to Capitol City ***


DISTRETTO 11
Tutto quello che successe dopo fu veloce e confuso. I due ragazzi vennero trasportati alla stazione da cui partì il treno per la capitale. Dalia si muoveva nelle cabine esperta, guidandoli alle loro stanze. Si scusò per quanto fossero piccole, senza forse essere a conoscenza delle dimensioni di una camera nel distretto. I tributi vennero poi invitati a unirsi a lei per mangiare qualcosa.
 Valérie era sconcertata dalla ricchezza che la donna ostentava. D’altra parte, cosa si aspettava? Era pur sempre una capitolina, e come tale doveva dare sfoggio dei propri abiti e gioielli.
-Piacere ragazzi.- disse una donna entrando nella carrozza dove i ragazzi e Dalia si erano seduti. –Mi chiamo Martah, sono la vostra mentore, ed ho il compito di preparavi al meglio per questa impresa.-
Tese loro la mano, e i ragazzi la strinsero, dopo essersi presentati a loro volta, titubanti. Non si erano ancora nemmeno parlati, tutta la confidenza che avevano sempre avuto fin da bambini sembrava essere sparita.
-So che siete molto amici, è vero?- chiese ancora, quasi come se potesse leggere nelle loro menti.
-Certo che lo sono Martah cara, non hai visto sul palco che si sono confortati a vicenda?- intervenne Dalia.
-Si, è vero.- mormorò Jacques.                                            
Valérie si ostinava a stare in silenzio, fissando tutti con astio.
-So anche che ora vorreste solamente ritirarvi nelle vostre camere e stare da soli, ma ci sono alcuni discorsi che dobbiamo assolutamente affrontare insieme. Non mi piace perdere tempo, e prima ne parleremo meglio sarà anche per voi. Ora siete dei tributi, entrate in quest’ottica. Non potete fare i sostenuti o i preziosi, là dentro sarete tutti uguali. E l’unica cosa che può salvarvi è la forza di volontà che ci metterete ora-
Parlò con voce così decisa e senza interruzioni che Vale pensò si fosse imparata a memoria il discorso e che ripetesse lo stesso ogni volta che aveva a che fare con nuovi tributi.
-Va bene, sentiamo queste domande.- rispose la ragazza, con tono di sufficienza. Era curiosa.
-Voglio sapere in cosa credete di essere bravi, qualcosa che possa aiutarvi durante i Giochi, sia che si tratti di forza fisica, sia di un’abilità particolare. Io ho vinto perché sapevo riconoscere erbe e piante commestibili da quelle non.-
-Non ho nessuna abilità particolare, lavoro nei frutteti dalla mattina alla sera.- disse Jacques stizzito guardando fuori dal finestrino.
-Non è vero, sei forte. Sai arrampicarti sugli alberi, sei agile. Io so usare l’arco.- rispose invece Valérie.
L’amico si girò a guardarla, sorridendo. Martah fece lo stesso.
-Bene, direi che è un buon punto da cui partire.-
Trascorsero il tempo guardando i filmati di precedenti edizioni e le registrazione delle mietiture avvenute negli altri distretti. La mattina dopo sarebbero arrivati a Capitol City, e Dalia li voleva pronti e preparati per affrontare una realtà completamente diversa dalla loro. Non sapeva ancora che genere di impressione le avrebbero fatto, ma era sicura che avevano molti doti che dovevano solo essere scoperte. Valérie era una ragazza difficile, ma questo suo carattere scontroso l’avrebbe aiutata, e sarebbe stata in grado di trascinare con sé anche l’amico.
Martah, per la prima volta da quando era diventata una mentore, credette fermamente nelle possibilità dei propri tributi. Quell’ anno, il distretto 11 aveva due ragazzi combattivi e affiatati.
Vale si svegliò riposata e pronta. Aveva riflettuto tanto dopo il pomeriggio passato con la mentore, e aveva capito una cosa: doveva essere determinata. E lei lo era. Le stavano chiedendo di diventare un’assassina? Bene, lo sarebbe diventata. Spirito di adattamento. Non sempre le cose vanno come uno vorrebbe, ma non per questo bisogna abbattersi e sentirsi sconfitti già in partenza. Valérie non era la persona che si faceva illusioni, sapeva che niente sarebbe stato facile, ma se ci era riuscita Martah, perché lei non avrebbe potuto provarci?
Guardò fuori dal finestrino della sua cabina, e vide ciò che fino a un momento prima le era stato mostrato solo in fotografia. Capitol City era lì, davanti a lei, diventava sempre più grande man mano che il treno si avvicinava e sempre più imponente. La ragazza appoggiò la mano destra sul vetro, quasi come se volesse toccare la città e accertarsi della sua presenza. Vide altri binari che si univano tra di loro, e altri treni sfrecciarle affianco, sentiva il vociare della folla che li aspettava alla stazione, sorrise inconsciamente.
Qualcuno bussò alla porta.
-Sono Jacques-
Vale aprì la porta e gli sorrise, le era mancato. Si abbracciarono.
-Martah ci vuole di là- disse l’amico, e per mano la condusse nella cabina dove il giorno prima avevano trascorso il pomeriggio.
La mentore era in piedi vicino al grande finestrino sul lato del treno e li stava aspettando. Voleva che salutassero la folla e si facessero conoscere.
Così fecero, e quando si mostrarono la gente iniziò ad acclamarli. Probabilmente non sapeva che erano i tributi del distretto 11.
Il treno si fermò poi su un binario sotterraneo, e i ragazzi vennero accompagnati, mediante degli ascensori, a conoscere gli stilisti e gli estetisti. Zoey e Courtney, questo il nome delle stiliste, presero con loro rispettivamente Jacques e Valérie.
-E’ un piacere aver a che fare con una bella ragazza come te. Sarà molto più facile impressionare gli sponsor.-
Il tempo passò in fretta, mentre i due tributi venivano lavati, profumati, spazzolati. Dalia li accompagnò poi all’undicesimo piano di un palazzo, dicendo loro che quell’appartamento li apparteneva. Fecero un veloce giro delle camere.
Vale rimase colpita dall’enorme terrazza alla quale si accedeva mediante la porta finestra della sala. Era enorme, e sporgendosi dalla ringhiera riusciva a vedere buona parte della città. In strada i capitolini sembravano tanti puntini colorati e indistinti, che gridavano i nomi dei tributi che li avevano maggiormente colpiti. La ragazza non riuscì a distinguere il proprio.
Poco più in là, oltre una fontana al centro di una piazza, si scorgeva lo schermo sul quale erano riportate le scommesse. Lo inquadravano spesso durante le riprese che mandavano in onda, per dare un’idea agli spettatori prima dell’inizio dei Giochi. Valérie era troppo in alto per vedere i numeri e le lettere, e si ripromise di chiedere a Dalia.
Venne richiamata dentro per il pranzo.
 
DISTRETTO 12
I due tributi del distretto 12 vennero condotti all'interno di un'enorme sala, da lì accompagnati da alcuni pacificatori in delle stanze piccolissime.
-Avete cinque minuti.
L'uomo vestito di bianco e ricoperto da alcune armi uscì dalla camera, poi la porta si spalancò e i genitori di Lizzy entrarono.
Lei sentì per un istante il cuore scaldarsi, sua madre la tenne tra le braccia per un'eternità, le sussurò parole tranquillizzanti nelle orecchie mentre le accarezzava la nuca.
Non ci fu bisogno di parlare troppo, sapevano cosa sarebbe successo, molto probabilmente quello sarebbe stato un addio.
-Devi combattere bambina mia, sei forte, sai cavartela, va bene?
Suo padre la guardò dritta negli occhi mentre le parlava. Sua mamma stava piangendo.
-Va bene.
Annuì. Avrebbe combattuto, si sarebbe messa in gioco, avrebbe dato spettacolo, come Capitol City voleva, ma non avrebbe vinto e di questo ne erano tutti coscienti.
-Ti vogliamo bene Liz, vinci!
I suoi genitori furono trascinati fuori dalla stanza quando il tempo fu scaduto. Fu a quel punto che la ragazza si sentì come mancare. Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe fatto?
Poco dopo Lauren entrò nella stanza, corse ad abbracciarla, piangendo.
-Liz, tu devi vincere, ok? Devi tornare a casa, devi batterti per la tua famiglia. Sono un'egoista- disse tra i singhiozzi -ma non ce la farei a sopportare un'altra morte dovuta a tutto questo.
Lizzy si rese conto che la sua migliore amica le aveva appena chiesto di uccidere, ammazzare per sopravvivere. Era un pensiero macabro, morboso, ma essenziale. Se avesse fatto ritorno al distretto la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.
-Ci proverò.
Lauren scosse la testa, poi la strinse di nuovo. Piansero un po’ insieme, forse non si sarebbero mai più riviste.
-Ti voglio bene Lauren.
-Anche io te ne voglio Liz.
Detto quello l'uomo entrò nella stanza, portandole via tutto ciò che aveva e lasciandola, questa volta, completamente sola.
Eleanor accompagnò i due ragazzi al treno, diretto verso Capitol City. Lizzy non disse una parola, si limitò ad annuire o rispondere a monosillabi. La donna parlò della magnificenza della capitale di Panem, lodando più volte il presidente. 
Anche Charlie non disse molto, Lizzy avrebbe voluto sapere cosa stava pensando quel ragazzo biondo che le camminava a fianco. Non lo conosceva, ma era sicura di averlo già visto da qualche parte.
Raggiunsero il vagone dei tributi, Eleanor si sistemò il caschetto biondo e aspettò che qualcuno le aprisse la porta. 
Un pacificatore li accompagnò per il corridoio, guidandoli verso uno spazio più ampio. Lì, ad aspettarli, c'era un uomo. 
Johnny Gross, mentore del distretto da fin troppo tempo, uno dei ragazzi che aveva vinto i giochi molti anni prima e che doveva controllare ed istruire i nuovi tributi.
L'uomo si alzò e gli andò in contro. Charlie gli strinse la mano, mentre Lizzy gli sussurrò un flebile "Salve".
-Venite ragazzi, sedetevi.
Eleanor si ritirò, dicendo che doveva sbrigare alcune faccende e che voleva dare spazio a Jhonny.
Si sedettero ad un tavolo in legno, Johnny sospirò pesantemente prima di iniziare a parlare.
-So perfettamente come ci si sente.- disse -Si è confusi, disorientati, non si sa bene cosa fare, l'ho passato anche io molto tempo fa e né ho un ricordo spiacevole.
Lizzy si rilassò leggermente, almeno era un uomo con la testa sulle spalle. 
-Prima di tutto volevo dirvi che io odio i giochi tanto quanto voi, eppure sono qui, ad aiutarvi. Per questo pretendo due semplici cose, da ognuno di voi. Sincerità e correttezza. Senza questi due fattori non potremo costruire un solido rapporto che è fondamentale in questo caso.
Lizzy annuì, era cosciente del fatto di dover essere sincera, ma non si sarebbe mai fidata, di nessuno. Era troppo fragile per poter affrontare qualsiasi bugia o tradimento, quindi non avrebbe riposto la sua fiducia in nessuno.
Charlie parlò, per la prima volta da quando erano lì dentro.
-Come facciamo a esser sicuri di poter essere sinceri? Si tratta di ammazzare persone, non di giocare con le bambole.
Si tirò indietro il ciuffo di capelli biondo cenere e si sedette più comodamente. Lizzy aveva già capito che questo ragazzo era sfacciato, ma perché doveva comportarsi così? Per sembrare più forte? Più sicuro?
Johnny lo guardo dritto negli occhi.
-Io sono qui, per voi. Non è una di quelle situazioni in cui ci si può permettere di fare i superiori o i preziosi, per cui se non avete voglia di collaborare la voglia passerà anche a me e a quel punto dovrete cavarvela da soli.
Parlò con tono estremamente calmo, non era arrabbiato e neanche innervosito. -Ora, so che può essere difficile essere sinceri, ma almeno con me dovreste esserlo. Non pretendo che voi due diventiate migliori amici e che vi confidiate tutto, ma almeno essere corretti l'uno nei confronti dell'altra. Capito?
Charlie non disse niente, Lizzy si voltò a guardarlo, era decisamente bello. Lineamenti fini, capelli biondi, occhi azzurri, quell'espressione sfacciata e misteriosa sul volto. 
-In cosa siete bravi?- Johnny ruppe il silenzio.
-Dobbiamo per forza dirlo?- chiese Charlie, quasi infastidito dal dover rivelare le sue capacità alla sua avversaria.
Lizzy non ne poteva già più di quel posto, voleva solo che tutta questa storia finisse.
-Io so cacciare un po’ e sono agile. Corro velocemente.
Disse senza pensarci troppo. Charlie e Johnny si voltarono stupiti verso di lei. Il ragazzo si stampò un ghigno sul volto.
-E' vero, sa correre così velocemente che l'anno scorso ha vinto la gara della scuola. -commentò -peccato che qui non basti saper cacciare un po’, ma bisogna saper uccidere. 
Charlie diventò serio e la fissò, facendola sprofondare. Come si permetteva di dirle una cosa del genere? Avrebbe dovuto esporsi anche lui, almeno lei lo aveva fatto. Distolse lo sguardo, sentendosi talmente inferiore da poter essere già morta.
-Grazie Lizzy, è già qualcosa.- Johnny le sorrise dolcemente. -dobbiamo solo perfezionare la lotta e l'uso delle armi, quindi sappiamo in che ambito dobbiamo lavorare.
-Credo che non basti perfezionare qualcosa, qui si tratta di saperlo fare dalla nascita. Noi non siamo stati allenati come dei favoriti, né tanto meno abbiamo la loro morale di vita, ergo, partecipiamo ai giochi come volontari, ammazziamo, vinciamo e godiamoci la nostra gloria. 
Johnny scattò, era inutile continuare buttare legna da ardere, ma forse Charlie non se ne rendeva conto.
-Allora, proprio perché voi non siete i favoriti questo vi toglie almeno la metà delle possibilità di vittoria, inoltre siete più deboli degli altri, ma altrettanto forti. I vostri padri lavorano in miniera, sanno cosa vuol dire faticare e lo sapete anche voi. Per cui adesso dovremo lavorare sodo per mettervi alla pari e poi potremo riparlare dei favoriti.
Lizzy trattenne il respiro, Johnny aveva detto la verità, avevano pochissime possibilità di vittoria.
-Grazie.- disse Charlie.
Johnny aggrottò le sopracciglia.
-Si, grazie, perché finalmente sei stato sincero. E' inutile farci mille raccomandazioni e rassicurarci, qui bisogna dire le cose come stanno ed è probabile che la nostra morte arrivi entro il prossimo mese, per cui grazie. Ora so di poter essere sincero anche io.
Lizzy rimase scioccata. Lui voleva solo che Johnny dicesse la realtà e la verità, in maniera da essere pronto ad affrontarle. Si sentì tremendamente stupida, lei aveva detto tutto senza troppi problemi.
Johnny sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. -Bene, allora aspetto di sapere qualcosa in più su di te.
Poi si alzò e si diresse verso la cucina, prese un coltello e glielo porse.
-Afferralo.
Charlie eseguì l'ordine.
-Bene, ora ruotalo a destra.
Fece l'azione.
-Ora a sinistra, ora ridammelo.
Quando ebbe di nuovo il coltello lo porse a Lizzy.
-Fai anche tu quello che ha fatto lui.
Lizzy afferrò il coltello, lo ruotò, prima da una parte e poi dall'altra, poi glielo porse.
-Bene, questo lo faccio sempre fare a tutti i tributi. Lo so che può sembrare stupido, ma da questi minuscoli gesti ho capito che sapete entrambi infilare un coltello nella carne di un animale e poi scuoiarlo. 
I due ragazzi annuirono, in effetti al distretto lo facevano spesso per procurarsi del cibo.
Johnny sorrise.
-Bene, vi lascio soli. Eleanor avrà bisogno di un resoconto.
Poi uscì dalla stanza.
-Scusa.- disse subito il ragazzo. -Non volevo metterti a disagio.
Lei lo guardò sorpresa. -Non importa, so di non essere la persona adatta per questo tipo di cose.- sussurrò.
Lui sorrise. -Nessuno lo è, adatto intendo. 
-Già...
Restarono un po’ in silenzio, fino a quando Eleanor entrò di nuovo nella sala.
-Ragazzi, vi riaccompagno nelle vostre stanza, domattina saremo a Capitol City. 
Li guidò verso la parte posteriore del treno. 
-Allora, le camere sono spaziose e solari, perfette a parer mio. - disse mielosamente. -Quella  destra è di Charlie, quella di fronte, a sinistra, di Lizzy. Buona notte.
Li fece passare e poi si voltò, ritornando sui loro passi. Era buio, anche un po’ freddo. Lizzy sbuffò e si strofinò le braccia con le mani.
-Ci vediamo domani allora. 
Disse lui, entrando nella propria stanza 
-Si, certo.
Stava per chiudere la porta, ma Lizzy lo bloccò.
-Le pensavi veramente quelle cose?
Lui scosse la testa. -Te l'ho detto, nessuno è pronto. Ho parlato anche a nome mio. Io so lottare, è vero, ma non posso dire di saper uccidere una persona. Volevo solo che il mentore la smettesse con tutte quelle stronzate e dicesse le cose come stanno.
-E come stanno le cose?- Lizzy conosceva la risposta, ma voleva sentirla da lui.
-Se in questo momento fossimo nell'arena moriremmo immediatamente, ma non lo siamo e quando lo saremo, saremo anche pronti a sopravvivere.
-Grazie per la tua sincerità Charlie. - disse lei imitandolo -Apprezzo il fatto che tu ti sia esposto, ora però devo dirti una cosa. Non prendermi in giro, perché ho capito chi sei appena hai accennato alla mia vittoria di corsa dell'anno scorso e siamo sulla stessa barca.
Lui annuì. -Mi stavo giusto chiedendo quanto ci avresti messo a capirlo.
-Beh, Josh manca anche a me. A me è morto un fidanzato, a te il cugino. Adoro Lauren e sono disposta a tentare di vincere, ma voglio la correttezza.
Lui si avvicinò a lei, la ragazza aveva preso un po’ di sicurezza, ma ora sapeva chi era Charlie. L'aveva conosciuto anni prima, quando Josh glielo aveva presentato. era un ragazzo a posto, carino, un po’ insolente e testardo, ma voleva troppo bene a suo cugino, erano come inseparabili. Il cognome era differente perché la parentela era da parte della madre.
 L'anno prima lo aveva intravisto alla gara di corsa con la scuola, ma non ci aveva parlato, per questo non lo aveva riconosciuto.
-Non ti preoccupare Liz, sarò correttissimo, a patto che lo sia anche tu con me.
 
 

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