A Little Pain

di coldfingergurl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "I'm sure my heart is pulling in the string connecting us" ***
Capitolo 2: *** "They whisper and go against us." ***
Capitolo 3: *** "A flower blooms in the world that’s only filled with thorns." ***
Capitolo 4: *** "But the weight of the world's is on my soul" ***
Capitolo 5: *** "I'm being haunted by a whisper" ***
Capitolo 6: *** "Show me what you never meant to show" ***
Capitolo 7: *** "When the lights start to turn off, I quietly go to meet you" ***
Capitolo 8: *** "Can’t we live in a world where time stands still?" ***



Capitolo 1
*** "I'm sure my heart is pulling in the string connecting us" ***


Alloooora, questa è una FF del tutto nuova e finita (esultate, nel caso non dovete aspettare anni prima di avere un capitolo nuovo) e dedicata alla mia Hyunnie ( Storygirl ) che ha aspettato mesi, visto che avrei dovuto finirla per Ottobre *coff*, per leggerla ♥. Non sono riuscita a finirla prima per vari motivi, ma principalmente perchè volevo fare una cosa decente e ormai sapete tutti che non riesco a scrivere qualcosa di corto, nemmeno per le one-shot... Ad ogni modo ho deciso di dividere questa storia in una mini-long, farla come OS non avrebbe avuto senso visto quanto è venuta lunga e quanto sarebbe stata troppo noiosa da leggere. 
Detto questo, lasciate perdere i titoli dei capitoli perchè tanto non hanno senso ♥ (come tutte le volte).



Non appena mise piede a terra, dopo una notte passata insonne, Minho si rese conto che la giornata non sarebbe stata migliore.
Aveva appena aperto gli occhi e come tutte le mattine si era apprestato a scendere dal letto appoggiando entrambi i piedi sul pavimento, una piccola abitudine che gli permetteva di alzarsi di buonumore nonostante la vita che conduceva (che di per sé non si poteva nemmeno definire tale, non faceva altro che tirare avanti come meglio poteva). 

“Jonghyun, Roo è di nuovo entrata in camera mia. Quante volte ti ho detto di legarla?”

La causa del suo malumore, e dei suoi piedi sporchi, era la cagnolina del suo coinquilino. Roo aveva il brutto vizio di uscire da camera di Jonghyun per vagare a casaccio per tutta la casa, si fermava solamente per fare pipì su ogni tappeto che trovava per strada oppure, quando le girava, campeggiava in camera di Minho. Jonghyun poteva pure definirlo un essere scorbutico e poco elastico, ma non era di certo lui quello che si svegliava con il caos in camera e con pozzanghere di pipì, quando gli andava bene era solo quella, in camera.

“Maledizione.”

Lo mugolò notando com’era messa la sua stanza, persino i vestiti erano caduti sotto gli attacchi di quel cane. Se avesse avuto una porta nella stanza niente di tutto quello sarebbe successo, ma no, il proprietario della casa dove abitava aveva deciso di togliere tutte le porte, tutte, prima ancora che Minho e Jonghyun la occupassero; purtroppo non poteva fare di testa sua perché quella casa non gli apparteneva, c’erano regole molto severe in quel quartiere e niente gli avrebbe permesso di ottenere dei favori extra.

Alzandosi dal letto, imprecando ad ogni passo che compieva, si avviò in bagno notando la tenda tirata, chiusa. Per avere un minimo di privacy Jonghyun aveva pensato di comprare delle tende colorate da poter usare come divisorio tra le varie stanze che avevano a disposizione, erano una bella decorazione anche se non servivano a tenere lontana Roo dalla sua stanza – ecco perché aveva suggerito al più grande di legarla durante la notte -.

“A-ah….”

Un gemito attirò la sua attenzione e, chinandosi per sbirciare sotto la tenda, notò due paia di gambe: il coinquilino si era portato a casa qualcuno, un ragazzo per la precisione.
Minho sbuffò sentendo la rabbia salire, quella scimmia stava occupando il bagno per fare chissà cosa con chissà chi, probabilmente uno dei ragazzi della sua gang o qualche ragazzino che aveva pagato, e sembrava non avere nessuna intenzione di interrompersi e andarsene in camera sua.

“Jonghyun, puoi continuare in camera tua? Devo farmi la doccia!”

Cominciò a battere il piede sul pavimento in maniera nervosa, perché diavolo era finito nella stessa casa di quel delinquente? Se fosse stato per lui avrebbe diviso l’appartamento con un ragazzo tranquillo, con qualcuno che rispettava gli spazi altrui.
Jonghyun non gli piaceva proprio, aveva quell’atteggiamento arrogante che lo mandava su tutte le furie, non aveva nessun tipo di responsabilità, per non parlare della totale mancanza di tatto e di decenza.
Quando era capitato in quel quartiere, Minho non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva come funzionassero le cose in quella parte della città e si era ritrovato immerso in un mondo del tutto nuovo e differente. 
Uno stile di vita difficile da comprendere per uno abituato a vivere nel comfort.

“Devi farlo, dimostra a tutti che sei un vero Choi.”

Le parole di suo padre continuavano a tormentarlo, non faceva altro che ripeterle nella sua mente da anni, giorno dopo giorno.
Al compimento dei suoi vent’anni, come tradizione delle famiglie ricche come la propria, in regalo aveva ricevuto il suo primo schiavo. Suo padre glielo aveva comprato in uno dei mercati più famosi e costosi della città, quel ragazzo era un purosangue – come venivano definiti i figli di due schiavi – e, secondo l’uomo, Minho avrebbe dovuto apprezzare un dono del genere.

“Prendilo e facci vedere di cosa è capace questo scarafaggio.”

Le feste di compleanno si trasformavano in veri e propri incontri sessuali: il festeggiato aveva il dovere di umiliare il proprio schiavo, il primo di una lunga serie, davanti a tutti gli invitati. 
Minho si era rifiutato di farlo, si era dichiarato contrario a una cosa del genere perché fermamente convinto che tutte le persone, anche gli schiavi, meritavano del rispetto; peccato che quel suo gesto di bontà lo aveva portato alla situazione attuale.
Suo padre non aveva digerito l’affronto, non aveva preso minimamente in considerazione quello che provava il figlio nel vedere un ragazzo della sua stessa età al guinzaglio e in catene, costretto a vergognarsi di quello che era… Quell’uomo aveva pensato solamente alla disgrazia che un figlio come Minho avrebbe portato e, senza battere ciglio, lo aveva cacciato di casa spogliandolo della sua identità. 
Non ricordava il volto di quello schiavo, ricordava solamente i suoi occhi e tutta la paura che quel tipo aveva provato nello stare fermo in mezzo a una stanza piena. Non aveva avuto il coraggio di guardarlo in faccia per bene, per memorizzare le sue fattezze, mentre sperava che il padre non lo costringesse davvero a fargli del male.
Quel mondo non aveva mai rappresentato una persona come Minho, lui non si era mai sentito parte integrante di quella società malata e immorale e non aveva mai considerato un’altra persona indegna di rispetto.

“Jonghyun, lo so che sei là dentro!”

“Maledetto rompiscatole.”

Sbuffò spazientito: Jonghyun occupava il bagno e lui era il rompiscatole?
Non avrebbe mai smesso di trovare il più grande irritante, immaturo, egoista e, soprattutto, spaventoso; lo stile di vita che conduceva, per scelta o per costrizione, lo rendeva inquietante e pericoloso, Minho non voleva avere niente a che fare con uno come lui e lo avrebbe evitato se avesse avuto la possibilità di scegliere con chi andare a vivere.
Sapeva che alcune persone provenienti dal Nucleo, la parte più ricca della città, usufruivano dei servigi delle gang dei quartieri malfamati ma Minho non era mai entrato in contatto con uno di loro, la paura di venire ucciso e poi derubato era sempre stata troppo forte (anche per quel motivo avrebbe voluto una porta in camera, chi gli assicurava che Jonghyun non avrebbe tentato qualcosa del genere? Lo avrebbe potuto uccidere mentre dormiva!).

Quando la figura mezza nuda del più grande si stagliò davanti a lui, deglutì intimidito da quello sguardo duro e severo.
Jonghyun poteva avere gli occhi come quelli di un cucciolo abbandonato, poteva dare l’impressione di essere indifeso – se non si faceva caso ai suoi numerosi tatuaggi, simboli e numeri che indicavano la sua posizione all’interno del proprio clan – ma bastava una sola occhiata per rendersi conto di quanto sbagliata fosse la prima impressione.

“D-devo usare la doccia…”

Non avrebbe voluto balbettare davanti all’altro ragazzo, a quel modo gli stava facendo capire che aveva il terrore di lui e che lo temeva a causa di quel poco che sapeva della sua vita, che comunque avrebbe fatto impaurire chiunque.
Jonghyun non disse nulla, stava fissando il povero Minho con occhi glaciali e con un’espressione scocciata (almeno era capace di un’altra espressione, non aveva solo quella da gangster).

“Lo avevo capito.”

“Andiamo Jjong, lascialo stare, non vedi che lo hai spaventato?”

Il compagno, il trastullo momentaneo, di Jonghyun era apparso da dietro il coinquilino abbracciandolo, iniziando poi ad accarezzargli il petto con fare lascivo. 
Minho poteva vedere quelle dita affusolate passare sulle linee dei tatuaggi impressi sui pettorali di Jonghyun e si sentì a disagio, aveva l’impressione che quei due volessero metterlo in imbarazzo di proposito. 
Notò dei tatuaggi diversi da Jonghyun, il nuovo arrivato doveva far parte di un’altra gang perché nella parte rasata della testa era presente una specie di uccello – disegno che Jonghyun non aveva, in quanto il suo clan si identificava con una vipera -.
Come facevano quei due a frequentarsi? I vari gruppi si odiavano e si facevano la guerra per un quartiere o per l’altro, per sostanze illegali o per gli schiavi, vedere due membri di clan diversi spassarsela era una cosa rara e strana.

“Sono Kibum, tu devi essere Choi Minho, uhm? Jonghyun mi aveva accennato al suo coinquilino facoltoso.”

Le persone dei bassifondi non si presentavano mai con il proprio cognome, non ne avevano quasi mai uno perché non crescevano in mezzo a una famiglia e spesso prendevano quello del capobanda o della persona che li aveva accolti in orfanotrofio. Minho aveva perso l’appartenenza alla propria famiglia quando il padre lo aveva cacciato di casa, la sua situazione era una cosa completamente diversa… Lui aveva conosciuto sua madre e suo padre, aveva avuto qualcuno che si era preso cura di lui e che lo aveva cresciuto, mentre quei due chissà quante difficoltà avevano dovuto sopportare e superare(sicuramente non avevano avuto la possibilità di avere una vita migliore, altrimenti non avrebbero mai deciso di fare parte della malavita).

“Non perdere tempo a parlare con lui ‘Bum, abbiamo cose più interessanti da fare.”

Odioso.
Odioso, era l’unica parola con cui avrebbe descritto quella scimmia. Avrebbero dovuto tatuargli quella, non un serpente.
Kibum ridacchiò alle parole di Jonghyun, gli baciò il collo prima di passare a succhiare e mordicchiare il lobo del suo orecchio provocandogli un lungo gemito; Minho non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quei due, perché? Si sentiva un guardone e la cosa lo metteva a disagio, non aveva mai provato del vero piacere nell’osservare due persone che si baciavano o che si coccolavano, quindi perché si sentiva accaldato in quel momento?
Non era mica normale.
Una mano di Kibum scivolò verso l'estremità dell'asciugamano di Jonghyun, stretto alla sua vita, e Minho deglutì, distolse lo sguardo sentendosi imbarazzato e a disagio; non era cosi che credeva avrebbero reagito! Lui voleva semplicemente farsi una doccia, li aveva interrotti per una buona causa.

"Continuiamo in camera tua, uhm?"

Con un cenno del capo il coinquilino afferrò Kibum per un polso e lo trascinò in camera sua. L’asciugamano che indossava cadde a metà strada tra il bagno e la sua stanza e Minho sospirò cercando di tenere gli occhi lontani dal sedere di Jonghyun.
Rimase a fissarli per un po', troppo sconvolto da quello che aveva appena visto - e provato - per muoversi immediatamente e nascondersi in bagno.
Prima di andarsene con Jonghyun, Kibum gli aveva lanciato un'occhiata strana, lo aveva guardato con un'espressione maliziosa e si era sentito andare a fuoco solo per quello sguardo. Doveva stare attento però: se l'altro ragazzo era in un qualche modo legato a Jonghyun, lui non poteva di certo mettersi nel mezzo e lasciarsi andare con quel tipo dagli occhi felini e magnetici. Il suo comportamento era stato provocatorio, ma chi gli assicurava che non ci fosse sotto una trappola o qualcosa del genere? Quei due facevano parte di due clan, non doveva fidarsi delle loro azioni.

"Maledizione..."

La sua vita era diventata un inferno nel momento in cui avevano deciso di farlo vivere con Jonghyun.
Aveva sperato in qualcuno di più decente, in qualcuno nella sua stessa situazione magari, ma no, i Selezionatori avevano deciso di lasciarlo nelle grinfie di quella scimmia... Sicuramente si erano divertiti parecchio nell'affidare un Choi alle cure di uno come il più grande. 

Rimase dentro la doccia pochi minuti, il getto d'acqua gelida che gli trafiggeva il corpo come mille lame. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che udire gemiti e grida provenire dalla camera di Jonghyun,  Minho aveva dato per scontato il non riuscire a farsi la doccia in pace per due motivi: l'acqua calda che era finita e Jonghyun impegnato a fare sesso.
Aveva sopportato l'acqua fredda giustificandosi con il beneficio che ne avrebbe ricevuto il suo corpo, ma non sarebbe mai potuto rimanere in casa con l'altro ragazzo che mugolava e urlava come un ossesso (ma forse quello che urlava era Kibum... Non che gli interessasse, ovvio).
Doveva uscire da quella casa altrimenti avrebbe pregato gli altri due di farlo partecipare; era un pensiero di cui si vergognava, partecipare a una scopata a tre non era la sua attività preferita ma era passato un secolo dall'ultima volta che aveva fatto sesso… Quasi non ricordava nemmeno più come si facesse!

Si asciugò velocemente prima di correre in camera per vestirsi, finendo per incappare in un Kibum nudo, molto nudo.
La bocca di Minho si seccò a quella visione, riusciva a malapena a deglutire spostando gli occhi dal volto del ragazzo alle parti più basse del suo corpo: era davvero bello.

"Stavi uscendo?"

Kibum lo chiese piegandosi in avanti per recuperare l'asciugamano che Jonghyun aveva fatto cadere poco prima, se lo avvolse attorno alla vita e ghignò soddisfatto di sé; sembrava sapere quale effetto avesse avuto su di lui e Minho si sentì un completo idiota per essere rimasto impassibile.

"S-si, devo andare a fare un giro e..."

"Io e Jonghyunnie abbiamo fatto baccano, eh? Mi dispiace, credevamo fossi già uscito."

Certo, come no...
Nonostante la palese menzogna, Kibum stava usando un tono di voce pacato e davvero dispiaciuto: quel ragazzo sarebbe stato capace di uccidere e far ricadere la colpa sulla vittima. 
Non riusciva a capire quali fossero le intenzioni del nuovo arrivato, era una persona ambigua e a lui non piacevano le persone così, a quale gioco stava giocando?
Perché sembrava trarre godimento nel vederlo frustrato e a disagio?

"Puoi dire a Jonghyun di legare il suo cane? E' venuta nuovamente in camera mia stanotte.”

Con un sorriso raggiante, Kibum gli disse di non preoccuparsi per Roo e che avrebbe riferito l'accaduto a Jonghyun - che puntualmente se ne sarebbe fregato -. Se ne andò qualche istante più tardi, richiamato dalla voce di Jonghyun, lasciando Minho di nuovo da solo e perso nella propria eccitazione.

Meglio andarmene .
Gli altri due avrebbero ricominciato a fare sesso molto presto e lui non aveva nessuna intenzione di rimanere ad ascoltare o, peggio, supplicare di partecipare.
Uscì di casa a gran velocità, l'idea di allontanarsi il più possibile lo aveva portato a non guardare dove stava andando né a prendere in considerazione una meta in cui dirigersi (non c'era niente di decente da quella parte della città, solo locali malfamati, roba che poteva frequentare uno come Jonghyun).

Mentre stava scappando dai due criminali che occupavano la sua abitazione, qualcosa, o meglio, qualcuno gli finì addosso facendolo rantolare per terra miseramente.
Stava già per gridare a quello sconosciuto di stare più attento, ma le parole gli morirono in gola non appena posò lo sguardo sulla figura cavalcioni su di sé.
Era un ragazzo della sua età, presumeva, con i capelli miele sistemati in un caschetto che gli circondava alla perfezione il viso.
Minho lo stava osservando come incantato, catturato da quei lineamenti dolci e quelle labbra carnose. L'altro ragazzo ricambiava il suo sguardo sbattendo le ciglia in confusione, sicuramente si stava chiedendo perché uno sconosciuto lo stesse studiando a quel modo. 

"Mi dispiace esserti venuto addosso." 

La voce di quello sconosciuto lo fece rabbrividire, nel senso più positivo del termine. Non se l’aspettava così melodiosa e gentile.

"Non importa, avrei dovuto guardare dove stavo andando."

Una volta alzato da terra, Minho notò qualcosa brillare al polso di quello sconosciuto: era un bracciale metallico, uno di quelli indossati dagli schiavi del Nucleo.
Com'era possibile che uno schiavo si fosse spinto fin laggiù? Non potevano lasciare la dimora dei padroni, figurarsi il Nucleo!
Quel tipo doveva essere pazzo, avventurarsi a quel modo nella parte povera della città, il suo bel bracciale in mostra e quell'aria da innocente; era stato fortunato a scontrarsi con Minho piuttosto che con uno come Jonghyun, dello schiavo non sarebbe rimasto assolutamente nulla in quel caso. 
I malavitosi erano famosi per le rapine, le torture e le sevizie nei confronti dei ricchi, che spesso si perdevano nei quartieri malfamati, e nei confronti degli schiavi che andavano in giro ricoperti di ricchezze. Una volta aveva visto Jonghyun prendersi cura di uno schiavo e ancora oggi aveva gli incubi se ci pensava.
Il bracciale avrebbe dovuto segnalare la posizione degli schiavi ai padroni, erano talmente stretti ai loro polsi che nessuno riusciva a toglierli se non con una chiave o con la rimozione della mano (cosa che accadeva spesso quando lo sfortunato di turno incontrava un membro di un clan).

"Non puoi stare qui, se qualche delinquente ti vedesse... Vieni, andiamo a mangiare qualcosa, sarai al sicuro dalla strada."

"Perché dovrei fidarmi di te?"

Sbuffando, Minho afferrò quel tizio per la mano e lo trascinò con forza verso la fine della via in cui abitava, la fontana della piazza di fronte ai loro occhi.
Da quel punto si riusciva a vedere la luce abbagliante del Nucleo, delle volte Minho usciva di casa nel bel mezzo della notte per dirigersi in piazza e osservare da lontano quella che era stata la sua casa; gli mancava, lo doveva ammettere, ma sapeva di essere stato cacciato perché si era dimostrato un essere umano e non un animale.
Lo schiavo sembrò soccombere alle azioni di Minho e si lasciò trasportare fino all’entrata di una bella taverna, lontana dal viale stretto e pericoloso in cui era incappato prima di finire addosso a quel tipo strano.

“Io sono Minho, a proposito, tu?”

“J-Jinki.”

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Capitolo 2
*** "They whisper and go against us." ***


“Davvero non ti ricordi di me?”

“E’ così strano? Non mi pare di aver frequentato la scuola con te o altro…”

Perché Minho era sempre stato ricco, era nato ricco.
Aveva frequentato le migliori scuole, i figli delle migliori famiglie ed aveva sempre avuto tutto quello di più bello che il Nucleo aveva da offrire, sicuramente non aveva frequentato nessuno schiavo, nemmeno una famiglia caduta in rovina tanto da vendere il proprio figlio a qualche riccone ex-amico.
Il suo sbigottimento era giustificato, così come il suo non ricordarsi assolutamente quel ragazzo… Nemmeno il nome gli suonava familiare.

“Sono lo schiavo che tuo padre ti ha regalato per il ventesimo compleanno, quello che hai voluto risparmiare.”


Quando Jinki gli aveva confessato di essere quello stesso schiavo, Minho si era lasciato trasportare dalla sorpresa e dall’incredulità: mai avrebbe pensato di incontrare di nuovo quel tipo.
Lo schiavo si era ricordato di lui per tutti quegli anni, il tempo non pareva aver sbiadito il ricordo di Choi Minho e delle sue azioni...

"Quando ti sei rifiutato di prendermi davanti a tutti, ho temuto la reazione di tuo padre. Credevo che mi avrebbe dato a qualche riccone là presente dicendoti cose come:

"E’ così che si tratta uno schiavo". Invece si è limitato a cacciarti di casa."

"Non mi sembra comunque una reazione da poco, ho dovuto lasciare il Nucleo e adesso vivo in una catapecchia senza porte!"


Non era stata sua intenzione quella di mettersi allo stesso livello dello schiavo, capiva benissimo che perdere il lusso e la propria famiglia non equivaleva all'essere costretto in schiavitù, ma Minho si sentiva disperato in quella nuova vita; non era riuscito ad adattarsi del tutto e gli mancavano le comodità del Nucleo. In più avrebbe voluto, davvero tanto, non aver mai incontrato Jonghyun.

"Hai tutto il diritto di lamentarti della perdita delle tue belle cose, del tuo cognome e del tuo status all'interno del Nucleo... Immagino sia stato devastante non avere più la propria coperta preferita."

Il tono sarcastico di Jinki non gli era di certo sfuggito e in quel momento si era sentito davvero un idiota per aver parlato allo schiavo di come si era sentito quando aveva dovuto lasciare il Nucleo e la sua famiglia. Sapeva bene che nascere o diventare schiavo ti distruggeva dentro, quei poveracci erano costretti ad ubbidire a qualunque cosa ed erano costretti a fare di tutto pur di accontentare il proprio padrone, ma non era mica colpa di Minho! Non era colpa sua nemmeno l'essere nato ricco ed essere stato viziato da tutti, stava ancora imparando a vivere nella sua nuova situazione cercando di non finire venduto a qualche ricco o immischiato in qualche gang.
Jinki avrebbe dovuto essergli grato per avergli evitato un'umiliazione pubblica il giorno del suo compleanno, era a causa di quel gesto che il giovane Choi aveva perso tutto.

"E' pronta la cena."

La tenda della sua camera si era alzata rivelando un Jonghyun a petto nudo, una vistosa fasciatura all'altezza dell'addome. Il corpo del coinquilino era pieno di cicatrici e di ferite più recenti, Minho si era convinto che, prima o poi, non lo avrebbe visto rincasare e avrebbe trovato il suo corpo a pezzi per tutta la via di casa (era così che finiva la maggior parte dei gangster).

"Mi hai preparato la cena? Ci hai messo il veleno?"

"Vuoi mangiare o no?!"

"Arrivo, arrivo."

Alzandosi dal letto, guardò il più grande ritirarsi in cucina mugugnando qualche parolaccia nei suoi confronti; quella era la prima volta che Jonghyun si premurava di preparargli la cena, solitamente ognuno mangiava per conto proprio e non passavano mai del tempo insieme. Doveva esserci qualcosa sotto, magari Jonghyun credeva che farselo amico avrebbe potuto portarlo fuori da quel buco di quartiere.
Magari credeva di poter salire fino al Nucleo.

"Lo sai che sono povero, vero?"

Glielo chiese non appena messo piede in cucina, l'odore di zuppa calda che gli invadeva le narici.
L'altro ragazzo lo guardò alzando un sopracciglio, il cucchiaio a mezz'aria e il fumo della zuppa che annebbiava l'aria di fronte a lui.

"Certo che lo so, altrimenti perché saresti quaggiù?"

"Allora perché mi hai preparato la cena? In cinque anni non ti sei mai preoccupato per me."

Si mise seduto controllando la sua ciotola, la zuppa aveva un odore delizioso e il suo stomaco aveva iniziato a brontolare dalla fame: sperava che non ci fosse davvero del veleno, era così affamato!
Jonghyun aveva sbuffato prima di tornare a mangiare e ignorare la sua domanda, sembrava irritato da qualcosa, forse dal pensiero che Minho non si fidasse del tutto di lui, ma come poteva fidarsi di uno come Kim Jonghyun?
Uno che passava la vita per strada a fare chissà cosa ai passanti o ai membri di clan nemici?
Minho era ancora stupito dal fatto che il coinquilino e quel Kibum andassero d'accordo.

“Che intenzioni hai con Kibum?”

“Cosa?”

La domanda di Jonghyun era stata un fulmine a ciel sereno, non aveva senso e, soprattutto, non c’entrava niente con il fatto che gli avesse preparato la cena quando entrambi sapevano di odiarsi.
Era quello il motivo della sua gentilezza? La cena, il comportarsi gentilmente... Era tutta una scusa per chiedergli di Kibum? Come se potesse interessargli uno come quello!
Jonghyun doveva aver assunto qualche droga nuova, qualcosa che lo aveva convinto di un interesse per il suo ragazzo, o qualunque cosa fosse.

" 'Bum sembra essere interessato a te e la cosa non mi piace affatto."

Lo sguardo del coinquilino si era fatto inquietante, aveva la mascella serrata e i muscoli del volto tesi: era davvero arrabbiato.
Geloso, avrebbe osato dire.
Minho lo guardò per qualche secondo, ponderando se fosse il caso di parlare o meno, ma poi si limitò a scuotere la testa dicendo che non c'entrava niente con quella storia; non era di certo colpa sua se Kibum aveva sviluppato una cotta per lui (anzi, gli sembrava normale considerando che il rivale, Jonghyun, non era granché).

"Se non sai tenerti il ragazzo, Jongh-"

"Non è il mio ragazzo, siamo solo amici..."

"Oook, quindi sei geloso... Perché?"

Potrei scoprire che anche Kim Jonghyun ha un cuore.
Sarebbe stata la rivelazione del secolo, il famoso gangster dal cuore tenero.
Il gangster innamorato di un ragazzo del clan nemico per antonomasia.
I moderni Romeo & Giulietta.
Non avrebbe dovuto godere di quella situazione, il più grande ce l'aveva con lui e la cena che gli aveva preparato era stato il suo modo di fargli capire di dover stare alla larga da Kibum. Gli aveva teso una trappola, lo aveva attirato a sé con una bella zuppa fumante e poi lo aveva punzecchiato andando al nocciolo della questione; un piano elaborato, non faticava a comprendere perché fosse diventato un delinquente.

"E'... E' complicato, ma non voglio che tu gironzoli attorno a Kibum."

"L'ho visto una volta sola, Jonghyun, perché dovrebbe interessarmi il tuo amico?"

"Ah già, tu sei troppo superiore a noi..."

Sbuffando, Minho cominciò a mangiare la sua zuppa ribollendo di rabbia per l'ultima frase di Jonghyun; non voleva dire di essere superiore, non si sentiva superiore a tutti loro - a Jonghyun stesso forse sì, ma era un'altra storia - e non gli piaceva venire accusato di superbia quando non era vero.
Anche Jinki lo aveva accusato a quel modo usando il sarcasmo, possibile che tutti lo credessero così snob?
Ok, ammetteva di essere parecchio viziato e pignolo, non gli piaceva particolarmente vivere nella parte povera della città e gli mancava il Nucleo, ma stava cercando di cavarsela da solo senza finire venduto o nella gang di qualcuno. Dovevano almeno dargli merito di stare provandoci. 

"Non volevo dire questo, perché vi siete tutti convinti che sia uno snob? Solo perché ogni tanto mi lamento delle cose che mi mancano? Fareste lo stesso anche voi se aveste vissuto vent'anni nel Nucleo.
Mi dispiace per voi, davvero, ma non ho scelto io di nascere ricco."

Minho era sempre stato gentile con i suoi servitori, non li aveva mai caricati di lavoro o sfruttati, si era sempre approcciato a loro come una persona normale, come un ragazzo semplice e il suo comportamento lo aveva messo spesso nei guai con suo padre.
Minseok, suo fratello, era completamente diverso: lui era quello che il padre trovava rispettabile. Il fratello maggiore aveva sei schiavi quando Minho era stato cacciato, in quegli anni  chissà quanti altri ne aveva aggiunti; era l'orgoglio della famiglia, il figlio che rappresentava al meglio il nome dei Choi. Suo fratello era la copia esatta del padre e del nonno, le persone povere per lui erano feccia, lo schifo della società, e non meritavano nessun gesto di clemenza.
A Jonghyun e Jinki sarebbe servito un po' di tempo con Minseok, almeno avrebbero capito che lui era diverso.

"Kibum è carino, lo ammetto, ma non è il mio tipo e non mi piace il suo comportamento troppo aperto, ecco."

Jonghyun aveva incollato lo sguardo su di lui per poi sospirare e fargli cenno di finire la sua zuppa.
Minho dubitava che la propria risposta fosse stata accolta con sincerità ma non gli importava, Kibum non gli piaceva sul serio e non aveva nessuna intenzione di portarglielo via.
Non potendo fare a meno di essere curioso, il comportamento del più grande era sospetto e lui aveva capito che da parte sua c'era un vero interesse per quel ragazzo dagli occhi felini, gli chiese come mai facessero sesso se non stavano insieme.
Il coinquilino quasi si strozzò con la propria zuppa, arrossì e cercò di nascondere il proprio imbarazzo insultando Minho e mugugnando cose senza senso (come faceva sempre).

"E' evidente che ti piace, quindi perché non state insieme?"

"A lui non interesso a quel modo, semplice. Gli piace fare sesso con me, ma niente di più..."

"E a te va bene?"

Non capiva, perché Jonghyun accettava di essere trattato a quel modo? Poteva capire se il loro fosse stato un amore ostacolato, un qualcosa di proibito, ma come si poteva accettare di essere usati a quel modo?
Gli schiavi lo facevano perché costretti, loro non avevano scelta, ma la situazione di Jonghyun era diversa! Lui avrebbe potuto mandare Kibum a quel paese e dirgli che si meritava di meglio di lui.

"Sì, che altro dovrei fare? Lui... Lui mi piace fin da quando eravamo piccoli."

Oh... OH! 
Quell'uomo buzzurro e duro, quel gangster tutto muscoli e violenza, aveva un cuore!
Aveva un cuore che provava amore e che agognava alla felicità, anche quella più effimera che poteva raggiungere.
Il fatto che Jonghyun e Kibum si conoscessero fin da bambini spiegava come mai andassero d’accordo nonostante appartenessero a due clan diversi; Minho non sapeva proprio niente del passato del suo coinquilino, non gli era mai interessato a dire il vero, ma sentirlo parlare a quel modo dell’amico di infanzia aveva acceso la sua curiosità.
Erano cresciuti nello stesso posto?
Si erano incontrati per caso?
Perché non appartenevano alla stessa gang?
Come poteva chiedergli tutte quelle cose senza incappare nell’acidità comune a Kim Jonghyun?
Sarebbe più facile parlare con un muro.

“Tra noi è complicato, Kibum è incapace di vedere oltre al suo naso quando si tratta di sentimenti. E’ egoista ed egocentrico, ci prova praticamente con qualunque cosa respiri, anche con te, ma io so che il suo comportamento è solo una facciata, capisci? C’è molto di più e ogni tanto sono fortunato a vedere quella fragilità che cerca di nascondere.”

Minho aveva guardato il più grande con un sopracciglio alzato, da quando si sentiva in vena di confidenze di quel tipo? Per anni non avevano fatto altro che ignorarsi e farsi i dispetti (era convinto che Roo andasse in camera sua perché Jonghyun glielo aveva insegnato) e quel giorno, improvvisamente, il coinquilino aveva deciso di aprirsi con lui. Kibum doveva piacergli davvero tanto se l’unico neurone di quella scimmia aveva deciso fosse saggio confidarsi con qualcuno.
Almeno per una volta non si sarebbero minacciati a vicenda e in più avrebbe potuto curiosare nella vita del gangster.

“Sembri preso davvero tanto da lui, Jonghyun. Riesci persino a giustificare il suo comportamento da coglione.”

A quelle parole, Jonghyun ringhiò per poi scrollare le spalle. Sicuramente lo pensava anche lui, ma visto quanto ne era cotto cercava di dare importanza alle cose belle che sapeva esserci dentro Kibum - e non si riferiva al sesso -.
Se aveva accettato di farsi sfruttare a quel modo voleva dire che qualcosa di buono c'era nell'altro ragazzo, Jonghyun non gli sembrava proprio il tipo da farsi sottomettere senza motivazione.

"E' il protetto del suo clan, il suo boss lo ha cresciuto come suo figlio e Kibum... Kibum è cresciuto come lui. Lo ha preso come modello da imitare e segue ogni suo ordine ciecamente, l'unica eccezione che ha fatto è stata continuare a parlare con me."

Lo aveva detto con un certo tono dolce, era sul serio contento del fatto che Kibum avesse continuato a parlare con lui, come se l'altro ragazzo avesse fatto un gesto miracoloso e non la cosa più normale del mondo visto che erano amici.
E poi si stupivano del mio comportamento con la servitù.
Suo padre avrebbe sicuramente considerato Jonghyun un debole, lo avrebbe torturato fino a farlo diventare un "vero uomo" e non una mammoletta innamorata.

"Nessuno si è mai interessato a me, sono cresciuto per strada, i miei genitori morti chissà dove e mia sorella è sparita nel nulla. Avrei voluto entrare nel clan di 'Bum, avrei voluto stare con lui, ma non me l'ha permesso. Mi ha allontanato dicendomi che non sarei mai riuscito ad entrare nella sua gang, che uno basso come me non sarebbe mai stato utile... Per questo ho cercato una famiglia da un'altra parte."

Si era toccato il proprio tatuaggio al collo, sospirando leggermente.
Minho sapeva bene che i membri dei vari gruppi si consideravano tutti fratelli e si proteggevano come una vera famiglia, il modo in cui ne stava parlando Jonghyun, però, rappresentava tutta la disperazione e la solitudine che indirizzavano quelli come lui verso la malavita. Cercavano un posto dove stare, una famiglia a cui appartenere, poco importava quello che avrebbero dovuto fare pur di guadagnarsi quel posto. Non avevano scelta se volevano sopravvivere in città, l'unica vera alternativa era andare a lavorare al Nucleo e tutti sapevano cosa sarebbero finiti a fare...

Continuando ad osservare Jonghyun, notò meglio le sue cicatrici e i suoi tatuaggi; molti di essi sembravano non avere significato per lui, c'erano dei numeri, delle lettere, ma niente che avesse senso.
Una piccola "K" all'altezza del cuore attirò la sua attenzione, era quello che pensava?
Poteva essere l'iniziale di Kibum, non sarebbe stato così strano visto che aveva una cotta per lui talmente forte da calpestare il proprio orgoglio.

"Ti sei tatuato il suo nome?"

"U-Uhm, speravo non si notasse."

E' arrossito, Kim Jonghyun è arrossito!
Quella giornata stava diventando ancora più interessante: Jonghyun non era mai arrossito in sua presenza.
Non lo credeva nemmeno capace di arrossire e di imbarazzarsi (ricordava ancora la scenetta del bagno e quanto aveva strillato mentre Kibum gli faceva qualche servizietto speciale), era una cosa tenera e carina, una cosa che lo rendeva molto più umano.

"L'hai fatto all'altezza del cuore, è una cosa carina."

"E' stupida, potrei farmi scrivere il suo nome in fronte e a lui non interesserebbe."

Mordicchiandosi il labbro, Jonghyun si alzò per ripulire la propria ciotola e prendersi una lattina di birra scadente, ne lanciò una in direzione di Minho e poi si appoggiò al lavandino iniziando a giocherellare con l'involucro di plastica.

"Dovresti dirgli quello che provi, è evidente che non ti vada davvero bene questa situazione."

"E farmi ridere in faccia? No, grazie. Potrò anche essere disperato e stupido, ma ho un mio orgoglio... O quello che ne è rimasto."

"Secondo me sareste una bella coppia."

Magari Kibum stava solamente nascondendo i suoi veri sentimenti perché spaventato, poteva aver paura di una reazione sbagliata da parte del suo boss/padre e per quel motivo aveva detto a Jonghyun di non provare niente per lui.
Si rifiutava di credere che qualcuno potesse usare a quel modo un amico, avrebbe capito  se a farlo fosse stato un ricco e Jonghyun fosse stato uno schiavo, ma venivano entrambi dalla povertà... Non avrebbero dovuto rispettarsi a vicenda?
Probabilmente Minho era ancora troppo ingenuo per comprendere come funzionavano le cose nella realtà.

"Sì, beh, faglielo presente quando ci proverà di nuovo con te."

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Capitolo 3
*** "A flower blooms in the world that’s only filled with thorns." ***


Era una delle giornate più fredde che Minho avesse mai vissuto. Il vento gli scompigliava i capelli con forza, il gelo gli penetrava nelle ossa e i suoi stupidi vestiti non lo proteggevano dagli spifferi. Si trovava al mercato in quel momento alla ricerca di qualche coperta pesante e di qualche vestito in grado di riscaldare se stesso e Jonghyun.
In casa non avevano niente con cui scaldarsi, la piccola stufa che avevano usato l'inverno precedente era andata in corto circuito e nessuno dei due aveva abbastanza soldi per prenderne un'altra. Jonghyun aveva tentato in tutti i modi di chiedere al padrone di casa una mano, lo aveva supplicato e supplicato, ma quell'uomo lo aveva ignorato dicendogli che per lo meno non dormiva più per strada; era a quel modo che Minho aveva saputo un altro pezzo del passato del coinquilino.

"Per un po' ho vissuto per strada, non  è stato così male come sembra, l'inverno mi intrufolavo in casa di Kibum e vivevo da lui."

"Perché non ti ha ospitato per tutto l'anno?"

"Perché è contro la legge del quartiere, aveva già un coinquilino."


Non gli era sfuggito il tono geloso che aveva usato nel pensare a Kibum in compagnia di un altro ragazzo, si vedeva che non gli andava per niente bene come cosa ma che ci poteva fare? Nulla, ovviamente, nessuno di loro decideva con chi finire.
Tra lui e Jonghyun il rapporto era migliorato, non riusciva ancora a spiegarsi come fosse stato possibile, ma da quando avevano parlato di Kibum e chiarito che Minho non aveva nessuna mira verso di lui, Jonghyun si era mostrato più gentile e decisamente meno odioso.
Non erano certamente amici per la pelle, ma almeno riuscivano ad avere una conversazione e a collaborare (ecco perché si trovava al mercato per cercare qualcosa di pesante anche per il coinquilino)

Per un istante portò gli occhi verso il centro della città, verso il luogo in cui era nato e cresciuto: il Nucleo.
Mi manca il calore del Nucleo...
Le luci attorno alle abitazioni del Nucleo erano di un arancione acceso, con spennellate di giallo, segno che anche per i ricconi l'inverno stava arrivando. 
Ricordava che da piccolo, quando cominciava a fare davvero freddo, uno dei servitori gli portava sempre la sua coperta preferita, gliel'appoggiava sul letto e poi gli sorrideva dolcemente dicendogli di stare al caldo perché ammalarsi gli avrebbe impedito di giocare; Minho non avrebbe mai saputo quanta sincerità ci fosse nella preoccupazione dei suoi servitori oppure no, suo padre gli aveva tolto qualsiasi cosa... Anche quella stupida coperta.
Più cercava di non pensare a casa sua, più finiva per farlo e la cosa stava iniziando a irritarlo: non aveva più niente là dentro, quindi perché continuava a pensarci?
Era meglio scostare gli occhi dal Nucleo e concentrarsi sulle bancarelle davanti a sé, sì, aveva cose più importanti da fare.

Si avvicinò velocemente a un banco pieno di coperte pesanti, almeno cosi pareva, e iniziò a toccarle per capire quanto potessero fare al caso suo.
Il negoziante lo guardava con aria superiore, i suoi bei vestiti nuovi e lucenti, il suo pellicciotto in bella mostra... Lui sì che non aveva problemi di freddo. Minho rischiava il congelamento ad ogni passo che compieva!
Mentre stava scegliendo le coperte meno puzzolenti e più pulite, un lungo mantello rosso attirò la sua attenzione. Era addosso a una persona, lo avvolgeva completamente nascondendo gli abiti pesanti e gli stivali pelosi che indossava.  Aveva delle rifiniture cucite a mano, lo sapeva perché persino lui indossava cose del genere e ne aveva visti parecchi di mantelli. 
Non capiva come mai uno con quei vestiti sfarzosi era andato fino al mercato, con tutto quel vento poi!
Stava già dando dell'idiota a quel riccone troppo tirchio per prendersi una coperta costosa quando lo vide: Jinki lo schiavo.
Era lui il proprietario di quel mantello rosso, lui che vagava per le bancarelle del mercato come se niente fosse; pareva a proprio agio in quella miseria, se non avesse saputo la verità, Minho, lo avrebbe scambiato per uno di loro - un poveraccio -.
Jinki aveva i capelli tirati all'indietro quel giorno, forse per evitare che il vento glieli rovinasse, sistemati con tanto di quel gel da sembrare la testa di una bambola (era la sua invidia che stava parlando in quel momento, avrebbe pagato qualsiasi prezzo per potersi sistemare i capelli per bene).
Doveva ammettere di trovarlo bello quel giorno, nonostante l’invidia per il mantello che indossava e per gli stivali pelosi che aveva ai piedi.
L'altro ragazzo aveva un portamento elegante, il modo in cui muoveva le mani mentre sceglieva della stoffa o come si rapportava con le persone attorno a sé... Sembrava un nobile, non uno schiavo. Purtroppo il bracciale che indossava, e il fatto che stesse sorridendo educatamente e gentilmente, svelavano a chiunque la sua natura; nessun ricco si sarebbe messo a sorridere a un povero mercante, nessun ricco avrebbe camminato tra quelle bancarelle con uno sguardo emozionato, non era semplicemente da loro.

"Con cosa posso pagare questa stoffa?"

"Non saprei... Il tuo culo?"

Minho roteò gli occhi alla risposta del mercante di stoffa, era il classico idiota che si metteva in ridicolo facendo battute sulla condizione di schiavi e prostitute. Aveva notato l'espressione di Jinki quando il tizio gli aveva risposto a quel modo, nonostante fosse abituato a certe frasi doveva comunque fargli male.
Scuotendo la testa, chiese alla ragazza davanti a sé di tenergli le coperte, erano perfette per lui e Jonghyun, dicendole che avrebbe finito di fare un giro ( e sarebbe finito, per puro caso, a salvare Jinki da quella situazione). Non era giusto prendersi gioco di uno schiavo a quel modo, il poveretto non conosceva niente dei quartieri poveri e la sua domanda era legittima data la differenza tra loro e quelli del Nucleo.

"Sono trecento monete d'argento per metro, vero Cool?"

"Come al solito."

Gli occhi di Jinki si allargarono quando si accorse dell'intervento di Minho e del fatto che stesse pagando per la sua stoffa. Aveva fissato lo sguardo su di lui come a cercare di capire perché lo stesse aiutando e per un attimo, il giovane Choi, ritornò con la mente al giorno del suo compleanno. Gli occhi di Jinki erano spaventati quel giorno di cinque anni prima, ricordava il terrore dentro di essi e ricordava quel corpo che tremava con forza sotto la morsa delle mani di suo padre e dei suoi compari. Ma poi qualcosa era cambiato, dalla paura era passato alla sorpresa, alla pura sorpresa, quando Minho aveva rinunciato a tutta la sua vita per risparmiargli un'umiliazione pubblica. Stava succedendo anche in quel momento, per della semplice stoffa.

"Non eri costret-"

"Non preoccuparti, rovinare la festa a quell'idiota è stato divertente."

Non appena si erano allontanati da Cool e la sua stoffa, Jinki aveva provato a dirgli che non avrebbe dovuto e bla bla bla, le solite cose che si dicono quando ti tirano fuori dai guai.
Non gli piacevano sul serio le persone come Cool, erano troppo irrispettose e arroganti, per questo vedere la sua faccia sconvolta quando lo aveva pagato gli stava dando così tanta soddisfazione, non lo aveva fatto solamente per aiutare lo schiavo.

"A che ti serve tutta quella stoffa? Non sembra qualcosa che la mia famiglia userebbe."

Sapeva che Jinki era rimasto al servizio di Minseok da quando lui era stato cacciato, la cosa non lo sorprendeva considerando che il fratello maggiore collezionava schiavi e li sostituiva quando uno di questi "spariva" in situazioni strane e sospette. Se lo avesse saputo, lo avrebbe tenuto lui; tutto sarebbe stato meglio che finire tra le mani di Minseok.

"Voglio cucire un vestito per una mia amica, a breve verrà venduta e voglio che si senta bella... Almeno prima di essere rovinata per sempre."

"Un'amica, eh? O la tua ragazza?"

"Un'amica."

Perché tutti negavano di essere innamorati o di avere un interesse per qualcuno? Anche Jonghyun continuava a farlo nonostante Minho sapesse di quello che lo legava a Kibum. Era stupido, non c'era niente di male ad avere una cotta, anzi, doveva essere piuttosto bello.
A lui sarebbe piaciuto provare quelle sensazioni, quell’essere confusi e avere sempre la testa tra le nuvole, non gli era mai successo di innamorarsi e nemmeno di prendersi una cotta, la sua vita nel Nucleo era sempre stata molto piatta e superficiale, aveva vissuto nel lusso sfrenato e non era mai contato altro (persino i matrimoni continuavano ad essere combinati, tanto poi i ricchi se la spassavano con gli schiavi se volevano godere dei piaceri della carne fine a se stessa, la moglie o il marito servivano solo a procreare).
Forse i poveri avevano un’idea diversa dell’amore, non lo sapeva bene: che credessero che tutti quei sentimenti fossero di troppo?

“Devo prendere una cosa, aspettami qua.”

Doveva recuperare le sue coperte prima che qualcuno gliele rubasse, la ragazza del banco gliele aveva messe da parte certo, ma uno con più soldi se le sarebbe potute accaparrare lo stesso.
Jinki si limitò ad annuire, la busta con la stoffa stretta tra le mani e uno sguardo sempre più curioso per tutte quelle persone che si trovavano attorno a lui; era la prima volta che passava dal mercato e si vedeva, non aveva la più pallida idea di come muoversi e nemmeno di quanto costasse la roba e di come dovesse pagarla (non certo col suo corpo!).

“Ehi, le tue coperte sono ancora qua!”

“Fortunatamente. Minah, mi hai salvato la vita con queste coperte.”

La ragazza gli sorrise passandogli il suo acquisto, aveva visto come Minho era corso a salvare quello schiavo e si era divertita nell’assistere alla reazione esasperata di Cool poco dopo che quei due avevano abbandonato il suo banco.
Tornato da Jinki, il giovane Choi gli tirò un lato del mantello per attirare la sua attenzione e dirgli che avrebbero proseguito il giro del mercato se voleva; lo schiavo era così preso dalle bancarelle che gli sembrava brutto dirgli di andare a fare un giro da solo, oltretutto si sarebbe potuto mettere nei guai.

“Usi due coperte?”

“Una, l’altra verde è per Jonghyun, non abbiamo il riscaldamento e, uhm, casa nostra è davvero fredda.”

“Il tuo ragazzo?”

“NO! E’ il mio coinquilino, viviamo insieme da cinque anni ma non c’è mai stato niente tra noi.”

Jinki aveva annuito poco convinto, come poteva credere che lui e Jonghyun stessero insieme? Erano solamente coinquilini, il fatto che gli avesse comprato una coperta non significava niente… Era solo un gesto di gentilezza, ecco, qualcosa per ripagare il più grande dei pasti che aveva iniziato a preparargli – e anche del fatto che avesse iniziato a legare Roo la notte -.

“Che ha che non va questo Jonghyun? E’ brutto?”

La prima volta che si era incontrati, Jinki non aveva fatto altro che lamentarsi e fare battute ciniche sulla vita nel Nucleo, sulla vita al servizio di suo fratello Minseok, mentre adesso si stava interessando a Minho e a quello che poteva esserci con Jonghyun.
Cosa aveva fatto di male per meritarsi quel terzo grado? 
Come poteva spiegare il rapporto appena nato con il coinquilino?
Non credeva che a Jinki interessasse davvero sapere della sua vita, probabilmente cercava solo di essere gentile a causa del fatto che lo aveva aiutato a comprare la stoffa.

“Non direi, fa paura ma non mi sembra brutto. Non è il mio tipo però, troppo basso.”

E troppo pieno di tatuaggi.
Senza considerare il suo essere un criminale.
Se Jonghyun fosse nato nel Nucleo, probabilmente lo avrebbe trovato interessante - anche con quel carattere odioso - e avrebbe provato ad uscirci, ma in quella realtà non se ne parlava proprio!

"Credevo che non ci andassi d'accordo, ti ha minacciato per caso?"

Oggi fa decisamente troppe domande.
Alla domanda di Jinki, l'ennesima, scrollò le spalle iniziando a spiegargli del rapporto complesso che aveva con Jonghyun. Gli raccontò dei dispetti di Roo, degli insulti che erano soliti lanciarsi prima di qualche giorno fa, e gli disse di Kibum, di come il coinquilino si era confidato con lui e si era lasciato andare.
Da quel giorno Minho lo aveva riconsiderato, lo aveva visto come una persona con dei sentimenti e delle preoccupazioni, non era più il solito delinquente che spacciava per vivere (quel lato della vita di Jonghyun continuava a temerlo se proprio doveva essere sincero),

"Per questo gli ho preso una coperta, non sarà molto ma meglio di niente."

Quando aveva lasciato il Nucleo non aveva potuto portare niente dietro, suo padre lo aveva praticamente cacciato subito di casa tirandogli addosso un solo maglione, che aveva addosso quel giorno, prima di ordinargli di non avvicinarsi mai più a quel posto. Se solo avesse avuto l'opportunità di portare con sé qualcosa di suo, avrebbe sicuramente preso la sua coperta preferita.

"Ricordo che tuo padre ti ha cacciato subito, gente prima di te ha avuto l'occasione di rubare qualcosa... Gioielli, vestiti, cibo, qualcosa di utile."

"Uhm, presumo di non essere stato troppo fortunato, eh? Scommetto che in camera  c’è ancora il mio piumone di lana preferito, quello basterebbe a scaldarmi per tutto l'inverno e quelli a venire"

Aveva sospirato nel pensare a quel piumone pesante: ogni anno i servitori lo tiravano fuori e lo appoggiavano sul suo letto. Minho poteva sentirne ancora il calore addosso, aveva memorizzato quella sensazione di benessere.
Jinki lo stava studiando, poteva sentire il suo sguardo su di sé, e si voltò incollando gli occhi su quelli dello schiavo. Il silenzio calò su di loro, un silenzio imbarazzante che metteva entrambi a disagio; fortunatamente il bracciale dell'altro iniziò a suonare interrompendo quel momento.

"D-devo andare, tuo fratello ha attivato il Rintracciatore... Se mi trovasse al mercato mi ammazzerebbe. G-grazie per la stoffa."

"E' stato un piacere."

Avrebbe voluto aggiungere un "Ci vediamo" ma gli era parso fuori luogo e fin troppo confidenziale. Lui e Jinki si erano incontrati solo due volte, avevano parlato, certo, ma la maggior parte dei loro discorsi erano stati attacchi o battute sarcastiche da parte dello schiavo e, cosa più importante, quante possibilità c'erano di rivedersi sul serio?
Qualcosa gli diceva che quel ragazzo scappava di nascosto, gli schiavi non avevano il permesso di uscire dal Nucleo e lui aveva visto due volte Jinki in quella parte della città, era ovvio che stesse infrangendo le regole (sperava che suo fratello Minseok non lo facesse punire per due capatine tra i poveracci).
Magari Jonghyun ha qualche aggancio al Nucleo e riesce a farmi avere il mio piumone.
Non sarebbe morto assiderato in quel caso.

Arrivò a casa qualche minuto più tardi, il freddo era aumentato e il vento gli tagliava il volto come lame affilate, era una situazione fastidiosa e non vedeva l'ora di prepararsi qualcosa di caldo e di avvolgersi in quella coperta pidocchiosa che si era comprato.

"Jonghyun, sono a casa!"

"E-ehi.."

La voce del più grande era flebile, gli era giunta tremante e, se non lo avesse visto sul divano completamente vestito, avrebbe pensato che stesse facendo sesso con Kibum, o qualcun altro.
Si avvicinò a lui per controllare che fosse sul serio solo e gli occhi caddero sulla chiazza più scura che macchiava la maglia che stava indossando.
L'amico era pallido, piccole gocce di sudore gli imperlinavano il volto e gli appiccicavano i capelli sulla fronte. Le sue labbra erano viola e le mani tremavano nel tentativo di afferrare il telecomando della tv.
Cosa gli era successo?
La prima volta che avevano cenato insieme, Jonghyun aveva fatto sfoggio di un'enorme fasciatura, che fosse quella ferita a sanguinare?

"Diavolo, ma tu scotti!"

Lo aveva gridato non appena posata la mano sulla fronte appiccicosa di Jonghyun, la sua temperatura corporea doveva essere superiore ai 40° il che indicava una febbre da cavallo. La sua ferita doveva essersi infettata, non aveva ricevuto le cure e la pulizia adatta e si era evoluta in un'infezione: doveva portarlo immediatamente all'ospedale o sarebbe morto.

"Dobbiamo andare in ospedale, Jonghyun."

"No, s-sto bene, è solo un po' di febbre..."

Scuotendo la testa, Minho alzò di prepotenza la maglia del più grande per dare un'occhiata al suo addome.
La fasciatura era piena di sangue, da essa arrivava un odore a dir poco nauseabondo e la pelle coperta dalle bende era di un colorito violaceo. C'era sicuramente del pus e del sangue secco, vedeva delle scie rosse scure e grumose nelle vicinanze dell'ombelico e sospettò che il più grande avesse tolto una crosta oppure non si fosse affatto lavato dopo essere rimasto ferito.
Riabbassando la maglia, cercò di tirare su l'amico per poterlo trascinare in ospedale ma nonostante la febbre, Jonghyun si dimostrava un osso duro.

"Sta' fermo Minho, ti ho detto che sto bene."

"Non è vero! Hai la febbre e un'infezione in circolo, devi farti visitare da una persona seria!"

Perché doveva sempre essere così  testardo? Era comprensibile per  la storia di Kibum, su quello poteva dargli ragione dato che rischiava un'amicizia e un cuore spezzato, ma il non curarsi lo avrebbe portato alla morte!
Non poteva permettersi di perdere anche Jonghyun, era stata la prima persona che aveva incontrato all'inizio della sua nuova vita, continuava ad essere l'unica a dire il vero, e non aveva nessuna intenzione di prendere parte a quel suicidio. Avevano appena iniziato a fare amicizia, ci erano voluto cinque anni per rivalutare quel dinosauro e lui cosa faceva? Gli diceva di non preoccuparsi. Certo, come se una ferita del genere e la febbre così alta fossero normali.
Jonghyun continuava ad opporre resistenza, si stava impuntando peggio dei bambini e stava iniziando a dargli suoi nervi con quel suo comportamento assurdo.
Perché diavolo non si lasciava aiutare?!

“Non capisci che rischi di morire?! Hai bisogno di aiuto!”

“NO! Non ci arrivi? Quelli come me li lasciano morire, credi che portandomi in ospedale riuscirai a farmi curare? Non hai niente con cui pagare… Senza soldi nessuno vorrà visitare un poveraccio.”

“Troverò un modo per pagare, qualcosa mi inventerò, ma non ti lascerò qua come se niente fosse.”

Il più grande era la cosa più vicina ad un amico che avesse, non lo avrebbe guardato morire per una stupida ferita (procurata chissà come) sapendo che avrebbe potuto aiutarlo escogitando qualcosa per pagare le cure mediche. Aveva qualche risparmio da parte, aveva una collana d’oro puro che gli era rimasta al collo quando suo padre lo aveva cacciato di casa e ancora non l’aveva venduta, aspettava un’emergenza seria per venderla e la salute di Jonghyun era un’emergenza.
Non avrebbe mai pensato di utilizzare qualcosa di così prezioso per qualcuno come Kim Jonghyun, ma aveva scoperto un altro lato di lui e Minho aveva sviluppato una sorta di affetto per l’altro ragazzo… In più non avrebbe mai lasciato morire nessuno, nemmeno la persona più odiosa che conosceva.

“Aspettami qua, vado a prendere qualcosa con cui coprirti e andiamo in ospedale.”

“Non demordi mai, eh? Saresti un’ottima recluta.”

“Raccomandami al tuo capo.”

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Capitolo 4
*** "But the weight of the world's is on my soul" ***


Minho era riuscito a far ricoverare Jonghyun,  gli avevano detto che lo avrebbero tenuto solamente fino a quando la febbre non si sarebbe abbassata e dopodiché lo avrebbero rimandato nel "buco da cui era venuto". La sua collana d'oro era stata miracolosa, il medico che si stava prendendo cura di Jonghyun ne era rimasto talmente tanto affascinato che non aveva avuto il minimo dubbio nel ricoverare il più grande.
Era schifato da tutto quello, da come la gente povera si accoltellava alle spalle, da come non ci fosse aiuto tra persone che versavano nella stessa condizione... Non era così che doveva andare, lasciar morire qualcuno solamente perché aveva fatto una scelta di vita diversa, come quella di Jonghyun, era ingiusto. La corruzione era ingiusta. Credeva che certe cose accadessero solamente nel Nucleo, le persone ricche erano aride ed avide di natura e non si stupiva di tutto il marcio che girava attorno ai soldi, ma quei poveracci? 
Jonghyun faceva quello che poteva per vivere, non aveva avuto molta scelta quando aveva deciso di entrare a far parte del suo clan (l'altra opzione, oltre al morire di fame, era farsi vendere come schiavo) e come lui c'erano tante altre persone che non avevano potuto decidere della propria vita; era giusto lasciarle morire?

"Lasciami passare, un mio amico è ricoverato laggiù!"

La voce di Kibum lo distrasse dal treno dei propri pensieri e uscì dalla stanza di Jonghyun, dov'era stato fino a quel momento, per andare a vedere cosa stava succedendo.
Non aveva chiamato l'altro ragazzo, come faceva a sapere che Jonghyun era in ospedale? 
Avvicinandosi a lui e all'infermiera, sospirò cercando di mantenere la calma e di non far agitare ancora di più la ragazza - Kibum non sapeva proprio approcciare le persone -.

"Kibum, finalmente sei arrivato! Ho lasciato detto al medico di farti passare, ma evidentemente lo ha dimenticato."

L'infermiera aveva posato gli occhi su Minho, che di rimando le aveva sorriso malizioso, e poi si era spostata per far passare Kibum e scusarsi dicendo che non sapeva niente di quella storia e che il medico non aveva accennato a nulla di simile;  era sicuro che non avesse creduto a una sola singola parola di quello che aveva detto, semplicemente non voleva avere problemi con Kibum.

"Grazie..."

"Jonghyun sta dormendo, ha ancora la febbre alta ma il medico dice che si riprenderà presto."

Una volta arrivati nella stanza, Kibum corse immediatamente verso il letto di Jonghyun, afferrò una sedia e si mise accanto a lui sospirando piano.
Minho lo stava osservando con attenzione, non si fidava del tutto di lui e aveva la sensazione che la ferita che aveva messo al tappeto il coinquilino fosse a causa sua. 

"Mi dispiace tanto Jjong... Non avrei mai voluto coinvolgerti in quel casino."

Forse dovrei andarmene...
Non gli sembrava carino rimanere là ed ascoltare le confessioni di Kibum, era qualcosa di intimo tra loro ed era sicuro che Jonghyun non avrebbe voluto condividere quella storia con lui (non faceva parte del loro mondo, glielo diceva sempre, non avrebbe potuto capire le situazioni in cui si ritrovavano spesso i due criminali).
Aveva avuto ragione sul coinvolgimento di Kibum, però  il tono della sua voce era uscito disperato e pentito... Stava sbagliando a non fidarsi di lui?
Sembra davvero preoccupato per lui.

"Devo tornare a casa per controllare Roo, posso lasciarlo nelle tue mani?"

"S-sì... Mi dispiace non essere arrivato prima."

Minho scosse la testa prima di recuperare le sue cose e dare un'occhiata a Jonghyun: sembrava stare decisamente meglio rispetto a quando era stato ricoverato. Persino la sua ferita stava guarendo, gli cambiavano la fasciatura e lo medicavano tutti i giorni, costringerlo ad andare in ospedale ne era valsa la pena nonostante tutto.
Stringendo la spalla di Kibum in un gesto consolatorio e minaccioso allo stesso tempo, gli disse di non fare niente di stupido durante la sua assenza; lasciare Jonghyun
solo con lui lo faceva stare in ansia ma doveva sforzarsi per il bene del coinquilino, in fondo quei due erano amici.

Arrivò a casa ancora con il dubbio di aver sbagliato a lasciare Kibum da solo con Jonghyun, il pensiero che potesse fargli del male non lo aveva abbandonato e si stava sempre più pentendo di aver lasciato l'ospedale; se non avesse avuto la certezza che l'altro ragazzo fosse coinvolto nell'incidente che aveva avuto il coinquilino, Minho non avrebbe avuto nessun problema con lui.
Da quando si era attaccato così tanto a Jonghyun? Avevano parlato decentemente un paio di volte e adesso si ritrovava a preoccuparsi per la sua salute e per la sua vita, vivere con quella scimmia per cinque anni stava iniziando a dare i suoi frutti a quanto pareva.
Spero solo che l'amicizia conti ancora qualcosa per Kibum...
Jonghyun era talmente innamorato dell'altro ragazzo che non si sarebbe nemmeno difeso se avesse provato ad ucciderlo, avrebbe accettato il tutto come destino.
Quando aprì la porta di casa, non avevano bisogno di chiuderla perché tutti temevano Kim Jonghyun e non avrebbero mai osato entrare nella sua abitazione, notò Roo scodinzolare a qualcuno in cucina.
Chi diavolo era entrato? Sperava non qualche uomo che aveva un conto aperto con Jonghyun, in quel caso di Minho sarebbe rimasto ben poco.

"Chi... Chi c’è?"

Perché Jonghyun non aveva preso un cane più grande rispetto a Roo? Quella palla di pelo non avrebbe fatto paura nemmeno a un bambino di tre mesi, figurarsi a un uomo adulto!
Afferrando la prima cosa a disposizione in corridoio, una scarpa del coinquilino, si avvicinò alla cucina facendo segno al cane di stare zitta e di fare finta di niente (non che fosse tanto difficile, Roo non lo sopportava e non gli aveva mai fatto le feste in tutta la sua vita).

Andiamo, fatti sotto ladro!
Nonostante tutti quei pensieri coraggiosi e la sua arma di distruzione di massa, se la stava facendo sotto dalla paura: cosa avrebbe fatto se davanti ci fosse stato un membro di un clan?
Non poteva di certo sconfiggerlo con una scarpa puzzolente, anche se affogargli il viso su di essa non era affatto una cattiva idea.

Roo corse in cucina attirata da un fischio e Minho si ritrovò a maledire la cagnetta e la sua smania di coccole, non poteva fare la brava per una volta? Jonghyun le dava abbastanza affetto per evitare che lo ricercasse da estranei!
Doveva raccogliere quel poco coraggio che sapeva di avere ed andare a controllare chi diavolo era entrato in casa sua a quell'ora.

"Credevo non saresti più tornato."

"Jinki...?"

Lo schiavo era apparso dalla cucina, Roo in braccio e un sorriso stampato sulle labbra. Minho lo stava guardando con un'espressione idiota e confusa, non capiva proprio come mai Jinki fosse a casa sua.
Come aveva fatto a sapere dove abitava? Non glielo aveva di certo detto e di certo non lo aveva invitato nella sua catapecchia scordandoselo...

"Fa davvero freddo, non scherzavi quando hai detto che avresti potuto congelare."

"Cosa ci fai qua? Come hai fatto a trovarmi?"

"Ho chiesto in giro, mi sono ricordato il nome del tuo coinquilino e ho chiesto di voi due..."

Sospirando, Jinki lasciò andare Roo e tentò di abbozzare un sorriso verso Minho, che ancora lo guardava sconvolto.

"Volevo solo portarti una cosa e... Non credevo di poterti sconvolgere così tanto."

Minho scosse la testa alle parole dell'altro ragazzo, era rimasto talmente sorpreso che le sue azioni erano state prese nella maniera sbagliata. 
Era contento di vederlo, a dire il vero sperava che lo schiavo tentasse un'altra delle sue uscite dal Nucleo, solo che non si aspettava di trovarlo in casa sua senza motivo. Oltretutto con il ricovero di Jonghyun non aveva avuto tempo di tornare a casa e sistemare, quel poco che c'era da sistemare, quindi il tutto sembrava peggiore di quello che era a causa del caos.

"Scusa, è solo che non mi aspettavo di vederti a casa mia, è stata una settimana molto movimentata."

"Ho sentito dire che il tuo amico è in ospedale. La gente del quartiere sa tutto quello che gli accade o quasi, è una specie di star?"

Possiamo dire così...
Peccato che Jonghyun fosse famoso per l'appartenenza al suo clan e per la vita criminale che conduceva, se fosse stato una persona qualunque nessuno si sarebbe preoccupato di spettegolare su di lui.
In giro si dicevano tante cose di Jonghyun, all'inizio Minho aveva creduto ad ognuna di esse, aveva pensato che un fondo di verità ci fosse in tutte quelle storie, invece Jonghyun era sempre stato un semplice ragazzino che tentava di sopravvivere come meglio poteva; il coinquilino gli aveva confessato di aver ucciso delle persone, dei debitori, spiegandogli che l'omicidio faceva parte della strada che aveva intrapreso. 

"Mi hanno chiesto se volessi assumerlo come sicario... E' un killer professionista?"

"No, da quello che so si limita a spacciare."

E uccidere di tanto in tanto, ma quello era un particolare che poteva omettere.
Jinki lo aveva guardato con un'espressione quasi sconvolta, sicuramente gli avrebbe voluto chiedere se tutto quello gli andasse bene, se si trovasse d'accordo con quella vita criminale... Cosa avrebbe dovuto dargli come risposta? Non lo sapeva nemmeno lui! Più stava vicino a Jonghyun, più si rendeva conto di non avere la minima idea di come andassero realmente le cose in quei quartieri.
Minho aveva sempre basato la propria opinione sulle voci che giravano nel Nucleo, aveva creduto al padre che gli diceva di schiavi esperti nei quartieri a luci rosse, aveva creduto agli amici che tentavano di  fargli provare qualche nuova droga...
Per tutto quel tempo, e anche quello dopo essere stato cacciato di casa, aveva avuto paura costante di entrare in contatto con quella realtà diversa, con quella che sarebbe stata la sua nuova vita prima o poi.

"E' difficile campare qua, so che sei uno schiavo e che vivevi in un mercato, ma sei un purosangue e- lasciamo perdere, ok?"

"Perché lo difendi tanto? Hai detto che siete solamente amici ma sembri ossessionato con il giustificarlo."

Il tono dello schiavo era curioso, non lo stava giudicando né lo stava accusando di chissà cosa, semplicemente moriva dalla voglia di capire cosa passasse nella testa di Minho - un ex-ricco che accettava la scelta di uno spacciatore -.
Mettendosi seduto e facendo segno a Jinki di fare lo stesso, sospirò pensando a quello che ormai per lui era un amico; perché lo giustificava?
Perché non vedeva più l'immoralità della vita che conduceva?
E dire che fino a poco tempo prima non sopportava nemmeno di vedere la faccia da dinosauro di Jonghyun, cos'era cambiato in quel lasso di tempo?

"A volte vorrei dire tutto a Kibum, confessargli quello che provo per lui e proporgli di scappare insieme."

"Potresti farlo... Perché non lo fai?"

"Per sentirmi dire che sono un idiota e che dovrei usare la bocca per altro? A Kibum piace questa vita."


Il suo volto era parso così triste quel giorno, i suoi occhi gli avevano ricordato quelli di un cucciolo spaventato e Minho si era sentito male per lui. Aveva provato una morsa al cuore mentre Jonghyun parlava e gli confessava di quanto si sentisse stanco nel dover fingere di non essere condizionato dal comportamento di Kibum; quei sentimenti rischiavano di trascinarlo in un vortice di tristezza e di amarezza, lo avrebbero portato al baratro e non avrebbe saputo cosa fare per evitare di andare sempre più a fondo.
Quello poteva essere uno dei motivi per il quale Minho si stava affezionando al coinquilino.

"E' una persona molto sola, me ne sono accorto dopo cinque anni.
All'inizio non parlavamo spesso, non facevamo altro che infastidirci, ma in questi giorni Jonghyun si  è confidato con me e ho visto un lato diverso del suo carattere. So che quello che fa è sbagliato, ma cosa pretendi da qualcuno che ha sempre vissuto in questa parte di città? Lo avremmo fatto anche noi, Jinki."

Ne era convinto, se avesse avuto la sfortuna di non nascere nel Nucleo probabilmente si sarebbe immischiato in qualche affare losco, magari avrebbe puntato ad essere il migliore del suo clan essendo molto competitivo.
Jinki lo stava guardando annuendo lentamente, capiva davvero quello che voleva dire? Oppure lo stava assecondando come si faceva con i pazzi? Minho era davvero convinto di quello che stava dicendo, vivendo per tutti quegli anni in quel quartiere si era fatto un'idea ben precisa di come mai quei ragazzi avevano deciso di delinquere. 

"Probabilmente hai ragione... Dubito che le persone povere, anche gli schiavi come me, abbiano una scelta."

"Mi dispiace, anche per te. Tu non hai avuto nessuna scelta, nascere purosangue ti ha tolto ogni altra opzione..."

Posando gli occhi sull'altro ragazzo, che si era seduto accanto a lui sul divano, si accorse della sua espressione impassibile. Stava fissando un punto indefinito davanti a sé, gli occhi privati di qualsiasi emozione e di qualsiasi luce, sembrava una persona differente e il vederlo a quel modo lo stava spaventando.
Non sapeva cosa fare, non si era mai ritrovato in una situazione del genere, nessuno si era mai distanziato da lui mentre parlavano e Jinki sembrava essere perso nei propri pensieri e chissà che altro. 

"Jinki?"

Afferrando la mano dello schiavo, iniziò a scuoterla sperando che reagisse a quegli stimoli: si stava spaventando! 
Perché non riusciva ad ottenere la sua attenzione?
All'improvviso, così come era venuto, quell'attimo di distrazione finì e Jinki ritrasse la mano da sotto quella di Minho. Si alzò in piedi, gettando un'occhiata al padrone di casa, prima di sistemarsi i vestiti e riprendere a parlare.

"Devo andare adesso, incontriamoci alla taverna dove mi hai portato la prima volta... Tra una settimana, Minho."

"O-ok...?" 

Non era sicuro del perché stesse accettando quella specie di appuntamento, per quanto ne sapeva Jinki poteva benissimo essere in combutta con suo fratello, ma la voglia di passare del tempo con quello schiavo aveva avuto la meglio sulla parte ragionevole del suo cervello; sperava con tutto se stesso che quella non fosse una trappola, non voleva diventate lo schiavetto di Minseok o, peggio, di suo padre.

"Alla prossima settimana."

Jinki avvicinò il proprio volto pericolosamente al suo e il respiro di Minho si bloccò in gola nel notare quelle labbra carnose così vicine alle proprie. Fu un momento soltanto, un microscopico momento gli era servito per rendersi conto di quanto avrebbe voluto baciarlo. Lo aveva desiderato da quando lo aveva conosciuto, non ci aveva dato peso ovviamente ma in quel momento era tutto diverso: Jinki non lo trattava male e avevano appena organizzato un appuntamento.

Non c'era niente di sbagliato nel voler baciare una persona, specialmente bella come Jinki, allora perché qualcosa lo stava frenando?
Era il fatto che fosse uno schiavo, ne era sicuro, non avrebbe mai forzato se stesso su qualcuno, nemmeno su una persona abituata a venire usata, umiliata e torturata. No, non avrebbe mai potuto baciare Jinki.
Se lo facesse lui però...
In quel caso sarebbe tutto diverso.

"J-Jinki..."

La sua voce stava tremando, lo schiavo non si era allontanato nemmeno di un centimetro, sembrava averne addirittura guadagnati, mentre Minho rimaneva immobile a guardarsi attorno come un idiota.
Jinki gli accarezzò una guancia, passando il pollice lentamente su di essa, prima di rubargli un bacio casto e sparire tra le persone per strada: che diavolo era successo?

Si portò un dito alle labbra e, sospirando, si chiese cosa avesse spinto lo schiavo a baciarlo a quel modo. Non era stato uno di quei baci che ti sconvolgevano, non era stato un bacio appassionato o profondo, era stato un semplice bacio stampo ma aveva lasciato Minho perplesso e sconvolto; sapeva già che non avrebbe fatto altro che chiedersi come mai e perché Jinki si fosse comportato a quel modo, per una settimana non avrebbe fatto altro che riempirsi la testa di domande su domande, chissà se poi avrebbe ricevuto risposta ad una di esse (conoscendo l’altro ragazzo, per quel poco che era riuscito a carpire, non gli avrebbe mai detto nulla). 

“Cosa voleva rega-… Oh.”

Aveva notato una scatola appoggiata al tavolo della cucina, c’era un fiocco scarlatto nel mezzo e Minho abbozzò un sorriso avvicinandosi curioso: non riceveva un regalo da anni! 
Non aveva mai festeggiato il suo compleanno o una festività da quando si era unito ai poveracci della città, vedere quel piccolo pacco lo aveva  reso elettrizzato – in più era stato Jinki a portarlo, come poteva ignorare la gioia che provava a quel singolo pensiero? –
Scartò il pacco con poca delicatezza prima di allargare lo sguardo, gli occhi che si ingrandivano più del normale, incredulo a causa di quello che aveva trovato dentro quella scatola.
Il suo piumone, il suo bel piumone pesante, era davanti a lui in tutta la sua bellezza e calore: Jinki gliel’aveva portata rubandola da casa Choi. 
Quello schiavo adorava mettersi nei guai, era evidente, ma non avrebbe mai pensato che nelle sue ribellioni avrebbe fatto rientrare un dono tutto per lui. 

“Dovrò portarla in ospedale da Jonghyun, almeno fino a quando non si riprenderà dalla febbre.”

La settimana dopo avrebbe incontrato lo schiavo e lo avrebbe ringraziato per quello che aveva fatto per lui, per come si era ricordato di qualcosa che lo riguardava.
Perchè si sentiva così strano?
Si era per caso preso una cotta per quel ragazzo al servizio di suo fratello? 
Poteva essere un problema, un problema bello grosso.

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Capitolo 5
*** "I'm being haunted by a whisper" ***


Il giorno del suo appuntamento con Jinki era arrivato, finalmente, Minho si era fatto una doccia lenta e lunga, si era lavato per bene cercando di non saltare nemmeno un punto, neanche il più piccolo, pur di evitare di fare una brutta figura davanti allo schiavo. Voleva profumare, voleva essere bello e sentirsi desiderabile, per quanto possibile con i vestiti del mercato che aveva comprato assieme a Jonghyun qualche giorno prima. 
L’amico era stato dimesso dall’ospedale e si stava riprendendo velocemente, la febbre era passata del tutto e la sua ferita si era rimarginata lasciandogli solamente una grossa cicatrice sull’addome, un segno che avrebbe portato con orgoglio perché era così che ragionava il più grande e non si sarebbe sicuramente preoccupato per una cosa del genere (con tutte le cicatrici che aveva sparse per il corpo, una in più non faceva la differenza).

“Come sto?”

“Sembri quasi uno ricco.”

Minho aveva sbuffato alla risposta di Jonghyun, i vestiti che aveva avuto durante il suo periodo di ricchezza non erano minimamente paragonabili a quelli che aveva addosso in quel momento! 
La stoffa della camicia non era morbida né delicata sulla sua pelle, i suoi jeans probabilmente non tornavano alle gambe e la giacca che avrebbe indossato era troppo larga per le sue spalle; quello era il meglio che il mercato aveva offerto, sperava solo che Jinki non facesse caso a tutti quei difetti.

"Non credo di averti mai visto così nervoso prima di uscire, è una cosa quasi carina."

Jonghyun era seduto a gambe incrociate sul divano, Roo in mezzo ad esse, mentre studiava il suo look e il suo comportamento. Era ovvio che fosse nervoso, il suo appuntamento con Jinki doveva andare bene e lui doveva mostrarsi al meglio. In quella settimana, Minho, si era ritrovato a pensare spesso allo schiavo, al bacio da bambini che si erano scambiati. 
Continuava a non avere la più pallida idea di cosa significasse quel gesto, ma perlomeno aveva capito di avere una cotta, un vero interesse, per quel ragazzo (sicuramente dell'attrazione fisica c'era, per una sintonia emotiva avrebbe dovuto conoscerlo meglio).
Forse stava riponendo troppa speranza in quell’incontro, in fondo Jinki non aveva specificato a cosa servisse quell’appuntamento, né era parso particolarmente preso da lui.

“E’ solo che mi piace e vorrei fare bella figura.”

“Sei sicuro che sia un appuntamento di quel tipo? Non ho mai capito gli schiavi, non dovrebbero rifiutare qualsiasi tipo di interesse amoroso dato il lavoro che sono costretti a fare?”

“Non lo so! Non sono un esperto di schiavi, sai Jonghyun?”

Il più grande aveva scrollato le spalle e poi aveva mugugnato un “Sta’ calmo” mentre lasciava andare Roo e si sistemava la maglietta che il cane aveva stropicciato nello stare accoccolata a lui.
Il ragionamento che aveva fatto non era privo di fondamenta, solitamente gli schiavi non si relazionavano con nessuno a causa dei traumi che subivano stando agli ordini dei padroni, non si facevano avvicinare, non parlavano con gli sconosciuti e, ovviamente, non iniziavano relazioni amorose con nessuno (anche per evitare che i padroni li punissero e li gettassero da qualche parte in Discarica – come veniva chiamato il posto in cui uccidevano le persone che non servivano più nel Nucleo - ).
Jinki però sembrava diverso, aveva persino accennato a un’amica quella volta al mercato… Poteva considerare l’idea di avere una relazione amorosa, no?

Se non mi avesse dato quel bacio, non mi sarei fatto tutti questi quesiti.
Quel semplice tocco di labbra aveva mandato il suo cervello in tilt, Minho si era fissato con quel gesto e aveva cercato in tutti i modi di trovare una spiegazione plausibile ad esso. Purtroppo non ne aveva ricavato un ragno dal buco e l’unica persona che avrebbe potuto rispondere a tutte le sue domande era lo stesso Jinki.

“E’ lo schiavo di tuo fratello, dovresti stare attento.”

“Cos’è, adesso ti preoccupi per me?”

Minho aveva ridacchiato alle sue stesse parole, la reazione di Jonghyun era stata un bofonchiare di cose senza senso prima di dirgli che non gli interessava niente di lui e di quello che gli sarebbe potuto succedere – cosa ovviamente non vera considerando l’arrossire del coinquilino e il modo in cui uscivano le sue parole -. Doveva ammettere di trovarsi piacevolmente bene in sua compagnia adesso, l’aver visto il lato umano e meno spaventoso di quel gradasso lo aveva aiutato a rivalutarlo come persona, oltre al fatto di essere diventato ancora più curioso riguardo il suo passato. 

"Sta' tranquillo, non mi caccerò nei guai."

Era sicuro che Minseok non sapesse delle girate che Jinki faceva fuori dal Nucleo, altrimenti lo schiavo sarebbe stato mutilato o ucciso molto prima. Qualcuno di fidato lo stava aiutando, doveva esserci altra gente coinvolta in quelle uscite e Minho sperava che quelle stesse persone proteggessero Jinki dall'eventuale ira di suo fratello.

"Ok, sono pronto... C-come sto?"

"Un figurino!"

Sbuffò prima di mandare al diavolo Jonghyun, il più grande aveva la capacità di innervosirlo e di farlo agitare come nessun altro, non importava quanto il loro rapporto fosse migliorato, c’era sempre quella parte di lui che lo irritava e dubitava che sarebbe mai sparita.

Quando Minho arrivò alla locanda dove doveva incontrare Jinki, rimase stupito e sconcertato dalla persona seduta assieme allo schiavo: cosa ci faceva Kibum là?
Da quello che ne sapeva lui, quei due non si erano mai visti né avevano mai fatto affari insieme, era convinto che Kibum gli avrebbe spiattellato tutto in quel caso, quindi perché stavano parlando di soppiatto in quel momento?
Non potevano conoscersi sul serio, si rifiutava di accettarlo, uno come Jinki non si sarebbe mai immischiato con uno come Kibum, appartenevano a due mondi completamente diversi!

Che diavolo sta succedendo?
Vide Kibum alzarsi qualche istante più tardi, una cartellina di pelle in mano, mentre Jinki gli sorrideva e lo ringraziava di qualcosa (Minho si stava maledicendo per non essersi addentrato ancora di più nel locale, nascondendosi bene e più vicino sarebbe riuscito a carpire qualcosa della loro conversazione).
I suoi occhi si incollarono sulla figura elegante di Kibum, come faceva quel tipo ad essere così diverso dai delinquenti non era ancora riuscito a capirlo, e per un secondo ebbe la sensazione che l'altro ragazzo sapesse che si trovava là; era stato un attimo, i loro sguardi non si erano nemmeno incrociati, ma era sicuro di essere stato scoperto.

Mi metterà nei guai con Jonghyun, già lo so...
Non gli piaceva l'idea del coinquilino in mano alla versione della storia di Kibum, ma sapeva bene di non poter contrastare la cecità che i sentimenti di Jonghyun portavano.
Era meglio lasciar perdere gli altri due ragazzi e concentrarsi su Jinki, magari lui gli avrebbe risposto, avrebbe sedato la sua curiosità e gli avrebbe detto come mai conosceva Kibum.

"Ehi, scusa il ritardo ma Jonghyun aveva bisogno di una mano con una cosa..."

"Non preoccuparti, non sono qui da molto!"

Nel sedersi di fronte a Jinki, Minho notò i lividi che adornavano il suo volto.
Aveva un occhio nero, il naso gonfio e viola e una grossa benda sulla guancia, benda che toccava l'orecchio e finiva proprio a un lato delle labbra; Minseok doveva aver scoperto le sue fughe, vero?
Era ovviamente opera di suo fratello, lo aveva visto sfregiare i propri schiavi talmente tante volte che avrebbe riconosciuto il suo modus operandi tra mille.
Si sentiva in colpa nei confronti di Jinki, era finito tra le mani di Minseok a causa sua... Suo padre lo aveva comprato per lui ed era a causa sua che era finito a servire la famiglia Choi.

"Mi dispiace per la tua faccia, è stato Minseok, vero?"

"Ha scoperto delle mie uscite e non l'ha presa molto bene. Sono stato fortunato comunque, mi ha solo ferito... Altra gente è morta sotto le sue torture."

Jinki aveva un tono di voce calmo mentre parlava di quello che aveva subito, pareva non esserne toccato né sconvolto e la cosa stava iniziando a dargli i brividi; se c'era una cosa che Minho non capiva, era proprio quella calma apparente che differenziava Jinki dagli altri schiavi. Era come se il più grande avesse in mente qualcosa, come se subire tutti quei colpi e quelle torture non contasse niente perché in serbo c'era qualcosa di maggior valore (che c'entrasse la presenza di Kibum in qualche modo?).

"Non dovresti tornare al Nucleo? Se Min-"

"Non ho nessuna intenzione di tornare laggiù. Tuo fratello, la tua famiglia... Non fanno altro che trattarmi come una bestia e lo so, so bene quello che sono, di essere uno schiavo ma non voglio più vivere così. Sono scappato, probabilmente mi troveranno e mi uccideranno, ma morirò con la consapevolezza di averci provato."

Aveva senso quello che stava dicendo e da una parte capiva come mai Jinki si fosse ribellato così tanto, ma dall'altra non riusciva a comprenderlo; perché andare incontro al suicidio a quel modo? Perché non accettare il proprio destino e cercare di rimanere in vita il più possibile? 
Gli piaceva così tanto l'idea di lottare e di finire ucciso dalle torture di Minseok?

La luce che lampeggiava nel bracciale di Jinki distrasse un attimo Minho da quei pensieri. Il bracciale... Il bracciale era la vera falla nel piano di Jinki, quell'affare avrebbe comunicato ben presto la sua posizione e quella libertà che tanto agognava non sarebbe durata più di una mattinata.

"Vieni con me, dobbiamo togliere quell'affare se vuoi sul serio scappare da mio fratello."

Lo avrebbe aiutato, glielo doveva considerando come era finito a servire la sua famiglia. Minho si sentiva in colpa nei suoi confronti, se non avesse rifiutato quell'umiliazione, se non fosse stato cacciato di casa, avrebbe potuto tenere Jinki e renderlo uno schiavo più felice, per quanto felice potesse essere uno schiavo.

"Non voglio metterti nei guai, Minseok sa che vivi da queste parti."

"Non importa, è colpa mia se sei stato comprato, mio padre ti ha preso per me..."

Nell'alzarsi dal tavolo, Jinki gli abbozzò un sorriso ringraziandolo dell'aiuto che gli stava dando. Minho sperava di poter rimediare a quel torto fatto anni prima, anche se indirettamente, la sua coscienza sarebbe stata ripulita e magari Jinki lo avrebbe visto sotto una luce diversa, si sarebbe reso conto di quanto diverso fosse dal resto della sua famiglia.
Jonghyun avrebbe trovato un modo per togliere di mezzo il bracciale senza tagliare la mano al povero Jinki, quello lo faceva per velocizzare le cose e per non avere grane con lo schiavo di turno – almeno sperava -.

“Sai che non devi dimostrarmi niente, vero? Il mio destino era già scritto, Minho, sarei finito in qualche famiglia ricca ad ogni modo.”

“Lo so, ma non tutti sono pazzi come Minseok… Mi dispiace ma non avrei potuto farti del male davanti a tutti, nemmeno da soli eh!”

Jinki aveva lasciato andare una leggera risata e Minho si ritrovò ad arrossire pensando a quanto fosse bello l’altro ragazzo quando rideva.
Era uno schiavo fuori dal comune, non era morto dentro e non si disperava lasciandosi andare a quello che gli accadeva, no, lui stava lottando per la propria libertà e per la propria vita. Non gli importava delle conseguenze, era evidente, per lui contava solamente avere quell’apparente controllo sulla sua esistenza.
Non poteva fare a meno di ammirarlo, quel ragazzo aveva subito cose peggiori rispetto a lui, era cresciuto consapevole di quello che sarebbe diventato, ma non si era mai lamentato né pianto addosso (cosa che Minho aveva fatto continuamente quando aveva perso la sua ricchezza).

Guardandosi intorno per qualche istante, afferrò la mano di Jinki notando delle guardie del Nucleo dall'altra parte della strada; dovevano correre se volevano arrivare da Jonghyun tutti interi! Sperava che Kibum non fosse con lui, non voleva vedere l'altro ragazzo perché lo avrebbe tartassato di domande sulla presenza di Jinki e Jonghyun si sarebbe irritato.

"Siamo quasi arrivati, le guardie sono entrate adesso nella taverna. Nessuno dirà loro dove si trova casa mia, non vogliono guai con Jonghyun."

"A me lo hanno detto però."

"Perché tu sei uno di noi, loro no."

Le persone non si aiutavano a vicenda in quel quartiere, non provavano pietà per nessuno, ma almeno erano uniti contro i ricchi. Le guardie avrebbero cercato inutilmente Jinki fino a quando il bracciale non avrebbe cominciato a suonare rivelando la posizione dello schiavo, fino a quel momento casa sua era il posto più sicuro.

"Eccoci, Jonghyun potrebbe non essere da solo, ecco... Ha una specie di storia con-"

"Kibum, lo so."

Minho alzò un sopracciglio alla menzione del nome dell'altro ragazzo, come faceva a sapere di quei due?
Possibile che Jinki e Kibum fossero così tanto in confidenza fino ad arrivare a spiattellare di Jonghyun?
E poi perché lo aveva chiamato per nome e non lo aveva additato come "gangster" o "quel membro di quel clan"?
Gli dava davvero fastidio il fatto che si conoscessero, che stessero tramando qualcosa insieme, parevano conoscersi bene e non gli piaceva, non gli piaceva per nulla.

"Non dovremmo entrare e cercare il tuo amico?"

"Sì, giusto..."

Entrò in casa notando il soggiorno completamente vuoto, Jonghyun doveva essere andato in camera sua o doveva aver portato Roo a fare una passeggiata, il che poteva essere un problema: il bracciale aveva cambiato colore e non ci avrebbe messo molto a suonare.

"Vado a vedere se è in camera sua, tu fa' come fossi... Beh, accomodati pure."

Vedendo Jinki iniziare a giocare con Roo (segno che il coinquilino non l’aveva portata a fare una passeggiata), dopo aver posato le sue cose in ordine su uno dei divani, sospirò dirigendosi verso la camera di Jonghyun.

"Jonghyun... Dì qualcosa, per favore."

Si era avvicinato alla camera del coinquilino per andare a chiamarlo e la voce squillante di Kibum fu la prima cosa che arrivò alle sue orecchie; aveva la vaga sensazione che quei due stessero litigando piuttosto che facendo sesso, sempre che Kibum non avesse proposto qualcosa di strano... Qualcosa a tre con Jinki, per esempio.
Minho si allontanò dalla tenda per evitare di essere scoperto, aveva tutta l'intenzione di origliare e capire cosa stesse andando storto nel paese delle meraviglie, meraviglie distorte ovviamente.

"Cosa dovrei dire? Mi hai nascosto tutta la tua vita."

"Di tutto quello che ti ho detto, hai capito solo questo? I miei genitori-"

"Ho capito, i tuoi genitori sono morti per colpa dei genitori di Minho, non sono stupido quanto credi."

Cosa c'entravano i suoi genitori con quelli di Kibum? Per quanto suo padre fosse uno schifoso e uno schiavista convinto, non avrebbe mai fatto affari con gente dei bassifondi come Kibum e la sua famiglia, dubitava che quei genitori fossero persone normali con un lavoro normale (e forse sbagliava a dare per scontato qualcosa sulla vita di uno che non conosceva, ma Kibum non gli piaceva e non si fidava di lui). Aveva persino notato il tono sarcastico di Jonghyun quando aveva risposto alle accuse di Kibum, sembrava davvero irritato dal comportamento dell'altro.

"Non provare a fare l'offeso con me, non ti ho mai considerato uno stupido."

"Davvero? Perché il tuo avermi sempre tagliato fuori da tutto e l'avermi manipolato a tuo piacimento dimostra il contrario. 
Credevi che non avrei capito se mi avessi detto la verità? Che non ti avrei aiutato a vendicarti? Dio, sei mio amico Kibum, farei di tutto per te!"

Perché non gli dice quello che realmente prova? E' davvero uno stupido!
Stava cercando di distrarsi dal pensiero dei suoi genitori che uccidevano quelli di Kibum, ancora doveva capire come fosse possibile che si conoscessero e che quella conoscenza fosse finita male.
Jinki sapeva qualcosa? Poteva essere una pedina in tutta quella storia, poteva aver aiutato Kibum a capire cos'era successo alla sua famiglia... Non aveva altri motivi per mettersi in contatto con l'altro ragazzo, giusto?
E se stesse tramando qualcosa anche lui?
Gli sembrava di stare in mezzo alle pagine di un pessimo romanzo, c'erano troppe cose che non tornavano e troppe situazioni alle quali non sarebbe mai venuto a capo.

"Ne riparliamo dopo, adesso ho un lavoro da sbrigare."

"Bravo, scappa come al solito."

Kibum aveva lasciato andare un ringhio alle parole di Jonghyun e l'unica cosa che tornò a riempire la stanza nei secondi successivi fu il rumore di vestiti gettati a terra e corpi che si scontravano.
Minho scosse la testa, quei due litigavano e l'unica cosa che poteva mettere in pace le loro menti era il sesso, Jonghyun aveva ragione a definire il loro rapporto malato. Purtroppo li avrebbe dovuti interrompere, il bracciale di Jinki era ancora al suo posto.

"Jonghyun, ho bisogno del tuo aiuto."

Era entrato nella stanza nel momento stesso in cui Kibum stava aprendo i jeans dell'altro, poteva considerarsi fortunato per non essere incappato nell'atto del sesso orale.
Il coinquilino aveva un'espressione scocciata, era arrabbiato per quello che era appena successo con Kibum e, tristemente, aveva notato che tra le sue gambe non c'era nessuna erezione nonostante la presenza di un ragazzo là vicino.

"Arrivo subito, tanto Kibum se ne stava andando."

Vide Jonghyun recuperare la propria maglia prima di lasciare la stanza e non degnare di uno sguardo Kibum, che lo aveva seguito con gli occhi fino a quando non era uscito dalla camera.

"So che hai sentito tutto, devi farti gli affari tuoi."

"Perché avere un rapporto con te è così difficile, Kibum? Non ti rendi nemmeno conto di quello che fai alle persone, non so come faccia Jonghyun a stare dietro alle tue stronzate."

Non aspettò la replica di Kibum, uscì immediatamente dalla stanza raggiungendo Jinki e Jonghyun in soggiorno. Il coinquilino stava già lavorando sul bracciale dello schiavo, Jinki doveva avergli spiegato la situazione mentre lui stava parlando con mister simpatia nell'altra stanza.

"Tu devi essere Jonghyun, Minho mi ha parlato di te."

"E' un gran pettegolo, eh? Comunque parlava anche di te, Jinki... Giusto?"

Minho era arrossito a causa del sorrisetto sghembo che Jonghyun gli aveva fatto, quel bastardo lo faceva a posta! Lo guardava facendo finta di niente ma intanto spiattellava il fatto che avesse parlato dello schiavo! Prima o poi gli avrebbe detto quanto era stato nervoso quella mattina a causa del loro appuntamento.
Jonghyun iniziò a maneggiare con il bracciale al polso di Jinki, un’espressione seria e concentrata sul volto; sembrava una persona completamente diversa dal solito, gli faceva quasi paura da quanto era serio in quel momento!

"Ecco fatto, il bracciale non ci darà più problemi, anche se dubito basterà a tenere lontano il tuo padrone."

"Grazie, so di stare mettendovi tutti nei guai, l'avevo detto a Minho ma ha insistito lo stesso."

"Lo so, è una sua piccola abitudine!"

Jonghyun si alzò abbozzando un sorriso a Jinki, gli passò il bracciale dicendogli di metterlo in un posto sicuro perché sarebbe fruttato parecchi soldi - e a uno schiavo libero sarebbero davvero serviti -. 

"Vi lascio soli, devo portare Roo a fare due passi."

Una volta rimasto solo con Jinki, Kibum era uscito di casa qualche secondo più tardi di Jonghyun, Minho iniziò a sentirsi nervoso e agitato; perché non riusciva a stare tranquillo? 
Perché il suo cuore batteva così forte ogni volta che Jinki gli parlava o i loro sguardi si incrociavano? Lo schiavo gli piaceva davvero tanto, era inutile negarlo, e purtroppo non aveva la più pallida idea di come comportarsi. 
Non sapeva quello che aveva subito da Minseok, a parte le contusioni e le botte presenti sul suo volto, e non era molto familiare con la mentalità degli schiavi. Certo, Jinki lo aveva baciato ma di certo non significava avere il via libera per strappargli i pantaloni.

"Kibum aveva ragione, il tuo amico è gentile."

"Come fai a conoscerlo? Perché eravate insieme alla locanda?"

Aveva colto l'occasione al volo, non avrebbe resistito poi molto senza sapere che razza di rapporto ci fosse tra loro due, già non sopportava il fatto che potessero tramare qualcosa ai danni della sua famiglia ( per quanto avrebbe dovuto odiarli). Jinki lasciò andare un lungo sospiro prima di prendere un sorso della propria acqua e portare gli occhi sul volto di Minho, guardandolo con un'espressione seria e decisa.

"Kibum andrà ad assicurarsi la mia libertà." 

"Che diavolo vuole dire?"

"Non posso dirti altro, non capiresti."
 

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Capitolo 6
*** "Show me what you never meant to show" ***


Durante la notte Minho si ritrovò a vagare per la città, le luci provenienti dal Nucleo che illuminavano le strade e le poche persone abbastanza coraggiose da stare fuori persino dopo il coprifuoco. 
Aveva ceduto la propria camera a Jinki, dopo quella piccola discussione su Kibum e sulla libertà dello schiavo non erano più riusciti a parlare se non quando aveva deciso di lasciargli il proprio letto (pensava avesse bisogno di un posto decente dove dormire, lui al massimo si sarebbe intrufolato sotto le lenzuola di Jonghyun… Cosa che aveva fatto ma il più grande non era in casa).
Non aveva idea di dove si fosse cacciato il coinquilino, quando era entrato in camera sua aveva visto solamente Roo, bella presa nel leccare il cuscino del padrone, e nient’altro. Presumeva fosse uscito perché le sue scarpe e il suo giaccone non erano in soggiorno, probabilmente aveva avuto un lavoro di cui occuparsi oppure stava tentando di fare pace con Kibum andando a casa sua in piena notte. 
Arrivò in una specie di bar, l’unico aperto a quell’ora, e si intrufolò dentro sperando di non venire riconosciuto come quello che “viveva con Kim Jonghyun”; detestava le persone che lo guardavano solo per quel motivo, avevano paura di lui credendo, stupidamente, che facesse parte dello stesso clan del più grande e non c’era niente di più sbagliato.

“Hai deciso di seguirmi per caso?”

“Jonghyun!”

Ecco dov’era finito il coinquilino: a bere in uno squallido bar.
Gli era nota la passione di Jonghyun per l’alcool, più volte lo aveva visto a casa con un bicchiere in mano e più volte lo aveva lasciato crogiolare nel proprio vomito (non lo sopportava a quei tempi, non lo avrebbe mai aiutato!) 
Era più che normale il godimento che aveva provato nel vedere Jonghyun in quelle condizioni, per anni era stato il suo peggior nemico e l'unica cosa che aveva desiderato, in quegli anni, era di ridicolizzarlo in qualche modo.

"Non riuscivi a dormire?"

"Uhm, il divano non è molto comodo... In più sono venuto in camera tua ma non c'eri, così mi sono preoccupato."

"Dovresti smetterla di preoccuparti tanto per me, sai Minho? Non otterrai nulla di positivo nello stare accanto a uno come me."

"Jonghyun..."

Gli avrebbe voluto dare dell'idiota, dirgli che non aveva niente di sbagliato e che le persone non riuscivano a vedere quanto fosse un bravo ragazzo nonostante la vita che faceva. Jonghyun era cresciuto da solo, si era dovuto arrangiare per sopravvivere e, come tanti altri ragazzi, delinquere era stata l'unica scelta e la strada più semplice.  Le persone ricche, come lo era stato Minho, non potevano capire come fosse morire di fame, come fosse stare al freddo in una catapecchia e senza vestiti adeguati, ma le persone povere lo sapevano benissimo. Sapevano che vivere a quel modo non era possibile ma continuavano a guardare e giudicare male chiunque facesse parte di una gang (poteva capire la loro paura, non tutti i teppisti erano gentili come Jonghyun, non tutti avevano un lato gentile sotto quell'armatura fatta di crudeltà e cinismo).
Vedendo l'amico così sconsolato e depresso, gli veniva voglia di abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene.

"Kibum non mi ha mai detto dei suoi genitori, non si è mai fidato sul serio di me." 

Inutile dire che sapeva perfettamente da cosa dipendesse il malumore e la tristezza di Jonghyun: Kibum era l'unico che lo buttava giù a quel modo.
Mettendosi seduto accanto a lui, Minho si ordinò da bere aspettando che il più grande cominciasse a confidarsi e a lasciarsi andare come ogni volta che aveva dei problemi con Kibum; quei due erano come cane e gatto, litigavano e poi facevano pace nel classico cliché del sesso. Il loro rapporto era un vero e proprio mistero per lui, non avrebbe mai capito cosa ci trovasse Jonghyun in uno come Kibum, erano così diversi!

"Quanto hai sentito della discussione di oggi?"

"No, io non-"

"Ho visto i piedi sotto la tenda, Minho."

Il coinquilino aveva buttato giù il contenuto del suo bicchiere e ne aveva ordinato immediatamente un altro, si sarebbe addormentato a causa dell'alcool continuando di quel passo e chissà quanti altri ne aveva bevuti da quando aveva appoggiato il culo su quello sgabello. Jonghyun aveva uno sguardo così triste, si sentiva davvero ferito dal comportamento di Kibum?
Pareva esserne rimasto deluso, il sapere di non essere degno di ogni più piccolo segreto dell'altro ragazzo, di cui era innamorato, aveva fatto crollare quella minima parte delle sicurezze di Jonghyun...? Minho non capiva, l'amore che l'amico provava per una persona che non lo meritava era inquietante secondo lui, vedeva quei sentimenti come un rapporto sadomaso praticamente.

"Ho capito solo che i miei genitori c'entrano qualcosa con i suoi o la loro morte."

"Kibum è un purosangue, sarebbe diventato uno schiavo anche lui se i suoi genitori non lo avessero protetto lasciando che il boss del suo clan lo portasse via dal Nucleo. Tuo padre si è così arrabbiato con loro che ha deciso di ucciderli. Gli avevano portato via una fonte di guadagno e non poteva perdonare un affronto del genere fatto da due schiavi."

Quindi suo padre aveva sul serio fatto assassinare due persone solamente perché avevano cercato di proteggere il loro figlio, che razza di persona era? Chiunque avrebbe provato a salvare un figlio, una persona normale lo avrebbe fatto, ma nelle famiglie del Nucleo questo senso di appartenenza non c'era. L'affetto per i propri genitori o per i propri figli, veniva cancellato in una sola serata se ti rifiutavi di amalgamarti alla società.
Minho aveva subito quel torto da parte dei genitori, Kibum aveva perso la sua famiglia, e Jinki era diventato vittima di Minseok a causa di un gesto egoista di Minho. Ed il tutto era collegato alla famiglia Choi, alla sua famiglia.

"Vuole vendicarsi, vero? Per questo Jinki è scappato e ha parlato di libertà."

Jonghyun si era limitato ad annuire, probabilmente non sapeva cosa dirgli visto che stavano parlando dell'omicidio dei suoi genitori. 
Credeva che avrebbe provato qualcosa a quella notizia, sconvolgimento magari o tristezza, credeva si sarebbe messo a supplicare il coinquilino di fermare Kibum e di fargli cambiare idea, ma non c'era niente. Non provava niente di niente. 
Cosa aveva che non andava? Quella era la sua famiglia, i suoi genitori e suo fratello, perché non riusciva a pensare a niente che non fosse: "Se lo meritano"?
Era un pensiero orribile, se ne rendeva conto benissimo, ma non poteva fare a meno di pensarlo e ripensarlo; la sua famiglia si meritava cose ben peggiori di un semplice piano di vendetta che sarebbe finito, molto probabilmente, male per Kibum e Jinki.

"Ho provato a farlo ragionare, non solo perché non ha nessuna speranza di entrare nel Nucleo senza morire, ma perché sono i tuoi genitori... Capisci?"

"Ti preoccupi per me, Jonghyun?"

Lo aveva detto ridacchiando, quella situazione era davvero assurda, Jonghyun aveva tentato di persuadere Kibum anche a causa sua, aveva tenuto conto del legame che aveva con quelle persone pur sapendo che non si vedevano e non si sentivano da ben cinque anni.
Il più grande aveva messo il broncio voltandosi dall'altra parte, la mano che stringeva il bicchiere pieno di chissà cosa; era gentile Jonghyun, non voleva che Minho soffrisse a causa della morte dei suoi genitori ma il diretto interessato non provava assolutamente nulla nell'aver appreso quella notizia.

"Non mi importa di loro. Hanno ucciso la famiglia di Kibum, hanno imprigionato Jinki, si meriterebbero di morire."

"Sono pur sempre i tuoi genitori, la tua famiglia..."

"Tu consideri quelle persone degne di vivere? Dopo tutto quello che hanno fatto e quello che hanno permesso a Minseok? Sono dei mostri, Jonghyun. Non hanno mai provato a comprendere gli schiavi o le persone povere."

"Anche tu eri come loro, sei nato nel Nucleo."

Minho scosse la testa alle parole dell'amico: poteva anche essere nato in quel posto, ma non si era mai sentito parte di quel mondo.

"E' vero, tante cose non le capivo nemmeno io quando mi sono ritrovato qua, ma non sono mai stato come loro. Non ho mai schifato gli schiavi.
Non ho mai guardato i poveri come bestie. 
Mio padre mi aveva comprato Jinki per il compleanno e io mi sono rifiutato di umiliarlo davanti a tutti proprio perché non era una cosa da me, sarei stato un ipocrita a farlo solamente per evitare di venire punito."

"Un ricco dal cuore nobile, uhm?"

"O con un cervello funzionante."

Jonghyun aveva scosso la testa lasciando andare uno "Tsk", bevendo poi il resto del contenuto del suo bicchiere. Per aver ingurgitato chissà quanto alcool, era piuttosto lucido.
Notando come lo sguardo di Jonghyun si era fatto lontano, Minho sospirò sapendo bene che l'assenza del più grande era dovuta alla situazione con Kibum: era preoccupato per lui e non sapeva cosa fare. 
Poteva solo immaginare quanto l'amico fosse irrequieto, quanto l'essere convinto di essere inutile lo facesse innervosire; Kibum aveva deciso di vendicare i suoi genitori e Jonghyun ne era rimasto all'oscuro per tutto quel tempo, doveva essere davvero frustrante.

"Dovresti dirgli quello che provi per lui, potrebbe essere l'ultima occasione."

"Ancora, Minho? A lui non interessano queste cose, voleva solamente una distrazione tra un omicidio e la sete di vendetta."

Scuotendo la testa, Jonghyun finì di svuotare il contenuto del suo bicchiere mugolando poco dopo, doveva essere arrivato al limite della sopportazione dell'alcool perché la sua faccia si era contorta in un'espressione schifata.
Minho continuò a fissarlo prima di riprendere a parlare ed essere sicuro che l'altro ragazzo lo ascoltasse.

"Dico sul serio, potresti non avere altre occasioni e... E io so che muori dalla voglia di dirgli tutto."

"Ah, davvero? E da cosa lo avresti capito, visto che ti ho sempre detto come stanno le cose tra noi?"

E' davvero testardo...
Non riusciva a capire perché Jonghyun negasse la voglia di voler confessare tutto a Kibum, era evidente che desiderasse avere un rapporto diverso con lui, un rapporto vero basato su dei sentimenti e non sulla semplice voglia di fare sesso. In quei mesi aveva imparato più cose su Kim Jonghyun di quanto lo avesse fatto nei primi anni della loro convivenza, poteva prendersi il diritto di fare certe presupposizioni perché l'amico si era lasciato conoscere un pochino meglio.

"Ascolta... Kibum potrebbe morire e lo sai, altrimenti non avresti provato a dissuaderlo, non avrai altre occasioni Jonghyun."

"Lo so, va bene? So benissimo che potrebbe essere la mia ultima occasione, l'ultima opportunità che ho per confessargli tutto, ma se comunque non gli interessasse?
Se mi dicesse che sono uno stupido e che non perderebbe mai tempo con me?"

Sospirando, Minho appoggiò una mano su quella del coinquilino accarezzandola piano. Non gli piaceva vederlo a quel modo, convinto di non contare niente per Kibum quando poi, in realtà, l'altro ragazzo provava qualcosa per lui (almeno Minho aveva interpretato così la preoccupazione che aveva visto nei suoi occhi quando Jonghyun era stato male).
Quello era il momento adatto per raccontargli cos'era successo durante quei giorni.

"Ricordi quando eri in ospedale? Kibum ha litigato con una delle infermiere perché non volevano farlo passare, l'ho dovuto recuperare io per evitare che facesse a pezzi quella povera ragazza! Era preoccupato, Jonghyun, davvero preoccupato e dubito che non provi niente per te. Non lo conosco bene, è vero, ma il suo sguardo e come ti accarezzava... Beh, lasciavano pochi dubbi sul suo attaccamento a te."

Jonghyun lasciò andare un lungo sospiro, lo sguardo sempre basso e fisso sulle proprie gambe, forse aveva capito di doversi dare una mossa? Kibum stava per fare qualcosa di stupido e pericoloso, quella scimmia doveva affrontare i propri sentimenti e le conseguenze, anche quelle di un rifiuto.

"Devo fermarlo, devo fare qualcosa per impedirgli di andare al Nucleo."

"Confessargli il tuo amore potrebbe essere un freno, non credi?"

"Forse nel mondo delle favole, Minho."

Minho scosse la testa ghignando: era riuscito a convincere Jonghyun! Finalmente aveva fatto qualcosa di buono per l'amico, qualcosa che gli avrebbe permesso di trovare redenzione una volta morto ( avrebbe pur dovuto pagare per i propri peccati).

“Domani mattina andrò a parlare con lui.”

Dandogli una pacca sulla spalla, Minho vide un mezzo sorriso solcare le labbra di Jonghyun; probabilmente quell’incontro sarebbe andato male, Kibum avrebbe comunque continuato per la sua strada e Jonghyun sarebbe rimasto a pregare che tutto andasse bene.

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Capitolo 7
*** "When the lights start to turn off, I quietly go to meet you" ***


Il giorno dopo fu meno traumatico di quanto si aspettava.
Dalla cucina arrivava un bel profumino di caffè e di qualcosa di dolce di cui Minho aveva un vago ricordo, non mangiava niente del genere da quando era arrivato nel quartiere povero della città,  il sole riscaldava l’ambiente attorno a sé permettendo ai propri raggi di illuminare il soggiorno e di rendere quel risveglio meno lugubre e triste.
La dormita su quel divano non era stata poi tanto male, la sua schiena avrebbe fatto i capricci per un paio di giorni ma almeno era riuscito a chiudere occhio dopo essersi sbronzato un po’ con Jonghyun. Jonghyun che ronfava nella sua camera, udiva il suo russare fin laggiù e non poté fare a meno di abbozzare un sorriso pensando a quanto l’amico avesse bevuto la sera prima fino a crollare sul bancone del bar (era stata una scena davvero ridicola, il pericoloso Kim Jonghyun che andava k.o. contro uno schifoso bancone di legno).
Alzandosi da quel letto improvvisato, i capelli scompigliati e le gambe indolenzite, si avviò in cucina per curiosare e per vedere cosa stesse combinando Jinki .

"Ti sei svegliato, spero gradirai un po' di caffè e dei pezzi di pasticceria appena sfornati. Avevo qualche soldo con me, quindi ho pensato di ricambiare la tua gentilezza con qualcosa di decente da mangiare... Avrei voluto darlo anche a Jonghyun, ma sta dormendo come un ghiro e mi dispiaceva svegliarlo"

"Hai fatto bene, ieri sera è crollato per il troppo alcool."

Jinki aveva abbozzato un sorriso di cortesia porgendogli il caffè appena fatto; era fumante ed aveva un profumo delizioso, non vedeva l'ora di assaporare quel veleno nero e amaro. Davanti a sé, sul tavolo, c'erano diversi prodotti di pasticceria, tutti freschi, che non sapeva quale mangiare per primo. Aveva una gran fame, non vedeva quella roba da anni e dalla sua faccia si capiva quanto fosse impaziente di mettere sotto i denti qualcosa, sperava che lo schiavo non si arrabbiasse vedendolo mangiare senza aspettarlo.

"Presumo che Jonghyun ti abbia detto della famiglia di Kibum..."

"Uhm e del vostro piano per vendicarvi. Sei sicuro che sia una buona idea? Tu starai qua a preparare il caffè mentre Kibum rischia la vita?"

Non era suo diritto intromettersi a quel modo, ma stavano organizzando di uccidere la sua famiglia e Jonghyun non aveva fatto altro che lamentarsi di Kibum e dire che lo avrebbe seguito fino al Nucleo... Qualche diritto di intromissione lo aveva tutto sommato. Per la sua famiglia e per il suo coinquilino/migliore amico (anche l'unico amico che aveva).
Jinki lo stava fissando con un'espressione impassibile, non pareva minimamente toccato da quello che gli stava dicendo e dalle cose di cui lo stava accusando - essere un vigliacco per esempio -; non gli piaceva quella freddezza che leggeva negli occhi dello schiavo, non sembrava neanche la stessa persona.

"E' stato lui a organizzare tutto, a venire a cercarmi. Gli ho procurato informazioni per anni, la mia libertà è il mio giusto pagamento."

Le parole di Jinki gli avevano fatto gelare il sangue nelle vene, quella era la prima volta che vedeva quel lato cinico e meschino dello schiavo. Si era illuso che fosse una persona completamente estranea alla cattiveria del mondo, un giovane uomo naïve e innocente, troppo diverso dagli altri schiavi che giravano per il Nucleo.
Quanto era stato stupido?
Quanto era stato ingenuo da parte sua credere che qualcuno potesse essere perfetto in tutto e per tutto! Le persone nascondevano sempre un lato oscuro, desideri personali che trovavano libertà una volta arrivata l'occasione perfetta (come lo era stata la vendetta di Kibum per Jinki).
Minho era stato talmente ammaliato da Jinki e dalla sua personalità, da come aveva affrontato la sua schiavitù, che non aveva tenuto conto di non conoscerlo affatto.

"Jonghyun vuole seguirlo, vuole andare al Nucleo con lui e tu? Tu parli come se la cosa non ti interessasse."

"E tu come se quella non fosse la tua famiglia, Minho. Tuo padre verrà fatto a pezzi, tua madre potrebbe finire nelle mani del boss di Kibum e subire chissà quali violenze e tuo fratello... Beh, lui subirà lo stesso destino dei suoi schiavi, di quelli che ha ucciso e torturato; come può non importarti niente?"

Non gli importava sul serio?
Per quanto continuasse a chiederselo, a sperare di provare un minimo di preoccupazione per loro, Minho non sentiva niente.
Non c'era paura per loro, non c'era voglia di supplicare di risparmiarli, non c'era niente di niente se non la consapevolezza che lo meritassero. Avevano fatto del male a tante persone, avevano diviso famiglie e abusato di schiavi per tutta la loro vita, persone come loro non meritavano di vivere. 
Da un figlio ci si aspettava tutto tranne un pensiero del genere, ma lui non era più un Choi, loro lo avevano abbandonato e lo avevano allontanato fregandosene di quello che ne sarebbe stato di lui una volta nel quartiere povero.

"Se lo meritano."

"Quindi cosa ti importa di quello che farà Kibum? Non sarà da solo in questa impresa, molti schiavi vogliono essere liberi."

"Ma non è sicuro lo stesso! Il Nucleo pullula di guardie, come farà ad entrare? Come farà ad arrivare ai miei? E' una pazzia e se Jonghyun andasse davvero con lui... Rischierebbe di non tornare."

E la sola idea di dover vivere in quella catapecchia senza la presenza di quello scimmione, senza il suo russare e i suoi dispetti, lo rendevano irrequieto. Sentiva di dover fare qualcosa, di dover affrontare il suo passato una volta per tutte e chiudere definitivamente con esso; non poteva continuare a pensare ai suoi genitori, a quello che gli avevano fatto passare.

"Andrò con loro, li aiuterò ad entrare nel Nucleo."

Non avrebbe permesso a quei due di rischiare la vita ancora prima di arrivare a casa sua, Jinki poteva rimanersene là con Roo in attesa del loro ritorno visto che non era intenzionato a partecipare a quella missione suicida. Sarebbe stato un buon aiuto, chi meglio di Jinki sapeva come sgattaiolare ed entrare nel Nucleo? Era scappato dalle grinfie di Minseok per chissà quando tempo, doveva conoscere per forza un modo per entrare senza essere visto (così come lo conosceva Minho, anche se c'era sempre il rischio di venire scoperto).

"Non puoi tornare al Nucleo, le guardie ti ucciderebbero a vista... C'è un specie di tunnel che collega il Nucleo al resto della città, è nascosto tra gli arbusti di un parco."

"Lo usavi per scappare di nascosto?"

Era una domanda abbastanza stupida, era ovvio che Jinki non usasse il cancello principale per allontanarsi dal Nucleo -  visto che non poteva farlo - ma una risposta affermativa avrebbe reso la possibilità di un'entrata segreta ancora più reale. 
Jinki lasciò andare un lungo sospiro prima di portare lo sguardo su Minho e riprendere a parlare, molto più tranquillo rispetto a prima.

"Verrò con voi, vi accompagnerò fino agli arbusti e vi aspetterò lì. Questa è anche la mia battaglia..."

Abbozzando un sorriso, Minho allungò una mano per prendere quella dello schiavo; era un sollievo sapere che non si era sbagliato su di lui, che lo aveva giudicato bene quando aveva pensato al suo non essere crudele e meschino. 


“Minho… Minho apri gli occhi, andiamo amico, non farmi scherzi!”

Il suono incessante di una macchina fu la prima cosa che gli arrivò alle orecchie non appena i sensi gli tornarono.
Si sentiva frastornato, affaticato e poco riposato, la testa gli stava scoppiando ed era come se un gruppo di piccoli nani stesse celebrando all’interno del suo cranio; cosa diavolo era successo? Perché si trovava sdraiato in quello che, presumeva, fosse un letto d’ospedale?
Non ricordava praticamente niente se non la voce di Jonghyun che lo supplicava di svegliarsi, le mani del più grande che vagavano sul suo volto e sul suo corpo alla ricerca di qualcosa… 

“Il proiettile dev’essere uscito, c’è il foro d’uscita.”

“Dobbiamo portarlo via da qua Kibum! Non possiamo lasciare che muoia per colpa nostra!”


Gli avevano sparato? Per questo si trovava in ospedale?
Si rese conto di avere un respiratore attaccato al naso, l’ossigeno ribolliva nel piccolo contenitore di plastica accanto a lui e sospirò quando vide una fasciatura stretta al suo petto; gli avevano sparato in quel punto, giusto? Forse il proiettile gli aveva perforato un polmone o c’era andato vicino e per questo non riusciva a respirare bene.
Cercando con una mano di afferrare il campanello d’allarme, voleva far capire ai medici di essere vivo, vagò con lo sguardo per tutta la stanza in cui si trovava e alzò un sopracciglio: non era l’ospedale del quartiere povero.
C’erano troppi macchinari, la stanza non puzzava e non aveva quella tipica decadenza dell’ospedale dei poveri… Non era decisamente normale che si trovasse lì, lo sarebbe stato se fosse stato ancora un Choi, se avesse avuto ancora i privilegi che suo padre gli aveva tolto cinque anni prima, ma adesso? Adesso si poteva permettere una stanza putrida senza nemmeno una finestra.

Una porta si aprì dall’interno della stanza e Minho vide Jinki avvicinarsi a lui con un bel sorriso stampato sulle labbra, era così contento di vederlo oppure quel sorriso era di cortesia? 
Non ricordare cosa era successo quando erano entrati nel Nucleo gli stava facendo aumentare il mal di testa, avrebbe voluto sapere ogni cosa immediatamente ma dubitava che i medici avrebbero permesso ai suoi amici di rivelare ogni cosa. Sempre se Kibum e Jonghyun erano ancora vivi. 

“Ti sei svegliato, temevo non lo avresti più fatto…”

“Quanto ho dormito?”

“Cinque mesi.”

Cosa?
Com’era possibile?
No, no, il giorno prima erano entrati nel Nucleo ed avevano raggiunto la sua vecchia casa, avevano sorpreso suo padre a picchiare sua madre e di Minseok non c’era stata traccia fino a… fino a quando di preciso? 
Aggrottando la fronte, si sforzò di ricordare quello che era successo, di ricordare com’erano andate le cose quel giorno ma niente gli tornò in mente, niente di niente. Solamente la voce preoccupata di Jonghyun gli rimbombava in testa, solo quelle parole di supplica.
Cinque mesi della sua vita erano trascorsi in quel letto d’ospedale senza che lui lo sapesse, era finito in coma a causa della ferita al petto?

“Vado a chiamare un medico, ti spiegherò tutto più tardi.”

“No, no! Aspetta Jinki, per favore. Voglio sapere cos’è successo, perché sono in questo ospedale e dove sono Kibum e Jonghyun?”

Lo schiavo sospirò piano prima di togliere il campanello d’allarme dalle sue mani e sedersi, in un secondo momento, su una sedia accanto al suo letto.
Adesso che ci faceva caso, che la sua mente era più lucida, Minho poteva notare degli avanzi di cibo su un vassoio e un altro letto poco distante dal suo; che Jinki avesse dormito là per tutto quel tempo?

“Stanno bene, sul serio, sono… In questo momento non lo so di preciso ma sono scappati dalla città qualche settimana fa. La polizia li stava cercando e tua madre li ha aiutati a scappare.”

“Mia madre?”

Sua madre era ancora viva? Credeva che l’avessero uccisa come Kibum aveva programmato, come avevano pensato di fare una volta raggiunta casa sua e la sua famiglia!
Non aveva senso, niente di tutto quello che gli stava dicendo Jinki ne aveva, sua madre non avrebbe mai aiutato due poveracci, non avrebbe mai aiutato qualcuno intenzionato a sterminare la sua famiglia, ad uccidere suo figlio e suo marito. Era normale che non credesse a quella storia, Minho aveva sempre visto la donna come la First Lady del Nucleo, come il braccio destro di suo padre e non di certo come una persona dolce e compassionevole.

“Vi ha aiutati a scappare da casa tua quando ti ha visto ferito e in una pozza di sangue, Jonghyun le aveva puntato la pistola contro ed era pronto a sparare, ma lei lo ha pregato di salvarla perché non è mai stata d’accordo con il modo di fare di tuo padre e, beh, ti ha trasportato in ospedale pretendendo le migliori cure per te. Eri messo male, il proiettile di tuo fratello ti ha perforato un polmone, i medici sono riusciti a salvarti per miracolo ma sei finito in coma fino ad adesso. Non credevano ti saresti svegliato.”

Più Jinki parlava, più quelle gesta non rispecchiavano per niente sua madre, la madre che conosceva lui ovviamente.
La donna non si era mai mostrata gentile con i figli, non li aveva mai degnati di una carezza o di un abbraccio, era sempre stata la prima a dir loro di prendere esempio dal padre, di diventare uomini come lui, tutto quello che Minho ricordava di lei erano le parole dure e i commenti acidi quando capitava di avere uno schiavo troppo vicino. 
Non poteva credere alle parole di Jinki, no, era impossibile che la donna lo avesse aiutato a quel modo, che avesse aiutato Jonghyun e Kibum a lasciare la città.

“Non ci credo, non è possibile che sia stata lei.”

“Minho… Ti sto dicendo la verità, tua madre ti ha aiutato ed è qua fuori, ha aspettato per mesi che ti risvegliassi.”

“Non… Non capisco.”

Tutte quelle informazioni lo stavano agitando, avrebbe dovuto dare ascolto a Jinki e aspettare di stare meglio prima di ascoltare le sue storie, prima di apprendere che diavolo era successo quella sera al Nucleo, ma non era nella sua natura stare zitto e aspettare che le cose si risolvessero da sole.
Kibum e Jonghyun erano spariti, lui era stato in coma e sua madre lo aveva vegliato tutto quel tempo: com’era possibile tutto ciò?
Doveva essere uno scherzo, era svenuto durante l’attacco e stava ancora sognando, sì.

“Capirai meglio non appena ti torneranno i ricordi, sei solo confuso. Non hai perso la memoria e non hai subito danni al cervello, devi solo risposare.”

“Ho riposato per cinque mesi, sono stanco di riposare! Voglio sapere cosa è successo davvero.
Voglio sapere perché mia madre mi sta aiutando e perché ha aiutato Kibum e Jonghyun!”

Lo schiavo si era mordicchiato un labbro abbassando lo sguardo. Minho era convinto che ci fosse molto altro dietro ai gesti di sua madre, c’era qualcosa di più in tutta quella storia e la reazione di Jinki non faceva altro che convincerlo ancora di più.

“Dà retta al tuo amico, dovresti riposare.”

“Madre…”

Il suo sguardo si incollò immediatamente alla figura magra  e sinuosa della madre, erano passati anni ma la donna aveva ancora quell’aspetto elegante ed etereo. Non era cambiata nemmeno di una virgola: il suo volto non trasmetteva niente e la sua voce era fredda come il ghiaccio.
Come al solito lo stava fissando senza provare nessuna emozione,  non c’era preoccupazione nei suoi occhi, né compassione o gioia nel rivederlo dopo ben cinque anni; quella totale assenza di empatia e di sentimenti lo facevano dubitare sempre di più delle parole di Jinki, com’era possibile che quell’automa di madre lo avesse aiutato a salvarsi?

“E’ bello rivederti, figlio mio. Avrei preferito farlo in un’altra situazione, ma in quel caso non sarebbe mai avvenuto.”

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Capitolo 8
*** "Can’t we live in a world where time stands still?" ***


Ok, questo è l'ultimo capitolo e so che il finale vi lascerà con l'amaro in bocca, ma non odiatemi ò.ò. Dal mio punto di vista era il finale più adatto, sinceramente stava diventando troppo lunga e non avrei comunque saputo come finirla, potete immaginare il continuo come volete :P 



Minho si stava riprendendo abbastanza bene dopo l’essersi svegliato, senza nessun ricordo degli eventi, da quel coma che lo aveva costretto a letto per cinque mesi. Sua madre e Jinki si stavano prendendo cura di lui lasciandogli fare tutte le domande che ancora aveva a causa di quello che era successo al Nucleo, purtroppo non sembravano molto interessati a rispondergli e non aveva ottenuto nessuna risposta convincente, almeno secondo lui.
Qualche ricordo sparso era tornato, non del tutto nitido. Per esempio ricordava che Minseok gli aveva sparato alle spalle mentre lui cercava di avvisare Jonghyun della presenza di una guardia nella stanza. Il fratello era sempre stato meschino, un comportamento del genere se lo sarebbe dovuto immaginare e avrebbe dovuto prestare più attenzione ai suoi movimenti.

L’uccisione del padre era stata incredibilmente veloce, Kibum si era limitato a tagliargli la gola, Jonghyun gli aveva consigliato una morte veloce per evitare di venire scoperti ed uccisi ancora prima di veder morire quell’uomo. Minseok forse si era salvato, forse uno dei due amici lo aveva freddato dopo che Minho era stato ferito, non lo sapeva e non poteva ricordarlo poiché era svenuto immediatamente e l’unica cosa che ricordava era la voce di Jonghyun.
Appena uscito dall’ospedale avrebbe chiesto a sua madre, Jinki non poteva saperne più di lui essendo rimasto tutto il tempo all’entrata del tunnel dove lo avevano lasciato, la donna rimaneva la sua unica fonte di informazione purtroppo.
Non riusciva a fidarsi di lei e delle sue parole, per quanto ne sapeva poteva essersi inventata tutto o avergli fatto un lavaggio del cervello con qualche tecnologia nuova a disposizione dei superricchi. E dire che prima, da ricco lobotomizzato, non avrebbe mai messo in discussione le parole di sua madre, non avrebbe avuto problemi a credere senza ragionare su quello che gli stava dicendo; cinque anni era un periodo abbastanza lungo per perdere tutta quella cieca fiducia.
Le uniche cose positive di quella storia, a parte l’apparente fuga di Jonghyun e Kibum, erano le cure e la presenza di Jinki accanto a sé. 
In quei giorni si erano avvicinati molto, si erano conosciuti sul serio rispetto a quando si vedevano di nascosto, e la vicinanza dell’ex-schiavo lo stava aiutando a non perdere il lume della ragione; nessuno gli garantiva che la presenza dell’altro ragazzo non fosse una messinscena di sua madre, nessuno poteva rassicurarlo sul serio del fatto che Jinki tenesse a lui, ma voleva crederci. Si stava aggrappando con tutto se stesso all’effimero pensiero di interessare affettivamente al più grande.

“Ti ho portato qualcosa da bere, l’infermiera mi ha detto che hai finito l’acqua e allora…”

“In realtà l’ha finita mia madre, sembrava strano che non prendesse qualcosa di mio.”

Jinki abbozzò un sorriso e poi appoggiò la bottiglia d’acqua sul comodino vicino al letto, si mise seduto subito dopo e lasciò andare un lungo sospiro mentre incollava gli occhi sulla figura di Minho. Sembrava pensieroso, turbato da qualcosa, lo schiavo non era molto bravo a nascondere le cose in quel periodo, forse il senso di colpa o quella strana collaborazione con la signora Choi lo logorava talmente tanto da non permettergli più di fingere come prima. 

“Fra qualche giorno potrai uscire da qua, hai già pensato a dove andare?”

“Tornerò a casa mia.”

E con “casa sua” intendeva la catapecchia dove aveva vissuto in quegli anni, la casa che aveva diviso con Jonghyun e Roo e la presenza di Kibum di tanto in tanto; non sarebbe mai tornato a vivere al Nucleo, non dopo quello che avevano fatto a suo padre, non dopo che Minseok gli aveva sparato e sua madre era riapparsa nella sua vita.
Stava bene, tutto sommato, nella parte povera della città. 
Aveva dovuto sopportare il freddo, la fame e la miseria, le persone che morivano nelle case vicine e un’abitazione senza porte, ma aveva resistito e si era adattato a quella vita, diamine, era persino riuscito ad andare al mercato tutto da solo senza avere paura di venire rapinato! Era cambiato in quegli anni e non era sicuro che sarebbe riuscito a tornare alla vita adagiata di prima, a quella vita che gli era mancata i primi tempi ma di cui, adesso, non sentiva per niente la mancanza.
Gli mancava Jonghyun in compenso, gli mancavano le sue grida di piacere quando se la spassava con Kibum, gli mancavano i rimproveri a Roo e le risate che quella cagnolina provocava a tutti e due quando non si scannavano l’uno contro l’altro… Erano quelle le cose che avrebbe voluto indietro, non di certo soldi e una madre fredda e distaccata.
Nessuno avrebbe riconosciuto Choi Minho nel ragazzo steso su quel letto d’ospedale e andava bene così, lui non voleva più avere niente a che fare con la gente del Nucleo.

“Vorresti tornare là? Perché? Credevo odiassi quella casa.”

“E’ così, ma è casa mia e non ho nessun altro posto dove andare.
Non ho una famiglia, l’unico amico che avevo è sparito nel nulla… Cosa dovrei fare? Tornare a vivere con mia madre al Nucleo e fingere che questi cinque anni non siano mai esistiti? No, grazie. Anzi, mi stupisce come tu riesca a starle vicino.”

Non lo capiva sul serio, Jinki aveva proclamato odio per la famiglia Choi, aveva odiato suo padre e Minseok, aveva tramato vendetta alle loro spalle pur di diventare una persona libera eppure, adesso, riusciva a parlare come se niente fosse a sua madre, perché?
Cosa c’era dietro quel comportamento?
Non riusciva a credere ci fosse una celata pace tra quei due, lo schiavo aveva sterminato la famiglia per cui lavorava e lo aveva fatto trafugando notizie e spostamenti a Kibum, aveva dato tutto il necessario affinché il killer potesse prendersi la propria vendetta e fare giustizia ai propri genitori, i dubbi che affliggevano il cervello di Minho erano del tutto normali considerata la situazione.

“Non voglio stare vicino a lei, voglio stare vicino a te. Fino a quando starai in ospedale dovrò sopportarla, dopo sparirà dalla mia vita come ho sempre desiderato.”

“Jinki…”

“So che non ci conosciamo bene, so che siamo incappati in una brutta situazione di recente, ma quando ti ho baciato l’ho fatto perché mi piaci. 
La gente crede che gli schiavi non siano in grado di amare o di desiderare il contatto fisico, ma non è così. Io desidero fare sesso, desidero baciare e toccare un’altra persona e voglio essere toccato e baciato. Voglio avere una storia d’amore e avrei potuto averne una con altre schiave e dare il via alla mia stirpe di purosangue, ma non mi sono mai piaciute le donne.”

Le parole dell’altro ragazzo lo lasciarono interdetto, non sapeva cosa dire o come reagire a tutte quelle confessioni; Jonghyun era stato il primo a mettergli dei dubbi sul comportamento degli schiavi e sulla loro voglia di avere una vita normale nonostante tutto.
Jinki sembrava aver diviso il lato professionale, se così poteva definirlo, dal lato personale. Aveva mantenuto i propri desideri e le proprie speranze, certo che un giorno avrebbe trovato un compagno - visto che aveva ammesso che le donne non gli piacevano – con cui vivere felice e tranquillo… Per quanto possibile.

“Minho… Quello che sto tentando di dirti, di spiegarti, è il modo di sopravvivere della maggior parte degli schiavi. Non siamo persone così deboli come tutti voi ricchi credete, riusciamo a sopportare le vostre torture, le vostre umiliazioni, ben consapevoli di non poterci fare niente. Non abbiamo scelto noi questa vita, ci è toccata e l’unica cosa che rimane davvero nostra è la speranza di incontrare la persona perfetta. Di incontrare quella persona in grado di cancellare tutto lo schifo che siamo costretti a sopportare… I miei genitori si amavano sul serio, quelli di Kibum si erano innamorati davvero, non è difficile lasciarsi alle spalle il “lavoro” da schiavo quando cresci con una famiglia vera alle spalle.”

“Ma i genitori di Kibum lo hanno mandato via, non lo hanno fatto diventare uno schiavo.”

“E a quale prezzo? Li hanno trucidati la sera stessa e Kibum è cresciuto in una gang mafiosa, se fosse rimasto al Nucleo forse avrebbe avuto una vita migliore.”

Minho aveva scosso la testa, non era convinto delle parole dell’altro ragazzo; come poteva uno schiavo dire che quella vita era migliore di quella per strada?
Una vita costretto a dare piacere e a servire dei vecchi ricchi viziati non poteva essere meglio di una vita in completa libertà, una vita lontana da tutto lo schifo che c’era nel Nucleo. Ma forse lui la pensava a quel modo perché non era stato costretto ad uccidere o a spacciare, non aveva mai dovuto fare parte di una gang come Kibum e Jonghyun, la sua idea di libertà era completamente distorta e diversa da quella degli amici. Persino da quella di Jinki.

“Non credo che per Kibum sia stato semplice far parte di una gang, nonostante sembrasse godere nel far soffrire gli altri…”

“Però tu volevi essere libero, non eri felice laggiù… Come puoi dire che per Kibum sarebbe stato meglio?”

Jinki sospirò dopo la sua domanda, lo schiavo non aveva idea di cosa rispondergli e di come fargli capire il suo punto di vista. Era comprensibile, doveva sentirsi parecchio confuso considerato che le sue azioni non riflettevano per niente il suo pensiero: diceva che vivere al Nucleo non era male, ma poi aveva passato anni ad organizzare la propria fuga e la propria vendetta. Minho non sarebbe mai riuscito a capire del tutto i sentimenti dell’altro ragazzo, non avrebbe mai potuto sapere cosa aveva provato nello stare agli ordini di suo fratello, ma riusciva a comprendere il suo dolore.
Riusciva a vedere il dolore e la sofferenza.
Ed era a causa di quello che riusciva a capire di lui che aveva sempre la voglia di tenerlo stretto a sé e dirgli che tutto sarebbe andato bene (ed era una sensazione strana, non aveva mai provato nulla del genere per nessuno).

“Forse lo credo perché so che non avrei mai resistito per strada, come membro di una gang. Kibum e il tuo amico, Jonghyun, sono stati costretti ad uccidere e a perseguire debitori, sono stati costretti ad abbracciare la criminalità e a conciarsi come tutti gli altri. Quei tatuaggi, quei marchi sulla pelle, non hanno dato loro un’identità ma gliel’hanno tolta facendoli amalgamare a tutti gli altri… Per noi schiavi è diverso, anche se apparteniamo ai nostri padroni e non possiamo davvero lasciar trapelare la nostra personalità, non dobbiamo macchiarci di reati e non dobbiamo conciarci come un’altra persona per appartenere a un gruppo. Capisci?”

Capiva? In un certo senso sì.
Aveva capito che Jinki non sarebbe sopravvissuto nel quartiere povero della città.
Aveva capito che il Nucleo rappresentava la salvezza per le persone deboli. 
E, con sua sorpresa, aveva capito che lo stesso Jinki rientrava nella categoria dei deboli, se così poteva definire le persone troppo spaventate e poco portate alla vita da criminale (non che fosse una cosa brutta, nemmeno lui era tagliato per certe cose e spesso avrebbe voluto dire a Jonghyun di smetterla con quella vita perché non era moralmente e legalmente giusta).
Cosa avrebbe fatto l’ex-schiavo adesso?
Dove sarebbe andato a vivere?
Non aveva più una famiglia da servire, non aveva più due genitori, era solo al mondo e al Nucleo non sarebbe mai potuto ritornare, tanto meno avrebbe potuto vivere con la signora Choi e approfittare dei suoi soldi – Minho era sicuro che la madre aveva ereditato ogni cosa dalla morte del marito e del figlio -.

“Dove andrai adesso che sei libero? Non puoi restare con mia madre e… e so che non hai nessuno.”

Jinki lasciò andare un sospiro profondo alla domanda di Minho, non sembrava essersi offeso per il poco tatto che il giovane Choi aveva usato nel dirgli che non aveva nessuno e quello gli fece tirare un sospiro di sollievo. L’ultima cosa che voleva era inimicarsi il più grande. 

“Non lo so, potrei tornare al mercato degli schiavi e chiedere di lavorare là. L’idea non mi attira molto considerando il destino di tutti quei ragazzi chiusi là dentro, ma che altro posso fare?”

“Potresti venire a stare con me, potremmo vivere insieme e arrangiarci con qualche lavoretto. So che la vita da poveraccio non fa per te, so che non vorresti mai finire in una gang, ma insieme potremmo cavarcela.”

Non ne era molto sicuro, ma sperava che tutto andasse liscio almeno per una volta.
Senza Jonghyun sarebbe stato difficile tornare a casa, l’idea di non avere nessuno con cui passare le giornate e dividere le pene di quella vita da pezzente lo spaventava – non aveva mai preso bene i cambiamenti – ed era riluttante all’idea di avere un nuovo coinquilino; Jinki aveva bisogno di un posto dove stare, loro due andavano abbastanza d’accordo, togliendo il fatto che lo schiavo si era dichiarato cotto di lui, e potevano cavarsela davvero se fossero rimasti insieme.

“Sei sicuro? Non vorrei finire per essere un peso e…”

“Sono sicurissimo. Tu mi piaci, Jinki, e anche se non dovessimo mai avere una relazione o chissà cosa, voglio aiutarti a rimetterti in piedi. 

Se non fosse stato per Jonghyun, nonostante il suo caratteraccio e il suo avermi ignorato per anni, non sarei mai arrivato fino ad oggi…. Probabilmente sarei morto di freddo e di fame, quella scimmia mi permetteva di mangiare e mi faceva usare le coperte, non importava quanto non ci sopportassimo. Voglio solo darti un mano.”
Minho non ebbe il tempo di sentirsi soddisfatto del proprio discorso, non riuscì nemmeno a fare qualche battuta idiota su quanto fosse saggio, perché le labbra di Jinki si posarono sulle sue improvvisamente (proprio come il primo e unico bacio che si erano scambiati).
La bocca del più grande era calda, le sue labbra erano morbide, e non poté fare a meno di lasciarsi andare a quel calore e a quella eccitazione tutta nuova che provava in quel momento. Non aveva avuto molte relazioni, i suoi baci si contavano sulle dita di una mano e sicuramente niente poteva comparare alle sensazioni che Jinki gli stava dando. 
Non c’era solamente l’attrazione fisica, quello che provava per l’altro ragazzo lo coinvolgeva su più livelli e sapeva di essere stato dannato per l’eternità fin dal primo istante che aveva posato gli occhi su di lui.

Continuarono a baciarsi castamente per qualche secondo, le mani di Minho che andavano a giocherellare con le ciocche di capelli dello schiavo, quelle che gli ricadevano sul volto e non gli permettevano di vedere per bene i lineamenti di Jinki – che Minho considerava a dire poco perfetti -.
Le loro lingue si scontrarono in maniera timida e sperimentale, nessuno dei due ragazzi sapeva quanto potersi spingere oltre e quanto lasciarsi andare alla passione crescente in entrambi, per questo i loro baci sembravano quelli tra due ragazzini e non tra due adulti (Jonghyun lo avrebbe preso in giro, ne era sicuro).

“Grazie, dico sul serio Minho.”

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