My new dream

di calmali
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 4° capitolo ***
Capitolo 6: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 7: *** 6° Capitolo ***
Capitolo 8: *** 7° Capitolo ***
Capitolo 9: *** 8° Capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
 

È possibile innamorarsi di una persona solo ed esclusivamente attraverso il suono della sua voce?
È irrazionale crederlo?
Ho sempre sentito dire che si può parlare d’amore solo quando si è davvero a conoscenza di tutto ciò che fa parte di quella persona, dei difetti e dei pregi ma quella voce riusciva a scavarmi l’anima.
Era una voce femminile, leggermente roca ed estremamente profonda.
Non ero mai stata attratta da una donna ed, in fin dei conti, anche quella non si poteva classificare come vera attrazione era semplice e puro amore.
La prima volta che le mie orecchie ne avevano potuto apprezzare la melodia era stata una mattina di fine Agosto.
Mio padre mi aveva regalato una nuova sveglia e, senza neanche saperlo, l’aveva impostata con un programma radio, nell’attimo esatto in cui questo iniziava, la mia sveglia, a sua volta, si accendeva e trasmetteva la prima canzone della mattina.
Aprii gli occhi scocciata, non ero mai stata mattiniera e non avevo intenzione di diventarlo.
Il volume era troppo alto e per quanto la canzone trasmessa potesse essere piacevole in quel momento provai un odio profondo.

-Questa era “Landslide”, spero possa essere un buon risveglio per voi newyorkesi. -

Quella voce mi destabilizzò.
Fino al secondo prima ero intenzionata a spegnere quell’aggeggio infernale, l’istante dopo avevo ordinato alla mia mano di bloccarsi, la lasciai a mezz’aria mentre il sonno iniziava a sciogliersi nella mia mente.

-Sono le sette in punto, è il venticinque Agosto e New York è sempre più calda-

Ancora una volta la sua voce risuonò nella stanza ed io rimasi immobile per diversi istanti.

-Siete su Radio ND e anche questa mattina è Santana che vi parla. Spero che chiunque mi stia ascoltando possa avere una buona giornata. -

Sorrisi inconsapevolmente mettendomi seduta sul letto mentre una seconda canzone occupava il posto che fino a qualche istante prima era stato di quella voce.
Rimasi tutta la mattina ad ascoltare il programma radio fino a che Santana, passate le undici, non trasmesse l’ultima canzone.

-A domani, stessa ora, stesso posto, io sarò ancora qui e spero che ognuno di voi possa avere un nuovo sogno-

Mi ricordò in qualche modo Rapunzel, il cartone animato che avevo visto qualche anno prima con la mia sorellina poi però mi convinsi a non credere che potesse avere qualche legame logico.
Da quel giorno ogni mattina la canzone che mi svegliava cambiava ma la voce, quella voce rimaneva costante.
Diventò un rituale, il risveglio più bello che potessi avere.
Era come se in qualche modo le sue parole potessero aiutarmi ad affrontare la giornata che mi aspettava e anche nei momenti di sconforto, quando era difficile arrivare in fondo al mese perchè un misero lavoro in una copisteria non è sudficiente, quando non avevo nessuno con cui parlare o con cui sfogarmi, anche in quei momenti lei c'era.
I mesi passarono più in fretta di quanto avessi voluto.
Mi ero trasferita a New York qualche anno prima, appena dopo il diploma.
Lima ormai mi era diventata stretta.
A diciotto anni avevo investito tutta la mia vita su un sogno.
I primi anni furono relativamente facili per me, avevo un piccolo lavoro part time che, insieme al contributo dei miei, riusciva a pagarmi l’affitto.
Raggiunsi ottimi risultati alla Juliard ma quando i miei studi furono conclusi i risparmi erano praticamente inesistenti e di certo non potevo permettermi di aprire una scuola di ballo tutta mia mentre le scuole di ballo già aperte o non avevano necessità di nuovi ballerini oppure non avevano intenzione di assumerne una appena uscita dalla scuola.
Non potevo dire di avere la fortuna dalla mia parte.
A ventotto anni mi ritrovavo da sola e con un lavoro che riusciva a malapena a darmi il necessario per sopravvivere e che non mi soddisfaceva per niente.
Non ero felice.
C’era stato un periodo della mia vita in cui potevo dire di esserlo ma ormai quel periodo era passato senza lasciare traccia.
il freddo iniziò ad inondare New York e una mattina di Dicembre mi decisi a fare qualcosa per conoscere Santana, avevo desiderio di vederla, di conoscerla perchè non potevo aver avuto un colpo di fulmine per una voce.

- Stamani uscita di casa ho trovato la macchina ricoperta di neve, a quanto pare l'inverno ha colpito anche New York-

Così quella mattina Santana fece il suo ingresso nel programma radiofonico.
Nel corso di quei mesi avevo sentiro ogni sfumatura delle sua voce, forse era presunzione ma ero praticamente certa di riuscire a capire il suo stato d'animo.
Mi sembrò allegra, forse per merito della neve o magari era semplicemente l'aria Natalizia che stava iniziando a farsi strada sicuramente anche nella stazione radio.

- E dopo "White Christmas" mi piacerebbe ricevere qualche vostra chiamate e sentire da voi qual'è il vostro nuovo sogno-

La celebre canzone Natalizia prese il posto di Santana e il mio cuore perse un battito.
Mi allungai verso il comodino per prendere il mio telefono e comporre il numero della stazione radiofonica.
Santana riceveva qualche chiamata ogni mattina, spesso le domande che faceva erano svariate, una volta aveva chiesto di raccontare la storia più assurda mai sentita.
Mentre i primi squilli mi davano segnale che il numero fosse libero la canzone arrivò alla sua conclusione e la voce di Santana richiamò gli ascoltati alla realtà.

- Vediamo se c'è qualcuno che vuole condividere il suo nuovo sogno. Pronto! Chi sei?-

I "bip" del cellulare sparirono e al loro posto sentii quella domanda che mi mandò direttamente in panico, era così scontata, banale, di circostanza, così dannatamente facile.
boccheggiai senza fiato e mi sentii una completa idiota, non riuscivo a mettere insieme due parole, persino Lord Tubbington sarebbe riuscito a rispondere senza andare in ansia.
Chiusi gli occhi prendendo un respiro profondo.

- E se il mio nuovo sogno fossi tu? -

Parlò il mio cuore per me, perchè ormai la mia mente, per colpa di quella voce, si era sciolta come un ghiacciolo al sole.
Non aspettai una risposta diretta, posai il polpastrello sil tasto rosso del telefono e sentii il silenzio all'interno della mia stanza, un silenzio che per fin troppi istanti mi logorò lo stomaco.



-Serendipity's corner-
La sesta stagione di Glee sta per arrivare ed io non potevo davvero non scrivere una fanfiction su questa coppia.
Spero possa piacervi, vorrei sapere cosa ne pensate, se secondo voi vale la pena continuarla.
Questo capitolo è corto, lo so, più che altro ho preferito che fosse così perchè è proprio l'inizio :3
In più mi piacerebbe anche sapere se vi piacerebbe leggere il secondo capitolo dal punto di cista di Santana :)


 

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Capitolo 2
*** 1° Capitolo ***


1° CAPITOLO
*Santana*
«E se il mio nuovo sogno fossi tu? »
Nel corso della mia, ancora, breve carriera radiofonica ero stata protagonista di qualche situazione imbarazzante.
Ero solita porre agli ascoltatori una domanda ogni giorno, risposte ne arrivavano di più varie e mi era capitato di sentire ragazzi sputare frasi d’abbordaggio, spesso poco caste.
Io, dal canto mio, rispondevo sempre con tono e una certa ironia, mi piaceva più che altro perché sapevo che non avrebbero avuto nessuna possibilità con me e ne ero certa, non perché mi considerassi la donna più bella del mondo, anche se potevo vantare una certa autostima, ma semplicemente perché sapevo che non erano il mio genere.
Mi ero dichiarata lesbica ormai diversi anni primi, in generale odiavo le etichette ma la mia personale situazione era chiara, cristallina: provavo attrazione fisica solo ed esclusivamente per le donne.
Quella mattina però qualcosa mi bloccò dall’aprire bocca.
Sentii quella voce femminile dolce come la primavera e chiara come il vetro del tavolo su cui tenevo poggiati i gomiti.
Quella non era una frase pronunciata da ragazzini stupidi per avere un po’ di popolarità, per uno scherzo o per una scommessa.
Avevo sentito il tremolio di essa e ne avevo percepito le componenti, la sincerità, il nervosismo.
Mi sporsi in avanti verso il microfono mentre in cuffia la voce conosciuta di Puck mi riportò alla realtà.
«San! San sei in onda»
Con un battito di ciglia ripresi un minimo di razionalità, strinsi le labbra tra di loro fino a farle leggermente sbiancare.
«Mi dispiace che tu abbia buttato giù il telefono»
Mi dispiaceva davvero.
Spesso mi risultava facile non tenere in considerazione i pensieri altrui, mettere avanti la mia parte più menefreghista e non provare niente, neanche il sentimento più blando, per coloro che consideravo conoscenti ma in quel caso mi fu impossibile.
«Mi sarebbe piaciuto sentire ancora un po’ la tua voce»
Posai le labbra sull’anti-pop posto a qualche centimetro dal microfono.
Alzai gli occhi scuri come la pece sul mio amico che stava dall’altra parte della stanzetta insonorizzata, non era una stazione radio enorme ma mi potevo ritenere fortunata, era tutto ciò che avevo sempre sognato.
Sventolai l’indice verso la mia direzione per fargli capire che la prossima canzone l’avrei scelta io.
«Ogni sogno è raggiungibile, spesso non si possono realizzare ma ricordati che guardare il proprio sogno negli occhi spesso vale molto più della realizzazione stessa»
Cosa volevo davvero dirle?
Non lo sapevo neanche io.
Una parte di me non poteva che essere irritata, trovavo la sconosciuta ingiusta, l’altra parte, quella che in quel momento parlò per me, continuava a credere che in quella voce ci fosse qualcosa di speciale e neanche così tanto in fondo, voleva sapere di più.
«Ti dedico “Songbird” perché è la mia canzone preferita. Torniamo tra poco con altre chiamate»
Mi tolsi le cuffie solo un’ora più tardi dopo essermi congedata, la mattina dopo sarei tornata ancora una volta a lavoro ma fino a quel momento potevo rilassarmi.
Mi alzai in piedi, spesso durante le canzoni mi capitava di sgranchirmi le gambe ma, stranamente, quella mattina non l’aveva fatto e lo risentivo, avevo i muscoli particolarmente intorpiditi.
Uscii dalla stanzetta insonorizzata e ad aspettarmi c’era la faccia da schiaffi di Noah.
Io e Puck ci conoscevamo da una vita, eravamo cresciuti insieme, avevamo affrontato molti momenti importanti insieme soprattutto durante l’adolescenza, era senza dubbio il mio migliore amico, non che ex fase liceale, come già detto ormai ero certa di essere attratta dalle donne ma… beh, non lo ero sempre stata.
Posai gli occhi scuri sul suo volto e lampante il suo sorriso, tanto malizioso quanto idiota, fece capolino.
«Non azzardarti ad aprire bocca! »
Gli dissi secca anche se non potevo negare un certo divertimento.
Sapevo dove volesse andare a parare, dove fosse diretto, ormai quel sorriso era diventato fondamentale quando aveva intenzione di prendermi in giro, soprattutto se il campo scelto era quello amoroso.
«Hai fatto colpo! »
Scossi la testa mentre mi infilavo il cappotto e il cappello.
Non potevo passare tutto il resto della giornata a pensare a qualcuno che non aveva nemmeno avuto il coraggio di dire il proprio nome, non avevo intenzione di farlo.
Presto sarebbe diventato un ricordo rinchiuso in chissà quale scaffale remoto della mia mente, non ne avrei avuto memoria a breve.
«Non ha usato un numero privato»
Diedi per qualche istante le spalle al ragazzo mentre mi sistemavo, pronta ad uscire mi voltai verso di lui.
Piazzai lo sguardo più scocciato della storia ed aprii bocca.
«Senti Noah, mi fa piacere che tu abbia trovato la tua vera vocazione come wedding planner ma devi smetterla! primo perché se lo fai solo con me non guadagnerai neanche un soldo bucato e secondariamente perché sai che non ho bisogno di nessuna relazione, soprattutto non con una ragazza a cui ho sentito pronunciare solo una frase»
Sputai tutto d'un fiato, non ero arrabbiata, il mio tono non lo era ma volevo mettere le cose in chiaro.
Io non ero tipa da relazioni stabili, mi bastava fare colpo su ragazze facili in un locale diverso ogni sera, non avevo bisogno di sentimenti, di pianti isterici e di litigate costanti, rendevano tutto più complicato e a me non piacevano le cose troppo complicate.
«Non mi interessa se tu ti sei innamorato, non mi porterai nella ragnatela con te!"
Dissi, questa volta aggiungendo un sorriso, ero felice per lui semplicemente perché lui sembrava esserlo con Quinn ed non potevo desiderare di meglio che due amici felici insieme ma io, personalmente, continuavo a pensarla allo stesso modo, il sesso occasionale mi soddisfaceva di più e non sarei cambiata, probabilmente mai.
«Ti ha detto che sei il suo nuovo sogno San! Magari le farebbe piacere sentire la tua chiamata. »
lo guardai storto, non si sarebbe arreso tanto facilmente e lo sapevamo entrambi.
Sbuffai irritata mentre l'espressione infantile e speranzosa di Puckerman mi metteva soggezione.
Non capivo davvero cosa si aspettasse da me, sapeva come il mio cervello ragionava e sapeva che la mia testardaggine era unica.
«Hai paura che sia troppo brutta per i tuoi standard? »
Alzai gli occhi al cielo.
La possibilità che fosse brutta non mi aveva sfiorato neanche l’anticamera del cervello, era solo e semplicemente perché non mi importava, almeno era ciò che continuavo a ripetermi ma adesso che ci rifletto il vero motivo era un altro: riuscivo ad associare quella voce solo a cose positive, cose belle.
«Non sono così superficiale! »
Sapevo di esserlo ma in quel caso non mi sarebbe tornato comodo ammetterlo, credevo fermamente che l’occhio volesse la sua parte e aveva tutto un senso logico visto che non tenevo nessun altra qualità in considerazione, non avevo bisogno di altre qualità per fare sesso di una notte sola con una donna.
La faccia di Puck si tramutò e in essa traspariva un’espressione chiara ed esplicita che non aveva bisogno di parole ma che esprimeva a pieno la frase: “ma mi vuoi prendere per il culo?”.
«Okay, forse lo sono ma in questo caso non c’entra niente, è solo che mi sembra stupido chiamarla, non la conosco, non ho neanche idea di quale sia il suo nome e stando a ciò che mi ha detto non è una scopata che vuole da me»
Infilai le mani in tasca chiedendole a pugno, forse mi stavo scaldando un po’ troppo del dovuto, avevo alzato leggermente il tono di voce.
«Hai ventotto anni Santana, non ti sembra il caso di trovare qualcuno che possa davvero amarti? »
Quella domanda ormai nelle nostre conversazioni era come la torta di compleanno in una festa di compleanno… indispensabile.
Non avevo più risposte originali.
«Non ho intenzione di fare una caccia al tesoro e poi l'amore non mi è mai piaciuto»
Come se non avesse sentito neanche una parola che avevo appena pronunciato si avvicinò alla scrivania poco distante, dove erano poggiati molti dei mixer e delle attrezzature per i suoni non che un centinaio di cd, e iniziò a scrivere una serie numerica su un pezzettino di carta, me lo porse poco dopo.
«Se non ti fosse interessata non le avresti detto quelle belle parole, non sembravi neanche più tu! So che non la conosci ma lei ha fatto il primo passo magari tu puoi fare il secondo sempre che il tuo orgoglio spropositato te lo permetta»
M’imbeccò. Lasciai che la sua mano rimanesse a mezz’aria con quel pezzettino di carta per diversi istanti poi mi decisi a prenderlo, non proferii parola, questa volta non ne avevo per pararmi il culo.
Uscii dalla stazione radio che potevo chiamare mia regalandogli solo un ultimo sguardo pragmatico.
Il bigliettino andò a finire nel fondo della mia borsa ma il ricordo di quella voce continuava a rimanere costante sullo scaffale più in vista della mia mente tanto che quella sera decisi di rimanere a casa.
Non avevo voglia di sprecare energie, non avevo voglia di ridurmi a trovare un’americana sexy pronta a provare un po’ d’amore saffico e non mi andava neanche di ripiegare su qualche ragazza navigata ma troppo appiccicosa.
Seduta suo divano tenevo lo sguardo fisso sulla televisione senza davvero guardarla.
Una birra nella mano destra e il telecomando nella sinistra, non avevo idea di che ore fossero ma non avevo sonno, se fossi andata a letto avrei sprecato ore a rigirarmi, non che in quel momento stessi davvero utilizzando il mio tempo.
Per quanto mi sforzassi di non pensare alle parole irritanti di Puck e a quella ragazza che con una sola, semplice, stupidissima frase mi aveva imbambolato, non ci riuscii, quei pensieri continuavano a bussare alla mia mente ed io prontamente aprivo.
«Dio Noah! Ti odio!»
Imprecai al silenzio assoluto prima di lasciar cadere il telecomando sul divano.
Mi alzai di botto e andai verso la mia camera da letto, rovesciai completamente la borsa e finalmente, per ultimo, trovai ciò che mi serviva.
Il bigliettino sembrava più stropicciato del dovuto ma ogni numero era ben leggibile.
Tornai in salotto con la consapevolezza che stavo per fare la più grande stronzata della mia vita, di solito erano le ragazze che mi chiamavano, non era il contrario, pensandoci però teoricamente era stata lei a chiamarmi ma forse non poteva essere tenuta in considerazione, primo perché l’aveva fatto nel mio programma radiofonico e secondariamente perché quella della mattina passata non era stata neanche una vera conversazione.
Composi il numero di telefono e anche se convinta di aver toccato i tasti giusti rilessi più volte quella sequenza, ero bravissima quando era necessario perdere tempo.
I “bip” mi riempirono la mentre annunciandomi che il numero chiamato era raggiungibile e non occupato, lo stomaco mi si capovolse, mi sentii una ragazzina davanti alla sua prima interrogazione, probabilmente nella fretta quella mattina avevo perso tutta la mia fottuta autostima per la strada.
Mentre mi mordicchiavo le labbra si attaccò la segreteria telefonica, mi lasciai andare ad un morso leggermente più incisivo imprecando subito dopo con me stessa –per fortuna mi degnai di farlo nella mia mente-. “Hai appena chiamato il telefono di Brittany, sto cercando un arcobaleno, adesso non posso risponderti, lasciami un messaggio in segreteria, adoro ascoltarli!”
Riconobbi quella voce, senza dubbio più squillante e allegra di quanto non fosse quella mattina, sorrisi inconsapevolmente consapevole che quella fosse la segreteria telefonica più insensata della storia.

«Ciao»
Non era di certo un buon inizio, non lo era neanche per un bambino delle elementari figuriamoci per una donna di ventotto anni.
«Scusa il disturbo, mi sento così stupida in questo momento, non ti avrei dovuta chiamare»
Le parole uscirono dalla mia bocca come un fiume in piena, senza che io avessi la possibilità di pensarci, solitamente ero molto più riflessiva, pronta nelle risposte ma ogni risposta era sempre e comunque calcolata e pensata.
«Sono Santana, quella che parla alla radio»
Nessuno mi aveva mai definito in tal modo e sicuramente non avrei mai pensato che quella cogliona che l’avrebbe fatto sarei stata proprio io, la vita è strana…
«Volevo solo farti sapere che il tuo sogno non è così lontano come credi, forse ora è meglio che finisca di blaterale, ciao»
Chiusi la telefonata così come l’avevo finita, lasciai il telefono sul divano con poca delicatezza, le mani andarono tra i capelli scuri.
Se pochi minuti prima credevo di stare per compiere la stronzata più stronzata sulla faccia della terra, dopo averla compiuta mi sentivo una merda e fin troppo domande iniziarono a litigare nella mia mente per avere la meglio.
In una scala da uno a dieci la mia figuraccia quanto era di merda?
mi avrebbe richiamato?
quello era il numero giusto?
Potevo rispondere solo a poche di queste, sicuramente era il numero corretto, avrei distinto la sua voce tra mille e la cosa mi inquietava.
Sapevo il suo nome, la cosa mi consolava da un certo punto di vista, quella figura di merda non era stata poi tanto inutile ed ora, nel momento esatto in cui vi sto parlando, vi posso assicurare che di inutile ebbe ben poco.
«Ma che cazzo fai Santana? Quanto ti sei rammollita!»
Ormai ero arrivata al punto di parlare con me stessa, non c’era via di ritorno, quella ragazza aveva avuto un potere assurdo su di me anche se, in fin dei conti, non aveva fatto niente.
Chiusi gli occhi e ancora una volta il pensiero di Lei appari chiaro nella mia mente anche se di chiaro c’era ben poco.





-Serendipity's space-
per prima cosa voglio ringraziarvi, tutti quelli che hanno letto la storia e colore che l'hanno recensita, chi l'ha messa tra i preferiti o semplicementre tra le storie da ricordare, grazie.
spero che questo nuovo capitolo possa piacervi, per qualsiasi appunto, suggerimento o commento postivio o negativo recensite, mi fa piacere leggervi.
il prossimo capitolo, ovviamente, sarà nuovamente incentrato su Brittany poi, probabilmente, da quello dopo inizierò a scrivero il capitolo da entrambi i punti di vista, vedrò un po' che fare, voi cosa preferireste?
 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 2° Capitolo ***


-Brittany-
Mi era sempre piaciuto particolarmente sognare, sogni ad occhi aperti o ad occhi chiusi, non c’era differenza, entrambi riuscivano a portarmi in un mondo tutto mio in cui ero immersa la maggior parte del tempo.
Spesso i miei sogni erano caratterizzati da creature fantastiche come: fatine, elfi, unicorni e quasi sempre, o per lo meno molto spesso, un arcobaleno appariva sullo sfondo.
Ero consapevole che tutto ciò fosse estremamente infantile ma lo ero sempre stata, al liceo molti mi prendevano in giro per questo, per quanto potessi essere popolare ogni dispregiativo mi veniva affibbiato, tra i tanti, però, quello che davvero riusciva a ferirmi di più era “stupida”, mi tagliava l’anima in tanti piccoli pezzettini, nel corso degli anni me l’ero sentito ripetere così tante volte che per un lungo periodo avevo creduto di esserlo.
Fino a pochi anni prima avevo creduto a cose come:
-Babbo Natale
-Magia
-Leprecauni
Questa era senza dubbio la mia top 3
Poi ero cresciuta, ero maturata, qualcuno mi aveva aperto gli occhi e avevo smesso di crederci ma mai e poi mai avrei smesso di sognare, ero una sognatrice provetta, sarebbe stato tutto talento sprecato.
Comunque questa digressione infinita solo per dirvi che mentre il mio telefono cellulare continuava a squillare lamentevolmente io me ne stavo sotto le coperte cullata dalle dolci braccia di Morfeo.
Non ricordo precisamente cosa stessi sognando ma senza dubbio qualcosa di davvero figo perché neanche l’ennesimo squillo mi svegliò.
La segreteria telefonica rispose al mio posto ed io continuai a dormire per diverse ore, mi svegliai solo nel cuore della notte quando quel sogno si trasformò in un incubo e sudore freddo iniziò a bagnarmi la pelle.
Aprii gli occhi spalancando le palpebre e mettendomi subito a sedere, le mani aggrappate alle coperte segno che avevo cercato subito appiglio.
Il fiato mi si stabilizzò dopo diversi minuti così come il battito del mio cuore, neanche da bambina avevo mai fatto un sogno tanto brutto, non ricordavo i particolari ma ero certa che fosse terrificante, era ovvio in effetti, non era un momento facile per me, scaricavo tutto nei sogni.
Mi alzai infilandomi la felpa verde acqua che aveva poggiato prima di addormentarmi sul bordo del letto.
I pantaloni del pigiama troppo corti per la mia altezza fecero passare lungo la mia pelle l’aria fredda e rabbrividii senza poter far niente.
Andai in cucina per bere un bicchiere d’acqua cosa che alla fine non feci, mi fermai infatti davanti al bancone dove era poggiato il cellulare, chissà per quale assurdo motivo.
Lampeggiava di blu, avevo impostato personalmente ogni lucina così da poter capire immediatamente cosa mi ero persa, se un messaggio, una chiamata o cose simili, ed ero convinta che il blu fosse associato alle chiamate.
Posai l’indice sul tasto centrale del telefono che segnava le due e mezzo di mattina, la chiamata era stata fatta qualche ora prima ma non più di due.
Osservai il numero a me sconosciuto, in piccolo l’orario “00:38” fece balenare nella mia mente una domanda, in effetti, parecchio logica.
Chi accipicchia può avermi chiamata a quell’ora?
Mi raccolsi i capelli biondi in una coda di cavallo con il laccio che tenevo perennemente al polso, quando ovviamente non stava a tenere i capelli.
Decisi di sentire immediatamente i messaggi in segreteria, posai nuovamente il telefono sul bancone mentre quello in vivavoce mi fece sentire il primo messaggio risalente al pomeriggio.
Era Mike, un mio vecchio compagno di scuola, eravamo sempre stati parecchio amici, nell’ultimo anno lui era partito per un tour come ballerino al fianco di un cantante, per lui era stato parecchio importante, a me mancava la sua compagnia e, infatti, quanto sentii la sua voce annunciare il suo ritorno sorrisi entusiasta, l’avrei chiamato il giorno dopo e ci saremmo messi d’accordo per vederci.
Presi un bicchieri dallo sportello più in alto della cucina e mentre il secondo messaggio partiva accesi l’acqua.
Posai il bicchiere sotto al lavandino, una volta pieno chiusi l’acqua e mi volta, la voce di mia madre lasciò la stanza, mi ero scordata di chiamarla, di solito lo facevo spesso ma proprio mi era passato di mente, forse volevo solo far finta che mi fosse passato di mente per evitare di dire un'altra bugia, per evitare di dire che stavo bene, che ero felice, che New York è una figata.
Il terzo ed ultimo messaggio prese possesso della stanza mentre io mi apprestavo a portare il bicchiere alle labbra leggermente screpolate.
Tempo tre secondi, nell’istante in cui riconobbi Quella voce il bicchiere mi scivolò dalle mani cadendo fragorosamente a terra e rompendosi in mille pezzi, non impreco spesso ma, in quel caso, fu inutile trattenermi.
Lasciai perdere il disastro che avevo appena fatto e che mi aveva reso parte del pigiama bagnato e corsi verso il telefono, rischiando di cadere per il pavimento bagnato (adoro gli sport estremi!).
Feci ripartire il messaggio e lo ascoltai una seconda volta.

“Oh cacchio!”

Fu l’unica cosa che mi uscì dalla bocca, Santana mi aveva contattato; Santana! La tizia della radio che quella mattina avevo chiamato; Santana, la voce che sentivo ogni singolo giorno e per la quale mi scioglievo, quella che ormai non temevo a definire il mio “nuovo sogno” anche se definitivamente era assurdo farlo.
Presi il telefono e andai di nuovo in camera da letto, mi sdraiai fregandomene del pigiama e feci ripartire il messaggio.
Quella notte o meglio, quella mattina ascoltai quel messaggio non stop come si fa con una canzone che ti piace particolarmente, perché è bella, perché ti fa salire un brivido lungo la schiena e ti crea le farfalle nello stomaco, perché ogni nota è unica.
Chiusi gli occhi e mi limita ad apprendere ogni sfumatura di quella voce, sorrisi più volte, la trovavo sexy da morire, senza dubbio percepii quel nervosismo evidente che la rendeva adorabile, mi addormentai con la voce roca di Santana a farmi da ninna nanna senza che questa volta un sogno potesse disturbare il mio sonno.
Fu la radio a svegliarmi.
Nella mano destra, ben saldo, stava ancora il cellulare, la voce di Santana ormai era diventata la mia melodia preferita.
Posai lo sguardo sulla sveglia, segnava le 7:00, non riuscii, a quel punto, a trattenermi da uno sbuffo rumoroso.
Dovevo alzarmi, dovevo alzarmi ed affrontare diversi punto.
Spensi la sveglia, non potevo sentire ciò che Santana quella mattina avrebbe detto, assolutamente no, non avrei retto.
Mi feci una lista mentale cercando di mettere a posto ogni singola necessità della giornata.
1°- Fare Colazione.
Okay, magari questo punto non era proprio il punto principale della giornata, per lo meno poteva sembrare “non necessario” per molti ma per me era di vitale importanza, dovevo assolutamente assimilare qualche zucchero, in caso contrario non sarei riuscita a mettere in moto il mio cervello.
2° - Chiamare Santana.
Era senza dubbio la cosa che volevo più fare, perché quella voce mi aveva conferito speranza e anche parecchia gioia, volevo sentirla ancora una volta. Poi però ci ripensai, una morsa iniziò ad attanagliarmi lo stomaco e, allora, a quel punto, decisi di cambiare l’ordine delle necessità.
2° -Chiamare Santana Mike.
Lui senza ombra di dubbio sarebbe stato in grado di aiutarmi, era un ragazzo a posto e, in generale, saperva farci con le ragazze.
Quando quelle ultime parole solcarono la mia mente un'altra necessità venne a galla.
3° - Interrogarsi sul proprio orientamento sessuale.
Non mi ero ancora posta questo problema. Inizialmente avevo sottovalutato la cosa poi ero stata troppo presa dal momento.
Avevo bisogno di fare chiarezza nella mia mente incasinata.
Ero lesbica?
Insomma… non avevo mai avuto niente contro le persone omosessuali, credevo nell’amore e avevo la convinzione che fosse l’unico fattore importante. Probabilmente dovevo solo ed esclusivamente basarmi su questo punto.
Dovevo credere nell’amore e basta ma allora… Ero innamorata?
Dio mio! Stavo dando i numeri, non potevo essere cotta di una voce, non potevo provare quel genere di sentimenti per una persona che non avevo neanche mai visto di persona.
Diamine no! Mi passai una mano tra i capelli biondi che ricadevano leggeri sulle mie spalle. Scossi la testa come si fa quando, dopo aver fatto la doccia, sembra di avere l’acqua nelle orecchie, allo stesso modo cercai di togliere ogni tipo di pensiero dalla mia mente.
4° Andare a lavoro.
Aveva un turno abbastanza tardo. Non era di certo qualcosa che mi andava di fare ma si poteva classificare come “necessità” semplicemente perché senza non sarei riuscita a pagare l’affitto di quel mese.
5° Chiamare Santana.
Il punto che avevo messo all’inizio era finto rovinosamente in fondo alla lista, non perché fosse il meno importante ma perché era quello che mi metteva più agitazione, non sarei stata in grado di parlarle.
Mi alzai dal letto e andai in cucina, decisi di coniugare il punto 1 e 2, quindi chiamai Mike per invitarlo fuori per colazione. Mi fece davvero piacere sentire la sua voce e ancora di più scorgere il suo volto simpatico un’ora dopo nel cafè poco vicino da casa.

“Britt! Quando mi sei mancata!”

Corsi tra le sue braccia stringendomi a lui.
Non dissi niente ma il mio sorriso raggiante e la mia stretta parlavano senza dubbio per me.
Mi era mancato; Mi era mancato perché era il mio migliore amico e adesso che potevo stare nuovamente tra le sue braccia mi sentivo al sicuro e, senza dubbio, non più sola.
lo guardai per dversi istanti, i miei occhi cercavano di abituarsi nuovamente a quella figura che per diversi anni era stata un pilastro fondamentale della mia vita e che senza dubbio sarebbe ornata ad esserlo.

“Hai fatto palestra? Sembri più muscoloso!”

Ridacchiai di gusto mentre prendevo posto al piccolo tavolino scelto dall’asiatico.
Posai gli occhi azzurri su di lui per diversi istanti prima che lui, con una risata, mi rispose.
Decisi di togliermi il cappotto scuro, la temperatura all'interno del locale era piacevole.
Come ogni mattina non avevo dedicato molto tempo alla scelta dei vestiti, sceglievo sempre ciò che mi andava al momento, spesso anche ciò che i miei occhi individuavano per primi e qualche ora prima, ancora mezzi assonnati e appannati dalla voce di Santana, si erano soffemai su un maglione con un unicorno ricamato.
Fantastico!

“Sai com’è! Alle ragazze piacciono i muscoli!”

Mi fece un occhialino ed io scossi la testa fintamente contrariata.
Sapevo bene che Mike era un tipo abbastanza serio, non era davvero un donnaiolo anche se gli piaceva farmelo credere.

“Mi sono innamorata Mike!”

Buttai la bomba senza un minimo di preavviso, lo dissi con così tanta convinzione che mi stupii di me stessa.
Lui, in risposta, aprì bocca poi la richiuse, non sapeva cosa dire probabilmente e a quel punto fu salvato dalla cameriera che ci chiese le ordinazione, qualche minuto di riflessione per Mike e poi, quando la cameriera se ne andò, fu costretto a dirmi qualcosa.

“Da quand’è che hai iniziato a bere di mattina?”

Si buttò sul sarcastico forse per tastare il terreno e per capire se lo stavo prendendo per il culo o se, invece, stavo dicendo davvero sul serio.
Non potevo biasimarlo, stavo rivoluzionando delle certezze.

“Mike! Dico sul serio, mi sono innamorata ed è assurdo perché non la conosco neanche, è diversi mesi che la sento alla radio, l’ho chiamata ieri in diretta e ho detto una roba smielata che non so neanche da dove mi è uscita, ho fatto la figura di merda più brutta della storia, ne ero sicura e consapevole ma ieri notte mi ha chiamato, io non ho risposto e allora mi ha lascia un messaggio in segreteria e ho ascoltato la sua voce ancora e ancora e ancora, senza interruzioni. Sto impazzendo, voglio conoscerla e…”

Parlai senza neanche prendere fiato, lo facevo spesso nei momenti di panico, fu Mike a fermare quel flusso incontrollabile di parole sconnesse.

“Alt! È una ragazza?”

Alzò la mano destra  la figra del mio amico asiatico con una paletta da poliziotto e un fischietto in bocca ce cerca disperatamente di dare un ordine al traffico, mi balenò nella mente.
Cacciai subito quell'immagine, non era il caso di scoppiare a ridere per nessun motivo apparente.
Mi mordicchiai il labbro inferiore nervosamente, avevo la gola secca, mi sentivo presa in flagrante.

“Sei sconvolto? Si sei sconvolto!”

Non lo lasciai neanche rispondere, aveva uno sguardo illeggibile ed io, fino a quel momento, mi ero sempre vantata di poterlo leggere perfettamente.
Le mie certezze stavano crollando, l'ho già detto?
non fa male ripeterlo.
Presto mi sarei ritrovata sovrastata dalle maerie delle mie certezze.

“Non è una cosa brutta, insomma se è amore è amore no? Non ho mai provato niente per una ragazza ma forse è perché non avevo mai incontrato la persona giusta e…”

Fui nuovamente io a parlare.
Mi guardò ancora più interrogativamente e solo a quel punto decisi di tapparmi la blocca così da lasciarlo parlare.
La cameriera ci portò le ordinazioni, iniziai a bere il mio cappuccino e così fece anche il mio amico.
Un silenzio imbarazzante prese posto tra noi due, almeno imbarazzante per me, non ero certa che per Mike fosse lo stesso, sembrava tutto fuor che imbarazzato.

“Esiste la regola dei tre giorni. Lei ti ha richiamata dopo neanche un giorno, questo sta a significare solo due cose: o è disperata oppure è interessata a te, molto interessata”

Gli sorrisi grata, non mi stava tormentando di domande, aveva semplicemente lasciato perdere il fattore “donna” come se non fosse stato un punto importante in quel discorso, era ciò di cui avevo bisogno, avrei affrontato quel piccolo dettaglio in un altro momento.
“Sai almeno come si chiama?”
Buttai giù il sorso di cappuccino che mi riempì lo stomaco ormai caldo. 
A quella domanda sapevo rispondere e mi sentivo anche abbastanza orgogliosa di ciò.

“Santana. Conduce il programma radiofonico ND”

Annuii pensieroso, fece mente locale, lo potevo vedere da quella ruga che gli era spuntata sulla fronte, si stava concentrando più del solito.

“Santana Lopez!”

Disse lui convinto, come se avesse appena trovato la soluzione ad un problema di trigonometria quantistica(?).
Per caso la conosceva?
Mi passai una mano tra i capelli legerùnte titubante.

"Non so come si chiama di cognome ma presumo sia lei, non ci sono molte "Santana" in giro, soprattutto non molte che conducono un programma radiofonico a New York"

Forse aveva sentito anche lui il programma, non era sconosciuto o forse lo pensavo soo ed esclusivamente perchè per me era il solo ed unico programma radiofonico interessante che ci cosse in circolazione?!

"Britt! Quella donna riuscirebbe a rendere lesbica anche la donna più etero di questo pianeta"

Rise, rise di gusto quando io non ci trovavo niente da ridere.
Sembrava saperla lunga Mike ed io, all'oscuro di chi fosse veramente Santana, rimasi in silenzio con il cuore in gola.
Non parlai più per il resto della mattinata, il mio amico mi mise in guardia.
Quella non era la ragaza per me, almeno così la pensava lui, sembrava preoccupato che potesse spezzarmi il cuore ma io ero abbastanza certa che non ne fosse capace.
Ero riuscita a leggerle l'anima, probabilmente il mio era egocentrismo, puro e semplice.
Le ore passarono senza che io neanche me ne accorgessi.
pnsai tanto tra le strade di New York, mi aiutava camminare per far circolare meglio ogni preoccupazione ma quel pomerggio non funzionò davvero.
Entrai nella copisteria con il doppio di domande che mi avevano assillato una volta uscita dal bar.
Presi posto dietro al bancone e cercai di concentrarmi solo ed esclusivamente sul lavoro, non che fosse necessaia una grande concentrazione per quel tipo di impiego.
Non avevo grandi compiti, mansioni o responsabilità e di clienti, a New York, in una copisteria beh... ne entravano davvero pochi.
Spesso chi entrava lo faceva per comprare dell'inchiostro o cose simili ma al massimo ruscivo a vedere tre o quattro clienti per turno i lavoro,ero certa che sarebbe fallito tutto nel giro di poco.
Il rumore del campanello mi distolse dalla lettura che mi ero portata da casa: "il giovane Holden".
Posai il libro sul bancone, il tempo di mettere a fuoco la figura che mi tava davanti e sorrisi di circostanza.
Ero pronta a ripete la classica frase convenzionale "posso esserle utile" ma il moro davanti a me mi precedette.

"Il bagno?"

Mi limitai a fare un cenno con la mano verso il piccolo corridoietto sulla mia sinistra e lui in un lampo svanì.

"Puck datti una mossa! non ho tempo da perdere per un inetto come te"

I miei occhi rapidi scattarono sulla seconda figura che non avevo visto entrare.
Mora, capelli lunghi che ricadevano sulle spalle, pelle ambrata, fisico perfetto e due occhi tanto scuri da poter definire infiniti.
Rimasi a bocca aperta, non solo per tutta quella bellezza che in una volta mi sconvolse ma perchè...
io quella voce la conoscevo.



Serendipity's space.

Eccomi co un nuovo capitolo!
mi scuso per il ritardo, chiedo venia ma purtroppo la mia connessione è stata assente fino a qualche ora fa.
Comunque prometto che preso arriverà un nuovo capitolo :3
Grazie a tutti per le recensioni, ogni commento mi fa sempre molto piacere.
Ringrazio anche coloro che seguono la storia <3

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Capitolo 4
*** 3° Capitolo ***


-Santana-


Imprecai per l’ennesima volta in spagnolo.
Il buio della stanza sembrava risucchiare ogni parolaccia.
Non ero riuscita a chiudere occhio un singolo istante.
Dopo la telefonata a Brittany, ogni dubbio, ogni paura, ogni domanda mi aveva assalito e il materasso, che fino a poche ore prima, non esitavo a definire: il più morbido in circolazione, ormai era diventato confortevole quanto una distesa di spine.
Dovevo tornare assolutamente ad essere la Santana di sempre, la ragazza che non ha interesse per nessuno e che se ne frega del mondo.
I sentimenti portano dolore; i sentimenti portano pensieri; i sentimenti portano notti insonni.
In pratica i sentimenti non servivano praticamente a niente che potesse essere classificato come positivo e allora perché diamine facevano parte del pianeta terra?
Ma soprattutto: perché la maggior parte delle persone credeva fermamente che l’amore sentimentale fosse qualcosa di eccezionale?
L’amore fisico!
Quello sì che poteva essere definito eccezionale, faceva bruciare calorie e metteva a freno ormoni in subbuglio.
Sbuffai rumorosamente un ennesima volta.
Continuare a porre domande alla propria coscienza era inutile, non dovevo assolutamente allarmarmi per così poco, non avevo davvero provato dei sentimenti per una voce, è impossibile giusto?
E poi, siamo seri!
Quella segreteria telefonica era degna di una dodicenne.
Dopo essermi rigirata tra le coperte per ore, la sveglia aveva deciso di salvarmi dalla tortura.
L’immagine che rifletteva lo specchio del bagno non mi piaceva per niente.
Due occhiaie scure sottolineavano gli occhi assonnati, il trucco non avrebbe fatto miracoli, l’unica fortuna che avevo era la pelle, abbastanza scura da non farmi sembrare fatta fino al midollo.
Mi infilai un paio di jeans abbastanza attillati da mettere in risalto il sedere e una camicetta azzurra, a coprire tutto un cappotto nero abbastanza pesante.
Neanche le mie scarpe preferite, decoltè nere, riuscirono a tirarmi su l’umore.
Occupai l’intera mattina alla stazione radio e il pensiero di Brittany piano, piano scemò fino a diventare quasi inesistente, c’era ma era nel retro della mia mente, ben nascosto sotto ogni altro pensiero.

“Pranziamo insieme? Quinn è a lavoro tutto il giorno.”

Mi lasciai andare sulla poltrona di Puck, se l’era portata direttamente da casa, mi aveva ripetuto più volte che per concentrarsi doveva stare comodo.
Non avevo creduto nemmeno un singolo istante a tale fesseria ma non gli avevo negato quella piccola comodità perché era anche mia in fin dei conti.

“Va bene! A patto di evitare quella catapecchia neozelandese dove mi hai costretto ad entrare l’ultima volta”

Ripensandoci riuscivo ancora a ricordare il saporaccio del cibo che ci avevano servito, sarebbe stato meglio qualsiasi altro posto, quello era poco ma sicuro.

“Andata!”

Disse Puck, solo a quel punto decisi di alzarmi dalla poltrona.
La giornata passò velocemente, non avevo niente da fare, mi lasciai quindi convincere dal mio amico che, come un bambino, non aveva smesso un secondo di propormi una passeggiata al parco.
Sapevo che dietro c’era molto altro che il suo improvviso bisogno di smaltire calorie.
Voleva parlarmi, voleva chiedermi di Lei.
Quinn lo stava facendo diventare fin troppo pettegolo per i miei gusti, insopportabile!
Non feci in tempo a mettere piede all’interno di Centra Park che una raffica di domande mi colpirono e per un attimo mi sembrò di avere accanto proprio la mia amica bionda.
-l’hai chiamata?
-che gli hai detto?
-hai scoperto qualcosa in più riguardo a lei?
-San devi darti da fare, non puoi passare il resto della tua vita a cercare ragazze facili.
Tra le domande, ovviamente, non mancavano i rimproveri.

“Smettila! Mi sembra di avere un disco rotto affianco”

Dissi scocciata.
Ero riuscita fino a quel momento a non pensare a Brittany e lui stava rovinando tutto.
Mi passai una mano tra i capelli scuri e un po’ mossi in modo abbastanza nervoso.

“La domanda giusta da porre è un'altra.”

Non riuscivo a mantenere un tono che non tendesse eccessivamente all’irritato e, in effetti, non mi sforzai neanche di farlo.
Io non mi ero mai impicciata nella vita sentimentale di Noah, in primis perché non mi interessava e secondariamente perché non ero mai stata brava con i sentimenti quindi… beh, quindi lui non doveva impicciarsi nella mia.

“Vuoi riprodurti Puckerman? Se così è chiudi quella dannata boccaccia. Ne abbiamo già parlato, non immischiarti nella mia vita sentimentale.”

Snixx stava cercando di uscire a tutti i costi.
Ah già! Snixx è l’altra me, quella violenta.
Spesso e volentieri riusciva a prendere il controllo del mio essere e beh, insomma, quando Snixx ha voglia di fare a botte niente e nessuno può fermarla.
Presi un respiro profondo, l’aria fresca mi riempì i polmoni e cercai tutta la calma che ancora si trovava in me, sapevo che Puck non voleva niente se non il mio bene.

“Lo dico per te okay? Io e i sentimenti non andremo mai d’accordo, è uno spreco di energie il tuo.”

Gli spiegai con voce sicura anche se più pacata.
Il mio amico, che continuava a camminare al mio fianco, chiuse finalmente il becco e la conversazione su Brittany venne archiviata.
Tra l’altro non riuscivo davvero a capire perché Puck insistesse proprio su di lei.
Se glielo chiedessi ora, probabilmente mi risponderebbe che lui da veggente quale è aveva già visto il collegamento che ci univa ma forse e dico forse, la sua era solo insistenza senza un reale motivo.
Quando arrivò il momento di tornare a casa, perché ormai il sole stava calando, decidemmo di percorrere un tratto a piedi, casa di Noah non era distante ed io avrei potuto prendere un taxi dopo averlo accompagnato.
A metà tragitto, in conferma di ciò che ho detto poco fa su Puck e il suo essere bambino, dovemmo fare una “sosta pipì”, così la chiamava lui.
Entrò nel primo negozio che vide sulla sua destra ed io non feci neanche in tempo a leggere l’insegna esterna.
Chiusi la porta dietro di me.

“Puck datti una mossa! non ho tempo da perdere per un inetto come te”

Scossi la testa, e senza neanche rendersene conto qualche secondo dopo mi stavo immergendo negli occhi più belli che avessi mai visto.
Nei primi istanti mi domandai se fossero veri, poi mi diedi della stupida, quella ragazza sembrava un angelo e i suoi occhi non potevano di certo essere lenti a contatto colorate.
Deglutii prima di ritornare in me stessa.
Feci qualche passò all’interno del negozio che, per inciso, non avevo ancora capito che cosa diamine vendesse.
L’espressione sul volto della ragazza mi fece sorridere.
Sembrava essere sconvolta, non riuscivo a capirne il perché, continuava a spostare lo sguardo dal mio volto al pavimento come se avesse paura di qualcosa che ancora io non sapevo.
Il silenzio riempì la stanza, un silenzio che si rivelò essere pungolante, per questo decisi di distruggerlo.

“Devo comprare qualcosa?”

Chiesi quasi retoricamente, di solito era una mezza regola (anche se non scritta) che se si entrava in un negozio per usare il bagno era necessario comprare qualcosa, anche la più piccola.

“Non ho idea però di che cosa si venda qua dentro”

Mi guardai intorno un po’ interrogativamente per poi tornare a guardare l’angelo davanti a me, lei in risposta rimase muta, continuava a mordicchiarsi le labbra come se si stesse sforzando di non emettere neanche il più piccolo suono.

“Il gatto ti ha mangiato la lingua biondina?”

Chiesi con un sorriso che avrebbe fatto sciogliere anche l’iceberg più congelato del mondo.
Se fosse stata un’altra giornata quella biondina me la sarei portata a letto senza problemi ma non ero davvero dell’umore adatto.
Non proferì parola, si limitava a guardarmi con gli occhi spalancati.
Era muta o mi stava prendendo per il culo?

“Lord Tubbington non lo farebbe mai!”

Sentii la sua voce, cristallina, pura come il vetro della mia scrivania...
Alzai le sopracciglia prima che lei decidesse di darmi le spalle, si girò nuovamente dopo una manciata di secondi e a quel punto non potevo che guardarla ancora più interrogativamente.
Avevo sentito miliardi di voci nel corso della mia vita, le voci facevano parte del mio lavoro ed era mio compito, in un certo senso, ascoltarle.
Mi stavo sbagliando, sicuramente mi stavo confondendo e poi chi diamine era Lord Tubbington?

“E non è necessario comprare qualcosa.”

Aggiunse subito dopo diminuendo il tono della voce.
Io, impalata mi immersi nei suoi occhi celesti per cercare l’aria che sentivo mancare.





-Brittany-


Mi girai dandole le spalle e chiusi gli occhi per mettere insieme ogni idea sensata che potesse passarmi per la testa in quel momento.
Avevo tentato di non aprire bocca, mi sembrava l’opzione migliore ma non ero proprio riuscita a trattenermi, Lord Tubbington non mi avrebbe mai mangiato la lingua, spesso era scorbutico ma non era cattivo.
Se avessi potuto sarei scappata da quel negozio, peccato che la commessa ero io e che non potevo abbandonarlo come se niente fosse.
Sentivo le gambe farsi sempre più molli, come se fatte di gelatina.
Le farfalle presero posto nel mio stomaco e beh… persi totalmente il controllo di me.
Era bella, troppo bella per essere reale, i suoi lineamenti erano simili a quelli di una dea e la sua voce era stata la mia ninna nanna ma dal vivo sembrava essere ancora più melodiosa e sexy allo stesso tempo.
Tornai ad osservarla, non volevo fare la figura della scema e darle le spalle non sembrava proprio la cosa migliore da fare.

“E non è necessario comprare qualcosa.”

Dovevo fare finta di niente, non sarei riuscita ad affrontarla, a dirle che ero io la ragazza che aveva barbottato quella stupida frase la mattina prima nel suo programma radiofonico.
Mi mordicchiai nervosamente le labbra, mantenere la calma non era mai stato il mio forte.
Cercai di leggere l’espressione sul suo volto.
Mi aveva riconosciuta?
Forse sì o forse no, non riuscii a capirlo perché quell’espressione leggermente interrogativa abbandonò il suo volto e venne sostituita da un sorriso.
Stava tentando di uccidermi per caso?
Quel sorriso era un arma potente o forse il mio cuore era semplicemente troppo debole.
Ci guardammo per secondi infiniti.
Aveva due pozzi di pece al posto degli occhi e come un gabbiano che si avvicina al mare inquinato e viene imprigionato da quella melma appiccicosa, io mi lasciai imprigionare da quello sguardo.
Il mio nuovo sogno.
Dio mio! Avevo puntato decisamente troppo in alto.

“Finito!”

Entrambe ci voltiamo di scatto.
Il ragazzo con la cresta aveva interrotto quel momento, provai un odio profondo nei suoi confronti, io, io che ero sempre stata certa di non riuscire a provare odio per nessuno.
Spostò lo sguardo da me a Santana, ormai ero certa fosse lei, e si rese conto di aver interrotto qualcosa.

“Scusala se ti ha molestato, è fatta così!”

Deglutii a fatica cercando il volto di Santana che, in quel momento, sembrava troppo impegnata a fulminare Puck per accorgersi del mio sguardo insistente.
Immediatamente gli avvertimenti di Mike colpirono la mia mente, davvero non dovevo fidarsi di quello splendore?
Era davvero così “pericolosa” come diceva il mio amico?
Forse mi avrebbe spezzato il cuore; forse non le interessavo; forse sarei solo stata una delle tante quando lei invece nella mia mente era l’unica ma non mi importava.

“Compro questa Brittany.”

La voce di Santana mi fece tornare con i piedi saldi a terra.
Annuii quasi automaticamente prendendo la scatolina di graffette e passandola alla cassa.
Aspettate!
Mi aveva chiamata per nome?
Mi aveva riconosciuta, oddio! Mi aveva riconosciuta!
No, non l'aveva fatto, aveva semplicemente letto il cartellino che avevo al petto.

“Due dollari!”

La mia voce tremò senza che io potessi far qualcosa per fermarla.
Mi passò un paio di banconote accompagnando quel gesto con un altro sorriso "assassino".
Le presi sfiorando la sua mano, non accidentalmente.
Nei film succedeva sempre no?
I due protagonisti per caso si sfiorano la mano e immediatamente sanno che quella è la persona giusta così come lo sa il telespettatore. Fu un attimo, il mio cuore perse un battito e come se avessi preso la scossa ritirai fulmineamente la mano.
Ero certa che anche lei avesse sentito qualcosa.

 “Grazie. Comunque non mi ha molestata”

Mi rivolsi al ragazzo che sembrava già pronto ad uscire dal negozio.
Notai l’incertezza di Santana che alla fine si tramutò nella certezza che non desideravo.
Mi regalò un ultimo sguardo prima di darmi le spalle ed uscire dal negozio con l’amico appresso.
Forse mi sbagliavo, probabilmente non aveva sentito assolutamente niente.
Non gli interessavo, una come me non interessa a persone come lei, accade solo nei film e quello non era un film sfortunatamente per me.
La guardai, mi limiti a guardarla come uno stoccafisso, uno stupido, insensato, anonimo stoccafisso.
Avevo i piedi incollati al pavimento.
Quando riuscii a liberarmi e corsi verso l’uscita entrambe le figure erano sparite.
Era troppo tardi.


-Santana-

L'avevo chiamata per nome, nella mia testa era un segnale chiarissimo, nella sua probabilmente no.
Non mi fermò, non accadde.
Uscii dal negozio con l'amaro in bocca, avrei dovuto fare qualcosa ma non lo feci.
Ero riuscita a rimanere sicura nelle mie azioni, della mia voce che non aveva tremato neanche in un singolo istante ma ero certa che se fossi rimasta ancora quella sicurezza sarebbe caduta e poi c'era Puck che, troppo tonto, non si era accorto di niente o, per lo meno, aveva creduto che ci avessi provato spudoratamente con lei.
Non era così, per una volta non era stato così.
Ho già detto che sembrava un angelo?
Con le graffette strette nelle mani continuai il mio cammino fino a casa di Puck e il resto da sola, quel taxi che avevo programmato di chiamare non lo chiamai, avevo bisogno di camminare, avevo bisogno di pensare.
Arrivata davanti casa decisi di tornare indetro.
Iniziai a camminare spedita verso il negozio.
Probabilmente me ne sarei pentita ma non mi importava, dovevo riacquistare un minimo di sicurezza anche se qualcosa mi diceva che non sarei riuscita a tornare la Santana di sempre, non lo ero già più probabilmente, la Santana di due giorni prima non sarebbe tornata indietro.

"Dobbiamo parlare!"

Dissi entrando nel minuscolo negozio che avevo abbandonato giusto un ora prima.
Un ragazzo più o meno della mia età mi guardò, senza dubbio mi avrebbe voluto rinchiudere in manicomio.
Aveva dei capelli liscissimi e biondissimi e due occhi chiari, per qualche istante credetti che fosse il fratello di Brittany poi mi resi conto che i lineamenti erano completamente diversi a partire dalle labbra enormi che quel tipo si rutrovava incollate alla faccia.

"Cerco Brittany."

la usai quasi come giustificazione.
Appuntai mentalmente :"non irrompere mai più in un negozio senza prima guardare chi sta dall'altra parte del bancone".

"Ha appena finito il turno."

Mi crollò il mondo addosso.
Avevo il suo numero di telefono, era vero ma non avrei avuto il coraggio di richiamarla, del resto l'avevo fatto la sera prima e lei non si era ancora degnata di una rispsta.

"È nel retro, sta prendendo le sue cose"

Aggiunse il biondino con un sorriso facendomi cenno di andare, seguii l'indicazione della sua mano ed imboccai velocemente il corridoietto, era lo stesso che Puck aveva percorso per andare in bagno ed, in effetti, sulla destra lo trovai.
Continuai a camminare per un altra decina di passi prima di ritrovarmi davanti all'ultima porta, l'aprii ed era lì il mio angelo intenta a cercare chissà cosa in quella che doveva essere la sua borsa.
Mi chiusi la porta alle spalle e solo a quel punto, nel momento esatto in cui la chiusura della porta provocò un tonfo sordo, si accorse della mia presenza.
Tremò quasi dallo spavento ed io mi sentii in colpa.

"Scusami!"

Mi avvicinai di un paio di passi.
Non mi ero preparata un discorso, cosa si doveva dire in casi simili?
"visto che sono il tuo nuovo sogno ti va di uscire con me?"
No! di certo non era la cosa migliore da fare.
Di solito ero brava ad abbordare ragazze ma in quel caso non era ciò che volevo, non volevo portarmela a letto, non volevo ferirla perchè i suoi occhi, quegli occhi tanto belli, non meritavano di diventare rossi per il pianto. 
Mi inumidii le labbra.

"Sono felice che tu non sia impegnata a cercare arcobaleni"

Le dissi con un sorriso e lei immediatamente arrossì, conferma che era Brittany e che era stata lei a fare quella stupida ma così dannatamente adorabile segreteria.
Seguii il mio istinto perchè quello non si sarebbe mai sbagliato.
Mi avvicinai a lei e chiusi definitivamente la distanza fra noi due.
La baciai, fu il bacio più casto che avessi mai dato in vita mia ma anche il più bello che avessi mai ricevuto.
Eravamo nel retro di una copisteria (finalmente avevo capito cosa vendesse quel negozio) ma per una volta mi sembrava di essere in paradiso.
sentii il suo tocco delicato sulla mia guancia, segno che non sarebbe scappata.
Lasciai andare la scatolina con le graffette che, cadendo a terra, si aprì, non mi importava davvero, ciò che aveva importanza era il corpo della biondina stretto al mio e le nostre labbra incollate.








-Serendipity's space-
Come state?
Ecco un'altro capitolo. Spero possa piacervi.
Finalmente si sono incontrate e sembra già esserci una certa unione tra tra le due. Vedremo come continuerà la loro storia.
Rungrazio tutti coloro che leggono la fanfiction 😍
un grazie particolare a coloro che la recensiscono, mi fa davvero piacere leggere ciò che pensate.
Alla prossima.


 

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Capitolo 5
*** 4° capitolo ***


Santana

Mi staccai dalle sue labbra.
Il viaggio guidato in paradiso era concluso e anche se l’avrei volentieri ripetuto sapevo che sarebbe stato chiedere troppo.
Avevo scelto di mandare avanti il mio istinto; Avevo scelto di prendere la situazione di pancia; Avevo scelto di non pensare razionalmente.
Ne avevo sentito davvero la necessità come se in qualche modo avessi avuto bisogno di capire se tutto era reale o se faceva parte di qualche contorto sogno.
La mia Abuela mi aveva sempre insegnato a comportarmi così, in modo istintivo, era stata lei a formare il mio carattere.
Mi aveva reso una donna forte e sicura di se, consapevole dei propri difetti ma anche, e soprattutto, dei propri pregi.
Di solito si tende a limare gli angoli del carattere, spesso si parla di diamanti, diamanti che vanno lucidati e limati appunto se non si svolge quest’azione si tende a considerare quel diamante grezzo.
Beh… il mio carattere era estremamente grezzo, mia nonna non aveva mai preso in mano una lima ma, anzi, aveva cercato di inzaccherarlo ancora di più.
Mi ripeteva sempre che il mondo era pieno zeppo di male e l’unico modo che sembrava andarle a genio per sopravvivere a tutto quel dolore che il mondo le recava era essere tanto ruvida, tanto quanto il mondo stesso.
Sono felice, sotto molti punti di vista, che l’abbia fatto perché sono certa di essere stata per molti anni immune ad ogni tipo di sofferenza ma sono anche certa che in quegli anni abbia speso fin troppe energie nel costruire una muraglia che alla fine crescendo non mi era servita a molto.
Entrata nell’adolescenza mi resi subito conto che non ero tanto immune quanto poteva apparire, anche io avevo sofferto.
Avevo sofferto molto a partire dalla separazione dei miei genitori quando uno sciame di problemi mi aveva colpita lasciandomi spesso senza fiato. Ciò che mi aveva segnato e ferito di più, però, era stato senza dubbio il rifiuto di mia nonna ad accettare la persona che ero.
Mi aveva cresciuta eppure non voleva riconoscermi.
L’essere gay è un peccato e in me vedeva solo questo, ero diventata la peccatrice, nella sua mente non esisteva più nessuna nipote.
Cercai i suoi occhi per una boccata d’aria ma, al contrario di quello che immaginavo, una sensazione strana e sconosciuta mi attanagliò lo stomaco e immediatamente feci un passo indietro.
Ora so per certo che quel bacio tolse il primo mattone della mia muraglia.
Era una muraglia ardua da abbattere ma lei non sembrava avere fretta.

“Piacere, io sono Brittany!”

Abbassai lo sguardo sulla sua mano tesa nella mia direzione.
Sorrisi, sorrisi genuinamente, perché ai miei occhi appariva estremamente adorabile.
Mi morsi la lingua.
Nel mio vocabolario la parola “adorabile” era stata bannata molto tempo addietro.
Perché diamine la mia mente la stava usando?
La sua mano tremava leggermente, il nervosismo traspariva da ogni suo singolo poro ma ai miei occhi appariva ancora estremamente adorabile. NO
Decisi di stringerla, non volevo farla penare ancora molto.
Stavo riacquisendo un minimo della sicurezza che avevo, probabilmente, perso per la strada il giorno precedente.
Sentivo comunque uno spiffero d’aria, non lo sapevo ma era sicuramente colpa di quel mattone mancante nella mia fottuta muraglia.

“Santana Lopez.”

Per un istante mi sembrò di essere tornata all’asilo.
Quello era senza dubbio il modulo di presentazioni tra due bambine di quattro o cinque anni e il maglione di Brittany non aiutava di certo.
La prossima fase sarebbe stata segnata dalla domanda “qual è il tuo colore preferito?” con il terrore che Brittany potesse davvero aggrapparsi del tutto a quella modalità di conoscenza non le diedi il tempo di dire altro ed aprii bocca.

“Chi è Lord Tubbington?”

La mia domanda non era certo degna di lode, forse tanto stupida quando quella sul colore preferito.
Se fosse stata un’altra ragazza le avrei chiesto il numero di telefono; se fosse stata un’altra ragazza le avrei offerto un uscita in un locale per farla ubriacare; se fosse stata un'altra ragazza avrei fatto tutto fuor che parlare di cose stupide ma Brittany non era una semplice ragazza.
La conoscevo da quanto?
Forse un’ora.
Perché allora mi sembrava di conoscerla da sempre?
Perché provavo quella strana sensazione alla bocca dello stomaco?
Perché non riuscivo a staccare lo sguardo dai suoi occhi tanto azzurri da sembrare irreali?
Perché diamine non le stavo fissando le tette o il culo?

“È il mio gatto, è un po’ scorbutico ma non è cattivo, te lo assicuro! Non mi mangerebbe mai la lingua!”

Avrei avuto tante altre domande da porre al mio cervello ma la biondina mi riportò con i piedi per terra e poi… beh, sarebbe stato inutile continuare a pensare, non sarei riuscita a trovare risposte neanche con il massimo della mia concentrazione.

“Non ne dubito!”

Le risposi con la mia miglior faccia da schiaffi, quella che piazzavo quando non aapevo bene cosa dire.
Lo sguardo di Brittany si abbassò, probabilmente per l’imbarazzo del momento iniziò a fissarsi le scarpe, i suoi occhi però caddero suole graffette che avevo fatto cadere e nel giro di due secondi era già inginocchiata a terra per rimettere ogni singola graffette nella scatolina.

“Non ti preoccupare! Faccio io.”

Era colpa mia se erano cadute.
Anzi no! Era colpa delle sue labbra.
In ogni caso, colpa o non colpa mi inginocchiai a mia volta e iniziai a raccogliere una decina di graffette.

 

 


 

Brittany

 

Mi sembrava di vivere un sogno, il mio nuovo sogno.
Mi aveva baciata e io mi ero sentita felice, mi sentivo estremamente felice, adoravo essere felice.
Fino a quel momento avevo pensato che le caramelle gommose potessero rendermi felice quella sensazione paragonata a quella che mi aveva fatto sentire Santana era effimera.
Alzai lo sguardo su di lei che si era inginocchiata per aiutarmi a mettere a posto le graffette, le erano cadute durante il nostro bacio, avevo sentito il tonfo della scatolina seppur ovattato dalle emozioni del momento.
Se le era caduta di mano significava che l’avevo baciata bene giusto?
Insomma… ero abbastanza sicura di saper baciare bene ma non ero certa che la cosa valesse anche dal punta di vista femminile, forse le donne erano più esigenti.

“Credo… devo andare!”

Lasciai la scatolina a terra davanti a lei e mi alzai in piedi tanto rapidamente da sembrare innaturale.
Presi la mia borsa senza neanche guardarla, non potevo, i suoi occhi mi avrebbero imprigionato ancora come uno stupido gabbiano nel petrolio.
Un secondo prima mi sentivo la persona più felice del mondo e l’attimo dopo ogni genere di preoccupazione mi fece sprofondare in un mare troppo profondo per me che ero abituata a nuotare nella vasca per bambini.
Me ne andai e lei non fece niente per fermarmi, sentivo il suo sguardo bruciare sulla mia schina ma non pronunciò neanche una parola.
Forse ne avrei avuto bisogno.
Sam mi regalò uno sguardo interrogativo a cui non diedi molta importanza.
Una volta messo piede fuori dal negozio iniziai a correre, correre come si fa alla maratona di New York, non per vincere ma per raggiungere il traguardo.
Il vento continuava a scontrarsi contro la pelle delicata del mio viso, era fastidioso, troppo freddo, quasi bruciava ma continuai a correre.
Mi fermai solo quando, svoltato l’ennesimo angolo, mi ritrovai nel parco vicino a casa mia, quello in cui andavo per dare da mangiare alle paperelle, le ho sempre amate.
Presi un respiro profondo, l’aria mi riempì i polmoni e riuscii finalmente a sentirmi meglio.
Quando non sapevo cosa fare, da bambina, scappavo sempre e mi rifugiato nel retro del mio giardino, a Lima, era il mio posto sicuro.
Crescendo avevo imparato ad affrontare i problemi, non era più necessaria la presenza di mia madre che mi confortava e mi aiutava ad affrontare ogni tipo di situazione.
Pochi minuti prima però mi ero sentita persa, non avevo trovato la forza per rimanere ed affrontare Santana e non sapevo se l’avrei mai trovata.
Non sapevo cosa fare e non sapevo neanche di cosa si trattasse.
Scoppiai a ridere.
Ridevo come si ride da ubriachi: senza un reale motivo, in modo nervoso e scombinato.
Entrambe le mani andarono a stringere i capelli biondi portandoli all'indietro, davanti a me avevo il piccolo lavhette e le mie amate paperelle sembravano tranquille sperse nel loro mondo.
Mi ricomposi solo quando una vecchietta si girò verso di me e mi intimò tacitamente di smetterla.
Feci un paio di passi in avanti e mi sedetti sul prato vicino all'acqua sporca di quel piccolo laghetto artificiale, l'erba era umida e sicuramente i miei pantaloni si sarebbero sporcati ma non diedi peso alla cosa.
Strinsi le ginocchia al petto.
Era assurdo che l'unica cosa che mi metteva agitazione fosse la poca serietà di Santana millantata da Mike.
Avevo rovinato un momento simile per paura che lei potesse spezzarmi il cuore ma che cazzo avevo nel cervello, segatura?
Poteva spezzarmi il cuore ma non mi era mai importato molto di mettere in gioco i miei sentimenti, non che avessi avuto storie importantissime ma non avevo paura di provare emozioni,  non ne avevo mai avuto.
Forse ciò che mi preoccupava non erano solo le parole di Mike ma anche il fatto che lei fosse una donna e che io ero troppo impacciata per corteggiare, non sarei riuscita ad ottenere il numero di telefono neanche di un ragazzino di quindici anni, figuriamoci di una donna matura ed esperta come Santana.
Però... era stata lei a baciarmi no?


 




Santana

Non ci potevo credere.
Io, Santana Lopez, ero stata rifiutata e lasciata da sola nel retro di una fottutissima copisteria.
Il mondo non stava girando nel verso giusto, no cazzo!
Io non potevo essere mollata così come un idiota da nessuno, neanche da una biondina tanto adorabile figa quando Brittany.
Non mi passò neanche per l'anticamera del cervello di seguirla o di dirle qualcosa, voleva andarsene?
Voleva perdere ogni singola possibilità con me?
Bene! Il problema era solo suo.
Okay... guardando indietro so che l'orgoglio in quel momento mi stava mangiando viva ma non potevo davvero farci niente, era più forte di me agire in quel modo, era un ennesimo modo di proteggere il mio cuore.
L'unica che ci stava perdendo era lei, solo ed esclusivamente lei.
Avrei trovato facilmente una ragazza da portarmi a letto quella notte stessa, non avevo bisogno di Brittany, non avevo bisogno del paradiso, io avevo bisogno di semplice e puro sesso, perchè avevo pensato anche solo per un istante di complicarmi la vita con dei sentimenti?
Finii di raccogliere tutte le graffette e mi alzai poco dopo.
Uscii dalla copisteria facendo un occhiolino a Sam giusto per ripristinare il mio comportamento naturale. Wanky!
Quella sera, dopo aver evitato accuratamente la cena, andai in uno dei tanti locali di New York e affinai il mio talento nella conquista, dovevo sfuttarlo no?
Sarebbe stato un peccato lasciare tutto quel talento inutilizzato.
Abbordai una brunetta sicuramente più piccola di me, sembrava in cerca di nuove esperienze e dopo un paio di drink capì che io ero l'esperienza giusta da fare quella sera.
La portai nel mio appartamento e sono certa che se pur ubriaca lei ricorda perfettamente il resto della nottata, sicuramente più di quando la ricordi io.
La lasciai addormentata nel mio letto, avevo rifiutato ogni contatto extra, ogni genere di smanceria.
Non ne avevo bisogno, non avevo nemmeno bisogno del contatto visivo figuriamoci delle coccole.
Aprii la porta finestra che dava sul piccolo balcone e mi appoggiai immediatamente alla ringhiera, l'alcool ormai aveva perso di sostanza lasciandomi solo un lieve mal di testa.
C'era parecchio freddo all'esterno e la vestaglia bianca che mi ero infilata prima di uscire non era di certo abbastanza per non farmi rabbrividire.
Respirai a fondo e un flashback della giornata passata mi attanagliò lo stomaco.
Mi mancavano le labbra di Brittany.
Nella mia vita avevo sentito la mancanza di davvero pochissime cose ma Dio! Quelle labbra erano state le più perfette che avessi mai potuto assaggiare o anche solo sfiorare.
L'avrei dimenticata.
Avrei dimenticato tutto di lei anche i dettagli che ancora non conoscevo.
Mi sarebbe servita una sigaretta ma avevo smesso di fumare diversi mesi prima e non volevo riprendere il vizio, più che altro per i miei polmoni.
Chiusi gli occhi cercando di controllare la mia mente.
Il telefono squillò, spesso a quell'ora era Puck a chiamarmi, voleva sapere se ero ritornata a casa o se ero ancora spiaccicata sul bancone di un bar a caso.
Era il mio amicone, l'uomo cresta, il moikano senza palle, gli volevo bene, dovevo ammetterlo.
Sorrisi leggermente entrando velocemente in casa.
Dopo diversi istanti di caccia al tesoro riuscii a trovare il telefono e a rispondere alla chiamata.



"Pronto!"

 




Brittany

Un incubo dietro l'altro mi aveva impedito un sonno sereno.
Odiavo gli incubi, mi facevano paura e istauravano nella mia anima un grande senso d'angoscia.
Dopo aver spalancato gli occhi per la terza volta e essermi aggrappata alle lenzuola con tutta la mia forza per colpa dello spavento, decisi di tagliare la testa al toro e di andare in cucina.
La mia sveglia segnava le 3:00, avevo una voglia infinita di gelato al cioccolato e sapevo che avrebbe fatto bene al mio stato d'animo.
Non ci pensai due volte ed iniziai a mangiare la confezione che avevo comprato la settimana appena passata.
Lo zucchero del gelato mi tranquillizzò e mi diede coraggio.
Non sapevo come corteggiare una donna?
Era uguale, c.era sempre una prima volta per tutto, non volevo rimpiangere di non averci provato, i rimpianti fanno male, lo sapevo bene. 
Portai alla bocca l'ennesima cucchiaiata di gelato e lasciai il cucchiaio serrato tra le labbra mentre il gelato si scioglieva.
Presi il mio cellulare e andai a cercare le chiamate perse.
Posai l'indice sul numero sconosciuto che poi non lo era così tanto e la telefonata partì.
Mi ero completamente dimenticata dell'orario, il giorno dopo ci sarebbe stato il programma radiofonico alle sette, come ogni mattina della settimana, quindi molto probabilmente Santana era già nel mondo dei sogni come ogni persona sana di mente del resto.
Lasciai squillare il telefono per diversi istanti e quando ormai stavo per buttare giù un "pronto" mi invase piacevolmente le orecchie.
Sorrisi a trentadue denti.

"Spero di non averti svegliata!"

Ci fu un attimo di incertezza da parte sua, probabilmente non si aspettava di sentire la mia voce, era palese.
Forse era ancora mezza addormentata o forse non aveva salvato il mio numero di telefono.
Non ebbi il tempo di dare risposta ai miei dubbi che finalmente la sua voce mi raggiunse distorta leggermente dal telefono.

"Cosa vuoi?"

Il suo tono era più duro di quando lo ricordassi, era arrabbiata con me, era palese e non potevo di certo darle torto.
Deglutii cercando di buttare giù ogni cenere di esitazione.

"Posso offrirti la cena domani sera?"

Le avrei proposto un caffè ma sapevo che la mattina lavorava quindi la cena, sul momento, mi era sembrata l'opzione più fattibile.
Presi in considerazione l'ipotesi che potesse rifiutare la mia proposta e quell'ipotesi si acuì nel momento in cui, una seconda volta, sentii esitazione dall'altro capo del telefono.

"Direi che non è il caso. Probabilmente nel bel mezzo della cena faresti cadere un tovaglio, io lo prenderei e proprio in quell'istante tu usciresti dal ristorante quindi... no, non puoi offrirmi la cena."

Mi morsi le labbra colpevole.
Se l'era presa parecchio e se prima potevo avere qualche dubbio in quell'istante fu parecchio palese.
Non mi arresi, non potevo arrendermi.
Io ero Brittany Pierce, l'unicorno più speciale di Lima e anche di New York, avrei conquistato Santana e avrei smentito ogni parola che Mike mi aveva detto, ne ero certa, volevo esserne certa, volevo aggrappartmi a questo sogno il mio nuovo sogno, chiunque mi avrebbe potuto chiamare stupida o ingenua ma non importava.  

"Andiamo! Non fare la scorbutica come Lord Tubbington, mi dispiace di averti lasciata in copisteria ma mi merito una possibilità no?"

Non avevo idea di come quelle parole potessero uscire dalla mia bocca tanto sicure e senza un inclinazione della voce, mi meravigliai di me stessa.
Iniziai a tamburellare le dita sul bancone della cucina poco distante da dove avevo poggiato il cucchiaio ancora un po' sporco di gelato al cioccolato.

"Ti prego!"

Aggiunsi quando i secondi di pausa diventaro troppi.
Il tono della mia voce in quell'istante mi sfuggì di mano, sembravo una bambina che vuole le caramelle dalla mamma, ogni tanto dovevo contenermi.

"Okay, va bene. Ti mando l'indirizzo domani mattina, mi verrai a prendere tu alle otto e mezza, voglio andare in un posto carino ed io non sborserò un singolo dollaro, chiaro?"

Sapevo che stava sorridendo, me lo sentivo nel sangue, me lo stava sussurrando il famossissimo sesto senso.
Saltellai sul posto contenendo un piccolo urletto di gioia.

"Chiarissima! Buona notte Santana."

Ascoltai le ultime sue parole prima di far passare l'indice sul tasto rosso del telefono.
Avevo un appuntamento, avevo una piccola possibilità con Santana, dovevo sfruttarla al meglio e non mandare tutto a puttane.

 



La voce che si stava rivolgendo a me non era quella di Puck, a meno che il mio amico non si fosse castrato nel giro di due ore.
La conoscevo, la conoscevo perfettamente anche se avevo avuto l'occasione di ascoltarla sì e no quattro volte.
Spalancai la bocca boccheggiando,
Perchè tutte le volte che cercavo di cancellare il suo pensiero qualcosa mi faceva ricordare che non era possibile, era già la seconda volta che capitava.
Le risposi a tono con la consapevolezza di essere acida nei suoi confronti ma non potevo comportarmi altrimenti, avevo una dignità da mantenere.
Rifiutai categoricamente la sua proposta.
La verità era che non avrei voluto altro che rivederla ma non potevo cedere così facilmente, non se lo meritava.
fu il "ti prego" a far sciogliere ogni genere di resistenza senza il mio volere.
Come poteva essere così?

"Chiarissima! Buona notte Santana."

Sorrisi addolcita da quel personaggio così assurdo.
Fino a pochi minuti prima l'unica cosa che volevo fare era toglierla dalla mia vita, l'attimo dopo non potevo che essere contenta che si fosse intrufolata in quel modo.

"Buona notte Brittany."

Posai il telefono sul mio comodino e mi sedetti sul letto, solo in quell'istante capii che in qello stesso letto c'era una persona di troppo e per giunta era la persona sbagliata.
Non avevo neanche idea di quale fosse l suo nome, probabilmente non era neanche stato necessario chiederlo.

"Svegliati!"

Lei in risposta fece un grugnito poco elegante e si girò dalla parte opposta.
Inarcai le sopracciglia contrariata, non si era neanche meritata il mio letto, era stato il sesso peggiore della mia vita.
Presi il cuscino e le diedi una cuscinata sul sedere.

"Svegliati Brunetta! Ti voglio fuori da qui entro dieci minuti, ho sonno e ho bisogno di spazio per dormire beatamente, tu sei decisamente di troppo"

Ero stronza e il problema era che ne ero davvero fin troppo consapevole.






Serendipity's space

Ehilà! Spero che questo capitolo possa piacervi.
Sto cercando di pubblicare un capitolo alla settimana e spero di riuscire ad essere puntuale anche in seguito.
ringrazio tutti coloro che mi hanno lasciato una recensione, mi fanno piacere e mi siete anche utili :3
Aspetto vostri commenti.
Se vi va passate dal mio tumblr, per qualsiasi proposta anche di One shot, idea o domande, io sono a vostra disposizione.

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Capitolo 6
*** 5° Capitolo ***


Santana


 

Come ci si comporta ad un primo appuntamento?

Non ero mai stata ad un vero e proprio primo appuntamento. A meno che non si contasse, ovviamente, quello che avevo avuto con un certo Rudolf al primo anno di liceo quando ero ancora troppo spaventata per urlare al mondo “Questo è un fottuto maschio, datemi una cheerleader!”.

Ricordavo perfettamente quell’uscita. Rudolf era un ragazzo carino, mi aveva offerto la cena e mi aveva accompagnata a casa accontentandosi di un bacio a stampo sotto il porticato.

Quello che sapevo sui primi appuntamenti comunque era tutto merito dei film che Puck mi aveva consigliato di vedere appena gli avevo chiesto consiglio e che io quella stessa mattina avevo analizzato.

Mi ripromisi di non ascoltare mai più ciò che quel demente, che continuavo a considerare “il mio migliore amico”, avesse da dirmi.
Non mi ero mai sentita così persa. Mi sembrava di vagare in mezzo al buio con un manico di scopa a farmi da guida.

Passai buona parte del pomeriggio a scegliere il vestito da indossare. Mi aveva proposto una cena quindi non potevo di certo mettermi il solito tubino nero. Era perfetto per abbordare ragazze visto che mostrava buona parte del mio sedere ma la decenza che mi era rimasta mi suggerì che quella serata non era l’occasione adatta per indossarlo.

Devo dire che la mia decenza, pur essendo poca, riesce a dare consigli migliori di quelli di Puck.

Alla fine optai per un vestito rosso, lungo fino al ginocchio con delle parti in pizzo, maniche lunghe e un’ampia scollatura sulla schiena. Abbastanza sensuale per farle mancare il fiato ma anche sufficientemente elegante per non sembrare fuori luogo. Già il fatto che fosse un primo appuntamento mi avrebbe fatto sentire tale, non volevo aggravare la situazione.

Quando il campanello suonò ero ancora troppo “non pronta”. Dovevo finire di mettermi il mascara, tocco di classe a quel trucco sfumato sugli occhi, e di infilare le scarpe con il tacco.

Imprecai in spagnolo. Ero in ritardo come al solito, non era una cosa che mi sorprendeva ma, mentre non avevo problemi a far aspettare tutti, non volevo far aspettare Brittany, non che non se lo meritasse.

Mi infila velocemente le scarpe che mi alzavano di almeno dieci centimetri ed andai ad aprire la porta. Le scarpe erano senza dubbio la priorità, potevo fare a meno del mascara.

Davanti alla porta mi immobilizzai. Fissai diversi secondi il legno scuro che separava la mia persona da quella stramba ragazza bionda. Riempii tutti i polmoni con dell’aria pulita. Non servì a molto.

Panico, panico totale. Mi avrebbe corteggiata lei. Dovevo lasciarla fare, la mia unica preoccupazione doveva essere quella di godermi la serata. Era lei che doveva affannarsi, non io.

La verità forse però era un'altra. Avevo paura. Avevo tanta paura. Se fosse scappata di nuovo? In più non ero abituata a non avere il controllo della situazione. Avevo bisogno di sentire nelle me mani il comando di ciò che mi avveniva intorno, questo spiegava senza dubbio quella voglia irrefrenabile di conquista e quella mancanza di conqistatrici.

Posai la mano sulla maniglia della porta e in un attimo di puro coraggio l’aprii. Mi ritrovai davanti un angelo. Era bella, l’avevo già notato ma quella sera sembrava essersi impegnata per sottolinearlo con un evidenziatore fosforescente. Indossava un cappotto scuro a coprire quello che dopo poco avrei visto essere un vestito bianco sfumato di nero sul fondo.

“Sei bellissima”

La sua voce mi stordì.Colpo finale a quella situazione già abbastanza delicata per il mio cuore poco allenato a situazioni simili.
 
Dio mio! Trovavo quell’affermazione così dannatamente banale ma allo stesso tempo mi fece ribaltare lo stomaco come neanche le montagne russe erano mai riuscite a fare ed io odiavo le montagne russe.

Mi sorrise e gli angoli della mia bocca si curvarono immediatamente per riflesso. La sua luminosità era contagiosa, immensa come quella del sole.
Non arrossivo spesso, neanche da bambina, eppure in quel momento mi fu impossibile evitarlo. Ringraziai mentalmente la mia pelle ambrata che mi resse il gioco della “tosta”.

Anche tu non sei niente male.”

Non era brava a fare complimenti. Cosa potevo dirle?

Era perfetta in ogni dettaglio. Dalla treccia a lisca di pesce, ai pochi ciuffi di capelli dorati sfuggiti dalla presa dell’elastico, fino al filo di trucco che le accentuava quei due smeraldi che aveva al posto degli occhi.
Deglutii a fatica, mi si era azzerata la salivazione per colpa del panico, sempre quel maledetto panico.

 



Brittany


 
Il mio corpo aveva occupato la maggior parte del pomeriggio dentro a quella maledetta e polverosa copisteria ma la mia mente vagò per tutto il tempo.
Avevo molta immaginazione e la sfruttai tutta quanta per farmi parecchi film mentali. Sapevo bene che i tre quarti delle cose che stavo sognando non sarebbero accaduti ma non mi andava di essere pessimista.

Mi sarei impegnata, comunque, perché quell’appuntamento potesse diventare per Santana un ricordo da ricordare con piacere.
Dopo l’ora di pranzo avevo chiamato il ristorante per prenotare. Non andavo in un ristorante da secoli ormai, l’ultima volta che vi avevo messo piede era stata quando i miei erano venuti a New York.

Non avevo molti soldi da spendere in buon cibo, preferivo vivere di panini al formaggio grigliato e caramelle gommose.
Comunque non avevo scelto un ristorante a caso ma uno di quelli che frequentavo di più ai tempi dell’università. Sicuramente era il mio preferito in circolazione, non troppo caro ma anche abbastanza carino per portare a cena una ragazza.

Miseriaccia! Per quanto ripetessi a me stessa che non era poi così strano portare una ragazza a cena fuori, non ero ancora riuscita a convincermene del tutto.

Mi suonava strano soprattutto perché ero sempre uscita con ragazzi. Per la prima volta dovevo conquistare una ragazza e sicuramente non mi ero accontentata di partire dal basso ma avevo puntato alla ragazza più bella che avessi mai visto ma soprattutto avevo puntato alla voce che era riuscita a riscaldarmi il cuore.

Volevo fare bene. Sarei stata me stessa solo perché non ero sapevo fingere di essere qualcuno che non ero.
Speravo tanto che “me stessa” potesse bastare.

Alle 18 in punto lasciai il negozio a Sam, il mio collega, e andai velocemente a casa. Dovevo prepararmi in fretta. Di certo non era mia intenzione arrivare in ritardo quando già sapevo di essere in deficit per la fuga del giorno precedente.

Mike mi chiamo un paio di volte al cellulare –gli avevo raccontato ogni cosa- ma non gli risposi, non perché non volessi ma perché non avevo abbastanza tempo, gli spedii un messaggio veloce con la promessa che l’avrei chiamato la mattina dopo per un resoconto della serata.
Le sue parole mi rimbombavano ancora nella testa di tanto in tanto ma non volevo pensarci, non dovevo pensarci se non volevo rischiare di rovinare la serata.


                                                                                             ***


Due ore dopo ero in piedi davanti all’indirizzo che mi aveva spedito quella mattina via sms. Senza troppe esitazioni bussai alla porta. Per ricevere risposta dovetti aspettare diversi minuti e sentii ognuno di essi. In primis perché iniziavo ad agitarmi e secondariamente perché c’era parecchio freddo ed io non mi ero neanche messa le calze.

Genialata Britt-Britt!

Finalmente la porta si aprì e i miei occhi ebbero la possibilità di beare di quel corpo perfetto, fasciato da un vestito rosso a dir poco mozza fiato, e del suo viso che sembrava essere disegnato da un pittore professionista.

Sei bellissima

Soffiai quel complimento. Ero consapevole della banalità dell’aggettivo ma non avevo neanche riflettuto davvero su ciò che fosse più opportuno dirle, era stato il mio cervello a parlare per me offuscato da tutte quelle emozioni.

Prendo il cappotto e possiamo andare.”

Non feci in tempo a rispondere che era già sparita lasciandomi sulla porta e a quel punto allora mi ritrovai ad annuire all’aria come una completa deficiente.
Infila entrambe le mani nelle tasche del cappotto alla ricerca di un briciolo di calore. Aveva lasciato la porta semi-aperta ma non mi sembrava il caso di entrare. Iniziai a dondolarmi sui piedi immobilizzandomi quando Santana spuntò nuovamente con un cappotto nero a coprirla e una pochette nera nella mano destra.

Ero stata troppo lenta nel fermare quei movimenti bambineschi, mi aveva sicuramente vista. Insultai silenziosamente me stessa per la poca capacità di comportarmi secondo rigore.

Indicai la macchina che avevo parcheggiato dalla parte opposta della strada. Lei chiuse la porta di casa ed iniziò a seguirmi.
Pochi minuti ed entrambe, sedute sui sedili della mia automobile un po’ sgangherata, ricercavamo un po’ di calore nel riscaldamento.

Cercai di accendere il motore ma capii immediatamente che qualcosa non andava. La macchina singhiozzò e a quel punto tutta la sicurezza che avevo cercato di acquistare si sciolse come poco colore in fin troppa acqua. Cercai di non dare a vedere la preoccupazione e sputai fuori la prima cosa che mi passò per la mente.

Volevo prenderti dei fiori ma sinceramente non mi sembri tipa da fiori.”

Le confessai lasciandole un’occhiata veloce per poi tornare a girare la chiave.
Con un abitacolo tanto piccolo potevo sentire perfettamente il suo profumo. Mi inebriò la mente facendomi sentire leggera.

“Ah no? E che tipa sarei secondo te ?”

Ecco! Appunto! Non potevo stamane zitta?
 




Santana


 

Ero riuscita a guadagnare qualche minuto di calma con la scusa del cappotto; Ero riuscita a rendere la mia mente più lucida ma non abbastanza per i miei standard.

Di solito era un bel sedere, due tette, un fisico da paura, che mi facevano perdere la testa ma quella sera non era così e non sarebbe stato così.
Era altro in Brittany che mi faceva perdere ogni genere di ragione; ogni sicurezza ed ogni tranquillità che in genere nel mio corpo facevano da padrone.

Era colpa del suo splendido sorriso, della sua voce melodiosa, del suo modo di fare che conoscevo ancora troppo poco, della sua bellezza delicata.

Presi posto nel sedile del passeggero nella sua macchina. Era un rottame, solo per un miracolo, probabilmente, funzionava ancora.
Notai praticamente subito l’unicorno attaccato allo specchietto e lo trovai ovvio per chi, come lei, spendeva tempo a cercare arcobaleni.
Mi maledissi mentalmente quando la macchina iniziò a singhiozzare. Si stava rifiutando categoricamente di partire. Non potevo lamentarmi, mi ero portata sfiga da sola.

Le parole di Brittany mi distrassero, lei non sembrava preoccupata per la macchina, almeno non al momento e quindi decisi di rispondere con una domanda.

“Ah no? E che tipa sarei secondo te?”

La incalzai e in quel momento riuscii a riconoscere la vera Santana Lopez. L’imbarazzo della biondina fu evidente e mi intenerì infinitamente. La sua pelle chiara non nascondeva niente, arrossì fino alla punta delle orecchie.

“Non lo so… ecco, io non ti conosco bene ma…”

Lei iniziò a balbettare ed io sorrisi dolcemente, aggettivo fino a questo momento sconosciuto nel mio vocabolario.
Era nervosa da tutta la situazione. Sembravamo fare una gare per chi metteva di mezzo più nervosismo e probabilmente alla fine saremmo arrivate a pari merito.

L’ennesimo singhiozzo fece sbuffare Brittany che si girò verso di me terrorizzata. Capii in quel momento da cosa derivasse tutto quel nervosismo, la mia domanda ne era stata solo una delle cause, quella precedente era stata finta tranquillità nei confronti della macchina.

Ormai era evidente, il rottame non sarbbe ripartito neanche con l'aiuto dello spirito santo. Ci gurdammo per diversi istanti entrambe confuse sul da farsi.

"Mi dispiace."

Mi disse e a quel punto mi scordai anche della paura che mi aveva assillata, quella che potesse scappare via. Non ne aveva l'intenzione, era palese.

"Ho prenotato il ristorante; Mi sono messa un vestito carino; Sono arrivata puntuale. Volevo fare tutto nel migliore dei modi, volevo che tu ti ricordassi di me ma proabilmente tra qualche giorno riderai dell'idiota che ha tentato di conquistarti ma non è riuscita a portarti nemmeno al ristrante."

Aprì lo sportello della macchina uscì chiudendoselo alle spalle con frustazione. Non potevo biasimarla. La imitai uscendo dalla macchina qualche istante dopo.

"Ti va una pizza?"

Mi lasciai condurre dal'istinto, quello no sbagliava mai perchè era spinto dal cuore e per quano potessi esserne carente (di cuore) sentivo che mi avrebbe portato comunque alla scelta giusta.

"Possiamo ordinarla. Per quella non serve questo catorcio."

Non usai un tono acido. Non ce l'avevo con lei, non potevo prendermela con lei, non sapevo se ne sarei stata capace. Probabilmente ce l'avevo con la macchina, si! con quel catorcio ce l'avevo a morte.

Mi dava le spalle in quel momento. Sembrava sforzarsi di raccogliere se stessa. Quando la mia voce ruppe il silenzio della serata lei si voltò e arpionò il suo sguardo con il mio.

Mi sorrise grata ed annuì, mi bastò per capire che, anche se non sarebbe andata come i piani, quella sarebbe staa una serata da ricordare perchè la mia corteggiatrice era una ragazza da ricordare.








Serendity's space

Ritardo! Lo so! Chiedo venia ma non sapevo bene che piega far prendere a questo capitolo. vevo scritto tutta un'altra cosa e poi ho pensato che questo fosse il modo migliore. Ditemi che ne pensate, mi farebbe molto piacere.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto la stora e che mi hanno lasciato recensioni. Ho tolto il grassetto perchè mi è tato scrito che era meglio senza. ditemi se questa nuova disposizione è più comoda a voi per la lettura.

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seguitemi! accetto ogni genere di consiglio, proposte per one shot etc. etc.  
 

 

 

 

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Capitolo 7
*** 6° Capitolo ***


Brittany


 

Il destino si stava prendendo gioco di me. Era ovvio. L’unica possibilità che avrei mai avuto con Santana mi stava scivolando dalle mani, eppure l’avevo tenuta così stretta. Mi ero illusa di avere la situazione sotto controllo, che quella serata potesse andare bene senza intoppi.

Una volta avevo letto, non ricordo esattamente dove, che la vita ti dona un biscotto solo per togliertelo prima che tu possa mangiarlo.

Santana era il mio biscotto ed io non l’avrei mollato a quella stronza di Vita tanto facilmente. Appurato questo nella mia mente, mi voltai.

Il vento mi scompigliò quei pochi ciuffi di capelli biondi rimasti fuori dalla treccia. Cercai lo sguardo della latina e le mostrai il mio sorriso più bello, non meritava altro che quello.

“Amo la pizza!”

La mia voce, in confronto alla sua, decisamente più squillante, spezzò nuovamente il silenzio che ci stava circondando.

Quella serata non avrebbe seguito un programma preciso. Decisi di non pensarci, qualunque cosa sarebbe successa sarebbe andata bene, doveva essere così. Volevo che fosse così, con tutta me stessa.

Dopo le mie parole non fu necessario aggiungere altro. La seguii in casa e lei mi fece strada all’interno. Ci ritrovammo praticamente subito in un salotto modesto. Per quanto l’esterno potesse sembrare quasi anonimo, l’interno aveva tutta la sua personalità.

Un divano di pelle nera occupava gran parte di quello spazio, davanti una televisione e un tavolinetto basso. Le pareti di colori caldi davano un senso di quiete immenso. Pensai immediatamente che quella casa rispecchiasse la propria proprietaria anche se, alla fine, non la conoscevo così bene da esserne certa.

“Ho prenotato nel ristorante giusto. Non trovi?”

Chissà, magari mi avrebbe tenuto il gioco. Non mi prendevo mai molto sul serio e in quel momento sentii il bisogno di allentare la pressione che mi premeva sulle spalle.

“Mi avevano detto che era parecchio carino e accogliente, avevano ragione”

Mi guardai intorno e inquadrai il tavolo da pranzo, rotondo e piccolo. Capii immediatamente che viveva in quella casa da sola e che non invitava molte persone lì, in quel tavolo potevano starci al massimo quattro persone.

“Ecco! Questo è il nostro tavolo.”

Non era importante se in quel momento stessi facendo la figura più brutta del secondo. Dovevo rischiare, ormai non aveva più senso comportarmi diversamente da ciò che ero.

Mi avvicinai a una delle sedie e la tirai indietro come un bravo cavaliere per farla accomodare, anche se del cavaliere non avevo proprio niente, sembravo più Rapunzel versione spilungona non sono certa fosse una cosa positiva.

Alzai lo sguardo su quegli occhi pece e percorrendo il suo profilo notai immediatamente la curva del suo sorriso. Non ero mai stata molto sicura di me stessa, spesso, specialmente agli appuntamenti. Avevo sempre paura di risultare troppo stupida in certe situazioni cosa che non mi capitava quando mi ritrovavo in mezzo agli amici. Con i ragazzi trattenevo il mio essere ma se la vera me stessa poteva scaturire un sorriso sulle labbra della latina allora non sarei stata nient’altro che Brittany.

Senza esitazioni, dopo essersi tolta il cappotto, si sedette sulla sedia indicata da me. L’aiutai ad avvicinarsi al tavolo e presi posto sulla sedia davanti così da poterla guardare senza difficoltà in volto.

Un po’ impacciatamente mi tolsi il cappotto e lo sistemai sulla sedia.

“Anche la vista non è male, non trovi?”

Le chiesi voltandosi verso, appunto, la “vista”. Il panorama creato dal divano e dalla televisione era quasi meglio dello skyline di New York o dell’oceano al tramonto. Molto più romantico.

“Ci credo! L’ho pagata due mila dollari”

Risi di gusto. L’aria era intrinseca di tutto fuor che di imbarazzo e ne fui sollevata. Sarebbe stato davvero scomodo passare due ore nel totale imbarazzo.


 Santana
 

Il consiglio di Puck si stava rivelando anche più inutile. I film che avevo visto e che avrei usato come guida forse anche no non avevano previsto nessun intoppo del genere.

Probabilmente nessuna mente umana poteva pensare ad una situazione simile. Solo due sfigate come noi potevano rimanere a piedi al loro primo appuntamento. Non riuscivo neanche a capire il perché mi importasse tanto ma era così. Volevo che quel primo appuntamento funzionasse per qualche strano motivo.

Entrate in casa la voce di Brittany mi spiazzò. Cosa stava blaterando?

Quella ragazza era davvero strana, non riuscivo a definirla in modi diversi ma, del resto, l’avevo capito dal primo istante che la sua voce era arrivata alle mie orecchie, quella volta in cui al posto suo mi aveva risposto la segreteria.

Perché allora se la reputavo “strana” ero lì, davanti a lei, e sorrideva come una cogliona nel giorno del prpril compleanno? Io non ero ragazza da tipe fuori dal comune. Io non ero ragazza da appuntamento ormai questo lo sapete già, l'ho ripetuto fin troppe volte per autoconvincermi e soprattutto non riuscivo a capire perché l’avessi fatta entrata a casa mia. Le avevo offerta una possibilità, una sola fottuta possibilità e lei l’aveva bruciata per quel catorcio che chiamava macchina.

Per quanto queste domande non trovassero risposta andai a sedermi. Potevo guardarla negli occhi, osservare i suoi lineamenti, perdermi in ogni dettaglio che trovavo perfetto nell’imperfezione.

“Ci credo! L’ho pagata due mila dollari”

Commentai reggendole il gioco. Era tutto surreale ma allo stesso tempo mi sentivo bene. Per la prima volta potevo dire di sentirmi a mio agio con una ragazza. Nei locali, mezza ubriaca e incollata all’ennesima troietta non mi ero mai sentita davvero me stessa, eppure avevo sempre continuato ad andare in quei tipi di locali, a bere drink su drink e a portarmi a letto ragazza che non mi interessavano minimamente. L’avevo sempre fatto semplicemente perché era più facile ed io ero abituata a scegliere le strade più facili, forse perché ero nata difficile.

“Appunto. Vista eccezionale!”

Sottolineò lei. Io, dal canto mio, rimasi con il sorriso stampato sulle labbra per il resto della serata. Per qualche strana legge lei riusciva a provocarmi certe reazioni che nessun’ altro era mai riuscito a provocare.

“Mi hanno anche detto che in questo posto fanno una pizza deliziosa. Direi di prendere quella, che ne pensi?”

Non avevamo altra scelta. Nel mio frigorifero non c’era assolutamente niente, a parte forse qualche birra. Mangiavo praticamente sempre fuori casa, non che non sapessi cucinare… no, in effetti non sapevo cucinare neanche un uovo sodo.

“Mi piace la pizza quindi andrà benissimo quella.”

Da quel momento in poi la serata andò a gonfie vele. Più di quanto potessi immaginarmi. Ordinammo le due pizze e il ragazzo delle consegne arrivò poco dopo. Pagò Brittany, probabilmente si sentiva in colpa ma qualcosa mi diceva che si sarebbe offerta di pagare anche se fossimo andate in un vero e proprio ristorante, del resto quando mi aveva chiamato mi aveva chiesto se poteva “offrirmi” la cena.

Parlammo molto tra un boccone e l’altro. In compagnia di qualche sorso di birra. Le raccontai della stazione radiofonica, di come fosse stata costruita da niente se non da un sogno.

Le raccontai dei miei anni al liceo, della mia uniforme da cheerleader e di quanto mi stesse bene. Notai le sue guance arrossire leggermente, imbarazzo dettato, probabilmente, dall’immagine della gonnellina striminzita. Era un imbarazo positivo che avrei pagato per vedere sul suo volto pù spesso.

Scherzai anche su Puck o come fosse stato lui a darmi il suo numero di telefono.

Trovai piacevole chiacchierare con lei. Sentire la sua voce e farle sentire la mia. Anche quando, entrambe, dopo una piccola pausa, tentammo di intraprendere un nuovo discorso contemporaneamente, le nostre voci si scontrarono ed io, personalmente, non riuscii a trovare suono più bello. Ridemmo come due bambine e fu lei a continuare.

Mi svelò molto della sua vita. Di Lima, dei suoi genitori e della sua passione per il ballo. Aveva fatto parte di un Glee Club proprio come me. Immaginarla muoversi cullata dalle note di una canzone mi scaldò il basso ventre. La mia, questa volta, non era eccitazione. Provai un'altra sensazione che non seppi definire e catalogare.

“Sono un po’ contrariata.”

Le confessai ad un certo punto. Mantenni un tono fermo e abbastanza serio da sembrare reale. Brittany aveva la pelle chiara ma posso giurare, ancora oggi, che in quell’istante sbiancò.

“Cosa ho fatto?"

Il modo in cui pronunciò quelle parole fu adorabile tanto quando l’espressione preoccupata sul suo volto.

“Mi hai detto che ballare è il tuo più grande sogno…”

Lasciai la frase in sospeso per qualche istante. Mi aveva spiegato lei poco prima le difficoltà che stava trovando nel realizzare quel sogno. Sicuramente non era facile guadagnarsi da vivere con il ballo, era necessario trovare un lavoro stabile che lei, però, non aveva avuto la fortuna di trovare.

Incrocia le braccia sul tavolo, il cartone della pizza, ormai vuoto, occupava buona parte della superficie quindi i miei gomiti rimasero sul bordo.

“Qualche giorno fa però mi hai detto che sono io il tuo sogno. C’è qualcosa che non quadra biondina!”

Solo finito di spiegarmi, mi lasciai andare ad un sorriso tranquillo. Le mostrai parte della dentatura bianca per diversi istante. Lei sembrava cercare le parole giuste da utilizzare. Il colore chiarissimo della sua pelle, venne sostituito da una tonalità di rosso acceso. Arrossì, infatti, fino alla punta delle orecchie. Adorabile. ancora una volta


 

Brittany

 

L’avevo contrarietà? Che diamine avevo combinato? Fino a quel momento mi sembrava che tutto stesse andando per il verso giusto. Avevo sentito le farfalle nello stomaco per tutta la serata. Lei mi aveva sorriso per la maggior parte del tempo e mi aveva permesso di conoscerla.

Cos’era successo da contrariarla e perché io non me n’ero minimamente accorta? Non mi reputavo di certo la persona più sveglia del mondo ma credevo, per lo meno, d riuscire a capire se stavo dicendo qualcosa di sbagliato o se la persona davanti a me non s sentiva bene in mia compagnia.

L’ascoltai con attenzione e tirai un sospiro di sollievo. Non avevo fatto davvero qualcosa d sbagliato ma, nello stesso tempo in cui quel sospiro uscì dalle mie labbra, avvampai.

Nessuna delle due aveva riportato a galla le parole che avevano dato inizio a… a qualunque cosa fosse. Era ovvio che prima o poi qualcuno l’avrebbe fatto e visto che io non ero intenzionata a buttarmi fango addosso, ero certa che sarebbe stata Santana quel qualcuno.

“Ho sognato di diventare una ballerina da quando ero davvero molto piccola.”

Iniziai a spiegarle. Avevo la voce leggermente tremolante. Gli occhi infinitamente belli di Santana continuavano ad osservarmi e non riuscivo a trovare un aggettivo diverso da “inteneriti” per essi.

“Tu sei entrata nella mia vita… la tua voce è entrata nella mia vita quando il mio sogno era praticamente sepolto.”

Mi strinsi nelle spalle. Incatenai i suoi occhi ai miei. La mia ancora.

“La tua voce ogni giorno toglieva un po’ di terra.”

Mi mordicchiai il labbro inferiore cercando di decifrare lo sguardo di Santana che, ancora, non aveva aperto bocca. Continuava ad aspettare altre parole da parte mia che non tardarono ad arrivare.

“Ho sempre creduto di essere un unicorno, avevo smesso di farlo negli ultimi anni e… tu mi hai fatto credere di nuovo nella mia stessa magia.”

Altro silenzio riempì il “nostro ristorante”. Di solito il silenzio divide ma, in quel caso, non ci divise neanche per un singolo istante. Per una volta le nostre voci un furono necessarie. Bastavano i nostri occhi, opposti, completamente diversi, ma fatti entrambi della stessa sostanza.

Lei si alzò e prese posto nella sedia accanto alla mia. Quel vestito rosso era da togliere il fiato. Il rosso era senza ombra di dubbio il suo colore, le stava divinamente. Mi prese la mano destra tra le sue ed un brivido attraverso la mia schiena.

Portò la mia mano alle sue labbra e lì posizionò un bacio leggero, dolce ma che, in qualche modo, riuscì a lasciare un segno tanto invisibile quando indelebile.

In quell’istante mi chiesi se Mike quando mi aveva parlato della latina si fosse confuso e mi avesse parlato di un’altra Santana Lopez. Di certo era una donna sicura di se, affascinante, bella e divertente ma non era una stronza, con me non si era mai comportata come tale.

Rimanemmo in silenzio per altri, indefiniti, minuti. Poi fui io a rompere quell’attimo. Fuori ormai il buio faceva da padrone ed io non ero certa che la mia macchina potesse tornare a funzionare.

“Posso accompagnati a casa?”

Quella domanda suonava così insensata da un certo unto di vista. Eravamo già a casa sua. Lei però sorrise ed annui.

“Si. Mi farebbe davvero piacere”

Ero felice. Ero felice che alla fin fine tutto era andato bene. Ero felice perché il suo sguardo per quelle ore era stato solo per me. Non mi spaventata più l’idea che Santana potesse prendersi gioco di me. Ero convinta di aver letto la sua anima almeno in parte. Per lo meno volevo credere che fosse così.
Mi alzai e mi infila il cappotto, lei mi imitò e insieme, mano nella mano, camminiamo fino alla porta di casa sua. Troppi pochi passi.

Aprii la porta e feci un passo all’esterno. Santana rimase in casa, le nostre mani ancora unite non davano segno d volersi lasciare.

“Grazie per la serata.”

La sua voce mi riempì piacevolmente le orecchie. L’avrei tenuta in mente per tutta la notte, per tutto il giorno successivo, per quello dopo quando proprio quella voce l’avrebbe svegliato annunciando l’orario e il tempo di New York.

“Buonanotte!”

Quello era il momento del bacio. Succedeva sempre al cinema. Non volevo però rischiare di solcare un limite che era stato invisibilmente segnato.

Le lasciai la mano e mi voltai pronta ad attraversare la strada ma lei mi fermò e senza che potessi capire cosa stesse succedendo le sue labbra avevano sfiorato le mie e velocemente si erano ritirate sorridenti e soddisfatte.

“Buonanotte biondina!”

Mi sussurrò ed io al settimo cielo dovetti lottare per non cadere come una pera cotta in quel poco tratto di strada che affronta l’istante dopo.
Salii in macchina e pregai per la sua accenzione, Quando il motore, dopo un paio di singhiozzi, diede segno di vita imprecai.

“Sei uno stronzo!”

Diamine! Non poteva accendersi diverse ore prima?
Mi sfiorai le labbra ancora inredula. Aspettai diversi istanti e poi partii. Il viaggio verso casa sarebbe stato lento con quel catorcio ma per lo meno potevo ripensare tranquillamente alla serata.





Santana



Bittany era speciale, non era strana. Lo capii quando iniziò a spiegarmi del perchè io fossi il suo nuovo sogno.
Quel calore allo stomaco tornò più forte di prima. Avrei voltuo baciarla, accarezzarle il volto, amarla anche se non sapevo cosa fosse davver l'amoe. Non meritava altro, quella ragazza era stata creata per essere amata e chi ero io per non farlo?

Mi aveva detto che voleva rendere qella serata ricordabile. Non l'avrei scordata mai. Non lo sapevo ancora ma, una seconda volta, con tranquillità e con cura, tolse un mattone dalla mia immenza muraglia.

Non sentii il bisogno di dire niente. Cosa potevo dire all'unicorno più bello che avvessi mai visto? Una parte di me continuava a dirmi di smetterla, di tornar ad essere una stronza, l'altra, quella che stava vincendo, mi disse di non allontanarla per nessuna ragione al mondo.

Poco dopo la nostra serata giunse ad una conclusione. Le diedi il baci della buonanotte, il bacio più casto che avessi mai dato in vita mia. Era la prima volta (dopo Rudolf si chimava così? che non uscivo con una ragazza per sesso).

Aspettai che la macchina partisse. non volevo di certo che tornasse a casa a piedi da sola.

Quando, dopo mezz'ora, mi lasciai andare sul materasso di camera mia il mio cuore sentì la necessità di abbracciare Brittany che, purtroppo, non c'era. Non avevo il desiderio di portarmela a letto, volevo solo abbracciarla; stringerla a me e baciarla.

L'attimo prima di addormenarmi posai la mano destra sulla fronte. Volevo assicurarmi di non avere la febbre. La mia temperatura era nella norma ma, sicuramente, dovevo aver preso una malattia, una malattia parecchio grave.

Mal d'amore.







Serendipity's Space

il mio ritardo è imperdonabile, lo so.Spero che con questo nuovo capitolo possa scusarmi. Aspetto vostre recensioni. Mi fa davvero tanto piacere leggere cosa pensate e ringrazio tutti coloro che continuano a seguire le me fanfiction e che mi lasciano commenti.

Con la fine di Glee siamo tutti un po' più sensibili. presto vorrei scrivere anche qualcosa riguardo alla Brittana nel futuro visto che gli scrittori non si sono degnati di farci sapere qualcosa. A presto :3


 

 

 

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Capitolo 8
*** 7° Capitolo ***


BRITTANY


Mi svegliai quella mattina con il sorriso stampato sulle labbra.


Fu la voce di Santana a darmi il buongiorno. Ero consapevole che non fosse vicina a me ma mi risuonò, comunque, così famigliare e calda da provocare nella mia anima un brivido profondo.

Flashback della sera passata riempirono la mia mente ed io non mi opposi. Lasciai entrare ogni ricordo dandogli il benvenuto con un nuovo sorriso.

La sveglia segnava le sette. Raggi appena nati entravano dalla finestra dalla parte opposta della camera da letto.

Rimasi tra le coperte con la promessa a me stessa di rimane solo pochi minuti non ero brava a mantenere promesse che mi auto facevo. Occhi ancora chiusi, volto rivolto verso l’alto e orecchie ben tese, attente a percepire ogni dettaglio nella voce della latina. Restai lì per il semplice gusto di sentirla. 

Immaginai le sue labbra. Perfette, simili al dipinto aggraziato di un artista esperto. Soffici, simili alla neve d’inverno ma calde come la sabbia d’estate.

Più conoscevo Santana e più mi rendevo conto che era creata da ossimori. Avevo letto miliardi di volte che gli opposti creano l’armonia perfetta, che senza gli opposti non c’è equilibrio e Lei, Lei era l’esempio più lampante di tutte queste teorie. Parole scritte da poeti mai sembrate più reali.

Del resto noi stesse, insieme, sembravano far parte di due categorie umane diverse. Opposte.

Perché il ghiaccio bollente non esiste, non può esistere ma se esistesse?

 

“Che ne dite di parlare un po’ con me?”

 

Il rituale delle telefonate stava per prendere il via. Senza neanche riflettere aprii gli occhi e mi allungai a prendere il cellulare mentre Santana ricordava agli ascoltatori quale fosse il numero corretto da digitare per poter chiamare la radio.

Non ascoltai davvero quella successione numerica, era già impressa nella mia mente. Avevo affisso un post-it giallo metaforico con quel numero già da parecchio tempo.

Portai il cellulare all’orecchio e una voce automatica mi mise in attesa.

 

“Ripropongo il topos di questo programma radiofonico. Qual è il vostro sogno? Nuovo o vecchio, non ha importanza.”

 

Sorrisi inconsapevolmente. Senza un reale motivo, almeno non apparente. Lei e la sua voce erano sufficienti. Lei e le sue labbra erano sufficienti. Lei e quella domanda, a cui avevo già risposto in diretta, erano sufficienti.

La voce automatica si ripalesò per dichiarare fine a quell’attesa, per fortuna, neanche troppo lunga.

 

“Sei in onda.”

 

Il mio cuore perse un battito. Ancora una volta.


 

SANTANA



 

Avevo dormito come una bambina quella notte. Non dormivo così da tantissimo tempo. Sapevo che il merito era di tutte quelle emozioni che avevo provato che mi avevano distrutta, distruzione positiva.

Quando la sveglia era suonata e mi aveva riportato sul pianeta terra tutto sembrava aver acquisito una connotazione più concreta.

Brittany avrebbe abbattuto la mia muraglia. Perché non riuscivo a vederla come un nemico? Perché non avevo ancora dato ordine agli arcieri di abbattere il nemico? Perché?

La voglia di scriverle qualcosa mi colpì in pieno. Incassai dolorante il colpo. Non avevo protezioni di alcun genere per quelle emozioni.
Non dovevo assolutamente sembrare disperata, Santana Lopez non era una ragazza disperata.

Cercai di rimpiazzare il pensiero di Lei con problematiche che avrei dovuto affrontare quella stessa mattina. Il lavoro, Puck, mia madre che sicuramente mi avrebbe chiamato prima di pranzo per sapere se ero ancora viva, la Brunetta con cui ero andata a letto e che mi aveva scritto appiccosa.

Mi focalizzai in quella specie di missione ma, nel tragitto verso la radio, ancora una volta, quei due occhi azzurri mi rapirono la concentrazione. Cazzo!

Entrai alla stazione radio. Puck capì all’istante che c’era qualcosa di diverso. Lo azzittii con la scusa che eravamo già troppo in ritardo per perderci in discorsi da ragazzine.

Quella mattina dedicai ogni canzone a Lei, in modo tacito. Una parte di me sperava che fosse in ascolto anche se probabilmente non avrebbe capito quei segnali sensati solo per il mio cervello malato.

Mancava ancora un po' alla fine del programma quando diedi il via alle chiamate. Mi piaceva sentire voci sempre nuove, voci diverse, voci che raccontavano una storia.

Qualche minuto e Puck mandò in onda la prima chiamata. Avvicinai le labbra al microfono per farmi sentire nel migliore dei modi.


"Sei in onda."


Dissi con voce chiara. Era sempre esilarante sentire persone imbarazzate, persone un po' impacciate e quelle che, invece, non sapevano cosa dire e come dirlo. Forse ero cattiva ma, nel momento in cui non ricevetti immediata risposta, sperai fosse una di quelle persone. Volevo farmi una sana risata.


"Ascoltatore misterioso. Sei in onda."


Dissi nuovamente sorridendo divertita. Alzai lo sguardo su Puck per capire se quel silenzio fosse dettato da problemi tecnici, non sarebbe stata di certo la prima volta, poteva capitare ma in risposta dal moikano ricevetti sono un "no" con il capo.


"Se non mi rispondi sarò costretta a passare ad un altro ascoltatore. Sicuro che non vuoi parlare? Sei un timidone eh?"


Giocai su quel silenzio anche per perdere tempo e mischiare un po' di divertimento in quella mattinata. Non potevo però rimanere ad ascoltare il silenzio per molto altro ancora. Avrei aspettato qualche altro secondo e poi avrei fatto cenno a Puck di passarmi un'altra chiamato.


"No. Ci sono."


All'istante riconobbi quella voce. Sorrisi dolcemente come una ragazzina alla sua prima cotta. Rimasi incantata anche se non era davanti a me riuscivo ad ammirarla attraverso quel dolce suono.

Puck bussò al vetro della stanzetta per scuotermi e riportarmi con i piedi sulla terra ferma. Scossi energicamente la testa per darmi un nuovo contegno. Probabilmente quel piccolo viaggio mentale era trascoro in èiù tempo effettivo di quanto immaginassi.


"Bene il nostro ascoltatore misterioso si è rivelato essere un ascoltatrice. A quanto pare ha anche una bella voce."


Potevo immaginare le sue gote farsi porpona per quel complimento e il solo pensiero riusciva ad intenerirmi. Quella ragazza era adorabile, prova evidente era ciò che aveva fatto la sera prima per me. Aveva reso quella serata perfetta anche se partita con una storta eclatante.


"E sinceramente la tua voce mi sembra famigliare. Hai già chiamato per caso?"


Ero certa l'avesse fatto. Ricordavo quella telefonata, ricordavo che mi aveva spiazzata ma che, allo stesso tempo, mi aveva fatto sorridere, aveva fatto sorridere me che non sorridevo mai.




BRITTANY




Cogliona Brittany, sei una cogliona!


Non era stata una buona idea chiamare la radio. Che cacchio mi era venuto in mente? Non sapevo neanche minimamente cosa dire. Volevo sentire Santana più vicina, volevo avere una scusa per sentirla di nuovo, volevo...

Cogliona.

La voce di Santana mi incitò più volte a parlare. Per qualche istante mi sentii come Barbie. Bocca chiusa, labbra serrate. Raccolsi ogni pensiero sensato che vagava per la mia mente ma, come in un film western, l'unica cosa presente era una balla di fieno che tranquilla e pacifica vagava senza meta.

Dovevo assolutamente creare una frase di senso compiuto ma, alla fine, le uniche parole che mi uscirono dalla mia bocca risultarono misere.

Portai la mano sinistra al viso stropicciandolo. Forse avrei dovuto chiudere la chiamata ed ero pronta a farlo, almeno fino a quanto Santana non iniziò di nuovo a parlare e mi dette conferma di avermi riconosciuta.


"Hai una bella memoria!"


Esclamai. Ormai non avevo via di fuga. Dovevo cercare di uscire da quella figuraccia, in cui mi ero messa da sola, nel migliore dei modi possibili. Respirai profondamente e continuai a parlare.


"Ti ho chiamato semplicemente per dirti che il mio sogno si sta avverando. Non so se la tua memoria ricorda anche quale fosse. In ogni caso volevo ringraziarti. È merito dei tuoi consigli."


Queste ultime parole sembravano essere uscite con un senso abbastanza compiuto, un ordine giusto e niente incieppi durante il tragitto. Niente male! Ero quasi orgogliosa di me stessa.


"La mia memoria ricorda anche quale fosse il tuo sogno e sono felice che si stia realizzando. Quando hai bisogno di un consiglio sai dove trovarmi ascoltatrice misteriosa."


Fu in quel momento che diedi fine a quella chiamata. Mi sembrava il momento migliore. Del resto il discorso era finito. Posai il telefono sul letto, davanti a me che stavo a gambe incrociate. Lo fissai per diversi istanti dopo aver spento anche la radio per non sentirmi ancor più in imbarazzo. 

Mi alzai poco dopo per andare in bagno e mi buttai sotto il getto della doccia. Non sarei riuscita ad andare a lavoro con la mente così in poltiglia.

Riuscii ad arrivare alla copisteria con solo dieci minuti di ridardo. Una volta dietro al bancone iniziai a pensare. Pensai a Santana e a cosa sarebbe successo. Mi avrebbe chiamata? Esisteva la regola dei tre giorni. Sicuramente l'avrebbe usata.

Ah, per chi non lo sapesse...

Regola dei tre giorni: È vietato contattare la ragazza con cui sei uscito/a prima di tre giorni, in caso contrario sembrerai solo uno sfigato senza vita.


Sinceramente non mi importava sembrare una sfigata o che Santana sembrasse tale perchè ai miei occhi non sarebbe stato così. Io mi ero già esposta quella mattina, le avevo fatto capire figura di merda che avrei voluto sentirla ancora, vederla ancora. Di certo non in modo esplicito ma tra le righe era chiaro.

Lei aveva detto che ci sarebbe stata per dei consigli, solo per quelli? I consigli si danno ad un amica, no? Non volevo essere spedita nella friendzone, sarebbe stato pessimo, tragico, devastante.

Rimasi dietro a quel bancone per fin troppe ore. Mi sembrava di stare in prigionia. Mancava solo acqua e pane secco per renderla ancora più realistica.

Per passare il tempo decisi di leggere uno dei fumetti di Sam, ne lasciava sempre uno sotto al bancone. Leggerli era il suo metodo per passare il tempo. Dentro a quella copisteria non entrava praticamente nessuno e lui era stato più furbo di me che, invece, passavo la maggior parte del mio tempo a girarmi i pollici. 

Iniziai a leggere le prime pagine. Non sembrava essere tanto male. Parlava di Topolino e per quanto potesse sembrare infantile a me non appariva come tale, ero sempre rimasta una bambina mentalmente e non me ne pentivo.
 
Il campanellino appeso alla porta annunciò un nuovo cliente. Nella fretta di rimettere al suo posto quel fumetto non prestai neanche molta attenzione alla persona che si stava avvicinando al bancone. Aprii il cassetto e vi infilai il fumetto. Non volevo di certo sembrare una fannullona. 


"Dovrei cambiare queste graffette."








 Serendipity's space

Ritardo clamoroso! Lo so, mi scuso. Durante quest'estate aggiornerò sicuramente con più continuità e più velocità. Spero che il capitolo possa farmi perdonare. Fatemi sapere cosa ne pensate. ❤

 

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Capitolo 9
*** 8° Capitolo ***


SANTANA


Fanculo a tutte le leggi non scritte; Fanculo ai metodi di corteggiamento; Fanculo al mio orgoglio.

Mi aveva chiamato in radio ed il mio cuore aveva perso un battito; aveva perso due battiti e poi tre e quattro; aveva iniziato a battere in modo irregolare, ubriaco, rimbambito da quella voce, dall’immagine di Lei, dalla dolcezza delle sue labbra e da quel modo di fare assurdo ma così dannatamente perfetto.

Quando la luce rossa sulla porta si era spenta, indicandomi la fine della mia mattinata lavorativa, mi ero alzata di scatto, avevo lasciato, in modo poco delicato, le cuffie sul tavolo e mi ero precipitata all’esterno della stanzetta.


“La Lopez e il suo fascino hanno colpito! Io sarò il testimone.”


La voce di Puck seguì me che mi stavo infilando la giacca leggera portata quella mattina per ripararmi dal venticello che all’alba ancora risultava freddo.

Scossi la testa e sorrisi. Anche lui aveva riconosciuto la voce della mia bionda. La sua passione come wedding planner non era sparita. Dannazione!


“Sei un cretino Noah!”


Gli dissi quando ormai stavo per uscire dalla stazione radio. La mia mente prese la decisione di andare da Brittany quando ormai il mio cuore già riusciva a sentire il suo profumo.

Mi bloccai sul marciapiede. Macchine sfrecciavano per le strade di New York.

Non avevo idea di dove trovarla. Il posto più plausibile sarebbe stato casa sua ma non sapevo dove andare e New York era troppo grande per suonare ad ogni singolo campanello.

Mi passai le mani tra i capelli scuri ed imprecai.

Urlando “taxi” feci fermare una delle tante macchine gialle, tradizionali newyorkesi. Forse non sarebbe neanche andata a lavoro; Forse non avrebbe avuto neanche un turno quel giorno ma era l’unica possibilità che avevo. La lampadina mi si era accesa e dovevo tentare.

Chiamarla?

Quell’idea tanto banale non mi era neanche passata per l’anticamera del cervello. Forse sentire la sua voce non mi sarebbe bastato questa volta.

L’autista iniziò a guidare. Il traffico quel giorno mi irritò più del solito.

Accostò fin troppi minuti dopo per la mia pazienza.

Messi di nuovo i tacchi sulla terra ferma sentii lo sguardo del tassista su di me. Dovevo pagarlo. Cosa a cui non avevo pensato. Idiota!

La mano destra andò alla ricerca di qualcosa all’interno della giacca. Una banconota e… graffette. Ringraziai il cielo d’avere almeno quella banconota che porsi immediatamente all’uomo di provenienza decisamente diversa da quella americana.

Per dover di cronaca. Quel simpatico signore aveva tentato di iniziare una conversazione a metà strada, quando mi aveva visto nel bel mezzo di una crisi di nervi, ma aveva smesso parecchio presto. Colpa probabilmente dello sguardo fulminante che gli avevo offerto. Ero una persona cattiva.

La copisteria mi stava davanti. Sorrisi divertita e anche un po’ maligna ricordando Puck che era entrato, qualche giorno prima, dentro a quella porta con le gambe strette tra di loro e una faccia da rimbambito.

Presi un respiro profondo e, con le graffette nella mano destra,  feci suonare il campanellino attaccato alla porta aprendola.


“Dovrei cambiare queste graffette.”


Poggiai la scatolina sul bancone. Non mi stava calcolando e per una frazione di secondo mi sentii la donna più stupida sulla faccia della terra, poi alzò lo sguardo e a quel punto tutto cambiò.

Mi sentivo la donna più fortunata sulla faccia della terra, non tutti potevano avere l’occasione di immergersi in quegli occhi azzurri.


“Io… Tu…”


Iniziò a balbettare la mia bionda. Sorrisi, il sorriso più genuino che avevo, quello che stava imparando a creare lei sul mio volto ogni volta che la incontravo.


“Non ho lo scontrino. Hai ragione, non ho idea di dove possa essere.”


Le dissi per togliere quella tensione. Era ovvio che non avesse neanche minimamente pensato allo scontrino.

Lasciai la scatolina lì. Delle graffette non mi importava niente.

Feci il giro del bancone in pochi passi e mi ritrovai davanti a lei.

Mi sentii come un drogato che ha di nuovo sul tavolo la sua pista da sniffare, così il suo profumo era per ma. Una droga.

La guardai diversi istanti. Il mio cuore, ormai di nuovo ubriaco, prese in mano la situazione. Capo coraggioso dell’esercito, che poi era il mio corpo, diede ordine al mio cervello di muoversi.

Posai le mano sui suoi fianchi come terre mie da una vita. L’attirai a me. Avevo bisogno di lei e non in senso carnale. Non potevamo continuare quel continuo rincorrersi. Non volevo giocare a nascondino con lei, avrei rischiato di non trovarla più. Non ero mai stata brava in quello stupido gioco.

I nostri corpi entrarono in collisione e così fecero le nostre labbra qualche istante dopo.

Fu un bacio diverso dal primo. Niente a che vedere con il solo istinto.

Fu un bacio diverso dal secondo. Niente a che vedere con la totale impacciataggine.

Era un bacio totalmente nuovo. Aveva un pizzico di tutto ma ciò che prevaleva era una consapevolezza che non avevo mai provato.

La consapevolezza di voler baciare quelle labbra per il resto dei miei giorni, perché sarebbero state necessarie alla mia sopravvivenza, sufficienti più dell’aria. Come se, in qualche modo, avessi potuto vivere senza aria ma non senza di lei.

 

 

 

 

 


BRITTANY






 

L’unica perfezione che esiste nell’essere umano è l’imperfezione.

Quel bacio aveva mille difetti ma potevo definirlo perfetto. Qualcuno avrebbe dovuto fare una foto e metterla sul dizionario sotto a “perfezione”.

Dopo un attimo di smarrimento, avevo iniziato ad assaporare le labbra carnose della Latina, così morbide, così…. non avevo neanche parole per definirle.

Posai entrambe le mani sul suo viso ambrato e quando entrambe decidemmo di staccarci rimasero lì. Le accarezzai la pelle col il pollice della mano destra. Movimenti delicati.

Ci guardammo per diversi istanti e poi fu io a parlare.

 

“Stasera c’è Harry Potter in televisione. Trasmettono uno dei film e… Ti va di vederlo con me?”


 

Era la prima cosa che mi era venuta in mente. Stupida forse. Tremendamente stupida. Non era “tipa” da film simili. Lei era una donna, io una ragazzina rinchiusa in un corpo d’adulta.


"Potremmo ordinare del cibo cinese. Adoro il cinese quasi quanto la pizza."


Quella era chiaramente una risposta affermativa. Non trovava la proposta "stupida" o forse la trovava tale ma avrebbe sopportato il film solo per stare con me. Quest'opzione sarebbe stata la più adorabile.


"Il cinese è un ottima idea."


Avrei mangiato scarafacci per lei... okay, magari proprio scarafaggi no.

Le stampai un bacio sulle labbra. Leggero, senza molta pressione. Segno di saluto tra due amanti, cosa che noi non eravamo, non ancora per lo meno.


"Stacco tra un paio d'ore. Ti posso dare l'indirizzo di casa mia e... "


Mi allontanai di un paio di passi, controvoglia, dal suo corpo e lei lasciò scivolare le proprie braccia lungo i suoi fianchi. Aprii uno dei tanti cassetti e ne tirai fuori un post it, scarabocchiato da un latto ma ancora usabile. Presa la penna segnai il mio indirizzo sopra alla suoerficie gialle e lo porsi a Santana.



"Beh, vieni quando vuoi."


Prese il post-it e mi sorrise. Il suo sorriso era il più bello che avessi mai visto. Era raro ma splendente e farlo scaturire era come trovare un diamanti in una miniera. Appagante.


"A dopo Britt."


Con quelle ultime parole uscì da dove era entrata qualche minuto primo. Ora posso affermare che quel giorno dal mio cuore non è uscira e da lì non uscirà mai.

Il mio corpo si contorse in uno spasmo di pura gioia. Saltellai sul posto un paio di volte, fino a che l'entrata di un cliente non mi rovinò il "ballo della gioia". Miseriaccia non entrava mai nessuno in quel diavolo di negozio che non si poteva neanche definire tale.






SANTANA


Harry Potter. Okay, devo essere sincera, non ho mai amato Harry Potter. Non ho mai neanche odiato il maghetto e i suoi occhiali. Diciamo semplicemente che non era il mio genere di film ma trovavo Brittany così dannatamente adorabile che avrei passato una serata su un letto di spine pur di passarla con lei.

Sarei andata a casa sua più tardi, all'ora di cena.

La mia giornata trascorse lentamente. A renderla ancora più lenta fu Puck e le sue continue chiamate che segnavano ogni ora. Quell'uomo mi perseguitava.

Iniziai a prepararmi quando l'orologio che avevo appeso in bagno segnava le 18:30.

Consumai almeno mezz'ora del mio tempo sotto alla doccia. Momento magico per i miei pensieri. Sotto la doccia diventavo la persona più geniale del mondo, al di fuori del getto dell'acqua calda ogni idea geniale svaniva.

In quella mezz'ora pensai a molte cose, come ad esempio:
Brittany.
La radio.
Brittany.
Landslide.
Brittany.
Brittany.
Brittany.

Dopo dieci minuti di riflessione, fuori dalla doccia, optai per un look molto casual. L'occasione era un film a casa sua, di certo non potevo infilarmi un tubino rosso.

Indossai un paio di jeans e una camicia bianca senza maniche e con il colleto stondato. Mi stava da Dio!

Trucco leggero, capelli sciolti e sneakers rosse.

Uscii di casa in anticipo ma sprecai quei minuti un po' nell'acquisto del take away cinese e il resto nel piccolo tratto di strada tra il punto dove avevo parcheggiato la macchina e l'effettivo appartamento della mia bionda.

Suonai al campanello e, sentito lo scatto del portone automatico, iniziai a salire le scale verso l'appartamento della ragazza. Il tempo di salire gli ultimi gradini che i suoi occhi erano già incollati ai miei.

Stava sull'ingresso, porta aperta e sorriso stampato sulle sue labbra sottili.

Le mostrai il sacchetto con dentro un po' dei piatti cinesi che preferivo e ricambiai quel sorriso.


" Spero che Harry non sia già iniziato."


Harry. Come se fosse chissà quale mio grande amico. Mi avvicinai a lei e le posai un bacio sulla guancia, bisognosa, ancora una volta, del suo profumo e del suo calore.

Mi fece entrare per poi richiudersi la porta alle spalle.


"Tranquilla. Deve ancora iniziare. Possiamo mangiare davanti alla t.v se ti va."


Il suo appartamento era piccolo, piccolissimo. Non aveva grandi disponibilità economiche, questo era ovvio ma sembrava aver reso quel posto il più carino possibile e per un attimo immaginai di svegliarmi lì durante mattine della mia vita. Scossi la testa in modo impercettibile per togliere quei pensieri dalla mente.


"Va benissimo. Io mangio sempre sul divano. Mi fa sentire depressa e molto single ma è comunque più comodo."


Risi di gusto di me stessa e la seguii fino al divano poggiando la busta con il cibo sul tavolino basso che stava tra la tv e il divano, dove mi andai a sedere subito dopo, al suo fianco.

Brittany era parecchio affamata. Mangiammo subito senza neanche aspettare l'inizio del film.

Tra un boccone e l'altro le chiesi come era andato il lavoro. Non le piaceva stare rinchiusa nella copisteria, a nessuno sarebbe piaciuto soprattutto se quel qualcuno aveva sogni mravigliosi come quelli della mia Brittany.

Il film iniziò e lei, come una bambina, esaltata ed emozionata, posò la forchetta sugli ultimi avanzi e si accomodò meglio sul divano.

Riuscivo a sentire ancora il suo profumo. Il divano era molto piccolo ed io le ero abbastanza vicina per godere a pieno della sua presenza delicata.

Non capii la metà del film. Saga del cazzo! Dovevi aver visto gli altri sei film precedenti per capire almeno una piccola parte del film se no il tutto, come a me, ti risultava confusionario. Non mi importava davvero.

Durante una delle tante scene per me, ignorante, tutte uguali le presi la mano. Un movimento naturale, lento, delicato, nostro.

Lei, abbassati gli occhi su quel contatto, sorrise e poi alzò quei due oceani su di me.



















 Serendipity's space


Spero che questo capitolo possa piacervi. Ho cercato di scrivere un po' di più e in minor tempo. Fatemi sapere cosa ne pensate, leggo sempre molto volentieri le vostre recensioni e mi servono a crescere come scrittrice quindi sono ben accette. Alla perossima! ❤

 

 

 

 

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