La morte tinge di scarlatto la neve immacolata.

di Hitsuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** — { Let it } Snow ***
Capitolo 2: *** Atto I — la perla nella Città Addormentata { Margarités } ***
Capitolo 3: *** II — La conchiglia trasportata dalla schiuma del mare e l'angelo della neve dalle ali spezzate { Illusione } ***
Capitolo 4: *** Atto III — Il Profumo di Marzo { Memorie } ***



Capitolo 1
*** — { Let it } Snow ***


La morte tinge di scarlatto la neve immacolata.
 
Chapter one; — { Let it } Snow
Neve.
Neve, neve, neve.
Che cos'è la neve? Candidi fiocchi che si staccano dal cielo cinereo con estrema delicatezza, affermerebbero i poeti e i letterati.
Cristalli di ghiaccio aventi ognuno una simmetria esagonale e tremendamente interessante, commenterebbero gli scienziati. Ma in fondo, la neve rimane sempre la stessa.
Fredda, gelida, distante dal resto del mondo; ti trascina nella sua dimensione, plasma la tua coscienza per farti allontanare completamente dalla civiltà. La neve è peccato, null'altro. 
La neve si può macchiare facilmente di sangue e la chiazza rimane evidente; anzi, spicca in modo all'apparenza ingenuo, ma dentro di sé nasconde l'oblio più profondo. Si sa, che il bianco è simbolo di morte. Si sa, che camminare fra la neve che ti penetra le ossa equivale al suicidio. Si sa, che per liberarsi da tutta la morte e la disperazione che pervade il mondo bisogna togliersi la vita. Si sa, che il modo migliore per togliersi la vita è suicidarsi nella neve intrisa d'un liquido vermiglio.
Plic. Plic.
Dopotutto, il rumore del sangue che gocciola non è lo stesso della neve che cade nelle acque d'un lago? 


≡Il cantuccio dell'Autriceh ~
Buonsalve e rieccomi con questa mini-long, genteh! <3 Sto davvero intasando e infestando il fandom, uhuh. Alors, so che questo prologo è tutto un po' straano e poi il fatto che nevichi in Italia duh che roba--- No vabbè nella mia città si crede che domani nevichi, eh. Inoltre in quell'epoca le condizioni meteorologiche erano molto "bizzarre", quindi non credo di aver mancato di credibilità. Ma ok, chiuso siparietto scemo, se avete dubbi sul prologo chiedete pure: questo angolino è più per le precisazioni sugli OC. 
Sappiate che NON accetto le iscrizioni se esse sono presenti nelle recensioni. Assolutamente NO. Accetto le iscrizioni dei vostri OC solo via Messaggio Privato (MP). Sinceramente, il fatto delle iscrizioni ad OC mi pare troppo sfruttato per ricevere più recensioni e ciò mi infastidisce estremamente: poi magari mi sbaglio, eh-! Comunque, dovete mandarmi via MP questo modulo di presentazione compilato:
 — Nome (badate, tipici del Rinascimento Italiano e non nomi esotici):
 — Cognome (vedi sopra-):
 — Sesso:
 — Regione italiana a cui appartiene il vostro OC e se adesso vive in un'altra zona dell'Italia (e, se volete, indicate anche la città; naturalmente scegliete la regione che più v'aggrada!): 
 — Età e data di nascita (non fateli tutti adolescenti pls):
 — Classe sociale e famiglia (contadino, borghesia, nobile… i genitori sono gentili, comprensivi…):
 — Aspetto fisico (gradisco una descrizione molto dettagliata, ma vanno bene anche le immagini allegate al modulo ^^):
 — Carattere (sempre piuttosto dettagliato, se possibile! ~):
 — Storia (non poco credibile, altrimenti sfociamo nelle Mary Sue e nei Gary Stu): 
 — Abbigliamento quotidiano:
 — Professione (badate che la scuola a quei tempi era molto costosa; gli uomini della Chiesa e intellettuali - musicisti, letterati - sono ammessi e con estremo piacere ~): 
 — Dettagli/curiosità (mangia tanta pasta, odia Sempronio, parla cinese, ha conosciuto Cristoforo Colombo… //???// qualsiasi cosa!): 
 — Disposti ad una relazione amorosa con un altro OC o Vocaloid (Miku e compagnia - UTAU e Utaite inclusi)? Se approvate una possibile relazione con un Vocaloid "reale/ufficiale", scrivere quale (Rin, Len, Kaito, Gakupo, GUMI, Luka, Mafumafu…). Naturalmente anche la coppie Yaoi e Yuri sono ben accette. u v u
 — Appoggiate la possibile morte del personaggio?
Purtroppo potete avere un solo OC perché sei sono pochini e avere dei personaggi tutti di una sola persona non è corretto ; A ; Poi dipende da quanti parteciperanno, eh: si vedrà, frantelli. So che pare una storia originale, ma i prossimi capitoli saranno incentrati sulla voce dei pg e altre robe (???). Scusate il prologo bizzarro, ma il Regolamento di EFP vieta di inserire capitoli privi di una "trama" vera e propria - e concordo pienamente - e volevo scrivere un'introduzione anche per incuriosirvi e farvi comprendere il mio stile di scrittura.
E ripeto, evitate storie poco credibili (della serie: Gianpera è amata da tutti i Vocaloid maschi ed è la prescelta per salvare il mondo dalla distruzione; è l'idolo di tutte le Vocaloid femmine)! Niente, mi dileguo. <3
~ Lady_Hitsuki_Who
PiEsse: scusate la cortezza del capitolo ma voglio approfondire nei prossimi capitoli e-e-e sì sto amando troppo le regioni italiane, someone please help meee ; A ; 

• Edits;
 02/02/14; cambio grafica + inserimento link nel titolo del capitolo √ 

 

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Capitolo 2
*** Atto I — la perla nella Città Addormentata { Margarités } ***


#prefazione ;

 Buonsalve pipol, ed ecco il primo capitolo della mia long! Vi ricordo che le iscrizioni sono ancora aperte, per chi fosse interessato (mi manca un OC). Questo angolino fungerà da introduzione, in cui spiegherò brevemente a chi appartengono gli OCs, la trama e così via. Questo primo capitolo tratta principalmente di Margherita Elisei, una ragazza riservata ma al contempo ambiziosa, di diciannove anni ma con una maturità superiore ai suoi coetanei. Il personaggio appartiene alla prima partecipante, Paradichlorobenzene_, che ha deciso di far abitare Margherita a Firenze. Ho perciò deciso di inserire anche l'altro OC che abita nella città toscana - nonostante provenga da Napoli - e appartenente a T o u k o, che ha creato la vivace e simpatica Gaia Capoleti. Farà una piccola apparizione anche il personaggio diClaireroxy, ovvero Angela Calandra. Nell'ultima parte ho scritto anche sugli altri due OCs (appartenenti a due altre zone dell'Italia), che approfondirò nei prossimi capitoli: Anemone Cybo, OC di Lunetta 12, ed Elisabetta Lefebvre, OC di Madness of Sky. Ringrazio tutte queste persone per aver partecipato e naturalmente anche Biondina3000 eIriisya che hanno recensito la fanfiction e la continueranno a seguire! O almeno, lo spero. Infine vorrei avvisare i non-partecipanti che la storia si svolgerà nel Seicento perché alcuni OCs suonano il pianoforte - che nel Rinascimento non esisteva. Niente, ci vediamo sotto con il mio commentino personale. ~
PiEsse; ho associato a Firenze a una "città addormentata" poiché ebbe per un attimo una decadenza - non tanto sotto l'aspetto culturale, anzi, è sempre stata ricca d'artisti, piuttosto per le continue guerre presenti in tutta la Toscana. L'idea di una "città addormentata" è quella che più le si addice; Firenze pare onirica, in bilico fra religione e scienza. Edits alla fine.

 
La morte tinge di scarlatto la neve immacolata.
 
Atto I — La perla nella Città Addormentata { Margaritès }
 

La giovane stava rimirando distrattamente fra le esili dita affusolate i suoi capelli castani pigmentati di biondo, quando dal silenzio tombale si levò il tono aspro del maestro.

«Signorina Margherita» disse il professore, con una leggera nota di disappunto nella voce secca e arida come un deserto - il deserto che percorrevano i mercanti Arabi, secondo la giovane. «Stia attenta alla lezione». Aggrottò la fronte e le rughe aumentarono quasi fossero ramificazioni della Via della Seta. Agli occhi della ragazza appariva sempre più un deserto percorso dai mercanti.
«Sì, signore» si affrettò a mormorare la fanciulla, sbattendo le ciglia nere cosicché le sue iridi brune osservarono quelle grigie dell'uomo. Egli fece un cenno con la testa e rilassò il volto - alcune rughe scomparirono, altre rimasero ostinate sulla pelle consunta del maestro. Prese un profondo respiro, per poi continuare la lezione di greco.
«Sai da cosa deriva il tuo nome?».
«Margaritès, signore» esclamò la giovane Elisei, e le labbra sottili le si tesero leggermente all'insù. «"Perla" in greco». 
Margherita, "perla". Le era sempre piaciuto come nome. 
Pensava a quanto le perle la rappresentassero. Nivee e rosate, fragili ma al contempo forti, esili ma di estremo valore. Non sapeva di preciso cosa la spingeva a pensarlo, ma qualcosa nelle acque del lago nel suo cuore[1] si muoveva increspandosi leggermente al solo pensiero di poter diventare qualcuno. La sua immaginazione spiccava il volo affiancata dai suoi sogni e ideali. Amava studiare e arricchire la sua mente delle meraviglie che avevano accompagnato l'uomo in tutto il suo percorso, fin dalla sua nascita. Diventando scrittrice, inoltre, poteva rilegare tutte le sue memorie potendo così migliorare un po' quel mondo disordinato - anche se mai sarà completamente in ordine, ma meglio così.
E mentre le parole dell'insegnante andavano scemando nel suo corpo, disperdendosi inesorabilmente, vide fuori dalla finestra un avvenimento tanto raro quanto spettacolare.
«Nevica! Che cosa strana». La signora Elisei accennò un sorriso, mentre scostava le ampie tende ricamate per osservare il paesaggio che si estendeva in tutta Firenze. I fiocchi di neve cadevano placidamente avvolgendo la città in una bianca ninnananna. Pareva addormentata, cullata da quei puntini che si distaccavano dal cielo con un'eleganza pari a quella di una dama.
Margherita era accanto alla madre e i suoi occhi s'erano per un attimo sgranati leggermente di fronte a quell'evento atmosferico. Se ne accorse anche la madre, che con tono caldo e vagamente bonario si rivolse alla figlia.
«Non hai mai visto la neve, vero?».
Ella fece cenno di no col capo, scuotendo impercettibilmente la testa. La neve, che strana. Sembrava portasse dietro di sé morte, tanto Firenze era sprofondata in un sonno che pareva eterno. Assottogliò le palpebre mostrando indifferenza.
«Vuoi ancora andare a vedere il concerto?» le chiese la madre, marcando il suo disappunto.
Lei sorrise, mostrandosi decisa. «Certamente, non m'interessa la condizione atmosferica poco gradevole». E dire che, la neve, presto avrebbe modificato la sua vita agiata.
A Margherita, poco le importava del denaro. Amava elargirlo per assistere a concerti musicali - soprattutto di pianoforte - e la musica deliziava ed allietava le sue giornate come nella Reggia di quel certo re di Francia, Luigi XIV, a Versailles. Quel giorno s'esibiva il suo migliore amico, che aveva conosciuto proprio sul palco rialzato del teatro. 
La neve picchiettava con insistenza sul vetro della carrozza, come se volesse entrare all'interno e avvolgere Margherita in un sonno senza fine. Sbuffò, visibilmente infastidita, mentre lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli riempivano la testa della ragazza.
«Siamo arrivati» disse allegramente il cocchiere, attendendo una mancia che avrebbe fatto gioire le sue tasche vuote. Margherita sussultò leggermente, sbattendo le palpebre più volte, per poi sorridere cordialmente al cocchiere porgendogli una somma di denaro - che questi avrà indubbiamente apprezzato, dal sorriso che gli spuntò appena ebbe fra le mani il gruzzolo. La carrozza se ne andò guidata dalla nebbia e ostacolata dalla neve, finché anche il rumore degli zoccoli scomparve dalla mente di Margherita così velocemente che mai ella poté trascrivere il ricordo di quel rumore su carta. Immediatamente si strinse nel suo mantello nero, mentre i graziosi piedi affondavano nella neve - senza però peccare d'eleganza. Notò che la neve era leggermente sporca di terra ed alzando lo sguardo vide una figura alta e scura nascondersi fra i muri variopinti della città, ma la sua attenzione non si focalizzò su quella persona - tanta la voglia di dirigersi a teatro[2]. Si mosse fra le vie più malfamate in silenzio, in quella Firenze addormentata che mai aveva visto, mentre le orme dietro di lei scomparivano ad un ritmo incalzante più di un virtuoso arpeggio data la quantità ancora numerosa di fiocchi che cadevano dal cielo; e Margherita stessa pareva parte di Firenze, della sua città. Si bloccò di scatto in un'ampia strada e alzò leggermente lo sguardo, mentre un'aria di soddisfazione la impregnava e le sopracciglia arcuate si alzavano sempre più - era arrivata presto e ciò voleva dire passare più tempo con l'amico pianista. Contemplò per un attimo il teatro ricco di dettagli e pitturato d'oro, con le statue sfarzose e i Santi dipinti quasi a proteggere l'edificio, poi storse leggermente il naso - che riteneva avesse un difetto della linea, anche se piccolo - alla vista di quelle figure religiose; era sempre stata atea e mai aveva apprezzato il fatto che Firenze fosse una città prevalentemente guelfa. Ricorda ancora i guelfi neri che esiliarono quelli bianchi - e il bello e che, Cristiani com'erano, dovevano essere amici l'un l'altro! - e un certo Dante Alighieri che fu il più stravolto e pallido. Poi scosse la testa per destarsi da quei pensieri; la neve la stava trasportando nel suo mondo, ma lei doveva fare da guardia all'ormai indifesa Firenze! 
Arrivata al portone che dava l'accesso all'interno del teatro, s'accorse che era chiuso. Poggiò le mani sul legno intarsiato e spinse, ma con scarsi risultati. Inspirò ed espirò, provo e riprovò, ma la porta non accennava a spostarsi. Ormai esausta e priva d'una qualsivoglia speranza, cominciò a bussare più forte che poté e dopo un lasso di tempo - breve o meno, a Margerita parve interminabile - la porta si spalancò violentemente e lei con agilità scattò all'indietro. Un volto seccato apparve da dentro il teatro, con una smorfia di fastidio. Ma appena notò che aveva davanti a lui una fanciulla la smorfia si sciolse lasciando spazio ad un caloroso sorriso. Margherita arrossì lievemente - per l'imbarazzo o l'attrazione nei confronti di quella persona, non si sa -, portandosi delicatamente una mano sulle labbra.
«Ecco…» disse, mentre i piedi battevano nervosi sulla neve «volevo entrare, ma la porta era chiusa. Per caso è già cominciato il concerto…?».
«Oh, no» rispose l'altro dolcemente, i lunghi capelli viola ad incorniciargli il bel sorriso «dobbiamo ancora aprire».
«Ah, mi scusi! Mi scusi davvero, allora tolgo immediatamente il dist—».
«Carlo[3] mi ha parlato di te, sai? Sei… Margherita, giusto?».
Margherita ora s'era fatta diffidente e si crucciò, serrando le labbra. Il suo migliore amico andava a spifferare su di lei? Non era affatto carino nei suoi confronti. Inoltre, quel "tu" e la cordialità che mostrava quella persona erano davvero insopportabili. Fece cenno di sì con la testa, sempre più sospettosa. Si conoscevano, per caso? La troppa confidenza mai le era piaciuta. L'altro la ignorò e continuò a parlare, calmo.
«Io sono Gano[4], il figlio del gestore del teatro» subito Margherita cambiò espressione, diventando sorpresa. «Ed io e Carlo siamo molto amici. Ci piace scambiare opinioni sui musicisti e lui m'ha parlato più che bene di te. Quindi, volevo chiederti: mi piacerebbe davvero tanto se ti esibiresti, un giorno».
La pelle già chiara di Margherita divenne ancora più pallida e cominciò a balbettare in preda alla vergogna. Inoltre, non avrebbe mai immaginato che Carlo avesse così tanta fiducia nei suoi confronti. S'era comportato in modo genuino, c'era da dirlo, e lei aveva sbagliato ad aver dato un'opinione tanto affrettata ed approssimativa.
«Ehm, ecco… sì, si vedrà» disse, mostrando falsa indifferenza e dirigendosi velocemente all'interno del teatro. «Adesso, se mi permettete, vorrei incontrare Ca—». Venne interrotta un'altra volta. Gano aveva il capo chino.
«È ammalato» disse «ma s'esibirà un musicista anche più eccelso di lui, oso dire. Anzi, una musicista». Margherita si rattristò; voleva porre delle domande sulla presunta malattia di Carlo, ma non s'intromise - intromettersi mai le era piaciuto, nonostante la sua attazione per tutto ciò che la circondava. 
Spinta dalla curiosità andò verso il palco, incurante della maestosità e grandezza che la circondava, dei Santi che dai dipinti la osservavano chi severamente, chi dolcemente - la maggior parte arrabbiati, secondo Margherita. Notò una figura snella e giovane seduta su uno sgabello, fra le mani uno spartito. Le sue iridi si muovevano dall'alto verso il basso, sempre più veloci, con vivace attenzione ed altrettanta sicurezza, ma quando percepì che qualcuno era salito sul palco spostò lo sguardo e donò a Margherita un radioso sorriso. 
«Sono Gaia, mi esibirò oggi al posto di Carlo!» era visibilmente eccitata e Margherita notò che aveva verso i quindici anni - si domandò se era così brava come s'affermava. 
«E tu, chi sei?».
La diciannovenne evitò di puntualizzare quel "tu". Sorrise gentilmente ma con un po' di riservatezza e si presentò alla certa "Gaia" - Gaia, "Terra" in greco; che lei, a differenza sua, stesse proteggendo l'intero mondo dalla neve? - con un elegante inchino.
Margherita notò che il palco era privo di un qualsivoglia pianoforte. Spostando lo sguardo, vide che fra le mani di Gaia spiccava un flauto traverso e la curiosità la pervase segretamente. Già attendeva con impazienza che le mani di quella giovane si posassero sui buchi del flauto, per emanare un suono armonioso che, fra poco, avrebbe invaso il teatro rendendo più saporita l'atmosfera.
«Parli francese? Inglese? Sai, io amo quelle lingue» la giovane aveva gli occhi verdi brillanti, mentre i capelli biondi parevano illuminare il teatro.
Margherita rispose di sì, aggiungendo di conoscere anche lo spagnolo, e Gaia fece una smorfia divertita.
«Oh, non parlarmi della Spagna! Mio nonno s'esibiva alla corte del Regno di Napoli, ma gli Spagnoli ce ne hanno fatte di tutti i colori». Le sue iridi assunsero una leggera sfumatura giallo oro e Margherita preferì evitare l'argomento.
«Sei di Napoli?» domandò con una nota d'entusiasmo. Gli occhi dell'altra ritornarono completamente verdi e sempre con molta allegria confermò, scuotendo con forza la testa in su e successivamente in giù.
«Mi trovo molto bene a Firenze!» esclamò, felice. «Io, mio nonno, mio fratello, Mia[5]… tutti». Sospirò.
«Si comincia!» Gano era dietro Margherita e le intimò di scendere dal palco. La giovane si ricordò di aver abbandonato il ragazzo e gli diede le dovute scuse; lui invece le donò un sorriso cordiale ma freddo - proprio come il suo - e la rassicurò. Gano spalancò platealmente le braccia, al centro del palcoscenico, dietro a lui una Gaia divertita che non riuscì a trattenere una risatina. Quando Margherita si sedette sulla sedia in prima fila che aveva prenotato incurante dell'alto prezzo, l'esibizione cominciò. Si accomodò assaporando la seta pregiata che l'avvolgeva e posò galantemente le mani sulle sue gambe.  
Le acque s'increspavano leggermente, sotto la guida tranquilla del vento. Una figura riccamente vestita portava il ventaglio alle labbra incise da un sorriso malizioso.
 
La ragazza sbuffava, in preda al nervosismo, mentre le mani agili cucivano e ricucivano un abito colmo di merletti e altre cose che proprio non sopportava.
 
Margherita si preparò ad ospitare nelle sue orecchie il suono del flauto traverso. Gano sorrise sempre più compiaciuto dall'immenso palco che ospitava lui e Gaia.
«Che si aprano le danze».
***
Notes ;
[1] presa dalla Selva Oscura, Divina Commedia — Canto I, Inferno; "[...] che nel lago del cor m'era durata [...]".
[2] volevo precisare che lei è proprio l'OC di claireroxy, ovvero Angela. //smiles
[3] Kaito, ovvero l'amico pianista di Margherita. Ho optato per "Carlo" perché foneticamente mi ricorda proprio il nome "Kaito".
[4] Gano è Gakupo, nome non solo dell'epoca ma anche appartenente a un personaggio delle Chanson de Roland.
[5] la Vocaloid nei panni di tale "Mia" è IA. Ho scelto questo nome perché è molto simile ad "IA", ma immagino l'abbiate già dedotto. //ride

kaitoHitsuki's { future s t r e g a t t o } corner ;
ICON: KAITO
MADE BY: me (immagine modificata, adattata ad icon)
SIZE: 100 × 100
Finalmente ho finito il primo capitolo! Mi sono divertita moltissimo a scriverlo. Ho sempre apprezzato Firenze e mi sono informata ben benino per evitare figure e gaffe di vario genere. Il teatro è comunque puramente inventato, così come i Santi affrescati e i decori; tutto appartiene alla mia fantasia malata. Spero di aver rappresentato in modo corretto i vostri personaggi, in caso contrario non esitate ad avvisarmi. Ah, Gano/Gackupo è amante delle belle arti e per questo ama dire "Che si aprano le danze" nel suo amato teatro: ci credo che prova simpatia per Margherita, paga sempre un certa sommetta quando va a teatro (non è vero, Gano apprezza il suo carattere. Ignoratemi.) //coff. Non so, ho paura di aver fatto un mucchio di casini ma in fondo sono soddisfatta, sì. //annuisce convinta// E vorrei tanto scrivere altro, ma di questo passo non la smetterei più, da brava prolissa e logorroica! Ultima cosuccia: naturalmente, grazie per aver letto l'intero capitolo e, se siete arrivati qui, perfino i miei scleri. <3 Prendetelo come un regalo per chi legge le note d'autore - autrice, in questo caso. Ave, popolo(h)! Andate in pace con tanti cupcakes gusto semaforo. 
~ s t r e g a t t o . (cominciò a firmarmi così, vah)

Edits;
12/04/14
  cambio grafica
  iscrizioni CHIUSE
  cambio nickname

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Capitolo 3
*** II — La conchiglia trasportata dalla schiuma del mare e l'angelo della neve dalle ali spezzate { Illusione } ***


Quando il sol la neve indora, neve. Neve e neve ancora.

Eccomi qui con il secondo capitolo, stavolta incentrato su Anemone Cybo di Lunetta 12! Angelo invece è un personaggio che più che ai fini della trama - lascio questo ai vostri OCs - "aiuterà" Anemone… comunque. È più un'introduzione della sua personalità: mentre nel primo capitolo su Margherita si lasciava spazio anche alle azioni, cosicché si approfondisca a poco a poco la sua personalità, qui ho già dato un'idea più chiara - è difficile da spiegare, ma più o meno il concetto è questo. Naturalmente s'approfondirà in futuro anche il carattere di Anemone. L'ambientazione la lascio avvolta nel mistero e la svelerò in seguito; inoltre, nella prima parte del capitolo (dall'inizio fino a quando all'OC di Lunetta girerà la testa) Anemone ha diciassette anni, poco prima di una sua plausibile incoronazione che l'avrebbe portata a diventare Principessa dei Cybo - stessa cosa per Piko e Miki, ove quest'ultima ha perciò la stessa età di Anemone. A proposito, la famiglia Cybo è invece molto religiosa e credente, Anemone soprattutto, che dà anche importanza ai beni materiali; chissà quando incontrerà Margherita, atea - e anche questo suo ateismo lo analizzerò poi - e che dà poco peso alle cose materiali! Eheh, ho già qualche idea. Nulla, cambierò grafica - ma con l'html sull'iPad ho già fatto passi avanti, per fortuna - e ci vediamo di sotto con un commentino più soggettivo. Non ce la faccio più, ho cambiato connessione sul PC ma va lentissimo e non me ne capacito! Credo sia perché abito in periferia, grrrr. Ah, e il titolo del capitolo (la parte da "la conchiglia" a "del mare") è ispirata alla Venere del Botticelli (uhuh, sono soddisfatta di quest'accostamento ~) e si comprenderà di più quando tratterò, appunto, del mare. E naturalmente, buona lettura.

Edits alla fine.
La morte tinge di scarlatto la neve immacolata.
Atto II —  La conchiglia trasportata dalla schiuma del mare e l'angelo della neve dalle ali spezzate { Illusione }

L'odore delle salsedine s'insediava nelle narici della giovane, mentre i ciuffi biondi le schiaffeggiavano il viso incitati dalla brezza altalenante della tramontana. Ammirava tranquillamente il mare che rincorreva la schiuma inumidendo la sabbia sottostante e si beò di trovarsi sul ponte in legno a rappresentare la sua supremazia sulla natura e la sottomissione al Signore.1
"Nostro Signore ci ha creato per guidare la Natura" pensò compiaciuta, trattenendo dai sospiri del vento - che s'erano fatti via via più potenti ed incalzanti - il suo ventaglio. Pareva d'acciaio, ma al contempo composto da innumerevoli petali dorati; una rosa cremisi irta di spine aguzze, uguali alla punta dell'arcolaio che fece cadere la Bella Addormentata in un sonno profondo.
«Signorina!». Anemone si voltò leggermente infastidita, il ventaglio fra le mani pronto a scagliarsi sul capo di colui che aveva parlato. Si ricredette però quando davanti a lei apparve un povero ragazzino dagli abiti sgualciti e martoriati, un fanciullo disgraziato che in fondo le provocava tanta pena. Egli fermò la sua corsa per poi poggiare le mani lattee sulle ginocchia, mentre ad ampie boccate inspirava ossigeno ed elargiva anidride carbonica.
L'altra intanto tentò un approccio gentile, abbassandosi dolcemente per arrivare all'altezza del ragazzino, che intanto alzava lentamente il capo per arrivare allo sguardo di Anemone - tentavano entrambi di incontrare il volto del loro futuro interlocutore, in silenzio.
«Hai bisogno di qualcosa?» chiese, tentando di apparire il più disponibile possibile.
«E-ecco…» farfugliò lui, mentre le mani andavano sulla sacca marroncina - che si posava pesantemente sopra la sua spalla - in cerca di qualcosa. Estrasse poi un giornale dalle tonalità rosate che parevano quelle dell'alba, per poi usarlo come barriera fra lui ed Anemone. «Vorreste comprare il mensile?». Alla fanciulla dispiaceva dirgli che la sua ricca famiglia l'aveva già comprato e volle tanto premiare la laboriosità del ragazzino che, nonostante la sua quasi sicura orribile situazione, lottava continuando a credere nel Signore. Così accennò scuotendo la testa di volerlo comprare, con il palmo già provvisto di una monetina da donargli come compenso. Lui inizialmente ritrasse il giornale stupito di fronte a quella moneta che per la sua condizione molto povera era di immenso valore, ma poi timidamente la prese ritirandola velocemente in tasca e porgendo alla giovane donna il giornale; poi fece per andarsene, sempre correndo, ma le sue esili braccia vennero bloccate dalla mano decisa dell'altra.
«Anemone» disse.
Il ragazzino sbattè leggermente palpebre, senza comprendere perché mai ella avrebbe detto semplicemente un nome di un fiore, perlopiù ad una persona di basso rango come lui. Ella lo comprese e quindi - ritraendo la mano che si poggiava sul ventaglio - spostò lo sguardo.
«Il mio nome, intendo». L'altro fece un veloce cenno del capo, volenteroso di fuggire da quel dialogo per evitare la verga che poi lo avrebbe aspettato a casa e il suo padrone che l'avrebbe fustigato. Anemone invece, placidamente, sospirò e fece un sorriso nervoso.
«Certo che devo proprio strapparti le parole di bocca… come ti chiami?».  Il ragazzino rimase ancora una volta leggermente sorpreso e i suoi capelli bruni vennero mossi dal vento che intanto avvolgeva lui ed Anemone. Mosse tremante le labbra, rabbrividendo più dall'imbarazzo che dal freddo, mentre il mare lo incitava provocando alte onde che si schiantavano sugli scogli. Deglutì, prese fiato - mentre l'altra continuava a sospirare, domandandosi come avrebbe fatto a stabilire un buon dialogo con lui - e poi finalmente rispose e le parole si persero inesorabilmente sulla scia di quel vento prepotente che incorniciava l'atmosfera quasi onirica.
«Angelo». Di nuovo silenzio, poi la piccola figura indietreggiò nervosa continuando ad osservare Anemone - che intanto s'era alzata e pareva anch'ella persa per via di quell'ambiente evanescente. In un microscopico lasso di tempo le voltò le spalle e riprese a correre con i piedi fiacchi, mentre il corpicino candido come la neve pareva sfidare la forza agghiacciante della tramontana.
Quando poi il bimbo scomparve, l'anima del vento s'acquietò ed i capelli biondi di Anemone le ricaddero sulla schiena - alcune ciocche però andarono disperdendosi sul busto - e lei rimase ancora con le braccia sui fianchi a contemplare il suo cuore in cerca di qualche risposta.

Ritornata alla sua splendida reggia, ad accoglierla ci fu il suo servo - il suo amico - più caro. Capelli d'acciaio, occhi acquamarina e pelle di porcellana.
«Signorina, è in ritardo per il pranzo» la rimproverò tentando di mantenersi serio, con il capo chino per far notare la sua sottomissione e nascondere il suo leggero divertimento.
«Paolo2, smettila» osservò furtiva il corridoio per essere sicura che solo loro due si trovassero lì e, assicuratosi che non c'era nessun altro, diede una piccola pacca amichevolmente col ventaglio sul capo ancora abbassato del servo e poi - essendo Paolo piuttosto basso e fragile, proprio come la neve anch'egli - si mise in posizione eretta dirigendosi alla sala da pranzo. Lei e Paolo erano amici, le frasi di uno animavano l'altro di incontenibile affetto ma era un rapporto che dovevano mantenere segreto per il bene loro e della Corte dei Cybo stessa. Come quando i raggi di luna traspariscono timidamente dalla massa scura del cielo bucherellandolo di puntini luminosi, così loro con piccoli e lenti gesti coltivavano la loro amicizia; con cautela, ma ostinati a renderla sempre più rigogliosa.
Camminarono per un breve lasso di tempo, la serenità che bastava a riempire il forzato silenzio, mentre le scarpe sfioravano delicate il pavimento marmoreo - e nel caso di Anemone l'ampia gonna si trascinava lentamente trasportata dal movimento dei piedi. Alla fanciulla il corridoio pareva un'enorme illusione composta da specchi e bugie e non fece in tempo a comprendere se anche Paolo pensasse la medesima cosa che giunsero alla fine. L'amico allungò un braccio estendendolo verso la gigantesca sala da pranzo, così sfarzosa che era ricca solo di vuoto e sedie di velluto pesca che s'ergevano verso il soffitto alla ricerca di un Signore che in quel periodo cominciava a mancare nel sale della vita. Anemone strinse a sé il giornale, che per lei era già come una reliquia da custodire; sospirò chiudendo le palpebre per poi sbuffare ironicamente volgendosi verso Paolo - che accennò un timido sorriso -, si riavviò i capelli dorati ed infine decise di sporgersi dalla porta per entrare nella stanza.
«Signorina Cybo, è in ritardo» il padre, austero, era eretto proprio come la sedia ove poggiava, in un vano tentativo di assomigliare al suo Creatore. Anemone questa cosa proprio non la sopportava - essere un altro, in particolare se quella persona è troppo in alto ed onnipresente nella sua evanescenza, era disgustoso. S'irrigidì e si mosse velocemente nella direzione della sua sedia, senza rispondere, quasi a non spezzare nuovamente il silenzio che accoglieva il Signore in quella stanza buia ed altrettanto luminosa. Si sedette confusa, le gambe che ancora dopo anni non riuscivano a tastare il pavimento se poggiati su una sedia - la sedia, quella maledettissima sedia, aveva le gambe troppo alte. Posò le mani ad imitare l'austerità del padre sulle ginocchia ricoperte da un pesante tessuto giallo cenere e spento, per poi alzare decisa lo sguardo che contrastava con la veste ed incontrare quello del genitore - perfino il bambino che aveva incontrato prima non aveva paura di scrutare dentro l'animo di qualcuno, ma in quel momento ad ella pareva che il padre fosse diventato un tutt'uno con la stanza, colmo del nulla più totale. Socchiuse le palpebre un poco; si sentiva assonnata. Vedeva le labbra del padre muoversi velocemente ma con calma, le mani che si muovevano nell'aria che sì, rimaneva sempre vuota, ma dall'atmosfera sempre più pesante. Non riusciva a sentire. Stupita si concentrò per tentare di ascoltare o comprendere le frasi tramite il labiale, ma le provocò solo un maggiore stato di confusione. A poco a poco gli occhi si spensero e persero la loro luce sicura e leggermente ribelle, abbandonandosi a loro stessi insieme al resto del corpo. Venne trasportata come in un moto centrifugo tale e quale a quello che ostentavano Copernico e Galileo Galilei, mentre i colori si mescolavano in un girotondo di pittura e tavolozze - le tinte che utilizzava il pittore s'erano mischiate e tutto diventava sempre più astratto. Appoggiò con forza la testa sul tavolo e il bianco prese possesso dei suoi pensieri cominciando a manipolarli proprio da quel momento.

I raggi di sole filtravano dalle serrande dorate circondando di luce il volto sudato di Anemone. Infastidita, la giovane donna sbuffò voltandosi di lato mentre la coperta di seta ricadeva senza ritegno sul pavimento. Poco dopo però aprì gli occhi e si corrucciò con una nota di spavento; quello non era il vero sole. S'accorse infatti che i raggi che poco prima le baciavano il viso erano freddi, vuoti e privi di materia come il sogno che aveva appena fatto. Infastidita, sbuffò nuovamente; stava ragionando su un mistero e già se ne faceva strada un altro. Quel sogno era stato premonitore e voluto dal Signore, o un incubo? L'unica cosa reale in esso erano il suo servo Paolo - che ormai era stato sostituito da una ragazza di nome Mina3 - e il padre in tutta la sua impeccabile - insopportabile, a sua detta - aristocrazia. Scosse la testa con forza per poi prendere velocemente la coperta scivolata di lato e poggiarla sul letto per facilitare il lavoro alla governante e s'avvicinò alla finestra per risolvere il primo quesito che s'era posta appena sveglia; il più pratico e veloce. Scostò la tenda vermiglia con una mano e oltre al vetro che la separava dall'esterno dei punti bianchi l'accolsero. I suoi occhi s'illuminarono di stupore, uno stupore freddo come il sole che l'aveva svegliata, senza reagire né in modo entusiasta né con ira o tristezza. Semplicemente portò le dita sul vetro, solo un poco, con i polpastrelli che imprimevano una forza microscopica per non appannare troppo la finestra ed osservò. Gli occhi né vuoti, né ricolmi di emozioni; si limitò a compiere l'azione come mossa dal bianco che ora pervadeva la sua mente in stato confusionale, senza pensare a ciò che ne avrebbe comportato - se avessero fatto tutti così, se tutti fossero stati comandati dal bianco, allora sì che il mondo sarebbe realmente degenerato.4
Un rumore cupo vibrò per la stanza, entrando velocemente nelle orecchie di Anemone che però ci mise un po' a realizzare che qualcuno aveva bussato alla porta. Non fece in tempo ad avvicinarsi per girare la maniglia che già la sua serva era entrata timidamente e poi sempre più decisa, spostando lo sguardo per l'intera stanza. Sussultò quando vide il letto non tanto per le lenzuola arrotolate e ricche di brutte pieghe, piuttosto per la scomparsa della padrona; ma quando arrivò ad esaminare con le iridi la finestra ed un'Anemone che s'era scostata da essa con un gesto lesto della mano sorrise e ripuntò gli occhi sul pavimento in parquet.  «Principessa, è già sveglia?». Se Mina era arrivata al posto della governante, e senza colazione per lei, non era buon segno.
«Sì, sì». Tese le labbra all'insù: per lei Mina in fondo era una buona amica, che le faceva ricordare inoltre Paolo - e da come aveva capito la sua nuova serva l'aveva già visto o conosciuto ma era restia dal trattare l'argomento, anche solo sfiorarlo. Le dispiaceva molto vederla con i capelli corti e arruffati tagliati per rendere il colore rosso meno vivido, così come il fatto che doveva sempre frenare il suo sguardo ribelle dalle iridi rosse per evitare di essere ritenuta "figlia del Diavolo". A quanto pare tutti i suoi servi almeno una volta avevano avuto un segreto, condiviso con Anemone - come nel caso della sua amicizia con qualche suo sottoposto - oppure sventato dalla Principessa, che con fare malizioso riusciva sempre ad ottenere parole su parole mentre mille vite le si affannavano in testa. E lei di segreti ne aveva molti, così numerosi che non faceva altro che destare ancor più la sua curiosità. Mina puntò dolcemente il braccio oltre alla porta. «Vostro padre vuole vedervi direttamente in sala».
«Ah, ma davvero?» rispose la Principessa sull'orlo della rabbia, trattenendo l'impulso di dirigersi direttamente da Teo5 per protestare. «Allora dica a mio padre che non ho voglia di servire le sue sciocche esigen—».
«Anemone». Mina s'avvicinò ad ella, poggiando le mani sulle sue spalle. I suoi occhi rossi risplendevano ed ormai non si nascondevano più; fieri osservavano l'interpellata scrutandola dentro, leggendola nel pensiero ma al contempo tentando di modificare i suoi pensieri stessi con altri più ritegni per una giovane Cybo. «Comprendo che Lei sia… stanca di sentirsi dire che deve cominciare a cercare un marito, ma deve comprendere anche suo padre Teo. Lo fa solo per il tuo bene» e lì si bloccò «ed il suo e dell'intera Corte, non lo nego». Anemone non reagì né positivamente né negativamente, rimanendo ad ascoltare Mina con attenzione. «Certo non è un affetto enorme nei tuoi confronti, ma comunque tiene al tuo futuro». Non aveva ancora finito, dato che riprese fiato e scrutò in modo ancora più profondo Anemone. «Ma comprendo di più te, che vuoi essere libera da questa cella dorata, senza ali tarpate o quant'altro. Quindi dialoga con tuo padre senza essere troppo aggressiva, o peggiorerai la situazione. Almeno» riabbassò con estrema velocità il capo e le sue iridi rosso fuoco scomparirono fra la massa di capelli, ma di poco «tu delle possibilità ce le hai. Non fare l'egoista e approfittane». Ancora una volta inspirò ed espirò lentamente, nascondendo completamente lo sguardo e ritornando la serva apocrifa6 di prima. «È tutto».
Anemone era ancora in silenzio, ma rilassò i muscoli e anche lei sospirò. Mentre s'incamminava con la serva verso la sala della colazione, si limitò a chiedere una sola cosa. «Dove hai imparato? Non intendo solo il tuo lessico, ma anche…».
«I valori?» chiese dolcemente Mina. I capelli le erano cresciuti di poco, presto glieli avrebbero dovuti tagliare nuovamente. «Me li hanno insegnati i libri» rispose e prontamente preparò una risposta più soddisfacente «e a leggere mi ha insegnato Paolo».
Anemone non chiese null'altro. Si limitò ad osservare per un attimo la serva, per poi contemplare il bianco che rendeva il mare sempre più misterioso. Sperò vivamente che non sarebbe accaduto nulla, ma a quanto pare - per la seconda volta nella sua vita - le sue preghiere furono vane.
… O forse, era proprio quello l'avvenimento che attendeva da ben venti anni?

I fiocchi erano aspri solo se a contatto con il corpo vivido di sentimenti delle persone. E lui ne ebbe la prova, quasi piovesse acido dal cielo plumbeo ma al contempo limpido, mentre lo scroscio delle onde era una nenia che a differenza delle altre lo teneva sveglio e attento.

***
Notes ;
1 — "Signore"; Dio verrà chiamato così per tutta la durata del capitolo; essendo una bestemmia nominare il suo nome nel periodo Medievale e verso l'epoca di Dante ho pensato che - entrando nella mente di una persona fortemente religiosa - non era certo rispettoso secondo tale personaggio.
2 — "Paolo"; altro nome tutto meno che deducibile, è Piko. Il più giusto sarebbe stato "Pino" - o anche "Puccio", perché Piko è la pucciosità scesa in terra -, ma non m'allettava molto.
3 — "Mina"; SF-A2 Miki. Era l'unico che ho scovato un po' vicino al nome Miki.
4 — "se avessero […] degenerato"; sì, è un riferimento a quelli che istintivamente non riescono a reprimere i loro impulsi primari e compiono atti orridi quali gli assassini, o ancora le guerre che mettono in pericolo milioni di persone che non hanno neppure il tempo per soddisfare i loro superiori assetati di potere.
5 — "Teo"; Kasane Ted, la controparte maschile di Kasane Teto. Naturalmente è un adulto nella fanfiction.
6 — "apocrifa"; ho scelto proprio questa parola per richiamare i Vangeli apocrifi - Vangeli che non sono canonici ma comunque riconosciuti da alcuni seguaci, trattanti principalmente l'infanzia di Gesù Cristo e dove inoltre appaiono i tre Re Magi - e quindi la religiosità di Anemone.


I
l ripostiglio alla cannella ;
Eccomi, i Vocaloid stanno cominciando ad apparire nella fanfiction! In estate non scriverò molto su fanfiction di un solo capitolo e mi dedicherò principalmente alle mie long, sperando di essere più veloce negli aggiornamenti. Ma comunque, mi diverto sempre a scrivere sulle AU storiche e per mie gli OCs sono anche un ottimo "esercizio di scrittura"; volendo io diventare scrittrice per me trattare personaggi altrui - ed in un ambiente storico - è un'enorme responsabilità, ma mi aiuta ad entrare nelle mente dei characters più disparati. Insomma, sono contenta di aver fatto quest'iscrizione ad OC e spero di non deludere nessuno— Quanto al testo di per sé, uhm, credo sia un po' critico… insomma, tratterò anche argomenti delicati (come appunto i rapporti che c'erano fra atei, Protestanti, Cattolici eccetera) esprimendomi su atti che reputo orribili e che ancora in quest'epoca persistono. Insomma, attraverso i vostri OC inoltre voglio trasmette qualcosa, rendendoli umani così tanto da dar l'idea anche dell'umanità stessa nel corso degli anni. Brevemente è così. Bom, vi lascio e spero che abbiate gradito la lettura. Ho molte idee future! Alla prossima, vi lascio un gelato perché è estate e sto cuocendo. Che questa fanfiction mi rinfreschi un po'!
La stregatta H
itsu

Edits;
O8/O7/14
  parziale cambio grafica

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Capitolo 4
*** Atto III — Il Profumo di Marzo { Memorie } ***


#prefazione ;

Eccoci con un nuovo aggiornamento. Ho davvero, davvero, fatto del mio meglio per aggiornare in estate, ma un problema ha bussato alla porta del mio cervellino: il tanto famigerato blocco dello scrittore. Ma non inteso come "Oh, cosa posso scrivere?", la trama l'avevo bene in testa, piuttosto mi ha dato serio filo da torcere il mio stile di scrittura. Inizialmente trovavo le mie descrizioni ancora da migliorare, ma il problema passò dopo un mesetto; il vero problema venne dopo. Trovavo le mie descrizoni inutili, troppo esagerate… troppo, semplicemente. E il troppo stroppia. Giusto per essere a tema: Barocco Rococò. Per fortuna il problema è passato, e ne sono uscita fuori meglio di prima! Lo spero, ahah. Quindi mi dispiace per non aver aggiornato in estate, ma in fatto di scrittura è stato un periodo un po' no. È ovvio che, in estate, anche l'ispirazione vuole una vacanza. Ah, quella maledetta! Spero comunque di rifarmi, sebbene come sempre i miei aggiornamenti saranno lenti! Innanzitutto le descrizioni di Firenze saranno più dettagliate, con particolari e nomi di Vie già esistenti - anche perché essendo andata, quest'anno, proprio lì (e amandola follemente~) ho preso appunti. Sto tentando di fare del mio meglio per dar l'idea di "Firenze" durante la lettura e non di una qualsivoglia città random—! Poi. Questa volta è il turno di Gaia Capoleti, OC di B i a n c a_ (ex T o u k o), già apparsa in precedenza; allegra, vivace e dalle emozioni "forti" - può passare dalla spensieratezza alla rabbia in poco. Approfondirò il rapporto fra Gaia ed IA in seguito, intanto in questo capitolo s'affermerà in particolare il rapporto fraterno fra Gaia ed, appunto, il fratello. A grandi linee - e qui B i a n c a_ mi ha dato carta bianca (chiedo perdono per la ripetizione orz), quindi spero di aver caratterizzato bene il fratello: ho optato per un rapporto in cui non mancano battibecchi per i caratteri testardi di entrambi, ma che in fondo nasconde molto affetto. La sorte dei genitori - anche qui, non essendo stata specificata ne ho scelta io una per loro ma è plausibile considerata l'epoca, quindi don't worry - l'ho voluta lasciare avvolta nel mistero, sebbene la scena piuttosto nitida e un po' cruda proprio come la neve, ma naturalmente verrà svelata in futuro. E sì, è un po' cruda, ma nulla di troppo traumatizzante,, massimo massimo, rating giallognolo tendente all'arancio. Be', buona lettura allora!

La morte tinge di scarlatto la neve immacolata.
Atto III — Il Profumo di Marzo { Memorie }

Gaia terminò di suonare e, come il cinguettio dei cardellini1 che sfuma con l'avvenire dell'inverno, cessò anche il timbro brillante e un po' grave del suo strumento musicale. Abili le mani s'erano posate con delicatezza e al contempo decisione sulle chiavi2, facendo riecheggiare in tutto il teatro la maestria della musicista che stendeva un'atmosfera di velato stupore negli occhi degli ascoltatori.
   Sorrise per un attimo, prese i lembi della gonna parzialmente ricoperta di pieghe disordinate e fece un breve inchino rivolta alla folla.
   
Un applauso via via sempre più concitato le provocò un lieve rossore sulle guance che tentò al più presto di celare; anche Margherita, la giovane donna precedentemente conosciuta, parve apprezzare l'esibizione - ne fu felice, era sicuramente una persona molto pretenziosa.
   
Le ciocche viola di Gano apparvero e con esse il suo volto soddisfatto che si fece strada sul palco; s'inchinò anche lui, prima rivolto agli ascoltatori e poi a lei.    
«È stato un onore» le disse, sorridendo - eppure, pensò Gaia, in quel momento Gano sorrideva solo con gli occhi e lei si sentì a disagio.    
«Il piacere è tutto mio» rispose raggiante, tenendo stretto fra le sue mani il suo strumento come una madre fa con il figlio in fasce; con un veloce movimento del capo si congedò, scese le scale che la fecero abbandonare il palcoscenico ed esclamò: «Grazie, grazie a tutti per aver ascoltato! Spero di essere stata una buona sostituta». Qualche risata si levò fra il pubblico, mentre gli applausi divennero ancora più miti come la personalità limpida della musicista. Ritornò sul palcoscenico, compiaciuta, scomparendo alla vista delle altre persone. A poco a poco la musica interpretata da Gaia divenne un debole spirito, e il Demone del silenzio sarebbe arrivato sorretto dal bastone dell'autorità se non fosse stato per Margherita.     
«Complimenti, la tua esibizione è stata davvero ottima». Margherita era sul palcoscenico e si diresse verso le quinte spostando la tenda vermiglia di velluto, pronunciando le parole non appena le sue iridi trovarono i capelli color miele di Gaia. Quest'ultima si voltò, dapprima leggermente stupita, poi compiendo un nuovo breve inchino e ringraziandola.    
«Felice di averti allietato!» l'altra non fece in tempo a rispondere che lei continuò. «Certo che questo periodo storico è perfetto per te. "Margherita" significa "perla" in greco e il nome "barocco" deriva dalla perla "barroco"3».
     
Margherita accennò un sorriso, facendo un breve cenno d'assenso con il capo. Stava per lasciare le quinte, ma di nuovo l'altra la interruppe. «Ah, potresti aiutarmi?».
   
Stavolta, lo stupore della giovane rimase impresso sul suo volto; traspariva dai suoi occhi una leggera nota di curiosità mista a dubbio. «Certo, tenterò di fare del mio meglio».
   
Gaia sorrise. «C'è un indovinello che mi ronza in testa da tempo, ma non riesco a trovare la risposta esatta. Qualsiasi cosa penso mi sembra imperfetta, incompleta; e visto che sembri perspicace, ne approfitto per chiedere il tuo parere».
   
Quando ella pronunciò le parole dell'indovinello dopo il consenso di Margherita, questi subito venne accolta da una ventata di memorie - aveva studiato in passato quell'indovinello, ne era certa. Era indubbiamente l'Indovinello Veronese, ma come acqua fra le mani la risposta all'enigma le sfuggiva.

Se pareba boves, alba pratàlia aràba
et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba4
«Mh, ci penserò. Se troverò una risposta te lo farò sapere».
   «Grazie mille! Sono in Via dei Belli Sporti, numero quattordici.5 Vicino alla Basilica di Santa Trinita, puoi notare subito la mia casa perché la loggetta di intermezzo a destra ha una colonna di stile dorico e non ionico.6 Quando ci siamo trasferiti lì l'abbiamo trovata già così, e ancora non sappiamo il perché…».    Margherita annuì. «… Ti fidi così tanto delle persone?».
     La giovane rimase un attimo in silenzio ed abbassò lo sguardo, mentre artigli invisibili composti dalle sfumature rosse del sangue e bianche come la neve presero le sue spalle per trascinarla in un vortice di memorie. Alzò il capo ritornando allegra e spensierata. «Diciamo che mi sembri una brava persona e Carlo m'ha parlato davvero bene di te. Ho avuto modo di chiacchierare con lui e sembrate molto affiatati. È così?».
   Per un attimo le gote candide di Margherita si fecero purpuree, ma presto la tinta svanì facendo ritornare la carnagione chiara. «Sì… siamo in buoni rapporti. Bene, posso congedarmi. Penserò all'indovinello».
     «Grazie! Alla prossima!». Gaia alzò il braccio per salutare quella che si potrebbe definire una nuova amicizia, poi l'abbassò.     Era davvero così ingenua? Ripensò a quel giorno.
I colli dei suoi genitori erano decorati in modo macabro da una corda spessa e rigida, mentre i piedi non riuscivano a toccare la superficie di legno. Altri condannati li attorniavano, erano due che la bambina non aveva mai visto in vita sua; ma il loro sguardo vitreo e le labbra socchiuse volte ad innalzare una preghiera le strinsero il cuore in un morsa. Osservò la punta delle sue scarpe in cuoio poco dopo aver contemplato per l'ultima volta sua madre e suo padre e il fratello maggiore la circondò con un braccio ricoperto da polvere e fango misto a lacrime. Di sicuro s'era messo a piangere anche lui, nella sua stanza nell'ala Ovest ormai rovinata; ma di certo non versò lacrime per l'ampia camera del Castello ormai perduta - la sua sofferenza fu tutta diretta ai suoi genitori, le piante esotiche e le decorazioni dorate non gl'interessavano.
   Percepì un'altra mano e Gaia vide le dita del nonno districarsi sulla sua spalla come radici; Gaia comprese, e sotto la luce e il caldo afoso parve che i raggi del sole le iniettarono dei pigmenti biondi nelle iridi.
     Perché le suppliche degli amici della sua famiglia -  perfino degli amici provenienti dalla Spagna, quel Paese che proprio quell'anno Gaia avrebbe dovuto visitare per suonare il flauto traverso se non fosse stato per la morte dei genitori - non aveva saputo persuadere loro? Perché addirittura la folla, sangue del loro sangue, approvò una morte tanto ingiusta? E lei, quando avrebbe trovato una risposta a tutto ciò? Le venne la nausea pensando di nuovo a quello strano odore metallico che inebriava le narici e di nuovo: ai corpi abbandonati a una corda, alle lacrime versate silenziosamente dal fratello, alle punte rovinate delle sue scarpe e al sole che clemente, dal Cielo, osservava la loro fuga. Il Cielo che un giorno le donò Mia.
   Una serva di una famiglia in buoni rapporti con la sua, che decise di abbandonare per sempre le vie della sua città - della loro città - per seguirli a Firenze. Quella ragazza che tanto avrebbe voluto stretta a sé, ma che nessuno le avrebbe mai permesso di amare.
   Gaia era ricambiata. Lo sapeva.
     Il problema era che più le loro mani s'intrecciavano, più percepivano distante la speranza e il caldo sole di Napoli. Almeno potevano fuggire dal triste passato della famiglia Capoleti.
«Gano, io vado!».    
   «Certo, Gaia! A domani con il concerto alle otto in punto!». Avrebbe suonato con l'orchestra partecipando all'esecuzione di un'opera buffa.    
   La fanciulla aveva già inserito il flauto traverso nell'apposito contenitore e indossato la mantella nera; strinse il laccio di seta attorno al collo scacciando il più in fretta possibile il ricordo della corda degli impiccati, e in poco tempo il nodo si trasformò in un resistente fiocco. Uscì dalle quinte e si bloccò un attimo.
   Il palcoscenico era terribilmente maestoso, senza nessuno all'infuori di lei e il silenzio suo maestro d'orchestra. Quando ricominciò a camminare la suola delle scarpe le sembrò una dolce melodia senza accompagnamento, sola ma concisa, che tentava di affrontare l'enormità del teatro - le ricordò vagamente il ticchettio delle lancette di un orologio. Deglutì vedendo lo sguardo arcigno di una statua, rimase affascinata da un affresco Medievale raffigurante l'Ultima Cena - e qualcosa le fece pensare che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe avuto notti insonni, come in un requiem -, si preparò a spingere la porta in legno. Anche quel portone era spettacolare, tutto - dai cardini al legno stesso - brillava di esuberanza e spiccata grandiosità. Per poco i suoi occhi risplendettero di gioia di fronte alla bellezza di ciò che la circondava, e ancor più si meravigliò pensando a ciò che l'uomo poteva creare se armato di buona volontà.
     Con un po' di sforzo, la porta si aprì. Precedentemente aveva udito fra il pubblico che fuori nevicava e un brivido l'accolse: chissà com'era la neve? Se la immaginava decisa come la pioggia, densa come la grandine e leggera come i raggi solari. Era sicura che fosse trasparente, il riflesso di ciò che la circondava, proprio come la pioggia, ma si dovette ricredere.
   Delle stelle bianche si rincorrevano sulle note di un vento gelido, mentre alcune di esse le sferzarono il viso con veemenza; ricordavano molto gli schiaffi che si danno ai bambini irrequieti, sebbene era le neve in subbuglio e non lei - a dir la verità negava l'altalenante caleidoscopio di emozioni al suo interno: preoccupazione, curiosità, rabbia, meraviglia ma soprattutto tanta malinconia. La neve era prepotente, impetuosa, libera si librava come una piuma fra l'aria rarefatta e continuava la sua scalata verso il Cielo alla ricerca di onore e maggiore potenza. Gaia pensò rapidamente a una plausibile allegoria della neve, ma non riuscì a delinearne né i lineamenti né tantomeno il sesso; su una cosa però non aveva dubbi, se la neve fosse stata una persona di sicuro sarebbe stata molto nostalgica.
   Scesi gli scalini poggiò con titubanza i piedi sulla neve ma subito affondò; mise le mani sugli avambracci alla ricerca disperata di calore, rimpiangendo l'afa della sua città - di certo non era abituata a quel clima rigido e ferreo.
   Una coltre bianca ricopriva i tetti come un'enorme ragnatela ove le nuvole erano ragni minacciosi e pensò immediatamente al fratello pittore; avrebbe dovuto immortalare quel paesaggio denso di mistero, sebbene la neve pareva senza segreti era attorniata da una strana aura di riservatezza.
     I piedi si abituarono un po' al gelo di quella distesa e lentamente, passo dopo passo, vicolo dopo vicolo arrivò a piazza San Marco. Da essa di diramavano più vie e comparì davanti alla sua vista qualche persona diretta anch'essa verso casa.  Solitamente osservava la chiesa nella piazza con curiosità; la facciata era vuota, spoglia, e le piaceva pensare a quando sarebbe stata dipinta completando la chiesa. Considerando il proseguimento di essa, azzardava a pensare che sarebbe finita attorno al Settecento.
   Voltandosi verso la Via San Leopoldo7 si ricordò che il giorno dopo sarebbe stato meglio comprare qualche medicina, in particolare per il nonno; la Farmacia San Marco era gestita da persone aperte e gentili, dalle parole enfatizzate dal tipico accento locale, ben nota a tutti soprattutto per i vari elisir e l'alchèrmes - apprezzato, in passato, addirittura da Lorenzo il Magnifico. Era quindi una farmacia rinomata, con vari impacchi e preparazioni curative create fin dal lontano Quattrocento dai fedelissimi Domenicani. Ritornò sui suoi passi.
   C'era un giovane che mai aveva visto nella zona, ma non se ne curò particolarmente; doveva essere stato attratto dalle bellezze di Firenze, come molti degli artisti. Probabilmente Gaia s'era interessata a lui solo perché i suoi ciuffi corvini che spuntavano fuori dal cappuccio creavano un effetto contrastante con la neve.
    «Mi scusi!» il fanciullo le parlò e Gaia si destò un poco. Egli rimase interdetto, ma s'affrettò a rispondere: «N… non volevo spaventarla».
   «Ma no, ma no, si figuri!» poggiò una mano sulla testa, sorridendo imbarazzata. «Mi dica, di cosa ha bisogno?».
   «Mi sa dire dov'è Via di Belli Sporti?». Pareva piuttosto stanco, infatti fra le varie parole ci fu un intermezzo colmato con molti sospiri atti a riprendere fiato. Eppure sembrava una persona abituata a quel clima.
   «Guardi, sono diretta proprio lì. Se vuole, l'accompagno».
   Il vagabondo sorrise, giungendo le mani sprovviste di guanti. «Grazie mille! È davvero una persona affidabile».
   Gaia arrossì; in molti si complimentavano con la sua bravura nel suonare, ma in pochi elogiavano la sua gentilezza e disponibilità. Anche quel ragazzo sembrava una brava persona, sebbene un po' riservata.    
I due s'incamminarono, Gaia poco più avanti dell'altro, imboccando una strada adornata da negozi chiusi per la troppa neve.
«Ecco: Via de' Tornabuoni. È stato veloce, no?».    
«Sì. Grazie mille, non sapevo proprio quale fra le vie era esatta e m'imbarazzavo a chiedere alle altre poche persone nella piazza… m'osservavano tutte in modo diffidente».     
«Non ti preoccupare se ti squadrano dall'alto in basso, c'è gente che è fatta così». Subito portò una mano alla bocca quando vide che l'altro la osservò incuriosita: era così abituata a dare del tu che le veniva spontaneo! «Ehm… Mi scusi…».     
Tolta la leggera curiosità, il ragazzo le sorrise un poco. «Ma no, di cosa?  E comunque, c'è davvero gente che non sa cos'è l'umiltà; suvvia, bisogna perdonarla. Come dice la Bibbia: "Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli", anche se rimango del parere che i Peccatori si trovino all'Inferno».     
«Già». Non sapeva bene cosa dire, né cosa spingeva il vagabondo a dar perdono alle umiliazioni della vita, e l'unica cosa che riuscì a pronunciare esalò pesantemente dalle labbra per la sua troppa puerilità e la forza della neve che la sopprimeva, quel "Già" appena accennato.    
«Bene, io allora dovrei andare». L'incappucciato mosse con disinvoltura i piedi, nonostante la neve sempre più fitta. «So dove dirigermi, era solo la via che mi dava filo da torcere. Grazie ancora».    
«Arrivederci! Ah, posso sapere il tuo— il suo nome?».    
Rimase un attimo in silenzio, smettendo di camminare ed abbassando il volto. Il suo cappuccio seguiva il movimento della neve dirigendosi verso Est, ed egli lo dovette trattenere con una mano - non possedeva neppure dei guanti, Gaia se ne accorse solo in quel momento - per reprimere la sua ribellione. Gaia fece per parlare, ma finalmente l'altro rispose.
     «… Corrado8». Mosse i piedi più velocemente tentando invano di correre, mentre il cappuccio riuscì a scivolare dalle sue mani mostrando dei capelli color carbone se non di un nero ancora più lucido; probabilmente erano levigati dall'ossidiana. Li portava corti se non per qualche ciuffo che quasi sfiorava le spalle, ma stranamente Gaia li percepiva quasi femminili nel loro incorniciare il suo volto. Per un attimo vide l'intera figura con fattezze e gesti più femminili che maschili, fra quei fiocchi di neve che giocavano con la verità e la falsità - se mai quelle due cose fossero esistite per davvero.
     Scrollò le spalle, smettendo di pensarci. «Io mi chiamo Ga—».
   Scomparso.
   Quel certo Corrado era già verso il tortuoso cammino che lo portava a una meta a lei sconosciuta. Ancora una volta si ritrovò ad alzare incertamente le spalle, sorridendo impercettibilmente.
   Gaia si voltò ed s'aspettò di trovarsi davanti il portone del teatro, per poi ricordarsi che la porta della sua casa era ben altro. La maniglia era lucida e brillante, dorata come il Pomo d'Oro di Venere, ma la neve la ricopriva via via sempre più insistentemente col suo gelido risplendere creando delle impercettibili chiazze umide sulla superficie; la porta non era priva di intarsi ma essi erano ben lungi da quelli del teatro - certamente creati da un artista dall'estro superiore alla media. Non apprezzava il legno utilizzato per intagliarla, le pareva troppo scuro e buio. Evitò altri pensieri - grazie perlopiù all'appoggio della neve, che trasportò chicchi bianchi sul suo corpo con maggiore forza -, portò la mano su quella porta dal legno mai apprezzato e diede un colpo prolungato ed uno più secco, arido, così veloce e inafferrabile che nessuno provò mai ad ascoltarlo seriamente. La porta s'aprì e la neve investì il fratello di Gaia che girò la maniglia per farla entrare.
   «In fretta, in fretta!» si ritrovarono a dire all'unisono, la prima quasi gridando e l'altro sussurrando tanto che il vento gli rubò il fiato. Con un balzo Gaia venne accolta dall'atmosfera casalinga e rinascimentale della casa, mentre l'esterno veniva abbandonato con l'ausilio della porta chiusa frettolosamente dal fratello.
   «Lorenzo, non avevo mai visto la neve! È così… così…».
   «… Tangibile?». Effettivamente, la neve aveva qualcosa di magico; non aveva mai visto, né tantomeno provato sulla pelle, un evento atmosferico che fosse così crudo e realistico da portare i fiocchi di neve stessi in un'altra dimensione. Se Gaia provava a correre fra la fredda coltre biancastra, veniva incatenata dal terreno impassibile e lei rabbrividiva; e la neve sembrava un uomo acido, anziano, severo e arcigno. Se tentava di sfiorarla con la punta delle dita, essa a contatto con il suo calore si scioglieva; e la neve pareva una bambina fragile tanto da diventare da acuminata scheggia a gelida goccia d'acqua. Allora cos'era, esattamente, la neve?    
   «… Inafferrabile». Gaia avrebbe voluto gridare e urlare e inveire contro quell'evento atmsferico, ma era impossibile per tutta l'ammirazione che coltivava nei suoi confronti. E allora avrebbe voluto sfogarsi ancor di più, ma ancor di più il tutto le pareva un Paese di Cuccagna. Come in un ciclo le due emozioni principali si susseguivano ritmicamente, sotto la guida del battito frenetico del suo cuore.
     «Mh…» Lorenzo era dubbioso, ma non volle aprire un dibattito sulla neve - forse ebbe gli stessi pensieri di Gaia - archiviando quella discussione superflua. Era nel suo spirito avere sempre qualcosa da ridire, ma col tempo i pennelli scalfirono un poco il suo carattere ribelle rendendolo più versatile e quieto. «Però tu la neve l'hai vista, una volta, anche se non te lo ricordi».
   «Lo so, lo so…». E dire che era nata a marzo. Per quanto avrebbe voluto essere accolta da raggi filtranti attraverso le finestre aperte, purtroppo lei venne incoronata da una lieve nevicata - dal debole pulsare che accompagnava il suo lieve respiro. Era vincolata alla neve e un giorno ne avrebbe compreso il motivo. «Dov'è Mia? E il nonno?».
   «Mia sta cucinando, è meglio non disturbarla». Gaia tentò di non digrignare i denti, ma un meccanismo naturale rese vani i suoi sforzi. Era proprio in quei momenti che Mia e Gaia erano più libere dal Peccato, da Lorenzo, dal nonno e dalla neve. C'era un'aura chiamata "Amore" ed attorniata dal loro respiro tanto debole come quello di Gaia quando nacque, che le proteggeva dalla fragilità e dalla durezza esterna. Lorenzo continuò, senza accorgersi di tutto ciò. «Quanto al nonno, è ancora a letto». Subito la ragazza si preoccupò, i suoi occhi ebbero delle sfumature gialle e le nocche sbiancarono.
   «Che è successo? Sta male? Lorenzo, rispondi!» stava per alzare il tono della voce, ma il fratello l'ammonì.
   «Ma no, se per una volta mi lasciassi finire di parlare!» tentò di rimproverarla, ma dagli occhi si notava che era divertito. Gaia arrossì perdendo le sfumature giallognole e sussurrando uno "scusa" accennato fingendo anch'ella di essere arrabbiata. Lorenzo sospirò affettuosamente. «Gli piace la neve. Forse è per quello che ha subito provato simpatia per te».
   Gaia sussultò, ancora più contornata da tinte cremisi sulle guance, osservando imbarazzata il fratello nuovamente divertito. «E davvero al nonno piace la neve?».
   «A quanto pare. In fondo anche lui è un po' malinconico… e poi… poi, i nostri genitori, sai…». Silenzio imbarazzante e subito Lorenzo si discostò dal discorso appena spuntato dalle sue labbra, ingoiando i tristi ricordi. «Ah, non pensiamoci! Dai, va' ad aiutare Mia se proprio vuoi, ma prima va' dal nonno. Voglio vedere se stavolta impari a cucinare!».
   Gaia incrociò le braccia sotto al seno, inarcando un poco le schiena e scaricando tutto il suo peso solo sui talloni. «Quanta spavalderia! Vedrai, ti preparerò una leccornia che ti renderà avido delle mie prelibatezze».
   Continuarono un poco a scambiarsi battibecchi fraterni, ma Gaia si fece sempre più distante e le parole divennero immediatamente un'eco soppresso dalla neve. La neve. Gaia strinse un poco le palpebre e il suo campo visivo divenne più sfocato, ma la neve continuava brillante a bussare alla finestra per volerla tormentare maggiormente. Era una sfida, per caso? Se lo fosse stato, Gaia avrebbe già perso in partenza.
   Voleva tanto la primavera, la gioia di vivere, la leggerezza del proprio corpo, il potersi librare nell'aria anche lei come la neve in un clima più tiepido ma dal sole non troppo cocente. Sognava di poter rivedere la primavera proprio in quel momento.
   E così, sperò di poter al più presto percepire il Profumo di Marzo.
***
notes ;
• 1 — "il cinguettio dei cardellini"; non è stata una scelta casuale, infatti il flauto traverso venne utilizzato da Vivaldi per imitare il canto dei cardellini nell'opera "Il cardellino".
• 2 — "chiavi"; i tasti del flauto traverso.
• 3 — "Margherita […] barocco"; citando Wikipedia, perché non ho voglia di spiegarlo io: "Deriva dal portoghese barroco, con riferimento ad una perla irregolare". È una delle tre ipotesi cui deriva "barocco" e subito ho pensato a questo accenno al nome Margherita.
• 4 — "Se pareva […] seminaba"; "Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati, e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava". Per più informazioni, here. (ammetto che sono curiosa di sentire le vostre risposte all'indovinello ohohoh)
• 5 — "Via dei […] quattordici"; Via de' Tornabuoni. Ho scelto il numero quattordici in riferimento alla presa della Bastiglia nella Rivoluzione Francese: così come la Rivoluzione fu una delle grandi svolte storiche avvenuta in un periodo storico non troppo lontano, la svolta arriverà stravolgendo la quiete con l'arrivo della neve.
• 6 — "loggetta […] ionico"; la casa di Gaia è stata costruita durante il periodo Rinascimentale (ma è tutta di pura fantasia, non esiste veramente), e buona parte delle costruzioni avevano le loggette disposte sopra (con le colonne in stile corinzio), a metà (di stile appunto ionico) e sotto (dorico, dove alloggiava la servitù). Per farvi un'idea, click (sì, mi sono ispirata a Palazzo Rucellai).
• 7 — "Via San Leopoldo"; darà vita, unendosi alla Via Larga, a Via Cavour.
• 8 — "Corrado"; è l'OC di Claireroxy, Angela, che è obbligata - nel capitolo dedicato a lei naturalmente approfondirò - a fingersi un ragazzo.

note finali ;

… Olè! Come potete notare (cioè, lo spero) inserisco dettagli che rendono l'ambientazione più realistica; perché il lettore deve capire che la storia è nel Seicento (1688, per la precisione), insomma. È dovere dello scrittore rendere bene questa cosa. E io adoro il Seicento e il Settecento. I mean, il Seicento/Settecento (anche se il Settecento rimane imbattibile, Seicento scuss) è il mio periodo storico preferito in assoluto. Ma evitando, come già scritto ho avuto questo blocco che mi permetteva di scrivere solamente fanfiction "semplici" e dai temi meno seri. E ho, adesso, anche una perfetta connessione ad internet illimitata. Ahhh, meno male! Il mio computer Adaloaldo (figlio di Agilulfo e Teodolinda, fratello di Gundeperga, potete ben immaginare quanto sia egocentrico) approva. Plus, ho gli esami e non vedo l'ora di finirli lmao Maaa sono più forte che mai! Ho vinto io, blocco dello scrittore, tch. Ho scritto questo capitolo in pochi giorni (ma per vari motivi non l'ho potuto pubblicare subito, grrr), revisionandolo e aggiungendo qualche descrizione nei punti più privi di esse e revisionandolo un'ultima volta tutto ben benino, ma purtroppo l'ho pubblicato solo un mese dopo. Senza contare l'impaginazione. A proposito, l'impaginazione del capitolo precedente è "sballata"? No, perché se la apro vedo tutto il testo centrato e non so se accade solo a me perché attiro la sfortuna o altro. Uhm. Direi che la finisco qui, ma sappiate che ritornerò con nuove idee in serbo /wooo/ Ho già qualche idea per il prossimo capitolo. Il problema sarà STENDERE le idee, ma ho già scritto qualcosa. Sic. Sono LENNNNNta, perché Lenno Kagamine è il mio amorino. ♡ (........ Ma sono io o i capitoli stanno diventando più lunghi— meno male,,,) Bien, grazie mille per aver letto eee al prossimo capitolo.~

Hitsuki

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