Against All Odds

di Herm735
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** È tutto qui ***
Capitolo 2: *** Montagne russe ***
Capitolo 3: *** Tim ***
Capitolo 4: *** Appuntamenti ***
Capitolo 5: *** Incertezza ***
Capitolo 6: *** Le mie mani ***
Capitolo 7: *** Niente più gruppo ***



Capitolo 1
*** È tutto qui ***


Quando Callie Torres si trasferisce da Miami ad un paesino vicino Seattle le prime ragazze con cui stringe amicizia fanno parte della squadra di calcetto femminile del suo liceo, un mondo da cui Callie è subito affascinata. Liceo, primi amori, calcetto e Calzona.





È tutto qui

Dicono che è tutto qui.
Dicono che ogni tanto bisogna guardarsi attorno e cercare di memorizzare ogni dettaglio che ci circonda.
E c'è un motivo.
Il motivo è che è davvero tutto qui.
Ma non è sempre un male, non si intende sempre in senso negativo.
Alcune volte, è tutto solo qui. Da nessun'altra parte.
Esiste. Ciò che vogliamo, esiste. Da qualche parte, in questo mondo, ciò che stiamo disperatamente cercando dal giorno in cui siamo nati, esiste.

Sfiorai il muro che avevo davanti, tentando di imprimermi nella memoria la mia camera nei minimi dettagli.
Avrei mentito se avessi detto che quel posto mi sarebbe mancato.
Miami non mi sarebbe mancata, neanche un po'.
Era piena di tizi abbronzati insieme a ragazze in minigonna, che se ne andavano in giro cercando di far vedere a tutti quanto si sentissero importanti. Non sopportavo nessuna delle due categorie.
E, poco ma sicuro, non mi sarebbe mancata la mia camera. Qualsiasi altro posto con un paio di prese elettriche ed un bagno abbastanza grande, sarebbe stato perfetto come nuova camera da letto, per me.
Non avevo amici che mi sarebbero mancati.
Non avevo mai tenuto a nessuno abbastanza da sentirmi in obbligo di dire addio.
Miami era una città emotivamente priva di legami, per me.
Beh, ovviamente, avevo solo diciassette anni.
Mia sorella Aria non sembrava pensarla allo stesso modo. Tutta la sua vita, i suoi amici, il suo ragazzo, tutto era lì a Miami.
Non sembrava essere importante, secondo lei, il fatto che avrebbe dovuto comunque lasciare la città un anno dopo per andare al college.
A quanto ricordo, tutto ciò di cui era convinta era che la sua vita fosse finita.
Come facevo a saperlo?
“La mia vita è finita” mi ricordò entrando nella mia vecchia camera da letto.
“Già” risposi distrattamente.
Ecco come potevo esserne sicura.
Mia sorella aveva le lacrime agli occhi, il giorno che lasciammo la casa in cui eravamo nate e cresciute.
Non feci ritorno a Miami per molto tempo. Quel giorno, io e la mia famiglia, ci trasferimmo definitivamente in un paesino vicino Seattle.
La mia nuova camera da letto era più grande di quella che avevo nella vecchia casa. E, quando Aria vide quanto era grande la sua, sembrò completamente dimenticarsi di Miami, degli amici, del suo ragazzo.
Mia sorella era più grande di me di quindici, imperdonabili, mesi. Avrei voluto essere io la più grande, ma sfortunatamente dovevo sopportare il peso dell'essere nata quindici stupidi mesi dopo, lasciando che lei fosse sempre quella al comando. Quello sarebbe stato il suo ultimo anno di scuola superiore, ed il mio penultimo.
Il quartiere in cui ci eravamo trasferiti non era troppo lontano dalla scuola.
Sembravano esserci molti altri ragazzi nel vicinato, ma io, come al solito, preferivo stare da sola, non avere problemi, non avere amici.
Appena arrivati trovammo tutti gli scatoloni nel corridoio del primo piano, ma ci preoccupammo di distribuirli nelle varie stanze solo la mattina del giorno successivo.
Circa due ore dopo che avevamo finito di smistare gli scatoloni, indossai dei pantaloni corti ma larghi, mi allacciai le scarpette da ginnastica, ed uscii di casa.
Aria non aveva mai capito cosa ci trovassi di così interessante nel correre.
Scacciai il pensiero di mia sorella, capace di innervosirmi anche a metri e metri di distanza, e, dopo un breve riscaldamento, iniziai a correre.
Avevo le cuffie. Un'abitudine dura a morire.
Correndo ebbi modo di osservare il quartiere. La nostra era, ad occhio e croce, grande quanto tutte le altre case.
Mentre correvo, cercai di isolare fuori tutti i pensieri indesiderati di quella settimana. Il fatto che ci eravamo trasferiti. Il fatto che mio padre avesse accettato un nuovo lavoro che lo avrebbe tenuto impegnato ancora più del precedente e probabilmente ancora più ore lontano da casa. Il fatto che l'ultimo film di Julia Roberts fosse stato un totale ed incondizionato fiasco.
Insomma, fu una settimana difficile, ma correre mi rilassò.
Dopo una ventina di minuti decisi di essere pronta a tornare indietro.
Già da lontano, vidi che nel giardino della casa affianco alla nostra c'era qualcuno. Erano indubbiamente giovani. Ragazze, se i miei undici decimi di vista non mi ingannavano.
Decisi di mantenere un profilo basso e ignorarle.
Cercai di non farmi notare.
Ma, ovviamente, ogni piccolo quartiere è come un piccolo paese. Non accade niente che passi inosservato all'occhio sempre attento dei vicini.
Erano tre ragazze, come avevo ipotizzato. Erano sedute sull'erba, parlando tra di loro in maniera sporadica.
Furono stupite dal vedermi rallentare in loro prossimità. Io tentai di non insospettirle, togliendomi le cuffie e sorpassando il vialetto della casa senza una seconda occhiata indietro.
Mi videro fermarmi del tutto davanti al vialetto di casa mia. Mi incamminai su di esso, tentando di ignorare il fatto che mi stessero guardando.
“Ehi” cercò di attirare la mia attenzione una delle ragazze, alzandosi e venendomi incontro dall'altro lato della siepe alta circa un metro. “Sei la figlia della coppia che ha comprato questa casa?” mi chiese genuinamente curiosa.
Io accennai un sorriso. “Callie Torres.”
“Meredith Grey” rispose subito lei, tendendomi la mano.
Mi pulii la mano sudata sui calzoncini, stringendo la sua subito dopo.
“Lei è mia sorella Lexie, lei è Cristina” disse, indicando le altre due ragazze sedute con lei sull'erba.
Io le salutai con un sorriso.
“Siete al liceo anche voi? Io sono al penultimo anno.”
Non riuscii a pensare a niente di più intelligente da dire.
“Anche io e Cristina. Lexie è un anno più piccola.”
Io annuii di nuovo.
“Allora, una corsa a quest'ora. Avevi dello stress da smaltire o sei una sportiva?” chiese Cristina, con fare molto diretto.
“Entrambe” risposi io, sorridendo di nuovo timidamente. “Ci siamo trasferiti da Miami, quindi non è stato semplice, direi anzi un bell'accumulo di stress. E ho una piccola passione per il calcio.”
“Davvero?” Meredith si interessò subito. “Io e Cristina eravamo nella squadra della scuola l'anno scorso.”
“Avete una squadra femminile a scuola?”
Lei annuì. “In che ruolo giochi?”
Feci spallucce. “Non ho un vero e proprio ruolo. Ma preferisco in attacco.”
“Magari ti piacerebbe unirti a noi. Avevamo in programma una partita questo pomeriggio, ma ci manca un giocatore” mi invitò Cristina.
Guardai Meredith, assicurandomi che per lei non fosse un problema. Mi sorrise, annuendo.
Io ricambiai il sorriso. “Mi piacerebbe.”
“Facciamo così, io e Cristina ci cambiamo, visto che tu sei già pronta, e andiamo al campetto con qualche minuto di anticipo, così ti facciamo vedere com'è. Giochiamo per un'ora, cinque contro cinque, poi ti riaccompagno a casa. Se la nostra compagnia non ti avrà ancora stufato, questa sera andiamo a prendere una pizza con le altre ragazze. Faresti conoscenza con qualcuno del nostro stesso anno.”
“Mi farebbe piacere.”
Entrai in casa, posando il cellulare e le cuffie. Dissi a mia madre che un paio di ragazze mi avevano invitato ad una partita di allenamento e le dissi che sarei tornata più tardi. La salutai velocemente ed uscii. L'espressione scioccata che aveva quando le dissi che avevo già conosciuto qualcuno della mia età mi fece piuttosto irritare.
Circa un quarto d'ora dopo io, Cristina e Meredith – che aveva guidato – eravamo dentro un piccolo campo perfetto per le partitelle cinque contro cinque.
“Ok, Callie. Abbiamo bisogno che tu ci sappia fare. C'è questa ragazza, irritante in un modo quasi fuori dal normale, che riesce sempre ad essere la migliore. Un talento naturale. Lei ed il calcio sono stati inventati dalla stessa persona” mi raccontò Cristina mentre si riallacciava le scarpe. “Quindi, ho bisogno che quest'anno ci sia qualcuno più bravo di lei.”
Le avevo viste giocare solo per due minuti, dalla panchina in cui stavo posando la borsa, ma due minuti mi erano bastati.
Le sorrisi. “Centrocampista sinistro. Ho indovinato?” Cristina mi guardò un po' stupita. “E tu sei il destro” aggiunsi, guardando Meredith. “Siete veloci e brave a controllare la palla.”
Entrambe annuirono.
“Cavolo. Se sei brava sul campo quanto lo sei con la teoria...” Meredith lasciò la frase in sospeso, un sorrisetto soddisfatto le aleggiava sulle labbra.
“Ehi ragazze” le salutò Lexie. Io la guardai, perplessa. “Sono venuta con April” mi spiegò, indicando la ragazza con lei.
La rossa mi salutò con un cenno della mano.
“Ok, Callie, le squadre sono un tantino...diciamo epiche. Siamo molto competitive. Perché la piccola Lexie-pedia, è un centrale sinistro, come me, mentre April, destro, come Mer” mi fece sapere subito Cristina.
“Nella nostra squadra” continuò Meredith “gioca anche lei” disse indicando con un cenno della testa una ragazza che stava arrivando.
“Miranda” la salutò April allegramente.
Lei alzò una mano nella sua direzione. “Non iniziare ad irritarmi, non sono neanche arrivata, ancora, Kepner” poi si accorse della mia presenza. “Chi è la novellina?” chiese, tono piatto.
“Callie Torres” mi presentai.
Lei mi salutò con un gesto della testa.
“Penultimo anno anche tu?”
Io annuii.
“Ruolo?”
“Oggi, attaccante” intervenne Cristina.
“Oh, davvero? Beh, sei fortunata ad essere nella mia squadra, allora” mi fece sapere, tirando fuori dalla borsa un paio di guanti da portiere.
Io deglutii. La ragazza davvero sapeva come fare paura.
“In porta è la migliore” mi fece sapere Meredith. “Dovevamo bilanciare le squadre, visto che loro hanno il Capitano.”
Io aggrottai la fronte. In quel momento arrivarono altre tre ragazze, due bionde ed una rossa.
“Salve ragazze” salutò una delle bionde. “Tu devi essere la nuova. Piacere, Izzie Stevens.”
Le strinsi la mano.
“Non prendertela quando il Capitano ti farà sfigurare così tanto che non vorrai più uscire di casa, è solo che lei, sai, è fatta così” continuò la rossa. “Addison Montgomery” si presentò dopo.
“Non ascoltarla” mi fece sapere l'altra ragazza. “Teddy. Altman.”
Strinsi anche la sua mano.
“Allora, chi è questo capitano che semina così tanto terrore?” chiesi, incuriosita.
“Sarei io” una voce mi fece voltare.
Una ragazza, probabilmente la mia stessa età, bionda, calzoncini neri simili ai miei, maglietta bianca in contrasto con quella rossa che stavo indossando quel giorno, capelli legati. Per un secondo non riuscii a pensare.
Quella ragazza mi aveva tolto il fiato.
Anche se, è giusto dirlo, la stessa cosa feci io a lei.
Ci osservammo in silenzio per qualche secondo, prima che il mondo ricominciasse a scorrere.
“Allora, Callie, le squadre sono queste – e rassegnati al fatto che rimarranno sempre queste in allenamento. Noi abbiamo Miranda in porta, Addison come difensore, io a destra, Cristina a sinistra e adesso te in attacco. Loro hanno Izzie in porta, Lexie a sinistra, April a destra, Teddy dietro in difesa e...”
“...e il capitano in attacco” conclusi.
Meredith annuì.
“Non preoccuparti se per oggi farai schifo. Non ti butteremo fuori. Almeno non subito.”
Risi della schiettezza di Cristina.
Qualche minuto dopo eravamo pronti ad iniziare la partita.
Mi trovai al centro del campo, faccia a faccia con il Capitano. Tra di noi, solo un pallone ed una riga bianca sull'erba. Nient'altro.
“Callie Torres.”
Le tesi la mano. Lei, senza esitazione, e senza distogliere gli occhi dai miei, la prese.
“Arizona Robbins.”
“Ricapitolando, la palla è questa cosa tonda, e devi fare goal in quella porta. Tutto chiaro?” mi prese in giro Addison.
Io le sorrisi, abbastanza sicura di me. “Farò del mio meglio per tenerlo a mente” le risposi, voltandomi verso Arizona nuovamente.
“Inizia pure” mi offrì, facendo un passo indietro.
Cristina mi si avvicinò, pronta a dare il calcio di inizio.
Io mi voltai, dando le spalle ai miei avversari e facendole cenno di avvicinarsi.
Le sussurrai qualcosa, lei annuì, perplessa.
“Sei pazza. Completamente” mi comunicò. “Mi piace.”
Ricambiai il mezzo sorriso che mi stava offrendo.
Cristina fece ciò che le avevo chiesto. Batté il calcio d'inizio, passandomi la palla tra i piedi. Io ero leggermente spostata a destra rispetto al centro del campo. Nessuno mi venne incontro, come avevo previsto, visto che ero la povera, nuova ragazza. La visuale era completamente libera, il campo da cinque molto piccolo. Neanche dieci metri da dove mi trovavo alla porta. Allungai la palla in avanti, superando di neanche mezzo passo la linea di metà campo, visto che i goal segnati dalla propria metà campo non sono validi nel calcetto. Izzie Stevens non si mosse neanche, quando la palla le passò affianco ed entrò nella porta, dandoci il primo goal di vantaggio.
Mi voltai verso Addison.
“Non riesco a ricordare. Era quella la porta giusta?”
“Se fossi il tipo di persona che tocca la gente, adesso ti abbraccerei” mi fece sapere estasiata Cristina.
Arizona si fece avanti, preparandosi a battere dal centro.
“Impressionante. Ma quello è solo un trucco. Perché non vediamo come te la cavi quando si gioca davvero?”
Io non mi feci scoraggiare, mostrandole un piccolo sorriso compiaciuto.
“Qualsiasi cosa tu voglia.”
Lei ricambiò il sorriso provocatorio, battendo la palla verso April.
La ragazza era veloce, ma ancora inesperta. In un secondo riuscii a rubarle il pallone, lanciando Meredith verso la porta. Lei si trovò ad affrontare Teddy in un uno contro uno, che evitò grazie a Cristina, completamente libera, che ricevette un passaggio dall'altra parte del piccolo campo. Anticipando l'intervento difensivo di Arizona effettuò un cross al centro. Io segnai, di testa, il secondo goal della partita.
“Così è abbastanza vero?” chiesi ad Arizona, passandole accanto. Le sorrisi, facendole sapere che la stavo solo provocando.
Lei annuì.
“D'accordo. Iniziamo a fare sul serio, allora.”
C'era un motivo per cui Arizona Robbins veniva chiamata il Capitano, anche quando si trattava solo di una partitella come quella.
Lo capii quando riuscì a scartare con facilità prima Cristina, poi Meredith ed infine Addison, tre giocatrici niente male, portandosi in porta, e segnando con una precisione quasi surreale.
“Abbiamo fatto arrabbiare mammina” commentò Cristina ad alta voce.
“Ah. Ho appena iniziato. 2-1” ci ricordò, passandomi il pallone. “Palla vostra.”
Quella volta fui io a battere, passando il pallone a Meredith, che scartò Lexie con facilità, passandomi la palla. Mi trovai davanti Teddy. Esitai solo per un secondo, decidendo poi di lanciarmi nell'uno contro uno, dove non riuscii a saltare Teddy. Aveva fatto un lavoro dannatamente buono, bloccandomi tutte le vie d'uscita. Poi la sentii arrivare. Arizona stava raddoppiando la marcatura.
Perfetto, pensai.
Appena fui sicura che fosse abbastanza vicina da non intralciare Cristina, feci scivolare la palla all'indietro, tenendola sotto la pianta del piede. Quando la sentii attaccarmi, calciai lateralmente, facendole prendere il vuoto. La palla scivolò verso Cristina, che non perse tempo nell'andare a rete.
Izzie non era una giocatrice a livello della squadra, chiunque lo avrebbe notato. Forse non prendeva il calcio seriamente, o forse era solo nuova. Non avrei saputo dirlo, allora.
“Come hai fatto a sapere che ero dietro di te?” mi chiese, sinceramente affascinata.
Io le sorrisi. “Puro e semplice istinto.”
Quando Teddy e Arizona si furono scaldate sul serio, tirarono fuori qualche azione davvero sbalorditiva, così come Meredith e Cristina. Io tendevo a giocare più da sola. Non ero ancora abituata all'idea di una squadra.
Mi piaceva il modo perfetto di Addison di stare in difesa. Rimaneva sempre a proteggere la porta, salendo solo quando sembrava capire che stavo disperatamente cercando di passare la palla a qualcuno che non fosse marcato. Io e la rossa sviluppammo da subito una certa sintonia. Niente a che vedere con ciò che successe nella nostra prima partita a nove. Ma quello fu solo diversi giorni dopo.
La partitella finì 9-7.
Io avevo segnato sei goal, due Cristina, uno Meredith. E Arizona ne aveva segnati sette, tutti quelli della sua squadra.
Sapevo bene che l'unico motivo per cui avevamo vinto era che Miranda era formidabile tra i pali, altrimenti Arizona avrebbe segnato almeno una decina di goal.
“Beh, bella partita. È stato un piacere giocare con voi” dissi loro, cercando di apparire gentile e di scrollarmi di dosso l'insicurezza che mi seguiva ovunque non avessi tra i piedi un pallone.
“Ehi, woh-woh-woh. È stato un piacere?” ripeté Cristina. “Non pensarci nemmeno, Rockstar. Tu sei la mia nuova punta, quindi vedi di non usare tempo al passato” mi corresse immediatamente.
“Ovviamente intende nostra nuova punta. Cristina ha un concetto di proprietà molto...particolare” tentò di farmi capire Addison.
Rockstar era la sfortunata scritta che avevo sul retro della maglietta rossa che stavo indossando quel giorno.
Perché sfortunata?
Perché Cristina continuò a chiamarmi Rockstar. Per molto, molto, molto tempo.
“Bella partita” mi sussurrò Arizona Robbins, passandomi accanto e camminando all'indietro per guardarmi negli occhi.
Io annuii sorridendole con incertezza. “Non sono neanche all'altezza del paragone” le risposi con una sincera scrollata di spalle.
“Per ora” sussurrò lei in risposta.
“Ok, allora, la squadra della scuola ha undici titolari e quattro riserve” iniziò a spiegarmi Cristina.
“L'anno scorso l'allenatore si ostinava a far giocare le ragazze dell'ultimo e del penultimo anno anche se erano incapaci, mettendo in campo solo Arizona anche se era più piccola, e facendole fare il capitano. Abbiamo perso il campionato anche se Arizona ha giocato alcune partite fenomenali. Ma quest'anno la storia sarà diversa. Abbiamo una nuova allenatrice, e Lexie, April e Izzie si uniranno alla squadra. Senza contare che la seconda punta l'anno scorso era una specie di elfo alta circa mezzo metro e veloce quanto un bradipo” continuò schiettamente Miranda.
“Mentre tu, mia carissima, carissima Callie” mi disse Addison passandomi un braccio attorno alle spalle “ci hai fatto vincere una partita contro il Capitano.”
“Partitella” la corresse Arizona.
“Come ti pare. Abbiamo comunque vinto” replicò la rossa, continuando a camminare con un braccio attorno alle mie spalle.
“Allora, stasera casa Grey? I genitori di Mer e Lexie-pedia sono fuori città” propose Cristina.
Ci fu qualche assenso.
“Verranno anche Derek e i suoi amichetti senza cervello?” chiese Addison.
“Probabilmente” rispose Meredith con una scrollata di spalle.
“Allora credo che io passerò.”
“Oh, Addison ha una cotta per Sloan. Quanto sei carina, Addie” la prese in giro Teddy.
“Io non ho affatto...”
“Ok, andiamo, tanto stasera verrai, che tu lo voglia o no. Non mi lascerai da sola con Alex, e sappiamo che quella è la fine che farò se non ci sarai tu, visto che ad un certo punto Teddy e Henry spariranno misteriosamente come succede sempre” replicò Arizona.
“Cosa? Io e Henry non...”
“Sì, sì, risparmiatelo” la zittì Cristina. “Allora, Star, sei dentro?”
“Perché no” risposi distrattamente.
Non sapevo chi fosse questo Alex con cui Arizona non voleva rimanere sola, ma non mi piaceva.
Lentamente le altre uscirono dal campo di calcio.
Io mi guardai attorno, pensando che quello era esattamente il posto in cui avrei voluto passare la maggior parte del tempo.
“Callie, andiamo!”
Con un sorriso, mi voltai e seguii Addison.

Dicono che è tutto qui.
E forse hanno ragione.
A volte trovi quello che stavi cercando in un posto in cui non ti saresti mai aspettata di poterlo trovare.
Come al centro esatto di un campo di calcio.
Però è tutto qui. Esiste. C'è.
Tutto ciò che dobbiamo fare è tenere gli occhi aperti e non lasciare che ci passi davanti agli occhi senza che neanche ci lasci provare a prenderlo.
È tutto esattamente qui. Solo e soltanto qui.





Fatemi sapere cosa ne pensate!



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Capitolo 2
*** Montagne russe ***




Ecco il secondo capitolo, spero vi piaccia.

Buona lettura!





Montagne russe



Entrai in casa di Meredith, e la festa doveva essere già iniziata da un po'.
Non c'erano più di una ventina di persone, ma la musica alta e il fatto che fossimo tutti in salotto, faceva sembrare la casa molto più affollata.
Ero arrivata insieme a Cristina e Addison, che si erano offerte di passarmi a chiamare prima di entrare, avendo immediatamente capito che la timidezza era un serio problema della mia personalità.
“Allora, ci siamo solo noi che eravamo al campo oggi, e alcuni ragazzi. Attenta a chi metti gli occhi addosso, perché sono quasi tutti presi” mi aggiornò Addison, mentre entravamo e lasciavamo i giacchetti sul letto di una piccola camera vicino al salotto. “Derek, il tizio che sta parlando con Meredith, è il suo fidanzato. Il rosso sta con Cristina” mi indicò con un cenno della testa un tipo alto, che parlava con un altro paio di ragazzi. “Si chiama Owen.”
“Il tizio dalla testa rasata che è con lui si chiama Alex” continuò Cristina. “Ha una cotta per Arizona, ma lei non è interessata. La povera April è innamorata di lui, ma tutti la prendono in giro da quando si è sparsa la voce che è ancora vergine. Il ragazzo di colore, Jackson, sta insieme a Lexie, mentre Henry è quello che in questo momento sta parlando con Teddy. È il suo migliore amico. Così dicono loro, comunque.”
“E chi è lui?” chiesi notando un ragazzo al telefono in un angolo della stanza.
“Lui è Mark Sloan. Proprietà di Addison è scritto sul suo cranio, ma non ha uno specchio, quindi non è ancora riuscito a rendersene conto” la prese in giro Cristina.
“Cristina, quante volte devo ripetertelo? Siamo solo amici.”
Io risi.
Vidi Arizona che ci si avvicinava.
“Ho bisogno di allontanarmi da Alex” sussurrò.
“Stavo andando da Owen” rispose Cristina dileguandosi.
“Mark è solo” aggiunse Addison, sparendo immediatamente dopo.
Lei scrollò le spalle, mettendomi una mano sulla schiena e portandomi fuori.
Io, non so molto bene perché, lasciai che lo facesse.
Si richiuse la porta alle spalle.
“Allora, Meredith ha detto che vi siete trasferiti da Miami. Deve essere stato un duro colpo lasciare tutto. Amici, compagni di scuola...un fidanzato, forse?”
Io risi.
“Callie!” sentii chiamare una voce familiare.
“Eli!”
Eli era il figlio della sorella di mio padre. Mio cugino. E, sfortunatamente, questo significava che era anche il cugino di Aria.
Lo vidi avvicinarsi con Miranda da un lato e mia sorella dall'altro.
Lo abbracciai.
“Miranda, lei è la sorella di Aria, mia cugina...”
“Callie” mi salutò Miranda accennando un sorriso. “Lei è la nostra nuova punta.”
“Cosa? Sarebbe lei quella di cui hai parlato per tutto il pomeriggio?”
Lei annuì.
In quel momento notai le loro mani unite.
Sorrisi, annuendo in direzione di mio cugino. “Bella mossa, amico. In porta riesce a fare ogni tipo di miracolo.”
Lui ricambiò il sorriso. “Lo so” sussurrò, passandole un braccio sulle spalle.
“Allora, entriamo a questa festa o rimaniamo fuori?” chiese Aria, spazientita dal legame speciale che avevo con mio cugino.
Io guardai Arizona.
“Andate pure. Volevamo prendere una boccata d'aria fresca” risposi.
Aria guardò Arizona, presentandosi. “Aria Torres.”
“Arizona Robbins.”
“Non vorrei sembrarti rude, ma...perché stai con mia sorella? Hai perso una scommessa?” chiese, guadagnandosi un mio colpo sulla spalla.
“Direi piuttosto che l'ho vinta” rispose lei, difendendomi. Non avevo capito bene perché lo avesse fatto.
Aria rise. “Ok, certo. Forse non stiamo parlando della stessa persona. Calliope, giusto?” chiese, indicandomi.
Io avrei voluto sotterrarmi.
“Aria, sai che lo odio.”
Eli la colpì su un braccio, non molto forte. “Devi essere sempre così cattiva con lei?”
Aria sospirò. “Scusa. Non ti chiamerò più in quel modo. So quanto ti dà fastidio.”
Io annuii, sapendo che non avrebbe mai e poi mai smesso di chiamarmi in quel modo, a meno che non fossi diventata amica di qualcuno che le piaceva e che avesse quindi bisogno di non farmi arrabbiare.
Eli e Aria entrarono.
“Non mi piace tua sorella” sussurrò Miranda, seguendoli subito dopo all'interno.
Ci fu qualche secondo di silenzio.
“Allora...Calliope. É un bellissimo nome.”
Il modo in cui lo pronunciò mi fece smettere di respirare per un momento.
“Sei la prima persona abbastanza gentile da fare almeno finta che il mio nome non ti faccia venir voglia di ridere.”
“Non c'è niente di spiritoso, è il nome di una musa. Lei dalla bella voce.”
“Sei appassionata di mitologia?”
“Un po'. È un segno, non credi?”
Guardai dentro gli occhi più azzurri che avessi mai visto e per un istante mi chiesi se non ci fosse un significato più profondo dietro quelle parole e l'implicazione di un legame che andava oltre la semplice amicizia.
Mi scrollai il pensiero di dosso. Non era possibile.
“Decisamente un segno” sussurrai distrattamente, distogliendo lo sguardo.
“Ehi Arizona.”
Un ragazzo abbastanza basso e mingherlino si avvicinò alla casa.
“George” lo salutò allegramente Arizona.
“Meredith e Izzie sono dentro?” chiese.
Il suo sguardo si spostò su di me e lo vidi fissarmi imbambolato per qualche momento.
Arizona si schiarì la voce.
“George, stai sbavando.”
Lui ignorò il commento di Arizona, porgendomi la mano.
“George.”
“Callie” sorrisi in modo impacciato.
“Non ti ho mai visto da queste parti” osservò.
“Mi sono appena trasferita.”
Lui annuì. “Allora, che ci fate qui fuori?”
Arizona scrollò le spalle. “Alex aveva ricominciato con la stessa storia di sempre. Non ne posso davvero più” spiegò con un sospiro.
“Che storia?” chiesi.
George guardò Arizona, che sembrava improvvisamente profondamente interessata alle sue scarpe.
“Beh, vi lascerò a discuterne” con un'ultima occhiata nella mia direzione si dileguò all'interno della casa.
Io lo seguii con lo sguardo finché non chiuse la porta, poi mi voltai di nuovo verso Arizona, accorgendomi solo in quel momento che lei mi aveva osservato per tutto il tempo.
“Allora, vuoi raccontarmi questa storia?”
“É una lunga storia” mi avvertì lei.
Io scrollai le spalle. “Abbiamo un sacco di tempo.”
“Ma è anche molto complicata. E in genere non ne parlo con persone che ho appena conosciuto” replicò a bassa voce.
“Ok” risposi con una scrollata di spalle.
Rimanemmo in silenzio, a quel punto. Ma non era un silenzio strano, di quelli imbarazzanti. Era solo che non avevamo bisogno di dire niente.
“Ti va di fare una passeggiata?” chiese improvvisamente.
“Certo” acconsentii.
“Perfetto. Prendo il giacchetto.”
Annuii, alzandomi. La aspettai sul portico e neanche una ventina di secondi dopo mi aveva raggiunto fuori, indossando il proprio giacchetto e tenendo due birre in mano. Me ne porse una. Io accettai, senza farle sapere che di solito non bevevo.
Iniziammo a camminare nella direzione opposta rispetto a casa mia.
“Allora...stavamo parlando di Miami se non ricordo male. Di un fidanzato?” chiese cercando di suonare casuale.
“Nessun fidanzato. Pochi amici. Nessuno di loro era importante in ogni caso. Mia sorella è quella che se ne va in giro a lamentarsi in realtà. Io sto bene. Non mi è importato molto del trasferimento, a dire la verità. Non credo che cambierà niente. Continuerò ad essere la ragazza che si siede in fondo alla classe e non dice mai una parola.”
“Problemi di timidezza?”
Io la guardai facendole capire che era impossibile non notarlo. “E di autostima” aggiunsi. “E un altro paio di problemi che sicuramente dovrei evitare di raccontare a qualcuno che non conosco” aggiunsi più tristemente.
“Non sarebbe saggio” concordò. Poi prese un sorso della sua birra. “Dimmi, Calliope, sei una persona saggia?”
“La maggior parte del tempo” risposi indecisa su cosa avrei dovuto fare con la bottiglia che avevo in mano. “Probabilmente una persona saggia ti direbbe 'io non bevo birra' invece di fingere di avere un'esperienza diversa da quella che ha. Mi dispiace.”
Le porsi la bottiglia. Lei accettò con un cipiglio serio, ingoiando il sorso che aveva preso e facendo una smorfia.
“Grazie a Dio. Non sopporto il sapore di questa roba. Stavo cercando di fare colpo.”
Gettò entrambe le bottiglie nel primo cassettone che incontrammo.
“Cercavi di fare colpo?” chiesi ridendo piano.
“Già. Pensavo che nella tua vecchia scuola fossi molto popolare.”
Io risi di gusto. “Scherzi vero? Per essere popolare nella mia vecchia scuola avrei dovuto vestirmi come Aria. Quindi praticamente non vestirmi. Non nel mio stile, affatto. No, io probabilmente ero la persona meno popolare del liceo.”
“Di solito gli sportivi sono popolari.”
“Oh, io non facevo parte di una squadra della scuola, l'unico sport era il football. Maschile.”
Lei annuì.
Entrambe rimanemmo concentrate sui nostri pensieri, finché, dopo aver fatto il giro dell'isolato, ci trovammo di nuovo davanti a casa di Meredith.
C'erano due ragazzi fuori, sul portico, che stavano discutendo con Cristina e Meredith.
“Senti, ti ho detto di andare a casa, va bene? Sei ubriaco, Alex. Vattene.”
“Ma tu che ne sai O'Malley? Non sai nemmeno che significa bere sul serio.”
“Piantala Alex, sul serio” lo ammonì Meredith. “Hai bevuto. È ora che tu torni a casa.”
“Al diavolo” sussurrò lui, voltandosi. Fu allora che si accorsero di noi.
Arizona si irrigidì.
“Chi è la tua amica, Robbins? Oh, aspetta” si avvicinò di qualche passo. “Non dirmi che hai finalmente trovato una ragazza che giochi per la tua squadra.”
Io lo guardai, perplessa.
“Oh, non dirmi che non lo sai” continuò.
“Karev” tentò di farlo tacere.
“Arizona, non dirmi che non le hai detto il tuo piccolo sporco segreto. Tanto lo scoprirà comunque a scuola. La gente ne parla ancora, sai?” le ricordò con una punta di umorismo. “Da quando la tua ragazza ti ha mollato...”
“Vai al diavolo, Alex. Non era la mia ragazza e non mi ha mollato.”
“Non era la tua ragazza? Bella, i suoi l'hanno mandata in una scuola cattolica dopo che vi avevano beccato a pomiciare in camera sua. Col cavolo che non era la tua ragazza.”
“Ok, questo è oltre il limite Alex” Cristina lo afferrò per le spalle, spintonandolo fino in strada. “E adesso vattene. Vai via. Subito.”
Arizona scosse la testa, sospirando, ed entrò dentro la casa di Meredith.
Lasciai che se ne andasse.
Non avrei saputo che altro dire o fare.
Così la lasciai andare.

La mattina dopo mi svegliai presto dopo aver fatto un sogno piuttosto strano.
Ero nervosa. Ero distratta.
Così mi vestii e andai a correre. Mi aiutava a schiarirmi le idee.
Cercai di trovare risposta ad alcune delle domande che continuavano a ronzarmi nella testa.
Come avevo preso la notizia che Arizona avrebbe potuto essere interessata alle ragazze?
Non lo sapevo ancora.
Come avevo preso la notizia che io avrei potuto essere interessata alle ragazze?
Non bene.
Soprattutto all'inizio.
Avevo vissuto per un sacco di tempo in piena fase di negazione.
Ma alla fine, perfino io avevo capito cosa stava succedendo. Nonostante la mia esperienza pari a zero nelle relazioni interpersonali.
Avevo capito che le farfalle allo stomaco che provavo quando parlavo con una ragazza, già, quella non era esattamente amicizia. Più qualcosa sulla linea di 'attrazione'.
Quello era stato durante il mio primo anno di liceo.
Poi avevo dovuto farci i conti. E neanche quella parte era stata esattamente una passeggiata. All'inizio avevo pensato che avrei anche solo potuto ignorarlo per il resto della mia vita. Finché mi ero resa conto che era meglio essere me stessa che essere qualcuno che non conoscevo e non avrei voluto essere. Avevo capito che la mia famiglia molto cattolica non aveva il diritto di zittire una parte così importante di me. Avevo capito che non si può ignorare questo genere di cose, finiranno solo per crescere e crescere, finché non occuperanno una parte così grande del tuo cervello da minacciare di farlo scoppiare.
Ed era stato allora che mi ero chiusa in me stessa. Già prima ero molto riservata, avevo pochi amici, andavo bene a scuola. Ma dopo, dopo non avevo più amici se non quelli con cui studiavo di tanto in tanto, preferivo passare il mio tempo da sola.
Avevo paura che chiunque si fosse avvicinato abbastanza a me da conoscermi davvero, sarebbe stato in grado di vedere improvvisamente quella parte di me che stavo tentando disperatamente di nascondere al mondo.
Ma forse, riflettei, avrei potuto trovare delle persone a cui non avrei dovuto necessariamente nasconderla. Persone che avrebbero capito.
Quando iniziò ad essere più caldo, troppo caldo per continuare a correre per molto ancora, decisi di tornare indietro.
Rallentai un paio di case prima della nostra. Dall'altra parte della strada, una ragazza dai capelli biondi stava parlando con un ragazzo biondo, più alto di lei di diversi centimetri.
L'aveva colpito sul petto con forza. Il ragazzo indietreggiò, subendo il colpo. Lei lo colpì di nuovo e lui le afferrò i polsi, bloccandola.
Lei gli disse qualcosa e poi scosse la testa, allontanandosi di scatto da lui.
Fu allora che mi vide.
E fu allora che notai le lacrime che le avevano riempito gli occhi.
Le feci un cenno con la testa, indicandole la mia destra.
Lei, senza dire neanche un parola al ragazzo, mi venne incontro.
“Vieni” le dissi solamente. Lei non rispose. Ma mi seguì.
La portai dentro casa mia e le mostrai la mia camera.
Si sedette sul letto, senza dire niente. Mi inginocchiai difronte a lei, cercando di afferrare il suo sguardo con il mio.
“Vuoi raccontarmi che è successo?”
Scosse la testa negativamente.
“D'accordo. Vuoi parlare di qualcosa?”
Fece di nuovo cenno di no.
“Ok, ti offrirei un abbraccio, ma ho appena corso e sono sudata, quindi non credo che sarebbe una buona idea. Ma forse potremmo...” pensai a cosa avrebbe fatto stare meglio me “...andare a fare un paio di tiri. Potresti insegnarmi qualcuna delle tue mosse.”
Lei finalmente mi guardò negli occhi.
Mi guardò a lungo e forse vide qualcosa nei miei occhi, nel modo in cui la guardavo, o dentro di me, perché sussurrò un debole assenso, prima che mi alzassi e le porgessi la mano. La accettò senza esitare.

Avevamo riso come non ricordavo di aver mai riso in vita mia.
Continuavamo a cadere a terra, visto che non ci stavamo impegnando nel rimanere concentrate, e continuavamo a ridere di tutto.
Alla fine, dopo l'ennesima caduta, nessuna delle due trovò la forza di rimettersi in piedi.
Così rimanemmo lì, in silenzio, a guardare il cielo.
“Non sei scappata.”
Io la guardai, confusa.
“Di solito la gente scappa. Quando la verità su di me viene fuori, la gente scappa.”
“Oh” sussurrai, afferrando ciò che stava tentando di dire.
Ma tu non sembri turbata dalla cosa. Sembra andarti bene. Ma come puoi notare ho aggiunto il sembra, perché a un sacco di persone sembra andar bene, finché non...”
“Dev'essere stato difficile” la bloccai, guardando di nuovo verso l'alto. “E deve essere ancora difficile.”
“Non sempre. Non con tutti.”
“Chi è scappato?” chiesi, tornando a guardarla.
Lei fece spallucce e distolse lo sguardo. “Alcuni dei miei più vecchi amici adesso non mi parlano più. Mia nonna pensa che i miei genitori siano impazziti per essere dalla mia parte. Uno dei miei professori ha cambiato totalmente atteggiamento nei miei confronti, costringendomi a cambiare corso e passare da biologia semplice al corso avanzato. La gente si allontana. Joanne...”
“La tua ragazza?” chiesi prima di riuscire a frenare la mia stupida lingua.
“Non era...” scosse la testa, continuando a guardare altrove. “Ma anche lei, sì. Se n'è andata senza lottare per rimanere. Le persone scelgono la strada più facile. E chi può dargli torto?”
“Io penso che abbiano torto” conclusi, sospirando. “La strada più difficile, il novantanove percento delle volte, è quella più bella. È quella che ti fa provare più emozioni, che ti fa arrivare più in basso che mai e più in alto che mai. È come andare sulle montagne russe. La maggior parte delle persone, scelgono quelle normali, perché si sentono più sicuri, perché quelle fanno meno paura. Cinque minuti, qualche curva, e tutto è finito. Ma c'è qualcuno che sceglie le montagne russe che vanno da zero a cento in due secondi. Anche se hanno paura, anche se il loro cervello vorrebbe prenderli a calci nel culo, c'è qualcuno che sceglie le montagne russe che fanno tre volte il giro della morte. Perché, anche se quando sei sopra hai così paura da voler scappare, e la cosa che vorresti di più al mondo è urlare con tutta te stessa ma la velocità te lo impedisce e ti senti soffocare, quando scendi senti la scarica di adrenalina che ti scorre nelle vene più forte che mai. Ti senti girare la testa e hai voglia di vomitare. Ma, qualche giorno dopo, cosa daresti per fare un altro giro...”
Lei rise piano.
“Nella mia vita ci sono state solo salite. Credo sia questo il punto. Per me non c'è mai niente in discesa. Niente giro della morte. Niente da zero a cento in due secondi.”
Io la guardai.
“Vedrai che ti succederà. E spero che un giorno succederà anche a me” aggiunsi, alzandomi.






Fatemi sapere cosa ne pensate!



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Capitolo 3
*** Tim ***





Grazie di cuore a tutte voi che avete commentato questa storia!

Buona lettura!





Tim


Dopo aver riaccompagnato Arizona a casa mi feci una doccia veloce, scendendo poi per pranzare insieme alla mia famiglia.
“Allora, Aria, hai già conosciuto qualcuno?” chiese mio padre, consapevole della velocità con cui Aria era in grado di fare nuove amicizie.
“A dire la verità sì, ci sono un paio di persone interessanti da queste parti. Soprattutto ragazze che fanno parte della squadra delle cheerleader della scuola. Stavo pensando di fare un provino per entrare, quando inizieranno i corsi.”
“Sembra una buona idea” la incoraggiò mia madre.
“E magari Callie sarà nella squadra di calcio per cui farò il tifo” commentò allegra.
“Ancora non so se mi prenderanno, Aria” risposi distrattamente.
“Oh, ho sentito che hai fatto amicizia con il capitano della squadra. Vedrai che riuscirai a entrare” mi incoraggiò.
Perché era gentile con me?
La guardai qualche istante, poi scrollai le spalle e mi alzai da tavola.
“Posso uscire? C'è una persona che devo vedere...”
Mia madre e mio padre si scambiarono un piccolo sorriso, entrambi avevano un'espressione piacevolmente sorpresa.
“Vai pure, tesoro” mi disse mia madre.
Io non persi tempo. Avevo promesso ad Arizona che sarei passata da casa sua più o meno a quell'ora. Così mi incamminai, le mani in tasca.
Arrivata davanti alla porta bussai ed aspettai che qualcuno aprisse. Con mia sorpresa, ad aprire fu il ragazzo che quella mattina avevo visto litigare con Arizona.
“Salve. Cosa posso fare per aiutarti?” mi chiese sorridendo.
La prima cosa che notai di lui furono le fossette, identiche a quelle che apparivano anche sul viso di Arizona quando sorrideva. Poi feci caso al colore degli occhi, un intenso blu, anche quello molto simile a quello della bionda.
“Stavo cercando...”
“Calliope” mi salutò lei, uscendo di casa.
Io le sorrisi. Poi mi accorsi che il ragazzo ci stava ancora guardando.
“Vi serve un passaggio per andare da qualche parte?” ci chiese con gentilezza.
Io guardai verso Arizona, che distolse lo sguardo. Avevo catturato un'occhiata tra il frustrato e il triste rivolta al biondo difronte a noi.
“Callie Torres” mi presentai porgendogli la mano.
Lui ricambiò la stretta. “Tim Robbins. Sono il fratello di Arizona.”
Gli sorrisi educatamente, voltandomi poi verso la ragazza al mio fianco.
“La passeggiata di cui avevamo parlato?” mi chiese. “Ne hai ancora voglia?”
“Certo” annuii.

“Vuoi parlarne?” chiesi a bruciapelo.
“Di cosa?”
“Di Tim” risposi con un secondo di esitazione. “Stamani le cose sembravano piuttosto...diciamo strane.”
“Abbiamo litigato. Niente di che.”
“Mh. Perché sembrava definitivamente qualcosa.”
Lei sospirò. “Tim è all'ultimo anno di liceo.”
Non disse altro. E capii che non avrebbe detto nient'altro.
“Anche Aria è all'ultimo anno” risposi, quindi.
Calò il silenzio, uno strano.
“Senti” le dissi infine “se non vuoi parlarne con me, va bene. Ma se decidi di parlarne, e non sai con chi farlo...sai, a volte è più facile parlare di cose che ci riguardano con qualcuno che non conosciamo. Perché possiamo parlarne senza che la sua opinione ci importi davvero.”
“A me importa la tua opinione” rispose piano. “Come fai a sapere che è più facile?”
“È così che si dice, no? Anche se, a pensarci meglio, credo che sia una cavolata. Più o meno, nella mia vecchia scuola, tutti erano degli sconosciuti per me, ma non ho mai parlato di me con nessuno di loro” riflettei ad alta voce.
Lei rise. “Ok, forse dovremmo testare questa tua teoria. Facciamo così, io ti parlo dei miei problemi adesso che ti conosco a malapena. Se non ci parleremo mai più se non in rare occasioni, sapremo che hai torto, se diventiamo amiche, avrai avuto ragione. Poi, se diventiamo amiche, tu mi parli dei tuoi problemi, così testiamo anche la mia teoria. Se parlarmi dei tuoi problemi ci allontana, avevo torto, altrimenti avevo ragione. Che te ne pare?”
“Andata” le risposi, stringendo la mano che mi stava porgendo.
Continuammo a camminare fianco a fianco ed aspettai che si sentisse abbastanza a suo agio per parlare.
Quando lo fece, quello che disse mi fece capire immediatamente il perché era stata tanto sconvolta quella mattina.
“Tim si arruolerà dopo aver preso il diploma. Me lo ha detto stamani.”
Non risposi. Mi bloccai, l'espressione ebete che avevo quando qualcuno mi dava una notizia come quella.
“Stai bene?” chiesi, quando i criceti nel mio cervello iniziarono a correre, azionando i circuiti di emergenza.
“No” rispose deglutendo con forza. Aveva lo sguardo basso, tra di noi, che adesso ci stavamo fronteggiando.
“Ok, ascolta, abbiamo un anno per fargli cambiare idea. Va bene? Se non vuoi che lui parta, non darti per vinta dall'inizio. Abbiamo un anno. Usiamolo saggiamente” proposi, afferrando le sue spalle.
Lei mi guardò. Aveva le lacrime agli occhi. Mi salì un nodo alla gola.
“Abbiamo? Quindi mi aiuterai?”
“Certo. Certo, Arizona. Qualsiasi cosa tu voglia” ripetei quello che le avevo detto sul campo di calcio il giorno che ci eravamo conosciute.
Lei alzò il viso, guardandomi negli occhi.
“E se decidesse di partire?”
“Tornerà indietro, allora.”
“E se non tornasse?”
Aprii e richiusi la bocca un paio di volte.
Cosa avrei dovuto dirle?
“Allora ti permetterò di dare la colpa a me” promisi. “Potrai urlarmi contro e prendermi a pugni e smettere di parlarmi per sempre, se ti farà sentire meglio. Se non riusciremo a farlo rimanere, ti permetterò di dare la colpa a me.”
Lei sospirò, tornando a guardare in basso.
Poi fece un passo avanti, appoggiando la testa sulla mia spalla. Io la abbracciai. E la lasciai piangere, in mezzo alla strada, mentre me la stringevo contro e mi sforzavo con tutta me stessa per trovare un modo per farla stare meglio.
“Ssshh, va tutto bene. Andrà tutto bene.”
Continuando a tenerla stretta con un braccio, portai l'altra mano ai suoi capelli, accarezzandoli piano. Non riuscii a resistere alla tentazione. Mi piacevano i suoi capelli. Erano morbidi e profumavano di qualcosa che era unicamente Arizona.
“Andrà tutto bene” continuai a ripetere.
Continuò a lasciarsi abbracciare. E pensai che avesse solo voglia di due braccia forti che la sostenessero in quel momento.
Non presi mai in considerazione, neanche per un momento, che quello di cui aveva bisogno in realtà fossero le mie braccia. Non valutai mai l'ipotesi che avessi fatto colpo su di lei come lei aveva fatto colpo su di me.
Ma la tenni abbracciata. Finché smise di piangere. Finché quell'abbraccio fece stare meglio entrambe.
E, dopo, la tenni abbracciata ancora.

“E con questa fanno cinque!” urlò Cristina alla mia sinistra.
Addison mi saltò sulle spalle da dietro. “Callie ti ho detto oggi quanto sono felice che tu sia nella nostra squadra? Perché sono felice. Molto felice.”
“Lo so, Addison. Lo so” sorrisi, battendo il cinque con Meredith.
“Vai così Rockstar” sussurrò mentre le nostre mani si incontravano in aria.
“Bella partita Torres” si congratulò la Bailey togliendosi i guantoni.
Io notai Arizona che mi guardava con il sorriso sulle labbra.
Per mia fortuna a fine partita era molto sportiva. Anche se durante era davvero competitiva.
Quando Addison scese dalle mie spalle io mi avvicinai a lei.
“Sette partite, cinque vittorie. Impressionante” mi disse.
“E tutto ciò solo in un mese” le ricordai.
“Per fortuna tra un paio di settimane ricominceremo ad andare a scuola, così almeno saremo nella stessa squadra. Sono stanca dell'umiliazione.”
Io alzai gli occhi al cielo, sospirando. Poi mi abbassai, sollevandomela su una spalla e portandola fuori dal campo.
“Calliope, mettimi subito giù!” ordinò, agitando le gambe.
“Stai attenta, se ti agiti rischio di farti cadere” la rimproverai, dandole una pacca sul sedere come avvertimento.
In quel mese passato insieme eravamo diventate molto unite.
“Calliope!” ripeté con voce innaturalmente alta.
Forse per via della strana posizione a testa in giù. O forse perché le avevo toccato il sedere.
Io risi di gusto, ma la lasciai andare una volta a bordo campo.
“Vieni da me? Possiamo guardare un film” proposi.
“Però scelgo io stavolta. Sarò lì subito dopo che mi sarò fatta una doccia.”
Io annuii, mentre salivamo dentro l'auto di Meredith, che ci avrebbe riaccompagnate a casa.

“Ok. Ho preparato dei popcorn e preso la tua marca di patatine preferita” la informai, mentre entravamo in camera mia. “Che film hai scelto?” le chiesi, gettandomi sul letto.
“Una commedia di Jennifer Aniston. Lei è davvero sexy.”
Io guardai da un'altra parte. Quando riportai lo sguardo su di lei vidi che mi stava guardando.
“Scusa. Mi dispiace, so che questo genere di commenti non sono...”
“No. No, voglio che tu sia te stessa con me, che dica quello che ti passa per la testa. È solo che non so mai come rispondere.”
Lei annuì, sedendosi sul letto accanto a me, con le gambe distese sul materasso e la schiena appoggiata alla spalliera.
“Che ne dici di 'aspetta, questo è il film con Adam Sandler? Adoro quel tizio' o qualcosa del genere?”
Io risi. “Adam Sandler mi fa sempre morire dalle risate” confermai. “Ma è anche vero che Jennifer Aniston senza dubbio è molto sexy.”
Lei rispose solo con un piccolo sbuffo di incredulità, mentre iniziava il film.
Appoggiai i popcorn in mezzo e le porsi le patatine. Io preferivo i popcorn in ogni caso, quindi lasciavo che lei scegliesse il tipo.
Quando arrivammo alla parte in cui Jennifer Aniston si toglieva i vestiti rimanendo in costume, capii perché Arizona aveva scelto quel film.
“Già. Molto, molto sexy” sussurrai ridendo piano. Risi per dissimulare il fatto che guardare quel film con Arizona mi aveva fatto pensare a come sarebbe stato vedere lei indossare solo un costume da bagno. Quel tipo di pensieri non erano nuovi. Erano sempre più frequenti. Ma se Arizona fosse stata interessata a me in senso romantico me lo avrebbe fatto sapere, no?
“Credevo che tu fossi più interessata in Adam Sandler” scherzò, gettandosi in bocca una manciata dei miei popcorn.
“Ehi, che fine hanno fatto le patatine?”
“Finite” rispose a bocca piena.
Io risi. “Mangi così tanto cibo spazzatura che finirai per trasformarti in uno. Diventerai un'enorme patatina uno di questi giorni, lo sai?”
“Calliope” rispose, ingoiando. “Quello che hai appena detto suona incredibilmente equivoco.”
La colpii sul braccio, facendo una faccia incredula.
“Questo è solo perché tu sei una pervertita.”
Afferrò la mano con cui l'avevo colpita e fece passare il mio braccio attorno alle sue spalle.
“Lo adori.”
Io risi.
“È vero” ammisi, appoggiando la tempia contro la sua.
Rimase così vicina per tutto il resto del film, tenendo il mio polso con la sua mano, come se volesse assicurarsi che non avrei spostato il braccio.
“Stai comoda?” le chiesi quasi scherzando.
“Molto” rispose sorridendomi.
Io le lasciai appoggiare la testa sulla mia spalla.
E sospirai quando mi resi conto che la verità era che lei mi piaceva più di quanto avrebbe dovuto piacermi la mia migliore amica.
Quando il film finì non riuscii a trovare in me la voglia di spostarmi. E neanche lei.
“Sei a disagio?” mi chiese quando sospirai di nuovo.
Io rafforzai la stretta. E sospirai ancora una volta.
“Non sono mai stata così a mio agio in vita mia.”
Ci furono diversi momenti di silenzio. E all'improvviso sentii una scarica di domande formarsi nella mia testa. Finché, una di loro, riuscì ad uscire.
“C'è stato qualcun altro prima di Joanne?” domandai a bruciapelo.
Lei si allontanò il minimo indispensabile per guardarmi negli occhi con confusione. Dopo avermi osservato attentamente, tornò ad appoggiare la testa sulla mia spalla.
“No. Non c'è stato nessuno, né prima né dopo di lei.”
“Come hai capito...” continuai. “Come hai capito che ti piaceva?”
Lei scrollò le spalle. “Come hai capito che ti piaceva il primo ragazzo con cui sei stata?”
La domanda fece scattare qualcosa. Schiarendomi la voce, tolsi il braccio dalle sue spalle e mi allontanai, sedendomi sul bordo del letto.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese con tono preoccupato.
“No. No, è solo...non c'è mai stato alcun ragazzo” ammisi in un sussurro. Non ero mai stata così imbarazzata. Era qualcosa di cui non avevamo mai parlato, prima di allora.
“Aspetta, intendi...Mai stata con un ragazzo? Mai baciato un ragazzo?”
Feci segno di no con la testa, senza guardarla.
“Smetterai di parlarmi adesso o qualcosa del genere?”
“Calliope, neanche io ho mai baciato un ragazzo. Sono lesbica, ricordi?”
Ogni volta mi stupiva come a soli sedici anni Arizona avesse tutto così chiaro.
“Ma c'è stata Joanne” sussurrai, in imbarazzo.
Fu il suo turno di sospirare.
“Senti, Calliope, se mai avremo questa conversazione lo faremo quando non sarai più così imbarazzata da non riuscire a guardarmi negli occhi.”
Io trassi un respiro profondo. Poi alzai lo sguardo.
“Non sto evitando di guardarti negli occhi perché sono imbarazzata dal fatto che stiamo parlando della tua relazione con una ragazza, sono imbarazzata dall'averti detto la parte che riguarda me. Parlare di sesso non mi imbarazza. Parlare di me e il sesso, quella è un'altra storia” dissi tutto d'un fiato. “Sono vergine” aggiunsi.
“Sì” rispose lentamente. “L'avevo capito.”
“Quando vorrai parlarne io ti ascolterò. Se mai deciderai che vorrai parlarne.”
“Calliope...”
No, so che non sono affari miei e tutto il resto. Ma in solo un mese sei diventata la mia migliore amica. Mai avuta una prima” aggiunsi, rendendomi ancora più ridicola. “Mi è solo sembrato che la storia di Joanne ti abbia turbato più di quanto dai a vedere, quindi, se mai vorrai parlarne, io ascolterò. Anche la parte che riguarda il...” scossi appena la testa “...sesso. Tutto quello che ho detto è suonato incredibilmente stupido, non è vero?” chiesi, chiudendo gli occhi e passandomi una mano sul viso.
“No, Calliope. Quello che hai detto era perfetto” mi rassicurò, venendo a sedersi accanto a me.
Io le presi una mano, cercando di rassicurarla che non c'era alcuna fretta, che non doveva farlo in quel momento.
Lei mi guardò, annuendo, facendomi capire che aveva capito. Ma voleva farlo comunque.
“Joanne era una delle mie amiche. Non avevo mai parlato a nessuno di quello che mi stava succedendo. Poi lei mi baciò una sera, dopo che aveva bevuto non so più neanche quanto. Allora ne fui sicura. Del fatto che mi piacevano le ragazze, intendo. Lo dissi ai miei genitori. Ero terrorizzata, ma loro avevano già capito da un po' cosa stava succedendo. Sai, per via del calcio, e del poster di Cindy Crowford e altre cose come quella, che non sono il punto della conversazione, in questo momento...” trasse un lungo respiro. “Comunque, mi baciò di nuovo qualche settimana dopo, quando era sobria. Io avevo iniziato a dirlo alle persone di cui mi fidavo, ma non mi aspettavo che le cose precipitassero. Sua madre la vide baciarmi sul divano del soggiorno. Mossa stupida, col senno di poi. In ogni caso, l'hanno spedita in una scuola per sole ragazze - lo so, ironico. Da gennaio dello scorso anno non l'ho più rivista. Quindi tutto ciò che c'è stato con Joanne sono stati un paio di baci a stampo, tutto qui. Joanne non mi ha turbato così tanto, infondo. Ma è stato qualcosa di importante, per me, quello che mi ha fatto realizzare. A volte penso a cosa mi sarebbe successo se i miei genitori avessero reagito come i suoi, a volte mi chiedo se quello che le è successo non sia colpa mia...”
“Arizona, non è affatto colpa tua” la fermai. “Sarebbe successo comunque prima o poi. I suoi genitori l'avrebbero scoperto con o senza di te.”
Lei sospirò. “Prima e dopo Joanne non c'è stata nessuna” mi guardò dal basso verso l'alto, assicurandosi che avessi recepito il messaggio.
“Oh. Oh!”
“Smetterai di parlarmi adesso?” chiese, ripetendo quello che le avevo chiesto io.
“Certo che smetterò di parlarti. Rovineresti la mia reputazione.”
Lei mi colpì su un braccio. Io risi, attirandola a me e avvolgendola tra le mie braccia.
“Non è stata colpa tua. E vedrai che andrà tutto bene.”
“Mi piace quando lo dici.”
“Davvero?” chiesi confusa, allontanandomi per guardarla negli occhi.
“Già. Quando me lo ha detto qualcun altro, mi è sempre sembrato che fossero parole vuote. Sempre. Ma quando lo dici tu, riesco quasi a crederci” concluse, annuendo come se avesse appena finito di valutare la situazione. “Posso crederci.”
Le sorrisi, prendendo le sue mani tra le mie e guardandola negli occhi.
“Andrà tutto bene.”






Allora, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima!




 

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Capitolo 4
*** Appuntamenti ***




Grazie per aver letto e recensito questa storia, spero che questo capitolo vi piaccia.
Buona lettura!





Appuntamenti


Il primo giorno di scuola arrivò in fretta. Avevo creduto che niente sarebbe cambiato, per me, rispetto al liceo di Miami. Beh, ovviamente, mi sbagliavo.
La scuola era molto più piccola di quella di Miami, visto che quel liceo era di un paesino vicino alla periferia di Seattle. Capii fin da subito che quello era il tipo di scuola in cui tutti sapevano tutto di tutti. Non mi piaceva.
Avevo fortunatamente tutte le lezioni con Arizona e molte delle altre ragazze che avevo conosciuto al campetto. Mancavano Lexie ed April, che erano un anno più piccole di noi, Cristina e Meredith avevano tutti i corsi avanzati, che io e Arizona avevamo solo in Biologia, Matematica e Chimica, insieme ad Addison e Teddy.
Alla fine delle lezioni, mentre stavamo tornando verso la macchina di Addison, un ragazzo ci si avvicinò. Salutò le altre ragazze e poi posò il suo sguardo su di me. Io distolsi il mio.
“Tu devi essere la ragazza nuova. Io sono Mark. Sloan.”
Io lo guardai per la seconda volta. “Callie Torres” mi presentai. Il suo modo di fare così sicuro di sé mi metteva a disagio.
“Eri alla festa a casa di Meredith venerdì scorso, non è vero?” chiese.
Io annuii brevemente. Ero stata alla festa per circa dieci minuti, in realtà. Poi Arizona mi aveva proposto di andare a fare un giro insieme ad Addison e Teddy ed io avevo accettato.
“Che pensate di fare, stasera?” chiese Mark in generale.
“Niente in programma” Addison guardò Teddy.
Lei scrollò le spalle. “Niente in particolare.”
“Non che io ricordi” aggiunse Arizona quando la guardarono.
“Neanche tu Callie?” chiese quindi Mark. “Magari allora potresti uscire con me” propose con la sua solita confidenza.
Io fui colta totalmente alla sprovvista. Forse se ne accorse dal modo in cui lo guardai. O forse no, visto cosa mi disse dopo.
“Perfetto. Passo a prenderti, diciamo alle sette?”
“No” risposi io allora con una piccola risatina nervosa, scuotendo la testa. “No” conclusi più seriamente.
“Va bene. Alle otto?”
“No, senti non...” ancora una volta, risatina nervosa. “No” mi strinsi nelle spalle, allargando le mani. “Mi dispiace. Ti ringrazio. Ma...no” lasciai ricadere le braccia lungo i fianchi.
Mi guardai intorno, incrociando lo sguardo di Arizona. Probabilmente la richiesta di soccorso nei miei occhi era evidente, perché lei si gettò in mezzo alla discussione.
“Lasciala in pace, Mark. Non sei il suo tipo. Ti troverò io un ragazzo” mi propose poi. “Uno per bene” specificò, lanciando un'occhiataccia a Mark.
La mia espressione diventò un misto di stupore e dubbiosità.
Mark sospirò e poi rise, andandosene.
“Sei impazzita? È il ragazzo più carino della scuola. È un anno più grande. È bravo a letto. Qual'è il problema?” mi chiese Addison.
Io la guardai, incredula. “È bravo a letto?” ripetei.
“Oh, sì” confermò Teddy.
Io feci una smorfia, riprendendo a camminare.
“Se è davvero così perfetto, perché ha chiesto di uscire a me? Ci saranno un sacco di ragazze a scuola disposte a uscire con lui.”
“Eeehhmm...perché sei sexy” rispose Addison come se fosse ovvio.
Io annuii un paio di volte. Poi scoppiai a ridere. E continuai a ridere. Molto a lungo.
“Già, anche quando l'ho detto io ha avuto questa reazione” la informò Arizona.
Salimmo in macchina.
“Dobbiamo lavorare sulla tua autostima, Callie” mi informò Teddy.
Io la ignorai. Ero troppo occupata a ridere.

Durante la prima settimana di scuola la nuova allenatrice della squadra femminile di calcio a undici fece i provini per decidere chi avrebbe avuto i quindici posti disponibili nella squadra.
Il giorno dopo, in mattinata, fu appesa nell'atrio la lista con i nomi.

Adamson, Reed
Altman, Teddy
Bailey, Miranda
Fields, Lucy
Grey, Alexandra
Grey, Meredith
Harper, Olivia
Harris, Sadie
Heron, Sidney
Kepner, April
Montgomery, Addison
Robbins, Arizona
Stevens, Isobel
Torres, Calliope
Yang, Cristina

Gli allenamenti sarebbero iniziati il pomeriggio del giorno successivo.
La prima partita sarebbe stata in un mese, così l'allenatrice, la signorina Portman, iniziò subito a farci lavorare duramente.
La partita, che all'inizio era sembrata così lontana, si avvicinò alla velocità della luce.

“Oggi ho sentito strane voci a scuola. Su Arizona” iniziò Aria durante la cena.
“Che tipo di voci?” chiesi corrugando la fronte.
“Ho sentito dire che è gay” sussurrò l'ultima parola.
“Aria, non è una parolaccia. Non c'è niente di male nell'essere gay. La segretaria di tua madre, è gay” le ricordò mio padre.
“Scommetto che se facesse con Calliope quello che faceva con la sua ultima migliore amica non sareste più così d'accordo.”
“Aria!” la ripresi io con decisione. “Smetti di parlare di Arizona in questo modo” le ordinai.
“Calliope, non urlare a tavola” mi riprese mia madre. “Aria, ti sembra questo il modo di parlare degli amici di tua sorella?”
“Stavo solo dicendo che è ipocrita da parte vostra dire che essere gay va bene. Se io o Callie fossimo gay ci sbattereste fuori di casa.”
“Se una di voi due fosse lesbica affronteremmo la cosa insieme.”
“Come no” sussurrai, guardando verso il piatto. Alzai lo sguardo ed incrociai quello di entrambi i miei genitori. “Che c'è? Sappiamo tutti che non vi andrebbe così bene come dite.”
“Arizona passa qui praticamente mezza giornata tutti i giorni da un paio di mesi, ormai. Eppure non mi sembra che io o tuo padre ti abbiamo chiesto di prendere le distanze.”
“Perché non sapevate che è lesbica” ricordai loro.
“Certo che lo sapevamo. Abbiamo parlato con i suoi genitori una decina di giorni dopo il trasferimento, visto quanto stavate legando. Arizona ha ottimi voti, non beve, rientra puntuale quando ha il coprifuoco. È una brava ragazza, migliore della maggior parte dei ragazzi della tua età” concluse mia madre, guardandomi con una calma che non avrei pensato avrebbe mai potuto avere affrontando questo argomento.
“Da come ne parli sembra che ti sia informata sul carattere della tua futura nuora” osservò Aria con una piccola risata.
Mia madre rimase seria. Non spostò gli occhi dai miei neanche per mezzo secondo.
“Finisci il pollo, Aria” rispose solamente, riprendendo poi a mangiare. Mio padre la guardò confuso, per un secondo. Poi anche lui riprese a mangiare.
Fu allora che capii che lei sapeva.
Dopo cena, aspettai che mia sorella e mio padre se ne andassero. Poi aiutai mia madre a lavare i piatti.
Stavo cercando il coraggio e le parole per affrontare il discorso sul grande elefante in mezzo alla stanza.
“Non hai mai avuto un ragazzo, Calliope” iniziò invece mia madre, senza preavviso. “Da piccola non ti piaceva giocare con le barbie, ma quando avevi otto anni mi hai chiesto di comprarti uno di quei cannoni per sparare con l'acqua. Tua sorella fa la cheerleader, mentre tu giochi a calcio più o meno da quando riuscivi a reggerti in piedi da sola. Quando eri in prima superiore mi parlavi sempre di Alex, ricordi? Io e Alex abbiamo fatto questo, Alex mi ha raccontato quello. Pensavo che avessi una cotta per lui. Poi sono venuta a sapere che lui in realtà era Alexis. All'inizio valutare l'ipotesi che mia figlia, la mia piccola Calliope, potesse essere...beh, non è stato facile. Una madre vuole il meglio. Avrei voluto che avessi una vita facile, Calliope. Ma poi ho capito che forse, invece, tu potresti volere una vita felice. Ed io non potrei chiedere niente di meglio che essere parte della tua felicità.”
“Mamma...” risposi con voce mozzata, le lacrime agli occhi. “...ho paura.”
“Lo so mija. Ma vedrai che andrà tutto bene.”
Mi abbracciò. E fece quello che le madri dovrebbero sempre fare per i loro figli.
Mi protesse.
Io avevo paura, così lei mi protesse.

“Sono distrutta.”
“Lo so. Anche io” risposi, abbracciandola e sorridendo a me stessa.
“Non ti prometto che non mi addormenterò durante il film” mi ricordò.
Io risi, continuando a stringerla.
Era seduta tra le mie gambe, con la schiena appoggiata al mio petto, mentre io ero appoggiata alla spalliera.
Nell'ultimo paio di settimane i nostri atteggiamenti erano diventati molto da coppia. Quando eravamo sole, stavamo spesso abbracciate, o comunque in un qualche tipo di contatto fisico. E quando eravamo con altre persone ci sedevamo sempre vicine. Cristina, come se non bastasse, faceva di tutto perché fossimo sempre appiccicate. Diceva che solo in quel modo avremmo potuto sviluppare una sintonia perfetta in previsione della partita.
Una sera, mentre eravamo a cena fuori, mi vide passare il sale ad Arizona senza che lei me lo chiedesse. Sapevo che ne aggiungeva sempre a qualsiasi tipo di pasta mangiasse. Lei, invece, mi aveva passato il peperoncino, sapendo che mi piaceva mangiare piccante. Io le avevo versato da bere un bicchiere di acqua frizzante, mentre lei mi aveva preso quella naturale dall'altra estremità del tavolo.
Cristina ci aveva osservato, aveva sorriso a trentadue denti e poi aveva detto: “Vinceremo la nostra prima dannata partita.”
Il ricordo mi fece sorridere. E, come ho detto, ci comportavamo come una coppia.
“Ah, mi ero quasi dimenticata. Ho trovato un ragazzo perfetto per te” mi disse, voltando la testa all'indietro per guardarmi negli occhi.
Il battito del mio cuore accelerò.
“Ancora questa storia?”
“Tutti quelli che ti ho fatto vedere li hai scartati senza neanche una seconda occhiata. Almeno dai una possibilità a questo.”
Io sospirai. “Arizona, non sono interessata ad uscire con un ragazzo al momento. Ti sarei grata se la smettessi di provare a costringermi.”
“No, senti, è perfetto. Esci con Tim.”
Io risi. Lei si voltò a guardarmi con l'espressione mortalmente seria.
“Dico sul serio. Esci con Tim. Lui si innamorerà di te, perché- beh, perché tu sei bella, dolce, divertente e gentile. E non si arruolerà a fine anno.”
“Arizona...”
“Avevi detto che mi avresti aiutato. E che avrei potuto prendermela con te e tutto il resto. Quindi perché no?”
“Perché non posso.”
“Che significa che non puoi?”
“Significa che...” sospirai, chiudendo gli occhi. Li riaprii e la guardai e mi accorsi che era più vicina. “Significa che non posso” ripetei, mentre appoggiavo una mano sulla sua guancia, accarezzandola lentamente con il pollice. “Non posso uscire con tuo fratello, Arizona.”
Lei per un secondo sembrò non capire. E poi fu come se una luce si fosse accesa, dentro i suoi occhi. Aveva capito. Ed io non avevo saputo o voluto o potuto evitarlo.
Io continuai a guardarla negli occhi senza dire niente e sospirai piano.
Quando la musica del film iniziò lei si voltò, allontanando lo sguardo dal mio.
“Dovremo parlarne prima o poi.”
Io continuai ad abbracciarla.
“Lo so” ammisi allentando un po' la presa.
Il film andò avanti, ma noi non eravamo davvero concentrate sullo schermo.
“Pensavo che non avrei mai avuto un'occasione.”
“È la stessa cosa che penso io.”
“Perché avresti dovuto pensare una cosa del genere? Tu sapevi che io...”
“Non sapevo se eri interessata a me. Non so...” sospirai pesantemente. “Non so se sei interessata a me.”
E credevo onestamente di no, visto che io le avevo praticamente dato il via libera per baciarmi e lei non lo aveva fatto.
“Calliope” sussurrò, afferrando il telecomando alla sua sinistra e spegnendo il televisore, voltandosi tra le mie braccia per riuscire a guardarmi. “Come puoi non esserti accorta di come ti guardo? Di come passo con te ogni minuto del mio tempo? Di come non guardo nessun'altra e non mi interesso a niente che non riguardi te, ultimamente?”
“E tu come puoi non esserti resa conto che è quello che faccio anche io?” chiesi quando lei ebbe finito. “E se te ne sei resa conto, ma hai continuato a cercarmi un ragazzo, e non hai mai detto niente, questo vuol dire che non ti importa?”
Lei scosse la testa. “Calliope” ripeté, prendendomi il viso tra le mani.
“A volte sei indecifrabile per me, Arizona. Quando siamo sul campo, capisco le tue idee, prevedo i tuoi pensieri, anticipo i tuoi istinti. Ma quando siamo così, solo io e te” mi guardai velocemente intorno “allora mi succede di non capire.”
“Ti aiuterò a capire” mi rassicurò. “Ma tu devi aiutarmi a capire te. Aiutarmi a capire cosa vuoi che io sia per te.”
“Voglio che tu sia...tutto” risposi, avvicinandomi a lei. “E voglio essere quello di cui hai bisogno, voglio essere quello che vuoi.”
Lei si sistemò sui ginocchi, tra le mie gambe, appoggiando le mani sulle mie spalle.
“Tu sei quello che voglio” mi rispose.
Così la baciai.
Fu il mio primo bacio e, non mentirò, all'inizio fu strano. La prima sensazione che ebbi fu quella di non essere capace. Non avevo idea di quello che stavo facendo, e ancora meno di quello che avrei dovuto fare.
Poi lei mosse le labbra sulle mie. E da quel punto in poi tutto mi sembrò naturale.
Fu dolce. Fu lento, senza fretta, senza sforzo. Fu come se stessi giocando con un pallone in grado di assecondare i miei movimenti. Fu come se, per un attimo, il resto del mondo fosse sparito e quel momento sarebbe potuto durare per sempre.
Quando ci allontanammo mi guardò negli occhi.
In un attimo, lessi tutte le sue paure. E sono sicura che lei lesse altrettanto facilmente le mie.
“Arizona, non andrò da nessuna parte. Io non sono come tutti gli altri” risposi alla muta domanda dei suoi occhi.
Lei annuì e gli occhi le si riempirono di lacrime.
Mi baciò di nuovo. Con dolcezza. Delicatamente. Come se fosse una promessa.

Il giorno dopo mi mandò un messaggio, chiedendomi se avessi voglia di vederla. Le chiesi di incontrarmi al parco.
Ci sedemmo su una panchina. Con la mano sinistra continuai a giocare con le chiavi di casa, mentre lasciai il braccio destro sulla spalliera della panchina, vagamente attorno al suo busto.
Lei appoggiò la testa sulla mia spalla. Non era la prima volta che lo faceva. E, come ogni volta, sentii un nodo allo stomaco. Voltai la testa di lato e le baciai la fronte delicatamente.
“Esci con me, dopodomani, dopo la partita” le dissi, con le labbra sempre quasi attaccate alla sua fronte, una mano sulla sua spalla. “Potremo andare a cena fuori e poi al cinema.”
Lei si avvicinò a me ancora di più. “Sembra perfetto. Stavo giusto per chiederti la stessa cosa.”
Io sorrisi come un'idiota.
Avevo un appuntamento con Arizona.









Fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie, alla prossima.



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Capitolo 5
*** Incertezza ***





Scusate infinitamente il ritardo, purtroppo è un periodo molto impegnato, cercherò di essere più puntuale!
Buona lettura!






Incertezza


“Ok. Ho la formazione che intendo mettere in campo domani per la prima partita, sedetevi ed ascoltate attentamente. Avete fatto tutte un ottimo lavoro, ma purtroppo quattro di voi dovranno rimanere in panchina. Ci tengo a specificare che quelle fatte oggi non sono scelte definitive, ma potrebbero esserci cambiamenti nel corso della stagione. Inoltre, vi ricordo che i provini sono sempre aperti per nuove ragazze, quindi nessuna di voi può pensare di non impegnarsi, neanche quelle che non hanno una che giochi nel suo ruolo in panchina” ci ricordò l'allenatrice. “Detto questo, ecco chi partirà titolare. Bailey, in porta. Izzie, mi dispiace, per questa volta sei in panchina. In difesa, al centro a sinistra, Altman, a destra Montgomery. Terzino sinistro Lexie, a destra invece April. A centrocampo, in posizione arretrata Fields, sulle fasce Cristina a sinistra e Meredith a destra, con Reed al centro. In attacco Robbins a sinistra e Torres a destra.”
Stavamo uscendo dalla palestra quando Cristina ci si avvicinò, passando un braccio attorno alle spalle di entrambe.
“Vinceremo così alla grande questa partita che sarà quasi vergognoso. Le faremo fuori così velocemente che non sapranno neanche cosa è stato. Mi raccomando, fate esercizi per i muscoli domani mattina appena sveglie, non correte per nessun motivo, fate attenzione all'alimentazione...”
“Sì mamma” fu la risposta irritata di Arizona.
“Oh, e mi raccomando. Niente sesso Rockstar.”
“Cristina!” la riprese Arizona.
Alle nostre spalle, Meredith, Addison e Teddy scoppiarono a ridere.
“Con chi dovrei fare sesso nelle prossime dodici ore?” chiesi, ridendo.
Con Arizona” rispose con noncuranza, indicando la bionda che aveva sotto il braccio che non era attorno alle mie spalle. Io la guardai come se fosse impazzita. “Aspetta...perché voi due state insieme, non è vero?” chiese bloccandosi all'improvviso.
Io e Arizona avevamo deciso di prendere le cose con calma, di non dire niente di niente a nessuno, così entrambe la guardammo facendole intuire l'ovvia risposta.
“Oh. Oh, no. Perderemo la partita. Perderemo così alla grande questa partita che sabato non saremo in grado neanche di uscire di casa per la vergogna.”
Io e Arizona ci guardammo e scoppiammo a ridere, andandocene dalla palestra, mentre Cristina iniziava a spiegare la sua tesi anche alle altre. Secondo lei, io e Arizona avevamo bisogno di fare sesso per giocare davvero bene insieme. Eravamo troppo abituate a giocare l'una contro l'altra, che per giocare così a stretto contatto dovevamo per forza avvicinarci anche fisicamente. Quando Cristina mi aveva esposto questa tesi per la prima volta avevo riso così tanto da sentirmi fisicamente male.

“E se facciamo schifo?”
Eravamo al telefono, quella sera.
“Non faremo schifo, Arizona.”
Fu silenziosa per qualche momento.
“Ma se facessimo schifo?”
Io risi.
“Non ridere, Calliope. Il calcio è tutto ciò che è mio. Solamente mio. Quando gioco, allora è come se esistessi, se fossi reale, mentre tutto il resto del tempo è come se mi trovassi nella bozza di un disegnatore di fumetti alle prime armi. Tutto il mondo, me compresa, è a tratti incerti, è indefinito, e non ho certezze. Ma quando sono sul campo è come se fossi all'improvviso dentro uno schermo ad alta definizione. Tutto ha molto più senso.”
“Ti prometto che non faremo schifo” risposi dopo qualche istante.

“Ok. I numeri delle magliette verranno assegnati da me, in base alla posizione che occupate in campo. A nessuna di voi è concesso lamentarsi per il numero che le viene assegnato. Bailey, giochi con il numero 1, Montgomery con il 2, Altman 3, Lexie, 4” mentre elencava i numeri consegnò le magliette. “April, 5. Fields, 6. Yang, 7. Adamson, 8. Meredith 9. Callie e Arizona, ne abbiamo discusso a lungo. Dovete giocare a stretto contatto, contiamo su di voi, perché Reed dovrà rimanere spesso in difesa, qualche volta saliranno ad aiutarvi Meredith e Cristina. Robbins, rimani più indietro, mentre tu, Torres, sempre il più avanti possibile nei limiti del fuorigioco. Sei la nostra prima punta, quasi tutti i goal che segneremo saranno tuoi. Arizona, stai sulla sinistra, giochi col 10. Callie, tu prendi l'11. Robbins, ricorda la fascia da capitano prima di entrare in campo.”
Uscì dagli spogliatoi, lasciandoci cambiare.
“Sei nervosa?” mi chiese Arizona.
“No, sono calma tutto sommato” risposi distrattamente. Poi lei si tolse la maglietta. “E...ora non lo sono più” pensai.
Arizona uscì per prima, si presentò all'arbitro, partecipò al lancio della moneta. La raggiunsi quando ci disse che dovevamo battere per prime.
Quando entrai in campo mi sentii come se stessi per cadere da un momento all'altro. Il cuore mi martellava nel petto dall'agitazione. Le nostre magliette erano rosse, mentre i pantaloncini neri.
“Non ho mai giocato una partita in una vera squadra” dissi ad Arizona mentre raggiungevamo la metà campo.
“Questa non è una vera squadra. È solo un torneo scolastico” mi rassicurò. Mi sorrise. “Ricordi come hai segnato il primo goal quando hai giocato contro di me per la prima volta?” mi chiese, sistemando il pallone al centro.”
“Sì.”
“Pensi di fare centro da qui?”
“Non lo so. Non credo. Potrei provare” proposi.
“Siamo date come sfavorite nel campionato. Tutti pensano che arriveremo ultime. La squadra contro cui giochiamo oggi, loro sono le terze favorite per il primo posto.”
“Non credo che sia una buona idea tirare da qui” affermai allora.
“Ok” rispose, sorridendomi. “Allora lo farò io.”
Io risi, preparandomi ad assecondarla. “Mi sembra giusto che il primo tiro sia del capitano” sussurrai.
Ci fu il fischio dell'arbitro. Io le passai il pallone. Un passo in avanti. Due. Poi il tiro.
“Sei totalmente impazzita?” urlò Cristina nella mia direzione.
Mi limitai a sorridere, guardando la palla che entrava in porta.
Arizona si voltò ed io le detti il cinque.
Per tutto il primo tempo ci tenemmo molto sulla difensiva. L'unico goal che segnai fu su calcio d'angolo, mentre una di loro fece una rete su contropiede.
“Adesso iniziamo a giocare sul serio” sussurrò Arizona mentre rientravamo in campo.
Teoricamente, nel campionato, c'erano solo due squadre nettamente più forti di quella contro cui stavamo giocando quel giorno.
Pensai che si fossero sbagliati, perché la partita finì 6-1, ed io segnai quattro goal in risposta ai due di Arizona.
Quando avevo segnato l'ultimo, Cristina mi aveva abbracciato. Pensai che si sentisse male o qualcosa del genere.
L'arbitro fischiò la fine ed Arizona mi abbracciò immediatamente.
“Questa è la prima volta che la squadra femminile della nostra scuola vince da sette anni. La difesa era così incapace l'anno scorso che anche in una partita in cui feci cinque goal avevamo perso. Ed è merito tuo.”
Io risi. “No, invece. Il merito è di tutte. Non avrei potuto fare un bel niente da sola.”
Uscii dal campo con un braccio attorno alle spalle del Capitano. E durante la partita, per la prima volta, avevo capito perché tutti si ostinavano a chiamarla in quel modo.

“Alla prima vittoria di una lunga serie” brindò Cristina quella sera tenendo in mano una birra.
“Ai primi quattro goal di Callie, che vincerà il premio come miglior marcatore” brindò invece Addison. Io arrossii un po', dissimulando l'imbarazzo con una piccola risata.
“Al Capitano, che ha giocato come se stesse cercando di impressionare qualcuno” disse invece Teddy, beccandosi un piccolo schiaffo da Arizona.
“E a April” propose nuovamente Cristina. “Che è riuscita a non farci perdere, nonostante gli abbia permesso di segnarci un goal.”
“Per la milionesima volta, Cristina, doveva marcarla Meredith quella lì” ripeté April per l'ennesima volta.
Tutte scoppiammo a ridere.
Arizona era seduta alla mia destra. Aveva tenuto per tutta la sera la mano sul mio ginocchio, nascosto alla vista di tutti.
“Sei dispiaciuta che siamo uscite con le altre? Invece di, sai...” mi sussurrò.
Avremmo dovuto avere un appuntamento quella sera, ma alla fine eravamo state d'accordo nel rimanere con la squadra.
“No, certo che no. Dovevamo festeggiare la vittoria” le risposi, sorridendo a trentadue denti.
Dopo cena molte delle ragazze se ne andarono, soprattutto quando arrivarono i rispettivi ragazzi a prenderle. Derek e Meredith furono i primi, seguiti da Lexie e Jackson, Cristina e Owen, Miranda e Eli. Teddy e Addison si fermarono per fare quattro chiacchiere con Henry e Mark, i loro migliori amici, mentre Lucy e Reed se ne andarono, anche loro attese dai rispettivi ragazzi. April, vedendo entrare Alex, gli si era avvicinata e aveva cercato di portarlo il più lontano possibile da Arizona. Lo facevano un po' tutte dalla sera in cui avevano litigato.
“Andiamo a casa?” mi chiese, avvicinandosi un po' di più.
Io le sorrisi e annuii.
“Ehi, Callie” mi sentii chiamare. “Hai bisogno di qualcuno che ti accompagni a casa?” mi chiese Mark Sloan.
“No, grazie. Sono apposto” risposi velocemente, uscendo insieme ad Arizona.
Per mia sfortuna, gli altri ci seguirono. E, come se non bastasse, fuori c'erano April e Alex.
“Andiamo, prometto che mi comporterò da vero gentiluomo” mi garantì, provandoci di nuovo.
Io sospirai. “Senti, non prendertela. Ma devi smetterla” gli risposi. Forse avevo esagerato, ma erano ormai due settimane che ogni giorno mi chiedeva di uscire. Avrebbe dovuto accettare il rifiuto con un po' di dignità.
“Prometto che non te ne pentirai” rispose lui, invece, passandomi un braccio sopra le spalle.
Io, di riflesso, me lo scrollai di dosso.
Non mi piaceva quando la gente mi toccava. Io non lo conoscevo neanche, quel tizio.
“Mark, devi darti una fottuta calmata” lo riprese Arizona, mettendosi in mezzo. “Hai un problema di udito, per caso? Perché ti ha detto no. Almeno una dozzina di volte. Ed è stata gentile, ma adesso stai iniziando ad esagerare. Fatti da parte. Dico sul serio, fatti da parte” gli disse duramente, poi si voltò verso Alex. “E cosa diavolo è successo a te? Eri mio amico. E adesso sei come Mark Sloan.”
“Ehi” protestò Mark. “Ma chi ti credi di...”
“Mark, sul serio. Lascia in pace Callie. Devi piantarla” gli disse anche Addison. “Devi accettare un no e smetterla di comportarti come un idiota.”
“Andiamo” mi disse Arizona piano. Mi appoggiò una mano sulla schiena e iniziammo a camminare verso casa.
Camminammo in silenzio, finché tolse la mano dalla mia schiena. Allora decisi di parlare.
“Entro domani i due idioti avranno detto a tutti che siamo una coppia” le feci notare.
“Ti infastidisce che lo pensino?”
Io scossi la testa. Per un secondo valutai se tacere o parlare. Alla fine, glielo chiesi.
“Lo siamo? Una coppia” chiarii.
Lei si bloccò di colpo.
“Io non- non lo so.”
“Mh. Forse dovremmo parlarne.”
“Ok” acconsentì. “Vuoi una cosa seria? Perché abbiamo sedici anni. Beh, quasi diciassette, ma non credo che sia questo il punto. Il punto è che tra due anni finiremo il liceo e dopo andremo per la nostra strada. E la nostra strada potrebbe non essere la stessa.”
“Aspetta, stai dicendo che tu non vuoi una storia seria, quindi?”
“Sto dicendo che potremmo finire per avere il cuore spezzato.”
“Potremmo anche aver vissuto il periodo più bello della nostra vita, quando arriverà il momento in cui avremo il cuore spezzato.”
“Quindi tu vuoi una storia seria?”
All'inizio non risposi.
“Cosa vuoi che ti dica, Arizona?”
“Dimmi la verità.”
“La verità...la verità è che forse abbiamo affrettato troppo le cose. Ci conosciamo solo da un paio di mesi, infondo. Beh, quasi tre. E come amiche andavamo alla grande. Forse dovremmo limitarci a quello.”
“Ferma, questo ha davvero qualcosa a che fare con me e noi, oppure stai semplicemente dando di matto e hai deciso di tornare ad essere etero?”
“Non sono mai stata...” avevo parlato troppo in fretta. Troncai la frase, maledicendomi.
Lei comprese ugualmente.
“Aspetta, quindi...lo sapevi già? Prima di incontrare me?”
“Certo che lo sapevo. Credi che avrei potuto fare i conti con una cosa del genere in un paio di mesi?” chiesi, guardando in basso.
Lei rimase in silenzio. Fece un passo avanti, mettendosi a meno di mezzo metro da me.
“Allora non cambierai idea?” sussurrò.
Io alzai di nuovo gli occhi, guardandola con confusione.
“Se è quello che vuoi possiamo fare un tentativo. Sai, una cosa seria.”
“Abbiamo passato ogni secondo dell'ultimo mese e mezzo praticamente sempre insieme. E ti serviva comunque sapere che puoi fidarti di me? Non hai ancora capito?” le chiesi, sentendomi all'improvviso delusa.
Lei capì dal mio tono di voce il mio stato d'animo.
“Calliope, ho solo...” lasciò in sospeso la frase.
“Paura che farò come lei” conclusi riferendomi a Joanne.
“Calliope...”
“Come ti pare, Arizona. Forse hai ragione. Una storia seria richiederebbe la tua fiducia, e immagino che sia chiedere troppo” le risposi, voltandomi e ricominciando a camminare.
Lei mi afferrò un braccio, impedendomi di proseguire. Io non mi voltai.
“Quello che hai fatto stasera, il nascondere quello che stai pensando dietro a qualcosa di diverso, questo non è abbastanza secondo me” le dissi, riferendomi a come aveva nascosto la sua paura su un mio cambio di idea dietro al non volere una storia seria per via della possibile separazione al termine del liceo.
“Vorrei essere la persona in grado di darti quello che cerchi.”
Io liberai il braccio dalla sua mano.
“Non ti ho mai chiesto niente di più di ciò che sei riuscita a darmi.”
“Ho sempre cercato di darti tutto ciò che potevo” protestò lei.
Io scossi la testa, ma neanche allora mi voltai.
“Ti sei limitata a darmi ciò che non era difficile per te.”
Ricominciai a camminare. E non mi guardai indietro.





Lo so, lo so, siamo passati all'angst! Un po' ogni tanto serve pure questo no?
Fatemi sapere che ne pensate!




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Capitolo 6
*** Le mie mani ***





Scusate infinitamente il ritardo! Buona lettura!






Le mie mani

“Stamani sono passata a casa tua, ma Aria ha detto che eri già a scuola. Con chi sei venuta?” mi chiese Addison, vedendomi.
“A piedi” risposi dopo un secondo di incertezza.
“Oh. Perché?”
Io sospirai.
Non volevo fare il viaggio in macchina con Arizona.
“Avevo bisogno di pensare.”
“Ok” rispose in modo scettico. “Stasera andiamo a mangiare una pizza, passo a prenderti?”
“A dire la verità non ho molta voglia di uscire. Credo che stasera mi servirà per riprendermi dalla partita di ieri” finsi un sorriso e me ne andai, prima che avesse l'occasione di insistere.
Per il resto della giornata cercai di evitare tutte le ragazze della squadra. E anche il giorno dopo. E ci riuscii. Ma qualcun altro, invece, mi trovò mentre ero in un angolo del cortile.
“Callie.”
“Mark.”
“Volevo chiederti scusa per come mi sono comportato con te. Non è da me insistere così tanto. E non lo farò più, mi farò da parte, come mi hai chiesto.”
Io finsi un sorriso, mentre lui si voltava.
E poi pensai che non avevo neanche un solo buon motivo, uno solo, per continuare a rifiutare i suoi inviti ad uscire.
“Mark?”
“Sì?” si voltò di nuovo verso di me.
“Magari potremmo essere amici” proposi, sentendomi in colpa per l'aria triste che aveva.
Sembrava diverso dal solito. Se solo avessi capito prima cosa stava cercando di ottenere, mi sarei risparmiata un sacco di dramma.
“Stasera non ho impegni. Se ti va possiamo trovarci da Luigi alle sette” propose.
Quella era la pizzeria dove ci trovavamo di solito quando eravamo tutti.
“Certo.”
Non riuscii a dire di no, anche se davvero non avevo voglia di uscire da sola con lui.
“Solo come amici” mi affrettai a chiarire.
“Solo come amici” acconsentì, sorridendo a trentadue denti e andandosene.
Ma chi prendevo in giro? Mark Sloan non conosceva il significato della frase 'solo come amici'.
A dire la verità mi sorprese, però. Arrivò in anticipo, prima di me. Parlò per tutta la sera di argomenti che interessavano entrambi, evitando battute inappropriate. Si offrì di pagare il conto alla fine della cena, ma io appoggiai una mano sul suo braccio.
“Siamo qui come amici. Il conto lo dividiamo a metà” gli rivolsi un piccolo sorriso.
Lui acconsentì.
Mi voltai per prendere il giacchetto e vidi Arizona, ferma vicino alla porta, che mi guardava come se mi avesse visto avvinghiata al ragazzo di fronte a me. Con lei c'erano anche Addison e Teddy.
Sentii lo stomaco fare una capriola.
Con Mark ero stata bene. Era simpatico, di bell'aspetto, e anche se un po' troppo sicuro di sé era un ragazzo apposto. Ma il mio stomaco non faceva le capriole quando incrociavo il suo sguardo dall'altra parte della stanza.
Arizona uscì. Pagammo il conto e poi Mark mi accompagnò fuori, aprendo la porta per me. Lei era ancora lì. Quando mi vide uscire mi venne incontro. Poi vide Mark uscire dietro di me. Allora si fermò, ed aspettò che facessi qualcosa, appoggiandosi con la schiena alla parete e sparendo alla vista sia mia che di Mark.
“Senti devo andare. Mi sono divertita stasera, saresti un buon amico Mark.”
“Tutto qui? Andiamo, neanche un bacio?”
“Credevo che fossimo d'accordo sull'uscire come amici” risposi, camminando all'indietro in direzione di Arizona. Iniziavo ad essere impaziente. Infondo, ero riuscita a stare lontano da lei per due giorni. Era come far smettere di bere un alcolista in un paio d'ore. Traumatico.
“Nah, quello è qualcosa che si dice” mi venne incontro. Non aveva notato Arizona, appoggiata al muro della pizzeria, ma lei poteva sentirci parlare, ne ero sicura. “Ho parlato di cose noiose per tutta la sera, mi sono comportato bene, non ho fatto battute, mi merito un bacio, come minimo.”
Io risi amaramente.
“Avrei dovuto aspettarmelo, credo. Ecco che mi merito per aver pensato che infondo potessi essere un bravo ragazzo.”
“Oh, andiamo, se avessi voluto un bravo ragazzo non saresti uscita con me.”
Io scossi la testa e mi voltai.
“Pensavo che volessi un vero uomo, per cambiare, invece di uscire con la tua amichetta lesbica.”
Io mi bloccai in mezzo alla strada.
Si accorse che quella era stata l'unica cosa che aveva attirato la mia attenzione.
“Ah, vedo che ho toccato il punto giusto. Sai, capirei se te la fossi scopata. Voglio dire, se potessi anche io me la scoperei. Scommetto che le piacerebbe. Anzi, penso che si scorderebbe perfino il tuo nome dopo.”
Quell'ultima frase la sentii forte e chiara rimbombarmi nelle orecchie. Mi dava fastidio. Mi irritava, perché avrebbe potuto avere ragione.
Fu allora che Arizona capì cosa avrei fatto. Le vidi uscire da dietro l'angolo mentre mi voltavo verso Mark.
Sarebbe bastato un secondo in più, solo un secondo.
Arizona mi si mise davanti mentre stavo per colpirlo, bloccandomi il braccio semplicemente appoggiandoci una mano sopra. Il suo tocco gentile mi paralizzò. In un attimo, anche Teddy e Addison si misero in mezzo, intimandogli di andarsene.
“Che c'è, volevi colpirmi?” rise. “Sei solo una ragazza.”
Si voltò, iniziando a camminare.
“Codardo” lo accusai.
Si bloccò subito. Sapevo che era l'insulto che più lo infastidiva in assoluto.
“Torna indietro e ripeti quello che hai detto davanti a me e giuro che ti darò la lezione di rispetto che meriti.”
Lui si fece strada tra Addison e Teddy, mentre io feci scudo ad Arizona col mio corpo, tenendola poi indietro con il braccio sinistro.
Quello che né lui, né Arizona sapevano, era che sia a Miami che nella nuova casa avevo un sacco da box nel seminterrato, con cui mi allenavo quasi tutti i giorni.
“Potrei scoparmi la Robbins molto meglio di te.”
Ci fu un momento, a qual punto, in cui tutto fu calmo. Teddy e Addison trattennero il fiato, Arizona continuò a tirare all'indietro il mio braccio sinistro con poca convinzione, Mark mi guardò con aria di divertita soddisfazione ed io lo guardai negli occhi.
Non c'era rumore.
“Non ne vale la pena, Calliope.”
Io annuii, sorridendo appena. Poi mi voltai leggermente di lato. Arizona pensò che avessi deciso di lasciar perdere e andarmene, così fece velocemente alcuni passi indietro, sperando che la seguissi.
Poi aggrottai la fronte.
“Ripensandoci” sussurrai.
Lo colpii, centrando in pieno il suo occhio sinistro.
Urlò, indietreggiando. Addison e Teddy si guardarono. Nessuna delle due lo disse, ma sapevano entrambe che era arrivato il momento che qualcuno desse una lezione a Mark per quello che aveva detto di Arizona. E avrei giurato di aver visto entrambe tentare di nascondere un sorriso.
“Già. Ne valeva totalmente la pena.”
Arizona non rispose. Mi afferrò per le spalle, costringendomi a camminare verso casa.
“Che diavolo credevi di fare?” iniziò quando fu sicura che non ci avrebbero sentito. “Avrebbe potuto stenderti, se ne avesse avuta l'occasione” alzò la voce.
“No, non credo” sussurrai, sorridendo appena.
“Calliope, smetti di parlarne con aria così soddisfatta. E levati quel sorrisetto dalla faccia. Avrebbe potuto reagire molto peggio. Che diavolo pensavi di fare?” chiese di nuovo, quasi urlando.
“Prendere il suo strafottente culo a calci. Ecco cosa.”
Continuò a trascinarmi tenendo saldamente la presa sulle mie spalle anche quando chiaramente non ce n'era più bisogno.
“Ti rendi conto che avrebbe potuto ridurti in briciole, non è vero?” chiese, sempre ad alta voce. “E tu eri disposta a lasciarglielo fare. Per provare cosa, esattamente?”
“Che non ti scorderai il mio nome. Tutto qui. Semplicemente.”
Rallentò, fino a fermarsi.
La strada era totalmente deserta.
“Che c'è?” le chiesi, quando si mise davanti a me e mi guardò negli occhi.
“Come potrei scordarmi il tuo nome?” mi chiese dolcemente.
Io scrollai le spalle.
“Non vuoi qualcosa di serio con me. Se, come hai detto tu, tra due anni prenderemo strade diverse, potresti scordarti il mio nome, tra una ventina, forse trent'anni. E così io almeno avrò avuto la soddisfazione di aver fatto un occhio nero ad un tipo che mi ha detto quanto gli piacerebbe scoparti.”
“Promettimi che non farai mai più una cosa del genere.”
Io non risposi.
“Promettimelo” insistette.
“Non posso promettertelo, Arizona. Non posso, perché quando si arriverà alla scelta tra fare la cosa giusta o proteggerti, io farò la scelta sbagliata ogni singola volta.”
Mi guardò per un attimo, mentre le parole facevano presa su di lei.
E poi mi baciò. E fu incredibile sentire di nuovo le sue labbra sulle mie.
Ricambiai il bacio, anche se - e proprio perché - sapevo che forse sarebbe stato tutto quello che avrei avuto.
Allontanandosi, appoggiò la fronte sulla mia.
“Ok.”
“Ok?” chiesi.
“Proviamo ad avere una storia seria.”

“Mi fa male la mano” ammisi quando ci trovammo davanti alla porta di casa mia.
“Questo è quello che ti meriti per esserti comportata stupidamente” rispose. Mi stava camminando affianco, tenendomi la mano - la sinistra però. “Fammi vedere” ordinò però alla fine dolcemente.
Io le porsi la mano che aveva avuto un frontale con la faccia di Mark.
“Dovresti metterci del ghiaccio” mi disse.
“Entri?” le chiesi, aprendo la porta.
Lei non rispose, ma mi seguì prima in cucina a prendere del ghiaccio e poi in camera mia, al secondo piano.
Mi sedetti sul letto, premendo il ghiaccio sulle nocche sbucciate e doloranti della mano. Lei mi si sedette affianco, appoggiando una mano sulla mia spalla e l'altra sul mio ginocchio.
“Quindi adesso stiamo insieme?” mi chiese. “Cioè, adesso stiamo insieme. Cosa dovrebbe cambiare?” riformulò la domanda.
Io cercai di pensare a qualcosa che avrei voluto cambiare nel nostro rapporto.
“Niente?” proposi infine. “Voglio dire, siamo praticamente sempre insieme.”
“Ci telefoniamo spesso” continuò lei. “Ci diciamo tutto.”
“Quasi tutto” la corressi.
“Quasi- aspetta, come sarebbe a dire quasi tutto?”
“Non mi hai detto che il motivo per cui non volevi stare con me era perché avevi paura che mi sarei spaventata e sarei scappata dalla nostra relazione.”
Lei distolse lo sguardo.
“Ok. Quasi tutto.”
“Questo potrebbe essere qualcosa da cambiare. Forse il passo successivo è eliminare il quasi.”
“Sì. Anche secondo me” rispose, accarezzandomi la schiena. “Come va la mano?”
“Bene. Non l'ho colpito molto forte” risposi. Era vero. Se lo avessi colpito come alcune volte avevo colpito il sacco nel seminterrato, probabilmente avrei potuto rompergli il naso o fratturargli l'osso occipitale. “Hai addosso un profumo diverso” osservai, cambiando discorso.
Lei aggrottò la fronte.
“Profumi di...lavanda” appoggiai le labbra sul suo collo, inspirando lentamente. Lasciai dei piccoli baci sulla sua gola, fino a baciarla sulle labbra.
“Bagnoschiuma nuovo” mormorò distrattamente, facendo cadere il discorso sul pugno che avevo dato a Mark e rispondendo ai miei baci.
“Mi piace” risposi, altrettanto distrattamente.

Il giorno dopo, a scuola, si erano diffuse strane voci su come Mark si fosse procurato un occhio nero. Ovviamente lui non disse a nessuno che ero stata io, e nemmeno mi denunciò. Per il suo ego sarebbe stato un colpo insopportabile.
“Ho sentito dire da fonte certa che è stato un trafficante d'armi venezuelano.”
“April, sta zitta” la rimproverò Cristina. “Mark non è coinvolto in nessun traffico d'armi. È stato uno spacciatore messicano che gli ha venduto roba tagliata male. Lui s'è lamentato e ne ha ricavato un occhio nero.”
Io e Arizona ci guardammo, trattenendoci a stento dallo scoppiare a ridere.
“Ho sentito dire che è stata una ragazza” buttò lì Teddy, sghignazzando.
“Non diciamo sciocchezze per favore. Stiamo cercando di fare ipotesi realistiche” intervenne Meredith.
“Io vado a prepararmi” feci presente, alzandomi.
“Vengo con te” si affrettò Arizona.
Avevamo deciso di continuare a tenere per noi quello che stava succedendo, almeno finché non avessimo avuto una visione chiara di tutto.
“Sei libera stasera?” le chiesi a qualche metro dalla porta dello spogliatoio. “Se non sbaglio mi avevi promesso un appuntamento che non ho mai avuto.”
“Stasera è perfetto” rispose, aprendo la porta dello spogliatoio per me.
Eravamo le prime due ad arrivare.
“Avete saputo dell'occhio nero di Mark?” chiese Izzie, entrando, una decina di minuti dopo, insieme a Meredith, Cristina, Lexie, April, Teddy ed Addison. “Pare che in realtà se lo sia fatto proteggendo una ragazza da un tipo che la stava aggredendo.”
“Ah. Questo è più improbabile della teoria della ragazza che prende Mark Sloan a pugni” rispose Cristina.
“Callie, che hai fatto alla mano?” mi chiese Meredith, notando che stavo tentando di allacciarmi le scarpette senza piegarla.
All'improvviso, ci fu un silenzio innaturale per uno spogliatoio.
“Sono caduta.”
“Si è presa la mano in una porta.”
Guardai Arizona e lei guardò me.
“È caduta.”
“Mi sono presa la mano in una porta.”
Parlammo di nuovo contemporaneamente.
Cristina mi si avvicinò, prendendomi la mano ed esaminandola.
“Non puoi esserti fatta male cadendo, è sul dorso. Ed è solo da una parte, quindi non puoi essertela presa in una porta” concluse.
“Sembra più una bruciatura. Come se l'avessi premuta contro qualcosa” osservò April.
Ormai tutta la squadra era riunita attorno alla mia mano.
“Oh, Lexie aveva delle bruciature simili sul sedere quando usciva con Mark. Bruciature da tappeto.”
“Meredith!”
“Cosa? È vero.”
“Questo non significa che debbano saperlo tutti” disse imbarazzata Lexie.
“Meredith ha ragione. Sono bruciature da tappeto” intervenne Addison, guadagnandosi un'occhiataccia da Arizona. Scrollò le spalle e spalancò gli occhi, come a chiederle cosa avrebbe dovuto dire.
“Un posto un po' strano dove avere ferite da sesso” osservò con disinvoltura Cristina. “A meno che...” spostò lo sguardo dalla mia mano ad Arizona.
“Eravamo sul pavimento di camera mia” buttò fuori Arizona come se l'avessero costretta, arrossendo furiosamente subito dopo. “Le ho premuto le mani contro il tappeto troppo forte e quella sotto si è bruciata” ammise a denti stretti.
Tutte le presenti la guardarono a bocca spalancata, valutando le sue parole.
Ci fu un attimo in cui sembrava che avessero tutte perso l'uso della parola in conseguenza alla scioccante rivelazione.
“Nah” concluse infine Cristina. “Ma ci ero quasi cascata.”
“Voi due insieme?” chiese Lexie con una risatina. “No, non è realistico.”
“Senza contare che tu, Arizona, non hai un tappeto in camera” continuò Meredith.
“E tu che stai in controllo?” continuò Cristina. “Andiamo, potevi raccontare qualcosa di più verosimile, Robbins. Sappiamo tutte che sei più vergine di April, qui” la indicò con il pollice. “E lei è moo-olto vergine.”
A quel punto, sia April che Arizona rotearono gli occhi.
“La domanda interessante è cosa sia così oscuro e sporco da avervi fatto inventare una bugia come questa. E lo scoprirò” ci garantì Cristina. “Oh, sì che lo scoprirò.”
Io a quel punto scoppiai a ridere, uscendo dallo spogliatoio insieme ad Arizona.
Dopo gli allenamenti ci ritrovammo tutte nel cortile della scuola per le convocazioni della partita che ci sarebbe stata tre giorni dopo.
Mentre stavamo aspettando l'allenatrice un gruppetto di ragazzi passò davanti a noi. Tra di loro uno si fermò e avrei indovinato chi anche se non l'avessi visto avvicinarmisi.
“Pronta per il round numero due Torres?” chiese col solito sorrisetto strafottente.
“In qualunque momento tu voglia” gli risposi a mia volta con tono sicuro di me. Ovviamente non l'avrei colpito a scuola. Non volevo farmi espellere. Decisamente no. “Fuori da qui” aggiunsi, come se fosse ovvio.
“Ho saputo che non hai detto a nessuno quello che è successo davvero.”
Io non gli risposi. La verità era che non avevamo detto niente per evitare che si arrabbiasse più di quanto già era e decidesse che poteva denunciarmi, visto che tutti lo avrebbero comunque già saputo.
“All'inizio non riuscivo a capire perché. Insomma, mi hai fatto un occhio nero con un destro dritto in faccia. Io me ne sarei vantato fino alla morte.”
Mi accorsi che tutti i ragazzi nel cortile adesso stavano ascoltando quello che avevamo da dirci.
“Poi ho capito. Non l'hai detto a nessuno perché non volevi che si sapesse che hai provato a stendermi dopo che ho detto che avrei potuto scoparmi la tua ragazza, perché a quel punto avresti dovuto ammettere che la Robbins davvero è la tua ragazza.”
Tenni gli occhi fissi dentro i suoi, lo sguardo duro. Ma mi accorsi anche che tutte le altre guardavano me.
“E scommetto che mammina e papino non sarebbero contenti di venire a sapere una cosa del genere. Peccato. Perché se non avessi avuto paura delle loro reazioni, a questo punto mi avresti dato un altro pugno ed io avrei potuto rispondere a tono, stavolta. Invece in famiglia non credo approverebbero alcune delle tue scelte.”
“Non tutti sono tanto codardi quanto te. Alcune persone affrontano le conseguenze delle loro azioni.”
Lui fece un passo avanti. Ne feci uno anche io.
Eravamo a tre o quattro metri di distanza.
Lo vidi guardarsi intorno. E capii perché aveva scelto il momento della giornata in cui c'erano più studenti in cortile.
“Oh, guarda chi c'è. Aria Torres. Proprio la persona che stavo cercando” si rivolse ad un gruppetto di cheerleader che stavano osservando la scena tra le tante persone. “Scommetto che a te interesserebbe sapere tutta la storia. Perché non le racconti il motivo per cui mi hai dato un pugno, Callie?”
Io strinsi le mani e serrai la mascella.
La verità era che avevo paura della reazione di Aria. Perché? Perché lei, a differenza di Mark, per me contava qualcosa. La sua opinione, per me, contava qualcosa.
Feci un passo avanti. Ma sentii un braccio bloccarmi.
Incrociai lo sguardo di Arizona, dolce, come sempre. E con lo sguardo mi implorava di non farlo, di lasciar stare. Ed io sentii pian piano la rabbia andarsene e i muscoli tesi rilassarsi. Il suo sguardo mi chiedeva di non reagire. E quindi l'unica cosa che potei fare fu rimanere immobile a guardare lei.
“Vieni” mi disse solo. “Andiamo via.”
Ed io andai, guidata dal suo braccio attorno alle mie spalle.

Quando arrivammo a casa a piedi, Aria era già arrivata lì con la macchina.
“Lo sapevo” fu la prima cosa che mi disse. “Giuro che lo sapevo da quando tu e Alexis Connor ve ne andavate in giro a parlare di come aggiustare il motore della vecchia mustang di papà.”
Io mi sentii arrossire. “Aria...”
“Vuoi che ne parliamo?” mi chiese, aprendo la porta di casa. “Scommetto che dovremmo parlarne. Capire come ti senti a riguardo, come mi sento a riguardo.”
“Aria, è il tuo modo di dirmi che la cosa non ti crea problemi?”
Lei scrollò le spalle.
“Callie, io ti prendo in giro spesso. E forse non sempre siamo carine l'una con l'altra. Ma sono tua sorella. Sono dalla tua parte, qualsiasi cosa accada.”
“Potresti parlarne con mio fratello. Scommetto che potrebbe darti qualche consiglio su come evitare la parte imbarazzante” le propose Arizona.
“Oh, tuo fratello!” quasi urlai. “È geniale! Voglio dire, certo, per questa storia, Aria. Ma sai, anche per altre cose. Tim, il fratello di Arizona, è un ragazzo molto simpatico. Scommetto che avreste un sacco di cose in comune” guardai Arizona, facendole capire le mie intenzioni.
“Oh, ma certo!” esclamò quando afferrò il piano. “Vieni, voglio presentartelo.”
Aria aveva capito che stavamo tramando qualcosa. Per nostra fortuna, non aveva capito cosa.
Entrammo in casa di Arizona, e, dopo averli presentati, li lasciammo a parlare del più e del meno, sparendo senza farci notare al piano di sopra.
“Perfetto. Geniale. Tim e Aria sarebbero una coppia fantastica” osservò Arizona, gettando lo zaino sul pavimento.
“Eccetto a Natale” commentai, ridendo. Mi gettai sul suo letto.
“Aspetta, in che senso?”
“Beh, immagina che succederebbe se o loro o noi ci lasciassimo. I pranzi di Natale, le cene del Ringraziamento, tutte le feste in famiglia, sarebbero così imbarazzanti” continuai, ridendo.
Lei si sedette accanto a me. “Credo che allora non ci resti altra soluzione” concluse. “Dovremo rimanere insieme per sempre.”
Io le passai una braccio attorno alle spalle. “Già. Sposarci. Avere dei bambini. Una casa con lo steccato bianco.”
“Polli. Non dimenticare i polli. Almeno tre, sul retro.”
“Hai pensato a dei nomi?”
“Per i bambini?”
“Per i polli” replicai con tono ovvio.
“Giac, Perla e Gas Gas.”
Io risi. “Non sono i nomi dei topolini di Cenerentola?” chiesi, ancora ridendo.
“Può darsi” rispose con tono vago.
Mi baciò, anche se non me lo aspettavo. Risposi immediatamente, e notai subito che era un bacio diverso. Più esigente, in qualche modo. Non mi sfuggì il fatto che eravamo sul suo letto. Come non mi sfuggì quando si sdraiò, ed il modo in cui, senza neanche doverci pensare, finii alla perfezione su di lei.
“Per sempre, dici?” chiesi, tra un bacio e l'altro. “Potrebbe andarmi bene.”
Lei rise. “Per sempre è un sacco di tempo.”
La feci stare zitta con un lungo bacio.
“Direi che è perfetto, quindi” concluse, invertendo le nostre posizioni.
Rimasi con lei e persi la cognizione del tempo, finché mi resi conto di che ora era.
“Devo andare. Passo a prenderti tra un'ora, ricordati che andiamo a cena fuori.”
La baciai a stampo, raccogliendo il mio zaino da terra, ed uscii.
Quella sera avevamo il nostro primo appuntamento.






Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate!





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Capitolo 7
*** Niente più gruppo ***




Scusate moltissimo per il ritardo! Buona lettura!





Niente più gruppo


Si vestì in modo semplice, quella sera, ma era comunque bellissima.
Avevo fatto in modo che Aria acconsentisse a lasciarmi la macchina.
Prima di uscire, incontrai mia madre all'ingresso.
“Vai a cena con i tuoi amici?”
“A dire la verità, siamo solo io e Arizona” risposi, cercando di rimanere sul vago.
Lei sorrise, capendo comunque.
Divertiti tesoro. Domani hai scuola, quindi non più tardi di mezzanotte.”
Io annuii, aprendo la porta.
“Calliope...” avrebbe voluto dire qualcosa, ma appariva combattuta se parlare o tacere. Mi porse i soldi che aveva in mano. Sorrise. “Stavo quasi per dimenticarmi.”
Li afferrai con indecisione.
“Mamma, sono sempre io. Puoi dirmi tutto ciò che pensi.”
Lei mi sorrise con dolcezza.
“So che sei sempre tu. È per questo che non sono preoccupata, tesoro” mi informò. “Volevo solo dirti...apri lo sportello dell'auto per lei. E scendi dalla macchina, non suonare il clacson. Odio quando i ragazzi di Aria lo fanno, preferirei che si facessero vedere in faccia. Complimentati sempre su quanto è bella, ma non davanti ai genitori, e assicurati che sia a casa in tempo se vuoi fare buona impressione. E baciala sulla guancia ad inizio serata, tuo padre mi rovinava sempre il trucco quando uscivamo.”
Io le sorrisi.
“Grazie mamma” le dissi, anche se in realtà Arizona non si truccava.

Bussai alla porta, come mi aveva consigliato mia madre. Aprì il colonnello e, per un secondo, pensai che avrei preferito che Arizona non avesse detto niente riguardo la natura della serata.
“Salve signor Robbins.”
“Callie, è un piacere vederti” mi sorrise, facendo sparire tutto il mio nervosismo. “Accomodati” mi invitò, richiudendo la porta. “Allora, suppongo che dovrei fare tutto il discorso da padre, a questo punto. Il problema è che Tim è un ragazzo, ed Arizona non ha mai avuto un appuntamento prima - che io sappia. Quindi, beh, non sono sicuro da dove esattamente dovrei iniziare.”
“Ho paura di non poterla aiutare, signore. Non ho mai avuto un appuntamento prima neanche io, quindi non sono sicura di cosa si dovrebbe dire a questo punto.”
“Oh, e, per la cronaca, io non so cosa sta succedendo stasera, se Arizona dovesse chiedere. Tim ha origliato una conversazione che stava avendo al telefono ed è corso a dirlo a sua madre, che lo ha detto a me. Ufficialmente, nessuno di noi ne è al corrente” mi fece un piccolo occhiolino, proprio mentre sentii Arizona scendere le scale.
“Ehi” mi salutò appena fu in grado di vedermi.
Io le sorrisi.
“Mezzanotte, Arizona.”
“Lo so papà” rispose, mentre lui ci apriva la porta di casa.
Ci guardò arrivare alla macchina e sorrise quando mi affrettai ad aprire lo sportello per lei.
Anche Arizona sorrise, in un modo che mi scaldò il cuore.
“Ok. Devi darmi indicazioni, perché non ho idea di dovi si trovi il posto che hai scelto” le dissi, avviando il motore. Mi voltai a guardarla. “Sei molto bella, stasera” aggiunsi e partii.

“Questo posto è carino” osservai mentre ci sedevamo.
“Non veniamo mai qui quando siamo in tanti. È un posto più...”
Mi guardai intorno. “Per coppie?” osservai.
“Stavo per dire intimo” mi corresse. “E da quello che mi ha detto Teddy stasera le altre sarebbero andate al solito posto” aggiunse.
“Oh, Addison mi ha detto che avrebbero cambiato. Non vogliono incontrare Mark. Le cose a scuola dopo che mi hai portata via si sono complicate.”
“Teddy me lo ha detto. A quanto pare quello che è successo oggi ha spezzato gli equilibri del gruppo. Derek vuole continuare a frequentare Mark, mentre Addison e Teddy non vogliono più averci a che fare. Meredith esce con Derek, e Owen è legato a Mark e Derek, così Cristina rimarrà con loro e anche Izzie, che è amica di Meredith, ed Henry, che è amico di Owen. Lexie, Jackson e April sono rimasti in disparte, insieme ad Alex, Lucy e Reed. Addison, Teddy, Miranda, Eli ci hanno difeso.”
“Qualcosa del genere, già” replicai sottovoce. “Mi dispiace. So quanto sia importante per te che la squadra sia unita, e mi dispiace per tutto il casino che ho fatto.”
“Non è colpa tua.”
“Sì che è colpa mia. Io ho dato un pugno a Sloan. Di chi altro dovrebbe essere la colpa?”
“Calliope, tu mi hai difesa. So che ci ho messo un po' per capirlo, ma tu sei quel tipo di persona. Tu non scappi, tu rimani. Combatti. E hai combattuto per me, anche quando io ti avevo deluso. Questo è importante, per me.”
Io la guardai negli occhi. “Continuerò a combattere, Arizona. Non smetterò e non fuggirò, finché non sarai tu a chiedermelo.”
Appoggiò una mano sulla mia.
“Adoro i tuoi occhi. Ogni volta riesco a perdermi” rispose, senza senso logico.
Io sorrisi, arrossendo.

La riaccompagnai a casa in perfetto orario. Camminai con lei fino alla porta.
“A domani Calliope” mi salutò, dandomi un piccolo bacio a stampo sulle labbra.
“Buonanotte” sussurrai.

Mi ero appena messa a letto quando il mio cellulare squillò. Risposi, confusa dal nome sul display.
“Arizona?”
“Volevo telefonare alla mia migliore amica, perché, beh, è quello che si fa dopo un primo appuntamento. Credo. Non lo so, è quello che Teddy fa dopo i suoi primi appuntamenti, di solito. Comunque, volevo chiamare la mia migliore amica, e ho realizzato che avrei dovuto chiamare te, ma sarebbe stato stupido, così ho pensato che avrei dovuto tornare a chiamare Teddy per cose come questa. Ma poi ho realizzato che non voglio. Non voglio che tu non sia la mia migliore amica, perché tu sei la persona che mi rassicura quando ho una crisi isterica per qualcosa di stupido - tipo quello che sta succedendo adesso, e tu sei la persona a cui voglio raccontare tutto. Quindi ho bisogno che tu sia entrambe.”
“Entrambe?”
“Sì. La ragazza con cui vado fuori per un appuntamento e la ragazza con cui parlo dei miei appuntamenti. Le relazioni finiscono per la mancanza di comunicazione. A noi non è mai successo e non voglio che succeda. Quindi ho chiamato te.”
“D'accordo. Allora, raccontami. Come è stato il tuo appuntamento?”
“Fantastico. Davvero fantastico.”

“Non capisco dov'è il problema. Non stanno nemmeno uscendo insieme, o sbaglio?” sentii Cristina chiedere da dentro lo spogliatoio.
“Non credo sia questo il punto, Cristina” le rispose con calma Addison.
“Il punto è che Mark non vuole più uscire con lei” concluse Lexie. “Ognuno ha scelto da che parte stare. E noi abbiamo scelto di non essere da nessuna delle due.”
“Stiamo davvero dividendo il gruppo per Mark?” chiese Teddy.
“Stiamo davvero dividendo il gruppo per Callie?” chiese di rimando Izzie.
A quel punto decisi di entrare. E calò il silenzio. Arizona mi seguì, sedendosi accanto a me. Ci cambiammo in silenzio.
La Portman entrò, riconfermando la formazione della prima partita.
“Non so cosa vi succede, oggi, ma qualsiasi cosa sia, lasciatela fuori dal campo.”
Si voltò per uscire, poi si voltò di nuovo.
“Arizona” attirò la sua attenzione. Poi le lanciò la fascia da capitano. Lei la prese al volo, indossandola.
Entrammo in campo, nel silenzio più totale.
Giocavamo in casa. Molti dei nostri compagni di classe ci stavano guardando da bordo campo.
Il calcio d'inizio fu della squadra avversaria. Rubai il pallone ad una delle avversarie appena ne ebbi l'occasione, lanciando Cristina sulla fascia sinistra. Lei passò il pallone ad Arizona, che si trovò bloccata da tre avversarie. Si lanciò in un contrasto, ma lo perse.
Si avvicinarono alla porta, ma Addison fu veloce nel riappropriarsi del pallone, giusto in tempo per far scattare Meredith sulla fascia. Passò il pallone a me, che superai con facilità un paio di difensori della squadra avversaria.
Tirai dal limite dell'area. E, per mia fortuna, non sbagliai.
Per il resto del primo tempo Addison e Teddy fecero un gran bel lavoro nel concedere pochissimo spazio per il tiro. Quel paio di volte che riuscirono a tirare, Miranda salvò la porta, impedendogli di segnare. Il problema fu che Arizona continuava a perdere sull'uno contro uno e ad essere distratta sui passaggi.
Alla fine del primo tempo la bloccai prima che seguisse le altre negli spogliatoi.
“Arizona, sei distratta.”
“Ci stanno fissando Calliope. I loro sguardi mi stanno bruciando un buco sulla nuca. Tu non sei infastidita?”
“No. Ascoltami, Arizona. Guardami. Siamo io e te, lì dentro. Non c'è nessun altro. L'hai detto tu, questo è ciò che è sempre stato tuo. Lì dentro puoi vedere le cose con chiarezza.”
Lei cercò nei miei occhi per segni di menzogna. Quando vide che non ce n'erano, annuì.
“Ci proverò.”
Io le sorrisi. “Siamo io e te.”
All'inizio del secondo tempo mi accorsi di quello che intendeva. C'erano alcuni ragazzi che mi guardavano a parlavano tra loro. Parlavano di noi.
Ma Arizona fece ciò che le avevo chiesto.
“Siamo io e te” ripeté, posizionando il pallone.
Arizona guardò me.
Calciò la palla ed io gliela passai di nuovo, un paio di metri più avanti, alle spalle della centrocampista che prima la bloccava. Quando si trovò davanti quella successiva le fece passare la palla tra i piedi e la superò in velocità. Poi mi passò il pallone quando due ragazze le sbarrarono la strada. Io scartai altre due giocatrici, restituendole il pallone, portandomi all'interno dell'area. Lei lanciò la palla a circa un metro e mezzo da terra. La stoppai, facendola scivolare tra i miei piedi e tra quelli della giocatrice alle mie spalle, poi, più velocemente di lei, mi voltai e tirai a rete.
Fu il secondo goal della giornata.
Qualche minuto dopo Cristina recuperò la palla mentre quasi tutta la nostra squadra era in difesa, facendomi andare in contropiede. Il mio sesto senso, in campo, mi diceva sempre quando qualcuno mi stava arrivando alle spalle. Anche quella volta la percepii, ma non potevo fermarmi, ero vicina all'area e non avevo nessuno a cui passare la palla: Arizona era diversi metri più indietro.
Così continuai a correre, finché non sentii una forte pressione alla caviglia. Caddi verso destra, finendo sull'erba.
L'arbitro fischiò, Arizona mi raggiunse mentre mi stavo rialzando.
“Stai bene?” mi chiese con preoccupazione.
“Solo un graffio” la rassicurai, osservando la piccola striscia di sangue che seguiva il taglio dal gomito a metà dell'avambraccio.
“Devi uscire, non puoi rimanere in campo finché stai sanguinando” mi disse l'arbitro.
Annuii. “Lo so. Batti tu” incoraggiai Arizona. “Sarò di nuovo in campo tra un secondo” le dissi in maniera scherzosamente presuntuosa.
Lei mi sorrise, sistemando il pallone dove l'arbitro le stava indicando.
Quando uscii la Portman mi sciacquò subito il taglio con la borraccia che aveva già pronta in mano, facendo andare via il sangue e preparando il guardalinee a farmi rientrare.
Arizona batté la punizione, segnando di prima.
Sorrisi, mentre lei alzava la testa per guardare nella mia direzione.
La partita finì 3-0. Era la seconda vittoria del campionato.

“Allora, festeggiamo stasera?” chiese allegramente Addison.
“Certo. Potremmo andare a casa mia e di Meredith, nel seminterrato. Prendiamo della pizza, qualche birra” propose Lexie.
“Io non posso venire” ammise con dispiacere Meredith. “Ho promesso a Derek che avrei passato la serata con lui. Potremmo andare in pizzeria, come al solito, tutti insieme.”
“Io non posso venire stasera” si affrettò a far presente Teddy. “Devo assolutamente...beh, sicuramente devo fare qualcosa di meglio che ascoltare Mark Sloan fare commenti inappropriati e irritanti.”
“E con me fanno due” concluse Addison, non più così allegra.
“Quindi è così che sarà da ora in poi?” chiese Arizona.
“Dovreste andare” intervenni. “Mark ha un problema con me, non con Arizona. Dovreste andare a cena con loro. Io avrei comunque avuto da fare, quindi...” mi alzai, finendo di rivestirmi ed afferrando poi il borsone ai miei piedi. “Divertiti” sussurrai ad Arizona con un debole sorriso. Poi me ne andai, con una mano in tasca. Sentendomi invisibile tra la folla.
Seattle non era poi così diversa da Miami, pensai.

“Aria, la porta!” urlai per la terza volta dal piano superiore. Alla fine, quando qualcuno suonò per la quarta volta, mi decisi a scendere.
“Non sei venuta a cena. Quindi la cena è venuta da te. Per prenderti a calci nel culo” mi fece sapere Addison, entrando.
Teddy mi sorrise, abbracciandomi brevemente.
Arizona mi baciò velocemente sulle labbra, facendo poi strada alle altre verso il soggiorno.
Ci sistemammo sul divano, guardando un film mentre cenavamo con la pizza che avevano portato.
“Allora...voi due state tipo...” iniziò Teddy.
“Insieme?” si decidere a chiedere Addison.
“Non che vogliamo farci i fatti vostri, ma...”
“...visto che siamo le vostre migliori amiche...”
“...ok, sì, forse stiamo cercando di farci i fatti vostri.”
“Vorremmo tenerlo per noi, per adesso” gli fece sapere Arizona. “Quindi non ditelo a nessuno.”
Entrambe annuirono.
La bionda al mio fianco mi si avvicinò ed io le circondai le spalle con un braccio. Mi piaceva tenerla in quel modo. Potevo sentire il suo profumo, il suo calore. Potevo sentire lei.
Quando il film finì Teddy ed Addison decisero di lasciarci un po' di tempo per stare insieme prima che i miei tornassero dalla loro cena fuori.
Rimanemmo abbracciate sul divano. Non facevamo altro che baciarci, quando rimanevamo da sole, ed io sinceramente non avevo idea se fossero gli ormoni adolescenziali o se fosse lei. Quando i miei rientrarono stavo buttando i cartoni della pizza.
“Callie, sei a casa?”
“Sono in cucina, mamma” chiamai. “E c'è Arizona, in soggiorno” aggiunsi con tono più basso, uscendo nell'ingresso.
Lei mi sorrise, entrando in soggiorno subito dopo.
“Arizona” la salutò.
“Signora Torres” ricambiò lei con un sorriso.
Mamma le si sedette affianco. Non avevo mai capito come fossero riuscite a trovarsi subito così a loro agio l'una con l'altra. A volte, giuro, sembrava che avessero la stessa età, o addirittura che fossero amiche di vecchia data.
Qualche volta mia madre le aveva anche fatto domande imbarazzanti, per esempio una volta le aveva chiesto, così, dal niente, di quella sua ex ragazza di cui Aria le aveva parlato.
E, nonostante questo, non ero pronta a quello che stava per arrivare a quel punto.
“Allora, cara, come è andata ieri sera? Avrei voluto chiedere a Callie, ma sapevo che non mi avrebbe detto niente. Beh, perlomeno Aria non mi dice mai niente dei suoi appuntamenti, e di certo non vorrei parlarne con uno dei suoi ragazzi. Ma ho pensato che magari tu avresti potuto raccontarmi qualcosa.”
Arizona spalancò leggermente la bocca. Io diventai profondamente rossa.
“Mamma” mi lamentai, piagnucolando.
“Cosa c'è?” mi chiese con aria indifferente. “Volevo solo sapere come è andata.”
Io feci una smorfia. “Ti prego mamma, potresti solo...” indicai le scale con gli occhi.
“Ok, ok” mi assecondò lei, sbuffando, ma alzandosi.
Arizona si affrettò ad alzarsi a sua volta. “È...andata molto bene, signora Torres. È gentile da parte sua aver domandato.”
Mia madre le appoggiò una mano sulla spalla. “Buonanotte, Arizona” le sorrise come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Non credo che sarò mai in grado di dire quanto quel sorriso fu importante, per me.
A quel punto rientrò anche mio padre, che prima stava probabilmente parcheggiando l'auto in garage.
Mia madre lo portò al piano superiore, senza aggiungere altro.
“Non mi avevi detto...”
“Non ci sto ancora credendo.”
“Sembra che l'abbia presa bene.”
“Non sembri sorpresa.”
“Non lo sono. Tua madre ti vuole bene, Calliope. Farebbe qualsiasi cosa per te. E questo è compreso, a quanto pare.”
Mi sorrise.
Dopo averla accompagnata alla porta e averle dato la buonanotte entrai in cucina, trovando mia madre seduta a leggere della posta.
“Volevo ringraziarti” iniziai, attirando la sua attenzione. “So che per te è difficile. E so che le cose non saranno mai semplici tra te e me, come lo sono per te con Aria. Ma voglio ringraziarti, perché vedo quanto duramente ci stai provando.”
Lei si tolse gli occhiali da lettura, osservandomi per un momento.
“A dire la verità è più facile di ciò che mi ero anticipata. Forse è perché Arizona è una così brava ragazza...Potrebbe benissimo far parte della famiglia.” Mi sorrise. “E per me non ci sono differenze tra te e tua sorella, Calliope.”
Con le lacrime agli occhi, la abbracciai.





Fatemi sapere che ne pensate! Alla prossima!



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