Too alone;

di aturiel
(/viewuser.php?uid=523229)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di quando Nico disse no ***
Capitolo 2: *** Di quando Percy capì ***



Capitolo 1
*** Di quando Nico disse no ***


 
Image and video hosting by TinyPic





 
Percy era seduto nella loro – sua e di Annabeth - camera da letto, intento a fermare il tremore delle proprie mani.
Erano passati anni ormai da quando lui e i suoi compagni – i suoi amici – avevano smesso di salvare il mondo ogni estate e si erano tutti ritirati con la speranza di trovare finalmente la tranquillità. Erano passati anni – quasi dieci, a ben pensarci – da quando era giunta anche per loro la fine delle avventure adolescenziali.
Ognuno di loro aveva preso una strada diversa e cercato di creare nelle proprie vite una parvenza di normalità: Jason e Piper si erano trasferiti in Canada e avevano festeggiato l'anno precedente il quarto di matrimonio, Leo aveva conosciuto una ragazza patita come lui di meccanica e adesso condividevano un appartamento nei pressi di New York, Hazel e Frank stavano ancora insieme e vivevano ogni giorno come una conquista in un paesino vicino al mare. Tutti avevano, insomma, trovato l'amore che stavano cercando, tutti avevano raggiunto il loro “happy ending”; anche lui e Annabeth avevano deciso di sposarsi, ad ottobre.
Nonostante la loro lontananza, però, avevano preso l'abitudine di riunirsi annualmente in un luogo a metà strada, un po' come accadeva in quelle famiglie sparse per il globo che, durante l'anno, si parlavano a malapena, e poi il giorno del Ringraziamento parevano i parenti più uniti che mai occhio umano aveva incrociato.
E così, un giorno su trecentosessantacinque, facevano finta di essere ancora il gruppo di amici che aveva salvato il mondo dieci anni prima, gli “Eroi dell'Olimpo”: Hazel, Frank, Jason, Piper, Leo, lui e Annabeth.
E Nico.
Lui arrivava sempre in ritardo e andava via sempre in anticipo, con quella faccia sempre troppo pallida e i vestiti sempre neri, come i suoi occhi e il suo intrico di capelli. Non era mai troppo contento di trovarsi lì, tanto che ogni anno faceva un sacco di storie e si inventava una caterva di scuse per evitare di rincontrare i suoi compagni; ma poi Percy insisteva, anche dopo che Nico aveva rifiutato tutti gli inviti degli altri. Lo chiamava e gli chiedeva: «Allora, quest'anno ci sei?» e l'altro gli rispondeva, con voce soffocata: «Vedrò se riesco» e riagganciava.
Ed era venuto sempre, alla fine. Tutti gli anni.

Quell'anno però, quando Percy aveva fatto la sua chiamata annuale, invece della sua formula fissa Nico aveva risposto con un secco “no”. Non era mai successo, e per questo motivo il figlio di Poseidone si era convinto che fosse successo qualcosa, qualcosa di grave. Dunque aveva preso l'auto, aveva lasciato sul tavolo della cucina una lettera ad Annabeth ed era partito alla volta dei Monti Chugach, dove sapeva che Nico abitava.
Impiegò giorni per trovarlo e, quando finalmente ci riuscì, lo rimpianse.
Bussò alla porta in legno, stringendosi nel suo piumino blu per cercare di trattenere un minimo di calore attorno al suo corpo. Faceva un freddo cane.
Quando la porta si aprì, fece capolino una figura macilenta e mortalmente pallida – anche più del normale -, con i capelli troppo lunghi e gli occhi contornati da occhiaie scure. Eppure, appena lo vide, il suo sguardo si accese di un guizzo di sorpresa e felicità, tornando però poi subito torbidi e stanchi.
Non era normale che un ragazzo di venticinque anni avesse quell'aspetto, nemmeno se si trattava di Nico di Angelo; c'era qualcosa di profondamente sbagliato in lui, nel suo aspetto, e Percy, che era consapevole di non essere la persona più sveglia del mondo – a quello ci pensava già Annabeth -, se ne accorse: non c'era bisogno di un genio per capire che qualcosa non andava in lui.
«Percy? Che cosa ci fai qui?» chiese l'amico, rompendo i secondi di silenzio che si erano formati. «Devo trascinarti – preferibilmente non con la forza – alla rimpatriata di quest'anno» rispose lui, cercando di apparire allegro come sempre.
«Ho già detto a tutti, te compreso, che non verrò».
«Dammi almeno la possibilità di provare a convincerti! Fammi entrare, dai».
Nico si alzò nervosamente sulle punte dei piedi e si strinse nelle spalle; era un'abitudine che non aveva mai perso quella di palesare così il suo disagio.
«Va bene, entra» cedette, infine.
La casa non era cupa come Percy aveva immaginato: le pareti erano tutte di un bianco abbacinante, l'arredamento in legno scuro era tutto sommato piuttosto minimal, anche se parzialmente nascosto da cataste di vestiti scuri o riviste gettativi sopra alla rinfusa. Insomma, era una normalissima – e isolatissima – casa di montagna.
Una volta che entrambi si furono seduti sul divano, Percy incominciò a snocciolare il discorso che si era preparato durante il viaggio, facendo finta di non essersi accorto dello stato fisico dell'amico:
«Lo so che sono passati anni da quando abbiamo sconfitto Gea, salvato il mondo e tutto il resto, e so che tu non sei molto socievole e che spesso ti trovi a disagio a partecipare a queste “stupide rimpatriate”, come le chiami tu, però tutti noi saremmo davvero felicissimi di rivederti anche quest'anno! Poi, alla fine, l'anno scorso ti sei divertito anche tu quando siamo andati a fare la gita in bicicletta; e se hai una ragazza, potresti tranquillamente portarla! Anche Leo stava pensando di...»
«Non ho nessuna ragazza, Percy» lo interruppe.
«Non c'è bisogno che menti, sono sicuro che qualcuna...»
«Non sto mentendo. Ti ho detto che non ho nessuna ragazza» rispose infastidito.
Ok, ho sbagliato a toccare questo argomento.
Percy si era quasi dimenticato di come fosse difficile ragionare con Nico e vincere quell'aria lugubre che sempre lo attorniava. Però non si diede per vinto: voleva a tutti i costi che anche lui venisse. Non sapeva bene il motivo, ma al solo pensiero di vedere vuoto il posto che, ormai da quasi dieci anni, occupava si sentiva perso, come se avesse bisogno di percepire accanto a sé, almeno quel giorno, quella sua figura alta e allampanata, nonostante sapesse che sarebbe stato in silenzio per quasi tutta la giornata.
«Senti, Nico, ti va di venire? Per favore».
Nico spostò gli occhi da quelli verdi di Percy, quasi come se volesse sfuggire dalla loro morsa così dolorosa e implorante. La verità era che aveva ormai da tempo un debole per quel colore – no, non per il verde in generale, per quel verde – e nemmeno il tempo aveva attenuato le sensazioni contrastanti e i rimescolii di stomaco che gli provocava.
Ormai però era stanco e sapeva che non sarebbe mai riuscito a soddisfare quel desiderio che lo scuoteva da sempre. Percy stava con Annabeth e, che lui lo volesse o no, a ottobre si sarebbero sposati.
Non sarebbe mai dovuto venire!
«Percy, quest'anno non verrò. Non cercare di fare il carino: lo so che non è facile starmi vicino, adesso più che mai, quindi tu e gli altri lasciatemi in pace».
«Non sto cercando di fare “il carino”! Voglio solo che tu ci sia, e basta».
«E perché, per Zeus? Cosa ti cambia se per un anno non verrò?» sbottò Nico.
Ecco, aveva colpito il punto dolente: perché Percy desiderava tanto che venisse? Perché sentiva quasi il bisogno che lui fosse presente?
Voltò il viso, cercando di non far intravedere il suo turbamento, poi rispose:
«Perché sei mio amico, mi pare ovvio. E poi...»
Ma non fece in tempo a finire, perché il suo discorso venne interrotto da una raffica di colpi di tosse che scosse violentemente il corpo magro del suo interlocutore.
Percy si avvicinò per soccorrerlo, appena in tempo per vedere Nico che nascondeva sotto la manica della sua felpa nera il polso con cui si era coperto la bocca. Fu solo per un momento, ma Percy era certo che fosse macchiato di rosso.
Il figlio di Poseidone spalancò gli occhi, incredulo e il cuore perse un battito: che Nico stesse male? Che fosse malato gravemente?
Preso dalla foga, afferrò le sue spalle spigolose e lo costrinse a guardarlo, piantandogli quegli occhi color dell'oceano dritti in viso.
«Che cos'hai?»
«Niente, solo un po' di tosse» rispose l'altro, cercando di sfuggire dal suo sguardo preoccupato.
«Non mi sembra: ho visto del sangue, su quella mano».
«Ti sarai sbagliato».
«No, ne son certo».
Rimasero un po' in silenzio, con Nico che guardava il pavimento e sembrava sul punto di scoppiare a piangere e Percy che non sapeva cosa fare.
«Nico, tu devi venire».
A quelle parole il figlio di Ade si divincolò con forza, sibilando: «Sai che odio il contatto fisico, Percy. Lasciami in pace e non...» tossì ancora, interrompendo la sua protesta. Si pulì di nuovo la bocca con la mano, lasciando una nuova scia rossastra.
Vedendo la scena, Percy non riuscì a trattenersi: «Ma Nico, tu stai male! Non voglio che tu...»
Ancora una volta Nico lo interruppe, questa volta urlando: «Che tu cosa? Che tu non possa più venire, dopo quest'anno? Che tu non ci veda ancora una volta? Che tu muoia?» e con uno scatto si allontanò, cercando di rifugiarsi nella stanza adiacente, la sua camera da letto.
Ma Percy lo seguì e lo afferrò con forza da dietro, abbracciandolo. Nico si divincolava, scalciava e sgomitava, ma era debole e, alla fine, si abbandonò sul petto dell'amico.
Il suo corpo era scosso di tanto in tanto dalla tosse, e Percy, ogni volta, si sentiva soffocare: per ogni spasimo, lui perdeva un po' d'aria, per ogni colpo, lui si sentiva come se stesse affogando.
Nico intanto, fra e sue braccia, era scoppiato in un pianto silenzioso, perché lui, il figlio del dio dell'oltretomba, aveva paura di morire, perché lui, che aveva rischiato la vita innumerevoli volte anni prima, aveva il terrore di chiudere gli occhi alla sera e di non riuscire a riaprirli il mattino seguente. E più di tutto lui che aveva deciso di vivere in una casa immersa nel nulla, lui che si era allontanato dai suoi amici subito dopo la battaglia finale contro Gea aveva paura di sentirsi tremendamente solo nell'Ade, aveva paura di non trovare la pace che cercava.
Il calore del corpo di Percy contro il suo lo faceva sentire al sicuro, eppure anche infinitamente fragile: era magro, sottile e scosso dalla tosse, l'altro invece era muscoloso e atletico, in ottima salute.
Non voleva che Percy lo vedesse piangere, che notasse il tremito delle sue mani scheletriche, che provasse pietà per lui: non lo avrebbe sopportato.

Non sapeva da quanto tempo stava stringendo Nico a sé quando l'altro, gentilmente, si allontanò dalle sue braccia, ma non appena lo fece si sentì come sbilanciato senza quel fisico sottile a sorreggerlo; quindi, quando finalmente Nico alzò gli occhi neri leggermente arrossati su di lui, gli sembrò naturale appoggiare le labbra sulle sue.
Nico restò sorpreso di quel contatto e subito si irrigidì. Sentendo però che l'altro non aveva intenzione di staccarsi troppo presto, socchiuse la bocca e si fece baciare a lungo e in profondità. Era una vita che aspettava quel momento e, per ironia, proprio ora che la sua vita stava finendo Percy si era deciso a baciarlo.
Quando si separarono, Percy era rosso in viso e cercava in tutti i modi di sfuggire dagli occhi neri ancora stupiti e invasi da una nuova speranza dell'altro, ma comunque trovò il coraggio di chiedere:
«Allora, quest'anno ci sei?»
Dopo un attimo di indecisione Nico rispose, quasi sbuffando: «Vedrò se riesco».

Note autrice:
Innanzi tutto ringrazio Kaika e Encha per avermi dato la possibilità di scrivere questa fic con il loro contest "Games of Judges: chiamata alle armi", perché altrimenti non avrei mai trovato il coraggio di pubblicare qualcosa nella sezione dedicata a Percy Jackson.
Poi vorrei dire che, appunto, questa è la mia prima fic su questo fandom e so già che è banale, drammatica e boh, abbastanza melensa, ma che è stata scritta dopo aver finito di leggere "La casa di Ade" e dunque potete capirmi. Ovviamente la prima storia - spero non ultima - qui, doveva essere necessariamente Pernico, perché voi non lo sapete, ma io li shippo da anni 
❤ e poi, scusate, ma sono troppo carini.
All'inizio doveva essere una semplice shot, ma visto che mi sono uscite nove pagine (che per me sono tantissime, giuro) ho deciso di dividerla in due, forse tre, parti.
Spero che nonostante tutto vi piaccia e che mi darete il vostro parere! Mi farebbe un piacere immenso ^_^
P.s. non sono molto sicura che i personaggi siano IC, quindi in caso contrario fatemi sapere che metto l'avvertimento piuttosto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Di quando Percy capì ***


Image and video hosting by TinyPic




 
Una volta tornato a casa Annabeth, notando la sua confusione, aveva incominciato a fare domande su domande e non c'era voluto molto perché una ragazza intelligente come lei riuscisse a estorcergli una confessione: era accaduto qualcosa a casa di Nico e, anche se non aveva ancora capito bene che cosa esttamente, sapeva che non le sarebbe piaciuto. Alla fine però aveva rinunciato: vedere Percy così insicuro, così terrorizzato, non era semplice per lei e aveva capito che forzando la mano le cose si sarebbero solo complicate. Non che avrebbe lasciato perdere – quello mai! -, però voleva che lui si fidasse di lei e gli confidasse tutte le sue preoccupazioni senza che si sentisse obbligato.
Ma Annabeth non sapeva – non poteva nemmeno immaginare – che ciò che era successo stava cambiando Percy, in un modo o nell'altro; che lo stava facendo dubitare di tutto, della sua vita, dei suoi affetti, delle sue convinzioni...
Il figlio di Poseidone non riusciva più nemmeno a guardare per troppo tempo quegli occhi grigi che lo cercavano preoccupati, non riusciva a sostenerli per il peso che portava dentro e per il senso di colpa che lo stava schiacciando, inesorabilmente. E allo stesso tempo non riusciva ad allontanare l'immagine del corpo macilento e malato di Nico e del sapore delle sue labbra, così diverse da quelle di Annabeth. Si sentiva come lacerato in due: da una parte c'era la sicurezza che la sua ragazza ormai da anni gli donava, la certezza di una bella e piena vita, di un'esistenza il più tranquilla possibile per due mezzosangue; dall'altra c'era un amico che stava per morire e un'attrazione inspiegabile nei suoi confronti, qualcosa di delicato e allo stesso tempo tremendamente potente, soverchiante, incontrollabile.

Una notte – una delle poche in cui riuscì a prendere sonno – sognò di essere ancora nella casa di Nico, di rivivere di nuovo la conversazione che avevano avuto quel giorno, di corrergli dietro per abbracciare il suo corpo fragile scosso dalla tosse e di baciarlo, ancora una volta.
Ma non si fermò alle sue labbra, ora: scese sul suo collo magro, premette le mani abbronzate sulle sue spalle, cercò il contatto con la sua pelle come se fosse una droga di cui non poteva averne mai abbastanza. E lo trovò, quel contatto: gli sfilò la felpa troppo grossa e affondò il viso nei suoi capelli corvini, li respirò, lo respirò. E Nico rispondeva a tutto, non si ritraeva, non si irrigidiva, non tossiva, non cercava di allontanarlo, ma anzi si scaldava, la sua pelle pallida si colorava di un timido rosa che a malapena riusciva a fare capolino sotto le occhiaie scure. E si baciavano, cercando ti toccarsi ancora, ancora, ancora. Entrambi si tolsero le maglie rimanendo a torso nudo, incuranti del freddo che li circondava; Percy strinse gli occhi vedendo la pelle di Nico, così chiara e sottile che pareva carta di riso, eppure nemmeno nella sua malattia aveva perso la sua eleganza.
Perché Percy si era accorto ormai da tempo di quanto fosse bello Nico di Angelo, sotto i vestiti neri, sotto i capelli spettinati, sotto l'aura tetra e la lingua pungente, ma mai aveva capito realmente cosa significasse per lui tutto ciò, quanto desiderasse che quelle dita troppo lunghe gli prendessero il viso e lo accarezzassero.
Quando Nico allungò le mani verso i pantaloni di Percy, quello si svegliò di scatto, ritrovandosi in casa propria, sdraiato nel suo letto, accanto ad Annabeth.
Si alzò velocemente, facendo attenzione a non svegliarla: non sarebbe riuscito a sopportare il suo sguardo preoccupato una volta di più. Quindi si diresse verso il corridoio dove aveva il telefono fisso – sì, ancora quello con il filo e tutto: per i mezzosangue, anche se in “pensione”, non era consigliabile possedere un cellulare -, quindi compose il numero di Nico.
Non sapeva perché lo stava facendo, e forse non l'avrebbe nemmeno fatto se si fosse accorto delle lacrime che gli bagnavano il volto.
Due squilli. Poi altri tre.
Una voce impastata dal sonno rispose: «Chi... chi è?»
Due parole e il cuore di Percy si alleggerì notevolmente, come se si fosse tolto un peso enorme.
«Ehi, Nico. Sono Percy».
Silenzio.
«Nico? Nico, ci sei?»
«Sì, ci sono. Mi stavo solo chiedendo che cosa diamine vuoi da me a quest'ora della notte!»
«Non lo so, volevo... volevo solo sentire la tua voce».
«È la cosa più melensa e stupida che abbia mai sentito. Su, lasciami dormire e chiamami domani mattina».
«Sì, scusami».
«Ecco. Buonanotte, Percy».
«Buona... no, aspetta! Devo dirti una cosa prima».
Un sonoro sbuffo si fece sentire dall'altra parte della cornetta: «Dimmi, Percy».
«Tu devi venire al raduno perché voglio vederti. Perché ho un grandissimo bisogno di vederti. E di parlarti, anche».
Silenzio.
«Nico, rispondimi; lo so che sei lì».
«Smettila di dire cazzate, Percy. Chiamami domani mattina, ma prima rifletti bene su cosa devi dirmi realmente. Queste sono tutte cazzate, è ovvio».
«Non sono cazzate, è tutto vero!»
«Buonanotte, Percy».
«Nico, io...» ma non fece in tempo a finire che la conversazione era stata interrotta.

****

Percy il mattino seguente non chiamò Nico di Angelo. Si convinse che era tutto un prodotto della sua mente stanca e che no, non aveva né sognato di... sì, di spogliare Nico, né di averlo chiamato nel cuore della notte per sentire la sua voce.
Per qualche giorno la situazione ritornò normale, e anche Annabeth se ne accorse, tanto da pensare che forse - grazie a Zeus - il peggio fosse finito e adesso Percy stesse meglio. Ovviamente non sapeva che il motivo principale per cui tutto sembrava passato era che il diretto interessato aveva deciso di etichettare tutto come semplice stress: in fondo non si sentiva mai a suo agio – anche se non lo dava mai a vedere – nel periodo subito precedente alla loro rimpatriata annuale, quindi era più che possibile che semplicemente quell'anno si fosse sentito un pochino più agitato ed emozionato nel rivedere i suoi vecchi compagni di avventura. Probabilmente anche il fatto che Nico fosse malato gravemente era solo un sintomo di eccessivi stress e agitazione: aveva certamente ingigantito i sintomi e la tosse era normale tosse, non c'era mai stata nessuna scia di sangue sulla sua mano pallida.
E se ne convinse, Percy Jackson, di tutte queste cose, perché non voleva accettare di aver passato la notte accanto alla donna che stava per sposare pensando in quel modo a un'altra persona – un uomo per di più. E se ne convinse perché aveva paura - una paura fottuta - di scoprire che davvero quello che era stato un suo carissimo amico, un fratellino minore da proteggere da tutto e da tutti, un ragazzino arrabbiato con il mondo – e soprattutto con lui – con un cuore grande come l'oceano di cui suo padre era il dio stava per morire all'età di venticinque anni.
Non era possibile, quindi non era vero.
Mantenne quell'apparente tranquillità per giorni finché non arrivò il momento in cui avrebbe rivisto tutti.
Jason entrò in casa con Piper al suo fianco, Leo li seguì a ruota seguito poi da Hazel e Frank. Annabeth era felice e radiosa come non mai e gli stringeva un braccio con quelle sue dita sottili e delicate. Parlarono di tutto e di niente, Percy chiacchierò amabilmente con loro come sempre, allegro come sempre, gentile come sempre, eppure la sua mente era altrove. Ogni tanto sbirciava verso la finestra alla sua destra dove sperava di intravedere l'auto di Nico arrivare, ma senza ammetterlo a se stesso.
Alla fine si era convinto che sì, forse era meglio che lui non venisse: innanzi tutto se era malato, le sue condizioni di salute sarebbero potute peggiorare, poi comunque non è che avesse tutta questa voglia di vederlo, e non c'era nulla di cui parlare, in fondo.
Quindi, quando invece suonò il campanello, Percy giustificò il colpo al cuore con la semplice sorpresa e il tremore alle mani con il freddo. Aprì la porta e si trovò davanti un ragazzo magro come un chiodo – ancora più dell'ultima volta -, con la pelle pallida come la morte e i vestiti troppo grandi, ma con due occhi accesi e vivi come non mai. A quella vista non potè più mentire a se stesso e si lanciò su quel corpo stremato, avvolgendolo tutto in un abbraccio. Sussurrò poi, in modo che solo lui potesse sentire:
«Allora alla fine sei venuto».
«Certo che sì».

Percy cercò di mantenere la sua apparenza felice e allegra per tutto il pomeriggio, ma era continuamente distratto da Nico che, pure stando seduto in un angolo in silenzio, riusciva a catalizzare tutti i suoi sguardi.
La tosse era peggiorata dall'ultima volta, e non solo Percy se ne rese conto: anche Hazel chiese al fratello se ci fosse qualche problema, ma lui si limitò a grugnire un “no” e a nascondere le mani nelle tasche. Andò un paio di volte in bagno a fare chissà cosa, ma nessuno – tranne Percy – se ne accorse perché erano tutti troppo intenti a parlare fra loro del più e del meno. Quando infine lui iniziò a radunare le sue cose per andare via – come sempre in netto anticipo rispetto agli altri -, Percy disse: «Ti accompagno alla macchina» e lo seguì.

Nico non voleva girarsi per incontrare gli occhi verdi di Percy, aveva paura di trovarci solo pena e, da quando aveva capito che la sua vita non sarebbe durata poi così a lungo, quello era diventato il sentimento che più odiava. Fu strano quindi quando si sentì afferrare le spalle e trascinare sul retro del giardino e, una volta lì, baciare le labbra con forza.
Non se lo aspettava minimamente, non da Percy, non in quel modo, non in quel momento. Non se lo aspettava e basta. Eppure non si ritrasse, ma anzi accolse quel bacio un po' doloroso: il figlio di Poseidone non aveva ancora perso la sua forza attrattiva e mai l'avrebbe fatto, anzi, ora che si era lasciato alle spalle abbastanza storie da poter smettere di definirsi un pivello in amore, si sentiva ancora più attratto da lui e voleva dimostrargli che non era più un ragazzino alla prima cotta. Così, vincendo la sua tendenza a rifuggire il contatto fisico, strinse a sua volta i fianchi di Percy e si lasiò andare.
Quel bacio impetuoso durò meno di quanto fosse in realtà necessario e nessuno dei due se ne sentì soddisfatto, ma Percy aveva il timore che Annabeth si preoccupasse e scendesse a cercarlo: non aveva ancora cacciato del tutto la paura di essere inseguiti in continuazione da mostri di vario genere e questo l'aveva resa molto più ansiosa della maggior parte delle donne della sua età; era capacissima di arrivare in giardino con una delle spade che nascondevano sotto il letto fra le mani e venire a cercarlo, pronta a decapitare qualsiasi creatura avesse tentato di fargli del male.
Si scostò quindi da Nico e, trascinandolo nuovamente verso la macchina, lo salutò con un pacca sulla spalla e una promessa: «Ci vediamo presto, ok?»
«Ma Percy, prima spiegami cosa...»
«Non so nemmeno io cosa mi stia accadendo, ma appena riuscirò a fare chiarezza su tutto questo casino che mi gira nella testa, verrò da te e parleremo, giuro. Adesso vai prima che Annabeth esca fuori».
«Va bene. Ciao Percy».
Mise in moto la macchina e partì, lasciando dietro di sé una nuvola di fumo grigio nell'aria.

****

La tosse non voleva decidersi a smettere di torturarlo, il sapore di sangue ormai copriva quello di qualsiasi altro cibo che riusciva a malapena a ingerire. Sapeva di stare male, però non si era ancora rassegnato a morire. Aveva visto troppo poco, aveva provato troppo poco, aveva vissuto troppo poco per trasferirsi in pianta fissa da suo padre.
Non poteva morire, non adesso che Percy finalmente si era accorto di lui, non poteva, non poteva.
Non doveva morire.
Un accesso di tosse ancora più forte degli altri gli mozzò il respiro.
No, padre mio, ti prego, non prendermi oggi, non prendermi ancora!
Non ci fu risposta e seppe di essere solo, ora. Solo davvero.
Adesso doveva solo lasciarsi andare come aveva fatto con Percy e non combattere più, perché se nemmeno suo padre gli rispondeva voleva dire che ormai le Parche avevano deciso, che il Fato lo stava chiamando.
Prima di liberare l'ultimo rantolo, il mondo si colorò di verde – di quel verde – e si sentì, per un attimo, amato.
Addio Percy.

Glielo dissero Hazel e Frank.
Vennero un giorno a casa sua e gli dissero che Nico aveva una malattia, che i suoi polmoni avevano smesso di funzionare, che era morto.
Non dissero che era morto da solo, sconquassato dal dolore in quella sperduta e fredda casa di montagna, lontano da tutti e da tutto. Non dissero che aveva sofferto per minuti intollerabili prima che il suo cuore si fermasse, non dissero che c'erano voluti giorni prima che qualcuno si accorgesse che era morto, perché da lui nessuno si aspettava telefonate e quindi non si erano preoccupati troppo. Non dissero niente di tutto ciò, ma si poteva intuire dalle lacrime di Hazel e dal suo viso stanco e triste, lacerato dal senso di colpa.
Percy si sedette sul divano – no, non si sedette, si accasciò su quel divano - e si sentì mancare.
Non riusciva a piangere, non riusciva a scacciare le mani di Annabeth che si erano posate, insopportabili, sulle sue spalle. Non riusciva a pensare a nulla che non fossero gli occhi neri di Nico, quando ancora erano contornati da una pelle pallida sì, ma non malata.
Non riusciva a fare nulla.
Annabeth continuava a dargli colpetti sulle spalle, percependo che qualcosa si era rotto dentro di lui, ma nutrendo ancora la speranza di riunire i pezzi di quel qualcosa con le mani. Non capiva però che ogni volta che lo toccava, in lui diveniva solo più forte il desiderio che quelle dita non fossero di una ragazza dai capelli ricci e biondi ma sue.
Si alzò di scatto e se ne andò in camera. Chiuse la porta dietro di sé e vi inserì la chiave.
Ora nessuno avrebbe potuto disturbarlo.
Iniziò a urlare, urlare così tanto che la gola gli doleva. E urlò ancora, ancora, ancora. Ignorò Annabeth che batteva frenetica sulla porta e urlò ancora.
Non uscì quella sera e ci vollero ore e un gran mal di gola per farlo calmare. Alla fine si addormentò nel letto e si immaginò che accanto a lui ci fosse Nico, che le sue mani sottili lo stessero abbracciando, che i suoi capelli scuri e perennemente spettinati gli grattassero la schiena, che il freddo che sentiva fosse in realtà il caldo del proprio corpo contro il suo.
Chissà come si era sentito quando aveva capito che stava per morire, chissà se aveva pensato a lui, lui che non gli era accanto quando serviva, lui che aveva scelto di amare Annabeth, lui che aveva inconsapevolmente rifiutato il suo amore con crudeltà, lui che mai si era accorto della sua “cotta” quando ancora era in tempo, lui che l'aveva lasciato solo. Lui che aveva avuto paura di amarlo.
Era buffo che solo adesso che era impossibile rivederlo si rendesse conto che avrebbe voluto avere sempre i suoi occhi addosso, che solo ora che non c'era più avesse accettato ciò che sentiva.
Nico non meritava una morte così solitaria, Nico non lo meritava.
Ti ho amato, Nico. Ti amo ancora e scusa, scusa se non l'ho capito subito.
Dopo aver pensato queste parole, Percy chiuse gli occhi e si addormentò, troppo stanco per piangere o urlare ancora, troppo stanco per vivere.





 
Note autrice:
Ed eccoci alla fine della storia. Innanzi tutto ringrazio davvero di cuore tutte le ragazze che hanno recensito il precendente capitolo (non pensavo di ricevere così tanti commenti positivi, giuro!) e spero che la conclusione non le abbia deluse. Poi ovviamente ringrazio la giudiciA Kaika e il giudice Encha per avermi fatta partecipare al loro contest e per avermi sopportata quando in due giorni ho cambiato tre volte fandom. E ringrazio Nico perché è adorabile e Percy perché è perfetto per lui *O*
Spero davvero che questo mio approdo nel fandom di PJ non sia troppo penoso, e spero che venga apprezzato. Io sinceramente non ne sono contentissima, nel senso che appena scritta pensavo fosse una ficcyna come tante altre, però stranamente mi ci sono affezionata comunque perché l'ho scritta in un momento che per me è stato importante. 
Adesso che ci penso avrei potuto includere tante cose nella storia, come che tipo di malattia aveva Nico, l'inizio di una cura o qualche scena in più con Hazel, ma alla fine questa è la prima cosa che ho scritto e non me la sono sentita di modificare troppo; anche perché, nella mia testa, né la malattia né la cura sono importanti, ma la cosa fondamentale è il modificarsi della relazione fra Nico e Percy, nulla di più.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui: è probabile che mi rivedrete nel fandom di PJ, spero vi sorbirete anche le altre mie "cosette". 
Alla prossima,
Aturiel

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2979341