Primo movimento

di Gaia Bessie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione (#1) - Murata viva ***
Capitolo 2: *** Introduzione (#2) - Marchiata ***
Capitolo 3: *** Esposizione, primo tema (#1) - Storie ***
Capitolo 4: *** Esposizione, primo tema (#2) - Silenzi ***



Capitolo 1
*** Introduzione (#1) - Murata viva ***


Note iniziali (che consiglio vivamente di leggere):

  • Sul contesto: questa storia è una sorta di "what if" distopico. Conseguenzialmente, non segue nessuna ambientazione specifica, in quanto parte da un mondo che non è presente nell'anime, nel videogioco e nel manga. Come base, in linea teorica che non credo svilupperò, in quanto i prequel non sono il mio pane, dovrebbe partire dall'ambientazione manga/videogioco. Ma, in ogni caso, non la segue. Quindi, non aspettatevi di trovare una canonica Unima. 
  • Sui personaggi: questa storia pretende anche di essere una Ferriswheelshipping, senza nemmeno troppe pretese. Quindi, va da sé che i personaggi protagonisti siano N e Touko. Ovvio OOC diffuso: non vorrei spoileare a manetta, ma causa psicologia spicciola e meccanismi di azione-reazione... insomma, c'è OOC. Imputabile al corso degli eventi. Ma c'è.
  • Sulle tematiche, linguaggio ecc: ovviamente sono tenuta a dire che verranno trattate tematiche molto forti e che potrebbero turbare il lettore. Parlo, nell'ordine, di riferimenti continui a: tortura (scene descrittive), stupri (attualmente un accenno, ma non si può mai sapere), antropofagia e via dicendo. Se non ve la sentite, non leggete. Io non le reputo scene pesantissime, ma ognuno ha concezioni diverse. A tratti, il linguaggio diventerà relativamente volgare, tratterà i sopracitati argomenti in una maniera che io non condivido affatto ma, a quanto pare, i miei personaggi hanno volontà propria. Per quanto riguarda il rating, attualmente è arancione con rischio di successivi cambiamenti. Vi terrò aggiornati.
  • Sul titolo: qui mi avrete presa per matta. "N Sinfonia" sembra un grande strafalcione. Ma, vi giuro, non è così. Ci sta dietro uno dei miei classici meccanismi da stramboide. Ecco, pensavo alle Sinfonie. "X Sinfonia", "XII Sinfonia" e numeri romani a seguire. Ora, non volevo scrivere qualcosa come "Sinfonia di N" perché era sinceramente orribile. Così, stendendo la trama, sono giunta a una conclusione spoilerosa che capirete verso metà storia (e io sarò lì a ridere). Quindi, sì, N in questo momento è un numero. Se avrete voglia di continuare a leggere, o di ricevere spoiler, lo scoprirete relativamente presto. Il sottotitolo, ovvero il titolo della storia, è "Primo movimento" in quanto wikipedia mi dice che la sinfonia è divisa in quattro parti. A sua volta, i titoli dei capitoli sono divisi in cinque sottogruppi (e qui entra in gioco il mitico #) a causa della divisione in 3+2 del primo movimento. Mi sono fatta una cultura.
  • Sugli aggiornamenti: conto di aggiornare il lunedì, una volta ogni due settimane, puntualità permettendo.
  • Sui riferimenti: le citazioni e vari riferimenti a periodi storici si trovano a fine capitolo.

 

 



 

N Sinfonia

Primo movimento

Introduzione (#1) - Murata viva

 

 




I passi risuonarono nella notte, attutiti dalla terra bruciata, attutiti dall'attenzione che prestava Touko a non calpestare l'erba secca, arsa. Il Muro era maledettamente vicino, una manciata di passi appena e sarebbe arrivata. Le venne da sorridere, appena cominciò a scorgere la premessa di un altro cielo, di un altro mondo. Venne brutalmente strattonata, per la vita, da mani scivolose – alla luce del sole si sarebbe accorta che erano scivolose di sangue – che le si appigliarono sulla maglietta, facendola rabbrividire. Si ritrovò a pregare, Touko, che si limitassero a ucciderla. Che la uccidessero perché sempre di liberazione si trattava, per favore, dovevano ucciderla.
L'uomo la lasciò andare, improvvisamente, e lei crollò a terra. Non ci provò nemmeno, a correre via. Se avesse mosso soltanto un passo, quello l'avrebbe acchiappata per i capelli e torturata, con grande, grandissimo piacere. Oh, sì. Lo sapevano tutti di che pasta erano fatte le squadre punitive, le Reclute, lo sapeva ogni persona che vivesse nella Nuova Unima. C'era sempre qualcuno disposto a raccontare di stupri, violenze, pestaggi e omicidi. Come se murarsi vivi in casa, per paura, fosse stata una scelta accettabile. Per Touko non lo era mai stata. Il Muro era un confine verso cui tendere, per natura, e oltrepassarlo sarebbe anche stato semplice, se soltanto non fosse stato per le Squadre di Sorveglianza. Sarebbe bastato arrampicarsi e scavalcare, c'era erba morbida dall'altro lato, e nessuno pronto a tagliarti la gola. Sarebbe stato facile, se soltanto non l'avessero presa. Artigliata per i capelli, Touko fu costretta ad alzarsi, per venire trascinata lontano dal Muro, dalla sua fuga.
La Sentinella rise appena, indovinando le sue paure: non l'avrebbe uccisa. Quelle come lei non le uccidevano mai. Quelle come lei le sbattevano al muro – era qui che volevi andare, eh, troia? Era proprio qui che volevi andare, no? Che male può farti? – finché non imploravano pietà. Quelle come lei finivano sempre stese sul terriccio, con la schiena bucherellata dalle pietre aguzze del Muro, con una Sentinella sopra. Quelle come lei andavano spezzate, non uccise, per insegnare a tutti gli altri una lezione che vale sempre la pena di imparare: dall'inferno non si scappa. Al primo colpo, uno schiaffo che la gettò contro il Muro, Touko era già venuta a patti con il proprio destino: le avrebbero tolto ogni cosa, finché non sarebbe diventata una cosa piccola e spezzata, un fantasma di carne e di sangue che si sarebbe gettata in un fiume, prima o poi, insegnando a non contrastare il Regime. E lei non gliel'avrebbe data, quella soddisfazione. Si rifiutava. Tutto, nel suo corpo, cercava una via di fuga. Ma il suo cervello, quello si era già rassegnato: almeno la sua sanità mentale, quella l'avrebbe murata viva fra le pareti della scatola cranica, se solo fosse servito a farla rimanere sé stessa.
La nonna di Ellie, una delle prime ragazze che si era gettata nel fiume dopo aver provato a scappare, una volta, aveva dichiarato che è impossibile sopportare uno stupro e rimanere mentalmente stabili.
Touko rabbrividì nella pelle squamata dal freddo, ruvida. Non importava quanto fosse brava a nascondersi nella sua testa, in ogni caso, l'avrebbero presa comunque. Alla fine, pregavano tutte. Si mettevano in ginocchio e pregavano, piangevano, pregavano, piangevano e piangevano. Non serviva a nulla. Se eri una di quelle, finivi gettata sul terreno, come una bambola disarticolata. E, il momento dopo, ti fottevano il cervello. Perché di quello, alla fine, si trattava: non era tanto una tortura fisica, ma una violazione psicologica. Un'intrusione che ti faceva sentire lacerata a metà e non solo da dolore, nuda come un neonato. E ti faceva davvero desiderare di murarti viva da qualche parte.

Dopo il secondo urto, dopo il primo rivolo di sangue che le graffiava la schiena, Touko cominciò ad estraniarsi. Come se non fosse veramente intrappolata nel suo corpo, ma stesse quasi assistendo dall'alto, dall'altro lato del Muro. Lo vedeva, l'uomo che la teneva per i capelli, per quella lunga coda castana che, a ogni strattone, sembrava potersi staccare dalla testa. Lo vedeva, ma non lo sentiva quasi più. La sua voce era quasi uno sfarfallio fastidioso e, se avesse potuto, avrebbe chiuso gli occhi. Se soltanto non fosse arrivato uno schiaffo rovente come un'ustione – apri gli occhi, puttana – che le deturpava la pelle. In un certo senso, non fu una resa. Fu l'inizio della sua sopravvivenza: se si fosse ostinata a chiudersi, a murarsi viva, l'avrebbe distrutta. L'avrebbe resa una bambola senza arti, senza bocca e senza lingua. L'avrebbero gettata nel fiume con le vene aperte. Non lo fece. Si distaccò completamente, contando i secondi, guardando oltre le spalle della Sentinella.
La luna sembrava opaca, vista da lì, ed era la cosa peggiore: c'era un tremendo odore di pioggia, un effluvio pungente intrappolato nella vegetazione morta a metà.

Touko si lasciò sfuggire un sospiro che si condensò nell'aria fredda, diventando vapore. Magari non avrebbe piovuto, avrebbe nevicato. Il che era anche peggio: un tempo troppo triste perfino per la pioggia. La Sentinella, finalmente, la lasciò andare, di botto, e lei crollò sul terreno. Non provò a rialzarsi – a cosa sarebbe servito? – ma non ebbe nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi. Fu lui, con un gesto secco, brusco, a sollevarle il viso. E ad allontanarsi, come scottato.
«Jim?» sbraitò, verso un punto indefinito. «Jim!».
Rumore di passi pesanti, un'altra Sentinella scivolò sul terreno, accanto al suo collega. Touko abbassò lo sguardo, continuando a contare i secondi. Non in due. Uccidetemi, si ritrovò a pensare. Ma non in due.
«Guardala, Jim... potrebbe?».

Touko sobbalzò, quando Jim schiaffeggiò l'altra Sentinella, rosso in viso, facendolo cadere. «Idiota» sibilò, senza nemmeno aiutarlo ad alzarsi. «Certo che è lei, cosa credi?» si guardò attorno, con aria preoccupata. «Te la sei scopata?» sbraitò, con le mani che fremevano. «Se mi fai entrare in questa storia, ti ammazzo. E la porti da solo, al Palazzo!» si passò una mano nella chioma.
Nella luce lunare, Touko indovinò la sua diffidenza. Si chinò, circospetto, per guardarla meglio in viso.
«Ragazzina» sussurrò appena, tendendole una mano, per aiutarla ad alzarsi. «Stai bene?».

Lei non rispose. Si guardò attorno, spaesata, focalizzandosi sull'altra Sentinella, stesa sul terriccio, a massaggiarsi il naso sanguinante. Guardò l'altra Sentinella, come per chiedersi se davvero avrebbe potuto fuggire. Lui sbuffò, con aria esasperata, e l'afferrò per la vita, sollevandola e caricandosela in spalla come una bisaccia qualunque.
«Fammi il piacere di stare buona» sibilò, semplicemente. «Altrimenti non ci metto niente a buttarti a terra e a completare il lavoro di Andy, te lo assicuro» rise amaramente. «Anche se Lui probabilmente mi scuoierebbe vivo anche solo per averlo pensato. Ma sarà il nostro segreto, non è vero, ragazzina?».
Lei non ebbe nemmeno la forza di rispondere. Jim rise forte.

 

***

 

Touko non seppe mai dove la trovò, Jim, la forza di marciare per tutta la notte con lei in spalla. Non si fidò mai abbastanza per lasciarla camminare, semplicemente, o forse cercò soltanto di circoscrivere i danni. Di fatto, si fermò solo davanti al Palazzo, sede del nuovo Governo, quando la mise giù la prima volta. E la bendò con un fazzoletto stracciato, senza troppi complimenti.
«Se ti sento respirare troppo rumorsamente, mi fermerò solo per tagliarti la gola. Sono stato chiaro?» la scrollò, forte. «Sono stato abbastanza chiaro, ragazzina?».
Lei annuì appena, mentre lui se la caricava nuovamente in spalla, senza alcuna fatica. Dopo un tempo che parve infinito, si fermò e la scaricò, senza alcuna delicatezza, su una superfice dura. Sul pavimento. Touko trattenne il fiato, nella sua oscurità forzata, mentre la Sentinella confabulava con qualcuno.

Touko si sforzò di captare qualcosa, qualunque cosa.
«Lasciala ai Guardiani» sibilò l'interlocutore di Jim. «E vedi di tacere sulla faccenda. Se
Lui lo sapesse, andrebbe tutto in rovina. Non dire a nessuno che è lei, mi raccomando. Mi fido della tua discrezione».
«Se Lui lo venisse a sapere, non penso che potrei garantire il mio silenzio, signore» biascicò Jim, incerto. «Insomma, se lo venisse a sapere ci scuoierebbe vivi per quel che stiamo per fare. Non so se sono pronto a rischiare la pelle in questa maniera per un errore di Andy».
«Non lo scoprirà, non la vedrà nemmeno, non deve vederla» promise la voce, senza intonazione. «Piuttosto la farei murare viva e morire d'inedia. Sono pronto a farlo».
«E allora perché non la facciamo fuori, signore?» biascicò. «Non sarebbe molto più facile? La lanceremmo oltre il Muro e nessuno lo saprebbe mai».
«Ma Lui lo verrebbe a sapere. Capisce sempre quando qualcosa non va» rispose la voce. «Affidandola ai Guardiani, almeno, scavalchiamo il problema».
Jim sollevò nuovamente, sbuffando. Una risata lo accompagnò nel suo cammino, con Touko che si appigliava a tutte quelle informazioni, senza riuscire a dare un senso, un ordine. Forse, essere spezzata, sarebbe potuto essere preferibile. Non riuscì a non pensarci.
Cose indicibili, sosteneva la nonna di Ellie, accadevano al Palazzo. E lei non voleva prenderne parte, assolutamente. Avrebbe voluto urlare, per la prima volta in quelle ore, di lasciarla andare. Di gettarla oltre il Muro, sarebbe stata bene. Non lo fece. Si morse la lingua, a sangue, ma non lo fece. Si limitò a non inzuppare di lacrime il fazzoletto attorno agli occhi, mentre Jim la trascinava via, senza delicatezza.

«Non una parola, Jim» si raccomandò la voce, su quella che Touko immaginò essere la soglia. «Mi raccomando. Non deve venirlo a sapere, se vogliamo vivere entrambi».
Jim annuì, con uno scatto nervoso che fece sobbalzare Touko. «Non lo saprà» disse, semplicemente. «Non da me, almeno. Ci tengo, alla pelle».
E cominciò a camminare, velocemente, sballottando la ragazza come una bisaccia sulle spalle. Si fermò dopo quelli che, a Touko, sembrarono secoli. Condensati in pochi minuti, però, dove lui le slegò la benda dagli occhi, prima di gettarla sul pavimento, di nuovo.
«Cerca di non morire subito, ragazzina» disse, ridendo. Aveva due occhi azzurro ghiaccio che inquietavano. Touko non ebbe il tempo di dire nulla, non che avesse qualcosa da dire: il buio se lo inghiottì.

 

***

 

E poi fu attesa. Contò ogni singolo secondo passato in quella stanza, Touko, senza arrivare poi a chissà quale conclusione. Contò ogni singola piastrella del pavimento, trentadue in senso verticale e venticinque in orizzontale, ogni singola crepa sul muro. Misurò la stanza a passi, in attesa. Di cosa fosse in attesa, non lo sapeva nemmeno lei, però. E desiderò non saperlo nemmeno, nel momento in cui entrarono.
Erano solo due, e nemmeno così alti, o massicci per cui avrebbe dovuto razionalmente averne paura. Erano due così completamente identici che, per i primi venti secondi, Touko credette di vedere doppio. Ma, quando la presero per le braccia, e furono due coppie di mani, capì che era tutto reale. Erano due. Era doppia anche la loro voce, tremendamente acuta.
«In piedi, su, mia lady» strillò il primo, mentre il secondo apriva una porticina adiacente all'ultima riga di mattonelle.
Entrambi scossero le teste corvine, vedendo che Touko barcollava, come ubriaca.
«Su, su, miss» esclamò il secondo. «Mia piccola miss, dobbiamo far presto, non indugiamo ancora!».
La fecero camminare solo per pochi passi, comunque, prima di spingerla su uno sgabellino. Touko alzò lo sguardo, perplessa, per incontrare quello dei due fratelli. Sobbalzò, nel vedere che l'iride era dello stesso nero dei capelli, petrolio liquido.

«Devi aver commesso un crimine grave, piccola lady» osservò il primo fratello. «Altrimenti non ti avrebbero portata da noi, sai? Siamo i Guardiani, mia lady, non Sentinelle qualsiasi».
I Guardiani di Teste sorrisero, in sincrono. Avevano denti affilati come rasoi, notò Touko. Denti che sembravano pronti a squarciarti a metà con un singolo morso. Erano loro, dunque. Touko represse un sospiro. I Guardiani, li conoscevano tutti. I due gemelli senza nome, che potevano scuoiarti a piacimento, per un ordine del Governo.
«I-Io non ho fatto nulla» biascicò Touko, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quei visi così ferini.
Loro sorrisero, accomodanti.

«Di questo ce ne sincereremo noi, miss» disse uno dei due.
Touko notò una B incisa sulla tunica, a differenza della A dell'altro gemello.
«Cerca di non gridare. Hai una bella bocca, mi dispiacerebbe dovertela sfregiare. Dopo, diventano tutte meno carine». Rise, insieme al fratello, mentre Touko si rifiutava di tremare.
Avrebbe preferito che la Voce la murasse viva, piuttosto che consegnarla ai due Guardiani.

«Ti prego, non chiederci di ucciderti» disse A, mentre armeggiava con una bisaccia. «Non siamo autorizzati a farlo: abbiamo avuto istruzioni ben precise. Più o meno».
B le mise le mani sulle spalle, costringendola a piegarsi, in modo tale che la fronte toccasse le ginocchia.
«Resta così» le sussurrò, all'orecchio.
Il rumore di qualcosa di meccanico, come un piccolo motore, la fece sobbalzare, ma cercò di non muoversi troppo.
«Brava bambina» mormorò B, sfiorandole il viso, come una carezza. «Brava bambina obbediente. Continua così e non ci sarà bisogno di farti troppo male».

Touko non rispose, era troppo impegnata a imporsi di non piangere. Qualcosa cominciò a raschiarle la nuca. Si lasciò sfuggire un grido soffocato malamente, solo a quel punto, con la testa stretta fra le ginocchia. Si lasciò sfuggire una lascrima quando portò finalmente una mano sulla testa. Le avevano tagliato tutti i capelli.

 

***

 

Quel pomeriggio stesso – sempre che fosse pomeriggio: Touko aveva già perso completamente la cognizione del tempo – le portarono uno specchio. Un frammento di vetro scheggiato appeso alla parete, abbastanza in alto affinché lei non pensasse di poterlo rompere per aprirsi le vene e morire in pace. Rimase un bel po' ad osservarsi, Touko, la testa tosata dai due fratelli, senza troppi complimenti. Un graffio obliquo sulla testa, l'unica volta in cui si era permessa di sobbalzare. Touko non riusciva a non guardarsi, riflessa nello specchio, un'estranea con occhi troppo grandi per il suo viso. Continuava a toccarsi il capo, in un riflesso involontario, come per convincersi che davvero era lei, quella bambola priva di parrucca. Ed era lei. Touko se ne rese conto solo quella sera stessa, quando i Guardiani si presentarono alla sua porta, prendendola per i gomiti con fare affabile.
«Qui, miss, se si vuole qualcosa bisogna guadagnarsela. Tu hai fame, sì?» B rise, senza intonazione. «Non indugiamo oltre, dunque».

La fecero stendere sopra una sorta di tavola, di legno crepato e scheggiato, sorridendo con aria materna nel vederla sobbalzare.
«Ti ci abituerai» osservò A, scrollando le spalle. «Fidati, piccola
lady, fra qualche sera lo troverai il più comodo dei giacigli».
B sorrise, alle parole del fratello. Poi si sedette sulla sponda della tavola, coprendola con il suo corpo. Le posò due dita sulle palpebre, con delicatezza.
«Forse è meglio se chiudi gli occhi,
miss» suggerì. «Andremo un po' per le lunghe».
Dietro di lui, A armeggiava con qualcosa di fumoso, che emanava un calore quasi insopportabile. Poi, Touko si costrinse a chiudere gli occhi. «Brava bambina» disse B, facendosi passare qualcosa dal fratello.
Con le dita fredde le alzò la maglietta, fino a scoprire il reggiseno. Se A non l'avesse tenuta per le braccia, Touko si sarebbe coperta in un riflesso inevitabilmente involontario. Le scostarono anche il reggiseno, senza malizia, con l'attenzione di un medico. Doveva essere un ferro rovente o qualcosa dal genere perché, quando Touko se lo sentì premuto sulla carne tenere del seno, urlò senza riuscire assolutamente a trattenersi. B rise appena e lei spalancò gli occhi.

Per tutto il resto della sera, non li chiuse più.

 



Riferimenti:
  • Dalla storia tedesca: "Il Muro", le Squadre di Sorveglianza (o SS) e l'idea di base degli esperimenti sono presi da una storia che, purtroppo, conosciamo tutti fin troppo bene. Il Muro è chiaramente scaturito da alcuni studi sul Muro di Berlino, l'acronimo delle Squadre di Sorveglianza parla da sé.
  • Dal meraviglioso film "V for Vendetta": i capelli rasati a zero (e chi non ricorda Natalie Portman mentre viene rasata?) e una buona parte delle torture che vedremo sono liberamente ispirate a questo film.

Non ho la forza di scrivere anche l'angolo dell'autore. Per qualunque cosa, contattatemi: sarò lieta di rispondere.

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Capitolo 2
*** Introduzione (#2) - Marchiata ***


Note iniziali (sì, sempre quelle che sarebbero da leggere):
  • Sui personaggi: qui abbiamo un grande, grandissimo problema. Ve lo dico subito, anche perché sono reduce dalla stesura del capitolo 3 e quindi conosco l'andamento della storia. Il grande, grande problema dei capitoli a venire sarà lui, N. Mano a mano, vi accorgerete che, beh, c'è qualcosa che non va. Cosa? Ecco il problema. Io non ve lo dico, ma fateci caso, per piacere, se non in questo capitolo, in quelli a venire. Anzi, per essere precisa, nella giuntura. Fra questo capitolo e il terzo, fra il terzo e il quarto. E fra il quarto e il quinto. Sapevatelo.
  • Sulle tematiche: attenzione. Alto tasso di mera cattiveria in questo capitolo. Mea culpa.
  • Sugli aggiornamenti: ricordo che si aggiornerà di lunedì, ogni due settimane. Dovessi dimenticarmene, sentitevi liberi di linciarmi.
  • Sui riferimenti: vedere a fine capitolo.



N Sinfonia

Primo movimento

Introduzione (#2) - Marchiata




 

La mattina seguente, Touko rimase ferma davanti allo specchio, immobile, con gli occhi spalancati, ancora. Aveva dormito, quella notte, non farlo sarebbe stato semplicemente una colossale idiozia, ma, il suo primo pensiero da appena sveglia, era stato quello: controllare i danni. Allo specchio, l'inclemenza del suo riflesso la fece quasi barcollare. Non ce la fece, non subito, a guardare direttamente e nuovamente il cranio tosato e graffiato. Così, iniziò dai marchi. Con le mani che tremavano, scostò appena la maglietta, rivelando la carne ancora arrossata. Cercò di non sfiorarla nemmeno, Touko, con le mani che tremavano sulla maglietta. Perfino l'aria sembrava riuscire ad ampliare la sua sofferenza, come coltelli nella ferita. La sera precedente non era riuscita a farci caso, era impossibile notare qualcosa che non fosse il suo stesso dolore, ma quella mattina lo vide. Quello che le era sembrato, nel momento stesso in cui lo avevano impresso come uno sfregio nella sua carne, adesso acquistava un senso, una sorta di significato. E lei si ritrovò a trattenere le lacrime. S'impose di non toccarla, sarebbe già stato un mezzo miracolo se non si fosse infettata senza averla toccata, mentre continuava a fissarla con gli occhi pieni di lacrime. Senza nemmeno guardarla, in quel momento Touko ebbe la certezza che sulla coscia, nella parte interna, quella più delicata, dimorasse lo stesso identico marchio. Non ebbe il coraggio di controllare. Continuava a fissare la sua carne rovinata, arrossata, dal momento in cui le avevano impresso una singola lettera, come una bestia da marchiare. Si lasciò sfuggire una lacrima, Touko. Seguita da molte altre.
Si accovacciò in un angolo, cercando di non muoversi troppo – la pelle tirava e bruciava seguendo il profilo spigoloso di quelle N – e di non fare rumore. Era la prima regola, e forse anche l'unica: non urlare, non fare mai troppo rumore, altrimenti. Altrimenti, Touko non le voleva immaginare, le conseguenze. Si sfiorò il capo, in una sorta di tic nervoso, come faceva dalla sera prima. Continuava ad aspettarsi di trovare la resistenza morbida della sua coda, ma non la trovava mai. Si lasciò sfuggire un respiro più rumoroso degli altri. Non erano nemmeno passate ventiquattro ore, pensò. O, almeno, per quello che lei poteva constatare. Non lo sapeva misurare, il tempo, in quel luogo apparentemente staccato dal resto del mondo. L'unica cosa che scandiva la giornata era l'arrivo del pasto, con uno dei gemelli e la sua, loro, falsa cortesia. Un brivido di freddo la scosse, facendola sobbalzare nel dolore delle ferite ancora fresche. In quel momento esatto, e forse sarebbe anche stata maledetta da una lunga fila di fantasmi, pensò che, chi sostiene che è meglio essere torturati piùttosto che essere violentati, era uno sciocco. Lei avrebbe preferito essere sbattuta sul terreno bruciato davanti al Muro, anche più volte, in cambio di quello che le avevano preannunciato. Ma non esistono compromessi con il fato, solo ricatti. Touko non alzò nemmeno lo sguardo, nell'agonia dei cardini che preannunciava un visitatore. B le sorrise, viscido, prima di farle segno di alzarsi. Lei abbassò lo sguardo.
«Per favore...» soffiò, ripensando alla sera precedente. Ci aveva passato ore, sul tavolo, come un cadavere vivisezionato da due scienziati. L'avevano marchiata, tagliata, graffiata. Per favore, pregò Touko, basta. Ma non l'avrebbero mai lasciata andare, questo ormai era dolorosamente chiaro. Era qualcosa da nascondere, un segreto, la Voce non avrebbe mai permesso che la lasciassero andare. E non l'avrebbero uccisa. Touko, in quel momento, desiderò di poter sparire nel nulla.
«Su, miss, quello di ieri sera non era niente» la liquidò B, scoprendo i canini. «Cerca di non pregare subito, o mi toglierai tutto il divertimento».
La trascinò nella stessa sala della sera prima, la sollevò per la vita – e casualmente riuscì a sfiorare entrambe le bruciature – e la posò sul tavolo, come una bambola di pezza. «Devi aver fatto qualcosa di davvero grave, per essere trattata così, miss» disse B, facendole segno di rimanere seduta. «Ti andrebbe di dirmi cosa, miss?».
Lei lo guardò, dritto negli occhi. «Non ho fatto nulla» disse, semplicemente. «La mia vicina sostiene che io le abbia rubato un pendente». Una confessione, quella non gliel'avrebbe fornita mai. Non ne aveva, in fondo. B le rise in faccia, mentre trafficava con una bacinella, che posò sul tavolo, a pochi centimetri da Touko.
«I ladri rimangono a casa con una mano mozzata, miss» osservò B, scuotendo il capo. «Abbiamo una pena per tutto, qui. Ma con te abbiamo avuto istruzioni ben precise, miss, segno che devi aver fatto qualcosa di veramente grave. O che sei troppo scomoda per il governo». Osservò la bacinella con aria pensosa, prima di prenderla nuovamente fra le braccia. «Vedi, miss, il Grande Capo ci ha fornito una serie di limiti, se vogliamo metterla in questi termini» alzò una mano, come per contare. «Niente amputazioni, e, a quanto pare, non possiamo nemmeno ucciderti. Niente stupri. E, soprattutto, non possiamo usare tutte le nostre attrezzature: non puoi uscire di qui».
«Non ho fatto nulla» mormorò Touko, stringendo le mani fra di loro, come se avesse voluto staccarsele. «Non ho niente da confessare».
«E non possiamo rovinarti quel bel faccino che ti ritrovi, inoltre» completò B, soppesando la bacinella che teneva fra le braccia. «Non in via definitiva, almeno» rise, appena, avvicinandosi alla tavola. «Stenditi, miss. Durerà poco. Se mi eviterai inutili piagnistei, forse ti eviterò il secondo round, eh?».
Touko si stese. «Cosa è?» sussurrò, con l'ombra di B che incombeva su di lei.
Lui non la degnò di uno sguardo. «Chiudi gli occhi, ragazza» disse scrollando le spalle. «Altrimenti ti andrà negli occhi e, davvero, ti assicuro che preferiresti essere scuoiata viva». Touko chiuse gli occhi, serrandoli. «Cerca di non urlare, miss» sussurrò B. «Non ti lascerà segni, quando la pelle l'avrà assorbito. Te lo assicuro, l'abbiamo testato sulla mia, di pelle, quest'acido. Fa soltanto male».
Lei rabbrividì. Il secondo dopo, la secchiata urticante la prese in pieno. E fu come essere immersa in una vasca di lava incandescente.

 

***

 

Quell'acido le squamò la pelle, rendendola una sorta di rettile con le ossa spezzate, rannicchiato su sé stesso. Pelle che si squamava e cadeva a pezzi, come una parodia di fiocchi di neve e sangue, ustionata. La carne viva bruciava in maniera terribile, come se le avessero estratto le viscere e riempite di sale grosso e pezzi di vetro. L'acido le distrusse e rimodellò le ossa, spezzandole, saldandone. Si depositò nei marchi, incendiandoli. Touko svenne per il dolore. Quando si svegliò, era già sopraggiunta la febbre, ma lei non aveva nemmeno la forza per rendersene conto. Si svegliò su quella stessa tavola dov'era rimasta per tutto il tempo, senza accorgersene. Si svegliò con i gemelli che vagavano per la sala, chiacchierando a bassa voce. Fu come se le avessero strappato le palpebre, rigate di acido, all'imbrovviso. Sentì di non poter piangere: se l'avesse fatto, probabilmente, avrebbe sentito ancora più dolore. A le rivolse uno sguardo divertito, mentre il fratello si avvicinava.
«Ben svegliata, miss» disse B, con aria estremamente divertita. «Sembra che tu non sia forte come sembri, solitamente le nostre cavie hanno un minimo di resistenza in più» scosse il capo. «Noi siamo stati i campioni di resistenza» A annuì, contemporaneamente al fratello. «Non sono riusciti ad ammazzarci».
Da colletto del camice, come serpenti che si annodavano fra di loro, in una matassa impossibile da sciogliere, cicatrici serpeggiavano sotto i bottoni. A rise, ad alta voce. «Pensavano fossi un po' più resistente ma va bene così, lady» ridacchiò. «Forse dovevamo aspettarcelo». Ammiccò in direzione del fratello, che aveva già preso ad affaccendarsi dietro qualche calderone, annuendo distrattamente. «Lo vuoi sapere un segreto, lady?».
Touko non aveva nemmeno la forza di guardarlo. Lui rise, chinandosi sopra di lei, come per proteggerla. In realtà, si limitò a sfiorarle il lobo con le labbra, mascherando un sorrisetto soddisfatto. «Ti abbiamo mentito, piccola lady» mormorò. Le accarezzò il viso, facendole venire le lacrime agli occhi per il bruciore. Una lacrima seguì il suo percorso sul viso di Touko, togliendole il fiato per il dolore. A rise appena. «Non eravamo autorizzati a torturarti, dovevamo solo tenerti nascosta. Ma, la verità, è che volevamo capire perché ti reputano tutti così importante. Non sei particolarmente forte, non è vero?».
B affiancò il fratello. «Oh, non piangere, miss, ti farai solo più male» rise appena. «Apri la bocca, su, da brava bambina».
A le sfiorò le labbra con le dita, separandole, mentre B le insinuava un imbuto fra i denti. «Non credo che ci vedremo più, miss» osservò B, inclinando una tanica sull'imbuto. «Ma sappi che è stato un onore. Non capitano mai, persone così stupide da fidarsi di ciò che diciamo. Ti conviene chiudere gli occhi».
Lei li tenne spalancati, con ostinazione. B rise. Poi le versò il contenuto della tanica in gola e non ci fu più nulla di divertente. Touko spalancò gli occhi, mentre soffocava, mentre l'acido le scendeva giù per la gola, ustionandola, riempendola di bolle. Una serie di lacrime le scivolarono sul viso, ma non le sentì nemmeno.

 

***

 

Come in una sorta di limbo, di un luogo senza tempo e senza spazio, Touko cominciò a fluttuare. Nelle sue sensazioni alterate, finì per non sentire nemmeno dolore, le orecchie recepivano appena i suoi provenienti dall'esterno. Avrebbero potuto marchiarla altre mille volte: non avrebbe sentito assolutamente nulla. Semplicemente, si era distaccata dal mondo terreno, con uno strappo, e fluttuava. Era come essere sott'acqua, con il mondo che diventa placenta e i suoni confinati nell'aria. Solo che non soffocava, non annegava. Era come in una situazione di stallo perenne, galleggiava nella sua stessa attesa. Ogni volta che la voce di uno dei due gemelli bucava quella sorta di Muro con cui aveva cinto la sua mente, Touko si rinchiudeva ancora di più. Cercava di tenerli fuori, almeno quello. Se li avesse sentiti ridere o parlare, sarebbe morta. Come se, alla fine, non fosse stata quella, l'unica fine possibile. Perché, fuori dal suo corpo, A e B si agitavano. Se Touko avesse avuto la forza di ascoltarli, forse avrebbe deciso di bucare la bolla. Ma lo sapeva già, anche senza udire le loro precise parole, che stavano decidendo come sbarazzarsi di lei. E, come in un flash, le tornò in mente tutta quella serie di storie che la nonna di Ellie era solita a raccontare, terrorizzando madri e figli. I Gemelli maledetti, i Guardiani. Non avevano mai trovato un cadavere, nelle loro mani. Mai. Probabilmente erano usciti di testa dopo essere stati torturati, o forse erano sempre stati così: nessuno aveva mai saputo perché fossero stati catturati. La nonna di Ellie diceva sempre che era una storia orribile, quella, molto più di tutte le altre. Grida confuse fuori dalla sua testa. “È un sacrilegio, bambina mia, è un sacrilegio”. E taceva, la nonna di Ellie, per non proseguire la storia. Come lo sapesse, però, era un mistero. Alla nonna di Ellie mancavano tre dita nella mano sinistra e nessuno aveva mai capito chi le avesse mozzate. Soprattutto perché sembravano staccate di netto, a morsi. E forse era per questo che tutti l'ascoltavano: sembrava assolutamente impensabile che fosse in grado di raccontare bugie, quando fissava la mano mutilata e cominciava a tremare. Touko si sforzò di pensare ad altro, di chiudere fuori il dolore. Ma quello continuava a tornare, a ondate, sempre più forte. Cominciava a dolerle la testa, per il freddo, per la febbre. La carne era gonfia, attorno ai marchi, infetta. E le lacrime scavavano solchi dolorosi nella carne. Aveva gli occhi spalancati, Touko, come se le avessero strappato le palpebre, ma non vedeva nulla. Era una massa goffa di sensazioni e dolori che s'accavallavano in un disordine continuo, confuso. L'acido si stava assorbendo, nelle sue viscere, in una sofferenza indicibile. Non l'avrebbe uccisa quello, lo sapeva: era soltanto una tortura come un'altra, che lasciava in vita, ma con dolori indicibili. Tossì, quando le tolsero l'imbuto dalle labbra. Non si accorse di aver sputato sangue. Uno dei due gemelli, non vide quale, si chinò sul pavimento, in modo tale che il suo viso fosse parallelo al suo corpo inerme, steso sulla tavola. Le scoprì un fianco. Touko urlò.

 

***

 

Prima di quel momento, aveva sempre preso sul serio l'unica regola, non urlare, non urlare per nessun motivo al mondo. Ma, tanto, sarebbe morta in ogni caso: valeva la pena di infrangere quella regola e gridare, gridare con quella poca forza che le era rimasta. Touko serrò gli occhi, mentre i Guardiani si affannavano per trovare qualcosa con cui farla stare zitta. Come se fosse servito a qualcosa: quando finalmente reperirono uno straccio, Touko non aveva più nemmeno la forza di pensare a gridare, figurarsi a urlare sul serio. B sorrise, scuotendo il capo con aria divertita. «Ci hai provato, miss» mormorò, tornando alla sua maglietta. «Ed è un peccato che tu l'abbia fatto. Adesso non potrò più essere clemente con te: avrei voluto tagliarti la gola, prima».
Touko inghiottì un grosso grumo di lacrime e ansia. Si promise di non chiudere gli occhi, per nessun motivo al mondo. Almeno questo lo doveva a sé stessa, vedere come sarebbe morta, per quanto fosse disgustosamente spaventoso. Le uscì un grido ovattato dallo strofinaccio che le avevano infilato in bocca e che rischiava di soffocarla a ogni respiro. Poi, semplicemente, la porta si spalancò con il rumore sordo dei cardini che cedevano. Da qualche parte, Touko, trovò la forza di girare la testa.
Per un momento, per un momento pieno di terrore, pensò che non l'avesse riconosciuta e che l'avrebbe lasciata lì, a morire. Ma sentì i Gemelli ritrarsi e capì che, forse, per una volta aveva semplicemente avuto fortuna. Due braccia fin troppo note la sollevarono, portandola via da lì, mentre i due Guardiani chiocciavano dietro di Lui come galline terrorizzate. Lui li scacciò con una semplice occhiata. Abbassò lo sguardo sulla ragazza fra le sue braccia, sorridendo a disagio, alla vista della sua pelle squamata.
Touko soffocò un singhiozzo. Non l'aveva riconosciuta.


 


​Riferimenti:
  • Il marchio con la "N": originariamente era una "V" ed era il marchio che si faceva sulla spalla dei ladri (Francia di età moderna).
  • L'acido: questa è una mia (stupidissima) invenzione. Se non fossi stata abbastanza chiara, ve ne spiego il funzionamento con qualche noticina in più: è un veleno estratto dai Tentacool (e per questo estremamente raro -> oltre il Muro) e che non uccide subito, ma brucia soltanto. Inoltre è temporaneo, non sfigura per sempre, ma tende a essere assorbito dalla pelle. Conseguenze da vedere in seguito.
  • "C'è gente che dice che, piuttosto che essere stuprata preferirebbe (...)" da "Lucky", Alice Sebold

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Capitolo 3
*** Esposizione, primo tema (#1) - Storie ***


Note iniziali (sì, ormai è routine):
  • Sull'utilizzo dei nomi: in questo capitolo verranno fuori i primi OC della storia. I cui nomi non sono, né saranno, mai scelti a caso. Per evitare spoiler, evito di mettere spiegazioni nelle note iniziali. Per leggere le mie scelte onomastiche, andate giù.
  • Prossimo aggiornamento: lunedì 16 febbraio.
 


N Sinfonia

Primo movimento

Esposizione, primo tema (#1) - Storie




 

 

Non l'aveva riconosciuta.
Touko rimase annichilita, completamente senza parole, nel comprendere che davvero N non l'aveva riconosciuta.
L'aveva guardata con un sorriso imbarazzato, finché non l'aveva lasciata su un letto, probabilmente il suo, senza parole. Non ne aveva.
«Mi dispiace, ragazzina» disse lui, rosso in viso. «Solitamente non permetto che facciano i loro esperimenti sulle donne».
Touko affilò lo sguardo, con una gran voglia di urlare. Se soltanto ne avesse avuto la forza.
«So che non è una gran cosa da dire, ma non sarebbe dovuto toccare a te». Si sedette accanto a lei, sulla sponda del letto, con fare amichevole. «Vuoi dirmi come ti chiami?».

Lei, nella sua corteccia di pelle squamata e dolore, lo guardò, con le lacrime agli occhi. E la bugia le scivolò, fluida e dolciastra, fuori dalla bocca.
«B-Blanche» mormorò, a fatica, portando una mano alla gola. La trovò scorticata a sangue, in un riflesso involontario di come doveva essere all'interno.

N le sorrise, rassicurante. «Tranquilla» mormorò, sfiorandole la gola, nello stesso punto che aveva toccato lei. «Passerà presto e non lascerà cicatrici, entro tre mesi sarai tornata com'eri prima e potrò riportarti a casa, te lo prometto. Anche i capelli saranno tornati a crescere».
Le accarezzò la fronte, pensieroso, seguendo il sentiero di quel graffio obliquo sul cranio. Touko giurò di averlo visto rabbrividire, disgustato. Non a torto. Anche lei lo sarebbe stata, al suo posto.
«I tuoi genitori saranno preoccupati per te» osservò, con una dolcezza strana, che non gli si addiceva. «Mi dispiace che sia successo».

«Non ho i genitori» tossì, lei, sporcandosi la bocca di sangue. E, in parte, era una mezza verità: prima della presa di Unima, era riuscita a farli andar via, in giro per le altre regioni, dove ancora non erano stati costruiti i Muri. «Li hanno portati via».
«Molte persone sono andate via» mormorò N, scrollando il capo. «Anche io ho perso qualcuno e, a quanto pare, sono ancora il Re. Dovrei sapere dove si trova, ma non ne ho idea. Conoscendola, avrà scavalcato il Muro per andare a vivere con i Pokémon. Non l'ho mai capita, in questa sua ossessione». N, sospirò, pensieroso. «Tu le somigli».
A Touko si bloccò il respiro in gola. E sperò di riuscire ad andar via prima che la pelle tornasse quella di un tempo, restaurando l'antico calco dei lineamenti, ora distorti dall'acido. Tre mesi era la scadenza. Sarebbe dovuta fuggire, di nuovo, cercando di non farsi scoprire.
«Di che colore hai, avevi, i capelli?» domandò N, pensieroso. Sembrava quasi perso, nei suoi pensieri, come quando lei si era scoperta capace di fluttuare nel nulla, per non sentire il dolore. E lei lo guardò, senza sapere se era più conveniente mentire o dire la verità. Se l'avesse scoperto, che era lei, non l'avrebbe mai lasciata andare. Né lei avrebbe trovato la forza necessaria per correre via. Così, si limitò a guardarlo, indecisa, in quel sorriso che N le rivolgeva.
«Biondi» biascicò. E questa, a suo tempo, sarebbe stata un'altra gatta da pelare, sicuramente. «Biondo scuro» si corresse.
Almeno, sarebbe sembrato più verosimile, se confrontato con il colore delle sopracciglia. Lui guardava la finestra come se la sua vita dipendessa da quella, dai tendaggi pesanti di un antico blu oltremare.

«Lei li aveva di un colore assurdo, un castano che non ho più visto da nessuna parte» mormorò, pensieroso. «Era troppo chiaro per essere nero, ma era troppo scuro per essere un semplice castano. Non ho mai avuto un termine di paragone soddisfacente». Le dedicò un sorriso vagamente imbarazzato. «Perdonami, se ti parlo sempre di lei» mormorò. «Ma non posso parlarne con nessuno. Se la trovassero... lo sanno tutti, chi è. Se la trovassero la ucciderebbero».
Lei ebbe l'ardire di sfiorargli il braccio, delicatissima.
No, N, sei sempre stato il più furbo, il più intelligente, ma non capisci – pensò – se mi avessero uccisa, saresti venuto a saperlo. Sono cose che ti senti dentro, quelle. No, N, se davvero avessero preso la persona di chi parli, non l'avrebbero uccisa. L'avrebbero torturata. Le avrebbero tagliato i capelli e sciolto la pelle, le ossa, gli organi nell'acido al punto che nemmeno tu saresti stato in grado di riconoscerla. Non l'avrebbero uccisa. Te ne saresti accorto.

Non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. Se l'avesse detto, probabilmente, sarebbe stato un indizio troppo grande. Così lo toccò e gli sorrise, semplicemente.
«Qualche volta, l'unico pensiero che riesce a tranquillizzarmi, è che se le avessero fatto del male me ne sarei reso conto» mormorò N, gli occhi puntati sulla mano di lei, come se fosse un serpente. «Avrei sentito qualcosa, se fosse morta. Ma non sento niente, il nulla assoluto».
L'hanno torturata, N. L'hanno presa mentre cercava di scappare e le hanno davvero fatto desiderare di essere morta, o peggio, se davvero può esistere qualcosa di peggiore. L'hanno quasi scuoiata con l'acido, l'hanno marchiata come un'animale. Come hai fatto a non sentire niente?
«Starà bene» disse, invece. «L'hai detto tu: non hai sentito niente, deve stare bene». E tutto, dentro di lei, sembrava che stesse gridando che era una sporca bugia. Inghiottì altre parole, una sorta di verità, per tornare a prestargli attenzione. Lo comprese così, Touko. Lo stava proteggendo, in un certo senso. Lei, che era quella che avrebbe dovuto uscirne spezzata in mille pezzi, lo stava proteggendo. Se gliel'avesse confessato, di essere lei, probabilmente sarebbe stato lui a crollare.
«Qualche volta penso che dovrei mettermi a cercarla» mormorò N, di rimando. «Che dovrei filarmela e lasciare tutto a mio padre, come vorrebbe sicuramente che facessi, e cercare un posto dove tenerla al sicuro. Ma non me lo permetterebbe mai, sai. È la persona più dannatamente cocciuta che si possa immaginare. Ed è, era, anche l'Allenatrice con più talento che io abbia mai conosciuto. Se non corro a cercarla è perché ho la certezza che non vorrebbe essere salvata».
«Era una tua amica?» domandò Touko, dolcemente.
«Sì» disse N, rigido. «Solo un'amica».

 

***

 

La mattina dopo, Touko fu raggiunta da Firvor, così disse di chiamarsi, una donna infagottata in stracci violacei, tutta china come se l'avessero pugnata. La prese per mano, la vecchia, con dolcezza, per portarla in un'immensa stanza da bagno. Con una dolcezza quasi materna, Firvor le fece scivolare i vestiti di dosso, spingendola a entrare nella vasca piena d'acqua. «Brucerà un po', cara» mormorò, con un quella sua voce dal timbro strano, metallico. Dalla provenienza incerta, con la bocca nascosta nell'ombra del cappuccio. Non bruciò un po'. Bruciò troppo, come se le avessero gettato addosso altro acido, sulla pelle giò ulcerata. Ma Touko non emise che un fievole sibilo, stremato, mentre la pelle si abituava a quel calore inatteso, al bruciore del sapone che lavava via i residui di stanchezza, alla pelle morta che si staccava e crollava sul fondo della vasca. Non cercò di rimirarsi nelle pareti coperte di specchi: non sarebbe servito a nulla. Ogni centimetro di pelle si faceva sentire esattamente per quello che era: una massa intricata di vermicelli rosati, intrecciati, che tiravano e minacciavano di squarciarsi, rivelando una trama fitta di muscoli e ossa. Faceva perfino fatica a parlare, dove nella gola si era formato un intrico di bolle da ustione, che percepiva con dolorosa intensità, ogni volta che si trovava a dover dire qualcosa. La sua testa, poi, la vedeva ancora in una sorta di ricordo sfocato, lattiginoso. Una distesa arida di pelle graffiata, dove una volta c'era stata una cascata di boccoli. Dove fosse finita, l'amica di N, Touko non lo sapeva. Vedeva solo Blanche, un frantasma bianchissimo che, nel riflesso dell'acqua, sorrideva nelle labbra crepate e spaccate a sangue.
«Povera cara» borbottò Firvor, strofinandole la schiena con dolorosa solerzia. «Devo rimuovere tutti i residui di acido, bambina, non sarà piacevole».
Touko pensò che sembrava quasi che la donna sapesse cosa si provava ad essere prese, tutte vesciche e ulcere e graffi, e gettate in una vasca d'acqua bollente per vedere la pelle che si squama ancora di più, per sentire una spugna ruvida che raschia per portarsi via tutto quello che ti ha ferita. Così, provò a sollevare il viso, cercando di incontrare lo sguardo di Firvor. Nell'ombra del cappuccio, vide l'orrore, vide uno specchio. Una distesa infinita di pelle bruciata, arrossata. Gli occhi piegati verso il basso dalle cicatrici, di un colore indefinito, forse nero o forse marrone, che la scrutavano tristemente. La bocca senza labbra, dispersa nel viso, un'ennesima ferita. E i capelli, tutti persi, tutti tagliati via, come le ciglia e le sopracciglia. Firvor le carezzò il capo con la mano altrettanto rovinata, senza unghia, completamente bruciata. «È stato tanto tempo fa, piccola» mormorò, semplicemente. «Erano i primi esperimenti, quando si tentava di non uccidere la cavia. E non ci si riusciva, anche se sembrava quasi che i Gemelli lo facessero apposta» si arrotolò una manica, per scoprire il braccio martoriato, marchiato a fuoco. Lettere bruciate sotto le linee bluastre delle vene. Una N, la medesima N che ancora tirava nella pelle sotto il seno, delle cosce di Touko. Una sigla. Exp298. Un numero e una parola. 1st surv.
«Ce ne sono stati duecentonovantotto, prima di me» mormorò Firvor, tornando a coprire il braccio. «Anche donne, e bambini. Tutti morti: dall'era dei Gemelli, sono stata la prima a farcela» scosse il capo, mortificata. «E sai perché? Avevo diciotto anni. Volevo
disperatamente vivere, più di ogni altra cosa». Lasciò cadere la spugna sul bordo della vasca, mentre trafficava con degli asciugamani. «Sono passato quattro anni».
Quattro anni prima, il primo compleanno del regime. Touko non riuscì a emetter fiato, mentre Firvor l'aiutava a uscire e la fasciava di asciugamani. Gettò uno sguardo dietro le proprie spalle, verso l'acqua torbida della vasca: era rosata di sangue. Ma non trovò nemmeno la forza di interrogarsi a tal proposito, così si lasciò trascinare nella sua stanza, dove l'attendevano una gran massa di bende e unguetti. Firvor le fece cenno di sedersi sul letto, mentre lei si riempiva le mani di oggetti.
«Stai tranquilla, cara» mormorò Firvor, mentre si armava di bende. «Entro tre mesi sarai esattamente come prima e ti rimanderanno a casa. Non è la prima volta che succede» in un gesto involontario, si sfiorò il capo, pensierosa. «I capelli ricrescono, la pelle ritornerà quella di prima. Non usano più i vecchi metodi».
Touko sobbalzò quando la donna sfiorò i marchi, più per la sorpresa che per il dolore. Firvor si scusò, silenziosamente, piena di compassione.
«Non ti rimarrà nemmeno una cicatrice, escluse queste» mormorò, sfiorandole la fasciatura sulla coscia. «E i capelli, almeno a te, ricresceranno. Io, prima, avevo capelli bellissimi. Del colore delle foglie autunnali, spruzzati di rame. Li tenevo sempre in una treccia lunghissima, almeno finché non l'hanno tagliata via».
Parlò senza intonazione ma, sotto i gesti frenetici delle sue mani, c'era rimpianto. A Touko, i capelli sarebbero ricresciuti. Firvor sarebbe rimasta un fantasma bruciato e marchiato, senza nome e senza voce. Aveva ventidue anni, sembrava già morta. Non le avrebbero mai restituito la sua vita, la sua pelle, la sua libertà.
«Come ti chiamavi prima?» mormorò Touko, con la gola che pungeva di dolore. Una bolla scoppiò, riempendole la bocca di sangue e pus che quasi la soffocò.
Firvor le poggiò un fazzoletto sulle labbra. «Sei acuta, bambina» disse, sorridendo, per quanto la sua bocca era in grado di permetterle.
Touko sorrise, incerta, con il sospetto che la sua interlocutrice non si sarebbe azzardata a rispondere. E Firvor le carezzò il capo, prima di dirigersi verso la porta.
«Cerca di dormire un po'» sussurrò, sulla soglia. Sembr fermars, incerta. «Lotte» tossì fuori, infine. «Mi chiamavano Lotte».

 

***

 

Firvor tornò poche ore dopo, con il pranzo e il tassativo ordine di riposare e non pensare nemmeno a uscire. Lei non rispose, si limitò a piluccare quel cibo che sembrava soltanto farla sentire peggio. Così, quando la sua compana si accomodò sulla sponda del letto, Touko non la notò nemmeno. Un rumore si diffondeva per il palazzo, senza tregua, facendole dolere le tempie. Touko sbuffò, tirandosi a sedere, gli occhi spalancati. Sembrava quasi una mandria di Pokémon imbufaliti. O, lo sarebbe sembrato se non ci fosse stato il Muro. «Cos'è questo rumore?» domandò, cercando di distinguere qualcosa in quella cacofonia. Firvor ridacchiò, con aria pensierosa.
«Oh, è una storia parecchio lunga» spiegò, scrollando le spalle. «Cercherò di sintetizzarla al massimo» disse, assorta. «Il nostro Re, un tempo, era un Allenatore come molti altri, un ragazzino. Accadde tutto circa un anno prima del Regime, quando ancora Natural Harmonia cercava un modo per salire al potere».
Touko li ricordava con chiarezza, quei tempi: c'era anche lei. Era stato poco meno di sei anni prima, un tempo infinito, interminabile. I ricordi, persi nell'ennesimo spazio che non riusciva a misurare, in un tempo che non sapeva contare, erano fantasmi sempre presenti. Per sei anni, di N era rimasto un fantasma, un qualcosa di talmente vago che, a volte, Touko aveva perfino sospettato di aver immaginato tutto. A volte. Poi si svegliava per ricordare che, sfortunatamente, la storia era diversa. Aveva tredici anni, al tempo. Non poteva avere idea. E, anche se l'avesse avuta, si sarebbe persa nei pensieri confusi di un'adolescente alla prima cotta.
«Non abbiamo un nome di riferimento. O, meglio, l'avremmo, se soltanto potessimo usarlo: il Grande Capo l'ha reso illegale, o qualcosa del genere. L'ultima volta che qualcuno l'ha nominata davanti al Re... quel qualcuno è diventato, di diritto, una cavia dei Gemelli» osservò Firvor, con un brivido. «Non è una storia facile, da conoscere, e non è nemmeno una favola: Lei era una di quelle persone che, il talento, l'aveva nel sangue. Forse è per questo che il Re cominciò a inseguirla, non ha mai smesso».
Ma Touko avrebbe davvero voluto che avesse deciso di farlo. Di smettere di inseguirla: non l'avrebbe mai presa. Era un finale un po' cliché di una storia non scritta: non l'aveva nemmeno riconosciuta. Se l'avesse fatto, forse sarebbe stato peggio. Touko, nel pieno del suo orgoglio, non avrebbe mai sopportato che la vedesse in quel modo.
«Nessuno saprebbe descriverla: sappiamo soltanto che aveva i capelli castani e gli occhi azzurri» osservò Firvor. «E lui continua a cercarla. Dicono che l'ami con tutto il cuore e, sebbene lei sia probabilmente una ribelle, la prenderebbe per farne la sua regina. Se soltanto la trovasse».
Touko sorrise, leggermente. Sicura che, per nessun motivo al mondo, si farebbe trovare. Non per diventare una maledetta regina delle bestie. Nemmeno per lui, per N. Ci sono giuramente da cui non si prescinde, o principi, o semplicemente desideri. Touko, prima di tutto, era libera. L'avevano torturata, minacciata e illusa. Non sarebbe mai potuta essere una di loro. Non sarebbe mai potuta essere di N, e guardarlo in volto per vedere... che cosa, poi, non lo sapeva nemmeno. Per vedere lui, forse.
«Solo che non la trova: ogni settimana, ogni giovedì, le Sentinelle portano qui un gruppetto di ragazze» continuò Firvor. «Sperando che ci sia lei, nel gruppo. Anche se non la trovano mai. E, se la trovassero, penso che il Re non lo verrebbe mai a sapere: la ucciderebbero e basta».
Touko si irriggidì, improvvisamente. Si costrinse a sorridere. «Sembra davvero una bella storia» commentò, atona. «Una gran bella fiaba».
Firvor annuì, partecipe. «Il grande problema è che è tutto vero. Ogni singola parte della storia».

 

***

 

Accadde poche ore dopo, con Firvor che corse nella stanza di Touko per raccontarle i nuovi risvolti della vicenda. Ed era per questo che non si vedeva N da tutto il giorno, quando solitamente non faceva che gironzolare per il Castello, come alla ricerca di qualcosa. Di qualcuno.
«L'hanno trovata, Blanche, l'hanno trovata!».


 


Riferimenti:

  • Blanche: essendo Touko il personaggio giocante di Nero/Bianco, mi è venuto istintivo chiamarla così. White, Blanche, il significato è quello.
  • Firvor: inutile dire che Lotte è un diminuitivo (Charlotte). Firvor, invece, deriva da un mio stupido gioco di parole. Per chi non l'avesse ancora intuito, dato che è pari a un giochetto delle elementari (maturità level: Bessie). Firvor: First Survivor.

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Capitolo 4
*** Esposizione, primo tema (#2) - Silenzi ***


Note iniziali (ma cosa avrete fatto di male, poi?):
  • Sul prossimo aggiornamento: Dovrebbe essere il 2 marzo, ma siccome a marzo avrò casini vari come viaggio d'istruzione e festa dei diciotto anni, potrei diventare irregolare.
  • Sulle note finali: da oggi, si aggiunge lo spoilaH sul prossimo capitolo.



N Sinfonia

Primo movimento

Esposizione, primo tema (#2) - Silenzi






 

La portarono quel pomeriggio stesso, la ragazza, Lei, nella stessa stanza di Touko perché era Firvor a occuparsi della caccia alla ragazzina, di solito.
Faceva paura.
Non Touko che, ormai, dopo un paio di giorni aveva cominciato ad adattarsi alla pelle di Blanche come un vestito su misura, con le cicatrici dell'acido che, o magari era lei ad illudersi, si chiarivano a chiazze, con ogni giorno che passava.
Lei, la ragazzina, era lei ad essere quella da compatire, adesso: una cosina minuscola, le stesse proporzioni di Touko ripetute in maniera perfetta, gli stessi colori. Capelli castani e occhi azzurri. Avrebbero potuto essere sorelle, in altri tempi, se non avessero preso Touko per trasformarla in una Blanche bruciata e sfigurata. Lei, raccolta nei suoi arti graffiati, probabilmente aveva provato a scappare, in quella caccia al fantasma che imperversava, a detta di Firvor, a Unima. Avrebbe potuto essere davvero la vera Touko, la ragazzina, finché vista da lontano. Se si ci avvicinava, se eri N, cominciavi a notare le differenze.
I capelli troppo lunghi, di una tonalità più calda, e gli occhi di un azzurro più scuro. Le gambe più tornite, forse, e qualche centimetro in più.

Firvor, con pazienza infinita, la costrinse a sedersi sulla sponda del letto, accanto a lei, mentre Touko le osservava dal pavimento, appoggiata al muro.
«Come ti chiami, ragazzina?» domandò Firvor, quando Lei finalmente smise di piangere, cosa che si era protratta dal momento esatto in cui l'avevano portata al Palazzo, con la massima gentilezza. Touko si scoprì con le spalle contratte, i denti scoperti. La massima gentilezza che avevano avuto con lei era stato impedire che i Guardiani la uccidessero. Un concetto relativo, dunque.
«Mei» borbottò la ragazzina, tormendandosi le mani. «Mi chiamo Mei». E Firvor si irrigidì incredibilmente, la bocca piegata in un sorrisetto insoddisfatto.
«No, cara» disse, scandendo bene le parole, come per sottolineare il concetto. «Non sei Mei. Hai smesso di esserlo nel momento esatto in cui sei arrivata qui» le sfiorò il capo, con dolcezza. «Il Re vuole Lei, e la deve avere, sebbene nessuno sappia dove sia. È chiaro?» la ragazza annuì. «Non sei Mei. Sei Touko. Come ti chiami?».
Mei stropicciò la gonna giallo chiaro, come se la domanda fosse troppo difficile per lei. «Touko» rispose, sottovoce. «Mi farete tornare a casa?».
Firvor scosse la testa, in un'implacabilità che Touko non le aveva mai visto sfoggiare. Degno prodotto dei Gemelli, pensò, ed era proprio così. Una lega metallica sigillata dall'acido, inevitabilmente: ci sono cose imprescindibili, come il dolore, o la sofferenza. «Quanti anni hai?» domandò, invece, congelandola con una singola occhiata.
«Diciannove» mormorò Mei, atona, recitando una lezione imparata a memoria. «Mi chiamo Touko, ho diciannove anni, vengo da Soffiolieve. Quando ancora sfruttavamo i pokémon» e qui singhiozzò appena, in quella bugia che sembrava costarle ogni minima parte di sé stessa. «Ero Campionessa della Lega di Unima. Ero una traditrice che ha sconfitto il Team Plasma, prima che il nostro Re trovasse la forza di risollevarsi» si voltò a guardare Firvor, incerta. «Il Re che, nonostante io sia colpevole di mille crimini, ha deciso di risparmiarmi. Perché mi ama e io...» deglutì. Questa volta, forse, avrebbe finito l'interrogatorio. E avrebbero potuto chiamare N che, di certo, stava aspettando.
«E io amo lui» biascicò Mei, prima di rannicchiarsi su sé stessa, con le lacrime che le rigavano il volto. Firvor sbuffò, esasperata, e si dovette trattenere dall'urlarle contro.
«Non piangere» sibilò, stringendo i pugni ustionati. «Lei non piangeva mai. Devi essere credibile, ragazza: se ti scambierà per lei, diventerai la sua Regina. Non avrai più bisogno di tornare a casa, non vorrai più tornare».
«E se capisse che non sono lei?» domandò Mei, con la voce incrinata. «Cosa succederebbe, se dovesse capire che è soltanto una recita?».
Firvor non rispose subito, ma si prese del tempo per acconciarle i capelli in una coda alta, troppo lunga, che Touko si ritrovò a invidiare, silenziosamente. «Quello che succede ogni volta» mormorò Firvor, affranta. «Non sei la prima, Mei. Le addestrano, le ragazze come te, sperando che una vaga somiglianza basti. Ed è una cosa crudele perché, dopotutto, il Re l'ama davvero. Lo capisce, che lo prendono in giro, che lei è ancora a piede libero. Una ragazza in fuga, la definisce. Ed è proprio così».
«Sembra una storia molto triste» osservò la ragazza, disorientata. Touko soffocò un sorriso malinconico, fatto di labbra spaccate, ustionate.
«Lo è» confermò Firvor. «Anche perché non la troverà mai: dicono che sia morta, o persa per sempre, oltre il muro, che è un po' la stessa cosa. È per questo che sei qui».
Mei annuì, asciugandosi le ultime tracce di lacrime. «Ma se si accorgesse che io non sono lei?» domandò Mei, per l'ennesima volta. Incidentalmente, il suo sguardo cadde su Touko, un fagotto scarnificato e bruciato tutto chino sulle sue ossa. Rabbrividì.
«Oh, no» disse Touko, con una punta di amarezza. «Non sono un'attrice. Non l'avrei mai fatto. Piuttosto mi sarei fatta torturare».
E rise, forte, facendo sbiancare la povera Mei. Firvor, riflesso perenne di Touko, non la riprese: aveva avuto i capelli fulvi, una gran massa di ricci d'oro bruno, non avrebbe mai potuto essere la Touko di N. La stessa Touko, la vera Touko, dubitava di essere quella figura ammantata di mistero. Era più l'ologramma che la persona stessa. Una proiezione, una presa in giro: Touko non era quella versione slavata e cortese di Mei.
Firvor si alzò, con aria palesemente stanca, e tese una mano in direzione di Mei, senza nemmeno darle la possibilità di fare altre domande. «Andiamo, cara» disse, semplicemente. «Ormai gli avranno detto che ne abbiamo un'altra. Ricorda quello che ti ho detto e andrà tutto bene».
E la scortò fuori dalla camera.
Mei, capelli troppo lunghi e occhi troppo scuri. Touko rise, e non fece nulla per dissimularlo, ad alta voce. Guardò la ragazza, dritta negli occhi, e fece un gesto di saluto. «Buona fortuna» disse, sorridendo con aria innocente.

Ma, di quei tempi, la fortuna era un concetto utopico. E, chiunque fosse stato, o avesse finto di essere, Touko non avrebbe avuto vita facile.

 

***

 

Nemmeno mezz'ora dopo, N entrò nella stanza, rosso in viso. Tremava come un albero messo a dura prova dal vento, le mani strette attorno alla camicia, gli occhi spalancati. Scivolò sul pavimento, accanto a Touko che non si era mossa di un millimetro, e le diede un buffetto sul ginocchio, attento a non farle male. Si prese la testa fra le mani, sospirando, strattonando i capelli come se gli impedissero di pensare in maniera corretta. «Continuano a illudermi» soffiò, stanco. «Continuano a prendere ragazze che nemmeno le somigliano e a farmele sfilare davanti, sperando che io sia davvero così idiota da non capire la differenza» riuscì ad allentare la sua stessa presa sui capelli, con alcune vittime incastrate negli anelli delle mani. «Se l'avessero conosciuta, se l'avessi conosciuta, Blanche, avresti capito».
«Era soltanto una ragazza» osservò Touko, atona. «Una vale l'altra, no? Perché non dovrebbe bastare una semplice somiglianza?».
N non si scompose minimamente, ma mimò un sorriso silenzioso. Solo che, poi, le parole vennero fuori naturalmente, senza sforzo. «Perché non sarebbe la stessa cosa» mormorò N, scuotendo il capo. «Sarebbe un misero sostituto di Touko. Continuerei a cercarla, anche se dovessero passare altri sei anni».
«Hai mai pensato che potresti non trovarla?» osservò Touko, interrompendolo. «Che potrebbe essere morta o, peggio, persa per sempre?».
«No» mormorò N, semplicemente. «Lo sentirei». Le sorrise. «Sono passati sei anni, è vero, sarà cambiata. Ma è mia. È sempre stata mia. È destino che torni da me».
«E tu?» domandò Touko, torcendosi le mani. «Tu di chi sei?».
Lui rise. «In sei anni cambiano troppe cose» disse, scrollando il capo. «Sono scappato, pensavo di essere uno spirito libero. Ma, no, la verità è qualcosa di indicibile».
«Perché non riesci a capirlo?» sussurrò Touko, lasciandogli una singola carezza sul viso, pentendosi di quel gesto troppo familiare. N non si lamentò, quasi come se avesse riconosciuto, dopo tutto quel tempo, quel tocco ulcerato di tortura. «Nessuno la chiama per nome, l'hanno bandita dalla memoria comune. Ti portano ragazze addestrate per somigliarle, sperando che tu riesca a dimenticarla» sorrise, appena, e sembrò costarle uno sforzo abnorme. «E sanno quant'è importante per te, N. Non pensi che, se la prendessero, non si limiterebbero a portartela?» N sembrava essere sbiadito, sbiancato a ogni parola. «Che, magari, non la ucciderebbero: lo sentiresti, se davvero ne sei in grado» Touko si sfiorò la testa tosata, in un gesto involontario e incontrollato. «Ma ci sono mille modi per annullare una persona, N, per farla diventare un cadavere» strinse i denti, cercando di non piangere. «Puoi prenderla e tirarla nell'acido finché la pelle non si squama, marchiarla a fuoco, tagliarle i capelli. Puoi fare mille cose, anche senza ucciderla fisicamente. È questo il difetto dei potenti, il punto di rottura: l'amore, l'amicizia. Non credere che te la porterebbero, N, non pensarci nemmeno».
In quei minuti si sarebbe potuto sentire il fluire del tempo, l'energia pulsante del silenzio, se soltanto Touko avesse avuto una percezione esatta della realtà. I movimenti di N sembravano rallentati, infiniti. Le sfiorò il capo, con la mano, sobbalzando di fronte al segno del rasoio che aveva intaccato la carne.
«Hai gli occhi come i suoi» mormorò N, abbassando il capo. Per un attimo, Touko tornò a respirare: non l'aveva riconosciuta, ancora, in quell'ammasso di carne ferita e sanguinoltenta che era diventata. Nemmeno lei, allo specchio, si riconosceva più. «Per certi versi, vi somigliate» sussurrò, affranto. Sorrise. Uno di quei sorrisi senza senso, fuori contesto. La sua mano era una serpentina rovente sul viso sfregiato di lei, le dita che scivolavano seguendo l'andamento della bruciatura.
«Oh, Blanche» mormorò N, così vicino che riusciva a contarne i respiri. «Non sono ancora completamente stupido come credi».
Lei rimase senza parole, nel momento esatto in cui lui la circondò con le proprie braccia, sollevandola dal pavimento. N sospirò, pesantemente, con lei fra le braccia: non pesava nulla. La vita vicino al Muro, avrebbe potuto spiegare. La carne grattata via dall'acido. La fame, la paura, il dolore: tutto colpa sua. Ma, la risposta di Touko non fu che un infinito silenzio, interminabile. N si chinò su di lei, sfiorandole la fronte con le labbra. «Amore mio» mormorò, sottovoce. «Che cosa ti hanno fatto».
Non era nemmeno una domanda. Touko lo guardò, disorientata, mentre lui ascoltava il suo silenzio, senza smettere di sorridere.
«La prima volta in cui mi hai toccato» mormorò, semplicemente. «L'ho capito in quel momento, ma non potevo esserne certo. Pensavo che fossi al sicuro, me lo sentivo».
«Sono viva» osservò Touko, atona. N, senza accorgersene, serrò la presa attorno al suo corpo. «In questo, almeno, avevi ragione».
«Avrei voluto saperlo» mormorò N. «Sarei venuto a salvarti».
Lei sorrise, e sembrò quasi che la pelle si potesse spaccare per quel semplice movimento. «Sappiamo entrambi che non te l'avrei permesso» osservò. «Le persone non cambiano, N. Cambiano soltanto le situazioni».
Lui, in silenzio, fu d'accordo. Non cambiano, le persone, lui non era cambiato: aveva mentito, era fuggito e l'aveva lasciata ad arrangiarsi, nella convinzione che sarebbe riuscita a sopravvivere, sempre e comunque. E aveva sbagliato. Non puoi avere sempre fortuna, perché verrà il momento in cui si perde, per forza.
«Devo farti andar via da qui» ragionò N, continuando a stringerla fra le braccia. Patologicamente, non sarebbe riuscito a lasciarla andare. Non ne avrebbe avuto la forza.
«No» disse Touko, tagliente. E lui annichilì, senza parole, nel vederla agitarsi nella sua presa. «No. Tu vieni con me».
«Non posso» mormorò lui, cercando di addolcirla. «Touko, non posso venir via con te».
«Allora, lasciami andare» disse lei, assecondata dal movimento di lui, che l'aiutò a ritornare sui suoi piedi. Tremava, come se quella fosse una fatica disumana.
«Hai ragione, a dire che le persone non cambiano» sussurrò N. Mise una mano in tasca, movimento che Touko seguì in parallelo. Lui non la fermò.
Le dita di lei incontrarono soltanto una lieve resistenza, prima di raggiungere l'oggetto. Un flaconcino di plastica, minuscolo. E, in quel momento, realizzò: anche se fosse morta, N, quella sua tanto famosa percezione, non l'avrebbe avuta. Lasciò cadere il flacone. Rumore di pillole che rotolavano sul pavimento. Silenzi.

 

***

 

Tremando, fu costretta a mandarlo via, senza motivazioni. E, per tutta la durata di quel pomeriggio, fu certa che non l'avrebbe più rivisto: le persone non cambiano, cambiano le situazioni, e i contesti. E N, di certo, non era persona in grado di tornare indietro. Sul pavimento freddo, quella sera, Touko la trovò. Una pillola solitaria, scampata alla ricerca frenetica di N, quando erano crollate per terra, rotolando. Portando via quel briciolo di speranza che Touko aveva nutrito, per pochi minuti.
La raccolse, cercando un qualunque segno che smentisse la sua intuizione. E non ne trovò. Mise la pastiglia in bocca, costringendosi poi a sputarla dopo pochi secondi. Spore, pensò, sentendo la lingua addormentata. Difficili da trovare, dipendenza quasi immediata. La nonna di Ellie ne era esperta, come in mille altre cose: mai le spore, bambina, mai quelle cose maledette. Annebbiano le percezioni, ti rallentano, e ti confondono. Liberarsene è tremendo, ti costringe a rigettare tutto quello in cui ti sei cullata fino all'ultima dose. Touko rabbrividì, istintivamente. E, poi, la porta si aprì. Nell'agonia dei cardini si distinsero i passi di N, controluce, fino a quella massa di carne sfregiata, sul pavimento, che era Touko. Che, forse, non lo conosceva abbastanza: pensava che non sarebbe tornato. E le persone, ne era certa, non cambiano.
Continuò a ripeterselo anche quando N si accovacciò al suo fianco, cingendola con le braccia.
«Devi smetterla» mormorò Touko, voltandosi verso di lui. «Noi dobbiamo andarcene da qui, ti prego, ti prego...».
«Lo so» rispose N, a fatica. «Non ti lascerei mai rimanere qui. Non... avrei dovuto saperlo prima. Non l'avrei mai permesso».
«Ti credo» sussurrò lei, sfiorandogli il viso con la punta delle dita.

«Devi andare via» disse N, con fermezza. Cercando di convincerla. Lei sorrise e, il suo silenzio, fu la risposta che lui si aspettava. «Non puoi rimanere qui, con me».
«Le persone non cambiano, N» ripetè lei, dolcemente. «Non ti permetterò di restare».
«Se io venissi con te...» e lì si fermò. Ingombrante, era il flacone di pillole in tasca, ed era esattamente quello che lo frenava: la crisi d'astinenza. Che sarebbe arrivata, oh sì che ci sarebbe stata, distruttiva, e si sarebbero fermati, nel nulla, a lottare contro la dipendenza. «Ci ho provato già, Touko» sussurrò, abbassando lo sguardo. «Continuano a darmele, sempre più forti».
Lei, per un attimo, non ebbe nulla da dire. E così lo lasciò ad ascoltare il suo silenzio, disorientato, cercando di trovare un ordine nelle parole non dette. Poi, inaspettatamente, Touko sorrise. Dietro le labbra spaccate, la pelle raggrinzita, era ancora lei. Inevitabile.
«Dobbiamo andare via» disse quello, e quello soltanto. N la guardò, perplesso, cercando di compiere l'impossibile: comprenderla, lui che non c'era mai riuscito. È sempre finito ad ammirare i suoi silenzi infiniti, è sempte stato lui quello che si trastulla fra le parole, senza riuscire a coglierne il senso. Non c'è mai riuscito.
«Touko...» mormorò lui, esasperato. Una mano nei capelli, lei che li osserva con rimpianto. I suoi, per un po', stenteranno a crescere. Ma nulla se confrontati al nodo che ha N, in gola, al semplice guardarla. Colpa sua, si dice, che non l'ha mai protetta abbastanza, basandosi sul volere di Touko che, di protezione, non ne avrebbe mai voluta nessuna. Ne avrebbe avuto bisogno. Non l'avrebbe mai lasciata andare, se soltanto gliel'avesse chiesto. Ma era Touko: non l'avrebbe mai fatto.
«Devo portarti via di qui» e, come sempre, non era lui a salvare lei. Ma lei a salvare lui. Per quanto potesse uscirne malconcia, stremata, non lo prendeva mai, il ruolo da principessa delle favole. Non lo voleva mai. Le stava stretto e, alla fine, aveva ben altri scopi. Farlo capitolare.
E, nei silenzi di Touko, N finiva sempre allo stesso modo. Capitolava.

 

***

 

Non si accorse di essersi addormentato, N, finché non sentì un gridolino soffocato. Alzò lo sguardo. Mei, vestita come Touko, lo fissava, sconvolta.
Touko respirava piano, ancora addormentata. N, fissò la ragazza, in silenzio. E capitolò, come sempre, anche per quella pallida imitazione. In silenzio.





 


Riferimenti:
  • Le famose spore dovrebbero avere un effetto simile a, guarda un po', l'omonimo attacco pokémon. Quindi possiamo definirla, la droga di N, un oppiaceo.
  • La ricerca di Touko, le attrici, è ispirata alla caccia a un'ipotetica Granduchessa Romanov sfuggita all'eccidio della famiglia reale.
  • I nomi dei personaggi di Bianco2 e Nero2 saranno tenuti in versione originale, anche nel prossimo capitolo.


Anticipazione: 
 

Da qualche parte, Hue era ancora in fuga. O, per meglio dire, alla ricerca.
La porta si aprì in un grido di agonia per i cardini. Mei si ritrovò a sorridere, i muscoli che tiravano il viso in una smorfia grottesca, scoprendo i denti.
Alla ricerca, ma non di lei. A Unima, le persone spariscono ogni giorno: ma, sulla scomparsa di Kyohei, Hue indagava ancora. E ancora. Sciocca lei che, in un barlume di lucidità mancata, aveva anche soltanto potuto pensare che avrebbero potuto essere qualcosa, se non gli ennesimi ragazzini allo sbaraglio nel caos dalla parte sbagliata del Muro. Ma Hue continuava a pensare a Kyohei, sempre, senza degnarla di uno sguardo. Stupida, si disse, per aver pensato che lui potesse cercarla.
Come se non li avesse mai visti, povera Mei, nascosti nell'ombra dei cespugli. Quelli come loro, le Sentinelle, li prendevano e li annegavano nel fiume. E, magari, prima li torturavano anche: erano stati fortunati, non li avevano mai visti. Ma sarebbe potuto succedere. Mei stessa lottava, ogni singolo giorno, con la voglia di urlarlo a tutti, che Hue baciava Kyohei dietro i cespugli. Sarebbe dovuta essere lei. Ma non lo era mai.

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