Against All Odds di Herm735 (/viewuser.php?uid=73080)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** È tutto qui ***
Capitolo 2: *** Montagne russe ***
Capitolo 3: *** Tim ***
Capitolo 4: *** Appuntamenti ***
Capitolo 5: *** Incertezza ***
Capitolo 6: *** Le mie mani ***
Capitolo 7: *** Niente più gruppo ***
Capitolo 1 *** È tutto qui ***
Quando Callie
Torres si trasferisce da Miami ad un paesino vicino Seattle le prime
ragazze con cui stringe amicizia fanno parte della squadra di
calcetto femminile del suo liceo, un mondo da cui Callie è subito
affascinata. Liceo, primi amori, calcetto e Calzona.
È tutto qui
Dicono che è tutto qui.
Dicono che ogni tanto bisogna guardarsi
attorno e cercare di memorizzare ogni dettaglio che ci circonda.
E c'è un motivo.
Il motivo è che è davvero tutto qui.
Ma non è sempre un male, non si
intende sempre in senso negativo.
Alcune volte, è tutto solo qui.
Da nessun'altra parte.
Esiste. Ciò che vogliamo, esiste. Da
qualche parte, in questo mondo, ciò che stiamo disperatamente
cercando dal giorno in cui siamo nati, esiste.
Sfiorai il muro che avevo davanti,
tentando di imprimermi nella memoria la mia camera nei minimi
dettagli.
Avrei mentito se avessi detto che quel
posto mi sarebbe mancato.
Miami non mi sarebbe mancata, neanche
un po'.
Era piena di tizi abbronzati insieme a
ragazze in minigonna, che se ne andavano in giro cercando di far
vedere a tutti quanto si sentissero importanti. Non sopportavo
nessuna delle due categorie.
E, poco ma sicuro, non mi sarebbe
mancata la mia camera. Qualsiasi altro posto con un paio di prese
elettriche ed un bagno abbastanza grande, sarebbe stato perfetto come
nuova camera da letto, per me.
Non avevo amici che mi sarebbero
mancati.
Non avevo mai tenuto a nessuno
abbastanza da sentirmi in obbligo di dire addio.
Miami era una città emotivamente priva
di legami, per me.
Beh, ovviamente, avevo solo diciassette
anni.
Mia sorella Aria non sembrava pensarla
allo stesso modo. Tutta la sua vita, i suoi amici, il suo ragazzo,
tutto era lì a Miami.
Non sembrava essere importante, secondo
lei, il fatto che avrebbe dovuto comunque lasciare la città un anno
dopo per andare al college.
A quanto ricordo, tutto ciò di cui era
convinta era che la sua vita fosse finita.
Come facevo a saperlo?
“La mia vita è finita” mi ricordò
entrando nella mia vecchia camera da letto.
“Già” risposi distrattamente.
Ecco come potevo esserne sicura.
Mia sorella aveva le lacrime agli
occhi, il giorno che lasciammo la casa in cui eravamo nate e
cresciute.
Non feci ritorno a Miami per molto
tempo. Quel giorno, io e la mia famiglia, ci trasferimmo
definitivamente in un paesino vicino Seattle.
La mia nuova camera da letto era più
grande di quella che avevo nella vecchia casa. E, quando Aria vide
quanto era grande la sua, sembrò completamente dimenticarsi di
Miami, degli amici, del suo ragazzo.
Mia sorella era più grande di me di
quindici, imperdonabili, mesi. Avrei voluto essere io la più grande,
ma sfortunatamente dovevo sopportare il peso dell'essere nata
quindici stupidi mesi dopo, lasciando che lei fosse sempre quella al
comando. Quello sarebbe stato il suo ultimo anno di scuola superiore,
ed il mio penultimo.
Il quartiere in cui ci eravamo
trasferiti non era troppo lontano dalla scuola.
Sembravano esserci molti altri ragazzi
nel vicinato, ma io, come al solito, preferivo stare da sola, non
avere problemi, non avere amici.
Appena arrivati trovammo tutti gli
scatoloni nel corridoio del primo piano, ma ci preoccupammo di
distribuirli nelle varie stanze solo la mattina del giorno
successivo.
Circa due ore dopo che avevamo finito
di smistare gli scatoloni, indossai dei pantaloni corti ma larghi, mi
allacciai le scarpette da ginnastica, ed uscii di casa.
Aria non aveva mai capito cosa ci
trovassi di così interessante nel correre.
Scacciai il pensiero di mia sorella,
capace di innervosirmi anche a metri e metri di distanza, e, dopo un
breve riscaldamento, iniziai a correre.
Avevo le cuffie. Un'abitudine dura a
morire.
Correndo ebbi modo di osservare il
quartiere. La nostra era, ad occhio e croce, grande quanto tutte le
altre case.
Mentre correvo, cercai di isolare fuori
tutti i pensieri indesiderati di quella settimana. Il fatto che ci
eravamo trasferiti. Il fatto che mio padre avesse accettato un nuovo
lavoro che lo avrebbe tenuto impegnato ancora più del precedente e
probabilmente ancora più ore lontano da casa. Il fatto che l'ultimo
film di Julia Roberts fosse stato un totale ed incondizionato fiasco.
Insomma, fu una settimana difficile, ma
correre mi rilassò.
Dopo una ventina di minuti decisi di
essere pronta a tornare indietro.
Già da lontano, vidi che nel giardino
della casa affianco alla nostra c'era qualcuno. Erano indubbiamente
giovani. Ragazze, se i miei undici decimi di vista non mi
ingannavano.
Decisi di mantenere un profilo basso e
ignorarle.
Cercai di non farmi notare.
Ma, ovviamente, ogni piccolo quartiere
è come un piccolo paese. Non accade niente che passi inosservato
all'occhio sempre attento dei vicini.
Erano tre ragazze, come avevo
ipotizzato. Erano sedute sull'erba, parlando tra di loro in maniera
sporadica.
Furono stupite dal vedermi rallentare
in loro prossimità. Io tentai di non insospettirle, togliendomi le
cuffie e sorpassando il vialetto della casa senza una seconda
occhiata indietro.
Mi videro fermarmi del tutto davanti al
vialetto di casa mia. Mi incamminai su di esso, tentando di ignorare
il fatto che mi stessero guardando.
“Ehi” cercò di attirare la mia
attenzione una delle ragazze, alzandosi e venendomi incontro
dall'altro lato della siepe alta circa un metro. “Sei la figlia
della coppia che ha comprato questa casa?” mi chiese genuinamente
curiosa.
Io accennai un sorriso. “Callie
Torres.”
“Meredith Grey” rispose subito lei,
tendendomi la mano.
Mi pulii la mano sudata sui calzoncini,
stringendo la sua subito dopo.
“Lei è mia sorella Lexie, lei è
Cristina” disse, indicando le altre due ragazze sedute con lei
sull'erba.
Io le salutai con un sorriso.
“Siete al liceo anche voi? Io sono al
penultimo anno.”
Non riuscii a pensare a niente di più
intelligente da dire.
“Anche io e Cristina. Lexie è un
anno più piccola.”
Io annuii di nuovo.
“Allora, una corsa a quest'ora. Avevi
dello stress da smaltire o sei una sportiva?” chiese Cristina, con
fare molto diretto.
“Entrambe” risposi io, sorridendo
di nuovo timidamente. “Ci siamo trasferiti da Miami, quindi non è
stato semplice, direi anzi un bell'accumulo di stress. E ho una
piccola passione per il calcio.”
“Davvero?” Meredith si interessò
subito. “Io e Cristina eravamo nella squadra della scuola l'anno
scorso.”
“Avete una squadra femminile a
scuola?”
Lei annuì. “In che ruolo giochi?”
Feci spallucce. “Non ho un vero e
proprio ruolo. Ma preferisco in attacco.”
“Magari ti piacerebbe unirti a noi.
Avevamo in programma una partita questo pomeriggio, ma ci manca un
giocatore” mi invitò Cristina.
Guardai Meredith, assicurandomi che per
lei non fosse un problema. Mi sorrise, annuendo.
Io ricambiai il sorriso. “Mi
piacerebbe.”
“Facciamo così, io e Cristina ci
cambiamo, visto che tu sei già pronta, e andiamo al campetto con
qualche minuto di anticipo, così ti facciamo vedere com'è.
Giochiamo per un'ora, cinque contro cinque, poi ti riaccompagno a
casa. Se la nostra compagnia non ti avrà ancora stufato, questa sera
andiamo a prendere una pizza con le altre ragazze. Faresti conoscenza
con qualcuno del nostro stesso anno.”
“Mi farebbe piacere.”
Entrai in casa, posando il cellulare e
le cuffie. Dissi a mia madre che un paio di ragazze mi avevano
invitato ad una partita di allenamento e le dissi che sarei tornata
più tardi. La salutai velocemente ed uscii. L'espressione scioccata
che aveva quando le dissi che avevo già conosciuto qualcuno della
mia età mi fece piuttosto irritare.
Circa un quarto d'ora dopo io, Cristina
e Meredith – che aveva guidato – eravamo dentro un piccolo campo
perfetto per le partitelle cinque contro cinque.
“Ok, Callie. Abbiamo bisogno che tu
ci sappia fare. C'è questa ragazza, irritante in un modo quasi fuori
dal normale, che riesce sempre ad essere la migliore. Un talento
naturale. Lei ed il calcio sono stati inventati dalla stessa persona”
mi raccontò Cristina mentre si riallacciava le scarpe. “Quindi, ho
bisogno che quest'anno ci sia qualcuno più bravo di lei.”
Le avevo viste giocare solo per due
minuti, dalla panchina in cui stavo posando la borsa, ma due minuti
mi erano bastati.
Le sorrisi. “Centrocampista sinistro.
Ho indovinato?” Cristina mi guardò un po' stupita. “E tu sei il
destro” aggiunsi, guardando Meredith. “Siete veloci e brave a
controllare la palla.”
Entrambe annuirono.
“Cavolo. Se sei brava sul campo
quanto lo sei con la teoria...” Meredith lasciò la frase in
sospeso, un sorrisetto soddisfatto le aleggiava sulle labbra.
“Ehi ragazze” le salutò Lexie. Io
la guardai, perplessa. “Sono venuta con April” mi spiegò,
indicando la ragazza con lei.
La rossa mi salutò con un cenno della
mano.
“Ok, Callie, le squadre sono un
tantino...diciamo epiche. Siamo molto competitive. Perché la piccola
Lexie-pedia, è un centrale sinistro, come me, mentre April, destro,
come Mer” mi fece sapere subito Cristina.
“Nella nostra squadra” continuò
Meredith “gioca anche lei” disse indicando con un cenno della
testa una ragazza che stava arrivando.
“Miranda” la salutò April
allegramente.
Lei alzò una mano nella sua direzione.
“Non iniziare ad irritarmi, non sono neanche arrivata, ancora,
Kepner” poi si accorse della mia presenza. “Chi è la novellina?”
chiese, tono piatto.
“Callie Torres” mi presentai.
Lei mi salutò con un gesto della
testa.
“Penultimo anno anche tu?”
Io annuii.
“Ruolo?”
“Oggi, attaccante” intervenne
Cristina.
“Oh, davvero? Beh, sei fortunata ad
essere nella mia squadra, allora” mi fece sapere, tirando fuori
dalla borsa un paio di guanti da portiere.
Io deglutii. La ragazza davvero sapeva
come fare paura.
“In porta è la migliore” mi fece
sapere Meredith. “Dovevamo bilanciare le squadre, visto che loro
hanno il Capitano.”
Io aggrottai la fronte. In quel momento
arrivarono altre tre ragazze, due bionde ed una rossa.
“Salve ragazze” salutò una delle
bionde. “Tu devi essere la nuova. Piacere, Izzie Stevens.”
Le strinsi la mano.
“Non prendertela quando il Capitano
ti farà sfigurare così tanto che non vorrai più uscire di casa, è
solo che lei, sai, è fatta così” continuò la rossa. “Addison
Montgomery” si presentò dopo.
“Non ascoltarla” mi fece sapere
l'altra ragazza. “Teddy. Altman.”
Strinsi anche la sua mano.
“Allora, chi è questo capitano che
semina così tanto terrore?” chiesi, incuriosita.
“Sarei io” una voce mi fece
voltare.
Una ragazza, probabilmente la mia
stessa età, bionda, calzoncini neri simili ai miei, maglietta bianca
in contrasto con quella rossa che stavo indossando quel giorno,
capelli legati. Per un secondo non riuscii a pensare.
Quella ragazza mi aveva tolto il fiato.
Anche se, è giusto dirlo, la stessa
cosa feci io a lei.
Ci osservammo in silenzio per qualche
secondo, prima che il mondo ricominciasse a scorrere.
“Allora, Callie, le squadre sono
queste – e rassegnati al fatto che rimarranno sempre queste in
allenamento. Noi abbiamo Miranda in porta, Addison come difensore, io
a destra, Cristina a sinistra e adesso te in attacco. Loro hanno
Izzie in porta, Lexie a sinistra, April a destra, Teddy dietro in
difesa e...”
“...e il capitano in attacco”
conclusi.
Meredith annuì.
“Non preoccuparti se per oggi farai
schifo. Non ti butteremo fuori. Almeno non subito.”
Risi della schiettezza di Cristina.
Qualche minuto dopo eravamo pronti ad
iniziare la partita.
Mi trovai al centro del campo, faccia a
faccia con il Capitano. Tra di noi, solo un pallone ed una riga
bianca sull'erba. Nient'altro.
“Callie Torres.”
Le tesi la mano. Lei, senza esitazione,
e senza distogliere gli occhi dai miei, la prese.
“Arizona Robbins.”
“Ricapitolando, la palla è questa
cosa tonda, e devi fare goal in quella porta. Tutto chiaro?” mi
prese in giro Addison.
Io le sorrisi, abbastanza sicura di me.
“Farò del mio meglio per tenerlo a mente” le risposi, voltandomi
verso Arizona nuovamente.
“Inizia pure” mi offrì, facendo un
passo indietro.
Cristina mi si avvicinò, pronta a dare
il calcio di inizio.
Io mi voltai, dando le spalle ai miei
avversari e facendole cenno di avvicinarsi.
Le sussurrai qualcosa, lei annuì,
perplessa.
“Sei pazza. Completamente” mi
comunicò. “Mi piace.”
Ricambiai il mezzo sorriso che mi stava
offrendo.
Cristina fece ciò che le avevo
chiesto. Batté il calcio d'inizio, passandomi la palla tra i piedi.
Io ero leggermente spostata a destra rispetto al centro del campo.
Nessuno mi venne incontro, come avevo previsto, visto che ero la
povera, nuova ragazza. La visuale era completamente libera, il campo
da cinque molto piccolo. Neanche dieci metri da dove mi trovavo alla
porta. Allungai la palla in avanti, superando di neanche mezzo passo
la linea di metà campo, visto che i goal segnati dalla propria metà
campo non sono validi nel calcetto. Izzie Stevens non si mosse
neanche, quando la palla le passò affianco ed entrò nella porta,
dandoci il primo goal di vantaggio.
Mi voltai verso Addison.
“Non riesco a ricordare. Era quella
la porta giusta?”
“Se fossi il tipo di persona che
tocca la gente, adesso ti abbraccerei” mi fece sapere estasiata
Cristina.
Arizona si fece avanti, preparandosi a
battere dal centro.
“Impressionante. Ma quello è solo un
trucco. Perché non vediamo come te la cavi quando si gioca davvero?”
Io non mi feci scoraggiare, mostrandole
un piccolo sorriso compiaciuto.
“Qualsiasi cosa tu voglia.”
Lei ricambiò il sorriso provocatorio,
battendo la palla verso April.
La ragazza era veloce, ma ancora
inesperta. In un secondo riuscii a rubarle il pallone, lanciando
Meredith verso la porta. Lei si trovò ad affrontare Teddy in un uno
contro uno, che evitò grazie a Cristina, completamente libera, che
ricevette un passaggio dall'altra parte del piccolo campo.
Anticipando l'intervento difensivo di Arizona effettuò un cross al
centro. Io segnai, di testa, il secondo goal della partita.
“Così è abbastanza vero?” chiesi
ad Arizona, passandole accanto. Le sorrisi, facendole sapere che la
stavo solo provocando.
Lei annuì.
“D'accordo. Iniziamo a fare sul
serio, allora.”
C'era un motivo per cui Arizona Robbins
veniva chiamata il Capitano, anche quando si trattava solo di una
partitella come quella.
Lo capii quando riuscì a scartare con
facilità prima Cristina, poi Meredith ed infine Addison, tre
giocatrici niente male, portandosi in porta, e segnando con una
precisione quasi surreale.
“Abbiamo fatto arrabbiare mammina”
commentò Cristina ad alta voce.
“Ah. Ho appena iniziato. 2-1” ci
ricordò, passandomi il pallone. “Palla vostra.”
Quella volta fui io a battere, passando
il pallone a Meredith, che scartò Lexie con facilità, passandomi la
palla. Mi trovai davanti Teddy. Esitai solo per un secondo, decidendo
poi di lanciarmi nell'uno contro uno, dove non riuscii a saltare
Teddy. Aveva fatto un lavoro dannatamente buono, bloccandomi tutte le
vie d'uscita. Poi la sentii arrivare. Arizona stava raddoppiando la
marcatura.
Perfetto,
pensai.
Appena fui sicura
che fosse abbastanza vicina da non intralciare Cristina, feci
scivolare la palla all'indietro, tenendola sotto la pianta del piede.
Quando la sentii attaccarmi, calciai lateralmente, facendole prendere
il vuoto. La palla scivolò verso Cristina, che non perse tempo
nell'andare a rete.
Izzie non era una
giocatrice a livello della squadra, chiunque lo avrebbe notato. Forse
non prendeva il calcio seriamente, o forse era solo nuova. Non avrei
saputo dirlo, allora.
“Come hai fatto a sapere che ero
dietro di te?” mi chiese, sinceramente affascinata.
Io le sorrisi. “Puro e semplice
istinto.”
Quando Teddy e Arizona si furono
scaldate sul serio, tirarono fuori qualche azione davvero
sbalorditiva, così come Meredith e Cristina. Io tendevo a giocare
più da sola. Non ero ancora abituata all'idea di una squadra.
Mi piaceva il modo perfetto di Addison
di stare in difesa. Rimaneva sempre a proteggere la porta, salendo
solo quando sembrava capire che stavo disperatamente cercando di
passare la palla a qualcuno che non fosse marcato. Io e la rossa
sviluppammo da subito una certa sintonia. Niente a che vedere con ciò
che successe nella nostra prima partita a nove. Ma quello fu solo
diversi giorni dopo.
La partitella finì 9-7.
Io avevo segnato sei goal, due
Cristina, uno Meredith. E Arizona ne aveva segnati sette, tutti
quelli della sua squadra.
Sapevo bene che l'unico motivo per cui
avevamo vinto era che Miranda era formidabile tra i pali, altrimenti
Arizona avrebbe segnato almeno una decina di goal.
“Beh, bella partita. È stato un
piacere giocare con voi” dissi loro, cercando di apparire gentile e
di scrollarmi di dosso l'insicurezza che mi seguiva ovunque non
avessi tra i piedi un pallone.
“Ehi, woh-woh-woh. È stato un
piacere?” ripeté Cristina. “Non pensarci nemmeno, Rockstar. Tu
sei la mia nuova punta, quindi vedi di non usare tempo al passato”
mi corresse immediatamente.
“Ovviamente intende nostra nuova
punta. Cristina ha un concetto di proprietà molto...particolare”
tentò di farmi capire Addison.
Rockstar era la sfortunata scritta che
avevo sul retro della maglietta rossa che stavo indossando quel
giorno.
Perché sfortunata?
Perché Cristina continuò a chiamarmi
Rockstar. Per molto, molto, molto tempo.
“Bella partita” mi sussurrò
Arizona Robbins, passandomi accanto e camminando all'indietro per
guardarmi negli occhi.
Io annuii sorridendole con incertezza.
“Non sono neanche all'altezza del paragone” le risposi con una
sincera scrollata di spalle.
“Per ora” sussurrò lei in
risposta.
“Ok, allora, la squadra della scuola
ha undici titolari e quattro riserve” iniziò a spiegarmi Cristina.
“L'anno scorso l'allenatore si
ostinava a far giocare le ragazze dell'ultimo e del penultimo anno
anche se erano incapaci, mettendo in campo solo Arizona anche se era
più piccola, e facendole fare il capitano. Abbiamo perso il
campionato anche se Arizona ha giocato alcune partite fenomenali. Ma
quest'anno la storia sarà diversa. Abbiamo una nuova allenatrice, e
Lexie, April e Izzie si uniranno alla squadra. Senza contare che la
seconda punta l'anno scorso era una specie di elfo alta circa mezzo
metro e veloce quanto un bradipo” continuò schiettamente Miranda.
“Mentre tu, mia carissima, carissima
Callie” mi disse Addison passandomi un braccio attorno alle spalle
“ci hai fatto vincere una partita contro il Capitano.”
“Partitella” la corresse Arizona.
“Come ti pare. Abbiamo comunque
vinto” replicò la rossa, continuando a camminare con un braccio
attorno alle mie spalle.
“Allora, stasera casa Grey? I
genitori di Mer e Lexie-pedia sono fuori città” propose Cristina.
Ci fu qualche assenso.
“Verranno anche Derek e i suoi
amichetti senza cervello?” chiese Addison.
“Probabilmente” rispose Meredith
con una scrollata di spalle.
“Allora credo che io passerò.”
“Oh, Addison ha una cotta per Sloan.
Quanto sei carina, Addie” la prese in giro Teddy.
“Io non ho affatto...”
“Ok, andiamo, tanto stasera verrai,
che tu lo voglia o no. Non mi lascerai da sola con Alex, e sappiamo
che quella è la fine che farò se non ci sarai tu, visto che ad un
certo punto Teddy e Henry spariranno misteriosamente come succede
sempre” replicò Arizona.
“Cosa? Io e Henry non...”
“Sì, sì, risparmiatelo” la zittì
Cristina. “Allora, Star, sei dentro?”
“Perché no” risposi
distrattamente.
Non sapevo chi fosse questo Alex con
cui Arizona non voleva rimanere sola, ma non mi piaceva.
Lentamente le altre uscirono dal campo
di calcio.
Io mi guardai attorno, pensando che
quello era esattamente il posto in cui avrei voluto passare la
maggior parte del tempo.
“Callie, andiamo!”
Con un sorriso, mi voltai e seguii
Addison.
Dicono che è tutto qui.
E forse hanno ragione.
A volte trovi quello che stavi cercando
in un posto in cui non ti saresti mai aspettata di poterlo trovare.
Come al centro esatto di un campo di
calcio.
Però è tutto qui. Esiste. C'è.
Tutto ciò che dobbiamo fare è tenere
gli occhi aperti e non lasciare che ci passi davanti agli occhi senza
che neanche ci lasci provare a prenderlo.
È tutto esattamente qui. Solo e
soltanto qui.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
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Capitolo 2 *** Montagne russe ***
Ecco il secondo capitolo, spero vi piaccia.
Buona lettura!
Montagne russe
Entrai in casa di Meredith, e la festa
doveva essere già iniziata da un po'.
Non c'erano più di una ventina di
persone, ma la musica alta e il fatto che fossimo tutti in salotto,
faceva sembrare la casa molto più affollata.
Ero arrivata insieme a Cristina e
Addison, che si erano offerte di passarmi a chiamare prima di
entrare, avendo immediatamente capito che la timidezza era un serio
problema della mia personalità.
“Allora, ci siamo solo noi che
eravamo al campo oggi, e alcuni ragazzi. Attenta a chi metti gli
occhi addosso, perché sono quasi tutti presi” mi aggiornò
Addison, mentre entravamo e lasciavamo i giacchetti sul letto di una
piccola camera vicino al salotto. “Derek, il tizio che sta parlando
con Meredith, è il suo fidanzato. Il rosso sta con Cristina” mi
indicò con un cenno della testa un tipo alto, che parlava con un
altro paio di ragazzi. “Si chiama Owen.”
“Il tizio dalla testa rasata che è
con lui si chiama Alex” continuò Cristina. “Ha una cotta per
Arizona, ma lei non è interessata. La povera April è innamorata di
lui, ma tutti la prendono in giro da quando si è sparsa la voce che
è ancora vergine. Il ragazzo di colore, Jackson, sta insieme a
Lexie, mentre Henry è quello che in questo momento sta parlando con
Teddy. È il suo migliore amico. Così dicono loro, comunque.”
“E chi è lui?” chiesi notando un
ragazzo al telefono in un angolo della stanza.
“Lui è Mark Sloan. Proprietà di
Addison è scritto sul suo cranio, ma non ha uno specchio, quindi non
è ancora riuscito a rendersene conto” la prese in giro Cristina.
“Cristina, quante volte devo
ripetertelo? Siamo solo amici.”
Io risi.
Vidi Arizona che ci si avvicinava.
“Ho bisogno di allontanarmi da Alex”
sussurrò.
“Stavo andando da Owen” rispose
Cristina dileguandosi.
“Mark è solo” aggiunse Addison,
sparendo immediatamente dopo.
Lei scrollò le spalle, mettendomi una
mano sulla schiena e portandomi fuori.
Io, non so molto bene perché, lasciai
che lo facesse.
Si richiuse la porta alle spalle.
“Allora, Meredith ha detto che vi
siete trasferiti da Miami. Deve essere stato un duro colpo lasciare
tutto. Amici, compagni di scuola...un fidanzato, forse?”
Io risi.
“Callie!” sentii chiamare una voce
familiare.
“Eli!”
Eli era il figlio della sorella di mio
padre. Mio cugino. E, sfortunatamente, questo significava che era
anche il cugino di Aria.
Lo vidi avvicinarsi con Miranda da un
lato e mia sorella dall'altro.
Lo abbracciai.
“Miranda, lei è la sorella di Aria,
mia cugina...”
“Callie” mi salutò Miranda
accennando un sorriso. “Lei è la nostra nuova punta.”
“Cosa? Sarebbe lei quella di cui hai
parlato per tutto il pomeriggio?”
Lei annuì.
In quel momento notai le loro mani
unite.
Sorrisi, annuendo in direzione di mio
cugino. “Bella mossa, amico. In porta riesce a fare ogni tipo di
miracolo.”
Lui ricambiò il sorriso. “Lo so”
sussurrò, passandole un braccio sulle spalle.
“Allora, entriamo a questa festa o
rimaniamo fuori?” chiese Aria, spazientita dal legame speciale che
avevo con mio cugino.
Io guardai Arizona.
“Andate pure. Volevamo prendere una
boccata d'aria fresca” risposi.
Aria guardò Arizona, presentandosi.
“Aria Torres.”
“Arizona Robbins.”
“Non vorrei sembrarti rude,
ma...perché stai con mia sorella? Hai perso una scommessa?”
chiese, guadagnandosi un mio colpo sulla spalla.
“Direi piuttosto che l'ho vinta”
rispose lei, difendendomi. Non avevo capito bene perché lo avesse
fatto.
Aria rise. “Ok, certo. Forse non
stiamo parlando della stessa persona. Calliope, giusto?” chiese,
indicandomi.
Io avrei voluto sotterrarmi.
“Aria, sai che lo odio.”
Eli la colpì su un braccio, non molto
forte. “Devi essere sempre così cattiva con lei?”
Aria sospirò. “Scusa. Non ti
chiamerò più in quel modo. So quanto ti dà fastidio.”
Io annuii, sapendo che non avrebbe mai
e poi mai smesso di chiamarmi in quel modo, a meno che non fossi
diventata amica di qualcuno che le piaceva e che avesse quindi
bisogno di non farmi arrabbiare.
Eli e Aria entrarono.
“Non mi piace tua sorella” sussurrò
Miranda, seguendoli subito dopo all'interno.
Ci fu qualche secondo di silenzio.
“Allora...Calliope. É un bellissimo
nome.”
Il modo in cui lo pronunciò mi fece
smettere di respirare per un momento.
“Sei la prima persona abbastanza
gentile da fare almeno finta che il mio nome non ti faccia venir
voglia di ridere.”
“Non c'è niente di spiritoso, è il
nome di una musa. Lei dalla bella voce.”
“Sei appassionata di mitologia?”
“Un po'. È un segno, non credi?”
Guardai dentro gli occhi più azzurri
che avessi mai visto e per un istante mi chiesi se non ci fosse un
significato più profondo dietro quelle parole e l'implicazione di un
legame che andava oltre la semplice amicizia.
Mi scrollai il pensiero di dosso. Non
era possibile.
“Decisamente un segno” sussurrai
distrattamente, distogliendo lo sguardo.
“Ehi Arizona.”
Un ragazzo abbastanza basso e
mingherlino si avvicinò alla casa.
“George” lo salutò allegramente
Arizona.
“Meredith e Izzie sono dentro?”
chiese.
Il suo sguardo si spostò su di me e lo
vidi fissarmi imbambolato per qualche momento.
Arizona si schiarì la voce.
“George, stai sbavando.”
Lui ignorò il commento di Arizona,
porgendomi la mano.
“George.”
“Callie” sorrisi in modo
impacciato.
“Non ti ho mai visto da queste parti”
osservò.
“Mi sono appena trasferita.”
Lui annuì. “Allora, che ci fate qui
fuori?”
Arizona scrollò le spalle. “Alex
aveva ricominciato con la stessa storia di sempre. Non ne posso
davvero più” spiegò con un sospiro.
“Che storia?” chiesi.
George guardò Arizona, che sembrava
improvvisamente profondamente interessata alle sue scarpe.
“Beh, vi lascerò a discuterne” con
un'ultima occhiata nella mia direzione si dileguò all'interno della
casa.
Io lo seguii con lo sguardo finché non
chiuse la porta, poi mi voltai di nuovo verso Arizona, accorgendomi
solo in quel momento che lei mi aveva osservato per tutto il tempo.
“Allora, vuoi raccontarmi questa
storia?”
“É una lunga storia” mi avvertì
lei.
Io scrollai le spalle. “Abbiamo un
sacco di tempo.”
“Ma è anche molto complicata. E in
genere non ne parlo con persone che ho appena conosciuto” replicò
a bassa voce.
“Ok” risposi con una scrollata di
spalle.
Rimanemmo in silenzio, a quel punto. Ma
non era un silenzio strano, di quelli imbarazzanti. Era solo che non
avevamo bisogno di dire niente.
“Ti va di fare una passeggiata?”
chiese improvvisamente.
“Certo” acconsentii.
“Perfetto. Prendo il giacchetto.”
Annuii, alzandomi. La aspettai sul
portico e neanche una ventina di secondi dopo mi aveva raggiunto
fuori, indossando il proprio giacchetto e tenendo due birre in mano.
Me ne porse una. Io accettai, senza farle sapere che di solito non
bevevo.
Iniziammo a camminare nella direzione
opposta rispetto a casa mia.
“Allora...stavamo parlando di Miami
se non ricordo male. Di un fidanzato?” chiese cercando di suonare
casuale.
“Nessun fidanzato. Pochi amici.
Nessuno di loro era importante in ogni caso. Mia sorella è quella
che se ne va in giro a lamentarsi in realtà. Io sto bene. Non mi è
importato molto del trasferimento, a dire la verità. Non credo che
cambierà niente. Continuerò ad essere la ragazza che si siede in
fondo alla classe e non dice mai una parola.”
“Problemi di timidezza?”
Io la guardai facendole capire che era
impossibile non notarlo. “E di autostima” aggiunsi. “E un altro
paio di problemi che sicuramente dovrei evitare di raccontare a
qualcuno che non conosco” aggiunsi più tristemente.
“Non sarebbe saggio” concordò. Poi
prese un sorso della sua birra. “Dimmi, Calliope, sei una persona
saggia?”
“La maggior parte del tempo”
risposi indecisa su cosa avrei dovuto fare con la bottiglia che avevo
in mano. “Probabilmente una persona saggia ti direbbe 'io non bevo
birra' invece di fingere di avere un'esperienza diversa da quella che
ha. Mi dispiace.”
Le porsi la bottiglia. Lei accettò con
un cipiglio serio, ingoiando il sorso che aveva preso e facendo una
smorfia.
“Grazie a Dio. Non sopporto il sapore
di questa roba. Stavo cercando di fare colpo.”
Gettò entrambe le bottiglie nel primo
cassettone che incontrammo.
“Cercavi di fare colpo?” chiesi
ridendo piano.
“Già. Pensavo che nella tua vecchia
scuola fossi molto popolare.”
Io risi di gusto. “Scherzi vero? Per
essere popolare nella mia vecchia scuola avrei dovuto vestirmi come
Aria. Quindi praticamente non
vestirmi. Non nel mio stile, affatto. No, io probabilmente ero la
persona meno popolare del liceo.”
“Di solito gli
sportivi sono popolari.”
“Oh, io non
facevo parte di una squadra della scuola, l'unico sport era il
football. Maschile.”
Lei annuì.
Entrambe rimanemmo
concentrate sui nostri pensieri, finché, dopo aver fatto il giro
dell'isolato, ci trovammo di nuovo davanti a casa di Meredith.
C'erano due ragazzi
fuori, sul portico, che stavano discutendo con Cristina e Meredith.
“Senti, ti ho
detto di andare a casa, va bene? Sei ubriaco, Alex. Vattene.”
“Ma tu che ne sai
O'Malley? Non sai nemmeno che significa bere sul serio.”
“Piantala Alex,
sul serio” lo ammonì Meredith. “Hai bevuto. È ora che tu torni
a casa.”
“Al diavolo”
sussurrò lui, voltandosi. Fu allora che si accorsero di noi.
Arizona si
irrigidì.
“Chi è la tua
amica, Robbins? Oh, aspetta” si avvicinò di qualche passo. “Non
dirmi che hai finalmente trovato una ragazza che giochi per la tua
squadra.”
Io lo guardai,
perplessa.
“Oh, non dirmi
che non lo sai” continuò.
“Karev” tentò
di farlo tacere.
“Arizona, non
dirmi che non le hai detto il tuo piccolo sporco segreto. Tanto lo
scoprirà comunque a scuola. La gente ne parla ancora, sai?” le
ricordò con una punta di umorismo. “Da quando la tua ragazza ti ha
mollato...”
“Vai al diavolo,
Alex. Non era la mia ragazza e non mi ha mollato.”
“Non era la tua
ragazza? Bella, i suoi l'hanno mandata in una scuola cattolica dopo
che vi avevano beccato a pomiciare in camera sua. Col cavolo che non
era la tua ragazza.”
“Ok, questo è
oltre il limite Alex” Cristina lo afferrò per le spalle,
spintonandolo fino in strada. “E adesso vattene. Vai via. Subito.”
Arizona scosse la
testa, sospirando, ed entrò dentro la casa di Meredith.
Lasciai che se ne
andasse.
Non avrei saputo
che altro dire o fare.
Così la lasciai
andare.
La mattina dopo mi
svegliai presto dopo aver fatto un sogno piuttosto strano.
Ero nervosa. Ero
distratta.
Così mi vestii e
andai a correre. Mi aiutava a schiarirmi le idee.
Cercai di trovare
risposta ad alcune delle domande che continuavano a ronzarmi nella
testa.
Come avevo preso la
notizia che Arizona avrebbe potuto essere interessata alle ragazze?
Non lo sapevo
ancora.
Come
avevo preso la notizia che io
avrei potuto essere interessata alle ragazze?
Non bene.
Soprattutto
all'inizio.
Avevo vissuto per
un sacco di tempo in piena fase di negazione.
Ma alla fine,
perfino io avevo capito cosa stava succedendo. Nonostante la mia
esperienza pari a zero nelle relazioni interpersonali.
Avevo capito che le
farfalle allo stomaco che provavo quando parlavo con una ragazza,
già, quella non era esattamente amicizia. Più qualcosa sulla linea
di 'attrazione'.
Quello era stato
durante il mio primo anno di liceo.
Poi avevo dovuto
farci i conti. E neanche quella parte era stata esattamente una
passeggiata. All'inizio avevo pensato che avrei anche solo potuto
ignorarlo per il resto della mia vita. Finché mi ero resa conto che
era meglio essere me stessa che essere qualcuno che non conoscevo e
non avrei voluto essere. Avevo capito che la mia famiglia molto
cattolica non aveva il diritto di zittire una parte così importante
di me. Avevo capito che non si può ignorare questo genere di cose,
finiranno solo per crescere e crescere, finché non occuperanno una
parte così grande del tuo cervello da minacciare di farlo scoppiare.
Ed era stato allora
che mi ero chiusa in me stessa. Già prima ero molto riservata, avevo
pochi amici, andavo bene a scuola. Ma dopo, dopo non avevo più amici
se non quelli con cui studiavo di tanto in tanto, preferivo passare
il mio tempo da sola.
Avevo paura che
chiunque si fosse avvicinato abbastanza a me da conoscermi davvero,
sarebbe stato in grado di vedere improvvisamente quella parte di me
che stavo tentando disperatamente di nascondere al mondo.
Ma forse,
riflettei, avrei potuto trovare delle persone a cui non avrei dovuto
necessariamente nasconderla. Persone che avrebbero capito.
Quando iniziò ad
essere più caldo, troppo caldo per continuare a correre per molto
ancora, decisi di tornare indietro.
Rallentai un paio
di case prima della nostra. Dall'altra parte della strada, una
ragazza dai capelli biondi stava parlando con un ragazzo biondo, più
alto di lei di diversi centimetri.
L'aveva colpito sul
petto con forza. Il ragazzo indietreggiò, subendo il colpo. Lei lo
colpì di nuovo e lui le afferrò i polsi, bloccandola.
Lei gli disse
qualcosa e poi scosse la testa, allontanandosi di scatto da lui.
Fu allora che mi
vide.
E fu allora che
notai le lacrime che le avevano riempito gli occhi.
Le feci un cenno
con la testa, indicandole la mia destra.
Lei, senza dire
neanche un parola al ragazzo, mi venne incontro.
“Vieni” le
dissi solamente. Lei non rispose. Ma mi seguì.
La portai dentro
casa mia e le mostrai la mia camera.
Si sedette sul
letto, senza dire niente. Mi inginocchiai difronte a lei, cercando di
afferrare il suo sguardo con il mio.
“Vuoi raccontarmi
che è successo?”
Scosse la testa
negativamente.
“D'accordo. Vuoi
parlare di qualcosa?”
Fece di nuovo cenno
di no.
“Ok, ti offrirei
un abbraccio, ma ho appena corso e sono sudata, quindi non credo che
sarebbe una buona idea. Ma forse potremmo...” pensai a cosa avrebbe
fatto stare meglio me “...andare a fare un paio di tiri. Potresti
insegnarmi qualcuna delle tue mosse.”
Lei finalmente mi
guardò negli occhi.
Mi guardò a lungo
e forse vide qualcosa nei miei occhi, nel modo in cui la guardavo, o
dentro di me, perché sussurrò un debole assenso, prima che mi
alzassi e le porgessi la mano. La accettò senza esitare.
Avevamo riso come
non ricordavo di aver mai riso in vita mia.
Continuavamo a
cadere a terra, visto che non ci stavamo impegnando nel rimanere
concentrate, e continuavamo a ridere di tutto.
Alla fine, dopo
l'ennesima caduta, nessuna delle due trovò la forza di rimettersi in
piedi.
Così rimanemmo lì,
in silenzio, a guardare il cielo.
“Non sei
scappata.”
Io la guardai,
confusa.
“Di solito la
gente scappa. Quando la verità su di me viene fuori, la gente
scappa.”
“Oh” sussurrai,
afferrando ciò che stava tentando di dire.
“Ma
tu non sembri turbata dalla cosa. Sembra andarti bene. Ma come puoi
notare ho aggiunto il sembra, perché a un sacco di persone sembra
andar bene, finché non...”
“Dev'essere stato
difficile” la bloccai, guardando di nuovo verso l'alto. “E deve
essere ancora difficile.”
“Non sempre. Non
con tutti.”
“Chi è
scappato?” chiesi, tornando a guardarla.
Lei fece spallucce
e distolse lo sguardo. “Alcuni dei miei più vecchi amici adesso
non mi parlano più. Mia nonna pensa che i miei genitori siano
impazziti per essere dalla mia parte. Uno dei miei professori ha
cambiato totalmente atteggiamento nei miei confronti, costringendomi
a cambiare corso e passare da biologia semplice al corso avanzato. La
gente si allontana. Joanne...”
“La tua ragazza?”
chiesi prima di riuscire a frenare la mia stupida lingua.
“Non era...”
scosse la testa, continuando a guardare altrove. “Ma anche lei, sì.
Se n'è andata senza lottare per rimanere. Le persone scelgono la
strada più facile. E chi può dargli torto?”
“Io penso che
abbiano torto” conclusi, sospirando. “La strada più difficile,
il novantanove percento delle volte, è quella più bella. È quella
che ti fa provare più emozioni, che ti fa arrivare più in basso che
mai e più in alto che mai. È come andare sulle montagne russe. La
maggior parte delle persone, scelgono quelle normali, perché si
sentono più sicuri, perché quelle fanno meno paura. Cinque minuti,
qualche curva, e tutto è finito. Ma c'è qualcuno che sceglie le
montagne russe che vanno da zero a cento in due secondi. Anche se
hanno paura, anche se il loro cervello vorrebbe prenderli a calci nel
culo, c'è qualcuno che sceglie le montagne russe che fanno tre volte
il giro della morte. Perché, anche se quando sei sopra hai così
paura da voler scappare, e la cosa che vorresti di più al mondo è
urlare con tutta te stessa ma la velocità te lo impedisce e ti senti
soffocare, quando scendi senti la scarica di adrenalina che ti scorre
nelle vene più forte che mai. Ti senti girare la testa e hai voglia
di vomitare. Ma, qualche giorno dopo, cosa daresti per fare un altro
giro...”
Lei rise piano.
“Nella mia vita
ci sono state solo salite. Credo sia questo il punto. Per me non c'è
mai niente in discesa. Niente giro della morte. Niente da zero a
cento in due secondi.”
Io la guardai.
“Vedrai che ti
succederà. E spero che un giorno succederà anche a me” aggiunsi,
alzandomi.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
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Capitolo 3 *** Tim ***
Grazie di cuore a tutte voi che avete commentato questa storia!
Buona lettura!
Tim
Dopo aver riaccompagnato Arizona a casa
mi feci una doccia veloce, scendendo poi per pranzare insieme alla
mia famiglia.
“Allora, Aria, hai già conosciuto
qualcuno?” chiese mio padre, consapevole della velocità con cui
Aria era in grado di fare nuove amicizie.
“A dire la verità sì, ci sono un
paio di persone interessanti da queste parti. Soprattutto ragazze che
fanno parte della squadra delle cheerleader della scuola. Stavo
pensando di fare un provino per entrare, quando inizieranno i corsi.”
“Sembra una buona idea” la
incoraggiò mia madre.
“E magari Callie sarà nella squadra
di calcio per cui farò il tifo” commentò allegra.
“Ancora non so se mi prenderanno,
Aria” risposi distrattamente.
“Oh, ho sentito che hai fatto
amicizia con il capitano della squadra. Vedrai che riuscirai a
entrare” mi incoraggiò.
Perché era gentile con me?
La guardai qualche istante, poi
scrollai le spalle e mi alzai da tavola.
“Posso uscire? C'è una persona che
devo vedere...”
Mia madre e mio padre si scambiarono un
piccolo sorriso, entrambi avevano un'espressione piacevolmente
sorpresa.
“Vai pure, tesoro” mi disse mia
madre.
Io non persi tempo. Avevo promesso ad
Arizona che sarei passata da casa sua più o meno a quell'ora. Così
mi incamminai, le mani in tasca.
Arrivata davanti alla porta bussai ed
aspettai che qualcuno aprisse. Con mia sorpresa, ad aprire fu il
ragazzo che quella mattina avevo visto litigare con Arizona.
“Salve. Cosa posso fare per
aiutarti?” mi chiese sorridendo.
La prima cosa che notai di lui furono
le fossette, identiche a quelle che apparivano anche sul viso di
Arizona quando sorrideva. Poi feci caso al colore degli occhi, un
intenso blu, anche quello molto simile a quello della bionda.
“Stavo cercando...”
“Calliope” mi salutò lei, uscendo
di casa.
Io le sorrisi. Poi mi accorsi che il
ragazzo ci stava ancora guardando.
“Vi serve un passaggio per andare da
qualche parte?” ci chiese con gentilezza.
Io guardai verso Arizona, che distolse
lo sguardo. Avevo catturato un'occhiata tra il frustrato e il triste
rivolta al biondo difronte a noi.
“Callie Torres” mi presentai
porgendogli la mano.
Lui ricambiò la stretta. “Tim
Robbins. Sono il fratello di Arizona.”
Gli sorrisi educatamente, voltandomi
poi verso la ragazza al mio fianco.
“La passeggiata di cui avevamo
parlato?” mi chiese. “Ne hai ancora voglia?”
“Certo” annuii.
“Vuoi parlarne?” chiesi a
bruciapelo.
“Di cosa?”
“Di Tim” risposi con un secondo di
esitazione. “Stamani le cose sembravano piuttosto...diciamo
strane.”
“Abbiamo litigato. Niente di che.”
“Mh. Perché sembrava definitivamente
qualcosa.”
Lei sospirò. “Tim è all'ultimo anno
di liceo.”
Non disse altro. E capii che non
avrebbe detto nient'altro.
“Anche Aria è all'ultimo anno”
risposi, quindi.
Calò il silenzio, uno strano.
“Senti” le dissi infine “se non
vuoi parlarne con me, va bene. Ma se decidi di parlarne, e non sai
con chi farlo...sai, a volte è più facile parlare di cose che ci
riguardano con qualcuno che non conosciamo. Perché possiamo parlarne
senza che la sua opinione ci importi davvero.”
“A me importa la tua opinione”
rispose piano. “Come fai a sapere che è più facile?”
“È così che si dice, no? Anche se,
a pensarci meglio, credo che sia una cavolata. Più o meno, nella mia
vecchia scuola, tutti erano degli sconosciuti per me, ma non ho mai
parlato di me con nessuno di loro” riflettei ad alta voce.
Lei rise. “Ok, forse dovremmo testare
questa tua teoria. Facciamo così, io ti parlo dei miei problemi
adesso che ti conosco a malapena. Se non ci parleremo mai più se non
in rare occasioni, sapremo che hai torto, se diventiamo amiche, avrai
avuto ragione. Poi, se diventiamo amiche, tu mi parli dei tuoi
problemi, così testiamo anche la mia teoria. Se parlarmi dei tuoi
problemi ci allontana, avevo torto, altrimenti avevo ragione. Che te
ne pare?”
“Andata” le risposi, stringendo la
mano che mi stava porgendo.
Continuammo a camminare fianco a fianco
ed aspettai che si sentisse abbastanza a suo agio per parlare.
Quando lo fece, quello che disse mi
fece capire immediatamente il perché era stata tanto sconvolta
quella mattina.
“Tim si arruolerà dopo aver preso il
diploma. Me lo ha detto stamani.”
Non risposi. Mi bloccai, l'espressione
ebete che avevo quando qualcuno mi dava una notizia come quella.
“Stai bene?” chiesi, quando i
criceti nel mio cervello iniziarono a correre, azionando i circuiti
di emergenza.
“No” rispose deglutendo con forza.
Aveva lo sguardo basso, tra di noi, che adesso ci stavamo
fronteggiando.
“Ok, ascolta, abbiamo un anno per
fargli cambiare idea. Va bene? Se non vuoi che lui parta, non darti
per vinta dall'inizio. Abbiamo un anno. Usiamolo saggiamente”
proposi, afferrando le sue spalle.
Lei mi guardò. Aveva le lacrime agli
occhi. Mi salì un nodo alla gola.
“Abbiamo? Quindi mi aiuterai?”
“Certo. Certo, Arizona. Qualsiasi
cosa tu voglia” ripetei quello che le avevo detto sul campo di
calcio il giorno che ci eravamo conosciute.
Lei alzò il viso, guardandomi negli
occhi.
“E se decidesse di partire?”
“Tornerà indietro, allora.”
“E se non tornasse?”
Aprii e richiusi la bocca un paio di
volte.
Cosa avrei dovuto dirle?
“Allora ti permetterò di dare la
colpa a me” promisi. “Potrai urlarmi contro e prendermi a pugni e
smettere di parlarmi per sempre, se ti farà sentire meglio. Se non
riusciremo a farlo rimanere, ti permetterò di dare la colpa a me.”
Lei sospirò, tornando a guardare in
basso.
Poi fece un passo avanti, appoggiando
la testa sulla mia spalla. Io la abbracciai. E la lasciai piangere,
in mezzo alla strada, mentre me la stringevo contro e mi sforzavo con
tutta me stessa per trovare un modo per farla stare meglio.
“Ssshh, va tutto bene. Andrà tutto
bene.”
Continuando a tenerla stretta con un
braccio, portai l'altra mano ai suoi capelli, accarezzandoli piano.
Non riuscii a resistere alla tentazione. Mi piacevano i suoi capelli.
Erano morbidi e profumavano di qualcosa che era unicamente Arizona.
“Andrà tutto bene” continuai a
ripetere.
Continuò a lasciarsi abbracciare. E
pensai che avesse solo voglia di due braccia forti che la
sostenessero in quel momento.
Non presi mai in considerazione,
neanche per un momento, che quello di cui aveva bisogno in realtà
fossero le mie
braccia. Non valutai mai l'ipotesi che avessi fatto colpo su di lei
come lei aveva fatto colpo su di me.
Ma la tenni abbracciata. Finché smise di piangere. Finché
quell'abbraccio fece stare meglio entrambe.
E, dopo, la tenni abbracciata ancora.
“E con questa fanno cinque!” urlò Cristina alla mia sinistra.
Addison mi saltò sulle spalle da dietro. “Callie ti ho detto oggi
quanto sono felice che tu sia nella nostra squadra? Perché sono
felice. Molto felice.”
“Lo so, Addison. Lo so” sorrisi, battendo il cinque con Meredith.
“Vai così Rockstar” sussurrò mentre le nostre mani si
incontravano in aria.
“Bella partita Torres” si congratulò la Bailey togliendosi i
guantoni.
Io notai Arizona che mi guardava con il sorriso sulle labbra.
Per
mia fortuna a fine partita era molto sportiva. Anche se durante
era davvero competitiva.
Quando Addison scese dalle mie spalle io mi avvicinai a lei.
“Sette partite, cinque vittorie. Impressionante” mi disse.
“E tutto ciò solo in un mese” le ricordai.
“Per fortuna tra un paio di settimane ricominceremo ad andare a
scuola, così almeno saremo nella stessa squadra. Sono stanca
dell'umiliazione.”
Io alzai gli occhi al cielo, sospirando. Poi mi abbassai,
sollevandomela su una spalla e portandola fuori dal campo.
“Calliope, mettimi subito giù!” ordinò, agitando le gambe.
“Stai attenta, se ti agiti rischio di farti cadere” la
rimproverai, dandole una pacca sul sedere come avvertimento.
In quel mese passato insieme eravamo diventate molto unite.
“Calliope!” ripeté con voce innaturalmente alta.
Forse per via della strana posizione a testa in giù. O forse perché
le avevo toccato il sedere.
Io risi di gusto, ma la lasciai andare una volta a bordo campo.
“Vieni da me? Possiamo guardare un film” proposi.
“Però scelgo io stavolta. Sarò lì subito dopo che mi sarò fatta
una doccia.”
Io annuii, mentre salivamo dentro l'auto di Meredith, che ci avrebbe
riaccompagnate a casa.
“Ok. Ho preparato dei popcorn e preso la tua marca di patatine
preferita” la informai, mentre entravamo in camera mia. “Che film
hai scelto?” le chiesi, gettandomi sul letto.
“Una commedia di Jennifer Aniston. Lei è davvero sexy.”
Io guardai da un'altra parte. Quando riportai lo sguardo su di lei
vidi che mi stava guardando.
“Scusa. Mi dispiace, so che questo genere di commenti non sono...”
“No. No, voglio che tu sia te stessa con me, che dica quello che ti
passa per la testa. È solo che non so mai come rispondere.”
Lei annuì, sedendosi sul letto accanto a me, con le gambe distese
sul materasso e la schiena appoggiata alla spalliera.
“Che ne dici di 'aspetta, questo è il film con Adam Sandler? Adoro
quel tizio' o qualcosa del genere?”
Io
risi. “Adam Sandler mi fa sempre morire dalle risate” confermai.
“Ma è anche vero che Jennifer Aniston senza dubbio è
molto sexy.”
Lei rispose solo con un piccolo sbuffo di incredulità, mentre
iniziava il film.
Appoggiai i popcorn in mezzo e le porsi le patatine. Io preferivo i
popcorn in ogni caso, quindi lasciavo che lei scegliesse il tipo.
Quando arrivammo alla parte in cui Jennifer Aniston si toglieva i
vestiti rimanendo in costume, capii perché Arizona aveva scelto quel
film.
“Già. Molto, molto sexy” sussurrai ridendo piano. Risi per
dissimulare il fatto che guardare quel film con Arizona mi aveva
fatto pensare a come sarebbe stato vedere lei indossare solo un
costume da bagno. Quel tipo di pensieri non erano nuovi. Erano sempre
più frequenti. Ma se Arizona fosse stata interessata a me in senso
romantico me lo avrebbe fatto sapere, no?
“Credevo che tu fossi più interessata in Adam Sandler” scherzò,
gettandosi in bocca una manciata dei miei popcorn.
“Ehi, che fine hanno fatto le patatine?”
“Finite” rispose a bocca piena.
Io risi. “Mangi così tanto cibo spazzatura che finirai per
trasformarti in uno. Diventerai un'enorme patatina uno di questi
giorni, lo sai?”
“Calliope” rispose, ingoiando. “Quello che hai appena detto
suona incredibilmente equivoco.”
La colpii sul braccio, facendo una faccia incredula.
“Questo è solo perché tu sei una pervertita.”
Afferrò la mano con cui l'avevo colpita e fece passare il mio
braccio attorno alle sue spalle.
“Lo adori.”
Io risi.
“È vero” ammisi, appoggiando la tempia contro la sua.
Rimase così vicina per tutto il resto del film, tenendo il mio polso
con la sua mano, come se volesse assicurarsi che non avrei spostato
il braccio.
“Stai comoda?” le chiesi quasi scherzando.
“Molto” rispose sorridendomi.
Io le lasciai appoggiare la testa sulla mia spalla.
E sospirai quando mi resi conto che la verità era che lei mi piaceva
più di quanto avrebbe dovuto piacermi la mia migliore amica.
Quando il film finì non riuscii a trovare in me la voglia di
spostarmi. E neanche lei.
“Sei a disagio?” mi chiese quando sospirai di nuovo.
Io rafforzai la stretta. E sospirai ancora una volta.
“Non sono mai stata così a mio agio in vita mia.”
Ci furono diversi momenti di silenzio. E all'improvviso sentii una
scarica di domande formarsi nella mia testa. Finché, una di loro,
riuscì ad uscire.
“C'è stato qualcun altro prima di Joanne?” domandai a
bruciapelo.
Lei si allontanò il minimo indispensabile per guardarmi negli occhi
con confusione. Dopo avermi osservato attentamente, tornò ad
appoggiare la testa sulla mia spalla.
“No. Non c'è stato nessuno, né prima né dopo di lei.”
“Come hai capito...” continuai. “Come hai capito che ti
piaceva?”
Lei scrollò le spalle. “Come hai capito che ti piaceva il primo
ragazzo con cui sei stata?”
La domanda fece scattare qualcosa. Schiarendomi la voce, tolsi il
braccio dalle sue spalle e mi allontanai, sedendomi sul bordo del
letto.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese con tono preoccupato.
“No. No, è solo...non c'è mai stato alcun ragazzo” ammisi in un
sussurro. Non ero mai stata così imbarazzata. Era qualcosa di cui
non avevamo mai parlato, prima di allora.
“Aspetta, intendi...Mai stata con un ragazzo? Mai baciato un
ragazzo?”
Feci segno di no con la testa, senza guardarla.
“Smetterai di parlarmi adesso o qualcosa del genere?”
“Calliope, neanche io ho mai baciato un ragazzo. Sono lesbica,
ricordi?”
Ogni volta mi stupiva come a soli sedici anni Arizona avesse tutto
così chiaro.
“Ma c'è stata Joanne” sussurrai, in imbarazzo.
Fu il suo turno di sospirare.
“Senti, Calliope, se mai avremo questa conversazione lo faremo
quando non sarai più così imbarazzata da non riuscire a guardarmi
negli occhi.”
Io trassi un respiro profondo. Poi alzai lo sguardo.
“Non sto evitando di guardarti negli occhi perché sono imbarazzata
dal fatto che stiamo parlando della tua relazione con una ragazza,
sono imbarazzata dall'averti detto la parte che riguarda me. Parlare
di sesso non mi imbarazza. Parlare di me e il sesso, quella è
un'altra storia” dissi tutto d'un fiato. “Sono vergine”
aggiunsi.
“Sì” rispose lentamente. “L'avevo capito.”
“Quando vorrai parlarne io ti ascolterò. Se mai deciderai che
vorrai parlarne.”
“Calliope...”
“No,
so che non sono affari miei e tutto il resto. Ma in solo un mese sei
diventata la mia migliore amica. Mai avuta una prima” aggiunsi,
rendendomi ancora più ridicola. “Mi è solo sembrato che la storia
di Joanne ti abbia turbato più di quanto dai a vedere, quindi, se
mai vorrai parlarne, io ascolterò. Anche la parte che riguarda
il...” scossi appena la testa “...sesso. Tutto quello che ho
detto è suonato incredibilmente stupido, non è vero?” chiesi,
chiudendo gli occhi e passandomi una mano sul viso.
“No, Calliope. Quello che hai detto era perfetto” mi rassicurò,
venendo a sedersi accanto a me.
Io le presi una mano, cercando di rassicurarla che non c'era alcuna
fretta, che non doveva farlo in quel momento.
Lei mi guardò, annuendo, facendomi capire che aveva capito. Ma
voleva farlo comunque.
“Joanne era una delle mie amiche. Non avevo mai parlato a nessuno
di quello che mi stava succedendo. Poi lei mi baciò una sera, dopo
che aveva bevuto non so più neanche quanto. Allora ne fui sicura.
Del fatto che mi piacevano le ragazze, intendo. Lo dissi ai miei
genitori. Ero terrorizzata, ma loro avevano già capito da un po'
cosa stava succedendo. Sai, per via del calcio, e del poster di Cindy
Crowford e altre cose come quella, che non sono il punto della
conversazione, in questo momento...” trasse un lungo respiro.
“Comunque, mi baciò di nuovo qualche settimana dopo, quando era
sobria. Io avevo iniziato a dirlo alle persone di cui mi fidavo, ma
non mi aspettavo che le cose precipitassero. Sua madre la vide
baciarmi sul divano del soggiorno. Mossa stupida, col senno di poi.
In ogni caso, l'hanno spedita in una scuola per sole ragazze - lo so,
ironico. Da gennaio dello scorso anno non l'ho più rivista. Quindi
tutto ciò che c'è stato con Joanne sono stati un paio di baci a
stampo, tutto qui. Joanne non mi ha turbato così tanto, infondo. Ma
è stato qualcosa di importante, per me, quello che mi ha fatto
realizzare. A volte penso a cosa mi sarebbe successo se i miei
genitori avessero reagito come i suoi, a volte mi chiedo se quello
che le è successo non sia colpa mia...”
“Arizona, non è affatto colpa tua” la fermai. “Sarebbe
successo comunque prima o poi. I suoi genitori l'avrebbero scoperto
con o senza di te.”
Lei sospirò. “Prima e dopo Joanne non c'è stata nessuna” mi
guardò dal basso verso l'alto, assicurandosi che avessi recepito il
messaggio.
“Oh. Oh!”
“Smetterai di parlarmi adesso?” chiese, ripetendo quello che le
avevo chiesto io.
“Certo che smetterò di parlarti. Rovineresti la mia reputazione.”
Lei mi colpì su un braccio. Io risi, attirandola a me e avvolgendola
tra le mie braccia.
“Non è stata colpa tua. E vedrai che andrà tutto bene.”
“Mi piace quando lo dici.”
“Davvero?” chiesi confusa, allontanandomi per guardarla negli
occhi.
“Già. Quando me lo ha detto qualcun altro, mi è sempre sembrato
che fossero parole vuote. Sempre. Ma quando lo dici tu, riesco quasi
a crederci” concluse, annuendo come se avesse appena finito di
valutare la situazione. “Posso crederci.”
Le sorrisi, prendendo le sue mani tra le mie e guardandola negli
occhi.
“Andrà tutto bene.”
Allora, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi
sapere cosa ne pensate!
Alla prossima!
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Capitolo 4 *** Appuntamenti ***
Grazie per aver letto e recensito questa storia, spero che questo
capitolo vi piaccia.
Buona lettura!
Appuntamenti
Il primo giorno di scuola arrivò in
fretta. Avevo creduto che niente sarebbe cambiato, per me, rispetto
al liceo di Miami. Beh, ovviamente, mi sbagliavo.
La scuola era molto più piccola di
quella di Miami, visto che quel liceo era di un paesino vicino alla
periferia di Seattle. Capii fin da subito che quello era il tipo di
scuola in cui tutti sapevano tutto di tutti. Non mi piaceva.
Avevo fortunatamente tutte le lezioni
con Arizona e molte delle altre ragazze che avevo conosciuto al
campetto. Mancavano Lexie ed April, che erano un anno più piccole di
noi, Cristina e Meredith avevano tutti i corsi avanzati, che io e
Arizona avevamo solo in Biologia, Matematica e Chimica, insieme ad
Addison e Teddy.
Alla fine delle lezioni, mentre stavamo
tornando verso la macchina di Addison, un ragazzo ci si avvicinò.
Salutò le altre ragazze e poi posò il suo sguardo su di me. Io
distolsi il mio.
“Tu devi essere la ragazza nuova. Io
sono Mark. Sloan.”
Io lo guardai per la seconda volta.
“Callie Torres” mi presentai. Il suo modo di fare così sicuro di
sé mi metteva a disagio.
“Eri alla festa a casa di Meredith
venerdì scorso, non è vero?” chiese.
Io annuii brevemente. Ero stata alla
festa per circa dieci minuti, in realtà. Poi Arizona mi aveva
proposto di andare a fare un giro insieme ad Addison e Teddy ed io
avevo accettato.
“Che pensate di fare, stasera?”
chiese Mark in generale.
“Niente in programma” Addison
guardò Teddy.
Lei scrollò le spalle. “Niente in
particolare.”
“Non che io ricordi” aggiunse
Arizona quando la guardarono.
“Neanche tu Callie?” chiese quindi
Mark. “Magari allora potresti uscire con me” propose con la sua
solita confidenza.
Io fui colta totalmente alla
sprovvista. Forse se ne accorse dal modo in cui lo guardai. O forse
no, visto cosa mi disse dopo.
“Perfetto. Passo a prenderti, diciamo
alle sette?”
“No” risposi io allora con una
piccola risatina nervosa, scuotendo la testa. “No” conclusi più
seriamente.
“Va bene. Alle otto?”
“No, senti non...” ancora una
volta, risatina nervosa. “No” mi strinsi nelle spalle, allargando
le mani. “Mi dispiace. Ti ringrazio. Ma...no” lasciai ricadere le
braccia lungo i fianchi.
Mi guardai intorno, incrociando lo
sguardo di Arizona. Probabilmente la richiesta di soccorso nei miei
occhi era evidente, perché lei si gettò in mezzo alla discussione.
“Lasciala in pace, Mark. Non sei il
suo tipo. Ti troverò io un ragazzo” mi propose poi. “Uno per
bene” specificò, lanciando un'occhiataccia a Mark.
La mia espressione diventò un misto di
stupore e dubbiosità.
Mark sospirò e poi rise, andandosene.
“Sei impazzita? È il ragazzo più
carino della scuola. È un anno più grande. È bravo a letto. Qual'è
il problema?” mi chiese Addison.
Io la guardai, incredula. “È bravo a
letto?” ripetei.
“Oh, sì” confermò Teddy.
Io feci una smorfia, riprendendo a
camminare.
“Se è davvero così perfetto, perché
ha chiesto di uscire a me? Ci saranno un sacco di ragazze a
scuola disposte a uscire con lui.”
“Eeehhmm...perché sei sexy”
rispose Addison come se fosse ovvio.
Io annuii un paio di volte. Poi
scoppiai a ridere. E continuai a ridere. Molto a lungo.
“Già, anche quando l'ho detto io ha
avuto questa reazione” la informò Arizona.
Salimmo in macchina.
“Dobbiamo lavorare sulla tua
autostima, Callie” mi informò Teddy.
Io la ignorai. Ero troppo occupata a
ridere.
Durante la prima settimana di scuola la
nuova allenatrice della squadra femminile di calcio a undici fece i
provini per decidere chi avrebbe avuto i quindici posti disponibili
nella squadra.
Il giorno dopo, in mattinata, fu appesa
nell'atrio la lista con i nomi.
Adamson, Reed
Altman, Teddy
Bailey, Miranda
Fields, Lucy
Grey, Alexandra
Grey, Meredith
Harper, Olivia
Harris, Sadie
Heron, Sidney
Kepner, April
Montgomery, Addison
Robbins, Arizona
Stevens, Isobel
Torres, Calliope
Yang, Cristina
Gli allenamenti
sarebbero iniziati il pomeriggio del giorno successivo.
La prima partita
sarebbe stata in un mese, così l'allenatrice, la signorina Portman,
iniziò subito a farci lavorare duramente.
La partita, che
all'inizio era sembrata così lontana, si avvicinò alla velocità
della luce.
“Oggi ho sentito strane voci a
scuola. Su Arizona” iniziò Aria durante la cena.
“Che tipo di voci?” chiesi
corrugando la fronte.
“Ho sentito dire che è gay”
sussurrò l'ultima parola.
“Aria, non è una parolaccia. Non c'è
niente di male nell'essere gay. La segretaria di tua madre, è gay”
le ricordò mio padre.
“Scommetto che se facesse con
Calliope quello che faceva con la sua ultima migliore amica non
sareste più così d'accordo.”
“Aria!” la ripresi io con
decisione. “Smetti di parlare di Arizona in questo modo” le
ordinai.
“Calliope, non urlare a tavola” mi
riprese mia madre. “Aria, ti sembra questo il modo di parlare degli
amici di tua sorella?”
“Stavo solo dicendo che è ipocrita
da parte vostra dire che essere gay va bene. Se io o Callie fossimo
gay ci sbattereste fuori di casa.”
“Se una di voi due fosse lesbica
affronteremmo la cosa insieme.”
“Come no” sussurrai, guardando
verso il piatto. Alzai lo sguardo ed incrociai quello di entrambi i
miei genitori. “Che c'è? Sappiamo tutti che non vi andrebbe così
bene come dite.”
“Arizona passa qui praticamente mezza
giornata tutti i giorni da un paio di mesi, ormai. Eppure non mi
sembra che io o tuo padre ti abbiamo chiesto di prendere le
distanze.”
“Perché non sapevate che è lesbica”
ricordai loro.
“Certo che lo sapevamo. Abbiamo
parlato con i suoi genitori una decina di giorni dopo il
trasferimento, visto quanto stavate legando. Arizona ha ottimi voti,
non beve, rientra puntuale quando ha il coprifuoco. È una brava
ragazza, migliore della maggior parte dei ragazzi della tua età”
concluse mia madre, guardandomi con una calma che non avrei pensato
avrebbe mai potuto avere affrontando questo argomento.
“Da come ne parli sembra che ti sia
informata sul carattere della tua futura nuora” osservò Aria con
una piccola risata.
Mia madre rimase seria. Non spostò gli
occhi dai miei neanche per mezzo secondo.
“Finisci il pollo, Aria” rispose
solamente, riprendendo poi a mangiare. Mio padre la guardò confuso,
per un secondo. Poi anche lui riprese a mangiare.
Fu allora che capii
che lei sapeva.
Dopo cena, aspettai
che mia sorella e mio padre se ne andassero. Poi aiutai mia madre a
lavare i piatti.
Stavo cercando il
coraggio e le parole per affrontare il discorso sul grande elefante
in mezzo alla stanza.
“Non hai mai
avuto un ragazzo, Calliope” iniziò invece mia madre, senza
preavviso. “Da piccola non ti piaceva giocare con le barbie, ma
quando avevi otto anni mi hai chiesto di comprarti uno di quei
cannoni per sparare con l'acqua. Tua sorella fa la cheerleader,
mentre tu giochi a calcio più o meno da quando riuscivi a reggerti
in piedi da sola. Quando eri in prima superiore mi parlavi sempre di
Alex, ricordi? Io e Alex abbiamo fatto questo, Alex mi ha raccontato
quello. Pensavo che avessi una cotta per lui. Poi sono venuta a
sapere che lui in realtà era Alexis. All'inizio valutare
l'ipotesi che mia figlia, la mia piccola Calliope, potesse
essere...beh, non è stato facile. Una madre vuole il meglio. Avrei
voluto che avessi una vita facile, Calliope. Ma poi ho capito che
forse, invece, tu potresti volere una vita felice. Ed io non potrei
chiedere niente di meglio che essere parte della tua felicità.”
“Mamma...”
risposi con voce mozzata, le lacrime agli occhi. “...ho paura.”
“Lo so mija. Ma
vedrai che andrà tutto bene.”
Mi abbracciò. E
fece quello che le madri dovrebbero sempre fare per i loro figli.
Mi protesse.
Io avevo paura,
così lei mi protesse.
“Sono distrutta.”
“Lo so. Anche io”
risposi, abbracciandola e sorridendo a me stessa.
“Non ti prometto
che non mi addormenterò durante il film” mi ricordò.
Io risi,
continuando a stringerla.
Era seduta tra le
mie gambe, con la schiena appoggiata al mio petto, mentre io ero
appoggiata alla spalliera.
Nell'ultimo paio di
settimane i nostri atteggiamenti erano diventati molto da coppia.
Quando eravamo sole, stavamo spesso abbracciate, o comunque in un
qualche tipo di contatto fisico. E quando eravamo con altre persone
ci sedevamo sempre vicine. Cristina, come se non bastasse, faceva di
tutto perché fossimo sempre appiccicate. Diceva che solo in quel
modo avremmo potuto sviluppare una sintonia perfetta in previsione
della partita.
Una sera, mentre
eravamo a cena fuori, mi vide passare il sale ad Arizona senza che
lei me lo chiedesse. Sapevo che ne aggiungeva sempre a qualsiasi tipo
di pasta mangiasse. Lei, invece, mi aveva passato il peperoncino,
sapendo che mi piaceva mangiare piccante. Io le avevo versato da bere
un bicchiere di acqua frizzante, mentre lei mi aveva preso quella
naturale dall'altra estremità del tavolo.
Cristina ci aveva
osservato, aveva sorriso a trentadue denti e poi aveva detto:
“Vinceremo la nostra prima dannata partita.”
Il ricordo mi fece
sorridere. E, come ho detto, ci comportavamo come una coppia.
“Ah, mi ero quasi
dimenticata. Ho trovato un ragazzo perfetto per te” mi disse,
voltando la testa all'indietro per guardarmi negli occhi.
Il battito del mio
cuore accelerò.
“Ancora questa
storia?”
“Tutti quelli che
ti ho fatto vedere li hai scartati senza neanche una seconda
occhiata. Almeno dai una possibilità a questo.”
Io sospirai.
“Arizona, non sono interessata ad uscire con un ragazzo al momento.
Ti sarei grata se la smettessi di provare a costringermi.”
“No, senti, è
perfetto. Esci con Tim.”
Io risi. Lei si
voltò a guardarmi con l'espressione mortalmente seria.
“Dico sul serio.
Esci con Tim. Lui si innamorerà di te, perché- beh, perché tu sei
bella, dolce, divertente e gentile. E non si arruolerà a fine anno.”
“Arizona...”
“Avevi detto che
mi avresti aiutato. E che avrei potuto prendermela con te e tutto il
resto. Quindi perché no?”
“Perché non
posso.”
“Che significa
che non puoi?”
“Significa
che...” sospirai, chiudendo gli occhi. Li riaprii e la guardai e mi
accorsi che era più vicina. “Significa che non posso” ripetei,
mentre appoggiavo una mano sulla sua guancia, accarezzandola
lentamente con il pollice. “Non posso uscire con tuo fratello,
Arizona.”
Lei per un secondo
sembrò non capire. E poi fu come se una luce si fosse accesa, dentro
i suoi occhi. Aveva capito. Ed io non avevo saputo o voluto o potuto
evitarlo.
Io continuai a
guardarla negli occhi senza dire niente e sospirai piano.
Quando la musica
del film iniziò lei si voltò, allontanando lo sguardo dal mio.
“Dovremo parlarne
prima o poi.”
Io continuai ad
abbracciarla.
“Lo so” ammisi
allentando un po' la presa.
Il film andò
avanti, ma noi non eravamo davvero concentrate sullo schermo.
“Pensavo che non
avrei mai avuto un'occasione.”
“È la stessa
cosa che penso io.”
“Perché avresti
dovuto pensare una cosa del genere? Tu sapevi che io...”
“Non sapevo se
eri interessata a me. Non so...” sospirai pesantemente. “Non so
se sei interessata a me.”
E credevo
onestamente di no, visto che io le avevo praticamente dato il via
libera per baciarmi e lei non lo aveva fatto.
“Calliope”
sussurrò, afferrando il telecomando alla sua sinistra e spegnendo il
televisore, voltandosi tra le mie braccia per riuscire a guardarmi.
“Come puoi non esserti accorta di come ti guardo? Di come passo con
te ogni minuto del mio tempo? Di come non guardo nessun'altra e non
mi interesso a niente che non riguardi te, ultimamente?”
“E tu come puoi
non esserti resa conto che è quello che faccio anche io?” chiesi
quando lei ebbe finito. “E se te ne sei resa conto, ma hai
continuato a cercarmi un ragazzo, e non hai mai detto niente, questo
vuol dire che non ti importa?”
Lei scosse la
testa. “Calliope” ripeté, prendendomi il viso tra le mani.
“A volte sei
indecifrabile per me, Arizona. Quando siamo sul campo, capisco le tue
idee, prevedo i tuoi pensieri, anticipo i tuoi istinti. Ma quando
siamo così, solo io e te” mi guardai velocemente intorno “allora
mi succede di non capire.”
“Ti aiuterò a
capire” mi rassicurò. “Ma tu devi aiutarmi a capire te. Aiutarmi
a capire cosa vuoi che io sia per te.”
“Voglio che tu
sia...tutto” risposi, avvicinandomi a lei. “E voglio essere
quello di cui hai bisogno, voglio essere quello che vuoi.”
Lei si sistemò sui
ginocchi, tra le mie gambe, appoggiando le mani sulle mie spalle.
“Tu sei
quello che voglio” mi rispose.
Così la baciai.
Fu il mio primo
bacio e, non mentirò, all'inizio fu strano. La prima sensazione che
ebbi fu quella di non essere capace. Non avevo idea di quello che
stavo facendo, e ancora meno di quello che avrei dovuto fare.
Poi lei mosse le
labbra sulle mie. E da quel punto in poi tutto mi sembrò naturale.
Fu dolce. Fu lento,
senza fretta, senza sforzo. Fu come se stessi giocando con un pallone
in grado di assecondare i miei movimenti. Fu come se, per un attimo,
il resto del mondo fosse sparito e quel momento sarebbe potuto durare
per sempre.
Quando ci
allontanammo mi guardò negli occhi.
In un attimo, lessi
tutte le sue paure. E sono sicura che lei lesse altrettanto
facilmente le mie.
“Arizona, non
andrò da nessuna parte. Io non sono come tutti gli altri” risposi
alla muta domanda dei suoi occhi.
Lei annuì e gli
occhi le si riempirono di lacrime.
Mi baciò di nuovo.
Con dolcezza. Delicatamente. Come se fosse una promessa.
Il giorno dopo mi
mandò un messaggio, chiedendomi se avessi voglia di vederla. Le
chiesi di incontrarmi al parco.
Ci sedemmo su una
panchina. Con la mano sinistra continuai a giocare con le chiavi di
casa, mentre lasciai il braccio destro sulla spalliera della
panchina, vagamente attorno al suo busto.
Lei appoggiò la
testa sulla mia spalla. Non era la prima volta che lo faceva. E, come
ogni volta, sentii un nodo allo stomaco. Voltai la testa di lato e le
baciai la fronte delicatamente.
“Esci con me,
dopodomani, dopo la partita” le dissi, con le labbra sempre quasi
attaccate alla sua fronte, una mano sulla sua spalla. “Potremo
andare a cena fuori e poi al cinema.”
Lei si avvicinò a
me ancora di più. “Sembra perfetto. Stavo giusto per chiederti la
stessa cosa.”
Io sorrisi come
un'idiota.
Avevo un
appuntamento con Arizona.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie, alla prossima.
|
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Capitolo 5 *** Incertezza ***
Scusate
infinitamente il ritardo, purtroppo è un periodo molto impegnato,
cercherò di essere più puntuale!
Buona lettura!
Incertezza
“Ok. Ho la formazione che intendo
mettere in campo domani per la prima partita, sedetevi ed ascoltate
attentamente. Avete fatto tutte un ottimo lavoro, ma purtroppo
quattro di voi dovranno rimanere in panchina. Ci tengo a specificare
che quelle fatte oggi non sono scelte definitive, ma potrebbero
esserci cambiamenti nel corso della stagione. Inoltre, vi ricordo che
i provini sono sempre aperti per nuove ragazze, quindi nessuna di voi
può pensare di non impegnarsi, neanche quelle che non hanno una che
giochi nel suo ruolo in panchina” ci ricordò l'allenatrice. “Detto
questo, ecco chi partirà titolare. Bailey, in porta. Izzie, mi
dispiace, per questa volta sei in panchina. In difesa, al centro a
sinistra, Altman, a destra Montgomery. Terzino sinistro Lexie, a
destra invece April. A centrocampo, in posizione arretrata Fields,
sulle fasce Cristina a sinistra e Meredith a destra, con Reed al
centro. In attacco Robbins a sinistra e Torres a destra.”
Stavamo uscendo dalla palestra quando
Cristina ci si avvicinò, passando un braccio attorno alle spalle di
entrambe.
“Vinceremo così alla grande
questa partita che sarà quasi vergognoso. Le faremo fuori così
velocemente che non sapranno neanche cosa è stato. Mi raccomando,
fate esercizi per i muscoli domani mattina appena sveglie, non
correte per nessun motivo,
fate attenzione all'alimentazione...”
“Sì mamma” fu
la risposta irritata di Arizona.
“Oh, e mi
raccomando. Niente sesso Rockstar.”
“Cristina!” la
riprese Arizona.
Alle nostre spalle,
Meredith, Addison e Teddy scoppiarono a ridere.
“Con chi dovrei
fare sesso nelle prossime dodici ore?” chiesi, ridendo.
“Con
Arizona” rispose con noncuranza, indicando la bionda che aveva
sotto il braccio che non era attorno alle mie spalle. Io la guardai
come se fosse impazzita. “Aspetta...perché voi due state
insieme, non è vero?” chiese bloccandosi all'improvviso.
Io e Arizona
avevamo deciso di prendere le cose con calma, di non dire niente di
niente a nessuno, così entrambe la guardammo facendole intuire
l'ovvia risposta.
“Oh. Oh, no.
Perderemo la partita. Perderemo così alla grande questa
partita che sabato non saremo in grado neanche di uscire di casa per
la vergogna.”
Io e Arizona ci
guardammo e scoppiammo a ridere, andandocene dalla palestra, mentre
Cristina iniziava a spiegare la sua tesi anche alle altre. Secondo
lei, io e Arizona avevamo bisogno di fare sesso per giocare davvero
bene insieme. Eravamo troppo abituate a giocare l'una contro l'altra,
che per giocare così a stretto contatto dovevamo per forza
avvicinarci anche fisicamente. Quando Cristina mi aveva esposto
questa tesi per la prima volta avevo riso così tanto da sentirmi
fisicamente male.
“E se facciamo
schifo?”
Eravamo al
telefono, quella sera.
“Non faremo
schifo, Arizona.”
Fu silenziosa per
qualche momento.
“Ma se facessimo
schifo?”
Io risi.
“Non ridere,
Calliope. Il calcio è tutto ciò che è mio. Solamente mio. Quando
gioco, allora è come se esistessi, se fossi reale, mentre tutto il
resto del tempo è come se mi trovassi nella bozza di un disegnatore
di fumetti alle prime armi. Tutto il mondo, me compresa, è a tratti
incerti, è indefinito, e non ho certezze. Ma quando sono sul campo è
come se fossi all'improvviso dentro uno schermo ad alta definizione.
Tutto ha molto più senso.”
“Ti prometto che
non faremo schifo” risposi dopo qualche istante.
“Ok. I numeri
delle magliette verranno assegnati da me, in base alla posizione che
occupate in campo. A nessuna di voi è concesso lamentarsi per il
numero che le viene assegnato. Bailey, giochi con il numero 1,
Montgomery con il 2, Altman 3, Lexie, 4” mentre elencava i numeri
consegnò le magliette. “April, 5. Fields, 6. Yang, 7. Adamson, 8.
Meredith 9. Callie e Arizona, ne abbiamo discusso a lungo. Dovete
giocare a stretto contatto, contiamo su di voi, perché Reed dovrà
rimanere spesso in difesa, qualche volta saliranno ad aiutarvi
Meredith e Cristina. Robbins, rimani più indietro, mentre tu,
Torres, sempre il più avanti possibile nei limiti del fuorigioco.
Sei la nostra prima punta, quasi tutti i goal che segneremo saranno
tuoi. Arizona, stai sulla sinistra, giochi col 10. Callie, tu prendi
l'11. Robbins, ricorda la fascia da capitano prima di entrare in
campo.”
Uscì dagli
spogliatoi, lasciandoci cambiare.
“Sei nervosa?”
mi chiese Arizona.
“No, sono calma
tutto sommato” risposi distrattamente. Poi lei si tolse la
maglietta. “E...ora non lo sono più” pensai.
Arizona uscì per
prima, si presentò all'arbitro, partecipò al lancio della moneta.
La raggiunsi quando ci disse che dovevamo battere per prime.
Quando entrai in
campo mi sentii come se stessi per cadere da un momento all'altro. Il
cuore mi martellava nel petto dall'agitazione. Le nostre magliette
erano rosse, mentre i pantaloncini neri.
“Non ho mai
giocato una partita in una vera squadra” dissi ad Arizona mentre
raggiungevamo la metà campo.
“Questa non è una vera squadra. È
solo un torneo scolastico” mi rassicurò. Mi sorrise. “Ricordi
come hai segnato il primo goal quando hai giocato contro di me per la
prima volta?” mi chiese, sistemando il pallone al centro.”
“Sì.”
“Pensi di fare
centro da qui?”
“Non lo so. Non
credo. Potrei provare” proposi.
“Siamo date come
sfavorite nel campionato. Tutti pensano che arriveremo ultime. La
squadra contro cui giochiamo oggi, loro sono le terze favorite per il
primo posto.”
“Non credo che
sia una buona idea tirare da qui” affermai allora.
“Ok” rispose,
sorridendomi. “Allora lo farò io.”
Io risi,
preparandomi ad assecondarla. “Mi sembra giusto che il primo tiro
sia del capitano” sussurrai.
Ci fu il fischio
dell'arbitro. Io le passai il pallone. Un passo in avanti. Due. Poi
il tiro.
“Sei totalmente
impazzita?” urlò Cristina nella mia direzione.
Mi limitai a
sorridere, guardando la palla che entrava in porta.
Arizona si voltò
ed io le detti il cinque.
Per tutto il primo
tempo ci tenemmo molto sulla difensiva. L'unico goal che segnai fu su
calcio d'angolo, mentre una di loro fece una rete su contropiede.
“Adesso iniziamo
a giocare sul serio” sussurrò Arizona mentre rientravamo in campo.
Teoricamente, nel
campionato, c'erano solo due squadre nettamente più forti di quella
contro cui stavamo giocando quel giorno.
Pensai che si
fossero sbagliati, perché la partita finì 6-1, ed io segnai quattro
goal in risposta ai due di Arizona.
Quando avevo
segnato l'ultimo, Cristina mi aveva abbracciato. Pensai che si
sentisse male o qualcosa del genere.
L'arbitro fischiò
la fine ed Arizona mi abbracciò immediatamente.
“Questa è la
prima volta che la squadra femminile della nostra scuola vince da
sette anni. La difesa era così incapace l'anno scorso che anche in
una partita in cui feci cinque goal avevamo perso. Ed è merito tuo.”
Io risi. “No,
invece. Il merito è di tutte. Non avrei potuto fare un bel niente da
sola.”
Uscii dal campo con
un braccio attorno alle spalle del Capitano. E durante la partita,
per la prima volta, avevo capito perché tutti si ostinavano a
chiamarla in quel modo.
“Alla prima
vittoria di una lunga serie” brindò Cristina quella sera tenendo
in mano una birra.
“Ai primi quattro
goal di Callie, che vincerà il premio come miglior marcatore”
brindò invece Addison. Io arrossii un po', dissimulando l'imbarazzo
con una piccola risata.
“Al Capitano, che
ha giocato come se stesse cercando di impressionare qualcuno” disse
invece Teddy, beccandosi un piccolo schiaffo da Arizona.
“E a April”
propose nuovamente Cristina. “Che è riuscita a non farci perdere,
nonostante gli abbia permesso di segnarci un goal.”
“Per la
milionesima volta, Cristina, doveva marcarla Meredith quella lì”
ripeté April per l'ennesima volta.
Tutte scoppiammo a
ridere.
Arizona era seduta
alla mia destra. Aveva tenuto per tutta la sera la mano sul mio
ginocchio, nascosto alla vista di tutti.
“Sei dispiaciuta
che siamo uscite con le altre? Invece di, sai...” mi sussurrò.
Avremmo dovuto
avere un appuntamento quella sera, ma alla fine eravamo state
d'accordo nel rimanere con la squadra.
“No, certo che
no. Dovevamo festeggiare la vittoria” le risposi, sorridendo a
trentadue denti.
Dopo cena molte
delle ragazze se ne andarono, soprattutto quando arrivarono i
rispettivi ragazzi a prenderle. Derek e Meredith furono i primi,
seguiti da Lexie e Jackson, Cristina e Owen, Miranda e Eli. Teddy e
Addison si fermarono per fare quattro chiacchiere con Henry e Mark, i
loro migliori amici, mentre Lucy e Reed se ne andarono, anche loro
attese dai rispettivi ragazzi. April, vedendo entrare Alex, gli si
era avvicinata e aveva cercato di portarlo il più lontano possibile
da Arizona. Lo facevano un po' tutte dalla sera in cui avevano
litigato.
“Andiamo a casa?”
mi chiese, avvicinandosi un po' di più.
Io le sorrisi e
annuii.
“Ehi, Callie”
mi sentii chiamare. “Hai bisogno di qualcuno che ti accompagni a
casa?” mi chiese Mark Sloan.
“No, grazie. Sono
apposto” risposi velocemente, uscendo insieme ad Arizona.
Per mia sfortuna,
gli altri ci seguirono. E, come se non bastasse, fuori c'erano April
e Alex.
“Andiamo,
prometto che mi comporterò da vero gentiluomo” mi garantì,
provandoci di nuovo.
Io sospirai.
“Senti, non prendertela. Ma devi smetterla” gli risposi. Forse
avevo esagerato, ma erano ormai due settimane che ogni giorno mi
chiedeva di uscire. Avrebbe dovuto accettare il rifiuto con un po' di
dignità.
“Prometto che non
te ne pentirai” rispose lui, invece, passandomi un braccio sopra le
spalle.
Io, di riflesso, me
lo scrollai di dosso.
Non mi piaceva
quando la gente mi toccava. Io non lo conoscevo neanche, quel tizio.
“Mark, devi darti
una fottuta calmata” lo riprese Arizona, mettendosi in mezzo. “Hai
un problema di udito, per caso? Perché ti ha detto no. Almeno una
dozzina di volte. Ed è stata gentile, ma adesso stai iniziando ad
esagerare. Fatti da parte. Dico sul serio, fatti da parte” gli
disse duramente, poi si voltò verso Alex. “E cosa diavolo è
successo a te? Eri mio amico. E adesso sei come Mark Sloan.”
“Ehi” protestò
Mark. “Ma chi ti credi di...”
“Mark, sul serio.
Lascia in pace Callie. Devi piantarla” gli disse anche Addison.
“Devi accettare un no e smetterla di comportarti come un idiota.”
“Andiamo” mi
disse Arizona piano. Mi appoggiò una mano sulla schiena e iniziammo
a camminare verso casa.
Camminammo in
silenzio, finché tolse la mano dalla mia schiena. Allora decisi di
parlare.
“Entro domani i
due idioti avranno detto a tutti che siamo una coppia” le feci
notare.
“Ti infastidisce
che lo pensino?”
Io scossi la testa.
Per un secondo valutai se tacere o parlare. Alla fine, glielo chiesi.
“Lo siamo? Una
coppia” chiarii.
Lei si bloccò di
colpo.
“Io non- non lo
so.”
“Mh. Forse
dovremmo parlarne.”
“Ok”
acconsentì. “Vuoi una cosa seria? Perché abbiamo sedici anni.
Beh, quasi diciassette, ma non credo che sia questo il punto. Il
punto è che tra due anni finiremo il liceo e dopo andremo per la
nostra strada. E la nostra strada potrebbe non essere la stessa.”
“Aspetta, stai
dicendo che tu non vuoi una storia seria, quindi?”
“Sto dicendo che
potremmo finire per avere il cuore spezzato.”
“Potremmo anche
aver vissuto il periodo più bello della nostra vita, quando arriverà
il momento in cui avremo il cuore spezzato.”
“Quindi tu vuoi
una storia seria?”
All'inizio non
risposi.
“Cosa vuoi che ti
dica, Arizona?”
“Dimmi la
verità.”
“La verità...la
verità è che forse abbiamo affrettato troppo le cose. Ci conosciamo
solo da un paio di mesi, infondo. Beh, quasi tre. E come amiche
andavamo alla grande. Forse dovremmo limitarci a quello.”
“Ferma, questo ha
davvero qualcosa a che fare con me e noi, oppure stai semplicemente
dando di matto e hai deciso di tornare ad essere etero?”
“Non sono mai
stata...” avevo parlato troppo in fretta. Troncai la frase,
maledicendomi.
Lei comprese
ugualmente.
“Aspetta,
quindi...lo sapevi già? Prima di incontrare me?”
“Certo che lo
sapevo. Credi che avrei potuto fare i conti con una cosa del genere
in un paio di mesi?” chiesi, guardando in basso.
Lei rimase in
silenzio. Fece un passo avanti, mettendosi a meno di mezzo metro da
me.
“Allora non
cambierai idea?” sussurrò.
Io alzai di nuovo
gli occhi, guardandola con confusione.
“Se è quello che
vuoi possiamo fare un tentativo. Sai, una cosa seria.”
“Abbiamo passato
ogni secondo dell'ultimo mese e mezzo praticamente sempre insieme. E
ti serviva comunque sapere che puoi fidarti di me? Non hai ancora
capito?” le chiesi, sentendomi all'improvviso delusa.
Lei capì dal mio
tono di voce il mio stato d'animo.
“Calliope, ho
solo...” lasciò in sospeso la frase.
“Paura che farò
come lei” conclusi riferendomi a Joanne.
“Calliope...”
“Come ti pare,
Arizona. Forse hai ragione. Una storia seria richiederebbe la tua
fiducia, e immagino che sia chiedere troppo” le risposi, voltandomi
e ricominciando a camminare.
Lei mi afferrò un
braccio, impedendomi di proseguire. Io non mi voltai.
“Quello che hai
fatto stasera, il nascondere quello che stai pensando dietro a
qualcosa di diverso, questo non è abbastanza secondo me” le dissi,
riferendomi a come aveva nascosto la sua paura su un mio cambio di
idea dietro al non volere una storia seria per via della possibile
separazione al termine del liceo.
“Vorrei essere la
persona in grado di darti quello che cerchi.”
Io liberai il
braccio dalla sua mano.
“Non ti ho mai
chiesto niente di più di ciò che sei riuscita a darmi.”
“Ho sempre
cercato di darti tutto ciò che potevo” protestò lei.
Io scossi la testa,
ma neanche allora mi voltai.
“Ti sei limitata
a darmi ciò che non era difficile per te.”
Ricominciai a
camminare. E non mi guardai indietro.
Lo so, lo so, siamo passati all'angst! Un po' ogni tanto serve pure
questo no?
Fatemi sapere che ne pensate!
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Capitolo 6 *** Le mie mani ***
Scusate infinitamente il ritardo! Buona lettura!
Le mie mani
“Stamani sono passata a casa tua, ma
Aria ha detto che eri già a scuola. Con chi sei venuta?” mi chiese
Addison, vedendomi.
“A piedi” risposi dopo un secondo
di incertezza.
“Oh. Perché?”
Io sospirai.
Non volevo fare il viaggio in
macchina con Arizona.
“Avevo bisogno di
pensare.”
“Ok” rispose in
modo scettico. “Stasera andiamo a mangiare una pizza, passo a
prenderti?”
“A dire la verità
non ho molta voglia di uscire. Credo che stasera mi servirà per
riprendermi dalla partita di ieri” finsi un sorriso e me ne andai,
prima che avesse l'occasione di insistere.
Per il resto della
giornata cercai di evitare tutte le ragazze della squadra. E anche il
giorno dopo. E ci riuscii. Ma qualcun altro, invece, mi trovò mentre
ero in un angolo del cortile.
“Callie.”
“Mark.”
“Volevo chiederti
scusa per come mi sono comportato con te. Non è da me insistere così
tanto. E non lo farò più, mi farò da parte, come mi hai
chiesto.”
Io finsi un sorriso, mentre lui si voltava.
E poi pensai che
non avevo neanche un solo buon motivo, uno solo, per continuare a
rifiutare i suoi inviti ad uscire.
“Mark?”
“Sì?” si voltò
di nuovo verso di me.
“Magari potremmo
essere amici” proposi, sentendomi in colpa per l'aria triste che
aveva.
Sembrava diverso
dal solito. Se solo avessi capito prima cosa stava cercando di
ottenere, mi sarei risparmiata un sacco di dramma.
“Stasera non ho
impegni. Se ti va possiamo trovarci da Luigi alle sette” propose.
Quella era la
pizzeria dove ci trovavamo di solito quando eravamo tutti.
“Certo.”
Non riuscii a dire
di no, anche se davvero non avevo voglia di uscire da sola con lui.
“Solo come amici”
mi affrettai a chiarire.
“Solo come amici”
acconsentì, sorridendo a trentadue denti e andandosene.
Ma chi prendevo in
giro? Mark Sloan non conosceva il significato della frase 'solo come
amici'.
A dire la verità
mi sorprese, però. Arrivò in anticipo, prima di me. Parlò per
tutta la sera di argomenti che interessavano entrambi, evitando
battute inappropriate. Si offrì di pagare il conto alla fine della
cena, ma io appoggiai una mano sul suo braccio.
“Siamo qui come
amici. Il conto lo dividiamo a metà” gli rivolsi un piccolo
sorriso.
Lui acconsentì.
Mi voltai per
prendere il giacchetto e vidi Arizona, ferma vicino alla porta, che
mi guardava come se mi avesse visto avvinghiata al ragazzo di fronte
a me. Con lei c'erano anche Addison e Teddy.
Sentii lo stomaco
fare una capriola.
Con Mark ero stata
bene. Era simpatico, di bell'aspetto, e anche se un po' troppo sicuro
di sé era un ragazzo apposto. Ma il mio stomaco non faceva le
capriole quando incrociavo il suo sguardo dall'altra parte della
stanza.
Arizona uscì.
Pagammo il conto e poi Mark mi accompagnò fuori, aprendo la porta
per me. Lei era ancora lì. Quando mi vide uscire mi venne incontro.
Poi vide Mark uscire dietro di me. Allora si fermò, ed aspettò che
facessi qualcosa, appoggiandosi con la schiena alla parete e sparendo
alla vista sia mia che di Mark.
“Senti devo
andare. Mi sono divertita stasera, saresti un buon amico Mark.”
“Tutto qui?
Andiamo, neanche un bacio?”
“Credevo che
fossimo d'accordo sull'uscire come amici” risposi, camminando
all'indietro in direzione di Arizona. Iniziavo ad essere impaziente.
Infondo, ero riuscita a stare lontano da lei per due giorni. Era come
far smettere di bere un alcolista in un paio d'ore. Traumatico.
“Nah, quello è
qualcosa che si dice” mi venne incontro. Non aveva notato Arizona,
appoggiata al muro della pizzeria, ma lei poteva sentirci parlare, ne
ero sicura. “Ho parlato di cose noiose per tutta la sera, mi sono
comportato bene, non ho fatto battute, mi merito un bacio, come
minimo.”
Io risi amaramente.
“Avrei dovuto
aspettarmelo, credo. Ecco che mi merito per aver pensato che infondo
potessi essere un bravo ragazzo.”
“Oh, andiamo, se
avessi voluto un bravo ragazzo non saresti uscita con me.”
Io scossi la testa
e mi voltai.
“Pensavo che
volessi un vero uomo, per cambiare, invece di uscire con la tua
amichetta lesbica.”
Io mi bloccai in
mezzo alla strada.
Si accorse che
quella era stata l'unica cosa che aveva attirato la mia attenzione.
“Ah, vedo che ho
toccato il punto giusto. Sai, capirei se te la fossi scopata. Voglio
dire, se potessi anche io me la scoperei. Scommetto che le
piacerebbe. Anzi, penso che si scorderebbe perfino il tuo nome dopo.”
Quell'ultima frase
la sentii forte e chiara rimbombarmi nelle orecchie. Mi dava
fastidio. Mi irritava, perché avrebbe potuto avere ragione.
Fu allora che
Arizona capì cosa avrei fatto. Le vidi uscire da dietro l'angolo
mentre mi voltavo verso Mark.
Sarebbe bastato un
secondo in più, solo un secondo.
Arizona mi si mise
davanti mentre stavo per colpirlo, bloccandomi il braccio
semplicemente appoggiandoci una mano sopra. Il suo tocco gentile mi
paralizzò. In un attimo, anche Teddy e Addison si misero in mezzo,
intimandogli di andarsene.
“Che c'è, volevi
colpirmi?” rise. “Sei solo una ragazza.”
Si voltò,
iniziando a camminare.
“Codardo” lo
accusai.
Si bloccò subito.
Sapevo che era l'insulto che più lo infastidiva in assoluto.
“Torna indietro e
ripeti quello che hai detto davanti a me e giuro che ti darò la
lezione di rispetto che meriti.”
Lui si fece strada
tra Addison e Teddy, mentre io feci scudo ad Arizona col mio corpo,
tenendola poi indietro con il braccio sinistro.
Quello che né lui,
né Arizona sapevano, era che sia a Miami che nella nuova casa avevo
un sacco da box nel seminterrato, con cui mi allenavo quasi tutti i
giorni.
“Potrei scoparmi
la Robbins molto meglio di te.”
Ci fu un momento, a
qual punto, in cui tutto fu calmo. Teddy e Addison trattennero il
fiato, Arizona continuò a tirare all'indietro il mio braccio
sinistro con poca convinzione, Mark mi guardò con aria di divertita
soddisfazione ed io lo guardai negli occhi.
Non c'era rumore.
“Non ne vale la
pena, Calliope.”
Io annuii,
sorridendo appena. Poi mi voltai leggermente di lato. Arizona pensò
che avessi deciso di lasciar perdere e andarmene, così fece
velocemente alcuni passi indietro, sperando che la seguissi.
Poi aggrottai la
fronte.
“Ripensandoci”
sussurrai.
Lo colpii,
centrando in pieno il suo occhio sinistro.
Urlò,
indietreggiando. Addison e Teddy si guardarono. Nessuna delle due lo
disse, ma sapevano entrambe che era arrivato il momento che qualcuno
desse una lezione a Mark per quello che aveva detto di Arizona. E
avrei giurato di aver visto entrambe tentare di nascondere un
sorriso.
“Già. Ne valeva
totalmente la pena.”
Arizona non
rispose. Mi afferrò per le spalle, costringendomi a camminare verso
casa.
“Che diavolo
credevi di fare?” iniziò quando fu sicura che non ci avrebbero
sentito. “Avrebbe potuto stenderti, se ne avesse avuta l'occasione”
alzò la voce.
“No, non credo”
sussurrai, sorridendo appena.
“Calliope, smetti
di parlarne con aria così soddisfatta. E levati quel sorrisetto
dalla faccia. Avrebbe potuto reagire molto peggio. Che diavolo
pensavi di fare?” chiese di nuovo, quasi urlando.
“Prendere il suo
strafottente culo a calci. Ecco cosa.”
Continuò a
trascinarmi tenendo saldamente la presa sulle mie spalle anche quando
chiaramente non ce n'era più bisogno.
“Ti rendi conto
che avrebbe potuto ridurti in briciole, non è vero?” chiese,
sempre ad alta voce. “E tu eri disposta a lasciarglielo fare. Per
provare cosa, esattamente?”
“Che non ti
scorderai il mio nome. Tutto qui. Semplicemente.”
Rallentò, fino a
fermarsi.
La strada era
totalmente deserta.
“Che c'è?” le
chiesi, quando si mise davanti a me e mi guardò negli occhi.
“Come potrei
scordarmi il tuo nome?” mi chiese dolcemente.
Io scrollai le
spalle.
“Non vuoi
qualcosa di serio con me. Se, come hai detto tu, tra due anni
prenderemo strade diverse, potresti scordarti il mio nome, tra una
ventina, forse trent'anni. E così io almeno avrò avuto la
soddisfazione di aver fatto un occhio nero ad un tipo che mi ha detto
quanto gli piacerebbe scoparti.”
“Promettimi che
non farai mai più una cosa del genere.”
Io non risposi.
“Promettimelo”
insistette.
“Non posso
promettertelo, Arizona. Non posso, perché quando si arriverà alla
scelta tra fare la cosa giusta o proteggerti, io farò la scelta
sbagliata ogni singola volta.”
Mi guardò per un
attimo, mentre le parole facevano presa su di lei.
E poi mi baciò. E
fu incredibile sentire di nuovo le sue labbra sulle mie.
Ricambiai il bacio,
anche se - e proprio perché - sapevo che forse sarebbe stato tutto
quello che avrei avuto.
Allontanandosi,
appoggiò la fronte sulla mia.
“Ok.”
“Ok?” chiesi.
“Proviamo ad
avere una storia seria.”
“Mi fa male la
mano” ammisi quando ci trovammo davanti alla porta di casa mia.
“Questo è quello
che ti meriti per esserti comportata stupidamente” rispose. Mi
stava camminando affianco, tenendomi la mano - la sinistra però.
“Fammi vedere” ordinò però alla fine dolcemente.
Io le porsi la mano
che aveva avuto un frontale con la faccia di Mark.
“Dovresti
metterci del ghiaccio” mi disse.
“Entri?” le
chiesi, aprendo la porta.
Lei non rispose, ma
mi seguì prima in cucina a prendere del ghiaccio e poi in camera
mia, al secondo piano.
Mi sedetti sul
letto, premendo il ghiaccio sulle nocche sbucciate e doloranti della
mano. Lei mi si sedette affianco, appoggiando una mano sulla mia
spalla e l'altra sul mio ginocchio.
“Quindi adesso
stiamo insieme?” mi chiese. “Cioè, adesso stiamo insieme. Cosa
dovrebbe cambiare?” riformulò la domanda.
Io cercai di
pensare a qualcosa che avrei voluto cambiare nel nostro rapporto.
“Niente?”
proposi infine. “Voglio dire, siamo praticamente sempre insieme.”
“Ci telefoniamo
spesso” continuò lei. “Ci diciamo tutto.”
“Quasi tutto”
la corressi.
“Quasi- aspetta,
come sarebbe a dire quasi tutto?”
“Non mi hai detto
che il motivo per cui non volevi stare con me era perché avevi paura
che mi sarei spaventata e sarei scappata dalla nostra relazione.”
Lei distolse lo
sguardo.
“Ok. Quasi
tutto.”
“Questo potrebbe
essere qualcosa da cambiare. Forse il passo successivo è eliminare
il quasi.”
“Sì. Anche
secondo me” rispose, accarezzandomi la schiena. “Come va la
mano?”
“Bene. Non l'ho
colpito molto forte” risposi. Era vero. Se lo avessi colpito come
alcune volte avevo colpito il sacco nel seminterrato, probabilmente
avrei potuto rompergli il naso o fratturargli l'osso occipitale. “Hai
addosso un profumo diverso” osservai, cambiando discorso.
Lei aggrottò la
fronte.
“Profumi
di...lavanda” appoggiai le labbra sul suo collo, inspirando
lentamente. Lasciai dei piccoli baci sulla sua gola, fino a baciarla
sulle labbra.
“Bagnoschiuma
nuovo” mormorò distrattamente, facendo cadere il discorso sul
pugno che avevo dato a Mark e rispondendo ai miei baci.
“Mi piace”
risposi, altrettanto distrattamente.
Il giorno dopo, a
scuola, si erano diffuse strane voci su come Mark si fosse procurato
un occhio nero. Ovviamente lui non disse a nessuno che ero stata io,
e nemmeno mi denunciò. Per il suo ego sarebbe stato un colpo
insopportabile.
“Ho sentito dire
da fonte certa che è stato un trafficante d'armi venezuelano.”
“April, sta
zitta” la rimproverò Cristina. “Mark non è coinvolto in nessun
traffico d'armi. È stato uno spacciatore messicano che gli ha
venduto roba tagliata male. Lui s'è lamentato e ne ha ricavato un
occhio nero.”
Io e Arizona ci
guardammo, trattenendoci a stento dallo scoppiare a ridere.
“Ho sentito dire
che è stata una ragazza” buttò lì Teddy, sghignazzando.
“Non diciamo
sciocchezze per favore. Stiamo cercando di fare ipotesi realistiche”
intervenne Meredith.
“Io vado a
prepararmi” feci presente, alzandomi.
“Vengo con te”
si affrettò Arizona.
Avevamo deciso di
continuare a tenere per noi quello che stava succedendo, almeno
finché non avessimo avuto una visione chiara di tutto.
“Sei libera
stasera?” le chiesi a qualche metro dalla porta dello spogliatoio.
“Se non sbaglio mi avevi promesso un appuntamento che non ho mai
avuto.”
“Stasera è
perfetto” rispose, aprendo la porta dello spogliatoio per me.
Eravamo le prime
due ad arrivare.
“Avete saputo
dell'occhio nero di Mark?” chiese Izzie, entrando, una decina di
minuti dopo, insieme a Meredith, Cristina, Lexie, April, Teddy ed
Addison. “Pare che in realtà se lo sia fatto proteggendo una
ragazza da un tipo che la stava aggredendo.”
“Ah. Questo è
più improbabile della teoria della ragazza che prende Mark Sloan a
pugni” rispose Cristina.
“Callie, che hai
fatto alla mano?” mi chiese Meredith, notando che stavo tentando di
allacciarmi le scarpette senza piegarla.
All'improvviso, ci
fu un silenzio innaturale per uno spogliatoio.
“Sono caduta.”
“Si è presa la
mano in una porta.”
Guardai Arizona e
lei guardò me.
“È caduta.”
“Mi sono presa la
mano in una porta.”
Parlammo di nuovo
contemporaneamente.
Cristina mi si
avvicinò, prendendomi la mano ed esaminandola.
“Non puoi esserti
fatta male cadendo, è sul dorso. Ed è solo da una parte, quindi non
puoi essertela presa in una porta” concluse.
“Sembra più una
bruciatura. Come se l'avessi premuta contro qualcosa” osservò
April.
Ormai tutta la
squadra era riunita attorno alla mia mano.
“Oh, Lexie aveva
delle bruciature simili sul sedere quando usciva con Mark. Bruciature
da tappeto.”
“Meredith!”
“Cosa? È vero.”
“Questo non
significa che debbano saperlo tutti” disse imbarazzata Lexie.
“Meredith ha
ragione. Sono bruciature da tappeto” intervenne Addison,
guadagnandosi un'occhiataccia da Arizona. Scrollò le spalle e
spalancò gli occhi, come a chiederle cosa avrebbe dovuto dire.
“Un posto un po'
strano dove avere ferite da sesso” osservò con disinvoltura
Cristina. “A meno che...” spostò lo sguardo dalla mia mano ad
Arizona.
“Eravamo sul
pavimento di camera mia” buttò fuori Arizona come se l'avessero
costretta, arrossendo furiosamente subito dopo. “Le ho premuto le
mani contro il tappeto troppo forte e quella sotto si è bruciata”
ammise a denti stretti.
Tutte le presenti
la guardarono a bocca spalancata, valutando le sue parole.
Ci fu un attimo in
cui sembrava che avessero tutte perso l'uso della parola in
conseguenza alla scioccante rivelazione.
“Nah” concluse
infine Cristina. “Ma ci ero quasi cascata.”
“Voi due
insieme?” chiese Lexie con una risatina. “No, non è realistico.”
“Senza contare
che tu, Arizona, non hai un tappeto in camera” continuò Meredith.
“E tu che stai in
controllo?” continuò Cristina. “Andiamo, potevi raccontare
qualcosa di più verosimile, Robbins. Sappiamo tutte che sei più
vergine di April, qui” la indicò con il pollice. “E lei è
moo-olto vergine.”
A quel punto, sia
April che Arizona rotearono gli occhi.
“La domanda
interessante è cosa sia così oscuro e sporco da avervi fatto
inventare una bugia come questa. E lo scoprirò” ci garantì
Cristina. “Oh, sì che lo scoprirò.”
Io a quel punto
scoppiai a ridere, uscendo dallo spogliatoio insieme ad Arizona.
Dopo gli
allenamenti ci ritrovammo tutte nel cortile della scuola per le
convocazioni della partita che ci sarebbe stata tre giorni dopo.
Mentre stavamo
aspettando l'allenatrice un gruppetto di ragazzi passò davanti a
noi. Tra di loro uno si fermò e avrei indovinato chi anche se non
l'avessi visto avvicinarmisi.
“Pronta per il
round numero due Torres?” chiese col solito sorrisetto
strafottente.
“In qualunque
momento tu voglia” gli risposi a mia volta con tono sicuro di me.
Ovviamente non l'avrei colpito a scuola. Non volevo farmi espellere.
Decisamente no. “Fuori da qui” aggiunsi, come se fosse ovvio.
“Ho saputo che
non hai detto a nessuno quello che è successo davvero.”
Io non gli risposi.
La verità era che non avevamo detto niente per evitare che si
arrabbiasse più di quanto già era e decidesse che poteva
denunciarmi, visto che tutti lo avrebbero comunque già saputo.
“All'inizio non
riuscivo a capire perché. Insomma, mi hai fatto un occhio nero con
un destro dritto in faccia. Io me ne sarei vantato fino alla morte.”
Mi accorsi che
tutti i ragazzi nel cortile adesso stavano ascoltando quello che
avevamo da dirci.
“Poi ho capito.
Non l'hai detto a nessuno perché non volevi che si sapesse che hai
provato a stendermi dopo che ho detto che avrei potuto scoparmi la
tua ragazza, perché a quel punto avresti dovuto ammettere che la
Robbins davvero è la tua ragazza.”
Tenni gli occhi
fissi dentro i suoi, lo sguardo duro. Ma mi accorsi anche che tutte
le altre guardavano me.
“E scommetto che
mammina e papino non sarebbero contenti di venire a sapere una cosa
del genere. Peccato. Perché se non avessi avuto paura delle loro
reazioni, a questo punto mi avresti dato un altro pugno ed io avrei
potuto rispondere a tono, stavolta. Invece in famiglia non credo
approverebbero alcune delle tue scelte.”
“Non tutti sono
tanto codardi quanto te. Alcune persone affrontano le conseguenze
delle loro azioni.”
Lui fece un passo
avanti. Ne feci uno anche io.
Eravamo a tre o
quattro metri di distanza.
Lo vidi guardarsi
intorno. E capii perché aveva scelto il momento della giornata in
cui c'erano più studenti in cortile.
“Oh, guarda chi
c'è. Aria Torres. Proprio la persona che stavo cercando” si
rivolse ad un gruppetto di cheerleader che stavano osservando la
scena tra le tante persone. “Scommetto che a te interesserebbe
sapere tutta la storia. Perché non le racconti il motivo per cui mi
hai dato un pugno, Callie?”
Io strinsi le mani
e serrai la mascella.
La verità era che
avevo paura della reazione di Aria. Perché? Perché lei, a
differenza di Mark, per me contava qualcosa. La sua opinione, per me,
contava qualcosa.
Feci un passo
avanti. Ma sentii un braccio bloccarmi.
Incrociai lo
sguardo di Arizona, dolce, come sempre. E con lo sguardo mi implorava
di non farlo, di lasciar stare. Ed io sentii pian piano la rabbia
andarsene e i muscoli tesi rilassarsi. Il suo sguardo mi chiedeva di
non reagire. E quindi l'unica cosa che potei fare fu rimanere
immobile a guardare lei.
“Vieni” mi
disse solo. “Andiamo via.”
Ed io andai,
guidata dal suo braccio attorno alle mie spalle.
Quando arrivammo a
casa a piedi, Aria era già arrivata lì con la macchina.
“Lo sapevo” fu
la prima cosa che mi disse. “Giuro che lo sapevo da quando tu e
Alexis Connor ve ne andavate in giro a parlare di come aggiustare il
motore della vecchia mustang di papà.”
Io mi sentii
arrossire. “Aria...”
“Vuoi che ne
parliamo?” mi chiese, aprendo la porta di casa. “Scommetto che
dovremmo parlarne. Capire come ti senti a riguardo, come mi sento a
riguardo.”
“Aria, è il tuo
modo di dirmi che la cosa non ti crea problemi?”
Lei scrollò le
spalle.
“Callie, io ti
prendo in giro spesso. E forse non sempre siamo carine l'una con
l'altra. Ma sono tua sorella. Sono dalla tua parte, qualsiasi cosa
accada.”
“Potresti
parlarne con mio fratello. Scommetto che potrebbe darti qualche
consiglio su come evitare la parte imbarazzante” le propose
Arizona.
“Oh, tuo
fratello!” quasi urlai. “È geniale! Voglio dire, certo, per
questa storia, Aria. Ma sai, anche per altre cose. Tim, il fratello
di Arizona, è un ragazzo molto simpatico. Scommetto che avreste un
sacco di cose in comune” guardai Arizona, facendole capire le mie
intenzioni.
“Oh, ma certo!”
esclamò quando afferrò il piano. “Vieni, voglio presentartelo.”
Aria aveva capito
che stavamo tramando qualcosa. Per nostra fortuna, non aveva capito
cosa.
Entrammo in casa di
Arizona, e, dopo averli presentati, li lasciammo a parlare del più e
del meno, sparendo senza farci notare al piano di sopra.
“Perfetto.
Geniale. Tim e Aria sarebbero una coppia fantastica” osservò
Arizona, gettando lo zaino sul pavimento.
“Eccetto a
Natale” commentai, ridendo. Mi gettai sul suo letto.
“Aspetta, in che
senso?”
“Beh, immagina
che succederebbe se o loro o noi ci lasciassimo. I pranzi di Natale,
le cene del Ringraziamento, tutte le feste in famiglia, sarebbero
così imbarazzanti” continuai, ridendo.
Lei si sedette
accanto a me. “Credo che allora non ci resti altra soluzione”
concluse. “Dovremo rimanere insieme per sempre.”
Io le passai una
braccio attorno alle spalle. “Già. Sposarci. Avere dei bambini.
Una casa con lo steccato bianco.”
“Polli. Non
dimenticare i polli. Almeno tre, sul retro.”
“Hai pensato a
dei nomi?”
“Per i bambini?”
“Per i polli”
replicai con tono ovvio.
“Giac, Perla e
Gas Gas.”
Io risi. “Non
sono i nomi dei topolini di Cenerentola?” chiesi, ancora ridendo.
“Può darsi”
rispose con tono vago.
Mi baciò, anche se
non me lo aspettavo. Risposi immediatamente, e notai subito che era
un bacio diverso. Più esigente, in qualche modo. Non mi sfuggì il
fatto che eravamo sul suo letto. Come non mi sfuggì quando si
sdraiò, ed il modo in cui, senza neanche doverci pensare, finii alla
perfezione su di lei.
“Per sempre,
dici?” chiesi, tra un bacio e l'altro. “Potrebbe andarmi bene.”
Lei rise. “Per
sempre è un sacco di tempo.”
La feci stare zitta
con un lungo bacio.
“Direi che è
perfetto, quindi” concluse, invertendo le nostre posizioni.
Rimasi con lei e
persi la cognizione del tempo, finché mi resi conto di che ora era.
“Devo andare.
Passo a prenderti tra un'ora, ricordati che andiamo a cena fuori.”
La baciai a stampo,
raccogliendo il mio zaino da terra, ed uscii.
Quella sera avevamo
il nostro primo appuntamento.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate!
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Capitolo 7 *** Niente più gruppo ***
Scusate moltissimo per il ritardo! Buona lettura!
Niente più gruppo
Si vestì in modo semplice, quella
sera, ma era comunque bellissima.
Avevo fatto in modo che Aria
acconsentisse a lasciarmi la macchina.
Prima di uscire, incontrai mia madre
all'ingresso.
“Vai a cena con i tuoi amici?”
“A dire la verità, siamo solo io e
Arizona” risposi, cercando di rimanere sul vago.
Lei sorrise, capendo comunque.
Divertiti tesoro. Domani hai scuola,
quindi non più tardi di mezzanotte.”
Io annuii, aprendo la porta.
“Calliope...” avrebbe voluto dire
qualcosa, ma appariva combattuta se parlare o tacere. Mi porse i
soldi che aveva in mano. Sorrise. “Stavo quasi per dimenticarmi.”
Li afferrai con indecisione.
“Mamma, sono sempre io. Puoi dirmi
tutto ciò che pensi.”
Lei mi sorrise con dolcezza.
“So che sei sempre tu. È per questo
che non sono preoccupata, tesoro” mi informò. “Volevo solo
dirti...apri lo sportello dell'auto per lei. E scendi dalla macchina,
non suonare il clacson. Odio quando i ragazzi di Aria lo fanno,
preferirei che si facessero vedere in faccia. Complimentati sempre su
quanto è bella, ma non davanti ai genitori, e assicurati che sia a
casa in tempo se vuoi fare buona impressione. E baciala sulla guancia
ad inizio serata, tuo padre mi rovinava sempre il trucco quando
uscivamo.”
Io le sorrisi.
“Grazie mamma” le dissi, anche se
in realtà Arizona non si truccava.
Bussai alla porta, come mi aveva
consigliato mia madre. Aprì il colonnello e, per un secondo, pensai
che avrei preferito che Arizona non avesse detto niente riguardo la
natura della serata.
“Salve signor Robbins.”
“Callie, è un piacere vederti” mi
sorrise, facendo sparire tutto il mio nervosismo. “Accomodati” mi
invitò, richiudendo la porta. “Allora, suppongo che dovrei fare
tutto il discorso da padre, a questo punto. Il problema è che Tim è
un ragazzo, ed Arizona non ha mai avuto un appuntamento prima - che
io sappia. Quindi, beh, non sono sicuro da dove esattamente dovrei
iniziare.”
“Ho paura di non poterla aiutare,
signore. Non ho mai avuto un appuntamento prima neanche io, quindi
non sono sicura di cosa si dovrebbe dire a questo punto.”
“Oh, e, per la cronaca, io non so
cosa sta succedendo stasera, se Arizona dovesse chiedere. Tim ha
origliato una conversazione che stava avendo al telefono ed è corso
a dirlo a sua madre, che lo ha detto a me. Ufficialmente, nessuno di
noi ne è al corrente” mi fece un piccolo occhiolino, proprio
mentre sentii Arizona scendere le scale.
“Ehi” mi salutò appena fu in grado
di vedermi.
Io le sorrisi.
“Mezzanotte, Arizona.”
“Lo so papà” rispose, mentre lui
ci apriva la porta di casa.
Ci guardò arrivare alla macchina e
sorrise quando mi affrettai ad aprire lo sportello per lei.
Anche Arizona sorrise, in un modo che
mi scaldò il cuore.
“Ok. Devi darmi indicazioni, perché
non ho idea di dovi si trovi il posto che hai scelto” le dissi,
avviando il motore. Mi voltai a guardarla. “Sei molto bella,
stasera” aggiunsi e partii.
“Questo posto è carino” osservai
mentre ci sedevamo.
“Non veniamo mai qui quando siamo in
tanti. È un posto più...”
Mi guardai intorno. “Per coppie?”
osservai.
“Stavo per dire intimo” mi
corresse. “E da quello che mi ha detto Teddy stasera le altre
sarebbero andate al solito posto” aggiunse.
“Oh, Addison mi ha detto che
avrebbero cambiato. Non vogliono incontrare Mark. Le cose a scuola
dopo che mi hai portata via si sono complicate.”
“Teddy me lo ha detto. A quanto pare
quello che è successo oggi ha spezzato gli equilibri del gruppo.
Derek vuole continuare a frequentare Mark, mentre Addison e Teddy non
vogliono più averci a che fare. Meredith esce con Derek, e Owen è
legato a Mark e Derek, così Cristina rimarrà con loro e anche
Izzie, che è amica di Meredith, ed Henry, che è amico di Owen.
Lexie, Jackson e April sono rimasti in disparte, insieme ad Alex,
Lucy e Reed. Addison, Teddy, Miranda, Eli ci hanno difeso.”
“Qualcosa del genere, già”
replicai sottovoce. “Mi dispiace. So quanto sia importante per te
che la squadra sia unita, e mi dispiace per tutto il casino che ho
fatto.”
“Non è colpa tua.”
“Sì che è colpa mia. Io ho dato un
pugno a Sloan. Di chi altro dovrebbe essere la colpa?”
“Calliope, tu mi hai difesa. So che
ci ho messo un po' per capirlo, ma tu sei quel tipo di persona. Tu
non scappi, tu rimani. Combatti. E hai combattuto per me, anche
quando io ti avevo deluso. Questo è importante, per me.”
Io la guardai negli occhi. “Continuerò
a combattere, Arizona. Non smetterò e non fuggirò, finché non
sarai tu a chiedermelo.”
Appoggiò una mano sulla mia.
“Adoro i tuoi occhi. Ogni volta
riesco a perdermi” rispose, senza senso logico.
Io sorrisi, arrossendo.
La riaccompagnai a casa in perfetto
orario. Camminai con lei fino alla porta.
“A domani Calliope” mi salutò,
dandomi un piccolo bacio a stampo sulle labbra.
“Buonanotte” sussurrai.
Mi ero appena messa a letto quando il
mio cellulare squillò. Risposi, confusa dal nome sul display.
“Arizona?”
“Volevo telefonare alla mia migliore
amica, perché, beh, è quello che si fa dopo un primo appuntamento.
Credo. Non lo so, è quello che Teddy fa dopo i suoi primi
appuntamenti, di solito. Comunque, volevo chiamare la mia migliore
amica, e ho realizzato che avrei dovuto chiamare te, ma sarebbe stato
stupido, così ho pensato che avrei dovuto tornare a chiamare Teddy
per cose come questa. Ma poi ho realizzato che non voglio. Non voglio
che tu non sia la mia migliore amica, perché tu sei la persona che
mi rassicura quando ho una crisi isterica per qualcosa di stupido -
tipo quello che sta succedendo adesso, e tu sei la persona a cui
voglio raccontare tutto. Quindi ho bisogno che tu sia entrambe.”
“Entrambe?”
“Sì. La ragazza con cui vado fuori
per un appuntamento e la ragazza con cui parlo dei miei appuntamenti.
Le relazioni finiscono per la mancanza di comunicazione. A noi non è
mai successo e non voglio che succeda. Quindi ho chiamato te.”
“D'accordo. Allora, raccontami. Come
è stato il tuo appuntamento?”
“Fantastico. Davvero fantastico.”
“Non capisco dov'è il problema. Non
stanno nemmeno uscendo insieme, o sbaglio?” sentii Cristina
chiedere da dentro lo spogliatoio.
“Non credo sia questo il punto,
Cristina” le rispose con calma Addison.
“Il punto è che Mark non vuole più
uscire con lei” concluse Lexie. “Ognuno ha scelto da che parte
stare. E noi abbiamo scelto di non essere da nessuna delle due.”
“Stiamo davvero dividendo il gruppo
per Mark?” chiese Teddy.
“Stiamo davvero dividendo il gruppo
per Callie?” chiese di rimando Izzie.
A quel punto decisi di entrare. E calò
il silenzio. Arizona mi seguì, sedendosi accanto a me. Ci cambiammo
in silenzio.
La Portman entrò, riconfermando la
formazione della prima partita.
“Non so cosa vi succede, oggi, ma
qualsiasi cosa sia, lasciatela fuori dal campo.”
Si voltò per uscire, poi si voltò di
nuovo.
“Arizona” attirò la sua
attenzione. Poi le lanciò la fascia da capitano. Lei la prese al
volo, indossandola.
Entrammo in campo, nel silenzio più
totale.
Giocavamo in casa. Molti dei nostri
compagni di classe ci stavano guardando da bordo campo.
Il calcio d'inizio fu della squadra
avversaria. Rubai il pallone ad una delle avversarie appena ne ebbi
l'occasione, lanciando Cristina sulla fascia sinistra. Lei passò il
pallone ad Arizona, che si trovò bloccata da tre avversarie. Si
lanciò in un contrasto, ma lo perse.
Si avvicinarono alla porta, ma Addison
fu veloce nel riappropriarsi del pallone, giusto in tempo per far
scattare Meredith sulla fascia. Passò il pallone a me, che superai
con facilità un paio di difensori della squadra avversaria.
Tirai dal limite dell'area. E, per mia
fortuna, non sbagliai.
Per il resto del primo tempo Addison e
Teddy fecero un gran bel lavoro nel concedere pochissimo spazio per
il tiro. Quel paio di volte che riuscirono a tirare, Miranda salvò
la porta, impedendogli di segnare. Il problema fu che Arizona
continuava a perdere sull'uno contro uno e ad essere distratta sui
passaggi.
Alla fine del primo tempo la bloccai
prima che seguisse le altre negli spogliatoi.
“Arizona, sei distratta.”
“Ci stanno fissando Calliope. I loro
sguardi mi stanno bruciando un buco sulla nuca. Tu non sei
infastidita?”
“No. Ascoltami, Arizona. Guardami.
Siamo io e te, lì dentro. Non c'è nessun altro. L'hai detto tu,
questo è ciò che è sempre stato tuo. Lì dentro puoi vedere le
cose con chiarezza.”
Lei cercò nei miei occhi per segni di
menzogna. Quando vide che non ce n'erano, annuì.
“Ci proverò.”
Io le sorrisi. “Siamo io e te.”
All'inizio del secondo tempo mi accorsi
di quello che intendeva. C'erano alcuni ragazzi che mi guardavano a
parlavano tra loro. Parlavano di noi.
Ma Arizona fece ciò che le avevo
chiesto.
“Siamo io e te” ripeté,
posizionando il pallone.
Arizona guardò me.
Calciò la palla ed io gliela passai di
nuovo, un paio di metri più avanti, alle spalle della centrocampista
che prima la bloccava. Quando si trovò davanti quella successiva le
fece passare la palla tra i piedi e la superò in velocità. Poi mi
passò il pallone quando due ragazze le sbarrarono la strada. Io
scartai altre due giocatrici, restituendole il pallone, portandomi
all'interno dell'area. Lei lanciò la palla a circa un metro e mezzo
da terra. La stoppai, facendola scivolare tra i miei piedi e tra
quelli della giocatrice alle mie spalle, poi, più velocemente di
lei, mi voltai e tirai a rete.
Fu il secondo goal della giornata.
Qualche minuto dopo Cristina recuperò
la palla mentre quasi tutta la nostra squadra era in difesa,
facendomi andare in contropiede. Il mio sesto senso, in campo, mi
diceva sempre quando qualcuno mi stava arrivando alle spalle. Anche
quella volta la percepii, ma non potevo fermarmi, ero vicina all'area
e non avevo nessuno a cui passare la palla: Arizona era diversi metri
più indietro.
Così continuai a correre, finché non
sentii una forte pressione alla caviglia. Caddi verso destra, finendo
sull'erba.
L'arbitro fischiò, Arizona mi
raggiunse mentre mi stavo rialzando.
“Stai bene?” mi chiese con
preoccupazione.
“Solo un graffio” la rassicurai,
osservando la piccola striscia di sangue che seguiva il taglio dal
gomito a metà dell'avambraccio.
“Devi uscire, non puoi rimanere in
campo finché stai sanguinando” mi disse l'arbitro.
Annuii. “Lo so. Batti tu”
incoraggiai Arizona. “Sarò di nuovo in campo tra un secondo” le
dissi in maniera scherzosamente presuntuosa.
Lei mi sorrise, sistemando il pallone
dove l'arbitro le stava indicando.
Quando uscii la Portman mi sciacquò
subito il taglio con la borraccia che aveva già pronta in mano,
facendo andare via il sangue e preparando il guardalinee a farmi
rientrare.
Arizona batté la punizione, segnando
di prima.
Sorrisi, mentre lei alzava la testa per
guardare nella mia direzione.
La partita finì 3-0. Era la seconda
vittoria del campionato.
“Allora, festeggiamo stasera?”
chiese allegramente Addison.
“Certo. Potremmo andare a casa mia e
di Meredith, nel seminterrato. Prendiamo della pizza, qualche birra”
propose Lexie.
“Io non posso venire” ammise con
dispiacere Meredith. “Ho promesso a Derek che avrei passato la
serata con lui. Potremmo andare in pizzeria, come al solito, tutti
insieme.”
“Io non posso venire stasera” si
affrettò a far presente Teddy. “Devo assolutamente...beh,
sicuramente devo fare qualcosa di meglio che ascoltare Mark Sloan
fare commenti inappropriati e irritanti.”
“E con me fanno due” concluse
Addison, non più così allegra.
“Quindi è così che sarà da ora in
poi?” chiese Arizona.
“Dovreste andare” intervenni. “Mark
ha un problema con me, non con Arizona. Dovreste andare a cena con
loro. Io avrei comunque avuto da fare, quindi...” mi alzai, finendo
di rivestirmi ed afferrando poi il borsone ai miei piedi. “Divertiti”
sussurrai ad Arizona con un debole sorriso. Poi me ne andai, con una
mano in tasca. Sentendomi invisibile tra la folla.
Seattle non era poi così diversa da
Miami, pensai.
“Aria, la porta!” urlai per la
terza volta dal piano superiore. Alla fine, quando qualcuno suonò
per la quarta volta, mi decisi a scendere.
“Non sei venuta a cena. Quindi la
cena è venuta da te. Per prenderti a calci nel culo” mi fece
sapere Addison, entrando.
Teddy mi sorrise, abbracciandomi
brevemente.
Arizona mi baciò velocemente sulle
labbra, facendo poi strada alle altre verso il soggiorno.
Ci sistemammo sul divano, guardando un
film mentre cenavamo con la pizza che avevano portato.
“Allora...voi due state tipo...”
iniziò Teddy.
“Insieme?” si decidere a chiedere
Addison.
“Non che vogliamo farci i fatti
vostri, ma...”
“...visto che siamo le vostre
migliori amiche...”
“...ok, sì, forse stiamo cercando di
farci i fatti vostri.”
“Vorremmo tenerlo per noi, per
adesso” gli fece sapere Arizona. “Quindi non ditelo a nessuno.”
Entrambe annuirono.
La bionda al mio fianco mi si avvicinò
ed io le circondai le spalle con un braccio. Mi piaceva tenerla in
quel modo. Potevo sentire il suo profumo, il suo calore. Potevo
sentire lei.
Quando il film finì Teddy ed Addison
decisero di lasciarci un po' di tempo per stare insieme prima che i
miei tornassero dalla loro cena fuori.
Rimanemmo abbracciate sul divano. Non
facevamo altro che baciarci, quando rimanevamo da sole, ed io
sinceramente non avevo idea se fossero gli ormoni adolescenziali o se
fosse lei. Quando i miei rientrarono stavo buttando i cartoni della
pizza.
“Callie, sei a casa?”
“Sono in cucina, mamma” chiamai. “E
c'è Arizona, in soggiorno” aggiunsi con tono più basso, uscendo
nell'ingresso.
Lei mi sorrise, entrando in soggiorno
subito dopo.
“Arizona” la salutò.
“Signora Torres” ricambiò lei con
un sorriso.
Mamma le si sedette affianco. Non avevo
mai capito come fossero riuscite a trovarsi subito così a loro agio
l'una con l'altra. A volte, giuro, sembrava che avessero la stessa
età, o addirittura che fossero amiche di vecchia data.
Qualche volta mia madre le aveva anche
fatto domande imbarazzanti, per esempio una volta le aveva chiesto,
così, dal niente, di quella sua ex ragazza di cui Aria le aveva
parlato.
E, nonostante questo, non ero pronta a
quello che stava per arrivare a quel punto.
“Allora, cara, come è andata ieri
sera? Avrei voluto chiedere a Callie, ma sapevo che non mi avrebbe
detto niente. Beh, perlomeno Aria non mi dice mai niente dei suoi
appuntamenti, e di certo non vorrei parlarne con uno dei suoi
ragazzi. Ma ho pensato che magari tu avresti potuto raccontarmi
qualcosa.”
Arizona spalancò leggermente la bocca.
Io diventai profondamente rossa.
“Mamma” mi lamentai, piagnucolando.
“Cosa c'è?” mi chiese con aria
indifferente. “Volevo solo sapere come è andata.”
Io feci una smorfia. “Ti prego mamma,
potresti solo...” indicai le scale con gli occhi.
“Ok, ok” mi assecondò lei,
sbuffando, ma alzandosi.
Arizona si affrettò ad alzarsi a sua
volta. “È...andata molto bene, signora Torres. È gentile da parte
sua aver domandato.”
Mia madre le appoggiò una mano sulla
spalla. “Buonanotte, Arizona” le sorrise come se fosse la cosa
più naturale del mondo.
Non credo che sarò mai in grado di
dire quanto quel sorriso fu importante, per me.
A quel punto rientrò anche mio padre,
che prima stava probabilmente parcheggiando l'auto in garage.
Mia madre lo portò al piano superiore,
senza aggiungere altro.
“Non mi avevi detto...”
“Non ci sto ancora credendo.”
“Sembra che l'abbia presa bene.”
“Non sembri sorpresa.”
“Non lo sono. Tua madre ti vuole
bene, Calliope. Farebbe qualsiasi cosa per te. E questo è compreso,
a quanto pare.”
Mi sorrise.
Dopo averla accompagnata alla porta e
averle dato la buonanotte entrai in cucina, trovando mia madre seduta
a leggere della posta.
“Volevo ringraziarti” iniziai,
attirando la sua attenzione. “So che per te è difficile. E so che
le cose non saranno mai semplici tra te e me, come lo sono per te con
Aria. Ma voglio ringraziarti, perché vedo quanto duramente ci stai
provando.”
Lei si tolse gli occhiali da lettura,
osservandomi per un momento.
“A dire la verità è più facile di
ciò che mi ero anticipata. Forse è perché Arizona è una così
brava ragazza...Potrebbe benissimo far parte della famiglia.” Mi
sorrise. “E per me non ci sono differenze tra te e tua sorella,
Calliope.”
Con le lacrime agli occhi, la
abbracciai.
Fatemi sapere che ne pensate! Alla prossima!
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